’ ACCADEMIA DI SCIENZE NATURALI DI CATANIA A1 SERIE TERZA — TOKIO IV- CATANIA STABILIMENTO TIPOGRAFICO DI C. GALATOLA Nel II. Ospizio di Beneficenza 1870 CARICHE ACCADEMICHE PEII 1/ AMO XXXXIV DA UOMO A 868 \ GlllGXO DEL A 869 1 . ° Direttore Prof. Andrea Àradas. 2. ° Direttore Prof. Cav. Uff. Giuseppe Zurria. Segretario Generale — Prof. Carmelo Sciuto-Patti. Segretario della Sezione delle Scienze Naturali — Prof. Cav, Orazio Silvestri. % Secretorio della Sezione delle Scienze Fisiche — Prof. Cav. O Agatino Congo. Cassiere — Prof. Salvatore Nicolosi Tirrizzi. Direttore del Gabinetto — D.r Paolo Berretta. Direttore delle stampe — Prof. Cav. Agatino Congo. MEMBRI DEL COMITATO 1 . Bonaccorsi Prof. Michclaimclo. 2. Bapisardi D.r Bartolomeo Avv. 3. Cafìci P.D. Giovanni. 4. Distefano Prof. Mario. 5. Somma D.r Antonino. 6. Fallica Prof. Michele. . CATALOGO DEI SOCI! ELETTI DA U'GUU 1868 A GIUGNO 1869. Numero d’ordine COGNOMI-: E NOME PATRIA GRADO ACCADEMICO NUME no del registro — DATA dell’ elezione 1 M.r Godcfroi Gairaud . . Paridi Corrispondente 793 12 luglio 1868. 2 M.r Louis B. Gaiubclli id. » 794 D 3 Marc André Papi . . . Marsiglia » 795 » 4 M.r K. Lambotle . . Bruxelles » 796 ii 5’ M.r K. Adan » 797 il 6 M.‘ Le Coinle de Robiano . Belgio » 798 » 7 Chcnchi Salvalore . . . . » 799 2 agosto 1868 8 Cozzo Crea Vincenzo. . . Regio Calab » 780 » 9 Marlemucci Emidio . . Napoli )) 781 IO E. S. John Fairman . . . Londra » 782 29 novembre 1868 11 Mendola Barone Antonio. . » 783 )) 12 Onesti Cav. Torquato . . . )) 784 » 13 Pistoia Cav. Francesco . . » 785 » 14 Borasela D.r Giuseppe . . » 786 » 15 Cariucci Cremona > 787 31 gennaio 1869. 1G Fabbri Scalpellini Erasmo . Roma * » 788 26 febbraio » 17 Cornili. Adolfo D.r Iluard. . Parigi Onorario 418 22 agosto 1868. 18 Cav. Gustavo D.rLanicr. id. ì 419 » 19 Cav. L. Turpin de Sausay . id. )) 420 » 20 Cav. Fnrico Gourdon . . . id. )> 421 » Comm. Maurizio D’IIerisson. id. » 422 » 2i Prof. Domenico Ghinassi. . Lugo » 423 li 22 De Blasis Carlo . . . . « 424 29 novembre 1868 23 Prof. Fcrrua Woldemaro . Moncalvo Monferrato 1) 425 » 24 Leonardi Giovanni. . . . Catania. )) 426 i « ■ RELAZIONE DEI LAVORI SCIENTIFICI Trattati acict© XUM DELL' ACCADEMIA C.10FJIA DI S ci e nz c jNT n tu r al i LETTA NELL’ADUNANZA GENERALE DI GIUGNO 1868 DAL SEGRETARIO GENERALE <3&E523)&D litGGdSERE-.tRCHITETTa ATTI ACC. VOL. IV. I V i4om? Toulouse. Académie des Sciences, belles lettres et arts — Bordeaux. Société d’ Emulatimi du Departiment des Vosges — Epinal. SVIZZERA Société Vaudoise des Sciences Naturelles — Lausanne. Société des Naturalistes — Bàie. Société des Sciences Naturelles — Neuehatel. BELGIO Société R ovale des Sciences— Eiége. Société de Medecine — Anvers. Académie Royale de Medecine de la Belgique — Bruxelles. Société Matacologique de Belgique — Bruxelles. OLANDA Société Hollandaise des Sciences a Harlem — Hollande. SPAGNA Beai Academia de Cienc-ias — Madrid. GRAN BRETTAGNA Boyal Society — London. Geological Society — London. Literarv and phylosopbical Society — Manchester. Boyal Society — Edinburgh. S VEZ I A-N 0 B V EG I A Università Letteraria Carolina — Lunds. — XXIX GERMANIA i Kais. Akademie der Wissenschaften — Wien. Geologi sche k. k. Reichsanstalt — Wien. K. k. Geographische Gesellehaf't — Wien. Koniglichen Phvsikalisch (Ekonomischen Gesellschaft — Koni- gsberg. Konigl: bayerische Akademie dei* Wissenchaften — Mùnchen. Senckenbergische-Naturforschende Gessellschaft — Franckfurt am Main. Siebenburgische Yerein fùr Naturwissenschaften — Hermann- stadt. Yerein fùr Naturkunde im Herzogthum Nassau — Wiesbaden. Naturhiltorischer Yerein — Àugsburg. Oberhessischen Gesellschaft fùr Natur-und Heilkunde — Giefsen. Naturforschender Verein — Brunn. Naturwissenschaftlichen Gesellschaft-ESlS — Dresden. RUSSIA / Àcadémie Imperiale des Sciences — St. Peters-burg. Société Imperiale des Naturalistes 7— Moscou. STATI UNITI Smithsonian Institution — Washington. United States Patent Office — Waschington. Academy of Naturai Sciences — Philadelphia. Academy of Sciences — Boston. Academy of Sciences — St. Louis (Missouri). 7J/Z * ' 4 SULLE CAGIONI PHOBABIL1 DELLE SUBAEREE DISCORSO % DEL PROF. GAV. AGATINO LONGO Letto all’ Accademia Gioenia nella tornata ordinaria del 31 dicembre 1868. ATTI ACC. VOI. IV. 1 ». Signori Le accensioni vulcaniche di cui 1’ Etna ci offre degli esempi ormai divenuti frequenti in tutto il vasto perimetro della gigantesca sua mole, sono de’ fenomeni che han fis- sato in ogni epoca 1’ attenzione del filosofo, lo sguardo del curioso, e lo studio del naturalista. Le accensioni vulcaniche sono state considerate come vere combustioni di materie combustibili atte a concepire la fiamma e ad emettere tanto calore da fondere le rocce circostanti e quelle con cui sono in contatto. Ma quali sono queste materie che abbiano potuto dare, bruciando, origine agl’ imponenti fenomeni di una vulcanica eruzione? È stata questa la ricerca di tutti gli studiosi della Natura, per cui la teoria de’ vulcani ha cambiato aspetto in occasione di qualche nuova scoverta in chimica ed in mineralogia, che dava ai naturalisti un nuovo appicco alla loro maniera di pensare, ovvero d’immaginare. Un fenomeno naturale per essere compreso bisogna che si conosca ne’ suoi particolari non solo, ma che sia nota — 4 — ancora la causa da cui deriva. Due cose sono dunque ne- cessarie alla comprensione d’ un fatto naturale, l’ attenta os- servazione di esso e la investigazione della causa da cui quel dato fatto è prodotto. Una stella cadente è un fenomeno meteorologico che si riproduce spesso sotto i nostri occhi: degli osservatorii si sono eretti in varii punti del globo dove si veglia notte e giorno per segnare il momento preciso dell'apparizione della stella, la plaga del cielo, dove quella fu veduta per- correr le vie del firmamento la durata della sua comparsa, lo splendore ed il color della sua luce, e cose simili: frat- tanto malgrado tante belle notizie, malgrado tanti cataloghi, tante corrispondenze, tante osservazioni, alle quali prende parte eziandio il nel sesso {*), ne sappiamo oggi delle stel- le filanti quanto ne sapevamo jeri , e dimani forse ne sapremo quanto ne sappiamo oggi, cioè zero, all’ infuo- ri di qualche dotta stravaganza, di qualche nuova rivela- zione scientifica, propria del sesso maschile. E ciò perchè mai o Signori? Perchè di tali corpi ignoriamo la essenza, non possiamo indagarne la origine, fuggevole impreveduta subita- nea essendo la loro comparsa in luoghi a noi inaccessibili, e quindi ignoriamo ciò che produce la loro spontanea in- fiammazione, ingenera la velocità del loro movimento, la varietà delle loro direzioni, il loro numero strabocchevole ed anche talvolta il loro ritorno periodico. « I fenomeni del mondo sensibile possono conoscersi e « possono spiegarsi. Solamente quando le leggi di un fe- « nomeno sono trovate, esso è conosciuto : assegnare la cau- « sa di un fenomeno si dice spiegarlo ». Questa sentenza da noi registrata ne’ nostri Principii ontologici della filosofia naturale essendo vera , si vede quanta differenza passi tra 1’ una e 1’ altra di queste due cose, la semplice cognizione (*) La Signora Caterina Scarpcllini di Roma. 5 del fatto come sta, e la sua spiegazione. Keplero conobbe . le leggi de’ Pianeti ed il rapporto delle loro distanze medie dal Sole ai tempi delle loro rivoluzioni periodiche ; Galilei conobbe quelle della caduta de’ gravi nel vuoto c lungo i piani inclinati; nondimeno nò 1’ uno nè l’altro si elevò sino alla causa, e si vuole che Newton ne fosse stato lo sco- pritore. Egli però non fece che ricavare dalle leggi di Ke- plero per via d’induzione una legge più generale, che chia- rnossi la gran legge della natura , e che altro non è che la famosa strepitosissima legge di Newton, miseramente c- quivocata nella locuzione e nella sostanza (1). I fenomeni della natura non si spiegano a via di teo- riche, supposizioni più o meno brillanti che appagano per un momento rimmaginativa, ma chD per ni un conto sodisfano la ragione dell’ uomo. La teorica de’ sollevamenti, del fuo- co centrale, de’ metalli delle terre e degli alcali sepolti nelle viscere della Terra e che bruciano a contatto dell’ acqua del mare, quella del carbon fossile su cui riposa a grande profondità il focolare de’volcani ardenti, quella de’ gaz cir- colanti attraverso le foglietto degli scisti nell’interno del globo organizzato sono i mezzi termini per nascondere agli occhi altrui ed a’ propri i la nostra ignoranza. Le teoriche lusingano T immaginazione, contentano 1’ amor proprio, ci distinguono dal volgo profano, ci danno un posto nella sto- ria della scienza : per altro s’ inventano assai facilmente, si scrivono colla massima speditezza, si stampano colla mas- sima alacrità, si divulgano con assai buon esito, trovandosi sempre una folla di spiriti superficiali disposti ad accoglierle, -J i w (1) In prova di quel che si afferma, ecco come, secondo Pcclet, è concepita la legge di Newton: Tutte le molecole della materia si attrag- gono in ragion diretta delle loro masse, ed in ragione inversa del qua- drato della loro distanza. Le molecole hanno massa, notate, non già i corpi che sono un aggregato di molecole. - 6 — a professarle, a sostenerle. Ma viene il tempo, e talora as- sai presto, che ad una teorica un’altra ne sottentra, che si fanno alla prima delle forti obbiezioni, che si mettono in forse 1’ esattezza delle osservazioni , la perizia dell’ os- servatore, la giustezza del ragionamento. 411ora si ha lo stra- no spettacolo di geologo contra geologo; uno niega ciò che l’altro afferma; uno ammette un cratere dove un altro non vede che uno sprofondamento; uno immagina materie com- bustibili dove un altro non ravvisa che minerali incapaci di bruciare; uno vede nelle vulcaniche eruzioni le fiamme e in mezzo ad esse la folgore, mentre un altro non vede che pietre rammollite e semifuse nella interna fucina del Volcano, e portate alla incandescenza. Le accensioni volcaniche sono un fatto la cui spiega- zione scappa alla nostra intelligenza se non si hanno sot- f occhio i materiali eruttati, so non si esamina di questi materiali lo stato attuale per argomentarne, se si può, il loro stato antecedente, se non si osservano diligentemente i luoghi dove nascono quei fenomeni, e se non si richia- mano alla mente i grandi pri nei pii delle scienze filosofiche e le verità certe delle scienze affini, quali sono la fisica, la chimica, la mineralogia, la cristallografia e la oreo- gnosia. Nell’ intraprendere sì arduo ed interessante lavoro io prendo di mira o Signori le dotte fatiche e le pensate elu- cubrazioni di due nostri cospicui Sodi, il prof. Pilla d’illu- stre e sventurata memoria, ed il professore Silvestri, onore c decoro di questa nostra scientifica assemblea; e mi sfor- zerò, giovandomi dei loro lumi, di portarese posso qualche nuova veduta in questa branca oscurissima di naturale fi- losofia. 7 - PARTE PRIMA Il prof. Leopoldo Pilla da me conosciuto e riverito in Napoli mentre viveva il celebre Matteo Tondi, professore di Mineralogia in quella Reale Università degli Studii, e mio benevolo amico e maestro, venne a visitar l’Etna nel mese di settembre dell’anno 1835 dopoché nell’anno an- tecedente visitato aveva le Isole Eolie, e studiato per tanto tempo il patrio vulcano, il Vesuvio. Egli fece in quell’ an- no l’ardua salita del monte, fu alla sommità del suo cra- tere, ne percorse l’ intera circonferenza, visitò le più re- centi lave e confrontale colle più antiche, raccolse i pro- dotti del nostro vulcano, li sottopose ad esame, e del ri- sultato delle sue indagini e delle sue osservazioni fò do- no all’ Accademia di una sua elaborata Memoria, che lesse nella tornata ordinaria de’ 10 settembre di quell’anno col titolo: Parallelo trai tre Volcani ardenti dell3 Italia, e che fa parte degli Atti , t. XII Serie 1,* dalla p. 89 alla p. 127. Io ho letto ponderatamente e coscienziosamente questa Me- moria, nella quale quel dotto Geologo ha in mira di risol- vere il grande problema del fuoco de' Volcani attivi, evi si fa strada esaminando i rapporti che serbano fra loro Strom- boli, l’Etna, ed il Vesuvio, i tre vulcani ardenti nell’ ambito delle due Sicilie, nell’ ordine che siegue: 1. Suolo di mezzo al quale si elevano. 2. Sistemi ai quali si riferiscono. 3. Forma de’ loro crateri. 4. Loro azioni. 5. Prodotti diversi che danno fuora, 6. Cagione de’ loro incendii, ultima meta de’ suoi dot- ti studii. 1° Suolo di mezzo al quale si elevano. E prima del Ve- suvio. Tra le rocce rigettate dalla Somma e che ora veg- 8 — gonsi erratiche ne’ suoi valloni, l’Autore ha trovato dei pezzi di granito, di scisto micaceo, di calcare primitivo, e di altre rocce primigenie, che indicano chiaramente, a di lui parere, il focolaio di quel vulcano essere sottoposto ai terreni di cosiffatta natura, vale a dire a tante rocce primi- genie quanti sono i frantumi da lui rinvenuti nel fondo di quelle valli, qualunque ne sia la origine e la provenienza. Il volcano di Stromboli sembra al sig. Pilla elevarsi da un terreno di gneis; dapoichè la punta di Mi lazzo, egli dice, che è la parto della Sicilia la più prossima a quell’ isola ed i monti della vicina Calabria sono appunto composti di questa roccia. La giogaia montuosa che alle basi dell’Etna più da vi- cino si accosta, è quella de’ monti Nettuni i , la quale è com- posta di rocce scistose e cristallizzate, e specialmente di gneis, scisto micaceo, scisto argilloso, ricche in depositi metallici, e però pare che 1’ Etna siasi sollevato dal di sot- to di questo sistema di monti. 2° Sistemi ai quali si riferiscono. Stromboli è un vul- cano a cratere unico (monostomo); il Vesuvio e 1’ Etna sono vulcani a crateri concentrici, riguardando il N. A. la valle del Bove come un avanzo del cratere primitivo generato- re del vulcano. 3° Formici de2 3 loro crateri. Il cratere del Vesuvio nel- lo stato in cui trovavasi all’epoca dell’Autore aveva una forma regolare anzi che no. Il cratere di Stromboli è for- mato irregolarissimamente; quello dell’Etna è doppio, ed ha in certo modo la figura di due cerchi che si toccano per un punto, dalla quale disposizione risultano due crate- ri, uno rivolto a scirocco e l’altro a maestro: ma questa forma è variabile, essa cangia col tempo (21). (2) L’ Etna, oggi Mongibcllo, è stato detto Bicorne perchè ha due prominenze, una a scirocco la più acuminata, e l’altra a maestro. Il 9 - 4° Loro azioni. Nel vulcano di Stromboli le esplosioni si fanno sempre pel suo cratere; non si squarcia mai dai fianchi quel piccolo monte. Nel Vesuvio le sue eruzioni si fanno e pel cratere e pei suoi fianchi, ma assai più d’or- dinario nel primo che nel secondo modo. In quanto all’ Et- na si è fatto il calcolo che di dieci sue eruzioni nove av- vengono ne’ suoi fianchi che si squarciati o. 5° Prodotti che danno fuora. Le sostanze che si pro- ducono da’ tre vulcani, possono esser ordinate nelle se- guenti quattro classi. a) Sostanze gazose, b) Sostanze sublimate, c) Sostanze rigettate dalle esplosioni, d) Lave. I. VESUVIO a) Sostanze gazose Vapore acquoso Gas acido solforoso e gas idrogene solforato in quantità tenuissima. Gas acido carbonico? Gas idrogene ? b) Sostanze sublimate 1. Cloruro di ferro 2. Cloruro di sodio 3. Cloruro di rame, scarso 4. Cloruro di piombo, tracce 5. Cloruro ammoniacale 6. Ossido di ferro cratere interno è di canne siciliane 220 di diametro, e la principale sua gola non eccede quasi mai canne 30. La sua forma esteriore can- gia nelle successive eruzioni. ATTI ACC. VOL. IV. 9. DAI SOCIO COKRISPONDEriTE Professore di Fisica DIRETTORE DELL’OSSERVATORIO METEOROLOGICO DELLA R. UNIVERSI TÀ DI CATANIA V ATTI ACC. VOL. IV. 6 * ■ ■ L ardore di studio e lo spirito d’ osservazione, destati dai sorprendenti progressi del secolo passato c del nostro nelle scienze fisiche, tornarono, anzi tutto, a vantaggio della Me- teorologia, di quella meravigliosa scienza, che, ad un tem- po, è accessibile al volgo più ignorante, e fornisce materia di meditazione anche a’ più elevati ingegni. Infatti, quasi sin dal principio di questo secolo, troviamo stabilito un nu- mero ragguardevole di osservatorii meteorologici provve- duti di quanto richiedesi per fare regolari e precise osser- vazioni, e quel numero poi, di anno in anno, crebbe, e ver- so il 1855 ascese, in Europa soltanto, a qualche centinajo. Si registrarono dappertutto immense quantità di osserva- zioni, sperando, che una conveniente analisi di questi da- ti condurrebbe presto alla conoscenza almeno di una par- te delle leggi t che regolano le vicende del tempo ed i cambiamenti atmosferici. Ma quando dopo un mezzo se- colo , impiegato a determinare ed a paragonare medie — 40 - temperature, medie altezze barometriche, media direzione ed intensità del vento ecc. non si era scoperto nessun fat- to di qualche importanza, quando in mezzo a tanto cumu- lo di osservazioni non si era trovato mai nessuna sicura relazione tra i venti, la pressione atmosferica , la tempe- ratura e 1’ umidità dell’aria, quando si cominciò a com- prendere, che coll’ accrescere il numero delle osservazioni, non si faceva altro che estendere il labirinto, nel quale si cercava indarno una via, una guida; allora venne meno in non pochi lo zelo e la speranza, e tisici distintissimi non esitarono a dichiarare, che il metodo seguito nel fare e nel- 1’ analizzare le osservazioni meteorologiche non poteva mai condurre alla meta ambita (1). Ma quegli stessi, che scre- ditarono le osservazioni meteorologiche o il modo di farle, non ebbero per anco idee chiare intorno al da fare, e tra (4) Ecco come a questo riguardo si espresse il dottissimo Sig. Biot nel seno stesso dell’Accademia delle scienze di Parigi: « L’epreuve que l’on a faite en Russie de ces établissements spé- « eialement météorologiques est complète. Leur directeur gònéral est un » savant distingue, scs aides principaux sont des hommes très interi gens; (f lui eteuxontdii se mcttre en possession des methodes et des procédés « d’observation recemifient perfectionnés. La générosité de l’empereur « de Russie n’a rien refusò de ce qui pouvait assurer le succès de ces a établissements. rourtant ni là, ni ailleurs on n’a ti ré aucun fruit réel « de leurs couteuses publications; ils n’ont rien produi t pour l’avance- i meni de la Science météorologique, et j’ajoute que, non par la fante « des hommes, mais par le manque d’un but special et par la nature « de leur organisation, ils ne pouvaicnt rien produire; sinon des mas- o ses de faits disjoints, matèrie! lement aceumulés, sans auoune desti- li nation d’utilit* prévu*', soil pour la t hòc rie, soit pour Ics Applications ». Rrvue des deux Mondes 15 juillet 1856. r abbandonare la via sino allora battuta , ed il rinvenirne un’altra migliore cominciò a far capolino quello stato di c- sitazione, di mezzo scoraggiamento, che ha fatto naufragare tante imprese, c che, forse, avrebbe ritardato d’assai lo sviluppo della Meteorologia, se in quel momento, peri’ ap- punto, non fosse avvenuto un fatto, che non solo rianimò l’ardore c la speranza dei fìsici, ma li mise in possesso di mezzi non mai sperati per le ulteriori indagini in fatto di Meteorologia. [1 li novembre del 1854 una tempesta spaventevole infuriò in tutta la Crimea e sul Mar Nero, e, per gF immensi danni arrecati alle flotte francese ed inglese , intente al blocco di Sebastopoli , diventò un avvenimento importante anche per Parigi, dove erano giunte da quasi tutte le par- ti d’ Europa notizie di tempeste , di burrasche, di colpi di vento, avvenuti a piccoli intervalli dalla tempesta su- riferita. Un fatto così straordinario eccitò P attenzione del - l’autorità. Il ministro della guerra incaricò il sig.r Lever- rier, direttore dell’osservatorio dU Parigi , di raccogliere presso gli osscrvatorii meteorologici quanto potesse avere relazione con questo fatto. Da questa specie d’ inchie- sta risultò, che la tempesta, variando d* intensità, aveva attraversata tutta P Europa sensibilmente nella direzione ovest, est, e nello spazio di circa G giorni. In presenza di un cotal fatto era naturale di pensare , che le tempeste e le burrasche si formano all’ ovest d' Europa , si spostano con una velocità di 40 a G0 chilometri all’ ora in direzioni tendenti, in generale, da ovest ad est, celie, con avvisi te- legrafici, spediti ai luoghi minacciati, si possono impedire gran danni. E tanto potè in fine questo fatto, che nel Ì8G1 gl’ Inglesi istituirono un pubblico servizio meteorologico , che sotto l’abile direzione dell’ ammiraglio Fitz-Roy, distinto marinajo non meno che meteorologista, fu di tanta utilità 42 - alla marina inglese, clic un simile servizio fu stabilito in Francia nel 18G3, ed in Italia nel 1865. Inoltre alla pratica applicazione questo pubblico ser- vizio meteorologico ha un’altra forse non minore impor- tanza , quella cioè di avere indirizzata la Meteorologia su una nuova via ben altrimenti più feconda, che non era quella seguita sino allora. Esso ha persuaso tutti i fìsici essere l’ importanza delle osservazioni meteorologiche in ra- gione della superficie del globo alla quale si estendono. Le tempeste non sono i soli fenomeni, che abbracciano este- se contrade; lo stesso si avvera per quasi tutti gli elemen- ti , che formano 1’ oggetto delle osservazioni meteorologi- che; sicché i dati raccolti in un luogo non sono che pic- colissime frazioni di fenomeno, le quali, notate e parago- nate anche un gran numero di volte, non possono, per certo, nulla insegnarci sul complesso del fenomeno, c meno ancora sulla relazione che esso può avere con altri fenomeni. Ciascuna osservazione meteorologica è, per un dato luogo ed in un dato momento, una specie di relazione tra mol- te incognite; col riunire, dunque, i dati di più luoghi, si eliminano, per così dire, più o meno di queste incognite, c si giunge evidentemente ad una relazione più semplice, la quale, anche non potendo mai essere interamente de- terminata, ci potrà, ciò non ostante, rivelare particolari non meno utili di quello cui ci ha condotti T inchiesta sulla famosa tempesta del 14 novembre 1854. L’isolamento in cui sono rimasti quasi sino al 1854 i singoli osservatorii ne ha reso le osservazioni sterili e senza costrutto ; col sistema di centralizzazione la Meteorologia ha fatto più progressi in un quinquennio che non prima in un secolo intero . La relazione, ora stabilita non solo tra gli osservatorii di una stessa contrada , ma per anco tra quelli di tutta l’Europa, ha fatto sentire imperiosamente la necessità di ri- 43 - durre ì risultati delle osservazioni meteorologiche ad una forma più eloquente, che non sono i numeri; ad una for- ma, clic riveli all’ occhio, ed istantaneamente, qualità, quan- tità c relazione anche di un complesso di moltissime osser- vazioni ; questa forma non è altro, se non la costruzione grafica delle osservazioni, la quale solo si presta efficace- mente a condurci sinteticamente dai fatti locali a quelli d’ un ordine più elevato. Ma, a giudicare dalle molte rela- zioni, che ogni anno si pubblicano intorno alle osservazioni delle singole stazioni meteorologiche, il vantaggio di queste costruzioni grafiche non è ancora compreso, nè messo a profitto quanto richiede V interesse della scienza, Ed ecco perchè, anche a rischio di riuscire noioso col ripetere, in questa nota, non poche cose già dette in quella da me com- pilata fanno scorso, insisto ancora sulla necessità di ado- perare le costruzioni grafiche nella discussione delle osser- vazioni meteorologiche. Se ci poniamo dinanzi agli occhi trenta numeri, indi- canti f altezza barometrica a mezzogiorno per un dato mese, quanto lavoro ci vuole per ricavarne f andamento della pres- sione atmosferica, per determinare i giorni di massima e di minima variazione, gl’innalzamenti o abbassamenti in ù ra- pidi, più regolari c tutti gli altri particolari, che possono interessare la scienza. Ma ci vorrà un lavoro triplo per con- frontare quell’andamento con quello di un altro mese; e per estendere il paragone ai mesi dell’anno, pochi cer- tamente si sentirebbero il coraggio di farlo bene e minuta- mente. Quando poi si tratta dell’ altezza barometrica a più ore del giorno, quando bisogna esaminare nello stesso mo- do i numeri indicanti la temperatura, f umidità dell’ aria, la direzione e l’intensità del vento, il lavoro diventa a di- rittura impossibile. Se invece, per mezzo di ascisse e di or- dinate, le osservazioni annue meteorologiche si riducono in tante linee, quanti sono i generi di osservazione, e ciò può t 44 — farsi in pochi giorni, 1’ esame, anche minutissimo, sia del- le singole linee, sia del loro complesso, è un lavoro facile e spedito al punto , che può estendersi anche, ad un gran numero di stazioni meteorologiche. Da ciò si vede, che una vera discussione e relazione di osservazioni meteorologiche non è possibile, se prima esse non siano ridotte a costru- zioni grafiche. Certo, non intendo dire , che la conside- razione diretta dei valori numerici non abbia anch’essa la sua importanza, sono anzi dell’ avviso, che i resultati a cui essa conduce, formano un utile e necessario complemento dei fatti additati dalle singole lince, giacché le osservazioni di ciascuna stazione hanno un interesse generale, rappre- sentata dalla costruzione grafica , ed un interesse locale, il quale sta principalmente nei valori numerici. À molti rincresce di ridurre le osservazioni -meteoro- logiche in costruzione grafica, perchè, dicono, in così fa- re, si perde quanto havvi di più prezioso nelle osserva- zioni, l’esattezza e la precisione. Ma il preteso rigore dei valori numerici è illusorio sotto più di un rapporto. Prima di tutto esso non è applicabile, se non al punto di osser- vazione, e non già ad una intera città, ad un circondario, ad una provincia come lo suppone gran parte delle con- clusioni basate sui dati di un osservatorio. Non è forse inu- tile di accennare un fatto all’appoggio dell’asserzione. Per alcune mie ricerche intorno alla vera media tem- peratura giornaliera a Catania osservai, o feci osservare ogni giorno, dall’ 8 gennaio 1868 sino al 1° giugno dello stes- so anno, ed in casa mia, situata piano Castello Ursino, la temperatura massima, la minima e da 16 a 18 temperature orarie, le quali mi diedero risultati assai diversi da quelli dedotti dalle osservazioni fatte all’osservatorio meteorico, sta- bilito al terzo piano del palazzo dell’ Università. Come sag- gio trascrivo qui i risultati del mese di marzo. 45 DATA TEMPERATURE MASSIMA MINIMA MEDIA piano Castello Osserva- torio piano Castello Osserva- torio piano Castello Osserva- | torio II 1 marzo 16,6 15,1 12,5 10,0 14,55 13,0 2 15,8 16,0 11,6 10,4 13,70 13.25 3 16,2 16,1 10,0 10,0 13,10 13,05 4 14,0 16,1 7,4 9,8 10,70 12,15 5 1 4‘ 5 14,5 4,0 5,7 9,25 9,8 j 6 20,7 13,9 5,6 7,8 13,15 12,45 | 7 16,5 17,1 9,0 9,2 12,75 12,6 8 17,2 16,0 7,1 7,5 12,15 11,5 9 22,5 15,5 10,4 9,0 16,35 13.25 10 17,3 17,5 10,8 10,8 14,05 13 85 11 18,9 16,9 9,5 10,5 14,20 14,25 II 12 19,7 18,0 5,7 9,2 12,74 12.95 13 16‘9 16,6 8,2 10,2 12,55 13,0 14 12,9 16,0 10,0 10,8 1 1,45 12,8 15 17,0 14,8 7,2 9,1 12,10 12,1 16 15,5 15,1 6,0 7,9 10,75 11,4 1 17 15,8 14,9 5,1 8,6 10,45 1 2,6 1 18 14,5 16,6 5,7 6,8 io, io 11,5 i 19 16,1 16,2 6,1 7,4 11,10 11,85 20 15,6 16,3 5,8 6,1 10,70 11.5 21 16,0 16,9 3,1 6,3 9,55 1 1 ,25 1 22 14' 1 16,2 10,5 8,8 12,30 12,25 23 12,3 15,7 8,0 7,8 10,15 10,5 24 14,4 13,2 6-7 6,4 10,55 i0,8 25 14,3 15,2 5,5 5,0 9,90 10,05 26 12,5 15,1 5,4 4,6 8,95 9,7 27 13,8 14,8 5,2 5,0 9,50 10,0 il I 28 15,4 15,0 5,3 5,7 10,35 9,75 ! 29 14,4 13,8 4,5 5,0 9,45 9,4 5 | 30 14,5 13,9 5,2 4,9 9,85 9,7 j 1 31 15,0 14,5 3,9 4,7 9,45 9,85 I pel mese 1 intero 11,50 1 1 ,68 j Da questo quadro risulta: 1° Che le temperature annue dei due luoghi d’osser- vazione riuscirebbero assai diverse. %° Clic si otterrebbero per Catania tante diverse tem- perature annue, quanti sarebbero i luoghi d’osservazione. ATTI ACC. VOL. IT 7 — 46 — 3° Che, ove si trattasse della temperatura di Catania , nessuno di questi valori la rappresenterebbe esattamente. Ma anche la vera temperatura d’ un medesimo luogo d’osservazione è soggetta a variazioni, le quali, sebbene appena sensibili da un anno all’altro, ascendono però a quan- tità non più trascurabili dopo 50, 100 anni ecc. Nelle città, dove si trova la maggior parte degli osservatori i meteoro- logici, la continua modificazione che prova il suolo, l’al- largamento e la rettificazione delle strade, l’altezza ora maggiore, ora minore delle case ecc. influiscono necessa- riamente sulla temperatura del luogo ingenerale, c perciò alterano, più o meno , anche quella dell’ osservatorio ; di modo, che due temperature annue, prese ad un lungo in- tervallo di tempo, non sono più rigorosamente paragona- bili, e non lo sono in modo alcuno, se durante quell’in- tervallo è stato cambiato il locale dell’ osservatorio. Sebbene quanto si ò detto della temperatura non si ap- plichi nello stesso grado ai valori numerici delle altre os- servazioni, ciò non di meno dimostra, che, in generale, i dati fornitici dagli osservatomi meteorologici , sono assai meno rigorosi di quello, che a taluno può parere a prima vista. Ma fortunatamente ciò non pregiudica menomamente le ricerche meteorologiche, nelle quali si considerano assai più coincidenze di fenomeni, che non i valori assoluti di questi, i quali valori, perciò, sono dati dalle costruzioni grafiche con una più che bastante precisione. Del resto, volere o non volere, da qui a pochi anni gli osservatomi meteorici non ci forniranno se non costru- zioni grafiche, giacché queste costituiscono il solo linguag- gio dei meteorografi, di cui il padre Secchi ha di recente dotata la Meteorologia, per la quale l’uso di questi appa- recchi autonomi è di un vantaggio incalcolabile. Infatti po- sti, come siamo nell’estremo stato inferiore dell’ atmosfe- ra, molti fenomeni, relativi alla Meteorologia, ci sfuggono - 47 — interamente, altri non si possono osservare che imperfetta- mente, altri, infine, non ci si presentano che alterati e tra- sformati dalla diversa conformazione del suolo. Aggiungasi ora a queste condizioni già sfavorevolissime la circostan * za, che in ciascun giorno non si notano, se non i feno- meni , che hanno luogo in certi pochi momenti determi- nati, una minima frazione cioè di quello, che si dovrebbe osservare; e si comprenderà facilmente, perchè la maggior parte dei problemi di Meteorologia è giudicata insolubile ; perchè le osservazioni di più di mezzo secolo ci hanno in- segnato così poco, e perchè quel poco è dovuto piuttosto al caso, che ad uno studio metodico. Si comprenderà pure l’immensa differenza che corre tra le scarse e monche osservazioni di adesso, e 1’ osservazione continua, qual’ è quella dei meteorografì; e non è da dirsi con quanta mag- giore probabilità di successo si proseguiranno gl’ indagini relativi alla Meteorologia, quando ogni osservatorio sarà munito di un meteorografo, il quale ci farà conoscere tutti i cambiamenti meteorici avvenuti nel suo immediato am- biente. Egli è certo, che anche questi dati, raccolti sul suo- lo stessso del globo terrestre, forniscono mezzi limitatissi- mi per la soluzione dei tanti problemi meteorologici: ma, tosto o tardi, si troverà il mezzo di fare funzionare i me- teorografi anche sulle montagne, all’ altezza di % a 3 mila metri, dove i fenomeni meteorici, in gran parte sottratti all’ influenza della conformazione del suolo, si avvicinano più o meno a quell’ andamento normale, che è proprio agli strati più alti dell’atmosfera, e che forma, per 1’ appunto , f oggetto delle nostre ricerche in fatto di Meteorologia. Importa dunque di raccogliere quanto più osservazioni meteorologiche possibili ridotte a costruzione grafica, che è la sola forma che le ronde veramente utili e paragonabili ai dati, che ci forniranno i meteorografì, giacché colla quantità delle osservazioni possiamo, in qualche modo, supplire alle * - 48 circostanze sfavorevoli in cui le facciamo; ed ecco perchè, ad accrescere quel materiale grafico, io pubblico, quale de- bole mio tributo, questa nota sulle osservazioni meteorolo- giche, fatte nella R. Università di Catania nell’anno 1868. L’osservatorio meteorico di codesta Università trovasi a metri 31,2.3 sul livello del mare, e vi sì osserva ogni gior- no alle ore 9 a. m. e a mezzogiorno l’altezza barometrica, la temperatura, la massima e la minima del giorno, tosta- to igrometrico dell’aria, la quantità di acqua caduta, la di- rezione e l’intensità del vento, e lo stato del cielo. In quanto segue le altezze barometriche, la tensione assoluta dei va- pori acquosi, e 1’ acqua caduta sono espresse in millimetri, le temperature in gradi centigradi. Tutte le osservazioni essendo state da me ridotte a co- struzioni grafiche, la presente nota non è altro se non l’e- same delle singole linee, considerate separatamente o in re- lazione colle altre, c la determinazione in valori numerici dei fatti additati da queste lince. LINEA DELLE ALTEZZE BAROMETRICHE La costruzione delle osservazioni barometriche dà luogo a due lince, delle quali una si riferisce all’ora di mezzo- giorno e l’altra alle ore 9 a. m; ma siccome l’una dall’altra non differisce, in generale, che pochissimo, ho riprodotto in- tera in questa nota la linea di mezzogiorno, e quei tratti sol- tanto dell’ altra, che maggiormente si discostano dalla prima. A prima vista si scorge nella linea delle altezze baro- metriche una parte irregolarissima ed una parte meno ir- regolare e corrispondente, perciò, ad altezze barometriche assai meno variabili; la prima parte affetta i mesi freddi, la seconda, i mesi caldi; e ciò prova, clic le variazioni ba- rometriche dipendono, in parte almeno, dalla temperatura delle stagioni. - 49 — Addizionando per ciascun mese tutti gli innalzamenti e tutti gli abbassamenti del barometro, ho trovato per la to- tale variazione in gennaio 125,2m,m febbraio 64,8 marzo 1 18,3 aprile 79,7 maggio 44,3 giugno 45,4 luglio 38,1 agosto 44,0 settembre 45,4 ottobre 96,9 novembre 145,9 dicembre 78,0 e nel 1° trimestre . 308,3 » 21° » . . 169,4 » 3° » . . 127,5 » 4° » . * . 314,8 nell’ anno intero. . . 920,0 (1) in gennaio. 92,4 luglio co CO febbraio. 62,9 agosto . 24,2 marzo. . 68,6 settembre . . . . 37,3 aprile. . 82,6 ottobre . 106,6 maggio . 40,9 novembre ... . 69,0 giugno . 62,3 dicembre. . . . . 115,1 nel 1 . trimestre . . , 223,9 2. » . . . 185,6 3. » . . . 100,9 4. > .... 290,7 nell’ anno intero .... 803,1 Queste variazioni trimestrali fornirebbero forse uno degli elemen- ti per argomentare dell’ annua distribuzione del calore sulla superficie 50 - La più costante altezza barometrica si verificò dal 10 maggio al 29 luglio (a), e dal 7 settembre al 7 ottobre (b). Le massime variazioni ebbero luogo dal 10 gennaio al 1° feb- braio (cj, dal 23 febbraio al 23 aprile (d) , e dal 18 ottobre al 18 dicembre (e); il tutto coi seguenti valori: massima minima differenza media (a) . . . . 