12 MAR. 90

ATTI

DELLA

ACCADEMIA GIOENIA

DI SCIENZE NATURALI

IIV CaVTTAlIVTA

ANNO LXV

1 888 - 89.

SEEIE QUARTA

VOLUME I.

CATANIA

COI TIPI C. CALATOLA

ATTI

DELLA

ACCADEMIA CIOÈ NI A

DI SCIENZE NATURALI

ITV CATANIA

ANNO L X V

1 888 - 8 9.

SERIE QUARTA

VOLUME I.

CATANIA

COI TIPI C. CALATOLA

1889.

CARICHE ACCADEMICHE

>8©{D

Ufficio ili Presidenza

1" Direttore Prof. comm. Giuseppe ZURRIA Direttore Prof. comm. Salvatore TOMASELLI Segretario Generale Prof. comm. Orazio SILVESTRI

lemuri del Comitato

1. Prof. cav. Carmelo SCIUTO- PATTI

2. Prof. Giuseppe ARDINI

3. Cav. Francesco BERTUCCI

4. Prof. cav. uff. Paolo BERRETTA

5. Prof. cav. Mario RONSISVALLE

Direttore ilei Gabinetto Gioeoio

Prof. Angelo ORSINI FARAONE.

Cassiere

Rev. p. Giovanni CAFICI

Segretario della Sezione ili Scienze Fisiche

Prof. cav. uff. Gesualdo CLEMENTI

Segretario della Sezione di Scienze Naturali

Prof. Giambattista GRASSI

SOCII ORDINARI!

1. LONGQ cav. prof. Agatino

2. GALVAGNA prof. Giuseppe Antonino

3. TORNASENE cav. prof. Francesco

4. MADDEM cav. uff. prof. Lorenzo

5. ZURRIA comm. prof. Giuseppe

6. CARICI p. Giovanni

7. DISTEFANO comm. prof. Mario

8. NICOLOSI TIRRIZZI prof. cav. Salvatore

9. BERRETTA prof. cav. uff. Paolo

10. SCIUTQ-PATTI cav. prof. Carmelo

11. BONACCORSI prof. Giuseppe

12. SILVESTRI comm. prof. Orazio

13. ARGINI prof. Giuseppe

14. TOMASELLI comm. prof. Salvatore

15. BERTUCCI cav. Francesco -

16. CLEMENTI cav. uff. prof. Gesualdo

17. LEONARDI comm. Giovanni

18. ORSINI FARAONE prof. Angelo

19. RONSISVALLE cav. prof. Mario

20. BASILE prof. Gioachino

21. CAPPARELLI prof. Andrea

22. MOLLAME prof. Vincenzo

23. ARADAS prof. Salvatore

24. SANGIULIANO Marchese Antonino

25. GRASSI prof. Giambattista

26. AMATO prof. Domenico

27. BARTOLI prof. Adolfo

28. UGHETTI prof. Giambattista

29. FERRARI prof. Primo

30. FICHERA cav. prof. Filadelfo.

Prof. G. BASILE.

Ricostituzione } con viti americane a produzione diretta , dei vigneti attaccati dalla filossera.

Memoria la

Studi sul vitigno JAQTJEZ.

Le condizioni della nostra viticoltura per la crescente invasione fìllosserica, sono oramai al punto da destare le più vive premure ai nostri viticultori.

La fillossera importata in Sicilia circa il 1872 con barbatelle pro- venienti dalla Francia, accertata la sua presenza nel 1880, oramai ha assunte allarmantissime proporzioni e tali che sin dal 1885 S. Ecc. il Ministro per 1’ agricoltura, nella relazione sui provvedimenti contro la fillossera presentata alla camera dei deputati il 12 dicembre dello stesso anno, dichiarava che stupisce la grande estensione che la fillossera ha guadagnato e dire che sono passati quasi altri tre anni !

Fra le sette provincie Siciliane, cinque sono - oramai seriamente mi- nacciate e compromesse.

Il sistema distruttivo si è dimostrato inefficace, da non ritardare di un sol giorno la marcia dell’ invasione e giustamente si è abbando- nato ; resterebbe a provarsi il metodo curativo.

E noto come con tale metodo si cerca salvare le vigne affette, trat- tandole con solfuro di carbonio a piccole dosi, insetticida che distrude buona parte di afidi permettendo discretamente la vegetazione alla vite (1).

(1) L’ amministrazione del solfuro di carbonio per la distruzione, secondo i terreni ha dato i seguenti risultali : nelle terre argillose è rimasto poco attivo, perchè difficilmente si diffonde attesa la compattezza ed umidità del suolo ; nei terreni medi diffonde bene e pro- gressivamente ; nei terreni sabbiosi e vulcanici 'rapidissimamente, ma limitatissimi risultati per la rapidità di diffusione attesa la incoerenza del suolo, a questo contribuisce la temperatura, che facilmente si propaga nei terreni sciolti o neri, per cui il solfuro facilmente si volatilizza.

Questo diverso modo di azione in massima parte spiega il fatto, che le vigne trattate al solfuro e poi tagliate al colletto, secondo la natura del suolo dove si trovano, hanno nuova- mente e più o meno rapidamente germogliato, lo che indica la poca azione dell’insetticida.

Atti Acc. Voi. I, Serie 4*

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Studi sul vitigno Jaquez

Questo metodo, malgrado in Francia, secondo rapporta il Millardet, comincia ad abbandonarsi, pure bisogna tentarlo fra noi , attesoché la Francia non ha più vigne da difendere, le nostre sono tutte ancora nello stato di essere difese (1).

Non bisogna nascondere però che con il metodo curativo vi sono molte difficoltà da superare specialmente nelle nostre contrade vulcani- che, sia per la incoerenza del suolo e la facile dispersione dei vapori di solfuro, sia perchè le radici sono cacciate fra le spaccature e le lave incoerenti e quindi raggiungono grande profondità, dove sarà difficile arrivare l’azione deleteria del solfuro di carbonio (2).

(1) Il E. Ministero d’ Agricoltura fornisce agevolazioni a coloro che desiderano provare il metodo curativo al solfuro di carbonio, elargendo lire cento ogni ettare.

(2) Nelle nostre contrade Siciliane le viti cacciano le radici molto profondamente , sia perchè la siccità ed il caldo disseccano quelle superficiali, ma più ancora perchè il viticultore siciliano obbliga la vite a sprofondare le radici mercè una operazione che pratica annualmente, la sbarbola. Consiste nel taglio delle radici avventizie superficiali che vengono al colletto in primavera.

Questa pratica si usa per obbligare le radici a cercare negli strati profondi del suolo l’u- midità che nella stagione estiva non possono trovare negli strati superficiali; quindi non deve arrecare meraviglia qualora si trovano le radici delle nostre viti sprofondate a due o tre metri, specialmente se trovano spaccature o meati fra le rocce sottostanti. Questo fatto sem- brerebbe in opposizione con quanto si sà, cioè che le radici delle piante si sviluppano nel so- prassuolo più tosto, per usufruire dei benefizi che 1’ ossigeno atmosferico apporta direttamente alle stesse, ovvero al suolo coltivato, con le decomposizioni chimiche che vi avvengono, per cui le sostanze nutritive si rendono assimilabili. Ma qualora si considera la sovracennata pratica della sbarbola, qualora si considera che anche spontaneamente in queste contrade per effetto del calore si disseccano e muoiono le radici avventizie superficiali , qualora si considera che la circolazione dell’ aria si effettua lentamente nei terreni compatti e rapidamente in quelli sciolti, o ricchi di frantumi angolosi di rocce, o con sottosuolo a rocce compatte screpolate e rotte, considerando come tali terreni sono in Sicilia preferiti per la coltura della vite, si spie- ga perchè le radici della stessa si spingono tanto profondamente.

Nelle nostre contrade etnee è in vigore una pratica lodevole, ecco in che cosa consiste; dove la lava scoriacea frammentizia abbonda, si seppellisce nel suolo, impiantandovi sopra la vigna che vi prospera rigogliosamente. In tal caso le pietre servono come mezzo coibente, proteggendo dal caldo le radici, che circolano e si sprofondano fra le stesse, le pietre impediscono la ec- cessiva evaporazione, stabilendovi una temperatura costante , temperatura ed umidità , che le radici certamente non potrebbero trovare negli strati superiori del suolo.

Questi fatti spiegano i motivi per cui, quando si distruggevano i vigneti affetti da fillos- sera, non solo non si arrivava mai a distrarla, bastando le profonde radici, al coperto dell’azione del solfuro di carbonio , a mantenere l’ infezione , ma le viti istesse ben presto dal colletto emettevano gemme avventizie e quindi vegetavano nuovamente. Ho viste financo radici iso-

Studi sul vitigno Jaquez

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Per le contrade che producono circa 30 ettolitri ed anco meno per ettare si presenterebbe la quistione economica, così nei comuni di Nicolosi, Borrello, S. Pietro Clarenza, ed in parte di quelli di Pedara, Trecastagne, S. Giovanni La punta, Zafferana, Beipasso, Yiagrande, Aci S. Antonio, Aci Catena, Aci Trezza, Aci Castello, Acireale, Tremestieri Mascalucia, ecc.

La quistione economica in parte sarebbe risolta nelle contrade dove il suolo vitato un reddito abbastanza alto e tale da coprire la spesa, restando inoltre un margine di utile abbastanza alto.

In tali condizioni si troverebbero le vigne dei comuni di Giarre , Biposto, di Catania (in parte) ecc. ecc. In ogni modo però il metodo curativo al solfuro di carbonio è consigliabile e merita incoraggiamento, fino a tanto che le condizioni lo permettono e che non vi siano prove in contrario.

Il metodo curativo mercè sommersione, in Sicilia potrebbe prati- carsi in zone molto limitate , ma anche questo porta inconvenienti culturali ; qualora però darebbe risultati attendibili tutto il bacino che circonda l’Etna, che il Simeto e l’Alcantara circoscrivono, potreb- be diventare un esteso vigneto sommergibile , per mezzo di canali di derivazione , come quelli esistenti derivati dal Simeto , che similmente potrebbero praticarsi nel bacino che attraversa 1’ Alcantara. Però è da da tenere in calcolo, che in quei terreni di pianura profondi ed argil- losi provenienti da colmata naturale, il vino che si ottiene e quello che potrebbe ottenersi ricco di sostanze proteiche , abbisogna di molte cu- re enotecniche, circostanza d’altronde che si verifica per tutti i vini pro- venienti da vigne in pianura, in terreni profondi e relativamente umi- di, ma in simili circostanze il mediocre è preferibile alla deficienza di prodotto.

Pur troppo è doloroso confessarlo, fin al momento la scienza si

late, cariche di fillossera, già recise dal ceppo parecchi mesi prima e pure tuttora vegete sino alla profondità di metri 2, 50.

Il complesso di tali fatti spiega perchè in Sicilia la vite fillosserata, può resistere sino a sètte od otto anni, vitalità che esclusivamente si deve al sistema radicale sviluppato special - mente in profondità.

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Studi sul vitigno Jaquez

addimostra impotente ad arrestare o rimediare economicamente il fla- gello invadente, non tanto per mancanza di rimedi , ma bensì di mezzi amministrativi degli stessi, di fronte agli organi sotterranei , le radici , che per la loro moltiplicità e posizione male si prestono alla applicazio- ne di rimedi diretti.

Difficili per non dirli impossibili i metodi curativi , bisogna rivol- gerci ad altro obbiettivo cioè, trovare una risorsa nella resistenza delle viti, trovare viti che per le loro proprietà e struttura anatomica, posso- no lottare con la veemenza del male. Ricostituire le nostre vigne con tali viti, dovrebbe essere l’ obbiettivo principale. Certe degradazioni del regno organizzato, possono solamente combattersi con le stesse risorse che la natura ci appresta. La invasione del mal di gomma, distrusse i nostri superbi giardini, fu solamente arrestata con la sostituzione del melangolo come porta innesto (1).

A tale compito pare siano destinate le viti selvagge provenienti dalle foreste dell’Asia e specialmente dall’America, che complessivamente si conoscono sotto il nome di viti americane. Queste viti possono renderci grandi servigi come porta innesti, o anche meglio i loro ibridi prove- nienti dall’ incrocio di viti europee , che danno buon vino o discreto , senza bisogno innestarli e che perciò si dicono a 'produzione diretta.

Se le viti americane non devono essere l’ unico , dovrebbero però essere il principale obbiettivo a cui tutte le amministrazioni interessate ed i viticultori dovrebbero principalmente ed efficacemente rivolgersi.

Il Millardet (2) con rammarico esprime come il governo francese

(1) Tutti gli esseri organizzati animali o piante subiscono un ciclo evolutivo, il quale co- mincia con lo sviluppo, raggiunge 1’ apogeo, decade, finisce con la scomparsa assoluta. La pa- leontologia dimostra detta evoluzione. Perchè le specie scompariscono ? qual’ è la causa della scomparsa ? qual’ è il motivo per cui una specie occupa il posto di quella scomparsa ? sono tante ignote, il certo si è che animali e piante scompaiono e contemporaneamente succede la invasione di altri esseri. Forse causa prima della scomparsa è la lotta per 1’ esistenza ?

La vite europea ha forse raggiunto, la fine del suo ciclo evolutivo ? La fillossera pare sia l’esecutrice di una legge naturale a cui non possono sottrarsi le specie, ecco la difficoltà nella lotta, ecco perchè i mezzi di sostituzione dovrebbero riuscire i più naturali, perchè più confor- mi a quanto succede in natura.

(2) Journal d’ Agricolture pratique pag. 734 tom. 11 1887. Notes sur les vignes amèri- caines.

Studi sul vitigno Jaqiies

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agevolando con sovvenzioni i trattamenti insetticidi , ha dati solamente incoraggiamenti derisori alla ricostituzione dei vigneti con viti americane, mentre dovrebbe tenersi una linea di condotta differente , non essendo più il caso di difendere vigne europee in tutta la Francia.

In Italia invero non possiamo dire altrettanto , del nostro Mini- stero d’ Agricoltura , il quale con pertinacia ed insistenza , ha cercato scongiurare possibilmente la catastrofe, distribuendo gratuitamente semi e talee ed impiantando vivai governativi, per prevenire la ricostituzione delle nostre vigne.

Ma se moltissimo si è fatto , la importanza della quistione pur troppo reclama diligenti cure ed ulteriori sacrifizi e quindi mi pare , doversi tenere conto, se sia conveniente mettere in parità di circostanze il viticultore, che applicherà i rimedi curativi, a cui il governo è dispo- sto accordare lire 100 ad ettare ed il viticultore che vorrà ricostituire il suo vigneto con viti americane. La parità di trattamento la credo equa non solo, ma giusta , incoraggiante e che potrà raggiungere più diret- tamente lo scopo.

La Francia ha alleviate le imposte ai vigneti fillosserati e per cinque anni alle vigne rifatte con viti americane, in Italia e specialmente in Sicilia pare oramai sia il caso cominciare ad accordare simile largizióne.

I vivai governativi sono quasi esclusivamente di viti americane , da servire come porta innesto ; disgraziatamente non si sono diffuse viti americane a produzione diretta, sulle quali la Sicilia per la natura dei terreni a vigna, per il clima e per lo sviluppo ed importanza dei vini da taglio , deve contare moltissimo. In Sicilia più che altrove lo studio di tali viti è oramai condizione, che s’impone al viticultore.

Disgraziatamente le viti americane non si addimostrano resistenti in tutte le condizioni di climi e terreni.

La temperatura, la profondità del suolo coltivabile , la natura mi- neralogica, lo stato fisico e meccanico, il suo colore, la umidità, la te- nacità ec. tutto influisce ad una variazione nella resistenza , nello at- tecchimento , nella produttività. I risultati avuti , per cui tali vitigni hanno subite fasi diverse, cioè lode di alcuni, biasimo d’ altri , sono

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Studi sul vitigno Jaquez

subordinati alle precedenti condizioni , chi casualmente ha indovinato lo adattamento, si è schierato fra i difensori, chi anche casualmente lo ha sbagliato fra i detrattori. Ma mano mano che le idee e gli studi relativi si sono coordinati, le posizioni si demarcano meglio, il confusio- nismo cede allo studio indefesso, coronato da successo in molte regioni della Francia.

Lo adattamento di tali viti è dunque il problema che se definiti- vamente e favorevolmente potrebbe risolversi , la quistione fìllosserica non avrebbe più ragione di esistere.

Non bisogna però nascondere , come il problema si presenta in modo da rendersi alquanto scoraggiante e tale da fare abortire i ten- tativi della ricostituzione. Invero non si può ancora indicare con sicurez- za la via da seguire , il vitigno americano da preferire , ma facendo capitale di quanto si è fatto e studiato in Francia, circostanza che di molto ci potrà abbreviare la via, si possono già indicare i vitigni, se- lezionati, giovandoci degli studi fatti. Il nostro clima ed i nostri terreni, c’ incoraggiano pure a provare anche i vitigni che hanno dato succes- so altrove.

Provare e studiare tutte le viti americane sarebbe improbo lavoro 'e tale da rendersi impossibile ai viticultori. Incominciare però dallo stu- dio delle viti selezionate è cosa a cui non dovrebbe frapporsi indugio.

Le difficoltà che presentano le viti americane come porta innesto sono oramai maggiori dello adattamento di quelle a produzione diretta, eppure se vogliamo conservare il nostro moscato, o il nostro cateratte, base quest’ ultimo dei vini di Marsala, bisogna ricorrere allo innesto; di- sgraziatamente le viti americane che hanno data prova di maggiore re- sistenza , come le Riparie e le Rupestis , sono quelli che presentano maggiori difficoltà, per la facilità nel rifiutare l’ innesto.

Tutto sommato da questo lato adunque siamo nelle stesse condizio- ni della Francia cioè che bisogna provare e studiare.

In queste incertezze non potendosi definitivamente proporre i viti- gni da sciegliere per la Sicilia, e dovendosi evitare ad ogni modo l’ er- rore commesso in Francia cioè, che i viticultori cominciarono a speri- mentare detti vitigni sopra larga scala, senza tenere in calcolo le con-

Studi sul vitigno Jaquez

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dizioni climateriche e telluriche, d’ altronde fino allora più o meno igno- rate, trascinati dalla fretta giustificata per la ricostituzione dei vigneti , ingannati spesso da apprezzamenti troppo precipitosi, od anco interes- sati dal commercio di talee, maglioli ec. ; si trovarono in seguito nella dura circostanza di rifare, e spesso per parecchie volte, vigneti interi per deficienza di adattamento, per devastazioni della fillossera per man- cate speranze sugli innesti ec. ec.

In queste condizioni credo che per evitare ai viticultori , spese , contradizioni, tardi pentimenti, lodi o avvilimenti esagerati ed inesatti alle viti americane, per facilitare il loro compito, le nostre provincie già in consorzio per la legge del 1883 nella difesa contro la fillossera potreb- bero prelevare singolarmente i fondi per la costituzione di vivai vigne, scegliendo due o tre appezzamenti di almeno un pajo di ettari 1’ uno, in località diverse, per natura di suolo, di umidità e di clima, che rap- presentino in media le condizioni generali dove si coltivano le vigne (1).

(1) Le spese consorziali fra le provincie Siciliane ed il governo contro la fillossera ascen- dono ad una cifra abbastanza forte; però la cifra massima non è mai stata raggiunta, ma è in diminuizione per 1’ abbandonato sistema distruttivo.

Il seguente quadro fa rilevare la spesa fino a Giugno 1887 quota a carico delle Provin- cie Siciliane.

PKOVINCIE

Somma dovuta dalle Provincie dal l. Maggio a tutto Dicembre 1883

Somma dovuta dalle Provincie dal l. Gennaio a tutto Dicembre 1881

Quota, a carico delle Provincie dal l. Gennaio a tutto Giugno' 1885

1

Quota a carico delle Provincie dal 1. Luglio 1885 a tutto Giugno 1886

Quota a carico delle Provincie dal i. Luglio 1886 a tutto Giugno 1887

1

Caltanissetta

37036 80

16521 41

12577 85

17918 56

6210 72

2

Catania

65448 85

29210 32

22216 90

31679 23

11046 13

3

Girgenti

39248 42

17575 45

13294 15

18883 22

6704 06

4

Messina

46213 07

20827 36

15816 82

22634 46

7889 16

5

Palermo

106175 71

47852 60

36053 65

51735 81

18234 50

6

Siracusa

48327 47

21732 17

16551 76

23508 11

8237 60

7

Trapani

29991 47

13393 93

10290 20

14667 61

5165 41

372361 79

167114 24

126801 33

181027 »

63487 58

N. B. Il limite massimo a cui la quota di concorso potrebbe arrivare è del 4 % della imposta principale erariale.

Ora se fino ad ora si sono fatte spese tanto rilevanti, credo che si potranno sopportare

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Studi sul vitigno Jaquez

Le speciali condizioni geologiche , mineralogiche , climateriche ed altimetriche delle nostre provincie , esigerebbero singoli vivai , così per es. la provincia di Catania avrebbe bisogno tre di detti vivai, uno nella piana di Catania dove il suolo è formato dal limo rifiuto del Simeto , suolo argilloso, profondo, umido. L’altro nelle colline delle Terre Forti costituite di ammassi di ciottoli fluviali depositati con ar- gilla e sabbia. L’ ultimo nelle terre vulcaniche dell’ Etna e questo già 1’ abbiamo nel podere della K. Scuola di viticoltura ed enologia.

In tali appezzamenti si potrebbe studiare non solo l’ importanza e la resistenza delle viti americane ma specialmente la adattabilità e la ibridazione con viti nostrane (1), per ottenerne ceppi resistenti e pro- duttivi da propagare e gratuitamente diffondere i soli vitigni che pre- senteranno le più convenienti condizioni.

Tali risultati solamente, potranno creare una condizione di cose da

spese relativamente minori, per la manutenzione di limitati vivai sperimentali. Un calcolo di spesa approssimativa potrebbe darcene un’ idea.

Ammetto come preferibile lo acquisto di vigne già fatte, per la facilitazione della propaga- zione innestando sopra vite europea quella americana, propaginare nello stesso anno e così al secondo anno il ceppo di vite americana, è già costituito con radici proprie.

Quindi avremo.

IN. tre appezzamenti di vigna a lire seimila ad ettare L. 36,000

Ammettendo passivo detto capitale al 5 O/o avremo Lire 1,800

Cultura, esperienze, custodia 2,200

Direzione 2,000

Totale . . Lire 6,000

Questa spesa verrebbe a diminuire molto per tutte le provincie die sussidiano scuole pra- tiche di agricoltura o scuole speciali di viticoltura, al personale delle quali si possono affidare detti appezzamenti ed esperienze relative.

Bisogna anco tenere in calcolo che finito il bisogno tali vigne possono rivendersi, perciò sarebbe una spesa transitoria.

(1) L’ avvenire della viticoltura Siciliana deve contare moltissimo sulla ibridazione, i cui prodotti danno frutto e resistenza alla fillossera ; per il quale motivo al giorno d’ oggi in Francia specialmente il Millardet confermando le esperienze del Grasset , del Ganzin e del Couderc, propugna per gl’ibridi a produzione diretta, che giornalmente si accrescono e per i quali lo stesso Pulliat, strenuo difensore dell’ innesto, nel congresso dei viticultori di Macon ne riconosceva la superiorità, dichiarando l’innesto, come opera transitoria. (Journal agricoltu- ra pratique Fas. 1. 1888.)

Studi sul vitigno Jaquez

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potere facilmente ripristinare i nostri vigneti e fra un decennio potran- no dare i loro utili effetti. (1)

A mio modo di vedere sarebbe questo il mezzo diretto ed il più pratico per 1’ avvenire della nostra viticoltura.

Malgrado del sudetto progetto ne fosse desiderabile l’attuazione, pure fin da ora non deve trascurarsi certamente lo studio dei vitigni americani, specialmente a produzione diretta, già selezionati in Francia, che da vari anni si trovano in Sicilia , singolarmente nella nostra provincia.

La iniziativa privata può prestare grandi servizi allo scopo indicato. I viticultori intelligenti, diretti nello studio dei vitigni a produzione diret- ta, possono aiutare a risolvere molti problemi, che le odierne circostanze potentemente reclamano , profittando del tempo per noi prezioso. (2)

(1) Tale lasso di tempo non deve allarmare, attesoché ammesso anche l’impossibile, cioè che le nostre vigne fossero contemporaneamente attaccate dalla fillossera, vivranno ancora da qui ad altri sette anni, quindi c’è tutto l’aggio di studiare e propagare le viti adattabili, senza scosse sensibili per la nostra produzione.

(2) Con piacere tengo a dichiarare, come i viticultori di Pedara, comune minacciato seria- mente dalla fillossera, hanno con zelo corrisposto alle mie insistenti premure cioè acquistare in consorzio tralci di viti americane, specialmente a produzione diretta, dividerseli ed innestarli sopra viti europee, diffondendole nelle contrade già attaccate dalla fillossera , agevolandone il recapito gratuito dal Sig. B.ne di Fioristella e Sig. Pietro Badala da Acireale ed il resto acquistato dal Sig. Conte di Rovasenda, dal Signor Conte Giulio Groppello , dal Sig. Augusto Emina , così si trovano in quel comune circa 2500 innesti di Jaquez, alquanti di Othello e di Elsinburg e parecchi migliaia di diverse provenienze come porta innesti cioè York1 2 * * * * * 8 , Riparia, Riparia Pender, Solonis, Rupestris Clinton, Taylor, Yialla ec., divisi fra diciotto proprietari.

Io stesso ne ho innestato circa 150 di Jaquez e 50 di Herbemont in un' altra contrada vicino Viagrande, cosi fra qualche anno forse saremo in grado di conoscerne la resistenza rela- tiva per quelle regioni.

In questo stesso anno la maggiore parte d’ innesti portano grappoli, dei quali a suo tem- po spero analizzarne il mosto e farne collettivamente del vino.

In questo stesso anno farò propaginare e così avremo per l’anno venturo una rilevante quantità di tralci, che se lo adattamento corrisponde, in breve tempo possono diffondersi e su- bentrare gradatamente alle nostre vigne attaccate dalla fillossera.

Però è prudenza non incorrere nell’ errore incorso in Francia, cioè la rapida diffusione di una varietà, prima di conoscerne il modo di comportarsi ; per conseguire lo scopo bisogna agire con calma e provare quanto più varietà di ibridi sarà possibile , diffondere in seguito quelli che più ci convengono.

Ho voluto citare questo esempio per incoraggiare e far conoscere, come con un poco di

Atti Acc. Voi. 1, Serie 4.a

2

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Studi sul vitigno Jaguez

Lo scopo del presente lavoro è diretto alle ricerche preliminari so- pra uno di tali vitigni, che gode nomèa fra i migliori produttori di- retti (1).

Questo vitigno è il Jaquez.

Ho cominciato a studiare tale vitigno, per acquistare un concetto sul valore di adattamento dello stesso ,. relativamente alle condizioni locali.

Il Jaquez nel mezzodì della Francia ed in condizioni opportune buoni risultati di resistenza e produttività , pessimi o discutibili co- me porta innesto ; lo imprendo a studiare solamente come produttore diretto, non avendo d’ altronde troppa fede sugli innesti.

Le condizioni opportune di resistenza ed adattamento per questo vitigno si riassumono : Clima temperato, suolo sciolto , profondo, fresco preferibilmente , nero e ricco di sali ferrici. Distanza delle viti almeno due metri, potatura lunga alla Guyot.

La produzione di questo vitigno è media , quaranta o cinquanta ettolitri per ettare. un vino con una media del 12 °JQ di alcole, ricco di estratto. Colore rosso violaceo cupo. Sapore sciocco (difetto co- mune a tutti i vini prodotti da viti americane), neutro; un gusto squi- sito vi avverte lontanamente il volpino (foxé).

buona volontà , la iniziativa privata può fare moltissimo , specialmente nelle contrade nelle quali la vigna è la sola cultura ed i viti cultori sono intelligenti ed operosi, come lo sono da- pertutto in Sicilia.

Oltre le sudette esperienze, tengo dietro a quanto per iniziativa privata si sta facendo in Provincia di Siracusa (Comiso), dove si coltiva Jaquez da diversi proprietari e nel circondario di Acireale, dove diffusi fra diversi viticultori , vi sono al di di cinquemila viti di Jaquez. Il Jaquez si trova anche in poca quantità in provincia di Messina.

In un lavoro che seguirà questo primo, darò notizie sullo studio del vino di Jaquez di contrade diverse e di parecchie produzioni in relazione coi vini delle stesse contrade.

(1) Trascurando le scientifiche e note classificazioni ampelografiehe delle viti americane, mi p emetto però dividerle in due categorie, cioè in viti improduttive e viti a produzione di- retta.

Fra le improduttive comprendo tutte le viti conosciute come porta innesto, che non dan- no frutto perchè a fiori unisessuali per aborrimento, come ancora vi comprendo quelle che danno frutto, ma il vino è detestabile per sapore volpino e quindi difficilmente commerciabile, mal- grado detto sapore diminuisce moltissimo con l’ invecchiamento.

Fra i vitigni a produzione diretta, comprendo tutti gl’ ibridi , relativamente resistenti o reputati tali, preferibili specialmente per la qualità del vino che si ottiene, buono per taglio-

Studi sid vitigno Jaquez

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Sia in Francia come nell’ alto continente d’Italia il Jaquez soffre molto la peronospora, il malnero, 1’ antracnosi, la colatura.

La sua lignificazione lascia in parte a desiderare.

Questi inconvenienti dei quali si accusa il Jaquez, spesso si ma- nifestano con tanta violenza, da consigliarne la proscrizione da certe con- trade ed alcuni viticultori lo reputano vitigno difficile.

Le presenti ricerclie ho stabilite sopra un appezzamento composto di circa settecento viti , in un latifondo presso Acireale, di proprietà del Sig. B.ne di Fioristella, che gentilmente mise a mia disposizione. La provenienza di queste viti per parte del Sig. Conte di Rovasen- da, nome chiarissimo nella ampelografìa, per cui nemmeno esiste ombra di dubbio sulla identità del vitigno, alla diagnosi corrispondendo inoltre i caratteri specifici del vero Jaquez (1).

propagato mercè innesti sopra ceppi di Nerello mascalese, che attecchirono felicemente non lasciando niente a desiderare per il loro rigoglio, avendo fruttificato nello stesso anno ed emessi tralci di un paio di metri in lunghezza.

Le viti distanti fra loro M. 1, 25, sono state potate alla latina, cioè a vite bassa con due sole gemme, i tralci grossissimi, ora che è il secondo anno da che si eseguì la propaginazione, arrivavano da due a cinque metri di lunghezza ; ogni vite malgrado le due sole gemme , lasciate alla potatura, pure portava al di di cinque o sette grossissimi tralci. La vegetazione lussoreggiante, le foglie abbondanti sviluppatissime di un verde cupo, risaltano in confronto della magnifica vegetazione del- ti) È da prestarsi grande cura a conoscersi la provenienza di tali vitigni , attesocchè il commercio spesso abusando, vende uu vitigno per un altro; anclre in buona fede può accadere simile equivico, così per es. bo visto Jaquez proveniente da seme, dopo 5 anni da che in- nestato , non assolutamente fiori, talmentechè di cinquemila viti quest’ anno potei indurre appena il proprietario Sig. B.ne di Fioristella conservarne alquante , il resto s’ innestarono con Jaquez che fruttifica bene ed originario dal Sg. Conte di Bovasenda.

La vegetazione di tali viti era sorprendente, ma credo che per atavismo rifiutavano la fruttificazione.

Questo fatto è comunissimo negli ibridi, per cui bisogna stare attenti nella propagazione, un errore potrebbe essere dannoso , reputando pessimo un ibrido che non lo sarebbe da per' se stesso, ma che potrebbe esserlo se proviene da seme, o da viti che acquistano novelle pro- prietà per semplice atavismo.

12

Studi sul vitigno Jciquez

le viti nostrane. La lignificazione eccellente è completa fino alle cime nei primi di ottobre. Nei vari anni che si coltiva, in questa in altre contrade ha mai sofferto oidio, peronospora, antracnosi o malnero. Malgrado la peronospora non sia temibile in Sicilia per il caldo asciutto (a meno che non si acclimi), pure non tralascia fare capolino, in qual- che contrada umida, quando la primavera corre eccezionalmente piovosa, producendo danni limitatissimi ed in ordine generale trascurabili. Il Jaquez non ha mai sofferto anche le leggiere invasioni di peronospora, che si verificano nei nostri vitigni negli ultimi giorni di settembre.

Essendo il secondo anno di fruttificazione, si presentava con grap- poli piuttosto abbondanti, racemi svilupatissimi, ma molto spargoli , in altri termini la colatura si era effettuata sopra larga scala , circostanza che nemmeno lontanamente può addebitarsi a cause climateriche straor- dinarie, essendo nelle nostre contrade rarissimi, il gelo, le piogge abbon- danti e prolungate o soverchia umidità ecc. , in prova di che le viti nostrane da parecchi anni non hanno sofferto colatura, come difficilmente accade che la soffrano. Le precedenti osservazioni si riferiscono a tutte le contrade, e per parecchi anni dove tale vitigno si coltiva (1).

Il suolo della nostra provincia dove si è coltivato è assolutamen- te vulcanico; in alcune contrade è di trasporto (come alla Macchia ed alla Strada), ma sempre vulcanico profondo, sciolto, sabbioso più tosto. La terra quasi nera e la sua composizione chimica, sono adatti alla cul- tura di questo vitigno. Il suolo nero assorbe grande quantità di calo- re, che irradia lentamente e quindi è più caldo e si mantiene più uni- forme la sua temperatura. La composizione chimica per i silicati potas- sici del feldspato labradorite abbondante nelle nostre lave e nei terre-

(1) Le notizie sopra la coltivazione del Jaquez oltre quanto direttamente ho avuto oc- casione di osservare le ho ricevute dal Sig. Pietro Badala, Macchia (comune di Giarre), Sig. Prof. Gregorio Komeo, S. Venerina (comune di Acireale'), dal Sig. Cav. Paolo Cali Fiorini con- trada Strada (comune di Giarre), e contrada Cervo (comune di Acireale), dai Sigg. B.ni Perniisi di Fioristella, contrada S. Venera (comune di Piedimonte), contrada Malati (comune di Acireale), contrada Crocifisso (comune di Acirealè). Dalla Provincia di Siracusa , Comiso Sig. Ing. Gio- vanni Galeoto, che lo ha innestato sopra il Frappato ed è stato il primo ad introdurlo in quella Provincia, il Sig. Raffaele Noto ed il Sig. Giovanni Giurato, che lo hanno innestato sopra il Calabrese ecc.

Studi sul vitigno Jaquez

13

ni che ne derivano , ed i sali ferrici prediletti alla vite, è la migliore per la coltura della vite ed il Jaquez uon vi resta indifferente.

I nostri terreni vulcanici in generale godono la specialità , che anche frammisti alle lave frammentarie , quasi sempre funzionano come terreni profondi nella cultura della vite , attesocchè la natura speciale delle radici della vigna è tale, che insinuandosi in tutti i meati scende profondamente nel sottosuolo, dove a godervi l’ umidità, indispensa- bile alla nutrizione, disseccandosi il soprasuolo, passata la primavera.

Tutto sommato, clima, natura del suolo, esigenze del vitigno , svi- luppo rapido e fenomenale dello stesso ecc. può prognosticarsi che il Jaquez prospera benìssimo nelle nostre contrade vulcaniche con terreni sciolti. Onde maggiormente confermare l’asserzione, ho stabilite esperienze di attecchimento nelle alte regioni dell’Etna ed in contrade vicine alle invasioni fillosseriche, attesoché l’ esperienze di attecchimento fino adesso riguardano solamente una vasta zona periferica alla base orientale del- 1’ Etna, fino a qualche centinaio di metri solamente sul livello del mare, ed in casi più limitati in territorio di Comiso provincia di Siracusa.

Similmente ho stabilito sperimentare il vitigno in terreni profondi sì, ma di sedimento marino , non vulcanici ed eminentemente argillosi , che si spaccano durante Y estate , dove mediocremente allignano le viti nostrane. Mi riserbo portare in appresso a conoscenza i fatti che ne risulteranno.

Fin qui però ho semplicemente esposto come il Jaquez, come vi- tigno ha trovate le opportune condizioni di sviluppo nelle nostre con- trade , fatto che da per se solo sarebbe limitato e di nessuno utile , qualora non corrisponda sotto l’ aspetto della produttività e bontà del prodotto, definitivo scopo cui mira l’ agricoltore.

Ecco perchè mi son data premura raccogliere mercè dati ed . espe- rienze quanto ho praticato in proposito nell' autunno del 1887 , ricer- che che ho rivolte sopra i mosti , la loro composizione ed il modo di attecchimento degli innesti.

I campioni di parecchi chilogrammi di uve Jaquez provengano da tre contrade diverse, molto distanti fra loro, tengo a dichiarare questo fatto, per il valore che in tal caso possono avere le seguenti ricerche.

14

Studi sul vitigno Jaquez

Queste analisi ho diviso in una (mi permetto dirla meccanica) nel- la cui percentuale farò rilevare la quantità di mosto , il suo peso , il peso dei graspi, delle bucce, dei vinacciuoli, il volume che occupano le bucce, ec.

L’ altra sarebbe un’analisi chimica della quale farò rilevare le pro- prietà e composizione chimica del mosto, 1’ una e l’ altra poi ho credu- to indispensabile, metterla in confronto, con i dati forniti dai principa- li vitigni nostri coltivati per vino, potendosi così solamente rilevare le proprietà e condizioni relative del Jaquez.

Sono entrati in tali confronti oltre le uve nere le bianche da vino più comuni, che si coltivano fra noi. Malgrado rigorosamente tale con- fronto non reggerebbe, attesoché è nota la differenza dei mosti di uve bianche con quelle di uve nere, come è il Jaquez, pure ho creduto in- dispensabile includerle in queste comparazioni di aspetto generale , per non lasciare dubbi sulla composizione relativa del mosto.

A rigore però il confronto dovrebbe farsi con le sole uve nere e specialmente con il Neretto mascalese , quasi solo coltivato nelle vigne destinate alla produzione di vini da taglio.

Finalmente ho creduto, provvisoriamente nel presente lavoro esclu- dere i confronti e le ricerche analitiche eseguite altrove sopra tale vi- tigno, onde presentare i soli dati analitici forniti dal vitigno coltivato nel suolo vulcanico dell’ Etna.

Il seguente prospetto contiene la prima parte di dette analisi.

Studi sul vitigno Joquez

15

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BAU ip \ ip oxsoui ip gmnjo^

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Colore dell’ uva

nera-violacea

vellutata

nera

bianca

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nera

nera-violacea

vellutata

nera

bianca

id.

nera-violacea

vellutata

nera

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bianca

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N. B. Nell’età del Jaquez è compreso l’anno in cui fu innestato.

16

Studi sul vitigno Jaquez

Dal quadro precedente risulta , che il peso dei graspi , bucce , e semi del Jaquez di un anno supera quello del Jaquez di 3 anni, col- tivato nello stesso appezzamento , mentre il peso ed il volume degli acini e quello del mosto è di molto inferiore, ai pesi e volumi relativi del Jaquez di tre anni.

Ciò sperare che con il crescere degli anni il volume del mosto diminuendo le parti solide dell’ uva aumenti gradatamente , infatti a quanto si questo vitigno entra in produzione circa il quinto anno , fatto interessante e che deve esser noto ai viticultori per non fondare immediate speranze tale vitigno e non iscoraggirsi a provarne la cultura ritenendola fallita, sol perchè non si ottiene immediato risultato.

I graspi del Jaquez oscillano fra 55 e 85 grammi per k.mo, peso veramente eccessivo mentre i nostri vitigni portano graspi il cui peso oscilla fra 25, e 59 grammi , ritenendo eccezionale il peso del Kocera di grammi 70; (1). Per le bucce però si verifica all’ inverso, cioè che gli acini del Jaquez portano una pellicola sottile e di meno peso in confronto delle bucce delle nostre uve da vino circostanza favorevole certamente.

II peso delle bucce infatti segna un minimo di 74 gr. ed un mas- simo di 85, mentre troviamo nei nostri vitigni un minimo di gr. 80 ed un massimo di gr. 172 per chilogrammo.

I semi poi di Jaquez al minimo sono gr. 62, al massimo 72, mentre quelli dei nostri vitigni oscillano fra un minimo di gr. 20 ed un mas- simo di gr. 41 per chilogrammo.

II peso di 100 acini di Jaquez è rappresentato da un minimo di gr. 90, ed un massimo di gr. 103. Quello dei nostri vitigni è rappresen- tato da un minimo di gr. 110 ad un massimo di gr. 282 per ogni 100 acini. Il volume degli stessi è rappresentato da un minimo di 82 c.c. ed un massimo di 95 c.c., mentre il volume degli acini dei nostri viti- gni, oscilla fra un minimo di 105 c.c. ed un massimo di 260 c.c.

Il volume del mosto di Jaquez per ogni k.mo di uva oscilla fra un

(1) Ho escluso da questo calcolo il Jaquez innestato da un anno, perché essendo in via di sviluppo non può entrare in questo confronto.

Studi sul vitigno Jaquez

17

minimo di 614 c.c. ed un massimo di 690 c.c., quello dei nostri vitigni fra un minimo di 566 c.c. ed un massimo di 710 c.c.

Il peso mosto di Jaquez, è al minimo gr. 768, al massimo gr. 809, mentre quello dei nostri vitigni è al minimo gr. 721 ed al massimo gr. 853. Queste differenze credo utile riunirle nel seguente specchietto.

Nome del vitigno

Nome

del

PKOPRIETAKIO

M A

S S I M 0

MI NIMO

Graspi in peso di K. 1 di uva

Bucce in peso di K. 1 di uva

Semi in peso di K. 1 di uva

Peso

di 100 acini

Volume di 100 acini j

Volume di mosto di K. 1 di uva

Mosto in peso di K. 1 di uva

Graspi in peso di K. 1 di uva

Bucce in peso di K. 1 di uva

Semi in peso di K. 1 di uva

Peso

di 100 acini

Volume di 100 acini

Volume di mosto di K. i di uva

Mosto in peso di K. 1 di uva

Jaquez

Badala

85

72

103

95

768

Id.

B.ne di Fioristella

690

809

55

74

62

90

82

Id.

Romeo

85

82

614

Nerello mascalese

B.ne di Fioristella

Nocera

Badala

70

172

105

721

Nerello mascalese

Romeo

853

80

Caricante

Id.

710

21

Mantonico

Badala

41

Mennella

B.ne di Fioristella

282

-

r

Cateratto

Badala

T

Nerello mascalese

Id.

Id.

Com. Agr.

575

In riassunto nel presente prospetto si rileva, che il Jaquez uva, rispetto ai nostri vitigni, con un peso di grappoli e di vinaccioli molto superiore, mentre il peso delle bucce e loro volume è molto inferiore.il vo- lume ed il peso del mosto si avvicina alquanto a quello dei nostri vitigni.

Sommando questi pesi si ha, che le parti solide in media sono rappresentate per k.mo

Massimo

Jaquez gr. 242 .

Vitigni nostrani 283.

Atti Acc. Voi. I, Serie 4."

Minimo

191

126

3

18

Studi sul vitigno Jaquez

In altri termini abbiamo una media complessiva di vinacce di gr. 216 per il Jaquez e di gr. 204 per i nostri vitigni; per cui si ri- leva, come il Jaquez parti solide in quantità maggiore che i nostri vitigni, i quali perciò dànno più mosto. (1)

Passo ora a dire dei risultati di analisi chimica praticati sopra i mosti del Jaquez e dei vitigni delle stesse località , coltivati nella Provincia di Catania.

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.9

Natura

Nome

Glucosio per

litro

<D

o o

O

O

O

Jh

Sh

JD

a

53

Comune

Contrada

Proprietario

del

suolo

del

VITIGNO

Metodo

Chimico

Gleucome- tro Guyot

Mostimetro

Babo

°

'C3

5-

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C5

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Bitartrato

tossico

Estratte per liti

S-4

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O

Ih

O

a

CD

O

1

Acireale

Scammacca

B.ne di Fiori- stella

Vulcanico

Jaquez

227,2

220, 0

225,0

8, 66

5, 19

8,70

279,0

4,20

2

Id.

217,4

210,9

220,0

10, 16

7, 61

8,91

244,0

7,40

3

Nerello

mascalese

234,3

220,0

225,0

5, 45

1, 65

9, 28

281,3

5, 82 ;

4

Mennella

177,3

175,0

180, 0

4, 09

1, 78

5,80

228,8

6, 45

5

Cateratto

210, 5

201,0

207,5

4, 36

1,94

6,09

260,0

4, 60

6

Com. Agr.

Com. Agr.

Nerello

mascalese

227,2

7, 00

3,30

9, 28

318,0

8,56

7

Fago

Romeo

Jaquez

223, 2

228,0

230,0

8,25

5,31

7, 39

382,0

9,50

8

Nerello

mascalese

223, 6

220,0

217, 5

4, 73

1, 50

8,12

284,3

3,86

9

Cateratto

230,7

5,38

2, 20

7, 97

292,2

4,01

10

Caricante

208,3

201,7

205, 0

3,95

0,95

7, 54

272,3

4, 24

11

Giarre

Macchia

Badala

Jaquez

215, 5

227,5

5,25

2,25

7, 54

301,7

8,40

12

Nerello

mascalese

224,0

211,2

217,5

6, 68

3,74

7, 39

308,3

3, 70

13

Nocera

220, 5

210,9

217, 5

7,84

4,32

8, 84

284, 2

4, 70

14

Mantonico

241,5

236, 7

237, 5

8,04

4, 46

8, 99

306,9

6, 20 !

15

Cateratto

251,5

220, 0

4, 29

2,33

4, 93

291, 1

3,80

N. 1. Innestato nel 1887. N. 2. Innestato nel 1885. N. 1885. N. 11. Innestato nel 1885.

6 Innestato

sopra

Jaquez

N. 7. Innestato nel

(1) In esperienze più all’ ingrande sopra parecchi quintali di uva Jaquez pigiata e fer- mentata, ho ottenuto litri 60 di vino ógni 100 chilogrammi di uva , che ammesso il peso di chilogrammo 1 per ogni litro si avrebbe il 40 per 0[0 di vinacce . e siccome il mosto dopo fermentazione , in generale diminuisce di 1{10, quindi si avrebbero litri o chilogrammi 66 e perciò chilogrammi 34 di vinacce; malgrado questo fatto potrebbe reputarsi Isolato, in ogni modo essendosi ripetuto per tutti i campioni di uva Jaquez ricevuti da contrade diverse, pare assodato che le vinacce oltrepassano quelle dei nostri vitigni.

Studi sul vitigno Jaquez

19

Dal prospetto dell’analisi chimica si rileva come, forse eccezional- mente, il Jaquez di un anno è più zuccherino e contiene più sostanze estrattive, che quello di tre anni, (dico eccezionalmente perchè la maturità era più inoltrata , esposto più a solatio, gli acini più piccoli ), mentre 1’ acidità totale, 1’ acido tartarico, il bitartrato potassico e le sostanze minerali, sono in quantità superiore in quello di tre anni. La cenere di quest’ ultimo è quasi il doppio, circostanza che spiegherei per il fatto che nei primi anni il vitigno si sviluppa molto nella parte legnosa , e quindi 1’ attività fisiologica provvede più alla formazione del legno, dove si accumulano le sostanze minerali, mentre invece mano mano che la produzione fruttifera agumenta, la quantità di sostanze minerali si ac- cresce nel mosto in modo considerevole, essendo il legno già costituito sufficientemente quindi la sua esigenza ed assimilazione in qualche modo si arresta. Infatti vediamo come il ceppo da principio nel primo anno è costituito da una sottile zona legnosa, ma ben presto negli anni susseguenti gli strati legnosi agumentano in spessore, verso il quinto anno le sopravenienti si assottigliano nuovamente, in modo da rendersi difficilmente visibili, ciò che indica la decrescenza del tessuto legnoso.

Un’ altra osservazione ancora sarebbe, che lo zucchero non ha re- lazione con le sostanze minerali, con il bitartrato potassico, infatti quello di un anno porta uva più zuccherina e con meno sostanze mi- nerali.

Escludendo da tali confronti il vitigno Jaquez di un anno , si ha che fra i vitigni omonomi coltivati in diverse contrade lo zuc- chero oscilla fra un minimo di gr. 215,5 per litro ed un massimo di gr. 223, 2 mentre fra i nostri vitigni oscilla fra un minimo di gr. 177, 3 ed un massimo di gr. 234, 3. In media dunque pare po- tersi stabilire che il Jaquez coltivato nelle stesse condizioni dei nostri vitigni, un mosto con un peso di glucosio più o meno uguale al peso del glucosio che contengono le uve dei nostri vitigni , e quindi darà anche nelle nostre contrade un vino alcoolico presso a poco simile a quello proveniente dai nostri vitigni (1).

(1) È però da osservare come detti vitigni sono stati potati alla latina, è da vedersi se con la potatura lunga il glucosio diminuisce.

20

Studi sui vitigno Jaque2

L’ acidità totale risulta maggiore nel vitigno di tre anni, minore in quello di un anno , da ciò però non mi pare potersi dedurre che 1’ acidità aumenta con 1’ età del vitigno, attesocchè bisognerebbero altre conferme e studi in proposito , potendo come esposi precedentemente esserci delle cause locali e tali da dare questa differenza.

L’acidità totale del mosto di Jaquez oscilla fra un minimo di gr. 5, 25 per litro ed un massimo di gr. 10, 16; mentre nei nostri vitigni oscilla fra un minimo di gr. 3, 95 ed un massimo di gr. 8, 04.

Il bitartrato potassico nel mosto di Jaquez di un anno è alquanto meno, che in quello del vitigno di tre anni; del resto oscilla fra un massimo di gr. 8, 91 ed un minimo di gr. 7, 39. Nei nostri vitigni oscilla fra un massimo di gr. 9, 28 ed un minimo di gr. 4, 93.

L’ acido tartarico nel vitigno di un anno, è minore che in quello di tre, del resto oscilla fra un massimo di gr. 7, 61 per litro ed un minimo di gr. 2, 25; mentre nei nostri vitigni oscilla fra un massimo di gr. 4, 46 ed un minimo di gr. 0, 95.

Questo fatto è interessante attesocchè è noto che per la maturità inoltrata all’ epoca della vendemmia , come varie volte ho dimostrato , le nostre uve , danno mosti poco acidi per cui si ottiene un vino non brillante, senza schiuma rossa ec. anche il Jaquez pare porti lo stesso difetto , ma meno però dei nostri vitigni. Infatti si come un buon vino deve Contenere un’ acidità totale rappresentata quasi tutta da acido tartarico, che deve oscillare fra 6 o 7 grammi per litro; ora succede in Sicilia che il mosto una acidità complessiva generalmente troppo bassa , la quale non è rappresentata da acido tartarico libero che in minima quantità, appartenendo il resto all’acidità del bitartrato potassico.

Completata la fermentazione e defecazione , per la presenza dello alcole il bitartrato diventa insolubile, precipitando in ragione della quantità di alcole. La poca acidità dei nostri vini per deficienza di acido tartarico ne è la conseguenza. Da tanto difetto risulta la facilità come nei nostri vini rossi precipita la materia colorante, difetto'' che a quanto ho potuto osservare porta anche il vino di Jaquez, ma relativa- mente meno, di cui si ha un vino rosso violaceo cupo non brillante e la materia colorante precipita alquanto.

Studi sul vitigno Jaquez

21

L’estratto secco, eccezionalmente come credo, si è trovato più nel mosto del vitigno di nn anno, che in quello di tre. Fra i vitigni omo- nomi (escludendo il vitigno di un anno), l’estratto oscilla fra un massi- mo di gr. 382, 0 per litro ed un minimo di gr. 2 44, 0. Nei mosti dei nostri vitigni oscilla fra un massimo di gr. 318, 0 ed un minimo di gr. 228, 8, per cui pare che il Jaquez darà un vino più ricco di sostanze estrattive.

Le sostanze minerali si trovano in maggiore quantità nel mosto del vitigno di tre anni che in quello di un anno. Fra i vitigni omo- nomi (escluso quello di un anno), le sostanze minerali oscillano fra un massimo di gr. 9, 5 ed un minimo di gr. 7, 4 per litro.

Nei nostri vitigni si rivela un fatto curioso, cioè che il solo Ne- rello mascalese innestato sopra Jaquez un mosto, che contiene so- stanze minerali che uguagliano in media il peso contenuto nel moéto di Jaquez, per cui credo conveniente escluderlo dal presente confronto così abbiamo fra i nostri vitigni, un massimo di gr. 6, 20 ed un mini- mo di gr. 3, 70 per litro.

Il seguente quadro ci questi massimi e minimi.

Nome

Nome

MASSIMO

MINIMO

del

PROPRIETARIO

del

VITIGNO

Glucosio

(1)

Acidità totale

Acido

tartarico

Bitartrato

potassico

Estratto

Cenere

Glucosio

(1)

Acidità totalej

Acido

tartarico

Bitartrato

potassico

Estratto

Cenere

Romeo

Jaquez

223,2

382,0

9,50

7, 39

Badala

215,5

5, 25

2, 25

B.ne di Fiori- stella

10, 16

7,61

8,91

244,0

7, 40

id.

Nerello

234,3

9, 28

id.

Mennella

177,3

228,8

Badala

Nocera

Romeo

Caricante

3,95

0, 95

Badala

Mantonico

8, 04

4, 46

--

6, 20

id.

Cateratto

4, 93

Com. Agrario

Nerello

318,0

Badala (1) Il gli

icosio si è c

onsidera

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o deter

minato

con il s

olo met

odo chi

mico.

3,70

22

Studi sul vitigno Jaquez

Riguardo al peso delle sostanze minerali ci sarebbe da fare qual- che osservazione.

Calcinando 1’ estratto di Jaquez con una lampada Berzelius , mi accorsi della somma difficoltà che presentava ad ottenerne la cenere, per i sali fusibili che aglutinavano lo particelle carboniose. Questo fatto si è ripetuto nella calcinazione del mosto Nerello innestato sopra Jaquez, in modo da non potersi ottenere una cenere perfettamente esente di mi- nute particelle carboniose, come si otteneva per il mosto di altri vitigni, questo è indiziò della predominanza dei sali alcalini fusibili, relativa- mente alle ceneri dei nostri vitigni.

Le sostanze minerali del mosto Jaquez, sorpassano il peso di quelle contenute nel mosto dei nostri vitigni. Questo fatto pare indichi la esi- genza del vitigno, per cui credo potersi prevedere il bisogno che sente di essere coltivato in terreni ubertosi e ricchi di sali minerali assimi- labili e la necessità dell’ ingrasso, per i terreni poveri di detti sali. Si- milmente mi pare potersi argomentare, come questo vitigno fra i nostri terreni predileggerà i vulcanici, eminentemente ricchi di sali potassici , mentre i terreni argillosi ed anco silicei delle nostre terreforti , poveri più tosto di sali potassici saranno ben presto depauperati. In questi ul- timi terreni sarà ben difficile mantenersi nelle identiche condizioni in cui si mantengono i vitigni indigeni privi d’ ingrasso, dovrebbe avervi meno durata, delle nostre viti, che come è noto non vi vivono al di di 40 anni.

Il Jaquez porta le gemme fiorifere alla distanza di 40, o 50 cen- timetri dal calcio del tralcio. La sua rusticità, 1’ efficacia dell’ assorbi- mento, T abbondanza della linfa ascendente è tale, che le gemme fiori- fere più vicine al ceppo abortiscono trasformandosi in foglifere, allegan- do solo quando la linfa ascendente e la discendente, già elaborata nelle foglie, può essere facilmente usufruita dalle gemme. Le foglie sviluppa- tissime in superficie ed abbondanti, per la smisurata lunghezza dei tralci, presentano una superfìcie totale di assimilazione, di elaborazione ed eva- porazione considerevolissima, da cui 1’ eccessiva quantità di linfa.

In questo caso pare accada come in quelle piante nelle quali per una causa qualunque lungo 1’ asse si produce una gemma avventizia,

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la quale qualche volta può essere fiorifera, ma difficilmente fruttifera, perchè 1’ abbondanza e la forza di ascensione della linfa ascendente e la discendente relativamente depauperata, sarebbero l’ostacolo principale alla formazione de’ fiori e dei frutti, e se i fiori si formano quasi sem- pre subiscono la colatura.

Dietro tali premesse, dietro la esigenza di tale vitigno , nasce la conseguenza, che il Jaquez non comporterebbe assolutamente la distanza massima alla quale s'impiantano i nostri vitigni di M. 1, 25, ma ri- chiede una distanza maggiore , che nelle nostre ‘terre probabilmente potrà essere di M. 2 ed anco M. 3, qualora il terreno è profondo e ricco, anzi credo essere per alcuni terreni profondi e ricchi un’ espe- rienza da farsi cioè, coltivare tale vitigno a festoni con la distanza di 7 metri in quadrato.

La potatura per conseguenza sarebbe la parte più interessante nel- la educazione del Jaquez.

È noto come le radici di tutte le piante in genere , si sviluppano tanto più per quanto il terreno dove vivono è sciolto e permeabile e viceversa. Le radici hanno relazione con la parte aerea della pianta , per cui dai rami approssimativamente si può dedurre lo sviluppo e lo 6tato delle radici, ad un grosso ramo corrisponde una grossa radice, se un ramo deperisce o secca , quasi sempre si trova la radice corri- spondente sofferente o morta. La vite non esce da queste leggi comuni a tutte le piante. Lo immenso sviluppo dei tralci, indica il grande svi- luppo delle radici, questa è causa che il Jaquez esige un terreno pro- fondo e sciolto , per potervi facilmente sprofondare 1’ apparecchio radi- cale. Ora potandosi il Jaquez con il nostro sistema, cioè a ceppo basso o latino , si ha che la parte radicale viene molto a limitarsi e direi quasi si atrofizza, per cui alla novella vegetazione, attesa l’attività stra- ordinaria della pianta, si obbliga ad emettere non solo tralci, ma an- cora radici novelle, che in seguito si atrofizzano e deperiscono, con l’a- vanzamento della lignificazione dei tralci, non restando che le sole ra- dici grosse , per cui ogni arino si ripete nella pianta uno sforzo vege- tativo improduttivo. Qualora le viti fossero molto più distanti e la po- tatura lunga , allora le radici espandendosi maggiormente si sviluppe-

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rebbero in volume, in lunghezza ed in quantità , la lignificazione delle stesse sarebbe più completa , circostanze non indifferenti rispetto alla resistenza alla fillossera.

La maturità . dell’ uva si effettua per opera della linfa elaborata nelle foglie ; quindi per ottenere abbondante produzione è necessario il relativo e proporzionato sviluppo dei rami e delle foglie, ma questo sino ad un certo punto, attesoché oltrepassando il giusto limite, lo esu- berante sviluppo dei sarmenti e delle foglie , arreca grave pregiudizio alla fruttificazione , avverandosi la colatura , od anche la metamorfosi delle gemme fiorifere, in gemme foglifere o rameali. Le foglie poi sono proporzionali allo sviluppo del legno , mentre 1’ uva può essere defi- ciente , sia per la scarsezza delle foglie, come per esuberanza, i tralci quindi che ricevono molta linfa non fruttificano al pari di quelli che ne ricevono poca.

In tali viti potate alla latina, 1’ attività della parte aerea e l’ab- bondanza della linfa fa sì, che non sapendo come sfogarsi la maggior parte delle gemme dormienti diventano pronte, per cui sbianco dal col- letto vengono su tralci sopra tralci e tutti poi sviluppano le feminelle e sotto feminelle e talmente grosse, da somigliare ai tralci regolari dei nostri vitigni, talmentechè ho viste tali viti, assumere 1’ aspetto di ine- splicabile cespuglio in modo da rendersi difficile penetrare in un ap- pezzamento di tali viti. Le gemme dei tralci, anche distanti dalla base spesso si mostrano multiple, fatto che ci addimostra 1’ abbondanza di succhi nutritivi di cui abbisogna il tralcio, per sviluppare dette gemme sia in forma di tralci, o di grappoli, o di radice se si tratta di talee. Dall’assieme di tali fatti si spiega perchè i pochi prappoli subiscono la colatura su larga scala, infatti 1’ abbondanza ed il peso dei racemi è tale da oltrepassare di molto quelli dei grappoli dei nostri vitigni , come a suo luogo feci rilevare (1).

(1) Un’ altra interessante osservazione da farsi sarebbe , accertarsi nella scelta di tale vitigno , cbe abitualmente produca fiori ermafroditi , attesoché per atavismo e degenerazione può accadere cbe produca la maggior parte dei fiori unisessuali , ed in questo caso non darà frutti o rare bacche allegheranno; addebitandosi alla colatura per eccesso di linfa o effetti cli- materici ciò che sarebbe conseguenza di difetto organico. Per questa ragione si vede spesso in commercio Jaquez ottenuto da seme che per atavismo è infecondo.

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Nel vitigno di un anno la colatura si è verificata sopra più larga scala; dai vitigni di tre anni, sopra 180 chilogrammi di uva, ho svinato solamente 107 litri di vino, compreso il torchiatico, lo che certamente è inferiore di molto al reddito dell’uva dei nostri vitigni.

Si noti che la colatura non è stata promossa da disordini meteo- rici, che non vi furono, tanto che in parità di condizioni i nostri vitigni allegarono bene il frutto , dunque la sola causa si deve attribuire allo eccessivo sviluppo linfatico. (1) Edotti da questo fatto, in Francia han- no riparato allargando i filari e potare genefosamente alla Gfuyot, con tale sistema il Jaquez in quelle contrade produce da 40 a 50 etto- litri ad ettare (2) ed ammettendo che in un ettare di suolo generoso si piantano cinquemila viti, dovrebbe ricavarsi dieci ettolitri ogni mille viti, invece in quest’ anno testé decorso da G5G viti di Jaquez di tre anni, potate alla latina, ottenni appena 107 litri. La differenza sembre- rebbe enorme, però dette viti non erano in piena produzione e la po- tatura era disadatta alla produttività , quindi si spiega tale differenza. Ammettiamo per un momento che anche da noi si avesse la stessa pro- duzione che in Francia (malgrado 1’ apparenza di sviluppo promette di più) , pure non possiamo ritenere tale produzione disprezzabile. E vero che in alcune regioni con terreni ubertosi , il nostro vitigno predi- letto, il Nerello, arriva e oltrepassa i 200 ettolitri all’ ettare, ciò non per tanto in media possiamo ritenere il Jaquez come abbastanza rimu- neratore (3).

Un’ altra circostanza relativa alle sostanze minerali, sarebbe come fra i nostri vitigni il solo Mantonico e la Minnella bianca si avvicina-

ci) Tra i nostri vitigni (li forte vegetazione, abbiamo qualche esempio di colatura per re- strizione nella potatura, infatti il Mantonico coltivato in molte contrade, e che un vino da taglio molto aspro, sia per la rusticità, sia perchè le gemme fruttifere sono alquanto distanti dal ceppo, esige esser potato largo altrimenti la colatura trasforma in cirri i grappoli.

(2) Il Millardet riporta che il Jaquez irrigato ha dato fino a 150 ettolitri di vino allat- tare con il 9 % di alcole. (Iournal d’agricolture pratique tom. II 1887 pag. 734).

(3) Per procedere sperimentalmente, nell’ anno in corso ho potato un appezzamento di Jaquez, circa seicento viti , metà alla Gujmt metà alla latina , spero far constatare le diffe- renze quantitative e qualitative dell’ uva, onde fissare il metodo di educazione più conveniente nelle nostre contrade.

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no al Jaquez, per la quantità delle sostanze minerali (1). Questo fatto forse potrebbe avere qualche interesse e relazione , relativamente alla lignificazione ed è noto come alla lignificazione si deve in gran parte resistenza alla fillossera , sarebbe interessante conoscere il grado di resistenza del vitigno Mantonico e Minnella bianca.

Accenno ad un altro fatto forse interessante. Le sostanze minera- li sono più abbondanti nel mosto del vitigno Jaquez ed anche nel Mantonico, pure il bitartrato potassico non è relativo alla quantità di dette sostanze minerali; pare adunque doversi dedurre che forse le so- stanze minerali , i sali potassici in specie, in tali vitigni assumono altre combinazioni saline, indipendentemente dell’acido tartarico, sarebbe una ricerca , alla quale solamente potrebbe rispondere l’ analisi chimica della cenere.

Questo argomento potrebbe riuscire utile, qualora risulterebbe, che 1’ eccesso delle sostanze minerali fosse rappresentato da basi alcaline o alcalino-terrose , forse di valore minore che i sali di potassa, per cui una spesa minore, dovendo ricorrere agli ingrassi; però niente di certo potendo dire in proposito, mi riservo svolgere l’ argomento in altra oc- casione dopo 1’ analisi delle ceneri.

Le precedenti esperienze e ricerche hanno certamente un valore, ma però un valore relativo, attesoché bisognerebbero essere riconfermati negli anni venturi, come mi auguro.

Non è trascurabile il fatto che dette esperienze si sono eseguite in condizioni alquanto sfavorevoli per il Jaquez, attesoché è il più giovi- ne fra i vitigni in esame, scelti come termine di confronto, ed è noto come la composizione chimica del mosto , differisce in ragione dell’età, agumentando specialmente il glucosio. Ora avuto riguardo a tale con- dizione, mi pare potersi prevedere il miglioramento possibile nella com- posizione chimica del mosto di tale vitigno , però bisogna ancora pre- vedere, come potandolo alla Guyot con l’ aumento della produzione è probabile ottenersi un mosto che potrebbe scapitare rispetto alla compo- sizione chimica, in paragone del mosto proveniente da uva di viti omo-

(1) Da questo calcolo si è escluso , come già si disse il Nerello innestato sopra Jaquez.

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nime potate alla latina, argomento die come cennai spero svolgerlo nel raccolto dell’anno in corso.

In vista della attuale posizione fìllosserica , credo utile cennare il modo di rapida propagazione di tale vitigno , anche in vigne fillos- serate.

Ricorrere alle barbatelle è opera alquanto lunga. Le barbatelle poi solamente possono mettersi a dimora in appezzamento di terreno non vitato , attesoché impiantate in un vigneto restano soffocate sia dalla vegetazione aerea, come dall’ apparecchio radicale, sviluppatissimo nelle viti vecchie. Impiantando barbatelle nelle vigne adulte per supplire alla mancanza di qualche ceppo morto nei filari , non c’ è caso che la bar- batella attecchisca, sarà languida per qualche anno, finirà in seguito a morire. Le barbatelle adunque non saranno mai adatte al graduale ripiantamento di una vigna fìllosserata , in cui i ceppi muoiono pochi alla volta, come generalmente succede fra le nostre vigne infette.

L’innesto è il mezzo più corto, economico e certo per chi vuole provare la resistenza delle viti americane nelle vigne fillosserate. Inne- stando queste ( nel caso nostro il Jaquez ) sopra le viti europee si è certi di correre nella via più dritta.

Una gemma matura si può considerare come una individualità, in- dipendente quasi della pianta madre a cui si associa nella nutrizione generale; un sarmento dunque possiamo considerarlo con le sue gemme come una colonia d’individui, per cui ogni singola gemma contiene tutti gli elementi istologici atti a trasformarsi in organi, quindi atti al- la riproduzione di una vite. Le gemme isolate della vite infatti , pos- sono seminarsi. Possiamo quasi considerare una vite come una colonia di zoofiti che individualmente concorrono ad uno scopo unico , vivono la stessa vita, ma che possono rendersi indipendenti fra loro e vivere vita indipendente. Ecco la possibilità della pratica dell’ innesto,- cioè il trasporto di una o più gemme sul soggetto , i cui organi elementari però devono essere simili o quasi a quelli dell’innesto, perciò le piante innesto e porta innesto devono appartenere alla stessa specie acciò la saldatura si effettui.

L’innesto adunque stà al soggetto come una gemma stà al tralcio.

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L’ innesto se non unico il migliore che per viti adulte si presta si è quello a spacco (1).

Le viti preferibili sono quelle di tre o quattro anni , fra le viti vecchie sono da scegliersi quelle non tanto cariate per vecchiaja. Se il ceppo è troppo deperito, allora è meglio innestare sopra una radice ab- bastanza grossa e sana che si presta parimenti.

La marza non deve essere scelta dalla porzione del sarmento av- vicinato al calcio ; non c’ è dubbio , che questa parte del tralcio , è la migliore, perchè a lignificazione più completa, tessuti più resistenti e com- patti ecc., ma nel caso del Jaquez presenta inconvenienti tali da do- verla eliminare; infatti verso il calcio, il tralcio è troppo grosso, i me- ritalli brevissimi e serrati, in modo che spesso si vedono i nodi 1’ uno sull’ altro , con parecchie gemme accumulate multiple e piccole, quindi tessuti troppo serrati e poco sviluppati, vasi abbondanti, ma serrati e brevi. Ora ad un soggetto relativamente debole, adattando una marza grossa e robusta quasi certo fallisce, una marza debole invece facilmen- te vi attecchisce. In una marza presa dal calcio dal tralcio, si è obbli- gati praticare il taglio lungo V asse di parecchi meritalli.

Tutte queste circostanze sono sfavorevoli alla saldatura dei tessuti fra Tinnesto ed il soggetto.

Le gemme del tralcio quanto più si avvicinavano alla base sono meno sviluppate e più numerose, per la facilità come i succhi nutritivi corrono sempre alla estremità del tralcio ; similmente le gemme della cima sono un poco più sviluppate, ma poco nutrite perchè sono state le ultime a venire. Le gemme più nutrite e più sviluppate, si trovano al- la metà del tralcio, attesoché per la posizione che occupano usufruisco- no specialmente della linfa discendente elaborata dalle foglie, le quali è noto che sono tanto più attive per quanto più giovani e queste si tro- vano sempre verso la estremità del tralcio, mentre verso la metà dello

(1) L’ innesto a spacco è il migliore per viti adulte; è il più antico e diffuso, non c è ra- gione di innovare , i nostri contadini vi si sono assuefatti e lo praticano benissimo ; però è da stare attenti ad alcuni innestatori, attesoché eseguiscono i tagli della marza molto brevi, con la superficie alquanto curva; altri hanno la cattiva abitudine di mettere in bocca la marza dalla parte del taglio, pratica che impedisce lo attecchimento esportando la linfa e sostituen- dovi la saliva, liquido estraneo alla pianta.

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stesso si vedono più sviluppate in superficie. In ogni caso le gemme in- termedie accumulano più facilmente ed abbondantemente le sostanze nu- tritive.

Le gemme intermedie del Jaquez sono quelle destinate alla frutti- ficazione. Ora è noto come per ottenere una pianta che dia abbondan- ti frutti, la marza deve scegliersi a gemme fiorifere o miste e mai da virgulto , succhione ecc. proveniente da gemma avventizia notoriamente poco o niente fruttifera, sia per insufficienza naturale, ovvero per la to- picità che occupano lungo 1’ asse della pianta; anche in questo caso non bisogna derogare da fatti fisiologicamente noti anzi profittarne, on- de evitare inconvenienti ed ottenerne piante ben disposte alla fruttifi- cazione.

Le marze di Jaquez da preferirsi, devono scegliersi alla distanza di 40 o 50 centimetri dalla base di un tralcio sviluppato. Sono utiliz- zabili fino oltre un terzo , rappresentato dalla terza parte centrale del tralcio, che presenta le condizioni opportune, sia riguardo alla grossez- za, che alla fruttificazione (1).

L’ innesto deve praticarsi profondamente, circa 20 centimetri sot- to il suolo, secondo che si trova la struttura del fusto sano e le zone legnose uniformi. La parte aerea del ceppo, nella generalità delle viti potate alla latina, è poco adatta a ricevere 1’ innesto. La potatura lo ha modificato profondamente nella -struttura. Il tralcio potato fa acqui- stare al ceppo uno spessore maggiore alla zona legnosa corrispondente. Con la potatura dell’ anno seguente- inalzandosi la vite, sarà il tralcio alternante che farà dal lato opposto ingrossare la zona legnosa dell’an- nata. Da questa alternanza, indispensabile per equilibrare la formazione legnosa e crescere dritto il ceppo, ne nasce che il canale midollare si sposta dal centro ed in una vite sezionata si mostrerà più o meno ser- peggiante , mentre esternamente il ceppo acquista una apparenza bi- torzoluta.

(1) L’estremità del tralcio come la parte più grossa avvicinata alla base, possono utiliz- zarsi per barbatelle, anzi la porzione di tralcio avvicinato al calcio è quella che si presta me- glio, perché a lignificazione completa. Le gemme foglifere multiple ed i meritalli brevi , dan- no gran quantità di radici.

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Il rigonfiamento e la corrispondente depressione, prodotta dal poco spessore della zona legnosa, ci rivelano il procedere annuale della po- tatura e l’ età della vite. Queste irregolarità nelle zone legnose sono sfavorevoli allo innesto a spacco, non potendo corrispondere bene i tes- suti liberiani e dell’ alburno , fra la marza che li tiene regolarmente nella sua verticale e quelli del porta innesto che li tiene irregolarissi- mi e tortuosi, per cui 1’ attecchimento sarà diffìcile, ovvero lo sviluppo rachitico. Questi inconvenienti si evitano scegliendo la porzione di tron- co del sottosuolo , che non è stata deformata dalla potatura e le zo- ne legnose sono regolari.

•L’innesto profondo inoltre ha il vantaggio di evitare il distacco, che potrebbe prodursi con il vento e con gli urti dagli strumenti ara- tori ed evitare gli effetti del caldo soverchio e del gelo.

L’innesto in generale può praticarsi o allorquando la linfa è di- scendente , cioè in autunno ed in questo caso le gemme restano dor- mienti fino alla primavera, ovvero in primavera quando la linfa è a- scendente. L’ innesto autunnale da noi si dice ad occhio sordo e si pra- tica negli aranci, limoni, alberi da frutto ee, e mai sopra la vite.

Tale pratica per la vite non mi pare consigliabile per tutti i dan- ni che possono sopravvenire all’ innesto dagli strumenti aratori, dal gelo e dalle operazioni di cultura.

L’ innesto autunnale potrebbe avere il vantaggio, che venuta la primavera la saldatura si trova già completa, ma potrebbe pure soffri- re i danni del gelo e la marza perdute le gemme non può avere le risorse della vite, che anche se qualche volta perde le gemme può svi- lupparne altre.

A creder mio la cosa migliore si è non portare innovazioni inu- tili, essendo l’ innesto primaverile pratica assicurata.

L’ epoca preferibile sarebbe dalla metà febbraio fino a tutto marzo.

Fra le viti nostrane su cui innestare il Jaquez sono preferibili quelle ad uva bianca, attesoché è comprovato come la marza di un vitigno ad uva nera sopra un soggetto ad uva bianca, attecchisce e svi- luppa meglio di quanto sarebbe sopra soggetti ad uva dello stesso co- lore.

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Un innesto bene attecchito di Jaquez sopra Neretto mascalese, ci si presenta al terzo anno con saldatura limitata da un leggiero rigon- fiamento più pronunziato sul soggetto.

La fìg. ld rappresenta una vite di Jaquez scorticata per farne ri- levare la saldatura. Il rigonfiamento addimostra lo insaccamento della linfa ascendente e discendente, che fecero alquanto sviluppare i tessuti dell’ alburno e del libro accumulandosi sopra se stessi e che malgrado nella saldatura vi è completa fusione.

Sezionando un innesto bene saldato lungo la linea A, B fig. 2a , si presenta come nella fig. 3a. In tale sezione , delineata con accura- tezza , si rileva come l’ innesto sta nella saldatura a guisa di cono rientrante , avviluppato dal porta innesto mercè un rigonfiamento anu- lare a bordi arrotondati. Le fìbbre e vasi dell’alburno nella saldatura , corrono verso l’innesto anastomizzandosi con i similari in mentre al- la lor volta provenienti dal libro scendono ricurvi dall’innesto al sog- getto fondendosi con i similari in b. Queste anastomosi sono visibili e si propagano nel porta innesto alla distanza variabile di un centime- tro, ad un centimetro e mezzo circa , per cui si spiega il motivo che 1’ innesto ed il porta innesto conservano le loro attitudini e proprietà specifiche a brevissima distanza e quasi nello stesso piano dove si è verificata la saldatura.

Questa sezione mercè la disposizione dei tessuti fibro-vascolari, c’indica chiaramente il movimento ascensionale dei succhi nutritivi dal soggetto all’ innesto , che determinarono 1’ ingrossamento in cc ed una distorsione pronunziatissima nei tessuti , che si raddrizzano dopo breve tratto e la discesa della linfa per i tessuti liberiani, che vanno a sal- darsi con gli omonimi del porta innesto.

I fasci fibbro vascolari si partono dalle gemme iV cl” e siccome queste ci rappresentano un ramo in miniatura, ovvero portavano le fo- glie, dalla base di queste si partono i fasci fibbro vascolari liberiani. Nel caso nostro la gemma d' non si è sviluppata mentre la gemma dn ha dato luogo ad un tralcio che si rivela per il relativo ingrossamento susseguente alla potatura, circonstanza che non si scorge nella gemma d’ , da cui si deduce non essersi sviluppata.

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Si rileva pure come i tessuti legnosi più giovani, non solo cuo- prono i più vecchi, ma i nuovi fasci fibbro vascolari del libbro si a- dattano sopra quelli antichi , che già costituiscono l’ alburno , seguendo la stessa direzione, di modochè al posto dove fu una gemma subiscono una distorsione tale che dalla verticale [tassano ad una curva quasi orizzontale, quasicchè proseguono a trovare un ostacolo che impedisce lo allungamento verticale. Questo fatto accade sia che la gemma si sia sviluppata dando luogo ad un tralcio , come se non si sia sviluppata , anche in quest’ultimo caso i tessuti in questo posto subiscono una di- storsione, come se realmente vi fosse stato un tralcio.

Questa disposizione di tessuti si conserva per le viti di qualunque età. Nella sezione lungo l' asse di una vecchia vite si scorgeranno , le fìbbre verticali del legno, intramezzate da un tessuto fibbroso vascolare quasi orizzontale ; in quel posto esisteva una gemma abortita , ovvero un tralcio. Sarebbe questa tendenza speciale del cambio a generare tale disposizione nel tessuto , come reminiscenza di un’ epoca che fù, allorquando i vasi correvano alla gemma per accumulare in quel punto determinato le sostanze nutritive , indispensabili alla nutrizione e svi- luppo delle stesse.

In altri termini anche la sezione di una vecchia vite, ci rappresen- ta press’ a poco la stessa struttura del sarmento giovane, 1’ aspetto sar- mentoso della pianta non si dilegua con 1’ accrescersi degli anni.

Questo sarebbe il principale motivo per cui tagliando un vecchio ceppo , il cambio facilmente vi riorganizza gemme avventizie che facil- mente sviluppano specialmente in questi punti determinati , che indi- cano il posto dove una gemma.

Nell’annessa figura 3!l si vede, come lo accrescimento al primo anno si è verificato talmente rapido e vigoroso da includere fìbbre liberiane vecchie, che si presentano colorite in bruno, facendo rilevare la primiti- va grossezza della marza.

Tale risultato è dovuto ai vasi del libbro, provenienti dai fasci fibbro-vascolari del peziolo delle foglie defila gemma, che sono scesi nel meritallo, ora sottoponendosi ed ora includendo strati liberiani formatisi precedentemente.

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La gemma più vicina al porta innesto non si è sviluppata, a cau- sa che appena spiegate le prime foglie funzionando per manipolare la linfa, questa acquista una forza ascensionale tale da arrivare alla estre- mità della marza, facendo sviluppare a preferenza l1 ultima gemma.

In ogni modo però mi pare potersi concludere, come lo attecchi- mento dell’ innesto al soggetto e viceversa si effettui nei soli tessuti in contatto, senza che gli organi elementari si compenetrino e che questa saldatura si effettui nello spessore di qualche centimetro al massimo, co- me addimostra la sezione annessa.

Avveratasi la saldatura, la marza può affrancarsi, fatto frequente specialmente quando proviene da specie a grande sviluppo fogliaceo e legnoso, come è il Jaquez; allora succede che nel punto dove si effettua la saldatura si forma un ingrossamento, prodotto dal tessuto fibro va- scolare del libbro, che non potendo ricevere e trasportare tutta la linfa alle radici in quel punto s’insacca, dando per conseguenza sviluppo a fìbbre e vasi del libbro, che facilmente si convertono in tessuto sudile- roso spugnoso , come si vede nella fìg. 4a. In questa figura si scorge che il Jaquez è stato innestato sopra ceppo alquanto vecchio e caria- to parzialmente , la saldatura non si è verificata uniforme, non è ade- rente alla superfìcie del taglio orizzontale del porta innesto. Le fibbre li- beriane insaccandosi sempre, vi hanno prodotto un rigonfiamento che si adatta solo alla superficie del porta innesto, riproducendo una escre- scenza ed un esudato di aspetto sugheroso , somigliantissimo alle escre- scenze della rogna della vite, fìnanco nella struttura.

In una sezione di un simile rigonfiamento si vedono le fibbre le- gnose in forma elicoidale fìg. 5 , 1’ abbondanza della linfa discendente non trovando vasi sufficienti saldati con quelli del porta innesto, ha fat- to ripiegare sopra se stesse le fibbre ed i vasi , per cui ne nasce che la strozzatura agumenta ed il porta innesto resta denutrito. Infatti il diametro , lo sviluppo ecc. dell’ innesto è di molto superiore a quello del porta innesto , malgrado le sostanze nutritive assorbite dal suolo provengono dal ceppo europeo, pure quelle gassose assorbite dalle foglie di J«quez sono in tale quantità da fare acquistare al suo ceppo gran- de sviluppo restando meschino il porta innesto a cui non arriva

Atti Acc. Voi. I, Serie 4.“

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tutta la linfa elaborata dalle foglie, quindi ineguaglianza di sviluppo.

Una pianta in questo stato è capace di produrre per qualche anno solamente e spesso molto, attesoché si verifica ciò che accade nella in- cisione anulare in cui il taglio circolare impedendo la discesa della linfa questa viene utilizzata dal tralcio e. dal grappolo sovrastanti, che si sviluppano oltremodo a spese delle porzioni ed organi sottostanti.

Una vite in questo modo avrà poca vita , oltreché pericola rom- persi per qualunque urto ed allora si rivelerà come l’ingrossamento era adattato alla superficie del porta innesto, saldato appena nei punti di contatto della spaccatura.

La fig. 6d rilevare la separazione avvenuta con un urto.

Se la rottura non accade, da questo’ ingrossamento l’innesto comincia ad affrancarsi emettendo radici avventizie , come si rileva nella fig. 4, allora il porta innesto nel suo apparecchio radicale comincia a deperire diminuendo la nutrizione e le radici di Jaquez cominciano a svilupparsi; dall’ assieme di tali fatti ne nasce che da principio si vede l’ innesto rigoglioso e prospero e poi verso il secondo anno o anco nell’ autunno venturo dello stesso in cui si praticò l’ innesto, sensibilmente deperisce, attesoché le radici del porta innesto, per mancato nutrimento, poco per volta infradiciscono o vivono vita tisica, le novelle emesse del Jaquez sono poche e non possono corrispondere alle esigenze della parte aerea sviluppatissima , ovvero essendo troppo superficiali finiscono con essere diseccati dal sole nella stagione estiva molto calda fra noi. Sia nell’uno come nell’altro caso la pianta finisce con la morte, essendo raro vede- re qualcuno di tali ceppi con radici grosse, tanto da servire alla esi- genza della vita e corrispondenti allo sviluppo della parte aerea. In ogni modo poi si vedono tali viti arrestate nel loro sviluppo , fino a tanto che non si costituiscono un nuovo apparecchio radicale.

La fig. 7a ed 8a esplicano queste fasi vegetative, infatti si scorge nella fig. 7a come attecchito l’ innesto si formò il solito rigonfiamento , per strangolamento vascolare linfatico, che appena aderiva al porta in- nesto, quest’ultimo ricevendo scarso nutrimento ben presto deperiva, per cui si vede l’ innesto conservante ancora i relativi tagli coperti parzial- mente dai fasci liberiani ragomitolati sopra se stessi per insaccamento

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linfatico, in modo da fare acquistare ali’ innesto la forma quasi di un bulbo con escresenze sugherose, fra le quali compariscono radichette esili ed il ceppo è morto al terzo anno.

Nella fig. 8 si vede come i fasci fibbro vascolari ed il tessuto su- gheroso dell’ ingrossamento è più sviluppato, perchè F attacco al porta innesto è stato maggiore e di più lunga durata, tanto che l’apparecchio radicale ha avuto il tempo di svilupparsi discretamente ed in qualche modo adatto alla nutrizione dell’ innesto affrancatosi, ma non tanto pe- rò da permettere rigoglioso accrescimento alla pianta , infatti dovette eliminarsi dalla piantagione, sostituendovi una propagine.

Nelle annesse figure essendosi conservate le dimensioni individue dei soggetti scelti, si rileva il proporzionale sviluppo delle descritte fasi vegetative di accrescimento. La fig. 4 addimostra Finnesto più sviluppato in grossezza ed il soggetto più meschino e gracile. L’innesto per lo stroz- zamento dei vasi ha usufruito della linfa si è nutrito troppo, il soggetto per deficienza di linfa si è nutrito poco; stato precario ed illusivo per qualche anno ancora, che doveva finire con la morte della pianta.

La fig. 1 addimostra, come per F effettuitasi saldatura completa , non rilevare sensibile differenza nella grossezza fra soggetto ed inne- sto. La linfa ascendente e discendente ha circolato liberamente, non c’è stato insaccamento alcuno, quindi da ciò sviluppo regolare. La pianta aveva assicurata la sua esistenza , malgrado apparentemente F innesto comparisce meno robusto del precedente.

La fig. 8, per essersi F innesto affrancata prima del deperimento totale del soggetto, addimostra uno sviluppo meschino, ma che gli per- mette di vivere tisicamente.

La fig. 7 è l’ultima nella scala discendente di sviluppo, per le difficili condizioni in cui si è trovato Finnesto, non avendo goduto del- l’affrancamento in ritardo e per deperimento precoce del soggetto.

Malgrado la saldatura si effettui completamente, conservando il soggetto di vite europea con innesto di Jaquez, non si è per nulla rag- giunto lo scopo , essendo rimaste le radici di vite europea , che la fil- lossera facilmente distimie, mentre dovrebbero aversi viti con radici re- sistenti alla fillossera.

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Studi sul vitigno Jaquez

Per evitare l’assieme di tali inconvenienti ed avere un ceppo a radice di vite americana resistente alla fillossera, bisogna ricorrere alla propaginazione, operazione nota e che accuratamente fanno eseguire i nostri viticultori, con tale mezzo è chiaro che al secondo o terzo anno, già si ha una vite di Jaquez con radici proprie e con facile rapidità si può ricostituire un vigneto.

Nelle condizioni presenti della nostra viticoltura, anche in vigneti esenti di fillossera, è consigliabile la diffusione di tali viti, con i mezzi di propagazione cennati. Nei vigneti fillosserati forse sarà V unico rime- dio efficace e per lo meno è consigliabile onde verificare il grado di resistenza di tale vitigno ed il suo valore nelle diverse regioni va- riabili per clima e suolo (1) ed in caso di riuscita, come pare per la concomitanza di circostanze diverse, allora mercè l’ innesto e la susse- guente propaginazione, rapidamente possono ripristinarsi i vigneti mano mano che sono attaccati dalla fillossera, senza avvertirne la mancanza e senza subire scosse disastrose la proprietà fondiaria.

Catania li 31 Maggio 1888.

Laboratorio di chimica enologica della R. Scuola di viticoltura ed enologia.

(1) Si sono ancora iniziate altre esperienze in Provincia di Siracusa, comune Comiso spe- cialmente sulla educazione del Jaquez.

Altre esperienze ho stabilite in terreni eminentemente argillose in comune di Aci-Catena contrada Reitana sopra Riparie, Noac, Elvira, Jaquez, Herbemont e sempre con lo scopo di conoscerne lo' adattamento.

Spero così fra qualche anno trovarmi nelle condizioni di comunicare estesi risultati chi- mico-viticoli sopra tali viti ed esperienze relative.

BocsUc, d/zù nse/u) -Zk5 Zu/ZVÙZ-. £tz

Della Lepra in Italia, e più specialmente in Sicilia

del Dottore

PRIMO FERRARI

Prof. ord. di Clinica Dermosifilopatica nella R. Università di Catania

Comunicazione all' Accademia Gioenia nella seduta dell' 8 Aprile 1888.

I.

STORIA

Sommario Prima origine della lepra Sue varie denominazioni Epoca nella quale comparve per la prima volta in Italia Primi leprosari Epoca nella quale si crede dall' autore che venisse importata in Sicilia Primo leprosario— Distribuzione geografica della lepra nel mondo.

È questione se la Lepra (1) , o come suole del pari chiamarsi l’ Elefantiasi dei Greci sorgesse da prima in Egitto, importatavi dai negri africani del Soudan e Darfour; o nel popolo d’Isdraello tornato dall’Ara- bia, dove si sospetta già esistesse; o finalmente venisse dall’ Indie dove si chiamava Kushta secondo ci vien detto dal saggio Atreya nel Rig Yeda Sanhita (14-1500 an. a. G. C.)

Secondo Lucrezio pare veramente che la sua prima comparsa fosse in Egitto, ed al proposito dice :

« Est Elephas morbus qui propter flumina Nili Cignitur Aegypto in medio prseterea usquam »

(1) Si sono ravvicinate alla lepra ebraica ( Saraat ) altre infermità. Bartolino J. Ledere, ed altri 1’ assomigliarono all'elefantiasi tubercolosa ; Hillary ed Adams la credettero la fram- boesia d’ Africa ; Bateman il leuce dei greci, il barras degli arabi ; la terza specie della viti- ligo di Celso; Lorry ed altri la considerarono quale una malattia distinta. Io adotto la parola lepra invece di lebbra perchè, non come vuole il mio eh. collega prof. Campana, che la parola lepra corrisponde più esattamente alla voce greca "kiirpa dal lato etimologico, perchè anche l’uso in fonologia vale sempre qualche cosa, ma perchè 'la voce lepra ha un uso più generale nel mondo medico.

Atti Acc. Voi. I, Serie 4.*

6

38

Della Lepra in Italia

Sia comunque è però indubitato che nell’età biblica questo ter- ribile morbo esisteva, perchè al cap. XIII. del Levitico, versetto 3. Età scritto.

Qui cum viderit lepram in cute , et pilos in album mutans co- lorem ipsamque specialem lepram liumiliorem cute, et carne reliqua plaga leprce est, et ad arbitrium ejus separabitur

d’altra parte posso io convenire con Kaposi, Rampoldi, e Verga che in quel tempo con la lepra abbian confuse altre dermopatie , una volta si trova scritto al versetto 2.°-4,° e seguenti dello stesso capitolo biblico il modo di distinguerla dagli altri mali della pelle. Anzi per non andare errati si stabilirono giorni sette di osservazione, e nel dub- bio altri sette e sette poi sino a che non si fosse perfettamente chiarita la natura del male. Mosè considerava qual fenomeno importante nella diagnosi differenziale della lepra la voce rauca, tantoché per riconoscerli come leprosi gli faceva parlare dinanzi a lui. Così è da pensare ezian- dio che la ritenessero contagiosa, come ce lo attestano le misure di separazione degli affetti, che il Rampoldi ed il Verga vorrebbero suggerite da scopo religioso, e eh' io ritengo piuttosto dettate da fine esclusiva- mente igienico. Mosè da quel sapiente legislatore che era, come per la blenorragia, così fece per la lepra, cioè per poter più facilmente rag- giungere lo scopo igienico circondò il comando del prestigio religioso. Anco nel Thesaurus antiquitatum sacrarum. voi. XIV. pag. 1074 si legge parlando della circoncisione cautus sis tibi in plaga leprce. E finalmente la scrittura non ci avverte che Giobbe patì la lepra ? che ai tempi di Samuele i Filistei che avevan predata l’arca agli Ebrei fu- ron puniti con questa malattia?, e che il profeta Elia Tesbite risanò il siriaco Naoman dalla lepra coi bagni del Giordano ?

Così nella medicina greca è narrato, come innanzi il cominciamento delle Olimpiadi Melampo guarisse dalla lepra le figlie del Pretore Argo, divenute pazze, perchè disprezzarono i simulacri di Giunone. E finalmente non lo prova forse a dismisura la legge mosaica per la quale dovevano bandirsi dalla città i leprosi ? A questo proposito narra Giuseppe Flavio nel suo libro De antiquitate judeorum che era legge in Somaria, che chi fosse attaccato da questa malattia, e non si fosse in prima

e più specialmente in Sicilia

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nettato doveva abitare fuor dalla città, quantunque presso altre nazioni nou vi si guardasse, ed i leprosi venissero considerati con eguale stima, e senza villania. Pare che in quel tempo fossero molti codesti infermi, tantoché Manetone parla nientemeno di 90000 ebrei infetti. Finalmente ci accerta di questo morbo in fra gli Ebrei anco lo stesso Maometto che visse 1200 anni dopo Mosè.

Seguitando le nostre ricerche istoriche, sembra che ai tempi d’ Ip- pocrate fosse poco conosciuta in Grecia : ma è a ritenersi tuttavia che non sfuggisse alla considerazione di quella sublime mente del vecchio di Coo, e che ne parlasse sotto il nome, come vogliono gli scrittori, di voiTog (; morbo fenicio). Così è da credere, che Aristotele .345 an. a. G. C. intendesse discorrerne con la parola 'Hampaa (satinasi), no- me suggeritogli al pensiero dalla rubicondità della faccia del leproso, che assomiglia appunto a quella di colui, che si trova sotto il parossismo dell’ eccitazione erotica, o perchè, come da taluno ritiensi , il leproso possegga maggior gagliardia sessuale che non nelle ordinarie condizioni. Yenne appellato anco morbo erculeo , come il più potente ed il maggio- re di tutti.

Archigene poi la disse leontiasi ; Areteo leontia per la somiglianza che talora assume la faccia di codesti miseri infermi con quella del terribile signore delle foreste. La dissero i Greci Elefantiasi per aver veduto la pelle di questi infermi nera e bernoccoluta, siccome quella degli elefanti, che per la prima volta avean veduto in Asia. Del resto la lepra ebbe altri nomi; come quello di mal morto (Scuola Salerni- tana) ; di mal rosso di Caienna ; di lepra taurica , o lepra dei Cosac- chi, o mal di Crimea; di lepra anestetica delle Indie ; di lepra di Hol- stein ; mal di S. Lazzaro ; di rosa delle Asturie ; di morbo erculeo ; di morfea ; tyria , mal di fegato ; e mal di formica di Comacchio. Il San- galli dice, che quest’ultime sone tutte espressioni, che denotano speciali forme, condizioni, o modi di sviluppo di questo male. Ai confini del Kuban è detta Krysuka , e si ritiene importatavi dalla Crimea.

Intanto è a notarsi come la lepra per lunga pezza venisse confusa dai medici con V elefantiasi degli Arabi , e può dirsi che sebbene sino dal 1493 il Leoniceno, illustre medico Vicentino ne notasse la dif-

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Leila Lepra in Italia

ferenza , pure la confusione è durata sino ai nostri giorni; e si deve se cessò oggi ai pregievoli lavori di Danielssen, Rayer, Pruner, Hebra, Bòck ed Hirch sopra la elefantiasi dei Greci, e di Rayer, Sinz, Simon Rokitanski, Virchow, e Tiechmann sopra V elefantiasi degli Arabi.

Cosicché per chiarezza e precisione di linguaggio chiameremo le- pra l’elefantiasi dei Greci, pachidermia l’elefantiasi degli Àrabi.

Dunque tornando a noi pare, che la Grecia fosse il primo paese dell’Europa ad essere affetto dalla lepra, importatavi o dall’Asia Mino- re, o dall’ Egitto da Alessandro il Grande, quando tornò dalle sue guer- re di là.

Lucrezio 95 an. a. G. C., e Celso 53 dopo, parlano della lepra in Italia, come male poco conosciuto. Plutarco asserisce, che la lepra comparve in Roma per la prima volta al tempo degli Asclepiadi. È tuttavia a ritenersi per 1’ autorità di Plinio, che in Italia vi fosse im- portata 100 an. a. G. C. dal Gran Pompeo, mentre tornava dalle sue guerre d’Asia, e di Grecia.

Cosicché i Romani ebbero conoscenza della lepra dopo dei Greci, malattia che allora invase Roma, e quindi la Lombardia, il Veneto, il Ferrarese, il Genovesato, e le isole dell’Elba, della Sardegna, e Sicilia, luoghi dove anche oggidì disgraziatamente se ne risentono i guai. Recen- temente il dott. Fiorenzo Jaja ci ha descritto 16 casi di lepra nel paese di Alberobello nelle Puglie. Secondo questo diligente osservatore la lepra in questa città esisterebbe probabilmente sino dal secolo XV , cioè sin dall’ epoca nella quale incominciò a sorgere l’ attuale Alberobello. Ecco che cosargli scrive.

Non è impossibile però, che essendo cominciato a sorgere l’attuale Alberobello nel secolo XV, per mezzo di gente richiamata da vari paesi da Andrea Matteo Acquaviva, della Casa di Conversano, alla quale dava asilo nella selva di sua proprietà, siansi con altri rifugiati dei leprosi, che a quell’ epoca non mancavano in Italia, i quali abbiano sparso il germe della malattia

Del resto nel l.°-2.° secolo dell’ era cristiana ne discorrono per propria osservazione Areteo, Archigene, e Galeno, e dopo di quest’ ul- timo, cioè 541 an. d. G. C. ne parlano come di malattia comunissima

e più specialmente in Sicilia

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Oribasio, Teodorico, Prisciano, Marcello; ed Ezio; e si può dire che dall’ ora invadesse la maggior parte d’ Europa (Spagna, Francia, Ger- mania, Inghilterra), seminando per ogni dove lo spavento ed il terrore, tantoché nel 757 a Compégne sotto il regno di Pipino il Breve que- sta malattia fu considerata siccome causa di divorzio, e ne venne proi- bito perfino il matrimonio, espediente che nel 787 venne adottato e- ziandìo da Carlo Magno, mentre in Inghilterra si sancivano leggi cano- niche all’ uopo. In questo tempo frattanto s’ istituiscono ospedali spe- ciali u Leprosari e secondo le indagini storiche del Virchow sembra che sino dal secolo VII esistessero in Francia, per opera di S. Niccolò di Cerbia, e nel seguente secolo venissero istituiti in Germania per quella di S. Ottimaro. In Italia per le mie ricerche avrei trovato, che a Pa- lermo sorse un leprosario nel 1154-1166; a Firenze nel 1186; a Pistoia nel 1285, e a S. Remo nel 1358. Del resto a questo propo- sito il Muratori scrive ; In Italia nix lillà est civitas quee non aliquem locum leprosis destinatum aber et „. Però il primo leprosario che conti la storia sembra sia stato quello di Chalore (Francia), che porta la data del 517.

Ma quando la lepra raggiunse il suo massimo, che fu all’epoca delle crociate, i leprosari si moltiplicaron per modo, che alla morte di Luigi Vili, nella sola Francia questi ospizi inalzati dalla pubblica pietà rag- giungevano il bel numero di 2000, ed in tutta la cristianità quello di 19000. Leloir pensa, che alla rapida estensione del male vi abbia con- tribuito moltissimo l’invasione di Dario e Serse 180 an. a. G. C. Del resto è pur da tenersi in conto, quanto ben giustamente osserva il Bate- man, che molto probabilmente questo numero stragrande di leprosi sia dovuto dall’ avere confuso con la vera lepra molte dermatosi da essa dif- ferentissime. E qui pur cade in taglio che si racconti con quanto amore dalla Chiesa venivano allora trattati i leprosi. Il conte Montalembert nel- l’ istoria di S. Elisabetta d’Ungheria, Duchessa di Thuringe, narra.

La lebbra avea in quei tempi qualche cosa di sacro agli occhi della Chiesa e dei fedeli ; era un dono di Dio, una distinzione speciale, un pegno per così dire della bontà divina. La mano di Dio , del Dio sempre giusto e misericordioso, avea toccato un cristiano; lo avea col-

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Della Lepra in Italia

pito in un modo misterioso ed inaccessibile alla scienza umana; e fino da quel momento era nel suo male qualche cosa di venerabile. La soli- tudine , la riflessione, la religione diventavano una necessità per il leb- broso, se non che nel suo isolamento seguivanlo le preghiere, e V amore dei fratelli. La chiesa aveva saputo conciliare la più tenera cura per questi sventurati reietti con le richieste per la salute comune, onde im- pedire il propagarsi del contagio. Non vi ha forse nella liturgia nulla di più toccante, e di più solenne ad un tempo della cerimonia detta s eparati o lepros orimi, colla quale proced evasi alla segregazione di colui che era stato colpito da Dio nei luoghi, ove non erano Ospizi speciali destinati ai lebbrosi. Celebravasi alla sua presenza 1’ uffizio dei morti ; quindi dopo aver benedetto tutti gli utensili che dovevano servirgli nella sua solitudine, e subito dopo che ogni assistente gli aveva fatta l’elemo- sina, il clero preceduto dalla croce, ed accompagnato da tutti i fedeli lo conduceva in un tugurio isolato che venivagli assegnato per dimora. Sul tetto di quella capanna il sacerdote poneva della terra di un cimitero esclamando :

Si mortuus mundo, vivens iterum Deo

Quindi dirigevagli un discorso consolatore mediante il quale rap- presentavagli le gioie del paradiso. Poscia piantava una croce di legno innanzi alla porta della capanna, appendeva una cassetta per ricevere 1’ elemosine dei passeggieri , ed ognuno si allontanava. Soltanto a Pa- squa i lebbrosi poteano uscire dalle loro tombe ed entrare per qualche giorno nella città, e nei villaggi, onde prender parte alla gioia univer- sale della cristianità. Quando morivano così isolati celebravansi i loro funerali coll’ ufficio dei confessori non vescovi.

Il pensiero della Chiesa era stato compreso da tutti i suoi figli: i lebbrosi avevano ricevuto dal popolo i più dolci, e consolanti nomi; erano chiamati 1 malati di Dio , i poveri cari a Dio , le buone genti. Oltre a ciò, siccome per causa dei pellegrinaggi in Terra Santa e delle Crociate la lebbra erasi diffusa in Europa, una tale origine ne accresceva il carattere sacro. Un ordine di cavalleria , quello di S. Lazzaro era stato fondato a Gerusalemme esclusivamente per la cura, dei lebbrosi,

t più specialmente in Sicilia

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ed aveva per gran maestro un lebbroso. Perfino un ordine femminile erasi dedicato allo stesso scopo , e nella stessa città all’ ospizio di S. Giovanni il Lemosiniere. Tra i Re ed i potenti della terra la Regina Elisabetta non fu la sola ad onorare Cristo nei successori di Lazzaro, ma molti principi illustri , e possenti riguardarono questo dovere come una prerogativa delle loro corone. Roberto , Re di Francia , visitava continuamente gli ospedali; S. Luigi trattava i lebbrosi con fraterna a- micizia , visitavali alle quattro tempore , e ne baciava le piaghe (1). Enrico IH. Re d’Inghilterra faceva altrettanto, ma i santi del medio Evo furon quelli, che dettero prova dalla maggior devozione pei lebbrosi.

Anco Gesù volle esser ritenuto lebbroso.

Intanto il bisogno di un trattamento scientifico della malattia in discorso si faceva sentire, mentre nel caos che caratterizza la fine del- I impero romano , ed i primi secoli della media età si era perduta la letteratura dei Greci, e dei Romani, o stava nascosta entro ai Monaste- ri. Però gli Arabi aveano dato lavori assai estesi sull’ argomento, e qui merita ricordare Serapione ( Siria ); Razes (Bagdad)] Ilaly Abbas (Persia)] Ebn Sina (Bucaria)] Ebn Zooz (Marocco)] Ebn Roschid , ed Abul Carem (Spagna Maurice).

Mercè V opera appunto di costoro si potè in occidente rinnovare la conoscenza della lepra. Costantino V Africano , fondatore della cele- bre scuola Salernitana, imparò a conoscer questo male nei suoi viaggi in oriente. Cosicché raccogliendo le arabe dottrine ne fondò una pro- pria, che rimase di guida dal cadere del secolo X fino alla metà circa del XYI a Ruggero, Rolando, Teodorico, Guglielmo da Saliceto, Lan- franco, Montagnana, Fracastoro, Fabrizio d’ Acqua pendente, Manardo da Ferrera, Torella, Massa, Aquilano, Scanaroli, Cattaneo, Gordino ed altri.

(1) Domandando S. Luigi a Joinville se avrebbe voluto piuttosto esser lebbroso , o aver commesso un peccato mortale, questi rispose che piuttosto che esser lebbroso ne avrebbe fatti trenta. Allora rimasto solo il Santo Ee con il Joinville cosi gli parlò : Vous déistez cornine hastis musarz ( come uno stordito) car nulle si laide mezelerie (lebbra) n’est cornine d’ètre en

pechié mortai Ci vous pour tant cornine je suis, que vous mettez votre cuer à ce pour l’a-

mour de Dieu et de moi, que vous aimissiez mieux, que tout meschief avenir an corps de me- zelerie , et de tonte maladie , que ce que la pechié mortel venist à Vaine de vous.

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Bella Lepra m Italia

Questo terribile male sembra però decrescere in Europa nel secolo XY, (Fracastoro), e massimamente in quelle regioni ove l’isolamento venne curato con maggiore esattezza (Francia, Alemagna, Inghilterra, Paesi Bassi), mentre in Norvegia si mantenne con la stessa intensità, perchè venne negletto 1’ isolamento, ed ogni altra pratica di pubblica igiene.

Così in quest’ epoca da questi focolai, incominciò a diffondersi il triste morbo anco in America ed alle Antille, e poscia in China, come più tardi nelle isole dell’Oceano pacifico, negli Stati Uniti, ed al Canadà.

Venendo poi a ricercare in modo speciale 1’ epoca in che s’è per la prima volta sviluppata la lepra in Sicilia , trovo a questa legarsi due periodi storici memorabili; quello dell’ ebraismo ed il munsulmanismo . Ad uno di questi due periodi credo debba attribuirsi 1’ origine del ma- le in questa terra.

Non sono affatto d’ accordo con la locale tradizione che questo male fossevi importato dalle nemiche orde dei Saraceni , che, nell’ 827 invasero le belle contrade della Trinacria , perocché siffatto 'avviso sti- mo derivi piuttosto da antico odio in verso di loro, che da altro.

Parmi invece più probabile assai, 1’ origine ebraica, se si considera come gli Ebrei profughi per la distruzione di Gerosolima venissero ad abitar la Sicilia; e tanto più questa ipotesi acquista valore, quando si pensa, come in quel tempo la lepra dominava in proporzioni notevoli in fra i popoli d’ Israello.

E che in quel tempo esistessero quivi gli Ebrei, ne è argomento il fatto stesso della morte di S. Marciano Vescovo di Siracusa, per o- pera di loro, ed una lettera di S. Gregorio Magno a Leone vescovo di Catania, ove per dileggio chiamò gli Ebrei, Saramei.

Cosicché ammesso il fatto, che l’ invasione ebraica corrisponda con 1’ èra in che trovavasi tra loro la lepra endemicamente, ne viene per na- turai conseguenza che agli Ebrei, piuttosto che agli Arabi si debba pro- babilmente attribuire, quando non v’ è d’ altronde documento che di- mostri quest’ ultima provenienza.

Tuttavia se si va in cerca dei documenti che attestino la presen- za della lepra in Sicilia le prime notizie le abbiamo solo dal cominciar del secolo XI, regnando Ruggiero II, dappoiché si vede in quest’ epo-

e più specialmente in Sicilia

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ca la casa di S. Leonardo a Palermo , destinata ad Ospedale pei le- prosi, che il Re Guglielmo I tra il 1154, ed il 1166 trasferì nella casa annessa alla Chiesa di S. Giov. Batt. fuori Porta Garibaldi. era mandato ogni leproso per timore che non corrompesse Varia , e tor- nasse di pregiudizio ai sani (Profeta). Da ricerche da me fatte in A- vola (Siracusa), il male daterebbe colà da due secoli. Vuoisi da taluno che vi sia stato importato dagli arabi, quando invasero 1’ antica Ahula sui monti Iblei , che un fortissimo terremoto distrusse , or son due se- coli. Invece nel paese di Pachino, prossimo alla detta Avola, la malattia daterebbe da poco, e vuoisi ivi sia nata pel passaggio in questo paese di qualche leproso da Avola.

Non mi è stato possibile costatare i dati precisi dell’ istoria della lepra nelle altre parti della Sicilia , come a Catania , Augusta, Noto, Messina, Trapani, Palermo, ed altre località. Certamente si può ritenere come qui pure ne sia antichissima la origine, ed importatavi dai primi abitatori Ebrei. E singolare tuttavia che niun medico, o storico siciliano si sia occupato di questa infermità prima del secol nostro, dove tra i medici troviamo discorrerne i professori Maggiorani e Profeta dell’ Uni- versità di Palermo, e tra gli storici Corradino Clarenza di Catania, che ripete la gran diffusione della lepra nel secolo XIII, al non essersi generalizzata la costumanza di portare biancheria sotto gli abiti, siccome praticavano gli Arabi.

Il prof. Profeta ha raccolto 114 casi di questa malattia (80 uo- mini, e 34 donne), i quali infermi erano distribuiti in numero di

25

ad

Avola

7

a

Buccheri

10

a

Fioridia

6

a

Cefalù

1

a

Modica

6

a

Monte S. Giuliano

9

a

Trapani

5

a

Favignana

8

a

Palermo

3

a

Mirto

8

a

Solari no

1

a

Carini

1

a

Mazzarino

1

a

Petralia Sottana

8

a

Naro

1

a

Polizzi

1

a

Spaccaforno

1

a

Girgenti

7

a

Lipari

1

a

Sciacca

7

a

Castellamare

1

a

Tortoriei

Totale 114

Atti Acc. Voi. I, Serie 4.*

7

46

La Lepra in Italia

Io poi avrei costatato i

9 a Catania 3 a Messina 12 a Avola 6 a Augusta 8 a Pachino 1 a Noto

Totale 39

seguenti casi:

(6 uomini , e 3 donne )

(3 uomini)

(9 uomini e 3 donne)

(5 uomini ed una donna ) (7 uomini ed una donna) ( 1 uomo )

Dal sin qui discorso quindi chiaro apparisce, che confrontata la statistica siciliana in confronto di quella delle altre località italiane dove tuttora si hanno casi di lepra, la Sicilia offre il maggior numero di casi. Ora diamo uno sguardo alla sua distribuzione geografica nel mondo.

EUROPA

Italia Venezia Torino S. Remo S. Remolo Comac- chio Recanati— Alberobello Foggia {valle argentina ) Valle di Nervia Lago di Como, Isole di Sicilia, d’El- ba, e di Sardegna.

Non esistono Leprosari, isolamento.

Non esiste isolamento , ed i Leprosari numerosi un tempo, oggi sono soppressi e destinati dalla pietà pubblica ad Ospe- dali comuni, e dove sono egualmente accolti anco i leprosi.

Durante un periodo lunghissimo non s’è notato aumento negli affetti.

Francia Parigi ; dintorni del Delta e del Rodano ; sulle coste mediterranee della Provenza, e sopratutto nella riviera di ponente.

Non esiste isolamento. Pochissimi casi.

Austria Innsbruck, Ungheria, Callizia.

Non esiste isolamento. Pochissimi casi.

e più specialmente in Sicilia

47

Russia Caucaso; Delta del Volga; provincia dell’ Astraklian ;

Coste del Baltico; in Esthenia; Livonia; Curlandia; Fillan- dia; Cherson; Crimea; territorio dei Cosacchi di Olirai. Non esiste isolamento. Moltissimi gli affetti.

Turchia Macedonia; Tessaglia; Rumelia; Creta; Isole dell’ Arci- pelago; Costantinopoli.

Non esiste isolamento. Moltissimi gli affetti.

Leprosario a Costantinopoli.

Grecia Acarnania; Arcadia; Argolide; Attica; Acaja; Eubea; Etolia; Laconia; Messena, Isole dell’Arcipelago.

Non esiste isolamento. Nel momento il male pare in aumento.

Portogallo Montagne di Lafoes ; Bassa Beira ; Estremadura; Al- gorve.

Leprosario a Lisbona.

Norvegia Bergen; Drontheim; Molde Dronth.

Esiste isolamento rigoroso.

Leprosario a Bergen, e a Molda.

Svezia Provincia dell’ Argermann.

Non esiste isolamento. Moltissimi i casi.

Rumenia E assai rara.

Spagna Catalogna; Valenza; Asturie; Andalusia; Granata; Gallizia.

Non esiste isolamento.

Leprosario a Granata, e a Malaga.

ASIA

Arabia Arabia; Siria; Palestina.

Qui vi sono moltissimi casi di lepra, specialmente nei distretti meridionali di Beirut, Jaffa, Damasco, sul Libano, ed a Gerusalemme.

Leprosario a Gerusalemme.

48

La Lepra in Italia

Persia Teheron (distretto).

Molti leprosi.

Asia Minore Bauckara.

Molti leprosi.

Leprosario a Seutari.

Hindostan La lepra va qui aumentando. Vi si annoverano più di 100,000 leprosi.

Non esiste isolamento.

Indie Inglesi Leprosario a Madras, e Bombay.

Indie Francesi Leprosario a Pondichérv.

Noli esiste isolamento serio.

Ceylan Numerosi leprosi.

Leprosario a Colombo.

Bengala Numerosi leprosi.

Indo-China Abbondano i leprosi in Birmania, Siam, Malacca, e so- pratutto nel Malaj.

Esiste un leprosario.

In gran numero sono questi infermi nelle Colonie francesi della Concincina, dell’ Annaman, e del Tonchino.

Non esiste isolamento.

China Numero stragrande di leprosi. In Birmania ed in China

si può dire sono più questi infermi, che quelli di altre malattie.

I leprosari sono insufficienti.

Non esiste rigoroso isolamento.

Giappone La lepra è diffusa per tutto, specialmente a Schube, Kioto, Tokio, sull’ Oceano Pacifico.

Non esiste isolamento.

Isole della Costa Indiana Molti leprosi.

Kamtschatka Qualche leproso.

Isole Alente Qualche leproso.

e più specialmente in Sicilia

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AFRICA

A Tunisi, Tripoli, Marocco, Natal.

I leprosi sono pochi.

Egitto, Abissinia, Isole di Acore, Seychellen, e di Madera, al Capo di Buonasperanza, Nubia, Darfour, Senegambia, Ni- grizia, Siberia, Isole di Francia, di Borbone, Sierra-Leone, Guinea, Gabon, Monzabico, Zanzibar, Congo, Colonia del Capo, Madagascar.

V’ è nell’ attualità un progressivo aumento nella lepra. Esistono due Leprosari; uno a Capo-Jown, e 1’ altro a Funchal.

AMERICA

Stati Uniti Groenlandia, Nuovo-Brunswick, Minessota, Wisconsin, Michigon, Indie Nord-ovest, California (S. Francisco), 0- regon, Caroline del Sud, Luisania, Sud-Texas.

Esiste V isolamento rigoroso.

Messico Molti leprosi.

Non esiste isolamento.

Indie Occidentali Cuba, Giammaica, Haiti, S. Bartolommeo, Guada- lupa, Barbade, Trinità, . Equatore, Colombia, Venezuela, Panama, .Nuova Granata, Guyana, Isola Curacao.

Non vi è isolamento.

Si mantiene la cifra di questi infermi nella Guinea olandese, dove esiste isolamento.

Brasile Provincie di Maronhao, Para, Pernambuco, Rahia, Rio

Janeiro, Parona, Sud di Minos, S. Paolo, Uraguay.

Vi si trovano un buon numero di leprosi, sebbene vi sieno leprosari a Rahia, Curie, Minos-Geraes, Pernambuco, e Rio Janeiro.

50

La Lepra in Italia

Antille La lepra è sparsa per tutto, e specialmente alla Tri-

nidad, dove esiste un Leprosario.

Non esiste isolamento. Sembra ora in aumento.

L’ istituzione di altro Leprosario, cioè quello della Desirade alla Guadalupa è assolutamente insufficiente. A Curagao, dacché il Governo Olandese prescrisse un rigoroso iso- lamento i casi di lepra sono diminuiti.

Al Canadà l’emigrazione norvegese causò un focolaio d’infe- zione al Nuovo-Brunswich.

OCEANIA

Le Isole Sonde, le Filippine, le Sandwich, Mollucche, la Nuo- va Zelanda, e l’ Australia sono notevolmente affette da lepra.

Esiste isolamento.

Leprosario a Molakai, ed a Honolulu.

IL

‘ITTIOLOGIA

Sommarlo Se la lepra sia un male epidemico, sporadico, o endemico— Clima— Temperatura e variazioni atmosferiche— Suolo— Costituzione medica— Abitudini— Nutrizione— Età-Sesso Contagio— Eredità Se la sifilide, sia una derivazione della lepra.

Sebbene dal 1200 sino al cominciar del 500 la lepra apparisse qual malattia epidemica , ed anco ai nostri si siano osservate delle piccole ed isolate epidemie ( Luisania , isole Sandwich , e Maurizio ), pure il ca- rattere meglio spiccato è senza dubbio quello che la dimostra malattia endemica.

Taluno ha creduto alla sporadicità , fondandosi sopra certi casi d’ individui, i quali dopo aver vissuto per lunga pezza in paesi indemni

e più specialmente in Sicilia

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da lepra, incontrarono il male non tosto furon tornati al paese natio; oppure ciré nati in paesi dove dominava ebbero a soffrirne andati die furono in paesi sino allora esenti (Skearer, Benzoli, Thoma, Piffard, Oder, Arnott, e dai medici dell’ Ospedale di Guy e di Donar, Sonthey, Duckwartk e Pye-Smitk.)

Ma devesi considerare che tutti questi casi non sono fondati sopra diagnosi sicure, così l’White ed il Liveing ci fanno notare di aver vi- sto dei casi, che certamente sarebbero passati come sporadici se non fossero stati convenientemente studiati. Laonde sembra più opportuno considerare il male in discorso piuttosto quale una malattia endemica che altro, cosa che io dimostrerò ancor meglio in prosieguo.

Esaminiamo per ora le cagioni che possono favorire il processo le- proso.

Clima Ben dice Paolo Mantegazza Il clima è più potente modi- ficatore dell’ organismo che tutte le medicine toniche e debilitanti, al- teranti, e perturbatrici. E non v’ è dubbio, ed in questa malattia vi ha certo la sua peculiare azione, però a parer mio non veramente sull’ es- senzialità del processo, ma come semplice cagione atta a favorirne la evoluzione. Perchè non posso davvero convenire con Helmsen, e Kierulf nell’esistenza di un virus leproso, di natura malarica, sebbene lo potes- sero far credere a prima giunta certi fatti di persone che emigrate da paesi sani in quelli leprosi vi contrassero quivi il male. Ed infatti on- de queste osservazioni potessero confermare la dottrina di Helmsen e Kierulf bisognerebbe che innanzitutto fosse escluso che questi individui che da paesi sani andando in quelli ammalati, e vi acquistarono il male, non si trovavano sotto l’influenza di una anteriore disposizione, sia pu- re antichissima. Infatti Ed. Kaurin di Molde ha narrato recentemente di aver visto un fanciullo leproso , sull’ anamnesi del quale si aveva soltanto che due fratelli dell’avo materno furono leprosi. Anche io ho degli esempi di indubbio atavismo.

Del resto tornando a noi, contro la teorica della malaria gli è ar- gomento molto eloquente il fatto stesso di osservare la malattia sul Libano, ed in molti paesi montuosi del Brasile, nella Persia del Nord,

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La Lepra in Italia

in Abissinia, nelle regioni intermedie della Nuova Zelanda , nella pia- nura del Messico, nell’altipiano della Nuova Granata, a Quito , ed alle isole Sandwich, che appunto per l’eccellenza del clima le ha fatte dire u Sanitarie. Miinik Kiew ha veduto 300 casi di lepra sui confini Kubani , dove la popolazione è lungi dal mare. Così il dott. Jaja ha osservato 16 casi di lepra ad Alberobello, città di 5731 abitanti, che si eleva in due colline, diramazioni dell’ Appennino Pugliese a circa 425 metri sul livello del mare, e dove si respira aria buonissima, come lo stesso si può dire dei casi che esistono a S. Remolo paese posto su di un lato di magnifiche montagne coperte di oliveti , che bellamente cir- condano S. Remo.

Finalmente s’è detto che alcuni leprosi guarirono, o notevolmente migliorarono andando in paesi ove non v’era la malattia. Benissimo ciò appunto corrisponde a quanto sul principio dicemmo, che il clima è il miglior modificatore del ricambio organico.

Temperatura , e variazioni atmosferiche. Io non credo af- fatto che la temperatura, e le variazioni atmosferiche, checché ne affer- mi Zambaco , possano agire favorevolmente ed in modo peculiarissimo sullo sviluppo o no della lepra, o sul processo nosogenico. Infatti narra l’ egregio mio confratello il prof. Leloir di aver visto in Norvegia molti leprosi che non si erano mai esposti a questi mutamenti atmosferici. Così osserva, che mentre i Messicani, ed i Norvegesi metton sempre in- nanzi qual causa del morbo il freddo non trovò alcun italiano, nella sua recente visita in Italia, neanche tra quelli che erano stati nelle colo- nie, salvo una donna, che invocasse questa cagione. L’illustre dermatologo francese continua dicendo D’ altronde come invocare le perfrigerazioni per spiegare la malattia dei leprosi della Riviera di Ponente, di S. Re- mo in particolare ? Si parla del freddo umido di Yal di Nervia che ho traversato verso Campo Rosso, Pigna ecc. Ebbene ! Ciò non è vero che in parte verso Castel Franco. D’ altronde ho visto delle famiglie di le- prosi nati nelle regioni secche, e soleggiate nei dintorni di S. Remo che non hanno mai lasciato l’ anfiteatro delle montagne d’ olivi che circon- dano questa città, impedendo qualunque raffreddamento, e qualunque

t più special niente in Sicilia

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aria corrente Come accusare il freddo per spiegare la

lepra di Madera, di Rodi, dell’ Isole Sandwich ec. ?

tt È vero che certi medici sconoscendo l’ insufficienza del freddo invocano l’eccessivo calore (Brasile, Antille ecc.). V’ è da contentare così tutto il mondo.

Suolo Avendo io in peculiar modo studiata la lepra in Sicilia, interessa che delle condizioni geologiche soltanto di questa terra mi occupi.

La costituzione geologica della Sicilia si può dire resulti nella massima parte da terreni terziari. Nella parte orientale oltre alla for- mazione vulcanica dell’ Etna abbiamo più a mezzogiorno i basalti, e i tufi vulcanici della valle di Noto, compresi tra strati calcarei terziari che si connettono alla stessa formazione miocenica della pietra calcarea bianca, detta di Siracusa, mentre più a Settentrione nei monti di Mes- sina, nel promontorio di Milazzo, nei monti di Patti, di S. Angiolo, al Capo d’ Orlando si mostrano le rocce agoiche stratificate con graniti in filoni, schisti argillosi, e arenarie antiche, coperte di sabbie, marne , conglomerati, e argille plioceniche. La struttura di questa parte della Sicilia è uguale a quella degli Appennini Calabresi.

Nel monte di Taormina comparisce un calcareo giurastico ammo- nitifero, ed altre rocce inferiori più antiche. Nel centro dell’ isola pre- vale il terziario sopratutto rappresentato da argille e schisti con solfo e banchi di rocce calcaree con gesso, e sai gemma. Tutte queste rocce formano un gruppo che somiglia alle rocce componenti gli Appennini dell’ Italia centrale.

Nella Sicilia Occidentale, oltre al dominio delle arenarie argille e marne terziarie, vedesi molto estesa la formazione calcarea più antica che forma i monti di Palermo. Non trovo affatto in tali . condizioni tel- luriche cosa che spieghi una diretta influenza sulla genesi della lepra.

Costituzione medica In Sicilia abbondano le febbri malariche, massime lungo il mare, dove si trova appunto la lepra. E ciò non so- lo, ma grande è il numero pur di coloro che vanno incontro a tali feb-

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Delia Lepra in Italia

bri, dette in questi luoghi infettive , e che a vero dire non sono in fondo che una varietà clinica del processo tifoideo, e quest’ ultime febbri prin- cipalmente sono dovute alle acque potabili malsane. E come dovrebbe- ro esserlo altrimenti, quando esse non sono condotte in tubulazioni , e quindi accessibili all’ infiltrazioni putride ? Quando le latrine pubbliche e private non sono fatte a tenuta ? Quando la nettezza della città la- scia molto a desiderare ?

Ora però convinti i pubblici amministratori di questi guai gran- dissimi, dietro anco le vive raccomandazioni del Governo , vi si prov- vede e intanto vediamo che Palermo, e Catania hanno già pensato alla conduttura delle acque. Speriamo che si provveda eziandio alla forma- zione delle latrine a tenuta, ed alla nettezza dei quartieri delle città.

Quanto del resto aH’influenza che la costituzione medica può eserci- tare sulla lepra, questa è indiretta; cioè solo in quanto può modificare la costituzione generale degli individui, in relazione al ricambio organico.

Abitudini Fra le cagioni derivanti dalle abitudini pongono gli autori, prima di tutto 1’ abitare luoghi di mare, la professione del pe- scatore, ed altro.

Riguardo alla prima il Profeta ha verificato 2 leprosi per ogni 9000 abitatori di luoghi marittimi, e 5 sopra lo stesso numero di po- polazione in luoghi più o meno lontani dal mare , per cui secondo il chiaro dermatologo palermitano verrebbero ad infirmarsi le osservazioni del Raymond, che nel suo giro mondiale vide la lepra esclusivamente sul mare.

Sopra 39 casi di lepra io ne ho osservati 18 sul mare e 21 in località più o meno lontane.

E vero che più innanzi abbiamo detto essere stata veduta la lepra in località montuose, ma un qulche raro caso non infirma la regola gene- rale, che mostra il dominio di questa malattia di solito lungo le coste marittime, non che delle basse rive dei fiumi, siccome osserva il dottor Vernich medico al Giappone.

Quanto alla professione del pescatore il Profeta sopra 58 leprosi di luoghi marittimi ne ha trovati 6. Io sopra 39 nessuno. Munik-Kiew

e più specialmente in Sicilia

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ha riscontrato nel distretto di Ivarasschai (sud della Russia) dei lepro- si, mentre la popolazione è dedita alla pastorizia, e lungi dal mare.

La miseria 1’ è parimente stata incolpata di originare la lepra , ma l’osservazione mostrerebbe invero il contrario, come nell’ Islanda, ed in Sicilia. Infatti nell’ Islanda non esiste la lepra , mentre vi è molta povertà; in Sicilia invece dove il pauperismo è in minime proporzioni la malattia si osserva piuttosto in ragguardevoli proporzioni. Anzi tan- to per le osservazioni del Profeta che per le mie gli affetti da lepra figurano in maggior numero i meno miseri (proprietari, contadini, cal- zolai, muratori, seggiolai). Lo stesso J. L. Milton pensa che poca e nes- suna influenza vi abbiano il clima, le condizioni telluriche, la dieta, e la miseria; tuttavia osserva che il maggior contingente di leprosi P of- fre la classe più povera della società. Baelz che ha studiata la malat- tia al Giappone non l’ha mai vista nella società benestante. Myak però afferma averne osservati dei casi pure in questa, come ve 1’ ho osser- vati io stesso, da fatto attribuirsi più al numero maggiore dei matri- moni, ed alla poca riflessione che solitamente pongono nel farli gli in- dividui di questa parte derelitta della società. Certamente nella classe più elevata della società essendovi sempre una maggiore cultura , ci si pensa due volte ad un’ unione con un leproso, appunto per i guai che si paventa ne derivi alla progenie.

Nutrizione Galeno pel primo additò come cagione efficiente del- la lepra la cattiva qualità degli alimenti; ed un secol fa Bertrandi scris- se: che, cagione della lebbra sembra dover essere una linfa viscida, sal- sa, ed acre che può divenire tale per abuso degli alimenti acidi, salsi, secchi, rancidi. Fra gli alimenti incolpati come generatori della lepra, sono da annoverarsi anco le pedate. Ma sopratutto ne è stato incolpa- to il pesce guasto, affumicato, e salso. Nel Brasile si attribuisce al pe- sce, e specialmente all’ uso della balena. Anco 1’ uso della carne suina è dai brasiliani ritenuto pericoloso per il male della lepra. Ma invero a questa opinione s’oppone d’altronde l’osservazione contraria, in quan- to resulta per le ricerche di Richards che questa infermità è molto ra- ra a Bellasore e all’Orisia settentrionale, mentre vi si fa grande uso di

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Della Lepra iti Italia

pesce guasto, ed invece domina a Boncooracli dove del pesce se ne fa scarsissimo uso. Così secondo le ricerche di Golschmidt a Leo-Gon- cado , villaggio dell’est di Funcald non esiste lepra, mentre si nutri- scono di pesce corrotto, d’erba, e scarsamente, perchè popolazione po- verissima. E Fox afferma, che in Inghilterra la diminuzione del male va di conserva con 1’ aumento di consumo di pesce. Così Hisch scrive Quando la comparsa della lepra sulla costa di Bahuslàn vien messa in rapporto con l’ abolizione della pesca delle acciughe non si può del pari dimostrare una causa identica, ed anche simile per la quasi com- pleta scomparsa della lepra sulla costa Augemonia, Madelpoma, ed Elsingia, e se l’abbondante e continua ingestione di pesci di mare po- tesse determinare lo sviluppo della lepra sarebbe inesplicabile il fatto, che questa malattia da secoli non si sia presentata nelle coste orientali della Prussia, e Pomerania, dove in singole regioni i pesci e la carne rappresentano quasi l’esclusivo alimento degli abitanti della spiaggia. Yernich afferma avere osservato lo stesso al Giappone.

Il dott. Bertherand al congresso della Sorbonne nel 1884 comu- nicò, che aveva trovato nel salame del merluzzo secco e salato un fun- go speciale capace di produrre dei disordini nell’organismo, ciò che era in perfetta corrispondenza con la costatazione recente fatta sopra diversi salami. Questi, secondo F autore, sono un mezzo ottimo alla conserva- zione del parassita leproso. In Creta, e nella maggior parte delle iso- le dell’arcipelago, dove abbonda la lepra la nutrizione abituale della classe povera è infatti il pesce conservato con il sale , e sopratutto il merluzzo salato. Anco il dott. Zambaco ha osservato a Costantinopoli che la maggior parte di questi derelitti appartengono alla classe povera, e che hanno abusato del pesce salato, o di salumi.

L’ acqua è parimente stata incolpata di questo male , , ma 1’ accusa è ingiusta, perchè così essendo si dovrebbe vedere negli individui che da paesi sani vengono ad abitar luoghi affetti da tal male. Così natu- ralmente si dovrebbero contare un maggior numero di leprosi, che non si hanno. Io per esempio in Catania ho costatato questo : Che mentre nella città vi ho osservato quattro leprosi, e l’acqua è cattiva, a Cibali località fuori delle mura della città, e di questa più elevata , e prov-

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vista di acqua eccellente vi esistono cinque leprosi. L’ acqua di Cibali ha un grado idrometrico = a 15,° 5, e contiene, secondo 1’ analisi del mio amico prof. 0. Silvestri C.gr 300 di materie saline fisse ogni litro.

Possiamo quindi concludere che la nutrizione prava ed insufficiente, la cattiva igiene , come tutte le cagioni in una parola , che influiscono sul processo del ricambio organico non hanno nessuna peculiare azione sulla genesi della lepra. Infatti gli abitanti della terra del Fuoco riuni- scono tutte queste infelici prerogative, eppure non hanno lepra, ed in- vece si osserva in popolazioni dove si vive nelle migliori condizioni igieniche, per esempio in Italia, Francia, ecc. Per cui può concludersi, che tutte le ricordate cause non ponno altro che favorire il processo le- proso in quanto sieno capaci di affievolire la resistenza organica.

EtI, e Sesso Raramente si vede nella prima età. Io ne ho os- servato solo un caso alla nascita; uno a 9 mesi; e due a 14 anni. Gli altri casi gli ho visti dopo i 20 anni, mai oltre i 50. La lepra nel neonato fu costatata eziandio una volta da Bòck in Norvegia , ed al- tra da Zambaco a Costantinopoli. Brassac nel Leprosario di Deside- rata potè verificare che sopra 139 leprosi accoltivi otto erano affetti dal male sin dalla nascita; Hàntzsche non ha mai osservato in Persia, la lepra prima di 7 anni. Tuttavia nella pluralità dei casi la malattia suol manifestarsi oltre i 20 anni.

Quanto al sesso sembra che gli uomini vi vadano incontro più spesso che le donne , e per quel poco che ho visto più specialmente gli individui di costituzione scrofolosa.

Dopo di questo merito, consideriamo due altri momenti etiologici che si legano molto più direttamente al processo leproso ; cioè il con- tagio^ e V eredità.

Queste due importanti questioni sono state subietto di ardenti di- spute in ogni epoca, ma sopratutto in questi ultimi tempi nei Congressi Medici , e nell’ Aule di sapienti mediche Accademie. Perciò come argomento palpitante d’ attualità voglio qui occuparmene io pure met- tendo a contribuzione la mia osservazione clinica , ed i resultati delle mie ricerche microscopiche, e sperimentali, e vengo alla prova.

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Bella Lepra in Italia

CONTACIO

Che la lepra sia male contagioso è antichissima opinione. I Persi 600 an. a. G. C. ebbero tale credenza, per cui isolarono, e perfino espulsero i loro leprosi (Smrntos, Archigene). Falloppio Gabriele fu contagionista, e così si pensava in Europa all’ epoca della memorabile epidemia della lepra, come ce lo attestano gli stessi numerosissimi leprosari dalla pie- tà pubblica istituiti in quel tempo, non che le misure igieniche adottate.

Ma questa idea di contagio venne in seguito a diminuire nella mente della maggior parie dei medici, quando oggi ritorna a galla per la scoperta del bacillo fatta da Hansen nel 1879, e che sembra con- fortata ad un tempo dalle recenti epidemie delle isole Sandwich, Mau- rizio, del Capo Breton, e della Luisania, della Carolina del Sud, di S. Francisco di California e di Oregon, non che di Minesota, Wisconsin, e del Nuovo Brunswich, dopo chè dalla Norvegia, dall’ Avana, e dalla China vi si erano recati dei leprosi.

Pigliando pertanto ora a discorrere di siffatto argomento , stimo meglio anziché salire a stabilire concetti, o principi scientifici astratti, attenermi ai fatti, solo fondamento del vero sapere.

L’ osservazione clinica ci ha per lunghissima pezza dimostrato, ciò che ha formato così 1’ universal convinzione dei medici , e dei popoli affetti, che la lepra non è contagiosa. E ciò sembra confermarlo oggi anco lo sperimento non tanto sugli animali, quanto sull’ uomo stesso. Noi assistiamo attualmente ad una strepitosa battaglia, ingaggiata tra valorosi combattenti, e vediamo fra i contagionisti Fox, Graham, Pif- fard, Farquharron, Pasquier, Oytras, Leb, Friedel, Hantrey, Benson, Schilling, Edmundson, Atkinson, Poupinel, Costales, Vallin, Lyons Gol- dschmidt , Wolff, Saint-Kitt , Leloir , Wincherer, Manson, Chocmam, Lartet, Neisser, Eklund, Hansen, Rogge, Brocq, White, Storgis, E. Vidal, Besnier, Hebra, Saxe, Dupuy, Beniss, e Dragont-Landré. Inclinano verso il contagionismo pure il Bòch ed il Sand, ed invece tra gli anticontagionisti stanno per converso schierati Danielssen, Govin, Milroy, Tilbury-Fox,

e più specialmente in Sicilia

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Hardy, Dujardin, Beaumés, Zambaco, F. Farquhar, Yircliow, Paul, Lewis, Leroy de Méricourt, Brissac, Cunningham, Treland, Geddings, Brassac, Simons, Baelz, Leent, ecc.

Più addietro a proposito della sporadicità della lepra narrammo; che taluno osservò la lepra in individui che contrassero il male tornan- do in patria, dopo avere abitato per tanto tempo in paesi dove domi- nava endemicamente, mentre nel loro paese giammai se ne era osser- vato prima un sol caso. E a questi fatti si possono aggiungere quel- li narratici da J. Hantrey, Benson, E. Atkinson, Yidal, Poupinel, Co- stales, Yallin, Goldschmidt, Bernis, Sax e, F. ILebra, e da Pasquier. Ho letto nel Popolo Romano dell’anno scorso, che Nell’isola di Molokai esiste un certo padre Dameu, soprannominato 1’ apostolo dei leprosi, il quale da vari anni s’ è recato volontariamente colà ad assistere i leprosi che vi si mandano da vari paesi del gruppo delle isole Sandwich. Per molto tempo egli è rimasto immune dalla terribile malattia, ma final- mente ne è stato colpito. In una sua lettera scritta di recente egli dice :

Mi è impossibile di recarmi più ad Honolulu, perchè la lebbra comincia ad attaccarmi : I microbi si sono finalmente stabiliti nella mia gamba sinistra e nel mio orecchio, e i peli di un ciglio mi cominciano a cadere; prevedo di aver presto il viso sfigurato. Non avendo alcun dubbio sul carattere della mia malattia mi sento calmo, rassegnato , e pure felice in. mezzo al mio popolo. Iddio onnipotente sa ciò che è me- glio per la mia beatitudine, e con questa convinzione dico giornalmen- te “ Fiat voluntas tua.

Piffard cita un caso- di un medico che prende la malattia curando dei leprosi, e ne muore. Schilling , Macnamara , Landré , ILillebrand , Gordon, Robertson, Livingstone, Carter, Pasquier, ed altri riportano casi di contagio negl’ infermieri, e medici destinati alla cura dei leprosi. Gol- dschmidt di Madera racconta di un fanciullo nato da genitori sani che venne contaminato da una nutrice leprosa, ed Onetti, il dott. Gairdner narrano casi di trasmissione della lepra per la via della vaccinazione , come Tilbury-Fox, Plenck, E. Wilson, Hebra, Munro, Schilling, e Leloir ci riferiscono casi di lepra coniugale. Intanto Wiggleswarth che per lungo tempo ha studiata la lepra in Norvegia, ed in Spagna non ha

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Delia Lepra in Italia

veduto esempio di medico od infermiere contagiato. Così Baelz che si è occupato della lepra al Giappone crede il contagio improbabile , come

10 ritengono tutti i medici di là. Tantoché a Tokio vi sono dei medici che vivono con la loro famiglia nella stessa casa con 20-30 leprosi, giammai si vide un sol caso di lepra nei medici destinati alla cura di questi infermi , come non l’ ebbe ad osservare tra i malati comuni dell’ ospedale che stanno insieme ai leprosi. Anco Danielssen , che ben giustamente Wolff chiama il padre della lepra dichiara solennemente, che l’ eredità è sufficientemente provata. Nel leprosario di S. Giorgio dove stanno con i leprosi dei malati comuni non ha potuto' dalla tradizione la più antica apprendere un sol fatto di contagio.

Oldekopp non ha mai verificato casi di contagio nell’ Astrakan , dove i leprosi convivono, e dormono coi sani; e Baelz narra che al Giap- pone i prigionieri dormono seminudi, 1’ uno appresso dell’altro, e intan- to essendovisi trovati dei leprosi, questi non trasmisero il loro male ai sani. E Leloir dice di aver visto tanto in Norvegia che in Italia, e all’ ospedale S. Luigi a Parigi dei leprosi con malati sani, eppure nes- suno di quest’ ultimi venir contagiati. Io non ho mai visto in Sicilia la trasmissione leprosa, per il contatto coniugale, per la vaccina- zione, od altra maniera di contagione diretta.

Un po’ più difficile rimangono ad intendersi i casi isolati. Per es. Haw-tiey Benson presenta nel 1872 alla Società med. di Dublino un le- proso inviatogli dal D.r Stirling di Homastown. Questo infermo aveva abitato nelle Indie 22 anni, dove avrebbe presa la lepra. Tornato in Irlanda contagia il fratello, che s’ è servito delle sue vesti , e vi con- dorme. Wolff cita un caso narratogli da Bòck di Cristiania. Questo con- cerne un soldato di Cristiania oriundo di un paese indemne da lepra,

11 . quale ha servito a Bergen, e 20 anni dopo tornato al suo paese fu attaccato da lepra. Leloir riporta la storia di consimili casi, come per brevità mi passo dal riportarne altri, che del resto non spargono mag- gior luce sulla questione in discorso.

Finalmente quale ultimo baluardo del contagionismo si citano dai loro fautori le ultime epidemie dell’isole Sandwich.

Ma queste loro osservazioni però non provano nulla, e vengo a

e più specialmente in Sitilia

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dimostrarlo. Un primo fatto lo prendo dalla storia. L’abbiamo già ve- duto : i medici dei paesi affetti, non che gli stessi abitatori sono con- vinti della non contagiosità della lepra. Dice Leloir che questo est ab- solument inexacte , perchè anco in quei paesi vi sono dei medici spu- tatissimi che pensano viceversa, siccome. Schilling che ha studiata la le- pra al Surinam; Hansen ed altri in Norvegia. Qui mi deve però con- cedere l’egregio mio collega, che i casi di contagio narrati dagli autori ricordati lasciano molto a desiderare sulla precisa esattezza dell’ anam- nesi remota. Per esempio si legge" più innanzi in questo mio lavoro la storia di una famiglia leprosa siciliana, dove un figlio è stato smarrito fin dalla sua tenera età. Supponete che un giorno o 1’ altro questo si trovi in località dove non fu mai il cattivo morbo. Se allora gli si svi- lupperà il male per il medico che l1 esaminerà sarà, son sicuro, il più bell’ esempio di contagio. Ma non sa che la sua famiglia è leprosa ! Come queste notizie gli potrà dare 1’ infermo, che non ricorda chi furono i suoi genitori, la patria sua? 0 che forse crederà per suoi ge- nitori chi non è altro che per adozione?

Essendo dunque difficile talvolta costatare la vera paternità, quan- do d’altro lato possa esservi atavismo, che renda difficile 1’ accertamen- to dell’ origine del male ; considerando eziandio la rarità dei fatti che farebbero credere al contagio di fronte ai numerosissimi che proverebbero il contrario, credo, che pertanto il Leloir vada grandemente errato nel- l’affermare, che cet opinion est àbsolument inexacte. Del resto son i fatti che per lungo scorrer di secoli generarono nella maggior parte dei medici dei luoghi affetti questa opinione, e se il Leloir mi cita a sostegno della sua tesi il grande osservatore della lepra Schillingh, io gli op- pongo il Danielssen, che tiene 1’ opposta opinione, e che per la sua au- torità non è un men valido campione alla dottrina deH’anticontagionismo.

Che noi poi non andiamo errati nell’accettare la teorica anticonta- gionista l’esperienza offre ancora delle maggiori, e più splendide prove.

Il D.r I. C. White osserva; come la lepra non ha da esser contagiosa; dopoché nell’isole Sandwich, mentre nel 1848 non c’era un leproso, ap- pena vi andò ad abitarvi uno di questi infermi ben presto il male si mol- tiplicò per modo, che fu necessario al governo delle isole Havai costruire

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La Lepra in Italia

un leprosario ad Honolulu, e Molokai ? (1). Così affermano Wood e Wolff di Strasburgo che sono dei casi isolati dove non si può negare il contagio. Ma questi del resto possono essere come il fatto ora da me poco avanti accennato ! Finalmente Graham, e Fox hanno fatta la re- lazione alla Associazione Dermatologica Americana di un loro viàggio al Nuovo-Brunswick, dove per la malattia che s’ era molto estesa fu creato un leprosario a Tracadie ; ciò che per loro sarebbe argomento di con- tagiosità.

Il fatto delle recenti epidemie delle isole dell’ Hawai se per i con- tagionisti può essere argomento favorevole alla loro teorica non è meno per gli anticontagionisti , perchè anco per la sola via dell’ eredità si posson benissimo portare delle vere epidemie.

Poi si può anco osservare con Baelz, che una malattia infettiva possa maggiormente divenir grave se portata in altro popolo, come è della rosolia alle isole Fidi dove la mortalità negli adulti, e nei fan- ciulli oltrepassa il 30 OjO; e della grandissima mortalità nelle tribù Su- diane per il vajuolo durante più secoli. Così può avvenire per le isole Sandwich in riguardo ai popoli Europei. Esser per questi un luogo di sanità, per gli indigeni un cimitero.

Tagliano il nodo gordiano della questione tuttavia lo sperimento, e 1’ osservazione clinica, dai responsi dei quali riceve 1’ ultimo colpo il contagionismo.

E. \idal ha inutilmente inoculata la lepra ai porcellini d’india, e Kòbner non ha ottenuto differente successo nelle scimmie, conigli, ed al- tri animali, come non lo conseguirono neanche il Iiaposi, Hareson, e L. Petrone. Hansen ha senz’esito inoculato la lepra ai gatti, conigli, e scimmie, così Hillairet, e Gaucher. Secondo poi le recenti ricerche di Damsch e Yossius i bacilli vivono e si riproducono nel corpo degli ani- mali, ma non penetrano nella circolazione generale, e solo s’ infiltrano semplicemente nei tessuti circostanti. Neisser pure coll’inoculazione nei conigli, gatti, topi credè avere ottenuti dei focolai leprosi, avendo vedu- to i tessuti vicini infiltrati di elementi bacillari. Melcher ed Ortmann

(I) Il leprosario di Honolulu contiene attualmente 100 ammalati; quello di Molokai 800.

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ritengono il coniglio l’animale più adattato alla cultura del bacillus leprae , ed attribuiscono gli insuccessi ad altri fatti di cui principalis- simo è la lunga incubazione. Credettero poi avere ottenuta l’ infezione generale in un coniglio con processo acuto e seguito da morte, e seb- bene la lesione anatomo-patologica fosse talmente identica a quella del- la tubercolosi, pure fu ritenuto piuttosto un’ etisia leprosa, opinione con- fermata pure daU’Arning di Honolulu.

Leloir. parimente fece queste prove ma non ottenne resultati sod- disfacenti, avendo trovato soltanto bacilli nel nodulo dell’ inoculazione e giammai nel tessuto ambiente. Niun resultato ottenni io pure da del- le inoculazioni praticate nel coniglio. Anzi in uno furono praticate nel- l’occhio. Anco qui non trovai nessun segno di infiltrazione dei bacilli nei tessuti vicini. Aveva scelto come miglior punto, anco per una coltura che si poteva fare del bacillo, la camera anteriore, ma tranne che qui in niuna altra parte potei costatare la presenza del bacillo di Hansen.

Il eh. prof. Campana dell’ Università di Genova si è occupato dello studio sperimentale di questo morbo sopra i conigli , ed i bar- gigli dei polli, e per le sue risultanze ebbe a concludere che la lepra non si trasmette come processo infettivo alla guisa stessa della tuber- colosi, e che il bacillo della lepra in tratti trapiantati da parecchi me- si: che il bacillo della lepra può vicere lungamente in organismi ani- mali senza dar segni di moltiplicazione : essere incorporato da cellule di riassorbimento : essere cagione di sviluppo di cellule giganti. Final- mente.. molto giustamente il Campana osserva: ma dov’è il neoplasma leproso coi suoi caratteri anatomici complessi e costanti ; colla sua per- manenza, colla sua progressività indeterminata, colla sua capacità ad esser nuovamente trapiantato caratteri che in ogni caso dovrebbero esistere anche ammettendo una semplice lepra locale?

Così gli esperimenti d’ innesto sull’ uomo fatti da Profeta, e dai medici di Funchul riuscirono sempre negativi. Ora se a tutto questo ag- giungiamo le inoculazioni accidentali che possono avere incontrato i me- dici, e gl’ infermieri dei leprosi che non furono mai seguite da conta- gio si ha forte ragione per dichiarare che la lepra non è contagiosa.

Mi si dirà, anco la sifilide è eminentemente contagiosa pur nono-

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stante non attecchisce sugli animali ? Io allora rispondo, va benissimo, ma appunto perchè è contagiosa passa almeno da uomo ad uomo ciò ‘che non è della lepra.

Finalmente un fatto negativo per la teorica del contagio è la man- canza della lesione iniziale , della porta d’ingresso cioè del male , sic- come esattamente si verifica nei morbi trasmessi per contagio diretto.

Un argomento ancora contro la teorica del contagio è quando ap- prendiamo dalla distribuzione geografica attuale della lepra. Infatti noi abbiamo visto, che mentre in alcuni regioni sebbene non esiste isola- mento il numero dei leprosi è discreto, ed in genere non vi si rivela aumento ; in altre, nonostante tale isolamento, il numero degli affetti è notevole, ed anzi vi si avverte un progressivo aumento.

Ciò dunque ci dice chiaramente, che se da un lato il fatto può derivare da un imperfetto isolamento, certamente la precipua cagione della trasmissione del morbo deve vedersi nell’ eredità.

Eppoi dopo il già detto, quando io non trovo alcun segno di le- pra ( cellule leprose , bacillo di Hansen), nella placenta di donna le- prosa, e che di già ha partorito figli leprosi, ne’ visceri di un neonato di questa stessa donna leprosa, mi sembra, che questa prova negativa sia il fatto più stringente contro il contagio. Si osservino le figure delle ricerche istologiche fatte da me sopra la lepra, e quella so- pra la sifilide ed apparirà chiarissimo come, mentre nella prima nessun elemento specifico si rinvenne sopra il neonato, sopra la placenta di donna leprosa, si costatò lo streptococcus siphyliticus tanto nella pla- centa che nei visceri di un neonato sifilitico , fungo da me osservato nella sifìlide per la prima volta nel 1884.

Laonde si può concludere dal sin qui discorso :

1. che la lepra non è contagiosa, come si argomenta dai dati anam- nestici, e dalla mancanza del focolaio primitivo ( lesione iniziale);

2. perchè non si trasmette sperimentalmente agli animali, allo stesso uomo ;

3. perchè non si videro mai donne sane divenir leprose , sebbene fecondate da mariti leprosi, e che partorirono figli leprosi. Piu avanti lo vedremo ancor meglio. I casi narrati dagli autori di lepra coniuga-

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le oltre la rarità, porino esser discutibili, per la difficoltà della costata- zione della vera paternità, come quelli ancora ritenuti e narrati dagli autori quali casi di contagio;

4. perchè onde la lepra fosse contagiosa sarebbe indispensabile esistesse un microrganismo che ne costituisse l’ essenzialità patogena , ciò che non è, poiché come a suo luogo dimostrerò, il bacillo di Hansen non sembra veramente il bacillo patogeno della lepra ;

5. eppoi se la lepra fosse contagiosa gli esempii di contagio do- vrebbero formare la regola generale, e non l’ eccezione.

Dopo questo cade naturalmente da fi acaro elefantiaco di San- drì, e la Filaria sanguinis come elemento generatore di questa malattia, e che io ho citato qui per solo ricordo isterico.

IO UBIDITA’

Entrando a discutere di quest’altro serissimo argomento, cioè dei- fi eredità della lepra, è in prima importante stabilire cosa s' intenda per ereditarietà.

Non deve intendersi per male ereditario, nell’accettazione filosofica della parola, se non quello che come le disposizioni intellettuali, le al- terazioni di conformazione , e di struttura degli organi deriva dallo speciale modo di aggregazione e composizione organica degli elementi embriologici. Non essendo d’altronde che malattia contagiosa quella il cui elemento essenziale, lungi dall’ essere inerente all’ organismo stesso, ne altera il suo scambio molecolare, e consiste in un essere a parte, cioè in un microrganismo, cui la moderna patologia appella col generico nome di batterio.

