¥ Lévy (1) Scacchi Arcangelo — Contribuzioni mineralogiche por servire alla storia dell’ incen- dio Vesuviano del mese di Aprile 1872 — Atti della R. Aec. di Scienze Fisiche e Matema- tiche di Napoli Voi. VI, 1874. (2) SxpdiVER — Ematite di Stromboli — Atti della R. Aec. dei Lincei, Ser. IV. Volu- me VI, 1889. (3) Strììver — Ematite di Traversella — • Atti della R. Ace. di Torino 1S72, 7, 377. 4 Doti. S. Di Franco [Memoria I.] meno frequenti : a n j 101 j i mi ! Miller 1 0112 j j 2243 j Bravais 00 P2 ISaumann cP Lévy Due volte soltanto mi fu dato osservare la faccettina dello scalenoedro )20l; v. Eig. 1. Tutti i cristalli sono lamellari, essendovi sviluppatissima la base jlllj ; lateralmente alle lamelle compaiono : le facce del romboedro fondamentale JlOOì; quelle del romboedro inverso }110( ; alle quali raramente si associano le tacce del prisma J101; e della piramide esagonale ;311(. Le forme cerniate dal Lasaulx per l’Ematite dell’Etna sono le seguenti : OR | 0001 j , R } ioli J , — ~R) 0112 ; , 00 P2 j 1120 ( , ~ P2 J 2243 j , — R j Olii [ , — 2 R) 02 Li j , — -i- R | Olio { , ~ P2 j 1123 ( , — i- Jg3 j 2135 j (#) -f J2“|62Ì5|* che secondo la notazione di Miller, da noi usata in questo la- voro, verrebbero : R j 100 j, R j Ilo j, cc P2 j 101 | — 2 R IH j , — j-Rj 774 1 P 3 P2 | 210 • , - ì R* J 320 ( , 4 f?3 j 511 j O 11 Lasaulx riporta lo scalenoedro positivo L- E3, ma Goldsclimidt ( Krystallformen der Mineralien) spiega come il Koksebarow per il primo desse il valore positivo , mentre dalle sue ligure emerge chiaramente trattarsi dello scalenoedro negativo , e i successivi autori, compreso il Lasaulx, riportarono sempre il valore positivo. Studio cristallografico sull1 Ematite dell ’ Etna o Con le prime cinque forme concordano quelle da me tro- vate. La forma )20l; non fu menzionata dal Lasaulx. Secondo quanto ci riferisce il Lasaulx, queste forme furono determinate colle zone e senza misure ad eccezione di — \ R 1 0116 < O ’ che comparisce, specialmente in alcuni geminati, sopra la — \ R )0012(, in alternanza oscillatoria formante un arrotondamento dello spigolo tra le dette facce e la base ; e senza avere sicuri riflessi. Come media di 8 letture ebbe per angolo tra la base e il romboedro da determinare 14°30 , per angolo tra, questo e il — ~R — 23°42. fili angoli calcolati sarebbero stati: X-E : OR = 14° 42' 19" 6 — — E : — — E = 29° 32' 41" (*) 6 2 w Mero il Lasaulx non dà nè i valori angolari delle forme osservate, nè le costanti cristallografiche. I pochi disegni di cristalli, da lui riportati, non permettono neppure di vedere la posizione di tutte le facce indicate come esistenti nell’Ematite di Monte Calvario, presso Biancavilla: e noi abbiamo dovuto tacere di talune per non averle incontrate una sola volta e perchè anche si allontanano dal tipo comune delle altre Ematite vulcaniche, in generale poco ricche di forme. Von Rath su di un cristallo geminato di Ematite dello Stromboli del Museo di Mineralogia di Berlino descrisse e raf- figurò le seguenti forme : jlllj, ) 100 | , | 110 J , • 311 | , | 332 | , | 211 j , | 332 j (*) Secondo Goldschmidt l’esistenza- di questa forma — E non è dimostrata. b 6 Doti. S. Di Franco [Memoria I.] però, gli stucTj dello Striiver , fatti sopra parecchie centinaia di esemplari , semplici e geminati dello Stromboli, hanno provato riscontrarsi soltanto le forme : j ili j , j 100 j , ) no J , } io! | . con che concorda perfettamente il disegno dato dal Lévy , pei cristalli appunto dello Stromboli, e coi campioni che ci è stato dato di potere osservare nella collezione di Mineralogia dell’U- niversità di Catania. Anche i cristalli di Ematite del Vesuvio presentano le stesse forme da me riscontrate nell’ Ematite dell’ Etna, compreso lo scalenoedro J 201 ! che si mostra , secondo le osservazioni dello Scacchi, assai minuto e poche volte ben distinto. Lo Scacchi, poi, tra le facce della bipiramide esagonale 21 U e quelle del romboedro ;100! trovò una serie m di faccette de- finite dai simboli (111), (151), (161) ecc. senza però considerarle come realmente esistenti, non essendo, secondo come ci riferisce egli stesso, facile decidere se la differenza nelle inclinazioni tro- vate sia dovuta all’ esistenza di particolari specie di faccette, o se invece sia conseguenza della poliedria di m. Lo stesso dicasi per gli spigoli formati dalle facce di }3lij e da quelle del prisma esagonale J 101 ; in cui vi sono altre faccette, serie h , di rado ben distinte, e facendo osservare essere la loro esistenza soltanto probabile. Riassumendo, possiamo fare il seguente confronto colle forine riscontrate nei cristalli di Ematite dell’ Etna, dello Stromboli e del Vesuvio : Forme 1 111 ! - \ ìoo ; , | 101 j , t 11(1 ì ' | 311 1 , 1 201 Etna (Di Franco) + + + + + + /Stromboli (Striiver) + + . +' +. — — Vesuvio (Scacchi) + + + ss ~r Studio cristallografico suW Ematite dell’ Etna Le combinazioni osservate nei cristalli di Ematite dell’ Etna sono : 1) i 111 ! 1 100 | 2) j in ! ! 100 ! ! ioi 1 3) 1 in '■ < * \ 100 j ! no | L \ ni t i ) 1 100 ! 1 no j ) 101 •5) S 111 > ( ) i 100 ! ! io1 ! 1 sii 6) i xxx > 1 100 j ! 110 ! ) 311 n < in « 1 100 ! 1 loi ! j 201 8) ■ in ' ( xx * 1 100 j j no ! j io! La combinazione (8) è la più completa dei cristalli di Ema- tite dell’ Etna e 1’ Ilo riscontrata in alcuni esemplari di Monte Calvario presso Biancavilla. Tipi di combinazioni dei cristalli. I tipi di combinazioni dei cristalli dell’ Ematite dell’ Etna sono pochi, anzi possono ridursi ai seguenti : tipo lamellare, rom- boedrico, piramidato e prismatico. a) Il tipo più frequente è il lamellare delimitato dalle facce del romboedro jl00( e dell’ inverso J 110 (. Più volte ho esaminata la nostra Ematite in laminette di estrema sottigliezza, poco elastiche e fragilissime. Tra i campioni di Biancavilla e d’ Aci Catena della colle- zione generale del Museo di Mineralogia, e Vulcanologia della K. Università di Catania, rinvenni isolate in una specie di de- trito vulcanico alcune laminette di forme regolari e degne d’una 8 Doti. S. Di Franco [Memoria I.J particolare menzione, non trovandone cenno alcuno nelle memo- rie dei diversi autori che hanno studiato V Ematite. Sono, cioè, delle laminette triangolari equilatere, i cui spi- goli misurano dai 2 ai 6 min. Le superficie presentano delle linissime strie ondulate; sol- tanto in una laminetta mi fu dato di osservare delle strie pa- rallele ad uno degli spigoli, ciò che indurrebbe a riferire queste alla posizione del romboedro inverso. Nel detrito vulcanico di Aci Catena le laminette di Ema- tite hanno forma rombica (con spigoli dai 3 ai b min.) dovuta allo sviluppo di due soli lati del romboedro. Le superficie pre- sentano una stilatura pennata. Queste laminette per la estrema sottigliezza non presentano agli spigoli alcuna faccetta apprezzabile. In Aci Catena 1’ Ematite si è presentata spesso in lamine di discrete dimensioni (sino a cm. 9 di lunghezza per 3 chi. di larghezza). Innumerevoli laminette sono impiantate sulla lava ed an- che sulla faccia di base dei cristalli più grandi. I cristalli laminari della fteitana (Aci Catena) e di Monte Calvario (Biancavilla) non mostrano alcuna differenza. Tra i cristalli appartenenti h questo tipo dobbiamo anno- verare delle laminette esagonali , le quali , esaminate attenta- mente, non offrono che facce laterali di romboedro fondamentale : esse debbono considerarsi come geminati. La geminazione non è visibile, ma talora è svelata dalla stria- tura sulla base che corre parallelamente agli spigoli, come rilevasi dalla Eig. 2 ; queste laminette non di rado mostrano le faccette del romboedro (v. Eig. 3) e certe volte anche quelle del prisma. b) Il tipo romboedrico è frequente ed abbondante tra i cristalli di Ematite dell’ Etna (v. Eig. 4, 5, 6 e 7). II cristallo della Eig. 7, proiettato sulla faccia di base, è un cristallino romboedrico di forme regolari, completo e che si av- vicina all’ ideale sviluppo d’ un cristallo modello. > Studio cristallografico sull’ Ematite dell’ Etna 9 Di questi cristalli se ne osservano parecchi tra i numero- sissimi campioni, ma alcuni, per trovarsi impiantati, non mostrano ii loro completo sviluppo. Quando due facce parallele sono più lunghe delle altre, al- lora si ha il cristallo rappresentato dalla Eig. 8. e) I cristalli appartenenti al tipo piramidato sono meno frequenti; essi sono ricchi di facce, relativamente agli altri tipi. In alcuni la base è molto ridotta ; in altri lo spessore è mi- nimo tra le basi (v. Eig. 9), e fanno osservare la faccia di base in combinazione con jlOOj , )110( , jl.O-lj , |31lj . Anche il cristallo impiantato sulla lamina della Eig. 10 appartiene a questo tipo ed ha le stesse combinazioni osservate nel cristallo della Eig. 9. d) Il tipo prismatico è il più raro. Appartiene a questo tipo il cristallo della Eig. 1. I cristalli rappresentati dalle Eig. 10 e 11, somiglianti ai cristalli di Ematite dello Stromboli (vedi Eig. 2 della tavola annessa allo studio cristallografico dello Strù- ver), sebbene geometricamente appartengano al tipo prismatico, cristallograficamente se ne allontanano, dappoiché la lunghezza dei cristalli risulta dallo sviluppo della base e dei romboedri jlOOj , jllOj . 11 cristallo della Eig. 13 può appartenere contemporanea- mente tanto al tipo romboedrico quanto al tipo prismatico. Aspetto fìsico delle facce. Tutti i cristalli di Ematite dell’ Etna, per il predominio della base, costituiscono delle tavolette di discrete dimensioni (sino a 12 a 15 cm. di lunghezza per 5 a 6 di larghezza) , re- standone sempre minimo lo spessore, che rare volte supera un millimetro, e nel quale si svolgono tutte le altre facce osservate. fSegli individui più minuti la forma del cristallo è assolu- tamente lamellare, presentandosi in squamette esagonali o trian- àtti Acc. Serie 4a, Vol. XVII — Meni. I. 2 10 Doti. 8. Di Franco [Memoria I.] golari, nelle quali soltanto al microscopio si scoprono le faccette laterali inclinate del romboedro (v. Mg. 3). Lo sviluppo della faccia di base nell’Ematite dell1 2 Etna, ha richiamato la mia attenzione sulla striatimi e su altre acciden- talità che vi si presentano. E sempre visibile una striatimi secondo le tre direzioni del romboedro inverso che si tagliano a 60°. Tale stria-tura è pale- semente dovuta alla sovrapposizione sulla faccia di base di strati di sostanza a contorno triangolare ; e con conveniente illumina- zione si osserva che a queste striature corrispondono delle fac- cette sottilissime ed allungate del romboedro. Nelle lamine larghe è possibile riscontrare varii di questi rilievi (v. Eig. 14 sino a 21); i quali, però, alle volte si esten- dono non poco secondo uno dei lati del romboedro (1) e si ri- pete la stilatura per lungo, presentando le estremità più o meno ben conservate. Altre volte la stilatura a contorno triangolare si ripete tanto da determinare una piramide triangolare tronca (v. Eig. 17) o parecchie piramidi tronche sovrapposte (v. Eig. 18). Sulle pi ra- midette spesso è impiantato un cristallino in geminazione col- cristallo principale secondo la legge « piano di geminazione una faccia di ) 100 | » (v. Eig. 14, 10, 21). In diversi cristalli si è verificato il fatto che le striature sono incurvate, determinando una base triangolare curvilinea con le faccette convesse della piramidetta (v. Eig. 10, 20, 21). Gli stessi rilievi (piramidali) presentano l’Ematite di M. Har- gitta, appartenenti secondo Schmidt (2) ad uno scalenoedro ne- gativo (co E . Dal nostro studio invece risulta : i rialzi dell1 Ematite del- F Etna essere costituiti da faccette romboedriche , i cui spigoli (1) Come nelle forme clentritiehe dell’ Ematite dello Stromboli, vedi Fig. 19 e 20 del citato lavoro dello Striiver. (2) Schmidt A. — Gkoth’ s Zeitschr. VII, 1882, pag. 549. Studio cristallografico sull’ Ematite dell’ Etna 11 possono mostrarsi troncati con faccette corrispondenti ad un rom- boedro diretto (v. Fig. 15, 20, 21) e raccordarsi all’apice con una faccetta parallela alla base del cristallo principale (v. Fig. 20) (1). Ad ogni modo, per i cristalli di Ematite dell’Etna questa con- vessità delle faccette non tende inai a trasformare gradatamente F abito romboedrico dei cristalli nell1 2 abito scalenoedrico. Sulla faccia di base del Corindone di Vogo Guidi (Mon- tana, S. U. X. A.) recenti studii di J. H. Pratt (2) hanno mo- strato figure di romboedri a facce curve identiche a quelle tro- vate nella nostra Ematite; però non sono rilievi della sostanza, ma cavità (cristalli negativi). Sulla base della forma lamellare dell’Ematite dell’Etna fre- quentemente si trovano impiantati altri individui , meno estesi per la base, ma più ricchi di facce. Il frammento disegnato nella Fig. 22 mostra le multiformi e variabili striature della parte superiore della lamina, in cui sporge un cristallo inclinato colla solita geminazione e formato dalla base, dal romboedro diretto j 100 j , dall’inverso 1 110 j , dal prisma j 101 j e dalla piramide esagonale •} 311 ; . Alcuni campioni presentano i cristalli più piccoli incastrati sulla faccia di base , in modo da attraversarla e da sporgere fuori della base inferiore. Oltre a ciò i cristalli di Ematite dell’Etna presentano sulla base delle lamelle aggruppate a rosetta, del tutto simili a quelle che si osservano sull' Adularla del 8. Gottardo. Questo curioso aggruppamento di cristalli non fermò 1’ at- tenzione dei mineralisti (Maraviglia, Lasaulx) che si occuparono dell' Ematite di Monte Calvario. I gruppi a rosa risultano da un particolare modo di asset- (1) Una tendenza a queste facce curve «lei romboedro fondamentale coll’accenno a facce scal enoediiche, e colla formazione di faccette di romboedro inverso e di base può spesso os- servarsi anche nei cristalli di Ematite dell’ Isola d’ Elba. (2) Pratt. J. H. — On thè CryHtallogruyliy of thè Mo-ntana Sapphire* — American Journal of Science, Voi. IV, Decomber 1897. p. 424. 12 Doti. S. Di Franco Memoria I.] lamento delle singole lamelle, esse si dispongono a spirale ; ta- lora la spirale si ripete diverse volte attorno ad un centro. I cristalli che costituiscono questi aggruppamenti sono riu- niti secondo leggi cristallografiche ; e hanno le faccette orien- tate come se ubbidissero ad un centro di attrazione ; le faccette, osservate anche ad occhio nudo, si vede che sono sensibilmente concave. Infine, tra i cristalli di Monte Calvario si trovano certi ag- gruppamenti a gradinata, dei quali ho curato copiarne uno, (v. Fig. 13), molto analoghi a quelli dell’ Ematite del Vesuvio. Calcolo delle costanti. ISiei cristalli di Ematite dell’Etna e specialmente nei cam- pioni provenienti dal Monte Calvario presso Kiancavilla, la fac- cia dei romboedro fondamentale è frequente, anzi domina quasi sempre. Le facce di questi cristalli spesso mostrano depressioni a gradinate ; questa formazione scalariforme , detta più propria- mente a tramoggia, si osserva sovratutto nelle facce del rom- boedro jlOOj , e si spiega ammettendo una maggiore rapidità di accrescimento secondo certe date direzioni (v. Fig. 23.) L’ angolo (100) : (111) nell’ Ematite dell’ Etna dalla media di molte misure risulta 57° 38' 30". Meno frequente è la faccia del romboedro inverso (HO) che comparisce quale troncatura dello spigolo (311) e fa un an- golo con (111) di 38° IL 10". La faccia di prisma (101) è ben distinta, nella maggioranza dei casi .si presenta assai limitata. Più rara è la fàccia della piramide esagonale (311) essa fa con (111) un angolo di 61° LV 20". In quanti cristalli di Ematite dell’ Etna che ho esaminati, due volte soltanto mi fu dato osservare una faccettina, troncatura Studio cristallografico sull’ Ematite dell’Etna 13 dello spigolo (100). (101) , la quale potrebbe riferirsi allo scale- noedro ;201; (v. Eig. 1), però non ho potuto confermare ciò con la misura di angoli , essendo impossibile ottenere sicuri riflessi. L' angolo del romboedro varia secondo gli autori. Troviamo, però, che i più , come Lévv, Dufrenoy , Miller , Phillips, Dana, Scacchi, concordano nel dare N6°10'; invece altri offrono dati diversi : così Breithaupt 85° 56' ; Molis, Haidinger e Hausmann 85° 58'; Delafosse , Kokscharow e Jfaumann 86°; Haùv 87° 9'. Xeir Ematite dell1 Etna P angolo delle facce del romboedro è stato da noi trovato 85° 52'. A N G 0 L O Mi AURATI Calcolati c r 111 10 0 57° 38' 30" * c e 111 1 1 0 38 14 10 38° 16' 48" c u 111- 3 li 61 15 20 61 14 36 a 111: 1 ol 89 58 30 90 r a 10 0 1 ol 43 3 20 42 59 2 a n 1 oT 3 1 r 28 43 30 28 45 24 a a 1 ol i fo 59 58 18 60 r e 10 0- 1 1 0 47 4 0 47 o 58 r n 10 0- 3 1 1 26 3 0 25 58 43 r e ' 10 0: oTT 84 2 46 84 4 42 a : c — 1:1, 36684 Sin’oggi non erano state calcolate le costanti cristallografiche dell1 Ematite dell1 Etna. Delle costanti cristallografiche dell’ Ematite del Vesuvio e dello Stromboli , per metterle in relazione con il valore da me ottenuto non ho trovato nessun dato nei lavori già citati dello Scacchi e dello Striiver. 