763,6 . . . . 755,5 . . . . 8,5 . . . . 759,8 (6) • • . . 764,4 . . . . 756,8 . . . . 7,6 . . . . 760,5 (e) - • . . 771,9 . . . . 745,5 . . . . 26,4 . . . . 758,7 (d) . • . . 771,3 . . . . 744,3 . . . . 27,0 . . . . 757,8 [e) . . . . 776,3 . . . . 749,6 . . . . 20,7 . . . . 762,9 terrestre, se non si misurasse la temperatura di questa in un modo tanto strano, quanto è quello di considerare come temperatura d’ un luogo quella, che vi si osserva all’ ombra. Tra la temperatura all’ ombra c quella al sole si osserva in Italia una differenza di 8 a 15° nell’ inverno, e di 15 a 30° nella state. Le temperature registrate sono dunque, secondo la stagione, da 8 a 30° al di sotto di quelle ebe realmente esistono nei giorni sereni, ma sono invece uguali alle temperature esistenti nei giorni nuvolosi o piovosi. Che meraviglia se i risultati di una così capricciosa apprczzazio- ne non si sono mai prestati a nessuna combinazione in Meteorologia, o se, volendo giudicare dalla vegetazione p. es. d’una contrada dalla sua media temperatura, si cade nelle più strane contraddizioni. Nella parte meno montuosa della Savoia la media temperatura è di 9 a 10; a Londra essa è di 10,4 e, per conseguenza, ognuno s’aspet- ta di trovare a Londra una vegetazione ricca e variata per lo meno quanto lo è in Savoia. Ma che! In Savoia le viti gelano di spesso, ma l’uva matura perfettamente; a Londra le viti non gelano mai, ma 1’ uva non matura più. In Savoia c’è abbondanza di castagne e di gran turco; a Londra il castagno e la melica sono vegetali del tutto improduttivi. In Savoia la mietitura delle biade si fa dal 10 al 20 luglio, a Londra più d’ un mese più tardi, (Vedi la Revue Savoisienne 1 4 giugno 1 804). Tali fatti parlano chiaro, ma a che cosa serve la loro eloquenza ? 51 — Dal 18 al 21 gennaio l’altezza barometrica variò di 24,8; dall’otto al 9 novembre di 25,8. Dalle ore 9 a.m.,a mez- zogiorno si verificò una variazione di 12,2 il 27 marzo, 11,0 il 5 novembre, 8,8 il 7 nobembre, Merita una particolare attenzione l’andamento della li- nea delle ore 9 a. m. dal 4 al 22 aprile e dal 28 giugno al 6 luglio. Nel primo caso essa presenta una inflessione quasi sim- metrica (1); nel secondo caso forma, per più giorni conse- cutivi, dei zig-zag d’ una sorprendente regolarità. Sifatti tratti nella linea delle altezze barometriche ren- dono probabilissima la supposizione, che tutte le variazio- ni di pressione provengano da moti di traslazione o da moti ondulatorii, che hanno luogo nell’atmosfera. Un proli ngato innalzamento o abbassamento del barometro avrebbe per causa uno spostamento di aria, una corrente che trasporta aria da un luogo ad un altro; le giornaliere variazioni sareb- bero dovute a onde, che solcano l’oceano gazoso in più d’ una direzione , e si attraversano variamente presso a po- co come avviene delle onde alla superfìcie delf acqua. Secondo questa ipotesi la linea barometrica dal 28 giu- gno al G luglio indica una successione di più onde uguali, movendosi nello stesso senso e colla medesima velocità. (1) Una simile simmetrica inflessione fu da me notata nella linea delle altezze barometriche a mezzogiorno dell’anno 1867. La linea dal 4 al 22 aprile attesta spostamento di aria, prima in un senso, poi nel senso opposto, e con tutta quel- la corrispondenza di velocità, che distingue sempre azione e reazione nei corpi molto elastici. Riguardo ai valori numerici delle altezze barometriche, le osservazioni forniscono i seguenti risultati: ALTEZZE BAROMETRICHE osservate a mezzogiorno MEDIE ALTEZZE BAROMETRICHE Massima , ^ Minima Differenza a mezzo- giorno alle 9 a. m. gennaio febbraio 771,9 745,5 26,4 758,0 758,5 771,3 761,2 10,1 765,9 766,2 7G4,3 744,3 20,0 757,6 757,5 aprile maggio cri licrnn 767,8 747,9 19,9 760,5 760,7 766, q 753,4 13,5 760.9 761,2 763,9 755,3 8,6 759,5 759,5 Slu9uu luglio 762.1 753,7 8,4 759,3 759,5 agosto settembre 762,5 766,3 755.8 756.8 6,7 9,5 759,6 761,2 759,7 761,5 ottobre 766,3 749,8 16,5 760,3 760,4 novembre 776,3 749,6 26,7 760,7 761,1 dicembre 769,8 757,6 12,2 763,9 764,2 1° Trimestre 760,5 760,7 2° Trimestre 760,3 760,5 3° Trimestre 760,0 760,2 4° Trimestre 761,6 761,9 Per 1’ anno intero. 760,6 760,8 Media annua ridotta al li- vello del ma- re. 763,5 La minima altezza dell' anno (744, 3) fu osservata il 25 marzo, la massima (770,3) il 9 novembre; la loro differen- za è 32, la loro media 700, 3. - 53 — LINEE TERMOMETRICHE i.° Linea della media temperatura . Anche in questa nota si considera come media tempe- ratura giornaliera la media aritmetica tra la temperatura massima e la minima (1). L’andamento in generale della linea della media tem- peratura indica 1° Freddo massimo e più sostenuto dall’ 8 gennaio a tutto febbraio ( 4 0,° I ) . 2° Caldo massimo e più costante dal 14 luglio al 20 a- gosto (28/3). Una temperatura, che in media è uguale alla media annua, dal 24 aprile al 7 maggio, e dall’ 8 ottobre all’ 8 no- vembre. Il decrescimento di temperatura era dunque più lento clic non l’accrescimento. (1) Dalle mie più sopra accennale osservazioni termometriche ri- sulta, che la media calcolata (la media aritm. tra la temperatura mas- sima e la minima) può differire dalla media osservata (la media aritm. tra le 24 temperature orarie) anche di più di nn grado, e che in ge- nerale questa è alquanto inferiore. Deducendo dalle medie calcolate e dalle medie osservate le medie mensili, giunsi, per i cinque mesi d’os- servazione, ai seguenti resultati: Media temp. Media tenip. calcolata osservata dall’ 8 al 31 gennaio 9,67 9,25 febbraio 10,00 9,90 marzo 11 ;50 1 1 ,30 aprile 15,00 14,80 maggio 1 9.60 19,35 ATTI ACC. VOL. IV. 8 54 - 4° Una temperatura molto variabile dal 9 aprile al 4 maggio, - dal 13 settembre al 7 ottobre, — e più o meno anche dall’ 8 novembre a tutto dicembre. Le più notevoli variazioni della temperatura media furono: In aprile 4,°6 dal 25 al 26 e dal 26 al 27-5,°35 dal 27 al 28- 4,°85 dal 28 al 29. In giugno 5,°35 dal 24 al 25— 6,°0 dal 25 al 26. In settembre 4,°55 dal 14 al 15 — 5,°35 dal 29 al 30. In ottobre 6,°35 dal 20 al 21. Tutte furono prodotte da venti caldi che furono piut- tosto frequenti, ma di poca durata. Non è da dimenticarsi in fine, che la linea della tem- peratura media è in gran parte soprapposta su quella della temperatura alle ore 9. a m., il che prova, che alle 9. a. m. la temperatura era sensibilmente uguale alla media giorna- liera. Ciò confermano anche i valori numerici del quadro seguente: Medie mensili Media temp.a del 1368 alle Da. m. gennaio 10,3 10,3 febbrajo 10,1 10,0 marzo 11,7 11,5 aprile 14,7 14,6 maggio 21,2 21,2 giugno 24,7 24,8 luglio 27,0 26,8 agosto 27,9 27,6 settembre 24,3 24,2 ottobre 20/2 19,8 novembre 14,1 13,9 dicembre 13,3 13,2 per l’anno intero. . .18,3 18,2 2° LINEE DELLE TEMPERATURE Massime e Minime In tutti i mesi estivi, ed in gran parte dei mesi d’ in- verno la linea delle temperature minime è più irregolare di quella delle massime; ciò prova che 1’ irradiamento e le brezze notturne esercitavano a Catania nel 1868 maggiore influenza sulla temperatura giornaliera di quella, che ebbero i raggi solari durante il giorno. Le variazioni, però, di qual- che rilievo affettano le* due lince presso a poco ugualmente. Sebbene le due sole osservazioni che si fanno giornal- mente a Catania non forniscano tutti gli elementi neces- sarii per spiegare, in modo soddisfacente, le più notevoli in- flessioni delle due linee, ciò nondimeno risulta dall’ assie- me dei casi osservati. 1° die esse dipendono più d’ogni altra cosa dai venti. 2° Che i venti più caldi spirano a Catania nel quadrante S.O., i venti più freddi nel quadrante N. £; che la dire- zione degli uni e degli altri è soggetta a notevoli variazioni. 3° Che i venti superiori temperano l’azione dei venti inferiori tanto più sensibilmente, quanto più spirano in di- rezioni opposte. Le due linee, quella delle temperature massime e quella delle minime, stanno in generale a maggiore distanza nei mesi caldi che non nei mesi freddi, il che indica per la state una maggiore giornaliera variazione di temperatura. Le più grandi di queste variazioni si osservano nei giorni sereni con vento più o meno caldo, le più piccole nei giorni nuvolosi o piovosi , e non di rado anche in giorni sereni con vento freddo. In quanto all’ ora, in cui giornalmente si osserva la tem- peratura minima e la massima, nulla di preciso ancora si saper Catania. Dalle mie già accennate osservazioni termo- 56 metriche risulta per i mesi di gennaio febbraio marzo aprile e maggio 1° (.he l’ora della minima è soggetta a maggiori oscil- lazioni che non quella della massima; 2° Che in generale la minima si osserva da mezz'ora a un’ ora c mezzo prima del levar del sole; 3° Che 1’ ora della massima è sempre compresa tra le 12 c le 4 pomeridiane. 4° Che la temperatura massima si osserva ordinaria- mente tra i’ una c mezzo e le due c mezzo. L’esame dei , valori numerici relativi alle , temperature massime e minime dà i seguenti risultati: massima minima media assoluta assoluta Ira la mass, e la min gennaio . . ...16, 2 "(il 2) 5j (03 1) .....10,7 febbraio . ...14,8 (il 6, 28,29; 5,0 (il 1 ,° 15,18) 9,9 marzo . . . ...18,0 (il 12) .... 4,6 (il 26) il, 3 aprile . . . . ...26,0 (il 26) .... 6,0 (il 1°). 16,0 maggio. . . ...30,2 (il 31) .... 14,5 (il 2) 22,3 giugno . . . ...32,4 (il 25) .... 18,0 (il 16) 25,2 luglio ...37,3 (il 30) .... 19,3 (il 4) 28,3 agosto . . . ...35,6 (il 7) 20,8 (il 23) 28,2 settembre . . .30,1 (il 7) 17,5 (il 23) 23,8 ottobre . . . ...33,0 (il 1°) .... 12,5 (il 25) 22,7 novembre ...21,3 (il 6) 6,0 (il 15) 43,6 dicembre . ...21,8 (il 24) .... 8,2 (il 12) 14,8 per 1’ anno intero 37,3 4,6 La media delle 12 temperature mensili calcolate è 18,9, e non differisce dalla media temperatura annua chedi 0,°6, quantità trascurabile per qualunque ricerca meteorologica. Ne risulta che, osservando alla fine di ogni mese del- 1’ anno un termometro a massima c a minima, si possono dai 24 numeri registrati desumere, con sufficiente precisione, le temperature mensili e la media dell’anno intero. 57 So si fosse tratto maggior partito da questo fatto, quante più medie temperature sarebbero ora determinate, e con quanta minor spesa di denaro e di fatica! Riguardo alla variazione giornaliera di temperatura le osservazioni del 1868 forniscono i risultati seguenti: massima minima media variazione variazione . variazione gennaio 8,3 (il 5) 5,2 (il 0) , , . . <>,4 febbraio 8,1 (il 18) . * . . 5,0 (il 5). . . . 6.6 marzo 10,6 (il 21). . . . 5,1 (il 1°) . . . 7,8 aprile 13,6 fi’ 11) . . . . 5,0 (il 7) . . . . 9,8 maggio 13,8 (il 29) .... 3,7 (il 2) . . . . 9,2 giugno 13,9 (il 25). . . . 6,0 (il 7,9).. 8,6 luglio 12 7 (il 6) 8,4 (il 25) . . . 10,0 agosto 10,(1 (il 7) 6,8 (il 18, 30) . 8,2 settembre 11,3 (il 7) 4,0 (il 10) . . . 7,9 ottobre 10,5 (il 1°) .... 5,0 (il 19) . . . 7,6 novembre 10,6 (il 12). . . . ^,7 (il 19) . . . 8.1 dicembre 11,9 (il 24). ... 5,1 (il 14) . . . 7,4 per l’anno intero. 13,9 3,7 3° LINEA DELLA TEMPERATURA A MEZZOGIORNO Nell’andamento di questa linea si notano i fatti se- guenti : 1° Essasi avvicina in generale più alla linea della media temperatura che non a quella della temperatura massima. 2° Nelle sue varie inflessioni essa incontra una sola volta la linea della massima, di spesso quella della media temperatura, e 3 o 4 volte giunge a poca distanza dalla li- nea delle minime. 3° Essa partecipa in generale alle irregolarità delle li- nce massime e minime, e più particolarmente a quelle delle minime. % — 58 - 4° Essa presenta non poche volte un andamento indipen- dente da quello delle linee mass, e min., il clic non ha nulla di sorprendente in un luogo tanto ventilato quanto lo è Catania. Da ciò risulta: a) Che la temperatura cresce più lentamente dalle 9 a. in. alle 12!, che non dalle 12 alle 2 o alle 3 p. m., ore, alle quali si osserva più spessa la temperatura massima. b) Che la temp. mass, non si osserva quasi mai alle 12. c) Clic di spesso la temperatura a mezzogiorno è infe- riore alla media giornaliera. Le osservazioni termometriche fatte alle 9 a. m. ed alle 12 conducono ai seguenti risultati. Tempe- ratura massima alle 12 Tempe- ratura minima alle 12 Diffe- renza Tempe- ratura media alle 12 Tempe- ratura massima alle 9 Tempe- ratura minima alle 9 Diffe- renza Tempe- ratura media alle 9 gennaio 14,1 9d 5,0 11,0 13,2 7,9 5,3 10,3 febbraio 12,2 9,4 2,8 10,7 12,0 8.5 3,5 10,0 marzo 15,4 10,2 5,2 13,0 14,0 6,6 7,4 11,5 aprile 21,0 11,2 9,8 16,1 19,0 10,4 8,6 14,6 maggio 26,1 19,7 6,4 22 2 24,5 18,9 5,6 21,2 giugno 27,6 22,9 4,7 25,7 26,4 22,5 3,9 24.8 luglio 32,2 25,6 6.6 28,0 30,0 24,6 5,4 26,8 agosto 30,2 27,4 2,8 28,8 28,9 24,5 4.4 27,6 settembre 29,7 24,5 5,2 25,9 25,5 23,0 2,5 24,2 ottobre 27,7 18,4 9,3 21,3 25,7 15,6 10,1 19,8 novembre 19,0 13.0 6,0 15.5 16,5 10,5 6,0 13,9 dicembre 18,0 13,0 6,0 15,0 15,6 10,9 4,7 13,2 per l’anno 5,8 19,4 4,9 18,2 La circostanza che la differenza media tra le tempera- ture massime e le minime osservate alle 12 è maggiore della differenza relativa alle ore 9 a. m., induce a credere, clic la detta differenza è tanto maggiore, quanto più l’ora è vicina a quella in cui si osserva la temperatura massima. Ou osto però vuol essere accertato da altre osservazioni. Paragonando per le ore 12 il movimento del termome- - 59 tro con quello del barometro, e distinguendo movimenti nello stesso senso, in senso contrario e inconcludenti, ho trovato per l’anno 1868 i seguenti risultati: movimento movimento movimento nello stesso senso in senso contrario inconcludente 1° trimestre .... 33 45 13 2° e 3° 73 77 33 4° 34 45 13 per l'anno 140 167 59 onde risulta, che nei mesi caldi su 121 volte il movimento si fece 4 volte, nello stesso senso, — 6 volte in senso contra- rio, — 2 volte in senso inconcludente. Nei mesi freddi su 12 volte il movimento fu 5 volte nello stesso senso, — 5 volte in senso contrario, — 3 volte in modo inconcludente. Per l’anno intero su 24 volte fu 9 volte nello stesso senso,— 10 volte in senso contrario,— 5 volte inconcludente. LINEE DELLE INDICAZIONI PSICR0METR1CHE A MEZZOGIORNO 1° Linea della tensione assoluta dei vapori acquosi o dell’umidità assoluta. Essa presenta in tutta la sua lunghezza molte e notevoli inflessioni, ciò nondimeno vi si distingue facilmente una parte meno irregolare Dal 1° gennaio al 19 giugno e dal 17 Novembre al 31 dicembre, e una parte irregolarissima dal 19 giugno al 17 novembre. Ciò prova, che, in quasi tutta la seconda metà dell’ anno, agivano con maggiore energia le cause, dalle quali principalmente dipende la quantità di vapori ac- quosi mescolati all’ aria atmosferica. 60 Facendo poi astrazione delle giornaliere irregolarità lo andamento della linea indica: tensione debole (pochi vapori) dal 1° gennaio a tutto marzo: tensione crescente dal 1° aprile a tutto giugno;, tensione decrescente dal 20 settembre a 15 novembre ; tensione poco al di sotto della media e sensibilmente costante dal 20 novembre a tutto dicembre. Il 23 settembre dalle ore 9 a. m. a mezzogiorno si verificò una diminuzione di tensione di 13,2. Per le tensioni massime, minime e medie di ciascun mese si ebbero i seguenti risultati: TBNSIONK DEI VAPORI E MEDIA TEMPERATURA alle 9. a. m. TENSIONE DET VAPORI E MEDIA TEMPERATURA a mezzogiorno mass. min. diff. media temp. mass. min. diff. media temp . gennaio 10,5 3,3 7,2 7,5 10,3 10,3 4,1 6,2 7,3 11,0 febbraio 8.9 4,9 4,0 7,1 10,0 11,7 4,9 6,8 7,6 10,7 marzo 11,0 3,7 7,3 7,4 11,5 11,5 4,7 6,8 7,4 13,0 aprile 12,3 6,1 6,2 9,3 14,6 15,5 5,3 10,2 9,6 16,1 maggio 14,4 7,0 7,4 11,4 21,2 18,9 9,9 9,0 12,9 22,2 giugno 21,5 12,0 9,5 15,8 24,8 19,8 13,7 6,1 16,3 25,7 luglio 18,2 10,1 8,1 13,7 26,8 19.4 9,9 9,5 14,4 28,0 agosto 19,2 9,6 9,6 15,5 27,6 19,7 6,6 13,1 16,3 28, S settembre 19,5 9,4 10,1 14,2 24,2 19.6 6,3 13,3 14,6 25,9 ottobre 19,4 10,0 9,4 14,0 19,8 19,1 9.7 9,4 1 4,0 21.3 novembre 11,3 5,7 5,6 8,6 13,9 12,4 6,6 5,8 9,1 15,5 dicembre 11,7 7,6 4,1 8,9 13,2 11,3 8,0 3,3 9,5 15,0 per 1’ anno 14,8 7,5 7,4 1U 15,8 7,5 8,3 11,6 Da questo quadro si rileva: - 61 — 1° Che la tensione dei vapori e le variazioni di tensio- ne furono maggiori a mezzogiorno che non alle 9 a. m. (1). Che nella prima metà dell’ anno le tensioni mensili seguivano, almen-o approssimativamente, 1’ andamento del- la temperatura, mentre, nella seconda metà dell’ anno, le tensioni variavano indipendentemente dalla temperatura; e ciò prova, che la tensione dei vapori nell’ atmosfera non dipende dalla sola temperatura. Paragonando la linea delle tensioni con quella delle altezze barometriche, trovai, che nel 1° c 4° trimestre su 7 inalzamenti del barometro 4 corrispondevano a diminuzione di tensione, 3 « ad aumento di tensione; che su 7 abbassamenti del barometro 4 corrispondevano ad aumento di tensione, 3 « a diminuzione di tensione, che nel % e 3 trimestre su 9 inalzamenti del barometro 6 indicavano aumento di tensione, 4 « diminuzione di tensione e che un abbassamento del barometro era inconcludente relativamente alla tensione dei vapori. Siccome nelle zone temperate ad un abbassamento del barometro corrisponde ordinariamente un aumento di va- pori, e viceversa, risulta da questi dati: 1. Che nei sei mesi più freddi le indicazioni barome- triche. erano più normali che non nei 6 mesi caldi. Che nei 6 mesi più freddi gli inalzamenti e gli ab- bassamenti del barometro erano per la tensione dei vapo- ri indizii ugualmente sicuri. 3. Che nei sei mesi più caldi gli abbassamenti del ba- '!) Anche le variazioni di temperatura a mezzogiorno furono tro- vate maggiori di quelle relative alle 9 a. m. ATTI ACC. VOL. IV. 9 - 62 rometro erano indizii inconcludenti per la tensione dei va- pori . 4. Che per 1’ anno intero un inalzamento del barome- tro indicava piuttosto diminuzione, un abbassamento piut- tosto aumento di tensione. 2.° LINEA DELL’UMIDITÀ RELATIVA Questa linea, assai più irregolare della linea delle ten- sioni, indica: 1. Saturazione maggiore della media annua dal 1 gen- naio a tutto febbraio, e dal 1 al 31 dicembre. 2. Saturazione sensibilmente uguale alla media annua da marzo a tutto giugno, e dal 15 settembre a tutto novembre. 3. Saturazione inferiore alla media annua da luglio al 15 di settembre. La maggiore umidità relativa ebbe luogo dal 1 al 15 gennaio, dal 23 al 29 febbraio, dal 1 al 8 dicembre, La minima si osservò dal 1 al 15 luglio. Le più rapide variazioni di saturazione si verificarono dal 12 al 13 marzo, (0,44) e dal 22 al 23 settembre, (0,53) La saturazione giunse a 0,99 il ! e 15 gennaio a una frazione compresa tra 0,90 e 0,99 5 volte in gennaio, 3 volte in febbraio, 3 volte in marzo, 2 volte in aprile, 2 volte in ottobre, 3 volte in novembre. — 63 - La saturazione fu minore di 0,50 1 volta in gennaio, 4 volte in marzo, 2 volte in aprile, 12 volte in luglio, 3 volte in agosto, 5 volte in settembre, 3 volte in novembre. La satu razione fu soltanto di 0,33 il 31 luglio, 0,30 il 29 luglio, 0,24 il 31 agosto, 0,23 il 23 settembre. Per il massimo, minimo e medio grado di saturazione dell’aria nei singoli mesi, le osservazioni del 1868 danno i seguenti resultati: Grado di saturazione massimo minimo medio gennaio. . . . 0,99 0,45 0,80 febbraio. . . . 0,93 0,55 0,78 marzo .... 0,95 0,39 0,66 aprile 0,95 0,44 0,70 maggio .... 0,83 0,50 0,65 giugno .... 0,80 0,50. . . . 0,68 luglio 0,66 0,30 0,51 agosto 0.70 0,24. .... 0,55 settembre. . . 0,81 0,23 0,60 ottobre .... 0‘95 0,52 0,73 novembre . . . 0,95 0,42 0,69 dicembre . . . 0,89 6,61 0,76 per l’anno 0,67 Da questo quadro, come pure dall’ andamento della linea > - 64 - dell’umidità relativa, si rilevano due fatti, che rendono in qualche modo eccezionale l’anno 1868; essi sono: 1° Forti oscillazioni del grado di saturazione nei mesi più caldi . 2° Notevole siccità dell’aria nei mesi di luglio, agosto e parte di settembre (1). I VENTI » Di tutte le osservazioni meteoriche la più interessante, la più essenziale è quella dei venti, sebbene sia tuttora quella che, rispetto alla precisione, molto lascia da desiderare. L’ in- tensità dei venti è troppo spesso determinata approssimativa- mente, e registrata, dal coscienzioso osservatore sopra tutto, qual’ è nel momento dell’ osservazione, il che induce non di rado a notevoli errori. Poche volte la direzione notata nei registri d’osservazione è quella, che realmente ha luo- go, per la ragione, che in rari casi soltanto la direzione della banderuola coincide con uno dei 16 venti segnati (1) Più d’una volta si è tentato di trovare, nelle condizioni meteo- riche dell’ atmosfera, la causa di malattie tanto degli uomini, quanto de- gli animali, e sopratutto dei vegetali; ma trovando nulla di straordina- rio nelle medie della pressione atmosferica , della temperatura , della direzione dei venti, del grado di saturazione dell’ aria, si considerava- no questi tentativi come falsi passi, eli’ è inutile di rinnovare. Ma ciò che importa in siffatte ricerche si è la distribuzione d’ una data quan- tità, e non già il valore assoluto della medesima. Tra la media del- P umidità relativa del 1868 (0,67) e quella del 1867 (0,72) corre poca differenza; mai il quasi costante grado di saturazione nel 1867 e quello variabilissimo nel 1868 hanno certamente prodotto effetti diver- si su tutti gli esseri sensibili all' umidità. Sarebbe interessantissimo, e forse utilissimo, di fare regolare osser- vazioni sull’ influenza delle condizioni meteoriche sugli animali e sui vegetali. — 65 - nella rosa dei venti, e che, il più delle volte, non fa che avvicinarsi a quello che s’ inscrive nei registri. I venti poi che si osservano appena 15 o 20 metri al di sopra del suolo sono 9 volte su 10 volte, e forse avrei dovuto dire 19 volte su 20 volte, venti di cui la direzione è stata più o meno alterata, e che, per conseguenza, poco ci possono insegnare intorno alla vera intluenza dei venti sulle vicen- de atmosferiche. Questo è certamente la ragione, perchè nei pronostici del tempo, il vento è l’elemento, che for- nisce le indicazioni più fallaci, e che, per conseguenza, si considera meno di tutti gli altri dati. L’ osservazione dei venti non acquisterà importanza nella meteorologia, se non quando ogni 200 chilom. alme- no sarà stabilito un osservatorio, situato ad un’ altezza di 1000 a 1500 metri, c che ivi l’osservazione sarà continua. Determinate in siffatto modo le correnti principali, 1’ ossa- tura, per dire così, dei venti, può tornar utile anche la osservazione delle correnti inferiori, le quali non sono se non svariati sminuzzamenti ed infrarigimenti delle corren- ti principali. Ecco intanto i risultati cui conducono le osservazioni dei venti nel 1868. 1. Direzione e frequenza dei venti secondo V indicazione della banderuola e del movimento delle nuvole nei gior- ni non sereni. Dalla costruzione grafica dei venti si rileva, che, nel complesso, gl’ inferiori spiravano in direzioni comprese nei quadranti N. O. e S. E. durante i mesi di gennaio e febbraio, e che poi si mantennero nei quadranti O. S. E. con salti nel quadrante N.O. che furono piuttosto frequenti nei mesi di - 66 — marzo e settembre, e più rari in aprile e prima metà di maggio. I venti inferiori più costanti spiravano dal SE in giugno c settembre, e dal 7 al 19 ottobre; dal SO dal 21 al 7 novembre, e dal NO nella prima metà di febbraio. La massima variabilità nella direzione dei venti infe- riori si osservò nei mesi di gennaio febbraio e marzo. Considerando i venti inferiori nella loro influenza sul- I’ andamento delle altre linee sembra: 1. Che nei mesi freddi il vento 0 e NO abbia prodotto un abbassamento di temperatura, mentre, nei mesi caldi, abbia avuto un effetto tutto opposto. 2. Che la maggiore variabilità dei venti coincidesse colle massime variazioni dell’ altezza barometrica. 3. Che durante un vento costante siano stati meno variabili tutte le altre condizioni meteorologiche dell’at- mosfera. Dal quadro seguente potrassi rilevare la frequenza dei singoli venti ; quella dei venti inferiori è indicata coi nu- meri che figurano come numeratori, quella dei venti su- periori coi numeri che figurano come denominatori. 67 FREQUENZA DEL VENTO DI . o o o w w cd Cd Cd Cd o o ° ! o z 2; z z z 2; 2 Cd 73 C/3 73 C/3 m 73 73 o z z Cd Cd '73 73 0 1 15 3 4 1 1 4 3 0 0 4 6 gennaio 22 6 2 6 1 1 6 2 2 2 4 febbraio G 18 1 2 0 21 0 5 4 — 1 “ 2* "■ 1 5 “ 3 1 3 2^ "2 10 5 4 0 3 3 3 6 9 0 marzo 14 4 17 4 6 1 9 7 2 1 6 aprile 16 11 1 4 3 1 — — 2 — 0 T — 30 6 2 0 ì~ — 2 1 2 1 1 o 0 16 16 10 1 maggio iT — 5 2 “ 2 3 17 8 7 2 1 o 0 0 1 0 -giugno 8 — 10 — " 8 — — 7 46 4 1 2 luglio c 1 1 0 1 4 15 2 0 12 1 4 r ~ T 3 ! 16 19 8 — 1 2 3 5 2 3 44 1 agosto 15 — 4 ■ •T — — 2 1 5 7 5 •2 i 1 1 6 10 1 2 settembre il 4 9 T 2 3 5 15 10 1 3“ 2 ottobre 5 4 — 6 4 — — — 1 1 1 r — 25 14 3 — — 19 6" novembre 12 lo — 0 1 1 0 T — 0 2* — 2 4 1 8 13 5 4 2 6 17 11 4 6 7 0 12 34 1 dicembre 8 — 5 1 — “ 3 * — — 6 — — 1 10 45 26 * 6 18 114 24 4 46 13 { per l’ anno 68 8 34 8 9 16 6I 23 27 44 5 5 20 Da questo quadro risulta per i venti inferiori: 1. Che essi spiravano principalmente nelle quattro di- - 68 — razioni SE, SO, 0, NO, e che ciascuna di queste direzioni era soggetta ad oscillazioni più o meno numerose. Che la frequenza dei venti nel quadrante S. ed E. era doppia di quella nel quadrante N. ed 0, e che nelle direzioni comprese tra S. ed 0. i venti erano più di due volte più frequenti dei venti compresi nelle direzioni N. ed E. 3. Che i venti dominanti erano: il SE in febbraio, aprile, giugno , agosto, settembre e ottobre, il S 0 in novembre e dicembre, T 0 in gennaio e marzo VE e l’ E SE in maggio ; il SE e r E SE in luglio. Riguardo ai venti superiori la costruzione grafica e i valori numerici dimostrano: 1 . Che i venti disposti per ordine di frequenza sono: 0, SE, NO, E, SO, NE, N. %. Che 3 volte su 3 volte essi spiravano sensibilmen- te nella direzione dei venti inferiori. Se la frequenza di ciascun vento si esprime colla som- ma delle frequenze inferiori e superiori, e se poi si addi- zionano le frequenze per i venti, che spirano nei quadranti S. 0. N. c poscia le frequeze dei venti , che spirano nei quadranti S. E. N. si ottengono somme sensibilmente uguali. 14 volte il vento era senza determinata direzione, 3 volte soltanto si osservò calma perfetta. INTENSITÀ DEL VENTO L’intensità con cui spirano i venti a Catania è variabi- lissima, ed in non pochi giorni si vede il medesimo ven- — 69 — to passare per tutti quei gradi d’ intensità, che nei regi- stri meteorologici si segnano con 1, 3. Nel 1868 l’intensità ordinaria dei venti era 1; l’intensità t si osservò 35 volte, quella di 3, soltanto 6 volte. i venti, che più spesso giunsero all’ intensità 2 o 3 erano: 1’ ovest, i venti senza determinata direzione, il nord -ovest, il sud-est, ed il sud-ovest. I venti forti si osservarono più frequentemente in gen- naio, febbraio, e marzo. Più di rado in aprile, prima metà di maggio, e secon- da metà di dicembre. Nei mesi freddi i venti forti coincidevano quasi sem- pre con abbassamento di temperatura, nei mesi caldi, con aumento di temperatura, ed in tutto l’anno con notevoli variazioni dell’altezza barometrica. La straordinaria variazione, avvenuta nell’ altezza ba- rometrica dell’ 8 al 9 novembre, coincide con vento for- tissimo d’ovest, che si mantenne dal 7 all’ 11 novembre. ATTI ACC. VOI. IV. 40 STATO DEL CIELO Riguardo allo stalo del cielo, le osservazioni del 1868 forniscono i seguenti risultati: giorni completam. sereni giorni nuvolosi senza pioggia giorni nuvolosi con pioggia gennaio . febbraio . . . . . 13. . . . . . . 17. . . . . 10. . . . . 9. . . . . 8 ‘ . . 3 marzo . . . . . 13. . . . . 9. . . . . 9 aprile . . . . 17. . . . . 7. . . . . 6 maggio . . . . . 23. . . . . 8. giugno . . . . . 16. . . . .11. . . . . 3 luglio . . . . 25. . . . . 5. . . . . 1 agosto . 22. . . . . 9. . . settembre . . . . 21. . . . . 7. . . , . . 2 ottobre. . . . . 14. . . . . 11. . . . . 6 novembre dicembre .... 17. . . . . 11. . . . . . 3 per l’anno intero 216 105 45 La ripartizione dei giorni sereni, nuvolosi senza piog- gia e nuvolosi con pioggia conduce ai seguenti risultati : 71 Cercando per i venti, ohe più spesso spiravano a Catania nel 1868, la probabilità di tempo sereno, di tempo nuvolo- so c di pioggia, si giunge ai seguenti risultati. 2 W - ì c n C/3 o o o m W c c © in P3 M O — probabilità di tempo sereno 0,62 0,70 0,50 0,67 0,61 0,80 0,41 0, 70 » » j miro- j loso senza pioggia . . . 0,27 0.20 0,40 0,22 0, 30 0,12 0, 37 0, lo probabilità di tempo nuvo- loso con pioggia. 0, 11 0,11 0,1 1 0,11 0, 10 0, 09 0, 22 0, 15 Da questi valori risulta, che i venti disposti per or- dine di decrescente probabilità di tempo sereno, o per or- dine di crescente probabilità di tempo nuvoloso e piovoso sono: SSE, OSO, NO, ESE, 0,'SE, E, SO e che, perciò, al vento SSE corrispondeva nel 1868 la maggiore probabilità di tempo sereno; al vento SO la mag- giore probabilità di tempo nuvoloso e di pioggia. Ciò è na- turalissimo; infatti i venti superiori e gl’ inferiori spirando in direzione più o meno opposta, si capisce, che la mag- giore probabilità di tempo sereno deve aver luogo, quando i venti opposti sono q meno carichi di vapori e di più u- guale temperatura. Ciò, per E appunto, ha luogo per i venti SSE c NNO. La maggior probabilità di tempo nuvoloso, con o senza pioggia, si deve osservare, quando al vento più caldo e più carico di vapori, è opposto uno dei venti più freddi. Ciò si verifica per il SO e per il SE. • Non così evidente riesce il fatto, che i venti OSO, NO c 0 davano maggiore probabilità di tempo sereno , che non i venti opposti. Ma riportandosi al quadro, che dà la frequenza dei venti superiori, si vede come questi ultimi spiravano quasi continuamente in direzioni comprese nel quadrante SO e NO, e che, per conseguenza, una unica corrente era assai più probabile in una delle direzioni del quadrante NO e SO, che non in una delle direzioni opposte. OSSERVAZIONI PLUVIOMETRICHE Se l’acqua caduta nell’anno 1 868 si ripartisce tra i do- dici mesi dell’anno, e l’acqua di ciascun mese fra i venti, clic spiravano durante la pioggia, si giunge ai seguenti ri- sultati. CADDERO CON UN VENTO | Totale I H della pioggia o o w H w — o o O o is 52; Z z w C/3 C/2 C/3 in CO *-> a caduta ] \mmm o w H c n in > " in’gcnnaio . 14,3 7,3 4,8 ____ f , 4,0 213 243, 6 I i febbraio. — — — — 4,0 72,0 — 1(5,2 28,0 — 7,0 — 55, 2 | « marzo.... 10,3 — 4, 5 41,5 — 34,0 34,0 49,0 — — 120,5 365, 8 « aprile.... 17,5 —, 2-2, 0 — — — — — — 244,0 — — — 283, 5 ! « maggio... 7,0 — 1,0 — — — — — — 7,0 — 100,0 — — 115, 01 « giugno... — — — — — — 39,0 — — — — 39, 0 « iuglio — — — — — — — — — — — — — « agosto.... . _■ — - — — — — — — — — — — — tt settembre _ . — — — « — 20,7 9,0 — — — — 29, 7 1 « ottobre... — — 41,0 - — — 449,0 . — — 70,0 — 560, 0 « novembre _ . - — — . — 10,0 — 26,0 52,0 52,0 — — 160, 0 < dicembre — — — — — — — — — — — — 59,0 — 59, 0 1 per 1’ anno intero 49, 1 7,5 27,8 4,5 41,5 43,0 72,0 44,0 113,9 812,0 52,0 152,0 136,0 333,5 1910, 8 I venti, clic spirano nei quadranti S. 0. N. sono venti umidi; quelli che spirano nei quadranti S. E. N. sono venti a- - 73 - sdutti e freddi, i quali condensano più o meno i vapori di cui sono carichi i venti umidi, giachè non piove, se non quando spirano contemporaneamente un vento umido e un vento freddo. Ciò premesso passiamo all’ esame dei valori numerici del quadro precedente, dal quale si rilevano i seguenti fatti: 1° Nelle direzioni, NO, SE, o nelle direzioni vicine ad esse, i venti, condensanti si osservarono più spesso inferior- mente ; ciò conferma anche il quadro sulla frequenza dei venti superiori. Nelle direzioni NE, SSO, o NOE, SSO, al contrario, spirava inferiormente il vento umido, e superior- mente il vento condensante. 2° I venti più umidi spiravano in due direzioni ben distinte: Cuna di esse era sensibilmente il NO, l’altra il SO o SSO. Tenendo conto della frequenza dei venti, la differenza tra l’acqua òaduta, nell’una e nell’ altra direzione, ò piccolis- sima, c ciò prova che i venti, nelle due accennate direzio- ni, erano presso a poco ugualmente umidi. Probabilmente anche l’acqua caduta con vento vario si ripartisce tra i due sunominati venti umidi; sarebbe in- teressante di sapere, se, quando piove con vento vario, un vento umido è incontrato da uno o più venti freddi, o vi- ceversa, o se avvengono maggiori complicazioni ancora. 3° La quasi totalità della pioggia è caduta nei quattro primi e nei quattro ultimi mesi dell’ anno. La maggior quan- tità cadde nei mesi di marzo e ottobre (1). (1) Si sa che il numero dei giorni piovosi, l’acqua caduta e la stagione in cui essa cade più copiosa, variano essenzialmente da un luogo all’altro in Europa e che presentano nel loro insieme i tre se- guenti climi pluviali. 1° In tre giorni più d’ un giorno piovoso. Pioggie poco abbondanti. - n - Le piogge più abbondanti ebbero luogo 10 gennaio (210n,,m') con vento vario 23 aprile (120,5) » » » 13 » (158,0) » » SE, 16 giugno (100,0) » » SSO, 7 ottobre (160,0) » » SE, 9 » (208,0) » » SE. In quanto alla quantità assoluta dell’ acqua caduta, es- sa è, per Catania, straordinariamente grande, ed è importante di notare, come essa coincide con una altezza barometrica maggiore della media assoluta, e con un vento dominante inferiore SE, superiore 0. Piccole nevicate, ma non misu- rabili, si osservarono nei giorni 28 gennaio, 25 febbraio, ■19 marzo. La maggior quantità di acqua cade nella state. 2° In quattro giorni circa un giorno piovoso. Pioggie più abbondanti. Acqua caduta alquanto più abbondante nei 6 mesi più freddi. 3° Su 5 'giorni circa un giorno piovoso. Piogge abbondanti. La quasi totalità dell’ acqua cade nei mesi di febbraio marzo e di ottobre e novembre. Tutta la Sicilia appartiene a quest’ ultimo clima. Ad effetti così invariabili corrispondono certamente cause costan- ti, ma sinora poco sappiamo di certo intorno alla relazione di questi ‘-limi pluviali colle altre condizioni meteoriche dell’ atmosfera. — 75 ELETTRICITÀ ATMOSFERICA Regolari e precise osservazioni intorno all’elettricità at- mosferica non si fanno a Catania; il registro meteorologico indica semplicemente, che tuoni e lampi furono osservati nei giorni 4, 16, 20, 21, 22, 27, maggio con vento N, NE ed E, SF 4 Luglio, e 7 ottobre. Meritano una speciale menzione i lampi, che si disegna- rono in zig-zag sul fondo nero d’ una estesa nuvola, che, la sera del 27 novembre, si era addensata, un poco al di sopra della cima dell’Etna, mentre, dal cratere principale, ebbe luo- go, per circa 5 ore, una fortissima eruzione di ceneri e di scorie di lava. La sera del giorno 8 dicembre si produsse un’ altra eruzione, di non minore intensità, ma non fu accom pagnata da alcun fenomeno elettrico. Osservazione. Furono osservate a Catania due piccole scosse di terra; Luna, la notte del 20 aprile , 1’ altra, alle 2 p. m. del 6 settembre. 