Per cui ammesso questo ne viene conseguentemente esser contagiose soltanto le malattie parassitane , che hanno il precipuo carattere della trasmissibilità, ed ereditarie invece quelle costituzionali.

Ciò posto importa allora conoscere a quale di queste due catego- rie appartenga la lepra. Risoluto che sia questo primo quesito il resto viene da sè.

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La Lepra in Italia

Noi rispetto al contagio abbiamo innanzi baste volmente esaminato i fatti, e certamente il resultato è stato quello che depone contro il contagio. Rimane quindi l’esame di quello che l’osservazione ci offre quanto all’ ereditarietà.

Sino dai tempi del medio-evo i medici in generale opinarono es- sere il mal della lepra ereditario, e questa opinione venne difesa ai tempi nostri dal Danielssen, Bock , Brassac , e da altre molti. Hansen stesso, fautore del contagio, pure confessa ingenuamente riuscir difficile, che dove esiste da tempo la lepra, si possa escludere con la genealogia della famiglia 1’ eredità. Ingenua confessione, ma forzata dalla verità dei fatti, in quanto fornisce la più splendida prova dall’ereditarietà della lepra. Hjort ed Oldekop non ritengono la lepra ereditaria, pro- dotta da causa specifica, e Trompeo al Congresso di Lucca nel 1844 la vuole ereditaria e contagiosa. Così non s’ imbroglia !! Kierulf non nega precisamente l’ eredità, ma dice che non si acquista mai la dispo- sizione alla lepra senza un soggiorno in paesi leprosi. Neisser finalmente ammette una disposizione ereditaria come la tubercolosi, opinione del resto già emessa dal Yirchow, e dal Kaposi, la cui evoluzione si rea- lizzerebbe soltanto sotto peculiari circostanze etiologiche; opinioni in pro- sieguo professate eziandio da chiarissimi dermatologi d’ oggidì, quali il Besnier ed il Doyon, quantunque negata dal Kòbner, e dall’Hajarth. Il Leloir dice: che basta fare un quadro di tutti gli Europei (nati da parenti sani, in paesi non leprosi, e che hanno contratto la lepra do- po aver soggiornato più o meno lungamente in paesi leprosi), per dimo- strare che 1’ eredità non è la sola causa della lepra „. Io non conven- go nell’ incertezza del giudizio del mio illustre confratello, perocché, per quanto abbiamo già stabilito la lepra o è contagiosa , ossivero eredi- taria.

E posta allora la questione fra questi due termini, vorremmo forse negare 1’ ereditarietà nei seguenti casi ?

Oss. V D. S (Corradina) di Pachino, prov. di Siracusa,

viene da famiglia nella quale vi fu tra gli antenati qualche leproso. Si maritò a 16 anni, e da quest’epoca a 25 anni ebbe due figli, che so-

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no tuttora scevri da qualsiasi segno di lepra. A 25 anni le compar- ve questo male ( macchie , lepromi con leggiera anestesia), che dopo 12 anni la condusse al sepolcro. In questo ultimo periodo ebbe due figli, i quali ora sono leprosi.

Questa osservazione mentre prova da un lato il fatto ereditario, dimostra che la trasmissione si fa più facilmente nel momento che nei genitori sono in atto le manifestazioni. Io ho osservato questo nei le- prosi che ho avuto luogo di esaminare. Mi si dirà, ma ciò è anc'o argo- mento in favore del contagio, ma contro sempre sta il fatto che una donna sana rimane sempre sana sebbene fecondata da uomo leproso, e partorisca figli leprosi. Piuttosto è più ragionevole il ritenersi, che i figli contraggono il male più facilmente in allora che i genitori hanno in atto il male, che altrimenti, e così viene a confermarsi più che sem- pre la natura costituzionale della malattia.

Oss. 2a In Avola, prov. di Siracusa vi è una famiglia nella qua- le il padre è leproso, e solamente hanno ora la lepra quei figli che lo assomigliano nel colorito cutaneo, e nei lineamenti del corpo. Gli al- tri che assomiglian la madre, che è sana, sono essi pure sani.

Oss. P ( Gaetano ) d’ Agusta prov. di Siracusa , d’ anni

16, di costituzione linfatica nasce da padre sano. Questo figlio è il vero ri- tratto della madre la quale è leprosa. A 9 anni esso pure fu preso dal male, mentre gli altri figli che assomigliano il padre sono tuttora sani.

Oss. 4a G (Giuseppa) di Cibali, prov. di Catania ha 52 an-

ni, nasce da padre leproso, ha partorito diverse Tolte, e solamente da 8 anni è leprosa. Dei suoi figli è leprosa soltanto una femmina, che ras- somiglia tanto.

Oss. 5 8 S (Maria) di Cibali, prov. di Catania, d’anni 20,

maritata, ha partorito due figli, uno maschio, e 1’ altra femmina nel pe- riodo di duo anni di matrimonio. Nella 2. gravidanza e precisamente

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presso il suo termine le apparvero i segni della lepra che trasmise al feto , poiché data alla luce una bambina, dopo pochi giorni (3-5) le comparvero macchie e lepromi sulle braccia, e sulle gambe.

Certamente nessuno vorrà negare che queste istorie non sieno la più splendida prova dell’ ereditarietà della lepra.

Il Leloir afferma che è lungi da riscontrarsi V eredità in tutti i le- prosi nati in paesi leprosi. Infatti osserva, che anco in Norvegia è im- possibile trovare il minimo vestigio dell’ eredità in un quinto dei casi, per cui Danielssen, e Bòck forzati dall* evidenza hanno considerato questi casi come spontanei. Narra che Zambaco costatò nei leprosi d’Oriente il quattordici per cento, dove la lepra sarebbe apparsa provata direttamente , o indirettamente ereditaria. Il professore di Lille aggiunge ancora, che s’ oppone a considerare ereditaria la lepra non solo il fatto che talora è stato osservato di genitori leprosi che erano sani allorché misero al mondo figli, che divennero dipoi leprosi, ina anco quello di non esser presi sempre dal male i figli nati da genitori leprosi. Ma questo anziché infirmare la teorica dell’ ereditarietà , mi scusi il mio egregio collega, mi pare che 1’ avvalori, perchè questi casi mi sembra con le conoscen- ze attuali s’intendano meglio con un fatto ereditario, che di una malat- tia contagiosa, che per esser tale deve naturalmente esser legata a paras- sitismo ed inevitabile la trasmissione.

Cosichè se bene consideriamo i fatti , vediamo chiaramente, che quelli che appoggiano maggiormente l’ ereditarietà sono in maggior nu- mero, mentre quelli che potrebbero far credere al contagio sono rari , e discutibili se piuttosto a provare il contagio affermino l’eredità. Anco il dotto ed egregio mio amico prof. De Amicis ritiene indubitata la trasmissione ereditaria.

Ora se a tutto questo si aggiunge, che io non ho mai potuto nel- la placenta di donna leprosa riscontrare, come a suo luogo dimostrerò, il bacillo hanseriano, le cellule leprose, noi, se non vogliamo ag- girarci nel campo delle speculazioni, dobbiamo concludere che la lepra è ereditaria , e non contagiosa.

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III.

PATOGENESI.

Sommario Opinioni diverse sulla natura del male Quella dell’ autore Che cosa è la scro- fola—Unicismo e Dualismo Conclusione dell’ autore.

Dopo 1’ esposto si domanda, quale sia la patogenia della lepra. Bertrandi la credeva generata da una linfa viscida; Yirchow pensò ad un processo discrasico, specifico; Sangalli ad un processo infiammatorio specifico; e finalmente oggi si ritiene una malattia parassitarla, dovuta al bacillo di Hansen. Io penso invece non altro sia che un processo co- stituzionale.

Per debito d’istoria soltanto ricordo anco un antica opinione, cioè quella che la sifìlide fosse una derivazione della lepra, opinione che sembra professasse pel primo l’Aquilano, fondandosi sul fatto della di- minuzione della lepra al comparir della sifilide, credenza del resto che venne non è guari rimessa in onore, e sostenuta con entusiasmo dal Simon. E che la lepra non fosse altra cosa che la sifilide venne anco sostenuta del Guntz di Dresda nel 1870. Ma quanto ciò debba ritener- si assurdo fu già maestrevolmente dimostrato dal Leoniceno, dal Bras- savola, e dal Cattaneo, e può ognuno persuadersene anche oggi, ogno- ra si pensi come i due mali sieno differentissimi nella loro patologia, e nelle conseguenze , e come l’ uno possa andar di conserva con 1’ altro senza che d’altra parte l’uno per nulla modifichi l’altro. _

Dunque veniamo a noi. Abbiamo di già messo in sodo pei nostri studi anteriori: 1. che la lepra non è contagiosa ; 2. che è ereditaria.

Se allora è ereditaria non può essere che costituzionale pei prin- cipi da noi ammessi. E se è costituzionale non può appartenere che al- la costituzione scrofolosa, perocché come ebbi a dichiararlo nel 1884 nelle mie Lezioni di Dermopatologia generale , non àvvi tra le costituzio- ni morbose, che quella scrofolosa. Cosichè per me la lepra non è che una scrofulide, ossia una manifestazione della scrofola, come il lupus, Atti Aco. Voi. I, Serie 4.* 10

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il tubercolo cutaneo, e via dicendo. E per meglio vedere quanto giusto esser possa il mio ragionare, vediamo innanzi tutto in che cosa consiste la scrofola.

Questa è una malattia ereditaria, non contagiosa, che principalmen- te interessa il sistema linfatico, avendo per carattere precipuo una ten- denza ipertrofica, ed infiammatoria, con esito necessario alla caseificazio- zione, e alla sclerosi. Ma si dirà, perchè si manifesta ora sotto le par- venze di una tubercolosi, tavolta del lupus, e tal' altra di lepra? Per la ragione stessa che la sifilide ora si estrinseca sotto la forma eritema- tica, ora sotto quella pustolosa, e finalmente tubercolare, e così via, seb- bene sia sempre la stessa essenzialità morbosa. Quindi nulla è di mag- giormente ragionevole, che la lepra, il lupus ecc., possono considerarsi quali scrofulidi, o manifestazioni della scrofola, tanto più che le ricordate manifestazioni morbose solitamente si osservano in individui scrofolosi

Andando avanti poi meglio apparirà ancora quello che intendo dimostrare.

Quanto alla scrofola vi sono due opinioni. V’ è chi ammette la sola diatesi scrofolosa (Bauchard); scrofulismo (Yillemin) che può estrinsecar- si sotto forme differenti ( eczema ; impetigine , adeniti superficiali , lesioni tubercolari locali .) Havvi chi riconosce invece tra scotola, e tubercolosi due distinte diatesi, e finalmente chi nega la scrofola, riconoscendo per tubercolosi tutte le manifestazioni della scrofola.

Sopra tale questione il Lebert basandosi sopra fatti clinici, e d’i- stologia patologica, dice esservi : 1. un’ affezione scrofolosa essenziale; 2. un’ affezione tubercolare essenziale; 3. una frequente coincidenza del- le due infermità nello stesso individuo. Per cui mentre Lebert, Yirchow Hardy, Pidoux, Griselle, lacoud affermano la dualità, difesa sopratutto dal Yirchow, c dalla sua scuola. Bazin invece proclama 1’ unicismo , di- cendo che il tubercolo è un prodotto comune alla tisi essenziale, e alla scrofola. Ma chi intanto il più valido colpo al dualismo sono Thaon e Grancher con le loro ricerche istologiche, dalle quali risulta che le in- fiammazioni caseose constano di tubercoli giganti della stessa struttura dei tubercoli miliari. Quindi unità diatesica della tubercolosi soltanto.

Io pure sono unicista, ma nel senso proprio opposto, cioè ammet-

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to l’unità patologica solamente della scrofola, considerando i tubercoli quali prodotti di processi infiammatori suscitati sia dalla scrofola diret- tamente, sia da processi infettivi, o da materie estranee sopra una co- stituzione scrofolosa.

Infatti Sanderson , Fox, e Cohnheim ottennero lo sviluppo di tu- bercoli nei conigli , e nelle cavie con 1’ immissione sotto la pelle di codesti animali di particelle di tumori cancerosi rammolliti, di poltiglia, di carta bibula, di fila, di pezzetti di guttaperca, e di cautchauc greggio, o .vulcanizzato. Panum per es. produsse la tubercolosi con l’ iniezione di sostanze inorganiche nelle vene. Sammerbrodt colle prolungate irrita- zioni meccaniche della laringe , e Cruveiller colle iniezioni di mercurio nelle vene. Bayle ottenne spesso la tubercolosi colle iniezioni di masse caseose di natura scrofolosa. Del resto sono concordi gli esperimenti eziandio del Koch, Pfeiffer, Doutrelepont, Cornil , De Renzi, e del Le- loir, non che le osservazioni del Morton , del Yalsalva, del Mergagni , e tra’ moderni del Besnier, Yidal, Yerneuil, Mercklen, Tscherning, Karg sopra il tubercolo anatomico- dei necroscopisti, e degli infermieri destina- ti all’ assistenza dei tubercolosi. Così Alibert ponendo sopra la pelle sprovvista d’ epidermide delle particelle di tubercolo produsse per cinque volte dei piccoli rilievi, duri, rugosi, e d’aspetto tubercolare. Non otten- nero per contrario alcun resultato Lepelletier e Gaodlod che inocularono della sierosità di un vessicatorio applicato sopra un soggetto tubercoloso. Landouzy e Martin invece resero tubercolosi dei porcellini d’india iniet- tando nel loro peritonèo dello sperma di questi stessi animali tubercolosi.

Demet , Paraskova , Zablonis di Syria in Grecia hanno inoculato con resultato, secondo loro, la tubercolosi ad un uomo di 55 anni. Si avverta che al momento che i citati autori praticarono 1’ inoculazione il malato era moribondo per cangrena del dito grosso del piede sinistro in seguito della obliterazione della femorale. Che venuto in seguito a morte al 38° giorno dall’ inoculazione l’autopsia dimostrò alla sommità del polmone destro diciassette piccoli tubercoli del volume di un grano di senapa a quello di una lenticchia. Presentava ancora due tubercoli simili alla sommità sinistra del polmone, e due altre alla faccia con- vessa del fegato.

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Dieulafoy, e Krishaber ottennero dei resultati positivi eoli’ inocula- zione della sostanza tubercolare nelle scimmie.

Hering rispetto ai resultati sperimentali del Cohnheim , e degli altri osserva : che sebbene le dette alterazioni destino così a prima giunta 1’ impressione di tubercoli, pure non debbonsi siffatte alterazioni considerare che in parte come tubercoli. Lo stesso Rindfleisch si con- tenta ritenerle somiglianti ai veri tubercoli e Friendlaender osserva che le tubercolosi così ottenuta non è a riguardarsi come pura tubercolosi, mancando i noduli delle proprietà istologiche del vero tubercolo, e Je caratteristiche cellule giganti.

Quantunque Sbciippel a queste cellule attribuisse le proprietà spe- cifiche del tubercolo, e per conseguenza facessero trovar tubercoli nelle antiche ulceri sifilitiche al Bizzozero, e nelle piaghe cutanee al Kòster ed al Griffini, pure tale specificità oggi non può più ammettersi, dacché la- cellula gigante, come ce l’hanno ben dimostrato Charcot, e Ziegler non è altro che uno stadio transitorio, una fase di caseificazione.

Grancher ammette che la scrofola tende a divenir tubercolosa, per- chè in mezzo al tessuto di granulazione di Virchow si trovano le cellu- le giganti, ed il tubercolo elementare di Kòster, e Friedlànder, che rap- presentano in qualche modo la fase embrionaria del tubercolo.

Charcot la riferisce invece al follicolo tubercolare , come quello che risponde a condizioni istologiche più atte a determinare solamente la scrofola, e la tubercolosi. Friedlànder ha creduto poter proporre una nuova soluzione del problema delle relazioni fra la scrofola e la tuber- colosi, separando dalla prima, sotto il nome di tubercolosi locale tutta una serie di manifestazioni, quelle cioè conosciute sotto la denominazione di scrofola fissa primitiva. D’ onde il lupus, le gomme scrofolose, le fun- gosità articolari, le adenopatie scrofolose non vengon considerate che del- le tubercolosi locali, perchè il follicolo tubercoloso è il loro carattere isto- logico il più spiccato.

E però a notarsi che Brissaud e Sobaurin hanno verbalmente co- municato a Grancher, che il follicolo tubercoloso l’ avrebbero riscontrato ancora nel sifiloma, ciò che gli toglierebbe ogni -valore specifico.

Quando poi la trasformazione tubercolare non si fa Grancher prò-

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pone di chiamare la lesione scrofuloma , perocché questo stia al tuber- colo, come la scrofola alla tubercolosi; in una parola seguirebbe la fase iniziale di un processo che può rimanere allo stato di scrofuloma, o progredire e divenire un tubercolo. Per cui per il Grancher il tessuto di granulazione ( scrofuloma ) sarebbe il generatore di un tubercolo, co- me la scrofola della tubercolosi.

Allora se lo scrofuloma può generare il tubercolo e la scrofola la tubercolosi la conclusione necessaria è questa che il tubercolo è un prodotto della scrofola Merklen dice Esiste fra le due specie di le- sioni, come frale due malattie una vicina parentela, ma non un’iden- tità completa. Sicuramente dico io che non c’ è identità una volta che il tubercolo e la tubercolosi possono derivare dalla scrofola come dai prodotti infettivi, o semplicemente irritativi.

Da tutto ciò dunque ne deriva necessariamente, che la scrofola è una malattia essenziale, ed il tubercolo un modo più ordinario di ter- minazione di essa; e così il lupus, la tubercolosi, ed il tubercolo stesso altro non sono che tante varietà cliniche della scrofola.

Intanto sembra opporsi a questo mio ragionare il bacillo della tu- bercolosi scoperto da Koch , e che veramente si riscontra di solito in tutte le forme anatomiche superficiali o profonde, localizzate o genera- lizzate del tubercolo.

Ma sopra siffatto microrganismo viene primieramente una domanda. È proprio vero, ed assolutamente dimostrato, che il bacillo di Koch è il vero elemento patogeno della tubercolosi ? Ciò lascia molto dubbio. Lo stesso suo scopritore constatò questo stesso bacillo nelle masse scro- folose. Il prof. De Renzi ha fatto la stessa osservazione, d’onde all’il- lustre clinico napolitano sembra ciò sia un fatto che dimostri una iden- tità fra la scrofola ed il tubercolo cosa di cui egli maggiormente se ne è persuaso per i risultati ottenuti dalle inoculazioni sperimentali nel cavo addominale degli animali. Il De Renzi quindi paragonando la si- filide alla scrofola, e alla tubercolosi, considera le ultime due come l’e- spressione di due stadi differenti della stessa malattia , di cui le forme secondarie rappresenterebbero il periodo scrofoloso , le terziare quello tubercolare.

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L’ anno scorso Arloing espose all’ Accademia delle Scienze di Pa- rigi, come per le sue esperienze avesse potuto costatare, che mentre si produceva coll’inoculazione del tubercolo polmonare l’infezione nelle ca- vie, e nei conigli, la vera scrofola ganglionare non generava invece al- cun tubercolo nel polmone, alcuna lesione viscerale nei conigli. Però a queste esperienze si oppongono da un altro lato quelle del Prof. De Renzi, il quale ebbe a costatare la presenza del bacillo tubercolare nel sangue , e nei prodotti caseosi delle glandule cervicali scrofolose di 3 inferme della sua clinica , come ebbe a verificare la genesi tubercolare inoculando sulle cavie prodotti scrofolosi.

Il nostro chiarissimo De Renzi , volendo intanto esaminare il va- lore delle ricerche di Arloing, e sopra tutto per acccertarsi se la vera scrofola ganglionare produca o no nei conigli la tubercolosi, praticò mer- cè 1’ opera del suo assistente dott. Moratta degli esperimenti, pel resul- tato dei quali ebbe a convincersi, che:

1. Il virus scrofoloso è identico a quello tubercolare, e produce ne- gli animali, che vi sono disposti le medesime conseguenze;

2. Il virus delle glandule linfatiche scrofolose produce nei conigli al pari che nelle cavie lesioni viscerali, e sviluppo di tubercoli nel pol- mone;

3. Non è confermato dall’ esperienza che il virus scrofoloso sia un virus tubercolare attenuato.

Io qui debbo però far riflettere, che il Grancher non ottenne resul- tato di sorta con le inoculazioni di secrezioni di scrofulidi superficiali (eczema, impetigo), ma questo è da attribuirsi a che i bacilli rarissi- mamente, dirò anzi eccezionalissimamente, si rinvengono nel corpo mu- coso, dove principalmente stanno le alterazioni anatomiche delle derma- tosi ricordate.

Intanto il prof. Chaumier al Congresso francese di Chirurgia facen- do una comunicazione sulla pseudo-scrofola, si dichiara partigiano della contagiosità, e quindi raccomanda di ben guardarsi dal trasmetterla per mezzo dell’ inoculazione del pus dell’ impetigine, dell’ectima, degli asces- si glandulari, che sono le sue manifestazioni.

Verchère riporta dell’ esperienze di Leloir nelle quali l’ inoculazione

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delle croste d’impetigine delle cavie produssero una tubercolosi inocula- bile in serie.

Ultimamente Boucheron ha comunicato al Congresso di Nancy al- cune sue ricerche fatte insieme a Duclaux , e per queste dichiara aver costatato in modo quasi costante dei cocchi , i quali si avvicinerebbero a quelli rinvenuti da Malassez e Vignai nelle lesioni ossee dei bambini ed a quelli da Radet osservati nella osteo-miellite dell’uomo. Questa os- servazione non può tuttavia condurre all’ ammissione di un micrococco speciale per la scrofola, perchè come nello stesso congresso osservò be- nissimo Verneuil, onde un parassita sia specifico bisogna che i fenomeni prodotti dalla sua inoculazione sieno identici alla malattia primitiva. Ciò certamente non s’ è verificato negli esperimenti degli autori ricordati , quando poi si deve pur considerare con Hergott non so quanto sia fi- nalmente giusta che si possa applicare addirittura all’ uomo quanto si avvera nel coniglio.

Riehl ci ha dato recentemente una descrizione completa di una nuova forma di tubercolosi cutanea identica al tubercolo anatomico. Se- condo quest’ autore a lato della tubercolosi miliare subacuta della pelle del lupus, dello scrofuloderma si può porre una quarta forma di tu- bercolosi cutanea, caratterizzata da piastre rotonde d’ aspetto verrucoi- de , che si ravvicinano in certi punti all’ ittiosi istrix, o verruche cor- nee, presentando in certi momenti un carattere più infiammatorio. L’e- same istologico condusse 1’ autore alla diagnosi di tubercolosi confer- mata, dopo che v’ ebbe rinvenuti cocchi e bacilli.

Leloir pensa che il lupus volgare vero sia una delle forme della tubercolosi cutanea, e lo confermano eziandio i recenti lavori di Fried- lander, Koster, Besnier, Koch, e Cornil. Renauard studiando l’etiogenesi, e specialmente la natura del lupus dice: che 1’ istologia dimostra che il lupus ha la stessa struttura del tubercolo che talora contiene perfino i bacilli, e che inoculato il lupus negli animali vi si produce il tubercolo. Finalmente osserva che la clinica dimostra che il lupus può esser il punto di partenza di una tubercolosi generalizzata , pressoché sempre larvata in sulle prime, e può seguire un decorso acuto, parossistico, cronico. L’ autore ha trovato il 50 °/0 che presentavano i segni della

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La Lepra in Italia

tubercolosi. Block per i suoi studi sopra 144 casi di lupus volgare si è dovuto convincere che esso non è altro che una malattia tubercolare cronica della pelle, e di alcune mucose, e che ogni sua forma appar- tiene geneticamente alla tubercolosi.

Schiiller ed Hiiter hanno fatto degli innesti di lupo con successo, e ritengono conseguentemente come fenomeni di uno stesso veleno tuber- colare, solamente quello del lupo sarebbe più debole. Della stessa opi- nione sarebbero pure il Renaut, Graneher, e il Brissaud.

Kònig ha dimostrata 1’ esistenza del tubercolo nelle affezioni scro- folose delle ossa e specialmente nelle articolari ( tumori bianchi).

Per converso Schwimmer ritiene, che:

1. La tubercolosi cutanea è relativamente rara, mentre il lupus è frequente, così ambedue presentano aspetto, e corso diverso ;

2. La turbercolosi primaria esordisce nelle mucose, per diffondersi alla vicina pelle; il lupus comincia dalla cute primieramente, e seconda- riamente invade le mucose;

3. La tubercolosi cutanea è quasi sempre seguita da turbercolosi generale, il lupus quasi mai, come resulta da molte osservazioni;

4. I bacilli della tubercolosi, e del lupus somigliano ai leprosi, e ai sifilitici, per cui non è permessa una conclusione.

Finalmente Neisser ricorda i grandi lavori di Bloch, di Sachs, e di Bender i quali mostrano la frequente comparsa della tubercolosi, e della scrofolosi nei malati di lupus.

Del resto Koniger segnalò nello escreato di individui affetti da si- filide polmonale dei bacilli simili a quelli della tubercolosi, e Doutrele- pont e Schiitz con un loro metodo speciale di colorazione giunsero a colorare dei bacilli simili a quelli della tubercolosi, e della lebbra in al- cune sezioni di ulcera dura, di due papule mucose, d’una papula mucosa del mento e di una gomma.

Stando quindi a tutto quanto si è ottenuto dalle ricerche sperimen- tali, e dalla osservazione parafi potersi conchiudere nella questione in discorso.

1. che il tubercolo piuttosto che legato ad un processo specifico

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l’ è una maniera d’ esito infiammatorio sopra una costituzione scrofolosa o deperita, come ce ne ha dato prova lo esperimento :

2. che il bacillo tubercolare di Koch è lungi dal rappresentare l’unico, e vero elemento patogeno della tubercolosi, quando, siccome in- dietro abbiamo dimostrato, il tubercolo non rappresenta una malattia essenziale, e quando il bacillo di Koch si riscontra anco nelle masse caseose, siccome accadde allo stesso Koch, al De Renzi, e ad altri.

Ciò ammesso ne viene allora la domanda se il bacillo di Koch pos- sa esser lo stesso di quello che s’è riscontrato nella scrofola, nel lupus, nella sifilide, e nella lepra? Io inclino a crederlo per le ragioni che vengo ad esporre.

Penso che il bacillo della lepra probabilmente sia quello stesso della tubercolosi, non tanto per la stessa obiettività microscopica, che offrono ambedue questi microrganismi , quanto per gli stessi effetti che inducono con il loro innesto sugli animali, vuo’ dire la tubercolosi. Si aggiunga come la tubercolosi sia 1’ ordinario termine dei poveri leprosi, e il fatto di dominar numerosa la scrofola, e la tubercolosi in paesi, ove esiste la lepra. Leloir non rimane forse maravigliato dall’ enorme quanti- tà di scrofolosi, e tubercolosi che si trovano sulle coste della Norvegia, specialmente nei dintorni di Bergen , di Molden , di Trandhjem , do- ve appunto v’ è la lepra? Anco il Kaurin di Molden nota questo nelle sue statistiche, e secondo una relazione inedita del dott. Verteuille ai- fi Antille si osserva frequentemente la scrofola, e la tubercolosi con gli antecedenti personali, od ereditari di lepra. Baelz che ha studiato più di 200 casi di lepra al Giappone dice, che essa è una malattia locale, analoga alla tubercolosi cutanea.

Intanto Baumgarten, poi Campana, Corni], Babes, e recentemente Bordoni-Uffreduzzi affermano potersi il bacillo hanseriano distinguere da quello di Koch, o della tubercolosi. Anzi il dott. Bordoni-Uffreduzzi nelle sue recenti ricerche sulla cultura del bacillus leprae, oltre ad aver costatato che esso non si colora col bleu di metilene , dice presentare, fi estremità rigonfiate (; particolarità che non si riscontra mai in quello della tubercolosi.)

Ma se ciò però volesse nel caso anco dire, che il bacillo della le- Atti Acc. Voi. I, Serie 4.'

Il

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Lelia Lepra in Italia

pra è differente da quello della tubercolosi, del che io ne dubito forte- mente , con sicurezza parmi potersi d’ altronde concludere che non è il vero bacillo patogeno della lepra, perchè in questo caso il male do- vrebbe esser contagioso il che non è, come innanzi ampiamente dimo- strammo.

Laonde essendo or mai tempo di concludere, dichiaro, che per par- te mia sono convintissimo, che la Lepra è una malattia dovuta a spe- ciali condizioni ereditarie emananti dal processo embriologico nella ge- nesi degli elementi costituzionali; in quanto questi posseggano maggio- re o minore resistenza, più o meno duratura, più o meno generalizzata nel processo formativo, e del ricambio.

Così s’intende, come dalla costituzione scrofolosa possono derivare processi differenti dal lato morfologico, e per la loro evoluzione patogena, ma del pari non potrà manco sconoscersi com’ essi rispondono sempre ad un’ unità patologica, che è la scrofola.

Per cui, dopo il suesposto, non temo di andare errato se oggi qui affermo, che come il lupus, la lepra sia una tubercolosi cutanea, di cui solamente essa segna il momento più grave dei processi morbosi che hanno la scrofola per sustrato.

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SIHTOiaATttLOGI.%

Sommario Distinzione generale dei sintomi Prodromi Eruzione

Maniere differenti d’ esito.

Due ordini di sintomi si hanno nella lepra. Uno si riferisce all’ or- ganismo in generale, l’ altro alle manifestazioni locali.

Ritenendo il mal della lepra, siccome in avanti dicemmo, al tutto costituzionale, non vi ha luogo a discorrere d 'incubazione, fatto esclu- sivo alle malattie infettive. Laonde i suoi sintomi posson ridursi a que- sti momenti, o periodi.

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1. Periodo (Prodromi)

a) Febbre Questa si manifesta di solito in modo molto leggiero, anzi talvolta tanto da sfuggire persino all’ attenzione deir infermo. S’ i- nizia con leggieri brividi di freddo , d’ ordinario la sera , assumendo il tipo intermittente. Può accadere che l’inizio avvenga con forti brividi, come l’osservò in un caso il Leloir all’ospedale di S. Perno nel 1885, ma ciò è una eccezione. Da taluni medici simile febbre si reputa do- vuta piuttosto che alla lepra, alla malaria, o alla perfrigerazione cutanea, mossi dal fatto che per lo più dove esiste la lepra havvi malaria, cli- ma umido , e variabilissimo.

Se però in molti casi potrà veramente la febbre dei leprosi tenere a condizioni miasmatiche, è altresì indubitato che vi ha la febbre pro- pria del processo leproso, provandocelo: 1. la comparsa delle manifesta- zioni leproidi dopo essere insorta la febbre: 2. il cessare di questa dopo la comparsa delle dette manifestazioni; 3. il ritorno della febbre ogni volta che nuove eruzioni alle prime si succedono. Uomini com- petentissimi , e d’ esperienza ricchi , come Danielssen , Bòck , Ilansen , Zambaco, Leloir, ed altri finalmente ne confermano la verità. La tem- peratura della febbre leprosa oscilla fra i 38o-39o-400-41°. Hernando la osservò sino a 42°. Le elevate- temperature io l’ ho costatate in generale nelle successive eruzioni. Così Danielssen , Bòck verificarono il polso sino a 120-130 pulsazioni. Queste variazioni stanno in rela- zione con la temperatura, la quale esprimendo una profonda alterazione del ricambio organico ne viene appunto che 1’ alta temperatura si os- servi più facilmente al periodo di stato che in quello dei prodromi. Zambaco ha notato che gli infermi a quando a quando provano, special- mente nell’ estate, un caldo scottante alla faccia, e qualche volta alle membra, che egli ripete dall’effetto dei raggi solari soltanto sopra di quelle parti scoperte.

b) Malessere, e abbattimento Questo stato è più o meno mar- cato a seconda degli individui. Narrano Danielssen, Bòck e Hardy, che

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Bella Lejora in Italia

osservarono dei casi dove la prostrazione era tanta, che ogni movimento costava all’infermo tal pena, come se avesse eseguita una grave fatica. Leloir dice, che in questi casi gli arti, massime gli inferiori paiono ai leprosi pesi come il piombo. Questo stato di estrema pesantezza degli arti l’ho pure io osservato in un’inferma, ma si vede ciò nei periodi più avanzati della malattia, ed in allora che i fatti di anestesia com- plicano largamente le altre manifestazioni leprose. Infatti di conserva all’esaurimento nerveo-muscolare si manifestano eziandio l’ emaciazione e l’atrofia, le quali secondo le osservazioni di Zambaco risparmierebbero i muscoli interossei. Con ciò non di rado si associa ancora la prostra- zione psichica, che d’ ordinario prende la forma melanconica, che talvol- ta termina con la stupidità. Io ne ho osservato un caso simile a Catania in un giovane leproso di 18 anni, il cui ritratto ho riportato in questo mio scritto (Tav. IY.). Del resto l’intelligenza è tanto più minacciata dalla lepra, quanto più per tempo si manifesta il male. Una conseguenza finalmente dell’ abbattimento fisico, e psichico è il bisogno prepotente del sonno, e l’ ambascia cardiaca, il quale ultimo fenomeno però è as- sai raro.

c ) Anoressia I leprosi qualche volta si lagnano di poco appetito, di fenomeni dispeptici, di dolori di stomaco, di eruttazioni, nausee, e vo- miturizioni. Gli antichi autori accordano molto valore alla stipsi, ma essa non è più frequente che la diarrea, la quale è piuttosto rara.

d) Cefalalgia Non è frequente, e secondo Leloir si vede più spesso quando esiste, nella forma maculosa ed anestetica che nella tu- bercolare. In ogni modo sorge in sulla sera, od è allora che si rende maggiormente molesta.

e ) Alterazione nella secrezione del sudore Questa altera- zione consiste nell’aumento eccessivo del sudore in tutte le parti del corpo, sia durante il sonno che il lavoro, od anco senza causa che lo ecciti. Leloir afferma che V iperidrosi è un fenomeno frequente nello stadio d’ invasione della malattia. Può invece sopprimersi (< midrosi ) sia

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in modo generale, che è rarissimo, oppure in una maniera locale che avviene più spesso. L; anidrosi è seguita da anestesia cutanea, che si manifesta prima di tutto ne’ punti ove il sudore è scomparso.

f) Prurito, ed iperestesia cutanea Il prurito come l’iperestesia può osservarsi qualche volta, sopratutto alle estremità inferiori. Questi due fenomeni sono assai rari.

Si notano quando esistono, agli arti inferiori, sotto forma inter- mittente. Leloir ha costatato vivi dolori ai pollici. Tuttavia si riscon- trano spesso come prodromi della forma mista.

- i) Reumatalgie I dolori reumatici sono di solito avvertiti agli arti inferiori, e sono ora intensi ed ora lievi, cosa che si verifica il più spesso. La lombaggine può essere pure un fenomeno prodromico della lepra. Leloir osservò una volta che la lombaggine era tanto intensa da simulare un caso di rachialgia. Allora v’ è febbre.

j) Anemia Questo stato è più o meno marcato, e sopratutto si verifica nella forma più grave del male, cioè in quella complicata da anestesia. Così a rendere l’anemia più marcata vi concorre la cattiva costituzione, la poca igiene, il pravo, e scarso alimento.

I) Mestruazione— Appunto per un’ oligocitemia del periodo pro- dromico si nota nella lepra, come accade anco per la sifilide, un distur- bo nella mestruazione. Cauzier e Buchner, citati da Hansler, hanno am- messo che le regole cessino col comparire del male. Adams sopra 10 leprose non ne ha trovate che tre regolate. Anco il Leloir ha costa- tato questo fatto, ed Hernando assevera, che quando la lepra apparisce avanti l’epoca mestruale, la mestruazione s’arresta, o ritarda, ed in ogni modo le affette soffrono di clorosi. Io pure ho verificato questo.

ni) Alterazioni nella sfera sessuale Allorché la lepra si svi- luppa innanzi che l’ individuo abbia raggiunto la pubertà si ha un ar- resto di sviluppo fìsico in tutto l’ insieme del corpo, mentre gli organi

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La Lepra in Italia

sessuali rimangono allo stato rudimentale (Adams, Heberden, Ainsly , Robinson). Mancano quindi i peli ai pudendi, e nulla rimane 1’ attività sessuale. In allora invece che la malattia si svolge nell’ adolescenza il senso erotico rimane nella sua pienezza, anzi pare che talvolta sia così prepotente ed attivo, che taluno riputandolo caratteristico fenomeno del- la lepra, come innanzi dicemmo, la chiamarono salir iasi. Si sono verifi- cate pure dei casi di ninfomania (Leloir, Sand). Senza tuttavia negare il fatto, è però cosa che sembra si riscontri di rado assai. Biett non ebbe infatti occasione di osservar la satiriasi e neppure 1’ Areteo l’ eb- be a vedere siccome fenomeno solito. Yidal e Joannis hanno parlato d’ un marinaio leproso che cercava continuamente di soddisfare la ve- nere, e Niebul racconta, ciò che il Griber pone in dubbio , che un le- proso recluso nel lazzeretto di Bagdad ( Arabia ) per godersi una don- na di quella città della quale era innamorato, riuscì a farle portare una camicia che aveva indossato egli pure, e a comunicarle il male pel qua- le fu essa pure condotta nello stesso Ospizio. Invece il celebre Pallas osservò in talune colonie Tartare che gli affetti sino dal principio del male loro provano anzi un disgusto pel commercio femminile. Biett dice, che questo è il fatto il più vero.

Fra i segni che preludiano 1’ estrinsecarsi dei fatti del processo le- proso, il Leloir ci mette pure la secchezza del naso , e 1’ epistassi. Me- ramente questi fatti appartengono più specialmente al periodo eruttivo.

Si può dire in una parola, che i prodromi della lepra sono quelli di un’alterazione del ricambio organico, con tendenza alla generalizzazione.

2. Periodo (Eruzione).

Il periodo eruttivo della lepra offre le seguenti forme cliniche; 1. le macchie; 2. 1’ infiltrazione ; e produzione neoplastica ; cui spesso va di conserva 1’ anestesia.

a) Màcchie.

Prima di tutto in omaggio alla chiarezza debbo dichiarare come riserbi il nome di macchia alla forma elementare delle manifestazioni , e di macula ai postumi.

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Le macchie della lepra si presentano sotto due forme caratteristi- che, che indicano due momenti distinti della loro evoluzione , e sono la forma congestiva in prima, e poscia la pigmentata.

Sebbene le macchie si possono riscontrare ancora sulle mucose vi- sibili, ed Hernando l’ abbia costatate persino nella trachea e nei bron- chi, cosa che a me riesce difficile a comprendere, come abbia potuto farlo, nonostante il laringoscopio; pure la lor sede ordinaria è la faccia, e gli arti dal lato dell’ estensione. Schilling, Gibert, e Leloir le hanno osservate parimente al dorso, alle natiche, ed all’ addome; Verteuil agli inguini, e alla parte posteriore delle coscie, ed Hebra, Hernando, Kaposi, Leloir, e Campana alle regioni palmare, e plantare. Lamblin e Zambaco asseriscono che le macchie si estrinsecano da principio sulle parti sco- perte. Anch’ io avrei veramente osservato questo.

Si mostrano ora in modo chiaro, talaltra pochissimo apparenti da sfuggire all’ apprezzamento degli stessi infermi. Il loro colorito è roseo- chiaro, ma più spesso rosso-scuro, rameico per modo che 1’ eritema le- proso rassomigliando alla roseola sifilitica fu dal Leloir impartitogli il nome di roseola leprosa. Presentano un’estensione variabile da quella di una piccola lenticchia, ad una lira, e più. Se ne vedono talvolta delle estesissime. Leloir narra di aver visto invasa sotto forma di rossore dif- fuso pressocchè tutta la faccia, e tutta la regione dorso-lombare. I loro contorni sono discretamente netti, nelle piccole macchie. Sono per con- verso più o meno irregolari nelle grandi.

Si presentano d’ordinario sotto forma rotonda, od ovolare, o più rara- mente sotto quella di cerchi, semicerchi ( lepra girata degli antichi), ma ciò non si vede mai alla faccia, sembra frequente invece alle natiche, al tronco, e agli arti. Sono piane, lisce, untuose (Adams), o come verniciate (Rayer); mai vi si verifica desquammazione, mentre ora sono senza, tal’ altra ac- compagnate da tumefazione. Sono qualche volta dolorose alla pressione, tal’ altra indolenti.

Riguardo alla loro evoluzione le macchie del periodo congestivo , che sono quelle che si appalesano nei primi momenti del processo le- proso, si dileguano spesso salvo a ricomparire ad intervalli. E allora si intende che in questi casi non rimane traccia alcuna della presenza

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Bella Lepra in Italia

loro. Accade talvolta, ma più di rado, che rimanga una leggiera ma- cula brunastra, o grigiastra, o ardesiaca, o bianca. Leloir ha osservato qualche volta in seguito alla scomparsa delle macchie una tinta echi- motica analoga a quella che si osserva dopo la scomparsa di certi eri- temi papulosi. In generale sono più scure al centro che alla periferia, e la decolorazione in sulle prime si fa dalla periferia al centro.

Il colorito di queste macchie nel periodo di risoluzione e scom- parsa sembra talvolta modificarsi per l’ azione del freddo , e del caldo divenendo bleu o violetto per l' influenza del primo ; rosso o roseo per quella del secondo. Leloir ha del pari osservato un aumento ed una dimi- nuzione di sonno, e della digestione in relazione del caldo, e del freddo.

Spesso sono anestetiche, più di rado, iperstetiche. Con il dileguarsi delle macchie si osserva la caduta dei peli. Col progredire del male le macchie da effìmere divengono fìsse, ed il loro colorito si fa più scuro, più grigiastro o bluastro, più si dilegua sotto la pressione. Ecco la macchia 'pigmentaria.

Queste macchie hanno sede al dorso, al torace, all’addome, e alle coscie. Hanno colorito rossiccio, bronzino, o nero; non sono mai rilevate, e talvolta il loro centro diviene bianco, e si deprime. Queste macchie acromiche, ora sono circondate da un cerchio ipercromico, come le mac- chie della vitiligo (morfea alba), tal’ altra sono intieramente acromatose (lepra bianca degli antichi, leuce).

La lepra può per dei mesi, come per degli anni, esser rappresen- tata dall’ apparizione e scomparsa delle macchie , ma ciò non avviene sempre, perocché sia a livello che ai lati delle macchie fisse si mani- festa finalmente l’ infiltrazione, o produzione neoplastica.

Ora viene una domanda nel modo di origine di queste macchie.

Cesare Bock pensa che le macchie siano dei fenomeni reflessi, e che si producano per le vie vaso-nervose dall’ irritazione che il veleno leproso esercita sopra il sistema nervoso centrale. L’ autopsie intanto hanno dimostrato sempre una pronunciatissima alterazione dei nervi periferici che innervano le macchie, ed in modo eccezionale le alterazioni del sistema nervoso centrale, ciò che starebbe a contradire l’ ipotesi del- l; illustre medico di Cristiania.

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Certamente nessuno può negare che in sulle prime le macchie sono dovute ad un disturbo vaso-motorio d’ origine locale, almeno io la penso così. Noi infatti vediamo modificarsi nel loro aspetto sotto cagioni ec- citanti o depressive di natura differentissima. Ma ciò è sempre come fatto locale e non riflesso. Quando però a questo si aggiunge il feno- meno dell’ anestesia, oppure le macchie divengon fisse ( pigmentaria ), al- lora si ha una alterazione trofica.

Laonde parali giustificata la distinzione da me fatta in antecedenza delle macchie in congestive e pigmentate, come lo prova eziandio il fatto stesso di esser le prime evanide , le seconde fisse.

Il Leloir intanto a proposito delle macchie fisse dice, che sebbene raramente, pure ponno talvolta esser primitive. In ciò io non convengo affatto con F egregio confratello perchè le macchie primitive fìsse non costituiscono una forma clinica a sè, ma sono F espressione dell’ altera- zione trofica indotta, o da un precedente stato congestivo, o dall’infiltra- zione neoplastica. Quindi si può dire, che se le macchie fisse si posson pur verificare nello stadio precoce dei prodromi, però non sono il fatto primissimo, elementare, ma secondario ; per cui una volta che lo stato congestivo deve antecedere alla pigmentazione non si può con rigore di linguaggio clinico dire, che le macchie fisse possono ancor esser pri- mitive, quando il fenomeno è complesso, e deve essere antecesso sempre dallo stadio congestivo.

L’esame del sangue fatto con il contaglobuli di Malassez ha dato una media di 3,983,200 emasie, e di 9,570 leucociti al centimetro cubo; ossia 1 di questi sopra 416 di quelli, proporzione che può venir con- siderata come presso a poco normale.

L’ esame del sangue tolto nel punto anestetico ha dato una media di 3,572,800 emasie, e di 8,272 leucociti al centimetro cubo, che vuol dire la proporzione di 1 leucocita sopra 432 emasie.

Frattanto si osservano fenomeni di alterata sensibilità cutanea , e delle alterazioni nell’ apparecchio pilifero.

Riguardo alla prima si nota sulle macchie V iperestesia, e V anestesia. Di queste due forme la prima è la più rara, e succede d’ ordinario in principio, e suol terminare con F anestesia, la quale del resto è la forma Atti Acc. Voi. I, Serie A.’

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più solita, e di tanto sussidio diagnostico nelle ma cui od ermi e. Il Leloir ha visto mentre era abolita la sensibilità tattile, rimaneva normale quella della temperatura , e del dolore , come altresì ha osservato , sebben di rado, tacere la sensibilità dolorifica, e consevarsi la tattile con o senza normalità del senso termico. Il prot. Campana pel primo , poi il dott. Moretti verificarono una differenza di temperatura fra il lato sano , e quello ammalato. Sono fra le alterazioni della sensibilità a notarsi pure le sensazioni di ardore, prurito, e pizzicore alla superficie delle macchie, ma questi fenomeni si verificano nel primo periodo della loro comparsa.

La sensazione di freddo all’ estremità si osserva nello stadio, che Leloir denomina cianosi leprosa delle estremità. Io ne ho osservato un caso in un vecchio leproso, il quale si lamentava di freddo continuo al- 1’ estremità inferiori.

In quanto poi all’ apparecchio pilifero si osserva sin dal primo momento della malattia la caduta dei peli , sopratutto dei sopracigli. Ciò naturalmente nell’adulto, poiché quando la malattia si sviluppa prima dell’ evoluzione pilifera questa s’ arresta per tutto il corpo, salvo al capo. Ma quando esistono i peli, questi prima di cadére si fanno secchi, perdono la loro lucentezza, e divengono fragili. Di rado fanno vedere delle nodosità come nella tricorresi nodosa, o la terminazione bifida come in certe pelacli. La caduta dei peli l’esperienza dimostra stare in rapporto dello sviluppo delle macchie, e dei lepromi. Infatti non si ve- rifica al capo, dove appunto tali manifestazioni mancano. Così si nota 1’ alopecia limitata qualche volta solamente ai sopracigli, e soltanto nelle macchie, mentre niuna caduta di peli si avverte nei tratti di pelle sana interposte fra le stesse macchie.

Quanto al rinvenire la canizie nei leprosi non vuol dire che dalla lepra sempre dipenda, perocché da altre cagioni può esser prodotta. La selorrea invece, già segnalata dai medici del medio evo nelle macchie, sembra aver più rapporto col processo leproso.

Riguardo poi alle modificazioni del sudore alla superficie delle mac- chie, il Leloir, che ne ha fatte delle ricerche con il metodo di Aubert di Lione, dice, che non ha potuto avere da queste dei resultati sicuri ed esplicativi.

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A questo periodo mai si riscontrano le macchie delle mucose, come rarissime sono le lesioni delle unghie. Anco il pemfigo si osserva con rarità, e quando ciò avviene si verifica nelle macchie accompagnate da anestesia.

b) Leproma.

Nei punti dove apparvero in prima le macchie, od anco sopra pelle sana, nascono delle rilevatezze piane, od ovoidali, e talune a forma po- lipoide. Queste hanno un colorito rosso-bruno, ed una consistenza tal- volta dura , tal’ altra molle. Sono lucenti alla superficie , e serpeggia te qualche volta da diramazioni vascolari, come si verifica sopratutto alla fronte, e alle guancie.

Queste rilevatezze , i tubercoli degli autori , preferisco con altri scrittori chiamarli lepromi.

Essi nascono in generale in modo piuttosto lento, e la loro com- parsa qualche volta è segnata dalla riapparizione dei fenomeni prodro- mici, tra i quali principalmente la febbre. Sono in sulle prime doloro- sissimi alla pressione da far pensare perfino a dei fibromi sottocutanei, se specialmente complicati a linfangite. mostrano altre volte indo- lenti , e leggermente pruriginosi. Hanno sede nel derma , ed al più si estendono all’ipoderma, da dove però è eccezionalissimo che incominci. Possono anco osservarsi nelle mucose, e nel parenchima degli organi : anzi il Yirchow afferma che queste stesse proliferazioni si possono pur riscontrare sui nervi periferici, producendovi una specie di tumefazione nevromatosa, a cui devesi per mio conto l’iperestesia, e l’anestesia.

I lepromi ora sono isolati, ed ora riuniti in gruppi, la cui gran- dezza varia da un pisello a quello di una nocciuola e più. Sono situa- ti per ordine di frequenza alla faccia (archi ciliari, cigli , cornea, iride, zigomi, pinne nasali, mento), orecchie, arti superiori ed inferiori, come si osservano nel cavo orale, sulla lingua , al faringe , laringe , fegato , milza, pene, e testicoli, non che lungo i nervi periferici superficiali, ed in modo peculiarissimo nei gangli i linfatici.

II palmo delle mani ò eccezionalmente preso dal leproma , ma quando lo è, avviene sempre in modo leggiero e diffuso. Non ne ven-

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gono interessate affatto le ossa, i muscoli , ed il tessuto epitelico , sino a questo momento è stata costatata la sua presenza nel sistema nervoso centrale.

Quando i lepromi hanno la forma polipoide si mostrano spesso penduti, sulla palpebra, e narra il Yirchow di aver visto a questo pro- posito un individuo nel quale gli occhi suoi venivano nascosti da code- sti neoplasmi.

Sotto due forme frattanto si manifestano i lepromi, sotto quella papillosa , o a nodi, e sotto quella diffusa , o per infiltrazione.

La forma solita che primitivamente assume il leproma è la papil- losa, poi col progredire si unisce alla diffusa, come si osserva caratte- risticamente alla faccia, dove la pelle diviene scura, rugosa alla fronte, la congiuntiva bulbare s’inietta, le narici si dilatano, il naso si schiac- cia, le orecchie si tumefanno, e così la fisonomia perdendo le umane parvenze assume il terribile aspetto del leone, che al mal della lepra li fece pur dar quello di leontiasi. Il Lang questo doloroso aspetto del- l’umana faccia lo paragona ad un albero nodoso. Io ho visto veramente ambedue le figure in allora, che i lepromi erano discretamente sviluppati.

Il Leloir avverte, che ha talvolta visto al soger dei lepromi delle nodosità a decorso effimero, riducibili alla pressione. D’ onde il chiaro dermatologo di Lille si domanda, se in questi casi si tratti di veri lepromi ; ossivvero di nodosità ipodermiche, effimere, ed analoghe alle nodisità reumatiche ? E risolve il quesito dicendo, che come si sono di- stinte delle macchie congestive, e neoplastiche, (varietà di morfea vera ecc.) vi possono essere delle nodosità ipodermiche congestive, e neopla- stiche. Quindi tali nodosità si dovrebbero riferire alla forma congestiva, deduzione che esso trova confermata anco da quello che gli ha asserito Danielssen, che in queste nodosità, simulanti 1’ eritema nodoso, non si rinvengono mai i bacilli di Hansen.

Queste nodosità si notano sopratutto, agli arti, ed alla faccia. Han- no il colorito ordinario del leproma , e talvolta sono così consistenti alla palpazione da simulare l’edema duro, sclerodermia leprosa di Bazin. Presentano alla loro superficie una leggierissima desquammazione, che au- menta sotto il traumatismo ungueale. La loro estensione varia da 2-5

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lire, e più ancora; ed ora hanno margini regolari e netti, tal’ alti a irregolari , ed i cui limiti si perdono come per sfumatura nella pelle sana circumambiente. Qualche volta sono rilevate. Queste placche lepro- matose posson durare degli anni, ma si rinvengono d’ ordinario in quei casi dove la malattia ha assunto un andamento supremamente cronico.

Nei lepromi la temperatura locale si trova aumentata sia in coin- cidenza della febbre, sia indipendentemente da questa, fatto, siccome ho già innanzi annunziato, fu pel primo notato dal Campana, poi dal Moretti, e più recentemente confermato da Zambaco, e da Leloir. La termogenesi qui varierebbe da 1/i a 2 gradi. Invece diminuisce nelle neoproduzioni lepromatose vecchie , ed alla superficie delle ulcerazioni. Io ho osservato questo abbassamento di temperatura segnatamente alla superfìcie dorsale delle mani, e dei piedi , dove il leproma si ha principalmente sotto la forma diffusa.

La sensibilità cutanea può trovarsi, come nelle macchie , così nei lepromi, aumentata (^iperestesia), o mancare (anestesia). Quest’ultimo caso è il più frequente, e segna anzi un carattere oltremodo importante per la diagnosi , sebbene siffatto fenomeno 1’ abbia osservato il Leloir anco in qualche caso di tubercolosi cutanea , e di lupus. L’ iperestesia quando si verifica in generale è di corta durata , e finisce a poco per volta nell’ anestesia. Però è mestieri si noti come colla scomparsa di certe specie di sensibilità se ne conservino altre , per es. può mancare la sensibilità tattile, ed essere intatta la dolorifica. Più di rado invece tace la sensibilità termica. L’ anestesia 1’ ho avvertita più spesso nelle macchie che nei lepromi. Anzi in quest’ ultimi, salvo nei casi piuttosto antichi non ho mai costatato una anestesia completa, tanto nel saggiare la sensibilità con gli aghi, che nell’ escidere i lepromi (biopsia), sia per scopo terapico, che di ricerche istologiche. Danielssen e Boch affermano mancare nei lepromi 1’ anestesia, mentre il Bidenkap assicura d’ avervela riscontrata sempre. Hansen invece l’ avrebbe riscontrata 132 volte sopra 141 casi.

Nel leproma subiscono dei cambiamenti anco 1’ apparecchio pilo- sebaceo, per cui si ha la caduta dei peli. Questo si riscontra di radis- simo al capillizio, perchè in quella regione è rarissimo vi si sviluppino

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siffatti neoplasmi. Cosicché si può dire, che molti casi ritenuti per alo- pecia leprosa , non erano altro che casi di seborrea, o linfoadenite cu- tanea. Del resto alla superficie dei lepromi con la caduta dei peli si osserva spesso uno strato seborroico più o meno considerevole , mentre sparisce pressoché sempre il sudore ( 'anidro si t ).

Frattanto al mal della lepra non sfuggono manco le unghie, cosa già segnalata da Ezio, ed Oribasio, e le cui lesioni assomigliano tanto a quelle apportate dalla sifilide ( peivnixi , onixi). Soltanto che quelle leprose 'sono indolenti. E caso raro tuttavia, che ciò non dipenda da un prodotto leproide ivi sviluppato. La caduta dei denti è stata parimente notata.

Però, mentre che il leproma continua la sua evoluzione ascendente nascono delle complicazioni, che si riferiscono in parte a lesioni epider- miche, in parte ad edemi, linfangiti, ed altro. Quanto alle prime esse consistono in fendigliature , vescìcole, flittene , e nella desquammazione , che da essenzialmente pitiriaca può divenir lamellosa, e talvolta perfino psoriasiforme, od ictiosiforme.

Può pure alcune volte osservarsi la pachidermici, ma più di rado l’ atrofia cutanea , forse deuteropaticamente , in vicinanza dei lepromi. Dice Leloir Io l’ho vista qualche volta talmente accentuata alla su- perficie degli arti inferiori che simulava l’ ittiosi serpentina pronunziata, ed anco l’ ictiosi coccodrilli ca, alterazioni che il dermatologo francese considera come lesioni trofiche secondarie, o delle lesioni dei nervi peri- ferici, e quindi analoghe agli stati ictiosiformi, che talvolta si veggono negli arti inferiori di certi infermi affetti da lesioni del sistema nervoso- centrale, o periferico. Ad alterazione dei nervi periferici sembra si deb- bano unicamente la pacbidermia, o 1’ atrofia cutanea (. xerosis ).

Il leproma si sviluppa lentamente, o rapidamente , in numero più o meno grande , per una superficie più o meno estesa dove sono nate le macchie , o alla loro periferia. Quando nascono lentamente di ordinario non vi ha febbre, non è lo stesso quando si producono rapi- damente. 11 leproma allorché è sorto si va gradatamente ingrandendo , ed in taluni punti viene a confluire, come la sua estrinsecazione si fa in varie volte, ed ognuna d’ ordinario è accompagnata da febbre, e da fe-

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nomeni generali più o meno accentuati. Io ho osservato questo nel se- guente caso.

Oss. 63 G ( Francesco ), d’anni 37, ammogliato senza figli.

Abita a Cibali (Catania), fa il fornaciaio, e da soli 7 anni soffre del mal della lepra. Tenne all’Ambulatorio clinico il 9 giugno 1879, e mi narrò che suo padre morì a 67 anni in conseguenza di una vasta ulcerazione alla faccia, che dai medici che lo videro fu diagnosticata di natura le- prosa, confortati a tal diagnosi dalla presenza di manifestazioni leprose in altre parti del suo corpo. Egli godè sempre buona salute sino al momento che trovandosi sotto le bandiere nazionali gli comparvero per la prima volta i segni della lepra, che al dir dell’infermo stesso furono

preludiati da ripetuti accessi febbrili. Si noti che quando il G venne

preso dal male, già da diverso tempo era fuori del luogo nativo.

Al momento della nostra prima visita il G presentava : stan-

chezza generale, dolori muscolari, sudava con facilità e copiosamente, anoressia, fiato fetido , e diarrea. L’ orina era torbida , densa , giumen- tosa; normale la funzione genitale. Obiettivamente poi offriva a vedere, faccia gonfia, rubiconda, e attraversata da arborizzazioni vascolari, al- cune telengiattoidi, massime ai sopracigli, ed agli zigomi. Inoltre si no- tava raggrinzamento e deformazioue delle piume nasali , e della pelle dei sopracigli; non che della regione labio-mentoniera. Qui la pelle pre- sentava ancora delle linee bianche dirette in modo raviato (strie atro- fiche). Mancavano quasi in totalità i peli dai sopracigli, e della barba. Poi aveva dolori profondi, terebranti ad ambedue le gambe dove esi- stevano estese ulcerazioni, ed oltremodo tumide e gonfie aveva le mani ed i piedi. Anco le dita delle mani si presentavano deformate, e rag- grinzate, e con ciò notavasi tanto nelle mani che nei piedi un rilevante abbassamento di temperatura, con un leggiero grado d’ anestesia.

Stabilita dunque la diagnosi di Lepra neoplastica gli consigliai prima di tutto lo spatriamento, cosa che non potè mettere in pratica a causa della sua ristrettezza economica. Per cui gli prescrissi allora a correggere lo stato saburrale gastrico 20 gram. di solfato di magnesia, e sulle ulceri oltre la nettezza la locale applicazione della polvere di

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iodoforme. Tornato dopo 4 giorni da me, e visto corretto lo stato delle prime vie, e come sulle ulceri tanto beneficamente avesse agito 1’ iodo- forme, volli tentare un tal rimedio anco per la via interna, e così gli prescrissi due pillole al giorno di questo rimedio di 10 centigrammi ciascuna. Quando di a pochi giorni fu preso da febbre, iniziatasi con brividi di freddo, la quale facendosi dipoi continua per molti giorni durò correndo pericolo di vita V infermo, pel sopraggiungere di gravissimi fe- nomeni. Imperocché oltre la febbre a 40, G, s’ ebbe profonda adinamia, disfagia, paralisi del velopendulo, afonia, dispnea, ipostasi polmonare, sonnolenza, anestesia completa delle localizzazioni leprose della pelle. Si notava con i lepromi un eritema diffuso ( roseola leprosa ) agli avam- bracci, ed alle gambe bolle di pemfigo, alcune delle quali rotte presen- tavano qual prodotto secondario delle croste grigiastre , e talune deci- samente nerastre. Alle gambe esistevano le solite ulcerazioni , sopra notate.

Intanto colla comparsa di nuovi neoplasmi, e della roseola leprosa la febbre cessò, ed il malato sotto la cura tonico-ricostituente , e l’ uso dell’ iodoforme sulle piaghe migliorò tanto , che riavutosi dal primiero stato riprese le occupazioni del mestiere suo , che andò ad esercitare fuori di Catania. Ho saputo ora che è morto.

Questa istoria segna un eloquente contributo alla semiologia della lepra , e segnatamente rispetto alla prova dell’ essenzialità della febbre leprosa.

Si domanda intanto se ciò si opera per nuovi focolai autottoni , ossivero per focolai d’ autoinoculazione. Io ritengo possa avvenire in tutti e due i modi. Però è a notarsi che quando avviene la genesi di nuovi focolai leprosi in questo secondo modo, cioè per autoinoculazione si os- servano spesso delle linfangiti reticolate, delle eresipele flictenoidi, a cui consegue necessariamente un ispessimento cutaneo , uno stato di pachi- dermia, come se si trattasse di una vera elefantiasi degli Arabi, d’onde le deformazioni ipertrofiche , talvolta mostruose che si osservano agli arti inferiori. Così i ganglii linfatici divengono nella lepra duri , indo- lenti, conservandone la mobilità. Possono assumere tal volta un volume piuttosto 'considerevole fino a quello d’ un uovo e più di tacchino. Sul

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principio della manifestazione dei lepromi l’ ingorgo è limitato agli in- guini, poi si estende agli altri ganglii del corpo. Leloir ha potuto ve- dere qualche volta l’ ingorgo dei ganglii poplitei, epitrocleari, auricolari, e mastoidei , e Tanzier quello di tutti i ganglii del corpo. Possono anco suppurare, ma non è ciò tanto frequente. A questi fenomeni fi- nalmente se ne possono aggiungere altri, come l’atrofìa muscolare, la paralisi, le deformazioni, e le mutilazioni, nonché l’ idiozia , e la follia (malinconia, stupidità). Leloir ha veduto un caso di mania in una le- prosa ninfomaniaca. Ludwig-Dahl ha pubblicato delle statistiche interes- santi sulla trasmissione della follia, e della idiozia nelle famiglie di leprosi.

3. Periodo (Esito).

In questo periodo le macchie possono risolversi per delitescenza o lasciare un vestigio più o meno duraturo di loro. Per i lepromi si nota una tendenza al rammollimento, ed alla consecutiva ulcerazione. È il fenomeno più importante e caratteristico di questo periodo leproso. Possono tuttavia i lepromi subire il rammollimento senza ulcerazione , risolversi per riassorbimento , come del resto rimanere per lunghissimo tempo senza che in loro si operi regressione di sorta. Di rado assai subiscono invece la degenerazione fibrosa, come certi tubercolomi, sifi- lomi , ed il lupus scleroso studiato così bene da E. Yidal , e Leloir. Quest’ultimo ne ha veduti degli esempi tanto sulla pelle che sulle mu- cose. Il leproma che subisce questa trasformazione diminuisce di volume, oppure più di rado conserva lo stesso. Qui spesso si nota desquamma- zione epidermica, e la atrofia della pelle. Può nella degenerazione del leproma notarsi la forma keloidea (vascolare o no). La trasformazione fibrosa si osserva ancora nei lepromi del fegato, e del testicolo.

ITn altro esito del leproma può esser la suppurazione , e la riso- luzione del neoplasma per riassorbimento, ma l’ esito però più solito è Benza dubbio quello per ulcerazione. -

Quando il leproma subisce la fase ulcerativa, se specialmente ciò si compie sopra più lepromi, il fatto viene annunziato da febbre , in Atti Aco. Voi. I, Serie 4." 13

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La Lepra in Italia

conseguenza di un processo flogistico che va ordendosi nel tessuto le- promatoso. I lepromi che pel solito vanno incontro a simile esito sono quelli sopratutto delle gambe, e dei piedi, a cui partecipa talvolta pure la pelle circum-ambiente, dura, pachidermica, ed infiltrata da leproma nodulare, o in placche. Talché la superficie ulcerosa si fa più vasta. L’ ulcera ha bordi tagliati a picco , qualche volta staccati dal fondo, e si ricopre di una sottile crosta. Dalla sua superficie si segrega un pus più o meno sanioso, e fetido. L'ulcerazione può non solo estendersi in superficie , ma anco in profondità , e divenir terebrante , mettendo allo scoperto i tendini , ed i ligamenti periarticolari , penetrare nelle articolazioni, portar la caduta di tutte le falangi, sia in totalità che in parte, e denudar le ossa, d’onde la necrosi ( Lepra rnutilans di Pruner). La lepra rnutilans, come meglio si vedrà a suo luogo, può manifestarsi auco sopra articolazioni di maggiore importanza.

Il processo ulcerativo dei lepromi delle mucose orale , del faringe e della laringe rende penosa la respirazione , la copiosa suppurazione fetida , e saniosa della superficie delle ulceri guastano il processo del ricambio, dimodoché la nutrizione generale di giorno in giorno sempre più infievolendosi si origina la cachessia. I visceri , e specialmente la milza, il fegato, i ganglii mesenterici, il sistema nervoso periferico ag- gravano eziandio le già abbastanza miserevoli condizioni dell’ infermo , il quale scende ben presto nella tomba, o per esaurimento, o per una generale infezione (tifo leproso).

In allora però che i lepromi guariscono risolvendosi nell’ una, o nell’altra maniera, il resultato postumo è la macula , e la cicatrice.

Le macule che si mostrano quale postumo dell’ eritema , e della infiltrazione neoplastica della lepra, si presentano sotto l’ aspetto di una tinta brunastra, o grigiastra , ardesiaca , e nei periodi più avanzati del male sotto quello di strie atrofiche, di. macule leucodermiche, e di cica- trici atrofiche, acromiche, o pigmentate. Ho veduto a Catania una gio- vane leprosa, che per 4 anni consecutivi ha frequentato il mio ambu- latorio, che al seguito della risoluzione dei lepromi della faccia, questa si vedeva attraversata da strie bianche , leucodermiche.

Le cicatrici conseguenti all’ ulcerazione , sono più o meno superfi-

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ciali, più o meno estese, e più o meno lisce, come più o meno pigmen- tale, e sono talora parziali anziché totali. Talché dalla cicatrice simile a quella del vaiuolo si può passare a quella più estesa, che ora è piana, tahaltra saliente, e a superficie ineguale. Queste cicatrici possono subire la modificazione keloidea. Il loro colorito è d’ ordinario madreperlaceo e quasi sempre circondate da una linea brunastra.

Y.

ANATOMIA PATOLOGICA

Sommario I primi autori che studiarono la lepra dal lato dell’ istologia patologica Mor- fologia , e biologia del bacillo leproso Lesioni anatomiche, e topografìa del bacillo le- proso — Placenta leprosa.

I primi a studiar la lepra dal lato dell’ istologia patologica furon Danielssen e Boch; in seguito altri molti, ed anzi in quest’ultimi giorni v’ è stato un ammirabile risveglio in simili ricerche, che non v’ è ana- tomo-patologo, o dermatologo che non vi abbia rivolta la propria at- tenzione. Qui in Italia sono meritevoli di speciale encomio i lavori del nostro compianto prof. Maggiorani , e dei professori De Amicis , Cam- pana, Profeta, Sangalli, Maiocchi, C. Pellizzari, e del Tommasi-Crudeli.

Ma due personalità spiccano sopratutti in questo studio , voglio dire il Yirchow, e 1’ Hansen, avendo il primo più convenientemente de- terminate le vere alterazioni istologiche, ed il secondo scoperto un mi- crorganismo, che appellò bacittus leprae.

A maggior chiarezza , e per non stare a fare spesso delle ripeti- zioni, studieremo prima la morfologia e biologia del microrganismo han- seriano, quindi passeremo a studiare le alterazioni istologiche propria- mente dei tessuti in relazione alla topografia stessa di questo parassita.

§ 1. Bacillus leyrac.

I bacilli della lepra si presentano come bastoncini delicati della lunghezza di 2-6/*, e larghi meno di 1 /*, dei quali alcuni sono affilati

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Bella Lepra in Balia

ai due estremi, e mentre taluno si mostra in movimento altri stanno immobili. Sono rettilinei , o leggiermente ricurvi , e la maggior parte contengono eia 3-4 spore brillanti; altri invece sembrano contenere una sostanza granulosa (figura la 2a 3a).

Eklund di Stocolma descrive il parassita della lepra come dei mi- crococchi di, forma sferica, unicellulari, trasparenti, e sempre in movi- mento, molto più piccoli dei globuli rossi del sangue, che si moltipli- cano allungandosi , assumendo così la forma leggermente cilindrica nel mentre si biforcano. Secondo il nostro amico e collega svedese questo schizomicete si trova nel sangue, nei tumori, nelle ulcerazioni, e nelle secrezioni dei leprosi.

Gli autori tutti però, com’ io stesso ho potuto le mille volte con- vincermi, ritengono che il detto parassita della lepra abbia forma spo- rulo-bacillare, e non micrococcbica solamente (fìg. 3a).

I bacilli della lepra si trovano in parte isolati , o disseminati , in parte riuniti in colonia (fìg. 2a a-b e fig. 3a). In quest’ ultimo caso, se- condo Lutz , sono sempre circondati da un involucro gelatinoso, il che si riscontra raramente invece quando sono isolati. Lutz li ritiene come rappresentanti lo stato primitivo , considerando la cellula quale forma elementare. Questa cellula è rotonda , possiede una membrana , che in sul principio è sottile e solida , poi diviene a poco a poco spessa , e colloide. La cellula contenuta senza partecipazione dell’inviluppo cellu- lare si sdoppia in due cellule nuove, che si allontanano a poco a poco acquistando un nuovo inviluppo, tutto però restando nel primitivo invi- luppo. Lo sdoppiamento si fa sempre nella stessa direzione, e aumenta ciascuna volta l’ inviluppo gelatinoso di un nuovo strato , come accade per certe alghe, salvo per quelle la cui divisione non si limita ad una sola direzione. L’inviluppo interno dove sono accolte le piccole- cellule rotonde rappresenta il bacillo; gli strati esterni dilatati formano l’invi- luppo gelatinoso, che può fondersi con le vicine in una massa comune.

Lutz ha trovato altresì un elemento cellulare particolare , che per analogia si può riguardare com’ uno dei fattori della riproduzione della specie. Si trovano all’ estremità dei bastoncini delle cellule , che si di- stinguono dalle altre per il loro volume , forma e indice di refrazione.

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Delle cellule analoghe che resistono agli alcali , e agli acidi si rinven- gono anco all’ interno degli ammassi bacillari , o nel tessuto , o più raramente nell’ epitelio. Queste cellule sono assai spesse , fortemente colorate nelle preparazioni usuali , e d’ una forma allungata con un prolungamento obliquo, come la coda di una nota musicale. Si distin- guono dalle altre cellule in questo, che si colorano più intensamente, e sono in generale più grosse e d’ una forma meno regolare , e non brillano tanto. Infine presentano spesso uno o due piccoli prolungamenti filiformi, a direzione tangente, come note musicali.

Queste cellule situate all’ estremità dei bastoncini debbono venir riguardate come una forma speciale , che l’ autore riferisce a quella della riproduzione, sebbene non sia dato per il momento costatare con certezza la germinazione. Cosicché conclude, che per la fatta descrizione il nome di bacillo di questo microrganismo è improprio, per cui propone farne una divisione del genere coccotrix per il batterio della lepra , e gli organismi vicini che definisce nel modo seguente u Piccole cellule rotonde , simili a dei cocchi che si sdoppiano in una sola direzione , senza partecipazione della membrana cellulare , e si riscontrano in se- guito isolate , o in serie lineari. Sono avviluppate in membrane che si distendono a poco a poco divenendo gelatinose. Fra le cellule si tro- vano degli interstizi più grandi che il loro diametro. La colorazione degli strati più profondi dell’ inviluppo membrano-gelatinoso luogo a dei disegni simili a corona , e a dei bastoncini. Si trovan pure cellule più voluminose , ovali , e a doppio contorno , o libere , o situate alla estremità dei ranghi cellulari. In questo genere Lutz pone senza esi- tare il parassita della lepra, e della tubercolosi.

Secondo Neisser le spore dei bacilli della lepra constano di piccole granulazioni incolore, che nei bacilli assomigliano a vacuole. Se si esa- mina attentamente un bacillo si scorge che esso è provvisto in tutta la sua lunghezza di pareti laterali distinte, dove solamente qualche piccolo punto rimane incoloro. Il prof, dell’ Università di Bresleau qualche volta, e sopratutto nelle culture del sangue, ha creduto riconoscervi una leg- giera ondulazione delle spore decolorate, mentre costantemente ha po-

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Della Lepra in Italia

tuto per converso verificare due linee laterali fini limitanti a diritta ed a sinistra le vacuole.

Le ramificazioni poste tra le spore si comportano sotto il punto di vista della colorazione come un bacillo leproso intatto , così per il Neisser debbonsi considerare le vacuole scolorate come spore di nuova formazione. Unna considera le vacuole generalmente quale una massa vetrosa , identica all’ inviluppo mucoso esterno degli ammassi bacillari. Per Touton è una parte degenerata, fluidificata del protoplasma cellul- lare. Ecco frattanto quale secondo Unna sarebbe il rapporto dei bacilli con le cellule.

La cellula riceve il bacillo , che si sviluppa in grandi colonie nel protoplasma. Il bacillo resiste all’ azione assorbente della cellula, e di- viene un parassita adattandosi alle condizioni di questo mezzo. Le vacuole segnerebbero l’ indice di una degenerazione parziale del proto- plasma, provocato dallo sviluppo del parassita; il loro contenuto è flui- dificato. A poco per volta il protoplasma va diminuendo , le vacuole divengono più grandi e più numerose, le cellule si gonfiano, i bacilli non trovano più alimento, dispariscono poco a poco, e non formano più che una zona attorno le vacuole. Infine la cellula scoppia, ed i bacilli vengon fuori. 1

Il numero delle spore varia in ciascun bacillo, ora non ve ne ha che una, ora 2, 3, 4. Neisser non vide mai bacilli isolati. Attorno i bacilli notò poi una specie di membrana mucillagginosa, ciò che ha os- servato specialmeute in allora che ha colorate con la fucsina le prepa- razioni a secco. Il Leloir egualmente costatò questa membrana , e so- pratutto a livello dei bacilli riuniti in colonia , che egli ha rinvenuti nelle lesioni leprose della lingua, come della pelle. Anzi pensa che questa sostanza mucillagginosa prenda una parte importantissima nel riunire i bacilli in colonia, ed in ammassi zoogleici.

Per il momento non si conosce in quali condizioni le spore si formano nei bacilli, perchè si è veduto nelle culture, che i bacilli ora contenevano spore, ed ora no. Importa di non confondere queste spore con le granulazioni che derivano dalla disgregazione dei bacilli. I ba- cilli della lepra sono stati coltivati sul siero umano gelatinizzato , e

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nell’ albume dell’uovo da Hansen, Neisser ed altri. Neisser ha posto le culture ad incubare in stufa a 37-38 c. notando che lo sviluppo si faceva oltremodo lento. Non ha ottenute le culture in generazione. Le culture fatte sulle patate sterilizzate dettero luogo in quattro giorni ad uno strato giallo-cromens sviluppando gradevole odore di frutto. Due o tre giorni dopo si disseccarono, e presero un colore giallo-orange , che più tardi divenne giallastro, o bruno, formando delle spore da 1-7 in lunghezza e di 1 p in larghezza. La materia colorante si mostrò insolu- bile nella maggior parte dei reattivi.

Il bacillus leprae si è mostrato anco sotto forma di una pelle giallastra, o biancastra nelle soluzioni nutrienti, nell’infuso di malto, di brodo , di vino, che sieno mantenuti alla temperatura di 31-33 c. (Raussmussen).

Le culture fatte da Unna sul siero del sangue umano, e di mon- tone riuscirono affatto negative, come non dettero alcun resultato quelle praticate sulla gelatina di Koch , o di agar-agar. Egli non ha manco costatato la fluidificazione del siero, indicata da Hansen, dei bacilli in moltiplicazione. Soltanto nella camera umida notò un leggier-o accre- scimento dei bacilli , ciò che indica una certa vitabilità. Frànkel , e Fliigge dicono, che sino ad ora non siamo anche riusciti con sicurezza a coltivare il bacillo della lepra fuori dell’organismo.

Recentemente però il dott. Gf. Bordoni- Uffreduzzi ha tentato delle culture, ed il materiale lo ha preso dalla cute, nei punti non ulcerati , dal fegato, dal polmone , dalle glandule linfatiche , e dal midollo delle ossa di un individuo morto per lepra. E per queste sue ricerche sarebbe riuscito ad ottenere delle culture, dal cui aspetto micro-macroscopico il bacillo della lepra si differenzierebbe esattamente da quello della tuber- colosi. Per riguardo alla colorazione ritiene il bleu di metilene sia in soluzione semplice, come in soluzione alcalina (Liquido di Lòffler) un reattivo capace a distinguere il bacillo della lepra da quello della tu- bercolosi, in quanto colorerebbe quest’ultimo soltanto. Però il Bordoni- Uffreduzzi confessa che se i metodi di colorazione non servono sempre a differenziare in modo sicuro i bacilli da lui coltivati da quelli della tubercolosi, i caratteri loro morfologici sono tali da farli distinguere a

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prima vista gli uni dagli altri. Questi, secondo l’autore, sarebbero il rigonfiamento, a forma di clava ad una, o ad ambe le sue estremità. Non so veramente se un tal carattere possa bastare seriamente a dif- ferenziare la natura diversa dei due bacilli, potendo tal fatto dipendere forse da altra cagione. L’ autore finalmente non ebbe mai a costatare movimento qualsiasi nei bacilli contenuti entro le cellule, come l’ebbe a verificare Guttmann.

Il bacillo leproso può secondo alcuno nascere dalla evoluzione delle granulazioni molecolari dei tessuti organici affetti. Quindi sareb- bero, al dire di Peter, dei bacilli eventuali di leproso, e non di lepra. Così la saliva del cane rabbioso contiene varie specie di bacilli , ma nessuno è specifico , e intanto la saliva indipendentemente dai bacilli trasmette la rabbia. Anzi secondo Pasteur questi bacilli piuttosto che produrre la rabbia la guarirebbero.

Sia comunque il bacillus leprae è un fatto, che dal lato morfolo- gico assomiglia moltissimo a quello della tubercolosi, e pel momento , come abbiamo detto altrove ,. riesce impossibile distinguerlo da questo neanche pei responsi che si ponno ottenere dai reattivi isto-chimici.

Come poi si possa rilevare il bacillo nei tessuti, e nei secreti le- promatosi, vedi il paragrafo della Tecnica microscopica alla fine di que- sto lavoro.

§ II. Lesioni anatomiche, e topografia del bacillus leprae.

a) Macchie Nelle macchie congestive l’epidermide è poco, o punto mutata , soltanto il derma si trova alquanto infiltrato da sierosità , ed elementi embrionari. Nelle macchie che durano da molto tempo il derma si trova inspessito, come sopratutto alla faccia si nota spesso un certo grado di ectasia e varicosità vascolare. Nelle così dette macchie fisse poi esiste l’ ipertrofìa del pigmento (ipercromatosi), e dei prolungamenti interpapillari del corpo mucoso. Da molti istologi, tra i quali Cornil, e Melle di Napoli vien negata la presenza di bacilli nell’ epidermide, ma ciò non è esattamente vero , perchè se da un lato è caso raro , pure

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può verificarsi una qualche volta, siccome l’ebbe a costatare pel primo G. Thin di Londra, e dopo poco io stesso nel 1883 (fig. 1 é).

Unna ritiene sola barriera al bacillo lo strato corneo , in quanto non abbia mai visto bacilli dove non sono linfatici. Non so però, come debba negarsi il passaggio dei bacilli negli spazi interciliari del corpo mucoso quando sono essi in diretta comunicazione con le lacune con- giuntivali {spazi linfatici ) del derma, e quando vi passano i leucociti, e le particelle di materiali inorganici. Del resto io ve li ho visti , e basta. Ma questo passaggio poi ve lo hanno costatato pure Zambaco , ed il Leloir. Unna , Touton , ed il Babès videro i bacilli perfino nel follicolo peloso, e quest’ ultimi due anco nell’ epitelio follicolare.

b) Lepromi— Il leproma, come altrove abbiamo detto, si può ma- nifestare sotto forma nodulare o diffusa. Per ordine di frequenza invade il derma (il più spesso profondamente), V ipoderma, gli organi interni, ed i vari sistemi.

1. Epidermide Si può dire in principio di solito intatta, ma a misura che il male progredisce si verifica una progressiva scomparsa dei prolungamenti del corpo mucoso, in conseguenza deH’iufiltrazione cellu- lare, e bacillare delle papille, e della loro ipertrofia (fig. 4a a; b). Sopra la superficie cutanea del leproma, quando il suo sviluppo data da un certo tempo si hanno ora delle vescicole, ora delle flietene , tal’ altra delle croste, o delle squamine. Accade precisamente quello che si scorge alla superficie dei neoplasmi lupoidi, tanto bene descrittici da Leloir; cioè desquammazione in seguito alla diminuzione o scomparsa dello strato granuloso e dell’ eleidina, od anche vescico-pustulazione per alterazione cavitaria delle cellule, o finalmente flictenizzazione per crivellamento degli strati epidermici. Il Leloir ha visto i bacilli nel liquido, e nei leu- cociti contenuti nelle cavità delle lesioni cavitarie dell’ epidermide , e Miiller gli ha costatati nella seriosità delle bolle pemfigoidi di un caso di lepra nervosa pura.

2. Derma Nel derma però si svolgono principalmente le più im- portanti lesioni anatomiche della lepra. Virchow riferisce il leproma ad

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un tessuto di granulazione, ricco di giovani cellule, che penetrano per- fino nel tessuto adiposo sotto-cutaneo, ed aggiunge ancora che spesso non vi si rinvengono che grandi quantità di nuclei divenuti liberi (citoblastemi) al seguito della distruzione di molte cellule di granulazio- ne. Neumann ammette la genesi di piccole cellule {colloidi) con una so- stanza più omogenea, e molto refrangente la luce {degenerazione colloidea ); i quali elementi verrebbero a rimpiazzare il tessuto normale che va pro- gressivamente distruggendosi, per cui soltanto in alcuni punti si rinver- rebbero dopo dei residui di tessuto connettivo fibrillare. Cornil dice di non aver mai trovati simili elementi, ma ritiene che questi corpi colloi- di non sieno altra cosa che il taglio dei vasi le cui pareti sommamente ipertrofizzate sono infiltrate di cellule contenenti batteri.

Il prof. Tommasi-Crudeli parlando sull’ argomento considera i no- di leprosi una conseguenza dello stato irritativo cronico, ed a somiglian- za delle gomme sifilitiche , atti a subire una metamorfosi regressiva , prima che le cellule germinali accumulatesi nel sistema intermediario della nutrizione abbian potuto convertirsi in elementi di tessuti definitivi. Queste cellule germinali, secondo Thomas, sono disposte in principio in due serie parallele alla superficie della pelle, alcune occupano gli strati superficiali del derma, altre i profondi collegate fra loro da piccole serie verticali degli stessi elementi. La proliferazione di questi elementi, e per conseguenza il progressivo infiltramento loro nei tessuti sarebbero i fat- tori dei tubercoli leprosi. L’illustre professore Tommasi-Crudeli dice che entro i tumori le cellule ingrossano e prendono spesso una for- ma ellittica, talvolta ingrossano naturalmente e divengono polinucleate {cellule gigantesche ).

Thomas frattanto, e Friedlànder posero pure l’ipotesi della presenza di neoformazioni nei canalicoli perivascolari, e la proliferazione nel loro fondo degli elementi di codeste neoproduzioni, non che la proliferazione epiteliale nello strato inferiore dei lepromi. Ciò è stato non è molto ne- gato da Bekio. Kaposi ha segnalato l’ infiltrazione cellulare nei lepromi recenti non uniforme, ma disposta a focolai attorno ai vasi, alle glandule, ed ai follicoli piliferi, e dispersa nel tessuto connettivo intercellulare da formare così un’ infiltrazione cellulare di tutta la pelle.

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Quello tuttavia die le più recenti ricerche dimostrano è questo che l’ alterazione fondamentale del processo leproso dal lato anatomico è 1’ infiltrazione embrionaria , e la presenza dei bacilli nei tessuti.

L’ infiltrazione leprosa è formata da piccoli ammassi di cellule lin- fatiche migranti, raccolte in spazi più o meno estesi, e corrispondenti a centri vascolari. Con queste cellule si osservano di conserva pure le così dette cellule leprose di Virchow, che secondo Cornil non sono altro che delle cellule migranti ipertrofiche contenenti bacilli. Babès dice, che questi elementi leproidi sono situati attorno ai vasi, ma non hanno lo aspetto di cellule migranti, in quanto il loro nucleo è più grande, ve- scicoloso , poco colorato , e dove si possono osservare le figure della moltiplicazione indiretta dei nuclei. La parete stessa dei vasi è divenuta embrionaria, e le cellule allungate, e tumefatte che la costituiscono, sono spesso ripiene di bacilli; come le loro cellule endoteliche si sono ad uno stesso tempo fatte gonfie , e multiple. E sopratutto lo stato dei vasi , e del tessuto che li attornia che forma i nodi leprosi. Così si può co- statare che le cellule fisse dei fasci fibrillari fra i vasi, nel derma per esempio contengono bacilli. Queste cellule fìsse sono estremamente iper- trofizzate , e posseggono nella loro parete centrale un grosso nucleo , mentre il loro protoplasma è pressoché intieramente distrutto, e rimpiaz- zato da dei bastoncini situati presso a poco parallelamente all’ asse delle cellule. Queste stesse cellule sono la sede dei bastoncini nei ten- dini, e nei nervi. Finalmente le cellule granulose piasmatiche di Ehrlich, che si trovano spesso in gran numero nei prodotti leprosi posson con- tenere dei bastoncini. Babès non dubita che anco le cellule migranti possono contenere bacilli, ma secondo lui i sintomi ed il modo di pro- pagazione del male si spiega meglio con la sede dei bacilli nelle cel- lule fisse del congiuntivo ; imperocché se veramente fossero quelle lin- fatiche, secondo l’autore, sarebbe necessario che fossero ipertrofìzzate , ciò che gli farebbe perdere la facoltà di muoversi, ed una prova se ne ha, egli dice, nella tubercolosi, ove i bacilli risieggono in queste cellule senza che la loro facoltà motrice si perda. Tuttavia il prof. Campana avverte , che i bacilli soltanto si rinvengono nel granuloma leproso però sempre prima di aver subito una degenerazione granulo-grassosa.

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Questa degenerazione adiposa non è mai completa in qualsivoglia tratto della cute.

Secondo Monastirsky le papille sfuggono all’alterazione leprosa, lo in questo veramente non sono d’ accordo, avendole trovate anzi spes- so ipertrofizzate con corrispondente atrofia dei prolungamenti interpa- pillari del corpo mucoso , e ripiene per di più di bacilli riuniti in fo- colai, o disseminati (fig. 4 a-a.). Il dott. Melle costatò pure i bacilli in tutta la spessezza del derma delle papille nel tessuto congiuntivo sotto- cutaneo, ed il Leloir scrive, che sebbene l’ infiltrato cellulare, e bacilla- re abbia sede nel derma , e sopratutto nello strato medio ed inferiore, pure invade spesso anco lo strato superiore, ed il papillare. Piuttosto quello che è vero, che tali alterazioni mai si osservano nello strato pa- pillare immediatamente posto sotto l’epidermide, fatto che Unna at- tribuisce alla mancanza in questo strato di vasi.

Neisser afferma che sebbene T epidermide vada esente dall’infiltra- zione bacillare dichiara d’ altro lato però che i bacilli si trovano nelle grandi cellule vicine alla superficie delle glandule, e dei follicoli. Cor- nil e Suchard finalmente rimarcano 1’ atrofia dello strato epiteliale, cosa che io aveva di già notato sino dal 1879 (1), e l’ assenza delle papille all’ apice dei nodi leprosi.

3. Vasi 1 vasi sanguigni presentano un inspessimento dell’ av- ventizia, e generalmente anco dell’ interna, e le arterie in generale sono affette da periartrite , ed endoarterite obliterante, per abbondante prolife- razione dell’endotelio dell’intima. Lucio ed Al varedo, medici al Messico, notarono di queste lesioni non solo nell’ arterie cutanee, ma bensì anco in quelle dei vasi nutritizi delle ossa. I bacilli possono attraversare le pareti dei vasi , dove si trovano spesso nelle cellule endoteliche delle vie linfatiche e sanguigne. Si osservano ancora nelle cellule piatte e concentriche dell’ avventizia, come talvolta si veggono obliterare dei va- si, specialmente nei ganglii linfatici schlerosati in casi di lepra antica. Touton ha trovato i bacilli, oltreché nell’ avventizia nella media, però

(1) Vedi il mio lavoro (La Lepra in Sicilia 1879 t.

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in quest’ ultima in assai minor numero. Contrariamente ad Unna, Touton non trovò grandi masse bacillari alla superfìcie dell’ endotelio dell’inti- ma, ma delle cellule endoteliche contenenti internamente bacilli e degli ammassi bacillari attorno generalmente al nucleo , dove lascian vedere nettamente il protoplasma, e la membrana cellulare. Inoltre ho trovato in questi ammassi bacillari delle vacuole, e ciò più spesso qui che in altre parti della pelle.

4. Sangue Danielssen e Boek dietro le loro analisi chimiche co- statarono un aumento di fibrina e di albumina nel sangue. Panizza pu- re che esaminò il sangue di quattro leprosi di S. Remo trovò a notare una specifica degenerazione della fibrina , una diminuzione relativa del siero di fronte alle parti solide, e quantità sorprendentemente ridotte del- le combinazioni fosforiche. Hansen vi riscontrò costantemente elementi bruni, che secondo lui, sarebbero cellule rinchiuse in masse di zooglea. Però i tentativi di colture di queste masse rimasero senza effetto. Unna dice che i bacilli circolano nel sangue durante tutto il decorso del male. Gli ha veduti in molto numero tanto nelle arterie che nelle vene, anzi in un taglio trovò una grossa vena cutanea obliterata da un ammasso di bacilli. Non ve gli hanno ritrovati Neisser, e 1’ Hansen , però que- st’ ultimo ve gli avrebbe visti dopo di aver lasciato il sangue in una camera umida. Anco il Melle non ve gli rinvenne; del resto esso non gli vide neanche nei vasi, nella sostanza muscolare , nelle glandule e nei vasi linfatici.

Eklund e Grancher ve gli videro. Il primo anzi gli osservò dotati di rapidissimo movimento , e per di più ne costatò la loro presenza nelle secrezioni della congiuntiva, delle ulcerazioni, dell’ orina , e come il Touton anche nel sudore. Gli ha veduti appiccicati ai contorni dei globuli bianchi e rossi di cui alcuni gli attraversavano. Kobner gli ha osservati nei globuli bianchi, e nel siero sanguigno. In Italia il Malocchi, e C. Pellizzeri fecero delle ricerche in proposito, e trovarono i bacilli nel sangue al comparire di ogni eruzione. I ricordati miei colleghi avvertono ancora che siffatti Schizomiceti possono venire eliminati dal sangue in certi periodi della lepra a somiglianza di altre malattie infettive, di

106

Della Lepra in Italia

qui le difficoltà di ritrovarli in' tutto il decorso della malattia. Leloir ha fatto nel 1882 delle ricerche sull’argomento sopra cinque leprosi, ed ha visto tre bacilli sopra 20 preparazioni. In quattro casi non tro- vò bacilli. Iaja esaminò il sangue di un leproso, e della di lui moglie perfettamente sana, ed afferma di aver riscontrato soltanto nel leproso i bacilli caratteristici, che colorì col metodo Yeigert. Io rinvenni i ba- cilli soltanto nel sangue estratto dai punti ammalati. Qui forse piuttosto che al sangue potrebbero attribuirsi al sangue estratto coll’ago sperimen- tale e mescolato ai succhi dei tessuti infiltrati di bacilli. Non escludo quindi , che non possono i bacilli della lepra rinvenirsi anco nel san- gue dei leprosi, ma egli è però sicuro che solamente vi si posson tro- vare, solo allora che si produce un’ autoinfezione, come ci è prova gran- dissima il ripetersi della febbre ogni volta che si hanno a’ fare altre estrinsecazioni del morbo. A. Bonome ultimamente notò numerosissime cellule leprose , e molti bacilli liberi nel midollo rosso delle ossa.

5. Linfatici Unna avverte dell’ errore di prendere gli ammas- si bacillari per cellule. Gli ammassi bacillari si trovano tutti , e senza eccezione nelle vie linfatiche. La loro forma rotonda proviene solamen- te da ciò che sviluppandosi in forma di corona distendono i canali linfatici. Naturalmente quà e dei nuclei endotelici delle vie linfatiche, cioè a dire dei corpuscoli del tessuto connettivo, vi si sono uniti, e pro- babilmente costituiscono quei nodi, che vengon presi per cellule leprose . Si può evitare tuttavia l’ errore con tagli sottilissimi , e con un esame accurato.

Unna ha per di più contestata 1’ opinione della maggior parte de- gli autori, che il bacillus leprae si trovi principalmente nelle cellule le- prose. Dice; chi ha creduto questo, ha confuso i bacilli con i cristalli di margarina. Baumgarten nell’esame che fece di una nodosità leprosa non vi riscontrò cellule giganti, alcuna traccia di caseificazione, inve- ce il tessuto era ripieno di bacilli. Ecco quindi, crede aver dimostrato, con 1’ aiuto di nuovi metodi di ricerca, che i bacilli non stanno nelle cellule, ma che il loro maggior numero si trova nelle vie linfatiche del- la pelle; in una parola pensa che si son presi a torto gli ammassi glo-

e più specialmente in Sicilia

107

bosi dei bacilli per cellule. Unna. dice che per riconoscere le cellule le- prose occorre di vedere al lato del nucleo, e degli ammassi bacillari il protoplasma, e la membrana cellulare. Per ottenere una bella colorazione del protoplasma è preferibile d’evitare l’uso degli acidi, ed insiste sui vantaggi che presenta il metodo a secco senza l’impiego del calore, per la dimostrazione delle cellule leprose con bacilli.

Neisser dopoché Unna comunicò questi suoi convincimenti al con- gresso di Strasburgo fece nuove e numerose ricerche , ma dovette per- suadersi, che il medico di Hamburgo s’ingannava, e che i bacilli si tro- vano sopratutto nelle cellule leprose , cosa che ritengono egualmente Touton, Melcher, ed Ortmann. Quest’ ultimi due autori credono aver costatato un rapporto fra le cellule a bacilli, e i vasi sanguigni. Hanno veduto i vasi circondati da più ranghi di grandi cellule contenenti ba- cilli. Nell’ endotelio vascolare si sono visti dei bastoncini, e all’ interno dei vasi, fra i corpuscoli rossi, delle cellule a bacilli un poco più grosse, che i corpuscoli incolori del sangue. Potrebbe trattarsi di tubercolosi ? Gli autori intanto ritengono che i bacilli visti da loro erano proprio della lepra, perchè come i bacilli di questa si colorarono più rapidamen- te che quelli della tubercolosi nella soluzione alcalina di anilina. Dou- glas Powoll notò in un caso di lepra una considerevole ipertrofia dei ganglii del collo, delle ascelle, e degli inguini, in cui all’ esame micro- scopico osservò un ipertrofia del tessuto fibroso sviluppato sopratutto al- l’ intorno dei vasi. Per la presenza dei bacilli nei linfatici del derma si hanno dei rigonfiamenti rotondi , od ovali. Non esistono nel loro in- terno cellule speciali, ed i bacilli occupano la porzione iniziale del si- stema linfatico della pelle, che si mostra maggiormente dilatata. I ganglii linfatici del collo, e delle regioni vicine alle parti ammalate sono iper- trofizzati e ripieni di bacilli. Cornil e Ranvier esaminando un ganglio di un leproso vi rinvennero una pronunziatissima sclerosi con neofor- mazione fibrosa, e dei punti caseosi. Sopra le sezioni videro il tessuto adenoide scomparso, e rimpiazzato da fasci fitti di tessuto connettivo. Il lume dei vasi era spesso obliterato per delle masse rotonde, che ve- nivano colorate dall’anilina. Con un forte ingrandimento si scorgevano dei bacilli in gruppi, agglomerati in mezzo di una sostanza omogenea,

108

Della Lepru in Italia

debolmente colorata. La parete vascolare presentava ancora delle cellule endoteliche, ma è probabile che tutte le isole bacillari non abbiano un origine vascolare, e costituiscano semplicemente delle piccole cisti con- tenenti delle cellule in piena distruzione di bacilli. Delle lesioni analo- ghe si riscontrano nei tubercoli cutanei antichissimi.

6. Glandule sudoripare Cernii vi ha notato la moltiplicazione dei nuclei delle cellule , per cui esse piglierebbero 1’ aspetto di cellule giganti. Qui però Cornil , Leloir , Babès vi costatarono ba- cilli. Unna poi, e Touton rinvennero invece nei loro glomeruli degli ammassi di granulazioni e bacilli , che Unna gli considera modificati dall’essudato acido del sudore. È probabile che nei liquidi acidi il ba- cillo muoia, e viva per converso in quelli alcalini, ciò che verrebbe con- fermato anco dal fatto che le granulazioni si trovano fra 1’ epitelio della tunica muscolare, dove si verifica la secrezione acida, mentre immedia- tamente al di fuori i bacilli sono normali, perchè quivi vi ha il mezzo alcalino. Per l’ infiltrazione le glandule s’ atrofizzano.

7. Grandule sebacee, e follicoli pilo-sebacei— Babès vi ha rinvenuto i bacilli. Nelle più piccole vi osservò un gran numero di batteri liberi , o agglomerati in piccoli ammassi , da poter credere ad una loro moltiplicazione in sito. A livello delle glandule, e dei follicoli pelosi i bacilli si' limitano immediatamente alla membrana propria, cioè a dire allo strato più profondo dell’ epitelio. Penetrano anco nella pa- pilla del pelo. Qualche volta si trovano in canalicoli sottilissimi, che gli riempiono , si posson seguire fine negli interstizi siti fra le cellule più profonde dell’ epitelio. Rimane difficile costatarne la loro presenza nel pelo colorandosi esso come i bacilli. Secondo Babès si trovano nella guaina interna della radice, nello spazio che separa il pelo da questa guaina, e fra le cellule vicine della guaina esterna. Neisser dice di aver- lo verificato una sol volta sopra numerose sezioni. Inoltre Hebra, Neu- mann, e Kaposi in quest’ ultimi tempi hanno segnalato l’ ipertrofia dei- fi arrector pili in taluni casi, fatto che secondo Leloir spiegherebbe for- se fi aspetto della pelle d’ oca, che presentano qualche volta al principio

e più specialmente in Sicilia

109

i lepromi. Le glandule sebacee, ed i follicoli pilo-sebacei compressi dal- l’ infiltrazione si atrofizzano.

Io trovai in generale distrutte le glandule sebacee , e quanto ai peli ne trovai alcuni , che pareva fossero spinti fuori dall’ accumulo di cellule epidermiche entro il follicolo.

8. Secrezione orinaria Ne ho fatto V analisi in due lebbrose,

cioè G.... (Giuseppa), d’anni 57,

ed il di cui male datava da 8 anni,

e nella S.... (Maria) , d’anni 20

che ne era affetta da soli 11 mesi.

Ecco i risultati :

Nella G.

.... (Oiuseppa)

Densità •. .

. . . 1020

Reazione

neutra

Colore

ambra gialla

Aspetto

torbido

Odore

anormale

Cloruri

idem

Solfati

più della quantità normale

Fosfati

. . . meno della quantità normale

Carbonati

in pochissima quantità

Urati

più della quantità normale

Solfuro d’ ammonio . ...

tracce apprezzabilissime

Urea

* * 11

Albumina

. tracce

Muco

abbondante

Pus

tracce esilissime

Glucosio

. . nulla

Urofeina

. tracce

Uroxantina

in quantità normale

Uroglomina . .

. . tracce

Uroeritrina

nulla

Bilifulvina

. . .

Biliverdina

' * 11

Pigmento biliare imperfetto

11

Atti Ago. Voi. I, Serie 4.*

15

110

Beila Lepra in Italia

Nella S (Maria)

Densità

Reazione

Colore

Aspetto

Odore ........

Cloruri

Solfato v

Fosfati .

Carbonati

Urati

Solfuro d’ammonio . . . .

Urea

Albumina

Muco

Pus

Glucosio . ,

Urofeina

Uroxantina

Uroglomina

Uroeritrina

Bilifulvina

Biliverdina.

Pigmento biliare imperfetto .

1015

neutra

ambra chiara

limpido

normale

in quantità normale

V)

tracce

in mediocre quantità

scarsissimi

niente

scarsissima

niente

V

V

n

in quantità normale

scarsissima

niente

tracce

niente

9. Nervi— Bòck, e Danielssen pei primi hanno segnalato delle le- sioni del cervello, della midolla, e dei loro involucri, consistenti in fatti di sclerosi, e meningite, aventi sede sopratutto verso le radici ner- vose. Stendner descrive in un caso di lepra mutilans una trasformazione colloide della sostanza grigia della midolla, specialmente nei corni poste- riori, e la commissura corrispondente. Neumann notò questa medesima alterazione della midolla spinale, e della sostanza grigia. Langhans costatò sopratutto nella midolla cervicale e dorsale superiore un rammollimento

e più specialmente in Sicilia

111

dei corni posteriori, e della commissura grigia, non che delle colonne di Clarke, attorno a cui stavano infiltrate delle, cellule embrionarie. Tschi- riew poi vide nella sostanza grigia e bianca, e sopratutto in quella ge- latinosa dei corni posteriori oltre dei piccoli corpi allungati, e coloran- tisi fortemente per mezzo della porporina e dell’ ematossilina, un’iniezione delle vene midollari, e delle piccole emorragie nella parte anteriore del corno posteriore sinistro. Le guaine linfatiche dei vasi, massime dei cen- trali erano più o meno spesse , ed infiltrate di cellule linfatiche , men- tre nei corni posteriori apparivano diminuite le cellule che si mostravano più o meno alterate (scomparsa dei prolungamenti, limiti meno netti, ri- duzione del protoplasma, conservazione del resto del nucleo, e del nucleo- lo). Anco il Leloir riporta dei casi d’ autopsie nelle quali sono state costatate lesioni della midolla in particolar modo della sostanza grigia spinale. Ecco però Déjerine, come Danielssen, Bock, Gfrancher, Leyden, Hillis, e Neisser che non rinvennero ninna lesione del sistema nervoso centrale. Hansen soltanto nel cervello vi avrebbe in qualche caso osser- vato 1’ idrocefalia. Finalmente Hansen , e Neisser mai vi riscontrarono bacilli.

Quindi da ciò chiaro appare che nella lepra il sistema nervoso centrale non può che eccezionalmente essere interessato, ma pure non può mettersi neanche in dubbio che talora possa accadere, venendoci dimostrato dai fatti di lesioni, e di fenomeni spinali {atrofia muscolare progressiva , atassia ecfi osservati in qualche leproso da Danielssen, Bock, Durand Fardel, Carter, Lamblin, Breuer, Rosenthal, e da altri.

Però è altresì vero che di solito nel processo leproso sono com- presi soltanto i nervi periferici. La nevrite che si osserva in questi casi sembra dovuta anziché ad infiltrazione bacillare , alle cellule con- tenenti bacilli che sono nel neunlemma , le quali dissociando i tubi nervosi e comprimendoli ne determinano l’ atrofia. Leloir ha visto bacilli liberi fra i tubi nervosi, sia disseminati, sia in gruppi, sia sotto forma zoogleica, senza esser contenuti in cellula di sorta. Sudakewitsch ha osservato il bacillus leprae nelle cellule ganglionari nervose.

I nervi periferici sono attaccati per tempissimo dall’ infiltrazione leprosa, per cui si notano delle alterazioni trofiche sotto forma di alte-

112

Della Lepra in Italia

razioni pigmentarie, di vescicole, di cangrena, di ulcerazioni, e finalmen- te di anestesie, a cui si aggiungono 1’ atrofia muscolare, e delle paralisi di movimento. t

Il dott. Stefanini ha osservato i nervi periferici trasformati in cor- doni fibrosi, nei quali dopo l’ immersione in ac. osmico; e colorazione al picrocarminio, notò la scomparsa della guaina midollare del cilindrasse, e la presenza invece di un tessuto fibrillare, e di molti nuclei. Nelle fibril- le nervose trattate col liquore di Weighert costatò dei bacilli, che vide pure a forte ingrandimento nel connettivo interfibrillare e intorno ai nu- clei, e nelle fibrille che conservavano ancora un residuo di guaina mi- dollare. Belfield dice che i bacilli non sono stati ancora osservati nella lepra anestetica. Babès invece in un caso ve li vide.

Stendner dichiara che i cangiamenti dei nervi nella lepra sono do- vuti ad infiammazione interstiziale , di cui ignoriamo la significazione esatta. Danielssen, e Bòck dicono che i nervi sottocutanei sono inspes- siti per la deposizione sulla superficie esterna dei filamenti nervosi, come al loro interno, di una sostanza lardacea, che per gli autori è il pro- dotto di una nevrite. Anco Yandyke Carter riferisce a nevrite tali cam- biamenti, la quale darebbe luogo ad una sostanza chiara, probabilmente di natura albuminosa, che si trova disposta fra i tubi nervosi. Di più afferma che mentre l’ affezione dei nervi è specifica , per converso nega di aver rinvenuto traccia della disentegr azione o degenerazione grassa dei tubi nervosi sia nella lunghezza che cd centro, o alla periferia, come è steda descritta da Waller, e da altri dopo il taglio del nervo.

Quello tuttavia che è degno di nota, che mentre una fibra o por- zione di essa degenera e soccombe, la fibra accanto dello stesso fascio può trovarsi in via di degenerazione, dopo avere essa stessa subita una antecedente degenerazione. Ciascuna fibra va incontro allo stesso pro- cesso parecchie volte.

\

E stato affermato da taluni, che le cellule nervose del midollo so- no diminuite, e recentemente ancora da Tscheriew dinanzi alla Societè de Biologie di Parigi è stata annunziata 1’ atrofia delle cellule nervose. Hoggan ha fatto dei tagli sopra una midolla leprosa, ed in via di com- parazione anco sopra una sana , ed in queste sue indagini ebbe per

e più spicciai mente in Sicilia

113

resultato che gli elementi nervosi della midolla non erano invasi , per conseguenza in ciò si trova d’ accordo con Hansen, Carter, ed altri.

Essendo dipoi stata avvertita 1’ atrofia delle fibre muscolari si è giustamente pensato, che al seguito di una tale degenerazione necessa- riamente pur le fibre nervose, che le appartengono, degenerassero per , 1’ inazione , come per 1’ atrofia completa e ne accadesse la scomparsa nella midolla delle cellule motrici.

Nelle fibre nervose le alterazioni sono meglio definite. Ad occhio nudo è stato visto un inspessimento verso la periferia. Hoggan prati- cando un’iniezione interstiziale, fino a saturazione completa di ac, osmico in pelle anestetica, al microscopio non osservò poi alcuna traccia di nervi a mielina, in caso alcuno potè mai costatare la presenza di mielina fragmentata. Per cui per il detto autore, dopo tutto ciò, si può affermare che non solo i nervi avevano degenerato , ma che la loro mielina era completamente scomparsa per effetto del riassorbimento. Egli poi vide di più ancora in un caso, che la branca dorsale del nervo ulnare s’era inspessita per una deposizione di cellule leprose fra i funicoli subito dopo lasciato il tronco principale, per passare verso la mano. Finalmen- te rinvenne le seguenti alterazioni:

1. i nervi delle dita erano scomparsi, e rimpiazzati da fibre gela- tinose solide, disposte fra le cellule circolari primitive del tessuto peri- funicolare ;

2. che le fibre nervose sprovviste di mielina spesso si riscontra- vano scavate con numerosi nuclei ovolari, che caratterizzavano la dege- nerazione. Di questi nuclei qualcuno era allungato in forma di baston- cino, e questi seguivano le prime fasi della rigenerazione;

3. i muscoli, i corpuscoli di Pacini, e quelli del tatto nelle mani erano degenerati in seguito della distruzione anteriore dei loro nervi , ad un livello superiore nel braccio.

Così si possono riassumere le lesioni del sistema nervoso nella lepra :

E fase degenerativa dissociazione del cilindro (asse);

2. gonfiamento del protoplasma che forma lo srato esterno {guaina di Schivami ), ed interno {guaina di Moutliner );

114

Della Lepra in Italia

3: segmentazione della mielina;

4. segmentazione e riproduzione del nucleo segmentano con infil- trazione granulosa del suo protoplasma.

L’ elemento principale nella degenerazione dei nervi, come dei tes- suti fissi degli organi sono le cellule migranti. Il primo cambiamento in queste cellule consiste nella produzione di finissimi granuli al di fuori del loro protoplasma. Questi granuli ingrossano, ed aumentano in numero a misura che la cellula leprosa si sviluppa, sino a che appariscono come dei globuli composti di un pigmento giallastro di natura grassosa. Le cellule leprose d’ ordinario si raccolgono in certi spazi, aumentano enor- memente, sviluppando all’ interno del loro protoplasma del pigmento o dei globuli grassi, come anco un liquido quasi vacuolare. Questo li- quido riempie il centro delle vacuole, mentre i globuli si dispongono alla periferia, o sulla parete delle vacuole.

Per cui queste cellule comprimendo si ha la degenerazione, e distru- zione delle fibre nervose. Non sembra intanto che subiscano alterazione di sorta i numerosi vasi sanguigni dell’intorno dei fascicoli, e dei fu- nicoli. Infatti all’ultimo istante della degenerazione dei nervi i vasi non solo appariscono liberi da ogni compressione, ma anzi dilatati. I funicoli più piccoli sono i primi a perire.

A questo proposito Vi reho w aveva di già segnalato l’inspessimento delle pareti dei vasi nervosi, e di ciò ne parlano anco il Thoma, Ar- meur, Bergmann, Kòbner ed altri, ma nessuno ha parlato di endoarte- rite , come giustamente osserva il mio chiarissimo collega prof. Cam- pana dell’Università di Genova. Recentemente soltanto Ranvier, Ti- schiriew, e Dehio hanno parlato di proliferazione dell’ endotelio delle vene cutanee con stenosi. Così è per il notevole restringimento dei vasi che si genera in tal maniera, quella forma d’ endoarterite che il Campa- na propone si chiami endoarterite obliterante , e che io direi piuttosto proliferante , per distinguerla dall’ obliterazione che può succedere ai soli fatti di essudazione (trombosi).

< 10. Mucose Le lesioni delle mucose (buccale, labiale, nasale, e gut- turale) sono molto analoghe a quelle della pelle, solamente le ulcerazioni

t più specialmente in Sicilia

115

sono più frequenti, e presentano alla loro superficie delle culture pres- soché pure, ed in generale più ricche di bacilli. Si hanno considerevoli infiltrazioni di cellule embrionarie , poche grosse cellule leprose , pochi vasi, e pochi bacilli.

11. Lingua Le lesioni della lingua presentano due varietà; in una si ha una degenerazione fibrosa {glossite soler o-gommosd), nell’ altro una forma papulo-mucosa. Qui le cellule leprose sono in maggior nu- mero, e contengono moltissimi bacilli. Le papille sono ipertrofiche, e parimente piene di bacilli. L’ epitelio , ed i suoi prolungamenti inter- papillari sono ipertrofici, come in certe papule mucose vegetanti.

12. Laringe, e polmoni Nella laringe si trovano spesso le lesioni di una laringite sclero-gommosa, con delle isole di degenerazione caseosa, ed ulcerazioni simili alle tubercolose. Talvolta la mucosa presenta nu- merose piccole vegetazioni peduncolate, che li danno un aspetto villoso. Le cartilagini sono sempre intatte. In certi casi vi si riscontra una spe- cie di ipertrofia elefantiaca, d’edema duro, specifico, costituito dall’infil- trazione diffusa che origine a fenomeni simili a quelli dell’edema della glottide. Neisser ha segnalato dei bacilli nelle cartilagini, e perfino nel- l’ interno della capsula cartilaginosa a lato del nucleo, ciò che non ha verificato d’altronde il Leloir in quattro laringi che ha esaminato. I polmoni non sembra vadano incontro a localizzazioni leprose, molto più come osservano Virchow e Kòbner non vi si è trovato sin ora il noto bacillo. Hansen dice che in 100 polmoni che ha esaminato non trovò mai .localizzazioni leproidi, tampoco bacilli. Il medico di Berghen quindi ritiene che le lesioni, che talora vi si riscontrano, non siano al- tro che manifestazioni della tubercolosi. Ciò è sontenuto del resto anco dal Neisser. Così Leloir esaminò i polmoni di due leprosi , e non vi trovò segno di lepra, solamente in uno rinvenne una tubercolosi, e nel- 1’ altro una bronco-pneumonite. Però Cornil e Babès dicono aver riscon- trato i bacilli in qualche cellula endotelica. dei vasi polmonali, e del rene. E a questi giorni il dott. A. Bonome avendo avuta l’opportunità di fare la necroscopia di un leproso, potè costatare che : nei focolai più

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Bella Lepra in Balia

giovani ; come pure fra gli elementi che infiltravano i setti inter alveolari, dove la normale disposizione era ancora distinguibile , esistevano qua e delle vere collide leprose costituite da bacilli granulosi ( coccotrix leprae ) e facilmente tingibili.

Il caso del Bonome sarebbe il primo caso che io mi sappia di lepra polmonare.

13. Occhi Leloir non ha esaminato istologicamente che un solo leproma dell’ occhio, il quale era situato all1 unione della cornea con la sclerotica. Qui, come lo mostrò Cornil alla Société médicale des hópitaux nel 1881, il nodulo congiuntivale presentava delle cellule linfatiche piene di batteri. Del resto si rinvennero fra le fibre del congiuntivo scleroticale, fra le lamine congiuntivali della cornea e della sclerotica, in una grande quantità, dei bastonetti e dei grandi filamenti costituiti da dei bastonetti posti l’uno accanto dell’altro. I bacilli stavano rac- chiusi nelle cellule linfatiche, o liberi. Hansen e Bull hanno studiato diligentemente, e bene le lesioni leprose dell’occhio, e fanno dettaglia- te descrizioni di 'quelle della camera anteriore, e dell’ iride.

14. Fegato Nel fegato l’infiltrato lepromatoso di solito prende la forma diffusa, dando luogo così ad una specie di epatite interstiziale diffusa, poco accentuata. Si trovano ammassi di bacilli negli spazi in- terlobulari, e dei bacilli isolati fra le cellule epatiche più o meno al- terate, e qualche volta anco nelle cellule epatiche. Babès vide in un caso di lepra terminata per pioemia il fegato ipertrofico, granuloso, cirrotico, trasparente, ed amiloide. Il tessuto interlobulare era spesso, e non con- teneva che un ben piccolo numero di grandi cellule rotonde, situate so- pratutto attorno delle ramificazioni della vena porta, e della vena cen- trale dei lobuli. Nel tessuto interstiziale neoformato costatò la presenza di una grande quantità di bacilli leprosi. Così trovò nell’ interno dei lobi le cellule piasmatiche che costeggiano i capillari ripiene di bacilli.

15. Milza Yi vennero trovati dei bacilli i quali stavano o nelle cellule linfatiche, o liberi, aggruppati, o disseminati. Le cellule colitene-

e più specialmente in Sicilia

117

vano la maggior parte delle spore, dando luogo alla formazione di mol- te masse brunastre, e granulose. Può incontrarsi talora la digenerazione amiloide.

»

16. Testicolo E pressoché sempre preso. La funzione testicolare è qualche volta di già compromessa nel 1. o 2. anno dell’ eruzione tubercolare cutanea. Il leproma è spesso allo stato fibroso. Il congiun- tivo è ripieno di cellule piasmatiche, o di cellule rotonde contenenti moltissimi bacilli , i quali si ponno vedere eziandio liberi fra le fibre congiuntivali , isolati, o riuniti. Sono stati osservati i bacilli anco nei condotti seminali da Cornil, Neisser, Hansen, e Leloir, e da quest’ultimo come dal Neisser anco nell’epididimo.

17. Ossa -Le lesioni ossee 'non paiono che secondarie alle, ulce- razioni, e alla denudazione delle ossa. Queste sono fatti di necrosi, o di osteomalacia. E stato notato pure la facile caduta dei denti. Il dott. Bordoni Uffreduzzi ha riscontrato i bacilli nel midollo delle ossa, dove era più grande il numero dei bacilli liberi.

18. Muscoli Non sembra che possano venire attaccati i musco- li specificamente da deposizioni leproidi non trovandovisi bacilli. Le le- sioni che presentano sono quelle di una miosite interstiziale, o d’atrofia delle fibre muscolari , che sono piuttosto da ripetersi a fatti secondari di lesioni del sistema nervoso.

19. Il tubo gastro-intestinale, non sembra venga attaccato dal pro-

cesso leproso, e ne è argomento infatti il non avervi potuto ravvisare alcun bacillo. Goldschmidt tuttavia narra di lesioni leprose nell’ eso- fago. .

20. I reni dei leprosi trofoneurotici sono d’ ordinario presi da ne- frite e degenerazione amiloide. A questa degenerazione vanno talvolta incontro ancora i ganglii mesenterici, e l’ intestini.

La tubercolosi polmonare è il fine ordinario dei poveri leprosi.

Atti Ago. Voi. I, Serie 4.’

16

118

Della Lepra in Dalia

20. Placenta Nella letteratura della lepra non trovo che alcuno abbia rivolto mai la sua attenzione verso la placenta leprosa. A me pel primo venne in mente di far delle ricerche anco su questo organo, so- pratutto, per vedere se mi fosse -stato possibile trovare qualche elemento, che chiarisse maggiormente la etiologia di questo male. Infatti ecco la storia della leprosa, dalla quale presi la placenta , e le alterazioni che vi notai.

Oss. 7. Z... Paola di Avola {Siracusa) è la leprosa che mi ha fornito la placenta , oggetto delle mie ricerche. È nata, ed abita ad Avola, ove da lontanissima epoca domina la lepra, quale malattia en- demica (vedi pag. 9). L’ albero geneoloyico suo è questo :

Z.... Giovanni, nato a Malta, sposa in Avola B.... Paola, e muoiono vecchissimi senza che in loro apparisse mai segno alcuno di lepra. In- tanto da questa unione nascono Crispino, Maria e Corrado. Il primo a 18 anni è leproso, e dopo otto anni di sofferenze, muore. La seconda si marita a Pachino (altro luogo infetto da lepra), ma è sempre sana come sani sono del pari i figli suoi, almeno sino a questo momento. Il terzo figlio si ammoglia; a 35 anni diviene leproso, e dopo quattor- dici anni di malattia muore. La di lui moglie è sanissima tuttora, seb- bene abbia partorito otto figli del di lei marito leproso. Di questi otto figli Anna a 9 anni è leprosa, e muore a 26; Giovanni a 18 anni è leproso e muore a 29; Giuseppe è smarrito e non è più rinvenuto; Sal- vatore muore a 5 mesi: Giuseppe e Carmine vivono sani ed hanno al momento prole sana , l’ ottavo figlio del leproso Corrado è la nostra inferma Paola. Essa ha 40 anni, si maritò a 20, ed ha già partorito quattro figli. Incominciò a soffrire di lepra maculo-neoplastica a 27 anni. Il marito intanto è stato, ed è tuttora sano. Dei quattro figli, i primi tre sono sani ancora. Si noti che questi furono concepiti e dati alla luce prima che si presentasse nella nostra inferma il male. Il quarto figlio è femmina, la quale venne concepita e data alla luce, mentre la madre sino da 4 anni era leprosa. Questa bambina è divenuta leprosa a 9 mesi. La placenta di quest’ ultima gravidanza è dove ho fatto le attuali ricerche, e lo debbo alla gentilezza del mio egregio collega ed

è più specialmente in Sicilia

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amico D. Raffaele Perez medico reputatissimo di Avola, e che con tanta amorosa premura si occupa dello stato miserrimo dei poveri leprosi.

Placenta Varietà sferica. Ebbi questa placenta dopo qualche giorno da che era stata posta nell’alcool a 36.°

Tecnica microscopica. Messi dei piccoli pezzetti in gomma, ed ot- tenuta la conveniente sua disadratazione , oppure in perafina, eseguii dei tagli sottilissimi col microtomo Malassez, che esaminai al microsco- pio Zeiss, servendomi d’ingrandimenti differenti per studio comparativo, con, o senza colorazione. Piccolo ingrandimento (oc. 3 -oh. 7). Forte in- grandimento con l’ illuminazione Abbe, con, o senza diafragmi (oc. 4 -ob.) mm. omog. 1/12. Delle colerazioni furon tentate quasi tutte quelle, che i differenti autori lian consigliato. Intanto il resultato è questo.

Reperto microscopico :

1. Mancanza assoluta di qualsiasi microrganismo, e di cellule leprose; (Tav. 11 fìg. 13-14-15-16-17-18-19-20-21).

2. Notevole scarsezza di infiltrazione leucocitica, anco molto sotto la norma fisiologica; (Vedi le suddette figure).

3. Ispessimento del connettivo mucoso delle villosità placentari ; ( Come sopra).

4. Obliterazione di qualche vaso arterioso dei villi per endo-arte- rite, e di qualche altro da trombosi.

Questi resultati io 1’ ebbi sempre, ed invariabilmente sopra più di un migliaio di sezioni; alcune delle quali ebbi la fortunata occasione di mostrare a diversi colleghi , e tra i quali all’ egregio prof. Celli del- 1’ Università di Roma, tanto competente negli studi bacteriologiei.

Da ciò emerge chiarissima la conclusione, che non trovandosi bacilli hanseriani nella placenta leprosa, siccome dicemmo già al capi- tolo della patogenesi, questi non ponno allora addirittura esser l’elemento etiogenico della lepra, perchè sarebbe strano che non si dovessero tro- vare nella placenta , organo intermediario ed intimamente legato al ri- cambio organico tra la madre ed il feto , quando essi fossero il vero elemento patogeno della malattia in discorso. Nella sifilide malattia eminentemente infettiva, e contagiosa osservai lo streptococco eziandio nella placenta sifilitica (Tav. 1. fìg. 7), oltreché in alcuni visceri del

120

Della Lepra in Italia

feto al quale aveva appartenuta questa stessa placenta. (Tav. 11. %. 8. 9. 10).

AH.

FimiaE CLireiCHr

Sommario— Opinioni dei diversi autori sulle varietà cliniche della lepra. Mia opinione.

Rispetto alla varia forma clinica, che può assumere la lepra, Ro- binson la divise in tubercolosa , ed in anestetica , distinzione accettata eziandio dal Daniessen , Bòck , Bergmann , Hardy , Neisser, e da altri. Alibert poi ne ammise una forma tubercolosa, una squammosa, ed una crostosa. Pruner una tubercolosa soltanto; Thomson una tubercolare, ed una mutilante; ed altri finalmente la differenziarono dalle anomalie del pigmento. Cosicché Haumbold parla di un caso raro di vitiligine leprosa, ed Erasmo Wilson alla forma tubercolare , ed anestetica aggiunge la morfea, della quale ne fa quattro specie 1’ alba, o lardacea, Yalba atrofica, la nigra, e Y alopeciata.

E stata da taluno autore ammessa pure una forma speciale di lepra , detta lazzerina , e che si mostrerebbe assai di rado. Poncet , che abbraccia questa distinzione, comunicò nella seduta del 14 mar- zo 1881 della Societè de Biologie , che la lepra lazzerina si riscon- tra ancora al Messico, ma sempre più raramente che le altre due for- me. Così nel 1863 allo Spedale del Messico ha visto 42 casi di lepra (20 uomini, e 27 donne) di cui 9 erano affetti da lepra tubercolosa ; 17 da lepra anestetica; e 11 da lepra lazzerina. Così il detto autore ha pur visto nella sua pratica particolare 13 casi di lepra tubercolosa, 5 di lepra anestetica; 1 di lepra lazzerina.

Hansen trovando che colla forma maculosa va di conserva l’ ane- stesia, e ritenendo d’ altro lato le macchie che si sviluppano in quésta malattia tanto speciali al male, siccome i tubercoli, pertanto egli am- metta una lepra tubercolare, ed una maculosa. Kaposi, ed il Neumann distinguano la malattia in tubercolosa , anestetica , e mista , la qual ul- tima forma secondo il Leloir rappresenterebbe la lepra completa.

e più specialmente in Sicilia

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Verteuil in un suo rapporto inviato al prof. Leloir sulla lepra alle Antille non ammette che la forma soltanto tubercolosa , ed anestetica con le sue varietà atrofica , mutilante ec. Qui però giustamente osserva il chiarissimo prof. Leloir, che queste varietà non sono che varietà erut- tive, o fasi differenti dell’ evoluzione morbosa. Cosicché distingue esso la lepra in tubercolosa , anestetica , e mista, considerando quest’ ultima forma, siccome sopra- ho detto, quale un tipo della lepra completa.. Hansen afferma che non esiste la forma mista. Wolflf e Bergen non ha trovato forme miste, ma dalle forme di transizione da una varietà nel- l’ altra. Nel Leprosario di Rejtgjàrde Wolff ha riscontrato invece un gran numero di forme miste floride. Così mentre ha veduto dei malati attaccati da lepra anestetica con mutilazione, presentavano inoltre delle eruzioni tubercolari. In Norvegia, secondo Danielssen e Bock, si osserva il 51, 6 °/0 di lepra tubercolare coutro 33, 3 °/0 di lepra anestetica e 15 °/0 di forma mista.

Zambaco in un suo recente lavoro dice, di aver trovato in Oriente, che la lepra si manifesta sotto la forma tubercolare soltanto, giammai ebbe a costatare un caso di lepra anestetica. Il dott. Zambaco di Co- stantinopoli preferisce inoltre di designare la forma tubercolare sotto il nome di lepra essudativa , o neoplastica.

A me pare che la lepra non presenti che due sole forme cliniche essenziali, vuo’ dire quella eritematica , e quella neoplastica. Il fatto del- Y anestesia per me non costituisce una forma clinica a parte, esso è un epifenomeno, che può o manifestarsi nell’ evoluzione del morbo.

Laonde io distinguo nel mal della lepra le seguenti forme clini- che, cioè:

1. La forma eritematica.

2. La forma neoplastica.

Queste due forme cliniche elementari, più spesso ne costituiscono una terza, che per la loro unione chiamo.

3. La forma eritemato-neoplastica , o completa.

122

La Lepra in Italia

VII.

COMPLICAZIONI

#

Sommario - Malattie con le quali la lepra può esser complicata.

La lepra può rimaner complicata da svariatissime infermità, dalla quale sembra possa venir più o meno modificato il suo andamento. Da- nielssen, e Bòck raccontano infatti che nel 1845 un’epidemia di vaiuolo fece dei grandi danni nei leprosi di Bergen. Hardy per converso nar- ra di un caso dove il vaiuolo spiegò una buona influenza. I detti me- dici norvegi dicono d’ aver notato un miglioramento in certe infiamma- zioni viscerali (pneumonie , pleurisie). L’ eresipela sembra avere spiega- ta talvolta questa stessa benefica influenza. Leloir avverte di aver ve- duto diverse volte sparire più o meno dei lepromi cutanei in seguito di una tisi polmonare ad andamento rapido , ed il dott. Verteuil co- municò a Leloir un sua osservazione dove un’etisia rapida sembrò ar- restare, e rendere stazionaria per qualche tempo una lepra mutilante. La roseola si mostrò perniciosa nel leprosario di Bergen, secondo una comunicazione orale fatta nel 1884 dal dott. Nicholl, sebbene quell’ i- stituto non contenesse che adulti. Gordon afferma che la febbre quartana è antagonista della lepra ; questa opinione d’ altra parte viene sconfes- sata dal fatto stesso, che le febbri palustri favoriscono anzi che no lo svolgimento del male. La sifilide del pari può complicare la lepra. Qui riesce grave la cosa, perchè dovendo per la sifilide usare il mercurio questo riesce nocevolissimo per la lepra. Oldekop ha notato nei leprosi lo scorbuto. Del resto tutte le discrasie possono riscontrarsi nel decorso della lepra, che la modificano più o meno nella sua gravezza.

Vili.

DIAGNOSI

Sommario Malattie con le quali la lepra può venir confusa Criteri clinici ed anatomici per distinguerla da ciascuna di esse.

La diagnosi può riuscire un imbarazzante, quando il male si manifesti soltanto sotto forma pemfigoidea, o dell’anestesia, fatto che

e più specialmente in Sicilia

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avviene del resto di radissimo. Tuttavia ili questi casi gioverà sapere allora se l’ individuo viene da luoghi ove domini la lepra , e se per avventura qualcuno dei suoi congiunti ne ebbe a soffrire. Tranne di queste circostanze la diagnosi, a parer mio, non offre grandi difficoltà. In ciò sono perfettamente d’ accordo con il Kaposi ; mentre non mi sembra giusta la ragione tirata fuori da alcuni dermatologi (Besnier , Doyon, Leloir) i quali volendo provare, che il diagnostico della lepra offre talvolta delle difficoltà , citano il fatto di medici , anco dei paesi dove domina la lepra, che pure molti non sono al caso di farne la dia- gnosi. Quelli sono coloro per me che non la conoscono , e non perchè

sia difficile diagnosticarla; in ogni modo le malattie con le quali po- trebbe esser confusa sono: 1. la pachydermia ; 2. la sifilide ; 3. il carci- noma multiplo ; 4. il sarcoma melanode ; 5. la vitiligine ; 6. il lupo ;

7. il mollusco ; 8. la micosi fungoide; 9. Vacue rosacea;- 10. la tuber-

colosi; 11. la pellagra; 12. il pemfigo ; 13. le macchie; 14. morfea, e sclerodermia ; 15. linfoadenite cutanea.

1. Dalla pachydermia ne differisce, perchè, mentre questa malattia è locale, affligge di preferenza gli arti inferiori, e non altera la salute generale ; la lepra per converso è ereditaria , altera profondamente la nutrizione generale, affligge specialmente la faccia, e consiste in mac- chie, e formazioni neoplastiche. La differenza in una parola è così mar- cata che basta aver visto una sol volta le due malattie per distinguer- le. Aggiungasi, che mentre la pachydermia è malattia pandemica, la le- pra è mai sempre il retaggio antico e doloroso di alcune località e di alcune famiglie.

2. La lepra può venir confusa talora con la sifilide tanto nella forma eritematica che neoplastica. Qui i dati anamnestici frattanto , come quelli obbiettivi ne agevoleranno la diagnosi differenziale. Rispetto a quest’ ultimi, dirò, che le macchie della lepra sono più scure , più lar- ghe che quelle della sifilide, anzi talvolta iperestetiche, od anestetiche; cosa d’ altronde che può verificarsi per eccezionalità nella sifilide , la quale viene contrassegnata dalla polimorfìa, senza prurito di solito, o in- significante, dai dolori reumatoidi, e più specialmente dalla sclerosi iniziale, gangliare dei linfatici inguinali, cervicali, ed epitrocleari. àjolto più facil-

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Bella Lcpra in Balia

mente possono venir confusi i neoplasmi (lepromì), segnatamente quan- do assomigliano alla forma papulosa della sifilide ( linchen sifilitico) , e sono per di più isolati. Ma a differenziare la diagnosi, gioverà oltre la storia anamnestica, la considerazione che nella lepra 1’ infiltrati cutanei sono più estesi, i nodi leprosi un poco più molli, ciò che non è delle formazioni sifìlodermiche , nelle quali si riscontrano invece depressioni centrali più grandi con formazione di squamine, e croste. Anco le gom- me sifilitiche potrebbero venir confuse con i lepromi, dacché come que- sti hanno sede di preferenza alla faccia, ed all'estremità. Però i noduli sifilitici si riassorbono con facilità, mentre rarissimamente avviene per i noduli loproidi; eppoi il microscopio, mentre disvela nelle gomme scar- so fluido, mucillagginoso, intercellulare, con tessuto approssimativo allo stato embrionario, nella lepra invece si ha una copiosa infiltrazione cel- lulare con formazione di speciali elemeuti colloidi. Per ultimo nei casi dubbi può giovarci benissimo il criterio terapeutico.

3. Dal carcinoma multiplo può la lepra esser distinta per la sede, perocché esso sia molto comune al tronco , raro alla faccia , eppoi la pelle apparisce di solito intatta. L’ esame microscopico pure resulta- ti differenti da quelli da noi già descritti nelle neoformazioni della le- pra, dacché nel carcinoma multiplo si ha una massa midollare bianca, nera, o picchiettata.

4. Il sarcoma melanode parimente è differente dalla lepra , non tanto per la sede diversa che in generale ha, quanto anco dal lato istologico, dappoiché consta solamente di elementi fibrosi , carichi di pigmento.

5. La vitiligine difficilmente può venir confusa con la lepra ina- culosa, basta si pensi che nella vitiligine ( leukopatia ) le macchie sono bianche o brune, e che quelle bianche sono circoscritte , scutiformi , e

tp

quelle brune circondano sempre le bianche per modo, che mentre quelle hanno una limitazione convessa, ed una configurazione irregolare, que- ste hanno contorni concavi. La costituzione nel rimanente è al tutto normale. Le macchie bianche si ingrandiscono, in seguito confluiscono fra loro, mentre la salute generale rimane inalterata. Nella lepra le macchie presentano invece diverse variazioni di colore; sono più costanti, e la

e più specialmente in Sicilia

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pelle si mostra infiltrata, oppure atrofica, ed iperestetica, o per l’ oppo- sto anestetica, e mentre nella vitiligo i peli incanutiscono, nella lepra è sempre un fatto assai raro, e nel caso non uniforme.

6. Il lupo può confondersi con la lepra, quando si formano pic- coli neoplasmi piani, della grandezza di un centesimo e più attorno ad una cicatrice, o ad un tessuto infiltrato. Però l’ intumescenza estesa del- la pelle, inegualmente bernoccoluta, liscia, untuosa la faranno distin- guere dal lupo , nel quale il neoplasma sta come incastonato nel der- ma. Ivaposi narra a questo proposito di avere osservato una forma di sarcoma pigmentale , die avea molto più somiglianza colla lepra neopla- stica, che non colla sifilide, ed il lupo. Dal lato dell’ istologia le pro- duzioni leprose potrebbero, mi penso, venir confuse con il pseudo-lupo di Colomiatti, quando veramente le cellule giganti stassero a significare l’elemento costante, e patognomonico della tubercolosi, e gli pseudo-pla- smi leproidi consistessero in una vera, e propria degenerazione tuberco- losa, ma di questo ai posteri l’ ardua sentenza.

7. Dal mollusco la lepra neoplastica si differenzia con facilità, al più potrebbe venir confusa col mollusco nella forma leontiaca , ma la anamnesi, ed altro renderanno sempre facile il differenziare i due mali.

8. La micosi fungoide può offrire talvolta una certa rassomiglian- za con la lepra, ma in quella la mancanza dell’ anestesia, e dell’ infiltra- mento dei tessuti , e di alterazione del pigmento su cui posano i neo- plasmi , la faranno facilmente differenziare. Io ho avuto quest’ anno al Dispensario clinico un caso appunto di micosi fungoide della faccia in una donna, i cui tubercoli assomigliavano esattamente ai lepromi. E inutile il dire che qui la diagnosi differenziale venne fatta non solo per gli anzidetti due criteri, ma eziandio col microscopio, imperocché nelle sezioni colorate opportunamente non si rinvennero bacilli (1).

9. La lepra neoplastica può distinguersi poi dall 'acne rosacea , dac- ché in questa dermatosi le neoproduzioni {comedoni) sono molto più molli', hanno una determinata ubicazione , ed un contenuto particolare.

10. Secondo Corni! e Ranvier differisce la lepra dalla tubercolosi ,

(1) Il caso presente fu studiato , e descritto dal D.r R. De Luca assistente di questa Clinica Dermosifilopatica.

Atti Aoo. Voi. I, Serie 4.'

17

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Della Lepra in Italia

dacché, mentre la lepra affligge la pelle ed i nervi, e risparmia d’ or- dinario il polmone, e le grandi sierose: la tubercolosi si manifesta invece di radissimo alla pelle, ed ha per sede elettiva il polmone, e le sierose.

11. Quando le manifestazioni leprose sono limitate alle mani, ed ai piedi solamente la malattia potrebbe venir scambiata con la pellagra Un esame accurato sugli antecedenti, e lo stato della sensibilità chiarirà la diagnosi.

12. Il pemfigo leproso sulle prime, quando non esistono altri sin- tomi di lepra, può riuscire cosa diffìcile a diagnosticare; ma al solito anco qui l’amnesi, come il poco numero di bolle, l’anestesia che d’or- dinario le accompagna, la sede loro, ed altri fenomeni proprii alla lepra ne caratterizzeranno la natura.

13. La lepra nervosa riesce, specialmente sul nascere, se per di più non esistono altri fatti del male, di difficile diagnosi.

14. Le macchie della lepra possono confondersi con i vari eritemi ( sifilitico , balsamico , solare, igneale ), e con le ipercromie , acromie , e spe- cialmente con la vitiligo. Però è sempre facile la distinzione.

15. La morfea, e la sclerodermia in placche si distinguono dalla lepra, perchè in quelle manca l’ anestesia.

16. In tutti questi casi del resto sarà di aiuto grandissimo il mi- croscopio, il quale nel caso di lepra ne rileverà le lesioni caratteristiche non che la presenza del bacillo.

Fra le varie dermopatie che potrebbero simulare la lepra Leloir vi pone anco la linfoadenite cutanea , ed anzi narra che E. Vidal gli ha detto, che nel caso da lui presentato nel 1875 alla Societé médicale des hópiteaux di Parigi, come un caso di lepra nostrale, gli sembra ora niente più che un caso di linfoadenite cutanea.

IX.

FUOCtiNOSB

Sommario— Quale è la prognosi che si deve fare.

La prognosi è gravissima, poiché la malattia è incurabile, e termina sempre con la morte. Quest’esito si ha nella forma tubercolare, ordina-

e più specialmente in Sicilia

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riamente nel decorso di anni 8-9 in media, giusta le osservazioni di Da- nielssen, Bock, e mie. Il prof. Profeta sopra 114 casi ebbe a costatare, che la durata del morbo fu in media 13 anni, con i due estremi di tre anni in un individuo di Castellamare, e di circa 40 anni in un altro di Monte S. Giuliano, che morì alla grave età di 77 anni. Bene inteso che il fine può accadere anco molto tempo prima, ognora si verifichino quei sintomi gravi di che abbiamo parlato. Anco la forma maculosa conduce disgraziatamente al sepolcro ha però un decorso più lungo. In ogni modo il prognostico , oltreché dai processi locali , deve desumersi dallo stato generale. Più sono numerose le lesioni più rapida è la morte. E però ad avvertirsi che essa più specialmente è dovuta a complicazioni polmonari, o a degenerazione amiloide considerevole degli organi addo- minali, che alla lepra in se. Quanto alla forma anestetica si ha un’ e- voluzione più lunga , ma si riscontrano paralisi di moto , e di senso , atrofia della pelle, dei muscoli, delle ossa, e perfino delle mutilazioni. Del resto il prognostico , per Wolff è più favorevole nella forma ane- stetica che nelle altre.

Sembra frattanto che il prognostico vari a seconda delle località. Per es. a Drontheim la lepra è più grave che a Bergen. Wolff infatti mentre qui ha riscontrato la caduta parziale delle dita, osservò la caduta di membri interi {'piede, mano). Sopra 159 leprosi a Drontheim un quarto almeno di loro avevano perduto l’ uno, o 1’ altro occhio per panottalmia, mentre in altre località si verifica di rado. Così mentre a Rejtgjàrde la forma lepromatosa è frequente, è per converso rara a Bergen.

Il D.r Sand, direttore del Leprosario di Drontheim, dice che que- ste variazioni sono legate ad oscillazioni atmosferiche, e della tempera- tura tanto marcate in quella località. Comunque sarà sempre meno gra- ve il prognostico, se gli individui potranno per tempissimo allontanarsi dalle località leprose, e migliorare ad un tempo la loro nutrizione ge- nerale.

12S

Bella Lepra in Italia

X.

l Sfc A

Sommario Quali sono stati i rimedi impiegati a curare la lepra, e (piali i resultati ottenuti.

Fra i rimedi che i medici sono andati via via esperimentando nella cura della lepra sono stati il mercurio, l’iodio, l’arsenico, lo solfo, l’an- timonio, il fosforo, il bromuro di potassio, i decotti, F infusi di beimi- dismus indicus, le pillole chaulmoogra ( oleum gynocardicie) 1’ acido fenico, il creosoto, ec. e tanti altri rimedi per cui si può dire è stata adoperata contro la lepra una farmacopea intera.

E. Bensier ottenne un certo miglioramento in qualche caso adope- rando V acido fenico internamente. Labbè egualmente lo trovò utile tan- to usato internamente che ipodermicamente. Però non si sa se i resul- tati da lui ottenuti hanno da ritenersi piuttosto all’ ioduro di potassio che contemporaneamente amministrava. Io ho adoperato per uso interno l’ iodoformio, ma a questo riguardo mi mancano sufficienti prove, per po- terne dichiarare la sua efficacia, o meno. Ulteriori prove mi porranno, nel caso, spero, di poterne dare un giudizio assoluto. Carter, Hillairet, ed E. Yidal asseriscono avere ottenuto dei vantaggi soddisfacenti dal- 1’ uso dell’ olio di chaulmoogra s. Baelz consiglia l’uso dell’ olio di gyno- cordia , che impiega in pillole fino a tre grammi, ed in pomata, e dice averne ottenuti dei buoni resultati. Così anco F olio di eucalyptus sem- bra aver dato dei buoni resultati (4 gram. al giorno in capsule). Cornil tentò inutilmente l’ ipodermazia nelle placche leprose con il jequirity , come Campana non fu più felice coll’ inoculazione dei prodotti eresepe- latosi nei lepromi. Oldekopp ha notato 1’ eresipela influire beneficamente sul male. Neisser non crede che in questi casi si tratti però di vera eresipela, ma di dermatite esfoliativa. L’ egregio prof, di Genova adope- rò pure sulle manifestazioni leprose la crisarobina , sotto forma di un- guento , ed il nitrato d’ argento iniettato con una piccola siringa a doppia corrente. Crede che il primo rimedio corrisponda , per 1’ eritema crisofanico che succede all’ applicazione, e che disperderebbe così F.eru-

e più specialmente in Sicilia

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zione leprosa , ed il secondo per la provocazione di una fìagosi a cui succederebbe un granuloma cicatrizio.

Danielssen, e Bòek inocularono ai leprosi la sifilide, per vedere se con ciò ne fosse venuto a modificarsi il processo leproso, ma nulla , la sifilide decorse da sè, e per , e guarì col mercurio , mentre la lepra rimase del tutto inalterata.

In una parola, sino al momento, per la lepra non s’ è ancor trova- to il rimedio.

Io tuttavia penso cbe le incisioni lineari delle macchie, e dei lepro- mi potrebbero riuscire utili come nel lupo, sempre che vengano fatte col termo-cauterio di Paquelin, e coi coltelli di Besnier.

Infatti Kaurin di Molda ha potuto arrestare 1’ estensione dei tuber- coli nella cornea colla cheratotomia; impedirne 1’ epifora, e la bleforopla- gia con la tarsorafia di */3 interno della palpebra, e sollevando la pal- pebra inferiore. Contro i lepromi della laringe necessita la tracheo- tomia.

A diminuire i dolori nevralgici , da cui sono spesso tormentati i poveri leprosi trofoneurotici giovano i bagni a vapore , il salicilato di soda all’ interno, le ventose lungo il decorso dei nervi dolorosi , come l’ iniezioni ipodermiche di morfina, o di antipirina.

Quando i suddetti rimedi non riescono sufficienti in Norvegia si ricorre allo stiramento dei nervi stessi. Il primo a suggerire lo stira- mento dei nervi nella lepfa fu Leod, che lo suggerì allora per la cura della lepra anestetica. Questo autore sopra 190 casi di questa cura eseguiti nell’ Ospedale di Kashmir ottenne sopra 90, nel lasso di tre anni, che 84 migliorarono, od acquistarono la sensibilità, 2 nulla gua- dagnarono, e 4 morirono. Marshall ottenne un solo miglioramento sopra 32 casi. Leloir però considerando che questa cura è un mezzo pallia- tivo, e non altro, agendo soltanto sul nervo stirato, e non pure 'sugli altri egualmente dolenti, ritiene che debba venir messo in pratica sola- mente, quando ogni altra cura sia riuscita inutile: Il prof, di Lille rac- comanda le applicazioni di compresse imbevute nel cloroformio (metodo impiegato da Yulpian a calmare i dolori degli a tassici) , e 1’ aconitina internamente alla dose di 2 milligrammi (due).

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Delia Lepra in Italia

La distruzione dei lepromi coi caustici, e col fuoco, impiegato dai medici arabi, dipoi da Beaupertbuy, dai medici norvegiesi, può riuscire utile quanto le incisioni lineari, da me sopra preconizzate. L’ escisione dei lepromi, quando sono poco numerosi, è pure utile. Localmente sulle ulceri mi è riuscita vantaggiosa, per calmare i dolori, la polvere d’iodo- forme. Come altresì è utile 1’ acido fenico.

L’elettricità non ha dato alcun resultato soddisfacente.

Concludendo dirò : che riguardo alla cura generale sino a qui non v’ è nella terapeutica un rimedio specifico contro questa terribile infer- mità. Ma siccome questo male attacca profondamente la nutrizione , così la prima e più importante indicazione generale sarà sempre la buona igiene, ed il vitto tonico-ricostituente.

Rispetto poi alle locali manifestazioni è importante, ed assoluta indicazione per me. 1’ incisione lineare fatta col termo-cauterio. Quando la manifestazione consta di soli due o tre lepromi, allora converrà l’e- scisione, che per prudenza sarà praticata col coltello del termocauterio per evitare l’ emorragia, e nel tempo stesso per così garentirci meglio , che tutto il tessuto ammalato fu asportato, e cauterizzato.

XI.

I Ci 1 E N E

Sommario Quali sono i consigli igienici, che nella lepra si debbono mettere in pratica Matrimonio - Isolamento Spatriamento.

Noi abbiamo creduto in avanti poter stabilire con prove assai strin- genti, che il mal della lepra non è contagioso, per contatto imme- diato, diretto, per le vie della generazione dal feto alla madre, e vi- ceversa. Abbiamo per converso a sufficienza provato, che il male è eredita- rio, quindi, secondo i principi di patologia generale da noi ammessi, do- vuto alla costituzione scrofolosa. Pertanto riguardo a quello che concerne F igiene sono da proporsi per la lepra tutti quei consigli che vengono suggeriti a debellare la scrofola.

e più specialmen le in Sicilia

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Tuttavia ne discorrerò in modo speciale anco per la lepra, segna- tamente per certe questioni, che per la gravezza del male, vengono anco oggidì poste in discussione dagli igienisti.

Se dunque il male è ereditario prima cura deve esser quella d’im- pedire l’ereditarietà, e questa non in 'altra maniera è dato se non col- l’impedire il matrimonio. Ma poiché gli amplessi clandestini rendereb- bero frustranea la detta misura , così importa senz’ altro l' isolamento completo degli affetti. Veramente il precetto è duro, lo vedo, ma è al- tresì pur vero che senza queste severe misure di profilassi rimane im- possibile, che la lepra possa abbandonare una volta per sempre le no- stre belle contrade, e il mondo tutto.

Mi si obbietterà che il consiglio è duro, non pratico, perchè lede la libertà individuale. Dirò allora quello che disse Mugeot per la pro- filassi della sifilide, w Che cosa è tota libertà individuale , quando distrug- ge la libertà individuale di molti? Dunque vogliamo togliere dal mon- do questa piaga fatale, adottiamo l’isolamento severo nel detto modo, ed i nostri sforzi saranno certamente coronati da buon successo. Le mez- ze misure non approdano a nulla in questa bisogna. E sentenza ormai passata in giudicato, che di due mali va scelto il minore. Fra il male di pochi, e quello di molti mi sembra che il decidere sia chiaro, impe- dire quello di molti, e per fare questo dunque si sacrifichi la libertà indivi- duale di pochi, e si salvi il mondo da questo lurido, e fatai morbo, e le venture generazioni ci benediranno. A questo proposito infatti il Fox dice: se non fossero stati conchiusi matrimoni con leprosi la ma- lattia poteva scomparire in un secolo. Un argomento infatti che appog- gia il nostro consiglio ci viene fornito dal fatto stesso della diminu- zione della lepra in seguito all’isolamento, diminuzione e non scomparsa, perchè naturalmente non completo l’ isolamento. Hansen volendo appog- giare la sua credenza contagionista cita dei dati statistici, dai quali ver- rebbe dimostrata una diminuzione del male per tutti i distretti della Norvegia , ove l’ isolamento era praticato in modo assai rigoroso.

Nel distretto di Landfiord i leprosi fornirono il 70 °/0; e così men- tre nel 1856 i casi nuovi erano 451, al 1875 se ne contavano soltan- to 175.

132

Della Lepra in Italia

Nel distretto dello Nordmar il numero era del 20 °/0 , e così men- tre nel 1856 gli affetti nuovi erano 106, nel 1875 segnarono soltan- to il numero di 90.

Cosicché in tutti i paesi della Norvegia la diminuzione della ma- lattia in conseguenza dell’ isolamento nel

1856 contava 1, 131 casi nuovi 1860 1, 039

1865 939

1870 677

Il medico norvegese però per quanto caldo sostenitore del conta- gio, pure ammette anche lui che la diminuzione può tenere pure alla diminuzione dei rapporti sessuali. Il doti. Zambaco riporta una statisti- ca comunicatagli dal dott. Kaurin per la quale in quest’ ultimi 30 anni si avrebbe avuta in Norvegia una diminuzione del 50 0/° di leprosi.

Se dunque questa terribile proscrizione dei poveri leprosi è una ne- cessità assoluta , necessità del resto sentita in tutti i secoli che furono, ed al presente, non chè da tutti i popoli, merita che s’ istituiscano dei leprosari , molto più che 1’ esperienza ci addita un vero, e progressivo miglioramento colla pratica dell’ isolamento.

Abbiamo veduto a pag. 5 come fossero numerosi i Leprosari nel- l’antichità, e come simili luoghi di isolamento esistono tuttora in alcu- ne nazioni (pag. 47-48-49-50) (1). Soltanto in Italia ai nostri non he esistono più. Trompeo infatti nel 1844 al Congresso di Lucca, so- steneva il bisogno di un Leprosario , e niun medico oggi non ne può affatto disconoscerne l’utilità.

. Per lo che io fo vivissimi voti per una tale istituzione, e m’auguro che il Governo nostro vorrà pur prendere in considerazione questa que- stione, tanto interessante per la pubblica salute, e me lo auguro tanto più che oggi alla direzione della sanità pubblica vi sono persone che tanto se ne interessano, come è 1’ attuale Presidente del Ministero S. E. Crispi.

(1) In Norvegia sono i leprosari tenuti con la maggiore proprietà. Lo stabilimento di Reknòes a Molda può esser citato come il tipo della perfezione.

e più specialmente in Sicilia

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Finalmente si istruiscano dai medici, non che da ogni persona colta ed autorevole quelle famiglie, dove esiste il mal seme della lepra, della loro disgraziata posizione, si avvertano della loro più disgraziata discen- denza, e si consiglino al celibato.