14 Doti. ÌS. Di F ranco [Memoria L] Le costanti cristallografiche trovate (lai seguenti autori per altre provenienze di Ematite sono : Kokscharow : 1, 36547(5 (1) Miller : 1,3594 (2) A. Sclimidt : 1, 357 (3) H. Valer : 1, 3(542 (4) Il valore calcolato da Schmid! si avvicina di molto al va- lore da me trovato nei cristalli di Ematite dell1 2 3 4 Etna. Geminati. Mentre nell1 Ematite dell’Elba le associazioni parallele sono frequentissime, in quella dell’Etna (come del resto anche in quella dello Stromboli e del Vesuvio) sembra essere un caso assai raro, perchè tra le centinaia di campioni osservati non mi fu dato di riscontrarli e alcuna . Frequenti sono invece gli aggruppamenti irregolari , per i quali sarebbe troppo audace volere stabilire delle leggi di gemi- nazione, variabili per ogni coppia d’ individui e senza che si ri- petano due sole volte. I geminati dell’Ematite dell’Etna possono presentarsi : o con eguale sviluppo dei singoli individui dell1 aggruppamento, o con straordinario sviluppo di uno rispetto all’altro, in modo di trat- tarsi di un semplice impianto di piccoli individui sopra uno grande, il quale è costantemente di forma tabulare. (1) Kokscharow — Mal. znr Min. Russi. 1, 3, 1853. (2) Miller — Min. — 1852 p. 236. (3) Schmidt A. — Groth’s — Zeitsclir 1882, p. 548. (4) V ater H H. — Groth’s — Zeitsclir. 1885, p. 391. Studio cristallografico sull ’ Ematite dell’ Etna: 15 Nei cristalli di Ematite dell1 Etna ho incontrato le seguenti leggi di geminazione : Asse di geminazione normale ad una faccia del prisma j211{. Asse di geminazione la normale ad una faccia del romboe- dro ) 100 ; . Geminati, che, secondo la descrizione del Prof. Striiver (1), presentino riunite in uno stesso gruppo le due leggi, per quanto attento ed accurato fosse stato il mio esame, non mi fu dato di riscontrarne nell’ Ematite dell1 Etna. Nei cristalli laminari i geminati seguono generalmente la prima legge , invece nei piccoli cristalli impiantati è di norma la seconda ; negli aggruppamenti di piccoli individui predomina or l1 una or l1 altra legge. Quando diversi individui geminati presentano connine la ba- se, non è sempre possibile delimitarli servendosi della direzione delle stilature in quella faccia, perchè concordanti in tutti al rom- boedro )110' ; soltanto qualche volta ciò è possibile, quando un individuo intermedio si presenta libero di striature o queste vi sono appena accennate. Nella Eig. 24 abbiamo rappresentato un geminato apparen- temente somigliante ad un cristallo semplice. I geminati raffigurati nelle Eig. 25, 2(1 e 27 e proiettati sulle facce di base, risultano dalla riunione di tre o quattro cri- stalli disposti in modo da fare angoli di 120° e di 60°; questi geminati pigliano talora l1 aspetto di coda di rondine. I geminati delle Eig. 24 e 2(1 sono analoghi a quelli trovati da Scacchi al Vesuvio e da Striiver allo Stromboli. Altre volte, come nelle Eig. 2(1 e 27, l’aspetto si allontana completamente da quello dell1 Ematite di origine vulcanica ; tali aggruppamenti si sono trovati sin1 oggi esclusivamente all’Etna, e precisamente a Monte Calvario. H") Stuììver — Ematite di Stromboli. Atti della E. Ace. dei Lincei. Ser. TV, Voi. VI. 1889. 16 Doti. H. Di Franco [Memoria I.J In minor ninnerò si osservano i geminati appartenenti alla seconda legge (Vedi Eig. 28, 29). Questa legge fu indicata per la prima volta da Haidinger (1) nel trattato di Mineralogia del Molis, sopra i cristalli di Ema- tite dell’ Elba ; poscia da Breithaupt, Hessemberg e altri, e ve- rificata dal Lasaulx (2) , dal von Ratli (3) e da Striiver (4) an- che sopra i cristalli di origine vulcanica. I singoli geminati in tal caso sono impiantati sulla base di un grande individuo lamellare con inclinazioni diverse , che non permettono di potere stabilire un’altra legge di geminazione, tra i piccoli individui e il grande che li sopporta. I piccoli individui talora compaiono diversi, disposti paral- lelamente in serie, oppure allineati formando delle listicine ; in tutti e due i casi si dispongono secondo la direzione delle stria- ture della base dell’individuo di sostegno. La Eig. 28 rappresenta un gemello della combinazione egualm en te sviluppate. Di questi geminati tra i numerosissimi campioni ne incon- trai parecchi, distinti dalle faccette molto splendenti. Un geminato somigliante al precedente, ma meno ricco di facce, è rappresentato dalla Eig. 29, però le facce dei due indi- vidui non hanno uguale sviluppo. Dal Laboratorio di Mineralogia (lolla IL Università di Catania. (1) Treatise oh Mineraloyy — Tramiate# frani thè Gennai! , with coimderable addition » lai W. Haidinger — Edinbnrg, 1825, 8°, Voi. II, p. -106. (2) 1. e. (3) Pogg. Ann. voi. 128, p. 430. 31. (4) Strììyer — limatile di Stromboli — Atti della IL Accademia dei Lincei Ser. IV Voi. VI, 1889. lllttt SLcc/Sa cerna dL (Se. ^lal ,<5et. 4 S-oZ. XVII D.' S. di FRANCO - & yncJ^Ae2t'&X wa) lav. 1 a ’/OCUUX) ,Axo. Sé ab. htocj. JS. SoncéU-Slilcino Omj.4Xu>M toeaux de lat'.5eu4 W,XVII D.'S.di FRANCO- &^vux)(X)UjAM ShuxJ Tav. //" ò.y&ÀJ 3>ux*vco /Sii/). S {ab. litocj. £. f?onchx.-/^Lla.no ’-ì ' rrJ Memoria II. Intorno alla «Ruggine bianca» dei limoni1 lI) Osservazioni e ricerche di F. CAVARA e N. MOLLICA. (Comunicazione fatta alla Accademia Gioenia il 17 Marzo 1903). Fin dall' aprile dell’ anno scorso, l’Egregio Prof. Bnfalini, Direttore della cattedra ambulanti di Agricoltura di Peggio Ca- labria, si rivolgeva alla direzione dell’ Orto Botanico di Catania per lo studio di una malattia dei limoni, la quale tin dal 1901, aveva fatto la sua comparsa nel territorio della provincia di Peggio, e sopratutto a Scilla, ove alcuni giardini erano stati fortemente danneggiati. Il suddetto professore, inviò all’ uopo alcuni limoni per gli opportuni esami, ed aggiungeva che : « .... le piante colpite, in breve tempo rimangono prive delle foglie, ed i nuovi germogli spuntano stentatamente, come nelle viti affette fieramente dalla Peronospora. » Il carattere infettivo della malattia gli risultava abbastan- za evidente dal modo di diffusione e dal decorso di essa. D’al- tra parte, egli faceva notare che gli aranci che crescevano a brevissima distanza dai limoni infetti, in quei giardini, era- no pressocchè immuni. Il prof. Bnfalini poi riferiva che a Pa- (1) La ruggine degli agrumi è ilota da tempo per gli agrumeti Americani; almeno questo ci consta da quanto ne riferisce il Chiarissimo Prof. Penzig nella sua pregevolissima ope- ra « Studi botanici migli agrumi e mille piante affini, » iu Annali di Agricoltura del Ministero Roma 1887, con un atlante di tavole • — Però l’agente di essa, essendo diverso, può darsi che si tratti di affezione anche alquanto differente. Atti Acc. Serie 4a, Voi,. XVII — Mera. II. 1 F. ('avara e X. Mollica [Memoria li.] 9 levino, nella villa del Sindaco Tasca, aveva potuto osservavi' la stessa malattia, per quanto in piccole proporzioni. I caratteri, offerti dai limoni infetti inviatici in esame, ci indussero anche a fare una ispezione a qualche agrumeto di Ca- tania, e precisamente ad un vasto giardino, di proprietà dei Fratelli Mollica, a Oannizzaro. Ora anche in questo ci fu dato riscontrare qualche manifestazione di tale malattia, per quanto con carattere di sporadicità. Dopo avere condotto a buon punto le ricerche di laborato- rio , stimammo opportuno di fare una visita anche agli stessi giardini di Reggio Calabria, sui quali il Prof. Bufali ni aveva richiamata la nostra attenzione. Ciò ebbe luogo nel novembre scorso, mercè la di lui cortese ed intelligente assistenza. Egli ci condusse precisamente a Scilla, nei giardini del Sig. Minasi, che da quanto ci era stato riferito, erano i più colpiti, ed ove potemmo raccogliere dati assai importanti, lutine nuovi materiali di studio ci furono procurati dall1 Egregio professore Arnao, direttore della Cattedra ambulante di Siracusa , sia da giardini di (presta provincia , sia da Ali in provincia di 31 es- simi dai giardini del Sig. Sebastiano Parisi. Anche «presto pro- prietario ci fornì a più riprese notizie e materiale per le nostre ricerche. Cogliamo questa occasione, per esprimere «pii agli Egregi professori Bufali ni e Arnao ed ai Signori proprietari Minasi e Parisi, vivissime grazie per la gentile loro cooperazione. Caratteri della malattia /Sili frutti — Le piante colpite dal male si riconoscono a distanza per il particolare colore assunto dai limoni, quando la malattia abbia preso carattere di una vera e propria infezione. Essi presentano un colorito grigio -cinereo se piuttosto giovani, grigio giallognolo se più sviluppati, con una speciale lucentezza metallica dovuta a caratteri assunti dagli strati periferici della Intorno alla Ruggine bianca dei limoni buccia. Si potrebbe dire una ruggine a riflessi argentini, la quale affetta in parte e spesso tutta la superfìcie del limone. In tali limoni, visti da vicino anche ad occhio nudo, si scorgono tante chiazze pianeggianti, separate fra di loro da ir- regolari , line e poco profonde fenditure di colore più scuro e di aspetto suberoso. Tali chiazze, non sono altro che porzioni dell1 epicarpo, mo- dificate in seguito ad una alterazione patologica che li a eviden- temente origine in i strati più profondi. E da notare che negli inizii del male, e cioè in giovani frutti, il processe è affatto ir- regolare e con varia localizzazione. Perù dalle nostre osservazioni, sembra risultare come esso incominci pili sovente là dove i frutti presentano accidentalità di superfìcie e così ad esempio in quell1 avvallamento che spesso presentano i limoni al di sotto della protuberanza terminale. Questo avvallamento che può aver forma circolare, o spesso an- che semi-circolare, è sovente il primo a mostrare i sintomi della malattia. Così pure, eventuali abrasioni della superfìcie, anche di ori- gine traumatica , presentano non infrequentemente le suddette chiazze argentine ; e da questi punti di origine il processo può anche invadere tutta la superfìcie del frutto. L1 effètto immediato di tale alterazione, è la sostituzione di una superficie coriacea e notevolmente rugosa al tatto, a quella normale. Inoltre i limoni malati, presentano alla pressione una note- vole resistenza e durezza, il che parla a favore di una conside- revole modificazione nel tessuto proprio dell1 epicarpo. Visti alla lente , cotesti limoni , quasi sempre mostrano in seno alle chiazze, sopra descritte , dei minutissimi puntini rile- vati neri , che fanno notevole risalto sul bianco argenteo delle chiazze medesime, e che non tardammo a riconoscere di natura crittogamica ; sono i concettaceli fruttiferi di un fungo micro- scopico, che tra breve riprenderemo in esame. 4 F. Cavava e .V. Mollica Memoria II. j A’el maggior numero dei easi le chiazze in questione, deter- minano come una patina omogenea tanto pel colore, quanto per la ruvidezza o scabrosità della buccia ; ma talora si osservano dei frutti nei quali il processo è notevolmente esaltato , da parere di natura diversa ; e la superfìcie di tali limoni si presenta alle volte fortemente rugosa , a squame irregolari e assai scabre e sopratutto di un colore giallo cannella, con poco o punto riflesso argentino. Vedremo come si possa interpretare anche questa modalità di affezione che si osserva anche negli stessi giardini ove si è sviluppata la ruggine bianca. In altri casi alla patina suberosa , presentata da porzione del frutto, si sovrappongono altre alterazioni, evidentemente per opera di saprotiti o per cause d1 altra natura , che esamineremo più avanti. Sezionati i frutti malati , essi rivelano delle alterazioni le quali sono evidentemente in relazione allo sviluppo che ha as- sunto la patina esterna. Anzitutto si rileva, come la desquamazione periferica sia un effetto della proliferazione di un tessuto più o meno profondo , e precisamente di un fellogeno o tessuto iniziatore di sughero simile a quello che si ingenera nei fusti e nei rami della mag- gior parte delle piante legnose, e costituito da un certo numero di strati di piccole cellule tabulari, che fanno transizione ad ele- menti della buccia di già alquanto modificati nella forma. Le cellule del tessuto generatore di sughero hanno maggiore sviluppo in senso tangenziale, che in senso radiale; le loro pareti dapprima prettamente cellulosiche, vengono ad assumere in breve i caratteri di quelle suberifìcate, e ciò via via che nuovi strati di fellogeno si formano verso P interno. Operando sezioni in limoni molto infetti, e trattandole con i reattivi propri della suberina , si riesce a mettere in evidente contrasto un certo numero di strati periferici notevolmente ino- Intorno alla Ruggine bianca dei limoni (liticati ed un numero di strati sottostanti , ad elementi ancor giovani o in via di incipiente modificazione. Oltre al suber idearsi delle membrane degli strati più peri- ferici, ivi lui luogo anche una incrostazione di lignina, la quale si rivela nettamente colla ttoroglucina, col solfato di anilina, eco. e conferisce appunto a tali strati esterni particolare durezza e resistenza. Tutta la massa dei tessuti suberosi di neoformazione, che viene in tal guisa ad originarsi a maggiore o minore pro- fondità della buccia, fa evidentemente pressione sopra gli strati di cellule collenchimoidee della periferia, le quali così isolate dal resto dell1 epicarpo, vengono a sformarsi, a modificare il loro con- tenuto, ovvero, a riempirsi d’ aria, mentre le loro pareti si ligni- ficano notevolmente. A questi strati di cellule alterate e compresse, si deve ap- punto l’aspetto e la natura delle desquamazioni della superficie del frutto. Anche le fenditure o screpolature, che si notano in essa superficie, sono dovute alla forte pressione degli strati suberosi. Aon vi è dubbio che questi ultimi sostituitisi a tessuti nor- mali dell' epicarpo , rappresentano una reazione anatomo-fisio- logiea e a scopo protettivo di fronte a processi irritativi che hanno sede nella parte periferica dei limoni. Per conseguenza non sono che dei tessuti riparatori, ma nel contempo divengono una barriera pei normali processi funzionali. Infatti, per effetto dei caratteri assunti dalle membrane di tali tessuti, viene menomata se non interamente soppressa la traspi- razione dei frutti in via di sviluppo. Conseguenza certa di questo fatto, è la scomparsa prematura della clorofilla nei frutti giovani , che si osserva tanto meglio , quanto più parziale è la alterazione della superficie. A questo ordine di fatti , che implica menomazione dell’ attività funzio- nale , collegasi pure la degenerazione delle ghindale , le quali , nell’ epicarpo dei frutti malati, si trovano per natura stessa dei processi an