76 - RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI FATTE NEL 1868 IN CONFRRONTO DI QUELLO RELATIVO ALLE OSSERVAZIONI FATTE NEL 1 867 Altezza barometrica Pressioni più va- riabili Pressioni più co- stanti Massime variazioni Totali variazioni nel 1° trimestre » 2° » » 3° » » 4° » nell’ anno intero. Massima altezza Minima altezza Media altezza annua Mesi di maggiore, media altezza ba- rometrica. Mesi di minor me- dia altezza baro- metrica. anno 186S. dal 10 gen. al 1 febb., dal 23 febb. al 23 aprile, dal 18 ott. al 18 die, dal ! 0 maggio al 29 lugl . , dal 7 sett. al 7 ottobre. 11,6 (dal 4 al 3 gen. ) 11,0 (dal 2 al 3 die. ) 308.3 169.4 127.5 314,8 920,0 776,3 ( 9 nov.) 744,5 (25 marzo. ) 160.6 febb. nov. ottob. sett. marzo dicem. gen. agosto. anno 1867. dal 22 scttem. al 31 dicembre. dal 18 lugl. al 9 a- gosto, dal 25 ago- sto al 20 sett. 24.8 (dal 18 al 21 gennaio). 25.8 (dall’ 8 al 9 novembre). 223.9 185.6 100.9 290.7 803,1 773,6 (15 febb.) 746,4 (4 genn.) 759.9 febb. die. settem. maggio. marzo gennaio. 77 Freddo massimo e più sostenuto Caldo massimo e più costante Temp. media annua Epoche di una me- dia temperatura sensibilmente u- guale alla media annua Massima tempera- tura giornaliera Minima Massime variazioni nella media tem- peratura Massima assoluta dell’ anno Min. assoluta del- T anno Mesi di maggiore variazione gior- liera di temp. ATTI ACC. VOL. IV Temperatura anno 1868. dall’ 8 gen. a tutto febb. 1 0,° 1 dal li luglio al 210 agosto. (28°, 3) 1 8,°3 dal 24 aprile al 7 maggio; dall’8 ottobre all’8 novembre. 31, °5 (29 luglio) 8,°2 (1 febbraio) 6° (dal 25 al 26 giu- gno,) 6,°4 (dal 20 al 2! ottobre) . 37°, 3 (il 30 luglio,) 3°, 8 (il 27 die.) luglio, aprile, mag- gio, giugno anno 1867. dal 2 al 31 die. (8°,5) dal 1 gen. all’ 8 marzo (ll°,8j dal 16 luglio al 25 settembre. (26°,9) 18,7 dal 28 aprile al 10 maggio; dall’ 11 al 31 ott. 30°, 2 (il 15 luglio) 7°, 4 (27, 28 die.) 5°, 4 (dall’11 al 12) marzo) 4°, 6 (dal 4 al 5 a- prile) 36°, 6 (il 15 luglio) 5°,0 (il 1°, 15, 18 febbraio) novembre, die. il - 78 - Mesi di minore va* riazione giorna- liera di temp. Massima variazione giornaliera, Minima variazione giornaliera, Media temp. a mez- zogiorno. Andamento del ba- rometro e del ter- mometro per l’o- ra di mezzogior. anno 1868 gennaio, febbraio, dicembre 13,°9 (il 25 giugno) 3,°7 (il 2 maggio) 18°, 2 su 24 volte 9 volte movimen- to nello stesso senso; 10 volte movimen- to in senso con- trario; 5 volte in modo inconcludente. anno 1867. gennaio febbraio 23°, 3 (dal 27 al 28 novembre,) 3*, 7 (il 9 febbraio) 19 su 24 volte 12 volte movimen- to nello stesso senso; 7-8 volte movim. in senso contra- rio ; 7-8 volte movim. in modo incon- cludente. Indicazioni psicrometriche Tensione debole; Tensione crscente Tensione massima, Tens. decrescente, Tens. più costanti dal 1° gcn. a tutto marzo. dal 1° aprile a tutto giugno. dal 20 sett. al 15 nov. gen. febb. dicem. dal 1° marzo sino a luglio. luglio agosto set. da sett. a nov. dal 10 febb. al 20 marzo, dall’ 8 agosto al 1G settembre, dal 3 al 31 dicem. - 79 - Massima tensione assoluta. Minima tensione as- soluta. Relazione tra 1’ al- tezza baro m me- trica e la tensio- ne dei vapori. 1° e 4° trimestre '2° e 3° trimestre per r anno intero Mesi in cui 1’ aria era maggiormen- te satura, Minormente satura anno 1868 21, 5 giugno 8, 9 febbraio su 7 variaz. baro- metriche (I). 4 davano indizii normali, 3 davano indizii anormali, su 9 inalzamenti di barometro. 5 corrispondeva- no ad aumento, 4 a diminuzione di tensione; gli ab- bassamenti era- no inconclud. gl’inalzamenti era- no inconclud. su 15 abbassamen- ti del baroni. 8 normali 7 anor. gennaio, febbraio, luglio, agosto anno 1867 22,6 agosto, 4,4 dicembre. su 15 abbassamen- ti del barometro 7 normali 8 a- normali. dicembre, gennaio, luglio, agosto. (1) Cioè un inalzamento corrispondeva a diminuzione di tensione o un abbassamento ad aumento di tensione. Errata - Corrige pagine 36 e 45. I numeri, elio indicano l’acqua caduta in maggio, ap- partengono al mese di giugno; quelli di giugno al mese di luglio. TAY. I I , NELLA CHIESA DEGLI EX PADRI BENEDETTINI S)LJ (2&IS&SJ3& Gomwmteate aM)’ Accademia Glaetua menila sedata dell 28 fe&fepa'te DAL SOCIO CORRISPONDENTE Q/do. Cj. JI9. Iboftòfcauóct PROFESSORE DI FISICA DIRETTORE DEL GABINETTO DI FISICA E DELL’OSSERVATORIO METEOROLOGICO DELLA R. UNIVERSITÀ DI CATANIA atti agc. VOL. IV. 12 I I I. Condotto dal piano di studio, prefissomi nello scorso an- no scolastico, per l’insegnamento della fisica nella [(.Uni- versità di Catania, ad esporre la teoria del pendolo , sti- mai cosa utile, non meno che interessante, il far parola dello sperimento di Foucault, ed il dimostrare , come la deviazione del piano d’ oscillazione d’ un pendolo sia una immediata conseguenza del moto rotatorio della terra (1). Ma, dovendo poi eseguire il suddetto sperimento con un pendolo Iuq^o pochi metri, ed in un luogo non del tutto ri- parato dall’agitazione dell’aria, era impossibile di non pen- sare ad un locale favorevolissimo per la dimostrazione da (1) Sembra, che in Francia la morte del dottissimo signor Léon Foucault abbia destato nuovo entusiasmo per il suo celebre sperimen- to col pendolo, il quale sperimento , durante la compilazione del pre- sente lavoro, è stato eseguito nelle cattedrali di Reims e d’ Amiens. - 86 — farsi, qual è la chiesa degli ex-padri Benedettini di Cata- nia, in cui, al di sopra della navata principale , si eleva una cupola alta poco meno di sessanta metri. All’ idea del locale si associò ben presto il desiderio di un pubblico sperimento, ed, incoraggito in ciò dal me- ritissimo Rettore dell’ Università Prof. Cav. Zurria, io non perdetti tempo, per avere T autorizzazione di libera entra- ta nella detta chiesa, autorizzazione che fu accordata con lodevole premura dall’ex padre Benedettino signor Giovan- ni Abatclli, Rettore della medesima chiesa, c dal signor Carlo Bettoli, delegato per i beni degli ex-padri Benedettini di Catania. Ma nel mettere mano ai preparativi dell’ accennato spe- rimento, già tante volte eseguito, mi parve poca cosa di sospendere una palla, munita inferiormente di uno stile , il quale, strisciando di tempo in tempo su un letto di sabbia, che a piacimento si può inalzare ed abbassare, vi segna il piano d’ oscillazione del pendolo; o, come già pra- ticava lo stesso Foucault, di accostare di quando in quando una punta mobile allo stile, quando esso è giunto all’ estre- mità d’ una oscillazione. Mi provai, adunque, di costruire un pendolo, che, sen- za essere menomamente disturbato nel suo moto, segnas- se su un piano le curve, che, quasi immediatamente, su- bentrano alla linea retta descritta nella prima oscillazione, e delle quali varia, d’ istante in istante , e la forma e la relativa posizione, la quale posizione e forma costituisco- no, per l’appunto, l’oggetto di osservazione nello speri- mento di Foucault. Egli ò vero, che, nello stato attuale della scienza, la teoria del pendolo nulla o poco lascia da desiderare, c che anche lo sperimento di Foucault è stato trattato analitica- mente; ma se 1’ analisi deduce con rigorosa precisione tutte le conseguenze d’ un dato fatto, essa, però, non saprebbe — 87 - prevedere le circostanze, dalle quali esso dipènde, e perciò parvenu lavoro non del tutto inutile, il confrontare i fatti osservati con i risultati teorici dello sperimento di Foucault. IL Sino a vent’anni fa, tutti i geometri, che si occupa- rono del pendolo, ammisero, senza però dimostrarlo, che nella teoria del suo moto oscillatorio il punto di sospen- sione, sebbene partecipante al moto di rotazione della terra, poteva, anzi doveva considerarsi come in riposo assoluto, e ciò li condusse alle seguenti conseguenze: 1. Le oscillazioni del pendolo (fosse anche libero in tutti i sensi ) sono piane. 2. Per la durata di piccole oscillazioni d’ un pendolo semplice si ha: e per la durata di oscillazioni di maggiore ampiezza « indicando con l la lunghezza del pendolo, con g V accelera- zione delia gravità, e con li l’altezza delia discesa. Ma recenti osservazioni sono venute a smentire la suac- cennata ipotesi, fondata sull’ autorità di Galileo e, sopra- tutto, su quella di Poisson, il quale così si esprime nel Journal de L’ Ecole Polytechnique del 1837: «La force per- pendiculaire au pian des osci llations est trop petite pour écarter sensiblemcnt le pendole de son pian et avoir une influencc appréciable sur son mouvement. / 88 - Prima del 1850 il signor Pouillet osservò, che nel pen- dolo conico la proiezione orizontale del punto mobile de- scrive una curva elittica, il cui centro corrisponde alla posizione d’equilibrio del pendolo, c la cui forma è costan- te, almeno nei limiti d’ una prima approssimazione. Nel 1850 il celebre Foncault constatò, che il piano di oscillazione d’ un pendolo si sposta, con moto continuo, in senso opposto di quello della rotazione della terra. Queste due osservazioni, inesplicabili se si ammette, che il moto rotatorio della terra, che è pur quello del punto di sospensione , sia senza influenza sul movimento del pendolo, si sono invece presentate come fatti naturalis- simi, allorquando, coll’ ajuto dell’analisi, si ò scesi a tutte le conseguenze di esso moto di rotazione; ed è in questo senso, che la forma elittica della suaccennata proiezione, c, più specialmente, lo spostamento del piano di oscilla- zione costituiscono una prova diretta del moto rotatorio della terra, ed appagano inaspettamente un desiderio del celebre Laplace, il quale parlando del moto di rotazione della terra, dice: k Quoique ce mouvement soit maintenant établi avec toute la certitude, que les Sciences physiques comportent, cependant uno preuve directe de ce phénomène doit in- téresser Ics géomètres et les astronomes ! » Egli è ben vero, che, anche prima dello sperimento di Foucault, furono analizzati fenomeni dipendenti dal moto di rotazione della terra: Laplace, nel 4.° volume della sua Mecanique celeste, come pure Poisson nel fascicolo 26° dei Journal de 1’ Ecole Polytechnique, hanno stabilito le for- inole che rinchiudono indirettamente le principali relazioni tra 1’ azione della rotazione ed il moto del pendolo conico; sicché un accorto calcolatore, scendendo alle conseguenze di questi' forinole, avrebbe potuto constatare assai prima i risul- tati, cui giunse poi Foucault per una via tutta diversa. - 89 - Per altro uno sviluppo delle accennate forinole di Laplace e di Poisson fu fatto dal signor Binct, e comuni- cato all’ Accademia delle scienze di Parigi poco dopo l'an- nunzio dello sperimento di Foucault (1). Con esso si di- mostra, clic le curve descritte dal pendolo sono eclissi ad assi costanti e di cui il maggiore è uniformemente mobile attorno al suo centro nel senso di nord a est, e con una velocità I K = n sen l giudicando con l la latitudine del luogo di osservazione, e con n la velocità angolare della terra d’occidente a oriente (2). III. Dei diversi modi tentati per ottenere su un piano la traccia delle curve descritte dal pendplo di Foucault, quel- lo, che mi diede i risultati più soddisfacenti , consisteva nell’ adoperare una palla forata nella direzione del filo di sospensione, e munita inferiormente di un imbuto a picco- lissimo orificio. In questo imbuto s’ introduceva, a un da- ti) Comptes Rendus de l’Àcadémie des Sciences, voi. XXXII, pa- lina 197. 7. Prendendo per unità di tempo il minuto secondo siderale, si ha 86400 = 15 ’/ » Esprimendo il tempo in minuti secondi di tempo solare medio, si ottiene 2 T n = 86163 - = 13" 39 to momento, una quantità di sabbia bastante per produrre, durante una oscillazione intera, una sottile vena, la quale, cadendo su carta bagnata con acqua gommata, vi si ac- collava, e formava una traccia fedele della curva descrit- ta. Ebbi cura di tagliare in linea retta una dei lati della carta senza fine adoperata, e di mantenerlo sempre nella stessa direzione; in questo modo il piano d’ oscillazione del pendolo, corrispondente a ciascuna curva, era dato dal- l’angolo formato dall’asse maggiore della relativa curva e dal lato tagliato della carta. La palla era di carbonato di calce (!) (pietra bianca di Siracusa) del diametro di 30 centimetri, e del peso di quasi 17 chilogrammi. La distan- za dal punto di sospensione all’ estremità dell’imbuto era metri 50, 09; l’intervallo tra questa e la carta, un centi- metro nella posizion d'equilibrio del pendolo, c di 17 a 18 millimetri all’ estremità della prima oscillazione. La pri ma linea fu tracciata nella direzione e nel senso di sud a nord. La quantità di sabbia più che bastante alla traccia d’una curva non eccedeva 6 a 8 grammi, e fu introdot- ta nella palla nel mentre questa era più vicina alla sua posizione d’equilibrio. Nel primo sperimento, fatto il 88 marzo 1858, si trac- ciarono 85 linee di 5 in 5' tempo medio. L’ angolo, forma- to dall’asse maggiore di ciascuna curva c dall’orlo retti- lineo della carta fu determinato facendolo entrare in un triangolo, di cui si misurarono i tre lati. Malgrado la mas- sima cura, apportata in questa operazione, i risultati, co- struiti graficamente, diedero luogo ad una linea assai ir- regolare, la quale, però, nel suo insieme formò una cur- (1) Scelsi questa materia, perchè mi era proposto di studiare an- che l’influenza della resistenza dell’aria sulla forma delle curve, rim- piazzando nella palla crescenti segmenti sferici di pietra di altri uguali di piombo. — 91 va ben distintamente ascendente, che, convenientemente ret- tificata, forni i seguenti risultati: Deviazione dei piano Inler vallo d’oscillazione del pendolo di tempo 36' in 5 tempo medio 37' dal 5° al 1 0° minuto primo 38' 10° al 15° 38'* 15° al 20° 39' 20° al 25° 39'* 25° al 30° 40' 30° al 35° 40'* 35° al 40° 41' 40° al 45" 42' 45° al 50" 43' 50° al 55" 45' 55° al 60" 46'* 60° ,al 65" 48' 65° ' al 70" 49'* 70° al 75" 52' 75° al 80" 54'* 80» al 85" 57' 85° al 90" 59'* 90° al 95" 1° 6)'A .4 » 95° al 1 00" 1° 5'* 100° al 105" 1° 8'* 1 05° al 1 1 0" |0 12’* 110° al 1 1 5" 1° 1 6' 1 1 5° al 120° Addizionando le singole deviazioni, si trova uno sposta- mento totale del piano d'oscillazione di 19° 51' 30" in 24 volte 5', c quindi uno spostamento medio di sensibilmente 49 'j- per ogni 5'. ATTI AGC. VOL. IV. 13 - 92 - La teoria dà un valore alquanto minore. Infatti 1’ an- golo di rotazione della terra in 5' tempo medio è 15/' 39x300 = 4617'' e questo angolo, moltiplicato per il seno della latitudine del luogo di osservazione (37° 30', 15" 5J dà 46' 50," 8 per la deviazione del piano d’oscillazione in 5' tempo mèdio. In un secondo sperimento, fatto il 30 marzo, si trac- ciarono 15 linee ad intervalli di 5', tempo medio, nella direzione e nel senso indicati nello sperimento precedente. I risultati determinati e rettificati come quelli suriferiti, furono i seguenti: Deviazione del piano Intervallo d’oscillazione del pendolo i di tempo 35' in 5' tempo medio 35'* dnl 5° al 1 0° 36' 10° al 15° 37' 15° al 20° 38' 20° al 25° 39'* 25° al 30° 41' 30° al 35° 43' 35° al 40° 45' 40° al 45° 48' 45° al 50° 51' 50° al 55° 53'* 55° al 60° 57' 60° al 65° 1° 65° al 70° 1° 3' 70° al 75° que ogni Lo spostamento totale del piano d’ oscillazione fu dun- 11° 22' 30'' in 15 volte 5', ovvero in medio 45'* per 5', invece di 46' 50", 8 come lo vorrebbe la teoria. - 93 - Questo sperimento ed il precedente forniscono per il medio spostamento del piano di oscillazione valori, che poco si discostano da quelli dati dalla teoria, c quindi, in qualche modo, la confermano; ma secondo questa il pia- no d’oscillazione si sposta con movimento uniforme; se- condo gli sperimenti, con movimento accelerato. Una così es- senziale differenza tra la teoria e 1’ osservazione mi fece du- bitare, già dopo la prima prova, dell’ esattezza dei risul- tati ottenuti, e perciò mi studiai di evitare qualunque cau- sa d’errore nella seconda pròva. Mi assicurai soprattutto , che, nel punto di sospensione, il pendolo avesse una ugua- le mobilità in tutti i sensi. Non ottenendo, ciò malgrado, risultati più concordanti colla teoria, cominciai a mettere in dubbio la supposta in- sensibilità del movimento del pendolo, sia per la vicinan- za degli spettatori, sia per gli urti della sabbia cadente nell’ imbuto, dubbio che venne poi giustificaio, allora quan- do, in un terzo sperimento, io vidi, nel momento dell’ ap- pressarsi di più persone al pendolo, scomparire , in una sola volta, la curva ellilica, e sostituirsele una linea retta. IV Per cotal modo convinto, che le disposizioni addotta- te non potevano fornirmi dati esatti, e che il pendolo non doveva essere avvicinato, c nè manco urtato dalla picco- la quantità di sabbia, necessaria per la traccia d’ una curva, abbandonai totalmente l’ indicato modo di costruzione per appigliarmi al seguente: Nell’interno della palla collocai un recipiente capace di contenere la sabbia necessaria alla traccia di tutte le linee d’ un medesimo sperimento. Questo recipiente era terminato inferiormente in imbu- to, chiuso con una valvola in comunicazione con una rnol- i — 94 la c con una elettro-calamita, in modo da poter essere istan- taneamente aperto o chiuso. La palla era sospesa con due fili isolati, i quali , infe- riormente, comunicavano col filo dei 1’ elettro-calamita , e superiormente, nel punto di sospensione, si dividevano per scendere separatamente sino al pavimento della chiesa, do- ve potevano essere messi in comunicazione coi poli di una pila. Nello scopo di ottenere una vena di sabbia più sot- tile e più uniforme, la sabbia dal primo imbuto, cadeva in un secondo , mobile in tutti i sensi , e il cui orificio assai ristretto, poteva collocarsi nella direzione del filo di sospensione. Per conservare finalmente una maggiore regolarità al pia- no, sul quale dovevano tracciarsi le curve, rimpiazzai la carta con telai rettangolari, sui quali era fortemente tesa una stoffa bianca, già bagnata di acqua gommata. Scorren- do tra due guide fisse, questi telai conservavano invaria- bilmente per tutte le curve una medesima direzione; sicché, per avere le rispettive deviazioni del piano di oscillazione, bastava rapportare 1’ asse maggiore di ciascuna curva ad un medesimo lato del telaio. Per fare spiccare maggiormente le curve dal fondo bianco, esse furono tracciate con sabbia tinta in nero, e tutto, in fine, fu disposto in modo, che gli spettatori e le persone necessarie allo sperimento stessero lontani dalla palla almeno 3 metri. Conquesto apparecchio, e senza il minimo accidente, si tracciarono, il giorno li maggio, 31 curva, 14 cioè ad intervalli di 5’ tempo medio, e 17 altre ad intervalli di 10'. La prima oscillazione ebbe luogo nella direzione e nel senso di S a N. L’insieme di queste curve è rappresentato nella fig. 1 .* La costruzione grafica delle deviazioni osservate del piano d’ oscillazione condusse ai seguenti risultati: — 95 Deviazione del piano d’oscillazione del pendolo 31' 31 i 32' 32* 33' 33' 33 a 34' 34'^ 34'^ 35' 35'^ in 5 dal 5° 10° 1 5° 20° 25° 30° 35° 40° al al al al al al al al 50° al 55° al Intervallo di tempo tempo medio al 10° minuto primo 15° 20" 25° 30° 35° 40° 45° 45° 50" 55° 60" 36' 60° al 65* 36 t 65° al 1QC 37' 70° al 75° 37 'i 75° al 80° 38'* 80rf al 85° 42 7 85° al 90" 45 'i 90° al 95° 50' 95" al 100" 55' 100" al 105" 1° r 105" al HO" 1° 7' HO" al I lo" 1 o 12' 115" al 120" 1" 19' 120° al 125" 1" 26' 125" al 130" 1° 35' 130" al 135" 1° 47' 135" al 140" 2° 2' 140" al 145" 2° 21' 145" al 150" 2" 42' 150" al 155" 3" 155" al 160° Deviazione de! piano d’ oscillazione del pendolo Intervallo del tempo 3° 22' 160° al 165° 3° 4 r 1 65° al 170° 3° 59' 1 70° al 175° 4° 7' 1 75° al 180° 4° 13' 1 80° al o OÒ 4° 1 1 ' 185° al 190° 4° 8' 1 90° al 1 95° 4° r 195° al 200° 3° 51' 200° al 205° 3° 41' 205° al 210° 3° 30' 210° al 215° 3° 17' 215° al 220° 3° 3' o o al 225° G)o 51 ' 225° al 230° 5)0 A 34' 230° al 235° Addizionando i singoli spostamenti, si ottiene per la totale deviazione del piano di oscillazione del pendolo 87° 2' in 3 ore 55' tempo medio; secondo la teoria questa de- viazione avrebbe dovuto essere: (46' 50", 8) x 47 = 36° 41 47", 6 La determinazione del piano d’oscillazione in ciascu- na curva è una operazione più complicata di quello che a taluno può parere a prima vista; per la ragione, che, prima, bisogna trovare l’asse maggiore di ciascuna curva. Provati diversi modi per ottenerlo, quello (die meglio mi riuscì , consisteva nel copiare le curve per mezzo di car- ta trasparente , piegando poi ciascuna curva nel senso della lunghezza, e nel senso della larghezza in modo da ot- — 97 tenere, per ogni volta la sopraposizione più perfetta pos- sibile. Trovato in tal guisa l’asse maggiore d’ una curva sulla carta, e riapplicata questa sul telaio, tornava facile eli tracciare 1’ asse maggiore anche su questo. Piegando le curve nel senso della larghezza, le due metà erano sempre sopraponibili, ma, piegandole nel sen- so della lunghezza, le due metà coincidevano a stento nel- la Ia e nella 2a curva, e presentavano una sensibile diffe- renza nella 3a, la quale differenza andava crescendo sino all’ 8% per scemare poi, c diventare poco sensibile nella 15a, ed inosservabile nelle curve rimanenti. Le curve descritte non erano dunque rigorosamente ellitiche, ma di una forma molto più complicata. Ciò che dà una certa importanza a questo fatto, si è la circostanza, che le metà maggiori delle curve succennate erano sempre si- tuate verso ovest, e le parti minori, verso est. Il pendo- lo nel descrivere la metà più convessa della curva passava da nord a sud, ed invece da sud a nord, nel tracciare la parte schiacciata. Ecco del resto i. valori, dai quali si potrà desumere la forma delle diverse curve di questo sperimento: - 98 - Semi-asse min. Semi-asse min. Curve Asse maggiore Asse minore situato situato verso Ovest. verso Est. 1“ | sensibilmente una linea retta ^)a 1094,0 miUim- 29,5 millim- 3“ 1003,0 45,0 senza sensibile differenza. 4“ 915,5 66,5 o_ co 32,5 5a 839,5 81 ,0 41 ,5 39,5 6“ 760,5 95,5 48,5 47,0 7a 699,5 101,3 51,3 51,0 8a 646,0 109,0 55,5 53,5 9a 599,0 115,0 59,5 55,5 10a 555,0 119,5 60,5 59,0 11“ 517,0 122,7 62,7 60,0 1 2“ 482,0 123,0 63,0 60,0 13“ 445,5 126,0 64,5 61,5 1 4a 413,5 127,0 65,0 62,5 15“ 362,0 126,0 63,5 63,0 16“ 319,0 126,0 17“ 279,0 124,0 18a 246,0 118,0 1 i 1 9“ 217,5 114,5 20“ 192,0 108,5 21“ 169,5 103,5 22“ 149,5 97,5 23“ 24“ 130.0 116.0 91,0 83,5 senza sensibile differenza. 25“ 1 12.5 76,0 26“ 93,0 68,0 27“ 85,0 60,0 i ' 28“ 79,0 52,5 « 29“ 68,0 43,5 30“ 59,0 35,0 31“ 53,5 33,0 V. Senza nulla cambiare nella disposizione del pendolo, feci un ultimo sperimento il giorno 14 maggio; si traccia- — 99 — rono 38 linee, 26 ad intervalli di 5', c 12 ad intervalli di 10' tempo medio. Il piano della prima oscillazione fu quel- lo di est, ovest. Di ciascuna curva la parte situata verso sud fu descritta dal pendolo nel passare da est a ovest l’altra parte, nel passare da ovest ad est. L’insieme di queste curve è rappresentato nella fig. 2.a Riguardo allo spostamento del piano d’ oscillazione, si ottennero i seguenti risultati Deviazione ilei piano d’oscillazione del pendolo 45' 46' 47'* 49'* 51'* 54' 57' 1° \ 0 4'* 1° 9' 1° 14' 1° 19' 1° 25' 1° 31'* 1° 38'* 1° 47' 1° 57' 2° 8' 2° 20' 2° 34' 2° 50' 3° 8' 3° 26' Intervallo di tempo in 5' tempo medio dal 5° al 1 0° minuto primo 10° al 15° 15° al 20° 20° al 25° 25° al 30° 30° al 35° 35° 'al o O 40° al 45° 45° al 50° 50° al 55° 55° al 60° 60° al 65° 65° al 70° 70° al 75° 75° al 80° 00 o o P- 85° 85° al 90° 90° al 95° 95° al 1 00° 100° al 105° 105° al 1 1 0° 110° al 115° * ATTI ACC. VOL. IV. 14 - 100 - Deviazione del piano Intervallo d’oscillazione del pendolo di tempo 3° 42' 115° al 120° 3° 52'* 120° al 125° 3° 59' 125° al 130° 4° 1 130° al 135° 4° 1 ' 135° al 1 40° 3° 57' 140° al 145° 3° 51 ' 145° al 150° 3° 42' 150° al 155° co o b© **- 155° al 160° 3° 2 '4 160° al 165° 2° 41 ' 165° al 170° 2° 20' 170° al 175° 2° 1 ' 175° al 180° 1° 42' 180° al 185° 1° 27' 185° al 190° 1° 16' 190° al 195° r 5'* 195° al 200° 53 'ì 200° al 205° 45 '4 205° al 210° 37 '4 210° al 215° 31 '* 215° al 220° 26 'I 220° al 225° 22 7 225° al 230° 18'4 230° al 235° 15' 235° al 240° 12/ 240° al 245° In 4 ore 5', adunque, la totale deviazione del piano d’oscillazione era 90° 49' in vece di 37 34 41 data dalla teoria. Riguardo alla forma delle curve, vuol esser notato, — 101 - clic, in ciascuna, le due metà erano sempre esattamente sopraponibili , fosse essa piegata nel senso della lunghezza, o nel senso della larghezza. Per la dimensione degli assi vedasi il quadro seguente: Curve Asse maggiore Asse minore 1a sensibilmente una linea retta 2a 1 21 9,0 millim- 34,0 millim* 3a 1117,0 55,0 4a 987,5 77,0 5a 902,5 89,0 6a 822,5 102,5 7a 753,5 112,5 8a 689,5 120,0 9a 637,5 128,0 10a 586,0 133,5 11a 542,5 7 i 136,5 12a 502,5 140,0 13a 466,5 140,5 1 4a 432,5 143,0 15a 399,5 143,5 16a 370,0 143,5 17a 336,5 143,5 18a 321 ,5 143,5 19a 303,5 139,5 20a 280,5 137,5 21 8 261,0 134,5 22a 243,5 131,5 23a 228,0 126,5 24a ' 213,5 124,5 25a 199.5 120,0 26a 189,0 114,5 27a 169,0 1 13,5 Curve Asse maggiore Asse minore ThzjT ÌhTS 29* 140,0 78,5 30* 129,0 67,5 31* 120,0 50,0 32* 109,0 42,5 33* 101,5 33,5 34* 93,0 26,5 35“ 86,5 20,5 36* 78,0 16,0 37* 69,0 10,0 38* 66,0 5,0 ( oh un apparecchio diversamente costruito, in giorni diversi, e in diverse circostanze, si ottennero, dunque, nel 3° e 4° sperimento risultati, clic, al pari di quelli del 1° e del 2°, dimostrano farsi la deviazione del piano di oscil- lazione del pendolo con movimento accelerato ( almeno per un certo tempo) e non con movimento uniforme, come conchiude la teoria. Egli è vero che il signor Ci net, nel- la sua dotta analisi, fa astrazione dalla resistenza dell’ aria, e che non effettua se non approssimativamente l’ integra- zione delle equazioni differenziali del pendolo; sicché man- ca tuttora una teoria sul moto del pendolo in un mezzo resistente. Due sono le vie per ottenerla. L’analisi c la sinte- si: in quella si tenta l’integrazione delle equazioni differen- ziali del pendolo, tenendo conto della resistenza dell’aria, in questa si giudica dei fenomeni corrispondenti ad una da- ta latitudine da quelli che si osservano all’ equatore ed ai poli. E questa via sintetica è, per l’appunto, quella che se- guirò nel chiarire la contraddizione esistente tra la teoria del signor Binet ed i risultati dei suriferiti sperimenti. - 103 - V. Il pendolo anche nella posizione d’equilibrio, parteci- pa al moto di rotazione della terra, ed il corpo sospeso descrive, in generale, attorno all’ asse della terra un cir- colo, clic coincide coll' equatore, se la latitudine del pun- to di sospensione è zero; e che invece è un circolo mi- nore, se il luogo di osservazione è situato tra l’equatore ed un polo. Ài poli soltanto il corpo sospeso è immobile rispetto all’asse della terra. Facciasi per ora astrazione dalla resistenza dell’ aria e suppongasi, che la prima oscillazione abbia luogo nel piano est ovest. Sotto 1’ equatore la direzione del moto oscil- latorio coincide con quella del moto rotatorio. Le forze mo- trici agiscono nel medesimo piano, c perciò tutti i movi- menti del pendolo avranno luogo in quello stesso piano. Sotto V equatore , dunque , le oscillazioni nella direzio- ne est ovest sono sempre piane , ed il piano d’ oscillazione non prova alcuno spostamento (À). Ài poli, e nella posizione d’equilibrio, il corpo sospe- so non ha alcun moto rispetto alla terra; quando oscilla , esso è sotto l’ influenza della sola gravità, la quale non produce se non oscillazioni piane, e tutte comprese nel pia- no della prima oscillazione. Ai poli , adunque , il piano d’ oscillazione in qualsiasi direzione è fìsso, ed il suo apparente spostamento in un tempo T è n T indicando con n V aìigolo di rotazione della terra nell’ uni- tà di tempo. ( B ) In tutti i punti compresi tra 1’ equatore ed un polo , la supposta direzione della prima oscillazione (est ovest) — 104 - è situala in un piano, clic forma con quello del circolo minore, percorso dal corpo nella posizione d’equilibrio, un angolo uguale alla latitudine del luogo d’ osservazione. Ne risulta, che la gravità agisce in un piano c la forza di ro- tazione in un altro piano, e che ii movimento del pen- dolo è determinato dalla risultante di queste due forze. Sia dunque. OE fig. 3 la direzione e V ampiezza della prima oscil- lazione, t la sua durata, ÀPB l’angolo di rotazione della terra perii tempo t. Il movimento del corpo sull’ arco AB o sulla corda A B, giacche quello coincide sensibilmente con questa, può scomporsi nelle componenti ACcBC: la prima è situata nel piano d’oscillazione e, perciò, non lo sposta in modo al- cuno; la seconda tende a far girare il detto piano nel sen- so OD, mentre il corpo percorre l’arco OA, e nel senso EF durante la semioscillazione AE. Siccome queste due azioni sono uguali c contrarie, esse sono senza influenza sulla posizione del piano d’ oscillazione, il quale , fatta astra- zione di qualunque altra forza , conserva dunque la sua prima direzione , c perciò si sposta apparentemente forman- do, dopo un tempo T, colla direzione est ovest un angolo , il quale , misurato nel piano del circolo minore , vale n T, e che , considerato nel piano orizzontale del luogo d’ osser- vazione, è uguale a n T seni indicando con l la latitudine del luogo d’ osservazione. (C) La componente BC è senza influenza sulla posizione del piano d’ oscillazione del pendolo; ma essa ha evidente- mente per effetto di far oscillare il corpo normalmente al- la direzione OE. Le curve descritte dal pendolo risultano dunque dalla combinazione di oscillazioni longitudinali e I 105 - di oscillazioni laterali e, per conseguenza, esse sono elit- iiche. (D). Per sapere poi quale metà dell’ elisse è descritta dal corpo nell’ andare da 0 ad E, o da E ad 0, osservisi, che il pendolo, qual corpo mobilissimo, obbedisce, anche nella posizione d’ equilibrio, alla forza centrifuga del luogo di osservazione, e si allontana, verso sud, dalla vera direzio- ne verticale d’un angolo X per cui 2z* r sen 21 ^ J g T* — 4 z2 r cos2 l o sensibilmente v 2 r sen 21 0/ ' — 4 r COSa l indicando con r il raggio terrestre, con l la latitudine del luogo d’ osservazione e con T la durata d’ una rotazione della terra. Ora nel passare che fa il corpo da' est ad ovest, la ve- velocità del moto oscillatorio si aggiunge alla velocità di rotazione della terra; la forza centrifuga è cresciuta, ed il corpo sospeso esce dal piano d’oscillazione deviando ver- so sud. Nel movimento da 0 ad E la vera velocità del corpo è uguale alla differenza tra le due suaccennate velocità; la forza centrifuga è diminuita, ed il corpo sospeso esce dal piano d’oscillazione deviando verso nord. Il pendolo descrive dunque una curva convessa dal la- to sud nel passare da est ad ovest, ed una curva conves- sa dal lato nord nell1 andare da ovest ad est. ( E ) La componente BC, come già fu notato, accresce o ten- de ad accrescere l' asse minore dell’ ellissi, ma di quanti- tà, che vanno diminuendo da A sino ad À3) per la ragio- ne, che E angolo, che essa componente forma col piano — 106 — d’ oscillazione, va aneli’ esso decrescendo e diventa zero in A*. . Se le oscillazioni, cominciate in A nella direzione e nel senso di est ovest, si prolungano al di là di Aa, gli accre- scimenti deli’ asse minore ricominciano, e vanno aumentan- do da A, sino ad À3 (Fj. Il pianò della prima oscillazione, che ho supposto tro- varsi in A t nella direzione est ovest, forma, dopo un certo tempo, in A, per esempio, un angolo GÀ,0 colla direzione o e cioè, colla direzione est ovest, ed allora l’oscillazione GH può decomporsi nei movimenti o e, ed n s. Avendo fin qui esaminato l’ influenza della rotazione della terra su oscilla- zioni, fatte nel piano est, ovest, passiamo ora ad esaminare, in che modo avvengono le oscillazioni nella direzione ns, cioè nella direzione nord sud. Supponiamo dunque, che la prima oscillazione si faccia in Àa nella direzione M N, cioè nella direzione nord sud. Siccome la velocità di rotazione del corpo sospeso è mag- gioro in N che non in M, ne viene, che il pendolo, passando da N ad M, tende ad un punto r, ma, perdendo durante l’oscillazione una parte della sua velocità di rotazione, ar- riva in p, e, per conseguenza, descrive una curva conves- sa dal lato est. Passando da M ad N il pendolo giunge ad un punto q, e descrive una curva convessa dal lato ovest. (1). Il moto rotatorio della terra rende dunque elittiche anche le oscillazioni cominciate nella direzione nord sud, e ne accresce o tende ad accrescere V asse minore di quantità, che vaìino decrescendo a misura, che il piano di oscilla- zione si allontana dalla direzione nord sud. (G). Ciò stabilito, e tornando al piano d’oscillazione GH in (I) Ciò naturalmente non ha più luogo sotto l’equatore, dove ai punti estremi dell' oscillazione corrisponde la stessa velocità di rota- zione. % - 107 — A, facilmente si riconosce, che, decomposta l’oscillazione GII nei movimenti oe ed ns, un pendolo libero passereb- be da c ad o dal lato sud, e da s* a n dal lato est, cioè farebbe movimenti in senso opposto; onde risulta, che rus- se minore delle curve è scilo V influenza di due forze più o meno opposte , quando il piano d1 oscillazione è compreso Ira le direzioni est ovest e nord sud ; e, che r una di queste for- ze è massima e l’altra minima, quando il piano d’ oscillazione si trova in una delle direzioni est ovest, nord sud . (H) Dal fatto che in A2 il pendolo, partendo da N, giunge in un punto p, c partendo da M, giunge in un punto q , c che questo spostamento si ripete ad ogni oscillazione, ri- sulta, che il piano d' oscillazione si sposta con moto acce- lerato tutte le volte, che l’ oscillazione ha un' ampiezza sen- sibile nella direzione nord sud. ( J j Passo ora ad esaminare, quale possa essere approssi- mativamente 1’ influenza dell’ aria sul moto del pendolo co- nico; dico approssimativamente, perchè nel luogo ristret- to, dove si muove il corpo sospeso, l’. aria, spinta ora con maggiore, ora con minore velocità, preme quella davanti , scappa lateralmente, ed, in parte, forma una corrente die- tro la palla in moto; e tutto ciò in modo talmente complicato, che riuscirebbe molto difficile, per non dire impossibile, di farsene un’ idea alquanto esatta (1). Sempre però lo spostamento dell ’ aria davanti alla pal- la assorbisce una parte delle forze motrici , e perciò fa decrescere gli assi delle curve. (K) La corrente d’aria, che si forma dietro la palla, me- rita una particolare attenzione. Essa ha sensibilmente la ve- locità del corpo oscillante, quando questo trovasi nella po- (1) Le notevoli irregolarità, con cui il piano d’ oscillazione si è spostato in tutti gli sperimenti , provengono evidentemente dalla com- plicatissima influenza dell’ aria sul moto del pendolo. ATTI ACC. VOL. IV. 15 — 108 - sizione A fig. 4; ma nei punti B, C, ecc. ia velocità della corrente d' aria diventa maggiore, ed esercita allora sulla palla una pressione laterale tanto più sensibile, quanto più ii mobile si avvicina all’ estremità dell’ oscillazione. Questa pressione, e quella identica, che si produce in D, hanno per effetto uno spostamento accelerato del piano d’ oscil- lazione, il quale spostamento ha luogo ìlei senso di quello provvedente dalla rotazione della terra, quando le oscilla- zioni principiano nel piano est ovest , ed invece ha luogo in senso opposto , quando il pendolo comincia le oscillazioni nel piano sud nord. (L) Dall’ insieme della teoria stabilita nelle note segnate con (A) (Bj ec. risulta: 1. Che le oscillazioni diventano tanto più rapidamente ellitiche, quanto più la direzione, in cui furono principiate, si avvicina a quella di ostovest, oa quella di nord sud. — Vedi note (Dj (G) . 