In questi casi bisogna seguire il consiglio del prof. Mantegazza amare e non procreare.

È vero si otterrà poco, perchè il bisogno sessuale, li renderà sordi spesso a questi consigli, ma forse anco per questa via si otterrà qual- che cosa specialmente negli individui di delicata coscienza. Insomma qualche cosa si otterrà sempre .di bene.

Se tuttavia queste regole profilattiche non ponno attuarsi siamo allora nell’impossibilità assoluta di togliere al! umanità questo flagello.

In seconda linea vengono le regole igieniche, dico in seconda li- nea, perchè queste non combattono il male direttamente, ma indiretta- mente, e ciò in quanto con una buona igiene si possono aumentare i poteri di resistenza organica.

A ciò ottenere prima di tutto è utile consiglio l’ emigrazione as- soluta, e permanente, per recarsi in luoghi esenti dal male, e d’aria sa- lubre. La ginnastica, il moto, l’idroterapia, ed il vitto ricostituente con- correranno pure a rendere più forte l’organismo, e così aumentando le resistenze organiche si renderanno più difficili i processi degenerativi nel ricambio organico.

TECNICA IISCItOSCOPICA

Sommario— Metodo di Hausen, di Banmgarten, di Babès , di Unna , di Tonton, di Cornil e Suchard, di Campana.

Armeur Hansen, lo scropitore del hacillus leprae , dopo avere in- durito il pezzo in acido osmico colorò le sezioni col metil violetto. In se- guito poi vennero adottati altri metodi, in genere quelli a base d’ ani- lina (Ehrlich, Weighert, Neisser, Koch, Cornil). Più recentemente si so- no immaginati altri metodi, che secondo i loro autori studierebbero più particolarmente il bacillo hanseriano.

Atti Ago. Voi. It Serie 4.‘

18

134

Bella Lepra in Italia

A. Metodo Baumgarten Questo metodo viene dall’ autore eseguito in tre. modi diversi, che egli fa a scopo di controllo.

a) Si mettono per 6-7 minuti i 'preparati a secco , e per 12-15 le sezioni in un vetro da orologio pieno d’acqua stillata, dove siano sta- te versate 5 goccie di una soluzione alcoolica satura di fucsina. Quindi si scolorano per 20 secondi i primi , per 30 le seconde nella seguente soluzione. Alcool p. 10 , e acido nitrico p. 1. Poi si lavano in acqua stillata i primi, ed asciutti si chiudono in balsamo ; invece le seconde dopo lavate in acqua stillata e disidrate in alcool assoluto , si diafa- nizzano con olio di bergamotta , e si chiudono in balsamo xilol.

b) Le sezioni vengono poste per 2-3 minuti nella tintura d’Ehrlich con fucsina (1). Si scolorano, come sopra, e quindi si lavano, e si ri- colorano con una soluzione concentrata acquosa di bleu di metilene; si disidratano, si diafanizzano, e si serrano in balsamo xilol.

c) I preparati a secco sono lavati con una soluzione di potassa al 39 °/0 , si lasciano seccare, e poi si colorano con una soluzione ac- quosa diluta di violetto d’ aninila; si lavano, si lasciano seccare, e si esaminano nell1 olio di bergamotta. In 2-3 minuti di colorazione i ba- cilli della lepra assumeranno una tinta rossastra.

Questo metodo , secondo Baumgarten , lascerebbe incolori i bacilli della tubercolosi.

B. Metodo Babès In questo metodo son poste le sezioni per 24 ore , nella, seguente soluzione :

Orthotoluidina

. i ucìi ti uguali

Anilina pura )

si sciolgono queste due sostanze in acqua stillata a caldo, e si mesco- lano dipoi con il 50 d’idroclorato di rosanilina. Poscia si pongono nell1 acido nitrico al quarto, dove si decolorano. In seguito si tornano a colorare con una soluzione debole d’ematoxilina, o di bleu di metilene, o meglio si colorano in prima con una soluzione debole di picrocar-

(1) La tintura d’Ehrlich con le modificazioni di Weighert e Koch è questa:

Acqua d’ anilina C3 100

Soluzione alcoolica satura di violetto metile o fucsina 11

Alcool assoluto io

c più specialmente in Sicilia

135

minato , e si trattano in seguito con il metodo complicato colorando i bacilli in bleu ( Metti violetto. B). Col primo metodo i bacilli della lebbra si colorano in rosso, quando tutti gli altri batteri, e tessuti si colorano in bleu.

Del resto- per la colorazione dei bacilli la miglior sostanza è la fucsina, sebbene possono servire anco il violetto di genziana, e di metile. È stato detto che la fucsina non colora così bene i bacilli della tuber- colosi, come il violetto di metile , ciò che accennerebbe ad una diffe- renza , che non credo reale. Ma di ciò ho detto altrove (pag. 41). Le preparazioni sul 'coprioggetti possono farsi per mezzo della pressione continua sovra un nodulo leproso, o imbrattandoli col secreto. La sa- franina non sembra colorare il bacillo della lepra, come , secondo Bor- doni-Uffreduzzi il bleu di metilene.

C. Metodo Unno, Per la ricerca dei bacilli della lepra il derma- tologo tedesco adopera due metodi , la preparazione ad olio, e quella a

secco. I processi di colorazione, e di decolorazione sono gli stessi per

ambedue i metodi. Si versa in un vetro da orologio dell’ acqua d’ ani- lina, alla quale si aggiunge qualche goccia di una soluzione alcoolica satura di fucsina, che le un colorito rosso-cupo. In questa soluzione si lasciano le sezioni da 12-24 ore, poi si passano in una soluzione acquosa del 10-20 °/o di àcido nitrico. Dopo qualche secondo esse divengono gialle, allora s’immergono per un brevissimo momento nel- 1’ alcool diluto, fino a tanto che il colore giallo venga rimpiazzato dalla tinta rossa. Avvenuto questo si passano nell’ acqua stillata.

a) Metodo ad olio. Si mettono per un certo tempo le sezioni in

alcool assoluto, poi si passano nel benzool, o nel xilol , o nell’ olio di

Wintergreen, o nell’olio di cedro, e si dispongono sul port’oggetti. Quindi si riscalda il preparato alla lampada per torglierli l’eccesso d’olio, e si serra in balsamo.

Nelle preparazioni ad olio si scioglie il balsamo del Canada nel cloroformio, si scalda a differenti riprese per togliere il cloroformio, . e tutti gli olii eterei; poi si mescola con olio, o con l’ idrogeno carburato di cui ci si serve solitamente per rischiarare le preparazioni, o come agente intermediario fra l’alcool, ed il balsamo, il benzool, o l’olio di ce-

136

Delia Lepra in Italia

dro in tal proporzione però che il balsamo rimanga viscoso dopo raffred- dato. Allora si pone una goccia di questo balsamo sulla preparazione, si scalda ancora una volta convenientemente (per scacciare il residuo di olio etereo), poi si cuopre col coprioggetti.

b) Metodo a secco Qui le sezioni si portano direttamente dall’acqua stillata sul port’oggetti, che passandolo sulla fiamma della lampada ad alcool le essicca. In questo metodo s’ impiega il balsamo puro,, e sbaraz- zato dell’olio etereo; si mantiene allo stato liquido in un tubo a rea- zione, tenuto scaldato, e se ne lascia cadere una goccia sul por.t’oggetti ancora caldo, e vi si pone sopra il vetrino.

Touton insiste sopra i vantaggi che presenta il metodo a secco , senza l’ impiego del calore. Esso dice che per ottenere una bella colo- razione del protoplasma è preferibile di evitare l’ uso degli acidi. Invece Neisser, ed Hansen attaccano il metodo a secco di Unna come difettosis- simo. In questo conviene eziandio il prof. Leloir, il quale dichiara prefe- rire 1’ antico metodo, come quello che presenta il vantaggio grandissimo di non alterare di troppo i tessuti.

I). Metodo Cornil e Suchctrd Questi autori hanno adoperato per colorire le sezioni dei lepromi i colori d’ anilina (violetto 5 B), decolo- randoli poscia all'alcool, dopo averle trattate con una soluzione al car- bonato di soda. Con siffatto processo si ottengono delle preparazioni, nelle quali i bacilli appariscono colorati in bleu violetto, mentre le cel- lule si mostrano appena tinte.

Tutti questi metodi sono stati da me adoperati nelle ricerche isto- logiche sulla lepra, anco come studio di confronto, ma per me quello che mi sembra preferibile è il metodo del prof. Baumgarten.

Secondo il prof. Campana le soluzioni alcaline di fucsina, violetto di genziana, mercè acqua di anilina, di toluidina, di àcido fenico tin- gerebbero più facilmente il bacillo leproso, sebbene dette sostanze lo possono anco senza detta alcalinità.

Del resto l’ egregio professore avverte ancora che la dimostrazione dei bacilli dipende dal metodo di colorazione, e dal tempo in cui la sezione è stata nel liquido colorante. Il bacillo di una lepra giovane è più facilmente colorabile , secondo lui , che quello di una lepra che

e più specialmente in Sicilia

137

dati da molto tempo, e in quest7 ultimo caso ha sempre bisogno di mol- te ore di colorazione.

La dimostrazione delle spore nell’ interno del bacillo leproso è più facile nei focolai bacillari antichi, ed i tratti ammalati di più antica data presentano più evidenti le spore, e più scarso, e spesso ridotto a filamenti sottilissimi il protoplasma. Il prof. Campana finalmente non ha ancora una sicura convinzione che la tecnica all’iodio fornisca più facilmente la dimostrazione delle spore, e quella coll’ iodoro del bacillo.

SPIEGAZIONE II E I Ai E FIGURE

Fig 1.

Tubercolo leproso della pelle (sezione istologica colorata al rnetìl violetto a) strato corneo ; b) strato granuloso ; c) corpo mucoso ; d) cel- lule prismatiche orizzontali del corpo mucoso; e) bacilli della lepra negli spazi interciliari delle cellzle prismatiche verticali.

Fig. 2.

Bacillo hanseriano, e cellule leprose ; a) bacilli riuniti in colonia nelle cellule leprose ; b) spore bacillari in una cellula leprosa.

Fig. 3.

Bacillo di Hansen veduto a forte ingrandimento.

Fig. 4.

Tubercolo leproso della pelle (sezione istologica colorata con la fucsina in soluzione alcoolica) a, b atrofia del corpo mucoso interpapil- lare, c infiltrazione cellulare e bacillare.

Fig. 5.

Togato di neonato di donna leprosa (sezione istologica colorata co- me sopra.)

138

Bella Lcpra in Balia

Fig. 6

Milza di neonato di donna leprosa (sezione istologica colorata come sopra.)

Fig. 7.

Placenta sjilitica (sezione istologica, colorazione col metodo al ine- rii violetto). Villi infiltrati da leucociti dei quali alcuni ritengono degli streptococchi sifilitici.

Fig. 8.

Timo di neonato sifilitico (sezione istologica, colorazione come so- pra). Presenza dello streptococcus siphyliticus.

Fig. 9.

Fegato di neonato sifilitico (sezione istologica, colorazione come so- pra). Presenza dello streptococcus sipylditicus.

Fig. IO.

Milza di neonato sifilitico (sezione istologica, colorazione come so- pra). Presenza dello streptococcus sipyhiliticus.

Fig 11.

Arteria di neonato di donna leprosa (sezione istologica, colorazio- ne alla fucsina).

Fig. 12.

Polmone di neonato di donna leprosa (sezione istologica, colorazio- ne come sopra.

Fig. 13.

Placenta di donna leprosa (sezione istologica, colorazione alla fuc- sina) ; a) connettivo che forma Y excorion del villo ; h) epitelio ; c ) con- nettivo mucoso, che ne costituisce il suo parenchima; d) vasi; e) sezione orizzontale di villi.

e piti specialmente in Sicilia

139

Fig. 14. 15. 1©.

Villi placentari con vasi.

Fig. 17.

Villo placentare ; con connettivo fibroso e piccoli corpuscoli, a) exco- rion ; b) epitelio ; c ) sezioni orizzontali di villi.

Flg. 18.

Villo placentare con villi in gemmazione, e cellule embrionali.

Fig. 18.

Villo placentare con villi sezionati orizzontalmente, e corpuscoli con- nettivali.

Fig. 28.,

Villo placentare sezione di un vaso nel -senso longitudinale.

Fig. 21.

Glandule della placenta uterina.

Fig. 22

Funicolo ombelicale della placenta.

Fig 23.

Bacillo della Tubercolosi polmonare.

Ingrandimenti furon differenti, dall’oc. 3 oh. 7 all’oc. 4 oh 1 j cimmersione omogenea) Zeiss. In quest’ultimo caso adoperai l’illuminazione Abbe. Delle colorazioni ne furono pure tentate di differenti specie, sia per studio comparativo , sia infine, dal provare e riprovare, veder di cavar fuori la verità. Ho riportato anco i disegni delle ricerche fatte sopra un neonato di donna leprosa, quantunque negative , per dimostrare il re- sultato genuino di tutte le mie indagini. Così ho fatto per alcune mie altre preparazioni istologiche sulla sifilide a modo di comparazione.

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INDICE

Storia pag. 37

Sommario Prima origine della lepra Sne varie denominazioni Epoca nella quale comparve per la prima volta in Italia Primi leprosari Epoca nella quale si crede dall’autore che venisse importata in Sicilia Primo leprosario— Distribuzione geografica della lepra nel mondo.

Etiologia » 50

Sommario Se la lepra sia un male epidemico, sporadico, o endemico Clima Temperatura e variazioni atmosferiche Suolo Costituzione medica Abi- tudini — Nutrizione Età Sesso Contagio Eredità Se la sifilide sia una derivazione della lepra.

Patogenesi » 69

Sommario— Opinioni diverse sulla natura del male Quella dell’ autore Che cosa è la scrofola Unicismo e Dualismo Conclusione dell’ autore.

Sintomatologia » 78

Sommario Distinzione generale dei sintomi Prodromi Eruzione Maniere differenti d’ esito.

Anatomia patologica » 95

Sommario— I primi autori che studiarono la lepra dal lato dell’istologia patolo- gica—Morfologia e biologia del bacillo leproso Lesioni anatomiche, e topo- grafia del bacillo leproso Placenta leprosa.

Forme cliniche » 120

Sommario— Opinioni dei diversi autori sulle varietà cliniche della lepra Mia opinione.

156

Bella Lepra in Italia

Complicazioni pag. 122

Sommarlo— Malattie con le quali la lepra può essere complicata.

Diagnosi. » 122

Sommario Malattie con le quali la lepra può venir confusa— Criteri clinici ed anatomici per distinguerla da ciascuna di esse.

Prognosi » 126

Sommario Quale è la prognosi che si deve fare.

Cora » 128

Sommario Quali sono stati i rimedi impiegati a curar la lepra, e quali i re- sultati ottenuti.

Igilne » 130

Sommario Quali sono i consigli igienici, che nella lepra si debbono mettere in pratica Matrimonio Isolamento Spatriamento.

Tecnica microscopica » 133

Sommario Metodo di Hansen, di Baumgarten, di Babés, di Touton, di Cornil, e Suchard, di Campana.

Spiegazione delle figore » 137

Bibliografia » 141

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del Professore PRIMO FERRARI

-

Le maggiori profondità del Mediterraneo recentemente esplorate

ed analisi geologica dei relativi sedimenti marini.

mota del Prof. 0. SILVESTRI

Letta all’ Accademia Gioenia nella tornata del 1 Agosto 1SSS.

In varie epoche è stato scandagliato il fondo del Mediterraneo e già era noto che la topografia subacquea di questo mare interno, pre- senta delle notevoli disuguaglianze di livello; dai bassi fondi agli abissi pelagici.

Erasi costatata la esistenza di un basso fondo che dal Capo Bon sul lido dell’ Africa più vicino a noi, si estende alla Sicilia , in con- nessione al quale vedonsi tutt’ ora emerse la Sicilia stessa con le isole di Pantelleria , Malta ed altre minori. A occidente e ad oriente del detto basso fondo, le acque vanno a raggiungere delle grandi profondi- tà e vengono caratterizzati due bacini distinti , uno detto occidentale , 1’ altro orientale.

Si ritiene dietro gli antichi scandagli del Gap. Spratt che la mas- sima profondità del bacino occidentale sia nel Tirreno e raggiunga i 3200 m. tra l’ isola di Sardegna, 1’ isola di Sicilia e l’Africa. Da tale punto procedendo verso West il fondo con varie accidentalità, poco a poco torna a elevarsi; finché presso lo stretto di Gibilterra, tra il Capo Trafalgar ed il Capo Spartel, raggiunge la sola distanza di 55 metri dalla superficie delle acque.

Dagli stessi scandagli del Cap. Spratt si sapeva che assai più profondo doveva essere il bacino orientale, ma fin’ ora vi era assai del vago su di ciò e si era anche esagerato , ammettendo delle profondità inesplorabili (1) perchè non si conoscevano misure precise che indicas- ti) V. Somerville Geogy. Fisica ediz. it., Firenze 1856, Voi. I. pag. 290.

Atti Ago. Voi. I, Serie 4.'

21

158 Le maggiori profondità del Mediterraneo recentemente esplorate

sero esattamente il valore delle maggiori profondità e i punti ove esse si trovano.

Questi importanti scandagli coi metodi perfezionati che possiede oggi la idrografia, sono stati recentemente eseguiti dall’ illustre Comm. G. B. Magnaghi Direttore del R. servizio idrografico italiano per lo scopo del quale egli comanda il battello a vapore Washington della nostra marina. Nella campagna idrografica dell’ anno scorso 1887 furono pra- ticati con molta esattezza, sotto la di lui direzione, numerosi scandagli batimetrici in quella parte del bacino orientale del Mediterraneo , pro- priamente chiamato mare Ionio, e ritenuta come maggiormente merite- vole di studio sotto tale riguardo. Egli dopo eseguito tale importante lavoro ebbe la gentilezza di comunicarmi i resultati delle misure ottenute e insieme mi consegnò alcuni saggi tolti dai fondi marini per sottoporli allo studio. Questa è stata l’ occasione favorevole alla presente mia nota nella quale oltre a far conoscere succintamente i dati raccolti dai recenti scandagli, siccome dal medesimo sono autorizzato , vengo anche a ren- dere conto di quanto ho ricavato d’interessante dallo studio fatto sotto il profilo geologico e zoologico dei sedimenti marini che nella attualità della natura si formano alle profondità del Mediterraneo che si riten- gono le maggiori.

I. Per la prima parte , dall’ annessa carta (Y. tav.) sono messi in evidenza 26 punti scandagliati nel Mar Ionio con la relativa posizione geografica. Di questi la profondità meno rimarchevole è stata trovata di 870 m. nel Golfo di Taranto: mentre la massima segnata col n.° 2 (rosso) è di 4067 m. ed è comparsa in un punto compreso tra l’isola di Malta e l’isola di Candia alla latitud. N. 35°, 52', 25" ed alla long. Est (Greemv.) di 18°, 08', 30" -Altri due punti n.1 3 e 4 (rossi) scandagliati più a oriente del n.° 2 e precisamente alla posiz. geogr. 35°, 39’, 40" lat. N. e 18°, 38', 00" long. Est— e 36°, 03', 10" lat. N. con 18', 36', 40 long. Est hanno dato il n.° 3 4055 m. di profond. ed il n.° 4 4057 m.

Queste grandi profondità se non raggiungono la misura delle più elevate creste dalla catena Alpina come del Monte Bianco (4810 m.)

ed analisi geologica dei relativi fondi Marini

159

e del Monte Rosa (4636 m.) sorpassano però alcune delle notevoli al- tezze della stessa catena. Superano infatti di 231 a 219 m. l’altezza del Monte Viso (3836 m.) superano di 1015 a 1007 m. il Monte Gran S. Bernardo (3048 m.) etc.

Ora se consideriamo il punto del Golfo di Taranto n.° 14 (rosso) ove si è trovata la minore profondità di 820 m. e si procede verso i punti di massima profondità, cioè dal Nord al Sud sulla linea degli altri punti scandagliati e designati dai n.1 (rossi). 14, 13, 12, 11, 10, 9, 8, 23, 7, 6, 5, 4, 3, 2, si osserva che tolta qualche irregolarità del resto la profondità presenta il carattere generale di andare gradatamente crescendo fino a raggiungere al n.° 2 (che si discosta un po’ verso West tra il punto 4 e 3) la massima profondità indicata di 4067 m. mentre al punto 3 che è all’estremo Nord della linea scandagliata, viene a diminuire di 12 metri. In complèsso queste misure fanno ammettere indubitatamente il carattere sottomarino di una estesa grande e profonda vallata longitu- dinale da N. W. a S. E. in direzione cioè obliqua rispetto al meridiano la quale si estende e va sempre più ad allargarsi come ad approfondirsi tra il Golfo di Taranto e l’Africa. Gli scandagli presi in senso trasver- sale da occidente ad oriente tra 1’ estreme Calabrie e la Sicilia da una parte e la Grecia dall’altra e segnati con i n.1 (rossi) 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 24, 25 fanno resultare (come pure i due punti isolati 26 ed 1) delle ondulazioni in un fondo che mantiene sempre il carattere generale della sua maggiore depressione sempre verso il mezzogiorno della regione esplorata, cioè sempre tra le isole di Sicilia, Malta e Gan- dia ; ciò è in corrispondenza al modo come il mare allarga quivi i suoi confini, per andare a bagnare liberamente le coste Africane, senza essere più interrotto da alcuna isola grande, piccola.

II. Se si considera geologicamente questa grande depressione non so- lo del bacino orientale,, ma anche dell’ occidentale; cioè se si considera complessivamente tutto quanto il bacino Mediterraneo si campo a molte riflessioni importanti circa l’epoca in cui si formò e circa i cambiamenti che l’intero bacino ha dovuto subire in un tempo passato, assai remoto

160 Le maggiori profondità del Mediterraneo recentemente esplorate

rispetto all’Uomo, ma molto recente rispetto alla storia fìsica del Globo. Le scoperte paleontologiche di tre medesime specie di Elefanti fossili compreso il tipo vivente (E. africanns ) fatte sia nelle caverne ossifere di Malta, sia in Sicilia; stanno a provare che queste isole erano attaccate a terre vaste e fertili, cioè senza dubbio al continente africano, alla fine del postpliocene o al principio del quaternario; mentre ora le vediamo ridotte ad isole e Malta specialmente ad una massa rocciosa in mezzo alle onde Gli Elefanti e Ippopotami di cui si sono trovate anche a Gibilterra se- polte le ossa, vivevano al principio del quaternario avanti la naturale apertura dello Stretto che ha dovuto in tempo del pari recente formarsi per dislocamenti e abbassamenti parziali del bacino, determinando la li- bera comunicazione tra le acque dell’ Atlantico e quelle del Mediterraneo.

Ma oltre a queste deduzioni speciali , con la scorta dei fatti nu- merosi che già possiede la Geologia, ci si rivela la storia del Mediter- raneo con pagine di grande interesse le quali stanno a dimostrare che la esistenza di un estesissimo bacino Mediterraneo che si fondeva col Mar Nero e col Caspio rimonta fino ai primi periodi dell’ epoca secon- daria (giurassico , cretaceo) e col volgere dei tempi andò soggetto ad oscillazioni; ma specialmente ad un lento e progressivo generale solle- vamento; per cui 1’ intero bacino dovette ristringersi, separarsi dal Mar Nero e dal Caspio e ridurre poco a poco i suoi confini a quelli attuali.

Ne ciò è il resultato di congetture ipotetiche. Infatti (1) che ad un certo punto del periodo miocenico il Mediterraneo fosse molto più esteso, specialmente a oriente verso il Mar Nero ed il Caspio , lo di- mostrano gli strati miocenici caleareo-sabbiosi di molassa pieni di fos- sili di specie identiche , (tra i quali grossi echinodermi) uniformemente distribuite in larga zona al Sud della Francia, a Nizza, Corsica, Italia, Malta, Egitto, Grecia, Ungheria, bacino del Rodano, pianure' del Da- nubio etc. etc. Questo prova ad evidenza un carattere uniforme di una fauna speciale. Sugli strati delle molasse si vedono formati dei grandi banchi di ostriche caratteristici di depositi littoranei. E questi

(1) V. Hèfiert— Observations sur l’état de la Mediterranée à la fin de l’epoque tertiaire (Compt. l’end. Paris T. 93, 1881 pag. 1117).

ed analisi geologica dei relativi fondi Marini

161

strati si vedono poi alla lor volta coperti di estesi depositi che presen- tano prima abbondanti fossili di specie salmastre, poi fossili di acqua dolce (Unio, Paludine etc.) e sopra questi , in lembi qua e isolati formati da argille e conglomerati, si trovano giacenti le ossa fossili di grandi mammiferi di tipi particolari caratteristici. Queste successioni di faune in depositi lasciati poi all’ asciutto, dimostrano un cambiamento di condizioni per cui molta estensione perimetrica occupata dal mare, venne a trovarsi prima (e per lungo tempo) nello stato di lacune di acque salmastre, poi di laghi estesi e separati dal mare , che rimasero indi all’ asciutto e diedero origine a rigogliose praterie in cui pote- rono prosperare i grandi mammiferi. Rendono chiaro un sollevamento lento e progressivo dell’ intero bacino Mediterraneo alla fine del mio cene, per cui all’ entrare del pliocene, questo aveva subito .una no- tevole restrizione. Durante il pliocene il mare depositò sugli strati del miocene superiore tutto quel terreno (argilla e sabbia) che oggi noi chiamiamo subapennino, pieno zeppo di conchiglie marine, al quale per fenomeni di successivi cambiamenti (analoghi a quelli avvenuti du- rante il periodo miocenico) venivano a sovrapporsi conglomerati e ciot- toli insieme agli avanzi di grossi pachidermi, (Mastodonte, Elefante me- ridionale etc.) rappresentanti di una importante fauna terrestre caratte- ristica del tempo in cui visse.

«

Da ciò si deduce che anche verso la fine del pliocene venne a ripetersi un graduato e lento sollevamento di carattere generale , in tutto 1’ intiero bacino Mediterraneo. (1)

Dopo questi avvenimenti subentrava il periodo quaternario ed il

(1) Il sollevamento di carattere generale nel bacino Mediterraneo non esclude il fatto di un movimento opposto, cioè di qualche parziale lènto abbassamento che possa essersi verificato durante un dato tempo in qualche punto della costa. Intatti è stato provato dalle recenti misu- re batimetriche che tanto nel golfo di Marsiglia, quanto in quello di Genova, vi sono delle valli profondamente incise, veri Fyords ora sommersi, ma che sono la continuazione delle valli tuttora emerse all’intorno. Ciò prova un lento abbassamento che sarebbe avvenuto secondo Issel anteriormente al pliocene: secondo Taramelli posteriormente a questo— (Y. Issel Sur l’existence des vallées submergée dans le Golfe di Génes etc. (Compt. rend. Tom. 104 24 et 31 Ianvier 1887. (V. Taramelli e Mercalli alcuni risultati di uno studio sul terremoto ligure Rend. Acc. Lincei Voi. IV fase. I Roma.

162 Le maggiori profondità del Mediterraneo recentemente esplorate

mare quaternario diede principio a ricoprire dei suoi sedimenti quella parte di terreno pliocenico non emersa dalle onde , ma che costituiva allora e costituisce oggi il fondo del residuale bacino Mediterraneo che aveva subito durante 1’ epoca terziaria una seconda restrizione.

Ma il fondo del mare non presentava allora le grandi inegua- glianze che adesso manifesta e che devono ritenersi come il resultato di dislocamenti posteriori al principio del periodo quaternario.

Anzi il Sig. Blanchard (1) con vedute molto ingegnose che ha de- sunto dal carattere generale di uniformità che osservasi nella fauna e nella flora tutto all’intorno del perimetro dell’ attuale Mediterraneo (quantunque convenga sulla preesistenza in antico tempo geologico di un esteso mare interno) ritiene però, arditamente, che proprio 1’ attuale Mediterraneo siasi formato in tempo relativamente recente (caratterizzato dai medesimi esseri animali e piante che vivono oggidì) in causa di un subitaneo sprofondamento per mezzo del quale, dal lato di occidente, le acque dell’Atlantico hanno potuto fare irruzione e costituire' il Medi- terraneo.

E questa idea la sostiene con l’appoggio di due argomentazioni: 1. che essendo il mare un ostacolo insormontabile per la diffusione degli esseri viventi, non si potrebbe spiegare la detta uniformità di fauna e di flora lungo il suo perimetro; che vi sono dati da potere presume- re che la fauna marina del Mediterraneo non abbia un carattere pro- prio, ma rappresenti e molto scarsamente le medesime specie provenienti dall’ Oceano Atlantico.

La conclusione annunziata in modo assoluto dal Sig. Blancard che il Mediterraneo intiero è di formazione recente , ha trovato molta opposizione nei geologi (2) perchè essa non va d’accordo con le osser- vazioni geologiche.

Ognuno vede quanto in questa disparità di opinioni circa la storia del Mediterraneo, possano riuscire utili tutte le conoscenze nuove che si acquistano coi dati batimetrici e con lo studio comparativo delle for-

(1) Les preuves de la formation recente de la Mediterranée par M. E. Blancliard (Coinpt. rend. Paris 1881, T. 93 pag. 1042.

(2) V. Osservazioni di Daubrée, Ilébert Compt. rend. T. 93 pag. 1050-1117.

ed analisi geologica dei relativi fondi Marini

163

me organiche, non escluse quelle minime e microscopiche che possono trovarsi nei depositi o fanghi attuali che si formano nei fondi marini.

I dati batimetrici oltre ad aver dimostrato delle grandi profondità nel Mediterraneo attuale, hanno messo in evidenza come ho già detto dei bassi fondi che collegano delle terre emerse come la Sicilia alla Tunisia, come la Spagna al Marocco e, questi possono benissimo essere stati un tempo delle larghe lingue di terra o istmi capaci di funzionare a guisa di ponte, per la diffusione perimetrica della medesima fauna e flora ter- restre e costituire il carattere di uniformità indipendentemente dal pre- teso fenomeno di un repentino e recente sprofondamento, capace di dare origine tutto ad un tratto al Mediterraneo.

Dallo studio dei sedimenti e delle specie viventi anche minime che con essi si traggono fuori per mezzo della sonda, possono ricavarsi delle utili conoscenze sulla natura geologica dei fondi marini e sul carattere zoologico più diffuso della fauna microscopica ed io perciò ho sottoposto allo studio i sedimenti ricavati dagli scandagli penetrati nelle maggiori profondità. Ecco il resultato del mio studio.

III. I sedimenti marini che io ho preso ad esaminare sono quelli appartenenti ai quattro punti scandagliati che nella tavola qui annessa si vedono distinti coi numeri (rossi) 2, 3, 5, 6 : sono quindi stati tolti dalle maggiori profondità.

Tutti mi vennero, dall’ egregio Comandante Magnaghi, consegnati in larghi e lunghi tubi di cristallo in cui per ciascuno era distinta e separata una parte superiore , una parte media ed una parte inferiore relativamente allo strato di circa un metro di fondo marino attraver- sato dalla sonda (1) Yi ho intrapreso delle ricerche che complessi- vamente rappresentano ciò che io chiamo analisi geologica e con questa io mi sono reso conto: 1. dei caratteri generali che presentano i sedi-

(1) Il meccanismo della sonda che serve a raccogliere questi saggi termina inferiormente con un tubo che con un diam. di 4 a 5 mill. ha una lunghezza di circa un metro Cadendo sui fondi melmosi si riempie quasi sempre per intiero: cosi la parte contrassegnata come su- periore è quella della superfìcie, la inedia sta a circa 50 cent, e l’ inferiore ad 1 metro di

profondità.

164 Le maggiori profondità del Mediterraneo recentemente esplorate

menti mentre sono secchi; 2. del modo di comportarsi a contatto del- F acqua per mezzo della quale li ho disgregati; 3. delle mescolanze di- verse da cui resultano formati, al quale scopo li ho sottoposti alla ana- lisi idromeccanica onde separare le particelle più tenui e capaci di stare a lungo sospese nel liquido, da quelle più grosse e pesanti che rapida- mente si depongono, da quelle anche che per la loro leggerezza vengono subito a galleggiare alla superficie. Le prime dalle seconde ho separato con lavacri prolungatamente ripetuti, agitando via via la materia nel liquido e dopo breve riposo decantando 1’ acqua torbida dalla parte già depositata— I corpuscoli gallegianti li ho potuti raccogliere facendo uso di un filtro fatto con sottile tessuto di mussolina; 4. della natura chimica dei sedimenti facendone una grossolana analisi chimica per di- stinguervi e determinare quantitativamente la parte silicata insolubile nell’ ac, cloridrico dalla parte carbonata che vi si scioglie con efferve- scenza e stabilendo su questa le reazioni elementari per mezzo delle quali si scoprono le basi carbonate che ho trovato essere in ogni caso la calce e la magnesia; 5. della natura minerale e del carattere zoolo- gico dei corpuscoli o più pesanti o più leggieri e galleggianti, separati per mezzo dell’ operazione sopraccennata.

Ciò premesso a schiarimento di quanto segue , passo a indicare i resultati ottenuti dall’ esame speciale così fatto su ciascuno dei sedi- menti di cui è parola,

Sedimento marino N. 2 (rosso) (profondità 4067m)

Parte Superiore Compatto , di color bigio giallognolo piuttosto scuro assai tenace molto allappante ha l’apparenza di una mar- na— dopo breve contatto con l’acqua si spappola facilmente e nulla la- scia galleggiare.

All’ analisi geologica ha mostrato la seguente costituzione (sempre riferendo le proporzioni a 100 parti in peso.)

Fango sottilissimo in particelle leggiere («) 99, 6

Corpuscoli più pesanti ( ò ) 0, 4

id. galleggianti (c) 0, 0

100, 0

ed analisi geologica dei relativi fondi Marini

165

i Argilla 66, 0

(a) resulta da

I Carbonato Calcio-Magnesico 34, 0

100, 0

Granelli ni di sabbia e pagliuzze micacee . . 80, 0

(b) resultano \ Minimi organismi a guscio calcareo appartenenti

formati da j a Molluschi (Gasteropodi e Pteropodi) e pre- valentemente a Rizopodi (Foraminifere) (d) 20, 0

100, 0

(d) Sono rappresentati dai seguenti generi e specie (*)

Embolus rostralis. Cleodora py ramidata .

)> cuspidata. Crcseis subulata.

Or bulina universa.

Souleyet.

Lin. (Clio).

Lamk. (Hyalaea). Quoy.

D’ Orb.

D’ Orb.

D’ Orb.

Globigerina bulloides.

Pulvinulina Micheliniana. (Rotalina)

Parte media. Ha i medesimi caratteri della parte superiore.

L’ analisi geologica ha dato :

Fango sottilissimo in particelle leggiere (a) 99, 96

Corpuscoli più pesanti (6) 0, 04

id. galleggianti (c) 0, 00

100, 00

i Argilla 65, 0

(а) resulta da

( Carbonato Calcio-Magnesico 35, 0

100, 0

(б) resultano S Qranellini sabbia e pagliucce micacee ... 85

formati da f Rizopodi (Foraminifere) ( d ) 15

100

(*) Per la esatta determinazione dei generi e specie che rappresentano i minuti orga- nismi trovati nei sedimenti marini presi ad argomento di questa nota , debbo ringraziare l'il- lustre amico. Prof. G. Seguenza della R. Università' di Messina il quale mi ha prestato valido ajuto mercè i confronti con le sue speciali ricche collezioni.

Atti Aoo. Voi. I, Serie 4.'

22

166 Le maggiori profondità del Mediterraneo recentemente esplorate

(di) sono rappresentati dai seguenti generi e specie:

Orbulina universa. D’ Orb.

Globigerina Indloides. D’ Orb.

Parte inferiore Ha i medesimi caratteri delle altre, solo presenta una leggiera differenza nel colore che è giallognolo chiaro e in un mi- nor grado di facilità allo spappolamento a contatto dell’ acqua. L’analisi geologica ha dato:

Fango sottilissimo in particelle leggiere (a) 100, 0

Corpuscoli più pesanti 0, 0

id. galleggianti (c) 0, 0

100, 0

l Argilla 68, 2

(a) resulta da J

f Carbonato Calcio-Magnesico 31,8

100, 0

Sedimento marino N. 3 (rosso) (profondità 4055 m)

Parte superiore Ha 1’ apparenza di marna compatta di color bigio giallognolo piuttosto scuro è molto tenace ed allappante A contatto dell’acqua ben presto si spappola e nulla mostra che sia ca- pace di galleggiare.

All’ analisi geologica ha dato :

Fango sottilissimo in particelle leggiere (a) 99, 7

Corpuscoli più pesanti (6) ..... 0, 3

id. galleggianti (c) 0, 0

100, 0

( Argilla 71,8

(a) resulta da j

( Carbonato Calcio-Magnesico 28, 2

100, 0

ed analisi geologica dei relativi fondi Marini

167

’b) resultano \ Granellini di sabbia 66, 0

foimati da / j^^ZOpOC|j (Foraminifere) ( d ) 34, 0

100, 0

(i d ) sono rappresentati dai seguenti generi e specie :

Ovbidina universa D’ Orb.

Globigerina bulloides D’ Orb.

Testularia sp. ? (*)

Parte media Ha i medesimi caratteri delia parte superiore.

All’analisi geologica ha dato:

Fango sottilissimo in particelle leggiere (a) 99, 8

Corpuscoli più pesanti (b) 0, 2

id. galleggianti (c) 0, 0

100, 0

l Argilla 72, 0

(a) resulta da "

f Carbonato Calcio-Maguesico 28, 0

100, 0 '

(b) resultano formati esclusivamente da Rizopodi (Foraminifere) (d)

(d) sono rappresentati dai seguenti generi e specie:

Orbulina universa. D’Orb.

Globigerina bulloides. D’ Orb.

Parte inferiore Differisce dalle altre , solo per il colore che è

bigio tendente al rossiccio.

All’ analisi geologica ha dato :

Fango sottilissimo in particelle leggiere («) 99, 6

Corpuscoli più pesanti ( b ) 0, 4

id. galleggianti (e) 0, 0

100, 0

(*) Non ho potuto determinarne la specie perchè ne ho trovato un solo esemplare che ho perduto nel porre al microscopio.

168 Le maggiori profondità del Mediterraneo recentemente esplorate

[ Argilla 73, 8

(a) resulta da j

( Carbonato Calcio-Magnesico 26, 2

100, 0

( b ) resultano i minuti Molluschi Gasteropodi e Pteropodi con formati esclu- j

sivamente da ( prevalenza di Rizopodi (Poramiuifere) (d)

d ) sono rappresentati dai seguenti generi e specie:

Atlanta Peronii. Les.

Embohts rostralis. Soul.

Creseis subulata. Quoy.

Orbulina universa. D’ Orb.

Globigerina bulloides. D’ Orb.

Pulvinulina Micheliniana . (Rotalina) D’ Orb.

Sedimento marino N. 5 (rosso) (profondità 3976 m)

Parte Superiore È una marna di color bigio chiaro molto com- patta, tenace ed allappante messa nell’ acqua presto se ne imbeve e si spappola facendo venire a galla dei gusci vuoti di foraminifere.

All’ analisi geologica ha dato :

Fango sottilissimo in particelle leggiere (a) 09, 23

Corpuscoli più pesanti (b) 0, 75

» galleggianti (c ) 0,02

100, 00

/■ Argilla 59, 2

(a) resulta da !

( Carbonato Calcio-Magnesico 40, 8

100,0

/ quasi esclusivamente (tranne pochi granellini (6) resultano 1 di sabbia) da Molluschi microscopici (Gaste-

formati j ropodi e Pteropodi) e da Rizopodi (Fora-

1 mini fere) (d)

ed analisi geologica dei relativi fondi Marini

169

(c) resultano formati esclusivamente da Rizopodi (Foraminifere) (e)

(d) sono rappresentati dai seguenti generi e specie :

Atlanta rosea.

Les.

» Peronii .

Les.

» f usca ?.

Eid. et Soul.

Embolus rostralis.

Soul.

Spirialis contorta.

Monte Rosato.

Cleodora py ramidata.

Lin (Clio).

» »

var.

» cuspidata.

Lamk (Hyalaea)

Creseis subulata.

Quoy. et Gaim.

» con icà.

A. Costa.

» acicula.

Rang.

Orbulina universa.

d’Orb.

Globigerina bulloides.

d’ Orb.

Pulvinulina Micheliniana. (Rotalina) d’ Orb.

(e) sono rappresentati dai seguenti generi e specie :

Orbulina universa. D’ Orb,

Globigerina bulloides. D’ Orb.

Parte inedia. Somiglia perfettamente per i caratteri fìsici alla parte superiore.

All’ analisi geologica ha dato :

Fango sottilissimo in particelle leggiere (a) 99, lo

Corpuscoli più pesanti ( b ) 0, 87

» galleggianti ( c ) 0, 03

100, 00

i Argilla 60, 62

( a ) resulta da '

( Carbonato Calcio Magnesico 39, 38

100, 00

( scarsi granellini di sabbia 10, 00

^ormati^da° ! Molluschi microscopici (Gasteropodi e Pteropodi)

( e Rizopodi (Foraminifere) ( d ) 90, 00

100, 00

(d) e (c) sono rappresentati dai medesimi generi e specie trovate nella parte superiore.

170 Le maggiori profondità del Mediterraneo recentemente esplorate

Parte inferiore. Somiglia perfettamente alle precedenti , è però

più tenace.

All’ analisi geologica ha dato :

Fango sottilissimo in particelle leggiere (a) 99, 99

Corpuscoli più pesanti (li) 0, 01

» galleggianti ( e ) 0, 00

100, 00

1 Argilla 61, 83

(a) resulta da :

' Carbonato Calcio-Magnesico 38, 17

100, 00

(li) resultano formati esclusivamente da molluschi microscopici (Gasteropodi e Pteropodi) e Rizopodi (Foraminifere) (d).

(d) è rappresentato dai seguenti generi e specie :

Atlanta rosea. Cleodora cuspidata. Creseis stilai ata. Orìulina universa. Globigerina lulloides.

Les.

Lamk. (Hyalaea). Quoy. et Gaim. D’ Orb.

D’ Orb.

Sedimento marino N. 6 (rosso) (profondità 3335")

Parte superiore. Compatta di color bigio giallastro come di marna Molto tenace ed allappante A contatto dell’acqua si spappola facilmente e mette a galla notevole quantità di gusci vuoti di orbuline

e globigerine quasi trasparenti.

AIR analisi geologica ha dato :

Fango sottilissimo a .particelle leggiere (a) 98, 0

Corpuscoli più pesanti ( l ) 2, 7

» galleggianti (c) 0, 3

100, 0

i Argilla *. 60, 4

(a) resulta da

f Carbonato Calcio-Magnesico 39, 6

100, 0

ed analisi geologica dei relativi fondi Marini

171

(b) resultano formati totalmente da abbondanti Rizopodi (Foraminifere) e da Molluschi microscopici (Gasteropodi e Pteropodi) (d).

(c) idem idem da sole foraminifere (e).

(d) sono rappresentati dai seguenti generi e specie:

Oxygyrus Kcrckheni.

Les.

Atlanta rosea.

Les.

Embolus rostralis.

Soni.

Spirialis reticulata.

D’ Orb. (Atlanta).

» diversa ?.

Monterosato.

Hyalaea uncinata.

Rang.

Cìeodora pyramidata.

Lin. (Clio).

» »

Var.

» cuspidata.

Lamk. (Hyalaea).

Creseis subulata .

Quoy. et Gaim.

» conica.

A. Costa.

» acicula.

Rang.

Balantium striatimi.

Rang. (Creseis).

Orbulina universa.

D’ Orb.

Globigerina bulloides.

D’ Orb.

Pulvinulina Micheliniana. D‘ Orb.

*

(e) sono rappresentati dai seguenti generi e specie:

Orbulina universa. D’ Orb.

Globigerina bulloides. D’ Orb.

Parte media. Non differisce per nessun carattere fisico dalla superiore.

All’ analisi geologica ha dato :

Fango sottilissimo in particelle leggiere (a) 100, 0

Corpuscoli più pesanti (b) 0, 0

» galleggianti (c) 0, 0

100, 0

t Argilla 62, 0

(a) resulta da j

f Carbonato Calcio-Magnesico 38, 0

100, 0

172 Le maggiori profondità del Mediterraneo recentemente esplorate

Parte inferiore. Ha i medesimi caratteri fisici delle altre pre- cedenti.

All7 analisi geologica ha dato :

Fango sottilissimo in particelle leggiere (a) 100, 0

Corpuscoli più pesanti (b) 0, 0

» galleggianti (c) 0, 0

100, 0

^ Argilla 64, 2

fa) resulta da

' Carbonato Calcio-Magnesico 35, 8

100, 0

Riassumendo lo studio intrapreso, possiamo dire che i sedimenti marini tolti dalle maggiori profondità del Mediterraneo ora esplorate, hanno per caratteri geologici: 1. di essere formati da fanghi a parti- celle tenuissime (come generalmente sono tutti i sedimenti che si rac- colgono negli abissi del mare) ; 2. le loro particelle le più tenui dietro le prove chimiche* resultano costituite da un elemento minerale silicato a base prevalente di allumina (Argilla) e da un altro carbonato a base di calce (prevalente) e magnesia; 3. le loro particelle più grosse e più pesanti o tanto leggiere da galleggiare nell’acqua, sono formate da gra- nellali di sabbia e pagliucce micacee in mescolanza con minuti organismi rivestiti di guscio calcareo resistente , appartenenti a Molluschi micro- scopici e a Rizopodi. Questi ultimi prevalgono per la quantità, mentre i primi prevalgono per la varietà delle forme e quindi per il numero dei generi e delle specie Di tali minuti esseri ho trovato specialmente ricco il sedimento n. 6 (rosso) nella sua parte superiore ; 4. tutte le specie che si trovano nei sedimenti costituiscono una piccola fauna in- teressante perchè formata da tipi di organismi capaci di vivere nelle più grandi profondità del mare.

Essa è costituita da specie che già tutte erano conosciute nel Me- diterraneo e quasi tutte anche nell’ Adriatico ed io l’ho rappresentata nel suo complesso nel seguente prospetto il quale ha anche per scopo di

ed analisi geologica dei relativi fondi Marini

173

mettere facilmente in rilievo la distribuzione che io ho trovato delle specie in ciascuna delle speciali parti separatamente esaminate nei 4 sedimenti ; e di fare anche notare il carattere di diffusione delle specie medesime tanto nel Mediterraneo quanto nell’Atlantico e mettere in evi- denza il fatto che, probabilmente tutte , con certezza la maggior parte, sono comuni tanto all’ uno, quanto all’ altro mare.

( Segue il Prospetto )

DistriMzione dei leniscili microscopici (Gasteropodi e Pteropodi) e Rizopodi (Foraiinifere) trorati nei sedimenti marini tolti dalle «sieri profondità del Mediterraneo.

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Prof. G. BASILE

Ricostituzione , con viti americane a produzione diretta , dei vigneti attaccati dalla filossera.

Memoria 2.a

11 vino JAQUEZ in rapporto coi nostri vini.

In una precedente memoria presentata a questa accademia, impren- deva a studiare uno dei migliori vitigni americani a produzione diretta il Jaquez, con il quale si sono ricostituite moltissime vigne nel mezzo- giorno della Francia e da cui si ottiene un vino reputato buono per taglio (1).

In Italia, per quanto mi sappia, non si è fabbricato vino dell’ uva di questo vitigno, in quantità tale da poterci formare un criterio esatto sulle proprietà ed attitudini dello stesso; il certo poi si è che per la Sicilia è il primo vino di tale vitigno , che si fabbrica in una certa quantità. L’ho ottenuto da circa 700 viti, innesti da tre anni su viti europee (nerello mascalese) , che malgrado potate alla latina, pure han- no mediocremente prodotto.

La vinificazione del mosto Jaquez ho praticata con due metodi cioè : il primo con quello ordinario con cui si fabbrica il vino nelle nostre contrade, a vinacce complete galleggianti e con follatura, il secondo nelle stesse condizioni, ma con 1’ aggiunzione di grammo 1 di acido tartarico per litro , per provare quanto generalmente si asserisce , cioè che al mosto Jaquez mancando acido tartarico, bisogna aggiungerne artificial- mente per correggerlo, agevolando la soluzione della materia colorante, dandogli brillante limpidezza, ec. ec. Si è svinato dopo 56 ore di fer- mentazione.

Incomincerò adunque il presente studio della prima parte, dal vi- ti) Ricostituzione con viti americane a produzione diretta, dei vigneti attaccati dalla fil- lossera. Memoria 1‘. Studi sul vitigno Jaquez. Atti Acc. Gioenia Voi. 1. Serie IV.

Atti Acc. Voi. I, Serie 4’

23

176

II vino Jaquez in rapporto coi nostri vini

no Jaquez naturale, mettendolo in confronto con i vini ottenuti negli stessi appezzamenti.

Malgrado lo studio chimico del mosto di detta uva Jaquez, sia com- parso nella precedente memoria, pure non ho creduto superfluità ripor- tarne ancora i risultati inserendoli nello stesso quadro dell’ analisi chi- mica del vino, per i dovuti confronti e farne risaltare le reciproche re- lazioni.

Il solo studio del mosto, sarebbe opera incompleta, qualora non fosse seguito dallo studio del prodotto ultimo il vino per conoscerne le proprietà, secondo le quali poterlo classificare.

Disgraziatamente però i vini Nerello, che servono come termine di paragone, sono stati gessati, per cui i confronti si sono potuti fare fino ad un certo punto e per quei principii sopra i quali il gesso non ha prodotto modificazione significante, per lo che ho dovuto tralasciare p. es. la determinazione della glicerina, avendo grande importanza ed a cre- der mio, forse all’ abbondanza della stessa nel Anno Jaquez si deve, quel sapore molle vellutato pronunziatissimo.

La ricerca e determinazione dell’ anidride solforica non può avere un valore di confronto, attesocchè nei vini provenientrdegli stessi appez- zamenti è stato aggiunto il gesso; malgrado tali inconATenienti, che co- me farò rilevare, possono diminuire facendo un confronto generale dei vini delle principali contrade viticole dell’ isola, pure dette ricerche re- lativamente riescono interessanti, facendo risaltare le proprietà chimiche del vino Jaquez.

Il seguente quadro riassume le ricerche analitiche, le quali sono messe in confronto con i vini fabbricati nei medesimi appezzamenti do- ve si è prodotto il Jaquez.

vino Jaques in rapporto coi nostri vini

177

Bisogna premettere che il vino Jaquez è di vitigni relativamente giovani, mentre i vitigni che hanno dato i vini di confronto sono vec- chi ; circostanza sfavorevole per il Jaquez.

Passerò quindi in rassegna le sostanze determinate.

àlcole Escludo da questo confronto il vino Jaquez contrada Cer- vo, poco alcoolico , perchè proviene di viti troppo giovani innestati da

un anno.

Escludo pure da tale confronto il vino Jaquez prodotto nel 1886, ciò per fare il paragone con i soli vini prodotti nello stesso anno , in cui per tutte le viti ci sono state identiche circostanze climateriche , ma per tale vino farò osservazioni di paragone con quello delle stesse viti raccolte però nel 1887.

Il termine di confronto si è stabilito giovandomi solamente delle determinazioni fatte con V alambicco Salleron perchè esatte, trascurando quindi quelli che servono di controllo, con piccola differenza, dell’ ebul- liometro Salleron, che per la natura istessa dell’istrumento non posso- no dare risultati , come quelli indicati dall’ alcoometro di Gfay-Lussac. Relativamente al vino Jaquez prodotto nel 1886 e quello prodotto nel 1887 credo degno di nota come l’alcole è decrescente al terzo anno del vitigno, infatti abbiamo all’età di 1 anno 13.60, di 2 anni 14. 55, di 3 anni 11.2. L’acidità, il cremore e l’estratto però è maggiore nel vino proveniente dal vitigno di 3 anni. (1)

L’ alcole del vino Jaquez si trova al minimo 10, 9 0/°, al massimo 13, 77, mentre nei vini delle stesse contrade, provenienti da viti euro- pee, oscilla al minimo 12, 8 °/0 ed al massimo 14, 5 °/0.

Acidità totale. L’ acidità totale per il vino Jaquez oscilla per litro fra un minimo di gr. 6, 05 ed un massimo di gr. 7,75 , mentre per i vini Repello, dello stesso podere, oscilla per un minimo di gram- mi 6, 31, ed un massimo di gr. 7,14.

Riguardo all’ acidità però è da tenere in calcolo, come è accresciuta

(1) Questi risultati potrebbero però addebitarsi a circostanze climateriche.

178

Il vino Jaquez in rapporto coi nostri vini

dall’ acido carbonico che tengono disciolto; è accresciuta dall’ acido tan- nico e dalle piccole quantità di acido acetico, che inevitabilmente si for- ma durante la fermentazione.

Passando ora ad esaminare i rapporti fra l’ acidità totale dei vini, si osserva che determinata nel vino naturale è maggiore che nel vino appena bollito, attesoché in quest’ultimo si è eliminato l’acido carbo- nico ed anco tracce di acido acetico.

L’ acido carbonico e l’ acetico volatilizzandosi , completamente il primo e parzialmente il secondo, fanno diminuire 1’ acidità, conservando però gli stessi rapporti riguardo a tutti i campioni; infatti abbiamo che dopo l’ebullizione l’acidità per i vini Jaquez oscilla al minimo gr. 5, 59, al massimo gr. 6, 13, mentre per i vini Nerello oscilla al minimo gr. 5, 09 ed al massimo gr. 5, 98.

Ho fatta questa determinazione facendo bollire per qualche minu- to 100 c.c. di vino per eliminare 1’ acido carbonico, dopo raffreddamen- to ho portato al volume primitivo aggiungendo' acqua distillata rimesco- lando bene il liquido e poi al solito determinata 1’ acidità in 10 c.c.

L’acido carbonico infatti, sempre in certa proporzione, resta sciol- to nel vino e siccome la temperatura, l’ età e l’ alcoolicità influiscono sulla solubilità dello stesso e quindi sulla quantità che si trova in so- luzione nel vino, così si avrebbe una causa variabilissima di errore, che non potrebbe mai darci esattamente il vero titolo di acidità, che dovreb- be comprendere specialmente 1’ acido tartarico, talmentecchè un vino gio- vane, una esperienza fatta in inverno, un vino molto alcoolico , dareb- be un’ acidità maggiore di quanto realmente ne contiene ;. p. es. i vini della Sicilia in generale molto alcoolici e che si analizzano all’ epoca in cui si commerciano cioè, giovani, apparentemente addimostrano un’ aci- dità che poi realmente non contengono, anzi si mostrano molto deficienti facendone la determinazione dopo la ebullizione come prcedentemente si è detto.

Dal rapporto di determinazione di acidità prima o dopo 1’ ebullizio- zione si rileva, come in generale la differenza massima, dall’ una all’ al - 1 altra determinazione, si deve ai vini più alcoolici, fatto che si spiega per la maggiore solubilità dell’ acido carbonico nell’alcole, che sarà quin-

Quadro N 1.

ANALISI CHIMICA DEI MOSTI E VINI DI JAQUEZ COMPARATI AI MOSTI E VINI DI VITIGNI INDIGENI

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N A L I S I

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IL,

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I IST O

Provincia

I

Comune

Contrada

Proprietario

Natura del suolo

No MB

del

vitigno

Età

del

vitigno

Colore

dell’uva

Colore

del

mosto

Data

della

vendemmia

Glucosio per litro

Acidità complessiva per litro

Cremore p e r 1 i t r o

Acido tartarico per litro

Estratto per . litro

Cenere per litro

Data

dell’ analisi

Colore del vino

Intensità colorante determinata col colorimetro Salleron

Ebulisco- .

pio j > Salleron J £

3LE PER

7.

ow'°

^ p.4-

Vj 1

Acidità

per

a £

totale

itio

Cremore per Litro

Estratto per Litro

Anidride Solforica per litro

Peso specifico del vino

Osservazioni

Catania

Acireale

Stazione

Barone Pennisi

Vulcanico

Iaquez

3 anni

nera

rosso granato violaceo

21 Sett. 87

217.4

10.16

8.91

6.61

244.0

7. 40

Maggio 88

rosso int. violaceo

5 violetto, rosso 40

10.90

11.2

0. 9852

7. 75

6. 13

1.30

69.6

0.706

l. 0021

»

Faggio

Romeo Gregorio

iti.

id.

3 id.

id.

25 id.

223.2

8.25

7.39

5.31

382.0

9.50

id.

rosso cupo intenso

rosso 26

13.40

13.77

0. 9814

6. 83

5. 47

1.23

37 0

0.206

1.0000

Gi arre

Macchia

Badala Pietro

iti. di trasporto

id.

3 id.

»

id.

25 id.

215.0

5.25

7.54

2. 25

301.7

8.40

id.

rosso int. violaceo

5 violetto, rosso 34

12.20

12.40

0. 9850

7.20

5.91

0. 79

29.0

0.348

-

Alquanto acedificato.

Acireale

Stazione

Barone Perniisi

Vulcanico

id.

1 id.

»

id.

21 id.

227.0

8.66

8.70

5. 19

279.0

4. 20

id.

id.

3 rosso 375

13.50

13.60

0. 9833

6. 05

5.59

1. io

31.7

0.315

0. 9981

Cervo

Cali Fiorini Paolo

id.

id.

1 id.

id.

-

-

-

-

-

-

-

id.

id.

4 violetto rosso 22

8.60

8.88

0.9882

7.79

6. 86

1. 16

42.0

2 128

1.0083

Fortemente gessato.

-

-

Stazione

Barone Pennisi

id.

id.

2 id.

»

id.

Sett. 86

-

-

-

-

-

-

id. 1887

id.

-

-

14.55

-

6.23

5.75

1.25

26.7

-

-

Siracusa

Conuso

Comiso

Noto Raffaello

id. Calcareo

id.

2 id

id.

id. 87

-

-

-

-

-

-

id. 1888

id.

3 rosso 292

10.90

10.90

0. 9861

-

-

-

39.6

0.314

1. 0032

Acedificato per cui non si deter- minò 1’ acidità ed il cremore.

Catania

Acireale

Stazione

Barone Pennisi

Vulcanico

Nerello

5 id.

»

app. rossaceo

21 id.

234.3

5.45

9.28

1.75

281.3

5.82

id.

rosso granato giallo

3 rosso 171

13.80

13 90

0 9803

6. 50

5.10

-

46.8

0.926

1.0042

Gessato.

Faggio

Romeo Gregorio

id.

id.

fO id.

»

id.

28 id.

223.6

4.73

8.12

1.50

284.3

3.86

id.

di.

3 rosso 384

14.30

14.50

0. 9831

7. 14

5. 98

-

37. 4

0.618

-

Id.

Gi arre

Macchia

Badala Pietro

id. di trasporto

id.

55 id.

-

id.

25 id.

224.0

6.68

7.39

3. 74

308.3

3. 70

id.

id.

3 rosso 298

12.70

12.80

0.9849

6.31

5.09

-

32.4

1.126

-

Id.

Il vino Jaquez in rapporto coi nostri vini

179

di proporzionale nel vino, secondo la quantità di alcool, che questo con- tiene.

Dalle determinazioni suddette si rileva, come realmente la differen- za fra una e l’altra determinazione non è indifferente, sorpassando qua- si sempre un grammo per litro (calcolato sempre come acido tartarico).

Ora se si prende in esame l’ acidità dopo l’ ebollizione , si trova come in generale è deficiente, sia nei vini di Jaquez, come nei vini Ne- rello.

Il confronto assoluto fra F acidità totale del vino Jaquez e quel- lo dei vini ottenuti nelle stesse contrade non può farsi , perchè i pro- prietari avevano gessato i loro vini. Ora è noto come in generale i vi- ni gessati aumentano d’ acidità , nondimeno in questo caso i vini ges- sati si mostrano, in massima, meno ricchi di acidità totale, che non i vini di Jaquez non gessati. Infatti escludendo il vino Jaquez del Sig. Cav. Paolo Cali Fiorini, perchè gessato, abbiamo che F acidità nel vino dopo Febullizione varia da un minimo di gr. 5, 47 per litro ed un massimo di 6, 86, mentre nei vini gessati oscilla fra un minimo di 5, 09 ed un massimo di 5, 98.

Passando ora ad esaminare i rapporti fra F acidità dei mosti e quella dei vini, si osserva come F acidità nel vino viene ad essere in- feriore in quello naturale e per maggior ragione in quello dopo Febul- lizione, circostanza che si deve al bitartrato potassico precipitatosi in massima parte per la presenza dell’ alcool, infatti il cremore nel vino è ridotto in piccola quantità.

Bitartrato potassico. Dal prospetto si rileva, come malgrado la quantità di questo sale, che contengono i relativi mosti, pure è precipitato in massima parte per la formazione dell’ alcole, restandone sciolto sola- mente in poca quantità. Da questo fatto dipende F acidità deficiente nei nostri vini, in confronto dei mosti, i quali sembrano abbastanza acidi ; oltre a ciò si rileva come nel vino Jaquez del sig. Badalà alquanto ace- dificato, il cremore ha subito una sensibile alterazione e tale da trovar- sene molto meno che negli altri vini omonimi, quindi si è escluso del computo seguente.

180

II vino Jaquez in rapporto coi nostri vini

Nei vini Jaquez il cremore oscilla fra un minimo di gr. 1,10 ed un massimo di gr. 1,30, differenza menoma e di poca importanza.

Il confronto con i vini nostrali delle stesse contrade non si è po- tuto stabilire, per la ragione che questi furono gessati e quindi il cre- more è stato alterato.

Estratto. Riguardo alle sostanze estrattive la loro quantità va- ria nei vini Jaquez, ed oscilla fra un minimo di gr. 26,7 ed un mas- simo di grammi 69, 6 per litro.

La differenza della oscillazione è veramente tale da non esserci esempio nei vini provenienti da uve nostrane, infatti per quest’ ultime, dello stesso appezzamento , oscilla fra un minimo di gr. 32, 4 ed un massimo di gr. 46, 8 per litro , vi è insomma uniformità maggiore di quanto nei vini Jaquez.

Anidride Solforica. Ho creduto opportuno determinare 1’ ani- dride solforica, per conoscere la quantità die naturalmente ne conten- gono detti vini in modo da avere dei dati sulla nota quistione della gessatura.

Il metodo che ho creduto opportuno adottare per tale determina- zione è il seguente, che a creder mio si può praticare sia per la rela- tiva esattezza che per la speditezza.

In 100 c.c. di vino ho aggiunto acido nitrico purissimo e scevro di tracce di acido solforico, dopo qualche minuto spontaneamente co- mincia una reazione, che può agevolarsi riscaldando leggermente.

Si sviluppano abbondanti vapori di acido ipoazotico; 1’ acido car- bonico naturalmente sciolto nel vino e quello abbondante proveniente specialmente sia dalle sostanze proteiche, che dalle coloranti e dall'acido tartarico, si sviluppa, eliminando così tutte quelle sostanze che potreb- bero indurre precipitati estranei al solfato di barite, decomponendosi specialmente il cremore e 1; acido tartarico, che potrebbe dare colla sua presenza un precipitato di tartrato di bario. È noto come 1’ acido tar- tarico in presenza dell’ acido nitrico si converte in massima parte in acido carbonico , formico ed ossalico , in presenza di eccesso di acido

Il vino Jaquez in rapporto coi nostri vini

181

nitrico non si formerà precipitato di ossalato di bario , quindi anche 1’ acido ossalico in piccolissima quantità, non intralcia l’ operazione.

Finita la completa distruzione delle sudette sostanze, essendosi fin anco eliminato l’ alcole , resta un liquido con eccesso di acido nitrico , limpidissimo, di colore paglierino o giallastro, colore prodotto special- mente dall’ acido ipoazotico; allora si aggiunge la soluzione di nitrato di bario, si rimescola e dopo 24 ore si filtra, si lava, si calcina e si pesa ecc. secondo i metodi ordinari. Qualche volta accade che precipita, un pò’ di nitrato di barite , per 1’ eccesso di acido nitrico , ma non produce inconveniente, attesocchè si scioglie facilmente con la prima o seconda lavatura.

La quantità di acido nitrico è variabile a secondo delle quantità di sostanze diverse, che vi sono da decomporre , talmentecchè un vino bianco ne esige meno che uno rosso, come uno più ricco di estratto, ne esige più che un vino povero ecc.

La quantità di anidride solforica è variabile nei vini Jaquez, però quello proveniente dal Sig. B.ne Pennisi ne contiene una quantità tale , da oltrepassare del doppio la media dei vini omonomi delle altre con- trade; ripetuta la determinazione, ho trovato precisamente lo stesso peso per cui sospetto, che il difetto provenga dalla botte dove si effettui la fermentazione, il cui legname forse si trovava imbevuto di vapori sol- forosi, provenienti da forti solforazioni, convertitisi in acido solforico, ovvero la botte era stata lavata con forti soluzioni saline; in ogni modo ho creduto opportuno escludere dal presente computo la determinazione dell' anidride solforica in detto vino.

L’ anidride solforica nei vini Jaquez oscilla, fra un minimo di gram- mi 0, 206 ed un massimo di gr. 0, 348 per litro.

Il vino Jaquez del Sig. Cav. Paolo Cali Fiorini , come quelli dei nostri vini provenienti da uve dei medesimi appezzamenti , non possono entrare nei confronti per essere stati tutti gessati come si rileva dalla quantità di anidride solforica.

Credo utile riunire nel seguente prospetto le quantità massime e minime delle sostanze determinate in detti vini.

Quadro

182

Il vino Jaquez in rapporto coi nostri vini

Osservazioni

Nella determinazione del cremore ed ani- dride solforica, si so- no esclusi i vini ges- sati.

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2

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: totale

litro

Vino

dopo

ebolli-

zione

5,47

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5, 09

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Acidità

per

Vino

natu-

rale

g

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uoraipeg oootquinie °/0 aaooay

14, 55 »

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14,5

»

NOME

del

VITIGHb

Iaquez

id.

id.

id.

id.

id.

id.

Nerello

id.

id.

CONTRADA

Acireale

Cervo

Stazione. . . , . id. id.

Macchia

Paggio

Faggio

Macchia

Stazione

Il vino Jaquez in rapporto coi nostri vini

183

Dal complesso di questo quadro possiamo avere una media , che viene ad essere rappresentata nel quadro seguente :

Nome del Vitigno

Alcole

Acidita

per

TOTALE

LITRO

5-1

<Z>

Ph

p 2

CD

P<

o 2

8 2 o co

Vino

naturale

Vino dopo l’e- bullizione

o

£

CD

Sh

O

S +3

o3 * '

co

w

.2

PH

•— o < S

Jaquez

11.71

6. 92

6. 16

1. 17

48. 15

0. 277

Nerello

13. 65

6. 72

5 53

39. 60

Da queste medie risulta la inferiorità media dell’ alcole del vino Jaquez, in confronto dei nostri vini, però esiste un fatto a vantaggio del Jaquez, cioè che il vino si è ottenuto da vitigni giovanissimi, i più vecchi dei quali non oltrepassano anni 3; oltre a questo il minimo del- l’ alcole 8, 88 viene rappresentato da vitigni che non oltrepassano un solo anno, talmentechè se la media si farebbe fra i vini normali, il mi- nimo dei quali è rappresentato da 11, 2 ed il massimo da 14, 5, si avrebbe una media di 12, 85 ed allora si vede chiaramente come si avvicina moltissimo ai vini nostrani.

Riguardo all’ acidità totale si osserva, come il vino Jaquez mal- grado non sia gessato, operazione che generalmente accresce l’ acidità dei vini, pure è superiore alla media dei vini provenienti da uve degli stessi appezzamenti.

Questi dati sarebbero interessanti sotto il punto di vista , che il vino Jaquez malgrado in generale si accusa di difetto originario di aci- dità, pure nelle nostre contrade non si avrebbe il diritto di muovergli tale accusa, risultando realmente più acido dei nostri vini e quindi sotto tale aspetto pare trovarsi in condizioni più favorevoli, essendo noto che un buon vino deve contenere un’ acidità oscillante fra gr. 6 e gr. 7 per litro (1).

(1) Questi dati non possono certamente ritenersi come assoluti. Bisogna quindi aspettare che 0 vitigno Jaquez arrivi all’età di circa 10 anni, per potere stabilire confronti definitivi, Atti Acc. Voi. 1 , Serie 4*

24

184

Il vino Jaquez in rapporto coi nostri vini

Ora è noto come l’ acidità totale nel vino ha una importanza non indifferente, attesocchè a questo si deve in buona parte la facoltà sol- vente dell’ enocianina ed in buona parte la formazione degli eteri, in- fatti è noto come i nostri vini rossi per tale difetto facilmente abban- donano la materia colorante, precipitandosi e scolorandosi il vino, fatto che accade rapidamente, specialmente in contatto della luce ed in con- tatto dell’ aria.

Avendo esposto bottiglie di vino Jaquez ed altre di vino Nerello piene alcune, ed altre smezzate , alla luce diffusa , ho constatato, come nelle une e nelle altre, precipitavasi la materia colorante, ma relativa- mente poco nel vino Jaquez, molto nei nostri vini.

Tutto sommato adunque; il vino Jaquez sotto tale aspetto, si tro- va in condizioni migliori dei nostri vini.

La differenza nella determinazione di acidità nel vino naturale e dopo 1’ ebullizione, relativamente è piccola nel vino Jaquez, significante nel vino Nerello, ma se si guarda alla media alcoolica, credo che tale differenza si deve alla maggiore quantità di alcole contenuta nel vino Nerello, per cui sciogliendo maggior quantità di acido carbonico, appa- rentemente sembra più acido per acido tartarico di quanto realmente lo sia , infatti mentre nel vino naturale , quasi si uguaglia al vino Ja- quez in rapporto allo stesso, dopo 1’ ebullizione scende di gr. 0, 63, in- feriore quindi all’ acidità che dovrebbe avere un buon vino.

Riguardo al cremore tralascio le osservazioni, mancando come dissi i termini di confronto, perchè gessati i vini Nerello.

L’estratto è in quantità maggiore nel vino Jaquez, circostanza che se da un lato lo fa molto apprezzare come vino da taglio , relativa- mente al vino possiamo ritenerlo un difetto attesocchè è noto come le sostanze albuminoidi ed estrattive, in generale, sono quelle che alimen- tano le fermentazioni che inducono alterazione nel vino.

non solo riguardo all’acidità, ma per tutte le sostanze che lo compongono. Pur non dimeno dette ricerche non tralasciano di essere interessanti, malgrado la limitazione , con cui si de- vono interpetrare. È degno di nota per quanto esposi precedentente nel confronto fra il vino* Jaquez prodotto nel 1886 e quelli del 1887 coltivati nello stesso appezzamento, cioè che coll’età 1’ acidità, il cremore e 1’ estratto, aumentano, circostanza che pare doversi interpetrare com& realmente questo vitigno dia mosti più ricchi di acido tartarico.

Il vino Jaquez in rapporto coi nostri vini

185

Confronto dei vini Siciliani con quelli di Jaquez.

Fin qui ho creduto opportuno fare confronti fra i vini di Jaquez e quelli ottenuti con i metodi ordinari provenienti da uve coltivate ne- gli stessi appezzamenti; ora credo utile fare un confronto generale con vini delle contrade Siciliane, specialmente destinati al taglio.

Riassumo nel quadro seguente le analisi di confronto, che ci rap- presentano un massimo ed un minimo , ricavato fra un numero di cir- ca 150 analisi di vini quasi tutti rossi da taglio dello stesso anno di produzione 1887, di provincie e comuni diversi.

Per riuscire possibilmente, il confronto più conforme al vero, si è in massima ricavata la media dei vini analizzati da quelli non gessati.

Riguardo al cremore, acidità totale, estratto e anidride solforica, ho esclusi i vini gessati, essendo nota la influenza della gessatura su tali sostanze; non ho creduto però escluderli riguardo all’ alcole, la sudetta operazione influendo ben poco sulla quantità dello stesso.

In queste medie, malgrado sopra ogni singolo campione si siano eseguite le determinazioni dell’ alcole , acidità complessiva , cremore, e- stratto ed anidride solforica, pure nel quadro ho semplicemente segnato quella solamente, che ci rappresenta il massimo od il minimo, secondo il prodotto di ogni comune , reputando superfluo segnare tutti i dati per il presente confronto.

Per il comune di Catania e Giarre ho creduto fare una eccezione; è noto come in ognuno di detti comuni, il terreno vitato è rappresen- tato singolarmente da due zone distinte, cioè per Catania delle colline argillose dette Terre-forti e dalla pianura circoscritta da dette colline, dal Simeto e dal mare, che porta il nome di Piana di Catania , terre- no profondo, argilloso , proveniente da colmata naturale , formata dal Simeto, per il Comune di Giarre, dalla pianura che si estende alla ba- se orientale dell’Etna, fino al mare, proveniente da colmata, prodotta dai torrenti che scendono dall’ Etna e specialmente dalla valle del bue, pianura formata di terreno esclusivamente vulcanico, profondo ma com- patto , mentre una buona porzione di suolo vitato , si trova a ridosso dell’ Etna e si estende fino all’ altezza di metri 1200 sopra il livello

186

II vino Jaquez in rapporto coi nostri vini

del mare (1); per queste diverse posizioni molto dissimili che contribui- scono sulla qualità del vino, le pianure dànno quasi esclusivamente vi- ni da taglio, mentre le colline o terreforti di Catania sono addette per vini alcoolici di lusso, e le contrade montuose di Giarre dànno vini da pasto. Or se avrei promiscuamente ricavata la media , confondendo i vini di pianura con quelli di collina o montagna, ne sarebbero risultati dati molto lontani dal vero; per tali considerazioni in tali comuni , ho creduto conveniente distinguere le medie dei vini di pianura, dalle me- die di vini di collina, raggruppandoli secondo la loro provenienza.

(1) La vigna sull’Etna arriva alla seguente altezza, dal lato di mezzogiorno al disopra di Nicolosi al di di S. Nicolò V Arena , altezza sul livello del mare m. 850; Dal lato di scirocco contrada Porta palo sopra monte Ilici m. 900. Dal lato di oriente sopra Giarre, fra- zione di S. Alfio in contrada Cernita m. 1200.

»

QUADRO N. 3.

Indicante le medie dei Vini di 'pianura colle medie dei vini

di collina.

188

Il vino Jaqiiez in rapporto coi nostri vini

Provincia

Comune

Contrada

Proprietario

Catania

»

»

/ Catania

Portiere

Cerami

Piana j

Passo Martino . Fontanazza . . . Bicocca

Papale

Tenerelli

Trivella

»

Terre \

Limosina ....

Princ. Emmanuel.

»

Forti f

Bombacaro . . .

Valora

Piana * Gian’e-

1

Macchia

Badala

»

S. Leonardo. . .

B.ne Pennisi . . .

Etna |

B osella

Manfrida

S. Alfio

Oaltahiano

»

Aci-Catena . . .

Nizeti

B.ne Cantarella. .

idem

Bei tana

Basile

»

idem

Nizeti

B ue Cantarella . .

»

idem

Oliva S. Mauro.

A. Barbagallo. . .

»

Trecastagne. . .

Trigona

?

»

idem

id

?

»

idem

id

?

»

idem

Trecastagne. . .

Monastra

»

idem

Trigona

id

?

»

idem

?

Zafferana .... idem idem

FI eri

Monastra

»

S. Spina

Tlpri

Monastra

»

idem

Id

id.

»

Misterbianco . .

Annunziatella. .

Basa

»

idem

Id.

Bertuccio

»

idem

Mezzo Campo. .

Platania .

»

Leonforte .... idem

Sparlata

Terre rosse . . .

B.ne Gussio ....

»

idem

Mi stri

Taccetta

»

Viagraude. . . .

Viagrande. . . .

Perniisi Forzisi . .

»

idem

Blandano ....

Platania

»

idem

Aci-Keale ....

Monaci

Basile

»

Faggio

Romeo

»

idem

Stazione

B.ne Pennisi . . .

»

Motta

Vasadonna . . .

Mannino

»

Aci-S. Antonio .

Maceri

G. Cristaldi ....

i>

idem

Id

C. Strano

»

Pedara

Trecancelli . . .

Pulvirenti

»

idem

Serricciola. . . .

id.

»

Mascalucia . . .

Mascalucia . . .

Avv. Consoli . . .

»

idem

Ombra

Dott. Consoli . . .

»

idem

Soccorso

id.

»

idem

Umbria

Nicosia. .......

Messina

Milazzo

Fontanelle. . . .

C. Piolo

»

idem

S. Dorotea . . .

D’Amico

»

idem

Catanzaro

idem

idem

Tnrrert.a

B Bioio

»

Archicatotti . . .

B. Riolo

))

idem

Fontanelle. . . .

B. Riolo

))

idem

Acquaviole . . .

G. Ladonna ....

Siracusa

Fioridia

Cavadonna . . .

Paternò del Grado

»

idem

id

id.

»

Siracusa

Cretaro

Avv. Nicastro . . .

»

idem

S. Ter. Longarini

Lo Magro

»

Cliiaram. ( Gulfi )

Pedalino

B. Melfi

))

idem

Id

idem

))

idem

Mortilla

Lombardo

idem

Pedalino

B. Melfi

Trapani

Alcamo

Vallone di Nucco

Catalano

))

idem

Id

idem ......

Qa

N ATUBA D K

Argilloso. . ide ide ide

Terre for . . ide

Vulcan. crasi idi

Vulcanici . idi

Calcare argilio em

Sabbio -calcar*

Il vino Jaquez in rapporto coi nostri vini

189

Y

’o "j

1 ■'3J

-

MASSDIO

MINIMO

Osservazioni

| litro Cremore

Estratto

Anidride

solforica

Alcoole

Acidità totale per litro I

Cremore

Estratto

Anidride

solforica

11.9

' \

>9

37.0

0. 5218

..

4. 96

1.16

29. 8

1.30

..

0. 2060

)| !

2. 20

27.0

0.5218

5. 78

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!5

15.34

..

1. 23

25. 6

0. 2472

I

12. 8

6. 31

32. 4

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53

41.0

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9. 03

1. 16

21. 0

0. 0892

1.57

29.81

6.57

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2. 39

,,

0. 1784

..

12.7

5. 54

1. 16

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33.8

0. 5287

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••

••

••

••

11" 2

23. 8

■1 2. 17

..

0. 4875

..

18. 8

..

4. 65

0. 2678

..

..

0. 36

1

3

0. 3844

1. 59

25. 1

2. 10

25.4

11. 7

5.44

,,

..

0. 2196

1

3 5 1 . 52

24.4

0. 3088

28.2

..

14. 30

5. 24

1. 19

..

0. 3500

..

6.22

0. 2678

8 6

10. 39

0. 79

20. 7

1. 88

33.0

0. 4944

l

0. 3020

#1

1.80

6 6 2. 68

45, 6

12. 4

6. 16

23. 0

0. 1426

74 ..

..

37.4

..

46.8

13.9

6. 50

)

5 9 1.88

26.4

0 5834

14. 73

5.76

1.49

25.4

0.5218

)

7 4 1.95

31.6

..

11. 64

5.50

1. 45

26. 2

7 1 1. 55

..

0. 1578

11.5

24.0

..

26.6

5. 84

1. 45

0. 1578

0. 58

7 1

22. 6

1. 16

..

27.5

12.2

5.03

..

,,

18. 5

92

1.81

30.6

0. 1098

1

..

0 3638

11. 1

. ,

ì

5. 17

,,

7.4 2. 40

••

0. 50

28."o

0. 3568

1 "

40.4

0. 4806

15.3

6.18

1.88

1

,,

0.5560

tl

2. 17

2. 32

11.7

0. 1098

1.81

34.4

0. 5287

t|

» »

13.2

5.1

1. 16

19.6

4. 22

tl

0. 1098

24,2

6. 12

0. 94

64 1.37

..

13.7

••

••

19.4

190

II vino Jaquez in rapporto coi nostri vini

Dopo avere esposto nel presente quadro le oscillazioni massime e minime , che nei loro principali costituenti subiscono i vini di detti co- muni, possiamo averne una media approssimativa , che confrontata con i vini Jaquez, ci darà un’ idea del rapporto di questi , in confronto ai vini dei nostri vitigni.

Quadro N. 4.

vi

O

H o

Eh O

w © C

Provincia

Comune

O

H

hi

§ a

Eh £ A

A A

o a

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H 3

g o ^

Osservazioni

O

o

<

Acidità

per

« A

« £ o

2 A

CO (1,

H

g

**3 M Ph

o

co

Catania . .

Aci- Catena . . .

13.6

7.09

1.77

33.2

0. 3535

I presenti vini della

Trecastagne . .

12. 15

6. 13

1.26

21.3

0. 3776

Provincia di Cata- nia, Messina e Si-

Zaffetana ....

12.6

6. 18

1,84

25. 25

0. 3020

racusa, sono tutti rossi ed in massi- ma parte da taglio.

Misterbianco . .

14. 65

5. 79

1.35

26. 3

0. 3294

Leonforte ....

11,64

6. 34

1.33

26. 85

0. 3811

Viagrande. . , .

13. 15

6. 51

2. 24

34.3

0. 2223

Aci-Reale ....

14. 2

6. 82

42. 1

Motta

15. 19

5.88

1.68

25. 9

0. 5526

Aci-S. Antonio .

12.37

6.37

1.70

28.9

Pedara

11.75

6. 72

1.50

25. 3

0. 1578

Mascalucia . . .

13. 95

6. 22

0. 87

25. 55

Piana J Catania

12.02

5.77

1.23

33.4

0. 3639

Terre \ n .

forti / Catama

15.77

6.01

1. 71

26.3

0. 3845

Piana ! Giarre.

13. 8

6.47

'

36.7

Etna j Giarre.

11.6

7.09

1.36

25.40

Messina . .

Milazzo

12. 15

7. 44

1. 15

24. 55

0. 2368

Tutti questi vini,

Siracusa . .

Fioridia

15. 65

6. 76

2. 14

34 2

0. 4187

sono da taglio.

Siracusa

12. 25

2. 24

0. 3329

Chiaramente . .

14. 35

5. 09

1.98

27. 0

0. 3192

Trapani . .

Alcamo

13. 90

6. 29

1.15

21. 8

I vini della provin-

eia di Trapani, so- no tutti bianchi.

Media

analitica del vino Jaquez

Catania . .

Acireale

11. 71

6. 92

1. 17

48.15

0. 277

Il vino Jaquez in rapporto coi nostri vini

191

Dal quadro precedente si osserva come riguardo alla quantità di alcole, il vino Jaquez uguaglia i vini detti delle mezze montagne , ma è alquanto meno dei vini prodotti negli stessi appezzamenti, come scri- verò a suo luogo. L’ acidità in media, supera quella dei nostri vini. Il cremore può ritenersi pressappoco nelle stesse quantità.

L’ estratto nel vino Jaquez è di molto superiore ai nostri vini , che se è un vantaggio considerandolo come vino da taglio, è un gra- ve difetto considerandolo enotecnicamente, per cui mi pare potersi pre- vedere che la fabbricazione di detto vino richiede cure speciali per im- pedire 1’ acetificarsi, fatto che ho potuto constatare , per la facilità co- me questo vino viene ad essere aggredito dal micoderma vini (fatto d’altronde comune ai vini deboli), ma specialmente dal micoderma aceti.

Insomma la differenza in più del peso di estratto nel vino Jaquez, non è esclusivamente con i vini provenienti da uve degli stessi appez- zamenti, come a suo luogo feci rilevare, ma fin anco in confronto dei vìdì Siciliani.

Vino con aggiunzione di acido tartarico.

La presente ricerca fu eseguita, facendo fermentare nelle stesse ed ordinarie condizioni della precedente, aggiungendo prima della fermen- tazione grammo uno di acido tartarico per litro , rimescolando bene la massa.

E noto come nel Jaquez, si lamenta in generale, la poca quantità di acido tartarico, per cui il colore del vino riesce losco alquanto.

Ora malgrado, come ho dimostrato , nelle nostre contrade il vino Jaquez riesce più ricco di tale acido che i vini nostrali , pure ho vo- luto eseguire tale esperimento, per conoscere la influenza che rag-giun- zione di quest’ acido vi esercita.

L’ annesso quadro i risultati analitici del vino Jaquez naturale, in confronto di quello trattato con acido tartarico.

Atti Acc. Voi. I, Serie 4a

25

192

Il vino Jaquez in rapporto coi nostri vini

Qa

Analisi comparativa di vini Jaquez preparati con et<>

Pro-

vincia

Comune

Contrada

Proprietario

Natura

del

suolo

Nome

del

vitigno

Età

del

vitigno

ATA

del, ai

Catania

Acireale

Stazione

Barone Perniisi

Vulcanico

Jaquez

naturale

3 anni

Mafjo 1

»

))

))

))

id. con Acido tartarico

))

»

))

Faggio

Romeo, Gregorio

))

Jaquez

naturale

»

»

»

»

»

»

id. con Acido tartarico

■>

Dal quadro si rileva , come 1’ esperienze sono state ripetute per due volte , la prima relativamente all’ ingrande sopra circa 50 lit di vino, la seconda sopra pochi litri, ma con uva di una contrada dh.’sa

Riguardo all’ alcole non c’ è da fare osservazione , essendoci. eg- giere oscillazioni fra 1’ una determinazione e 1’ altra.

Riguardo all’ acidità si vede, come per 1’ aggiunzione di acidcfcar- tarico questa è aumentata circa grammo 1 per litro e se si fa men- zione alla determinazione nel vino dopo l’ ebullizione , si scorge mie coll’ aggiunzione di acido tartarico, si raggiunge la cifra di aciditàim- messa in media nei vini, mentre nel vino naturale appena vi arrili.

Riguardo al cremore si osserva , come nei vini trattati con siilo tartarico , questo sensibilmente aumenta in un caso gr. 0, 25 , i un altro gr. 0, 12.

Il Professore Comboni (1) ed il professore Carpenè , avevan os-

(1) Degli effetti che produce 1’ aggiunta di acido tartarico al vino. Rivista di Viti ed Enologia italiana Serie II. Anno IX 1885 pag. 129 e 161.

ltura

i

Il vino Jaqnes in rapporto coi nostri vini

193

5, |'

•un e preparati con aggiunzione di acido tartarico.

! OR) DEL VINO

Intensità colorante determinata con il colorimetro Salleron

Alc

O

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13

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Acidità

per

02 c ^

•2 S

totale

litro

13

C

0

P< N

0 ^

0 M

13

Cremore per litro

Estratto per litro

Anidride solforica

PER LITRO

Peso specifico

DEL VINO

o, c o violaceo

violetto rosso 40

10.9

11.2

0. 9852

7.75

6. 13

1. 30

69.6

0. 7060

1. 0021

), vi ìtto intenso

violetto rosso 32

10. 6

10. 8

0. 9852

9. 35

7.88

1 . 55

36. 6

0. 7965

1.0024

o co violaceo

rosso 26

13.4

13. 77

0. 9814

6.83

5. 47

1.23

37.0

0.3158

0. 9981

i ossc /ioletto

rosso violetto 45

13.9

14.0

0. 9803

7.38

6.39

1.35

32.2

0. 3639

0. 9973

'.rv;o precipitazioni anormali di cremore, provocate da aggiunzione di cid tartarico nella soluzione di enocianina commerciale e nel vino , i’ ai il Prof. Comboni veniva alle seguenti conclusioni.

1. L’ acido tartarico trasforma tutti i sali di potassio , che non oncj tartrati in tartrato acido di potassio, il quale si separa precipi- tine per la sua poca solubilità ; la stessa sorte subiscono i sali di ale e magnesio.

2. L’ aggiunta di acido tartarico al vino determina precipitazione U1 dmore e di tartrati terrosi a spese degli ossidi corrispondenti che jeì ino sono combinati con acidi diversi dal tartarico.

à queste conclusioni mi pare potersi fare risalire la causa di au- 1110111 di maggiore quantità di cremore nel vino trattato con acido nirtdeo, è vero che il Prof. Comboni riporta analisi di vini, nei quali 1 è Sterminato il cremore prima e dopo 1’ aggiunzione di acido tarta- 1 i^o. dalle quali non si rileva chiaramente lo aumento nel cremore in ;du one nel vino, ma forse potrebbe benissimo darsi questo fatto, di-

194

II vino Jaquez in rapporto coi nostri vini

penda piuttosto della qualità e condizioni in cui si trovava il vino su cui si sperimentava , infatti la esperienza fu fatta sopra vini , mentre nel presente caso fu eseguita sopra mosti prima della fermentazione , circostanza che potrebbe molto agevolare la soluzione della neoforma- zione di cremore e v’influirebbe molto la temperatura, infatti dice come la cristallizzazione del cremore dopo aggiunzioni di acido tartarico av- viene, per 1’ enocianina a qualunque epoca dell’ anno, mentre per i vini le condizioni più opportune sono alla temperatura media di + ; co- sicché d’estate occorre il raffreddamento artificiale' per ottenere la cristal- lizzazione, mentre d’ inverno basta la semplice esposizione all’ombra-, per alcuni tipi di vino come il Raboso, e per 1’ enocianina ancora, il feno- meno può aver luogo anche negli ordinari ambienti ove la temperatura non è mai inferiore a + 12°, e può salire a + 17° (1).

Nelle condizioni climateriche dove ci troviamo adunque pare , che realmente coll’ aggiunzione di acido tartarico nei vini una certa quan- tità di cremore formatosi deve restare disciolto nel vino istesso per la semplice azione della temperatura , fatto che spiega il motivo per cui bisogna in estate raffreddare il vino, per ottenere la precipitazione del cremore, attesocchè il cremore formatosi per aggiunzione di acido tarta- rico, deve necessariamente trovarsi in soluzione.

Questi fatti certo hanno importanza enotecnicamente e forse a que- ste condizioni si deve , oltre la maggiore quantità di alcole, la causa per cui i vini dell’ alto continente in massima, contengono più cremore dei vini meridionali , specialmente siciliani. I vini dell’ alto continente contengono più acido tartarico libero, quelli meridionali assai meno, per* cui si avrebbe continua formazione di cremore nei primi, del quale porzione precipita e porzione resta in soluzione , che vi si mantiene perchè relativamente V alcole è in minore quantità. A queste cause cre- do attribuire la maggiore quantità di cremore nel vino Jaquez, trattato con acido tartarico, infatti mi sono accorto , come avendo eseguite fer- mentazioni in vasi di vetro , coll’ aggiunzione di acido tartarico si for- mava abbondante precipitato di cremore, decisamente in forma di pol-

(1) Opera citata pag. 162.

Il vino Jaquez in rapporto coi nostri vini

195

vere cristallina, fatto che non accadeva in esperienze normali e di con- trollo.

Riguardo 1’ estratto secco risulta, che i vini trattati con acido tar- tarico, contengono estratto assai meno dei vini naturali, raggiungendo la rilevante cifra in meno, in un caso di gr. 33,0 e gr. 4,8 per litro in un altro caso, cifra rilevante, specialmente considerando essere in massima parte sostanze albuminoidi coagulate , in altri termini la coa- gulazione e precipitazione di dette sostanze, essendo un benefizio che si apporta al vino, l’ aggiunzione di acido tartarico, anche che tale modifi- cazione solamente vi apporterebbe, è raccomandabile quando il bisogno lo richiederebbe.

L’ anidride solforica è leggermente aumentata nei vini trattati con acido tartarico, pare quindi che tale aumento provenga addirittura da impurità di acido solforico che trovasi nell’ acido tartarico.

Proprietà organolettiche.

I nostri vini di Nerello, godono la proprietà di possedere un sa- pore neutro. Il peso dell’estratto ed il volume dell’ alcole è piuttosto ele- vato. Il loro colore è intenso ; proprietà tutte che li rendono atti al taglio.

I vini Jaquez non solo possedono quasi tutte le stesse proprietà, ma riguardo al colore, sono di molto superiori.

La intensità colorante dei vini Nerello, è ben difficile determinar- la, per la difficoltà di avere una soluzione titolata di confronto, quindi hon si può adoperare il colorimetro Duboscq I vini suddetti oltre l’enocianina tengono disciolta una materia colorante gialla per cui la intensità colorante tende al ranciato ; per la stessa ragione il vino-co- lorimetro Salleron, non raggiunge completamente lo scopo (1).

(1) Raramente s’ incontrano vini nerello con colore violetto, malgrado coltivate in contra- de poco distanti dalle prime; fatto che anche è dipendente dalle circostanze climateriche.

I vini da taglio della provincia di Siracusa, comune di Comiso, Vittoria, Pachino ecc. pro- venienti dal vitigno Frappato e quelli della provincia di Messina , comune di Milazzo prove- nienti dal vitigno Nocera si trovano frequentemente di colore rosso violetto che il commercio conosce sotto -il nome di vini con schiuma rossa, vini che sono più rari in provincia di Cata- nia, comune Riposto, Mascali, Giarre, Aci-Reale ecc.

196

Il vino Jaquez in rapporto coi nostri vini

Per evitare tali inconvenienti ho aggiunto ogni 10 c.c. di vino qual- che goccia di acido solforico monoidrato , così ho portato 1’ acidità to- tale a 20 grammi per litro, calcolata come acido tartarico; tale aggiun- zione è necessaria, per averne un vino di acidità costante in ogni caso, essendo noto che quando più i vini sono acidi, altrettanto sembrano me- no colorati, fatto che si rileva financo nei vini gessati i quali per ta- le operazione aumentando generalmente di titolo acidimetrico, acquistano l’ aspetto di essere meno coloriti dei non gessati (1).

L’ aggiunzione di acido solforico, modifica in certo qual modo Fin- conveniente del colore ranciato, che volge alquanto più al violetto, ma non raggiunge perfettamente lo scopo, pur non dimeno possono eseguir- si i confronti.

Il colorimetro adottato, è stato il vino-colorimetro Salleron. Se si confronta la intensità colorante dei vini nostrali con quelli di Jaquez (Vedi Quadro 1. Analisi chimica dei mosti e vini di Jaquez comparati ai mosti e vini di vitigni indigeni) si rileva, come il Jaquez raggiun- ge un massimo di violetto rosso 22 ed un minimo di rosso 26 (2) mentre i vini Nerello appena oscillano fra un minimo di rosso 384 ed un massimo di rosso 171. In altri termini abbiamo, che fra il massimo del Nerello ed il massimo del Jaquez, quest’ ultimo è colora- to, in cifra rotonda, cinque volte di più e fra il massimo del Nerello ed il minimo del Jaquez, quest’ ultimo è colorato tre volte in più.

Passando ora alla colorazione dei vini trattati con acido tartarico, si rileva come nel primo caso dei vini del Sig. B.ne Perniisi, vi è po- ca o nessuna differenza del secondo, quello naturale lo troviamo di co- lore rosso, che ci rappresenta il termine minimo di colorazione per i vini Jaquez, mentre in quello trattato con acido tartarico, non solo si è sviluppato il colore violetto, ma contemporaneamente la intensità co- lorante è aumentata di qualche grado.

(1) Questo fatto prova la insussistenza di quanto asseriscono quelli clie gessano , cioè 1’ aumento di colore con la gessatura ; qualche volta la gessatura influisce a fare piuttosto sviluppare il colore violetto, ma la intensità colorante è sempre minore, ma più brillante.

(2) Da questi dati si sono esclusi il vino Jaquez proveniente da viti di primo anno di pro- duzione e 1’ altro proveniente da Comiso, perchè acidificato e la materia colorante si è preci- pitata.

Il vino Jaquez in rapporto coi nostri vini

197

Quest’ azione apparentemente differente nelle due esperienze, quasi nulla nella prima, e molto spiccata nella seconda, pare che lascerebbe sospettare come incerta l’ azione dell’ acido tartarico sullo sviluppo della materia colorante, ma questo fatto dipende solamente, che il mosto della la esperienza conteneva acidità gr. 10, 16 ed il vino risultatone gram- mi 7, 75, mentre quello del Sig. Romeo impiegato nella seconda espe- rienza segnava solo gr. 8, 25 il mosto, e gr. 6, 83 il vino, per cui 1’ aggiunzione dell’ acido tartarico nel primo caso fu quasi di effetto ne- gativo sulla materia colorante, perchè il vino naturalmente ricco di aci- dità, nel secondo di effetto decisamente favorevole, sullo sviluppo d’ in- tensità della stessa (1).

In ogni caso però fu di grande utilità , perchè nel primo giovò moltissimo alla precipitazione delle sostanze albuminoidi, e nel secondo non solo alla limitata precipitazione delle sostanze albuminoidi, ma ben anco ad aumentare le sostanze coloranti.

E ancora degno di osservazione, come al colorimetro si rileva la materia colorante gialla nel vino Jaquez naturale Romeo , mentre non esiste in quello con aggiunzione di acido tartarico ed in quello naturale e con acido tartarico del Sig. Perniisi, così pare che realmente 1’ acido tartarico abbondante è quello, che impedisce la formazione di detta ma- teria colorante.

Mi è stato dato pure osservare , come il vino naturale di Jaquez, in bottiglie dimezzate, acquista presto 1’ odore ed in qualche modo ac- cenna al sapore dei vini di Marsala, gusto comune che acquistano anche i nostri vini comuni dopo qualche anno o lasciati in bottiglie dimezzate mentre i vini con acido tartarico aggiunto, messi in identiche condizio- ni, non solo non acquistano, ma conservano più facilmente quel sapore fresco di vino nuovo e sviluppano un profumo ben differente dei primi.

Il vino naturale facilmente volge all’ aceto e vi si sviluppa la fio- retta, 1’ altro con acido tartarico resiste più facilmente.

In massima dunque l’aggiunzione di acido tartarico al mosto Ja-

(1) Questo fatto proverebbe come F aggiunzione di acido tartarico nel mosto Jaquez, non può affermarsi in senso assoluto, ma relativamente alla quantità dello stesso contenuto nel mosto.

198

Il vino Jaquez in rapporto coi nostri vini

quez pare sia raccomandabile, specialmente quando è deficiente, quando le sostanze albuminoidi siano troppo eccessive e quando si vuole au- mentare la materia colorante, rendendo il vino di aspetto più brillante, attesocchè l’ esperienze con acido tartarico , nell’ un caso e nell’ altro , quantunque assai meno nel primo , hanno fatto aumentare il colorito vivo brillante.

L’aggiunzione dell’ acido tartarico non produce una spesa troppo grave, attesocchè il suo valore medio è di L. 5, 00 ogni chilogrammo; aggiungendone gr. 1 per litro basterebbe per 10 ettolitri quindi una spesa di cent. 50 ad El. (1).

Resterebbe a dirsi qualche cosa sopra la degustazione di detti vini Jaquez.

Potrei assicurare di avere incontrato in massima favorevole acco- glienza, presso i produttori di vino da taglio, ma essendo stato spedito dal proprietario Sig. B.ne Perniisi di Fioristella, sia il vino naturale co- me quello con acido tartarico, alla società generale dei Viticultari Ita- liani in Roma , credo utile riportarne il giudizio datone con lettera del 29 Febbraio 1888 N. 4094.

Jaquez naturale coloratissimo e di gran corpo , gran stoffa per vino da taglio, ma si sente odore di muffa, infine ha un amarognolo poco gradevole.

Jaquez tartarizzato con un grammo per litro gran stoffa come sopra, non ha profumo disgradevole, però si sente leggermente il foxé dell’ uva americana, infine lascia un leggiero sapore amarognolo.

I vini sono ancora troppo giovani per darne un giudizio defìni- tivo, miglioreranno sicuro in avvenire perdendo un po’ il carattere del- V uva americana.

Il tipo potrà convenire principalmente tagliandolo come vino appena fatto con altri vini deboli e di poco sapore.

Con tutta osservanza

Il Segretario Generale G. B. Cerletti

(1) L’ acido tartarico si deve aggiungere in polvere , prima della fermentazione e poi rimescolare il mosto.

Il vino Jaquez in rapporto coi nostri vini

199

Dalla trascritta lettera si rileva come i difetti trovati nel vino Ja- quez naturale , sono assolutamente estranei al vino istesso , ma dovute sia alle bottiglie malamente lavate, sia ai tappi ecc. , infatti prelevan- do il saggio della massa non si avvertono affatto.

Il leggero foxé (volpino) , che si avverte nel vino trattato con a-

cido tartarico , credo che in parte si deve a quest’ aggiunzione , atte-

soché agendo sulla formazione degli eteri e sulla materia colorante della buccia, ha fatto sviluppare leggermente il sapore caratteristico di

uva americana , ma è d’ avvertire che detto sapore è pochissimo ap-

prezzabile, in modo che un gusto delicato solamente può avvertirlo, per cui si può ritenere di sapore quasi neutro , che nel vino non tartariz- zato è appena apprezzevole.

Conchiudendo adunque dall’ assieme mi pare potersi dedurre come la vinificazione dell’uva Jaquez, malgrado le cure ed i miglioramenti speciali che potrebbero introducisi, pure mi pare potersi dire riuscita e che nell’ assieme la produzione vinifera di questo vitigno può avere un grande interesse ed un avvenire nella produzione dei vini da taglio della Sicilia.

Laboratorio chimico delia R. Scuola Enologica Catania 2 Agosto 1888.

Usarne batterio scotico dell’ acqua minerale di Paterno

Memoria

del D.r SALVATORE ARAMS.

Lo studio delle acque minerali ha preso oramai uu grandissimo svi- luppo e le applicazioni terapeutiche delle stesse sono tanto generalizzate, in rapporto alle proprietà chimiche, che si vanno scoprendo nella esatta analisi di esse.

La nostra Isola e la nostra provincia in particolare , posta sopra un terreno vulcanico in piena attività, è ricca di sorgenti di acque mi- nerali importantissime e che dovrebbero esser maggiormente usate per- chè non inferiori, sia a quelle che rinvengonsi nel continente Italiano , sia a quelle delle altre parti della terra.

Però la loro composizione chimica e quindi le possibili ed utili loro applicazioni alla cura delle diverse malattie, non sono conosciute che da poco tempo e precisamente sin da quando 1’ egregio Prof. Silvestri ne eseguì le accurate analisi , svelando proprietà sin’ allora sconosciute e rinvenendovi sostanze mai da alcuno intravedute e tali da renderle su- periori alle acque estere rese già famose per le prodigiose cure e che ci vengono perfino imbottigliate per 1’ uso terapeutico.

Una di tali acque è quella che scaturisce in più sorgenti in uno spazio relativamente limitato nella vicina Città di Paterno.

Come risulta dal lavoro dello stesso Prof. Silvestri, pubblicato negli Atti di questa Accademia nel 1882, sebbene essa godesse già una certa fama sin da tempi antichissimi, quando le deduzioni scientifiche non erano basate che sui fatti empirici grossolanamente osservati dai medici pratici, non essendo ancora la chimica sviluppata in scienza e quindi in istato di fornire dati positivi , pure la sua composizione non era esattamente conosciuta.

E sebbene molti autori siciliani delle varie epoche si sieno intrat- tenute sulle proprietà dell’ acqua di Paterno , sotto il nome di acqua

Atti Acc. Voi. I, Serie 4* 26

202

Esame battcrioscopico dell’acqua minerale di Paterno

grassa o acqua del fonte Maimonide, non uno ebbe mai la felice idea di studiare con esattezza le proprietà di essa, potè quindi ricevere quelle applicazioni dettate dalla scienza e per le quali potrebbe riuscire preziosa.

Oggi stesso, trasportata in Catania e messa in vendita in tutti gli spacci di acqua, viene bevuta solo come una bevanda acidula e gassosa di gusto piuttosto piacevole , anziché a scopo curativo. di questo possiamo darne colpa ai medici , poiché spesso un rimedio , perchè di facile acquisto e perchè non circondato dal mistero di una preparazione lunga e più o meno segreta non sa guadagnare la fiducia dell’ am- malato.

È ben vero però che l’ acqua di Paterno, come viene raccolta, tra- sportata e spacciata in Catania, non conserva che pochissime delle sue principali proprietà , come potè constatare il Prof. Silvestri e come ri- sulta anche da queste ricerche batterioscopiche da me eseguite.

I campioni di acqua da me analizzata non furono raccolti nella sorgente pubblica, quella che trovasi, cioè , nel piano della Salinella e nella quale per la grande affluenza di persone che vanno a bevere 1’ ac- qua e che spremendovi del limone, per produrre una effervescenza più sensibile, ne buttano le bucce nella fonte medesima, ho creduto dovesse trovarsi carica di un numero maggiore di batterii.

Mi sono servito invece di campioni di acqua raccolti nella sorgente che sgorga in mezzo del giardino attiguo allo stesso piano della Sali- nella, di proprietà del Prof. S. Tomaselli, a circa 200 metri dalla pri- ma e ad un livello superiore di circa 15 metri.

Essa sgorga nel mezzo del giardino coltivato ad agrumi formando un leggero abbassamento del terreno che finisce in una specie di vasca rettangolare di circa m. 1 con m. 1,50. Ad est, in vicinanza al lato co- struito in muratura vedesi sviluppare una forte effervescenza con grosse bolle gassose che vengono alla superficie e formano sull’acqua, a tempo sereno, uno strato di acido carbonico, facilmente riconoscibile coll’avvi- cinarvi un solfanello acceso , il quale si spegne a circa 6-8 cm. dalla superficie dell’ acqua.

La composizione chimica dell’ acqua di questa sorgente quale fu

Esame batterioscopico dell' acqua minerale di Paterno

203

determinata dal Prof. Silvestri non differisce gran fatto da quella delle altre ed è la seguente :

Anidride carbonica libera

grammi 2,0780

Ossigeno

: n

0,0012

Azoto

n

0,0031

Bicarbonato di Sodio

n

0,8933

Bicarbonato di Potassio

ri

0,0230

Bicarbonato di Magnesio

3?

0,5240

Bicarbonato di Calcio

33

0,4805

Bicarbonato di Stronzio

33

tracce

Carbonato Ferroso. :

33

0,0436

Carbonato Manganoso

33

tracce

Solfato di Sodio

33

0,0585

Fosfato di Sodio

33

0,0063

Cloruro di Sodio

33

0,1158

Allumina

33

0,0045

Anidride Silicica

ri

0,1170

Materia organica

33

tracce.

L’acqua da me esaminata fu raccolta il 21

marzo

con una tem-

peratura ambiente di 19°, mentre quella dell’acqua marcava 18°, 2, in recipiente perfettamente sterilizzato, avendo cura di prenderla verso la parte ove maggiore notavasi l’ effervescenza e quindi il più vicino pos- sibile al punto di sgorgo.

Trasportata subito in laboratorio ne innestai cinque tubi di gela- tina nutritiva con 1 c. c. ciascuna che spalmai quindi in lastre di vetro sterilizzato e posto in camera umida, curando di preparare contempora- neamente una lastra di prova con sola gelatina e così la lasciai alla temperatura ordinaria di circa 17° osservando ogni giorno lo sviluppo delle colonie dei microrganismi contenuti.

La stessa operazione praticai col medesimo campione i giorni suc- cessivi preparando ogni giorno cinque lastre per poter studiare la pro- porzione con la quale si moltiplicavano i microrganismi in seno del- 1’ acqua.

204

Esame batìerioscopico dell’acqua minerale di Paterno

Ecco quanto risultò da queste osservazioni.

1. Innesto, 22 Marzo.

La gelatina non presentò sviluppo di colonie per i primi quattro giorni, mantenendosi intatte nelle lastre innestate, come in quella di prova.

Al quinto giorno le portai fuori della camera umida e potei con- tare :

nella la lastra

. 3

colonie

(nessuna fondente).

Oa

77 " 77 '

. 1

n

55 55

OH

n ° »

. 3

n

55 55

A a

77 ^ 77

. 2

T)

55 55

77 ° 77 '

. 4

»

(una sola fondente).

Al sesto giorno:

Nella la lastra * .

. 3

colonie

(nessuna fondente)

Oa

11 ^ 11 *

. 3

r)

55 55

qa

77 ° 77 '

. 5

»

(una fondente)

4_a

77 77

. 8

(due fondenti)

11 ° 11

. 10

T)

(due fondenti).

Al settimo giorno:

Nella la lastra

. ^ 4

oolonie

(nessuna fondente)

oa

77 ù 11 '

. 5

V)

(una fondente)

Da

77 ° 77 *

. 7

??

(una fondente)

A a

77 ^ 77 *

. 10

n

(due fondenti)

Ka

77 ° 11 *

w

. 15

55

(quattro fondenti).

All’ottavo giorno :

Nella la lastra . .

. 5

colonie

(una fondente)

O a

77 " 77 *

5

»

(una fondente)

3a . .

. 8

55

(una fondente)

4a

77 ^ 77 '

. 15

55

(tre fondenti)

11 ° il *

. 20

55

(quattro fondenti).

Innesto fatto quattro

giorni

dopo raccolta V acqua Essa con

tiene ancora una forte dose di acido carbonico libero in soluzione, per- chè tenuta strettamente chiusa con forte tappo di sughero.

Le lastre di gelatina per i primi 2 giorni si conservano intatte , senza mostrare lo sviluppo di alcuna colonia del pari che la lastra di prova; al terzo giorno si osserva inizio d’ una colonia nella prima e nella terza lastra.

Esame balterioscojjico dell’acqua minerale di Paterno

205

Al quarto giorno : Nella la lastra

2a

3a

4a

5a

3 colonie (nessuna fondente)

1 (nessuna fondente)

2 (nessuna fondente)

nessuna colonia

2 colonie (nessuna fondente).

Come pel primo innesto anche pel secondo, nei giorni successivi lo

aumento si mostra minimo, tralascio quindi di notare le osservazioni gior- naliere e mi limiterò a notare che all’ottavo giorno dall’innesto si pote- vano appena contare :

nella prima seconda terza quarta quinta

lastra

»

T)

r)

7 colonie (2 fondenti)

6 (2 fondenti)

4 (1 fondente)

6 (2 fondenti)

6 (2 fondenti)

sulla gelatina di prova si era intanto sviluppata una colonia di muffa non fondente.

Nello stesso tempo intrapresi un’altra serie di esperienze per po- ter constatare la differenza che presentava, sotto l’ aspetto batteriosco- pico l’ acqua raccolta in recipiente sterilizzato, come quello di cui sopra è parola, e l’acqua raccolta nei recipienti non sterilizzati, ma solo la- vati ripetutamente con acqua ordinaria.

Di questo secondo campione feci cinque lastre-culture, contempora- neamente alla prima delle superiori e dopo 48 ore cominciò a vedersi 1’ inizio di sviluppo di parecchie colonie, che non contai subito per non esporre la lastra all’aria e per aspettare se ne sviluppassero altre nei giorni successivi Al quarto giorno però vedendo abbastanza svilup-

pate quelle che si erano

formate

e non scorgendo negli intervalli altri

nuovi punti passai alla loro numerazione :

la prima lastra

portava

27 colonie

la seconda

35

la terza

x>

31

la quarta

T)

25

la quinta

'il

28

In media dunque si

aveva 29 colonie di microrganismi per c. e.

206

Esame ha tterioscopico dell' acqua minerale di Paterno

Rifeci ancora, l’ innesto dell’ acqua presa in recipienti non steriliz- zati il 31 Marzo, Yale a dire 10 giorni dopo raccolta ed ebbi i risul- tati seguenti dalla numeraria della colonie:

prima

lastra

857

colonie

seconda

77

884

77

terza

n

730

77

quarta

77

810

77

quinta

77

790

77

In media 810 colonie per ogni c. c.

Tanta differenza nel numero dei microrganismi basta a provare eli’ essi vengono introdotti in essa dai recipienti stati lavati molto bene sì, ma non sterilizzati e dall’ aria che vi viene a contatto.

Ma è certamente affermato d’ altra parte che 1’ acqua minerale, quale scaturisce dalla sorgente, è priva di qualsiasi microrganismo e che qual- cuno dei pochi sviluppato, come vedremo deve esservi caduto dall’ aria nella fonte in cui essa sgorga e continuamente scorre.

Or cercando nella composizione chimica dell’ acqua medesima fra i corpi che vi abbondano e che potrebbero avere azione sullo sviluppo dei microrganismi, non vi ha che la forte dose di acido carbonico, e di carbonato ferroso, poiché tutte le altre sostanze sono contenute in tutte le acque potabili, che pur tanto numero di microrganismi contengono.

In quanto riguarda 1’ acido carbonico e la sua azione sui micror- ganismi delle acque non ho creduto necessario istituire delle esperienze dappoiché tale lavoro è già stato eseguito dall’ egregio D.r Teodoro Leone, il quale con numerosi ed adatti esperimenti ha provato che lo acido carbonico nelle acque impedisce lo sviluppo dei microrganismi, e quindi la sua presenza nell’ acqua minerale di Paterno può benissimo spiegare lo scarsissimo numero di colonie sviluppate nelle sue culture.

Tuttavia ho voluto anche sperimentare , se per caso la presenza del carbonato di ferro non avesse anche influenza sui microrganismi ed a tale scopo preparai delle lastro-culture con acqua potabile e con la stessa acqua tenuta a contatto con del carbonato di ferro.

L’ acqua sola sviluppò a capo di 48 ore 322 colonie di micror- ganismi per ogni c. c. e quella trattata con il carbonato 342.

Esame hatterioscopico dell'acqua minerale di Paterno

207

Rifatto l’ innesto nei giorni successivi degli stessi campioni che ave- vo lasciato in recipienti chiusi con tappi di ovatta, per osservare se la moltiplicazione dei microrganismi presentasse alcuna differenza nell’ una e nell’ altra , potei constatare che il loro aumento si verificava , quasi nelle medesime proporzioni, tanto nell’ acqua pura, quanto in quella con- tenente il carbonato di ferro.

Esclusa con ciò l’azione sui microrganismi delle sostanze contenute nell’ acqua esaminata rimane indubitato che solo 1’ acido carbonico con- tenutovi in tanta copia impartisce ad essa la proprietà di non lasciarsi inquinare dalla presenza di numerosi microrganismi.

Passando ora alla determinazione delle specie rinvenute nella me- desima acqua delle quattro colonie che si erano sviluppate nella lastro- cultura, dopo cinque giorni dall'' innesto, tre non fondevano la gelatina e solo uno aveva proprietà fondenti.

Le tre prime erano infatti formate da due specie di muffe, che ritengo cadute accidentalmente dall’ aria La quarta fondente era for- mata da una colonia rotonda di un colore giallo-verde fluorescente che esaminata attentamente potei determinare pel bacillo verde fondente la gelatina e corrispondente in tutto a quello descritto dal Prof. Fremont e dallo stesso trovato nella sorgente Puit-Chomel delle acque di Yichy.

E pér confermare' sempre meglio tale determinazione, misi in espe- rimento questo babillo e potei constatare le sue proprietà, di liquefare, cioè, l’albumina dell’uovo coagulata, trasformandola in peptone.

L’ acqua di Paterno, adunque, non solo in rapporto alla compo- sizione chimica, ma ben anco dal lato batterioscopico presenta grandis- sima analogia con le acque di Yichy.

Questo fatto è di importanza grandissima, poiché si sa che la dif- ferenza di composizione fra le acque delle varie sorgenti di Yichy es- sendo poco significante, non darebbe ragione della loro diversa azione terapeutica, differenza che si spiega benissimo , tenendo conto dei mi- crorganismi contenuti solo da alcune di esse e non contenute da altre.

Dalle superiori esperienze risulta dunque, che abbiamo tanto vicino a noi una sorgente di acqua minerale che può sostituire perfettamente quella di una sorgente rinomata e che noi medici siamo abituati a pre-

208

Esame batterioscopico delVacqiia minerale eli Paterno

scrivere, convinti ch’essa debba certamente perdere alcuna delle sue pro- prietà, sia nel lungo viaggio , sia nei magazzini degli spacciatori , ove spesso anche per anni stanno in deposito le bottiglie.

D’ altra parte sarebbe utile che tutti i medici sperimentassero in larga scala gli effetti terapeutici di tale acqua , raccolta con le debite cautele,, in modo che conservi tutti i suoi principii allorquando viene amministrata e ciò dico, perchè, come sopra abbiamo veduto, l’acqua a misura che perde 1’ acido carbonico da essa contenuto, si rende atta allo sviluppo di un numero considerevole di microrganismi.

Per provare poi il deterioramento che soffre 1’ acqua allorquando, raccolta senza alcuna cautela ci viene trasportata dalla sorgente, ho vo- luto sperimentare sull’ acqua che si vende in Catania nei chioschi, ove suole beversi come semplice bevanda leggermente acidula piuttosto che a scopo terapeutico.

Già. il Prof. Silvestri, eseguendone 1’ analisi chimica, aveva notato che 1’ acqua di Paterno comprata in uno di quei chioschi non conteneva più traccia di acido carbonico libero, di ferro.

Io, facendone le culture nella gelatina ho potuto assicurarmi che essa sviluppa un numero grandissimo di microrganismi (in media 1600 colonie per c. c.)

Dopo ciò non so terminare la presente nota senza augurarmi che presto si pensi a far arrivare nella nostra città dell’ acqua minerale , raccolta in recipienti sterilizzati e condizionata in modo da conservare perfettamente la sua composizione, e son sicuro che potremo ottenere, col suo uso, degli effetti terapeutici sorprendenti.

Dai Laboratorio Chimico-batterioscopico dell’ Istituto di Clinica Medica.

IL VA1V0L0 E LA VACCINAZIONE

Comunicazione preventiva del Professore PRIMO FERRARI.

Sebbene sin dalle più vetuste età siasi riposto il contagio in es- seri organizzati sospesi nell’ aria, e nell' acqua, pure questa idea venne

più specialmente fecondata , e passò nel dominio dell’ osservazione, al- lorché la combinazione delle lenti venne ad accrescere i poteri ottici

ed a fornire un mezzo più acconcio allo studio diretto di questi infimi

organismi.

Cosicché oggi s’è inaugurata una scienza, che appellasi batteriologia , e che si occupa appunto dello studio della morfologia , e biologia di questi microrganismi, che ormai 1’ osservazione microscopica , fatta spe- cialmente con potenti ingrandimenti, li ha disvelati non solo nel suolo, nell’ aria e nell’acqua, ma eziandio nelle più segrete vie dell’organismo animale , dove ora albergano siccome innocui , e tal’ altra come nocivi organismi d’onde la distinzione di loro in patogeni , e non patogeni.

Essendo pertanto il vainolo malattia eminentemente contagiosa e diffusibile, e dandosi la dolorosa circostanza che oggi affligge da molto tempo questa nobile città , ho sentito imperioso il dovere di occuparmi delle opportune ricerche sulla vera essenza , e proprietà patogena del virus che individualizza il male in discorso, sopratutto come insegnante la specialità dei morbi cutanei in questo illustre Ateneo. Anzi le mie ricerche sono state dirette pure sul virus vaccinico , affine di rilevarne meglio le sue proprietà profilattiche.

Il materiale per questi miei esami m’ è stato procurato dal mio egregio amico e collega dott. Rocco Pisano, che attualmente è il medico del Lazzaretto pei vaiuolosi.

Laonde entrando in materia stimo non inutile prima ricordare le ricerche già fatte, onde meglio appariscano le mie conclusioni.

Coze, e Feltz ’) (1866) costatarono nel sangue dei vaiuolosi dei

Atti Acc. Voi. I , Serie 4' 27

210

11 vainolo e la vaccinazione

piccolissimi batterii riuniti a corona, e più tardi (1872) ne precisarono meglio i loro caratteri , nel tempo che riscontrarono questi stessi mi- crorganismi nella linfa di una pustola non purulenta. A lato dei micro- cocchi. (0, 4 y diami) segnalarono pure dei bacilli (1, 2 y lungi)

Intanto Chauyeau 2) (1868) dimostrò la natura granulare del vi- rus vaccinico, dacché filtrato sulla porcellana perdeva ogni sua proprietà e la verità di questo fatto venne accertata in prosieguo da altri osser- vatori, come da Keber, Becham, Fede e Yernicchi.

Keber 3) (1868) trovò nel sangue dei vaiuolosi, e nella linfa delle pustole, oltre dei globuli sanguigni , dei nuclei , dei piccoli granuli , e delle cellule contenenti dei granuli simili a quelli liberi , divenuti tali per la rottura di esse. Anco Hallier, e Zurn (1872) osservarono nelle pustole vaiuolose delle pecore, delle vaccine, e degli uomini dei micror- ganismi caudati , quasi piriformi , vaganti , ed agguantisi come una trottola.

Hallier e Zurn ‘) (1868) rinvennero nelle pustole vaiuolose delle pecore, e delle vacche, come in quelle degli uomini certi microrganismi caudati, che somigliavano ad una pera, erranti, e moventisi a guisa di trottola. Respirando il liquido dove erano codesti elementi si produsse un catarro bronchiale, con escreato bianco, e nel quale stavano egualmente gli stessi microrganismi.

Baudorin 5) (1870) vide nel sangue dei vaiuolosi degli elementi mobili, oblunghi, uniti a due, a tre. Le culture fatte secondo le formule di Hallier nei tubi di Pasteur non dettero alcun resultato.

Weigert 6) (1871) costatò nelle pustole del vaiuolo dei corpuscoli piccoli, rotondi, che resistevano alla soluzione di ac. acetico, e soda cau- stica , carattere unico, allora secondo Reklinghausen per distinguere i batterii dalle altre sostanze.

Il prof. Golgi 7) (1873) oltre 1’ osservazione microscopica tentò delle culture, ed ottenne dalle colonie di granuli splendenti, molto refrangeuti la luce, e dei filamenti micelici di forma e grossezza differente. Eguali resultati ottenne pure dalle culture del sangue degli affetti da moccio , tifo, pellagra, e d’ individui sani.

Chon 8) (1872) ci ha descritto sotto il nome di micrococcus vac-

Il vainolo e la vaccinazione

211

cince elei batterli rotondi, riuniti a corona, o in piccoli ammassi, che os- servò nella linfa delle pustole vacciniche dell’uomo e degli animali, co- me pure dei simili batterli nei capillari del fegato , e dei reni dei va- iuolosi.

Zulzer 9) (1873) rinvenne gli stessi microrganismi nella capsula dei glomeruli dei reni , e nella tunica muscolare dei grossi vasi , e un poco più tardi Weigert mercè la colorazione dell’ emtosilina rilevò am- massi di batteri nelle pustole, nei capillari sanguigni del fegato, della milza, dei reni, e non sa bene se negli stessi capillari sanguigni, o lin- fatici delle glandule linfatiche.

Klebs 10) (1879) ebbe a confermare le antecedenti osservazioni nel- la linfa vaccinica, e della pustola vaiuolosa. Però nota che li vide que- sti microrganismi sotto forma sferica in ogni tessuto, tantoché propose chiamarli mìcrosj)ore. Soltanto li allevò uniti a quattro a quattro nel muco tracheale di un vaiuoloso, e nella vacca inoculata col vainolo.

Schwmmer 1!) (1880) vi rinvenne dei micrococchi tanto nella pu- stola che nel sangue.

Renault (1881) avvertì nella zona perinucleare delle cellule mal- pighiane numerosissime sferule brillanti , che provocato dall’ afflusso di liquido nelle cellule stesse queste scoppiavano, rendendo libere le dette sferule.

Raymond 12) (1882) osservò dei micrococchi nelle vescicole san- guigne di un morto per vaiuolo emorragico.

Epinger 13) (1884) vide delle cellule granulose nelle placche grige, o grigio-giallastre che si formano nella laringite vaiuolosa.

Quist 1J) (1883) dice aver coltivato del vaccino nel siero del san- gue di bove addizionato con la glicerina , ed avere ottenuto di ad 8-10 giorni una sottil pellicola formata da micrococchi, che inoculata ad un- fanciullo ebbe una pustola vaccinica. Dice però Macé , che nes- suno altro autore ha potuto confermare questo.

Cornil e Babès 1o) (1883) trovarono dei micrococchi nelle lacune del corpo mucoso delle papule vaiuolose.

Bareggi 1G) (1884) fece delle osservazioni microscopiche, e delle culture non che delle inoculazioni sul virus vaiuoloso , ed osservò dei

212

Il vainolo e la vaccinazione

micrococchi simili alla microsfera di Chon, e alla microspora di Klebs nell’ umore delle pustole, nel sangue, nei parenchimi di diversi visceri , e nelle cellule embrionarie (leucociti , cellule linfatiche delle glandule linfatiche e della milza, cellule embrionarie dello strato profondo dell’e- pidermide e degli epiteli).

Yoigt *') (1885) isola dal vaccino tre specie di micrococchi. La 'prima non liquefa la gelatina, e risulta di cocchi spesso riuniti in due, che nelle culture sulle piastre , dànno luogo a colonie grigiastre circo- lari. Innestata sulla gelatina forma una sottil pellicola alla superficie , ed un leggiero intorbidamento nel tubo. L’ inoculazione di una cultura pura conferì al vitello l’ immunità al vaiuolo. La seconda specie , che non è costante, è formata da grandi cocchi, che originano una cultura granulosa, verdastra, che liquefa la gelatina. La terza specie vista nella varicella, e che non sembra avere alcuna virtù patogena, la sua cultu- ra liquefa la gelatina.

Gtjttmanr 18) (1886) ha isolato dal pus delle pustole vaiuolose due specie di cocchi , lo stapyhlococcus piogenus aureus , ed il micrococcus cereus albus , e da quelle delle pustole della varicella il micrococcus viridis flavescens. Dice poi che Pfeiffer ha costantemente trovato nell’e- santema del vaiuolo e della vaccina un nuovo parassita del genere sporozoa (Leuckart). E un parassita unicellulare, di forma rotonda od ovale, avente in media meno di 20 , che è rivestito di un inviluppo primordiale, ha un movimento proprio a certe fasi del suo sviluppo, e percorre tutti i gradi del suo sviluppo nell’interno dell’umano organismo, o dei mammiferi dove abita. Pfeiffer però non ci pronunzia sul come agisca nel vaiuolo.

Marotta 19) (1886) avrebbe trovato nella linfa delle papulo-vescicole del vaiuolo un micrococco ( micrococco tetragono ); e nel pus delle pustole invece altri micrococchi, e per lo più il micrococcus albus , che somiglia moltissimo a quello descritto dagli altri autori come specifico del vaiuolo. Per l’ autore sarebbe specifico del vaiuolo soltanto il micrococco tetra- gono^ avendo ottenuto delle pustole tìpiche nei vitelli, con l’inoculazione delle culture sino anche alla settima generazione.

Tenholt 20) (1887) poi costatò nella linfa vaccinica una dozzina di micrococchi, due bacilli, e due del lievito di birra.

Il vainolo e la vaccinazione

213

Hlaya 21) (1887) è giunto agli stessi resultati di Guttmann.

Garré '') (1887) ha fatto delle ricerche che sembrano più conclu- denti veramente. Ha ottenuto , dalle pustole del vaccino e del vainolo un micrococco, e due bacilli. Quest’ ultimi non hanno alcuna azione sul- l’organismo. I cocchi sono piccoli, e coltivano facilmente. L’inoculazione delle culture ad un vitello dette di belle pustole , il di cui contenuto possedeva gli stessi cocchi. Però mentre sul vitello ottenne l’ immunità non fu lo stesso sull’ uomo, sebbene avesse completo sviluppo della pustola.

Finalmente Loeff 23) (1887) ha segnalato in due casi di vainolo confluente la presenza d’esseri inferiori, che considera come Amile, e Pfeiffer fra gli organismi, che ha riscontrato nella linfa vaccinica nota un lievito a cellule rotonde o elissoidi, che misurano da 1,5 p. a 4, 5 p- , a cui il nome di saccharomyces vaccinae. Inoltre vi ha riconosciu- to la Sarchia lutea , la Sarchia auriantica , ed altre Sarcine a caratteri poco netti , un bacillo in certi bastonetti, o formante delle colonie che richiamano quelle del Proteus vulgaris di Hause; il rnicrococcus piogenus aureus, e il rnicrococcus cereus albus.

Dal rapido esame, che abbiamo fatto sin qui , degli studi, e delle ricerche che dai medici con ammirabile pazienza si son fatte sin qui sulla essenza del virus vaiuoloso e vaccinico, Yoi vi sarete accorti che sin ora nessun resultato soddisfacente si è ottenuto, pure provando e riprovando m’ auguro che la verità escirà fuori , come è accaduto di tanti altri veri , che per lunga pezza stettero nascosti all’ umana cono- scenza.

Dunque appunto perchè dal provare e riprovare si può conseguire il trionfo della verità , io ho voluto fare alla mia volta delle ricerche sulla linfa vaccinica, sul pus vaiuoloso, e nel sangue dei vaiuolosi, non che nel tessuto cutaneo, sede delle pustole. Queste mie ricerche sono sem- plicemente dal lato morfologico dei microrganismi. -Da quello biologico, onde inferirne la loro patogenia specifica colla prova degli innesti non ho potuto farlo, mancandomi i necessari apparecchi per le culture. In- tanto ho creduto utile render conto a Yoi di questi miei studi, perchè penso possono sempre con le osservazioni precedenti degli altri autori

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Il vaiuolo e la vaccinazione

influire a render più chiaro il concetto almeno della profilassi del vaiuolo, mercè della vaccinazione.

Gli infermi, che mi hanno offerto il materiale d’ esame sono :

Caruso Biagio, vaiuolo discreto ; giorno d’ eruzione Muglia Giuseppe, idem Sortino Maria, vaiuolo al giorno d’eruzione Pace Giuseppe , vaiuolo confluente; giorno d’ eruzione Maugeri Provvidenza, vaiuolo confluente; giorno d’eruzione Nunzio Michele, vaiuolo discreto; giorno cl’ eruzione.

Il materiale d’esame è stato il secreto della pustola vaccinica sul vitello, di quella vaccinica sull’ uomo, della pustola vaiuolosa, del san- gue dei vaiuolosi, e del tessuto cutaneo, sede della pustola.

Le osservazioni le ho fatte con un microscopio Zeiss , adoperando l’oc. 4-o&. imm. omogenea ln/12 con l’illuminatore Abbe.

I preparati del sangue e dei secreti sono stati fatti a secco, previa sterilizzazione dei vetri coprioggetti , e portaoggetti. La sterilizzazione loro è stata con soluzione di sublimato (1 per 1000), e quindi lavati in acqua stillata allora bollita per mezz’ora. Il bistury impiegato per le in- cisioni è stato in prima reso incandescente alla lampada.

I tessuti sono stati posti nell’alcool assoluto, e poscia inclusi in parafina, dopodiché sezionati col microtomo di Malassez.

La tecnica tanto pei preparati a secco della linfa, del pus, del sangue, che dei tessuti è stata la seguente :

1. Preparati a secco. Dopo aver sterilizzato il vetrino coprioggetti ed il bistury nel modo detto, punta la vescico-papula , o la pustola, o fatta un’incisione sulla pelle, ho leggerissimamente imbrattato dello umore il vetrino su del quale l’ho fatto essiccare, passandolo dipoi due o tre volte sopra la fiaccola della lampada ad alcool. Poscia ho colorato il secreto con diverse soluzioni coloranti (di fucsina, violetto di genziana, bleu di metilene , metil violetto), e quindi di nuovo essiccato alla lam- pada l’ ho scolorato con alcool, e serrato in balsamo xilol. Per i prepa- rati del sangue ho adoperato anco le reazioni per le sostanze albu- minoidi grasse , ed albuminosi che possono i loro elementi , avendo l’ aspetto di micrococchi , far cadere in questo errore. Perciò per la reazione delle sostanze albuminoidi grasse immersi il preparato già es-

Il vainolo e la vaccinazione

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siccato per cinque minuti in un miscuglio a parti eguali di etere e cloroformio, e per le sostanze albuminoicli lo immersi nella soluzione di potassa caustica al 33 °/0, e qualche altra volta invece nella soluzione al 10 °/0 di acido acetico. Fatta questa prima reazione ho lavato il preparato in alcool , ed asciugato, ho proceduto alla colorazione.

2. Tessuto della pustola. Primo di tutto ho impiegato il reagente di Lubimow, che esso ha adoperato per la lebbra, ed è questo :

Si scioglie prima il borace nell’ acqua stillata, poi vi si aggiunge l’ alcool, e finalmente la fucsina. Le sezioni ve le ho lasciate stare per 24 ore, poi le ho lavate in una soluzione dilata di 1-5 di acido sol- forico , e ve le ho lasciate sino a che da brune son divenute gialle. Per la doppia colorazione ho adoperata la soluzione acquosa di bleu di metilene.

Ho tentato anco il metodo di Gram, e di Ehrlich, che solitamente s’impiegano per la ricerca dei microrganismi nei secreti, e nella trama

dei tessuti animali, e dalle mie preparazioni ho potuto porre in sodo,

che tanto nella linfa vaccinica, che in quella della vessico-papula, come nel pus della pustola del vaiuolo esiste il micrococco tetragono. Invece nel tessuto dell’ epidermide, e del derma, ove ha sede la pustola , non vi ho costatato alcun microrganismo.

Il micrococco tetragono si presenta sotto il campo del microscopio sotto l’aspetto di quattro micrococchi, come se avvolti in una stessa so- stanza. Questi quattro micrococchi, così riuniti, si veggono in modo as- sai scarso. Il dott. Marotta dice che questo microrganismo, che ritiene

come patogeno del vaiuolo , si coltiva molto bene nella gelatina nutri-

tiva, e nell’ agar-agar rese molto alcaline, come nel siero di bue coa- gulato, e sulle uova cotte. Non si sviluppa invece sulle patate, anco se l’ innesto proviene da una colonia artificiale di micrococchi tetragoni. Dopo le prime culture vive meglio in un mezzo poco alcalino. Del

Fucsina . ... )

Borace 1

Alcool

Acqua distillata. .

15,0 20, 0

0, 5

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Il vainolo e la vaccinazione

resto fonde assai lentamente la gelatina nutritiva, per il che occorre poco più di un mese, onde si ottenga il massimo sviluppo; è rapida in- vece nel siero del sangue coagulato alla temperatura di 37 cg. Il dott. Marotta finalmente osserva , che dalla facilità di sviluppo del micro- cocco tetragono nei mezzi alcalini si trova indicata la cura degli acidi.

Noi non ci occuperemo di studiare qui la terapìa del vaiuolo, stu- dieremo invece il vaiuolo dal lato della sua profilassi , e per ciò fare formulo gli appresso quesiti , che in un con le mie considerazioni sot- topongo alla vostra sapiente critica.

Non discuto sull’ efficacia dell’ innesto vaccinico, come mezzo pro- filattico , perocché la sua efficacia è un fatto provato dalla pubblica esperienza, per cui sia benedetta la memoria del suo inventore. Sono i modi e le ragioni su cui dobbiamo discorrere per il suo miglior uso.

Abbiamo visto uno schizomicete (; micrococco tetragono ) nella pustola vaccinica similissimo a quello che si riscontra nel vaiuolo umano. Allora vuol dire, che quello della vaccina, biologicamente parlando, non è identico a quello del vaiuolo , perchè questo non possiede la proprietà del primo di generare cioè, l’ immunità per il vaiuolo umano? La osser- vazione è perfettamente giusta. Ma quando si pensi , che uno stesso parassita, che ha precedentemente subito una cultura sopra un organismo differente, come sul vitello, per peculiari condizioni, che ancora sfuggono ai nostri mezzi di indagine, abbia potuto acquistare proprietà biologiche differenti , per uno speciale adattamento , allora la cosa rimane più facile ad intendersi. Un esempio chiarirà meglio il mio pensiero.

Il micrococco tetragono , ammesso come patogeno del vaiuolo umano, inoculato sul vitello luogo ad una vessico-pustola, il cui contenuto se viene inoculato sull’ uomo non solo produce una pustola , ma l’ organi- smo acquista temporaneamente una immunità. Ciò naturalmente è una conseguenza delle nuove proprietà biologiche incontrate dal parassita sul vitello, per cui il novello suo adattamento sull’uomo è capace di indurlo anco su i nuovi germi che vengono ad infettarla ed ecco per conseguenza l’ immunità.

Gli organismi umani non si acclimatizzano ? Che è d’ irragionevole allora che anco gli elementi del vaiuolo si acclimatizzino in un organi-

Il vainolo e la vaccinazione

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smo, ove trovano gli stessi elementi patogeni già adattati, che ne facili- tano r acclimatamento?

Provata così 1’ identicità del parassita del vaccino e del vaiuolo ? ed il suo specifico adattamento nel vitello in riguardo all’ organismo umano, viene la necessaria conseguenza di sapere allora quale è il mi- glior modo di usarlo.

Il vaccino si usa per mezzo dell’ innesto. Ma per eseguire questa operazione viene una prima domanda. Quando? cioè se soltanto prima che sieno sorti i fenomeni del vaiuolo, oppure anco nel periodo d’incu- bazione.

L’ anno scorso al congresso medico internazionale di Washington (sezione di dermatologia e sifilograjia) il dott. W. Welch di Filadelfia fece una sua comunicazione sopra la vaccinazione durante il periodo di incubazione del vaiuolo.

Il medico americano sul proposito nota, che se è razionale supporre che un principio infettivo penetrato nell’ organismo non resta assoluta- mente inerte fino allo sviluppo di certi sintomi caratteristici, non sareb- be inlogica che il vaccino possa determinare delle modificazioni , per ora sconosciute nel sangue, e nei tessuti, capace di arrestare il processo vaiuoloso , anco nel periodo d’ incubazione. Waterhause infatti, che del resto lo stesso Welch ha potuto confermare nella sua pratica, ha dimo- strato che se un individuo è vaccinato uno o due giorni dopo 1’ infe- zione vaiuolosa la vaccina prende il disopra, ed anzi il suo potere vac- cinale aumenta moltiplicando il numero degli innesti.

Yeamans per converso afferma , che nella sua pratica non ha mai visto seguire da buon resultato la vaccinazione praticata immediatamente alla contaminazione vaiuolosa. Dice che se una vaccinazione non vien fatta sette giorni prima della comparsa del vaiuolo non la modifica. Cur- schmann pure non ha ottenuto alcun resultato utile , come io stesso lo ebbi a verificare in alcuni casi nel 1866 in occasione di un’epidemia vaiuolosa. Questo è naturale perchè ormai è dimostrato che prima si generalizzi un principio virulento attenuato o no, occorrono dei giorni. Anco lo stesso Welch afferma che il vaccino non può cominciare ad avere la sua virtù profilattica sino a che le vessicole non hanno rag-

Atti Acc. Voi. I, Serie 4a

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Il vainolo e la vaccinazione

giunto lo stadio della forma circolare, per raggiungere il quale occor- rono in generale 7-8 giorni. Tuttavia opina il dott. Welch, che sia sem- pre utile fare la vaccinazione anco nel periodo dei prodromi, perchè se non si arresta il processo , si può però ottenere una diminuzione nella sua attività. Ciò specialmente, secondo egli, si verificherebbe nei rivaccinati, poiché le vessicole della rivaccinazione si sviluppano in breve tempo. Del resto un tardo e lento sviluppo, come una lenta maturazione delle pustole deve fare stare in guardia del vaiuoloide.

Ammesso adunque, che il vaccino è profilattico nel vaiuolo, e que- sto d’ altronde non può assolutamente negarsi , viene F altra disamina; se in questa bisogna sia preferibile il vaccino animale , o quello uma- nizzato. Tediamolo.

Nel detto congresso medico di Washington il dott. Gottheil di New- York accusa il vaccino animale di generare frequentemente delle ulce- razioni di cattiva natura. Ma il dott. Keller attribuisce questo più alle cattive condizioni individuali che alla vaccina. Infatti inoculando egli un numero eguale di soldati e civili , nove decimi di quelli ebbero delle ulcerazioni di non buona natura, perchè scorbutici, mentre in niun ci- vile ebbe a deplorare siffatte tristi conseguenze.

Frattanto il vaccino animale viene incolpato ancora di trasmettere il carbonchio e la tubercolosi. Riguardo a queste due infermità è giusto il sospetto, perchè potrebbe benissimo venire estratto da linfa vaccinica in allora che F animale fosse nel periodo d’ incubazione del carbonchio o nella piena evoluzione della tisi perlacea, ma il pericolo si potrebbe sempre evitare, quando F animale viene convenientemente esaminato da un buon veterinario.

Ma del resto anco il vaccino umanizzato ha i suoi detrattori, e va- lidi sì, che son riusciti a formare una crociata contro di lui, e condan- narlo all’ ostracismo, e ciò per il solo timore della tubercolosi , e della sifilide.

Certamente, se i timori son giusti , noi facciamo plauso a questo ostracismo, sebbene anco dalla linfa vaccinica, si abbiano a temere non minori infermità. Ma il male è, che questo timore riguardo al vaccino umanizzato è per lo meno una esagerazione. Mi preme avvisarvi, perchè

Il vainolo e la vaccinazione

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nel vaccino umanizzato, come poi vi dimostrerò, trovo una maggior ga- renzia per la profilassi del vajuolo.

Volendo servirsi per la vaccinazione del vaccino umanizzato è e- spediente, che con buona vaccina animale si procurino eletti e sani vacciniferi, e da questi direttamente si vaccinino gli altri, con tutte quel- le garanzie necessarie ad evitare complicazioni quali l’ eczema , la resi- pola, ed il flegmone. Ho detto sani vacciniferi , cioè che non sieno tubercolosi e sifilitici. Ma mi direte, chi conosce questi vacciniferi se sono o no affetti da tubercolosi, o dalla sifilide ? La risposta è delle più facili. Un dotto, e buono pratico medico. Fate eseguire le vacci- nazioni con virus umanizzato da medici di questa fatta , e vedrete che non avrete a piangere, ma a rallegrarvi molto , perchè più raramente che non è oggi avrete il vaiuolo, che mi pare, dopo la vaccinazione ani- male faccia le sue, punto gradite, visite più spesso che prima. Non avete paura della tubercolosi, perchè prima di tutto non attecchisce l’innesto così facilmente, come credete , eppoi pel solito rimane un fatto sempre locale. Ma poi dovrebbero esistere nel punto dove s’ incide la pustola vaccinica i bacilli di Koch, ma in questo caso l’individuo dovrebbe es- sere tisico spolpo, e certamente a conoscerlo non sarebbe necessario nean- che un buon medico, tutti certo lo conoscerebbero come il più disadatto vaccinifero. Per la sifìlide vi dirò, che sebbene il prof. Pacchiotti tempo indietro osservasse la trasmissione della sifilide per la via della vacci- nazione a Rivalta, e ne abbiano parlato di questo modo di trasmissione il Monteggia nel 1814, l’ Omodei nel 1823 ed altri ancora; pure posso assicurarvi che il fatto è raro assai. Io per es. nel decorso di 25 anni che fo il sifilografo nessuno mai è venuto da me a curarsi di sifilide, per averla incontrata nella vaccinazione. E sarebbe certo un comodo per alcuni invocare questa causa, onde cuoprire i loro clandestini abbracciamenti. Ma pure nessuno, come diceva, mi ha indicato qual sorgente del male suo la vaccinazione.

Ciò posto , la quistione scientifico-pratica si riduce proprio a que- sti due semplici termini. Se il vaccino umanizzato riesca più o meno efficace nella profilassi del vaiuolo di quello animale. Perchè se per avventura riesce più efficace di questo, è naturale che si deve tornare

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Il vainolo e la vaccinazione

al vaccino umanizzato, perchè i pericoli della tubercolosi , e della sifi- lide sono una mera utopìa, quando all’ ufficio di vaccinatore si pongano uomini di somma pratica, e studio.

Senza dubbio il vaccino umanizzato e per mia esperienza superio- re a quello animale per i suoi effetti profilattici pronti e durevoli. Que- sta superiorità nessuno può negarla. Io in tre epidemie di vaiuolo alle quali ho assistito, la vaccinazione umanizzata ha reso i più benefici van- taggi. Nella terza epidemia, che fu quella di Catenanuova nel 1880, e dove vi fui mandato dal Governo, con la vaccinazione da braccio a brac- cio non solo si ottenne la pronta cessazione dell’ epidemia vaiuolosa , ma gli effetti profilattici si son mantenuti durevoli, mentre in altre lo- calità dove principalmente , o assolutamente s’ è fatto uso del vaccino animale la recidiva si è osservata con qualche frequenza. E natural- mente la vaccina animale deve essere di minore efficacia, poiché gene- ralmente è assorbita con maggior difficoltà , e le vessicole maturano troppo lentamente. Poi l’ efficacia naturalmente diviene ancor minore , se la linfa vaccinica viene emulsionata, come si fa, nella glicerina, per- chè con la difficoltà di averla chimicamente pura, e potendo quindi essere acida, il virus perde della sua efficacia, perocché, come vi ho già detto, il micrococco tetragono non vive nei mezzi acidi, ma in quegli alcalini. Si aggiunga finalmente il fatto, come lo dimostra 1’ esperienza , che un virus perde tanto più del suo potere, quanto maggiormente l’è attenuato.

Dunque per 1’ esperienza clinica da un lato, la prova che i timori della trasmissione della tubercolosi , e della sifilide , per lo meno sono una esagerazione , tutto sommato rileva senza dubbio la superiorità del vaccino umanizzato. Questo del resto verrò anco più diffusamente a dimostrarlo in un lavoro speciale dove mi occuperò anco della tecnica migliore dell’ innesto vaccinico, limitandomi ora ad accennare soltanto che l’innesto è sufficiente farsi da un braccio, e dico chiaramente, che mi sembra sopratutto preferibile l’ago scannellato, ad ogni altro stru- mento, perchè rimane più difficile che il virus venga tolto dagli ester- ni attriti, e poi l’operazione riesce meno dolorosa, e più limitata la ci- catrice. Aggiungasi che la superficie traumatica essendo più limitata è meno esposta alle conseguenze funeste dei traumi.

Il vainolo e la vaccinazione

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Così non è mai abbastanza raccomandabile che lo strumento ven- ga sempre sterilizzato alla lampada ad alcool per ovviare la trasmissio- ne specialmente della sifilide, che se non incontrata nel vaccinifero si potrebbe trovare in qualche vaccinando, quando non si praticasse la detta sterilizzazione dello strumento ogni volta che si dovesse fare una nuova inoculazione.

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Studi e Ricerche sulla funzione delle fibre liscio muscolari

pel Prof. A. CAPPARELL1

Memoria ietta all' Accademia Gioenia nella tornata del 1 Aprile ISSO.

INTRODUZIONE

Scopo principale delle mie ricerche, fu di vedere se i muscoli li- sci, sono nelle loro funzioni, regolati dalle medesime leggi fisiologiche, che governano i muscoli striati: convinto, che mentre molto si conosce intorno alla funzione della fibra striata ed al modo di comportarsi verso i differenti stimoli, termici, elettrici e meccanici ; relativamente poco si sa, intorno alla funzione delle fibre liscie, tanto abbondanti nella econo- mia animale; e molti fatti già stabiliti per le fibre striate, gli analoghi per le fibre liscie non sono che abbozzati o non esistono ancora.

Cosicché in molti casi , non è sempre possibile fare un confronto esatto tra fibre liscie e striate e potere quindi dedurre in che, differiscano le prime dalle seconde.

Così , per esempio , da molto tempo fu determinato nei muscoli striati , il periodo di tempo che intercede tra il momento in cui ha luogo la eccitazione elettrica della fibra muscolare e la comparsa del movimento contrattile nel muscolo. Periodo di tempo che venne deno- minato : tempo perduto , periodo di eccitazione latente ; per le fibre liscie qualche osservatore, (1) si era contentato di osservare che stimo- lando elettricamente gli intestini , la contrazione dei medesimi non se-

ti) Budge Compendium de Physiologie humaine Paris G. Masson editeur pag. 371 anno 1874.

Atti Acc. Vol. I, Serie 4a

29

226

Studi e ricerche sulla funzione

guiva immediatamente all’applicazione dello stimolo, ma intercedeva un tempo apprezzabile, ed il fenomeno era constatabile senza il sussidio di apparecchi registratori, come si era fatto per i muscoli strati. In seguito furono presentati dei tracciati esprimenti meglio il fenomeno; ma nessu- no per quanto io ne sappia, si è occupato seriamente del fatto o intra- prese una serie di ricerche con lo scopo di dare al fatto dei valori, come si era fatto per i muscoli striati e come io ho tentato di fare per i lisci.

Noto però, che in seguito alla mia prima comunicazione fatta alla R. Accademia di Torino, in Aprile 1883, dove riassumeva i risultati del presente lavoro, altri lavori furono pubblicati sul medesimo argomento.

Questa funzione adunque nota e trattata per i muscoli striati può considerarsi come nuova per i muscoli lisci ; ed è intorno a questo problema, che si aggirano una buona parte delle mie ricerche; tendenti a stabilire non solo quale sia questo periodo di eccitazione latente, nei muscoli lisci degli animali a sangue caldo, ma anche in quelli degli animali a sangue freddo ; precisare quali siano le condizioni capaci di fare variare la durata del tempo latente.

Ho quindi esaminato l’azione di alcuni veleni, che come è provato per i muscoli striati, modificano la loro eccitabilità, la contrattibilità e la durata dell’eccitazione latente; e l’azione della temperatura fatta variare nei limiti compatibili, con la vita dei tessuti sottoposti all’ esperimento.

Numerose ricerche ho fatto di questo genere , tanto sugli animali a sangue freddo, come su quelli a sangue caldo; e fra quest’ ultimi ho dato la preferenza ai conigli e ai cani. Inoltre ho tentato di determi- nare, con apposite esperienze, se esiste un rapporto tra la durata della eccitazione e la lunghezza del tempo latente, fra quest’ ultima e la in- tensità dello stimolo. Se è in generale indifferente, per queste constata- zioni, adoperare una sola scossa o parecchie scosse di seguito, una cor- rente continua ad una corrente indotta , e ciò con vari sistemi di pile a forza elettromotrice differente.

Mi sono quindi occupato della contrazione, o per meglio dire della forma speciale di contrazione delle fibre liseie; pigliando come tipo le fibre liseie della vescica, tanto degli animali a sangue freddo, come quelle degli animali a sangue caldo.

delie fibre liscie muscolari

227

Nel primo caso, l’esame veniva fatto su vesciche staccate dall’ani- male dopo la morte e collocate nell’apparecchio; nel secondo invece, veni- vano circondate di tutte le cure, perchè la circolazione si mantenesse nelle condizioni fisiologiche possibili e fosse evitato un notevole raffreddamento.

Ho inoltre con apposito metodo, esaminato 1’ influenza che eserci- tano i differenti gradi di calore sull’ andamento della curva di contra- zione , se i muscoli lisci hanno veramente un tetano ; e se al pari dei muscoli striati, seguono la legge ordinaria della fatica e se anche essi sono presi dalla rigidità; argomenti intorno ai quali le opinioni sono controverse.

Premesse queste brevi considerazioni, che compendiano i principali problemi che mi sono proposto di risolvere con il presente lavoro, pri- ma di esporre le singole esperienze, farò precedere una esposizione del metodo impiegato per ogni gruppo di constatazioni.

Mi sia anche qui permesso, di ringraziare sentitamente l’ egregio mio maestro professore Angelo Mosso, che non solo mi ha sorretto con i suoi autorevoli consigli, ma anche durante l’esperienze ha voluto met- tere a mio profitto la sua considerevole abilità.

CAPITOLO I.

Sommario Determinazione del tempo latente nei muscoli lisci degli animali a sangue cal- do— metodo adoperato per determinare il tempo latente nei muscoli vescicali del cane del modo come veniva preparato l’animale per la determinazione e prodotta la eccitazione della vescica correzione del ritardo dato dall’ apparecchio— mezzo impiegato per deter- minare la velocità del cilindro girante valori ricavati dai tracciati per la durata del tempo latente esperienze preliminari eccitazione della vescica con una serie di scosse e con una sola scossa elettrica— osservazioni sulle vesciche di coniglio in sito e staccate dall’ animale, conservandole in un ambiente riscaldato risultati ottenuti con questo pro- cedimento e ragioni per le quali questi risultati sono soddisfacenti media del tempo la- tente — determinazione dell’eccitazione latente nei muscoli esofagei del cane apparecchio adoperato per questa constatazione durata del tempo latente nelle differenti porzioni dell’ esofago determinazione del tempo latente nei muscoli lisci degli animali a sangue freddo miografo ad ambiente caldo ed umido risultati otteuuti tempo latente delle fibre muscolari liscie dello stomaco di rana.