atomo-patologici , sospinte a maggiore profondità , e però venendo probabilmente meno la ragione del loro ufficio F. (] avara e N. Mai lieti plEMOKIA II.] () biologico , cadono in degenerazione e finiscono per svuotarsi. Riguardo all’ endocarpo dei limoni infetti, dobbiamo dire die, contrariamente alla presupposizione di una corrispondente alterazione interna , in armonia con la notevole modificazione dell1 epicarpo, non si riscontrano segni di alterato sviluppo. Gli spicchi sonosi formati in modo normale, al pari delle vescichette contenenti V agro, con turgore e caratteri fisiologici comuni ai limoni sani. Sembra strano che 1’ insieme delle alterazioni periferiche non abbia alcun riflesso sui processi maturativi dell1 endocarpo ; ma a parer nostro, sia per la quantità, che per la qualità del succo di tali limoni non vi è sensibile differenza con limoni nor- mali. Vi ha di più , a Scilla in parecchie piante osservammo di tali frutti , completamente rivestiti di patina rugginosa, che apparivano di bel volume, turgescenti, ed erano ricchi di succo. Inoltre portati parecchi di essi a Catania, hanno mantenuto, nel nostro laboratorio , per molte settimane il loro turgore molto più di quello che se si fosse trattato di limoni sani. (I). Onde, se dalla natura delle alterazioni esterne si è indotti a ritenere di grave entità la malattia in questione, non parreb- be che si dovesse poi darvi tanto peso , dal momento che in fondo la produzione di succo non è menomata nè alterata. Ma bisogna bene tenere presenti le ragioni tutte del valore com- merciale dei limoni ; poiché se per le alterazioni esterne dalle quali sono affetti, essi vengono o decisamente scartati, o depre- ziati anche sullo stesso mercato interno , a più forte ragione sono rifiutati nel grande commercio di esportazione. I)’ altra parte si sa che i limoni sono la base di particolari industrie estrattive che utilizzano precisamente la buccia. (1) È degni i di nota a questo proposito il fatto della consistenza coriacea assunta dalla buccia di questi limoni infetti, che potrebbe definirsi un vero e proprio processo di mummificazione pel quale tali frutti si conservano senza imputridire per mesi e mesi. La polpa nel loro interno subisce una concentrazione e delle modificazioni chimiche per cui as- sume alcuni dei caratteri del l’agro cotto, con consistenza sciropposa e particolare profumo. Intorno alla Ruggine bianca, dei limoni 7 Evidentemente se ri è a priori una ragione di scarto o di rifiuto del prodotto, per alterazioni esterne, è assai subordinato F utile che ne può venire da una condizione sia pur quasi nor- male della parte interna. Xon vi è dubbio intanto, che il valore commerciale di que- sti limoni viene di tanto ridotto , che il malanno in questione costituisce un vero danno pel proprietario, il quale di fronte alle manifestazioni di carattere esterno per le quali gli viene rifiutato senz’ altro il prodotto , non può accampare la (piasi normalità del contenuto dei limoni. D’altronde anche in Sicilia si sa benissimo che i così detti limoni rameggiati, cioè presentanti parziali e leggere alterazioni pur di natura suberosa, provocate più spesso da urti meccanici contro i rami o muri, per causa del vento, vengono ritintati dal commercio di esportazione e venduti nella piazza a prezzi irri- sori. Sui vami — Se la ruggine bianca assume la maggiore gra- vità nei frutti, sia per le sue manifestazioni in se, quanto per i danni diretti che ne vengono al coltivatore, trattandosi di una pianta da frutto, non v’ è dubbio però che portandosi l’altera- zione anche sulle foglie e sui rami , arreca alla pianta disturbi d’ordine fisiologico che tendono a farne diminuire la produzione. Ci venne infatti detto a Scilla, che avendo infierito cotesta forma di ruggine sulle piante degli agrumi per più di un anno, il deperimento di queste arrivò a tal punto che fu giocoforza praticare una fortissima potatura, o per servirci dell’ espressione di quei proprietari «intestarle» di nuovo. Vedemmo infatti nu- merose piante a chioma nuova con getti vigorosi e di un verde sano, che faceva vivo contrasto con la sparuta e scolorita chio- ma di piante malate. Tale potatura, non v’ è bisogno di dirlo, ritarda di qualche anno la produzione. I rami che presentatisi affetti dalla malattia si riconoscono anzitutto per essere assai più poveri di foglie, alle volte anche F. Cavava e JS . Mollica [Memoria II.] 8 perfettamente spogliati ; e inoltre mostrano una tinta bianco- cenerina tutta particolare. Sono i rami di uno, due, tre anni circa die possono offrire tale aspetto, quelli cioè die erano an- cora forniti di epidermide al sopravvenire della infezione. La patina biancastra che li ricopre è, a differenza di quanto avviene nei frutti , più continua , è cioè sfornita in gran parte di ((nelle minute fenditure che danno un aspetto reticolato alla buccia dei frutti. Direbbesi quasi clic fossero spalmati d’ una vernice, talora uniformemente, più spesso in modo unilaterale, rimanendo un’intera metà o quasi del ramo, incolume ed ancor verde, 1’ altra bianco-cenerina ; in altri casi sono delle sottili striscie longitudinali che vanno da un nodo all’ altro. Collo svilupparsi del ramo infetto, e per ragioni di tensione esercitata dai tessuti interni la patina suddetta viene alla fine a perdere la sua omogeneità , e presentasi allora interrotta da numerose strie a losanga, di colore bruno. Non ostante questi diversi caratteri anatoino-patologici dei rami infetti, l’origine delle alterazioni è in fondo la stessa che pei frutti. Si ha, in altre parole anche qui la produzione precoce di un tessuto riparatore, in una zona più o meno profonda della corteccia , in cui una parte degli elementi istologici vengono a modificarsi, per ragione di reazione a processi irritativi. Il tessuto riparatore è qui pure un sughero , il quale si sostituisce in più strati agli elementi parencliimatici , colle so- lite cellule tabulari , di cui le prime formatesi vanno modifi- cando la loro membrana che si suberifica. Vengono così sospinti all’ infuori tutti gli elementi corticali periferici, i quali perdono in breve il carattere di cellule vive, il loro contenuto si altera, ed in molti di essi viene ad eliminarsi e sostituito con aria. Da ciò il colore e la speciale rifrangenza dello strato pe- riferico corticale. L'ormandosi in quantità nuovo sughero questo si addossa al precedente e così coll’ accresciuta pressione dei tessuti neo- Intorno alla Rima ine bianco dei Unioni 9 formati, gli strati di cellule parenc hi maliche periferiche, vengono qua e là a perdere la loro continuità , e si formano spaccature di più in più rilevanti che corrispondono a quelle strie nerastre che interrompono, all1 esterno, la continuità della patina bian- castra. Gli strati più vecchi di sughero ed anche quelli mortificati del vecchio parenchima, lignificano in parte le membrane delle loro cellule, come i reattivi speciali mettono in evidenza. Verso la parte interna, e cioè al disotto del fellogeno, gli elementi corticali, costituenti il clorenchima, si osservano pure in via di degenerazione : i loro corpuscoli assimilatola ingialliscono, perdono la loro forma normale e si spezzettano. Tutto questo ha non dubbi effetti sull’economia delle piante i cui rami appunto inaridiscono, tino a seccare. Sulle fot /li e. — Lo stesso fatto dell’ alterazione dei rami , che porta come si disse testé, al loro inaridimento , deve avere per legittima conseguenza un riflesso sopra gli organi appendi- colari. Si disse già che le piante infette finiscono per perdere buona parte delle loro foglie , e ciò potrebbe pure essere spie- gato come riflesso dell’alterazione dei rami. Ma anche le foglie stesse soggiacciono alla medesima causa di malore dei frutti e dei rami , ed una prova di ciò si ha nella insolita e caratteri- stica variazione di colore che esse assumono. Infatti nella pa- gina superiore si mostrano di un verde sbiadito , volgente anzi al giallognolo , mentre poi nella inferiore si presentano di un colore biancastro particolare. Quivi è una leggera velatura bianco sericea , uniforme per tutta o per gran parte della pagina infe- riore, o solo interrotta da piccole prominenze di colore giallo cannella, di natura prèttamente suberosa, spesso screpolate. Queste si riscontrano del resto anche in foglie di piante non infette, e molto probabilmente debbono ascriversi o a cause meccaniche o piuttosto a punture di animali. Già il Penzig, nella citata opera, mise in rilievo la strut- Atti Acc. Serie 4a, Voi.. XVII — Meni. II. 2 10 F. Cavata e N. Mollica . [Memoria II.] tura di tali verruchette , e pur dubitando die esse ]>ossouo es- sere originate da punture di acari o di cocciniglie , afferma di non aver mai visto parassiti speciali sulle foglie così alterate , e molto meno sopra o negli stessi cuscinetti , coni’ egli chiama coteste verruche e lascia indecisa la questione. Il Penzig poi non fa accenno alcuno alla patina bianco-se- ricea delle foglie che è sintomo della ruggine bianca, solo parla di macchie bianche , o biancastro giallognole e di variegature che si possono osservare nelle foglie degli agrumi, senza annet- tervi significato di fatti patologici. Egli così si esprime a tal riguardo : « Le indagini microscopiche sulla ragione di siffatti feno- meni ci dimostrano, (die nulla si è cambiato nella struttura ana- tomica della foglia, ma che le varie tinte sono prodotte solo da ineguale distribuzione della clorofilla. » Invece nelle foglie delle piante di limoni di Scilla, oltre i sintomi esterni della malattia evvi pure un riscontro in altera- zioni anatomo-patologiche dei loro tessuti. Patta una sezione tra- sversale in una foglia infetta, e vista al microscopio, oltre le formazioni suberose, già con molti dettagli descritte dal Penzig a proposito delle suddette verruchette, noi abbiamo potuto con- statare che la patina bianco-sericea, su indicata, è dovuta preci- samente ad una debole formazione di fellogeno che in questo caso ha sede precisamente nelle stesse cellule dell1 epidermide della pagina inferiore, anche qui in seguito, molto probabilmen- te, a fenomeni irritativi. Occorre un attento esame per verificare questo fatto, poiché nelle foglie dei limoni il tessuto lacunoso non ha invero la strut- tura tipica degli ordinari tessuti aeratoli delle foglie ; esso è formato di due o tre strati di cellule, di forma pressoché qua- dratica, abbastanza regolarmente disposte in senso tangenziale, che fanno passaggio solo verso l’interno ad elementi rotondeg- gianti e fra loro distanziati in guisa da lasciare dei vani senati. Ora, i primi strati di cellule di tale tessuto lacunoso potrei)- Intorno alla Ruggine bianca ilei limoni 11 bevo per la loro regolare disposizione facilmente scambiarsi con un fellogeno. Ma questo invero non ha origine in elementi del tessuto lacunoso, ma come si disse nelle stesse cellule epidermiche; nè d’ altra parte co testa formazione peri derni ale vi prende molto sviluppo poiché si limita ad uno o due strati di cellule. Da ciò il differente aspetto anche della esterna manifestazione che si ha nelle foglie in confronto di quella più saliente dei rami e dei frutti. Quest’ alterazione abbastanza caratteristica oltre a modifi- care i processi fisiologici dell’ organo assimilatoli , provoca al- tresì degenerazione nei cloroplasti, formazione di prodotti di na- tura secretoria, granulazioni, ece. eco. L’ insieme di tali alterazioni spiega il colore sbiadito che presentano le foglie malate. In progresso di tempo queste foglie vengono ad accartoc- ciarsi assumendo una direzione obbliqua sul ramo e una debole aderenza su di esso ; e da ultimo, come già si disse, finiscono per cadere. Etiologia della malattia. Già fin sul primo materiale inviatoci per studio, un attento esame della superficie dei limoni infetti ci fece riscontrare, sopra le squamette rugginose caratteristiche, minute punteggiature ri- levate che , come sopra si disse , furono tosto da noi riferite a produzioni crittogamiche. L’ esame microscopico confermò tale supposizione e constatammo che detti punti rilevati non erano altra cosa se non minuti concetta coli fruttiferi di un fungillo appartenente alla famiglia delle Sfer ossi dee , e precisamente al genere Ph orna. Parecchie specie di questo genere sono già state descritte specialmente dal Penzig per' i rami e per le foglie degli agru- mi. Non è a nostra cognizione che ne siano state segnalate per i frutti; comunque i caratteri offerti dal fungillo che con straor- 12 F. Faretra e X. Mollica [Memoria li. J dinaria frequenza si riscontrò sui limoni infetti, tanto di Scilla quanto di Canni zza ro e di Alì, non corrispondono a parer nostro a < i nel 1 i di alcuna delle specie di PI toma descritte per ufi agrumi. 1 concettaceli o pieni-di del microscopico fungo in questione sono di forma globulare con un ostiolo poco prominente ed erompono dalla epidermide lacerata. Sono neri, fragili , con un peridio, (membrana pseudo-parencliimatosa avvolgente) di consi- stenza carbonacea. 1 picnidi misurano circa 70 millesimi di millimetro di dia- metro, e dO circa in altezza. Xel loro interno producono un nu- mero stragrande di piccolissime spore, incolore, unicellulari, di forma elissoidale od ovale, a contenuto jalino ed a membrana esilissima. Misurano f X 2,5 millesimi di millimetro (1). Alla base e tutto attorno a questi concettaceli, stanno dei miceli bruni , filamentosi , spesso torulacei , di colore olivaceo , fosco. Questi miceli si osservano copiosi nelle chiazze suberose, specialmente in limoni invecchiati, nei quali determinano un ulteriore processo di alterazione della buccia. Però tali miceli non si insinuano che raramente molto ad- dentro ai tessuti dell’ epica rpo , c si limitano ad invadere al- cuni strati esterni delle squame rugginose, di rado portandosi a contatto del sughero , mentre prendono un notevole sviluppo alla superfìcie, come ben fanno vedere opportune sezioni tan- genziali. Vista la frequenza di questo fungillo nei limoni inalati tanto di Calabria, che di Sicilia, ci venne dapprima l’ idea che questo potesse essere la causa della ruggine dei limoni, e si pensò su- bito ad isolarlo mediante colture per poi vedere di riprodurre (1) La, diagnosi ohe si può dare per questo fungillo è la seguente : Pi-toma Citkx-Kouiginis C avara et Mollica. Perithcciis perexigutu, 70 o. diam. 40 altis, ex my celio torulaceo orti », xparuis , nigris, cav- ito n ac. eia , panino prò mi unii* ; ontiolo Aepreseo donati s : spanili s minutiti, 4 X 2. 