2. Che oscillazioni, cominciate nella direzione est ovest o nord sud danno luogo ad ellissi, l’asse minore delle quali cresce rapidamente, conserva per un certo tempo un valore massimo, ed in seguito decresce, prima lentamente, poi sem- pre più rapidamente.— Vedi nota (H). 3. Che il piano d’oscillazione si sposta, almeno du- rante un certo tempo, con movimento accelerato.— Vedi nota (J) . 4. Che lo spostamento del piano d’oscillazione è assai più rapido per oscillazioni principiate nella direzione est ovest, che non per oscillazioni cominciate nella direzione nord sud. — Vedi nota(L). Le curve in lìg. I c 2 ed i quadri pagine 13, 14, 16, 17, 18, 19, 20, dimostrano l’esattezza delle conclusioni 1° 2° 3°; a confermare la 4a, valga il quadro seguente: 109 - Totale spostamento osservato PRIMA OSCILLAZIONE NEL PIANO Sud-Nord 1 0 S)o M 3 0 in Sperimento Sperimento Sperimento 5' 0 36' 35' 31' IO' 1° 13' 1° 10' 1° 2'* 15' 1° 51' 1° 46'* 1° 34'* 20' 6)0 M 29) 2° 23'* 6)0 M 7' 25' 3° 8,4 3° r* 2° 40' 30' 3° 48/ 3° 40' 3° 13' 35' 4° 28' 4° 21' 3° 46'* 40' 5° 8'* 5° 4' 4° 20'* 45' 5° m 5° 49' 4° 55' 50' 6° 31 4 6° 37' 5° 29'* 55' 7° 1 4 * 7° 28' 6° 4'* 1 ora 7° 59'* 8° 22 '4 6° 40' 1 x> 5' 8° 46' 9° 19'* 7° 16' 1 » 10' 9° 34' 10° 19'* 7° 52'* 1 » 15' 10° 23'* 1 1 0 22'* 8°' 29'* 1 » 20' 1 1 0 *0/1 lo > 9° 7' 1 » 25' 12° 10' 9° 45'* 1 » 30' ' 1 3° 7' 1 0° 27'* 1 » 35' 14° 6'* 11° 13' 1 » 40' 15° 9' 12° 3' 1 » 45' 1 6° 14'* 12° 58' 1 » 50' 1 7° 23' 13" 59' 1 » 55' 18° 35'* 15° 6' 2 ore 19° 51'* 1 6" 1 8' • 2 » 5' 17° 37' 2 » 10' 19" 3' 2 » 15' 20° 38' 2 » 20' 22° 25' 2 » 25' 24° 27' 2 » 30' 26° '48' 2 2 » 35' 29° 30' » 40' 32° 32' Prima oscillazione nel piano Est-Ovest 4°' Sperimento 2° 3° 3° 4° 5° 0° 7° 9° 10° 11° 1 3° 14° 16" 17° 19° 22° 24° 26° 29° 32° 36° 40° 43° 47° 51° 55° 39° 63° 67° 70° 45' 3i; 18,4 8 59'* 50'* 50'* 35' 4' 18' 37 ' 8!' 33 ^ 12' 59 ' 56' 4' 24' 58' 48' 56' 22' 4' 56' 57' 58' 55' 46' 28' 52' »|h »|h Totale spostamento PRIMA OSCILLAZIONE NEL PIANO Prima oscillazione osservato Sud-Nord nel piano Est-Ovest in 1° 2° 3° 4° Sperimento Sperimento Sperimento Sperimento 2 » 45' 35° 54' 73° 54 '* 2 » 50' 39° 36' 76° 35'* 2 » 55 7 43° 35' 78° 55'* 3 ore 47° 42' 80» 56 'è 3 » 5' 51° 55' 82” 38 '4 5 » IO' 56° 6' 84» S't 3 » 15' 60° 14' 83” 21 't 3 » 20' 64° 15' 86” 27' 3 » 25' 68° 6' 87» 20 'è 3 » 30 71° 47' 88° 6' 3 » 35' 75° 17' 88” 43 '4 3 » 40' 78° 34' 89° 15' 3 » 45' 81° 37' 89° 4 l'i 3 » 50' 84° 28' 90» 3 '4 3 » 55' 87° 2' 90" 22' 4 ore 90° 37' 1 4 » 5' i 90° 49' s/t/ ftlf ** t/r/ veH' Fr' V3 A E C RENDICONTO DI DI A N ATOM I A PATOLOGICA APPLICAZIONE ALLA CLINICA per il COottox, GouiaócMi Professore incaricalo di Anatomia Patologica nella Regia Università di Catania; Medico ordinario dello Spedale S. Marco; Socio attivo dell Accademia Gioenia; Socio del Comizio Agrario del Circondario di Catania; Membro onorario dell' Istituto Filotecnico Nazionale Italiano; Membro corrispondente dell'Istituto Oftalmologico Europeo ( Smyrne Asie); Socio corrispondente dell'Accademia Economica Agraria dei Ceorgofili di Firenzel dell' Accadem'a Agraria di Pesaro, dell'Accademia dei Fisiocritici di Siena, della Società Medico -Chirurgica di Bologna, de la Società d'Emulation du Dèpartèment des Volges (Epinal), dell' Accademia Senkerbergiana dei curiosi della natura di Frankfort sul Meno, dell'Accademia dei Zelanti di Aci-Reale, dell' Accademia del progresso di Paìazzolo-Acreide, del Gabinetto scientifico di Ragusa in Sicilia ec. MBMOEU X a Comunicata all'Accademia Cioenla nella seduta del 30 Maggio 1909. ATTI ACC. VOI.. IV 1(5 \ Di quale e di quanta risorsa sono state per la medicina moderna, l’istologia, la chimica e la fisica, lo dimostra la ricchezza delle conoscenze acquistate in quest’ ultimo mezzo secolo. Dando però uno sguardo ai fatti clinici, relativi spe- cialmente ad alcuni apparecchi organici (apparecchio ner- voso, apparecchio circolatorio, apparecchio respiratorio), lasciano molto a desiderare, perciò che concerne la fisio- logia patologica degli stessi. I progressi della chimica, della fisiologia sperimentale e dell” anatomia patologica, atteso il nuovo indirizzo, che hanno subito in questi ultimi tempi, potranno solamente illustrare questa parte importante della medicina. Sotto un tale riguardo, non abbiamo tralasciato registrare quelle note di anatomia patologica, che presen- tano sotto lo aspetto fìsiologico-patologico una importanza positiva. 114 LESIONI CARDIACHE 1“ OSSERVAZIONE Sommario. — Ipertrofia eccentrica totale del cuore; stenosi ed insufficienza aortica: insufficienza delle valvole auricolo-ventricolari sinistre; insufficienza relativa delle valvole tricuspidali; lesioni occulte durante la vita; morte per congrezione polipiforme del cuore. Nel decorso anno osservammo un cuore, il quale formò oggetto speciale del nostro esame. 11 volume dello stesso era veramente enorme, l’ avresti detto un cuore bovino ; di colorito più pallido dell’ or linario, di forma larga e ro- tonda. I grossi vasi (l’arteria pulmonale e l’aorta) erano stati tagliati per circa tre centimetri al di sopra del livello della base del cuore. Fatta la misura del corpo del cuore pria che si fosse aperto, si rinvenne: 46 centimetri delia circonferenza massima (compresa punta e base); 34 centime- tri della circolare (presa nel mezzo); 16 centimetri della ver- ticale (base e punta); 14 centimetri della trasversale (nel mez- zo). Il cuore era nello stato di diastole, ed aperta la cavità sinistra si trovò in parte piena di sangue coagulato, li nostro primo esame cadde sugli orifìzi e le valvole. Le valvole sigmoidee aortiche erano per i bordi saldate sino ai nodoli di Aranzio; tale saldamente non era osser- vabile tra le valvole e la parete aortica. Le valvole così saldate costituivano una produzione organica unica, la quale elevavasi al centro del canale aortico, mostrandosi alla su- perfìcie bernoccoluta a guisa di vegetazione, a pareti spesse, fibrose, in parte cartilaginee, senza deposizione calcare ; dando luogo così ad una forte stenosi, da permettere ap- pena il passaggio di un cannello di penna d’oca. L’orifì- zio aortico rigido, liscio, ma ristretto in modo, quanto po- tcva penetrarvi la sola estremità del dito mignolo da parte del ventricolo. Di guisacchè, dall’ orifizio alla estremità delle valvole, esisteva un canale a forma d' imbuto, avente la sua parte più ampia all' orifizio. Tale lesione costituiva contem- poraneamente una stenosi ben pronunziata formata dal re- stringimento aortico per ipertrofia e dal saldamento ed i- spessimento delle valvole, ed una insufficienza delle sigmoi- dee, rimanendo sempre aperto il forame aortico ; la ste- nosi però prevaleva sulla insufficienza e perciò spiegabile la ipertrofia eccentrica del ventricolo corrispondente. Questa disposizione organica delle valvole costituiva un cilindro costantemente aperto, da permettere sempre, nel tempo del- la diastole, il riflusso del sangue sul ventricolo. È questa una speciale lesione morbosa non molto frequente ad osservarsi. La cavità ventricolare era ampia, le trabccolc ipertro- fiate, le pareti ancora, e la misura di queste presa nel mezzo dava 15 millimetri. L’ orifizio auricolo -ventricolare era am- pio, il suo diametro assai più grande dello stato normale, le valvole ispessite e rigide, incapaci a chiudere l’ orifizio, i filamenti tendinei, che vanno ad inserirsi sul margine delle stesse, ipertrofìati. È questa una forma patologica frequente ad osservarsi nella mitrale in seguito ad infiammazione di essa (Foerster). Costituiva in tal modo la vera insufficienza valvolare. L’orecchietta corrispondente si trovava enorme- mente dilatata; la spessezza delle pareti appena di tre mil- limetri. Aperto il cuore destro, si trovò la cavità ventricolare ed auricolare piena di coaguli sanguigni in massa, color bru- no, misti a liquido sieroso, che tenevano nella massima di- stensione il ventricolo e V orecchietta. Il sangue ivi conte- nuto uscì intieramente, insieme a grossi coaguli nerastri ; rimase però al fondo del ventricolo in vicinanza all’orifizio, una congrezionc prolungandosi a forma di cordone nell’ar- teria pulmonale, come si osservava al taglio della stessa, 116 - ove ne chiudeva in parte il lume, costituita da fibrina gialla condensata, coerente, elastica, spogliata di sierosità, carica di leucociti, formata da fibre paralielle, e presentando al taglio una struttura stratificata. Questa congrezione era fis- sata per prolungamenti polipiformi ai tendini valvolari, a- derente per una piccola estensione alla parete ventricolare, ove non osscrvavasi modificazione di struttura dell’ endo- cardio. Da questi caratteri si comprende essere un prodotto morboso, anziché un effetto cadaverico. Sotto il punto di veduta dell’anatomia patologica, la realtà delle congrezioni polipiformi del cuore, durante la vita, non ha bisogno ulte- riore dimostrazione dietro i lavori di Legroux, Bouillaud ec. Delle cause, a cui ordinariamente si riferisce lo svilup- po di tali congrezioni, le infiammazioni ed alcune diatesi a preferenza, non n’ esisteva alcuna. È possibile ritrovare la ragione della sua genesi nella sola dilatazione delle cavità cardiache? Per riguardo al cuore è questa una condizione insufficiente, mentre queste congrezioni non sono così fre- quenti, come relativamente si osservano le dilatazioni di que- st’organo; e sì, perchè è difficile soffermarsi nelle sue ca- vità una produzione di simile natura, senza una causa lo- cale, ch’eserciti una specie di attrazione sulla fibrina del sangue. Le stesse ragioni valgono per un ostacolo al cuo- re. .Noi opiniamo, che l’anemia, già da più tempo manife- stata, come diremo, stato in cui la fibrina si trova rela- tivamente in proporzione maggiore per rapporto agli altri elementi, il difetto d’ attività contrattile del miocardio, sono due condizioni possibili, in seguito alle quali poteva avve- nire nel nostro caso la congrezione polipiforme descritta. L’orifizio pulmonale e le valvole sigmoidee si trova- vano nello stato fisiologico, senza alcuna modificazione di forma odi struttura. L’orifizio auricolo-ventricolare dilata- to, tanto che lo abbassamento delle valvole, le quali con- servavano la forma e struttura fisiologica, non giungeva a - 117 — chiuderlo completamente, come osservammo, facendo cade- re un getto di acqua sulle stesse; esisteva in tal modo li- na lieve insufficienza da permettere il riflusso del sangue nell’ orecchietta durante la sistole ventricolare; facendo at- tenzione si rilevava essere questa una insufficienza per di- latazione dell’ ostio o altrimenti relativa. Misurata la spes- sezza delle pareti ventricolari era di 9 millimetri, la cavi- tà dilatata e quasi analoga a quella del sinistro ; la destra sembrava però un poco più stretta, perchè il setto ipertro- fìato, della spessezza di circa 2 centimetri, protundeva nel- la cavità destra. L’ orecchietta corrispondente dilatata, le pareti assottigliate, poco più della spessezza di un rnillim. Esaminata la sostanza del cuore, trovammo, che avviavasi la degenerazione grasciosa vicino 1’ apice, nella parete an- teriore, ove per una estensione assai limitata, i fasci mu- scolari primitivi erano sostituiti da granuli di grascio. Le modificazioni fisico-anotomiche delle cavità e pare- ti del cuore, chiaro dimostrano trattarsi in questo nostro ca- so d 'ipertrofia eccentrica totale. La ragione del suo svilup- po si ritrova nella lesione agli orifìzi. Lastenosi ed insuffi- cienza dell’orifizio aortico, opponendosi al regolare corso del circolo sanguigno, dava origine a due effetti: 1° ad uno accu- rnolo di sangue nelle cavità sottostanti, e per cui alla dilatazio- ne delle stesse; 2° ad una attività maggiore nei movimenti car- diaci, donde l’ipertrofia. Le stesse ragioni valgono pel cuore destro, soggiacendo ai medesimi effetti per la remora del circolo minore; che anzi, esistendo ancora l’insufficienza del- la mitrale, gli effetti erano più gagliardi, poiché l’insuf- ficienza della mitrale ha quasi sempre per conseguenza la ipertrofia con dilatazione del cuore destro. La dilatazione del ventricolo sinistro era grande e prevaleva sulla ipertrofia, ciò conferma quanto ha osservato Bamberger, che la di- 118 — lutazione più grande la incontrò nella insufficienza delle valvole aortiche con contemporanea stenosi dell’ orifizio. Quella porzione d’ aorta, da noi osservata, non presen- tava alcun prodotto atcromatoso, cosicché pare, che la en- docardite abbia spiegato qui maggiore influenza nello svi- luppo delle lesioni alle valvole aortiche, di quanto la in- fiammazione delle arterie, come d’ordinario si osserva negli individui d’ età avanzata. La molti pìicil à delle lesioni agli orifizi del cuore, nel caso descritto, sotto il punto di vista anatomico-patologico, è un fatto non frequente, e si rende più importante guar- dato dal lato fisiologico-patologico , rimanendo tale lesione occulta durante la vita, c quindi compatibile colla regolare funzione della circolazione. 11 cuore, di cui ne abbiamo data la descrizione anato- mico-patologica, apparteneva ad un individuo dell’ età di anni 40, contabile di professione, esente di ogni vizio dia- tesico; dominava però dal lato paterno la disposizione or- ganica alle lesioni cardiache. Questo individuo non aveva accusato mai disturbi riferibili al cuore o alla circolazione. Solo, due anni prima della sua morte, senza causa apprez- zabile, era divenuto di un carattere melanconico, inclina- to al silenzio, un po’ deteriorato nella sua nutrizione, e di uno aspetto anemico. Le sue sofferenze durarono 7 gior- ni c noi l’osservammo la vigilia della sua morte seduto in un seggiolone, abbandonato come corpo morto, in preda a forte dispinnea ; ricorrendo, ad intervalli più o meno vici- ni, accessi violenti da minacciare la soffocazione; di aspet- to cadaverico, l’estremità cianotiche, i lineamenti caduti, la voce fioca ed a stento poteva pronunziare parola. La in- vasione delle sue sofferenze fu rapida. Senza causa apprez- zabile fu colpito da un affanno, che divenne gradatamente più forte; fecero seguito a questo, un’ansietà estrema, la — H9 — cianosi , l’edema agii arti inferiori, giammai osservato, e quegli accessi violenti di cui abbiamo fatto cenno. La percussione del torace dava un suono normale, ec- cetto della regione precordiale ove si notava mattezza, estesa sino all' estremità inferiore dello sterno e sino la 7a costola al di sotto del capezzolo. L’ascoltazione faceva rilevare re- spirazione vescicolare in tutta la regione del pillinone, senza alcun fenomeno morboso sensibile. L’ urto del cuore debole e profondo, ritmo irregolare, suoni oscuri, seguiti da soffio non molto chiaro; orine niente. 1 segni di una congestione pulmonale mancavano , e perciò il nostro giudizio pendeva per un processo embolico dell’ arteria pulmonale, avuto riguardo alla rapida comparsa di quella dispinnea. Ma dietro la sezione, si può argomentare, come lacon- grezione polipiforme, da noi descritta, è V unica alterazione a cui si possono rapportare tutti gli accidenti osservati in vita, non riferibili, avuto riguardo al loro sviluppo istanta- neo, ad una lesione da lungo tempo in ''progresso. E sotto un tal riguardo, questo fatto si rende importante , perchè di- mostra come lesioni al cuore possono essere compatibili colla regolarità della circolazione durante la vita. (1) Lo sviluppo delle lesioni valvolari spesso non si può determinare, poiché la endocardite, la quale è causa fre- quente della degenerazione fibrosa e cartilaginea, come fa osservare con ragione Nyemeyer, spesso è diffìcile a pre- cisarsi, mentre decorre senza fenomeni, che ne annunziano lo sviluppo o la sua esistenza. E siccome il principio della malattia sovente non si può determinare, così riesce ancor più difficile il tener dietro accuratamente al decorso di essa, e rare volte si può determinare il punto incui l’endocardite (I) Sarebbe stato interessante Pesame anatomico del pillinone ; ma noi osservammo il solo cuore, il quale ci fu mandato all’ anfiteatro ana- atti acc. vot. iv 17 m - cessa e comincia quella anomalia che suole denominarsi vizio organico delle valvole. Così avvenne nel nostro caso, nè questo è un fatto raro. Ma come potea rendersi compatibile il corso normale del circolo sanguigno della piccola e della grande circola- zione con quelle lesioni, che mutavano di già la forma fi- sico-anatomica del cuore? Durante la sistole ventricolare, la colonna sanguigna cordiaco-pulmonalc, dalla parte supc- riore, trovava un forte ostacolo nella stenosi aortica, e dalla parte inferiore, la insufficienza delle valvole mitrali , che non opponeva la normale resistenza al ritorno del sangue dal ventricolo nel senb. Similmente durante la diastole, la colonna saguigna arteriale doveva retrocedere sul ventri- colo, essendo insufficienti le valvole aortiche, e così il ri- torno del sangue sul ventricolo dalla colonna supcriore , veniva in urto colla inferiore, opponendosi alla libera en- trata del sangue nel ventricolo, e per conseguenza la remora del sangue sulle vene pulmonali c sul pulmone. Ecco come la circolazione cordiaco-pulmonalc in tutti c due i tempi, nel caso descritto, doveva subire i più gravi disordini. E si aggiunge ancora, che per parte della insufficienza della tricu- spidale, la colonna sanguigna venosa inferiore doveva subire un ostacolo nel tempo della sistole, rimanendo aperto il sud- detto orifizio; c frattanto la circolazione venosa non venne ostacolata nel suo corso adonta della lesione segnata e delle gravi lesioni del sinistro cuore, i di cui effetti indi- rettamente, per via della circolazione pulmonale, dovevano ripercuotere sul destro cuore; donde le congestioni, le stasi tomieo dal chirurgo che ne fece la sezione, perchè fu impressionato dall' enorme volume dello stesso. Sebbene per quanto ci venne assicu- rato, il polmone non presentava stato congeslivo o altra lesione apprez- zabile. sierose ec. Niente avvenne di tutto ciò, nè quanto si svi- luppò nel periodo dei. 7 giorni, che processero la morte, dipendeva da queste lesioni. La ragione della compatibilità di tali lesioni con la in- tegrità della funzione cardiaca si rinviene nella condizione organica dello stesso cuore. Essendo il cuore ipertrofìato, i suoi moti forti e lenti compensano un certo equilibrio tra la circolazione venosa e 1’ arteriosa. « La contemporanea ipertrofia del ventricolo sinistro, come dice il Nyemcycr, ha un effetto contrario a quello del vizio valvolare, e paralizza la nociva influenza di que- st’ ultimo, o come suol dirsi, la compensa. Mentre i vizi organici delle valvole rallentono la circolazione c rendono il sangue più venoso, l’ipertrofia accelera il circolo c rende il sangue più arterioso; mentre i primi diminuisco- no 1’ empimento dell’ aorta, la seconda lo aumenta, e men- tre quelli impediscono il vuotamente delle vene pulmonali e sopraccaricano di sangue il circolo minore, questa facilita quello e diminuisce la quantità sanguigna in questo. » « Se ci rappresentiamo esattamente questi rapporti, intenderemo facilmente, il perchè individui con grave vi- zio organico delle valvole aortiche, dato che non manchi in pari tempo l’ ipertrofia compensante del ventricolo sinistro, possono godere una salute relativamente buona, senza sof- frire neppure dispinnea, sintomo, che sempre si trova as- sociato ai vizi organici della valvola mitrale » (Pat. e ter. speciale voi 1. p. 377). (1) Sotto questo punto di vista fisiologico-patologico, il no- stro caso si rende importante per la multiplicità delle le- sioni agl’ orifizi, e la comtemporanea ipertrofìa dei due ventricoli poteva solamente mantenere V equilibrio della circolazione. Attesa la insufficienza della valvola mitrale, (1) Milano 6* edizione. durante la sistole ventricolare, il sangue non entrava tulio nell’ aorta, ma parte rifluiva nell’atrio; da ciò doveva av- venire un disquilibrio nella distribuzione del liquido san- guigno penetrandone nelle arterie una copia minore, men- tre la parte clic rifluiva indietro serviva a sovraempire i vasi del circolo minore, e venendo quindi in urto col cir- colo dell’arteria pulmonale, doveva ripercuotere sul gran circolo venoso; eppure questo fatto non avvenne: la ragio- ne è chiara, perchè oltre l’azione del ventricolo sinistro, il quale ipertrofìato c dilatato è capace, come dice Nyemeyer, quantunque rigurgiti una porzione di sangue, di empire sufficientemente 1' aorta, esisteva l’ ipertrofia del destro, che spingendo con forza il sangue nel circolo minore, que- sto trovavasi esposto ad una forte pressione, ed impediva, malgrado la insufficienza valvolare, il riflusso del sangue sul gran circolo venoso. Di ugual maniera la ipertrofia del sinistro e del destro danno ragione del compenso del cir- colo generale in rapporto alla insufficienza relativa dell’o- rifìzio auricolo- ventricolare destro. In questo modo solamente possiamo renderci ragione, perchè lesioni gravissime di cuore possono rimanere nella sfera della vita vegetativa; ed il solo esame fisico, durante la vita, potrebbe svelarne resistenza. Sembra, che il cuore in simili casi, come dice Stokcs, abbia la facoltà di aggiustare la sua azione alle alterazioni meccaniche, che egli ha su- bito, e di regolare quest’azione, dimodocchè la circolazione continua a compirsi senza disturbi manifesti; clic lo stato generale della salute viene a disturbarsi e i segni e i sin- tomi di un’affezione del cuore si mostrano subitamente (1). Pare, come dice 1’ autore citato, che le sofferenze provate nel corso di una malattia dipendono, in certi limiti almeno, più dallo stato vitale che dallo sfato fìsico degli organi. Ciò (1 ) Traité des inaladies du coeur et de l’ aorte — p. 154. - m - spiega benissimo, perchè individui con lesioni gravissime al cuore, apprezzabili all’osservazione fìsica, potranno vi- vere impunemente per lungo tempo, mentre altre ‘lesioni meno importanti inducono effetti secondarii più rapidi e sono causa frequente di morte subita. Questo fatto, d’altron- de non raro, dipende dalla modificazione speciale dei nervi del cuore. Le osservazioni sperimentali del Sig. Cyon, come diremo in altra memoria, sull’azione riflessa di un nervo sensibile del cuore sopra i nervi vaso-motori, ci danno la spiegazione fìsiologico-patologica di alcuni fenomeni cardiaci, forse non bene apprezzati pel passato. 2a OSSERVAZIONE Sommario — Pericardite obliterante. — Sviluppo sotto le forme dell’angina di petto, accessi dispinnoici ricorrenti; morte subita; aderenze generali del pericardio. t Fra le altre lesioni cardiache, c’incontrò osservare, nel decorso anno, un caso di pericardite obliterante, che richia- ma 1’ attenzione sotto lo aspetto fisiologico- patologico. Un individuo all’età di 66 anni, sofferente da più mesi, fu colpito di morte subita; fatta la sezione, di tutti gli or- gani, il cuore col suo involucro formò l’oggetto della no- stra attenzione. Gli organi circostanti al cuore erano sani, il pericardio aderiva solamente, mercè resistenti aderenze , colla pleura pulmonale sinistra. Il pericardio col cuore costituiva un corpo unico. In seguito ad un taglio longitudinale, onde aprire il pe- ricardio, trovammo questo obliterato, aderendo intimamente a tutta la superficie del cuore, mercè complete e fibrose aderenze. Il tessuto connettivo di novella formazione for- mava una massa resistente filamentosa a forma di rete, che inviluppava il cuore, estesa uniformemente per tutta la sua — 1 u - superficie, mantenendo le due lamine della sierosa visce- rale e parietale, così tenacemente saldate , da formare un tutto continuo e senza interruzione; il pericardio così ade- rente era ipertrofiato e quasi il doppio della sua spessezza normale; distaccato in gran parte con accuratezza dal cuo- re, si trovò questo di un volume normale, paragonato al- 1’ età ed alla robustezza dell’individuo; il miocardio però of- friva al tatto ed al taglio una diminuzione di consistenza. Aperte le cavità non si rinvenne alcun vizio agli orifizii e alle valvole; esistevano coaguli sanguigni in quantità. Questa osservazione, sotto il rapporto anatomico-pato- logico, dimostra, come l’alterazione completa del sacco pe- ricardiaco nun produce necessariamente una modificazione nel volume del cuore, tanto meno una ipertrofia, secondo Hope. Non vale il dire con l’autore citato, « che la con- trattilità dell’ organo deve accrescersi poiché è obligato di lottare contro 1’ ostacolo apportato al compimento delle sue funzioni per 1’ aderenza del pericardio, che affanna i suoi movimenti ». Poiché, bisogna distinguere, come dice il prof. Stokes, i fatti ove vi é ostacolo all’ azione dei muscoli per aderenze del pericardio, da quelli ove quest’ ostacolo è do- vuto ad un’ affezione valvolare. Nel primo caso il muscolo non ò più nelle sue condizioni normali, e non si con- trae liberamente; nelle affezioni valvolari al contrario, è li- bero nella sua azione, e la sua possanza contrattile aumenta come quella dei muscoli volontari!, che si sviluppa per lo esercizio. Questa spiegazione é stata confirmata dalle osser- vazioni dei signori Smith, Barlow, Walshe ec; i quali in se- guito alla obliterazione per aderenze del pericardio hanno trovato più frequentemente l’atrofìa che l’ipertrofia, e so- vente il cuore sano, come è stato osservato 34 volte sopra 80 casi di aderenze parziali e generali dal I).r Kennedy di Dublino, avendo rinvenuto nel resto dei casi, cinquanta e 125 - una ipertrofie con o senza dilatazione, e cinque atrofie. In presenza di tanti fatti contradittori, la quistionc anatomico- patologica sembra che restasse indecisa, non potendo tro- vare una relazione costante di causa ed effetto. Pure la di- versità delle lesioni del miocardio non c un forte ostacolo per darne la spiegazione, mentre esistendo contemporanea lesione del miocardio colle aderenze, è naturale il credere, che la causa ha agito contemporaneamente sopra il peri- cardio, il miocardio o l’endocardio; il perchè poi orasi svi- luppa l’ipertrofìa, ed ora l’atrofia, non si può, almeno al pre- sente, dare una sufficiente spiegazione. Sotto il rapporto della diagnosi, le aderenze del pericar- dio presentano molte difficoltà, c con ragione il sig. Kennedy fa osservare essere ozioso voler trovare un segno diagnostico unico. Il solo segno però proposto dal Prof. Low, cioè la mat- tezza precordiale persistente, quale che si fosse la posizione, che prende il soggetto, pare trovare in ogni caso maggiore conferma. La lesione descritta apparteneva ad un individuo in età a 66 anni, di statura bassa, di forma quadrata, di tempe- ramento nervoso-bilioso, discendente da genitori gottosi, c lo stesso all’ età di 30 anni fu colpito d’artrite acuta; da quel- 1’ epoca aveva goduto sempre lodevole salute; quando die- tro aver frequentato un’atmosfera umida, fu colpito alla re- gione precordiale da un dolore avente tutta la espressione dell’angina di petto. Il dolore era intenso e lancinante e dalla regione mammaria sinistra estendevasi al braccio cor- , rispondente, ove determinava una sensazione dolorosa in- soffribile, accommpagnata da difficolta di respiro, anzietà estrema, sudore freddo, temperatura del corpo bassa, polso capillare e frequente, palpitazioni del cuore. Questo accesso durò per più ore, cessato il quale, il paziente ritornò in perfetta calma ripigliando le sue ordinarie abitudini. Erano 1 26 — di già trascorsi sette giorni di una apparente guarigione; quando alle 11 di sera si ripete il medesimo accesso, il quale dopo o ore di durata lascio il paziente con sensibile diffi- coltà di respiro. Trascorso un altro settenario fu colpito da una nevralgia facciale, la quale dopo 12 ore cessava allo sviluppo di una lieve reazione febbrile. Era questa l’epoca, quando io vedeva l’ammalato per la prima volta insieme al suo medico di cura. Il paziente mostrava uno stato d’ir- ritabilità insolita, e ad ogni movimento eccessivo o in se- guito ad emozione morale la respirazione diveniva affanno- sa, ma non curata dal paziente. Osservata la regione pre- cordiale in stato di calma, si osservava: urti del cuore profon- di e deboli, suoni oscuri c senza soffi, ritmo regolare, net- tezza estesa da occupare tutta la regione cardiaca; niuna bozza alla ispezione, nè movimento speciale alcuno. Orine alcaline, senze sedimento albuminoso, scarse di urati, piut- tosto acquose. Trascorsi giorni 10 dopo una calma ed una tranquillità che facevano credere al paziente la sua guarigione, alla solita ora della mezzanotte fu colpito da fenomeni differenti dai primi. Trovammo l’infermo in preda ad una violenta di- spinnea: la respirazione affannosa, i movimenti di dilata- zione ed inalzamento, con quelli di restringimento ed abbas- samento si eseguivano quasi convulsivamente ed assai pro- nunziati nell’ addome, quasi che predominavano i movi- menti diaframmatici; non vi era tosse, nè alcun fenomeno fisico al torace; il viso leggermente cianotico , coperto di sudore freddo come per tutto il corpo, la temperatura bas- sa, gli urti del cuore tumultuosi, suoni oscuri e senza sof- fi, polsi piccoli ed ineguali, orine frequenti e puramente acquose, fenomeno che cessava rimesso in calma; l’ infer- mo stava seduto, pogiato in avanti, ma agitandosi conti- nuamente. Questo terribile accesso cessava dopo 5 ore in- seguito ad un bagno senapizzato. Il paziente riprese la cal- 127 - ma, si messe a letto, dormì tranquillamente. Il giorno ap- presso , se si toglie un poco d’ irritabilità, non mostrava nel suo aspetto i disturbi sofferti, tanto che ripigliava le sue ordinarie occupazioni. Appena finiva il 7° giorno, ricom- parve il medesimo accesso, identico Liei la sua espressione e nel corso ai precedenti, ma differì nell’ esito, poiché que- sta volta fu seguito da un singulto spasmodico, il quale si mantenne ostinatamente per ben otto giorni, e finiva, se vuoisi ripetere da questa medicazione la cessazione, in segui- to ad un numero considerevole di vescicanti volanti sul to- race; fu a quest’epoca che si fece vedere per la prima volta irregolarità nel ritmo del cuore, ed un edema limitato ai mal- leoli, fenomeni che scomparvero colla cessazione del sin- gulto. L’esame fisico del cuore ci dava i medesimi segni di sopra cennati. Dopo quest’ultimo accesso, il paziente visse altri quat- tro mesi, e durante questo periodo fu colpito altre quattro volte dallo accesso dispinnoico di sopra descritto, alternan- do talvolta col singulto, della durata di poche ore e di mino- re intensità, ripigliando sempre l’infermo, cessato l’accesso, le sue ordinarie abitudini come se non avesse sofferto di- sturbo alcuno. Il cuore nello stato di calma, presentava all’ osservazione mattezza estesa alla regione precordiale, suoni oscuri e profondi, urto debole, ritmo regolare, senza soffi. Dopo l’epoca segnata l’infermo cessò di vivere su- bitamente in seguito a forte emozione morale. Il caso descritto ci fa conoscere, come la pericardite assume talvolta nel suo esordire i caratteri dell’ angina di petto, senza alcun altro fenomeno relativo alla circolazio- ne, e come essa talvolta è oscura nella sua espressione da non sospettarne l’ esistenza dai soli caratteri biologici; fat- ti frequenti ad osservarsi nella pericardite reumatica, e nel nostro caso, lo sviluppo della stessa, la complicanza della ATTI ACC. VOL. IV. 18 — 128 - nevralgia facciale, la ripetizione notturna degli accessi ac- cennano all’ influenza eli una causa specifica, qual’ era il vi- zio artritico. Il cominciamento di questa pericardite sotto quella forma nevralgica è importante sotto il rapporto del- la diagnosi, e richiama un’altro fatto simile notato da An- drai nella sua clinica (V. 1. oss. III. p. 15). La calma e la tranquillità delle funzioni circolatorio e lo stato di benes- sere dell’individuo, osservati nel periodo tra uno accesso e l’altro, fan vedere come il cuore sopporta indifferentemen- te la pressione esercitata dalle aderenze, le quali non ostacolano per nulla la libertà dei movimenti del cuore, come falsamente opinavano Morgagni, Corvisart ec. Nè per questo riguardo il nostro caso è nuovo, mentre fatti simili osservati da Bouillaud, Stokes ec. non si sono mostrati du- rante la vita per alcuno disturbo speciale. La forma sintomatica osservata nei differenti accessi, la dispinnea intensa, i battiti tumultuosi del cuore, l’ansietà precordiale, la tendenza alle sincopi, il polso piccolo ed ir- regolare, il colorito quasi cianotico, la temperatura bassa, il sudore freddo, è stata ancora notata c descritta dai pra- tici nel corso delle aderenze; la quale, ricorrendo ad ecces- si, ha un valore semiologico positivo, quando si hanno prin- cipalmente i dati di una pericardite precedente. Taluni pra- tici però hanno riferito alle aderenze del pericardio alcuni fenomeni, che nel fatto dipendono da tutt’ altra lesione. Il Forget, nelle sue ricerche sulle aderenze del pericardio, aggiunge, ai fenomeni da noi osservati, gli accidenti ordina- ri prodotti da un ostacolo alla circolazione, come 1’ edema e la cianosi. Questi fenomeni furono, nel nostro caso, os- servati in un modo passeggierò e non mai permanente, il primo specialmente che si fece vedere durante quell’ac- cesso singultuoso. Questa condizione, che sembra in appa- renza di niun valore c oltremodo importante sotto il rap- porto fìsiologico-patologico, in quantocchè dimostra a tutta evidenza, clic la causa dei sudctti fenomeni non era l’osta- colo, che le aderenze avessero potuto apportare colla loro pressione sul miocardio; essendo il fenomeno transitorio , tale doveva essere la causa. Noi vogliamo marcare questo fatto, per far meglio rilevare., che le aderenze pericardiache non hanno influenza sugli ostacoli della circolazione; se tal- volta si manifesta accidente di tale natura di brevissima durata, come avvenne nel caso descritto, anzicchè riferire il fenomeno ad un ostacolo di cui sovente manca la lesione per spiegarlo, è più ragionevole attribuirlo al ritardo tem- poraneo della circolazione, per il disquilibrio che subisce sotto l’influenza eli quelle palpitazioni tumultuose. La sensibilità del cuore essendo fortemente eccitata, durante questo perio- do, si ha un’azione riflessa energica paralizzante sul siste- ma vaso-motore, donde la dilatazione del sistema capillare periferico ed il ritardo della circolazione. Stando allJ osservazione dei fatti possiamo condividere, che coesistendo colle aderenze del pericardio fono mori per- manenti di ostacolo alla circolazione, si devono ritenere co- me dipendenti da una complicanza morbosa relativa a mio- cardio, endocardio o al contenuto. Similmente la piccolezza c la irregolarità del polso, se- gno della difficolià colla quale il cuore si contrae, non è un fenomeno permanente legato alle lesioni indicate, come lo autore citato opina, ma esso osservasi durante i moti con- vulsivi del cuore solamente. Cosichè, gli accidenti per osta- colo alla circolazione, l’irregolarità del ritmo, resistenza dei soffi, non sono fenomeni legati alle aderenze del pericardio; possono durante gli accessi convulsivi del cuore mostrarsi, ma allorquando si osservano in modo permanente nel corso di queste lesioni, coesiste certamente una lesione del mio- cardio o degli orifizi, capace a poter ostacolare la circola- zione. Oltre ai fenomeni sopraccennati esisteva il singulto, il - 130 quale accompagnò più volte l’accesso, e predominò talvolta quale fenomeno il più imponente. Qualunque si fossero le opinioni sulla causa vera di questo fenomeno, prevale quella che nei movimenti convulsivi del diaframma ne ripone la sorgente. Noi non potremo spiegare diversamente il feno- meno in parola nel nostro caso. I rapporti materiali tra il pericardio ed il diaframma non possono spiegare alcuna in- fluenza sulla produzione del singulto, nò il fenomeno in pa- rola si potrebbe concepire pel solo fatto meccanico , non esistendo alcuna relazione tra i movimenti del cuore e le contrazioni del diaframma. Invece, lo spasmo diaframma- tico trova una spiegazione più naturale neir azione pertur- bata dei nervi diaframmatici, che avveniva sotto la forte eccitazione dei moti convulsivi cardiaci. Mota SOPRA UNA NUOVA NOMENCLATURA DEI DISTURBI FUNZIONALI ACUSTICI E SUL VALORE DIAGNOSTICO DI ESSI nelle affezioni fieli’ appareeeltio uditivo per il Doltor ?