Per determinare la durata dell’eccitazione latente, nelle vesciche dei cani, mi servii del pletismografo del professore Mosso, e di un ordinario rocchetto a slitta. La corrente che doveva produrre l’eccitazione, era data

228

Studi e ricerche nulla funzione

da pile Bunsen, modello medio; nel circuito inducente ed indotto, erano intercalati due interruttori a mercurio ; nel circuito principale erari un segnale elettrico Desprez. L’àncora del rocchetto era fissata sul ferro dolce degli elettro -magneti; con questa disposizione era possibile potere disporre della sola corrente di apertura, e con questa venire a tempo debito eccitata la vescica. Siccome poi nelle osservazioni successive, gli elettrodi restavano aderenti alla vescica; per avere la scossa di apertura, bisognava prima chiudere il circuito, ma in tal modo si aveva nel circuito indotto la corrente unipolare, che inopportunamente qualche volta, faceva contrarre la vescica; così per evitare questo inconveniente fu introdotto, all’altro elettrodo, tenuto in contatto della vescica, un nuovo interruttore.

Per avere poi una eccitazione estesa sulla superficie vescicale, gli elettrodi della corrente indotta, si continuavano con due dischetti ben tersi e sottili di ottone , che avevano saldato al loro centro di figura un uncinetto, che veniva conficcato a suo tempo, nello spessore delle pareti muscolari della vescica.

La porzione dei dischetti che restava applicata contro la superficie della vescica, era ben tersa; mentre la pagina opposta veniva rivestita di cera lacca e di carta di gomma elastica e così buona parte degli elettrodi vicini ai dischi.

Questa disposizione ci permetteva di portare la eccitazione sola- mente sulla vescica, ed impediva che la stimolazione si diffondesse alle pareti addominali.

Disposte così le cose era facile per noi il potere durante le deter- minazioni, mantenere la vescica in sito, nelle sue fisiologiche condizioni di circolazione e temperatura. Condizione quest’ultima di molto rilievo, per il regolare andamento dell’esperienza. Nei casi in cui, le determinazioni si facevano mettendo la vescica allo scoperto, la indicata disposizione, ci permetteva di rimettere dentro il cavo peritoneale la vescica; per tirarla fuori facilmente, quando si voleva fare la susseguente determinazione.

Disposto così e montati i differenti pezzi, componenti 1’ insieme del- l’apparecchio, veniva legato l’ animale e cloroformizzato, la cloroformiz- zazione veniva prolungata per tutto il tempo impiegato per l’esperimento, per impedire all’animale, di agitarsi durante l’esperienza.

delle fibre liscie muscolari

229

Fatta l’anestesia, eseguiva l’operazione della bottoniera; incidendo cioè l’uretra trasversalmente, tre centimetri al di sopra del margine in- feriore anale, nel modo seguente: Incisa la cute, il cellulare sottostante, era strappato con due robuste pinzi anatomiche, e procedeva alla ricerca dell’uretra con cautela, per non ledere i vasi tanto numerosi in questa regione. Per la incisione praticata sull’ uretra , introducevo un catetere metallico in vescica, e lo assicurava in quella posizione con una robu- sta legatura sull’uretra, addossata al catetere; gli estremi del nodo erano legati al padiglione del catetere , perchè questi non avesse a spostarsi durante l’ esperienza. Quindi era praticata un’ incisione lunga 5, 6 cm. nella regione ipogastrica delhanimale, lungo la linea alba, il cui margine inferiore era situato a 3 cm. circa dalla sinfisi pubica. Incisa la cute con il primo foglio, veniva con l’aiuto delle pinzi e delle dita, rimosso il lasso tessuto connettivo e scostati i muscoli , tagliato con cura il peri- toneo, tirato in fuori la vescica e situato gli elettrodi, quindi tosto ri- messa nella cavità addominale.

L’estremo della sonda era congiunto con il tubo del pletismogra- fo, pronto a funzionare. La vescica al bisogno era distesa con una so- luzione acquosa di cloruro sodico a 0, 75 °J0 e tiepida, che versava nella pipetta del pletismografo. La vescica situata sempre ad un li- vello inferiore del liquido contenuto nel galleggiante del pletismografo, era opportunamente distesa, con lo innalzare ed abbassare il tavolo sul quale era collocato 1’ animale o viceversa il pletismografo; si correggeva il disquilibrio di pressione che s' ingenerava nell’ apparecchio per le contrazioni della vescica o per il lento e graduale distendersi della mede- sima. Lo scrivente del pletismografo ed il segnale introdotto nel circuito principale, segnavano due linee orizzontali e parallele, sulla carta affu- micata d’un cilindro girante verticale.

Quando tutto era disposto per la determinazione , veniva fatta la chiusura nel circuito principale, e subito dopo erano messi in continui- tà, con la spirale indotta, gli elettrodi applicati sulla vescica.

Il cilindro era messo quindi in movimento; e quando il medesimo aveva raggiunto la velocità, con la quale lo aveva regolato, si faceva 1’ apertura del circuito. Il segnale notava con una linea discendente il

230

Studi e ricerche sulla funzione

passaggio della corrente, mentre poco dopo lo scrivente del pletismografo lasciava la posizione orizzontale, per segnare una curva gradatamente ascendente.

Si aveva in tal modo abbastanza esattamente, il momento in cui la corrente era lanciata; cioè, notato il punto in cui aveva luogo la eccitazione della vescica , per corrente di apertura, mentre dall’ altro lato la vescica contraendosi, cacciava porzione della soluzione salina contro il galleggiante del pletismografo; quest’ultimo divenuto pesante sollevava lo scrivente e perciò notava con una linea ascendente, il mo- mento in cui aveva luogo la contrazione della vescica.

Prima di esporre il procedimento messo in pratica, per tradurre in cifre i risultati dell’esperimento, troviamo opportuno di discutere qui un’ obbiezione cbe potrebbe esserci rivolta.

Il movimento generato nella vescica, prima di venir trasmesso al galleggiante, evidentemente impiega un certo tempo.

Il tempo impiegato per lo spostamento del liquido fa sì, che il tempo di eccitazione latente, diventa più grande di quello che non sia veramente. Noi però crediamo avere riparato a questo considerevole inconveniente, calcolando questo ritardo con il procedimento che segue.

Finita 1’ esperienza , ogni cosa veniva lasciata in posto, solo era staccato uno dei due elettrodi del circuito indotto, e si lasciava in posto l’altro elettrodo, che come abbiamo visto era costituito da una piastrina di ottone, tenuta sulla superficie della vescica per un uncinetto applica- to al suo centro di figura Veniva raschiata sulla superficie opposta, la cera lacca e resa la superficie tersa.

Parimenti 1’ altro elettrodo era preparato in modo, che battendo con quest’ultimo contro il primo, si avesse a stabilire un istantaneo contatto. Questi due elettrodi erano staccati dal circuito indotto ed introdotti nel circuito principale, cioè nel circuito del segnale : era eli- minato 1’ interruttore , che noi abbiamo visto funzionare in questo cir- cuito. Quando i due elettrodi erano tenuti disuniti allora non aveva luogo il passaggio della corrente e quindi il segnale restava immobile, mentre picchiando leggermente con 1’ altro elettrodo, su quello fissato sulla superficie della vescica , allora aveva luogo la chiusura del cir-

delle fibre liscie muscolari

231

cuito e lo abbassarsi del segnale ; mentre il liquido contenuto nella vescica distesa dal medesimo, al momento istesso in cui si picchiava sull’ elettrodo fisso sulla parete vescicale, era spinto per 1’ urto e la di- minuita capacità della vescica, entro il galleggiante, che a sua volta sollevava lo scrivente. In tal caso era riprodotto il meccanismo del ritardo, che' nelle nostre esperienze costituiva una causa di errore: men- tre lo abbassarsi del segnale ci indicava con precisione il momento in cui aveva luogo lo spostamento del liquido in vescica.

Segnati sulla carta infumata del cilindro girante il momento in cui avveniva leggiero picchio, per lo abbassarsi dello scrivente del segnale, e il momento in cui era spostato lo scrivente pel pletimografo, evidente- mente il tratto interposto rappresentava il tempo impiegato perchè il movimento ingenerato nel liquido della vescica, per la contrazione si esternasse nel segnale. In altri termini era determinato in tal modo il ritardo nella trasmissione, dato dal nostro apparecchio. Questo ritardo tradotto in cifre, era detratto da quelle ottenute per la eccitazione la- tente e la differenza ci rappresentava, con abbastanza approssimazione il periodo di eccitazione latente nelle fibre liscie vescicali. Resta ora a vedere, in che modo da noi veniva computato il tempo; ovvero sia la velocità del cilindro e come erano interpretate le curve ottenute e ri- cavati i valori corrispondenti ad ogni singola osservazione.

La velocità del cilindro, ovvero il numero di giri fatti in un se- condo dal nostro cilindro , erano determinati con l1 aiuto di un conta secondi, di un orologio a pendolo ed elettrico. La velocità della quale era animata durante le fasi di una rivoluzione il cilindro, era determi- nato, introducendo nel circuito di una pila Bunsen un segnale Desprez e un diapason interruttore. Le interruzioni adunque scritte dal se- gnale, erano date dalle vibrazioni delle branche del corista, che nel no- stro caso dava 50 vibrazioni al secondo. In altri casi speciali , quando il cilindro era animato da debole velocità ; allora per 1’ estreme vici- nanze dei tratti di interruzione dati dal diapason a 50 vibrazioni al secondo; essendo impossibile la lettura, se ne adoperava un altro, che ne dava solamente 10, al secondo. —In tal modo si poteva calcolare, con la desiderabile esattezza, la velocità della quale era animato il cilindro nei vari momenti della sua rivoluzione.

232

Studi e ricerche sulla funzione

I tracciati venivano da noi decifrati nel modo che segue:

Nello stato di riposo, il segnale e lo scrivente del pletismografo , segnavano due linee parallele: dopo, al momento dell’eccitazione, il se- gnale abbassandosi dava un tratto netto, e poco dopo lo scrivente del pletismografo leggermente sollevandosi, segnava una linea obliqua ascen- dente.

Siccome la porzione precedente era orizzontale , prolungando que- sta, con una linea retta, si aveva un angolo più o meno acuto , ed il vertice di quest’ angolo era da noi preso, per il momento in cui inco- minciava la contrazione. Da questa punta era abbassata sulla linea del segnale una verticale, presa con un compasso, la distanza interposta tra il segno esprimente la chiusura e quello esprimente 1’ inizio della con- trazione; e questa distanza veniva spostata , sul tracciato ottenuto con le oscillazioni dei diapason e si aveva in decimi o cinquantesimi di secondo, il tratto esprimente la durata dell’eccitazione latente. E questo, quando i due scriventi erano al momento della partenza situati sul me- desimo piano verticale. Nel caso che non lo fossero, veniva computato di quanto 1’ uno distasse dall’ altro e secondo il caso era detratto od aggiunto, quel tanto di più o di meno, dal valore ottenuto per la ecci- tazione latente.

Nei cani fu adottato questo metodo nella vescica , ma nell’ espe- rienza la che ripetiamo qui appresso , non avendosi ottenuto con una sola eccitazione, una conveniente contrazione, se ne sono fatte parecchie di seguito , e quindi ho preso anche nota della durata dell’ eccitazione, che io riporto qui appresso :

Numero (V ordine

DURATA

della eccitazione in 50m‘ di secondo

TEMPO LATENTE

in 50mi di secondo

1

11

22

2

13

27

3

9

33

4

8

62

5

39

delle fibre liscie muscolari

233

Seconda serie d’esperienze.

Furono fatte sopra la vescica di un cane, posto nelle medesime condizioni del precedente; solamente invece dei due dischi di ottone, con i quali veniva fatta la eccitazione della vescica, credetti opportuno di adoperare due uncinetti di platino, che venivano assicurati alle pareti della vescica. Ecco qui sotto i resultati di questa osservazione.

NUMERO

(V ordine

DURATA

della eccitazione in 50mi di secondo

TEMPO LATENTE

in 50“' di secondo

1

12

32

2

16

34

3

))

30

4

13

27

5

10

28

6

11

17

Da queste due serie d’ esperienze, si vede che i valori ottenuti per la eccitazione latente, sono un poco più elevati nella prima serie anziché nella seconda , mentre le condizioni ed i mezzi adoperati sono identici, considerazione che ci condurrebbe ad ammettere , che le diffe- renze più che a qualunque altra causa addizionale, devesi esclusivamen- te ascriversi a quelle condizioni individuali, che rendono tanto dissimile gli animali fra di loro e per le quali, i fenomeni osservabili negli ani- mali, non hanno che alcuni caratteri generali comuni e differiscono es- senzialmente nei particolari.

Vedremo nelle susseguenti osservazioni, la ripetizione di questo fatto e potremo meglio in seguito con un numero maggiore di osservazioni stabilire bene il fenomeno. Non omettendo anche di fare osservare in

prò del surriferito , come le osservazioni fatte tutte sul medesimo ani- Atti Acc. Vol. I, Serie 4a 30

234

Studi e ricerche sulla funzione

male, diano dei risultati comparabili e che oscillano dentro limiti com- presi nelle cause di errore, mentre paragonando questi dati con quelli delle serie precedenti o delle susseguenti i risultati differiscono alquanto.

Terza serie.

Questa serie di esperienze fu fatta in un cane preparato come i precedenti.

NUMERO

d’ ordine

DURATA

della stimolazio- ne in 50n" di secondo

TEMPO LATENTE

in 50mi di secondo

1

7

12

2

44

14

3

22

14

4

18

12

Quarta serie.

In questa serie anziché servirci di una serie di scosse , mi sono servito di una sola scossa di apertura, e siccome un ordinario rocchetto a slitta non era sufficiente, abbiamo preso un rocchetto Rumkorff per avere una sola scossa , V àncora era mantenuta ferma contro il mazzo di fili di ferro dolce, ed impedita in tal modo la serie di scosse.

NUMERO

d’ ordine

DURATA

della eccitazione in 50” di secondo

TEMPO LATENTE

in 50”' di secondo

1

una sola scossa

50

2

»

55

3

»

..

4

»

»

5

))

»

6

»

47

7

»

68

8

»

51

9

»

47

10

))

40

11

»

50

12

»

35

13

»

53

14

»

51

delle fibre liscie muscolari

235

Quinta serie

Queste osservazioni furono fatte come le precedenti, in un animale preparato e disposto come al solito.

Numero d’ ordiue

DURATA della stimola- zione in 50"" di secondo

TEMPO LATENTE

in 50mi d i secondo

1

una sola scossa

79

2

»

80

3

)>

88

4

»

65

5

))

86

1 risultati della serie 4a e 5a come si vede sono molto più ele- vati che quelli delle altre osservazioni, ma a questa serie seguono altre osservazioni , fatte anche sul cane con il medesimo procedimento , ma intraprese con maggiore precauzione. La eccitazione della vescica fu fatta entro la cavità addominale, con gli elettrodi rivestiti di coautchauch quindi in parte realizzate le condizioni fisiologiche di temperatura e circolazione ed i risultati sono i seguenti :

NUMERO

d’ ordine

DURATA

della eccitazione in 50™' di secondo

TEMPO LATENTE

in 50m‘ di secondo

1

una sola scossa

39

2

»

37

3

))

33

236

Studi e ricerche sulla funzione

Dati che sono abbastanza piccoli e che danno nuova luce, sul no- stro modo di vedere ; che non si debba accusare il metodo da noi impiegato , ma cercare una spiegazione nell’ età dell1 animale , nelle condizioni individuali e nel potere conservare la vescica, come vedremo fra breve, in condizioni fisiologiche di calore.

Una spiegazione di queste differenze, potrebbe rinvenirsi nell' età dell’animale, ed è effettivamente tanto probabile che nei vecchi le fibre lisce della vescica in ispecie siano meno eccitabili.

Prima di lasciare questo argomento, credo opportuno di collocare in questo punto alcune altre serie di esperienze, intraprese per un’altra determinazione, ma che contemporaneamente ci forniscano dei dati per- tinenti a questo argomento. Queste esperienze intraprese come le pre- cedenti sul cane, furono continuate sulla vescica del coniglio in sito; pro- curando di mantenere quest’ organo in buone condizioni di temperatura e circolazione. A queste ne seguirono altre , su vescica di coniglio tolta dall’ animale e collocata in un apparecchio, che come vedremo a suo tempo, ci permetteva di eseguire queste determinazioni in modo più proprio ed esatto.

Al cane fu adunque tagliata la midolla , per evitare i movimenti volontari che avrebbero potuto turbare le nostre osservazioni, e fu fatta la respirazione artificiale. Fu quindi messa allo scoperto la vescica ed introdotta la sonda , che fu posta in comunicazione con il tubo del pletismografo. Fu riunita in parte la incisione ipogastrica, per tenere al coperto la vescica lasciando della medesima solamente una porzione scoperta. Quella appunto che doveva subire la eccitazione. Per la stimolazione si adoperava la sola scossa di apertura , data da 3 pile Bunsen, modello medio e dal rocchetto ordinario.

La disposizione per avere la sola scossa di apertura, in questo caso , era molto più semplice che non nelle prime esperienze riferite erano eliminati i due interuttori , interposti nel circuito indotto.

In questo secondo caso , veniva fatta la chiusura nel circuito principale, e prima venivano allontanati gli elettrodi dalla vescica, pas- sata così la corrente di chiusura, gli elettrodi erano applicati sulla vescica medesima, e quando il cilindro girante aveva acquistata la sua velocità

delle fibre liscie muscolati

237

si faceva l’apertura, che era seguita da una contrazione, segnata dallo scrivente del pletismografo per quella disposizione precedentemente notata. Riportiamo i valori ottenuti con cotesto metodo :

NUMERO

d’ ordine

DURATA

della eccitazione latente in 50"“ di secondo

TEMPO LATENTE

in 50"" di secondo

1

nna sola scossa

35

2

»

35

3

»

30

4

))

30

5

»

35

6

))

35

7

»

50

8

»

20

9

))

20

Evidentemente queste cifre sono molto più piccole, che quelle ot- tenute precedentemente; vero è, che il cane era giovane, ma anche nelle esperienze precedenti si era esperimentato eziandio su cani giovani e non si era raggiunta una cifra così piccola.

La ragione di questi risultati, noi crediamo in parte che esista in questo , che nelle precedenti esperienze non era stata realizzata come in questo caso tanto bene la condizione della temperatura. La vescica restava entro il cavo peritoneale, quasi per intero, fu distesa con solu- zione salina tiepida , in una parola fu conservata meglio che le prece- denti, nelle condizioni fisiologiche.

E che la temperatura, abbia un’influenza grandissima sulla eccita- bilità delle fibre liscie e che ne modifichi in modo notevole la curva di contrazione; lo vedremo in seguito, quando esporremo gli studi fatti, per chiarire questo argomento.

Per ora ci limitiamo ad accennare a questa relazione, per giustifi- care i risultati, apparentemente discordi fra loro.

Esposte le considerazioni procediamo oltre, nell’esame dei fatti ac- cennati sulle vesciche dei conigli, sottoposte al medesimo trattamento e

238

Studi e ricerche sulla funzione

su quelle estratte dell’aiiimale e messe solamente in condizioni normali di temperatura.

Ad un coniglio, dopo avere introdotta una canula in vescica, per la cavità addominale e messa questa in continuazione con il tubo del patesmografo, fu tagliato il midollo e fatta la respirazione artificiale, che veniva solamente sospesa nel momento in cui era fatta la determina- zione.

NUMERO

d’ ordine

DURATA

della eccitazione in 50mi di secondo

TEMPO LATENTE

in 50““ di secondo

1

una scossa

15

2

»

17

3

13

4

»

15

5

))

19

6

«

40

7

))

57

8

»

12

9

))

28

10

»

44

11

»

34

12

))

19

13

))

40

In principio, in questa esperienza, abbiamo adunque dei valori per il tempo perduto ancora più piccoli dei precedenti ; mentre gli ultimi valori, che furono ottenuti sul medesimo animale e con il medesimo ap- parecchio e procedimento , sono più elevati ; evidentemente durante le ultime osservazioni, le condizioni della temperatura erano modificate, un raffreddamento aveva luogo in tutto 1’ animale , primo per il taglio del midollo e questo raffreddamento era più sensibile sulla vescica esposta parzialmente all’aria, malgradochè, da noi si fossero pigliate tutte le di- sposizioni per riscaldare la vescica. Lungo il tubo del pletismografo che rendeva comunicanti gli ambienti del galleggiante e della vescica, era introdotto un tubo a T che comunicava con un vaso di metallo ripie- no di acqua, che si poteva riscaldare; e quando aveva raggiunto il de- siderabile grado di calore, allora aprendo le morsette ed abbassando il

delle fibre liscic muscolari

239

recipiente con l’acqua calda e salata ad un livello inferiore a quello della vescica dell’animale, si riusciva a svuotare la vescica; mentre ele- vando questo recipiente ad un livello superiore, la vescica era distesa moderatamente di acqua salata e tiepida.

A questo punto con una morsetta era interrotta la comunicazione con il vaso di metallo, e si tornava a rendere pervia quella con il ple- tismografo.

In tal modo, da noi si poteva in parte riparare all’ inconveniente del raffreddamento. Vedremo anche che il raffreddamento non è la cau- sa unica del notevole ritardo, che si osserva nella funzionalità della ve- scica, ma devesi tenere anche calcolo della stanchezza, inevitabile con- seguenza della potente stimolazione elettrica della medesima; così noi vediamo, che verso la fine dell’ esperimento i tracciati sono meno pro- nunziati malgrado che si tenti di riscaldare la vescica, e vedremo me- glio ciò, quando esporremo questi studi sulle rane.

In fine abbiamo tentato lo studio della eccitazione latente in un altro modo. Ucciso un coniglio per emorragia era tolta la vescica e ra- pidamente disposta in un miografo, il cui ambiente era circoscritto e si poteva riscaldare. Inoltre gli elettrodi erano impolarizzabili, i particola- ri di questo procedimento li esporremo avanti; per ora ci contentiamo di accennare, che in questo caso da noi si poteva tenere la vescica al- la temperatura normale, ed eccitarla in queste condizioni. Ecco i risul- tati di questo esperimento :

NUMERO

d’ ordine

DURATA

della eccitazione in 50”' di secondo

TEMPO LATENTE

in 50mi di secondo

1

»>

30

2

»

25

3

))

20

4

»

25

5

))

25

6

»

25

7

))

30

240

Studi e ricerche sulla funzione

Risultati abbastanza soddisfacenti; cifre realmente più piccole, di quelle generalmente ottenute con altri procedimenti.

Resterebbe ora a vedere se questi dati così piccoli sono appunto quelli che più di tutti si accostino al vero.

Noi siamo inclinati ad ammetterli come risultati soddisfacentissimi, si può supporre, che una cifra così bassa ho ottenuto per un aumento di eccitabilità del muscolo ; in quantochè , la sopraeccitabilità seguendo le leggi generali della vita, non dovrebbe essere che transitoria: mentre, noi osserviamo la costanza del fenomeno e tanto i primi dati dell’espe- rienza, come gli ultimi differiscono poco fra loro, purché siano ottenuti nelle medesime condizioni di temperatura, specialmente. Inoltre noi, con apposite esperienze, che verranno menzionate più avanti , abbiamo constatato che i muscoli lisci, sono ancora eccitabili per gli stimoli elet- trici, molte ore dopo la morte o la separazione dell’animale. Ragione di più per sostenere, che le osservazioni in esame non siano tante dissimili dal vero.

L’ apparecchio adoperato per lo studio dell’ eccitazione latente nei muscoli dell’ esofago, differisce essenzialmente del precedente, adoperato per le analoghe determinazioni, sulla vescica. Alla estremità di una sonda uretrale di tela indurata, fu per mezzo di un turacciolo , assicu- rata una cameretta cilindrica, le cui pareti erano formate da un budel- lino di gomma elastica sottilissima; e V altro estremo, ovvero la base di questo cilindro, era formato da un altro frammento di sughero a for- ma cilindrica; i due pezzi superiori ed inferiori del cilindro in esame , ovvero le sue basi erano tenute parallele reciprocamente da tre piccoli pezzi di filo di ferro. Il budellino era stretto attorno i frammenti su- periori ed inferiori di sughero da due legature sulle quali erano passati due cerchietti di ottone.

Il catetere passava nel centro di figura del turacciolino superiore, dimodoché 1’ ambiente della cameretta era messo in comunicazione con quello esterno per la via del catetere. Nell’ interno di quest’ ultimo pas- savano due fili di rame rivestiti di seta, sottili, l’uno arrivato verso la base del cilindro usciva allo esterno, si ripiegava ed era saldato al cer- cinetto di ottone esterno inferiore , 1; altro al cercinetto esterno supe-

delle fibre liscie muscolaii

241

riore all’ estremo superiore della sonda b vedi fig. la, ovvero in corri- 'spondenza del padiglione, era congiunto con un pezzo di tubo di gomma, un tubo di vetro del medesimo diametro a t. c.

Una delle branche si continuava con un tamburo a leva di Marey all’ altra venivano gli elettrodi e e\ attraversando un turacciolino di su- ghero ; per avere una chiusura ermetica , su questo estremo del tubo a b si era fatto fondere sopra, della cera lacca.

Fig. la.

Prima di adoperare questo apparecchio, era provato se tenesse l’aria sottoposta a pressioni alternativamente, positive e negative. Era pertanto immerso nell’acqua, la cameretta «, e per l’estremo di vetro che doveva essere posto in continuazione con il tamburo di Marey , veniva soffiata dell’aria, che nel nostro caso si limitava solamente a distendere la gom- ma elastica, senza scappare da nessun punto.

Assicurato che 1’ apparecchio tenesse ; era scoperto 1’ esofago per buona parte della sua lunghezza in un cane.

Nella sua porzione alta, era praticata un’ incisione per la quale veniva introdotta la cameretta ripiena di aria a, che abbiamo descritto; e posta in continuazione con il tamburo di Marey i movimenti della leva, erano registrati sulla carta infumata di un cilindro girante.

L’ animale eseguiva dapprima dei movimenti di deglutizione, ma

Atti Acc. Vol. I, Serie 4a 31

242

Studi e ricerche sulla funzione

tornata la calma, incominciavasi le osservazioni; del resto la disposizione degli interruttori, del segnale e delle pile e del rocchetto, erano lasciate nelle condizioni, che già abbiamo osservato per la vescica.

Quando il cilindro aveva acquistata la sua velocità, era fatta V a- pertura del circuito, 1’ esofago era eccitato nella porzione compresa fra i due cercinetti di ottone ; limitanti le pareti della cameretta di aria ; 1’ aumento di pressione ingenerato per questo fatto nel tamburo, era se- guito da un’ evoluzione della leva; e indicato da una linea ascendente; il rilasciamento del muscolo, da una linea discendente.

Il periodo latente ottenuto in queste circostanze è brevissimo, tan- to nella porzione alta , che nella porzione bassa dell’ esofago, come an- che nella media. La forma della curva molto simile a quella dei mu- scoli striati; diguisachè, temendo che la eccitazione si diffondesse anche ai muscoli striati della regione del collo, corrispondenti al punto in cui veniva fatta la eccitazione ; e che quindi il tracciato ottenuto, corri- spondesse alla contrazione di questi ultimi , furono prese le opportune disposizioni, per rimuovere questa causa di errore, ed ecco in qual modo :

L’ esofago, era messo allo scoperto, isolato ed introdotto l’apparec- chio; sotto il medesimo, nel punto cioè, nel quale aveva luogo la ecci- tazione, l’esofago era messo sopra una larga lastra di vetro, che isolava la porzione di esofago eccitato, dai sottoposti tessuti Ed anche in que- sto caso, i risultati furono analoghi ai primi.

Evidentemente , non può incolparsi di questo risultato certamente 1’ apparecchio , esso dipende secondo tutte le probabilità della natura delle contrazioni esofagee, che per tanto avrebbero un carattere speciale che li differenzia, da quelle che da la vescica, sia di animali a sangue caldo, che di animali a sangue freddo: si direbbe che nella contrazione del muscolo esofageo, le fibre striate hanno la prevalenza sulle lisce.

Abbiamo due serie di osservazioni molto concordi.

Le misure furono fatte in alto ed in basso dell’ esofago , punti in cui prevalgono ora le fibre lisce, ora le striate. Dall’ esame dei risul- tati raccolti a pag. 243 è lecito conchiudere, che una differenza esista

delle fibre liscie muscolari

243

veramente nel caso che si faccia, in alto od in basso 1’ eccitazione; ma che ciò sia naturalissimo. Vedi risultati seguenti.

NUMERO

d’ordine

TEMPO LATENTE

dei muscoli esofagei in 50"'

1

2

2

2

yt

2

4

2

determinazioni

5

2

fatte vicino il

(5

i

cardias.

7

2

8

2

9

2

10

2

NUMERO

d’ordine

TEMPO LATENTE

dei muscoli esofagei in 50"1' di secondo

i

1

vicino il cardias

2

1

3

1

porzione alta

4

2

dell’esofago

Fig. 2.a

fibre liscie; che ordinariamente sono L’ apparecchio (Vedi figura 2;

Per questa ricerca del tempo la- tente delle fibre liscie, abbiamo ado- perato anche delle rane, e fatta una serie lunghissima di esperienze, sulle vesciche tolte all’ animale medesimo e sugli stomachi.

Per eseguire queste determina- zioni , costruimmo un miografo ad elettrodi impolarizzabili, con un am- biente circoscritto; dove si faceva circolare dell’ aria calda ed umida. A noi interessava avere aria umida e calda. Umida, per impedire il pro- sciugamento della vesciva sottopo- sta all’ esperimento e per poterla anche rendere eccitabile; giacché la temperatura troppo bassa dell’am- biente, era una condizione sfavore- volissima per la contrattilità delle tanto sensibili, agli stimoli termici. ) consta di un cilindro di vetro a

244

Studi e ricerche sulla funzione

pareti sottili A, largo 8 cm. e alto 11 e di un altro B, concentrico al primo e tenuto in questa posizione da un turacciolo di sughero s , il cilindro interno B, è largo 4 cm. e lungo 8 cm. quindi non rag- giunge il turacciolo superiore, del primo cilindro.

Entro B pescano i due elettrodi M N ed un termometro, questi elettrodi, sono formati da due tubicini di vetro, chiusi all’ estremo infe- riore, da due pezzetti di caolino, tirati a punta e facenti un angolo retto, con l’ asse verticale dei tubicini; questi tubicini sono riempiti quindi da una soluzione satura di solfato di zinco , entro la quale , pescano due bastoncini di zinco amalgamato.

Nel preparare gli elettrodi, si ha somma cura di fare che la solu- zione non vadi ad insudiciare la porzione di caolino esterno, che viene applicata contro il muscolo.

Inoltre il recipiente di metallo D, contiene dell1 acqua che per il tubo di gomma elastica t e il tubicino di vetro che perfora il turacciolo s, viene l1 acqua dal recipiente D, condotta nello spazio compreso fra i due tubi, quando il recipiente D, è collocato ad un1 altezza superiore al piano in cui è collocato 1’ apparecchino in vetro: e riconduce l1 acqua nel re- cipiente Z), qualora questi è, ad un livello inferiore; una morsetta, lungo il tragitto del tubo di gomma t , permette di chiudere e mantenere l’ac- qua a qual livello si voglia, nell’ ambiente concentrico B , A.

Era quindi sagrificata una rana per distruzione del midollo, aperta la cavità addominale, isolata con cura la vescica; si passava un laccio all’estremo rettale inferiore, più prossimo alla vescica, un altro laccio era passato immediatamente al disotto dell’ arcata pubica. Con questo mezzo era staccata la vescica, senza maltrattarla.

Appena tolta la vescica, era abbassato l’uncinetto ed a questo ve- niva appesa la vescica, per il suo estremo superiore, all’altro uncinetto del miografo, era appeso V estremo opposto.

Quantunque da noi si adoperassero delle rane grosse, pure erano talmente tenui le vesciche, che non si potè adoperare una delle leve or- dinarie , ma se ne fece una leggerissima con un fuscellino di paglia T terminato da una sottilissima penna. Il tutto fu fatto della massima

delle fibre liscie muscolari

245

leggerezza possibile. Disposta in sito la vescica, l’uncinetto r, era tirato in alto e seguiva il movimento d’ ascensione , tolta la leva L finché la vescica era condotta ad una certa altezza, nell’ ambiente B pieno di aria. Quindi i due elettrodi con movimento di torsione e di abbassamento, erano disposti uno superiormente, l’altro inferiormente, in modo da toccare per le loro punte di caolino la vescica, lasciando che essa conservasse la sua posizione verticale.

Quando la vescica non rispondeva abbastanza bene allo stimolo elettrico, era allora scaldata Y acqua del recipiente 2), che dopo avere raggiunto la conveniente temperatura, era fatta passare nell’ ambiente A, B.

Il calore irradiandosi per la parete interna del recipiente 2?, riscal- dava F aria ivi contenuta e con essa la vescica, immersa nel medesimo ambiente di aria Il termometro, abbassato al medesimo livello della vescica, indicava la temperatura dell’ ambiente. Essendo il recipiente chiuso superiormente, l’ aria divenuta più leggiera per il riscaldamento, non si rinnovava tanto facilmente e la temperatura secondo le indica- zioni del termometro, rimaneva costante per 20 minuti e talora per una mezz’ ora ; dopo di che poteva essere di nuovo ricambiata con acqua scaldata di nuovo, con facilità grande. E si poteva con questa dispo- sizione, fare delle osservazioni, che durassero delle ore intere, senz’ avere notevolissimi cambiamenti di temperatura.

Per corrente stimolante, furono adoperati 4 piccoli elementi Grove ; ed abbiamo preferito queste pile, perchè erano pile a discreta forza elet- tromotrice e grande resistenza, come era necessario avere al nostro caso ; dove si aveva a superare, la grande resistenza opposta dalle punte di caolino e poi dalla vescica, che come tutti i tessuti organici, deve op- porre grandissima resistenza.

La maggiore parte delle determinazioni , della eccitazione latente sulla vescica delle rane, però, furono fatte con elettrodi di platino.

Riferisco qui una lunga serie di risultati ottenuti con codesto me- todo, delle quali i valori, sono ricavati in decimi di secondo.

246

Studi e ricerche sulla funzione

Risultati abbastanza buoni, ottenuti in condizioni di temperatura, poco differente.

N.° d’ordine dei valori

ORGANO

adoperato

Valore Ottenuto in decimi di secondo

N.° d’ordine dei valori

ORGANO

adoperato

Valore Ottenuto in decimi di secondo

8

Vescica Rana

9

29

Vescica Rana

7

9

»

8

30

..

8

10

))

8

31

»

8

11

»

6

32

»

7

12

»

9

33

»

9

13

»

10

34

))

5

14

))

8

35

»

5

15

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8

36

»

6

16

»

7

37

«

7

17

)>

11

38

»

6

18

»

10

39

»

9

19

»

8

40

))

9

20

»

7

41

»

8

21

»

7

42

»

9

22

»

9

43

»

9

23

»

7

44

»

6

24

9

45

6

25

■>

7

46

»

9

26

»

11

47

»

7

27

»

9

48

«

8

28

))

6

49

»

6

La media è di 7, 4; in decimi di secondo, che ridotti in 50mi di secondo 37 cinquantesimi. Cifra che si accosta molto a quella ottenuta nelle ultime esperienze sulle vesciche dei cani , avuti in discrete condi- zioni e su quelle dei conigdi, staccate dall’animale e conservate in buone condizioni di temperatura. Le differenze oscillanti nei limiti di errori lievi, anziché attribuirle alla natura dell’animale; e più giusto credere, che di- pendano in parte dagli errori indispensabili, che si commettono nel decifra- re i risultati; nelle modificate condizioni di temperatura, che cambiano 1’altezza della curva e quindi rendono più difficile un esatto apprezzamento; e che così stiano le cose , lo dice il fatto che noi troviamo anche si- mili oscillazioni, esperimentando sul medesimo animale e presso a po- co in identiche condizioni.— Quindi, sembrerebbe giusto il supporre che le vesciche degli animali, tanto a sangue caldo, che a sangue freddo, si prestano egualmente bene, per la determinazione del periodo latente di eccitazione, ed è per questo ed in base a queste risultanze, che noi ci siamo astenuti di moltiplicare le osservazioni sugli animali a sangue

delie fibre liscie muscolari

247

caldo, essendo pressoché inutile; ed abbiamo invece: principalmente ese- guita una serie lunghissima di osservazioni sulle vesciche delle rane , delle quali per solo amore di brevità, ho nell’ antecedenti tabelle, rife- rito le principali osservazioni. Ho adoperato gli elettrodi di metallo, riservando ad altro genere di ricerche quelli impolarizzabili , perchè in questo caso non dovendoci preoccupare dell’intensità della corrente, ma dovendo servirci, dell’ eccitante elettrico solamente come stimolo, era per me, completamente inutile la preoccupazione degli elettrodi impolarizzabili.

E poi 1’ abbiamo adoperati tante più volentieri, anche per metter- mi nelle medesime condizioni, delle esperienze intraprese sulle vesciche di animali a sangue caldo , che mi fu impossibile potere eccitare con elettrodi impolarizzabili , quando esse erano mantenute nell’ animale in sito. Queste medesime ricerche, sulla eccitazione latente le abbiamo an- che istituite sullo stomaco delle rane , che per la robustezza delle pa- reti muscolari, si prestava tanto bene a questo genere di esperimenti ; lo stomaco era appeso ai due cuscinetti, del nostro miografo, per la sua porzione pilorica e del cardias— In principio eseguiva una serie di con- trazioni spontanee, che complicavano 1’ esperimento; in quantochè, una ec- citazione fatta nel momento in cui incominciava una contrazione spon- tanea, conduceva in errore; dando per risultato della eccitazione latente, un valore troppo piccolo; mentre se era fatta verso la fine dell’ esperi- mento, allora i valori erano molto grandi, perchè il muscolo stanco ri- spondeva meno prontamente alla simulazione elettrica. Per questo ap- punto si lasciava prima per un certo tempo il muscolo in riposo , lasciando che si esaurisse in parte da se e quando era divenuto immo- bile, allora si incominciavano le osservazioni, che diedero i seguenti ri- sultati: (vedi tabella seguente)

NUMERO

d’ordine

ORGANO

ADOPERATO

TEMPO LATENTE

in io- di secondo

1

stomaco di rana

6

2

»

6

3

))

7

4

))

8

5

))

8

6

»

8

248

Studi e ricerche sulla funzione

Anche queste cifre ridotte a 50mi di secondo, dànno una media di 34, 5, cifra abbastanza soddisfacente, perchè molto vicina alla media ottenuta per 1’ eccitazione latente, sulle fibre vescieali delle rane:

CONCLUSIONE

1. Dall’esame dei fatti superiormente esposti, risulta; che il perio- do di eccitazione latente , nei muscoli lisci della vescica dei cani è di circa 46/50 di minuto primo. Che questa cifra, è risultata ancora più piccola sui conigli.

2. Che per le vesciche di animali a sangue freddo, rane, si ha la cifra di 37/50.

3. Il tempo perduto, nei muscoli lisci degli animali a sangue caldo staccati dall’animale e tenuti in buone condizioni di temperatura, diffe- risce poco da quello che si ottiene negli animali a sangue freddo.

4. Che la eccitazione latente nei muscoli dell’ esofago, è di una durata incomparabilmente minore, di quella ottenuta per le fibre liscie vescieali e si accosta molto di più, a quelle cifre generalmente ammesse per la durata dell’ eccitazione latente, dei muscoli striati.

5. Risulta anche sufficientemente provato, che le fibre dei muscoli lisci, conservano le eccitabilità, staccate dall’ animale, per un periodo di tempo abbastanza lungo ; e che per gli animali a sangue caldo, basta mantenerle in buone condizioni di temperatura , non essendo assoluta- mente indispensabile per questi studi, l’avere, fisiologiche condizioni di circolazione.— Questo argomento di una certa importanza per la fiducia che m’ ispirano le mie osservazioni, ho tentato di chiarirlo a sufficienza; avendo eseguito una serie di osservazioni su vesciche in sito, ed in con- dizioni di circolazione e temperatura fisiologiche, per quanto fu possi- bile, con la natura delle nostre esperienze.

In seguito avremo occasione di insistere su quest’ argomento, di- scutendo altre osservazioni ; e addurremo nuovi fatti in conferma del nostro assunto.

delie fibre liscie muscolari

249

CAPITOLO III.

Sommario Delle cause che possano far variare il periodo di eccitazione latente influenza della temperatura, sulla altezza della curva di contrazione variazioni nella durata del tempo latente, per effetto della temperatura valori del tempo latente a differente tem- peratura— ragioni per le quali queste conclusioni non si possono estendere alle fibre liscie degli animali a sangue caldo influenza della stricnina e veratrina sulla durata del tempo latente aumento della durata del tempo latente, per opera della veratrina espe- rienze sugli animali a sangue caldo, per lo studio dell’influenza della veratrina, sulla du- rata del tempo latente influenza della intensità dello stimolo, sulla durata dell’ eccita- zione latente le differenze non sono apprezzabili, che nei casi di correnti debolissime.

Le cause che possono far variare il periodo di eccitazione latente, possono essere fisiologiche , possono perciò dipendere da modificazioni avvenute nei fattori dei fenomeni della vita stessa dei muscoli; ed ab- biamo già accennato in principio, che in omaggio a questo modo di vedere; avremmo esaminato la influenza del freddo, che è capace di alterare la contrattilità , del caldo che entro i limiti possibili fisiologici, esercita anch’esso una notevole influenza A tal fine era da me fattala deter- minazione delia eccitazione latente, con l’apparecchio che già conosciamo e che mi permetteva di potere a piacimento elevare la temperatura dell’ ambiente, dove è immerso il muscolo in esame, o di abbassarla.

L’ agente stimolante elettrico, era dato come al solito, dalle quattro Grave e dal rocchetto ordinario, già precedentemente accennato.

La vescica era estratta dall’ animale, con le necessarie precauzioni e disposta nell’ apparecchio , le osservazioni si seguivano a periodo di tempo equidistanti ed abbastanza lunghi, per fare che essa avesse a riac- quistare la eccitabilità, dopo l’esaurimento prodotto dalla eccitazione, provocata dalla stimolazione elettrica. Questa ricerca, che a prima giunta, sembrerebbe delle più facili, non lo è veramente , inquantochè, per accentuare le differenze, bisogna servirsi di temperature che differi- scano di parecchi gradi, ed accade nel caso che si adoperi una tempe- ratura bassa , che la curva di contrazione sia poco evidente, perchè si possa precisare con la desiderabile esattezza, il momento in cui s’ ini- zia la contrazione. Viceversa poi nel caso, che si adoperi una tempe- Atti Acc. Vol. I, Serie 4a 32

250

Studi e ricerche sulla funzione

ratr.ra alquanto superiore, allora la curva di contrazione è pronunziata- si ma e ascende rapidamente, diguisachè con tutta approssimazione , si può indicare il momento giusto, in cui la contrazione incomincia.

Indipendentemente da questa causa di errore, è facile vedere che la eccitazione latente, è molto più lunga, nelle curve ottenute eccitando la medesima vescica, alternativamente riscaldandola e raffredandola quin- di—Egli è così evidente il fenomeno, che ci asteniamo di ridurlo in cifre.

Così osserviamo in B, C, fìg. 4.a che la temperatura e di 16° C, un periodo di tempo per l’eccitazione latente, molto più breve che non sia in A, dove la medesima vescica fu raff redata alla temperatura di 12° C.

Fig. 4.a

delle fibre Jiscie muscolari

251

Abbiamo, con il medesimo scopo di determinare l’ influenza della temperatura nella durata dell’eccitazione latente, variata l’esperienza in modo, da evitare le cause che potevano condurci ad errori; così temendo che la stanchezza del muscolo, potesse avere influenza sul ritardo, alcune osservazioni furono fatte, con la vescica prima raffreddata e riscaldata solamente alla fine. Abbiamo ottenuto anche una serie di osservazioni, riscaldando e raffreddando alternativamente e dove anche quando la vescica era molto stanca, ne fu sempre possibile di fare la misura molto bene, per la forma spiccata, della curva di contrazione.

Riportiamo solamente i valori di una serie di determinazioni, fatte sulla vescica di una rana a temperatura varia.

NUMERO

d’ ordine

NUMERO

del

foglio

TEMPERATURA

VALORE

ili 50"" di secondo

l

15

12° C

ì

22

2

■*

25°

12

3

))

35°

10

4

>'

O

CO

10

5

»

12°

Le cifre per la eccitazione latente in questo caso, sono piccolissime; poste in confronto con le medie che noi abbiamo esposte, ma erronee, perchè in queste ricerche, fu omesso di determinare la velocità del ci- lindro, e le distanze furono computate, sopra una unica velocità arbitraria, presa come termine di confronto. Questo però nulla toglie , ai valori che devono solo servire ad esprimere rapporti esistenti, fra loro e non misure assolute. Come si vede questi risultati sono abbastanza soddi- sfacenti e dimostrano all’evidenza, che la eccitazione latente varia con il variare della temperatura, aumenta cioè , con il raffreddamento del muscolo o diminuisce con l’elevarsi della temperatura, entro i limiti fisio- logici.

Non potremo egualmente estendere queste conclusioni, alle fibre liseie degli animali a sangue caldo; giacché fisiologicamente in questi, la tem-

252

Studi e ricerche sulla funzione

peratura è abbastanza elevata : si tratterebbe adunque di alterare di molto le condizioni normali ed elevare la temperatura, al disopra delle condizioni ordinarie e le differenze non sono tali, da farci fare delle con- clusioni scevre di dubbio.

Per questo appunto, non abbiamo seguitato la ricerca iniziata sulla

influenza della temperatura, nelle fibre liscie degli animali a sangue caldo

*

e ci siamo limitati dello studio degli animali a sangue freddo; le condi- zioni della vita dei quali, sono compatibili con i gradi di temperatura, da noi impiegati. In base adunque, alle risultanze sperimentali, è di stretta conseguenza ammettere, la influenza della temperatura sugli al- lungamenti o raccorciamenti nel periodo latente di eccitazione. Vediamo ora quale siano le modificazioni devolute all’azione dei veleni, stricnina e veratrina.

In questo caso gli elettrodi erano impolarizzabili; e per avere una corrente della forza solamente necessaria e non eccedente, abbiamo in- trodotto nel circuito eccitante, un reocordo.

Si aveva una scossa sufficiente di chiusura, introducendo la resistenza data da un solo zaffo e 100 della scala.

Disposto rapparecchio atto a funzionare, per mezzo di un’ordinaria siringa di Pravat, era iniettata sotto la cute del dorso di una grossa rana, 25 mm.c. di una soluzione acetica, di solfato neutro di stricnina; e quando era morta, estraeva la vescica; per sottoporla all’ esperimento nell’ apparecchio, che già conosciamo.

Paragonando i resultati ottenuti in rana, in condizioni normali; e quelli in rana avvelenata, si vede che 1’ eccitazione latente è più lunga nel caso dell’ avvelenamento; siccome il risultato contradirebbe alquanto quello che ordinariamente si ritiene per 1’ azione di questo veleno, sui muscoli , in vista di risultati tanto discordi ed incostanti, abbandonai l’idea di procedere oltre in questa ricerca.

Per lo studio della veratrina , si ha una serie copiosa di esperi- menti in rane avvelenate, con veratrina e rane in condizioni normali; in queste osservazioni di confronto, fu tenuto conto della temperatura, che quando è bassa, abbiamo visto che dà, per l’ eccitazione latente, un periodo più lungo, tenuto anche conto della intensità dello stimolo, che

delle fibre liscio muscolari

abbiamo anche fatto variare e comparati i risultati tanto nelle vesci- che normali che in quelle avvelenate :

Vescica in condizioni normali Vescica avvelenata con veratrina

NUMERO

d’ ordine

TEMPERA-

TURA

INTENSITÀ

della

corrente

TEMPO

LATENTE

in decimi di secondo

NUMERO

d’ ordine

TEMPERA-

TURA

INTENSITÀ

della

corrente

TEMPO

LATENTE

in decimi di secondo

1

18° C

52 effi 100-

6

1

20

52 effi 100*

11

2

37

»

8

2

30

»

5

3

32

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8

4

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8

3

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»

5

5

28

9

6

20

«

10

4

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6

7

31

»

10

8

35

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8

5

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4

9

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7

10

32

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7

6

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»

4

11

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»

7

12

31

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9

13

32

))

7

14

36

»

7

15

36

»

10

16

29

»

11

17

,)

))

14

18

»

))

IO

19

52

M

8

Da queste esperienze, come da altre numerose serie di esperimenti, che ometto per amore di brevità, risulta adunque; che nel caso di avvelena- mento per veratrina, ha luogo un aumento nel periodo latente di eccitazione- Come si vede, le condizioni di temperatura, sono se non esattamente identiche, ma entro limiti tali, che le differenze quanto alla eccitabilità della vescica e al periodo di eccitazione, sono tali da trascurarsi com- pletamente. Le differenze invece tra la eccitazione latente nelle vesciche in condizioni normali e nelle condizioni di avvelenamento, sono notevo- lissime.— Quando la stimolazione è fatta con correnti forti, vediamo adesso se si ottiene un risultato analogo, sperimentando nelle medesime condi- zioni, ma con correnti deboli, come erano quelle date introducendo una resistenza eguale solamente a 100 della scala, restando la forza elettro- motrice e la resistenza eguale a quella di prima.

Per incidenza facciamo notare in conformità a quanto abbiamo già stabilito, sulla influenza della temperatura, sul periodo latente di eccita-

254

Studi e ricerche sidla funzione

z ione, che in questa tabella quando la temperatura è più elevata, 1' ec- citazione latente è più breve.

In condizioni normali

Dopo 1' avvelenamento

NUMERO

d’ordine

TEMPERA-

TURA

INTENSITÀ

dello

stimolo

VALORE

della

eccitazione in decimi di secondo

NUMERO

d’ordine

TEMPERA-

TURA

INTENSITÀ

dello

stimolo

VALORE

della

eccitazione in decimi di secondo

1

18

o

o

o

3

1

32

0. 100-

10

2

34

» »

3

2

»

11

3

31

» »

9

3

38

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8

4

29

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9

4

35

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4

5

36

7

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4

6

»

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7

7

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7

6

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4

8

»

» ))

8

Anche in questo caso troviamo la conferma del fatto precedente- mente notato , cioè ; che anche per stimoli deboli , noi vediamo che il tempo perduto, è più lungo nelle rane avvelenate con solfato di veratrina; fatto già stato trovato ed ammesso per i muscoli volontari, o a fibre striate.

Tediamo adesso se il fenomeno ha egualmente luogo nei muscoli lisci, degli animali a sangue caldo. In questi animali noi abbiamo potuto per ciascuno di essi eseguire una serie di determinazioni, del tempo perduto, prima e poi dopo V avvelenamento.— In questo caso era tagliato il midollo all’ animale e fatta la respirazione artificiale , introdotta una sonda per l’uretra membranosa in vescica, questa sonda per mezzo di un tubo di gomma elastica, era messa in continuazione con un tamburo di Marey ad acqua. Un’ opportuna disposizione, permetteva di riempire di liquido la vescica e scacciare l’ acqua, da tutto l’ apperecchio. Gli elettrodi erano tenuti lontani dalla vescica, venivano in contatto della medesima, dopo avere fatta la chiusura del circuito, dimodoché la ec- citazione era prodotta da una corrente di apertura.

Data da tre pile Burisen e un rocchetto di induzione ordinario. La vescica era protetta dalle pareti addominali , restava allo scoperto la porzione, che doveva subire l’ eccitazione ; al momento della determina- zione, era sospesa per quel breve intervallo, la respirazione artificiale:

delle fibre liscie muscolari

255

onde non avere nei tracciati, le complicanze dei movimenti addominali dovuti alla respirazione. Fatte le prime determinazioni, in queste con- dizioni, si iniettava sotto la cute dell’ animale, la soluzione di solfato di veratrina e dieci minuti dopo erano riprese le osservazioni Veniva nel frattempo, sorvegliato il cuore dell’ animale.

Esperienza la - Disposta 1’ esperienza come abbiamo accennato in un cane e fatte le prime determinazioni riportate nella tabella seguente; fu fatta un’ injezione di veratrina, solfato , e tre decigrammi della indicata soluzione; e come si vede dall1 indicata tabella, i valori ottenuti dopo 1' avvelenamento sono sensibilmente superiori. Termi- nata l’ esperienza , fu fatto lo studio del ritardo, con un metodo che noi già conosciamo e che abbiamo esposto parlando delle correzioni che devonsi introdurre nelle cifre ottenute, per Y eccitazione latente, nelle vesciche dei cani. Per il ritardo dato dall" apparecchio, si sono tro- vate cifre così piccole, che noi ci crediamo in dovere di trascurare per la loro tenuità.

NUMERO

d’ ordine

NUMERO

del

foglio

VALORE

in decimi di secondo

ANIMALE

ADOPERATO

NUMERO

d’ ordine

NUMERO

del

foglio

VALORE

in decimi di secondo

ANIMALE

ADOPERATO

Condizioni normali

Dopo l’avvelenamento

1

1

7

cane

1

1

10

cane

2

»

7

»

2

»

16

»

3

))

6

»

3

»

15

))

4

2

6

coniglio

4

3

6

coniglio

5

»

7

5

))

5

6

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7

6

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6

7

»

10

7

»

8

8

»

4

8

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10

9

»

4

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9

amministra-

10

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11

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12

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12

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16

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17

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22

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23

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»

23

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»

25G

Studi e ricerche sulla funzione

Esperienza. 2a - Sottoposto un grosso coniglio al procedimento indicato, fu fatta una serie di determinazioni in condizioni normali Le prime curve furono ottenute 10 minuti dopo, avere fatto un’ iniezione di mezzo grammo, della già indicata soluzione, di solfato di veratrina; alla quale ne seguì un’ altra di soli 4, divisioni Ed anche in questo caso noi troviamo la conferma dei fatti precedenti.

Essendoci nato il dubbio però , che il ritardo trovato nel tempo perduto, fosse unicamente dovuto al raffreddamento, alla stanchezza ed ai maneggi indispensabili per le determinazioni, inquantochè le osservazioni nello stato di avvelenamento erano fatte, dopo un certo tempo e quindi le condizioni di calore non così buone, come in principio Abbiamo quindi fatta un’ esperienza di confronto, mettendoci esattamente nelle condizioni identiche a quelle precedentemente fatte e con altro intendi- mento; anzi abbiamo ad un certo punto dell’esperienza, lasciato raffreddare la vescica e seguitate le determinazioni : ebbene in questo caso, i valori primi e gli ultimi, oscillano presso a poco entro i medesimi limiti.

Per la qual cosa, ci crediamo sufficientemente autorizzati ad esten- dere le conclusioni ammesse per i muscoli lisci, degli animali a sangue freddo, a quelli degli animali a sangue caldo; cioè che la veratrina spie- ga un’azione, non solo nei muscoli striati, ma anche sulle fibre liscie; au- mentando la durata dell’ eccitazione latente.

Dopo avere esaminato l’azione della veratrina, che modifica la ec- citabilità muscolare, anche delle fibre liscie, ci resta ad esaminare quali sarebbero le cause fisiche, che possono modificare le manifestazioni della loro eccitabilità, fra queste al certo la più interessante ci è parso Tesarne della intensità dello stimolo; cioè il vedere se esistesse rapporto alcuno, fra la durata dell’ eccitazione latente e la intensità della corrente.

Evidentemente in questo caso, era mestieri potere a piacimento variare facilmente la intensità della corrente ed instituire una serie di ri- cerche, con stimoli di varia intensità.— E dovendo in questo caso tenere eminentemente calcolo della intesità , era di prima necessità il dovere evitare tutte le cause, che producono variazioni considerevoli nell’intensità

delle fibre liscie muscolari

257

e perciò bisogna evitare le correnti di polarizzazione. Produrre la stimolazione, con correnti continue, date da pile a forza elettromotrice poco variabile, ed a grande resistenza; per questo , abbiamo adoperato 4 piccoli elementi Grrove, con zinghi ben amalgamati ed acidi nuovi , ed elettrodi impolarizzabili; fatti a quel modo che già abbiamo descrit- to. — L’ esperienze, erano fatte anche in buonissime condizioni di tem- peratura, permettendoci quella disposizione che già abbiamo fatto osser- vare, di mantenere il calore a quel grado che da noi si voleva ed era richiesto dall’ esperimento.

Abbiamo fatto una serie grande di determinazioni. In tutte le de- terminazioni, i risultati sono così discordi, che egli è impossibile il po- tere con precisione rilevare alcuna relazione, tra la intensità dello sti- molo e T eccitazione latente: e si può benissimo osservare in una medesima serie, dove i valori ottenuti con eccitazione forte, coincidono spesso con quelli che si ricavano, dopo una debole eccitazione.

Però in una se- rie di osserva- zioni fatte il 5 febbraio , sulla vescica di una rana , che si prestava assai

bene per 1’ esperimento e che non aveva soggiornato nel laboratorio e che dava già delle contrazioni, quando si introduceva come resistenza, un tratto dei fili di platino, del nostro reoccordo come 1. 2. della scala; si potè chiaramente constatare; che nei casi che si adoperino delle cor- renti di una debolezza estrema, come quelle date per la sola resistenza di 1. 2. 3. 5. della scala, si aveva per l’ eccitazione latente, delle cifre discordi fra loro, ma sempre molto grandi, poste in confronto con quelle che si ottenevano con intensità di correnti alquanto maggiori. Ed il risultato è così evidente, che a maggiore dimostrazione dell’ assunto ri- produciamo il tracciato, che è abbastanza interessante. A, corrente de- bole B, corrente forte. Vedi fig. 5a. Resta dunque per noi dimostrato

Atti Acc Vol. I, Sesie 4* 32

258

Studi e ricerche sulla funzione

il fatto, che la eccitazione latente, ha una durata più lunga nel solo caso che la corrente sia estremamente debole.

tempera-

tura

INTENSITÀ

della corrente

VALORE

in decimi di se- condo

del tempo latente

NUMERO

d’ordine

18

nessun zaffo

100

3

1

»

»

»

50

8

2

»

»

»)

10

15

3

))

»

))

LO

5

4

))

))

»

25

5

5

))

5 zaffi

100

6

6

30

nessuno

5

6

7

»

5 zaffi

5

5

8

»

nessuna resistenza

0

9

))

»

zaffo 2

14

10

))

nessuno

zaffo 1

22

11

))

))

1

24

12

»

5 zaffi

100

5

13

32

nessuno

2

25

14

))

))

20

5

15

»

»

3

35

16

))

50

4

17

»

))

1

47

18

»

))

1

37

19

30

))

2

17

20

))

»

3

17

21

))

))

5

10

22

»

))

50

4

23

34

»

100

3

24

))

zaffo

100

3

25

33

» 2

100

3

26

»

» 5

100

3

27

Vero è, che anche in questo caso nell’ apprezzamento e decifrazione si può commettere un errore perchè, come vedremo in seguito, la curva è tanto più alta, quanto più forte è la stimolazione; e quindi 1’ ascen- sione essendo poco accentuata si potrebbe credere più lungo il tratto corrispondente al periodo latente; certo se l’ aumento fosse stato lieve forse non ne avremmo tenuto conto, ma la differenza è così grande, che egli è impossibile il non restarne impressionati favorevolmente , per questa ultima maniera di vedere.

delie fibre liscie muscolari

259

Capitolo III.

Sommario Influenza della temperatura sulla eccitabilità della vescica del mezzo prima impiegato per riscaldare la vescica causa di errore possibile continuando a sperimentare con questo metodo temperatura per la quale i muscoli lisci delle rane eseguono delle contrazioni spoetane variazioni nella forma e nell altezza delle curve di contrazione per azione del calore temperatura favorevole per il massimo raccoreiamento del musco- lo— rapporti della temperatura e la durata della contrazione possibile applicazione di queste ricerche effetti della temperatura elevatissima sui muscoli lisci.

Abbiamo già visto, come una temperatura favorevole rendendo più eccitabili le fibre lisce della vescica, renda più corto il tempo latente ; vedremo ora in che modo ciò avviene e con quale procedimento abbia- mo acquistata questa convinzione.

In principio le vesciche o gli stomachi sottoposti all’esperimento, era- no collocati in un miografo ordinario e riscaldate, versandovi sopra del- 1’ acqua salata, che contenesse 0,7 0fo di cloruro di sodio ; un cilindro in vetro posto all’ intorno della vescica, ne impediva il rapido raffred- damento; già con questo mezzo semplicissimo, i muscoli sottoposti allo esperimento, diventavano molto più eccitabili: dallo stato di calma, entra- vano in uno stato di ipereccitabilità e mentre prima non ne erano capaci, eseguivano dopo una serie di contrazione e rilasciamenti, senza altra provo- cazione. Le curve di contrazione, poco elevate dapprima, quando la vesciva era fredda, diventavano di proporzioni maggiori, dopo il riscaldamento.

Dopo, essendoci nato il dubbio, che il cloruro di sodio potesse da per se solo, agire di stimolo sulla vesciva e trovando la disposizione dell’apparecchio, non molto comoda ed incapace a mantenere costante il riscaldamento per un certo tempo, ci siamo serviti di quel miografo ad ambiente circoscritto che già conosciamo.

Gli stomachi di rana e le vesciche, quando erano tolte dall’ ani- male ad una temperatura inferiore ai C. nelle nostre esperienze non davano mai contrazioni spontane , anche quando erano collocate nello ambiente dell’ apparecchio, alla temperatura di C. previamente ba- gnate con la soluzione indicata di cloruro di sodio; ma non appena la temperatura raggiungeva i 1 C. allora incominciavano regolarmente le loro oscillazioni , dopo le quali e dopo un tempo più o meno lungo, restando costante la temperatura, cessava di contrarsi spontaneamente ;

260

Studi e ricerche sulla funzione

conservando però per un tempo lunghissimo l’eccitabilità, per gli stimoli elettrici o termini La temperatura più favorevole per i muscoli lisci, degli animali a sangue freddo, nelle mie ricerche si fu dai 20° a 38° C. ; più in di questa cifra, il muscolo conservando ancora la sua ec- citabilità, perdeva nel tono, si stancava con grandissima facilità, ma po- tevasi elevare la temperatura , sino a 50° ed ancora era possibile di ottenere delle contrazioni, per stimolazioni elettriche.

Per rendere meglio evidente 1’ azione del caldo , disposta che era una vescica nell’ apparecchio , veniva stimolata a temperatura ordinaria, dopo si eleva la temperatura nell’ apparecchio e si faceva un'altra sti- molazione, lasciando le altre condizioni invariate e si avea una contra- zione più energica ; si raffreddava di nuovo e la curva cambiava di nuovo aspetto. Così nella figura 6a vediamo in A. B. delle contrazioni

Fig. 6a

delie fibre liscie muscolari

261

deboli perchè la temperatura dell’ ambiente è bassa in D. E. del me- desimo foglio, che ha avuto luogo il riscaldamento, le contrazioni diven- tano forti in C. fu raffreddata la medesima vescica e le contrazioni tornano ad indebolirsi.

Inoltre per meglio precisare la influenza della temperatura, sulla eccitabilità della vescica, furono fatte sopra la vescica di una grossa rana, una serie di determinazioni, ciascuna distante dall’altra, per dare tempo alla vescica di riaversi dalla stanchezza, proveniente dalla con- trazione precedente. Vedi tabella annessa.

TEMPERATURA

in gladi centigradi

ALTEZZA

della curva in m.m

19°

6

30

16

35

12

40

13

45

12

da queste cifre si rileva che il massimo raccorciamento del muscolo, fu rag- giunto alla temperatura di 30°, dopo di chè la temperatura crescendo sempre , l’altezza della curva di contrazione diminuiva. Secondo questi risultati, che compendiano le molte esperienze intrapese sul pro- posito ; si ha, che dai 10° C. sino ai 30, l’altezza della curva di con- trazione o il raccorciamento del muscolo stimolato è quasi in rapporto proporzionale ai gradi di temperatura; presso a poco dai 30 ai 45 e in ragione inversa, cioè con l’aumentare della temperatura, decresce il rac- corciamento del muscolo contratto.

Inoltre nei muscoli lisci freddi, quando la simulazione è moderata, ma tale da fare contrarre il muscolo , la curva ascende più moderata- mente, la discesa è graduale e lenta , e la costruzione ha una durata più lunga; mentre nel caso che il muscolo sia riscaldato, allora l’ascen- sione è rapida , il ritorno sopra se stessa è più pronto , che non nel primo caso. Nel primo caso abbiamo dunque una contrazione meno intensa e di durata più lunga, nel secondo invece con contrazione molto più intensa e di breve durata ; quello che si guadagna in altezza in questo caso si perde in lunghezza; in altri termini l’ energia accumulata

262

Studi e ricerche sulla funzione

nel muscolo, pronto ad essere eccitato, pare che nei due casi sia sempre egualmente impiegata, ma a produrre due effetti completamente differenti; nei muscoli freddi, un’azione lenta e continua, nei caldi un’ azione ra- pida ed energica, ma con tutta probabilità, 1’ effetto utile della contra- zione, sarà eguale nei due casi.

Da questi studi emerge come conseguenza logica, una pratica ap- plicazione, che io propongo in base alle risultanze sperimentali, aspettando la conferma della clinica, prima di assegnare alla medesima un valore reale.

Nei restringimenti uretrali, urgendo svuotare la vescica, qualche volta è giusto applicare il freddo alla regione ipogastrica , procurando col raffreddamento dei musculi vescicali una contrazione lenta e di lunga durata, mentre 1’ applicazione delle compresse cnlde, dando una contra- zione rapida e di breve durata, non farebbe che esaurire senza effetto utile, il potere contrattile della vescica.

Un fenomeno al certo molto interessante, si è quello che si ottiene eccitando un muscolo liscio, esposto all’azione di temperature elevate e gradatamente crescenti come si osserva nella figura 7a curve c, cl ed e,

Fig. 7.a

delie fibre liscie muscolari

263

dove il muscolo è sottoposto all’azione di un calore di 34 a 36 in a. b. c. e da 40° a 45° C. in d. e. qui il muscolo si contrae e resta contratto anche per un tempo abbastanza lungo, anche quando sia cessata la stimo- lazione, in posizione elevata e quasi invariabile e dopo discende in modo rapido; nulla di simile si è ottenuto sperimentando nelle medesime condizio- ni, ma a temperatura inferiore. Notevole modificazione certamente deve subire la materia sarcodica: in quell’istante, il muscolo avrebbe temporanea- mente perduto la facoltà di tornare sopra stesso, rimane raccorciato per un periodo piuttosto lungo e temporaneamente in una posizione invariabile.

questo fenomeno, ha nulla di comune con il tetano dei muscoli lisci, che come vedremo ha un andamento ben differente. In questo caso il muscolo, quando abbia raggiunto il limite massimo di raccorciamento vi rimane tale, mentre nel tetano di un muscolo moderatamente riscal- dato, accenna presto alla discesa appena cessato lo stimolo; e non si ha mai una linea parallela a quella del segnale, come in questo caso.

Per la qual cosa resta provato all’evidenza, che il fenomeno dipende dalla elevata temperatura di 40° 45°, che per un muscolo di un ani- male a sangue freddo, deve considerarsi come una temperatura elevata di molto.

Questo periodo , precede lo spegnersi della eccitabilità muscolare r che avviene aumentando di più la temperatura, la quale non è spenta del tutto, che dopo i 50 gradi.

Non mi pare di avere osservato nulla d’ analogo per le basse temperature.

Capitolo IY.

Sommario Rapporti tra il numero degli eccitamenti e 1’ altezza della curva di contrazio- ne-apparecchio adoperato per questa constatazione come venivano ricavati i valori effetti delle correnti continue sull’altezza della curva di contrazione valori per i rapporti tra il numero degli eccitamenti e l’altezza delle curve di contrazione.— Durata variabile della contrazione, in rapporto con la temperatura e la durata della stimolazione— variazione nella forma della curva di contrazione, per azione del calore ed intensità dello stimolo forma di contrazione spontanea— tetano dei muscoli lisci rigidità dei muscoli lisci.

L’ apparecchio (vedi figura 8.a) adoperato per questi studi, si com- poneva del solito miografo ad ambiente circoscritto dove era collocata

264

Studi e ricerche sulla funzione

la vescica, di un segnale Desprez N di un tasto telegrafico o di un inter- ruttore a vibrazione q. r. s. p. Le vibrazioni erano prodotte dal passag- gio di una corrente attraverso la elettro calamita p , il martello della elettro-calamita aveva saldato un filo orizzontale alle due punte verticali ciascuna isolata dall’ altra, ma che per il movimento di sollevamento veniva contemporaneamente a pescare nei bicchieri q. B. stabilendo un contatto istantaneo, per il passaggio della corrente che doveva andare ad eccitare il muscolo.

Fig. 8.»

In questo caso avevamo due circuiti elettrici e separati, uno dei quali era destinato a mettere solamente in moto 1’ interruttore e l’altro a provocare la contrazione muscolare. - La corrente per 1’ elettro ca- lamita, veniva dai poli della pila 3, 4, per il filo n. 4 andava all in- terruttore e commutatore, da lì, seguendo il cammino della freccia si re- cava nel bicchiere B; e da al tasto o ed a tasto alzato ad uno elet- trodo del segnale N, da dove per V altro elettrodo al segnale, al n. 3.

delie fibre liscie muscolari

265

L7 altra corrente, per il numero 2, si recava al tasto o; e quando il tasto era abbassato, da questo andava a raggiungere l7 estremo del muscolo, percorreva il muscolo e per l7 altro estremo del muscolo, al bic- chiere q , e dal bicchiere ; quando la punta pescava nel mercurio, al n. 1.- Adunque a tasto, sollevato la corrente percorrendo l7 elettro-ca- lamita, faceva eseguire all7 asta dell7 interruttore una serie di vibrazioni; abbassando il tasto, la corrente d, 4, era interrotta; il segnale cessava di scrivere, mentre l’asta dell7 ancora, per la velocità acquistata, continuava ad eseguire le sue oscillazioni, producendo tante interruzioni nel circuito 1.2. di recente chiuso, per l7 abbassarsi del tasto. Siccome il tratto per il quale restava abbassato il tasto, che era sempre un tempo breve, era segnato da una linea retta orizzontale e si sapeva, quante vibrazioni facesse l7 asta dell7 interruttore, appunto perchè il segnale, quando era chiuso il primo circuito, con le sue interruzioni segnava il numero delle vibrazioni; con un compasso era trasportato lo spazio indicato da una linea retta, sopra un pezzo di tracciato, ove erano segnate le interru- zioni, provocate dall’asta dell’interruttore q. r. s. q). ed in tal guisa si aveva con molta esattezza, il numero delle interruzioni o degli eccita- menti, dati al muscolo, nel miografo. Da una serie di ricerche eseguite con questo metodo, si venne da noi alla conclusione; che il numero de- gli eccitamenti; è in rapporto diretto con l7 altezza della curva di con- trazione, ovvero sia, il numero degli eccitamenti è dentro un certo limite, se non esattamente, è in certo modo proporzionale al raccorciamento, delle libre liscie vescicali.

Noi avevamo notato, che in vesciche non moltissimo eccitabili, una chiusura ed apertura rapida, spesso non era capace di produrre la con- trazione del muscolo medesimo , mentre data la medesima corrente e identiche condizioni, moltiplicando solamente il numero degli eccita- menti, si aveva, una contrazione che poteva diventare tanto più alta, quanto più numerosi ne erano gli eccitamenti; con questo deve in- tendersi che moltiplicando gli eccitamenti, per un tempo lunghissimo, dovrebbesi ottenere una contrazione sempre più alta, in quantochè, rag- giunto il limite massimo di contrazione, il muscolo vi rimane in quella data posizione.

Atti Acc. Voi.. I, Serie 4a

33

266

Studi e ricerche sulla funzione

Abbiamo voluto ridurre in cifre, alcune delle nostre osservazioni, per rendere più intelligibile il fenomeno.

Questi valori erano ricavati nel modo che segue.

Era prolungata la retta orizzontale, scritta dalla leva del miografo prima della contrazione, dal punto più alto della curva, era abbassata una perpendicolare sulla orizzontale e quel tratto di perpendicolare , compreso tra il punto più alto della curva e il punto d’ incontro della orizzontale, era computato in millimetri. Dalla qui annessa tabella, si vede , che nella maggioranza dei casi , che le cifre più alte , corri- spondenti al numero degli eccitamenti , coincidono anche cifre elevate, per il valore dell’ altezza della curva.

Organo

adoperato

NUMERO

<lel foglio

VALORE

dell’ altezza della curva in millimitri

NUMERO DEGLI ECCITAMENTI

Vescica

8

7

4

..

»

3

2

»

6

3

»

A

21

63

A

»

2

3

»

W

13

15

Vescica

9

22

29

')

»

3

1

Vescica

13

19

23

»

),

6

2

))

«

10

2

Vescica

14

3

20

»

»

2

18

»

»

3

19

Vescica

18bis

2

3

»

))

7

17

»

))

2

2

))

6

14

»

»

7

13

»

7

7 primo eccit.to e 3 secondo ecciti0

»

»

5

11 » 4 »

Vescica

18

4

15

»

))

4

13

i>

»

7

31

questo si ripete per il numero , ma anche quando si lascia percorrere il muscolo dalla corrente continua ; che con la durata mag- giore , si ottiene una curva più pronunziata. Yedi fìg. 9.

delle fibre lisce muscolari

267

Queste ricerche, incominciate con elettrodi metallici, furono poi confermate, con gli elet- trodi impolarizzabili.

La durata della contrazione è variabile , varia per azione del colore; diventando più lun- ga, nel caso che la tempera- tura sia bassa e più breve quando la temperatura sia ele- vata; è in rapporto con la du- rata della stimolazione e la in- tensità.— La contrazione si fa lunga, quando è stata lunga la stimolazione, breve quando la stimolazione è stata più forte ma di breve durata.

Facciamo però notare, che con tutti i metodi adoperati, sia con il mezzo del pietismo- grafo , che con il tamburo a leva di Marey, che con il mio- grafo a leva, tanto nei muscoli degli animali a sangue caldo, che in quelli degli animali a sangue freddo, si è ottenuto il medesimo tracciato.

Sotto l’influenza però della temperatura e di una forte sti- molazione elettrica, la curva esprimente 1’ andamento della contrazione, è notevolmente mo- dificata, specialmente nella pri- ma parte, nei momenti dell’a- scensione, è più brusca, che non quando la vescica è man- tenuta a temperatura inferio- re e stimolata poco energica- mente.

m ^ Fig. 9.a

Ma una differenza esiste e si osserva , quando si paragonano dei tiacciati di contrazioni spontanee e quelle provocate.

L andamento della curva, ha in questi casi dei caratteri differen-

208

Studi e ricerche sulla funzione

ziali interessantissimi. Vedi fig. 10a A. C. contrazioni spontanee B. D.

provocate.

Fig-. 10.a

delie fibre liscie muscolari

269

Inoltre i muscoli lisci, qualora vengono eccitati con correnti continue, e con una serie di scosse , ad una distanza 1’ una dell’ altra, che il muscolo non abbia avu- to ancora il tempo di rilasciarsi; allora si mantiene contratto , presentando il feno- meno analogo a quello dei muscoli striati, il così detto tetano muscolare, con oscilla- zioni secondarie, durante il momento del massimo raccorciamento, vedi fig. 10, in a' cessa la stimolazione.

Molte esperienze si sono fatte per in- dagare le cause, che producono la rigidità muscolare nelle fibre striate; ma fin1 ora il metodo grafico, non è stato impiegato per lo studio di questo fenomeno, che è l’ul- timo delle manifestazioni della vita stessa del muscolo. Sulla rigidità dei muscoli lisci, poco o nulla ancora si conosce. Noi ci siamo tanto più occupati volentieri di questo problema, che precisato con l’aiuto del metodo grafico, avrebbe potuto condur- ci a delle conclusioni di particolare inte- resse, per la dibattuta ed ancora quasi insoluta questione, della rigidità muscolare.

Con il procurarmi dai tracciati, esperi- menti 1’ andamento della rigidità nei mu- scoli lisci, o le fasi di contrazioni, che se- guono dalla morte del muscolo , al mo- mento in cui egli cessa di contrarsi atti- vamente, per le forze istesse esistenti nel muscolo, non si è perduto di vista, come esso si comporta con gli stimoli elettrici, durante lo irrigidirsi; quando cessa di ri- spondere, con una contrazione alla stimo- lazione elettrica.

270

Studi e ricerche sulla funzione

Per intraprendere queste ricerche, come nel nostro caso, era mestieri potere disporre di un apparecchio scrivente , che potesse funzionare , senza interruzione, per molte ore di seguito; onde sorprendere i fatti che decorrono nei muscoli lisci, nelle ore successive, alla morte dell’animale.

Per mezzo di un motore magneto-elettrico, sistema Despry, era tra- smesso il movimento regolarizzato, al cilindro infumato.

La vescica e 1’ esofago, staccate dall’ animale, erano distese da una soluzione salina e messe in comunicazione nelle prime esperienze, l’una con un pletismografo, 1’ altro era legato, a guisa di una borsetta ad un sifone a branche eguali e tenuto aneli’ esso sospeso in acqua salata, della medesima composizione, che quella con la quale 1’ esofago era tenuto disteso.

Il ramo libero del sifone, pescava in una vasehettina di vetro, sal- data ad un tubo di vetro lungo 30 c.c. pieno di aria e saldato ai due estremi; questo apparecchio era sostenuto da due fili scorrenti sopra una puleggia, all’ estremo opposto di questi fili, era legato un pezzetto di piombo, che si faceva equilibrio con 1’ appacehio di vetro e su questo ultimo, era incollata una penna.

L’ apparecchio di vetro, ovvero il tubicino di vetro, pescava in una provetta ripiena di acqua di fonte, dove galleggiava.

Quando 1’ esofago incominciava a contrarsi, il liquido era spinto goccia a goccia nella vasehettina, che divenuta più pesante, imprimeva un movimento inverso allo scrivente; sicché infine si aveva sulla carta infumata, una linea a gradinata obliqua e continuamente ascendente, con il procedere della rigidità dell’ esofago stesso.

Ma non fu questo il solo metodo, che abbiamo adoperato per lo studio degli indicati fenomeni , onde eliminare le possibili complicanze ed influenze, esercitate dalie soluzioni saline, sui fenomeni che accompa- gnano la morte dei muscoli lisci, fu semplicemente appeso nel miogra- fo ad ambiente umido, i muscoli in esame e li ho abbandonati a se stessi, in contatto solamente dell’ aria atmosferica.

Darò una breve esposizione dell’ esperienze eseguite, prima di for- mulare le conclusioni, alle quali sono arrivato.

Immediatamente dopo la morte di un cane, avvenuta per dissangua-

delle fibre lisce muscolari

271

mento alle ore 3 p. m. fu levata dall' animale una porzione di esofago, verso la parte mediana della lunghezza di 10 c. m. circa, legato inferior- mente in modo, da fare una borsetta a fondo cieco e superiormente alla branca del sifone : dimodoché il liquido spinto verso 1’ estremo libero del sifone, veniva a cadere entro la vaschetta del galleggiante, producendo uno spostamento dello scrivente, a quel modo che abbiamo veduto poco prima.

L’ esofago messo nell’ apparecchio, eseguì una serie di contrazioni e rilasciamenti, per la qual cosa fui costretto riempirlo parecchie volte di seguito, dopo 15 minuti, ogni movimento venne a cessare e cominciò a contrarsi regolarmente.

Per vedere però, se durante il progresso della contrazione, il mu- scolo esofageo conservasse la sua contrattilità, fu eccitato con corrente indotta alle ore 4, 45 e si contrasse energicamente.

Alle ore 10, 10 fu fatta una nuova osservazione e si potè con- stare che 1’ esofago manteneva ancora la sua eccitabilità.

Alle ore 11,20 fu fatta una nuova eccitazione, ma con risultato negativo. La vescica che appena estratta dall’animale fu fatta raffreddare rapidamente, e messa quindi nel pletismografo, non si contrasse più, anzi la curva discendente accennava ad un leggiero e graduale rilasciamento.

Da questa esperienza si può trarre la conseguenza legittima, che la eccitabilità si conserva in modo manifesto 7 ore circa dopo la morte dell’ animale avvenuta alle 3 p. m., questo è un fatto nuovo.

La novità sarebbe in questo, che mantenendo la proprietà di essere eccitabile, entra in uno stato di contrattilità permanente, fase che pre- cede la morte del muscolo , e che con tutta probabilità deve ascriversi allo stato di rigidità crescente, che i muscoli lisci, avrebbero in comune con i muscoli striati.

Esper. 2.'a Dopo la morte di un cane per emorragia, fu estratta la vescica e l’esofago, furono collocati nei relativi apparecchi ; la vescica fu lasciata piena di orina, ma malgrado questa precauzione, appena fu messa in contatto con la soluzione salina, che aveva la temperatura della stanza 17° C. si contrasse energicamente; e diede a sua volta una curva di contrazione, ma non moltissimo pronunziata.

272

Studi i e ricerche sulla funzione

La vescica però in questo stato, sotto la influenza della elettricità, seguitala a contrarsi, durante la sua progressiva corsa di raccorciamento, comportandosi in questo fatto principale, come V esofago. Quest’ultimo, 8 ore dopo la morte dell’animale, dava ancora delle contrazioni mani- feste, quantunque avesse già smesso di raccorciarsi.

È evidente, come anche in questo caso, si ha una contrazione ra- pida della vescica, appena staccata dall’animale ed immersa nella solu- zione salina a temperatura dell’ ambiente, che è bassa relativamente a quella, alla quale essa è normalmente sottoposta; e si può vedere anche nel tracciato ricavato da questa esperienza e meglio dall’esperienza pre- cedente, come questa rapida contrazione della vescica si sostituisce e com- pensa quella graduale, che noi osserviamo nell’esofago, in condizioni iden- tiche e che vedremo aver luogo anche sulla vescica, adoperando altre pre- cauzioni.— Evidentemente in queste esperienze, 1’ esofago e la vescica si comportano in modo differente, di fronte agli stimoli esterni. Le impressioni termiche, non hanno potere sull’esofago, ripieno di soluzione indifferente estratto dall’ animale, che immerso nella soluzione salina , esegue delle contrazioni, come se si volesse sbarazzare del liquido contenuto al suo interno , a quel modo che si sarebbe comportato in sito ; mentre la vescica viceversa, si contrae, ma in un modo definitivo se l’azione per- frigerante è molto intensa, parzialmente se è meno intensa; come lo di- mostra il fatto di potersi contrarre in quest’ultimo caso, qualora venga stimolata.

La vescica, in altri termini, ha più che l’ esofago bisogno per po- tere compire le sue funzioni, delle normali condizioni di calore.

Si comprende facilmente, la divergenza, qualora si pensi alla strut- tura istologica dell’esofago, composto come è, di fibre liscie e striate, non può avere una funzione specifica , come le fibre liscie , ma una complessa. In questa esperienza, eseguita sopra un robusto cane, tutto il periodo di rigidità fu eseguito in 11 ore.

Esper. 3.a Ad un cane , fu estratta la vescica e 1’ esofago e disposti in due pletismografì , con la precauzione , specialmente per la vescica, d: estrarla calda e di immergerla in una soluzione di cloruro di

delle fibre liscie muscolari

273

sodio a 0,75 °/0, alla temperatura di 35° C; tutti i maneggi operatori furono praticati, durando sempre i’ immersione nel bagno, alla indicata temperatura : e fu quindi collocata sul pletismografo, in una soluzione calda, che fu abbandonata a stessa; procedendo in modo lento e gra- duale il raffreddamento. Con tale artifizio, fu schivato l’inconveniente della rapida contrazione , la quale a sua volta, come per 1’ esofago, fu costituita dallo irrigidirsi, lento e continuo delle fibre vescicali. E si può escludere nettamente il dubbio, che ii lento ascendere della curva di contrazione, debba ascriversi a cambiamento di volume del liquido con- tenuto nella vescica e nei tubi del pletismografo, per effetto della tem- peratura; perchè di strettissima conseguenza, in questo caso, dovremmo avere; anziché una linea ascendente, come si ha, una linea discendente piuttosto: perchè il liquido fu introdotto ad una temperatura superiore, e quindi con volume maggiore : contraendosi, avrebbe richiamato il liquido del galleggiante e fatto discendere lo scrivente , fatto inverso di quello che noi osserviamo nei tracciati.

E logico ammettere, che queste modificazioni sono così piccole, di fronte alla grandezza del fenomeno , che vengono assimilate e non ap- prezzate dall’ apparecchio e questo , anziché essere un’ imperfezione, è un vero vantaggio, eliminando da delle cause, che complicherebbero il fenomeno, abbastanza complesso, cosa che renderebbe più difficile una giusta interpretazione.

Il lento contrarsi adunque, più che a fenomeni fisici, è eminente- mente legato a proprietà vitali, delle fibre liscie. Come nei casi pre- cedenti, furono fatte anche in questo delle eccitazioni, con corrente in- dotta, per potere vedere fino a che punto, conservasse la vescica e l’ e- sofago, la sua eccitabilità.

Ogni eccitazione dell’ esofago, è seguita da una contrazione brusca e quindi nel tracciato, da una linea retta normale ascendente e da una discesa rapida, che si sovrappone alla ascendente; ma in questo caso vi è ii fatto particolare, che invece di discendere completamente al punto di dove parte, non ridiscende ; ma resta elevata, secondo i’ intensità e la durata della stimolazione; da questo momento in poi, il muscolo è co- me se fosse temporaneamente paralizzato; resta in uno stato di contra- Atti Acc. Yol. I, Serie 4a 34

274

Studi e ricerche sulla funzione

zione e lo scrivente rimane orizzontale, per parecchio tempo : dopo di che, senza più abbassarsi sull’ orizzontale percorsa, seguita ad ascendere; que- sto stato è un punto di contatto, con quello che io ho osservato nelle vesciche delle rane; che si determina, qualora esse vengono sottoposte a una temperatura relativamente elevata.

Anche la vescica del medesimo animale, sottoposto ad eguale trat- tamento, si comporta in modo analogo ; cioè, quando la vescica viene stimolata, durante il periodo di contrattilità, ascende rapidamente, a dif- ferenza dell' esofago , che non ritorna che parzialmente sui suoi passi, vi rimane e lo scrivente decorre orizzontalmente; per riprendere dopo un certo tratto, la sua corsa di ascensione. Le differenze fra l’ esofago e la vescica, in questo caso, si spiegano facilmente, qualora si consideri la doppia natura muscolare dell’esofago, il ritorno parziale sopra se stesso, dopo la stimolazione, deve attribuirsi alla presenza di fibre striate.

Le fibre liscie principalmente sono ancora eccitabili, ma non nella maniera ordinaria; abbiamo dimostrato ampiamente, che quando si eccita un muscolo liscio, in buone condizioni di temperatura, tanto per le rane come per i conigli ed anche per i cani, in sito, allora l’eccitazione è sempre seguita da una fase completa di contrazione e di rilasciamento: in questo caso particolare, noi non abbiamo invece che mezza fase , la sola contrazione e manca completamente il rilasciamento.

Ma quello cho più eccita la curiosità, in questi casi, si è il vedere come non ascende più, non seguita a contrarsi ad irrigidirsi , ma pare che si riposi per un certo tempo, ed è dopo questo marcatissimo perio- do di riposo, che il muscolo comincia poi di nuovo ad irrigidire. Que- sto stato del muscolo che irrigidisce, non ha che una leggiera rassomi- glianza con il fenomeno che abbiamo osservato, nei muscoli sopra ri- scaldati; e differisce essenzialmente da quello, per il fatto che nei mu- scoli a fibre liscie solamente, noi non osserviamo il ritorno a zero, come nel caso del muscolo che si contrae, in un ambiente molto riscaldato; nella figura qui accanto, il tracciato A, rappresenta l’ andamento della rigidità muscolare della vescica, B quello dell’esofago, in a. h. c. viene fatta la stimolazione elettrica ed il ritorno sopra se stesso è devoluto alle fibre striate, con tutta probabilità, anziché alle liscie.

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Studi e ricerche sulla funzione

Prima di formulare le nostre conclusioni, sulle accennate esperien- ze , vediamo se questo fenomeno di contrattilità muscolare, deve consi- derarsi come un fatto di vera e propria rigidità, o no.

Per la maggioranza dei fisiologi, un muscolo sarebbe rigido, quan- do non ha più forza elettromotrice, quando è di reazione acida, quando è più resistente e più fragile -un muscolo rigido, è duro e retratto.

Per il Bulard, la rigidità muscolare, non consisterebbe in altro che in uno stato speciale di durezza tale, da opporre una viva resistenza ai diversi movimenti di flessione.

Il Beunnis, vede nella rigidità di un muscolo, oltre il suo raffred- damento, ed una durezza tutta speciale, la perdita completa dell’ elasti- cità muscolare, un muscolo rigido, spostato dalla sua poisizione di equi- librio non la ripiglia, non torna più sopra se stesso; questo stato è ac- compagnato dalla scomparsa del tono muscolare; un muscolo in preda alla rigidità, tagliato non torna più sopra se stesso.

Riassumendo adunque, con il citato autore, nella rigidità dei mu- scoli si osservano :

1. ° Perdita di contrattilità e scomparsa della corrente muscolare.

2. ° Modificazione d’ elasticità, di consistenza e di coesione del mu-

scolo.

3. ° Acidità del muscolo medesimo.

4. ° Perdita di trasparenza e solidificazione, della sostanza muscolare.

Per meglio però studiare il problema, bisogna distinguere nella ri- gidità, due tempi distinti e separati ; cioè, periodo nel quale la rigidità si inizia e procede; e periodo in cui la rigidità, è completamente avve- nuta, periodo che differisce dal primo, per la sua stazionarietà, per l’as- senza completa, di ogni attività funzionale nel muscolo.

Ora è evidente, che queste condizioni che ho testé accennate, non si ritrovano, che nei musculi pervenuti allo stadio di rigidità completa ; e non si dovrebbero logicamente rinvenire parzialmente, in un muscolo che entra in rigidità, ma che non lo è ancora in modo completo. Infatti noi vediamo in alcuni tracciati, che nel muscolo, la contrattilità dimi- nuisce , poiché restando costante la intensità dello stimolo e tutte le altre condizioni, variano notevolmente le altezze delle curve di con-

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trazione e queste diventano tanto più corte, quanto maggiore è la di- stanza che intercede, tra la morte dell’ animale e la stimolazione.

Evidentemente questo fatto, non può interpretarsi in modo diverso, che ammettendo una diminuzione nella contrattilità muscolare, che è le- gata unicamente, alla separazione dell’organo in esame, alle condizioni fisiologiche della sua vita e che sta quindi di accordo, con quanto ab- biamo visto ammettersi dai fisiologi, nei casi di rigidità.

Osserviamo ancora il fatto molto importante, che il muscolo ecci- tato nel periodo indicato, non ritorna che parzialmente sopra se stesso, se è esofago e non vi ritorna affatto, se è vescica: cioè nei muscoli lisci propriamente detti; fatto dissimile completamente da quello che ordina- riamente si osserva in un muscolo vivo, in sito e che depone esclusiva- mente per la diminuita contrattilità muscolare e che unita a una con- sistenza maggiore , che il muscolo va gradatamente acquistando e alla mancata elasticità, come i tracciati dimostrano, completano il quadro ge- neralmente ammesso per la rigidità. Non mi sono nelle mie ricerche, occupato della corrente muscolare ; per potere anche invocare questo ausiliario , perchè non lo ho creduto assolutamente indispensabile , per 1’ assunto ; ricerca di non lieve difficoltà , qualora si pensi che queste constatazioni, non si possono eseguire sui muscoli lisci, con quella pre- cisione, che si può nei muscoli striati.

Quanto alla questione dell’acidità, noi la abbiamo definita con la seguente esperienza :

In due tubi di prova si è versato, circa 5 cc. di una soluzione estremamente diluita, di rosolalo neutro di soda: poi in ciascun tubicino vi aggiunsi, in uno la vescica di una rana, estratta dall’ animale e lavata in moltissima acqua distillata, per eliminare burina, e nell’altro un fram- mento di connettivo, in volume quasi eguale alla vescica. Dopo fu agitato e versato metà di liquido di ciascun tubicino, in due altri tubi di confronto.

Con questa ultima precauzione, è eliminato il dubbio, che il liquido si decolorasse immediatamente al contatto, delle sostanze in esperimento. Il giorno appresso si poteva osservare e talora poche ore dopo, che il liquido, dove era contenuta la vescica, si era decolorato, quello dove fu conservato 1’ altra metà di soluzione, dopo essere stato in contatto con la vescica, aveva conservato il colorito primitivo.

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Studi e ricerche sulla funzione

Inoltre, quasi nessuna modificazione, potevasi notare nella colora- zione del liquido, che era rimasto in contatto, con il tessuto connettilo.

Quali sono le conclusioni, alle quali ci autorizza questa esperienza : che la vescica abbia in quelle condizioni, fornito una sostanza capace di decolorare, una soluzione di rosolato neutro di soda e questo liquido, nei casi ordinari, non può essere che un acido.

Questa sostanza di reazione acida, non poteva nel mio caso che essere il prodotto o della fatica o del progresso della rigidità , non è possibile che dipenda dalla fatica , perchè senza eccitazioni e con quella bassa temperatura ordinariamente le vesciche , non entrano nello stato di contrazione, non mi resta adunque che una possibilità , cioè di am- mettere che quel fatto dipendesse esclusivamente dalla entrata del mu- scolo, nella fase di rigidità.

Dopo i lavori di Kiihne, sul plasma muscolare, oggi fra le teoriche proposte per ispiegare la rigidità muscolare, viene preferita quella della coagulazione della miosina, il fenomeno dunque della rigidità, verrebbe riportato, secondo questa teoria, in un fatto molto analogo, alla coagula- zione del sangue.

A parte di ogni considerazione, i fatti osservati ci autorizzano alle conclusioni seguenti :

1. La rigidità nelle fibre liscie, incomincia poco dopo la morte dell’ animale , qualora non si ha cura di mantenere questi muscoli, in buone condizioni di temperatura. Essa si manifesta 20' o 30' minuti dopo la morte o il distacco dall’ animale; l’esofago principalmente quando viene staccato dall’ animale appena morto, prima di entrare in rigidità esegue, anche in condizioni sfavorevoli di temperatura, una serie di mo- vimenti contrattili, spontaneamente.

2. La rigidità incominciata, procede regolarmente e raggiunge il suo massimo, in un periodo compreso fra le 6, e 10, ore. Durante tutto questo tempo, il muscolo conserva il potere contrattile, che diventa sem- pre minore, quanto maggiore è la distanza dalla morte dell’ animale.

3. Un muscolo dove la rigidità è iniziata, presenta questo di spe- ciale, che eccitato si contrae, ma non ritorna sopra se stesso, come nello stato fisiologico e per un certo tempo dopo, smette d’ irrigidirsi.

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CAPITOLO 1Y.

Sommario— Stanchezza elei muscoli lisci doppio metodo adoperato per la constatazione— stan- chezza di muscoli esofagei carattere speciale dei tracciati della fatica, dei muscoli eso- fagei— azione del calore sull’ andamento della fatica muscolare tracciati della fatica dei muscoli lisci differenze tra fibre liscie e striate, in rapporto alla loro funzione.

Le condizioni per lo studio della fatica dei muscoli lisci, non essendo così opportune, come per i muscoli a fibre striate, i risultati che mi sono ingegnato di ottenere, non sono così netti; scevri di una complica- zione indispensabile, che certamente reca nocumento all’esattezza dell’os- servazione.

Così, non essendo possibile intraprendere l’ esperienza, sopra vesci- che in condizioni fisiologiche circolazione; e spiegando la eccitazione elettrica, una influenza sensibile sulla rapidità, con la quale si manifesta la rigidità, così i tracciati equivalenti all’ andamento della rigidità, pre- sentano in fine la complicanza, dovuta alla comparsa della rigidità, nel muscolo sottoposto all’ esperimento.

Per determinare 1’ influenza della fatica, nei muscoli lisci , mi son servito di doppio mezzo.

Collocata la vescica per il collo e l’estremo opposto in un mio- grafo ordinario, a leva leggerissima, veniva a periodi di tempo eguali eccitato; e le escursioni della leva, venivano registrate sopra la carta affu- micata del cilindro girante. Più tardi rinunziai a codesto metodo, poco adatto, per la tenuità della forza contrattile della vescica di rana; dove spesso le irregolarità della lunghezza delle escursioni, dipendevano da po- co pronunziate irregolarità, nello strato di carbone che rivestiva la carta del cilindro. Ed invece l’ indice della leva scorreva, nel secondo caso, in vicinanza di un doppio decimetro, situato verticalmente e graduato in mm. e mi era possibile , con la necessaria esattezza, in specie per la lentezza del movimento contrattile, fare la misura della lunghezza di ogni singola escursione della leva , ed avuta in mm. la lunghezza dell’escursione, veniva sopra carta micromillimetrata, riprodotto grafi- camente, l’andamento della fatica.

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Studi e ricerche Ridia funzione

Le vesciche, venivano tenute anche in condizioni presso a poco co- stanti, di temperatura. Solo in qualche esperienza, fu variata notevolmente la temperatura , con lo scopo di studiarne 1’ influenza , sull1 andamento del fenomeno.

Il decorso nella stanchezza, dei muscoli esofagei, si accosta di molto a quello dei muscoli trasversalmente striati; differisce solamente per il fatto, che l’altezza delle successive escursioni, anziché essere gradatamente decrescente, non lo è; e si osservano in genere dei gruppi di tracciati grada- tamente ascendenti e discendenti.

Alcuni, di questi gruppi ascendenti e discendenti, presentano anche questo di speciale, che anche inferiormente, non segnano ordinatamente il moto ascenzionale lento e graduale dei tracciati precedenti, ma per pa- recchie escursioni di seguito, ascendono rapidamente e rapidamente di- scendono anche inferiormente, restando presso a poco eguale alle pre- cedente, la lunghezza della escursione. Questi tracciati furono ottenuti con F esofago di coniglio, eccitando con corrente indotta ad intervalli di 25", alla temperatura di 33° C. dopo avere ottenuta la prima serie, lasciai riposare, e prima d’ intraprendere la seconda serie, elevai a 35° la temperatura dell’ esofago e potei con questo mezzo, ottenere una nuo- va serie di contrazioni, fatto che evidentemente depone, anziché per lo spegnersi graduale della contrattilità muscolare, per la fatica del muscolo istesso.

La porzione bassa dell’esofago di un coniglio, fu collocata nell’ap- parecchio, dove era mantenuta la temperatura a 3G°, C. si ottenne una serie di oscillazioni, rapidamente decrescente, elevando ancora la tempera- tura 40°, C. le escursioni del muscolo divennero molto più lunghe; ma si elevarono considerevolmente sull’ascissa ed andarono quindi gradatamente accorciandosi , elevandosi sempre : fu quindi elevata a 42°, la tempe- ratura; le escursioni divennero più ampie e si mantennero orizzontali, decrebbero quindi, abbassandosi la temperatura a 40°, per crescere di nuovo, quando si ebbe ancora un aumento nella temperatura a 45° C. spinta a 47°, le escursioni divennero molto più piccole e rapidamente decrescenti, e solo dopo il riposo e la diminuzione della temperatura, si potè ottenere delle escursioni alquanto più ampie.

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La temperatura, nei limiti compatibili con la vita dei muscoli, adun- que, influenza seriamente l’andamento della fatica nei muscoli lisci, pro- duce un raccorciamento muscolare, che potrebbe benissimo consistere in un aumento nel tono delle fibre muscolari, indipendentemente da questo poi, è anche dimostrato: che in condizioni elevate di temperatura, la serie decresce più lentamente, che non quando la temperatura si accosta al limite fisiologico , tiene nel secondo caso un andamento inverso , re- stando quasi orizzontale il limite superiore dell’ escursione , si eleva il limite inferiore progressivamente.

Un andamento alquanto differente, teneva il decorso della fatica nei muscoli lisci puri e semplici, variazioni che erano in parte in rapporto con le difficoltà, inerenti al genere, d’esperimento; come per esempio la cessazione della circolazione nell’organo muscolare, la irregolarità ed una certa influenza nella contrazione, delia stimolazione; cause tutte che com- plicando seriamente il fenomeno, lo rendono meno preciso e poco rego- lare, in specie, quanto quest’ esperienze erano fatte in vesciche di conigli appena uccisi.

Una regolarità maggiore, si ottenne esperimentando su vesciche di rane , ed impiegando il secondo metodo già descritto. In alcune esperienze di questo genere non si petè evitare però una complicazione, che era quella della graduale perdita di tono della vescica, per l’inevi- tabile peso della leva; perdita di tonalità, che si rese manifesta in spe- cial modo, quanto l’intervallo fra una eccitazione e la seguente fu piut- tosto lungo. La vescica in generale era tenuta sospesa nel miografo, per il vertice e la porzione vicina all’ orifizio uretrale ; la temperatura durante il tempo dell’esperimento era poco variabile.

Eccitata la vescica, si aspettava il massimo di contrazione superiore, per raggiungere il quale e per eseguire il ritorno al punto di partenza impiegava circa 4, o 5, minuti. Dopo di che, veniva fatta una nuova eccitazione , quindi l’ intervallo compreso fra due oscillazioni vicine, è in generale variabile, specialmente nelle prime determinazioni.

La corrente era data, da una Bunsen ed un rocchetto a slitta ordi- nario, con 1’ àncora fissata; per avere rapidamente la sola scossa di chiu- sura ed apertura. In generale in questo caso, l’andamento della rigidità Atti Acc. Vol. I, Serie 4a 35

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Studi e ricerche sulla funzione

è decrescente e l’indirizzo generale del fenomeno, è molto simile a quello trovato, per i muscoli striati; con la sola differenza, che non ne ha la regolarità di quest’ ultimi, quanto al limite superiore, si possono come per l’esofago, osservare delle serie irregolarmente crescenti e decrescenti; e che veramente la decrescenza della ampiezza , dipenda esclusivamente da un fenomeno di fatica, si può argomentare dal fatto, che facendo in modo che tra una eccitazione e la seguente, segua un oeriodo di tempo molto lungo, allora l’ escursione conserverà per un certo tempo eguale ampiezza. A conferma del fatto, che 1’ andamento della stanchezza, non differisce che in particolari secondali dal fenomeno, analogo nei mu- scoli striati, ci sta anche 1’ esperienza, che io ho voluto ripetere a quel modo che il Marey, ha fatto per i muscoli striati : sovrapponendo le curve, e facendo in modo che le eccitazioni fossero fatte ad intervalli di tempo equidistanti, e dove si può completamente osservare la grande analogia che vi ha, tra 1’ andamento ed il decorso generale della con- trazione successiva nei muscoli lisci e in quelli a fibre e striate; le diffe- renze non essendo che in rapporto a durata.

Dopo d’avere esaminato, una buona parte delle questioni controverse od insolute, sulle funzioni delle fibre liscie, vediamo ora, se è possibile stabilire dei caratteri differenziali, tra fibre liscie e striate.

Il Budge opina, che le differenze funzionali tra queste due forme muscolari consistano in ciò : che le trasversalmente striate, differiscono dalle liscie per questo, che le prime si contraggono sotto una eccita- zione, molto più presto ed energicamente e che la contrazione cessa dopo la scomparsa dell’eccitamento, mentre fatti inversi avvengano per le fibre liscie.

Stando al risultato delle mie osservazioni, non posso convenire che veramente le differenze funzionali salienti consistono in questo:

Esaminiamo, per potere rilevare questa inesattezza, quello che nor- malmente avviene nella contrazione di un muscolo striato. L’applica- zione dello stimolo, è accompagnata da un intervallo di riposo; eccitazione latente, a questa segue la fase di contrazione e poi quella di rilasciamento nel caso di una eccitazione istantanea.

L’ eccitamento , e pigliamo per tipo quello elettrico , è di durata

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brevissima e nel caso di una sola scossa, la contrazione incomincia quando lo stimolo è cessato, come nei muscoli lisci. Nelle fibre liscie, vediamo ripetersi il fatto identico; l’applicazione dello stimolo, è seguita dal tempo latente e quindi dalla fase ascendente e discendente, della contrazione: non abbiamo, in questo caso, differenza in un solo dei tre tempi della contrazione, ma in tutti e tre tempi; che differiscono solamen- te dai tre tempi di contrazione, delle fibre striate per questo: che sono proporzionalmente più lunghi.

La contrazione delle fibre liscie, di fronte alla durata dello stimolo, non differisce che in estensione e durata.

Non potendo accettare, questa conclusione del Badge , come fatto differenziale tra fibre liscie e striate, prima di abbandonare la questione, dei rapporti tra durata dell’ eccitazione e la fase di contrazione , come carattere differenziale, vogliamo qui dire di un fenomeno, che potrebbe sino ad un certo punto servire di base differenziale. Se si eccita nuovamente un muscolo liscio, mentre è nella fase di contrazione, prima di compire la prima fase ascenzionale, presenta una nuova ascenzione bru- sca, è una fase di ascenzione che si addiziona alla precedente , ma da questo completamente distinta ed in rapporto, anziché con la prima, con la seconda eccitazione. con questo intendo ammettere che il feno- meno sia esclusivo dei muscoli lisci, perchè potrebbe darsi, che esistesse anche per i muscoli striati, dove è solamente poco constatabile, per la rapidità relativamente grandissima , con la quale ha luogo , la contra- zione della fibra striata.

Un’ altra differenza, si è voluta da alcuni trovare in questo ; che i muscoli lisci, sentono meglio lo stimolo applicato sulla fibra muscolare, che non il muscolo striato, dove ordinariamente l’effetto è maggiore, ecci- tando il nervo.

Essendo tanto differente, complessa ed oscura la innervazione della vescica, che era il muscolo, che meglio si prestava per questa constatazione; non ho voluto tentare di risolvere, questa intrigata questione; lasciando ad altri la responsabilità del fatto, mi limito solamente ed accennarlo.

Quanto poi a sensibilità, delle fibre muscolari lisce, poste in con- fronto con le striate, per gli stimoli elettrici, in condizioni identiche, credo

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Studi e ricerche sulla funzione

essere per le mie esperienze autorizzato a conchiudere, che i muscoli lisci sono molto meno sensibili, che i strati. Mi ero accorto di questo in parecchie circostanze, ma indipendentemente delle precedenti osservazioni, volli ripetere 1’ esperienza, in modo da escludere qualunque causa di errore.

Collocava nel miografo una vescica di rana, e la zampa galvano- scopica, in un circuito derivato dal principale, che si recava alla vescica.

La corrente era data, da 12 piccoli elementi Danieli, producendo delle interruzioni in queste condizioni, mentre aveva delle manifeste con- trazioni nella zampa galvanoscopica, non potei rinvenire nel cilindro in- fumato, sul quale scorreva lo scrivente del miografo, tracce di contra- zioni nella vescica: solo aumentando l’ intensità della corrente, potei ot- tenere delle manifeste contrazioni nella vescica.

Questi fatti, si realizzano sperimentando a temperatura ordinaria , perchè se il muscolo liscio, di rana principalmente, viene sopra riscal- dato, allora sotto 1’ influenza di questo nuovo agente, la vescica entra in una fase speciale di contrattilità, anche non stimolata, esegue delle con- trazioni spontaneamente e per parecchio tempo.

Mi è occorso più volte, di stimolare durante questo periodo la ve- scica, ma non tutti gli eccitamenti, erano seguiti da inevitabile contrazio- ne; e talora eccitando durante la fase discendente, osservava solamente crescere in quell’ istante, la fase discendente e tal altra volta, mentre la prossima eccitazione elettrica, non produceva contrazione, poco dopo senza causa apprezzabile eseguiva delle contrazioni.

In questi casi era manifesto, un certo spirito di indipendenza, da- gli stimoli elettrici, da costituire un fatto differenziale, tra fibre liscie e striate.

Anche il freddo, applicato sulla vescica qualche volta determinava delle contrazioni, che non riusciva ad ottenere con la stimolazione elet- trica, e riferisco a questo proposito una osservazione originale— Esegui- va queste ricerche a Torino, d’inverno in una stanza riscaldata, la tem- peratura della stanza era di 12° C. stimolando elettricamente una ve- scica replicataraente e con insistenza, per parecchie ore di seguito, non riuscii ad ottenere delle contrazioni, era per abbandonare l’ esperienza ,

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quando essendosi aperta improvvisamente una porta, un getto d; aria fred- da si riversò sulla vescica ed immediatamente la leva del miografo, ac- cennò ad una poderosa contrazione della vescica , che non era riuscito potere far contrarre con altri mezzi. Mentre non fu possibile, nei limiti di temperatura entro i quali furono eseguite quest’ esperienze, ottenere delle contrazioni spontanee, nei muscoli striati.

Indipendentemente delle mie osservazioni, qualche altro si era oc- cupato, dell’influenza del calore sulla contrattilità muscolare, ed il Cal- buries aveva osservato, che i movimenti peristaltici, dell’intestino del ca- ne, del coniglio e del porcellino d’india, divenivano più energici in un ambiente di 19°, a 25°, C. e che cessavano alla temperrtura di 35° 40° ed estese queste osservazioni alla vescica ed utero. Quantunque io, non possa accettare che parzialmente queste conclusioni; inquantochè, con 1’ aiuto del metodo grafico, potei constatare in modo indiscutibile, che oltre le vesciche delle rane , anche quelle dei conigli , si contraggono spontaneamente, in un ambiente riscaldato fra i 35° e 40°; pure restai colpito dall’ importanza data al calore, nella contrattilità della fibra li- scia; e mi pare accettando questo carattere, come nota distintiva e sa- liente, nella funzionalità della fibra liscia, che sia abbastanza giustificato il nome, di termo-sistaltici assegnato da non recenti osservatori, ai mu- scoli lisci.

Le altre differenze, comprese quelle sulla rigidità, non essendo che quantitative, più che qualitative o essendo fatti, con caratteri poco spic- cati e quindi poco dissimili, da quelli che si rinvengono nei muscoli striati, a me non sembra che meritino la considerazione, da essere ele- vati a caratteri distintivi.

Riassumendo adunque io credo che le differenze tra fibre liscie striate consistano in questo.

l.° Che sono sensibili specialmente agli stimoli termici, eseguendo spontaneamente delle contrazioni, qualora siano convenientemente ri- scaldati;

Che sono, in condizioni poco favorevoli di temperatura, meno sen- sibili dei muscoli striati, agli stimoli elettrici. Che in condizioni opportuni di calore, acquistano pure una certa indipendenza, dagli stimoli elettrici.

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Studi e ricerche sulla funzione

Risulta dalle mie osservazioni, che i muscoli lisci degdi animali a sangue caldo, entrano in una fase speciale di contrattilità, qualora in essi vien meno, la circolazione sanguigna; essendo poco mutate, le condi- zioni della temperatura.

RIASSUNTO DELLE CONCLUSIONI

La media, del periodo di eccitazione latente di tutte le osser- vazioni eseguite sugli animali a sangue caldo , nelle vesciche in sito e staccate dall’animale, conservandole in buone condizioni di temperatura è presso a poco di 25, a 30, cinquantesimi di minuto primo. Questa cifra però deve considerarsi come grande, posta in confronto con la me- dia ottenuta, su vesciche di animali a sangue caldo (conigli) staccate dall’ animale e conservate in buone condizioni , di umidità e tempera- tura. Mentre i valori ottenuti in queste ultime esperienze si avvicinano a quelli ottenuti sulle vesciche di rane riscaldate.

Il tempo latente dei muscoli esofagei, è rappresentato da 1 cin- quantesimo di minuto, valore molto vicino a quello ottenuto per le fibre striate, dei medesimi animali ed incomparabilmente minore dei muscoli lisci puri e semplici.

Il periodo di eccitazione latente, nei muscoli lisci degli animali a sangue freddo, tenute in condizioni di temperatura favorevoli, è di cir- ca 37 cinquantesimi, di minuto primo.

Il periodo di eccitazione latente, è vario: esso varia con il va- riare della temperatura, è più lungo, nel caso che la temperatura sia bassa, è breve se la temperatura è più elevata.

In altri termini, la durata del tempo latente, è in certo qual modo in ragione diretta con le basse temperature, cioè è più lungo se la tem- peratura è bassa ed inversamente proporzionale all’ elevate temperature.

Questa conclusione, non si può egualmente estendere ai muscoli li- sci, degli animali a sangue caldo, ma tiene nelle mie esperienze, per i soli muscoli lisci, delle rane.

delle fibre liscie muscolari

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Il tempo latente, diventa più lungo negli animali avvelenati con veratrina, siano questi animali a sangue freddo o a sangue caldo.

Il tempo latente differisce poco per intensità della stimolazione elettrica, la differenza non è apprezzabile, che nei soli casi che si ado- perano, correnti di intensità minima.

La temperatura esercita una influenza notevole sulla eccitabilità delle fibre liscie che riscaldate moderatamente entrano in una fase spe- ciale di attività spontanea. Sotto la influenza della temperatura , i tracciati della contrazione diventano :

a) molto più pronunziati e consideravo finente elevati.

b) La durata della contrazione è più breve.

c) Alla temperatura di 40° c. le fibre liscie vescicali delle rane entrano in una fase speciale di contrazione , eccitate rispondono alla stimolazione; ma la forma e la durata della contrazione, è completamente differente dalla normale; raggiunto il massimo di raccorciamento, il muscolo per un tempo relativamente lungo, rimane immobilmente contratto; come se avesse perduto la facoltà di ritornare sopra stesso; vi è un mo- mento che il muscolo ha perduto le sue proprietà fisiologiche, stato ori- ginale, che presentano le fibre liscie, ma stato transitorio.

d) Sotto la influenza di temperatura opportune, le fibre liscie ac- quistano una speciale attività, che li rende sino ad un certo punto in- dipendenti, dalla stimolazione elettrica.

La temperatura favorevole, perchè i muscoli lisci possano fun- zionare, oscilla dai 10° c. ai 39° c. in specie per gli animali a sangue freddo.

Il numero degli eccitamenti, sono in rapporto diretto con la curva di contrazione. Mentre un solo eccitamento spesso non è capace di determinare una contrazione, addizionandosi dànno per effetto utile finale la contrazione del muscolo.

La curva di contrazione è tanto più elevata, quanto maggiore è il numero degli eccitamenti, ed è sino ad un certo punto indipendente dall’ intensità della corrente. Così per esempio , se con una corrente indotta di una certa forza, si ottiene con un solo eccitamento, una curva

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Sitali e ricerche sulla funzione

di contrazione di una determinata altezza ; con corrente molto più de- bole e numero maggiore di eccitamenti, si ottiene una curva di contra- zione, molto più elevata.

I medesimi risultati, si ottengono adoperando correnti continue di durata variabile.

10° La forma della contrazione presenta delle differenze.

a) se è ottenuta in condizioni favorevoli o sfavorevoli di temperatura;

b) se è spontanea;

c) se è ottenuta, con stimoli di intensità e durata varia.

11° I muscoli lisci, come i striati; specialmente quelli degli ani- mali a sangue caldo, entrano in rigidità dopo la morte dell’ animale. La rigidità incomincia , poco dopo la morte dell’ animale; è raggiunge il suo massimo in un periodo compreso fra le 8 e le 14 ore. Que- sta conclusione non si può estendere ai muscoli lisci, degli animali a sangue freddo.

12° Durante il progresso della rigidità, i muscoli lisci sono eccita- bili. — L’ eccitabilità scompare, quando il muscolo è completamente rigido.

13° La eccitazione elettrica, applicata al muscolo che irrigidisce, de- termina la contrazione nel muscolo, che dal canto suo rimane contratto, non ritorna come il muscolo in condizioni normali, al punto di partenza e durante il tempo abbastanza lungo, che segue alla stimolazione, il muscolo smette di irrigidirsi.

In altri termini la eccitazione elettrica, determina rapidamente un raccorciamento, che è compensato da un periodo di riposo; ed il risultato finale, è quasi identico perchè il muscolo nel periodo di riposo, avreb- be raggiunto presso a poco quel raccorciamento, che viceversa acquista rapidamente.

14° I muscoli lisci, tanto degli animali a sangue caldo, che quelli degli animali a sangue freddo, irrigidendo si raccorciano considerevolmente.

15° I muscoli lisci rigidi, sono di reazione acida.

16° L’esofago estratto dalh animale, conserva la sua eccitabilità per un tempo lunghissimo, tenuto in buone condizioni di temperatura

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17° La eccitabilità dell1 esofago, durante il progresso della rigi- dità, differisce da quella delle fibre liscie propriamente dette; e presenta dei fatti, che ricordano la sua doppia natura muscolare.

18° La rigidità delle fibre liscie, come per le striate, dipende con molta probabilità, dalla coagulazione della miosina.

19° I muscoli lisci, come i striati seguono le leggi generali della fatica.

20° I tracciati della stanchezza dell’esofago, differiscono in questo da quelli dei muscoli striati, che presentano una speciale irregolarità , nelle rette esprimenti il massimo raccorciamento del muscolo, esistono periodicamente dei gruppi irregolarmente crescenti, seguiti da una serie periodicamente decrescenti e così di seguito.

21° La temperatura elevata, modifica 1’ andamento della fatica nei muscoli esofagei.

22° Le fibre liscie differiscono dalle striate.

a) Per la notevole influenza che dall’ azione del calore, subisce la loro funzione, da giustificare il nome di muscoli, termo-sistaltici asse- gnato a questi muscoli, da non recenti osservatori.

b) per il potere di contrarsi spontaneamente, conservati in con- dizioni fisiologiche di temperatura; e staccati dall’animale.

c) per una indipendenza limitata, che acquistano moderatamente riscaldati, dagli stimoli elettrici.

d) per la fase contrattile che acquistano , quelli degli animali a sangue caldo, in ispecie, qualora venga soppressa rapidamente la circo- lazione; le differenze nella temperatura, essendo poco marcate per potere attribuire alla stessa, l’ ipereccitabilità delle fibre liscie.

e) che in condizioni poco favorevoli di temperatura, sono poco sen- sibili alla stimolazione elettrica.

ETNA , SICILIA ed ISOLE VULCANICHE ADIACENTI sotto il punto di vista dei fenomeni eruttivi e geodinamici avvenuti durante ranno 1888

Memoria, elei Prof. ORAZIO SILVESTRI

L’anno 1888 ha dato occasione in Sicilia a studi ed osservazioni di molto interesse per la vulcanologia in rapporto alla geodinamica, in causa specialmente dell’attività eruttiva che hanno presentato l’ Etna e Ylsola di Vulcano.

Nel caso dell’Etna, lungi dal poter valutare il grado d’importanza dei fenomeni che si sono compiuti, da quell’apparato scenico che suole attirare l’attenzione di tutti e che accompagna le eruzioni nel significato più comune della parola, ossia quando fiumi di lava fluente o volgar- mente fiumi di fuoco irrompono da un cratere; si è dovuto notare invece un complesso di fenomeni di più modesta apparenza , e spesso tale da potere essere confuso a delle comuni meteore di origine atmosferica , mentre un’ attenta osservazione ne ha riscontrato la origine esclusiva- mente vulcanica dal cratere centrale attivo dell’ Etna. Infatti non è mancato il potenziale ordinario della forza eruttiva, rappresentato dallo sprigionamento di grandi masse di vapori. E mancato solo, fino dal punto di origine di queste masse vaporose , la presenza di quel denso magma composto di silicati incorporati con l’ acqua, che , elaborato dal complesso degli agenti endogeni, 'viene dalla forza esplosiva dei vapori spinto al di fuori sotto forma di lava, o sotto forma di proiezioni in- candescenti.

All’isola di Vulcano (che tra le Isole Eolie è la più vicina alla Sicilia ed all’ Etna) è avvenuto e tuttora avviene lo stesso, ma con maggiore energia e maggiore imponenza, forse in ragione dell’ altezza di gran lunga minore sul livello del mare di questo apparecchio vul- canico in paragone all’ Etna. Su questo genere speciale di manifesta- zioni vulcaniche non si è fissata fin qui 1’ attenzione degli osservatori Atti Acc. Vol. II, Sebie 4a 36

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Etna, Sicilia ed Isole vulcaniche adiacenti nel 1888

quanto merita il fenomeno per stesso, che io credo importantissimo ad affermare la circolazione endoterrestre dei fluidi aeriformi, che quali agenti meccanici poderosi possono trovare o in modo facile e relativamente tranquillo , cioè senza notevoli scuotimenti di suolo, il loro sfogo all’e- sterno per la via già fatta delle gole vulcaniche: o in un modo brusco e violento per quelle che si possono improvvisamente aprire, ove manchi la valvola di sicurezza di un vulcano, raggiungendo il punto critico di tensione capace di determinare qualche formidabile esplosione, che faccia saltare in aria, ridotti in frantumi, gli strati del suolo.

L’Etna e Vulcano nella regione siciliana ci hanno dato in quest’anno l’esempio del primo genere di sfogo; come del secondo ce lo ha presen- tato, in altro punto della superfìcie del globo, parimenti in quest’anno il monte Bandai situato a 241 chil. a nord di Tokio nel Giappone; quando il 15 luglio è stato teatro di un cataclisma eruttivo dei più spaven- tevoli. Infatti secondo la relazione del prof. W. K. Burton dell’ Università imperiale di Tokio, inviato sul luogo dal governo giapponese , il detto monte dopo frequenti terremoti è stato in gran parte sconvolto e gettato all’ aria da una esplosione eruttiva di immane potenza, senza tracce di lava e semplicemente dovuta alla espansione di grandi masse di va- pore d’ acqua ad alta tensione. I frantumi di rocce grandi e piccoli fino ad una polvere o cenere nera, hanno ricoperto una estensione di circa 60 chilom. quadrati, seppellendo alcuni villaggi coi loro abitanti.

Le notizie che ci hanno lasciato gli scrittori dal principio dei tempi storici fino ad oggi relativamente a Vulcano , ci dimostrano che in questa isola , solo a lunghissimi intervalli sono avvenute eruzioni accompagnate da lava, e all'ultima di queste si assegna la già lontana data del 1771. Del resto i suoi più frequenti sfoghi eruttivi, sia nella

antichità della storia, sia in tempi più vicini a noi, sono stati di vapori

proiettanti ceneri e pietre, ovvero frantumi di rocce antiche staccati dal tramite aperto nella massa del monte crateriforme. E l’attuale persistente eruzione di Vulcano , allo studio della quale io attendo, e di cui darò

un breve cenno più avanti , ci rivela esattamente il modo di essere di

questo genere di manifestazione eruttiva , che io ritengo non potersi

sotto il punto di vista dei fenomeni eruttivi e geodinamici

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assimilare alle fasi di attività dei vulcani finora distinte dalla scienza, cioè alla fase Pliniana, alla fase Stromboliana , e tanto meno a quella Solfatariana o di semplice emanazione. Per cui mi sembra molto utile il metterla in evidenza chiamandola fase di attività vulcaniana , da Yulcano, che ce la manifesta nel modo più abituale e caratteristico, ma che è da ritenersi come comune in generale ai vulcani in dati periodi.

Uno di questi periodi si è presentato in modo evidente durante quest’anno 1888 all’Etna, ed ha, si può dire, preceduto immediata- mente i fenomeni eruttivi, che hanno avuto ed hanno tuttora continua- zione per mezzo del cratere-isola di Yulcano , ove , quantunque della stessa natura, si sono, come ho già detto, resi più caratteristici per maggiore intensità e violenza.

Rispettando dunque l’ordine cronologico, incomincio col riassumere brevemente quanto di più importante ho osservato durante la fase di attività vulcaniana presentata dall’ Etna, per passare poi ai fenomeni eruttivi di Yulcano.

I.

Etna.

1. Fenomeni vulcanici centrali. Eruzioni vulcaniane.

Fino da quando cessò la memorabile eruzione dell’ Etna nel 1886, il nostro gigante Yulcano entrò in un periodo di sfoghi intermittenti , generalmente di soli vapori, dal cratere centrale. Di questi , della loro data e del loro modo di presentarsi io resi conto nell’ Annuario della Società Meteorologica italiana del 1887. Sul principiare del 1888 gli sfoghi eruttivi vaporosi si riaffacciarono con caratteri di deboli mani- festazioni durante il mese di gennaio. Andarono gradatamente crescendo per intensità e per frequenza nei mesi di febbraio e marzo. In aprile le eruzioni con progressivo aumento di energia ebbero più rade inter- mittenze; principiarono a determinare delle piogge di ceneri e lapilli, e vennero maggiormente a caratterizzare un periodo eruttivo speciale, che

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Etna, Sicilia ed Isole vulcaniche adiacenti nel 1888

ebbe seguito nei mesi di maggio e di giugno, con eruzioni giornaliere, e spesso relativamente imponenti per il loro modo di presentarsi. A cielo perfettamente sereno , e generalmente nelle prime ore mattutine, si sono viste incominciare con piccoli sbuffi di vapore: indi rapidamente crescere e farsi gagliarde : dopo una durata di qualche ora a poco a poco è scemata la loro forza, finché verso sera hanno raggiunto il loro termine, lasciando il cratere centrale (cima dell’Etna) perfettamente sgombro e coi suoi profili netti sul fondo di un cielo trasparente e stellato. Nella fase di maggiore energia eruttiva giornaliera si sono viste spesso addensarsi ed ampiamente estendersi delle nubi tempora- lesche, cariche di pioggia, di elettricità e di cenere , che si sono river- sate sulle alture dell’ Etna e in più bassi orizzonti , con acquazzoni e grandinate accompagnati da imponenti e improvvisi temporali elettrici con fulmini, tuoni e caduta di cenere. Tali fenomeni hanno destato sorpresa anche al volgo come straordinari , nelle calme condizioni me- teoriche comuni in Sicilia nel tempo in cui avvenivano.

Durante il mese di luglio le eruzioni diminuirono assai di forza e di frequenza, e al principio di agosto cessarono, mentre contemporanea- mente (il 3) scoppiò veemente la eruzione alla vicina Isola di Vul- cano. Dal 6 al 18 del mese , cioè per 12 giorni, Vulcano si rimise in calma , e durante questo periodo si riaffacciarono all’ Etna delle intermittenti eruzioni e alcune di un certo vigore , le quali , alla loro volta, dal 21 di agosto (quando Vulcano rientrò nella fase eruttiva gagliarda che tuttora seguita) vennero a mancare, per ricomparire solo a lontani intervalli nei mesi di settembre, ottobre e novembre. Ma que- ste, se si eccettui una eruzione assai imponente del 31 settembre ed una di minor forza del 18 ottobre, ambedue accompagnate da pioggia di cenere, del resto sono state deboli e di solo vapore.

Tutte le osservazioni mi conducono a ritenere: che il periodo eruttivo dell’ Etna, che ebbe deboli manifestazioni nei primi mesi del- 1’ anno , è andato gradatamente crescendo in seguito , raggiungendo un massimo nel maggio e nel giugno; indi è venuto a declinare col prin- cipiare della fase eruttiva più energica, ma dello stesso genere, di Vul- cano; 2° che la maggiore o minore energia e la temporaria calma nella

sotto il punto di vista dei fenomeni eruttivi e geodinamici

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eruzione di Vulcano, hanno avuto un riscontro inverso di manifestazioni nel cratere centrale dell’ Etna.

Per meglio chiarire e comprendere la natura delle eruzioni etnee che caratterizzano la fase attiva vulcanianct , credo utile di far conoscere le seguenti più dettagliate notizie, che estraggo dal mio giornale.

Gennaio. - Piccole manifestazioni eruttive intermittenti di vapori bianchi e densi dal cratere centrale dell’ Etna si sono osservate nei giorni 12, 16, 19, 21, 22, 24, 26. Sono state in generale della breve durata di poche ore: il 19 e 31, di giorno, hanno presentato un mas- simo relativo, ma sempre di modesta apparenza di sbuffi vaporosi che scaturivano dalla cima del monte.

Febbraio. Le eruzioni di vapori con la tendenza ad assumere una forza crescente, hanno presentato manifestazioni più spiccate, spe- cialmente nei giorni 3, 4, 8, 10, 11, 14, 20, 22, 27, 29, con un re- lativo massimo a 8, 14, 21, 22, 27, in cui sono giunte a costituire dei condensamenti sovraincombenti al cratere. Del resto, come nel mese precedente, hanno avuto breve durata e sono state di poca entità, tranne quella del 27, che verso le 5 pom. fu capace di produrre una nube temporalesca con lampi, tuoni e pioggia.

Marzo. La forza eruttiva dei vapori ha continuato a crescere. Le eruzioui, per lo più diurne, si sono fatte più frequenti ; infatti si sono notate nei giorni 1, 3, 5, 8, 9, 11, 12, 13, 19, 20, 21, 22, 23, 25, 26, 27, 30, 31. Sempre di breve durata, hanno presentato un massimo relativo il 3, 5, 8, 12 13, 19, 25, 31, in generale con le apparenze di mediocre addensamento di nubi. Tuttavia 1’ eruzione del 25 oltrepassò i limiti delle altre, e prese un aspetto piuttosto grandioso, costituendo abbondanti nubi estese per grande tratto verso ponente, ed a margini meandriformi caratteristici della loro origine eruttiva.

Aprile. Si è accentuato sempre più il crescendo di forza erut- tiva dei vapori, che ha dato luogo ad eruzioni quasi giornaliere , tal- volta accompagnate da cenere. Si è con ciò sempre più caratterizzato

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Etna, Sicilia ed Isole vulcaniche adiacenti nel 1888

un periodo eruttivo speciale dell’ Etna. I giorni , in cui le eruzioni si sono rese più manifeste, sono stati FI, 2, 3, 5, 9, 10, 13, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 27, 28, 29, 30. Hanno avuto un massimo relativo il 3, 13, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 27, in cui hanno presentato il cratere centrale sormontato da cirri, cumoli e strati di vapori condensati fino a grande altezza o striscianti sulle pendici del monte. Il 13 aprile fu una gagliarda eruzione di vapori carichi di cenere , i quali spinti da forte vento di WN'W costituirono a ESE, a partire dalla cima dell’Etna e fino per grande tratto dell’ Ionio, un esteso lenzuolo di fitta caligine di color cinereo giallastro. Il fenomeno ebbe una durata dalle 12 me- ridiane alle 6 di sera.

Maggio Le eruzioni, sempre crescenti in energia e frequenza, hanno avuto delle manifestazioni, ora di maggiore ora di minore inten- sità, giornaliere. Il 2 dalle prime ore del mattino si presentò imponente eruzione, che produsse dense nubi, fosche, cineree, che fecero cadere abbondante pioggia di cenere e lapilli nella plaga Est ed ESE, dell’Etna (Zafferana Etnea , Bongiardo , S. Yenerina , Riposto , Acireale , ecc.) ; nelle alture del cratere caddero anche pietre di mediocre grandezza: la pioggia durò dalle 10.30 ant. a mezzogiorno, ed alle 6.30 pom. ogni fenomeno eruttivo era cessato.

Il 5 del mese si ripetè una eruzione di vapori e materiale solido come il 3, però senza che si rendesse sensibile alcuna pioggia di cenere nei centri abitati etnei, perchè forse trasportata a più grande distanza. Si udirono cupe detonazioni dal cratere , ed a poco a poco imponenti nembi temporaleschi di vapori via via eruttati avvolsero completamente l’Etna verso le 1.30 pom. Alle 6 pom. col cessare della eruzione le nubi in breve ora si dileguarono, e verso le 8 pom. il cielo si era rifatto perfettamente sereno e la cima dell’Etna del tutto sgombra da qualun- que manifestazione eruttiva. Il 6 e 7 altre eruzioni diurne, simili per- fettamente a quelle del 5. Nei 8 e 9 altre eruzioni di abbondanti vapori che coprono completamente l’Etna, incominciate alle 10 ant. e durate fino alle 6 pom. Il 10 idem } l’eruzione incomincia alle 10 ant., finisce alle 5 pom. Il 11 ideni? l’eruzione incomincia alle 9 ant. e

sotto il punto di vista dei fenomeni eruttivi e geodinamici

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finisce alle 6 pom. Il 12 idem , V eruzione incomincia alle 9.30 ant.; dalle 2 alle 6 pom. 1’ Etna è avvolto da nubi che danno abbondante

pioggia, che continua anche nella notte e per tutto il 13 e 14.

Il 15, quasi mancano le manifestazioni eruttive, che abbondanti ripigliano il 16 e continuano il 17, 18, 19, 20, 21 : incominciano sul far del giorno e in poco tempo avvolgono l’Etna con un ammasso nu- voloso di vapori eruttati ; che fino a notte inoltrata non si dileguano. Il 22 grandiosa eruzione di vapori : incomincia alle 7 antim., finisce alle 6 pom. Il 23 eruzione della stessa durata della precedente, ma più

modesta. Il 24 tempo burrascoso in tutta le regione etnea. Il 25 l’Etna

si mostra tutto avvolto in nubi di vapori eruttati. Il 26, 27, 28, 29, nessuna o debolissime manifestazioni eruttive. Il 30 forte eruzione in- comincia alle 11.30 ant., avvolge in breve l’Etna di nubi che scaricano pioggia interrotta anche il successivo 31.

Giugno. 1, 2, 3, 4, calma eruttiva. Il 5 principia con discreti vapori. Il 6 una eruzione incomincia verso mezzogiorno , alle 3 pom. si fa gagliarda, e cessa alle 7 pom. A 7 grandiosa eruzione , com- parisce alle 7 ant. e finisce alle 6 pom. A 8 calma. A 9 altra bella eruzione incomincia alle 6 ant. e finisce alle 7 pom. Il 10 idem , idem. A 11 imponente eruzione: grandi masse di vapori eruttati si addensano in caratteristiche nubi temporalesche , che in causa di ga- gliardo vento si staccano via via dall’ Etna, e si estendono per ricoprire esteso orizzonte a levante e a mezzogiorno : lampi e tuoni si succedono con frequenza. A Catania i campanelli elettrici del servizio telefonico si mettono a suonare , e le scariche elettriche sono accompagnate da pioggia così abbondante, che 1’ acqua allaga le strade e i cortili per non aver tempo di affluire negli acquedotti ; l’acqua piovuta si mostra all; analisi chimica ricca di sali specialmente cloruri e nitriti (1). Alle 7 pom. l’eruzione è completamente finita, l’Etna è sgombro di va- pori, ed il cielo è tornato perfettamente sereno.

(1) Questo fatto importante resulta da un’ analisi eseguita dal Prof. G. Basile chimico della R. Scuola enologica di Catania il quale si occupa attivamente dello studio delle acque di pioggia.

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Etna, Sicilia ed Isole vulcaniche adiacenti nel 1888

Il 12 ripiglia di buon mattino 1’ eruzione che avvolge 1’ Etna di nubi : a ore 7 pom. 1’ Etna tende a scuoprirsi , e poco dopo cessa il fenomeno. Il 13 mediocre eruzione, che alle 11 ant. nasconde Y Etna tra i vapori; questi si dileguano la sera a eruzione finita. Il 14 gran- diosa eruzione come al solito dalle 7 ant. alle 7 pom. Il 15 idem , co- me il giorno precedente: incomincia alle 9 ant. finisce alle 8 pom. Il 16 idem , incomincia alle 9,30 ant. e finisce alle 10,30 ant., ripiglia alle ore 5 pom. e finisce alle 8 di sera. Il 17 per tutto il giornoTEt- na è avvolto da nubi di vapori eruttati : verso sera il cielo torna a farsi sereno e l’Etna è sgombro. 11 18 idem , come il giorno preceden- te. Il 19, dalle 6 ant. alle 11 ant. dal cratere centrale sorgono vapori bianchi dovuti a mediocre eruzione ; dalle 12 alle 7 pom. 1’ eruzione si è presentata gagliarda : alle 7 pom. è cessata ed il cielo è tornato sereno. Il 20, dalle 7 alle 10 ant. poca emissione di vapori: dalle 11 ant. alle 6 pom. gagliarda eruzione: alle 7 pom. Y eruziome è cessata.

Il 21, dalle 6 ant. alle 6 pom. eruzione , i vapori dalle 10 ant. alle 6 pom. avvolgono completamente 1’ Etna : alle 7 pom. 1’ eruzione è cessata e il cielo è trasparente e stellato. Il 22 , eruzione alquanto attiva, comincia alle 7. 30 ant. cresce dalle 11 ant. alle 4 pom. alle 5 pom. diminuisce , alle 6 pom. cessa e il cielo è sereno. Il 23 e il 24, mediocre eruzioni : nel primo giorno dalle 7 ant. alle 6 pom. nel secondo, incomincia alle 10 ant. e finisce alle 5 pom. alle 6 pom. l’Et- na è completamente sgombro di vapori. Il 25 , alle 7 ant. e sempre come nelle precedenti, a cielo sereno, ha principio una eruzione, che da piccola cresce gradatamente , finché dalle 4 alle 6 pom. prende molto vigore , e 1’ Etna si occulta tra nubi di vapori condensati : dopo le 6 pom. rapidamente le nubi si dileguano ed il cielo si fa trasparente, per- chè il fenomeno eruttivo è cessato.

A 26, alle 4 ant. io mi trovava sulla cima dell’Etna per istn- diare le condizioni interne del cratere. Esso presenta ampia gola eruttiva a ponente dell’esteso recinto crateriforme, tutto internamente asperso di cenere di lapilli e più grosse pietre provenienti dalle eruzioni. All’ ora indicata poco vapore esce dalla gola, e non impedisce la vista ; però è sufficiente a rendere penosa la respirazione, per l’ abbondante anidride

sotto il punto di vista dei fenomeni eruttivi e geodinamici

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solforosa che lo accompagna e che attacca le fauci con impressione soffocante. Tutto Torlo e le pendici del cratere dal lato corrispondente alla gola eruttiva sono scottanti e gremite di fumaioli, generalmente di vapori d’ acqua. Nessun rombo ho udito, che non sia quello che possono produrre le correnti di aria e di vapori, che circolano in vortici dentro la cavità a pareti anfrattuose del cratere. Tutto T esterno del cratere o cono estremo dell’ Etna, dalla cui massa filtrano tanti vapori, mostrasi straordinariamente rivestito da una efflorescenza bianca o giallastra ab- bondantissima, che a distanza simula uno strato di neve : T analisi di questa effloroscenza mi ha dimostrato un composto minerale speciale, al quale ho dato il nome di Alluni inìo-polioss ition ite (1).

Fino alle 7 antimeridiane si sono sollevati dalla gola i pochi va- pori suaccennati : alle 7 antimeridiane i vapori aumentano, e si sveglia un’attività eruttiva in modo, che- alle 9 ant. si è già formata una nube densa , che oscura il sole e tende a diffondersi verso levante in forza del vento di West che spira. Alle 12 T eruzione di vapori è assai di- minuita ; la nube si è ristretta ed il sole è tornato a splendere. Alle 2.30 grande improvvisa esplosione di vapori , con rombo cupo interno nel cratere: la esplosione proietta a grande altezza una colonna di va- pore cinereo , che assume T aspetto di pino ; ben presto la chioma del pino volge a levante , e scarica abbondante pioggia di cenere e lapilli sul cratere e sul fianco orientale dell’ Etna. Il fenomeno eruttivo dura pochi minuti, e dopo la caduta della cenere resta sul cratere del vapore bianco dovuto a debole attività eruttiva che va a cessare alle 6 poni., e allora il cratere è ritornato coi pochi vapori presentati nel mattino, i quali sollevandosi nell’aria si dileguano, per cui si presenta a distanza la cima dell’ Etna sgombra di vapori : in tale stato si è mantenuta per tutta la notte. Anche osservato nella oscurità della notte, il cratere non mostra nella sua gola alcuna emanazione o riflesso di luce.

Il 27, a ore 7 ant., incomincia l’eruzione; a ore 10 ant. è già gagliarda; dalle 12 alle 6 pom. si ode qualche detonazione del cratere, e nubi temporalesche di eruzione coprono T Etnea , con lampi e tuoni

(1) Vedi Atti R. Accad. Gioenia di Scienze Naturali. Catania, Voi. Ser. IV. Atti Acc. Von. I, Serie 4a

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Etna, Sicilia ecl Isole vulcaniche adiacenti nel 1888

di scariche elettriche. Alle 7 pom. e nel seguito della notte 1’ Etna rimane sgombro senza eruzione; cielo sereno. Il 28 cielo sereno in tutto l’orizzonte, ma fino dalle ore mattutine nubi di eruzione avvolgono l’Etna: tutto il giorno si mantiene la stessa condizione. Alle 7 pom. l’ Etna è sgombro completamente di vapori , e così si mantiene per tutta la notte, a netti profili sul cielo stellato. A 29 e 30 idem , idem, co- me il giorno precedente 28.

Luglio. Durante questo mese, le eruzioni hanno diminuito assai di forza e di frequenza. Ye ne fu una assai grandiosa il 8, che in- cominciò la mattina alle 9 ant., e terminò alle 8 di sera. Altre di pic- cola forza avvennero il 9, 13, 15, 30 e 31, e sempre nelle ore diurne, mentre nella notte l’Etna in generale fu sgombro di vapori e privo di manifestazioni eruttive.

Agosto. L’1, 2, 3, nessuna eruzione (nella notte del 3 scoppio della eruzione di Vulcano che resta sospesa dal 6 al 18 del mese). Il 6 il cratere centrale dell’Etna torna a presentare una manifestazione eruttiva mediocre di solo bianco vapore. Altra manifestazione eruttiva dello stesso genere, ma più energica della precedente , si ebbe nei 11 e 12 nelle ore pomeridiane. Il 13 avvenne un’eruzione grandiosa, come quelle del maggio e giugno, con un relativo massimo alle 3 pom., e finì sul far della sera. Il 15 il fenomeno eruttivo si ripresenta con molto minore energia del precedente. Si riaffaccia pure una debole manifestazione il 21 e il 29.

Settembre. Vi furono deboli eruzioni vaporose l’I, 3, 5, 8, 11, 14, di mediocre forza il 17, 23, 25: il 30 tornò a presentarsi du- rante il giorno una improvvisa eruzione , importante come quelle del maggio e giugno : esteso pino di vapore cinereo diede pioggia di cenere minuta sulla plaga orientale dell’ Etna.

Ottobre. Debolissime manifestazioni eruttive si hanno l’I, 2, 14. Il 18 si presenta nelle ore diurne una eruzione piuttosto forte, con nubi di vapori e cenere, che piove sottile e rara sul fianco orientale

sotto il punto di vista dei fenomeni eruttivi e geodinamici

301

dell’Etna fino alla costa marittima di Riposto. Nel rimanente del mese nessun fenomeno degno di nota.

Novembre. Per lo stato del cielo spesso annuvolato, si è potuto notare solo che il 4, 6 e 19 vi fu debole emissione di vapore bianco dal cratere centrale dell’ Etna. Il 26 debole eruzione di fumo nerastro, cioè composto di vapori e di cenere, la quale sino dalle prime ore del mattino aveva ricoperto la neve su tutto il lato di ponente del cono.

Dicembre Anche durante questo mese le condizioni meteoriche dominanti sono state di cielo coperto e spesso piovoso. Solo per 12 giorni di cielo sereno si è lasciata vedere la cima dell’ Etna la quale ha mostrato il 2 il cratere sormontato da densi vapori bianchi , il 8 il medesimo con la neve coperta di uno strato di cenere di una piccola eruzione avvenuta dal 3 al 6 in cui è stato occultato.

Il 10 si è vista la ripetizione di una eruzione di cenere accom- pagnata da abbondanti vapori che hanno costituito un lungo cirro esteso da ponente a levante per gran tratto di cielo trasparente e sereno. Il 21 e 22 vi sono state emanazioni piuttosto abbondanti di vapori bianchi. Il 26 il candido manto di neve del cono si è mostrato di nuovo coperto dalla cenere di altra eruzione avvenuta il giorno avanti in cui era rimasto avvolto tra le nubi.

2. Fenomeni vulcanici eccentrici.

Oltre i fenomeni fin qui accennati, presentati dal cratere centrale nulla di straordinario si è dovuto notare. Solo sul fianco meridionale dell’ Etna, ove si stabilì l’apparcchio eruttivo della conflagrazione del 1886, e sulla corrente di lava che si distese dal nuovo cratere fino a Nicolosi , continuano tuttora le emanazioni vaporose, che sogliono per lungo tempo accompagnare il materiale eruttato durante il suo lento raffreddamento. Anche alla base orientale e meridionale dell’Etna,, nulla di insolito hanno manifestato le sorgenti idrogassose di S. Venera presso Acireale, quelle di Paterno, le Salse o Vulcani di fango di Paternò e di S. Biagio.

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Etna, Sicilia ed Isole vulcaniche adiacenti nel 1888

IL

Fenomeni vulcanici nel rimanente della Sicilia.

Nell’ antica regione Flegrea della Sicilia meridionale secondo quanto mi ha comunicato il signor Gl. Gl. Ponte, direttore dell’ Osservatorio di Palagonia, si è osssrvato durante l’ anno qualche intermittente recrude- scenza nei fenomeni ordinari di emanazione di anidride carbonica nel lago di Naftia o dei Palici presso Palagonia , accompagnata da tenui quantità di idrocarburi liquidi , che si sono potuti raccogliere conden- sati in forma di spuma galleggiante sulle acque del lago, la quale col riposo ha dato un petrolio di speciale natura, su cui non è qui il luo- go di intrattenersi. Anche le acque della sorgente Fiumecaldo , presso Mineo, hanno dato luogo ad osservazioni importanti al signor G. Guz- zanti, direttore di quell’ Osservatorio : importanti circa il rapporto che presentano tra i caratteri di limpidità , intorbidamento e temperatura variabile , ed i fonomeni geodinamici specialmente microsismici locali. Fatti tutti, che per la loro particolarità sfuggono a questa generale ri- vista.

Le altre parti del suolo siciliano, anche dove hanno sede secolare fenomeni di vulcanicità secondaria, come alle Macalube di Girgenti , di Caltanissetta, ecc., nulla si è avuto da osservare di straordinario e me- ritevole qui di nota.

m.

Fenomeni vulcanici nelle isole adiacenti alla Sicilia.

I fenomeni che mi hanno offerto in quest’anno speciale argomento di osservazioni e di studio , sono stati quelli presentati dalla eruzione dell’ Isola di Vulcano, di cui passo a parlare.

1. Eruzione dell’Isola di Vulcano.

Ho già avanti accennato come si debba ritenere, dietro le notizie che ci hanno lasciato gli scrittori, che l’Isola di Vulcano (la più vicina

sotto il punto di vista dei fenomeni eruttivi e geodinamici

303

alla Sicilia tra le Eolie) dai tempi storici (a partire da 475 anni av. Gl. C.) fino ad ora , abbia dato eruzioni di lava fluenti solo a lunghi intervalli, mentre più frequentemente ha limitato i suoi sfoghi a eru- zioni di vapori , ceneri e pietre , (generalmente frantumi trasportati di antiche lave). Pare che l’ ultimo formidabile incendio sia avvenuto nel 1771, e a questo si debba riferire una corrente di lava ipossidianica, che si vede tuttora molto distinta e con aspetto alquanto fresco , tra- boccata dal fianco Nord del cratere ora attivo e geologicamente più recente dell’ altro grandioso preistorico che forma tutta l’ isola.

Dopo il 1771 nessun grande incendio è registrato nella storia, e 1’ attività del cratere si è mantenuta generalmente al grado solfatariano, tranne di tanto in tanto alcune energiche eruzioni di vapori e ceneri , accompagnate anche da proiezioni di materiale grosso. Fra le più re- centi di queste, merita speciale menzione quella del 1786, descritta da Spallanzani, quella del 1810 , di cui parla il Ferrara; e l’altra del 1832, della quale fu testimone il geologo tedesco Hoffmann. Dal 1832 cioè per 40 anni, sono mancate anche queste manifestazioni eruttive; ed il cratere si è mantenuto sempre calmo , tanto da accreditare sempre più l’opinione che Vulcano fosse entrato in quella via di estinzione, in cui lo hanno preceduto le altre isole Eolie sorelle, che sono ormai rap- presentate da vulcani estinti, eccettuato lo Stromboli, che è tuttora pe- rennemente attivo.

Nella sua condizione di solfatara, essendosi reso il cratere di Vul- cano accessibile, fino dai primi del secolo si affacciò l’ idea di applicarlo all’industria estrattiva dei prodotti chimici sublimati dai suoi fumajoli ; e nel 1813 , dalla casa Nunziante di Napoli , per concessione del go- verno Borbonico , si fondò la importante industria di estrazione dello zolfo, del sale ammoniaco, dell’ acido borico e dell’ allume. In seguito , e fino ad ora , tale industria fn continuata dal signor Stevenson di Glascow, a cui la casa Nunziante vendette il cratere per circa 300 mila lire; quando venne a perdere nel 1860, col governo Italiano, il dritto di monopolio sulla vendita dell’ allume per tutto il regno delle due Sicilie.

Ma nel 1873 ricominciarono ad affacciarsi delle manifestazioni

304

Etna, Sicilia ed Isole vulcaniche adiacenti nel 1888

eruttive in Vulcano accompagnate da forti detonazioni: nel settembre di quell’ anno si aprì una voragine nel fondo del cratere NNE, dove era prima la così detta Grotta delle fumarole ; e di ebbero luogo fre- quenti esplosioni, con getto di vapore, cenere e pietre infuocate. Questo fenomeno , con frequenti alternative di riposo, durò per 44 giorni ; e dopo terminato si può dire che il cratere non ritornò più nella calma primitiva ; giacché quasi annualmente si ripeterono dei segni eruttivi , preceduti sempre da una maggiore energia nei fumajoli. Si ebbero in- fatti a notare brevi eruzioni di cenere nel luglio 1876, nel settembre 1877, e nell’ agosto 1878: finché nel 1879, a 16 gennaio, si rimi- se in uno stato eruttivo allarmante, con energiche esplosioni intermit- tenti e sempre di vapori, cenere e pietre infuocate. In tale periodo il cratere allargò lo sprofondamento già precedentemente iniziato a ME, e subì altre notevoli modificazioni da renderlo più difficilmente acces- sibile; per cui fu quasi abbandonata V industria nel suo interno, e que- sta si ridusse ad estra'rre specialmente lo zolfo condensato dai nume- rosi fumajoli delle sue esterne pendici.

Fino al giugno dello stesso anno 1879 vi fu qualche seguito di fenomeni eruttivi, ma poi cessarono; e da quella data fino alla presente cioè per 9 anni di seguito, Vulcano non ha presentato altri fatti ri- marchevoli, salvo che una frequente eccitazione in tutto il sistema dei suoi fumajoli.

Ma nella notte del 3 agosto u. s., ebbe risveglio 1; attività erut- tiva, che è tuttora in corso; la quale, se si toglie un maggior grado di violenza, non è, a giudizio degli abitanti, dissimile da quella che hanno veduto altre volte nelle citate più recenti epoche , o di altre di cui è stata tramandata la tradizione dai loro antenati , come espressione di una condizione eruttiva più abituale di Vulcano. Questa condizione me- ritava di essere scientificamente distinta dalle altre fasi di attività , che i vulcani più comunemente presentano; ed io le assegnai il nome di fase Vulcaniana , tostochè nell’ agosto mi recai a studiarla sul luogo, appena ne ebbi il primo annunzio.

Per specificare meglio i caratteri di questa particolare fase , che con gradazioni differenti di intensità ho riscontrato , come ho già detto

sotto il punto di vista dei fenomeni eruttivi e geodinamici

305

e dimostrato nelle precedenti pagine, anche all’Etna, e che è da rite- nersi in generale come propria dei vnlcani attivi in certi periodi, è be- ne che io premetta brevemente quello che avvenne all’ esordire della eruzione attuale di Vulcano, e ciò che da vicino osservai sul luogo. A tale scopo, tolgo qualche brano da un’estesa relazione che scrissi sotto la impressione fresca dei fatti, e che io mandai, per essere pubblicata, a S. E. il Ministro di Agricoltura e Commercio , con la data del 31 agosto 1888 (1).

