W' X.'r. ■M W to-t Jf , ^ *■• -4.' ■ «^ ■ * -:-^- ATTI DELL’ ACCADEMIA PONTIFICIA DE’ NUOVI LINCEI I h t % DELL ACCADEMIA POMIFICIA DE NUOVI LINCEI PUBBLICATI CONFORME ALLA DECISIONE ACCADEMICA del 22 dicembre 1850 E COMPILATI OAL SEGEETARIO TOMO XIX. - ANNO XIX. (18C5-G6) 18G6 TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI ELENCO DEI SOCI ATTUALI DELL’ACCADEMIA PONTIFICIA DI’ NUOVI LINCEI DAL 3 LUGLIO 1847, EPOCA DEL SUO RISORGIMENTO, FINO A TUTTO DICEMBRE DEL 1863, 1 I F,POCA DELLA ELEZIONE I 9 pennato 1853 i 2 febbraio 1862 3 luglio 1847 4 gennaio 1863 3 luglio 1847 )) }) )) )) 5 gennaio 1862 3 luglio 1847 1 febbraio 1863 ASTOLFI abate OTTAVIANO, professore d’in- troduzione al calcolo sublime nella univer- sità di Roma , e di fisico-matematica nel collegio Urbano. AZZARELLI cav. MATTIA, professore di mec- canica e idraulica nella università di Roma. RONCOMPAGNI D. RALDASSARRE dei prin- cipi di PIOMRINO. CADET dott. SOCRATE, professore di fisio- logia umana nell’università di Roma. CALANDRELLI D. IGNAZIO, professore di ot- tica e di astronomia nell’università di Roma. CAVALIERI SAN BERTOLO Comm. NICOLA, professore emerito di architettura statica e idraulica nell’università di Roma. CHELINI rev. p. DOMENICO delle Scuole Pie, già professore di meccanica e idraulica nel- l’ università di Bologna. CIALDI Comm. ALESSANDRO. COPPI cav. ANTONIO. DIORIO dott. cav. VINCENZO, professore di zoologia nell’università di Roma. EPOCA DELLA ELEZIONE — VI — 2 marzo 1856 7 maggio 1863 //tyi ^4^*,'^'. 3 luglio 1847 )) ì) 6 febbraio 1859 3 luglio 1847 3 aprile 1864 11 maggio 1848 22 aprile 1849 3 aprile 1864 22 febbraio 1852 30 giugno 1850 FIOHINMAZZANTI contessa ELISABETTA, botanica. FOLCHI comm. CLEMENTE, ispettore d’acque e strade, e membro emerito del consiglio d’arte. JACOBINI LUIGI, professore di agraria nella università di Roma. MASSIMO duca D. MARIO. MAZZANI canonico D. TOMMASO^ professore emerito di meccanica, e idraulica nell’univer- sità di Roma. * NARDI monsignor FRANCESCO, geografo fisico. PIERI dott. GIULIANO , professore emerito d^ introduzione al calcolo sublime nell’uni- versità di Roma. POLETTI cornili. LUIGI, ispettore di acque e strade, e membro del consiglio d’arte. PONZI dott. cav. GIUSEPPE, professore di geo- logia, e mineralogia nell’università di Roma. PROJA D. SALVATORE^, nominato professore di elementi di matematica nell’ università di Roma. ROLLI dottor ETTORE, direttore del giardino botanico dell’università di Roma. SANGUINETTI dott. PIETRO , professore di botanica nell’università di Roma. SECCHI rev. p. ANGELO, d. C. d. G., diret- tore dell’osservatorio astronomico nel collegio romano. VII EPOCA DELLA ELEZIONE 3 luglio 1847 SERENI CARLO, professore di geometria de- scrittiva , e d’ idrometria nell’ università di Roma. )) )) TORTOLINI canonico D. RARNABA, professo- re di calcolo sublime nell’università di Roma. 3 fb'cemòre 1854 VIALE dott. cav. BENEDETTO, professore emerito di clinica medica nell’ università di Roma. 3 luglio 1847 VOLPICELLI dott. PAOLO, professore di fisica sperimentale nell’università di Roma. 4 gennaio 1863 Comm. prof. NICOLA CAVALIERI SAN BERTOLO. «(DIBIÌSia 1 febbraio 1863 Duca D. MARIO MASSIMO. vili EPOCA DELLA ELEZIONE 1 marzo 1863 Prof. D. SALVATORE PROJA. » » 8 Gennaro 1865 Prof. D. IGNAZIO CALANDRELLI. Prof. cav. VINCENZO DIORIO. , » )) Monsignor FRANCESCO NARDI. sarnsiai! ©iililìì ®®sìiiìiì^ì]1(diii2 m (sao^iaii 10 dicembre 1864 Prof. D. IGNAZIO CALANDRELLI. » » Prof. doti. GIUSEPPE cav. PONZI. » » Prof. CARLO SERENI. » » Prof. D. SALVATORE PROJA. 3 luglio 1847 Prof. PAOLO doti. VOLPICELLI. (Confermato nella carica di segretario pel secondo decennio^ nel 7 giugno 1857). 7 giugno 1857 Prof. GIUSEPPE dott. cav. PONZI. X — EPOCA DELLA ELE/JONE SOCI CORRISPONDENTI ITALIANI ^dicembre 1854 )) )) 11 maggio 1851 5 ottobre 1848 4 febbraio 1849 2 maggio 1858 6 maggio 1860 11 maggio 1851 5 ottobre 1848 4 febbraio 1849 » » 1 aprile 1860 BELLAVITIS GIUSTO, professore di matema- tiche superiori nelUuniversità di Padova. RERTOLONI cav. ANTONIO , professore di botanica nell’università di Bologna. BETTI ENRICO, professore di matematica nel Liceo di Firenze. BIANCHI cav. GIUSEPPE, già direttore del R. osservatorio astronomico di Modena. BRIGHENTI MAURIZIO, già professore di geo- metria descrittiva nella scuola degl’ ingegneri di Roma, ispettore emerito di acque, e stra- de, ec. in Bologna. DE-GASPARIS professore ANNIBALE, astro- nomo a Napoli. LOMBARDINI ELIA , ingegnere idraulico in Milano. MAINARDI GASPARE, professore di calcolo sublime nella R. università di Pavia. MARIANINI cav. STEFANO, professore di fisica sperimentale nella università di Modena. MATTEUCCI comm. CARLO, professore di fi- sica nella R. università di Pisa. MENABREA LUIGI FEDERICO, membro della R. accademia delle scienze di Torino. MENEGHINI GIUSEPPE geologo in Pisa. EPOCA DELLA ELEZIONE XI 11 maggio 1851 4 febbraio 1849 4 febbraio 1849 )) )) 6 maggio 1860 4 febbraio 1849 )) » 6 maggio 1860 4 febbraio 1849 1 aprile 1860 4 febbraio 1849 MINICH SERAFINO, professore di matemati- che superiori nell’università di Padova. PARLATORE FILIPPO , professore di bota- nica , e di fisiologia vegetale, nel museo di fisica e storia naturale in Firenze. PURGOTTI doti. SEBASTIANO, professore di chimica neU’università di Perugia. SANTINI comm. GIOVANNI, direttore dell’ I. R. osservatorio astronomico di Padova. SAVI PAOLO geologo in Pisa. SCACCHI ARCANGELO, professore di mine- ralogia nella R. università di Napoli. SISMONDA cav. ANGELO, professore di geo- logia , e di mineralogia nella R. università di Torino. SISMONDA EUGENIO, geologo in Torino. TARDY PLACIDO, professore di matematiche in Genova. VILLA ANTONIO, geologo in Milano. ZANTEDESCHI abate cav. D. FRANCESCO, già professore di fisica nell’ I. R. università di Padova. XII EPOCA DELLA ELEZIONE 10 luglio 1853 17 novembreìSSO 2 febbrajo 1862 17 novembre 1850 11 giugno 1865 10 giugno 1860 11 giugno 1865 17 novembre 1850 11 giugno 1865 10 luglio 1853 10 luglio 1853 17 novembre ÌS50 SOCI CORRISPONDENTI STRANIERI AGASSIZ L. , professore di storia naturale a Boston. AIRY G. B., direttore del R. osservatorio astro- nomico di Greenwich. BECQUEREL ANTONIO CESARE , membro dell’ accademia delle scienze dell’ I. Istituto di Francia. CHASLES MICHELE^ membro dell’accademia delle scienze dell’ I. istituto di Francia. DE CALIGNY marchese ANATOLIO. DE CANDOLLE ALFONSO , botanico in Gi- nevra. DE HAUER prof. FRANCESCO in Vienna. DE LA RIVE AUGUSTO, professore di fisica in Ginevra. DE WALTHERSHAUSEN bar. SARTORIUS in Gottinga. DU BOiS REYMOND E., fisiologo in Berlino. ÉLIE DE BEAUMONT GIAMBATTISTA, se- gretario perpetuo dell’accademia delle scienze dell’ I. istituto di Francia. FARADAY MICHELE , membro della R. so- cietà di Londra. EPOCA DELLA ELEZIONE XIII novembre 1850 )) » )) « )) » )) » )) » )) )) )) « 10 luglio 1853 )) )) 17 novembre ÌS50 1 dicembre 1861 10 luglio 1853 » » ì) » FLOURENS, G. P., segretario perpetuo deU’ac- cademia delle scienze dell’ I. istituto di Francia. FORBES G. , professore di fisica in Edim- burgo. FOUCAULT LEONE , fisico nell’ osservatorio astronomico di Parigi. FORCHHAMMER GIORGIO , segretario della società delle scienze in Copenaghen. FRIES ELIAS, segretario della R. accademia delle scienze di Upsala. GRÒ VE G. R., professore di fisica in Londra. HANSEN P. A. , direttore dell’ osservatorio astronomico di Gotha. HENRY, segretario dell’ istituto Smitsoniano in Washington. lACOBI, professore di chimica in Pietroburgo. KUMMER , professore di matematica neU’uni- versità di Breslavia. LAMÉ G., membro dell’accademia delle scienze dell’ I. istituto di Francia. LE TERRIER U. G., direttore dell’ I. osser- vatorio di Parigi. LIAIS E. , già nell’ I. osservatorio di Parigi astronomo aggiunto. LIEBIG barone GIUSTO, professore di chimica in Monaco. LITROW , direttore dell’ I. e R. osservatorio astronomico in Vienna. XIV EPOCA DELLA ELEZIONE ^febbraio 184-9 10 luglio 1853 30 luglio 1865 10 luglio 1853 » » » )) » » 17 novemòre 1850 10 luglio 1853 )) )) » » 2 maggio 1858 3 aprile 1864 10 giugno 1860 2 maggio 1858 MALAGUTI M. J. , professore di chimica in Rennes. MALMSTEN dott. C. G., professore di mate- matica nell’università di Upsala. MORIN, generale, ARTURO GIULIO, membro deir accademia delle scienze dell’ I. Istituto di Francia. MURCHISOIV cav. R., presidente della società geologica in Londra. NEUMANN, dott. professore di matematiche, e fisica nell’università di Kònisberg. OHM dott. M., professore di matematiche nel- l’università di Rerlino. POUTLLET C. , membro dell’ accademia delle scienze dell’ I. istituto di Francia. QUETELET cav. A., segretario perpetuo della R. accademia delle scienze, lettere, e belle arti del Belgio in Brusselle. REGNAULT V., membro dell’accademia delle scienze dell’ I. istituto di Francia. REMON ZARCO DEL VALLE dott. ANTO- NIO , presidente della R. accademia delle scienze in Madrid. ROBERTS G. , professore di matematica nel collegio della Trinità in Dublino. SABINE, fisico e membro della R. Società di Londra. SALDANHA (Duca di). SORET LUIGI, fisico in Ginevra. THOMSON G., professore di filosofia naturale nelFuniversità di Glasgow. XV EPOCA DELLA ELEZIONE 30 luglio 1865 VAILLANT , maresciallo conte GIOVANNI BATTISTA FILIBERTO membro dell’acca- demia delle scienze deH’I. Istituto di Francia. 2 maggio 1858 WEHLBERG , segretario della R. accademia delle scienze di Stockolm. n novembre 1850 WHEATSTONE, membro della R. società di Londra. \ 4 ' y-A r .. v> J-r* -:4^ -, .... ■'.':'- ;:v. ' >fe; ■■-'-■ :: 't , .^r S:Ì£'C'''.-': ^ -r^ ,'4'- orr^0^^:.. -I, 1^. ':U ìj i* ■' A: -.-'H:;.'^a- ' • . ' ■#. ^ P S5 ^a^gio |^rM^,-|iÌ \Iur.i^EU€l^. -|^ . ,»• V!-3P^ 4,ì)àt/., D. SAIVAJOT:^^ '■ 'C •’' '^'AV-mPì «tejp!'. S’At*A BE‘MM.Dla i-^MaYIÌ^' 'i)4.i M aL,dlc«*b«i riRf.i yr<À' .V-, APFiS^l'.l.f -■ -, '''-;!?^ ■ ^: , •■; i ÉBir'ìiMpv ,,E.; KIPFPER, ttìSÈT'ìiMEV , L. I " „ <. f :■; ■■ - : . :. ■>n ■•ì::' m r-: ìk' r-..'. ■ - JJÌ-^ .^.v V •‘PiT'»J ■ K _. . A ,# ■■: .... . :; ; '■ ; ,• r .\ I .ii ^ ■ m : .Vy '"■ V ■■ — 1 — ATTI DELL ACCADEMIA PONTIFICIA DE NUOVI LINCEI SESSIONE P DEL 3 DICEMBRE 1863. PRESIDENZA DEL SIG. CON. N. PROF. C4TALIER1 SAN BERTOLO MEMORIE E COMUNICAZIONI DEI SOCI OKDISJAKI £ DEI CORRISPONDENTI Biographie d'Ihn Albannd mathématicien da XIIP siede extraite da Tekmilet Ed-Bibadj d' Ahmed Baba , tradaite et annotée par M. Aristide Marre , Professear, Offtcier de V Instruction pablique^ Membre de la Société Asia- tiqae de Paris. NOTICE SUR AHReD BABA. I LE BIOGRÀPHE D’IBN ALBANNA. I A.liraecl ben Ahmccl ben Abmecl ben Omar ben Mohammecl Aqliyt, plus connu sou.s ; le nom de Ahmed Bàbà Al Timboktouy, naquit a Arawàn, au N. de Timbouktou, le 21 du mois de d’houl— hidja en rannc'e 963 (ou de N. S. J.C. 1556). Cerbèrc d’origine, puisqu’ il descendait de la tribù des Sanhadjas, ou Senagas suivant la pronon- ciation cgyptienne, qui bàtit la ville de Tekra sur les fronlières du Soudan et ' donna son noni au Se'nc'gal , Ahmed Bàbà appartenait a ime famille qui avait i produit un grand nombre de celèbres eule'mas. Plusieurs de scs ancétres , son grand-pere, son pere, son onde paternel s’e'taient distingues avant lui dans la carrière de renseignement, la plupart d’entre eux remplissant en méme temps les fonctions d’imàm ou celles de kàdi dans la ville de Timbouktou. Dans son enfance, il avait connu Ahmed ben Mohammed ben Said né a Tini- boukton en 1524 de J. C., professeur du code musulman en 1553 et mort en 1568; il avait méme assistè a ses cours. Mais son premier maitre de grammaire et de rhètorique fut son onde paternel Abou Bekr ben Ahmed ben Omar ben Mo- hammed ben Aqhyt, nè a Timbouktou en 1526 et mort k Mèdine en 1583. C’est 1 1 — 2 — dans le cours de cette raéme anne'e 1583, que Ahmed Babà perdit l’un de ses maitres ve'ne're's , le docteur Al Aaqyb ben Moliammed , kàdi de Tirabouktou , issu de la tribù des Sanhadjas, et son pere bien aime Ahmed ben Ahmed ben Omar ben Mohammed Aqliyt , l’un des jurisconsultes les plus ce'lèbres de son temps. Ahmed ben Ahmed etait ne dans le pays des Nègres, au commencement de moharrem, l’an de J. C. 1522. Pendant plus de vingt ans , mais seulement pendant trois raois de cliaque année, il avait enseigne publiquement les deux Sahyli ou recueils authentiques des actes du prophète, celui de Bokhary et celili de Moslira. L’avant-veille de sa raort, il expliquait encore le Sahyh de Moslim a de nombreux disciples , parrai lesquels ou remarquait Mohammed ben Abou Bekr Bagliygou, le fils de son fière. Pendant dix anne'es Ahmed Babà frequenta assidùment les lecons de son cousin Mohammed Baghygou, dont le caractère, les vertus et le talent sont loue's ma- gnifiquement dans le Tekmilet ed dibadj; il fut guide' par lui dans la carrière des lettres et re§ut de ses mains son diplóme ou edjàzeh, polir qu’il pùt en- seigner à son tour tout ce qu’il avait appris de ses diffèrents maitres. Le jour où les deux cousins se virent pour la dernière fois, ce fut le jour méme de la prise de Timbouktou par les Marocains, dans l’anne'e 1002 de l’he'gire (de J. C. 1593-94). En cette anne'e doublement nefaste pour lui, Ahmed Bàbà fut emmene' en Captivité loin de son pays et la mort lui enleva son meilleur ami, son prè- cepteur, celui— la dont il a dit : « nul autre n’ a pu le remplacer et personne » ne lui a e'te' semblable. » A cette date me'moiable pour l’histoire du Soudan, le ge'ne'ral Mahmoud Zerqoùn, à la téte d’une arme'e marocaine, s’empara de Tim- bouktou et y tit reconnaìtre la souverainete' du Sultan son maitre, malgre' l’op- position de notre Ahmed Bàbà. Celui-ci demanda a ses concitoyens quel e'tait le monarqiie auquel ils venaient de jurer soumission. — C’est, lui re'pondirent- ils le Sultan du Maroc. - Je ne connais point d’ autre souverain en Occident que le roi de Tunis, re'pliqua Ahmed-Bàbà. Pour lui le droit du plus fort n’e'tait pas ne'cessairement le meilleur. L’ infortune' et courageux savant fut transportè les fers aux pieds dans la ville de Maroc, avec une partie de sa famille. La , pendant quatre longues anne'es, il se livra constamment a Te'tude et a la prière, e'tonnant ses gardiens eux mémes par la profondeur et l’e'tendue de ses connais- sances, aussi bien que par sa grandeur d’ame. Enfin au bout de ce teraps, un dimanche, le vingt-sixième jour du mois de ramadhan, l’heure de la de'livrance sonna pour lui, et ce fut aussi l’heure du plus beau triomphe. Au rapport d’Ibn-Yakoub al Maràkeschi, l’un de ses e'ièves, et son biographe, la joie que fit e'clater sa de'livrance fut unanime. Il fut sol- licite' par les homraes instruits de Maroc d’oiivrir des cours publics , il refusa — 3 — d’abord; mais vaincu par l’insistance de leurs prières, il fut conduit a la mos- que'e des chérifs, et la, au milieu d’ ime affluence extraordinaire de thàlebs et d’eule'raas, il inaugura son enseignement par la lecture du Mokhtessar ou Precis de Sidi Khalil sur la jurisprudence musulmane, expliquant le texte par des sco- lies, des citations et des exemples tires des meilleurs jurisconsultes. Bien plus, pendant qu’une multitude avide d’entendre sa voix eloquente recueillait ses legons de rbe'torique, de tlie'ologie et de droit, Tautorite souveraine du pays admettait corame arréts sans appel, les decisions qu’elle reclamait de lui sur les points de jurisprudence qui avaient embarrasse les bommes de loi les plus experimentes. La réputation de son nom s’etendit alors depuis Sous-al-Aksa , c’esl-a-dire de l’extre'mite occidentale du Sahara, jusqu’a Alger, Bougie et encore par dela. Ahmed Babà composa de nombreux ouvrages de droit, de morale , de the'o- logie, d’histoire, de grammaire, voire méme d’astronomie, dont on trouvera la liste dans le travail , mince en volume mais gros de renseignements curieux , que M. A. Cherbonneau a intitule': (( Essai sur la litterature arabe au Solidari, » d’après le Tekmilet ed dibadj d’ Ahmed Babà le Tornbouctien ; Constantirie et Paris 1856. (i) )> Malheureusement de tous les ecrits d’Aliraed Bàbà, deux seulement nous sont connus aujourd’ bui : le Tekmilet ed dibadj et le Kefàyat al mohtadj qui n’est, corame on le verrà tout a l’heure, qu’un résumé du pre- mier. EspeTons que ses autres ouvrages enfouis sans doute dans quelque biblio- thèque inconnue du Maroc ou de la Tunisie, finiront par ótre de'couverts et mis au grand jour ! Le Tekmilet ed dibadj (2) est un recueil de biographies des doc- teurs les plus celèbres du rite màlékite, compose' a Laide de nombreux manu- scrits presque introuvables aujourd’hui, mais dont les titres nous ont ete' transmis. Parrai ces raanuscrits dont les titres ont e'te reproduits litte'ralement par M. Cher- bonneau, nous mentiormerons seulement les suivants, dus a des ecrivains dont nous avons deja rencontre' les noms dans la notice biographique sur Ibn Albannà; L’Index ou tables bibliographique d’ Abou Abdallah Al Hadhràrai , les voyages d’Al Tedjibi, et le Tauchyh eddibadj (l’addition de l’e'charpe au dibadj) par le Ràdi Bedr-Eddin Al Karafì, ouvrage qui a pu inspirer a Ahmed Bàbà l’ide'e de son Tekmilet ed-dibadj. ' En ce qui concerce le Kefàyat al mohtadj, voici coraraent se tiouve explique'e la composition de cette oeuvre par Ahmed Bàbà lui-méme dans un fragment (1) A qui serait désireux d’avoir de plus amples renseignements sur la vie et les ouvrages d' Ahmed Bàbà, nous conseillerions la lecture de cette interessante brochure à la quelle nous avons pour notre part emprunté cette brève notice. (2) Tekmilet ed dibadj signifie; complément du Dibadj. Par te mot dibadj on entend pruprement line sorte de vèteraent en soie brodé d’or. copie par M. Clierbonneau sur un exeraplaire appartenant au thàleb Moustaplia Ben Djelloul de Constantine (fol. i, i^erso, après l’invocation), et doni une tran- scription, faite a Rome par M. Enrico Narducci, nous a éte' coraraunique'e par la bienveillante attention de M. le Brince Don Balthasar Boncompagni: « Ce livre est un abre'ge' que j’ai fait de 1’ appendice joint au dibadj dorè » sur la connaissance des principaux docteurs de la sede (Màle'kite), de Tlmàra » Borlian Eddin Ibn Ferhoun, lequel est nomme' Neyl al ebtehadj bì tettharyz )) ed dibadj (celili qui donne T embellissement et la giace a la broderie du dibadj.) Cet appendice comprend une fonie de personnages, car il ne cite pas » seulement ceux de son temps, mais d’autres encore, et il mentionne ceux qui » poste'rieurement sont venus grossir la fonie des interprètes. Il est parvenu » jusqu’a dix-huit càhiers environ du grand format, et a e'te' aclieve' dans l’an- iì ne'e loos (ou de J- C. 1596 , c’ est-a-dire pendant la captivite' a Maroc) ; on » en a tire' des copies. Ensuite j’ai fait choix de la quintessence de cet ouvrage, » pour en composer le pre'sent abre'ge' , sur les imàms les plus fameux et les » livres qu’ils e'crivircnt a l’exclusion des autres; visant surtout a simplifier et » a bien coordonner les raate'riaux choisis. Et je lui ai donne' le nom de Ke- )) fdjat al Mohtadj li maréféh min lejs fjl dibadj, c’est-a-dire “ Suffisance » pour qui a besoin de connaìtre ce qui ne se trouve pas dans le dibadj. ,, » Dieu le Très-haut l’a accueilli en sa pure pre'sence par Mohammed et sa fa- » mille, que la be'ne'diction et le salut de Dieu soient sur lui ! Amen. » A. Marre. BIOGRAPHIE D’IBK AIBAOA EXTRAiTE DU TEKMILET ED-DIBADJ (1) d’ Ahmed Babà. Volr le teste arabe de cette Biograpbie dana les qnatre deraières pages de cet opuscule). rjLhnied ben Mohammed Othindn Aldzadi Aboul Abbas Al Mardkeschi (2), coimu sous le noni à' Ibn Albannd (fils de rarchitecte) a cause de la profes- sion de son pere, fut l’im des princes de la Science; aussi Hafiz ben Reschid a-t-il dit que dans le IMaglireL on ne vit jamais deu.x liommes plus savants (]i\ Ibn Albannd Al Mardkeschi et Ibn al Chdtt. Un autre a dit que c’e'tait un imam reve're' des rois, qu’il ctait tvès-verse' dans la jurisprudence et possedait a fond les Sciences de l’antiquite. Al Bedjài, son elève, a dit (3): qu’il etait grave, de (1) La décoiiverle de ce passage dii Tehnilet ed dibadj, rclatif à notre miteur Ibn Albannd, est due à M. A. Cherbonneau; ce savant arabiste en prit une copie qu’il envoya à M. le PrinceDon Bal- thasar Boncompagni, et c’est sur une transcription de celle copie faite par M. Enrico Narducci de Rome, que j’ai entrepris ma traduction. (2) Presque tous los ouvrages qui ont mentionné l’auteur du Talkhys, lui donnent la qualifica- tion d’Ji Mardkeschi (le Marocain) et le surnom de Ibn Albannd (le fils de l’arcbitecte). Le Tekmilet ed dibadj, le premier, déclarc expressément (voir les dernièrcs lignes de cette notice) que Ibn Albannd naquit à Maroc. C’est pourquoi la dénomination à' Al Garndti (le Grenadin), ou Granatensis, qu’on lit tome rer, page 369, de la Bibliotheca arabico-hispana de Michael Casiri, doit s’appli- quer non pas à notre auteur, mais à son pere. Ibn Albannd al Garndti signifie le fils de l’architecte de Grenade, c’esl-à dire que le fils ctait de Maroc, et le pére de Grenade ; 1’ auteur du Talkhys na- quit, vccut, professa et s’illustra à Maroc, parmi Ics Arabes du Maghreb, tandis que le pére se di- stingua sans doute comme architecte parmi les Arabes d’Andalousie, dans celle ville de Grenade, ce- lebre dans le monde cnticr par ses chefs-d’oeuvre d’architecture mauresque. (3) Nous connaissions déjà l’un des élèves d’ibn Albannà, Abd al Aziz al Mesràni, l’auleur d’un commentaire sur le Talkhys. — 6 — moeurs irreprocliables, ferme dans ses promesses, ge'ne'reux, beau, d’ une taille bien prise, distingue dans sa mise, delicat dans sa uourriture; qu’il saluait tous ceux qui le rencontraient et les conge'diait d’ une parole gracieuse, qu’il e'tait aime' des savants et des gens de bien, qu’il portait la lumière en peu de mots dans les discussions obscures, qu’il ne parlait jamais sans connaìtre, et que tout le monde e'coutait en silence sa parole juste et vraie. Ibn Chdtt a dit qu’ il e'tait profonde'ment verse dans les doctrines sunnites et dans la Science de l’astrologie. Ibn Albannd ve'cut familièrement avec Abon Zjdd Al Hazmiri, il entra avec lui dans un lieu de retraite et y demeura un an. 11 lui dit: « Dieu t’a rendu habile dans les Sciences du del, comme il t’a )) rendu habile dans les Sciences de la terre. )> Une nuit Abou Ze'id Al Hazmiri lui fit connaìtre une partie de la voùte ce'leste, jusqu’a ce qu’il l’eùt bien exa- mine'e, et il lui fit observer 1’ orbite du soleil. Il en fut e'tonne'. Al Hazmiri lui dit: « perse vere jusqu’k ce que tu aies bien observe', de'ja tu as e'te' favo- )) rise' dans ce que tu as vu. » Or la fin de son temps d’e'tudes astronomiques arriva, et il n’avait cesse' d’observer le jeùne dans sa retraite consacre'e a l’ex- amen et a la ve'rification de la voùte ce'leste, et voici la vision qu’ il eut une fois. - Il tenait entre ses mains une qoubbah de cuivre^ sans pareille, suspen- due prisonnière dans 1’ air, et au milieu de Cette qoubbah se trouvait un de- vot personnage. Cette vue 1’ effraya et il ne perse've'ra pas. 11 entendit alors des voix mena^antes qui 1’ appelaient et lui criaient : -J ■i>^' cy J f 'j j>j > f f^-ly^' oi»-j.laJì (J.*^ (^ Ol^U^Ì ^3 C.Ì145T5ÌJ j ^^yè=.^ •■• ^ jJyj Jis .’. ^^xjj\j &x.w^ uly^ (^^‘.‘*‘^3 (*^ '^-? y-Và]^\ lfl-»-Oi/C J*^lx5ì IJLÀ^aK 1^ ^ .-. (J '— ?^^^' '•é^ Errata Corrige , f \ p f^-c 1'. lig- ;> ^ ij'^ — « — Ci (^*-»- er~^'^ — 2 — “) — A - 3 ^J>\ jk\ 3 (^J£^ (-I1a5j5^ J^. M W ^ Ifliixc ^ ió\ iJ ? p (J ? y4' ,^>1, -P ^jj)b J^\ p oWUJt^ ^3 jj>5 ià\jtx> ^3 c_^Uail ^ ^lÀJ t^i/5\ jy=j (J j>j p (j j^j '4?'^^ 0-<*ii (J^i j j^j ij Jlij lÌ->!ì)v3 eo _i'i Jjtós J,^]^ _SD.^^\ (_^ >^..y.ì^ L^USss \y .-.‘ijJ^ J,Ì* (J (^3 ^\ (^ff- _5 Jj SAS ^ i^e;? .". \jjj£^ iO &j^ì^ C7^' 1 o w (_^ j &5>^^ iùff- jò-ì i.^-3'* tjlr*^ v.3^^ ^ .-.n^ ^ ^n ^iPj.-.jiÀL-j\ j^-à\ «> '^Xé== t— a-ìy .-.^I^stM ;_jLÌ»^\ (_^ d>AÀ>jl=>^ v_J^Ì ÌL«jU,« (J L^USsSj u f Jj._jii]\ ki- J ji-ìj y/i'. ijjy^ (J ^J^3 ii^ì Jlriff' (J 'Àà^jUì ^**ì\j^j ^1^5 y i^j^j fj 3}=r3 1 ^ ♦ j* ^b ^^C. JiJ\j^\ y>\ ^Ùp\ Ji^s^ ^ ^ ^ UJÌ (^ì ^^}^J <-^.^ '•'« iàJlJ^ Jli |_JÌ5- jvJj»3\ j*^Ì5- ji\j ìàs»- &] biàx* l/«l*ì (J\ij iaLi3^ tiJ^lj p- \^yj Jlà ^ ^ a^ e;'* (_^ 1^^- ^ J^X*-« e/-*®' ^Lòb .3^^ ^ l*^U &ii ^ SiiU- pUjO\ òjS- l^* ^ abff- jtt^P jS\j ló^ a>3 biji» l)\Ì)j . * .Uas»- ^)o làfls'* ^ J\ij Llp 'i^ù\ ^ ìii Js-ii \J'ò sliaff-b òi_,j \i\ pj?" (^ifl5ì &W ajtibìj (*j^ e;'« C^i'jbT'O 1^ aùJÌ (JilùiT* sì &5 l)\s p.i ^S^jj Il . fl >*«» > i_ *2^1ii\ pjW. 1*-?^'' 1j 1^ éó^Àlì &Xjj ^<1 <-^.)j by ^ (_)'^'* ^ ^***_5t*^ o**^ (3*^ J^5 lA) c3»b,]^ ^»s\ aJ_olb kbl&b Ci35ii3 ‘ * -^ - |*!!j S^xi/e (_>a^** I^Ìsm^ j 3jA#o yì iO bJÌ b U« l^y C-^rtì &y5ì jj (•'■^ 3 aJU u-/vo3 ^]j '^y. 3?l) ^-^W" ty^ J\j .•.l-JI» \y (•'■’j'^ (*^ ;J 3 jr" (*'■> C>.^-y (J'^' Ci^b- ‘-r**^ <3*b tuue est clans cet endroit de la maison. » L’homme s’en alla, creusa dans l’cn- droit et trouva la fortune. Il y a Lon nombre d’histoires de ce genre racontees sur Ibn Albannd. Il recut des legons du Kàdi Cherlf Mohammed ben Ali benYahya sur le livre de Siboujeh (i), il s’attaclia assidùment a cette e'tude et à celle d’Euclide d’après Abou Isbak Alattàr Al Djezouli; il apprit les latitudes des lieux (la geograpbie) sous Al Kalloussi, et le liadits (tradition) sous Abdallab ben Abd al Malek et son frère, et il en tira ime grande utilite'. 11 etudia la jurisprudence sous Abou Amràn Moussa Al Zenàti, il recut de lui son commentaire du « Momvatta » (2), et du Kàdi E1 Meghiabi VIrchdd, et d’Ibn Hedjadj E1 Moustasfi le Haouféh ou el tehèzib. Il acquit la Science du Sunna sous le Kàdi Ibn Al Hedjadj Youssouf Al Tedjibi, et Yakoub Al Djezouli et Abou Mobammed Al Bostàni, la Science de la me'decine sous le medecin Ibn Hedjlett, et l’astrologie sous Ibn Moklilouf Al Se- djalmassi. Il composa de nombreux ouvrages, entre autres: Explication sur le Bisinillah (a). Notice marginale sur la re've'lation. Livre sur la cognation des conjoints (4). Un autre sur les traces de l’ecriture revéle'e. Sur l’explicatlon des deux sourates: El asr et el kothr. Introduction aux dogmes religieux. Fin de la cbose demandée sur les dogmes. Avis intelligible pour ceux qui atteignent les Sciences. Commentaire sur le Tenqyyh d’Al Karafi. Les traces de la voie dans la Science de la verite. Commentaire du livre prece'dent. Abrégé du traite di'Al Gazdli, intitule: El-Hija. Des universaux en logique, avec commentaire. Les syllogismes, avec commentaire. Dissertation sur la reponse aux questions de droit et d’astronomie. Re'ponse a celui qui dit qu’il connait le temps du couclier du disque du soleil par la vue d’ime verticale qui lui est oppose'e, et demonstration qu’il ne trouve pas absolument juste. (1) Sibouyeh est le nom d'un grammairien arabe très-célèbrc. Ce nom derive d’un mot persan, si- gnifìe odeur d’abricot {odor mali armeniaci) — Kamous — page 381 du Lexicon arabico-latinum de Freytag. (2) Ou aplanissement des difficultés da droit musulman par le docteur Malek, fondateur de la Sccte Malékite. (3) Sur la formule de prière commencant par les mots: Bism'illah.... (Au nom de Dieu). (4) Les conjoints dont il s’agit ici, sont sans doute Fdtmeh , la fide du propliète Mohammed , son époux Ali, et ses deux fils Hassdn et Hossein. 2 I — 8 — Traile compiei de la langue arabe savaiile. Le verger ferlile en fruils excellenls. Composilion de livres El FerdXdh (i). Gommenlaire sur El Haoufi (2). De l’aveu des obligalions ou serviludes. De rafFranchisseraenl après la mori du maìlre. Le Talkhys sur le calcai, avec commenlaire (3). • Introduclion a Euclide (4). Les qualre disconrs (5), les règles, les principes el les pre'liminaires. Fragmeril sur Dzoudt el isma ou el monfeseldt (e). Un aulre sur l’operalion d’après le proce'de grec. Discours sur les mesures de capacile' le'gales. Sur Lari de mesurer la lerre, ou geodesie (7). (1) Proprement « les statuts de la ioi sacrée » et plus particulièrement « le règlement d’apris le Koran des portions des héritages )) cette cxpression pourrait se traduire simpleuient ici par le « partage des successions. » C’est une parile de la Science du Nombre, c’est une branche des mathé- matiques appliquées à la jurisprudence musulmane. (2) Selon Ihn Khaldoén il faut piacer Al Haoufi au premier rang des auteurs de et re- garder son traité comme supérieur à tous les autres. Dans notre préface au Talkhys, nous avons dit que ce traité du Kàdi Abou’l Kdcim Al Haoufi, intitulé Kitab ab Haoufi fy’l feraidh, formait les 98 premiers feuillets du ms. de la Bibliothèque Bodléyenne d’Oxford, n? CCXVII de la première parile du catalogne latin dressé par Jean Uri, et que sur le dos de cuir se trouvail imprimé en lettres d’or un seul nom « Al Hufi », tandis que le volume contenait quatre traités dilférents parmi lesquels le Talkhys A’ibn Alhannd. (3) Parmi les ouvrages mathématiques A’ibn Albannd mentionnés dans la liste bibliographique donnée par le Tekrnilet ed dibadj, ne figurent ni le Rafou’l hidjdb (soulèvement du rideau) cité par Ibn Khaldoun , lequel est un commentaire d’ un ouvrage fori étendu sur le calcul « Al higdrou’ l saghyr », ni l’abrégé du méme ouvrage composé par Ibn Albannd, abrégé qui renferme les règles des opéralions du calcul. Selon tonte vraisemblance cet abrégé n’est autre que le Talkhys fi hissdb ou Tal- khys amdli al hissdb, comme le porte le titre mème du manuscril. (4) Selon Ibn Khaldoun, le traité A’ Euclide, intitulé « le livre des éléments et des fondements » est le premier ouvrage qui ait été traduit du grec en arabe. Cela cut lieu du temps A’Abou Djàfar Almansour. Il renferme quatre livres sur les nombres, et l’buvrage Klbn Albannd intitulé les « Quatre discours » pourrait bien se rapporter à cette partie du traité d’Euclide, relative aux nombres. (5) Al Kalgddi, dans son commentaire du Talkhys, parlant du cas oii la sommation des carrés et des cubes des nombres pairs ou impairs se fait à partir d’un terme de rang quelconque, s’exprime ainsi: «L’auteur n’a pas signalé ce cas dans le présent ouvrage, mais il l'a signalé dans les « Discours ». Et sur ce dernier mot, M. Woepcke fait cette observation (page 10, note ** de sa brochure; Passages relalifs à des sommalións de séries des cubes, extraits de deux ms. arabes inédits, Rome, 1864): « Cela » peut signifier que l’auteur, Ibn Albannd, a exposé ces règles verbalement, ou qu’il les a exposées » dans un ouvrage intitulé « les discours » ou dans un ouvrage divisé en «discours» c’est-à-dire en » «livres» ». La liste des ouvrages A’ibn Albannd produite par le Tehnilet ed dibadj fait voir que des trois hypothèses de M. Woepcke, c’est la seconde qu’il faut maintenant adopter. (6) Nous avons vu page 25 du Talkhys que cette division était celle d’un nombre par un binòme de la forme a + ’/ 6. (7) La géodésie est considérée comme une branche du calcul appliqué à la géométrie. IbnKhaldodn — 9 — Grande route de retudiant, ou chemin fraye pour le calcul astronomique (i). Discours sur l’astrolaLe. De Toperation par la tablette, la piqué, etc. Du Kiblah. Mention des cótés dans la détermination du Kiblah, et inter- diction de les changer. Sur le noyau centrai et la figure des astres. De ragriculture. Sur les six somraes ou totau.v avec le djedoul. Règie sur les de'fants du savoir. Règie sur la distinction entre la Science et le savoij'. Commentaire de l’e'nigme à' Ibn el Faradh. Lettre sur la description des liuit Sciences. De la de'nomination des lettres et de leurs proprie'tès en téte des Sourates. Lettre sur la nature des caractères de l’alphabet. Lettre sur les noms des attributs de Dieu. DifFèrences entre le rairacle surnaturel, le prodige naturel et la magie. Fragment sur leurs conformite's. Sur les enchantements et les exorcismes. Sur la manière de faire les talismans. Fragment sur les rapports. dans ses Prolégomcnes, n’a iiommc aucun auteur de traité de géodésie. Voicien ((uels termes il s’ex- primc sur la Science elle-mème : i( On a besoin de cette Science pour mesurer le sol , et son noni signifie la détermination de » la quantité du sol; cette quantité est exprimée en empans ou coudées ou autres inesures, ou bien par » le rapport de deux quantités de terrain, lorsqu’on en compare uncàune autre semblable. On a be- )) soin de ces déterminations pour fixer les impòts sur les champs ensemencés, sur Ics terres labourables » et sur les plantations, pour partager des enclos et des terres entre des associés ou des béritiers, ou )) d’autres buts semblables. On a écrit sur cette Science de bons et nombrcux ouvrages. « (Woepckc, page 12 des « Reclierches sur plusieurs ouvrages de Léonard de Pise découverts et publiés par M. le prince Balthasar Boncompagni, et sur les rapports qui existent entro ces ouvrages et les travaux ma- thématiques des Arabes. Rome , 1856.) » L’ un des plus anciens traités sans contrcdit doit ótre celui qui contenu dans TAlgébre de Mohammed ben Moussa Alkkovìdrezmi , et dont nous avons donne la traduction en francais, en 1846, d'apris la version anglaise de Rosen, sous le titre de « Partie géo- » métrique de l’Algébre de Mohammed ben Moussa. » (1) Ibn Khaldoun (Prolégom ncs, p. 14 de la traduction déjà citée de M. Woepcke) nous four- nit un passage intéressant relatif à cet ouvrage d'Ibn Albannd. « Dans rOccident, dit — il, les modernes, jusqu’au jourprésent, s’en sont rapportés aux tables )) astronomiques attribuées à Ibn /sM/c. Lessavantsde l’Occident ont fait beaucoup de cas de cesTa- )) bles à cause de la solidilé des bases sur lesquelles clles sont fondées, à ce qu’on prétend. Plus tard )) Ibn Albannd a fait un résumé de ces Tables qu’il apptla Alrninhàdj (la grande route, le chemin ou- )> veri, le chemin frayé). Cet ouvrage est très — rechercbé à cause de la facilitò qu ii donne aux opé- » rations. » « — IO — Discours sur le calte du demon, l’horoscope et l’art du devia. De Tecriture sur le sable et autres genres d’horoscope (i). Ibìi Alhannd (cjue Dieu le Très-Haut lui soit cle'ment!) naquit k Marce le jour d’Arafat (2) ea l’annee 654 ou 649. Al Hadhrdmi a dit, dans son Index, qu’il etait grave, discret, humble, vertueux, liabile dans diverses Sciences, auteur d’ouvra- ges qui ont embelli l’eclat de cliacune d’elles. 11 a dit qu’il avait ecrit avec plus de détails sur les liistoires et chroniques relativcs a Ihn Albannd. (1) Gastrologie, d'après Ibn Khaldoén, est uiie Science qui «consiste dans la connaissancc des » indices d’après lesquels arrive, suivant les positions des astres, ce qui se passe dans le monde des- )) hommes en fail de règnes, de dynasties, denativités 'huinaines, d’accidents extraordinaires.» (Tradu- ction de M. Woepeke, p. 15 de la brochure déjà citée.) (2) Arafat est le nom d’ une montagne dans le voisinage de la Mecque , et 1’ on appelle jour d'Àrafat le jour solennel, où les pélerins y vont accomplir leurs devoirs religieux; c’ est le 9.® jour du mois de dou’l hidjà. Des deux dates indiquées si l'on adoplait la seconde, Ibn Albannà serait né en 1252 de l'ère chrétienne, c’est-à-direl’année de la mori de Bianche de Castille, régente de France pen- dant l’absence du glorieux roi S^. Louis, son fils, et de l’avènement au tròne de Castille d’Alphonsc X, le Sage ou le Savant, l’auteur de livres astronomiques et spécialementdes Tables dites Alphonsines. A. Marre FIN. — H — Considerazioni sulla tensione^ tanto in elettrostatica, quanto in elettrodinamica, e sulla elettrica influenza. \ Undecima comunicazione del prof. P. Volpicelli (l). La presente comunicazione ha per fine principale, di rettificare quanto dal eh. sig. Gaugain si è pubblicato nel 1865 sul proposto argomento, nei Comptes Rendus (t- 49, p. 729, e p. 1097), nell’ Institut (N.‘ 1609, 1617), e negli I Annales de chimie et de physique (4.“ serie, t. 4.°, p. 214). PARTEPRIMA ELETTROSTATICA 1 .“ Ciascun fisico ha giustamente ritenuto fin ora, essere la elettrica tensione una forza repulsiva, fra le molecole della elettricità di egual nome. Deve però ag- giungersi, che la forza medesima possiede ad un tempo la virtù influente, cioè quella di decomporre l’elettrico naturale, attraendo Veteronomo, e respingendo Vomonomo. Perciò l’attuale divergenza di opinioni sullo stato della elettricità indotta, non dipende affatto, contro quello che si pretende (2), nè da confusione di linguaggio, nè da veruna discordanza sul significato della elettrica tensione. Questa divergenza, come già dicemmo (3), dipende unicamente dal non avere la maggior parte dei fìsici veduto, che su quell’ estremo dell’ indotto isolato, il più prossimo all’ inducente, si trovano insieme le due contrarie elettricità, senza potersi neutralizzare fra loro, perchè una di esse trovasi priva di tensione. La esistenza della forza repulsiva fra le molecole dell’elettrico libero, e di egual ! nome, nè si può contestare, nè si lega punto ad idee sistematiche. La forza medesima è un fatto, che si può chiamare come si vuole ; ma che i fisici tutti , da Poisson (4) in poi, ragionevolmente la dissero elettrica tensione, o ! (1) Per le precedenti comunicazioni, V. questi Atti , t. XVIII, p. 59. — La presente comunicazione fu pubblicata per estratto nei Comptes Rendus, t. 61,pag. 548, an. 1865, e , riportata nell’Institut, num. 1661: fu poi pubblicata per intero nel giornale LesMondes, t. 9. |! pag. 238. |j (2) L’Institut N.“ 1609, p. 349, prima colonna, li. 31. !! (3) V. questi atti, t. XVIII, pag. 60. i (4) Mém. de l’ Institut Imp. de France, année 1811, p. 5 et 6, 3 repulsione, ed anche forza elettroscopica, nè poteva meglio nominarsi. Vero è che la natura intima di questo fatto non si conosce; ma ciò nulla ostante gli effetti suoi sono manifesti, e possono formularsi algebricamente. 2. " Non esiste sull’ indotto isolato una parte dissimulata di elet- tricità omologa della inducente, contro quanto si asserisce (5) : se questa vi fosse , dovrebbe la nota sperienza di Wilcke (6) manifestarla. Invece colla medesima sperienza si dimostra il contrario; nè riescirà mai dimostrare spe- rimentalmente tale pretesa esistenza; perchè, come ora vedremo, la tensione 0 forza repulsiva si confonde coll’ attitudine a produrre corrente; nè si deb- bono questi due fatti, cioè la tensione, e l’attitudine indicata, ricevere in senso fra loro diverso, perchè in sostanza esprimono l’uno e l’altro la stessa cosa. 3. “ La quistione attuale sulla influenza elettrica, deve discutersi, dando alla voce tensione il significato, che fino ad ora tutto il mondo le dette; vale a dire quello di una forza repulsiva fra le molecole di un medesimo elet- trico: altramente la quistione, che riguarda un fatto indubitato, e non un nome, perderebbe molto di sua chiarezza. 4. “ La tensione, ossia forza repulsiva elettrica, cagiona l’attitudine a pro- durre corrente ; quindi ambedue crescono e diminuiscono insieme , potendo ciascuna di esse rappresentare l’altra, ma solo in astratto, e non sperimental- mente. Dunque il distinguere la tensione dall’attitudine indicata, non è neces- sario, nè giova punto nella quistione sulla elettricità indotta. Quello che im- porta è, che niuna di queste due facoltà può misurarsi per mezzo della cor- rente, come ora vedremo; salvo in un solo caso. Per tanto se volesse chia- marsi attitudine a produrre corrente, ciò che fu detto tensione, sarebbe quanto introdurre un altro nome per la stessa cosa, contro l’uso comune. Perciò noi diciamo col sig. Quet « Quant au mot tension électrique, Laplace et Poisson )) l’ont employé dans un sens précis, et il me semble qu’il serait bon que l’on » employàt ce mot uniquement àia manière de ces deux grand géometres (7)». 5. “ La misura della elettrica forza repulsiva o tensione, non può farsi mediante l’effetto da essa prodotto sul galvanometro, salvo in un solo caso. In fatti primieramente, quando la tensione sia tanto debole, da non potersi manifestare altro che pel condensatore , come il più sovente accade per la (5) L’Institut, N.“ 1609, p. 330, prima colonna, li. 3. (6) Gehler’s phys. Wort voi. 3, an. 1827, p, 302. — Comptes R. t. 39, p. 178, li. 2. (7) Révue de l’ instruction publique, N.° 18, du 3 aout 1864, p. 276, terza colonna. elettricità deiratmosfera, presa colVasta fissa; non è possibile allora ottenere corrente che agisca sull’ ago del galvanometro. Secondariamente a misurare per mezzo della corrente la elettrica tensione di un punto^ fa d’uopo mettere un filo metallico in comunicazione col punto medesimo ; però senza che in questo cangi menomamente nè la elettrica accumulazione, nè la influenza re- pulsiva sul medesimo, procedente dagli altri punti ad esso circostanti. Ma ciò, salvo in un solo caso di elettricità voltaica, è sempre impossibile; poiché, trattan- dosi di elettrostatica, la induzione sul filo, per l’avvicinamento di questo a quel punto, cangia subito la elettrica tensione sul medesimo. Dunque, sebbene non vi fossero altre difficoltà, già per questa sola, non potrebbe la corrente misurare la tensione di un punto appartenente ad un corpo elettrizzato; e perciò nep- pure l’attitudine del punto stesso a produrre quella corrente. Inoltre se, dopo sta- bilita la comunicazione di quel punto col suolo, fosse possibile mantenére la elettrica distribuzione com’era un istante prima del contatto col filo, potrebbe almeno la corrente misurare quest’ ultima tensione ; che per altro neppure sarebbe quella cercata. Ma il mantenere questa ultima distribuzione precedente per un istante al contatto, neppure può in elettrostatica effettuarsi; perciò in questo secondo caso la corrente non misurerà veruna delle indicate due ten- sioni , quindi veruna delle due corrispondenti facoltà del punto a produrla : ma invece dalla corrente si misurerà la tensione del punto, dopo che il flusso elettrico fu stabilito costantemente. Per meglio dichiarare questo secondo caso, poniamo che un conduttore elettrizzato ed isolato, si scarichi mediante un filo di lunghezza finita; la durata, sebbene piccolissima, della corrente non può considerarsi a rigore istantanea; nè possiamo supporre che la corrente medesima sia costante. Quindi è che la tensione del punto messo in comunicazione col suolo , e perciò anche la intensità della corrente, decrescerà per gradi. Chiaro dunque apparisce che , nel caso medesimo , le indicazioni galvanometriche non avranno quel si- gnificato che avrebbero, quando si trattasse di correnti costanti. Per trovare nel caso medesimo il vero significato galvanometrico, la sola ipotesi è di am- mettere, che la forza viva dp ricevuta dall’ago in un tempuscolo dt, sia pro- porzionale tanto alla intensità ^ della corrente, quanto alla durata del tem- puscolo. Vero è che l’ impulso ricevuto dall’ago in un determinato tempuscolo, per effetto della corrente, dipenderebbe anche dalla posizione delfago stesso, nell’ istante che si considera. Ma possiamo ritenere tale posizione come sen- sibilmente la stessa, nel brevissimo tempo in cui dura la corrente della sca- u — rica elettrica. Per tanto avremo dp = aidt , ovvero p — aj' idt , essendo a una costante. I limiti di questo integrale sono evidentemente quelli, nei quali è compresa la durata t della corrente. Il differenziale idt, è propor- zionale alla quantità di elettrico, passato nel tempuscolo dt, per una qualunque sezione del filo. Quindi l’ integrale esprime proporzionalmente il totale di elettrico, passato nel tempo t pel filo stesso; cioè rappresenta la carica del conduttore, che si è fatta comunicare col filo. Da ciò dobbiamo concludere, che la forza viva ricevuta dall’ago magnetico, è propor- zionale alla carica del conduttore stesso; quindi le indicazioni galvanometriche daranno in questo caso la misura della carica totale, non già della tensione o forza repulsiva del punto , purché però l’ istromento sia prima graduato all’ uopo. 6.“ Certamente il dotto fisico Ohm, ha considerato come una sola e me- desima cosa la forza repulsiva, chiamata da esso eleltroscopica, e la forza o attitudine a produrre corrente (8); lo che si accorda coi nostri concetti prece- denti; ma non ha egli misurato mai la forza repulsiva od elettroscopica, per mezzo della corrente che ne deriva; e per misurare la forza colla quale l’elet- trico respinge se stesso, adoperò tanto l’elettroscopio, quanto il piano di pro- va (9). La tensione ( spannung ) di una coppia, che comunemente chiamasi forza elettromotrice, fu dal citato autore chiamata differenza elettrica (10), vale a dire, differenza delle due forze elettroscopiche manifestate fra due contigui dei tre elementi di una coppia. Ohm e Coulomb sono perfettamente in accordo, per la misura della tensione in un punto; perchè ambedue 1’ hanno misurata col piano di prova (H) ; ma il primo ha misurato col galvanometro la sola in- tensità di una corrente (12), non già la elettrostatica tensione. Dunque Ohm non si è ingannato, perchè non ha egli « identifié la proprieté, nouvelle dont il a introduit la considération, aree la propriété qui était déjà connue sous le (8) L’Institut, N. 1609, p. 349, li. 9 salendo, prima colonna. (9) Théorie mathématique des constants électriques traduite par M.'' Gaugain. Paris 1860, p. 72. (10) Grundzuge der Physik. Niirnberg 1853, p. 328. (11) Mém. de l’Instilut 1811, note (12). (12) Grundzuge, p. 372. nom de tension (13). Quindi mi sembra non potersi ammettere, che per mi- surare la tensione de Vélectricilé, on a emploijé tour a tour les deux mélhodes essentielment différentes (14); poiché, come ora vedemmo, fu impiegato l’elet- troscopio per la forza repulsiva , ed il galvanometro per la intensità della corrente. 7.° Rigorosamente parlando, non può la tensione, o forza repulsiva, chia- marsi épaisseur de la conche électrique accusò par le pian d'épreuve (15); perchè non conviene dare alla causa, il nome di una soltanto delle varie quantità da cui la causa stessa dipende. In fatti adottando il principio, dimostrato prima da Laplace, poi riprodotto da Poisson, cioè che: alla superficie di ogni corpo elettrizzato, la forza repulsiva, o tensione del fluido, è per tutto proporzionale alla ertezza del medesimo (16); ne viene, alquanto riflettendo , che la forza repulsiva elementare, in un punto qualunque, contenuto nella ertezza p, ap- partenente allo strato elettrico , sia proporzionale a quella parte y della er- tezza stessa , che si trova sotto al medesimo punto. Quindi con facile cal- colo si ha la formula nella quale rappresenta R la forza repulsiva totale, corrispondente alla ertezza p, forza che Poisson ha chiamato anche pressione contro Varia (17), H un coef- ficiente costante, 6 la densità costante dell’elettrico per tutta la ertezza stessa, ed la uniforme sua sezione (18). Per tanto mi sembra, come già dissi, non potersi (13) L’Inslitut, N.°,1617, p. 414, prima colonna, li. 8. (14) L’Institut, N.“ 1609, p. 349, prima colonna, li. 34; e N.® 1617, p. 413, seconda colonna, li. S salendo. (15) Ibidem, li. 12 salendo. (16) Mem. cit. di Poisson, pag. 6, li. 1; e pag. 34, li. 14. (17) Mém. cit. di Poisson pag. 6, li. 3. (18) In un punto qualunque della superficie di un corpo eletrizzato, s’ immagini una colonnetta, presa nell’ elettrico strato corrispondente a quel punto del corpo, la quale, alta quanto l’ertezza p dello strato medesimo nello stesso punto, sia normale alla superfìcie , e possegga costante la sua densità s, e la sua sezione «. Si divida questa colonnetta in tanti prismetti elementari; sarà il volume appartenente ad uno qualunque di questi, espresso da udy, e la sua massa da Sudy. Ma la forza repulsiva che possiede ciascuna molecola di questa massa, per 1’ adottato principio, dev’ essere proporzionale alla ertezza y, che al prismetto elementare medesimo è sottoposta; dunque la forza repulsiva dR del prismetto stesso, avrà per espressione dR = H^ciìydy . ammettere, che ad R sia dato il nome di p; potrà soltanto dirsi con Poisson, che la forza repulsiva o tensione, in un punto qualunque dello strato elettrico, è direttamente proporzionale alla sottoposta ertezza di esso. Laonde concludiamo che l’analisi fornisce una formula, esprimente la elettrica tensione o forza re- pulsiva , rappresentante ancora 1’ attitudine a produrre corrente ; ma che la sperienza non possiede fino ad ora verun mezzo, per giungere allo stesso fine, salvo in un solo caso di elettricità voltaica: nè la sperienza ci potrà mai for- nire numericamente le' quantità, da cui dipende il valore di R, nella formula sopra espressa. 8." Secondo la nuova teorica da me sostenuta, sulla elettrica influenza, un cilindro isolato, e indotto, si ricopre per tutto di un elettrico strato omologo della inducente. Questo solo strato può agire sul piano di prova; giacché, sebbene sul- l’indotto medesimo, esista pure un secondo strato elettrico al primo contrario, tuttavia questo non ha facoltà, nè di produrre corrente, nè di agire sul piano di prova. Quindi la tensione sull’ indotto, cioè la forza repulsiva sul medesimo, è per tutto della stessa natura, cioè omologa della inducente; ma non è per tutto della stessa intensità, finché l’indotto rimanga isolato sotto la induzione; lo che per altro non conduce menoraente all’ assurdo della realizzazione del moto perpetuo. Per conseguenza non si può dire « si Von pouvait trouver sur le cylindre influencé deux poinls doni la tension ne fùt pas la méme , dans Vétat d'équilibre^ un courant s'établirait necessairement enlre ces deux points à travers le cylindre^ et Von aurait la réalisation du mouvement per- pétuel )) (19). In fatti la elettrica tensione, o attitudine a produrre corrente, agisce in elettrostatica normalmente soltanto, e non niài tangenzialmente, alla superficie del corpo isolato (20). Laonde non può esservi corrente fra i diversi punti di un conduttore elettrizzato , ancorché questo abbia superficie diversa dalla sferica; ed anche fra i diversi punti di una pila non chiusa, sebbene sia diversa nei medesimi l’attitudine a produrre corrente. Integrando fra i limiti p, o, avremo per la misura della forza repulsiva totale, da cui viene animato 1’ estremo superiore della colonnetta considerata ; ovvero per la misura della tensione di un punto qualunque alla superficie di un corpo elettrizzato. (19) L’Institut, N.° 1617, p. 414, colonna prima, li. 24 salendo. (20) Mém. de Tlnstitut Im. année 1811, p. 34 - Gotting. gelehrte Anzeigen 1840, p. 492. — il — È poi contro la sperienza il dire « lorsqu' un cijlindre isole est sou- mis à V influence d’ ime sphère chargée d' életricité positive , et placée près de Vune de ses éxtremités^ la conche électrique, accusée par le pian d'épreuve change de signe. . . . lorquon se transporte d'un point à un autre du cylin- dre; elle est negative a Vextremité voisine de la sphère , positive à Vextre- rnité opposée, nulle sur ime ligne intermédiaire appellée ligne neutre (21) ». Dissi è contro la sperienza ; perchè valendosi di un piano di prova conve- niente^ cioè un dischetto metallico che ahhia due o tre millimetri di diame- tro, si trova esistere la omologa della inducente in qualunque punto dell’ in- dotto; perciò lo strato elettrico accusato dal piano di prova, cangia di gran- dezza, ma non di segno; e ciò avviene perchè la indotta è priva di tensione, cioè non può neutralizzarsi colla omologa della inducente , sebbene queste contrarie elettricità consistano sull’ indotto isolato. Neppure si può dire che « sur la ligne neutre on ne trouve point d’ électricité appreciable au pian d'épreuve (22) », poiché il piano di prova sopra indicato, accusa per qualunque punto dell’ indotto, la elettricità omologa della inducente. 9. " I fisici tutti già sapevano che « si Von concoit des Communications élablies entre la terre et les diverses regions du cylindre .... tous Ics cou- rants dérivés seront de méme sens (23). Da questo solo fatto si può certa- mente concludere, che la indotta non tende, cioè che non possiede forza re- pulsiva; per conseguenza neppure attitudine a produrre corrente, e ad agire all’esterno, altramente queste correnti non onderebbero tutte nel medesimo senso. 10. ° Non posso ammettere che la divergenza delle foglie d’oro, annesse a queir estremo di un cilindro indotto ed isolato , il più prossimo all’ in- ducente , sia quistione non ancora risoluta. Poiché ho dimostrato essere quella divergenza prodotta dall’ attrazione della inducente , non già dalla pretesa, e non esistente repulsione della indotta; debbo dunque respingere la frase « Cette question n'est j)as tranchée (24) ». Ho ancora dimostrato, non potersi concedere, che la indotta nelle foglie d’oro, mentre non può nè ab- bandonarle, nè muoversi, possa esercitare al di fuori una forza repulsiva; ed (21) L’Inslitut N.° 1617, p. 414, prima colonna, li. 27. (22) Ibidem, li. 17 salendo. (23) L’Institut, N.° 1617, p. 414, prima colonna, li. 37. (24) L’ Institut, N.° 1617, p. 414, seconda colonna, li. 2. — 18 — ora lo confermo colla seguente sperienza ventunesima (25). Sotto un elettro- metro non isolato , e composto di due sottili foglie metalliche , fra le quali con opportuno congegno può scorrere salendo e scendendo un filo metallico, si ponga il bottone di una bottiglia di Leida caricata. Le sottili foglie diver- geranno dalla posizione loro verticale , per 1’ attrazione procedente dalla in- fluenza curvilinea. Quindi, se fra le medesime divergenti si faccia'scendere o salire il filo stesso non isolato , le foglie si conserveranno sempre ugualmente di- vergenti. Perciò la indotta non respinge se stessa , e non esercita veruna forza repulsiva di fuori. Se poi , tolta la bottiglia , ed isolato il detto si- stema elettrometrico, si comunichi ad esso una carica elettrica ; in tal caso, facendo salire o scendere fra quelle due foglie il filo conduttore isolato , ed elsttrizzato anch’ esso, queste diminuiranno la divergenza loro quando il filo sale, accrescendola quando scende. La riferita sperienza esige, come tutte le altre di tal genere, che l’atmosfera sia ben secca. 1 1 .° Supponiamo che un cilindro di rame rimanga isolato dentro un vaso di rame, contenente una soluzione di questo metallo, ed avente nel suo centro una sfera di rame , isolata pur essa. Inoltre supponiamo che una volta la corrente traversi tutto questo sistema, portandosi dalla sfera sul cilindro , e che in un’ altra , tolta dal vaso la soluzione , il cilindro subisca della sfera medesima la elettrostatica influenza. Dietro queste supposizioni fu concluso che « les phénomènes d' influence qui se produiront (sans liquide) seront ré- gis par les mémes lois que les phénomènes de conduction qui se produisaient uvee le liquide. En consequence (selon cette conclusion) les épaisseurs des couches électriques , correspondanl à des points déterminés , dans le cas de V influence, auront entre elles les mémes rapports, que les grandeurs des actions chimiques effectuées aux mémes points dans le cas de la conduction (26). A me però sembra che non solo quest’analogia, conclusa, fra i fenomeni della influenza e quelli della conduzione, non sia dimostrata; ma di più sembrami che neppure possa verificarsi. Ed in fatti, per la legge di Ohm, la diminuzione della forza elettroscopica, ossia tensione della corrente, avviene uniformemente da un estremo all’altro dell’immaginato cilindro, e perciò si rappresenta dalle ordinate di una linea retta, inclinata verso il cilindro stesso, cioè verso la dire- (23) Per le precedenti sperienze v. Comptes Rendus, t. 60, année 1865, p. 1338, li. 21. e V. questi Atti, t. XVIII, p. 59. (26) L’ Institut, n. 1609, p. 349, seconda colonna, li. 45. — lo- zione della corrente. Ma nel caso della influenza, la teorica di Poisson presenta diftìcoltà tali, che fin’ora non furono superate; quindi la funzione che in questo caso rappresenterebbe la elettrica tensione sul cilindro, esser dovrebbe di forma complicatissima, non già lineare, come dovrebbe verificarsi per le pretese conclu- sioni sopra indicate. Riflettendo inoltre alla gravezza delle difficoltà, che l’analisi elettrostatica presenta, nel caso della influenza mutua fra due sfere, caso molto più semplice di quello in proposito fra la sfera ed il cilindro , è chiaro che la soluzione analitica di questo medesimo caso, non è per ora da sperare. Se r analogia sopra indicata fosse vera , le quistioni che si riferiscono alla elettrostatica, sarebbero semplicissime; quindi la citata teorica di Poisson sull’equilibrio dell’elettrico, sarebbe del tutto rovesciata dall’analogia stessa. Queste obbiezioni all’ analogia pretesa fra la influenza elettrostatica , e la conduzione elettrodinamica , sono piuttosto analitiche , e riguardano sol- tanto la elettrica distribuzione sotto il punto di vista quantitativo. Quindi potrebbe credersi, che l’analogia medesima possa verificarsi, almeno riguardo al qualitativo , cioè riguardo alla natura dell’ elettrico. Ma ciò neppure ha luo- go : in fatti nella solita sperienza del cilindro indotto , prendendo questo bastantemente lungo , e mettendo in comunicazione col suolo 1’ estremo di esso il più lontano dall’inducente, si verificherà nell’estremo stesso, uno stato elettrico sensibilmente neutrale ; lo stato elettrico del cilindro stesso però , anderà crescendo avvicinandosi all’altro estremo. Per tanto, volendo produrre il caso simile della conduzione, bisognerà fare che comunichi col suolo, cioè col vaso di rame , quell’ estremo del cilindro immerso nella soluzione, il più lontano dalla sfera. Ma così operando , e supponendo che la sfera comu- nichi con una sorgente elettro-positiva , la galvanoplastica insegna che il rame si deposita eziandio sull’ estremo del cilindro , posto a comunicare col suolo ; e non si verificherà punto che questo deposito diminuisce coll’ allon- tanarsi dall’inducente, cosicché sia sensibilmente nullo nell’estremo indicato , come dovrebb’essere quando l’analogia pretesa fosse vera. Osservazione, l brani qui analizzati, furono tolti dal giornale Vhistitut, però si trovano essi pubblicati anche negli Annales de chim. et de physique, quatrième sèrie, t. 4.® février 1865, p. 214, in una memoria del sig. Gau- gain, che ha per titolo » Sur la théorie des condensateurs électriques, considé- rés dans V état permanent , et dans V état variahles des tensions. Le for- mule di questa memoria sono tutte basate sulla 4 ma ho dimostrato (27), che questa formula è inesatta, e che alla medesima deve sostituirsi l’altra 1 — m la quale sola si accorda colla sperienza. PARTE SECONDA ELETTRODINAMICA 12." Venendo a considerare la elettrica tensione in elettrodinamica, dob- biamo distinguere tre casi. Primieramente trattandosi di trovare la tensione di un punto del filo di congiunzione, appartente ad una pila, o ad una coppia, l’una e l’altra chiusa; il secondo filo che stabilisce la comunicazione di quel punto col suolo, produrrebbe nella elettrica distribuzione del circuito un can- giamento, che può assegnarsi coll’analisi, applicando la legge di Ohm. Accade adunque in questo caso come in elettrostatica, che si misurerebbe una ten- sione , od un attitudine a produrre corrente nell’ indicato punto , diversa da quella che si voleva misurare, cioè che al punto stesso apparteneva, prima che fosse posto a comunicare col suolo, mediante il secondo filo. Secondaria- mente se vogliasi determinare la tensione del punto, in cui risiede la forza elet- tromotrice di una semplice coppia non isolata e aperta , la corrente sarebbe opportuna; giacché in questo caso trattasi di una tensione, che appartiene ad una sorgente inesausta, e che non può variare. Se la coppia fosse isolata, chiusa o aperta, la comunicazione col suolo non produrrebbe durevole corrente, ma istanta- nea, la quale nonvalerebbe, per le cose dette nella prima parte, a misurare la ten- sione. In terzo luogo finalmente, quando si tratti di trovare la tensione, o l’attitu- dine a produrre corrente, fra gli elementi di una qualunque delle coppie che com- (27) Comptes Rendus, an, 186S, t. 60, p. 138S. — Archives des scien. pby. et nat. de Genève, nouvelle période, t. 24, an. 1863, p. 132. I — ri- pongono una pila , tanto chiusa quanto aperta , la corrente non potrebbe neppure servire. Imperocché, come dimostra la legge di Ohm, in questo caso ha luogo un grande cangiamento di tensione nei diversi punti di una pila , quando se ne ponga uno in comunicazione col suolo. Neppure basterebbe per la indicata misura in un punto di un corpo elet- trizzato, potere separare isolato il punto stesso, non cangiando affatto la sua carica ; perchè cesserebbe sempre sul medesimo la influenza repulsiva dei punti vicini ad esso , e cangerebbe perciò la sua tensione o attitudine a produrre corrente. Però la corrente ottenuta dal punto isolato , potrebbe misurare la sua carica ; ma nell’ attuale ipotesi, che a rigore non credo praticabile, sarà preferibile sempre misurare direttamente la carica del punto stesso coi mezzi elettrometrici, già conosciuti e adottati. I3.° Concludiamo che tanto in elettrostatica , quanto in elettrodinamica, la corrente non è applicabile per misurare la elettrica tensione, o attitudine a produrre corrente, eccetto il solo secondo caso del numero precedente. Sulla necessità di proteggere dal fulmine le masse metalliche, stabilite nella cima degli edjéi. — Nota del prof. P. Volpicelli. Chiunque per poco abbia familiari gli effetti della elettricità, non può mettere in dubbio, che le masse metalliche, poste sulle colonne, sugli obelischi, sulle cuppole, e su qualunque altro edificio, non perfetto conduttore, sono esposte ad essere colpite dal fulmine; quindi è che si debbono queste fabbriche difendere dalla terribile indicata meteora. Disgraziatamente però in Roma, tale verità non fu abbastanza compresa, perchè ancora esistono masse metalliche, sopra monumenti preziosissimi , come sulle colonne Antonina , e Traiana , senza che sieno protette dagli effetti del fulmine, non ostante che questo abbia più volte colpito quelle masse. A rimuovere tale inconveniente, corre l’obbligo in ognuno, e specialmente in chi si è sempre occupato di elettricità, profittare di qualunque circostanza, per mettere in evidenza ogni ora più, la necessità di proteggere dal fulmine tutti quelli edifici, che possono attirare la procella elettrica, senza disperderla nel suolo. Una circostanza propizia per ciò fare, si è presentata nella notte del 14 di ottobre testé decorso , 1865 , nella quale un fulmine colpì la statua di bronzo, collocata sul castel s. angelo, che a guisa di tante altre in Roma, non ha veruna metallica comunicazione col suolo. A fine di riconoscere gli effetti di quel fulmine, appena tornato in Roma, mi portai nel 1 6 di novembre , a visitare 1’ indicato forte , ove trovai che l’elettrico atmosferico aveva colpito la statua di bronzo, rappresentante S. Mi- chele Arcangelo, lasciando in essa tracce di fusione. Quindi 1’ elettrico stesso era saltato sul basamento di quella statua, spezzandone una sua modanatura di marmo, e lanciandone i brani cinque o sei metri distanti. Da questa base il fulmine passò nella sottoposta piattaforma, ove fuse e disperse non poche delle saldature di piombo, che connettevano fra loro le pietre, da cui viene lastricato quel piano , spezzando alcuni coperchi di marmo che ivi si trova- vano collocati. Di poi la elettrica istantanea corrente, si diresse verso una gron- daia , che conduceva l’acqua piovana in una cisterna ; e da questa . la elet- tricità potè disperdersi nel comune serbatoio, ma prima spezzò alcune pietre incontrate nel suo passaggio. Da tale recente fatto meteorologico , abbiamo una conferma dell’ ob- bligo , suggerito dalla scienza , di proteggere dal fulmine le masse metalli- che poste in alto, sopra edifici di materia non conduttrice perfettamente. In fatti rOsservatore romano del 17 novembre 1865, numero 262, registra nella rivista meteorologica quanto siegue « Sentiamo con piacere che si munirà la )) statua (di bronzo del castel s. x\ngelo) di conduttore metallico, continuato )) sino al suolo. Sarebbe ora che ciò si facesse anche in altri monumenti^ e » specialmente nelle colonne Troiana ed Antonina ». Si poteva però conti- nuare dicendo: I signori duca Massimo, e prof. Yolpicelli, pei primi, suggeri- rono la indicata difesa, e dal sig. Duca stesso, allora ministro del commercio, fu questa decretata, con ordinanza ministeriale del mese di luglio 1848, e fu allogata, con relativo contratto del 1 luglio 1848, al macchinista sig. Angelo Lusvergh, come risulta dal t. I, degl’Atti dei Nuovi Lincei, p. 142... 146. Tale ordinanza fu motivata non solo dalle cognizioni elettrostatiche le più incon- trastabili, ma eziandio dal fatto, che consiste nell’essere state le colonne me- desima più volte colpite dal fulmine, come si vedrà in appresso. Non sarà inutile richiamare qui alla memoria, che l’accademia nostra dal ministero stesso, con dispaccio del 29 luglio 1848, numero 7149, fu invitata ad esternare il suo parere sulla convenienza di proteggere(dal fulmine le nominate colonne, contro la quale protezione energicamente [si oppose la insigne e pon- tificia accademia di S. Luca, col suo dispaccio del 26 luglio 1 848, N.° 6582; ed anche altri che in elettricità non sono affatto competenti. L’accademia no- minò una commissione, di cui fu relatore il prof. Yolpicelli, ed ognuno potrà conoscere nel citato luogo degli Atti de’ Nuovi Lincei, per qual motivo non si potè prendere sul proposito alcuna decisione. Nella discrepanza dei pareri, per difendere dal fulmine le colonne Anto- nina e Trajana, vi fu chi sostenne doversi questa difesa ottenere, collo sta- bilire dei parafulmini sulle fabriche circostanti alle colonne stesse. Così fatta opinione fu riconosciuta erronea, come vedremo in seguito; ed una delle molte ragioni per escluderla, fu indicata dal chiaris. prof. Calandrelli, nel suo parere in proposito, che si conserva negli Atti dell’accademia non pubblicati. Dice il no- minato professore « Dato e non concesso che le colonne si possano trovare » sotto la sfera di attività dei parafulmini, situati sulle fabbriche adiacenti ; v> qual’ è quel fisico che non conosca, doversi nell’attuale caso, procurare la » comunicazione col suolo, anche delle masse metalliche isolate sulle colonne » stesse ? Come tale comunicazione potrà eseguirsi nel caso medesimo ? Certo » mettendo quelle masse a comunicare coi parafulmini delle case circostanti )) alle colonne. Ma così facendo, vedrà ognuno che torna meglio, per motivi — 24 — » tanto scientifici, quanto economici, armare direttamente di parafulmine le » sole colonne, in modo il più conveniente » ; cioè, aggiungiamo noi, nel modo col quale venne protetta dal fulmine in Londra la colonna del duca di York, posta sulla piazza che ha il nome di Waterloo. Sì fatto modo è del tutto eguale a quello prescritto dal sig. duca Massimo , nella sua ministeriale or- dinanza sopra indicata. Gli altri giusti riflessi , contrari alla opinione di chi vorrebbe stabilita la protezione delle colonne, per mezzo di parafulmini col- locati sulle fabbriche vicine ad esse, trovansi accennati nel citato luogo degli Atti accademici lincei. Per convalidare sempre più che la opinione medesima, non può in ve- run modo ammettersi, essendo essa in opposizione del tutto coi principj della scienza, furono dal signor Duca Massimo invitati alcuni, ed altri da me, fra i fìsici più distinti, perchè dessero il parere loro, tanto sulla necessità di proteggere le colonne in proposito dal fulmine , quanto sul modo col quale doveva eseguirsi questa protezione. I fìsici cui tale invilo venne fatto, furono i signori Gherardi - Belli - Mossotti - Zan tedeschi - Matteucci - Orioli - Paoli - Marianini - Purgotti - Melloni - Plana - Quetelet - !^aday - Wheatstone - e Laugier unitamente ad Arago. Tutti questi dotti ad unanimità riconobbero indispensabile , difendere dal fulmine le colonne Antonina e Tajana , ed insufficiente la difesa di esse mediante parafulmini, posti sulle fabbriche vicine; prescrivendo che le statue di metallo si dovevano difendere facendole comunicare direttamente col suolo. Per ogni buon y(ffetto non ho trascurato comunicare copia di questi sedici voti, al ministero del commercio, il quale oggi, dacché il p. Secchi ha esternata nell’Osservatore Romano N.“ 262, già riferito, la opinione sua, con- forme a quella dei citati fìsici, e perciò conforme alla più volte ricordata or- dinanza ministeriale; siamo certi che l’attuale ministero del commercio, pren- derà in considerazione i voti stessi, da me inutilmente fìno ad ora prodotti. II prof. Mossotti pubblicòjl suo voto nel Nuovo Cimento, t. 1 6, pag. 74, an. 1852; e le ragioni per le quali ho sempre creduto, che le colonne stesse debbano difendersi nell’ indicato modo , furono da me pubblicate anche nel Cosmos, t. 21, pag. 537, an. 1862. Queste mie pubblicazioni vennero nuo- vamente prodotte nel giornale inglese The court journal , del 29 Novembre 1862, pag. 1144, terza colonna. Ma i voti della natura, sono più concludenti di qualunque altro; questi ci vengono manifestati coi seguenti fatti. 1 .“ Leggiamo nella Descrizione di Roma e dell’agro romano del p. Fran- cesco Eschinardi della C. di G., pubblicata in Roma nel 1 730, p. 186, che « SistoV » collocò in cima alla colonna Trajana, una statua di S. Pietro dorata, alta circa » 14 palmi, come quella di S. Paolo sopra l’Antonina; delle antiche non si sa » così per certo l’altezza, ma i migliori autori le hanno di piedi dieciotto in » circa. Aveva questa colonna patito per un incendio , e per un fulmine , )) come apparisce nelle stampe del Sadler; anche sotto Innocenzo XI patì di » nuovo per un fulmine, e fu subito risarcita. Sisto V restituì il piedistallo, )) e la colonna nella forma che ora si vede, con disegno parimente del cav. )) Fontana. 2. ° Nella mattina del 23 di settembre 1841 , la colonna Antonina fu colpita dal fulmine, il quale spezzò una delle grosse lastre di marmo del basamento della colonna stessa. Questo fatto si trova registrato eziandio nel Bullettino meteorologico del collegio romano, voi. 3.° anno 1864, p. 84, se- conda colonna, li. 29. 3. ° Nel 29 di ottobre 1861, un fulmine in Roma colpì la piramide di C. Cestio, collocata circa cento cinquanta passi da una polveriera. 11 vertice superiore della piramide stessa fu trasportato, e dal medesimo elettrico furono contemporaneamente colpiti anche i quattro parafulmini che difendevano quella polveriera,e furono da esso atterrate le due sentinelle, che stavano in vicinanza dei medesimi, senza però cagionare loro verun danno. (*) Da questo fatto conclu- diamo primieramente, che se il fulmine potè colpire la cima di un monu- mento tutto di marmo , come la piramide di G. Cestio, a più forte ragione potrà colpire quei monumenti, di marmo anch’ essi , ma che sono terminati da una enorme massa metallica , come le colonne di cui parlammo. In se- condo luogo , come i parafulmini prossimi alla indicata piramide , priva di metalli, non la difesero dallo elettrico temporalesco ; a più forte ragione i parafulmini, se fossero posti sui fabbricati più vicini alle nominate colonne , non difenderanno queste dall’elettrico stesso. In terzo luogo, come fu subito proveduto alla difesa del monumento di C. Cestio, mediante un parafulmine posto su di esso; a più forte ragione si dovrebbero con questo mezzo, difen- dere le indicate due colonne, le quali più assai della tomba di C. Cestio, sono pregievoli, ed esposte ad essere colpite dalla elettricità dell’atmosfera procellosa. 4. “ Finalmente ripeteremo, che nel 14 di ottobre 1863 , un fulmine colpì la statua di bronzo, collocata sul maschio del castel S. Angelo in Roma. (*) V. Comples Rendus, t. 33, an. 1861, p. 902. — 26 — Questi sono i fatti , assai più valenti dei voti esternati dai dotti , a dimostrare che le colonne Antonina , e Trajana , debbono essere difese dal fulmine ; non già mediante i parafulmini collocati sulle fabbriche , vicine a queste preziose reliquie della romana grandezza: ma bensì col porre le statue di bronzo, in perfetta comunicazione metallica col suolo, e ad una profondità conveniente. ~ll" 11,11 iSBBB— Ricerche analitiche relative al luogo geometrico dei punti di tangenza , fra uno , e due sistemi di parallele, con una tmàm serie di coniche omo- focali. — Memoria del prof. P. Volpicelu. % 1. \ L’equazione (1) = appartiene a qualsiasi ellisse, riferita agli assi 2a, 26. Esprimendo con c la eccentricità sua, vale a dire la semidistanza dei due fochi, avremo ; quindi otterremo dalla (1) la che rappresenta una ellisse, di semiasse maggiore a, e di eccentricità c. Sup- ponendo costante c, ma variabile a, la (2) rappresenterà una serie di ellissi omofocali. 2.“ L’equazione (3) , = appartiene a qualunque iperbole, coll’origine al centro, col semiasse reale a. giacente su quello delle x; mentre b denota la parte della tangente al vertice, compresa fra l’asse dalle ascisse e l’assintoto. Indicando con c la eccentricità della iperbola, si avrà (4) H- 6^ , e dalla (3) otterrremo la \^{c^ — a2) (3) che appartiene ad una iperbola di semiasse reale a, e di eccentricità c. Sup- ponendo anche qui c costante, ma variabile a, la (5) rappresenterà una serie d’iperbole omofocali. 3.° Moltiplicando la (5) pel prodotto (6) e paragonando la (2) colla (6) , si vede che le medesime coincidono , salvo nell’ ordine dei segni. Da ciò risulta, che non avvi alcuna diversità fra la equazione dell’ellissi omofocali , e quella delle iperbole omofocali anch’ esse ; quindi la serie, tanto di quelle, quanto di queste , viene rappresentata dalla seguente uguaglianza (7) y — c2) che si deve riguardare identica colla (6). Soltanto è da riflettere , che deve aversi, per le ellissi, a >> c ed a; <; a, dovendo essere per le iperbole a << c ed a;>*a; laonde nel caso delle iperbole, divengono immaginarie le due quantità radicali, contenute nel secondo membro della (7): circostanza del tutto indif- ferente , per le analitiche ricerche di questo argomento. Dunque la (7) ab- braccia tutte le coniche omofocali, salvo la parabola ; poiché questa non ha centro, ovvero lo ha in una distanza infinita dal suo vertice, alla quale non possiamo porre l’origine delle coordinate. 4.° Per avere una formula che abbracci anche la parabola, trasportiamo parallelamente nella (7), il sistema degli assi coordinati, dal centro in quello ^ dei due fochi avente per as^is^ — c. Dunque alla x dovrà sostituirsi la a; — c, quindi la (7) si trasformerà perciò nella 5 (8) ovvero nella |A(a' c^) —(x — c)*] \T(a‘ — é) ^CX Ognuna di queste due formule, vale a rappresentare le coniche, compresavi la parabola; infatti per questa curva, tanto a, quanto c diviene infinita; mentre la differenza a — c risulta finita, e rappresenta la distanza fra il vertice, ed il foco della parabola. La seconda del^ (8) si trasforma nella =^\/' a c)[a — c) [a -t- c){a — c) ^cx 'icx x^-i a a J P che, ponendo a — c = — , riducesi alla . //a-\-c\p ifa-^c.p 2cx x^~l Ma è chiaro che nella parabola, possiamo rappresentare a -h c per 2a; simil- C 00^ mente — per 1 , ed — per zero; cosicché dalla precedente avremo la (9) = j,x) , cioè la solita equazione delia parabola , di parametro p , avente nel foco la origine delle coordinate. Abbiamo dunque dimostrato, che qualunque delle (8), vale a rappresentare tutte le coniche, riferite ad un sistema coll’ origine in un foco della curva ; mentre 1’ asse delle x coincide con quello della curva stessa, il quale passa pel suo foco. Volendo che qualunque delle (8) rappresenti una serie di coniche omo- focali, dovremo porre nelle medesime costante la c, mentre a varia da una conica all’ altra. Fra queste coniche omofocali, è compresa eziandio la para- bola , perchè chiamiamo parabole omofocali quelle , che hanno comune fra loro tanto il foco , quanto la direzione dell’ asse. Da ciò discende , che anche gli altri fochi delle parabole stesse , i quali si trovano ad una di- stanza infinita dai vertici rispettivi , coincidono l’ uno coll’ altro. Soltanto dobbiamo avvertire che ciò importa , dover essere la c , per le parabole , anch’essa infinita e costante, mentre a deve riguardarsi variabile, ma sem- — 29 — pre infinita; cosicché abbiasi quantità finita. 5 Però dobbiamo riflettere, che una ellisse con una iperbola possono di- venire omofocali, mentre non lo può una parabola con qualunque delle altre indicate due coniche; perchè queste suppongono fiinita la distanza fra i loro fochi, mentre la parabola suppone la distanza medesima infinita. Quindi chiaro apparisce che, volendo analizzare una qualunque serie di coniche omofocali, dovrà l’analisi per le parabole, in parte separarsi da quella per le altre coniche. § 2. 6.° In una curva, essendo oc l’angolo compreso fra la tangente al punto {x, y), e l’asse delle x, avremo in generale di/ (10) tang.a=- Troveremo per tanto la tangente di oc, in un sistema di coniche omofocali, derivando la prima delj^ (8), e sarà dy ^ ^ ^ dx a ' |/'[a’^ — (c — xf] ’ quindi avremo (11) tang.a \r[o} — c2) a c — X — (c — xf] ’ eguaglianza che fornisce, in funzione dell’ascissa x di un dato punto, la tangente trigonometrica dell’ angolo , compreso fra la tangente geometrica nel punto stesso , e l’asse delle ascisse , in un sistema di coniche omofocali , di cui la eccentricità viene da c rappresentata. 7.” In una serie di coniche omofocali, ad ognuna di esse apparterranno tanto le (8), quanto la (11), ed eliminando il simbolo variabile a da queste, otterremo, per qualunque curva della serie, una medesima relazione fra le coor- dinate del punto di tangenza {x, y), e l’angolo «. Dunque supponendo « costante, vale a dire tutte le tangenti del sistema parallele fra loro , la relazione stessa esprimerà la curva, sulla quale si troverà ciascun punto di tangenza, delle diverse coniche omofocali, appartenenti alla serie considerata. — 30 — Ad effettuare questa eliminazione , dividiamo la prima delle (8) per la(H), ed otterremo la — (c — x)^ ?/cot.a C X dalla quale abbiamo (12) a=[/'[(c — xY-\-[c — x)ycot.oi] . Sostituendo questo valore nella stessa (8), avremo l/’lic xV -+■ (c — a3)wCOt.a C^l./-r/ \ t ^ J/^[(c — xY -+-{c — x)ycot.oc] ^ -* e riducendo sarà (13) = la quale ne porge (14) ^tang.a |/^[(c — xY H- (c — x)ycot.oc — c'^] {/"(c — X-+- ycot.x) lA(cot.«) (c — xY H- (c — x)ycot.cx. — (c — x) -+- ycot.a (15) (c — xY — y^ (cot.a — tang.a)(c — x)y — = o . Ma sappiamo essere cot.a: — tang.a cos.a sen.a cos.^a — sen.^a cos.2a sen.«cos.« |sen.2a :2cot.2« , sen.« cos.« quindi otterremo dalla (15) la (16) (c — xY — 2(c — a:)ycot.2« — = o . Fin qui fu vantaggioso, conservare la differenza c — x ora però conviene ordinare la (16) per le dimensioni variabili, ed otterremo la :<7) y 2a;ycot.2« . — 2cj/cot.2a -+- ^cx = o . Qualunque delle (15), (16), e (17), le quali sono identiche fra loro, ed hanno l’origine delle coordinate in un foco, rappresenta una conica; la quale perciò sarà il luogo geometrico dei punti di tangenza delle rette, spettanti al sistema di parallele fra loro , di cui ciascuna forma 1’ angolo « coll’ asse delle 5c , ed è tangente ad una delle coniche omofocali tutte di eccentricità c, formanti la serie di esse. Denomineremo conica di tangenza l’indicato geometrico luogo; e secondo che farà d’uopo, ricorromo all’una, o l’altra delle tre ora stabilite uguaglianze. — 31 — § 3. 8.° Abbiamo veduto che la curva di tangenza (17) , generalmente par- lando, è di secondo grado; possono però aver luogo certe condizioni partico- lari, che la riducono ad una o due rette, come vedremo a suo luogo. È chiaro inoltre che la curva medesima , passa pei fochi comuni alla serie di coniche omofocali poiché le coordinate dei due comuni fochi sono : e siccome la (16) è soddisfatta per queste due coppie di valori, così è dimo- strata la verità di questo asserto. 9. ° Per decidere la specie della conica di tangenza, serviamoci della (17), dalla quale troviamo che il quadrato del coefficiente di xy, meno il prodotto quadruplo dei cofficienti delle if, è quantità positiva, cioè troviamo 4cot.^2:z -H 4 >» 0 ; perciò la (17), non altramente che la (15) e la (16), rappresenterà una iperbola; quindi l’indicato luogo geometrico sarà giustamente detto iperbola di tangenza. 10. “ Vedendo inoltre, che nella (17) i due termini, affetti dalle hanno, prescindendo dal segno, il medesimo coefficiente, apprendiamo che la iperbola stessa dovrà essere equilatera. In fatti , denotando con A , B , in qualunque iperbola, i semiassi, questa conica sarà espi-essa dalla BV — Ah/ = A^B’^ . Le formule più generali, per la trasformazione delle coordinate, sono [a] Ìx = x^-^ x'cos.{xx') — ij'sen.{xx') , y = x'&en.{xx') -t- ij'cos.{xx') ; quindi avremo = a:/ -h x'hos^{xx') h- ij'henr{xx') H- ^ìx^x'cos.{xx') — 2x^y'sen.{xx') — 2a:'i/'sen.(a:a:')cos.(a:a;') , a;'^sen.’^(a;a;') y''^cos.^{xx') ^y^x'sen.{xx') -t- ‘ìyji’ cos.{xx') -+- ^ìx'y'sen.{xx')cos.{xx') ; essendo x^ , y^ le coordinate della nuova origine, riferita all’antica. Introdu- {a) Volpicelli, Annotazioni al Caraffa. Roma 1840, parte seconda, p. 172 ove si deve porre {wy') = 90“ -f- {xx'). cendo questi valori nell’ equazione precedente della iperbola, otterremo [B’^cos.’^(a;a;') — A^sen.^(ica5')]ic'"^ -t- [B^sen,^(osa3') — Ahos.^{xx')]ij'^ — 2(B^ -+- A^)sen.(j:a?')cos.(a:ic').;c'r/' -H 'ì[x^Bhos.{xx') — y^Ahen.{xx')]x' — 2[a:„B^sen.(a;a;') y^A‘^cos.{xx')]y' -h — A2|/„2 _ a^B2 = o . Ma volendo che sieno uguali, e di contrario segno, i coefficienti delle x^, if, come si verifica nella (17), dobbiamo porre B^cos.^(.a3x') — A’^sen.^(ica:') = A^cos. — B‘^sen.^(a:a;') , dalla quale si conclude A = B, lo che ha luogo solamente per la iperbola equilatera, come volevamo dimostrare: concludiamo per tanto che la iperbola di tangenza, rappresentata da qualunque delle (13), (16), (17), è ancora equilatera. Esprimendo con a' l’angolo, che una certa retta fa coll’asse delle x, avrà questa per equazione la y z=::x tang.«' -+- /3 ; ma volendo che la retta medesima sia perpendicolare alla direzione « delle tangenti parallele fra loro, avremo tang.a' 1 tang.a cot.a; perciò l’equazione della stessa retta si ridurrà nella y = — X cot.a -H (3 . Volendo inoltre che la medesima passi pel comune centro delle coniche , al quale appartengono le £c = c , y = o, dovrà essere 0 = ^ — c cot.a /3 , quindi sarà (19) !/==(c — a?) cot.a , l’equazione finale della retta considerata. Per conoscere se la (1 9) rappresenta un assintoto della iperbola di tangenza. — 33 — dobbiamo cercare, per quali valori delle x, ij, essa incontra questa conica; vale a dire per quali valori delle coordinate, vengono soddisfatte contemporanea- mente le (lo), (1 9). Eliminando adunque la y da queste, avremo (c — x)'^ — (c — x)^ cot.^cc -f- (c — xY{cot.oc — tang.a)cot.« — = o , cioè (20) [1 — cot.^a -4- (cot.a — tang.a) cot.«](c — x)^ = , e siccome il fattore di (c — xY si annulla di per se; perciò chiaro apparisce che le ascisse dei punti d’incontro, e quindi, anche, a motivo della (19), le corrispondenti ordinate, sono infinite. Riflettendo inoltre, che se una retta incon- tra una iperbola in distanza infinita, passando pel suo centro, deve la retta medesima esserne un assintoto; perciò la retta deH’equazione (19) dà un assin- toto della iperbola equilatera di tangenza, come si voleva dimostrare. Si avverta che i soli due casi corrispondenti, uno ad « = o , l’altro ad Ci = 90° , non sono compresi nella presente analisi ; perchè nei medesimi, la iperhola di tangenza si confonde cogli assi delle coniche , come vedremo più chiaramente in appresso. 11.° Stabilito che la (17) rappresenta una iperbola equilatera, se riflettasi a quanto fu dimostrato nei precedenti numeri, possiamo enunciare il seguente: Teorema I. Guidando ad una serie di coniche omofocali, un sistema di tan- yenti parallele fra loro , i punti di tangenza si troveranno tutti sopra una iperbola e(piilatera ; la quale, passando pei fochi comuni, avrà un assintoto perpendicolare alla direzione delle indicate tangenti, e V altro parallelo alla direzione stessa , i quali s’ intersecheranno nel centro ^omune delle coniche omofocali. Questo teorema viene dichiarato dalla (fig. 1) , in cui rappresentano a, b i fochi comuni alla serie di coniche ; TT' la direzione, comune al si- stema delle tangenti parallele fra loro; ed FF' l’asse della iperbola equilatera di tangenza; essendo QM, MH, H'M', M'Q' i quattro suoi rami, ed SS', TT' gli assintoti di essa. N^lla medesima figura, la serie delle coniche omofocali, viene rappresentata da tre ellissi, e quattro iperbole. § 5. Per dichiarare maggiormente la giacitura della iperbola equilatera di tan- genza, spostiamo il sistema coordinato, prima parallelamente a se stesso, in modo che il centro delle coniche omofocali coincida coll’origine, ove già fu supposto in principio di queste ricerche (§. 1). L’ indicato spostamento esige , che sia cangiata in x -+~ c ìa x i perciò la (16) si trasformerà nella Ma , siccome la parabola non possiede centro , vale a dire questa curva sup- pone c infinito ; così vediamo che, nell’attuale spostamento, fa d’uopo esclu- dere la curva stessa , per la quale avrà luogo una ricerca particolare , come già fu indicato (§ 1, 5°.). Dopo eseguito il precedente spostamento parallelo, passiamo ad eseguire il sécondo angolare; in guisa che l’asse delle x, formi colla sua primitiva di- rezione r angolo {xx'). A tal fine dobbiamo valerci delle (18), annullando in esse i simboli x^ ^ y^; giacche la origine delle coordinate, in questo caso, non si muta. Per tanto avremo x'^ = x'^cos.^{xx') -+- i/^sen.^{xx') — ’ìx'y'sen.{xx')cos.{xx') — = x'hen.^(xx') -h y'^cos.^(xx') -h x't/sen.^{xx') , xy — x'hen.{xx')cos.{xx') — y'^sen.{xx')cos.{xx') [cos.'^{xx') — sen}{xx')]x'y' e sostituendo nella (21), si avrà l’equazione seguente x'^cos.^{xx') y'hen.\xx') — x'y'senJÌ[xx') — x'hen.^{xx') — y'ho&.\xx') — x'y'sen.‘ì{xx') (22) [cos.2(a:a;') — sen.2(£Cic')cot.2a]a5'^ — [cos.2(a:a;') — sen.2(a:a:')cot.2«]y'^ — 2[sen.2(a:a;') -H cos.2(a:a;')cot.2a]a3'?/' — = o. Ciò posto, le condizioni che più convengono, per determinare 1’ angolo {xx% fin ora tenuto arbitrario, sono l’una, o l’altra delle due seguenti : (21) — y'^ — 2a?!/cot.2« — = o . = x'hos.^{xx') -h y'hen.^{xx') — x'y'sen.’ìlxx') , ^2 — x'hen^{xx') yho^.\xx') -t- ‘ìx'y'^Qn.[xx’)Q,o?,\xx') = - ,, sen.2(a;£c') ' sen.’ìlxx') , , x'^ — - — y'^ — - -h a: i/'cos ovvero — 35 — ( cos.2{xx') — sen.2(a;a?')cot.2a = o , (23) ] ( sen.2(a:a:') h- cos.2(a;a;')cot.2a = o . La prima di queste fa sparire nella (22) i termini affetti dalle x^, mentre per la seconda, vi si annulla il termine affetto dal prodotto x'y'. Ora dalla prima delle (23) abbiamo cot.2« = col.’ì{xx') , la quale può soddisfarsi col porre {xx') = « . La seconda poi delle medesime ci fornisce cot.2« = — tang.2(xaj') — tang.[ — 2(x?;')]; ma cot.2a = tang.^-^ — 2 rj ) , quindi possiamo stabilire Y ~ 2a = — ^[xx') , donde (24) [xx') = cc ^ , 4 Sostituendo nella (22), uno alla volta, i valori trovati ora per l’angolo [xx')^ avremo pel primo la 2(sen.2« -+- cos.2« coX.'ìcx)x'y'= , e riducendo sarà c'2 (25) 5c'y' = — sen.2« . 12.° Questa equazione conferma evidentemente, che la curva di tangenza è una iperbola equilatera, la quale nella (25) si riferisce agli assintoti, come assi coordinati ortogonali, che fanno con quello comune, in cui si trovano i fochi delle coniche omofocali , un angolo [xx') = «. Così apparisce nuova- mente, che un assintoto della iperbola equilatera di tangenza, è parallelo alle tangenti del sistema, mentre l’altro è perpendicolare alle tangenti stesse. Passando al secondo caso, vale a dire sostituendo nella (22) il valore dell’angolo [xx'), dato dalla (24), avremo primieramente le 6 1' — 36 — cos .^xx') = cos.^2a y) == sen.2a , sen.2(a;a;') = sen.