àO)\LQ) BERKITTA GCUFFRIP& f rofessore privato di Patologia Speciale Chirurgica; Assistente alia cattedra di Clinica Chirurgica ci questa R. Università, ed assistente provvisorio in quella di Clinica Oftalmica; Socio ordinario delìlccademia Gicema e Direttore del Gabinetto Letterario della stessa; Presidente onorano deh' Istituto Oftalmoìogico Europeo (Smyrne Asia ) ; Socio fondatore con medaglia d' oro dell' Imperiale Accademia Universale di Scienze Lettere ed Arti di Parigi; Membro corrispondente de la Società dtmulation du dèpartement des Volges (Erinal) dell' Accade- mia Senkerbergiana dei curiosi della natura di Frankfort sul Meno, della Società Medico Chirurgica di Bologna, di quella dei Fisiocritici di Siena e della Agraria di Pesaro, Corrispondente della Reai Peìoritana di Messina, di guella dei Zelanti di Aci Reale, di Paìizzolo Acreide e del Gabinetto Scientifico e Letterario di Siracusa ecc eco. ATTI ACC. VoL, IV. 19 V. % ignoti PARTE I. La Chimica deve in parte il suo positivo e materiale progresso al Guyton Morveau, a Lavoisier, aFourcroy, i quali, studiando le loro scoverte chimiche , e tutto quello che rinvennero utile nei libri di Stahal, Schedi e Priestley, furono obligati ad abbandonare V antico ed incongruo lin- guaggio, ed a sostituirne un altro, che ''addimostra i fatti, quali naturalmente sono, stabilendo con alcune espressioni facili a ritenersi la composizione dei corpi. Così il vasto campo della patologia non poca luce ha ricevuto dal Piorry, il quale, sostituendo all7 antico e futile linguaggio delle forme morbose sparso in tutte le nosogra- fie, desunte dalle esterne apparenze, vuoi da grossolane for- me, vuoi dal tipo o da cause presunte, ha sostituito la sua Onornopatologia, o nomenclatura organico-patologica, desi- gnando le alterazioni organiche e le sofferenze isolate degli organi con parole mutuate dal greco idioma, le quali espri- mono tutte nettamente, per quanto è possibile, i caratteri anatomici c fisiologici di tali affezioni. Perciò stesso la patologia medico-chirurgica trovasi for- nita a dovizie di una nomenclatura propria significante gli stati patologici vari, si nella parte dinamica, come nella * 134 - materiale, ed a preferenza la patologia oculare. Dessa offre nella sua sintomatologia una minuziosa ed elabora- ta nomenclatura denotante gli svariati disturbi funzionali e materiali, ai quali i valentuomini in oculistica hanno dato un valore più o meno diagnostico. Ora è da osservare come V Otopatologia, ovvero la pa- tologia dell’ organo dell’ udito, non meno importante di quel- la deir organo della visione, manchi del tutto quasi di una nomenclatura sintomatologica propria, che esprimesse i sin- goli disturbi organico-dinamici, ed i varj gradi e le molti- plici forme di essi. Sicché gli uomini dell'arte nell’ espor- re la morbosa significazione fenomenica dell’apparecchio in parola, si sono serviti finora di una volgare terminolo- gia, con la quale vengono imperfettamente enarrati i diversi gradi e le svariate forme della sturbata funzione uditiva. In effetti, i disturbi acustici più interessanti sono espressi con i volgari nomi di rumore, strepito, mormorio, zufolio, fi- schio, fischio sordo, scroscio, tintinnio, ronzio, canti di uc- celli, suono lontano e vicino, suono forte e debole, ed al- tri simili vocaboli. È necessità adunque, si avesse la sintomatologia acustica aneli’ essa un linguaggio scientifico tutto proprio, il quale, rendendola stessa simile in tutto all’ oftalmo-patologia, ser- visse nel tempo stesso ad una classificazione sintomatolo- gica, che basata sulla clinica osservazione, dasse più o meno a ciascun sintomo isolatamente studiato un valore diagnostico. Dando un rapido sguardo al crescente progresso della oftalmo-patologia ed a quello dell’ otopatologia, io trovo del resto come in quest’ ultima, mercè i lavori di Kramar, Itard, Gel lè, Qucniot, Deleau, Troltsch, Pràt, Parrat, Versari etc.; esso non c secondo a quello della patologia oculare, sì per invenzione di novelli strumenti diagnostici, come per tro- vati anatomico-patologici. Di guisachè, analizzando l’ una branca e 1’ altra, onde abbozzarne un confronto, io rinvengo come allo oftalmosopio del celebre Professore di Eidelberga, che ha tolto l’astratto ontologismo delle forme morbose oculari, stanno a paro V otoscopio del Deleau c del Quèniot, che permette osservare sino a quanto è accessibile alla vista le svariate lesioni della membrana del timbano, ed il Mo- nometro modificato ed applicato dal Gellc per misurare il grado di tenzione dell’ aria, e questa riferirsi con lo stato di mobilità della membrana del timpano. Alla rctinoscopia fosfenica del Serres d’ Uzes, ed alla recente scoverta della cromatoscopia retinica del Galezouzwski trovo rispondere in parte il Diapason applicato dal Vidal (de Cassis] e da Amedeo Latour, onde constatare la differenza della lesione dell’organo dell’ udito, se dinamica o materiale non solo, ma bensì se di- penda da quest’ ultimo come strumento acustico, o debba ri- ferirsi a lesione cerebrale. Alla scala accomodativa della vi- sta di Jaeger ed all’indicatore della stessa di Colombo trovo analogo 1’ Acumetro del Dottor Itard, inserviente a valutare sino a quale grado è giunto l’ indebolimento dell’udito. Alla invenzione preziosa degli occhiali, dovuta a Salvino degli Armati Kook e ad Alessandro de Spina, vi sta di contro quella dei cornetti acustici dovuta ai celebri Larray ed Itard, c perfezionata oggi da valenti auristi ed ingegnosi artisti a seconda i progressi deir acustica. È da dire in ultimo, onde completarne il confronto, che se 1’ oftalmo-tèrapca possiede un irrigatore delle palpebre, ingegnato dal Langlebert c mo- dificato da altri, l1 Ototerapea non manca neppure di un no- vello irrigatore del condotto uditivo, già immaginato dal Dottor Pràt. Dopo tanto avanzamento dell’ Otopatologia e dell’Otote- rapea il parallelo fatto dall’illustre Vidal (de Cassis) tra i disturbi funzionali dell’organo della visione, con quelli del- l’udito, si è di cerio una bella idea, ed è a lamentare che esso sia tuttora incompleto. Ed è da questa idea del valente pratico francese, clic io 136 - mi sono spinto a volerne completare l’ intiero analogismo, e a crearne la nomenclatura sintomatologica corrispon- dente, studiando nel tempo stesso, per quanto le mie deboli forze intellettive il consentono, di ciascun disturbo funzio- nale acustico il valore diagnostico. Possa adunque questo qualunque siasi lavoro trovare nel vostro favorevole giudizio tutta la mia ricompensa. PARTE II. 11 campo della funzione uditiva per cause morbose può come quello della funzione visiva cambiare in diversi modi. Ed in primo può V individuo non percepire i suoni che a breve distanza. Questo stato è perfettamente simile alla Mio- pìa; ed io lo chiamerei Engiechia, da lyybg vicino, ìjXog suo- no. Può per converso egli sentire il suono lontano, dispo- sizione simile alla Presbiopia, che io chiamerei col nome di Teloechia, da r^e lontano, lyfXog suono. Inoltre, potrà non percepire il suono molto forte, ed invece percepire il suono debole, e viceversa. Tali turbamenti, essendo affatto indipen- denti da lesione apprezzabile dell’apparecchio uditivo, ma assolutamente dinamici, caratterizzano, secondo taluni auristi, quella condizione nevrosica detta Paracusia. Essi sono ana- loghi amendue, cioè; il primo alla Nictolopia, che io direi Aste- noechia, da debole; il secondo alla Emerolopia, che io chiamerei Stenoechia, da cOém forte. Come si ha una vista parziale, voglio dire la Miopia, si può anche avere l’udito parziale, o a dir meglio, l’indivi- duo non può non sentire il suono che a metà. Questo tur- bamento può conscguentemente alla nomenclatura da me adottata dirsi Emiechia, da faicu? mezzo, metà. Possono infine talune condizioni morbose dell’apparec- chio in discorso far si che il paziente percepisse doppj i suoni - 137 — c le voci, il quale stato è simile perciò alla Diplopia, ed io lo chiamerei Diploechia, da Siz'Kòm doppio. A queste modificazioni innormali del senso dell’ udito seguono ancora talune altre. L’ infermo crede sentire molti strepiti, o pure molti suoni più o meno acuti, o più o meno dolci; fenomeni tutti perciò che non hanno nessun rapporto col mondo esteriore, ma che hanno la loro sede nell’ orec- chio del paziente. Questi strepiti e questi suoni vengono da me assimilati, i primi alla Fotopsia, ovvero a quell’ altera- zione della funzione visiva consistente nel vedere striscio di fuoco di varie forme; sicché io opino, che possa tale altera- zione dell’udito intendersi col nome di Polipsofia, da rohóg molti, ^oiie es(erna «lei mostro «loppio gattesco, genere flniopo «li Saint* flilai«*e. Oet«»pias«SaBius et «itaailrianritus. C» uriti. «lanieeps asianineti'iis. Foerster. ■ * Il feto mostruoso gattesco aveva compito il termine della sua vita intrauterina quando venne fuori dell’ utero. Per mancanza di date non posso assicurare, se con esso vennero espulsi altri gattini. Consisteva nella riunione di due individui per la parte loro sopraombellicale, torace e testa, e ciò nel modo seguente: La metà destra della testa di ciascuno dei due feti era separata dalla sinistra, e le duo mezze facce allontanate l’una dall’altra e portate lateralmente, di modo che riunite davan luogo ad una faccia anteriore e ad un’altra posteriore in rapporto però al mostro intiero. In quanto ai due individui l’unione si era fatta lateralmente. Misurato dalla parte più alta delle due teste riunite al principio di ognuna delle code era lungo l i centimetri: da una orecchia all’ altra della faccia principale, facendo però salire la linea di misura sopra le orbite, G centimetri; e dal centro delle due orecchie riunite ad una di quelle regolari 4 centimetri. Nel corpo ogni individuo era ben conformato, solamente la testa di uno di loro, e propriamente quella di- retta in dietro, era rudimentaria. Da ciò due facce, una ben conformata diretta in avanti, ed una incompleta diretta in 156 dietro. La prima passo sotto silenzio, non presentando dif- formità alcuna, sull’ altra però mi è d’ uopo fermarmi un poco, perchè offre arresto di sviluppo di quasi tutte le sue parti . Nella parte inferiore della predetta faccia marcavansi due padiglioni delle orecchie riunite sulla linea mediana, e sopra di esse, alla distanza di circa un centimetro, elevavasi una eminenza convessa di forma ellissoide, diretta da basso in alto; nel mezzo della quale rilevavasi una linea superfi- ciale, che la dividea in due metà perfettamente uguali. Fi- nalmente in alto e quasi nel centro delle due teste facevasi vedere un picciolissimo rialto di forma conica. Il collo mo- stravasi largo. Le pareti del petto e quelle dello addome erano congiunte in modo da resultarne petto ed addome in avanti e petto ed addome in dietro. In ultimo vedevansi appese al tronco le quattro estremità. Unico e solo era lo ombellico . DISSEZIONE Passando in seguito alla dissezione dei due feti, ebbi V agio di fare le seguenti osservazioni: Disseccando la pelle delle teste, e propriamente del lato della faccia rudi montaria constatai, e come da tutti si sà, che i veri occipiti erano quelli che sormontavano le colon- ne vertebrali, e quindi le teste non stavano riunite occipite ad occipite, ma ogni testa e quindi ogni torace ed addome spettavano per metà ai due feti. Esaminandole due orec- chie, vidi i due condotti auditivi esterni tra loro contigui, i quali mettevano fine in una profonda e sottostante cavità, così pure la sezione di quella eminenza ellissoidea presentò due palpebre normalmente costituite; però esilissime erano le cartilagini tarsi, le membrane ed il muscolo orbicolarc. — 157 sebbene regolarmente conformate. La glandola e il sacco la- grimale mancavano. Esilissimi erano i muscoli retto esterno, retto superiore e retto inferiore, nè mi venne fatto di os- servare il grande c piccolo obbliqui. Il retto interno non esisteva per arresto di formazione. L’occhio propriamente detto consisteva in un globo re- golare con la sua cornea, sclerotica ed iride. Tolto l’occhio non che le palpebre, restava la sola or- bita situata nella parte centrale della faccia rudimentaria , e che diretta da basso in alto, resultava dall’incontro dei due frontali; ed infine la sopracennata eminenza conica era il naso nello stato rudimentarlo formato del pari dall’osso frontale. Tutte le ossa della faccia mancavano, a meno di talune in istato rudimentario. Aperta la cavità toracica, marcai due trachee, in mezzo alle quali esisteva un esofago, indi quattro polmoni, due cuori e due diaframmi. Passai inse- guito ad esplorare la cavità addominale, e rinvenni uno stomaco, un pancreas, un intestino tenue, il quale alla sua estremità inferiore si dividea per far seguito ai due colon; si vedevano inoltre due fegati quattro reni, e due vesciche orinarie. Sezionato il cranio, si trovò una porzione di cerebro, e non bene descrivibile, appunto per essere divenuto de- fluente per aver molto soggiornato nell’alcool troppo dilui- to, ma non così delle ossa delle teste, le quali si coordi- navano in modo, che ciascuna componevasi di due metà ineguali, di cui talune ben conformate dirette in basso, si univano a quelle regolari dell’altro individuo, e dal che resultava una faccia completa, mentre le altre rudimentarie dirette in alto si univano a quelle omonome dell’altro in- dividuo, dando per il loro congiungimento la faccia rudi- mentaria. 158 — fi)e§(T9xi»!U‘ estenua «Bel mo§(i'o nl»;»pio «lei genere 0|i|»(is tctrogilitalamBS et (i'ios)Iijalima§ «E1 Focrster. Questo mostro più complicato del primo, e comune appo i gatti, ha un sol corpo, ma la testa portante due fac- ce, e ciò vuol significare che 1’ unione si fè mercè i lati della testa a partire dell'occipite ed a terminare nella re- gione auricolare, e più ancora nella regione oculare. li mostro in esame non era giunto ancora alla sua maturità, quando fu espulso dall’utero materno. Dal centro della testa al principio della coda era lungo 10 centimetri; dal centro della testa a quello dei due menti contigui 4 cen- timetri; dal centro di ognuna delle mascelle superiori al condotto auditorio esterno di una delle orecchie 3 centi- metri; e l’intiera circonferenza delle due teste 9 centime- tri. Il corpo era unico c regolarmente sviluppato, ma la testa presentava anomalia di eccesso, cioè era come si disse, scompartita in due facce. Ogni faccia mostrava la forma di un cono, con la base rotonda diretta in alto c l’apice mozzo in basso; verso il centro della loro riunione mar- catasi una fessura trasversale della lunghezza di un cen- timetro, formata dall’incontro di due palpebre, nella quale riusciva facilissimo scorgere un occhio doppio, paratamente ben sviluppato, con due cornee, due sclerotiche e due iridi . Ai lati di questa scissura mediana si osservarono due altre orbite, una a destra e l’altra a sinistra coni loro rispettivi bulbi oculari, ben sviluppati. Le palpebre con le altre parti delle due facce erano pure allo stato normale, tranne del labbro superiore destro, eh’ era leporino. — 159 — dissezione ; • > Essendo che la testa racchiudeva tutta quanta la mo- struosità, così lu mio primo divisamento incominciare da essa la sezione, e venirne in seguito al corpo. A tal’ uopo , 1 UI.la incislone a croce sopra la testa, interessando tutte lo parti molli, e ciò per poter rilevare i nervi sopra-orbitali dell orbita centrale od il punto d’onde essi avevano uscita, e potei accertarmi che essi mantenevano perfettamente lo «andamento normale, cioè sortivano dai fori sopra-orbitali- non cosi per 1 sotto-orbitali, che venivano fuori da un solo foro 'Sito nel centro del bordo inferiore dell’ orbita sudelta. Indi spassai ad esaminare l'orbita istessa con tutte le parti annesse te conobbi, clic le palpebre non si erari per nulla allontanate Jal t!po della normalità. I muscoli oracolari dello palpebre umbl fasi m yno ben grande, non che le glandolo ed i «acch i 1 agri mah uno per ogni angolo di quest’orbita ben viluppati Le parti motrici dell’occhio esistevano, tranne JJ n?U8Cj°, |. roUl Intcrni lJCr soffermo di 'formazione e dei .,i andi obbhqui clic non potei rintracciare. I bulbi oculari Mano fusi in uno molto grande, e l’orbita istessa die li ■'Olitene va era regolarmente disposta. I tc °s*a’ clle concorsero alla sua formazione, furono i ut romal, coUa loro parto interna, i due ungnis, i due èt- " 1 od un doppio osso molare. Sotto quest’ orbita esisteva no spazm triangolare ripieno di fasci muscolari, che ritenni , musco11 stilo-ioìdeo , storno-mastoideo , e digastrico e a mascella inferiore, confusi con gli omonorni dell’altro do, indi osservai le glandolo sotto-mascellari e sublinguali ■ Pii le6., ,:8r fU? in diCtl'° f>C1' lu basi, inane Si •alai le bianche interne delle due mascelle inferiori riunite i un comune condilo, sito nel mezzo, e che stava in ar- colazione mobile con l’angolo inferiore dell'osso molare 3ll orbita mediana. ATTI ACC. VOI. IV. 23 160 Aperto il torace e lo addome, vidi che gli organi lutti contenuti in esse cavità erano normalmente sviluppati, e che appartenevano ad un solo e medesimo individuo. Pas- sai per ultimo a sezionare il cranio, e rilevai due cerebri uguali alle due teste, separati da tre gran falci, una delle quali sita nel mezzo dell’asse di unione, che separava un cerebro dall’altro, e due laterali, site fra gli emisfèri cor- rispondenti. Vedevasi pure un cervelletto con il suo distinto tendono, ed un foro occipitale. Finalmente le ossa della testa erano doppie e ben svi- luppate, tranne dei temporali interni che mancavano per arresto di plasmazione. DEL MOSTRO DOPPIO VIVANO Francesca Foglisi, catanese, di anni 25, di temperamento sanguigno, di costituzione forte, giammai affetta da sifìllide o da scorbuto, nè da morbi psorici, moglie da otto anni a Salvatore Campisi, di mestiere orti-cultore, ben confor- mato e sempre di ottima salute, aveva portato tre gravi- danze, dallo quali eran venuti alla luce tre Figli, due di sesso femminino ed uno di sesso mascolino. Era ancora nell’al- lattamento di quest’ ultimo, ed essa già per taluni segni e per il troppo volume del suo addome sospettò una nuova gravidanza. Coll’andare dei mesi successivi il ventre cresceva in un modo più rapido, di quel che era stato nelle antecedenti gravidanze; ragion per cui /essa veniva spesso tormentata da patemi d’ animo, ed al settimo mese divenne il suo ventre così enorme ed anche fluttuante da far sospettare di un' ascite, tanto più in quanto i membri inferiori molto cdcmati zzati mostravansi, ed era cosiffattamente travaglia- ta da affanno di respiro, quasi dispnoico, da impedirle spesso in letto la posizione orizzontale, e toglierle il sonno, — 1 Gl il quale, se per pochi istanti vi si abbandonava, mai riusci - vale di ristoro, essendo sempre agitato e in soprassalto. Era già compito il settimo mese, quando apparvero al- cuni segni precursori del parto: ma quella donna non li te- neva per tali per non essere ancora compiuto il corso della gestazione. Questi segni precursori furono seguiti l’ indomani da ab- bondante sortita di acque dall’ utero, lo che faceva predire vicinissimo il parto. Ma l’aspettativa restò delusa, poiché, come ordinaria- mente accade in fai casi, il parto suole avverarsi dopo le 24 ore, ed infatti verifìcossi il giorno appresso, cioè 16 aprile, con notabilissime sofferenze della paziente, c con sortita abbondantissima di sierosità. La placenta venne fuori faci- lissimamente. Il parto non ebbe però alcun cattivo seguito, e Ire gior- ni dopo la puerpera abbandonò il letto, e cominciò ad ese- guire le consuete sue occupazioni dompstiche. I Iochil prolungaronsi per tutto il tempo del puerperio, cioè per quaranta giorni consecutivi. II feto clic mandò fuori era morto, c quel di’ è più un mostro doppio, costituito cioè di due individui di sesso fem- minino, tra loro fusi al di sopra dell'ombeìlico comune, con una testa scompartita in due facce, ciò che colpì la vista degli astanti, ed eccitò la curiosità del vicinato. Elassi quattro mesi da questo laborioso parto, la men- tovata donna, avvertì segni di altra gravidanza, portante i disturbi della precedente, cioè difficoltà al respirare, in- sonnia, raccolta di sierosità entro la cavità uterina, ed ede- ma agli arti inferiori: disturbi i quali cessarono al declinar del nono mese. Seguì il parto, e per una seconda volta venne fuori un feto mostruoso, portante un grosso tumore, come mi fu dalla madre riferito, impiantato sulla regione occipitale fino a metà della dorsale. Questo feto anormale * per la mollezza che presentava il tumore, e per il suo co- lorito rosso-bruno, fu giudicato dagli astanti putrefatto, e se ne ordinò subitamente il sepellimentp. Il mostro a mio cre- dere doveva essere Notencefalo. E tornando all’ assunto, il feto mostruoso doppio, di che trattasi, fu da me acquistato per 1’ Università, onde accrescerne la incipiente collezione teratologica, invece che per farne argomento di esame. Però l’attuale solenne congiuntura mi ha spinto a non lasciare dimenticato questo caso teratologico, che rivela ca- ratteri d’ indubia singolarità, e posto in confronto coi pre- cedenti è pur tale da fissare per poco f attenzione dei dot- ti, e di essere presentato a questa illustre Sessione. b»v<:sc 'itizioxu i\iToiisci Il mostro in discorso dal vertice ad uno dei talloni era lungo 37 centimetri, da una spalla anteriore all’altra \% cen- timetri, mentre dalla parte opposta lo era assai meno per causa che lo due clavicole non si articolavano con lo ster- no, ma sibbene tra loro a mo’ di forca; dal centro del ver- tice ai due menti quasi 13 centimetri; e la sua circonferenza misurava circa 32 centimetri. Guardato esternamente mostrava il congiungimento di due feti, quasi al modo stesso che nel primo dei mostri gatteschi da noi descritti, ma in quanto alla conformazione anormale della testa si approssimava al secondo, tanto da prenderne la esteriore configurazione, he estremità superiori e le inferiori erano ben conformate, c la mostruosità stava — 163 - principalmente nell' essersi riuniti i due individui, perla par- te superiore dell’ addome, per il petto, e per la faccia. La testa offriva ii volume e la forma di quella di un solo feto ordinario; il cuoio capelluto era coverto di lunghi capelli c folti. Presentava quasi nel centro della testa una depressione dovuta alla fontanella anteriore mediana, ed un poco più in dietro un’altra se ne rilevava che, alla fontanella mediana posteriore era da attribuirsi. La fronte era un poco appiattita nel centro, e veniva da molte ru- ghe trasversali solcata a mo’ di quella dei vecchi. La faccia era rotonda, c sotto il frontale medio scor- gevasi un occhio doppio con tre palpebre, racchiuso entro una doppia orbita. Le palpebre erano, una superiore e grande, nel centro del di cui bordo libero elevavasi un tubercoletto, segno della riunione delle due palpebre superiori primitive, e due inferiori, le quali venivano divise per i loro bordi liberi, ma fuse per la parte aderente, da costituirne una sola. Le descritte palpebre appalesavansi ben sviluppate, tanto da mostrar chiare le caruncole lagrimali, le pliche semi- lunari, c la congiuntiva. Il bulbo dell’occhio era diviso perfettamente in due metà simmetriche. A. destra ed a sini- stra dell’orbita si notavano due nasi alquanto schiacciati, nell’insieme ben costrutti; indi due occhi con le loro difese (tutamina oculi) completamente sviluppate. Abbassando un poco da questo punto lo sguardo, e fissandolo sulle due bocche, vedevasi che, oltre di essere la rima orale destra più aperta della sinistra, essa presen- tava l’angolo esterno labiale dello stesso individuo tirato dentro la cavità, per attaccarsi in alto al velo pendolo pa- latino. I due menti mostravansi alquanto deviati, cioè il de- stro diretto a manca, ed il sinistro a destra. Regolari erano i due padiglioni delle orecchie, ma un poco più in basso ed in dentro situati dell’ordinario. 11 collo preseiitavasi più corto e più largo dello stato normale, non conservando la propria forma cilindrica. DISSEZIONE DEE MOSTltO Notomizzando il feto mostruoso di cui ragionasi, mi ven- ne fatto di osservare nella testa tre muscoli frontali , dei quali, due laterali e normalmente disposti, che si continuava- no in dietro con gli occipitali , e l’altro medio, ben gran- de, e disteso a guisa di fettuccia. I nervi sopra-orbitali rego- larmente disposti, tanto nell’orbita centrale, che in quelle laterali . Più sotto osservavasi un occhio doppio fornito di tre palpebre, disposte una superiormente, e due inferiormente, le quali in quanto alla loro tessitura nulla presentavano di contrario o diverso dallo stato normale, sicché potevano scorgersi i muscoli orbicolari ambo fusi in un ben grande; le membrane, le cartilagini tarsi, le glandolo di Meibomio, le caruncole lagrimali, le pliche semilunari, e nei due angoli evidenti le papille, dove stanno scavati i punti lagrimali, e tutto nello stato di normalità, tranne le glandolo lagrimali che si erano fuse tra loro. Lo stesso puossi dire dei nervi sotto-orbitali, che si trovarono ben disposti, salvo di quei dell’ orbila centrale, che uscivano da un solo c medesimo foro, silo in mezzo alle due ossa molari, che andavano a disperdersi in una massa muscolare sottostante. Dissecando i muscoli della regione oculare notai , che quelli dei globi oculari erano perfettissimi, ma in quello me- diano non mi fu concesso altro di vedere, se non se i retti superiori, inferiori, c gli esterni: così pure trovavansi nel doppio occhio la cornea, la sclerotica, che mandava pro- fondamente un setto, l’ iride, il cerchio ciliare, il corpo ci- liare e la lente cristallina. 165 — Tolto 1’ apparecchio lagrimale e il visuale restava una orbita, sita nel centro delle due facce. Essa era assai am- pia, e le ossa che concorrevano a formarla erano, in alto 1’ osso frontale mediano; resultante di due porzioni quasi uguali, in basso ed in avanti i due molari, indietro le due grandi ali dello sfenoide, rudimentarie e fuse tra loro, ed ai lati i mascellari superiori, gli unguis, e gli etmoidi, il re- sto in istato membranoso. Ricercando i muscoli della faccia, trovai, che tutti esi- stevano tranne del temporale interno che mancava col re- sto, ciò che rivelava essere ivi avvenuto arresto di svilup- po; nel rimanente poi dell’ asse di unione delle due facce non osservai altro, che un ammasso di sostanza muscolare, che giudicai risultare dalla fusione dei muscoli sterno-ma- stoidei , digastrico della mascella inferiore, stilo-ioidco , e stilo-faringeo con gli omonomi del lato opposto. Su que- sta stessa massa scorgevansi acini glandolosi, che non tar- dai riconoscere come appartenenti alle glandole parolidi in- terne, le quali nel loro procedere si allontanavano dal cam- mino ordinario, talché vedevansi disposte da dietro in avanti e da fuori in dentro, ed in modo da trovarsi sull’ asse di unione. Il resto dei muscoli della regione ioidea superiore, co- me pure quelli della intiera regione inferiore con le glan- dole sotto-mascellari e sublinguali, erano nello stato di svilup- po normale. L'arteria carotide primitiva, salendo pel collo, prende- va il sito ordinario, e a livello della laringe dividevasi in esterna ed interna, come nello stato normale, cosi pure il vaso satellite di essa teneva l’andamento regolare, non che la vena giugulare esterna, i nervi pneumogastrigo, spinale, glosso-faringeo, ed ipoglosso erano ben sviluppati, mentre altri, e propriamente quelli che guardavano il lato dell’ as- se di unione delle due facce, come sarebbero il trifacciale, — 166 il facciale, e Y acustico, provarono arresto di sviluppo. Le lingue erano pure perfettamete conformate e conte- nuta ciascuna nella propria cavità, solo posteriormente uni- vansi per le loro basi, e davano in una sola e grande fa- ringe. Esistevano due ossi ioidi, due veli-pendoli palatini, e quattro glandolo amigdale, tutti regolarmente sviluppati, sal- vo del solo pilastro anteriore destro, eli’ era difforme per unirsi col corrispondente angolo delle labbra. Due laringi si vedevano nella grande faringe, in mezzo alle quali scendeva poi un esofago, e tutto in istato di re- golare formazione. Gli organi contenuti nella cavità del petto e dello ad- dome non presentarono modificazioni di sorta , e trovossi quanto i teratologi avvertono, intorno al numero, al sito, c al volume degli organi; cioè nella cavità del petto quat- tro polmoni, un cuore doppio sito nel mezzo delle cavità, due apparecchi sanguigni, ed un grosso timo; nella cavità, dello addome uno stomaco doppio, un intestino tenue , il quale alla sua parte inferiore si divideva in due, due colon, un fegato doppio e posto nel centro, quattro rognoni, due vesciche ordinarie, ed infine i genitali regolarmente par- titi ai due individui riuniti. BELLI TESTA Spogliato di ogni parte molle il cranio, offrivasi quasi colla forma di un globo, e la faccia con quella di due co- ni riuniti per le loro basi; percui quello era assai piccolo, e questi molto predominanti. Mi è d’ uopo però passare in breve rassegna le varie ossa della testa, notando le normali, le innormali, e le man- canti, e da ultimo descriverò il teschio in generale. — 167 — ( BK1IIO Gli ossi del cranio esistevano tatti, tranne del temporale interno di cui lo sviluppo fu soffermato. Dei due sfenoidi esi- steva un solo, ma doppio, ed erano nello stato normale gli occipitali, il parietale uno per lato, i due etmoidi, il tem- porale esterno, i due frontali; quest’ ultimi però risultava- no, come sogliono essere presso i feti a termine, di due por- zioni, solo la porzione interna di ciascun di essi era più bassa dell’ esterna, c a dippiù tra loro saldati da formare un solo osso impari e simmetrico. Nello spazio compreso tra le porzioni squamose dei due occipitali e i due angoli superiori e posteriori dei parietali, esisteva un grosso osso Wormiano (1). FACCIA Tra gli ossi delle due facce, cioè, .quelli che in nulla deviavano dal tipo regolare, erano i quattro ossi mascellari, i quattro molari, di cui gli interni si univano per i loro an- goli interni, onde contribuire alla formazione dell’ orbita cen- trale, i quattro nasali, i quattro unguis, ed i quattro turbinati inferiori, mentre i palatini ed i vomeri corrispondenti arre- stati mostravansi nel loro sviluppo. Gli ossi mascellari inferiori presentavano di rimarche- vole le branche interne più corte, e le sinfisi dei menti ri- volte un poco in alto; nel resto erano normali. (1) Quest’osso in anatomia comparala chiamasi anche interparie- tale, che io sarei di avviso nominare meglio inter-occipito-parletale, per trovarsi allogato in uno spazio circoscritto dall’ occipitale e dai parietali. È presso l’uomo ed i mammiferi incostante, mentre incontrasi quasi co- stantemente nei cetacei, nei ruminanti ed in molti pachidermi. Lo si è trovato anche nei formichieri fra gli sdentali; è comune presso i rosic- chianti, i carnivori, i marsupiali, i pipistrelli’ e le scinde. ATTI ACC. VOL. IV. 24 168 TESCHI© IN GENERALE Il teschio, di cui si è fatta l’analisi, guardato in gene- rale, presentavasi sotto la l'orma di uno sferoide, e studian- dolo nella sua esterna superfìcie, dava a vedere: \° ai lati dell’ asse di unione, e procedendo da dietro in avanti, due forami occipitali, le gobbe e le protuberanze occipitali ester- ne, e fra le porzioni squamose degli occipitali ed i parietali stava situato l’osso sopranumerario; indi la fontanella me- diana posteriore e la gobba parietale; la fontanella media- na anteriore, le gobbe frontali e la faccia frontale media. Sotto quest' ultima stava 1’ orbita centrale, ai suoi lati le orbite laterali, ed in mezzo ad esse due nasi; poi la fossa temporale esterna con la sua fontanella laterale posteriore e con 1’ anteriore, la membrana e gli ossettini del timpano, la fossa zigomatica, la mascella superiore, ed infine la ma- scella inferiore. Osservato poi il cranio nella sua interna cavità, presen- tava nella volta le quattro fosse occipitali superiori, due per ciascun lato, la fossa parietale, le fosse frontali e gli spazii a questi ossi frapposti; e nella base, tenendo il meto- do seguito per la superfìcie esterna, cioè da dietro in avanti, si vedevano cinque piani per lato; in mezzo dei quattro posteriori scorgevasi un rialzo di forma piramidale quadran- golare, formato dalla fusione delle due apofìsi pietrose dei temporali interni, con i margini interni delle gronde occi- pitali. Nel mezzo delle facce laterali di questa piramide si vedevano i due fori auditivi interni, indi i fori occipitali in- terni, le fosse occipitali inferiori ineguali e le gronde oc- cipitali. Nel piano medio una sola fossa cerebrale media, ed al- 1’ opposto lato la fusione dei due sfenoidi con una dop- pia fossa pituitaria, i due grandi carotidei e quattro fori ot- - 169 - tici. Infine il piano anteriore dava a divedere tre superfìcie convesse, divise da due infossature, che corrispondevano, le prime alle tre volte orbitarie, e le seconde alle volte delle narici, cioè ai due etmoidi. Esaminata poi accuratamente la massa nervosa centra- le, almeno per quanto fu possibile, poiché ridotta quasi a poltiglia, mostrò esser costituita di due cerebri distinti e separati da una tramezza fibrosa. RIASSUNTO Dai fatti su esposti pare potersi rilevare, che il feto in esame sia un mostro doppio, riunito per la testa, petto ed addome. 