A 31 luglio il signor Pietro Landi , solerte direttore dell'Os- servatorio di Messina, mi segnalava un leggero terremoto ondulatorio , avvertito alle 7.40 pom. Questo terremoto passò inavvertito a Vulcano Lipari e nelle altre isole Eolie. Però nella notte dal 2 al 3 agosto , alle 12.40 , si udì dalla parte di Vulcano un forte rombo , accompa- gnato da leggiero tremito, che non si rese sensibile altro che al fana- lista , che si trovava di guardia sulla torre del faro di Vulcano , alta 33 metri: nessun altro se ne accorse a Vulcano, a Lipari, altrove.

Dopo di ciò dal cratere di Vulcano si vide comparire del fumo nero, rischiarato da frequenti lampi di scariche elettriche: e con deno- tazioni a poco a poco incalzanti, crebbe la intensità eruttiva, tanto che sul far del giorno, verso le 4,30, incominciarono forti esplosioni, che a brevi intervalli davano gagliarde proiezioni di vapori , ceneri e massi infuocati, i quali ricadendo per un raggio di due chilometri dal centro del cratere, determinarono dei danni specialmente sul lato Nord, che ha vicinissime adiacenze coltivate, ed un caseggiato costituito dalle officine sparse della fabbrica, dall’abitazione del signor A. E. Narlian, (ammini- stratore e comproprietario di Stevenson) e del reclusorio dei coatti, addetti pure ai lavori. I massi che piombavano come gragnuola , di cui alcuni voluminosi fino a mezzo metro cubico e più, sfondarono i tetti, incen- diarono depositi di solfo accumulato nei magazzini, divamparono qua e parzialmente delle vigne, dei boschi di ginestre e di piante arboree.

(1) Vedi Annali del R. Ufficio di Meteorologia e Geodinamica, Roma Voi. IX (Parte IVa).

306

Etna, Sicilia ed Isole vulcaniche adiacenti nel 1888

Da ciò tanto rimasero sbigottiti gli abitanti della parte settentrionale dell’isola, che tutti, con gli aiuti apprestati dalle autorità, ben presto fuggirono rifugiandosi a Lipari. Invece , gli abitanti del lato Sud , più distanti dal cratere , non ebbero fino dal principio altro incomodo che quello della cenere, e quantunque intimoriti , rimasero per lo più nelle loro dimore.

Dopo le prime esplosioni forti , altre più deboli ne succedettero fino alle 10 ant., quando avvenne altra eruzione gagliarda, che eguagliò per intensità la prima; ma dopo questa gli sfoghi diminuirono di forza, e si limitarono a dare getti di vapori e di cenere, o di soli vapori.

Tale stato, con brevi intermittenze, durò fino a tutto il giorno 5, e a 6 venne a mancare ogni manifestazione eruttiva. In questo me- desimo giorno 6 mi fu segnalato di nuovo dall’Osservatorio di Messina un leggero terremoto, avvertito la mattina verso le 7 ore.

Dopo ciò Vulcano ebbe una tregua di 12 giorni, durante la quale sembrò che tutto fosse cessato , e gli animi degli abitanti tendevano a tranquillizzarsi. Ma all’ alba del 19 agosto ricominciarono le intermit- tenti eruzioni con esplosioni violente, sempre accompagnate da forti de- tonazioni, e con abbondante cenere carica di elettricità e mista ad altro materiale grosso e minuto. Io mi trovava ad assistere fino dal principio a questa ripresa della energia eruttiva , ed osservava che i fenomeni esplosivi erano determinati, a più o meno brevi intervalli, da un ingur- gito di vapori con eccedente tensione; essi non duravano più di 10 a 15 minuti primi, e poi cessavano completamente lasciando scorrere un periodo di calma ora di 5 a 6 minuti , ora di qualche ora. Frattanto il prodotto eruttivo , rappresentato da una immensa colonna di vapore e di cenere, spinta a due e più chilometri di altezza , si diffondeva nell’ aria spesso a cielo sereno , cioè già sgombrato dai vapori e dalla cenere di una eruzione precedente, ed acquistava un aspetto grandioso, prendendo delle forme globose roteanti, che andavano via via svolgen- dosi, costituendo un’alta ed estesa chioma, la quale, secondo la forza e direzione del vento dominante , diffondeva in più o meno larga zona una pioggia di cenere nelle isole vicine , nella Sicilia , e coi venti di ponente fino anche nelle Calabrie.

sotto il punto di vista dei fenomeni eruttivi e geodinamici

307

Le eruzioni ora avvenivano a brevi intervalli di 30 a 40 minati (come nei giorni 19 e 20 agosto), e talvolta anche di soli 5 minuti: ora invece si presentavano a intervalli più lunghi di qualche ora. Io osservai che la frequenza rendeva più rare e più difficili le forti esplo- sioni, capaci di proiettare poderosi massi e mitraglia, e per lo più non vedeva sollevare altro che fumo densissimo carico di cenere: mentre nei giorni in cui le eruzioni si facevano con più lunghe intermittenze , io acquistai la certezza che erano da aspettarsi delle esplosioni tanto più formidabili , quanto maggiore era la durata della calma. Di ciò fui te- stimone nei giorni 23, 24, 25, 26 agosto, in cui il cratere di Vulcano rimase per gran parte del giorno con debolissima o con nessuna atti- vità, ma diede ora tre, ora quattro fortissime esplosioni durante le 24 ore, una delle quali costantemente verso le 4 del pomeriggio.

Guidato da questi criteri che mi era formato fino dalle prime os- servazioni, la mattina del 20 agosto, mentre il cratere presentava la con- dizione di eruzioni frequenti, ad intervalli quasi regolari presso a poco di un quarto d’ora, tentai l’ascensione del cratere per assistervi da vicino, e ciò feci in compagnia di quattro giovani studenti in scienze fisico- matematiche delle tre Università siciliane (Alfredo Silvestri, Giovanni e Gaetano Platania, Luigi Mancuso).

Dopo un tortuoso cammino e alquanto disagevole sulle pendici del monte, longitudinalmente attraversate da profondi solchi dovuti all’azione di acque torrenziali , su di un terreno franoso , costituito da prodotti incoerenti di deiezioni e tempestato qua e di massi e bombe di fresco proiettati (1). Dopo una lunga sosta fatta per via onde studiare alcuni importanti gruppi di fumajuoli sul lato Nord slabbrato del cratere sto- rico che ha un diametro di 430 metri , vidi che questo si presenta in parte riempito costituendo una conca , in mezzo alla quale sorge a guisa di basso cono, alto da 10 a 15 metri sulla base, un cratere,

(1) I proietti sono in gran parte formati da antiche lave per lo più trachitiche di color bigio, ora a strattura pomicea, ora compatta, ora brecciforme. Anche la cenere e i lapilli non sono che un detrito sottile o grossolano delle stesse lave. Vi sono anche delle vere bombe più o meno globose formate da materia pomicea rivestita all’esterno da uno strato nero compatto di aspetto subvitreo. Tutto questo materiale viene ora da me attentamente studiato.

Atti Acc. Vol. I, Seeie 4a 38

308

Etna, Sicilia ed Isole vulcaniche adiacenti nel 1S88

che è il cratere ora attivo , più ristretto, e che rispetto al cratere sto- rico ripete in più piccole proporzioni lo stesso fatto del cratere storico sorto dentro al recinto del primitivo vasto cratere preistorico che forma tutta l’isola. Alle 3 e mezzo pom. raggiungemmo l’orlo SE del cratere, ora attivo, in un punto ove il barometro m’ indicò essere a 265 metri sul mare , mentre altri punti del contorno più antico si mostravano molto più elevati , specialmente verso mezzogiorno e verso levante. Quando giungemmo sull’orlo del cratere, questo era fortunatamente rien- trato da 10 a 12 minuti in uno di quei brevi periodi di calma , e si presentava perfettamente sgombro del fumo cinereo della eruzione pre- cedente, già completamente dissipato.

Potei quindi chiaramente vedere che esso è formato da una cavità circolare, la quale, per quanto si può giudicare a occhio, poteva essere del diametro di 120 a 130 metri, con pareti convergenti in basso per costituire una forma grossolanamente conica, e che si mostravano fra- nate, e qua e con sporgenze di strati e di masse erratiche di antiche lave interposte a prodotti di deiezioni profondamente alterati. Il fondo era subissato e reso inaccessibile, e dove finivano le pareti inclinate si apriva, alla profondità di più di un centinaio di metri, 1’ attuale larga gola eruttiva, che, per il tratto che la mia visuale permetteva di osser- vare , ritenni dovere essere a pareti irregolari e cavernose , e tali da scendere quasi verticalmente per stabilire la comunicazione tra le interne profondità e l’esterno. Nessuna sublimazione, nessun soffione importante io potei scorgere da ricordare l’antica industria: tutto era interamente scomparso.

Mentre il detto stato di tranquillità del cratere mi permetteva di fare queste osservazioni , già volgeva al termine la ordinaria intermit- tenza di circa un quarto d’ ora. Di a poco abbiamo incominciato a sentire un cupo e prolungato boato , che dall’ essere molto profondo , rapidamente si è approssimato, acquistando il carattere di un tuono di intensità sempre crescente. A questo si è sovrapposto un fragore come di un forte uragano o di vento impetuoso sotterraneo, che con veemenza

urtasse contro le pareti di antri, caverne e meati diversi : e di a po- chi istanti è comparsa all’esterno la esplosione di un primo vortice gi-

sotto il punto di vista dei fenomeni eruttivi e geodinamici

309

gantesco , tenebroso , di vapori e cenere , che , quasi fosse di materia elastica fin allora forzata, e compressa, immediatamente appena scaturito all’esterno si è ampliato, svolgendosi in numerose spire e forme globose roteanti, con cui ha riempito immediatamente tutto l’ambito del cratere, mentre in pari tempo per la forza di propulsione iniziale ha spinto in aria una prima colonna di cenere.

Sempre continuando lo incalzante e spaventevole toneggiare sotter- raneo come di un temporale che sotto di noi imperversasse , e con un tremito sensibile di suolo, accompagnato da vibrazioni di aria ancor più sensibili , indicate dal mio barometro ; al primo vortice descritto, ne è succeduto ben presto un altro e poi un altro , e così di seguito , per esplosioni frequenti che si succedevano a brevi intervalli di 20 a 30 minuti secondi , che con 1’ orologio alla mano ho valutato della durata complessiva di minuti primi 13 e mezzo.

Questo fatto di esplosioni che si ripetono con tanta rapidità e per un relativamente lungo intervallo di tempo , rende ragione delle impo- nenti e maestose colonne di cenere, che si sollevano a grande altezza , durante ognuno di questi parossismi eruttivi. Nessuna vampa di luce av- vertimmo che emenasse dal fondo del cretere.

Cessate le esplosioni , continuò ancora per alquanti secondi il de- tuonare interno, però rapidamente diminuì di intensità, finché in meno di un minuto primo non ne rimase alcuna percezione all’ orecchio.

Subentrato il silenzio, Vulcano si era rimesso in perfetta calma , però tutto avvolto da densa nebbia di vapori e di cenere , capace di sostituire alla luce del sole le tenebre , di tanto in tanto solo rischia- rate da qualche lampo di scarica elettrica. Ma V osservazione mi dimostrò che , mentre i vapori nelle condizioni estive termiche dell’ aria rapida- mente si scioglievano nell’aria e si dileguavano, d’ altra parte la cenere diffusa in larga zona, per effetto delle correnti atmosferiche, ben presto ricadeva , e nella intermittenza delle eruzioni spesso il cielo aveva il tempo di ritornare trasparente e sereno prima che sopraggiungesse un altro parossismo. Tale condizione di cose non avviene nella stagione attuale di inverno, nella quale sopra Vulcano si vede il cielo più o meno ingombro di vapori in forma di nubi.

310

Etna, Sicilia ed Isole vulcaniche adiacenti nel 1888

L’ aver potuto assistere così da vicino ai fenomeni esplosivi carat- teristici di queste eruzioni intermittenti, dimostra , come ho detto , che non sempre sono accompagnate da quei grossi proiettili e mitraglia pe- ricolosa, che hanno impedito fin’ ora a chiunque altro, prima e dopo di me e dei miei compagni di accedere e trattenersi con agio sul cratere di Vulcano.

Questo è il genere di eruzioni che fa Vulcano, e che io ritengo caratteristiche della fase che ho distinto col nome di attività Vulcaniana, i cui caratteri sono i seguenti:

Sono eruzioni intermittenti accompagnate da detonazioni d’ in- tensità variabile , e talvolta così forti da sentirle anche a notevole distanza.

Sono eruzioni a parossismi esplosivi di poca durata , e che si succedono con intermittenze di calma. Queste intermittenze o sono più o meno lunghe e irregolari (o di assoluta calma o di debole sfogo di soli vapori), e allora le esplosioni che si fanno più di rado, tostochè av- vengono, sono tanto gagliarde, da mandar fuori, oltre a torrenti di va- pori e di cenere, anche lapilli, mitraglia e più o meno grandi massi e bombe, che, trasportati dalla gola, sono proiettati a notevole altezza ge- neralmente di circa 300 a 400 metri, ma talvolta anche più di 1 chi- lometro. I projetti , oltre ad un calore iniziale che devono avere , as- sumono nella rapidità del loro movimento una più alta temperatura, che li rende incandescenti e che è da ritenersi come prodotta dal lavorio meccanico della loro rapida spinta , della loro vertiginosa caduta , del loro attrito con l’aria e dell’ urto che ricevono sul suolo. Se trovano il suolo roccioso e duro spesso si spezzano; se lo trovano terroso e incoe- rente vi penetrano sino a restarvi completamente sepolti.

Tali massi si presentano generalmente angolosi , ma ad angoli smussati : se sono di trachiti molto porose e pomicee li ho visti ester- namente tutti intrisi di cenere aderente ; mentre se sono di lave trachi- tiche compatte , la loro superficie si presenta come rivestita da una patina omogenea più scura , di aspetto semifuso , dovuta all’ azione calorifica sofferta, la quale ricorda in qualche modo la scorza che riveste gli aeroliti.

sotto il punto di vista dei fenomeni eruttivi e geodinamici

311

Sono eruzioni che non presentano nessun indizio di lava fluente.

Sono eruzioni che non si presentano precedute accompagnate da quei parossismi geodinamici che sogliono avvenire nelle eruzioni o incendi vulcanici, che caratterizzano la fase Pliniana. Solo possono verificarsi dei leggeri tremiti lungo un breve raggio , come quelli che ho detto essersi sentiti a Messina due volte, e quelli che localmente si avvertono nell’ isola di Arulcano, ma solo nella vicinanza del cratere ora attivo.

In prova di quest’ultimo carattere di relativa calma, debbo dire che fino del principio dell’eruzione di Vulcano, essendomi stata appro- vata telegraficamente dal R. Governo , per mezzo dell’ Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica, la organizzazione del servizio geodina- mico nella vicinissima isola di Lipari (non potendo far ciò per ora a Vulcano isola abbandonata nelle attuali condizioni), nessun fenomeno geodinamico d’importanza dall’agosto fino ad ora è stato segnalato, tranne due leggerissimi tremiti passati inavvertiti dalla popolazione e solo ac- cusato da un simoscopio di costruzione Brassart, sensibilissimo ; uno , nella notte tra il 29 e 30 agosto, l’altro il 18 novembre, a ore 8 ant. Questo stato di quiete relativa è proprio la conseguenza della natura aeriforme delle esplosioni che si fanno per un tramite libero ed aperto, che rappresenta l’asse eruttivo libero, senza la presenza ed ingombro del magma lavico , cioè di un materiale denso che opponga resistenza ed aumenti fortemente la tensione. Tal fatto si è osservato durante l’anno anche all’Etna, ove i terremoti sono stati debolissimi e di poca impor- tanza, relativamente al frequente stato eruttivo dal cratere, come si può vedere nelle seguenti pagine.

I fenomeni eruttivi di Vulcano, da quando li osservai nella secon- da metà di agosto fino alla presente data in cui scrivo (31 decembre), hanno continuato sempre nello stesso modo, ora con maggiore ora con minore attività. E però da aggiungere che ai primi di novembre, sotto l’influenza di sensibili abbassamenti barometrici, la forza esplosiva mo- strò dei corrispondenti aumenti , che non erano mai avvenuti per lo innanzi. Mediante il servizio geodinamico organizzato a Lipari e me- diante la gentile cooperazione di osservazioni giornaliere che fanno sul

312

Etna, Sicilia ed Isole vulcaniche adiacenti nel 1888

posto e di cui mi tengono informato il signor Tommaso Carnevale, di- stinto agronomo, ed il signor Ambrogio Picone, ben noto agli studiosi di Vulcano , io vengo giornalmente ad essere informato sull’ andamento dei fenomeni. Devo anche ringraziare l’ egregio prof. Dal Noce , della Scuola Tecnica di Patti, che mi fa anche delle osservazioni giornaliere interessanti, da quel punto di costa Siciliana che vede di faccia l’isola di Vulcano.

2. Stromboli.

Mentre nulla ho da riferire che possa interessare questa rassegna riguardo ai vulcani estinti che rappresentano le altre isole Eolie , non posso lasciare 1’ argomento senza dire una parola sullo Stromboli ; che nella sua nota attività ritmica ha fatto conoscere una certa relazione con i fenomeni eruttivi di Vulcano. In una visita da me fatta a Strom- boli il 22 agosto, mi sorprese il vedere che il cratere emetteva solo del bianco e tranquillo vapore, non proiettava scorie, non faceva udire nessuno strepito , non mostrava segno della sua attività ordinaria. Da quanto mi risulta dalle relazioni avute dagli attenti osservatori ivi di- moranti, signori Giuseppe e Gaetano Renda, sui fenomeni notati du- rante l’anno, trovo confermato il fatto che lo Stromboli allo scoppio di Vulcano ha presentato una molto minore energia. Questo però si è ri- svegliato in una eruzione notevole la notte dal 23 al 24 ottobre, la quale si è mantenuta in novembre, in coincidenza, come credo, alle basse pressioni atmosferiche che hanno determinato il già indicato in- cremento nella attività di Vulcano.

Nella notte del 5 al 6 novembre si sentì a Stromboli anche un leggiero terremoto; si aprì nel cratere a oriente dell’antica bocca gran- de un’altra bocca più piccola, che soffiando continuamente a guisa di mantice, diede luogo ad una eruzione di ceneri e di scorie capace di costituire presto un nuovo monticello crateriforme. Di notte i vapori, che si sollevavano , riflettevano viva luce dall’interno bollore della lava , che facevano apparire la cima del monte come in fiamme.

sotto il punto di vista dei fenomeni eruttivi e geodinamici

313

IY.

Fenomeni geodinamici.

Sono riassunti nei seguenti prospetti, dai quali può facilmente de- dursi il rapporto delle manifestazioni eruttive dell’Etna e di Vulcano, coi fenomeni geodinamici segnalati dalla estesa rete degli Osservatori della Sicilia, collegati coll’ Osservatorio centrale di Catania per mezzo del regolare servizio geodinamico che sono riuscito ad organizzare. Il fatto che emerge come più meritevole di attenzione , sul quale giova insistere come carattere precipuo , è che durante gli sfoghi attivi dei- fi Etna e di Vulcano, i quali ho unificato riferendoli alla fase di at- tività Vulcaniana , tanto i fenomeni macrosismici , quanto quelli micro- sismici, hanno avuto in generale una debolissima espressione, tanto che senza l’ aiuto di strumenti delicati sarebbero (eccettuati pochissimi) pas- sati inosservati.

Colgo la opportunità della presente pubblicazione per ringraziare i chiarissimi Direttori di tutti gli Osservatori della Sicilia , nonché gli ufficiali telegrafici addetti al servizio geodinamico, per la loro solerte ed utile cooperazione. In special modo compio questo mio dovere verso i miei assistenti: per la geodinamica, signor ingegnere Salvatore Arci- diacono, per la chimico-fisica terrestre, signor prof. Sebastiano Consiglio Ponte, per la geologia e mineralogia sig. Alfredo Silvestri, i quali mo- strano sempre vivo zelo nel disimpegno delle loro funzioni.

dei fenomeni geodinamici e vulcanici avvenuti durante l’ani

MESE

ORA

Sede dell’ Osservatorio

ove il terremoto

QUALITÀ

u

e

del

è stato segnalato

del

DIREZIONE

: v

Giorno

terremoto

dagli strumenti o si è reso sensibile

terremoto

Gennaio

3

8,20 a.

Catania

+

-

8

4,10 »

id.

scossetta

12

7,25 »

Gi arre

misto

NE-SW

r

))

12,30 p

Zafferana-Etnea

id.

NW-SE

*2'

15

2,27 a.

Catania

sussultorio

»

9,56 «

Mineo

id.

21

2,25 >>

Zafferana-Etnea

ondulatorio

NW-SE

»

6,35 «

id.

id.

id.

Febbraio

9

7, 2 a.

Nicolosi

id.

NW-SE

12

10,47 p.

Mineo

sussultorio

24

12,45 »

Linguaglossa

id.

N

26

12,37 »

Pachino

ondulatorio

NW-SE

n

Marzo

3

7, 0 a.

Ragusa Inferiore

ondulatorio

E-W

H

8

9,15 p.

Catania

id.

E-W

1

15

1, 0 >'

Modica

id.

SE-NW

i* j

«

1,15 »

id.

id.

id.

^ Biancavilla

sussultorio

i

16

6,55 o

Paterno

id.

A

18

9,30 a.

Ragusa Inferiore

ondulatorio

N-S |

20

9, 5 «

Siracusa

sussultorio

22

11,10 »

Paternò

id.

(1) I terremoti deboli o forti registrati in questo prospetto vengono distinti ' come segue: Quelli contrasegnati con (*) sono debolissimi, quasi tremiti indicati, < al disotto del 1. grado d’ intensità della scala Italo-Svizzera, avvertiti da un solo sui'* a verghetta Brassart; quelli con (+) idem, ed avvertiti da un solo sismoscopio; discffl (Brassart); tutti gli altri senza segno sono stati segnalati dai soli avvisatori sismidlalli-Ei

i

I

vi [ A R I 0 315

tn*, nella Sicilia in generale , e nelle Isole adiacenti.

ila tessa ora ha presentato un’oscillazione di

i p sento contemporaneamente agitato e così con- __ inùper tutta la giornata con oscillazioni fino a 16°. i tii da molti. Tr. agitato durante il giorno fino I

P |

rii da qualche persona come assai prolungato. [ Primo accenno di eruzioni di

V vapori dal cratere centrale del- uolalla sera precedente presentò leggero turba- ( ^ Etna nei giorni 12, 16, 19, 21, leu Mancano le osservazioni nella notte. I ^2, 24, 26.

-ilio debolmente fino a 4°.

iitda qualche persona con replica dopo brevi .

riti) fino a 15°.

iqulto tutto il giorno, alle 8 di sera comincia ad 'Se: turbato.

iitda qualche persona Tr. oscilla fino a 3°. agiato fino a 8°.

Le eruzioni di vapori tendono ad aumentare di forza e fre- quenza e presentano delle mani- festazioni più spiccate, special- mente nei giorni 3,4, 8, IO, 11, 14, 20, 22, 27, 29.

si nato un massimo di 3°.

r.'iì lottato di perfetta quiete viene ad essere con- iai aneamente al terremoto tanto agitato da ol- cpaare la scala di 50°.

831

ir cato un massimo di 2°.

iiicato un massimo di 2°.

azi< e di brevissima durata Tr. è agitato fino 7°. qr te.

Seguita il crescendo di forza e frequenza nelle eruzioni vaporo- se del cratere centrale dell’ina, che si sono notate più manifeste nei giorni 1, 3, 5, 8, 9, 11, 12, 13, 19, 20, 21, 22, 23, 25, 26 , 27, 30, 31.

qv

te.

uitrj viene specificato in colonna se sono stati avvertiti anche da qualche persona, da da jatti gli abitanti dei centri popolati.

T viene indicato il tromometro nonnaie Bertelli , situato nel II. Osservatorio Geo-

d Catania, e nel quale le osservazioni sono state fatte regolarmente dalle 8 antem. iom|

ri ^p. Von. I, Serie 4a 39

316

MESE

OEA

Sede dell’Osservatorio ove il terremoto

QUALITÀ’

! e

del

è stato segnalato

del

DIREZIONE

Giorno

terremoto

dagli strumenti o si è reso sensibile

terremoto

Aprile

; 6

5,30 a.

Zafferana-Etnea

ondulatorio

N-S

7

11, 3 p.

Catania

sussultorio

22

4,39 a.

id.

id.

28

1,15 »

Zafferana-Etnea

misto

NW-SE

Maggio

2

8,40 a

Zafferana-Etnea

ondulatorio

N-S

Catania

3

1,38 »

Palagonia

4

7,0 a. ?

Mineo

"

6,18 p.

id.

*

6

2,50 a.

id.

rt

CO

Catania

sussultorio

7

10,17 p.

id.

id.

»

5,24 »

Mineo

id.

»

6,30 a.

id.

id.

8

ore ant. della notte

Catania

id.

! io

6,45 p.

Mineo

id.

11

2,28 a.

Palagonia

id.

13

2,14 »

Catania

sussultorio

19

5,35 p.

Mineo

id.

22

12, 0 n.

Giarre

id.

27

12,52 a.

Catania

!

3, 5 »

Mineo

I

r

’■

i# ( jj

I

li

l

Osservazioni

; i) Lcato un massimo di 3°.

uno 'e 8 pom. , si è mostrato agitato con di si ili ione— Mancano le osservazioni della notte, i ile ant. alle 8 pom. , ha indicato un massimo li

ni ideato un massimo di 2°. 8 alle 8 ant.

\ Si accentua sempre più la forza 1 eruttiva delle eruzioni di vapori

Idei cratere centrale AeWEtna Queste prendono a caratterizzare decisamente un periodo eruttivo di masse vaporose accompagnate da cenere e lapillo. Le loro manifestazioni più spiccate si sono presentate nei giorni 1, 2, I 3, 5, 9, 10, 13, 16, 17, 18, 19, , 20, 21, 22, 23, 27, 28, 29, 30.

nasi rimo durante il giorno.

si Umo durante il giorno.

ole ant. alle 8 pom. ha dato un massimo di 3°.

a da un massimo di alle 3.10 pom.

-gei ente turbato alle 5 pom. fino a 3°.

'ila no a durante il giorno.

Le eruzioni di vapori, ceneri e lapilli si sono fatte imponenti e quasi giornaliere. L'Etna du- ranteil mese si è presentato spes- so avvolto da vapori condensati in forma di nubi temporalesche ca- riche di pioggia e di cenere. Le eruzioni generalmente comin- ciano nella mattina e finiscono nelle ore pomeridiane.

eggerjmte turbato di 2°.5 dalle 5 alle 8 pom.

-r: lite turbato fino a alle 8 pom.

iii'oati' durante il giorno con un massimo di 6°.50 He 5 ijim.

-ger iute mosso con un massimo di 3°. 5 alle 8 ant. •almo, j

ggerijmte mosso con un massimo di alle 6 pom.

318

WM

MESE

ORA

Sede dell' Osservatorio ove il terremoto

QUALITÀ’

e

del

è stato segnalato

del

DIREZIONE

Giorno

terremoto

dagli strumenti o si è reso sensibile

terremoto

2

Giugno

Giarre

sussultorio

1*

Viagrande

ondulatorio

9

11,42 p.

Zafferana-Etnea

id.

1'

Patagonia

sussulto rio

il

11,50 p.

Mineo

1'

14

10,29 a.

Palagonia

1*

15

12,15 »

Mineo

«

11,41 »

id.

1*

1,27 p.

18

3,12 »

Palagonia

1'

10,5 «

11,7

1 Catania

tromometrico

NE-SW

Paterno

misto

NE-SW

5U

Bian cavilla

sussultorio

3"

Beipasso

ondulatorio

id.

Bronte

sussultorio

' 2

21

1,5 p.

Adernò

ondulatorio

N-S

j

Palagonia

id.

id.

1 4”

Mineo

sussultorio

1*

Bamacca

id.

P

Grammichele

id.

lf

Licodia Eubea

id.

Siracusa

id.

111

21

11,56 p.

Palagonia

ondulatorio

id.

..p i

22

12,42 a.

id.

*

-■j

i 27

6,0 p.

Mineo

*

1

1

1

319

Ossei* vazion

i

rtito

i molti con leggiero

•voli

li oggetti. j Tl. da]le g ant_

1 alle 8 pom. calmo.

dato

i i i Mancano le osser-

al solo avvisatore si- \ -, ,, ..

1 vaziom della notte.

laico

rassart. ' l

rito

ppena da pochi. /

Vedi pag. seg.

casi

limo. |

id. *

id.

!u.

id.

id

id.

imo.

l’ima

. perfetta quiete e all’ora del terremoto for-

amen

perturbato con oscillazioni che oltrepassano

scal

ritorna in calma alle 3,30 pom.

! i |e Talmente : scrollo di oggetti : senza danni , plica il! 1.17 pom. to laiolte persone.

to da

maggior parte degli abitanti. Replica

ll’l.l

pom.

to da

uniche persona.

Le eruzioni coi caratteri sud-

to da

miti.

detti si mantengono grandiose e imponenti e avvengono gior-

to da

maggior parte degli abitanti , scrollo di

nalmente durante tutto il mese.

t

nobili.

Cominciano sempre la mattina

d. leg

f ro scrollo di oggetti mobili. /

e finiscono nelle ore pomeridia- ne con una durata circa di 12

id. id.

ore dal principio alla fine del fenomeno.

id. id.

id. id.

id. id.

di ssi n

li

quasi

J

( mo.

legge]

•i nte perturbato fino a 4°.5 alle 3 pom.

I

MESE

0

Giorno

OEA

del

terremoto

Sede dell’Osservatorio ove il terremoto è stato segnalato dagli strumenti o si è reso sensibile

QUALITÀ

del

terremoto

DIREZIONE

Giugno

29

9,39 p. 11,21 »

Catania

*

2,27 » l

30 11,27 »

Palagonia

*

9,30

Catania

*

Luglio

7

7,45 a.

Mineo

*

12,22 p.

Palagonia

*

7,45 »

id.

*

9

9,51 a.

id.

*

10

10,18 »

id.

*

11

8,40 p.

Mineo

*

12

2,34 p.

Palagonia

14

10,20 a.

Siracusa

22

11,30 p.

Bronte

sussultorio

23

6,12 »

Mineo

11,27 »

Palagonia

24

1,20 »>

Giarre

sussultorio

»

10,12 »

Palagonia

25

4,15 a.

Mineo

27

2,15 »

id.

31

10,22 »

id

»

2,52 p.

Palagonia

»

7,27 »

Linguaglossa

misto

E-Vv7

321

!

Osservazioni

no alle 8 ant. alle 8 poni. Mancano le osser- vi nella notte.

Som. è turbato fino a alle 8 poni, è imo non sappiamo dopo.

no 'tto il giorno.

id id.

id. id.

' < un solo sismoscopio a verghetta al primo a,l°) sensibile ad altro simile al pian terreno. Imo.

i Le eruzioni diminuiscono assai di forza e di frequenza e si no- ' tarono solo nei giorni 8, 9, 13, 15, 30 e 31.

id.

id.

>d. id.

11 alle 8 ant. alle 5 pom. con un massimo al, 8,26 ant. il di 31 si è mantenuto calmo

l 'ara perturbazione alle 3 pom. che raggiunge casino di alle 5 pom.

1 da cune persone con rombo.— Tr. quasi calmo.

>mo tjto il giorno.

322

MESE

e

Giorno

ORA

del

terremoto

Sede dell’ Osservatorio ove il terremoto è stato segnalato dagli strumenti o si è reso sensibile

QUALITÀ

del

terremoto

-jH

il

DIREZIONE 1- 0

Agosto

2

4, 7 a.

Palagonia

3

8,42 p.

Catania j

-!

io; 6 «

id.

4M

5

11, 7 »

Palagonia

-1'

8

2, 0 a.

Mineo

IH

9

6,55 »

id.

-i-

id.

u

10

id.

11

notte 10-11

6 pom

Catania

-1

7,40 a.

11

Mineo

-1'

8, 0 »

k 1,15 p.

12

id.

-1°

3,35 »

11,17

Palagonia

-1

11,57

13

3,56 »

id.

-

-1

9,14 a.

14

Mineo

*

(j-il

9,15 »

18

3,39 p.

Catania

*

ì

19

11,51 a.

Palagonia

*

f-l

»

8,23 p.

Mineo

*

j -1

20

8,49 a.

Palagonia

*

1 Li9j

1 ))

11,14 »

Mineo

*

i Li*

22

4,15 »

id.

j

23

1,30 p.

Licata

*

! -ì*.

^ 5,36 a.

Palagonia

*

1 " i

25

1 1'

1 5,55 »>

id.

*

323

- f 1

©sservazion

£

Imo li

itto il giorno.

rbatì

:on un massimo di 6°. 5 alle ó poni.

imo5

;r tutto il giorno.

esen

un leggiero turbamento alle 8 ant.

isi

mo presenta leggero turbamento di al-

Etnea in quiete per gran parte

n P;

1.

del mese; solo si ebbero medio- cri o deboli manifestazioni nei

asi

Imo e leggermente turbato di 2°. 5 alle 8

giorni 6, 11, 12, 15, 21, 29. - , Il 13 vi fu una breve eruzione piuttosto energica.

Il giorno 3 prima di sorgere

m.—

ancano le osservazioni della notte.

mo t

ito il giorno.

il sole è scoppiata improvvisa- mente, con leggiero terremoto , una violenta eruzione di vapori,

ceneri , lapilli e talvolta grosse pietre all’ Isola di Vulcano. Gli abitanti fuggirono sbigotti-

iti.

id.

ti. L’ eruzione è continuata dal

3 fino al 5. Addì 6 Vulcano si rimise in calma ed in tale stato continuò fino a tutto il 17 del

mese. La mattina del 18 alle 5

id.

id.

ant. 1’ eruzione è ricominciata

formidabile coi caratteri prece-

denti , cioè con detonazioni ed

iger

adulazione fino a 2°.

esplosioni intermittenti a brevi intervalli ed emissione di alte colonne di vapori, ceneri, lapilli

1 a si

t ino fino alle 3 2 e turbato di alle 3 poni.,

e spesso proiezione di massi sen-

12°

£3 5 poni., di alle 8 poni.

za lava fluente Frequenti piog-

n de

' i oscillazioni da a 2°. Forti oscillazioni

3i

ge di cenere a Lipari ed in al-

Min

tre isole vicine La cenere è giunta talvolta a Messina e fino

nelle Calabrie.

n de

' i oscillazioni da 0°.8 a 2°.

lino

t to il giorno

n de

bi oscillazioni da a 2°. 5.

-ti''!

ajertu illazione di 5 alle 5 poni.

ii A

cc Vol. I, Sesie 4a

40

324

MESE

ORA

Sede dell’Osservatorio ove il terremoto

QUALITÀ’

e

del

è stato segnalato

del

DIREZIONE

Giorno

terremoto

dagli strumenti o si è reso sensibile

terremoto

'J

Agosto

Zafferana-Etnea

misto

NW-SE

Linguaglossa

ondulatorio

SW-N0

26

2,50 a.

( Giarre

sussultorio

»o

Viagrande

?

\ S. Giov. la Punta

?

)0

))

7,29 a.

Palagonia

*

notte 29-30

?

Lipari

?

31

5, 0 a.

Catauia

*

Settembre

2

2,25 a.

Mineo

*

3

12,45 »

Palagonia

*

:p

Bronte

sussultorio

1

Randazzo

misto

SE-NW

3”

:

7, 6 »

1

Linguaglossa

id.

id.

9

Patti

?

4“

)>

1.53 p.

Palagonia

*

-■!»

4

11,7 »

id.

*

•i11

5

4,40 a.

id.

*

j-i

>■

7,35 p.

Mineo

*

|4»

*

10,12 »

Palagonia

*

j-i»

9

3,52 a.

Palagonia

'•i1

»

8,30 p.

Mineo

*

10

3,15 «

Siracusa

-b

11

4,38 »

Zaffarana-Etnea

misto

NW-SE

i

12

8,43 a.

Mineo

- l'

))

7,3 »

id.

*

-1°

ito dtl notti \

id id, id

d pochi

j

. ) Tr. da

passa a alle 5 poni.

eia parecchie persone. Tr. oscilla fino a 1 2 io a 1°.5 il giorno 30. da issa ad oscillare per alle 3 poni.

c e yerJ oscillazione di alle 3 e alle 8 poni.

, . i Tr. deboli oscillazioni di duran- i'" dai ni con' , . ,r ,

Il ... - te il giorno. Mancano le osserva-

1 1 zioni nella notte.

l' cren Oscillazioni fino a nel giorno.

id. fino a 3°. 5.

1 - -< rc, «dilazioni fino a- (a Mineo preceduto da oscillatili tromometriche ampie).

/ Vedi pag. seg.

legger^ «dilazioni fino a 1°.8.

id. fino a 2°. 8.

H'cm i mo , sente leggera perturbazione di a ore 8 i n.

326

MESE

ORA

Sede dell’ Osservatorio ove il terremoto

QUALITÀ

;

0

del

è stato segnalato

del

DIREZIONE

* | *

Giorno

terremoto

dagli stranienti o si è reso sensibile

terremoto

1

Settembre

13

2,32 p.

Patagonia

-1

14

6,43 a.

Mineo

jl

15

12,11 p

Stromboli

sussultorio

i*

»

8,0 »

Catania

-1

16

6,20 »

Palagonia

-1-

18

7,32 a.

id.

-1

19

8,50 p.

Mineo

ri'

24

1 ,54 »

Palagonia

ri

25

4,28 a

Catania

-i

»

8,15 »

Mineo

-1

Paterno

sussultorio

d‘i

!

12,36 p.

Biancavilla

id.

26

4,30 a.

Gangi

ondulatorio

?

> ?’

»

7,45 p.

Mineo

+

111

, 8,30 a.

Catania

«■

29

10,30 »

id.

*'

"* *

»

11,27 »

Pachino

ondulatorio

N-S

1“ i

, 2,57 p.

Catania

* *

-

3,10 »

id.

*

Ipj

»

11,10 »

Palagonia

«

,

pi

30

2,55 »

id.

j

327

iigei oscillazioni fino a 2°. id. id. fino a 3°.

soiie*1 [ ^r' leggere oscillazioni da a

-irei oscillazioni fino a 2°.3.

id. fino a 4°.

He S om. turbato fino a 5°.

io 3 alle 8 poni, turbato fino a 4°.

id.

id.

fino a 5°.

lato il solo avvisatore Gal- 'assaf j

dailcune persone.

tosse onsecutive , una delle . ,

«ri*»' spavento gene- ,T ' t®”?. Pf; l' ilampolazione caduta “>“ *££

' n nessun danno notevole i c n

diU, \ alle 8 l"’"1-

1 da n solo sismoscopio a ietto Srassart situato al

1 Sensibile ad un sismo- o a l ghetta al pianterreno.

-"-i ti lite turbato fino a alle 8 ant. e alle 12 ni.

'diali illazioni da a 1°.5.

Etna in quiete per la maggior parte del mese, si notano deboli eruzioni di soli vapori il 1, 3, 5, 8, 11 , 14; il 17, 23, 25, ve ne furono di mediocre forza, solo il 30 tornò a presentarsi durante il giorno una imponente eruzione come quelle del maggio e giugno, ma per poche ore con pioggia di cenere minutissima su tutta la plaga orientale AelVEtna.

Vulcano con alternative or di maggiore or di minore intensità mantiene il suo stato eruttivo giornaliero durante tutto il mese.

328

MESE

OEA

Sede dell’ Osservatorio ove il terremoto

QUALITÀ’

e

del

è stato segnalato

del

DIREZIONE

Giorno

terremoto

dagli strumenti o si è reso sensibile

terremoto

Ottobre

4

7,30 a.

Mineo

+-

l

5

11,26 »>

Palagouia

*

•1'

7

3,37 p.

Mineo

*+■

12

4,15 a.

Catania

*

i

14

6,52 p.

Palagouia

*

i

16

2, 4 »

Mineo

*

r

7, 4 »

Catania

*

i

27

10,15 a.

id.

*

i4

29

8,51 p.

Palagouia

*

ì1

30

7,44 a.

Pachino

sussultorio

i

Novembre

7

l,47’30”a.

Catania

*

i"

8

1,30 a.

Zafferana-Etnea

ondulatorio

NW-SE

, 3"

10

1,30 p.

Mineo

*

!• 1*

13

12, 8 a.

id.

*

,-l“

15

7,14 »»

Catania

*

s-l*

»

10,32 »

Mineo

*

1"

18

8, 0 p.

Lipari

*

-1*

20

12,10 a.

Mineo

*

-1°

27

4, 4 p.

Mineo

scossetta

V

5, 7 p.

id.

id.

1

1*

!

i

'

1

329

l i àie un solo sismoscopio a dischetto situato al ■oii' piano, non avvertito da altro sismoscopio a olita al pianterreno. Tr. perturbazione di ilio 8 >oin.

"li stillazioni da a 3°.

un solo sismoscopio a dischetto situato al "in piano ove fu avvertito da alcune persone, i se ibile ad un sismoscopio a verglietta al pian- ai—Tr. quasi calmo.

lille m alle 3 pora. si turba da 5°.2 a 6°. 2. He alle 8 poni, da a 3°. 5. Mancano le rvioni nella notte.

. ei perturbazione di 4°.ó alle 10 ant.

it lino a alle 5 pom.

%

-oer oscillazioni da 1°.5 a 3°.

I

ni. id. da a 3°.

id.

id.

da 0°.5 a 2°. 5.

Si accentua sempre più la con- dizione di calma nell’ Etna che durante questo mese ha solo presentato delle debolissime ma- nifestazioni eruttive ai 1 , 2, 14 ; ma il giorno 18 avvenne durante le ore diurne una eru- zione piuttosto forte con nubi di vapori cariche di cenere che piovve rara e sottile sul fianco Est dell’Etna fino alla costa ma- rittima di Riposto.

Vulcano idem come nel mese precedente.

!

I

o art oscillazioni da 1°.5 a 3°. 5.

ito parecchie persone. Tr. leggere oscilla- li d 0°. 2 a durante il giorno. Mancano le serva oni nella notte.

n nte perturbato fino a 4°.o alle 8 e alle 10 mt. L; perturbazione è cresciuta fino a nel successo 11.

"ina : 5 alle 8 ant., 0°.9 alle 10 ant,, alle 12 | e cuce l’oscillazione fino a 5°.5 alle 5 pom.

' rbatdla a 14°.o durante il giorno. L’ agita- i '' cktinua tutto il giorno successivo 16 e parte lei 1 7.1

•userò rovi mento da a 2°. 8. id. da a 2°.

-'•ilio Ha giornata da a 3°.5,

Etna solo nei giorni 4, 6 e 19 ha presentato l’emissione di ab- bondanti vapori bianchi dal cra- tere centrale , ma con debole forza eruttiva.

Vulcano idem come nel mese precedente ; però in relazione a delle depressioni barometriche molto sensibili le esplosioni erut- tive in alcuni giorni hanno pre- sentato un maggior vigore.

MESE

e

Giorno

OEA

del

terremoto

Sede dell’ Osservatorio ove il terremoto è stato segnalato dagli strumenti o si è reso sensibile

QUALITÀ

del

terremoto

DIREZIONE

i

ì

Dicembre

6

6,50 a.

Lipari

scossetta

1*

notte 7-6

5 p. 6,27 a.

Catania

id.

1'

8

4,45 a.

Zafferana-Etnea

ondulatorio

NO-SE

1"

10

7,32

Lipari

scossetta

]

11

8,35 p.

Giarre

sussultorio

3'

»

8,20 »

Lingu aglossa

ondulatorio

2*

12

6,20 a.

Giarre

sussultorio

NE-SO

1*

-

6,30 »

Lingu aglossa

id.

13"

3, 47’, 30” p.

Catania

scossetta

v

»

2,40 ..

Lipari

id.

Y

13

2,37 a.

Catania

M.

:

14

3,34 p.

id.

id.

IT

20

11,47 »

Palagonia

id.

24

1,32 a

id.

id.

!'?

26

11,45 »

Lipari

id.

; i>

"

11, 5’, 42” a.

Messina

sussultorio

3"

»

2,14 p.

Lipari

scossetta

Ir

>1

6,00 a. 11,30 »

Barcellona

Castroreale

Spadafora

id.

ondulatorio

N-S

;|a0

31

11,21 p.

Palagonia

scossetta

1*

E. Istituto di Cliimico-Fisica Terrestre ed osservatorio Geodinamico della B, nvo

Osservazioni

i net ) le osservazioni della notte.

noi nanamente agitato per tutto il giorno.

.reset oscillazioni nella giornata variabili da

6°.

viali; da 0°,6 a 1°,5.

v dami deboli o moderate per tutta la giornata.

-Muori laidamente agitato cpiasi tutta la giornata - ut do un’oscillazione massima di 12° nel mez- igiorn

_ itati iresentando alle 10 a. un’oscillazione di 10°.

| Etna dal 3 al 6 ha dato eru- 1 zioni deboli di vapori e ceuere; I il 10 si è ripetuto il feno- I meno; il 21 e 22 sono avvenute eruzioni di semplici vapori senza V cenere per più debole forza erut- ( tiva ; il 26 nuova eruzione di vapori e cenere.

girate iresentando alle 5 p. un’oscillazione di 6°, 5. itateutto il giorno presentando un massimo

8°. i

'Imo mattino , agitato nel pomeriggio presen- ti'1 a; 5 p. un’oscillazione di 11°.

Vulcano ha continuato con le solite intermittenze le sue nu- merose esplosioni eruttive gene- ralmente con molta violenza.

- n! in tutta la giornata delle oscillazioni va- iatili i 1°,5 a 3°.

rimilo! , Castroreale e Spadafora le due scosse fu- i i av etite dalla popolazione con ispavento ; si liticò ralclie screpolatura nelle fabbriche , ma mza d ni.

.niii

a tanta

31 Dicembre 1888

INDICE DEL VOL. I. SERIE 4.

G. Basile. Ricostituzione con viti americane a produzione diretta, dei vi- gneti attaccati dalla fillossera Memoria la sul vitigno Jaquez (con due tavole) .......... pag. 1

P Ferrari. La lepra in Italia , e più specialmente in Sicilia (con cinque

tavole) ............. 37

O. Silvestri. Le maggiori profondità del Mediterraneo recentemente esplorate

ed analisi geologica dei relativi sedimenti marini (con una tavola) » 157 G. Basile. Ricostituzione con viti americane a produzione diretta , dei vi- gneti attaccati dalla fillossera Memoria 2a, il Vino Jaquez in rap- porto coi nostri vini » 175

S. Aradas. Esame batterioscopico dell’acqua minerale di Paterno . » 201

P. Ferrari. Il vagitolo e la vaccinazione » 209

A. Capparelli. Studi e ricerclìe sulla funzione delle fibre lisce muscolari

(con dodici figure nel testo) ......... 225

0. Silvestri. Etna, Sicilia ed Isole vulcaniche adiacenti sotto il punto di vista

dei fenomeni eruttivi e geodinamici avvenuti durante l’anno 1888 » 291

i JUL.fff

;

ATTI

DELLA

ACCADEMIA GIOENIA

DI SCIENZE NATURALI

IN CATANIA

ANNO LXVI

1 88 9-90.

SE IRTE QUARTA

VOLUME IL

COI TIPI C. GALÀTOLA

1890.

ATTI

DELLA

ACCADEMIA CIOÈ NI A

DI SCIENZE NATURALI

IIV CATANIA

ANNO LXVI

1 889-9 0.

SERIE G^TT ART A

VOLUME II.

CATANIA

COI TIPI C. CALATOLA

1890.

CARICHE ACCADEMICHE

PER L’AMO 1890-91.

UFFICIO DI PRESIDENZA

ZURRIA Comm. Prof. Giuseppe Presidente TOMASELLI Comm. Prof. Salvatore Vice Presidente BARTOLI Prof. Adolfo Segretario Generale

GRASSI Prof. D.r Giambattista Segretario della sezione di Scienze

naturali

MOLLAME Cav. Prof. Vincenzo Segretario della sezione di Scienze

fisico-matematiche

CONSIGLIO D’ AMMINISTRAZIONE

SCIUTO - PATTI Cav. Prof. Carmelo BERRETTA Cav. Uff. Prof. Paolo ARDINI Prof. D.r Giuseppe

ORSINI FARAONE Prof. D.r Angelo

CAFICI Rev. P. Giovanni Cassiere.

SOCII EFFETTIVI

1. GALVAGNA prof. Giuseppe Antonino

2. TORN ABENE cav. prof. Francesco

3. MADDEM cav. uff. prof. Lorenzo

4. ZURRIA comm. prof. Giuseppe

5. CAFICI p. Giovanni

6. NICOLOSI TIRRIZZI cav. prof. Salvatore

7. BERRETTA cav. uff. prof. Paolo

8. SCIUTO-PATTI cav. prof. Carmelo

9. ARDINI prof. Giuseppe

10. TOMASELLI comm. prof. Salvatore

11. CLEMENTI cav. uff. prof. Gesualdo

12. ORSINI FARAONE prof. Angelo

13. RONSISVALLE cav. prof. Mario

14. BASILE prof. Gioachino

15. CAPPARELLI prof. Andrea

16. MOLLAME prof. Vincenzo

17. ARADAS prof. Salvatore

18. SANGIULIANO Marchese Antonino

19. GRASSI prof. Giambattista

20. AMATO prof. Domenico

21. BARTOLI prof. Adolfo

22. UGHETTI prof. Giambattista

23. FERRARI prof. Primo

24. FICHERA cav. prof. Filadelfo

25. CHIZZONI prof. Francesco

26. FELETTI prof. Raimondo

27. PENNACCHIETTI prof. Giovanni

28. PETRONE prof. Angelo

29

30

Sulle formule esprimenti la tensione dei vapori saturi in funzione della temperatura.

Memoria

dei Professori ADOLFO BARTOL1 ed ENRICO STRACCIATI.

I. - Senza voler fare la storia completa delle formule proposte per esprimere la forza elastica dei vapori saturi in funzione della loro temperatura, accenneremo soltanto alle principali, e poi ne indicheremo un’altra di facile applicazione e molto approssimata.

II. Il D Alton come è a tutti noto propose le leggi seguenti (1). l.a La forza elastica del vapore saturo di un liquido cresce in

progressione geometrica quando le temperature crescono in progres- sione aritmetica.

Se questa legge fosse applicabile , la tensione massima F sarebbe legata alla temperatura T dalla relazione

(la) F = aT

essendo a una costante propria della sostanza.

Questa formula fu da Regnault riconosciuta completamente ine- satta (2).

L’ altra regola proposta dal Dalton che i vapori di tutti i li- quidi volatili hanno la stessa tensione massima a distanze uguali dalla temperatura ordinaria di ebullizione dei liquidi fu per molto tempo riguardata come capace di dare un’approssimazione assai utile ; essa si trova ricordata ancora in varii trattati di fisica. Il Regnaijlt (3) di-

(1) Dalton Memoirs of thè literary and philos. Society of Manchester, V. pag. 550. Regnault Memoires de V Acad èrnie des Sciences de VInstìtut de France , Paris 1862.

voi. XXVI.

(2) Regnault, ibidem, pag. 659-661.

(3) Regnault, ibidem, pag. 661-663.

Atti Acc. Vol. II, Serie 4a

:

1

2

Sulle formule esprimenti la tensione

mostrò sovrabbondantemente che questa regola non è esatta, in singoiar modo poi, per i liquidi assai volatili.

III. Molto più approssimata quantunque assai lunga in pratica e non sempre possibile ad eseguire senza aver sotto mano il voi. XXVI delle memorie dell’Accademia delle scienze di Parigi, è la regola data dal Regnault (1) per determinare approssimativamente le tensioni mas- sime del vapore di un liquido di cui si conosce il punto di ebullizione sotto l’ordinaria pressione.

Si segni, dice il Regnault, sopra la tavola quinta di quel vo- lume, il punto di ebullizione normale del liquido, e si tracci ad occhio, movendo da questo punto , una curva che cammini regolarmente fra le due curve più vicine , delle quali una corrisponde ad uu liquido che bolle ad una temperatura più elevata, e l’altra ad uno che bolle ad una temperatura più bassa.

Assumendo questa curva fittizia come vera curva delle forze elastiche, non si commetteranno errori rilevanti, finché non ci si al- lontani considerevolmente dalla temperatura di ebullizione sotto la pressione di 760 millimetri.

IY. In mancanza di una formula generale che colleglli le forze elastiche di tutti i vapori con le loro temperature ( scriveva il Re- gnagli1 2 3 (2) nel 1847) i fisici hanno proposto delle formule numeriche particolari, che esprimono la forza elastica del vapore d’ acqua in fun- zione della temperatura. La maggior parte di queste formule,, aggiunge il Regnault, sono state proposte come semplici formule d’interpola- zione, mentre alcune altre sono state presentate con la maggior pre- tensione e come esprimenti la legge fisica del fenomeno.

Così il De Prony (3) applicò pel primo , al calcolo delle forze elastiche del vapor d’acqua un’espressione della forma

(2a) F = a cV -f b /3C + c

(1,) Regnault, ibidem, pag 663-664.

(2) Regnault Memoires de l'Academie Rodale des Sciences de VInstitut de France; Tome XXI, Parigi 1847, pag. 583.

(3) Journal de VÉcole polytecnique, deuxième cahier, pag. 1 e Regnault ibidem.

dei vapori saturi in funzione della temperatura

3

Le sei costanti di questa formula , furono da lui calcolate dietro l’ esperienze del Sig. de Bétancogrt.

Il Dottor Yotjng (1) ha proposto la formula

(3a) F = (a + bt)m

adottata da diversi fisici, e segnatamente dal Creighton, Southern, Tredgold, Coriolis, etc, (2)

L’ Arago e il Dulong (3) accettarono per 1’ acqua la formula seguente

(4a) F = (1 -f 0, 7153. Tf

dove A è la forza elastica in atmosfere e T la temperatura centigrada contata a partire da 100° (positivamente al di sopra e negativamente al di sotto, prendendo per unità l’intervallo di 100 gradi). Questa formula rappresenta assai bene le forze elastiche da una fino a 24 at- mosfere; ma essa diviene inesatta per forze elastiche più deboli. In- vece la formula dell’YouNG sopra enunciata rappresenterebbe meglio le osservazioni entro tutta la scala delle temperature, determinando le co- stanti a, b, m, col mezzo di tre esperienze di cui due alle due estre- mità della scala termometrica e la terza nella regione media.

Il Roche (4) dietro considerazioni teoriche (che non sembrarono giustificate a Dulong ed Arago) propose la formula

1

1 + mt

(5a) F = a a

e la stessa formula fu dedotta più o meno rigorosamente da Clapeyron, da August, da de Wrede e da IIoltzmann (5).

(1) Naturai Philosophy, tomo II, pag. 400.

(2) Compara Regnault, memoria ultimamente citata , pag. 584.

(8) Annales de Cliimie et de Physique, 2a serie, t. 43, pag. 74.

(4) Mémoires de V institut, T. X, pag. 227.

(5) Clapeyron, Journal de V Ecole polytechnique , T. 14, pag. 153. August, Pogg. Ann. Bd. XIII, s. 122; Bd. 58, s. 334.

De Wrede, Pogg. Ann., Bd. LUI, s. 225.

Holtzmann, Pogg. Ann., Ergcinziengsheft , Bd. II, s. 183. e Regnault, Memoires de Vlnstitut, T. XXI, pag. 585.

4

Sulle formule esprimenti la tensione

Questa formula rappresenta assai bene pel vapor d’acqua, d’alcool e di etere, i resultati delle esperienze del RegnatjBt (1).

Anche il Magnus (2) ricorre a questa formula per esprimere le tensioni del vapor d’acqua, in funzione della temperatura.

Il Regnault (3) nelle sue classiche memorie sulla tensione dei vapori, preferì la formula empirica proposta dal Biot

(6a) log F a + ba -|- c>

dove a, b; c , a, 9, sono costanti e r è la temperatura centigrada aumen- tata di una costante.

Questa formula si adatta molto bene ad esprimere i resultati ot- tenuti dal Regnault per un grandissimo numero di liquidi diversissimi fra di loro per natura e per proprietà fìsiche: essa si trova ancora a- doperata dalla maggior parte dei fisici che dopo il Regnault si sono occupati di analoghe misure.

Y. I Signori Pictet e Cellérier (4) deducono dalla teoria mec- canica del calore la formula seguente :

(7a)

lognat

P_

P'

[X' + (c Te) (t1 2 3 4 t)] 431 X 1, 293 X 5 X 274 (f t) 10333 (274 + f) (274 + t)

dove

V è una temperatura scelta a contare le temperature

t la temperatura variabile che

piacere come punto di partenza per si vuol determinare

(1) Regnault, Memoires de Vlnstitut, T. XXI, pag. 586 e T. XXVI.

(2) Magnus, Pogg. Ann., Bd. LXI : compara anche Wullner , Experimentalphysik Bd. m, s. 605.

(3) Regnault Memoires de VAcadémie imp. des Sciences , T. XXI e T XXVI : Biot , Connaissance des temps pour 1844. Nel voi. I dei Fortschritte der Phgsi Berlin 1846 , pa- gina 92-98 è 1’ elenco di ben quaranta formule empiriche proposte per esprimere la tensione del vapore in funzione della temperatura : vedi anche Regnault, Memoires de VAcadémie des Sciences, T. XXI, pag. 582.

(4) Pictet et Cellérier Métliode generale d'integration continue d' ime fonction numè- rique quelconque etc. Paris, Gauthier, Villars 1879.

elei vapori saturi in funzione della temperatura

5

il calor latente totale di vaporizzazione del -liquido alla tempe- ratura t' del suo vapore

P' la tensione massima del vapore alla temperatura V P la tensione massima del vapore alla temperatura t c il calore specifico del liquido k il calore specifico del suo vapore

^ il coefficiente di dilatazione del gaz

1,293 il peso di i litro d’aria a e sotto 760 millimetri S la densità del vapore, variabile con la pressione 10333 la pressione in chilogrammi sopra un metro quadrato equi- valente a 760 millimetri di mercurio

431 l’equivalente meccanico del calore (accettato dal Pictet e Cellérier.

Il Sig. Szily (1) muove obiezioni sul modo con cui questa for- mula è stata dedotta dalla teoria meccanica del calore ; giacché nel ciclo considerato dal Pictet la temperatura non è costante : di poi il Sig. Szily cerca di dedurre rigorosamente la stessa formula dalla teoria meccanica del calore, e giunge a dimostrarla, qualora si ammetta che il prodotto k’T del calor latente per la densità del vapore saturo sia indi- pendente dalla temperatura : ciò che in generale non si verifica che con piccola approssimazione.

TI. Il Broch (2) osserva che la formula del Pictet può pren- dere la forma

t f (t)

1 cct

(8a) F a . 10

dove a è il coefficiente di dilatazione dei gaz ed f (t) una funzione

(1) Szily Sur la formule (rinterpolation de M. Pictet Journal de Phi/sique, 1880, T. IX pag. 303.

(2) 0. I. Broch, Tension de la yapeur d'eau ; Travaux et memoires die bureau interna- tional des poids et mesures, Paris Gauthiers Villars, 1881, pag. (A, 19).

6

Sulle formule esprimenti la tensione

della temperatura, dipendente dal calorico specifico del liquido e del suo vapore, dal calore latente e dalla densità del vapore.

Se si suppone f (t) costante, cioè se si suppone il calore specifico, il calorico latente e la densità costanti si ritrova la formula del Roche: la quale resultati poco diversi dall’esperienza (almeno per il vapor d’acqua fra 30° e + 100°) ammettendo però « = 0,004 265, valore notevol- mente più grande di quello del coefficiente di dilatazione dei gas per- fetti.

Se si sviluppa / (t) per le potenze crescenti di t, si giunge ad una formula

(9a)

F = a . 10

bt -f- et2 + dt 3 + et* + ft 5 1 + ai

Questa formula si presta all’ uso del metodo dei minimi quadrati ; si possono cioè far concorrere tutte le osservazioni per la determinazione delle costanti: essa fu impiegata dal Brock (1) per ricalcolare la tensione del vapor d’ acqua fra 33° e + 101° servendosi dei dati di Regnault, ed ammettendo a = 0, 003 666 78 (valore trovato dallo stesso Re- gnault per l’ idrogeno).

Distribuendo convenientemente le 536 osservazioni del Reghault, sul vapor d’acqua, in diversi gruppi, il Brock ha determinato i valori di a , b, c, d, e, f: i valori di F calcolati con questa formula coinci- dono meglio che quelli calcolati dal Moritz sulle osservazioni del Re- ghault, con la formula del Biot.

VII. Pel vapore saturo di acqua sono state trovate dopo il Re- gnault, delle formule assai semplici le quali collegano la temperatura con la tensione massima.

Così il Winkelmann ha trovato che da 5, 7 fino a 100°, la formula (10a) tn = 100 [2 X 1, 3652toffn 1]

(dove n è la tensione espressa in atmosfere e tn la temperatura centi-

(1) Brock, loco citato.

elei vapori saturi in funzione della temperatura

7

grada corrispondente) esprime assai bene i resultati delle esperienze del Regnault. (1)

Per temperature comprese fra 5°, 7 e -+- 220° vale la formula (2)

(lla) tn = 200 [1, 3652 ( n 4- l|010965] 100

~VT.IT. Un’altra regola comodissima pei bisogni della pratica è stata data dal sig. Duperray (3) nel 1871 per calcolare la tensione massima del vapor d’acqua ad una determinata temperatura.

La regola è espressa dalla formula

(12a) F = tl

dove F esprime la tensione massima in atmosfere e Ma temperatura contata a partire da quella della fusione del ghiaccio, con l’unità di temperatura uguale allo intervallo fra la fusione del ghiaccio, e l’ebulli- zione dell’acqua sotto la pressione di 76 centimetri. (4)

Più recentemente il sig. A. Jarolimek (5) propone per il vapor di acqua la formula

(13a) T = 326,7 . /’ 04233 + 46, 3 /’ 3039

dove T è la temperatura assoluta e p la tensione espressa in atmosfere: Egli verifica la formula da p = 0,0004 fino a p=28 atmosfere.

Egli propone pel vapor d’acqua anche la formula seguente:

(14a) t = 100 + 2 M(942 3 4 5 (95 p)%

(1) Winkelmann Ueber eine Beziehung zwischen Druck Temperata und Diclite der gesat- tigten Dàmpfe von Wasser etc; Annalen der Physik und Chemie, 1880 Bd IX, s. 214.

(2) Vinkelmann, Loco citato, pag. 216-217.

(3) Annales de Chimie et de Fhysique , T. 23 pag. 71 (anno 1871) e Archives de Genève T. 90 pag. 180-185.

(4) Ricordiamo questa regola pratica del Duperray perchè veramente riesce molto comoda per la sua semplicità: non sembra che questa sia conosciuta da molti, in quantochè alcuni assi or sono venne da Roma spedito un foglio litografato , dove in altri termini era espressa la stessa regola, ritrovata da un operaio italiano (se ben ricordiamo).

(5) A. Jarolimek, Bleiblatter, Band VII, s. 1883 pag. 273.

8

Sulle formule esprimenti la tensione

(dove t è la temperatura volgare, e p la tensione) valevole fra 9 e 28 atmosfere.

IX. Lo stesso Winkelmann (1) ha generalizzata la formula trovata per l’acqua e qui riferita in principio del § VII.

Chiamata tn la temperatura del vapor saturo di un dato liquido , quando la sua tensione è di n atmosfere, dn la densità riferita all’aria del vapore saturo sotto la pressione di n atmosfere e d la densità del vapore soprariscaldato riferito pure all’aria come unità , ed a e b due costanti proprie alla natura della sostanza, Egli ha verificato la formula

(15a)

t,n = (a 4- b) n

0, 13507J

~~d

a

pei liquidi seguenti ; acqua, etere, acetone , cloroformio , solfuro di car- bonio; ed i valori di tn corrispondono assai bene a quelli calcolati col- le formule di Regnault.

La stessa formula è stata poi verificata per varii eteri , dallo Schumann (2) entro limiti di temperatura estesi.

Questa relazione del Winkelmann può per ora servire solo in pochi casi a calcolare la temperatura di ebullizione corrispondente ad una data pressione, in quautochè i valori di dn a diverse temperature non si conoscono che per un piccolo numero di sostanze e la loro misura presenta difficoltà sperimentali non inferiori a quelle della misura diretta della tensione massima.

X. Il Sig. G-roshans (3) nel 1849 enunciò la proposizione se- guente “ Se si contano le temperature da 273 , tutte le temperature corrispondenti sono pei diversi liquidi proporzionali intendendo per temperature corrispondenti di due liquidi quelle in cui i loro vapori saturi posseggono uguale tensione.

Il Clausius (4) nella sua memoria sulla dipendenza teorica di

(1) Winkelmann, loco citato pag. 218, 364, 366, 369, 372, 374.

(2) Schumann, Ann. der PJiysiJc und Chemie, 1881 Bd. XII s. 58-59.

(3) Poggendorff's Annalen, Bd. 78. s. 112 (anno 1849) compara anche Mousson Die pliysik auf Grundlage der Erfahrung; Zurich, 1872 Bd. Et. s. 116.

(4) Poggendorff's Annalen , Bd. 82, s. 274 anno 1851.

dei vapori saturi in funzione delia temperatura .

9

due leggi empiriche relative alla tensione ed al calore latente dei di- versi vapori la quale conteneva in germe le moderne teorie che collegano le proprietà fisiche dei corpi , metteva giustamente in rilievo l’importanza teorica della legge del Groshans, osservando che quantun- que soltanto approssimativa, concordava assai meglio di quella di D Alton coi dati dell’ esperienza allora posseduti. Anche noi in una breve nota pubblicata nel 1885 (1) abbiamo mostrato come la regola trovata dal Groshans si colleglli con le recenti teorie di Yak der Waals (2).

La regola del Groshans ha tale importanza, da meritare un più lungo esame , e vi ritorneremo in un’ altra memoria che fa seguito a questa.

XI. Il sig. Duhring (3) ha enunciato la regola seguente :

Sia tn il punto di ebollizione dell’ acqua sotto la pressione di n atmosfere ; il punto di ebollizione X di un altro liquido sotto la stessa pressione è

(16a) X = A + Btn

dove A e B sono due costanti che non dipendono che dalla natura del liquido.

Il sig. Duhring a pag. 79 del suo lavoro verifica questa formula per l’alcol, l’etere, il solfuro di carbonio e l’ioduro di etilo, e veramente le temperature calcolate corrispondono bene a quelle osservate.

Ma sembra che al sig. Duhring sia sfuggito che la sua regola è una conseguenza diretta di quella stabilita dal Groshans (vedi X. X).

Infatti chiamate X e tn le temperature di ebullizione di due li- quidi sotto una stessa pressione, ed E, E' le temperature di ebullizione degli stessi liquidi sotto la pressione di 760 millimetri, si ha per regola di Groshans

273 + E _ 273 +■ X

273 + E’ ~ 273 + tn ~ B

(1) Bartoli e Stracciati; sopra 1’ applicabilità, di una regola data dal Groshans (Nuovo Cimento, 1885 3a serie T. 18 pag. 193).

(2) Van der Waals, Die continuità! des gas formigen und fliissigen zustandes; Leipzig 1881.

(3) Duhring: Neue grundgesetze zur rationellen Physik und Ckemie; Leipzig 1878 s. 76- 84 : Compara anche Schumann, Annalen der Physik und Ckemie, Bd. XIII s. 63.

Atti Acc. Yol. II, Serie 4a

2

10

Sulle formule esprimenti la tensione

essendo B una costante, e da questa

ed anche

X E

tn ~ E’

X = (E BE') + Btn

e posto

E BE' A

essendo A una costante, viene appunto

X = A -+- Btn

che è la formula del Duhring (1).

XII. Dalla nota equazione della termodinamica

, EL

u u =

T

dT

(dove u ed u' sono i volumi specifici del liquido e del vapore , L il calor latente, E l’equivalente meccanico del calore, p la tensione del va- pore e ria sua temperatura assoluta) trascurando u' di fronte ad u ed ammettendo come valida la regola di Dalton ( Yedi § II di questa memoria ) il Bouty giunge alla relazione

LM

(17a) - = costante per tutti i corpi

essendo M il peso molecolare e T0 la temperatura assoluta di ebullizione sotto la pressione normale. (2)

(1) In una seconda edizione dell’ opera del Duhring (Lipsia 1886) è riferita la polemica fra il sig. Ulrico Duhring e il sig. P. De Mondesir, il quale nel 1880 lia pubblicato nei Coni- ptes Rendus , una relazione che può dedursi da quella del Duhring : cioè che se si scelgono le pressioni in modo che il punto di ebullizione di un liquido sotto tali pressioni, cresca in progressione aritmetica, anche le temperature di ebullizione di un altro liquido qualunque, sotto le stesse pressioni, fonnano una progressione aritmetica.

(2) Bouty, Journal de Phi/sique, 1885 pag. 26.

dei vapori saturi in funzione della temperatura

11

Ma la regola di Dalton è inesatta, e il sig. De Heen (1) mostra con molti esempi che anche la relazione del sig. Bouty è verificata dalla esperienza, solo con poca approssimazione. Infatti per 33 liquidi studiati i valori della costante variano da 0,050 a 0,078 cioè come 100 a lòfi.

Più approssimata è la formula proposta dal sig. Trouton (2) ML

(18a) -=r = costante per tutti i corpi:

O

come mostra il sig. De Heen (loco citato) ma anche in questo caso non si ha che una prima approssimazione giacché pei 33 liquidi i valori della costante variano da 20, 4 a 26, 3 cioè come 100 a 130.

E singolare che fra le quantità M , L, T0 si siano proposte due relazioni incompatibili fra loro; bisogna però osservare che per le sostanze che hanno servito agli autori a provare il loro assunto, la temperatura as- soluta T0 variava ben poco, cioè da 263 (anidride solforosa) a 473 (iodio).

In ogni modo, ammessa come valida la regola del sig. Trouton; cioè dalla equazione

ML

T

= costante

e dall’ altra che deriva dalla termodinamica

1

LM =

273 à0 E

' dt

(dove S0 è il peso di un litro di idrogeno alla temperatura del ghiaccio fondente e sotto la pressione di 76 cm, il sig. De Heen (loco citato) deduce

(I9a) T | = costante

Egli verifica questa formula direttamente sopra 8 sostanze cioè

j

.

(1) De Heen, Su r la tension des vapeurs saturées ; Bullettin de 1’ Académie Royale de - Belgique; 3™e serie, T. 9. 1885.

(2) Tkouton, Philos. Magaz. (5a serie) t. 18 pag. 54-57 anno 1884.

12

Sulle formule esprimenti la tensione

Etere, Alcole, Cloroformio, Acetone, Cloruro di carbonio, Solfuro di car- bonio, Mercurio, Acqua, e trova per la costante dei valori che oscillano fra 8056 e 10640 cioè come 80 a 107.

Questa formula che il sig. De Heen ha dedotto da quella del Trouton, è ancora la conseguenza immediata od anche un. altro enun- ciato della regola stabilita dal sig. Groshans nel 1851.

Infatti supponiamo che diversi liquidi abbiano la stessa tensio- ne massima p alle temperature assolute T, , T, , T3 , Tt , Ton ; e

che posseggano la tensione massima p + Sp alle temperature assolute

CG + STO, (Tt + STJ, (Tt + STJ, (T< + STJ, , (Tn + 8 Tn);

per la regola stabilita dal Groshans risulta

_G_ = = Ia = A

8Tt ST, ST, ST,

onde anche

Sp

ST,

T

^ 1 \l'Ti

( Sp\ rp l Sp\ J,

_ ( 9P \

\ STJ \ STJ 3

\STj

che è appunto la formula a cui giunge il De Heen.

A questa stessa relazione (19) son pur giunti i signori W. Ramsay ed S. Young (1) i quali mostrano su 18 liquidi (di cui si conoscono le tensioni del vapore a diverse temperature) il grado di applicabilità di questa formula.

Anche ai signori Ramsay ed Young è sfuggito che la (19) è una diretta conseguenza delle regole del Groshans.

XIII. Si deve al sig. De Heen la seguente relazione :

Per tutti i corpi appartenenti ad una serie omologa il prodotto del coefficiente di dilatazione per la temperatura assoluta di ebullizione è costante (2).

(1) W. Ramsay e S. Young: Some Thermodynamical Relations: Philosophical Magazine, Decembre 1885; T. XX pag. 515-531.

(2) De Heen, Mémoires couronnées publiés par l'Acc. rogale de Belgique, T. XXXI, 1880; e Bullettins de l'Acc. Rogale de Belgique , 3e serie, te IX v. 4, 1885. Compara anche De Heen? Essai de Phgsique comparée, Bruxelles 1883 pag. 73.

dei vapori saturi in funzione detta temperatura

13

Noi abbiamo osservato in una nota pubblicata -nel 1885 (1) nel Nuovo Cimento, che questa regola del sig. De Heen una prima ap- prossimazione, e che un’approssimazione migliore si ottiene con la re- gola empirica seguente : pei corpi appartenenti ad una serie omologa il modulo di dilatazione K della formula di Mendeleeff

Dr = Do (1 - Kt)

è in ragione inversa della temperatura di ebullizione contata dallo zero assoluto.

Dimostrammo ancora che queste regole empiriche si potevano de- durre dalla relazione da noi dimostrata nel 1884 (2) cioè che il modulo di dilatazione H della formula

VT =

r 1 HT

(dove T è la temperatura contata dallo zero- assoluto) è per diversi liquidi in ragione inversa della temperatura critica assoluta quando si tratti di una serie di liquidi in cui la temperatura assoluta di ebul- lizione è proporzionale alla temperatura assoluta critica.

Il sig. De Heen (3) ha pure stabilito una relazione empirica fra la tensione del vapore saturo e il coefficiente d’ attrito interno del li- quido stesso :

Egli trova

(20a) T f log p costante, per tutte le sostanze;

f essendo il coefficiente d’ attrito interno del liquido e p la tensione del vapore saturo, presi alla stessa temperatura assoluta T.

Egli verifica queste formule per otto liquidi ed a diverse tempe-

(1) Bartoli e Stracciati Sopra alcune relazioni stabilite dal sig. De Heen fra la dilata- bilità e il punto di ebullizione dei composti di una stessa serie analoga ( Nuovo Cimento, 3a s. T. 18 pag. 107) 1885.

(2) Bartoli e Stracciati; Nuovo Cimento , 3a s., T. 16, (1884) pag. 102.

(3) P. De Heen, Determination (Cune relation empìrique reliant latension de la vapeur au coeffcient de frottement interieur des liquides (Bullettins de 1’ Academie royale de Belgique , 3.me Sèrie, t. X, N. 8) (1885).

14

Sulle formule esprimenti la tensione

ratare: i valori della costante oscillano fra 13, 9 e 32, 1 mentre i va- lori di / e di p variano fra limiti molto estesi.

Lo stesso sig. De Heen, al quale si devono tanti bei lavori su argomenti fisico-chimici , partendo dalle ipotesi che le molecole dei li- quidi si attirino in ragione inversa della 7a potenza della distanza ( ipo- tesi che Egli trova giustificata dai molteplici fatti ch’essa spiega) è giunto alla nuova relazione

^ 1, 33 a a Q0 Q0 a (1, 33 a. a) ^ 1

(21*) _ q T A p0 v0 e A p0 v0 T

dove p è la tensione del vapore saturo, T la temperatura assoluta, Q u il calore interno di vaporizzazione a zero gradi , C una costante,

« = 273 A = ^ (equivalente calorifico del lavoro), «il coefficiente di

dilatazione del liquido e p0 v0 le costanti della legge di Mariotte e Gay Lussac.

Il De Heen , verifica la formula per il solfuro di carbonio , pel tetracloruro di carbonio , e pel cloroformio e trova un bello accordo coi dati della esperienza (2).

XIY. Il sig. Burden (1) ha trovato la regola rimarchevolissima che segue : Per tutti i componenti di una serie omologa , la tempe- ratura assoluta di ebullìzione T (cioè contata a partire dallo zero asso- luto) è proporzionale alla radice quadrata delle densità dei loro vapori.

La densità del vapore Egli la prende uguale alla metà del peso

(2) P. De Heen, Bullett. dell’ Ac. Roy. deBelgique 3me sèrie, t. XI pag. 165-173 (1886.) Vedi anche, 3rae serie, t. Vili n. ,8 (1884) e così pure Beiblatter, Bd. XI s. 226-227 e Bd. IX s. 111.

(1) Burden, Boiling-points of organi c Bodies: Pliilosopli. magatine Voi. XLI pag. 528 (1871). Il Bubden per una svista di calcolo, enuncia la sua regola dicendo che al punto di ehullizione è costante la velocità molecolare dei composti omologhi. Il dottissimo sig. Boltzmann di Gratz, in una lettera agli editori , inserita nel voi. 42 dello stesso Ttiylos. Mag. rileva e corregge questa svista.

(lei vapori saturi in funzione della temperatura

15

molecolare P, per cui viene a trovare che il rapporto

(22a)

rp 2

costante

per ogni serie omologa. Il Burden porta numerosissimi esempi nella serie delle paraffine Cn H2n + delle Olefìne Gn H2n, Idrocarburi della serie aromatica, Eteri composti, Anidridi della serie grassa Cn H,n _ 2 03 , Aldeidi Cn H2nO , Alcoli Cn II2n + 20 , Acidi Cn H2n02 etc. e prova vera- mente che quel rapporto è ben costante in ciascuna serie omologa , quantunque varii, passando da una serie omologa ad un’altra.

La regola del Burden unita a quella del Groshans permettono di calcolare in via approssimativa la temperatura di ebullizione sotto una qualunque data pressione , di un composto organico qualsiasi , data la sua composizione e la serie organica a cui esso appartiene. (1)

XY. Il sig. Gh W. A. Kahlbaum (2) ha recentemente studiato con un apparecchio assai complicato, la relazione che esiste fra la tem- peratura di ebullizione di un liquido e la pressione barometrica. Egli chiama remissione specifica (specifiche Remission) il numero che si ottiene dividendo la differenza fra le due temperature di ebullizione di uno stesso liquido , per la differenza delle pressioni , l’una di queste essendo sempre uguale a 760 millimetri.

Così per l’alcol propilico che bolle a 96°, 6 sotto la pressione di 760mm, ed a 16°, 2 sotto la pressione di 10rnm,22 si ha

(1) Si vede così verificato, almeno in parte, quanto prevedeva Fabaday nel 1845: « Si è « portati a credere, che osservazioni più esatte delle forze elastiche (dei vapori) permetteranno " di dedurre una legge generale per mezzo della quale si potrà concludere per ciascuna tem- « peratura la forza elastica di un vapore in contatto col suo liquido da una sola osservazione « di questa forza » Philos. Trans, of thè lioy. Soc. of London, fur 1845 pag. 155.

(2) Geoeg. W. A. Kahlbaum; Sieden temperatur und druck in ihren wechselbezieheungen Leipzig, 1885 (I. A. Barth editore) Infine del volume da pag. 148 a 153 si trova un copioso elenco per la letteratura della quistione).

Rem. Spec.

16

Sulle formule esprimenti la tensione

Questo valore varia col grado di pressione: così per Y alcol pro- pileo è = 0, 107 per 10mm,2; 0, 100 per 16mm, 8; 0, 089 per 30mm,2; 0,077 per 62mm,2.

Il sig. Kahlbaum trova come risultato delle sue ricerche che una differenza di CH, in più, nella formula degli alcoli, degli acidi e delle anidridi della serie grassa aumenta la remissione specifica (paragonata alla pressione 0mm ) di una quantità costante ed uguale 0, 01.

1 liquidi studiati dal sig. Kahlbaum sono 35.

XYI. Ammettendo come valida la regola (1) che pei composti organici di una serie omologa, a differenze costanti di composizione corrispondono differenze costanti nel punto di ebullizione normale ed ammettendo ancora che tale regolarità si osservi anche sotto pressioni diverse dalla atmosferica, il Winkelmann (2) giunge subito alla formula

(23a) Tn tn d -j- (n 1 )c

dove Y', T2 T3 Tn sono i punti di ebullizione dei componenti

la serie omologa , sotto la pressione P , e tl t2 tn sono i punti

di ebullizione sotto la pressione p e si ha

d rJ\ t} c = A a

essendo

A T T T T T T

Ct ^3 ^2 tfi 1

La formula precedente fu dal Winkelmann verificata per la serie degli acidi grassi servendosi delle misure delle lore forze elastiche, fatte

(1) Riguardo a questa regola del Sig. H. Kopp, dice giustamente 1’ illustre Berthelot , che non si può riguardare come rigorosa, ma soltanto come l’indizio della vera legge, la quale per altro ci è ancora nascosta. Compara a questo proposito quanto ne riferisce il Chiarissimo fisico belga P. De Heen nel suo bellissimo Essai de Fhysique comparée , pag. 77 a pag. 94 , Bruxelles, 1883 (Memoria premiata dall’ Acc. delle scienze del Belgio).

(2) WiNKEi.MASN, Ueber Dampf spannungen homologer Reihen etc. (Anualen der Physik und Chemie, Bd. I s. 430, 1877).

dei vapori saturi in funzione della temperatura

17

dal Landolt (1), e di poi dallo Schumann (2) per una serie assai lunga di eteri (formiati, acetati, butirrati, valerianati etc.) (3)

Per gli idrocarburi normali Cn H2 + 2 il Sig. Goldstein ha trovato che la temperatura di ebullizione t può calcolarsi molto esattamente con la formula

11 1

(24a) t - X 380 + O 1) X 19 340,9.

La stessa formula vale per gli idrocarburi formati da radicali se- condari (ma analoghi) (4).

XVII. - Recentemente 1’ illustre geometra Bertrand (5) determi- nando la condizione che deve verificarsi affinchè il rapporto del calore sviluppato nella compressione di un corpo al lavoro impiegato nella compressione stessa, sia una funzione lineare della temperatura, giunge all’ equazione

(25a)

p G

(G essendo una funzione arbitraria del volume ed a e le due costanti dell’ espressione lineare a.T -t- /3, che rappresenta il rapporto del lavoro impiegato al calore sviluppato nella compressione.

Per i vapori saturi si può determinare facilmente questo rapporto, il quale, trascurando il volume specifico del liquido in confronto di quello

del vapore , si trova espresso da -- ^ ° (c volume specifico del vapore,

(1) Landolt, Liebig’s Annalen, Supplement Band. VI, s. 129 (anno) 1868.

(2) Schumann, Annalen der Physik und Chemie, 1881 ; Bd. XII s. 52.

(3) Per brevità, e perchè fuori del nostro disegno, passiamo sotto silenzio altre formule che collegono la tensione del vapore di un liquido con altre proprietà fisiche di questo : com- para per es. Watterston nei Forstschritte der Physik , Bd. XX s. 341.

(4) Goldstein Compara Beilstein, Handbuch der organischen Chemie, Hamburg 1885, Bd. I s. 50-51.

(5) I. Bertrand; Thermodinamique , Parigi 1887 pag. 150 Probleme VI.

Atti Acc. Vol. II, Serie 4a

3

18

Sulle formule esprimenti la tensione

ed r calore di vaporizzazione) ed in generale varia proporzionalmente alla temperatura; cioè, prova 1’ esperienza, che si ha (1)

quindi pei vapori saturi la temperatura e la pressione saranno collegate dalla formula precedente, che può scriversi

(26a)

la quale contiene tre costanti G, y ; ma che possono ridursi a due in sostanza, perchè come osserva Bertrand V esponente y si può far va- riare entro limiti molto estesi purché varii convenientemente >■ ; e la formula gli stessi resultati. Prendendo ad esempio y = 50 oppu- re = 25, = 100 e determinando poi le altre due costanti \ q G, come si vede dagli esempi portati da Bertrand (2) la formula rappresenta sempre con sufficiente esattezza la tensione dei vapori saturi in funzione della temperatura.

La formula precedente è dal Bertrand applicata a circa 20 vapori e gli ha dato sempre dei valori concordi con quelli misurati direttamente dal Regnault.

XYIII. Il sig. A. Duprè, (3) dedusse della teoria meccanica del calore la seguente formula

(27a)

locj = B * Po

t

274 + 7

A log

274+ t 274

(dove p è la tensione del vapore saturo alla temperatura t e p0 , B, A tre costanti) ammettendo però che :

si possa trascurare il volume specifico del liquido di fronte a quello del vapore.

(1) I. Bertrand; Thermodynamique , pag. 164 e 165.

(2) Bertrand, ibidem, pag. 166-187; e Coniptes Rendus, 1887.

(3) A. Dupré , Theorie mécanique de la chaleur, Paris , Gatjthier-Villars , 1869, pag. 96-110.

dei vapori saturi in funzione della temperatura

19

che al vapore si possano applicare le leggi di Mariotte e di Gay Lussac e di Regnatjlt (1) (il che non è esatto).

che il calor latente di vaporizzazione sia una funzione lineare della temperatura (lo che in generale non è esatto, come ha dimostrato Regnault).

Si vede dunque che la formula precedente si deve riguardare piut- tosto come una formula empirica: è però giusto osservare che questa formula conduce a resultati inulto prossimi a quelli trovati specialmente dal Regnault : e il Duprè la verifica pel solfuro di carbonio, pel clo- roformio, per la benzina, pel cloruro di carbonio, per l’etere, pel cloruro di metilo, pel bromuro di etilo, per l’ioduro di etilo, pel mercurio e per 1’ ossido di metilo.

Ponendo 274 + t T

log p0 H- B + A log 274 = a 274 B 13 A = y

la formula del Dupré diviene

(28*) log. p = a -t- | + •> % T.

E sotto questa forma che il Bertrand nella sua termodinamica (2) la fa derivare dall’ equazione che l 'entropia dei vapori, ammettendo inoltre che ai vapori si possano applicare tutte le leggi relative ai gaz perfetti.

Il Bertrand la verifica sopra sedici liquidi studiati dal Regnault e trova un accordo mirabile fra i valori dati dall’ esperienza e quelli calcolati con la stessa formula. Le differenze non sorpassano, in nessun caso , le incertezze delle misure più accuratamente prese. Non bisogna però, Egli aggiunge, concluderne l’esattezza teorica di una legge espressa dalla equazione ; dacché per giungere a quella si è dovuto attribuire

(1) Cioè che siano costanti i calori specifici.

(2) I. Bertrand, 27 lermodynamique, Parigi 1887, pag. 90 a 103.

20

Sìille formule esprimenti In tensione

contrariamente ai fatti , le proprietà dei gaz perfetti ai vapori in pros- simità del punto di saturazione etc. etc.

XIX. Il Sig. W. C. Unwin (1) propone la formula empirica

(29a) log p = a ,

dove p rappresenta la forza elastica del vapore, T la temperatura asso- luta ed a, b, n, tre costanti da determinarsi per ciaschedun liquido. Il Sig. Unwin ha applicato con successo questa formula all’acqua, all’ al- cole, all’ etere, al mercurio ed all’ anidride carbonica.

XX. Dai belli studii del Regnatjlt si può dedurre una forinola approssimata la quale può riuscire in molti casi assai utile per calco- lare ad una temperatura qualunque la tensione massima del vapore di un liquido di cui si conosce solamente il punto di ebollizione sotto due pressioni diverse (2). La formula specialmente resultati molto ap- prossimati se le due pressioni sono piuttosto diverse.

Questa formula si deduce facilmente dalle seguenti proposizioni di- mostrate dal Regnault (3).

1. La formula

log F a + ba 1 2 3 (30a)

dove F è la tensione massima, t la temperatura ed a , b, a , tre co- stanti da determinarsi per ciascuna sostanza , rappresenta assai ap- prossimativamente la curva costruita sui dati sperimentali , anche quando si prendano su questa curva, pel calcolo delle costanti, i due punti estremi, ed il punto di mezzo.

(1) W. C. Unwin, Philosophical Magazine, 5a Serie T. XXI, pag. 299-308 (1886) e Bel- blatter 1887, Bd. XI s. 85.

(2) Sono noti gli apparecchi immaginati per determinare il punto di ebullizione di un li- quido sotto pressioni inferiori a 760mm- : semplice e facile a costruire è quello descritto dal Meyer. Ma per una sola misura di tensione può riuscire più pronto il metodo statico, il quale ha il vantaggio di richiedere piccolissime quantità di liquido ed apparecchi che ognuno può costruire da sè. Il metodo statico dà, come tutti sanno, resultati coincidenti col metodo dina- mico, quando il liquido sia purissimo.

(3) Regnault, Memoires de VAcademie des Sciences, 1862, voi. XXVI, pag. 653-654-655.

dei vapori saturi in funzione della temperatura

21

Le costanti a, b, a, furono dal Regnault, determinate (1) per le 28 sostanze da lui studiate; a pag. 654 della memoria citata egli ne riporta in una tavola i rispettivi valori.

Da questa tavola il Regnault deduce che :

2. La base a dell’ esponenziale , quale resulta dai calcoli , non varia che pochissimo da sostanza a sostanza, essa oscilla intorno ad un valor medio uguale a 0, 9932 „. Il valore più piccolo di a è 0,9895 pel cloruro di cianogeno, ed il più grande 0,9980 per lo solfo (fra le sostanze studiate dal Regnault).

Ci si potrebbe anzi domandare, soggiunge il Regnault, se non si debba ammettere che questa base sia assolutamente costante per tutte le sostanze; in tal caso la formula non conterrebbe che le due costanti a e Me quali dovrebbero per ciascuna sostanza esser deter- minate direttamente „.

Xon ci risulta però, per quello che abbiamo potuto vedere, che il Regnault ritornasse ulteriormente sulla questione da lui proposta , la quale attenderebbe ancora la soluzione.

XXL Il Duprè (2) ha cercato di dimostrare la costanza del valore di « nella formula di Regnault

log F = a -f- b cd

(1) Con la formula di Biot, semplicizzata

log F = a -j- bvP

bastano pel calcolo delle tre costanti, a, b, a, tre valori di F corrispondenti a tre valori di t che siano in progressione aritmetica: questi valori che diffìcilmente si ottengono dalle dirette esperienze si deducono graficamente dalla curva ottenuta da un grande numero di osservazioni. Chiamati tt , t-z , t3 le tre temperature in progressione aritmetica, ed F\ , F> , F3 i tre valori di F corrispondenti, si ha

t> t,

i / 'F* - n ; & l Fi F\

Fi Fi

Fi - Fi F> Fi

a n

; a Fi

Fz - Fi

Fi Fz Fi Fi

1

(2) A. Duprè ; Théorie mécanique che la chalcur, Parigi 1869 ( Gauthier Villars editore)

pag. 114-116.

22

Sulle formule esprimenti la tensione

partendo dalla sua formula

(27a)

log

F= t F0 274 t

A log

274 + t 274

(formula che abbiamo dimostrato doversi ritenere aneli’ essa come em- pirica).

Infatti 1’ equazione log F = a + b può anche scriversi

onde

log F = b (1 /3C )

K

A log s (1 - P)

Derivando si ottiene:

r

F

274 B 1

(274 + ty A (274 + t) Ig a

b fr Ig H

In questa ponendo successivamente t 0; t = 1 e dividendo mem- bro a membro le due equazioni che ne risultano, si ha :

/3

(274)*

(274 + 1)

A

274 [Big a A]

A questo punto il Dupré osserva che

(274)2

(274 + l)2

= 0, 9928

ed ammette che la quantità

A

A

274 [Big a A] 274 [2,3026 B A]

possa trascurarsi; onde risulta

/3 = 0, 9928 per tutti i corpi.

dei vapori saturi in funzione delia temperatura .

23

Invero a noi non sembra che il valore di quella espressione possa sempre trascurarsi , di fronte a 0, 9928 ; trattandosi della base di un esponenziale di cui l’esponente può essere molto elevato (essendo la tem- peratura).

Dalla tavola seguente risultano i valori della espressione

A

274 [2, 3026 B A]

per diversi liquidi di cui il Duprè ha calcolato i valori delle costanti A e B dalle esperienze di Regnault. (1)

log A

log B

A

274 [2,3026 B—A]

Solfuro di carbonio . . .

o,

26372

0, 79413

0, 000536

Cloroformio

0,

57376

0, 89659

+ 0, 000950

Benzina

0,

49177

0, 89513

+ 0, 000756

Cloruro di carbonio . . .

0,

55187

0, 90209

0, 000878

Cloruro di etilo

0,

25345

0, 75375

0, 000581

Bromuro di etilo

0,

32343

0, 80360

0, 000618

Ioduro di etilo ......

0,

60014

0, 90110

0, 001012

Mercurio

0,

18443

0, 99661

0, 000262

Anidride solforosa ....

0,

49456

0, 79241

0, 001022

Ossido di metilo

0,

15240

0, 67782

0, 000567

XXII. Ritorniamo ora all’ equazione del Regnault

(30) log F = a H- b a!-

Sarebbe interessante, egli dice (2), cercare se partendo dalla ipotesi di a costante per tutti i liquidi , si riesca a rappresentare l’ insieme delle mie osservazioni con una sufficiente approssimazione. Il valor medio trovato per a dal Regnault fu 0, 9932 : ora bi- sogna osservare che i valori trovati da altri diligenti sperimentatori , oscillano pochissimo intorno a questo valore medio.

Così i chiarissimi Naccari e Pagliani nella loro bellissima memoria (3) trovano 0,9934; 0,9928; 0,9926; 0,9932; 0,9911; 0,9931 pei

(1) A. Dupkè; pag. 101 a 110 dell’ opera citata.

(2) Regnault , Mémoires de l' Accadèmie cles Sciences de V Institut de France , T. XXVI pag. 653-655.

(3) Naccari e Pagliani, Nuovo Cimento , 3a s. T. X pag. 49.

24

Sulle formule esprimenti la tensione

liquidi seguenti : toluene, alcol propilico primario, alcole isobutilico, pro- pinato di etile, acetato di etilo, formiato di etilo; e lo Schumann (1) i valori seguenti 0,9932; 0,9936; 0,9929; 0,9926; 0,9928; 0,9936; 0,99305 pei liquidi formiato di metilo , formiato di propilo, acetato di etilo, propinato di metilo, propionato di etilo, acetato d’ isobutilo, propinato di propilo (rispettivamente).

Così dunque V ipotesi del Regnault era resa più probabile dalle esperienze più recenti. Restava a darne una diretta conferma , verifi- cando direttamente la formula

(Si) log F = a -4- b X 0, 9932c

per tutte le sostanze studiate sin qui. E quello che noi abbiamo fatto per tutte le 156 sostanze di cui si conosce la tensione del vapore a diverse temperature, grazie alle esperienze del Regnault, (2) del Rac- cari e Pagliani, (3) dello Schumann, (4) del Landolt (5) dello Stae- del, (6) del Kahlbaum (7) del Kraeft , (8) dell’ Olszewski , (9) del Ramsay ed Young (10) del Brownn (11) etc.

Il confronto fra i valori dati dalla formula (31a) e quelli trovati coll’esperienza si può fare in due modi, cioè confrontando le due tem- perature corrispondenti a determinate pressioni, oppure paragonando le due tensioni corrispondenti ad una data temperatura, noi daremo esempi di ambedue i modi.

Seguono, senz’ altro, i confronti col primo metodo.

(1) Schumann, Annalen der Physìlc und Chemie, 1881, Bd. XII, s. 55.

(2) Regnault, Memoìres de V Institut, T. XXI pag. 465-633 T. XXVI 335-658 e Comptes Bendus, T. L, pag. 1063-1075.

(3) Nuovo Cimento , 3a s. T. X pag. 49.

(4) Annalen der Physik und Chemie, Bd. XII s. 55.

(5) Landolt, Pliysikalisch-Chemische Tabellen, Berlino 1883 pag. 25 e Ann. der Chem. und Pharm. suppl. VI p. 129 (1868).

(6) Staedel; Beiblatter, Bd. VII s. 184.

(7) Kahlbaum , Siedentemperatur und druck in ihren wechselbeziehungen , Leipzig 1885.

(8) I. Wagnek, Tabellen der p hy sicalische n constanten, Leipzig 1884.

(9) Beiblatter, Bd. X s. 23.

(10) Beiblatter, Bd. X s. 346.

(11) Proc. Boy. soc. XXVI pag. 238-247.

dei vapori saturi in funzione della temperatura

25

TAVOLA Ia

Etere (Regnault)

F

tensione in millimetri

t

temperatura corrispondente trovata dal Regnault

f

calcolata con la formula (31)

A=

t-

-t'

68, 1,1

90

20°

20",

25

4-

0",

25

114,m

72

10"

- io,

14

-+-

0",

14

a = 5,15 927

184,"'

39

0

- 0,

06

_L

0,

06

b = 2,89 245

286,

83

+ 10'

io.

00

0,

00

432,

78

20°

20,

03

0,

03

634,

80

30°

30,

02

0,

02

907,

04

40'

39,

99

*4"

0,

01

1264,

83

50°

49,

94

H-

0,

06

1725,

01

60°

59,

87

0,

13

2304,

90

70"

69,

79

0,

21

3022,

79

80"

79,

73

-1-

0",

27

3898,

26

90°

89,

70

-f

0,

30

4953,

30

100°

99,

76

-l

0,

24

6214,

63

110"

109,

97

4-

0,

03

TAVOLA ila

Solfuro di Carbonio (Regnault)

F

tensione in millimetri

t

temperatura corrispondente trovata dal Regnault

t

calcolata con la formula (31)

79, 1 111

44

10"

10, 17

127,

91

0"

-+- 0, 04

198,

46

10"

10, 14

a = 4,971 52

298,

03

20"

20, 16

b = 2,865 49

434.

62

30"

30, 10

617,

53

40"

40, 01

857,

07

50"

49, 91

1164,

51

60»

59, 80

1552,

09

70°

69, 73

2032,

53

80'

79, 70

2619,

08

90"

89, 74

3325,

15

100"

99, 86

4164,

06

110°

110, 09

Atti Acc. Yol. II, Serie 4a 4

26

Svile formule esprimenti In tensione

TAVOLA IIIa

Cloroformio (Regnault)

F

tensione in millimetri

t

temperatura corrispondente trovata dal Kegnault

t'

calcolata con la formula (31)

160,'"

5

20°

19,"

85

247,

51

30"

30,

01

a = 5,014

24

369,

26

40'

40,

07

b 3,216

24

535,

05

50'

50,

05

755,

44

60°

59,

98

1042,

11

70'

69,

90

1407,

64

80°

79,

81

1865,

22

90°

89,

74

2428,

54

100'

99,

71

3110,

99

109', 72

110,

00

3925,

74

119, 79

120,

00

4885,

10

129, 93

130,

00

6000,

(

16

140

140,

15

TAVOLA IVa

Alcool Etilico (Regnault)

F

tensione in millimetri

t

temperatura corrispondente trovata dal Eegnault

t'

calcolata con la formula (31)

44",

48

20"

19°,

87

a = 5,399 40

78,

49

30"

29,

84

b = 4,296 01

133,

64

40°

39,

84

219,

88

50"

49,

86

278,

61

55

54,

87

350,

26

60"

59,

88

541,

21

70'

69,

92

812,

76

80°

79,

97

1188,

43

90°

90,

02'

1694,

92

100°

100,

08

2361,

63

110'

110,

14

3219,

68

120°

120,

22

4301,

04

130°

130,

30

5637,

00

140"

140,°

39

dei vapori safari in funzione dilla temperatura

27

TAVOLA Va

Acetone (Kegnault)

F

tensione in millimetri

t

temperatura corrispondente trovata dal Regnault

t'

calcolata con la formula (31

281, 00

30

30, 04

a = 5,082 86

420, 15

40°

40, 10

b = 3,233 42

602, 86

50°

49, 75

860, 48

60°

59°, 93

1189, 38

70”

69°, 85

1611, 05

80"

79", 80

2141, 66

90"

89°, 80

2797, 27

100"

99°, 84

3593, 96

110°

109", 92

4546, 86

120°

120°. 07

5669, 72

130

130", 27

TAVOLA VP

Formiato di etilo (Naccari e Pagliani)

F

tensione in millimetri

t

temperatura corrispondente trovata da Naccari e Pagliani

t'

calcolata con la formula (31)

193, 111 7

20°, 26

20", 22

a = 5,145 646

275, 7

28°, 33

28", 29

b = 3,281 410

352, 6

24”, 18

34°, 20

425, 5

38, 89

38, 88

495, 9

42, 81

42, 80

573, 0

46, 61

46, 60

656, 9

50, 30

50, 29

782, 2

55, 15

55, 15

857, 8

57, 78

57, 78

941, 9

60, 49

60, 49

28

Sulle formule esprimenti la tensione

TAVOLA VIP

Propionato d’ etilo (Naccari e Pagliani)

F

tensione in millimetri

t

temperatura corrispondente trovata da Naccari e Pagliani

t'

calcolata con la formula (31)

120, 111 5

49°, 53

49“, 66

a = 4,86 2036

180,"' 5

58, 87

59, 21

b = 3.90 2719

269, 4

69, 50

69, 33

353, 0

76, 61

76, 58

451, 3

83, 64

83, 50

562, 6

90, 13

90, 00

612, 3

92, 56

92, 57

704, 7

97, 01

96, 95

808, 8

101, 41

101, 37

909, 6

105, 34

105, 24

TAVOLA VHP

Alcool isobutilico (Naccari e Pagliani)

F

tensione in millimetri

t

temperatura corrispondente trovata da Naccari e Pagliani

f

calcolata con la formula (31)

164, m 1

70°, 72

70°,

25

245, 1

79, 28

79,

02

320, 9

85, 33

85,

22

a = 5,213 177

398, 4

90, 54

90,

40

b = 4,841 927

515, 3

96, 91

96,

81

596, 5

100, 6

100,

58

682, 9

104, 2

104,

15

741, 8

106, 4

106,

39

822, 0

109, 2

109,

20

899, 2

111, 7

111,

71

940, 1

113, 1

112,

97

dei vapori safari in funzione delia temperatura

29

TAVOLA IXa

Alcool propilico (Naccari e Fagliarli)

F

tensione in millimetri

t

temperatura corrispondente trovata da Naccari e Paoli ani

t'

calcolata con la formula (31)

153, 1 1,1 7

59", 73

60, 17

a = 5,348 753

227, 2

67, 95

68, 26

b = 4,767 534

303, 4

74, 12

74, 54

374, 1

78, 86

79, 27

450, 0

83, 41

83, 57

528, 4

87, 24

87, 41

603, 0

90, 54

90. 65

676, 4

93, 56

93, 52

739, 9

95, 77

95, 81

778, 3

97, 10

97, 11

858, 8

99, 71

99, 68

913, 0

101, 06

101, 30

TAVOLA Xa

Formiato di Metilo (Schumann)

F

tensione in millimetri

t

temperatura corrispondente trovata da Schumann

V

calcolata con la formula (31)

54, m

23",

9

- 24°

92

91, 111

15,

6

- 15,

26

a 5,284 904

169

_ 9

3

2

91

b = 2,996 861

197

+ 0,

4

+ o,

31

289

8,

9

8,

71

437

18.

4

18,

33

501

21,

4

21,

66

592

25,

7

25,

83

837

34,

7

34,

88

1043

40,

9

40,

93

1236

45,

6

45,

78

1414

49,

8

49,

74

Sulle formule esprimerti i In tensione

30

TAVOLA XIa

Acetato di etilo (Schumann)

F

tensione in millimetri

t

temperatura corrispondente trovata da Schumann

t'

calcolata con la formula (31)

53 m

+ 13, 0

+ 12°, 89

a = 4,986 727

81

22. 0

21, 41

b 3,562 567

139

33, 3

33, 03

202

42, 1

41, 64

266'

48, 3

48, 33

371

56, 7

56, 83

545

67, 3

67, 33

665

72, 9

73, 40

849

80, 2

80, 43

1051

87, 2

87, 19

1208

91, 8

91, 77

1403

97, 0

96, 86

TAVOLA XLla

Propionato di propilo (Schumann)

F

tensione in millimetri

t

temperatura corrispondente trovata da Schumann

f

calcolata con la formula (31 1

57m

-+- 52, 9

+ 52, 43

98 m

64, 7

64, 54

a = 4,722 570

149

74, 2

74, 65

b = 4,242 721

202

82, 2

82, 45

294

92, 1

92, 68

411

102, 3

102, 46

529

110, 1

110, 28

676

118, 2

118. 31

858

126, 4

126, 55

1049

133, 4

133, 88

1247

140, 1

140, 50

1401

144, 9

145, 13

dei vapori saturi in funzione della temperatura

31

TAVOLA XIIIa

Isobutirrato di Metilo (Schumann)

F

tensione in millimetri

t

temperatura corrispondente trovata da Schumann

t'

calcolata con la formula (31)

48 m

H- 23°, 0

+ 22°,

91

75

32, 3

32,

13

a 4,861 981

113

41, 6

41,

13

ò = 3,719 053

172

51, 1

50,

98

264

61, 9

61,

75

387

72, 3

72,

08

520

80, 6

80,

59

658

87, 6

87,

74

946

99, 7

99.

51

1137

105, 9

105,

85

1370

112, 7

112,

57

TAVOLA XIVa

Valerianato di Metilo (Schumann)

F

tensione in millimetri

t

temperatura corrispondente trovata da Schumann

t'

calcolata con la formula (31)

50™

+ 45°,

4

-r 44°, 83

91™

58,

1

57, 90

a = 4,748

159

137

67,

8

67, 55

b = 4,140

390

207

78,

0

77, 97

309

89,

3

88, 85

453

100,

0

100, 05

650

111,

2

111, 46

860

121,

3

120, 97

1063

128.

7

128, 61

1227

133,

9

134, 01

1366

138,

0

138, 19

Sulle formule esprimenti la tensione

TAVOLA XV"

Anidride Acetica (Kahlbaum)

F

tensione in millimetri

t

temperatura corrispondente trovata da Kahlbaum

t'

calcolata con la formula (31)

15, 111

02

+ 44,

0 6

-h 43°,

35

a = 4,802 625

25,

86

53,

4

53,

22

b = 4,874 263

33,

70

59,

0

58,

27

41,

24

62,

6

62,

25

53,

04

68,

2

67,

37

70,

00

73,

7

72,

20

80,

00

76,

2

76,

09

105,

46

81,

§

82,

31

760

136,

40

136,

40

TAVOLA XVIa

Benzoato d’isobutilo (Kahlbaum)

F

t

temperatura

t'

calcolata

tensione in millimetri

corrispondente

trovata

con la formula (311

da Kahlbaum

8,m

40

+ 106",

4

+ 105°,

50

13,

74

115,

8

115,

27

a = 4,226

993

lo,

08

118,

2

117,

20

b = 6,782

746

26,

00

130,

4

129,

04

36,

78

138,

5

137,

11

51,

00

146,

3

145,

14

65,

10

151,

8

151,

44

86,

00

157,

1

158,

98

760,

00

237,

0

237,

00

TAVOLA XVII"

Bromalio (Kahlbaum)

F

tensione in millimetri

t

temperatura corrispondente trovata da Kahlbaum

t'

calcolata con la formula (31)

9,m 36

+ 61°,

6

H- 60°, 12

19, 22

72,

6

73, 68

a = 4,505 925

25, 84

78,

0

79, 61

b = 5,327 183

34, 44

84,

8

85, 68

57, 00

98,

0

96, 91

113, 96

113,

6

113, 89

760

174,

0

174, 0

dei vapori saturi in funzione della temperatura

33

TAVOLA XVIIIa

CH

CH, CI

(Staedel)

F

tensione in millimetri

t

temperatura corrispondente trovata da Staedel

t'

calcolata con la formula (31)

400m

- 3°,

65

-

71

500

+ 1°,

75

+ 1,

73

a = 5,261 157

600

6,

35

H- 6,

33

b = 2,592 633

700

io,

34

10,

33

760

12,

52

12,

52

800

13,

88

13,

90

900

17,

12

17,

11

1000

20,

10

20,

05

1080

99

30

22,

23

TAVOLA XIXa

i 2 (Staedel)

CH„ CI

F

tensione in millimetri

t

temperatura corrispondente trovata da Staedel

f

calcolata con la formula (31)

400m

4- 64°,

73

+ 64°,

70

500

71,

05

71,

14

a = 4,853 158

600

76,

63

76,

63

b = 3,500 324

700

81,

47

81,

44

760

84,

07

84,

07

800

85,

74

85,

73

900

89,

72

89,

63

1000

93,

39

93,

21

1080

95,

89

95,

87

Atti Acc. Vol. II, Serie 4;

5

34

Sulle formule esprimenti la tensione

TAVOLA XXa

CH3. CI CH. Cl2

(Staedel)

F

tensione in millimetri

t

temperatura corrispondente trovata da Staedel

t'

calcolata con la formula (31)

a = 4,693 975

400m

+ 92°, 76

92,° 76

500m

99, 69

99, 71

b = 3,939 338

600m

105, 58

105, 64

700m

110, 70

110, 86

7tìOrn

113, 72

113, 72

800m

115, 59

115, 53

900m

119, 77

119, 78

1000m

123, 63

123, 69

1080m

126, 49

126, 61

TAVOLA XXIa

CH Cl2

G ci (Staedel)

F

tensione in millimetri

t

temperatura corrispondente trovata da Staedel

t'

calcolata con la formula (31)

400m

+ 138°,

09

4- 138°, 37

a =

4,493 713

500m

146,

01

146, 07

600

152,

70

152, 69

b = -

- 4,862 521

700

158,

51

158, 52

760

161,

73

161, 73

800

163,

81

163, 77

900

168,

80

168, 56

1000

172,

86

172,' 98

1080

176,

13

176, 30

dei vapori saturi in funzione della temperatura

35

TAVOLA XXIIa

OH

i (Staedel)

CE. 01. Br

F

tensione in millimetri

t

temperatura corrispondente trovata da Staedel

t'

calcolata con la formula (31)

400™

+ 63°,

63

+ 63°,

61

a = 4,885 355

500

69,

93

69,

96

600

75,

34

75,

37

b = 3,524 132

700

80,

03

80,

10

760

82,

69

82,

69

800

84,

35

84,

33

900

88,

19

88.

16

1000

91,

68

91,

67

1080

94,

26

94,

30

TAVOLA XXIII a

Bromobenzina (Ramsay e Young)

F

tensione in millimetri

t

temperatura corrispondente trovata da Ramsay e Young

V

calcolata con la formula (31)

274, 9

120

120, 1

a = 4,4598 300

320, 8

125

125, 05

372, 6

130

130, 01

b = 4,5857 900

430, 7

135

134, 98

495, 8

140

139, 97

568, 3

145

144, 98

649, 0

150

150, 02

738, 5

155

155, 10

837, 4

160

160, 21

TAVOLA XXIVa

Anilina (Ramsay e Young)

F

tensione in millimetri

t

temperatura corrispondente trovata da Ramsay e Young

t'

calcolata con la formula (31)

283, 7

H- 150°

150, 09

a 4,4966 742

331, 7

155

155, 04

386. 0

160

160, 01

b = 5,6912 880

447, 1

165

164, 99

515, 6

170

169, 98

592, 0

175

175, 00

677, 1

180

180, 05

771, 5

185

185, 12

36

Sulle formule esprimenti la tensione

TAYOLA XXVa

Salicilato di Metilo (Ramsay e Young)

F

tensione in millimetri

t

temperatura corrispondente trovata da Ramsay e Young

t'

calcolata con la formula (31)

215, 1

+ 175"

175, 35

a = 4,2946 349

249, 3

180

180, 22

287, 8

185

185, 12

b = 6,4912 990

330, 8

190

190, 03

378, 9

195

194, 98

432, 3

200

199, 95

491, 7

205

204, 98

557, 5

210

210, 05

630, 1

215

215, 17

710, 1

220

220, 35

798, 1

225

225, 59

TAYOLA XXYIa

Bromonaftalina (Ramsay e Young)

F

tensione in millimetri

t

temperatura corrispondente trovata da Ramsay e Young

f

calcolata con la formula (31)

158, 8

215°

216, 24

a = 4,0875 476

181, 7

220

220, 85

207, 3

2%

225, 52

b = 8,2506 375

235, 9

230

230, 24

267, 8

235

235, 02

303, 3

240

239, 87

342, 7

245

244, 80

386, 3

250

249, 84

434, 4

255

254, 91

487, 3

260

260, 04

545, 3

265

265, 25

608, 7

270

270, 47

677, 8

275

275, 82

752, 9

280

281, 24

dei vapori saturi in funzione delta temperatura

37

TAVOLA XXVIP

Acido formico (Landolt)

F

tensione in millimetri

t

temperatura corrispondente trovata da Landolt

t'

calcolata con la formula (31)

18,

4

10, 0

10,

06

a = 4,7908 722

24,

1

15

lo,

01

31,

4

20

20,

04

b = 3,7765 617

40,

4

25

24,

99

51,

6

30

29,

96

65,

4

35

34,

95

82,

3

40

39,

95

102,

7

45

44,

94

127,

2

50

49,

92

156,

5

55

54,

91

191,

2

60

59,

91

232,

1

65

64,

91

280,

0

70

69,

92

335,

6

75

74,

92

399,

8

80

79,

93

473,

7

85

84,

94

558,

0

90

89,

95

653,

8

95

94,

97

762,

0

100

99,

99

TAVOLA XXVIIP

Alcole amilico (Grassi , Nuovo Cimento s. 3a; t. XXIII, p. 112 (1888).

F

t

temperatura

t

calcolata

tensione in millimetri

corrispondente

osservata

con la formula

(SI i

dal Signor

Grassi

49,

83

66°,

94

66',

87

a = 5,0209 447

69,

51

73,

23

73,

39

b = 5,2450 600

91,

45

78,

89

78,

98

119,

94

84,

74

84,

74

151,

33

89,

90

89,

86

199,

54

96,

35

96,

19

232,

49

99,

90

99,

81

266,

41

103,

17

103,

11

310,

67

106,

99

106,

93

373,

35

111,

61

111,

63

440,

13

115,

97

115,

97

494,

38

119,

02

119,

11

572,

32

123,

04

123,

17

656,

66

126,

89

127,

09

Sulle formule esprimenti la tensione

: 8

T AV OLA XX] Xa

Ioduro di propilo normale (Brown)

F

tensione in millimetri

t

temperatura corrispondente trovata da Brown

t'

calcolata con la formula (31)

200

62°, 37

62', 41

a = 4,7156 522

300

73, « 51

73, 51

b = 3,6964 860

400

81, 95

81, 92

500

88, 84

88, 80

600

94, 70

94, 67

700

99, 83

99, 83

760

102, 65

102, 63

TAVOLA XXXa

Ioduro di isopropilo (Brown)

F

tensione in millimetri

t

temperatura corrispondente trovata da Brown

t'

calcolata con la formula (31)

200

50°,

50

50, 42

a 4,7568 554

300

61,

33

61, 33

b = 3,4643 216

400

69,

70

69, 59

500

76,

44

76, 33

600

oo

JsS

11

82, 08

700

CO

13

CO

rH

CO

760

89,

89

89, 89

dei vapori saturi in funzione delia tempera tur a

39

Da questi confronti risulta che la formula (31a) di Regnault, rap- presenta assai bene i dati dell’ esperienza: maggiore approssimazione avremmo ottenuto scegliendo per determinare le costanti, due valori di temperatura che spartissero in tre parti uguali l’intervallo che corre fra la minima e la massima temperatura corrispondenti alle esperienze.

XXIII. La formula (31a) si presta assai bene a risolvere il se- guente problema:

Dati i punti di ebullizione ® di un liquido sotto la pressione normale 760mm, e quello ® sotto una pressione qualunque h , deter- minare le tensioni corrispondenti a qualunque temperatura di ebul- lizione :

Infatti dalla

(31a) log F = a + b. 0,9932'

si deduce subito

(32*)

onde

a

0,9932 log 760 0,9932 log li

e

0,9932 0,9932

log 760 log li 0' 0 0,9932 0,9932

0' 0

(33 = 2,8808 X 0,9932 - 0,9932 log li

v j J e1 e

0,9932 0,9932

2,8808 log h

^ 0 0,9932 0,9932

formula pronta a calcolarsi : 1 valori di F così calcolati riescono assai vicini al vero, prendendo li piuttosto distante da 760.mm

Le tavole seguenti servono a dimostrare l’applicabilità di questa formula :

40

Sulle formule esprimenti la tensione

TAVOLA XXXL

Etere (Regnault)

T

F

calcolato con la formula (33a)

F

dalle esperienze di

Regnault

20°

69,

97

68, 90

10

115,

71

114, 72

0

185,

11

184, 39

10

287,

09

286, 83

20

432,

54

432, 78

30

634,

31

634, 80

40

907,

01

907 04

50

1266,

69

1264, 83

60

1730,

50

1725, 01

70

2315,

96

2304, 90

80

3040,

49

3022, 79

90

3920,

66

3898, 26

100

4971,

55

4953, 30

110

6206,

14

6214, 63

120

7634,

80

7719, 20

TAVOLA XXXlla

Alcool isobutilico

(Naccari e Pagliani)

F

F

T

calcolata

dalle esperienze

con la formula

del Naccari

(33)

e Pagliani (*)

+ 70, 72

165,""

'64

164, 1

75, 70

208,

70

208, 7

79, 28

245,

36

245, 1

82, 43

281,

96

282, 4

85, 33

319,

65

320, 9

88, 19

360,

87

361, 7

90, 54

398,

01

398, 4

92, 68

434,

52

435, 8

0 = 107°, 09

94, 83

473,

99

475, 0

96, 91

514,

97

515, 3

Q1 = 75°, 70 h 208,rain70

98, 82

555,

13

557, 1

100, 6

594,

86

596, 5

102, 4

637,

37

639, 2

104, 2

682,

36

682, 9

105, 3

711,

10

711, 5

106, 4

740,

84

741, 8

107, 8

780,

12

780, 9

109, 2

821,

11

822, 0

no, 5

860,

70

860, 3

111, 7

898,

63

899, 2

112, 3

918,

08

917, 0

113, 1

944,

54

940, 1

(*) Atti della B: Accademia delle Scienze di Torino, Voi. XVI (1881).

dei vapori saturi in funzione delia temperatura ;

41

TAYOLA XXXIIP

Toluene (Naccari e Pagliani)

T

F

calcolata con la formula (33)

F

dalle esperienze del Naccari e Pagliani (*)

+ 56, 03

117, mm31

117, 6

60, 84

142, 56

143, 4

75, 13

245, 32

245, 8

78. 60

277, 70

277, 7

82, 93

322, 86

321, 8

90, 23

412, 16

410, 1

97, 46

518. 82

515, 5

0 = 110, 30

105, 22

656, 06

652, 4

0 = 78, 60 li = 277, 7

110, 76

769, 98

769. 0

116, 71

908, 43

912, 0

(*) Atti della lì. Accademia delle Scienze di Torino , Voi. XVI, anno 1881.

TAYOLA XXXIYa

Solfuro di carbonio (Regnault)

T

F

calcolata con la formula (33)

F

dalle esperienze di

Regnault (*)

20

48, 85

47, 3

10

80, 39

79, 4

+ 5

159, 52

160, 0

10

197, 47

198, 5

20

296, 23

298, 0

30

432, 66

434, 6

40

616, 33

617, 5

50

857, 71

857, 1

60

1167, 92

1164, 5

80

2039, 90

2032, 5

100

3318, 12

3325, 2

120

5072, 61

5148, 8

'.*) Regnault, Memoires de l'Académie ec. T. XXVI, pag. 402. Atti Acc. Yol. II, Serie 4a

6

42

Sulle formule esprimenti la tensione

TAVOLA XXXVa

Acetato d’isobutilo (Schumann)

T

F

calcolato con la formula (33)

F

dalle esDerienze dello

Schumann (*)

+ 21, 8

15,mm27

j^mm

36, 8

33,

98

33

50, 6

66,

21

67

54, 2

78,

00

78

56, 7

87,

19

87

60, 2

101,

60

102

64, 8

123,

54

125

75, 9

193,

22

196

85, 3

275,

04

275

0 = 116, 3

96, 6

408,

52

406

0' = 54, 2 7?=70

101, 2

475,

82

477

106, 6

565,

69

570

115, 1

733,

49

737

122, 1

898,

47

905

127, 2

1035,

38

1036

134, 6

1261,

15

1275

137, 4

1402,

58

1364

(') Schumann, Ann. der Physik und Chemie , 1881, Bel. XIIa S. 48

TAVOLA XXXVP

Propiziato di etilo (Schumann)

T

F

calcolato con la formula (33)

F

dalle sperienze di

Schumann (*)

26, 0

43, 06

39

31, 5

56, 50

52

38, 8

79, 77

77

41, 9

91, 47

89

43, 5

98, 73

97

47, 7

118, 77

117

0 = 98, 3

51, 2

138, 00

138

0' = 51, 2 7):=138

58, 3

185, 08

183

65, 9

249, 53

243

73, 2

327, 81

323

79, 0

403, 32

402

86, 7

524, 53

522

94, 2

668, 84

668

100, 5

812, 66

812

109, 6

1061, 32

1066

115, 3

1244, 15

1250

(*) Schumann, Ann. der Physik und Chemie, 1881 Bd. XIIa S: 48

dei vapori saturi in funzione della temperatura

43

Riconosciuta 1’ esattezza delle formule (33) e (31) noi le abbiamo applicate a tutti i 156 liquidi di cui fu determinata la tensione del va- pore a temperature diverse , per averne le temperature corrispondenti alle pressioni

20mm ; 60mm ; 160mm; 260mm ; 760mm; 1260mtn ; 1760™™; 2260mm;

2760mm ; 3260™ m ; 10260™™;

(millimetri di mercurio) e con questi dati ci proponiamo di fare un minuto esame critico delle regole proposte sin qui riguardo alla dipen- denza del punto di ebullizione dei liquidi dalla loro costituzione chimica. Anzi, intendiamo che questa prima memoria sia come l1 introduzione a questo nostro studio.

Dal Gabinetto di Fisica della E. Università di Catania , il 24 Febbraio 1889.

Sulla conducibilità elettrica di alcuni mescagli naturali di composti organici ed in particolare

sulla conducibilità elettrica degli olii, dei grassi , delle cere, delle essenze, dei balsami e delle resine.

M e ir o ii i a

del Prof. ADOLFO B ART OLI.

1. Questa memoria fa seguito alle altre da me pubblicate dal 1884 in poi nel Nuovo Cimento di Pisa, nella Gazzetta Chimica di Palermo , nell’ Orosi di Firenze , nei resoconti della II. Accademia dei Lincei di Roma e (per sunto) in diversi giornali scientifici stranieri (1).

Tra i fatti e le proposizioni da me enunciate nelle precedenti me- morie, quelle che più si connettono coll’argomento del presente lavoro sono le seguenti :

1- I composti organici allo stato solido ed a sufficiente distanza dal punto di solidificazione, non conducono.

2. Gli idrocarburi e i loro derivati per sostituzione del cloro , del bromo all’idrogeno, allo stato liquido non conducono ; mentre in-

vece presentano una certa conducibilità allo stato liquido, gli acidi, le basi, gli alcoli, le aldeidi, i chetoni, i fenoli, etc.

3. « In generale, la conducibilità elettrica della maggior parte dei liquidi puri, va crescendo col crescere della temperatura.

4. Molti mescugli di sostanze organiche, quali per esempio quelli di naftalina e fenolo; di naftalina e nitronaftalina etc. acquistano nel solidificare una conducibilità molto maggiore di quella che avevano precedentemente allo stato liquido, e mantengono questa conducibilità

(1) Nuovo Cimento , 3a serie T. XYI pag. 64 (Pisa 1884) ; id. 3a s. T. XIX pag. 43, pag. 48, pag. 52, pag. 55, e 3a s. T. XIX pag. 122; (anno 1886) e 3a serie T. XX pag. 121, pag. 125, pag. 136 (anno (1886); Gazzetta chimica di Palermo, dal 1884 al 1887 passim; ren- diconti della E. Accademia dei Lincei , Roma dal 1884 al 1887, passim; L 'Orosi, Firenze dal 1885 al 1887; vedi anche Nuturf or schei; 1884, 1885; Journal de Physique , 1886, 1887, Chemische Centrali). 1885 s. 785; Jahresherichte der Chemischen Technologie 1885, Bd. XXX etc.

Atti Acc. Vol. II, Serie 4a 7

4(3

Sulla conducibilità elettrica

anche dopo un abbassamento considerevole di temperatura, perdendola poi con un ulteriore raffreddamento.

5. Le soluzioni di una sostanza che conduca allo stato liquido, entro un liquido coibente, sono conduttrici.

6. Molte soluzioni diluite di liquidi conduttori, segnatamente di alcoli della serie grassa, negli idrocarburi ed in altri liquidi coibenti, presentano una conducibilità decrescente col crescer della temperatu- ra, cioè si comportano contrariamente alla maggior parte dei compo- sti puri del carbonio e delle loro soluzioni.

Era dunque importante ripetere le stesse esperienze sui mescugli e sulle soluzioni che si trovano già formati o che si estraggono dui ve- getali e dagli animali, come gli oli fìssi, i grassi, le cere, le essenze, i balsami , le resine; d’ altra parte questo studio poteva dirsi quasi del tutto nuovo (1).

II. Il metodo è stato quello descritto nelle precedenti memo- rie (2) : la pila era composta di 10 grandi elementi di Lati mer-Cl arche bene isolati, oppure di 800 elementi piuttosto grandi, zinco, rame, ac- qua con nitrato sodico, perfettamente isolati : i galvanometri erano due F uno del sistema Magnus, di dimensioni colossali, avente il telajo a filo finissimo e lunghissimo, e perfettamente isolato a paraffina; il quale si poteva impiegare con tutto il circuito oppure con un solo quarto del circuito (3); la sua sensibilità era così squisita, che bastava toccare con le mani umide i due serrafili, perchè 1’ ago deviasse di un intiero qua- drante. L’altro galvanometro era del sistema Wiedemann, munito di sei telaj con tal numero di giri e collocati a tali distanze dall’ago, che con l’ insieme di questa e del galvanometro Magnus si poteva misurare così la intensità di una corrente resa straordinariamente debole per l’ inter- posizione di un semisolante , come quella di una corrente, assai forte che produceva nel voltametro visibile elettrolisi.

(1) Vedi Bartoli, Sulla conducibilità elettrica delle resine. Nuovo Cimento , 3a serie T. XIX pag. 122 (Pisa 1886).

(2) Vedi segnatamente Nuovo Cimento , 3a serie T. XIX pag. 43-46.

(3) La resistenza dell’intiero circuito (formato di filo di rame elettrolitico) era circa 77000 Ohm.

di alcuni mescagli naturali di composti organici

47

Il liquido di cui si voleva misurare la conducibilità veniva rac- chiuso entro un tubo d’ assaggio alto 200 millimetri col diametro di 30 millimetri, chiuso da un tappo di gomma traversato da un termo- metro e da due tubi di vetro che racchiudevano gli elettrodi saldativi a fusione di vetro: gli elettrodi erano striscio, di platino larghe tre mil- limetri, -le quali uscivano inferiormente, per 30 millimetri ed erano si- tuate nel voltametro parallelamente alla distanza di 10 millimetri, ri- manendo tutte immerse nel liquido , senza però toccare le pareti del tubo (1).

Questo voltametro mi ha servito più specialmente pei liquidi semi- conduttori e semisolanti : rimanendo immutate le condizioni in tutte le esperienze, si poteva misurare la conducibilità avendo prima paragonato la resistenza che offriva il voltametro stesso pieno di un dato liquido , con quella offerta da una determinata colonna cilindrica del liquido stesso.

Pei liquidi dotati di una certa conducibilità si ricorreva ad un tubo ad U, il quale era stato assottigliato alla lampada, lungo il tratto che riunisce i due rami verticali. Gii elettrodi erano due dischetti di platino saldati a fusione di platino, a fili dello stesso metallo etc.

In altri casi ho ricorso a un voltametro intieramente in porcellana.

Il riscaldamento dei voltametri si faceva a bagno di petrolio (bol- lente ad alta temperatura) qualche altra volta a bagno di aria.

Grandi precauzioni richiedevano le esperienze coi liquidi cattivi conduttori come 1’ olio d’ oliva : perciò il galv. Magnus, oltre ad averlo isolato, facendone riposare le tre viti sopra tre alti sopporti di ebanite, si teneva sotto una cassa metallica in presenza di acido solforico con- centrato, e 1’ aria della stanza era mantenuta molto secca per mezzo di molte casse ripiene di calce viva.

HI. Le sostanze studiate furono 220, cioè 63 olii fissi, 87 olì essenziali, 70 fra grassi, cere, balsami e resine: di molte sostanze furo- no studiati campioni diversi; così per l’olio d’ oliva i campioni studiati

(1) Il vetro diviene conduttore a caldo, e perciò bisogna evitare die gli elettrodi ne toc- chino le pareti.

48

Sitila conducibilità elettrica

furono 30; per Folio di sesamo 15, per l’olio di cotone 10, etc. ; in complesso oltre 500 campioni diversi. (1) La conducibilità venne stu- diata per ciascuno, a partire da e qualche volta da 20° fino alla tem- peratura di ebollizione o fino a quella in cui cominciavano a decom- porsi. I resultati furono rappresentati da curve con le temperature per ascisse e con le conducibilità per ordinate. Da queste curve si misurò graficamente per ciaschedun campione la conducibilità di 10° in 10°, cioè alle temperature 0°, 10°, 20°, 30°, 40°, 50°, 60° etc. ed i va- lori trovati sono scritti nelle tavole unite a questa memoria.

Le conducibilità segnate nelle tavole di questa memoria sono sol- tanto relative, ma riferite tutte ad una stessa unità (che non ho ancora potuto determinare bene, mancando nel laboratorio di Catania gli adatti strumenti per misurare le grandissime resistenze).

IY. Olii La conducibilità di tutti gli olii fissi vegetali e animali, da me studiati va crescendo rapidamente e regolarmente col crescere della temperatura: le curve relative volgono costantemente la convessità al- l’asse delle temperature, presentano' veruna singolarità. (Vedi le tavole I e II in fine della memoria dove sono disegnate le curve pei diversi olii).

La conducibilità di un olio differisce assai da campione a campio- ne, e talvolta queste differenze sono maggiori che fra due olii diversi, ciò è dimostrato dalla tavola numerica I a pag. 8 che racchiude i re- sultati ottenuti per i principali olii.

Un forte riscaldamento come quello di 260° (anche fuori del con- tatto dell’aria) produce in molti oli una diminuzione permanente di con- ducibilità, onde avviene che oltrepassando questa temperatura le condu- cibilità riescono più piccole col raffreddamento, mentre sono più grandi misurandole con un progressivo riscaldamento dello stesso olio che non sia mai stato riscaldato. Quando però non si oltrepassi una certa tem-

(1) La maggior parte dei campioni studiati li ebbi direttamente dagli stessi produttori , nonché dalle direzioni di alcune stazioni agrarie etc : altri furono acquistati dalle principali case, come dal Merck di Darmstadt, da C. Erba Milano, (per diversi campioni di resine) etc. altri furon presi dalle collezioni di storia naturale.

di alcuni mescagli naturali eli composti organici

49

peratura critica le conducibilità riescono poco diverse sia procedendo col riscaldamento come col raffreddamento (1).

Perciò nella tavola numerica delle conducibilità degli oli ho sempre indicato se la serie di misure fu ottenuta riscaldando, oppure raffreddan- do F olio, a partire dalla temperatura più elevata segnata nella tavola.

Gli olii essiccativi, come quelli di canape, di lino, di papavero, di noci etc. tenuti esposti qualche tempo alP aria, acquistano in generale una conducibilità sensibilmente maggiore; ed anche gli olii non essic- cativi, lasciati irrancidire per lungo contatto colParia, aumentano di con- ducibilità, quantunque più lentamente dei primi.

In molti casi gli olii che sono più conduttori a freddo , lo sono anche a caldo; ciò è dimostrato dalla ispezione delle curve di condu- cibilità (Tav. I e Tav. II) le quali per la maggior parte non si taglia- no, ma l’una rimane al di sotto dell’altra : quantunque anche per gli olii vegetali si osservino molte eccezioni.

Gli olii da me studiati possono classificarsi in ordine crescente di conducibilità, (come nell’ Elenco che segue a pag. 6) avvertendo però che questo è il loro ordine di conducibilità a +100° e che questo ordine sarebbe stato un poco diverso ad una temperatura più alta o più bassa.

Deve anche notarsi che la conducibilità varia molto da campione a campione anche per una stessa specie di olio ; così per esempio av- viene che mentre 1’ olio d’ oliva finissimo è il meno conduttore degli olii (anzi, a bassa temperatura, è un vero isolante) invece l’olio d’oli- va di cattiva qualità, e l’ olio di sanse, possiede una conducibilità supe- riore all’olio ordinario di sesamo e di cotone etc. Anzi in generale, così per Polio d’oliva, come l’olio di sesamo, di cotone etc. ho sempre trovato minore conducibilità nelle qualità più fini e più pregiate nell’uso, mentre le qualità scadenti e di poco prezzo erano sempre molto migliori conduttrici.

Per tutte queste ragioni la classificazione seguente non ha un va- lore assoluto, ma si riferisce principalmente ai campioni da me studiati.

(1) Anzi, come per gli altri liquidi assai viscosi riescono in generale un po’ più grandi col rapido raffreddamento che col lento riscaldamento : Vedi la mia memoria pubblicata nel- YOrosi anno Vili, Luglio 1888 (Firenze).

50

Stilla conducibilità elettrica

OLII

scritti nell’ ordine della loro conducibilità crescente (alla temperatura di + 100°) (1).

Olio di oliva finissimo di Calci (Provincia di Pisa)

Olio di oliva fino (delle provincie di Pisa, Lucca, Firenze) Olio di oliva, (qualità commerciale)

Olio di sesamo finissimo (dal seme di Giaffa)

Olio di cotone, la qualità

Olio di sesamo (dal seme di Bombay)

Olio di cotone del commercio

Olio di arachide

Olio di sesamo del commercio

Olio da orologiai, vecchio di 40 anni

Olio di mandorle dolci (recente)

Olio di noce, fine Olio di rapa

Olio di oliva (dalle sanze)

Olio di mandorle dolci, vecchio

Olio di papavero

Olio di ricino (dai semi scelti)

Olio di fegato di merluzzo di Terranova (bianco)

Olio di camomilla

Olio minerale grezzo di Bakou (Russia)

Olio di canape

Olio di bella donna

Olio di torlo d’ uovo

Olio di fegato di merluzzo (giallo)

(1) Ho scelta questa temperatura, facile ad ottenere, ed inferiore al punto di scomposizio ne, attesa la difficoltà di misurare esattamente la piccolissima conducibilità di alcuni olii alla temperatura ordinaria.

di alcuni mescagli naturali di composti organici

51

Olio di ravizzone

Olio di noce (qualità inferiore)

Olio di camomilla (altro campione)

Olio di segala cornuta

Olio di giusquiamo (dai semi, per infusione)

Olio di succino (dalla distillazione secca dell’ ambra)

Olio di fegato di merluzzo (rosso)

Olio di lino crudo

Olio di colza

Olio di Croton-Tillium

Olio di giusquiamo (dai semi, per infusione) altro campione Olio di sesamo scadente (da ardere)

Olio laurino (dalle bacche)

Olio di Zea Mais guasto

Olio di pesce del commercio

Olio di Croton-Tillium (altro campione)

Olio di lino crudo (campione vecchio)

Olio di lino solforato (della farmacopea)

Olio Cade (dall’ Iuniperus oxicedrus)

Y. Segue ora un prospetto delle conducibilità dei diversi olii, alle temperature 0°, 10°, 20°, 30°, 40° etc.

Per mancanza di spazio ho riferito soltanto i numeri relativi agli olii più noti e più a lungo studiati : invece ho inserito nella stessa tavola i dati relativi ad altri mescugli liquidi un po’ diversi come olio mine- rale etc. per opportuno confronto delle variazioni della conducibilità, col variare della temperatura.

52

O Hi XI Tavola I.

Temperatura

Olio di oliva di Calci

(provincia di Pisa)

Olio di oliva del pian di Ripoli (Firenze i

Olio di oliva di C a 1 e n z a n o (Firenze)

Olio di oliva di Firenze (■ venale Ia qualità)

Olio di oliva (di Sanse)

Olio di sesamo dal seme di Giaffa

Olio di sesamo dal seme di Bombay

Olio di sesamo venale la qualità

Olio di sesamo dal seme di Giaffa

Olio di sesamo comune

-

a

É

il

1

N. 1

N. 2

N. 3

N. 4

N. 5

N. 6

N. 7

N. 8

N. 9

N. 10

Ni

0,00

0,00

0,00

0,00

0, 0

0,0

0, 0

0, 0

0,2

I

20°

0,00

0,00

0,00

0,00

1,7

0, 0

0,0

0,45

0, 0

0,9

1

40°

0,00

0,00

0,00

0,06

3,8

0, 0

0,0

1,75

0, 6

1,7

&

! 60°

0,00

0,00

0,00

0,14

6,8

1, 1

0,6

3, 8

1, 6

2,3

[

80°

0,00

0,01

0,00

0,70

13,2

1, 6

1,7

5, 8

2, 6

8,6

0>

100°

0,00

0,12

0,00

1,15

26,8

2,05

3,3

8, 7

4, 0

18,0

Of

120°

0,01

1,18

0,18

2,05

47,0

4, 3

4,9

13, 0

7, 0

28,8

]

<30 ;

140°

0,06

3,10

0,76

3,20

73,5

7, 4

7,3

20, 2

12, 0

47,0

<

00

160°

0,51

6,04

2,80

5,00

106,0

12, 1

12,1

29, 6

19,05

107

:U0

180°

1,62

9,95

5,75

7,26

152,0

18, 0

19,0

41, 1

29, 1

182,5

-

00

200°

3,38

14,42

9,45

10,70

232,5

25, 0

27,0

59, 6

43, 0

275

i

00 :

220°

6,08

19,18

13, 7

15,05

355,0

33, 3

39,0

89, 0

74, 0

400

00

240»

10,37

24,50

18, 7

21,60

640,0

43, 8

69,0

98, 0

132, 0

660

i

00

260»

16,49

30,00

24, 0

33,00

1170,0

57, 1

115,0

109, 0

205, 0

1200

11

DO

280»

23,66

36,80

29, 5

52,50

2090,0

77, 0

186,0

113, 0

316, 0

2270

21

00

300»

31,70

44,70

34, 6

83,00

N, 1. Riscaldando.

N. 2. Raffreddando.

N. 3. Riscaldando.

N. 4. (Riscaldando). Un po’ di quest’olio esposto all’aria per due mesi tenendovi immersi due fili di rame acquist la con- ducibilità 107 a 20°.

N. 5. Raffreddando.

N. 6. (Raffreddando). Avuto dalla gentilezza del mio amico prof. Bechi.

N. 7. Raffreddando.

N. 8. (Riscaldando). Acquistato dal Sig. Baroncelli, Firenze.

N. 9. (Raffreddando). Acquistato dal Sig. Scerno-Gismondi, Genova.

N. 10. Idem.

N. 11. Idem.

OLII

Segue Tavola I

53

.'.ri i

Temperatura j

Olio di cotone la qualità acquistato a Livorno

Olio di cotone la qualità

Olio di cotone

Olio di noce

Olio di noce

Olio di colza

Olio di colza (lo stesso campione | riscaldato prima 1 a 220°)

Olio di arachide |

Olio di arachide

Olio di mandorle dolci

Olio di mandorle ! dolci

(vecchio di 25 anni) j

N. 12

N. 13

N. 14

N. 15

N. 16

N. 17

N. 18

N. 19

N. 20

N. 21

N. 22

-

1,12

3,8

20°

0,88

o, 7

0, 4

2,88

17,5

13,5

0,70

0,26

0,00

0,00

1,2

i; 40°

1,37

1, 0

1, 3

5,25

25,0

35,0

1,05

0,75

0,09

0,02

1,9

60°

2,38

1, 4

2,25

7,80

54,0

76,8

1,60

1,75

0,68

3,60

2,6

: 80»

4,00

2, 0

3,30

11,00

97,1

149,1

2,10

3,75

2,50

12, 8

6,2

1?J) ! 100°

8,88

2, 5

7,10

15, 8

163

450,0

2,50

7,60

6,25

30, 1

12,8

:v 120°

16,00

3, 1

12,50

20, 8

255

680,0

5, 1

13,80

12,50

42, 5

23,0

ii.O 140°

24, 5

7, 5

22, 4

28, 8

372

1240

10, 8

30,75

24,10

93, 1

37,8

; 160°

32, 5

18, 0

37, 6

38, 7

850

2050

17, 5

51,00

41, 8

190, 0

67,5

180°

42, 1

37, 2

62, 3

51, 8

3410

27, 6

77, 1

67, 2

280, 0

114,0

- 200°

56, 8

60, 0

97, 0

63, 0

5250

46, 2

119, 5

98, 0

275, 0

195

220»

83, 0

93, 0

155, 0

fuma

e si scolora

81, 0

6800

78, 0

215

137, 0

300, 0

240»

135, 0

118, 0

127, 0

104, 0

6800

137, 0

271

185, 0

260»

119, 0

fuma

e si scolora

124, 0

annerisce

137, 0

perde il colore

810

428

237, 0

. 280»

114

135, 0

.

654

300°

220, 0

896

12. Riscaldando.

N. 13.— (Riscaldando). Acquistato a Firenze dal Sig. Baroncelli.

14.— (Riscaldando . Dopo il raffreddamento la sua conducibilità si trova diminuita.

15— (Riscaldando). Acquistato a Firenze dal Sig. D.r A. Bizzarri. A 260° perde il calore e prova una diminuziom conducibilità. L’olio di noce mantenuto per molte ore a -+- 100° diventa più conduttore.

„• ^ —(Riscaldando). Avuto dalla gentilezza del Comm. Prof. E. Bechi.

N. 17.— Idem.

18— Raffreddando lo stesso campione dopo averlo riscaldato a + 220°.

**■ 1 9- ( Raffreddando). Avuto dalla gentilezza del Prof. E. Bechi.

5. 20.— (Raffreddando). Acquistato dal Sig. Scerno-Gismondi, Genova (marca extrafine).

>ilit; 2*,~^sca^ando). Acquistato dal Sig. D.r A. Bizzarri, Firenze. A-t-180» prova una diminuzione permanente di condu-

A 22. Riscaldando.

54

O IL I X

Segue Tavola I.

Temperatura

Olio da orologiai vecchio di 40 anni

Olio di papavero

Olio di rapa

Olio di belladonna

Olio di segala cornuta

Olio di ravizzone

Olio di ravizzone

Olio di lino crudo

Olio di lino crudo

Olio di fegato di merluzzo bianco (di Terranova)

s

li

;

N. 23

N. 24

N. 25

N. 26

N. 27

N. 28

N. 29

N. 30

N. 31

N. 32

-

N.jì;

o o

o o

cu

0,18

0,48

0,78

4,0

4,9

11

7,9

30

102

2,2

13 |

40°

0,95

3, 2

4, 1

11,9

18,0

25,9

19,4

71

245

6,7

3

60°

2,48

7, 0

9, 5

27,6

46,9

56

45

152

540

14,0

16

o

o

00

5,10

17, 0

16, 4

52,5

109

124

108

260

1470

25,3

:0

o

o

o

10, 5

34, 9

26, 4

92,3

235

205

168

391

2650

43

:*2

120°

00

co

cu

60, 5

40, 2

145

502

320

236

578

4700

86

k)

140°

36, 2

115, 2

63, 5

220

920

540

340

970

6060

120

1

»

160°

50, 7

218, 0

100

321

1620

830

480

1460

11800

164

1

30

180°

64, 2

124

422

2470

1150

670

2100

12900

215

2

)0

200°

oo

03

OO

181

558

3500

1550

1000

14600

270

2

30

220°

108, 5

269

830

1980

1450

18000

4

1

30

240°

162

404

1140

2550

2030

24100

1

f

>0

260°

227

602

1520

3250

2840

. -

(

280°

415

880

2550

4400

4000

|_

300°

660

6600

6000

N. 23 Raffreddando.

N. 24. Riscaldando.

N 25. (Raffreddando). Favoritomi gentilmente dal Prof. E. Bechi.

N. 26. (Raffreddando). Campione acquistato da C. Erba, Milano.

N. 27. Campione acquistato da E. Merck a Darmstadt.

N. 28. (Raffreddando). Acquistato a Como.

N. 29. (Raffreddando). Favoritomi gentilmente dal Prof. E. Bechi.

N. 30. (Riscaldando). Col raffreddamento si ottengono gli stessi resultati. Mantenuto a lungo in contatto dell’ari più conduttore.

N. 31. Idem.

N. 32. (Raffreddando) Acquistato da C. Erba, Milano.

N. 33. Idem.

divieu

OLII

Segue Tavola I.

c>3

ce

S

PH

a

0J

H

Olio di fegato di merluzzo (giallo)

Olio di ricino dai semi scelti

Olio di ricino dai semi scelti

Olio di canape

o

>

o

o

o

.o

o

Olio di tartaruga di mare

Olio di zea Mais guasto

Olio di camomilla

Olio di camomilla

Olio di giusquiamo dai semi (per infusione)

Olio di giusquiamo dai semi (per infusione)

N. 34

N. 35

N. 36

N. 37

N. 38

N. 39

N. 40

N. 41

N. 42

N. 43

N. 44

20°

5,7

0,3

0,6

5,0

11,0

675

142

48

2,4

7,0

22,0

72

40°

17,5

2,1

1,8

12,4

20,2

1530

282

78

8,2

52,0

153

60°

34,6

11,7

15,7

27,1

40,0

2820

501

113

18,0

103,0

325

80°

68,0

23,5

60,0

52,2

83

5200

829

152

31,7

185,0

531

i00°

144

38,1

160

91,8

140

9050

1280

189

53,5

290,0

790

.20°

234

62

270

142,5

212

14250

2052

243

87,0

424

1134

.40»

365

121,5

600

205

320

20750

5100

310

155,0

732

60»

545

221

1075

498

424

28380

375

270,5

1325

80»

890

382

1650

1190

595

2210

'00°

1220

660

2300

2230

823

20°

1655

3130

3510

1150

40°

2250

4220

4600

1496

60»

3250

6200

2267

r

80

4050

00

1

-

v 34.— (Raffreddando). Acquistato da C. Erba, Milano.

A 35 —Riscaldando.

N. 36. Idem.

N. 87. Idem.

^ 38.— (Raffreddando). Acquistato da C. Erba, Milano.

N. 39.— Raffreddando.

40.— (Raffreddando). Acquistato da C. Erba, Milano.

**• 41. (Riscaldando). Acquistato da C. Erba, Milano.

^ 42.— Raffreddando lo stesso campione prima scaldato a 200°.

n. 43.— (Riscaldando). Acquistato da E. Merck, Darmstadt. Resultati poco diversi ottenni col raffreddamento.

1'- 44. (Riscaldando). Acquistato da C. Erba, Milano Dopo il riscaldamento a-t-1500 la conducibilità restò permaneute- Dte diminuita.

56

O Hi I X Segue Tavola I.

Temperatura

Olio di Croton Tillium

Olio di Croton Tillium

Olio laurino dalle bacche

Olio laurino (dalle bacche) lo stesso cam- pione precedente

Olio di pesce del commercio

Olio cade (dal legno del Juniperus oxi cedi’us , L.)

Olio di lino solforato (Oleum lini sulphu- ratum) delle farma- copee

Olio di cera rettificato

Petrolio distillato (per uso farmaceutico)

Olio minerale di Bakou (Russia) grezzo

!

-

3'J ^

3 x |

N. 45

N. 46

N. 47

N 48

N. 49

N. 50

N. 51

N. 52

N. 53

N. 54

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3,1

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42,0

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GM

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1,9

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40°

470

45,1

100

102

252

5900

287

1,85

3,79

5,1

8.1 |

60°

822

133,0

1200

281

501

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645

2,02

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1260

285

3790

602

1024

19600

1720

2,39

13,70

26,5

3,6 1

100»

1820

531

6750

970

1748

29250

3650

3,18

33,00

64,4

5,0

120»

2780

835

1450

2974

40760

6730

4,55

64,00

125,2

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140»

5650

2030

4400

11500

7,42

150,00

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o

7980

6230

20650

11,00

315,00

287

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8700

45100

18,10

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11600

775

64

220»

14700"

1090

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240»

18280

1548

1

260»

22250

2200

280»

27750

300»

N. 45. (Riscaldando). Acquistato dal D.r A. Bizzarri, Firenze Dopo il raffreddamento la conducibilità è molto e ridotta ad un quarto (all’ incirca).

N. 46. (Raffreddando). Acquistato da C. Erba, Milano.

N. 47.— Riscaldando 1’ olio naturale.

N. 48 Raffreddando lo stesso campione precedente dopo averlo mantenuto un’ ora a 120°

N. 49. Riscaldando.

N. 50. (Riscaldando). Dopo il riscaldamento (se si raffredda) si trovano conducibilità minori.

N. 51. (Raffreddando). Acquistato da E. Merck, a Darmstadt.

N 52. Acquistato da C. Erba, Milano.

iminnita

di alcuni mescugli naturali di composti organici

57

YI. Grassi In questa categoria ho compreso oltre i grassi ani- mali (propriamente detti) anche gli olii che sono solidi (o consistenti) alla temperatura ordinaria, e i cosiddetti burri vegetali.

I principali campioni studiati furono i seguenti, che scrivo in or- dine di conducibilità crescente, valendo qui le stesse riserve che ho fatte nella classificazione degli olii:

Grasso eli Gallina Olio di cocco

Lardo (scaldato a -+- 100° e filtrato)

Midollo di bue (scaldato a + 100° e filtrato)

Burro di cacao

Grasso di bue (scaldato a 100° e filtrato)

Olio di delfino Olio di palma Olio di ginocardia Burro di mucca (1)

Burro di noce moscata.

Le conducibilità di questi corpi crescono rapidamente colla tempe- ratura ed in generale piuttosto regolarmente, eccettuato principalmente il lardo, pel quale la curva della conducibilità in funzione della tempe- ratura, presenta fra 170° e 220° delle singolarità dovute probabilmente ad un’ alterazione chimica permanente : (Yedi Tavole III e IY in fine della presente memoria).

La maggior parte dei grassi nel rammollirsi e fondersi pel calore, aumentano lentamente e regolarmente di conducibilità, ad eccezione del burro di noce moscata, il quale, avendo un punto di fusione abbastanza netto, prova nel fondere un brusco aumento di conducibilità.

Nel prospetto seguente ho indicate le conducibilità dei principali grassi alle temperature 0°, 10°, 20°, 30°, etc.

(1) Il burro venne fuso nell’ acqua a 4- 50° e lavato ripetutamente con acqua calda onde levarne il cosidetto latte di burro, poscia separato dall’ acqua, venne filtrato a caldo.