^2a ^ ) ~ — cos.2« ; per le quali la (22) si ridurrà nella (sen.2« -I- cos.2acot.2a)(a;'^ — tj'^) = , ovvero nella (26) donde (27) ^'2 — yi2 _ c^sen.2« , y' — — c^sen.2«) , 13. ” Da questa equazione si vede che c|/"(sen.2a) , rappresenta il se- miasse reale della iperbola di tangenza. Supponendo qui a = 45 , abbiamo , secondo la (24) , l’angolo [xx') = o ; vale a dire non avvi nel caso attuale spostamento angolare delle coordinate. 14. ° Inoltre, pel caso medesimo, avremo y' — ; cioè i due vertici M , M' della iperbola di tangenza , coincideranno coi due fochi ^Tcomuni alla serie di coniche; quindi la iperbola di tangenza diverrà simmetrica rispetto l’asse X, — X, come viene rappresentato dalla (fìg. 2). Lo spostamento angolare del sistema , nel caso in proposito , è dato dalla (24); ma con facilità si vede, che ciò suppone un asse delle x collocato in guisa, da dividere in mezzo l’angolo retto, formato dagli assintoti della iper- bola di tangenza ; perchè in ciascuna iperbola, l’asse divide per metà l’an- golo degli assintoti. :. 6. 1 5.° Per trovare la eccentricità c' della iperbola equilatera di tangenza, vale a dire la distanza fra centro e fochi della medesima, rammentiamo che questa è in generale data dalla ipotenusa di un triangolo rettangolo, avente per cateti i due semiassi. Nel caso nostro, questi due cateti sono eguali fra loro, e ciascuno viene rappresentato da c|/'(sen.2«)/; quindi per la ipotenusa, ^fWo per la (t X:- < — 37 — cercata eccentricità, otterremo (28) c' = c[A(2sen.2a) / / Questa forniuia pu^ trasformarsi nella //ycr^o /t. ^ o c/vt- O' . c' == J/’(2c^sen.2cif) = 2 K csen.a.ccos.or , ed è chiaro che questo radicale, può costruirsi come siegue. Essendo G (fìg. 3) il centro, B un foco del sistema di coniche omofocali, ed IICB = «, si guidi la BP perpendicolarmente a CH, sarà BC = c BP = csen.« , CP = ccos.a . Prolungando poscia CP in T, cosicché abbiasi PB = PT, e descrivendo sopra CT un semicircolo, questo intersecherà in Q la PB prolungata; quindi, pren- dendo PS = 2PQ, si otterrà la cercata eccentricità c'; poiché abbiamo ma quindi dunque PQ= j/-(PT.PC) , PB = PT = csen.a , PS — 2PQ == 2[/'(csen.a.ccos.«) — c[/‘(2sen.2a) ; c' = PS . {Continuerà): CORRISPONDENZE Fu letto il dispaccio dell’Emo. e Rmo- sig. Card. Altieri, protettore del- r accademia, del 3 agosto 1863, N.® 4183, col quale venivano approvate le nomine a corrispondenti stranieri, dei signori scienziati: maresciallo Vaillant, generale Morin, ed Ant. Becquerel , fatte pei due primi nella sessione Vili del 30 luglio 1863, e pel terzo in quella del 2 feb. 1862. Il prof. Volpicelli presentò, a nome del sig. cav. Giuseppe Bianchi , la parte seconda della quinta sua lettera astronomica, e la sesta di queste lettere. Il prof, medesimo presentò in dono all’ accademia, da parte dell’ autore sig. E. Narducci, una copia della molto erudita lettera, direttagli da questo distinto autore « intorno ad alcuni passi notevoli di antiche opere concernenti fìsiche scienze. » Il sig. principe D. Baldassare Boncompagni, presentò in dono all’accade- mia, una pubblicazione del sig. A. T. H. Vincent, che si riferisce al trattato di musica di Aristide Quintiliano, con due note del sig. T. E. Martin. Il medesimo presentò egualmente, da parte dell’autore sig. Wenckebach, una pubblicazione su Pietro Adsigerio, e le più antiche osservazioni della ma- gnetica declinazione. Il medesimo presentò similmente due memorie del sig. F. Siacci , una sugl’ invarianti e convarianti delle forme binarie, l’altra sull’uso dei determinanti. Il prof. Volpicelli presentò in dono aU’accademia, da parte dell’autore il sig. ingegnere Giuseppe Serra-Garpì, una memoria « Sulle linee isotermiche dell’ Italia, de’ suoi mari, ed isole adiacenti. » Di questo interessante lavoro si trova un copioso estratto, ed assai bene compilato, nella Civiltà Cattolica. favorevole molto al nominato ingegnere. Non possiamo tacere inoltre, che il eh. fìsico sig. prof. Magrini , presentando l’ opera stessa del sig. Serra-Garpi all’Ateneo di Venezia, lodò il piano di essa, e le sue dottrine, riguardandola come la più completa fino ad ora, in punto di teorica climatologica italiana, (v. L’Osservatore romano, N.“ 20, del 23 gen. 1866.) — so- li prof, medesimo, nel comunicare in quali periodici scientifici, crasi ri- prodotto l’ultimo nostro programma pel premio Carpi , osservò che nell’ In- stitut, N.“ 1656, an. 1865, pag. 312, si asseriva non esser cognito il va- lore del premio stesso; e che nei Comptes Rendiis , T. 61, an- 1865, pag. 426, si asseriva quel programma privo di luogo e di data; le quali due as- serzioni sono inesatte, perchè il nostro programma chiaramente manifesta e il valore del premio, e la data ed il luogo della sua pubblicazione. Il sig. Presidente comunicò una lettera del sig. marchese di Caligny, colla quale ringrazia egli l’accademia, per averlo nominato suo corrispondente stra- niero. Il prof. Volpicelll presentò due lettere di ringraziamento, dirette al sig. Presidente, una del sig- maresciallo Vaillant, l’altra del sig. generale Morin , colle quali questi dotti ringraziano l’accademia, per averli nominati fra suoi corrispondenti stranieri. Il prof, medesimo presentò la lettera di ringraziamento, a lui ^^tta dal sig. Fr- V- Hauers, per la nomina, da questo dotto ricevuta, di corrispondente straniero Ij^o. Si comunicò l’avviso del comitato dirigente il congresso italiano in Na- poli, col quale questo veniva dilazionato. L’ Accademia riunitasi alle ore 6 pomeridiane, si sciolse dopo un’ora e mezza di seduta. Soci ordinari presenti a questa sessione. S. Cadet. — A. Cialdi. * — G. cav. Ponzi. — P. Sanguinetti. — E. Rolli. — L. Jacobini. — V. cav. Diorio. — A. cav. Coppi. — P. A. Secchi. — M. cav. Azzarelli. — P. Volpicelli. — D. Chelini. — B. Tortolini. — C. Se- reni- — F. Nardi. — B. Boncompagni. — M. Massimo. — N. comm. Ca- valieri S. Bertelo. Pubblicato nel 31 di gennaio del 1866. P. V. OPERE VEI¥VTE IN DONO L’ eritrogeno e le sue proprietà difese centra il Gorup-Besanes. Nota del D. G. Bizio. Venezia; un fase, in 8. Analisi del gas uscente dai pozzi artesiani di Venezia ; del Meo. Vien- na, 1861. Sopra la fenilsinnamina e le sue combinazioni. Indagini del dot. Sud. Vien- na, 1861. Sopra una concrezione rinvenuta negV intestini di un cavallo , Analisi del Meo. id. Sopra il litio neir acqua dell' Adriatico, e di alcune fonti minerali, rinvenuto col nuovo metodo di chimica analitica del Bounsem e del Kircuiioff. id. Bicerche intorno al presupposto acido cocinico, id. Sonetti in Lode della Divinità di Gesù Cristo nel Sagramento, di Michele De Chiara. Napoli, 1864. Storia della malattia per la quale morì Giuseppe Pucci di Odoardo Li noli. Lucca, 1865. V origine atmosferica dei Tufi Vulcanici della Campagna romana , trovata dall' Abb. Carlo Rusconi. Roma, 1865; un fase, in 8." Documenti storici del medio Evo relativi a Roma ed all' Agro romano, rac- colti da A. Coppi. Roma, un fase, in 12." 1865. Per le solenni essequie trigesimali del cav. prof. Domenico Meli. Parole dette da Antonio Michetti, medico a S. Arcangelo, nella Chiesa di S Carlo in Pesaro. 1865; un fase, in 8°. Sulle quadrature. Nota del Comm. P. Tardy. Modena, 1865; un fase, in 4." Appendice 2“ al saggio idrologico sul Nilo, per Elia Lombardi ni. Milano , un fase, in 4*", 1865. Intorno ad un passo della Divina Commedia di Dante Allighieri. Lettera del prof. Ottaviano Faberizio Mossotti, a B. Boncompagni, seguita da una nota intorno a questa lettera. Roma, 1865, un fase, in 4." Relazione intorno alle attrazioni locali risultanti nei contorni di Mosca, dietro il confronto delle posizioni geodesiche con le oseervazioni astronomiche, in- stituite in diversi punti di quel circondario, del prof. Giovanni Santini. Ve- nezia, 1865; un fase, in 4." Delle acque publiche di Róma moderna— Delle acque publiche nelle città ed altri centri di popolazione - Della distribuzione delle acque nelle città. Di- scorsi del cav. Aless. Betocchi. Roma, 1865; un fase, in 4.“ — 41 Continuazione degli Atti della R. Accademia dei Georgofili di Firenze. Nuova Serie. Voi. XII: disp. 1“, N. 41. U Incoraggiamelno. Giornale diretto dal prof. S. De Luca. Anno 1“; fase. S® e 6.°, Napoli, 1865. Atti del Regio Imp. Istituto veneto di scienze, lettere, ed arti. Tomo X" - Serie 3“ -Disp. 4“ e 5." Atti deir Ateneo Veneto, Serie 2“ - Voi. 11° - Puntata. 1“ e 2.“ Giornale di Scienze Naturali ed Economiche, publicate per cura del Con- siglio di perfezionamento annesso al R. Istituto tecnico di Palermo. Voi r, fase. l.° Bulleltino Meteorologico del R. Osservatorio di Palermo. N. 6 - al 9. Memorie della Società' Medico— Chi purgi a di Bologna. Voi VI; fase. 3.° Osservazioni Meteorologiche di Urbino. N- 1 e 2. Rendiconto dell' Accademia delle Scienze Fisiche e Matematiche di Napoli. Anno 4° -fase. 5-12. Memorie dell' Accademia delle Scienze dell' Istituto di Bologna. Serie 2“ - Tomo IV; fase. 2 e 3. Tomo V, fase. 1. Observation... Osservazione della carie degli ossi della mano , pel doti. Dame RE. Gand. 1856. De la... Della viabilità giuridica; del Me d. Bruxelles, 1865. Mémoires... Memorie coronate, e Memoria dei Scienziati esteri, jmblicate dal- V Accademia Pipale delle Scienze, delle Lettere, e delle Belle Arti DEL Belgio. Tomo 31"'° 1862-63. Bruxelles, 1863. Un voi. in 4.° Mémoires... Memorie dell' Accademia suddetta. Tomo 34.'"° Bruxelles, 1864- Un voi. in 4.° Mémoires... Memorie coronate, e publicate dedi' Accademia Sudo. — Collezione in 8° - Tomo 15"'° e 16.'"° Bulletlins... Bulletlini dell' Accademia Sudd'". Anno 32"'° - 2« serie, Tomi 15 e 16.- Anno 33"'° - 2" serie- Tomo 17. Bulleltins... Bulletlini dell' Aecademia Suddetta. Classe di Seienze. Anno 1863. Annuaire... Annuario dell' Accademia Sudd." Anno 1864. On thè... Sulla quadratura inversa delle curve piane; di T. A. IIirst. Proeeedings... Bidlettini della R, Società' Geografica di Londra. Voi. 7° dal N. 3 al 5. - Voi. 8° - N. 5 e 6 - Voi. 9° - N. 1 e 2. Beport... Rapporto della 33""* riunione dell' Associazione Britannica per L AVANZAMENTO DELIE SCIENZE. Londra; 1864; un voi. in 8°. — 42 — Philosophical... Transazioni filosofiche della R. Soc/eta’ di Londra^ per V anno 1864. Voi. 154; parte 1“ e 2.“ Proceedings... Bullettini della Società' R. medesima. Voi. 13'”° - N. 64 al 69. Mittheilungen... Memorie dell' l. R. SocieTA' Geografica di Vienna. Anno 8° fase. 1'”° 1864. lahrbuch... Annuario dell' I. R. Istituto Geologico di Vienna. Voi. 15'"° N. 1 e 2 - 1865. Verhandlungen... Alti della Soci eia' Transilvania di scienze n atonali di Hermanstadt, Anno 15'"°, 1864. Verhandlungen... Alti della I. R. Società' botanica-geologica di Vienna. Voi. 14, 1864. Fontes rerum austriacarum {Diplomataria eie Acta) Voi. 21, e 23. Sitzungsberichte... Rendiconti della I. R. Accademia delle Scienze di Vienna. Classe di matematiche, e scienze naturali. Voi. 48'”°, N. 9 e 10: voi. 49'"°, dal N. 1 all’ 8. - 1“ Edizione. - Voi. 48'"°, N. 10 - Voi. 49'"° dall’ 1 al 9 - 2“ Edizione. Sitzungsberichte... Rendiconti dell' Accademia Sudd. Classe filosofica, e sto- rica - Voi 44'”° -^N. 9 e 10 - Voi. 45'"° - N. 1 all’ 8. Archiv... Archivio dell' Accademia Sudd. Voi. 31.'”° Almanach... Almanacco dell' Accademia Sudd.°' del 1864. Intorno ad alcuni passi notevoli d' antiehe opere, relativi alle scienze fisiche ed astronomiche- Lettera di Enrico Narducci al sig. prof. P. Volpicelli, ec- Milano, 1865; un fase, in 8.° Passage... Passaggio del trattato della musica di Aristide Quintiliano, rela- tivo al numero nuziale di Platone, tradotto ed annotato da A.-T.- H. Vincent, membro dell' Istituto imp. di Francia, e da Th. Henri Martin, decano della facoltà delle lettere di Rennes , con due Note di Th. Henri Martin; V una sidla epoca d' Aristide Quintiliano, e su quella dell' Astro- nomo Claudio Ptolomeo, V altra sulla Cronologia della Vita e delle Opere di Ptolomeo. Roma, 1865; un fase, in 4.° Sur... Su Pietro Adsigerio, e le più antiche osservazioni della declinazione dell' Ago calamitato , di W. Wenckebacb , tradotto dall' olandese da T. ^ Hosiberg. Roma, 1865; un fase, in 4.° Degli invarianti e covarianti delle forme binarie, ed in particolare di quelle di 3° e 4° grado, di F. Succi- Roma, 1865; un fase, in 4.° Sull' uso dei determinanti per rappresentare la somma delle potenze intere dei numeri naturali- Nota di F- Succi. Roma, un fase, in 4.° Sulle linee isotermiche dell' Italia, de' suoi Mari ed Isole adiacenti. Studi di Giuseppe dott. Serra Carpi ingegnere , presentati dal prof. P. Volpicelli Roma, 1855; un fase, in 4.° IMPRIMATUR Fr. Hieronymus Gigli Ord. Pr. S. P. A. Mag. IMPRIMATUR Petrus De Villanova Castellacci Ar<’hiep. Petrae Vicesgerens. — 43 — ATTI DELL ACCADEMIA PONTIFICIA DE NUOVI LINCEI SESSIONE 11“ DEL^7 GENNARO 1866, PRESIDEIVZA DEL SIG. COIU. IV. PROF. CAVJiLIERl SAiV BERTOLO MEMORIE E COMUNICAZIONI DKl SOCI ORDINARI £ DEI CORRISPONDENTI Intorno ad alcune somme di cubi. Nota di Angelo Genocchi Professore di matematica nella Regia Università di Torino. 1? Si conoscono parecchie soluzioni, con numeri interi e positivi^ dell’equa- zione (i) + [x + rf + {x + 2rf , e da esse infinite altre se ne possono dedurre moltiplicando per un medesimo fattore i valori già trovati di x, r, e j. Queste saranno soluzioni derivate ; cer- cheremo altre soluzioni primitive nel modo seguente. Posto x+ r - 4s , 'y=Qt, risulta (2) s{r^ + 8s^) = 9t^ , e per risolver questa si pone s = 9t’^, r s - {p + q donde si trae e pero Si pone indi r =p(p^-nq'^) , s^q {8p^ -8q^), t'^= s'ip^ -24s’^} , fatto q = zs'. s' = 2nt"^ , p + s'\fu = (r' -I- s"\f^f , p = r' (r'^ + 72^"Q , s' = ss" (r'V 8s'"‘), onde _ 44 — s” (r'% s^"") - , equazione simile alla (2), che risolvendosi cogli stessi numeri può servire a tro- varne successivamente quante soluzioni si vogliano. Si prenda la soluzione r' =s” =- t" i : ne dedurremo s’ = 27t'’^ =27 , 9 =36-'= 81, p = r\r"" + 72 s'"'}= 75 , r = p(p^~ 24^^) = 73 (73^ - 24.81^) = - 73.152135 , S = q {Zp'^ - 8^^) = 81(3.73^ - 8.81^) =- 81.36501, e quindi r = - 11105855 e x = ks - r = - 720469. Cambiando il segno , avremo i valori interi e positivi X = 720469 , r— 11105855, che soddisfaranno all’equazione (1) con j pure intero e positivo. 2? Si può applicare lo stesso metodo all’equazione (3) x^ {x + rf + {x ■¥ 2rf + . . . + {x + nr- rf = supponendo w> 3. Fatto ^ = 2jc + (^ - i)r , questa equazione diventa, secondo una formula del signor Le Besgue, (4) ns[s^ + - i)r^] = ; per ciò nel caso di 7Z = 4 si ha (5) + i5r^) = 2j^ , e posto s = 2s'’^ , ^ + r\J~^ = {p Jr q \/^^f , ne risulta indi posto si ottiene 2^'3 = p(p^ ~ , r = 5q{p" - ?>q'') ; = 27'^ , yo + 5q\Jì> = {s" + r'v/sf , 5q =r'(3 + i5r'") = 27'^ , la qual ultima equazione è simile alla (5). Preso r' = 1 , s” = 25 , j' = 20, i quali valori corrispondono alla eguaglianza ll3 + 123 + 133 ^ 443 ^ 20^ , si troverà — 45 p = 2j'^ = 2.20^ , S =^2s'^ =2.20^.31^ s' = y - 57’'^) = 20.620= 20"*. 31 , r =: 2q{y - 5^^) = 2.20^.-^ (20^-4. 9 - 47^) = 2.20^.— .285791 . Si possono moltiplicare per 9 e dividere per 2.20^ i valori di r e i- riducendo- li cosi a r = 47.285791 = 13432177 , = 9.20^.31^ = 107247600 , donde s-2r 66951069 2 2 Si avra dunque, moltiplicando per 2 questi valori di x e r, una nuova soluzione dell’equazione (3), per re = 4, con numeri interi e positivi X = 66951069 , r =7 26864354. 3? Generalmente, per soddisfare all’equazione (4), fatto per compendio n -1 = m, poniamo 4 = s + r \J—m = {p + q \J —mf , donde r = q{zp^ - mq^) ^ 77^4'^ =p[p^ - 3/re<7^) ; poniamo inoltre np =sy^ , p -r q\Jzm = (4” + donde q = zr'{s"^ + m r'% p = s"(s"^ + 9mr'^) , sicché facendo zr' = r" si ha l’equazione simile alla (4) Cosi, data una soluzione della (4), i medesimi numeri potranno prendersi pei valori di r" , j-" e y, e da questi si dedurranno r', p, <7, r, 4', onde si avrà una nuova soluzione della (4), che potrà similmente somministrarne un’altra, ecc. ecc. Ma e chiaro che le soluzioni ottenute in tal modo potranno non essere le sole possibili; di più, sebbene si trovino valori positivi per 4 ed r, può darsi che X risulti negativo e quindi non si abbia per l’equazione (3) una soluzione con numeri positivi quantunque si abbia per la (4). — 46 — Preso r"= s"= i , r = — > ne risulterà 2 ,1 2 n +s r= - , q^—— , ri -t-o , 2 , r =71^. i) j- = 71® - n^{n- i) {ii^+sf questi valori di r e sono ambedue negativi quando ?i e maggiore di 16, da 71=3 ad 71=7 è positivo r, negativo s, ma in ambedue i casi si ha s <{n - i)r, prescindendo dai segni, e però nel primo membro dell’equazione (3) alcuni cubi saranno positivi , altri negativi. Da n =*8 fino ad ti = 16 saia s negativo , r positivo, ma in valor assoluto sara (71—1)7’, quindi x sara negativo e sa- ranno negativi tutti gl’ indicati cubi, onde un semplice cambiamento di segni renderà positivi tutti i termini del primo membro dell’equazione (3). 4? Si possono trovare altre formole più commode per dedurre da una solu- zione dell’equazione (4) una nuova soluzione. Sia una soluzione s=f, r = g, 2j=h , e ritenendo il medesimo valore di si supponga r + z , 2j = h + p z : sostituendo, togliendo i termini che si annullano per la {4), e dividendo poscia per z, avremo mnf{2g + z)— + 'ihp^z + p^z^ , ove m ~ n - \ indi ponendo p = ^ trarremo mnf — zhp^ e per ciò una soluzione della (4) sara eziandio . mnf - zhp^ 2jr mnf — 2hp~ Messo il valore di p, messo per il valore h^=nf{f^ + mg^) che risulta dalla (4), e fatto (6) f'= smjg^ , g’= 2-f ^ + ìSmfY - mY’ h' = 2mgh (gf + mg\ si troverà /' s =-h-% > j 2 r = — 2-^-3 8777 g^ 8777 g^ 8777 g onde è chiaro che l’equazione (4) sara soddisfatta anche dai valori s =/', r = g\ 2j ~ K che sono dati dalle (e) e che saranno interi se sono interi /, g, h. — 47 — Preso f=g = i, h = n , le forraole (e) daranno = 8/w^ , g' = 2~ + iSm - m , h' = 2mn{m 9): il valore di g' sara positivo per 11 — 2 e n ■= h, negativo per n. > 4 , e quindi per > 4 si Gambiera g in - g, ma da n = z sino ad 11-= 11 si avrà in va- lor assoluto /'> {7i-l)g', cosicché ne risulteranno soluzioni dell’equazione (3) con valori interi e positivi di r, x, e j. A cagion d’esempio per 7^ = 6 si ha f' = 8.35^ , g = 8.71 , e tolto il fattoi- comune s, risulta 35^— 5.71 X= = 435 , r=71. 2 Si può anche fare a = , r -p-. donde (■) a = 5 (27 + im - a) -, 64a^ e se risulterà a' <1 , sarà /'^ > m g'^ > {n-\fg^ , e quindi /'> {n - i)g' , onde si avrà ancora una soluzione dell’ equazione (3) con numeri interi e posi- tivi. Si potranno similmente calcolare altre quantità a'^, a"' , . . . che dipendano da a', a”, . . . come a dipende da a, e quando si giunga aduna di tali quan- tità che sia < 1, si avrà una soluzione della stessa equazione (3) con numeri interi e positivi. 5? E da notarsi che anche per valori di n grandi quanto si voglia si può soddisfare alla (3) con x intero e positivo , j razionale , supponendo r = 1 : basta prendere per n un cubo non divisibile per 3. Ciò risulta dalle formule con cui il signor Camillo Pagliani, cadetto nel R. Corpo dei Pionieri di Modena, sciolse il problema di trovare mille cubi interi consecutivi la cui somma sia un cubo {*). Imperocché cambiando n in e facendo {}d - i )^ - 3 ( 77^ + 1 ) X — J 6 si trova {x + \ f + {x + + . . . +{x+ 11^ f =1^ nx + e si vede che il numeratore del valore di x é sempre un numero pari ed é anche divisibile per 3 quando non é tale 77, essendo allora 77^ — 1 divisibile per 3, onde in questo caso sarà x un numero intero. Se si prende n divisibile per 3, sarà un numero intero 3JC , e moltiplicando l’equazion precedente per 3^, si avrà eguale ad un cubo la somma dei cubi di n^ numeri interi formanti una progressione aritmetica la cui ragione sarà 3. 77^(77 + i) Y ’ (*) V. Annales de Mathématiques par Gergonne, tom. XX, p. 382—384. — 48 — 6? Se si domanda che la somma dei termini d’ una progressione aritmetica elevati a cubo- non sia un cubo ma un cpiadrato , si avra invece dell’ equa- zione (3) la seguente (s) + {x + rf + (x + 2rf + . . . + {x + nr- rf = che potrà ridursi alla (9) + {n - i) r^] = 8/^. Facendo 2j = nsty trarremo da questa + {n^ - i)r^ = mst^ , donde s = nf =^= \]n - 1) : quindi porremo - i)r* = {nt^ - rpf , e otterremo (10) mpt n -l+yU a cui corrisponderanno due valori di s (H) 2n{n- ì)f‘ n— 1 + 'inp t Assegnando valori razionali quali si vogliano a ^ e ^ si avranno dunque valori razionali per r, s eà j , e cosi le formole (10) e (n) daranno la soluzione ge- nerale dell’equazione (9) con numeri razionali. I due valori (11) si possono anche ridurre ad un solo, poiché il secondo di- venta identico al primo se vi si cambia p in mentre con questo cambia- mento non si cambia r. Dal primo si dedurrà n{n - ì) {n + i ~ p)t^ 2 2 ~ ■ n - ì + p (12) X = formula che unita alla (10) porgerà la soluzione generale dell’equazione (s) con numeri razionali. Se prendiamo t = i, p = n - i , troviamo r = 1, x = 1 la qual soluzione è no- tissima. Preso p si avrà 2nt laonde sarà x = 1 , r = 2 , se pongasi — 49 — (13) 2n — \ — n t cioè 2 71^ - i quadrato^ il che corrisponde pure ad. una soluzione nota. I valori di n che soddisfanno all’equazione (i3) sono compresi nella formola («) '»= ’ dove i denota un numero impari positivo. 7.° Gli antichi aritmetici hanno osservato che i numeri = 3, j' =4, z=5, v = 6 verificano nel medesimo tempo le tre equazioni / , 2 2 2 S ^ H ^ (15) xj ==2S , X + j = z ^ x^ : si può dimostrare che fra i numeri interi sono i soli i quali godano di questa proprietà. Imperocché la soluzione più generale della seconda delle (is) con numeri interi è X = m{a -h^) 1 JT = ^mah , z = m{a^ + b^) , se m, a, b siano numeri interi de’ quali gli ultimi a e ù si possono supporre primi tra loro; quindi la prima delle (15) darà j- = ìnab{a - e sostituendo tutto nella terza si avra + 3b^ + 4ab^) = rr^ab^^a - b^)^ . 2 cò Segue da questa equazione che deve essere un numero intero, e supponen- dosi b primo ad a, sara b^ divisore di 2, e però b = i. Adunque 2(fl^ + 3 -t-4a) = m^a{a^ — 1)® , ossia, dividendo per a -f- 1, 2(a - \ f + 4 = irv‘a{a - \){a~ if ; onde 4 divisibile per {a — if , 2 divisibile per a - 1, e cosi a - 1 = 2 , ovvero a - 1 = 1, il che somministra a = 3 , ovvero a = 2. L’ultima equazione per a=3 diverrebbe 12 = W“.3.8.4 , 1 = , il che è assurdo con m intero: resta dunque soltanto a = 2 che porge i—m" , w = 1, e quindi i valori già indicati di x,j, z, s. In luogo della terza delle equazioni (15) si potrebbe proporre la seguente più generale (16) x^ + + z^ - s'H , — 50 — in cui t è una nuova incognita e n un esponente dato intero e > dendo come dianzi si troverà un’equazione 2(a^ + b"^{a - b'^f t dalla quale si dedurrà intero , e quindi 6 = i , se si vuole che sia intero. Si avra poscia 2( 2 somministra l’eguaglianza assurda con in e t interi, e per zz = 2 somministra 3 = int , e quindi ^ = 3, oppure in = z e t = \. Preso a = 2 si ha 6 = zz^^'‘~^2'‘~^.3'*"^^ , assurdo quando zz > 3 , porge in = t ~ \ se zz = 3, e mt = 6 se zz = 2 allora si hanno per m e t ì valori 2, 3; i, 6. 1. Proce- anche t si trova zzz = 1 e il che è , talché — 51 — Sulle bottiglie galleggianti come mezzo di esplorare le correnti marittime, delazione e memoria di monsig. Francesco Nardi. i j Ammiraglio Barone Wrangell celebre per molti viaggi scientifici , e pe- ricolosissimi fatti sul mare e sui ghiacci a Nord della Siberia, dei quali tanto vantaggiossi la geografia, come altresì per gli utilissimi servigi resi al suo Im- pero e alle scienze, mi comunicava pochi dì sono un fatto, che sebbene ap- paja insignificante, si collega con un’ ordine di fenomeni importantissimi. Egli riceveva qui in Roma, dove passa il secondo inverno per ristorare la sua salute, una lettera dell’ Ammiragliato inglese, nella quale n’ era inchiusa un’al- tra di suo figlio Ferdinando , ufficiale della marina russa. Questi, salpando da Brest per un viaggio lontano, e d’ incerta durata, il 26 settembre dell’ anno testé decorso, a bordo della fregata russa il Periscwed, s’ accorse d’ aver di- menticato d’ inviare alla posta una lettera scritta a suo padre prima di la- sciare il porto. La collocò in una bottiglia, che ben sigillata gittò in mare a S. E. dell’isola di Ouessant non lungi da Brest (48‘’20'lat. 7"30' long. occ.P.)La bottiglia fu ritrovata da un pescatore sulla costa inglese presso Bridport nel Dorset al punto di Chedweck Coast guard Station, il 25 Novembre, cioè due mesi dopo, e il sig. Maxton capo di quella stazione doganale mandolla all’ Ammiragliato di Londra, che la inviò all’ ammiraglio Wrangel, cui era diretta. La lettera , come vedete, non ebbe a patire che leggero danno dall’ acqua salsa, ed è per- fettamente leggibile. Confrontando Ouessant luogo della partenza con Brid- port luogo dell’ arrivo, noi troviamo che il viaggio della bottiglia fu N. N;E, eh’ è precisamente 1’ andamento della corrente nella Manica, dove il Golfstream, cioè la corrente del Golfo, fattasi molto lenta, ma tuttora sensibile, tiene quel cammino. È noto che sui corpi galleggianti sul mare la maggior forza im- pulsiva costante viene dalle correnti, mentre affatto accidentale , leggiera , e dubbiosa è quella delle tempeste, e niuna quella della marea. Questo indusse già da oltre 40 anni i navigatori inglesi e americani a giovarsi di bottiglie galleggianti per esplorare le correnti, e il maggior merito ne appartiene al capitano della marineria inglese il celebre Beecheyi Si scelgono bottiglie, o a dir meglio fiaschi, di terra cotta , ben forti di colore assai vivo, di solito rosso, e in essi si pone una carta indicante il nome del legno , quello del capitano, il giorno e 1’ ora del gettito, e la precisa longitudine e latitudine ; indi fortemente turati si lanciano in in mare lungi dal bastimento da uno 8 — 52 — I' dei due bordi. Chi li ritrova manda la carta chiusa nella bottiglia ail’ Am- miragliato inglese indicando 1’ autore, il sito, e il tempo ^ del ritrovamento. L’ Ammiragliato raccoglie questi preziosi documenti, e gli usa a studiare que- ste misteriose circolazioni delle acque del mare , confrontandoli tra loro , e traendone utili illazioni. Il capitano Beechey disegnò una preziosa carta dove descrisse il viaggio di 100 di queste bottiglie o fiaschi; Berghaus narra quello di 21. Un grande avviatore di queste bottiglie è la corrente del Golfo, la quale le trasporta seco, e quasi le attrae. E qui per corrente del Golfo non intendo soltanto quel gran fiume , eh’ esce tra Florida e Cuba per di- riggersi verso Europa a temperarne così providamente il clima , ma altresì le correnti che lo generano , e principalmente, 1’ equatoriale , che movendo dalla costa della Guinea si dirigge al Golfo dei Garaibi, donde passa in quello del Messico, e dà probabilmente impulso alla corrente del Golfo. Anche Maury nota, che le bottiglie gittate tra 1’ antico e il nuovo mondo si sono trovate generalmente lunghesso il corso della corrente del Golfo. Di due lanciate in latitudini meridionali sulla costa dell’ Affrica, una fu ripescata presso r isola di Trinidad, e 1’ altra presso quella di Guernsey all’ imboccatura della Manica, Questa ultima seguì la linea normale tenuta anche dalla bot- tiglia di Wrangell. La prima forse andò all’ isola della Trinidad portatavi dalla corrente equatoriale, la quale, come dicemmo, crediamo connessa, anzi gene- ratrice della corrente del Golfo. Più lungo e più importante fu il viaggio d’al- tra bottiglia gittata da un navigatore al capo Horn, e ripescatane! 1837 sulle coste d’ Irlanda. Questa probabilmente seguì da prima la corrente che rade la costa brasiliana , entrò quindi nella corrente equatoriale, e per essa nel Golfo dei Garaibi e del Messico , d’ onde passò nella corrente del golfo , la quale movendo verso Europa abbraccia e traversa il mar brittannico. Le correnti sono d’ nna così grande importanza per le navigazioni , e per la conoscenza fisica del globo, che non se pe può abbastanza raccoman- dare lo studio. Molto si è fatto sopratutto da lìiaury, Beechey, Mùhry, Berg- haus , e lohnston , ma pur molto resta a farsi, ànzi paragonando i diversi lavori anche più recenti, e le diverse carte, mi pare che 1’ opera sia più pre- sto abbozzata, che vicina al suo termine. In non pochi punti importantis- simi dell’ Oceano, le correnti sono ancora incerte, e forse mutano colle sta- gioni, e i fatti sembrano quasi contradi ttorii; e il nostro Mediterraneo, eh’ è pure il gran mercato dei popoli d’ Europa , è uno dei mari più dubbiosi e dilficili ad essere esplorati. 11 sistema delle bottiglie , o fiaschi lanciati in mare, coll’ esatto calcolo del punto di partenza e di ritrovamento, se non è un mezzo nè unico, nè infallibile a rilevar le correnti, è certo utilissimo ; e quando una serie di fatti cospiri in un risuitato, questo può considerarsi come certo. Onde noi lo raccomandiamo altamente ai navigatori italiani. L’esperimento non è certamente nè molto dispendioso, nè punto diffìcile, specialmente ora che r uso dei cronometri rende il calcolo delle longitudini cosi pronto e si- curo. Che se le piante del nuovo mondo portate dalla corrente del Golfo alle isole Canarie svelarono alla mente di Colombo il gran segreto dell’ altro emisfero; altri segreti certo assai men gravi, ma pur preziosi potranno ma- nifestare queste silenziose navigatrici ai loro fortunati raccoglitori. Ricerche analitiche, relative al geometrico luogo, tanto dei punti di tangenza fra uno, e due sistemi di parallele, con una serie di coniche omofocali; quanto dei punti d' intersecazione delle tangenti parallele di un sistema, colle rispettive di uìv altro. — Memoria del prof. P. Volpicelli (Con- tinuazione) (^). Intendendo sempre per sen.2« un valore positivo, risulterà dalla (28) che la eccentricità c' della iperbola equilatera di tangenza, può essere tanto mag- giore, quanto minore dell’altra c, comune alla serie di coniche omofocali. Quindi chiaro apparisce, che se abbiasi a = 0, od « = 90°, avremo dalla (28) stessa c' = 0 ; vale a dire la eccentricità della iperbola di tangenza, sarà un minimo; e ciò corrisponde al caso già considerato (§. 4,), in cui la iperbola di tangenza sì riduce a due rette. Essendo inoltre (*) (*) Per quello che precede, v. questo volume, p. 26. - Inoltre si è dovuto qui estendere maggiormente il titolo di questa memoria, perchè lo sviluppo dato in seguito alla medesima, divenne maggiore del concepito in principio. Quindi la memoria stessa risnltò divisa in tre parti; la prima tratta di solo un sistema di parallele; la seconda di due; la terza poi si ri- ferisce al geometrico luogo delle intersecazioni, fra le rispettive parallele di due sistemi. Si avverta che per serie di coniche, intendiamo una riunione di sì fatte curve, non solo della medesima specie, ma pure di specie diverse. — 54 — sen.2« = 2 > e dalla (28) si avrà c' = c. Finalmente se pongasi 7T j ' c» 4 a = — , od a = , sara sen.2« = =b= 1 , 4 4 ed il valore numerico di c', per la (28), diverrà un massimo, cioè c|/’2. 16.° Adunque riepilogando potremo concludere il seguente ^ Teorema IL La eccentricità della iperbola di tangenza^ è un minimo per oc — 0 ; eguaglia quella delle coniche omofocali per a = 1 5°, e diviene un massimo per « = 45°: inoltre crescendo a, otterremo per angoli equidifferenti da 45°, eccentricità coincidenti. 7. 17.° Passando a vedere per quali valori delle c, a, la iperbola di tangenza , riducesi a delle rette, riprendiamo la (17), che suppone com’è noto, l’origine delle coordinate nel fuoco, e non nel centro delle coniche. Per un primo caso, ad ogni valore di «, la iperbola di tangenza diviene una retta, purché abbiasi c == 00 ; poiché posto ciò, la (17) si riduce alla i/cot.2« — x — o, ovvero alla (29) tj = a5tang.2« , equazione appartenente ad una retta , che passa per l’origine , cioè pel co- mune fuoco, facendo coll’asse delie ascisse (4°, 6°) un angolo 2a. Ma c = co ap- partiene alla parabola, come fu osservato (4.°) ; avremo dunque il seguente Teorema III. Guidando ad una serie di parabole omofocali, un sistema di tangenti parallele fra loro, la iperbola di tangenza riducesi ad una retta, che passa pel comune fuoco, e che eomprende colVasse delle aseisse, un angolo doppio di quello formalo dal sistema con questo asse. Tutto ciò che abbiamo esposto relativamente alla retta di tangenza, nel sistema di parabole omofocali, è un corollario del teorema I; e viene rappre- sentato dalla (fig. 4), ove la Nò' esprime la retta di tangenza, essendo b' il co- mune fuoco: ma in seguito (§• 8) concluderemo un IV teorema, di cui questo 111 è un corollario. Possiamo confermare colla seguente geometrica osservazione, che quando la linea di tangenza, come nel caso considerato, sia una retta Nè', passante pel fuoco è', deve questa fare coll’asse è'X delle ascisse, un angolo Nè'X (fig. 4) doppio di quello TEX (=«), che fanno le tangenti ET, E'T', E"T", alla serie di parabole , col medesimo asse. In fatti la costruzione geometrica per guidare una tangente alla parabola , consiste nel dividere in mezzo 1’ angolo compreso dal raggio vettore Bè', e dalla retta BC parallela all’asse, e questo angolo eguaglia Bè'X, 18.° Passando al secondo caso, vediamo quali sono i valori di a, che riducono la iperbola di tangenza ad una o due rette, per qualunque valore di c; ed a tal fine ci serviremo della (27). Vero è che questa equazione non abbrac- cia più la parabola; ma essa fu considerata separatamente (1 7.°). Dobbiamo inoltre avvertire che la medesima (27), non si riferisce al sistema di coordinate, in cui l’asse delle x passa pei fuochi a', b'; ma si riferisce bensì al sistema coll’origine al comune centro delle coniche omofocali ; ed in modo, che l’asse delle ascisse coincida con quello della iperbola equilatera di tangenza. Per tanto siccome la (27), sopprimendo in essa gli accenti, può ridursi alla {x y) [x — y) — c^sen.2a = o , così è facile comprendere, cbe di questa equazione il primo membro è sol- tanto il prodotto di due fattori di primo grado, quando abbiasi la (30) c^sen.2= — cot.2a- tang.2a (sen.2«)|/‘(c^ — c^sen.^a) Per la ottenuta eguaglianza dei due trovati valori di 9 , si vede che le due tangenti fuocali, sono fra loro parallele, come si poteva conoscere fin dal prin- cipio; poiché in qualunque conica, guidando un diametro, le due tangenti agli estremi del medesimo, sono parallele fra loro : inoltre la retta passante pei fuochi comuni alle coniche, è un diametro della iperbola di tangenza, perchè passa pel centro di questa curva. 25. ® Dai risultamenti analitici del presente paragrafo , possiamo conclu- dere la relazione. (34) 9r=2a, la quale dà luogo al seguente Teorema IV. Guidando ad una serie di coniche omofocali un sistema di tangenti parallele , quindi alla corrispondente iperbola di tangenza una tangente fuocale, questa formerà coll'asse che passa pei comuni fuochi un angolo, doppio di quello, formato dal sistema delle tangenti col medesimo asse. Questo teorema viene delucidato dalla (fig. 1), in cui le tangenti fuocali sono rappresentate dalle ZZ' e Z"Z'” : nella figura medesima , 1’ angolo «>90, quindi 9 >180°. 26. ° Si consideri ora una qualunque iperbola equilatera, per esempio la HMa'QITM'à'Q' (fig. 1), e non abbiasi riguardo ad altro in essa, fuorché al suo dia- metro qualunque a'b', ed alla relativa tangente ZZ', la quale sino qui fu detta fuocale, perchè passava pel fuoco alla serie di coniche comune, cui per ora non si deve avere più riguardo. Inoltre si rifletta che uno degli assintoti TX' della iper- bola di tangenza, è diretto (§4,11 .°) come lo sono le parallele tangenti alla serie di coniche omofocali; e che per la (34) abbiamo l’angolo b'a’Z, formato della tan- gente ZZ' col diametro b'a' della iperbola equilatera sopra espressa , doppio dell’angolo da'b'. Posto ciò, il teorema IV può ricevere un altro enunciato, del tutto indipendente dalle coniche omofocali , ed esprimente un’ assoluta proprietà della iperbola equilatera, nel modo che segue : Guidando per qualsiasi punto a' di una iperbola equilatera un diametro a'b', ed una tangente ZZ', la retta da', che divide in mezzo V angolo Za'b', compreso fra quelle due rette, sarà parallela ad un assintoto TT' della iperbola stessa. 27.0 Nel caso in cui le coniche omofocali divengano tante parabole, la curva di tangenza riducesi ad una retta, passante pel comune fuoco h' (§7,17.°); quindi la indicata tangente fuocale alla iperbola di tangenza, si confonderà con quella retta; e l’enunciato del teorema IV, si ridurrà in quello del teorema III, che perciò, come ivi fu indicato, è un corollario del precedente. §. 9. Dati essendo i due fuochi a', V di una serie di coniche omofocali, queste, per quanto precede, saranno ellissi ed iperbole. A considerare le indicate due specie di coniche , sotto un medesimo punto di vista , immaginiamo che ognuna di esse, venga determinata dal suo vertice P (fig. 1), il quale si trova sull’asse -X, X, passante pei fuochi. Ora è chiaro che facendo muovere con- tinuamente il vertice P, si dovrà ottenere la indicata serie di coniche omo- focali. Ed in fatti, se il moto del vertice stesso cominci ad una distanza in- finita , la corrispondente conica sarà un circolo di raggio infinito. Per una distanza PO finita, ma grande, la conica sarà una ellisse, che diverrà tanto più schiacciata, quanto più PO diminuisce. Se poi giunga il vertice P nel fuoco a', cioè se il vertice stesso confondasi col fuoco, la ellisse ridurrassi nella retta a'b', che congiunge i due fuochi. Avvicinandosi anche maggiormente il vertice P al centro 0, la conica diverrà una iperbola, coll’angolo assintotico sempre più crescente, come si vede nelle quattro iperbole punteggiate della (fig. 1). Se poi finalmente il vertice P giunga nel centro 0, i due rami della iperbola si confonderanno coll’asse Y, — Y. Occupiamoci ora nel trovare l’andamento del punto di tangenza: e sic- come ad ogni conica, ellisse od iperbola, possono corrispondere due punti di tangenza; così prenderemo a considerare quello dei medesimi punti, collo- cato dalla parte del vertice P, e corrispondente al supposto andamento del vertice stesso. Ciò viene messo in chiaro dalla (fig. 1) , nella quale l’angolo a si rappresenta da T'OX. Quando sia la distanza PO = a infinita, le cor- rispondenti coniche omofocali sono tanti circoli, e la iperbola di tangenza Qa'H si confonde allora col suo assintoto SOS'. Per un’a finito, ma grande a sufficienza, da fornire una ellisse, come sarebbe a=PO, i punti di tangenza e'", e", e',.., si troveranno nel primo quadrante (X,0,Y,) e ciascuno si avvicinerà maggiormen- te al fuoco a', col diminuire dell’asse variabile 2 a, che si riferisce alla serie del- l’ellissi. Giunto il punto P nel fuoco a', la ellisse corrispondente si trasformerà nella retta è'a', ed il relativo punto di tangenza si confonderà pur esso nel fuoco a'. Dobbiamo quindi concludere che il vertice P incontra, nel suo movimento lungo l’asse delle ascisse X, — X, il punto di tangenza nel fuoco stesso; quindi allorché il vertice P oltrepassa il fuoco a', la conica diviene iperbola, e come si vede nella stessa figura, esistono ancora delle tangenti per angoli assintotici suffi- cientemente piccoli. Però i rispettivi punti dì tangènza i', i'\ i"', . . , si tro- veranno allora nel quarto quadrante (X, 0, — Y); e ciascuno di questi punti si allontanerà tanto più dal fuofco a', quanto più crescerà l’angolo assintotico delle iperbole costituenti la serie loro, come si vede nella figura stessa. Sapendosi che deve la iperbola di tangenza essere equilatera (§ 3, 10.°), dobbiamo concludere , che il secondo assintoto suo TX', è perpendicolare al primo SS'. Ma siccome l’ assintoto TX' è compreso pur esso nelle tan- genti parallele fra loro ; così è chiaro che dovrà esistere una iperhola omo- focale limite KYLK'Y'L', che abbiamo denotata con tratti e punti (fig. 1), cioè con — . — . — . , la quale avrà per assintoto quello XX', appartenente alla iper- bola di tangenza. Il relativo punto di tangenza si troverà in questo caso sull’as- sintoto XX', a distanza infinita del centro 0. Riguardo alla iperbola omofocale limite, osserviamo che il suo semian- golo assintotico (X', 0, — X), deve uguagliare l’angolo acuto a, formato dal sistema delle parallele coll’asse delle ascisse (§ 15) ; e questa sua proprietà, coll’altra che il suo fuoco deve trovarsi nel comune a'^ è sufficiente a precisare la sua posizione. Quindi si troverà il vertice Y della iperbola limite col solito metodo , cioè dal centro 0 si descriverà un circolo, il raggio del quale ugua- glierà la eccentricità c; poi dalla intersecazione del circolo stesso coH’assintoto, si abbasserà una perpendicolare sull’ asse : nel piede di questa consisterà il vertice che si cerca. Riflettendo che la tangente a qualunque iperbola, è soltanto possibile, quando l’angolo acuto a, formato dalla sua direzione coll’asse della curva, è maggiore del semiangolo assintotico ; si vede che quelle iperbole omofocali , aventi per semiasse loro un’a, minore dell’altro YO, appartenente alla iperbola limite, non posseggono tangenti nelle parallele del dato sistema ; perchè il loro semian- golo assintotico sarà > «. Da ciò dobbiamo concludere che se il vèrtice P , nel suo movimento lungo 1’ asse -X, X, andando verso il centro 0, sorpas- serà il vertice Y della iperbola limite, non corrisponderà più ad iperbole, che forniscono al sistema di parallele, punti di tangenza. Quanto è detto fin’ora pel vertice P, relativamente al suo moto lungo l’asse dalla parte delle ascisse po- sìtive, non che dal punto di tangenza riguardo aH’andamento suo, può per causa della simmetria, ripetersi dalla parte delle ascisse negative. 28.° Riassumendo tutto il ragionamento sul proposito, dobbiamo conclu- dere ciò che siegue. Se parta il vertice P da una distanza infinita, per avvici- narsi al centro 0; la corrispondente conica omofocale sarà prima un circolo, ed il corrispondente punto di tangenza, si troverà sull’ assintòto OS , ad una di- stanza infinita dal centro stesso. Divenendo la distanza PO { = a) finita, la conica omofocale diverrà una ellisse, ed il corrispondente punto di tangenza, si troverà nel primo quadrante (Y,0,X) delle coordinate , finche il punto P giunga nel fuoco a', ove la ellisse diverrà una retta b'a', ed il corrispondente punto di tangenza, si troverà pur esso nel fuoco a'. Inoltre mentre il punto P corre pel tratto a’V, la conica omofocale diverrà una iperhola, coll’angolo as- sintotico sempre crescente; cosicché il punto di tangenza percorrerà il ramo a'MH della iperhola di tangenza, posto nel quarto quadrante (X, 0, — Y) delle coordinate. Questo punto di tangenza intanto si allontanerà sempre più del cen- tro 0, in guisa da trovarsi ad una distanza infinita, quando il vertice P giunge in Y, cioè nel primo vertice di quella iperhola omofocale detta limite, la quale ha il semiangolo assintotico eguale all’angolo acuto a, formato dal sistema delle tan- genti coll’asse delle x. Continuando il punto P a muoversi, passerà finalmente sul- r asse delle ascisse negative; ma fintantoché non sarà giunto in V', secondo ver- tice della iperhola limite, non esisterà vermi corrispondente punto di tangenza. Riguardo a questo vertice V', il corrispondente punto di tangenza ricomparisce nel secondo quadrante (Y,0,~X), ad una distanza infinita dal centro 0, sulla retta TT',solo assintoto comune, tanto ai due rami iperbolici a'H, à'H',appartenenti alla iperhola di tangenza; quanto agli altri due YK,V'K', appartenenti alla iperhola limi- te. Dopo che il vertice P sarà passato per l’altro Y', le coniche omofocali torneran- no ad essere una serie d’ iperbole; inoltre il corrispondente punto di tangenza, percorrendo la iperhola di tangenza, passerà pei contatti P'",..., giun- gerà nel secondo comune fuoco b', ove incontrerà lo stesso P. Da questo ver- tice, continuando P il suo moto lungo l’asse delle ascisse negative, il corri- spondente punto di tangenza si troverà nel terzo quadrante ( — X, 0, — Y) delle coordinate, passando pei contatti e*'", e'", e''', . . . , ove le coniche omo- focali torneranno ellissi, e termineranno per divenire nuovamente circoli, quando il vertice P sarà giunto a distanza infinita ; cosicché il corrispondente punto di tangenza , si troverà sul secondo estremo S' dell’ assintoto SS' , essendo partito dal primo S, al cominciare del suo moto. u — S- 10. 29. ° Dal precedente raziocinio risulta, che a tracciare completamente, mediana te i soli contatti, la iperbola di tangenza, concorrono tutte le coniche di comuni fuochi a', b', tranne quelle iperbole che hanno i loro vertici nel tratto VV', (fìg. 1). Uiia parte di questa iperbola di tangenza proviene dalle ellissi, e consiste nei due tratti costruiti continui a'Q, b'Q'; i quali progrediscono all’ infinito. L’altra parte poi della iperbola stessa, che apparisce punteggiata, proviene dalle iperbole, e con- siste nei due tratti costruiti discontinui a'MH e Quei tratti che alle ellissi appartengono, sono, nel caso dalla figura, minori di quelli che si riferiscono alle iperbole. Ma ciò non ha sempre luogo, perchè dipende dall’angolo a, che fanno le tangenti coll’ asse -X, X. Ponendo a 43.“ l’angolo «, che il sistema delle tangenti forma coll’asse delle 3c, il vertice M della iperbola di tangenza coin- ciderà col comune fuoco a', relativo alla serie delle coniche omofocali ; ed i tratti iperbolici a'Q, a'H, ò'H', b'Q' {fig. 2) di cui parliamo, diverranno per que- sta ipotesi uguali fra loro. Essendo poi l’angolo in proposito maggiore di 45°, come nella {fig. 1), saranno più grandi gli archi iperbolici a'MH, à'M'H', pro- venienti dalle iperbole omofocali; mentre nel caso contrario, cioè quando l’an- golo di cui parliamo sia minore di 43.°, saranno più grandi gli archi iperbo- lici, provenienti dalle omofocali ellissi. 30. ° Nella eccellente opera del R. P. Jullien, intitolata « Problemes de mécanique rationelle. Paris 1833 » , si trova (T. I, p. 33) 1’ enunciato se- guente : « Sur une sèrie d'ellipses ou d’ hyperboles homofocales, le lieu des points de contact des tangentes parallèles à une direction donnée , est une hyperbole équilatère qui passe aux foijers communs. Questo enunciato è meno generale, di quello contenuto nel nostro teorema I; ed in fatti apparisce che, da quel chiarissimo autore, si esclude la parabola nell’e- nunciato suo; mentre dalla precedente analisi, e dal nostro teorema I, si vede che questa curva non fa punto eccezione, (§. 7, 17.°; e §• 8, 27.°); poiché come vedemmo (§. 7, 17.°), la iperbola di tangenza nel caso delle parabole , si trasforma in una retta. Inoltre poiché lo stesso eh. autore , ha distinto l’el- lissi dalle iperbole in quel suo enunciato, dicendo « Sur une sèrie d''ellipses ou d’ hyperboles » ha egli così escluso che queste due coniche possano coesistere nella verificazione dell’enunciato stesso. Però dalla precedente analisi, e dal no- stro Teorema I.° che ne deriva, si deve concludere che la stessa iperbola equi- latera, è luogo geometrico dei noti punti di tangenza della serie di coniche omofocali, ancorché queste sieno fra loro di specie diversa; cioè quand^anche sieno ellissi e iperbole omofocali, coesistenti nella serie medesima, come viene chiaramente rappresentato dalla (fig. 1). In fine quando , secondo 1’ autore citato, vogliasi riferire la iperbola di tangenza, ad una sola specie di coniche, vale a dire o alle sole ellissi, o alle sole iperbole; allora la stessa iperbola di tangenza non si ottiene completa, vale a dire non si ottiene in tutti e quattro i suoi rami, dai punti di tangenza. Questa ultima circostanza essenziale, non è men- zionata dall’autore stesso; cioè che per avere completa la iperbola di tangenza, mediante i punti di tangenza, fa d’uopo una serie di coniche omofocali, com- posta di ellissi, e di iperbole, lo che chiaro apparisce dalla (fig. 1). Parte seconda, concernente due sistemi di parallele. §• H. 3 1 .° Fin qui trattammo di un solo sistema di parallele, tangenti ad una serie di coniche omofocali ; ora passiamo a generalizzare maggiormente le pre- cedenti ricerche, mediante la considerazione di due sistemi di parallele, tangenti ad una serie di coniche omofocali. Egli è chiaro che in questo caso do- vremo, generalmente parlando, avere due iperbole equilatere di tangenza, di- verse fra loro. Quindi potremo concludere il seguente Teorema V. Data una serie di coniche omo focali, e due direzioni qua- lunque, i punti di tangenza delle rispettive parallele alle direzioni medesime, si troveranno in due iperbole equilatere, intersecate fra loro, nei fuochi co- muni aliy ser'^stes^. 32.“ Ciò equiv^ a dire che, descrivendo un sistema di parallelogram- mi , ognuno coi lati rispettivamente paralleli a due determinate direzioni , e tangenti ad una serie di coniche omofocali , dovrà il luogo geometrico dei punti di tangenza, consistere in due diverse iperbole equilatere, che dovranno intersecarsi nei fuochi comuni delle coniche indicate. Colle (fig.® 5, e 6), la prima per una serie di ellissi , e la seconda per una serie d’ iperbole, omofocali ambedue, si facilita la intelligenza di quanto abbiamo qui concluso. INelle figure stesse, tutte le tangenti tracciate con rette continue, si riferiscono ad una inclinazione comune a , mentre le altre tan- genti tracciate con rette di punti , riferisconsi ad una diversa inclinazione /3 comune a tutte. Tanto nella (fig. 5), quanto nella (fig. 6), i rispettivi archi iper- bolici di tangenza , sono indicati similmente ; cioè gli archi continui a'MH, ò'M'H', appartengono alle tangenti, esse pure continue; mentre gli archi pun- teggiati a'NL, 6'N'L', appartengono alle tangenti, esse pure punteggiate. Se, in- vece di separare in due figure, come ora per evitar confusione si fece , la serie omofocale delle ellissi, da quella delle iperbole, si volesse che questa serie di coniche omofocali, fosse in una medesima figura; allora i luoghi geome- trici dei punti di tangenza, consisterebbero in tutti e quattro i rami di cia- scuna delle due iperbole equilatere di tangenza : cioè in ciascuna iperbola delle due di tangenza, due archi apparterrebbero ad ellissi omofocali, e gli altri due ad iperbole omofocali anch’esse, come ora fu dichiarato, e come si verifica nella (fig. 1), per un solo sistema di tangenti; ove si vede che ciascono dei quattro rami della iperbola di tangenza, passa pei punti di contatto. Il teorema V subisce una importante modificazione , quando i due si- stemi di tangenti parallele, sieno fra loro ad angolo retto. Riflettiamo per tanto in questo caso che, nel passaggio dalla (13) alla (14), dovemmo innalzare al quadrato la prima di queste due equazioni, per cui disparve il doppio segno nel secondo membro della (13). Ciò fa sospettare che la (17) appartiene, oltre la caso da cui siamo partiti, cioè concernente un solo sistema di parallele, an- che ad un altro, cui corrisponde un àngolo jS diverso dal primo «, e condu- cente ad una curva di tangenza, rappresentata pur essa dalla (17). Tornando in fatti sulle due formule (8), (11), se immagineremo un secondo sistema di tangenti, parallele fra loro, e ad angolo retto col primo sistema, in tal caso, denotando con /3 l’angolo compreso fra il secondo sistema e l’asse delle x , avremo Ripetendo i calcoli eseguiti già nel 7", giungeremo alla (c — xY — (cot./3 — tang./3)(c — x)y — = o ; ed eliminando /3 mediante la (35), avremo (36) (c — xY — y^-\-{cot.x — tang.a)(c — x)y — c^ = o, equazione identica colla (15). Concludiamo quindi che le (15), (16), (17), rap- presentano ciascuna il Ijjogo geometrico dei punti di tangenza, corrispondenti § 12. tang.a tang.^3 = — 1 , quindi (35) cot.a . — 67 — tanto ad un sistema di parallele, determinato dall’ angolo «, quanto a quello perpendicolare al primo, determinato dall’ angolo /3. 33. " Laonde, riflettendo anche su quanto fu stabilito col teorema I, po- tremo enunciare il seguente Teorema VI. Guidando ad una serie di coniche omofocali, due sistemi di tangenti parallele, rispettivamente perpendicolari fra loro; i punti di tan- genza, si troveranno sopra una medesima iperbola equilatera, che passerà pei comuni fuochi, e che avrà gli assintoti paralleli alle direzioni dei due sistemi: questi assintoti s' intersecheranno nel centro comune alle coniche omofocali. Il teorema ora enunciato, si può riconoscere anche sapendosi (§.4, 1 1 .°;e§.o, i2.°) che, dato un solo sistema di tangenti, gli assintoti della iperbola equilatera di tangenza , sono uno parallèlo alla data direzione delle tangenti , 1’ altro a questa perpendicolare. Quindi trattandosi di un secondo sistema di tangenti, parallele fra loro, e perpendicolari alle prime, sappiamo che gli assintoti della relativa iperbola di tangenza, debbono essere anch’ essi uno parallelo, e 1’ altro perpendicolare a questo secondo sistema di tangenti. Dunque sappiamo che i primi due assintoti, dovranno coincidere coi secondi ; ma siccome inoltre le corrispondenti due iperbole di tangenza, debbono ambedue passare pei fuochi comuni alle coniche omofocali, ne viene chiaramente che le due indicate iper- bole, debbono coincidere pur esse fra loro. Per tanto si vede che la modificazione, sul principio del presente paragrafo annunciata, consiste in questo, che se divenga retto l’angolo fra i due sistemi di tangenti parallele, vale a dire che se il parallelogrammo loro divenga rettan- golo; le due iperbole di tangenza si dovranno sovrapporre l’una sull’altra, e divenire una sola. Ciò si vede rappresentato dalle (fig.^ 7 e 8), la prima per una serie di ellissi omofocali , e la seconda per una serie di iperbole omofocali anch’ esse: nella (fig. 7) i punti di tangenza si trovano per tutto in ognuno dei quattro rami della iperbola equilatera Qa'MHQ'ò'M'H'; similmente avviene riguardo alla (fig. 8) , ove quei punti si trovano in tutta 1’ iperbola QMa'HQ'M'ò'H'. Le dimensioni della fig. 8, si fecero maggiori di quelle ap- partenenti alla (fig. 7), aflinchè questa riescisse ben distinta nelle sue parti; però se le dimensioni di queste due figure fossero state uguali fra loro, e così anche le direzioni dei due sistemi di tangenti parallele, allora sovrapponendo T uno all’ altro gli assi delle figure medesime, si vedrebbero sovrapporsi com pletamente anche le due iperbole di tangenza. 34. " Ora tornando sui casi rappresentati dalle (fig.^ 5 e 6), e prendendo 10 - — 68 — > 0 c rf in considerazione il teorema VI, possiamo facilmente concludere, che le due iperbole di tangenza , HMa'QH^M'è'Q' ed LNa'GL'N'è'G', guidate in ognu- na delle figure stesse , rappresentano eziandio le curve di tangenza , relative ad altri due sistemi di tangenti , rispettivamente perpendicolari a quelli , rappresentati nelle medesime figure. Per meglio dichiarare que- sto fatto, dobbiamo valerci della (fig. 9), e della {fig. 10) contempo- raneamente , le quali appartengono , la prima ad una serie di ellissi omofocali, e la seconda ad una serie d’ iperbole omofocali anch’esse. Abbiamo separato queste due specie di coniche 1’ una dall’ altra con due figure , per maggior chiarezza; poiché se non fosse la moltiplicità delle linee , avremmo presentata, pel fatto medesimo, una sola figura, comprendente le due specie di coniche indicate, facendo coincidere i comuni fuochi, e le rispettive direzioni dei due sistemi di parallele, come fu praticato colla (fig. 1). Nelle due figure medesime contemporaneamente considerate, due sistemi di parallele, il primo tl', , il secondo t'r», t"'r, .... , tangenti alle coniche, si esprimono con rette continue; mentre gli altri due sistemi di parallele, il primo uu\ u"u"\ .... , il secondo mm'*, u"'u^, , tangenti alle stesse coniche , si denotano con rette punteggiate. Inoltre le parallele nei due sistemi precedenti, sono rispettivamente perpendicolari alle parallele nei due seguenti. Gli archi iperbolici HMa', H'M'è', appartenenti ad una prima iperbola di tangenza, ed LNa', L'N'è', appartenenti alla seconda (fig. 9, e 10), costituiscono il luogo geometrico dei punti di tangenza, che provengono dalle pa- rallele disegnate continue, e sono essi archi espressi anche con linee disegnate continue. Similmente gli archi iperbolici a'Q,è'Q', appartenenti alla indicata prima iperboladi tangenza, ed a'G,è'G' appartenenti alla seconda(fig.®9,e 10), costituiscono il luogo geometrico dei punti di tangenza, che provengono dalle parallele pun- teggiate, quindi gli archi medesimi sono indicati anch’essi con linee punteggiate. 35." Sul fine del §. 9 fu dichiarato (fig. 1, ed anche fig.^ 5 e 6, insieme considerate), che per avere complete^ mediante i soli punti di tangenza e non altro, le iperbole di tangenza, relative a due sistemi di parallele, bisognava la coesistenza in una sola figura delle omofocali ellissi ed iperbole. Però dalla pre- cedente descrizione, relativa alle (fig.® 9 e 10), vediamo che quando si tratti di due sistemi di tangenti parallele^ rispettivamente perpendicolari ad altri due, non abbiamo bisogno della coesistenza in una sola figura, delle omofocali ellissi ed iperbole, per avere complete le iperbole di tangenza; ma bensì possiamo averle tali, senza più, dai soli punti di tangenza di una specie di coniche omo- focali. Poiché in primo luogo, nella (fig. 9), mediante le sole ellissi omofocali. si ottengono complete le iperbole di tangenza Hss'Ma'22'2"QH'Dv'i> ed Lm"m'iii?ia'hh'h''h'''GVr''r'rN'b'gg'g"g"'G'’f e nella (fig. 1 0) in secondo luogo, queste iperbole si ottengono anche complete^ mediante le sole iperbole omofocali. Affinchè tutto ciò sia meglio dichiarato, dobbiamo nella (fig. 9), che rap- presenta una serie di sole omofocali ellissi, osservare i quattro sistemi di pa- rallele tangenti alle medesime coniche. Questi quattro sistemi sono due a due perpendicolari fra loro, e li denoteremo rispettivamente coi simboli (AJ, (A2), (A3), (AJ. I due primi di questi sistemi sono rappresentati da tangenti pa- rallele, disegnate continue; vale a dire il primo dalle (AJ . . . tt\ , ed il secondo dalle (A2) . . . t’"t\ . Gli altri due sistemi di tangenti, rispettivamente perpendicolari ai primi, sono espressi da rette punteggiate, vale a dire il terzo dalle (A3) . . . liu'f u”u'"f , e queste sono rispettivamente perpendicolari a quelle del sistema (A^) : il quarto dalle (AJ . . . mm'S u''u^^t u"'u^, , e queste sono rispettivamente perpendicolari a quelle del sistema (A2). I relativi archi delle iperbole di tangenza, sono tracciati corrispondente- mente; vale a dire quelli che provengono da punti di tangenza, i quali apparten- gono a tangenti disegnate continue, sono anch’essi tracciati continui ; mentre quelli provenienti da tangenti punteggiate, sono anch’ essi punteggiati. Si noti per tanto che gli archi iperbolici continui HMa' ed vengono forniti dal primo sistema (A^) di tangenti; mentre gli archi iperbolici punteggiati Qa', e Q'b' , vengono prodotti dal terzo sistema (A3). Ma i quattro archi iperbo- lici ora nominati , formano completamente la prima iperbola di tangenza Qa'MHQ'ò'Mir. II simile accade rispetto alla seconda iperbola di tangenza LNa'GL'N'&'G', per la quale tralasciamo i relativi schiarimenti, perchè sono una ripetizione dei precedenti, dovuti alla prima. Per tanto abbiamo confermato ciò che in primo luogo enunciammo di sopra (3b.") , cioè che le iperbole di tangenza , possono ciascuna ottenersi completa, colle sole omofocali ellissi, senza ricorrere alle iperbole. — 70 — . Nella (fìg. 1 0), che rappresenta una serie di sole iperbole omofocali, ab- biamo conservato lo stesso metodo della (fìg. 9); cioè tracciando le linee tanto rette quanto curve , corrispondentemente disegnate continue , o punteggiate. Rappresentiamo similmente in questa figura, i quattro sistemi di tangenti coi simboli (A'i) , (A'g) , (A'g) , (A'J. I due primi di questi sistemi di tangenti parallele, sono espressi da rette continue, vale a dire il primo dalle (A'j . . . il secondo dalle (A'2) . . . t'r”, Gli altri due sistemi di tangenti parallele, sono espressi con rette punteggiate, vale a dire il terzo dalle (A'g) . . . uu', m'V, e queste sono rispettivamente perpend^co^ar^ a quelle del sistema ( A'^): il quarto dalle * (A'J . . . e queste sono rispettivamente perpendicolari a quelle del sistema (A'g). 1 corrispondenti ardii delle iperbole di tangenza, sono tracciati similmen- te: vale a dire quelli che provengono dai punti di tangenza appartenenti a tangenti tracciate continue, sono anch’ essi disegnati continui; e quelli archi provenienti da tangenti punteggiate, sono anch’ essi punteggiati. Si vede per tanto che gli archi iperbolici LNa' ed L'N'6' disegnati continui, vengono forniti dal primo sistema (A'J; mentre gli archi iperbolici a'hGy punteggiati, ven- gono prodotti dal terzo sistema (A' 3). Ma i quattro archi iperbolici ora no- minati, formano completa la seconda iperbola di tangenza LNa'GL'N'è'G'. Una simile dichiarazione avrebbe luogo per la prima iperbola di tan- genza Qa'MHQ'è'M'H'. Quindi è confermato quanto in secondo luogo enun- ciammo di sopra, (35.°); cioè che le due iperbole di tangenza possono ciascuna completamente ottenersi dalle sole iperbole omofocali, senza ricorrere alle ellissi. §. 13. 36.° Sappiamo (§ 7, 17.°) che la curva di tangenza, nel caso di una serie di parabole omofocali, diviene una retta (teorema 111), la quale passa pel comune fuoco. Quindi è chiaro , che il teorema Y, si trasforma nell’ altro seguente Teorema VII. Guidando ad una serie di parabole omofocali, due sistemi di tangenti parallele, il geometrico luogo dei punti di tangenza, consiste in due rette, che s’ intersecano nel fuoco alle parabole stesse comune. V attuale teorema viene rappresentato dalla (fig. H ) , ove le rette di tangenza sono espresse dalle punteggiate b'H, b'G. 37. ° Per identiche ragioni alle ora indicate, avuto riguardo al teorema III, il teorema VI si modifica, riguardo alle parabole omofocali, nell’altro seguente Teorema Vili. Guidando ad una serie di parabole omofocali, due sistemi di tangenti parallele, rispettivamente perpendicolari fra loro, i punti di tangenza si troveranno sopra una medesima retta,che passa pel comune fuoco,e che forma col- l’asse delle ascisse, due angoli supplementari contigui, dei quali ognuno è doppio del corrispondente, formato col medesimo asse da uno dei due sistemi di parallele. Questo teorema viene dichiarato dalla (fig. 12), nella quale b' rappresenta il comune fuoco, G6'H la retta che passa pei punti di tangenza dei due sistem i di parallele, uno espresso dalle RQ, R'Q', l’altro espresso dalle TS, T'S', T"S”, .... , essendo ang.G6'X = 2.ang.R'Q'X; ed ang.H&'X = 2.ang.S'T'X , 38. ° L’enunciato (§. 7, 19.°) dà luogo al altro seguente più generale, cioè: Nel caso in cui le date direzioni dei due sistemi di parallele tangenti, essendo perpendicolari fra loro , coincidano rispettivamente cogli assi delle coniche omofocali, la iperbola equilatera di tangenza, riducesi a due rette, che sono rappresentate rispettivamente dai medesimi assi. 39. ° Inoltre l’enunciato (§.7, 20.°) fornisce l’altro seguente, più generale, anch’esso, cioè : Circoscrivendo ad una serie di circoli concentrici un sistema di quadrati, coi lati rispettivamente paralleli fra loro, i punti di ta7igenza si troveranno tutti sopra due rette parallele ai medesimi lati. Come si è veduto (§. 7, 18.°), per un sistema di parallele, la esistenza di due rette incontrò una certa difficoltà , per la sua significazione. Però in questi due casi precedenti, la esistenza delle rette medesime, si concepisce facilmente, riflettendo che ognuna di queste rette di tangenza esiste di fatto, e non si ha bisogno per ammetterla, ricorrere colla immaginazione al caso limite, di cui ci valemmo (§. 7, 18.°). §. 14. Dal generale teorema I, viene stabilito, che il geometrico luogo dei punti di tangenza, i quali appartengono ad un sistema di coniche omofocali, è sempre — 72 — una iperbola equilatera. Però si deve osservare, che non sempre ciascuna co- nica del sistema stesso , fornisce punti per la iperbola di tangenza. In fatti date due direzioni , ed una conica , non esistono sempre tangenti a questa curva, che sieno parallele alle direzioni stesse, come già indicammo (§. 9). Occupiamoci quindi a ricercare con maggiore sviluppo, mediante 1’ ana- lisi, quali sieno le condizioni, che determinano la esistenza, o di quattro punti di tangenza, o di un minor numero, fra una conica e due rette parallele a due direzioni date. Laonde torniamo sulla (11), la quale fornisce una re- lazione fra r ascissa del punto di tangenza, e V angolo «, che forma la tan- gente ad una qualunque conica, coll’ asse dei fochi. Quindi è che, data una sola direzione « , volendo conoscere se la tangente ad una conica, in quella stessa direzione sia possibile, dovremo risolvere la (11) rispetto ad x‘, così vedremo se il valore di questa variabile, sia reale od immaginario. Per la indicata soluzione abbiamo: -5^^ taiig.2« - (c — ai)Hang."« = (c — x)\ donde f37V * = g^tang.o: ^ ahen.cc I/"[a^(l-t-tang.'^«) — — c^cos.^a) ^ e la possibilità della tangente, avrà per condizione (38) a® — c^cos.^a > 0 . Si vede inoltre dal doppio segno che , non avendo riguardo alla parabola, di cui parleremo in seguito, hanno luogo sempre, o due tangenti, o niuna. 40.°^ Ora dobbiamo distinguere diversi casi; ed in primo ittogfo, trattandosi di una ellisse, abbiamo sempre c ; perciò la condizione (38), per questa conica sarà sempre soddisfatta. Quindi è chiaro, che per la medesima curva, qualunque sia la direzione « , esistono sempre due tangenti , e perciò due relativi punti sulla conica di tangenza. 11 vedere inoltre che la indicata esistenza di due tangenti , non dipende affatto dal valore di « , ci fa scorgere pure che debbono esistere sempre altre due tangenti per la me- desima ellisse, parallele fra loro, e ad angolo qualunque colle prime. Quindi possiamo concludere, che dato un sistema di ellissi omofocali, e due direzioni, esistono sempre quattro tangenti, due a due parallele rispettivamente alle di- rezioni stesse. Queste quattro tangenti formano insieme un parallelogrammo; ed è chiaro che i punti di tangenza si troveranno sopra i lati del paralle- logrammo stesso, e non sul prolungamento loro. 41. ” 11 parallelogrammo adunque sarà circoscritto alla ellisse ; laonde, avuto riguardo al teorema I, e V, avrà luogo per questa curva il seguente Teorema IX. Circoscrivendo ad una serie di ellissi omofocali un si- stema di parallelogrammi y coi lati rispettivamente paralleli a due direzioni date, il luogo geometrico dei punti di tangenza, consiste in due iperbole e- quilatere, che s'intersecano nei due fuochi comuni alla indicata serie. Uno poi degli assintoti di ciascuna ipei'bola equilatera, sarà parallelo rispettivamente ad ima delle due stesse direzioni. Questo teorema viene posto in evidenza immediata dalla ( fig. 5 ), nella quale TT', T"T"', T'', . . . , rappresentano un primo sistema di paral- lele ; mentre ST', S'T"', S"T', . . . , ne rappresenta un secondo ; ed FF' esprime quello dei due assintoti, appartenenti alla prima iperbola di tangenza Qa'MHQ'è'M'H', parallelo al primo sistema di tangenti, essendo F" F'" quello dei due assintoti, appartenenti alla seconda iperbola di tangenza Gti'NLG'ft'N'L', il quale risulta parallelo al secondo sistema. 42. ” Abbiamo veduto (teorema VI), che due sistemi- di parallele, tangenti ad una serie di coniche omofocali, forniscono coi loro punti di tangenza una medesima iperbola equilatera, quando le direzioni di questi due sistemi, sono l’una perpendicolare all’altra. Per tanto è chiaro, che le due iperbole di tan- genza, nel caso della serie di ellissi, ove sempre si hanno parallelogrammi , vanno a coincidere fra loro; e perciò si riducono in una, quando ciascun pa- rallelogrammo diviene rettangolo: cosicché avrà luogo il seguente Teorema X. Circoscrivendo ad una serie di ellissi omofocali , dei ret- tangoli, coi lati rispettivamente paralleli a due direzioni date; il luogo geo- metrico dei punti di tangenza, consisterà in una medesima iperbola equila- tera, che passerà pei fuochi comuni alla serie indicata, ed avrà gli assintoti paralleli rispettivamente alle due date direzioni. Questo teorema viene posto in evidenza immediata dalla [fig. 7), nella quale TT', T"T'", T*'' T'", . . . , rappresentano un primo sistema di pa- rallele, mentre ST', S'T'", S"T'', . . . , ne rappresentano un secondo; e gli assintoti FF', F"F'", appartenenti all’unica iperbola di tangenza HMa'QH'M'ò'Q', sono paralleli rispettivamente al primo, e secondo sistema di tangenti. 43. ” Tornando sul caso generale del teorema IX , e supposto che cre- sca sempre l’asse maggiore delle omofocali ellissi, dovranno i parallelogrammi alle medesime corrispondenti , crescere sempre anch’ essi. Però supposto il contrario , cioè che sempre più diminuisca 1’ indicato asse , questo non potrà oltrepassare la distanza 2c fra i fuochi a' , b' ; ma il parallelo- — 74 — grammo esiste ancora quando l’asse maggiore uguagli a' e sarà lìmite inferiore di tutti gli altri parallelogrammi. Con facile ragionamento vedrà ognuno che si trova il parallelogrammo stesso, guidando pei fuochi a' , h' le rette b'q, a'q, a'f, b'p, rispettivamente parallele alle direzioni date {fig. 5). Altret- tanto ha luogo nel caso in cui si riduca il parallelogrammo in un rettangolo [fig. 7) ; poiché allora l’indicato parallelogrammo limite, si trasforma nel ret- tangolo a'p b'q. §. 15. Venendo in secondo luogo al caso della iperbola , dovremo avere per questa curva c >■ a, e la (38) fornirà valori reali per a;, soltanto quando siasi essa verificata in questa supposizione, ovvero quando abbiasi (39) ^ > cos^ . Considerando che nel caso attuale si ha sempre c > a, si vede che per va- lori di cos'ha sufficientemente piccoli , esistono delle tangenti alla iperbola , nelle parallele dei sistemi; mentre per valori di cos^« vicini alla unità , non avremo soddisfatta la (39), e le tangenti alla iperbola non esisteranno nelle parallele stesse. Denotando adunque con «' il valore limite di « , direzione data delle parallele tangenti, avremo la condizione a , =j= — = cosa , c per limite della possibilità di una tangente alla iperbola nelle parallele dei sistemi. E siccome rappresenta pure il coseno del semiangolo assintotico; perciò la tangente limite, si confonde coll’assintoto della iperbola omofocale limite, già considerata (§ 9). 44.° Quindi è chiaro che le indicate tangenti esisteranno, finché l’angolo 7T 7T a sarà compreso fra a' (limite), e—; ovvero fra — a', e — ma nell’in- tervallo da a' sino a — a', non potranno aversi tangenti, nelle parallele dei sistemi, come già sappiamo dalla teorica degli assìntoti. Riflettendo inoltre, che in una serie d’ iperbole omofocali, varia il sim- bolo a, da una di queste coniche all’altra, mentre c non varia ; chiaro ap- — . 75 — parisce dover esistere nella serie stessa una iperbola limite, la quale sarà l’ul- tima che possiede ancora tangenti parallele alla data direzione «. Per que- sta iperbola limite dalla (39) abbiamo 2 — = cos-'a , da cui, quando prendiamo per a l’angolo acuto, avremo a = ccos« . Ciò dimostra che, diminuendo a sino ad essere a < c cos.a, le tangenti non saranno più possibili nelle parallele; mentre crescendo a sino ad essere a>.ccosa, avrà luogo la possibilità delle tangenti stesse. Introducendo il precedente valore di a nella (37), troviamo l’ascissa del punto di contatto espressa dalla c^cos^a sen.a ^ C r77~2 2 2 2^ = 00 ; y{c^cos(x — cxos'^a) da cui fa vedere che le parallele di angolo «, tangenti alla iperbola limite, coincidono cogli assintoti di essa, come già sapevamo (§ 9). §. 16. 45.® Per le geometriche osservazioni seguenti, riconosceremo quante delle parallele a due date direzioni, possono essere tangenti ad una delle iperbole, ap- partenenti alla serie di coniche omofocali. Sappiamo in fatti che la tangente alla iperbola , essendo possibile per 1’ angolo /S , dovrà esserlo anche per un altro « maggiore del primo. Quindi apparisce ad evidenza, che date due direzioni DE, GF [fig. 13), le quali facciano coll’asse X, — X gli angoli acuti a, /S, decideremo facilmente, se vi sieno le tangenti possibili per ambedue que- ste direzioni, cercando soltanto se o no vi sieno le due tangenti, per quello dei due angoli a, /S, numericamente minore dell’altro, che nel caso della figura è /3; poiché pel maggiore «, ve ne saranno a fortiori altre due, quindi la iperbola omofocale considerata, nel caso affermativo, ne avrà quattro. Da ciò nasce che avvi nel sistema delle iperbole omofocali una prima iperbola limite HMSH'M'S', la quale colla sua concavità limita tutte quelle iperbole omofocali, che posseggono quattro tangenti;e colla sua convessità limita tutte quelle altre che ne posseggono due sole. Similmente col diminuire l’asse reale, avremo una seconda iperbola limite AKBA'K'B' col semi angolo assintotico eguale ad « >► /3, che limiterà colla sua concavità tutte quelle iperbole omofocali, cui si appartengono due sole tan- genti, e colla sua convessità tutte quelle altre, che ne sono affatto prive. il ^G.'^Se poi fosse «~/3, in questo caso particolare, le due sopraindicate iperbole limiti, prima e seconda, si ridurrebbero in una, col semiangolo assin- totico eguale ad ot = ^, la quale separerebbe le iperbole di quattro tangenti, da quelle di niuna. Tutto ciò cbe abbiamo qui riferito, intorno alle due iperbole omofocali limiti, si dichiara maggiormente come siegue. Dati essendo i due fochi a', b', comuni alla serie delle iperbole omofocali, e le direzioni fisse DOE, GOF dei due sistemi di tangenti, parallele rispettivamente alle direzioni stesse; troveremo la prima iperbola limite HMSII'M'S', cercando quale di queste due direzioni faccia un an- golo acuto, minore dell’altro, coll’asse delle ascisse; e questa, nel caso della (fig. 13), è la direzione GF. Denotando quindi l’angolo FOX con /3, abbiamo per questa prima iperbola limite, la condizione essendo a l’asse reale della iperbola stessa. E siccome la GF dev’essere assintoto della medesima iperbola; così troveremo il suo vertice M, facendo Oa'=OL, ed abbassando da L una perpendicolare LM sulla b'a': questa prima iperbola limite HMSH'M'S', è tracciata in figura con ... - ... - ... -. La seconda iperbola limite poi, corrisponde a quella delle due date direzioni , che fa coll’asse X, — X un angolo acuto a > vale a dire alla direzione DE, che dev’essere assintoto della seconda iperbola stessa. Facendo quindi OI = Oa', ed abbassando da 1 una perpendicolare IK sulla b'a', troveremo il vertice K della seconda iperbola limite AKBA'K'B', che nella figura stessa è tracciata con dunque potremo, relativamente a questa %ura, concludere quanto siégue. 47.” Tutte le iperbole omofocali che hanno i loro vertici nell’intervallo KK', non posseggono tangenti parallele alle due date direzioni DE, GF; quelle poi le quali hanno i loro vertici compresi nell’intervallo KM, posseggono due sole tangenti parallele alla DE ; vale a dire parallele a quella delle due di- rezioni date,^ che fa un angolo maggiore colla b'a'. Le altre iperbole omofocali poi, di cui sono i vertici compresi nell’ intervallo Ma', come la RUVR'U'V', posseggono quattro tangenti, due parallele alla DE, due altre alla GF; quindi esse forniscono quattro punti per la curva di tangenza. In questo caso le quattro tangenti, similmente al caso della serie di ellissi omofocali, formano un parallelogrammo , il quale però non può dirsi circoscritto alla rispettiva iperbola ; perchè i corrispondenti punti di tangenza, si trovano non più sui lati del parallelogrammo , bensì sui loro p)*olungamenti , come ad evidenza risulta dalla (/igf. 6), ove i parallelogrammi stur, s't'u'r', sono quelli formati dalle tangenti alle rispettive iperbole omofocali, comprese nello spa- zio, in cui le iperbole stesse ammettono quattro di queste tangenti. 48. ” Le iperbole comprese fra i due limiti, cioè comprese nell’intervallo corrispondente al tratto KM da una parte, e K'M' dall’altra (fìg. 13), hanno sol- tanto (4'7.°) due tangenti parallele alla direzione DE. Quindi nell’ intervallo medesimo, non esiste il parallelogrammo indicato, ma soltanto esistono le di- rezioni di due de’suoi lati opposti, come si vede nella figura stessa, in cui ad una sola delle iperbole omofocali, cioè alla NPQN'P'Q^ abbiamo guidato le due tangenti st ed uv, che soltanto ad essa possono appartenere, rispettivamente parallele ad una delle due direzioni date. Da ultimo nell’ intervallo KK', che trovasi limitato dalla convessità della seconda iperbola limite AKBA'K'B', non esiste veruna tangente, quindi anche niun parallelogrammo. 49. ° Quando le due direzioni, date pei due sistemi di parallele tangenti, sieno fra loro perpendicolari, è chiaro che i parallelogrammi, formati dalle tan- genti medesime, si dovranno ridurre in rettangoli; e le due iperbole di tan- genza, dovranno, come vedesi nella (fìg. 8), concorre in una Ha'MQH'à'M'Q', Per costruire questa iperbola, sappiamo (46.°), essere DE un assintoto della seconda iperbola limite AKBA'K'B', mentre GF rappresenta un assintoto della prima H'"NSH"N'S'. Inoltre osserviamo che la iperbola equilatera , la quale costituisce il luogo geometrico dei punti di tangenza, possiede per assintoti le stesse DE, GF; laonde apparisce chiaro, che la iperbola equilatera di tangenza, possiede con ciascuna delle due indicate iperbole omofocali limiti , un solo assintoto comune: cioè l’assintoto DE comune alla iperbola equilatera di tan- genza QMa'HQ'M'à'H' , ed alla iperbola omofocale limite AKBA'K'B' ; mentre l’assintoto GF appartiene tanto alla iperbola equilatera di tangenzaQMa'HQ'H'à'M', quanto all’ altra iperbola omofocale limite H'"NSH"N'S'. Dobbiamo quindi con- cludere, che due dei rami di ciascuna. iperbola limite, sono assintotici rispetti- vamente con due rami della iperbola equilatera di tangenza; cioè riguardo alla seconda iperbola limite AKBA'K'B', il ramo QM assintotico con AK, e il ramo Q'M' assintotico con K'B': riguardo poi alla prima iperbola limite H'"NSH"N'S', il ramo a'H assintotico con NS, ed il ramo 6'H' assintotico con N'H". — 78 — 17. Dopo avere considerato la ellisse e la iperbola, circa la possibilità delle tangenti a queste coniche omofocali, passiamo in terzo luogo à considerare la medesima possibilità per la parabola. Riguarderemo cosifatta curva qual caso particolare della ellisse, e della iperbola (§ 1, 4.°); però a questo modo, i prece- denti raziocini, che hanno principio dal § 14, cessano di essere concludenti; poi- ché, dovendo per la parabola essere le a, c infinitamente grandi, tanto la con- dizione (37), quanto la (38), assumono forme indeterminate. Ad evitare que- P sta indeterminazione, sostituiamo nella (37), ad a il suo valore c 4.°), ed avremo (e-H.£.)sen« (c ^ »• 1. sena c^sen'‘a-+- pc \/[ - 2 che, dopo aver diviso i due termini della frazione per csena, fornisce la i)] ® = c d= [c -l- \/[ secon 4][> v4sena ' c^J 2senV c ' V4sena Riducendo e sviluppando, secondo il teorema newtoniano, avremo p l'ir^ 1 { p 1 f p ì ( P \ 1 \2sen^a c Hsena) c^J~^ J Eseguendo la moltiplicazione in questo secondo membro , e trascurando le quantità infinitesime, si avrà Quello dei due valori dati per x da questa formula, che corrisponde al segno •4-, essendo infinitamente grande, si dovrà escludere; l’altro poi corrispondente al segno —, si dovrà conservare. Avremo perciò la (40) 2) , 4 'sen'^a espressione sempre finita, eccetto nell’unico caso di a = o. — 79 50. “ Concludiamo per tanto , che la parabola possiede solo una tan- gente, parallela a ciascuna delle due date direzioni; per conseguenza, trattan- dosi di due direzioni date , si vede che il numero delle tangenti possibili a questa curva, sarà sempre due {fg. 1 1), salvo il caso in cui, delle due direzioni, una sia parallela all’ asse delle ascisse , nel qual caso avremo sen.a = o, e dalla (40) x = oc ; quindi V unica tangente perla parabola, sarà parallela al- l’altra direzione delle due date. È chiaro dunque che in una serie di parabole omofocali, non esiste verun parallelogrammo, del quale i lati sieno tangenti rispettivamente a queste coniche. 51. ” Concludiamo in primo luogo, che per una serie di ellissi esiste sempre l’ intero parallelogrammo (fig. 5) ; in secondo luogo- che in una serie d’ iperbole esiste l’ intero parallelogrammo , soltanto per talune curve della serie (fig. 6), mentre per talune altre della serie medesima, esistono soltanto due lati opposti dell’ indicato parallelogrammo, e per le iperbole rimanenti non esiste verun lato del parallelogrammo stesso (fig. 13) ; in terzo luogo, che per una serie di parabole, esistono sempre soltanto due lati contigui relativi a quel parallelogrammo (fig- 11). §. 18. Occupiamoci ora della ricerca inversa, cioè data una iperbola equilatera, si domandano tanto la serie o le serie di coniche omofocali, quanto le direzioni che appartengono al sistema, od ai sistemi di tangenti parallele ; cosicché la data iperbola equilatera divenga una iperbola di tangenza, riguardo alle stesse coniche omofocali, ed alle direzioni delle indicate tangenti. Laonde riflettiamo innanzi tratto, che secondo il teorema I, la iperbola di tangenza, passa in generale pei fochi comuni alle coniche omofocali, cui si appartiene la iperbola equilatera data ; e che il suo centro coincide con quello comune alle coniche stesse. Quindi possiamo stabilire che, guidando un qualsiasi diametro della data iperbola equilatera, gli estremi suoi rappresentano i fuochi di una certa serie di coniche omofocali, soddisfacente al quesito attuale. Inoltre viene stabilito dal teorema YI, che data una qualunque serie di co- niche omofocali, e due direzioni perpendicolari fra loro , le tangenti alle co- niche stesse , parallele alle due direzioni date , hanno una sola iperbola di tangenza, la quale ha per assintoti le due rette, che passano pel centro dalle omofocali, e che sono parallele alle date direzioni. Siamo poi certi, che non vi sono altre direzioni, soddisfacenti al quesito proposto, fuori delle indicate due, dal riflettere che nella equazione (16), appartenente alla iperbola di tan- genza, l’angolo a potrà solo ricevere due valori diversi soddisfacenti alla (16) medesima; cioè tali che cot.2« rimanga la stessa: poiché nelle attuali ricerche geometriche, a non può divenire maggiore di 180.° Quindi è chiaro che, fissandosi ad una delle indicate serie di coniche omofocali, potranno appartenere a questa, due sole direzioni di tangenti perpendicolari fra loro , le quali vengono rappre- sentate dai due assintoti della data iperhola equilatera. Il fin qui detto viene dichiarato dalla (fig. 14) , in cui la data iperhola equilatera si rappresenta con KIGK'l'G', essendone A, B i fuochi, ed LL', L"L"' gli assintoti. Per- tanto guidando alla stessa iperhola equilatera, un qualsiasi diametro a’b', i punti a', b' rappresenteranno i fuochi di una serie di coniche omofocali, soddisfacenti al quisito. Per maggior semplicità indicammo questa serie mediante una sola ellisse mngh^ tracciata con punti; nella quale pp', qq' de- notano la direzione del sistema di tangenti alla serie medesima, parallele al- l’assintoto L"L"'; mentre le pq , p'q' esprimono la direzione del secondo si- stema di tangenti, parallele all’altro assintoto LL'. Dal ragionamento che pre- cede si deduce il seguente ! 52.° Teorema XI. Data una iperbola equilatera^ e la direzione di quel suo diametro, che deve passare pei due fuochi di una serie di coniche omo- focali , se vogliasi che la iperbola stessa divenga di tangenza, riguardo alla serie medesima, saranno due soltanto i sistemi di parallele tangenti alle in- dicate coniche, i quali dovranno essere perpendicolari fra loro. Inoltre se quel diametro , continuamente ruotasse intorno al centro comune 0 delle co- niche omofocali , varierà di luogo e di forma la serie di queste. Per tal modo si avrà un illimitato numero di tali serie; però i due sistemi di tan- genti parallele rimarranno sempre fissi, e varierà soltanto Vangelo, che le me- desime fanno col diametro ruotante. Finalmente i fuochi di ciascuna serie di coniche omofocali, si troveranno sempre sugli estremi del diametro che ruota. ^ 53.° Si vede inoltre che ruotando li diametro a'b', la eccentricità delle coniche omofocali varia continumente: sarà essa un minimo, quando eguaglierà il semiasse reale della data iperbola; e se la eccentricità medesima cresca, si troveranno per ciascun suo valore due serie di coniche omofocali, disposte simmetricamente rispetto l’asse reale II' della iperbola proposta KIGK'l'G'. Quando poi la direzione del diametro a'b' si confonda con quella di un assin- toto della stessa iperbola, dovrà la eccentricità medesima divenire infinita. 81 — - • 19. La parabola è un caso distinto delle coniche omofocali (§ 7, 17.°), e le ricerche precedenti per la ellisse ed iperbola , quando si vogliano applicare solo ^ alla parabola , debbono riescire più semplici di quelle , come ora vedremo ; poiché , prima di venire alla terza parte della presente memoria, crediamo utile indicare l’analisi, che serve a raggiungere, per una serie di sole parabole omofocali, la linea di tangenza, spettante a due sistemi di parallele, tangenti rispettivamente alle parabole stesse. Così verremo a con- fermare, quanto già in altra guisa concludemmo (§ 7, 1 7.°) intorno alle stesse ricerche, per un solo sistema di parallele. L’equazione della parabola, riferita ad un sistema di coordinate, coll’ori- gine al suo fuoco, è la seguente (4t) quindi avremo ovvero donde (42) 54.° Questa è la equazione che lega nella parabola, 1’ ascissa del punto di contatto, coll’angolo compreso dalla tangente rispettiva, e daH’asse. Inoltre siccome per ciascun valore di a, esiste un solo valore della x\ così vediamo che alla parabola, è possibile una sola tangente parallela ad una direzione data. Volendo trovare il geometrico luogo dei punti tutti di tangenza , re- lativi ad una serie di parabole omofocali, dobbiamo sostituire il valore della (42) nella (41), ed avremo (48) — 82 — Eliminando p dalle (42) e 43), otterremo la , , y 2cot.a 44 ~ = —2 = tan^.2« , ' ' X cot.^a — 1 ovvero la (45) y = ® tang.2a . Questa equazione rappresenta una retta, che passa per la origine, cioè pel fuoco della parabola, e coincide colla (29). Supponiamo un secondo sistema di parallele, tangenti alle stesse para- bole omofocali , perpendicolare al primo , e che formi coll’asse delle ascisse l’angolo a', sarà cot.a = — tang.a ; quindi per l’attuale secondo sistema di tangenti parallele, avremo dalla (44) la 2cot.a' — 2tang.ct 2cot.« y cot. V — 1 tang.^a — 1 cot.'^a — 1 Ma questa relazione si trova essere identica colla (44) stessa, dunque i punti di tangenza relativi all’ attuale secondo sistema di parallele , si trovano sopra la stessa retta, su cui vedemmo trovarsi quei relativi al primo. 55.” Perciò concludiamo che, data una parabola e due direzioni fìsse, do- vranno essere sempre due le tangenti alla parabola stessa, parallele rispettiva- mente alle medesime direzioni; salvo l’unico caso, in cui delle due direzioni date, una sia parallela all’asse della parabola (§. 