5 n ellypsoideis nel ovali bus, hyalinis. Habit. lu corticc fructuum Citrorum , morbo vulgo « Ruggine bianca » aifeeto. Ca- labria et Sicilia. Intorno olla Ruggine bianca dei Unioni 13 con artificiali inoculazioni, il processo patològico da esso deter- minato sopra limoni sani. Le spore conservavano abbastanza la capacità germinativa cosichè, sia in acqua di fonte, addizionata di succo di limone, sia in mezzo solido (Agar-Agar) diedero tubi germinativi e mi- celio — Aelle colture in Agar si ebbe anzi un rapido e copio- sissimo sviluppo del fungo, sì da dar luogo in pochi giorni alla formazione di infiniti picnidi. Ciò tanto con materiale di Scilla che di Cannizzaro, con meravigliosa costanza di caratteri e con straordinaria purezza delle colture. Solo dovemmo osservare in tutte queste colture in Agar-agar che i picnidi erano privi di un vero ostiolo, ma la parte centrale e più prominente, di essi vista di faccia si presentava di struttura più lassa, per cui sotto lieve pressione, in corrispondenza di essa, si fendeva il peridio, mettendo in libertà infinito numero di spore. (Queste avevano gii stessi caratteri delle spore che avevamo usato per la coltura. Servendoci di questo ottimo materiale, che si potè ottenere sempre più puro con reiterati passaggi di colture, noi tentammo esperienze di inoculazione su limoni perfettamente sani, tenuti in camera umida, a temperatura piuttosto elevata perchè erava- mo in estate. A tal uopo si spalmarono le superficie dei detti limoni con porzioncella di coltura in Agar-agar. Tentammo all- eile di inoculare spore, germinate in acqua di fonte, tratte da materiale fresco. Aessun visibile effetto si ebbe da tali esperienze, nemmeno quando con apposita lancetta si inoculò il materiale per via sub- epidermica. Aon fà bisogno di dire che furono osservate tutte le cautele necessarie per V assoluta sterilizzazione dei mezzi usati. Risultati vani questi saggi di inoculazione, fummo tratti a giudicare di natura saprofì fica il Photna, pur così diffuso nei limoni malati, e stabilimmo di recarci espressamente a Cannizzaro per esaminare le fasi iniziali del processo patologico e stabilire quando veniva ad apparire sulle chiazze suberose il descritto fungi Ilo. 14 F. Cavava e F. Mollica [Memoria. II.] Potemmo appurare che, in manifestazioni iniziali del pro- cesso suberoso, nè periteci nè miceli si osservavano sulla buccia. Onde dovemmo in modo assoluto escludere ohe il Phoma fosse la causa prima del male. Con ciò non si esclude che que- sto fungo, una volta presa stanza nelle squamette suberose e in- sinuando il suo micelio nel tessuto dell' epicarpo . per quanto non profondamente come si disse, non aggravi sempre più- il pro- cesso patologico. Il Phoma avrebbe in altre parole una azione distnrbatrice conseguente alla causa prima del male , concorrendo ad aggra- varlo sempre più. ideila medesima ispezione a Oannizzaro, altri fatti emersero, alcuni dei quali di non spregevole importanza e ohe furono con- fermati anche nella visita ai giardini di Scilla. Anzitutto non v’ è dubbio alcuno che processi degenerativi dell' epicarpo con produzione di sughero barinosi frequentemente per azione mec- canica, e cioè urti e strofinio di limoni sia contro rami sia contro muri — Sopratutto gli urti contro i rami, specie se questi conser- vano ancora spine o presentano monconi, hanno per effetto abra- sioni più o meno manifeste, talora vere ferite che nel frutto in via di sviluppo vengono rimarginate da pronta formazione di sughero. E si osserva che, una volta iniziato il processo suberoso in un punto leso, esso molte volte procede ed irradia di per sè, probabilmente per trasmissione della irritazione dovuta allo sti- molo iniziale. Ohe ciò avvenga con frequenza potemmo con sicurezza as- sodare, ma in tali casi d’ ordinario le alterazioni sono unilate- rali e cioè in corrispondenza della regione soggetta all’urto. Al- tra prova si ha in ciò che nel caso di frutti con accidentalità di superfìcie, ossia con eventuali avvallamenti, è soltanto la parte sporgente quella che fa vedere 1’ alterazione. Xei casi citati, è spesso visibilissima anche 1’ impronta del ramo offensore. T)’ altra parte 1’ aspetto delle alterazioni dovute ad azione meccanica, non corrisponde interamente a quella dei limoni Intorno alla Ruggine bianca dei limoni 15 affetti dalla ruggine sugherosa, oggetto delle nostre ricerche. Le desquamazioni si fanno in tali casi con nessuna regolarità, con spessore , consistenza , e colore di molto diversi che nella ruggine bianca. Ciò potemmo anche confermare con dati speri- mentali. In una pianta di limone si produssero delle abrasioni su varii frutti ancor verdi mediante leggere percosse praticate con rami secchi della stessa pianta. Dopo alcuni giorni la su- perficie così offesa si presentò rugosa , scabra e di color gial- lastro , ma di aspetto ben diverso da quello offerto dai limoni con ruggine bianca. Per conseguenza è da escludere che questa malattia , vada attribuita a cause meccaniche. In alcune piante di limoni crescenti, a Cannizzaro, in vici- nanza delle stradelle in rilievo, osservammo che i frutti i quali venivano a poggiare su di esse presentavano una assai caratte- ristica alterazione in corrispondenza appunto della parte che toc- cava il terreno. Si trattava anche qui di una straordinaria produzione su- gherosa, ma determinante all’ esterno del frutto non una desqua- mazione, ina sibbene una tumida zigrinatura di colore grigio- giallognolo, resa però bruna nella parte centrale, da copioso svi- lii])] io di funghi deinaziacei (Macrospovimn, Clndospori nm sp.) In sezione trasversale dell’ epicarpo si osservava un copioso sviluppo di ite miceliche di colore olivastro, tortuose o varicose, le quali si addentravano molto profondamente nel tessuto sube- roso, provocandone evidentemente una più attiva moltiplicazione. Come ben si rileva, anche in questo caso, nel (piale la causa è in gran parte di natura tìsica, l’alterazione è unilaterale, non compromettente cioè che la regione di contatto. Si fu così costretti a portare la nostra considerazione so- pra un altro ordine di cause, pensando che la ruggine bianca potesse essere la conseguenza dell’ azione continuata di piccoli animali. 16 F. Cavar a <• N. Mollica [Memoria li.] E noto come i frutti degli agrumi in genere alberghino una quantità di piccoli ectoparassiti , sopratutto cocciniglie ed acari. Per quanto è a nostra cognizione , nessuna delle specie di cocciniglie che si fissano sugli agrumi, determina alterazioni che siano lontanamente comparabili a ([nelle che abbiamo descritte. Piuttosto è fra gli acari che alcune specie sono state indicate come causa di ruggine negli agrumi. Fra le altre il Penzig , nella più volte accennata opera , cita il 1 J//])Jdod rom ns olcirorn. v come acaro della ruggine e [tarla anche di altre specie come il Tjjdeus Aurati ti-i, ed anche il Tctranychuis Auraufii. Riguardo al primo, esso appartiene ad una ben nota famiglia di acari, quella dei Fitoptidi , che sono dei parassiti galligeni; ma a detta dello stesso autore il Typlìlodromus oJrironut non è stato ancora rin- venuto in Europa, mentre si è reso dannoso negli agrumeti ame- ricani. Dai caratteri assegnati dal Penzig agli organi infetti (foglie e frutti), sembra esservi una certa attinenza con la ma- lattia da. noi studiata, per cui pensammo di esaminare accurata- mente i limoni , per vedere se era possibile riscontrare il sud- detto Typlìlodromm , o qualche altro rappresentante dell1 ordine degli acari. Se non ci fu dato mai di imbatterci nel suddetto agente della ruggine degli agrumi americani , tuttavia non furono in- vero infruttuose le nostre ricerche, poiché prima nei giardini di Oannizzaro, e molto più ancora in quelli di Scilla e di Alì, si ebbe a rilevare la quasi costante presenza di acari in genere , nei frutti e nelle foglie attaccati dal male. Di questi acari alcuni sembraronci avere realmente preso stanza negli agrumi infetti , altri ci parvero visitatori casuali. Così ad esempio qualche Oribatide che rinvenimmo in numero scarso di esemplari sopra qualche frutto, ed in seguito non più trovato, appartiene appunto alla categoria dei visitatori casuali. D’ altra parte codesti acari vivono d1 ordinario fra i muschi o sotto i talli vecchi dei licheni e non si conosce finora fra di Intorno alla Ruggine bianca dei limoni 17 essi alcun parassita quindi è presumibile che i pochi trovati abbiano casualmente abbandonato la loro abituale dimora e si siano portati, vagando, sui limoni. I)i quelli invece che sembra a noi si siano realmente sta- biliti a scopo di nutrizione sugli organi degli agrumi, e ne ab- biamo riscontrati rappresentanti di vari generi (Tetranycìmx , Tydem , Lejosoma , Tmmpàlpm ) una specie ci si mostrò con così costante frequenza ed in tale quantità da farci persuasi che ad essa sia da ascrivere la causa della ruggine bianca. Intanto i suoi caratteri non ci permisero di riferirlo ad al- cuna delle specie di acari menzionate dal Penzig (opera citata). Inviati alcuni esemplari all’ Illustre aearidologo, Prof. An- tonio Perlese di Portici, questi con cortese sollecitudine ci ri- feriva appartenere essi al Tenuipcdpies euneatus ( (J. et F.) Feri. della famiglia dei Trombididi , che fino ad ora non era stato riscontrato sugli Agrumi. Trattasi di un minuto àcaro, appena visibile ad occhio nudo, di colore rosso aranciato, a corpo ovale, diviso nettamente da solco trasversale fino quasi all’ origine del terzo paio di zampe, che misura appena in lunghezza da 250 a 300 millesimi di millimetro. Ha movimenti lenti e lo si osserva di preferenza nella infossatimi che si nota d’ ordinario al di sotto della pro- tuberanza apicale del limone , come anche dalla parte opposta intorno all’inserzione del peduncolo, annidandosi nelle fenditure che separano le squame rugginose. Queste localizzazioni par- lano in favore del suo parassitismo, in quanto sembra che esso si fissi dapprima in porzioni di limoni atti a costituirgli come un ricovero, e d’ altra parte abbiamo detto più sopra, che la ruggine procede appunto, d’ordinario, da simili accidentalità di superfìcie dei frutti. Si aggiunga poi che risultò dalla nostra osservazione sul luogo che nei limoni, nei quali il processo suberoso va estenden- dosi alla superficie di essi, molti acari si riscontrano ancora verso il limite dell1 alterazione ciò che si spiega facilmente col biso- Atti Acc. Serie 4a, Voi.. XVII - Meni. II. 3 1S F. Cavarci e N. Mollica [Memoria II.] gno da essi sentito di invadere sempre nuova superficie sana. Oltre die sui frutti, potemmo stabilire del pari, la presenza di questi acari sulle foglie ; peraltro in numero assai minore clie sui frutti e spesso in unione a qualche altra specie anni- data in bollosità del lembo. Quanto ai rami non ci venne fatto di riscontrarne. Con ciò non si esclude che essi non visitino anche questi organi, anzi a priori è da ritenere, che essi li ab- biano visitati prima di recarsi ai frutti , che offrono loro tanto copioso nutrimento. Considerato (die alterazioni del genere di quelle in discorso sono state attribuite all’azione di altri acari ( Typlilodrmnm olei- vorm ) e vista la costante presenza del Tenvipalpm cunentm spe- cialmente a Scilla e ad Ali, siamo venuti nella convinzione che con tutta probabilità la ruggine degli agrumi di Calabria e di Sicilia, sia dovuta alla azione di questi acari. La diffusione di questa malattia, a quanto ci fu riferito, è stata grande in questi ultimi anni e sembra che essa vada ripetendosi a periodi di anni, forse in dipendenza di particolari condizioni meteoriche che fa- voriscono la diffusione di tali parassiti. Oltre alla analogia su citata della ruggine provocata dal TypModromtis , va ricordato qui pure che lo stesso Penzig, in- clina ad attribuire alla azione degli acari quelle specie di pro- duzioni suberose che così frequentemente si osservano nelle foglie degli agrumi. Quanto alla incolumità degli aranci e dei mandarini, non è da ritenere che essa sia di carattere assoluto. In esemplari di aranci avuti da Siracusa, per mezzo dell’ Egregio Prof. Arnao , riscontrammo pure i primi sintomi della malattia. La maggiore resistenza di questi agrumi può essere in relazione a principi amari o comunque sgraditi agli acari, per cui questi preferiscono di invadere i limoni. A confortare la convinzione nostra circa la supposta causa della ruggine, abbiamo pensato anche a qualche esperienza intesa Intorno alio Ruggine bianca dei limimi 19 a riprodurre effetti aliatogli i a ) Distoma labracis, Dujardin. In rarissimi esemplari nell’ intestino del Lcibrax lupus , Cuv. Catania, Augusta, maggio 1902. 6 Dottori P. Barbagallo e U. Drago [Memoria III.] (17) Distoma micracanthum. Stossicli. Oltremodo raro nell’intestino del Pae/eUus erythrinus, Cut. Catania, luglio 1902. (18) Distoma scorpaenae, Ruclolphi. In rarissimi esemplari nel muco dell’ intestino della tìeor- paena lutea, Riss. Catania, Ognina, Aci-Trezza, luglio 1902. (19) Distoma fasciatum, Ruclolphi. Molto raro nell’ intestino retto del Crenilabrus coevrnleus , Riss. e del Serranus scriba, 0. V. Catania, luglio agosto 1902. (20) Distoma bacillare. Molili. Poco frequente nell’ intestino dello Seomber scombrus. Linn. Catania, maggio 1902. SPECIE DUBBIE (21) Distoma clavatum, Ruclolphi. In rarissimi esemplari nel ventricolo del Pelamys sarda. Ouv. Catania, giugno 1902. (22) Distoma sp. Una sola volta osservato ed in unico esemplare nello sto- maco del Julis paro, Hasselq. Catania, giugno 1902. (23) Distoma sp. In rarissimi esemplari nel ventricolo del Tracliurus traclmrus , Ouv. Catania, Giugno 1902. Primo contributo alio studio della Fauna elmintologica dei Pesci eco . 7 (24) Distoma sp. Rarissimo, incistato nel cuore del Muffii cephdlus , Cuv. Catania, maggio 1900. G-ex. Echotostoma, Dujardin (25) Echinostoma nigroflavum, Eudolphi. In alcuni esemplari nel ventricolo dell1 Orthagoriscus mola , Schneid. Catania, novembre 1902. (26) Echinostoma perlatum, Eudolphi. In numerosi esemplari nel muco dello stomaco e dell1 inte- stino della Tinca valgavi s, Cuv. — E da osservare che talvolta nello stomaco della Tinca il parassita trovasi agamo, mentre sempre è a completo sviluppo nell1 intestino. Pantani della Piana di Catania, Lago di Lentini, giugno 1900-1902. (27) Echinostoma cesticillus, Moliti. In diversi esemplari nel muco dell1 intestino della Torpedo ocellata, Bel., dell1 Umbrina cirrliosa , Limi, e della Seriola Da- merini, Riss. Catania, maggio 1900, agosto 1902. (28) Echinostoma lydiae; Stossich. In discreto numero di esemplari nel muco intestinale del- l1 Orthagoriscus mola , Sclin. Catania, maggio 1902. Dottori P. Barbastello e U. Dratjo [Memoria III.| FORME AGAME (Agamodistoma , Stossich) (29) Agamodistoma valdeinflatum, Stossicb. Qualche esemplare sparso qua e là e racchiuso in cisti sfe- riche e trasparenti nella cavità peritoneale del Gobius jozo, Limi. Catania, novembre 1902. Fani. Didyiiiozoouiclae, Monticelli Gen. Didymozoojst, Taschenberg (30) Didymozoon thynni, Taschenberg. itegli archi branchiali e nel palato del Tliynmis vulgaris, Guy. talvolta e in numero esiguo rinvengonsi delle piccole sporgenze, le quali incidendole attentamente lasciano venir fuori delle cisti della grossezza ed apparenza di un piccolo pisello. Al posto di dette sporgenze si può osservare anche l’ impronta rimasta. Tali cisti sono di un colorito giallo, simile a quello dell’oro antico. Pungendo e comprimendo accuratamente tali cisti vengon fuori due piccoli elminti, similmente eguali fra loro. Son costi- tuiti da due parti : una posteriore ingrossata , ed una anteriore assottigliata a ino’ di filo. I due elminti stanno a contatto fra loro entro la cisti per mezzo della parte posteriore. Tonnara di S. Panagia (Siracusa), maggio 1902. (31) Didymozoon sphyraenae, Tascbenberg. In rare cisti aderenti alla mucosa boccale della Sphyraena vulgaris , O. V. Catania, giugno 1902. Primo contributo allo studio della Fauna elmintologica dei Pesci eco. 9 Fani. Moiiostomtdae, Monticelli (ìeìst. Moitostoma, Zeder (32) Monostoma orbiculare, Rudolphi. Qualche raro esemplare nell’ intestino del Box salpa , Cuv. e dell’ Oblata melanura , Cut. Catania, aprile, giugno 1902. (33) Monostoma capitellatum. Rudolphi. Oltremodo raro nell’ intestino del Box salpa, Cuv. Catania, aprile, 1902. (34) Monostoma spinosissimum, Stossich. Rarissimo nell’ intestino del Box salpa , Cuv. Catania, maggio 1902. ORDO CESTO!) E S Fam. Taeiifislae Subfam. Mesocestoidinae Oex. Mesocestoides , Yaillant (35) Taenia macrocephala, Creplin. In qualche raro esemplare aderente alla mucosa dell’ inte- stino dell’ Anguilla vulgaris, Turt. L’ adesione era talmente forte, che le proglottidi facilmente si spezzettavano alla più delicata trazione. Tanto lo scolice , quanto le proglottidi erano grande- mente cosparsi di corpuscoli calcarei. Lago di Lentini, Pantani della Piana di Catania, aprile 1902. Atti Acc. Serie 4a, Vol. XVII - Mem. III. 2 10 Dottori P. Barbagallo e U. Drago [Memoria III.] JFain. Botlirioceplialidae Subfam. Diplogonoporidae GrEiisr. Diplogoroporus, Lònnberg (36 ) Diplogonoporus wageneri, Moaticelli. Poco frequente e sempre aderente alla mucosa intestinale del Centrolopftus pompilius, Cut. Catania, maggio 1902. Subfam. Monogonoporidae. Gten. Aistchistrocephalus, Monticelli (37) Anchistrocephalus microcephalus, Rudolphi. Qualche esemplare nell’ intestino dell’ Orthagoriscus mola , Schn. Catania, novembre 1902. Cten. Bothriocephalus, Budolphi (38) Bothriocephalus crassiceps, Rudolphi. Baiassimo nell’ intestino del Merlucius vulgaris, Cut. Augusta, Catania, aprile 1902. (39) Bothriocephalus belones, Dujardin. Abbastanza raro nell’intestino del Belone acus , Bisso. Catania, settembre 1902. Cteh. Bothriotaenia, Bailliet (40) Bothriotaenia plicata, Rudolphi. Frequentem ente ed in discreto numero di esemplari , con l’ estremità anteriore intissa nei caratteristici cunicoli scaTati Primo contributo allo studio della Fauna elmintologica dei Pesci ecc. 11 nel retto intestino dello Xiphias gladius , Linn. Qualche indivi- duo perfora la parete dell1 intestino sino alla tunica sierosa , la quale si solleva in forma di cisti , ove passa lo scqlice e gran parte del corpo. Qua lene altro individuo perfora addirittura an- che lo strato peritoneale dell' intestino e sporge libero nella ca- vità peritoneale, ovvero si fa strada fra le anse intestinali e fra le pieghe peritoneali. Messina, maggio-giugno 1902. Fani. JLfgulidae Cte;nt. Ligula, Biodi. (41) Ligula simplicissima, Rudolphi. In discreto numero di esemplari e con una certa frequenza nella cavità peritoneale della Tinca vulgaris , Cuv. In tali Tinche il ventre e i fianchi si presentavano alquanto dilatati e talvolta di un colorito un po’ più chiaro dell’ordina- rio, cosicché, acquistando una certa pratica, si riusciva facil- mente a constatarne la presenza anche prima di aprirne la ca- vità peritoneale. In alcune di esse , inoltre , un po’ più al di sopra dell’ apertura anale , si notava una leggiera prominenza alquanto molle, sotto la quale palpavasi benissimo 1’ elminto, in altre, invece, tale prominenza era aperta e da essa vedevasi fuo- riuscire un pezzetto del parassita in discorso , oltre ad un po’ di muco misto a pus gialliccio. — Il numero delle Ligule per ogni ospiste era variabile, e dalle tante osservazioni fatte si potè stabilire che andava da 1 a fi. La lunghezza loro era da cm. 8 a 25 ; la larghezza da mm. 5 a 12. Facendo con un coltello ben tagliente delle sezioni trasver- sali di esse Tinche, da uno sguardo sommario di esse si poteva benissimo rilevare, che i parassiti si frammettevano fra i vari or- gani addominali, accerchiandoli nelle loro volute e perforandone il mesentere. 12 Dottori P. Barbagallo e U. Drago [Memoria III.] Circa alle alterazioni che la Tinca subisce per la presenza di tali Ligule, sempre riferendosi ai tagli suddetti , si può dire die il fegato è più o meno compresso, talvolta anche fortemente, i testicoli sono atrofici, come anche gli ovari , la vescica nata- toria spostata in basso leggermente in alcune, in altre, invece , grandemente, subendo anche un certo grado di schiacciamento. Presentano pure uno spostamento leggermente in basso e una leggiera compressione lo stomaco e 1’ intestino. — È da aggiun- gere, che talvolta dalla cavità addominale tali Ligule riescono a penetrare nei muscoli della parete circostante, scavandovi una specie di doccia. Da quanto si è detto si può dedurre che gli organi mag- giormente interessati sono gli ovari e i testicoli. Si è, adunque, dinanzi ad una vera castrazione parassitaria della Tinca dovuta alle Ligule, simile a quella che per le Aterine constatarono C. Parona e F. J Lazza (Sulla castrazione temporanea delle Aterine dovuta ad Elmintiasi. Coni, fatta al Congresso zoologico di Bo- logna del 1900. Boll, dei Musei di Zool. e Anat. comp. della B. Bniv. di Genova, n. 97, 1900). Tale castrazione è pure temporanea, perchè accurate ricer- che fatte in altre epoche dell1 anno hanno avuto risultato nega- tivo. — Oltre a ciò è da notarsi che da vari anni, a dir dei pe- scatori, le Tinche diminuiscono grado a grado, il che, forse, può stare in rapporto a questa castrazione parassitaria. Lago di Lentini, Pantani della Piana di Catania, aprile-maggio 1902. Inaili. Tetrapliyllidae Subfam. Phyllobotrhiinae. Oen. Anthobothkium, Van-Beneden (42) Anthobothrium musteli, Van-Beuedeu. Baro nell’intestino del Mustelus vulgaris, Muli. Henl. Catania, maggio 1900, giugno 1902. Primo contributo allo studio della Fauna elmintologica dei Pesci ecc. 13 Geit. Ph yllobot hrium, Yan-Beneden. (43) Phyllobothrium tridax, Vau-Beneden. Rarissimo e poco aderente nella valvola intestinale della Squartila angelus , Bum. Catania, aprile 1902. (44) Phyllobothrium lactuca. Vau-Beneden. In rarissimi esemplari nell’ intestino del Mustelus vulgaris , Miill-Henl. Catania, giugno 1900 ; aprile 1902. (45) Phyllobothrium gracile, Wedl. Qualche raro esemplare poco aderente nell’intestino del Rhynobams columnae, M. H. e nella valvola intestinale della Tor- neilo marmorata , Riss. Catania, aprile, dicembre 1902. * G\e:nt. Echeneibothrium, Vau-Beneden. - i (46) Echeneibothrium myliobatis aquilae, Wedl. Raro nell’ intestino del Myliobatis aquila , C. Duiner. Catania, dicembre 1902. (47) Echeneibothrium minimum, Van-Benedeu. Qualche raro esemplare poco aderente alla valvola spirale del Trygon pastinava, Cuv. (48) Echeneibothrium variabile, Vau-Beneden. Rarissimo nell’ intestino della Rqja clavata, Rond. Catania, aprile 1902. 14 Dottori P. Barbo gol lo e fj. Drago [Memoria III.] Subfam. Phyllacanthinae GrEN. Calliobothrium, Yan-Beneden. (49) Calliobothrium coronatum. Rudolphi. Qualche raro esemplare nell’ intestino del Mustelus vulgaris , Miill. Henl. Catania, Augusta, Siracusa, aprile-maggio 1902. (50) Calliobothrium filicolle, Zscliokke. Comune nella valvola spirale del Mustelus vulgaris, Muli. Henl. , della Torpedo ocellata , Bel., della Haja clorata , Bond. del Myliobatis aquila, 0. Dumer. » Catania, giugno 1900, maggio 1902. Fani. Pliyllorliyiicliidae CtEN. Rhynchobothrium, Rudolphi (51) Rhynchobothrium corollatum, Rudolphi. Raro nella valvola intestinale dell’ Acantliias vulgaris , Riss. Catania, aprile 1902. (52) Rhynchobothrium paleaceum, Rudolphi. Qualche rara volta ed in esiguo numero incistato fra i mu- scoli branchiali e sotto il cuore del Muìlus barbatus , Linn. Catania, Aei-Trezza, agosto 1902. (53) Rhynchobothrium gracile, Wageuer. Oltremodo frequente ed in numerossimi esemplari nel fe- gato deir Orthagoriscus mola, Schneid. In tali casi il fegato acquista un aspetto sui generis. La superficie, ricoperta dalla glis- soniana, ha un colorito marrone chiaro e presentasi tempestata da rilievi aventi un aspetto veramente di bolle. Tale glissoniana Primo contributo allo studio della Fauna elmi litologica dei Pesci ecc. 15 è poco aderente al tessuto epatico sottostante , in modo da po- tersi quasi sollevare. Togliendola, grossolanamente come si può, comparisce una quantità veramente stragrande di corpicciuoli ro- tondeggianti, grossi quanto un grosso cece o poco più ed infos- sati nel tessuto epatico sottostante. Ognuno di questi corpicciuoli ha, come appendice, un cordoncino vermiforme incuneato nel tes- suto sottostante, il quale va diritto per un piccolo tratto, poi fa delle curve in certo qual modo sinuose, per finire poi ad un tratto a conficcarsi nel parenchima epatico. Staccando qualcuno di tali cordoncini si osserva che ha una struttura debolissima. Tacendo con un bisturi un taglio del fegato, si osserva che esso è tutto finamente tramezzato da tali corpicciuoli con le relative appendici. Catania, aprile, maggio, novembre 1902. (54) Rhynchobothrium smaridum. Pintner. In pochi esemplari e con una certa frequenza nella cavità peritoneale della J Piena vulgaris , Cuv. e della Jlaena osbeekn, Cuv . Catania, agosto, novembre 1902. Ctex. Tetk,arhynchus, Rudolphi it (55) Tetrarhynchus tetrabotrhium, Van-Benedeu. Qualche raro esemplare nell’ intestino del Mustelus vulgaris , Miill-Henl. Rarissimo, allo stato larvale, nel ventricolo del Pe- lamys sarda, Ouv. Catania, giugno 1900 ; aprile, giugno 1902. (56) Tetrarhynchus erinaceus, Van-Beneden. In rari esemplari adulti e liberi nell’ intestino della Raja cimata , Rond. — Qualche rarissimo esemplare incistato nei mu- scoli e nel peritoneo del Gadus minutus , Linn. — In rari esem- 16 Dottori P. Barbagallo e U. Drago [Memoria III.] plari racchiusi in cisti nerastre nel peritoneo del Lopliim pisca- torius , Linn. Catania, aprile 1902. (57) Tetrarhynchus rajae clavatae, Wagener. Se ne rinviene qualche raro esemplare avvolto ognuno in sottilissima cisti aderente alla parete del ventricolo della Raja clavata Rond. Catania, aprile 1902. (58) Tetrarhynchus attenuatus, Eudolphi. Erequente in alcuni esemplari aderenti alle branchie e al- F intestino retto dello Xiphias gladins, Linn. Messina, maggio 1902. (59) Tetrarhynchus scombri, Diesiug. Raramente in vari esemplari incapsulati aderenti all' appen- dice pilorica dello Scomber scombrus, Linn. Catania, maggio 1902. (60) Tetrarhynchus sp. In discreto numero di cisti alla parete esterna dell’ intesti- no dello Epinephaelus gigas, Bloch. Catania, giugno 1900. FORME LARVALI Scolex, Miiller (61) Scolex polymorphus, Eudolphi. Erequente ed in discreto numero di esemplari nell’intestino dei seguenti pesci: Torpedo marmorata , Riss., Torpedo ocellata, Bel. , Engraulis encr assich olus, Cuv., Conger vulgaris, Cuv., Solea vulgaris, Cuv., Belone acns, Riss., Gobius niger, Linn., Gobins jozo , Primo contributo allo studio della Fauna elmintologica dei Pesci eco. 17 Limi., Mullus barbatus , Limi., Trigla corax, Bp., Apogon imberbis, Lacèp., Umbrina cirrhosa , Cuv. , IÀcliia gltmcus , Cuv., Xipliias gladius, Limi., Pagrus vulgaris, Cuv. , Smaris gàgàrèllà , C. Y. Baro nel ventricolo del Pagrus vulgaris, Ouv. Catania, giugno 1900, aprile-novembre 1902. ORBO NEMATGDA Fani. Ascari dae (Ien. Ascaris , Limi. (62) Ascaris adunca, Rudolplii. Erequente in rari esemplari nell’ intestino del Pagellus ery- thrinus, Ouv. Catania, luglio 1902. (63) Ascaris incurva, Rudolphi. Barissimo nella prima porzione dell’ intestino e nello sto- maco dello Xiphias gladius , Limi. Messina, maggio 1902. (64 j Ascaris clavata, Rudolplii. In rari esemplari nello stomaco e nell’ intestino del Conger vulgaris, Ouv. e del Merlucius vulgaris , Cuv. Catania, Augusta, giugno 1900, luglio 1902. FORME EMBRIONALI E LARVALI. (65) Ascaris belones vulgaris, Wedl. Qualche raro esemplare in cisti addossate alla mucosa in- testinale del Belone acus, Bisso. Catania, agosto 1902. Atti Acc. Serie 4a, Vol. XVII — Mera. III. 3 18 Dottori P. Barbagallo e U. Drago [Memoria III.J (66) Ascaris capsularia, Budolphi. Tanto allo stato embrionale , quanto allo stato larvale in numerosi esemplari or racchiusi in una tenue cisti discoidale at- torcigliati a spirale, or liberi in tutti gli organi della cavità ad- dominale dei seguenti pesci : Conger vulgaris , Cuv. , Merlucim vulgaris , Cuv. , Trigla corax , Bp. , Scomber colias, Grnel. , Auxis bisus, Raf. , Trachurus trachurus, Cuv., Lepidopus argyreus, Cuv. Allo stato larvale in una grande quantità di esemplari alla pa- rete esterna dello stomaco del Saurus fasciatila , Riss. liberi ed alcuni aggrovigliati. Catania, aprile, novembre 1902. Capo Passaro, maggio 1903. (67) Ascaris engraulidis , Stossicli. In rari esemplari aderenti agli organi della cavità addomi- nale dell ' Engraulis encrassicholus, Cuv. e àc\Y Aiosa sardina, Risso. Catania, Augusta, aprile, giugno 1902. (68) Ascaris Wedli, Stossich. Raro nella cavità addominale del Miillus barbatus, Linn. Catania, Aci-Trezza, aprile 1902. (69) Ascaris papilligerum, Diesing. In diversi esemplari nello stomaco e nell’ intestino dello incomber scombrus , Linn. Catania, maggio 1902. (70) Ascaris scombrorum, Stossich. Qualche raro esemplare nella cavità addominale dello Scom- ber colias , Linn. e del Pelamys salala, Cuv. Catania, maggio, giugno, luglio 1902. Primo contributo allo studio della Fauna elmintologica dei Pesci ecc. 19 (71) Ascaris sparoidum , Diesiug. In discreto numero di esemplari nella cavità addominale dei seguenti pesci : Box boops, Cuv., Obietta melamira, Ouv., /Smaris gàgàrèllà, C. V. Catania, Ognina, giugno, agosto 1902. (72) Ascaris petromyzi , Linstow. Rarissimo nell’ intestino del Petromyzon marinus, Linn. Catania, Aci-Trezza, maggio 1902. (73) Ascaris lichiae glaucae , Diesing. Rarissimo ed aderente agli organi della cavità addominale della Licliia glaucus, Cuv. Catania, settembre 1902. (74) Ascaris sp. Una sola volta, fra le molte osservazioni eseguite sui visceri della Baja clavata , Rond., si rinvengono aderenti leggermente alle pareti del ventricolo due piccole cisti della grossezza di una capocchia di spillo, di colorito bianco leggermente tendente al gialliccio, contenenti ciascuna un esemplare di Ascaris in forma veramente embrionale. Stante tale stato è riuscito infruttuoso il tentare un ulteriore esame. Catania, aprile 1902. (75) Ascaris sp. Pra le molte interiora di Xiphias gladius, Linn. a varie ri- prese esaminate, una volta si ebbe l’occasione di riscontrare alcune cisti perlacee della grossezza di un piccolo pisello addossate alle pareti intestinali contenenti un po’ di liquido biancastro, in mezzo al quale nuotava una forma embrionale di Ascaris. Per la sua incompleta struttura non se ne potè eseguire un ulteriore esame. Messina, maggio 1902. 20 Dottori P. Barbagallo e U. Drago [Memoria III.] (76) Ascaris sp. dell’intestino retto di un Tliynnus brachypterus , C. V. rin- vengonsi alcune cisti bianco-grigiastredure, non trasparenti, della grossezza di un piccolo pisello. In ognuna yì si racchiudeva una piccolissima forma veramente embrionale di Ascaris, della quale riuscì vano ogni tentativo di descrizione. S.a Panagia (Siracusa), giugno 1902 (77) Ascaris sp. dell’ intestino tenue di un Exocoetus volitans, Linn. in mezzo al muco si riscontrano due sole cisti di colorito biancastro, rac- chiudenti ognuna una piccolissima forma embrionale di Ascaris. Per tale conseguenza non se ne potè fare una descrizione. Riposto, settembre 1902. FORME INQUIRENDE (78) Ascaris affinis, Orley. Oltremodo raro nello stomaco del Mustelus et Henl. Catania, giugno 1900. vulgaris , Miill, (79) Ascaris bramae, Beneden. Rarissimo nell’ intestino e nello stomaco Schneid. Catania, giugno 1900. del Brama rayi. (80) Ascaris phycidis, Rudolphi. Raro nelle appendici piloriche e nell’ intestino del Pliycis mediterraneus , Riss. Aci-Trezza , giugno 1900. (81) Ascaris succisa, Rudolplii. Poco frequente nell’ intestino del Maja clavata , Rond. Catania, aprile 1902. Primo contributo allo studio della Fauna elmintologica dei Pesci ecc. 21 GtEjst. Dacistitis, Dujardin (82) Dacnitis foveolatus, Rudolphi. Raro nell’ intestino del Phycis mediterraneus, Riss. e del Dentex vulgaris, Cut. Catania, maggio 1902, giugno 1900. (Fani. Cueullantdae Gen. Cucullaxus , O. E. Miiller (83) Cucullanus orthagorisci , Rudolphi. Oltremodo raro nell’ intestino dell’ Ortficigoriscus mola , Sctm. Catania, novembre 1902. ORDO ACANTHOCEPHALA Geist. Echiiyorhyrchus, O. E. Miiller. (84) Echinorhynchus agilis, Rudolphi. In rarissimi esemplari nell’ intestino del Mugli cephalus, Guy. Pantani della Piana di Catania, Lago di Lentini, Golfo di Catania, agosto 1902. (85) Echinorhynchus propinquus, Dujardiu. In discreto numero di esemplari nell’ intestino del Gobius jozo, Linn. Raro nell’ intestino del Gobius niger, Linn. Rarissimo nell’ intestino dell’ Timbrimi cirrhosa , Cut. e della Trigla lyra, Linn. Catania, aprile, luglio, agosto, dicembre 1902. (86) Echinorhynchus lateralis, Moliu. Piuttosto raro nell’ intestino del Belone aeus, Riss. Catania, agosto 1902. 