Atti Acc. Vol. II, Serie 4a

9

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58

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N. 56

N. 57

N. 58

N. 59

N. 60

N. 61

N. 62

N. 63

N. 64

N. 65

1,7

semi solido

5,5

0,0

0, 0

1 _

10°

2,0

semi solido

4,90

solido

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10

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3,4

semi solido

7,0

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solido

20°

2,2

liquido

4, 95

solido

6, 6

12

solido

20

solido

0,8

solido

5,8

liquido

9,0

0,48

solidifica

30»

7,0

solido

27

liquido

60

solido

3.0

liquido

5,0

9,8

solido

1,10

liquido

40°

3,3

liquido

5, 2

8,8

liquido

33

650

liquido

10,5

9,4

15,0

solido

11,0

liquido

1,25

50°

14

36

990

11, 5

22,0

liquido

1,45

-

60°

5,3

liquido

12, 5

liquido

18,5

39

1480

13,3

14,8

31

17,0

1, 95

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21,7

42

2200

16,0

35

2,90

-

80“

7,8

24

liquido

24

45

3510

21, 5

30,9

37,3

27,5

5,02

4,

90“

26

97,8

5100

31,0

40,5

6, 9

-

100“

11,0

37

28, 5

130

7560

44

58

45

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7, 8

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11000

50

62,5

11, 6

120°

14,1

58

38

180

17950

65

87,5

82,8

62,0

14, 0

14,

130°

35500

77,5

104

17, 8

140“

17,6

85

61

230

92,5

157,4

129

82,5

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23,

150“

107,5

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160“

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305

131

280,0

247

107,5

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33,

H— L •81 o

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170

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180“

25,4

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245

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-

190“

335

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-

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30,0

260

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540

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470

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220“

35,1

220

60,5

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101, (j

-

240“

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-

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46,8

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o

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05

54,0

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N. 68

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liquido

18,5

37.0

68.0 112,0 170

552

1010

1550

2460

N. 56. Semisolido fra + e + 10°. Fonde fra 16° e 19°. Solidifica fra 4- 16 e 18°, La serie è ottenuta riscaldandolo.

N. 57. Fonde fra 4- 37° e -t- 39°. Solidifica verso + 28°, La serie è ottenuta ri- scaldandolo.— Dopo il riscaldamento a 220° col raffreddamento mostra conducibilità minori : così a 4- 100° possiede le conducibilità 29.

N. 58. La serie è ottenuta riscaldandolo. Verso 180° prova una forte diminuzione di conducibilità e poi crescendo la temperatura la conducibilità torna a crescere. Dopo il riscaldamento a 200° si ottengono col raffreddarlo conducibilità minori.

N. 59. La serie è ottenuta raffreddandolo. Il liquido solidifica a 4- 21°.

N. 60. La serie è ottenuta raffreddandolo. Il liquido raffreddato lentamente non

si solidifica che a 4- 23° ed allora la temperatura risale a -h 33°.

N. 61. La seria è ottenuta raffreddandolo. Il liquido si rapprende a -f- 21° ed a -p 20° si solidifica.

N. 62. Da fino a 4- 10° è semisolido. La serie è ottenuta raffreddandolo.

N. 63. La serie è ottenuta riscaldandolo. Esso fonde verso 4- 42°.

N. 64. La serie è ottenuta riscaldandolo. Esso fonde verso 4- 37°. Riscaldato fino

a 4- 230° perde di conducibilità permanentemente.

N. 65. La serie è ottenuta raffreddandolo. Esso solidifica verso h- 20°.

N. 67. La serie è ottenuta raffreddandolo. Esso si mantiene liquido fino a 4- 13°, ed allora solidifica (la temperatura risalendo a 4- 15°).

N. 68.— La serie è ottenuta raffreddandolo.

60

Sulla conducibilità elettrica

VII. Cere. Insieme con quella delle cere propriamente dette , ho studiato pure la conducibilità delle cere fossili, delle spermaceti , della stearina, etc.

La conducibilità delle cere allo stato liquido cresce rapidamente e regolarmente col crescere della temperatura : la curva rappresentativa volge costantemente la convessità all1 asse delle temperature. Allo stato solido ed a sufficiente distanza dal punto di solidificazione, la conduci- bilità tende ad annullarsi, nella fusione essa subisce un brusco aumento solamente nella cera del giappone e nella cera di ocuba; per le altre si osserva un aumento di conducibilità meno spiccato. (Vedi tavole V e VI).

Ecco 1’ elenco delle principali cere studiate , scrivendole in ordine di conducibilità crescente :

Vaselina bianca Ozokerite di Boryslaw Spermaceti Cera gialla delle api Cera di ocuba Cera del giappone Cera della China

Acido stearico grezzo (la cosiddetta stearina del commercio) Cera di Carnauba.

Questo è fi ordine delle conducibilità misurate a + 100°: ma varie- rebbe poco per un1 altra temperatura in cui però fossero tutte allo stato liquido.

Segue ora un quadro delle conducibilità delle principali cere da me studiate, di dieci in dieci gradi, da fino a verso 200°.

61

O E E E Tavola III.

Temperatura |

Vaselina bianca

Ozokerite

Spermaceti

Cera gialla delle api

Cera gialla delle api (altro campione)

Cera della China

Cera della China (altro campione)

Cera di Ocuba

Cera di Carnauba

Cera di Carnauba (altro campione)

Cera del Giappone

N. 69

N. 70

N. 71

N. 72

N. 73

N. 74

N. 75

N. 76

N. 77

N. 78

N. 79

0

0

0

0

0

0

0

14,5

3,4

0

10°

0

0

0

0

0,4

0

0,2

21,4

6; 5

0

20"

0

0

0,2

0,0

0,1

1,0

0

0,4

28,0

8,0

0

30°

0

solida

0

0,8

0,0

0,5

1,8

0,5

solidificata

40,2

12,5

0

40°

0

liquida

0

1,3

solido

0,0

1,0

2,6

solida

13,8

liquida

0,8

55,6

solido

18,0

solido

0

solida

50°

0

0

4, 4

liquido

0,1

3,2

4,0

fonde

23,9

85,5

liquido

76,0

liquido

11

iiquida

60°

0

0

solida

1,8

1,1

solido

solido

21,6

liquida

36,1

1,2

99,5

106

16

70°

0

0, 25

liquida

4, 4

liquido

29,0

liquido

30,1

60,0

1,4

127,4

149,5

19

80°

0

0, 50

liquida

2,9

9,0

36,0

37

87,5

12,0

solido

175,2

207

27

90°

0

0, 70

47,5

125,6

24,0

liquido

248,0

306

37

00°

0,02

0, 82

4,5

20,0

64,0

58

175

40

316, 0

419

50

10'

|

0, 90

-----

72

237

57,5

383, 0

540

65

20°

0,07

1,3

8,6

33, 2

121,0

88

329

83

520,0

675

90

30"

2,8

123

432

128

718,0

835

121

40"

0, 15

5,8

13,6

56,0

260,0

161

630

173

1090, 0

1020

155

50’

9,9

205

848

224

1250

200

30"

0,28

14,2

19,0

84,0

600,0

269

1150

295

1520

236

70"

20,0

329

1720

343

283

30"

1,00

27,0

24,2

139, 4

396

2820

380

343

10"

-

-

-

30"

2,25

48.0

30,8

226,0

430

641

10"

4,20

77,2

36, 5

40°

7,15

43,0

)0°

|

52,0

10°

64,1

X)°

79,5

-

N. 69. La serie è ottenuta col raffreddamento Il liquido verso a -f- 35° si rapprende in una massa poco consistente.

N. 70. La serie è ottenuta col raffreddamento Il liquido solidifica a 66°: La sostanza solida fonde a -|- 84°.

N. 71.— La serie è ontenuta col raffreddamento Il liquido solidificava a -f- 43°.

N. 72. La serie è ottenuta per raffreddamento Questo campione fonde a -f- 63° e solidifica alla stessa temperatura.

N. 73.— La serie è ottenuta per raffreddamento Anche questo campione fonde e solidifica a -f- 63°.

N- 74. La seria è ottenuta per lento riscaldamento Questo campione fonde a -f- 51°, 5 e solidifica a + 40°, 5. Fondendo

u ?aT un forte aumento di conducibilità.

N- 75- La serie è ottenuta per raffreddamento Questo campione fonde a 51° e solidifica a -f- 40°.

N. 76.— La serie è ottenuta per raffreddamento La sostanza fonde a -f- 84° e solidifica a 82°.

N. 77. La serie è ottenuta per riscaldamento lento La sostanza fondeva -f- 47°, 5 solidifica a -(- 48° Facilmente si ot-

e sopraffusa.

N. 78. La serie è ottenuta per raffreddamento Fonde a + 48° solidifica a + 48°, 5.

N. 79. La serie è ottenuta per raffreddamento Fonde a + 42°.

62

Sulla conducibilità elettrica

"Vili. Essenze La conducibilità delle essenze varia moltissimo da campione a campione , secondo la provenienza , 1’ età, il modo di preparazione e di conservazione etc. Nella maggior parte 1’ essenze con- tengono un idrocarburo volatile (terpene) ed uno e più composti ossi- genati (stearopteno), che appartengono spesso alle canfore. L’ idrocarburo è per isolante, mentre il composto ossigenato che forma lo stearop- teno è conduttore; ed è a questo che la maggior parte delle essenze debbono la loro conducibilità.

Così per esempio, distillando nel vuoto 1’ essenza di bergamotto , 1’ essenza di cedro, 1’ essenza di limoni, V acqua di ragia etc. un po’ vec- chio, il liquido che passa in principio è quasi isolante, mentre la so- stanza viscosa che resta nel palloncino è fortemente conduttrice.

Così si spiega perchè queste essenze scaldate rapidamente all’ aria diventino più conduttrici perdendo gran parte del principio volatile che è isolante. Il fatto è più complesso con lento riscaldamento in contatto dell1 aria, avvenendo allora una ossidazione della essenza con formazio- ne di altri composti buoni conduttori. Più forte è l1 aumento di condu- cibilità se si mantiene per qualche tempo in ebullizione V essenza in presenza dell’ aria in un apparecchio a ricaduta.

Queste proposizioni non sono applicabili alle essenze (come per es. quella di gaultheria, di cannella, di senape, etc.) le quali si scostano per la composizione, dal tipo delle essenze comuni.

Per tali ragioni, la conducibilità delle essenze fu studiata per raf- freddamento, dopo averle prima riscaldate rapidamente e fuori del con- tatto dell’ aria fino alla temperatura voluta.

La conducibilità delle essenze da me studiate decresce regolarmente e rapidamente al decrescere della temperatura. Le relative curve che rappresentano la conducibilità in fusione della temperatura (Vedi tavole I e II) sono molto belle e molto regolari ; esse volgono costantemente la convessità all’ asse delle temperature e non presentano singolarità.

Ecco i nomi delle essenze (cito solo le principali) da me studiate; le ho divise in tre classi: cioè nella prima sono quelle di piccola con- ducibilità, alla seconda appartengono quelle di conducibilità intermedia, ed alla terza quelle migliori conduttrici : Anche per questa classifìcazio-

di alcuni mescagli naturali di composti organici

63

ne , valgono , e con più forte ragione , le riserve fatte nel classificare gli olii :

la classe : Essenze di piccola conducibilità :

Essenza di trementina

» di ginepro (dalle bacche)

» di ginepro (dal legno)

» di rosmarino

» di timo

» di gemme di pino

» di pino pumilione

» di arancio

« di sassafrasso

« di coriandoli

» di Cajeput (verde)

« di Cajeput (bianca)

» di sandalo rosso

» di sandalo bianco

» di valeriana

» di sabina

» di finocchio

» di lavanda officinale

» di legno di cedro

» di Ylang-Ylang

» di Copaibe

» di cedro

» di anici

2a classe : Essenze di media conducibilità :

Essenze di Cubebe

» di angelica

» di Neroli

» di cardamomo

» di ruta

» di limoni

» di arnica

» di menta inglese

» di zenzero vero

» di camomilla

» di origano

» di bergamotta

» di seme santo

64

Sulla conducibilità elettrica

3a classe : Essenze di massima conducibilità:

Essenza di trementina (vecchia di oltre un secolo) » di cedro (vecchio di 18 anni)

» di Estragon

» di Rose

» di ascenzio

» di carvo

» di vetiwer

» di salvia

» di Maggiorana

» di Melissa

» di isopo

» di cumino

» di Luppolo

» di Matricaria

» di Palmarosa

» di Gaulteria

» di Garofani

» _ di Tanaceto

» di Verbena

» di mille foglie

» di tabacco

» di senape

» di Erba S. Maria

» di cannella Goa

» di cannella Ceylan

» di Mandorle Amare

Nei tre quadri che seguono sono scritte le conducibilità delle prin- cipali essenze studiate , di dieci in dieci gradi, a partire da zero fino verso 160°.

65

ESSENZE - Tav. IV.

-

Essenza di trementina

Essenza di ginepro (dalle bacche) (preparata di fresco)

Essenza di ginepro (dalle bacche) (vecchia)

Essenza di ginepro (dal legno)

Essenza di rosmarino

Essenza di timo

Essenza di timo

Essenza di timo rosso

Essenza di gemme di pino

Essenza di gemme di pino silvestre

Essenza

di pino pumilione

N. 80

N. 81

N. 82

N. 83

N. 84

N. 85

N. 86

N. 87

N. 88

N 89

N. 90

r o,oo

0,00

0,00

0,00

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0,6

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14

0,00

0,00

750

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3,7

18

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7,8

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110

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0, 7

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12,7

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2,2

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4,5

24

0, 00

10,8

3,0

141,2

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28

•° 0, 03

1, 7

4650

19,8

0, 18

13,0

3,5

164

6,0

6,5

30

,0

15,0

4,0

189

8,0

36

" 0,18

2, 0

8500

30, 8

0,62

17,2

4,6

220

12,0

10,5

43

0

20,0

5,3

252

14,0

56

1

5 0,55

2, 5

13000

58,0

1,42

23,0

6,0

290

19,0

20,0

66

1

)

25,6

82

1

1,30

3, 0

19250

85,0

2, 6

30,0

9,6

402

29,0

31,0

120

1

? *

1

37,5

194

1

6 3,10

3, 5

22000

133,0

4, 4

39,5

16,4

596

46,0

44,5

310

3

i

53,0

'

K 8,60 lr]

4, 8

26550

7, 4

73,0

28,0

1000

64,1

66,4

_

31500

1400

93,2

1S _

-

20| _

22 1 _

.

24 __

__

:

Atti Acc. Vol; II, Serie 4a

10

66

ESSENZE

Segue Tav. IV,

Temperatura 1

Essenza di arancio

Essenza di sassofrasso

Essenza di coriandoli

Essenza

di cajeput verde

Essenza

di cajeput bianca

Essenza

di sandalo rosso

Essenza

di sandalo bianco

Essenza di valeriana

Essenza di sabina

Essenza di finocchio

p

il

D

r. , f. q

N. 91

N. 92

N. 93

N. 94

N. 95

N. 96

N. 97

N. 98

N. 99

N. 100

N.

T

'rii

\

10°

2

4,3

0

15,8

7,1

0

0

8

26

38

1 8 !

20°

4

5,0

10

16,2

9,4

5

2

18

44

46

1

30"

5, 5

17,0

4

58

lU

40°

7,0

6,1

20

19,3

14,7

10

5

36

80

67,4

f

50°

9,0

23,1

10

io

60°

70°

10,7

12,1

8,9

38

27,2

32,4

21,5

30

12

20

48

124

96

109

1

80°

14,0

15,1

60

38,0

30,7

80

25

106

186

126

? {

90°

16,0

45,0

38

157

100"

19,2

18,8

80

52,5

45,2

140

66

190

240

192

*

,4

110°

24,4

105

236

120"

32,0

25,2

160

75,0

47,0

222

150

250

356

280

0 ' 1 -

130°

41,0

218

336

140°

51,0

33,8

240

96

76,0

358

290

360

505

394

8 J ^

150°

64,1

370

160°

80,1

44,4

244

153

555

470

520

710

552

11

o

170°

180°

110,0

65,0

670

240

1200

:

:

937

720

960

190°

-

200°

204,0

220°

-

o

©

-

O

o

co

cu

ESSENZE

Segue Tav. IV.

67

Essenza

di lavanda officinale! (altro campione)

Essenza

di lavanda spico

Essenza

di legno di cedro (Florida)

Essenza

di Ylang-Ylang

Essenza di copaibe

Essenza di copaibe (altro campione)

Essenza di cedro

Essenza di anici (fonde a + 17°, 5)

Essenza

di anici di Russia (fonde verso 14")

N. 102

N. 103

N. 104

N 105

N. 106

N. 107

N. 108

N. 109

N. 110

7,9

8,0

58

7

solida

solida

r 65

6,0

8,8

16

7

34

11,8

62

28

solida

solida

105

8,0

10,2

22

16

34

15,9

94

130

liquida

liquida

10,0

12,6

28

21,5

108

327

liquida

198

12,2

17,2

38

70

35

27,6

125

365

; io

15,2

27,3

58

37,0

145

450

1 * 320

19,0

40,0

83

180

36,5

46,8

167

570

0

22,8

54, 5

110

60,0

200

722

518

27,8

75,3

156

322

39

78,1

239

926

j > ~

33, 3

100,0

202

99,5

291

1250

O

GO

40,0

144

260

750

42

122,5

450

1710

1 1

V

172

340

155

2500

i: 1218

55, 5

204

430

1730

47

195

3350

11;

244

548

235

4180

14

76,0

301

684

3010

56

276

5000

1^ -

366

856

325

5780

ie -

120

515

1078

4850

66

386

6710

17 1 _

740

1430

! 18 _

5900

90

19 __

20 __

7150

156

m _

8750

m __

11000

pe| __

15150

109.— La sua conducibilità a è 58 appena solidificata, ma diminuisce col tempo : così in due giorni si ridusse a 12 : ssa temperatura di 0°.

ESSENZE Segue Tav. IV.

Temperatura

Essenza di cardamomo

Essenza di angelica

Essenza di Neroli

Essenza

di pepe Cubebe

Essenza di Ruta

Essenza di arnica

Essenza di limoni (di Calabria)

Essenza di limoni (di Firenze)

Essenza

di menta inglese

Essenza

di zenzero vero

E

fi

f.

N. IH

N. 112

N. 113

N. 114

N. 115

N. 116

N. 117

N. 118

N. 119

N. 120

N

h

70

70

4

10°

118

79,5

51

38

150

61

135

5,8

80

36

o

o

CU

150

94

69

50

223

120

151

6,2

93,8

50

1

o

o

co

198

111

87

191

7,2

123,5

68

o

o

280

134,5

133

77

380

282

228

8,5

177

102

50°

420

164

183

400

11,1

272,5

151

60°

600

199

255

140

598

568

376

12,8

340

220

B8

70°

803

237

368

770

15,1

424

302

b i

' 80°

1010

285

515

212

847

970

518

19,9

526

405

1

30

90»

1230

354

718

1180

24,0

660

515

100»

1460

484

970

325

1126

1430

800

28,5

855

700

1

30

110°

1680

1290

35,8

1120

920

120°

1950

1770

478

1568

2200

1240

44,0

1400

1190

!

80 ;

130"

2350

53,9

1700

1480

140°

3120

680

2132

4150

2000

66,7

2075

1910

SO J

150°

82,3

2450

2370

160°

930

7500

3400

105,2

2830

3280

.(

30

170°

135

3180

4500

00

o

o

1270

4900

200°

1770

220'

2370

ESSENZE

Segue Tavola IV,

69

: .23

•H

X>

X)

H

Essenza di Origano

Essenza di Bergamotta (di Kegio di Calabria)

Essenza di Berga- motta (parte del campione precedente distili, ha 173° e 180°

Essenza di Berga- motta. Residuo della distillaz. precedente

(liquido viscoso rosso vino fnorescente)

Essenza di Bergamotta (il campione preceden- te stillato due volte nel vuoto sul carbonato sodico secco)

Oleum Cinae (acquistata dalla fabbrica Tromsdaff)

Essenza di seme santo

Essenza

di trementina sol- forata

Essenza

di menta Hotkiss

Essenza di Calamo

N. 122

N. 123

N. 124

N. 125

N. 126

N. 127

N. 128

N. 129

N. 130

N. Idi

0"

1 s

265

248

Ì0°

210

700

4,9

710

0, 00

332

278

48,1

1180

300

>0°

380

970

6,4

1800

0,00

478

340

78, 5

1220

620

10°

0,00

705

162

1400

690

1560

10,8

5340

0,00

1000

471

244

1520

1630

0,00

1372

412

0"

1410

2260

17,1

13900

0,01

1720

622

740

2000

2850

l’—

2300

1200

_ j

>

2310

3000

24,9

24300

0,05

2820

760

1880

2680

4450

>

3150

948

2700

>

3380

,3890

36,6

38200

0, 14

3780

3550

3500

6050

,)°

1180

1)°

4700

4950

85,0

58000

0,32

5320

5680

4720

7700

]>°

1355

1)°

1*

6010

6420

150

75000

0, 78

7800

8260

6150

9500

1.

8540

300

105000

2,20

10750

11400

11700

1

1

180000

15200

15000

14700

a

19200

--

i

70

ESSENZE - Segue Tav. VI.

Temperatura

Essenza di tremen- tina vecchia di oltre un secolo (La parte liquida)

Essenza di tremen- tina vecchia oltre un secolo (In parte viscosa del campione precedente)

Essenza di trementina (la parte lluida dei campioni precedenti stillata sul carbone sodico secco)

Essenza di cedro (vecchio di 16 anni

Essenza di Estragon

Essenza di rose

Essenza di assenzio

Essenza di carvo

Essenza di vetiwer

Essenza di salvia

Essenza 1

,

l

f

i

T

N. 132

N. 133

N. 134 .

N. 135

N. 136

N. 137

N. 138

N. 139

N. 140

N. 141

N.

1!

190

220

0,00

10

220

1300

0,00

670

1710

1500

650

1700

65

650

2

D

rappreso

20'

270

3700

0,00

770

1820

3000

1200

2000

175

1700

32)

semiliquido

30°

938

5500

40°

380

25500

0,00

1100

2250

6150

2390

2360

1020

3280

5

E0

50°

6800

60*

560

83000

0,02

2800

7680

3600

2680

6200

4270

7(0

70°

8550

-

80°

860

183000

0, 07

1800

3510

9380

5200

3150

16700

5000

ìojo

90’

2500

10200

-

100°

1200

480000

0, 19

3100

4480

11050

6700

3500

31500

. 5810

12 4

110°

=

3400

120°

1575

0,50

3700

5670

12900

8700

4010

50600

6760

1486

1 1

130°

4050

14000

140'

2130

1,30

4500

7020

11200

4620

8240

1C

>0

150°

r

4980

-

160°

2940

5450

8650

13700

5200

10750

1<(

170°

6110

5

12700

o

o

00

rH

6800

17650

6050

-

o

o

05

t-H

200°

ESSENZE

Segue Ta v. IV.

71

i emper atura Essenza di Melissa

Essenza di isopo

Essenza di cumino (liquido viscoso) j

Essenza di Luppolo

Essenza di Matricaria

Essenza di Melissa germanica vera (E. Merck)

Essenza di Palm arosa

Essenza di Gaultheria

Essenza di Gaul- theria

(altro campione)

Essenza di Gaultheria (altro campione)

Essenza di garofani (vecchia di 30 anni)

N. 143

N. 144

N. 145

N. 146

N. 147

N. 148

N 149

N. 150

N. 151

N. 152

N. 153

3550

.

2480

2000

3940

380

3300

1680

5650

3800

3550

4400

5400

!0° 4320

2390

4610

500

6000

2010

6560

4700

5750

6200

10000

2720

5380

7980

3300

6270

770

10200

5790

8660

6750

10000

10000

20400

3880

7250

11750

4680

8210

1280

16100

9360

10840

8600

14100

13800

37800

)' -

5400

9380

15230

6200

10620

2000

22800

13250

13050

10350

18000

17600

45500

7000

11850

18400

7900

13450

2970

33000

17400

15250

12200

22100

21450

60100

1 _

9100

1 0 20800

10250

16800

4180

45100

21600

17500

14100

26400

25600

80000

1 0 _

11480

22700

12700

20950

5950

61500

25600

20000

16700

30750

31000

1 0 __

14050

1, > 24280

15600

25400

8320

22200

20300

35400

38000

il* __

li'

30000

12000

24050

41000

46000

L

1

28650

48000

56000

72

ESSENZE

/Segue Tav. IV.

Temperatura ;

Essenza di Garofani (recente)

Essenza di Tanaceto

Essenza di verbena

Essenza di mille foglie

Essenza di Tabacco

Essenza di Senape (dai semi)

Essenza di erba S. Maria

Essenza di Cannella Goa

Essenza di Cannella di Ceylan

Essenza di Cannella di Ceylan (altro campione)

Essenza

di Mandorle amare

Essenza

b

*E

i|

■c

t

c

N. 154

N. 155

N 156

N. 157

N. 158

N. 159

N. 160

N. 161

N. 162

N. 163

N. 164

N.

1

1500

77000

10“

4000

1650

15100

101000

35200

4500

48000

73800

375000

20°

5500

1800

20200

278000

28000

103500

43400

7100

58000

89000

409000

660 1

liquido

sirno

30°

7400

-

40°

9000

2300

30400

32000

231000

57800

12600

78000

124000

465000

50°

11000

60°

13400

2800

40000

420000

36800

370000

71800

18000

97000

153000

525000

o

o

O-

15800

80u

17600

3700

50100

45100

526000

85000

23600

116000

182500

617000

90°

19000

100°

20000

4700

60080

575000

60500

725000

100000

29000

135000

209600

708000

no

20300

o

o

e\i

rH

20300

6750

70100

970000

115100

34200

154000

235000

825000

130°

20000

^

140°

20200

11800

79800

770000

128000

39600

174000

258000

150°

20800

160°

22000

19500

87000

142000

46500

170''

24000

180°

27000

974000

190°

o

8

(M

9

Sulla conducibilità elettrica di alcuni mescagli ecc.

73

IX. Balsami. - In questa classe ho compresi oltre i cosiddetti bal- sami , anche alcuni liquidi viscosi che si ottengono dalla distillazione secca dei legni etc.

Tatti questi balsami resi fluidi dal calore conducono più o meno bene, e la loro conducibilità va crescendo rapidissimamente e regolar- mente col crescere della temperatura: Raffreddati gradatamente con una miscela frigorifera fino a solidificarli, la loro conducibilità diminuisce ra- pidamente e regolarmente, fino ad annullarsi allo stato solido.

Le curve che rappresentano le rispettive conducibilità in funzione della temperatura sono in generale piuttosto regolari (Vedi Tav. Ili e IV) e volgono la convessità all’ asse delle temperature : Soltanto per l’ Elèmi (due campioni diversi) si osserva un aumento di conducibilità nel raffreddarla in vicinanza alla solidificazione: (fenomeno analogo a quello da me scoperto nei mescugli di naftalina e fenolo etc.) (1).

Il creosoto puro, (dal legno di faggio) presenta da 80° in su, una conducibilità decrescente colla temperatura , cioè si comporta come la dietilammina e come le soluzioni diluite degli alcoli della serie grassa negli idrocarburi (2).

Segue 1’ elenco dei principali balsami, catrami etc. scritti in ordine di conducibilità crescente, avvertendo però che essa non solo può va- riare molto da campione a campione , ma che per lo stesso campione viene in generale molto diminuita se lo si riscalda qualche tempo all’ aria.

Balsamo del Canadà Trementina di Chio Olio di abete Elèmi

Trementina di Chio (altro campione)

Storace liquido

Trementina di Venezia (esposta molto tempo all’ aria)

Olio empireumatico della distillazione del carbon fossile

(1) Bartoli Sulla conducibilità elettrica delle mescolanze di composti organici ; Nuovo Cimento 1886 ; Bend. della B. Acc. dei Lincei 1885.

(2) Babtoli Sul variare della conducibilità elettrica del creosoto colla temperatura; L’ Orosi, Anno IX, Fascicolo V, Maggio 1886. Firenze: per la conducibilità elettrica della die- tilammina, Vedi la mia nota letta alla B. Acc. dei Lincei il 21 Giugno 1885.

Atti Acc. Yol. II, Serie 4a

11

74

Sulla conducibilità elettrica rii alcuni miscugli ecc.

Balsamo di Copaive

Trementina di Venezia, nuova

Creosoto dal legno di faggio (bianchissimo)

Balsamo del Perù

Creosoto dal legno di faggio (grezzo)

Olio di betulla

Catrame di Norvegia (dalle conifere)

Olio di betulla (altro campione).

Come ho detto più sopra, la maggior parte di questi balsami scal- dati qualche tempo all’ aria, perdono de’ principi volatili e dopo il raf- freddamento si trovano molto più viscosi e tenaci, e qualche volta ad- dirittura trasformati in una massa resinosa solida: questo cambiamento è accompagnato quasi sempre da una forte perdita di conducibilità, per cui nella misura di questa, ho avuto sempre cura di procedere per ri- scaldamento entro tubo chiuso , e sopra un campione che non fosse stato mai riscaldato.

13 .A. IL S -A_ nvr X

Tav. V.

75

Temperatura Balsamo del Canada

Trementina di Vene- zia (appena estratta dalla botte)

Trementina di Vene- zia (altro campione tenuto all’aria per vari mesi)

Olio di abete

Trementina di Chio

Trementina di Chio

Elémi

Elémi

Balsamo di Copaive

N. 166

N. 167

N. 168

N. 169

N. 170

N. 171

N. 172

N. 173

N. 174

o

o

o

1,1

0, 1

0,00

semisolido

61,5

52,5

semisolida

8, 6

semisolido

10° o, 3

840

7

liquido

viscosissimo

49,6

semisolida

43

19

10° 0, 4

semisolido

872

24

7

0,00

28,0

liquido

viscosissimo

43,8

37

semiliquida

36

;o° 0, 5

970

7,1

38,0

34

80,5

:0° 0,6

1148

26

7,2

0, 06

31,0

semi liquido

33,7

33,9

206

quasiliqudo

06 0,8

1350

7,3

30,9

34,0

852 ;

1,2 semiliquido

3200

84

8,6

0,20

liquido viscoso

33,4

29,8

35,8

1930

0" 2, 3

4900

10

32,0

semiliquida

37,8

3850

ben liquido

5,0

95

12,4

11,8

34,5

35,8

42,4

7200

y 9,5

liquido

20

ben fluido

42,8

liquida

52,3

12600

viscosissimo

:> 19,1

110

37,5

79

89,0

liquida

50,5

60,0

23400

51,0

60

61,0

87,0

liquida

> 108

_

165

90

244

175

121

123

liquido

' )“ 201

122,1

302

305

215

153

560

328

|)° 595

182,5

951

290

213

595

250

l'° 1650

240

271

j 1

267

971

282

Ilo _

297,5

290

la» _

328

_

V 167.— Verso -|~ 85 lenta ebullizione ; mantenuta due ore a -+- 90° presentò dopo il raffreddamento conducibilità molto b c®sì a -+- 60° la conducibilità divenne 9, 8 ed a -f 50° solo 6, 4.

1^2.— Scaldata ancora perde dei principii volatili e la sua conducibilità diminuisce e poi torna a crescere.

113.— Scaldata ancora si comporta come il campione precedente.

76

33 3L. S 3Vl I

Segue Tav. V,

n

Temperatura

Storace liquido (scaldato prima a 100° per 2 ore)

Olio di betulla

Olio di betulla (altro campione) j

Balsamo del Perù

Balsamo del Perù

Catrameldi pino di Norvegia (dalle co- nifere i

Creosoto dal legno di faggio i purissimo bianco)

Creosoto dal legno di faggio (grezzo)

§ % !•;

a ^

3

o - ‘SÌ c O ^

r

f

31

l

;

N. 175

N. 176

N. 177

N. 178

N. 179

N. 180

N. 181

N. 182

N.

u

-10°

0,2

0,0

25

2

140

semisolido

C)

7 9

liquido

viscosissimo

quasi solido

53

iiquido

viscosissimo

38

liquido viscoso

1800

liquido viscoso

1800

sol

li

10°

8,0

26

quasi solido

10000

liquido

viscosissimo

160

120

7120

2730

17000

sol

4

to

o

o

8,1

1820

49200

600

350

20820

4020

19900

sol

6

30°

8,2

15600

75000

1920

1350

30100

5440

sol

[5

il

40°

10,3

31600

112500

3550

6000

55900

6860

25600

semis

li

50°

16,0

120000

liquido viscoso

7000

12100

92400

8550

liqi

p

p

60°

34,0

180000

10100

16700

129800

9600

31400

r

70°

70,0

ben liquido

13200

21200

175400

10560

1

bo

o

o

00

171,0

217000

17700

27800

11040

38000

1

:

)C

90 J

505, 0

23400

33500

11200

2

30 i

100°

1080

272000

ben liquido

28500

39000

11200

45100

t

30

110°

1900

32600

46000

11160

i

.

00

120°

2650

332000

37200

10880

53400

{

50

o

o

CO

rH

3650

10500

(

00

140 5

4650

405000

10100

64000

00

150°

9660

50

160°

9200

n

00

170°

--

8700

-

180°

8200

CD

o

o

-

Sulla conducibilità elettrica di alcuni mescugli ecc.

77

X. Resine. In una nota precedente (1) esposi i resultati di uno studio sulla conducibilità delle resine e delle gomme resine: quest7 ulti- me contenendo oltre la parte resinosa fusibile, delle gomme o mucillag- gini, non fondono nettamente, ma si rammolliscono pel calore, trasfor- mandosi in una pasta più o meno fluida costituita dall’ impasto della resina fluida colla parte solida gommosa : giunsi allora alle conclusioni seguenti :

1. Tutte le resine e le gomme resine, allo stato solido ed a suf- ficiente distanza dal punto di fusione o di rammollimento isolano quasi perfettamente.

2. Esse, rammollite o fuse pel calore, conducono più o meno bene 1’ elettricità e la loro conducibilità cresce (e quasi sempre regolarmente) al crescere della temperatura.

3. Riscaldandole in vicinanza del punto di fusione o di rammolli- mento, si osserva quasi in tutte un regolare aumento di conducibilità , e nessuna singolarità.

4. In generale sono più conduttrici (allo stato liquido o pastoso) quelle che contengono in maggior copia acidi o altri composti molto os- sigenati; invece sono meno conduttrici quelle costituite per la maggior parte da idrocarburi misti a composti poco ossigenati.

5. Oltre alla composizione influisce sul potere conduttore anche la viscosità allo stato liquido : Così ad esempio resa più fluida la resina di guajaco coll’ addizione di un peso uguale od anche quadruplo di naf- talina, si ottiene un mescuglio omogeneo assai più conduttore della re- sina di guajaco (presa alla stessa temperatura) quantunque la naftalina sia un buon isolante anche allo stato liquido.

Le principali resine e gomme resine da me studiate possono clas- sificarsi, per la loro conducibilità, in tre diverse categorie.

la Classe : Resine che conducono bene fuse o rammollite dal ca- lore. — Resina di gialappa, di scamonea, sangue di drago, storace ca- lamita , succino , resina dal balsamo del Perù ; resina dal balsamo del Tolù, resina copaive , gomma lacca, gomma benzoe , benzoino , resina

(1) Baktoli, Sulla conducibilità elettrica delle Resine : Nuovo Cimento, Sa serie, T. XIX Pisa 1886 pag. 122 : e L’ Orosi, giornale della società chimica toscana, Firenze 1886.

78

Sulla covclucibilità elettrica di alcuni miscugli ecc.

di guajaco, Taceamacca, Sagapeno, Galbano, assa fetida, Resina Ammo- niaca, gomma laudano, Aloe soccotrino, olibano, mirra.

2a Classe Resine che liquide o rammollite dal calore conducono mediocremente.

Resina copaive (altro campione) Trementina di Venezia , Tremen- tina di Chio, Pece navale, Colofonia, Asfalto, Resine estratte dalle fo- glie dell’ ulivo.

3a Classe Resine che fuse o rammollite dal calore conducono meno delle precedenti.

Mastice di Scio, Damar, Sandracca, coppale, resina di pino silve- stre, resina dal balsamo del Canada etc.

Nel prospetto numerico seguente ho riportato le conducibilità di 10° in 10° da zero fino alla temperatura di decomposizione, delle prin- cipali resine che col riscaldamento assumono nettamente lo statò liqui- do: da questo prospetto e meglio dalle curve disegnate nelle Tavole V e VI, risulta che queste resine allo stato solido ed a sufficiente distan- za dalla fusione sono isolanti ; che allo stato liquido posseggono una più o meno grande conducibilità , la quale cresce rapidamente e rego- larmente col crescere della temperatura ; che la curva rappresentativa della loro conducibilità allo stato liquido, volge quasi sempre la conves- sità all’ asse delle temperature; che in vicinanza del punto di fusione non esiste veruna singolarità per la maggior parte delle resine, ad ec- cezione di un campione di mastice di Scio , e di un campione di resi- na di pino silvestre , i quali mostrano nettamente il fenomeno già de- scritto, dei mescugli di naftalina e fenolo etc.

Segue senz’ altro il prospetto delle conducibilità delle resine alle diverse temperature (1).

(1) Per quello che riguarda la storia e la composizione delle resine, balsami , essenze , grassi, olii etc. compara Guibourt, Histoire naiurelle des drogues simples ; settima ediz. Pa- rigi 1876; Wiesnee Die techisch verwendeten , Gummiarten, Harze, Balsame ; Erlangen 1869; lahresberichte der chemischen Technologies Leipzig (passim ) Flilcl'iger , Pharmacognosie etc. Kekule Lehrbuch der organischen Chemie .(passim) ; Gmelin Handbuch der Chemie Bd. VII ed Vili, Watt’s. Dictionnary of Chemistry (passim) e i dizionari di chimica agli articoli cor- spondenti.

RESINE

Tav. VI.

79

Temperatura II

Resina di Sombolo

Resina di Kousso

Resina di Copaive (solida, friabile)

Resina del Tolù (solida friabile)

Resina del Tolù (solida friabile)

Resina Taccamacca

Resina Taccamacca (altro cambione)

Resina Colofonia (pece bianca)

Pece navale (pece nera)

Resina mastice di Scio

N. 184

N. 185

N. 186

N. 187

N. 188

N. 189

N. 190

N. 191

N. 192

N. 193

0,5

solida

0,1

0,00

0,0

0,0

0,0

10°

8,0

solida

0, 6

10

solida

28.

solida

65

0,0

0,0

20°

95,0

rammollita

4

40

9

24

0,00

43

0,0

0,2

0,0

10°

382

semilìquida

27

40

8

18

51

0,3

40°

2080

liquido

viscoso

180

solida

40

10

27

0,00

152

solida

0,1

3,8

solida

0,0

50"

5100

400

40

10, 5

113

rammollita

350

rammollita

5,3

serniso ida

60"

15300

1030

rammollita

40

11

rammollita

330

semiliquida

0,00

450

0,2

12,6

semiliquida

0,0

70°

37000

2750

1300

1035

semiliquida

32,5

30°

78000

8100

40,5

solida

12

semi liquida

1650

0,00

solida

2790

0,3

78

0,0

solida

30°

120000

17000

semiliquida

4420

liquida

5030

liquida

136

30°

160000

39000

42

rammollita

56

liquida

10500

0,10

semisolida

8500

solida

224

0,1

10°

200400

17500

13600

321

0,2

20°

45,3

seiniliquida

1000

3,0

liquido

viscoso

5

serniliquida

710

0,7

liquida

50°

7,5

1450

5,7

10°

75,2

liquida

2180

97,0

12,0

3250

18,0

.0"

24,1

6210

32,0

10°

230

4780

705

44,0 .

10800

81,0

'0"

82,1

300

>0"

800

10500

2410

310

i10'

590

Qo

1820

19500

820

0'

1100

0

5800

1780

0

2830

0

4610

184.— Acquistata da E. Merck.— N. 185— Acquistata da E. Merck (per raffreddamento N. 186— Acquistata da C. Erba 1 mo (per raffreddamento.— N. 187 e 188— Questi due campioni di Resina Tolù presentano un lieve aumento di conducibilità ■solidificare Da C. Erba Milano (per raffreddamento) Da A. Bizzarri Firenze (per raffreddamento).

N. 189 C. Erba Milano (per raffreddamento) N. 190 A. Bizzarri Firenze (per raffreddamento). N. 191 (per raffreddamento) . N. 193 C. Erba Milano.

80

RESI TnT TE - Segue Tav. VI.

Temperatura

Resina mastice di Scio

(altro campione)

Resina Damar (altro campione!

Resina Damar

Resina di Gialappa (dalla radice)

Resina di Gialappa (leggera

Resina Scamonea bianca

Resina storace Calamita

Resina storace calamita

Resina di Pino Selvatico

a

E

P

J

E

z

X

1

£

N. 194

N. 195

N. 196

N. 197

N. 198

N. 199

N. 200

N. 201

N. 202

N.

'3

120

0,0

0,0

0,0

0,18

0,0

0,0

o,

1

10°

170

0,0

0,1

0,30

0,0

7,0

0,

8

20°

142

2,8

0,0

1,8

1,00

0,0

9,7

0,

)

30°

86

17,0

2, 28

-

35,9

solida

6,5

40°

81

solida

3, 6

0,0

87

6, 10

0,0

34,1

solida

39,2

semisolida

5,0

0,

so

P

f

50°

69

255

solida

21,5

rammollita

35,2

solida

1200

semillquida

4,2

60°

67

5,0

0,0

1310

rammollita

131

semiliquida

0,05

60,0

semiliquida

17700

3,7

70°

60

3650

rammollita

600

liquida

171

23500

3,7

solida

1

liq

8

da

80°

49

rammollita

6,0

solida

0,0

7210

2180

2,5

420

33000

liquida

4,0,

rammollita

0

90°

43

.

13900

6150

2100

49000

6,5

100°

41

semiliquida

6,9

0,0

solida

21000

semiliquida

28

solida

3410

15,5

7

2

110°

30200

210

rammollita

4900

30,2

120°

52

liquida

8,2

semisolida

0,4

semisolida

395

liquido

viscoso

6200

-■

40,5

D

130°

800

7450

53,0

,0 |

140°

67

12,2

liquida

4,0

liquida

8700

91

150°

150

5

8 i

160°

154

22,3

17,8

245

1— A o

o

280

180°

48,1

86,0

-E

190°

:

200°

128

530

210°

220°

-I

o

o

co

240°

N. 194 A. Bizzari Firenze. N. 195 A. Bizzarri Firenze. N. 196- C. Erba Milano. N. 197 E. Merck Damista raffreddamento). N. 198 E. Merck (per raffreddamento). N. 199 E. Merk.

N 202 Presenta un aumento di conducibilità dopo la solidificazione (per raffreddamento).

(per

OLI ED ESSENZE

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OLI ED ESSENZE

Tavola II

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BALSAMI E GRASSI

Tavola 111

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Tavola. IV

CERE E RESINE

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CERE E RESINE

Tavola. YJ

V OLIGOCENE

dei dintorni di Termini- lmerese

Memoria

elei Prof. SAVERIO CIOÈ ALO.

Come è noto nei dintorni di Termini-Imerese sono estesissime le argille scagliose, che si distendono in colline dalle falde di quei monti dolomitici sino al mare. In generale queste argille sono eoceniche; però un esame attento delle loro condizioni stratigrafiche e la ricerca dei fos- sili mostrano che esse possono separarsi in due livelli.

Se la massima parte di tali argille sono ricche della Nurnmulites Lucasana Defr. , della Orbitoides dispensa Griimbel, 0. papiracea Boub. ecc. ecc.... e perciò eoceniche, ce ne sono lembi che hanno al certo una età un po’ più recente. Di già, in una mia nota del 30 Novembre 1873 (1), accennai alla esistenza dell’ Oligocene di contrada Rocca presso Termini, e il Prof. Seguenza in due altre note successive (2) riferì pure all’Oligocene la fauna dei corallarii da me raccolti nella sopradetta con- trada Rocca. L’ egregio marchese Dottor A. De Gregorio pubblicò più tardi l’esame paleontologico di buona parte delle argille scagliose della provincia di Palermo ; (3) or buona parte delle specie da lui dotta- mente descritte io 1’ ho trovate in lembi di argille scagliose superiori di molto stratigraficamente a quelle eoceniche: ciò mi ha mosso a scrivere il presente lavoro per iniziare lo studio particolare delle nostre argille

(1) Ciopalo Notizie sul terr. olig. dei diut. di Termini (Lettera al Prof. Gemmellaro) Gazzetta di Palermo, Novembre 1873 e Rivista Scientifica Industriale Febbraro 1874, Fi- renze.

(2) Sequenza Dell’olig. in Sicilia 1874 (Giorn. la Scienza contemporanea) Seguenza L’ olig. in Sicilia (Comunicazione del 7 Febbraio 1874 fatta all’ Accademia delle Scienze fisi- che e matematiche Napoli.

(3) De Gbegorio Sulla fauna delle argille scagliose di Sicilia (Oligocene Eocene ecc. Pa- lermo 1881).

Atti Acc. Yol. II, Serie 4a

12

82

L’ Oligocene dei dintorni di Termini-Imerese

scagliose, e 1’ esatta separazione di esse secondo i livelli ai quali appar- tengono.

L’ eocene nei dintorni di Termini-Imerese è rappresentato chiara- mente da due membri, di argille scagliose con calcari grigi ed arenarie intercalate, e da schisti marnosi biancastri fuchitici con intercalazioni di argille scagliose, lenti e strati di calcari compatti o cristallini con num- muliti ed alveoline. Le argille si manifestano sulla spiaggia accanto la rupe del castello e presso la stazione ferroviaria, e poi s’ innalzano per- le contrade Castel Brucato, vallone Tre pietre, Monacello , S. Arsenio , Impalastro, Cancemi, Rocca, vallone Figurella, Mazzarino, Patara, ecc. , esse contengono una ricca fauna assai caratteristica (1) della quale cito : ’Num. Lucasana Defr., Orbitoides papiracea Boub. , 0. dìspansa Giimb., 0. stellata d’ Arcb. , 0. ephypphium C. v. Sow. Heterostegina reticulata Riitm , Operculina ammonea Leym.

Gli schisti marnosi biancastri che seguono in concordanza conten- gono :

Fucoides (Chondrites) intricatus Brong.

» » furcatus Brong.

Alveolina oblonga Desh.

» sphaeroidea Carter.

» long a Czizeck.

» fusiforme Leym. ecc....

Questi strati ci rappresentano adunque 1’ eocene. Or in taluni luo- ghi delle contrade di Termini-Imerese si sovrappongono a questi strati con fucoidi, rappresentanti il membro superiore del nostro eocene, dei lembi di argille scagliose, con strati di arenaria, i quali contengono una altra fauna. Fra questi lembi scelgo per esempio due che forniscono nelle loro sezioni dei chiari elementi stratigrafici e paleontologici.

In contrada Rocca, poco lungi da Termini-Imerese, si rileva la se- guente sezione. Dal vallone Figurella sale una massa molto potente di argille scagliose, le quali contengono : Nummulites Lucasana Defr.,

(1) Ciofalo Enumerazione dei principali fossili dei dintorni di Termini (Atti dell5 Ac- cademia Gioenia di Scienze Nat. Catania Serie 3a voi. XII).

Ciofalo Cenni sul terreno nummulitico dei dintorni di Termini (Boll, della Società dei Naturalisti di Modena Serie 8a anno fase. 3-4 Modena).

V Oligocene dei dintorni di Tcrmini-lmerese

83

Nnmmulites pseudoscabra Seg\, Orbitoides papiracea Boni). , 0. dispansa Giimb. , 0. Siculo Seg., ecc.... Queste argille eoceniche sostengono alla casa Rallo circa 10 metri di schisti marnosi bianchi, con concentrazione di calcare e di selce con nummuliti, e alternanti spesso con veri strati di calcare grigio sub-cristallino. Questi strati contengono : Alveolina oblon- ga Desh. , Alveolina longa Czizeck; Alveolina fusiforme Levili.; Numm'u- lites striata d’Orb. ; Operculina ammonea Leym., ecc.... Questi fossili li chiariscono per eocenici. Su tali schisti seguono nel fondo di proprietà del Sac. Palumbo, al quale rendo sentite grazie per i fossili comunica- timi, e del Sig. Cosentino un importante lembo di argille scagliose piom- bine, alternanti con un’arenaria giallastra molto potente alla parte su- periore, che vanno ad urtare alla muraglia dolomitica triassica. Queste argille contengono la seguente fauna già notata in parte nelle pubbli- cazioni mie e del Prof. Seguenza citate avanti :

Heliastrea Ellisana Ed et Haime.

» Bordano Reuss.

» immersa Reuss.

» Rochettina Ed Haime.

Isastrea elegans Reuss.

« MichelotMana Cat.

Stylaceoenia taurinensis Ed Haime.

Placophylla constricta Reuss,

Symphyllia sp.

Favia sp.

Trochoseris Himerensis Seg.

Candita Seguenzae Ciof.

» Diblasii Ciof.

Lucina Gemmellaroi Ciof.

Venus Himerensis Ciof.

» De Gregorii Ciof.

Trochus Pigorinii Ciof.

Natica Battagliae Ciof.

CerifMum De Stefanii Ciof.

Cassidaria (Galeodea) ponderosa Seg.

» (Sconsia) Minge De Grog.

» (Sconsia) Virgae De Greg.

Ficaia Condita Brong.

Latirus ?. . . termitanus Ciof.

84

L’ Oligocene dei dintorni di Ter mini- liner ese

Se si esamina questa fauna si vede che 1’ insieme dei eorallarii , come fu già chiarito da me e dal Prof. Seguenza , che ebbe a determi- narli, ci indica la presenza dell’ oligocene. I gasteropodi mostrano la Ficaia condita Brong. che indica le relazioni di tali argille col mioce- ne, e poi alcune specie come la Cassidaria Minae De Greg. , Cassida- ria Virgae De Greg. , Cassidaria ponderosa Seg. , che il Marchese De Gregorio raccolse nelle argille scagliose della provincia di Palermo da lui riferite allo Eocene-oligocene (1).

Ora questo lembo di argille scagliose da me studiato è superiore stratigraficamente agli schisti marnosi dell’ eocene superiore ; esso con- tiene una fauna differente da quella delle argille scagliose chiaramente eoceniche, inferiori a detti schisti, e tale fauna contenendo non pochi corallari dell’ Oligocene del Vicentino e la Ficaia condita del Miocene, mi pare che possa rapportarsi all’ Oligocene.

SEZIONE DA TRABIA AL FIUME S. LEONARDO

Un’ altra sezione molto importante si presenta presso Trabia. La forte .massa di schisti marnosi {a) dell’ eocene superiore di Patara, col so- vrastante conglomerato quaternario (c) del S. Leonardo , si continuano fin presso Trabia, accanto al qual paese, nel vallone della Madonna, si so- vrappongono su di essi delle argille scagliose ( b ) piombine o giallastre,.

(1) De Gregorio op. cit.

L' Oligocene dei dintorni di Termini-Imerese

85

alternanti con arenaria giallastra, che si continuano fin oltre la contrada Camercia e terminano dentro il paese cioè al Calvario con una spessa massa di arenaria. In queste argille, nelle contrade Camercia e Giardi- nello si raccolgono parecchi fossili, i quali se non sono molto abbon- danti, offrono non di meno buoni elementi per la determinazione della loro età. Le specie rinvenute sin ora in tali argille sono :

Cassidaria ( Sconsia ) Virgae De Greg.

Cassidaria (Sconsia) Minae De Greg.

Cassidaria (Galeodea) ponderosa Seg.

Natica cfr. auriculata Grat.

Le prime tre di queste specie notate sono comuni con le argille della Rocca la cui età abbiamo già chiarito per oligocenica, mentre la Natica auriculata Grat. è nettamente oligocenica; sicché queste argille con arenarie di Trabia pei caratteri paleontologici e stratigrafici mi pare che si debbano riferire anche all’ oligocene.

Da taluni forse possono riguardarsi tali argille come parte dell’eo- cene superiore, ma a dir vero questa formazione costantemente superiore agli schisti marnosi, con una fauna sua propria, mostra nell’ associazio- ne di una arenaria assai potente e differente nei caratteri litologici da quella eocenica tale un carattere proprio che chi si reca sui luoghi a visitarla è- naturalmente condotto a separarla dai sottostanti strati net- tamente eocenici.

Io del resto esprimo tale opinione col massimo riserbo sperando che questo mio modesto contributo possa chiamare altri studiosi su quanto sopra ho scritto.

PARTE PALEONTOLOGICA

LAMELLIBR AN CHI.

Candita Seguenzae Ciof.

(Tav. A, fig. 1 a, b,)

Conchiglia gonfia, inequilaterale e debolmente carenata. Lato ante- riore corto e arrotondito, lato posteriore trasversalmente allungato; apici

86

L’ Oligocene dei dintorni di Termini- liner ese

piccoli, gonfii e ricurvi; lunula piccola e discretamente profonda, liga- mento dritto. La superficie della conchiglia è ornata di 15 coste radi- cali, distinte; arrotondite sopra, separate da spazi quasi più grandi del- la loro grossezza, le quali intersecate dalle forti linee di accrescimento, divergono in due o tre punti squamose. Orlo inferiore dentato.

Questa specie è vicinissima alla Cardita Arduini Brognart (1) e io le avrei riunite se la specie di Termini-Imerese non presentasse dei contrassegni particolari come sono : la maggiore gonfiezza della conchi- glia, il numero minore delle sue coste e la forma che è meno trasver- sale, non che il carattere delle rare squame che ornano le coste, squa- me che sono abbondantissime nella Cardita Arduini.

Contrada Rocca Collezione Ciof.

Cardita Di Blasii Ciof.

(Tavola A, fig. 2a a, b.)

La conchiglia è trasversalmente allungata e sub-trapezzoidale, ine- quilaterale. Il lato anteriore è corto ed arrotondito; il posteriore obbli- quamente allungato e pure arrotondito. La superficie della conchiglia è coperta di numerosissime coste radicali, arrotondite , separate da stretti spazi e da strie di accrescimento concentriche.

Gli apici sono gonfii , piccoli e ricurvi verso avanti. La lunula è discretamente larga, cordiforme e contornata da un solco.

Questa specie è vicinissima alla Cardita Seguenzae Ciof., dalla quale si distingue essenzialmente pel carattere delle coste che sono as- sai più numerose, più piccole e separate da spazi più stretti. Ha pure molti rapporti colla Cardita Arduini Brognart, dalla quale si distingue anche per le coste che sono più numerose , più piccole e separate da spazi più stretti.

Contrada Rocca.

Collezione Ciof.

(1) Brognart Memoire sur les terrains de sediment Pag'. 79 tavola 5a fig. 2a a, b.

L' Oligocene dei dintorni di Ter mini- liner ese

87

Lucina Gemmellaroi Ciof.

(Tav. A, fig\ 3 a, b.)

Bella specie spessa, più alta che lunga, leggermente obliqua, gon- fia con apici piccoli appuntiti e leggermente ricurvi verso la lunula. Dal- l’ apice al lato posteriore corre un solco profondo che divide la conchi- glia in due parti inegualissime. Lunula ben distinta e discretamente profonda. Ninfa lineare e ben apparente. La superficie della conchiglia porta fortissime strie di accrescimento e delle sottili strie radiali.

Benché di questa specie io non conosca la cerniera, pure non esito riferirla al genere Lucina per l’ insieme dei suoi caratteri esterni. Essa mo- stra anche dei rapporti col genere Axinus, ma se ne distingue essen- zialmente per il forte spessore della conchiglia.

Questa specie è ben distinta pei suoi caratteri e non si può con- fondere con altre specie eoceniche e mioceniche.

Località Rocca.

Collez. Ciof.

Venus Himerensis Ciof.

(Tav. A. fig. 4a a, b.)

Distinta specie gonfia anteriormente attenuata e quasi appuntita, posteriormente arrotondata. Àpici piccoli appuntiti e ricurvi verso avanti. Lunula piccola e poca profonda. La superficie della conchiglia è coperta di forti strie di accrescimento concentriche che prendono la forma di rugosità.

La determinazione generica di questa specie non è assolutamente sicura mancando la conoscenza della cerniera. Questa specie ha dei lon- tani rapporti colla Venus Suessi Michelotti (1), dalla quale però si di- stingue per essere molto più gonfia, di forma assai meno orbicolare con il lato anteriore molto attenuato, e per avere le rugosità concentriche molto meno distinte.

(1) Michelotti Études sur le Miocène inferieur ecc. ecc. pag': 59, tav. VI, fig. 6-7.

88

L Oligocene dei dintorni di Termini-lmerese

Località Contrada Rocca.

Collez. Ciof.

Venus De-Gregori Ciof.

(Tav. A, fig. 5).

Conchiglia più larga che alta, poco convessa, asimmetrica, col la- to anteriore corto ed arrotondito , il lato posteriore trasversalmente al- lungato e pure arrotondito. Apici piccoli e ricurvi verso avanti.

Lunula chiara ma poco profonda. La superficie della conchiglia è coperta di strie di accrescimento concentriche che si presentano in for- ma di rugosità.

La Venus De Gregori si differisce dalla V. Himerensis per le sue minori proporzioni , per la sua forma più trasversalmente allungata , perchè non è gonfia e non ha il lato anteriore attenuato. Ha pure dei rapporti colla Venus Intermedia, Michelotti (1) ; però se ne differisce pria di tutto per le minori dimensioni e poi per le rugosità trasversali non così forti ma molto leggiere.

Località Contrada Rocca.

Collez. Ciof.

GASTEROPODI

Trochus Pi g or imi Ciof.

(Tav. A, fig. 6 a, b)

Conchiglia conica appuntita quasi tanto lunga che larga , rimata. La sua spira che si svolge in un angolo regolare è formata da giri stretti convessi , separati da suture lineari , ornati da una carena no- dulosa che divide ogni giro in due parti ineguali e da un cingolo no- duloso che si trova alla parte posteriore presso alla sutura.

Le nodulosità sono cagionate dalle forti strie trasversali di accre- scimento. L’ ultimo giro è grande, convesso, ornato alla base di costici-

(1) Michelotti Op. cit. Pag. 60, tav. VI, fìg. 10-11.

L’ Oligocene dei dintorni di Ter mini -Imercse

89

ne spirali leggermente nodulose. L’ apertura è obliguamente sub-quadran- golare.

Il Trochus Pigorini è vicino al Trochus Reunieri Fuchs del Vi- centino (1); però se ne differisce per la sua forma meno conica e me- no appuntata, pei giri che sono più convessi e colla carena non posta sulla sutura, per la mancanza di strie spirali, non che per le maggiori proporzioni.

Località. Si presenta raro nelle argille della contrada Rocca.

Collez. Ciofalo.

Natica Baita gl ice Ciof.

(Tav. A, fig'. 7 a, bl.

Conchiglia globosa, largamente ombel beata. Spira corta, formata da giri stretti, convessi, separati da suture canaliculate, e dei quali 1’ ulti- mo è grandissimo , ventricoso e forma la massima parte della conchi- glia. L’ apertura è grande e semilunare, il lato coìumellare porta una chiara callosità.

Questa specie è ben distinta fra le natiche eoceniche e mioceniche. Mostra molti rapporti colla Natica amiculata Gratéloup (2), dalla quale si distingue per le minori proporzioni, per la bocca più piccola e molto semilunare, la spira più lunga e 1’ ombellico più profondo. Mostra an- che dei rapporti con la Natica Garnieri Bayan , dalla quale si distin- gue per essere meno globulosa, per avere la bocca più stretta e assai più semi-lunare e 1’ ombellico più grande e più profondo.

Questa conchiglia si rinviene anco nelle argille scagliose della con- trada Rocca.

Collez. Ciofalo.

Cerithium De Stefani Ciof.

(Tav. A, fig. 8)

Conchiglia turriculata , appuntita , composta da giri alti , lisci, di-

( 1) Fuchs , Beitrag z. Kenntniss ci. Conchylienfauna des Vicent. Fertiar Gebriges , pag. 24 tav. XI 4-6.

(2) Geatéloup Conchiologie fossile ecc. Tav. IV fig. 5-8.

Atti Acc. Vol. II, Serie 4a

13

90

V Oligocene dei dintorni di Termini- Imerese

sposti a gradini , scavati dietro e fortemente carenati avanti , separata da suture lineari ma distinte. L’ultimo giro è angoloso alla base ; la forma dell’ apertura non è esattamente descrivibile essendo sciupata; però i caratteri generici sono chiaramente rilevabili dall’andamento delle strie di accrescimento.

Questa specie ha molti rapporti col Ceritliium Arada sii De Greg. (1) dal quale si differisce per l’angolo spirale più grande, i giri meno nu- merosi, più profondamente scavati, sotto lisci e con le carene non gra- nulate. Ha anche delle analogie col Cerithium trochoides Fuchs (2), ma se ne separa per la sua forma più turricolata, per le maggiori propor- zioni e per la posizione della carena dei giri che si trova quasi sulla sutura.

Località. Argille scagliose della contrada Rocca.

Collez. Ciofalo.

Cassidaria (Galeodea) Ponderosa Seg.

1881 Cassidaria Ponderosa Seg. De Gregorio Sulle faune delle argille scagliose di Sicilia ecc, pag. 24 tav. 2 fig. 13 a, b.

Questa specie corrisponde pei suoi caratteri assai bene alla Cas- sidaria Ponderosa Seg. descritta e figurata dal Marchese De Gregorio. Essa non presenta tali contrassegni particolari perchè io la debba nuo- vamente descrivere.

Si presenta questa specie abbondante nelle argille scagliose della contrada Rocca, e a Trabia in quelle di contrada Camercia.

Collez. Ciofalo.

Cassidaria (Sconsia) Minae De Greg.

1881 Cassidaria Minae De Greg. Sulla fauna delle argille scagliose di Sicilia ecc. pag. 23, fig. 3a a, b, c tavola. I.

(1) De Gregorio Sulle faune delle argille scagliose di Sicilia ecc. Pag. 31 tav. 2. fi- gura 9-10.

(2) Fuchs, Beitrag z. Kenntniss d. Conchylienfauna des Viceut. Fertiaz Gebriges Tav. VI fig. 28-30 pag. 22.

L’ Oligocene dei dintorni di Termini-Tvnerese

91

Parecchi esemplari di una Cassidaria delle argille scagliose della contrada Rocca corrispondono in tutti i caratteri alla Cassidaria Minae De Greg., sicché credo di poterla determinare con la massima sicurezza. Un superficiale paragone della figura pubblicata dal Marchese De Gre- gorio e della mia persuade subito della identità di questi esemplari.

Discretamente abbondante si trova nelle argille scagliose di con- trada Rocca e della contrada S. Arsenio.

Collez. Ciofalo.

Cassidaria ( Sconsia ) Virgae De Greg.

1881 - Cassidaria ( Sconsia ) Virgae De Greg. Sulle argille sca- gliose di Sicilia ecc. pag. 21 tavola YII fig. la.

Nelle argille scagliose di contrada Rocca ed in quelle di contrada Camercia presso Trabia, si presentano non pochi esemplari della Cas- sidaria Yirgae De Greg., i quali corrispondono assai bene alle figure pubblicate dal sopradetto autore. Questi esemplari trovati in argille su- periori agli schisti marnosi dello eocene superiore , stabiliscono bene il giacimento di questa specie.

Località Rocca e Camercia.

Collez. Ciofalo.

Ficaia condita Brongnart.

1823 Pyrula condita Brongnart Mem. sur les terr. cale, trapp. du Yicentin pag. 75, tav. YI, fig. 4a.

1824 Pgrula condita Bronn Sistème des urnelthichen Conchylien pag. 50, tav. 3\

1833 Pyrula condita Grateloup tabi, des Coq. foss. du bass de l’Adour pag. 46 N. 412.

1840 Pyrula condita Grateloup Alias Conch. foss. du Bassain de l’Adour; tabi. 26, fig. 9-10.

1847 Pyrula condita Michelotti Descrip. des fossiles Mioc. de l’ Italie Septent. pag. 267.

92

L’ Oligocene dei dintorni di Termini-Imerese

1856 Pyrulci condita Hornas die fossilen Molluscken des tertiaere

Beckens— von Wien pag. 270, tav. 28, figura 5-6.

1881 Ficula condita De Gregorio Sulla fauna delle argille sca- gliose — pag. 20.

Conchiglia piriforme colla spira bassissima e quasi appianata ; ul- timo giro grandissimo, che avvolge quasi tutti gli altri. Apertura larga ovale, labbro sottile. La superficie della conchiglia è ornata di costicine trasversali filiformi ed avvicinate tra di loro , intersecate da coste tra- sversali più grosse, fra le quali se ne interpongono altre finissime; così ne risulta una ornamentazione a forma di una elegante trama.

Questi contrassegni corrispondono bene alla specie del Brongnart citata sopra, sicché non vi è dubbio sulla sua esatta determinazione spe- cifica. Il modo della sua ornamentazione la differisce dalla vicina Pyrula geometra Borson.

Questa specie si presenta con una certa abbondanza nelle argille scagliose sovrapposte agli schisti dell’ eocene superiore della contrada Rocca.

Collez. Ciofalo.

Latirus ? termitanus Ciof.

( Tav. A. fig. 9 a, b )

Conchiglia piccola, pupoide con la spira corta formata da giri stretti, convessi, separati da suture leggermente canaliculate. Essi ornati di forti pieghe trasversali terminate inferiormente da un leggiero tubercolo, e di un solco spirale posto poco al disopra della sutura. Questo solco è la traccia lasciata dal canale dell’ apertura. L’ ultimo giro è grande, un po’ ventricoso e forma quasi i due terzi della lunghezza della conchiglia. Esso è ornato alla base di chiare strie spirali. L’ apertura è ovale e posteriormente canaliculata. Il labbro è tagliente. La columella porta una chiara callosità e due pieghe trasversali. Essendo l’ apertura di questa specie mal conservata la determinazione genuina rimane , a dir vero ,

L' Oligocene dei dintorni di Termini-Imerese

93

un po’ incerta, però fra i fusidi , questa specie ha le più strette rela- zioni col genere Latirus , per la presenza del canale posteriore della apertura , per la callosità columellare e per le pieghe della colu niella , sebbene non presenta quella spira allungata che sogliono avere i La- tirus.

Località Rocca.

Collez. Ciofalo.

Tav. A.

ANIMALI PARASSITI DELL UOMO IN SICILIA

Monografia

del Dottor S. C ALAN DRUC CIO

Essendomi occupato, in modo speciale nel laboratorio di Zoologia, diretto dal professore Grassi , degli Animali parassiti dell’ uomo , ho dovuto pur troppo , notare che pochissime sono le notizie pubblicate sui parassiti dell’ uomo in Sicilia : appena una compilazione del pro- fessore L. Fasce (1) e un abbozzo di monografìa del dottor Galvagno (2).

Ciò mi ha persuaso di riassumere con speciale riguardo alla di- stribuzione geografica , alla via d’ infezione e ai sintomi morbosi tutti i fatti finora riscontrati in parte insieme col professore Grassi e in parte da me. solo. Vero è che essi si trovano già resi di pubblica ra- gione, ma sono sparsi in varie note e memorie di storia naturale, sic- ché non possono richiamare a sufficienza l’attenzione del medico pratico.

Ecco intanto il quadro dei parassiti dell’ uomo sinora riscontrati.

Protom.

1. Megastoma entericum (Grassi)

2. Amoeba coli ( Loscli )

3. Trichomonas intestinali^ (Davaine)

Nematocli.

1. Ascaris lumbricoides (Clap.)

2. Oxyuris vermicolaris (Brernser)

3. Trichocephalus hominis ( Schrank )

4. Anchilostomum duodenale (Dubini)

(1) Fasce L. Parassiti dell’uomo descritti. Palermo 1870 in con tre tavole. Non tengo conto di tal pubblicazione, perchè l’A. il 5 aprile 1888 mi scriveva : <■ Tutto quanto ho pub- blicato sugli elminti è un lavoro di compilazione, tratto in massima parte dal Leuckart,

(2) Galvagno P. Vermi e verminazione. Piacenza 1885 Tip. Giacomo Favari.

Atti Acc. Vol. II, Serie 4a

14

96

Animali parassiti dell' uomo in Sicilia

5. Strongyloides ( Rhabdonema ) intestinalis {Grassi)

6. Filaria inermis ( Grassi )

Acantocefali.

1. Taenia soliura ( Linneo )

2. Taenia soliuni varietas-minor {Guzzardi)

3. Taenia mediocanellata (. Hiichenmeister )

4. Taenia nana (. Bilharz )

5. Echinococchi.

6. Taenia leptocephala (i Oreplin )

Discofori.

1. Haemopis sp. {vorax?) {Mog. Tand)

{Sanguisuga cavallina volgare )

Aracnidi.

1. Sarcoptes hominis {Rasp.)

2. Ixodes sp.

Ditteri.

1. Larva di dittero che non si è potuto determinare.

2. Hypoderma bovis {De Géer )

Afanitteri.

1. Pulex irritans {Linneo)

Emitteri.

1. Cimex lectularius {Linneo)

Animali parassiti dell' uomo in Sicilia

97

Atteri.

1. Pediculus capitis ( Deg )

2. Pediculus vestimenti (Barin.)

3. Phthirius pubis ( Linneo )

Megastoma entericum (Grassi)

Nel 1879 il professor Grassi descrisse brevemente una singolare forma di monade, ch’egli aveva scoperto a Rovellasca nel Mus muscu- lus, nel Mus decumanus , nel Mus selvaticus e nell’Arvicola arvalis, per cui lo denominava Dimorplms muris. Questa stessa specie venne dallo stesso riscontrata nel 1881 sempre a Rovellasca, nel gatto e nel- l’uomo, e allora, credendo insufficiente il nome di Dimorplms muris, vi sostituì quello di Megastoma entericum (1).

Nel 1884 poi riscontrammo questo parassita nelle pecore e nei topi della Sicilia (2).

Avendo fatto attente ricerche nelle feci dell’uomo, in gennaio del 1887 ho riscontrato il primo caso di Megastomi nell’uomo in un in- fermo dell’ospedale di S. Marta. Eccone in succinto la storia.

Lucchi G. di 45 anni da Bologna, commesso viaggiatore, da 17 anni dimora in Sicilia. Il 13 gennaio venne ricoverato all’ospedale per curarsi d’un restringimento uretrale e di cistite cronica : intanto soffri- va anche diarrea profusa.

Richiesto sui precedenti , egli afferma che da otto anni a questa parte ha spesso patito in estate di diarrea, meno in inverno, per così dire ad eccessi della durata di otto a dieci giorni ciascuno , cessando sempre coll’ uso del laudano e delle limonee fredde. Ogni volta eh’ è stato assalito dalla diarrea , specialmente in estate , assicura di essere divenuto macilente, e d’ aver sofferto un senso di spossatezza e di pena.

(1) Gazzetta degli Ospitali. Anno II N. 13-14-15

(2) Intorno ad una malattia parassitarla (Cachessia Ittero verminosa). Atti dell’ Accade- mia Gioenia di Scienze Naturali in Catania Serie 3a Voi. XVIII. Tip. Gelatola.

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Avimali parassiti dell’ uomo in Sicilia

Al presente, 16 gennaio 1887, le feci si presentano liquide acquose, di color giallo nerastro, di reazione acida. Esaminate al microscopio, si riscontrano numerose cellule di grasso , corpuscoli sanguigni in via di disfacimento e numerosissimi megastomi. La diarrea è cessata dopo otto giorni coll’uso degli astringenti: acido tannico ed oppio.

Il Lucchi, rimessosi in salute, mi porse l’occasione di riesaminare le sue feci dopo quindici giorni, un’altra volta dopo undici giorni, e ho riscontrato ancora i megastomi , però incistatì e diminuiti alquanto di numero, le feci erano pultacee.

Lo scorso anno , nelle ricerche istituite per la Taenia nana , ab- biamo col professore Grassi, per ben tre volte, riscontrato nelle feci di tre ragazzi numerosi megastomi incapsulati, che apparentemente almeno, non apportavano alcun disturbo intestinale. Recentemente un individuo adulto catanese presentava nelle sue feci un numero straordinariamente grande di megastomi incapsulati; egli assicura d’aver sofferto e di soffrire tuttavia disturbi gastro-intestinali, e non di rado sintomi riflessi dandole nervosa.

10 raccomando all’attenzione dei medici il megastoma : sarebbe in- teressante di studiare minutamente i casi di megastomi, essendo provato che questi vivono a spese delle cellule dei villi intestinali e pare, in certi casi, siano origine di grave malattia.

Ciclo evolutivo.

11 ciclo evolutivo dei megastomi era imperfettamente noto: lo scorso anno, presentatasi l’occasione d’ averli trovati numerosissimi e incistati nelle feci d’un individuo, eseguii su di me l’esperimento, inghiottendo, cioè, dopo aver osservato che nel mio intestino non albergava tale pa- rassita, una quantità di queste cisti, e dopo circa venticinque giorni, ebbi a trovare nelle mie feci diarroiche bei megastomi non incapsu- lati , e più tardi , quando le feci divennero pultacee , dei megastomi incapsulati. Il mio esperimento conferma quanto ebbe già a verificare il professore Perroncito nel Mus musculus e il professore Grassi nel Mus decumanus.

Animali parassiti dell' uomo in Sicilia

99

Io non ho potuto notare che i megastomi mi abbiano prodotto alcun disturbo.

Cura.

Non si è ancora potuto trovare un metodo di cura sicuro per fare espellere i megastomi.

AMOEBA COLI (Lòsch)

L’ Amoeba coli è stata osservata la prima volta a Pietroburgo in un individuo affetto di grave colite. Dal numero grande di amibe rin- venute, il Losch ritenne che essa fosse la causa della malattia.

Nel 1878 il professore Grassi la rinvenne nelle feci sei volte, però sempre in iscarso numero, e non le concesse alcun valore patogenetico.

Il Cunningham a Calcutta venne poi alla stessa conclusione del Grassi. Recentemente il Hartulis , riportato da Grassi (1) (Virchow s. Arehiv. 1886) ed altri (Centralblatt f. Bacter 1887) han detto che questa amiba è cagione di quella malattia infettiva che si denomina dissenteria epidemica.

Dopo nuove ed estese ricerche il professore Grassi ritiene ancora che questo parassita sia un innocente commensale dell’uomo.

In Sicilia, avendo istituite, dietro consiglio del sullodato professore, nuove ricerche intorno alla Amoeba coli, l’ho trovata comunissima negli individui che soffrivano diarrea o dissenteria ab ingestis , e nelle feci pultacee di molti individui sani.

Abbiamo scoperto che 1’ Amoeba coli dell’ uomo s’ incapsula come 1’ Amoeba Blattarium Biitschli. Le capsule , quando sono pervenute a completo sviluppo, contengono un numero vario di nuclei (tre-sei-nove) circondati da scarso protoplasma , e colorabili colla soluzione alcoolica di jodio.

Abbiamo riscontrato tutti gli stadi! intermedi : dalle amibe tondeg- gianti e senza involucro alle capsule in discorso. Queste risaltano nelle

(1) Significato patologico dei protozoi parassiti dell’ uomo. Rendiconti dell’Accademia dei Lincei. Voi. IV, fase. 2°, Semestre. Seduta del 22 gennaio 1888.

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Animali parassiti dell’ uomo in Sicilia

feci, perchè incolori e splendenti, e sono un po’ più piccole delle amibe da cui derivano.

La diagnosi dell’Amoeba coli si fa ricercando nelle feci le Amibe incapsulate o no.

10 ho fatto su di me esperimenti , inghiottendo molte Amibe in- capsulate e dopo dodici giorni mi si sono sviluppate, riscontrandole nelle feci. Ripetuti questi esperimenti hanno dato sempre risultato positivo: e siamo venuti alla conclusione che inghiottendo 1’ uomo queste capsule, probabilmente si sviluppano nel suo intestino tante Amibe per quanti sono i nuclei in esse contenute.

Probabilmente le Amibe , una volta sviluppate nell’ intestino , si moltiplicano innumerevolmente per semplice scissione.

TRICHOMONAS INTESTINALIS (Davaine).

11 Trichomonas intestinalis in Sicilia si riscontra molto comune nelle feci liquide della maggior parte dei diarroici, e non di rado numeroso nelle feci recenti dei tifosi.

Alcuni autori, come Ekekrantz, Zunker e Leuckart sospettano che questo parassita sia capace d’ irritare 1’ intestino , e cagione perciò di malattia, ma il prof. Grassi ha dimostrato, sin dal 1878, che il Tricho- monas intestinalis è un parassita innocente.

ASCARXS LUMBRICOIDES (Clap.)

Non rare volte si riscontrano nelle feci dell’ uomo delle uova al- lungate che, a tutta prima, ricordano quelle del distoma epatico.

Abbiamo determinato che queste sono uova di ascaride non fecon- date. Cinque individui, i quali eliminavano queste uova, albergavano nel loro intestino un solo o pochi ascaridi di sesso femminile , senza alcun maschio.

Tali uova, se vengono coltivate, non si sviluppano ulteriormente.

Ciclo evolutivo.

Sorprende come d’ un parassita comune sia stato sinora scono- sciuto il ciclo evolutivo.

Animali parassiti dell' nonio in Sicilia

101

Il Leuckart coltivava le uova di ascaride nel fango, e, quando gli embrioni nell’ uovo erano maturi e vivaci le ingoiava, o le faceva in- goiare da altri. Avendo ottenuto dai suoi esperimenti un successo nega- tivo , emise 1’ opinione che gli ascaridi, prima d’ arrivare nell’ intestino umano, passano lo stato larvale in un ospite intermedio.

11 Davaine ammetteva che le uova di questo elminto maturassero all’ aperto, e, nello stato di maturità, pervenendo nell’ intestino umano con le acque potabili, si schiudessero, e si sviluppassero.

Il professor Grassi, coltivando per il primo le uova di ascaride, non nel fango, ma nelle medesime feci con cui venivano eliminate, dopo un mese che aveva inghiottito di tali uova con entro embrioni vivaci e maturi , trovò constantemente nelle sue feci poche uova di ascaride. Con tutto ciò il Leuckart continuava nella sua opinione, e con lui molti altri, tanto che il Linstow credette d’ aver trovato un miriapodo ( Ju - lus guttulatus) quale ospite intermedio.

Dietro consiglio del prof. Grassi, ripresi a studiare l’argomento.

In dicembre 1885, in gennajo , in luglio e in ottobre del 1886, mi procurai delle feci umane, contenenti numerose uova di ascaride , e

tenni queste feci , come aveva fatto il Grassi, alla temperatura ordina-

ria dell’ ambiente. Le uova di dicembre e di gennajo presentavano em- brioni maturi appena dopo circa sei mesi, quelle di luglio e di settem- bre invece, già dopo due settimane.

Dopo di essermi persuaso, con ripetuto e paziente esame delle feci, che nel mio intestino, non albergava nessun nematode, il 27 di giugno inghiottii dopo il pranzo delle uova con gli embrioni vivacissimi e giunti al massimo sviluppo. La mattina del trenta giugno, dopo una piccola colazione, ne inghiotii delle altre, e, vedendo che gli embrioni nelle uova si mantenevano belli e vivaci, volli continuare ad inghiottirne il 4, 1’ 8

e il 13 luglio, e poscia il 5, il 9, il 18 e il 20 settembre, sempre a

digiuno. Dal primo luglio 1886 fino a tutto ottobre non tralasciai, ogni due giorni, di esaminare le mie feci, e non vi rinvenni uova d’ ascari- de. Supponendo che il mio succo gastrico digerisse gli embrioni conte- nuti nelle uova, e perciò il risultato dell’ esperimento fosse negativo, volli tentare di ripeterlo in un ragazzo dell’ età di sette anni.

102

Animali parassiti dell' uomo in Sicilia

B. C., fanciullo di sette anni, di costituzione linfatica, non ha sof- ferto alcuna malattia , esaminate le feci da lui evacuate , ho rinvenuto uova di ascaride. Gli amministrai una buona dose di santonina , e, dopo circa sei ore, un purgante d’olio di ricino. Eliminò sei grossi ascaridi; il giorno seguente riesaminai al microscopio le feci fresche del ragazzo, e constatai che le uova erano diminuite, ma non interamente scomparse.

Dopo tre giorni della prima amministrazione, gli feci prendere una altra dose di santonina, e poscia l’olio di ricino. Eliminò questa volta due grossi ascaridi.

Per otto giorni continuai ad esaminare attentamente le feci fresche che il fanciullo evacuava e non vi trovai alcun uovo di elminto.

Fattomi sicuro dell’ assenza degli ascaridi nell’ intestino de) fanciullo, il 20 settembre del 1886 gli feci inghiottire una grossa pillola d’uova di ascaride, contenendo circa cinquecento embrioni vivaci al massimo sviluppo, e lo tenni in una dieta rigorosissima, (non uso di verdure, ac- qua di fonte pura ecc.) fino a tutto ottobre, per escludere che per al- tra via potesse prendere gli ascaridi.

Alla fine di ottobre, esaminate le feci del fanciullo, rinvenni con mio grande compiacimento numerose uova di ascaride , e dopo pochi giorni ebbi a verificare che queste erano cresciute numerosamente. Il ra- gazzo era quindi infetto di numerosi ascaridi secondo ogni verosomi- glianza derivati dalla pillola che gli avevo fatto inghiottire.

Fino il 30 dicembre del 1886 il fanciullo non presentò alcun sin- tomo rilevabile, mantenendosi sempre sano; però verso la mezzanotte di questo giorno , dopo un lungo sonno , si svegliò piangendo e lamen- tandosi non solo per la forte cefalea, ma anche per un senso di dolore acuto per tutta la gamba destra, in modo da non poterla muovere. Tutto il giorno seguente, oltre a questi disturbi, mostrava assoluta inappeten- za. Verso sera quei disturbi erano cessati: la funzione della gamba era ritornata al normale , gli sopravvenne però un senso di bruciore agli occhi, i quali involontariamente lagrimavano; e tale senso durò per pa- recchie ore.

Qui conviene domandarci : E possibile questi sintomi che presen- tava il fanciullo siano proprii quelli dell’ ascariasi ? E molto difficile ri-

Animali parassiti dell' nomo in Sicilia

103

spondere assolutamente in modo positivo. La bocca non mandava alcun odore speciale; non aveva prurito al naso, dolori addominali, alcun altro fenomeno, creduto speciale dell’ ascariasi.

Questi fenomeni non si rinnovarono più.

Il dottor Galvagno, in quanto alle cause determinanti a pag. 22 del suo opuscolo dice : (1)

Una seconda causa determinante è 1’ uso di certi speciali ali- menti, quali le frutta acide e zuccherine....

È molto verosimile che 1’ acido speciale della melarancia eser- citi un’azione singolarmente eccitante sui lombricoidi da metterli in tale movimento da produrre intense manifestazioni verminose; in que- st’ anno noi abbiamo osservato molti casi, tutti presentavano questa causa prossima e determinante.

Nell’ottobre di quasi tutti gli anni è invece l’ abuso dei Fichi- dindia quello che produce più frenquentemente le manifestazioni ver- minose.

E a pag. 23: L’uso insufficiente degli antelmintici alla sua volta può rendersi causa di verminazione : tutte le volte che la santonina od altro farmaco non è amministrato nelle dovute quantità , accade che i vermi subiscono un principio di avvelenamento che li rende ammalati in grado lieve, e quindi incorniciano a muoversi bruseamen- te cagionando dolori, congestioni negl’ intestini e spesso diarrea.

Per constatare queste cause determinanti, asserite dal dottor Gal- vagno, io eseguii alcuni esperimenti, sul fanciullo B. C. di cui abbiamo tenuto parola.

1. Dal al 5 dicembre del 1886 lo nutrii con 15 centesimi di pane e 40 fichidindia al giorno; egli stette sempre bene, senza presen- tare alcun fenomeno speciale.

2. Il 5 gennaio dell’anno 1887 gli feci mangiare in un giorno venti centesimi di pane e venti arance; e non presentò nessun fenomeno.

3. Il 7 gennaio lo tenni quasi digiuno, e solo verso sera gli feci

(1) Verme e verminazione Contributo alla patalogia e Clinica pediatrica Piacenza ls8ó. Tip. Giacomo Favari.

Atti Acc. Vol. II, Serie 4a

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Animali parassiti dell' nomo in Sicilia

mangiare 200 grammi di zucchero, e 300 di dolci , eppure la notte dormì bene e l’ indomani mostrassi sanissimo.

4. Tre giorni dopo, di mattina, gli feci ingoiare a digiuno una pillola contenente quattro centigrammi di santonina in un grammo di zucchero. Tutto il giorno e la notte non risentì alcun disturbo; la mat- tina, dopo circa ventidue ore dell1 amministrazione del farmaco, evacuò un numero grandissimo di ascaridi raggomitolaci e ancor vivi; enume- rati, erano novantuno, quasi tutti della medesima grandezza. Dopo tre ore della prima evacuazione ne ebbe un’ altra, ed un’ ultima dopo sei ore, ed evacuò altri sessantuno ascaridi sempre della medesima gran- dezza. Altri due ne eliminò 1’ indomani. Intanto il fanciullo non soffrì alcun disturbo.

Esaminate dopo pochi giorni le sue feci , constatai che le uova d’ ascaride si mantenevano numerosissime. Il fanciullo non ha ancora oggi eliminato gli ascaridi, riscontrandosi nelle sue feci numeróse le uova di tali elminti, e non ha avuto a risentire, risente alcuna mi- nima sofferenza.

L’ enorme quantità d’ ascaridi che si svilupparono in questo mio caso, concorre a far credere che essi siano molto verosimilmente deri- vati dalla pillola presa, contenenti gli embrioni nell’ uovo. Vero è che nei nostri paesi gli ascaridi sono frequenti , però in così gran numero è una grande eccezione.

Ho voluto misurare alcuni ascaridi, presi a caso della massa.

Misure di 30 ascaridi femmine, millimetri 230; 217; 219; 137; 218; 236; 266; 244; 208; 218; 192; 220; 225; 232; 140; 221; 217; 225; 227; 265; 285; 251; 227; 227; 262; 247; 228; 304; 287; 265..

Misure di 16 ascaridi maschi, millimitri 165 ; 147 ; 186 ; 185 ;

203; 204; 205; 185; 205; 122; 185; 203; 131; 183; 206; 148.

Un cenno di questi esperimenti aveva già pubblicato, in mio no- me, il professore Grassi nel Centralblatt il 1887 (1).

Questi miei esperimenti, confermati recentemente dal Lutz, dimo- strano che gli ascaridi pervengono nell’ intestino umano in modo diretto,.

(1 ) Centralblatt fur Bacteriologie und Parassitenkunde I Jahrgang 1887, I Band N. 5.

Animali parassiti dell’ uomo in Sicilia

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senza alcun ospite intermedio, però egli va errato , credendo di essere il primo a far notare che forse il risultato negativo degli esperimenti del Leuckart, si debba addebitare a ciò che le uova coltivate nel fang-o, come ha fatto il Leuckart, perdono lo strato esterno (albuminoso) del guscio, sicché il succo gastrico arriva a penetrare nell’ uovo e ad ucci- dere l’embrione. Ciò aveva preveduto il Grassi, il quale aveva fatto gii esperimenti coltivando le uova nella stessa feccia con cui vengono eli- minate, modalità che seguii io pure.

E del pari certo che questa ragione della perdita dell’ involucro albuminoso non è 1’ unica che spiega i risultati negativi del Leuckart, e ciò come risulta dagli esperimenti fatti sopra di me (v. sopra).

Quello che importa si è, che l’ospite presenti la predisposizione, cioè le condizioni opportune affinchè gli embrioni si possono ulterior- mente sviluppare.

Etioiogia.

Divido le cause in disponenti e in occasionali.

a ) Cause disponenti.

1. Paesi. Ho trovato numerosissime le uova di ascaride nelle feci di molti individui di quasi tutti i paesi della provincia di Messina e di Catania e, nel 1885, nelle feci di molti individui di Palermo.

2. Condizioni climatiche. Richiamiamo , come si è già detto , che gli ascaridi nell’inverno e nella primavera si sviluppano lentissimamente e che invece in estate e in autunno il loro sviluppo compiesi in bre- ve tempo.

3. Sesso. E comune tanto nell’ uomo che nella donna.

4. Età. I bambini e i ragazzi sono più infestati che gli adulti. Nelle feci dei bambini lattanti da uno a otto mesi, non ho mai riscon- trato uova di ascaride.

L’ individuo più giovane in cui ho riscontrato 1’ ascaride aveva appena nove mesi, era una bambina, ma costei oltre del latte, veniva

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Animali parassiti dell' uomo in Sicilia

nutrita di pappa ; il più vecchio individuo con ascardi aveva novanta- cinque anni.

5. Professioni e condizioni sociali. Ho trovato più numerosi gli ascaridi nella bassa gente , meno numerosi in quelle di ceto civile ; li ho riscontrati numerosissimi nei contadini, pecorai e fornaciai.

6. Condizione individuale. L’ascaride trova più propizio il terreno per Svilupparsi negli individui deboli, gracili, scrofolosi e linfantici.

7. Numero e frequenza del parassita. È frequentissimo. In qua- si tutti i cadaveri sezionati negli anni 1884, 85 e 86 nella scuola di anatomia generale, patologica e medicina operatoria trovai sempre gli ascaridi in piccol numero negli adulti, piuttosto numerosi nei ragazzi, giammai nei bambini lattanti.

b) Cause occasionali.

Avendo mangiate le uova di ascaride, eliminate fresche, e date a mangiare ad altre persone, non si sono sviluppate ; lo che m’ induce a conchiudere che fa bisogno si sviluppino all’ esterno.

Perchè ciò possa accadere, occorre che le feci eliminate non putre- facciano, e che le uova vengano per le piogge, od in altro modo, tra- sportate nel terreno umido.

Le uova, cogli embrioni al massimo sviluppo, possono venire ingo- iate giocando con la terra, come usano fare ì ragazzi, o colle verdure concimate, come si pratica.

OXYURIS VERMICULARIS (Bkemser)

L’ossiuride è comunissimo in Sicilia.

Il ciclo evolutivo di questo nematode era già noto per gli esperi- menti di Leuckart, di Zenker e di Grassi. Lo scorso anno ho potuto ripetere 1’ esperimento su di me medesimo, e su di un giovane amico il quale si profferì spontaneamente. Abbiamo entrambi ingoiato degli os- siuridi femmine, e, dopo 18 giorni, cominciò a manifestarsi in noi un

Animali parassiti dell' uomo in Sicilia

107

molesto prurito all’ ano, che si rendeva più noioso in sul far della sera, e nelle feccie apparvero gli ossiuridi.

Etiologia.

Ho trovato comunissimo 1’ ossiuride a Taormina in bambini e in adulti . Spesso ho potuto osservare 1’ infezione in parecchi membri della medesima famiglia. Li ho riscontrato anche in Aci-Bonaccorsi e in Catania, e, non di rado , in quegli individui che ospitavano contempo- raneamente, ascaridi, tricocefali e tenia nana.

Cura.

10 e il mio amico ci siamo liberati degli ossiuridi coir uso dell’e- stratto etereo di felce maschio.

TRICOCEPHALUS HOMINIS (Schrank)

Ciclo evolutivo.

11 ciclo evolutivo di questo comunissimo nematode dell’ uomo era aneli’ esso ignoto.

In gennaio del 1886 mi procurai della feccia contenente uova di tricocefalo; la tenni alla temperatura ordinaria, curando sempre di man- tenere la necessaria umidità.

Le uova cominciarono a segmentarsi nei primi di giugno; gli em- brioni nell’ uovo raggiunsero il massimo sviluppo prima della line dello stesso mese. Appunto il 27 giugno inghiottii un boccone contenente un gran numero di questi embrioni al massimo sviluppo e racchiusi ancora nell’uovo.

Ero già sicuro che nel mio intestino non albergava questo paras- sita, avendo per più di sei mesi , esaminato sempre con molta atten- zione al microscopio le mie feci senza giammai riscontrarvi uova d’ el- minti.

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Avimali parassiti dell1 uomo in Sicilia,

Dal giugno in poi continuai, quasi ogni giorno , a riesaminare al microscopio le feci , e, solo il 24 luglio , rinvenni per la prima volta un certo numero di uova caratteristiche di tale elminto , le quali per altri otto o dieci giorni, crebbero sempre di numero.

Fatta una nnova cultura nella seconda quindicina di giugno dello stesso anno dopo quattordici giorni gli embrioni raggiunsero il mas- simo sviluppo a cui arrivano nell'uovo.

Ripetei con queste uova l’esperimento su di un ragazzo, essendomi prima assicurato dell’ assenza di questo nematode nei suoi intestini. Anche questa volta l’ esperimento riuscì positivo.

Resta dunque determinato che 1’ uomo prende i tricocefali in modo diretto.

Etiologia.

Cause disponenti e occasionali.

a) Cause disponenti.

1. Paesi. Nella provincia di Messina, di Catania, e in quella di Palermo ho trovato, quasi più comune dell’ascaride, il Trichocephalus hominis.

2. Condizioni climatiche. Corrispondono a quelle dell’ascaride.

3. Sesso. Lo stesso può dirsi per il sesso.

4. Età. I bambini lattanti sono esenti. L’individuo più giovine in cui ho riscontrato le uova di tricocefalo aveva quindici mesi, ed era un maschio; il più vecchio contava ottantaquattro anni.

5. Professione e condizione sociale. - Ho trovato sempre più nu- merose le uova nei contadini, nei fornaciai e nei pastori , del resto in persone di qualunque mestiere le ho sempre riscontrato, sebbene in pic- col numero.

E più infestata la bassa gente che il ceto civile.

6. Costituzione individuale. -Non esiste differenza.

7. Numero e frequenza del parassita. Fra venti cadaveri di

Animali parassiti dell nomo in Sicilia ;

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adulti li ho trovato in sedici, e in tre solamente numerosi; non li ho rinvenuto nei cadaveri dei lattanti.

b) Cause occasionali.

Sono uguali a quelle degli ascaridi, e perciò mi riferisco ad essi.

Patogenesi.

Il tricocefalo è ordinariamente inoffensivo.

Bellingham lo riscontrò in ventisei individui, e ciascuno di essi, sia prima, sia durante la malattia che cagionò la morte , non presentò alcun sintomo d’ elmintiasi. Rudolphi non notò fenomeni di sorta in una donna, che , morta per altra malattia , presentò nel crasso più di mille tricocefali.

Sono stati però osservati dei casi in cui tale parassita può pro- vocare la comparsa di sintomi più o meno gravi.

Felice Pascal rapporta un caso di una bambina di quattro anni che presentava fenomeni cerebrali seguite da morte. All’autopsia non trovò che un’enorme quantità di tricocefali nel cieco e nel colon.

Daniele Gibson ha pubblicato le osservazioni sur una bambina che aveva perduto la facoltà di camminare, e della parola per paralisi , e che dopo aver evacuato, a diverse riprese, un gran numero di tricoce- fali , guarì completamente. Barth comunicò alla società di medicina di Parigi la storia di un ammalato dell’ Hotel-Dieu, che morì con tutti i segni d’una meningite; all’autopsia trovò l’encefalo sano, ma l’ intestino racchiudeva una enorme quantità di tricocefali. Roederer e Wagler cre- devano il verme in relazione diretta col morbus mucosus, o febbre tifoidea. Anche Rokintaski più recentemente credette che il tricocefalo facesse parte dell’etiologia della febbre tifoidea.

Delle Chiaje credette che facesse parte della patogenesi del colera. Recentemente Erni, medico a Batavia, ha voluto attribuire al tricocefalo

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Animali parassiti dell uomo in Sicilia

la causa unica ed essenziale del Béribéri o kakke, malattia comune in India.

La teoria di Erni è stata battuta dalle osservazioni dello Sheffer, medico militare nelle Indie, il quale ha osservato, che il tricocefalo, l’anchilostoma provocano i sintomi del Béribéri, trovandosi questi parassiti in cadaveri diversi, e non esclusivamente morti per Béribéri.

Che il tricocefalo non sia in modo assoluto la causa del Béribéri basta a provarlo 1’ osservazione dello stesso Erni , che ha constatato l’assenza completa di tricocefali in sei individui morti di Béribéri su trenta.

Ed in fine il Galvagno intorno al tricocefalo dice:

Noi possiamo dire che dopo d’esserci liberati dei tricocefali alla u Hegar, d’acqua e d’aceto, siamo stati del tutto liberi d’una cefalagia piuttosto violenta che ci vessava da molti anni, e che avendo istituito 4‘ la medesima medicazione , in tre altri individui sofferenti da lungo tempo della medesima cefalagia a forma d’emicrania , dopo esserci assicurati coll’esame microscopico delle fecce che ospitavano il trico- cefalo dispar, ci siamo trovati contenti di tal metodo di cura (1).

Io ho albergato, per circa due anni, numerosi tricocefali, lo stesso il ragazzo su cui ripetei l’ esperimento , e ciò per istudiare i disturbi che potessero recare; in entrambi essi si mostrarono inoffensivi.

Avendo trovato inoltre il tricocefalo comunissimo in molti individui sanissimi , ammetto che esso sia di solito un innocuo commensale del- l’uomo.

Cura.

Profilattica.- -E da raccomandarsi l’uso dell’acqua filtrata, e il non mangiare erbaggi od ortaggi crudi, o almeno che vengano accuratamente lavati.

Diretta. È nota. Ho potuto osservare che 1’ estratto etereo di felce maschio riesce spesso insufficiente ad espellere tutti i tricocefali.

(1) Vedi lavoro citato.

Animali parassiti deli' nomo in Sicilia

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ANCHILOSTOMUM DUODENALE (Dubini).

In Sicilia le uova d’ anchilostoma furono la prima volta osservate dal Grassi a Messina nel 1882 (1).

Nel 1885 io osservai e curai il primo caso d’ anchilostomanemia in un individuo da Taormina (2).

Dopo aver richiamato l’attenzione su questo argomento, furono os- servati dall’ egregio dottor Cammareri due casi in Messina (3), altri due casi nella clinica medica di Palermo dall’ assistente dottor Piazza in due individui provenienti da zolfaje (4). Un altro caso, seguito da guarigio- ne, fu da me studiato nella clinica medica di Catania (5). Un altro caso venne più tardi notato nella clinica medica di Palermo dal dottor Per- nici, che lo unì agli altri due studiati dal dottor Piazza, e ne fece una pubblicazione (6).

I casi da me osservati nella clinica medica di Catania nel biennio 1887-88 furono sei sui seguenti individui:

1. Piscitella Antonino d’anni 15 da Yalguarnera, zolfataio, seguito da guarigione ;

2. Bonasorte Girolamo d’anni 29 d’Atrimoli, contadino, seguito da guarigione;

3. Roccella Angelo d’ anni 22 da Centuripe, zolfataio, seguito da guarigione ;

4. Perri Giuseppe, d’anni 46 da Barcellona, contadino seguito da morte;

5. Manmineci Carmelo, d’ anni 27, contadino, da Castroreale, uscì dall’ospedale senza voler sottomettersi alla cura.

6. Sgro Giovanni di 21 anno, contadino, da Barcellona, oltre al-

ti) Gazzetta degli Ospitali, 21 maggio 1882 N. 41.

(2) Primo caso d’anchilostomanemia in Sicilia. Giornale (li Scienze Mediche anno VII. Fase. 7. 1885.

(3) Gazzetta degli Ospistali, 2 agosto 1885 N. 61.

(4) Riforma medica N. 168, 23 loglio 1886.

(5) Rivista clinica e terapeutica. Anno Vili. N. 10.

(6) Morgagni Tre casi d’ anchilostomiasi in Sicilia nei zolfatai, 1886.

Atti Acc. Vol. II, Serie 4a

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Animali parassiti dell’ uomo in Sicilia

l’ anchilostomanemia fu assalito da pleurite essudativa acuta che lo tras- se a morte.

Mi astengo per brevità di trascrivere la storia clinica di ciascuno, essendo somigliantissime alle due storie cliniche, già da me pubblicate negli anni 1885 e 86, perciò mi riferisco ad esse.

È bene però fare osservare :

1. Nel solo caso di Piscitella , all’esame microscopico delle feci, oltre alle numerose uova d’ anchilostoma, si constatarono numerosissimi i cristalli di Chiarcot.

L’ individuo era così abbattuto, sia dalla febbre quotidiana, sia dal- 1’ anemia gravissima, che dopo essere stato liberato dagli anchilostomi, cadeva spesso in lipotimia; si ristabilì dopo molti mesi sotto una cura ricostituente.

2. Il caso di Perri quando fu ricevuto in clinica era gravissimo, e non si potè tentare la cura. Dopo pochi giorni morì. Sarebbe stata im- portante 1’ autopsia, ma per le condizioni eccezionali in cui versava al- lora la salute pubblica (scoppio del colera) non si potè eseguire.

3. In conclusione quello che si può affermare si è che l’ anchilo- stoma è molto comune in Sicilia , sia nei luoghi di malaria , sia nelle miniere di zolfo (1).

4. Come cura profilattica non credo inutile ripetere ciò che è noto, cioè che i medici raccomandino ai contadini ed ai minatori di zolfo di non bere mai acqua di fosso e di saja.

STRONGYLOIDES (RHABDONEMA) INTESTINALIS (Grassi).

Lo Strongyloides intestinalis, volgarmente anguillola intestinale, in Sicilia è rarissimo.

Ho fatto accurate ricerche nei fornaciai di Messina, di Giardini e di Catania, inoltre nei contadini, nei zolfatai e infine negli infermi per anchilostomiasi e non ho mai riscontrato gli embrioni dello strongy- loides intestinalis.

(1) Recentissimamente ho potuto osservare altri tre casi d’anchilostomanemia in tre indi- vidui adulti, due dei quali a Giardini ed uno a Fiumefreddo.

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Solo una volta il professore Grassi osservò gli embrioni dello Stron- gyloides intestinalis nelle feci di un individuo morto d’ anchilostomiasi nella clinica medica di Catania.

Gli esperimenti eseguiti su di me stesso con 1’ auguillola intesti- nale del Mus decumanus sono sempre riusciti negativi.

Lo scorso anno in primavera riscontrai col dottor Aradas nelle feci (V un infermo, proveniente da Lentini, e non mai uscito dalla Sicilia, le larve di Strongyloides intestinalis.

Presi della feccia di costui , la misi in tre piccole bottiglie , e la tenni alla temperatura dell’ ambiente.

Dopo alcuni giorni, ottenni la generazione in vita libera ed indi le note larve filariformi, o per meglio dire anguilloliformi. Inghiottii molte di queste larve filariformi (le feci erano da dieci giorni nelle bottiglie).

Dopo circa un mese rinvenni nelle mie feci rari embrioni di Stron- gyloides. Esperimenti simili, sono già stati fatti collo stesso risultato dal Grassi sui topi bianchi : egli trovò giovani anguillole quasi mature in que- sti, tre giorni dopo aver fatto loro inghiottire le larve anguilloliformi.

FILARIA INERMIS (Grassi).

La filaria in Sicilia, non deve essere oltremodo rara, poiché se ne contano già due casi nell’ uomo. Il primo caso fu rinvenuto dal dottor Angelo Pace (1), il quale nel 1867 trasse dal connettivo sottocutaneo della palpebra d’ un ragazzo di nove anni un verme filariforme, di 10 centimetri di lunghezza. Il secondo caso fu trovato dal dottor Felice Yadalà, chirurgo nell’ ospedale Santa Marta, il quale nel 1884 da un tumoretto, sito nella porzione superiore del cerchio sclero-corneale dei- fi occhio destro di certa Paola Recupero Triglia d’ anni 70, da Brucoli, traeva un verme sottile, filiforme e ravvolto a spira.

Questo verme, studiato nel laboratorio di Zoologia, diretto dal pro- fessore Grassi, dal dottor Addarlo venne riconosciuto essere una filaria, e denominata provvisoriamente Filaria conjuntivae (n. sp.) (2).

(1) Sopra un nuovo nematode pel dottor Angelo Pace. Palermo 1867.

(2) Su di un nematode dell’ occhio umano pel dottor C. Addario (Laboratorio di Zoologia della R. Università di Catania). Pavia Tip. Dizzoni 1885.

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Da nuove ricerche fatte su questo argomento, il professore Grassi ha potuto desumere che questo stesso parassita, non è raro nel cavallo e nell’asino, e, con uno studio comparativo , ha potuto stabilire che si tratta d’ una specie nuova. ( Filiaria inermis Grassi).

A questa stessa specie, secondo le sue ricerche, appartiene anche la filaria trovata dal Babesiu nel peritoneo, e un’altra trovata a Milano nell’ occhio dell’ uomo. (1)

ECHINORHYNCHUS MONILIFORMIS (Bremser).

Gli echinorinchi nei mammiferi sono in generale molto rari ad ec- cezione dell’ Echinorhynchus gigas, il quale è abbastanza comune.

Dalle nostre ricerche risulta però che la Sicilia fa eccezione a que- sta regola; cioè noi in Catania abbiamo trovato molto esteso l’ Echino- rhynchus gigas (40 °/0 dei maiali uccisi), ma anche non di rado un echi- norinco (rappresentante forse una nuova specie) nel tenue del cane ed un altro echinorinco nell’ intestino del Mus decumanus (1-2 °/0), e del Myoxus quercinus. Di quest’ ultimo il quale verosimilmente non è nuovo, ma identico coll’ Echinorhynchus moniliformis Bremser , che fu trovato molto raramente nell’ Arvicola arvalis e nel Crieetus vulgaris in Austria (S. Diesing), diamo qui i più importanti caratteri sistematici.

La massima lunghezza, finora constatata, della femmina è di 7-8 centimetri, e quella del maschio di 4-4 1[2 centimetri. (L’ Echinorhyn- chus dell’ Arvicola arvalis e del Crieetus vulgaris può avere una lun- ghezza di 27 cm.)

Il diametro è di 1-1 1[2 mm. Il corpo è assottigliato alla parte anteriore con fine righe trasversali , con anelli trasversali, ovvero con tali strozzamenti che fanno apparire delle sporgenze a forma di perle ; gli ultimi due centimetri nella femmina , e 1’ ultimo nel maschio sono quasi lisci e cilindrici. La proboscide è lunga 425-450 p-. , larga 176- 190 H-. Su di essa gli uncini sono in ordine così detto quinconciale, ciò

(1) Prof. B. Grassi Filaria inermis (mihi) o in Parasit des Mensclien , des Pferdes und des Esels-Mit 13 Figuren.

Centralblatt fiir Bacteriologie und Parassitekunde I Jahrgang 1887. I Band N. 21.

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che però non sempre è molto distinto, e formano al più 15 serie tra- sversali (nell’ Echinorhynchus moniliformis del Cricetus e dell’ Arvicola 12-16 serie trasversali). Delle serie longitudinali abbiamo potuto con- tarne circa 12. Il numero degli uncini è circa 15 x 12. Gli uncini so- no fortemente curvati e proporzionatamente piccoli e deboli; una linea tracciata tra punta e base dei medesimi, misura quasi 26 /*. I lemmin- schi sono più lunghi di un centimetro, grossi 169 q. cilindrici, e de- corrono serpentini.

Nell’ apparato vascolare si osservano molti vasi circolari che per- corrono trasversalmente il corpo. La borsa campaniforme del maschio è facilmente visibile anco ad occhio nudo.

Le uova sono elittiche, hanno una lunghezza di 85 /*. una larghez- za di 45 !J-. e possiedono i tre soliti gusci dei quali 1’ esterno è più sottile e giallognolo, il medio più grosso è vitreo incoloro, omogeneo, quasi senza infossamenti e dello spessore di 7 /*. , e 1’ interno è inco- loro e poco più spesso dell’ esterno.

L’ embrione mostra, nei suoi due terzi posteriori, una stilatura tra- sversale (indica ciò un altro involucro ?) e possiede punte che all’ estre- mità della testa aumentano in grandezza (17/*) e si cambiano in piccoli uncini, i quali mostrano una differenzazione di sprone e falce.

Il descritto echinorinco ha la sua dimora nel tenue, e precisamente nei due terzi anteriori del medesimo.

Uno dei più comuni scarafaggi, la Blaps mucronata , Lat. è 1’ o- spite intermedio di questo echinorinco.

Noi trovammo più di cento giovani Echinorhynchus moniliformis in una. sola Blaps mucronata. Questi giovani echinorinchi, che facilmen- te si potevano osservare ad occhio nudo, erano incistati , ed avevano già i connotati principali degli animali adulti.

Diedimo a mangiare una parte di questi giovani echinorinchi ad un topo albino, perfettamenfe libero di echinorinchi, e un’ altra parte I inghiottii io. Ciò avvenne il 26 dicembre dell’anno 1887 e il 10 gennaio del 1888, trovammo nell’intestino di tale topo moltissimi echi- norinchi lunghi un centimetro.

Dopo il 15 genna io ebbi a soffrire forti dolori addominali, che di

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tempo in tempo si manifestavano come crampi , e che potevano venire esacerbati colla pressione sull’ addome ; a ciò si aggiungeva, non di rado, un po’ di diarrea, forte ronzio agli orecchi e in tutta la testa, come pure grande stanchezza ed accasciamento. Il febbrajo nelle mie feci riscontrai le prime uova d’ echinorinco, le quali erano poco numerose ; anche il 13 febbrajo le uova erano rappresentate scarsamente, ma sic- come i sintomi diventavano in me sempre più violenti e molesti, fui co- stretto prendere in questo . giorno 8 grammi di estratto etereo di felce maschio. In conseguenza di questo farmaco, eliminai cinquantatre echi- norinchi, la maggior parte femmine, le quali per lo più avevano uova immature, quantunque la loro lunghezza raggiungeva le più grandi mi- sure indicate più innanzi.

L’ eliminazione incominciò un’ ora dopo la presa del medicamento.

I violenti dolori al mio ventre, durante l’ eliminazione non erano cessati, anzi durarono ancora per due intieri giorni, ed al secondo gior- no furono accompagnati da un forte accesso di febbre. Al terzo giorno però sparirono in me tutti questi sintomi e son tornato nuovamente a •star bene. Le uova erano interamente scomparse dalle mie feci.

Prima di noi non si conosceva nessun rimedio contro gli echino- rinchi.

La suaccennata esperienza non dimostra soltanto l’azione del felce maschio contro gli echinorinchi, ma inoltre che un parassita del Mus decumanus , l’ Echinorhinchus moniliformis , si può anche sviluppare nell’ uomo.

Forse a questo echinorinco appartenevano le uova che trovammo nell’anno 1887 una volta nelle feci d’una fanciulla d’ Aci-Bonaccorsi (villaggio vicino Catania); pur troppo non potemmo occuparci di que- sto caso , poiché le superstizioni degli abitanti di quel villaggio c’ im- pedirono di fare ulteriori ricerche.

Che l’aberrazione del senso del gusto nell’uomo può andare tanto più in da mangiare le blaps è noto già da molto tempo al paras- sitologo Cobbold ; si sa pure che le donne in Egitto mangiano una spe- cie di blaps per diventare grasse.

Se la descrizione di Lambì dell’ echinorinco da lui trovato nel-

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F uomo è giusta , questo non ha nulla che fare col nostro echinorinco.

Di quanto sappiamo in generale non è noto nessun altro caso di echinorinco nell’ uomo, non potendo valere le osservazioni di Lindeman come dimostrazione, e il caso di Welcb (S. Cobbold, parassiti, Londra 1879) non si riferisce certo all’ echinorinco. (1).

Credo utile infine fare osservare che il 12 febbraio dello scorso anno misi in un vaso numerose Blaps mucronata a cui diedi a man- giare le mie feci contenenti le uova di tale echinorinco; dopo sessanta- quattro giorni trovai in molte di esse dei giovani echinorinehi incistati.

Il professore Grassi ha trovato che anche la Blaps gigas può es- sere ospite intermedio.

TAENIA SOLIUM (Linneo)

Enologia.

a) Cause disponenti.

l.° Paesi -In quasi tutti i paesi civili d’Europa, per l’uso esatto delle regole igieniche, si è fatta, ai nostri tempi, molto rara la Taenia

solium. Per la Sicilia invece si può dire al contrario e si è ancora

quasi come in Africa, ove un negro non si crede sano se il suo inte-

stino non alberga almanco una tenia; è da osservare però che la tenia ospitata dal negro è la mediocanellata , la meno nociva, essendo ivi quasi interamente sconosciuta la solium.

Dalle mie ricerche risulta che quasi tutti i paesi della provincia di Messina e quelli di Catania sono infestate da questo nocivo paras- sita. A Taormina nel 1886-87, circa il 5 °/o della popolazione ospitava la Taenia solium, a Giardini 1’ 8 °/o e a Gaggi, piccolo paesello, ho potuto constatare circa il 10 °/0.

Presso a poco si possono ritenere le medesime cifre per i paesi della provincia di Catania.

In quanto alla frequenza di questo parassita non posso essere

(1) Cobbold dimostra anche che il parassita trovato da Lewis nel cane non può essere un echinorinco.

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cT accordo con quello che riferisce il professore Ughetti : Anche in Sicilia, egli dice, pare che, come è stato osservato altrove, la tenia inerme prevalga per frequenza sull’altra specie (intende la T. solium). u Non posseggo, egli continua, grosse cifre in proposito, ma per conto mio, vale a dire sugl’individui che ho dovuto curare per allontanare la tenia ho trovato più spesso la specie inerme che non Tarmata (1). Certamente gl’individui curati dall’egregio professore Ughetti, dovettero in generale essere di ceto civile e catanesi. Noi abbiamo trovato in pro- porzione la T. solium a Catania, specialmente nel ceto civile, meno di frequente che nei paesi della provincia. La ragione di questa minor frequenza sta in ciò che a Catania la carne del maiale viene ispezio- nata, sebbene non molto rigorosamente.

In ogni caso tanto in città , quanto in campagna la T. solium è più frequente della mediocanellata , non molto più frequente in città.

2. ° Sesso. In quanto al sesso pare che siano infetti più uomini che donne.

3. ° Età. L’ individuo più giovane in cui ho trovato la Taenia solium contava ventidue mesi, ed era una bambina; il più vecchio ottantasei anni.

4. ° Professioni e condizioni sociali.

Ho riscontrato la Taenia solium più comune negli operai , nella bassa gente, nel medio ceto, nella borghesia, anziché nei signori.

5. ° Abitudine ed alimenti.

Si deve quindi tener conto: l.° dell’uso, come è noto, di mangiar la carne di maiale e le salsiccie arrostite imperfettamente; 2.° della cre- denza diffusa nel popolo che la carne di maiale , quando è panicata ( chi coccia ) sia più saporita.

B) Cause occasionali.

Il disconoscere, come è noto, le più elementari regole igieniche, cioè il non fare ispezionare dal veterinario, o dal medico condotto le carni prima di metterle in vendita.

(1) La Natura Rivista delle Scienze .... diretta da Paolo Mantegazza. Yol. I, l.° se- mestre 1884 p. 276.

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Anatomia patologica.

Di venticinque cadaveri, sezionati nell’anno 1886 nella scuola di anatomia normale e patologica , solamente in due trovai nei muscoli i cisticerchi della cellulosa. In uno erano in piccolissimo numero belli e vivi nei muscoli del torace, nell’ altro ne rinvenni più di mille, calcifi- cati la più parte, aventi la grossezza e la forma di un piccolo fagiuolo, sparsi per quasi tutto il tessuto connettivo intermuscolare del corpo e nei visceri.

Esaminate le intestina di questi due cadaveri, trovai in uno la Taenia solium.

In ventiquattro autopsie cliniche il professore Petrone trovò due volte nella pia-madre dell’encefalo dei cisticerchi della cellulosa, e l’e- gregio dottor Raimondo Cannizzaro , nel maggio del 1887 , tolse sotto il gran pettorale della regione mammaria destra d’ un merciaiuolo un cisticerco della cellulosa che diede in dono al laboratorio d" Anatomia patologica.

Sintomatologia.

Gl’individui da noi osservati hanno presentato sintomi diversi, Molti non ne risentano alcun disturbo, e qualcuno di questi mi ha as- sicurato d’ aver ospitato la T. solium per circa dieci anni senza altro incomodo che quello d’un po’ d’appetito aumentato. Tra gli altri uno dicevami che non aveva più la tenia, perchè da più d’un anno non eliminava alcuna proglottide; l’esame microscopico delle feci mostrò in- vece che la tenia non era affatto scomparsa. Il professor Grassi a questo proposito mi ha fatto osservare di aver incontrato molti casi si- mili , ciò è importante tener presente per la diagnosi. In alcuni indi- vidui ho potuto constatare dei veri disturbi : cefalea continua, insonnia, diarrea alternata a stitichezza, lipotimia, e, non di rado, veri accessi di epilessia. Questo quadro fenominalogico è interamente scomparso alcuni giorni dopo l’eliminazione del parassita.

Bella G., studente in medicina, durante il tempo ch'egli era infetto Atti Acc. Vol. Il, Serie 4a 17

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di T. solium, soffriva stitichezza alternata a diarrea, cefalea, inappe- tenza, gonfiagione di stomaco, senso di debolezza, la notte il sonno gli era interrotto da sussulti nervosi, e la memoria gli era affievolita. Dopo aver preso un antelmintico (felce maschio) eliminò cinque T. solium; pochi giorni dopo tutti questi fenomeni scomparvero.

Corsaro C. oltre ai fenomeni quasi identici presentati dal Bella , non di rado veniva travagliato da accessi epilettici , però di breve du- rata. Questi fenomeni più non si ripeterono dopo aver eliminato la T. solium.

Clan.

L’antelmintico, che in tutti i casi abbiamo sperimentato efficacissimo, è stato l’estratto etereo di felce maschio, preparato da recente, non agendo bene quello preparato da lungo tempo, nella dose di sei ad otto grammi per gli adulti, e da due a tre grammi per i fanciulli in cento grammi d’acqua gommata. Si deve aver cura di preparare prima Tinfermo, cioè di farlo stare quasi in dieta, amministrandogli, se è stitico, anche un purgante d’olio di ricino, e ciò il giorno precedente alla cura: il mattino seguente gli si fa prendere il suddetto farmaco; dopo circa Q2 2-3 ore in generale 1’ infermo è liberato dal parassita.

CASI DI CISTICERCUS CELLULOSE OSSERVATE NELL’ OCCHIO DELL’ UOMO IN SICILIA.

Riscontrando la letteratura sul cisticercus ; ho trovato che il Le- maine ad Alessi, oculista siciliano, il merito di aver nel 1844 os- servato in Italia il primo caso di cisticercus cellulosae nell’occhio, sebbene recentemente il De Vincentiis in un suo pregevole lavoro Sui cisti cer- chi oculari (1) lo metta alquanto in forse, basando il suo giudizio sul rapporto che lo stesso Alessi fa sull’ argomento all’ Accademia medico- chirurgica di Bologna, il 9 novembre 1845, ove l’autore manifestava il dubbio se l’entozoa da lui osservato fosse veramente un cisticerco.

(1) De Vincentiis Sui cisticerchi oculari. Rivista Internazionale, Anno IV. 1887.

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Un secondo caso di cisticercus cellulosae venne osservato nel 1873 dal professore Francavigdia nel corpo vitreo dell’ occhio, di cui ne fece una nota clinica, che pubblicò negli atti dell’ Accademia Gioenia (1).

Il De Yincentiis nella sua breve dimora in Palermo qual profes- sore e direttore della clinica oculistica di quella Università, nello spazio di tre anni, cioè dal dicembre 1882 al settembre 1886 raccolse ed il- lustrò sette osservazioni cliniche di cisticercus cellulosae nell’occhio, e di sei di queste osservazioni ne fece il reperto anatomico (2).

Questi casi di cisticerchi, trovati nell’occhio dell’uomo, confermano le mie osservazioni sulla frequenza del cisticerco in Sicilia.

TAENIA SOLIUM: VARIETAS MINOR (Guzzardi)

Nel 1885 il professore Grassi faceva studiare, sotto la sua dire- zione , al dottor Guzzardi Asmundo una tenia che era stata evacuata spontaneamente da un milanese.

Il dottor Guzzardi descrisse minutamente questa tenia , e, dopo averla paragonata colla Taenia mummificata , colla Taenia madagasca- riensis, colla Taenia tenella e colla Taenia abietina veniva alla conclu- sione che la sua tenia era simile ma non identica a quelle tenie umane che hanno per carattere di essere discretamente lunghe e molto strette (T. leptocephala , canina). Invece per tutti gli altri caratteri anatomici venne alla determinazione che la sua tenia era una varietà, corta, stretta e sottile di Taenia solium varietas minor (3). Di questa tenia mancava la testa ed il collo.

Sarebbe stato importante per la geografia studiare se questa varietà di tenia esistesse in Sicilia. Ciò abbiamo fatto , e, nel breve spazio di un biennio, abbiamo potuto riscontrare nell’uomo tre casi di T. solium: variates minor. Tali tenie sono state eliminate intere, cioè con il collo e lo scolice.

(1) Francaviglia Un caso di Cisticerco nel corpo vitreo. Atti dell’ Accademia Gioenia di Scienze naturali in Catania. Serie III. Yol. 12.°

(2) Sui Cisticerchi oculari Rivista Internazionale.— Anno IV. 1887.

(3) Intorno ad una nuova varietà di tenia umana Taenia solium : varietas minor pel Dott. Michele Guzzardi Asmundo Giornale internazionale delle scienze mediche 1885, fase. 7.

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Essendo lo scolline, identico a quello della T. solium, è inutile che io ne faccia la descrizione e la figura.

Resta dunque determinato che la T. solium : varietas minor è co- mune in Sicilia.

Ritengo con certezza che sia sempre il porco 1’ ospite intermedio.

TAENIA MEDIOCANELLATA (Hììchenmeister)

Ciclo evolutivo .

Ho cercato, reiterate volte, nelle carni dei bovini il cisticerco della Taenia mediocanellata, ma non sono riuscito a riscontrarlo. Ciò mi fece nascere il dubbio che il cisticerco fosse rarissimo, e il sospetto che tale tenia si potesse anche sviluppare nell’uomo in modo diretto, cioè ingo- iandone le uova. Questo sospetto innanzi alla prova degli esperimenti , ripetuti per ben due volte in più individui e di età diversa, non divenne una realtà, avendo avuto risultato negativo.

Cause Disponenti.

Paesi. La Taenia mediocannellata in Sicilia è assai meno fre- quente della T. solium. Nei paesi della provincia di Messina e in quelli di Catania, ove ho potuto estendere le mie ricerche, ho trovato che essa è relativamente rara. A Taormina si può stabilire in media il tre per mille, a Giardini il due per mille; a Gaggi, ove la frequenza della so- lium è grande, è intieramente sconosciuta; sconosciuta è anche ad Aci- Bonaccorsi; negli altri paesi della provincia di Catania è relativamente molto rara, non così a Catania, qui fra cinque o sei individui che hanno la tenia, due o tre saranno solium e una mediocannellata.

Sesso. E più comune nella donna che nell’ uomo.

Età. L’individuo più giovane in cui ho riscontrato la T. me- diocannellata aveva due anni e mezzo , ed era un bambino malaticcio,, a cui si dava da mangiare carne cruda di vitello; il più vecchio aveva cinquantasei anni, ed ospitava tale tenia da dodici anni.

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PROFESSIONI E CONDIZIONI SOCIALI

Ho riscontrato la T. mediocanellata sempre in persone civili, giam- mai in contadini, in operai e nella bassa gente.

Abitudini ed alimenti.

Gl’individui che albergavano la T. mediocanellata, avevano l’abitu- dine di alimentarsi, la maggior parte , di carne cruda di vitello, o ar- rostita in modo rapidissimo, ancor sanguinante.

Diagnosi

Le nostre osservazioni ci autorizzano a stabilire in modo definitivo, che 1’ eliminazione spontanea delle proglottidi devesi ritenere come segno caratteristico della T. mediocanellata, sicché il medico, in questo caso, senz’altro può sicuramente fare la diagnosi.

Cura .

Mi riferisco in quanto alla cura al trattamento usato per la T. solium.

TAENIA NANA (Bilharz).

La Taenia nana è stata la prima volta trovata nel 1851 da Bi- lharz in Egitto, in numero straordinariamente grande nell’intestino tenue d’ un fanciullo sezionato e ritenuto morto per meningite cerebrale, però non si sa certo se Bilharz nell’ autopsia abbia trovato meningite.

Nel 1879 il professore Grassi scopriva a Milano nelle feci di una ragazzina di quella città, certe uova che egli descrisse nella Gaz- zetta medica lombarda N. 16, 1879.

Sin d’ allora egli supponeva che queste uova fossero d’ una tenia, però le sue ricerche vennero interrotte e non potè determinare a quale specie di tenia appartenessero. Le figure di queste uova vennero ripor-

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Animali parassiti dell' uomo in Sicilia

tate dal professore Bizzozero , nel suo manuale di microscopia clinica (Tav. IY fig. 40 g. g'.)

Sulla fine deiranno 1886 il professore Grassi, avendo trovato le stesse uova nelle feci di un giovine di Acireale, studente in medicina m’ invogliò a studiare assieme con lui quel caso e d’ istituire una serie di ricerche sul medesimo argomento.

Credo opportuno di qui tradurre la descrizione che il Grassi fa delle uova (1), per poi far cenno di alcuni fatti i più importanti, tra- lascio però di tradurre la descrizione della tenia da noi fatta nel Cen- tralbatt fu Bacteriologie und Parasitenkunde (1).

Descrizioni delle uova.

Esaminate le feci fresche contenenti uova di tenia nana in un liquido indifferente, queste uova si presentano di forma ellittica; le loro dimen- sioni in complesso non sono molto maggiori di quelle della tenia me- diocanellata; però variano di molto (asse massimo di 43-79-53 p., asse minimo da 53-39-40 p.). Volendo continuare il paragone colle uova di tenia mediocanellata, il guscio è un più grosso, ma più trasparente e bianchiccio; non è bruno, mostra la struttura prismatica che han- no le uova di mediocanellata. Esso risulta d’una membrana molto sot- tile e d’una interna ancor più sottile ; la membrana esterna alle volte apparisce doppia ; le due membrane non giacciono l’una sull’altra, ma tra esse esiste uno spazio considerevole in proporzione alla grande de- licatezza delle membrane. Questo spazio intermedio contiene una sostan- za amorfa in parte granulosa (vicino alla membrana esterna), in parte omogenea (vicino alla membrana interna). La membrana interna mostra due rigonfiamenti visibili appena, dei quali uno corrisponde ad un polo dell’uovo, mentre l’altro trovasi immediatamente vicino all’altro polo. In certi casi si possono facilmente osservare due fili contorti nello spazio

(1) Die Taenia liana und ihre medicinische Bedentung Varlànfigc.

(2) Einige weitere Nachrichten iiber die Taenia nana. Zweite Preliminarnote. Von Pro- fessor Battista Grassi ( Unter Mitwirkung von S. Calandruccio ) Centralblatt fur Bacteriologie und Parasitenkunde. I Iargang 1887. IL Band N. 10.

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intermedio, in mezzo alla sostanza granulosa, oppure ancora più spesso al confine tra la parte granulosa e la omogenea: essi si dipartano dai due rigonfiamenti, e precisamente ad un rigonfiamento si salda un filo e al secondo l’ altro.

Si può dunque dire che la membrana interna del guscio è fornita ai due poli di due lunghe code; ciò si ripete in un certo senso in altri cestodi (v. Leuckart). Allorquando le feci contenenti queste uova vengo- no diluite colla glicerina, il guscio all’osservazione presentasi un dif- ferente, specialmente perchè la sostanza contenuta nello spazio intermedio si allontana dalla membrana esterna.

I caratteri del guscio variano anche allorquando comincia la pu- trefazione; in quest’ultimo stato esso assume una colorazione gialliccia.

Tra guscio ed embrione spesso resta uno spazio pieno d’un liquido incoloro, il quale spazio alle volte appare maggiore ad un polo.

L’embrione apparisce quasi uguale a quello della solita tenia. Gli uncini sono lunghi da 12-13 d. e per solito sono in numero di sei chiaramente visibili, e le punte di questi uncini, sono dirette verso quel polo, nel quale il liquido tra guscio ed embrione si trova in maggior quantità, allorché appare questa maggior quantità.

La descrizione zoologica della tenia nana fu fatta in modo incom- pleto da Bilharz. v. Siebold , e poscia in modo più completo da Leu- ckart. Quei fatti non ancora conosciuti bastantemente sono stati da noi descritti, come ho già detto, nel Centralblatt fùr Bacteriologie utid Pa- rasitenkunde (v. sopra). Solo riferisco che la maggior parte delle tenie che noi abbiamo fatte eliminare avevano una lunghezza di 8-10-15 mil- limetri.

diagnosi

La diagnosi si fa coll’esame delle feci; è importante però aggiun- gere che un individuo può albergare numerose tenie nane , e in certe circostanze, non ancora ben determinate , presentare nelle feci così po- che uova che , per riscontrarne qualcuno, fa d’uopo ripetere più volte con molta attenzione le osservazioni ad intervalli di parecchi giorni.

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Cura.

La cura si fa coll' estratto etereo di felce maschio, amministran- done da tre a sei grammi in un mezzo bicchiere d’acqua gommata, se- condo l’età dell’individuo. E bene ripetere l’amministrazione del farmaco dopo 15 o 20 giorni, e ciò perchè possono degli scolici, confitti nella mucosa intestinale, sfuggire all’azione del farmaco.

Il numero delle tenie che un individuo può albergare nel suo in- testino è variabilissimo , cioè da 40 a 50 e da 4 a 5 a 6000.

Forma clinica.

Riguardo alla forma clinica le nostre osservazioni sono fondate su venti casi, dei quali due sono individui adulti, e gli altri ragazzi e fan- ciullini. I due adulti albergavano numerose tenie nane, e soffrivano diar- rea alternata a stitichezza, e non di rado dolori forti addominali, accessi epilettici più o meno gravi, che si ripetevano frequentemente. Dopo l’e- liminazione del parassita, per alcuni mesi questi individui, non risenti- rono più alcun disturbo, ma poi i sintomi ritornarono, però meno fre- quenti e meno intensi.

Riesaminate attentamente le feci di questi individui, ripetute volte, non si riscontrò alcun uovo di tenia nana. Ciò rende verosimile che i due individui erano per se stessi epilettici , e la tenia nana non aveva fatto che aumentare questi sintomi, rendendoli più intensi e più frequenti.

Abbiamo potuto osservare che i fanciulli , i quali ospitano nume- rose tenie nane, e sembrano sani e vispi, soffrono non di rado, cefalea, febbre, stridore di denti e sintomi riflessi propri dell’elmintiasi.

In generale si può concludere che la tenia nana è incostante nel produrre i sintomi morbosi, ciò che del resto è il caso di tutte le altre tenie.

È un fatto ripeto, che non di rado, la tenia nana allorquando al- berga in quegli individui , i quali hanno una certa predisposizione al-

Animali parassiti deli uomo in Sicilia

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l’epilessia, ne aumenta sensibilmente gli accessi epilettici, sia in intensità sia in frequenza (5 volte in 20 casi).

Dei casi di tenia nana con sintomi epilettici sono stati recente- mente osservati da Comini e da Perroncito , i quali hanno confermato le nostre osservazioni.

Ciclo evolutivo.

Abbiamo eseguito molti esperimenti colle uova di tenia nana, dan- dole a mangiare agli animali più svariati: ad uno agnelletto lattante, ad un cagnolino, a polli, a conigli, a molti e svariati miriapodi, a mol- te larve d’ insetti, a diversi ragni e per fino a pulci e a cimici, sempre con risultato negativo. Vi fu un individuo che le amministrò in abbon- danza parecchie volte a moltissimi pediculus capitis, ehe egli stesso ave- va coltivato a tale uopo sul suo cuoio capelluto, ma il risultato fu sem- pre negativo.

Ad un ragazzino di sette anni, che non albergava nel suo inte- stino alcuna tenia nana, come ci risultò da ripetuti esami, demmo Fin- carico di raccoglierci le feci cF un sno coetaneo, infermo d’ altra malat- tia , ma che albergava nel suo intestino numerose tenie nane. Dopo quindici giorni, con nostra sorpresa, rifatto l’esame delle sue feci, abbiamo rinvenuto delle uova piuttosto numerose di tale elminto. Ci venne allora il sospetto che questi avesse preso Felminto direttamente inghiottendone le uova. Questo sospetto divenne realtà allorquando demmo a mangiare le uova di tenia a sei individui , e in due riscontrammo , dopo circa venti giorni, le uova del parassita. Questa realtà ebbe più forza dagli esperimenti che il professore Grassi fece colle uova di Taenia murina su piccoli topi albini. Dando a mangiare a questi topi delle proglottidi mature di Taenia murina (che è unum et idem colla T. nana o tutt’al più una semplice varietà) , egli ottenne sempre lo sviluppo diretto di questa tenia, e potè inoltre osservare tutti gli stadi intermedi: da quel- lo di eisticereoide in via di formazione o maturo a quello della tenia perfetta e matura.

Atti Acc. Vol. II, Serie 4a

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Animali parassiti dell' uomo in Sicilia

Frequenza della taenia nana.

Abbiamo riscontrato la tenia nana con molta più frequenza in ragazzi d’ambo i sessi anziché in adulti (18 ragazzi e due adulti) e ciò forse perchè le nostre ricerche si sono estese poco in questi ultimi.

Io ho esaminato a caso le feci di venti alunni della scuola rurale di Aci-Bonaccorsi dell’età di otto a dieci anni, e in tre ho trovato ol- tre alle uova di ascaridi, di oxiuridi e di tricocefali numerose uova di tenia nana.

Esaminate poi le feci di altri cinquanta ragazzi dell’età di sette a dieci anni dell7 Ospizio di beneficenza di Catania, ho trovato quattro casi di tenia nana. Così in settanta ragazzi ho riscontrato sette casi di tenia nana. Si può dunque ritenere che nella provincia di Catania la tenia nana affetta il 10 °/0 dei ragazzi.

I casi di tenia nana da me finora osservati ammontano a dicias- sette, quattordici dei quali sono maschi e tre femmine (1). Tre casi fu- rono osservati dal professore Grassi.

ECHINOCOCCHI.

Nell’uomo la frequenza delle cisti d'echinococco è così comune che fa spaventare.

Nel 1884 in una Nota preliminare Intorno ad una malattia parassitaria (2) scrivevamo :

u Con gran dolore notammo che 1’ echinococco nella provincia di Catania è straordinariamente frequente. In quasi tutte le pecore, che vengono macellate a Catania, troviamo più o meno abbondanti echi- nocoechi. Da notizie gentilmente comunicateci dall’egregio Prof. Maf~ u fucci, risulta che in circa 120 autopsie umane si rinvennero quattro casi di echinococco, e ciò durante il biennio 1883-84.

(1) Recentissimamente ho potuto osservare altri tre casi di Taenia nana in tre fanciulli, uno dei quali soffriva disturbi intestinali molto gravi , che cessarono due giorni dopo 1’ elimi- nazione di numerose tenie nane.

(2) Atti dell’Accademia Gioenia di Scienze Naturali in Catania Serie 3* Voi. XVIII. Tip. Galatola.

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Questa statistica appare in tutta la sua gravezza quando si pensa che in Germania, secondo Neisser su 13882 autopsie umane si ebbero soltanto 95 casi d’echinococco (presso a poco 0,7 °/0); in altre 12800 u autopsie umane pure in Germania si trovarono appena 94 casi di echinococco; ed infine in 2916 autopsie umane a Praga, Vienna ed a Zurigo non se ne trovarono più di sei casi (circa 0,02 °/0). Po- chissime, per quanto si sa, sono in Europa i luoghi in cui l’echino- cocco appare quasi tanto frequente quanto a Catania; se ne conoscono tre soli, cioè Rouens (in 200 autopsie umane si trovarano sei casi d’echinococco), Rostock (in 261 autopsie umane si trovarono circa dodici casi d’echinococco.) Non conosciamo statistiche esatte per l’Italia; possiamo però assicurare che a Milano ed a Pavia l’echinococco è di gran lunga meno frequente che a Catania, almeno nell’uomo.

Noi non possiamo fare altro che raccomandare 1’ osservanza scrupolosa delle già note regole igieniche. Il pastore deve tener lontano i cani dagli armenti. Bisogna che l’uomo eviti di portare alla bocca direttamente, o, come più di leggieri accade, indirettamente, per esempio accarezzando il cane, qualunque minima particella di feccia di cane. I municipi poi debbono impedire che si esportino dal macello visceri contenenti echinococchi ; debbono invece farli raccogliere e distruggere. Sarà bene dare ai cani di tanto in tanto dei tenifughi e di far bollire le feci eliminate successivamente a questa ammini- strazione.

Il professore Petrone mi ha gentilmente comunicato che in questo ultimo triennio ha riscontrato, in venticinque autopsie cliniche, due casi di echinococco nel fegato, i quali sono stati causa della morte.

Il professore Tomaselli, due anni or sono, diagnosticò in una gio- vinetta diciottenne un grande tumore del fegato , quale cisti multipla d’ echinococco. Infatti 1’ operazione confermò la diagnosi.

L’ egregio dottore Raimondo Cannizzaro tolse dietro la nuca, sotto il muscolo cuculiare di una inferma una grossa cisti di echinococco che •donò al Laboratorio di Zoologia.

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Animali parassiti dell' uomo in Sicilia

Ciclo evolutivo.

Il ciclo evolutivo della Taenia echinococcus è già noto per gli esperimenti di Siebold, di Leuckart, di Hiichenmeister , di Zencker, di Levison, di Hrabbe, di Naunyn ed altri.

Ho voluto anch’io ripetere l’esperimento, dando a mangiare il 12 maggio delle cisti d’echinococco tratte dal fegato di diverse pecore ma- cellate a Catania, ad una cagna, e a tre cagnolini. Il 29 maggio uccisi il primo cagnolino e rinvenni nell’ intestino tenue numerose tenie echi- nococco di circa un millimetro di lunghezza. La testa ed il collo eran ben sviluppati. Il 10 gennaio uccisi la cagna madre e gli altri due cagnolini; esaminate le intestina rinvenni relativamente poche tenie echi- nococco nell’ intestino della cagna madre , numerosissime negli intestini dei due cagnolini in uno stadio di sviluppo molto avanzato: alcune erano in via di maturazione.

Dietro consiglio del professore Grassi, ripetei questi medesimi esperimenti su tre gattini, ma il risultato fu negativo, come avvenne a Leuckart.

TAENIA LEPTOCEPHALA (Creplin)

In Sicilia questa tenia è comune nel Mus decumanus e nel rat- tus. Nell’uomo essa è rarissima , e la prima volta è stata trovata in America dal dottor Ezza Palmer , nell’ Italia settentrionale è stata poi riscontrata un’altra volta dal professore E. Parona, il quale ne fece una descrizione incompleta e confusa.

Il professore Grassi ricevette un preparato con due uova della te- nia descritta dal Parona , dalla gentilezza del professore Perroncito ; pensò di fare nuove ricerche, e trovò che essa era identica alla leptoc - phala di Creplin e alla diminuta di Rudolphi , comunissima nel Mus decumanus, e nel rattus.

In Sicilia è stata recentemente trovata nell’ uomo dal professore Grassi che ne ha fatto una pubblicazione, corregendo la descrizione del Parona.

Animali parassiti dell' uomo in Sicilia

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Ciclo evolutivo.

Il cisticercoide di questa tenia venne recentemente scoperto dal professore Girassi e dal dottore Rovelli, in diversi ospiti , i quali sono: V Asopia farinalis , V Anisolabis annulipes (Lucas), V Achis spinosa e lo Scaurus striatus ( Fabri ) (1).

Il professore Grassi ed io abbiamo eseguito degli esperimenti sul- l’uomo, e, avendo dato a mangiare di questi cisticercoidi a due indi- vidui adulti, dopo circa venti giorni, nelle feci di uno si riscontrarono le uova della tenia in parola, nell’ altro invece 1’ esperimento fu nega- tivo.

La ragione per cui questa tenia è così rara nell’ uomo è che gli ospiti intermedi sono animali i quali difficilmente possono essere man- giati dall’ uomo.

HAEMOPIS SP. (VORAX ?) (MOQ. TAND).

(Sanguisuga cavallina volgare).

In Sicilia, in generale, vi è 1’ uso di bere l’ acqua non filtrata , e mangiare verdure non prima lavate e pulite.

In molti paesi vi è anche V uso di bere 1’ acqua che scorre molto superficiale, ragione per cui, non di rado, delle Haemopis (vorax?) si attaccano nella mucosa della cavità boccale, faringea o laringea, e producono fenomeni molto gravi.

Il professore Clemente nel 1874 pubblicava nella Gazzetta medi- co-italiana anno XYII N. 48 un caso rarissimo d’ una sanguisuga ca- vallina adesa all’ interno della glottide e della trachea , che egli aveva diagnosticata col laringoscopio. Questo caso egli aveva osservato a Cal- tagirone in una inferma di nome Carmela Vaccarella, nubile di anni 58, la quale aveva ingoiata la mignatta coll’ acqua da bere.

(1) Ciclo evolutivo della Taenia leptocepkala. Nota del professore Grassi e del dottor G. Rovelli. Catania 28 febbrajo 1888. Tip. di A. Pansini.

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Animali parassiti dell uomo in Sicilia

Da quindici giorni 1’ inferma era completamente afona, sputava san- gue, aveva tosse ed era minacciata di soffocazione.

In quanto alla descrizione dell’ animale riferisco le parole dell’ A. u La mignatta da me estratta, avendo il dorso olivastro, i margini gial- lastri, il ventre nerastro, era facilmente riconoscibile per la sanguisuga cavallina del volgo ; o irudo sanguisorba di Lamark , appartenente al gruppo delle Iatrobdelle.

Non è molto che lo stesso A. osservò al laringoscopio una mi- gnatta che pendeva nell’ interno del laringe, e colla ventosa era fissata ad una delle cartilagini aritenoidi di un carrettiere di Cibali (sobborgo di Catania), la estrasse felicemente collo stesso metodo che usò nel pri- mo caso. La mignatta venne dallo stesso A. ritenuta identica a quella del primo caso.

Mi è stato recentemente assicurato dal mio amico dottor Giuseppe Pettinato che nel sue paese (Troina) sono comuni i casi di mignatte ca- valline che si attaccano nella mucosa della retrobocca di contadini , i quali usano bere dell’acqua che scorre superficialmente nel terreno argil- loso di quelle contrade.

E suo padre, dottor Ferdinando Pettinato, a cui io mi ero rivolto per avere notizie più esatte sull’argomento, il 16 giugno del 1888 mi scriveva da Troina quanto segue :

La sanguisuga cavallina, di color nero, priva di strie olivastre, succede osservarsi nell’ uomo nei mesi di luglio ed agosto, in persone che si dissetano in piccole fonti d’ acqua, o bevendo dell’ acqua at- tinta in dette fonti, conservandola in recipienti di terra cotta.

Durante 1’ esercizio di mia professione (28 anni) ho potuto osser- vare in media quattro casi ogni anno.

Piccole sin dapprima si presentano le sanguisughe, della gran- dezza d’ uno spillo, che in poco tempo acquistano la grossezza d’una penna d’ oca : di queste ne ho osservate attaccate nelle fauci, dietro i pilastri del velopendolo palatino, nelle narici posteriori, e, qualche raro caso, nel setto superiore delle narici.

Difficile a togliersi nei primi giorni , per la piccolezza del suo a corpo , stando gli anelli stretti sopra se stessi , ma acquistando un

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certo volume, ed essendo accessibile alla vista, rialzando con un cuc- u chiajo T ugola e il velo palatino, con sforzi del paziente , per mezzo di pinzette, ora rette ed ora curve, secondo il bisogno, viene distac- cata dalla mucosa la sanguisuga.

Inutile sono stati i mezzi empirici usati dal paziente per pro- curarne il distacco, come sarebbero i gargarismi d’ acqua con aceto e con alcool, 1’ uso del sigaro, facendo uscire il fumo delle narici, ed anco fiutando fortemente del tabacco, o col procacciarsi del vomito.

Ne vanno soggetti inoltre i muli, gli asini ed i cavalli, e più d’ ogni altro i suini.

Non appena, egli conclude , si presenterà alla mia osservazione u qualche nuovo caso, sarà mia cura mandarvene qualcuna.

SARCOPTES HOMINIS (Rasp.)

In Sicilia il Sarco ptes scabiei, varietas hominis , è molto comune nell’ uomo.

Altri Sarcoptes sono comuni negli animali domestici come il Sar- co ptes equi, nel cavallo, il Sarcoptes canis nel cane , il Sarcoptes ovis nelle pecore e il Sarcoptes caprae nella capra.

Non di rado, s’ incontrano dei pastori che hanno la scabia nelle mani, e dicono d’ averla presa dal Sarcoptes ovis, o dal Sarcoptes ca- prae. Questo è un sospetto e pare che non sia infondato.

IXODES SP. ?

L’ Ixodes sp.? è comune in Sicilia ne la pecora, nel bue e nel cane; nell’ uomo in generale è raro. Io ne ho riscontrato un caso a Cam- porotondo Etneo in un contadino che usava dormire, in estate, accanto al suo cane, il quale era molto infestato di questi parassiti.

Gli abitanti di quel paesello mi assicuravano che in certi anni , principalmente iu estate, molte persone sono affette di questo parassita, e in alcune arreca disturbi molto gravi, come febbre alta con delirio, e fenomeni nervosi riflessi.

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Animali parassiti dell' uomo in Sicilia

Per liberarsene usano esaminare attentamente la cute del corpo, e quando rinvengono il punto della pelle gonfio e rosso con una punta di coltello infuocata vi fanno un taglio a croce e poi vi mettono delle gocci e d’ olio.

Il taglio a croce colla punta del coltello infuocata non è necessa- rio, basta mettere solamente nel punto ove è attaccato l’Ixodes alcune goccie d’olio o di cloroformio, poiché F animale ben presto si stacca e muore.

Mi riserbo determinare a quale specie si riferiscono le presenti os- servazioni.

LARVA DI DITTERO CHE NON SI È POTUTO DETERMINARE.

Nell’anno 1885 un catanese per nome P. studente in farmacia, evacuò moltissime larve vive, e durante F evacuazione soffriva dolori di ventre. A me potè consegnare soltanto due esemplari morti. Avendoli studiati, ho potuto determinare essere indubitabilmente larve di dittteri, e ne ho fatto la descrizione e la figura. (1)

Concludevo che la larva da me studiata non è stata ancora de- scritta come parassita dell’ uomo, e che appartiene alla famiglia dei mu- scidi o a quella degli acalipteri, ma non potei stabilire la specie.

HYPODERMA BOVIS (De Géek)

Nel 1886 Schoyen e Seler sostenevano che in Europa non si co- noscesse alcun caso d’ estro dell’ uomo. (2).

Io ho potuto dimostrare che la larva, tratta nel 1879 dal profes-

(1) S. Calandracelo Insetti parassiti dell’ uomo. Memoria. Gazzetta degli Ospitali N. 84 85. Anno 1885.

(2) W. M. Schoyen, Ueber das Vorkemmen von Insecten immenschlichen Horper in Na- ture» Cristiania Vili pag. 7477; pag. 85-87 i Mai ; Juni 1884).

Ed Seler Biologisches, Centralblatt IV. Pard. 1 Oktober 1884 N. 15 pag. 475.

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sore Berretta da un tumoretto sotto la cute di un piccolo guardiano di Bovi (1) era veramente d ' Hypodenna bovis al stadio (2).

Recentissimamente venne dallo stesso professore Berretta, tratta da un tumore ascessoide del cuoio capelluto, posto dietro 1’ occipite d’ un adulto guardiano di bovi, un’ altra bellissima larva, che mi donava per farne la determinazione zoologica. La parte clinica verrà illustrata dallo stesso professore Berretta.

Posso affermare sin da ora che questa, seconda larva, in bollissi- mo stato di conservazione, è d’ Hy ipoderma bovis al stadio.

PULEX IRRITANS (Linneo).

È comunissimo tra noi. Esso non solamente molesta 1’ uomo , ma vive anche sulla cute del cane, allora può facilmente divenire V ospite intermedio della Taenia ellittica, come recentemente dimostrò il profes- sore Grassi.

CIMEX LECTULARIUS (Linneo).

Questo schifosissimo parassita è comunissimo in quasi tutte le case della bassa gente, ed anche in molte case di persone civili. Sono rari gli alberghi che siano prive di cimici.

PEDICULUS CAPITIS (Deg.) ; PEDICULUS VESTIMENTI (Burm)

E PHTHIRIUS PUBIS (Linneo).

In Sicilia sono comunisissimi il Pediculus capitis, il Pediculus ve- stimenti e il Phthirius pubis.

Ho osservato che le mosche trasportano da un luogo ad un altro e da una persona all’ altra il Pediculus capitis e il Pediculus vesti- menti.

Catania, 20 gennaio 1889.

(1) Nota sopra una larva d’ estro bovino nell’ uomo, del Cav. Paolo Berretta.

Estratto dagli atti dell’ Accademia Gioenia di Scienze Naturali Voi. XVI. Serie III.

(2) S. Calandruccio —Insetti parassiti dell’ uomo Gazzetta deg'li Ospitali N. 84-85, anno 1885.

Lo scollamento della retina curato chirurgicamente.

CONTRIBUTO CLINICO

per il Dottor C. ADDARIO

Le conoscenze, che poco a poco si sono acquistate riguardo alle alterazioni materiali , che precedono ed accompagnano lo scollamento della retina , hanno sempre più dimostrato la necessità dell’ intervento chirurgico in tale malattia e F inefficacia di ogni medico trattamento. Trattandosi di un’ affezione, sulla quale F anatomia patologica la terapia hanno pronunziato F ultima parola, credo sia di qualche im- portanza pubblicare tutte quelle osservazioni , le quali valgono ad accennare la via, che bisogna tenere per conseguire la guarigione dello scollamento retinico, stato finora più o meno refrattario alle cure.

Prima di esporre il metodo di cura adoperato in due casi di scol- lamento spontaneo della retina , dirò in succinto i criteri!, che hanno guidato finora i clinici nella cura chirurgica di tale affezione , affinchè dal confronto possano riuscire più chiare le vedute, che mi hanno in- dotto ad allontanarmi alquanto dalla pratica degli altri. Sin dal 1859 si pensò dal Sichel padre (1) a praticare la punzione della sclerotica, per curare lo scollamento della retina. Egli vuotava all’esterno il liquido sottoretinico, ma più allo scopo di curare F infiammazione cronica dell’ occhio , che per ripristinare la funzione della membrana scollata. Questa operazione fu anche praticata nel 1860 dal Kittei, (2), il quale ottenne un arresto della malattia per parecchi mesi. Nel 1863 il De Glràefe, (3) avendo osservato che in alcuni scollamenti, i quali senza subire alcuna cura entravano in uno stadio stazionario , esisteva lo

(1) Sichel Clinique enropéenne n. 9. 1859. Ueber die Heilbarkeit der Netzli autablòsung.

(2) Kittel Punktion der Sclera bei Netzhautablosung nacli Sicliel (Allg. Wien. med. Zeit 23. 1860.

(3) De Graefe Perforatoli non abgelosten Netzhanten n. Glaskorpermembranen (Ardi, f. Opthal. t. IX. 2. p. 65. 1863.

Atti Acc. Vol. II, Serie 4a

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Lo scollamento della retina curato chirurgicamente

stracciamento di un punto della retina scollata, volle artificialmente sta- bilire una comunicazione fra la tasca rappresentata dallo scollamento ed il vitreo. Egli attraversava il guscio oculare in un punto opposto a quello corrispondente allo scollamento, attraversava il vitreo ed andava con la punta dello strumento a portare una lacerazione sulla retina. Se pensiamo alle lacerazioni del vitreo, che necessariamente si producevano in tale atto operatorio, dobbiamo dedurne ehe in un tempo più o meno lungo la retrazione cicatriziale consecutiva dovea costituire nuova causa di ulteriore scollamento.

A questa operazione fu anche guidato il De Graefe dalle idee, che si avevano allora sulla patogenesi dello scollamento , il quale si consi- derava come prodotto da un essudato sottoretinico proveniente diretta- mente dalla coroide.

Un anno dopo il Bowman (1) praticava anche lui la lacerazione della retina di unita allo svotamento del liquido sottoretinico. Egli per- forava la sclera sovrastante allo scollamento, e si avanzava fino a dilacerare la retina; sicché le lacerazioni del vitreo dovevano essere in minore proporzione.

Il De Wecher (2) praticò anche lui quest’operazione modificandone lo strumentario: egli cioè si servì in principio di un ago-cannula, ed in seguito di un vero aspiratore. Confessa però che con questi mezzi non ottenne miglioramenti permanenti (vedi Chirurgia oculare). Questi atti operatori, oltre all’ inconveniente di ledere il vitreo, non erano esenti dal pericolo di apportare meccanicamente maggiore scollamento della mem- brana nervosa.