17). Dunque in una serie di parabole omofocali, con due sistemi di tangenti parallele, ad angolo retto fra loro, la linea di tangenza consiste nella retta dell’equazione (45). Ogni parabola della serie medesima fornisce solo due punti per la indicata linea; non già quattro, come nel caso medesimo li può fornire ogni curva di una serie di altre coniche omofocali (§ 14, e § 16). Inoltre, uno qualunque di quei due punti, appartiene al primo, l’altro al secondo dei due sistemi di parallele, tangenti alle parabole della serie stesse. Ciò viene dichiarato dalla (fìg. 12), nella quale si vede che ogni parabola della serie, fornisce alla retta GH di tangenza, una sola coppia di punti , e queste coppie per la prima parabola sono R', S'" ; per la seconda R. S"; . . . mentre i punti R', R, . . , appartengono al primo sistema di tan- genti parallele, ed i punti S'", S", S', S, . . , appartengono al secondo sistema, perpendicolare al primo. {Continuerà) — 83 — CORRISPONDENZE La R. Accademia delle scienze di Madrid, per mezzo del suo segretario perpetuo sig. Antonio Aguilar, spedisce in dono i tre volumi in foglio, della pre- ziosa opera , intitolata : / libri della scienza astronomica del Re D. Al- fonso X di Castiglia. Di ciascun volume appartenente a questa opera, splen- didissima per nitidezza tipografica, ed interessantissima per la storia dell’astro- nomia, rese conto l’ illustre nostro corrispondente straniero sig. Le Verrier, nei Comptes Rendus deiraccademia delle scienze dell’L Istituto di Francia; e pel pri- mo volume nella tornata del 3 agosto 1863, pel secondo in quella dell’ 8 fe- braio 1864., e pel terzo nell’altra del 7 novembre 1864. Sarà utile qui ricordare, che il sig. Enrico Narducci, cognito all’accademia nostra per le sue letterarie pubblicazioni, già fece dono alla medesima di una sua nota eruditissima, che ha per titolo a intorno ad una traduzione italiana, fatta nelVanno ìSii (*) )> della indicata opera del Re Alfonso X di Castiglia. La traduzione medesima è testo di lingua, citato dagli accademici della crusca, creduto finora smarrito, e che il sig. Narducci ha ritrovato nella Vaticana. L’accademia stessa, per mezzo del suo segretario perpetuo sig. Aguilar, fece giungere anche altre sue pubblicazioni, registrate nell’elenco delle opere venute in dono, e posto in fine. La R. accademia delle scienze di Danimarca , inviò il programma dei temi, da essa proposti pei corrispondenti concorsi. La R. società delle scienze di Upsala, ringrazia per gli Atti dell’accade- mia nostra, da essa ricevuti, ed invia nel tempo stesso i Nuovi Atti da essa pubblicati. La R. accademia delle scienze di Danimarca, per mezzo del suo segre- tario sig. Forchhammer, ringrazia per gli Atti Lincei da essa ricevuti, ed in- via le sue pubblicazioni. La R. accademia delle scienze del Belgio, per mezzo del suo segretario perpetuo sig. Quetelet, ringrazia per Io stesso motivo, ed invia le sue pub- blicazioni. {*) Roma, Tipografia delle scienze matematiche e fisiche, Via Lata, Num. 211A, 1865. 12 COMITATO SEGRETO Si procedette alla nomina di quattro fra i membri ordinari, per la ri- cortìposizione del nuovo comitato accademico, a forma dello statuto. Dallo squittino segreto, fatto per ischede, risultarono eletti a maggioranza di voti, ed egualmente per ognuno, i signori professori: R. P. Chelini — Cav. G. Ponzi — Cav. V. Diorio — Dott. S. Cadet. Fu stabilito in fine, che il r^pportj^jtgfiy consuntivo del 1865, e sul pre- ventivo del 1866, fosso commissione; composta degli stessi professori, che attualmente^^^iv^o 'éfetti a formia'rtì il nuovo comitato. L’ Accademia riunitasi ad un’ ora pomeridiana , si sciolse dopo due ore di seduta. Soci ordinari presenti a questa sessione. S. Proja. — A. cav. Coppi. — G. cav. Ponzi. — S. Cadet. — E. Rolli. — E. Fiorini. — R. Roncompagni. — B. Tortolini. — P. Volpicelli. — L. Ja- cobini. — P. Sanguinetti. — D. Chelini. — F. Nardi. — P. A. Secchi. — M. cav. Azzarelli. — C. Sereni. — N. comm. Cavalieri S. Bertelo. Pubblicato nel 5 di aprile del 1866. P. V. « OPERE VENUTE IN DONO Memorias . . . Memorie della R. Accademia delle scienze di Madrid. Tomo li; l.“ serie - Scienze esatte - Tomo I - parte 'i.“ Idem . . . Tomo 111; 2.“ serie — Scienze fisiche - Tomo l.° - parte 3." Idem . . . Tomo VI - idem -* Tomo 2.° - parte 1.* Resumen . . . Riassunto degli Atti della Reale Accademia suddetta del 1861-62 del dott. A. Aguilar Y Vele, segretario perpetuo. Madrid, 1863. Libros . .' . Libri del sapere di Astronomia del Re D. Alfonso X di Casti- glia, compilati da D. Emmanuele Rico Y Sinodas. Tomi 3, in foglio; pre- sentati dal prof. P. Volpicelli. — 83 — Discours . . . Discorso pronunciato nel 21 agosto 1863, alla apertura della 49.'”“ sessione della Società' Elvetica di scienze naturali^ riunita in Gi- nevra nel 1864; del prof. A. De La Rive. Un fol. in 8." De la torsion . . . Della torsione dei prismi, eon delle eonsiderazioni sulle loro flessioni; per De Saint-Venant. Parigi 1863; Un voi. in 8.° Mémoire . . . Memoria sulla impulsione trasversale, e la resistenza viva delle basi elastiche, appoggiate alle estremità; del medesimo. Note . . . Nota sulle relazioni, tra i nove coseni degli angoli di due sistemi di tre rette rettangolari; del medesimo. Sur . . . Sopra il numero dei coefficienti ineguali delle foi'mule che danno le componenti delle pressioni nelV interno de' solidi elastici; del medesimo. EtabJissement . . . Determinazione elementare delle formule della torsione dei prismi elastici; del medesimo. Mémoire . . . Memoria sulla influenza ritardatrice della curvatura nelle cor- renti d'acqua; del medesimo. Méthode . . . Metodo per la risoluzione per approssimazioni successive dei pro- blemi a due incognite, stabilite o non stabilite in equazione; del medesimo. De r interpretation . . . Della interpetrazione geometrica delle chiavi alge- briche, e dei determinanti; del medesimo. Note . . . Nota sulla pressione nell' interno dei corpi; del medesimo. Sur . . . Sulla forma da dare all'aratro; del medesimo. Mémoire . . . Memoria sulle contrazioni di un'asta, di cui una estremità ha un movimento obbligatorio , e applicazione allo strofinamento di rotazione sopra un terreno unito ed elastico; del medesimo. Travail . . . Lavoro o potenziale di torsione; del medesimo. De TAménagement . . . Dell' assestamento delle acque pluviali, per miglioiuire il suolo, e per prevenire V inondazione; del medesimo. Mémoire . . . Memoria sulle linee curve non piane; del medesimo. Mémoire . . . Memoria sulla resistenza dei solidi; del medesimo. Mémoire . . . Memoria sulla distribuzione della elasticità; del medesimo. Notice . . . Notizia sopra i lavori e titoli scientifici; del medesimo. Mémoire... Memoria sulla questione di sapere se esistono delle masse continue, e sulla natura probabile delle ultime particelle dei corpi; del medesime. Tables . . . Tavole idrauliche e metodi grafici; del medesimo. Mémoire • . . Memoria sulla flessioìie dei prismi; del medesimo. Note... Nota sulle flessioni considerevoli delle verghe elastiche; del medesimo. Mémoire... Memoria sulla teorica della resistenza dei fluidi; del medesimo. Exposé . . . Lsposizione di un mezzo di defenire, e di nominare i colori ; del E. Chevreul. Parigi 1861. Un volume in 4.° con Atlante; presentata dal prof. Volpiceli!. Mémoire . . • Memoria dei professori amministratori del Museo di storia na- turale^in risposta al rapporto fatto nel 1838 da una Commissione ^ incari- cata di studiare V organizzazione di questo stabilimento. Parigi 1863. Un fase, in 4.“; presentata dal prof. P. Volpicelli. Mémoires . . . Memorie coronate., e Memorie dei scienziati esteri, pubblicate dalV Accademia Reale delle scienze, lettere, e belle arti del Belgio. Tomo XXXII, 1864-63. Mémoire . . . Memorie coronate, ed altre Memorie pubblicate daW Accademia SuDD. Collezióne in 8.° - Tomo XVII. Bulletins . . . Bullettini deW Accademia sud. Anni 3 3.”® e 34.”° - 2." Serie - Tomi 18 e 19. Annuaire . . . Annuario deW Accademia sudd. pel 1863. Sw4i in^rno ai casi d'integrazione sotto forma finita. Memoria di A. Ge- NOccHi. Torino 1^3; un fase, in 8.° Bullettino dell' Associazione nazionale italiana di mutuo soccorso degli SCIENZIATI, LETTERATI. ED ARTISTI. Disp. 14 del 1863 in Napoli. Memorie del R. Istituto Lombardo di scienze, e lettere. (Classe di lettere e scienze morali e politiche). Voi. X.”° - 1." della serie 3.“; fase. 2.“ Rendiconti della Classe sudd.; Voi. II; fase. 2-7. Memorie dell' Istituto medesimo della Classe di Scienze Matematiche, e Na- turali. Voi. X.”° - I della serie 3.“ fase. 2.° *• Rendiconti della Classe sudd. Voi. 2.° - fase. 2-8. Solenni adunanze dell' Istituto sudd. Voi. I - fase. 2.“ Rendiconto dell' Accademia delle scienze fisiche e matematiche di Napoli. Anno IV - fase. 11.”° 1863. Memorie dell' Accademia delle Scienze dell' Istituto di Bologna. Serie 2.“ - Tomo IV - fase. 4." Bullettino Meteorologico del R. Osservatorio di Palermo. Ottobre 1863. Bullettino dell' Osservatorio del Collegio Romano, in corrente. Comptes . . . Conti resi dell' Accademia delle scienze dell' I. Istituto di Francia, in corrente. IMPRIMATUR Fr. Hieronymus Gigli Ord. Pr. S. P. A. Mag. IMPRIMATUR Petrus De Villanova Castellacci Archiep. Petrae Vicesgerens. — 87 — ATTI DELL ACCADEMIA PONTIFICIA DE NUOVI LINCEI SESSIONE III“ DEL 4 FEBBRARO 1866. PBESIDEKZA DEL SIG. COìU. IV. PROF. CAVALIERI SAIV BERTOLO MEMORIE E COMUNICAZIONI OEX SOCI ORDINARI E DEI CORRISPONDENTI Sur l'dge dii traile De Republica de Cicéron, et sur V epoque de Theodor e Méliténiote. Passages de lettres adressées par M. Th. Henri Martin, do- jen de la faculté des lettres de Rennes, à R. Roncompagni, suivis d'une addition de M. Th. Henri Martin à sa note sur V epoque d' Aristide Quin- tilien, et d'un article sur Aristide Quintilien tire des Vite de’Matematici de Bernardino Baldi. SUR L’AGE DU TRAITÉ DE REPUBLICA DE CICÉRON Passage d’une lettre adressée par M. Th. Henei Martin à B. Boncompagni en date de (C Rennes, le 25 avril 1865 )). QUESTION Sue la date de la composition de la République de Cìce'ron, vous me pre'sentez trois assertions dilPerentes, et vous me demandez quelle me paraìt étre la plus exacte. La seule exacte est la première, que voici : Cice'ron a compose' le Dialogue en six livres De Republica dans l’anne'e 54 avant Pere chre'tienne, et non plus tot. Ce qui est douteux, c’est qu’il l’ait aclieve' et publie' avant la fin de cette anne'e. Mais ce dialogue e'tait certainement publie' avant la fm de Pan 52 av. J. C. Sur quelles raisons repose cette assertion ? Les voici. La redaction était com- mence'e par Cice'ron avant la date de la lettre à Quintus son frère, II, 14; cette re'daction e'tait avance'e, mais non acheve'e, a la date de la lettre au méme, III, 5. Or tous les critiques s’accordent a reconnaìtre que la 1''® de ces deux lettres a e'te' e'crite de Cumes en mai de Panne'e marque'e par le consulat de L. Dorai- tius Abenobarbus et d’Appius Claudius Pulcher, et que la 2® de ces deux let- tres a e'te' e'crite de Tusculum en novembre de cette méme anne'e. Ces deux con- suls appartiennent a Panne'e 700 de Rome suivant Vere oarronienne , dans la- quelle la 754® anne'e de Rome est la P® de Pere chre'tienne; ils appartiennent a 1 anne'e 699 de Rome suivant Vere catonienne, dans laquelle la 753® anne’e de Rome est la C® de notre ère. Ils appartiennent donc a Panne'e 54 avant notre ère, corn- arne Baiter et Orelli Pont bien vu. 13 — 88 — Cependant, si, dans la 2® edition des ceavres complètes de Cicéron en latin et eii fraagais, publie'e en 35 volumes in-is (Paris, 1827) par le savant M. J. V. Le Clerc, on consulte (t. i, i*'" partie, p. 414) le Tableau Chronologique de la vie et des oiivrages de Cicéron, on volt que la composition du traite' De Re- pablica y est bien placée sous les deux consuls nomme's ci-dessus,mais que rannée de ces deux consuls est marquee 699 de Rome (sans distinction des deux ères de Rome), et 55 avaiit Jésus-Christ. Dans ce Tableau Chronologique , toutes les datcs avant J. C, sont ainsi recule'es d’un année, parceque les dates de Rome, qui y sont catoniennes, y sont calcule'es cornine si elles etaient varroniennes . Cette erreur a e'te' empruntee par M. J. V. Le Clerc a Fr. Fabricius, M. T. Ciceronis historia (Cologne, 1563), qu’il de'clare avoir suivi dans tout ce Tableau. Dans ma dernière lettre, j’avais cru pouvoir me ller, pour la date de la com- position du traile' De Republica, au Tableau historique de M. J. V. Le Clerc. C’est Baiter et Orelli qu’il faut suivre. Seulement, je le lépète, il n’est pas sùr que le dialogue De Republica ait e'te' aclieve' et publie' avant la fin de Fan 54. La plus ancienne Lettre où il soit mentionne' comme publie' est line lettre J Atticus, V, 12, qui est de Fan 51. Mais il est mentionne aussi dans le traile' De Legibus, qui est de Fan 52 av. J. C. Il a e'te' publie' certainement avant la fin de Fan 52. 2-= QUESTION Pour elFacer le faux soupgon d’interpolation dirige' par Aristide Quintilien contee un passage aujourd’hui perdu du dialogue de Cice'ron Republica, le Car- dinal Mai a imagine' une explication qui est très ingénieuse , mais que je ne crois pas vraie (*). Si Aristide Quintilien avait voulu dire seulement que le juge- ment trop se'vère pronunce' cohlre la musique dans le Dialogue de Cice'ron De Republica n’e'tait pas Fexpression de Fopinion de Cice'ron lui— méme , mais de {*] L* explication ci-dessus mentionnée se trouve dans le passage siiivant de l’édition intitulée « M. TVLLI CICERO-MS 1! DE RE PVBLICA || QVAE SVPERSVNT 1| SDENTE \\ ANGELO MAIO H VATICANAE )ì BIBLIOTHECAE PRAEFECTO. H ROMAE |1 IN COLLEGIO VRBANO APVD BVRLIAEVM H M.DCCC.XXII D (page 293, lig. 26—31; page 294, lig. 2—22): « {*) Es Aristidis Quintiliani, quem ad- » scripsimus, tradii constat quandam e personls librorum Tullii de a rep. (et quidem huius quarti liliri in quo de theatro et de moribus) 1) repreherdisse musicam , quae aniraos delectatione corrumperet. » Hanc criminationem Arislides musicae defensor ita refellit, iit di- I cat eam fieri quidem ab homine apud Tullium Joquente, sed ta- li men eandem ab audoris ipsius mente alienam esse. Probat autem s non esse propriam Tullii sententiam. quia ipse orator miris mu- li sicaiii laudibus in Roscio extulerit, idemque eam uel inde a Nu- li mae aetate sacris atque conuiuiis adhibitam raemorauerit. Quod t siquis , inquit Aristides , obiiciat , a Tullio musicam in Roscio » oratorie et prò causidici officio, non ex animi sententia laudatam » uideri; retorquendum sibi argumentum ait, ut nempe in libris de » rep. non ex animi sui sententia Tullius, sed prò loquente persona » et dialogorum ritu, musicae maledixerit. Ncque enim uel ipsam. » rhetoricam propter litigantes fabulas uituperauerit. » lam Aristidis hic locus quum mihi luce meridiana clarior ui- » deatur, nescio quas tamen uiro doctissimo olFudit tenebras Marco » Meibomio not. ad Aristid, ( adstipulantc Fabricio bibl. lat. in II eie. de rep.) qui alitar intellcxit Aristidis uerba; neque ab eo re- » prehensam dialogi personam , uel auctoris inconstantiam , agno- > uit; sed sic loqui Aristidem dixit, quia is interpolatum Ciceronem a aliena manu, intrusamque in opus sententiam existimauerit. Sci- » licetad uerbaàyàp sycoy’av yai'rjv, Ezst'vw etpjjo’^'Ktecommenta- » tur seu potius hallucinatur Meibomius sic: locus renerà notabi- a lis,qtiod iam ab onmi saeculo oplimorum auctorum scripta a 4 a sciolis et improbis liominibus interpolari consueuerint. a — 89 — celle d’un personnage mis en scène , Aristide Quintilien , pour étre compris , aurait dù s’exprimer tout autrement qii’il ne la fait. Supposons, par exemple, que dans l’ouvrage de Cicèron ce jiigement sevère fùt rais dans la bouclie du stoicien Tube'ron, l’un des interlocuteurs. Aristide Quintilien aurait dù dire et au- rait dit : « Voila ce qui a e'chappè a bien des gens et entre autres à Tubéron qui prononce lés paroles dites contre la musique dans 1’ ouvrage du romain Cice'ron Sur la République', car, pour raoi, je ne dirai pas que de telles paroles expriment l' opinion de Cicéron lui—méme. » ùlais, bien loin de tenie ce lan- gage, Aristide Quintilien (p. 69-70 de Meibonius) s’exprime ainsi: «”Omp mUcCg T£ yJJ.c-jg ’zIolBi, xset Tcv h rag Kr/.épcùvcg Tcu poìp-xicv IIoÀt-txoTc rà -/arà pLCvaiv^g pnQvJxa. [7:ape,u^cS/ri-/.cTa]- cù yào sywy ov (patriV gxsiVto za zoiavza upmdai- » Je traduis litte'ra- lement: « Voila ce qui a e'chappè a bien des gens et entre autres d celia qui [^^ interpolé^ les paroles dites contre la musique dans l’ouvrage du romain Ci- cèron Sur la République. Car, pour raoi je ne dirai pas que de telles paroles aient été dites par Cicéron. » Malheureusement, suivant la remarque de Meibonius (p. 287), un mot manque dans le texte grec : je l’ai supplèè entre crochets dans le texte et dans la tra- duction littèrale. Examinons d’abord le sens de la dernière phrase : nous y trou- verons la clè de la difìGcultè causèe dans la première par la petite lacune, et la justification de la manière dont elle a ètè corablèe. Quelle est la pensée d’xùristide Quintilien dans les derniers raots soulignès ? Cicèron n’ètait pas un des personnages du Dialogue Sur la République. 11 ètait donc trop èvident pour qu’il fùt besoin de le dire, que Cicèron n’avait pas dit comme interlocuteur les paroles contre la musique : il ne pouvait que les avoir dites comme auteur, c’est-a-dire les avoir écrites. C’est donc la ce qu’ Aristide Quintilien a voulu nier. S’il n’avait pas eu cette intention, il n’aurait pas pu s’exprimer ainsi , sans ajouter au moins quelques mots explicatifs ; par exemple, il aurait pu rendre ainsi sa pensee : « Car, pour moi, je ne dirai pas que de telles paroles aient ètè dites par Cicèron lui—méme en son propre nom. )> Mais il n’y a mille restriction de ce genre dans la nègation brève et absolue d’Aristide Quintilien, qui ne veut pas que ces paroles contre la musique soient de Cicèron. De qui sont— elles, suivant— lui ? De quelqu’un qu’il ne nomme pas, èvidemment parcequ’il ne le connait pas. Au contraire , le personnage par qui ces paroles ètaient prononcèes dans le dialogue ètait connu de tous les lecteurs. Si Aristide Quintilien avait voulu dire qu’ elles fussent de ce personnage , par exemple du stoicien Tube'ron, il aurait noininè Tubéron , au lieu de dire va- guement celiti. Mais cette expression vague est tonte naturelle, parcequ’il s’agit d’un interpolateur supposé et inconnu. Meibomius a donc eu raison de dire que le verbe mamjuant, qu’il faut supplèer dans la première des deux pbrases citèes, est : Ttapzp.StSlrr/.óza, qui a interpolé. Meibomius a donc eu raison de coraprendre qu’Aristide Quintilien ne veut pas croire que Cicèron puisse étre l’auteur d’un passage dans lequel la musique est improuvèe. Aristide Quintilien est donc dune epoque où le dialogue De Republica, compose par Cicèron en 1’ annèe 54 av. J. C. et publiè au plus tot a la fin de cette annèe, ètait en circulation depuis assez longteraps, pour que le soup^on d’interpolations pùt se prèsenter a l’esprit. — 90 — SUR L’ ÉPOQUE DE THÉODORE MÉLITÉNIOTE Passage d’une lettre adressée par M. Th. Henri Martin à B. BoNCOMPAGNi, en date de « Rennes, le 20 juin 1865 ». F abricius (i) n’a connu aucun teraoignage sur 1’ epoque de Tlieodore Me'lite- niote. Il soiipconne que l’e'poque de cet ecrivain n’est pas très e'ioignee de celle de Tarchidiacre Constantìn Mélite'niote, mort en exil après l’an 1284 (2). C’est d’a- près cette conjecture qu’il place Tlieodore Meliteniote vers Van 1300. Schoell (3) le place au XI siede, sans dire ses motifs; mais nous verrons qu’il se trom- pe. Je n’ai pas pu consulter ce qu’ Ismael BoulliaU a dit de Tlieodore Melìte- niote a la fin de son édition du petit ouvrage pliilosopliique de Claude Ptole^ mee (4). Mais Fabricius et Sclioell, qui Font consulte', ne paraissent y avoir trouve aucun renseignement sur l’e'poque de Tlie'odore Meliteniote, et je n’ai pu en de'- couvrir ailleurs aucun, si ce n’ est dans le court fragment qu’ Ismael Boulliau et après lui Fabricius ont publie' de la Composition astronomique de ce matlie'- maticien byzantin. J’y vois (5) qu’il e'tait grand sacellaire et docteiir des do- cteiirs de la. Grande Eglise de Constantinople ; il e'tait par conséquent ante'- rieur a l’an 1453, date de la cliute de l’empire clire'tien d’Orient. D’ un autre cote', j’y vois (e) que dans le troisième et dernier livre de sa Composition astro- nomique il a donne' des calculs des Tables manuelles persiques. Or ces Ta~ bles persiques avaient e'tè introduites pour la première fois dans l’empire d’O- rient par le matlie'maticien George Cliioniadès, qui, e'ie've' a Constantinople, avait voyage en Perse pour des reclierclies astronomiques, sous les auspices et la pro- tection du grand Comnène, et avait re'ussi, malgrè la jalousie des Perses, a rappor- ter d Trébizonde ces Tables persiques, qu’il avait traduites en grec , suivant ce que George Clirysococca, me'decin, matlie'maticien et pliilologue byzantin, qui (1) Bibliotheca grcBca, t. X, p. 400 (éd. Harles). (2) Biblioth. gr., t. X, p. 400, nota a. (3) Hist. de la littérature grecque, t. 7, p. 65. (4) Ilept '/.piTrìptCU Hai ■flye|U.ovr/o'!>, éd. grecque-latine (Paris, 1663, in-4?), àia fin de laquelle se trouve line édition grecque-latine de 1’ Introduction et du chapitre ler du ler livre de V Astronomie de Théodore Méliténiote. (5) Biblioth. gr. de Fabricius, t. X, p. 407 (éd. Harles). (6) Méme page. — 91 — florissait yers 1336 ou 1346 (i), rapporte dans son Interprétation inedite de la Composition astronomique des Perses, interprétation citée par Boiilliau (2). Or Boullìau (3) pense, aree raison^ que Comnène le grand, protecteur de George Chioniadès, est Alexis Comnène le grand , qui , en 1204 , fonda 1’ empire de Tre'bizonde. Théodore Méliténiote, qui mit en oeuvre les Tables persiques ap- portées par Chioniadès , est dono postérieur a 1’ an 1204. Son epoque est douQ comprise entre l’an 1204 et l’an 1453. Cette epoque pourrait étre renferraée en des plus étroites limites , si George Chrysococca , dont 1’ epoque est connue , avait cité Théodore Méliténiote, ou hien avait été cité par lui. Mais, puisque vous vous étes assuré que, dans leurs deux ouvrages astronomiques, ni run ni Tautre de ces deux auteurs n’a cité l’autre, je ne connais aucun moyen d’ ar- ri ver a line détermination plus précise de l’époque de Théodore Méliténiote. (1) Voyez Leon Allacci , JJe Georgiis , § XLVI, dans Fabricius , Biblioth. gr. , t. XII , p. 54 — 56 (éd. Harles). C’est à tori que Weidler (Hist. astronomice, IX, 3, p. 226) place George Chrysococca au XV® siede, et que Fabricius (Biblioth. gr., t. I, p. 406, éd. Harles) le fait ami de Théodore Gaza. Le Chry- .sococcas ami de Théodore Gaza et de Philelphe au milieu du XVe siede ( Voyez Allacci dans Fabricius, t. XII, p. 56 — 57, éd. Harles) ne peut pas étre le mème que George Chrysococca, qui écrivait un com- inentaire sur Homère en 1336. (2) Astronomia philolaìca, p. 212 (Paris, 1645). (3) Mème ouvrage, p. 213. P. S. Je saisis l’occasion de compléter et de rectifier ma Notice sur la vie et les mtvres de Claude IHolémee. I. Les lignes 5 — 13 de la page 13 de cette Notice doivent étre remplacées par la rédaction suiyante. Quant aux Harmoniques en trois livres, la place de la composition de cet ouvrage dans la vie de Ptolémée est fixée par plusieurs Scolies grecques, dont une a été publiée par Wallis (1) et les aiitres par Montfaucon (1*). De la comparaison de ces documents, il résulte que dans les anciens manuscrits, le HI® livre des harmoniques s’arrètait à la fin du chapitre 13, et que, d’après la tradition, la mori avait surpris Tauteur à ce point de son oeuvre, mais que Nicéphore Grégoras, en donnant une nou- velle récension du teste, avait rédigé les chapitres 14, 15 et 16, pour compléter l’ouvrage. En effet, l.° dans (I^) BMiothtca Coitliniana (FarìsiiB, 1715, in-l.»), codlces VLXXII, CLXmi et CLXXIV, p. 257, 52S et 229. II. Dans la suite de ce passage, au lieu de lire : « le Scoliaste )>, lisez partout « les Scoliastes ». IH. La note 5® et dernière, p. 14, doit étre modifiée ainsi : (5) Violarium (’lwvia), Anecdota grceca de Villoison, t. 1, p. 336 (Venise, 1781, in-4?). lei, com- me souvent, Eudocie a copie. Suidas mot à mot. Elle vivait au XI® siècle , et elle a composé entre 1067 et 1071 son Violarium, dédié à son second mari l’empereur Romain Diogene. Suidas avait écrit son Lexique dans la 2® moitié du X® siècle, cornine M. Bernhardy l’a prouvé dans son édition, t. 2, p, XXVIII— XXX (Halle et Braunschweig, 1853, in-4.°). — 92 — ADDITION DE M. TH. HENRI MARTIN A SA NOTE SUR L’ÉPOQUE D’ARISTIDE QUINTILIEN INSERÉE DANS LES ATTI DELL'ACCADEMIA PONTIFICIA DE'NUOVI LINCEI, (tome XVIII. ANNÉE XVIII. SÉANCE DU 11 JUIN 1865). Passage d’une lettre adressée par M. Th. Henri Martin à B. Boncompagni , en date de « Rennes, le 17 noveaibre 1865. y> Dans ma Note sur X Epoque d'Aristide Quintilien, j’ai montre que cet e'cri- vain grec sur la musique a vecu non seulement après T epoque de la publi- cation de la République de Cìce'ron, mais assez longtemps après cette publi- cation et après la mort de l’auteur, pour que , par un motif dont j’ai mon- trè d’ailleurs la faussete', il ait pu suspecter d’interpolation un passage de cet ouvrage. L’an 44 avantnotre ère, date de la mort de Cice'ron, est donc un maximum d'antiquité auquel l’èpoque de la re'daction du traile' musical d’Aristide Quintilien doit étre postèrieure d’un demi— siècle au moins,et j’oserai méme dire d’un siècle.Les deux noms, l’un grec, l’autre latin^ de cet auteur cre'ent une pre'somption de plus en faveur de cette poste'riorite', comme je l’ai montre aussi dans la note cite'e. Mais de combien de temps Aristide Quintilien est— il poste'rieur au milieu du premier siècle de notre ère ? Je l’ignore. Vous me faites remarquer que Marc Meybaum (i) ou Meiboraius et Bernardin Baldi pre'tendent le savoir. L’un de'clare qu’Aristide Quintilien est de la fin du I" siècle, l’autre le met au V® siècle: . . . (Uterque) Quod mecum ignorai solus vult scire videri. Vous me demandez d’examiner leurs assertions contraires et les raisons sur les- quelles ils les appuient. C’est ce que je vais faire, en commencant par Meibomius. I. De ce fait, qu’Aristide Quintilien (2) n’a temi aucun compie de la modifica- tion apportèe a la tbe'orie des tons 011 modes musicaux par Ptole'mèe dans ses Harmoniques (3), Marc Meybaum (4) a prètendu conclure qu’Aristide Quintilien avait ècrit son traile' avant Ptole'ine'e, et il a cru pouvoìr le piacer vers l’èpo- que de Plutarque, c’est a dire vers la fin du i®’’ siècle de notre ère. Je ne vois rieri, dans l’ouvrage d’Aristide Quintilien, qui soit inconciliable avec cette e'po- que; mais rieri ne prouve, suivant moi, qu’il n’ait pas vècu beaucoup plus tard. (1) La famille allemande des Meybaum a produit au XV!® siècle et au XVI|e . XI et sniv., et M- Moria, Etudes sur Symmaque, p. 3 — 4 et 77 — 79 (Paris, 1847, in-8”) (3) Il n’est mème nommé que la quatrième dans Macrobe, Saturn. I, 1, § 4, t. 2, p.9(Janiis). (4) Voyez Macrobe, Saturn., V, 1, § 7, t. 2, p. 384 (Janus). (5) Voyez Macrobe, Saturn., I, 17, § 1, p. 144; I, 7, § 17, p. 50 (Janus). Comparez Janus, Prsef., c. II, t. 1, p. XXII. (6) Sat., I, 2, § 7, t. 2, p. 13; I, 6, § 2, p. 36; I, 24, § 14, p. 211 (Janus). (7) M. Janus, Praef., c. II, t. 1, p. XXX. (8) Voyez Eunape, Vie des Sophistes, p. 161 (Commelin). (9) Outre Eunape, voyez Fabricius, Biblioth. gr., t. 4, p. 486, vet. ed. (t. 6, p. 137, Harles). (10) Saturn., VII, 10, § 1, t. 2, p. 606 (Janus). (11) Artide Eusebius dans la Real-Encyclopédie- „ (12) Voyez Ammien Marcellin,XIV,7,§18, t. l,p.23,et XIV, 9, §5, p. 28, de Wagner Leipzig, 1808,8. (13) Voyez les variantes et les notes de l’édition de Wagner. — 96 — personnagc du dialogue de Macrobe, et d’uu Florentius, personnage consulaire, (jui vivaient tous deux, suivant Baldi , sous Tlie'odose II et Valentinìen III re- gnant simultanement, c’est-a-dire entre 424 et 450. Or nous troùvons Lien, dans ces limites de temps, en 429, un Florentius consul avec Dionysius ou Dynamius en Orient; mais nous venons de voir qu’Eusebius, personnage mis en scène par Macrobe, prend pari, avec Praetextatus mort en 387, a un dialogue fictif dont Fèpoque suppose'e doit étre méme ante'rieure a Fan 365, et qu’a cette epoque, suivant Macrobe, Eusebius touchait a la vieillesse. Macrobe n’ aurait pas ima- gine ce trait pour le plaisir de conunettre un anachronisme inutile. Le rappro- cliement chronologique e'tabli par Baldi entre cet Eusebius et le consul Floren- lius de Fan 429 est donc iraaginaire et impossible , et Aristide Quintilien n’ a pas pu avoir a la fois pour camarades (srxìpoi) deux personnages dont l’un e'tait vieux une soixantaine d’anne'es avant Fe'poque où Fautre devenait consul. Il est vrai que Baldi aurait pu trouver un autre Florentius, consul en orient en 361, landis que Taurus e'tait consul en occident. Ce Florentius a dù étre contemporain de l’Eusebius de Macrobe, c’est-'a-dire du rhe'teur Eusebius d’Alexandrie, comme aussi d’un autre Eusebius, de Flavius Eusebius, consul en 359. Les Eusebius ne manquent pas: Fabricìus (i) en compte plus de soixante, parmi lesquels, outre le rhéteur Eusebius d’ Alexandrie au IV® siede, nous remarquons en ce méme siede le sopii iste Eusebius Arabius, le sopbiste Eusebius de Myndes, et le poète bistorien Eusebius le scolastique. Les Florentius sont plus rares. Cependant les Fastes consulaires nous pre'sentent, en trois sièdes diflérents, trois Florentius consuls, en 36i, en 429 et en 515. Pourquoi, avant ou après la seconde moitié du IV® siede ou la première moitié du V®, n’aurait-il pas existé, dans une condi- tion plus humble, un Floi'entius ami d’Aristide Quintilien? Je ne vois donc au- cune raison d’identifier l’Eusebius d’Aristide Quintilien avec celui de Macrobe, et le Florentius d’Aristide Quintilien avec un Florentius consul en 429, ou en 361. Je vois méme une bonne raison de repousser cette identifìcation comme in- vraisemblable. Car il faut remarquer que Baldi fausse le sens du texte sur le- qnel il s’appuie, quand il prétend qu’ Aristide Quintilien dédie son oeuvre a ses deux amis ou patrons Eusebius et Florentius. Aristide Quintilien ne désigne nullement Eusebius et Florentius comme ses patrons {itpcijxaxai), ni méme corame ses ainis (o^'iloi) : il les appelle ses chers camarades (hadpoi) , expression qu’il n’emploierait certainement pas a Fégard d’iiommes placés beaucoup au-dessus de lui. Pour qu’ Aristide Quintilien traitàt de cher camarade le personnage con- sulaire Florentius, il faudrait qu’Aristide Quintilien, connu de nous uniqueraent comme ccrivain grec sur la musique , eut été en méme temps un grand per- sonnage dans l’Etat: ce que rien ne nous engagé a supposer. Aristide Quintilien , avec ses deux camarades inconnus de nous Eusebius et Horentins, reste donc pour nous un écrivain d’époque incertaine, duquel nous pouvons diie seulement qu’il a vécu depuis et non avant F ère cbrétienne, et j)roba])lcment après le premier siècle de cette ère, ou du moins après la pre- mière moitié de ce siècle; car, s’il avait été plus rapproché de Fe'poque de Ci- céron, il n’aurait j)as eu la malheureuse tentatioii de considérer comme interpolé un passage où Cicéron, dans une partie aujourd’bui perdile de son dialogue sur la UépuhUque, jugeait sévèreraent la musique ou plutót Fabus qu’on en faisait. (I) Bibliolheca grceca, t. VI, p. 105, et suiv., vet. ed. (t. 7, p. 409, et suiv., Harles). ARTICLE SUR ARISTIDE QUINTILIEN DES FITE DE MATEMATICI OrVRAGE I1>ÉDIT DE BERNARDINO BALDI CITÉ CI-DESSUS (page 94, lig. 2) {'), ARISTIDE QVINTILIANO Dal numero di coloro che hanno da dolersi o de la fortuna, o del ingratitu- foi- 333 dine degli historici è senza dubbio Aristide Quintiliano poiché essSdo egli stato IVIusico de suoi tempi eccellétissimo come si raccoglie dal opera lasciatane da lui ninno u’è stato che ne hahbia negli scritti suoi fatto ch’io mi sappia una minima memoria, Appare ch’egli fosse Greco se si mira a la lingua ne la quale egli Sdisse , ma se io ho da dir il parer mio stimo eh’ egli fosse Latino ma che scriuesse Greco si come ne tempi antichi fecero molti commemorati da Plinio ne cataloghi de gli autori da quali egli prese i suoi libri e da altri ancora, anzi mi persuado ch’egli appartenesse qualche cosa a Fabio Quintiliano il grande Ora- tore cioè ch’egli fosse dela stessa famiglia e che Aristide fosse il suo nome pro- prio, e Quintiliano quello dela famiglia. Può anco essere che | egli fosse Greco foi. 333 di natione o Asiatico, e gli fosse p fauore dato il cognome dela famiglia de Quintiliani come fu dato a Giosefiè quello de Flauuii {sic), ma tutto ciò è p uia di discorsi p essere Aristide nome Greco e Quintiliano cognome Latino , Circa il tempo nel quale egli fiorisse, nò s’ha certezza nòdimeno io m’assicuro di tro- uarlo al di presso , Fa egli métione di Cicerone dùque è piu moderno di lui dedica e manda il suo libro a due amici 0 patroni suoi Eusebio, e Fiorendo, d’Eusebio hassene métione in Macrohio come di suo còtemporaueo, et intende- te dele cose Greche ma còtemporaueo di Macrohio , era Aurelio Simmaco il q.*® è uno de gli introdotti da lui nel còuito di Pretestato, et anco Albino Cecin- na, dunque erano nini in un tempo Macrohio, Eusebio , Simmaco , e Cecinna, ma di l’iorenzio ancora habhiamo che intorno a detti tempi egli fu còsole cò (*) Cet article se trouve ccrit de la main méme de Bernardino Baldi, dans un manuscrit actuei- lement possédé par B. Boncompagni, coté 154 (fcuillets numérotés 333— 337), et décrit dans le cata- logne intifulé (C catalogo 11 DI manoscritti \\0RA posseduti WiìS D. BALDASSARRE boncompagni II )) compilato II da ENRICO NARDUCCI H ROMA || TIPOGRAFIA DELLE SCIENZE MATEMATICHE E FISICHE jj >) Via Lata N.“ 211. A. || 1862 » (pag. 61, lig. 22—38; pag. 62, lig. 1—41). 4M» — 100 — gua e fatta coramune. E Aristide Platonico in tutto e Pitagorico e mn«?tra di ìiauer ueduto Aristotile, De Poeti lia per le mani Homero, et allega alcune uolte Hesiodo. Nel allegar gli altri autori a nome è assai scarso poiché gianiai non fa métione di Aristosseno, di Tolomeo ne d’altri Musici piu antichi di lui ma se la passa cò dire , gli antichi sSza discendere a particolare. Mostra di essere stato huomo che habbia hauuto gradiss.® cognitione di tutte le cose poiché di tutte parla assolutissimaméte e quello in che egli merita lode è che procedédo metodicamente nò u’ inserisce cosa nò appartenete al negotio di cui egli s’ ha preso à trattare. Altro di lui nò trono se nò quello che da lui med° s’è pieso, flora s’egli uisse ne tempi che dicenamo fiori egli da quattrocéto quaràta anni dopo l’humaiia salute. A di 21 Dicébro t.^95 — 101 — Soluzione di un problema di geometria analitica, dalla quale si deduce una note- vole proprietà dell' iperbola apolloniana. Nota del prof. Cavalieri San Bertolo. 1. Essendo due rette AX , AZ , concorrenti nel punto A sotto un angolo dato, le quali sieno segate da una terza linea RS, che con esse comprenda un triangolo AGQ , del quale 1’ area sia : intendendo diviso il lato CQ per metà nel punto P, e condotta da questo al vertice A la linea AP, e preso su questa il punto N , in cui la stessa AP venga divisa in modo che il segmento NP all’intera linea AP sia nel rapporto di 1 ad li : si propone di determinare il luogo geometrico del punto N in tutte le possibili posizioni della linea RS, per le quali il valore dell’area triangolare si mantenga costante. 2. Si conducano dai punti C, N, P le perpendicolari GB, NM, PH alla linea AZ ; e chiamate x , j/ le e quindi AB BG 2% tang.w (/i— l)tang.w Progredendo innanzi nella ricerca si trova ìix 2 /il/ BH = AH — AB 1 {Il — l)tang.c 15 102 — h — 1\ tang.co/ ’ e riducendo AQ=^ 0=-^ fi— 1' taiig.ui Sarà pertanto l’area del triangolo ACQ, espressa da AQ X BC li 2 "“/i — e siccome per condizione fondamentale, mantenendosi costanti l’angolo w , ed il rapporto di ì : h, il valore dell’area medesirna deve mantenersi costante- niente uguale a K^; così la risoluzione del problema sarà data dalla equazione la quale determinerà il luogo geometrico del punto N, dividente in due parti nel prestabilito rapporto di 1 : /i la linea AP , dentro ciascuno dell’ infinito numero dei triangoli , che possono essere formati fra le due linee AX, AZ ; dei quali ognuno, indistintamente dagli altri, abbia 1’ area uguale a K^. Tale equazione, ordinata per la variabile si riduce alla seguente forma Coll’applicazione dei ben noti criteri della teoria delle curve di second’ordine si può agevolmente rendere palese, che la curva, a cui tale equazione appar- tiene, è una iperbola apolloniana. 3. Se vogliasi speditamente scuoprire come la curva sia geometrica- mente costituita fra le due linee AX , AZ , e quali sieno i valori dei suoi semiassi, il maggiore a ed il minore è, basta ricorrere ad un semplice cam- biamento di coordinate, colla sostituzione dei due assi obliqui AZ , AX ai presupposti due assi ortogonali, conservando l’origine nel punto A. Chiamata u la nuova ascissa AV,^ e 2 la nuova ordinata NV, converrà sostituire, nella — xyìaiìg.oì •+■ {h — l)^K^tang.w — 103 — già trovata equazione alle variabili Xy eà ij i risultanti valori dell’una e del- r altra espressi per le due nuove variabili Uy e z; quali sono x = u-{- z cos.w ^ y=iz sen.d) : e si giugnerà speditamente alla equazione trasformata* (/i— 1)2K2 la quale è evidentemente l’equazione di una iperbola fra gli asintoti AZ, AX, e di cui i semiassi a, à, possono essere determinati mediante le due equazioni h tang.w a^-4-6^ ih — a 2 ’ 2/i^sen.o) Da queste infatti si ricava {h—ì)K — 1)K[/'(1 H-cos.^) j ^ (fi— 1)K\/(*'“’^'¥) _ (fe — l)K|/-(sen.M) h cos.w) ’ 4. Dai testé dedotti valori dei semiassi a, à, dipendenti dall’area del triangolo CAQ, può essere inversamente ricavato quello dell’area K^, dipen- dente dai due semiassi. In fatti ad una occhiata si scorge che laonde si ottiene ab (/l— 1)2R2 /l2 R2 {h-iy ab y Ed è codesto ultimo risultato delle istituite ricerche, che racchiude la mani- festazione di una notevole proprietà dell’iperbola, la quale si traduce nel seguente teorema. Se dal centro A dell’ iperbola sia condotta la retta AB a qualsivoglia — 104 — ^ punto B della curva, e la stessa retta sia prodotta sino al punto P in guisa che sia il prolunga- mento BP uguale alla (h — 1 )""* parte di AB; e pel punto P sia ti- rata la QC fino a raggiungere i due asintoti AX, AZ, in guisa che i R due segmenti PC, e PQ della in- terrotta QC sieno fra loro uguali; l’area del triangolo CAQ avrà un valore costante, che sarà 5. Se dalla generalità delle Z ricavate forinole si discenda ad un caso particolare , supponendo che sia h = 3 , sarà il punto N per tale supposizione il centro di gravità del triangolo , che da principio fu preso a considerare , e le equazioni allora ottenute (2, 3), apparterranno a quella iperbola , che costituisce il luogo geometrico dei centri di gravità del trian- dato angolo w, conservandosi costante il valore della feua area. E la scam- bievole dipendenza della stessa area, e dei due semiassi a, e b dell’iperbola, generalmente già determinata (4), addiverrà nella stessa particolare applicazione gelo, che ha per lati i due semiassi dell’ iperbola , più la quarta parte della superfìcie dello stesso rettangolo. * 6. Ma ritornando a quella essenziale proprietà dell’ iperbola , che si venne indirettamente a conoscere colla soluzione del preannunciato problema, merita di essere avvertito , che quantunque non si trovi esplicitamente no- tata da Apollonio nel classico suo trattato delle sezioni coniche , tuttavia essa non è se non che un immediato corollario di due proposizioni da esso dimostrate; delle quali una si è la terza del secondo libro, l’altra è la qua- dragesima terza del libro terzo della già menzionata insigne sua opera. gole, nelle infìnite sue trasformazioni fra le due linee , che comprendono il vale a dire la superfìcie del triangolo uguale al doppio di quella del rettan- Nella prima delle menzionate proposizioni era dimostrato che , nel punto C di contatto di una retta VZ coll’iperbola SOT, è divisa per metà quella parte RE della stessa retta , che è intercetta fra gli asintoti AX, AY. Nella seconda è de! pari geo- metricamente provato ; che 1’ area del triangolo ARE racchiusa fra gli asintoti, e la parte RE ad essi intercetta, delia tangente all’ iper- bola nel punto C, è costantemente uguale a quella del triangolo AMN racchiuso parimenti fra gli asintoti, e la tangente NM alla curva nel vertice 0: che è quanto dire uguale all’area del rettangolo fatto coi due semiassi a, e h dell’ iperbola. 7. Le dimostrazioni di codesti due interessanti teoremi , dall’ antico geometra di Perga erano state rintracciate col metodo puramente sintetico ; il solo che in quell’ età fosse conosciuto ed applicato dai sapienti in ogni ramo di matematiche investigazioni , ed al quale la scienza va tuttavia de- bitrice del primordiale suo ammirabile ordinamento, e, per molti secoli suc- cessivi, dei suoi felici progressi , e di molti splendidi trionfi : e con metodo non diverso furono altresì replicate in epoche meno remote, Ano a non più di due secoli addietro , da geometri di alta celebrità , fra i quali segnata- mente primeggiano il marchese Guglielmo Francesco Antonio de Lhópital , e r abate don Guido Grandi, nelle applauditissine loro opere intorno alle se- zioni coniche. 11 ripeterle in oggi con quei possenti soccorsi, che sono som- ministrati alla scienza dai moderni procedimenti dell’applicazione dell’algebra alla geometria, non richiederebbe se non che l’impiego di sì semplici e no- tori artifici, che non esigono e non meriterebbero di essere qui sviluppati. 8. Ma comunque o sinteticamente, o analiticamente possa essere convalidata la certezza dei due rammemorati apolloniani teoremi; il farne discendere, come immediato corollario, la dimostrazione sintetica di quella proprietà dell’ iper- bola, fattasi spontaneamente palese nello svolgimento della soluzione del pro- blema , che costituiva 1’ obbietto prestabilito delle presenti disquisizioni , di- — 106 — pende da così ovvii e semplici ragionamenti, che sarebbe insana temerità il pensare che potessero essere sfuggiti al penetrantissimo acume del venerando autore dei libri conici. E più ragionevole sembra il credere , che da Apollonio non siasi curato di rimarcare espressamente quella ulteriore pro- prietà dall’iperbola, a cni si è stati condotti naturalmeute incontro dalle ri- cerche , le quali hanno data materia a questa breve nota , appunto perchè talmente spontanea discendeva dalle premesse proposizioni , da non potersi dubitare che non potesse non essere avvertita da chiunque di quelle due premesse proposizioni avesse ben gustato il nesso , e studiosamente consi- derate le possibili illazioni. ►9. Quali erano in fatti le considerazioni ed i ragionamenti , di cui era d’ uopo per dedurre dalle due proprietà dell’ iperbole , rese note dalle due citate proposizioui di Apollonio, quella che oggi si è veduta scaturire spon- tanea della risoluzione del problema , che ha costituito 1’ obbietto di questa breve geometrica esercitazione ?... Al punto C dell’ iperbola è condotta dal cenrro A la linea AG, ed è questa protratta fino al punto K , talmente che l’intera risultante AK sia alla protrazione CK nel rapporto di h : ì. Ora condotta nel punto G la tangente VZ alla curva, la prima delle due ramme- morate proposizioni di Apollonio, rende noto che della tangente VZ la por- zione ER , intercetta fra i due asintoti , è divisa per metà nel punto G del contatto. Gonseguentemente la linea PQ , condotta fra i due asintoti pel punto K , parallela alla tangente VZ , sarà anch’ essa divisa per metà nel punto K: ed i due triangoli APQ , ARE saranno simili l’uno all’altro. E poiché sono pure fra loro simili i triangoli AKP , ed AGR ; e parimenti fra loro simili gli altri due triangoli AKQ, AGE : sarà facile lo scorgere che dei due triangoli simili APQ , ARE i lati omologhi saranno tutti 1’ uno all’ altro nello stesso rapporto AK : AG : : AK : AK — GK : : /* :h — 1 . Ma per la seconda delle due commemorate proposizioni apolloniane , è noto che 1’ area, del triangolo ARE, compresa fra la tangente dell’ iperbola nel punto G ed i due asintoti, è uguale costantemente all’ area del triangolo isoscele ANM , racchiuso fra la tangente al vertice 0 della curva ed i due asintoti; la quale area, per la natura della curva , è uguale al rettangolo ab dei due semiassi. Dunque, intendendo che l’area dell’altro triangolo ANQ sia espressa da K^, si avrà la proporzione •4 K2 : aà : : : (h — 1)^ , e conseguentemente K2 — 107 {h-if che è quanto si era proposto di dimostrare. ab Quadro geologico dell' Italia centrale. Del prof. cav. Giuseppe Ponzi. Il lavoro che oggi ho l’onore di presentarvi, o illustri Colleghi, che porta il titolo di Quadro geologico dell'Italia centrale. Essa è un ristretto di tutti gli studi geologici, che ho potuto fare fin qui colle mie semplici forze, special- mente su quella parte della nostra penisola, che comprende il bacino di Roma e il suo prolungamento colla valle latina fino al regno di Napoli. A destra di questo prospetto si vedono ordinate tutte le formazioni acquee componenti quelle contrade, e costituite dalle rocce sedimentarie giacenti le une sulle altre, in ragione delle epoche geologiche , che si succedettero nei tempi passati, e che rimontano fino alle formazioni del Lias, nel periodo se- condario. A ciascun piano di questa scala, nella contigua colonna corrispon- dono gli avanzi degli antichi organismi che vi furono rinvenuti, o i nomi dei fossili che possono accettarsi come caratteristici di quelle stratificazioni. Fi- nalmente sono indicati appresso i luoghi, dove si rinvengono e possono essere rincontrati e studiati. Le colonne di sinistra contengono le formazioni ignee, o gli effetti di quelle operazioni derivate dall’azione del fuoco interno proprio del pianeta terrestre, per le quali comparvero successivamente tutte le regioni che ora rappresen- tano questa parte media italiana. Essi sono collocati precisamente a fianco di quel piano sedimentario corrispondente al tempo in cui avvennero , e indi- cano la qualità dell’operazione, la natura delle materie eruttive, e i loro ri- sultati, ovvero le diverse emerzioni dalle acque marine delle catene di mon- tagne, e inoltre la formazione delle colline vulcaniche sopra un suolo già messo in secco, e sottoposto all’azione dell’atmosfera. Finalmente non ho voluto trascurare 1’ indicazione delle diverse circo- stanze che accompagnarono quegli avvenimenti cosmici , come sono lo stato relativo delle acque , la qualità dei movimenti sperimentati dalla crosta ter- restre nelle parti emersive , e le vicende climatologiche dei tempi geologici trascorsi. Lo scopo di questo quadro è stato quello di mettere sott’occhio, un fram- mento della storia fisica della nostra penisola , almeno di quella parte che ho potuto fin qui investigare. Io non istarò ora a ripetere tutti quei fatti avvenuti, e la loro cronologica successione che ognuno può rilevare nel quadro medesimo, 0 leggere nelle mie passate pubblicazioni (1). Solamente io vorrei riepilogare : 1 Che questa parte dell’ Italia non è stata prodotta ad un tratto, ma le sue diverse regioni sorgettero una dopo l’altra per un’alternanza di periodi di azione e di quiete, come in genere ha sempre usato la Natura in tutte le sue operazioni. 2. " Che le forze eruttive del pianeta terrestre spiegarono in principio un energia massima e violenta nel sollevamento plutonico delle diverse catene di montagne, schierate nel senso della direzione italiana : 3. “ Che per effetto di questi sollevamenti prima comparvero le rocce più antiche rappresentate dalle calcarie ammonitifere, dando origine ad una serie di sommità insulari formanti i primi rudimenti della nostra penisola ; poi le grandi masse Appennine costituite da giganteschi banchi di calcarie cretacee a ippuriti, e quindi le catene terziarie, argillose e calcari a nummuliti, che per essere più depresse accennano ad una notabile diminuzione di forze emersive: 4. ° Che scemando sempre più la loro intensità, il platonismo si cangiò in una vulcanicità parimenti decrescente, che aprendosi una via attraverso una frattura intermontana, nei punti di minor resistenza, su di essa si produssero tanti gruppi di monti eruttivi, dai quali si versarono le lave. Così sì formò la catena vulcanica italiana paralella agli appennini sul piovente tirreno. 5. " Che le spinte vulcaniche a lungo protratte, furono causa di nn lento innalzamento di tutta la penisola italiana, per cui si scuoprirono per emer- zione le due zone subappennine in ambedue i pioventi , e gli stessi vulcani in origine sottomarini si fecero atmosferici: 6. “ Che in questo modo messa in secco quasi tutta l’Italia nell’ epoca quaternaria, si spensero i vulcani ciminì, e il fuoco si trasferì nel Lazio già messo in secco per il ritiro del mare, dove nel seno istesso dell’atmosfera, per ben tre periodi distinti eruttarono, tanti materiali da rilevare i monti cra- teriferì posti al S.E. di Roma. 7. ° Finalmente che cessata ogni esterna comparsa del fuoco della Terra, tutto prese il carattere dei tempi che corrono. Ma i lenti movimenti del suolo localizzati e ristretti ad alcuni punti, le sorgenti termali, le emanazioni gassose disseminate sulle vaste pianure italiane, fanno tuttora scorgere che le interne potenze sebbene rese impotenti a manifestazioni di maggior entità , non sono interamente spente. (1) Sul sistema degli Appennini Giornale Arcadico 1861 -Sul periodo glaciale- Vedi 1 nostri atti. Sessione li dell’ 8 Gennaio 186S-e Sui diversi periodi eruttivi avvenuti nel- l’Italia centrale, negli atti medesimi, Sessione 111 del 14 Febraio 1864. QUADRO GEOLOGICO DELL’ITALIA CEI^TRALE T; ' ’ /'"f ■? gM m P' MP %MMi i mmmmmm I _ X , ,!)..;'i , i ^.■’l |,*inoi;.a)r:-Ji«-Hirie, ih i;;v ■.< ili i *' ,iìn*- :V[ I : i(n-)ho«i uhiìlI pJi olitmid jlf ititi,!': ih j'.i'i tvrt ;».{ìuir ii'hf'iS l'.h iJt.l'.Mjh <> .M: I ‘iì'iqo 't /i;,ì )v 'Htldav ■. i-o;ri„T .^thot •. !it, -:\rn.i iJu-!: ■■•rn; tujtu ‘ÌT'I'(( ;::ì, ri- il,.-.;; • ■ T‘;il ’’Ji/ ifì',’- 'Vt - i .!Tr!';^'i. .!••/• i;j ì;s-cill | .(l; ;j;, | ■ 11-,; .ic.'j n* I . |.‘r ' •• j li IK‘Ì ì'i --!;m ■■ 'v • fi '' Ufc»" ■ '* I5fr<“ ni itti’ i i7-i’f .^2 ji- h -a Ili »r. 1 I” i - ■ , I litf' a^'tit it'r oj>' j; iirtì-iit itih alRmi't't ^ a ;t .12 1 £iiiR.4:;t.VU\-.V'A-.';,V,t.', :.v\v \. - ., aitivi. ; - r t; ' \ ; '-lir.id u ;r..iv| \ ■ f iV\>>t ---i.:, ■" : . | f ih O .a aJav-Mf-iti mtnaa .iih jn! «vtMVut.V •.,'1 I auu, «.ai-, f.-nsUnr,.'» i; .■(fihiu i-'r; , - ;j| Ì -aqrr^ .ina*iiI«iR f:sn*jfe aif'tiiinvisj? il.vfi'r- •> viu :■ ..(’f ? HttJ li!)J ijv iilrtltiid .ni vltJ'.;; .ÌKì;rtV0')i!Ì jì. : ' i ' • •* .-»» ;<•{ ,i:jmìita in !)ih ili- viri i ,?> tir.-:o! h.'.’1ii tUVìivtivtV’tr^ r liflóov Uii?'ci(( i i(ì iinaviv aiiM(| i(\\ .iMftàr tìu» ’i , - «r/.U'U'Z > itlv .'.l/ \t A:,V, , li‘\« 7 ) Ìh'.j -'.llmiivo! .1 rj anpiR 'l'v; oJ.-iKd.à!'' ^Htìoff} a iiiiitRalir/ ihi'i' .hf n(»a fir.in:! ,! iii(, i!|j t' ir!» alRjiuvJ aiTalem ■»!'l;)h 'irtiìRm ,i':' i ,. tali a,'»‘.a Ì'ì.;'jÌì.->-<>'k,;;i,> iiolloit» a r> » )•;>' t ■ imi.'roTti f .. 1, ''H')h ili-iiah ifih il/niì(u,:i'i alh;!;^ aitWt.ri '•M)t -if.rf]) .•li'ijifrn» «f aiftuilijl-niia o aJfoioH 'Ufiiioàtjni; .liit.siaJ eanaitl fih;; >(r/> r,iu» uh a?i(i)iJ,0K allo/ id j t‘ ■.V,' .A'.'.',’ ty^\''v ìti-A b'.'i'tV.- tu'V .niaW.tvl^ ih in..l Of»-» iinjHitaJlr'» « i'joh . uu-, 'miil nuì -niai.l ai/ir.W .di' .«i;t!Ìd a r.ftidm -. iMi i '. .. .\iiUi >‘\ .'.t.UV .Mi. Il'» V V. 't- '.'V.jJjìi# iffintj i , iati! !a!ni ..aifiil ) it)ri>i;jhl[ .airir.M ’.rl .i/liiSìiyijqtufiJ^ ÌJuadiihj,-: — /09 — LETTERE ASTRONOMICHE V. LA SPECOLA PRIVATA DEL SIG. MARCHESE R. MONTECUCCOLI IN MODENA. PARTE II. Nella parte I. dell’attuale trattazione (Lett. III. ) io mi limitai ad accennare soltanto gli oggetti e strumenti di questa Specola, che servono precipuamente alle osservazioni celesti nel meridiano -locale, rimettendomi ad aggiungere in que- sta Parte II. una simile e succinta descrizione degli altri comodi e mezzi di os- servazione verso qualunque plaga e direzione libera del cielo, de’qnali è stata pur corredata riccamente la Sjiecola stessa dall’illustre suo Fondatore e proprietario. E qui tosto piacemi di trattenermi sopra l’eccellente cannocchiale o rifrattore di Merz, che fu l’acquisto primo di macchine astronomiche dal Marchese commesso per mio mezzo al rinomato Fabbricatore di Monaco, siccome il circolo meridiano di Starke in Vienna è stato l’ultimo o il più recente, e che inviatoci di cola in Baviera qualche anno innanzi che l’edificio di questa Specola fosse compiuto, nel frattempo depositatomi dal nobile Acquirente presso il R. Osservatorio, venne da me non di raro e assai utilmente adoperato, all’uopo in ispecie di ben os- servare le occultazioni, eziandio di piccole stelle, dietro la luna. Imperocché a vero dire il nostro pubblico Osservatorio non possedeva un cannocchiale acroma- tico e mobile a mano, di tali dimensioni e di tanto potere amplificativo, egua'-^ì”'-‘ gliato ivi soltanto in cotai pregi da quello di Fraùnhofer fissamente unito e gi- revole col circolo meridiano di Reichenbach. Ma, comecché sciolto e da rivol- gersi liberamente a qualsivoglia parte, il novello e grande Acromatico di Merz non é perciò meno uno strumento fornito di artifizi meccanici per giovarsene con esattezza in alcune specie di osservazioni, e degno perciò di essere parti- colarmente descritto. Pertanto esso ha la lente oggettiva dell’apertura di linee 48 e di piedi pari- gini 6 di distanza focale, cinque oculari astronomici per ingrandimenti di 54, 80, 120, 180 e 2T0, un oculare terrestre con ingrandimento di 66, due vetri colorati, un micrometro anulare, ed é armato di buon piccolo ricercatore ; questo e le incassature delle lenti in ottone, mentre nella sua lunghezza l’intero tubo é di 16 iiO — moagani, e quindi più leggiero senza mancar di solidità. 11 piede o sostegno , costrutto con massima precisione in legno di ottima qualità, e che non ha mo- strato una minima screpolatura nè gonfiezza dopo dodici anni, si compone di un prisma o tronco di colonna verticale dell’altezza di o'",36 a base esagona del lato di o™,085, al cui asse d’altezza è concentrica una grossa verga cilindrica di ferro, intorno alla quale aggirasi liberamente il cannocchiale, e fortemente fissata con viti nella base inferiore del prisma. Alla base superiore ed orizzontale di que- sto è fissato e concentrico all’asse un circolo in ottone del diametro di o"‘, 18, della grossezza di 0'",013 e diviso alla circonferenza di mezzo in mezzo grado. Alla meta inferiore del prisma s’incastrano, divergenti dall’asse verticale o all’ infuori, e fermati ciascuno con due robuste viti a chiave, tre travicelli simil- mente incastrati e chiusi da vite nel telajo di base dello strumento, ove inter- namente a ciascun travicello o piedritto son fermate le rotelle, che servono a gi- rare e strascinar dolcemente la "macchina, ed esternamente muovousi a larga te- sta di ottone tre grosse viti di acciajo, che servono a porre la macchina stessa in livello. Concentrica al sovrindicato circolo diviso, e girevole intorno all’asse verticale è applicata una grossa piastra quadrata di ottone, fissamente congiunta da una parte con un piccolo livello a bolla rettificabile , e in altra col nonio del circolo che porge d’arco. Quindi una vite perpetua fermata in quest’ul- timo pezzo e che, ingranata nella grossezza del circolo a scanellature , apresi e chiudesi, a molla di pressione, somministra col suo manubrio il piccolo moto orizzontale. Perocché sopra la lastra precedente e centrale ne è fissata un’altra di eguale grossezza in ottone, e che ai due lati opposti curvandosi e ripiegan- dosi in una specie di due ale, coll’ estremità di queste impernasi in due grosse anella di ferro nella direzione dell’asse trasverso del cannocchiale, alla metà circa del longitudinale. E concentricamente a tali anella sporgendo di qua e di là due grossi cilindri di ferro, fìssi nel tubo e diametralmente opposti, questi poggiano all’estremo di una leva pure di ferro e di i? ordine col suo fulcro nelle dette ale, e che all’altro estremo porta un ponderoso cilindro, che serve di contrap- peso al cannocchiale. Questo alla metà della sua lunghezza è abbracciato, ester- namente al tubo, da una larga lastra di ottone infissavi con otto viti, della gros- sezza di 13"’"’, e cui solidamente si congiunge altro e più grosso pezzo di ot- tone, destinato a tener un arco verticale di raggio uguale al circolo orizzontale, di oltre a 90?, diviso parimente di mezzo in mezzo grado, e che porge quindi, mediante il nonio, ì'. Legandosi il detto pezzo di ottone anche all’ armatura o costruzion orizzontale coU’ingranaggio del nonio verticale nella grossezza scanel- lata dell’arco, a molla di pressione e col rispettivo manubrio, l’arco stesso uni- tamente al cannocchiale rendesi mobile, o fermasi a qualunque altezza , restan- done libero soltanto il piccolo e dolce moto della vita perpetua. Cosi costrutto con ogni cura e precisione, e coi pregi della maggiore fermezza , complessiva e parziale, insieme alla maggiore facilità e dolcezza dei grandi e piccoli movi- menti, il descritto Rifrattore di Merz, ripeto, non è tanto un eccellente ma sem- plice cannocchiale da rivolgersi a mano comecchessia, che non debba anche dirsi un ottimo strumento per utili operazioni eli esatte misure. Io ne fui sempre in- vaghito. A considerar infatti primamente il solo cannocchiale qual mezzo di appagare una dotta e dilettevole curiosità, come a dire fra le mani di un amatore di ce- lesti apparenze, esso è certamente il più idoneo a tal uso; ed io sovente impie- gandolo per contemplar io stesso e far altrui ammirare le più singolari circo- stanze dei celesti corpi e fenomeni, ebbi sempre a rimanerne piacevolmente sod- disfatto. Guardata con esso la luna, specialmente a falce ristretta di primo e ul- timo quarto, e tenendo dietro alle sue successive mutazioni d’aspetto, gli acci- denti che se ne offrono coll’ uso degli oculari di maggior ingrandimento , e le nettissime imagini delle ombre de’ monti lunari e dei vertici illuminati di essi lungi e fuor della fase, costituiscono uno spettacolo il più bello e meraviglioso. Del pari adoperando gli oculari più forti e mirando al Sole, in questo veggonsi con tutta distinzione le più minute particolarit'a e i cangiamenti continui delle sue macchie, penembre e facule; si che dall’osservazione assidua di cotali appa- renze può raccogliersene con vantaggio una storia della formazione e del disfa- cimento loro. ]Nè importanti meno alla scienza nè dilettevoli meno hanno a dirsi col cannocchiale medesimo le semplici e immediate ispezioni de’pianeti, delle co- mete, de’gruppi e delle nebulose stellari; come altresì le osservazioni degli eclissi e delle occultazioni lunari de’pianeti e delle stelle, riuscendo per quest’ultima specie un fenomeno de’più imjronenti e magnifici a contemplarsi l’occultamento lunare di Giove col corteggio de’suoi satelliti. In prova dell’utilità di somiglianti osservazioni col detto mezzo, siami qui permesso di richiamarmene un esempio a me avvenuto, e che può illustrare o chiarire una singolare controversia. La sera 29 Maggio del 1854 dalla Specola R. io mi godeva di contemplare a ciel sereno la luna in quarto giorno col novello Rifrattore di Merz posseduto dal Marchese Montecuccoli, e ne stesi l’annotazione seguente. = Col più forte ingrandimento di 270 ho veduto assai distinta nel corno australe, non molto di- stante alla punta, presso alla macchia Pingrè e nel perimetro esterno della fase, una larga incavatura o discontinuit'a nel perimetro, somigliante ad una foce o stretta gola di alti monti. Vedovasi questa pure coll’ingrandimento primo e più debole. La sera seguente del 30 Maggio l’incavo stesso era visibile, ma il Sole ivi sorgendo sulle pareti del taglio, ne appariva la cavita o valle più ristretta e prossima a riempirsi di luce. Ciò potrebbe servire a spiegar le stelle, i pianeti e i satelliti nelle occultazioni lunari, talvolta veduti proiettati sul disco della luna. = Ora sentasi quello che scriveva il celebre e a me tanto caro Biot nel pri- mo de’suoi tre articoli inseriti nel Journal des Savants pel 1831 intorno alle Me- morie della Società astronomica di Londra negli anni 1822-1830. Ivi alla pagina 495 si legge : « On rémarque un effet pareli dans 1’ observation faite par M.‘ )) South de l’occultation de ò des poissons sur le bord obscur de la lune; l’ima- » ge brillante de l’ètoile parut aussi pendant quelques instanls projetèe sur le j) disque avant de disparaìtre. Quoique ce phénomène ait e'tè souvent vu par » des observateurs differents, (e innanzi citansi i satelliti di Giove, il pianeta — /l2 — )) stesso e Urano veduti coi loro dischi sopra il lembo lunare da Ramage, Com- » fièld e il Gap, Ross) dont le te'moignage et riiahilite' sont incontestables, on )) l’avait, non moins souvent^ révoque' en doute, peut-étre, parce qu’il a para )) jusqu’à present impossible de Texpliquer. M/ South y ajoute l’autorite' de son )) assertion, pour les Astronomes anglais, qui s’etaient montre's les plus incre- » dules, et il a rassemble' avec soin dans son mémoire tous les cas semblables » jusqu’k present publiès. Mais la diversite' des circonstances dans les quelles ils » ont eu lieu, ne fait que mieux montrer Timpossibilite, au moins actuelle, d’en )) concevoir la cause. » Io dirò a proposito che collo stesso Rifrattore di Merz a massimo ingrandimento nelle sere 3 e si Maggio dell’ anno medesimo 1854 a cielo purissimo potei osservare due stellette, una di e l’altra di 12"’®, in contatto precisamente del lembo oscuro della luna, però assai visibile di lume cinereo, e disparirvi o a cosi dire spegnersi momentaneamente, in guisa da no- tarsene l’esatto istante dell’immersione, senza ch’esse fossero menomamente ve- dute sopra il disco lunare. Per altro non negando a rispettabili testimonianze di esperti osservatori, che talvolta e per alcun istante sia stata giudicata l’ap- parente sovraposizione di una stella 0 di un pianeta , occultantisi , nel lembo oscuro della luna, io ne proporrei una spiegazione di reale possibilità qual sono per esporre. In alcuni casi di occultazioni di stelle o pianeti dietro la luna, co- mecché rari o poco frequenti, perchè non potrebbe combinarsi che l’immersione avvenisse in un punto del perimetro lunare oscuro, ma visibile di lume cinereo, dove si trovasse una concavita più o meno lunga, o una specie di fenditura , ma di profondità pressocchè insensibile anche all’occhio armato, cui però sfugisse di avvertire in quel punto la discontinuità della circonferenza lunare del disco ? Per tale inavvertenza la stella o il pianeta, penetrando e rimanendo momenta- neamente visibile nella cavità, giudicherebbesi projettato sul disco medesimo. A ciò potrebbe influir eziandio il noto e ben dimostrato fenomeno della librazione della luna, pel quale, ai lembi del disco lunare permanente a noi rivolto, del continuo, e alternativamente colle parti attigue dell’opposto emisfero invisibile a noi, alcune di questo ci appajono e ci scompajon altre di quello. Quindi all’atto e nel luogo di una immersione di stella o pianeta potrebbe avvenire che appunto una concavità del perimetro lunare oscuro verso di noi si rivolgesse, donde il giu- dizio della stella sul disco projettata. Frattanto altro singoiar caso e fenomeno, inverso del precedente, parmi possibile, avvegnacchè a quanto io mi sappia non osservato; ed è che la luna passando col perimetro del suo disco tangenzialmente ad una stella, tolgala per alcun istante di vista all’osservatore , nè segua più oltre ad occultarla, sicché l’immersione confondasi quasi coll’emersione della stella. Ciò avverrebbe in un punto del perimetro lunare ove, anziché un’incavatura , si trovi una prominenza, o elevisi una montagna, che farebbe disparir per po- chi momenti la stella a contatto del detto perimeti'o. E ognuno che abbia con- templato la luna coi canocchiali di forte ingrandimento, specialmente negli eclissi del Sole, conosce abbastanza che il disco lunare al' suo lembo presenta quà e là notevoli dentellature di monti, che appaion poi e costituiscono le punte lu- cide più staccate dalle corna della fase nelle vicinanze del Novilunio. Dalla fatta digressione rimettendoci al nostro soggetto, il bel cannocchiale di Merz può inoltre vantaggiosamente servire qual teodolite alla misura di angoli orizzontali che, riferendosi ad una mira meridiana in conveniente distanza, fa- ranno conoscel’e per differenza ed entro uno o due minuti d’arco li azzimuth de’ terrestri oggetti elevati e lontani, come le sommità de’monti circostanti, da por- gerne quindi alla topografia una serie di punti trigonometrici ben determinati. A tal fine basterà mettere e mantenere a livello nel suo movimento il cannoc- chiale, mediante le tre grosse viti alla base del suo sostegno. E con questa sola condizione adempiuta, può esser del pari usato lo strumento e dirizzatone il can- nocchiale a un punto qualunque di nota posizione celeste, per azzimuth ed al- tezza in un tempo dato; laonde se ne trovi e si osservi di pieno giorno un og- getto, invisibile all’occhio nudo ed eziandio con lenti di piccola forza ed am- piezza, come Venere, la polare o altra delle stelle più cospicue. Benché io non ne abbia mai tentato la prova, non ho dubbio tuttavia ch’essa riuscirà, tentan-. dola, non meno agevole che soddisfacente. Ma r uso astronomico più diretto e importante del grande Rifrattore offresi j)er mio avviso all’uopo di osservare accuratamente le posizioni relative delle co- mete, per indi calcolarne l’orbita, riferendole a conosciute stelle, non molto di- stanti dalla Cometa in ascensione retta e assai vicine in declinazione. A questo fine, principalmente in riguardo alle comete, o anche per misurar le distanze e i movimenti dei satelbti intorno al rispettivo pianeta, serve il micrometro cir- colare, di cui venne fornito il Rifrattore, e dal «juale con molta facilita si ot- tengono determinazioni sufficientemente precise. Consiste il detto Micrometro in una laminetta o banda metallica di qualche larghezza e piegata in figura di zona circolare, fermata nel fuoco dell’oculare e a questo concentrica, ma di un rag- gio alquanto minore di quello del campo ottico del cannocchiale; perlocchè a campo aperto e chiaro la zona vi comparisce oscura e sospesa, e dietro di essa occultansi gli oggetti esteriori. Però a trarne profitto nelle indicate osservazio- ni celesti richiedendosi dalle opportune formule di calcolo , che sia ben cono- sciuto il raggio del micrometro, io mi sono di recente occupato a determinar- lo, seguendone il metodo esposto dal mio illustre Maestro ed amico , il Com- mendatore prof. Santini al §. 267. de’suoi Elementi d’Astronomia (Tom. I. pag. 278. dell’edizione 2". Padova isso). E poiché seguendo tal metodo é necessario scegliere due stelle di Catalogo, ossia, di esatta conosciuta posizione che, per 1 apparente moto diurno, attraversino a breve distanza di parallelo e di tempo l’interno spazio del Micrometro mantenuto immobile, cosi a me non potevan of- ferirsi perciò più idonei a tal uopo, e il cielo purissimo costantemente nell’A- prile di quest’anno, e il bel gruppo delle Plejadi, ancora molto alto e visibile, a occidente, vicinissimo in questa sera a Venere, che brilla fulgidissima e discen- dente alla congiunzione inferiore. Oh, se fosse accaduto che il pianeta in questa sua elongazion vespertina dal Sole raggiunto avesse il detto gruppo di stelle, quanto sarebbe stato vago e gradevole ad osservarsi l’occultamento di alcune fra le maggiori di esse, p. e. di Alcione o di Elettra, nella stretta falce luminosa — /l4 X- o neiroscura e larga parte del disco di quello? Io trascelsi appunto quattro di queste, e ne feci le osservazioni seguenti al micrometro circolare del Rifrattore di Merz. Chiamate pertanto z, e l’immersione e l’emersione rispettivamente di una delle plejadi dall’orlo circolare interno del micrometro, e i, e’ l’ingresso ed egresso della medesima dall’orlo esterno, per questa e per altra plejade vicina tenuto immobile il cannocchiale, e notando gl’istanti che udiva battere al pen- dolo Dent regolato al tempo sidereo, io trovai : Sera 6 Aprile 1865. Alcione Alcione . Alcione.... I Elettra.... Elettra. z'.=8^.56'".59%5 ; Atlas.. ... f'.=8.'*58"’ .39%5 e.= 37. 7, 0 e.= 58. 47, 0| immob. il can. f.= 58. 42, 0 i. = 0. 24, 2| e=8. 58. 49, 0 e'.=9. 0. 32, 0 ) /'.=9. 8. 43, 0 ; Atlas.. ..i'.=9. 10. 21, 5 fj.= 8. 50, 2 e.= 10. 29, 0 immob. il cau. i. = 10. 24, 2 i. = 12. 6, 3 e' =9. 10. 31, 0 e'.= 12. 14, 0 Sera 8 Aprile 1865. e. =8. 46. 3, 2 ; Atlas.. .. e. =8. 47. 40,5) immob. il can. i. = 47. 31, 2 i. = 49. 16, 2 I «'.==8. 51. 52, 3 i'. =8. 53. immob. il can. e'.= 53. 41, 0 e'.-= 55. 24, 8) e.=9. 2. 45, o; Maja... . e. =9. 3. 18, 2) immob. il can. i. = 2. 28, 0 i. = 4. 43, -7 j i'. =9. 7. 3, 5 ; r i'. =9. 7. 45, 2) immob, il can. e .= 8. 17, 5 = 9. 27, Oj e. =9. H. 47,8; Maja.. ... e. =9. 12. 37, oj immob. il can. i. = 12. 51, 8 i. = 13. 55, 3I /'.=9. 15. 44, 5 ; i'. =9. 16. 42, 3 immob. il can. e'.= 17. 16, 8 e'.= 18. 11, 7 Nella prima sera del 6 Aprile io notai d’un solo tratto, per la stessa posi- zione del cannocchiale e per le due stelle. Alcione e Atlas, li otto istanti f, e. — /15 — e' -, ma come questi s’intrecciavano e succedevansi con troppa rapidità per aver agio di scriverli tosto, e non confonderli fra loro, cosi in seguito preferii di staccare le due osservazioni di occultamento all’interno e aU’esterno perimetro o lembo del micrometro. Dalla semisomma dei tempi deH’immersione ed emer- sione dallo stesso perimetro avendosi poi l’istante del passaggio della stella al diametro del micrometro^ perpendicolare alla corda percorsa e che rappresenta perciò un circolo orario di declinazione, la differenza della detta somisomma per- le due stelle in ogni osservazion conjugata, equivale alla differenza di Ascension retta delle stelle medesime. Cosi nel precedente quadro di osservazioni, paragonati gli istanti delle occultazioni che si corrispondono, risulta per un medio di sei valori concordi la differenza di Ascension retta delle prime due stelle. Alcione e Atlas, = 1®. 41% 2 e questa dal Catalogo di Piazzi ( ediz. del 1814 ) è data = 1®. 40% 4. E similmente dai quattro confronti delle altre due stelle, Elettra e Maja, rilevasi per un medio di quattro valori l’analoga differenza = o®. 55% 8 , che nell’indfcato Catalogo è posta = 0®. 55% 5. Una tale coincidenza, che non ri- chiede la riduzion comune delle posizioni medie alle apparenti, dimostra di non aver io preso equivoco nel riconoscere il nome delle quattro stelle prescelte ed osservate. Ritenute pertanto le denominazioni degli elementi, o dati del problema usate dal eh. Santiui ai citati volume e paragrafo dell’Astronomia; ossia per ogni os- servazione conjugata delle due stelle denotatando, rispetto alla stella precedente, con 0 la declinazione della stella, con t il tempo da essa impiegato a trascorrere la corda, con 2a la corda stessa, e con z l’angolo al centro nel micrometro; e rispetto alla stella seguente con t', 2a' e z' le analoghe quantità, si otterrà il raggio r dell’interno lembo circolare del micrometro, dedotto dagl’istanti os- servati e, i della duplice occultazione, calcolando le formule ... 2a — ìU cos.^; , r M T / r V « T / ; V ^ cos.j ; = ‘“g- «(=-")= E le stesse formule serviranno a determinare il raggio r' del lembo circolare esterno del micrometro, ma deducendolo invece dagl’istanti osservati i , e’ della duplice occultazione corrispondente. Or ecco le determinazioni da me ottenute. — /I6 - Alcione » + 23? 41', 4 ; a = 652", 46 ; z = 102? 29', 0 i Atlas » + 23. 38 , 6 ; a'= 667 , 80 ; z'- 92. .... r = 11 . 8 , 3 Ale. )) z = 105. 2, 7 j Atl. ), ! — 89. 37,7 j .... r = 11. 8,5 Ale. )) z = H5. 3,5 Atl. » z' = 80. 12,7 j .... r = 11. 7,2 Elettra )) + 23. 41 , 5 ; <2 = 295 , 33 ; z = 26. 11,0 .... r = 11. 9,3 Maja » ò'= + 23. 56 , 9 ; a'= 586 , 10 ; J ■il = 61. 7,6 ! Elet. )) z = 40. 34, 9 Ma. )) z' = 52. .... r = 11. 15 , 7 Medio r - 11. 9,8 Alcione » a = 752 , 05 ; z = 103. 21 ,4 1 Atlas )) a'= 772 , 90 ; z'~ 89. 18,4 ' .... r = 12. 53, 0 Ale. )) a = 741 , 75 ; z = 106. 48 ,3 1 Atl. )) . . , . . a = 772 , 90 ; J _ 85. 56 ,5 ' .... r = 12. 54, 8 Ale. » a = 746 , 55 ; z = 105. 4,4 Atl. » 772 , 49 ; z’^ 87. 38,4 ' .... r = 12. 53, 2 Elettra )> ..... a = 508 , 23 ; z — 40. 57 . 2 Maja )) a'~ 697 , 78 ; z'= 64. 8,6 .... r = 12. 55, 4 Elet. » ..... a = 633 , 93 ; z = 54. 46,4 .... r'= 12. 54, 3 Ma. » a'- 612 , 79 ; z'= 52. 9 , 0 Medio Abbiamo dunque il raggio del circolo interno del micrometro assai prossima- mente ==ii'. 10^', e quello del circolo esterno == 12'. 54^'; laonde sar'a la larghezza della zona circolare = i'. 44". E l’accordo degli ottenuti valori in due sere e da condizioni diverse di triangoli per le due coppie differenti di stelle osservate, ci affida che tali dimensioni del micrometro sono le vere e precise. Potrebbe tutto al più nascere dubbio che la diversità della rifrazioue dall’immersione all’emer- sione o viceversa della medesima stella da un lembo circolare del micrometro abbia un poco alterata la lunghezza della corda percorsa; di che tuttavia si co- nosce e potrebbe applicarsi la relativa correzione coi precetti e colle formule del Santini (§. 265. Op. cit.). Ma oltrecchè i concordi valori di r, r\ dedotti da os- servazioni variate e ripetute, provano che l’ influenza della diversa rifrazione dev’essere stata pressocchè nulla, ciò è poi razionalmente confermato dalla te- nuissima differenza delle rifrazioni ai due punti e al breve intervallo fra l’im- mersione ed emersione della stella , stante 1’ altezza piuttosto grande in cui a bello studio furon da me osservate al micrometro le occultazioni delle plejadi. Nè, a conclusione del fin qui detto, sembrami inutile nè fuor di luogo avver- tire che, appunto per siffatta occorrenza di misurar il raggio di un micrometro circolare^ la scelta più opportuna di note stelle che l’attraversino a cannocchiale =7^1 / immobile si ha nel magnifico gruppo delle plejadi, da osservarsi a notevole al- tezza su l’orizzonte. Benché di meno che mediocri dimensioni, l’equatoriale di Merz, che il Mar- chese, appena dopo ricevutone il grande Rifrattore, commetteva per mio mezzo al celebre Fabbricatore di Monaco, e che, inviatoci dopo due anni di cola, venne tosto montato stabilmente nel cupolino a tetto girevole della novella Specola (Y. nella tavola, parte 1. la sezione di alzato) , costrutta a tal fine con ogni cura di fermezza o solidità e di comodi, esso pure è uno strumento di molto pregio e che può somministrare importante materia di osservazioni in qualun- que parte del cielo visibile. Va fornito esso pure di un eccellente acromatico di Frannhofer, dell’apertura obbiettiva di linee parigine 43 colla lunghezza fo- cale di pollici 54, portante con se cinque oculari astronomici per ingrandimenti di 4S, 72, 108, 162, 243, un Oculare terrestre d’ingrandimento 60, un micrometro circolare, due vetri piani colorati o elioscopici, e un piccolo cercatore in ottone; mentre il lungo tubo del cannocchiale per leggerezza è stato squisitamente la- vorato in legno. Questo è a dirsi il pezzo principale e più prezioso della mac- china; giacche valendo a riconoscere colla maggiore chiarezza e distinzione ottica gli oggetti celesti più minuti, e quindi a ben assegnare la precisa direzione de’ raggi visuali, o la linea di collimazione, può esso molto utilmente servire a os- servazioni delicate di astronomica specialità per pianeti e comete. Il rimanente della macchina è in ottone e acciajo. Dai due cerchii, ciascuno del diametro di 7 pollici, l’equatoriale diviso e col nonio porta la lettura e distinzione a 4.® di di tempo, e l’orario o di declinazione a 3o" d’arco. L’asse di rotazione, congiunto ai circoli, e da dirizzarsi coi perni fissi ai poli del mondo è stato inclinato da Merz fissamente all’orizzonte, come richiede la nota latitudine di Modena. Io non presenterò questa volta ragguagli più particolari sopra la costruzione di tale stru- mento, il suo collocamento ed esercizio nella Specola, e intorno alle sue rettifi- cazioni; mancatomi finora il tempo di ben esaminarlo a prova di accurate osser- vazioni. Mi limiterò invece a produrre la recente determinazione del raggio in- terno ed esterno del suo micrometro circolare, da me ottenuta colle stesse for- mule, e colle stelle medesime delle plejadi precedentemente adoperate; locchè ba- sterà per l’uso più frequente della macchina. IT Sera i9 Aprile 1865. Osservazione delle plejadi al micrometro circolare dell’equatoriale di Merz : i tempi sono presi ad un cronometro C di Dent e possono riportarsi al pendolo D sottoposto e regolato al tempo sidereo mediante l’accordo D-C ... =+ 4™. is% 5. j Alcione 1? e . i. = 9''.28”.io%5 ; Atlas. i°e.i. = 9'".29'”.41%5 1 1 i 2? i. i. = 29. 24, 8 2° i . i. = 31. 15, 3 1 (Ale. 1. i' . e. = 9. 38. 34, 2 ; Atl. 1. i' . e. 9. 40. 9, 3 1 ! ( 2. e', e. - 40. 22, 0 2. e', c. = 42. 8,8 1 I ) 1 Elettra 1. e . f . = 9. 52. 0, 0 ; Maja i. i. e . i. 9. 52. 44, 5 1 ] ! 2. i . i . = 43. 13, 2 2. i . i. 54. 20, 3 j j Elet. 1. i'. e. = 9. 58. 7, 2 ; Ma. 1. i' . e. 9. 58. 53, 5 j 1 ( i 2. e', e. = 59. 42, 0 2. e’, e. 10. 0. 47, 2 j 1 ) Di qui ricaviamo per le formule, e colle jireindicate avvertenze Alcione » 510", 29 ; 2= = 136? 44', 6 ) / ~ Atlas )) (5' a'= 644 , 43 z'^ = 59. 55 , 8 !•' , 7 Elettra » ^ a = 502 , 73 } Z = = 41. 59 , 5 1 Maja » «'= 656 , 66 z'= = 60. 54, 7 ... r - 12 . 31 , 4 Medio. . . , i Alcione )> « = 740 , 37 ; 2 = 121. 40 , 2 ) f Atlas » s = 70. 42 , 0 j ... r= 14. 29 , 9 Elettra » 9 S = 49. 14 , 5 j Maja z = 65, 2,9) ... r'= 14 . 19 j 0 Medio. . . 9 ^ Quindi la larghezza dell’anello circolare, o dell’armilla sospesa, come lo appella il Santini, sara r' — r = 56", 6. La differenza un po’ forte di io" nei due valori di r', in senso contrario a quella dei due r per le medesime stelle , può esser derivata dal dubbio di i® in più o meno sopra gl’istanti numerati alle battute del cronometro C, che sono di mezzo in mezzo secondo; mentre coll’udito io sono abituato a numerar quelle del secondo intero alle oscillazioni di un pendolo. Però l’ottenuto risultaraento parrai da ritenersi per una sufficiente approssimazione ^ che potrà in seguito verificarsi e rendersi più esatta. La privata Specola Montecuccoli ha raccolto e possiede altri minori strumeoti, come due cannocchiali acromatici con tubo e piede in ottone e di lodevol nettezza d’imagini, lavoro deH’ottico modenese Giuseppe Briadi , un barometro del mec- canico Bertacchi alla Fortin^ un termometrografo di Six, un psicromctro del P. G. Cavalieri eseguito a Milano dal Dall’acqua, e alcuni termometri sciolti. Se non che la collezione dei mezzi per un completo sistema di osservazioni meteo- rologiche, qual oggi specialmente richiedesi, finora qui è troppo scarsa e attende novelli acquisti, che non le mancheranno dalla nobile splendidezza del Possessore, ove a lui se ne offra Fopportunita di commetterli. Poiché io non amo di terminar colla presente l’assuntami descrizione della Spe- cola novella, senza recarne altro piccolo Saggio delle celesti osservazioni che vi si praticano, passerò infine ad esporre brevemente quanto ci venne fatto sin qui di raccogliere e determinare per occultazioni lunari di alcune stelle, fra le più rimarchevoli annunziate daH’effemeridi. La serie delle nostre notazioni e de’risul- tati fu la seguente. 1864, Maggio 23. In questa notte occultavasi dalla Luna, passato di due giorni il plenilunio, la 21 Sagittario di 5.® Col Rifrattore di Merz a forte ingrandimento io vidi la stella piccolissima presso il lembo lunare illuminato fino a io*". 29’". 4* di tempo medio a Modena, e stimai ad occhio l’immersione dover succedere circa 20* dopo. All’emersione stancatomi l’occhio fisso alla Luna j)er mezz’ora continua fino a 11’*. SS.*", ne abbandonai l’osservazione all’ingegnere Blisclli, che riusci a coglierla, e la giudicò istantanea a iF. 42."" 45% 9 di tempo medio. Così la stella Sara stata occultata circa i’’. 14'". , mentre secondo l’annunzio dell’astronomo di Blilano (1864, pag. XXllI.) non doveva esserne celata se non o'’. 36*". 1864, Giugno 17. Occultazione di w' Scorpione, due giorni circa innanzi al ple- nilunio. Col Rifrattore Blerz a piccolo ingrandimento giudicai avvenuta l’immer- sione o disparizione della stella di 4-5® grandezza a 13'’. SO"". 9% 1 di tempo me- dio a Modena; dopo tal istante , in cui essa era vicinissima alle frastagliature della fase lunare, non avendola io più veduta. Nebbie atmosferiche però tratto tratto mi facevan perdere di vista le due stelle J e delle quali doveva oc- cultarsi a mio avviso anche la seconda, che l’effemeride di Milano (pag. cit.) an- nunziava passare a 5'. di minima distanza dal lembo boreale della Luna. L’emer- sione mi fù tolta interamente da nubi e nebbie addensatesi all’orizzonte. Questa osservazione, se riusciva completa, mi era preziosa, accadendo fra i passaggi me- ridiani di a. Lira, che presi al Circolo di Starke, e di a Cigno che ommisi. 1864, Ottobre 8. Occultazione di p . Sagittario di 4.® : Luna in 1? quarto. Immersione istantanea osservala a s'’. n"". 45% 6 di tempo medio a Modena. Emersione pure istantanea . . . . 9. 18. 23 , 3 Usando sempre dell’ottimo Rifrattore di Merz, per l’immersione , accadendo nei lembo lunare oscuro, vi applicai il minimo ingrandimento; non così per l’emer- sione dal lembo lunare fortemente chiaro, che richiede per la distinzione della stella emergente, e a minor fatica deH’occhio Fingrandimento massimo di 270. Con questo vidi la stella propriamente balzar fuori e in contatto col lembo della Luna. — X20 — La f Sagittario non fu occultata e oltrepassò la Luna alla minima distanza del lembo australe vero, o boreale apparente, che stimai da 3 a 4'. Questa volta ci siamo ben accordati coll’effemeride milanese, ed io ne crederei buona e precisa la mia osservazione. 1864, Ottobre 9. Occultazione di del Capricorno di 3*, e di una piccola pre- cedente di 8.® Immersione della piccola precedente a 9*‘. 19™. 27% 9 di tempio medio a Modena. Immers. di ^ Capricorno 9 . 25. 56 , 6 Emersione di Capr io . 32. 38 , 3 Per la immersione usai al solito il piccolo ingrandimento del Refrattore, e per l’emersione invece di (3^ Capricorno l’ingrandimento più forte di 270. Non bastò questo per altro a poter distinguere l’emersione della piccola stella di 8.®, eh’ era ben lungi dal lembo illuminato quando la riconobbi. Ma la Capricorno videsi a meraviglia in contatto col detto lembo, assai risplendente e di un bel giallo d’oro in vago paragone coll’argenteo della Luna. Questa e la occultazione di jeri qui osservate potranno impiegarsi a riconoscere la nostra longitudine relativa, o differenza de’meridiani con altra Specola, ove siane riuscita la completa os- servazione del pari che fra noi. 1864, Ottobre 14. Occultazione di e Pesci di 4®, poche ore innanzi al plenilunio. Emersione a s'*. 16™. 0% 2 di tempo medio a Modena. Col rifrattore di Merz a ingrandimento di 270 potei vedere all’emersione la stella propriamente e momentaneamente in contatto al lembo lunare illuminato. Riguardo all’immersione, essa mi sfuggi per essere avvenuta forse più di 20.™ preceden- temente all’annunzio dell’effemeride di Milano, e mentre per avventura io stava prendendo al Circolo di Starke il passaggio meridiano di a Cigno per averne la correzion siderea dell’orologio Frodsham, e quindi il vero tempo astronomico lo- cale. Perocché, appena osservato il detto passaggio, avendo io mirato col grande rifrattore, già predisposto, alla Luna, la stella erane stata occultata, nè più si vedeva. Una delle sommità lunari illuminata, giacche sul lembo orientale presso la fase del prossimo plenilunio, isolata, e di luce rassomigliante ad una stella di 4®, mi tenne per alcun tempo fìsso coll’occhio a mirarla, se mai fosse la stella in sul disparire, ma essa era veramente una montagna della Luna. 1865, Gennajo 4. Occultazione di z Pesci di 4.® : Luna in 1° quarto. Immersione a 7*'. 11™. 46% 9 di tempo medio a Modena : istantanea. Nubi e nebbie atmosferiche ricoprivan di tratto in tratto luna e stella; ma si dileguaron fortunamente poco innanzi all’immersione, osservata col solito rifrat- tore a piccolo ingrandimento. Invece per la medesima stella del 14 Ottobre p. p. mi è mancata in questa l’emersione, ostando le nebbie che interrottamente ve- la van la luna, e vagando io troppo coll’occhio di qua e di la dal vero luogo deH’emersìone, che avvenne a più di 190? dal vertice del lembo lunare. Quando io rividi la stella a 7^.39™. di tempo medio, essa era già uscita dalla luna circa 4™. innanzi. — ;^i — i865, Aprile t2. Occultazione di cc2 Libbra di 3.* : circa due giorni dopo il plenilunio. Immersione a iiL 47"“. 38% 7 di tempo medio a Modena. Emersione 13. o. 2i , 2 Con medio ingrandimento di 180 la stella, che vidi fino al contatto col lembo lunare illuminato, mi scomparve istantaneamente. AH’emersione, usando un in- grandimento di 80 per abbracciare coll’occhio un maggior arco di lembo lunare, giudicai la stella già uscita da 5 in 6® prima dell’istante notato in cui la vidi, e ciò, per non aver io l’occhio precisamente nel punto e all’atto della vera emer- sione, differisce un po’ troppo dall’annunziatone rispettivamente nell’ effemeride di Milano (i865. pag. IX.); mentre in altri casi, come per l’ultima immersione di i Pesci, la mia osservazione è riuscita concorde all’annunzio e calcolo della detta effemeride. Insieme poi all’ «2 Libbra, o Riffa, occultossi eziandio la pic- cola precedente 8 Libbra di 6*., ed io con ingrandimento di iso distinguendola fin quasi a contatto del lembo lunare, ne stimai l’immersione a ii''. 35”“. 33' di tempo medio a Modena ; ma con incertezza da 4 in 5' in meno dal vero, ossia da aggiungersi alla stima. Riguardo all’emersione io non riuscii a vederla, stante la piccolezza della stella, e il prossimo plenilunio accaduto. Giovami ora qui avvertire che gl’istanti osservati di tutte le precedenti oc- cultazioni riferivansi da me immediatamente aH’uno o all’altro dei due pendoli, Frodsham e Dent, dell’Osservatorio, entrambi quotidianamente regolati al tempo sidereo con passaggi meridiani, osservati al Circolo di Starke e corretti dalle de- viazioni dello strumento. A tal fine, ossia per conoscere a un istante qualunque la vera e precisa equazion siderea o correzion dell’orologio e la sua diurna va- riazione, io seguo sempre il mio costume di osservar alcuna delle stelle zenitali più cospicue, quali a Cigno, a Auriga, e a Lira, il passaggio meridiano delle quali notato all’orologio, per esser corretto non richiede se non di applicarvi li noti errori dell’inclinazione dell’asse o di livello, e della linea di collimazione o di fiducia, nullo essendo allo zenit quello di azzimut. Cosi corretti dall’equa- zion del pendolo gl’istanti a questo immediatamente osservati in ciascuna occul- tazione, io ne ottenni le quantità corrispondenti di tempo siderale a Modena , e da queste poscia facilmente dedussi quelle del tempo medio a Modena che ho riportate. Darò termine alla presente col richiamare semplicemente l’attenzione all’inte- ressante fenomeno teste rinnovatosi (il 7 del corrente Maggio) della congiunzion inferiore di Venere. Poco dopo il mezzogiorno del 3 corrente io potei distinta- mente osservare al Circolo e cannocchiale di Starke l’altezza e il passaggio me- ridiano del pianeta sotto l’aspetto di una strettissima falce, che stava per vol- gersi e passare dall’occidentale al lembo orientale del disco nella parte inferiore o australe, per esser Venere di 4 in 5? più elevata o boreale del Sole, lo era curioso di vedere, se nei seguenti giorni, sino a quello inclusivo della congiun- zione, io avrei potuto distinguere e osservar col piccolo cannocchial meridiano il — /22 — pianeta; come fortunatamente ciò mi avvenne per la simile congiunzion infei'iore del Febbrajo 18S4, però da me osservata col grande cannocchiale di Fraunhofer al Circolo meridiano di Reichenbacli (V. la mia Memoria inserita negli Annali di scienze matematiche e fisiche del eh. Tortolini, Roma, Settembre 1854;; ma in- torbidatasi l’atmosfera, la mia curiosità ne venne delusa. Poche sere antecedenti Venere in elongazion vespertina brillava aH’occhio nudo fulgentissima, tanto da esser creduta volgarmente una celeste novità meravigliosa, e di posizione passò vicinissima al bel gruppo delle plejadi, che mi occupavano ad altro intendimen- to. Fd oh, se ne fosse avvenuta l’occultazione di alcuna delle plejadi, quanto i< avrei goduto di osservarla ! Modena, 22 Maggio 1865. 