1 . ° In quanto alla testa, la mostruosità stava nella sua du- plicazione, cioè in due teste con due facce riunite in ango- lo acuto. Così, le quattro porzioni dei frontali formavano tre orbite, di cui lamedia, più granfe, conteneva un dop- pio occhio, fornito di tre palpebre, e le branche interne delle mascelle inferiori, per l’assenza dell’osso temporale, si articolavano con le apofisi basilari riunite degli occipitali. 2. ° Nel petto l’anormalità stava nel divaricamento delle pareti, le quali cran fuse fra loro, e nella mancanza di una faringe, di un esofago, di un timo e di un cuore. 3. ° L’ addolcine in fine offriva similmente la fusione delle pareti dei due feti sopra l'ombelico, pari a quella delle toraciche, e nell'assoluta deficienza di uno stomaco, di un intestino tenue, di un fegato e di un pancreas. Nella classificazione emessa dal Brechet, questo mostro spetterebbe all’ ordine Diplogenesi, o deviazione organica con riunione di germi, al genere l.° Diplogenesi esterna, o riunione di due o più individui per qualche punto del corpo per sola aderenza o per fusione di parti. Giusta la classificazione di Isidoro Geoffroy Saint H i lai re — 170 — dovrebbe appartenere alla classe 2a mostri composti, ordine 1° Antositarii , tribù 2.a, famiglia 2.a mostri doppii Siccfal iani, genere t.° mostro Iniopo. E secondo quella del professore Augusto Foerster alla ^classe mostri doppii Terata Diploa o Didima, 2a serie Sin- cefali, 3a forma Ianiceps. Ma, o Signori, veramente il mostro da me preso in con- siderazione è tale da formar parte di questa categoria? Io noi credo; imperciocché, i caratteri che offre la. testa, mal corrispondono a quelli che i Teratologi assegnano agli lani- eipi, e sul corpo Iniopo trovasi innestata la testa dell" Opo- domo. Pare quindi, che esso possa servir di fondamento alla creazione di un genere novello, che io chiamerei: mostro doppio semi-iniopotomo, che costituirebbe il quarto genere della famiglia dei Sicefaliani. BtEFIJESSIO^B FI&EOI.OCJBFIBE Lo spirito di sistema, la tendenza alle speculazioni, la smania di crear delle teoriche nuove con pochi fatti, soventi volte mal conosciuti e male estimati , e non poche altre cagioni, han ritardato i progressi delle scienze di osserva- zione e sperimentali, c delle naturali a preferenza. La scienza dei mostri ha subito istessamente questa influenza fatale, e si può dire una scienza nuova, avendo in considerazione il tempo assai breve in cui èpergiunta al grado dJ incremento nel quale ora la vediamo. È facile per altro il comprendere, che, tra per le con- dizioni su espresse, c per esser del tutto dipendente dagli studii embriogenici, la Teratologia non avrebbe potuto avan- zare di un s<>l passo, ovolo studio della Embriogencsia non avesse cclercmente progredito. Àvrebbcsi tutto al più potu- to ottenere una descrizione incompleta dello mostruosità, una distinzione; imperfettissima delle medesime, ma giammai 171 si sarebbe giunti ad acquistare tutto ciò, che oggi a questo riguardo si conosce, e le leggi principalmente, che le slesse mostruosità determinano e regolano. I lavori embriogenià', degli Autenrienth, Socmmeringc, Meckel, Tiedemann, Baer, Carus, Heusinger, Doellinger, Brechet, Velpeau, Saint Hilaire, Gurlt, Burdach, Biskoff, Foerster ed altri, i di cui nomi sono abbastanza noti nella scienza, avendo portato la Embrioge- nesia al punto di diventar vera scienza, hanno ugualmente fatto rilevare l’ interesse anatomico e fisiologico, che i mo- stri debbono ispirare, ed hanno fatto acquistare alla Terato- logia il carattere scientifico. Questo importantissimo ramo del sapere naturale progredirà sempre più colf avanzarsi dello studio dell’ embrione, perchè le leggi teratologiche non sono che il resultato delle embriogeniche. Dal principio fondamentale embriogenico, stabilito nello stato attuale della scienza, gli organi non esistono belli e formati in origine, ossia non preesistono , ma si formano ad epoche diverse, e microscopici od impercettibili in sul principio di loro plasmazione, devono con incalcolabili, subi- tanei e misteriosi sviluppi, per un processo di mudo giungere al loro completamento per la gran legge dell’unità di com- posizione organica, o degli analoghi. Impertanto le leggi normali han le loro antagonistiche, ed è in forza di queste leggi, che un organo può arrestarsi al di sotto del suo grado ordinario di sviluppo, ed anche intieramente abortire, oppure sorpassare il limite ordinario di sua evoluzione; dal che derivano due serie di anomalie inverse nelle loro condizioni di esistenza, c quindi ancora nelle loro cause, cioè quella di arresto e l’altra di eccesso di sviluppo. Ma una terza però ne esiste, che costituiscasi delle mo- struosità composte, credute impropriamente per eccesso di formazione, clic consiste nello associazioni dei tessuti or- - m — ganici. Perlocchè le mostruosità di ogni sorta possono ri- dursi in ultima analisi: 1° Mostruosità per arresto di formazione o di sviluppo di uno o più organi; 2° per eccesso di sviluppo; 3° per riu- nioni di parti più o meno normali appartenenti ad indivi- dui diversi. Ciò posto, riandando i fatti sin ora osservati nel mostro umano in esame, sembrami in esso coesistere le tre grandi varietà da noi posate. Infatti nel cranio abbiamo veduto le due apofìsi pietrose ‘fuse su la linea mediana, con l’as- senza della porzione squamosa, le due porzioni interne dei frontali più basse delle esterne, i due sfenoidi fusi in uno ben grande; il doppio occhio mediano con le sue tre pal- pebre; numerose tracce muscolari senza ordine; indeter- minate masse glandolala; la mancanza di una faringe, di un esofago, di uno stomaco, di un intestino tenue, di un fegato, di un pancreas, c di un cuore; condizioni tutte che accen- nano senza contrasto ad arresto di formazione e di sviluppo. Una vasta faringe, uno stomaco doppio, come pure il cuore, il fegato ed i parietali, sono da riguardarsi come il prodotto di un eccesso di sviluppo. Finalmente, la fusione in grande dei due individui, la fusione dei bulbi oculari, delle palpebre, delle lingue, degli ossi frontali, degli sfenoidi, dei temporali, c diversi fasci mu- scolari, mostrano evidentemente la fusione di due indivi- dui, ciò che spetta alla terza categoria sopra notata. Ma siccome il mostro in esame presentava gli occipi- tali in dietro, mentre dovevano essere diretti in fuori, se- guendo le colonne spinali, così l’unione, invece di effettuarsi secondo la direzione di fronte, si avverò lateralmente, pro- ducendo la testa dell’ opodomo, e per quella tendenza che hanno le parti similari ad unirsi e fondersi insieme sulla linea mediana, secondo che dice Carus, che gli sviluppi primitivi si effettuiscono da fuori in dentro, e che il com- 173 - pimento della ossificazione sulla linea mediana del corpo annunzia sempre la fine dello sviluppo individuale dello scheletro. E non vie dubbio, chela gravidanza nella sua origine sia stata gemella, e due feti regolari con una o due pla- cente sarebbero venuti alla luce, se circostanze avverse non ne avessero disturbato il normale andamento di formazione e di sviluppo. Ma come poterono succedere tante alterazioni e tanti deviamenti nei lavori di evoluzione e di sviluppamento di questi esseri, e come potè prodursi una tale mostruosità? E qui l’istologia fisiologica c’insegna, che ad una copu- la può cader un uovo con due aree germinative, ovvero con una sola in qualche punto divisa, le quali per talune circostanze stanno così vicine per un piccolo punto, o nel mezzo, o in uno degli estremi, per cui riuscirebbe impos- sibile uno sviluppo completo delle parti di ciascun lato, ed i gemelli in questo punto restano saldati tra loro. Or nel caso nostro , alla caduta dell’ uovo ammettiamo , o che sia esistita una vescichetta germinativa divisa come si disse, o due invece di una, c crediamo, che la produzione esuberante delle acque amniotiche, comprimendole, abbia potuto porle cosiffattamente in contatto E una coll’altra e stringerle in modo, da risultarne quella maniera di fusione da cui provenne il mostro doppio, che ha formato lo scopo del nostro ragionamento, il quale vale anco per gli altri due, i quali mostrano ad evidenza il fatto della riunione, nel pri- mo, dei caratteri diversi, che essi separatamente presentano. In seguito poi alla gestazione, sopravvennero alla ma- dre patemi d’animo, per vedersi fatto eccedente il volume del suo addome, e quindi altri disturbi avvenuti nell’ utero. Tali sono le mie idee sull’assunto: saranno forse ri- guardate cerne ipotetiche, e la spiegazione dame data, co- me appoggiata più alle leggi meccaniche, che alle dina- - 174 - miche; sia come si voglia: ma io non potendo abbracciare la ipotesi dei germi originariamente mostruosi, tanto va- gheggiata da Winslow, Meeke! ed altri, nè quella di Bonnet- sulla preesistenza dei germi, sono costretto ad accordarmi col sistema degli accidenti, col quale si cerca anche render ragione delle malattie degli uovi. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE TAVOLA I.° Fig. I. Il mostro gattesco Jniopo, veduto di prospetto. Fig. IL Lo stesso mostro dalla parte posteriore. Fig.III.il mostro gattesco Opodomo , di prospetto. TAVOLA II.4 Fig. IV. Il mostro umano semi-iniopolomo , ridotto al terzo della sua grandezza naturale, e veduto di prospetto. Fig. V. Lo stesso mostro dalla parte posteriore. Fig. VI. Teschio del semi-iniopolomo veduto di prospetto. — a metà in- terne dei due frontali riuniti in un solo osso — b b metà esterne dei due frontali — c fontanella mediana anteriore — d d ossi parietali — e orbita mediana doppia, /’apofisi degli occipitali riuniti, g ossi zigoma- tici interni saldali insieme — h foro sotto-orbitale scavato nel mezzo della saldatura dei due zigomatici —ii ossi unguis — Il etmoidi — m m orbite laterali— nn ossi nasali — oooo ossi mascellari — pp aperture delle fosse nasali — qq ossi zigomatici laterali — ?’?*ossi mascellari in- feriori. Fig. VII. Teschio del scmi-iniopotomo veduto da dietro — a a ossi parie- tali— b h parti squamose degli ossi occipitali — c grande osso Wormia- no —d fontanella mediana posteriore. Fig. Vili. Teschio veduto quasi di lato. ■ ' ■ ► Eli HATA (OlUìlGE pag. 1 S n . 32 « 2i « 3 « 17 » 17 i din' grandi carotidei le due gronde carotideo Meek ! Meckcl molari malori i ESAME CRITICO SUL CREDUTO m TESILO PRESSO CATTIVI C'oiHiiiiicnla all* Accademia C4i»enia DAL DOTT. Il* FILOSOFIA 2 MEDICINA AiVTOKINO SOM M A Socio attivo e membro del Comitato-, socio corrispondente di Varie Accademie scientifiche c letterarie nazionali ed estere. atti acc. voi. iv. 25 Jntroduzionjs, Et quidem primi etiam historici ac naturai rerum descriptores fabulas scrip- serunt Strabone, Geogr. lib. I. Quae in natura fondata sunt, cre- ecunt et augentur, qune in opinione va- riali tur, non augentur Bacone. Un ampio porto, immotus et ingens, forinato dalla natu- ra, nominato Ulisseo, fu creduto esistere un tempo nelle spiagge orientali di Catana, ed indi colmato da talune lave etnee. Fu immaginato la prima volta da Omero, nella sua fìnta Terra dei Ciclopi ; la quale da Teocrito, Licofrane, ed Euripide venne interpetrata come formante parte delle con- trade orientali dell’Etna; poscia ammesso da Virgilio, segui- to da Plinio seniore, e finalmente dalla poetica fantasia creato, dopo secoli ebbe posto nell’ antica storia di Catania. Infatti, tutti gl’illustri storici di essa, oltre a qualche straniero, il- lusi da eccesso di patrio amore, non solo ogni sforzo ado- perarono per provarne 1’ esistenza, ma sibbene arditamente come certo lo proclamarono. Eglino dispregiarono qual- siasi ragionamento, onde mantenere il contrario avviso, e affìn di appoggiare con ogni mezzo, favoleggiando sempre, la loro erronea opinione, non seppero fissare un che di stcfh'ea verità, sulla quale eran chiamati a rispondere. E di fermo: i racconti da loro recati in favore dell’ Ulisseo non 180 — sono, che le invenzioni dei prischi poeti, i quali non ci tramandarono altro, che maraviglie e favole, accolte dai letterati di allora come storiche verità. Or trovandoci in questa lotta di opinioni opposte e svariate , per potere scemerò il vero dal falso nella cali- gine di quei remoti tempi, ci è stato di norma il Signor Brunet De Presle, il quale in siffatte emergenze pensava, che: On est force de se borner a discuter les recils contradi - ctoires, à peser les temoignages , à degager les faits de tout ce qui porte le cachet de l’ignorance ou de la passion, et à enregistrer ceux qui paraissent à peu pres constatés (1). Essendo mestieri adunque schiarire questo periodo an- tico e favoloso di storia catanca , perchè mi riesca facile trattare con buon successo questo vecchio e non mai ab- bastanza discusso tema, credo indispensabile, quel periodo investigare per ogni verso, ed il suddetto tema svolgere sotto tutti gli aspetti. E per meglio addentrarmi in questo arduo ed astruso argomento, ho pensato dividere il mio lavoro in due parti. Nella prima passerò in rassegna gli scrittori di tutti i tempi, che dell’ Ulisseo discorsero, e ne farò rilevare i commessi errori, guidato da quel prin- cipio di critica indispensabile allo storico odierno: 0 via eri- li que ne connaitpas lerespect. Indi in una seconda parte vi sommetterò la descrizione geologica di queste classiche spiag- ge, in ciò eh’ esse presentano di maggior rilievo al contempla- tore della natura, onde da siffatte osservazioni farvi rileva* re, se ivi era possibile oppur no esistere un porto naturale. Ciò non pertanto, sembrar potrebbe quasi fuoi* di pro- posito a questa illustre Riunione straordinaria, che io qui mi facessi ad intrattenervi, o Signori, che di storia naturale vi occupate, in principio del mio esame di argomenti di sto- (1) Brunet De Fresie, Recherei)' s sui les elablissemcnts dos Grecs. en Sieile. — Inlrodution, Paris 1845. ria civile, e di quella in particolare, che riguarda le etnee contrade, delle quali primi abitatori furono i Sicanì ed i Si- coli, c non mai i Ciclopi, figli cieli’ immaginazione dei poeti, e ritenuti per esseri reali da varii storici, clic il grave er- rore commisero di modellare la storia sulla favola. Ma ci è da riflettere, che non solo i varii rami dell’ umano sa- pere sono siffattamente tra loro legali da formare non inter- rotta catena, come il Cicerone ed il I)’ Àlibert opinarono, ma eziandio, che, oltre dei rapporti che la geologia ha con la storia e co-n 1’ archeologia, troviamo questi assai più in- timi tra la storia civile e la naturale delle mentovate con- trade etnee, tanto che di queste scienze mi son dovuto gio- vare per risolvere la quistionc, cui ho accennato. 11 che farò da imparziale, e liberissimamente senza soggezione alcuna pronuncierò le mie opinioni , avendo presente al pensiero quanto il dottissimo Fréret, Segretario dell’ Acca- demia delle Inscrizioni c Belle-Lettere, disse una v 'Ita in quella celebre adunanza, cioè, che la'' decouverte de la vé- rilé est le seni objet de nos travaux académiques , et la li- berté de proposer et comparer les sentiments opposh sur chaque mailer e , a toujours élé le moycn le plus sur de per- venir àia verité , ou du moins d’en approclier . 0) • (1) Oeuvre complètes de Fréret. T. Ili, Histoire. Reeherches sur la chronologic de l’ histoire de Lidie, Paris an. IV. (1796). • • » PARTE PRIMA. Rivista Bibliografica ilei Porto Ulissco Les homrnes sensés doivent regarder l'histoire cornine un tissv, de fables Jean-Jacques Rousseau. n. notevoli ò?ti|iioLA La storia naturale, ben sapete, quanto differisca dalla Storia civile; imperciocché i rami che compongono la pri- ma, come sarebbe a dire, la Geologia, la Mineralogia, la Zoologia, la Botanica, vi apprestano, quando vorrete, i mez- zi per verificare oppur rigettare le idee, che i cultori di tali scienze si sono formate : mentre per lo contrario , la storia civile non può dare nessuna dimostrazione degli av- venimenti degli antichi popoli: essendo che, le vetuste so- cietà umane, soggette come esse sono state, in ogni tempo, alle politiche vicissitudini, nacquero, crebbero, e si estinse- ro, e non ci rimase altro di loro che orali tradizioni, spesso contradittorie , supposte, o finte, tramandateci dai sedi- centi storici remoti. Oltrecciò la natura degli oggetti fisici, essendo costante, il modo di constatare i fatti è sicuro nelle scienze naturali, è malfermo nella storia. Anzi, se più oltre spingiamo lo sguardo, noi dobbiamo confessare, che neppure ci abbiamo vere storiche cono- — 184 — scenze dei primi popoli civilizzati, cioè degli Indiani , dei Babilonesi, e dogli Egiziani, pressoi quali una casta sacer- dotale ereditaria esclusivamente possedeva lo scibile in fatto di scienze, di leggi, di religione, e di storia, la quale era piena di miti, e di assurdi racconti, e, quel che più monta si è, che essa fu dai Sacerdoti Egiziani diversamente in varii tempi raccontata a Solone, ad Erodoto, a Diodoro Si- culo ed a Germanico nipote deli’ Impcrator Tiberio (1). Inoltre ben conoscete, che la primitiva storia greca, incolpata di mendacio da taluno, Gruccia mendax , con la quale ha in parte rapporto il mio argomento, ci venne per lo più tramandata da poeti, che, svolgendola sul conto delle vetuste nazioni, la in vulnerarono del tutto di favole, di finzioni , ùi allegorie mitologiche, di miti e di assurde leggende, per quanto noi non possiamo prestare intera cre- denza alle cose tutte per essi descritte, comecché il Boul- langer ( Antiquité devoilée ) ci abbia data sull'antichità la sua interpretazione. Perlocchè chiaramente si vede, che gli antichi popoli, non esclusi i romani, non avevano sto- ria vera, ma piuttosto mitologica, ed invece di portare con Evennero, e Bannier, la mitologia nella storia, avrebbero dovuto procedere al converso, come opina il celebre Cuvier, cioè, il faudrait reporter une grande parile de V histoire dans la mylhologie (2). Dietro di che saggiamente il Voltaire esclamava: Eh ! que deviemtra dono la savanle antiquité qui a précédé les olympiades ? Elle de ole mira ce qu’ elle est, un temps incon- 7in , un lempn perda, un temps d’alleyories et de 7nensonges, un temps, meprisè par les sages, et profondòment discutè \ 1 ) Solone, vedi Platone in Tiineo. Erodoto, in Euterpe. Diodoro Sio., Bi hi. stur. lib. I. Germanico presso Tacito, Ann. lib. II. cap. IX. (2) Cuvier, Disc. sur les rcvolut. de la surf, du globe; Paris 1825. 185 — par les sots qui se plaisent à nager clans le vide comune les atomes d’ E pleure (1). Laonde se noi , facendo lettura degli antichi Poemi greci, non ci giovassimo di suonata critica, inciamperem- mo nell’errore, avvertendoci di ciò pure Ipparco , Po- sidonio, ed Eratostene , i quali consigliano, che la storia noiì si ricerca nei Poemi degli antichi poeti; quantunque lo Eratostene sia ingiustamente rimproverato dal panegirista di Omero, Strabono, il quale <1 ice a di lui carico neque in poematibus queri vult historiam ullam. (21) Impertanto schierati innanzi a voi, distintissimi Signori, passo in rassegna i poeti antichi, non che gli storici po- steriori , che fecero cenno del menzionato porto Ulisseo, sottomettendovi nel tempo stesso le mie critiche osservazio- ni sull’ assunto; per così trouver le vrai et le [aire vivre... lineavi*.— L’ alto ingegno di Omero, accoppiato a pro- digiosa immaginazione, descrisse contrade or deliziose ed in- cantevoli , or cupe ed orribili. Egli dà vita ai tìnti per- sonaggi dei due suoi Poemi; conoscitore profondo del cuore umano, pennella egregiamente i loro caratteri, e le loro pas- sioni; ed altresì crea per essi avverse e prospere fortune. L’ Odissèa ne è una prova. Egli nel libro TX imma- ginò una contrada, che denominò Terra dei Ciclopi , sul- la cui riva collocò un ampio porto formato dalla natu- ra, nel quale di nottetempo fece dar fondo ad Ulisse : lo descrisse con sì viva fantasia poetica, che all’ entra- ta di esso., e come antemurale, pose una deliziosa isola boschiva, da lui chiamata Lachea, popolata da un gran nu- mero di capre selvatiche guidate dalle Ninfe. Poi a quai- (1) Voltaire, Dia. phil. Voce Antiquité Seet. Ili, Paris 1862. (2) Strabene, Geogr. lib. I. ATTI ACC- VOI iy. 26 — 186 — che distanza dal porto allogò il cupo antro di Poliremo, in cui Ulisse penetrò insieme con dodici suoi compagni nel- l’assenza del Ciclope, e dove poi soffrì da captivo lo note sventure al ritorno serotino dell’ antropofago Gigante mo- noculo. Dal che chiaro emerge, che Omero per quella Terra dei Ciclopi non intese giammai parlare di contrade perti- nenti a Sicilia, e molto meno delle falde orientali deli’ Etna, che il mar .Ionio lambisce, ed in cui gl’interpreti favoleg- giatori situarono V Ulisseo ; non volendo mica accorgersi del niun motto che il divino poeta fece dell’Etna, cui, se egli conosciuto avesse, certamente non avrebbe trascu- rato di cantare con i suoi aurei versi: come lo fece dap- poi, ed assai tardi, il suo imitatore Virgilio. E in effetti, quando Omero di Sicilia volle far parola, la nominò con il primiero nome Trinacria, e di essa poco disse, secondo che afferma Polibio ; e quel poco egli attinse dalle no- tizie recate in Grecia dai commercianti Fenici , come lo Strabono asserisce, delle quali impossessatesi i poeti le ve- stirono poscia di maraviglie c di favole. Strabene, lib. I. congettura, che Omero abbia tratto gli errori di Ulisse dal- la favola degli Argonauti, cantata da Apollodoro, Orfeo, ed Apollonio, e clic il Dupuis per lo sistema solare inter- preta. Omero molte cose di quella celebre navigazione tra- sportò nella sua Odissèa: in fatti Medea divenne Circe, e le Cianèe, scogli all’ entrata del Bosforo, figurarono Scilla e Cariddi, erroneamente quest’ ultimo creduto scoglio dal celebre poeta: Vedi Odissèa lib. XII. Mais ce qui est finction dans un poème devient à la rigueur mensonge dans V historien. E benché lo Strabono, lib. 1. opinato abbia, che i racconti di Omero nell’Odis- sèa ebbero un fondo storico, noi non vi possiamo prestar credenza alcuna. E per vero, quale verità storica trovar possiamo nei racconti di Ulisse ad Alcinoo, che Giove- 187 - naie (1) chiama mendax aretalogus, dappoicchè descrive la Trinacria e le isole del Mediterraneo come il soggiorno di Mostri, di Ninfe fatali c di popoli del tutto favolosi? Mi sembra adunque, che tutto questo poema, opportuno per quei prischi tempi , e di nessun utile per i nostri, sia pieno a ribocco di poetiche finzioni e di strane ed impro- babili avventure ; perlocchè come favola ritener si debbe tutto il complesso dell’ omerica epopea. Pare altresì, che tal poema sia stato architettato da quel grande ingegno, non solo per dilettare i popoli dei suoi tempi, avvezzati dai poeti al maraviglioso, come disse Eratostene, ma pure per viemmaggiormcnte astringerli alla credenza e venerazione delle loro Deità: ed in tal modo Omero insegnò la morale meglio assai dei più celebri filosofi, secondo il parere di Orazio. Ma che cosa dissero gli antichi delle tante favole da Omero cantate ? Eratostene, in Strabono lib. I, di,sse, che allora si tro- veranno i luoghi, dove Ulisse arrivò, quando inoenturum aliquidem ad quce loca vagando delatus fuerit Ulysses cum invenerit sutorem, qui utrem venctorum consuit. (1) . . . . . . Attonito cum Tale super coenam facinus narrarel Ulyssex Alcinoo, bilem aut risani fortasse quibusdam Moverat, ut mendax aretalogus. In mare nomo Rune abicit, sacra dignum veraque Charybdi, Fingentem immancis Laestrygonas atque Cyclopas ? Nani cilius Scyllam, rei concur renlia saxa Cyaneas, plenos et tempestatibus utres Crediderim , aut tenui percussum verbere Circes, Et cum remigibus grunnlsse Elpenora porcis. Tarn vacui capilis populum Phaeaca putavil ? Giovenale, Sai. XV. - 188 - Aristea Proconnesio, ( Str abone , ib.) affermò, che Omero attinse I’ idea dei Ciclopi dagli Arimaspi della Scizia noi Pon- to Eusino: unoculos istos Cyclopes e Scitici transtulit h isto- rici: tales esse Arimaspos questi am quos Arimcispeis carmi - nibus edidit Aristeas Proconnesius ; i quali Arimaspi pel gran freddo si coprivano il viso, e non vi lasciavano che una apertura per poter vedere, al rapportar 4di Erodoto, lib. IV, benché per Esiodo (quasi contemporaneo ad Omero , al dir dello stesso Erodoto) non furono gli Arimaspi di Aristea che diedero origine agl’ immaginati Ciclopi, ma le favole dei poeti: poetce fabulas fìnxerunt de viris qui oculum in media fronte gerebant. Filostrato soggiunge « che Omero in grazia di Ulisse iin- « maginò i Ciclopi ed i Lestrigoni, che in alcuna parte di « terra non esistettero» (1). Pur tuttavolta non posso tralasciare di far penoso cenno dei Ciclopi, sul perchè essi hanno un intimo legame con V Ulisseo. I poeti infatto fìnsero varie specie di Ciclopi; risimi teneatis cimici ? lerino li vuole nati dalla terra e dal Tar- taro, Fab. 152. ì Ciclopi di Esiodo sono esseri immortali figli del Cielo e della Terra al numero di tre, Argo, Pron- te, c Sterope ; ved. Theogonia. Sono evidentemente me- teore personificate, l' eclair, le tonnerre , et la fornire, secon- do l’ interpretazione di Fréret. Strabono, lib. Vili, rapporta una antica tradizione di altri sette Ciclopi di Licia, murifabbri; i quali murarono le fortezze di Tiri nto e di Nauplia, anni 200 pria la cadu- ta di Troia, secondo Apollodoro. La memoria di questi Ci- clopi si era conservata nella Argolide, ed in Corinto, al (\) Per cui ri t haec Homerus Troicum abscinclens sermonem; Uliys- siquc poti us rum dcdicans, propter quem Cyclopurn ab eo escogitatum est genus, quum nusquam terranno fuerint: expressique Lestrigones; quos neino, ubi unquam fuerint, novit Filostrato, Heroic. in Protesilao. 189 - rapportar di Pausania, lib. Il, avevano un tempio e vi sagrifìcavano. Pure l’ Arcangelo a tramontana di Catania ravviso alcune rovine di torri murate dai Ciclopi. Ed al- tresì il Canonico A lessi ai nostri giorni scrisse di aver ve- duto in questa città uno avanzo di muro ciclopico. Inoltre in Adernò ho veduto nei dintorni del tempio del Dio Adira- no avanzi di mura ciclopiche, che rammentano l’infanzia dell’ arte muratoria. Gli ultimi poeti , come Callimaco, Virgilio ed Ovidio , immaginarono altri Ciclopi. Eran costoro fabbri, e lavora- vano il ferro nella fucina del vulcano di Lipari. Premesso ciò, discorriamo elei Ciclopi di Omero. Eglino, secondo lui, erano smisurati giganti antropofago, monocu- li; avevano per capo Pollicino, che d’altro non occupava- si che di pastorizia, tenuto qual figlio di Nettuno (ciò che in seguito ritennero Euripide, e Luciano Samosatensi ) ed il cui nome diede Omero ad uno degli eroi della sua Iliade. Quel Polifemo gigante nutrì in cuor suo immenso amore per la bella Ninfa Galatea, al poetar di Teocrito, di Ovidio, di Silio, e Claudiano, i quali favoleggiarono altresì, che in- gelositosi del pastorello Aci, gli abbia scagliato enorme mas- so, sotto il quale lo abbia schiacciato. Ma per pietà degli Dei venne il pastorello tramutato in fiume di tal nome : e la Galatea del pari in un fonte, per mescere eglino insieme le loro lagrime. Questa tragica scena si finse dai menzionati poeti essere accaduta nelle spiagge orientali, di Catana. Inoltre leggesi nel grave storico Tucidide, lib. VI, il se- guente passo: « Gli abitanti più antichi di una parte di quel paese, « Sicilia , dicesi di essere stati i Ciclopi ed i Lestrigoni, dei « quali non saprei dire la stirpe, nè il luogo onde vennero, nè dove andarono». Ed il sommo Cicerone, Tuscul. lib. V, scrisse di essere una finzione quel Polifemo truce ed agreste. 190 - Eppcrò sembra, che nella remota antichità vi siano stati degli uomini forti di braccio c di mente, per sottomettere i più deboli, e cotestoro esagerarceli come Giganti, conside- rando la loro natura come diversa assai dalla comune. 11 Vico, Storia poetica , chiamò Ciclopi gli uomini forti, i nobili. Platone riconosce in Polifemo, non il sognato Capo dei mostruosi giganti, bensì il padre di famiglia nello stato che chiamasi di natura. Altri scrittori la pensano diversamente. « Vuoisi che i primi, che trovarono in Egitto V arte di « lavorare il ferro, c di fabbricare con grandi macigni ed « informi, nell’ andar sotterra per i massi ed il ferro, por- « tasserò una lucerna legata alla fronte: onde nacque la fa- « vola di esservi una straordinaria genìa di uomini con un « solo occhio circolare, per cui KuxXwtjs furono poi detti; c « tal nome poi si diede ai fabbri e muratori delle seguen- « ti età ». (■!). Furono adunque i poeti che immaginarono e crearono resistenza di tal razza favolosa di uomini mostruosi eman- cipati dalla umana legge naturale, come altresì fìnto ave- vano altri mostri, tali che i Minotauri, i Pegasi, le Sirene, i Tritoni, le Najadi ecc. ecc Mais qui oserait prétendre, trou- ver dans la nature ces enfans de V ignorance ou de la su- perstition? al dir di Cuvier (2). Frattanto nel tempo in cui la Paleontologia era ignorata del tutto, si videro, a contare dalle epoche antiche fin al passato secolo, vari i scrivere la Gigantologia di gran parte dei paesi di Asia, di Egitto e di Europa, attribuendo eglino ai favolosi Giganti le rinve- nute ossa fossili degli Elefanti e degl' Ippopotami. E tra- lasciar volendo di far parola delle altre regioni in cui Fin- ti) Paimeri, Somma della storia di Sicilia, cap. I. Palermo 1850 (2) Disc. sur les rev. de la sup. du Globe, T. I, pag. 41; Deuxieme Section: Paris 1825. 191 vcngoDsi tali ossami erroneamente definiti, mi limito sol- tanto a menzionare le ossa fossili gigantesche ritrovate in varii tempi in Sicilia da Kircher, Fazello, Valguarnera, Boc- caccio, Inveges, Samperi, Mongitore, ecc. Perlochè il celebre Cuvier rimprovera i prefati scrit- tori, e con esatte conoscenze zoologiche conferma, che i resti dei pretesi giganti non sono che ossa fossili di grandi mammiferi, nelle quali i volgari potrebbero qualche rasso- miglianza trovare con le ossa umane (1). Così evidentemente provata la insussistenza dei Ciclopi, viene a mancare un forte appoggio agl’ interpetri di Omero per sostenere I’ esistenza dell’ Ulisseo. Inoltre è tanto vero, che Omero non intese parlare delle etnee contrade, come a taluni erroneamente è parso, quanto i primi abitanti di quest7 Isola furono i Sicani, tralasciando la ricerca ai dotti, sei suddetti Sicani furono qui indigeni, come pretese Timeo, o provvedenti dalla Iberia Spagnola, secondo Tucidide e del Siracusano Fili sto , od infine dalla Iberia orientale, all’ opinar di Valguarnera, del Cantò, del Canonico A lessi, e di Vincenzo Natale. Ai Sicani sopraggiunsero i Siedi nelle nostre contrade, un secolo circa prima della guerra di Troja, come scrissero Ellanico e Dionigi di Àlicarnasso: benché giusta i calcoli fatti da Reaul-Rochet, e da Clavert, la loro venuta in Sicilia sia avvenuta $26 anni pria dello eccidio di Troja. Onesti due popoli vennero a sanguinosa guerra. Amano fa parola delle ordinanze quadrate di questi primi abitanti di Sicilia, lodandoli nella perizia della guerra, la quale terminò con solenne trattato di pace, il primo che leggesi negli annali della storia antica, registrato dal Siculo Diodoro, lib. V. Fu in quel tempo, che i virtuosi figli di Eolo ricomposero in (4) Cuvier, Recherches sur les ossemens fossiles. T. I, Deuxieme Section; Paris 4 825. — 192 — pace i due guerreggienti popoli, ed imperarono su di loro, pria certamente della famigerata guerra Trojana; e quindi giù le asserzioni di Omero sull’ ospitalità da Eolo concessa ad Ulisse: imperciocché quel principe delle isole Eolie era vissuto tempo prima di Ulisse, onde Diodoro Sic. tiene per favola siffatta osservazione di Omero. Quei vetusti popoli, Sicani, e Siculi, città abitavano ed avevano culto religioso: e il più vetusto tempio Densi dal- E accennato Diodoro li b. V. .cap. Il, quello di Cerere in Enna; forse fu contemporaneo a quello eretto in Catana, creduto antichissimo da Cicerone, in Verve. Di poi furono rizzati quelli di Venere Ericina, di Nettuno sul Pcloro, dei Palici,, di Àdrano, e di Vulcano sull’ Etna, rammentati questi ultimi da Ebano. Dopo secoli, le colonie greche qui si stabilirono , e videro tante Divinità Sicanc e Siculo in magnifici tempii con- sacrati al pubblico culto, per quanto « i poeti greci fecero della Sicilia un Olimpo » al dir dell’ Abate Ferrara. Laonde da tutti i vetusti scrittori rileviamo, la Sicilia sin dalla più remota antichità non essere stata priva d’ in- civilimento; avere avuto leggi e culti religiosi molti secoli prima della caduta di Troja. Ed in quella vetusta età i Fe- nici, primi navigatori e commercianti presso i prischi po- poli, secondo Erodoto, lib. I cap. I, conobbero assai per tempo la fertile Sicilia; si vennero a stabilire sui nostri lit- torali, e nelle vicine isole per mercanteggiare coi Sicoli, al rapportar di Tucidide, lib. VI cap. I. Intatto, un commercio esteso vi praticarono, che non poteva essere di altro che di varie derrate, e principalmente di frumento, chequi sin dalla più alta antichità coltivavasi, al dir di Cicerone, e di Diodoro Siculo, dai Sicani, e dai Siculi pria e dopo la guerra di Ilio. E per tener questo traffico i surriferiti Fenici in Tri- nacria (Sicania ed indi Sicilia per i Siculi denominata) fa d’uo- po dire, che abbianvi trovati popoli agricoltori, inciviliti nei costumi, con leggi proprie, ordinati in società civili; e non - 193 - Ciclopi e Lestrigoni, come le poetiche greche favole can- tarono. Ed altresì oso dire con Girolamo Pistorio (1), che in Ca- tana, più che in ogni altro paese, trovansi obelischi, gem- me incise fregiate di geroglifici, non che medaglie catanèe con le Deità egiziane coniate: sicuri monumenti questi del culto egiziano, dai Fenici introdotto appo i Siculi, primi fon- datori di Catana all’ opinar di Diodoro Siculo, di Bocharto, dell’ Abate Amico, Cordare Clarenza e di altri accreditati storici, checché ne pensino in contrario il Burigny, il Bru- net De Preste ed il Malvica. Conchiudiamo adunque, che i menzionati Ciclopi e Le- strigoni in Sicilia, non solo non furono i primi abitatori di quest’isola, ma unquemai esistettero: e vennero sin dalla più alta antichità creduti soggetti favolosi ed inventati dai poeti, al converso di come energicamente opinarono il Ca- nonico Alessi ed altri storici, i quali sulla bugiarda autorità dei vetusti poeti poggiarono la loro asseverazione. Ma ritorniamo all’Odissèa. Questa come prodigioso ro- manzo e non pure delizioso, secondo l’espressione di Ed- mondo About (Progresso ) si dee riguardare; modello, se vuoi, per i tempi in cui fu dettata, ed imitata dagli scrit- tori venuti assai tardi; ma ciò non ostante da equipararsi alle dicostoro opere poetiche, come all’ Orlando Innamo- rato del Berni, all’ Orlando Furioso dell' Ariosto, che al dir di Voltaire maravigliosamente la superarono, non che al Don Chisciotte del Cervantes, al Gil-BIas di Santillano del Le-Sage ed alle novelle arabe Le Mille e Una Notte. L’ Odissèa conta un gran novero di cementatori ed in- terpreti intorno alla raccontata favola, i quali non lasciano (1) Lettera al Sig. Principe di Torremuzza. Vedi Opuscoli degli au- tori Siciliani, T. XV, Palermo 1774. ATTI ACG. VOI. IV. 27 - 194 - ancor eglino di favoleggiare: pictoribus atque poetis quidlibet audendi semper fuit ceque potestas . Esiodo.