22 Dottori P. Barb agallo e U. Drago [Memoria III.] (87) Echinorhynchus pristis, Rudolphi. Abbastanza raro nell’ intestino del Belone acus, Riss. e dello Scomber colias, Gmel. Catania, agosto 1902. (88) Echinorhynchus vasculosus, Rudolphi. Rarissimo nell’ intestino del Pliycis mediterraneus, Riss. Catania, agosto 1902, (89) Echinorhynchus angustatus, Rudolphi. Rarissimo nell’ intestino dell1 Anguilla vidgaris , Turt. Lago di Lentini, Pantani della Piana di Catania, dicembre 1902. (90) Echinorhynchus sp. Qualche esemplare nello stomaco del Pomatomus telescopium , Riss. Messina, maggio 1903. (91) Echinorhynchus sp. In discreto numero di esemplari piccoli di colorito giallo- rossastro, infissi nella mucosa dello stomaco del Xiphias gladius , Linn. Messina, maggio 1902. Primo contributo allo studio della Fauna elmintologica dei Pesci ecc. 23 Riassunto schematico dei Pesci della Sicilia orientale riscontrati infetti da Elminti. Petromyzonidae 1. Petromyzon marinus, Limi. Ascaris petromyzi , Linstow LXXII. Intestino. Mustelidae 2. Mustelus vulgaris. Muli, et Heul. Anthobothrium musteli, Van-Beu. . . . XLII. Intestino. Phyllobothrium lactuca, Van-Ben. . . . XLIV. id. Calliobothrium coronatimi, Rud XLIX. id. Calliobothrium filicolle, Zschokke . . . . L. Valvola spirale. Tetrarhynchus tetrabothrium, Van-Ben. . . LV. Intestino. Spinacidae 3. Acanthias vulgaris Riss. Rhynchobothrium corollatum, Rud. . . . LI. Intestino. Squatinidae 4. Squatina angelus , Dum. Phyllobothrium tridax, Van-Ben. . . . XLIII. Pliche intestinali. Rynobatidae 5. Rhynobatus columnae , M. H. Phyllobothrium gracile, Wedl XLV. Intestino. Torpedidae 6. Torpedo marmorata , Ri ss. Phyllobothrium gracile, Wedl XLV. Valvola spirale. Scolex polymorphus, Rad LXI . id. 7. Torpedo ocellata , Bel. Echinostoma cesticillus, Mol XXVII. Pliche intestinali Scolex polymorphus, Rud LXI. id. Rajidae 8. Raja clavata, Rond. Echeneibothrium variabile , Van-Ben. . . XLVIII. Intestino. Tetrarhynchus erinaceus, Van-Ben. . . . LVI. id. Tetrarhynchus rajae clavatae, Wagener . . LVII. id. 24 Dottori P. Barbagatto e U. Drago [Memoria III. | Calliobothrium fi li colle, Zsehokke . . . . L. Ascaris sp LXXIV. Ascaris succisa, Rud. LXXXI. Myliobatidae 9. Myttobatis aquila , 0. Dumér. Echeneìbotlirium myliobatis aquilae, Wedl . XLVI. Calliobothrium filicolle, Zsehokke . L. Trygonidae 10. Trygon pastinaca, Cuv. Echeneibothrium minimum, Van-Ben . . . XL VII. Clupeidae 11. Aiosa sardina, Riss. Apoblema Stossichii, Monticelli X. Ascaris engraulidis, Stossich LXVII. 12. Engraulis encrassicholus , Cuv. Scoler polymorphus, Rud LXI. Ascaris engraulidis, Stossich LXVII. Cyprinidae 13. Tinca vulgaris , Cuv. Echinostoma perlatum, Nordinauu. . . . XXVI. Ligula simplietssima, Rud XLI. Scopeiidae 14. Saurus fasciatus, Riss. Ascaris capsularia, Rudolphi LVI. Anguillidae 15. Anguilla vulgaris, Turt. Apoblema rufoviride, Rud IX. Taenia macrocepliala, Creplin XXXV. Echinorhynchus propinquus, Duj .... LXXXV. Echinorhynclius angustatus, Rud. . . . LXXXIX. 16. Conger vulgaris, Cuv. Apoblema rufoviride , Rud IX. Scolex polymorphus , Rud LXI. Ascaris clavata, Rud LXIV. Ascaris capsularia, Rud LXVI. Valvola spirale Ventricolo Intestino Intestino Valvola spirale Valvola spirale Esofago-Stoinaco Cavità addominale Intestino Cavità addominale Intestino Cavità addominale Parete esterna dello stomaco Stomaco Intestino id. id. Stomaco Intestino tenue V entricolo-I ntestino Cavità addominale Primo contributo allo studio della Fauna elmintologica dei Pesci eco. 25 Gadidae 17. Gadus minutus , Liim. Tetrarhynchus erinaceus, Van-Beu. . . . LVI. 18. Merlucius vulgaris, Cuv. Bothriocephalus crassiceps, Bud XXXVIII. Scolex polymorphus, Bud LXI. Ascari s t lavata, Bud LXIV. Ascari s capsularia, Bud. ...... LVI. 19. Phycis mediterraneus. Riss. Ascaris phycidis, Bud LXXX. Dacnitis foveolatus, Bud LXXXII. Echinorhynchus vasculosus, Bud LXXXV1II. Pleuronectidae 20. Solea vulgaris , Cuv. Podocotyle furcatum, Brems V. Scolex polymorphus, Bud LXI. Labridae 21. Crenilabrvs coeruleus , Riss. Distoma fasciatura , Bud XIX. 22. Iulis pavo, Hasselq. Distoma sp XXII. Exocoetidae 23. Belone acus, Riss. Podocotyle retroflexum, Mol VII. Scolex polymorphus, Bud LXI. Ascaris beloues vulgaris, Wedl LXV. Echinorhynchus lateralis, Mol LXXXVI. Eehinorhynchus pristis, Bud LXXXVII. 24. Exocoetus volitaÉs , Limi. Podocotyle retroflexum, Mol VII. Ascaris sp LXXVII. Orthagoriscidae 25. Orthagoriscus mola , Scliueid. Podocotyle contortimi, Bud I. Podocotyle macrocotyle, Dies IL Echio osi orna nigroflavum, Bud XXV. Peritoneo-Muscoli Intestino id. Ventricolo-Intestino Cavità addominale Intestino- Appendici pi loriche Intestino id. Intestino id. Intestino Stomaco Intestino id. Mucosa intestinale Intestino id. Intestino Mucosa intestinale Branchie-P alato Intestino rotto Ventricolo. Atti Acc. Serie 4a, Vol. XVII - Mem. III. 4 26 Dottori P. Barbagallo e U. Drago [Memoria III.] Echinostoma lydiae, Stoss XXVIII. Anchistrocephalus microcephalus, Rud. . . XXXVII. Rhynchóbofhrium gracilis, Wagener . . . LXII. Cueullanus orthagorisci, Rud LXXXIII. Lophiidae 26. Lophius piscatorius , Linn. Apóblema appendiculatum, Rud .... Vili. Tetrarhynchus erinaceus, Van-Ben. . . . LVI. 27. Gobius jozo, Liuu. Gobiidae Distoma pulchellum, Rud XV. Agamodistoma valdeinflatum, Stoss. . . . XXIX. Scolex polymorphus, Rud LXI. Echìnorhynchus propinquus, Duj. . . . LXXXV. 28. Gobius niger, Linn. Scolex polymorphus, Rud LXI. Echìnorhynchus propinquus, Duj. . . . LXXXV. Mullidae 29. Mullus surmuletus , Linn. Podocotyle furcatum , Brems V. 30. Mullus barbatus , Linn. Bhynchobothrium paleaceum, Rud. . . . LII. Scolex polymorphus, Rud LXI. Ascaris Wedli, Stoss LXVIII. Triglidae 31. Trigla corax , Linn. Scolex polymorphus , Rud LXI. Ascaris capsularia, Rud LXVI. 32. Scorpaena lutea , Riss. Distoma scorpaenae, Rud. ...... XVIII. 33. Trigla lyra Linn. Echìnorhynchus propinquus, Duj. . . . LXXXV. Percidae 34. Labrax lupus , Cuv. Distoma làbracis, Duj XVI. 35. Serranus scriba , C. Y. Distoma fasciatum , Rud XIX. Intestiuo. id. Fegato Iutestiuo Veutricolo. Intestino Peritoueo Intestino Cavità addominale Intestino id. Intestino id. Intestino Muscoli brancliiali-Cuore Intestino Peritoneo Iutestiuo id. Intestino Intestino Intestino Iutestiuo Primo contributo allo studio della Fauna elmintologìca dei Pesci ecc. 27 36. Epinephaelus gigas , Bloch. Tetrarhynchus sp LX. 37. Apogon imber bis, Lacép. Seolex polymorphns, Rud LXI. 38. Pomatomus telescopium , Riss. Echinorhynchus sp XC. Sciaenidae 39. Timbrino cirrhosa , Cuv. Distoma umbrinae, Stoss XIII. Echinostoma cesticillus, Molili XXVII. Seolex polymorphus, Rud LXI. Echinorhynchus propinquus, Duj. . . . LXXXV. Scombridae 40. incomber scomber, Lina. Apoblema appenditi alatimi, Rud Vili. Distoma bacillare, Moliu XX. Tetrarhynchus scombri, Dies LIX. Ascaris papilligerum, Dies LXIX. 41. incomber colias , G-mel. Apoblema appendiculatum , Rud VII. Ascaris capsularia, Rud LXVI. Ascaris scombrorum, Stoss LXX. Echinorhynchus pristis, Rud LXXXVII. 42. Auxis bisus, Ratin. Ascaris capsularia, Rud LXVI. 43. Thynnus mdgaris , Ouv. Didymozoon thynni, Tascheuberg .... XXX. 44. Thynnus brachypterus, C. V. Ascaris sp LXXVI. 45. Pelamys sarda, Cuv. Distoma clavatum, Rud XXI. Tetrarhynchus tetrabothrium, Van-Beu. . . LV. Ascaris scombrorum, Stoss LXX. 46. Trachurus tradurr us , Cuv. Distoma sp XXIII. Ascaris capsularia, Rud LXVI. Parete estero» dell’intestiuo Intestino Stomaco Intestino id. id. id. V entricolo-Intestino Intestino Appendice pilorica Stomaco-Intestino Stomaco Cavità addominale id. Intestino Cavità addominale Branchie Intestiuo retto Ventricolo id. id. Ventricolo Cavità addominale 28 Dottori P. Barbagallo e 0. Drago [Memoria III.] 47. Lichia glaucus, Guy. Seolex polymorphus, Rnd LXI. Ascaris lichiae glaucae, Dies LXXVIII. 48. Lichia amia , Limi. Apoblema appendiculatum, Rud Vili. 49. Seriola . Damerini, Riss. Echinostóma cesticillns, Molili XXVII. 50. Bramai rayi , Schneid. Ascaris bramar, Beneden LXXIX. 51. Centrolophus pompilius, Ouv. Diplogonoporus wagenerì, Monticelli . . . XXXVI. 52. Xiphias gladius, Limi. Bothriotaenia plicata, Rud XL. Tetrarhynchus attenuatus, Rud LXXVIII. Seolex polymorplms, Rud LXI. Ascaris incurva, Rnd LXIII. Ascaris, sp LXXV. Echinorhynchus sp XCI. Trichiuridae 53. Lepidopus argyreus, (Juv. Ascaris capsularia, Rud LXVI. Sparidae 54. Box boops , Ouv. Distoma ascidia, Rud XI V. Seolex polymorplms, Rud LXI. Ascaris sparoidum, Dies LXXI. 55. Box salpa , Ouv. Podocolyle fractum, Rud HI. Monostoma orbiculare, Rud XXXII. Monostoma capitellatum, Rud XXXIII. Monostoma spinosissimum, Stoss. . . . XXXIV 56. Oblata melamira, Ouv. Distoma brusinae, Stoss XI. Monostoma orbiculare, Rud XXXIII. Ascaris sparoidum, Dies LXXI. 57. Pagellus erythrinus, Ouv. Distoma niicracanthum, Stoss XVII. Ascaris adunca, Rud LXII. Intestino Cavità addominale Ventricolo Intestino Stomaco-Tntestino Intestino. Intestino retto Branchie-Intestino retto Intestino. Porz. pilorica dello stomaco Pareti intestinali Intestino Cavità addominale. Intestino. Intestino. Cavità addominale Intestino id. id. id. Cloaca Intestino Cavità addominale Intestino id. Primo contributo allo studio della Fauna elmintologica dei Pesci ecc. 29 58. Pagellus mormyrus , Limi. Distoma mormyri, Stoss XII. Intestino. 59. Pagrus vulgaris , C. V. Distoma ascidia , Rud XIV. Intestino. Scolex polymorphus , Rud LXI. Ventricolo. 80. Crysophrys aurata, Limi. Podocotyle pedicellatum, Stoss IV. Intestino. 61. Dentex vulgaris , Cuv. Dactìitis foveolatus, Rud LXXXII. Intestino. Maenidae. 62. Maena vulgaris , Cuv. Rfiynchobothrium smaridum , Pintuer . . . LIV. Cavità addominale. 63. Maena osbekii , Cuv. Rhynchohothrium smaridum , Pintner . . . LIV. Cavità addominale. 64. Smaris gàgàrèllà, C. V. Scolex polymorphus, Rud LXI. Intestino. Ascaris sparoidum. Dies LXXI. Cavità peritoneale. Mugilidae 65. Mugil cephalus , Cuv. Podocotyle pachisomum, Eisenli VI. Distoma sp XXIV. Echin orhynchus agilis, Rud LXXXIV. Intestino. Cuore. Intestino. Sphyrenidae 66. Sphyraena vulgaris , C. V. Didymozoon sphyraenae, Taschenberg . . XXXI. Mucosa boccale. INDICE ALFABETICO N. d. specie Agamodistoma valdeinflatum, Stossicli ..... 29 Anchistrocephalus microcephalus, Rudolph i .... 37 Anthobothrium musteli, Van- Beo eden ..... 42 Apoblema appendiculatum, Rudolplii ..... 8 » rufoviride, Rudolphi ...... 9 » stossichii, Monticelli ...... 10 30 Dottori P. Barbagallo e U. Drago [Memoria III.] N. d. specie Ascaris adunca , Rudolpki ....... 62 » affinis , Orley ........ 78 » belones vulgaris, Wedl ...... 65 » bramae, Van-Beueden ....... 79 » capsularia, Rudolpki ....... 66 » clavata, Rudolphi ....... 64 » engraulidis , Stossick ....... 67 » incurva , Rudolpki ....... 63 » Udirne glaucae, Diesing . . . . . . 73 » papilligerum, Diesing ....... 69 » petromyzi, Linstow ....... 72 » phycidis, Rudolplii ....... 80 » scombroruni, Stossick ....... 70 » sparoidum , Diesing ....... 71 » succisa, Rudolpki . . . . . . . SI » Wedlii , Stossick ........ 68 Ascaris sp. .......... 74 Ascaris sp. .......... 75 Ascaris sp. .......... 76 Ascaris sp. .......... 77 Bothriocephalus belones, Dujardin. ...... 39 » crassiceps , Rudolpki ...... 38 Bothriotaenia plicata, Rudolpki ....... 40 Calliobotkrium coronatimi, Rudolpki ...... 49 » filicolle, Zsckokke. ...... 50 (Jucullanus orthagorisci, Rudolpki ...... 83 Dacnitis foveolatus , Rudolpki . . . . . . . 82 Didomozoon sphyraenae , Tasckenberg ...... 31 » thynni , Tasckenberg ...... 30 Dyplogonoporus icageneri, Monticelli ...... 36 Distoma ascidia, Rudolpki ........ 14 » bacillare, Molin ........ 20 » brusinae, Stossick ........ 11 » clavatum , Rudolpki . . . . . . . 21 » fasciatavi, Rudolpki ....... 19 » labracis, Dujardin ........ 16 » micracanthum, Stossick ... .... 17 » mormyri, Stossick ........ 12 Primo contributo allo studio della Fauna elmintologica dei Pesci ecc. 31 N. <1. specie Distoma pulchellum , Rudolphi ....... 15 » scorpaenae , Rudolphi ....... 18 » umbrinae, Stossich ....... 13 Distoma sp. .......... 22 Distoma sp. .......... 23 Distoma sp. .......... 24 Echeneibotlirium minimum, Van-JBeneden . . . . . 47 » myliobatis aquilae, Wedl ..... 46 » variabile, Yan-Benedeu ..... 48 Echinorhynchus angustatus, Rudolphi ...... 89 » agilis, Rudolphi ....... 84 » lateralis, Moliu . . . . . . . 86 » pristis, Rudolphi ...... 87 » propinquus , Dujardiu ...... 85 » vasculosus , Rudolphi ...... 88 Echinorhynchus sp. ......... 90 Echinorhynchus sp. . . . . . . . . 91 Ecliinostoma cesticillus, Moliu ....... 27 » lydiae, Stossich ....... 28 » migroflavum , Rudolphi ...... 25 » perlatum, Rudolphi ....... 26 Ligula semplicissima, Rudolphi ....... 41 Monostoma capitellatum, Rudolphi ...... 33 » orbiculare , Rudolphi ....... 32 » spinosissimum , Stossich ...... 34 Phyllobothrium gracile, Wedl ....... 45 » lactuca, Yan-Benedeu ...... 44 » tridax, Yan-Beneden ...... 43 Podocotyle contortavi, Rudolphi ....... 1 » fractum, Rudolphi ....... 3 » furcatum, Bremser ....... 5 » m acrocotyle, Diesi ng ....... 2 » pachisomum , Eiseiih ....... 6 » pedicellatum, Stossich ....... 4 » retroflexum, Molin ....... 7 Rhynchobothrium corollatum, Rudolphi. . . . . . 51 » gracile, Wagener ...... 53 » paleaceum, Rudolphi ...... 52 32 Dottori P. Barbagallo e U. Drago [Memoria III.] N. d. specie Rliynchobothrium smaridum , Pintuer ...... 54 Scolex polymorphus, Rudolphi ....... 61 Taenia macrocephala, Oleplin ....... 35 Tetrarhyncìius attenuatus , Rudolphi ...... 58 » erinaceus , Vau-Beneden ...... 56 » r«yae clavatae , Wagener. . . . . . 57 » scombri, Diesiug ....... 59 » tetrabotlirium, Van-Beneden ..... 55 Tetrarhyncìius sp. ........ 