1865. Luglio 3. Occultazione di «2 libbra, prima del plenilunio. Immersione a . . . ii‘’. 16"‘. 3% 7 di t. m, a Modena Emersione il. 44. 45, 2 L’immersione istantanea col cannochiale Merz piccolo, ingrandì l’emersione ve- duta propriamente a contatto del lembo lunare illuminato, sfuggendone fuori la stella obbliquamente. Simultaneo all’emersione avvenne il passaggio meridiano di di oc Lira. L’immersione della piccola stella 8 Libbra mi fu tolta da una nube, e l’emer- sione mi mancò similmente. G. B. VI. Il clima più regolap.e e meno variabile di modena OSSERVATO NEI VENTUn’ ANNI DAL 1830 AL 1850. Egli è da distinguere nel clima di un paese o luogo qualunque alla super- ficie terrestre la parte di esso clima che, durante un periodo o intervallo suf- ficiente di non pochi anni consecutivi, si osservi e possa dirsi molto prossima- mente regolare o costante, dall’altra parte che alla continua e sagace osserva- zione abbia presentato nello stesso periodo e per gli elementi medesimi, onde il clima si compone, ineguaglianze o irregolarità enormi. Per clima di fatto in- tendendosi comunemente il complesso delle speciali condizioni e de’successivi can- giamenti de’fenomeni atmosferici nel dato luogo, ne viene che una parte di tal complesso, in quanto è solo prodotta dalle naturali cagioni e influenze dell’an- nuo invariabil giro delle stagioni, o del diurno e annuo moto apparente del Sole, modificate permanentemente dalle circostanze locali di latitudin geografica , di altezza del suolo e di topografiche specialità per vicinanza di monti, corso di acque e coltivazione de’campi, ne viene, io diceva, che questa parte, da nomarsi il vero e proprio clima, dovrebbe manifestarsi e rimanere invariata, qualora nella — /23 — parziale atmosfera sovrincombente al dato luogo non avvenissero altri moti e can- giamenti per comunicazione colla totale atmosfera del globo. Donde l’altra parte del clima perturbatrice della prima, e non di rado tanto forte per lo stesso luo- go, comecché di non lunga durata, da invertirne quasi l’ordine di quella. Cosi nel cuor dell’inverno ci scorrono talvolta giorni che per temperatura sembran quasi di avanzata primavera, e inversamente all’aprirsi teste fra noi la dolce sta- gione una passeggierà intemperie di freddi venti e di neve ci chiudeva la straor- dinaria e prolungata mitezza della rigida precedente. Ma cotali perturbazioni o inversioni costituenti la parte irregolare del clima nel seguito di alcuni anni , o elidendosi fra loro a vicenda, o bastevolmente diminuendosi nelle quantità medie dal divisore dell’intervallo fra gli estremi , tanto non affettan e nascondono la parte regolare e costante, che questa chiaramente non emerga e si appalesi nelle tenui differenze delle dette quantità medie osservate, in riguardo però sempre al dato luogo e periodo considerato di tempo. Dietro questi e somiglianti riflessi io presi ad esaminare un solo elemento del nostro Clima, qual è la pioggia che annualmente cade a Modena, e ne stesi la Memoria che leggesi fra quelle della Società Italiana delle scienze (T. XXV. Parte seconda, 1852). Ivi presentate e sotto varii rapporti discusse le osservate quantità della pioggia, qui caduta nei ventun anni dal 1830 al 1850 inclusivamente, io toccai delle ragioni, onde mi sembrarono sufficientemente ben fondate nel prescelto e limitato periodo dei ventun anni le ottenute determinazioni e relazioni delle quantità medie finali; sebbene poi a ri- movere le rimanenti piccole incertezze di variabilità in quest’elemento del no- stro clima io dichiarassi richiedersi per avventura di ripetere e confrontare ana- loghi risultaraenti raccolti da quattro o cinque periodi eguali e successivi di os- servazioni (Mem. cit. §§. II e III. n.‘ 13 e 17). Se non che a estenderne e com- piere le ricerche relative al conoscimento della parte regolare o costante del clima di Modena io terminava la Memoria stessa col promettere di occuparmi, quando che fosse, alla disamina degli altri elementi del mio clima nel periodo stesso dei ventun anni; la quale promessa ora mi prefiggo appunto di liberare. Fra le considerazioni generali della IV. di queste Lettere io avvertiva di aver estratto dai registri delle quotidiane osservazioni della R. Specola e di custodire presso di me in parecchi fogli di tabelle una copia esatta dei mensili riassunti meteorologici durante il detto periodo dei ventun anni. E già tutti sono d’avviso che lo studio e assegnamento del clima particolare di un luogo non può fon- darsi e ammettersi fuorché nel raccogliere ed esaminare nelle annue quantità me- die i massimi, i minimi e i medii mensili , vuoi del barometro , termometro e igrometro, vuoi dello stato del cielo per serenità, nubi, pioggia e altri fenomeni dell’aria. Né io qui riporterò tali riassunti, che occuperebbero troppo spazio di tabelle numeriche, bastandomi di asserirne in tutta coscienza la fedeltà del fon- damento, cui ne verrò appoggiando 1’ esposizione o lo sviluppo e le successive deduzioni del mio soggetto. Ciò premesso e incominciando dall’investigare le re- lazioni o proprietà dei tre elementi atmosferici del clima, la pressione, la tem- peratura e l’umidità mediante le quotidiane indicazioni del barometro, termome- — 424 — tro e igrometro alle ore stabilite, io dirò che per ciascuno di tali strumenti mi- suratori trassi dai riassunti mensili dei ventun anni, e mi formai quattro quadri 0 prospetti ordinati e disposti come segue. Denotiamo iijnanzì con lettere d’al- fabeto le varie quantità che vuoisi e importa di considerare. Chiaminsi barometriche termometriche igrometriche l’annua media delle massime mensili .. a s h minime mensili . . b . t i medie mensili . . c u k l’annua massima assoluta A S H minima assoluta B T I la massima delle medie mensili la minima delle medie mensili C,, K, la massima delle medie annue c„ u, 4* la minima delle medie annue Cj Ut kf la massima delle massime annue . ... a' ...... s' hJ la minima delle minime annue . .... b' t' i' Mi convien inoltre avvertire che le ore fissate alle giornaliere osservazioni furon cangiate nei ventun anni e precisamente in questo modo. Nel triennio 1830-31-32 notavansi le condizioni atmosferiche alle 8 della mattina, e alle o e 8 della sera; nel biennio seguente vi si aggiunsero quelle delle 12 sera, o della mezzanotte; nel 1835 notaronsi alle io m. e alle 3, 6 e io s., nel 1836 alle io m., o, 8 e io s., dal 1837 al 47 inclusive alle 9 m. o, 6 e 9 s-, e nel triennio 1848-50 alle 9 m., 3 e 9 s., essendosene dijDoi continuata l’ultima distribuzione comunemente am- messa. Cotali cangiamenti delle ore non debbon però influir molto nelle inda- gini e risultanze attuali; né ho io mancato di avervi riguardo nel calcolo di ri- duzione alle quantità medie. Pertanto ecco 1’ ordine e la formazione dei quattro prospetti o quadri poc’anzi accennati, dedotti con ogni attenzione e diligenza dai riassunti mensili, e che tengo sott’occhio, avvegnacchè per Teconomia dello spazio 10 mi astenga di qui produrli. Come ho detto, Pordinamento loro è uniforme, ossia comune al barometro, colla scala in linee del piede di Parigi, al termo- metro esterno a scala ottantigrada, e all’igrometro di Sausurre a capello e scala centesimale. Nel quadro i.° ho riportato semplicemente per l’intero periodo e a ciascun’ ora di osservazione le annue medie a, b, c; s, ri w; A, i, k. A ciascun anno del periodo nel quadro 2? e in quattro successive colonne ho riportato le quan- tità A, B, C„ , Cfc : S, T, , Ue : H, I, K* , K, , a lato di ciascuna indicando 11 mese e l’ora che la somministrava ; e qui prese le medie dei ventun anni , esse mi risultano lin. medie A = 343, 7242 . . . . S = + 24? 4333 . . . . H = 90, 5238 ; B = 327, 0456 . . . . T - - 4, 2429 . . . . I = 2, 6905 ; = 339, 2137 . . . . U,= + 21, 4663 . . . . K,= 81, 0640 ; Ca = 334, 4944 . . . . = 0, 3896 . . . . K,= 35, 7938 ; — /25 — donde a vista di numeri e molto prossimamente, emergono le tre semplicissime proprietà o relazioni (1) . . . . A=2C„-C, S^T=U,-U, H = 2(K,-K,), le quali si enunciano assai di leggieri per ognuna delli tre atmosferici elementi del clima, pressione, temperatura e umidita. In tanta varietà e discordanza dei singoli valori, orarii, mensili e annui potrebbe il caso far nascere nei rispettivi inedii valori del periodo o intervallo totale relazioni cotanto semplici, ove que- ste non dovessero attribuirsi per naturali cagioni alla parte più regolare del cli- ma nel dato luogo e corso di tempo ? Nel 3? quadro, distintamente già s’intende rispetto al barometro, termometro e igrometro, a lato di ciascun anno dei ventuno disposi l’ora diurna di osser- vazione o corrispondente alle s , t , iij , itf , h ^ i ^ k/^ , ki , e qui si scorge che le a, pressoccbè semj^re accadono di mattina e invece le b', di sera; che per contrario le Us offronsi di sera, e le t\ di mat- tina; e che le A', avvengono tanto di mattina che di sera, mentre le A, A, avvengono costantemente di sera. Seguono altre sei colonne dello stesso quadro, triplicato come li due i? e 2? , nelle quali sono riportate per ciascun anno le differenze «'-A', A-B, - Ci , A - C„ ^ B-C*; s' -t\ u^~Ut , S - T , - Uf , S - T - Ui ; A'-A, Ai-A, , H-1 , Ki-K,, H-K^, I - K, . Prese le medie di ciascuna di tali differenze per l’intero periodo, si ha lin. medie ....a-A= s , 9106; = o\ 3241; A-B = le*, 6786; C„-Ci= 4‘, 7193; A - 4S 5105; B-Ci 7S 4488 ; s'-t' ^ + 8, 9682; U-Ut^ + 1°, 5478; S -T= +28°, 6762; +21°, 0768 ; S - U^= + 2, 9670; T-Ut= - 4% 6335 ; A'-A= 55 , 0386; Ai-A,-= 10 , 8289; H-I = 87 , 3333; Ka-K,= 45 , 2702; H - 9 , 4598; I -K,= - 33 , 1033 . Raccogliamo di qui tre nuove semplici relazioni o proprietà, empiricamente sca- turite o a posteriori, e sono (2) .... a'-A'+c„-Ci=2(C,-Ci); .y'-A+U -0^= S-T+^z A'-A=:K/-K,+ H-Ka=H-K,: ma si guardi bene di non confondere queste medie differenze colle originarie o singole annue del quadro 3° dedotte dal 2°. Egli è poi singolare che le sole ul- 18 — /26 — lime tre B - T - U< , I - K, sieno risultate negative, mentre tutte le ante- cedenti son positive. Finalmente nel quadro 4?, pure triplicato, io riportai per ciascun anno e ad ogni ora di osservazione, tratte sempre dai riassunti de’mesi, le quantità combi- nate annualmente in medie e che util sembrami di qui presentare, insieme alle richiamate altezze corrispon- denti dell’annua pioggia caduta. Anno Medie bar. C ~ -j- Medie ter. Medie igr. Altezza dell’ annua pioggia ANNOTAZIONE lin. 0 millim. 1830 + 0, 6200 + 0, 0484 4- 0, 2608 740, 04695 Non pochi ne’lievi riscon- 1831 + 0, 1769 4- 0, 2375 4- 3, 9115 586, 40259 tri si manifestano in queste 1832 + 0, 4289 4- 0, 4063 4- 2, 1133 604, 90042 differenze medie. Io mi limi- 1833 + 0, 8314 + 0, 2158 4- 5, 8128 1109, 82244 to a rimarcare il senso posi- 1834 4- 0, 5668 + 0, 1552 4- 3, 0282 299, 79962 tivo di tutte pel barometro 1335 4- 0, 4719 4- 0, 4511 4- 3, 8633 814, 55690 non meno, che pel termome- 1836 4- 0, 8415 4- 0, 4840 4- 5, 7422 614, 14921 tro e l’igrometio. Ciò signi- 1837 4- 0, 7092 4- 0, 1243 4- 3, 8407 576, 38680 fica che nel nostro olimaie 1838 4- 0, 5332 4- 0, 1647 4- 3, 7555 801, 45065 c, a, k risultando maggiori 1839 4- 0, 1900 4- 0, 3642 4- 3, 2269 1176, 30172 delle rispettive semisomme 1840 4- 0, 2910 + 0, 3042 4- 3, 2399 548, 68517 nel corso dell’ 1841 + 0, 5434 + 0, 0184 4- 4, 8450 658, 22817 anno la somma delle massi- 1842 4- 0, 5596 4- 0, 2637 4- 1, 8514 860, 30513 me mensili corrispondenti 1843 4- 1, 4000 4- 0, 1670 4- 2, 4802 636, 86550 supera quelle delle minime. 1844 + 0, 4577 4- 0, 3143 4- 3, 2960 825, 13678 ossia che in genere presso 1845 + 0, 6631 4- 0, 0564 4- 3, 9886 915, 84582 di noi prevale colla maggio- 1846 4- 0, 4216 4- 0, 0147 4- 3, 2610 898, 04095 re altezza del barometro il 1847 + 0, 8960 4- 0, 3878 4- 2, 6632 657, 17267 buon tempo, il maggior ca- 1848 4- 0, 4855 + 0, 0819 4- 3, 8651 652, 13282 lore colla naturale tempera- 1849 4- 0, 6814 4- 0, 0318 4- 4, 8240 650, 73882 tura, e un piccolo eccesso 1850 4- 0, 5952 4- 0, 2433 4- 5, 4837 1010, 15774 di umidità, dovuto forse al- la bassa situazione del no- stro suolo, e alle non lon- tane valli e risaje. Come rilevai per l’elemento solo della pioggia (Mem. cit. §. 11. n. is), parmi giovevole di tirar eziandio e raffrontar per gli altri elementi le medie triennali della precedente tavoletta; e sono queste le seguenti, comprendendovi le già note deirultiraa colonna, o della pioggia. _ ^27 'v-' MEDIE TRIENNALI triennio del barometro del termomet. delfigrometro della pioggia i? liti. + 0, 4086 +0, 2307 4- 2, 0952 643, 78332 2? ■1- 0, 6267 4- 0, 2740 -4 4, 2348 741, 39299 + 0, 4775 + 0, 2577 4- 4, 4461 663, 99556 4? -i- 0, 3415 4- 0, 2289 4- 3, 7706 794, 40502 5? + 0, 8058 4- 0, 2483 4- 2, 5425 774, 10247 6? -r 0, 6602 4- 0, 1530 4- 3, 3043 823, 68648 7? 4- 0, 5874 + 0, 1187 4- 4, 7243 771, 00979 Medie totali 0 dell’intero + 0, 55824 4- 0, 2169 4- 3, 5883 744, 67271 periodo Scorgesi ora immediatamente il rapporto, secondo il quale diminuiscono le dif- ferenze o escursioni dei quattro elementi, dalle medie annue alle triennali. Ab- biamo infatti l’escursioni dalla massima alla minima nelle annue medie prece- denti, del barometro = i‘‘“’223l, del termometro = 0°, 3370, dell’igrometro = 5, 2229, della pioggia = 876^50210 ; e nelle medie ti iennali collo stess’ ordine oS 4643 ; 0°, i553 j 2, 6291 j 179, 90316 : perloccliè dalle une alle altre avvennero le dimi- nuzioni, barometrica di | , termometrica di ^ , igrometrica di | , e della piog- gia di I circa. Quindi pure la conseguenza che ad annullar siffatte differenze o escursioni, e definirne stabilmente la parte regolare del clima, si richiederan- no, come io asseriva poc’anzi, le medie di quattro o cinque periodi di ventuu anni consecutivi, ossia circa un secolo di osservazioni continuate. Consideriamo ancora le a,b, c, s, ii ; h, i,k ; ma prese per esse dai rias- sunti mensili rispettivamente, non più le medie anuue semplici, o singole a cia- scun ora fissata di osservazione; ma eziandio medie, o composte da tutte le ore di osservazione degli stessi giorno, mese ed anno; le quali già differiscon poco fra loro, e si raccolgono dal mio quadro i? Dicansi di queste novelle medie , orario-annue, per l’assunto periodo dei ventuu anni pel barometro pel termometro a, la minima della massima : e per 1 igrometro la media delle massime indicando similmente aj la massima delle massime ^ analoghe quantità Z>i la minima delle minime la media delle minime Z»3 la massima delle minime Cj la minima delle medie 62 la media delle medie C3 la massima delle medie con j-2, ^3 ; Aj , > A3 3 , k -, , A3 . Si ottiene cosi a^~ «1+^3 2 lin. = -0,1679; s^r 0”. 2 , 2347; h - A7+A3 - n <7on- f - t,+ t'ì 1312; 2 2 \r - C,+C3_ A • 7/ — . U-i—U'3 A KOI * ) ’ 2 =-o. 1 0«7 1 ^ j h,+1i-ì A, = + 1> 7508 ; 2 «I+/3 i, 3739 ; A1+A3 Aj- = + 2, 2413 : 2 Dalla quale risultanza conseguono a vista di numeri le proprietà o relazioni ap- prossimative i+«3 7 ^i+A3 ^ Aa ; 2 2 ^ ^ ^ _ >yi+ ^3 ^ ^ _ ^1+ ^3 2 ^ ^ 2 "" 2 " A1+A3 (3) Ci-^C3 C2 a. 2 A1+A3 /f, = A, + 3 2 2 / . « I + ^3\ (‘---T-j Pertanto nella significazione delle formule (i) , (2) e (3), sebben empiricamente ottenute^, abbiamo, se non tre leggi costanti e dimostrate, almeno tre fatti sem- • plici e singolari, che debbono attribuirsi alla sola parte più regolare o meno variabile del nostro clima in riguardo alla pressione, temperatura e umidita del- l’atmosfera, col qual triplice elemento collegasi poi anche quello dell’annua me- dia della pioggia. Attesa la piccolezza dei trovati valori delle diflferenze «2 ^ — s ecc., dai quali certamente e scomparsa per compensazione 1 inten- sità perturbatrice della parte del clima irregolare e variabile, nondimeno in un altro periodo di ventim anni queste non potranno presentarsi alquanto variate dalle precedenti le analoghe relazioni e formolo (3). In seguito di ciò tornerà curioso e interessante di conoscere ed esaminare li avvenuti cangiamenti che costituiranno a — /29 — COSI dire le formule differenziali di fatto , da doversi poscia convenientemente integrare per conchiudere la vera determinazione del clima regolare di Modena. Altro elemento del clima e sommi nisti’ato dalle orario-quotidiane annotazioni dello stato del cielo o dell’atmosfera nel dato luogo per serenità e limpidezza^ o intorbidamento di nubi e nebbie. Dalla mia copia de’riassunti mensili durante il noto intervallo dei ventun’anni, altro quadro io ne formai per questo elemento, e denotando a ciascun anno e a ciascuna delle quattro ore di osservazion gior- naliera con l il numero dei giorni di atmosfera limpida o serena, con m quello dei giorni di cielo mezzo fra sereno e nuvoloso, con n quello dei giorni di cielo interamente nuvoloso con p quello dei giorni di pioggia^ neve e grandine comprese, e per l’anno e l’ora in cui avvennero con 7^2 le massime di /, in, n, p distintamente l’una dall’altra, con le minime delle stesse allo stesso modo, e per l’intero periodo con le medie totali di /, m, n, p, ottenni mattina 9^» prossiin.te 1 sera O*» prossim. sera 3'’ prossim. sera 9*“ prossim. l m n V l m n P l 1 m n p l m n 1 P T»2 s 192 e 132 134 39 189 172 124 37 208 115 114 35 218 no 139 32 rh 97 51 71 10 '79 . 89 62 9 96 59 49 12 144 45 71 11 k 140, 81 92,95 105,48 24,62 121,79 128,58 91,84 20,32 130,38 86.71 86,76 24,43 163,00 69,93 107,43 22,71 e 95 81 63 29 110 83 62 28 112 56 65 23 74 65 68 21 d -1-3,7 — 1,5 — 3,0 — 0,1 l-f-12,2 d-1,9 -fl,2 -f2,7 -f-21,6 -fl,3 — 5,3 — 0,9 -E 18, 8 -f-,6 — 1,9 Nella 4® fila orizzontale della tabella, coll’argomento e (escursione), ho posto le differenze delle due file D. e 2^., ossia degli estremi delle condizioni atmosfe- riche /, 777, 77, p, avendosi perciò e = espressa in numero di giorni. E nella 5*. fila orizzontale, coll’argomento d (differenza) ho scritto il risultamentO o la combinazione delle prime tre file costituita dall’ espressione o forinola 777 2 4- 772 , _ , , . -1 . 1- . . . d = . Quest ultima, come si vede , si compone di assai tenui differenze in unità di giorni, con vario segno, meno che nelle ore di sera per la sola condizione l tali differenze riuscite alquanto maggiori e positive. Ma evvi altra singolare proprietà emergente dal mio quadro dei venturi anni, ed è che se formansi da questo le condizioni ^ , m + p raccolte nelle medie totali , si trova per le quattro ore diurne di osservazione l + n g 5 s /+77 8 (4) [m + p) = + 5, 58 ....=- 1, 44 .... = -2, 57, (777+5yD) 2, 84 proprietà o relazione che, insieme aH’ultiraa precedente , per le tenui quantità ottenute nel periodo considerato dei ventun anni, sembrerebbe un carattere di- — /30 — stintivo del nostro clima in riguardo aU’aspetlo apparente, sereno e tranquillo, fosco e procelloso del cielo. Tradotto in linguaggio fisico, essa indicherebbe che qui la semisorama dell’annuo numero de’giorni di cielo tutto sereno e tutto co- perto eguaglia in media e prossimamente l’analoga somma de’giorni di cielo fra .sereno e coperto e di pioggia. Come per lo stato del cielo, così per la direzione osservata dei venti nei ven- tun anni io mi formai da ultimo altro prospetto o quadro generale, ordinandovi per ciascun anno il numero delle volte, in cui aveva .spirato ciascuno dei quat- tro venti principali, e dei quattro intermedii, secondo le indicazioni di una ban- deruola molto elevata e mobilissima del R. Palazzo; e ciò alle ore 9 della mat- tina, alle 3 della sera, e per undici anni anche alle 6 della sera. Fatte a cia- .scun’ ora e per l’ intero periodo le somme di ogni colonna esprimente 1’ annuo numero delle volte dello spirare degli otto venti, e di tali somme prese le medie totali, dividendole pel rispettivo numero degli anni, ecco l’ordine in cui quelle e queste, dalle maggiori gradatamente alle minori, mi si offrono distribuite : 9 JHATTINA 9h SERA 6h SERA venti somme medie venti somme medie venti somme medie 0 1751 83,4 N-0 1669 83,5 E 644 58,5 N-0 1620 77,1 E 1364 68 2 N-E 411 37,4 S-0 1170 55,7 0 1056 52,8 N-0 372 33,8 E 1148 54,7 N 932 46,6 N 329 29,9 N 677 32,2 N-E 882 44,1 S-E 307 27,9 N-E 663 31,6 S-0 726 36,3 0 241 21,9 S-E 358 17,0 S-E 466 23,3 S-0 181 16,5 S 241 11,5 S 150 7,5 s 77 7,0 E qui pure, prese dal mio quadro ad ogni colonna le massime e minime degli anni singoli, e confrontandole fra loro e nelle rispettive medie della tabella pre- cedente ne trovo coll’ordine e successione della tabella stessa massime - minime, o escursioni 22 I 49 I 61 I 77 1 26 1 27 I 85 I 80 H 15 | 49 [ 55 | 61 | 28 [ 73 | 83 | 58 H 9 | 29 | 29 | 29 | 37 | 44 ] 35 | 21 j | ^ differenze (5) ... -f-2,5 I -f-2.8 I -fi, 3 I q-8,1 I -fl,0 1 —0,1 ] -P2,4 | -fi, 3 1| 0,0 | -f0,3 | —5,5 ( +4,7 ] +5,7 | +10,4 ] +5,0 | +9,7 |[ +1,5 I —1,0 I +3,6 ! +2,6 1 —1,4 I +5,6 | +3,7 | +1,0 || Le piccole differenze (5) indicano che nell’esaminato periodo dei ventun anni an- che i venti spiegarono in media una tal quale regolarità che appartiene e ca- ratterizza il nostro clima. — /31 — Di qualche intei’esse ora sarebbe in\restigare e conoscere i rapporti che pas- sarono fra le misurate quantità della pioggia caduta e il succedersi o predomi- nar contemporaneo dei venti. Ma di questa e di altre simili considerazioni io non entro in discorso, dacché può consultarsene in riguardo alla pioggia la mia più distesa Memoria sopracitata. Ben è a lamentare piuttosto che presso di noi non siasi finora istituita nè praticata una serie di osservazioni elettriche e magnetiche, siccome con tanto studio e profitto per la meteorologia de’nostri giorni altrove si è promosso ed attuato, mancandone a questa Specola R. la necessaria sup- pellettile di squisiti mezzi e strumenti di misura , nè alcun Fisico essendosene fra noi occupato. In rapporto perciò all’elemento elettro-magnetico del clima, la discussione o disamina, che ne abbiam fatto della parte regolare per un sufiì- ciente corso di anni, ce ne rimane incompleta e mancante, lo debbo inoltre av- vertire, che nei registri delle quotidiane osservazioni alla Specola e nella mia copia di riassunti mensili pei ventun anni le altezze barometriche non sono cor- rette dalla capillarità e dalla dilatazion della scala; nè furon ridotte a comune temperatura e al livello del mare. Quindi esse non servirebbero, prive, come io le ho adoperate, di tali correzioni e riduzioni, alla comparativa discussione con altri climi e luoghi. Però non avendo riguardo se non all’assoluto riconoscimento del nostro clima più regolare, senza cioè relazione ad altri luoghi, e non trattandosi nè discutendosi per me se non di differenze di quantità medie a lungo inter- vallo di tempo, le anzidette correzioni e riduzioni del barometro mi erano pres- socchè inutili alla espressione de’risultamenti ottenuti. Che se non era d’altronde il risparraiaimene una vana fatica, io avrei potuto correggere e ridurre le indi- cate medie mensili del barometro con quelle, che pure conservo in copia del ter- mometro unito, le quali mi gioveranno per altre quistioni e ricerche, ben più ardue e delicate di quella del clima, e voglio dire per l’argomento delle varia- zioni periodiche o regolari delle condizioni atmosferiche di pressione, tempera- tura c umidità, e delle loro naturali cagioni. Nulla, dopo il sin qui esposto , avendo io a soggiungere intorno alla parte più regolare del nostro clima, ben poco si è (|uello che posso dirne della parte irregolare, non essendosi tenuta una menzione abbastanza circostanziata di ([uesta nei registri meteorologici della Specola modenese. Tuttavia , per quanto io ne serbo memoria di mia sperimentata conoscenza, posso affermare con sicurezza di verità che, nei ventun anni da me trascelti e considerati, ninna qui mancò delle straordinarie cagioni e influenze, parziali o generali, de’grandi fenomeni e moti atmosferici. Ardori estivi forti e prolungati , invernali rigori diuturni e talora con masse esorbitanti di neve caduta, un velo nebbioso, uniforme e permanente che in tempo di estate occupò e si distese per un vastissimo spazio di atmo- sfera e che permetteva di affissar all’occhio disarmato il disco del Sole c scor- gere distintamente le maggiori macchie sino all’altezza meridiana (soggetto di quistioni per iscoprirne e ammetterne la sorgente più verosimile), qua e là nelle vicinanze di valli, pianure e monti piombati nembi con fulmini, uragani, e gran- dine devastatrice, fiumane, straripamenti, e inondazione di ampii terreni , fiere Lurrasclie di aria e di oceani più o men lontane da noi, e qni ben anco il ga- gliardissimo terremoto nella notte dal ’l2 al 13 Marzo del 1832. De’quall avveni- menti straordinarj a me non fu dato fuor di stenderne alcuni cenni e riflessi in- torno al singoiar inverno del 1845, raccogliendoli nella mia Memoria pubblicata fra quelle della Società Italiana delle Scienze (T. XXIIl. P. Mat. pag. 33o). Però 10 ripeto che, sebben grandi per estensione, violenza, svolgimento , progresso e conseguenze, i detti avvenimenti distribuiti e in parte compensandosi in un corso di anni abbastanza lungo per un dato luogo, non alterano molto sensibilmente 11 clima regolare di questo; e credo poi sempre la posizion topografica di Mo- dena esser assai favorevole a questa ultima specie di determinazioni, come io an- nunziava fin dall’apertura e attuazione del R. Osservatorio (Atti ecc. pag. 344). Mentre, cotanto ferve nel mondo scientifico di Europa e di America P amore degli studii meteorologici, ed ora che in Italia specialmente una Commissione d’illustri Fisici e Astronomi per disposizioni di Autorità. Governative è incaricata di promoverne l’avanzamento, proponendone un piano di ben combinate ricerche e operazioni a ben riconoscerne, com’è detto, il clima della Penisola, pare a me che ad alcuni riguardi non mancherà di ottenersene il successo più vantaggioso. Però sembrami inesatta l’espressione usata di raggiugnerne e assegnarne il pro- prio e vero clima, come se questo fosse omogeneo ed unico, di un’ ampia re- gione, la quale, come ogni altra, ne’varii suoi luoghi ne offre cento fra loro di- versi, ad anzi il clima dello stesso luogo a breve tempo vario e incostante. Se nondimeno intendasi il clima della maggior parte Nel seguente anno 1844 compiuti da me per tutte le 220 stelle i calcoli delle riduzioni alle posizioni medie nell’epoca del solstizio estivo 1840, io ne stendeva la Memoria col titolo = Posizioni madie delle 220 stelle ecc. e Considerazioni intorno ai loro moti proprii =, che venne pubblicata nell’anno stesso fra quelle della Società Italiana delle Scienze (T. XXIII, Parte Matematica), Ivi nelle Con- siderazioni sui moti proprii e la variabilità loro io richiamava gli argomenti e raffermava le deduzioni, esposte nel precedente discorso letto a Lucca limitata- tamente alle j^rime cinquanta stelle, non solo; ma estendevano le analoghe con- clusioni a casi ed esempi di altre stelle, e trattenevami eziandio con riflessi e congetture intorno le più verosimili cagioni e influenze astronomiche atte a spie- gar i fenomeni dei moti projnii siderali. Più tardi e nel 1846 avendo io calco- lato in sufficiente numero le mie osservazioni delle stelle circompolari comprese nell’ora 0 del Catalogo di Piazzi, ne traeva una mia piccola Memoria o Nota, che vide nel detto anno la pubblica luce nel Giornale di Roma = Piaccolta di lettere e scritti intorno alla Fisica e alla Matematica — (T. II. pag. 97 e 153), ove aggiunsi pure nuovi confronti fra le posizioni medie di 22 stelle (pag. 154) alle tre epoche di Bradley, di Piazzi e della mia fissata al principio del 1845 (*). Le variazioni dei moti proprii che me ne risultarono dal primo al secondo in- tervallo di tali epoche in Ascensione retta e in declinazione furono avvertite e ricordate, con troppo gentil encomio alla mia meschinità, dal eh. nostro Collega il professore Ab. Ignazio Calandrelli in nota al §. 26. della sua ben elaborata Memoria intorno ai moti proprii delle stelle (Atti de’Nuovi Lincei, Sessione V. del 2 Aprile, 1857, pag. 328). E in proposito particolarmente della stella Cefeo 43 di Evelio egli facea rimarcare con verità, che una mia congettura o ipotesi intorno al moto proprio variabile di tale stella altro non era, se non cpiella stessa di Bessel relatioamente a Sirio, la quale di certo allora (nel 1846) non mi era cognita per alcun pubblico annunzio che ne avessi veduto. Quanto però al concepire ed ammettere con Peters di Altona che, a somiglianza dei sistemi delle stelle binarie. Sirio e Procione ( e lo stesso direbbesi delle mie stelle di moto notevolmente variabile) col moto loro variato e curvilineo si aggirino in- torno ad un corpo, apparentemente vicino, di massa maggiore, e invisibile per- chè oscuro, l’ipotesi mi sembra divenirne troppo ardita e strana, come quella che non conformasi cogli altri due casi, di fatto e finora unicamente dimostrati, di corpi oscuri e pianeti di un luminoso, e di Soli pianeti di altro Sole. Piuttosto perchè non potrebbero Sirio, Procione, la 43 Cefeo di Evelio e altre stelle sem- (^) Veggasi anche nel T. IV degli Annali di Fisica e Matematica del eh. Tortolini un mio Arti- colo a pag. 320. ...326 e una mia Lettera al Compilatore a pag. 481—483. — /44 — plici aggirarsi intorno rispettivamente ad una fra le minori di luce , vicine e anche piccolissime che appajono insieme alla mobile e principale nel campo ot- tico del canocchiale ? Con Sirio ad esempio io notava nel campo oscuro e ad un tempo dodici piccole stelle, due di lO-di®, tre di li— i2*, quattro di 12“, e tre telescopiche; e nel campo di Procione altre dodici, una di 6*, una di 9-10*, una di 10®, tre di 11— 12® e tre telescopiche. Ma quali poi di tali stelle sarebbe la centrale, o il Sole rispettivo nel sistema binario ? Ai futuri Astronomi il quesito. Modena, 9 Ottobre 1865. Giuseppe Bianchi. Sulla escursione barometrica in rapporto colValtezza locale sul livello marino^ e colla direzione del vento - Bicerche di Giuseppe Serra Carpi ingegnere. Le oscillazioni barometriche, siccome quelle che rappresentano gli squilibri del- l’atmosfera che ne involge, hanno ognora richiamato la più seria considerazione dei fisici, a fine di indagare i rapporti che intercorrono fra le variazioni della pressione atmosferica , e quella dei vari altri elementi meteorologici. Nello studiare pertanto la serie di osservazioni meteoriche da me istituita sul Monte Cavo, ho potuto determinare quale sia la differenza che 1’ altezza sul livello marino produce nella escursione barometrica, e quali le variazioni che subisce nelle diverse stagioni, come ancora ho potuto scorgere qualche relazione fra r epoca dei massimi e minimi barometrici nelle due stazioni che ho preso a considerare e la direzione del vento. Le quali ricerche mi permetto di pre- sentare aH’Accademia , siccome quelle che servono alla completa cognizione del nostro clima , ed alla conferma di importanti conclusioni da altri fisici dedotte su questo argomento. Ed innanzi tutto giova avvertire che l’escursione media barometrica al mare è stata da me desunta dal Bullettino Meteorologico dell’Osservatorio del Col- legio Romano ove trovansi con bell’ordine disposte le epoche ed i valori dei massimi e minimi barometrici , ridotti al livello del mare, non che 1’ escur- sioni medie mensili. Egli è pertanto istituendo paragone fra queste osser- vazioni e quelle eseguite al Monte Cavo, che ho trovato ciascun massimo o minimo avvenuto in Roma, avere sempre il suo corrispondente in quell’altura lo che dimostra chiaramente quale fiducia meriti la serie di osservazioni colà eseguita dai RR. PP. Passionisti, e come le comparazioni che ora sono per fare, siano basate sopra due stazioni che non ammettono eccezione per parte degli Osservatori. Con tali mezzi , dopo avere dedotto la escursione media barometrica di quella vetta , ho potuto ottenere l’andamento comparativo di questa escursione al livello marino ed a 960 metri sopra di esso come tro- vasi il monte Cavo. Il quale andamento si riferisce all’ anno meteorolo- gico 1865 , e viene espresso graficamente nel seguente quadro ; il quale 21 rappresenta le escursioni medie barometriche in una scala doppia della na- turale, per rendere più sensibili anche le piccole variazioni. Mi si potrebbe però dimandare ragione del perchè da me' si prenda l’escursione barometrica dell’Osser- vatorio del Coll." Romano, come se fosse al livello marino, mentre nell’ en- comiato Osservatorio il barometro è a 49'” su questo livello. A questa ra- gionevole dimanda rispondo, che F errore che si commette è solamente di — 0""", 08. Errore che come ho reputato trascurabile in questo lavoro, così ho creduto di riportare, per uso di chi volesse raggiungere un’ esattezza maggiore. Inoltre giova avvertire che non essendovi al monte Cavo un ba- rometro grafico , così F escursione venne dedotta da quei massimi e minimi che venivano somministrati dalle giornaliere osservazioni. Quadro rappresentante le escursioni medie barometriche mensili in Roma e al M.^ Cavo, nel 1865. Da tali confronti da me istituiti posso dedurre le seguenti conseguenze. 1 . " L’annua escursione media barometrica nella nòstra latitudine per un altezza di 960'” sul livello marino decresce di l""”, 473. Quindi si potrebbe concludere che nelle nostre regioni e dentro certi limiti la oscillazione baro- metrica media diminuisce di un millimetro* per ogni 650'” di altezza. Questa seconda conclusione sarebbe vera assolutamente , se F escursione barometrica diminuisse ognora nello stesso rapporto coll’altezza in qualsiasi elevata regione, però ciò non essendo in natura, resta vera solo condizionatamente, cioè per quelle altezze che non molto si diseostano da quella del monte Cavo , col quale furono istituiti i confronti ora accennati. 2. " I mesi che hanno presentato la massima differenza d^escursione nelle due stagioni sono stati il Febbraio ed il Settembre (l""", 88). Nel mese di Aprile la detta differenza è stata la minima (0'”'”, 87) ; mentre nel mese di 47 — Maggio la differenza di escursione media fra le due stagioni ha pressoché eguagliato la differenza media deli’anno, essendo stata 1'”'”, 57. 3.° Prendendo la differenza media fra le escursioni nelle varie stagioni, si deduce che quella di Autunno è la massima (l'”'”750), la minima è quella di Estate e la differenza che più si avvicinjg^ alla media annuale è in Primavera l'””,456. La differenza poi di escursione media nell’ Inverno è l'”"",653. I quali risultamene mi sembra che potrebbero ancora servire di norma per chi volesse in seguito istituire somiglianti confronti, e non potesse ottenere su qualche altura un’ intero anno di Osservazioni. Ho procurato inoltre di confermare, per mezzo delle differenze barome- triche, quale fosse l’altezza del monte Cavo sopra il livello marino; ed a tal fine ho adottato la formola che viene data da Laplace nella quale il dislivello viene espresso in metri da D = 18395 (1 0,002837 cos.2?)(l -4- log. ^ , ed avendo in essa sostituito i valori numerici corrispondenti per ambedue le stazioni, ho ottenuto D==9r33. Possiamo adunque ammettere che il monte Cavò sia a 960 metri circa sul livello marino; risultamento che non è lungi altresì da quello ottenuto dai chia- rissimi prof." Ricchebach e Conti, che assegnarono a quella vetta l’altezza di 954 metri sul mare. Da ultimo nell’ indagare quali rapporti potevano esistere fra la simulta- neità dei massimi e minimi barometrici e la direzione del vento, ben mi sono avveduto che essendo la stazione da me istituita ad una grande altezza su Roma, produceva una notevole complicazione su questo fenomeno. Pur non- dimeno ecco quanto posso asserire su tale argomento. Quando i massimi e minimi sono simultanei in ambedue le stazioni e la direzione del vento è comune, questa tende ad essere normale alla linea di congiunzione delle due stazioni stesse. Allorquando poi i massimi e minimi non sono simultanei nelle due sta- zioni, ho dovuto osservare che il minimo o il massimo prima di propagarsi da una stazione all’altra impiega talvolta sei ed anche più ore; il quale tempo è certamente molto grande, per due stazioni poste a poche miglia di distanza fra loro. Da questo ritardo di propagazione che si di frequente ho notato, mi sembra poter trarre un importante argomento in favore dell’opinione di quei fisici , che ritengono essere i massimi e minimi barometrici generati da un moto vorticoso dell’atmosfera. Difatti questa ipotesi spiegherebbe benissimo, a preferenza d’ogn’altra, la grande tardanza dei massimi o minimi nel propa- garsi da una all’altra stazione. Poiché non è diffìcile l’ammettere a tutto intero il vortice un lento ed irregolare movimento di traslazione, per il quale potrebbe trascorrere un lungo spazio di tempo, prima che il pozzo del vortice, nel caso del minimo, o uno dei suoi labbri, nel caso del massimo, facesse passaggio per ambedue le stazioni , sebbene a non molta distanza fra loro. Ne questa stessa ipotesi troverebbesi affatto in contradizione con quei casi nei quali il massimo o minimo avviene simultaneamente in ambedue le stazioni; giacché il caso di due minimi contemporanei, troverebbe facile spiegazione nell’ammet- tere due vortici producenti un massimo intermedio e per conseguenza due minimi verso le due stazioni. 11 caso del massimo simultaneo poi potrebbe riferirsi ad un vortice di maggiore ampiezza che avesse il centro o il minimo intermedio, e giungesse cogli orli a passare per le due stazioni. Il non avere poi trovato quasi mai la direzione del vento secondo la linea congiungente le due stazioni, quando in esse avveniva la simultaneità di mas- sima o minima pressione, mi rende ancora più favorevole per la riferita spiega- zione. Però dessa sola non basterebbe a renderci conto di questo ritardo nel quale molta parte si ha certamente la differenza di altezza delle due stazioni. Inoltre questa ipotesi se riesce lusinghiera per ispiegare questi fenomeni, ha nondimeno bisogno di maggiore appoggio e di più numerose esperienze, prima di essere positivamente accettata; e voglio sperare che più lunghe ed opportune ricerche, porteranno luce maggiore sulla spiegazione di queste vi- cende, che meritamente c’ interessano, per l’ importanza che esse hanno nella fisica dell’Atmosfera. Ricerche analitiche., relative al geometrico luogo, tanto dei punti di tangenza fra uno, e due sistemi di parallele, con una serie di coniche omofocali; quanto dei punti d' intersecazione delle tangenti parallele di un sistema, colle rispettive di un altro. — Memoria del prof. P. Volpicelli (Con- tinuazione) (a). Parte terza, concernente le intersecazioni, formate da due sistemi di pa- rallele, tangenti ad una serie di coniche omofocali, con altre analoghe ricerche. § 20. Nei precedenti paragrafi ci occupammo del geometrico luogo dei con- tatti, sia di uno, sia di due dati sistemi di parallele, tangenti j^d una serie di coniche omofocalì, e delle proprietà, che alla curva del medesimo luogo geome- trico sono appartenenti. Nei paragrafi che sieguono ci occuperemo similmente del geometrico luogo delle intersecazioni , fra due sistemi di parallele , tangenti ad una serie di coniche omofocali; e troveremo consistere questo luogo geo- metrico anch’esso in una iperbola equilatera, che denomineremo d’ interseca- zione. Si passerà inoltre a considerare i luoghi geometrici dei fuochi delle iper- bole equilatere, tanto di tangenza, quanto d’ intersecazione, che corrispondano ai sistemi tutti possibili di parallele, tangenti alle date coniche omofocali. Da ultimo ricercheremo il geometrico luogo appartenente ai vertici delle stesse iperbole equilatere. Vedremo , in ambedue questi ultinqi casi , che i luoghi geometrici stessi, consistono rispettivamente in una lemniscata. Per generalità maggiore collochiamo il sistema delle coordinate in guisa, che uno dei due fuochi , comuni alle coniche della serie , sia la origine delle coordinate medesime; come già fu praticato (§ 1, 4.°) sul principio della presente memoria. 56.“ Sappiamo {b) che l’equazione della tangente ad un punto {x, y) di qualsiasi curva, si esprime colla — *)> ovvero mediante la (46) ^ dx dx * in cui le x', rappresentano le coordinate correnti del sistema. [а] Per quello che precede, v. questo voi. pag. 53. (б) Volpicelli, Annotazioni al corso di matematica del Caraffa, voi. 3.°, pag. 164. Roma 1843 - ^so — Per assegnare poi la equazione della tangente, che forma coll’asse delle ascisse un dato angolo iz, basterà sosituire nella (46) tang.a in luogo del rap- dy , , porto ^ ; ed avremo la dco (47) = a;' tang.a -H 7/ — a; tang.a . Da questa equazione, per avere senza le coordinate a;, y, quella che appartiene alla tangente indicata, dovremo eliminare le coordinate medesime, valendosi tanto della equazione della curva, cui la tangente appartiene, quanto della sua derivata dy ^=tang.«. 57.“ Nel caso della serie di coniche omofocali, già conosciamo (§ 1) che una qualunque delle coniche stesse, viene rappresentata dalla prima delle (8), cioè dalla |/‘(a2 — c2) |/"[a^ — {x — cY] da cui, derivando, avremo la (H), cioè la dy — tang.a zz= [/■(a^ — c2) C — X dx ' a ’ ^ in guisa che la equazione finale della tangente indicata, si otterrà, come ora fu detto, dalla eliminazione delle Xy y dal sistema delle tre precedenti equa- zioni, cioè dalle y’ = aj'tang.a -t- ^ — ictang.a , (48) y tang.a |A[a2 — {x — ^c)2] , |/*(a2 — c2 a ' — ' Risolvendo la terza delle (48) rispetto x — c, otterremo — {x — c)2]tang.^a = (a^ — c'^){x — cf , donde la (49) x~c=- a^tang.a \/(i — /51 — Sostituendo questo valore nella seconda delle (48), si avrà — c^) /, 2 «Hang.^c^ ^ ' y = = =^^(a2_c2) '\/C' donde (50) yz= y 'cos. « / 58.“ Per decidere in qual modo si debbono corrispondere fra loro i segni, che doppiamente precedono i secondi membri delle (49) , (50) , necessita in primo luogo riconoscere analiticamente, come viene misurato l’angolo a nelle ricerche di cui ci occupiamo. Per tanto, riguardo alla ellisse ed alla iperbola, pongasi x^= X — c , affinchè la origine delle coordinate stia nel centro di queste due coniche ; perciò la seconda e terza delle (48), nelle quali si cor- rispondono i segni secondo l’ordine loro, perchè una è derivata dell’altra, di- verranno come sieguono, c^) [/■(a^— a;, 2) (51) tang.a __ jA(a2— c2) a I^(a2— £c,2) ’ ed anche in queste i segni si corrisponderanno secondo l’ordine loro. Siccome poi nella ellisse abbiamo — c2 > 0 , ed x^^ > 0 , così avremo, per questa conica, le (51) reali sempre. Conseguentemente se nella ellisse abbiasi la a!j>o, sarà per le (51), tang.a <, ovvero > o , vale a dire « sarà ottuso od acuto, secondo che prenderemo y > , ovvero < o ; cioè secondo che il punto {x^ , y) si trovi nel primo, o nel quarto quadrante. — — Inoltre, se nella medesima conica si ponga . , ovvero <; o , vale a dire a sarà acuto od ottuso, secondo che abbiasi y > , ovvero < o ; cioè secondo che il punto {a;^ , y) si trovi nel secondo, o terzo quadrante. 39.° Le medesime conclusioni hanno luogo per la iperbola; infatti, poi- ché abbiamo da questa conica (31, bis) perciò le (31) si ridurranno alle |/'(c^— a^) X, in cui debbono i segni corrispondersi coll’ordine loro, ed essere le radici reali. Per conseguenza se nella iperbola porremo a!i!>o, sarà per le(31,è^s), tang.a <; , ovvero >o, vale a dire a sarà ottuso, od acuto, secondo che prenderemo y < , ovvero > o ; cioè secondo che il punto (a?j , y) sia collocato nel primo, o nel quarto quadrante. Inoltre se nella medesima conica si ponga < 0 , sarà per le (31, à?s), tang.a > , ovvero < o ; vale a dire « sarà acuto, od ottuso, secondo che prenderemo y < , ovvero > o ; cioè secondo che il punto [x,^ , y) si trovi nel secondo, o nel terzo quadrante. 60. ° Da quanto abbiamo qui osservato, riguardo alla natura dell’angolo a, ed ai corrispondenti segni delle coordinate {x^ , y) , relativi al punto cui si riferisce 1’ angolo medesimo ; è chiaro che questo viene misurato , nella presente analisi, con un arco, il quale da un punto qualunque della tangente, raggiunge l’asse delle ascisse, ruotando (fig. 1) nel senso da -t- OY a -+- OX, o viceversa ; però fissato uno qualsiasi di questi andamenti, dovrà sempre conservarsi. 61. ° Passiamo secondariamente a riconoscere, dopo ciò, la corrispondenza reciproca dei segni nelle (49), (30), ridotte al centro, come origine delle coor- — IbS — dinate; cioè ridotte alle (32) Riguardo alla ellisse , vediamo chiaramente , da quanto prende sul modo col quale deve misurarsi l’angolo «, che quando questo è ottuso, cioè quando sia tang.fif < o, i segni delle , y debbono essere fra loro eguali; cioè deb- bono corrispondere ad un punto, collocato sia nel primo, sia nel terzo qua- drante. Però se l’angolo «a: sia acuto, cioè se abbiasi tang.a > o, i segni delle , y debbono essere fra loro contrari; cioè debbono corrispondere ad un punto, collocato nel secondo, o quarto quadrante. Per tanto già osservammo , che nella ellisse abbiamo sempre «2 — > 0 , e che quando sia tang.K < o , debbono le x^,y essere positive o negative ambedue; mentre quando abbiasi tang.a >* o , allora i segni delle stesse x^ , y chiaro apparisce, che dovranno i rovesciarsi, e perciò ridursi alle (53) y = ^ , debbono essere fra loro contrari. Dunque segni di una delle (52), per questa curva. tang.a y 'cos. « ' In queste formule adunque si debbono i segni corrispondere coll’ordine loro; cioè al superiore dell’una corrisponderà il superiore dell’altra, e così per l’ in- feriore, affinchè le , y appartengano ai due punti di tangenza, corrispon- denti ad un valore di a. 22 — 154 — 62." Riguardo alla iperbola, osservammo già che < 0 , ed inoltre che, quando abbiasi tang.a > o , . le a;, , ^ debbono ambedue risultare o positive, o negative; mentre se abbiasi tang.a < o , debbono le stesse , y avere segni contrari. Da ciò risulta, che le (53), ap- partengono altresì alla iperbola, nello stesso modo, rispetto ai segni, col quale appartengono alla ellisse. Eliminata dalle (53) la , avremo le Perciò tanto nella ellisse, quanto nella iperbola, le coordinate x, y dei punti di tangenza, corrispondenti all’angolo oc, saranno date dalle (54), che hanno r origine nel fuoco, e nelle quali si dovranno i segni accoppiare secondo lo stess’ordine loro. 63." Finalmente, riguardo alla parabola, riflettiamo in primo luogo, che non occorre, per assegnare la corrispondenza dei segni nella (54), conoscere i valori determinati delle x, y, già ottenuti (§ 17); e che il punto di tangenza nella medesima curva, dev’essere uno soltanto per lo stesso valore di a (50."). In secondo luogo è da riflettere, che in questa curva, dev’essere c = o — i55 — finita: quindi per la ij dovremo prendere il — , cioè anche l’ inferiore; giacché in questo secondo caso, il punto si trova nel terzo, o quarto quadrante, ove le ordinale sono tutte di segno negativo. Dopo quanto fu esposto dobbiamo concludere, che in qualunque delle tre coniche ora considerate, le x, y dei punti di tangenza, sono espresse dalle (54); in ognuna delle quali si debbono i segni prendere nell’ ordine stesso, che ai medesimi appartiene: vale a dire o ambedue superiori, o ambedue inferiori. 64.° Sostituendo i valori delle (54) nella prima delle (48), avremo I/' = x' tang.a tang.a tang.a = ovvero (58) = {x' — c) tang.a = [x' — c) tang.a y' =’(ic'— c) tang.a a^ — c^H- a^ tang.^a ^ ./(4— ^ y 'cos.'^a / 5 cos.'^a Questa equazione, di cui le coordinate hanno l’origine in uno dei fuochi delle coniche, appartiene alla tangente, che forma coll’asse focale delle ascisse l’an- golo a, per qualunque delle curve stesse. La quantità radicale, col doppio se- gno che la precede, fa conoscere che possono esistere , per un valore di a, due tangenti, od una, se y sia reale; o niuna, se y sia immaginaria , come fu osservato (§. 16,45f). §. 21. Dopo quanto precede, possiamo passare alla ricerca del luogo geometrico delle intersecazioni, fra tangenti che appartengono a due sistemi di parallele. Chiamando /3 l’angolo formato da quelle di un sistema, e y l’angolo formato da quelle dell’altro, coll’ asse focale delle ascisse; 1’ equazioni di queste tangenti. si avranno dalla (55), e saranno le f a' = (*- - c)tang./3 - y/ (^- c’>) , (56) , ( y" = (»" - C)tang.y dry' (^- c») ; nelle quali, come facilmente s’ intende, i doppi segni della prima, non hanno veruna relazione con quelli della seconda. 65.“ Ciò posto è chiaro, che il geometrico luogo delle intersecazioni, fra due qualunque tangenti ad una qualsiasi conica, presa nella serie delle omofocali, si troverà: 1 .“ considerando identiche le coordinate nelle (56), lo che si farà soppri- mendo gli accenti nelle medesime : 2.“ eliminando la variabile a da esse , analogamente a quanto si praticò nel (§ 27."). La equazione risultante, rappre- senterà il geometrico luogo dei punti d’ intersecazione dei due sistemi , di parallele, ognuna tangente alle coniche omofocali della serie stessa. Per effettuare questa eliminazione , avremo primieramente dalle (56), sopprimendo gli accenti, le [!/-(*- c)tang./3]=' = 3^- 0'“ . ct^ [y — {x — c)tang.7]2 = ; ovvero le i[y — — c)tang.|S]2 -f- c^)cos.2/3 = , {[y — c)tang.y]2 -t- c^)cos.^y = ; ed uguagliando fra loro questi due valori di a% si otterrà ([y — {x — c)tang./3]2 -f- c^)cos.^^ = {[y — {x — c)tang.y]^ c^)cos.^V » quindi riducendo avremo [y^ ■+• (a; — c)^tang.^/3 — 2(a) — c)^tang.^ -f- c®]cos^i3 = ' = [y^ -^{x — c)^tang.^y — 2 (a: — c)|/tang.y -h c^Jcos.^y , ovvero (cos.^/3 — cos.^y)i/^-h-(sen.®/3 — sen.^y)(a: — c)^-t-2(sen.ycos.7 — sen.iScos.iS)(a3 — c)y -h c^(cos.®^ — cos.*^y) = 0 . — 157 — Ma dalla trigonometria (a) sappiamo dover essere cos.^/3 — cos.^7 = — sen.(/3 ■+■ y)sen.(i3 — y) , sen.^/3 — sen.^y = sen.(/3 h- y)sen.(/3 — 7) , 2(sen.7cos.7 — sen./3cos./3) = sen.2y — sen.2/3 = = 2sen.(v — • /3)cos.(y -+- /3) = — 2sen.(/3 — y)cos.(/3 -4- y) ; perciò, introducendo questi valori nell’ ultima equazione, otterremo la (aj-c)^sen.(^ -h y) — yhen.{^ y) — 2(a; — c)ycos.(/3 -j- y) — c''sen.(/3 -4- y) = o , ovvero la (57) {x — cY — ì/ — 2(aj — c)ycot.(^ -f- y) — = 0 . 66.° Questa eguaglianza, che appartiene ad una curva, rappresenta il luogo geometrico dei punti d’ intersecazione , fra due sistemi di parallele , tangenti ad una serie di coniche omofocali: perciò la chiameremo curva d’ in- tersecazione; ed ordinandola per le sue variabili x, y, si ridurrà nella (58) x^ — — 2icycot.(/3 y) — 2cic 2cycot.(/3 y) = 0 ; Trasportando il sistema delle coordinate parallelamente a loro stesse, in guisa che la origine delle medesime, dal comune fuoco, si collochi nel comune cen- tro delle coniche indicate ; trasporto che non potrebbe applicarsi ad una serie di parabole, dovremo cangiare la x in x -i- c ; quindi la (57) si ri- durrà nella (S9) — y^ — 2a:ycot.(/3 -4- y) •— = 0 equazione che appartiene soltanto ad una serie sia di ellissi e iperbole, sia di una sola specie di queste coniche omofocali, esclusa sempre la parabola. §. 22. 67.° Paragonando l’equazione della curva d'intersecazione, ossia la (57) colla (16); vediamo che cangiando in questa 2« in /3 -+- y, si trasforma nella (57) stessa, e viceversa; perciò dobbiamo concludere, che anche la curva d’inter- secazione, sarà una iperbola equilatera, la quale passa pei due fuochi comuni alle coniche della serie, non altramente ché la curva di tangenza (§3, teorema 1). [a] V. Lolteri, Lezioni d’introduzione al calcolo sublime; Pavia 1821, parte 1, p. 361. — 138 — . 0 In seguito, per maggior chiarezza, riterremo 1’ angolo « solo, quando si tratti della iperbola di tangenza, e continueremo a denotare con /3, y gli angoli dei due sistemi di tangenti parallele, quando si tratti della iperbola d’inter- secazione- Dalla coincidenza della (16) colla (37) discende chiaro, che quelle proprietà le quali appartengono alla iperbola di tangenza , dovranno avere le analoghe nella iperbola d’intersecazione, cangiando senza più nella prima l’angolo a in — — — ^ . Così , a modo di esempio , come per fare coincidere z gli assintoti della iperbola di tangenza cogli assi coordinati , fa d’ uopo (§ 3 , 12.“) che questi ruotino attorno la origine, sino a formare un angolo {xx') = « ; analogamente, per ottenere la stessa coincidenza riguardo alla iper- bola d’intersecazione, fa d’uopo una simile rotazione, sino a formare l’angolo (60) (xx') = /3-h y 2 Dunque una retta passante pel centro delle coniche omofocali , e formante coll’asse delle cc un angolo , è assintoto della iperbola d’ intersecazione (§ 3, 12."). Siccome poi questa iperbola è ancora equilatera, così l’altro as- sintoto suo, formerà coll’asse medesimo l’angolo espresso da (61) /3 68." La significazione geometrica dell’ indicato cangiamento (6 7.") di et in — - , viene dichiarata dal seguente raziocinio. Se abbiansi due tangenti MN, PQ, (fig. 1 3) , che rispettivamente formino coll’ asse X, — X gli angoli ^ , y , dei quali supponiamo essere il primo /3 maggiore del secondo y , le medesime formeranno fra loro l’ angolo /3 — y ; quindi la retta HK, che per essere un assintoto , forma coll’ asse X, — X un angolo -4- y 5 = — - — , dividerà in mezzo 1’ angolo p — y , compreso fra le tangenti z stesse : poiché abbiamo evidentemente /3 -4-y = y-4- — y 2 ‘ 2 — 159 — Quindi è chiaro, come anche risulta dalla (60), che si ottiene la direzione di un assintoto HK della iperbola d’intersecazione, dividendo in mezzo l’angolo /3 — y, compreso fra i due sistemi di parallele tangenti alle coniche omofocali. Riguardo all’altro assintoto RS, si rifletta che questo, essendo perpen- dicolare al primo, dovrà dividere pure in mezzo l’altro angolo POM, formato dalle medesime tangenti, e adiacente all’ altro ^ — y. Concludiamo adunque che si ottengono gli assuntoti della iperbola d’intersecazione, guidando pel cen- tro delle coniche omofocali due rette, ad angolo di 90.° fra loro, delle quali una divida in mezzo l’angolo |5 — y, compreso fra le direzioni dei due sistemi di tangenti. 69. ° La giustezza di questa conclusione, si può riconoscere ancora, im- maginando che l’asse maggiore a delle coniche omofocali, cresca senza fine ; allora l’ellissi della serie di coniche, si trasformeranno in circoli (§ 9, 27.°) ; ma in tal caso è chiaro che il parallelogrammo,circoscritto alle ellissi dalle tangenti ad esse, del quale i vertici rappresentano le intersecazioni delle tangenti mede- sime, diviene un rombo; e le diagonali, sue debbonsi ad angolo retto interse- care nel centro, e debbono inoltre dividere per metà gli angoli del rombo indicato. Da ciò risulta che i vertici di questo rombo, infinitamente grande, si debbono trovare sopra due rette, le quali passando pel centro, dividono in mezzo gli angoli compresi fra le due date direzioni. Si rifletta inoltre, cbe le diagonali stesse, debbono finalmente confondersi cogli assintoti della iperbola equilatera d’intersecazione; poiché partendo esse dal centro, passano ciascuna pei vertici op- posti, dei quattro, appartenenti al rombo infinitamente grande, i quali vertici si trovano sulla stessa iperbola equilatera. Dobbiamo quindi concludere nuovamente, che quelle rette , le quali , passando pel centro , dividono in mezzo l’angolo delle date due direzioni, rappresentano gli assintoti della iperbola d’intersecazione. 70. ° Riassumendo quanto fu ora esposto, possiamo enunciare il seguente Teorema XII. Guidando a una serie di coniche omofocaliy due sistemi di tangenti parallele fra loro, i punti d' intersecazione delle medesime, si trove- ranno sopra una iperbola equilatera; la quale, passando pei fuochi delle omo- focali stesse, avrà gli assintoti che s'intersecheranno nel centro, e divideranno rispettivamente in mezzo gli angoli adiacenti, compresi fra le date due dire- zioni di quelle tangenti. Questo teorema viene dichiarato dalla (fig. 1 6), nella quale la serie delle coniche, aventi gii stessi fuochi a', b', viene rappresentata da una ellisse p-, v, e dalle quattro iperbole ABA'B', IKI'K', TZT'Z', PQP'Q'. Le tangenti parallele fra loro dei due sistemi, sono: pel primo le UE, pa'y le, p'a, GH, G'H', bq', rh, b'q, DL , ognuna delle quali forma l’angolo pa'\ — /3 coll’asse X, — X: pel secondo le EF , a'q , eh, aq', mn , bp', ri, b'p, DS , ognuna delle quali forma coll’asse medesimo l’angolo IrX =y . In quanto alla iperbola d’ intersecazione, essa è, come si vede, rappre- sentata dalla Ea'c aM. m p' l p T) b' r b W n q' h q , la quale ha per assintoti uv, e u' v'. È chiaro altresi,che guidando la retta st pel centro 0, parallelamente alla direzione delle tangenti del primo sistema, l’as- sintoto uv divide in mezzo 1’ angolo sOm , compreso dalle direzioni dei due sistemi di tangenti, mentre l’altro assintoto u'v', ad angolo retto col primo, divide parimente in mezzo l’altro angolo mOt, compreso dalle medesime dire- zioni, e adiacente al primo. 71.° Dopo quanto abbiamo esposto, potremo dichiarare ancor meglio, come B -4- 7 siegue, la significazione geometrica deH’indicato(67.°)cangiamento, di a in'—— — Poiché innanzi tutto ricordiamo, essere allora due iperbole coincidenti fra loro, quando, avendo esse un punto comune, hanno ancora gli assintoti comuni. Ora in primo luogo viene stabilito dal teorema I, che guidando con qualunque dire- zione « = — — ^ , ad una serie di coniche omofocali, un sistema di tangenti parallele fra loro; la iperbola equilatera di tangenza, passando pei due fuochi, comuni alla serie stessa, possiede un assintoto parallelo alle tangenti mede- sime. In secondo luogo poi, sappiamo dal teorema XII, che guidando ad una serie di coniche omofocali, due sistemi di tangenti parallele, formanti rispet- tivamente gli angoli § , y coll’ asse delle ascisse; la iperbola equilatera d’in- tersecazione , passando aneK essa pei fuochi comuni , possiede un assintoto, che divide in mezzo 1’ angolo compreso fra le due direzioni /3 e y dei due sistèmi. Per tanto supponendo che le due serie di coniche omofocali, sieno in ambedue questi casi le medesime, apparisce chiaro, che allora la iperbola di tan- genza del primo caso , coinciderà con quella d’ intersecazione del secondo, quando i rispettivi assintoti di queste due iperbole equilatere , coincideranno — 16i fra loro. Ma dai fatti ricordati ora, deve concludersi, che questi assintoti coin- cidono fra loro, quando quello bisettore dell’ angolo compreso fra le due di- rezioni /3 , 7 del secondo caso, coincide coirassintoto del primo. Dunque se avrà luogo questa coincidenza, le indicate due iperbole coincideranno una col- l’altra. 72. “Quindi possiamo, dal ragionamento che precede, argomentare il seguente Teorema XI [I. Guidando ad una serie di coniche omofocali tre sistemi P, Q, R, di tangenti parallele fra loro, in guisa che la direzione di P, di- vida in mezzo Vangolo compreso fra Q, ed R, la iperbola di tangenza del si- stema P, coinciderà colla iperbola d' intersecazione dei due sistemi Q ed R. L’angolo compreso fra le due direzioni Q, R, si può prendere tanto dal- l’apertura acuta , quanto dalla ottusa ; perciò date le direzioni di questi due sistemi, se ne potranno trovare sempre altri due diversi P, soddisfacenti al teorema XIII, perpendicolari fra loro. Ma, secondo il teorema I, e più espli- citamente secondo il teorema VI, questi due sistemi P, forniscono la mede- sima iperbola di tangenza; dunque il teorema XIII vaierà sempre , sia pure acuto od ottuso, l’angolo compreso fra le due date direzioni P, Q, da dividere in mezzo. B -+- 7 73. “ Per tanto il significato geometrico del cangiamento di « in — - — , cioè quello dell’eguaglianza /3 -f- 7 consiste in questo che, prendendo un sistema di tangenti parallele, aventi ognuna la direzione /3 -hy avremo una iperbola di tangenza, corrispondente alla direzione medesima, ed un altra d’ intersecazione, corrispondente a due sistemi di tangenti parallele , relativi rispettivamente alle due direzioni /3, y; ma queste due iperbole coincide- ranno fra loro: significato che si trova espresso nel precedente teorema, e gra- ficamente dichiarato dalla (fig. 17). In questa figura, per non complicarla molto, abbiamo limitato la serie delle coniche omofocali alle due sole ellissi, AB , A'B'. Nella medesima il primo sistema P, si compone delle tangenti parallele cd, c'd', c"d", c"'d'" ; 23 — 162 — il secondo Q, delle ed il terzo R, delle I vertici dei corrispondenti parallelogrammi, formati dai due sistemi Q , R , sono Si vede per tanto che la iperbola equilatera f a' h" f" h'" f" e" b' h' e' h e, passa pei fuochi a\b\ comuni alla serie di coniche, incontrando, come trovasi enunciato nel teorema XIll, tanto i nominati vertici dei sistemi Q, R, quanto i punti di tangenza del sistema P. Inoltre ognuno potrà verificare che i due sistemi Q, R comprendono col primo P angoli eguali ; cioè che la direzione f'r di questo sistema P, divide in mezzo l’angolo e'ff", formato dalle direzioni degli altri due Q, R. Finalmente l’assintoto u' della iperbola stessa, è parallelo al sistema P, come fu concluso nel teorema I. Abbiamo già veduto (72.°), che l’angolo fra i due sistemi Q, R, si può prendere in due modi 5 e che perciò dovranno esistere sempre due sistemi , ognuno P, soddisfacenti al teorema XIII. Uno di questi due sistemi , quello già considerato (73.°), risulta (fig. 17) delle parallele ed anche per questo sistema vale il teorema XIII, cioè che i punti di tan- genza del secondo sistema P, giaciono essi pure sulla iperbola d’intersecazione dei sistemi Q, R. In fatti si osserva nella figura stessa, che questi punti appartenenti al secondo sistema P, si trovano anch’essi nella medesima iper- bola equilatera. f , f" , f" , e , e' , e” , mentre i punti di tangenza del sistema P, sono h, il', h", h'". cd , c'd', c' purché abbiasi c = oc ; poiché posto ciò, la (58) si riduce nella ^COt.(|3 -+-7) £C = 0 , ovvero nella y — x tang.(/3 -h 7) , appartenente ad una retta, che passa per l’origine, cioè pel comune fuoco delle coniche, facendo coll’asse delle x un angolo -t- 7. Ma c — appartiene alla parabola, come fu osservato (§. 1, 4.°); avremo dunque il seguente Teorema XVI. Guidando ad una serie di parabole omo focali ^ due sistemi di parallele ad esse tangenti; la iperbola d'intersecazione riducesi ad una retta, che passa pel comune fuoco, e che forma coll'asse delle ascisse un angolo, uguale alla somma degli angoli, che formano coll'asse medesimo i due nominati si- stemi. Quindi V angolo formalo dalla retta d' intersecazione coll' asse delle parabole omofocali, sarà doppio (n." 25.°) di quello formato dalla bisettrice dell'angolo dei due sistemi, coll'asse delle parabole stesse. Il teorema ora enunciato, viene posto in chiaro dalla (fig. 11), nella quale rappresenta b' il fuoco comune delle parabole ; rappresenta poi H6, H'G', H"G", . . . , il primo sistema di parallele; mentre G'K', G"K", . . . , ne rappresenta il secondo; ed Mb' la retta, luogo geometrico dei vertici G', G", . . . ,b'. Quindi é chiaro che la sola b'M, protratta infinitamente oltre il punto M, rappresenta quella parte della retta espressa dalla equazione pre- cedente, che appartiene al geometrico luogo dei vertici, od intersecazioni. 83." Per un secondo caso, vediamo quando sia possibile, che la iperbola d’intersecazione riducasi ad una, 0 due rette , indipendentemente dal valore di c. Ma prima di ogni altra cosa, formiamoci l’equazione della iperbola d’ in- tersecazione, riferita agli assi della medesima; lo che otterremo, facendo nella (26) la trasformazione solita di a in ^ -4-7 2 , ed avremo l’equazione (62) — 1/'^ = c^sen.(/3 -f- 7), la quale suppone uno spostamento angolare {xx') del sistema coordinato, che si ottiene facendo nella (24) , il solito cangiamento di a in — ^ ; co- sicché abbiasi la (63) % Per tanto la (62) si ridurrà nella seguente {x' -4- y'){x' — y') — c^sen.{jS -H y) = o : e si vede che, a decomporre questa equazione, in altre due del primo grado, si deve necessariamente avere (64) c = 0 , ovvero sen.(jQ y) = o . Per soddisfare a questa seconda condizione, facciamo (65) e la equazione della iperbola d’intersecazione, si riduce allora nelle (66) x’-^-y' — o , x' — ?/'= 0 , mentre la (63) si trasforma nella (67) {xx')= ^ . Quindi apparisce chiaro, che le (66) rappresentano due rette, le quali s’inter- secano perpendicolarmente nell’ origine , facendo ciascuna un angolo di 45" coi nuovi assi coordinati ; e che colla (62) sono esse riferite a questi nuovi assi, formanti essi pure angoli di 45" coi prinntivi, come sappiamo dalla (67). 84. " Questo fatto riceve la sua spiegazione dal considerare, che la (65) richiede i due sistemi di tangenti, collocati simmetricamente rispetto gli assi coordinati iniziali, di cui quello delle x, coincide coll’ asse focale delle coniche omofocali ; quindi è chiaro che le due rette (66) , coincidono cogli assi delle coniche omofocali. Da ciò concludiamo che nel caso in cui quei due sistemi di tangenti, sieno disposti simmetricamente rispetto l'asse delle coniche omofocali, la iperbola d' intersecazione si riduce ai due assi delle co- niche stesse. 85. " La giustezza di questo enunciato si riconosce anche senz’analisi, ri- flettendo che la completa posizione simmetrica dei due sistemi di paratie tan- genti, riguardo ai due assi delle coniche, rende impossibile che dai medesimi, la curva d’intersecazione si allontani. 86. " Per un terzo caso, considerando quello nel quale abbiamo c = o , cioè la prima delle (64); vedremo che per questa, la (62) riducesi alla (;C -f- y){x -^y) = 0 , appartenente a due rette, le quali s’incontrano perpendicolarmente nella origine 24 — i70 — delle coordinate. Ma c = o suppone che le coniche omofocali riducansi a tanti circoli concentrici; quindi apparisce, anche senza bisogno di verun calcolo, che in questo caso, la curva d’intersecazione deve ridursi a due rette. 87. “ Per tanto, riassumendo, potremo concludere il seguente Teorema XVII. La iperbola d'intersecazione si riduce ad una retta, quando le coniche della serie divengano parabole omofocali; e a due rette perpendicolari fra loro, tanto allorché i due sistemi di parallele tangenti sieno disposte simme- tricamente rispetto gli assi delle coniche stesse , quanto allorché le coniche omofocali divengano circoli concentrici. 88. “ Confrontando questi risultamenti, ottenuti per la iperbola d’inter- secazione, con quelli del (§. 7) per la iperbola di tangenza, rileviamo che in ambedue queste curve , il primo e terzo risultamento si verificano ad un tempo in ognuna di esse, cioè per le medesime condizioni; mentre ciò non avviene pel secondo. Eziandio si vede che la iperbola, tanto di tangenza , quanto d’ intersecazione, forniscono tre casi, nei quali ognuna di queste curve diviene una, o due rette. § 27. 89. “ Siccome qualunque iperbola d’intersecazione, può considerarsi ezian- dio come iperbola di tangenza, e viceversa (§ 2!2, 67.“) ; così è chiaro, che le attuali ricerche, per quanto appartiene ai diversi modi nei quali ha luogo la riferita trasformazione in una retta, non potavano condurre a risultamenti nuovi. Ed in verità, dalla relazione sopra indicata, possono questi risultamenti con maggiore speditezza ottenersi come siegue. Per quanto al primo caso appartiene, sappiamo dal teorema III, che la iperbola di tangenza si trasforma, nel caso di una serie di parabole, in una retta. Quindi dobbiamo concludewe, che anche la iperbola d’ intersecazione, diviene per questo caso una retta. Riflettendo inoltre a quanto viene stabilito nel teorema XIII, dobbiamo altresì concludere, che questa retta si trova, dividendo per metà l’angolo compreso dalle due direzioni , relative ai due sistemi di parallele tangenti , e poscia guidando pel fuoco delle parabole omofocali una retta, che formi coll’ asse delle medesime un angolo doppio, di quello formato dalla bisettrice coll’asse delle omofocali stesse, come già sappiamo dal teorema XVI. 90. “ Inoltre quando si tratti, come secondo caso, di due sistemi Q , R di parallele tangenti , le quali sieno disposte simmetricamente rispetto gli '] ^ j assi delle coniche , caso rappresentato dalla (fig. 21), apparisce senz’ altro 171 — che la direzione bisettrice AB dell’ angolo MAN, compreso fra le direzioni date dei due sistemi di parallele tangenti , NA , MA, si confonde cogli assi delle omofocali. Ma quando il sistema P di tangenti , sia parallelo ad un asse delle coniche omofocali , allora la curva di tangenza si confonde (§ 7, 19.“) cogli assi delle coniche stesse. Da ciò dobbiamo concludere, prendendo sempre in considerazione il teorema XIII , che la curva d’ in- tersecazione si riduce agli assi delle coniche ornofocali , allorché i due si- stemi Q , R di parallele tangenti, sieno disposti simmetricamente rispetto l’asse delle coniche indicate. 9I.“ Venendo finalmente al terzo caso, in cui la eccentricità delle coniche omofocali sia nulla, vale a dire quando esse riduconsi a circoli concentrici; è chiaro che potremo, anche al caso medesimo, applicare la relazione stabilita fra la iperbola di tangenza , e quella d’ intersecazione. In fatti, allorché sia dato un sistema P di parallele, tangenti ad una serie di circoli concentrici, sappiamo (§ 7 , 20.“) che la curva di tangenza si riduce a due rette , le quali s’intersecano perpendicolarmente nel centro. Quindi la curva d’inter- secazione, appartenente ai due sistemi Q, R di parallele tangenti, che formano angoli eguali colla direzione del sistema P, deve anch’ essa ridursi a quelle medesime rette. Per altro, che la curva d’intersecazione debba, in questo caso dei circoli concentrici, ridursi sempre alle due rette, rispettivamente bisettrici degli angoli formati dalle parallele dei due sistemi Q, R, apparisce chiaro dai soli elementi della geometria. {Continuerà). — Ì72 — CORRISPONDENZE L’ Emo e Rmo sig. Cardinale Altieri, coll’onorevole suo dispaccio del 10 gennaio 1866, n.“ 4261, approva la elezione del nuovo comitato, avvenuta nella tornata del 7 gennaio, 1866. La Società filosofica americana, residente in Filadelfia, ringrazia mediante il suo segretario sig. T. P. Lesley, per avere ricevuto le nostre pubblicazioni. Il sig. Emilio Treves, direttore dell’annuario scientifico industriale che si pubblica in Milano, chiede una copia dell’ ultimo nostro programma pel premio Carpi. Il sig. Barone W. Sartorius di Waltershausen di Gottinga, ringrazia per | essere stato eletto corrispondente straniero linceo. | La istituzione Smitsoniana in Wasington, mediante il suo segretario ge- nerale sig. Giuseppe Henry, ringrazia per gli atti de’ Nuovi Lincei da essa ricevuti, ed invia parecchie sue pubblicazioni. La Società geologica di Vienna, col mezzo del suo segretario sig. W. Haidinger, ringrazia per avere ricevuto le nostre pubblicazioni. Il sig. Renard, primo segretario della società imperiale dei Naturalisti di Mosca, spedisce in dono il suo Bullettino. ; La R. Accademia delle scienze di Monaco, ringrazia per gli Atti de’ ‘j. Nuovi Lincei da essa ricevuti. l Per ordine di S. E. il sig. ministro delle finanze dell’impero delle Russie, ^ l’Accademia nostra riceve un esemplare, degli Annali dell’ osservatorio fisico centrale di Russia , pubblicati dall’ amministrazione imperiale delle miniere, per l’anno 1862. i — 173 -- COMITATO SEGRETO Il sig. prof. cav. Ponzi, lesse il rapporto della commissione, incaricata di riferire sul consuntivo accademico del 1865. Le conclusioni di questo rap- porto furono, che l’amministrazione dell’accademia, si era trovata regolare del tutto. I soci ordinari presenti, fecero plauso a questa conclusione, approvan- dola con pieni voti segreti. Dal comitato accademico fu proposta la terna seguente : Iprof. Respighi, astronomo, padre Guglielmotti, domenicano, prof. Giorgi, ingegnere. per eleggere fra essi un socio dei trenta ordinari dell’ accademia. Il risulta- mento dello squittino segreto, fatto con voti bianchi e neri, essendo ventuno i votanti, fu quello che siegue : Voti Bianchi prof. Respighi 18 padre Guglielmotti 10 prof. Giorgi 8 Per conseguenza il sig. prof. Respighi , fu eletto uno dei trenta soci ordinari dell’accademia, salva l’approvazione sovrana. Soci ordinari presenti a questa sessione. P. Volpicelli. — S. Proja. - — V. cav. Diorio. — A. comm. Gialdi. — G. cav. Ponzi. — P. Sanguinetti. ■ — S. Cadet. — B. Tortolini. — A. cav. Coppi. — D. Chelini. — > P. A. Secchi. — M. cav. Azzarelli. — E. Rolli. — B. Boncompagni. — L. Jacobini. — B. cav. Viale — F. Nardi. — ^ C. Sereni. — E. Fiorini. — N. comm. Cavalieri S. Bertelo. — M. Massimo. Pubblicato nel 20 di maggio del 1866. P. V. Neri 3, 11, 13. — 174 — OPERE TENETE IN DONO Bullettino Meteorologico del JR. Osservatorio di Palermo. N.° 11 del 1865. Memorie dell' I. R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere, ed Arti. Voi. XII. Parte V del 1865. Atti dell’ Istituto medesimo — Homo X“ - Serie 3“ - Disp. 6-9 - 1864-1865. Atti dell' Ateneo Veneto - Serie 2“ - Voi. II - Puntata 3.“ - Settembre 1865. Prospetto dei lavori pubblicati dall' I. R. Istituto Veneto fino dalla sua fondazione , compilati dal prof. Giusto Rellavitis nell’ Anno 1863. Un fase, in 8.° Nota sulla misura delle azioni elettriche, del medesimo. Venezia 1864. Un fase, in 8.° Settima rivista di Giornali, del medesimo. Un fase, in 8." Seguito della T"*® rivista di Giornali, del medesimo. Idem. Seguito ulteriore della T"*® rivista di Giornali, del medesimo. Idem. Sposizione del metodo delle equipollenze. Memoria del medesimo. Modena, 1854 -Un fase, in 4.° Rendiconto dell’ Accade mia delle scienze fisiche e matematiche della So- cietà' Reale di Napoli. Anno IV, fase. 12-dieembre 1865. Le antichità dell'uomo. Discorso del prof. G. Ponzi, in 8.“ Roma 1866. Coppi, Annali d' Italia, t. 13.* Roma 1865 in 8.“ Philosophieal . . . Transazioni filosofiche della R. Società' di Londra. - Anno 1864 -Voi. 154; parte 3® — Voi. 155, Anno 1865, parte l.”® Proeeedings . . . Rullettini della R. Società' suddetta - Noi. XIlI N.“ 70- Vol. XlV N.‘ 71-77. Smithsonian . . . Contribuzioni scientifiche Smitsoniane. Voi. XIII 1,864. Annual . . . Rapporto annuale dell’IsTiTUTo Smitsoiviano per gli Anni 1862 e 1863. Smithsonian . . . Collezioni Smitsoniane di miscellanee. Voi. V. Résultats . . . Risultamenti delle Osservazioni meteorologiche fatte sotto la di- rezione dell' Istituto Smitsoniano, per l’Anno 1854 al 1859 inclusive. Voi. II, parte l.*”® Statistics . . . Statistica del Commercio interno, ed estero degli Stati Uniti pel 1863. Transactions . . . Transazioni della Società' filosofica americana residente — 175 — ly Filadelfia per F avanzamento delle scienze utili. Nuova Serie - parte l.""* Proceedings . . . Bulletlini della Società’ suddetta. Voi. IX -N.' 69-72. Catalogue . . . Catalogo della Libreria della Società’ suddetta. Parte l.""* -Anno 1863. Bqlletin . . . Bulleltino del Museo di Zoologia comparativa - Cambridge - America. Annual . . . Rapporto annuale del Museo suddetto^ per l’Anno 1863. List . . . Lista dei Soci della Società’ filosofica Americana residente in Filadelfia per l’Anno 1865. Bulletin . . . Bulleltino della Società’ Imperiale dei Naturkaisti di Mosca. Anno 1865 -N.“ 2. Annales . . . Annali dell’ Osservatorio fisico centrale di Russia, per l’Anno 1862 -N.‘ 1-2. Bulletin . . . Bullettino della Accademia imp. delle Scienze di S. Pietro- burgo. Tomo VII-N.' 3-6 - Tomo Vili N.‘ 1-6. Mémoires . . . Memorie della Imp. Accademia suddetta. Tomo V-N.° 1- Tomo VII-N.' 1-9 -Tomo VIII-N.‘ 1-16. Nova Acta Regiae Societatis Scientiarium lepsaliensis. Seriei Tertiae-Vol. V - fasciculus posterior. Kongliga . . . Publicazione della R. Accademia delle Scienze di Svezia- Voi. V, fase, r" 1863. Meteorologiska . . . Annali Meteorologici della R. Accademia suddetta. Jachrbruch . . . Annuario dell’I. R. Istituto Geologico di Vienna, 1865 - fasc. XV. Darlegung , . . Esposizione del calcolo teorico delle perturbazioni nelle Ta- vole lunari, di P. A. Hansen, 8 Lipsiae 1864. Geodatische . . . Ricerche geodetiche del medesimo. Lipsia 1865. Relationen . . . Relazioni tanto fra le somme e le differenze finite, quanto fra gl’integrali ed i differenziali', del medesimo. Lipsia, 1865. Ofversigt . . . Riassunto degli Atti della R. Accademia delle scienze di Stochkolm. Tomo XXI, 1864. Sitzungsberichte . . . Atti della R. Accademia delle Scienze di Monaco , 1865 Voi. I, fase. 1-4- Voi. II, fase. 1-4. Induction . . . Induzione e deduzione di Giusto Liebig. Monaco 1865. — 176 — Entstehung . . . Concetto e storia della specie^ relativamente agli esseri na- turali, del Dr. Carlo Nageli. Monaco 1865. Comptes . . . Conti resi dell' Accademia delle Scienze dell' Istituto di Francia, in corrente. Bullettino Meteorologico dell' Osservato rio del Collegio Romano in corrente. Errori Correzioni pag. 24, lin. 18 Fraday Faraday » 27, lin. 2 salendo assissa ascissa » 28, lin. 7 della delle )) 29, lin. 15 salendo della delle » 30, lin. 2 id. ricorremo ricorreremo » 38, lin. 5 id. Nella Nella » )) lin. 11 id. eomune comune IMPRIMATUR Fr. Hieronymus Gigli Ord. Pr. S. P. A. Mag. IMPRIMATUR Petrus De Villanova Castellacci Archiep. Petrae Vicesgerens, ■. r . ■ ,. , ' ,v'St'" ' '■'.yif'v; ' ,• 'À *5 . 4««;4G«Éfe.. V . i ■ ^ • Ty-.'^ feL ^ ■ Ìi^'<' 4., ■*’» .» '1.1 .4 'ao "r ìZiiÌH:'^ ir» ;ji)u-. . ; v: ■ , ^ ■ i . . r ' , ' ■v.-; . ^V; ' V- " . , .M '■;>f ' '■ . ■' W'- -J '3 r M ' '^'Mé SiM:.' i{- •irf'*^.' J ',1 ATTI DELL ACCADEMIA PONTIFICIA DE NUOVI LINCEI SESSIONE IV” BEL 4 MARZO 1866. PRESIDEAIZA DEL SIG. COI». W. PROF. CAVALIERI SAW BERTOLO MEMORIE E COMUNICAZIONI DEI SOCI ORDINARI E DEI CORRISPONDENTI Sur la résolution des équations = \ . Lettre adressée à D. B. Boncompagni par Casimir ràchaud, suivie d'une Note sur un prohlème indéterminé par le méme. Paris, le 18 feVrier isee. Monsieur le Prince, J ai l’boniieur de vous te'moigner 1’ expression de ma vive recoianaissance au sujet des inle'ressaiites publicalions, dont vous avez Lieo voulu me faire l’envoi. En ce qui concerne l’équation {x + 1)^= les re'sultals auxquels je suis parvenu ont ime portee insignifiante , aiosi que vous pourrez vous en convaincre, Monsieur le Prince, si vous voulez bien pren- dre la peine de lire la note ci incluse. Ces resulta ts sont ine'dits, et ils sont trop peu importants pour qu’il soit utile de les faire imprimer. J’ai aussi quelques théorèmes ine'dits sur les Solutions entières des e'quations x^- Ajr^==t^i. Je prends la liberté de citer les suivants. 1. Si k = a^^ì=d [d etant un diviseur de 2a autre que runité) les valeurs minima des inconnues de l’equation x^— {ci' ^ i 2a 2a^ 2. Lousque le developjiement de en fraction continue renferme un terme du milieu dans la partie symetricjue de la periode, (circonstance qui se pre'sente cbaque fois que l’e'quation x^ — — i n’admet pas de Solutions entières), la re'duite —, qui precède le quotient incomplet du milieu de la i= periode, et le dènominateur [j. de ce mème quotient donnent les valeurs minima des inconnues 2ir 2lIIi' de rèquation x"^- i > savoir : x = =±^ i et . 25 — 178 — 3. Lorsquc, pour un nombre A entier non carré, on a déterminé la réduite H ^ et le nombre u. définis (n? 2), on est certain que le nombre quadratique H'V+ + A dans lequel a représente un entier quelconque positif ou négatìf, et (j.^ le nom- bre |y. débarrassé du facteur 2 , si cela est possible , sera tei que 1’ équation ,r^- A,^^^= 1 aura pour valeurs minima de x et de y les nombres 2h.,R'^a + Rf 2(ajr^a -h H)H' ^ = =^1, Application. Pour A = 19 , ^ y. = 2 et fti= 1. Par suite Ai = 9<2% 26«+ 19 ; x = {9a + 13)% 1 , j = 3(9a + 13) pour a=0,l,2, 3, A , 5, 6, 7, 8, 9. ..-3, —4 ÌAj= 19, 54, 107, ns, 267, 374, 499, 642, 803, 982 .. . 22 59 X = 170, 485, 962, 1601, 2402, 3365, 4490, 5777, 7226, 8837 ... 197 530 J = 39, 66, 93, 120, 147, 174, 201, 228, 255, 282 .. . 42 69 4. L’équation x^- [j2(aV a)b + 2a + i)P+ |(2a + i)b + 2^]^^^= -la pour so- lution minima en nombres entiers X = \{a^+ {a + “^fyb + 2(2a + «+l) > J =a% (a-<- ìf. En particulier pour è = o, l’équation x^— \{2a i)V 4^j"^=-l a pour solution minima x = 2(2a + i)(a^+ a + i) , j- = 2a^+ 2« + i. 5. Les Solutions minima de l’équation x^ — ^(2a + i)^- 4|jr^= + i sont X =2{a + if{2a - i) + 1 , y= 2a{a + i). En vertu du théorème 3 on déduirait de ces formules un nombre quadratique Ai= \{2a - i)ab +2a + i|^— 2(2a - i)b — 4. Les valeurs minima de l’équation x^—k^y^=i seraient d’ailleurs X = 2(2« - ì)\a% + a + l}% 1 , y = 2a{ab + a + i). 6. Les valeurs entières minima des inconnues de l’équation |(2"a + 2"-*f=fc= 1 sont x= 2\2”^-^(2a + 1)^=1= ip- 1 , j=j2"“^(2a + i)^=t= i\(2a + i). Les signes supérieurs marcbent ensemble, ainsi que les signes inférieurs; on suppose de plus que la valeur minimum de n est égale a 2. 7. L’équation x^~ Aj^= i a pour valeurs minima de x et de ^ les expressions suivantes correspondant a une sèrie de valeurs de A 179 — A=( 9«-h3 9 A={ 9a-^6 )V 9 A=( 9a^-3 f- 9 A=( 9^4-6 f- 9 A = (2oa+D )^— 25 A=(25a4-io)^-25 A=(25rt-T-lo) —25 A=(25«+20f-25 A=(49tìt+ 7)%49 ; JC=i8(6rt^+4a-H)^-l ; x=2{ì{m+2f -, X=(6rt+lf(3(T'4-2)-l ; x=(6a+5f(3a-t-d)+i ; x=(iooa^4-30rtH-i)^(5a4-2)-i ; X=(l0a+3)^(5ft+3)-l , x=(i0a4-7)^{5a+2)+l -, X=(l00flVl70a+7l)^(5a-i-3)+l ; jc-=98(7a+l)^(28a%8a4-i)Vi ; J"=4(6rt%4« + l)(3« + l) ; ;r=4(6rt%8rt-t-3)(3rt+2) ; J={m+i){2a+ì) j J'=(6a+5)(2«+d) ; j-=(20aVl0rt^-l)(l00<'<%30«-f-i) ; J=(2«+l)(l0a-f3) ; jr=(2rt+l)(l0«+7) ; jr=(20a^+30(7 + n)(l00<7%170rt4 7l) j r=2(7a + l)(28«%8rt + l)(d96a%56a+5) A=(9«+3)Vi8 ; x=(3a+i)^(i8a%i2a+5)%l ; jr=(3a+i)(i8rt Vi2rt+5)(6aV4a+i) A=(8rt=fc2f+16 ; x=8(4(2=t=if(4a^=±=2«-i-i)%l j jr=2(4a=±=i)(4«''=±=2a+i)(8a^=t4fl!+i) A=(l6^^=fc^4f-t-32 ; x=2|(4a=4=i)Vip-i -, j=-{Aa=^i)[Sa^Aa+i) A=(8«=i=2)^-16 -, x=2{2a-^ìf{ita=F^\)^i ; j=m{m=i=i) A= \ m{m=±=2) [ \sm; x=2m{2a=^\f j «z(2a=i=i)%2 1 +i; jr=(2a=t^i) ] in{2a=i=:ìf +i Ces formules sont donnees cornine types de celles (ju’on peut obtenir par la méme voie. Le procelle' indique' (n? 3) permettrait de transforrner chacune d’elles en ime autre contenant deux ou trois nombres inde'termines, suivant le cas. 8. L’e'quation x^—kj^=-i a pour Solutions de a? et de j- les expres- slons suivantes correspondant a une serie de valeurs de A. A=(25rt+ 5)%25 j x=(5a+i)(iooa%40a+7) ; j ^ 20à^+m+ì={2af -^{Aa+if . 2 (x=5(2a+l)^ j25(5a+2)(2a+l)V2(5a+3)^+2(20a%15a+3)(l000a^+1150a%470fl!+67) A=(2óa*10) +25 J 2(20a“+isa+a) } “+25(2«+l)'‘ * .2 (x=5(2a+lf j2a(5fl+3)(2a+df+2(5a+2)^ +2(20a%25fl+8) jl0(5a+3)(20«%25a+8)+20«+13[ - -(25a+15) A=(25a+2of+25 ; j:=5(5a+4)|{2a4-2)%(4a+3)^|+2(5a4-4) ; j={ua+zf +{m+2f A=(l69a+13)%169 ; j=(4056a^^832a%68a4-2)%(2704a^+780fl!%80a+3)^ 9. Si .r = H , = H' ve'rifient 1’ e'quation x^ - kj' = B , les uombres jr=H' , 3C=aH'VPl verifieront l’equation 3c^-A,t^^ = B, dans laquelle le determinant A,= H'V4-2H« +A. — 180 — Application. Si Tequation admet des Solutions enlières, les deux reduites conseculives ^ ^ ? dont la première correspond au dernier quotient G ri incomplet de la i®. partie de la syme'trie de la pe'riode de ces quotients, four- nissent imme'diatament les valeurs minima de jc et de j- de l’ équation consi- dére'e^ savoir : x = GG'+HH'. Cela e'tant, l’equation dans laquelle A,= (G'V H'TaV 2(GG'+ HH')« + A, aura pour valeurs minima de x et de j- les nombres j = G'% H'" 3 X ={G'V GG’+ HH'. Ainsi pour A =13 ; G' — . La solution minima de l’equation 2 (25«^+ 36« H- 13)7^= - 1 est par suite repre'sente'e par les nombres 5; x = 25a + 18. 10. Réciproquement, en conside'rant un nombre impair j = G'^+ compose' de deux carre's premiers entr’eux, on peut trouver le cle'terminant Aj d’une e'qua- tion x^-Aij-^^-i, pour laquelle le nombre G'^+ serait une valeur entière de Ce de'terminant , aurait pour valeur A + mY+\2\^C,'a + iiY, a representant un entier inde'terminè positif ou ne'gatif, m et n e'tant racines de l’e'quation inde'termine'e du i.®'' degre' (H'"-G'V- 2H'G>,= ^i. On peut méme remarquer que les carre's composants de Aj sont e'gaux aux va- leurs géne'rales de x, et de . La valeur de x de l’e'quation x^— Aj7^=— 1, correspondant a 7 = G'^-t- , serait d’ailleurs x = (G'V H'^a + G'^) + 277H'G'. Application, i? Si jr = 4//-+- 1, Tequation inde'termine'e du i.®® degre' (4^^- i)Xi- =i= 1 aurait pour solution ge'nérale ])ar suite x,= A)a + 1 , 7 = {Ab^~ \)a + h A 1=1(46^— i)a 4- hY+ {Aba + \ f, et l’e'quation x^— A,7^= — i serait ve'rifie'e par les nombres j = aV+ i , X = {Ab^+ifa + b{Ay+ 3). 2? Si 7" = {^bf+ {Ab+ ìf , l’èquation inde'termine'e i — 181 — (12^% S/!? +l)Xj- (icè% fournirait les valeurs Xj= (i6Ò^+ i,h)a + 2oZ? + 1 ; jr,= (i2&^+ òh + ì)a + lab + i. Donc A^= 1(126% s6 -i- i)rt + 156 7(% )(i66% 46)a + 206 + 1 et Tequatioii correspondante serait ve'rifie'e par les nombres j = {2bf+{Ab + if , X = (206% sb -r ifa + 5006^+ 3006'+ 756 + 7. 11. Si le deVeloppement de y/A~ en fraclion continue presente le nombre 4 dans les de'nominateurs des qiiotients coraplets , ce qui arrivo souvent lorsque A = 5(mod.8), on peut, sans continuer le deVeloppemeut de y/A , déduire de la M . re'duite , qui précède le dénominateur 4, la plus petite solution entière de l’une des équations x^— ^ i. . M 2M,+ 1 . , 1 ,1 • 1 i. 5 et SI de plus cette reduite est de rang pair, on aura AM% (2AI,+ i)% 4 par suite (n? 4) l’équation x^ - = - 1 sera vériliée par les nombres j'= M'|M^ + (Mi+ if I ; X = 2(2Mi+ i)(M^ + AIj+ 1). On déduiraìt de la (n? 9) un déterminant 2(2Mi+ 1)6 + A , qui, suivant que h est pair ou irapair, se decompose en deux autres : Aj= 4M'%% 4{2Mi+ \)a + k -, A2 = M'^(2a + i)% 2(2Mj+ i){2a + 1) + A ; et ces déterminants seraient tels que les équations xl = k^jl = - 1 , xl~ k^jl 1 seraient vérifiées par les nombres j,=W\(M'"a + MJ%(M'%+Mj+in • x,=2{2{M'"a+M,)+i\ \{M'^a+M/+M'^a+M,+i)\ M' J2= — + 1) ^ _|M'V + 1) +2M.+ i\^ n A 1 . -X /I • 0 7 8 39 2.19+t Four A = 61, les quatre premieres reduites sont -, , Amsi , 1115 5 corame le dénominateur du quotient complet suivant est égal a 4, la plus pe- tite solution de l’équation x"^~ = ~ 1 est représentée par les nombres J = 5(19% 20^) = 3805 ; X = 2.39(19% 19 + 1) = 29718. Dans ce cas particulier, le déterminant Aj serait égal a iooa^+ i56a + 61, et l’équation correspondante x\~k,j\=^-i serait vérifiée par les nombres — 182 — JC^= 2(50« + 39)|(25a + 19)V 25a +20^ J -r 19)%|25a pour a = - 2 , A,= 149 ; X^= 113582 ^ 9305 . Le déterminant serait, dans celle méme liypollièse de A = ci, represenlé par le nombre lOO aV 256a 164 , el les plus petiles solulions de Tequalion xl ' " - k^j\ = 1 seraienl Xa= 2(25a + 32)V 1 ; S(25a 32) pour a = - 2 , A = 52 oc. „ M 2M2 . , , 2. 01 SI de plus celle reduile esl de rang pair, on aura AM'"= (2M,)% 4 par sulle (n? 2) l’e'qualion x^ - kj^= 1 sera ve'rifie'e par les nombres f = M'Ma ; X = 2M| + 1. Oli Irouverail cornine ci-dessus un de'lerminanl jM.J) + A, qui pourrait se de'composer en deux aulres relatifs aux cas de h pair el de b impair. M 3? Si la reduile —, esl de rang impair, la solulion de l’equalion x^-Ajy^=i s’obliendra d’après la mélhode indique'e (n.