— Ed Esiodo pel primo fantasticò, che la Terra dei Ciclopi di Omero era in Siracusa; disse V isola innanzi il porto Ulisseo essere l’Ortigia, e la prossima spiaggia si- racusana la Terra dei Ciclopi. Inoltre T accennato interpetre disse pure, che Ulisse dall’ Ortigia sia venuto ad approdare in queste etnee spiagge. Eratostene però rigetta siffatta in- terpetrazione di Esiodo; imperciocché, non solo Omero non conobbe queste siculo contrade, ma pure egli dissentì di avere Ulisse approdato nelle classiche spiagge sudette: 0- merum ncque ista habuìsse, neque errores Ulyssis voluisse locis illustribus adscribere (1). Eicttfraiie. — Licofrane, annotato da Tzetza, Idillio XI del Ciclope , favoleggiando pure, disse i contorni dell' Etna essere la Terra dei Ciclopi. Ed eziandio furono dello stesso parere il siracusano Teocrito, Strabono , e posteriormente Eustazio e Didimo, contentando eglino 1’ Odissèa: non che Pomponio Mela, Trogo Pompeo, presso il suo compendia- tor Giustino, ed i latini poeti Virgilio, Tibullo, Ovidio, Ora- zio, ecc., ripetono l’ esistenza dei finti Ciclopi nelle etnee con- trade. Euripide. — D’ altra parte i tragici greci presero dai loro consodali poeti i loro personaggi; e così le cantate fa- vole ebbero un posto nella storia poetica in quei tempi fan- tastici e colmi di finzioni. Quindi vediamo nella tragedia, il Ciclope di Euripide, onde i Siciliani andarono entusiasti, al dir di Plutarco , poiché a quell’ insigne tragico piacque far abitare Polifcmo nelle spiagge orientali dell’ Etna. Pure (1) Vedi Strabene, Gcog. lib. I- 195 - è. da notare, che nessun motto Euripide fece del porto in cui approdò Ulisse. Ciò che importa essere la struttura di siffatta tragedia una Ipotesi al dir del messinese Dicearco (1). Epi «parsilo. — L’ inventore della commedia, Epicarmo, tirava i suoi argomenti comici dalle favole della Mitologia, e con nuove finzioni ben li rappresentava. Una di quelle commedie quasi del tutto perdute, ( delle quali frammenti leggonsi in Grozio) portava titolo il Ciclope. FHosseiic. — Filossene di Citerà, che dimorò lunga- mente alla Corte di Dionisio l’antico, fu il primo che in- ventò gli amori di Polifemo e di Galatea: compóse in car- cere (Latomie) una poesia satirica contro del tiranno, tito- lata sugli Amori del Ciclope e di Galatea; con tal nome cliia- mavasi Carnata del Dionisio, che dal poeta viene accusato di ab borni ne voli ed efferati costumi, come per quelli di Po- lifemo si favoleggiò (2) . Teocrito. — Ma osservate meco, Signori, che anco gli antichi poeti sono tra loro di discrepante parere; imperoc- ché Teocrito siracusano (che fu di modello a Virgilio) nello Idiìio VII, fa abitare Polifemo in Siracusa sull’ Ànapo, e non sulle falde orientali dell’ Etna, come altri si avvisarono. Frattanto quell’ eccellente poeta buccolico indi si con- traddice nell1 2 Idillio VI, XI: finge Polifemo non più sullo Ànapo, ma lo situa assiso su di un macigno dell'Etna, e sdegnato non guarda l’amata sua ninfa Galatea, la quale (1) C. Errante, I frammenti ili Dicearco Voi. II, Art. I, Cap. Vili. Palermo 1822. (2) Ebano, Variar. Histor. lib. XII, Gap. 44. Dioiloro Siculo, lib. XV, Cap. II. 166 — trastullasi sulla sponda del mare di Aci-Trczza. Però si de- ve porre mente, che di nessun peso storico sono i personaggi posti in scena da Teocrito, ma finti pastori creati dal poeta, di non peritura fama, al dir di Quintiliano. 0 Virgili». — I vetusti scrittori consultando, vedcsi, che, fra di loro trovatisi di contrario parere sul destino di Enea dopo la caduta di Troja, se siasene, cioè, allontanato op- pure in quel luogo rimasto. Il geografo Strabono rapporta la storia delle varie opinioni sull’ argomento , ma attiensi a quella di Omero: Homerus neque Iris adstipulari vicletur , neque iis quee de Scepsis autoribus dieta sunt. Innuit enim Aeneam mansisse in Troja , in que regnum successisse, et id per sucessionem ad filiorum filios propagasse: cum stirps Priami esset abolita (1). Epperò la venuta di Enea in Italia, navigato avendo prima per la Sicilia, e la fondazione del suo impero nel Lazio, credesi dal Cluverio (Ant. Ital.), da Cesarotti (2), da alcuni letterati, non che da una Società di dotti italiani (3), essere una finzione, una favola inventata dal sommo Virgilio nel suo poema, onde adulare Ottaviano Augusto ed i Romani sulla loro prisca e nobile origine; bassa adulazione usata dal celebre poeta a quell’ Imperatore, che a ragione gli rimproverano lo Alfieri ed il Borghi; ai quali pure sembra accostarsi il commendatore Negri (4) . Quei romani, sì recenti in comparazione delle nazioni Asiatiche, furono cinque secoli senza storici, come è noto: e non dobbiamo sorprenderci nel leggere, che Romolo sia (1) Strabono, lib. XIII. (2) L’ Iliade di Omero. Canto XX, pag. 67 del T. III. (3J Usi e costumi di tutti i popoli dello Universo. Lib. Vili. cap. IL (4) Alfieri, Del Principe e delle lettere. Borghi Storie Italiane T. I, cap. I, Negri, La Storia Antica, Parte IV, cap. L — Torino 1863. 197 — stato figlio di Marte ed allevato da una lupa; essendo che fu usanza degli storici antichi far discendere le loro nazioni da una favolosa antichità, per cui le origini dei popoli ed i loro primi annali sono assurdi, al dir di T. Livio. Su di questa finzione Virgilio compose il suo eccellente Poema, nel quale notansi inverisimilitudini; e fatti poi sto- rici positivi, negletti o travisati furono a bella posta da lui. E basterebbe soltanto citare a dimostrazione di questo vero quei toccantissimi versi per celebrare quel Marcello (1), morto diciottenne e senza nessun merito, figlio di Ottavia sorella di Augusto, e che questi destinato avca a marito di sua figlia Giulia ed a suo successore nell" impero; mentre nes- suna parola dice per M. Tullio Cicerone, nò tampoco per M. Bruto. Trascurò altresì di menzionare i grandi uomini della Repubblica, ed appena di taluni pochi in versi spez- zati fa derisoria menzione. Al postutto Virgilio tradì bas- samente la gloria di Roma per quella del crudele c sangui- noso usurpatore Ottaviano Augusto, ragion per cui le F.neidi non sono storiche verità accettate. Questo principe dei poeti Latini, unanimamente chia- mato da Velleio, Moreri e Tiraboschi, ammise il porto Ulis- seo, seguendogli antichi interpreti di Omero, in cui fece ar- rivare il suo eroe, Enea, nel buio di una notte: situò nelle spiaggie dell' attuale borgata di Aci-trezza quel porto, dietro di che descrisse con i suoi divini versi le eruzioni del to- nante Etna Ignarique vice Cyclopum cillabimur oris. Portus ab accessu venctorum immotus et ingens Ipse ; sed horrificis juxta tonai Aetna ruinis, Niente altro osservar vi possiamo di vero, che la descri- (1) Aeneid. lib. VI, in fine. 198 zione dei fuochi eruttati dall’Etna. Ed in fatto Rueo, uno dei suoi distinti annotatori, dice, che quel Portus Cyclopum a Virgilio fingitur circa litus uhi mine est Catana urbs ad ra- dices Aetnae (1) . Il sommo poeta però non si avvide in quale errore topografico cadeva nei seguenti versi : JSoctem iilam tedi silvis immania monstra Perferimus ; nec , girne sonitum del causa videmus . Or chiaro fan vedere tai versi, che Enea ed il suo se- guito non poteva scernere da quelle spiagge , niente atte a selve o ad antro, (quale si crede aver avuto Polifemo) il luogo donde provenivano quelle spesse detonazioni dello ignivomo Etna, non cadendo sotto i suoi occhi per l’al- tezza delle colline di Àci-Trezza ed Aci-Castello, le quali in epoche geologiche formate si erano , e che nei tempi di Virgilio erano, come attualmente lo sono, inalterate. Dopo adunque di siffatte fantasticarie poetiche, noi non possiamo avere dal chiarissimo Mantovano notizia storica di quell’ immaginato porto Ulisseo. Plinio. —Plinio seniore, che molto attinse dai poeti, visse sotto f impero di Vespasiano e di Tito. Questo grande uomo, studiosissimo oltre modo, compilò un’ opera che abbracciava quasi tutto lo scibile umano ai suoi tempi. Quest’opera immensa conteneva tutte le naturali conoscen- ze di allora, e racchiudeva tutte le umane invenzioni al dir di Buffon. Ma, sebbene sia stata riguardata dai dotti come f unica Enciclopedia latina, tuttavia in essa molti articoli zeppi di favole e di errori ed altri che ripugnano al senso pi) Rucus, in Virgilio ad usimi Ser. Delphini; Acncid- lib. Ili, no- ta 569. - 199 - comune vi si contengono; e basterebbe solo accennare alla sua asserzione, che le cavalle sulle rive del Tago senza ac- coppiamento, per sola virtù fecondatrice dello Zefiro, dive- nivano pregne, per render chiaro ed inconfutabile il nostro dire. Anche la francese Enciclopedia, questa grande opera alla quale concorsero i primi uomini della Francia, fu di- chiarata dallo stesso Diderot, uno dei principali redattori, « una voragine dove ogni specie di affassi latori di ciancie « gittarono confusamente una infinità di cose mal vedute, « mal digerite, buone, cattive, incerte, e sempre incoeren- « ti. » (1). E se il Voltaire aggiungeva a quanto era stato detto dal Diderot, che j’y trouve cles articles pitoyables, qui me font honte, à moi qui suis l'un des yarcons de cette grande boutique , che si può dire di quell’ antica Enciclo- pedia scritta in tempi di pregiudizi]', di false nozioni, in cui le scienze erano sul nascere, e 1’ arte di osservare per nulla conosciuta? Se alcun che di buono trovasi in quell’opera, è ciò che il Plinio ritrasse dai suoi predecessori. È vero eh’ egli erasi proposto rifondere il suo immenso lavoro, e dare ad esso un migliore assestamento, ma la morte gliene tolse il modo. Intanto egli con la scorta di Virgilio e di altri poeti scrisse così sul discusso porto: Scopali tres Cy clopum, por- tus Ulissis, Colonia Catana , lib. Ili, cap. Vili. Da molti scrittori si è fatta autorità di questo passo di Plinio, come il più evidente attestato dell’ esistenza del porto Ulisseo, il quale, a di lui credere, avea la grande esten- sione dagli Scogli dei Ciclopi sin a Catana , lungo 1’ attuale ripa. Ma nulla però dice di quanto in terra internavasi il porto; e veramente non osò dirlo, dappoicchè incon- (1) Vedi Dizionario degli uomini illustri di Feller, su Diderot, rap- portato dall’ Ab. Barruel, Memoria del Giacobinismo, Voi. I, Cap. IV, Napoli 1850. — 2.00 — travansi quello colline di Aci-Trezza estese fin ad Ognina, le quali non permettevano passaggio veruno al mare per internarvisi; nè tampoco porto esister poteva in quelli an- gusti littorali pieni di basalti e di antichissime correnti la- viche, che si estendono sin al nostro Molo. Mi sembra piuttosto, che Plinio abbia voluto chiamare porto di Ulisse la spiaggia, che incomincia dal mare di Aci* Trezza sin alla colonia di Catana. Come altresì volle allu- dere alla Colonia Romana mandata in questa città da Otta- viano Augusto per compensarla dei mali fattile soffrire da Sesto Pompeo: c certamente il Plinio non intese parlare della Colonia dei Calcidesi venuta dalla nostra Nasso condotta da E varco. Per cui tutta questa lunga spiaggia, da quell’ epoca sino ai bassi tempi, alP opinar del chiaro Recupero, Por- to di Catania chiamossi, in cui porto non esistette giammai. Ed infine soggiunger debbo, che ai tempi di Plinio i nostri mari erano conosciutissimi: come lo furono sin dalla più alta antichità. Ed infatto, i Fenici praticarono un commercio attivo presso noi, e successivamente vi commerciarono i Greci, i Cartaginesi ed i Romani; ed è bello T osservare , che i geografi e gli storici di quei tempi, per quanto io debolmente ne sappia, tutti i porti di Sicilia menzionarono e nessun motto fecero dello Ulisseo, mentre che certamente in tante occasioni commerciali e guerresche avrebbero avuta V opportunità di descriverlo, o di accennarlo almeno. Cardinale fllemfio. — Impertanto, V erreur s’établit de bouche en bouche et de piume en piume: il faut des sie- cles pour la detruire. Il Cardinale Pietro Rembo venuto in Catania nel 1537, credè vedere in quel piccolo seno marino, che s’insinua dentro la Terra di Ognina, un avanzo del porto Ulisseo, coperto dalla lava vomitata dal cratere dei Montiarsi di Gravina poco prima della sua età. Inter ma- xima profluvia longe memorabile illud est quod paulo ante nostrani aetatem usque intra Catanam decurrens , non par- vani urbis incendio depopulavit partem. Qain elicmi portimi euni de quo ait Virgilius Portus ab ciccessu venctorum immotus, et ingens Ipse , sed horrificis juxta tonai Aetna ruinis ita implevere fluenta Aetnea, ut jcim errasse Virgiliani putes, quo cì portimi ibi esse ingentem dixerit qui paene nullus est (1), E ci fa sorpresa vedere, come il ciotto Canonico Alessi, scrivendo negli Atti Gioeni, La Storia critica elette eruzioni dell' Etna, non abbia fatta nessuna critica osservazione a tutte le asserite fanfaluche del Bembo non solo, ma pure le abbia accettate e convalidate a di lui credere. Quella lava, al dir di Bembo, coprì gran parte di Catania; ma questa sua asserzione evidentemente viene smentita dalle osservazioni topografiche: dappoiché quella lava non solo non penetrò in questa città, ma lungi corse da essa. Infine asserì di aver questa lava colmato il porto Ulisseo, credendo egli di vederne un avanzo nel piccolo seno di mare della Ognina: ed è questo un errore assai manifesto ; poiché il sudetto seno venne formato dalla stessa lava, corsa tanfi secoli dopo la pubblicazione della favolosa Odissèa. Fazcllo. — Il credulo Fazcllo seguì in tutto il Bembo, e da lui differì soltanto nell7 assegnare all’ accennata lava il corso di lunghezza quasi di miglia ventotto, mentre non se ne contano che cinque (2). • Orosio. — In questa occasione mi richiamo in pensiero quanto in una pubblica tornata della Gioenia espose in un lavoro il professor Ferrara sull’epoca dell’ accennata lava, (1) Vedi Bembo Opere, Dial. de Aetna T. IV. Venezia 1729. (2) Fazello St. di Sic. Dee. I. lib. II, cap. IV, Palermo 1830 ATTI ACC. VOI. IV. 28 quale disse essere quella descritta da Orosio, vomitata dai detti Montiarsi di Gravina 122 anni avanti G. C. (1). Ma sia qual si voglia 1’ epoca di questa lava, non posso però passar sotto silenzio, ciò che di essa dice l’ Orosio. Vi leggo adunque, che in quel tempo Catana mandò deputati al Senato Romano, onde esporgli i disastri sofferti nella loro città dal prossimo apertosi vulcano, il quale per le conti- nuate esplosioni una copia ingente produsse di lapilli, sco- rie e ceneri incandescenti, che qui vennero a piombare , per quanto i tetti delle case tutte di questa città sprofon- daronsi. Ed altresì osservo in quel passo storico, che dai deputati di Catana nessun motto focosi dell’Ulisseo colmato, come volle taluno, da quella eruzione: laddove fra tutti i disastri sofferti dai Catanei in quella memoranda catastrofe quei Deputati avrebbero dovuto a preferenza interessarsi della grave perdita del porto, ove ciò realmente fosse av- venuto. 11 silenzio adunque tenuto da Orosio su ciò in quella congiuntura mi sembra il più bello argomento per inferirne, clic quei favoleggiato porto fu da Virgilio e da Plinio seniore immaginato, i quali vissero secoli dopo alla accennata catastrofe avvenuta in Catana, e menzionata dal chiarissimo storico Spagnolo (2). tarrcra, e Cluveri©. — Carcera descrisse 1' Ulisseo, come se in realtà fosse stato sotto i suoi sguardi. Lo im- maginò in Ognina: vi si entrava per due imboccature in (1) Ferrara, Sopra la Eruzione dell’ Etna segnata da Orosio nel 122 inanzi G. C. — Vedi Atti dell’ Aec. Gioenia Tomo X, Prima serie. (2) « Eodem tempere Aetna mons ultra solitimi exarsit, et torren- « tibus igneis superfusis latique cireum fluentibus, Catanam urbem « fineisque tjus oppressi!,; ita ut teda aedium ealidis eineribus preusta « et praegrav; la, corruerent, cujus Kvandae cladis causa, Scnatus (Ro- « manus) decerli annorum vcetigalia Catanensibus remisit. » Orosius, lib. V, cap. XIII 203 - una dal Gatto , c nell’ altra da levante, ove attualmente tro- vasi la chiesa della Madonna dell’Ognina: tra 1’ una e l’al- tra imboccatura si vedeva l' isola menzionata nell' Odis- sèa, che avea la circonferenza quasi di due miglia; men- tre questo ingente scoglio basaltico, impropriamente chia- mato isola, vedesi nella spiaggia di Aci-Trezza distante da Ognina circa quattro miglia. La larghezza del porto era di un miglio; s’ internava sino alle alture della Licatia, di- stante dal mare tre miglia. Quale assurdità! (1). Egli , onde far certo I’ Ulissèo, menziona la supposta iscrizione del Biondo, nella quale era impresso, che la Dea Ognia dominava il porto; essa iscrizione fu negata non solo, ma posta in ridicolo dal tedesco Gualterio; come gran parte delle iscrizioni monumentali esistenti presso vaiai popoli sono state credute apocrife dai dotti archeologi. Poscia il Carrera energicamente combatte Filippo Clu- verio, per aver costui negato quel porto in Ognina, ove il catenese storico arbitrariamente situato lo aveva. Le parole dell’illustre Cluverio son queste: Quarti ingens hic ante istud incendium fuerit portus , equidem ignoro (2) . Il Cluverio indi opinò di situare il ripetuto porto pri- ma in Sifonia; poi in Pachino, ove un antico porto esiste- va, in cui Ulisse approdò, come taluni opinano; e finalmen- te fece abitare Polifemo in Erice, per lo immaginato cada- vere gigante ritrovatosi in un antro alla base di quel mon- te, al dir di Fazello; donde colui ne arguì falsamente, che il famigerato Ulisseo era quello dell’ attuale Trapani, e riso- la quella che sta innanzi al ridetto porto la Favignana, chia- mata un tempo Capraria -, distante da Trapani dieci miglia. Certamente era impossibile potersi udire da quell'isola il * (1) Carrera, Memorie storiche di Catania lib. II, cap. IV. (2) Sic. Ant. lib. I. cap. IX. — 204 - vociferar dei Ciclopi, e delle pecore il belare, come lèggesi nell’ Odissèa. €■ rossi, Aulirò, Recupero. — Ciò nulladimeno, Gros- si, l’Abate Amico, Recupero, ed altri catanesi scrittori lo am- misero, sol perchè lo lessero nelle favolose poesie antiche, e non trovandolo più nei luoghi segnati dai poeti, si lam- biccarono il cervello per fissare, sempre congetturando, il tempo in cui fu colmato dalle etnee lave, Carcera loc. cit. , crede ciò sia avvenuto nel dodicesimo secolo, ignorando quale sia stata quella lava. Grossi asserisce, che fu colmato nel 1408 (1). Ma quale fu quell’altra lava che arrivò al mare, e ne coprì il porto? L’Ab. Amico lo disse (mimato nell’incendio del 1381, quantunque ne dubiti (2). Il Canonico Recupero crede, che il menzionato porto sia stato distrutto dal corso di due lave, una delle quali an- tichissima, clic dalla spiaggia di questa città si prolunga lungo la costa marittima sino allo Spilinghetto; e saggia- mente opina esser questa lava colata nei remoti tempi dei Sicani: però lo esimio scrittore omise di riflettere, che i Sicani, ai quali successero i Siculi, abitarono queste con- trade secoli prima della guerra di Troja: mentre Omero nacque, secondo Drcyss, [dir orologio unir er selle 1864) cinque secoli dopo la catastrofe di quella città dall’ eccellente poeta cantata poscia. La seconda lava, dal Recupero notata, fluì dal cratere Montiarsi di Gravina, scorse in parte sulla prima ed arrivò in Ognina, di poco oltrepassando la prima istessa. Gli scrittori del paese, interpetrando la cronica di Si- mon Leontino dissero, che siffatta lava corse nel 1381 , e colmò 1’ Ulisseo. \ , . . (1) Cat. Decadi. Chor, V. (2) Cat. Illustrata T. I. Ma osservate meco Signori, che la citata cronica vera o falsa qual si sia, non fa di altro menzione, che di aver essa corrente lavica soltanto bruciato gli ulivi che erano intorno la città di Catania, e tiene poi profondo silenzio del distrutto porto; quindi ne segue, che quel famigerato porto non esisteva nel 1381, come in nessun tempo esistette. E se nei bassi tempi gli storici patri i asserirono la esi- stenza dell’ Ulisseo, indi denominato Porto di Catania, il Re- cupero ha contro loro «prova convincentissima nel Diplo- « ma del Re Alfonso, il quale accordò a questa città la som- « ma di tre mila scudi d’ oro dalle tratte, ossiano dazii spet- « tanti al Regio Erario sopra tutti i frumenti, che si estrae- « vano da essa per salario dei professori della Università; « ed in questo Diploma si dà alla nostra aperta marina il « nome di Porto. » (1) Di più, leggesi nel dotto scrittore delle Osservazioni sulla Storia di Catania , che lo stesso re Alfonso nel 1445 mostrar volendosi grato ai Catanesi un,, molo da costruirsi concedette, assegnando once seicento annue sopra le tratte dei caricatore. E quel che più rilevasi in siffatto diploma si è, che varii sovrani a lui anteriori avevano a ciò prov- veduto: Molus dictae civitatis per illuistres praedaecessores nostros inchoatus continuetur, construatur, conjìrmeturque , et perjìciatur . Vedi Dipi, regis Alphonsi in Arch. cit. lib. privi 1. pag. 153. Prof. Mario Musuincei. — Il chiarissimo Musumeci, scrivendo sull’ anfiteatro di Catania (2); sostiene di essere antichissimo, contro la opinione di Maffei, il quale crede di non esservi stati anfiteatri stabili pria del Flavio in Roma, da recente illustrato da Alfonso Maria Ubaldi: mentre il Mat- ti) Recupero Slor. nat. e gen. dell’Etna; T. II, eap. IV, Catania 1815. (2) Opere archeologiche ed artistiche, voi. II, cap. II e III, Catania dal 1845 al 1851 206 - lei viene smentito da positive osservazioni archeologiche; dappoiché in Pozzuoli osservarsi i ruderi di un antiteatro murato anteriormente ai tempi di Augusto; come pure ve- desi in Pompei un altro anfiteatro stabile: e per maggior- mente provare la remotissima antichità del catanese mo- numento (certamente rizzato dopo che qui venne la Colo- nia Romana, come taluni opinato avevano pria di Serra- difaleo e di Garruccio) il Musumcci immaginò un altro sito deU’Ulisseo, allontanandosi di quanto detto ne avevano Virgi- lio e Plinio. Asserì che l’Anfiteatro fu innalzato sopra anti- chissima lava, alla quale dopo secoli un’ altra corrente la- vica sopravvenne « che coperse dalla parte settentrionale il « sudetto Anfiteatro » situato presso la spiaggia (t). Ma le due diverse lave da lui asserite non sono che una sola, la quale colò nei tempi dei Sicani sino all’attuale spiaggia; quindi ne consegue, che l’anfiteatro non fu rizzato sull’ accennata spiaggia, ma assai tardi fu eretto nel corso della notata lava; come appunto lo furono prossimi a quel locale i monu- menti sepolcrali di Caronda, Stesicoro, Fratelli Pii, ed in cui i Catanei stabilito avevano il pubblico loro Cimitero, in- (1) A questa remotissima lava, colata in epoca assai anteriore alla fondazione di Catana, furono assegnate diverse epoche. Il Prof. C. Gem meliaco crede essere quella dei Fratelli Pii. I Pro- fessori Maravigna, e G. Garruccio opinano, che la seconda lava che in- vase all’ occidente la piccola porzione dell’ accennato Anfiteatro sia stata quella tremenda del 1669. Sono errori massimi profferiti da questi insigni professori — Vedi Gemmellaro, Saggio di Storia fisica di Catania. Atti della Gioenia, T. V, serie seconda. Dippiù in un altro di lui articolo anonimo nel Giornale del Gabinetto Letterario dell’Accademia Gioenia, volt. fase. 4, Genn. c Febb. 1854. Maravigna, Tavole sinottiche dell’ Etna: Tavola III, eruzione del 1669. G. Garruccio, sulla origine dell’ Anfiteatro di Catania; Napoli 1854. — 207 — torno al quale abbiamo qualche lavoro pregevole del dotto mio amico Canonico Giuseppe Coco-Zanghì, zelante collettore di oggetti appartenenti al medesimo necroterio. E proseguendo a congetturare, il Musumeci pure im- maginò, che il mare di allora internavasi dal piccolo seno dello Armisi sino a lambire la collina del Monte Vergine , dal quale, a suo pensare, 1’ antica Catana dominava il sot- toposto mare. Ed infine diede esistenza ad una curva che dalla Plaga si estendeva alla marina di Catania e di Lognina; ed in que- sto ideato marino seno allogò il ripetuto porto Ulisseo. Ognuno chiaramente vede qual peso debba darsi a que- ste fantastiche osservazioni vulcano-geologiche su questo suolo, abitato un tempo dai Sicani, ed indi dai Siculi, ed ove il Musumeci situa in sognato bacino V Ulisseo, del quale si parlò la prima volta dai poeti, secoli dopo la caduta di Troja. E questa città secondo Boeharto, era in origine una borgata fondata dai Siculi, i di cui monumenti giacciono per le concordi osservazioni fatte dai'' patrii scrittori, sotto la lava dei Fratelli Pii, lungo il sotterraneo oggi Amenano: e non solo in quei remoti tempi non esisteva il supposto bacino dell’ Ulisseo porto, ma neppure memoria monumen- tale veruna attesta, che questa città sia stata edificata in quei remoti tempi sul Monte Vergine. Poscia il nostro autore parla di tempi storici più cono- sciuti, e maggiormente si conferma nella certezza sull' Ulis- seo , adducendo l’ autorità di Tucidide, a suo modo inter- petrata, che, cioè, nella spedizione degli Ateniesi contro Siracusa quella navale loro fiotta ancorò nell’ Ulisseo di Catana. Ma con buona grazia dell’ illustre scrittore mi rammento di aver ricavato dalla storia, che le flotte di allora non ave- vano, come le attuali, bisogno di porti. Ed infatti nell’ oc- casione di quella spedizione leggesi nello stesso Tucidide - 208 - che gli Ateniesi con la loro flotta arrivati in Reggio, e non essendo ricevuti in città, si accamparono nel luogo consa- crato a Diana; « e tirate in sull’ asciutto le navi stettero quieti» (1). Arrivati poi in Catana vi posero il campo; e la flotta divisero in due luoghi, una qui rimase, e l’altra porzio- ne in Nasso di Sicilia mandarono, ed in entrambi i luo- ghi a secco futirata. Ed egualmente da Plutarco, in Nicia, rileviamo, che in Catana giammai vi fu porto: dappoicchè Nicia dopo T ottenuta vittoria sopra i Siracusani combattuta vicino il tempio di Giove Olimpio partì con la sua nume- rosa flotta, e si ritirò nel predetto Nasso in cui svernò, ed ove, come si sa, non vi era porto; in quella che gli ardi- mentosi Siracusani portaronsi in Catana, devastarono que- ste terre, ed il campo degli Ateniesi incendiarono. Indi il Musumeci ricorda, la battaglia navale tra i Si- racusani ed i Cartaginesi avvenuta nel lido di Catana, e la totale sconfìtta dei primi, comandata da Leptine, descritta da Diodoro Siculo; e la menziona, onde dar prova sicura, a suo pensare, dell’ esistenza dell’ Ulisseo. Però i fatti sto- rici raccontati da Diodoro, da lui citato in appoggio, fanno chiaro vedere, che qui non esisteva porto: imperciocché Dionisio rapidamente si portò in questa città priacchè giun- gesse Imilcone, il quale col suo esercito fucostretto mar- ciare dietro l’Etna, impedito di poter seguire la propria flot- ta lungo le spiagge orientali per causa dell’accaduta eru- zione del nostro Vulcano, la di cui scorrente lava era arri- vata sin al mare, tra il capo Schisò, ed Aei-Reale, secondo Recupero e Ferrara (1). (1) Tucidide, Guerra del Pelop. lib. IV, n. 44. (2) Vedi Diodoro Siculo: lib. XIV. Orosio Hist. lib. II, c-ap. XVIII. Ab. Amico, Supplimento al Fazello nella vita del vecchio Dionisio. Ferrara, Storia di Catania, parte prima, pag. 12 e 13, Catania 1829. Cordaro-Clarenza, Osscr. sopra la Storia di Catania, cap. secondo, sezione prima, art 44. Catania 1835. — m Perlocchè, Dionisio occupata Catana, dispose il suo eser- cito bene schierato sul nostro lido, sulla ragione d’ incutere timore al nemico; « c quello che è più, in caso di sinistro « evento, faceva assegnamento che le navi, che avessero « sofferto, un rifugio sicuro avrebbero trovato presso il suo « esercito: » Diodoro ib. Indi, dopo la vittoria riportata dai Cartaginesi, costoro, vinta la combattente flotta di Dionisio, si portarono a di- strurne gli avanzi; « c siccome i legni di carico erano po- « sti in fila verso il lido, li prendono, ed ammazzano quanti « cercavano nuotando portarsi all’esercito ». Ciò avvenuto, successe una procella: « gli Africani vincitori tirarono a « terra la loro flotta, perchè Dionisio portato avea 1’ cser- « cito da Catana in Siracusa. » Dietro di che l’ignoto oratore Teodoro rimproverò in una conciono Dionisio per i molti falli commessi in quella cam- pagna; e scopo di tutta la conciono si era, d# incitare i Si- racusani a rovesciare il tiranno, e proclamare la Repubblica. Frattanto il Musumeci, travolgendo 1' argomento di quello oratore, profitta di una di lui, forse equivoca espressione, che Dionisio, cioè, diede battaglia navale ai Cartaginesi sul lido Catanèo, permettendo « clic si combattesse presso la « città con la mira, clic i battuti potessero ripararsi in porti « amici» » Or questi porti amici non esprimono, come si è veduto, che in Catana vi erano porti, ma piuttosto de- notano uno scampo sicuro a quei legni battuti nella mischia, protetti venendo dall’esercito schierato lungo la riva, come rilevato abbiamo dalla superiore descrizione tramandataci da Diodoro Siculo. Ed a questo proposito osservo pure, che gli errori de- gli scrittori catanesi sono stati provenienti dal falso para- gone clic fecero delie flotte degli antichi, formate di galèe, e triremi, con le flotte attuali composte ili vascelli e fregate, abbisognevoli di profonde acque: mentre i navigli dei remoti atti acc. vol. IV. 29 tempi erano tirati a terra, non bisognando di porto veruno, come era uso presso i Greci, secondo Goguct ( V Arte mili- tare dei Greci). Anzi per aver un’ idea della picciolezza del- l’antica marina, ci riferiamo ai disegni ed ai modelli che tro- vatisi in Giulio Ferrano ( Costume antico e moderno di tutti i popoli) e nell’Opera redatta dai dotti italiani Usi e costu- mi di tutti i popoli dell3 Universo. Prof. Cau. Alessi. — Il rinomato Canonico Alessi fece appello a tutti i poeti greci e latini; e giunse a citar pure gli scrittori clic dell’ Ulisseo parlarono nel secolo decimo- quinto, onde con l’asserzione di eotestoro provare resistenza di quel porto. Egli poscia immagina un seno marino, che internavasi sin a lambire ii castello Ursino: quel fantasti- cato seno indi lo crede colmato dalla immaginata lava del 1470, che, falsamente riferisce a quella di sopra menzio- nata dal Bembo e Fazello, la quale, dice, di aver occu- pata gran parte della nostra città, sepellendo gli antichi monumenti. Ma al contrario di quanto opina vedesi; im- perciocché quella lava, così erroneamente da lui giudicata, è di remotissima epoca, di assai anteriore alla fondazio- ne di Catana: essa lava poi è certamente un braccio di quella stessa dallo Àlessi accennata, la quale sgorgata dalle al- ture dell’ Etna inondò il Borgo, porta Stesicorea, la spiaggia del molo c di S. Francesco di Paola. Indi l’esimio Professore portò parere, che V immagi- nato seno congiungevasi al gran porto Ulisseo creduto in Ognina; e soggiunse che, « il porto fu ricolmo in varie età da molti profluvi dell’Etna, di cui si osservano le varie correnti. » Or in quei locali, in cui impiantasi l’immaginato porto, due soltanto sono le correnti laviche e non molte. Una è antichissima e occupa tutta la spiaggia a partire dal nostro molo fin allo Spilinghetto; e lungo questo littorale non era possibile esservi porto veruno. La seconda lava è di as- sai posteriore alla prima, vomitata dai Montiarsi , come si è detto, e che fluì a cominciare dalla Licatia sin al mare sulla prima lava, e mostra il suo fronte alle onde dal sito così detto S. Giovanni li cuti sino all’Ognina. Egli interpetrò pure a suo modo, per la bisogna, alcuni passi storici di Tucidide, di Diodoro Siculo e di Plutarco , come fatto aveva il Musumeci: onde sarebbe superfluo ri- petere le critiche osservazioni da me fatte sul!’ assunto. In ultimo lo Alessi insiste a sostenere la reale esisten- za del discusso porto nell'occasione della sua Relazione Accademica dell’ anno IX, T. X, prima serie degli Atti Gioe- nii, per aver il Prof. Ferrara negato l’Ulisseonel suo Di- scorso sopra la eruzione dell' Etna segnata da Orosio nel 422 innanzi G. C . (1). Ed in quella congiuntura lo combatte vigorosamente. Ma che cosa di nuovo gli risponde ? Niente altro di concludente, che quanto detto aveva sullo argo- mento nella sua Storia critica di Sicilia, T. I Parte se- conda, Cap. X art. IV. E nel Discorso quinto della storia critica delle eruzioni dell ' Etna ; Atti Gboenii T. VII, prima serie . Prof. C. G calimeli» ro, e Cav. idi» nardo li^o. L’egregio poeta e dotto scrittore Lionardo Vigo, della di cui amicizia molto mi onoro, in una sua pubblicata scrit- ta (2) opinò, che il porto di Ulisse esistette un tempo in Sifonia, sita, a suo credere, nell’ oggi Capo dei Molini. Il motivo di quella scritta si fu che Catania volendosi murare (1) Atti della Gioenia, T. X, prima serie. (2) Ricerche sul luogo ove esisteva il porto di Ulisse: Giornale per la Sicilia, n. 153, anno 13, voi. 51. Vedi pure Notizie storiche della città di Aci-Reale, cap. II, e nota 13, e li. Palermo 1836. — Dippiù il Ruggiero, canto XV, 32, e 33, Catania 1865. un molo a proprie spese , il Vigo istanza va presso il Go- verno di allora di murarsi nel Capo dei Molini . Altresì il Sindaco-Patrizio di Aci-Realc una Memorici anteriormente scritta ne aveva, e per appendice pose il porto Ulisseo nell’ accennato Capo dei Molini. I nostri Mancini, Tedeschi, ed altri dotti deir una e del- l’altra parte scrissero sul proposito, il cui totale resultamento si fu, clic dietro Sovrana disposizione, il molo fu murato in Catania. Pria però di siffatta disposizione governativa il sommo nostro geologo prof. C. Gemmellaro faceti osservare al Cav. Vigo, (I) dietro la descrizione topografica di quei locali, che in quel promontorio (Capo dei Molini ) non poteva esistere porto veruno, c che in tutti i promontorii del mondo nes- sun porto si trova; (mentre i geografi non pochi ne rappor- tano'. Dippiù faceva vedere il Gemmellaro ad evidenza, che lungo quella spiaggia da Aci-Trezza ad Aci-Castello neppure porto naturale esister poteva (2). Però abbracciar volendo l’erronea tradizione, perpe- tuatasi in questa città sinai nostri giorni, fissò, a sua ma- niera di pensare, il vero sito dell’ Ulisseo: lo immaginò, seguendo Bembo, Fazello, Carcera e Serradifalco, nello Bo- tolo, ed il Gatto tra Catania ed Ognina (luoghi occupati da remotissima lava], dimenticandosi egli di quanto detto aveva in altra occasione , cioè, che « queste lave preesistevano (1) Gemmellaro, Brevi cenni sulla topografia dell’antico porto di Ulisse, Catania 1835. (2) L’illustre Malvica seguendo l’ itinerario di Omero tracciato