60 Memoria IV, Sulla teoria delle forme quadratiche Hermitiane e dei sistemi di tali forme. Memoria del Prof. GUIDO FUBINI È ben noto come le ricerche di Klein, Poincaré, Bianchi e Ericke condussero , per mezzo della teoria delle trasformazioni per raggi vettori reciproci del piano ossia della teoria delle tra- sformazioni lineari di una variabile complessa, ad un nuovo metodo per risolvere il celebre problema di riconoscere se due forme quadratiche a due , a tre , a quattro variabili sono equi- valenti ed in caso affermativo di trovare tutte le trasformazioni che portano l’una nell’ altra. È scopo di una parte del presente lavoro lo studiare da questo punto di Arista la teoria delle forme quadratiche ad un numero qualsiasi n di variabili , che per mezzo di una trasfor- mazione lineare reale si possono ricondurre ad uno dei due tipi : «f + 4 • • • + 4-2 + 4-. ± 4 e dei sistemi di forme di questi tipi. > Anche qui vedremo che ad ogni tale forma corrisponde un gruppo di trasformazioni conformi, che (se vale il segno +) è finito, nel caso opposto è infinito ed opera in uno spazio ad n — 2 dimensioni. Troveremo così anche un metodo generale per definire aritmeticamente infiniti gruppi di trasformazioni con- formi, la cui determinazione, come è ben chiaro, si collega in- timamente all’ importante problema della costruzione dei gruppi finiti di proiettività. Al caso di sistemi di forme quadratiche vedremo invece Atti Acc. Serie 4a, Voi.. XVII - Mera. IV 1 2 Prof. Guido Fubini [Memoria IV.] corrispondere dei gruppi di trasformazioni conformi, anzi di puri movimenti per spazii, che però non sono più, come 1’ euclideo, a curvatura costante. L’ introduzione di queste nuove metriche è tutt’ altro che una cosa semplicemente formale : essa permette di ricorrere al- 1’ intuizione ed ai procedimenti della geometria per risolvere una questione algebrica. In un’ ultima parte del presente lavoro fac- cio sommariamente lo studio delle forme Hermitiane e delle pro- prietà fondamentali delle metriche e dei gruppi corrispondenti , di cui qualche caso particolare soltanto fu finora studiato. La teoria dei gruppi discontinui viene così estesa in nuovi e gene- ralissimi campi. § 1. — Consideriamo in uno spazio ad un numero qualunque m di dimensioni un gruppo di trasformazioni conformi, di cui nessuna infinitesima ; come sappiamo per un noto teorema di Liouville tali trasformazioni per in > 2 non sono che prodotti di movimenti e di inversioni per raggi vettori reciproci; se m= 2 noi ci restringeremo alla considerazione delle trasformazioni con- formi di questa natura. Come è ben noto dal caso di in = 2, può darsi che un tal gruppo sia impropriamente discontinuo ossia che nell’ intorno di ogni punto esistano coppie equivalenti di punti; è però chiaro che se noi immaginiamo il gruppo operante non sui punti dello spazio ma su altre varietà convenientemente scelte come elementi generatori dello spazio, allora il gruppo diventerà propriamente discontinuo, ossia trasformerà una ge- nerica di queste varietà in un’altra varietà a distanza finita da quella. Così p. es., come noi dimostreremo in generale, ogni grup- po di trasformazioni conformi, di cui nessuna sia infinitesima opera in modo impropriamente discontinuo nello spazio, quando per esempio si prendano come elementi generatori di questo an- ziché i punti di esso , le sue sfere oppure le coppie de’ suoi punti. Possiamo anche generalizzando un noto artifìcio di Poincaré, Sìdia teoria delle forme quadratiche Rermitiane ecc. 3 ricorrere al fatto già osservato da Klein che il gruppo delle trasformazioni proiettive di una quadrica Q in se è isomorfo al gruppo delle trasformazioni conformi di uno spazio euclideo ed è anzi simile a quest’ ultimo se si pensa al gruppo come operante sui punti di Q. Noi possiamo così al nostro gruppo sostituire un gruppo di proiettività in uno spazio Nm+1 a m + 1 dimensioni, che lasciano fissa una quadrica ; è questo appunto il principio, che stabilisce in generale la relazione, che lega la teoria dei gruppi conformi alla teoria delle forme quadriclie. Sia dunque in /Sm un gruppo conforme senza trasformazioni infinitesime e sia /Sm+l uno spazio che contiene /Sm. Consideriamo uno dei semispazii, in cui jSm divide $m+ 1- Per ogni punto A di questo semispazio passeranno m iper- sfere col centro in /Srn , che taglieranno jSm in altre ccm ipersfere subordinate. Una operazione T del nostro gruppo trasformerà queste ul- time oom ipersfere di 8m in altre oom ipersfere di 8 m , per ognuno delle quali passa una ed una sola ipersfera di 8m+1 che abbia comune con essa il centro. Le oc™ ipersfere di 8m+1 così determinate passano tutte, come è facile dimostrare per uno stesso punto A' del semispa- zio considerato e che noi considereremo come il trasformato di A. Ad ogni trasformazione T del nostro gruppo corrisponde così una trasformazione in sè del nostro semispazio, che è facile riconoscere conforme ; se anzi noi consideriamo in questo semi- spazio rappresentato conformemente uno spazio R a curvatura costante negativa, del cui assoluto lo spazio 8m sia 1’ immagine, noi vediame facilmente che queste trasformazioni non sono che F immagine di movimenti di R. Noi dimostreremo che un gruppo di movimenti per uno spazio a curvatura costante , che non contenga trasformazioni infinitesime, è propriamente discontinuo e ne verrà così dimo- 4 Prof. Guido Fubini [Memoria IV.J strato che il nostro gruppo (che per ipotesi non ha trasforma- zioni infinitesime) è propriamente discontinuo, quando lo si con- sideri operante sul semispazio Sm+1 ; di più, poiché ad una geo- detica od a un iperpiano di JR corrispondono rispettivamente nel nostro semispazio un cerchio od una ipersfera che tagliano ortoganalmente jSm in una coppia di punti o in una ipersfera e viceversa, ne verrà pure dimostrato che il nostro gruppo opera in modo propriamente discontinuo anche in , purché si pensi Sm come luogo delle sue sfere oppure come luogo delle coppie de’ suoi punti. Se anzi noi pensiamo lo spazio P generato dai suoi piani anziché dai suoi punti, possiamo dire che in sostanza 1’ artifìcio di Poincaré si riduce a considerare Sm come luogo di sfere; osservazione questa, che mette il suddetto artifizio sotto una nuova luce e ne fa vedere meglio 1’ intima essenza. Viceversa a ogni gruppo discontinuo di movimenti di uno spazio a curvatura costante si può nel modo succitato far cor- rispondere un gruppo di trasformazioni conformi per uno spazio euclideo ; nei primi paragrafi seguenti ci volgeremo allo studio di tali gruppi di movimenti, dedicandoci anzitutto allo studio dei singoli movimenti, o in altre parole allo studio delle proiettività che lasciano fìssa una quadrica. § 2. — Sia z'i — h bik zk (i, li — 1, 2,... ri) una proiettività P che lasci fissa una forma quadrica Q non degenere a n variabili e sia + 1 il suo determinante | bik |. Come è ben noto I bifc — e.ft p I — 0 dove eik è uguale a uno oppure nullo, secondo che i , le sono uguali o no tra di loro , è la cosidetta equazione caratteristica della proiettività stessa. A ogni radice pt di questa equazione corrisponde uno spazio lineare di punti che la proiettività lascia fìssi, spazio definito dalle equazioni Pi Zi = £ bu. z,c (v, fc = l, 2, . . . . n). h Sulla teoria delle forme quadratiche Hermitiane ecc. 5 ¥oi diciamo che una radice Pl è generale quando il numero delle dimensioni di questo spazio è uguale all’ordine della mol- tiplicità di questa radice diminuito di 1. Ricordiamo poi che ogni trasformazione lineare sulle variabili non muta le radici dell’ equazione caratteristica. Usiamo di una tale trasformazione ( a determinante 1 ) per ridurre la forma Q al tipo k {z\ -\- -j- z2n) (k — cost.) Sarà allora la nostra trasformazione una trasformazione or- togonale ; siano Pl , P2 due radici uguali o distinte della nostra equazione caratteristica e siano = ( z\....x'n ), A2= ( z[ z’l....z"a) due punti corrispondenti rispettivamente all’ una e all’ altra delle due radici, punti che se Pl = Pg possono anche coincidere. Sarà Pi 4 = - hik 4 ; p2 4 = - ^ ih 4 K h e perciò pi p* S z\ Zi = ^ bih bih z'K zi = S [ S bik bih zh z'l . i k,h Li Poiché la trasformazione è ortogonale, avremo in line : Pi p2 S z'i z- = S zL z[ Ì l ossia (Pi P* — 1) S Zi z'i — 0. i Se perciò PlP2 =|= 1 sarà : z\ z'- — 0 ossia : k Se due punti lasciati fissi da P corrispondono a due radici uguali o distinte non reciproche , essi sono coniugati rispetto alla quadrica Q = 0. Un punto lasciato fìsso da P corrispondente a una radice dif- ferente da + 1 è coniugato di se stesso ossia giace su Q = 0. 6 Prof. Guido Fubini [Memoria IV.] Con una trasformazione lineare è ben noto che noi possia- mo ridurre la proiettività P a particolari forme canoniche. Per chiarezza a una proietti vita su m variabili del tipo z\ ~ a zi se m — 1 oppure z'i=a («!+»?) ; z'2 — a («2+«3); • • ; z'm- , = « (*m-i+*w) ; *« = « *« se m > 1 dove a = costante , daremo il nome di proiettività ad m cicli di radice a : un noto teorema ci dice che data una proiettività qualunque noi con un cambiamento di coordinate potremo ri- durla al prodotto di più proiettività ad uno o più cicli tutte operanti su variabili indipendenti e distinte , le cui radici sono precisamente le radici dell’equazione caratteristica. Quelli poi di questi cicli , che corrispondono a una radice generale dell’ equazione si possono supporre tutti ad un sol ter- mine. Consideriamo due cicli corrispondenti a due radici p, , p2 non reciproche, distinte o no. Siano (#, Zp) e (sp+1 zq) le variabili da cui dipen- dono rispettivamente ; sarà : z[ — pt (zi ~j- z2) ; ; zp_y = Pl ifp— 1 ~~ I- ~p) 1 ~ p P i ~p 1 ~ p+1 P2 (^P+l 2) ? ? ~ q ?2 ^1' Prendiamo quelli dei termini di Q che contengono soltanto variabili dell’ uno o dell’altro di questi due cicli e sia Q' il loro insieme ; sarà : Q' = au Zi zh j,ft= 1 ed evidentemente dovrà essere ^ ih & k 2 h • 1 1 Sostituiamo alle z{, z\ i loro valori, ricordando che pt p2~ |nl, confrontiamo in questa equazione da ambe le parti successiva- Sulla teoria delle forme quadratiche Rermitiane ecc. 7 mente i coefficienti di zi zp+l, zi zp+2 , . . . ; zi zq , z2 zp+l , . . . Troviamo tosto che dx,P+i— ••• = alq = a2P+ 1— • •• — a<2q—...= 0 ossia abbiamo il teorema : aS'c noi prendiamo come variabili quelle , per cui P è ridotta a forma canonica, la forma Q appare somma di più forme par- ziali, ciascuna delle quali non può dipendere che o dalle variabili dei cicli corrispondenti ad una stessa radice , o dalle variabili, da cui dipendono i cicli corrispondenti ad una coppia di radici reci- proche. §3. — Premesse queste osservazioni generali, immaginiamo ora che P, Q siano a coefficienti reali e che Q sia con una tra- sformazione reale riducibile al tipo : Osserveremo die se noi riduciamo P a forma canonica nel modo suesposto, potremo supporre che le variabili, le quali com- pariscono in cicli corrispondenti a radici reali, siano tutte reali, mentre le variabili che compariscono in un ciclo corrispondente a una radice complessa, siano immaginarie coniugate di quelle che compariscano nel ciclo corrispondente alla radice immagi- naria coniugata dell’equazione caratteristica. Osserviamo intanto : Le radici immaginarie dell’equazione caratteristica hanno per modulo V unità. Oltre alle eventuali radici ± 1, /’ equazione caratteristica non ammette altre radici reali , oppure ammette una coppia di radici reali reciproche. Infatti se una radice complessa Pl non avesse 1’ unità per modulo, essa e la sua immaginaria coniugata p2 non sarebbero reciproche ; sia A un punto (immaginario) lasciato fìsso da P corrispondente a Pl e sia A' 1’ immaginario coniugato corrispon- dente a Pa . La retta A A' sarebbe evidentemente reale ; ora h (zi -\- .... -f 4 n— l z2n) . ih = costante). 8 Prof. Guido Fubini [Memokia IV.] ps —\- zt 1, p2 ~|“ zt 1 perché p1 , p2 sono iiumaginarii ; per ipotesi Pi p2 — 1= + 1. Quindi A, A' sarebbero sulla quadriea Q = 0 e sarebbero coniugati rispetto ad essa ; la retta reale AA tocche- rebbe Q = 0 in A e in A' e perciò giacerebbe su Q ; ciò che è assurdo perchè una quadriea del tipo 4 + ---+4-1 ±4 = 0 non contiene rette reali. Esista ora una radice reale p4 =|— zt: 1; a essa corrisponderà almeno un punto reale lasciato fìsso da P posto su Q — 0 ; ma ora due punti reali di Q = 0 non possono essere coniugati, per- chè altrimenti la retta reale che li congiunge giacerebbe su Q — 0 ; quindi per un teorema precedente di radici reali della equazione caratteristica differenti da zt 1 ne esiste o nessuna o una soltanto oppure esiste una coppia di radici reciproche ; ma ora il determinante di ? è ±1; quindi il prodotto di tutte le radici dell’ equazione caratteristica è in valore assoluto uguale a 1 ; poiché le radici immaginarie hanno V unità per modulo, ne viene dunque che anche il prodotto delle sole radici reali è uguale a + 1 in valore assoluto ; e perciò di radici reali diffe- renti da ± 1 non ve ne può essere una soltanto ; e per quanto abbiamo detto o ne esisterà nessuna , oppure esisterà una sola coppia di radici reali reciproche. Se una radice p dell’ equazione caratteristica, reale od imma- ginaria è differente da ± 1, essa è una radice generale , ossia i cicli, che le corrispondono sono ad un sol termine. Infatti se p è immaginaria, esisterà anche la radice imma- ginaria coniugata o — ~ ; se p è reale esisterà per il teorema precedente anche la radice a = gja ; = p (*i + »*) ; «* = p («2 + £ zz) (dove s = 0 , oppure e = 1) un ciclo a più di un termine corri- spondente alla radice p. Sia z'k=éks z,c , oppure z'k — a (% + ^fc+i) un ciclo ad uno o più termini corrispondente alla radice a. Al solito indichiamo con 2 aik zt zk la forma Q ; sarà : Sulla teoria delle forme quadratiche tiermitiaue eco. li 2 aik z'i zk — 1 aik z( zh ; sostituendo per z\ , zk i loro valori , ri- cordando clie P è ridotta a forma canonica e confrontando i coefficienti di zh nei due membri, troviamo bih = i) ossia il punto che ha nulle tutte le coordinate eccetto la si e quello che ha nulle tutte le coordinate eccetto la z,. sono coniugati rispetto alla quadrica Q= 0, pur giacendo, come sappiamo, ambedue sopra Q=() . Ora se p , a sono reali, questi due punti, come già osservammo, sono reali ; se p, a sono immaginarie, essi si posso- no supporre immaginarii coniugati ; in ogni caso dunque la retta che li congiunge è reale ; per un ragionamento già usato essa dovrebbe giacere su Q — 0 ciò che è assurdo. Se V equazione caratteristica ammette radici reali distinte da ± 1, e perciò ne ammette una coppia , queste non soltanto sono generali ma anche sono semplici , ossia ad ognuna di esse corri- sponde un solo punto lasciato fisso da P. Infatti per il teorema precedente una radice reale differen- te da + 1 è generale ; ossia se essa è /r,upla le corrisponde uno spazio lineare, lasciato fìtto da P a k — 1 dimensioni che gia- cerebbe su Q = 0, E poiché Q =- 0 non contiene spazii lineari alo più dimensioni, è /»• — 1. Se il determinante della Pè + l ( — 1) le radici uguali a — 1 sono in numero pari ( dispari ) ; le radici uguali a | 1 sono in numero pari o dispari secondo che il numero delle variabili è pari o dispari ( dispari o pari ). Infatti il prodotto di tutte le radici è uguale evidentemente al determinante della forma ; ora per i teoremi precedenti il prodotto di tutte le radici differenti da + 1 è uguale all’ unità; quindi le radici uguali a — 1 sono in numero pari o dispari secondo che il determinante è -j- 1 o — 1 ; la seconda parte del teorema enunciato resta allora evidente, perchè il numero to- tale delle radici è uguale al numero delle variabili, le radici immaginarie sono (come si sa dalla teoria generale delle equa- zioni algebriche a coefficienti reali) in numero pari e le radici Atti Acc. Serie 4a, Vor,. XVII - Mera. IV 10 Prof. Guido Fubini [Memoria IV.] differenti da + 1 o non esistono, oppure sono in numero di 2. (*) Noi abbiamo visto già che le radici differenti da + 1 sono generali ; vogliamo ora esaminare più particolarmente le radici uguali a ±1. Esista per es. una radice uguale «■ + 1. /Se una radice dell’ equazione caratteristica è p = -f- 1, a essa non possono corrispondere due o più cicli non generali. Siano infatti per es. due cicli non generali : *i — *, + *2 4 = «2 “h 23 4 — */.• + **n 4+i = + zk+ 2 • • • • Sarà al solito — “ dfì; %i Z il — ih Z il • Confrontiamo da una banda e dall’ altra i coefficienti di zx z2 e di zh £ft+1 , zi zk+1. Troviamo tosto aik= au = aKk = 0. E perciò la retta reale luogo dei punti che hanno nulle tutte le coordinate eccetto che la z1 e la zk giace tre Q = 0, ciò che è assurdo. Dunque di cicli a più di un termine ve ne è uno solo al massimo. Ye ne sia uno effettivamente. Io dico che: /Se un ciclo corrispondente alla radice p = 1 ha più di un ter- mine, esso è un ciclo a tre termini. Esista un ciclo a le termini corrispondente alla radice p=l z\=z 1 ; 4-1 — ; 4 = • Dalla forma Q scegliamo quei termini che dipendono sol- tanto dalle variabili di questo ciclo, ossia K “ eXjrs z r zs (*) Come corollario si trae tosto che se il determinante è uguale a -f- 1, e se il nu- mero delle variabili è dispari, esiste almeno una radice uguale a + 1 ; ciò avviene p. es. nel caso che Q — 0 si riduca a una conica, ciò che è del resto ben noto. Sulla teoria delle forme quadratiche Hermitiaue eco. 11 Sarà fi 2 i cf' i s fi 1 2,. ossia Sj [ 2 (a14 zl- -}- «,& «ft) -}- («14 22 --p .... - p -{- | 2 («51 Sj -|- . . . fif- aìk z/t) -j- (a2, z2 -4- .... -|- a2 k_ 4 4“ [ 2 (tf'fc-i.i 0ì^h* • • H- aK-i,n zh) 4“ (rt7{-i,i ^2 4~ • • • 4~ Se noi conveniamo che le a , (li cui un indice sono nulle, troviamo annullando il coefficiente di zt sta espressione che : %aC-l,d + aC-i,cl-l 4“ ^at,d- 1 ~L~ at-i,d-i — ^ oppure, se / = d, 2 «t— i,d + «t-i.d-i — ossia in generale : «c-i,d 4“ ac-i,d-i + aM-i = 0 (t,d — l,2,...,Zr) Sia ora A; pari e precisamente Jf = 2h. Ponendo successivamente : t = 1. d = 2, . . . , le troviamo a± i = a\ 2 ==.... —ai ,._i t = 2, d = 3, . . . , le » £ = 3, d 4 le — 1 » t = li, d = h -j- 1, /( 2, » Ponendo infine : t = h 4~ 1, d «2,2 ■ — «i,ft «3,3 =r == «2,/{— i ah,h — «ft,/t+ 1 ! «/1— 1./H-2 = 0 A 4“ h si trova i = 0 . zk) J 4- 2* I + 1 | r= o* è lo zero, zd in que- = 0 + «2,/c— 1 0 4- a3,k-2 — ^ 12 Prof. Guido Fubini [Memoria JV.