°®2el5). Celle marche peul élre e'iendue a divers cas dans lesquels un de'nominaleur des quolienls complels serali e'gal a 2" ou a 2'‘a. 12. Si en de'veloppanl en fraclion conlinue un nombre A = o(mod.9) 011 reii- M conlre un de'nominaleur des quolienls complels e'gal a 9 , la re'duile qui pre'cède ce de'nominaleur fournil de sulle la plus pelile solulion enlière de l’e'- qualion x^-Aj^ = 1. En verlu de l’e'galite' AM'®=M^=t= 9 on a, dans riiypotbèse où l’on s’esl place, M = o(inod. 3) ou M = 9fl =±= 3. Dès lors, les forraules inscriles (n? 7) fournissent les valeurs minima des inconnues de l’e'quation doni le de'lerminanl serali AM'^, valeurs qui servenl a Irouver celles qui soni relatives au de'lerminanl A. Dans le cas parliculier où M serali e'gal a m, on se servirail des formules inscriles (n? i). Dans celle proposilion, le carré' 9 peni etre remplace' par un carré' quelcon- que 25, 49, .... Les formules inscriles (n°® 7 el 8) permellraient pour les carre's 25, 169 de reconnailre les cas dans les quels l’équalion x^~ kj^ = - 1 serali possible. Je suis avec un profond respecl, Monsieur le Prince, de V. E. Le très-humble serviteur C. RICHAUD. — 183 — SUR UN PROBLÉME INDÉTERMINÉ NOTE DE M. CASIMIR RlCHAUD Problème. Troiwer deux nombres entiers consécutifs x et x + tels qiie la dif- férence de leurs cabes soit représentée par ime somme {ou ime différence) de deux cubes. i? D’après l’enoncé (1) {x+ ou (2) (7 + z) \{j + zf- 372^ = ‘^X^+ 3X+ 1 = ‘ìx{x + i) + 1. Gomme l’un des deux entiers x et u: + i est force'ment pair, le second mem- hre est de la forme 6^+1, et méme de la forme za. On a en efFet iden- tiquement . 1? pour X =^x\ 3(4x'^) + 3(2x') -r- 1 = {zx^+ lf+ zx "^ 2? pour X =2x'+ 1 , 3(2.r+ \ f+ 3(2x'+ 1) + 1 = {zx'+ 2f+ 3(x + 1)*; Dès lors ^ +z, qui est = i(mod. 6), est aussi de la forme t^+zu. Posons donc s^~ 1 Y + z = s et = A 3 l’e'quation (2) devient d’où x^ + X = A sy- + sy^ -i+\Ji + 4A — Asy + Asy^ si Fon pose (3) 447^^- Asy = f-AA-ì. 26 — 184 Cette relation (3) donne j' + t» ou jr , en posant v/3'(6-^+ f- 4A- 1) (4) Ak- Cette dernière relation devient 2 2 1 2 - 1 . t - sv = A + 1 - = A. 3 3 Ainsi, en résumé, Tequation (1) peut étre remplacée par le système suivant: («) + 1 s —V 2 2 2 s étant des deux formes = i(mod. e), eta%3è^j ^ et étant racines de l’e'quation 2. Cette e'quation f- su^= jouit de la propriéte' suivante. Si les nom- bres ^ et la ve'rifient, elle est e'galement ve'rifie'e par le nombres , {S + i)t + 2SV , 2t + {S + i)v J - 1 ’ J - 1 Par suite on peut trouver une infinite' de Solutions de l’equation {m) ak=b^+c^+ d? avec une seule solution particulière de la méme e'quation, au moyen des formules (a + c — d){c + d) + a — i {a + c — d — i)(c + d) + a a,= ; b,— c + d - i c{c + d) — d + 2a - i c + d - i C ir d - \ d{c + d)~c - 2a + 1 c + d — i ainsi, en partant de la solution 6^= 5^+ 4^+ 3^ déduite de l’e'quation particulière 114, on trouverait successi vement «1=9 , Z?i= 8 , c,= 6 , 1 aa= 53 , 62= 50 , 62= 29 , d^= — 8 fi! 3= 971, ^3=961, C3= 361, fi?3= - 151 . Si l’e'quation est ve'rifie'e par les nombres t eX v , elle est aussi — 185 verifiée par les notnbres + 2^(j' + ì(v |(5 + + 2{S + l)^ {S + l)^- {S+lf-S et ces formules fourniraient des valeiirs analogues aux pre'ce'dentes pour les nom- bres . 3. Si Fon demandait deux iiombres entiers conse'cutifs^ tels cjue la différence de leurs cubes fùt égale a mi cane, on aurait a résoiidre l’e'quation 3JcV 3x + 1 = r^ qui donne - 3 =±=v/l2J^-3 - 3 + l) 6 6 par suite j doit vérifier l’équation Ay^- 1 = 3P^ OU 1 . L’equation z — 3c^= i ayant pour solution minima 2=2, c = t, les puissances impaires de l’expression (2 + ^3)" fourniront toutes les Solutions pour lesquelles sera pair. On trouvera ainsi / ’ 83 - 73 = 13^ = 12^ 4- ^2 0 X = 0, 7 , 104, 1455, 20272 .... \ 1 1053 - 1043 2 et < = 181^ = 180 4- 19' 14563 - 14553 = 2521^ = 2520^ 71'' r = C 13, 181, 2521, 35113 .... I f 'K ^ 2 2 2 ^ 20273^ ~ 20272^ = 35113 = 35112 265 Les valeurs de j forment ime se'rie re'currente. On obtient les termes de cette se'rie en raultipliant le pre'cedent par 14, et en retranchant du produit l’ante- pre'ce'dent. On peut remarquer les e'galite's suivantes ^2 ’ 489061 = 494 V 495^ 10 , 22 2 6811741 = 1845 + 1846 2 ’ 94875313 = 6887^+ 6888"* 133 , Les nombres 2, 9, 35, 132, 494 .... forment aussi une serie récurrente dont l’e- cbelle de relation est facile à voir. 11 était d’ailleurs facile de prevoir que les nombres entiers jy, qui satisfont a Tequation 3X(X + 1) -t- 1 ou 6T+i=j-^ (T e'tant un nombre triangulaire), sont toujours égaux à une somme de deux carre's, et méme egaux a une somme des carre's de deux nom- bres entiers conse'cutifs. Ces nombres j devant verifier l’equation 32^+ 1 , 13 = 2^ + 181 = 9^ + 2521 = 35^ + 35113 =132^ + ^ 186 — -sout cu effct de la forme et par suite de la forme 6u + i. L’e'quatiou (2J -f- \){2J - l) = 3Z^= se decompose donc en deux autres 2r + 1 = 30^ et 1 == ìv^ ou 2J = w^+ i. Les iiorabres j'' divisent ainsi urie somme de deux carres premiers eiitr’eux. Donc, d’apiès un tbe'orème connu, . . + iV /rv-iV /tv"- iV 3 ainsi, comme tv est force'ment imjrair , / remplit bien les conditions definies ci-dessus. — 187 — SugV istromenti in pietra focaia rinvenuti nelle cave di breccie presso Roma riferibili all' industria primitiva. Nota del prof. Giuseppe Ponzi. lì ella sessione, 4 maggio 1862, parlando dell’Aniene e dei suoi relitti feci conoscere a questa nostra Accademia il rinvenimento fatto dall’ Ab. Rusconi, di denti umani entro uno strato di terra vegetale frapposta a quei grossi banchi di travertino quaternario, che dalle cave delle Caprine sotto Monticelli si estrae per gli usi economici. Allora faceva notare altresì la loro associazione alle ve- stigia di molti animali , parte dei quali estinti, parte emigrati, parte ancora viventi nella contrada i quali portano a stabilire con certezza che quei banchi siano di formazione quaternaria. A tale scoperta oggi se ne aggiunge un’altra di non minore interesse scientifico, e questa consiste nel rinvenimento d’ istro- menti in pietre focaie tagliate dalla mano dell’uomo, entro le breccie del Te- vere, parimenti quaternarie e contemporanee ai travertini sudetti. Sono già molti anni che il sig. Luigi Ceselli zelante raccoglitore paleon- tologico, avea trovato vari di quelli istromenti in pietra nelle cave di ghiaia di Pontemolle, Tor di Quinto, e Acquatraversa. Ma siccome di questi non ne fece parola , nè vennero mai annunciati alla scienza , così quel fatto restò sempre del tutto incognito. Peraltro fra il finire del decorso anno e l’ inco- minciare del presente, altri istromenti di quella natura vennero estratti dalla cava di Pontemolle dal sig. Bleicher medico e naturalista francese, e dietro di lui dal sig. Paolo Mantovani giovane d’ ingegno e vago di studi geologici, che ignorando i fatti precedenti senza alcun mistero dichiararono la scoperta, e il Bleicher ne fece comunicazione all’ accademia di Colmar in Francia. Al grido di questo avvenimento scientifico, si venne alla cognizione di ciò che tuttora restava occulto presso il Ceselli, di modo che sembra spettare a que- sto la priorità del rinvenimento, al Bleicher il merito della pubblicazione. Cr istromenti di Pontemolle pertanto consistono in coltelli e punte di freccie o lance, tagliati in una focaia per lo più giallastra e traslucida che non appartenendo alle rocce de’ prossimi monti, sembra piuttosto derivare dalle regioni centrali dell’appennino, da cui discesero e discendono tuttora le cor- renti del sistema tiberino che le trasportarono. La tessitura di questa pietra 27 — 18,8 — è fina e gentile. Nondimeno il lavoro è rozzo e grossolano, quale può risul- tare daH’urto semplice di sasso contro sasso. A meglio apprezzare 1’ entità di questa scoperta mi portai alle cave di Pontemolle, onde esaminarne la giacitura entro quei vasti depositi di trasporto delle acque diluviane, i quali giungono perfino ad un livello di circa 30 me- tri, sopra la media delle acque moderne. Risultano da un rimescolamento di sabbie e breccie stratificate in letti irregolarissimi, quali si convengano a quelli operati dalle variabili correnti dei grandi fiumi. I materiali di cui si compon- gono rappresentano i detriti di tutte le rocce sulle quali le acque passarono, cioè di tutte quelle precedentemente formate. Laonde si compongono di pie- tre calcarie e focaie, derivate dai terreni giurese cretaceo ed eocenico, che co- stituiscono gli appennini, a cui si aggiungono le breccie e materie vulcani- che dei subappennini, per accusarle quaternarie e distinte dai conglomerati plio- cenici formati avanti la comparsa delle eruzioni ignee. In questi depositi è da notarsi che i cittoli di focaie. or rossi or bigi, a cagione della loro durezza sono meno logorati dall’attrito, mentre le calcarie si offrono molto più riton- date e consunte. Entro lo spessore di tali depositi , alla profondità di circa 12 a 15 metri giacevano la maggior parte degli istromenti rinvenuti, senza togliere che alcuno siasi trovato anche a più elevato livello. La scoperta di questi oggetti e del più grande interesse scientifico, av- vegnaché è la prima volta che possiamo offrire esempi d’ istromenti artificiati nei veri depositi quaternari e a quella profondità, perciò spettanti alla prima epoca della pietra. Ciò a nostro avviso, sembra doversi attribuire alla grande estenzione del sistema Tiberino , che dopo il Pò è il più gran fiume d’ Ita- lia , raccogliendo le acque non solo di tutte regioni centrali appennine , ma eziandio di una parte della Toscana e del Napolitano. Gl’ istromenti in silice trovati nelle sabbie di Pontemolle sono ben di- versi da tutte quelle punte di freccie di un più preciso lavoro, già tanto co- nosciute dai contadini col nome di pietre di saette, che si rinvengono sparsi sulla superficie del suolo al di sotto dello strato vegetale. Differiscono eziandio per la qualità della silice, la quale in queste, ha tutte le apparenze di essere stata tolta dai più prossimi monti, che sovrastano le pianure. La riduzione a forme più regolari di queste armi, sia per un numero maggiore di faccette, sia per logoramento di attrito, mostrano un età più avanzata di quelle di Pontemolle e perciò riferibili alla seconda epoca della pietra. Quanto alle esagerate opinioni che si sono volute trarre da queste sco- perte, fatte in tante contrade della terra, son d’opinione, che volendosi spin- STKOMENTI IN SILICE RINVENUTI PKESSO RON\A Fi^ 1-14 nelle breccie quafernarie di Ponre Molle 1‘ epoca A.B.C. sulla superficie del suolo 2tepoca. 189 — gere troppo oltre siansi costrutti edifici senza fondamento, pronti a crollare a qualunque piccolo urto di sane argomentazioni. Solamente io credo che si potrebbe dire, che durante la prima epoca della pietra l’uomo si tenne sulle alture dei monti da cui discesero le acque, e non fu che nella seconda epoca che scese ad abitar le pianure. Finalmente sembra non potersi rivocare in dubbio che l’uomo abbia esistito al tempo delle grandi inondazioni, e come a suo tempo sarò in grado dimostrare, essere stato spettatore delle eruzioni vul- caniche che produssero i monti del Lazio. La tavola annessa rappresenta gli stromenti della prima epoca della pietra estratti dalle breccie di Pontemolle, dalla fig. 1 al 14. Le tre freccio aggiunte segnate colle lettere ABC appartenenti alla seconda epoca, disseminati fuori di quei depositi sul suolo della campagna romana sotto lo strato vegetale , vi sono state poste a confronto , perchè sia apprezzata la differenza md grado del lavoro. Basti per ora questo annunzio, poiché in un quadro paleontologico del- l’epoca quaternaria, mi studierò far conoscere quali animali e quali piante fu- rono contemporanei a quelle antiche razze di uomini, che abitarono la nostra penisola. Il Cetaceo di S. Marinella. Memoria del prof. Vincenzo Diorio. Era il giorno 4 di marzo del corrente anno allorquando due pescatori di terra, discopersero dalla spiaggia civitavecchiese e precisamente dal posto de- nominato la Salcialella fra le stazioni ferroviarie di Rio-Fiume e S. Marinella^ sommerso in mare e non molto discosto dal lido un corpo immenso, il quale apparso agli occhi loro simile alla chiglia di un vascello rovesciato , portolli a darne parte alla più vicina autorità governativa, onde si venisse con ogni sollecitudine al soccorso dell’equipaggio che la imaginazione rappresentavagli quasi già sepolto insieme con la riversata stiva. Quel naviglio capovolto can- giossi però ben presto nel corpo di un cetaceo che spinto dall’uragano verso terra, trovassi incuneato fra i scogli che ivi rifrangono estesamente il flutto. Erane il capo intieramente sott’ acqua e questo ricevuto come da prua il vento , avea guidato la coda verso terra in direzione di libeccio. L’ animale giaceva resupinato sul ventre, ed aveva lacerate le carni in prossimità delle naturali aperture. Due mammelle vulvari davano indizio del sesso , ed una rima in mezzo ad esse protratta, nascondeva quei meati, che negli ordinari! mammiferi in siffatto luogo si appalesano. La difficoltà del sito (1) rinfu- riare dei marosi, e lo inoltrarsi della putrefazione di quell’ immenso cadavere, avendoci vietato di farlo rimorchiare sù di una spiaggia arenosa , ove men difficile sarebbe stato, di studiarne la organizazione: dovemmo adattarci alle leggi di publica igiene, che obligavanci alla sollecita distruzione dei tessuti in via di sfacimento; limitandoci a salvarne lo scheletro per la scienza come l’accortissimo e benemerito Monsignor Scapitta Delegato Apostolico di Civitavecchia avea già stabilito : lasciando il grasso in compenso dell’ industria , a quei che si offersero a facilitarne lo scarno. E siamo oggi ben paghi di potere annun- ziare all’ accademia che tutte quelle ossa del peso approssimativo di circa 7000 libre romane, sono già in Roma, ed avviate in un locale messo dal Governo per l’oggetto a disposizione della Università, alle opportune lavora- razioni, onde ricostruire lo scheletro intiero del cetaceo. L’essere di cui diamo un cenno appartiene alla prima sezione delle Balene di Lacèpede , e corrisponde al genere Balaenoptera dell’ autore ora lodato. Porta una piccolissima natatoia dorsale , sostenuta da una cartillagine , che abbiamo conservata. La lunghezza totale del nostro individuo , misurata sul ventre da una retta che partendo dalla sinfisi mascellare inferiore giungeva all’apice della spina centrale della coda la trovammo di m. 18, 80: la testa stava a questa misura per m. 4, 70. La larghezza del capo in corrispondenza delle articolazioni mascellari, la rinvenimmo di m. 2, 22. La mascella infe- riore somiglia ad una olissi troncata al fuoco posteriore, ed eccede di 13 cm. la lunghezza della mascella superiore, analogamente a quanto vediamo veri- ficarsi in molte famiglie di pesci. Questa ultima invece considerata nel suo insieme con il cranio, prima dello scarnamento, avresti detto che raffigurasse il capo di un immenso avoltoio rinvenendosi 1’ apice del becco rappresentato dalle ossa mascellari superiori che andavansi appuntando gradualmente per finire nascoste entro il segmento elissoideo sudetto. Il nostro cetaceo aveva gli occhi relativamente assai piccoli; ed il sinistro non si rinvenne nell’orbita corrispondente. La colonna vertebrale risulta di 56 pezzi. La prima vertebra ossia l’atlante era libero; le 6 seguenti apparivano saldate insieme. L’ appa- recchio ioideo si trovava collegato con le apofisi acromiali delle scapole per (1) Il posto ove venne tratto a terra il Cetaceo, venne disegnato in natura dall’ abi- lissimo artista romano sig. cav. Francesco Grandi e venne per sua opera pure litografato. — 191 mezzo di due sviluppatissime ossa coracoidi; e forse queste connessioni, non sono state avvertite ancora da quelli che hanno scritto la storia di cosifatti animali; i libri che abbiamo potuto consultare autorizandoci a dubitarne. Due pinne o natatoie che dal silo e dai rapporti meglio direbbonsi giugulari che pettorali sono impiantate dietro e vicino agli angoli della bocca misu- rando ciascheduna m. 1,80 di massima lunghezza, sopra cm. 70 di mag- gior larghezza. Il corpo si terminava da una natatoia orizontale di m. 3, 30 di apertura. Non avendo 1’ intenzione di esporre oggi all’ Accademia la storia dello scheletro della Balenottera, lascerò di parlare delle parti che lo compongono, limitandomi solo ad accennare qualche cosa sulle impressioni ricevute durante la separazione dei tessuti molli che lo rivestivano , riserbando ad epoca più opportuna la descrizione di quello. Dirò quindi come tutto il capo del Cetaceo era tapezzato da uno strato di lardo di oltre a 6 pollici di spessezza. Nascondeva questo tutte le ossa componenti il cranio e la faccia deH'animale, dando ad entrambi, come accennai, l’apparenza del capo scarnato di un immenso avoltoio. Al disotto della fronte si discuoprivano due fenditure lineari della lunghezza di 4 pollici circa, capaci appena di ricevere il dorso di un bistorino ordinario, e molto ravvicinate fra loro. Erano desse le aperture dei sfiatatoi [Évents) che sono doppi in tal genere di animali. Sotto della parete lardacea ritrovavasi un grande accumulo di tes- suto cellulare assai floscio e tutto inzuppato di olio , il quale tessuto riem- piva tutte le fosse e diseguaglianze che iscorgonsi fra le ossa del capo , ed era percorso doviziosamente da una rete vascolare sanguigna. Pendevano dalla volta palatina i festoni {Fannons) caratteristici delle Balene scorrenti tutti dallo avanti all’ indietro , pieghettati e gricci sù loro stessi, sfrangiati e setolosi nel lembo libero: potea ridursi ad un piede pari- gino la media loro altezza. Questi organi avevano il colore carneo slavato della muccosa buccale che in massima parte li costituiva ; apparendo solo bluastri sulle rughe trasversali, che trovaronsi pure rigide quasi setole impa- state in mezzo alla membrana muccosa. La rete capillare sanguigna che co- piosissima accompagnava quei festoni; ed i grossi fili nervosi che vi si perde- vano dentro (cosa pure da nessuno avvertita) , ci porterebbero a sospettare che dessi veramente si fossero organi di gusto e tatto squisito per questi animali , in cui la lingua da spesso strato lardaceo ricoperta manca di quelle papille , onde addiviene istromento ordinario di senso per i sapori. 192 — Misurata la distanza delle punte palatine dei processi pterigoidéi, e quella che fra questi e le apofìsi mastoidee rinviensi, potemmo ridurre a circa me- tro 1,50 il perimetro superiore dello imbuto Faringeo, che poi gradualmente scendendo si angusta fino a ridursi ad ^/g appena del diametro nello esofago. Essendo stata arponata la testa, onde avvicinare quell’ immenso corpo a terra; ne avvenne che rammolliti dalla putrefazione i legamenti ed i muscoli che la rat tenevano, si divelse il capo dal tronco che restò in acqua e ciò pure vietocci di proseguire i studi di dettaglio che ci eravamo proposti. Onde non annojare però di soverchio l’Accademia limiterommi a dire, che la mascella inferiore vedevasi rialzata da una spessa muraglia di lardo, la quale si andava assottigliando in sul lembo corrispondente alla mascella superiore, ed ivi non meno che nello interno suo era tutta rugosa, quasi come la bocca delle te- studini di mare sebbene non avente le denticolazioni cornee di queste. La lingua apparve bluastra in sua superficie, stretta e tondeggiante nel suo corpo , e non come negli altri mammiferi libera ; ma legata nei bordi suoi al piano mascellare, poco meno di quello che si verifica in quella dei coccodrilli. Lo sviluppo delle intestina era immenso, e la spessezza di lor pa- reti proporzionata alla grandezza del diametro. Infatti le sole tenui farebbero commodamente da calzoni per un uomo di età matura , e di più che ordi- nario sviluppo. Due sacchi ondeggiavano con la parte lor libera in mare, oc- cupando del cetaceo il fianco. Erano forse le grandi borse aeree che sono state indicate nei Rorquali come analoghe alla vescica natatoria dei pesci, e che vuotate dall’aria, fanno che la pelle del ventre di quelli in tante pieghe longitudinali si rapprenda ; e che noi stante la distenzione pei gas e la di- struzione delle pareti addominali, a cui si era proceduto prima del nostro ar- rivo, non avemmo la fortuna di costatare ? Non abbiamo dati sufficienti per rispondere. Possiamo dir solo che il torace del cetaceo compariva solcato, ma non a strisele regolarmente longitudinali. Assumevano i solchi sulla regione ster- nale un apparenza tessellare ; e su i lati toracici scorrevano nel senso delle costole sottostanti. Delle strie flessuose vedevansi pure sulle faccie della gran natatoja caudale. La circonferenza del corpo intiero calcolata approssimativamente dalla di- stanza fra le inserzioni delle natatoie pettorali, si ridurrebbe a m. 7,60; do- vendo in gran parte attribuirsi questa misura del torace allo sviluppo degli - 193 — immensi polmoni del cetaceo. Aperto il petto nè uscì un fiume di sangue cor- rotto, che momentaneamente arrossò il mare. 11 cuore della balenottera non era men singolare degli altri visceri , e per estrarlo convenne armare la così detta capra sul petto del mostro ancor sommerso, e ricorrere alle poleve. Questo nella forma generale somiglia d’assai al cuore umano; presentandosi come una massa unita conico-depressa. Il suo diametro longitudinale dall’ apice dei ventricoli al principio delle orecchiette misurava m. 1, 70 circa; il diametro trasverso alla base ventricolare non avea che circa cm. 80. Esso era spartito in due ventricoli, ed in due orecchiette che meglio si chiamerebbero seni. 11 ventricolo aortico od arterioso ofPriva le pareti di oltre a 50 mll. di spessezza, il ventricolo venoso aveva nelle carni sue la grossezza di soli 30 mll. La parete inter-ventricolare aortica , faceva risalto nel vano ventricolare venoso , quasi come si verifica nel cuore dei grandi ruminanti. Le valvole ventricolo - auricolari , riproducevano nelle corrispondenti proporzioni quelle umane; ed altrettanto verificavasi nelle altre che tengono la foce dei grandi vasi. I seni soprastanti ai ventricoli presentavano una semplicità notevole di struttura: di fenestra ovale non iscoprìvasi nemmeno la traccia; della valvola di Eustacchio non eravi indizio. Le vene cave aprivansi nel seno destro con r imponente diametro di 32 cm.; l’aorta spiccavasi dal ventricolo sinistro con 30 cm. di lume. Proporzionata a queste misure scorgevasi, 1’ apertura delle arterie polmonari. Sicché non è diffìcile lo arguirne, che poco ristagno abbia a sperimentare il circolante fluido sanguigno in mezzo a così ampii canali , anche quando la sommersione dell’animale, ne intrattenga per qualche tempo il respiro. Questo immenso cuore neppure una goccia chiudeva di sangue negli antri suoi. Tutta la carne del cetaceo appariva di color cremisino , e trovavasi mandorlata di bianco per gli accumuli lardacei, che davano a quella r apparenza esagerata della carne suina presa dal farcino. Lasciando adesso gli appunti anatomici mi si consenta di accennare qualche cosa relativamente alla definizione zoologica della specie del nostro cetaceo. Linneo dopo di avere con l’aureo suo laconismo marcati in poche linee i tratti caratteristici dei cetacei scrìvendo « Cete Spiracula ad calvariae an- teriora posila pedes nulli. Pinnae pectorales absque unguibus. Cauda horizon- talis )) epilogava quelli del genere Balaena con la seguente frase « Dontium loco in maxillu superiore laminae corneae. Fistula respiratoria duplici orificio externo supra caput: » e quindi fra le specie una ne ammetteva distinta da \u — tutte le congeneri con queste espressioni « R. Fiatula duplici in fronte, ma- xilla inferiore multo latiore » e chiamolla Balaena musculus. Egli è superfluo di accennare che il doppio spiraglio frontale , rientrando nella frase generica già riferita, non resta che lo eccesso della mascella inferiore sulla superiore a carattere specifico distintivo di questa balena linneana: per il quale carat- tere verificato nel nostro cetaceo, siamo in dritto di ritenerlo per la Balaena musculus del sommo Svedese. Giorgio Cuvier elevando al rango di famiglia la maggior parte dei generi linneani ; accettò per le Balene la principale distinzione da Lacépede introdotta fra le specie , scompartendole in due ge- neri ; riservando il nome di Balene a quelle senza natatoia dorsale e chia- mando Balenottere {Balénoptères) le altre che portano quel distintivo. Che più : avendo ammessa come non certissima fra queste ultime la sola specie che porta liscio il ventre, e supponendola probabilmente male osservata (quale sarebbe la Balaena physalus di Linneo ossia il Gibhar des Basques) ; fece menzione distinta di parecchie altre , che dallo addome rugoso distinguereb- bonsi. Mette G. Cuvier fra queste la Balaena musculus di Linneo, chiaman- dola Le Rorqual de la Mediterranée, ed avvisa che non differisce dalla Giu- barte, o Balaena boops di Linneo che per alcune proporzioni di dettaglio. « Qui ne diffère guère de la jubarte[des basques)gMc par quelques proportions de detaiL)> (Règue animai. 2 ed. tom. I, pag. 298). Noi abbiamo indicato di sopra ciò che pensiamo intorno alle rughe o solchi addominali forse talora più e talora meno appariscenti in sul ventre delle balenottere; crediamo quindi ben fon- dati i dubbj del Aristotele Francese , sulla specie del Gibhar , che secondo noi dovrebbesi convertire nella Giubarte e finalmente nella nostra. La distin- zione già indicata delle Balenottere di Lacépede fu pure ammessa da Fischer (Synopsis mammalium pag. 523), il quale chiamò il Rorqual del mediterraneo di G. Cuvier Balaena antiquorum assegnandone a distinzione dalla Balaena musculus di Linneo, certi caratteri osteologici del cranio che rinvengonsi, in quello del nostro cetaeeo. Vuoisi però avvertire , che la mascella inferiore sopratutto spogliata che sia dal lardo che è concolore all’ osso, cangia total- mente d’ aspetto e quindi i crani di due specie credute solo vicine , spogli che sieno d’ogni sostanza molle, rinvengonsi essere realmente identici. Note- remo finalmente come Federico Cuvier sostituiva il genere Rorqualus al G. Balaenoptera di Lacépede, e questo cambiamento adottato dal prof. Gervais nella classica sua storia degli animali mammiferi (1) venne scandito in pa- (1) Histoire natiirelle des maramiferes. Paris 1855 Tom. 2, pag. 330. — 195 — recchle specie fra le quali il Rorqualo del mediterraneo di Giorgio Cuvier tro- vasi riportato alla Balaena anliquorum di Fischer, e viene descritto sotto la denominazione di Rorqiialus rostratus o Balaena rostrata di Muller, o Balaena musculiis di Linneo. Chiaro dunque apparisce che il ravvicinamento delle specie qui da noi proposto , fu pure già indicato da quei sommi che fanno legge. Il già più volte lodato Giorgio Cuvier nella sua opera sulle ossa fossili (1) ha rappresentato il cranio di un Rorqualo gittato nell’anno 1797 dal mediterraneo sull’ isoletta di s. Margherita, incontro a Canne (Vai*), mettendovi a lato le figure del cranio del Rorqual dii cap.^ e l’altra del Rorqualus antiquorum per farne meglio risaltare le differenze. Pictet nel suo recente trattato di Paleontolo- gia (2), scrisse che trovansi resti fossili di Rorquali in molti terreni miocenici e pliocenici della Francia, e che due specie sopratutto hanno a considerarsi fra quelli meglio stabilite, le quali appartengono ai terreni pliocenici del Pie- monte. Ora questi trovati ci obligano a dichiarare che nelle epoche paleon- tologiche siccome nelle isteriche , sonosi incontrati dei Rorquali nel nostro mediterraneo, e quindi solo una prevenzione contraria, potrebbe dall’ incoiato oceanico ordinario delle Balene , ricavare un argomento valido a promovere dubbj sul possibile rinvenirsi ai tempi biblici della Ralena di Giona nel mare di loppe. E poiché tocchiamo questo argomento, accenneremo di volo, senza pretendere di farla da interpreti, che nella classica opera dell’Emo Pitra (3) si legge tratta dal fisiologo di Verecondo una spiegazione nuova del prodigio singolarissimo verificato in quel profeta, la quale a parer nostro si concilie- rebbe con il sacro testo e con la storia fisiologica di simili cetacei , meglio di quanto si verifica con altre interpretazioni. Essendo noto infatti che l’acqua bevuta da questi esseri nel mare insieme col cibo, non giunge mai fino alle cavità digerenti , ma si arresta e risorte in massima parte dagli angoli della bocca; mentre la poca residuale è spinta fuori dai sfiatatoi sotto la forma di una rugiada vaporosa nell’ atto della espirazione : non saprei come potesse conciliarsi il rinnovamento dei fiumi sul capo del profeta chiuso fra le scis- sure dei monti con la sua dimora entro il corpo del cetaceo , ove la spiegazione del Vescovo di lonca si rifiutasse. Per Verecondo , Giona ri- (1) Oss. Foss. tab. 227, fig. 3-5. (2) Traité de Paléontologie. Tom. 1, pag. 387. Paris 1833. (3) Spicilegium solesmense. Tom. 4, pag. 106. 28 — 196 — masto incastrato nel collo della balena, là dove giunge l’acqua « in aquali collo »; rimase ivi esposto ai flutti che perennemente si rinnovavano nel- r immenso speco boccale del mostro marino : Furono poi le intercapedini dei festoni palatini, le scissure dei monti entro le quali ebbe chiuso il capo suo; ed ivi rimase, infino che la mano della Onnipotenza salvatolo dalla asfissia e dalla morte, fecelo per la più facile strada della bocca riuscire a salvamento (t). Sembraci quindi che senza stiracchiare la S. Scrittura , infino a cangiare nello Squalo od Orso marino la balena ; senza ricorrere ai Tonni ed alle tonnare, e senza opporsi finalmente a quanto la anatomia, la fisiologia e la storia naturale ci appalesano ; si può rinvenire la spiegazione naturale , di un fatto che non addiviene perciò meno miracoloso (2). Del resto anche ai tempi moderni molti esempj si conoscono di Ror- quali venuti a perire nel nostro mediterraneo. Oltre infatti a quello già ac- cennato , e di cui parla G. Cuvier trovato nel 1797 ; uno nè fu preso nel 1828 sulle spiaggie di s. Cipriano (Pirenei orientali), ed il suo scheletro è conservato nel museo di Lione. Circa il 1840 altro simile se ne rinvenne nella Tonnara di s. Tropez. Abbiamo nel nostro museo due costole di Rorqual rinvenute fra gli interrimenti moderni del Viterbese. Converrà a questi esempii aggiungere ancora l’attuale (3). (1) Vedi nel libro di Giona il capo 2.° vers. 4, 6, 11. V. - Jonathan Franklin « La vie des animaux raammiferes ». Tom. 1, pag. 31S et seq. Paris. Collection Betzel. (2} Verecondo fu vescovo di Jonca in Affrica al quinto secolo dell’era nostra, e si ha un solo manoscritto di questo autore, fatto rivivere nella classica opera dell’ Emo Cardinal Pitra. Così egli scrisse « Non absurde scissuras montium immanioris ceti membra datur sentiri, cuius tanta fuerit magnitudo ut hominem posset integrum in solo aquali collo re- servar i n. (3) Parecchi altri esempi nostri si potrebbero aggiungere ai qui riportati, di cetacei venuti a secco sulle spiaggie Civitavecchiesi ; le di cui indicazioni debbonsi alle ricerche ed alla gentilezza del chiarissimo P. M. Alberto Guglielmotti autore della Storia della Marina Pon- tificia. Risulta infatti da quelle che nel mese di febraio del 1282 un cetaceo cadde in secco presso a Civita-Vecchia. Alli 28 di gennaio dell’anno 1624 dopo una grandissima fortuna di mare un altro se ne ebbe lungo otto canne e grosso come il corpo di una tartana , fra s. Marinella e capo Linaro. Nel mese di febraio dell’anno istesso trovossi sulle spiaggie di s. Severa una balena lunga palmi novantuno, e grossa cinquanta. Un altro cetaceo vi si rin- venne nel 1828. Dalle quali notizie del dottissimo scrittore, se non desumesi con certezza la specie zoologica dei grandi cetacei venuti sulle nostre spiaggie; rimane almeno messo fuori di dubbio, che nei secoli decorsi , di simili fatti si sono rinnovati più volte ; e che il sito di più frequente arrivo dei medesimi , sempre è stato presso a poco quello istesso in cui noi abbiamo rinvenuto la balenottera che ci stà occupando. — . 197 — Resta però vero sempre che più frequenti sono nell’oceano europeo, che nel mediterraneo siffatti incontri. Leggiamo così nello Zodiaco medico fran- cese come nel 1 680, un simile Rorqual fu rinvenuto alla Rochelle in Francia nella isola del Re presso al faro chiamato La torre delle Balene, ed il dottor Se- gnette nè fece la descrizione anatomica. Avea la lunghezza di 47 piedi e |. Ad Abbeville presso a Bajona parecchie ne furono gittate dal mare ad epoca più recente. Nel 1823 uno nè fu portato al mar di Ostenda della lunghezza di 95 piedi, e Dubar ha dato la descrizione del suo scheletro, ma avendola noi sott’occhio, crediamo che quello di Ostenda fosse più tosto il Rorqualo del Capo che quello del Mediterraneo ; il confronto del cranio , dello sterno , e dell’osso joide della nostra specie, sostenendoci in questo opinamento. Nell’an- no 1829 uno ne venne spinto a Cayoux nel dipartimento della Somma in Francia; un altro pure nel 1826 a S.'-Yalery, il di cui scheletro è a Rouen. A Berg (Passo di Calais); uno se ne prese nel 1842; uno nel 1844 sulle coste di s. Malò ; nel 1847 uno vicino al Hàvre e vedesi imbalsamato a Parigi ; uno a Nantes; uno nella baia di Noirmontiers; uno finalmente sulla spiaggia della Charenta inferiore. Il prof. Gervais che ci fornisce nella già encomiata sua opera la maggior parte di queste notizie; scrive pure di non conoscere altro che un esempio di Cascialotte perduto sulle sponde del Mediterraneo , fatto verificato vicino a Nizza nel 1726, e lo ammette ancora con qualche esitanza. Noi potremmo rassicurarlo , offrendogliene un altro sicuro nello sche- letro che pende dalle volte della Università nostra, il quale appartiene al Ca- scialotte gittate sulla spiaggia civitavecchiese (a Palo) nell’anno 1833, ed al di cui studio prese parte attivissima il chmo nostro collega ed amico cav. prof. G. Ponzi. I cetacei come hanno comune coi pesci 1’ incoiato, e l’esteriore confor- mazione ; così coi medesimi hanno analoghi taluni caratteri di struttura , e d’ istinto. Il grasso imbeve le carni loro, come nella più parte dei pesci pe- lasgici. In questi fra il cervello ed il cranio, vi ha sempre uno spazio riem- piuto dalla sostanza adiposa; in quelli l’umore oleoso si accumula fra la teca cranica che racchiude l’encefalo e fuori di essa, e gli integumenti rinvigoriti 0 da muraglie lardacee, o da ripari cartillaginei. Il cerchio timpanico che re- sta sciolto solo negli ovipari, rinviensi rappresentato dalla concha uditiva li- bera nelle Balene. Nei mammiferi la seconda vertebra cervicale porta una apofisi odontoide , questa manca nei cetacei; e le vertebre del collo restano schiacciate, depresse, e saldate insieme in una maniera tutta affatto caratte- — 198 — ristica. L’innervazione istessa presenta in questi ultimi, delle interessantis- sime modificazioni. Onde però non dilungarmi soverchiamente, lasciando per ora siffatti studi, finirò domandandomi come mai sia giunto nel nostro mare il Rorqualo, che ci ha occupato. Lo studio, credo io, delle correnti marine, fatto da un chiarissimo no- stro collega (1), dar ci potrebbero una qualche fisica spiegazione del singolare avvenimento. Che se alle correnti marine si aggiungano le accidentalità degli uragani ; i quali come fanno smarrire talora la via agli augelli emigratorii , così possono spingere fuori della loro acqua taluni pesci e cetacei potrà im- maginarsi la possibile spiegazione del fenomeno. Anzi più la immensa mole dei cetacei dà di presa alla imperversante bufera; e più facile deve avvenirne lo sviamento : così resiste cedendo al vento impetuoso la tenera pianticella del prato; mentre l’annosa quercia cade per la mole e resistenza sua, schian- tata dalla forza istessa al suolo. L’uragano del 10 gennaio che, lasciò tanto note- voli rimembranze nei nostri porti; potè forse portar fuori dello stretto di Gi- bilterra il nostro Rorqualo , che messo per così dire fuori di paese , trovò ospiti poco indulgenti per rispettarlo. E per verità il ventre suo lacerato nelle fenditure naturali , non che il cuore privo di sangue in tutte le sue cavità ; porterebbero a far sospettare che la terribile famiglia dei Squali dalla bocca armata di sette fila di lancie , a sega acutissima; non che il restante stuolo dei pesci cartillaginosi, che avendo la bocca a ventosa, si attaccano alle parti più gentili degli altri animali e con gli acutissimi lor denti arrivano fino ad aprirne le pareti de’ vasi sanguigni ; e forse anco la frequentissima Belone acus del nostro mare: abbiano cagionato al cetaceo di S. Marinella quelle penetranti ferite dei vasi arteriosi che gli dier morte. In fatti il corpo suo non presentò altro segno di lesione accidentale che quelli già mentovati ; ed un proiettile d’arma da fuoco , che fosse penetrato nelle sue carni ; non ne avrebbe certo rispettata 1’ interezza , e non poteva pure facilmente andar perduto. La caccia dei Rorquali è oggi abbandonata, tanto per la scarza quantità di olio che forniscono, quanto per i pericoli che occasionano ai navigli, con lo spaventoso loro agitarsi quando pericolanti, e con lo sveltissimo loro affon- dare quando feriti. La epidermide vellutata che ricuopriva, il corpo del no- (1) Vedi la classica opera del chino collega ad amico comm. Alessandro Cialdr : Sut moto ondoso del mare e su le correnti di esso ec. Roma tipografia delle Belle Arti 1866. 99 — stro esemplare nero bluastra sul dorso e fianchi , bianco sudicia sul ventre , macchiata di bruno sotto al mento ; si asportava con la semplice pressione delle dita. Ove si rifletta che la epidermide umana , per ridursi a tal grado di rammollimento ha bisogno di circa 10 giorni di sommersione nell’acqua dolce corrente, nella stagion temperata; calcolando il più tardo effetto che ottiensi nell’acqua di mare ad identiche circostanze; ed aggiungendo ancora quel di più di tempo, che per rammorbidire una epidermide di circa 6 millimetri di spes- sezza è necessario: stimiamo non andar molto lungi dal vero giudicando, pure \ per la putrefazione inoltrata dei visceri, che il cetaceo già da parecchie set- timane avesse perduto la vita. Desso era ancora nella età giovanile. Lo stato cartilagineo delle epifisi di tutte quasi le ossa; la brevità e le strie bluastre dei festoni boccali, per tale lo addimostravano. Riserbandomi pertanto di tornare sull’argomento, quando sia condotto a fine il lavoro intrapreso intorno allo scheletro della balenottera, prego l’Acca- demia ad accettar di buon grado, quel poco che oggi ho potuto offerirle in- torno al nuovo ed interessante argomento. • ■ Necrologico cenno sul prof. D. Ignazio Calandrelli, compilato dal prof. Paolo VOLPICELLI. Conosce già l’accademia, che il prof. D. Ignazio Calandrelli, cessò per sem- pre dall’ essere fra suoi colleghi, ed oggi con dolore di tutti noi, ricordiamo questa perdita lagrimevole, avvenuta nella mattina del 12 febbraio testé de- corso, alle ore due circa, dopo tredici mesi di sofferenze, per una malattia che dissero prodotta da umori guasti. Nacque in Roma questo eh. nostro socio, nel 22 di ottobre del 1792 ; e fu educato alle scienze nel collegio romano, nel quale studiò 1’ astronomia dal suo zio abate D. Giuseppe Calandrelli , astronomo assai reputato , e fondatore dell’ astronomia pratica nel collegio stesso , che allora era diretto dal secolare clero, ed oggi lo è dai RR. PP. gesuiti. Nel 1814, fu ivi eletto accademico supplente alla cattedra di mate- matica elementare quindi nominato professore della medesima nel pontificio seminario romano di s. Apollinare; insegnamento che professò per oltre qua- l'ant’anni. Divenne poi professore di ottica e di astronomia nella università romana, e nel 1839 direttore dell’osservatorio pontificio, posto sul Cam- pidoglio. Appartenne al collegio filosofico della università medesima, e fu dei trenta soci ordinari dell’accademia nostra; come ancora fu corrispondente di altre scientifiche congreghe. Andò in Bologna nel 1845, a professare in quella università l’ottica e l’astronomia, dirigendo provvisoriamente anche quell’ os- servatorio; cui procurò un ottimo circolo meridiano di Ertel, ed ove dimorò per due anni. Tornato in Roma ebbe l’abitazione, fino agli ultimi di sua vita, nelle camere di quest’accademia, presso l’osservatorio, destinato all’astronomo pontifìcio dal superiore governo, e fondato dall’abate professore D. Feliciano Scarpellini di chiara éd onorrvole memoria. Pochi anni prima della sua mor- te, fu nominato canonico onorario nella chiesa di s. Marco. Cercò il nostro defunto collega migliorare 1’ osservatorio pontifìcio , per quanto più potè; ma esso ancora, perchè nascente, non ebbe tutto il perso- nale necessario, nè tutti quei mezzi moderni per coltivare comodamente, e con frutto la scienza degli astri, il magnetismo terrestre, e la meteorologia. Però ebbe dal governo pontificio un eccellente circolo meridiano , ed ottenne una macchina equatoriale, per la generosità del sig. marchese Ferraioli, che gentil- mente favorì la richiesta, del nostro dotto, e zelante astronomo. Per fare osserva- zioni precise, non avendo ancora il Calandrelli orologi acconci alla esatta misura del tempo, si valeva sempre della cortesìa del sig. duca Massimo, il quale ad ogni richiesta, metteva a disposizione dell’astronomo pontificio, tanto i suoi cronometri, quanto i suoi regolatori di Dent, compensati a mercurio. Il nostro chiaro collega , pubblicò le sue lezioni di matematica elemen- tare, di cui fece parecchie edizioni ; pubblicò altresì un corso di astronomia, ed un corso di ottica. Inoltre negli atti dell’accademia nostra consegnò molte sue memorie, tutte astronomiche, i titoli delle quali sono quei che sieguono, e che credo utile in questo necrologìco cenno riferire; perchè l’unico mezzo a mostrare la vita scientifica di chiunque , consiste nel far conoscre le sue pubblicazioni. Elenco delle memorie del prof. D. Ignazio Calandrelli, contenute negli Atti dell'accademia pontifìcia de* Nuovi Lincei. Sopra la nuova stella scoperta da Hind. - Tom. I, pag. 105. Ricerche sull’ orbita della cometa di Petersen. - Tom. IV, pag. 32. Elementi deH’orbita di Partenope, ed osservazioni di questo astei-oide - T. IV, pag. 82. Sul calcolo degli elementi ellittici di Egeria. -Tom. IV, pag. 165. Osservazioni e calcolo degli elementi ellittici del pianeta Irene. - T. IV, p. 205. Effemeridi di Partenope per la futura opposizione. - Tom. IV, pag. 244. Osservazioni astronomiche dell’ anno 1851. -Tom. V, pag. 157. Formule per calcolare le perturbazioni dei piccoli asteroidi e delle comete, con applicazioni. - Tom. V, pag. 616, e 695. Notizie isteriche del pontificio nuovo osservatorio della università romana, ed annesso all’accademia. - Tom. VI, pag. 267. Opposizioni ed elementi dell’ orbita parabolica della III cometa del 1855 - Tom. VI, pag. 563. Formule analitiche per calcolare le perturbazioni dei piccoli asteroidi, e delle comete. - Tom. VI, pag. 643. Sulla rifrazione solare. -Tom. X, pag. 25. Osservazioni astronomiche fatte nel nuovo pontifì.cio osservatorio della uni- versità romana. - Tom. X, pag. 146. Sopra i movimenti propri delle stelle -Tom. X, pag. 209, e 313. Sul movimento proprio di Sirio. - Tom. XI, pag. 19, 91, 156, 197, 240, 299, e 355; Tom. XII, pag. 15, e 61. Ecclisse solare del 15 marzo 1858. Tom. XI, pag. 231. Occultazione di Saturno , osservata nella pontificia specola della università romana, nella sera dell’ 8 maggio 1859 -Tom. XII, pag. 383. Teorica della cometa V dell’anno 1858 -Tom. XIII, pag. 45, 175, 261, e 335. Risposta ad un articolo, inserito nel num.” 5 del volume 20 delle notizie mensili della reale società astronomica di Londra, comunicata nella ses- sione VI dell’anno 1860. -Tom. XIII, pag. 286. Sul moto proprio di Sirio. - Tom. XIII, pag. 432. Ecclissi solari del 28 luglio 1851, e del 18 luglio 1860 -Tom. XIV, pag. 141, e 399. Sulle tavole lunari di Hansen. - Tom. XV, pag. 73. Sulla utilità che può ritrarre la scienza astronomica da un metodo uniforme di calcolo, e di osservazioni. - Tom. XV, pag. 172, e 235. Sulla cometa del 1862. -Tom. XV, pag. 416; e Tom. XVI, pag. 84, e 229. Nuove ricerche sul moto proprio delle stelle, con applicazioni. - Tom. XVI, pag. 365, 453, e 1045. Da questi lavori si vede che il nostro chiaro collega, si occupò sempre del- — 202 — l’astronomia propriamente detta, e non dell’astronomia fisica, tanto di presente coltivata, e speriamo con utilità della scienza. La meteorologia, che anch’essa forma oggi uno dei principali oggetti di molti astronomi , non era punto a cuore del nostro Collega , il quale forse fu allontanato da queste ricerche , per le parole di Arago , che disse : « Credo poter dedurre dalle mie inve- » stigazioni questa capitale conseguenza : cioè che qualunque sieno i pro- » grossi delle scienze , i dotti di buona fede e coscenziosi della riputazione » loro, non azzarderanno mai di predire il tempo (Cosmos, 2® serie, 3® voi. )) 1866, p. 61). » Le moderne ricerche di analisi spettrale, dirette ad investigare la costi- tuzione fisica , sia del sole , sia delle stelle , neppure formarono soggetto di occupazione pel nostro Calandrelli, il quale aveva per massima che 1’ ana- lisi medesima, era utile soltanto a ricercare la composizione chimica quali- tativa delle sostanze dei tre regni della natura sul nostro globo. Per con- seguenza il chiaro defunto si accordava col modo di vedere del sig. W. De Fonvielle, il quale dice che « le ultime comunicazioni del sig. Faye, sembrano » dover lasciar senza lavoro i seguaci dell’analisi spettrale ... Il ritorno » prossimo dei dotti alla grande tradizione Herschell e di Arago, per la co- » stituzione del sole, non permetterà più ai fantastici di abbandonarsi all’analisi » spettrale del centro del nostro sistema planetario; quindi vanno loro a sfug- )) gire tanto le stelle, quanto le nebulose: accolgano dunque le vittime della » spettromania con entusiasmo una teorica feconda (quella di Faye), che gli » permetterà di utilizzare pel bene della scienza l’abilità di cui fecero prova, » e l’arte di analizzare la luce, che acquistarono durante il regno efimero » dei sogni dei signori Kirchhoff e consorti. » (V. Cosmos 2* Serie, 3®, voi. an. 1866, p. 65, et 66). Queste idee furono comuni anche al nostro Calandrelli , che più volte meco le ripeteva, e col tempo si giudicherà se il medesimo aveva o no ra- gione. Vero è che in fatto di scienza , non deve mai disperarsi poter giungere ad un fine ragionevole, benché apparisca difficile a conseguire. Quindi è che avuto riguardo ai mezzi continuamente più efficaci , alla moltitudine degli sperimentatori, alla costanza loro nell’ investigare, ed al progresso con- tinuo delle umane cognizioni, come anche avendo fiducia nel tempo, giova spe- rare, che la moderna meteorologia, e le ricerche spettrali applicate agli astri, ci faranno conoscere nuove leggi naturali, non presunte, ma dimostrate vere indubitatamente. Eitrovamento dell' inventario degli oggetti, appartenuti alla eredità libera di Federico Cesi, duca secondo di Acquasparta, e fondatore dell'accademia de' Lincei, Un codice cartaceo, in 4.® grande, scritto nel secolo XVII, composto di 107 carte ben conservate, delle quali le prime due colle ultime tre sono bianche, legato in cartoncino, contiene quanto appartenne alla proprietà libera di Fe- derico Cesi, duca secondo di Acquasparta, e fondatore dell’accademia nostra. Questo inventario fu da me acquistato, affinchè non andasse perduto; ed io credo che il medesimo possa molto essere utile, per conoscere meglio la vita scientifica e domestica del nostro illustre fondatore. Quindi è che mi reco a dovere, presentare 1’ indicato codice all’accademia, facendone una breve de- scrizione. Sono sette i titoli diversi dell’ inventario medesimo; ed il primo concerne gli stabili posseduti dal duca Federico, i quali sono indicati dalla carta 3.‘ a tutta la 12.“ Il secondo titolo riguarda la libreria, dal medesimo duca posseduta , la quale si trova in questo codice descritta minutamente, a guisa di catalogo, dalla carta 13.“ a tutta la 83.“ Questa biblioteca è classificaia per materie, in tre- dici categorie, cioè — l.“ Segreti naturali. — 2.“ Medicina e pietre. — 3.“ Libri di medicina. — 4.“ Naturali e medicinali in foglio. — 5.“ Libri di ma- tematica. — 6.“ Libri fìsici e teologici. — 7.“ Eruditi. — 8.“ Morali e istori- ci. — 9.“ Istorici. — 10.“ Grammatici. — 11. “ Poetici. — 12.“ Libri vari, e questi sono molti, il titolo del quali ricorre più volte nel catalogo di questa biblioteca. — 13.“ Libri sciolti in 4.® La data della pubblicazione di tutte queste opere, non supera quella della morte di Federico, accaduta nell di agosto 1630 (1). Si vede chiaro da questo catalogo, che il nostro Federica, era provveduto di tutto quello pub- blicavasi lui vivente ; giacché nel catalogo stesso, vi sono molte opere man- date in luce nel 1629, cioè un anno prima della sua morte. Sappiamo che molti dei nostri colleghi hanno raccolto , quando loro se ne presentò 1’ occasione, libri appartenuti a questo Federico Cesi, con animo di volere in parte ristabilire la sua biblioteca. Ora Tattuale catalogo (1) Vedi una mia memoria, che ha per titolo « Sulla vera epoca della morte di Fed®*- lico Cesi, 2.° duca di Acquasparta, ecc. t. XVI di questi atti, an. 1863, pag. 267. 29 — 204 — può servire di guida sicura, per continuare a raccogliere così fatti libri, dei quali ognuno porta lo stemma di Federico. Laonde il presente codice po- trà molto riescire utile, per giungere a ricomporre la indicata biblioteca, che una volta ristabilita, sarà un eloquente monumento della dottrina, di quel nobile duca romano, e dell’amore dal medesimo nudrito per le scienze. Quando un libro che, non essendo pubblicato posteriormente al 1680, e avendo impresso lo stemma di Federico, si trovi nei riferito catalogo, potremo esser certi che ap- partenne alla .biblioteca del principe dei Lincei; quindi potrà con sicurezza acquistarsi, per la ricomposizione della sua biblioteca: spero che ognun di noi si darà cura per giungere a questo fine. Il terzo titolo riguarda le robbe del museo , descritte dalla carta 84 , a tutta la 88 , e consistono parte in minerali , parte in animali ; oltre ad alcuni quadri , tra i quali se ne trova uno , in cui sono dipinte le api , stemma dei Barberini. Ciò conferma che il Cesi era legato in amicizia, tanto col cardinale D. Francesco Barberini, quanto col suo zio che fu Urbano YIII; dai quali esso era protetto nelle avversità , come risulta dalle tredici let- tere che trovai nella Biblioteca Barberiniana, e che pubblicai nella mia citata memoria (1). Fra questi oggetti del museo, si trovano due calamari di legno fossile, ed un tavolino simile ; così fatta materia fu rinvenuta da Federico, presso Acquasparta. Ciò conferma quanto si legge nella nona delle lettere di Fede- rico, da me pubblicate (2) , colla quale manda esso in dono al cardinale D. Francesco Barberini, un altro tavolino dello stesso legno fossile. Di questo naturale prodotto, il nostro Federico a lungo parla' nella undecima delle stesse lettere, allo stesso cardinale dirette (3). Il quarto titolo dell’ inventario medesimo, consiste negli strumenti di ottone, cioè nelle macchine, fra le quali principalmente s’ incontrano moltissimi com- passi, come quello di proporzione del Galileo, molti astrolabi, e bussole; og- getti che sono descritti nella carta 89.“ Il quinto titolo comprende le gioie, dalla carta 90“ , a tutta 95“ ; fra le quali si trova una Lince d’ oro, con una catenina , forse quella che in- dossava il principe dei Lincei Federico, quando alla tornata loro presiedeva. (1) V. luogo citato. (2) Idem, pag. 287. (3) luogo citato, pag. 289. - 205 — Sotto questo medesimo titolo, si trovano sei anelli di smeraldo, con una lince incisa; e questi erano gli anelli che il fondatore nostro, a quei dotti distri- buiva, quando ricevevano la nomina di accademici lincei. 11 sesto titolo riguarda gli argenti, dalla carta OG**, a tutta la 98.“ Il settimo ed ultimo titolo è Quadri diversi , che sono descritti dalla carta 99“ a tutta la 102“. Dal carattere, e dalla carta si vede, che questo inventario, nel quale non apparisce la data della sua compilazione , fu copiato dall’ autentico , nel- l’epoca stessa iu cui questo fu compilato; esso ha per titolo: Stabili deWere- dilà della bo: me: delV Eccmo sig. D. Federico Cesi, Duca 2'“ d' Acquasparta. Intorno alle prime scoperte delle proprietà, che appartengono al magnete. — . Cenno istorico, compilato dal prof. Paolo Volpicelli . § 1. Il minerale magnete , fu conosciuto da tempi remotissimi, per la proprietà che possiede di attirare il ferro : magnes lapis ferrum ad se trahit (Cic.). Magnes ferrum ducit (Prop.). Credono taluni, che il minerale medesimo, per la prima volta fosse trovato in Magnesia , nella Lidia , da cui trasse il suo nome , poscia cambiato in quello di calamita. Secondo Nicandro , il nome di Magnete deriva da quello del pastore , che sul monte Ida lo sco- perse. Il minerale medesimo fu anche detto lapis hieraclius , perchè una volta si trovava in Eraclea, città della Magnesia. Riguardo alle co- gnizioni degli antichi , circa le proprietà del magnete , sappiamo che Plinio parla decisamente dell’attrazione a distanza di questo minerale, e dell’ aderenza di esso col ferro, dicendo: Trahitur ferrum a magnete, domitrixque illa rerum omnium, et caet (1). Ancora più estesamente si pronuncia Lucrezio: 1 .° riguardo alla propagazione della virtù attrattiva del magnete sul ferro, con osservare che cinque o più anelli di ferro, si sostengono fra loro, similmente ad una catena; 2." riguardo l’attrazione, e ripulsione alternativa; 3.° riguardo al passaggio del- l’azione magnetica pel bronzo; 4." riguardo alla mancanza di azione del m.agncte, sia per gli altri metalli, sia pel legno (2). Per quello poi concerne la etimolo- gia della voce calamita, questa potrebbe venire dal greco , cioè dalla voce (1) nist. Nat. L. XXXVT, c. 16. [’ì) Lucret. L. VI, pag. da 910 a 916, e da 1040 a 1060. ^ 206 — xaXa/xtTvjj (calamites), nome di una ranuzza verde, la più piccola di tutte del suo genere /3»rpx étoile doublé 42 Comae Ber. découverte par mon pére à l’aide de la grande lunette de Dorpat, commengait à attirer son attention particulière depuis l’année 1833, où elle se présentait pour la première fois comme étoile simple par- faitement ronde. Depuis ce temps elle a été observée aussi régulièrement que possible à Dorpat par mon pére et par moi, à Poulkova par moi seul. Par rapport à la liste suivante de mes observations de Poulkova, je remarque que les directions observées et corrigées dilfèrent entre elles de 1’ effet des erreurs systémaliques déduites des observations des étoiles doubles artifìcielles. Les distances mises en parenthèses sont obtenues par différentes méthodes d’estimation, dans des cas où la proximité des deux étoiles n’admettait pas de mesures micrométriques proprement dites. Les grossissements VI, VII, Vili dont nous avons fait usage dans ce cas, sont respectivement de 858, H69 et 1458 fois. 36 — 260 — 1728 42 Comae Bor. ; 6,0; 6,0 Date de l’observ. rempssid. C Irossissem 1 Distance | lirection I (bservée lirection corrigée 1840, 42 13^ 5™ Y,r (0,"45) 190,0 6 197, °5 40, 47 15 0 VII 0, 40) 14, 2 14, 6 40, 47 13 40 VII (0, 40) 10, 7 14, 9 41, 41 12 50 VI (0, 35 7, 0 14, 1 41, 41 13 0 VI (0, 40) 8, 1 14, 9 42, 37 13 0 VI (0, 30) 6, 4 12, 8 42, 39 12 45 VI 7, 3 15, 2 42, 41 13 15 VI (0, 25) 7, 9 13, 7 42, 41 13 10 VII (0, 24) 6, 9 12, 7 42, 43 12 35 VII 8, 3 17, 6 45, 47 Étoile siraple, aucune trace de foro 46, 38 12 25 VII 248, 245, 249, 46, 39 13 10 VI 246, 46, 42 13 50 VI 244, 245, 47, 41 13 30 VI 186, 187, 47, 41 13 10 VII 193, 202, 47, 45 14 25 VII 192, 7 195, 5 48, 38 12 37 VII 0, 24 5, 6 13, 6 48, 42 13 13 VII 0, 29 6, 9 12, 4 48, 46 14 0 VI 0, 20 9, 2 12, 1 49, 37 12 16 VII 0, 35 0, 8 7, 5 49, 42 13 15 VI 0, 36 5, 9 10, 6 49, 46 14 0 VII 0, 31 6, 6 ■7, 7 50, 38 12 33 VII 0, 38 4, 9 12, 5 50, 39 13 2 VII 0, 38 4, 4 9, 0 50, 41 12 40 VII 0, 41 6, 2 13, 3 51, 39 12 40 VI 0, 39 0, 1 5, 2 51, 43 13 19 VII 0, 44 3, 6 < 6, 5 51, 43 13 26 VII 0, 40 3, 7 * 6, 1 51, 45 14 23 VI 0, 41 8, 0 8, 5 52, 40 12 35 VII 0, 47 5, 1 11, 7 52, 43 13 0 VI 0, 47 6, 2 11, 9 52, 45 14 2 VII 0, 50 8, 1 9, 1 53, 39 12 50 VI 0, 47 6, 5 13, 1 53, 40 12 40 VII 0, 51 4, 9 11, 0 53, 41 12 46 VII 0, 46 3, 3 8, 4 54, 38 12 38 VI 0, 51 6, 6 14, 1 55, 40 12 45 VI 0, 56 4, 4 10, 5 55, 47 13 52 VII 0, 53 6, 6 7, 7 57, 47 14 8 VI 0, 38 7, 5 8, 8 57, 51 14 44 VII 0, 38 7, 0 5, 8 58, 43 ; 13 10 VII (0, 30) 3, 6 7, 6 58, 44 . 13 25 VII (0, 28) 4, 9 8, 2 59, 37 59, 37 59, 37 59, 3J 59, 4( F r I i ì VII VII vili vili VII Étoib 41, 33, 42, 43, ì simple 61, 4( ) 12 30 VII 0, 34 1, 4 7, 4 61, ì 13 17 VII 0, 37 1, 6 3, 9 62, 3! ) 11 53 VII 0, 47 1, 4 9, 1 62, 4‘ ì 13 2 VI 0, 45 5, 3 10, 6 63, t ì 13 8 VI 0, 47 3, 5 7, 6 64, 4! ì 12 44 VI 0, 45 4, 1 10, 4 64, 4‘ 2 12 54 VII 0, 46 6, 4 12, 2 64, 4; 3 13 5 VII 0, 39 4, 8 9, 1 certe min. (6)(6) certe min. '(5.6)(6) aeg. m. aeg. m. certe min. Les deux étoiles à peine séparées. oblongue oblongue les deux étoiles encore séparées. par moments » » » » » » Soupcon de fig. oblongue, les deux ) diamètres se rapportent ; : 3 ; 4. , « obi. rapport des diam. 3 :5. par moments les étoiles séparées. Distance au dessous de 0,"15. obi .par moments les étoiles séparées Les étoiles encore séparées. f Figure oblongue soupconnée, i mais pas sùre. Distinctement séparées. - 261 — Je léunirai maintenant ces observations dans des valeurs moyennes pour chaque année, en ajoutant à la liste les mesui'es obtenues à Dorpat par mon pére et par moi. OBSERVATIONS DE DORPAT Epoque Distance Direction Nombre des jours d’abs. Observateur 1827, 28 0,''S70 10, °9 1 W. Struve 29, 40 0, 640 11, 6 3 » » 33, 36 34, 43 Étoile simple Soupcon de tìg. obi. 228, 3 1 » )) » » 3o, 39 Étoile oblongue 11, 2 4 )) » 36, 42 (0, 303) 10, 2 3 W. et 0. Struve 37, 40 (0, 39S) IO, 8 6 W. Struve 38, 40 (0, 358) 11, 5 6 W. et 0. Struve OBSERVATIONS DE POULKOVA 1840, 45 (0, 417) 15, 7 3 0. Struve 41, 41 (0, 375) 14, 5 2 » » 42, 40 45, 47 (0, 250) Étoile simple 14, 5 5 )) » » )) 46, 40 Soupcon de tìg. obi. 246, 7 3 » » 47, 42 Étoile oblongue 194, 8 3 )) » 48, 42 (0, 243) 12, 7 3 )) » 49, 42 0, 340 8, 6 3 » » 50, 39 0, 390 11, 8 3 » » 51, 42 0, 410 6, 6 4 » » 52, 43 0, 480 10, 9 3 » )) 53, 40 0, 480 10, 8 3 » » 54, 38 0, 510 14, 1 1 » » 55, 44 0, 540 9, 1 2 » » 57, 49 0, 380 7, 3 2 » » 58, 44 (0, 290) 7, 9 2 )) » 59, 38 Soupcon de tìg. obi. 39, 8 4 » » 61, 42 ■ 0, 355 6, 6 2 )) » 62, 40 0, 460 10, 0 2 )) )) 63, 44 0, 470 7, 6 1 » » 64, 42 0, 423 10. 6 3 » » Il resulto de ces observations que dans le courant de 37 ans une des deux étoiles qui composent ce système a été éclipsée trois fois par l’autre. C’est ici un exemple unique jusqu’à présent dans les systèmes stellaires et qui nous peroiet de déduire avec certaine facilitò une valeur approxinaative au moins pour un des éléments de son orbite, nominénrient pour la durée de la revo- lution. Cependant une autre particularité qui se prononce dans le tableau pré- cédent, rend les conclusions à ce sujet en apparence moins sùres. Les deux composantes de ce système soni à tei degré d’e'gale grandeur (6,0 selon les Mensurae Micrometricaé)^ qu’ il n’y a pas moyen de discerner par le seni aspect entre les deux directions opposées. En appelant l’une des deux étoiles A, l’autre B, il est impossible de dire à chaque moment si B est au nord d’A ou vi- ceversa. Au commencement de mes observations de Poulkova j’ai tàché encore de noter à chaque occasion, laquelle des deux étoiles m’a paru la plus grande, mais après avoir acquis la conviction que le jugement dans ce cas est tout à fait incertain , j’ ai maintenu plus tard la règie de faire la lecture de la direction toujours du coté nord, afìn de ne pas troubler le jugement de ceux qui voudront s’occuper de ce système, par des indications qui, en effet, ne méritent aucun poids. Si le pian de l’orbite était tellement incliné vers le rayon visuel qu’on pùt se laisser guider par la succession des directions observées, l’ égalité de l’éclat ne ferait aucun grand obstacle à la déduction des éléments. Mais dans notre cas ce moyen n’ est pas applicable. Les directions observées mon- trent qu’ici le rayon visuel coincide à tei point avec le pian de l’orbite, que, dans tous les cas où les deux étoiles ont été vues distinctement séparées , l’angle de position n’a pas varié de quantités qui surpassent les limites ad- missibles des erreurs d’ observation. Cette dernière circonstance nous donne directement des valeurs approximatives pour les deux éléments qui determi- nent la situation du pian de 1’ orbite, mais elle nous prive en méme temps du moyen d’ employer les directions observées à la déduction des autres élé- ments. Nous sommes donc obligés de nous en tenir dans ce cas uniquement aux distances mesurées , qui, on le sait , cèdent de beaucoup en exactitude aux directions, surtout dans les systèmes très resserrés. Mon pére, en basant ses conclusions sur l’ identité des directions obser- vées avant et après l’occulta tion de 1833, avait énoncé en 1837 1’ hypothèse (Mensurae micrometricae pag. 5) que 1’ étoile B. après avoir été cachée par A pour une courte période , était ressortie du méme coté nord des rayons de cette dernière, en attribuant ainsi à l’orbite une excentricité qui s’appro- chait de 1’ unité. Dans cette hypothèse les trois occultations successivement observées auraient compris deux révolutions entières et comme les deux ex- Irémes diffèrent entre elles de 26 ans, il aurait fallu conclure à une période de 13 ans seulement. Mais en regardant attentivement la succession des di- stances mesurées, on voit facilement qu’ une pareille période ne leur satisfait pas. En 1845, par exemple, l’ étoile était parfaitement ronde, tandis qu’^en 1858 les deux étoiles ont été vues encore distinctement séparées. De 1840 à 1842 la distance à diminué consìdérablement et en 1835 elle avait à peine atteint son maximum. Nous voyons en outre que le maximum de la distance observée à Dorpat entre 1827 et 1829 s’accorde assez en grandeur avec celui de la période de visibilité entre les occultations de 1845 et 1859, en diffé- rant déjà au delà des limites admissibles des erreurs d’observation, de celui que nous avons mesuré entre 1833 et 1845, ou après 1859. Toutes ces con- sidérations réunies nous ont conduit à supposer à Forbite une revolution d’en- viron 26 ans et une excentricité assez considérable , pour expliquer les dif- férences dans les intervalles entre les époques des occultations observées et des maxima des distances. Après quelques tàtonnements préalables, nous nous sommes arrétés aux éléments suivants : Temps du périhélie T.~ 1839, 60 Demi grand axe a — 0,"500 Excentricité e =0, 075 Durée d’une revolution 25, 5 ans, ou moyen mouvement annuel m =14," 12 en y adniettant que le rayon visuel coincide parfaitement avec le pian de Forbite et qu’ il soit en outre perpendiculaire au grand axe de Forbite réelle. En d’autres termes nous y avons suppose Fangle compris entre le péribélie et le noeud ascendant P — ^^ = 0", Finclination de Forbite i = 90®, la lon- gitude du noeud ascendant ^2, = 10,® 5, La dernière valeur résulte de la rnoyenne des directions observées , si nous excluons toutes les observations, dans lesquelles les deux étoiles n’ont pas été vues distinctement séparées. Avec ces éléments, Mr. Y. Fuss. astronome surnuméraire de Fobserva- toire centrai, a comparé les mesures isolées des distances. On con^oit faci- lement que pour la direction on a dù obtenir la valeur constante = 1 0,® 5, valeur qui ne diffère sensiblement des directions observées, que dans les cas où le deux étoiles offj’aient ensemble à peine le soupgon d’une figure oblongue. Yoici maintenant le résultat de ces calculs par rapport aux distances : — 264 — Epoque Distance cale. Observ.Calc. 1827, 28 0,''535 -t- 0,"035 29, 40 0, 454 -H 0, 186 33, 36 0, 057 - 0, 057 34, 43 0, 080 35, 39 0, 188 36, 42 0, 297 H- 0, 006 37, 40 0, 380 + 0, 015 38, 40 0, 438 — 0, 080 40, 45 0, 450 - 0, 033 41, 41 0, 405 - 0, 048 42, 40 0, 331 — 0, 081 45, 47 0, 012 — 0, 012 46, 40 0, 126 47, 42 0, 243 48, 42 0, 345 — 0, 102 49, 42 0, 428 — 0, 088 50, 39 0, 487 — 0, 097 51, 42 0, 626 — 0, 116 52, 43 0, 537 — 0, 057 53, 40 0, 523 — 0, 043 54, 38 0, 484 -H 0, 026 55, 44 0, 415 -+- 0, 125 57, 49 0, 220 0, 160 58, 44 0, 109 + 0, 181 59, 38 0, 007 61, 42 0, 247 + 0, 108 62, 40 0, 340 -H 0, 120 63, 44 0, 415 0, 055 64, 42 0, 455 — 0, 032 Cette comparaison nous apprend qu’ il existe encore une certaine ré- gularité dans Iqs différences entre le calcai et l’observation , qui , probable- ment , pourraient étre diminuées encore considérablement par 1’ introduction de valeurs plus approchées des éléments , pour lesquels nous sommes partis de suppositions très vagues, corame par exemple pour la longitude du pé— ribebe. Mais pour le moment il paràit que nous pouvons nous contenter de ces éléments grossièrement approchés. Avant de procèder plus loin dans ces re- cberches, il faudra examiner encore à quel point les mesures des deux ob- servateurs sont sujettes aux mémes erreurs constantes pendant tonte la pé- riode de leurs observations, et s’ il n’y a pas de différences constantes entre les mesures et les estirnations. Cet examen, en demandant des rechercbes plus étendues, doit étre reservé pour une autre occasion. Autant que je puis en juger maintenant, les différences entre l’observation et le calcul seront dans ce cas — 265 très forteraent diminuées par l’ introduction des corrections expérimentelles à déduire du compiei de nos observations comparées avec celles de Dorpat. Quelque grossièrement ébauchés que soient nos éléments, ils suffisent à représenter presque toutes les observations à tei degré qu’ il n’y reste plus de contradiction manifeste. Au moins tous les phénomènes caractéristiques de l’orbite en résultent d’une manière très satisfaisante. Cela se manifeste sur- tout dans les faits suivants : 1 L etoile à été vue parfaitement ronde aux époques 1 833, 36 et 1 845, 47 et pour ces époques le calcul donne les distances des centres respectivement 0",057 et 0",012. 2. ° A l’expression « SoupQon de figure oblongue » , employée en 1834, 1846, et 1859, correspondent les distances calculées 0",080, 0",126 et 0”,007. 3. “ L’étoile à été dite oblongue en 1835, 39 et 1847, 42 et le calcul donne pour ces époques les distances 0",188 et 0”,243. C’est effectivement à la distance d’ environ 0",20 qu’ en général les images de deux étoiles de l’éclat des composantes de 42 Comae commencent à se confondre dans notre grande lunette par un état favorable du ciel. 4. ° Le calcul indique pour les maxima absolus de la distance les épo- ques 1827,0 et 1852,5. Les maxima mesurés soni notés 1829,4 et 1855,4. Sans doute nous ne devons pas omettre que , dans les deux cas , 1’ obser- valion est en retard de deux ou trois ans sur le cacul, mais la valeur absolue des deux différences n’est pas considérablement affectée par cette circonstance, parce que vers les époques des maxima les changements des distances soni in- signifiants dans le courant de plusieurs années. 5. " Le temps du périhélie, qui, dans notre cas, devrait correspondre au seul maximum relatif observé, a été fixé par le calcul à 1839,6 et l’obser- vation directe lui assigne avec un accord assez satisfaisant l’époque 1840,5. Dans tonte la liste de nos observations il n’y a pour le moment qu’une seule donnée, qui se trouve encore en contradiction manifeste avec la tbéorie. C’est le résultat fourni par les observations de 1858. La dite année j’ai obtenu deux observations de 42 Comae, par des images très favorables et dans ces deux occasions j’ai estimé la distance des centres respectivement de 0”,30 et de 0",28, en y ajoutant expressément la remarque que, par moments, j’ ai vu les deux étoiles distinctement séparées, ce qui ne pourrait avoir eu lieu, si la distance n’avait été que de 0",109, comme le veut notre tbéorie. Pour une pareille distance j’aurai dù employer l'expression « Soupcon de figure ob- — 266 — longue » ou tout au plus « Étoìle oblongue ». Ainsi le problème de produire un accord plus satisfaisant avec les observations de la dite année , devrait .. former un des points principaux d’ issue pour les hypothèses ultérieures sur les éle'rnents de 1’ orbite. L’ accord rétabli dans ce cas entràinerait en méme temps une correction de la différence plus conside'rable trouvée pour le ré- sultat de l’anne'e précédente 1857. En outre nous avons pour indices à nous guider dans les hypotbèses futures sur les éléments, le retard remarqué entre les maxima de la distance observée et calculée, et enfin les différences des di- rectìons notées en 1834 , 1846 et 1859 à des époques où les deux étoiles étaient tellement resserrées, qu’elles offraient seulement le soupgon d’une figure oblongue. Mais à cause des raisons indiquées plus haut, il paràit pour le mo- ment inutile d’entrer dans des discussions plus détaillées à ce sujet. Évidem- ; ment l’application des formules ditTérentielles pour la correction des éléments |! serait dans ce cas peine perdue, tant q’on ne serait pas parvenu par d’autres * procédés à des valeurs plus approchées. • Dans les différents recueils d’observations nous rencontrons bien quelques ( observations isolées faites sur cotte étoile par d’autres astronomes. Cependant i-‘ leurs mesures ne peuvent pour le moment en rien contribuer à une déduction plus exacte des éléments, soit parco que les différences constantes dans les mesures des distances, qui, dans ce cas, jouent un róle prépondérant, ne sont pa^ encore suffìsamment évaluées pour les différents observateurs, soit parco que j leurs observations sont trop isolées et ne forment pas de sèrie continue comme j les nótres. Quant aux résultats principaux de notre recberche, nommément la durée | de la révolution , la valeur du demi-grand axe et l’excentricité , je ne crois fi pas qu’ ils subiront des changements très considérables par les observations f futures, lls recevront leur confirmation ou réfutation definitive en très peu ^ d’années. Si notre théorie est juste, le système devra nous fournir de nou- a veau l’aspcct d’une étoile simple dèjà en 1870, tandis que 1’ hypothèse d’une | excentricité très forte, combinée avec une période deux fois plus rapide, re- | culerait de deux à trois ans, l’époque où l’étoile devra de nouveau se pré- J senter simple. En tout cas notre discussion suffira, j’éspère, à diriger l’atten- tion des astronomes sur ces époques critiques. 267 — NOTE SUR UN ARTICLE INSÉRÉ DANS LES NOUVELLES ANNALES DE MATHÈMATIQUES ET RELATIF A LA PUBLICATION INTITULÉE « Passage du traité De la musique d’Aristide Quintilien », etc. (*). L’auteur d’un article insere dans les Noiwelles Annales de mathématiques (avril 1866, p. 189, 1. 1-24) s’étonne qu’un homme qui s’occupe de Thistoire de raritlimetique ait pu attaclier a des textes grecs où certaines proprie'tes des nom- bres regoivent une application superstitieuse, assez d’importance pour prier deux belle'nistes de traduire et d’expliquer un de ces textes, et pour étre curieux de connaitre 1’ epoque de 1’ auteur. Le critique paraìt avoir oublié que , lorsqu’il s’agit de faire l’histoire d’une connaissance, il faut bien |la saisir dans les textes les plus anciens où on la recontre, lors méme qu’elle y serait applique'e a un usage pue'ril. G’ est ainsi que 1’ liistoire de 1’ astronomie et celle de la cbimie trouvent des documents pre'cieux dans le fatras des astrologues et des alchimi- mistes. C’est ainsi que des notions assez avance'es sur les proprietés des nom- bres se trouvent impliquees dans certaines réveries antiques sur leurs significa- tions myste'rieuses et sur les influences chime'riques qu’ on leur attribuait , ou bien dans certaines formules bizari'ement e'nigmatiques sous lesquelles on se fai- sait un jeu de cacher des notions mathématiques. G’ est ainsi que le nombre nupticil de Platon et les remarques subtiles d’Aristide Quintilien sur les nom- bres qui représentent les sons musicaux et sur les rapports prétendus de ces nombres avec certains pliénomènes pbysiologiques, peuvent jouer un róle sérieux dans riiistoire antique de diverses proprietés de nombres, et notamment de l’é- galité 3^ + 4^ + 5^ = 6^. En elFet, cette égalité se trouve certainement impliquée dans le passage de Platon sur le nombre nuptial, comme on en peut voir la preuve donnée par M. Vincent dans le tome XVI de JSotices et extraits des (■*) Voir « atti 11 dell’accademia pontificia H DE’NUOVI lincei 11 tomo XVIII. — ANNO XVIII. » (186o — 66) », ecc. — « sessione vii.* dell’ Il giugno 1865 » (pag. 365 — 376). 37 — 268 — maniLScrits de IciBibliothéque da Boi et par moi dans un article de la Reme archéologique (***). Cette méme egalite' se trouve aussi dans le passa- ge d’ Aristide Quintilien traduit et cornmente' dans la publication mentionnée ci-dessus, corame on en peut voir la preuye dans cette publication méme. Th. Henri Martin. Paris, 1847, in^4", p. 184, lig. 9—36, p. 185—193, et p. 194, lig. 2—19. XIIP année, 15® livraison, 15 aoùt 1856, pages 257—287. Ricerche analitiche^ relative al geometrico luogo, tanto dei punti di tangenza fra uno, e due sistemi di parallele, con una serie di coniche omofocali; quanto dei punti d’ intersecazione delle tangenti parallele di un sistema, colle rispettive di un altro. — Memoria del prof. P. Volpicelli (fine) (a). § 39. Per non dovere interrompere nel seguito l’andamento dell’attuali ricerche, premettiamo le seguenti osservazioni, circa le curve pedali centriche, tanto della ellisse, quanto della iperbola. 142.° Chiameremo pedale centrica della ellisse, o della iperbola, il geo- (a) Per quello che precede , v. questo voi. , pag. 219. — 269 — metrico luogo dei piedi delle perpendicolari, guidate dal centro di una qualun- que di queste curve, sulle tangenti alle medesime (a). 143.° Per determinare l’equazione della pedale centrica, spettante alla el- lisse, prendiamo la (76) y=^y{m^ — x^) , che appartiene ad una curva ellittica, riferita agli assi 2m, 2/i, ed avremo dy n X dx (77) m — x^) Sappiamo che 1’ equazione dalla tangente al punto {x , tj) di qualsiasi curva, si esprime (§ 20, (56.°)) colla (78) dy y = — X y ~x , dx ’^dx nella quale x\ y' sono le coordinate correnti. Se in questa ultima equazione dii introduciamo i valori delle y, ^ , presi dalle (76), (77), otterremo la y 11 X in I/" (w^ — x'^) e riducendo si avrà la . n _ j/-(m2— x'^) H- |A (m'^ — x“^ (79) V x'-\- m [/" (m^ — x'^) [A — x'^) equazione che rappresenta la tangente alla ellisse (76), nel suo punto [x, y). 144.° Per trovare il piede della perpendicolare a questa tangente, dob- biamo dalla origine delle coordinate, ossia dal centro della ellisse, guidare alla tangente medesima una perpendicolare, che avrà per equazione la (80) , mì/~(m^ -- x^) , y = Ad ottenere poi l’equazione della pedale richiesta, ossia la relazione fra le x', i/t che sono le coordinate del punto d’intersecazione fra la tangente (79), e la perpendicolare (80) , fa d’uopo eliminare il simbolo x dall’ equazioni stesse. [a] La curva ottenuta guidando da un punto fisso le perpendicolari sulle tangenti ad un’altra qualunque curva, fu denominata in latino pedalis, in italiano pedale, in inglese pedal, in francese podaire, ed in tedesco Fusspuncten - Curve. Noi per indicare che il punto da cui furono guidate le perpendicolari, è il centro, sia dell’ellisse, sia della iperbola, denomi- neremo la curva stessa pedale centrica della ellisse, o della iperbola. — 270 — Per tanto della (80) avremo n^y''^x^ = m^x'^ — m^x''^x^ , donde (81) quindi ovvero (82) x~zh |/'(m^cc'^ -+- n^y'^) ’ m'^x m“ — x“ — m“ mhi^y'^ mV -+- n^y'"^ mV H- n^y'^ mny l^(“ *)“-=* [T{mV ■+■ nY) ’ però non sappiamo ancora se i segni dei secondi membri delle (81), (82), si corrispondono fra loro. Ma dalla (82), moltiplicata per — , abbiamo nW ovvero (83) J/'(m^ — x"^) ,ri 'i fi ~n^ ’ n^y' E siccome la semplice considerazione grafica ei mostra, che ogni coordinata del punto appartenente alla ellisse, deve avere il medesimo segno della cor- rispondente, che appartiene al relativo punto della pedale; così vediamo ad evidenza, che in ambedue le (81), (83), e quindi anche nella (82), debbono valere soltanto i segni positivi. Quest’ultima ricerca fu necessaria; poiché, men- tre la (80) fu innalzata al quadrato, s’ introdusse un’altra retta, cioè la , \^{m^-x^) , y = — m X e quindi anche un altro punto d’ intersecazione, che non appartiene all’attuale geometrica ricerca. Sostituendo adunque i trovati valori delle x , j/*(m‘^ — x^) nella (79) , presi col segno positivo, avremo la m m^x'^ \/'{ni^x"'-\~ n^y'^) n |/^(mV^H- n^y'^) * ìuruf y{mV-+- nY^) mny' 271 ovvero la — r “I > e sopprimendo gli accenti, perchè ora inutili, sarà (84) nhf la cercata equazione della pedale centrica di una ellisse, avente per semiassi le w, n, ed essendo rappresentata dalla Non è fuor di proposito qui osservare, che i due parametri m^, della pe- dale centrica di una ellissi, corrispondono rispettivamente ai quadrati dei semi- assi di questa curva, generatrice della pedale stessa. 145.“ La pedale (84), passa pei quattro vertici della ellisse; poiché la sua equazione viene soddisfatta da qualunque delle seguenti quattro coppie di valori delle coordinate, cioè dalle {xz=m, y = o); {x = — w, y = o); (x = o, y — n); [x—o, = — n) . Ciò chiaro apparisce anche dal riflettere, che nei quattro vertici della ellisse, corrispondono i piedi delle perpendicolari, abbassate dal centro di questa curva, sulle tangenti ai vertici stessi. La pedale centrica della ellisse, rappresentata dalla (84), può costruirsi senza neppure aver bisogno della ellisse generatrice. A tal fine introduciamo nella (84) le coordinate polari, ed intendiamo che 1’ angolo 9, sia contato a partire dall’asse delle .c; avremo : 40, X = rcos.ip , y = rsen.ip , -h , e la (84) si ridurrà nella (85) z= m^cos.^9 -4- nhen.^ip . equazione polare della pedale stessa. — 272 — . Facciasi (fig. 26) OB=f. 0C = |, quindi si descrivano, dai punti B, C come centri, due semicircoli, e si gui- dino le corde AD, FE. Ponendo MOX = ed FH = AO, avremo ma 2 2 2 EH = EF -4- FH ; EF — OEsen.y = 20Csen.9 = wsen.ijj , OA ~ ODcos.^ = 20Bcos.9=mcos.ip ; dunque ^ EH == w^sen.^ip -+- m^cos.^f : Confrontando questa equazione colla (85), conosceremo il raggio vettore r = EH , corrisondente al dato angolo y, come ci eravamo proposti. 146.° Un’ altra costruzione della stessa pedale si ottiene, osservando che per l’ultima formula dell’articolo 144.°, l’equazione polare di una ellisse dei semiassi m , w, viene rappresentata dalla 1 , ovvero dalla -'(86) n^cos.\ mhen.^^ Quindi nella (8.5), per evitare confusione, cangeremo le coordinate r, 9 nelle r', 9', ed avremo la (87) — m^cos.V *+■ w^sen.^9' , per la equazione polare della pedale centrica della ellisse (86). Moltiplicando fra loro le (86), (87), avremo la , w^cos.y "t- J^'^sen.y (88) — 273 nella quale se, per un caso particolare, poniamo avremo evidentemente la ma le quattro quantità r, r', m, n; sono intrinsecamente positive, perciò sarà rr’ = mn . Laonde, se prendasi nella ellisse (fig. 27), un qualunque raggio vettore OP = r, corrispondente all’angolo o = AOP ; inoltre se prendasi, nella corrispondente pedale, un raggio vettore OQ = r', relativo all’angolo f' = AOQ = ^ 9 » dovrà verificarsi l’equazione precedente; cioè il prodotto dei due raggi vettori OP ed OQ, dovrà uguagliare il prodotto mn. 147.° Questa proprietà della pedale centrica della ellisse, dà luogo alla seguente costruzione. Data una ellisse, per trovare un qualunque punto della indicata pedale, si guidino due rette (fig. 27) OM , ON , formanti ri- spettivamente angoli eguali cogli assi della ellisse medesima, si costruisca la quarta proporzionale r' , fra le rette OP = r, OA = m, OB = n , la quale determinerà sulla ON il cercato punto Q della pedale stessa, § 41. Dopo avere trovato la pedale centrica della ellisse , passiamo a trovare quella che si riferisce alla iperbola. Sappiamo che quando nella equazione ap- partenente alla ellisse dei semiassi m, n, si cangia in ni/*— 1 , uno n dei medesimi, l’equazione riducesi a rappresentare una iperbola, cbe possiede il semiasse trasverso m, ed il coniugato n. i48.° Facendo adunque l’indicato cangiamento nella (84), avremo la (89) [ìf' , per la pedale centrica della iperbola — 274 -- 0 Non sarà inutile qui osservare, che i due parametri contenuti nella equazione della pedale centrica della iperbola, corrispondono rispettiva- mente ai quadrati dei semiassi di questa curva, generatrice della pedale stessa. Anche questa pedale, passa pei due vertici della sua generatrice iperbola; ciò si vede osservando, che la (89) si trova soddisfatta dalle due seguenti coppie di valori {x — m, y = o) f [x= — m, y =- o) . 149.“ La (89) può costruirsi molto semplicemente , senza conoscere la iperbola generatrice. In fatti se introduciamo le coordinate polari (r, f), abbiamo X 7’cos.?) , y = rsen.y , = x^ -H y^ , e la (89) diverrà (90) Ora (fig. 26) facciasi = m^cos.^f — u^sen.^f . OB = f,OC = |. e si descrivano dai punti B, C, come centri, due semicircoli. Volendo trovare il valore del raggio vettore r, corrispondente a qualsiasi angolo MOX = 155, si guidino le AD, FE, e facciasi EG = OA. Dai triangoli rettangoli OAD, OEF abbiamo rispettivamente OA = ODcos.? == 2OBCOS.9 =■ mcos.? , FE — OEsen.9 = 20Csen.(33= nsen.9 ; ma dal triangolo rettangolo FEG, abbiamo GE — FE == FG , ovvero OA — EF = FG ; dunque dalla eseguita costruzione otterremo la m^cos.^f — nhen.'^(p = FG ; perciò, mediante la (90), si avrà FG = r , cioè si avrà il cercato valore di r, come ci eravamo proposti. 150.“ Volendo trovare la pedale centrica della iperbola equilatera, dob- biamo nella (89) porre m — n, ed avremo la (91) -f- — y^) > mentre la (90), per la medesima sostituzione, si trasformerà nella (92) = m^(cos.^'P — sen.^?) ~ m^cos.2?> , — 275 — equazioni, ognuna delle quali rappresenta la stessa lemniscata (a). Giova qui osservare, che l’unico parametro dell’una o l’altra equazione, appartenente alla lemniscata, è il quadrato del semiasse trasverso della iperbola equilatera sua generatrice. § 42. 151. ° Dopo le premesse attuali, se abbiasi una data serie di coniche, aventi gli stessi fuochi, corrisponderà, come già fu dimostrato (§ 4, 11.°), a ciascun angolo a, compreso fra un sistema di parallele tangenti alle medesime omofocali, e r asse traverso loro , una determinata iperbola equilatera di tangenza. Proponiamoci ora di trovare il geometrico luogo dei fuochi, appartenenti alle diverse iperbole di tangenza, nella ipotesi che abbiansi più sistemi di parallele tangenti, ovvero nella ipotesi che l’angolo a passi pei possibili valori, com- presi da 0° fino a 180°. Da queste ricerche dovremo escludere il caso, in cui le coniche omofocali sieno parabole; perchè nel medesimo, la iperbola di tan- genza si riduce (§ 7, (21.°)) ad una retta, e perciò non esiste alcun fuoco. Per tanto, dovendo limitare la seguente analisi alle serie di coniche, non cant- presa la parabola , potremo stabilire la origine delle coordinate nel centro comune alle coniche stesse. 152. ° Ricordiamo in primo luogo che, (§. 4, (H.°)) ogni sistema di pa- rallele tangenti , fa un angolo 90®, ed il sistema delle Cj = c^^(2sen.2a) , = c|/*( — 2sen,2«) , determinerà il fuoco della iperbola di tangenza, corrispondente all’angolo «, me- diante le coordinate polari y , ove Cj rappresenta il raggio vettore. 153.® Dopo ciò chiaro apparisce, che coH’eliminare dalle (93) il simbolo «, unica quantità indeterminata in esse contenuta, la risultante deve rappresen- tare il cercato geometrico luogo dei fuochi, appartenenti alle diverse iperbole di tangenza. Per tanto dalle due prime delle (93) abbiamo 2« = 2? -4- y , (93) (p = X ovvero delle e dalle ultime due delle medesime si ottiene quindi ovvero 2a = 29-H — 7r ; M sen.2«= sen.(2pH- yj = cos.2?j , i.2«= sen.(2?)-f-— = — cos.2?) . Sostituendo il primo di questi valori nel primo di c, , ed il secondo dei va- lori medesimi nell’altro dello stesso , avremo in ambo i casi la (94) Cj = c[/'(2cos.2?>) , c formula che rappresenta la equazione polare, del geometrico luogo dei fuochi delle iperbole di tangenza. 154.® Per ottenere l’equazione di questa curva, mediante le coordinate ortogonali a;, y, coll’origine al centro comune delle coniche omofocali, avremo t fra le coordinate polari e le ortogonali, le seguenti relazioni (95) ^ —=cos.?>, — ==sen.9>. 5:’ — 277 — Fatta la sostituzione nella (94), cangiata prima in = 2c^(cos.^9 — sen.» , essa ridurrassi alla (96) — , equazione dello stesso luogo geometrico, riferito però ad un sistema ortogonale, coH’origine al centro comune delle coniche omofocali. 155. ° Confrontando la (96) colla (91), si vede che queste coincidono fra loro, quando la della (91) si cangia nella 2c^^ ; vale a dire, quando pongasi m = c [/" 2 . Quindi apparisce ad evidenza, che la (96) rappresenta essa pure una lemniscata; cioè la pedale centrica di una iperbola equilatera (§ 41, (150.°)). Il semiasse traverso m di questa iperbola, coincide, come vedesi dalla equazione sua, con quello delle a;, e la sua lunghezza è c[/'2, mentre la eccentricità sua si esprime con 2c. Infatti sappiamo che la eccentricità di una qualunque iperbola equi- latera, ed avente per semiasse trasverso m, si ottiene dalla = |/'(2w2) = |/'(2.2c2) = 2c . 156. ° Dai precedenti ragionamenti si conclude il seguente Teorema XXVIII. Guidando ad una serie di coniche omofocali, tanti sistemi di parallele tangenti , sarà il geometrico luogo dei fuochi delle re- lative iperbole'^di tangenza Una lemniscata. Gli assi poi della iperbola equila- tera, generatrice di questa lemniscata, coincideranno con quelli comuni alla serie delle coniche indicate, mentre la eccentricità della iperbola medesima, J ^ sarà doppia di quella comune alle coniche stesse. 157. ° La costruzione (fig. 28) dichiara il teorema ora enunciato, nella quale a' , b' indicano i fuochi comuni alla serie delle coniche , rappresen- tate per maggior semplicità da una ellisse MN, e da una iperbola ABA'B'. II numero delle iperbole di tangenza , generalmente parlando , è illimitato; ma nella figura medesima queste iperbole sono rappresentate da due soltanto, cioè dalla F a' r" G F' b' r'" G', e dalla C a' s" D C' b' s'" D', le quali, come si vede, passano 1’ una e l’altra pei due fuochi a', b', comuni alle coniche omofocali. Appartengono (§. 18, (52.°)) alla prima iperbola di tangenza le direzioni SS', TT' delle tangenti perpendicolari fra loro; ed alla seconda iperbola di tangenza le altre due direzioni T"T"' , S"S"' , anch’ esse perpendicolari fra loro. Gli — 278 — assi trasversi di queste due iperbole di tangenza , si trovano rispettivamente sulle direzioni PQ, P'Q'. La lemniscata, luogo geometrico dei fuochi delle iper- bole equilatere di tangenza , vedesi rappresentata dalla 0 q h s r 0 r' s' g q' . Inoltre la iperbola generatrice di questa lemniscata è la I /i K P ^ K', che pos- siede una eccentricità Of, doppia di quella Oa', appartenente alle coniche omo- focali. E poi manifesto che gli assi OX, OY della iperbola equilatera \hKV g K', generatrice della lemniscata 0 q r 0 r' q\ sono coincidenti con quelli che ap- partengono alla serie di coniche omofocali. Finalmente, supponendo cognita la lemniscata , luogo geometrico dei fuochi delle varie iperbole di tangenza , si troverà il fuoco di una qualunque iperbola di tangenza F a' G F' r'" G' , nei punti d’ incontro r, r' dell’asse PQ di questa iperbola colla lemniscata indicata. 158. ° Fu stabilito (§. 22, (72.