Nel 1856 il Miiller H. (3) pubblicava il primo lavoro sullo scollamento della jaloide , che considera come analogo a quello della retina.

Nel 1867 il lavoro di Iwanoff (4) sullo scollamento del vitreo, nel

(1) Bowman On aeedle-operation in cases of detached retina (Ophthalm. Hosp. Rep. IV. p. 133. 1864.

(2) Wecker (De) Chirur oculare p. 145.

(3) Mììller (B) Ardi. f. Ophthal. t. XV. 2. p. 3. 1856.

(4) Iwanoff Glaskorperblosung Clin. Monat. p. 297-1867.

Lo scollamento della retina curato chirurgicamente

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1869, quello del Guvea (1), ed un altro dell’ Iwan off (2), nel 1870 quello di un chirurgo italiano il Vacca (3) portarono una nuova luce sulla natura del distacco retinico. In tali lavori si ammette 1’ esistenza del distacco della jaloide da retrazione del vitreo , e si considera lo scollamento della retina come consecutivo allo scollamento ed alla re- trazione del vitreo. Queste idee vennero a modificare il trattamento chirurgico finora seguito. Si cercò sin d’ allora di risparmiare per quanto era possibile il vitreo , per non aumentarne la retrazione; per ciò si pungeva la sclera e la retina scollata sottostante mediante la punta di un sottile coltello di Graefe.

Così la lesione portata al vitreo si ridusse a minime proporzioni.

Questa operazione venne eseguita molte volte da un certo numero di chirurgi, fra cui dal De Wecher (4) di Parigi e dal Secondi (5) di Genova.

In seguito si abbandonò la lacerazione della retina, e il De We- cher e il Graefe (6) si limitarono a praticare la punzione scleroticale. Tale operazione non entrò però nella pratica di tutti, ma a poco a poco venne abbandonata, sia per l’ incertezza del risultato , sia perchè , non essendo garentita dalla precauzione antisettica, non era scevra di peri- coli ; difatti in qualche caso si ebbe a deplorare la perdita del globo oculare per panoftalmite.

Nel 1878 I. R. Wolfe (7) professore di oftalmologia all’ Univer- sità di Anderson ripiglia questa operazione, ne determina le indicazioni, ne perfeziona il metodo operatorio e la rende affatto innocua. Il Wolfe

(1) Guvea (H. De) Ueber die Entstelui ng der Glaskorperablosiuig iu Bolge von Gla- skòrperverlust, Ardi. f. ophthalm. t. XV. 1. p. 244. 1869.

(2) Iwanoff Beitrage zur Ablosuug des Glaskorpers. Ardi. f. ophthal. t. XV. 2. p. 1. 1869.

(3) Vacca (I) Distacco di jaloide Storia e consideraz., Biv. din. di Bologna p. 210. 1870.

(4) Wecker (De) Traité des maladies du fond de 1’ oeil. p. 157. 1870.

(5) Secondi Caso di guarigione permanente di distacco retinico per mezzo della divisione artificiale della retina, Giorn. ital. d’ oftalm. p. 297. 1870.

(6) Wecker Chirurgia oculare p. 229.

(7) Wolfe A new operation for thè cure of detachement of thè retina (Lanat, p. 506)

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Lo scollamento della retina mirato chirurgicamente

ha praticato tale operazione in una serie di casi (1) ed ha ottenuto, ora dei miglioramenti ed ora degli esiti che egli chiama completi, cioè con ripristinamento del campo visivo perduto. Non sappiamo però quali siano stati gli esiti definitivi di questa operazione ; poicchè 1’ autore parla degli effetti immediati all1 2 3 4 5 atto operativo.

Dietro le guarigioni riportate dal Wolfe 1’ operazione è stata pra- ticata da molti chirurgi; ma oggi viene di nuovo abbandonata dalla mag- gior parte, perchè non- a tutti gli stessi felici risultati, di cui parla il suo propugnatore.

Il De Wecker (2) ha tentato altri mezzi chirurgici quali il dre- naggio metallico sottocongiuntivale ; ma il filo asettico si incistiva alle sue estremità, e la filtrazione del liquido cessava, per cui egli ha ces- sato di adoperarlo.

Un altro mezzo, stato suggerito ed esperimentato dal de Wecker (3) sin dal 1884, è 1’ applicazione di punte di fuoco alla sclera per mezzo del galvano-cauterio, allo scopo di ottenere una coroidite adesiva. Con questo mezzo si sono avuti, a dire del De Wecker stesso, de1 migliora- menti qualche volta assai estesi, e qualche volta appena apprezzabili.

Di fronte ad una terapia così incerta , che in tanti casi dei miglioramenti, ed in tanti altri non ne affatto , lo empirismo non è mancato di suggerire degli altri esperimenti: Dransart (4), Galezowski (5),

(1) Wolfe Case of complete detachement of thè retina healed by ponction of thè scle- rotic (Med. Times and Gaz., p. 252, 1883.)

On an operation for thè cure of detachement of te retina. (Med. Press, and. Circ., XXXVII p. 372. 1884.)

A case of total blinness from detachment of thè retina (Glasgow med. journ. p. 140. 1884.)

Case of detachement of thè retina with complete loss of sight, cured hy an operation. (Brit. med. jour p 856. 1884.)

On thè traetment of detachment of thè retina (Ibid p. 1234).

Ponction a travers la sclerotique dans le décollement de la rètine (Ann. di Ocul , XCI. p. 149. 1884).

Traitment du décollement de la rètine (Ann. d’oculis, XCIII p. 16).

(2) Wecker (De) Chirurg. Ocul. 229.

(3) Wecker Bulletin de la Société d’ Ophtal. p. 70. 1885.

(4) Dransart - Traitement du décollement de la rètine par l’irideetomie serie Ann. d’Ocu t. LXXXIX p. 228, 1883.

(5) Galezowski Des différentes varietés du décollement de la rètine e de leur traitémentl. Ree. d’ Ophtal. p. 669 1883.

Lo scollamento della retina curato chirurgicamente

141

Castorani (1) hanno proposto empiricamente di praticare l’ iridectomia per curare lo scollamento della retina.

L’ esperienza della maggior parte dei chirurgi ha finito per consi- gliare fi abbandono di questa operazione, che rende 1’ occhio più ipoto- nico di quello che ordinariamente è , allorquando è affetto di scolla- mento.

In quest’ anno lo Scholer (2) ha presentato alla Società di Medi- cina di Berlino i risultati di cinque casi di scollamento retinico, curati da lui con nuovi mezzi. Egli ha iniettato poche gocce di tintura di jo- dio ora nella tasca della retina scollata ed ora nel vitreo adiacente e circostante. Dice che tali infermi hanno ricuperato la massima parte del potere visivo e del campo visivo perduti. Tale pratica non è stata fi- nora seguita da me; perchè credo che non sia esente di gravissimi pe- ricoli e che meriti la conferma di ulteriori osservazioni.

Di fronte alla chirurgia troviamo una folla di medicamenti che so- no stati adoperati per curare tale affezione. Mi risparmio di parlarne ; perchè è stato dimostrato essere tutti insufficienti a guarire la malattia. L’ eserina sola pare sia capace di apportare qualche vantaggio.

Stavano così le cose fino a questi ultimi anni, quando delle nuo- ve ricerche anatomo-patologiche hanno fatto conoscere le cause ed il meccanismo dello scollocamento spontaneo della retina. Il Leber (3) nel 1882 abbandona le sue vecchie idee, ed ammette che in ogni caso di scollamento rapido (ciò che vai quanto dire in quasi tutti gli scolla- menti) preesiste uno scollamento del vitreo, a cui siegue quello della retina, per stracciamento brusco di questa membrana e passaggio repen- tino sotto di essa del liquido, che lentamente avea scollato il vitreo.

Nel 1886 Nordenson (4) pubblica i risultati dell’ esame microsco- pico di quattro occhi affetti di scollamento spontaneo dalla retina. Yi trova: retrazione del vitreo con scollamento parziale di esso, scollamento

(1) Ci\ storani Memoria sulla cura dello scollamento della retina Napoli 1883.

(2) Schoi.ee Fur operativen Netzhautbehandlung Berliner medicinische Gesellscliaft. Sitzung vom. 6. Febr 1889.

(3) Leber Ueber die Entstehung der Netzhautablosnng Klin. Monatsbl. t. XVI. 1882

(4) Nordenson Etude sur le décollement spontané de la retine Stockbolm, 1886.

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Lo scollamento della retina curato chirurgicamente

della retina , stracciamento della retina scollata in corrispondenza del punto più fortemente aderente , infiammazione cronica della coroide. Quindi un resoconto clinico di 126 casi di scollamento retinico spontaneo osservati alla clinica di Gottinga dal 1880 al 1886, e nota come in 97 casi esistevano delle alterazioni del vitreo. Su 119 casi si notava in 46 casi per mezzo dell’ oftalmoscopio lo stracciamento della retina in un punto più o meno periferico. A questi 46 casi aggiungiamo tutti quelli in cui la piccola rottura della retina sfugge all’ esame il più accurato, perchè coperta dalle pieghe della stessa retina scollata, e se ne potrà trarre la conseguenza, che, per quanto riguarda la rottura della retina scollata, 1’ oftalmoscopio conferma i risultati dell’ esame ana- tomico. Ulteriori ricerche sono state fatte da Haensel e da altri e con risultati più o meno uguali; sicché possiamo con molta sicurezza ritenere come bene accertati i seguenti fatti, che lo scollamento della jaloide precede sempre lo scollamento spontaneo della retina. Che esiste co- stantemente un’ aderenza fra il corpo vitreo retratto e la retina scol- lata, la quale si scolla in seguito allo stracciamento di uno de’ punti più aderenti (periferia dello scollamento) ed al repentino passaggio sotto la retina del liquido che prima scollava il vitreo. Che lo scollamento della retina è più facile in quei punti dove essa è più aderente alla jaloide (equatore dell’ occhio), meno facile al polo posteriore, dove può esistere per molto tempo uno scollamento del vitreo senza importare per necessità quello della retina , la quale si sa che in questo punto aderisce assai poco al vitreo.

Era necessario premettere questi dati anatomici per fare risaltare il fatto, che la terapia chirurgica finora adoperata non può dare delle per- manenti guarigioni dello scollamento retinico. L’ atto operativo con cui si vuota all’ esterno il liquido sottoretinico, non toglie le aderenze che esistono fra il vitreo e la retina scollata, quindi questa deve necessa- riamente seguire il vitreo, determinando così la formazione di nuovo li- quido fra la retina ed il resistente guscio oculare.

Così si spiegano miglioramenti passeggieri ottenuti finora dalla mas- sima parte dei chirurgi, checché ne dica il Wolfe vantando degli esiti completi.

Lo scollamento della retina curato chirurgicamente

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Stando così le cose si vede la necessità di cercare nuovi metodi di cura sulla guida delle nuove conoscenze anatomiche.

Il De Wecker è dietro a fare dei tentativi per potere ottenere di romper le aderenze fra la retina scollata ed il vitreo retratto , aderen- ze alla cui accidentale rottura il Leber attribuisce i casi di guarigione riportati dal Gràefe e dal Bowman in seguito alla decisione della re- tina scollata. A me sembra che dovrà riuscire difficilissimo e direi quasi impossibile rompere queste aderenze senza ledere largamente il vitreo e la retina. Aon potendo realizzare la rottura delle aderenze re- tino-jaloidee, non resta altro che procurare un avvicinamento del gu- scio oculare alla retina scollata, previo svuotamento del liquido sotto- retinico. Si tratterebbe di realizzare per 1’ occhio quello che Estlander praticò con tanto successo per la cura del piotorace antico con retra- zione cicatriziale del pulmone.

Quest’idea non è mia , ma è stata messa fuori da M. Boucheron nella seduta del 9 Maggio 1888 della Società francese d’ oftalmolo- gia. Ignoro che siano stati fatti fin’ ora de’ tentativi per attuarla. Con queste vedute ho impreso la cura di due individui affetti di scollamento spontaneo della retina. In tutte e due i casi curati ho praticato lo svuo- tamento all1 esterno del liquido sottoretinico giovandomi delle risorse della più rigorosa antisepsi e delle indicazioni assegnate dal Wolfe.

Eseguito quest’atto operativo ho pensato di ottenere un certo ap- piattimento del guscio oculare in corrispondenza dello scollamento. Per fare avvenire questo ho applicato , mediante il galvano-cauterio , delle numerose punte di fuoco sulla sclera corrispondente alla retina scollata. Ho curato di fare queste cauterizzazioni molto vicine fra di loro ed interessanti la sclera in tutto il suo spessore, in modo da crivellare la sclera e nella speranza che la retrazione cicatriziale, consecutiva alla per- dita di tessuto, valesse ad appiattire in qualche modo la membrana fibrosa.

Sono convinto di non aver con ciò raggiunto tutto lo scopo pro- postomi; ho fatto però un primo passo dietro a cui si potrà in segui- to far meglio.

L’applicazione delle punte di fuoco, come riferii più sopra, è stata fatta dal De Wecker per la prima volta.

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Lo scollamento della retina curato chirurgicamente

Dette cauterizzazioni a dire del De Wecher stesso (Y. Traité Com- plet d’Ophthal. T. IY. fas. 1. 1887) sono state applicate per quanto più perifericamente era possibile ed evitando attentamente di perforare la sclera. Non so chi altri prima di me abbia accoppiato l’applicazione delle punte di fuoco allo svuotamento del liquido sottoretinico.

Avendo esposto in termini generali i criterii, che mi hanno guidato nella cura dello scollamento della retina , passo ad esporre i due casi clinici, che ho sottoposto al trattamento accennato.

OSSERVAZIONE la

L. D. da Messina di anni 45 di sana e robusta costituzione viene a consultarmi il 28 Luglio 1888 : racconta che nel 1881, dopo avere percepito per 3 giorni delle fotopsie e delle mosche volanti , perdette repentinamente la parte inferiore del campo visivo dell’ occhio destro e che in seguito a tale fatto la vista si abbassò rapidamente fino a spe- gnersi del tutto in un periodo di quindici giorni. In seguito ha sof- ferto in quest’ occhio di tanto in tanto dei dolori di breve durata, che si sono svegliati specialmente alla pressione.

Ora sono ventiquattro ore che avverte un grave disturbo all’occhio sinistro : dopo avere per sei o sette giorni percepito delle fotopsie e delle mosche volanti , d’un tratto s’accorge di non vedere più la parte inferiore degli oggetti. Si stanca a fissare le cose e la viva luce l’in- fastidisce e l’abbaglia. Ha un potere visivo uguale a 5/7 50 colle scale di Wecker ed un campo visivo limitato alla sua metà inferiore. La ten- sione intraoculare è alquanto abbassata. All’esame oftalmoscopico il vi- treo appare trasparente , la retina si presenta scollata nella sua metà superiore per cui forma una tasca fluttuante nel vitreo , che col mar- gine inferiore lambisce la papilla. Internamente e in basso la retina scollata presenta una fessura a margini irregolari e fluttuanti. La pu- pilla appare leggermente velata, non esiste staphiloma yosticum.

L’occhio destro presenta : cataratta consecutiva allo scollamento , sinechia posteriore totale dell’ iride, camera anteriore alquanto diminuita, tensione intraoculare sensibilmente aumentata , regione ciliare dolente alla pressione. Avvi percezione di luce nella direzione supero-esterna.

Lo scollamento della retina curato chirurgicamente

145

Consigliai all’infermo di tenere la posizione supina, di evitare ogni brusco movimento della testa ed ogni sforzo del corpo.

I! 29 Luglio di unita al Sig. Dottore Migneco propongo il vuo- tamente del liquido sottoretinico. Avanti di intervenire, dietro il parere di altri chirurgi, si sottopone l’infermo ad un trattamento medico; l’ese- rina (1 °/0) per colliro ogni tre ore, la pilocarpina per iniezioni ipoder- miche, il decupito dorsale, la fascia compressiva, il calomelano per uso interno.

3 Agosto : il potere visivo si è abbassato di molto ed è ridotto a circa 1 /20.

6 Agosto: l’infermo contale dita a m. 1,50. Il campo visivo non è diminuito, ma risulta limitato alla sua metà superiore: nella sua metà interna è un poco più esteso che nella metà esterna. (Vedi C. V.)

Lo stesso giorno praticai lo svuotamento dello scollamento retinico. L’operazione fu fatta col valevole ajuto del Sig. Prof. Francaviglia e dei Signori Migneco e Barbagallo, giovandomi della narcosi cloroformica e delle altre norme fissate dal Wolfe. L’antisepsi fu fatta al sublimato. Fatto un occhiello alla congiuntiva a livello dell’ equatore dell’ occhio, per un’estensione di circa 13 nini, e lungo il meridiano che passa fra il retto superiore ed il retto esterno, scollai la congiuntiva ed il con- nettivo episclerale fino al bordo esterno del retto superiore, e in questo punto praticai la puntura, servendomi dell’ago da paracentesi del De- smarres in sostituzione del broad-needel degli Inglesi. Non ostante che P ago da me adoperato fosse assai più stretto di quello adoperato dal Wolfe, pure, dopo avere fatto penetrare la lama, mediante un movimen- to dell’ago attorno il proprio asse potei produrre una ferita di forma angolare, che permise facilmente l’uscita del liquido. Questo era limpido e di colorito giallo-bruno. Allontanato lo strumento, si potè mediante una graduata pressione esercitata con una spatoletta fare uscire dell’al- tro liquido— Non potrei precisarne la quantità perchè non si potè rac- cogliere. Si applicò un punto di sutura alla congiuntiva, si mise il col- lirio d’eserina e si coprirono ambo gli occhi con una medicatura antiset- tica occlusiva. La spatula del Wecker, con cui si esercitava una certa pressione sul bulbo, fu allontanata, quando si passò sulla medicatura il Atti Acc. Vol. II, Serie 4a 20

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Lo scollamento deità retina curato chirurgicamente

primo giro di fascia, che veniva a sostituire la pressione fatta da quella.

L’ infermo sta in riposo ed in posizione dorsale. Sin dal giorno dell’ operazione viene sottoposto quotidianamente a delle frizioni mercu- riali con 6 grammi di unguento semplice.

9 Agosto : Si rinnova la medicatura per la prima volta senza esa- minare il potere visivo, si pone solamente il collirio d' eserina.

12 Agosto: Si allontana di nuovo la medicatura. La ferita della congiuntiva, per mancanza di esatta coattazione de’ margini, non è gua- rita per prima intenzione, per cui si rimette la medicatura.

15 Agosto : si allontana definitivamente la fasciatura. Il potere visivo si trova uguale ad 1/10. Il campo visivo si è esteso in basso ap- pena di 10 gradi, (Yedi C. Y.) Si sospendono le frizioni mercuriali per la minaccia di stomatite e si sottopone l’ infermo all’ uso esclusivo del- l’eserina e del joduro potassico.

Si svolgono dolori ad accessi nell’ altro occhio dove la tensione appare più aumentata.

Si somministra anche in quest’ occhio il collirio d’ eserina che fa scomparire i dolori ed abbassa la tensione.

17 Agosto: I dolori dell’occhio destro riappariscono più violenti.

20 Agosto : Pratico un’iridectomia che fa scomparire definitivamente questi accessi glaucomatosi.

Si raccomanda all’ infermo 1’ uso esclusivo dell’ eserina e la tran- quillità della vita.

Rivedo l’infermo il 15 ottobre: l’acutezza visiva, il cam- po visivo sono diminuiti. Arreca molto fastidio all’ infermo un certo tre- molio negli oggetti, che fissa.

Il 22 Ottobre 1888 ajutato dal Signor Dott. Migneco mi decido a produrre delle cauterizzazioni alla sclera. Mediante la batteria del Corradi e con un’ ansa capillare di platino applico dodici punte di fuoco alla sclera in corrispondenza alla retina scollata , interessando in parte lo spessore della sclera. Medicazione antisettica occlusiva.

26 Ottobre: Allontano la medicatura e lascio che 1’ escare si di- stacchino allo scoperto.

27 Ottobre 1888: Il tremolio degli oggetti non è più avvertito

Lo scollamedto delia retina curato chirurgicamente

147

il potere visivo è un poco più rialzato, sicché ad 1 metro vede sempre lo stesso N. 10 delle scale del Vecker, ma in modo più distinto.

Il campo visivo è lo stesso di quello che si osservò dietro la prima operazione.

20 Aprile 1889 (dopo 9 mesi dall’epoca in cui si praticò la paracentesi scleroticale sotto-congiuntivale): Y = y,0 ; C. V. uguale a quello che si osservò in seguito allo svuotamento.

OSSERVAZIONE 2a

A. M. di anni 32, di costituzione debole, di temperamento nervoso, dedito agli studii sin dalla fanciullezza ha sempre impiegato molte ore alla lettura di libri. Accudisce a’ telegrafi sin dall’ età di 19 anni. Ha una miopia ereditaria grave , che porta sin dalla prima età , e che correggeva con lenti di 6, 50 all’età di 17 anni; prima di quest’età non portò occhiali credendo di aggravare la sua miopia. All’età di 22 anni , quando già usava la lente di 10 diottrie per vedere da lon- tano, perdette in modo repentino circa un quarto del campo visivo dei- fi occhio destro (quadrante supero-esterno). Tale malattia fu riconosciuta da’ medici come scollamento della retina. Da quell’epoca il potere visivo, a dire dell’infermo, cominciò sempre più ad abbassarsi ed il campo della vista sempre più a restringersi fino a che dopo un anno contava ap- pena le dita a pochi metri di distanza. Al quindicesimo mese perdeva completamente la vista dell’occhio affetto, non ostante che ebbe a spe- rimentare il consiglio de’ primi oculisti d’ Italia e di qualcuno della Germania. L’ occhio cieco rimase dolente alla pressione, e di tanto in tanto fi infermo vi ha avvertito e vi avverte tutt’ora de’ leggieri dolori. Dopo un anno a datare dalla perdita completa della vista all’ occhio destro , fi ammalato si accorge che il campo della pupilla dell’ occhio cieco cominciava a diventare bianco (cataratta consecutiva).

Nel Gennaio 1888 mentre andava a letto avvertì d’un tratto co- me una nuvoletta occupare la parte più alta del campo visivo , d’ allo- ra accusava delle fotopsie.

148

Lo scollamento della retina curato chirurgicamente

Questi disturbi visivi non gli davano molto fastidio tanto più che non sempre accusava la presenza della nuvoletta.

Al principio dell’ està le fotopsie si fanno più frequenti special- mente nelle ore di sera e nelle prime ore di mattina.

Nel Luglio si accorge che la nuvoletta si estende. Nell’ agosto le fotopsie si fanno frequentissime, sicché l’ infermo non può più riconci- liare l’ attenzione in veruna cosa. La forte luce l’abbaglia. Si stanca a fissare gli oggetti.

Il 9 agosto l’infermo si pone sotto le cure del Sig. Prof. Fran<?avi- glia, il quale somministra il collirio d’ eserina, il calomelano per uso interno , qualche iniezione di pilocarpina e di sublimato. Quest’ ultimo ben tosto luogo a stomatite, per la quale viene sospeso. Sotto queste cure l’infermo dice di avere avvertito un qualche miglioramento, per cui s’ induce ad uscire di casa. In seguito a questo movimento il potere visivo di nuovo si abbassa, le fotopsie ritornano frequentissime e la nu- voletta s’ingrandisce.

Il 10 Settembre entra sotto le mie cure.

L’occhio sinistro, l’unico da cui l’infermo vede, presenta: pupilla ristretta, tensione alquanto inferiore a quella normale, acutezza visiva = ~ con 7, 50 diottrie, campo visivo alquanto ristretto nella sua parte superiore (Vedi C. Y.) -All’ esame oftalmoscopico si constata la presenza di uno scollamento retinico anteriore della parte inferiore della retina che in questo punto si presenta increspata e di aspetto bianco grigiastra. Nes- suna rottura della retina scollata si rileva all’ esame oftalmoscopio. Il vitreo si trova trasparente, papilla un poco più rossa del normale, vene retiniche piuttosto dilatate.

L’occhio destro cieco presenta: cataratta consecutiva allo scollamen- to della retina, tensione diminuita alquanto, nessuna percezione di luce.

fei prescrive all infermo : decubito dorsale, fasciatura compressiva, collirio d’ eserina (1 °/0) 4 volte al giorno, iniezioni di pilocarpina (0,01) tutte le sere, frizioni mercuriali con 6 gram. di unguento semplice ogni giorno.

25 Settembre: Si sospendono le frizioni mercuriali per la minaccia di stomatite. Le fotopsie persistono , la nuvoletta non è aumentata di estensione.

Lo scollamento della retina curato chirurgicamente

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1 Ottobre : L’ infermo non tollera più la fasciatura. Le cure si restringono all’ uso dell’ eserina e del joduro potassico.

8 Ottobre: Le fotopsie persistono frequentissime.

L’infermo rifugge dall’idea di farsi fare lo svuotamento. Sentito il parere del Sig. Prof. Morano di Napoli s’ induce a farsi praticare da me un’ iridestomia. L’ operazione fu eseguita in alto, il taglio fu fatto periferico e l’iride fu escisa largamente coll’ajuto del Sig. Dott. Longo.

13 Ottobre. Si allontana definitavamente la medicatura.

Le fotopsie erano quasi scomparse sin dalla sera che seguì al gior- no dell’operazione. L’iride non presenta nessuna reazione.

20 Ottobre: ricomparsa delle fotopsie, appariscono delle piccole opacità vaganti nel rimanente del campo visivo.

26 Ottobre: Visus = -, campo visivo alquanto più ristretto in alto. (Vedi C. V.)

27 Ottobre: Svuotamento dello scollamento ed applicazione di punte di fuoco alla sclera.

I due atti operativi vennero praticati senza il soccorso della nar- cosi cloroformica, giovandoci dell’anestesia cocainica e sotto la più scru- polosa antisepsi.

Ajutato dal Sig. Dott. Marchese Liborio praticai la punzione. L’ occhiello alla congiuntiva fu fatto in corrispondenza dell’ equatore dell’ occhio e lungo il meridiano che passa fra il retto inferiore e quello esterno. Scollato il connettivo episclerale feci la puntura rasente il margine esterno del retto inferiore. Il liquido uscì misto ad una piccola quantità di sangue, sicché non se ne avvertì distintamente il colorito. Finito lo svuotamento, che si favorì mediante una dolce pressione fatta dalla pin- za a fissazione, si passò all’applicazione di 10 punte di fuoco interes- sando la congiuntiva e lo spessore della sclera. Questi punti di cauteriz- zazione furono distribuiti su due linee parallele al margine corneale e distanti un centimetro da questo. Le singole cauterizzazioni distavano circa due millimetri una dell’ altra.

La medicatura si allontana una prima volta al giorno e una seconda volta al giorno definitivamente.

3 Novembre 1888: V = 7|0. Campo visivo aumentato di- minuito, fotopsie quasi scomparse.

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Lo scollamento della vitina curato chirurgicamente

L’infermo stanco delle lunghe e penose cure si rifiuta di sottoporsi ad ulteriori applicazioni di punte di fuoco. Si limita ad usare l’ eserina e a stare in riposo.

Dice che di tanto in tanto avverte degli abbassamenti passaggeri del potere visivo.

Oggi dopo 6 mesi dall’ultima operazione si può affermare che la malattia siasi arrestata nel suo progresso. Egli gode dell’acutezza visiva di =4, con l’ ajuto di 7, 50 diottrie, ed è in grado di accudire al servizio di telegrafista, nel quale è stato reintegrato sin dal mese scorso.

Data così una breve esposizione di questi due casi di scollamento "spontaneo della retina, mi si affacciano alla mente tre quesiti.

È stato raggiunto lo scopo di avvicinare la sclera alla retina scollata ?

Qual’ è 1’ effetto utile che hanno ricavato i due ammalati.

Quali ammaestramenti si possono trarre dalle cure fatte a questi due ammalati, nello scopo di far meglio nell’ avvenire.

Alla prima domanda si può rispondere che nel primo infermo, a- vendo applicato le punte di fuoco senza perforare la sclera, questa non si è retratta che di poco. Nel secondo infermo invece in cui le caute- rizzazioni interessarono tutto lo spessore della sclera, si ebbe un sen- sibile appiattimento di essa in corrispondenza allo scollamento.

Per riguardo all’ effetto utile ricavato da’ due operati, bisogna di- stinguere ciò che si riferisce a.1 campo visivo e ciò che si riferisce al visus. Il primo si è aumentato un poco nel primo ammalato , mentre non si è modificato per nulla nel secondo.

Il visus invece nel primo infermo, che poco prima dell’ operazione contava appena le dita ad un metro e cinquanta, si è portato ad 1/io; nel secondo da 2 è salito a 2/3. Tali miglioramenti sarebbero di poca entità ; però, se pensiamo che questa malattia conduce quasi sempre alla cecità, come ne fa fede ai nostri infermi la perdita del primo occhio in seguito a scollamento, dobbiamo ritenere come un vero e significante vantaggio non tanto il leggero guadagno nel campo visivo (per il primo infermo ) e nel potere visivo, quanto il soffermamento della malattia per

Lo scollamento della retina curato chirurgicamente

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un tempo, che finora è di 9 mesi per il primo infermo e di 6 per il se- condo.

In quanto agli ammaestramenti, che si possono trarre dalle cure fatte dirò : che 1’ applicazione delle punte di fuoco , per dare un vero appiattimento anzi per imprimere una forma concava alla superficie con- vessa della sclera corrispondente alla retina scollata , dovrebbe impor- tare troppo perdita di sostanza. Questo richiederebbe un tempo piuttosto lungo per la riparazione cicatriziale consecutiva , e quindi esporrebbe 1’ occhio per molti giorni a’ pericoli della panoftalmite per una impossi- bile infezione della soluzione di continuo prodotta.

Forse nell’avvenire mi deciderò a fare una parziale escisione della sclera corrispondente allo scollamento retinico; la chirurgia sperimentale del resto ha dimostrato negli animali, che tali operazioni si possono fare sul globo visivo senza lederne la funzione.

Catania 26 maggio 1889.

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Sulla presenza della mannite in un vino da taglio.

Memoria del Prof. ff. BASILE

Il 1887 corse con siccità notevole per tutta la Sicilia , a cui , si aggiunse una temperatura altissima nella stagione estiva , seguendo il termometro all’ombra ed al nord fino a + 41 a Catania.

Tali squilibri sensibilmente influiscono sulla produzione agraria e sulla maturazione dei frutti fra i quali 1’ uva, che se da un lato ma- lamente si sviluppa per deficienza di pioggia , d’altro canto lo ecces- sivo calore , una buona parte ne brucia e per concomitanza di cause, specialmente nelle pianure e regioni littoranee, a pochi metri d’ altezza sul mare, si ottengono mosti molto zuccherini, e nel loro insieme man- canti di quell’armonia necessaria per ottenersi un buon vino.

Ora è noto come il glucosio sorpassando certe date proporzioni , al di del 27 °/0 circa, in certo qualmodo agisce come antisettico, per cui la fermentazione vinosa difficilmente comincia , malamente pro- segue e difficilmente si compie restando nel vino buona quantità di glu- cosio indecomposto. L’alcole formatosi in notevole quantità, con la propria azione antisettica, coadiuvando quella dello zucchero in eccesso, impedi- sce l’ulteriore sviluppo e propagazione dei saccaromiceti. In tali con- dizioni la fermentazione vinosa si arresta, mentre per ragione di alta temperatura nell’ ambiente, o del mosto fermentante, possono sviluppar- si fermentazioni diverse , che secondo la specie generano sostanze dif- ferenti la cui quantità può variare secondo l’importanza e sviluppo del fermento istesso, ottenendosi per risultato liquidi alcoolici, più o meno densi, di sapore dolce a cui sono commisti acidi spesso nauseosi. Tali miscugli , malgrado non meritano nome , pur si dicono vini per 1’ uso invalso di chiamar tali ciò che proviene da mosto di uva fermentato.

Tali vini, nelle predette annate, sono frequentissimi , specialmente nelle regioni che producono quelli da taglio, particolarmente dove la vite si educa alla latina, ed il carbonato di calce non fa difetto nel suolo.

Atti Acc. Vol. II, Serie 4a

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Sulla presenza della mannite in un vino da taglio.

La provincia di Siracusa occupa il primato e quella di Catania non è fra le ultime.

Analizzando un vino da taglio prodotto nell’anno citato, provenien- te dalla provincia e comune di Siracusa, contrada Cretazzo, di sapore agro-dolce coloratissimo e denso, ho trovato :

Alcole . . . . Estratto . . .

Acidità totale . Cremore . . .

Glucosio . . .

Mannite . . .

12, 8 °lo 34, 0 o/o 16, 5 °| oo (1) 2, 17 °/oo 46, 5 °l oo 8, 5 °l oo

Quest’ultima sostanza l’ho constatata per caso. Determinando il bi- tartrato potassico, con il metodo Berhtelot e Fleurieu, il giorno appres- so mi accorsi , che per effetto della aggiunzione del miscuglio etereo alcoolico , si era depositata una sostanza cristallina in forma aciculare. I cristallini aggruppati in modo da dipartirsi da un centro comune, da cui si irradiavano e raggiungevano la lunghezza di 1 a 2 m.m. Guar- dati con la lente si presentavano in forma di prismetti setacei.

Ho purificata detta sostanza, che ho ricavata da 300 c.c. di vino, ridisciogliendola nell’ alcole a bagno maria e con il raffreddamento e ricristallizzata.

Aveva le seguenti proprietà: sapore zuccherino, insolubile nell'ete- re, solubile in alcole caldo, da cui si deposita cristallizzata in prismi, con il raffreddamento. Solubile nell’ acqua. L’ammoniaca non la colora, solubile in una soluzione di potassa senza colorarsi, 1’ acetato di piom- bo non la precipita; 1’ acido nitrico l’ attaccava formandosi acido pro- babilmente saccarico ed ossalico , evaporando ed aggiungendo qualche goccia di soluzione di cloruro di calcio , l’ acido ossalico precipitava sotto forma di ossalato di calcio , riduceva debolmente , il liquido di Fehling per impurità di glucosio, trattata prima con acido solforico si effettuava in seguito la riduzione.

Non ho potuto constatare l’inattività alla luce polarizzata.

(1) L’ acidità è stata calcolata come acido tartarico libero, ma è evidente che almeno il 10 è rappresentato da acido acetico.

Sulla presenza della marmile in un vino da taglio

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Non poteva confondersi con la dulcite C6 H14 06, isomera della mannite C6 H14 06, che come è noto è meno solubile nell’ alcole a cal- do, dove cristallizza con il raffreddamento in forma di ottoedri.

Non può confondersi con l’inosite C6 H12 0G, isomera del glucosio C6 H12 06, scoperta nel 1869 da Linderbaun nel vino e poi da Iiilger nel mosto, essendo noto come in soluzioni alcooliche sature, all’ebulli- zione, con il raffreddamento cristallizza in foglie madraperlacee.

può confondersi con il glucosio cristallizzabile, di cui si cono- sce V azione sul liquido di Fehling.

Dall’ assieme di tali caratteri, simili a quelli della mannite , que- sta sostanza può ritenersi per tale.

La presenza della mannite nel vino non è un fatto nuovo, essen- do stata segnalata da Prat nei vini bianchi di Bordeaux , Haut-Sau- terne, Chàteau-Yquem ec. ed è noto come ne contengano i vini bianchi ammalati di quella malattia detta grasso dei vini ( fermentazione vi- schiosa ) , mentre i rossi difficilmente vi si assoggettano , circostanza che pare doversi addebitare , sia alla materia colorante rossa , che al tannino esistente in questi ultimi, a differenza dei primi per cui Fran- cois propose la cura mercè aggiunzione di tannino.

Nel caso presente trattandosi di un vino rosso da taglio, ricco di tannino e di materia colorante, con la concomitanza della acetificazione, lo credo degno di attenzione, non solo per il fatto in stesso, di una produzione rilevante di mannite, ma bensì ancora, perchè certamente la produzione di questa sostanza , si deve ad una fermentazione speciale, probabilmente vischiosa , contemporanea della alcoolica e contempo- ranea a una o diverse fermentazioni acide, sviluppo simultaneo favorito dalla temperatura alta, effettuitasi in modo però che nessuno delle dette fermentazioni prese il predominio, sia perchè vicendevolmente lo sviluppo di una, in certo qual modo arrestava lo svolgimento dell’altra, sia per la densità istessa del mezzo e la ricchezza del glucosio esistentevi o dell’ alcole formatosi , come dall’ analisi può rilevarsi. Che così le cose siano accadute , lo confermerebbe il fatto assicuratomi dal proprietario, che tale vino portava tale malattia fin dell’origine della svinatura.

Onde meglio provare la provenienza di tale sostanza, vediamo in

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Sulla presenza della mannite in un vino da taglio

riassunto le principali condizioni favorevoli alla formazione della man- nite.

E noto come la mannite viene considerata alcole esatomico. Lin- neman nel 1863 ne otteneva la sintesi per idrogerazione del glucosio C6H ’06-f 2H— C6Hl406.

La formazione della mannite come prodotto di speciale fermenta- zione è nota da tempo remoto. Fin dal 1813 negli annali di chimica si trovano le ricerche di Bracconnot ed in seguito un grande numero di chimici se ne sono occupati; Guibourt l’ha ottenuta dalla fermentazione vischiosa dello zucchero. Hirsch la ha preparata , facendo un miscuglio di glucosio con un decimo di destrina , 3 °/0 di fior di farina di fru- mento, ed abbondante aceto di birra. Mantenendo la miscela a + 25°, fra ventiquattrore comincia la fermentazione , evaporando il liquido e il residuo con alcole, filtrando, il liquido filtrato contiene tutta la mannite.

Per quanto pare Pelligot però fu il primo a segnalare un fermento speciale capace di generare la fermentazione vischiosa nelle soluzioni zuc- cherine (1). Il vero merito di conoscere la natura del fermento si deve a Pasteur.

È un fermento costituito da piccoli globuli riuniti a rosario del diametro 0,mm0012, a 0ram0014. Con la cultura speciale in liquido zuc- cherino , (zucchero di canna intervertito o glucosio) in presenza di so- stanze albuminoidi e minerali, si ebbe sviluppo della fermentazione vi- schiosa, con produzione di mannite di gomma. Da 100 parti di zucche- ro ottenne 45, 5 di gomma e 51, 09 di mannite, che spiega con la se- guente equazione:

25 (C12 H22 0U) + 25 (H2 0) = 12 (C12 H20 010) (gom.) + 24 (C6 H14 06) (mannite)

+ CO2 + 12 (H2 0)

La produzione di gomma però, si ottiene nelle sudette proporzioni, seminando il fermento selezionato, ma nelle fermentazioni vischiose spon- tanee, dove il fermento mannitico, pare agisca assieme ad un altro fer- mento, la gomma, sorpassa la mannite, per cui Pasteur giustamente so- spetta che la fermentazione gommosa, in questi casi sia differente della

(1) Schutzenberger. Le fermentazioni. Dumulard, 1876, pag. 187.

Sulla presenza della marmite in un vino da taglio

157

mannitica; infatti si trova un fermento a cellule più sviluppate, mesco- lato al primo e prevede come potendosi isolare il fermento gummico, si potrebbe avere la trasformazione dello zucchero in gomma senza man- nite, lo che fino al momento pare non siasi potuto ottenere. In ogni modo per fermentazione vischiosa può ritenersi quella che contemporanea- mente dà per prodotto gomma e mannite, in qualunque proporzione stia- no fra loro. Una volta si riteneva che la sostanza fermentescibile fosse 1’ albumina, ora però è stato dimostrato essere il glucosio , che si con- verte in mannite e gomma, 1’ albumina è però il veicolo che serve ad alimentare il fermento, in prova di che si ha che con l’ aggiunzione di acido tannico spogliando il vino di albumina si previene o si combatte tale malattia.

E ancora notevole un altro fatto , cioè che i liquidi i quali pos- sono subire fermentazione alcoolica, possono tutti alimentare i fermenti gummici, mannitici, lattici e butirici.

La temperatura alta favorisce immensamente la genesi della fer- mentazione vischiosa, lattica, butilica a + 30° si hanno le migliori con- dizioni di sviluppo.

Dall’ assieme delle premesse si rileva facilmente, come è probabile, che i vini agro-dolci , frequenti nelle nostre cantine e specialmente in provincia di Siracusa , provengono da fermentazioni vischiose e che la presenza della mannite e della gomma può essere frequente in tali vini. L’ acidificazione è probabile ancora che si deve in buona parte non solo al micoderma aceti , ma al microbio lattico o butilico , o all’uno od all’ altro comtemporaneamente secondo le condizioni speciali come lo proverebbe il fatto che un altro vino dello stesso territorio e comune di Siracusa , contrada S.a Teresa , di sapore agro-dolce come il primo , non conteneva mannite, in questo caso pare che 1’ acidità doveva attri- buirsi forse al solo acido acetico, ricerche che non ho potuto completare, impossibilitato ad avere ulteriormente gli stessi vini.

Ora è noto come fin dal 1875 faceva conoscere l’alta temperatura a cui può arrivare il mosto in fermentazione nei nostri palmenti sici- liani (1).

(1) Atti dell’Accademia Gioenia, Serie 3a Voi. X— G. Basile, ricerche di chimica enologica.

158

Sulla presenza della mannite in un vino da taglio

In un palmento di 80 Ettolitri circa, può arrivare fino a x 37 e siccome le condizioni di densità del mosto e le sostanze albuminoidi in eccesso (1) costituiscono quell’ assieme di circostanze o mezzo adatto allo sviluppo di fermentazioni diverse dell’ alcoolica, la quale esige condizioni determinate di densità del liquido, di zucchero e di sostanze albuminoidi, temperatura ec. (2) nessuna meraviglia potrà arrecare se la fermentazione alcoolica viene più o meno sostituita da altre fermentazioni. Che vini si ottengono in queste condizioni sarebbe superfluo addimostrare. Si otten- gono bevande detestabili.

Ma quale potrebbe essere il veicolo più facile e più probabile di trasmissione, cultura naturale o seminagione di tali bacteri ? la risposta bisogna attenderla da apposite ricerche.

Io non tralascio però segnalare una delle cause più comuni per la Sicilia ed alla quale ben poco si è fatta attenzione.

E noto che la Pirale e TAlbinia, specialmente nelle contrade più ubertose, arreca guasti rilevanti. Ora 1’ uva attaccata dalle larve, lascia scolare un liquido alterato , il quale ha subito una fermentazione , che non è alcoolica. Questa viscosità a poco a poco si propaga nell’ interno della bacca e finisce per disfare le sostanze albuminoidi non solo , ma benancora la pellicola, questo malanno in certi anni arriva fino al punto da avvertirsi, passando fra una vigna attaccata, un odore nauseoso acido, quest' uva niente affatto, o malamente pulita, così guasta certamente è il coefficiente principale di seminagione di tali germi, che trovando mezzo opportuno dànno luogo a fermentazioni nocive.

Come si vede l’argomento è molto vasto non solo, ma interessante

(1) Nelle annate in cui la pioggia si fa desiderare e specialmente quando la temperatura in luglio od agosto diventa assai alta le bacche dell’ uva restano piccole e nella maggior parte sono costituite di polpa con pochissimo mosto , fino al punto che a maturità completa stringendo con forza una bacca fra le dita si rompe la buccia facendo scappare l’assieme dello interno conformato, resistente ed elastico ed il mosto attaccaticcio appena umetta le dita.

(2) Il Muller-Turgau fece alcune esperienze dalle quali risulterebbe, come fra + 35° o -f- 36° i saccaromices non funzionano e la fermentazione si arresta. Questo fatto praticamente non po- trebbe accettarsi, attesoché nei •palmenti siciliani la temperatura sorpassa questi gradi, eppure la fermentazione continua e si compie e ciò per motivo delle grandi masse fermentanti. Infatti ho provato che quanto più è la quantità di mosto e quanto più zuccherino è , altrettanto si eleva la temperatura ed altrettanto più si ottiene vino aspro e ruvido.

Sulla presenza della mannite in un vino da taglio

159

e studiato accuratamente può essere fecondo di utili risultamenti , in vista delle enormi quantità di vino, che annualmente vanno a male.

Malgrado le citate ipotesi meritano conferma, pure ho creduto dare importanza al fatto della presenza della mannite in un vino da taglio ammalato, attesocchè confermerebbe lo interesse che assume l’argomento, per studiare bene le condizioni generali come si effettua la fermenta- zione del mosto in Sicilia ed i rapporti di questo con gli organismi vivi, i fermenti.

Tale studio potrebbe dividersi in due parti, la bacteriologica e la chimica per determinare i prodotti che si ottengono dei mosti fermen- tati a temperature diverse e con differenti fermenti , conciliandoli in modo da formare un soltutto dipendente F uno dall’ altro.

Non c’ è dubbio che molto si conosce in proposito.

Sono noti è vero gli studi dei sopracitati autori e specialmente quelli di Nessler, Bersch, Schutzenberger, Mayer, Hansen, Gautier, Mul- der, Konig ec. ec., e sopratutto e tutti quelli del Pasteur, ma le speciali condizioni come la fermentazione del mosto accade in Sicilia e Tessersi scoperto da Bordas nei vini dell’Algeria (1) un altro fermento il quale trova le condizioni di temperatura più favorevoli a + 35° attaccando di preferenza 1’ acido tartarico ed il cremore , con formazione di acido acetico conferma sempre più il sentito bisogno.

Mi pare che forse questo dovrebbe essere il punto cardinale di partenza sul miglioramento enologico della Sicilia.

L’ esperienze che non si partono dalla conoscenza intima di ciò che accade nel palmento siciliano, mi pare che lasciano a desiderare, sulla conoscenza delle cause prime che dànno gli effetti, per cui sarà sempre difficile proporre con vera cognizione il rimedio. (2).

(1) Comptes rendus N. 2 Gennaio 1888.

(2) Fin dal 1875 aveva intrapreso studi sull’ andamento della fermentazione, sul suo svol- gersi, sulla temperatura ec. con relative esperienze (V. Atti dell’Accademia Gioenia di Scienze Naturali in Catania , Serie 3a. Voi. X. Ricerche di chimica enologica ) ed era mia intenzione sviluppare ulteriormente P argomento, ma mi arrestai avanti la mole del lavoro, considerandolo compito difficile di un solo , studiare le condizioni biologiche dei fermenti , la loro sfera di azione, la temperatura a cui una specie si propaga maggiormente o si arresta , il predominio di una specie sopra un’ altra, i prodotti chimici che ne derivano, la loro influenza snl vino ecc.,

160

Sulla presenza delia mannite in un vino da taglio

È noto il gran passo fatto dalhenologia, allorquando Pasteur adde- bitava la vera causa delle fermentazioni e relative malattie a fermenti diversi. Il rimedio efficacissimo del riscaldamento si deve a tali scoperte e forse per la Sicilia bisogna studiare , sulla convenienza di generaliz- zarlo in modo da renderlo pratica usuale di cantina, ma il male mag- giore sarebbe che buona quantità di vini si ammalano prima di essere completa la fermentazione alcoolica e sono ammalati prima della svi- natura come F esempio testé cennato. In questo caso frequente, malgra- do si applicherebbe il riscaldamento, si avrebbe sempre pessimo prodotto, oltre ciò il riscaldamento se potrebbe applicarsi di massima, per i vini da pasto fini sarebbe preferibile sempre, che non subissero tale opera- zione , essendo noto che comunica al vino sapore di invecchiamento forzato, da non raggiungere però la bontà dell’ invecchiamento naturale e spontaneo.

La miglior riuscita si avrebbe dalla accurata fabbricazione , che solamente può ottenersi quando si conoscono bene, evitando o corre- gendo le cause che possono impedirne i buoni risultati.

Catania , Agosto 1889.

Laboratorio di chimica della R. Scuola enologica.

in una parola le condizioni in cui i diversi fermenti possono naturalmente svilupparsi ed i prodotti relativi che si trovano nel vino. E tanto più tali studii dovrebbero aver luogo , in quantocchè generalmente è invalsa l’idea, addebitare all’ignoranza ed indolenza dèi proprietari, la cattiva fabbricazione dei vini in Sicilia, lo che se in massima parte è vero c’è da osservare però come da un altro lato si son visti molti enologi specialmente stranieri fiduciosi della loro competenza , rimanersi impotenti a risolvere certi quesiti difficili per ragioni locali e spesso ottenendo risultati inferiori a quelli ottenuti dai fabbricanti della regione.

Su di una nuova forma di fondazione nei terreni forti.

Nota

dell’Ing. Prof. FILAR ELFO FIOHERA.

Non occorre richiamare che le fondazioni decidono della durata, della integrità, della esistenza degli edifìcii, osservare che gli edifici costano somme ingenti ed eternano la civiltà dei popoli ; ma serve al mio assunto il notare che il caso più ordinario delle fondazioni e sopra terreni forti : nel mondo sono rari i casi di fondazioni sopra roccia. Ciò sappiamo non solo dalla pratica delle costruzioni , ma anche dalla geologia , la quale ci insegna che la maggior parte degli uomini vive sopra terreni quaternari.

Fino a questo momento la forma di fondazione adottata sui terreni forti è quella di un parallelopipedo rettangolare con la faccia inferiore orizzontale ed i lati verticali. Or, questa forma non è la migliore pos- sibile, perchè un’altra molto più di essa corrisponde al concetto fon- damentale della minima spesa colla massima resistenza. La prova di tale verità costituisce Fobbietto di questa nota.

Le fondazioni a sezione rettangolare praticate nei terreni forti sono indicate nelle figure la e 2a. Se le dette fondazioni si conformassero a sezione esagonale, come è indicato nella figura 3a, se ne otterrebbero importanti vantaggi economici e statici. Infatti:

A) Vantaggi economie i. Sia h F altezza , ed l la larghezza del solido murale, colle forme ordinarie e colla forma esagonale, fig. 2a e 3a. Si noti che in questo caso la forma esagonale non è equilatera , ma simmetrica relativamente ad una linea mediana orizzontale. Sia V la larghezza di ciascuna delle faccie orizzontali dello esagono. Se vogliamo

10 studio economico delle due forme di fondazione, ci basta confrontare

11 costo di un metro lineare della forma vecchia, col costo relativo della forma nuova. Per trovare una forma generale che ci permetta delle deduzioni pratiche, chiamiamo n il rapporto fra l ed

Atti Acc. Vol. II, Serie 4a

22

162

Su di una nuova forma di fondazione nei terreni forti

Chiamando r il rapporto fra i due costi unitari, avremo :

ossia

r =

h | ni'

h. ni'

ln ~ 1) l\

1

(n 1) V 2

nV

2 n

n + 1

Siccome à n > 1, r è sempre maggiore dell’ unità; ossia la forma vecchia costa più della nuova.

Praticamente, facendo n = 2, 3, 4, risulta :

r 1. 33 1. 50 1. 60.

Si desume da ciò come nei casi ordinarli la economia sia impor- tante.

Sul volume dello sterro, si fa anche economia, poiché si scava di meno il volume corrispondente ai due triangoli inferiori. Per convincersi basta confrontare fra loro le figure la e 3a. Se si volesse il rapporto dei volumi scavati nei due casi, si avrebbe, ragionando come sopra:

, 1 4 n

n 1 3n + 1 4n

E per n 2, 3, 4, si ha:

r' = 1. 18, 1. 20, 1. 23.

La manodopera dello scavo può essere minore colla forma nuova, quando la trincea è profonda ed esige delle badacchiature; perchè queste possono essere eliminate, qualche volta, dal taglio a scarpa nella parte inferiore.

Per ottenere nelle faccie inclinate inferiori una buona costruzione bisognerebbe disporre sul letto dei pezzi grossamente sbozzati in con-

Su di una nuova forma di fondazione nei terreni forti

163

tatto colla terra. La costruzione in calcestruzzo sarebbe la più acconcia alla forma di fondazione che stiamo studiando.

Nelle faccie inclinate superiori può essere abbandonata la superficie continua, sostituendola con delle riseghe piccole.

Fin qui si è provato che la nuova forma di fondazione è più eco- nomica della antica; esaminiamo, ora, se sia più solida.

B) Vantaggi statici. La pressione unitaria sarà tanto più piccola quanto maggiore sarà la superficie su cui essa è distribuita. Dicendo P codesta pressione totale , se essa si distribuisse perpendicolarmente e proporzionalmente ai lati del semiesagono inferiore della figura 3a, evi- dentemente sarebbe minore di come pel caso della figura la, che rap- presenta il tipo vecchio.

Qui il meglio sarebbe di far intervenire la esperienza, perchè mol- teplici e nuove sono le considerazioni da farsi; ma in mancanza di dati sperimentali, in cui mi impegnerò più tardi , mi propongo di cercare teoricamente ciò che è probabile avvenga con la nuova forma di fon- dazione.

Da principio , quando il potere resistente non è ancora esaurito , il terreno non si comprimerà. Allora, a me pare che le pressioni eser- citate dal semiesagono inferiore sul terreno saranno proporzionali alla proiezione del semiesagono stesso : vai quanto dire , nella faccia infe- riore orizzontale, avremo, conservando le notazioni precedenti, una pres- sione espressa da

p t »

ed in ognuna delle faccie inclinate inferiori una pressione data da

Evidentemente , addizionando il valore (1) col valore (2) raddop- piato, avremo P.

Ora la pressione P (—

-) è diretta secondo la verticale e si

164

Su di una nuova forma di fondazione nei terreni forti

decompone in due : una perpendicolare ed una parallela alla faccia inclinata (vedi figura 4a) e ci

pi (Lui

2 ' l

1 p G cosf, perpendicolare

u t

f P sen f, parallela;

Li i

(3)

(4)

essendo / il coefficiente di attrito che modifica la for/a parallela.

La forza (4) , alla sua volta si decomporrà in una (vedi fig. 4a) perpendicolare al fondo ed in una parallela, nel modo seguente :

, \ i i1

( f P - sen f cos <p, parallela (5)

1 (l - V) \ A 1

n f p Ì senc? )

2 L i l l'

\ f P - sen2 <p, perpendicolare. (6ì

\ Li L

La (5) si elide colla corrispondente dell’altro lato; la (6) e la sua

corrispondente dell’ altro lato si addizionano colla forza P . j

Ciò ci permette di credere che in principio della costruzione la pressione sul fondo possa essere

v i v

P . y + f P sen2 cp ;

e la pressione sopra ognuna delle faccie inclinate inferiori,

co

1 D (I - V)

2 P ì ^

(8)

Dalle pressioni assolute possiamo passare alle pressioni unitarie dividendo la (7) per V e la (8) per 1 11 ~ ^

COSf

, che è il valore dello

sviluppo lineare di uno degli elementi inclinati ; ed avremo :

p 1 ^ r p 1 ~ l'

P -j -+- f P ^ sen‘ f

V

-j[l + fsen'9 f—^) ] ;

P ^ , , (jyl l

= y + f mr<? lp ~fr

(9)

Su di una nuova forma di fondazione nei terreni forti

165

e

cos v

(10).

1 (l - V)

2 cos cp

Per formarci una idea concreta dei significato dei valori (9) e (10) osserviamo che nel caso della, fondazione rettangolare la pressione uni- taria è

Ciò ci fa conchiudere che nel caso della sezione esagonale la pres- sione è maggiore nel fondo e minore nelle pareti di come nel caso a sezione rettangolare nel fondo solamente.

I valori (9) e (10) ci dicono, dippiù , che nel caso della sezione esagonale la pressione unitaria nel fondo è notevolmente maggiore che nelle pareti inclinate.

Tenendo ferma quest’ ultima constatazione , osserviamo che a mi- sura che la costruzione si eleva, quando il terreno comincerà a sentire gli effetti della compressione, si abbasserà il fondo della trincea ; allora aumenterà la pressione sui lati inclinati, e tenderà a stabilirsi la ripar- tizione della pressione P su tutto il perimetro premuto.

A misura che ciò avviene, la pressione unitaria sul semiperimetro esagonale inferiore tenderà ad essere più piccola di come nel lato basso del rettangolo. Questa verità è sufficientemente chiara, ma noi ne faremo lo svolgimento analitico.

Facciamo il rapporto fra la pressione unitaria colla forma vecchia e la stessa pressione colla forma nuova ; anzi, per semplicità, possiamo considerare le superficie premute ; poiché, essendo uguale nei due casi la pressione totale, le deduzioni non cambieranno; e, se nelle superficie premute facciamo uguale all’ unità le dimensioni perpendicolari alla figura indicante la sezione , ci basterà confrontare i contorni delle superficie premute.

Adottando le notazioni precedenti, il contorno della forma vecchia

P

l '

166

Su di una nuova forma di fondazione nei terreni forti

è nV , e quella della forma nuova V + ;

^ co? < p 7

dicendo r" il rapporto dei due contorni, avremo:

facendo

l = ni'

e

r =

rii

V

V (n 1) eos <p

1 +

1) ,

co? 9

(11)

essendo <p l'angolo formato dalle faccie inclinate del semiesagono , col- l’orizzonte.

Per n = 2, 3, 4, la espressione (11) diviene

1 +

co.? <p

1 +

co? <p

4

1 +

co? 9

Siccome co?<p è minore di uno , così le superiori frazioni saranno sempre < 1 ; ciò che prova come la superficie premuta sia maggiore colla forma nuova di come colla vecchia.

Quando alla (11) si un valore concreto in <p, si può avere il rapporto dei contorni premuti in funzione di n ; e, quando si assegni un valore anche ad n , si potrà avere praticamente il rapporto r" dei due contorni. Di questo rapporto, evidentemente, si hanno due limiti sin- golari : quando ^ = 0, r" = 1; e ciò perchè il semiesagono si riduce al

rettangolo : quando <p == 90° , r" = ^ ^ , la quale espressione de-

riva dal parallelismo dei lati inclinati; ma possiamo noi dire che nel caso di <p == 0 la superficie premuta è l, e nel caso di <p = 90° è V.

Senza impegnarci nel calcolo, osserviamo che l’ultimo membro del- la (11) sarà tanto minore quanto più piccolo è n e quanto più piccolo è cos 9, vai quanto dire quanto più la sezione del solido di fondazione ten- derà ad avvicinarsi ad un rettangolo di base V . Da ciò si desume che la ricerca del massimo perimetro premuto è contraria alla stabilità, per- chè le facce laterali non premeranno efficacemente il terreno.

A me pare che , volendo dare una inclinazione tale da rendere

Su di una nuova forma di fondazione nei terreni forti

167

agevole la compressione del terreno bisogna avvicinarsi ad un angolo di 60°; malgrado che in questo caso noi sappiamo dalla idraulica, nello studio dei canali , che il contorno sia minimo.

Un altro vantaggio statico si ha nella resistenza trasversale delle terre : è chiaro che quando un terreno cede alla pressione verticale di una fondazione avremo la separazione del solido premuto da quello non premuto , e questa separazione deve avvenire presso i piani verti- cali determinati dalle facce esterne della fondazione , come è indicato per le rotture a ed a' della figura 5a. Nel caso della fondazione esa- gonale i piani di rottura trasversale del solido naturale del terreno sa- ranno quattro a a' a" a"\ come è indicato nella figura 6a; e, invece di essere perpendicolari agli strati del terreno, saranno obbliqui.

Ora, forse la obbliquità, ma certo il maggior numero delle sezioni resistenti del terreno sarà fattore di maggiore stabilità.

Per le esposte ragioni , e per qualche altra di minore importanza che potrebbe essere addotta , è chiaro come la nuova forma di fonda- zione meriti di essere preferita.

Chiudiamo questa nota facendo alcune considerazioni pratiche.

1. Quanto abbiamo detto ha la sua efficacia maggiore dentro un certo rapporto fra l ed h, che deve essere poco meno o poco più della unità. Ed ecco perchè se l è molto più grande di h , la muratura in scarpa sarà debole ed avverranno delle rotture secondo a ed come nella fig. 7a. Della stessa guisa avverrebbe colla fondazione ordinaria , vedi fig. 8a.

2. Ammessi i concetti svolti, si potrebbe da qualcuno domandare : perchè non formare un cuneo sino al piano di posa della muratura esterna, come nella fig. 9.? Perchè si determinerebbero delle rotture se- condo le linee a ed a\ ed i prismi m ed n sarebbero inutili.

3. E sempre da badare che la forma in esame sia posta in ter- reno vergine e forte , che tenga su colle scarpi naturali quasi a picco ; e che le facce tagliate per cui viene a posare la muratura siano bene configurate e scevre di terreno smosso.

4. Quando si volessero maggiori garanzie di solidità , si potrebbe usare il calcestruzzo , invece della muratura ordinaria ; le facce supe-

168

Su di una nuova forma di fondazione nei terreni forti

riori inclinate, si potrebbero disporre colla scarpa naturale dello stesso.

Dopo tutto si può ritenere che , quando la esperienza avrà con- fermato le idee esposte , la nuova forma di fondazione potrà rendere utili servizi alla scienza delle costruzioni.

Catania 21 agosto 1889.

Nuovo meccanismo di occlusione delle vene nei monconi

di amputazione

pel Dottor ANGELO PETRONE

Professore ordinario di Anatomia patologica a Catania.

(Memoria letta alla Accademia Gioenia il 26 Gennaio 1890).

Nel campo della nostra scienza tante questioni sembrano definiti- vamente risolute, in modo che, pare, non vi sia nient’ altro a studiarvi: invece per lo più esse non sono complete , o perfettamente assodate : spesso è la distrazione che viene per nuove vedute, per nuovi indirizzi, che se non fa dimenticare, fa almeno acquetare lo scienziato, quasi come se si trattasse di un acquisto definitivo.

E per venire al nostro obbietto, 1’ argomento della obliterazione e chiusura dei vasi sanguigni , oggetto di tanti studii e ricerche anche sperimentali , era per ciò entrato come una legge nel dominio della scienza, che, cioè, i vasi sanguigni, scontinuati per qualsiasi ragione, possono chiudersi in modo permanente, sia per organizzazione del trombo, sia per ravvicinamento e saldamento delle pareti vasali stesse.

Ma per quanto sia stato largamente studiato il processo della trom- bosi arteriosa nelle diverse contingenze morbose , per quanto anche quello della obliterazione delle vene sia stato oggetto di studii molte- plici , sebbene in mole molto minore che nel simile processo delle ar- terie, pure una quantità di punti inesplorati crediamo, che ancora vi sieno.

A me si è presentato ultimamente il quesito della occlusione delle vene nei monconi di amputazione, perchè avendo a mia disposizione un pezzo di un amputato di circa 40 giorni , i preparati microscopici mi mostravano ad occhio nudo, come potrete osservare, l’occlusione o quasi delle grosse vene, fatta dallo scollamento più o meno esteso dell’intima delle stesse.

E sebbene sia registrato il fatto che scollamenti dell’ intima delle

Atti Acc. Vol. II, Serie 4a 23

170 Nuovo meccanismo di occlusione delle vene nei monconi di amputazione.

vene possono avvenire per invasione flogistica acuta dalle parti vicine, . a similitudine di ciò, che succede nel distacco parziale delle mucose af- fette da difterismo , in modo che allora il processo è prevalentemente necrotico ; il caso da me osservato aveva invece tutt’altra apparenza ed indole , essendovi poca flogosi locale in rapporto alla esuberanza dello scollamento dell’intima, e questo non era necrotico, ma puramente mec- canico, in modo che questa tunica così scollata è ancora perfettamente viva: da ciò fui obbligato a farne ricerche più minute, anche perchè quest’argomento non è discusso in modo sistematico neanco nelle opere più recenti di Anatomia patologica e Patologia chirurgica, al di della organizzazione del trombo.

Mi sarebbe stato di un’utilità maggiore avere un esteso materiale per queste ricerche ; invece ho potuto cominciare soltanto con uno scar- sissimo. non avendo qui ottenuto alcuna autopsia di individui morti di amputazione dai pochi mesi in cui ho iniziato questi studii : ho potuto però esaminare- 3 casi , i quali mi hanno fornito tali dati positivi da incoraggiare lo studio di questo tema, e che mi hanno invogliato a farne il controllo sperimentale sui cani, come dirò in ultimo.

Il primo materiale di osservazione è stato puramente casuistico, fatto su un pezzo conservato già in alcool, ed in cui non vi erano altre notizie, che trattavasi del fascio nerveo-vascolare della coscia del cada- vere di un individuo morto dopo 40 giorni circa dall’amputazione : nes- sun’ altra notizia. Il secondo caso mi è stato offerto da un patereccio flemmonoso con cangrena secca della falangetta : l’ammalata disarticolata dell’indice , dito malato , guarì per prima intenzione. Il terzo caso mi venne ultimamente da un cadavere casuistico , che aveva amputazione antica di qualche anno e più, nella metà del braccio destro: l’individuo era morto per tubercolosi pulmonale ; probabilmente 1’ amputazione fu praticata per tubercolosi locale : il moncone di amputazione era perfet- tamente guarito e di guarigione vecchia.

Devo ripetere , che con tanta scarsezza di materiale i risultati di queste osservazioni mi sono sembrate non prive d’interesse, per cui da una parte ho iniziato una serie di esperimenti, dall’altra ho creduto do- veroso farne una comunicazione pubblica per mezzo di questa illustre-

Nuovo meccanismo di occlusione delle vene nei monconi di amputazione. 171

Accademia, affinchè chi si trova a disporre di materiale più abbondante, sia da raccolte vecchie, sia da pezzi recenti di autopsie, possa convali- dare o modificare le osservazioni seguenti, di cui vi espongo i preparati ed i relativi disegni.

CASO

Come si è detto, trattavasi di un pezzo puramente casuistico che portava con la sola notizia di essere il fascio nerveo-vascolare della coscia in un moncone di amputazione da circa 40 giorni.

I preparati microscopici di questo pezzo, ottenuti col taglio a ma- no ed imbibiti al picrocarminio, già mostrano ad occhio nudo, oltre la trombosi arteriosa, l’ alterazione speciale nella vena, che ha fermato la mia attenzione, cioè, lo scollamento in gran parte dell’ intima, la quale con un decorso prevalentemente serpentino si raggomitola dentro il lu- me della vena, già ristretto. Con deboli ingrandimenti lo scollamento più o meno esteso dell’intima dal resto della parete venosa è più evidente: si può meglio apprezzare il decorso serpentino ed i tratti ove ancora l’ intima è aderente: qui si nota la spessezza ordinaria della vena, mentre per tutta 1’ estensione dello scollamento risalta la mancanza dell’intima e quindi la minore spessezza. Per lo più ove l’intima è ancora aderente, la muscolare è in parte spostata , stirata dallo scollamento stesso. Aon solo la grande vena, ma anche altre, sebbene ancora grosse , mostrano lo stesso scollamento. Nelle vene più piccole lo scollamento manca co- stantemente.

L’ intima scollata è così abbondante, che potrebbe per circa 2 volte tapezzare l’ interno della vena. Essa si mostra pressocchè normale , tranne lievi fatti d’ iperplasia lenta, i quali non possono spiegare tutta l’esuberanza di questa tunica; indubitatamente ciò è giustificato dal fatto che la vena non solo è collabita, ma anche notevolmente compressa dai prodotti infìammatorii lenti delle parti limitrofe.

Nello spazio dello scollamento ferma 1’ attenzione il frequente tro- vato di corpuscoli rossi del sangue , che in gran quantità si attacca- no ai tessuti che limitano lo spazio dello scollamento , e quindi tanto all’ intima , che alla media : si trovano in grande quantità nei tratti

172 Nuovo meccanismo di occlusione delle vene nei monconi di amputazione.

stretti , ma , ripeto non mancano ove le pareti limitanti lo scolla- mento sono rotondeggianti , sporgenti nello spazio del distacco stesso. E ciò fa contrasto con simili sporgenze , che V intima col suo decorso serpentino fa con la sua superficie libera nel lume della vena, ove non vi è traccia di sangue, attaccata all’intima, nell’interno del lume residuale.

I corpuscoli rossi del sangue, che si trovano nello spazio dello scollamento, sono perfettamente conservati: non vi è apparenza di leu- cociti.

In alcuni preparati si vede la grossa vena collo scollamento non ancora serpentino, ma ancora piano, iniziale; e nel piccolo spazio dello scollamento vi è forte ammasso di corpuscoli rossi da quasi riempirlo : anche qui nel lume della vena, il quale non è molto ristretto, non vi è traccia di sangue.

La media e l’avventizia non mostrano notevoli alterazioni dei tes- suti , meno un leggiero ispessimento del connettivo : non vi risaltano

apparenze di alterazioni flogistiche. Ferma -però l’ attenzione un forte riempimento dei vasa vasorum di sangue , essendo nei preparati con- servata l’ iniezione naturale : in alcuni preparati si possono benissimo apprezzare di questi vasi iperemici sino nel limite tra media ed intima : e ciò, come ognun sa, è reso possibile dalla struttura della parete ve- nosa. Interessa anche il fatto, che nel connettivo dell’ avventizia e nei tratti di sua espansione tra i fasci muscolari della media si trovano granuli pigmentali ematici a diverso stadio di trasformazione, e che nei preparati meglio riusciti si può confermare la loro dipendenza da tra- sformazione di globuli rossi.

CASO.

Come ho riferito in sopra trattavasi di un patereccio flemmonoso dell’indice destro con esito di cangrena secca della falangetta: il pezzo fu messo immediatamente nell’alcool ordinario; appena asportato il dito intero con la disarticolazione.

A me importava 1’ esame di questo pezzo allo scopo di vedere se anche qui vi era scollamento dell’ intima delle vene più grosse , dap-

Nuovo meccanismo di occlusione delle vene nei monconi di amputazione. 173

poiché il pezzo non rappresenta in sostanza che un’amputazione spon- tanea, in cui la parte morta non è ancora distaccata : e tanto più l’e- same doveva interessarmi pel fatto del grave processo infiammatorio locale.

Anche in questo caso ho fatto i preparati microscopici a mano ed imbevuti al picrocarminio : per me evito, quando posso, l’inclusione in paraffina ecc., per avere i preparati meno tocchi dai reagenti.

Nella parte ancora viva e fortemente infiammata risalta l’invasione leucocitica delle pareti vasali, e non solo delle piccole vene ove l’infar- cimento infiammatorio è massimo , non solo delle vene più grosse , ma anche delle arterie principali del dito. In queste arterie si nota infar- cimento leucocitico dell’ avventizia e dell’ intima ; anche nella media si può apprezzare , sebbene in poca quantità , il trovato dei corpuscoli bianchi: l’arteria con questo ispessimento mostra il lume quasi chiuso, e la sua vicinanza fortemente infiltrata da elementi 1 infoidi da covrire completamente i tessuti locali e dare 1’ apparenza granulomatosa. E soverchio aggiungere , che nel resto della località vi è infarcimento infiammatorio più o meno spiccato, perfino nel perineurio e nei corpu- scoli di Pacini. Le piccole vene sembrano scavate in nna zona gra- nulomatosa , mentre le più grosse , anche mostrando forte infarcimento essudativo della parete e della vicinanza, mostrano sovente l’intima distaccata parzialmente sia in modo appena iniziale, sia con scollamento doppio , sia finalmente sotto Tapparanza serpentina , quasi come quella notata nel primo caso.

Nello spazio lasciato dallo scollamento non si trova sangue come nel caso precedente, invece vi è raccolta di essudato fatto in gran parte da elementi linfoidi , imbrigliati in un reticolo fibrinoso finissimo. Devo far notare anche qui, che l’essudato appare solo nello spazio prodotto per lo scollamento: nessuna traccia nel lume residuale della vena.

CASO

Il pezzo mi è provenuto da un cadavere casuistico, in cui vi era un moncone antico di amputazione del braccio sinistro.

Ad occhio nudo la sezione trasversale del fascio nerveo-vascolare

1 74 Nuovo meccanismo di occlusione delle vene nei monconi di amputazione.

corrispondente mostrava tanto l’ arteria omerale, che la vena compagna pervii sino a 2 centimetri circa dall’estremo libero del moncone, sebbene molto ristretti ; poi cominciava la trombosi dell’ arteria , ma la vena fortemente ristretta era ancora pervia, sino a che sempre progredendo verso il limite questi vasi non possono più bene apprezzarsi , essendo •coinvolti tra la produzione fibrosa cicatriziale.

In questo caso ho creduto conveniente di non perdere preparati di quel piccolo tratto che più m’interessava, e quindi ho dovuto fare l’in- clusione in paraffina, ed i tagli col microtomo Thoma-Yung: dopo i preparati si sono imbibiti al picrocarminio , ed esaminati la maggior parte, mostrano in complesso, per ciò che riguarda le vene più grosse, i fatti seguenti:

1. Trasformazione fibrosa, talora ialina dell’avventizia.

2. Atrofia più o meno spinta dei fascetti muscolari della media.

3. Restrizione notevole del lume , fatta dalla compressione del connettivo fibroso circostante.

4. Formazioni nodose di connettivo fibroso, desmoide, che risal- tano a prima vista, anche ad occhio nudo , sul resto dei tessuti della parete venosa. Questi nodi sporgono molto nel lume vasale , restrin- gendolo ancora dippiù: sono ricoverti in gran parte dall’intima, la quale ove passa direttamente nella parete venosa, in taluni preparati resta per un certo tratto scollata, in modo che lo spazio dello scollamento è limitato dal modo fibroso , dall’ intima scollata e dalla parete venosa sottostante. Di questi nodi ve ne sono nella stessa sezione di vena uno , due ed anche tre. Essi non somigliano ai nodi ateromatosi , perchè oltre la struttura speciale fibrosa , sono più sporgenti e non mostrano traccia di processi degenerativi.

5. In alcuni preparati dall’ intima che ricovre il nodo fibroso neoformato si spicca un ponte conn ettivaie , che s’ innesta sulla faccia dell’ intima opposta, in modo da far apprezzare il principio del salda- mente; questo ponte viene esclusivamente dall’intima, non avendo alcun rapporto di dipendenza dal nodo fibroso.

6. Una sola volta in una vena media ho potuto notare lo scolla- mento dell’intima, come fatto recente, mancando produzioni nodose;

Nuovo meccanismo eli occlusione delle vene nei monconi di amputazione. 175-

in modo che questo scollamento somiglia agli iniziali, notati negli altri casi, senza però poter più apprezzare sangue, essudato.

CONSIDERAZIONI

Due fatti risaltano in questi 3 casi nelle vene grosse e medie della località: ]. in un moncone di amputazione recente ed in un patereccio flemmonoso con cangrena secca , vi è scollamento più o meno esteso dell’intima : 2. in un moncone antico si trovano formazioni nodulari fibromatose , che riempiono lo spazio dello scollamento e sporgono nel lume vasale già compresso, da occluderlo o quasi.

Lo scollamento dell’ intima riconosce due fattori diversi, il sangue in un caso, un vero essudato nell'altro.

Nel caso dell’ amputazione recente si trova una notevole quantità di sangue nel vuoto fatto dallo scollamento. Questo sangue , che nei preparati si può apprezzare soltanto come corpuscoli rossi, non si può dire, che vi è capitato accidentalmente e che nel preparato, è ratte- nuto nelle strette sinuosità che fa il distacco , perchè il sangue si tro- va esclusivamente nel vuoto del distacco: nel lume residuale della vena nessuna traccia di sangue , e non deve esservene mancando le radici della vena e quindi il sangue circolante in essa, trattandosi di un mon- cone di amputazione: vi si sarebbe potuto trovare sangue da corrente reflua, una volta chiusa la vena nella sezione praticata, ma realmente non si è trovato. poi si può dire , che nello spazio creato dal di- stacco dell’ intima il sangue avesse potuto pervenire ed essere rattenuto da spazii stretti, anfrattuosi, dappoiché, come ho detto, si vede che i cor- puscoli rossi del sangue tapezzano anche le sporgenze rotondeggianti del distacco serpiginoso nel cavo dello scollamento , mentre mancano non solo sulla faccia di sporgenze simili dentro il lume vase , ma an- che in quelle anfrattuosità, che fa il distacco entro il lume vasale stesso.

Il sangue che si trova nello spazio dello scollamento, e che si può apprezzare soltanto come corpuscoli rossi , mostra questi elementi per- fettamente conservati, senza alcuna deformità e senza alcuna trasforma- zione regressiva pigmentale; appariscono come i globuli rossi recenti e

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meglio conservati. Questo fatto, insieme con le trasformazioni regressive di corpuscoli rossi che si trovano nei tessuti delle tuniche esterne della vena, indirizza, non potendosi far provenire dal sangue contenuto entro la vena, (la quale in questo caso non ne ha), alla provenienza fuori la vena in esame; e ad una provenienza comune sia al trovato di corpu- scoli già trasformati, sia di quelli ancora intatti. La ragione di questa dif- ferenza non può mettersi su di un fatto cronologico differente, invece deve mettersi sull’ azione speciale fagocitica dei tessuti delle pareti del- la vena sui corpuscoli rossi, mentre quando questi si trovano o arriva- no a scavarsi uno spazio libero, l’azione fagocitica, manca, e restano intatti per molto tempo, quasi come entro il lume dei vasi, sino a che circostanze speciali, fatte principalmente dai tessuti iperpl astici invaden- ti, operano la trasformazione.

Ma donde viene questo sangue? Già esaminando in massa i pre- parati si può notare un forte riempimento dei vasi piccoli, e questa è senza dubbio 1’ iperemia collaterale, una volta che i grossi vasi non per- mettono più la circolazione; ed al caso nostro importa il fatto della for- te iperemia dei vasa vasorum delle grosse vene, come si può bellamente

confermare nell’ avventizia delle stesse; anzi nelle vene più grosse mi è stato possibile vedere qualcuno di questi vasi iperemici sino nel limite tra media ed intima: di modo che se nelle grosse vene non corre più sangue, almeno nella parte più vicina al moncone, i loro vasa vasorum ne ricevono perchè dipendono da un campo vasale diverso, il quale non s’interrompe; e ne hanno quel di più che loro compete come circolo col- laterale. Ora piccoli vasi così iperemici, come succede in tutte le cir-

costanze simili, devono far fuoriuscire il sangue ed a preferenza i cor- puscoli rossi, (diapedesi), il quale s’insinua lungo i tralci connettivali in- termedi ai fasci muscolari, ed arriva nel limite tra la media e l’intima: ciò che sarebbe impossibile o difficile nelle pareti arteriose per ragioni di struttura. E credo, che sia questo sangue, che pervenuto cagioni lo scollamento dell’intima. La quale però vi è predisposta per le ragioni seguenti: 1. perchè una vena che si affloscia e collabisce per essere privata di circolo sanguigno, solo per questo rende più laschi e deboli, quindi meno tesi, i legami fibrillari dell’intima con la media: 2. perchè

Nuovo meccanismo di occlusione delie vene nei monconi di amputazione. 177

l' intima diventa relativamente esuberante , essendo la vena compressa dal prodotto iperplastico della vicinanza: 3. perchè V iperplasia della vi- cinanza si trasmette anche alla parete venosa, e non solo all’avventizia, ma anche alla media ed intima, e perciò queste tuniche in primo tempo, quando l’ iperplasia è ancora giovane, sono più tenere, meno resistenti.

Tutto ciò viene convalidato dal fatto , che manca lo scollamento dell’ intima nelle vene più piccole, perchè in queste, oltre la struttura diversa , vi è la continuazione del circolo sanguigno che impedisce il collabimento e quindi non fa avvenire una condizione favorevole pel di- stacco: mancano dall’altra parte i va sa vasorum, dai quali proviene la diapedesi nelle vene che ne sono fornite.

Che cosa diventi di questo sangue, non ho potuto seguire, stante F unico caso di recente amputazione di cui si è potuto disporre : segui- remo le trasformazioni con lo sperimento sui cani : probabilmente però quel sangue si trasforma sino ad essere riassorbito ed eliminato ; tanto più che nel moncone antico di amputazione non abbiamo trovato in quel sito alcuna traccia di pigmento ematico.

Nel caso del patereccio flemmonoso vi sono gli stessi fatti, con la differenza , che invece di esservi sangue nello spazio dello scollamento , vi è essudato ; ed i vasa vasorum sono al dintorno infiltrati di leuco- citi, come pure di questi prodotti infiammatorii sono infarcite le tuni- che dei vasi ed i tessuti limitrofi. Perciò qui lo scollamento è fatto dall’ invasione dell’ essudato. Anche in questo caso impone il fatto che, lo scollamento dell’ intima non si trova mai nelle vene più piccole , nelle quali la continuazione del circolo impedisce il collabimento, da cui la condizione sfavorevole al distacco: vi è poi forte emigrazione di leu- cociti che infiltra e fissa quasi la parete, mentre manca l’ immigrazione dei leucociti stessi, perchè mancano i vasa vasorum , ed anche perchè l’im- migrazione sarebbe impedita dalla direzione in fuori, in contrario , che fanno i leucociti che migrano da dentro. Le condizioni sono invece favorevoli nelle vene più grosse, nelle quali tra le altre vi è la condi- zione favorevolissima della corrente di sangue che cessa nelle stesse, una volta chiusa 1’ arteria omonima, quindi nessuna pressione, ma vuoto nella vena.

Atti Acc. Vol. II, Serie 4a

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178 Nuovo meccanismo rii occlusione delle vene nei monconi di amputazione.

Ho riesaminato varii miei preparati vecchi, in cui vi è chiusura o quasi di arterie, come principalmente in certi processi infiainmatorii cro- nici; così nella nefrite cronica, nel fibroma periarticolare dell’artrocace ecc. , ma non vi ho trovato lo scollamento delle vene : vuol dire , che in questi casi, sebbene vi sia chiusura o quasi delle arterie, questa oc- clusione si fa in un modo così lento, per cui anche il disturbo del cir- colo si opera in modo insensibile e facilmente viene il compenso.

Nel moncone antico abbiamo trovato le formazioni fibrose nodula- ri, che secondo quel che ci sembra più probabile, si formano nello spa- zio stesso dello scollamento; sia perchè occupano quel sito sia perchè in alcuni preparati nel limite del nodo fibroso neoformato si può ancora apprezzare lo spazio residuale dello scollamento sia per avere una strut- tura fibrosa speciale, diversa dalle produzioni fibrose che si formano tra i tessuti, invece come quelle che si formano a preferenza in cavità, ove non soffrono pressione ed impedimento dai tessuti vicini, ed ove anche la struttura fibrosa è così pura non essendovi alcun residuo imbrigliato dei tessuti precedenti ; sia infine per essere perfettamente circoscritti , e limitati dalle tuniche venose. Perchè poi succede questa neoformazione e come avviene, aspetteremo la risposta dallo sperimento: e solo per ora il processo mettiamo sul fondo dell’ iperplasia circostante, la quale si propaga alle tuniche venose ; e sulla mancanza di resistenze locali (spazio vuoto), che è tanto importante pel crescimento lussureggiante dei tessuti.

Riserbandomi alla seduta prossima comunicarvi quei risultati, che potrò ottenere da 4 cani, ai quali ho praticato amputazioni, o semplici allacciature di arterie, ho creduto per ora poter conchiudere:

1. Che nei monconi di amputazione, oltre della già ammessa or- ganizzazione del trombo, vi è nelle vene un meccanismo spontaneo di adattamento nelle loro tuniche, il quale contribuisce molto all’ occlusione di questi vasi, già sottratti al circolo sanguigno.

2. Che ciò è fatto dallo scollamento più o meno esteso dell’in- tima, cagionato da diapedesi, o da essudazione dei vasa vasorum.

3. Che come postumi si trovano trasformazioni nodulari fibrose nel sito dello scollamento, che sempreppiù coadiuvano la occlusione delle

Nuovo meccanismo di occlusione delie vene nei monconi di amputazione. 1 7

vene; meno nei casi in cui lo scollamento è fatto da un prodotto in- fiammatorio specifico, quando 1’ effetto utile dello scollamento manca, sopraggiungendo per lo più necrosi e distruzione.

SPIEGAZIONE DELLE FIGURE

Fig. la. Vena inedia del moncone di amputazione della coscia di circa 40 giorni. Scol- lamento doppio , serpentino dell’ intima , con sangue nello spazio dello stesso : la media è in parte trasportata dall’intima scollata, ove è ancora aderente al resto della parete venosa

1-2 Verick.

Fig. 2a- Idem del precedente Oltre tutto il resto, si vedono i corpuscoli rossi perfetta- mente conservati : essi si trovano soltanto nello spazio fatto dallo scollamento 1-6 Verick.

Fig. 3a. Vena femorale dello stesso pezzo precedente Scollamento iniziale dell’ intima con sangue entro lo stesso 1-2 Verick.

Fig. 4a. Vena media dello stesso pezzo precedente Si è disegnato soltanto parte della avventizia e della media : nell’ avventizia si notano i vasa vasorum ripieni di sangue 1-6 Verick.

Fig. 5a. Vena principale del dito affetto da patereccio flemmonoso e cangrena secca con- secutiva — Scollamento serpentino : si vede ancora un altro scollamento appena iniziale nella parte opposta Essudato nello spazio dello scollamento: infarcimento infiammatorio delle tu- niche della vena 1-2 Verick.

Fig. 6a. Idem del precedente Vena più piccola della precedente con scollamento doppio Essudato fibrinoso caratteristico nei 2 spazii da scollamento ecc. 1-6 Verick.

Fig. 7a. Piccola vena del moncone di amputazione antica del braccio (più di un anno). Scollamento doppio 1-6 Verick.

Fig. 8a. Idem del precedente Vena più grossa con formazioni uodulari fibromatose tra la media e l’intima : questa tunica soltanto in parte le ricovre Struttura speciale desmoide del nodo fibromatoso -1-2 Verick.

Fig. 9a. Idem del precedente Si può apprezzare ancora lo spazio residuale dello scolla- mento— 1-2 Verick.

Fig. 10a.— Idem dei precedenti Si nota anche il tratto neoformato di aderenza, che è il principio del saldamento.

182 Funzione dell' ossigeno nei composti e natura dell' azione biologica

Invece quanto è combinato all’ ossigeno, ha perduto questa carat- teristica azione paralizzante.

Infatti T ossido, CO, è un gas, il quale, inalato, si sostituisce allo ossigeno nei globuli rossi del sangue , i quali diventano impropri ad as- sorbire ossigeno dall’ aria e cederlo ai tessuti. Il sangue così guasto è disadatto a trasportare fuori acido carbonico, il quale in tal modo si accu- mula nei tessuti e concorre con la mancanza di ossigeno a dare la morte, oltre il produrre delle convulsioni. Per , CO è un gruppo inattivo , senza alcuna azione sul tessuto nervoso e muscolare, privo delle azioni caratteristiche del carbonio.

L’ anidride carbonica, CO2, manifesta 1’ azione di un acido debole qualunque, perciò irrita un poco le mucose e la pelle. Accumulandosi nei sangue, prende la forma di acido carbonico: CO1 -t-H'0 ==CO J e allora, anche coll’ ossigeno in quantità necessaria alla vita, esercita una forte azione convulsivante, molto nota comunemente, dovuta allo idrogeno dei due idrossili (V. lav. cit.) e così la morte.

Nell’ intossicazione per acido carbonico, vi è stupefazione ed infine paralisi, che possono indicare una qualche azione caratteristica dal car- bonio. Ma tali fenomeni sono effetto del grave perturbamento chimico e fisiologico in seguito all’ anormale eccitamento per idrogeno, come avviene per altri convulsivanti (ammonio, stricnina ecc. i quali sono convulsanti per l’ idrogeno) e non sono effetto speciale dell’ acido carbonico, da at- tribuirsi al carbonio in esso contenuto.

Quindi non credo di errare se dico, che l’ acido carbonico ha una azione diversa, opposta a quella del carbonio.

Nemmeno 1’ azione debole antifermentativa dell’ acido carbonico può attribuirsi al carbonio, perchè è effetto pure di ogni acido.

Dunque il carbonio nei suoi composti ossigenati ha perduto la pro- pria azione caratteristica e non agisce più.

Azoto. L’ azoto puro, secondo Sanderson e Murray, produce ane- stesia. Secondo altri, dapprima un leggiero eccitamento nervoso con acceleramento del polso e della respirazione; poi diminuisce l’eccitabilità nervosa e la sensibilità esagerata, rallenta il polso e la respirazione, ren- de il sangue asfittico.

Funzione dell' ossigeno nei composti e natura dell' azione biologica 183

L’ azoto forma diversi composti coll’ ossigeno, dei quali prendiamo in considerazione gli acidi iponitroso, nitroso e nitrico, perchè gli altri suoi ossidi passano in questi a contatto dell’ aria, dell’ acqua e dell’or- ganismo animale.

Il protossido, N20, inalato, produce ebbrezza, breve perdita di co- scienza e della sensibilità, con rapidi fenomeni di asfissia. Secondo Tony- Blanche, la breve anestesia sarebbe effetto dell’ azione asfissiante ; per- chè il protossido , inalato con ossigeno , non la darebbe più. Bianche però riconosce una debole azione paralizzante sul cervello, secondo lui mal definita. Bert poi ha dimostrato, che sotto la pressione di due at- mosfere, respirato in parti eguali con ossigeno, produce anestesia senza asfissia, finché dura l’ inalazione.

L’ azoto quindi, perchè esso è 1’ elemento che agisce in detto com- posto, avrebbe una simile azione del carbonio, ma molto più debole.

L’acido iponitroso o nitrosilico, NOH, allo stato libero e puro, se- condo mie esperienze, ha azione simile a quella del protossido. Ilo ado- perato il preparato fresco, ottenendolo dall’ iponitrito di argento, trattato con CHI.

Mettendo una piccola quantità della soluzione in un piatto ed ivi delle rane, o iniettandone alcune goccie sotto la cute , dopo un po’ di agitazione per l’ azione locale, le rane si acquietano. Indi dopo qualche tempo, si nota stordimento e poi perdita dei movimenti volontarii, onde le rane non si muovono più dal posto, se non quando sono stimolate. Pizzicando la sola cute, la rana non reagisce. Ma pizzicando la massa dei tessuti sottostanti alla pelle insensibile, si hanno vivaci riflessi, co- me in rana decapitata , oltre una serie di estensioni convulsive degli arti posteriori, indipendenti dalla volontà, nello stesso tempo che gli arti anteriori sono fortemente distesi ed immobili lungo il torace. In tali ac- cessi provocati , si arresta il respiro e s’ infossano gli occhi. Lasciata tranquilla dopo 1’ accesso , la rana ritorna a respirare , a sollevare gli occhi, restando sempre stordita e con cute insensibile. Detto accesso si può fare ripetere più volte colle pizzicature. Yi è ipersecrezione cutanea. Questo stato può durare alcune ore, se 1’ azione non è intensa e rapida.

Alla fine si arresta il respiro , si gonfia il sacco ioideo ed allora

184 Funzione dell' ossigeno nei composti e natura dell' azione biologica

è segno che il cuore si è arrestato. Così si trova scoprendolo , ma è eccitabile, contenente sangue un poco scuro. Dopo l’ arresto del cuore, continuano a manifestarsi i riflessi , pizzicando la massa dei tessuti di un membro, ma non si hanno più i suddescritti fenomeni convulsivi. Infine si aboliscono pure i riflessi; ma i muscoli scheletrici sono eccitabili. In ultimo perdono 1’ eccitabilità i nervi periferici e subito appresso i muscoli.

Se 1’ azione è debole in modo che la rana muoia il giorno appres- so, si trova degenerazione grassa del fegato.

La stessa azione manifesta l’ iponitrito di sodio, ottenuto dal ni- trito ridotto mediante idrato ferroso.

Con previa legatura di un arto, meno il nervo sciatico, si hanno i fenomeni generali descritti, e la pizzicatura della pelle nell’ uno e nel- T altro lato non produce nessun riflesso in nessun arto.

L’ abolizione dei riflessi poi avviene egualmente con differenza in- calcolabile, tanto nella parte avvelenata, quanto nell’arto legato, stimo- lando quella o questo, mentre i muscoli sono eccitabili.

Ciò prova che la' paralisi sensitiva è di origine centrale, e che l’a- nestesia cutanea , 1’ abolizione del moto volontario , lo stordimento dal principio e l’abolizione dei riflessi in ultimo dipendono dalla paralisi dei centri nervosi sensitivi e non dai centri e nervi motori e molto meno dai muscoli.

Nei cani ho fatto parecchie esperienze, ma di queste riporto le due seguenti. Ad un cane di Kg. 10 inietto sotto la cute gram. 1 1[2 di nitrito sodico ridotto in iponitrito. Dopo 12 minuti 1’ animale diventa sonnolente e perde la sua vivacità, in certi momenti cala il capo e chiu- de gli occhi, è come un po’ stordito, i riflessi cutanei sono molto dimi- nuiti o quasi aboliti. Questi fenomeni sono durati un’ ora circa e poi 1’ animale ha ricuperato rapidamente tutta la sua sveltezza.

Ad una cagna di Kg. 3 inietto sotto la pelle gram. 1[2 di nitrito sodico ridotto a iponitrito, a ore 1, 22 pom. All’ 1, 37 un po’ di sa- livazione, respiro più frequente, impulso del cuore più forte vomito. E notevole che i riflessi cutanei , prima squisiti e forti, ora sono aboliti. Pungendo anche forte, l’animale mostra di sentire, ma con indifferenza,

Funzione dell' ossigeno nei composti e natura dell’ azione biologica 185

ed i riflessi cutanei mancano. Alle 2, IO si nota la sola mancanza dei riflessi cutanei. Alle 2, 25 s’ inietta altro 1 [2 gram. Alle 3 V animale non può tenersi dritto , respirazione profonda , anestesia notevole della cute, però conservata la coscienza.

Mucose pallide. Poi leggiera convulsione. Insensibilità completa ge- nerale, esistono deboli riflessi palpebrali. La respirazione si rallenta fin- ché si arresta. Parecchi minuti dopo si arresta il cuore e con ciò si si ha la morte. Sangue nero-cioccolatte.

Dunque 1’ acido nitrosilico e l’ iponitrito di sodio hanno simile- azione del protossido di azoto, perchè la caratteristica di quest’ azione è l’anestesia e la paralisi dei centri nervosi. Nei mammiferi l’iponitrito ha un’ azione che si avvicina a quella del nitrito, ma non è a confondersi 1’ una coll’ altra, specialmente nelle rane. In questi animali 1’ acido ipo- nitroso paralizza la sensibilità ed i centri nervosi assai per tempo e dopo la morte paralizza i muscoli; il nitroso al contrario, come vedre- mo, paralizza i muscoli e non il sistema nervoso sia centrale che peri- ferico. Negli animali a sangue caldo ambedue alterano 1’ ossiemoglobina, per cui la somiglianza di azione nella seconda fase. E assai probabile che l’ iponitrito si ossidi nel sangue passando a nitrito.

Nell’ acido iponitroso e nell’ iponitrito di sodio, 1’ azione anestetica e quella paralizzante i centri è dovuta all’ azoto, perchè l’ idrogeno nel primo , NOH, il sodio nel secondo NONa , hanno minimamente queste proprietà paralizzanti. I fenomeni di eccitamento : le convulsioni, F ipersecrezione cutanea nelle rane dipendono dall’idrogeno.

Dunque nel protossido e nell’ acido nitrosilico, 1’ azoto conserva le sue proprietà biologiche.

L’acido nitroso, NO.OH, nel quale è aumentata la quantità dell’ os- sigeno, è un gas acido, il quale inalato, altera 1’ ossiemoglobina e così rapidamente determina collasso, cianosi, ambascia e morte (Tàndler), ma non produce la narcosi del protossido di azoto.

Dato sotto forma di nitrito qualunque, nell’organismo è messo in libertà e produce sempre lo stesso avvelenamento.

Il nitrito di etile , C2H5ONO, il nitrito di amile, C5HnONO, la trinitrina, la nitrobenzina, ed i nitriti alcalini agiscono tutti per Tacido

186 Funzione dell’ ossigeno nei composti e natura dell' azione biologica

nitroso, che mettono in libertà nell’organismo. L’ acito nitroso agisce sui muscoli vasali e li paralizza con molta rapidità. Altera ossiemoglobina, rende il sangue asfittico e, in seguito a ciò, produce le convulsioni nei mammiferi, lo stupore e la morte. La sensibilità persiste quasi sino al- l’ultimo.

È un veleno del sangue e dei muscoli splancnici e scheletrici, come è riconosciuto da molti sperimentatori.

La differenza di azione tra l’acido nitroso e l’iponitroso nei mam- miferi è piccola, e facilmente può sfuggire, sebbene l’insensibilità è un fatto più notevole e costante per il secondo , è leggiero o manchevole per il primo. Ma nelle rane la differenza risulta assai spiccata.

Il nitrito di sodio, alla dose di 3 a 5 centigrammi in grosse rane, produce indebolimento dei movimenti volontari e dei riflessi, annerimento del sangue, arresto del cuore ineccitabile e della respirazione, indeboli- mento marcato e perdita dell’ eccitabilità dei muscoli. E fin quando an- cora sono eccitabili i muscoli, sono possibili i riflessi; questi si abolisco- no quando quelli sono ineccitabili. Col nitrito di sodio i muscoli scheletrici e splancnici si paralizzano presto.

Facendo ad una rana la legatura di un arto meno il nervo, ed iniettando il nitrito di sodio alla dose indicata, quando è abolito ogni movimento volontario , si osserva in maniera evidente , che eccitando , con mezzi meccanici od elettrici , anche leggieri qualunque punto cen- trale o periferico della parte avvelenata , come pure dell’ arto legato , mai si ha il minimo riflesso o contrazione muscolare nella 'parte avve- lenata,, mentre si ha sempre nell’arto legato.

È inutile dire che i muscoli della parte avvelenata non si con- traggono nemmeno se eccitati direttamente coll’elettricità.

È chiaro che i muscoli sono paralizzati e non i nervi centrali e periferici, centripeti e centrifughi. Non è vero quindi che il nitrito so- dico sia un narcotico, come crede Binz (1).

(1) É deplorevole vedere che un illustre Farmacologo non si avveda dell’ errore enorme , considerando l’acido nitroso quale narcotico, e tanto è più deplorevole che egli ritorna in più recente pubblicazione (Virchow’ s. Arch. 1889) a sostenerlo. Ed io se potessi aver voce richia- merei su ciò 1’ attenzione dei Farmacologi dal guardarsene, acciò si cessi dal coltivare e per- petuare una cosa assolutamente erronea. Io vorrei raccomandare di avere meno preconcetti

Funzione dell' ossigeno nei composti e natura detrazione biologica 187

È chiara la differenza fra il nitrito e F iponitrito: con questo si ha la paralisi dei nervi e non dei muscoli; con quello la paralisi dei mu- scoli e non dei nervi.

Dunque 1’ acido nitroso non ha 1’ azione del protossido di azoto , dell’ acido nitrosilico e dell’ azoto. Esso agisce non come azoto, ma da acido messo in libertà nel sangue e nei muscoli, se è penetrato come nitrito.

L’ acido nitrico, NO\OH, ha F azione di un acido qualunque; iniet- tato nelle vene, altera il sangue, toglie F alcali all’ organismo, produce la degenerazione grassa e la morte, senza fenomeni caratteristici che ricordino F azione del protossido. Mentre F acido nitroso può essere scac- ciato dalla base e così libero attaccare il sangue; F acido nitrico libero se ne appropria delle basi e combinato non si separa da queste nel sangue. Da ciò F innocuità dei nitrati relativamente ai nitriti. Quelli danno F azione della base, questi F azione dell’ acido.

In ogni modo il fatto interessante, che credo sia evidente a tutti, è che nell’acido nitrico a somiglianza anzi meglio dell’acido nitroso. Fa- zione caratteristica dell’ azoto non si rivela, dirò meglio, che è scom- parsa.

Fosforo. 11 fosforo allo stato elementare o sotto forma d’idrogeno fosforato ha una potente azione a tutti nota. A piccole dosi eccita il pro- toplasma, aumenta l’ossificazione e la proliferazione connettivale. A grandi dosi la sua azione eccitante ha per conseguenza lo sdoppiamento della molecola albumina organizzata e la degenerazione grassa dei parenchimi.

Combinato all’ossigeno perde questa caratteristica azione biologica ed il suo potere tossico. Dyblowsky ha fatto osservare, che la dose di acido fosforico concentrato, che bisogna iniettare nelle vene per avvele- nare gli animali è 20 volte più della quantità del fosforo sufficiente

e studiare meglio i fenomeni narcotici (!), i quali non consistono nell’ arresto del cuore, nell’al- terazione del sangue e nella paralisi muscolare, temporaneamente o permanentemente, mentre il sistema nervoso non è attaccato, ma solamente subisce ben inteso gli effetti di quei disturbi. Quando si è ottenuta la narcosi nella rana, si scopra il cuore e si troverà arrestato, si ec- cettino i muscoli e si troveranno ineccitabili. L’ arresto del cuore è uno dei primi fatti. Le- gando contemporaneamente il cuore ad una rana, e facendo il paragone si vedrà la somi- glianza dei fenomeni narcotici !

188 Funzione dell' ossigeno nei composti e natura dell' azione biologica

per ucciderli. Tardieu e Roussin hanno potuto fare ingerire a degli animali fino a 12 gram. di acido fosforoso. Ma gli acidi, ricordiamo, uccidono per 1’ azione locale ed agiscono diversamente dagli elementi , da cui derivano. Convenientemente diluito, l’acido fosforico normale può essere impunemente assorbito alla dose di 16 a 20 gram. da un cane. In soluzione concentrata, si sa, ha una forte azione chimica sui tessuti vivi e morti.

L’ azione generale dell’ acido fosforico è quella di un acido qua- lunque (solforico, nitrico) togliere 1’ alcali all’ organismo, sdoppiare 1’ al- bumina e determinare in tempo adatto la degenerazione grassa. L’azione dell’ acido rassomiglia all’ ultima fase dell’ azione del fosforo. Ma l’ acido fosforico e tutti gli acidi del fosforo, nessuno di essi dico, ha l’ azione caratteristica eccitante sul protoplasma vivente, che ha il fosforo elemen- tare.

Diamo questo specchietto che riassume i fatti.

Fosforo e idrogeno fosforato P e PH3 o PH4, ha specifico potere tossico, eccita il protoplasma, produce la degenerazione grassa.

Acido ipofosforoso H’PO.OH \ Potere tossico comune quando sono con-

» fosforoso HPO.(OH)3 J centrati. Nessuna azione eccitante sul pro-

» ortofosforico PO. (OH)3 toplasma. Sottrazioni di alcali all’ organi-

» pirofosforico P‘05(0H/ \ smo. Alterazione del sangue. Paralisi del

» metafosforico PO2 OH cuore. Degenerazione grassa degli organi.

E evidente che nei composti ossigenati il fosforo ha perduto la sua azione caratteristica.

Gli acidi del fosforo hanno tutti la stessa azione , quella di un acido qualunque; ma apparentemente mostrano una notevole differenza. Infatti 1’ acido ortofosforico e ipofosforoso sono poco tossici ; l’ acido pirofosforico il più tossico di tutti ; gli acidi metafosforico e fosforoso sono di una tossicità intermedia. Anche i sali mostrano le stesse diffe- renze. Gli ortofosfati e gl’ ipofosfiti sono innocui e a gran dose produ- cono 1’ azione della base. Gli altri producono perdita dei riflessi, paralisi generale e della respirazione, abbassamento della pressione sanguigna ed arresto del cuore. Quando la morte non avviene rapidamente , si trova degenerazione grassa del cuore , del rene e del fegato. Il metafosfato

Funzione dell' ossigeno nei composti e natura dell' azione biologica 189

ed il fosfito sono meno potenti del pirofosfato (Gamgee, Schulz ed altri).

Pare da ciò che 1’ azione del fosforo si ripristini negli acidi con- densati. Ma non è così. La ragione di questa differenza di azione dei detti acidi e loro sali sta nella diversa affinità fra acido e base.

Le mie esperienze mi hanno rivelato, che l’ortofosfato e l’ipofosfito non hanno azione come acidi, bensì danno l’azione della base quando sono dati a gran dose; gli altri, prima di produrre la paralisi e la morte nelle rane, alterano il sangue , rendendolo nero cioccolatte , ed arrestano il cuore ineccitabile. Agiscono a somiglianza dei nitriti. Il pirofosfato è su- periore a tutti per questa azione. Nei mammiferi è pure l’alterazione del sangue che produce l’azione tossica. Questi acidi tossici sono veleni del sangue e dei muscoli.

Tutto ciò dipende dal fatto, che i sali si scindono e mettono in libertà 1’ acido, il quale , anche assorbito non salificato , resta libero , attacca i globuli sanguigni ed i muscoli direttamente, avvelenando come l’acido nitroso. E insomma sempre l’azione di un acido qualunque. Quando 1’ avvelenamento non è rapido, agiscono sull’albumina e deter- minano la degenerazione grassa.

Quindi la differenza di azione tra i diversi acidi del fosforo è apparente e dipende dal diverso grado di affinità fra acido e base. Que- st’ affinità è forte nell’ acido ortofosforico ed ipofosforoso, è debole nel pirofosforico, è media nel metafosforico e fosforoso. Perciò i sali dei primi non si scindono e sono innocui ; i sali del secondo si scindono più facilmente e sono più tossici; quelli degli ultimi sono fra gli uni e gli altri. Così quella specie di somiglianza tra 1’ azione del fosforo e quella dei suoi acidi condensati svanisce.

Risulta dunque che il fosforo perde la sua azione caratteristica nei suoi composti ossigenati.

Arsenico. L’ arsenico ha un’ azione analoga a quella del fosforo, co- me è noto. Ma l’ idrogeno arsenicale, ÀsH3 ha l’ azione più tossica e più caratteristica dei composti ossigenati; l’acido arsenioso As(OH)3 più dell’a- cido arsenico AsO(OH)3. Quest’ultimo finisce coll’agire come l'arsenioso, ma molte ore (6 a 12) più tardi. Bisogna ricordarci che l’arsenico ha debole affinità coll’ ossigeno e facilmente i suoi composti ossigenati si riducono, Atti Acc. Vol. II, Serie 4a 26

190 T unzione dell' ossigeno nei composti e naturo dell'azione biologica

tanto che in Chimica sono ritenuti quali agenti ossidanti. La ragione perchè l’acido arsenico agisce come l’arsenioso, ma molto più tardi, sta nel fatto che deve prima ridursi e passare in questo. Tale riduzione pare che sia già dimostrata .

Quindi 1’ arsenico ha la sua azione caratteristica nell’acido arse- nioso, non l’avrebbe nell’acido arsenico, se questi non si riducesse; anzi possiamo dire che non 1’ ha nell’ acido arsenico, ben inteso finché tale. L’ antimonio si trova nelT istesso caso.

Solfo. L’azione del solfo non è ancora bene conosciuta, ad onta che si conosca sufficientemente quella di parecchi suoi composti. Dallo studio comparativo dell’azione di CS\ SH', SNa", escludendo l’azione degli ele- menti compagni, risulta che esso è un elemento poco attivo, indifferente pel tessuto nervoso, è debole agente muscolare; cioè rende un po' rigidi ed ineccitabili i muscoli. L’ azione tanto manifesta sul sistema nervoso, che esercitano i suddetti composti si deve al carbonio ed all’ idrogeno.

Considerando inoltre che esso fa parte dell’albumina, che si trova, come il fosforo, nelle giovani cellule in via di sviluppo, e considerando che sebbene in piccola proporzione , è necessario alla vita e sviluppo degli organismi animali e vegetali, dobbiamo dire che il solfo ha pure un’ azione eccitante sul protoplasma.

Dunque 1’ azione sul protoplasma e sui muscoli sarebbe la caratte- ristica del solfo. Ora se il solfo si combina all' ossigeno , detta sua azione caratteristica scompare.

A tutti è nota l’azione dell’acido solforoso, SO(OH)2 e dell’ acido solforico S02(0H)2, azione di ogni acido qualunque , la quale non ha alcuna somiglianza con quella del solfo.

Neppure gli acidi iposolforoso ed iposolforico possiedono 1’ azione del solfo. La grande affinità del solfo per 1’ ossigeno, fa che questi acidi inferiori passino ad acido solforico.

Gli acidi della serie tionica, l’ acido idrosolforoso e gli acidi sol- forici condensati , non sono studiati , ma io credo , che neppure essi abbiano 1’ azione del solfo.

Gl’ iposolfiti, i solfiti ed i solfati producono tutti l’azione della base. I primi a bassa ossidazione passano in tutto od in parte a solfati, sia

Funzione dell' ossigeno nei composti e natura dell' azione biologica 191

esposti all’ aria, sia attraversando V organismo. Viceversa essendo forte l1 affinità fra ossigeno e solfo , gli acidi di questo nell’ organismo non subiscono riduzione.

I composti ossigenati del solfo, non salificati, uccidono i microor- ganismi , hanno intensa azione tossica anche sugli organismi superiori, ma come acidi, sottraendo acqua ed alcali ai tessuti e sdoppiando 1’ al- bumina, producono la degenerazione grassa degli organi ed il deperimento della vita di ogni protoplasma. Gli acidi di bassa ossidazione agiscono inoltre sottraendo ossigeno. Ma tutta quest’azione, ripeto, è in qualità di acidi forti, similmente come ogni altro qualunque, non in qualità di solfo.

Cloro. Secondo Binz, il cloro, il bromo e l’ iodo, allo stato libero, ed i loro composti decomponibili avrebbero azione narcotica e paralizze- rebbero direttamente i centri cerebrali.

II cloro sotto forma di cloruro di carbonio, la sua azione in- sieme a quella del carbonio.

I cloruri liquidi , C2C14 e CO1, inalati, producono profonda ane- stesia; però facilmente determinano paralisi della respirazione e della circolazione. L’ azione anestesica si deve tutta al carbonio , mentre la paralisi del centro respiratorio si deve al cloro , perchè questo centro resiste molto ai composti del carbonio non clorurati.

Inoltre un animale, sottoposto all’ inalazione di un cloruro di car- bonio , perduta la sensibilità e la funzione respiratoria , facendogli la respirazione artificiale, ricupera questa funzione e la sensibilità, ma rimane narcotizzato e dopo alcune ore muore.

Siccome codesta narcosi postuma perdura con la sensibilità e gli atti riflessi e non si ha cogl’ idrocarburi non alogenati ; così dobbiamo dire che detta narcosi si deve al cloro, e che il cloro colpisce diretta- mente i centri motori cerebrali, forse gli apparecchi di conduzione; e fra i detti centri colpisce il centro respiratorio.

Nei batraci protraendo l’azione dei suddetti cloruri sino alla morte, si osserva che i muscoli scheletrici diventano rapidamente ineccitabili e rigidi , appresso il cuore subisce la stessa sorte. Quest’ azione sui mu- scoli non si ha coll’etere. Nei mammiferi il primo muscolo , che viene colpito, è quello del cuore.

192 Funzione cieli' ossigeno nei composti e natura dell'azione biologica

Coll’ acido cloridrico nelle rane si ha paralisi dei muscoli schele- trici e splancnici assai notevolmente. Quindi il cloro è anche un agente muscolare.

La caratteristica adunque del cloro è quella di essere un narcotico, paralizzando i centri motori dell1 encefalo, non che i muscoli.

Il cloro forma coll’ ossigeno gli acidi : ipocloroso , Cl.OH, cloroso, CIO.OH, clorico C102.0H, e perclorico, ClOhOH. Io presento lo studio sul primo e. sul terzo, che credo bastante al nostro scopo.

L1 acido ipocloroso, secondo Binz, 1’ azione del cloro, che met- terebbe in libertà.

Io posso confermare il primo fatto; il secondo ha bisogno di essere provato.

Dalle mie esperienze sulle rane coll’ipoclorito di sodio, risulta che alla dose di gram. 0, 05 a 0, 10, l’animale s’intorpidisce, infossa gli occhi , abbassa il capo , si accovaccia e così vi resta per lungo tempo senza muoversi, respirando normalmente.

Se è stimolato l’animale un solo salto corto e vi rimane. Vi è un di ipereccitabilità spinale , per diminuito potere moderatore del cervello. Questi fatti durano alcune ore , poi 1’ animale si rimette. Ri- petendo le iniezioni nei giorni successivi si ottiene la morte ; allora i muscoli sono ineccitabili ed il fegato è degenerato in grasso.

A gran dose produce la narcosi e la paralisi cerebrale; più tardi mentre ancora vi sono i riflessi, si osserva che i muscoli rapidamente perdono l’ eccitabilità, e avanti di abolirsi i riflessi, il cuore si arresta ineccitabile.

Dunque l’acido ipocloroso agisce come il cloro; vale a dire, il cloro, sia che vi resti combinato, sia che si metta in libertà, conserva la sua azione in detto composto.

Ad onta che Binz creda che il cloro si sprigioni dall’acido ipoclo- roso, pure questo fatto è lungi dall’ essere dimostrato .

L’acido clorico poi agisce come un acido qualunque ed in contatto dei tessuti cede ossigeno e caustica.

I clorati producano l’azione della base, finché restano indecomposti.

Ma i clorati si scompongono nell’ organismo , mettendo in libertà

Funzione dell'ossigeno nei composti e natura dell' azione biologica 193

1’ acido clorico , il quale direttamente , o riducendosi in acido cloroso , trasforma 1’ ossiemoglobina in metaemoglobina (Marchand ed altri) e così riesce tossico. Lo stesso abbiamo visto coi nitriti, metafosfati, pirofosfati eco.

10 ho iniettato a delle rane il clorato di sodio, e l’ ho trovato di un potere tossico forte e rapido. Poco dopo 1’ iniezione di pochi centi- grammi (0,02 a 0,05) si arresta la respirazione, si gonfia il sacco ioideo , e dopo ciò si vanno perdendo le funzioni nervose. Quando è gonfiato il sacco ioideo, prima di abolirsi i riflessi, aprendo la rana, si trova il cuore arrestato, contenente sangue scuro, dapprima eccitabile e poi ineccitabile. 1 muscoli scheletrici, quelli toccati direttamente dalla soluzione del clorato si paralizzano subito , mentre gli altri si manten- gono eccitabili a lungo. Dunque si ha l’ azione di un acido.

E chiaro che nell’acido clorico, l’azione del cloro non si scorge più.

Bromo. Il bromo, sotto forma di bromuro a dosi terapiche, produce insensibilità della pelle e delle mucose e, come ha dimostrato il Prof. Ai- bertoni sugli animali, fa diminuire 1’ eccitabilità della corteccia cerebrale.

11 bromo a dosi tossiche paralizza il sistema nervoso dai centri alla periferia. Dopo la paralisi dei centri nervosi , successivamente si paralizzano il cuore, i nervi periferici ed in ultimo i muscoli scheletrici (nelle rane con NaBr a gran dose).

Il bromo coll’ ossigeno forma gli acidi ipobromoso , BrOH, bromico, Br020H, ed iperbromico, Br030H.

11 primo acido, sotto forma d’ ipobromito di sodio , BrONa, la stessa azione del bromo. Nelle rane l’ ipobromito sodico produce stordi- mento ed abolizione di ogni atto volontario, anestesia della pelle, ma non dei tessuti sottostanti; in modo che pizzicando la pelle non si hanno riflessi , e pizzicando i muscoli si hanno vivaci riflessi. Ma questi si pre- sentano come in rana decapitata. Poi si ritardano questi riflessi. Indi si arrestano gli atti respiratorii. Il cuore continua a pulsare sebbene un po’ debolmente. Poi si aboliscono i riflessi tutti. Perdono 1 eccitabilità prima i centri nervosi, poi i nervi periferici, in ultimo i muscoli ed il cuore. È chiaro che vi è azione paralizzante diretta sui centri, non di- pendente da difetto di circolazione sanguigna o da altra condizione.

Avvelenando contemporaneamente un’ altra rana con bromuro di

194 Funzione dell'ossigeno nei composti e natura detrazione biologica

sodio, per paragone, si hanno gl’ istessi fenomeni e non si saprebbe di- stinguere l’ una rana dall’ altra.

Ad un cane di Kg. 4 ho iniettato nella vena giugulare 117 c. c. di soluzione d’ ipobromito sodico , nella proporzione della solubilità del bromo, circa 33 volte il suo peso di acqua a 15° c.; cioè circa grammi 3, 5 di bromo sotto forma d’ ipobromito. Poco dopo 1’ animale si sdraia, poggia il muso a terra e dorme. Il cane è un po’ abbattuto ed ha notevole anestesia della cute, anche pungendo forte. Il respiro è un po’ affannoso. Polso lento da 120 sceso a 92 e alquanto debole. Dopo un’ ora dall’ iniezione 1’ animale è un po’ prostrato, poco si regge sugli arti posteriori, ha sempre forte anestesia della pelle ,’ ha soltanto ri- flessi palbebrali, conserva però la coscienza, sebbene mostri un marcato stordimento. Midriasi. Mucose pallide. Polso 100 e debole. Dopo 2 ore dall’ iniezione, l’ animale è meno abbattuto , si regge su tutti i quattro arti; ma continua ad avere notevole anestesia cutanea. Polso 120, meno debole di prima. Il giorno appresso si trova rimesso, ha ricuperato la sensibilità perduta, però volentieri se ne sta accovacciato a dormire.

Dunque l’ ipobromito di sodio ha la stessa azione del bromuro, e perciò in detto composto ossigenato il bromo conserva la sua azione caratteristica.

Dell’ acido bromico ho studiato il sale sodico. Ho fatto nelle rane esperienze comparative con bromuro e bromato di sodio. Ho usato i sali in dosi proporzionate a quantità eguali di bromo, cioè grani. 0,139 di NaBr -4- 2H?0 e gram. 0,205 di Na03Br + 3H20, trascurando le mi- nime frazioni. He è risultato una gran differenza di azione tra il bro- muro ed il bromato.

Il bromato solamente l’azione del sodio, cioè aumento dell’ec- citabilità nerveo-muscolare, spasmi convulsivi e morte, dopo cui i nervi ed i muscoli si sono mantenuti a lungo eccitabilissimi. I bromati, a dif- ferenza dei clorati, non danno alcun indizio che si decompongano nel sangue.

Dunque nell’ acido bromico, il bromo ha perduto la sua azione ca- ratteristica.

lodo. Oltre quello che si dice che l’iodo abbia Fazione di accelerare

Funzione dell' ossigeno nei composti e natura dell' azione biologica 195

il ricambio materiale, niente si sa di certo se abbia azione sul sistema ner- voso. Binz dice che i vapori d’ iodo producono nelle rane paralisi tran- sitoria del cervello. Le esperienze^ di Bohm, con iniezione intravenosa d’ iodo sciolto con NaI, dimostrano la ninna azione sul sistema nervoso. Dopo molte ore di apparente benessere, gli animali mostrano un inde- bolimento generale, disturbi della respirazione e morte improvvisa, tal- volta con convulsioni per paralisi cardiaca.

Dalle mie esperienze sulle rane io ho veduto che il iodo, sciolto con ioduro di sodio, a parte l’azione locale, produce indebolimento dei movimenti generali ed arresto del respiro. Avvenuto ciò si trova il cuore arrestato poco eccitabile, come pure sono poco eccitabili i muscoli sche- letrici. Poi questi perdono totalmente la loro contrattilità ed allora si aboliscono tutti i riflessi.

Se s’intercetta la circolazione in un arto, si ha la perdita della eccitabilità di tutti i muscoli, meno di quelli dell’ arto senza circolazione.

Le rane, a cui si è fatta l’iniezione dell’ iodo, se muoiono alcuni giorni dopo, hanno il fegato degenerato in grasso.

Dunque se è incerto che l’iodo abbia azione paralizzante sui nervi, è certo invece che 1’ abbia sui muscoli, compreso il cuore. Così si spie- ga la morte improvvisa degli animali avvelenati con iodo.

L’ iodo forma coll’ossigeno l’acido iodico, IO’OH e 1’ iperiodico I030H.

L’acido iodico ed i suoi sali sono tossici in modo speciale , men- tre un ioduro alcalino a dose più grossa è innocuo.

L’iodato di sodio produce paralisi e con questa spasmi muscolari ed anche fenomeni convulsivi. Le rane muoiono con distendimento te- tanico ed i muscoli si trovano rigidi ed ineccitabili , cuore in sistole e poco eccitabile, sangue un poco scuro.

Il iodo ed il ioduro non producono questi fenomeni. L’ azione ul- tima sui muscoli soltanto è simile con questi e coll’acido iodico. Non pertanto non è da confondersi di certo. L’ azione dell’ acido iodico sui muscoli ricorda quella dell’ acido nitroso.

L’ iodato, come i clorati ed altri sali, si scompone nell’ organismo mettendo in libertà l’ acido iodico. Pare che questa scomposizione per

196 Funzione dell' ossigeno nei composti e natura dell'azione biologica

l’iodato avvenga nei muscoli, ed ivi l’acido iodico, come un qualunque acido, non come iodo, determini la rapida ed intensa azione irritante e paralizzante. I clorati, i pirofosfati si scompongono nel sangue; invece i nitriti si scompongono nel sangue e anche nei muscoli.

Non è ammissibile l’idea di Binz che l’iodato si riduca nel san- gue e riproduca 1’ azione dell’ iodo ; perchè in tal caso quello e questo dovrebbero avere la stessa azione, e perchè se 1’ iodato è già assai più tossico dell’ iodo, come farebbe a dare un prodotto molto meno tossico ?

Dunque tutto calcolato a me pare concludere: che se V acido iodico abbia pure azione sui muscoli , ciò si deve al composto come acido e non come iodo , e che questo elemento nel detto acido non abbia più la sua azione caratteristica. Ciò poi diventa evidente se biodo ha azione sui nervi e sul ricambio materiale, eccitando il protoplasma, azione che non ha l’ acido iodico , e se si tiene conto che il detto acido non può sostituire mai l’ iodo nelle applicazioni terapiche.

Manganese. Il manganese forma parecchi composti coll’ ossigeno, di cui quelli capaci di dar sali sono: l’idrato manganoso , Mm’(OH)' , l’ idrato manganico, Mn2(OH)°, 1’ acido manganico MnO’(OH)J e 1’ acido permanganico Mn030H.

I primi due danno l’azione del manganese. Il citrato, il solfato, il cloruro, il lattato, ecc. iniettati a piccole dosi nel sangue, producono debolezza crescente dell’ animale, indebolimento del cuore e morte con degenerazione grassa del fegato (Nothnagel e Rossbach). A dose di 0,50 a 1 gram. producono paralisi, convulsioni tetaniche, e morte per paralisi cardiaca (Gmelin, Orfila, Laschkevvitsch, Rabuteau). Nei batraci il manganese produce paralisi dell’ eccitabilità riflessa e dei movimenti, mentre non vengono colpiti i nervi motori ed i muscoli (Harnack).

Nelle rane con tratrato di sodio e manganese, io ho osservato che prima si arresta la respirazione, con un qualche stordimento ed a que- sto momento il cuore è già arrestato contenente sangue scuro, mentre i riflessi normali ed anche dei movimenti volontari persistono. Poi , in seguito all’ arresto cardiaco si perdono i movimenti volontarii, si ha pa- ralisi motoria, in ultimo si aboliscono i riflessi.

Quindi la vera azione del manganese, secondo le mie esperienze

Funzione dell' ossigeno nei composti e natura dell' azione biologica 197

è quella di paralizzare i centri respiratorio e cardiaco-vasomotorio. Tutto l1 avvelenamento acuto è dipendente da questa paralisi della respira- zione e della circolazione. Perciò la prostrazione, le convulsioni sono dei fenomeni secondarii in seguito all’asfissia ed aH’indebolimento considere- vole della circolazione. Inoltre il manganese agisce come il fosforo, ma più debolmente, sulfialbumina e sul protoplasma, che eccita un poco dap- prima e poi fa degenerare in grasso.

Quest’ azione caratteristica del manganese sui centri nervosi bui- bari non si ha col manganato e permanganato.

Iniettando in una coscia a delle rane del permanganato di po- tassio, per azione locale si ha rigidità dei muscoli dove fu fatta l’inie- zione, ma nessun fenomeno generale si osserva. L’ animale resta sano e nel giorno seguente sono scomparsi i fatti locali.

Mettendo una rana , in soluzione di permanganato di potassio ed una in soluzione di tartrato mangano-sodico; dopo un’ ora , la prima è sana e svelta, la seconda ha la respirazione arrestata, gonfio il sacco ioideo, ma persistono i riflessi, ed aperta le si trova il cuore arrestato. La prima nei giorni seguenti si trova sana, e se la soluzione è con- centrata muore per causticazione della cute e per il potassio.

I manganati ed i permanganati danno 1’ azione della base ; però possono ridursi nell’organismo e allora molto tardivamente forse dar l’ azione del manganese.

Ma se questo è supponibile, non è dimostrato ancora dai fatti. Io ancora studente, ho visto nell’ospedale degl’incurabili di Napoli , fare grandi iniezioni di permanganato di potassio in cavità vaste per molti giorni senza avvenire avvelenamento generale. Le dosi iniettate sarebbero state più che tossiche. Nessuno ha veduto quali sono i fenomeni dei- fi azione generale dei permanganati. Questi forse possono ridursi in manganati o in biossido, ma fi azione del manganese manca sempre.

Dunque a me pare non erronea la conclusione che il manganese conservi la sua azione caratteristica negli ossidi basici, la perda negli ossidi acidi.

Stagno.— Lo stagno due tipi di ossidi idrati e di sali: l’idrato stannoso, Sn(OH)5, basico, e fi idrato stannico , SnO(OH)5, acido debole.

Atti Acc. Vol. ÌI, Serie 4a 27

igg Funzione dell' ossigeno nei composti e naturo dell' azione biologica

Ho studiato il primo sotto forma di tartrato stannoso-sodico. Que- sto alla dose di 0,05 nelle rane di media grandezza , dapprima fa di- minuire il potere moderatore del cervello, per cui prevalgono le fun- zioni spinali e le stimolazioni producono uno spasmo riflesso, onde la rana s’incurva, si solleva sulle quattro zampe, senza potersi sottrarre allo sti- molo e senza poter fuggire. I riflessi sono vivaci , ma la rana anche stimolata non fugge.

In seguito si arresta il respiro, indi succede paralisi completa di ogni movimento volontario con rilasciamento, ma i riflessi persistono. Infine i riflessi si aboliscono pure, ma il cuore pulsa ed i nervi ed i muscoli sono eccitabilissimi all’ elettricità.

Dunque lo stagno sotto forma di Sn(OH)2 ha azione caratteristica paralizzante i centri nervosi nelle rane.

Ad un cane di Kg. 3, 600 s’ inietta sotto la pelle 1 gram. del doppio tartrato ; segue vomito e aumento della frequenza del polso da 130 a 160. Dopo 2 ore se ne iniettano 2 gram. nella giugulare.

A questa iniezione segue prostrazione, vomiti , tremolii paralitici , polso 160 e debole, respiro affannoso. Aumenta raecasciamento, si acco- vaccia poggiando il muso a terra , così muore dopo 6 ore senza muo- versi, insensibilmente, per paralisi dei centri nervosi e del cuore.

Ho studiato il secondo composto sotto forma di stannato di sodio, SnO(ONa)2, il quale nelle rane alla dose di 0,05 a 0,10 o non produce alcuna azione se la rana è grossa, o produce l’azione del sodio pura e semplice, cioè convulsioni tetaniche, se la rana è media o piccola. Yale a dire che lo stannato l’azione dell’elemento basico.

Ad un cane di Kg. 4 s’inietta sotto la cute 1 gram. di stannato senza vedere alcun effetto.

Due ore dopo s’iniettano 2 gram. dello stesso sale nella giugulare. Pure questa volta nessun effetto, così per tre giorni l’animale è vissuto apparentemente normale, a capo del quale tempo muore improvvisamente, senza saperne la ragione.

Si vede da ciò che sotto forma di sale stannico, lo stagno agisce diversamente, cioè non esplica la sua azione caratteristica; invece di lui vi agisce l’elemento basico. La morte tardiva probabilmente dipenderà dal

Funzione dell' ossigeno nei composti e natura dell' azione biologica 199

composto stannico dopo ridotto in composto stannoso , in simile guisa dell’ acido arsenico. Perciò a me pare chiaro, che lo stagno nell’ ossido basico agisce e la sua azione caratteristica paralizzante sui centri nervosi; nell’ossido acido non agisce più ed ha perduto questa sua azione.

Cromo. Il cromo forma i seguenti principali composti coll’ossigeno: l’idrato, Cr(OH)2, il quale facilmente passa a ossido di cromo CrO3; l’os- sidrato Cr(OH)3 o Cr’(OH)6, CrO.OH; e l’acido cromico CrO'(OH)2. Gli ultimi tre danno sali : Cr(SO')6, (CrO.O)2 Mg. e CrO?(OK)2. Si conosce soltanto l’azione dell’acido cromico e dei cromati.

L’acido cromico, conosciuto come anidride, caustica più come acido che come ossidante (Schmiedeberg). Ingerito nello stomaco o iniettato sotto la pelle , produce in ogni caso intensa gastrite , nefrite , albumi- nuria, collasso e morte. Si trova nelle urine sotto forma di cromato (Gergens). I cromati ed i bicromati producono la stessa azione per qualunque via assorbiti. Questi composti si scindono nel sangue, l’acido cromico si elimina per la superficie gastrica e renale ed ivi esercita la sua intensa azione locale come acido sempre, mai come cromo.

L’azione caratteristica del cromo per non si potrebbe avere che dall’idrato Cr(OH)2 e da un sale dell’ossido, p. e. Cr?(S04)3; ma questi si decompongono e passano all’ossidrato, CrO.OH, o all’acido cromico , ambedue acidi.

L’acido molibdenico ed i molibdati agiscono come l’ acido cromico ed i cromati.

Il cromo ed il molibdeno adunque non danno azione caratteristica nei loro composti ossigenati, come elementi per sè, ma come acidi.

LEGGE DELLA FUNZIONE DELL’OSSIGENO NEI COMPOSTI.

Da questi esempi , che io ho creduto necessario esporre minuta- mente, risulta la conclusione in senso generico, che gli elementi combi- nandosi all’ ossigeno in una data misura perdono la propria azione caratteristica.

Ma questo fatto non si ha sempre, bensì quando l’ossigeno è com- binato in una determinata maniera.

200 Funzione dell' ossigeno nei composti e natura dell’ azione biologica

Se si guarda la forma degl’idrati o dei sali si trova la legge che

10 governa.

Chiamiamo X l’elemento da ossidarsi ed R l’elemento o radicale,

11 quale completa la formazione del sale. Questo radicale può essere lo idrossile OH, od una base od un acido.

Tutti i composti, che ne risultano , hanno per tipo una di queste due formole :

X(OR).n oppure X(OH)n; e XOn(OR)n oppure OXn (OH).n

Nella prima formola ciascun atomo di ossigeno (uno o più) esercita una valenza sull’elemento X ed una sull’ elemento o radicale R. Nella seconda vi è uno o più atomi di ossigeno , il quale esercita ambedue le sue valenze sull’elemento X, oltre quello il quale, come nella prima forma, divide le sue due valenze fra l’elemento X ed il radicale R.

Nella prima forma l’azione dell’elemento X non si perde , anzi gli è in questo caso che si mette in attività , si svolge e si manifesta.

Nella seconda invece l’azione dell’elemento X si perde sotto l’in- fluenza dell’ossigeno.

Quindi risulta questa legge : quando uno o più atomi di ossigeno esercita una delle sue due valenze su di un dato elemento e V altra su di un altro elemento o gruppo qualunque , il dato elemento conserva la sua azione biologica e si manifesta. Invece quando uno o più atomi di ossigeno esercita ambedue le sue valenze sull elemento , questi perde la sua azione biologica caratteristica e diventa inattivo.

Questa legge, per quanto mi è dato vedere da lunga indagine, non soffre alcuna eccezione. Però potrebbe essere infirmata fondamen- talmente se si volesse ammettere che l'ossigeno in due o più atomi si combini a stesso e perciò non eserciti che una sola valenza sullo elemento: ma ciò è ancora ipotesi la meno verosimile. Per prevenire qualche male inteso dico inoltre : che si può intendere per elemento un gruppo di atomi , su cui l’ ossigeno esercita una o le due sue valenze, e ho usato la locuzione, un dato elemento: per indicare in senso gene- rico la quantità atomica, la quale entra nel composto.

Funzione dell' ossigeno nei composti e natura dell' azione biologica 201

Presento qui un insieme di ossidi idrati o forme di sali , più co- nosciuti :

LiOH; NaOH; NH4OH; KOH; RbOH; CsOH; Cu(OH)2; AgOH; AuOH, Au(OH)3 Ca(OH)2 ; Sr(OH)2 ; Ba(OH)2 ; Mg(OH)2 ; Zn(OH)* ; Cd(OH)3 ; HgOH, Hg(OH)2 B(OH)s, BO.OH ; Al(OH)3, AIO.OH; TIOH, TIO.OH CO(OH)2 ; SiO(OH)2; Ti(OH)2, TiO(OH)2; Zr(OH)2, ZrO(OH)2; Ce(OH)4, Sn(OH)2, SnO(OH)2; Pb(OH)2, PbO(OH)2

NOH, NO. OH, NO2. OH; H2PO.OH, HPO(OH)2, PO(OH)3; As(OH)3, AsO(OH)3 Sb(OH)3, SbO(OH)3; Bi(OH)3, BiO'bOH; VdO.(OH)3; NbO(OH)3; TaO(OH)3 S(OH)2 (a), SO(OH)2, SO’(OH)2 ; SeO.(OH)2, Se02(0H)2; TeO.(OH)2, Te02(0H)2 Cr(OH)5,Cr(OH)3, CrO.OH, Cr30(0H)4, Cr02(0H)2; Mo(OH)2, Mo(OH)3,Mo02(OH)2 WO(OH)4, W02(0H)2; Ur(OH)‘, UrO(OH)2

CIOH, CIO. OH, CIO2. OH, C103.0H; BrOH, BrO'.OH, Br03.0H; ICP.OH, IO*. OH Mn(OH)2, Mn(OH)3, Mn02.(0H)2, MnO'.OH; Fe(OH)2, Fe*(OH)', FeO'QOH)2 Co(OH)2, Co2(OH)6; Ni(OH)2, NP(OH)6; OsO*(OH)*; Pt(OH)4; ecc.

Dando uno sguardo su questi ossidi idrati , si vede che l’ azione dell’elemento si ha dove 1’ ossigeno divide le sue valenze, e non si ha o si è perduta , dove 1’ ossigeno esercita ambedue le sue valenze sullo stesso elemento. Questi ultimi sono tutti composti acidi ed hanno la azione degli acidi anche quando, previamente salificati, sono messi in li- bertà nell’organismo, come ne abbiamo veduto degli esempi, finché tali e prima di subire una eventuale riduzione.

L’acido idrosolforoso , S(OH)2 (a) secondo la forma dovrebbe dare l’azione del solfo; ma questo composto è poco stabile e si ossida molto facilmente. Il suo sale di sodio, SOHINa, pure assorbe facilmente l’os- sigeno e si converte in solfito acido SO.O’HNa. Perciò senza infirmare la legge, detto composto non può dare l’azione del solfo.

Diamo uno sguardo agli ossidi anidri. Questi si hanno se il radi- cale R è rappresentato dalla stesso elemento X, come nella forma XOX, p. e. NaONa, Ca = 0, NON ecc., e sono o anidridi basiche o anidridi acide. In generale le anidridi sono in condizioni impossibili per potere agire nell’organismo, alcune per V insolubilità, altre perchè passano su- bito ad idrati o sali e allora vanno soggette alla legge suddetta. Ma ve ne sono alcune, le quali non subiscono alterazione penetrando nello organismo. Tra gli elementi eccitanti e più metallici vi è l’idrogeno, il

202 Funzione dell' ossigeno nei composti e natura dell azione biologica

quale nell’acqua, HOH, è sotto forma di ossido anidro, se per un mo- mento questo non si considera come idrato d’ idrogeno. Eppure è noto che l’acqua è un composto neutro , farmacologicamente inattivo e nel- l’organismo ha un ufficio tìsico, finché non si decompone. Nell’acqua lo idrogeno ha perduto l’azione eccitante ed è inerte. Invece se l’ossigeno viene per una valenza attratto da altro elemento o gruppo atomico , cioè sostituendo ad uno H un radicale e per modo di dire salificando l’idrogeno X nella forma HOR, come in HO.CH3, HO.C6H5, HO.N(CH3)4 ecc. quell’ idrogeno ha e manifesta la sua potente azione eccitante (Y. lav. cit.), secondo la la forinola della legge suddetta.

Forse come l’idrogeno si troverebbero gli altri suoi omologhi ecci- tanti, se i loro ossidi anidri potessero penetrare nell’ organismo senza idratarsi e salificarsi. Ma possiamo noi ammettere o supporre soltanto , all’esempio dell’idrogeno, che Li, Na, Iv, Rb, Cs, Cu, Ag, Au, Tl, nei loro ossidi anidri sieno inattivi ?

Tra gli elementi paralizzanti troviamo azoto e carbonio , i quali nella forma XOX. non perdono la loro azione. Tale è NON, nel quale l’azoto manifesta la sua azione paralizzante sul cervello, come in NOH ed NONa; a meno che nel sangue da N20 non passi con H20 a 2NOH, per l’azione catalitica del protoplasma vivente; ciò che per ora non è dimostrato ad onta dell’ affermazione di Berzelius , che N20 nell’ orga- nismo si scomponga in parte.

Ossidi anidri della forma X 0 X si potrebbero considerare gli eteri, 0 | CH3 0 ) ecc. nei quali il carbonio non ha perduto la sua azione anestesica, anzi, come si sa, la manifesta bene.

Se negli eteri 1’ atomo di ossigeno divide le sue valenze tra due gruppi atomici di carbonio, e questi conserva intatta la sua azione, nelle aldeidi e nei chetoni , un atomo di ossigeno esercita le due valenze su di un atomo di carbonio. In questo caso l’azione del carbonio è molto dimi- nuita, anzi quasi del tutto perduta nel CO isolato. Quando CO da ra- dicale fa parte dei composti , allora non tutte le quattro valenze del carbonio sono saturate da ossigeno, in questo caso l’azione del carbonio è molto diminuita, ma non del tutto perduta. Mentre negli eteri il car- bonio ha estesa ed intensa azione sui centri cerebrali e spinali , nelle

Funzione dell' ossigeno nei composti e natura dell' azione biologica 203

aldeidi e chetoni ha circoscritta e debole azione sui centri cerebrali ; per cui quelli sono dei validi anestesici, questi dei semplici ipnotici, tali

il gliossal gzjfco le aldeidi CH3HCA i chetoni CO(CH3)2.

Perciò il carbonio, saturato per due valenze dall’ ossigeno e per un’altra da altro elemento, non perde tutta, bensì conserva ancora una piccola parte della sua azione. Forse lo stesso succede per altri elementi polivalenti.

Quando una terza valenza del carbonio è ancora saturata dall’ossi- geno, come nel carbossile CO OH, l’azione del carbonio è perduta

del tutto; per cui nell’acido ossalico, qq'qjj’ mentre l’azione del carbonio

è scomparsa , si ha 1’ azione completa dell’ idrogeno. Ma il carbossile oltre il non avere l’azione del suo carbonio, fa scomparire in tutto od in gran parte l’azione dei gruppi atomici, eccitanti o paralizzanti, a cui si unisce. Gli acidi grassi, gli acidi aromatici, gli acidi ammalici e tutti gli altri acidi non manifestano più l’azione dei gruppi fondamentali, che questi hanno allorché sono senza carbossile. Da ciò pare che l’ossigeno del carbossile eserciti la sua funzione speciale anche più lontano, sugli ele- menti non combinati direttamente a lui. Perciò i radicali acidi, l’acetile CH3CO - , il benzoile C6H°CO - ed altri rappresentano gruppi poco o niente attivi , in cui il carbonio ha poca o niente azione. Ciò io tengo a fare rimarcare , acciò ognuno sappia quale parte essi possono avere nell’azione dei composti.

Da ciò che abbiamo detto risulta dunque, che negli ossidi anidri della forma XOX l’ idrogeno perde la propria azione, invece il carbonio e l’azoto la conservano.

NATURA DELL’AZIONE BIOLOGICA.

Visto che in Farmacologia avviene lo stesso fatto che nel mondo esterno e nel campo biologico, ci domandiamo perchè gli elementi, ossi- genandosi secondo le leggi sopra esposte , perdono la propria azione biologica caratteristica, che avrebbero sotto forma di composto non ossi-

204 Funzione dell' ossigeno nei composti e natura dell' azione biologica

genato ? Per spiegarmi e farmi intendere bisogna che io ricordi parec- chie idee ■vecchie e comuni.

Si sa che C e H ed altri elementi, bruciando nelle macchine o altrove, cedono le loro energie ai corpi circostanti. Si sa che il C e H, attra- versando l’organismo animale sotto forma di idruri ed idrati di carbonio, si ossidano, prendono le forme di CO1 2 e di H20 e sappiamo ora che per- dono le loro azioni caratteristiche; mentre l’organismo se n’ è giovato, ha attinto le sue forze e la sua vita. E chiaro che in questa traversata vi è perdita delle proprietà biologiche da parte degli elementi ed acquisto di energie da parte dell’ organismo , delle macchine e di altri corpi cir- costanti. Cioè vi è qualche cosa, la quale passa da quelli a questi.

Intendiamo per energia l’attitudine di un corpo a produrre lavoro.

Il lavoro poi è un passaggio d’energia da un sistema ad un al- tro : il sistema che la cede, si dice che eseguisce un lavoro su quello che la riceve; e la quantità d’energia ceduta dal primo è integralmente acquistata dal secondo ( Roiti ).

E energia l’attrazione, il calore, la luce, l’affinità ecc. Le energie

del sole passano da questi ai loro pianeti, sotto forma di luce, calore,

attrazione, affinità chimica ed in questo si compie un lavoro.

I successivi passaggi di queste energie sui pianeti nei diversi corpi della superficie terraquea sono altrettanti successivi lavori.

II carbonio e 1’ idrogeno principalmente ed in massima parte , il

fosforo, il solfo ed altri elementi in piccola parte, meno l’azoto (1), ed il Suore, si ossidano nell' organismo vivente, cedono a questo le loro ener- gie. Questo fatto complesso è noto a tutto il mondo, accettato da tutti.

In esso si compie un lavoro , perchè vi è passaggio di energie da un

sistema ad un altro. E quando l’organismo, ricevute codeste energie, le sviluppa sotto forma di pensiero, sensazione, eccitamento, innervazione, contrazione muscolare, vi è altro lavoro o passaggio di energia dal si- stema dell’organismo al sistema del mondo esterno.

Nell’ ossidazione del C e dell’H, tanto nell’ ambiente intraorganico,

(1) L’azoto negli organismi viventi è inossidabile, ha maggiore affinità coll’idrogeno e forma

composti ammidici; come si sa, esso si ossida solo nel terreno sotto l’influenza degli alcali e forma i nitrati.

Funzione dell' ossigeno nei composti e natura dell' azione biologica 205

quanto in quello esterno, vi è quindi senza dubbio un passaggio di energia dal C e H all’organismo e altri corpi. Ma questa energia non è un quid astratto assolutamente immateriale, bensì è un movimento degli atomi della materia , che si comunica ai tessuti viventi , e a tutti gli altri corpi circostanti; macchine ecc., secondo le condizioni di luogo e di tempo.

In questo lavoro, il C e H ne escono sotto forma di CO2 e B>0, privi di tutte le proprietà, chimiche, fisiche e biologiche, con cui si di- stinguono , e non sono atti a produrre o dare altre energie , se non dopo che sono separati dal ['ossigeno. Avviene come quando un corpo in moto urta un altro in quiete, questo si muove e quello si arresta, per- chè l’ uno perde , 1’ altro acquista il movimento. In questo caso non è passata materia , ma bensì è passato una cosa cioè del moto o della energia.

Dall’ossidazione degli elementi procede lo sviluppo di energia ter- mica e luminosa, elettrica, chimica ecc.: e queste energie non sono for- me di movimento dipendente dalla vibrazione atomica della materia ? Il passaggio dei corpi dallo stato solido al liquido e gassoso non dipen- de da passaggio di movimento o energia dal C e H in combustione alle molecole di detti corpi? E quando l’energia sviluppata non si li- mita alle molecole , per modificare la coesione, ma superando un certo grado di quantità e intensità , raggiunge gli atomi ; allora fa muovere questi e, modificando l’affinità, determina scomposizioni. È noto che ad una data temperatura i corpi si fluidificano, ad una superiore si scom- pongono.

In questi fenomeni è il moto o la vibrazione del C e dell’ Il che si comunica in una certa misura alle molecole, le quali così divengono più mobili. Se poi la quantità di quel moto, è maggiore, come nella combu- stione di maggiore massa di combustibile, allora non si limita alle mole- cole, ma passa agli atomi di queste e perciò ne risultano scomposizioni.

Quindi quando diciamo che vi è passaggio di energia e perciò compimento di un lavoro , vi è passaggio di movimento o vibrazione atomica, da un elemento che la perde ad altri corpi che l’acquistano.

Credo che ciò sia logico ed ammesso già da tutti , e spero che

Atti Acc. Yol. II, Serie 4a 28

206 Funzione dell'ossigeno nei composti e natura dell' azione biologica.

non mi si vorrà dare del fantastico, giacché se sono fantasie questi atomi, vibrazioni ed energie, allora o siamo matti tutti e non io solo o nessuno.

Credo che ognuno , il quale rifletti sui fenomeni della natura, ab- bia già riconosciuto, che tutto ciò, che ci circonda, parla del moto eterno della materia; indistruttibili Cuna e l’altro.

Dalla vibrazione degli atomi, combinati insieme , risulta la vibra- zione totale delle molecole ; nelle molecole si stabiliscono correnti di vibrazioni , che suppongo vadano da un punto all’ altro. La polarità elettrica o magnetica, ed altro indica questo concetto. E le molecole in- fine messe insieme ci danno i corpi in un dato stato fìsico , in cui le correnti molecolari della vibrazione atomica si esplicherebbero sommate o sottratte in altre maniere, quale coesione, adesione, gravità, attrazione planetaria , siderea eec.

Fin qui è il mondo estraorganico , fisico e chimico. A questo se- gue il mondo organico.

Questo risulta di sostanze composte principalmente di C, H e N, delle quali una parte sono sostanze che agiscono farmacologicamente , un’altra parte sono sostanze che agiscono fisiologicamente.

Appresso parleremo dell’azione farmacologica e fisiologica.

Le prime sono delle molecole, le quali hanno attività notevoli, se- condo gli atomi che le compongono, hanno delle più caratteristiche azioni biologiche, sono eccitanti per l’idrogeno, sono paralizzanti per il C e N, hanno talvolta straordinario potere tossico meraviglioso, già inesplicabile per la composizione chimica, perchè è sempre l’idrogeno ed il carbonio l’elemento attivo.

Perchè il carbonio e l’idrogeno hanno ora grande attività ora pic- cola? Perchè in alcune molecole vibrano più intensamente od hanno un potenziale maggiore, in altre vibrano meno od hanno un potenziale minore. Pare che la corrente delle vibrazioni molecolari si manifesti totalmente o in maggior parte a dati punti. Io ho dimostrato che quan- do un dato elemento occupa una estremità ( almeno supposta tale) è più attivo. In modo che si vede da ciò, che influisce più la posizione che la composizione chimica (Y. mio lav. La polarità biologica delle molecole).

Finizione dell' ossigeno nei composti e nahira dell’ azione biologica 207

Queste azioni si hanno quando l’ossigeno non esercita ambedue le valenze , come abbiamo veduto , sull’ atomo di un dato elemento , vale a dire quando non ha fatto ancora emettere a questo elemento le sue energie.

Inoltre, abbiamo pure veduto , che le molecole organiche , dotate di molta e caratteristica azione biologica, eccitante o paralizzante, bene- fica o tossica, perdono queste caratteristiche, se si acidificano con uno o più carbossili (acidi grassi, aromatici ed ammidici). Allora non sono più eccitanti o paralizzanti, benefiche o tossiche. Il carbossile esercita que- sta funzione sulle molecole organiche , come l’ ossigeno sugli elementi. Queste molecole acide appunto sono poi quelle che costituiscono la base chimica degli esseri organizzati; e di esse il protoplasma si crea, il tes- suto si organizza e si nutre; appunto perchè non sono più paralizzanti od eccitanti.

L’ossigeno del carbossile in fondo è sempre quello che impedisce all’azione del 0 e H dei gruppi fondamentali di esplicarsi. Dico impedisce, perchè questi conservano le loro energie, non essendo ossidati e le emet- tono ossidandosi, e perchè tolto il carbossile agiscono regolarmente.

Questo fatto dipende dalla legge della vibrazione delle estremità e dei nuclei delle molecole. La corrente risultante dalla vibrazione degli atomi componenti si arresta nell’ossigeno del carbossile (ho dei fatti importanti che mi autorizzano a parlare così con probabilità) e non hanno luogo di manifestarsi ed esercitarsi su altro corpo.

Da ciò 1’ apparente inattività del carbonio e dell’idrogeno, e quin- di 1’ opportunità di essi di poter servire alla costruzione e nutrizione dell’ organismo, senza produrre l’uno azione paralizzante e l’altro azione convulsivante, sebbene non ossidati, secondo la legge su espressa e do- tati di tutte le loro energie.

Tolto 1’ inconveniente di un’ azione anormale , resta il solo ufficio che dette sostanze, sotto l’influenza dell’alcali nell’organismo, si ossidano e nell’ ossidarsi, come è noto, sviluppano le loro energie.

Il primordiale protoplasma vivente è l’ acido organico coll’ alcali. L’ acido organico proprio principale dell’ organizzazione animale è la molecola albumina, la quale è un complesso acido ammidico, risultante

208 Funzione dell ossigeno nei composti e natura deli' azione biologica

cioè di due gruppi : uno di numerosi acidi grassi ed aromatici , e uno di ammidi. Questa albumina coll’alcali si ossida nel carbonio e idrogeno che contiene, così si sviluppano le energie, le quali danno principio a nuovo movimento, cioè alla vita vegetativa.

Intanto i tessuti viventi sono composti di albuminoidi, e se le mo- lecole di questi a causa dell’ossigeno del carbossile non manifestano le energie insite negli atomi componenti, il risultante tessuto ne deve es- sere già privo per sè. Questo tessuto per la sua configurazione è atto a funzionare , ma per fare ciò ha bisogno che gli vengano comunicate delle energie. Come la macchina a vapore la più perfetta è atta a fun- zionare, ma finché è senza fuoco starà sempre immobile.

Mentre noi abbiamo veduto, i corpi del mondo estraorganico, qua- lunque sia la massa, esplicano la risultante delle energie degli elementi componenti; i corpi organizzati non esplicano nulla. Questi quindi per funzionare hanno bisogno di attingere le energie dal mondo esterno e tale è difatti. I tessuti acquistano l’attività funzionale da tre sorgenti : una dagli esseri precedenti e generatori nell’ atto della procreazione, l’altra dall’ossidazione organica, l’altra dal mondo esterno fisico e morale.

Un protoplasma ed un tessuto dopo fattosi acquista le energie fisiologiche, a similitudine dell’ossido di ferro, che acquista le proprietà magnetiche dal seno della terra.

Così le idee del pensiero, le quali non sono innate, come preten- dono alcuni filosofi, si acquistano gradatamente in seguito alle sensazioni, e sono il prodotto delle impressioni esterne fisiche e morali. Queste im- pressioni sono moto della materia, che ci circonda (quale urto meccanico, immagine, suono, odore, sapore ecc.), e, per mezzo delle estremità pe- riferiche sensitive, vengono trasmesse ed impresse alla cellula cerebrale, la quale così acquista un movimento cioè una vibrazione simile all’im- pressione ricevuta, che conserva ed accumula colle altre, come idea, per un certo tempo indefinito (memoria).

Così pure in seguito alle stimolazioni interne o automatiche e quelle esterne si acquistano le altre funzioni, di ordine più basso, quale l’ec- citabilità riflessa , la sensibilità , la motilità dei nervi e la eccitabilità comune vegetativa del protoplasma. Dell’origine delle stimolazioni auto- matiche ne parlerò in altro lavoro.