nei libri IX, X, XI e XII dell’ Odissèa fa osservare al Vigo, che Ulisse giam- mai approdò nelle spiagge dell’Etna; come prima detto aveva Erato- stene ila me citalo di sopra. Vedi Malvica; Effemeridi scientifiche e letterarie per la Sicilia, Tomo XIII. Palermi 1835. « certamente all’epoca della rovina di Troja» (1). Indi crede osservare un basso terreno in fondo di una baja, che dal- 1’ accennato Gaito e lo Rotolo internavasi sino alle cosidette Ripe e Grotte dette colombe , ed in quel sito pure immaginò un antico bacino, il quale formava un gran porto. Conget- ture son queste, clic vengono smentite dallo esame geologico di quei locali. Frattanto il Cav. Vigo, appoggiatosi alle favole raccon- tate dai prischi poeti greci e latini, ed altresì alle incerte autorità di Maurolico, di Bonfiglio, di Fazello, di Massa ,di Carcera, dell’Abb. Amico ed altri storici sì antichi che mo- derni, credette sostenere, che l’antica Sifonia, il suo Capo ed il porto Ulisseo fossero un tempo nel Capo dei Mollni. Ed io nulladimeno, ponderando le ragioni da lui addotte sull’ assunto, non ne ricavo nessuna storica probabilità. E di fermo, Sifonia ed il porto Sifonio dall’esimio Vigo inter- petrato per 1’ Ulisseo, con tutta certezza storica era nella sicula Megara; l’attuale Augusta prossima al Capo Santacroce , checché ne dicano Arezzo, Fazello e taluno altro, i quali seguirono l’equivoco passo di Strabone: ed il notovi, o Si- gnori, seguente passo del geografo Scilace, ripetuto ed ab- bracciato dallo Ab. Ferrara, da Vincenzo Natale, ila Gem- mellaro, padre, e da tal’ altro, fa chiaro vedere il sito di che si parla: « II Fiume Simeto, e la città di Megara, ed il « porto X i fo nio; in continuazione poi di Megara havvi Si- « racusa ». Laonde il dottissimo Cluverio soggiunge chiara- mente: Xiphonia Iiaec urbs nulla alla esse potest quarti quae nunc vulgo Augusta dicitur , inter celebriores Slciliae urbes computata ; anno a nato Jesu 1229 a Friderico II Romano Imperatore ac Slciliae rege instaurata . Inter liujus penin- sulam in qua sita est, et proximum versus occasum lltus (1) Gemmellaro, Atti dell’ Accademia Gioenia, T. VI, prima serie. Memoria sopra un masso di lava corroso dalle acque marine. portus sese insinuai hodieque celeberrimus; qui antiquorum ille est Xiphonìus portus (1). L’esame critico adunque, che abbiamo fatto su tutto ciò che gli antichi e moderni scrittori emisero sul conto del por- to Ulisseo, non ci ha fornito probabilità alcuna dell’ esisten- za di questo porto. Ma ciò non basta; alle prove che abbia- mo tratto dalla storia è giocoforza aggiungere quelle che può somministrarci la scienza, ed in particolare la geologia degli indicati luoghi, lo che faremo nella parte susseguente del no- stro lavoro, per cancellare una volta per tutte dalla storia catanèa il porto in quistione. (1) F. Cluverio, Antiq. Sic. lib. I, cap. XI. PARTE SECONDA. Descrizione geologica «lei dintorni di Catania «li retta a provare la insussistenza «lei port<» VJlisseo. Libres de tonte autorité nous n’avons consulte que la nature, qui ne nous egare jamais lorsque nous l'interro- geons sans prejugès et avec attention Giubert, Hist. des pi, de Europe, voi. I. L’ idée du vrai doit encore plutót son de- veloppement aux progrès des scienees Luis Bcciiner, Forc. et Mat. Pur troppo vi è noto, illustrissimi Signori, che sin dalla più alta antichità queste etnèe spiagge furono conosciute; e i primi poeti Greci ed indi i Latini intorno ad esse mi- tologiche favole, maraviglie e metamorfosi inventarono, e quanto di più strano la loro esaltata immaginazione seppe ideare. Vi tìnsero altresì , al dir di Apollodoro, e Pindaro, il combattimento dei Titani contro Giove per detronizzarlo, e come cantò Ovidio Affettasse ferunt regnimi coeleste gigantes Altaque congestos struxisse ad sidera montes. Però, riuscito vittorioso il supreme Nume, sovraimposc ad Encelado il nostro Etna, nella cui fucina, giusta il favoleg- giar di Esiodo, i Ciclopi Sterope, Argo e Pronte fabbrica- vano i fulmini per Giove, e le armi agli eroi sotto la dire- zione dì Vulcano. - 216 - Dopo il corso di lunghi secoli Recupero, Dolomieu, e Brocchi queste classiche contrade descrissero. Ma più di tutti gli altri, i socii della Gioenia, Ferrara, C. Gcmmel- laro, Bongo, Alcssi, Maravigna ed Intorlandi vi portarono dotte ed accurate osservazioni geologiche ed oi ittognostiche, che di molto hanno influito al progresso della scienza. Tuttavia, e malgrado tante scientifiche elucubrazioni all’ uopo egregiamente durate, queste contrade sempre più prestano materia a nuove ricerche. Perlocchè uno sguardo vulcano-geologico ancor io ardisco dobol mente portarvi, onde servire al mio principale argomento. Fa oggetto delle mio osservazioni la costa marittima da Catania sin al Capo dei Molini: la catena delle colline soprastanti a questa lunga spiaggia, le quali daessainnol- transi sino al Fasano , costituendo così un gran semicerchio, del cui compresovi terreno pure vi farò parola. L’accennata spiaggia mostra varie correnti di lave et- nèe, clic sonosi avanzate sino al mare in diversi tempi, of- frendo alle onde marine un fronte non interrotto lungo la sponda . La prima lava, che si presenta, è quella di Villascabrosa , del Sig. Principe di Biscari, a sud della nostra città. Pro- venne essa dalla formidabile eruzione dei Montirossi, presso Nicolosi in marzo 1669, come vi è noto: s’ introdusse in mare per 1’ estensione di due chilometri circa , secondo i nostri patrii scrittori, Tedeschi, Mancini ed altri, contempo- ranei a quella ingente eruzione, la quale seppellì villaggi, fertili terre, c fu di gran disastro a Catania. È questo corso lavico, che segna da questa parte il pri- mo limito marittimo dell’ Etna; non è la foce del Simcto, come generalmente i nostri vulcanologi ammettono contro la verità del fatto. Imperciocché, al di là di questo corso di lava non trovasi che terreno alleviale, il quale costituisce tutta la estesa Piana di Catania; come chiaramente pure fece - 217 vedere il sommo Prof. C. Gemmellaro in un suo — Cenno Geo- logico sul terreno della Piana di Catania, inserito nel to- mo tredicesimo, prima serie, degli Atti Gioenii. E, come dopo scrisse il Sig. Lyell: Les dépóts d1 alluvion de la vallèe du Si moto soni d la fois marins et fluviatiles; ces derniers con- tiennent quelques restes d’ animaux terrestres éteints, mais l’ensemble est probablement de date post-pliocène , et contempo - rain de la parile suba-ór tenne de l'Etna. Vedi Lyell, Les la» ves du Moni Etna. Gènere 1859 (1). In seguilo della prossima sponda del nostro Molo un (1) Ed a questo proposito è da osservarsi altresì, che le alluvioni del Simeto (lo diluvium di Bucìdand) hanno trasportato in mare gran- di .materiali arenosi, i quali vengono continuamente rigettati dalle onde nella spiaggia, ed hanno formato, dopo lungo tempo, immense Dune lungo il nostro golfo. Queste Dune abbisogna fissarle; e sarebbe di grande utilità e vantaggio piantarle, come sembrami, del colossale albero Eu- cahjptus Globulus, presso noi introdotto dal socio Gioeuio Cav. Giacomo Saechéro. Questa spiaggia sabbionosa, da noi chiamata Plaja, si è di molto avanzata sul mare, ed insensibilmente ad innoltrarvisi prosieguo; e se- condo le osservazioni del professore G. Gemmellaro (loco citato ultima- mente) si è avanzata da 284- anni a questa parte in ogni anno palmi 3 circa; e quindi a ragione prevedesi, che dopo secoli interrerà il prossimo nostro Molo da capo a fondo colmandolo, come lo furono per simili cause i porti di Ravenna, di Adria, e talun’ altro nei tempi storici. Ed oltre le agitate onde marine, che, come si è detto, conti- nuamente trasportano le arene dalla lunga spiaggia del golfo, deposi- tandole nel fondo del Molo; molto contribuiscono ad interrarlo attual- mente, non solo i continui trasporti arenarii etnèi del sotterraneo, oggi, Amenano; ma viemmaggiormente le acque pluviali che cadono in città, le quali in sotterranei fabbricati acquidotti incanalate fluiscono, come a grossi torrenti, nel bacino del Molo , trasportando seco immondezze di ogni sorta; talché vi abbisognano pronti e saggi provvedi menti, onde un futuro e disastroso danno impedire. ATTI ACC. VOL. IV. 30 più esteso antichissimo corso di lava osservasi sino allo Sp Mughetto. Indi vaghe e pittoresche grotte, numerose, in- cavate dal tempestoso mare, vedonsi in quel fronte di lave, tra le quali primeggia Gr utict pire lata . Inoltre vi s’incon- trano varie sorgenti di acqua dolce, come quella appel- lata delle capre. Tutto questo fronte marittimo presenta una lava altissima, notevole, più che in ogni altro luogo, nel così detto Salto del Corvo, le cui spalle poggiano sul la- tifondo sassoso del Signor Cannizzaro. Da per tutto poi colossali macigni vulcanici fanno argine al mare, contro i quali , ai tempi di Agatocle (anni 306 prima di G. C: se- condo Dreyss, Chr. Univ.)vennea rompersi, sbalzata dalla tempesta, la flotta Cartaginese (1). Questa lava da lunghi secoli esposta continuamente alle marine onde, e proba- bilmente per 1’ azione chimica del cloruro di sodio, si è in parte ridotta alla forma di vespaio, per servirmi della espres- sione usata dall’ illustre Gemmellaro (2). La sua epoca rimonta ai tempi dei Sicani, primi abi- tatori di queste nostre contrade, come opinò il nostro Pli- nio etneo, Recupero, scortato da Diodoro Sic. (3). Anzi i predetti Sicani per questa eruzione, che più anni proseguì a dar torrenti di lava, secondo lo stesso Diodoro, già oltre di trentaquattro secoli addietro al calcolar dell’Abate Ferrara, questi luoghi abbandonarono, e fissarono il loro domicilio al Sud-Ovest della nostra isola. Indi un secolo circa prima del- la caduta di Troja i Siculi dall’ Italia provenienti vi fermaro- (1) Fazello St. di Sicilia , T. IV, Deca II, lib. IV, Cap. I , Paler- mo 1831. (2) Gemmellaro, Atti Dell’ Aec. Gioenia voi. VI. Pr. serie , seme- stre 1. Memoria sopra un masso di lava dell’ Etna corroso dalle acque marine, Catania 1 832. (3) Recupero, Storia Naturale e generale dell’Etna, T. II, Cap. III. Catania 1815. — 219 - no i! loro domicilio, corno concordemente ci tramandarono Tucidide, Diodoro Siculo, Dionisio d’ Alicarnasso ed Ellaniao, checché ne opinasse l’egregio Scinà, il quale inclina piutto- sto a credere, contro V attestato di Diodoro, che i prefati Sicani abbandonarono queste contrade, non per la predetta eruzione etnèa, ma per le pretese eruzioni di allora dei vul- cani estinti del Val di Noto, delle quali non abbiam nessun cenno storico. (1) In mezzo alla suddcscritta lava, che oso chiamarla dei Sicani, vedesi in Ognina il corso di un’altra, colata in par- te sul letto della prima molti secoli dopo: questa s’ innoltrò in mare un chilometro circa al sud-sud-ovest dell’ attuale bor- gata Ognina; formò un piccolo seno di mare, spalleggiato ad oriente dall’ opposta antichissima corrente lavica, di cui or ora è stata parola. Fu un’illusione di Bembo, Fazello , Carcera, Arezzo, Brocchi, Alessi, Gemmellaro, e di talun’al- tro, che questo seno siastato un avanzo del porto Ulisseo: avvegnacchè chiaramente osservisi esso seno essersi forma- to della menzionata lava molti secoli'1 2 dopo alF epoca dei racconti contenuti nella favolosa Ulissèa. L’ accennata lava scaturì , come è noto, dal cratere laterale Montiarsi a nord del villaggio Gravina. La sua epoca è incerta: Ferrara la riferisce a quella segnata da Orosio nell’anno 122 innanzi G. C. (2). D’altra parte i nostri vulcanologi opinarono asseve- rantemente essere la lava in parola quella pigliata in nota dalla Cronaca di Si mone Leontino. Impertanto abbisogna fissare la nostra attenzione su queste due opposte opinioni. E primariamente, quella del Signor Ferrara non può (1) Scinà, Storia letteraria di Sicilia nei tempi Greci. Introduzione: Napoli 1840. (2) . Ferrara Sopra la eruzione dell’ Etna segnata da Orosio nel 122 innanzi G. G. Vedi atti dell’ Aec. Gioenia Tomo X Prima Serie. accettarsi unquemai; imperocché, chiaro dimostrano la sua insussistenza i vetusti monumenti che trovansi sì nella sca- turigine, che nel termine del corso tenuto dalla menzionata lava de1 Montiarsi, i quali sono stati da recenti osserva- zioni posti in luce. Alquanto al disotto del cratere di quella eruzione nella nuova strada a ruota , la quale unisce i due villaggi Gra- vina e Tremestieri , dovendosi essa livellare, si dovettero sgombrare quantità di masse laviche di quell’ allora ignea corrente sino al sottoposto terreno vegetale, e questo scava- to a poca profondità, vi si sono rinvenute medaglie imperiali in bronzo di prima forma, che io serbo, nella più conser- vata delle quali leggesi Alessandro Severo Augusto: e se- condo gii storici, egli fu eletto Imperatore a pieni voti l’an- no 222 dell’èra cristiana. Inoltre osserviamo pure nello Rotolo, estremo locale in cui arrivò detta lava, e distintamente nella contrada chia- mata San-Barnaba gli avanzi di un antico edilizio, il quale dalla parte meridionale trovasi investito dalla lava corsa dai detti Montiarsi : di quell' edilizio si vedono esistere varie mura; ed altresì vedesi altro avanzo di una grande nicchia, o abside, coperta da volta, il cui sesto accenna all’ architet- tura così detta gotica, trovandosi di forma quasi acuta: l’ in- terposizione poi dei mattoni di epoca romana nei cunei del- l’arco han fatto supporre a taluni di essere siffatto avanzo da riferirsi all’ epoca successiva alla caduta dall' Impero Romano, e propriamente la cui costruzione risale verso il mille di no- stra èra; come pure rapportar si debba 1’ edifìcio all’archi- tettura archiacuta. In quanto all’altra seconda opinione, ecco quello che leggesi nella Cronaca di Simonc Leontino: Anno Domini 1381 V augusti viimi un foca lu jornu di lu Salvatimi di Mongi- bello et arsi tutti li arbitri et aulivi chi erano appressa et attor nu la gì itati di Catania. L’abate Amico interpetrò, che la lava accennata nella Cronaca sia stata quella vomitata un tempo dai detti Montiar- si. Indi lo seguirono tutti i nostri vulcanologi. Ma osservate, o Signori, che il cronista scriveva in Catania, secondo io stes- so Amico, 54 anni dopo dell’eruzione, ed il gran torrente di fuoco arrivato sulle alture di questa città minacciava a mo- menti colmarla; lo spavento, il terrore, lo scompiglio nei Ca- tanesi doveva essere immenso, e frattanto il cronista di nul- la fa porola, lasciando scritto nondimeno, che quel torrente lavico avea bruciato gli alberi ed ulivi dei dintorni di Catania. Però il Ferrara (loco citato) riflette, che il detto cronista, raccogliendo memorie per lo secolo decimoquarto, trasse, co- me pare, da Niccolò Speciale la notizia dell’ eruzione del 1 329 avvenuta nelle alte falde dell’ Etna, appellate allora vigne di Catania ; infatti le parole delia Cronaca sono conformi a quelle di Speciale; costui cosi dice: ignitum f lumen contro jines Catanentium se direxit , cineres sulfureos ac favillas catanentium arva praecipue operirent. A dippiù vedesi, che l’eruzione dallo Speciale descrit- ta accadde sulla fine di luglio al cominciar di agosto, come conforme sta scritto nella surriferita Cronaca di Simone, ed invece di segnare quel cronista 1’ anno 1329, commise l’er- rore numerale del 1381. Quindi senza tema di errare, dietro le superiori osser- vazioni, che risultano da fatti incontroversi, è da conchiu- dere, che siano caduti in evidente errore tanto il Ferrara, che assegna alla eruzione de’ Montiarsi l’epoca dell’an- no 122 pria la venuta di G. C., quanto gl’ interpetri della Cronaca di Simone Leontino, che vollero assegnare all’ ac- cennata eruzione l’anno 1381 di nostra èra. Oltre, proseguendo il corso della nostra esposizione, e passato lo Spilinghetto , un’ altra lava incontrasi nel così detto Dogatone, fluita sino al mare nel 1169, come dico- no i nostri vulcanologi, la quale arriva ad occidente di - - Aei-Castello. Al fianco destro della gigantesca rupe basalti- ca, su cui in tempi remotissimi fu fabbricato il diruto in parte castello di oscura origine , Saturnio dal Carcera e dall" Arcangelo appellato, ma che ricorda tanti fatti storici della Sicilia, vedesi in quella parte meridionale il basalto sottoposto all’ignea corrente lavica senza esserne punto alterato. Ed in questa occasione credo opportuno richia- mare alla memoria vostra quanto sul proposito pubblicò il distinto socio gioenio Cav. A. Longo nel seguente passo « Dalla parte di mezzogiorno (della Rupe del Castello) « è bello il vedere come la lava colata dall’ Etna abbia rico- porto il bassalto e formato un grosso banco, clic forse col « volgere dei secoli farà dire a qualche osservatore, clic il « basalto gradatamente trasformasi in vero prodotto vulca- « nico. » (1) Inoltre, al di là di Aci-Castello, osservasi un altro corso di lava d’ignota epoca, che costeggia il mare di Aci-Trezza, ove vedonsi basalti sottostanti alla lava, in quel locale appel- lato della Gurncizza : prosiegue a mostrare il suo fronte alle marine onde sino al Capo dei Mollili, creduto erroneamente dai nostri storici il Xiphonium. La detta corrente lavica di- scese al mare dalla Tenuta della Badia ; inoltre nel locale cosi nominato Pietrazze vedonsi masse laviche smussate di remotissima epoca provenute dalle alture di Nizzeti. In quello stesso locale poi presentatisi allo studio del naturalista oggetti molto importanti in Geologia ed in Orit- tognosia. Ed infatto vi torreggiano in mezzo al mare i tre scogli basaltici dei Ciclopi, ardua saxa piramidum , come li chiamò Stazio; ed eziandio se ne osservano altri simili di minor mole, come il gruppo basaltico, Faraglione degli uccelli denominato. Vedesi pure f isola di Aci-Trezza, che io (1) Longo, voci. Giornale del Gabinetto letterario dell’ Accademia Gioenia di Catania, n. IV, aprile 1834. considero come un altro scoglio Ciclopico, troncato però nel suo vertice. Inoltre osservatisi sul pelo del mare le molte creste basaltiche, che si estendono sino alla suaccennata alta Rupe di Aci-Castcllo. Ed in ultimo luogo in quelle spiagge ad ogni passo osservatisi basalti articolati e globulari. Portando poscia lo sguardo sulla costituzione fìsica del- le colline, che sovrastano i menzionati villaggi di Aci- Trezza e di Aci-Castello, le vediamo formate di terreno ter- ziario in cui si addossa il basalto; ed esso in alcuni si- ti di quelle contrade trovasi in fatiscenza, formando uno strato profondo di argilla. É bello poi 1’ osservare la col- lina basaltica Timpa-Rosa dalla parte sud-est; vi si vedo- no colossali colonne basaltiche in gran numero, che dal- la sua base scoperta s’ innalzano, e se ci fosse dato veder- la isolata, ci si presenterebbe certamente supcriore in mole ed in altezza al più grande degli Scogli dei Ciclopi summen- zionati. Sieguono le altre colline Pidocchio , Cannicciole . . . . tutte basaltiche ad a colonne formate; però di minore esten sione. Le colline terziarie quasi in una retta giacciono sino ad Ognina, e non si vede tra di esse ed il mare, che una angustissima spiaggia sassosa ; alquanto estesa però nello Spillili ghetto , formata interamente dalla Sicana lava sum- menzionata; coltivata da più tempo a mandorli ed olivi, ram- mentati da Silvaggio. Da Ognina la catena delle predette colline si dirige alla Licatia ed al Fasano ; e per poco interrompendosi, es- se colline ricompariscono a Montepò , e nelle Terreforti. In tal modo formano un gran semicerchio, sulla di cui base si estolle la magnifica Catania, ove ha il sapere albergo. La costituzione fìsica di queste altre colline è di ar- gilla e di grès; le rocce basaltiche vi s' incontrano. Nella — 226 — conchiglie fossili delle Terreforti di Catania; d' Interlandi che si occupò di quelle della Fossa della Creta; e di Re- cupero, Alessi, Gravina, Ferrara che qualche cenno nelle opere loro ne fecero (1). Laonde, è a conchiudersi, che in tutto l’ accennato va- sto terrain fossilifere , secondo 1’ espressione usata dal Si- gnor Pictet, i testacei ed i resti organici fossili vi abbon- dano, i quali erano dal celebre Humboldt denominati le medaglie della natura : lo clic porta ad ammettere inconfu- tabilmente, essere stati i suaccennati terreni lungamente sot- to le acque: il mare per tal modo estendersi sino al di là delle indicate colline, in tempi già remotissimi, occupare tutte le contrade di Aci- Reale, c tutta la Piana di Catania, (1) Aradas, e G. Giorgio Gemmellaro, Vedi. Transazioni filosofiche, parte II. 1858. Carlo Gemmellaro, Atti della Gioenia T. VII, serie prima, semestre secondo: Cenno sopra le conchiglie, che rinvengonsi nell’argilla terziaria del poggio di Cifali presso Catania. Professor Philippi , Enumeratio Molluscorum Sicilia}, etc. Boro- lini 1836 varie specie di conchiglie fossili rapporta questo esimio scrit- tore trovate in Nìzzeti e Cifali. Sciuto-Patti, Atti Gioenii, T. XII, serie seconda, Relazione geogno- stica delle Terreforti che esistono all’ Occidente di Catania. Pompeo Interlandi, Atti Gioenii, voi. 13, Prima serie, semestre se- condo: Memoria sopra il terreno terziario della Fossa della Creta e sue adiacenze presso Catania. Canonico Recupero, Storia naturale e generale dell’Etna, T. I, Art. IV, e VI, Catania 1815. Alessi rapporta di essere state rinvenute spoglie marine nel no- stro suolo sepolte in varii strati: Vedi Atti dell’ Acc. Gioenia, Voi. 13, pr- serie. Sopra alcune ossa fossili scoverte in Sicilia, Catania 1839. Cav. Bonaventura Gravina, Note sur les terrains tertiaires et quater- naires des environs de Catane. Vedi Bullettin de la Societè Gcologique de France, 2. serie, T XV, pag. 391, seancc du 5 avril 1858. ed appartener la formazione in esame al pliocene moderno del Signor Lyell. Non pare adunque che Ovidio avendo visitato l’Etna, (1) abbia voluto accennare a queste terre nei seguenti versi? Vidi factas ex aequore ter ras. Et procul a pelago concime jacuere marinae. Questi terreni emersero dal mare, e molto allora si ele- varono sul lido; indi subirono incontrastabilmente per soprav- venute catastrofi geologiche un considerevole abbassamen- to od anche sprofondamento. Ed io credo, che questo av- vallamento abbia avuto luogo non solo ad Aci Trezza, ma pure ad Aci-Castello; e che il terreno delle colline argillo- se doveva estendersi sino agli Scogli del Ciclopi, i quali, avvenuto il predetto avvallamento, dovettero per necessità rimanere scoverti ed isolati in mezzo al mare, come rima- sero nella spiaggia gli altri basalti confusi e sconquassati. Forse fu sotto V influenza di quelle catastrofi che ap- parve la rupe di Aci Castello: catastrofi che si estesero si- no al Fasano; talché la catena delle descritte colline è da riguardarsi quale una parte di tutta la formazione alla qua- le si appartengono. Per dimostrare viemaggiormente l’ avvenuta catastrofe, basta vedere le sedimentarie allindali stratificazioni sopra menzionate del Fasano , le quali inclinano gradi 12 all’ oc- cidente, mentre orizzontali avrebbero dovuto giacere. E tan- to più mi sono confermato in tale idea, in quanto che le dette alluviali stratificazioni della Licatla e del Fasano cu- ti) Ovidio scriveva dal Ponto a Macro nei seguenti versi Trinacris est oculis te duce lisa meis : V idirnus Aetna coelum splendescere gamma. molaronsi in tempi remoti in un bacino idrografico, come ragionevolmente è da supporre ; imperciocché, le acque cadute dal cielo a torrenti sul dorso meridionale dell’ Et- na, in diversi tempi, svelsero e trasportarono gl’immensi materiali, che costituirono quelle numerose stratificazioni: i quali materiali non si sarebbero ivi fermati , se allora i sottostanti oggi bassi terreni stati fossero all'attuale livello: circostanza che non avrebbe permesso di formarsi quello idrografico bacino (1). Ed inoltre, chiaramente osservasi, che l’alto poggio Santa Sofìa , (in cui il Canonico Recupero vid- de i ruderi del tempio di Vulcano) solo rimasto da quell’av- venuta catastrofe, al certo prolungavasi sino al soprastante accennato bacino idrografico. In tal modo, costituitosi I’ attuale inclinato basso suolo di questo gran semicerchio, le numerose lave dell’ Etna in- cominciarono a colarvi in vari i tempi. Talune sono di epoca remota ed antistorica, altre di data incerta ed equivoca, ed altre ancora sono state menzionate dagli scrittori dell’Etna. A. dippiù è da osservarsi, che talune di queste lave in grande estensione giacciono sulla superficie del suolo, altre sot- terra, ed altre in questo nostro suolo abitato arrestarono il loro corso, come quella dei Fratelli Pii (2). Però fra le lave che arrivarono al mare, sul lembo della più antica, cli’è quella dei Sicani, dopo secoli rizzossi la nostra città. Tutti questi torrenti sono stati provenienti dalle alture dell’ Etna : nè in questo vasto terreno si è aperto vulcano laterale veruno, come chiaramente può vedersi. Tali correnti laviche supe- (1) Vedi il mio Cenno Geologico sulle stratificazioni alluviali del Fasano e della Licatia inserito nel Giornale Giocnio, T. XI, bimestre III, 1846. (2) Vedi le mie Osservazioni sul luogo e tempo in cui avvenne l’eruzione dell’Etna appellata de’ Fratelli Pii e sulla costoro leggenda: Atti dell’Acc. Gioenia di scienze Naturali, voi. XX, seconda serie. - 229 - rarono le accennate colline, c quel terreno in gran parte ingombrarono; però taluni di esse per la loro vetustà ter- rificate trovansi, c coltivate sono ad oli veti , ad alberi frut- tiferi, a vigneti cd a vasti agrumeti, clic formano la delizia dei campi esperidi intorno a Catania, in cui pure non manca di farsi vedere terreno di trasporto. Or a ritroso guardando sulla giacitura delle descritte colline terziarie prossime alla nostra spiaggia orientale di A ci -Trezza ed Àci-Castello, non che su la lava dei Sicani, che dallo Spilinghetto estcndesi sin al nostro Molo, colata certamente secoli prima della famosa guerra di Troja, porto parere, che tutta questa lunga spiaggia sin dai tempi più remoti siasi formata, ed inalterabilmente conservata come trovasi nello stato attuale. Ciò non pertanto, e come ab- biamo veduto, molti immaginando e favoleggiando, il sup- posto porto Ulisseo, ora in un punto ed ora in un altro della descritta spiaggia pretesero collocare; senza avvedersi, che porto alcuno non avrebbe potuto esistere in essa; e ciò per assoluta mancanza di spazio, che non poteva affatto trovarsi tra la spiaggia e le immediate colline: nè tampoco il poteva nella spiaggia occupata interamente dalla Sicana lava, avvenuta in epoca assai anteriore ai racconti favolosi, che leggonsi nei celebri poemi della Ulissèa c della Eneide; del che ognuno potrebbe con un sol colpo d’ occhio con- vincersi. Signori, io ho cercato di svolgere con tutte le mie forze il tema clic mi sono proposto di trattare, a veda conscience de n’ avo ir cherchè que la ver ite, toujours si difficile à trou- ver , plus difficile encore à fair e accueillir (i). Tutta volta credo, clic le ragioni da me addotte, e che non mi è riu- (1) Bar thélemy Saint-Hilaire, Mahomct et le Coran. Préfacc. Dea- xicme edition pag. CXIIl. Paris 1865. scito diffìcile ritrarre da una critica severa della storia, e da fatti scientifici, topografici ed incontravertibili, abbiano la forza di distruggere una credenza, che, appoggiata sol- tanto sulla favola, per quanto onore recar possa alla imma- ginazione del poeta, altrettanto dovrebbe fare arrossire lo scienziato che seriamente se ne volesse occupare. Io so, che questo mio lavoro a varii non andrà a sangue, essendo co- stantemente opera, se non pericolosa, dispiacevole almeno, andar contro ad opinioni inveterate, ed alle quali non si vorrebbe facilmente rinunziare; ma vero conforto ed appog- gio io trovo nelle belle parole del celebre storico nostro italiano, Cesare Cantò: «So, così e’ scrive, che l’orgoglio si * . •• t C/ttotattDibi Ulti taitou 1 L’egregio Maestro Pietro Antonio Coppola col suo in- tervento rende solenne questa pubblica tornata, che l’acca- demia Gioenia in onore di lui volle estraordinariamente con- vocare, compenetrata da quel principio, che le scienze, le lettere e le arti sono sì intimamente legate da formare un sol tutto. Questa Accademia, sebbene, ligia ai suoi statuti, siasi costantemente aggirata nella cerchia delle naturali scien- ze, senza oltrepassarne i limiti, ha però tenuto sempre in altissima onoranza gli uomini che negli altri rami del sape- re scientifico sonosi distinti , i grandi letterati e gli artisti celebri. Le varie conoscenze, che formano lo scibile uma- no, sono esplicazioni diverse della potenza intelligente, che è una ed indivisibile: e, avendo unità di origine, non pos- sono non tendere ad unità di fine. È perciò, che l’ Accademia Gioenia ha associato al suo corpo molti di coloro che han fatto mostra di non comune sapere nei vari i rami delle umane conoscenze. Aprite, o Signori, i suoi volumi , e nella lunga serie - 266 - dei socii troverete tra i nomi degli scienziati quelli dei let- terati e degli artisti: degli artisti però che i principii scien- tifici e f estetica della loro arte seppero apprezzare e pro- fondamente compresero, ed ai quali ha reso sempre onore qualunque scientifico assembramento. 11 tempo è propizio, Signori, alle nobili manifestazioni del nazionale orgoglio. Oggi in Italia, surta a vita novella, si fa a gara per onorare e celebrare la sapienza e le ge- sta di coloro che resero illustre questa classica terra, mae- stra del mondo, che lunghi secoli di tirannia poterono ab- battere, immiserire, invilire nominai . La Società Gioenia sente il debito di concorrere a tanta gara. Interpetre dei suoi voti, in di lei nome, ho l’onore di annunciare al pub- blico colto ed intelligente che mi fa corona, che essa ren- de le dovute e meritate laudi ai grande Maestro e che lo ha accolto nel suo seno, nominandolo Socio onorario. In quanto a me, ultimo tra i socii di questa Accademia e povero naturalista qual sono, volendo manifestare all’ ar- tista illustre il sentimento di stima, di rispetto e di ammi- razione di cui l’animo mio è compreso, altro far non posso, che intitolargli una nuova specie malacologica, che servirà ad iscrivere V onorato nome di lui nei registri del- la scienza. Cerithiopsis Coppo !(v C. Testa minima , sub ovato-tur vita, fusca ; anfractibus subplanis , suturis impressis divisis, seriebus granulorum monili f omnibus duobus ; basi silicata , nix tuberculosa ; ca- nali brevi , distincto, labro laeviter producto. Piccolissima questa specie, è molto distinta dalle con- generi. Essa non può con alcun’ altra confondersi per i caratteri precisi ed invariabili che la distinguono. La sua forma è quasi terricci uolata, ma non subulata, nè cilindrica, r - 267 essendo piuttosto tumida, per lo che all' ovale si avvicina. Ciò, però, che ne forma la vera e speciale caratteristica, si è la duplice serie di tubercoli in ciascuno degli avvol- gimenti della spira, i quali sono separati da sutura non lievemente impressa e ben distinta. I tubercoli sono rego- larmente disposti ed esattamente allineati, talché sotto un certo punto di vista la conchiglia si pare per lungo co- stellata. Tra più di cento esemplari di questa specie che ci è toccato di trovare nella sabbia dell’Ognina presso Catania, alcuno non ne abbiamo incontrato che ci offra la menoma differenza. I tubercoli costituiscono costantemente in tutti * gli esemplari due serie per ogni avvolgimento, ed il nu- mero delle serie tubercolari noi riguardiamo come carat- tere importante per la distinzione delle specie del gen. Cerithium, e di questa opinione era V oculatissimo Philippi. La base della conchiglia in esame è solcata; i solchi però son privi di tubercoli, oppure offrono delle piccole elevazioni appena percettibili. L’ultimo avvolgimento va restringendosi alla base; l’apertura è piuttosto ristretta; il labbro appena dilatato; il canale breve, distinto e piuttosto profondo. La descritta specie non potendo appartenere, ristret- tamente parlando, al gen. Cerithium, nè al gen. Cerithio- lum stabilito dall’ egregio Tibcri, deve necessariamente col- locarsi tra le specie del gen. Cerithiopsis di Forbes et Hanlcy, sebbene la sua forma si allontani da quella che è caratteri- stica di quest’ ultimo genere, non essendo nè cilindrico-subu- lata, nè sveltissima , mancando però assolutamente di varici. Recentemente qualcuno ha pensato potersi riguardare la Cerithiopsis Coppolae come una varietà della Cerithiopsis tubercularis (Murex) Montag. (Cerithium pygmaeum, Phil.); ma questa ha tutt’ altra forma, diversa ne è 1’ apertura e non presenta meno di tre serie di tubercoli per ogni av- volgimento. La nostra specie può presentare soltanto come - 268 - varietà qualche differenza nella sua lunghezza, nè può dirsi una varietà breve della Cerithiopsis tubercularis giungendo essa all’altezza di quest’ ultima, della quale, possedendo moltissimi esemplari e varietà, possiamo affermare non aver trovato alcun passaggio dall’ una all’ altra specie. Altezza millim. 4, 1/2 Larghezza — 2. % INDICE Relazione dei lavori scientifici trattati nell ’ anno IL11F dei- V accademia Gioenia di. Scienze Naturali letta nell3 adu- nanza generale di Gingilo 1861 — dal Segretario gene- rale Carmelo Scinto Patti . . . pag. VII. Sulle cagioni probabili delle accensioni vulcaniche subaeree — Discorso del Cav. Agatino Longo ...» 1 Nota sulle Osservazioni Meteorologiche fatte nella Regia uni- versità di Catania nell'anno 1868 comunicata alV ac- cademia Gioenia nella seduta del 28 febbraro 1869 dal Socio corrispondente Cav . G. A. Boltshauser . » 37 Lo Sperimento di Foucault eseguito nella chiesa degli ex Pa- dri Benedettini di Catania comunicata alV accademia Gioenia nella seduta del 28 febbraio dal Socio corri- spondente Cav. G. A. Boltshauser . . . » 83 Rendiconto di alcune Note importanti di Anatomia patologi- ca. Applicazione alla clinica per il D.T Salvatore To- rnasela memoria l.a . . , . . . » 111 Not a sopra una nuova nomenclatura dei disturbi funziona- li acustici e sul valore diagnostico di essi nelle affé • — 270 - zioni dell ’ apparecchio uditivo per il Da Paolo Ber- retti Giuffrida » 131 Saggio di anatomia anormale comparata ovvero descrizio- ne di un mostro umano e due gatteschi presentata alla sezione zoologica dalla quarta sessione straordinaria dei naturalisti italiani in Catania dal D.T Salvatore Nico- losi T ir rizzi » 151 Esame critico sul Porto ulisseo creduto un tempo presso Catania memoria storico-geologica letta alla Sezione geologica nella 4.a Riunione della società Italiana di scienze Naturali tenuta in Catania dal giorno 23 sino al 26 agosto 1869 dal D.T in filosofia e medicina An- tonino Somma » 177 Sopra un molare elefantino fossile riferibile a specie di- stinta dalle coìiosciute — Nota del I.° Direttore Prof. Andrea Aradas » 2 31 Studii di Biotassia ovvero Ricerche tendenti a migliorare la classi frazione zoologica attuale del D.T Andrea A- radas » 237 Descrizione di una specie Malacologica nuova dedicata allo Illustre , Maestro Pietro Antonio Coppola in una nota letta nella seduta del 25 giugno 1865 dal prof. Andrea Aradas » 263