°)) che la iperbola d'intersecazione, ap- partenente a due sistemi di parallele, tangenti ad una serie di coniche omo- focali , può eziandio considerarsi come iperbola di tangenza, relativa ad un terzo sistema di parallele , tangenti alla medesima serie di omofocali , e vi- ceversa. Perciò, se immagineremo tante iperbole d’ intersecazione, avremo in queste altrettante iperbole di tangenza, ognuna relativa ad un altro sistema di parallele tangenti alle medesime omofocali; dobbiamo quindi concludere il seguente Teorema XXIX. Guidando ad una serie di coniche omofocali, tanti si- stemi di parallele tangenti le coniche stesse, il geometrico luogo dei fuochi delle diverse iperbole d' inter seeazione , sarà una lemniscata y e la seconda parte del teorema precedente, avrà luogo egualmente anche in questo. § 48. 159. ° Dopo aver trovato il geometrico luogo dei fuochi, appartenenti alle diverse iperbole di tangenza, e d’intersecazione; passiamo a determinare quello dei vertici delle iperbole medesime , che sarà pur esso una lemniscata. In fatti denotiamo con a^ il raggio vettore della curva, luogo geometrico cercato; e ri- flettiamo che in una qualunque iperbola equilatera, il rapporto fra il semiasse trasverso, e la eccentricità, si esprime sempre con — ^ . Perciò, siccome a^ y 2 rappresenta pure il semiasse trasverso, ed essendo (§ 42) già denotata con Cj la eccentricità di una qualunque iperbola equilatera di tangenza ; così do- vremo avere — 279 ttj 1 Rigorosamente parlando, si dovrebbe anche qui distinguere il caso «<90.% dall’altro « > 90.°, come già fu distinto (§ 42, (152.°)); però, a motivo di brevità, ci limiteremo al solo primo di questi due casi, ed ognuno potrà facilmente di per se, applicare l’analisi anche al secondo. Per tanto dalla (28) abbiamo (97) Cj ~ c|/'(2sen.2a) , dunque avremo cl/‘(2sen.2a) ^ , ^ ■^=c|A(sen.2«) , e ragionando poi come all’articolo 152.°, otterremo eziandio la n Per avere 1’ equazione polare del cercato luogo geometrico dei vertici, dob- biamo eliminare le variabili « dalla prima delle (98) , introducendo in essa la variabile (p : e poiché dalla seconda delle (98) stesso abbiamo 2a = 2^ -h , quindi (§. 42, (153.°)) sen.2« = cos.2® ; perciò sarà (99) ttj = c|/^(cos.29) . Eseguendo, mediante le (95), la trasformazione solita delle coordinate polari nelle rettangolari , come già fu eseguita nell’ articolo 154.°, ed avvertendo che nelle medesime si deve porre invece di , avremo la (100) {x^ ifY = c‘^{x^ — if) . Ognuna di queste ultime due equazioni, la prima polare, la seconda ortogonale, fa conoscere che il cercato luogo geometrico dei vertici delle iperbole di tan- genza, è pure una lemniscata, come in principio fu* asserito. 160.° Essendo già dimostrato che la lemniscata (99), passa pei vertici della iperbola generatrice (§ 41, (148.°)); perciò, facendo nel suo secondo membro 9 = 0, si avrà c : vale a dire il semiasse trasverso della detta iperbola generatrice, uguaglia la eccentricità comune alle coniche della serie data. Ma la stessa iperbola generatrice, per essere equilatera, deve avere, come dalla geo- metria sappiamo, il semiasse alla eccentricità sua c^ , nel rapporto di 1 : [/"2; — 280 — quindi le due eccentricità, una della iperbola generatrice, l’altra delle coniche omofocali, forniranno la proporzione (101) c:c2=1:1/'2. 161. " Deve riconoscersi, che questo medesimo rapporto è pure quello, nel quale stanno fra loro, la eccentricità massima fra tutte le appartenenti alle iperbole di tangenza , e la eccentricità comune delle coniche omofocali ; poiché (§ 6 , (13.°)) ponendo nella (28) « = 43.", avremo la proporzione seguente c'(= cj : c = [/'2 : 1 . Dalla coesistenza di queste due proporzioni, si ha Cg = ; vale a dire la ec- centricità C2 della iperbola generatrice della lemniscata, eguaglia la eccentricità massima , fra tutte quelle appartenenti alle iperbole di tangenza. E riflet- tendo che le indicate due iperbole, 1’ una e l’altra equilatere , posseggono il medesimo centro , e le medesime direzioni degli assi , dobbiamo concludere cbe queste curve si confondono fra loro. 162. " Da quanto fu dimostrato nell’articolo che precede, possiamo de- durre il seguente Teorema XXX. Guidando ad una serie di coniche omofocali tanti si- stemi, ognuno di tangenti fra loro parallele, il geometrico luogo dei vertici delle relative iperbolejdi tangenza, è un0 lemniscata, che ha per generatrice quella fra le iperbole equilatere di tangenza, che fra tutte possiede la eccen- tricità maggiore: questa poi deve stare alla eccentricità comune delle indicate coniche , come j/'2 : 1 . 163. " Per delucidare graficamente il teorema ora esposto, è da riflettere (fig. 28) , che il geometrico luogo dei vertici delle indicate iperbole di tan- genza, consiste nella lemniscata Opa' s"r"Or^" s^" b^ p\ di cui la iperbola generatrice, trovasi disegnata nella figura stessa, mediante la L a' R R' b' L'. Sappiamo inoltre che la medesima dev’essere equilatera, e che i suoi vertici debbono coincidere coi punti a', b'. 1 fuochi di questa iperbola sono nei punti g, h, i quali contemporaneamente sono vertici della iperbola l h K 1' g K', generatrice della lemniscata 0 r s h q 0 q' g s' r', luogo geometrico dei fuochi delle diverse iperbole di tangenza. Quindi può dirsi che i vertici g, h della iperbola generatrice della indicata lemniscata dei fuochi, coincidono coi fuochi della seconda iperbola, generatrice della lemniscata dei vertici. — 281 — * Supponendo poi cognita la lemniscata dei vertici , si troveranno anche quelli r", r'" di una qualunque iperbola di tangenza F r" G F' r'" G', i quali consistono nei punti d’ incontro dell’asse PQ di questa iperbola, colla medesima lemniscata. 164." In quella guisa che il teorema XXVIll fu esteso, mediante il teo- rema XXIX, alle iperbole d’ intersecazione , similmente potremo estendere il teorema che precede alle iperbole stesse, mediante il seguente Teorema XXXI. Guidando ad una serie di coniche omofocali tanti si- stemi , ognuno di parallele tangenti alle coniche medesime , il geometrico luogo dei vertici delle relative iperbole d' intersecazione, consiste pur esso in una lemniscata; e la seconda parte del teorema XXX, avrà luogo egualmente anche in questo. Dividendo la (99) per la (94), avremo a, : c^=: 1 : ^^2 , e siccome a^ , sono i raggi vettori appartenenti al medesimo valore di relativi alle due lemniscate, una dei vertici, l’altra dei fuochi delle iperbole di tangenza; così vediamo che queste lemniscate sono simili fra loro, e similmente poste, rispetto al centro comune ad esse. § 44. I teoremi finora dimostrati circa i luoghi geometrici, tanto dei fuochi, quanto dei vertici delle iperbole equilatere, sia di tangenza, sia d’ intersecazione, possono ancora ottenersi mediante un punto di vista, differente da quello che precede; cioè quei teoremi si possono raggiungere, senza dipendere dalla omofocalità delle co- niche date. In fatti guidando ad una serie di coniche omofocali tutte le iper- bole equilatere di tangenza, corrispondenti alle possibili direzioni dei sistemi di parallele tangenti, sappiamo che queste iperbole (§ 4, (1 1.")) hanno un centro comune, il quale coincide con quello appartenente alle coniche stesse. Sap- piamo inoltre che queste iperbole di tangenza, debbono passare pei due fuochi comuni alle coniche omofocali. Da ultimo sappiamo (§ 18, (S2.")) che qualunque iperbola equilatera soddisfacente a queste condizioni, deve considerarsi come iperbola di tangenza rispetto ad un sistema di coniche omofocali. 165." Da ciò discende che le iperbole, siano di tangenza, siano d’inter- secazione si possono anche definire indipendentemente dalla omofocalità, di- cendo che sono esse quelle iperbole equilatere concentriche, passanti per due punti egualmente lontani dal centro loro comune, i quali si congiungono da — 282 — una retta, che passa pel centro stesso, e che perciò costituisce un diametro in ciascuna iperbola; quindi è chiaro che, se la iperbola medesima passerà per uno di questi due punti, dovrà passare anche per l’altro. Da ciò concludiamo che le condizioni ora indicate, per determinare completamente le stesse iper- bole equilatere , senza dipendere dalla omofocalità , si riducono soltanto alle due seguenti, cioè: 1 che le iperbole equilatere, sieno di tangenza, sieno d’ in- tersecazione debbono essere concentriche : 2.° che debbono ciascuna passare per iin dato punto. 166. " Da quanto fu ora esposto, e dal considerare che la iperbola equi- latera generatrice, indicata nel teorema XXVIII, possiede una eccentricità, dop- pia di quella spettante alle coniche omofocali, considerate in esso, vediamo che il medesimo può enunciarsi diversamente col seguente Teorema XXXII. Il geometrico luogo dei fuochi di tutte le iperbole equi- latere concentriehe , le quali passano per un dato punto , consiste in una lemniscata. La direzione poi delV asse appartenente alla iperbola equilatera generatrice di questa lemniscata, è una retta, ehe passa pel comune centro, e pel dato punto ; mentre la eccentricità della iperbola medesima, eguaglia la doppia distanza di questi due punti. Si verifica facilmente (fig. 28), che 0 rappresenta il centro comune, ed a' il punto dato, pel quale debbono passare tutte le iperbole equilatere. Il geo- metrico luogo dei fuochi di tutte queste iperbole consiste in una lemniscata 0 qh s r 0 r' s" g q'. La iperbola equilatera I h K 1' g K', generatrice di questa lemniscata, possiede per asse trasverso la retta gh, che passa pel dato punto a', e pel centro comune 0. Inoltre la sua eccentricità Of, risulta doppia della distanza Oa' fra il centro, ed il punto dato. 167. ° Tutto quanto fu ora esposto, riguardo al geometrico luogo dei fuochi delle iperbole di tangenza, può ripetersi eziandio, riguardo al geome- trico luogo dei vertici delle iperbole stesse. Quindi osservando che (fig. 28), il semiasse Oa' della iperbola generatrice della lemniscata dei vertici, è anche la distanza fra il centro comune 0, ed il punto dato a'; potrà il teorema XXX, dar luogo all’altro seguente. Teorema XXXllI. Il geometrico luogo dei vertici di tutte le iperbole equilatere concentriche, le quali passano per un dato punto, consiste in una lemniscata. La direzione dell'asse appartenente alla iperbola equilatera, gene- ratrice di questa lemniscata, è una retta, che passa pel comune centro, e per quel dato punto; mentre la eccentricità della iperbola medesima , è alla di- stanza fra i due punti stessi, come |/"2 : I. — 283 — § 4S. Assegneremo in questo paragrafo, il geometrico luogo dei vertici, di una serie d’ iperbole^ fra loro concentriche; le quali, passando tutte per un dato punto, posseggono un qualunque l’angolo assintotico eguale in ognuna. Si collochi l’ori- gine delle coordinate x, y nel centro comune di queste iperbole; inoltre pongasi un altro sistema di coordinate x', y' concentrico al primo, in guisa che l’asse delle x' coincida con quello trasverso di una qualunque delle indicate iper- bole, essendo 1’ angolo {xx') = w . L’equazione di questa iperbola, quando al secondo sistema sia riferita, sarà la seguente ovvero la (102) ahj'^ — hV -H- == q , ove a rappresenta il semiasse trasverso della iperbola stessa. 168. ° Volendo che questa iperbola riferiscasi al primo sistema fìsso di coordinate, x^ y, dovremo secondo le (18), (§ 3), cangiare le x', y' rispetti- vamente nelle ajcos.cj — ysen.a , ed icsen-w -+- i/cos.cj . Fatte nella (102) queste sostituzioni, avremo la a^(x^sen.’^« -+■ y'^cos.^co -f- 2a;j/sen.oocos.w) — &^(x^cos.^«a -+- yhen.^co — 2iCj/sen.cjcos.&)) -+- — o , e riducendo sarà ( (a^sen.^d) — 6^cos.^w)a5^ -+- (a^cos.^w — è^sen.^oo)?/^ (108) ( -H 2(a'^ -J- ò’^)icysen.incos.w -t- = o . Questa equazione rappresenta ognuna di quelle iperbole, che hanno il centro loro nella origine delle coordinate, mentre l’asse trasverso mobile delle me- desime iperbole, forma l’angolo variabile w, coll’asse fìsso delle ascisse. 169. ° Introducendo nella (103) la condizione, che l’angolo assintotico 39 — 284 qualunque delle iperbole dalla medesima rappresentate, sìa costantemente 2§ in ognuna, dovremo avere per qualunque ìperbola tang.d = ^ , ovvero b = atang.d , e la (103) si ridurrà nella (sen.^w — cos.^wtang.^dja?*'^ -t- (cos.'^w — sen.^cjtang.^S)y^ -4- 2(1 -f- tang.^§)ici/sen.) -4- a^tang.^S = o . Moltiplicando per cos.^d, otterremo la t(sen.‘^wcos.^d — cos.^&)Sen.^5)x^ -+- (cos.^wcos.^d — sen.^casen.^^)i/^ -4- 2icysen.wcos.fii) -4- a^sen.^^ = o , e questa equazione rappresenta tutte quelle iperbole che hanno : 1 .“ il loro centro nella origine delle coordinate; 2.° il semiasse trasverso variabile = a; 3." l’angolo assintotico costante 25; 4." l’angolo variabile co, compreso fra l’asse trasverso, e quello delle ascisse x. 170.“ Per semplicità maggiore, facciamo che l’asse delle ascisse, passi per quel punto, pel quale debbono passare tutte le iperbole della equazione (104); e chiamiamo p la distanza costante di questo punto dalla origine delle coor- dinate , ossia dal centro delle iperbole stesse. Posto ciò chiaro apparisce, che la (104) dev’essere soddisfatta, dal porre in essa X = p ed y==o; laonde, in questo caso, l’equazione medesima si ridurrà nella seguente (103) (sen.^fiiicos.^5 • — cos.^c«)sen.^5)p^ -H a‘^sen.^5 = o . che rappresenta, per mezzo delle coordinate polari co ed a, il geometrico luogo dei vertici sopra indicati. Per giungere, col mezzo delle coordinate ortogonali, al geometrico luogo dei vertici di queste iperbole, come ci siamo proposti; riflettiamo che 1’ asse trasverso di qualunque iperbola è la variabile a, mentre l’angolo che questo asse forma con quello delle x, venne indicato con ca: quindi chiaro apparisce che , se denoteremo con x^ , le coordinate di un qualunque vertice , fra quelli appartenenti al sistema loro destro, dovremo avere le (106) ajj = acos.fij , ed = asen.co , — 285 — mentre le coordinate di un qualunque vertice, fra quelli che appartengono al sistema loro sinistro, saranno le (107) — — acos.cj , ed y^ — — asen.w . Eliminando i simboli a ed w dalla (105), mediante le (106), si otterrà il geo- metrico luogo del primo sistema dei vertici di tutte le iperbole in proposito. Per tanto dalle (106) abbiamo le ( 1 08) or — j/j , cos.'^cj 2,. — . sen.^oj = —5^ Vi e sostituendo questi valori nella (105), avremo la cos.^d 2 sen.^§ -H y'^ x^^p^ ■+- (x^ H- i/^)sen.^5 = o nella quale furono soppressi gli accenti, perchè ora inutili; e riducendo si avrà (109) p^x'^ — p^yhot.^^ = [x^ i/Y . Quando poi si volesse il geometrico luogo del sistema sinistro dei vertici delle iperbole stesse, dovrebbero eliminarsi le medesime a, co della (105), mediante le (107). Ma siccome la (105) contiene i simboli da eliminarsi, tutti elevati alla seconda potenza; perciò, sebbene le (107) sieno di contrario segno a quello delle (106), tuttavia l’equazione risultante, sarà pure in questo caso la (1 09). Da ciò si deduce che l’uno e l’altro vertice di ciascuna iperbola di quelle in proposito, trovansi nella medesima curva, rappresentata dalla (109). 171.° Confrontando la (109) colla (89), vediamo che queste due curve coincidono fra loro, allorché abbiasi tn = p , n = pcot.ò . Quindi apparisce (§ 41, (148.°) che la cercata curva dei vertici, consiste nella pedale centrica di una iperbola, che possiede il semiasse trasverso m =: p, ed il semiasse coniugato n—pcot.^. Inoltre, p- denotando il suo serniangolo assin- totico, avremo n - tang.p. = — = cot. 0 ; quindi sarà (110) — 286 Dunque l’ iperbola che ha per pedale centrica la (109) , cioè la curva luogo geometrico dei vertici appartenenti alle iperbole in proposito, possiede un se- miangolo assintotico , non uguale a quello 6, comune alle indicate iperbole; ma bensì questi due semiangoli assintotici, sono uno complemento dell’altro, come risulta dalla (110), 172.° Inoltre se riflettiamo che (§. 41 , (148.°)) la pedale centrica di una iperbola, sempre passa pei due vertici della iperbola medesima; e se ab- biamo riguardo a quanto fu ora stabilito, circa la iperbola generatrice della pedale sua centrica (109), potremo tutto riassumere nel seguente Teorema XXXIV. Il geometrico luogo dei vertici di una serie d’ iperbole concentriche, le quali, oltre al passare tutte per un dato punto fisso, posseg- gono un medesimo semiangolo assintotico , consiste nella pedale centrica di una iperbola, che ha lo stesso centro delle prirrie, un suo vertice coincidente col dato punto, ed un semiangolo assintotico complemento di quello comune alle iperbole della serie data. Si vede facilmente, che l’attuale teorema è più generale del precedente XXXIII, il quale può considerarsi come un suo corollario ; però mentre l’at- tuale comprende tutte le iperbole, il XXXIII comprende soltanto quelle che sono equilatere. 173.° Per dichiarare con una costruzione (fìg. 29) questo teorema, rap- presenti N il centro comune della data serie d’ iperbole, sia P il dato punto pel quale tutte debbono passare , facciasi ROR' = 2§ T angolo assintotico , che per quello riguarda la sua grandezza, è comune a tutte le iperbale della serie. Abbiamo, per maggiore semplicità, disegnate soltanto quelle iperbole, di cui gli assi trasversi passano pel secondo e quarto quadrante delle coor- dinate, e sono di numero sei, rappresentate rispettivamente dalle SPUTP'Z; S'PY'U'T'W'P'Z' ; S"PV"U"T"W''P'Z ' ; S'"PV"'U"'T'"W'"P'Z"' ; S^TV*''U'''T‘^Wi^P'Z‘^ ; PV''UT''WT'Zv . La curva poi dei vertici, è rappresentata dalla OmPV'Y"V'"V^''V"OW''W’^W'"W"W'P'n , pedale centrica di un’altra iperbola, che passa eziandio pel punto dato P, ed è rappresentata da GPHG'P'H', mentre l’ angolo R"OR"' assintotico di essa, congiunto all’angolo assintotico comune alle iperbole della data serie, e rap- presentato da POU'"* per la iperbola PV''U'T''W''P'Z'' , formano 180.° Ciò — 287 — bene si riconosce nella figura medesima, considerando che i rispettivi lati di questi due angoli, cioè le rette OR", OR', e le OR, OR'", comprendono angoli di 90“ fra loro ; perciò, come sappiamo dalla geometria, la somma degli an- goli assintotici R"OR'" -t- ROR' dovrà eguagliare n. È poi facile immaginare, che la prima iperbola SPUTP'Z della serie data, ruotando intorno al centro comune 0, produca di mano in mano le altre iperbole ; cosicché diminuisca continuamente in questo suo moto rotatorio l’asse delle medesime, senza che queste cessino di passare tutte pel punto P. Gli assi trasversi loro, prende- ranno successivamente le posizioni PP' , Y'W' , V"W " , Y 'W'" , Y^'W«' , Y"W" . Finalmente col diminuire sempre più 1’ asse trasverso , a motivo della sua rotazione, partendo esso da Y'^W'' , i corrispondenti vertici sempre più si accosteranno al centro comune 0; cosicché nell’ istante in cui l’asse tra- sverso medesimo riducasi a zero, la iperbola corrispondente ridurrassi alle due rette T''* Fy, le quali s’ intersecheranno fra loro nel centro comune 0, sotto l’angolo assintotico 2§ invariato. Da ciò risulta che Vasse trasverso della iperbola ruotante, può nel suo moto rotatorio, giungere soltanto a prendere le direzioni OR, ed OR', determinate dal semiangolo assintotico dato XOR XOR' = a . Inoltre, nel caso della figura, gli assìntoti della medesima iperbola ruotante, non oltrepassano le rette U''% T''" in guisa che, lo spazio compreso fra le medesime, corrispondente all’angolo acuto, T^'^OT' ", e dall’opposto al vertice, non viene occupato dalle iperbole prodotte da questa rotazione. Tale fatto però non si verifica in generale; perchè dipendente dall’essere il dato angolo assinto- tico 25, minore o maggiore di un retto. La figura stessa rappresenta il primo di questi due casi; quindi la OR', non può giungere a formare un angolo di 45.“ coll’asse OX, e la OU''^ non lo può formare di 90.“ col medesimo asse. Quante volte poi l’angolo assintotico 25 fosse ottuso, caso che non è rappresentato in figura, la OR' divergerebbe più di 45.“ dall’asse OX; quindi la OU''* più di 90.“ dall’asse medesimo: perciò chiaro apparisce che l’ indicato spazio, nel quale non possono entrare le iperbole, più non esisterebbe. Quando si avesse 25 = 90.“, vale a dire quando le iperbole della serie fossero equilatere, si avrebbe il caso limite, in cui le rette OU''* ed OU'"”, coinciderebbero Luna sull’altra; quindi s’ incontrerebbe il caso già considerato — 288 (§. 44, (167.°)), nel quale il geometrico luogo dei vertici di queste iperbole, risulta da una lemniscata. Riguardo inoltre al caso medesimo, riflettiamo che il teorema XXXIY conferma 1’ altro XXXIII ; poiché nel primo di questi teo- remi, l’angolo assintotico della iperhola generatrice, sommato coll’altro assin- totico comune alle iperbole della serie, formano insieme 180.“ : ma nel teo- rema XXXIII questi due angoli pur essi formano insieme 180.°, perchè ognuno dei medesimi è di 90.“; dunque si verifica la indicata conferma fra quei due teoremi. § 46. Col teorema XXXIV, abbiamo assegnato il geometrico luogo dei vertici di una serie d’ iperbole , definita sul principiare del §. 45 ; occupiamoci ora nell’assegnare il geometrico luogo dei fuochi della medesima serie d’ iperbole. 174. “ A questo fine debbo premettere, che chiamerò punto equiquoziente^ riguardo alla data serie d’ iperbole, quello mobile Q sull’asse delle medesime, collocato in ciascuna iperbola (fig. 30), per modo, che il rapporto fra la sua di- stanza QO dal centro comune 0, ed il semiasse trasverso FO della iperhola me- desima, rimanga costante. Per trovare analiticamente questo punto nella data serie d’ iperbole, dobbiamo valerci della (105), che, cambiando in essa w in y, ed a in r, si riduce alla (111) r =p[/'(cos.^9 — sen.^9 cot.^d) , curva che rappresenta il geometrico luogo dei vertici, espresso colle coordi- nate polari r, 175. “ Sia q il valore numerico del dato rapporto, relativo al punto equi- quoziente, avremo 29-- e chiamando r' (== OQ) il raggio vettore della curva da determinarsi , do- vremo per un medesimo valore di 9), avere la perciò dalla (111) si avrà la (112) r' =pq\/‘[cos^

Da questa equazione, facendo in essa p = o, abbiamo r’ = -P- , cos.§ e riflettendo che in tale caso, r' esprime tanto il raggio vettore del ver- tice della pedale indicata, quanto il semiasse trasverso della sua iperbola gene- ratrice; potremo concludere, che il semiasse trasverso medesimo, è l’ipotenusa di un triangolo rettangolo, avente per un cateto la distanza p , e 1’ angolo ^ adiacente al cateto stesso. Questa conseguenza discende anche dall’ultimo pe- riodo del teorema precedente, quante volte in esso introducasi pel dato rap- porto, quello relativo al caso attuale; cioè il rapporto eccentri- cità, ed il semiasse trasverso. Dopo ciò facilmente si potrà conclude il seguente Teorema XXXVI. Il geometrico luogo dei fuochi di una serie d’ iper- bole fra loro concentriche, le quali oltre a passare per un dato punto fisso, posseggono lo stesso angolo assintotico, è una pedale centrica di una iperbola. Questa è pure concentrica con quelle costituenti la serie, possiede un semi- angolo assintotico complemento di quello comune alle date iperbole, ed ha il semiasse trasverso rappresentato dalla ipotenusa di un triangolo rettangolo, avente per un cateto la distanza del comune centro dal punto fisso, e per angolo adia- cente a questo cateto, il semiangolo assintotico delle iperbole indicate. Questo teorema comprende il XXXIl come corollario; però l’attuale ap- partiene a tutte le iperbole, mentre quello richiede iperbole ognuna equilatera. 178.° Per dichiarare con una costruzione lo stesso teorema, osserviamo (flg. 29), che il geometrico luogo dei fuochi, appartenenti alle date iperbole 291 della serie, viene rappresentato dalla curva 0 F'" F" F' F m' 0 f f" f" , che costituisce la pedale centrica della iperbola D F E D' ? E', i vertici F, f della quale, coincidono coi fuochi della iperbola S P U T P' Z, cioè di quella fra le iperbole date, che possiede il semiasse trasverso maggiore di tutti gli altri della serie. Gli assintoti 0 R", 0 R'" della D F E D' 9 E', sono comuni anche alla iperbola generatrice della curva dei vertici, cioè alla iperbola G P H G'P'H'. Come nell’articolo 173.°, fu considerato il moto generatore del geometrico luogo dei vertici, mediante la iperbola ruotante; così potrebbe qui considerarsi anche il moto generatore del geometrico luogo dei fuochi, mediante la ruo- tazione della medesima curva. Ma poiché queste due ricerche, presentano fra loro un’ analogia quasi del tutto completa ; perciò qui ci limiteremo ad una esposizione breve, dei soli risultamenti, relativi alla seconda fra le ricerche stesse. Partendo la iperbola ruotante, dalla sua posizione iniziale, nella quale il suo asse trasverso passa pel dato punto P , il rispettivo punto della curva dei fuochi, si trova in F ; però mentre la iperbola stessa ruota, la eccentri- cità sua diminuisce, vale a dire decresce il raggio vettore r della curva dei fuochi, esso divenendo successivamente 0 F , 0 F' , 0 F” , 0 F"' , 0 F‘" , . . . Continuando la iperbola ruotante il suo moto , il fuoco delia medesima , sempre più si avvicinerà al centro comune 0 , ed allora giungerà in questo punto , quando la iperbola stessa , tutto il suo moto avrà compiuto ; cioè quando il suo trasverso asse, avrà percorso tutto l’angolare spazio, terminato dall’asse X 0, e dall’assintoto R' 0. Il fin qui detto fa vedere, come viene dalla curva dei fuochi percorso un solo quadrante; lo che basta per mostrare, come i tre altri vengano percorsi dalla curva stessa. § 48. 179.° Pongasi dato il centro comune di una serie di ellissi, fra loro slmili, ma non similmente poste, le quali passino tutte per un dato punto; si cer- cano i luoghi geometrici dei vertici loro. Sappiamo che la equazione della iperbola, si trasforma in quella propria della ellisse, quando in luogo del se- miasse ù, pongasi b[/' — 1. Possiamo perciò concludere immediatamente, fa- 40 — 292 — cendo questa sostituzione nella (103), che la equazione di ognuna delle ellissi dei due semiassi variabili a, b, coi loro centri nella origine delle coordinate, rappresentandosi con w l’angolo compreso fra il semiasse loro a, e l’asse delle ascisse a?, consiste nella seguente f (a^sen.^d) -h Pcos.‘^a)x^ -+• (a^cos.^w -+- &en.^o))y^ (113) ( -H ^xy{a^ — b^) sen.cj cos.w — a^b‘^ = o . 180." Per introdurre in questa uguaglianza la condizione, che le ellissi sono simili, riflettiamo essere tali queste curve, allora quando i corrispondenti semiassi delle medesime, stanno fra loro in un rapporto costante. Per tanto, chiamando h il valore numerico di questo rapporto , è chiaro che la condi- zione della similitudine, potrà introdursi nella (1 13), mediante una qualunque delle due seguenti 1 (114) à = /la , à = — a , ognuna delle quali soddisfa la condizione stessa. Ritenendo per ora la prima soltanto delle (114), ed introducendola nella (113), avremo la (sen.^fio -+- à^cos.^\ Tutte queste ellissi trovansi coi loro assi maggiori nel primo e terzo quadrante; e per evitare confusione , abbiamo tralasciato di rappresentare nella figura stessa le altre ellissi, di cui gli assi maggiori passerebbero pel secondo, e quarto quadrante. Le due curve dei vertici, sono espresse dalle PV'V"V'"V’"mP'W'W”W'"W*"n , Vm'iviv'iv”iv'"'P'n’vv'v”v"', la prima appartenente al geometrico luogo dei vertici, corrispondenti agli assi maggiori delle simili ellissi della serie loro, la seconda appartenente a quello dei vertici, corrispondenti agli assi minori della serie stessa. Nella prima di queste due curve, consiste la pedale centrica della ellisse PV*''P'W"', che corrisponde alla massima della data serie; nella seconda poi consiste la pedale centrica della ellisse PicP'r, che corrisponde alla minim.a della serie stessa. Tornando sui luoghi geometrici delle (H7), (119), sappiamo che il primo di questi è la pedale centrica di una ellisse, che possiede i semiassi (v. le (120)) — 296 — essendo m il semiasse maggiore OP. Quindi se abbiasi h minore dell unità, si avrebbe m>>n, ed in tal caso la (117), rappresenterebbe quello dei due luoghi geometrici , che appartiene alla pedale centrica della ellisse massima \Yivpyivp' Pj3j. conseguenza in questo medesimo caso, dovrà la (119) rappre- sentare quella pedale centrica, che si riferisce alla ellisse minima wVvV. Se poi fosse h maggiore della unità, si verificherebbe l’opposto. Può immaginarsi che la serie delle simili ellissi, venga prodotta ruotando la ellisse Viv'P'v intorno al comune centro C, in guisa che sempre passi pel punto P, restando però simile a se stessa. Con questo moto rotatorio, gli assi della ellisse ruotante, prendono successivamente le posizioni W'V', W"V", W'"V'",.” continuamente crescono, e quando l’asse maggiore della medesima ellisse ruo- tante, ha percorso un angolo retto, essa riducesi nella PV*''P'Wi''. Mentre poi la ellisse indicata concepisce questo moto angolare , il suo minore asse, passando dalla posizione vw, successivamente assume le posizioni v'tu', v"iv", v"'w"\ ..., e giunge nella posizione PP', dopo avere percorso un angolo retto. In questo movimento il vertice v dell’ asse minore , descrive r arco vv'v"v"''P della pedale centrica , spettante alla ellisse VwV'v. Da ciò si vede che la ellisse ruotante, mentre percorre 90.° , descrive una quarta parte di ciascuna delle due curve dei vertici, e la ellisse medesima, conti- nuando il suo moto rotatorio, sino a compiere un intero giro, avrà prodotto interamente le due curve dei vertici. Per questa proprietà, il caso delle ellissi, distinguesi essenzialmente (§ 45, (173.°)) da quello delie iperbole (fig. 29); poi- ché nel medesimo, l’asse della iperbola ruotante, può solo descrivere un angolo, eguale al comune assintotico ROR', e disposto simmetricamente rispetto l’asse OX; cioè rispetto la retta di congiunzione, fra il centro comune 0, ed il dato punto P. La estensione angolare poi OU''s nella quale sono comprese, tutte le singole iperbole della serie (fig. 29), sarà doppia dell’angolo assintotico ad esse comune. § 50. 190.° Come nel caso di una serie d’ iperbole concentriche, aventi lo stesso angolo assintotico, ed un punto comune (§ 46, (174°)), fu introdotto il con- cetto del punto equiquoziente , similmente lo introdurremo nel caso attuale di una serie di ellissi, concentriche fra loro, e simili. Ripetiamo adunque, che questo punto, è mobile sopra uno qualunque degli assi della ellisse ruotante, ed è in ciascuno collocato per modo, che il rapporto fra la sua distanza r' dal comune centro, e l’asse nel quale si trova, sia costante» 297 — 191.° Indicheremo con q , anche nel caso della serie di ellissi , il rap- porto stesso, cioè relativo al punto equiquoziente: dicasi r il raggio vettore della curva dei vertici, raggio che corrisponde sempre ad un semiasse della ellisse ruotante; similmente dicasi r' il raggio vettore spettante alla curva dei punti equiquozienti, raggio che corrisponde alla distanza di questi punti dal centro; avremo per la ipotesi fatta -=ì - come all’articolo 175.°, (§ 46). 192.° Introducendo nelle (117), (1 1 9) le coordinate polari (§ 40), quindi sostituendo nelle medesime il valore di r, dato mediante quest’ ultima equa- zione, avremo le (121) = p^q^cos.^9 sen.V , = p'^q^cos.^fp p^q^/i^sen.‘^y , la prima delle quali rappresenta (§ 40, (85)) la pedale centrica della ellisse, che ha per semiassi (122) r \ pq mentre la seconda è la pedale centrica di un altra ellisse , avente per semiassi pq , pqh . 1 93. ° Si vede che queste due ellissi, hanno un semiasse pq comune, il quale giace nella direzione OP (fig. 31). In un modo poi del tutto simile a quello dell’articolo 189.°, possiamo qui concludere, che per un /ì <; 1 , la prima del- le (121) rappresenta la pedale centrica della ellisse, generatrice maggiore; mentre la seconda delle stesse (121), rappresenta la pedale centrica della ellisse, ge- neratrice minore; l’apposto peti si verificherà, quando fosse >* 1 . Per tanto avremo il seguente Teorema XXX Vili. Il geometrico luogo di un punto equiquoziente, che ap- partiene ad una serie di ellissi, concentriche fra loro e simili, ognuna delle quali passa per un dato punto fisso , consiste nelle pedali centriche di due simili ellissi, e similmente poste, rispetto alla massima e minima della serie stessa. 1 corrispondenti assi di queste ellissi, trovansi moltiplicando rispettiva- mente quelli della massima e minima ellisse, pel rapporto eciuiquoziente . 194. ° Il teorema stesso ne abbraccia un altro, nel quale si cerca il geo- metrico luogo, dei fuochi della data serie di ellissi concentriche fra loro, e simili. — 298 — Poiché per questo caso, il rapporto relativo al punto equiquoziente, corri- sponde in ciascuna ellisse alla eccentricità sua, divisa pel semiasse maggiore, nel quale si trova il punto dato, rapporto che risulta costante. Poiché, avuto ri- guardo alla supposta similitudine delle ellissi, abbiamo e siccome sappiamo dover essere perciò dovrà il rapporto — = q, essere costante, come fu asserito. Dunque i fuochi delle ellissi, appartenenti alla serie data, sono tanti punti equiquozienti; avvegnaché c rappresenta la distanza di qualunque fuoco dal comune centro, ed avremo equazione da cui viene stabilita la dipendenza reale fra il rapporto equiquo- ziente q, e quello costante h dei semiassi della ellisse che ruota. 195. ° In questo caso deve osservarsi che, sebbene qualunque dei fuochi medesimi sia un punto equiquoziente, siccome però questo deve sempre gia- cere sull’asse maggiore della ellisse ruotante; così vedesi che, pel caso in pro- posito, la rotazione della ellisse, produrrà una sola delle due pedali, dal teorema precedente indicate. Facilmente poi si vede, che la pedale del caso medesimo, é la centrica di quella ellisse, che nel teorema precedente corrisponde alla massima della serie. 196. ° Inoltre apparisce chiaro che, per ottenere il geometrico luogo dei fuochi, dobbiamo sostituire il valore di g, assegnato dalla (123), nella sola prima delle (121), come risulta da quanto fu dichiarato nell’articolo 192.° Per tanto, cangiando r' in , avremo della indicata serie di ellissi , ed é la pedale centrica di una ellisse (§ 40), 6=:K(«^-C^), sarà c (123) 9=K(i-'-n . Questa equazione polare adunque, rappresenta il geometrico luogo, dei fuochi che ha per assi py{i — ^^) , * — 299 197. “ Dalle precedenti osservazioni, e da quello che fu stabilito neirultimo teorema, possiamo concludere il seguente Teorema XXXIX. Il geometrico luogo dei fuochi di una serie di ellissi, concentriche fra loro e simili, obbligate a passare per un dato punto, consiste nella pedale centrica di una ellisse, la quale sarà simile, e similmente posta rispetto quella massima della serie data. 198. “ La delucidazione grafica di questo teorema, si ottiene osservando {fig. 31), che il geometrico luogo dei fuochi, è rappresentato dalla curva ff » pedale centrica della ellisse , ed i punti r,r; r,r; f,f', rappresentano i fuochi delle rispettive cinque ellissi punteggiate, che costitui- scono la data serie loro. 199. “ Nel pubblicare questa memoria, fu tenuto Lordine medesimo, col quale alla nostra mente si presentavano le ricerche in essa contenute ; però dobbiamo avvertire, che la esposizione di queste materie, potrebbe ricevere un ordine più generale, deducendo cioè molte verità per corollario di altre, le quali si trovano qui dimostrate direttamente. Non è poi fuor di proposito, l'os- servare la seguente correlazione geometrica: vale a dire che, come il circolo gode tante proprietà non appartenenti alla ellisse; così la iperbola equilatera gode, rispetto alle serie di coniche omofocali, moltissime proprietà, che la co- mune iperbola non possiede. APPENDICE Schiarimento al teorema XVI 200.” La retta d’intersecazione b'g (fig. 1 1), forma coll’asse b'\ delle parabole omofocali, un angolo gb'X equivalente alla somma degli angoli rb'X, T6'X, che sono quelli formati dai due sistemi di parallele, coll’asse comune alle iperbole. Quindi l’angolo gb' — X , riesce doppio dell’altro — X , che la bisettrice gS dell’angolo H^K dei due sistemi, forma col medesimo asse. In fatti sappiamo dal teorema XIII, applicato al caso della parabola, che la linea d’ intersecazione, la quale in questo caso diviene retta gb' d’ intersecazione, coincide con quella 41 — 300 — di tangenza, che appartiene ad un sistema di tangenti o parallele, che non furono disegnate, o perpendicolari alla retta bisettrice, come le L 1, L' Z', . . . Sappiamo ancora che la tangente fuocale alla linea d’ intersecazione, coincide con questa, quando, come nel caso nostro, essa linea diviene una retta. Dunque il teorema IV, articolo 25.°, pel caso attuale dovrà esprimersi come siegue. La retta di tangenza per una serie di parabole omofocali, forma coWasse co- mune a queste, un angolo doppio di quello, formato dal sistema delle tangenti parallele, col medesimo asse; lo che riducesi al teorema III. E siccome que- sta retta di tangenza, coincide con quella d’ intersecazione, come vedesi (fig. 11), ove gb' è ad un tempo retta d’ intersecazione rispetto ai due sistemi di pa- rallele e GK, e retta di tangenza rispetto al sistema di parallele LI; così è chiaro che la retta stessa d’ intersecazione gb', forma coll’ asse delle para- bole un angolo gb' — X, doppio di quello gS — X, formato coll’asse medesimo, dalla retta gS, bisettrice dell’angolo KgrH dei due sistemi di parallele. Ora si vede facilmente che dal teorema XVI, discende il seguente 201 .° Corollario. Se per un punto g, situato fuori di una parabola si guidino ad essa due tangenti, e si congiunga questo punto col fuoco V della parabola stessa; la retta gb' dovrà intersecarla. Se per questa intersecazione si guidi una tangente, formerà essa un angolo retto, colla bisettrice delVangolo com- preso fra quelle due tangenti; ovvero il triangalo, formato dalle tre indicate tangenti, sarà isocele. I EPITOME DELLA MEMORIA PRECEDENTE Sviluppo generale delV equazione , rappresentante qualunque conica , coir origine delle coordinale in un suo fuoco. Supponendo nella medesima equazione la eccentricità costante , ma variabile lasse maggiore, rappresenta essa una qualunque serie di coniche omofocali , ì.° ... i.° Angolo formato dalla tangente ad un qualunque punto di una conica, coll asse tra- sverso di essa. Sviluppo dell'equazione, appartenente alla curva di tangenza, 6." , 7.° Questa curva passa pei due fuochi comuni alla serie di co- niche. Ricerche sulla natura della curva stessa , 8.° ... 10." La curva di tangenza è una iperbola equilatera concentrica, rispetto alle coni- che omofocali, ed un suo assintoto è parallelo alla direzione del sistema di tangenti, 10.", 11." Spostamento delle coordinate, onde rendere più sem- plice V equazione della iperbola di tangenza^ 14.'* Espressione della eccentricità, che appartiene alla iperbola di tangenza, 15." Andamento della eccentricità medesima, pel variare delVangolo, compreso fra il sistema di parallele tangenti, e Vasse trasverso delle omofocali, 15.", 16." / casi nei quali la iperbola di tangenza, si riduce a delle rette, sono tre : il primo ha luogo, quando le coniche omofocali divengono parabole; allora si ha una sola retta, che passa pel comune loro fuoco : il secondo si verifica, quando il si- stema di parallele tangenti ad esse coniche, sia parallelo ad un asse loro; allora esistono due rette di tangenza, che comprendono un angolo retto : il terzo ha effetto, quando le coniche riduconsi ad una serie di circoli concen- trici ; allora si hanno pure due rette di tangenza perpendicolari fra loro, 18." ... 24." Formula per l'angolo, 'compreso fra una qualsiasi tangente alla iperbola di tangenza, e Vasse trasverso delle omofocali. La tangente che corrisponde ad un fuoco delle coniche, forma colV asse trasverso un angolo, doppio di quello spettante al sistema di parallele tangenti, 24.", 25." Teo- rema relativo alla iperbola equilatera, 26." Considerazioni sulle coniche omofocali , e sulla specie loro , variando continuamente V asse trasverso di esse. Partendo questuasse dalV infiìiito, le coniche sono da prima circoli, poi ven- gono ellissi quindi, allorché il semiasse medesimo diviene minore della eccen- tricità comune, le coniche divengono iperbole: quando poi Vasse trasverso ri- ducesi a zero, le iperbole si trasformano in due rette. Non tutte le iperbole omofocali, forniscono punti per la iperbola di tangenza. Iperbola limite. Fii- cerche sopra il moto geometrico del punto di tangenza, quando Vasse trasverso passa dall'essere infinito ad essere nullo 27.", 28." Variando Vasse me- desimo fra questi limiti , dovrà il punto di tangenza descrivere la iperbola di tangenza, in tutta la sua estensione. Si considera un enunciato, contenuto iti un opera del eh. padre M. lullien, 29.", 30." Due sistemi di parallele, tan- genti alla medesima serie di coniche omofocali, forniscono generalmente par- lando-due iperbole di tangenza, 31.", 32.° Ma essendo l'angolo compreso fra questi due sistemi un retto, le indicate due iperbole si confonderanno in una, 32." ... 34." Quando sieno dati due sistemi di parallele, tangenti ad una serie di coniche omofocali, e perpendicolari fra loro, per avere completa la curva di tangenza , mediante i soli punti di tangenza , non avvi più bi- sogno di valersi contemporaneamente delle ellissi e delle iperbole, appartenenti alla serie delle omofocali; ma bensì ciascuna specie di queste curve, fornisce di per se completa la iperbola di tangenza, 35." Particolarizzazione dei — 302 — ■ precedenti enunciati, pei tre casi, nei quali le iperbole di tangenza si riducono a delle rette, 36.°, 39.° Dati due sistemi di tangenti parallele, dovrà esistere sempre, pel caso delle ellissi, un parallelogrammo di tangenza, 39.°... 43.° Ma quando le ellissi si trasformino in iperbole, il detto parallelogrammo non esisterà sempre. In questo caso esistono due iperbole limiti, 43.°. ..49.° Ricerche sulla possibilità delle tangenti , nel caso delle parabole omofocali. Riassunto dei diversi casi , circa la possibilità, ed il numero delle tangenti , che possono guidarsi ad una serie di coniche, parallelamente a due direzioni date, 49.°. ..51.° Data una iperbola, si domandano, tanto le serie di coniche omofocali, quanto le direzioni dei sistemi di tangenti", cosicché la data iper- bola risulti di tangenza, 51.°... 53.° Sviluppo diretto per la curva di tan- genza, relativo al caso delle parabole oYnofocali, ^2^°.. .55.° Equazione della tangente ad una qualunque conica, espressa in funzione delV angolo, compreso fra la tangente medesima e V asse trasverso, Luogo geometrico del punto d' intersecazione di due sistemi di rette parallele, tangenti ad una serie di coniche omofocali, chiamato curva d' intersecazione, 64.°. ..66.° Questa curva è aneli' essa una iperbola equilatera, concentrica colle coniche, e passante pei fuochi alle medesime comuni. Gli assintoti suoi trovansi, guidando pel comu- ne centro due rette, che dividano in mezzo gli angoli adiacenti delle direzioni, ap- partenenti rispettivamente ai due sistemi di parallele tangenti, 67.°. ..70.° Se ad una serie di coniche, si guidino tre sistemi di parallele tangenti, co- sicché la direzione del primo, divida in mezzo l'angolo compreso fra le dire- zioni del secondo e terzo; la iperbola di tangenza del primo sistema, si con- fonde con quella d' intersecazione appartenente al secondo, e terzo, 71.°, 72.° Guidando ad una serie di coniche omofocali tanti sistemi di parallele tangenti, cosicché le rette bisettrici degli angoli, formati dalle coppie delle in- dicate tangenti, riescano parallele fra loro; i vertici degli angoli corrispon- denti a queste coppie, si troveranno sopra una medesima iperbola eq7iilatera, ed un assintota di essa riescirà parallelo alla comune direzione delle bisettrici, 74.°... 7 6.° Due coppie di sistemi di parallele tangenti, coi lati rispettivamente perpendicolari fra loro, posseggono la medesima iperbola d'intersecazione. A questo enunciato può darsi ancora una forma differente, riflettendo che quattro tangenti, formano un quadrilatero, con due degli angoli opposti, ognuno retto,7ò.°...7S.“ Formula per la eccentricità della iperbola d' intersecazione, 79.°...81 .° Circa i casi nei quali la iperbola d' intersecazione, si riduce a delle rette : questa ricerca è del tutto simile a quella, che analogamente appartiene alla ■— 303 — iperbola di tangenza, 81 91 Sulla iperbola d' intersecazione, pel caso in cui gli assi delle coniche omofocali, sieno paralleli ai sistemi di tangenti. Questa iperbola d' intersecazione, possiede una eccentricità massima, rispetto quelle di tutte le iperbole di questa specie, 91 9 i.° Ricerche sul moto geometrico del punto d' intersecazione, mentre V asse trasverso riceve succes- sivamente i suoi valori possibili, fra V infinito, e lo zero. La iperbola d' in- tersecazione si divide, generalmente parlando, in sei tratti, dei quali quattro di estensione infinita, provengono dalle ellisse, e due di estensione finita pro- vengono dalle iperbole. Confronto di queste provenienze, con quelle rispetto ai punti della iperbola di tangenza, 95."...! 01 Le due tangenti alla iperbola omofocale limite, guidate parallelamente a quello dei due sistemi di parallele, che forma un angolo acuto colVasse delle omofocali, maggiore del- Valtro, pure acuto, formato dal secondo sistema colVasse medesimo, sono anche tangenti alla iperbola d' intersecazione, lOì .°... \0^.° Modificazioni dell'e- nunciato dei precedenti articoli, pel caso in cui sieno perpendicolari fra loro i sistemi delle parallele tangenti, 104." Avendosi due sistemi di tangenti per- pendicolari fra loro, non si potrà ottenere, in tutta la estensione sua, la iperbola d' intersecazione, mediante i punti d' intersecazione, per mezzo delle sole ellissi, 0 delle sole iperbole omofocali, 105.", 106." La tangente fuocale, guidata alla iperbola d' intersecazione, forma coll'asse trasverso delle coniche omofocali^ un angolo doppio di quello, formato dalla bisettrice dell'angolo delle due dire- zioni col medesimo asse, 107.", 108." Data una iperbola eciuilatera, si domandano le serie di coniche omofocali, e le direzioni di due sistemi di pa- rallele tangenti , alle coniche stesse ; cosicché la iperbola medesima divenga d' intersecazione. Il numero delle soluzioni di tale quesito, è infinitamente mag- giore di (juello simile, relativo alla iperbola di tangenza, 108."...! 1 5." Il teo- rema dell'articolo 75.", viene applicato al caso, nel quale si considera una conica sola, 1 16."...! 18." Costruzione per punti disereti della iperbola equilatera, dati gli assintoti della medesima, ed un punto pel quale deve passare, \Ì8.°, 119." Avendosi una serie di coniche omofocali, e due sistemi di tangenti, le due relative iperbole di tangenza, e quella d' intersecazione, s' interseche- ranno tutte nei fuochi delle coniche omofocali, senza che le iperbole medesime abbiano altro punto connine, 120. "...124." La tangente fuocale della iper- bola d' intersecazione, divide in mezzo V angolo compreso fra le due iperbole di tangenza, 126.", 127." Essendo l'angolo compreso dalle tangenti un retto , la tangente fuocale della unica iperbola di tangenza , e la tangente — 304 — fuocale della iperbola d' intersecazione, sono perpendicolari fra loro, 128.", 129." Nel caso di due sistemi di parallele tangenti, e perpendicolari fra loro, si cerca il rapporto fra le due eccentricità, una della unica iperbola di tan- genza, V altra della iperbola d' intersecazione, 131." Le due iperbole in proposito divengono eguali fra loro , e simmetriche rispetto V asse trasverso delle coniche, quando una delle tangenti forma un angolo ^ , coll' asse tra- 8 sverso delle coniche, 132." Applicazioni degli articoli 127.“, e 128.“ al caso delle parabole omo focali, 133." Se la iperbola d' intersecazione possa confondersi con una delle iperbole di tangenza, 134.*, 135." Sviluppo diretto della equazione, appartenente alla curva d' intersecazione, pel solo caso particolare delle parabole omofocali, 137. "...139." L'enunciato dall' ar- ticolo 82.“ viene applicato al caso di una sola parabola , 140." Data una serie di parabole omofocali, ed una retta che passa pel comune fuoco, si determinano i sistemi di coppie di parallele tangenti, che hanno la retta me- desima per luogo geometrico delle intersecazioni, 141." Determinazione della pedale centrica, appartenente alla ellisse, 1 42.". ..145.", § 40 Costru- zione di questa pedale, senza eonoscere la ellisse generatrice, 145." Relazione fra due raggi vettori, uno appartenente alla ellisse , V altro alla sua pedale centrica, guidati ambedue dal centro comune a queste curve , e formanti lo stesso angolo coi loro assi, 146." Costruzione basata su questa proprietà, 147." Determinazione della pedale centrica della iperbola, 148." Costruzione di questa curva, senza valersi della iperbola sua generatrice, 149." La lemniscata, 150." Determinazione del geometrico luogo dei fuochi, di tutte le. iperbole equilatere di tangenza, che possono guidarsi ad un sistema di coniche omofocali, 1 51 ."...1 54." Questo, luogo è la pedale cen- trica di una iperbola equilatera, 155.", 156." Il geometrico luogo dei fuochi delle iperbole d'intersecazione, consiste pur esso nella pedale centriea di una iperbola equilatera, 158." Il geometrico luogo dei vertici delle in- dicate iperbole, consiste anch'esso nella pedale centrica di una iperbola equi- latera, 1 59. "...162." Schiarimenti della { fig. 28 ), 163."/£ nunciazione dei precedenti teoremi , senza dipendere dalla omo f ovalità delle eoniche , ma conoscendo solo, che le iperbole equilatere concentriche, passano per un dato 164."...! 67." Generalizzazione del teorema, relativo al geometrico luogo dei vertici, supponendo che l'angolo assintotico della serie d' iperbole di tangenza, non sia retto, ma qualunque invariabile, 1 67."...! 70." La de- — 305 ~ terminata curva dei vertici, è la pedale centrica di una iperbola , \1\° , 172 o Schiarimenli alla {fig. 29), ITS." Riflessioni sulle iperbole limiti della data serie, non che sul molo geometrico del vertice di esse, men- tre la iperbola, ruotando intorno al comune centro, assume le sue diverse posizioni, 173." Si generalizza la curva dei vertici, non considerando più il geometrico luogo dei vertici stessi', ma bensì un qualunque altro punto, preso sulV asse trasverso , il qiud punto , detto equiquoziente , fu obbligato a conservare sempre una posizione simile, rispetto le iperbole, 1 76." Luogo geometrico del fuoco di una serie d'iperbole, 177." Luogo geometrico dei vertici di una serie di ellissi concentriche, e simili, obbligate a passare per un punto fisso. Qui esistono due curve diverse , che rappre- sentano il cercato geometrico luogo, 1 79."... 1 85." Queste due curve con- sistono in due pedali centriche, relative a due ellissi, che sono simili a quelle della serie, 186. "...188." Descrizione della [fig. 31), 189." Luogo geometrico del punto equiquoziente, per una serie di ellissi, 1 90."...! 93." Luogo geometrico del fuoco di una serie di ellissi, 1 94.‘’...1 98." Or- dinamento della memoria, e correlazione geometrica, 199." Appendice. Schiarimento al teorema XVI, 200." Proprietà di un triangolo, coi lati tangenti alla parabola, 201." — 306 — Cenni su di un altro insetto ampellofago, lussureggiante nei vigneti romani. Comunicazione del cav. prof. Vincenzo Diorio. JLa nostra illustre accademica sig. contessa Fiorini-Mazzanti , rimetteva in mie mani, sono or pochi giorni, taluni insetti sorpresi sulla vite vinifera che germogliava; in quei paraggi stessi ove l’anno scorso ebbi l’onore di annun- ziare all’ accademia rinvenute le Iponomeute , che giudicando dalle ricerche possibili fra noi, mi credetti autorizzato a ritener per nuove (1). Sono questi d’oggi invece piccoli coleotteri che simulano lo smeraldo ed il zaffiro, per i splendenti colori onde il corpo loro rifulge; e diffusi in quasi tutta l’Europa meridionale , richiamarono già più fiate sù di sè la sferza dello agricoltore , non ostante l’apparente loro bellezza; e l’attenzione dei naturalisti, non sicuri sempre del genere al quale li riportavano. Annunziati infatti dal sommo Linneo per Cureulioni del bidello [Curculio betulae) (2) dalla Betula alba che pure infestano ; furono con il nome istesso indicati da Gmelin (3) dal De Geer, (4) dal Fabricio (5) nell’ opera intitolata Species insectorum , dal nostro Petagna (6). Cangiando poi di parere il Fabricio istesso nella Eiiio- mologia systematica (7) li spostò dai Cureulioni, per riunirli agli Attelabi, e ne fece il suo Attelabus betuleti. Fu seguito il suo esempio dagli autori della Enciclopedia metodica (8); dal Dumeril nel dizionario delle scienze naturali (9), e nella ultima sua pubblicazione della Entomologia Analitica (10); dal Boi- tard (11) nella prima edizione del manuale di entomologia. Stabilito quasi (1) V. Atti della P. Accademia dei nuovi Lincei. Tomo Vili, pag. 124, Anno 1865, 8 maggio. (2) Fauna Svecica 1, n. 486. (3) Systema naturae edit. 13, curante Gmelin, tom. 1 pars. IV, pag. 1752, n. 39. (4) Degeer, Mem. tom. 5, pag. 248, n. 36. (5) Fabricius. Species insectorum, tom. 1, pag. 165, n. 23. (6) Petagnae Instit. entomol. tom. 1, pag. 210, n. 4. (7) Entom. System, tom. 1, pag. 387, n. 16. (8) Encyclopedie methodique, nouvelle edition. A Padove 1792, tom. 4, part. 2 p. 471. (9) Dizionario delle scienze naturali; Trad. Firenze 1832, voi. 3, pag. 97. (10) Entomologie analytique. Paris, Firmin Didot 1860, tom. 1, pag. 555, n. 5 (11) Encyclopedie Roret. , 307 al tempo istesso il genere Rhinomacer dal Geoffroy (12) vi furono allogati sotto la denominazione di Rinomacri verdi {Rhynomacer viridis) i nostri pic- coli coleotteri. Finalmente eretto dal Latre«7/e il genere Rliijnchites (13); Fu- rono a quest’ ultimo trasferiti i cureulioni del bidollo dell’ Aristotele svedese. Imitarono il Latreille lo Schoemiherr (14) il Boitard (15) nella edizione se- conda del manuale entomologico, il Bianco (16) ed ultimamente il Goureau (17). Scorgesi quindi chiaramente come a nulla meno di quattro generi diversi dovrebbesi riportare l’ insetto istesso, se a tutti i qui nominati autori avesse a farsi egual ragione. Or se ai nomi scientifici già riferiti ti prendesse il garbo di aggiungere gli altri non pochi che gli impartisce il volgO' (quali ad esempio sarebbero quelli di cardarelle , attelabi del b.dollo , attelabi verdi , punteruoli della vite, brachivini della vite degli italiani; Becmare , Urbec, Urbère, Beche, Lisette, Diableau, Destraux, Velours-vert (1 8) dei francesi, Cu- quillo 0 coquillo verde, dei spagnuoli ec.); saresti quasi tentato a ripetere che pur troppo scienza aggiunta a scienza produce talor confusione , siccome si dice nel fatto fisico che luce aggiunta a luce qualche volta generi oscurità. Laonde per non perdersi nello intricatissimo labirinto delle sinonimie; costretti a scegliere un nome fra quelle diverse lingue e fra tante orribili favelle , preferiremo la seconda nomenclatura fabriciana, e dietro l’esempio del Dumeril scriveremo sotto dei nostri insetti. - Altelabus beluleti Fabr., passando senza indnggiar di più ad isfiorarne la storia. L’ Aristotele svedese epilogò la frase specifica del suo Curcidio belulae con i segueuti termini: - Curculio caeruleo - viridis nitens, antennis - atris (1 9) Vi aggiunse poi a schiarimento una succinta descrizione dettando cosi- Est e mediae magnitudinis speciebus hic curculio. Totus capite, thorace, rostro, eìyiris, abdomine, pedibus caeruleo — viiùdi — inauratus seti sericeo nitidissi- mus. Versus posteriora admodum obtusus, Totum corpus punctis minutissimis excavatis perfusum. Oddi et anlennae solae nigrae: harum injìmus articidus (12) Geoffr. insect. lom. 2, pag. 270, n. 2. (13) Considérations générales sur l’ordre naturelle des animaux etc. Paris 1810, p. 219. (14) Curculionidum dispositio methodica, Leips. 1826. (15) Eatomologie, (Èncyclop. Roret.) 1843, tom. 2. pag. 70. (16) Bianco Fernandez. Ensayo de zoologia agricola y Forestal, Madrid 1859, p. 384. (17) Goureau. Les insectes nuisibles Paris 1861, pag. 8. (18) Goureau. Op. cit. (19) Fauna Svec. toc. cit. 42 — 308 reliquis nullo modo longior est, ut in reliquis’, clavalae tamen sunt antennae ut in congeneribus. Hic minime salit (20). » Aggiunse qualche cosa alla frase Linneana il Degeer {‘2Ì) dicendo: Curculio longirostris antennis rect/s nigris, coRPORE SUBQUADRATO viridi aurato nitidissimo, pedi bus purpureo aeneis. Ne compì finalmente la descrizione il Fabricio dettando : Variat saepius colore omnino caeruleo. Alter sexus thoracem antrorsum spinosum gerit (22); Farmi poi che Schoenherr sia stato il primo a decifrare quel alter sexus dichiarando che è la femmina quella che porta le due spine o meglio i due aculei, im- piantati a guisa di spalline sul proto torace e quest’ armatura avendo noi rinvenuta tanto sopra parecchi individui della varietà bleu quanto sopra altri della varietà verde; non possiamo sottoscriverci al parere di taluni autori, i quali hanno creduto che in questi coleotteri diversificasse pure con il sesso costantemente il colorito. Poco hanno avuto da aggiungere i moderni a queste concise descrizioni degli antichi. Ciò non pertanto non fu inutile il rimarco del Geoffroy che mentre i comuni cureulioni portano le antenne piegate ad an- golo ed a clava {antennae clavalae fractae) ; taluni se ne riscontrano che le hanno non angolose {antennae clavalae integrae) e fra questi rinvenendosi il curculio betulae ; gli diè con poche altre specie 1’ occasione d’ istituire il genere Pdiinomacer (Becmare) sopra uno smembramento di quel primo ; ed addivenne per conseguenza il nostro coleottero il Rhinomacer tolus viridi se- riceus, o Le Becmare veri di Geoffroij. Non avendo però questo nuovo ge- nere dell’autor francese incontrato il favore dei suoi contemporanei, ed anzi essendo stato contrariato dal Degeer ; sarebbesi dimenticato per sempre, se prima il Fabricio nella sua Entomologia sijstematica; e poi il Lalreille e re- centemente il Dumeril non ne avessero lasciato la ricordanza nelle di loro eutomologiche classificazioni. Quest’ ultimo però non mi pare abbia rannesso a quella voce lo istesso concetto che aveagli l’ istitutore suo stabilito. Leggo infatti il genere Rhinomacer caratterizzato dal Geoffroy con la frase sù indi- cata - Antennae clavalae integrae - tanto nella enciclopedia metodica (23) quanto nella Entomologia del Villers (24). Trovo invece lo stesso genere di (20) Faun. Svec. 605. (21) Op. et loc. cit. (22) Spec. insect, loc, cit. (23) Tom. et voi. cit. pag. 476. (24) Entomologia Linneana. tom. l, pag. 589. — 309 — Geoffroy, fraseggiato nella Entomologia analitica del Dumeril, in quanto alle antenne così - à anlennes filiformes non coudées efc. -(25). Così con altro esempio rinvengo VAltelabus distinto da Linneo per le antenne moniliformi - antennis moniliformibus {‘ÌQ) -, mentre il testé lodato autore francese, as- segna con gl’altri recenti allo stesso genere il carattere delle antenne a clava e non angolose - à anlennes en masse allongée, non coudées (27) Sembre- rebbe pertanto potersi da ciò dedurre che il Rhinomacer del Dumeril, dovesse riportarsi agli Attelabi di Linneo; e VAltelabus di quell’autore, al vero Rhino- macer di Geo&voy ritornato condegnamente in vita. E già l’autore della En- tomologia nella enciclopedia metodica all’articolo Rhinomacer o Becmare avea chiaramente confessato ciò stesso scrivendo - Ce genre avait éié confondii avant ce cèlebre naturaliste (Geoffroy) avec celai de charangon (Curculio) el celai de VAttelabe (Linneano). Il a élé ensuite séparé du premier genre , et donné por presgue toiis les auleurs, sous le nom d'Attelabes nom qne nous avons élé forcés de conserver (28). Posso io pure qui ripetere con il Vil- lers (29) Genus attelabi etiamnum inler obscura est, nec aptius reperi. Se non che a non isviarsi troppo dal soggetto, farem rimarcare che nei nostri insetti , là dove s’ impiantano sul becco le antenne , presentasi trac- ciata una fossetta della quale fra i caratteri generici degli Attelabus , non è fatta menzione alcuna. Tale carattere non è sfuggito alla osservazione dei nostri predecessori. Yeggiamo anzi con molta soddisfazione che il Boitard (30) 10 descrive fra i distintivi del genere Rdignchites di Latreille (smembramento novello dello Attelabus), e vi riporta sotto il nome di Rynchiles betuleti come come sopra indicammo T insetto che ci stà occupando. E qui vogliam notato che fra i caratteri della Rinchite Latreillana, quella fossetta non viene accen- nata (31). Portano i nostri piccoli coleotteri le antenne di 1 1 articoli: il primo non è maggior degli altri come lo rimarcò Linneo. Gli ultimi tre rappresentano 11 capo della piccola clava, la quale già dal settimo e dall’ottavo vien prepa- (25) Voi. cit. pag. 548. (26) Syst. nat. ed. 13, voi. cit. pag. 1521. (27) Op. e voi. cit. pag. 552. (28) Op. e voi. cit. pag. 476. (29) Op e voi. cit. pag. 217. (30) Entomol. Roret. tom. cit. p. 68. (31) Latreille. Op. cit. rata gradualmente. Dal secondo poi fino all’ottavo, ogni nodo porta due pic- cole setole laterali. Il capo ed il torace sono punteggiati finamente , ed alla rinfusa. Evvi un solco che quasi ne sparte in due porzioni longitudinali il dorso. Uno scudetto rudimentale scorgesi fra gli astucci od elitre, le quali sono trac- ciate quasi serialmente da punti assai marcati; e leggermente orlate sul lembo esterno. Non giungono queste con le loro estremità libere a lutto ricuoprire lo addome , che le ultime anello sue presenta nude. Le gambe non portano sproni o spine di sorta alcuna e sono tutte eguali. Risulta di quattro pezzi aggiunti l’uno all’altro ciaschedun tarzo. Il terzo articolo ne è bilobo a lobi ovati ed alquanto mobili. Fra questi s’ impianta 1’ ultimo che sviluppasi nella forma di un uncino a doppia branca, ed a punte rivolte verso le lobature dell’arti- colo antecedente, in modo da fornire allo insetto un organo potentissimo di presa e di ritegno. Abbiamo infatti veduto questi animaletti tenersi e cor- rere sopra uno specillo forbitissimo di argento senza cadere; non ostante che questo venisse in tutti i sensi agitato. Gli organi della masticazione sono na- scosti nello astuccio bilocale sifattamente; che ad insetto intiero al di fuori non compariscono che i palpi filiformi sottilissimi, e le punte degli organi trituranti si affacciano solo allora che l’ insetto mangia. La lunghezza massima di esso compreso il becco non eccede i 7 millimetri. Gli individui bleù li troviamo costantemente men sviluppati. Fra gl’istinti più singolari di questi esseri parecchi se ne rimarcano che meritano special menzione; tali sono p. e. quello di aggricciare ed accartoc- ciare le foglie dei nuovi germogli sicché ritengano e custodiscano meglio le ova che vi depongono in distinti forellini che prima vi han praticati: quello di tagliarne i pedicciuoli quasi per intero , onde avvizzirne il parenchima e farle restar penzoloni: l’altro finalmente di fingersi morti allorquando vengono tocchi 0 minacciati da vicino. L’abbiam veduti infatti non riscuotersi, quantun- que vivi, anche quando uno spillo ne pungeva i tessuti : mentre poi cessato ogni strepito, dileguato ogni periglio cercavano, se non uccisi, uno scampo. Del resto non troviamo egual chiarezza negli autori che hanno dato la storia del danno che questi animaletti arrecano al vigneto; e crediam perciò necessario di farne almen di due il confronto. Il Goureau infatti scrive « Pen- dono i cartocci (ossia le foglie che su dicemmo istintivamente aggricciate dal- l’ insetto) dalla estremità dei rami, e cadono dopo qualche tempo a terra. Le larve uscite dall’uovo, hanno corroso l’ interna superficie del cartoccio per vi- vere. Giunte a tutto il loro accrescimento, allorché quello è caduto, esse ne — Sii sortono per entrar sotterra, dove si cangiano in crisalide. L’ insetto perfetto comincia a schiudere il 20 settembre, ma una parte della generazione passa l’inverno nel suolo, e non si trasforma che alla fine del maggio seguente. La larva è bianca conico-ovata, piegata ad arco, molle, apoda, liscia, formata di 12 segmenti senza contare la testa che è rotonda, scagliosa giallastra, armata di due mascelle. La crisalide è chiusa in un bozzolo di terra agglutinata, poco solida. L’ insetto perfetto è un coleottero della famiglia dei Porta-becco o Rinco- fori, della tribù degli Attelabidi e del genere Rinchite, si conosce sotto il nome di Rinchite del bidello di Fabricio (32). Il prof. Bianco Fernandez invece dettò così : L’ attelabo del bidello (Rynchites Betuleti) è di un verde setoso al di sopra rilucente e liscio; ha il corpo i piedi ed il becco di un verde dorato, e la fronte un po’ schiacciata. La femmina porta da ogni banda del primo segmento toracico una spina dritta ed acuta. Havvene una varietà di un co- lore turchino-violaceo; un altra offre questo colore soltanto nelle parti supe- riori , ed ha il becco e la parte inferiore del corpo di un verde setoso. Di tutti gli Attelabi, il verde è il più dannoso, ebe invade le viti, senza lasciare di trovarsi pure su di altre piante. Sembra che nel mese di giugno depositi la femmina i germi suoi sopra le foglie che taglia , le quali cadono ammarcite ed attorcigliate in terra , dove restano. Nascono in aprile le piccole orughe , che sono ■piccole come spille; saliscono sulla vite ed attaccano i bottoncini o rigetti che distruggono prima del loro completo sviluppo. Fila quindi il suo bozzolo più piccolo di un pisello, e lo lascia attaccato alla vite o sulle palafitte. Nel maggio ne sorte l’ insetto perfetto , e si unisce tantosto il maschio con la femmina spargendosi sulle foglie, su delle quali depositano queste il ger- ita (33). Ora quale delle due storie sarà la vera ? Noi non abbiamo dati suffi- cienti per giudicarlo. Era egli ben naturale che in vista del danno che questi insetti arrecano alla vignicoltura, si pensasse al più confacente rimedio. Stimò altri opportuno il dar loro la caccia con frequenti ed attente visite fatte al vigneto in primavera, occupandovi dei ragazzi , quasi in via di passatempo. Ma come sperarne un sicuro risultato nella coltura ad alberato, od a pergola; e negli estesissimi no- stri vigneti ? Convennero i più essere più opportuno lo attendere che quelli avessero già ovulato , togliendo alle viti tutte le foglie accartocciate e pen- (32] Op. cit. pag. 6 in fine e seg. (33) Op. cit. pag. 384 e seg. ^ 312 — denti, che sono le depositarie della progenitura, per darle sollecitamente alle fiamme. Tale rimedio per altro previene il danno futuro possibile, ma non rime- dia in modo alcuno al danno presente: ma infrattanto non vi ha di meglio. Il nostro Attelabo oltre ad abitare la Yitis vinifera^ infesta pure la Betula alba albero non proprio delle pianure nostre, il Salix alba, il Fagus sylvatica, ed il Pirus comunis. Altra fiata si è diffuso nelle ridenti provincie della nostra Italia meridionale. Inclino a credere che la Rynchites papali dei recenti e forse anco la Rynchites baccus non sieno che varietà della Rynchites betuleti', di- versificando le tre pretese specie soltanto per isfumature di colorito; per vi- gore , o disposizione diversa di tinte , mentre hanno i costumi istessi , e ci arrecano lo stesso danno. Ecco quanto ho potuto raccogliere ed osservare su questo Ampellofaga che vogliam lusingarci non abbia a prosperar troppo nel nostro paese. Analisi, e rettificazione di alcuni concetti, e di alcune sperienze, che appar- tengono alla elettrostatica. — Memoria i.“ del prof P. Volpicelli. $ 1- Jiecentemente si è creduto poter concludere, che l’elettrico non respinga se stesso; e che i corpi caricati della medesima elettricità, non esercitino gli urti sugli altri verun’ azione repulsiva (1), contro quello che dalla più parte fili- dei fisici, antichi e moderni, viene professato. Si è creduto altresì poter con- cludere, che i fenomeni, detti di attrazione e di repulsione elettrica, possana spiegarsi mediante una sola forza; cioè Vattrazione mutua dei corpi elettrizzati differentemente (2). Questo concetto della mancanza di elettrica repulsione, non solo è falso, ma neppure ha la qualità di essere nuovo; giacché prima di Franklin, esso già fu im- maginato, come rilevasi dal seguente brano di questo autore, il quale dice « Ho » riconosciuto sempre difficile, spiegare la uguaglianza della repulsione, nei casi (1) Comptes Rendus, t. 60, an. 1865, p. 180 e 181 -Ibidem, p. 452, li. 9 salendo; t. 62, an. 1866, pag. 450, li. 22; e pag. 451, li. 24. (2) Opera citata, t. 60, an. 1865, p. 452, li. 3 salendo. » di elettricità positiva e negativa ; quindi ne ho parlato sempre a questo )) modo. Ero qualche volta inclinato come voi (Kinnersley a Filadelfia), ripor- » tare tutto all’attrazione; ma oltre che sembra essere anche questa, non in- » telligibile in se stessa, più della repulsione; avvi qualche fenomeno di repul- )) sione, che non può tanto facilmente spiegarsi per mezzo dell’attrazione (3). Inoltre dice lo stesso Franklin « Confesso che mi sembra difficile spiegare » senza repulsione (dell’elettrico per se stesso), come avvenga che il fluido si D allontani, da quell’estremo di un corpo indotto, che riguarda l’ inducente, il » quale suppongo caricato di elettricità positiva (4) ». Da ciò vediamo, che Franklin non era favorevole alla dottrina, per la quale si nega la repulsione, propriamente detta, fra corpi elettro-positivi. Il primo ad invocare l’attrazione dell’aria, che circonda i corpi elettrizzati omologamente, per ispiegare l’allontanarsi dei medesimi fra loro, fu Kinnersley, ragionando sulla sperienza del mulinello elettrico, da esso inventato (5). Tutti quei fìsici, che oggi, nei fenomeni elettrostatici, negano la repulsione, ricorrendo aH’attrazione dell’aria che li circonda, furono in questa ipotesi pre- ceduti da Kinnersley^ièl 1761; e riproducono essi una ipotesi, pubblicata cento anni prima, ventilata di tempo in tempo, ma sempre senza successo. §. 2. Alcuni fìsici negarono la elettrica repulsione 'propriamente detta, sia per la elettricità positiva, sia per la negativa; e questi sieguono la ipotesi sym- meriana dei due fluidi. Altri poi negarono la stessa repulsione, solo per le elet- tricità negativa; e questi sieguono la teorica frankliniana di un fluido solo, nella quale, per ispiegare la repulsione di due corpi elettrizzati negativamente, deve ammettersi, che la materia priva di elettrico respinga se stessa. Questo fatto da taluni fu creduto inconciliabile colla gravitazione; quindi per tale mo- tivo negarono essi la realtà della elettrica repulsione, fra corpi elettrizzati ne- gativamente. La mancanza della elettrica repulsione, un tempo ebbe più se- guaci , di quello che attualmente ne abbia , dei quali vogliamo qui ricordare i più conosciuti. (3) Oeuvres de Franklin, Paris 1773, t. 1.°, p. 220, li. 10. (4j Luogo citato, pag. 221, li. 9. (5) Luogo citato, pag. 202, li. 20. — sa- lì p. Pianciani difese la ipotesi della non esistenza di elettrica repulsio- ne (6), appoggiandosi ad un esperimento, nel quale si abbassavano i pendolini, quando 1’ aria veniva rarefatta. Siccome però altri fisici negano la esattezza dell’ indicato sperimento (7), così non possiamo associarsi al nominato autore. Inoltre il medesimo^a convalidare Topinione sua, riferisce^una sperienza di Volta, la quale consiste nel dimostrare, che due dischi elettrizzati omologa- mente, e posti fra loro a piccola distanza, si allontanano l’uno dall’altro con debole forza (8); pel contrario, caricandoli con elettricità di natura contraria, si attraggono assai fortemente. Dimostreremo in appresso (§ 12), quale sia la vera spiegazione di questo fatto; vedremo che il medesimo, non è punto fa- vorevole alla mancanza della elettrica repulsione. Kennedy neppur egli ammise la esistenza di questa forza repellente fra le molecole dell’elettrico , e spiegò i fatti elettrostatici ad essa relativi, me- diante l’attrazione (9). Anche Beccaria non ammise la repulsione di cui parliamo, come risulta da un tratto di questo elettricista (10), che trovasi riportato anche nella col- lezione delle opere di Volta (11); ed il Majocchi professa egli pure la mede- sima opinione (12). Un altro fisico, il quale sostenne do vei*si la elettrica re- pulsione riguardare come apparente, non già come reale, fu il Van-Marum, e fu combattuto da Pfaff (13). Harris, dopo avere spiegato la ipotesi di Franklin, dice che alcuni fisici francesi tentarono spiegare la elettrica repulsione , mediante l’attrazione, prodotta per influenza dall’aria circostante. Conclude però l’autore medesimo, che tale spiegazione non è soddisfacente, dicendo : « Toutes les explica- » tions, comme on voit, ne sont que les dernières tentatives d’une théorie » insuffisante (14) )). La maggiore difficoltà contro la pretesa mancanza, con- siste, secondo questo fìsico, nel fatto che le repulsioni elettriche, si producono y, y/' ■> (6) Istituzioni fisico-chimiche. Roma 1833, t. 3.°, pag. 80, li. 10 salendo. hH j,, V. |To di questa memoria. (8) Collezione delle opere di Volta, toro. l.°, parte 2.% Firenze 1816, pag. 76.^ (9) Repertorium der Physik, voi. 6, pag. 115. (10) Elettricismo artificiale, seconda edizione. Torino 1772, p. 47. (11) Tomo l.°, parte 2.% pag. 78. (12) Elementi di fisica, t. 2.°, Torino 1853, pag. 673, li. 5 salendo. (13) Gehler, Physikalisches Wdrterbuch, Leipzig 1827, voi. 3., p. 347, li. 11 salendo. (14) Lecons élémentaires d’électricité, traduites et annotées par Garnault. Paris 1857, pag. 46, li. 10. a traverso un mezzo molto rarefatto, come appunto neH’atmosfera, ove la ma- teria trovasi assai diradata. Volta dopo aver detto (15), essere più apparente che reale la elettrica repulsione , fra corpi elettrizzati omologamente , prodotta non già da una causa distinta , ma dallo stesso principio di attrazione, soggiunge a questo modo (16). « II qual principio fondamentale, stabilito così bene da Epino, nella )) sua grand’opera Tentamen Theoriae electricitatis et magnetismi (pag. 40), » è confermato da tutte le prove possibili, e più evidenti ». Riguardo al citato brano di Epino, riflettiamo, che nel medesimo si dice soltanto, essere la detta repulsione, come anche le altre azioni elettriche, pro- dotta da esterni agenti, che l’autore stesso confessa di non conoscere. Ognuno perciò vede, che nel brano medesimo, non viene detto consistere la causa della indicata repulsione, in una influenza, che l’aria circostante subisce. Poiché l’autore stesso, parlando generalmente, non altro dice in sostanza, fuorché di non poter concepire una repulsione, senza l’ intervento di un medium ambiente. Ciò si accorda colle viste della maggior parte dei fìsici, che, ragionando sull’attra- zione, confessano essere anche questa inconcepibile fra due corpi, senza verun altro estrinseco agente interposto. Possiamo quindi concludere, che Volta diede a Epino tutt’altra opinione, riguardo all’oggetto in proposito, di quella che questo aveva di fatto. Anche Pfaff, come già fu indicato, si pronunciò contro la opinione, che l’aria circostante sia la causa esclusiva deirallontanamento fra due corpi elettronegativi (17). §• 3. Dopo aver esposto, che il concetto della mancanza di elettrica repulsione, non è nuovo , ma bensì da oltre un secolo mésso in campo c dopo avere indicato i principali fìsici che lo seguirono, come anche alcuni di quelli che non lo accettarono, entriamo nell’ intrinseco di questo argomento. Ed inco- minciamo dall’osservare, che alcuni fisici negarono la esistenza della elettrica reale repulsione , perché opposta la credevano al modo razionale di vedere i fenomeni della natura in genere; principalmente perché la gravità, sempre attraente si manifesta, e non mai repellente. Questa pretesa opposizione cessa del tutto, quando si rifletta, che non mancano agenti naturali, da cui si ma- (15) Collezione delle opere di Volta, tom. l.°, parte 2, pag. 77, li. 13. (16) Idem, pag. 78, li. 2. (17) Gehler physikalisches Wdrterbuch, voi. 3.“, pag. 347. 43 ~ 316 — nifestano evidentemente forze repulsive; così è della repulsione magnetica, da ninno fino ad ora messa in dubbio ; così pure della repulsione calorifica , la quale si manifesta nella dilatazione dei corpi, operata dal calorico, cui non re- siste forza veruna; e così pure della repulsione che regna fra due conduttori mobili, percorsi da correnti elettriche, dirette l'una in contrario senso dell’al- tra. Quindi vediamo che dal paragonare i fenomeni della natura colla elettrica repulsione, non s’ incontra opposizione veruna; ed invece il paragone riesce favorevole alla esistenza della repulsione stessa. Si è preteso recentemente concludere, la non esistenza della elettrica re- pulsione, considerando la pressione della elettricità contro l’aria circostante (18). Però è da precisare avanti tutto, in che realmente risieda l’azione dell’elet- trico, pèr distribuirsi nell’ aria circostante. Quest’ azione non consiste in una forza meccanica, esercitata dall’elettrico stesso contro la pressione dell’aria, la quale non impedisce col suo peso la dispersione della elettricità, distribuitasi alla superficie dei corpi; ma bensì consiste l’azione medesima, nel vincere quella resistenza, che incontra l’elettrico a passare pei coibenti, e quindi anche per l’atmosfera, in virtù della mancanza di conducibilità nei medesimi. Così appunto avviene del calorico, il quale incontra maggiore o minore difficoltà, per passare da un corpo in un altro, che conduce meno del primo. In fatti essendo un corpo in contatto con un altro, a temperatura più bassa, e meno conduttore del primo, il calorico di questo, benché abbia tensione a distribuirsi anche nel secondo, tutta via non eserciterà pressione meccanica sul medesimo. Poiché diminuiscono le dimensioni del più caldo corpo, mentre il suo calorico si distri- buisce nel meno caldo, e senza esercitare pressione meccanica; vincendo con maggiore o minor lentezza quella difficoltà , che oppone al suo passaggio la mancanza maggiore o minore di conducibilità nel secondo corpo. Come nella elettricità, così nel calorico, la forza espansiva, cioè la forza re- pulsiva molecolare di questi due agenti, é causa della tendenza loro a distribuirsi sempre in una estensione maggiore. Vero é che generalmente l’elettrico si disper- de meno, quando l’atmosfera preme di più, ma in questo caso é generalmente an- che vero, che l’atmosfera stessa é più coibente, perché meno umidq; perciò nel caso medesimo, non la maggiore pressione, bensì la maggiore coibenza, è causa della minore dispersione dell’elettrico, dalla superficie dei corpi caricati di esso. Inoltre, poiché l’aria, che sta in contatto dell’elettrico, si elettrizza essa pure, men- tre non permette all’elettrico stesso di propagarsi, e poiché questo agente respinge (18) Comptes Rendus, t. 62, aa. 1866, pag. 460-453. — 317 — se stesso; così è chiaro che la dispersione della elettricità, dalla superficie dei corpi, elettrizzati, dentro un mezzo coibente, viene impedita dalla elettricità stessa. Dunque 1’ aria certo impedisce più o meno la dispersione dell’ elettrico, ma non col suo peso, bensì colla sua coibenza: che se l’aria si togliesse del tutto, e la umidità con essa, l’elettrico non si disperderebbe affatto ; poiché si ri- guarda il vuoto , come il mezzo più coibente di tutti. Non mancano fisici distinti che la pensano in così fatta guisa, ed il Belli è fra i medesimi : questo autore (19), con un dotto ragionamento, e col suffragio della sperienza, dimostra quanto erroneo sia, ritenere che nella pressione dell’aria consista la cagione, per cui la elettricità rimanga sulla superficie dei corpi; ed anche il De la Rive fa eco a così fatta opinione (v. §10). L’indicato concetto adunque, relativo alla pressione dell’aria, deve bandirsi dalle fisiche istituzioni. §. 4. Ora torniamo sull’argomento, che riguarda la esistenza della reale forza elettrica ripulsiva , per negare la quale fu citato (20) il seguente brano di Poisson : « au sommet d’ un cóne , la pressimi du fluide électrique devien- » drait infinie , si l’ électricité pouvait s’ y accumuler (21). w Da questo brano si volle concludere quanto siegue (22). « Se la repulsione teorica esi- » ste , dev’ essere impossibile all’ atmosfera , opporsi alla dispersione della » elettricità dalla punta di un cono elettrizzato, salvo che si sperimenti nel- )ì r aria compressa mediante un’ infinità di atmosfere. Ma oggi si cono- )) scono molte sperienze, nelle quali una punta elettrizzata non perde la elet- » tricità sua, quantunque comunichi liberamente coll’ atmosfera. Dunque la )) elettrica pressione vi esiste molto debole, invece di esservi grande infinita- )) mente. Dunque la elettrica repulsione punto non esiste. )> Riguardo a tutta questa conclusione osserviamo che, secondo la teorica di Poisson , la elettrica pressione al vertice di un cono, diviene infinita per sei condizioni. La prima di queste consiste nel perfetto equilibrio, per parte dell’ elettrico distribuito sul cono stesso, e non già nel moto. Questo perfetto equilibrio suppone una perfetta coibenza nell’aria, la quale non ha mai luogo, non esistendo fra i corpi uno, che sia perfettamente coibente. Così fatta con- (19) Corso elementare di fisica sperimentale, voi. 3.“, Milano 1838, pag. 538. (20) Comptes Rendus, t. 62, an. 1866, p. 430, li. 12. (21) V. Mémoires de la classe des scien. mat. et phys. de flnstit. Imp. de France, an. 1811, pag. 6, li. 10 salendo. (22) Comptes Rendus, t. 62, an. 1866, pag. 450 li. 15. — 318 — dizione, fu indicata esplicitamente dello stesso Poisson, avendo egli detto nel citato suo brano, che la pressione dell’elettrico contro l’aria, diverrebbe infinita nella punta di un cono, quando il fluido elettrico si potesse ivi accumulare. Fra le due pressioni elettriche contro 1’ aria , cioè quella che si riferisce alla teorica di Poisson, in cui si richiede l’equilibrio perfetto; e quella che si ri- ferisce agli sperimenti, nei quali avvi sempre il moto dell’elettrico, per man- canza di coibenza perfetta nell’aria, ed anche per la grande mobilità delle mo- lecole di questo fluido, esiste una differenza grandissima: similmente alla dif- ferenza che ha luogo, fra la tensione di una pila non chiusa, e quella che le appartiene quando essa è chiusa. La seconda condizione consiste, nel dover essere il vertice del cono elet- trizzato, un vero geometrico punto, lo che non è possibile raggiungere in pra- tica ; e la differenza che sussiste fra un materiale punta , e quella che la geometria considera, è grandissima. Perciò la tensione al vertice di un cono materiale, dev’essere molto minore di quello sarebbe, a parità di circostanze, se il cono fosse identico al considerato astrattamente, il quale non potrà mai dall’arte prodursi. La terza condizione voluta dall’ analisi di Poisson, consiste nel dovere essere il cono elettrizzato, libero del tutto, e posto in guisa da non esercitare colla elettricità sua, veruna influenza o induzione, sui corpi ad esso circostanti; affinchè non sia vincolata una parte della elettricità stessa, e perciò non sia diminuita la sua naturale tendenza. La quarta condizione richiede, che le molecole dell’ ambiente non sieno mobili ; affinchè non abbia luogo il trasporto dell’ elettrico della punta per parte delle molecole stesse. Per la quinta condizione si vuole, che il mezzo, nel quale la punta si trova immersa, non possa elettrizzarsi dalla elettricità della punta stessa, onde non venga impedito sulla medesima l’aumento della tensione. In fine la punta elettrizzata, ed è questa la condizione sesta, dev’essere talmente lontana da ogni altro corpo elettrizzato, da non poterne risentire nè attrazione, nè repulsione; affinchè non sia menomamente impedito alla punta, di raggiungere la tensione assegnatale dall’analisi. Qualunque delle indicate sei condizioni mancasse, non potrà mai la punta raggiungere la teoretica sua tensione; ma nella pratica niuna delle condizioni riferite, potrà mai completamente soddisfarsi. Dunque per via di sperienze, non potrà mai verificarsi la elettrica tensione infinita in una punta. Quindi si vede che .allo stesso brano di Poisson, fu attribuito un significato pratico, che — 319 — non potrà mai raggiungersi, e del tutto differente da quello, che veramente gli appartiene ; poiché le condizioni sopra indicate sono puramente astratte. Però sarà molto più preciso , e molto più conforme al fatto , sostituire nel brano citato di Poisson, alla parola pressione, quella di tensione o repulsione. §• 3. Ora passiamo ad analizzare una sperienza, da cui si credette poter conclu- dere, che la elettrica repulsione non esiste. Ma innanzi tutto riflettiamo essere tre, le cause favorevoli alla dispersione dell’elettrico; una per parte di que- sto agente, cioè la tendenza del medesimo a distribuirsi in estensione sem- pre maggiore : mentre sono due per parte del mezzo, in cui succede la di- spersione stessa , cioè la conducibilità di questo mezzo , e la mobilità delle molecole sue. Le cause poi contrarie alla dispersione indicata, sono anche tre; una per parte dell’elettrico, cioè la induzione da esso esercitata sui corpi cir- costanti, e due per parte del mezzo , cioè la sua coibenza , e la immobilità delle sue particelle. Si può accrescere l’effetto della coibenza che appartiene all’aria, cioè la dif- ficoltà che la medesima oppone al disperdersi dell’elettrico dalla punta di un cono, impedendo più o meno il moto delle sue molecole. Ciò si ottiene cuoprendo la punta stessa con un recipiente, che non conduca l’elettrico. L’effetto medesimo può essere accresciuto per mezzo della induzione della punta, esercitata sopra un corpo coibente, più o meno vicino alla punta stessa ; poiché in tal caso la elettricità della punta , inducendo sul coibente medesimo , resta in parte vincolata dalla induzione. Ciò premesso, la indicata sperienza consiste (23), nel collocare al centro di un disco coibente , una punta metallica , posta in comunicazione col con- duttore elettrizzato di una macchina elettrica. Si osservò che in questa di- sposizione, la punta disperdeva tanto meno, quanto essa più avvicinavasi al disco, cioè quanto meno sporgeva da esso; e che disperdeva molto più, quando era nell’aria libera , senza il disco. Dalla sperienza medesima , e da qualche altra che in seguito analizzeremo, si è voluto concludere, contro la esistenza della forza elettrica repulsiva. Fu opposto giustamente a così fatta conclusione , osservando (24) , che (23) Comptes Rendus, t. 60, an, 1865, p. 180 e 181. (24) Comptes Rendus, t. 60, an. 1865, p. 412, e seguenti. - 320 — la riferita sperienza , non è tale da menomamente affievolire le conseguen- ze della teorica , dell’ illustre geometra Poisson , su questo argomento. La spiegazione che della sperienza indicata si dette nel citato luogo’, consiste presso a poco in quella , che dalle antecedenti premesse discende. Cioè che la induzione esercitata fortemente sul disco coibente, da quella parte del cono, che sta vicino al disco medésimo, è la causa potissima , per la quale viene diminuita in questo caso la elettrica dispersione. Perciò la riferita sperienza non contraddice alla teorica di Poisson, sul potere disperdente delle punte, nè può condurre a negare la forza elettrica repulsiva. È però da osservare, che nella giusta opposizione ora citata, si dà per nuovo (25), essere una punta elettrizzata, e coperta da un vaso coibente, quasi del tutto priva del suo potere emissivo; invece questo fatto già fu riconosciuto, e studiato dai fìsici, molto prima (2fi) nel molinello elettrico, a tutti noto, e coperto da una campana di vetro. Si fa consistere la spiegazione del fatto medesimo, « dall’azione repulsiva (27), esercitata sul fluido del molinello, dalla elettricità » della stessa natura, che si deposita nel primo istante nella interna superfìcie » del vaso coibente, allorché questo inviluppa la totalità, od una gran parte » del mezzo gasoso, nel quale la punta si trova immersa ». Se taluno do- mandasse, da che nasce questa forza repellente; si dovrebbe rispondere, nasce dal moto impedito delle molecole aeree, le quali non possono escire dal vaso coibente; perciò mi sembra che questo impedimento, sia la prima causa del fatto di cui parliamo. §. 