Funzione dell' ossigeno nei composti e natura dell’ azione biologica 209

In tal modo la vibrazione della materia esterna si imprime, come movimento o vibrazione alla cellula nervosa , e si cambia in energia nervosa o fisiologica come si voglia dire. Diciamo eccitabilità, 1’ attitu- dine di un tessuto a manifestare un dato fenomeno secondo la organiz- zazione, in seguito ad uno stimolo. Perciò quando si manifesta l’eccitabilità vi è svolgimento di energia, cioè lavoro. Onde 1’ eccitabilità è un poten- ziale dei tessuti. Val quanto dire una energia o vibrazione, che acquista dal mondo esterno e dagli elementi in ossidazione.

E noto in fisiologia, che l’eccitabilità dei centri nervosi si acquista dopo qualche tempo dalla nascita al mondo. L’eccitamento di essi centri negli animali neonati non produce i movimenti, che si ottengono negli adulti. I convulsivanti non producono convulsioni nei neonati, come p. e. la stricnina (Falk), la cinconidina (Chirone), il carvacrolo , la furfurina in canini di 2 giorni , la furfuraldoxima in canino di 29 giorni (mie esperienze) ; ciò perchè l’eccitabilità dei centri convulsivi non è ancora acquistata, come ci ha fatto bene osservare il Prof. Albertoni. Io ho inoltre osservato che la salicilaldoxima, convulsivante spinale, produsse convulsione in un canino di 29 giorni (esperienza del D.r Sanfilippo ) e la furfuraldoxima, convulsivante bulbare, non produsse convulsioni, ma graduata paralisi nell’altro canino, il suddetto, della stessa figlianza ed età.

Si sa che il bambino prima impara a camminare , poi impara a capire.

Tutto ciò mostra che acquistano 1’ eccitabilità prima i centri spi- nali, poi quelli bulbari (centro di Kussmaul e Tenner), in ultimo i centri cerebrali e psichici ; cioè che l’acquisto delle funzioni è in ordine inverso al grado gerarchico.

L’educazione e l’istruzione dell’uomo, quella degli animali in genere data dall’uomo o dagli individui della stessa specie, i mille incidenti e bisogni della vita sociale , non producono a forza di ripetersi nuove attitudini piò o meno raffinate nel sistema nervoso, cioè non imprimono a questo nuove energie?

Quindi risulta da quanto ho detto, che la vibrazione degli atomi della materia è principio e cagione delle energie.

Possiamo nello esprimerci, prendendo causa per effetto , dire che

210 Funzione dell'ossigeno nei composti e natura dell' azione biologica

gli elementi, e nel nostro caso specialmente C e H, nell’ossidarsi emet- tono delle energie, cioè il loro movimento o vibrazione, che si comunica ai corpi circostanti; nel qual caso , questi acquistano novello moto o vibrazione, quelli lo perdono, a similitudine dell’ esempio avanti men- zionato, che se un corpo in moto urta uno in quiete, l’urtato si muove e l’urtante si arresta.

E chi fa nella materia universale determinare questo grande lavoro o passaggio di moto dagli elementi ad altri corpi? è V ossigeno.

Dunque se la vibrazione elementare è 1’ origine di quei fenomeni che chiamiamo energia termica, radiante, elettrica, chimica ecc. : se queste energie sono emesse dagli elementi nell’ossidazione, e dopo ciò essi pei quanto appare ne sono rimasti privi; vuol dire che l’ossigeno ha la singolare proprietà o funzione d! immobilizzare gli elementi , facendogli emettere le loro vibrazioni ed energie , rendendoli inerti.

Ora, siccome l’ossigeno fa perdere agli elementi la loro azione bio- logica caratteristica, insieme alla vibrazione atomica ; siccome 1’ azione biologica consiste nell’aumento o diminuzione della manifestazione fun- zionale e delle proprietà fisiologiche, le quali sono le stesse energie fisiche più o meno trasformate ed effetto della vibrazione molecolare dei tessuti viventi; siccome gli elementi producono la loro azione biologica ecci- tando o paralizzando, finché sono dotati di moto o vibrazione ed ener- gia, cioè finché non sono immobilizzati o resi inerti dall’ossigeno o non ossidati ; così 1’ azione biologica risulta essere V effetto della vibrazione degli elementi, la quale si eserciti sui tessuti vìventi.

Perciò l’ossigeno fa perdere agli elementi la loro azione biologica caratteristica, perchè gli fa perdere le vibrazioni e li immobilizza.

Questa è quella qualche cosa, la quale passa dagli elementi, ossi- dandosi, all’organismo animale ed altre macchine.

Che sia così torna opportuno ricordare il fatto assai noto e comune, che mentre C e H, ossidati sono inattivi biologicamente di certo, nelle piante si separano dall’ ossigeno e riprendono le forme attive, perchè sotto l’influenza della clorofilla e dei raggi solari, ricevono da questi e riacquistono le vibrazioni perdute.

Intanto gli elementi si dividono in due grandi gruppi : quelli ecci-

I unzione dell' ossigeno nei composti e natura dell'azione biologica 211

tanti , e quelli paralizzanti. I primi , H, Li, Ha, K, Rb, Cs, Cu, Ag, Au, Ca, Sr, Ba, Tl, sono più basici ed elettropositivi; gli alcalini prin- cipalmente e gli alcalino-terrosi in secondo posto sono i più forti ecci- tanti. I secondi, C e quasi tutti gli altri non nominati sono meno basici ed elettronegativi rispetto ai primi (1). Questo fatto generale, e partico- larmente il diverso potere elettrico, indica chiaramente che i primi, gli eccitanti, vibrano in un modo ; mentre i secondi, i paralizzanti, vibrano in un altro modo.

Perciò, i primi avrebbero vibrazioni omogenee a quelle dei nervi e dei muscoli e di ogni protoplasma, che aumenterebbero facendo ma- nifestare 1’ eccitabilità , cioè facendo sviluppare 1’ energia o il potenziale fisiologico; i secondi invece avrebbero vibrazioni eterogenee a quelle dei tessuti, che diminuirebbero o distruggerebbero, deprimendo l’eccitabi- lità e paralizzando.

Per spiegare quest’azione degli elementi, si presenta sempre alla mente la legge della interferenza dei raggi luminosi. Due raggi luminosi omogenei se s’ incontrano ad angolo piccolissimo si rinforzano , purché della stessa velocità o 1’ un di essi in ritardo di una intiera vibrazione o di un numero pari di mezze vibrazioni relativamente all’ altro. Invece si distruggono nel moto e diventano oscuri, se uno di essi è in ritardo di mezza vibrazione o di un numero dispari di mezze vibrazioni rispetto all’ altro. Con questo principio gli eccitanti vibrerebbero all’ unisono ( o per modo di dire come gli accordi in musica ) coi tessuti e ne rinfor- zerebbero le vibrazioni molecolari di questi ; i paralizzanti vibrerebbero inegualmente o dissonanti e distruggerebbero le vibrazioni molecolari dei tessuti. Se questa legge sia applicabile alla farmacologia è cosa da vedersi.

A questo punto parrebbe che io facessi un volo pindarico e mi allontanassi dalla teoria oggi vigente , intraveduta già da molti anni, ammessa da tutti, che l’ azione biologica sia fisico-chimica e per alcuni,

(l) V. mio lavoro « Relazione tra l’azione biologica e la costituzione atomica, ovvero le prime leggi della farmacologia. » Il Progresso Medico , periodico di Scienze Mediche e Natu- rali, Napoli, Febbraio, 1890, e « La Farmacologia secondo la legge periodica della Chimica. » Op. tip. fratelli Messina, Messina 1887 e La Terapia Moderna, Napoli, 1888.

212 Funzione dell' ossigeno nei composti e natura dell' azione biologica

totalmente chimica. Io non credo allontanarmi da questa, anzi credo di darle una base solida.

Detta teoria è giusta sino ad un certo punto ed è illazione di una logica intuizione , piuttosto che risultamento dimostrato di fatti ; perciò è d’ altro canto incomprensibile ed astratta.

Ma ora che conosciamo l’azione dei principali elementi le funzioni, che questi hanno nei composti, possiamo darle un valore più concreto, chiarire l’ idea e determinarne il concetto.

L1 azione biologica va distinta dall’azione chimica. Nell’azione bio- logica vi può essere sì, ma vi può mancare l’azione chimica.

Yi sono molti composti non saturi , come gli acidi e gli alcali, i quali determinano azione chimica tanto sulla materia morta, quanto su quella organizzata vivente, producendo analoghe scomposizioni e reazioni. Dentro 1’ organismo, come fuori, producono degli effetti biologici in se- guito a quest’azione, che sono però effetti distruttivi e mortali.

Per ragione di affinità chimiche , essi non limitano 1’ azione alla molecola vivente , bensì la estendono agli atomi ed ai gruppi atomici , componenti la molecola vivente o morta, e vi determinano delle scom- posizioni chimiche disorganizzatrici, distruttive.

Questa è azione chimica, in cui la sostanza agisce sugli atomi, e non è azione biologica.

Yi sono moltissime sostanze sature nelle loro affinità, come i sali ed innumerevoli composti organici, i quali senza decomporsi, senza mu- tare la composizione chimica delle molecole viventi, senza contrarre com- binazioni con queste e senza disorganizzare e distruggere , producono un’azione biologica caratteristica, eccitando o paralizzando ; mentre nulla producono nei tessuti morti. Questa è azione biologica, in cui la sostanza agisce sulla molecola vivente solamente e non sugli atomi o gruppi atomici.

P. e. un acido od un alcali nel sangue producono gl’istessi effetti distruttivi che fuori ; ma un sale: carbonato, solfato, fosfato, nitrato al- calino , produce 1’ azione biologica caratteristica dell’elemento basico, at- traversa immutato l’organismo, che non altera chimicamente, ed intanto può ucciderlo pure , senza lasciare di tracce chimiche. E opportuno

Funzione dell' ossigeno nei composti e no tura dell' azione biologica 2 1 3

qui ìicordaie che nell ipnotismo si e potuto ottenere per suggestione, che un senapismo agisca ed un altro no, applicati contemporaneamente sulla stessa persona.

È opportuno ricordare i fatti della metalloscopia e metalloterapia.

L’ essenza di senape non produce 1’ azione rivulsiva sul morto co- me sul vivo. Tralascio innumerevoli esempi. Chi conosce la farmacolo- gia può vedere a quanti composti si estende questo fatto. È quindi per vibrazione, cioè per azione fìsica che questi corpi agiscono.

La inesplicabile abitudine dell’ organismo alle ripetute e crescenti dosi potrebbe aversi se la sostanza agisse chimicamente? Pensarla così sarebbe dover ammettere, che una sostanza produce reazioni chimiche solamente per una prima e sola volta. Perchè 5 centigrammi di mor- fina, dati per prima dose, possono uccidere un uomo, e cioè sono capaci di produrre l’azione chimica, mentre con le ripetute dosi, parecchi grammi non uccidono più e cioè non sono capaci più di produrre azione chimica? Chi non crede alla mia teoria dell’azione fìsica, provi di abi- tuarsi all’ uso di un acido o di alcali libero a dosi crescenti , i quali agiscono chimicamente, e vedrà se riesce.

La differenza tra la molecola morta e vivente consiste in ciò, che quella è immobile, questa è vibrante, secondo le leggi della morfologia, a noi ancora ignote. E siccome per 1’ azione biologica è condizione ne- cessaria la molecola vivente o vibrante, così quando la sostanza satura nelle sue affinità, non si combina chimicamente ai tessuti, dobbiamo dire che agisce per contatto sulla vibrazione molecolare della materia orga- nizzata. Accelerando questa vibrazione si eccita , inibendo questa vi- brazione si paralizza.

E siccome la funzione di un tessuto è la manifestazione dell’eccita- bilità o energie del tessuto, così essa non può essere eccitata o depressa dagli elementi e composti, se non quando questi col loro , intimo mo- vimento o vibrazione, accelerano o impediscono la vibrazione o lo svol- gimento delle energie dei tessuti. E siccome la vibrazione e la funzio- nalità dei tessuti è inerente alla forma od organizzazione , così per avere 1’ eccitamento o la paralisi della funzione , è necessaria la inte- grità chimica e morfologica del tessuto , ed è necessario che la vibra- Atti Acc. Vol. II, Serie 4a 29

214 Funzione dell' ossigeno nei composti e natura dell'azione biologica

zione degli alimenti non oltrepassi la molecola organizzata. Se fosse azione chimica, anche minima, vi sarebbe distruzione di forma e quindi anche di vibrazione e di energie , e allora si avrebbe sempre paralisi per disorganizzazione, mai eccitamento o paralisi funzionale, che ad una piccola e media dose sono sempre passeggieri. Coll’ azione chimica vi è distruzione di forma e di funzione , e per riaversi questa , bisogna che si ripristini quella. Se si vuole ammettere ciò , si fa una ipotesi assai lontana dai fatti e forse mai dimostrabile. Così io dico che l’azione bio- logica è effetto della vibrazione degli elementi , esercitantesi su quella dei tessuti, e non è effetto di azione chimica.

E siccome sono appunto le sostanze, in cui gli atomi hanno tutte le loro atomicità esaurite, che agiscono senza combinarsi, e non ostante tutto ciò, producono i più caratteristici tipi di azione; così dobbiamo dire che l’affinità chimica, l’atomicità e simili proprietà chimiche sono differenti da quelle proprietà degli elementi, le quali sono causa dell’azione biologica, perchè questa si ha caratteristica appunto quando quelle sono saturate e perciò fuori di azione. È noto a tutti i farmacologi, che condizione necessaria, per ottenere 1’ azione tipica di un elemento o di un compo- sto, sia quella di essere sature tutte le affinità, e non si abbiano com- binazioni chimiche con qualche cosa dell’organismo.

Però insieme o in seguito all’azione biologica, la vibrazione atomi- ca può produrre un’ azione chimica. Cioè ogni agente fìsico o chimico può agire superficialmente sulla molecola vivente e di questa modificare solamente le vibrazioni fisiologiche, ed in questo caso può aumentare od arrestare il consumo della materia che serve allo sviluppo delle energie. Lo stesso agente può in seguito agire più profondamente, cioè sugli ato- mi o gruppi atomici, che costituiscono la molecola vivente, e in questo caso daterminare alterazioni chimiche distruttive e letali. Quindi nell’a- zione biologica vi possono essere azioni chimiche, ma queste sono effetto non causa dell’ azione biologica.

Con un esempio renderò meglio la mia idea. L’elettricità, la luce, il calore ecc. sono vibrazioni della materia, e così è esclusa la sostanza chimica materiale. Queste energie in giusta misura eccitano le funzioni o le proprietà fisiologiche dei tessuti viventi, non dei tessuti morti. In questo

Funzione dell’ossigeno nei composti e natura dell’ azione liologica 215

eccitamento determinano modificazioni fisiche delle molecole organizzate vi- venti, ed è inutile sognare modifiche chimiche immaginarie, da cui derivi la funzione. Ed in questa modifica fisica e poi funzionale, vi può essere certamente il consumo della materia necessaria alla funzione e per lo sviluppo delle energie, ma questo consumo è determinato dalla vibra- zione eccitante e non è causa, ma sempre conseguenza.

E gl’istessi suddetti agenti fisici in forte quantità poi determinano profonde alterazioni chimiche, scomposizioni, ossidazioni ecc. su qualun- que molecola viva o morta.

Nel primo caso agiscono sulla vibrazione della molecola vivente , senza alterarla cioè senza agire chimicamente ; nel secondo agiscono su- gli atomi componenti una qualunque molecola e li scombinano , deter- minando un’azione chimica.

Così p. e. il fosforo , 1’ arsenico e simili, è noto già che agiscono senza combinarsi agli albuminoidi od altri principii immediati organici, è noto che essi agiscono sulla materia organizzata vivente o sulla mo- lecola albumina. A piccolissime dosi eccitano il protoplasma nelle sue attività vegetative , non altro ; ma a grandi dosi, senza mai contrarre previe combinazioni chimiche ed eliminandosi come assorbiti, sdoppiano l’albumina negli acidi grassi da una parte, i quali vi restano, nei grup- pi ammidici dall’altra , i quali combinandosi col carbonilo ed altri ra- dicali, si eliminano sotto forma di sostanze uriche.

Nel primo caso, 1’ azione biologica è effetto di vibrazione dell’ ele- mento sul protoplasma vivente, senza azione chimica causale, e si ha l’ effetto di eccitare 1’ attività vegetativa del protoplasma e perciò vi è sintesi organica. Nel secondo, è effetto della vibrazione dell’elemento su- gli atomi o gruppi atomici, cioè di azione chimica, e si ha l’effetto pa- ralizzante e vi è scomposizione organica.

In modo che colla massa vi è un diretto rapporto della intensità di azione e delle vibrazioni. La dose necessaria per ottenere quel dato effètto indica, che questo effetto si ha con quella quantità di movimento relativa alla massa dell’elemento, che agisce.

Tutti gli agenti farmacologici saturi , i quali entrano nell’ organi- smo senza contrarre combinazioni chimiche, e che sono innumerevoli, e

216 Funzione dell' ossigeno nei composti e natura dell' azione biologica

dotati delle azioni più caratteristiche , agiscono per la quantità e in- tensità delle vibrazioni degli elementi attivi , più o meno all’esempio del fosforo e dei suddetti agenti fisici: calore, luce, elettricità ecc.

Infine debbo soggiungere che molte sostanze agiscono nell’organismo finché inalterate , poi alcune finiscono col combinarsi ad un principio qualunque dell’ organismo sotto forma di un composto acido inattivo , altre si ossidano completamente, altre si eliminano inalterate. Ora l’a- zione biologica si ha prima che si combinano, si ossidano e si eliminano. Altre, come parecchi metalli, si combinano a certe parti dei tessuti, in composti insolubili e vi permangono inerti.

Da quanto ho detto, come ho potuto alla meglio, risulta che l’ a- zione biologica è diversa dall’azione chimica e solamente consideran- dola così in blocco, in complesso cause ed effetti, si potrà dire che sia fisica e chimica. E concludo che la vibrazione atomica e molecolare de- gli agenti fisici e chimici sui tessuti viventi, a seconda la sua intensità e quantità, produce l’ azione biologica , al principio e nel maggior nu- mero di volte, determinando modificazioni molecolari o fisiche passeggiere o permanenti della molecola vivente; in seguito, determinando, non sem- pre, anche alterazioni atomiche o chimiche. Ma tanto 1’ una che 1’ altra sono effetto di una sola causa, cioè del moto della materia.

In ultimo debbo dire, che l’ azione biologica va divisa : in azione farmacologica o tossica, ed in azione fisiologica o nutritiva.

La prima azione si ha quando l’elemento è libero o combinato ad altri, che non sia ossigeno , e finché si mantiene non ossidato o cioè finché uno o più atomi di ossigeno non eserciti su di esso ambedue le sue valenze. L’elemento così si mantiene vibrante ed eccita o paralizza, aumentando od arrestando le vibrazioni dei tessuti. In quest’ azione , anche per gli eccitanti, i tessuti non ricevono nessuna novella energia, ma risentono soltanto la vibrazione degli elementi per la quale accelerano l’impiego di quelle energie, che già possiedono, onde nello stesso atto di eccitamento non vi è aumento di forza, ma consumo ed esaurimento di quella immagazzinata.

La seconda si ha quando l’elemento subisce l’ossidazione, cioè nel momento in cui l’ossigeno vi si combina ad esso e lo immobilizza, fa-

Funzione dell'ossigeno nei composti e natura dell' azione biologica 217

cendogli emettere le sue vibrazioni ed energie, le quali così passano ai tessuti viventi. In quest'azione vi è un vera produzione di forze, che i tessuti acquistano e gli elementi perdono durante 1’ ossidazione.

Qui sta la vera distinzione scientifica fra veleno ed alimento, fra eccitante nervino e ricostituente.

Quando poi l’elemento è completamente ossidato ed immobilizzato, allora non produce più alcuna azione farmacologica e fisiologica. Perciò il vero antidoto di ogni veleno biologico (sostanza non completamente ossidata , sostanze organiche ed organizzate patogene) è 1’ ossigeno o l’ossidazione di dette sostanze , ed il potere ossidante dell’ organismo. Gli acidi e gli alcali liberi, i quali agiscono chimicamente, perchè non saturi nelle loro affinità, ed egualmente tanto su di una sostanza viva quanto su di una morta, vanno esclusi da questo antidotismo coll’ ossi- geno, perchè essi operano la scomposizione con o senza ossigeno.

Essi perdono quest’ azione chimica, quando reciprocamente si neu- tralizzano.

Trovo opportuno spiegarmi più praticamente.

Quando C, H ed altri elementi, sono combinati tra loro in combinazio- ne organica (sostanze chimiche non acidificate), producono paralisi od ecci- tamento, cioè azione farmacologica e tossica. In queste forme essi pos- siedono tutte le loro energie, sono in moto, vibranti ed hanno, relati- vamente alla costituzione atomica , le loro vibrazioni al massimo della intensità , della rapidità e del numero , le quali , esercitandosi a se- conda della loro natura in accordo o disaccordo colle vibrazioni dei tessuti, aumentano od arrestano queste, producendo 1’ eccitamento o la paralisi. In questo caso essi non comunicano alcuna nuova forza , per- chè non cedono energie , ma semplicemente modificano la vibrazione il consumo delle energie fisiologiche dei tessuti in più o in meno.

E quando è il caso dell’idrogeno, il quale da eccitante produce ecci- tamento sino alle convulsioni, vi è , non provvisione, ma consumo di quelle energie possedute dal tessuto , e perciò anche infine dell’ eccita- mento si ha esaurimento e paralisi. In queste condizioni chimiche la materia vibra, fa sentire i suoi effetti sugli organismi viventi , ma non cede le sue energie.

218 Funzione dell' ossigeno nei composti e natura dell' azione biologica

Quando poi C,H ed altri elementi, combinati tra loro ed in parte all’ossigeno (sostanze chimiche organiche acidificate da uno o più carbos- sili, quali gl’idrati di carbonio e gli albuminoidi) sappiamo, che sono così resi inattivi farmacologicamente e non più capaci di produrre azione paralizzante eccitante. Detti composti sono come acidi, avidi di alcali e sotto l’influenza di questi e dell’organismo sono rapidamente ossidabili. In questo caso le loro energie o vibrazioni sono conservate, ma impedite di agire sui tessuti dall’ossigeno del carbossile, e perciò mentre non pro- ducono alcuna azione farmacologica qualunque, si assimilano nei tessuti e sono nutritivi. Ma in queste condizioni durano temporaneamente, essi sono ossidabili e si ossidano difatti: nel momento appunto in cui subi- scono l’ossidazione , per l’ influenza dell’ ossigeno, C e H emettono le loro energie e s’ immobilizzano in CO'J ed in H20. Quelle energie o vibrazioni, emesse dagli elementi nell’ossidarsi, sono fornite ai tessuti, i quali in se- guito a ciò si caricano di energie e di movimento molecolare, da cui si originano le proprietà fisiologiche e le forze organiche. Quindi si spiega il noto fatto , che la vera provvisione di! forze consiste in una buona nutrizione insieme ad una buona ed incessante ossidazione organica. Sono queste vibrazioni poi, che i tessuti hanno ricevuto dagli elementi in os- sidazione, quelle che alla lor volta sono accelerate o arrestate ed infine consumate dalle vibrazioni atomiche delle suddette sostanze chimiche più o meno venefiche, capaci di un’azione farmacologica. Nell’azione fisiolo- gica la materia non è vibrante, o almeno non fa sentire gli effetti della sua vibrazione sugli organismi, ma cede le sue energie.

All’esempio del carbonio e dell’idrogeno va inteso detto lo stesso per gli altri elementi. Su qusto punto ho altre cose da dire, ma queste saranno oggetto di un altro lavoro.

Per concretizzare più le mie idee, ricordo per chiusura le seguenti definizioni.

La Chimica studia i fenomeni della vibrazione atomica o le proprietà degli atomi aggregati in modo definito secondo 1’ atomicità e l’ affinità.

La Fisica studia i fenomeni della vibrazione molecolare dei corpi bruti, non organizzati o le proprietà delle molecole omogenee aggregate in masse senza limiti e forme per semplice coesione.

Funzione dell'ossigeno nei composti e natura dell' azione biologica 219

La Fisiologia studia i fenomeni della vibrazione dei corpi organiz- zati viventi , cioè delle molecole eterogenee aggregate in determinati modi , limiti e forme per legge di organizzazione o le proprietà dei tessuti viventi.

La Farmacologia studia gli effetti ed i fenomeni della vibrazione atomica e molecolare dei corpi bruti esercitantesi sulla vibrazione mo- lecolare e strutturale dei corpi organizzati vivi.

Così la farmacologia è il legame tra le scienze fisico-chimiche e le scienze biologiche.

Ora che ho finito debbo dire, che questo lavoro, nel farlo, mi ha fatto tremare le vene e i polsi, e, se per mia incapacità non sono riu- scito a fare qualche cosa accettabile, non ho risparmiato i massimi sforzi per me possibili.

Catania , Febbraio 1890.

Laboratorio di Farmacologia Sperimentale della E. Università.

ETNA, SICILIA ED ISOLE VULCANICHE ADIACENTI sotto il punto di vista dei fenomeni eruttivi e geodinamici avvenuti durante l'anno 1889.

Memoria

' del prof. ORAZIO SILVESTRI

111 collaborazione dell’ ing. 5. ARCIDIACONO assistente per la parte geodinamica.

Nella mia relazione su questo argomento dei fenomeni vulcanici avvenuti in Sicilia e nelle Isole adiacenti durante l’anno 1888 pubbli- cata ai primi del 1889 (1), io registrai dei fatti osservati all’Etna e all’ isola di Vulcano , dai quali mi sembrò fino da allora di poter de- durre che le manifestazioni eruttive di questi due vulcani attivi fossero in relazione tra loro e coi fenomeni geodinamici che avvennero col ca- rattere generale di debolissima intensità. Questo giudizio , unicamente stabilito sulla scorta dei fatti osservati, ha avuto piena conferma nell’anno 1889, durante il quale, mentre Vulcano ha continuato attivamente la sua fase eruttiva speciale, 1’ Etna si è mantenuto in uno stato di pre- valente inerzia nelle sue manifestazioni eruttive del suo cratere centrale. E non solamente ciò, ma lo sfogo incessantemente aperto di Vulcano ha corrisposto come l’anno decorso, funzionando come valvola di sicurezza che ha reso nulli o moltissimo deboli gli effetti dinamici di quegli agenti vulcanici locali, per i quali avvengono con frequenza i terremoti in questa regione siciliana.

Ciò premesso, passo a dire brevemente quanto sembrami di dovere notare, come più interessante per una breve rassegna per l’anno 1889.

(1) Atti Accad. Gioenia di Scienze Naturali, Voi. Ser. IVa Catania 1889, tip. Calatola. Atti Acc. Vol. II, Sekie 4a 30

222

Etna, Sicilia ed Isole videoniche adiacenti, ecc.

I.

Etna

1. Fenomeni eruttivi centrali.

Gennaio. In questo mese , che è stato generalmente burrascoso e piovoso, la cima dell’Etna è rimasta per lo più avvolta nelle nubi. Però nei giorni 4, 9, 1 1, 12, 14, 27, 29, 30, nei quali il cratere centrale si è mostrato sgombro, non ha presentato altro segno di vita che le semplici emanazioni più o meno attive di vapori bianchi dei fumaioli disseminati nel suo interno, e per lo più sollecitati dalla eva- porazione dell’ abbondante neve caduta. Ciò si è visto specialmente il giorno 11.

Febbraio. Continuando le medesime condizioni meteoriche del mese precedente, la cima dell’ Etna è stata spesso ingombrata di nubi, ad eccezioni dei giorni 1, 2, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 25, 26, 28. 11 carat- tere di calma del cratere è stato dimostrato dalle solite tranquille

emanazioni dei semplici fumaioli. Solamente la mattina del 8 con abbondanti vapori eruttivi, comparve sulla candida neve delle alte pendici del cratere una striscia scura, che a partire dall’orlo orientale scendeva giù ad Est verso la valle del Bove. Tal fatto era dovuto a piccola eruzione di vapori e di cenere di breve durata, avvenuta nella notte.

Il di 29 il cielo, mostrandosi coperto di densa caligine, faceva

quasi credere che una eruzione avesse ripreso e con maggiore vigore.

Allorquando con lo spirare di forti venti di levante e di scirocco-levante, la caligine si dileguò, con la caduta , sopra estesa plaga della Sicilia orientale e meridionale, di abbondante pioggia carica di pulviscolo me- teorico di color rosso mattone. Questo pulviscolo di origine atmosferica, presentava i medesimi caratteri di quelli da me precedentemente stu- diati (1).

(1) V. 0. Silvestri. Sopra le pioggie rosse e le polveri meteoriche della Sicilia in oc casione di grandi burrasche atmosferiche. Catania, 1877. (Atti Accademia Gioenia.)

Etna, Sicilia ccl Isole vulcaniche adiacenti , ecc.

223

Marzo. Tranne pochi giorni, che sono stati i seguenti, 1, 16, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, in cui la cima dell’ Etna è rimasta oc- cultata dalle nubi, negli altri si è reso al solito evidente lo stato inerte del cratere come dominante. Tuttavia si notò un qualche risveglio del medesimo nel giorno 5, quando comparve un primo indizio di vapori eruttivi, che crebbero poco a poco; e nelle prime ore antimeridiane del 6 comparve una mediocre, ma decisa eruzione vaporosa accompagnata da cenere, che ricoprì la candida neve all’esterno del cono di un velo scuro disteso a levante. La eruzione rimase interrotta il giorno 7, ma riprese il 8, continuò il 9, e in più modeste proporzioni anche il

10 e l’il. Un’ altra piccola e di breve durata, ne comparve il 23.

Finalmente nei giorni 14 e 17 il cielo si presentò ingombro di fitta caligine cinerea, che in zona sterminata si distendeva da Nord a Sud; e durante questi giorni si ebbe a Catania e altrove una invisibile pioggia di minuta e impalpabile cenere , che dall’ esame microscopico riconobbi come proveniente dalla eruzione attiva di Vulcano. La cenere, per correnti aeree di Nord dominanti nelle alte regioni dell’ atmosfera, si diffuse ampiamente in direzione di mezzogiorno.

Aprile. Durante il mese nessun indizio eruttivo , e sempre le solite emanazioni di bianchi vapori dall’ ambito del cratere , il quale però è rimasto occultato dalle nubi per 8 giorni, che sono stati il 2 , 3, 4, 6, 8, 16, 18, 19.

Il 24 si è presentato il cielo caliginoso come nel mese precedente e per la solita causa della cenere proveninte dalla eruzione di Vulcano

Maggio. Nei 5, 9, 12, 14, 17, 18, e dal 21 al 26 Etna coperto di nubi. Il 15 e il 29 il cielo si mostrò di nuovo offuscato dal già notato fenomeno della diffusione di sottile cenere della eruzione di Vulcano, che arrivò a costituire una pioggia invisibile a Catania, e anche più al Sud della Sicilia e fuori. Per tutto il rimanente del mese

11 cratere centrale completamente allo scoperto , non diede in generale altri segni che le consuete deboli emanazioni di bianchi vapori dai fu- maioli. Però a 30 avvenne per poche ore una distinta manifestazione

224

Etna, Sicilia ed Isole vulcaniche adiacenti, ecc.

eruttiva di vapori , che il 31 si ripetè col carattere di quelle che fre- quentemente avvennero 1’ anno scorso. Incominciata alle ore 8 antime- ridiane andò crescendo rapidamente, tanto che dopo tre ore, alle 1 1 , la massa di vapori aveva completamente occultata la regione elevata del- l’Etna; poi gradatamente andò scemando nelle ore pomeridiane, e verso sera cessò, facendo comparire il cratere completamente sgombro col cielo sereno.

Giugno. Nel giugno la tendenza eruttiva di vapori incominciata nel 30 maggio continuò dall’ 1 all’ 8 del mese, con eruzioni quotidiane principiate la mattina tra le 7 e le 8, e terminate la sera, come quella del 31 maggio. La eruzione del 2 giugno fu accompagnata anche da cenere, che giunse a cadere tino a Catania. Nei giorni 13, 14 e 17 si mostrarono di nuovo fenomeni del genere ora indicato.

Questo breve risveglio dell1 Etna coincise con alcuni abbassamenti barometrici , e forse non fu indipendente dal modo come procedevano le condizioni eruttive di Vulcano.

Nel rimanente del mese il cratere centrale rimase perfettamente inerte, tranne l'esalazione di pochi vapori dai suoi fumaioli.

Il 23, 24, 27, 28, 29, 30 la regione etnea fu ingombra di nuovo da fitta caligine cinerea proveniente da Vulcano, che, come nelle date precedenti, costituì invisibile pioggia di cenere a Catania e si diffuse in ampia zona a meggiorno.

Luglio. Costante calma nel cratere centrale. E da notare che nei giorni 1, 2, 5, 6, 7, 8, 9 1’ Etna si mostrò avvolto da vapori ca- liginosi che davano al medesimo quasi 1’ aspetto eruttivo , mentre tale apparenza era dovuta ai vapori gravidi di cenere di Vulcano trasportati al solito da Nord a Sud da più basse correnti aeree.. Dietro ciò si dif- fuse per i giornali la falsa notizia di una eruzione dell’ Etna, regalata al pubblico da qualche inesperto corrispondente. Il 7 la massa di vapori fu abbondante, che la loro condensazione determinò verso le 3 pomeridiane delle nubi temporalesche con lampi, tuoni e dirotta pioggia, ma di breve durata.

Etna, Sicilia ed Isole vulcaniche adiacenti, ecc.

225

Agosto. Anche in questo mese si sono mantenute le condizioni di inerzia del cratere centrale, il quale solo ai 30 e 31 si mostrò sormontato da un pennacchio di vapori non eruttivi. Dal 25 al 29 esso fu avvolto da nubi meteoriche , e mentre per la più gran parte del mese il cielo si presentò sereno, tuttavia dall’8 al 16 e dal 19 al 24 la regione dell'Etna si trovò invasa dalla solita caligine cinerea prove- niente da Vulcano. Nei giorni 8 e 9 la caligine fu talmente densa da occultare completamente l’Etna.

Settembre. - Ai 1 e 6 comparvero due mediocri eruzioni di vapori durante il giorno, del resto il cratere si mostrò in perfetta calma. Rimase però ingombrato da nubi meteoriche dal 7 al 12 e nei 10, 17 e 29, durante i quali il tempo fu burrascoso e variabile. Nell’ ultima decade del mese , mentre io accompagnava nelle escursioni geologiche all’Etna i membri della Geological Society e della Geologist's Associatìon di Londra, durante il loro viaggio vulcanologico in Italia per il cente- nario scientifico di Spallanzani , fummo sorpresi da due burrasche im- provvise accompagnate da forti acquazzoni: una il 25 nelle ore po- meridiane alla Valle del Bove , 1’ altra nella notte dal 28 al 29 con grandine e vento furioso, mentre eravamo per raggiungere la cima dei- fi Etna. Il cratere centrale era in uno stato perfettamente tranquillo.

Ottobre. Etna sempre in calma e con indizio di pochissimi va- pori leggeri, quantunque abbia potuto osservare solo a intervalli la sua cima, e precisamente nei giorni 7, 9, 10, 12, 17, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27. In generale ebbe predominio, durante il mese, un tempo sci- roccale umido, che tenne il cielo fosco e coperto.

Novembre. Si mantennero le stesse condizioni di calma del cra- tere contrale anche in questo mese , durante il quale esso si presentò scoperto solo interpolatamente, per causa di un tempo rotto alla pioggia ai primi del mese, e mantenutosi poi con un cielo alternativamente se- reno, semicoperto o totalmente annuvolato. Nei giorni 1, 6, 10, 13, 15, 16, 17, 18, 19, 23, 24, 26, in cui l’Etna si manifestò sgombro coni-

226

Etna , Sicilia ed Isole vulcaniche adiacenti, ecc.

pletamente di nubi, si vide il suo cratere sormontato da qualche ema- nazione vaporosa, dovuta ai suoi tranquilli fumaioli ordinari.

Dicembre. Anche in questo mese ha dominato il cielo coperto sotto la influenza di venti che hanno mantenuto l’aria con elevato grado di umidità. La cima dell’ Etna perciò è rimasta per lo più oc- cultata, ma nei giorni 3, 4, 6, 7, 9, 10, 11, 14, 23, 26, 28, 30 si è mostrata con caratteri di calma del cratere. Solo nei due giorni 6 ed 8 questo era sormontato da una nuvoletta di vapori più densi, ma sempre dovuti agli ordinarii fumaioli.

Riassumendo quanto ho esposto per i 12 mesi del 1889, si vede dunque che, se si eccettua un sensibile, comechè breve, risveglio eruttivo di vapori, talvolta con ceneri, verificatosi il 31 maggio e continuato nei primi giorni di giugno, e le deboli manifestazioni eruttive della stessa natura e brevissime dell’ 8 febbraio, del 6, 8, 9, 10, 11 marzo e dell’ 1 e 6 settembre , si può dire che durante 1’ anno ha dominato nel cra- tere dell’Etna uno stato di perfetta calma , e ciò di fronte all 'incessante stato eruttivo della vicina isola di Vidcano.

2. Fenomeni eruttivi eccentrici.

La calma dominante del cratere ha trovato , come è naturale, un riscontro nella mancata comparsa di qualunque eruzione eccentrica sui fianchi dell’ Etna, che abbia dato origine a qualche nuovo cratere av- ventizio. Il cratere di tal genere, Monte Gemmellaro , formatosi nell’ultima recente eruzione del 1886, non ha raggiunto fin qui il suo totale spe- gnimento, e da me visitato a 30 settembre , presentava ancora nel suo interno alcuni fumaioli attivi non solo a vapore di acqua, ma an- che acidi.

Nulla di straordinario si è dovuto notare durante V anno in quei punti di sfogo di vulcanicità secondaria, che sono distribuiti alla peri- feria dell’Etna, come le sorgenti idrogassose minerali presso Acireale e presso Paterno, e come i bacini dei vulcanetti di fango del territorio

Etna, Sicilia ed Isole vulcaniche adiacenti, ecc.

227

di Paterno. In questi ultimi sono pochissimi i crateri che danno ora segno di vita : nel principale, detto la Salinella , che è immediato al paese di Paterno, nel quale 11 anni or sono principiò il lungo periodo della famosa eruzione di fango, che precedette e seguì la grande confla- grazione etnea dei maggio 1879, adesso non si vedono che tre piccoli crateri, con un residuo di poca attività che rappresenta lo attuale stato normale (1).

IL

Fenomeni eruttivi nel rimanente della Sicilia.

Nulla di straordinario è da registrarsi al di fuori del perimetro dell’Etna in tutto il rimanente del suolo siciliano, in cui alle Macalube di Girgenti, di Caltanissetta e di altri punti , si è mantenuta al solito quella piccola attività che è il loro carattere più comune.

Merita però che io dia cenno di un fatto , che l’ esperienza con- fermerà se abbia un carattere costante , ma che per ora risulta come

(1) Quantunque estraneo all’enunciato di queste note, tuttavia non posso passare sotto silenzio un fatto avvenuto nel territorio Giarre, sul basso fianco orientale coltivato dell’Etna. A di 8 e 9 novembre abbondante acque torrenziali , dovute alle prime piogge dirotte dopo prolungata siccità , furono accompagnate da spaventevole burrasca con una tromba o turbine aereo, che, proveniente dal mare, oltrepassò la costa verso Riposto, e strisciò dentro terra da levante a ponente, ove andò a dileguarsi nelle alture dell’Etna. Produsse in lunga zona della larghezza di più di 100 metri gravissimi danni alle campagne e alle case rustiche ivi disse- minate. Contemporaneamente a tale burrasca, comparve nella notte del 7 all’ 8, con imponente fragore di temporale, una frattura di suolo in direzione lineare, che a poca distanza dall’abitato della borgata Macchia si stende da Nord a Sud per circa due chilometri. La frattura ha un andamento irregolare, con larghezza variabile da 1 a 4 metri, con una profondità parimente variabile, ma che in certi punti è fino da 50 a 60 metri dai labbri che fiancheggiano le due pareti tagliate a picco. Non si tratta di una squarciatura vulcanica recente , ma io credo con tutta probabilità che le acque torrenziali ebbero a scalzare dalla sua base uno strato di ter- reno permeabile (superficialmente coltivato e nel sottosuolo formato da tufo vulcanico con ciot- toli) , il quale poco stabilmente riposava sopra una antica squarciatura (litoclasi), che ebbe a formarsi negli strati sottostanti e massicci di lava, quando avvenne il forte terremoto che nel 1865 distrusse la detta borgata Macchia. Vedasi per maggiori dettagli 0. Silvestri « Sopra un’ importante fatto di litoclasi sotterranea messo in evidenza dalle acque meteoriche torren- ziali nella bassa regione est dell’Etna Bull. Accad. Gioenia Fase. XXI e XXII 1890.

228

Etna , Sicilia ed Isole vulcaniche adiacenti , ecc.

isolato dalle osservazioni regolari intraprese durante )’ anno dal signor Corrado Guzzanti, direttore dell’Osservatorio di Mineo, centro dell’antica regione flegrea della Sicilia meridionale, sulla temperatura della sorgente di acqua, detta di Fiume caldo, che scaturisce in una valle sottostante alla detta città. La sorgente generalmente è di acqua limpida, ma di tanto in tanto comparisce più o meno torbida. Il fatto dell’ intorbidamento non è isolato : talvolta è in relazione con fenomeni geodinamici macro- sismici o microsismici, ma sembra che lo sia anche con la temperatura sua suscettibile di variare. Infatti, il 26 giugno, mentre era limpida, presentò la temperatura di 34° C., cioè sul massimo estivo di 31°, e il successivo 27 comparve col carettere di grande intorbidamento straordinario.

III.

Fenomeni eruttivi delle isole adiacenti alla Sicilia.

1. Eruzione delV isola di Vulcano.

Già nel Yol. citato e a questo precedente degli Atti Accademici scrissi della fase eruttiva in cui entrò il cratere di Vulcano fino dai primi di agosto 1888; e per quanto me ne occupassi in succinto, tut- tavia cercai di mettere in rilievo i particolari caratteri di detta fase erut- tiva, che distinsi col nome di fase vulcaniana. Questa ha continuato durante l’anno 1889, ora con maggiore, ora con minore violenza, senza però modificare il suo particolare modo di presentarsi con esplosioni eruttive, giornaliere, intermittenti, di forza variabile, con dejezioni di va- pori, ceneri e lapilli carichi di elettricità, e le più forti accompagnate da projettili più o meno voluminosi, costituiti specialmente da bombe di fresca elaborazione. La natura di queste ultime attesta evidentemente la esistenza di un magma igneo nelle profondità sotterranee, senza che però sia mai comparso all’ esterno alcuno indizio di lava fluente. Le eruzioni, specialmente nei mesi invernali ( sotto la influenza di basse pressioni atmosferiche), avvennero con tale frequenza da poterne osservare fino

Etna , Sicilia ed Isole vulcaniche adiacenti, ecc.

229

a 112 in 8 ore, con intervalli per lo più variabili da pochi minuti a più di un quarto d’ora: il che condurrebbe alla cifra di 336 in un intiero giorno. Nella loro maggiore violenza hanno mandato in aria le loro dejezioni di vapori e ceneri ad altezza molto ragguardevole : infatti da misure ango- lari prese dal prof. A. Ricco dal R. Osservatorio astronomico di Palermo sulla colonna ascendente, distintamente visibile anche a grande distanza, si è potuto calcolare che questa abbia raggiunto fino ai 10 chilometri e mezzo di altezza. Non deve far quindi meraviglia quanto ho riferito riguardo al fenomeno osservato nella regione dell’Etna, cioè della fre- quente caligine cinerea che ha potuto superare questo monte alto 3300 metri, mostrandosi spesso durante l’ anno sovraincombente a questo ; e, spinta da correnti aeree superiori del Nord , stendersi in sterminata zona verso mezzogiorno, producendo ovunque una pioggia invisibile di impalpabile cenere.

Nel complessivo andamento generale delle esplosioni eruttive di Vulcano si può dire , che dai mesi estivi in poi esse si sono fatte più irregolari nelle loro intermittenze , ed hanno preso una prevalenza le eruzioni deboli a quelle forti o fortissime che sono avvenute a inter- valli più lunghi. E vero che a novembre si è manifestata una nuova recrudescenza, ma questa è venuta a mancare in dicembre. Ciò starebbe a provare un principio di aftievolimento nella forza eruttiva. R cratere internamente ha cambiato di aspetto : ora è in parte riempito dall’ ab- bondanza delle dejezioni solide che vi si sono accumulate, e per le quali esso comparisce quasi colmato.

Durante i fenomeni eruttivi di Vulcano sono degni di nota i se- guenti fatti. A 29 novembre 1888 alcuni marinari, che si trovavano nella bilancella Gennarino verso le tre pomeridiane con mare tranquillo, ad un chilometro circa fuori della punta di Luccia all’isola di Vulcano, tutto ad un tratto, mentre udivano forti boati del cratere, si trovarono in mezzo ad un moto burrascoso di onde, videro spumeggiare 1’ acqua del mare come se fosse entrata in ebollizione, e pericolarono di essere sommersi; nello stesso tempo videro galleggiare nelle acque delle scorie pomicee. Di questo fatto non si conosce nessuna ripetizione, e nessun’altra testimonianza può citarsi, se non quella dei pochi marinari che lo rac- Atti Acc. Vol. II, Serie 4a 31

230

Etna, Sicilia, ed Isole vulcaniche adiacenti, ecc.

contarono al loro ritorno in Lipari , e sotto la influenza del loro sbi- gottimento per l’ incontrato pericolo.

Il 22 di novembre 1888, cioè in una data di poco precedente alla suddetta, il cavo sottomarino, che si stende tra Lipari e il promontorio di Milazzo in Sicilia , e che per conseguenza si avvicina all’ isola di Vulcano come intermedia; si ruppe a circa 11 chilometri dalla costa di Lipari, e cessò quindi ogni comunicazione con la Sicilia, finché non fu dopo breve tempo ripescato e rimesso in ordine : questa operazione costò grande fatica per la difficoltà incontrata per estrarre i capi rotti dal cavo, che presentarono una resistenza come se fossero stati sepolti da pesante materiale. Quantunque il cavo abbia in vicinanza della costa un dia- metro di centimetri 6 e nella profondità del mare di centimetri 3.5, tut- tavia la rottura si ripetè per altre due volte , e precisamente a 30 marzo e a 11 settembre 1889. Pare che la rottura sia avvenuta presso a poco nello stesso punto.

Tutti questi fatti furono ragionevolmente attribuiti a fenomeni vul- canici sottomarini in relazione allo stato eruttivo di Vulcano, e misero fino dal primo loro annunzio un certo allarme nella popolazione dello arcipelago Eolio. Frattanto il R. Governo, nell’ interesse scientifico come per qualunque apprezzamento di possibili evenienze, saviamente dispose che una Commissione scientifica (1) si recasse sul posto , onde intraprendere degli studi speciali per poi riferirne. Il lavoro collettivo della Commissione, che già fu in succinto comunicato al R. Governo , sarà tra breve pubblicato per esteso. Frattanto chi abbia interesse di conoscere i particolari sul modo come esordì la eruzione di Vulcano, potrà leggere una mia prima estesa relazione presentata al R. Governo in data 31 agosto 1888 , e pubblicata a Roma nella parte IV del voi. IX degli Annali dell’Ufficio centrale di meteorologia e geodinamica. Come anche un sunto di più recenti studi da me comunicato all’Acca- demia delle Scienze di Parigi nella seduta del 5 agosto 1889 , e che

(1) La Commissione scientifica venne composta dal prof. 0. Silvestri presidente, dal prof. G-. Mercalli, dal prof. G. Glablovitz , e dall’ ing. V. Clerici capo dell’ ufficio del Genio civile di Messina. Furono a questa aggregati come assistenti i signori ing. Cerati, prof. S. Consiglio, ed Alfredo Silvestri.

Etna , Sicilia ed Isole vulcaniche adiacenti, ecc.

231

leggesi nei Comptes rendus col titolo: Sur l’èruption recente de Vile de Vulcano.

Numerose sperienze intraprese insieme alla Commissione sui feno- meni meccanici della eruzione di Vulcano hanno pienamente confermato anche il fatto, che io misi in evidenza nella mia prima relazione sopra annunciata, e anche nella memoria che io pubblicai nel Voi. I. Serie IV. di questi Atti Accademici, cioè il carattere generale della relativa- mente grande stabilità del suolo anche presso il cratere, e nell’istante delle esplosioni eruttive, comprese le più forti.

2. Eruzioni dello Stromboli.

L’ incremento eruttivo, incominciato nella notte del 23 al 24 ot- tobre 1888 , (V. Memoria citata 1888) ha continuato e si può dire che ha caratterizzato durante 1’ anno 1889 un periodo di frequenti manifestazioni eruttive straordinarie anche per questo vulcano, accom- pagnate talvolta da tremiti di suolo segnalati dagli strumenti sismici , come vedesi nei prospetti che seguono.

Fino dal gennaio lo Stromboli , oltre alle solite periodiche proje- zioni di scorie, cominciò, secondo le testimonianze dei signori Giuseppe, e Gaetano Renda (il primo dei quali addetto al servizio geodinamico di quell’ isola) , a eruttare della lava in massa fluente , che sull’ orlo Nord-West del cratere si diramò in tre piccole correnti che, scendendo su di una inclinazione di sopra 50 gradi , si scomponevano facendo rotolare materia infuocata sul ripidissimo pendìo che va giù al mare. Nel febbraio la cresciuta attività si mantenne, e si fecero sentire forti e frequenti boati. Dietro relazione particolare gentilmente comunicatami dal prof. G. Mercalli che visitò il cratere il 28, questo presentava allora tre bocche nuove tutte attive , che avevano formato tre modesti coni o protuberanze sull’ orlo superiore del cratere nella così detta sciara del fuoco. Egli potè anche constatare una piccola, ma evidente corrente di lava da una quarta bocca laterale, apertasi a circa 10 o 12 metri al disotto di uno dei tre già detti piccoli coni , il quale specialmente dava continue projezioni di scorie.

232

Etna, Sicilia ed Isole vulcaniche adiacenti, ecc.

Nel marzo e aprile, essendosi mantenuta la forza eruttiva dei mesi precedenti, i tre nuovi coni giunsero ad assumere dimensioni maggiori mentre dalla suddetta bocca continuò la emissione di lava fluente. Verso il maggio il cratere si calmò alquanto , ma a 15 , alle ore 7,53 ant., s’ intese un forte rombo e di lunga durata, accompagnato da ter- remoto , contemporaneamente al quale comparve un risveglio eruttivo con energiche projezioni di scorie e sgorgo di lava fluente. L’intensità del fenomeno ebbe un seguito anche nel giugno , durante il quale di nuovo, specialmente dall’ intermedio dei tre nuovi coni, si spingevano con forti boati le dejezioni di scorie incandescenti a tale altezza che potevano vedersi anche dall’ abitato dell’isola, quantunque da questo, che è immediatamente nella costa soggiacente , non vi sia la visuale del cratere.

Il 19 settembre i già menzionati geologi inglesi visitarono il cra- tere e trovarono presso a poco la stessa attività con le 4 bocche in funzione. E tale attività caratterizzata dalla lava fluente , quantunque alternata da varie intermittenze , o brevi di qualche ora , o lunghe di qualche giorno , si può dire che siasi mantenuta durante il rimanente dell’ anno.

3. Osservazioni sulle altre isole Eolie.

Oltre quanto ho detto di Vulcano e di Stromboli , per le altre isole dell’ arcipelago Eolio ho da notare quanto segue.

Durante gli studi intrapresi dalla Commissione scientifica inviata dal R. Governo, come ho già detto, all’ isola di Vulcano , io mi sono preso la cura di fare delle ricerche anche sulle emanazioni gassose che caratterizzano lo stato di vulcanicità secondaria non completamente so- pito della vicina isola di Lipari. Quivi, oltre a constatare la permanente attività di fumajuoli di vecchia data, si è conosciuta anche la comparsa di nuovi sfoghi di tal genere , e specialmente nelle due località dette Piano greco e Bagno secco. Questa ultima è di grande interesse, perchè ivi tutto dimostra come regni ancora una energica attività sotterranea. In una area di circa due chilometri e mezzo quadrati si presenta un

Etna, Sicilia ed Isole vulcaniche adiacenti , ecc.

233

suolo di lave sconvolte, tutte profondamente alterate; e dovunque sono dislocamenti o fenditure, trovasi a poca profondità una temperatura più o meno elevata , che talvolta giunge tino a 80 e 90° C. Sotto una balza vicino al mare scaturisce una sorgente di acqua termale con 59° di calore. Qua e sono disseminati molti fumajuoli, che hanno mostrato una temperatura da 83 a 90°, con emanazioni gassose che fanno sen- tire fortemente 1’ odore dell’ acido solfidrico ; e sottoposte all’ analisi mi hanno dato il seguente risultato medio :

Anidride carbonica

95.44

Idrogeno protocarbonato

2.54

Idrogeno

1.97

Acido solfidrico

0.05

100.00

Questa mescolanza gassosa per la sua natura è da assimilarsi a quelle delle salse o vulcani fangosi ; mentre ne differisce quella dei fu- majuoli del Piano greco che è da paragonarsi invece all’ altra delle comuni mofete, essendo risultata all’ analisi come essenzialmente formata da anidride carbonica con piccola quantità degli elementi dell’ aria at- mosferica. Infatti la composizione media, che ho trovato in un fumajuolo più attivo e di recente comparsa, è la seguente :

Anidride carbonica

83.15

Azoto

13.32

Ossigeno

3.53

100.00

Devo aggiungere che, presso la costa dell’ isola di Salina (che suc- cede immediatamente a Lipari procedendo verso Nord-West), a 200 metri circa dalla spiaggia detta Renella , in un punto del mare chiamato localmente lo sconcasso (dove l’opinione volgare ammette da antica data la esistenza di un vulcano sottomarino), si è reso il 17 luglio a ore 6 pomeridiane evidente il fatto ( che di tanto in tanto scomparisce ) di uno sviluppo abbondante di materia gassosa , per cui 1’ acqua sembra mettersi in ebollizione per una vera eruzione aeriforme, in causa della

234

Etna, Sicilia ed Isole vulcaniche adiacenti, ecc.

quale una notevole quantità di alghe marine sono distaccate dal fondo e vengono a galleggiare nell’ area di mare interessata dal fenomeno. Per la fugacità del fenomeno non ho potuto raccogliere io stesso, avere questa materia gassosa per analizzarla: credo però molto proba- bile , per analogia di dati geologici , che debba essere della stessa na- tura di quella appartenente alle emanazioni del Piano greco di Lipari, di cui avanti ho fatto cenno, e di quella anche , che scaturisce perma- nentemente in vari punti presso la costa di Vulcano e abbondantemente al porto di levante , che ho trovato essere formata in media da

Anidride carbonica 85.00

Azoto 10.55

Ossigeno 0.45

Acido solfidrico 4.00

100.00

Anche il gas che si sviluppa dallo sconcasso nel mare di Salina si dice generalmente che abbia odore di zolfo , che è quanto dire di acido solfidrico.

Tale manifestazione eruttiva dimostra evidentemente anche un altro tratto, nel punto indicato, tuttora aperto di quella di scontinuità degli strati terrestri , ossia di quella fenditura che determinò la origine vul- canica e rallineamento delle isole Eolie.

IV.

Fenomeni geodinamici.

Nei prospetti che seguono vengono riassunti tutti i fatti geodina- mici che è occorso di registrare durante l’anno, perchè messi in evidenza per mezzo degli strumenti sismici distribuiti nei vari Osservatori di primo, secondo e terzo ordine della Sicilia ed isole adiacenti. Fra gli strumenti adottati, e che via via sono posti in pratica e in esperimento , vi è il recente sismoscopio a verghetta costruito con e senza orologio dai fra- telli Brassart, meccanici del R. Ufficio centrale di meteorologia e geo-

Etna, Sicilia ed Isole vulcaniche adiacenti, ecc.

235

dinamica. Solo questo sismoscopio ha dato durante l’anno qua e fre- quenti segnalazioni, e realmente dal complesso numeroso di queste, come si vede nei prospetti qui annessi, sembrerebbe a prima vista che io fossi in contradizione con quanto al principio di questa rassegna annuale ho premesso circa la notevole quiete che ha regnato durante l’anno nel suolo siciliano anche riguardo ai fenomeni geodinamici. Ma la mia osser- zione non è gratuita, essa è fondata sui risultati generalmente negativi che hanno dato altri sismoscopi pure sensibili e di modelli diversi: si- smografi di vari autori e pendoli sismografici di varia lunghezza ; e fino anco gli strumenti microsismici , come il tromometro , tutti hanno nel complesso provato il carattere generale di calma nei fenomeni geodi- namici.

Questa apparente contradizione si può forse spiegare ammettendo un grado di sensibilità speciale al detto sismoscopio capace di obbedire a certe vibrazioni, (che possono essere anche indipendenti da cause endo- gene) alle quali sono insensibili gli altri strumenti. Però qualunque sia la natura e la legge di queste vibrazioni , è certo che sono da rite- nersi come minimi impulsi insensibili non solo all’ uomo, ma anche ad altri mezzi di ricerca delicatissimi.

Finisco anche in questo anno col ringraziare pubblicamente i miei assistenti, ing. Salvatore Arcidiacono, prof. Sebastiano Consiglio e Al- fredo Silvestri , per lo zelo con cui mi seguono in questi studi , e così pure tutti i chiarissimi Direttori degli Osservatori governativi e privati che formano parte della rete geodinamica della Sicilia, del pari che tutti gli ufficiali telegrafici addetti al servizio geodinamico, per la valida coo- perazione che mi prestano , onde nessun fatto sfugga al patrimonio di una scienza, i cui difficili postulati esigono continue osservazioni , per- severanti e severi studi.

Avvertenza

Nel quadro seguente per luogo s’intende la sede dell’ Osservatorio, da cui fu segnalata la scossa. Quanto alla qualità , i terremoti deboli o forti vengono distinti e classificati come segue: Quelli contrassegnati con asterisco (*) sono segnalazioni di debolissimi tremiti, indicati con 1°,

236

Etna , Sicilia ed Isole vulcaniche adiacenti , ecc.

cioè al disotto del d’intensità della scala italo-svizzera, ed avvertiti da un solo sismoscopio a verghetta Brassart; quelli con croce (-r), idem, ed avvertiti da un solo sismoscopio a dischetto Brassart; tutti gli altri senza segno sono stati avvertiti dai soli avvisatori sismici Galli-Brassart; mentre viene specificato nelle annotazioni se sono stati segnalati anche da qualche persona, da molti o da tutti gli abitanti dei centri popolati.

Nella colonna troniometro vengono notati il minimo ed il massimo delle oscillazioni del tromometro normale Bertelli , posto nel R. Osser- vatorio geodinamico di Catania , e col quale le osservazioni sono state fatte dalle 8 ant. alle 8 pom.

Etna , Sicilia ed Isole vulcaniche adiacenti

237

Prospetto sommario dei fenomeni geodinamici e vulcanici avvenuti all’ Etna , nella Sicilia in generale e nelle isole adiacenti.

Riassunto. Calma dominante dell’Etna durante l’ anno. Continua invece lo sfogo attivo all1 isola di Vulcano , sempre coi caratteri della fase vulcaniana , cioè con giornaliere esplosioni eruttive più o meno fre- quenti e di forza variabile, senza lava fluente, con projezione di vapori e ceneri^ accompagnate sovente da bombe, massi voluminosi ed abbon- dante mitraglia di pietre grosse e minute. L’ attività di Stromboli nel corso dell’anno ha assunto spesso degli incrementi notevoli con carat- teri di fase eruttiva pliniana , producendo, oltre alle solite dejezioni di vapori , lapilli e scorie, anche dei rivi di lava fluente. Seguono i pro- spetti mensili dei terremoti.

Giorni

Ora

Luogo

Qualità

Direzione

Intensità

relativa

Tromom.

G<

mnaio.

3

7.55

a,

Palagonia

*

1

1.5—8

))

0.11

P-

Catania

*

1

1.5—8

7

9.20

c J .

Lipari

*

1

5—15

10

8.19

p.

Stromboli

ondulatorio

E-W

2

2 5

11

1.32

a.

Palagonia

*

0.5— 2.8

12

3

a.

Catania

*

1

1.5- 3

14

8.43

a.

Lipari

*

1

1—2

18

5.9

P-

Palagonia

*

1

2.50—6.5

20

5.54

a.

Catania

ondulatorio

S-N

1

2- 5

))

5.42

P-

Palagonia

*

-

1

2-5

21

11.45

a.

Mineo

*

1

>)

10.10

P-

Beipasso

misto

N-S

3

»

»

))

Paternò

sussultorio

3

f

))

»

»

Biancavilla

»

3

3—10

»

))

))

Nicolosi

ondulatorio

?

2

»

»

))

Zafferana, Etnea

))

NE-SW

?

j

\)

»

»

Catania (1)

4=

1

22

4

P-

))

1

5.3-9

))

0.30

P-

Mineo

ondulatorio

N-S

1

5.3—9

23

3.33

P-

Catania

*

1

1.5—3

25

11.36

P-

Palagonia

*

1

7 9.5

(1) Sentita dagli abitanti in alcuni punti della città, ma non segnalata dagli istrumenti sismici dei due Osservatori, centrale e periferico.

Nessuna manifestazione all’Etna. Nel 10-11, incremento di attività dello stato erut- tivo dello Stromboli, che insolitamente presenta dei rivi di lava fluente.

Atti Acc. Vol. II, Serie 4a

32

238

Etna , Sicilia ed Isole vulcaniche adiacenti, ecc.

Febbraio.

8

2.30 a.

Messina (1)

3

0.5— 1.5

12

0.59 p.

Palagonia

*

- 1

i

))

2.17 p.

Catania

*

- 1

1.5-3

))

6.22 p.

Palagonia

*

- 1

16

10.28 p.

Catania

*

1

1.8 -6

19

4.35 a.

Beipasso

misto

E-W

3

»

» »

Paternò

sussultorio

3

5.12

))

» »

Biancavilla

))

o

O

20

0.16 a.

Palagonia

*

1

0.5—3

21

9.37 a.

Mineo

*

1

2—5

24

0.22 p.

Messina

*

1

))

5.15 p.

Palagonia

*

1

))

5.16 p.

Catania

*

- 1

1 O K

))

6.32 p.

Biancavilla (2)

sussultorio

2

L u.O

»

9.20 p.

« (3)

»

3

»

9.22 p.

Adernò

»

2

25

6.48 p.

Biancavilla

))

2

1-2

26

0.46 a.

Palagonia

*

1

1—2.5

27

4.12 a.

»

*

- 1

))

5.7 p.

Palermo (4)

ondulatorio

1-2

1-4

))

5.6 p.

Trapani

))

2

28

4.24 a.

Palagonia

*

1

1-3.5

)>

9.50 a.

Trapani

ondulatorio

?

1

1-3.5

(1) Sentito dalla maggior parte della popolazione, ma non indicato dagli strumenti del- l’ Osservatorio; durata tre secondi circa. (2) Avvertito da pochi. (3) Avvertito da parte della popolazione. (4J Due scosse con intervallo di circa due secondi, la seconda, più forte e più lunga, durò circa mezzo minuto primo.

L’inerzia eruttiva dell’ Etna fu interrotta nella notte del 7 all’8 da una leggera e breve eruzione di cenere e arena. Il 27, pioggia con pulviscolo in tutta la Sicilia meridionale e con vento burrascoso variabile di E-NE-SE.

Marzo.

1

6.56 p.

Trapani

ondulatorio

N-S

1

1—5

4

9.31 p.

Catania

*

1

1—2

5

11.47 a.

Zafferana Etnea

ondulatorio

NW-SE

3

0.5— 2.5

7

2.55 p.

Palagonia

*

1

3—4

9

8.38 p.

Catania

*

1

1—2

11

2.13 a.

Palagonia

*

1

0.5— 2.8

16

10.25 a.

Lipari

*

1

0.8 2.8

»

10.50 a.

Licata

*

1

0.8 2.8

20

11.4 a.

Catania

*

1

0.5— 1.5

21

3.2 p.

Lipari

*

1

1 2.7

22

9.5 p.

»

*

1

1—4

25

6.44 p.

Siracusa

*

- 1

3.5-11.5

26

8.50 a.

))

*

1

2—5

»

9.30 a.

»

*

1

1

2-5

8, 9, 10, 11, piccole e brevi eruzioni di ceneri all’Etna. 14 e 17, densa caligine pro- dotta dalla cenere di vulcano, che si stende in larga zona sulla regione etnea e si diffonde ampiamente verso Sud.

Etna, Sicilia ed Isole vulcaniche adiacenti, ccc.

239

Aprile.

2

9.28 a.

Pai agoni a

*

1

\

ì)

»

0.4 p.

0.6 p.

Mi neo ))

*

*

1

1

1.5— 5.5

»

0.17 a.

Messina (1)

SUSSul toTÌO

2

]

3

5.40 a.

Pai agoni a

*

1

»

10.56 a.

Messina

sussultorio

1

1-4

))

11.07. 30 a.

))

))

1

4

2.32 a.

Mi neo (2)

»

3

»

0.23 a.

Messina

»

1

))

9.3 a.

»

*

1

»

10.55 a.

Catania

*

1

;,-2

»

0.34 p.

»

*

1

))

2.28 p.

»

*

1

))

8.34 p.

»

*

1

5

0.30 p.

»

*

1

/

»

5-6

5.54 p. notte

Mineo

»

*

*

1

1

jo.5 3

6

6.13 p.

»

1

»

6 17 p.

»

*

1

iO

CO

IO

o

»

6.18 p.

»

*

1

7

0.6 p.

»

*

1

1.5—3

8

2.4 p.

»>

*

1

1—2

10

9.8 a.

Catania

*

1

1 -3.4

12

8.5 a.

Mineo

+

1

1.5 4

13

6.56 a.

Catania

*

1

3—6

19

3.3 a.

))

*

.

1

0.5-1. 5

»

5.25 p.

Mineo

*

1

0.5-1. 5

20

1.4 p.

Catania

*

1

0.3-2

24

10.46 a.

))

*

1

2-4

»

1.28 p.

)>

*

1

2-4

25

7.10 a.

))

*

1

0.5 3.8

26

8.4 a.

))

*

1

1-4.3

27

10.49 a.

))

*

1

0.5-1

»

9.5 p.

Pai agoni a

*

1

0.5—1

30

1.11.30 p.

Catania

*

1

0.5 0.7

(1) Avvertito da parte della popolazione, durata due secondi.

(2) Avvertito quasi generalmente cou rombo. In questo giorno, nello stagno d’ acqua tra gli avanzi del teatro greco di Catania si notò un sensibile aumento nel livello delle acque.

Inerzia assoluta dell’ Etna. 25, densa caligine dovuta alle ceneri di Vulcano ingombra la regione etnea esistente verso Sud.

240

Etna , Sicilia ed Isole vulcaniche adiacenti , ecc.

Maggio.

4

9.41.20 p.

Lipari

*

1

0.2—45.

5

7.12

P-

Pai agoni a

*

N-S

1

0 3—2

8

1.32

a.

Lipari

*

»

1

1—8.5

9

10.13

P-

Messina

ondulatorio

))

3

1.5—9

10

9.43

a.

Lipari

»

1

1.3-5

11

2.4

P-

Pai agonia

*

1

0.5— 5.5

12

0.3

a.

»

*

1

0.5 3.5

»

9.10

a.

Mineo

*

1

0.5- 3.5

»

9.45

P-

Lipari

*

1

0. 5-3.5

14

4.55

P-

Messina

sussultorio

3

1.7—3

»

5.22

P-

Mineo

*

1

1.7—3

15

7.53

a.

Stromboli (1)

*

1

16

7

a.

Mineo (2)

*

1

1—3

»

8.45

a.

*

1

1—3

17

3.39

a.

Lipari

*

1

0.2 1.5

19

11.18

P-

»

*

1

0.5— 3.5

21

1.51

p.

Palagonia

*

--

1

04. 1.5

22

9.26

a.

Mineo

*

1

0.5-2

»

11.4

a.

Palagonia

*

1

0.5—2

23

8.36

a.

Mineo

*

1

0.2-2

26

10.12

a.

Catania

*

1

»

4.55

P-

»

*

1

3-6

»

11.17

P-

»

*

1

27-28

notte

Mineo

+

1

28

11.7

a.

»

*

1

28-29

notte

))

+

1

29

2.7

p.

Palagonia

*

1

3—6

30

1.22

P-

»

*

1

»

3.52

p.

Catania

*

1 '0.5 13

»

10.20

P-

Mineo

*

,1

(1) Con scricchiolio di porte e finestre , e contemporaneo risveglio eruttivo dello Strom- boli. — (2) Segnalato da un solo sismoscopio sotterraneo.

30, 31, piccolo risveglio dell’Etna, che manda vapori eruttivi dal cratere centrale; 15, 29, una densa caligine cinerea si propaga dalla eruzione di Vulcano alla regione etnea e verso Sud.

Etna , Sicilia ed Isole valcaniche adiacenti , ecc.

241

Giugno.

3

8.30 a.

Catania

*

1 \

»

4.59 p.

Palagonia

*

0-5.5

»

10.55 p.

»

*

i

1

4

4.53 a.

Zafferana Etnea

onci.

SW-NE

1

»

9.27 a.

Catania

- 1

1—3.2

»

4.53 p.

Mi neo

*

1

6

0.45 a.

Catania

*

- 1

0.3—1

8

3.30 a.

»

*

1

CO 1

d

10

7.53 p.

Patagonia

*

1

0.5—6

11

4.28 p.

Catania

*

1

1.3 7.5

12

8.27 a.

Palagonia

*

- 1

2-6

»

9.55 p.

Catania

*

1

2-6

13

0.10 p.

»

*

1

3-8

14

0.4 p.

))

*

1

1.3—5

15

9.52 p.

Palagonia

*

1

0.2-2

21

3.45 a.

Lipari

*

N-S

1

0.5 3

»

5.3 p.

Catania

*

1

0.5—3

29

4.10 a.

Zafferana Etnea

ond.

NW-SE

1

0.8—3

30

2.56 p.

Palagonia

*

1

0.2—25

Dall’l all’8, l 'Etna offre eruzioni quotidiane di vapori, accompagnati da cenere nel 2. 23, 24, 27-30, densa caligine cinerea proveniente dall’eruzione di Vulcano ingombra la regione etnea e si diffonde a Sud.

242

Etna , Siala ed Isole vulcaniche adiacenti , ecc.

Luglio.

1

mattina

Mi neo

+

1

0.8—2

3

6.56 p.

Lipari

*

1

0.1

5

10.1 p.

Catania

*

1

0.4—1

8

4.35 p.

Pa lagoni a

*

1

0.3 -0.5

9

2.30 a.

Catania

*

1

0.4-1

»

7-8.45 a.

Mineo

+

1

0.4-1

12

3.6 p.

Zafferai! a Etnea

ondulatorio

NW-ES

i

0.4— 0.5

»

11.45 p.

Catania

*

1

0.4— 0.5

13

2.37 p.

Palagonia

*

1

1

))

3.48 p.

Catania

*

1

*0—0.5

»

5.3 p.

Lipari

*

1

)

14

2 p.

Siracusa

*

1

0.3 1

16

3.37 a.

Catania

*

1

\

»

4.51 a.

Lipari

*

- 1

))

8.7 a.

Bronte (1)

misto

NW-SE

5

))

8.7 a.

Adernò

sussultorio

2

0.5— 4.5

»

8.7 a.

Biancavilla

»

1

))

1.40 p.

Catania

*

1

!

16-17

notte

1)

*

1

/

17

11.41 a.

))

*

1

0.5—2

))

8.45 p.

))

*

1

0.5—2

18

5.15 a.

))

*

1

1.

»

8.44 a.

»

*

- 1

r0.2— 0.7

»

0.32 p.

Palagonia

*

- 1

'

18-19

notte

Catania

*

1

» »

»

Mineo

*

1

19

10.42 a.

Catania

*

1

0 co

1

’E

CU

19-20

notte

»

*

1

» n

»

Mineo

*

1

20

5.20 p.

Catania

*

1

0.2-1

21

2.18 a.

»

*

1

»

7.26 a.

»

sussultorio

1

1 8

»

40.25 a.

Bronte (2)

misto

N-S

»

10.25 a.

Adernò

ondulatorio

))

1

22-23

notte

Catania

*

- 1

23

1 .6 a.

Pai agoni a

*

1

0

co

1 1

o

oc

24

11.40 a.

Catania

*

1

«

1.29 p.

Palagonia

*

- 1

»

2.19 p.

Catania

*

- 1

0.1—7

»

4.4 p.

))

*

1

»

7.10 p.

»

*

1

25

8.34 a.

»

*

1

1-3

»

1.41 p.

»

*

1

1-3

27

10.18 a.

Modica

ondulatorio

N-S

1

0.2-3

28

5.6 a.

Catania

*

1

»

6.8 p.

Mineo

*

1

»

7.10-30 p.

Messina

*

1

31

8.18 p.

Catania

*

1

0.2- 1.5

(1) Con sensibile rombo. (2) Avvertita da molti della popolazione.

Inerzia assoluta dell’ Etna. Dall’ 1 al 9, 1’ Etna nella sua parte superiore è avvolto in vapori densi e caliginosi, provenienti dall’ Eruzione di Vulcano.

Etna , Sicilia t d Isole vulcaniche adiacenti,' ecc.

243

Agosto.

2

0.36 p.

Palagonia

*

- 1

0.5 1

))

1.51 p.

»

*

1

0.5—1

3

1.40 p.

Giarre

sussultorio

2

0.3— 0.6

4

6.21 a.

Catania

*

1

0.4—1

5

0.58 p.

Siracusa

*

1

0.3— 2.5

8

6.20 a.

Lipari

*

1

0.2 1

9

6.59 a.

))

5}C

1

0.3— 0.5

10

7.34 a.

))

*

1

0.5-1

))

11.25 a.

Mi neo

1

0.5-1

13

1.37 a.

Catania

*

ì

0.2 3.5

))

8.32 a.

Palagonia

*

1

0.2 -3. 5

))

5.27.34 p.

Messina

*

1

0.2 -3.5

14

11.21 p.

Stromboli

*

1

0.3— 0.5

15

4.25 a.

Catania

*

1

0.5 4.5

»

3.50 p.

Lipari

*

1

0.5 4.5

16

4.30 p.

»

*

1

1.5—5

17

7.20 a.

»

*

1

))

11.20 a.

Catania

1

1—3.5

))

5.43 p.

Siracusa

ondulatorio

E-W

1

1-3.5

19

5.35 a.

Catania

»

»

1

»

8.54 a.

Mineo

*

- 1

,0.2 1.5

»

10.55 p.

Catania

*

1

22

3 a.

»

1

0.4-4

»

10.55 a.

»

*

- 1

0.4 4

23

3.48 p.

Mineo

*

1

0.5 3.5

24

8.45 a.

Catania

*

1

0.4— 2.5

»

4.29 p.

»

*

1

0.4-2. 5

25

8.20.30 p.

Messina (1)

ondulatorio

?

2

»

8.37.30 p.

Mineo (2)

* -+-

2

.3.5-7

»

8.14 p.

Siracusa (3)

sussultorio

2

1

27-28

notte

Catania

*

- 1

28

6.8 a.

Messina

*

1

>i

11.33 a.

Catania

*

1

0.5— 5.5

»

1.5 p.

;;

1

»

2.5 p.

»

*

1

29

9.39 a.

))

*

- 1

»

10.45

))

*

- 1

2.6—5

»

6.2.10 p.

Messina

*

- 1

I

30

9.12 a.

Lipari

*

1

1.3

31

9.40 a.

Catania

*

1

0.5— 3.5

(1) Avvertito da pochi, ma non dagli istrumenti. (2) Segnalato a pianterreno da un sismoscopio a verghetta, al secondo piano da uno a dischetto; avvertito da molte persone a Viz- zini. (3) Avvertito da pochi (terremoti in Grecia).

Inerzia assoluta dell’Etna. 8-16, 19-24, l’Etna è avvolto da densa caligine cinerea proveniente dall’ eruzione di Vulcano.

244

Etna, Sicilia ed Isole vulcaniche adiacenti, ecc.

Settembre.

1

2.30 a.

Catania

*

1

0.3—1

»

8.15.30 a.

Messina

*

1

0.3—1

3

5 a.

Catania

*

1

1—1.5

3-4

notte

»

*

1

6

12.39 p.

»

*

1

»

6.7 p.

Mineo

*

1

1—2.

»

8.8 p.

Catania

*

1

7

9.40 a.

»

*

1

0.5—1

))

4.30 p.

Lipari

ondulatorio

N-S

1

0.5—1

10

8.27 p.

Catania

*

1

0.5 —1.5

12

4.26 a.

»

*

1

»

8.15 a.

»

*

- 1

0.51—2.5

))

0.35 p.

»

*

- 1

14

3.27 a.

»

*

1

0.5— 1.5

))

9.50 p.

»

*

- 1

0.5— 1.5

16

1.53 p.

«

*

1

1.5— 1.8

18

4.45 p.

»

*

1

1-2

»

5.17 p.

»

*

1

1—2

18-19

notte

))

*

1

19

7.30.9 a.

Mineo

*

1

fi)

0.52 p.

»

*

- 1

1—1.8

))

10.30 p.

»

*

1

19-20

notte

»

*

1

20

2 a.

Catania

*

1

))

10.27 a.

»

*

- 1

1—3

V

0.20 p.

»

*

- 1

21

8.12 a.

»

*

1

1—7.5

))

2.50 p.

Zafferana Etnea

ondulatorio

NW.SE

1

1—7.5

22

1.9 a.

Catania

*

1

r

))

4.32 a.

Mineo

*

- 1

))

8.15 a.

Messina

*

- 1

1—2

))

10.13 a.

Catania

*

- 1

»

3.19 p.

»

*

1

24

11.1 a.

Mineo

*

1

1.5—7

25

7.10 p.

»

*

1

0.5— 1.8

25-26

notte

Catania

*

1

28

7 a.

Mineo

*

1

0.3-1

»

8.29 a.

»

*

1

0.3-1

30

6.10 a.

Corleone

*

1

1.5—3

1 e 6 modesta eruzione di vapori all’ Etna.

Etna , Sicilia ed Isole vulcaniche adiacenti , ecc.

245

Ottobre.

3

2.8 a.

Stromboli (1)

*

1

1—2

))

4.13 a.

Catania

*

1

1—2

4

4.57.55 p.

Messina

*

1

1.2—3

5

2 49 p.

Stromboli (2)

*

1

»

2.50 p.

Messina

ondulatorio

N-S

1

2—8

»

2.53 p.

»

»

t)

3

7

6.26 p.

Trapani

sussn 1 torio

2

2—5

15

5.48 p.

Si racusa

ondulatorio

SW-NE

1

1—3.5

»

5.54 p.

»

sussultorio

1

1—3.5

17

6.43 p.

Mineo

*

1

0.5—3

18

10 p.

Catania

*

1

1.4—5

19

6.58 a.

Lipari

ondulatorio

N-S

1

1—1.5

24

10.30 p.

Mineo

br. urto

2

26

5.59 a.

')

*

- 1

0.5— 1.5

»

9.22

Siracusa

ondulatorio

NW.SE

1

27

3.7 a.

Lipari

N-S

1

2—4

(1) Forte eruzione allo Stromboli. (2) Idem. Inerzia assoluta dell’ Etna.

Novembre.

1

10.45 p.

Catania

*

1

1—4

4

7.52 a.

Mineo

*

1

1—2.3

5

0.3 a.

Palermo (1)

sussultorio

2

(o.8 2

))

2.25 a.

Mineo

*

1

»

1.31 p.

Siracusa

*

1

7

5.54 p.

»

*

1

0.6—4

8

6.31 a.

Mineo

*

1

2 8

))

9.10 p.

Palagonia

*

1

2.8

9

4.42 a.

»

*

1

2.5—4

10

notte

Siracusa

ondulatorio

SW-NE

1

0.8 1

13

8.45 a.

Modica

N-S

2

1.5 2.5

))

10 a.

»

»

1

1.5— 2.5

14

7.4 a.

Lipari

*

1

0.8— 1.5

21

5.10 a.

Mineo

*

1

1—2

22

4.50 p.

Lipari

*

1

4—9

23

2.34 a.

» (2)

* *

3

1.5—3

(1) Avvertito da un sismoscopio a mercurio dell’Osservatorio; il mercurio si versò copioso in tutte le direzioni, eccetto SE, ma più a West che ad Est ; avvertito anche in parte dalla popolazione.

Inerzia assoluta dell’ Etna.

(2) Si scaricarono due sismoscopi a verghetta, uno più e l’altro meno sensibile. La scossa fu avvertita da molti e produsse tremolìo nei vetri. Contemporanea eruzione fortissima di Vulcano con rombo prolungato.

Atti Acc. Vol. II, Serie 4a

33

246

Etna , Sicilia ed Isole vulcaniche adiacenti , ecc.

Dicembre.

1

1.7 a.

Zafferana Etna

ondulatorio

NW-SE

3

3

10.30 a.

Lipari (1)

* *

1

7

5.40 a.

Catania

*

i

8

5.45 a.

. (2)

*

1

14

7.45 a.

))

*

1

»

2.35 p.

))

*

1

16

5.36 p.

Zafferana Etna

ondulatorio

NW-SE

1

»

4.57 p.

Lipari (1)

* *

1

17

3.20 a.

Zafferana Etna

ondulatorio

NW-SE

3

19

10.58 p.

Catania

*

1

20

3.58 p.

Palagonia

*

1

21

2.26 a.

Lipari (1)

* *

1

22

5. a. 7.p.

Mineo

*

1

/

Catania

ondulatorio

2

Zafferana Etna

misto

NW-SE

4

25

6.23 p.

Giarre

sussultorio

3

(3)

Viagrande

»

3

(

Acireale

ondulatorio

ENE-WSW

5

26

11.40 p.

Palagonia

*

1

28

11.2 a.

Lipari (1)

* *

1

1.3— 2.5 0.6— 2.5 4 5 2.5—5

1.8—3

3— 6.5

4 7 1.8—7 0.9—3 8—14 4.5—6

0.8+50

0.3— 2.5 5—14

(1) Si scaricarono due sismoscopi a verghetta uno più, l’altro meno sensibile. Continua il periodo eruttivo di Vulcano, però con forza decrescente.

(2) A Foggia e a Taranto la mattina dell’8 fu maggiormente avvertito il terremoto, che si rese sensibile a tutto il continente italiano.

(3) Il tromometro prese un’ampia oscillazione, oltrepassando la scala micrometrica di 50 gradi. Due ore e 5 minuti dopo il tromometro era ritornato in calma.

Questo terremoto si rese molto sensibile in vari centri popolati del territorio di Zafferana Etnea e di Acireale lungo specialmente una linea che unisce questi due punti , e che corri- sponde sul fianco S-E dell’ Etna ad un raggio che parte dal suo cratere centrale e raggiunge la periferia in corrispondenza alla costa marittima di Acireale. Nel paese di Zafferana e nella città di Acireale specialmente, la popolazione lo avverti assai forte , tanto che i più uscirono intimoriti dalle proprie abitazioni per andare all’aperto. L’orologio pubblico fece sentire i tremiti del martello sulla campana. Nei d’ intorni di Acireale , e specialmente nelle borgate Carico e Ammalati , fu più inteso il movimento ; giacché quivi produsse dei danni conside- revoli, atterrando molti muri campestri, qualche fabbricato rustico ed alcune case.

Nei paesi situati al di qua e al di della direzione radiale sopra indicata il terremoto si sentì più debolmente e nemmeno da tutti, come p. e. a Giarre, S. Alfio, S. Giovanni, ecc. a Nord; a Viagrande, Trecastagni, Pedara, Nicolosi a Sud. A Catania , più distante, tranne di aver visto oscillare delle lampade a lunga sospensione, nessuno quasi si accorse del movi- mento; e nell’ Osservatorio, mentre alcuni strumenti rimasero inerti, altri invece (1 sismoscopio 6 sismografi ed il tromometro) lo segnalarono, registrarono ed analizzarono, caratterizzandolo come una scossa abbastanza forte, determinata da una oscillazione ondulatoria a largo ritmo con direzione dominante NW-SE, che in un istante successivo ad un primo impulso fu turbata da un secondo impulso che diede al movimento la direzione NE-SW normale alla prima. Ciò venne bene dimostrato dalle tracce ellittiche intrecciate, che segnarono sul vetro affumicato

Etna, Sicilia e d Isole vulcaniche adiacenti, ecc.

247

Da questo lungo elenco di segnalazioni strumentali geodinamiche registrate per l’intiero anno, si potrebbe a prima vista ritenere che vi fosse contradizione con quanto ho premesso nella introduzione di questa memoria; cioè che mentre è stato continuamente attivo lo sfogo eruttivo di Yulcano invece nella Sicilia in generale, specialmente nella regione dell’Etna, ha regnato una calma insolita.

Bisogna però tenere presente un’osservazione la quale deve istruirci sul grado d’importanza che bisogna dare alle indicazioni strumentali di certi sismoseopj segnatamente di quello sul sistema della verghetta i quali per la loro grande sensibilità l’esperienza ha dimostrato che quan- tunque collocati con molte cautele, in luoghi il più che è bossibile esenti da cause disturbataci, pur tuttavia obbediscono a dei minimi impulsi o impercettibili oscillazioni che possono essere indipendenti da cause en- dogene.-— Sicché avendo dovuto fedelmente registrare tutto ciò che hanno segnalato gli strumenti anche di tal natura che sono distribuiti in molti punti di osservazione della rete geodinamica Siciliana, si è dovuto met- tere nell’elenco un numero di 246 segnalazioni sismoscopiche che si sono distinte assegnando loro un grado d’ intensità ( 1 ) per dimo- strare che si tratta di impulsi tanto piccoli che hanno potuto rendersi sensibili ad un sismoscopio isolato senza che altro o altri strumenti ne abbiano dato segno corrispondente. Perciò sono da mettersi in dubbio circa la loro origine endogena e devonsi forse a preferenza riferire a cause indipendenti da quella.

Anche negli apprezzamenti generali sull’entità dei fenomeni geodi-

quattro pendoli sismografici di varie lunghezze; ed i pendoli lunghi obbedirono al movimento meglio che i pendoli corti. Il sismometrografo, quantunque a lastra scorrevole, funzionò come se fosse a lastra fissa, perchè non si scaricò il sismoscopio capace di imprimere il moto alla lastra, e fece conoscere i seguenti valori nelle tre componenti.

Componente E-W mni. 39.0

.. N-S » 13 0

» verticale » 0.0

Da questi valori si vede, che a Catania non intervenne alcun moto sussultorio e che il moto ondulatorio fu straordinariamente ampio , da rendere incredibile che il terremoto pas- sasse quasi inavvertito dalle persone. Notisi il fatto che questo fenomeno geodinamico etneo così spiccato è avvenuto durante il notevole affievolimento presentatosi in questo mese nella forza eruttiva della vicina isola di Yulcano.

248

Etna, Sicilia ed Isole vulcaniche adiacenti, ecc.

namici di tutto il suolo italiano, le indicazioni strumentali date da un solo sismoscopio a verghetta o a dischetto isolatamente senza che altro sismoscopio di sistema diverso le abbia confermate, non si tengono in conto perchè di provenienza molto incerta.

Se in base a ciò noi eliminiamo dai prospetti precedenti tutte quelle indicazioni notate col grado ( 1 ) i fenomeni geodinamici dell’ intie- ro anno si riducono ai pochi che sono riassunti nel seguente prospetto.

O

Qualità

MESE

ORA

Osservatorio

del

Direzione

c n G

1

5

movimento

O)

c

k— !

Gennaio

li

8.19 p.

Stromboli

ondulatorio

E-0

Beipasso

misto

S-N

Paterni)

sussultorio

»

21

10.10 p.

Biancavilla

Nicolosi

id.

ondulatorio

?

Zafferana Etnea

id.

NE-SO

« \

Catania

id.

?

))

22

0.30 p.

Mineo

id.

N-S

Febbraio

8

2.30 a.

Messina

id.

?

Beipasso

misto

E-0

»

19

4.35 a. ! Paterni)

sussultorio

Biancavilla

id.

»

24

6.32 p.

«

id.

»

»

9.20 p.

»

Adernò

id.

id.

?

»

25

6.48 p.

Biancavilla

id.

»)

27

5.7 p.

Palermo

ondulatorio

NE-SO

»

»

5.6 p.

Trapani

id.

?

Marzo

5

11.47 a.

Zafferana Etnea

id.

NO-SE

Aprile

2

0.17 a.

Messina

sussultorio

»

4

0.23 a.

»

id.

»

)>

2.32 a.

Mineo

id.

Maggio

9

10.13 p.

Messi na

ondulatorio

N-S

»

14

4.55 p.

»

sussultorio

Giugno

4

4.53 a.

Zafferana Etnea

ondulatorio

SO-NE

»)

29

4.10 a.

»

id.

»

Luglio

12

3.6 p.

»

id.

»

Bronte

misto

»

»

16

8.7 a.

Adernò

su ss ul torio

Biancavilla

id.

»

21

7.26 a.

Catania

id.

)>

10.25 a.

Bronte

misto

N-S

Adernò

ondulatorio

»

Etna , Sicilia ed Isole vulcaniche adiacenti , ecc.

249

Luglio

27

10.18 a.

Modica

ondulatorio

N-S

Agosto

3

1.40 p.

Gi arre

sussultorio

))

19

5.35 a.

Catania

ondulatorio

»

))

25

8.20.30 o.

Messina

id.

?

))

»

8.37.30 p.

Mi neo

»

»

8.14 p.

Siracusa

Settembre

21

2.50 p.

Zafferana Etnea

ondulatorio

NO-SE

Ottobre

5

2.50 p.

Messina

id.

N-S

»

»

2.53 p.

))

id.

»

))

7

6.26 p.

Trapani

sussultorio

Oo

(mi

»

15

5.48 p.

Siracusa

ondulatorio

SO-NE

))

»

5.54 p.

))

sussultorio

))

24

0.30 p.

Mineo

misto

))

26

9.22 a.

Siracusa

ondulatorio

NO-SE

))

27

3.7 a.

Lipari

Novembre

5

0.3 a.

Palermo

sussultorio

»

10

notte

Siracusa

ondulatorio

SO-NE

»

13

8.45 a.

Modica

id.

N-S

))

»

10 a.

»

id.

»

))

23

2.34 a.

Lipari

p

?

Dicembre

1

1.7 a.

Zafterana Etnea

ondulatorio

NO-SE

»

16

5.36 p.

»

id.

»

»

17

3.20 a.

))

id.

»

))

21

2.26 a.

Lipari

Acireale

id.

ENE-OSO

Zafferana Etnea

misto

NO-SE

))

25

6.23 p.

Giarre

sussultorio

Viagrande

id.

\ Catania

ondulatorio

E-0 N-S

R. Osservatorio Vulcanologico Etneo ed annesso Servizio Geodinamico della Sicilia ed Isole adiacenti.

Catania 15 Gennajo 1890.

LE TERMINAZIONI NERVOSE NELLA MUCOSA GASTRICA

Nota del Prof. A. GAPPARELLI.

Letta all' Accademia Gioenia nella seduta del 27 Aprile 1890.

Per quanto io ne sappia, nessuno osservatore ha potuto vedere net- tamente le fibre nervose terminali nella mucosa gastrica. Rabe, in quella dello stomaco dei cavalli, ha determinato una rete nervosa che circonda le glandole gastriche ed ha visto che dei prolungamenti della medesima si terminano con dei corpi fusiformi.

Io ho tentato di seguire le terminazioni nervose nella mucosa ga- strica delle rane e dei cani, adottando per questa ricerca il noto metodo del Golgi, per lo studio del sistema nervoso.

I risultati ottenuti abbastanza soddisfacenti, per le terminazioni ner- vose nella mucosa gastrica delle rane, non lo sono egualmente netti e privi di dubbio per quella dei cani.

Avrei messo a dormire queste ricerche, se un lavoro di Ramón y Cajal, pubblicato in Spagna, Barcellona nel 1889 , dove si occupa delle medesime ricerche, ma nell’ intestino, non mi avesse spinto a ren- dere noti i risultati già ottenuti.

Pare che nelle rane, effettivamente con il metodo accennato del Golgi, si possono seguire dallo strato muscolo mucoso fin dentro nel- l’epitelio, dei filamenti che per la colorazione, per l’estrema sottigliezza, per i rigonfiamenti periodici lungo il tragitto, per la colorazione e sopra tutto, per la loro presenza nello strato epiteliale, hanno il carat- tere di terminazioni nervose.

Nella maggioranza dei casi questi prolungamenti arrivano nello Atti Acc. Vol. II, Serie 4a 34

254

Le terminazioni nervose nella mucosa gastrica

strato epiteliale e poi si ripiegano. Non è infrequente, vedere penetrare uno di questi sottili prolungamenti a forma di anza, talora a forma di un esilissimo filamento fra gli elementi epiteliali, situato nello stesso piano dei medesimi ; fatto che esclude la possibilità, che per la spes- sezza del taglio o del piano, secondo il quale venne sezionata la mu- cosa, sia una illusione più che un fatto, la presenza del prolungamento nervoso. Vedi tavola unica, fig. la, 2a, 3a, 4.a

Se questi filamenti poi abbiano costantemente, come nella fig. 2a un piccolo rigonfiamento o no, questo è quello che con certezza asso- luta non posso assicurare.

Mi è capitato però di vedere qualche volta questi prolungamenti terminare nettamente con un rigonfiamento a forma di clava, procedente nell’ epitelio, o di sferetta.

Anche nelle rane, abbastanza chiaramente, vedi fig. 5.a si vedono delle cellule, della forma delle caliciformi, che si continuano chiaramente con un esilissimo prolungamento, avente il carattere dei prolungamenti nervosi terminali e che si diriggono verso la rete nervosa dello strato muscolo mucoso non solo, ma anche più profondamente. Certamente sarebbe desiderabile per assoluto rigore potere vedere la riunione di questi prolungamenti con le fibre nervose, con i cordoni nervosi; ma quantun- que questo io non 1’ abbia visto, non nutro dubbio alcuno che gli ele- menti epiteliali descritti siano in rapporto diretto con i cordoni nervosi.

Nella mucosa gastrica dei cani si ottengono egualmente questi ele- menti caliciformi colorati in nero, si può vedere come essi si manten- gano in rapporto con un prolungamento lunghissimo, che si dirige ra- mificandosi verso lo spessore dalla mucosa.

Trìnkler (1) ha stabilito : che molti elementi epiteliali hanno questo prolungamento , avente dei rigonfiamenti da simulare un prolungamento nervoso, ma che lui, non ha creduto tale.

Vero è, che ancora è da dimostrare se questi elementi descritti da Trinkler, siano si o no nervosi.

(1) Archiv far Mikroskopische Anatomie V. 1885 pag. 174.

Le terminazioni nervose nella mucosa gastrica

255

Naturalmente per i miei preparati io sono inclinato ad ammettere la identità della cosa, tanto per le rane come per i cani, cioè che i nervi si tengono nella mucosa gastrica in rapporto con elementi con- siderati finora come elementi epiteliali.

Laboratorio eli Fisiologia sperimentale della R. Università di Catania.

Dagli Atti dell Accademia Gioenia di Scienze Naturali in Catania. Voi. II. Serie 4.“ Tip. Galatola.

1

ì.2.3. +. 5.

6. .

-4sULAsV tf'ù'Zs -\As<i$u(X/ -KML-±A_XlA>Ò<JL-' ^ OUÓ-&cÀsC*GL/ ^Àsl/ 'UXl-KX/

-i cu^ct>'^a.' t ir k: ex -uì/ ’c<x jo-jxo t to ^chc j? t/fxx^cc-c^x-'tt' -u-e^vi’ -ó*J.

(Ec£E LisE^s ^p-t te,£t-Oc£t/ -A^EEx^ -44AJaIc&&Xs X&O-ù^^ì-C&y ,A^ ^COL \Asl/ ^<XjOp-<>^t<9 -CO+\- ^\RxXAAA4mXX/ AAs<lStA}-0-ò\-/ .

Sugl’ integrali delle equazioni della Dinamica.

Nota del Prof, d 10 VANNI PENNAOCHIETTI

In questo breve scritto mi propongo estendere al moto di un si- stema vincolato materiale qualsiasi proposizioni da me altrove (1) di- mostrate riguardo a un solo punto.

Restando nell’ipotesi generalissima che le forze siano funzioni delle coordinate e delle derivate di queste rispetto al tempo , e dipendano anche esplicitamente dal tempo , col quale eziandio possano variare i vincoli del sistema, determino le condizioni necessarie e sufficienti, affin- chè più problemi dinamici ammettano 2 integrali primi comuni contenenti ciascuno una sola costante arbitraria e non contenenti espli- citamente il tempo , essendo p. il numero delle coordinate indipendenti. Applico quindi tali risultati al moto di un corpo solido. Dipoi tornan- do a problemi dinamici qualunque, esamino alcuni sistemi di 2p 2 integrali primi comuni dipendenti dal tempo, e in ultimo alcuni sistemi di 2 p- 3 integrali primi comuni indipendenti dal tempo.

§ 1.

Equazioni del moto.

Siano xh , yh , zh le coordinate di uno qualunque degli n punti del sistema rispetto a tre assi ortogonali fissi nello spazio, rnh la sua massa, X,n Yfn Zh le componenti della forza, che agisce su di esso. Siano k le equazioni che esprimono i vincoli del sistema, sicché le coordinate degli

(1) Sugl' integrali comuni a più problemi di dinamica - Annali nella E. Scuola Normale superiore di Pisa Voi. IV.

Sugl 1 integrali delle equazioni del moto di un punto materiale Giornale di Mateiu. diretto dal prof. G. Battaglili, Voi. XXIII.

Atti Acc. Vol. II, Sebie 4a

35

258

Sugl integrali delle equazioni della Dinamica

n punti si potranno esprimere in funzione di t e di y nuove variabili indipendenti qv , q2 } ... q^ ; essendo y = 3n k, cioè si potrà porre :

xh = xh{t, g,, qt/ ... qfl) ,

•Va = Un ( t , g„ gs, ... g^) , ^ (1)

Zh ( t } q1 , g2, ... ) .

Per r espressione della forza viva del sistema :

h ■=■ n

^ 2 mà{X/i 2 -+- y*'2 + Z/t' 2 )

dove

si avrà :

A = !

da?/;

dt

T _ ^ , dz„

- ~ yu -m z" = ir

T=2(A'"

g/2 + ^2,2 g2' 2 + ..

4- 2B,

9/ 4" 25,

dove :

, __ dqs .

q& dt Ar>r

h <= n ,

= 2m" h ~ i \

i j dxh \2 1 \ dqr )

-d-r,s

h=n

= 2m,ì i

* =i

f dxh dxh \ dqr dqs

Br

h = n

= 2m/ti

A = i

[ dxi, dxu < dt dqr.

c

Aon

= 2“"/ A = i \

I dxh \2

1 dt l

“b 4~ BAi.iQiQt + ...

g,' 4- . . . -h (7) ,

+ dy* + dzn dzn_ dqr dqs dqr dqs

+ ddh dyh dzn dzh_ <

dt dqr dt dqr ,

Qui si deve osservare che le derivate rispetto al tempo , che figurano nelle espressioni di Br , C sono derivate parziali dedotte dalle (1),

Sugl’ integrali delle equazioni della Dinamica

259

quando nei secondi membri di queste si considerino t, ql , q2 q[JL come variabili indipendenti.

Ponendo :

ivs =

L 1

clAì

,1 \

, lclAs-

. 1

2 ( dq[

2

dqs

L) +

«• u

2

dqs )

+ . .

/c? ^4-5,1

1 dAs, 2

_L_

, i

di3,.

dBx\

!+...

1 cW

\ cZg2

dq i

!

. . .

. , q,

\ dt 1

dqs i

2 dqs

le equazioni del moto :

d dT dT

dt dq's dqs

(s = 1, 2, ... fj.)

dove

h = n

h= 1

divengono :

d2qs dt 2

= Qs, ....

(2)

dove :

-d-1,1 , ^4i,2 j . , s i ; M\ N\ ; -d, ,

Qs -

S + 1 )

Afl, i,

i ,M,-

-^2 1 -d-S >

1

: ^

^

b,i ì -di, 2 >

A2. g

-2,1 ; -d.2,2 ,

... A2,fj.

D =

Ai,

. 4

X />

Afx, t , A2>2 i ••• -d

260

Sugl integrali delle equazioni della Dinamica

§ 2.

Sistemi i piu generali di 2g- 2 integrali primi comuni indipendenti dal tempo.

Sia

» = F (t , q, , q.2 , . . . q^ , q,' , qt' , . . . q^) ,

(1)

dove « è una costante arbitraria, un integrale comune a due distinti sistemi di equazioni :

cl%_

clf

Qs , (s 1, 2 ... g.)

(2)

d2qs dt 2

= Q's .

ossia comune ai due problemi (Qi; Q2 , ... Qp) e (Q\ , Q\, ... Q'p). Si dovrà avere identicamente :

dF dF , dF , dF . dF dF _

+ +-+df/^ + &TlQ'^Tq 7Q,+

d~Q« = 0,

dq

dF dF , dF , dt dq, dq2

dF dF , dF , dF . , ^

dq^9fM + d2.' ' + 1 + dq'fj, w ~

Delle quantità Qi; Q2, ... ; Q\, Q\, . . . Q almeno due cor-

rispondenti devono supporsi differenti fra loro : siano queste Qi , Q\ , sicché potremo porre :

h

Qi fi Q

i + 1

Q, Q,

li Qi i Iti Q,i

(i 1, 2, ... fi 1)

(3)

Sugl’ integrali delle equazioni della. Dinamica

2(31

Allora al sistema delle due precedenti equazioni differenziali par- ziali di primo ordine si può sostituire il seguente :

, dF dF _ dF _

^ f dq', " dq\ + dq'3 K

(4)

cZU dF , dF

*W=#+di*' + -'-+àtu

dF t FF _ jZU

cZg'2 ' ^ dq'., '"^~dq'u

la = 0.

(5)

Se (1) è un integrale primo comune ai problemi

(Q, , Q., ... QfJ; (a: , QF ... Q/U

esso dev’ essere una soluzione comune alle equazioni (4) e (5), e, se si considerano soltanto integrali comuni indipendenti dal tempo, dev’es- sere soluzione comune altresì alla equazione :

C(F) = f = 0. ,6,

Se determiniamo ln in modo che tali equazioni ammettano un dato numero di soluzioni comuni , queste ci forniranno altrettanti inte- grali primi comuni ai problemi pei quali le forze soddisfino alle condi- zioni (3). Uguagliando a zero le funzioni alternate A (B (F)) B(A(F)) =D (F), C (A(F) ) A(C (F) ) , C {B(F) ) B (C {I ) ) , si ottiene :

dF dF ..

D(F> - w, + n. *■

+

dF

dq^

+ ...

dF dk, dqj dt

dF dq p

A(lfi _ f)

dF dk , dq3 dt

FF_ M, dF di,

dqd dt dq3 dt

r dF i ,

+ dq,’ ( A(lì)

B(kfÀ_i) |=0,

dF dkìl_ i _

+ dq p dt ~

dF di fi _l

+ dq^ dt ~~

B(k ,) j

A)

A’)

A”)

262

Sugl’ integrali delle equazioni della Dinamica

Da quelle proprietà delle equazioni simultanee a derivate parziali di primo ordine, le quali si riferiscono alla possibilità di soluzioni co- muni e al numero di queste, si trae, quando si abbia riguardo alla for- ma delle equazioni (4), (5), (6), (7), che problemi dinamici differenti non possono ammettere più di 2 g. 2 integrali primi comuni distinti.

Cerchiamo le condizioni necessarie e sufficienti, affinchè si abbiano 2g 2 integrali primi comuni indipendenti dal tempo. Dalla forma delle equazioni precedenti si vede che, per ottenere queste condizioni, conviene esprimere che i coefficienti delle derivate parziali di F nel- le (7'), (7") siano identicamente nulli, e che i coefficienti delle derivate parziali della stessa F nella (5), dove = 0, e nella (7) siano prò-

CtZ

porzionali. Si avrà adunque :

d\ dkì dJcfJL_L eZZ, dl2 dZ(U._1

dt dt ' dt dt dt dt

2/

K

2*'

ki

2s'

k

g i AdJ-BikJ A(h)-B(1c,

A(l,x _ t) B(kft _ i ;

S-I

Di qui si deduce dapprima :

L

k le

1 2i" 2 2i'

kg. - 1

(8)

Le quantità Z15 Z2, ... Zw,_1 non potranno dipendere esplicitamente dal tempo, e per determinare li si ha 1’ unica equazione :

dii i dii i dii . 0 7

+w;q' di, 74“ ~2h'

cioè Zu Z2, ... l[i_i sono funzioni di qn q2ì ... gy , q\ ... q' ^ , omo- genee e di secondo grado rispetto a q\, q\ , ... q’ ^ onde si può porre:

Sugl' integrali delle equazioni della Dinamica

2(33

Le condizioni necessarie e sufficienti per le forze sono che le quan- tità Qtq\ QAi (?' = 2, 3, ... g) siano funzioni omogenee di terzo grado rispetto a q\ , q' 21 ... q’ g e del resto funzioni qualsiansi rispetto alle altre variabili ql , q2 , ... q g\ il che si può esprimere ponendo:

Q*?/ Qi?*' = I ?i » ?

?.'

ff»', .

^ ?/’

?.'

?i'

q

?s', .

q’g

9,"

?l'

?/

r ?*'

2s', .

q’g

9."

?i'

?.'

(9)

Si può osservare che , quando queste condizioni sono soddisfatte , tutte le differenze Q,q' /c Q,cq'n dove i e k sono due numeri disuguali della serie 1, 2, ... g , saranno funzioni omogenee di terzo grado rispet- to a q' i, j'2, ... q'g.

Se le espressioni, che abbiamo trovato per \ , k2 , ... kg _ l5 /x , ... 1}

si sostituiscono nelle equazioni (4), (5), il sistema (4), (5), (6) diverrà completo.

Se si ha riguardo alle (8), si vede che la soluzione più generale della (4) è:

F q*, Vi, V *,'••• V _ ^ = costante ,

dove :

?.'

?,

"'b/. ì.

La (5) diviene perciò :

dF dF dF dF

dF

+ j- «Pi -+- di j,

*«-1 = 0?

264

Sugl' integrali delle equazioni della Dinamica

la cui integrazione dipende dalla integrazione del seguente sistema di 2 fj- 2 equazioni differenziali ordinarie di primo ordine :

dq , dq 3

~ ^ ^ _ •" d^ ~ V - i.

dj,

1 J 2

dq.

-i).

Gl’ integrali primi richiesti saranno quindi le 2^. 2 soluzioni distinte della precedente equazione a derivate parziali di primo ordine, o, ciò che è lo stesso, i 2/^ 2 integrali primi del sistema:

d\L /, ..

=<Pi f t, ìu, ... fy-i' dt dt

nei quali

a

&f., ... d\-ì\__

dt

d’<, ... - *■

G ’fl* ’fsj fy-l> df

si sostituiscano rispettivamente

9S > ?2 > ?3! ••• TV’ fì'

(1 1 il

e siffatti integrali converranno a tutti quei sistemi (2), in cui le forze soddisfino alle 1 condizioni (9).

Il sistema delle equazioni integrali potrà quindi prendere la se-

guente forma:

q*-

= ?!

Gì; ®2 ;

V - 2’

ffj» \ 1

= 92

Gì; a2 >

, . a

2i^

qJ, (

= V-

! Gì; “2,

a2fl - 2J

i

<h> , i

gh

ff'i

= 9 li

Gl ; a2 ;

. . a

2/CC 2?

qJ >

(11)

3/* .

m (oc, , a2 , .

q\ Ttp-ti j > 2/

2/*

i? Qi ) ì

Sugl' integrali delle equazioni della Dinamica

205

le quali equazioni, risolute rispetto alle 2g. 2 costanti ai,<*2 costituiscono i 2g 2 integrali primi richiesti.

Supponendo conosciuti i 2d- 2 integrali primi, e denotando con fhA, fh>2, fK 3 funzioni note, potremo porre, in virtù delle equazioni 1, i) che esprimono i legami del sistema, e in virtù delle (11):

xh

fh, i

(t,

ffl,

an a->, ■■

••• azp-2 )■

Vn

=

(t,

Qu

a,, a„ ..

a2g-2 );

Zi,

= fh, 3

(t,

a,, a,, ..

•• a2[h-2 )■

dove è da osservare che nei secondi membri il tempo figura esplicita- mente, soltanto se i vincoli del sistema dipendono dal tempo.

Perciò, se i vincoli del sistema dipendono dal tempo, i singoli punti, per tutta la durata del movimento, si troveranno rispettivamente sopra altrettante superficie fìsse determinate; e , se i vincoli non dipendono dal tempo, risultano anzi determinate le traiettorie degli stessi punti. Se si suppone che le posizioni e le velocità iniziali dei punti mobili siano le stesse per tutti i problemi della classe, dette superficie e dette traiet- torie non varieranno da problema a problema della stessa classe. Per completare la soluzione di ciascun problema, cioè per trovare i due ri- manenti integrali primi non comuni , basterà eliminare per mezzo delle (11) le quantità qo , qs , ... q , q't q\ , ... q' dall’equazione:

= Q, ( t, q„ q„ ... qUì q'„ q\, ... q\u ),

la quale prenderà così la forma:

d-q, ,, s

= / (^ q„ a„ «„ ..., a2jU_2).

La forma della funzione f varierà da problema a problema. I due integrali primi di quest’ ultima equazione conterranno due nuove costanti Atti Acc. Vol. II, Serie 4a 36

266

Sugl' integrali delle equazioni della Dinamica

a2ju_i , a2jU , che colle costanti an a2, ... «2(a_2 compiono il numero 2/a di costanti che deve contenere la soluzione generale del problema.

Applichiamo le- condizioni precedenti di esistenza di 2,u 2 inte- grali primi comuni indipendenti dal tempo, al problema del moto di un corpo solido intorno a un punto fisso 0. Si prenda questo punto come origine comune di due sistemi di assi ortogonali, gli uni fissi nello spa- zio Oxì Oy , Ozì gli altri fissi nel corpo 0§, 0^ , 0£, e che supporremo essere gli assi principali del corpo relativi al punto 0. Siano A1 B , C i momenti principali d’ inerzia del corpo relativi ad 0; 0, p, 4/, siano i tre angoli d’ Eulero, e precisamente 0 sia l’angolo zO% , y e A siano gli angoli , che l’ intersezione dei piani xOy , 1 0 y forma con O.r, ri- spettivamente. Le equazioni del moto si possono porre sotto la forma :

dove 0 <t> , Y sono determinate funzioni intere di secondo grado omo- genee di ~ ~ con coefficienti, che sono funzioni intere di A , B , C

e del seno e coseno di 0, ?, *P, e dove L, i¥, AT, sono le somme dei momenti delle forze date rispetto agli assi Of, (fy, 0£.

Tutti i problemi del moto di un corpo intorno a un punto fìsso , nei quali le quantità L, i¥, iV, soddisfino alle due equazioni lineari:

B ( 0' sen \p <p' cos vp sen 0 ) L -f- A ( 0' cos vp + <p' sen sen 0 ) ¥ = /i ,

J5C'(0'senvpcos0 vP'sen0cos>p) A + AC'(—0’cos0cosvp4-^P'sen0sen'P ) M j (3)

3.

Applicazione al movimento di un corpo solido.

AB C~ = BL cos vp AM sen \p +- 0, dt 2

(1)

-+- 0' ABN sen 0 = f2

Sugl’ integrali delle equazioni della Dinamica

267

dove si è posto per brevità:

db , di' ?

df

Ut1

dA ' Ut'

e dove inoltre fL e fz siano date funzioni di t, 0, p, vp, 0', <p', 4/, omo- genee e di terzo grado rispetto a 0', <p', 4/, ammettono quattro integrali primi comuni.

Se il corpo è libero, pel centro G di gravità si conduca un siste- ma di assi Gxi , Ggl , Gzl , i quali si muovano , mentre si muove il

centro di gravità , restando paralleli a un sistema di assi ortogonali

Ox, Oij, Oz , fìssi nello spazio, condotti per un’origine qualunque 0; indi per lo stesso punto G si conduca un altro sistema di assi Gè,, Gy , 6r£ fissi nel corpo, e che supporremo essere gli assi principali del corpo relativi al punto G. Siano 0, <p, 4, i tre angoli di Eulero, che deter- minano la posizione degli assi Gè, , 6fy, G% rispetto agli assi Gxl , Gyi ,

Gzi . Siano a , b , c le coordinate del centro di gravità rispetto agii assi Ox , 0)j, Oz. Immaginando trasportate al centro di gravità tutte le forze applicate ai vari punti del corpo, e indicando con X, Y , Z le compo- nenti della risultante di traslazione secondo gii assi Ox, Oy Oz e con L, M , N le somme dei momenti delle date forze rispetto agii assi 6rf, Gvn G% , è evidente che, nel caso generale, saranno X , Y , Z, L, il/, N funzioni di

*> Q> ?, Y

d0 df dvfì da db de a’ C’ dt dt' dt ' di' di' dt

Le equazioni del moto sono in questo caso sei, cioè anzitutto:

dd_ 1 dt'

X,

= Z,

dove Ml è la massa del corpo ; e le rimanenti equazioni sono le (1), in cui A , B , C siano i momenti principali d’ inerzia del corpo relativi al centro di gravità, e 0 , <p , 4o L, M, N abbiano il significato che ul- timamente abbiamo detto. Le condizioni necessarie e sufficienti , perchè

2(38

Sugl’ integrali delle equazioni della Dinamica

esistano dieci integrali primi comuni, i quali non contengano il tempo esplicitamente, sono ora cinque, cioè :

Xd'

BLqos^

^ditisen \p

a1 * * = /;,

My

AB

YP

BLcos 4^

^lildsen 4-

6' = f\

My

ZP

BLcos 41

yflisen^

c = fi

My

AB

oltre le equazioni (2), essendo:

, da db , de

a dt dt’ C dt

e intendendo che f\ , f\ , ... f5 siano funzioni date di f, o, p, 4,, a, 6, c, P, 4-', a\ b\ c', le quali debbono soddisfare alla sola condizione di essere omogenee di secondo grado rispetto a 0', <p', 4/, a', b', e .

§ 4-

Alcuni sistemi di 2p 2 integrali primi comuni dipendenti dal tempo.

Poniamo

7. 0,2 7, #3

Ai = ; «2 =

ai ax

3fc„ =

J*-1 ai

, 1 /

li ?*i 1 ty U i , 0-2-, .

Cll '

. . Il

P-i I

4 = - Vi ( t, Uy , Ug, .

. u

p-i

1 1 /

/* - 1 = - fy- 1 t, Uy , U2

ay \

. . u

p-i

Sugl' integrali (Ielle equazioni della Dinamica

2(39

dove è per brevità :

«2?1 = U1 > «3?1 Ul, adlfJ. «U#1 = *V-1 >

e dove a, , a2 , ... a sono costanti date.

Il sistema delle equazioni (4), (5), (7) del § diviene:

/711 dF dF dF

■A-t (F) «, -j-f- 4- a 2 4- . 4- -jj- 0 ,

dq\

dF

u/^ , dF ,

f J 2 1 dq, + q 2 dq2

dF

Ifj.

<J t* dq„ ' a, (

dq ^

1 .

9i (*, w, , ...

V-i)

(1)

dF

dq\

dF

dF i dF

4- «p* (#, tt,, ... «,*_,) +••• + J^r\ + 7^ = 0’ (2)

dF dF

D‘(F) -a-if, + a' w, +

dF

= 0

(3)

essendo

4i (F) a1 A (F) ,

A fF) = a, D (F)

Siccome si verifica che le equazioni Dl (J., (F) ) Al (Dv ( F ) ) = 0, D^B (F) ) B ( A (F) ) 0 sono identicamente soddisfatte , si con- clude che il sistema delle equazioni (I), (2), (3) è completo. Se si pone:

a,q\ a2q\ = », , a,q a2q\ = », , .... a,q' ^ a^q\ = ty_l ,

la (1) integrata offre:

F (t, q, , q2 , q^ , v »/*_,) = costante ,

e perciò dalla (3) si deduce:

F(7, m,, ... et »|; »„ ... » _t) costante.

270

Sugl' integrali delle equazioni della Dinamica

Dopo ciò è facile concludere, giovandosi della (2), che le soluzioni comuni alle equazioni (1), (2), (3) sono tutte e sole le soluzioni della equazione unica:

dF dF dF dF

a + n, *■ + n, + - + iir

i - i

dF

di\

9i (t, w, ,

4>

dF s

dv, 92 t} *V- ^

dF

dvu - 1 Z4-!

& ; ••• «V-i^ = °’

o, ciò che è lo stesso , del sistema delle fj- 2 equazioni differenziali ordinarie :

d'2u,

ir = v' '*> "•> v*>

d2w. ,, .

dF = ,p- (t’

i

d** = V _ ì *V -

(4)

Le y. 1 condizioni, a cui devono soddisfare le forze, sono : a,Qt a,Q, = 9, (a,g, a5g,, cqg3 a,?, , . . . a,q^ a[Lqx ) , a3Qx = <p, (a,g, a2gix a,g3 a3q , , . . . a,?w awgx ) ,

afiQ2 = ?/i _ i («10* a,g, , a,g8 ««Si , «10^ a*?, )

Integrando il sistema (4) e denotando con ^ , *g , . . . _ 2 le

2{j. 2 costanti, si abbia :

“*= +* (*■>“”••• v V-.' *>’

u, = +, fa,, «i, ... «!fl _ , , t),

u.

- i = _ i , «!

'2 ;>

2Z4 - 3 2Z4 2

, V,

Sugl’ integrali delle equazioni della Dinamica

271

da cui:

i (5)

a4p V1 = ^ - 1 (£Xl *** - 3’ V - * ^ /

Di qui si deducono le quantità g2, g3 , ... g^ espresse per mezzo di qt 1 «1 , a2 i a-2^ 3 5 *2^ - 2 5 ( § 1,2):

(jt* Q

= Qi (?i , q% , Qp , q'i , q'% , q'^ , t) ,

sicché sostituendo invece di g2, g3, ... g„ , g'2, g'3, ... g'^ i loro valori espressi per mezzo di g15 g'4 , , «2 , ... %_3, <V_2, si

ottiene un’equazione differenziale della forma:

- a2q, = 4n f«i , «2 , «/x _ 3 , V - 2 ^ - <Ml = 4^2 («i, «2 ; ... « ^ _ 3 ; « ^ _ g ; *j ;

d2q ,

di1

= Afft, <?’>

a

2/^—3 j

2a_2 >

j

in cui la funzione / varierà di forma da problema a problema, e la quale offrirà per ciascun problema particolare i due integrali restanti non comuni agli altri problemi della classe.

Dalle (5) si deducono g—2 equazioni della forma:

«s?! = *t («,?2 1 a.2q, , a,, a,,.... a2|a-s ) ,

“iff* «4?i = ^ («iff* «1,

= ^_2 ( a,ff,

a2qt

a ) .

2^-2 '

Se il sistema è libero le coordinate xi , zq , ^ ,

, possiamo immaginare che g, , q2 , . . . g^ siano , y2 , ynì zn , essendo j“=3 », e da

272

Sugl' integrali delle equazioni della Dinamica

quest’ ultime equazioni si deduce immediatamente che i vari punti del sistema restano, durante l’intera durata del movimento , ciascuno sopra una determinata superficie cilindrica. Se il sistema non è libero, si avrà in virtù delle equazioni integrali (5) e delle equazioni 1, ‘) che esprimono i vincoli del sistema, essendo fh i fh<ì fll3 simboli di funzioni:

Eliminando t e ql da queste tre equazioni , si conclude che il punto ( xh , yM zh ) resta durante il movimento sopra una superficie fissa de- terminata, la quale, se le posizioni e le velocità iniziali dei punti del sistema sono le stesse per tutti i problemi della classe, non varierà da

*/» = A, i (E Qi , «i, a2fJL_s ) ,

Ve A, 2 ( t , q,, a1} *s, ... a w_2

f/t,3 ( 1 1 Ql l U-l 1 ••• ®2(U.— 2

problema a problema della stessa classe. Supponiamo che sia identicamente :

fi = 0, ?2 = 0, .... 9fl_i = 0;

si avrà:

u, = a, (t + a,^_2)

u„ = a, (# + a

u

a

(#+ a

'sM— 3

onde:

Sugl’ integrali delle equazioni della Dinamica

273

ossia :

«. dz «3gi = - O ,g, + « ,

a, y

a3

«i9« «<?1 = - 0,a2 «f?i) + v,)

a, r-r1

- V1 = ^7 (a'?2 ~ ^ } + Vv

Se il sistema è libero, possiamo supporre che ql , </2,... siano le coordinate yv , ... ynl zn} essendo y 3 n. Perciò le su-

perficie , su cui durante il moto si trovano rispettivamente i punti del sistema, e che in un’ ipotesi più generale abbiamo detto essere cilin- driche, sono in questo caso n piani.

Se si indicano con ... an) by , ... bnl cL , ... cn quantità costanti,

e se le equazioni del moto sono:

d!x,, _ d-yh _ d'zh _ v

dt: 3 ~ " /( dt1 ~ h’ dt' ~ ,l

7i = 1 ,

2,

)

le condizioni per le forze prenderanno la forma:

xl = yl=zl==xl^ = Za

Oi ài Ci a2 Cn

da cui si deduce facilmente che per due punti dati qualunque del sistema il rapporto delle proiezioni, sopra un asse qualsiasi dato, delle due forze ad essi applicate, è costante, e che inoltre le successive linee d' azione della forza , che durante il moto sollecita uno stesso punto del sistema, sono parallele.

Dei 6 n 3 integrali primi comuni, 4 n si possono assumere sotto forma tale, che tre integrali indipendenti dal tempo e uno dipendente dal Atti Acc. Vol. II, Serie 4a 37

274

Sugl’ integrali delle equazioni della Dinamica

tempo si riferiscano al moto di uno stesso punto (x/n yM z/t) preso separatamente.

La forza, che sollecita questo punto, si può considerare come diretta verso un centro fisso , che è il punto all’ infinito di una retta, che forma cogli assi angoli, i cui coseni sono proporzionali ad ah , bh , ch.

Sono proporzionali al tempo (1) le distanze (contate col tempo) delle successive linee d’azione della forza, che sollecita il punto stesso. Queste proprietà del moto del punto hanno analogia con le proprietà del moto di un punto sollecitato da una forza diretta verso un centro fisso situato a distanza finita, nel quale ultimo caso si hanno tre integrali primi comuni invece di quattro.

Il sistema dei 6w 3 integrali primi può porsi sotto la forma:

u\

^1 ^1 y ^2 ••• ^3/1 1 ^3/1 i y ^6/1 2 ^ ^ ?

a2Ui a,u2 ^3/1 ? azU j ~ f-i^ ..... ^ ®g/ì 3 j

ossia :

i . a,x2 a2x^

a,x t a,x\ = ai, 7 = ae,i-2 H- t

a2x \ a2x\

axx' 3 a3x\ = a.,, aL ( x2x'3 x\xz) + a3 Ix^x'^ x\x2) + a,, (x\x3 x,x's) = a3n,

axx[ n—anx\— an- 1 , al (x,x'n— x\xn ) 4- an(x2x 2— x\x,) -4- a2 (x\xn x,x'n) =ain _ 3 ,

axy\ lyX\ an, ax (x.2y\ x\yx) -f h [xxx\ -x\x2)-i a2 (x',yL xxy 1)=pa4/l_2 ,

axy' n—'bnx\—a.ìn- i, «1 {x2y' n-x\yn)-\- bn(x)x'z x'ìxl) + a2(x’1yn—x1y'n)—a-on_.ÌT

a,z\ CyX'i a2n , ay [x2z\ x\zx) H- Ci (xxx\ x\x2) + a2 (x'.Zi xxz\ ) = a5„ _ 2 ,

axz' n CnX ì ®3/i 1 ) Mi (x2Z n X 2Zn ) -f- Cn(tCxX 2 X xX2) -j- a2{x tZn XxZ n) ®6/i 3.

(1) Giorn. di matem. voi. XXIII, nota citata.

Sugl integrali delle equazioni della Dinamica

275

o.

Alcuni sistemi di 2iJ- 3 integrali primi comuni indipendenti clcd tempo.

Per la ricerca dei sistemi di 3 integrali primi comuni indi- pendenti dal tempo bisogna determinare , h, ... , h, l2, ... ly ^

in modo che il sistema delle equazioni (4), (5), (fi), (7) del § 2 sia completo. Se poniamo:

h Jc0 =&

(1)

?i Qi ,Jj ~ 1 Qi

Il =$1 (g. ,q-2, ... g,,), h = (gì , g2 , ••• g^), (gi , q2 , ...

in cui > 4> 2 , ••• 4>^_x sono funzioni omogenee di grado negativo 3 in maniera che si abbia:

7 1 ( fh Q ì <l!J-

h = ?i •••

'

7 1 g-2 g3 h- \

q* ' '

(2)

Z.

g;3

il sistema stesso diviene: Ai (F)

dF

dq'

dF

dq'ì

dF

dqv

dF , -, g2 ag2

dF

j, dF dF

Di {F> ~ q' + gi

gs

Q/JL

) !

r

dF

g2 +

1 ch V

o

li

(3)

dF ,

dF .

dF *

+

TT^^l

2

+ d9'3 2+ -

1

y-v

o,

(4)

dF

0

(4')

dF

dF

- dF

dQfi q,J'

dg'i 5

dq'o q 2

...

... H-

dF , _ dq ~ °’

(5)

276

Sugl’integrali delle equazioni della Dinamica

essendo

Ai (F) = qiA(F), Di (F) = q, D(F).

E facile verificare che si ha identicamente:

Di (Ai (F) ) - Ai (Di (F) ) = 2Ai (F), Di (B(F) ) - 2?(A (F)) = - 2 B(F), e che le equazioni :

C(Ai (F) ) - Ai(C(F)) = 0,

C( B(F) ) - B ( C (F) ) = 0

sono identicamente soddisfatte, sicché il sistema (2), (3), (4) è completo, ed ammette 2p 3 soluzioni. Le (1), (2) esprimono condizioni, che so- no soltanto sufficienti, affinchè il sistema delle equazioni (4), (5) , (6) , (7) del § 2 sia completo ; e perciò noi otteniamo per mezzo di esse soltanto alcune classi di problemi aventi 2f- 3 integrali primi co- muni indipendenti dal tempo.

Dalla (3) si vede che gl’integrali comuni , a cui si riferiscono le espressioni (1) e (2) di ^ , h, ... Jc^ , li, l2 , ... ^_1 , hanno la forma

F (qt, q*, ... Mi, 2 , Mi.*, . . iii.fj. ) = costante,

dove si è posto :

«1,2 = Si 2* 9'jOn «i.3 = 2i 2'* Qi ?s > «i,m = ^ ?'ja 2'i 2/u

Poi dalla (5) risulta che gl’ integrali comuni sono compresi nella forma ancor più particolare :

F ( Ui , u2, ... , Mi, 2 , 3, . . . ) = costante,

dove si è posto per brevità:

u

A - i*

Sugl' integrali delle equazioni della Dinamica

277

Finalmente della (4) si deduce che i 2d 3 integrali comuni non sono altro che le 2d 3 soluzioni distinte dell’equazione unica :

dF

dF

«1,3 + ,

duì

... +•

dF

dF

.(«!> «., «^ _ L) +

7 'l j

clu1

du

d-i

dF

ih, ... ufJL_

i ) +

... -t-

dF

7 ( “l

du ,, d - 1 y-d

»*» - v^=0’ ^

la cui integrazione dipende dalla integrazione del sistema delle 2d 3 equazioni differenziali ordinarie di primo ordine :

du2

«1,3

du

d-y

_ V

duL

«1,2*

du i

«1,2 '

dii 1,2

?l Ol !

*V-i\

i.d

Va _1(UÌ, ...

dui

«1,9

dlly

«1,2

Le 2j“— 3 soluzioni dell’ equazione (6) convengono a tutti quei problemi nei quali le forze soddisfano alle d 1 equazioni seguenti :

^ ^ 1 / ?2 3

?2 Qi = -r Pi ( » ~ '

<7, \ ?i ?i

n n 1 m / 3* ^

?i $3 Qi = ; ?>{—>—’

q, \ ?i q i

~ 1 / ?2 ?3

-7. - «M * = -^7 v. 1 ^ ir

0)

le quali equazioni esprimono che le quantità qi Q2 q2 , qA Q3 q3 Qy , . . . . qiQ[t qg-Qi sono funzioni omogenee di grado negativo 2 di ql , q2 , .... qg ; ed è evidente che le stesse quantità potranno altresì dipendere da ?'17 ?'2 , ... e contenere il tempo esplicitamente. Si può osservare che ogni qual volta siano soddisfatte le equazioni (7), si può concludere che tutte le differenze qL Q,. q,. , dove i e h

278

Sugl’ integrali delle equazioni della Dinamica

sono due numeri interi disuguali non maggiori di p , saranno funzioni omogenee di grado 2 di q^.

Consideriamo ora il sistema di equazioni differenziali ordinarie :

d'!Ui \

SF = f' -'V-.)’ I

d‘2u2 I

~dF = ( Ul’ U2’ Vi

Z4-!

di1

= v ( ?<1 “2 »

M-l

(8)

Poiché nei secondi membri di queste equazioni la variabile indipendente t non entra esplicitamente , gl’ integrali di questo sistema si possono supporre ridotti alla forma :

«i = v, ( ai , a2 , . . . a2fl_3, «2/x_2 + t ),

«*=*.(«!., «2; ... «2W_;i , «2/a_2 “b 0,

Vi = Vi ^ ^ 4 * * V-3 V* + 1

= > («i , . . . Vv V-2 +

du

!J—i

dt

2«_2

( a. , a2 , . . . a , a + t ),

V 2/<*-3 2,^-2

sicché una delle costanti figuri combinata col tempo per via di addi- zione. Risolvendo quest’ultimo sistema rispetto alle costanti, si otterrà , oltre un integrale primo, in cui figura il tempo aggiunto alla costante a2/x_2, altri 2 iJ- 3 integrali primi indipendenti dal tempo.

Se

du.

/* ( M, , M2 ,

U

duì

V-i

?-*■ dt’’" dt

) - cost.

Sugl' integrali delle equazioni della Dinamica

279

è uno qualunque di questi ultimi 2/* 3 integrali, sarà:

£?

2i

u S',2^ ) = cost.

dove f ha la stessa forma che nell’ equazione precedente , un integrale primo comune a tutti i problemi, in cui le forze soddisfano alle condi- zioni (7).

Possiamo osservare che il sistema (3), (4), (4’), (5) è ancora com- pleto, se nei secondi membri delle (1) e (2) aumentiamo gA , qZì... qg. di altrettante costanti arbitrarie al , a2,... rispettivamente.

Se quindi si elimina t dalle equazioni (9), e si tien conto di questa osservazione, si avrà un sistema di 2 equazioni della forma:

(h~+~a 3

Vi I

Qi -H rfi qi + «i

2,u— 3

(h + rq

Qi

(Zi -+- &2

q t ai 84 - V— 3 I

-+- V'“-2

g, -4-

+«i

«i> «2 ,

2j«— 3

(10)

In virtù di queste equazioni e delle 1, 1 ) si può porre, essendo fh,i , A 2 ^ A.3 simboli di funzioni:

•T/i = fh, 1 ( ,

g*» 0

«1 , «2 > ••

°V-3

Uh = fh, 2 ( )

g*,

«1, «2 ^

zh //ì,3 ( >

?2 ; 0

«i , «2 , ••

. a

2/*— 3

Perciò, se i vincoli del sistema sono indipendenti dal tempo, i sin- goli punti si troveranno per tutta la durata del movimento sopra al- trettante superficie fisse determinate.

Se il sistema è libero , e si compone di n punti , sicché p = 3 w, immaginando che nelle (10) qn g2, ... q ^ rappresentino le 3 n coordinate

280

Sugl'integrali delle equazioni della Dinamica

xn ìhi zn x2i— zni deduce subito che le superfìcie fisse, su cui durante il moto si trovano gli n punti (x/n yM zh), sono n superficie coniche, i cui vertici saranno, in generale, n punti fissi distinti.

Se il sistema è libero, e si ha ?i = ?-2 = ••• =?a = 0, dove /*=3 «, e se supponiamo essere le equazioni del moto :

d^X/,

dtf

= X,

Il i

d'-yi,.

dtf

Yn,

d'zn

dtf

Jhj

(* = 1,2... 3»»)

le condizioni per le forze, indicando con oi , bL , cl , a2 , quantità co-

stanti, prenderanno la forma :

Zj _ Yl _ Zi _ X* a?i aL yi by Zi Ci x2 «2

Z„

Za C/i

(11)

sicché a ciascun punto è applicabile il principio delle aree. Le n su- perficie, su cui si muovono rispettivamente gli n punti, e che nell’ipotesi più generale precedente abbiamo detto essere superficie coniche, sono in questo caso particolare altrettanti piani. Il sistema dei 3 integrali primi comuni è :

( Xy H- ai ) x 2 x i ( x 2 a2 ) «1,2 , (1*- ^

( Xi + ai ) x\ x'i ( xz + a. ) = «i,3 , ( x2 + a2 ) x\ x2 ( x% -f- a3 ) = «2,3 ,

( Xi +- a,i ) x'n x'i ( Xn + Ciri ) -- «l ,n , ( X2 H" «2 ) n x'2 ( xn + ®n) a2,n ,

(Xi-hay) y'i x\ ( Vi + bi ) = aitrt+1, (x2-\-a2) y\ x\ ( »i + 61 ) =a2,n+ 1,

(Xi-haL) y'n x'i ( yn +bn) aU2n , (x2-\-a2) y'n x\ ( yn ■Jrbn) = «2,2™ ,

( Xi + tti ) z\ x\ ( Xi + Ci ) =«1,2,14-1 , ( x-2 + a2 ) zi x2 (zi-{-Ci )=«2.2,i+i ,

( Xi + ay ) z n a?'i ( zn H- cn) «1,3,1, ( x2 + a2 ) 2'n a?'2 ( Zn + cn ) - «2,3,1 ?

Sugl' integrali delle equazioni della Dinamica

281

dove si sono indicate con aii2, o:li3, ... *2^n le costanti, e da cui si de- ducono le seguenti 3 n 2 relazioni fra le coordinate:

«2,3 ( Xl + fll ) «a, 3 ( -+■ ciò ) -f- ali2 ( x3 + a3) = 0,

a-2 ,n ( aa + al ) «i,«. ( a*2 -f- a2 ) _+ ^a,2 (a;n + an) = 0,

«2,n : i ( aa +■ ) ai,n+i (a*2 -P co ) a- a1>2 (2/1 -f- ) = 0,

(13)

«2,2 n (xl + «0 «l,2« (a?* 4- Og) + «!,*(«/„ + bn) =0,

«2,2« 1 i( «a -f- a^ ) «i,2n-fi (a* 2 -t- co ) + «i,2 ( Zi -f- Ci ) = 0,

.

*

«2,3rt (a1! f— C?i ) «i,3/2 (a?2 + Cfb ) -f- Od, 2 ( Z,ì + cn ) = 0.

Per trovare gl’ integrali propri del problema particolare dato e non comuni agli altri problemi della classe definita dalle equazioni di condi- zione (11), non rimarrà che di considerare due qualunque delle 3 n equa- zioni differenziali del moto, p. es.

d2Xi __ v , , , ,

(b aa , yi y Zi y Xo , ... x i y ... z n),

dlXi __ ,

(t, Xl } Hi , Zi , X2 , ... X 1 , ... 2 « )

ed eliminare dai secondi membri per mezzo delle equazioni (13) le coor- dinate Vi , zi , y2 , z% , x3, y3 , z3 , ... e le loro derivate prime.

I tre integrali primi distinti, che, oltre 1’ integrale primo (12), ap- partengono al sistema delle due equazioni differenziali così trasformate, completeranno la soluzione del problema.

Nel caso di un solo punto libero, riferendoci a tre assi ortogonali

282

Sugl' integrali delle equazioni della Dinamica

condotti, parallelamente ai primitivi, pel punto (a, b, c), le condizioni a cui deve soddisfare la forza :

esprimono che i momenti di essa rispetto ai nuovi assi sono funzioni omogenee di grado 2 delle coordinate. Ora se L, ili, N, Iv, K‘ sono i momenti della forza rispetto ai tre assi e a due altre rette condotte per l’origine e formanti gli angoli a, fi, 7; a1, (ò\ 7', cogli assi, cioè se si pone :

L = yZ zY, M = zX xZ, N x Y yX K Lcos a + Mcos /3 + JVcos 7, K' Zcos a 4- licos /3' -4- jVcos 7',

si vede facilmente che, quando i momenti della forza rispetto a due rette qualunque condotte per 1’ origine sono funzioni omogenee di grado k delle coordinate, anche il momento rispetto a qualunque altra retta con- dotta per 1’ origine è una funzione omogenea di grado k delle coordi- nate. Perciò nel caso di un solo punto libero le condizioni, a cui devo- no soddisfare le forze, si possono anche esprimere dicendo che si ab- bia un’ origine tale , che i momenti della forza rispetto a due rette con- dotte per essa (e per conseguenza rispetto a qualunque altra retta pas- sante per la stessa origine ) siano nulli ( il qual caso corrisponde al principio delle aree) ovvero siano funzioni omogenee di grado 2 delle coordinate del punto mobile. Se le forze dipendono soltanto dalle coor- dinate, questa condizione è ancora necessaria (1), affinchè più problemi del moto di un punto libero ammettano tre integrali comuni indipen- denti dal tempo.

(1) Ann. della R. Scuola Norm. sup. di Pisa, Voi. IV, nota citata.

Effetti dell applicazione agli arti delle fasce di Esmarch, sui feno- meni del polso. Applicazioni pratiche nell’ asma e nelle ma- lattie di cuore.

Nota dei Prof. A. CAPPARELL1.

Letta nella sedili a del 27 Aprile 189 0.

Se si applica sull’ arteria radicale, un ordinario sfigmografo in un individuo sano e si piglia il tracciato del polso nelle condizioni nor- mali e dopo si fa l’ ischiemia dell’arto toracico opposto, con una fa- scia di Esmarch, si osservano durante l’ ischiemia delle modificazioni nel tracciato del polso medesimo.

1. Nella maggioranza dei casi si nota, rinforzamento della sistole accentuazione del dicrotismo l’apice della curva maggiormente acuto, re- golarità maggiore ed accentuazione in tutta la curva diastolica; e con questo, si ha anche spesso maggiore frequenza, in alcuni casi eccezionali rarefazione del polso.

Queste modificazioni del polso , determinantesi durante l’ ischiemia dell’ arto opposto, non cessano con il ripristinarsi della circolazione nor- male. Tolta la fasciatura si determina nell’arto una iperemia considerevole, ma in relazione con questa, non si hanno nel polso modificazioni in meno o ritorni al tracciato normale, istantanee. Il polso in massima, conser- va i caratteri già acquistati, in forza della fasciatura, sopratutto relati- vamente alla intensità sistolica. Diventa nella maggioranza dei casi, ri- mossa la fasciatura, frequente e celere. Vedi tracciato N. 1.

Fatto abbastanza curioso e sino ad un certo punto inesplicabile. Vedremo in fine, come debba interpretarsi il fenomeno sulla guida di altri dati sperimentali.

N. 1.

polso normale

p. dopo la fasciatura

p. rimossa la fasciatura

284

Effetti deir applicazione agli arti delle fasce di Esmarch

Per tanto mi è nata l’ idea, di tentare di correggere con questo artifizio i disturbi idraulici, che si hanno in alcune malattie, dove la alte- rata forza sistolica e frequenza, è il fattore di tutto il treno sintomatico. Dove si ha diminuzione della pressione, piccolezza e irregolarità del pol- so. Riserbandomi di estendere questa applicazione alle svariate malattie del circolo sanguigno, posso fin da ora esporre i risultati ottenuti, nel- 1’ asma ed in alcune affezioni cardiache.

Asina Non ho avuto occasione di esperimentare, durante accessi acuti di asma, ma in parecchi, durante accessi moderati o verso la fine dell’attacco forte; accennerò brevemente ai casi, da me osservati, dove l’asma si associava ad una forma catarrale bronchiale , senza vizio di cuore.

1. GL C. robusto operaio, presentava il polso alternante e irre- golarità nella diastolica arteriale: senso di malessere, di pena, che loca- lizzava alla regione toracica. Fatta la fasciatura il polso acquista una regolarità grandissima, diventa forte e frequente, cessa il senso di ma- lessere di oppressione e sente liberamente espandersi la cassa toracica.

Rimossa la fasciatura, seguita il miglioramento del polso ed il be- nessere. Vedi tracciato N. 2.

N. 2.

polso prima della fasciatura p. durante la fasciatura

2. M. Y. da Paterno Asmatico da più anni, con catarro bron- chiale.

Il polso preso durante 1’ accesso mite, è piccolo, duro.

Appena fatta l’ ischiemia all’ arto toracico opposto, si ottiene modi- ficazione del polso, si accentua il dicrotismo, quindi diventa più forte e con caratteri normali.

Sperimenta il solito benessere , che localizza al torace , e la voce

Effetti dell' applicazione agli arti delle fasce di Esmarch

285

debole prima, si rinforza. Rimossa la fasciatura rimangono le modifica- zioni del polso cerniate.

N. 3.

a

b

b

a, prima della fasciatura

b, appena fatta e durante la fasciatura.

c, rimossa la fasciatura.

3. M. S. di anni 40, di sviluppo scheletrico e muscolare eccellente, da parecchio tempo soffre di accessi asmatici, accompagnati dal solito catarro bronchiale umido. Al momento dell’osservazione persiste la for- ma catarrale, rantoli umidi in tutto l’albero bronchiale, senso di strettura al petto, leggero affanno.

Il tracciato rivela il polso tardo, duro, quasi anacroto.

Applicata la fascia di Esmarch all’ arto opposto, si ottiene accen- tuazione del dicrotismo, cessa la sofferenza al torace e 1’ ammalato che respira ampiamente, dice di non avere potuto far questo mai prima, du- rante 1’ accesso.

4. G. M. Di anni 42 di buona costituzione, affetto da più mesi da asma ; 1’ osservazione che si ripete per 4 giorni di seguito , capita du- rante l’ intensità dell’ accesso: il polso è frequente, piccolo, il senso di malessere e la sofferenza al torace è indicibile; praticata l1 ischiemia del braccio e di una gamba, il polso si rinforza considerevolmente, si ac- centua l’elevazione dicrotica, cessa la sofferenza, respira liberamente, sente come abbassarsi un corpo che localizza alla regione epigastrica, il dia- framma probabilmente.

N. 4.

polso poco prima p. durante la fasciatura p. dopo la fasciatura

286

Effetti dell' applicazione agli arti delle fasce di Estnarch

Nei casi osservati di asma, si è dunque avuto, in seguito all’appli- cazione della fasciatura e dopo, rinforzamento accentuato e regolarizza- zione del polso, cessazione durante e dopo la fasciatura delle sofferenze. I casi poi di malattie di cuore da me studiati sono:

1. S. giovane affetto da una enorme ipertrofia di cuore, accenni a rottura di compenso. Il polso preso prima raro, quasi anacroto, dopo la fasciatura diventa più forte. Vedi tracciato annesso N. 5 e 6.

Rimossa questa si fa più forte e la curva diastoliea, presenta delle oscillazioni accennanti al dicrotismo, con polso più raro.

Cessa quel senso di oppressione localizzato al petto.

N. 5.

p. durante la fasciatura p. rimossa la fasciatura

2. Un caso di pericardite cronica. Dopo 1’ applicazione della fascia il polso diventa piccolo, anacroto e frequente. Rimossa la fasciatura, più forte la sistole, accentuata la curva diastoliea, conservando il polso la frequenza primitivamente acquistata. Cessa il dolore che localizzava alla regione precordiale.

3. T. C. Affetto da insufficienza mitrale, accusa un senso mo- lesto, quasi doloroso alla regione precordiale, il polso è raro piccolo. Fatta la fasciatura cessa il senso di dolore, il polso diventa frequenter

Effetti dell' applicazione agli arti delle fasce di Esmarch

287

l’arteria presenta i caratteri di elasticità maggiore, rimossa la fascia- tura il polso torna a rarefarsi.

p. prima della fasciatura p. dopo la fasciatura

M. G. Soffio al lmo tempo alla punta, affanno, polso frequente, piccolo, apice della sistole prolungata fatta la fasciatura, si rinforza notevol- mente , cessa la sofferenza , 1’ apice della curva diventa maggiormente acuto, rimossa la fasciatura il polso diventa più forte e celere.

p. poco prima p. dopo la fasciatura

Dalle indicate esperienze è legittima una conclusione, che nei casi studiati si ebbe in seguito alla applicazione delle fasce di Esmarch, la cessazione delle sofferenze e variazioni rapidissime delle condizioni del polso , spesso nel senso che noi ordinariamente ci ripromettiamo da medicamenti opportuni e dopo parecchie ore. Le mie osservazioni, sulla durata dei benefici, in seguito alla applicazione delle fasce di Esmarch, non sono complete ; e mentre mi propongo di continuarle , non posso però che riflettere: che l’applicazione periodica è facile e non ha con se alcun pericolo.

E sino ad un certo punto inesplicabile il fatto, che i fenomeni di miglioramento del polso, iniziatisi durante l’ applicazione della fascia in un arto, cioè, durante la ischiemia di un arto e 1’ accrescimento tempo- raneo in tutto il sistema circolatorio, di una maggiore massa di sangue,

288

Effetti dell’ applicazione agli arti delle fasce di Esmarch

si continuano quando questa diminuisce, rimossa la fasciatura, per l’ipe- remia che si ristabilisce nell’ arto già anemico.

È un fatto che l’organo cardiaco, costretto per il maggiore afflusso sanguigno ad un movimento esagerato, contratta maggiore energia si- stolica, pare che continui anche dopo a funzionare esageratamente, in- somma il cuore temporaneamente contrae l’ abitudine ad una più attiva funzione.

Una ipotesi si è, che in seguito alla applicazione delle fasce, oltre al liquido sanguigno, venga versato nel torrente della circolazione, il liquido interstiziale dell’ arto fasciato.

In effetti per l’ applicazione delle fasce di Esmarch, si ha una spe- cie di spremitura dei tessuti dell’ arto e principalmente delle masse mu- scolari— Questo liquido interstiziale, contiene prodotti di secrezione del- 1’ attività degli elementi istologici ed elementi destinati alla nutrizione dei tessuti ; non è improbabile supporre, che esistano delle leucomaine o ptomaine, che anziché venire cedute per scambi lentamente, lo siano rapidamente portate al cuore, per la via del sangue ed esercitino una influenza duratura Dimodoché i fatti che si osservano sono devoluti, oltreché alle modificazioni della massa sanguigna, anche alla presenza di queste cennate sostanze.

Per conto mio, inclino a questa seconda ipotesi; ad illustrazione della medesima, accenno ad alcune esperienze istituite in proposito.

Esp.a Metteva allo scoperto il cuore in una rana e ne determinava il numero delle oscillazioni cardiache, in una ottenni 103 pulsazioni; feci quindi la ischiemia dei due arti, con delle fasce elastiche ed ot- tenni durante la fasciatura 82 p. Rimossa la fasciatura 84-96-106: dopo 20 minuti, cioè un aumento della cifra trovata in principio.

Per vedere poi se queste variazioni dipendessero da disturbi circo- latori o da introduzione di linfa, tagliai i vasi artero-venosi delle cosce, in modo da lasciare l’animale esangue e feci la fasciatura: evidentemente in questo caso, 1’ unica comunicazioue vascolare, rimasta tra gli arti ed il cuore, era la via linfatica; in questo caso si aveva prima della fascia- tura p. 60, applicata la fasciatura 72, rimossa 70.

In questo caso la linfa conduce al cuore del materiale che stimola

Effetti dell' applicazione agli arti delle fasce di Esmarch

289

V organo cardiaco ad una più attiva funzione, sia pure materiale nutri- tizio o agente eccitante ; questo risultato è logico tenendo conto della de- pressa funzione del cuore, per mancato circolo.

Ho, con altre esperienze escluso che la compressione sui nervi del- T arto, possa durante la fasciatura, influenzare l’ innervazione eceito-mo- trice del cuore, tagliando i nervi prima della fasciatura ed i risultati fu- rono identici.

Le rane alle quali fu applicata la fasciatura elastica dopo uno, due giorni presentano la pelle degli arti più scura, ma si muovono co- me nel caso normale: i muscoli macroscopicamente non presentano al- cuna alterazione, funzionavano bene, non si osserva alcun disturbo di senso o di moto, morirono dopo uno, due giorni.

Ho applicato le fasce di Esmarch, nei casi di cardiopalmo di lunga durata e quantunque il polso non ha subito modificazioni sensibili, pure 1’ infermo ha esperimentato un senso di benessere, che localizzava alla regione precordiale. Fatto che a mio credere, aggiunge probabilità alla maniera di vedere, che con le fasce di Esmarch oltre al sangue, verso 1’ organo cardiaco è versato anche altro materiale, capace di influenzare la funzione del cuore.

CONCLUSIONE

Applicando in un arto le fasce di Esmarch, cioè producendo l’ ischie- mia in una regione del corpo, si ottiene una modificazione nell’ attività cardiaca caratterizzata da un rinforzamento sistolico del polso e da mag- giore elasticità arteriale, come si osserva nella accentuazione della curva diastolica e sistolica.

Questi effetti medesimi si ottengono nell’ asma ed in alcune malat- tie del cuore, dove l’ applicazione delle fasce, se non altro temporanea- mente, ha un valore curativo.

INDICE DEL VOL. II, SERIE 4."

A. Bartoli. Sulle formule esprimenti la tensione dei vapori saturi in funzione della temperatura ........ pag

detto. Sulla conducibilità, elettrica di alcuni mescagli naturali di composti organici ed in particolare sulla conducibilità elettrica degli olii , dei grassi , delle cere , delle essenze , dei balsami e delle resine (con sei tavole). »

S. Ciofalo. L oligocene dei dintorni di Termini - Imerese (con una figura ed

una tavola) ....... ...» 81

S. Calandracelo. Animali parassiti dell’uomo in Sicilia . . . » 95

C. Addarlo. Lo scollamento della retina curato chirurgicamente ( con due

- tavole) » X37

G. Basile. Sulla presenza della ma, unite in un vino da taglio . . » 153

F . Fichera. Su di una nuova forma di fondazione nei terreni forti. » 161

A. Petrone. Nuovo meccanismo di occlusione delle vene nei monconi di am- putazione (con nna tavola) » 169

A. Curci. Funzione dell’ ossigeno nei composti e natura dell’ azione biolo- gica » 181

0. Silvestri ed S. Arcidiacono. Etna, Sicilia ed Isole vulcaniche adiacenti, sotto il punto di vista dei fenomeni eruttivi e geodinamici avvenuti

durante l’anno 1889 » 221

A. Capparelli. Le terminazioni nervose nella mucosa gastrica (con una

tavola) ............. 253

G. Pennacchietti. Sugli integrali delle equazioni della dinamica . » 257

A. Capparelli. Effetti dell’applicazione agli arti delle fasce di Esmarch, sui

fenomeni del polso. Applicazioni pratiche nell’ asma e nelle malattie di cuore (con otto figure nel testo) ........ 283