6. Altre sperienze furono immaginate, per concludere la non esistenza della elettrostatica repulsione, le quali ora esporremo « Al conduttore di una mac- » china elettrica (28) , munita di un elettroscopio sensibilissimo , si fissò » un’asta, colla punta diretta nell’aria. Dopo aver elettrizzato quel conduttore, » si aspettò che l’indice dell’elettroscopio, divenuto stazionario, denotasse che » la elettrica pressione alla punta, equilibrava la pressione atmosferica; presen- » tando allora una sfera metallica al conduttore, se ne ottenne una scintilla di (25) Coraptes Rendus, t. 60, pag. 413, li. 17 e pag. 414 li. 16. (26) Geliler, Wòrterbucb, ecc. t. 8.°, pag. 932, Lipsia 1836. (27) Coraptes Rendus, t. 60, an. 1865, pag. 414, li. 18 salendo. (28) Coraptes Rendus, t. 62, an. 1866, p. 450, li. 8 salendo. 821 ■— » un mezzo millimetro di lunghezza circa. Si concluse da questo fatto, che se » mediante un artificio, non preveduto dalla teorica, si fosse impedito a que- » sta elettricità di fuggire, sarebbesi realizzata la condizione voluta da Poisson, )) e si sarebbe forzato 1’ elettrico ad accumularsi alla punta ; in tal caso la )) lunghezza della scintilla tratta dal conduttore , data in mezzi millimetri , )) avrebbe rappresentato il numero delle atmosfere , bilanciate dalla pres- 5) sione contro 1’ aria , prodotta dal fluido elettrico , accumulato nella punta )) stessa ». » Tra questi artifici, si scelse quello di porre l’asta puntaguta, dentro un » tubo di vetro asciutto, che superava un poco la punta stessa. Questo tubo » aperto , ed avente da 2 a 3 centimetri di diametro interno , era stabilito » sull’asta medesima: si elettrizzò una piccola macchina, sino a trarre dal suo » conduttore scintille , ognuna per lo meno avente 100 millimetri di lun- » ghezza, e senza che la punta lasciasse fuggire in modo notabile la elettri- » cità, che accumulata stava sovr’ essa. La pressione che la elettricità della » punta medesima esercitava sull’ aria (si è creduto) dover essere in questo » caso di 200 atmosfere circa. » Ma ciò non è tutto: ciascuna delle punte collettrici acute del condut- y) tore, aveva presso a poco la medesima carica, e tuttavia niuna elettricità ì) emetteva sensibilmente ». » Per conseguenza, quando si traggono delle scintille, di 500 millimetri » di lunghezza, dal conduttore di una potente macchina elettrica, il fluido ac- » cumulato sulle punte collettrici, esercita sull’aria ambiente ad un’atmosfera, » e senza vincere la sua resistenza, una pressione di 1000 atmosfere! Si è preteso che « Questi risultamenti provano ad esuberanza, la non esi- » stenza della elettrica repulsione. In fatti per dimostrare (viene soggiunto) » che questa forza non esiste , non basta forse 1’ azione paralizzante di un » tubo, di cui l’apertura olfre libero adito al fluido elettrico della punta, sup- » posto così fortemente spinto dalla sua forza repulsiva ? » Passiamo ad analizzare il valore delle sperienze riferite ora, e da que- st’ analisi risulterà, che le medesime non danno verun diritto a concludere la non esistenza della elettrostatica repulsione; perchè le condizioni essenziali, onde la elettrica tensione di una punta elettrizzata , possa divenire infinita , non sono soddisfatte nelle sperienze stesse: le quali condizioni, secondo l’an- nalisi di Poisson, sono sei, già da noi enumerate, e dichiarate {$. 4). Appressando all’apertura superiore dell’indicato tubo di vetro, un qualunque — 322 — piano di prova , questo si ritirerà carico dell’ elettrico raccolto sulla stessa punta , come ho verificato , e come ognuno può verificare facilmente. Per- ciò non essendo soddisfatta in questa sperienza la prima, e la quarta delle ri- ferite condizioni, non può aspettarsi che la tensione della punta divenga in- finita. Ognuno poi vede, che nelle precedenti sperienze, l’elettrico della punta, induce tanto sull’aria contenuta nel tubo, quanto sulle pareti di esso; perciò questo fluido deve abbassare tanto più la sua tensione, quanto più cresce la induzione dal medesimo esercitata. Per tanto la terza condizione non essendo neppure soddisfatta, dovrà nuovamente concludersi, che la tensione della punta non può raggiungere l’ infinito. Il tubo esercita due diverse azioni sulla punta : in principio della spe- rienza, quando esso non è ancora caricato , accade semplicemente un’ attra- zione fra r elettrico della punta e l’ indotto nel tubo ; ed è chiaro che per questo fatto deve abbassarsi la tensione della punta, ed anche parzialmente impedirsi la dispersione dell’elettrico accumulato in essa. Dopo cominciata la sperienza, ed avendo essa durato un tempo sufficiente, il tubo acquisterà nel- l’estremo suo aperto, una carica omolologa della inducente, la quale, per essere sopra un isolante, non può scaricarsi nel suolo, e perciò dovrà esercitare un azione repulsiva, che diminuirà eziandio la tensione dell’elettrico, acquistato dalla punta, quindi anche la sua dispersione; perciò la tensione medesima non potrà divenire infinita. Continuando la sperienza, il tubo si caricherà in tutta la sua lunghezza, e la dispersione dalla punta, in questo caso, aumenterà, e per conseguenza diminuirà maggiormente la elettrica sua tensione. Dunque l’effetto del tubo, rispetto alla tensione della punta, consiste nel diminuirla, e nel non farla mai giungere a quella, che viene dall’ analisi assegnata, perchè le con- dizioni da questa volute, non si possono in pratica verificare. La seconda condizione, affinchè l’elettrico accumulato sulla punta, possegga una tensione infinita, si è che questa punta debba essere tale geometricamente. Ma siccome ciò in pratica non si otterrà mai, poiché le punte nella medesima sempre sono più o meno smussate; così è chiaro che la tensione stessa, ezian- dio per la mancanza di questa seconda condizione, non può giungere a quello che l’analisi assegna per essa. Il mezzo coibente , nel quale sta immersa la punta elettrizzata , non devesi elettrizzare omologamente ; affinchè non possa colla sua tensione di- minuire quella , che apparterrebbe all’ elettrico della punta. Ma nelle spe- rienze precedenti , come anche in ogni altra di questo genere , la elettriz- ~ 323 — zazione del mezzo, per parte della punta, non potrà impedirsi mai. Quindi è che, anche per la quinta condizione, non può la punta elettrizzata, giungere ad una tensione infinita. Riguardo all’asserto , che le punte collettrici del conduttore della mac- china, non emettevano elettrico; dobbiamo rispondere: che se ciò fosse, av- verrebbe certo, non già perchè manca la forza elettro-repulsiva, ma bensì per- chè quelle punte non soddisfano alla sesta condizione; per la quale, secondo la teorica di Poisson , la punta può raggiungere una tensione infinita. Questa condizione richiede, che la punta elettrizzata, sia quanto basta lontana, da un corpo elettrizzato omologamente; affinchè l’accumulazione, e quindi la tensione della punta stessa, non venga diminuita da quella, che appartiene all’elettrico del corpo vicino. Ma il disco della macchina , essendo elettrizzato omologa- mente alla elettrizzazione delle punte collettrici , queste non potranno tanto caricarsi , per quindi conseguire una tensione infinita ; e perciò dall’ indicato asserto, non sarà punto infirmata la teorica di Poisson. Se il tubo poi fosse metallico, e comunicasse col suolo , non potrebbe conservare la elettricità, omologa di quella che dalla punta gli viene comuni- cata; quindi non esisterebbe più la repulsione sull’elettrjco della punta, e vi ri- marrebbe soltanto un abbassamento di tensione, per l’esercizio della influenza sul tubo metallico stesso, contro la terza delle cinque indicate condizioni. §. 7. Passiamo ad analizzare altri argomenti sperimentali, prodotti per sempre negare la esistenza della elettrica forza repulsiva. Si è detto (29). « Ma il tubo )) sorpassa un poco la punta; dunque si può per la spiegazione, immaginare » una nuova forza repulsiva, non preveduta da Poisson, di cui sarebbe prov- » visto il bordo del tubo; la quale, obliquamente agendo sulla punta, contro- )) bilancerebbe la forza repulsiva del fluido, accumulato sulla punta stessa. » Ciò presso a poco è quello che fu proposto , per dare la spiegazione del » potere paralizzante di una campana di vetro, che ricuopre una punta elet- » trizzata. )) Ma questa spiegazione ingegnosa , sembra opporsi alla teorica. Dove » la pressione supera la resistenza che l’aria le oppone , questa cede, o, se (29) Coraptes Rendus, t. 62, an. 1866, pag. 451, li. IO salendo. — 324 — v> vogliamo, il vaso d’aria si rompe , quindi esce il fluido elettrico come per » un’apertura (a). Noi rispondiamo, che la spiegazione qui controversa, non solo è più vera che ingegnosa, ma neppure alla teorica si oppone. Poiché non è ammissibile affatto, essere la forza repulsiva, esistente fra la parte superiore del tubo e la punta, un artificio non compreso nella teorica di Poisson, ed immaginato soltanto dai fisici per salvarla. No certamente; giacché la repulsione indicata, costituisce il fonda- mento essenziale della teorica elettrostatica, secondo le viste di quell’ illustre geometra francese. In fatti qual fisico potrà mai negare, che due particelle dello stesso elettrico, tendono ad allontanarsi l’una dall’altra ? Ninno; poiché que- sto é un fatto sperimentale, che si potrà spiegare in diversi modi, ma che non può negarsi. Per tanto il tubo si deve col tempo elettrizzare internamente, per la elettrica dispersione che subisce la punta , come la sperienza dimostra ; quindi è chiaro che quell’azione, la quale produce l’allontanamento, fra le mo- lecole di elettricità dello stesso nome, deve aver luogo fra l’estremo del tubo e la punta, secondo la teorica di Poisson ; né perciò questo fatto, può dirsi un artificio immaginato a fine di salvarla. Per continuare a sostenere la non esistenza della elettro-repulsione, viene soggiunto (30). (( Quanto inammissibile sia la riferita spiegazione, basata sul- )) Tammettere una nuova forza repulsiva, procedente dalle pareti opposte alla » punta elettrizzata, vedesi dalla sperienza (§ 5); la quale mostra, bastare un » disco non conduttore, applicato a questa punta in guisa, che la medesima )) lo superi un poco , e tosto si annullerà quasi del tutto, l’emissivo potere » della punta stessa. Qui niun oggetto è posto avanti alla punta; ed il disco >' é dietro essa. Bisognerebbe dunque attribuire a questo disco, non più una » forza repulsiva, ma bensì una potenza attrattiva, equivalente a più centinaia » di atmosfere, per annullare la forza emissiva della punta ! Non é ciò inam- » missibile ? Osserviamo, come già indicammo (§. 6), che in questo caso, non è sod- disfatta la terza condizione (§. 4), voluta dall’analisi di Poisson, cioè che la elettricità della punta non eserciti veruna induzione; poiché nel caso della ora indicata sperienza, la elettricità della punta stessa, induce sul disco a lei vi- cino, e perciò diminuisce la sua tensione, quindi anche la sua dispersione. Per questa, e per le altre condizioni, prescritte dall’analisi di Poisson, ed anche non [a] Così Poisson si esprime, nella sua prima memoria di elettrostatica , V. Mém, de r Instit. Irap., an. 1811, p. 6, li. 16. (30) Comptes Rendus, t. 62, an. 1866, p. 452, li. 5. — 325 soddisfatte nella riferita sperienza, Telettrieo della punta stessa, non può rag- giungere quella infinita tensione, assegnatagli dalla teorica del tutto astratta. Se alla punta, munita del coibente disco, nel modo indicato, si avvicini un piano di prova; si troverà esso carico di elettricità, omologa di quella che ap- partiene alla punta. Quindi è chiaro che il coibente disco, non vale ad impe- dire completamente la emissione deH’elettrico dalla punta, ma solo a diminuirla. La vera spiegazione di questa sperienza, non è basata punto sopra l’esercizio di una forza repulsiva, ma bensì di un’attrattiva; ed è quella che si esercita fra l’ indotto disco, e l’ inducente punta: laonde si vede che la sperienza stessa, non può condurre logicamente a negare la forza elettro-repulsiva. §. 8. Avvi ancora un altra considerazione, per la quale non può dedursi dalle sperienze precedentemente riferite, la non esistenza della forza elettro-repul- siva. In fatti nelle sperienze medesime viene stabilita una proporzionalità, fra la lunghezza della scintilla, tratta dal conduttore della macchina elettrica, e la tensione, impropriamente detta pressione, della punta contro l’atmosfera, prima di aver ottenuta la scintilla stessa; vale a dire dopo che si credette stabilito, lo stato stazionario della carica posseduta dalla punta (31). Ma questa propor- zionalità non solo non ò dimostrata, ma neppure potrà esserlo; giacché avvici- nando una sfera metallica al conduttore della macchina , la carica elettrica del medesimo subisce una nuova distribuzione, accumulandosi tanto più verso la sfera indotta, quanto più questa si avvicina al conduttore stesso. Da ciò deriva che la lunghezza della scintilla, non è affatto proporzionale alla ten- sione dell’ elettrico accumulato sulla punta , e relativo allo stato stazionario di esso. Inoltre nelle indicate sperienze si crede, poter misurare la elettrica tensione, di un qualunque punto A del conduttore elettrizzato , punto che nelle me- desime consiste sempre nel vertice del cono, applicato al conduttore stesso; presentando ad un altro punto B del conduttore medesimo, una sfera metallica, che certamente fu posta in comunicazione col suolo. Quindi nelle sperienze indicate, la lunghezza della scintilla, ossia la distanza esplosiva del punto B dalla sfera, si ritiene proporzionale alla tensione del punto A; e ciò come di- cemmo, non può dimostrarsi vero. (31) Comptes Reudus, t. 62, an. 1866, p. 450, li. 8 salendo, p. 451, li. 15, e li. 21. — 326 — Poiché ognun vede, che le disposizioni delle sperienze di cui parliamo, sono appunto quelle, per cui si adopera lo spinterometro (32), il quale serve a mi- surare la carica complessiva del conduttore; non già la tensione di quel punto, dove questa è massima. Non vogliamo qui discutere, quanto sia giustificato l’uso di tale istromento, per la misura complessiva delle cariche ; però certo è, che le indicazioni del medesimo sono, almeno prossimamente, giuste ri- spetto alla misura stessa, come deve concludersi delle sperienze di Riess, il quale fece uso dello spinterometro, per misurare le cariche dei piattelli del condensatore (33), e della boccia di Leida (34). Questo fisico misurò la carica elettrica in due modi, cioè colla bilancia di torsione, e collo spinterometro ; e vide che questi due modi, si accordavano insieme nel dimostrare, che le cariche sono proporzionali alle distanze esplosive, vale a dire alla lunghezza della scintilla. Soggiunge però il fisico medesimo, che la bilancia di torsione, forniva risultamenti di esattezza maggiore. Anche altri giunsero alla medesima coneguenza, fra’ quali deve il sig. Harris essere compreso (35). Perciò se con d, c, kj k', esprimiamo rispettivamente la distanza esplosiva , ovvero la lunghezza della scintilla, la carica del conduttore, e due costanti, avremo (a) d==kc . Ma sebbene lo spinterometro, possa misurare la carica complessiva di un condut- tore elettrizzato, certo è che non potrà misurare la tensione di un suo punto qua- lunque ; non potrà quindi verificarsi quanto viene supposto, nelle precedenti sperienze che analizziamo, essere cioè la lunghezza della scintilla proporzionale alla tensione t di un punto qualunque del conduttore, non escluso quello che appartiene al vertice del cono, applicato al conduttore stesso. In fatti suppo- niamo vera sì fatta proporzionalità, ed avremo la (b) d — k't; combinando questa equazione colla precedente, se con H indicheremo una terza costante, otterreilio (c) f = He , (32) Corso elem. di fisica sperira. di G. Belli. Milano 1838, t. 3, pag. 55, li. 9, sai. (33) Riess Die Lehre von der Reibungselectricitàt. Berlin 1853, voi. l.°, p. 329, li. 15. (34) Idem, p. 377, li. 5. (35) Lecons élémentaires d’électricité traduites et annotées par Garnault, Paris 1857, pag. 120, li. 10. vale a dire, saremo condotti da quella supposizione, ad ammettere la tensione di un punto qualunque, proporzionale alla carica del conduttore. Ma è facile riconoscere, non potersi ammettere questa proporzionalità nelle sperienze di cui parliamo. Infatti dalla teorica di Poisson (36) risulta , che se la distanza fra due corpi conduttori, uno elettrizzato e non 1’ altro, si mantenga costante; allora soltanto la tensione io qualunque punto del corpo elettrizzato, riesce propor- zionale alla carica del conduttore stesso. Poiché se quella distanza variasse, allora il diverso avvicinamento ad un qualunque punto del conduttore, farebbe cangiare in ogni luogo del medesimo la elettrica distribuzione; quindi anche la sua tensione, senza che abbia la carica menomamente cangiato. Ma nelle ri- ferite sperienze, cangia continuamente la distanza in proposito, cioè la distanza fra la sfera eccitatrice, la quale agisce come spinterometro, ed il conduttore; dunque, relativamente alle sperienze stesse, non può verificarsi la (c); quindi neppure la (à), che da questa, e dalla (a) discende. Laonde, poiché non può verificarsi la [h), non potremo ammettere, quello che viene supposto vero nelle indicate sperienze, cioè che la lunghezza della scintilla sia proporzionale alla tensione della punta; e cessano perciò le conclusioni, dedotte dalle sperienze stesse. §. 9. Potrebbe taluno credere, che ad una elettrica tensione infinita, debba sem- pre corrispondere una elettrica dispersione pur essa infinita. Però vedremo in questo paragrafo, che sebbene la elettrica tensione al vertice di un cono, teo- reticamente debba essere infinita; non per questo dovrà essere tale anche la elettrica dispersione del cono stesso. Poiché la tensione infinita solamente ha luogo in un punto geometrico, cioè nel solo vertice del cono, e non in una sua zona di estensione finita. Ma la dispersione di un elemento super- ficiale deve stare necessariamente in proporzione dell’area sua. Perciò la di- spersione del vertice, vale a dire di quella parte del cono che possiede tensione infinita, dovrà esprimersi analiticamente, dal prodotto di un fattore infinito, cioè dalla tensione, per un altro fattore infinitesimo, cioè per l’area della punta. Ma il I prodotto Gc * — non presenta in generale un valore infinito; dobbiamo perciò (36) Mémoires de l’Inslitut Imperiai, Aonée 1811, pag. 7, li. 12. — 328 — concludere, che fra tutte le dispersioni degli elementi superficiali del cono, av- vene una soltanto, la quale può avere un valore finito: e siccome le disper- sioni di tutti gli altri elementi superficiali del cono , sono infinitesime ; così vediamo che la dispersione totale del cono stesso, può riescire quantità finita. Vediamo cioè che, dall’essere infinita la elettrica tensione della punta, non può concludersi che la elettrica dispersione sua , come anche di tutto il cono , debba essere infinita. Accade similmente neiranalìsi, ove si hanno integrali definiti, di cui la funzione diviene, per certi valori della variabile, un infinito rispetto gli altri valori della variabile stessa ; e con tutto ciò si trova, che l' integrale riesce finito. Così p. e. abbiamo /a 1 l/'x ì valore finito, sebbene per x — oh funzione divenga infinita. Da ciò si Y ^ deve concludere , che cantando le x sull’asse del cono, e coll’origine al sua vertice, quando la tensione sulla superficie del medesimo fosse rappresentata ì da p:^, la dispersione sarebbe realmente finita, quantunque debba essere la tensione infinita, nel suo punto corrispondente ad a: = o. Nelle sperienze analizzate (§ 6), si è creduto, che la elettrica tensione, mi- surata erroneamente (§ 8) collo spinterometro, possa misurarsi pure colla pres- sione deH’atmosfera, che nelle sperienze stesse, fu a torto riguardata causa neces- saria, per impedire la elettrica dispersione. Questo concetto include, che la con- ducibilità dell’aria si debba, in parità di circostanze, considerare inversamente proporzionale alla sua pressione ; per conseguenza dovrebbesi riguardare il vuoto qual conduttore perfetto. Quanto erronea sia questa opinione, può vedersi da ciò che siegue. Chi ammette che la elettrica tensione, possa misurarsi colla pressione del- l’aria, e che la elettrica dispersione venga impedita dalla pressione stessa (37), (37) Cotuptes Rendus, t* 62, aa. 1866, p,. 450 li. 25, e pag. 451, li. 5. — 329 — deve ammettere necessariamente, che la conducibilità per l’elettrico sia mag- giore nell’aria secca rarefatta, e minore nell’aria medesima compressa. La fal- lacia di questa conseguenza, viene dimostrata dai ragionamenti che sieguono, e che sono istituiti da fìsici di molta rinomanza. L’ illustre De la Rive si esprime a questo modo su tale argomen- )) to (38). 1 fatti dimostrano, che se l’aria trattiene la elettricità sulla su- » perfìcie dei corpi, ciò non è punto per la pressione che la medesima eser- » cita, ma bensì pel potere isolante, che dalla sua natura stessa dipende. L’aria, )) non altramente che i gas, agiscono adunque come uno strato isolante di re- » sina: e poiché nel vuoto il più perfetto, i corpi ritengono ancora sulla su- )) perfìcie loro uno strato d’aria, che vi si mantiene aderente ; questa circo- )) stanza spiegherebbe perchè i fenomeni elettrici, si manifestano ancora nel » vuoto .... Il sig. Harris ha osservato, che le repulsioni, e le attrazioni )) fra corpi conduttori elettrizzati, hanno luogo nel vuoto come nell’aria: nuova )) prova dell’errore che si commette, facendo entrare la pressione atmosferica » nei fenomeni di elettrica dispersione ». Sopra la coibenza del vuoto, furono istituite molte ricerche da vari autori; però le relative sperienze presentano qualche difficoltà per produrre un vuoto realmente secco : giacché la umidità sviluppata dalla rarefazione dell’ aria , rende più conducibile questa. Molti si servirono del vuoto barometrico, pro- dotto da un mercurio bollito bene. Così Walsh (39) construì un sifone a mercurio, coi pozzuoli isolati , e più alto dell’ altezza barometrica , in guisa che le due colonne di mercurio , venivano separate da un vuoto. Comuni- cando poi ad una delle due colonne di mercurio un poco di elettricità, vide la luce nella parte vuota , ed elettrizzarsi 1’ altra colonna. La luce non ap- parve, quando il mercurio era prima bene bollito , e la seconda colonna di mercurio non si elettrizzò affatto, lo che provava la coibenza del vuoto. Que- sta ricerca sperimentale si fece alla presenza di Franklin, De Lue, e Cavallo. Morgan (40) modificò alquanto la sperienza stessa, coprendo la esterna parte di una camera barometrica colla stagnuola; poscia comunicando a questa una carica elettrica, vide la luce nell’ interno, quando il mercurio non fu bollito a bastanza, mentre nel contrario caso, il fenomeno luminoso più non si produceva. Que- (38) Traile de réleclricité théorique et appliquée, voi. l.“, pag. 128, li. 4. (39) Gilbert Annalen, voi. Il, an. 1802, p. 160, li. 5 salendo. (40) Philosophical Transaclions, f. 1785, p. 272. — Belli corso elem. di fis., voi. 3.®, p. 547, Milano 1838. — 330 — sta sperienza, si deve spiegare, assomigliando l’adoperato congegno ad una boc- cia di Leida, e riguardando la luce, che comparve nell’ interno, come l’effetto di un trasporto della elettricità libera, sviluppata dentro la camera del baro- metro stesso, nella quale l’aria costituiva l’armatura interna. Erman si valse anch’esso della camera barometrica (4 1 ) ben secca, nella quale entrava un filo di platino, traversando il tubo, ma senza toccare il mer- curio; mentre un’altro filo, posto nel pezzuole, era in comunicazione con un elet- troscopio sensibile; dando al filo di platino superiore una carica elettrica, vide che l’elettroscopio rimase immobile: ciò dimostra che il vuoto non conduce. Il sig. Eisenlohr riconobbe la coibenza del vuoto, avendo egli detto, che il vuoto si contava erroneamente fra i conduttori (42), e il sig. Wiedemann dice che il vuoto perfetto e asciutto, diviene coibente (43). 11 celebre Davy (44) , adoperò contemporaneamente la macchina pneu- matica ed il mercurio, per produrre in un tubo il vuoto, nel quale introdusse un filo di platino, saldato alla estremità chiusa del tubo stesso^ ed avendone pendenti altri due sottilissimi , onde servire da elettroscopio. Vide con que- sto mezzo il nominato fisico , che il vuoto non è buon conduttore dell’elet- ti-ico, e che lo è tanto meno, quanto più la sua temperatura diminuisce; però sembra che il vuoto in queste ricerche non fosse giunto ad essere perfetto. Col vuoto della macchina pneumatica sperimentò anche Dessaignes (45), il quale vide che un elettroscopio, caricato di elettricità, divergeva sotto la campana per due ore. Harris fece questa medesima sperienza (46), e vide che l’elettroscopio non subì veruna diminuzione, quando la densità dell’aria si era ridotta ad Anche Riess (47) trattò così fatto argomento; e dalle sue sperienze ottenne quel medesimo successo, che già fu ottenuto dai citati autori. Inoltre questo fisico riconobbe, che la presenza di un altro corpo, vicino a quello elettrizzato, influisce molto sopra i risultamenti di queste ricerche. Per tale presenza la (41) Gilbert Annalen, voi. 11, an. 1802, p. 163. (42) Lehrbuch der Physik 1863, p. 520. (43) Die Lehre vom Galvanismus Braunschweig 1863, voi, 2.°, p. 872. (44) Philosoph. Trans, f. 1822 pag. 64, e seg. — Belli, opera citata, pag. 548, li. 21. — Pianciani, op. cit. pag. 50, li. 11 salendo. (45) Gilbert Annalen, voi. 48, pag. 50. (46) Pbilosoph. Trans, f. 1834, p. 213 — Repertoriuni der Physik, voi. 2, p. 14. (47) Idem voi. 2, pag. i5. — 331 — . elettrica dispersione deve accrescersi; e secondo le sperienze del Riess, l’au- mento è maggiore nell’ aria rarefatta, che in quella di densità ordinaria. Da ciò si vede che l’azione complessiva dell’aria rarefatta e del secondo corpo , in parità di circostanze, possono favorire la dispersione indicata. In fatti dal citato fisico si riferiscono i risultamenti numerici di alcuni sperimenti , dai quali è comprovata la giustezza di questo asserto (*). Il sig. Gassiot (a) , in occasione de’ suoi studi, riguardo alla stratifica- zione della elettrica luce , riconobbe anch’esso , che il vuoto perfetto è coi- bente. Questo dotto fisico produsse il vuoto entro un tubo di Geissler , per mezzo del gas acido carbonico rarefatto , che fece assorbire poi dall’ idrato di potassa, fuso in un piccolo recipiente, posto a comunicare coll’ interno del tubo stesso. In siffatta sperienza, egli vide sparire del tutto la luce, quando in- terpose il tubo indicato, fra i roofori di una fortissima elettrica pila. Inoltre il nominato fisico vide ancora, che gli elettrometri, applicati sugli estremi dei roofori medesimi , non diminuivano punto le divergenze loro. Tutto ciò di- mostra evidentemente , che il vuoto perfetto , anche per la elettricità dina- mica, è coibente. Il fatto che la presenza di un altro corpo, vicino a quello elettrizzato, accresce la elettrica dispersione di questo, nell’aria rarefatta, rispetto quella nell’aria densa, deve spiegarsi come siegue. Dalle mie sperienze (48) si con- clude, manifestarsi la induzione più forte nel vuoto, che nell’aria. Ciò posto, si vede che anche 1’ attrazione fra 1’ elettrico indotto e 1’ inducente, debba essere maggiore nel vuoto che nell’aria. Ma la elettrica dispersione, prodotta dal corpo vicino all’ inducente, dipende ad evidenza da due cause, cioè dalla conducibilità dell’aria , e dall’attrazione fra le due elettricità, una inducente , l’altra idotta. Chiaro adunque apparisce come di queste due cause, la seconda crescer debba col diminuire la densità dell’aria. Le indicate mie sperienze per provare, che la induzione, tanto rettilinea, quanto curvilinea, si accresce nel vuoto, sono anteriori a quelle dal sig. Gaugain, fatte molto dopo, cioè nel 1864, colle quali questo distinto fisico, non dimostrò l’ indicato aumento della indu- zione, sia rettilinea sia curvilinea; ma soltanto che la rettilinea non diminuiva, rarefacendo l’aria, contenuta nella campana, ove il fenomeno stesso veniva pro- dotto (b). Quindi credo aver dimostrato, molto prima del sig. Gaugain, che (*) Reperlorium der Physik, t. 2, p. 14, li. 2, salendo. [a] Poggendorf, Annalen, voi. 112, p. 156. (48) Comptes Rendus, t. 43, an. 1856, pag. 721, 8.“ [b] Cosmos, voi. 24, pag. 680. — Les mondes, t; 5.°, p. 542. 45 — 3S2 — la induzione elettrostatica, od influenza elettrica, si trasmette più energicamente per mezzo deiretere, sostanza coibente, non potendosi trasmettere affatto per mezzo della materia conduttrice. Secondo il eh. fisico Matteucci (4-9) , la, dispersione diminuisce nell’ aria secca tanto più, quanto più decresce la densità deU’aria. Ma quando si tratta della scarica disruptiva fra due corpi, uno inducente, raltro indotto, la disper- sione viene favorita dall'aria rarefatta, perchè in questo caso la induzione di- viene più forte; ed il citato autore trovò, che il residuo dopo la scarica, è proporzionale alla densità dell’aria : però non crediamo potersi confondere la scarica disruptiva colla dispersióne , perchè la prima è una neutralizzazione, mentre la seconda è una comunicazione. Nè possiamo esclusivamente ammettere, doversi negare (50) che « le mo- )> lecole gassose vengano attratte dai corpi elettrizzati, li tocchino, e ne sieno in seguito respinti per cedere il posto loro alle altre.)) Perciò dissentiamo eziandio che possa esclusivamente supporsi « accadere (51) per le molecole dei )> gas, ciò che accade per quelle dei solidi e dei liquidi; cioè che queste mo- )) lecole sono attirate dai corpi elettrizzati, restano aderenti ai medesimi, at- )) tirando altre molecole gassose attorno esse, in guisa da propagare la elet- )) tricità da molecola a molecola, come nei solidi; e che solo nel caso delle )) forti cariche elettriche avvenga, che le molecoìé gassose possano essere po- )) ste in moto, come pei solidi, e pei liquidi avviene )). Non possiamo in tutto ciò convenire ; poiché ammettendo esclusiva- mente questo concetto, si dovrebbe ritenere, che la comunicazione deirelet— trico , trattandosi di cariche non molto forti , ha luogo soltanto per mera conducibilità, e non per trasporto, Non voglianao negare che nei gas, in certe circostanze, quando specialmente la mobilità delle molecole loro non è per- fetta, abbia luogo la comunicazione deirelettrico anche per effetto di condu- cibilità : ciò può verificarsi nelle precedenti sperienze , istituite colla punta elettrizzata, e chiusa in un inviluppo coibente, ovvero in una punta , poco sporgente dal centro di un disco pur esso coibente, nelle quali disposizioni , viene in tutto , od in parte impedita la mobilità delle molecole. Dobbiamo però ammettere, che, tolto Timpedimento alla mobilità, la propagazione dell’ elet- trico nei gas, avvenga in generale, tanto per conducibilità, quanto per trasporto, (49) Ann. de chim. et de phys., 3.® sèrie 1850, t; 27, p. 415. (60) Becquerel, Traité d’éleclricilé et de magnetisme, t. l.“, Paris 1855, p, 48, li. 7. (51) Luogo citato. — 333 ma più in questo secondo modo. In fatti vediamo che un corpo elettrizzato, attira corpi leggieri, e poi li respinge, anche allorché la sua carica è debole, nè la repulsione manca mai. Perciò le molecole dell’aria, che sono tanto più mobili di ogni altro corpo, debbono a fortiori subire la elettrica repulsione, quando la mobilità loro non è impedita. Inoltre il molinello elettrico, ed il venticello elet- trico, sono fenomeni che riescono sensibili, anche per piccole cariche; e sono una prova evidente, che la elettricità nei gas, viene comunicata dalle molecole loro per trasporto, quando la mobilità delle medesime non abbia verun im- pedimento. L’ indicato trasporto si vede anche meglio nelle sperienze, fatte (52) immergendo neH’olio di Colza due corpi, uno inducente, l’altro indotto. Per tanto due sono i modi coi quali 1’ elettrico in un luogo passa nel- l’altro, cioè: 1 .° per trasporto, simile a quello col quale il calorico principal- mente si distribuisce nei liquidi , e nei fluidi elastici: 2.° per conducibilità , modo simile a quello col quale il calorico si distribuisce nei solidi , e con- tro questa distribuzione agisce, tanto per l’elettrico, quanto pel calorico la coi- benza , per la quale viene più o meno impedita la distribuzione stessa. Un terzo modo avvi,, non identico in ambedue questi agenti, ma simile nei mede- simi, col quale l’uno e l’altro manifestano a distanza i loro effetti; ed è per l’elettrico la elettrostatica induzione, mentre pel calorico, è il suo raggiamento. La differenza fra la induzione stessa, ed il ruggiamento calorifico, risiede in questo, che la influenza elettrica nè toglie, nè aggiunge all’ indotto isolato la benché minima dose di elettricità; però il raggiamento calorifico, accresce nel corpo che lo subisce la sua temperatura. Dunque se consideriamo il passag- gio dell’ azione di questi due agenti da un luogo all’ altro, vediamo che per ognuno dei due si manifesta in tre modi ; e ciò costituisce una correlazione fisica fra l’elettrico, ed il calorico. Inoltre dal vedere che tanto la elettricità, quanto i! calorico sono trattenuti sui conduttori, non dalla pressione contro i medesimi del mezzo che li circonda, ma dalla mancanza di conducibilità del mezzo stesso, troviamo in questo fatto un’ altra correlazione fìsica fra questi due agenti, elettricità, e calorico. Abbiamo trattato della elettrica dispersione, relativamente alla densità dell’aria, nella quale succede la dispersione medesima; ed abbiamo veduto che gli autori tutti ritengono, contro le citate sperienze (§ 6, e § tO), che questa dispersione de- cresce col diminuire delia densità dell’aria secca, cioè coll’avvicinarsi al vuoto. Però (32) Comptes Rendus, t. 62, an. 1866, p. 232, e seg. — 334 — avvi ancora un altra causa, che modifica essenzialmente la elettrica dispersione, avvi cioè la umidità, della quale non si tenne conto affatto nelle citate sperienze (§ 4, 5, 6, 7). L’effetto della umidità fu sperimentato da più fisici, ed in particolare da Coulomb, e dal eh. Matteucci. L’effetto medesimo è sensibilissimo; cosicché trattandosi dell’atmosfera, in cui la densità varia fra limiti angusti, la elettrica dispersione a causa della umidità, varia fra limiti molto fra loro distanti; cioè si trovò in quattro giorni di sperimenti, essere il suo minimo ed il ^uo mas- simo effetto, nel rapporto di 1:5, come risulta dalle sperienze di Coulomb (53). Da tutte le osservazioni che abbiamo fatto precedere, si vede quanto sia mal fondato il concludere (54) « allorché dunque si traggono, dal conduttore di » una potente macchina elettrica, delle scintille di 500 millimetri di lunghezza, )) il fluido elettrico accumulato alle punte collettrici, esercita sull’aria ambiente » ad un’atmosfera, e senza vincere la sua resistenza, una pressione di 1000 » atmosfere. » H. In una nota contro i riferiti sperimenti (§. 5), di cui le conseguenze fu- rono evidentemente da noi riconosciute false colle precedenti osservazioni, fu detto (55). (( È da osservare che lo stato di elettrica tensione alla punta di un » cono, risulta non solamente dallo stato del fluido in questo medesimo luogo, » ma eziandio dall’azione repulsiva, esercitata dall’ insieme dello stato elettrico » distribuito alla superficie del cono medesimo, che noi supponiamo in libera )) comunicazione col suo vertice. Quando s’ interpone fra questo, ed il resto )) della superficie, un disco molto largo, cattivo conduttore, come la gomma )) elastica, e sul quale la punta del cono emerga pochissimo, le azioni reci- » proche, fra gli strati elettrici verso la punta, e sul resto del cono, separate in )) tal guisa, non sono più nelle condizioni degli strati elettrici, che la teorica » matematica suppone assolutamente liberi. La differenza delle condizioni » è sopra tutto manifesta dalla sperienza (56), nella quale un disco largo, )) e cattivo conduttore , forma ostacolo allo scorrere libero e continuo, )) del fluido , dalla base al vertice della conica superficie , che questo disco (53) Riess Elettrostatica, voi. 1.' p. 115, — Mém. de l’Acad. de Paris, 1785, pag. 616, nelle ultime due linee. (54) Comptes Rendus, an. 1866, t. 62, pag. 451, li. 20. (55) Comptes Rendus, an. 1865, t. 60, p. 412, li 20. (56) Comptes Rendus, an. 1865, t. 60, pag. 180, li. 2 salendo. » serra presso il vertice stesso. Egli è presumibile che , se invece di tro- » varsi a contatto immediato con questo largo collaro isolante , la punta » passasse liberamente a traverso un’ apertura piccola , praticata nel centro )) del disco, d’altronde convenientemente sostenuto , ma senza che la punta )) fosse a contatto coi bordi del disco medesimo, il potere della punta, non sa- )) rebbe affatto diminuito, e l’escita del fluido, presso a poco si effettuerebbe, » come se la medesima fosse del tutto isolata nell’aria. »... Osserviamo relativamente al riferito brano: ì Che lo stato elettrico di una punta , cioè la elettrica sua tensione , risulta principalmente dalla cur- vatura, la quale nella punta essendo infinita, rende anche infinita la sua ten- sione. L’ altezza del cono può variare , crescendo e diminuendo , quanto si vuole, che l’ insieme degli strati elettrici, sottoposti al vertice del cono stesso, non avranno influenza tale, da impedire che nel vertice medesimo, la tensione sia sempre teoricamente infinita. 2.° Che sebbene il collaro di coibente stringa il cono, la elettricicità passerà sempre a traverso tale strettura, percorrendo la superficie conducente del cono, e si accumulerà sulla punta. 3.° La disper- sione del fluido elettrico dalla punta del cono , si effettuerà molto più , se questo sia collocato in aria libera , di quello che se il medesimo traversi un largo foro, praticato in un disco non conduttore senza toccarlo. 4.° Che la causa primaria, per la quale il disco non conduttore, impedisce in parte la dispersione dalla punta del cono, è la induzione, da cui viene vincolata in parte la elettricità della punta stessa, come già fu dichiarato (§ 5). Questa è anche la causa da cui la elettrica corrente dei telegrafi sottomarini, corre meno veloce, di quella nei fili telegrafici, che sono immersi nell’aria, come Faraday osservò pel primo. Sembrò evidente a taluno (57), che il disco non conduttore, traversato nel centro dalla punta « non potesse avere alcuna influenza , che attenuasse » la forza repulsiva del fluido elettrico della punta medesima ; poiché dalla » relativa sperienza, il disco non altramente che l’aria circostante, sono l’una » e r altra coibenti. » Questo asserto è inammissibile , a motivo dell’ attra- zione fra r elettrico della punta ed il disco di gomma elastica , per lo che non può negarsi, esistere un’ influenza per parte del disco, sulla forza repul- siva del fluido elettrico della punta, come tanto esplicitamente già fu esposto (§. 5); cosicché non crediamo necessario con altre parole su ciò trattenerci. (o7) Comptes Rendus, t. 60, an. 1865, pag. 181, li. 3. — 336 § 12. • Gli sperimenti che abbiamo analizzato (§ 4, o, 6, 7), hanno per iscopo negare la esistenza della forza elettro-repulsiva ; e noi dimostrammo , che non valgono essi punto a negare la esistenza della indicata forza. Ora vo- gliamo , a compimento del nostro assunto, in questo paragrafo, e nel se- guente § 15, dimostrare, tanto razionalmente, quanto sperirnentahriente la esistenza stessa. Dimostrazione razionale. Dietro l’osservazione' del solo fatto generale, che l’elettricità libera portasi dall’ interno, alla esterna superficie dei corpi con- duttori, che ivi per modo si distribuisce, da cresce o decresce colla curva- tura, e che la inducente respinge la omologa sull’ indotto isolato, si dimostra a priori la esistenza della forza ripulsiva elettrica. Da ciò si dimostra eziandio col calcolo, che questa forza è in ragione inversa del quadrato della distan- za (58): due fatti che hanno ricevuto il suffragio della sperienza. Inoltre le conseguenze dedotte dall’analisi di Poisson, relative alla distribuzione deH’elet- trico equilibrato sui conduttori, suppongono la esistenza della forza elettrica repulsiva, e sono convalidate dagli sperimenti ; ciò costituisce un’altra prova che la repulsione indicata esiste. Facciamoci da ultimo a rifiettere suH’analisi, che conduce alla formula, valore della repulsione risultante fra due corpi elettrizzati omologamente, per es. fra due sfere , nel qual caso il calcolo giunge facile a determinare la formula indicata. L’analisi per questo fine, tutta consiste nella ipotesi, che la repulsione fra due elementi, uno appartenente alla prima sfera, l’altro alla se- conda, non sia già soltanto un’apparenza, ma bensì una realtà. Inoltre l’ana- lisi medesima è anche basata sul fatto sperimentale, che cioè la forza elet- trica si eserciti nella ragione inversa del quadrato della distanza. E per giun- gere alla indicata formula , si considerano senz’ altro la estensione super- ficiale dei due citati elementi , la distanza fra loro , e le densità elettriche di essi. In primo luogo consideriamo una sola sfera, che, per evitare ogni diffi- coltà, supporremo essere di uu perfetto coibente, dentro un ambiente pur esso (S8) Plana, sur la distribution de l’électricité à la surface de deux sphères conductrices, Exlrait des mémoires de l’acad. des Sciences. T. VII, sèrie % an. 1844 -Turin 1843, p. 323. tale. Dicasi r il raggio qualunque della sfera medesima, rappresentiamo con C la sua carica elettrica , che supporremo sempre uniformemente distribuita sulla superfìcie della sfera stessa. Rappresentiamo con a la distanza fra il cen- tro di questa sfera, ed il punto sul quale agisce per mezzo di reciproca repul- sione: la carica elettrica, omonoma di quella del punto medesimo, si esprima con c; finalmente § esprima la densità deH’elettrico, in ogni punto della sfera. Im- maginiamo la superfìcie sferica divisa in tante zone, di altezza infinitesima , prodotte da sezioni, ognuna perpendicolare alla retta che indicammo con a. Pel teorema di Archimede , f area di una qualunque di queste zone, sarà espressa con ^nrdx , e la massa elettrica distribuita sulla zona medesima sarà InrMx . Per avere l’elemento differenziale di questa massa, corrispondente alle coor- dinate ortogonali ic, ij, che hanno la origine loro nel centro dalla sfera, in- tendiamo divisa nuovamente la sfera medesima, con tanti piani vicinissimi fra loro, e tutti passanti per la distanza a ; cosicché f angolo fra due consecu- tivi dei medesimi sia df. Chiamando è la massa elettrica, contenuta in uno qualunque degli elementi della zona indicata , la troveremo per mezzo della seguente proporzione e : ^n^rdx = dcp : '2n , donde e = ^rdxd

■ a;, posseggono il mede- simo segno algebrico ; quindi è chiaro che per determinarne 1’ azione totale, possiamo integrare il precedente valore di q fra i limiti — ^ r ed come di fatto abbiamo eseguito precedentemente. Ma trovandosi quel punto nell’ interno della sfera, le azioni degli elementi anulari di essa non conserveranno il medesimo segno, quando la x percorre i suoi valori da -+- r, sino all’altro — r, ed essi passeranno dal positivo al nega- tivo, quando x — a. Da ciò si vede che in tale caso , debbonsi trovare se- (60) Hisloire de l’acad, royale des Sciences, an. 1785, p. 672, e pag. 611, (l.°). paratamente le azioni delle due calotte sul punto compreso da esse. Le due calotte medesime, vengono prodotte da una sezione della sfera, passante pel punto, e perpendicolare alla retta che congiunge questo, col centro della sfera stessa. Il valore numerico di queste azioni , sottratto uno dall’altro , darà il valore della risultante loro sul punto dato. Ora considerando la calotta, per la quale tutte le ascisse hanno il me- desimo segno, si trova (a‘^ — 2ca; h- ovvero Q = 27t5j tax — *1 j/" [a} -H v‘‘ — '2ax)j tax). = "inarca = ^nòrca — r -4- (/■(r^ - -| r'^ — 2ar) a® J/" {r'^ — a^)l _iJ=2„o,e[ yj- Questa è l’azione, fra il punto in proposito e la calotta indicata, di cui la base dista di a dal centro della sfera. Per avere l’azione della seconda calotta, sul punto medesimo, dovremo integrare il valore simbolico di Q fra i nuovi limiti a, e — r, appartenenti all’ azione stessa. Ma eseguendo questa integrazione , si ottiene lo stesso ri- sultamento, già ottenuto per la prima calotta, ma di segno contrario. Dunque dobbiamo concludere , che ognuna delle due calotte agisce ugualmente , sul punto compreso dalle medesime; perciò queste azioni sono eguali e di segno contrario fra loro: di qui discende che quel punto, subisce un azione totale zero, quando è dentro una sfera. § 14. Dimostrammo analiticamente , che 1’ azione tanto attrattiva quanto re- pulsiva di una sfera, sopra un punto interno alla medesima, è nulla. Però trattandosi di materia elettrica, si osservi bene che questa , non solo agisce meccanicamente sul punto, sia dentro, sia fuori del corpo elettrizzato; ma vi agisce anche fisicamente, cioè decomponendo il fluido naturale del punto stesso. Questa azione fisica non è considerata nel precedente calcolo, come neppure nell’analisi più volte citata di Poisson, ed in quella di ogni altro fìsico geo- metra, che abbia trattato la elettrostatica col calcolo; ed è un’omissione vera il non averla mai considerata. Per tanto , se la sfera sia di coibente , ognuno vede che l’azione fisica dell’elettrico distribuito uniformemente sulla sfera stessa, potrà esercitarsi sul punto interno, senza che ne nasca verun assurdo: questo punto perciò rimarrà in equilibrio, perchè l’azione meccanica sul medesimo è nulla; ma subirà esso ad un tempo la induzione: cioè il suo fluido naturale sarà decomposto; però, mediante la coibenza, non potrà 1’ omologo dell’ inducente dipartirsi dal me- desimo punto. Se poi la sfera , sia di materia conduttrice , in tal caso , quante volte si ammettesse che 1’ azione elettrica possa traversare anche i conduttori , ne verrebbe che il punto , come nel caso precedente , non po- trà concepire verun moto ; ma dovendo subire anch’esso la decomposizione del suo fluido naturale, l’ omologo dell’ inducente, per essere la materia con- duttrice, si dovrà portare alla superficie della sfera, ed aumentarne la carica. Laonde si dovrebbe verificare una maggiore induzione sul punto stesso, per la quale nuovamente la carica superficiale della sfera si accrescerà : e così all’ infinito. Quindi è chiaro che , supppnendo essere la materia conduttrice , permeabile dall’azione elettrica induttiva, dovrebbe verificarsi un assurdo; cioè un moto perpetuo dell’elettrico, dal punto supposto nell’ interno della condu- cente sfera, sino alla superficie di essa, lo che non può ammettersi. Dunque rimane dimostrato, che le azioni elettriche non traversano i corpi conduttori. Come dunque salvare tutte quelle analisi, nelle quali, essendo supposto che le azioni elettriche traversano l’ interno dei conducenti, tuttavia sono i risulta- menti loro in accordo colla sperienza ? A me sembra che si debbano salvare, facendo avvertire, che sebbene la ma- teria conduttrice non venga traversata realmente dalle azioni elettriche, tuttavia, per comodo del calcolo, si può supporre che la traversi; ma devesi riguardare nell’ interno dei corpi stessi per nulla, tanto la risultante delle azioni meccaniche, quanto la risultante, cioè l’effetto, delle azioni decomponenti. Noi crediamo in- dispensabile questa rettificazione in tutte le analisi di elettrostatica, relative ai corpi conduttori. Dimostrazione sperimentale. Sopra un disco di carta dorata, del diametro di tre decimetri circa , se ne applichi un altro concentrico , formato da più strati di vernice di cera lacca, ed avente per diametro un decimetro circa. 343 — Sopra questo secondo disco, se ne applichi un terzo di carta dorata, del dia» metro di tre centimetri. All’estremo di un sottile stelo ben rettilineo, quanto fa d’uopo lungo, passante pel comune centro dei nominati dischi, si fìssi questo triplice disco , e lo stelo medesimo controbilanciato , si renda oscillante , in- torno ad un sottile asse orizzontale , che lo traversi un poco al disopra del centro di gravità del sistema. Si avrà per tal guisa un pendolo, mobilis- simo attorno il suo asse orizzontale. Un altro disco di latta, del diametro di cinque decimetri, avente nel mezzo un foro del diametro di un decimetro, sia stabilito in modo, che il pendolo, nello stato di equilibrio, chiuda esattamente col disco di cera lacca il foro indicato. Quindi apparisce, che tutto comuni- cherà col suolo, salvo il minore disco di carta dorata, e che il disco di latta, servirà per impedire le induzioni curvilinee dietro il pendolo. Caricata di elettrico, sia positivo, sia negativo, la interna superfìcie di una piccolissima bottiglia di Leida, il suo bottone si porti a toccare il cen- tro del minore disco di carta dorata, mentre un piano di prova, comunicante col suolo , si tiene vicinissimo alla opposta superfìcie del disco maggiore di carta dorata. Appena ricevutasi dal disco minore la elettricità dal bottone della bottiglia , tosto si vedrà il pendolo allontanarsi dal bottone medesimo. Si tolga dalla comunicazione col suolo il piano di prova, ed isolato si porti sul bottone di un elettroscopio a pile secche: non si avrà indizio veruno di elettrica influenza. Perciò dovremo concludere dal seguito allontanamento del pendolo, che la forza repulsiva elettrica esiste. Poiché questo allontanamento non può essere stato prodotto d’attrazione veruna, come dimostra il piano di prova, trovato allo stato neutrale. Questa sperienza, escludendo l’attrazione dei corpi circostanti dietro al corpo elettrizzato, escludendo cioè la induzione del disco di cera lacca sull’aria dietro al medesimo, dimostra evidentemente che la forza elettrica repulsiva esiste di fatto. Se mai volesse taluno, contro questa ultima sperienza obbiettare, che la repulsione del disco pendolo , proviene dall’ aria spinta contro il medesimo ; risponderemo che se questa spinta deriva dall’ elettrico della bottiglia , già sarebbe ammessa la repulsione dell’elettrico per se medesimo. Se poi si vo- lesse, che provenga quella repulsione dall’aria, la quale attratta dal bottone, va contro il disco, dovrebbe questa produrre 1’ allontanamento del disco dal bottone, anche prima che sia comunicata da questo al disco la elettricità, ed eziandio dovrebbe la elettricità stessa manifestarsi al piano di prova , posto dietro al disco allontanato dal bottone ; ma questi effetti non si verificano punto. — 34.4 — § 16. Dicemmo (§ 2), che il p. Pianciani, a convalidare la opinione sua, favo- revole alla non esistenza della elettrica repulsione, riferiva lo sperimento di Volta, consistente nell’osservare, che due dischi elettrizzati omologamente, e posti fra loro a piccola distanza, si allontanano 1’ uno dall’altro con debole forza ; pel contrario, caricati con elettricità di natura contrarie, si attraggono assai for- temente. Promettemmo ivi, dare in appresso la spiegazione di questo fatto, a dimostrare , che il medesimo non è punto favorevole alla mancanza della elettrica repulsione. Per soddisfare alla promessa, riflettiamo che Volta rife- risce r indicato fatto dicendo , che nel medesimo 1’ aria circostante si elet- trizza , lo che richiede un certo tempo , e perciò si ha il ritardo del movi- mento , quando si tratta di repulsione , la quale , secondo lo stesso fisico , sarebbe apparente, ma in realtà sarebbe l’effetto della circostante attrazione. Contro questa conseguenza osserviamo , che la induzione succede in istante; inoltre che, trattandosi di forze molto deboli, come quelle del caso in pro- posito, la resistenza dell’ aria si fa sentire fortemente, e tanto più quanto è minore la distanza fra i due piattelli; poiché un rapido allontanamento fra i medesimi, produrrebbe di necessità una rarefazione dell’aria frapposta. Perciò questa resistenza, non può trascurarsi nella spiegazione dell’ indicato fenomeno; ed il Belli esso pure in ciò si accorda (54). Questo fisico poi , nel citato luogo , assegna una seconda causa della indicata lentezza di allontanamento, dicendo « lo osservo però, che in questa lentezza, molta parte vi doveva al- » tresì avere la circostanza , che toccando al piccolo peso di un grano o » poco più , a far muovere una massa di più migliaia di grani , qual’ era » la massa di tutta la bilancia col disco appeso, doveva il moto riuscire per )) necessità di gran lunga più lento, che quello dei gravi liberamente caden- » ti )) . Noi crediamo che , non è a proposito la seconda causa dal Belli qui riferita ; perchè la medesima , deve appartenere anche al caso dell’ attra- zione : per la qual cosa. Volta confrontò la velocità della repulsione, non già con quella dei corpi liberamente cadenti , ma con quella dell’ attrazione. Il Volta, riportato da Pianciani (55), asserisce come indicammo, che l’attra- zione dei due dischi si effettua sempre con molta più energia, di quello av- venga della ripulsione loro (56). Ciò facilmente si spiega, eziandio perchè i due (54) Corso elem. di fis. sperim. Voi. 3.® Milano 1838, p, 4b9, lin. 8 salendo. (55) Istituzioni citate, t. 3.“, pag. 80, li. 3. (66) Collezione citata, pag. 76, e 77. 345 — dischi trovandosi caricati di elettricità opposte, queste si porteranno in mag- gior copia nelle superficie dei dischi le quali si riguardano; cosicché tanto la carica, quanto la reciproca loro attrazione, crescerà ivi col diminuire la distanza fra i medesimi dischi. Se questi sieno invece caricati di elettricità omonoma, in tal caso le cariche, si accumuleranno in maggior copia nelle superficie loro che non si riguardano, lo che contribuisce a diminuire la repulsione reciproca fra essi; cioè a renderla torpida, e minore dell’attrazione, a parità di circostan- ze. Avviene ciò, non perchè manchi la elettrica repulsione, come pretende- rebbe il Pianciani nel citato luogo; poiché la repulsione dell’ elettrico per se stesso, non cessa mai, salvo nell’unico caso della elettricità indotta, la quale cessa onninamente di tendere, ossia di repellere se stessa, finché rimane in- dotta : bensì avviene per le altre cagioni ora indicate. Non risulta se Volta prendesse in questi due casi cariche uguali : se ciò non fosse, i risullamenti delle sue sperienze, non sarebbero concludenti secondo la opinione di questo fìsico. Ma per ottenere in pratica la uguaglianza delle cariche , si esiggono molte cautele. Il fatto adunque che, nel citato sperimento, la elettrica repulsione riesce debole rispetto 1’ attrazione , dipende principalmente dall’ essere la elettricità omonoma dei due piattelli, posti uno contro l’altro, distribuita in maggior co- pia sull’ esterne superficie dei medesimi ; mentre nel caso dell’attrazione, le due elettricità eteronome, sono distribuite in maggior copia sulle interne su- perficie dei piattelli stessi; non già dipende il fatto medesimo dalla mancanza della elettrica repulsione: perchè questa, nell’elettrico libero, esiste realmente, come già fu dimostrato (§ 12, e § 13). Osserveremo da ultimo, che l’aderenza fra i due piattelli, quando fossero in contatto fra loro, deve potentemente diminuire la elettrica repulsione fra essi, e sopra tutto purché i dischi sono di metallo. Egli è vero che la forza di ade- renza, si fa sentire soltanto nel contatto fìsico ; ma siccome a questa posi- zione corrisponde anche il maggior effetto repulsivo (*); così rilevasi che l’azione prodotta dall’aderenza indicata , non è trascurabile punto riguardo alla totale repulsione. Supponiamo che abbiansi due sfere di coibente , caricate l’una e r altra , una volta con elettricità omonome , un’ altra con elettricità etero- nome. Le cariche non potendo in questo caso cangiare per influsso la distri- buzione loro , ed essendo l’una , e 1’ altra dello stesso valore numerico , se avvenisse, come Volta pretende, che la repulsione, propria del primo caso, {*) Belli, Corso eleni, di fis. sper. t. 3, pag. 458. — Collezione delle opere di Volta, 1. 1.®, parte 2.% p. 68. — 346 — fosse minore dell’ attrazione propria del secondo , un tal fatto sarebbe in aperta contraddizione , con una delle più fondamentali elettrostatiche leggi. Cioè il fatto supposto , si opporrebbe al principio , che tanto la repulsione fra elettricità omonome , quanto 1’ attrazione fra elettricità eteronome , de- v’ essere proporzionale al prodotto delle rispettive cariche , da cui proven- gono le indicate azioni. Ora siccome questa legge fu da molti, ed in parti- colare da Coulomb (*), verificata sperimentalmente: perciò se da una parte le nostre osservazioni convalidano il riferito fatto, da Volta osservato nei con- duttori}, dall’altra non possiamo punto dubitare, che il fatto medesimo dehha spiegarsi diversamente, da come fu spiegato, prima dal Volta, e poi dal Pian- ciani; ma bensì debba spiegarsi, nel modo che abbiamo riferito. L’ ultima sperienza del Volta (57) , per mostrare la non esistenza della elettrica repulsione, consiste « in un filo di ferro, guarnito in ciascuna estre- » mità da un paio di pendolini leggerissimi, che mette capo in due campane » di vetro; l’aria di una delle quali sia stata previamente impregnata di elet- » tricità. Osserverassi come sulla prima i pendolini involti da tal aria elet- )) trizzata, divergeranno (qual se appunto si ripellessero) e viemmaggiormente » divergeranno, e più a lungo , ove venga a toccarsi col dito il fil di ferro » medesimo; perciò che si dà allora maggior luogo al fluido elettrico di ri- » tirarsi da detti pendolini; come intanto i pendolini, che stanno nell’aria non » elettrizzata dell’altro recipiente, penderanno paralleli senza ombra di repul- )) sione; e come poi ritirato il dito, a misura che la elettricità dall’aria im- » pregnatane si comunica ai pendolini che involge, e per essi a tutto il con- )) dottore ora isolato , i medesimi si abbasseranno sino al totale loro deca- » dimento , mentre acquisteranno divergenza , e s’ alzeranno d’ altrettanto i » pendolini dell’aria non elettrizzata. » La sperienza ora descritta , riferita eziandio dal Pianciani (58) , per lo stesso fine, consiste in sostanza, nell’altra cognitissima di un corpo elettrizzato, che induce sopra un altro, fornito agli estremi suoi di un elettrometro. II corpo inducente viene rappresentato dall’aria elettrizzata, contenuta nella prima cam- pana, che chiameremo A, ed anche sulle interne pareti di essa. Toccando il corpo 0 filo di ferro indotto, che congiunge gli elettrometri, quello dei me- desimi contenuto in A , che potrebbe ancora essere restato chiuso , quando (*) Histoire de l’acad. roy. des scien. année 1788. p. 611, (l.°), li. 11. (57) Collezione citata, p. 81, fin. 3 salendo. (58) Istituzioni citate, t. 3.°, parte l.% p. 80, li. 2 salendo. — 347 — esso pure avesse partecipato alla interna elettrizzazione della campana, diver- gerà maggiormente ; poiché la elettricità libera contenuta dal filo di ferro, si sarà dispersa nel suolo, e sarà cresciuta sui fili di questo elettrometro la in- duzione dell’elettrico contenuto nella campana A; quindi l’elettrometro stesso, in questo particolar caso , divergerà unicamente per attrazione. Avvenuta la indicata dispersione, i pendolini dell’ elettrometro , contenuto nella seconda campana B, si abbasseranno; ma in seguito, se rimarrà il tìlo di ferro bene isolalo , i pendolini stessi dovranno col tempo , tornare a divergere , per la comunicazione della elettricità, che dalla campana A si porterà, lungo il filo di ferro, nell’altra B. Quindi continuando la sperienza, dovranno i pendolini, contenuti nella A, diminuire la loro divergenza, mentre dovranno accrescerla, sino ad un certo limite, quelli contenuti, nella B; e questi divergeranno tanto per attrazione, quanto per effetto di repulsione, ma molto più per questa. Non si vede adunque, come la sperienza indicata, possa escludere la esistenza della forza elettro-repulsiva nei pendolini, contenuti nella campana B. Il Pianciani (61), vorrebbe conciliare la opinione di coloro, die negano la elettrica repulsione, con quelli che l’ammettono, dicendo « Senza dar tutto » e neppure le prime parti alla repulsione, anzi dando bando alla repulsione » elettrostatica in vero e stretto senso, altri fisici spiegano felicemente i vari » fenomeni, e tra questi il vicendevole allontanarsi di due corpi similmente )) elettrizzati. Non si nega che 1’ elettrico soprabbondante (positivo), eserciti ì) una pressione, un impulso qual egli sia (e si chiami, se così piace, rcpul- )) sione), sull’elettrico dagli altri corpi e lo allontani. Non si nega che le mo- )) lecole dell’elettrico, allorché sono libere, tendono a spandersi, e sembrino eser- )) citar fra di loro una repulsione alla foggia dei fluidi elastici. Si pensa soì- » tanto da questi fisici, che l’attrazione fra Telettrico, e i corpi negativi, che )) tende a ristabilir l’equilibrio, basti a dare ragione di quella che dicesi re- » pulsione fra i corpi similmente elettrizzati, e che quei moti ti'ibuiti ad un )) principio repellente, provengan solo dall’attrazione verso i corpi esterni, con- )) trariamente elettrizzati per influsso, e non avcndovene altri, verso l’aria » che sta ai lati )). In questo ragionamento si manifesta una contraddizione, perché in esso non si vuole negare la esistenza della elettrica repulsione, cioè che l’elettrico respinga se stesso; ma in pari tempo, non si vuogliono spiegare anche con questa, gli (61) Istituzioni fisico chimichè citate, p. 78, 106. 47 — 348 — allontanamenti fra loro dei corpi elettrizzati omologamente. Ciò vuol dire, che si esclude nella spiegazione di simili fatti una forza, che quantunque si am- metta, ciò nulla ostante non si vuole farla concorrere nella produzione di essi. Del resto non è vero, che tutti gli allontanamenti di cui parliamo, si pos- sono spiegare cnlla sola attrazione dei corpi circostanti ; poiché la sperienza da noi riportata (§ 1 5), offre un caso di allontanamento , senza che abbiavi attrazione veruna. E se pure tutti quei fatti, nei quali avvi allontanamento, si potessero spiegare per mezzo della sola influenza od attrazione sui corpi circostanti; già il seguire questa spiegazione, sarebbe quanto sopprimere una delle cause , che realmente contribuiscono a produrre 1’ indicato allontana- mento. Qualunque fenomeno può sempre in più modi spiegarsi, ma uno solo fra questi modi è il vero , ed esso deve seguirsi esclusivamente , quando si conosca. Ora nel caso in proposito, noi conosciamo essere due le cause dell’ in- dicato allontanamento , cioè la elettrica repulsione e la elettrica attrazione : queste cause , tranne qualche raro caso eccezionale , ambedue concorrono a produrre le divergenze, cioè gli allontanamenti fra loro, dei corpi elettrizzati omologamente; dunque ambedue si debbono far concorrere nella spiegazione dei fatti stessi, riguardando però sempre come causa principale la repulsione. Perciò sarebbe un tradire la verità naturale, far conto soltanto dell’attrazione, per ispiegare i fatti medesimi, trascurando la repulsione, di cui la esistenza reale, fu in più guise già dimostrata evidentemente. [Continuerà). — • 349 COMUNICAZIONI Dalla sig. contesssa Fiorini, fu presentata in dono la necrologia, da lei compilata, del defunto chiarissimo botanico, sig. cav. Gio. Francesco Camillo Montagne, già membro dell’accademia delle scienze dell’ imperiale istituto di Francia. CORRISPONDENZE L’ Emo. e Rmo. sig. Cardinale Altieri, protettore deH’accademia, col ono- revole suo dispaccio del 9 marzo 1866, comunica l’approvazione sovrana, per la nomina dei signori De Saint-Venant, B. Dausse, e A. Le Job a corrispon- denti stranieri Lincei. Il prof. Volpicelli, comunica una lettera del sig. De Saint-Venant, colla quale questo scienziato ringrazia l’accademia, per la nomina da esso ricevuta di corrispondente straniero linceo. Il sig. prof. Axel Erdmann, direttore in capo degli studi geologici della Svezia, con una sua lettera, fa giungere in dono aH’accademia, le prime 1 8 ta- vole della carta geologica di quel regno, accompagnate da diciotto fascicoli di schiarimenti , ed il tutto pubblicato a spese del governo svedese. Il mede- simo sig. direttore fa noto il desiderio, di ricevere per l’officio delle indicate ricerche geologiche, le pubblicazioni dell’accademia nostra. Il sig. dott. Kirschbaum, segretario della società dei Naturalisti nel du- cato di Nassau, fa giungere, accompagnati da una sua lettera, gli annuari XVII e XVIII della società stessa. — 350 COMITATO SEGRETO Dal comitato accademico fu proposta la terna seguente : Signori Principe B. Boncompagni, R. P. prof. Chelini, Canonico D. B. prof. Tortolini. a fine di eleggere un membro della commissione di censura, in sostituzione al prof. D. Ignazio Calandrelli defunto. I votanti essendo dieciotto, si ebbe, mediante lo squittino segreto, il risultamento che siegue : Ripetuta la votazione pei signori Chelini , e Boncompagni , quest’ultimo ri- sultò eletto a membro della commissione di censura, colla previa approvazione sovrana. Dal comitato accademico fu proposta, per la nomina di uno o più cor- rispondenti stranieri, la terna seguente : Voti Boncompagni Chelini Tortolini . Bianchi 15 15 9 Neri 3 3 9 TRAND, Signori AMEL, L’accademia elesse unanimemente ognuno dei tre proposti a suo corrispondente straniero, colla previa approvazione sovrana. — 351 — L’accademia riunita in numero legale a un’ora pomeridiana, si sciolse dopo due ore di seduta. Soci ordinari presenti a questa sessione. A. cav. Coppi. — P. Sanguinetti.' — E. Fiorini. — A. comm. Cialdi. — P. Volpicelli. — S. Cadet. — M. cav. Azzarelli. ~ G. cav. Ponzi. — B. Tortolini. — E. Rolli. — P. A. Secchi. — V. cav. Diorio. — B. Boncom- pagni. — D. Chelini. — F. Nardi. — M. Massimo. — L. Respighi. — C. Sereni- — L. Jacohini. — N. comm. Cavalieri S. Bertelo. Pubblicato nel 15 di novembre del 1866. P. V. CORREZIONI fuochi triangolo 53° — Enunciazione dei riferisce ivi ERRORI Pag. 299 lin. 3 fuochi 300 » 20 triangalo 302 » 12 52° 304 )) 6 salendo, Enunciazione 312 » 12 salendo, dei dei 314 )) 5 riferisce IMPRIMATUR Fr. Hieronymus Gigli Ord. Pr. S. P. A. Mag. IMPRIMATUR Petrus De Yillanova Castellacci Archiep. Petrae Vicesgerens. ' ‘ jV . ■ . . •. - r.-. y ■^vi' . > V; : ■ 'yI V ■■ ■■ '• v<' : ;ì- ATTI DELL’ACCADEMIA PONTIFICIA DE’ NUOVI LINCEI SESSIOI Vl-“ DEL 6 «AGGIO 1866 PRESIDENZA DEL SIC. COm. N. PROF. CAVALIERI SAN BERTOLO MEMORIE E COMUNICAZIONI OZI SOCI ORDlX^Aai E DEI COaRlSPONDEICTl COMUNICAZIONI Monsignor Nardi, rese conto airaccademia, dei lavori geografici, eseguiti dal- r impero russo. Il prof. cav. Diorio, presentò un organo osseo dell’udito, appartenente alla Balenottera Koqual di Laupède, che il chiaro nostro collega dichiarò non analizzato ancora. 11 sig. principe D. Baldassarre Boncompagni, presentò in dono all’acca- demia, da parte del sig. Poudra, otto pubblicazioni del medesimo autore, re- gistrate tra le opere venute in dono. Il B. P. Chelini, presentò in dono all’ accademia, da parte dell’autore sig. Hirst, una memoria di geometria superiore, tradotta in italiano dal sig. prof. Luigi Cremona. 11 prof. Volpicelli , lesse la duodecima sua comunicazione sulla elettro- statica influenza, nella quale prese ad analizzare le ricerche, fatte su questo argomento, dal fìsico di Torino, sig. cav. Gilberto Covi. 48 — 354 CORRISPONDENZE L’ Emo. e Rmo. sig. Cardinale Altieri, protettore dell’accademia, coll’ ono- revole suo dispaccio del 18 aprile 1866, n." 4312, fa noto alla medesima, che Sua Santità degnassi approvare la elezione dei signori Gius. Bertrand , Gio. Duhamel, e Armando Fizeau a suoi corrispondenti stranieri lincei. 11 medesimo Porporato, col suo pregevole dispaccio del 21 aprile 1866, n.“ 4314, comunicò all’accademia l’approvazione sovrana, per la elezione del sig. principe D. Baldassarre Boncompagni , a membro della commissione di censura. Lo stesso Eminentissimo, coironorevole suo dispaccio del 9 maggio 1866, n.° 4318, rende consapevole l’accademia, che la S. Congregazione degli studi, trovò regolare la gestione amministrativa dei Lincei pel 1865, e che la munì della sua superioriore approvazione. 11 sig. prof. Antonio Yilla, fa conoscere all’accademia, di avere ricevuto regolarmente i suoi atti , e nel tempo stesso fa giungere in dono alla me- desima parecchie sue scientifiche pubblicazioni, registrate nell’elerico delle opere venute in dono. 11 sig. B. Dausse ringrazia 1’ accademia per averlo nominato fra i set- tanta suoi corrispondenti stranieri. La R. accademia di Amsterdam, invia due copie del programma di con- corso ad un premio, per un componimento poetico in latino. La R. università di Norvegia in Cristiania , invia parecchie sue pubbli- cazioni, le quali si trovano registrate nell’elenco delle opere venute in dono, e ringrazia per gli Atti de’ Nuovi Lincei da essa ricevuti. L’accademia delle scienze dell’ istituto di Bologna , mediante il suo se- gretario perpetuo, sig. cav. D. Piani, ringrazia per lo stesso motivo. — 355 — La R. Società delle scienze di Danimarca, fa giungere un esemplare del programma delle quistioni, da essa proposte nell’anno 1866, con promessa di premio, relative alla matematica, alla fisica, ed alla storia. L’accademia riunita in numero legale a un’ora pomeridiana, si sciolse dopo due ore di seduta. Soci ordinari presenti a questa sessione. G. cav. Ponzi. — A. Coppi. — P. Sanguinetti. — B. monsignor Tor- tolini. — M. cav. Azzarelli. — V. cav. Diorio. — E. Rolli. — P. A. Sec- chi. — M. duca Massimo. — D. Chelini. — L. Jacobini. — F. monsignor Nardi. — L. cav. Respighi. — P. Yolpicelli. — G. comm. Sereni- — N. comm. Cavalieri S. Bertelo. Pubblicato nel 15 di dicembre del 1866. P. V. OPERE TEIVETE IN DONO Memorie delV Accademia delle Scienze dell^ Istituto di Bologna. — Se- rie II.“ Tomo V, fase. 2." Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino. — Serie 2.“ Tomo XXL Torino 1865; un voi. in 4." gr. Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino , pubblicati dagli accade- mici segretari delle due classi. Voi. l.“; disp. 1 e 2.“ 1866. Rendiconto delV Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli. Anno V, fase. 2.° e 3.", del 1866. Sulle linee iseoriche della penisola italiana, e su taluni altri problemi, ri- sguardanti la distribuzione della temperatura in Italia. Memoria del prof. Domenico Ragona. Modena 1866. Sulla latitudine del R. Osservatorio di Modena, del prof, suddetto. Mode- na 1866. -r 356 — Bullettino Meteorologico del R. Osservatorio di Modena, con corrispondenze, e notizie, risguardanti la Provincia. Anno 1." n. 1, 2, 3, 1865-66. Sui Curculioniti delVAgro Pavese, enumerati dal dott. Prada. Relazione letta nella seduta 18 dicembre 1859, della Società Geologica di Milano, dal socio fondatore Antonio Villa. Milano, 1860. Le Zanzare. Articolo del medesimo. Milano 1860. Gli Inocerami o Catilli della Brienza", del medesimo. Milano 1860. Intorno alle stelle filanti periodiche del 'iO agosto 1863. Lettera di Caterina Scarpellini al sig. prof. Antonio Villa di Milano. — Milano 1863. Sulla originaria formazione delle acque oceaniche, e loro salsedine. Memoria di Roberto Sara, dedicata agli egregi naturalisti fratelli Antonio, e Gio. Battista Villa di Milano. — Milano 1864. Il Congresso dei naturalisti svizzeri in Samaden, nell'agosto 1863. Relazione di A. Villa. Milano 1864. Prima riunione straordinaria della Società di scienze naturali, tenutasi in Biela nel settembre 1864. Relazione del medesimo. Milano 1864. Le Farfalle. Memoria del medesimo. Milano 1865. Le Cantaridi. Nota del medesimo. Milano 1864. Circolare della gerenza della Società Nazionale di miniere in Lombardia, ed altrove ec. del medesimo. Lecco 1865. Notizie sulle torbe della Brianza di G. B. Villa. Milano 1864. Psicologia empirica ad uso de' ginnasi superiori del dott. R. Zimmermann , ridotta ad uso degli italiani , per cura del dott. L. C. Pavissich. Trie- ste 1864. Il Ricoglitore triestino. Annuario pedagogico pel 1864, del medesimo. La morte di Monsig. Dionigi- Augusto Affre , arcivescovo di Parigi. Carme di Adolfo René, volgarizzato dal medesimo. 1850. Cinque Salmi Davidici, volgarizzati e commentati dal medesimo. 1850. Della vita del Generale Nicolò Mastrovich dalmata. Cenni del medesimo. Vienna 1852. Prologo di Federico Halm , declamato nel teatro di corte , la sera del 20 agosto, allorché l'auspicatissimo nascimento si celebrava di Sua Altezza Im- periale l'Arciduca Rodolfo, Principe ereditario di Austria. Versione dal te- desco del MEDESIMO. Vienna 1858. Milly — Armonia d' Alfonso De Lamartine. Versione del medesimo. Trie- ste 1866. . — 357 Catalogo di Diatomee, raccolte nella Val Intrasca, dalVahb. Francesco Castra- cane degli Antelminelli. Genova, 1866. lahrbùcher .... Annuario della Società' di Storia naturale nel Ducato di Nassau, dell’Anno 1862-63. Karntnerischer . . . . Calendario popolare di Kàrnten, pel 1861. Beitràge .... Nota sopra la Grammatica latina di L. C. M. Aubert di Cri- stiania; 1856. Observations Osservazioni sui fenomeni di erosione in Norvegia, per J. C. Hórbye. Cristiania 1857. Quelques Alcune osservazioni di Morfologia vegetale al Giardino bo- tanico di Cristiania, per /. M. Norman. Cristiania 1857. Inversio Vesicae urinariae , luxationes femorum congenitae etc. of Lektor Voss. Cristiania 1857. Studio deir azione assorbente, che i corpi diafani colorati esercitano sui raggi dello spettro luminoso; del cav. prof. G. Govi. Torino 1864. Intorno agli specchi magici dei Cinesi; del medesimo. Torino 1864. Nuovo metodo sperimentale , atto a dimostrare i fenomeni della induzione elettrica; del med. Torino 1865. Sull' efficacia delle grandi aperture nei microscopi composti. Considerazioni del MEDESIMO. Torino 1865. Studi di elettrostatica , e condensazione delle armature liquide nei coibenti armati; del medesimo. Torino 1866. Ricerche d'elettrostatica; del medesimo. Torino 1866. Sveriges . . . . Prime 18 Tavole della carta geologica di Svezia; del dott. A. Erdemann. Stockbolm 1865. Sveriges .... Fascicoli 18 di schiarimenti alle Tavole suddette. Proceedings .... Bullettino della Società' filosofica americana in Filadel- fia. Voi. X, num. 73. Anaerican. ...... Rivista letteraria americana , ed orientale di Trubner ; Num. 9, 1865. Comptes Conti resi dell' Accade MIA delle Scienze dell' Imperiale Isti- tuto DI Francia, in corrente. Bullettino Meteorologico dell' Osservatorio del Collegio Romano, in corrente. Bidrag Supplemento alla cognizione sulla fauna littorale del mediter- raneo. Osservazioni fatte in Italia, da M. Sars nel 1852 e 53. Norges .... Storia della Norvegia di P. A. Munch. Cristiania 1858. — 3S8 Forhandlinger Atti della settima adunanza dei naturalisti scandinavi in Cristiania del 12-18 luglio 1856. Oeuvres .... Opere di Desargues, riunite ed analizzate dal sig. Poudra, con biografia. Tom. 2, Parigi. Histoire .... Istoria della prospettiva antica e moderna; del sig. Poudra. Parigi, 1864, un voi. in 8." Examen .... Esame critico del trattato di prospettiva lineare del sig. De la Gournerie, per il sig. Poudra. Parigi 1859. Perspectìve ....- Prospettiva-rilievo, del sig. Poudra. Parigi 1866. Théorie .... Teorica generale dei fasci e delle involuzioni, con le applica- zioni alle tracce delle curve di differenti ordini; del medesimo. Pavidi 1865. Memoire .... Memoria su i trigoni, tetragoni, esagoni; del medesimo. Parigi 1865. Des réticules .... Delle reticelle; del medesimo. Parigi 1865. Construction .... Nuova costruzione delle sezioni coniche, per la prospettiva di un circolo, dando di seguito il centro, i diametri coniugati, gli assi della curva; del medesimo. Almanacco marittimo per Vanno bisestile 1848 , pubblicato in Ancona dal Capitano Giovanni Giacchetti. Anno I. Il Piloto in altura , o sia la teorica, e la pratica della navigazione , esposta dal medesimo. Voi. 2. Roma 1855. Ricordi di un viaggio in Oriente di monsig. Franceseo Nardi, pubblicati per le felici nozze del Conte Cesare Meniconi Bracceschi , guardia nobile di Sua Santità’, colla Contessa Maddalena Savorgnan di Rrazzà. Roma 1866. Notions Nozioni degli antichi sulle maree, ed i canali, pel sig. F-H. Martin. Caen, 1866; un fase, in 8.“ ATTI DELL’ACCADEMIA PONTIFICIA DE’ NUOVI LINCEI SESSIONE VII.' DEL 3 GIUGNO tS66 PRESIDEIVZA DEL SIG. COI91. PROF. CAVALBERl SIAAI BERl'OLO MEMORIE E COMUNICAZIONI ^EZ SOCI OaDXETAaX £ 1>EX COaaXSFOHSESITX — 360 ~ Introduction av calcul Góbarì et Hawaì — Tratte d’ arithmétique traduit de V arate par Franqois Woepcke, et precède d'me notice de M. Aristide Marre sur un manuscrit possédé par M. Chasles membre de V Institut impérial de France (Académie des sdences), et contenant le texte arabe de ce traitè. AVVERTIMENTO Nelle carte S&^,verso — 96®, verso, numerate ne’margini superiori deVcctó coi numeri 86—96, d’un codice manoscritto ora posseduto dal Sig. Michele Chasles, membro delllstituto Imperiale di Francia (Acca- demia delle Scienze), e da lui conservato in Parigi nella sua abitazione (3, rue du Bac, Passage Sainte- Marie), trovasi un esemplare d’un trattato d’aritmetica in lingua araba, che nella prima linea del recto della prima di tali carte è intitolato « i— (J , cioè: « Introduzione al calcolo Goiari e Hawai ». (1) Nelle carte 5®— 21®, numerate ne’margini superiori de’recto coi numeri 5—21, d’un manoscritto ora da me posseduto, e contrassegnato (cn.° 389», trovansi l." una traduzione del trattato medesimo fatta dall’illustre e compianto Francesco Woepcke, la qual traduzione nèl recto della carta 4®, numerata 4, del manoscritto stesso è intitolata: tc Traduction faiteparM.^ Woepcke. |1 et revue par lui, d’après un » mA Arabe 11 de V Introduction au Calcul Gobàrt il et Hawài »j 2? 75 note del medesimo traduttore a questa versione; 3? una sua giunta intitolata « addition » alla traduzione stessa. Questa traduzione, queste note e questa giunta sono stampate più oltre nelle pagine 365 — 383 del presente volume (2). Il suddetto codice del Sig. Chasles è un volume, in 4? piccolo, alto 178 millimetri, largo 135, com- posto di 129 carte cartacee, numerate ne’margini superiori de’mto coi numeri 1—129. Questo codice è legato in cuoio scuro, con ornati a secco sulla parte esterna di ciascuna coperta. Sul dorso del co- dice stesso è incollato un cartellino rettangolare nel quale è scritto a penna : , 90®— 92® sono numerate eoi numeri vi, vii, 2—80, 82—84. Nelle linee 10—14 della 74® di queste 92 pagine, numerata col numero 66, si legge: « 419. Plusieurs traite's relatifs à l'astronomie; Ma- » nière de piacer le fil a plomb sur la ligne mdri- » dienne ; Calendrier e'gyptien ; Traile' d’aritlime'- » tique. In-8, cart. . 129 feuillota. . In questo passo del suddetto catalogo intitolato « c atalogue || des 1| livres orientaux », ecc. è descritto il precitato codice del Sig. Chasles; il che è dimostrato 1? dal trovarsi stampato, come si è detto di sopra (linee 30—31 della presente pagina 360), il passo medesimo in un cartellino' incollato sulla parte esterna del primo cartone di questo codice; 2? dall’essere scritto il numero 419 nella prima delle tre strisce di carta citate di sopra (linea 32 della pagina medesima). 15 Decembre 1866. B. BONCOMPAGNI (1) Vedi più oltre, pag. 365, lin. 1 — 3. (2) In una lettera a me diretta dal Sig. Francesco Woepcke, in data di it Paris, rue Notre Dame desChamps, 30 ce 14 de'cembre 1854», egli dice che la traduzione suddetta era stata da lui offerta al Sig. Chasles, e che il Sig. Chasles erasi compiaciuto di accettarla. (3) Debbo dichiararmi gratissimo ai detti Signori Marre e Chasles della compiacenza che il primo ha avuto di comporre il precitato suo scritto, ed il secondo di rimettere il precitato codice da lui posseduto allo stesso Sig. Marre, affinchè nello scritto medesiniu potesse darne una esatta descrizione. — 361 AVERTISSEMENT Dans ìes feui'lets 86®, cerso — 96®, verso, numcroSés clans Ics inargcs siipcriciircs (ics recfo.? avcc Ics numéros 86 — 86 , d’ un manuscrit actuellement possedè par M. Mietici Cìiasles , membre de l’Institut Imperiai de Frauce (Académie des Sciences), et qn’il conserve chez lui à Paris (3, me do Bac, Pas- sale Sainte-Marie), se trouve un exemplaire d’un traité d’arillmiétique cn langue arabe, qui dans la première ligne du redo du premier de ces feiiillets est intitulé ^9^ -- .-o . Sur un carré de papier colle la partie intérieure du premier des deux cartons de la reliuredece nia- nuscrit, c’est-à-dire de celai de ces deux cartons qui est à la droitc du lecteur, on trouve écrit: « Plasieurs traités- relatifs à rastronomie, le || l.er m iiiicre de pl.icer le fil d’aploniU sur || la ligne méridienne. |[ Le » demier, caleiidrier Egy[tien. i Sur un carré de papier collé sur la partie extérieure du second carton de la reliure de ce manuscrit, se trouve imprimé ce qu’on rapporte, ci-après dans les lignes 47 — 51 de la présente page 361 . Dans le mème manuscrit sont insérées trois fiches volantes , sur 1’ une dcsipiciles est écrit « 419 » , sur une autre « 379 », et sur la troisième « 74 ». Des renseignements importants sur ce manuscrit sont donnés parM. Aristide Marre dans un écrit imprimé ci-après dans les pages 362 — 364 de ce volume (3). Le manuscrit cité ci-dessus, coté sur la ligne méii- » dienne; Calendrier egvptien; Traile d’ arithme- h tique. In-8, c-irt. . ino feuillets. • Dans ce passage du catalogne ci-dessus mcntionné intitulé « c-atalogue || des || uvres orientaux », ece. est A'crit h manuscrit cité ci-dessus de M. Chasles. Cela résultc 1“ de ce que le mème passage se Irouve imprimé, cornine on l'a dit ci-dessus (lignes 26 — 27 dela présente page 36i) d-.ns un carré de papier collé sur le premier carton de la reliure de ce manuscrit; 2° de ce que Con trouve écrit le numéro 4l9 dans la première des trois fiches volantes citées ci-dessus (ligne 28 de la mème page). 15 Décembre 1866. B. boncompagni (1) Voycz ci-aprcs, page 365, lig. 1 — 3. Dans une lettre adressee a moi par M. "VVoepeke en date de c Paris, rue Notre Dame des Cliamps, 30 ce 14 decem- » ccmlire 1854 » il dit fiu’i] avait otfert a M. Chasles la traduction citee ci-dessus, et que M. Cliaslcs avait Lien voulu l’acccpter. (3) Je doi me declarcr très ohìigd a MM.“ Marre et Chasles de la complaisance que le premier a eu de rediger son écrit cite' ci-dessu.s, et le second de remettre le manuscrit ci-dessus inentionne posse'de' par lui a M. Marre , afin qu’il pùt en donner dans le méme e'erit une descriplion exacte. 4Q — 362 — SUR UN MANUSCRIT ARABE POSSEDÈ PAD M. CHASLES MIMBRE DE l’ INSTITDT IMPÉRIAL (ACADE'mIE DES SCIENCES) DE FRANCE, ET CONTENANT PLUSIEURS TRAITÉS D’ASTRONOMIE ET UN TRAITÉ D’ARITHMÉTTQUE, N 0 T I C E DE M. ARISTIDE MARRE- Le petit traité' d’ arithmétique traduit par M. Woepcke d’illustre et régrettable mémoire , fait partie d’un manuscrit arabe qui appartieni présentcment au savant géomètre, M. Cbasles de l’Insti- tut de France. Ce manuscrit figurait sous le N.“ 419 au catalogue de la venie des livres et manuscrits orientaux du marquis de La Ferté-Senneterre, (Paris, i6 février 1854), et son contenu était sommai- rement indiqué dans les termes suivants : (c Plusieurs traitcs relatifs à l’astronomie; Manière de pla- )) cer le fil à plomb sur le ligne méridienne; Calendrier égyptien; Traité d’ arithmétique. In-8, cart. » 129 fcuillets. » Nous allons tàcher d’cn donnor une description plus délaillée et plus complète. Ce manuscrit est relié en carton, recouvert d’un cuir brun acajou, avec encadremcnt et rosace au centre. Le volume est en assez mauvais éiat de eonservation , il renferme 129 feuillets longs de 18 centimètres sur 13 de largeur, en partie décousus, d’un papier épais, dont la couleur varie du blanc- grisàtre au jaune-brun le plus foncé. Sur le dos se trouve collé un petit morceau de papier sur le- quel on lit : « Traités d’astro|nomie f” 97 Calendrier | égyptien [ f° 117 les cent | régents. | » Il n’y a pas de feuillet de garde. * Du l.e‘‘ feuillet, première ligne du verso, au milieu du verso du 30.® feuillet se développe le pre- mier traité. Il est intitulé : Ressdlch fy ma’refeh ouadda’ el kheytt aala" lihatt nousf-én-nahdr ou ’l issemmey kheytt el messd tereh (?) — ( Dissertation sur la connaissance de la manière de piacer sur la ligne méridienne, le fd qui est nommé fil à plomb). Au liaut du recto du l.®® feuillet, dans l’an- gle à gauche, on lit : Min Kdlih el fakir Khalil el Eàmali, (par lecrivain, le pauvre Khalil el Kà- mali). Au feuillet 22, recto, on rcmarque un chapitre intitulé : Bdb fy ma'refeh nassb el Kheytt oita ressem Khettout fadhel el ddir by tdryk sahel min ghayr hissdb — (Chapitre sur la connaissance de 1’ érection de la ligne (fìl à plomb), et tncé des lignes fadhel el ddir par un procédé facile et sans calcul) — lequel a été transcrit de la dissertation de notre seigneur le cheykh, le docteur Bedr’ ed- din el Mardiny. Avec le feuillet 31, commence un second traité écrit d’ une autre main que le premier, sur un papier de couleur différente, avec 15 lignes à la page au lieu de 13, et entre des marges plus étroites. — Bism’illah al rahman al rahim. El hamd Allah ou saloudt aald Mohammed kheyr khalqah ou dhl-ho ou Saheb-ho edjma'in. — (Au nom de Dieu clément et miséricordieux ! Louange à Dieu et prière à Dieu pour Mohammed, la meilleure de ses créatures, pour sa famille et tous ses compagnons! ) L’au- tour continue ainsi ; Ammd-baad fé hadeh ressdleh mokhtessereh semmeyt-hd tahfet el admil bfl rouba el kdmel. — (Ensuite cela est une dissertation abrégée que j’ai nommée le don précieux de Fopéra- teur par le quadrant.) 11 finit à la cinquième ligne du recto du feuillet 34, et porte la date de S88 de l’hégire. Du feuillet 34, verso, au feuillet 44 , c’est le mème Kàtih qui a dù tenir le Kalam. Le feuillet 34^ commence par ces inots : (c Kdl el cheykh Chehdb Eddin Àhmed ben Al Mohdy rahmet Allah taala ou’ el Moslemin sellam. Bism ’illah al rahman al rahim. El hamd li-Llah ouàhed ou scià Allah si- — 363 — dnà Mohammed ou ahl-ho oii saheb-ho- — (Le Cheylìh Chehàb Eddin Ahmed ben Al Mobdy a dii: Que la miséricorde du Dieu très-haut et le salii! soient sur les enfants de l’IsIàm! Au noni de Dieu clément et miséricordieux ! Loiiange a Dieu l’unique ! Que la bénédiction de Dieu soit sur notre Sei- gneur Mohammed. sa famille et ses compagnons!) — Ce petit Iraité astronomique débute par une section sur le calendrier du Soleil, Fasi fy tekouym ecchems, il va jusqu’au feiiillet 43 inclusivement. Au feuillet 44, c'est un autre petit traité , nioins bien ccrit que les précédents. La première ligne contient Tinvocation ordi 'aire : Bism’illah al rhanian al rahim ou seld Allah aala Sidnd Mo- hammed ! — (Au nom de Dieu clément et miséricordieux ! que la bénédiction de Dieu soit sur no- tre Scigneur Mohammed ! ) — La deuxième ligne nous donile Ics titres et qualités deì’auteur : Kdl el cheykh el imam el ddlem élalàmah — (Le cheykh, rimàm, le savant docteur) — la troisième ligne nous donne son nom ; Bedr ’eddin Hassan el Thatby. Lauti’ Allah bi ho dmin. (Que la bénignité de Dieu soit sur lui ! Ainsi soit-il ! ) — A la sixiòme ligne on lit : Ou-baad fé hadeh ressdleh fy dmel elahelleh bi tdryk el djedaoul ou el hissdb mokhtessereh. — (Et ensuite ceci est une dissertation sur l’opération du croissant de la lune, au moyen des tables et d’un calcul abrégé.) Un peu plus loin Bedr’eddin Hassan el Thaiby, parlant de son ceuvrc, la qualifie d’ élégant abrégé propre à ceux qui débutent dans la carrière astronomique; il dit qu’il l’a faite pour donner satisfaction aux désirs de ses amis, et quelle ne renfermc aucun développement inutile. Le mso du feuillet 47 est entièrement rempii par une doublé table ou djedoul; la première est intitulée: Djedoul a’rdd el Kamara fy el che- mal (Table de la latitude de la lune dans le nord), et la seconde: Djedoul a’rdd el Kamara fy el djenoub (Table de la latitude de la lune dans le Sud.) Par inadvertance le Kàtib ou copiste a écrit rette table à l’envers. La page suivante qui forme le recto du feuillet 48, et intitulée = Djedoul el menazel el qamaryyeh (Table des liabitations on mansions lunaires). Ces tables finissent avec le 49.® feuillet. Au feuillet 50, recto, l’on rencontre, écrite par une autre main , une courte notice sur la con- naissance des éclipses de soleil, par El llkhàny. Voici les termes ménies du texte: « Fass? /’y wia’rc/’e/i Koussouf éch-chems min el Ilkhdny meschrouh bi’l araby. » (Section sur la connaissance des éclipses de soleil par El llkhàny, célèbre chez les Arabes). Gotte brève notice se termine au bas du verso du feuillet 51. Au feuillet 52, verso, nouvelle petite dissertation en donze chapitres . de quelques lignes seule- ment chacun. Bism’illah el rhaman el rahim. El ressdleh el dfdqyeh fy el a’mel bi’lchebet el sittinyeh (Au nom de Dieu clément et miséricordieux ! Dissertation séparée sur 1’ operation par les rapports sexagésimaux). El bab el aouel, fy et dharb ou’el rjesmeh. (Le chapitre premier, sur la multiplication et la division.) Les deu.x dernières lignes du verso du feuillet 54 et la première ligne du feuillet 55 nous offrent un nom et une date, le nom du Kàtib et la date de la fin de son travail -. « Ou Allah tamt el ressdleh el mobdrekeh aula yd el fakyr Alohamrned el Kateby nettar el ethnein khams achryn chahar ssafar el kheyr senet 955 li hedjrah. (Et Dieu a mis fin à la dissertation bénie par la main du fakyr Mohammed el Kateby le lundi, 25.® jour du mois de safar fiicureux en l’année 955 de l’hégire.) rcuillet 56, recto-, celle page porte en marge la date 911 de 1' hégire. C’ est le commencement d’un autre petit traité astronomique, bien calligraphié, en caractères nets, fermes, dune écriture fine et serrée. Le titre: Faoudyd hissdbieh (avantages du calcul) est écrit à Tenere bletie « Bàb fy mareféh irlifd semitt el Kabaléh bi’lhissdò (Chapitre sur la connaissance de la hauteur du zénith par le cal cui). Le mot hub est écrit à Tenere rouge, le reste a Tenere noire. Cetopuscule finii avec le feuillet 65. Le feuillet 66, recto, comprcnd une table ou djedoul, écrite en caractères rouges, jaunes et verts, divisée en donze colonnes, dont huit ont été laissées en blanc, et quafre ont été remplics. Ces der- nières sont celles ayant pour en-téte le mot el a’ded (le nombre). Au verso de ce mème feuillet, on lit : « ìiism’illah al rahman al rahim ou’seld Allah aald sidnd Mohammed ou ahl-ho ou saheb-ho edjmain — Fy ma’refeh tdryk el a’mel bi bada el-djedaoul. « (Au nom de Dieu clément et miséricor- dieu.x ! Que la bénédiction de Dieu soit sur notre Seigneur Mohammed, sur sa famille et sur tous ses compagnons! Sur la connaissance de la marche à suivre pour opércr avec ces tables.) L’ explication de Tempio! de cette première table est suivie d’autres tableaux synoptiques, relatifs au Cancer , au Bélier et au Capricorne, qui coroprennent deux pages en regard fune de Tautre, verso du feuillet 67 et recto du feuillet 68, contenant chacune douze colonnes; les trois pages de texte expiicatif qui vien- nent après ces tables sont couvertes de notes marginales. — 364 — Du feuillet 70 aii feuiilet 85, on ne compie pas moins de 8 pages de tables astronomiques, Dic- daoul el bessaìtt. Les tables des feuillets 78 et 79 sont sur papier bruii. Au verso du feuillet 77, on retrouve le nom déjà connu de l’auteur : le cheykh Bedr’eddin el Mardiny. La première section du texte qui accompagne ces table est intitulée : Passi fy ressem qous el a'ssr ( Section sur le tracé de Tare de 3 heures après-midi). Le texte s'arréte avec la 13. <= ligne du recto du feuillet 78, puis xien- ncnt trois pages des tables; la première table est divisée en onze colonnes, la seconde en dix, quant à la troisième elle est divisée en trois parties principales, qui sont subdivisées chacuiie en cinq co- lonnes. La première franche ou partie principale à droite, est aifectée an Cancer; la tranche du milieu au Bélicr, et celle de gauche au Capricorne. Les tables des feuillets 81, 82, 83 recto, sont relatives aux nièmes signes du zodiaque, elle sont divisées chacune en douze colonnes verticales. La partie du texte qui suit, fournit le nom de l’aiiteur : le cheykh, l’imàm, le savant docteur Moheb Eddin Mo- hammed ben Mohammed ben Ahmed ben Ahmed ben Al Aitar , et le dernier mot fait connaìtre la date ; 905 de l’hégire. Ce mot est à la 4.® ligne du verso du feuillet 85; car ce qui vient à la suite est One addition faite par quelque tàleb, possesseur du manuscrit ou tout au moins de cette portion du manuscrit, propriété actuelle de M. Chasles. Nous arrivons .au feuillet 86, c’est-à-dire au petit traité d’arithmétique traduit en francais par M. Woepeke, et en le parcourant rapidement nous parvenons à la fin du feuillet 96. Du feuillet 97 au feuillet 101, c’ est une notice sur l’année et les douze mois Cophtes, que l’au- teur passe successivement en revue à partir deSeptembre [toutt], après l’invocation : Au nom de Dieu clément et miséricordieux. Louange à Dieu, créateur de le nuit etdujour! On serait tenté de croire que ce mince cabier a appartenu primitivement à un autre Recueil de traités que celui dont il se trouve faire partie maintenant. Il finit avec le feuillet 101. Feuillet 102. — La première ligne de ce nouveau traité débute ainsi : « Et si tu veux, multiplie le sinus el drdh par le sinus fadhl el daireh, et ce qui en résulte, divise le par le sinus tout entier. » Il y a là évidemment une lacune, et si Fon considère que ce traité, qui se termine avec le feuillet 113, renferme trois ebapitres dont le 3.® ne compie pas moins de 12 pages et le second 11, ou peut admettre qu’ii manque ici environ 10 pages, car du 1.®® ebapitre le manuscrit ne contieni qu’une pa- ge, et c’est la dernière. Le 2.® ebapitre renferme deux petites tables intercalées dans le texte; la lf“ est intitulée : Djedoul el semilt ou qous el a’ssr (Table du zénitb et de Tare de 3 heures après-midi); la 2.® est relative au Cancer, au Bélier et au Capricorne. Plus loin, feuillet 107 , Tauteur donne le moyen de trouver par le calcul la bauteur méridienne du Soleil. Le 3.® ebapitre, f." 108, traité des déclinaisons du soleil; il renferme un petit djedoul intercalé dans le texte, divisò eu quatre colonnes, en regard duquel, entre autres menlions, on rencontre celle de la bauteur du póle. Feillets 114 et 115. Le recto du f.° 114 est consacrò par Amed ben Omar ben Ismà'il ben Moham- med ben Abou Beqr El Ssoufy à Texplication de deux djedaoul ou tables du Cancer, du Bélier et du Capricorne. Le verso du f.° 115 a été laissé en blanc. Le f.° 116 est en blanc, c’est le feuillet de garde d’un mince cabier, Tunique sui generis dans tout le volume; ce n’ est plus en effet un traité sur une branche quelconque de Tastronomie ou des matbématiques, c’est un opuscule grammatica! du cheykh Abd el Kàhir ben Mohammed ben Abd el ilahman ben Mohammed El Djardjàny. 11 a pour titre : Ketdb aoudmil el mayeh el Djardjàny. ( Livre des cent régissants (termes on locutions qui en régissent ou gouvernent d’autres) de El Djardjàny). II finit avec le redo du feuillet 120. Au verso de ce méme feuillet 120, c’est encore uno nouvelle et dernière pièce astronomique, écrite par le savant, le vertueux Ibn Macbouyeb sur les quatre saisons de l’annéc et leurs divisions d’après la constellations correspondantes. Elle se termine au feuillet 128. Le f? 129 peut otre considéré comme le feuillet de garde de clóture du volume tout entier; on y trouve griflonnés onze noms avec onze dates au-dessous de chacun d’eux. Il est supposable que ce sont les noms des étudiants qui, des premiers, ont mis à profit les diverses pièces contenues dans ce manuscrit. Voici quels ils sont: Ahmed Efendi, 1040 — Ahmed Haleby Efendi, 1041 — Sa’deh Sayd Efendi, 1042 — Mohammed Efendi Salemy, 1042 — Abderrhamàn Efendi, 1043 — Ahmed Efendi Zàdeh, 1044 — Chehàb Efendi, 1045 — Mohammed Efendi, 1048 — Hasmaty Mohammed Efendi , 1049 — Abdcrrahrnan Efendi, 1050, et enfin Daoud Efendi, 1051 de Thégire. — 365 INTRODUCTION A 0 CALCIJL GOBÀrÌ et HAWÀi ' iVu noni de Dieu cle'raent et misericordieux ! foi. se Louange a Dieu , maitre de rimivers ; qui sa bene'diction repose sur notre seigneur Mohammed, sa famille et tous ses compagnons. Pour en venir au fait, ceci sont quelques feuilles traitant de ce dont ont lie- soin les personnes versees dans la connaissance des lois re'ligieuses *) ** ***)) en fait de calcili, d’après ^les me'tliodes les plus faciles, (savoir la metliode) gobàri, et (la metliode) liawài. Sacliez que les fìgures qui repre'sentent les nombres sont (au nombre de) neuf, et qu’il n’y en a pas dedixième. L’augmentation n’y devient manifeste (ne s’exprime) qu’au moyen des rangs (ou ordres) . En voici la forme à la manière indienne I ^ ^ et a la manière gobàri (elle est) aitisi: d Y' Yj- La première de ces figures est celle de 1’ unite', la seconde est celle de deux , et ainsi de suite successivenient jusqu’a neuf. Ceci c’est l’ordre des unite's. Mais si elles sont èle^e'es a la place (ou dignitè) des dizaines, alors placez- les ainsi ; io, c’est-'a-dire niettez un ze'ro ( « cifron » ^**) ) et ensuite après lui une unite'. Ou (si deux est e'ievè) à la place (ou dignite') de vingt, alors (e'crivez) ainsi : 20; et trente ainsi : 30; jusqu’à quatre-vingt-dix, savoir ainsi : 90. Et les centaines ainsi : lOO, parce qu’elles sont dans le troisième rang (ordre); *) (c ffobdr » = pulvìs; « hau'd » = aer. Je crois que Texpiession « Calcul Hawai « que je ren- contre ici pour la première fois ne désigiie pas autre cliose que ce qu’on appelle en francais « calcul » de tòte ». Ces lois comprennent nolamment aussi les préceptes conceruant le partage des héritages. ***) (( cifr. » = vacuus. — 366 — et les mille ainsi : looo; et les dizaines de mille ainsi loooo, parce qu’elles sont dans le cinquième ordre. Et les composes, comme onze, ainsi : il, ou douze ainsi : 12, et quatre-vingt- dix-neuf ainsi : 99 , et mille-cent-dix ainsi: ino. Toiijours la place du nombre indiqne son espèce, s’il est des unites ou de ce qui vient après elles (des ordres superieurs aux unite's), tandis que sa figure indique sa quantite, c’est-a-dire de combien est son nombre (combien d’unités de cettc espèce il comprend). Donc l’unité est la première (occupe la première place) dans cbaque premier foi. 87 r. noeud (c’est-'a-dire dans les nombres il, 21, 31, 4i, etc. jusqu’a 9i *) ), et la seconde des figures ci-dessiis) est la première de cbaque second noeud, et ainsi de suite. Si vous voulez ajouter un nombre a un nombre pareil, mais trop grand pour que vous puissiez e'noncer la somme d’un seul mot, e'crivez-les sur deux range'es de manière a se correspondre, les unite's au-dessous des unite's, et de méme ce qui vient après les unite's, en mettant au-dessus des deux range'es ime ligne, de méme qu’au-dessous d’elles, afin de marquer la somme sur la première, et ce que vous obtenez en fait de dizaines (les dizaines qu’on retient comme uni- te's pour la colonne suivante, si la somme d’une colonne est plus grande que neuf) sur la seconde; aiusi : |||. Puis ajoutez Eunite' au deux qui est au-dessus *) On pourrait penser qu’il faut traduire ce passage de la manière suivante ; (c Donc l’unité est )) la première (occupe la première place) dans tonte la première serie (c’est-à-dire dans les nombres » depuis div jusqu’à dix-neuf,) et la seconde (des figures ci-dessus) est la première de la seconde serie )) (c’est-à-dire des nombres depuis vingt jusqu’à vingt-ncut), et ainsi de suite ». Mais dans cette seconde version on considérerait comme le premier chiffre d’un nombre le pre- mier chiffre à gauche, ce qui est contraire à tout le reste du traité où c’est constamment le premier chiffre à droite qui est appelé le premier, conformément d’ailleurs au sens qu’on suit dans l’écriture arabe, savoir eri allant de droite à gauche. Cette circonstance servirà en méme temps à fixer la signification du mot arabe « ikd » que je rends dans la version du texte par « nwud », et dans celle de la note par « serie ». Ce mot « ikd », pluriel K okoud », signifìe « collier » (par cxemple de perles) et est dérivé du verbe « akada » qui signifie (( nouer ». M. de Sacy, dans sa grammaire arabe (Tom. I, pag. 417, 2.^ édit.) en parlant des nombres car- dinaux, s'exprime ainsi ; (c d’autres sont nommcs « okoud » nemds, ce sont les noms des dizaines, de- puis jusqu’à quatre-vingt-dix ». Mais la présence, dans le passage actuel du mot « /com/Z » qui signifie c/ta(/Me (premier noeud) ou tonte (la première serie) est un argument direct contre T opinion formulée par l’illustre orientaliste, qui, d’un autre còte, en ne comprenant pas panni les okoùd le nombre dix, est en conlradiction manifeste avec un passage du grand dictionnaire arabe connu sous le nom du Kdmoùs, oh onjit à l’article « acharah » : « alacharah awwalou’ l-okoud u , c’ est-à-dire « le dix est la premier des okoud » ou « le commencement des okoud. » Mohammed Ben Moùcà, dans le chapitre de son traité d’algèbre qui traite de la multiplication, emploie le mot okoud par opposition aux unites, il prend pour excraple dia;. Donc chez lui, les o/cowd paraissent ótre les multiples de dix, depuis dix jusqu’à quatre-vingt-dix (à moins qù’il n’y comprenne aiissi les ccntaincs, etc., ce qui ne résulte pas claircment du passage). La traduction latine rend ofeodd par articuli, terme qui sert à designer, dans Tarithmétique du moyen àge les multiples des neuf uni- tés par dix, cent, etc. (Voir le mémoire de M. Cliasles sur l’explication des traités de TAbacus et par- ticulièrcment du traité de G,erbert. Comptes rendus de scances de V Académie des Sciences, séance du 23 janvier 1843, pag. 1G7.) Le passage actuel me semble confirmer Texplication donnée par M. Frcytag dans son grand dictionnrire, savoir que le nom de « noeud » se donne à des nombres dans les noms desquels deux autres noms de nombre sont réunis ou u noués » ensemble. Conséquemment le «pre- mier noeud » est le nombre dans lequel le nom d’une dizaine est joint pour la première fois à un autre nombre, comme onze (on arabe « dix et un »), vingt et un, etc. Puis le « second noeud » celui oii le nom de la dizaine est joint pour la seconde fois à un autre nombre, comme douze (en arabe « dix et deux »), vingt-deux, etc. — 367 — d’elle, il resuhe trois; eiisuite le trois au quatre, il rcsulte sept; ensuifce le deux au cinq, il résulte sept; aiiisi : 773, sept cent soixante-treize. Et si r on dit : ajoutez quatre-vingt— deux mille sept cent a quatre-vingt- dix-luiit mille deux cent cinquante, alors ecrivez— les ainsi : 32700- ditionnez (et ecrivez) au— dessus des deux ze'ros : ze'ro *). Puis cinq au— dessus du zero. Puis additionnez ce qui est dans le troisième (rang), ce qui fait neuf; po- sez-le au— dessus du deux, après le cinq. Pnis apr'es cela il resuite dix, donc ]iosez zero sur la ligne et descendez Punite, qui represente dix, au— dessous du rang sui- vant, et ajoutez-la a ce qui se trouve dans ce rangj il resuite dix-huit. Donc posez le Iniit sur la ligne et ensuite le dix {sic !). Il (le résultat de tonte Pope- ration) sera ainsi . 1 8 0 9 5 0 9 8 2 5 0 8 2 7 0 0 1 Si vous voulez retranclier un petit nombre d’un grand afin de connaitre ce qui reste après la soustraction du plus petit, ecrivez cela ainsi p’. Puis retran- chez le six du sept qui lui correspond; il reste un. Placez-le sur la ligne vis- foi- a- vis du sept. Puis sept de neuf; reste deux. Placez-le sur la ligne. Puis deux de cinq; reste trois. Placez-le sur la ligne vis-a-vis de cinq. Il (le resultai de Popè- ration ) sera ainsi : . Et cela est le reste : Trois cent vingt-un. Ceci (est la manière de procèder) si le nombre retrancbè se trouve dans un rang moindre que celui dans lequel se trouve le nombre doni on retranclie ^*). Mais si le coniraire a lieu, alors retrancliez le supèrieur de Pinfèrieur et (retran- cliez) ce qui reste de dix, ou bien ajoutez a ce (nombre) qui se trouve dans la rangèe supèrieure, dix que vous prenez ^**) sur le (rang) suivant; parce que celui-ci est au (rang, cbiffre) prècedent dans le rapport de dix (a un), et retran- cbez le (nombre) infèrieur de la somme. Puis posez ce qui reste du dix {sic !) sur la ligne. Et de mème lorsque la (place, ou rangèe) supèrieure est vide et que vous avez retrancbè le (nombre) infèrieur de dix et marquè le dix ajoutè dans chaque (rang) par une unite' (posèe) au-dessous du rang suivant par compen- sation a Pemprunt fait ***^) , alors ajoutez-la au nombre a retranclier et re- trancliez la somme du nombre doni en re trancile, et posez le reste au— dessus de celui-ci. Et ainsi de suite. Alors ce qui est (le résultat) c’esl le (nombre) cliercliè. q jLo? le zero correspondant au (ou provenant du) vide de ces deux zéros, c’est-à-dire que représentent ces deux zéros ? **) C’est-à-dire: si le nombre retrancbè est plus petit que celui dont on retranche. Textuellemcnt : « donncz-le vous (cn le prenant) du (rang) suivant »; le verbe arabe employe dans le texte est le mème qui sert aussi à former le terme qui désigne Ics quantitcs données des pro- blèmes d’algebre. En latin le verbe sumere réunit les deux nuances d’une manière semblable. Textuellement: « à l’action de vous donner »; le texte porte le nom d’action du mème verbe dont il est question dans la note précédente. — 368 Et lorsqu’on cìit : retranchez quatre cent soixante cinq de six cent quatte, alors ecrivez cela ainsi : HI . Pnis retranchez le cinq de qiiatorze. Et, si vous vonìez, retvanchez le quatre de cinq, reste un, qne vous retranchez de dix. De l’une ou de l’autre manière il reste neuf. Placez-le sur la ligne, descendez le dix {sic !) au-dessous du (rang) suivant, et ajoutez-le au six. Il re'sulte sept. Retranchez-le fot. 88)-. de dix, reste trois. Placez-le surla ligne, descendez le dix au— dessous du (rang) suivant, et ajoutez-le au nomhre a retrancher qui est quatre. Il re'sulte cinq. Retranchez-le de six, reste un. Placez-le au-dessus de ce (nomhre, du six). Le reste sera cent trente neuf, ainsi : 139, et c’est le (nomhre) cherchè. La preuve de la justesse de la sonstraction c’est que vous ajoutez le nomhre retranchè au re'sultat, il re'sulte le nomhre. dont on a retranche'. Ou vous retran- chez le re'snltat du nomhre dont on a retranche', il reste le nomhre retranchè; altendu que le re'sultat {sic !) est compose' des deux. Et si vous voulez retrancher un nomhre d’un antre nomhre, mais ( que ces nomhres soient) trop grands pour que vous pnissiez reconnaìtre (immèdiatement) .si les opèrations du calcili sont justes, alors la inèthode consiste a faire la prenve *) par neuf, ou ^*) par huit, ou par sept. Quant a la rèduction (ou preuve) par le premier, vous additionnez les hgu- res (c’est-a-dire chifFres) du nomhre comme si c’e'taient des unitès. Puìs vous rè- duisez la somme par neuf jusqu’à ce qu’il reste neuf ou ***) quelque chose qui est au— dessous de neuf, (Quant a la preuve ou rèduction) par le second (c’est-a-dire, par huit), vous re- jetez les centaines paires et ce qui vieni après (c’est-'a-dire, les mille, les dix-mille etc.) 11 reste pour les centaines impaires quatre, et pour chaque dizaine deux. Donc multipliez deux par le nomhre des dizaines , ajóutez au re'sultat quatre pour les centaines impaires, et puìs le nomhre des unitès. Reduisez la somme par huit, cornine (vous l’avez fait pour) le neuf. S’il j a ce qu’on vieni de dire ***^) (alors procèdez comme on vient de l’ènoncer Si non, le nomhre est dèja tout rèduit; ou si (il manque) un seulement *****^), alors additionnez *) Textuelleinent; nréduire par la halance du neuf ». Le mot « mtzdn » qui signifie proprement « halance » (ou « lévicr »), désigne aussi par extension « poids » ou (c mesure »en generai. L’action de determiner le rcsidu d’tiii nombre par rapport à un inodule donne, ressemble en effet à celle de détermincr par ic pésage, combien de fois une certaine unité de poids est conteim dans un corps pé- sant, plus un excedaut moindre que cette unité. — Le verbe que je traduis ici par (c récluire » est le mème qui désigne, dans ce qui précède, l’opération de la soustraction simplement. Il signifie pro- prement « rcjetcr », et de là « retrancher ». Mais dans le paragrapbe actuel, oii il s’agit de la preuve par neuf, eie., il a une acception plus particulière et signifie : « rejeter ou retrancher d’un nombre propose un modulc donné autant de fois que possible »; pour exprimer cela d’un seni mot, et pour pouvoir serrcr de près, dans ma traduction, les tournures que Tauteur fait prendre au verbe arabe dans cette nouvellc acception, j’ai choisi les mots « réduire » et « rèduction ». Ici, et plus cvidemm^ nt encore dans plusieurs autres passages suivants, la particule arabe c( fa », qui indique proprement un rapport de conséqueuce, signifie « ou » tout simplement. On comprend très-bien comment elle a pu passer à cette nuance. Mais M. de Sacy (voir Gramm. arabe 2 « éd. Voi. I, § 1201. et sniv., et particulicrement § 1205) n’en fait pas mention; et elle constitue ici une par- ticularitc de stylc qu’il est intércssant de constater. Comparcr la note précédente. ****) C’est-à-dire si le nombre contieni des centaines impaires, des dizaines et des unitès. **'**^) Voir sur ce genre d’cllipse la Grammaire arabe de M- de Sacy. 2« éd. Voi. IL, § 836. ****'^*) C’est-à-dire: si, par exemple, le nombre ne contient pas de centaines impaires, alors addi- — 369 — (Ics quantites que donnent) les deux aiitres; ou (s’il en raanqiie) deux, alors traitez celai qui reste corame il a ete dit. (Quaiit a la preuve oa reductiou) par le troisième (c’est-a-dire par sept),dout Ibn Albamià *) a dit qu’elle est la plus exacte de toules; on re'duit lederuier**) (ohillre) de la se'rie (de cliilFres qui repre'sente le norabre propose) par ce norabie (sept) si ce cbifl're est e'gal (a sept) ou plus grand. Puis consideiez l’excès ou le de- faut ***) corame des dizaines par rapport au (cbiffre) pre'cedeut et celui-ci corame des unites. Puis re'duisez par sept. (Continuez) ainsi jusqu’a ce que vous arriviez au premier (cbiffre). Et si vous voulez, multipliez le deruier (cbiffre) par trois, re'duisez le prò- w- duit par sept, et ajoutez le reste au norabre pre'cedeut. Multipliez (la somme) par trois et re'duisez corame auparavant. Ajoutez l’exce'dent au ( cbiffre ) pre'- cédent, s’il y en a; si non (c’est-a-dire si se cbiffre est zero) multipliez le reste par trois et re'duisez corame auparavant. Et ainsi de suite jusqu’aux unites. Le re'sultat est que par suite de la reduction il reste de ebaque dizaine trois, de ebaque centaine deux, du mille six, du dix-mille quatre, du cent-mille cinq, du mille-mille (million) un. On a re'uni la se'rie des six norabres, pour les re- tenir plus facilement, dans les six lettres (A, C, ?>, F, D, E d’après l’ordre alpbabe'tique; A, Dj, B, AV, D, 11 d’après la prononciation), dont /e yore- mier signifìe un, le second trois, de troisieme deux, le quatrième six, le cin- quième quatre, et le sixième cinq. Or, ecrivez le nombre (propose') corame range'e de cbiff'res au-dessus de laquelle vous tirez une ligne. Puis e'crivez au— dessous de ce nombre ces lettres: Pim sous les unites, le trois sous les dizaines, le deux sous les centaines, le six sous les mille, le quatre sous les dizaines de mille, et le cinq sous les centaines de mille. Puis re'pe'tez exactement les méraes six norabres sous les ordres suivants succes- sivement. Alultiplicz le (cbiffre) qui se trouve dans ebaque ordre du nombre propose) par celili qui est au-dessous, et re'duisez le produit par sept; puis posez l’excès ou le de'faut ***^) au-dessus (du cbiffie du nombre propose'). Quand vous avez termine (cette ope'ration) additionnez ce que vous avez pose' (au— dessus) corame si c’e'taient des unite's, puis re'duisez par sept, l’excès qui reste est la re'ponse (le re'sultat eberebè). Si vous en de'sirez la preuve **"***) alors e'crivez le (nombre ou le tableau) foi. tionnez sculenient les quaulités provenant des dizaines et des unités, savoir deux fois le nombre des dizaines plus le nombre des unités, puis formez le rcsidii de cette somme par rapport au moduic huit. — Le passage auf[uel se rapportent Ics notes jg 1^ page précédente est extrème- ment obscur dans l’originai arabe, et peut-ctre le texte du raanuscrit est t'autif. ") Savant de Maroc, aufeur de plusieurs ouvrages très-estiraés sur Taritlimétique pratique , par- ficuliérement à cause des démonstrations des opérations de cette Science qu’il y donne. Voir pour de plus ainplcs détails une : « Noticc sur des notations algébriques employées par les Arabes.» Journal asia- tique, Cahier d’Octobre-Novembre 1854. Le dernier cliilTre est le premier cbiffre il gauche comme 9 dans 94237. C’est à-dirc non pas la différence entre sept et ce cbiffre, mais ce chiffre méme lorsqu’il est défecteux par rapport à sept, c’est-à-dire plus petit que sept. ****) Voir la note précédente. Le mot arabe « imtihàn n qui est le terme propre pour désigner « preuve » ou « vérification «, ne semble xouloir dire ici qu’ « exemple ». 50 — 370 — 6 n 0 4 1 12 5 23786435 _ CAEDF BCA, corame vous venez de le voir (ou de 1 appiendre). Puis multipliez le cinq en ce qui est an— dessous et posez le (resultai) au-dessus de la ligne. En- suite le trois cu ce qui est au~dessous, il l’ésulte neuf; re'duisez par sept, il reste deux; ecrivcz-le sur la ligne. Ensuite (faites pour) le quatre corame auparavant, il reste un qu’on e'erit sur la ligne. Operez de méme jusqu’a la fin de la rangée. Puis additionnez ce qui est au-dessus de la rangee savoir: cinq, et deux, et un, et encore un, et quatre, et zero, et trois, et six. Additionnez cela corame des unités et re'duisez par sept, il reste un, et cela est le re'sultat, excepte' que le zero ne s’addi donne pas. Sachez que, lorsque vous avez re'duit tant le nomlire qu’il s’agit de retran- clier, que celai doni vous rctrancliez, par une des réductions, il doit ne'cessai- rement se presenter (un des) six cas : Ou hien les deux nombres sont re'duits (complètement sans laisser de résidu), Ou le norabre supérieur est re'duit (complètement) et l’infe'rieur non, Ou c’est le contraire qui a lieu, Ou il reste de cbacun d’eux un re'sidu; lesquels re'sidus ou bien sont e'gaux, Ou le supe'rieur est plus grand que l’infe'rieur, Ou au contraire (l’infe'rieur est plus grand que le supe'rieur). Si les deux nombres sont (complètement) <, re'duits, ou que les deux re'sidus sont e'gaux, aìors le resultai (doit aussi étre complètement) re'duit. Si dans l’addition ou la soustraction le nombre infe'rieur est (complètement) re'duit, alors le re'sidu supe'rieur est la preuve *). Si le re'sidu du supe'rieur excède le re'sidu de Pinfèrieur la quantite' de l’ex- cédant est la preuve. Si c’est le re'sidu de Einfèrieur qui excède (l’autre) alors ajoutez au re'sidu du supe'rieur la quantite' (le raodule) de la re'duclion, puis retranchez le re'sidu de Einfèrieur de la somme. Ou bien relrancliez le re'sidu du supe'rieur du re'sidu fo). 89 p. de Einfèrieur, et ce qui reste du (modulo) par rapport auquel vous avez re'duit. Il reste la preuve. Et si le supe'rieur est (complèteraetit) re'duit tandis que Einfèrieur ne l’est pas, alors retranchez le re'sidu de Einfèrieur du (module) par rapport auquel vous avez re'duit. Il reste la preuve. Lorsqu’on dit retranchez H , ou “ , ou 35 , ou H , ou , ou H ; alors le premier couple consiste en deux re'duits **), et dans le second les deux lèsidus sont e'gaux; donc le re'sultat de l’un et de Eautre est re'duit. Dans le Iroisième le re'sidu du nombre qu’on retranche est re'duit (ou nul), et le re'sidu du nombre doni on retranche est un, et cela est la preuve. Dans le quatrième le re'sidu du nombre qu’on retranche est un, et le re'sidu du nombre doni en retranche est trois. Donc après avoir retranche' le plus petit du plus grand, il reste deux. ’) Voir la première note de la page 368. La « preuve » est ici le résidu du résuìtat. **} Par rapport au module sept. — 37 1 — et cela est la preiive. Dans le cinquième le résidu clu noniLre (ju’oii vclrancìie est quatre et le re'sidii da nombre dont ou retrauche est trois; apiès avoir re- tranche' le quatre de la somme de trois et sept qui est dix, il reste six, et cela est la preuve; et si vous retrancliez le trois clu quatre, et runite qui reste de sept, il reste la méme cliose. Dans le sixième le re'sidu da nomine qu’on re- tranclie est un , et le residu da nombre dont on retrauche est rédait ; après avoir retranebe l’unite' de sept il reste six qui est la pieuve. lei la preuve *) (a e'te' faite) par la reduction du sept. 4 5 3 6 Et lorsqu’on dit ve'rifiez par neuf (en prenant) par exeraple la multiplication H , 2232 2736 2688 4224 ou if , ou , ou , ou . Alors les deux facteurs sont re'duits dans le premier (exemple), et l’un d’eux l’est dans le second, tandis que dans le troi- sième le residu de cliacun d’eux est trois, de sorte que le prodiiit des deux (residus) est neuf, qui est re'duit. Consequemnient dans tous ces cas le resultai est reduit. foi. 9o r. Dans le quatrième le produit des deux residus est six, qui est la preuve; et dans le cinquième il est 21, et après la reduction trois, ce qui est la preuve. Comparez la (preuve) toujouis au residu du resultai, il resulterà la chose cher- chee (c’est-a-dire la certitude si le calcili est juste ou faux.) Ceci est ge'ne'ral (et s’applique) aux entiers et aux fractions après qu’on a con- verti **) celles-ci, de sorte que le problème est de l’espèce d’une seule fraction (ne renferme qu’une seule espèce de fractions). Dono si Fon dit : multipliez un tiers en quatorze et un quart, il re’sulte de la multiplication quatre et trois quarts, en verta de ce qui sera expose' sur la manière d’ope'rer avec les fractions, si Ielle est la volente' de Dieu dont le nom soit exalte' ! Et si nous de'sirons e’claircir *** *) cela, multiplions le tiers qui est le reste de Furi des deux facteurs, par le quart qui est le reste de Fallire fa- cteiir; il resuite un tiers d’un quart, et après la conversion (multiplication par les de'nominateurs) et la reduction (par rajjport au module eboisi), un, ce qui est (au fait) un tiers d’iin quart, et cela est la re'ponse. Ensuite convertissez le resultai de la multiplication, il viendra dix- neuf quarts, ce qui donne pour *) Ou vcrification, « imtihàn » voir !a note *****) de la page 369. C’est-à-dire : réduit au mètne dénominateur, ou eu général ; multiplic par un nombre conve- nable pour se débarasser des dénominateurs, ou pour moditier ceux-ci selon les besoins du problème. Le verbe arabe 1=*— ^ employé ici signifìe ordinairement : « étendre », et cn arithmétique : « multi- plier », mais toujours en sousenlendant que cetle multiplication n’est faite qu’en vue d’une autre opération. Car le terme qui désigne proprement et spécialement la multiplication est dérivé d’une autre racine Le mot (c ikhtiydr » qui se trouve dans le texte, désigne ordinairement « 1’ action de taire un choix » et particulièrement le choix des circonstances favorables <à urie entreprise au moyen de l’astrologie judiriaire, ou d’une autre Science occulte. Lette signification n’offre ici aucun sens satisfai- sant. La traduction qui j’ai adoptée m’a été suggérce par une définition du mot « ikhtiydr » qui se trouve dans l’ouvrage conno sous le nom des Ta'rifdl , oii on lit: « Ij’ ikhtiydr » est l’action de taire ce qui sert à rendre une chose manifeste.» Peut ótre aussi n’est-ce qu’une erreur du copiste arabe , qui a écrit ikhtiydr. au lieu de imtihdn-, comparcr ìa note de la page 369. fol. 90 __ 372 _ reste *) ciiiq quarts ; coiivertissez cela en tiers , il vient quinze , ce qui donne pour reste un, et cela est (au fait) un tiers d’un quart et eg^al k la re- ponse (ci-dessus) en qualite et en quantite. La inultiplication est la de'terraination d’un nombre inconnu au moyen de deux connus [sic !). Il y en a plusieurs espèces ***), Multiplication par déplacement Elle consiste a piacer le multiplicande et le multiplicateur en deux rangees, celui qui contieni le moins d’ordres au-dessus de celui qui en contieni davantage, de sorte qiie le dernier rang du multi- plicande soit au-dessus du premier rang du multiplicateur. Ensuite vous mulli- pliez la quantite' qui se trouve au dernier rang de multiplicande dans toutes les figures (cbifFres) des ordres du multiplicateur (c’est-a-dire dans les chiffres de diflferents ordres qui composent le multiplicateur.) Et (quant a l’endroit où) vous commencez k ecrire le re'sultat, soit qu’il consiste en des unites seulement, soit que non, son premier rang sera place vis-k-vis du (clìifFre) par lequel vous avez multiplie, savoir au-dessus, en passant à la rangée {suivanté) contigue à la rangée du multiplicande ^**»**). Puis vous déplacez ^**^***) la rangee du multi- plicateur de sorte que son premier (chifFre) se trouve vis-k-vis du (clnlFre) qui pre- cède le dernier (clnlFre) du multiplicande ^*«*****), (et ensuite vous proce'dez) comme auparavant. Et toutes les fois que vous avez multiplie' par un nombre vous ajoutez le re'sultat k ce qui se trouve au-dessus de ce nombre. De cette manière (vous continuez) jusqu’k la fin et vous placez le re'sultat comme il faut. Ou l’appelle en ce cas « l’elFace' {al-mamhou »). Si vous voulez multiplier quarante trois par cinquante-quatre alors placez cela ainsÌ5f®*’***^**'^*);puis multipliez le quatre qui est au dernier rang du multiplican- de, par cinq qui est le dernier rang du multiplicateur, fait vingt. Posez ze'ro au- dessus de cinq, et le vingt (repre'sentè) par deux après le zero. Puis multipliez encore le (quatre) par le quatre qui se trouve au-dessous, fait seize. Posez le six ’) Par rapport ou modale sept. **) C’est-à'dirc converlissez cinq quarts en quinze tiers d’un quart. Quelle bonne définition ! Pour qu’on puisse suivre plus aisément la règie de l’auteur,je donne ici dès l’abord le ta- bleau de la multiplication de 43 par 54 d’après sa méthode (c’est l’exemple qu’il choisit ensuite lui- mème, mais les tableaux qui se trouvent dans le raanuscrit sont en partie incorrects) : « L’cffacé )) : 2 3 4 4 2.J& JS2 « L’incliné »: 2 3 2 2 1 2 1 5 1 6 2 0 4 3 5 4 54 q C’est à-dire le chilfre de l’ordre le plus élevé. C'est-à-dire immédiatament au-dessus du multiplicande ***) De là le nom de cette espèce de multiplication 4 3 5 4 5 4 ) Le texte porte « multiplicateur », évidemment par suite d’une erreur du copiste. *) Voici encore le tableau de l’opération décrite dans le texte ci-dessus. 2 34 4 2.0'.6-2 43 54 54 — 373 — a l’endroit (au-dessus) du quatre, et le dix (represente) par ime unite' en place du zero. Ensuite reculez le multiplicateur *) d’ un rang ; alors le quatre se trou- vera au-dessous du trois et le cinq au-dessous du six, de la manière Isuivante 2i6f p^j^g multipliez le trois par le cinq, fait quinze, et ajoutez cela au seize qui se trouve au-dessus, il re'sulte trente-et-un. Vous e'erirez l’unite' a l’endroit foi- 9i du six, et le trenle en place du dix. Puis multipliez le (trois) encore en qua- tre, fait douze. Posez le deux en sa place, et le dix sous la forme d’une unite' avec rimitè qui se trouve au second rang, donc deux , lequel deux vous po- sez en sa place. Alors l’ope'ratioii est termine'e, et le rèsultat sera deux mille trois cent vingt deux, sous la forme suivante : 2322. Vous pouvez aussi, dans cette ope'ration , piacer les deux facteurs en deux range'es, et tirer ime ligne au-dessus des deux range'es. Ensuite vous ope'rez comme auparavant, excèpte' que vous e'erivez les re'sultats tels qu’ils se pre'sentent, de la manière (c’est-'a-dire a la place, relativement aux ordres des chiffres) qu’il faut, jusqu”a la fin. Ensuite vous joignez tout cela ensemble par Paddition. Cette (ma- nière de procèder) est meilleure et s’appelle « Pinclinè » ( « al-moudjnah » ). 1 6 5 2 i 1 2 En voici la figure /4 |s ***), Puis ou joint ensemble (tout cela) par Pad- dition, il re'sulte 2322, comme auparavant. Si vous voulez (faire) la multiplication à Tableau, tracez un rectangle divise en des carrès dont le nombre est e'gal au produit (du nombre des cbiffres) de l’un des deux (facteurs) par la somme (le nombre) des ordres de Pautre. Ensuite raenez-y les diagonales en allant de la droite en bas a la gauche en haut. Puis e'erivez le multiplicande ****) au— dessus, ebaque ordre en regard des carrès qui lui correspondent, puis placez Pautre (facteur) a sa droite ou a sa gauche de la méme manière (c’est-'a-dire: vis-'a-vis des carrès correspondants) en descendant. Ensuite multipliez les ordres (les chiffres) de l’un des deux (facteurs) l’un après Pautre par tous les ordres de Pautre, et placez le rèsultat de chaque multipli- cation dans le carré où se croisent les (colonnes du tableau correspondant aux) deux (ordres c’est-'a-dire: chiffres) raultiplie's, en e'erivant les unitès au-dessus de la diagonale et les dizaines au-dessous. Après cela comraencez Paddition par la Le texte porte (c multiplicaiide ». Il sufTit ile comparer page 372, lig. 16, pouryoir que c’ est ime erreur du copiste, d’ailleurs ces deux termes prétent en arabe autant à la confusion comme en francais. Le multiplicande s’appelle « madrnùb » et le multiplicateur « madroàb fth »; il sulTìt donc que le copiste ajoute ou omette par méprise le « fth » pour confondre Tun des deux termes avec l’autre. **) C’est ainsi que les chiffres sont placés dans le texte, mais il serait plus exact de les piacer . . 216 ainsi ? . 54 ■**■') Ceci est la réproduction exacte du tableau qui se trouve dans le texte. Comparer la note de la page 372. Le texte porte « al-madroùhami » « les deux multipliés » c’est-à-dire ; les deux facteurs. Par ce qui suit immédiatement on voit qu’il faut lire (( al-madroùb » « le multiplicande» ou mhadou'l- » madroùbaini » « l’un des deux facteurs ». — 374 — foi. 91 colonne *) la plus elevée a droite en monlant entre les diagonales, el placez chaqne nombre dans son rang, en portant les dizaines de chaque somme dans la (colonne) diagonale suivante, et en l’ajoutant a ce qui se trouve dans celle-ci (on continue) ainsi jusqu’a la fin, ce qui en re'sulte est la re'ponse. Exemple. Quatre cent trente deux (a multiplier) par sept cent soixante cinq. Posez le tableau et divisez-le en longueur en trois parties e'gales , d’après le nombre des ordres du multiplicande; divisez de méme la largeur, et tracez-le ainsi ^*) 4 3 2 Ensuite multipliez cinq en deux, fait dix; posez ze'ro dans la première partie de la case au— dessus de la diagonale, et le dix sous la forme d’une unite au-dessous. Puis multipliez le (cinq) en trois, fait quinze. Posez le cinq sous le trois au-dessus de la diagonale et le dix (repre'sentè) par ime unite' au-dessous. Ensuite (raulti- pliez cinq) en quatre, fait vingt; donc (placez ) ze'ro sur la diagonale sous le quatre, et vingt (repre'sente') par deux au-dessous. Puis multipliez six en deux, fait douze; posez deux vis-a-vis du six, et le dix sous la forme d’une unite' a gauche du deux sous la ligne (diagonale). (Continuez) ainsi jusqu’a la fin (de la range'e correspondante au six). Ensuite multipliez sept en deux, puis en trois, enfin en quatre. Après cela additionnez en inclinant le tableau a gauche. Le foi. 92 r. re'sultat sera comme il suit : 330480, ce qui est trois-cent trente mille quatre cent quatre vingt. Si vous multijjliez un nombre qui contient des zéros par un nombre sem- . blable, ou qui n’en contient pas, alors multipliez ces nombres l’un par l’autre, et posez ensuite les (ze'ros) devant le re'sultat, en les prenant des deux bouts (des deux nombres propose's) ou de l’un d’eux (si l’un seulement contient des ze'ros). Donc si l’on dit : Deux mille et cent en trente mille, alors multipliez vingt et un en trois; il re'sulte soixante trois; puis posez avant ceci six ze'ros: 63 ooo ooo, ce qui est soixante trois mille mille (millions). Et si vous multipliez le second (nombre) en vingt et un, alors posez quatre q Le mot arabe « rokn » qui est employé ici, est le mot propre pour désigner un (c pilier au propre et au figure, ce qui pourra étre d’un certain intérét pour des rapprochcments historiques. 4 3 2 **) Je donne ici le tableau tei qu’il se trouve dans le manuscrit. Mais corame plu- sieursdestablcaux précédents, il est encore incorrect. Car il ne cadre pas avec la description du procédé donnée par l’autcur, laquclle description est, pour le dire en passant, d’une clarté exceptionnelle, et comme on les trouve rarement en ara- be, où l’abus des pronoms produit ordinairement , dans des descriptions de ce genre, une confusion extrème. Je crois, d’après les explications données par l’au- teur, qu’il faut tracer le tableau comme ci-conlre. X X X X X X \8 2\ 2\ X — 375 — zéros avant ie soixante trois; le resiiltat sera ainsi: 63 0000^ et cela est slx cent trente mille. De la division. C’ est la manière de connaitre un nombre qui se comporte comme l’unitè *). La mèthode consiste a piacer le dividende daus une range'e, et au— dessous de son dcrnier rang (cliifiVe) le diviseur, si celui-ci est egal a, ou plus petit que^ ce (dernier cliiffre da dividende). Si non placez-le sous le (cliiffre) prècédent en considèrant le dernier (chiffie du dividende) comme des dizaines par rapport a ce (chiffre) dont il est precede'. Ensuite ti rez au-dessous du divi- seur une ligue qui s’e'tend jusque sous le premier (cliilLre) de la range'e du di- vidende. Puis cliercliez panni les unite's un nombre tei que lorsque vous le muì- tipliez par le diviseur, il détruise (la partie du dividende) qui se trouve au— dessus (du diviseur), ou (du moins), qu’il en reste (seulement) un nombre plus petit que le diviseur. Puis posez ce nombre Fa (c’est-'a-dire; le quotient du dernier chif- fre, ou des derniers chifìVes du dividende par le diviseur ) sous la range'e du diviseur; et Fon sait que le nombre supe'rieur (c’est-’a-dire le partie du dividende dont il s’agit) doit étre e'gal a ce que donne sa division (multiplie par le di- viseur). S’il reste un reste plus petit que le diviseur, alors posez-le dans son foi- 92 rang au-dessus des (chiffres du dividende) qui se trouvent dans ce rang. Faites la méme chose (par la suite) pour tous les rangs. Ensuite reculez le diviseur d’un rang, cherchez un nombre et proce'dez comme auparavant. (Continuez) ainsi jusqu’a la iin de la range'e; si la division se trouve alors parfaite et qu’il n’y a aucim exce'dent, alors le résultat est entier et sera ce qui se trouve sous la ligne; et s’il reste un nombre plus petit que le diviseur, alors ce sera une fra- ction du diviseur (c’est-a-diie: une fraction ayant le diviseur pour de'nominateur), qu’il faudra ajouter au nombre entier, puis il resulterà le (quotient) cherchè. Si, en de'plagant le diviseur vous arrivez sous un zero, ou sous un nombre plus petit que le (diviscui) de'placè, alors mettez en bas un zèro vis-a-vis (du rang cù vous vous trouvez) et au-dessous de la ligne. Donc si Fon dit : neuf cent trente six (a diviser) par neuf alors placez cela ainsi 1^. Puis cherchez un nombre tei que multiplie' par neuf il détruise ce qui est au-dessus du (neuf); ce sera un. Ensuite transportcz le neuf sous le trois, et e'crivcz en bas zèro. Puis transportez le (neuf) sous le six, de sorte qu’il se trouvcra au-de.ssus du (neuf), trente six. Chercliez un nombre tei que multiplie' par le diviseur le produit soit e'gal a ce qui est au-dessus du (neuf); ce sera quatre. ]Multipliez-le en neuf, le résultat de la division sera cent quatre; ainsi: 104. *) Cctte (léfinition est aussi obsciire que la phrase arabe dont elle est la trarluction. D’ ailleurs la définition de la n)ulti|)lication donnée-ci-dessus (page 372) par l’auteur, ne brille pas non plus par l’exactitude. Lorqu’on divise le divddende en autant de partics égales que l’ indique le diviseur , ces partics qui sont toutes égales au quotient, peuvent ètre considéréc-s corame les unités constitutives qui coinposent le dividendo. 'Felle me serable étre la pensée que rauteur a voulu exprimey Mais on trou- pe dans d’autrrs traités d’arithmétiqiie arabes, par exemple dans cclui de Bebà-eddin, la définition exacte et explicite de la division, savoir que c'est la recherebe d’un nombre qui est à l'unité comme le di- vidende est au diviseur. Au reste ce qu’il nous importe ici de connaitre, ce ne sont pas les défini- tions de rauteur, mais ses procédés, et la descriplion de ceux-ci est d’une clarté satisfaisante. — 376 — Pour tout nonibre qu’il s’agit de diviser par dix, si son premier (cliiffre) est forme' par des imite's (c’est-a-dire: n’est pas zero) meltez ce qui se trouve dans les uiiites sur dix, et ce qui vieiit après sera le nombre cbercbe. Pour diviser par exemple 743 par dix. Doiic ecrivez dix et posez au— dessus de dix les unites, ce qui fait trois dixièmes *), donc le resultat sera 74 et trois dixièmes. Si le premier ( cbiffre) du nombre est zero , et que vous voulez diviser ce foi. 93 r. (nombre) par (dix), alors re'jetez le (ze'ro) 3 il resterà le (nombre) chercbé. S’il s’ agit par exemple de diviser 5360 (par dix) re'jetez le ze'j o, le resultat de la division sera ainsi 536. Telle (est la manière de proce'der) si le diviseur n est forme que d’uii seni rang (cbiffre.) Mais s’il est forme' de deux rangs (c’est-a-dire: de deux cbiffres), comme si fon dit : divisez deux mille six cent quarante par vingt-quati e , alors ecrivez cela ainsi : 2640. Puis (011 remarque que) vingt-quatre est compose' de trois et buit, donc mettez-le en deux range'es, le plus grand cote *^) le premier, puis après celui-ci le plus petit, ainsi: 3 8 ***). Ensuite divisez le dividendo entier par trois, puisque ceci (trois) est plus petit que (le nombre buit) dont il est prèce'dè. 11 rèsulte buit cent quatre-vingt, et puis (quant au reste de la division) zero sur trois, parco que la (quantitè produite par la) division est entière. Après cela di- visez le resultai par buit, il rèsulte cent dix. Et si l’on dit : divisez mille par vingt-quatre, alor rèsolvez (dècomposez) le diviseur en six et quatre, et posez cela ainsi : 4 6. Puis divisez mille par qua- tre, il resulto deux cent cinquante et pas de fraction. Donc posez ze'ro au-dessus du quatre. Puis divisez le resultat par six; il vient quarante et un, et il reste quatre au-dessus du six, donc formez le rapport de quatre a six , parco que toujours ce qui se trouve au-dessus du plus grand diviseur (« imdin ») ****) sera rapporto' (simplement) a ce qui se trouve au-dessous (c’est-a-dire: aura pour dè- nominateur cet imam ou diviseur seul); puis ce qui se trouve au-dessus du second (en grandeur) sera rapporto' 'a ce qui est au-dessous (c’est-a-clire : à cet imdm) et à Vimdm suivant, et ainsi de suite, s’il y a lieu, lei le resultat est quarante et un et quatre sixièmes, c’est-a-dire deux tiers, ce qui est le nombre cbercbe'. *) Ceci est la maniere connue des Arabes d’écrire les fractions, semblable à la nótre (tant qu’il s’agit de fractions simplcs), mais en omettant le tr.'.it de division. C’est-à-dire; le plus grand facteur, le produit des deux facteurs élant représenté géometrique- mcnt par la surface d’un rectangle. C’est ainsi que les deux cbilfres se suivent dans le raanuscrit, par ce qu’en arabe on écrit de droite à gauebe. L’auteur designe ici par le terme « a (qui signifie proprement: chef, directeur, et puis: modèle, règie, canon) Ics diviscurs simples dans lesquels on a décomposé le diviseur propose. Comme on a vu l’autcur divise par ces facteurs successivement, suivant l’ordre de leur grandeur, le plus grand étant le dernier. Consequemment le reste de la dernièrc division aura pour dénominateur le plus grand facteur (ou « le premier imdm a) seul; le reste de l’avant dernière division aura pour déno- minateur le produit de l’avant dernier facteur (« du second imdm:») par « le suivant a c’est-à-dire ; par le plus grand facteur qui scrt à la dernière division; et ainsi de suite. fol. 93 — 3TT — Si vous avez decompose le diviseur en huit et ti’ois, le resultat serait quarante et un et cinq liuitièmes et un tiers d un huitième, aìnsi : {sic !) *). La raison de cela c’est que la division d’un nomhre par un autre nombre et puis du resultat par un troisième nombre est exactement la mème cbose que la division du méme nombre par le rectangle forme' des deux nombres par les- quels vous ayez divise' (successivement). La prem-e que la division est juste, c’est que si Fon multiplie le resultat par le diviseur on doit obtenir de nouveau le dividende. On reconnaìt par là que la division d’un nombre par un autre nombre est la méme cbose que si l’on divise le dividende en de'composant (le diviseur) dans (les nombres) dont il est compose. Donc la connaissance de la de'composition des nombres est ime cbose importante qu’il faut conserver dans sa me'iuQire. Voici comment on y procède. Si le premier (cbifFre) du nombre qu’on cbercbe à decompose!- est ze'ro ^ il aura ime moitiè **), ce qui est ime proprie'te' naturelle de tous les nombres pairs; il aura aussi un cinquième attenda que le (ze'ro) est suivi (d’autres cliiffres); il aura enfm un dixième. Oli (si le premier chilFre est) cinq, (le nombre) aura un cinquième , mais il aura aussi d’autres fractions ***) par exemple un quinzième. Ou (si le premier chiffre est) un nombre pair, reduisez ****) le (nombre pro- pose') par neuf. S’il est (complètement) re'duit, il aura ime moitiè, un tiers, un sixième, et un neuvième comme trente six, qui est compose' de quatre et neuf, donc pourra étre (complètement) re'duit par neuf qui est multiple de trois, et toutes les neuvaines paires sont des multiples de six. S’il reste du nombre (propose) trois (après la rèduction par neuf, comme (c’est le cas polir), quatre— vingt—seize, alors le (nombre propose') aura les fractions de quatre dans lesquelles il n’entre pas le neuvième **^**). S’il (c’est-à-dire: si le nombre propose') n’est pas re'duit par lui (c’est-à-dire : per neuf) et qu’il n’en reste pas non plus trois, ni six, alors re'duisez-le par huit. S’il est (complètement) re'duit, il aura ime moitiè, et un quart, et un huitième, par- co que (le huit) est multijile de quatre, et que chaque nombre qui a un huitième a aussi un quart; comme par exemple seize. S’il n’est pas re'duit (par huit) et qu’il ne laisse pas non plus quatre polir reste, alors reduisez— le par sept. S’il est (complètement) re'duit, il aura, outre la moitiè, le sejitième; comme quatre-vingt dix-huit, vu que ce nombre est com- *) La vraie manière de figurcr cette quantité selon Tiisagc de aritlimcticiens arabes est comme il siiit : Il 41. C’est-à-dire; il sera divisible pardeiix. ***) C est-à-dire: il pourra aussi étre divisible par d’aulres nombres. Comparer pag. 368, note, et les pages suivantes. C’est-à-dire les nombres de la forme |2m -f- 1 ( 9 -}- 3 ou 2m9 -(- 6 peuvent ètre de la forme 4.n , mais ne scront jamais de la forme 4. 9. n. fi faut se rappeler qu’il s’agit dans tout ceci d’un nombre proposé dont le premier chiffre est pair, donc d’iin nombre pair. 5i fol. 94 — 378 — pose d’un nombre pair de septaines, puisque c’est le resultat de la multipli - cation 1 j {sic !) *). S’il ii’est pas reduit (par sept non plus) il n’aura d’autre fraction rationnelle **) qne la moitie, et la moitie de celle— ci sera sourde ***) , comme (c’est le cas poni) quarante six. Si (le nombre propose) est impair, reduisez-le par neuf s’il est re'duit (com- plèlement) il aura un neuvième et un tiers, comme soixante trois. S’il n’est pas reduit et qu’il ne laisse pas non plus trois pour reste, re'duisez— le par sejDt, S’il est (complètement) reduit, il aura un septième. Si non^ il est sourd et alors cherchez (ses facteurs) parmi les preraiers nombres sourds qui se succèdent, a partir de onze et treize suivant l’ordre. On se rend compte de la justesse de l’ope'ration, eri multipliant les cóte's (c’est- a-dire, les facteurs) les uns dans les autres; s’il en resuite le (nombre) decom- pose' lui-méme, (la decomposition) est juste, si non non. Par exemple vingt-quatre laisse, après la re'duction par neuf, 6 pour reste. Consequemment il aura une moitie', un tiers, et un sixième. Conside'rez main- tenant un quelconque de ceux-ci. Si vous conside'rez le sixième, son de’nomi- nateur est 6; donc ce sera un des deux cote's ; divisez 24 par ce (nombre) , il re'sulte 4, ce qui est l’autr'e cote'. Si vous conside'rez le tiers , les deux cóte's seront trois et huit . Si vous conside'rez la moitie', les deux cóte's sont 2 et 12, foi. 94 et il faudra de'composer de nouveau douze. Le plus convenable c’est qu’on considère la fraction la plus petite, aussi quand c’est une fraction autre que le dixième, parce que c’est la plus importante ***^’*^). Ce qui pre'cède sur la division de grands nombres forme un genre de pro- cède auquel il en est oppose' un autre ******). Or, quant a la mèthode de l’ope'ration contraire, elle consiste k de'composer le dènominateur dans ses cóte's (facteurs) dont il est compose', en le divisant par le dènominateur d’une des fractions qu’il presente ****«**), et de diviser le resultat C’est adire la multiplication de 14 par 7. **) Les arithrnéticiens arabes appelicnt « fractions rationnelles » les dix premières fractions: un demi, un tiers, etc. jiisqu’à un dixième, pour désigner lesquelles leur langue a des formes propres ; toutes les autres fractions ne peuvent s’énoncer en arabe que par des circonlocutions. Mais ailleurs les géométres arabes emploient les termes (( rationnel » et « sourd « dans le mème sens que les géo- mètres grecs. ***) « La moitié de celle-ci sera sourde « veut dire ; la moitié de celle-ci n’aura pour di\1- seurs que des nombres dont les valeurs réciproques sont des fractions sourdes ; en d’autres termes : la moitié de celle-ci ne sera divisible pas aucun des nombres depuis deux jusqu’à dix. C’est-à-dire il aura pour facteurs des nombres qui sont des dénominateurs de fractions sour- des. Il ne faut pas croire que l’auteur veuille parler ici des nombres premiers. Ceux-ci s’appellcnt en ara- be comme chez nous, leur nom arabe étant, comme leur nom moderne, la traduction du terme grec. La mcsure de cette importance parali consister ici dans les facilités qu’un nombre offre com- me diviseur; or dix en présente de toutes particulières que I’ auteur a exposées plus haut ; mais en général ce sera toujours le plus petit nombre qui donnera lieu à la division la plus facile à exécuter. ****'>*) L’opposition entre ce qui précède et ce qui suit consiste en ce que dans ce qui précède il s’agit de la division d’un nombre par un nombre plus petit, et dans ce qui suit de la division par un nom- bre plus grand; donc dans ce qui précède de la division proprement dite, dans ce qui suit de la ré- duction des fractions à leur forme la plus convenable. *******) Cornine 24 par exemple présente les fractions un quart et un sixième. — 370 — de la méme manière, jusqu’a ce que ses cóte's (facteurs) soient amenés a un etat qui donne lieu a une e'nonciation facile (de la fraction proposèe). Donc si Fon dit : e'noncez ime unite' de soixante douze, re'solvez ce (dernier nombre) en huit et nenf, ensnite dènommez Funitè d’après huit, ce sera un bui- tième, et d’après neuf, ce qui sera un nenvième; puis raettez Firn des deux noms en rapport de de'pendance aree Fautre, ce sera un huitièrae d’un neuvième, et tei est le rapport de Funite' a soixante douze. Si Fon ayait quatre (au ben de Funitè), alors dènommez quatre d’après huit, ce sera un demi, et dènommez Funitè d’après neuf, ce sera un neuvième, (et Fon aura finalement la moitiè d’un nemnème). Si c’ètait neuf, alors dites : un linitième. Ou si c’ètait seize, divisez (seize) par huit; il rèsulte deux; dènommez-le d’après neuf, ce sera deux neuvièmes. Ou si c’est dix, divisez (dix) par huit si vous voulez, il rèsulte un et il reste deux; dènommez Funitè d’après neuf, ce sera un neuvième, et dènommez le deux qui restait, d’après huit, ce qui sera un quart; et puis mettez F un des deux noms en rapport de dèpenclance avec ce rcsultat, vous aurez un neuvième et un quart d’un neuvième. Et si vous voulez diviser Funitè par vingt— quatre, dècomposez ce ( dernier nombre) ainsi : 32. Posez Funitè au-dessus du trois comme vous Favez vu, et pre- f«i- 95 nez le rapport de l’un a Fautre, ce sera un tiers, puis mettez cette dènomina- tion en rapport de de'pendance avec le noni de Funitè par rapport a huit; ce sera un tiers d’un huitième. Proce'dez conformèment a cela. Et (comme) il faut viser a mettre la signification (d’une thèorie) autant que possible a la porte'e des intelligences (j’ajouterai encore les observations suivantes). On dit, polir (ènoncer le rapport de) 25 a 80, « un quart et la moitiè d’un huitième » , parce que cela est plus clair *) que « trois dixièmes et le huitième d’un dixième ». Et « la moitiè d’un huitième » est plus convenable que : « un quart d’ un quart»; de méme «la moitiè d’un sixième » est plus convenable que: « un tiers d’un quart »; et « un tiers d’un huitième » est plus convenable que; « un quart d’un sixième ». Il est plus convenable aussi de fairc prècèder la plus grande des deux (fra- ctions) mises en rapport de de'jiendance, comme « un quart d’uii septième », au lieu de « un septième d’un quart ». En outre « un sixième » est jilus convenable que « la moitiè d’un tiers »; et « un huitième » est plus convenable que « la moitiè d’un quart », « un dixième » plus convenable que « la moitiè d’un cinf|uième », et « un neuvième » plus ") C’est-à-dire plus immédiatement coinprébensible, ou, comme noiis dirions actuellement, plus élé- gant. Le texte porte ce qui sigiiifierait « plus posé » ou « plus humble »; mais je crois que ce n’ est qu’ une fante d’ éeriture pour qui se traduit comme je l’ai fait Cotte faute était , comme on voit, très facile à commettre. ^ — 380 — coin'^enaLle qiie « un tiers d’un tiers »; enfin « un sixième d’un dixième « est plus convenable que « un tiers d’un quart d’iin cinquième ». n existe aussi un genre de division qu’on appelle la « Mohdssah » (distri- hutioii de portions). La manière de procèder dans cette opèration consiste a ad- ditionner les parlies, a les rapporter a un imdm (c’est-'a-dire a un dènoininateur commun puis a multiplier la portimi de cìiacun par la quantitè **) (]u’il s’agit de diviser, et a diviser le produit par Vimdm, e Ou liien ***) a donnei- a la portion Vimdm pour dènoniinatur et a multiplier la (fraction) resultante par la quantitè qu’il s’agit de diviser, Ou bien a diviser Vimdm par la portion, età diviser par le rèsultat la quan- titè qu’il s’agit de diviser, Ou bien a diviser la quantitè qu’il s’agit de diviser, par Vimdm, et a mul- tiplier le rèsultat par la portion de cbacun, Ou bien a diviser Vimdm par la quantitè qu’il s’agit de diviser et la partie de cbacun par le rèsultat. Ce qu’on obtient sont les (portions) cbercbèes. Donc si l’on dit : dìvisez dix elitre trois personnes (en donnant a Lune d’elles la moitiè, a la seconde un tiers, et a la troisième un sixième, alors le dènomi - foi. 95 p. nateur (commun) sera six; convertissez ****) (les fractions qui expriment les por- tions) par rapport à ce (nonibre) qui est Vimdm. Puis mullipliez pour la per- sonne qui a la moitiè, trois en dix et divisez le produit par Vimdm. Ou bien donnez à trois Vimdm pour dènoraiiiateur et multipliez le rèsultat, qui est un demi, par dix. Ou bien divisez Vimdm par trois, et dix par le rèsultat (de cette division) qui est deux. On bien (divisez) dix par Vimdm , et multipliez le rè- sultat, qui est un et deux tiers, après l’avoir converti en tiers *****), par trois. On bien donnez a Vimdm dix pour dènominateur, et divisez trois par le rèsultat après avoir converti celui-ci en cinquièmes. Il rèsulte (toujours) cinq. Procèdez de la ménie manière pour les deux personnes qui ont le tiers et le sixième. Si parmi les (portions) il s’en trouve de fraclionnaires **"^***)^ multipliez toutes les parties proportionnelles ’^**^*^*) par le plus petit nombre divisible par leurs dènominateurs (« imdms »). Par exemple, un bomme possède dix dinars, et il (en) doit a ime personne *) Comparer la de la page 376, où ce mot désignait les diviseurs partiels en lesquel on avait décomposé un diviseur propose. Le mot arabe est « mdl » qui signifie proprement « possessions » , « biens »; en effet les quantités qu’il s’agit de diviser dans les problèmes de partage sont ordinairement de 1’ argent , des terres, ou des troupcaux, etc. « Mdl » est aussi, comme on sait, le terme technique employé par les algcbristes arabcs pour désigner la seconde puissance de Tinconnue. Tous ces (( autrement » n’ expriment autre chose que l’identité suivante ; (p. g) : i = f- .q = g:{i:p)={q:i).p = p : {i : q). Voir page 371, note ****’>) C’cst-à-dirc après avoir converti 1 | en |. gyjj immediatcment explique ce que l’auteur veut exprimer par cette locution, im- propre en ce scns que, sous un centain point de vue, les portions doivent toujours étre fractionnaires. ******’>) C’est-à-dire. Les fractions ou nombres mixtes exprimant la grandeur des portions. — 38 i — Irois et un tiers, a ime autre personne quatre et un tiers, a ime autie deux et un quart, a ime autre cinq et un sixièrae, età ime autre un et un huitièine. Posez les de'nominateurs (« imcitns )>) cles fractions ai usi : 8 6 4 3 3 , savoir trois et trois et quatre et six et huit. Ceci fait, vous pouvez obtenir de deux ma- nières un nombre qui contienile ces fractions. La première metliode consiste a les examiner deux a deux relativement aux quatre rapporta *). Vous trouverez donc entre les deux trois Tègalitè , donc vous vous contenterez de Tim d’eux. Puis examinez trois et quatre; ils sont in- commensurables (prerniers entre eux); donc forniez leur rectangle, il re'sulte douze. a.i. 96 Puis examinez le produit et six; celili— ci est contenu dans celili— la; donc on se contenterà dii premier. Puis on examinera celui-ci relativement a huit. Ils s’accor- dent par le quart (c’est-'a-dire ils ont quatre pour plus grand commun diviseur). Donc multipliez r(ancieu) produit par deux, ce qui fait vingt-quatre , et cela est le (nombre) contenant (toutes) les fractions du problème. La seconde metbode consiste a decompose!’ **) les (de'nominateurs) propose's en leurs cóte's (facteurs) premierà, donc ainsi : 2 2 2 3 2 22 33. (Quant aux deux pre- miers nombres ***) ) contentez-vous du premier , atlendu qu’il est e'gal a celili qui le suit. Puis entre ce (nombre) et le troisième ****) il y a dilFerence d’espèce par rapport a tous ses cóte's (facteurs). Donc joignez— le a Fautre. Ce sera ainsi: 2 2 3. Ensuite entre celui— la et le quatrième il y a la relation qiie l’un est contenu dans Fautre; donc contentez-vous du produit. Entre celui-ci et le cinquième il y a identite par rapport a deux cóte's (facteurs), mais le nombre de ces cóte's ègaux est plus grand d’ime unite'. Donc joignez ce còte au pro- duit. Ce sera ainsi : 2 2 2 3- Multipliez ces (nombres) l’un par Fautre, il re'sulte vingt-quatre comme auparavant. Ensuite convertissez les parties proportionnelles *^^***) relativement a cette espèce, de sorte que l’unite' deviendra vingt-quatre, et les fractions (se cliange- ront) proportioimelleraent. Conse'quemment celui qui avait trois et un tiers aura quatre-vingt, celui qui avait quatre et un tiers aura cent quatre, celui qui avait deux et un quart aura cinquaiite quatre, celui qui avait cinq et un sixième aura cent vingt quatre, et celui qui avait un et un Iiuitième aura vingt-sept. Additionnez ces (nombres) et posez-les cornine parties proportionnelles. Il re'- sulte trois cent quatre-vingt neuf. *) Les quatre rapports dont l’auteur entend parler, sont les rapports qui existent entre deux nom- bres suivant que : l“ les deux nombres sont égaux; 2" l’un est multiple de l’autre; 3" ils sont multiples difFérents d’un méme nombre; 4” ils sont prerniers entre eux. ’'*) Le texte porte erreur de copiste pour (3* . En outre il se trouve sur cette der- nière feuille, qui est d’une autre écriture que les dix feuillcs précédentes occupées par ce traile, plu- sieurs fautes de copie assez grossiéres. .Te n’indiquerai pas particulièrement les suivantes en les cor- rigeant dans ma traduction. ***) Ce sont le deux prerniers nombres à droite, savoir les deux 3. ”*''*) C’est-à-dire entre trois et quatre. ***<’*) C’est-à-dire le produit des facteurs 2, 2, 3, donc le nombre 12. ******) Voir page 380, note **•>****. fol. 96 — 382 — Un nombre tei qu un nombre sourcl ne se decompose pas. On opere en ce cas comme auparavant. Excepte qu’on ne convertii pas la quantité qu’il s’agit de partager en portions, mais qu’on la multiplie ou la divise, ce qui revient au méme. L’operation à tableau pour le méme (problèrae) consiste a additionner toules les parties. Puis de'composez ce qui est (c’est-a-dire le re'sultat de l’addition), dans les facteurs (« imàms ») doni il est compose', et meltez-les a pari dans la troi- sième **) table (colonne). Puis mettez la quantité' qu’ il s’agit de diviser dans mie seconde table (colonne) après la table ( colonne ) où se trouve la somme des (nombres qui expriraent les) portions. Ensuite multipliez la portion de cliacun par le nombre qu’il s’agit de diviser , et divisez les re'sultats par les facteurs ((( imdins ») sus-mentionnés que l’on avait mis a pari. Il re'sultera ce qu’on avait chercbe'. Bone si l’on dit : l’un de trois hommes a vingt-deux dìnàr s, le second dix- neuf, et le le troisième sept; ils font le commerce et gagnent douze dindrs. Alors additionnez ces portions; il re'sulte 48, ce qui est compose' de huit et de six. Donc posez ces (nombres) après la colonne de la possession (« mdl ») ***) et du gain. Puis multipliez la proprie'te' de cliacun par le gain, qui est douze, et divisez le produit par six, et ce qui en re'sulte par huit. Alors le premier recevra cinq et qua tre buitièmes , le second quatre et six huitièmes, et le troisième un et six huitièmes. Ensuite additionnez les huitièmes, il vieni deux (unite's) entières. Posez-les en bas dans la colonne du douze. Ainsi : {sic). ***^) On reconnaìt que l’ope'ration est juste; en additionnant ce qui revient a cha- chun du (gain) qu’il s’agit de diviser. S’il re'sulte le nombre qu’il s’agit de di- viser, l’opération est exacte, sinon non. Fin. Dieu seni connaìt la ve'rite', L’e'criture (la copie de ce traitè) a e'té termine'e le second jour de la semaine, 22.® du mois très-saint ramadhàn, de l’anne'e 980 de la Hidjrah, sur l’auteur de laquelle ( Mohammed ) soit la Béne'diction divine (cette date correspond au lundi, 26 Janvier de Fan 1573 de notre ère). *) Voir page 378, notes **) et **) Voir le tableau rapporté entre les lignes 23 et 24 de cette page. L’auteur décrit son procédé uo peu au rebours. "***) C’est-à-dire le capitai que chacun apportait à l’éntreprise ou le capitai de la société. Corapa- rer page 380, note*^). La premiere colonne (qui est dans le raanuscrit presqu’entiérement emportée par la rognure de la marge) contient, comme on volt, le capitai de la société et les parties que chacun des sociétaires en a donnécs; la seconde colonne le gain et les parties entières de ee qui en revient à chacun; la troi- sième les facteurs (« imdms ») du nombre qui exprime le eapital , et les parties fractionnaires des portions du gain. **■'**) C’est le mois du grand jeùne, mois sacré pour les mahométans. 68 12 48 04 5 22 06 4 19 06 1 07 — 383 — ADDITION. J1 se trouve au feuillet H6 r? du méme manuscrit, sur une de plusieurs pages Llanches restees entre la fin d’im traile' et le commenceraent d’un autre , une note de'tachee qui m’a pam offrir un certain inte'rét. Elle ne se compose rpie de deux lignes dont la première est forme'e par la succession des lettres arabes de l’alphabet nume'ral, range'es suivant l’ordre qu’on verrà ci-après. La seconde ligne coiitient les e'quivalents de leurs valeurs nu- mériques exprime’s par les cliiffres indiens , mais en employant pour designer les dizaines et les centaines une notation qu’on croyait jusqu’ apre'sent appar- tenir particulièrement au cliilfre gobàr. Au-dessus de la premier ligne se trouvent les mots : « Kalani hindi » c’est-a-dire « Ecriture ou notation indienne w, ce qui d’un cote' trancile les doutes qu’on pourrait avoir a cet e'gard, et d’un autre coté établit une analogie remarquable entre les chifires de cette note détachée et les cliiffres indiens du moine Néopbytos mentionnés par M. de Humboldt dans son méraoire sur les System es de cliiffres *). Je fais suivre ici une réproduction de ces deux (on trois) lignes en remplagant les lettres numérales arabes par leurs e'quivalents en chilìres modernes: NOTATION INDIENNE 900 90 9. 800 80 8. 700 70 7. 600 60 6. 500. 50 5. 400 40 4. 300 30 3 200. 20. 2. 1000 100 10 1. Ili A AAvvv T T ^ aaat“t=i*rrrr rr i ( fi *) Journal de M. Creile Tome iV®, pag. 206 et suiv. COMUNICAZIONI Sulla stella variabile^ osservata verso la metà del maggio 1866, in vicinanza alV z Corona Boreale. Nota del prof. L. Respigj/i. Appena avuto notizia del singolare fenomeno presentato, pochi giorni or sono, da una stella vicina all’s Corona Boreale, la quale, dopo dì avere rag- giunto quasi improvvisamente lo splendore di una stella di 2." in 3.“ gran- dezza, in pochi giorni si è indebolita a modo, da rendersi invisibile all’occhio nudo , cercai di fissarne la posizione sul Globo Celeste di Cary , per mezzo della costruzione grafica in proposito indicata. Secondo questa costruzione il luogo della stella, coincideva prossimamente colla intersezione S di due allineamenti, uno dei quali condotto per le stelle a, y e § della Corona Boreale, e l'altro innalzato dalla stella £ di questa co- stellazione, perpendicolarmente alla linea s§, in modo da formare un triangolo eS§ rettangolo in g, nel quale la differenza della stella variabile S dalla £, rie- sciva alquanto minore della distanza della s alla Nella località, così determinata, avendo trovato segnata sul detto Globo una nebulosa , mi affrettai di verificarne la posizione nel Catalogo delle Ne- bulose di Herschel ; ma con mia sorpresa non trovai in questo indicata al- cuna nebulosa in vicinanza al luogo, corrispondente a quello della nebulosa se- gnata sul Globo di Cary. Esaminati allo stesso scopo altri Cataloghi, altri Globi ed Atlanti Cele- sti, non si è rinvenuta traccia alcuna dì tale nebulosa ; ed anche le minute ricerche fatte in quella località del cielo, per mezzo dell’ Equatoriale, riesci- rono del tutto infruttuose. La diligenza ed accuratezza , colla quale è stato costruito questo Globo Celeste, non permettendmpi di spiegare subito questo fatto, come effetto d’un errore, feci alcune indagini ne’ Cataloghi ed Atlanti, sui quali è stata basata la costruzione del Globo stesso, ma non mi fu dato di scoprire donde Cary abbia cavata questa nebulosa. Non è quindi improbabile, che la nebulosa sia stata per isbaglio segnata sul Globo; ma pure sarebbe opportuno di fare ulteriori ricerche in proposito, 0 per constatare questo errore, se esiste, o per rendersi ragione della scom- parsa di questa nebulosa, nel caso che essa fosse stata realmente osservata. La singolarissima circostanza poi di trovarsi indicata una nebulosa nella località stessa, dove è apparso lo straordinario fenomeno della stella variabile, rende queste ricerche tanto più importanti ; in quanto che esse potrebbero forse condurre a constatare un fatto, connesso con quello della variabilità della stella ; non essendo impossibile che la medesima stella , che ora ci ha fatto meravigliare con una quasi subitanea e temporaria accensione, in altri tempi vestisse invece la forma più tranquilla di una nebulosa. Il sig. prof. N. Comm. Cavalieri S. Bertelo, dette in succinto contezza di un metodo pratico, del quale si fa particolarmente uso nella provincia di Orvieto, per misurare la intiera, o la parziale capacità delle botti, nel com- mercio del vino ; riservandosi di farne pienamente conoscere il semplice ed ingegnoso artificio, coi singolari pregi, in altra sessione. Il prof. cav. Diorio diede comunicazione all’accademia di qualche risultamen- to ottenuto, servendosi nelle osservazioni microscopiche di vetri diversamente colorati, invece dei vetri chiari attualmente in uso; ponendoli sul porta og- getti, fra il corpo da osservarsi, e la luce riflessa dal sottostante specchio. Accennò di avere con tal metodo discoperto nelle ovicine di una tenia, cacciata di recente dal corpo umano ; quelle già fecondate, e contenenti lo sviluppo primordiale del germe, dalle altre che non lo erano ancora; e traeva da ciò delle deduzioni fisiologiche, intorno al modo di fecondamento delle me- desime. Dichiarava poi di avere imaginato questo metodo dei vetri di colore , dopo i belli risultamenti, avuti fra noi dal Chino, sig. Conte Castracane, nelle os- servazioni microscopiche; mediante i raggi di diverso colore dello spettro so- lare, riflessi separatamente sugli oggetti, sottoposti allo studio, col mezzo di appositi congegni. Indicò finalmente che l’ idea primitiva di questo metodo, venne dal nostro prof. Amici, di chiarissimo ricordanza. Intanto» per mezzo dei vetri colorati, si può avere di notte, l’effetto che di giorno si otterrebbe col prisma. Il sig. Presidente comunicò una lettera, inviatagli dal sig. Ab. Carlo Ru- sconi, del 19 maggio 1866, colla quale questo geologo indicava di aver egli scoperto alcune ossa fossili umane, in un terreno che, secondo l’autore, ap- partiene alla serie dei postpliocenici, anteriori alla deposizione dei tufi vulcanici. 52 — 386 — . L’accademia dopo questa comunicazione, intese le obiezioni fatte dal sig. Cav. prof. Ponzi, pregò questo suo socio, perchè verificasse il fatto annun- ciato dal sig. Ab. Rusconi. Il prof. Ponzi comunicò all’accademia il rinvenimento di due tombe del- l’età della pietra, fatto a sinistra della via Yaleria, venendo da Roma, oltre Vico varo, sotto il paese di Cantalupo Rardella. Qualche mese indietro dovendosi ricostruire il ponte sul fosso di Licenza (l’antico Digentia), i lavoranti per procacciarsi il materiale da costruzione, di- scuoprirono in quel travertino diluviale leggiero, che dicesi Sponga, due au- guste cripte, una scolpita in alto, l’altra in basso, contenenti in tutto cinque cadaveri. Nella superiore se ne contenevano due, Brachicefali, od a cranio corto e rotondo, insieme a punte di freccio, ferri di lancia, e coltelli in pietra fo- caia, di squisito lavoro; neU’inferiore tre scheletri Dolicocefali, ovvero a cranio allungato, con un vaso di rozzo lavoro, e un cumulo di ossa di animali do- mestici , Cavallo , Bove , Porco , Cane, e Cervo [Cervus elaphus), che oggi non vive più nelle nostre contrade. Questi oggetti, sebbene malmenati dal vandalismo dei contadini, pure ven- nero diligentemente raccolti, per essere assoggettati ad uno studio fisiologico, specialmente sui crani, che lo stesso professore va ad intraprendere, perchè faccia parte dei nostri lavori accademici. 11 R. P. Secchi, espose alcune ricerche sulle macchie solari, ed una serie di misure delle medesime , destinata a studiare il fenomeno delia refrazione solare. CORRISPONDENZE La società dei Naturalisti di Mosca , mediante il suo primo segretario Dott. Renard, ringrazia per gli Atti dell’ accademia nostra da essa ricevuti. Il sig. principe D. Baldassare Boncompagni, presentò in dono all’accade- mia, da parte dell’autore sig. Casimiro Richaud, una memoria pubblicata in idioma francese, che ha per titolo «Sur la résolution des équations — A?/^==i=l , suivie d’une note sur un problème indéterminé ». Questa memoria in forma di lettera, è al nominato sig. principe diretta. — 887 — COMITATO SEGRETO Dal comitato accademico fu proposta, per la nomina di un socio ordina- rio, la terna seguente ; Signori Rev. P. Guglielmotti, domenicano. Prof. Giorgi, ingegnere, [ Prof. Ab. Regnam. Dopo ciò si procedette allo squittino segreto, mediante voti bianchi e neri, dal quale si ebbe il risultamento che siegue, i votanti essendo dieciotto Voti Bianchi Neri R. P. Guglielmotti 15 3 Prof. Giorgi 9 9 Prof. Regnami 7 li. ' Perciò fu eletto fra i trenta soci ordinari lincei, il R. P. maestro Guglielmotti, salva l’approvazione sovrana. L’accademia riunita in numero legale a un’ora pomeridiana, si sciolse dopo due ore di seduta. Soci ordinari presenti a questa sessione. C. comm. Sereni- — G. cav. Ponzi. — S. Proja. — A. Coppi. — S. Cadet. E. Rolli. — P. Volpicelli. — E. contessa Fiorini. — P. A. Secchi. — P. Sanguinetti. — M. cav. Azzarelli. — B. principe Boncompagni. — B. mon- signor Tortolini. — L. Jacobini. — L. cav. Respighi. — D. Chelini. — - F. monsignor Nardi. — ■ V. cav. Diorio. — ^ N. comm. Cavalieri S. Bertelo. Pubblicato nel 20 di dicembre del 1866. P. Y. ~ 388 OPERE TENUTE IN DONO De ... . DelV uso delle osservazioni azimuttali per la determinazione delle ascensioni rette , e delle declinazioni delle stelle , per il sig. Emm. Liais. Parigi 1857; un fase, in 8." Influence .... Influenza del mare su i climv, o risultamenti delle osservazioni meteorologiche fatte a Cherbourg nel 1848 , 1849, 1850 , 1851 , del me- desimo. Parigi 1860; un fase, in 8." Giornale di Scienze Naturali ed Economiche, pubblicato per cura del Con- siglio di perfezionamento annesso al H. Istituto tecnico di Palermo. Voi. I. fase. I. Palermo 1865. Bullettino meteoralogico del R. Osservatorio di Palermo. Voi. III. — Num. 2. 1866. Transactions .... Transazioni della Società' filosofica americana. Parte II. Filadelfia 1865. Smithsonian Contribuzioni smitsoniane. Voi. XIV. Washington 1865; un voi. in 8.° Hydrographie .... Idrografia dell’alto S. Francesco ; e del Rio del Velhas ; ossia risultamento al punto di vista idrografica d'un viaggio effettuato nella provincia di Minas-Geracs , da Emm. Liais. [Opera pubblicata per ordine del governo imperiale del Brasile, e accompagnata da carte delineate dal- l’autore con la collaborazione dei sigg. Ed. José de Moraes, e Lad. de Souza Mello Netto). Rio de Janeiro — e Parigi 1865, in foglio grande. Comptes Conti resi dell’ Accade MIA delle Scienze dell’ Imperiale Isti- tuto di Francia, in eorrente. Bullettino Meteorologico dell’ Osservatorio del Collegio Romano, in eorrente. Sull’inversione guàdrica delle curve piane. Memoria di T. A. H/flsr. Roma 1865; un fase, in 8.° cesili siili DEL XIX VOLUME (1865-1866) Elenco dei soci attuali dell’ accademia , sino a tutto il dicembre del 1865 pag. v-xvi Soci defunti » xvi MEMORIE E COMUNICAZIONI Marre Aristide - Biographie cV ìbn Albannà malhématicien du XÌIL‘’ siècle )) 1 Prof. VoLPicELn Paolo , socio ordinario e segretario - Considerazioni sulla tensione, tanto in elettrostatica, quanto in elettrodinamica, e sulla elettrica influenza (undecima comunicazione) » 1 1 Il MEDESIMO - Sulla necessità di proteggere dal fulmine le masse metal- liche, stabilite nella cima degli edifici » 22 Il MEDESIMO - Ricerche ancditiche, relative al geometrico luogo, tanto dei punti di tangenza, fra uno e due sistemi di parallele, con una serie di coniche omofocali; quanto dei punti d' intersecazione delle tangenti parallele di un sistema, colle rispettive di un altro.)) 26-53-149-219-268 Prof. Genocchi Angelo - Nota intorno ad alcune somme di cubi. » 43 Nardi monsig. Francesco, socio ordinario - Relazioni sulle bottiglie gal- leggianti, come mezzo di esplorare le correnti marittime . . . » 51 Martin Tu. Henri. - Sur Vàge du traité De Republica de Cicéron, et sur Vépoque de Théodore Méliténiote. Passages de lettres adressées à B. Boncompagni , suivis d'une addition de M. Th. Henri Martin , à sa note sur Vépoque d'Aristide Quintilien, et d'un article sur Aristide Quintilien, tiré des Vite de’ Matematici de Bernardino Baldi. . » 87 Prof. Cavalieri San Bertolo, comm. Nicola, socio ordinario e presidente - Soluzione di un problema di geometria analitica , dalla quale si de- duce una notevole proprietà deW iperbola appolloniana. . . . » 101 Prof. Ponzi, cav. Giuseppe, socio ordinario e vicesegretario - Quadro geologico dell' Italia centrale « 107 Prof. Bianchi, cav. Giuseppe , corrispondente italiano - Quinta lettera astronomica, parte 2.“; lettera sesta, e settima » Serra-Carpi Giuseppe, ingegnere - Sulla escursione barometrica in rap- porto colValtezza locale sul livello marino, e colla direzione delvento.y) Richaud Casi mi r - Sur la résolution des équations — ky^ = 1 . Lettre adressée à D. B. Boncompagni, suivie d'ane note sur un pro- blème indéterminé » Prof. Ponzi, cav. Giuseppe - SugV istromenti di pietra focaia, rinvenuti nelle cave di breccie presso Roma, riferibili aW industria primitiva.)) Prof. Diorio, cav. Vincenzo , socio ordinario - Sul cetaceo di S. Ma- rinella » Prof. VoLPicELLi Paolo — Necrologico cenno sul prof. D. Ignazio Ca- landrelli » Il MEDESIMO - Ritrovamento delV inventario degli oggetti , appartenuti alla eredità libera di Federico Cesi, secondo duca di Acquasparta, e fondatore dell'accademia de' Lincei. . . , » Il MEDESIMO - Cenno istorico intorno alle prime scoperte delle proprietà, che appartengono al magnete » Otto Struve - Observations de V éloile doublé 42 Comae Ber. et pre- mière ébauche des éléments de son orbite [présentée par le P. A. Secchi) » Martin Th. Henri - Note sur un article inséré dans les Nouvelles an- nales de mathématiques et relati f à la pubblication intitnlée : Passage du traité de la musique d'Aristide Quintilien » Prof. Diorio, cav. Vincenzo - Cenni su di un altro insetto ampello- gafo, lussureggiante nei vigneti romani » Prof. VoLPicELLi Paolo - Analisi e rettificazione di alcuni concetti , e di alcune sperienze, che appartengono alla elettrostatica. Memoria I. (Continuerà) » Introduction au calcul Gobàri et Hawài , traité d'ariihmétique , traduit de V arabe par Franqois Woepcke , et précédé d' une notice de M. Aristide Marre, sur un manuscrit possédé par M. Chasles, et con- tenant le texte arabe de ce traité (....» 109 145 177 187 189 199 203 205 259 2G7 306 312 360 — 391 — COMUNICAZIONI Monsignor Nxrdi - Sui quattro progetti del telegrafo circumterraqueo.)) 244 R. P. Secchi, socio ordinario - Sidla pioggia di sabbia, e sulla caligine degli ultimi giorni di febbraio 1866 » id. VoLPiCELLi - Articoli favorevoli alla memoria delle isotermiche, pubblicata dal sig. ingegnere Serra Carpi. • » id. Fiorini, contessa Elisabetta, dei soci ordinari - Necrologia del Montagne .)) 349 Monsig. Nardi « 353 Il cav. prof. Diorio » id. Il principe D- B- Boncompagni , , . . » id. Il R- P- Che UNI » id. Il prof. VoLPICELlI )) id. Il prof. Respighi Lorenzo , socio ordinario - Sulla stella variabile del maggio 1866 « 384 Il sig. prof. N. comm. Cavalieri S. Bertolo » 385 Il prof. Diorio « id. Il sig. Presidente « id. Il prof. Ponzi » 386 Il R. P. Secchi » id. COMMISSIONI Rapporto sulV opera del sig. comm. Alessandro Ciardi, che ha per ti- tolo: Sul moto ondoso del mare, e sulle correnti di esso, specialmente su quelle liltorali » 246 CORRISPONDENZE Dispaccio delV Emo. e Piiho. cardinale Altieri, per V approvazione delle nomine a corrispondenti stranieri, dei signori maresciallo Vaillant , generale Morin ed A. Becquerel » 38 VoLPicELLi presentò la continuazione delle lettere astronomiche del sig. cav. G. Bianchi — una lettera del .sig. E. Narducci — una memoria sulle linee isotermiche della Italia , del sig. ingegnere G. Serra- Carpi — e rettificò , alcuni equivoci presi da giornali stranieri , nel pubblicare l’ultimo programma relativo al premio Carpi ...» rid. — 392 — Il sig. principe D. B. Boncompagni presentò in dono una pubblicazione del sig. A. J. H. Vincent — un'altra del sig. Wenckebach — e due memorie del sig. F. Siacci » Il sig. presidente, comunicò una lettera del sig. marchese di Caligny,)) Il prof. VoLPicELLi comunicò tre lettere di ringraziamento , una del sig. maresciallo Vaillant, l'altra del sig. generale Morin, e la terza del sig. F. V. Havers » Fu comunicato un avviso per la dilazione del congresso italiano di Napoli.)) Dono della R. accademia delle scienze di Madrid » Programma pei concorsi della R. accademia delle scienze di Danimarca.)) Ringraziamento delle Reali accademie di scienze di Vpsala, di Danimarca, e del Belgio » Dispaccio dell' Emo. e Riho, cardinale Altieri » La Società filosofica americana » Il sig. Emilio Treves » Ringraziamento del sig. barone di Waltershausen )) La Istituzione Smitsoniana » La Società Geologica di Vienna » Il sig. Renard . . . . 'r . . » La R. accademia delle scienze di Monaco » L'osservatorio fisico centrale di Russia » L' Emo. e Rfho. cardinale Altieri - Il sig. Elie de Beaumont - Il sig. Spallanzani - Il sig. prof. Respigui - La signora Emilia For- chhammer - Il sig. Filippo Bornia » Il sig. cav. A. Coppi - La università Carolina diLund-La società im- periale di scienze agricoltura, ed arti di Lilla - L'accademia archeo- logica del Belgio » L' Emo. e Rino, cardinale Altieri )) Ringraziamento del sig. De Saint-Venant » Il sig. prof. Axel Erdmann » Il sig. dott. Kirschbaum . » V Emo. e Riho. sig. cardinale Altieri » Il medesimo » Il medesimo » Il prof. A. Villa » Ringraziamento del sig. B. Dausse » 38 39 id. id. 88 id. id. 172 id. id. id. id. id. id. id. id. 254 255 849 id. id. id. 354 id. id. id. id. Programma della R. accademia di Amsterdam » 354 La R. università di Norvegia in Cristiania . » id. L’accademia delle scienze dell’ istituto di Bologna » 355 La R. società delle scienze di Danimarca » id. Ringraziamento della società dei Naturalisti di Mosca » 386 Il sig. principe D. Baldassarre Boncompagni » id. COMITATO SEGRETO Nomina del nuovo comitato accademico » 84 Rapporto sid consuntivo del 1865 » 173 Elezione dell’astronomo sig. prof. Re spighi , a membro ordinario del- l’accademia » id. Elezione di tre corrispondenti stranieri » 255 Elezione del principe don B. Bo.ycompagni a membro della censura » 350 Elezione di tre corrispondenti stranieri . . : » id. Elezione del R. P. M. Alberto Guglielmotti , a membro ordinario dell’accademia » 387 Soci ordinari presenti a questa sessione . . 39-84-173-256-351-355-387 Opere venute in dono 40-84-174-256-355-388 Indice generale delle materie di questo XIX volume » 389 Errori e correzioni » 394 ERRORI 394 CORREZIONI Pag. 24 lin. 18 Fraday Faraday » 27 » 2 (salendo) assisa ascissa » 28 s 7 della delle » 29 » 15 (salendo) della delle ■» 30 » 2 (salendo) ricorrémo ricorreremo » 33 » 6 (salendo) Nella Nella » » » 11 (salendo) eomme comune » 39 » 15 deratta diretta » » » 17 liceo linceo » 65 » 21 alle serie stesse alla serie stessa » 76 81 » » 17 3 iberbola a alla iperbola ji »¥vicitta N.B. La numerazione di ognuna delle pagine, comprese fra la 108 e la 133, si trova, per errore di stampa, sempre accresciuta Pag. 247 » 1 stagioni » » » 3 avvicinava » 249 » 10 ed » 157 » 9 (salendo) sia o » 168 » 18 HG » » » 19 GK » » » 20 G » 206 » 16 (salendo) » 299 » 3 fuoehi » 300 » 20 triangalo » 302 » 12 52“ » 304 » 6 (salendo) Enunciazione » 312 » 12 (salendo) parte dei 5> 313 » 17 Kinnersley » 314 » 5 riferisce » » » 8 (salendo) pag. 76 i 100. stazioni avvicina ad sia si tolga la nota (1) fuochi triangolo 53° — Enunciazione parte Kinnersley (Oeuvres de Franklin, t. 1® , pag. 303, lin. 11). riferisce ivi pag. 76, e 77 f '■ ■■ ^ ■ / IMPRlMAPéir"^ Fr. Hieronymus Gigli Ord. Pr. S. P. A. Mag. IMPRIMATUR Petrus De Villanova Castali acci Archiep. Petrae Yicesgerens. i':j.. Jà' à\'ltinJ’J,iÉÌùJ^\L‘ Rami Ut r % I m ▲