| Da tutte queste uguaglianze si trae tosto, cominciando dal- 1’ ultima : ah,/i+ì — «ft— i.ft+2 == • • • • == a2,k— l : ai ,k =z C Di più si ha dalle formule precedenti : «1,1 = •••• = «i,ft— i = o quindi : «1,1 = «1,2 = = «l,ft-l — «1,* = 0 (1) Ora ricordiamo che per i teoremi precedenti i termini di Q che dipendono da z, non possono che dipendere dalle varia- bili corrispondenti alla radice p — 1. Sia p. es. eventualmente zk+x un’ altra variabile corrispondente a questa radice ; per un teorema precedente sarà : zk+ 1 — zh+ 1 • Confrontando nella Q e nella trasformata i coefficienti di z2zk+ 1 si trova tosto — 0. Ripetendo questo ragionamento per ogni altra variabile even- tualmente corrispondente alla radice — )— 1, e ricordando la (1) si trova che Q non dipende da zx ; 0 quindi sarebbe degenere con- tro il supposto. Abbiamo intanto dimostrato che k è dispari. Sia k = 2h -fi. Analogamente a quanto abbiamo fatto testò troviamo suc- cessivamente : «Il = «12 — = «l.ft-l = 0 a22 = a23 — ~ «2,ft-2 — «ift A «2,ft— 1 — 0 °33 —— • • • ■ =: «3,ft— 3 ==: «2,/£— 1 “f «3,ft— 2 «tó — «A,A+1 «A— l,ft-)-3 A «h,7i+2 = 0 ah,h+2 A tfft+l.ft+l = 0 • Sulla teoria delle forme quadratiche Hermitiane eco. 13 Di più si trova, con metodo perfettamente analogo al pre- cedente che oltre ai termini dipendenti solo da z1....zk nessun altro termine può contenere una di queste variabili eccetto che quei termini che ( a meno di un fattore costante ) sono il pro- dotto di zk per un’ altra delle variabili eventualmente corrispon- denti alla radice-)- 1. Indicando queste variabili eventuali con zk+1 , zk+2 avre- mo perciò Q — z2h-\-i [ zl -(- -f- zk_i~\~ ahn zK -)- aKmh+i zh+\ -)- ] H~ z2h [ — '^l,2h+ 1 Zi -j" z3 “b + 202A,2ft_i Z-2h— 1 + azh,zh zVi J + ~b [ di 2«i,2ft+i zh ~b 2%4-2,ft+i ~b a'h 1-2 Zh+2 ] ~b Zà+1 [ -\- ‘lai, 2h+l Z/i+l ] ~b Qi (zn+i • • • • ) ~b Qi dove Ql è una forma quadrica dipendente soltanto dalle altre eventuali variabili zk+1 corrispondenti alla radice -f- 1, Q2 di- pende invece dalle variabili corrispondenti alle altre eventuali radici differenti da + 1. Non può essere alk — 0 perchè altrimenti Q non dipende- rebbe da z1 , e sarebbe perciò degenere. Possiamo quindi pren- dere come nuove coordinate al posto di zi , z2 zh rispettiva- mente le : yi — 2 alk zi ~b ~b ^an-i,ii zn-i ~b ann zn “b an,k+ i zk+i -J- Vì— 2ai hz, -j- . . . . ~b 2a3> 2h Zg j ....-)- 2aìh'ìh_i z2h- 1 + a.2)li2h z.2h V h — di 2aij2ft+i zh ~b 2afe+2,fe+i zh+ 1 + ah+2,n+2 zn+i • Ed avremo perciò : Q —— z%h+ 1 Vi ~~b zìh Vi ~b • • • • ~b zh+ 2 Un ~b azh+i ~b Qi ~b 14 Prof. Guido Fubini [Memoria IV.] dove a è una costante (+2 alk), zh+1 . . . zk; y t... yh sono coordi- nate reali, Qx, Q2 sono forme qnadriche reali che non dipendono dalle y1 . . . yh zh+1 . . . zk . Ora /?> 0 per ipotesi; sia se è possibile />>! ossia 2/r l>^-j-*2 allora ricordando che ogni termine Zi yn-i+ 1 {i , h- j- 2) si può scrivere ^ («,■ + .Vft-t+i)2 j- (2, — «/*-i+i)! vediamo che la Q conterrebbe, quando fosse ridotta a somme o differenze di quadrati , almeno due quadrati di segno opposto a quello degli altri e non sarebbe perciò riducibile, per la nota legge d’ inerzia delle forme quadriche al tipo l' (ar® — (— .... — (— i — 2* ) (li — costante). È dunque perciò // — 1, ossia 1- — 3 c. d. d. Osserviamo ora che quanto si è detto per una eventuale radice p = -f- P vale anche per la radice p= — 1. Infatti se noi mutiamo tutti i coefficienti della nostra proiettività, essa resta sempre una proiettività che trasforma in sè la forma quadri oa Q. Ricordiamo che le radici complesse dell1 equazione caratte- ristica sono generali ed hanno per modulo F unità. Consideria- mo una coppia di radici immaginarie coniugate ; come sappiamo a ciascuna di esse corrisponderanno cicli a un solo termine ; siano xx ...xh le variabili dei cicli corrispondenti alla prima; e siano yx y2 • • • yh le immaginarie coniugate corrispondenti alla seconda. Poiché le due radici non sono chiaramente radici qua- drate di -(- 1 potremo scrivere Sulla teoria delle forme quadratiche Rermitiane eco. 15 dove Q2 è una forma quadrica indipendente dalle x, ... xM y( .. .y k mentre Qy è una forma quadrica del tipo a Qi ^ au xt yj . 1 Tanto Qy che Q2 sono necessariamente reali ; perciò atì sono reali, le an sono immaginarie coniugate delle au ( i , l=lx 2, . . . , Jc). Io dico che si può suppore an =|“ 0. Infatti non tutte le an , «i2 , «i3,..., «u possono essere nulle, perchè altrimenti Qy e quindi anche Q sarebbero degeneri. Cosicché se «u = 0 si può supporre che p. es. a12 -|- 0 e quindi anche che «21 — |- 0. Le quantità immaginarie coniugate «12, «2 1 non siano puramente immagi- narie ; facciamo un cambiamento di variabili ponendo Xy — xi x2 — X2 Xi x3 = x3 . . . . xh = xk .vi = Ih ih — Vi — .Vi Ih = Ih y'u = Un e sopprimendo quindi gli indici, ciò che è evidentemente lecito; allora nella forma quadrica Q , così trasformata il coefficiente di Xy i)y non è più nullo. Se poi a12 , «21 fossero puramente im- maginarie si ponga Xy = Xi X2 ~ X2 Ì X{ X-y — x3 . . . . xh = xk y\ = Vi ih = ih - ì ih = y3 — v'k — Un, sopprimendo poi gli indici, (col che sempre x{ , y{ restano im- maginarie coniugate); nella forma Qy così trasformata è «n njr 0. Supponiamo dunque an =|= 0. Potremo allora scrivere Qy = an (Xy -f ( flM h + ---:_ + ^xh\ / ^ a18 y, + .... + a» yA j \ «u / ' «il I ( d2l X2 .... -|- ttftì xk ) (a, 2 ?/; -f- • • • • -f- Vìi ) «il h + - «y Vj ÌJ=2 16 Prof. Guido Fubini [Memoria IV. | Con un cangiamento di coordinate potremo prendere come nuove coordinate (evidentemente ancora immaginarie coniugale) xi , jf le espressioni ^ | a2i *2 “f- • • • • + akl xti al2 y-i - r ■ • • • -)“ alk Vk x\ 1 - ? Ih -\- — - ail aii col che, mutando leggermente le notazioni, avremo : h Q\ = «ii xi ih f S arj Xi y, ',1 = 2 k < Ripetendo per la forma li ai:j x{ //, i ragionamenti teste usati *\>= 2 per Q j e così continuando troviamo che possiamo scrivere: Qx = an xi ili + «22 x2 H% 1 I akk xm Vk dove le x{ sono immaginarie coniugate alle y{ e le nu sono reali. Scriviamo perciò x{ = + i u\ , yi = z{ — i u\ e avremo Qi — l «« ( A -f wì ) i Poiché in Q e quindi anche in Q non più di un quadrato può avere segno opposto agli altri (quando le dette forme siano ridotti a somme o differenze di quadrati) saranno le au (se ii> 1) tutte di uno stesso segno, ossia Qx sarà una forma definita. Esista ora una coppia di radici reali reciproche, differenti da ± 1. E siano p. es. xl yl le variabili reali loro corrispondenti; sarà Q = % xì yx + Q2 , dove Q2 non dipende da xx, yx. Posto xx — zx + wx , yx = zx — wx abbiamo Q = a.n (z\ — w\) j Q2 Scriviamo ora la forma Q sotto la forma di somma di più forme parziali, una delle quali dipenda dalle variabili corrispon- denti alle radici complesse dell1 equazione caratteristica (se ve Sulla teoria delle forme quadratiche Hermitiane eco. 17 ne sono) , un’ altra dalle Tariabili corrispondenti alla eventuale coppia di radici reali reciproche distinte da + 1, un’ altra dalle variabili corrispondenti alla eventuale radice + 1, un’altra dalle variabili corrispondenti alla eventuale radice — 1. Sia Q indefinita del tipo iperbolico ossia del tipo a (zf -j- .... -f- i — 3») (a = cost.) ; allora di tutte queste forme parziali essendo la prima (se esiste) definita, e le ultime due cer- tamente indefinite, come abbiamo visto , se la radice corrispon- dente -f- 1 (oppure — 1) non è generale, e la seconda essendo sempre indefinita abbiamo : Lì equazione caratteristica ammette sempre almeno una radice reale. Dei seguenti tre casi due non possono avvenire contemporanea- mente : a ) Che esista una radice + 1 non generale P) Che esista una radice — 1 non generale •f) Che esista una coppia di rei dici reali reciproche distinte da + 1. Studiamo ancora un momento il caso che la radice -(- 1 sia singolare : analoghi ragionamenti si potrebbero fare per la radice — 1. Sia *ì = + «2 ** = + «3 *3 = *3 il ciclo a tre termini corrispondente. Si verifica tosto che la forma quadrica Q sarà del tipo (a meno di un fattore costante) n n Q = x\ — x3 (2xt -f- x2) + x3 £ a3i xt -f- 2 aik xt xh . 4. 4 donde si verifica che il piano = 0 è il piano tangente alla quadrica nel punto x2 = x3 — xA = .... = 0 (lasciato fisso da P ). Ricordando i teoremi precedenti, abbiamo dunque soltanto possibili le seguenti categorie di proiettività reali che possano lasciar fissa una delle nostre quadriche : A ) Le radici dell’ equazione caratteristiche distinte da Atti Acc. Serie 4a, Vol. XVII — Mem. IV. 3 18 Prof. Guido Fubini [Memoria IV.] + 1 sono 2K radici complesse (Ki> 0) a due a due immagi- narie coniugate, di modulo uno, tutte generali. Le radici uguali a + 1 sono generali. A queste trasformazioni noi daremo il nome di proiettività K ellittiche (ni>2Ef>0). B ) Non vi è alcuna radice distinta da + 1 ; vi è un solo ciclo a più di un termine, e perciò a tre termini, corrispon- dente a una delle radici + 1. Una tale trasformazione si dirà parabolica. C ) Oltre a delle eventuali radici generali uguali a + 1 (esistenti certamente se n > 2) esiste soltanto una coppia di radici reali semplici generali reciproche distinte da + 1. Una tale trasformazione si dirà iperbolica. JD) Tutte le proiettività di altro tipo si diranno lossodro- miche ; esse si possono suddividere in due categorie : 1°) Esistono 2 K radici complesse (K i> 1) (di modulo 1, generali , a due a due immaginarie coniugate), una coppia di radici reali semplici generali reciproche (distinte da + 1) ed eventualmente ancora delle radici uguali a + 1 tutte generali. A una tale trasformazione daremo il nome di Kellittico-iper- bolica. II0) Esistono ancora 2 K radici complesse {Ki> 1) (di modulo 1, generali) ; le radici reali sono tutte uguali a + 1 ; a una delle radici + 1 corrisponde un ciclo a tre termini (oltre eventualmente agli altri cicli a un solo termine). A una tale trasformazione daremo il nome di A-ellittico-parabolica. È que- sto F unico caso, che non si possa già incontrare per n = 3 o per n — 4. Noi ora ci chiediamo : Quali di queste trasformazioni pos- sono esistere in un gruppo discontinuo di proiettività trasfor- manti in sè la quadrica ? Poiché in un gruppo insieme a una trasformazione esistono anche le sue potenze e queste formano già di per sè un gruppo , è a tal fine necessario e sufficiente che nessuna potenza della data trasformazione sia infinitesima. Ciò avviene evidentemente per le trasformazioni non ellittiche. Sulla teoria delle forme quadratiche Hermitiane ecc. 19 Esaminiamo perciò soltanto le trasformazioni 8 K ellittiche Siano e — ^^m ($ = 1, 2, ... 7c) le radici immaginarie del- T equazione caratteristica della wesima potenza 8m di 8. Noi sup- porremo come è evidentemente lecito che 0kz , dove k è un numero razionale. E del resto in modo perfettamente analogo si potrebbero studiare le forme quadriehe qualunque di cui fosse data la dif- ferenza tra il numero dei quadrati positivi e negativi, quando esse fossero ridotte a forma normale. Xoi non entreremo però in queste discussioni. Immaginiamo ora la quadrica Q = 0 presa come assoluto di una metrica non euclidea iperbolica od ellittica. Prendiamo un punto generico A, che non giaccia cioè su nessuno degli spazii assiali di un movimento ellittico e consideriamo i punti a lui equivalenti per un dato gruppo discontinuo (e quindi pro- priamente discontinuo). Consideriamo attorno ad A quella mi- nima regione poliedrica (limitata da iperpiani) le cui faccie sono piani equidistanti da A e da uno dei punti equivalenti. Un tal poliedro che noi diremo normale gode (come già è ben noto nel caso di n = 4) della proprietà che ogni punto dello spazio è equivalente a un punto del poliedro stesso e che ogni punto del poliedro non è equivalente a nessun altro punto del poliedro stesso, fatta eccezione dei punti posti sulle faccie che sono in generale a due a due equivalenti. Le trasformazioni che por- tano una faccia nella faccia equivalente si possono assumere a trasformazioni generatrici del gruppo. In una parola, detto po- liedro è un campo fondamentale per il nostro gruppo e lo de- finisce completamente. Su questi poliedri si possono ripetere quasi tutte le considerazioni che si fanno nel caso n = 4. La genera- lizzazione è immediata. Noi ci accontenteremo di esporre som- mariamente qualche punto fondamentale più difficile, special- mente importante per la formazione effettiva nei singoli casi dei nostri poliedri. Il caso che la metrica sia ellittica conduce al problema dei gruppi discontinui finiti, che noi ora trascuriamo come più seni- 22 Prof. Guido Fubini [Memokia IV.] Studiamo dunque il caso che la metrica sia iperbolica e precisamente esaminiamo il comportamento del gruppo sulla qua- drica Q — 0. Ciò ha uno speciale interesse, perchè se noi im- maginiamo rappresentato conformemente il nostro spazio su un semispazio euclideo, la Q = 0 viene rappresentata sull1 iperpia- no limite e il nostro gruppo diventa su un tale iperpiano un gruppo conforme: lo studio nostro coincide con lo studio dei gruppi conformi. Si può dimostrare quasi come per n — 4 che : Il gruppo è impropriamente discontinuo o su tutta la varietà Q — 0 a « n — 2 » dimensioni oppure soltanto su varietà Y su- bordinate a non piu che « n — 3 » dimensioni. Yel secondo caso queste varietà Y dividono la quadrica Q in una, o in due , o in infinite porzioni su cui il gruppo e propriamente discontinuo. Que- sto secondo caso, che è V unico che dia origine a gruppi conformi propriamente discontinui è caratterizzato dal fatto che un poliedro generatore del gruppo o ha qualche faccia su Q — 0 o ha qualche porzione esterna alla quadrica Q = 0. La rappresentazione del nostro spazio su un semispazio euclideo è però utile anche nel caso che sull’ iperpiano limite (su Q =■ 0) il gruppo operi in modo impropriamente discontinuo per una migliore visione delle proprietà del gruppo ; in tal caso ancora il campo fondamentale si può limitare con sfere e piani normali al piano limite. E, quando è possibile, è utile anche qui 1’ ampliamento del gruppo aggiungendo al gruppo una in- versione per raggi vettori reciproci. Y eniamo ora alle applicazioni aritmetiche. Sia Q — 0 una forma del tipo iperbolico a coefficienti intieri. Si cerchino tutte le proiettività a coefficienti interi che la trasformano in se. Esse formano evidentemente un gruppo non contenente alcuna trasformazione infinitesima e perciò certamente propriamente discontinuo per i nostri teoremi. Si potrà per esso costruire un poliedro fondamentale corrispondente o col metodo testé svolto oppure col metodo cui ora noi accenneremo. ‘Con- sideriamo cioè oltre alle proiettività di prima specie trasformanti Sulla teoria delle forme quadratiche Hermitiane ecc. 23 in sè la Q anche quelle di seconda specie e in particolare (con linguaggio geometrico) anche le omologie armoniche (a coeffi- cienti intieri) (lascianti perciò fisso un piano e il suo polo ri- spetto Q - = 0) trasformanti in sè la Q. Tutte queste omologie o genereranno tutto il gruppo (così ampliato) aritmetico riprodut- tore di Q oppure un suo sottogruppo f. Cerchiamo ora un poliedro limitato da iperpiani fissi per qualcuna di queste omologie e non intersecato da nessun altro di tali iperpiani. Esso sarà un poliedro generatore di V ; spez- zando tale poliedro opportunamente in parti si risale quindi a un poliedro fondamentale per il gruppo dato. Indichiamo ora lo svolgimento effettivo dei calcoli. Sia dunque Q = - aiK xt xk do- ve le aik sono intieri e sia il aik xL xhi ì)rn — A Aik hi bk f> 0. Poiché Q < 0 caratterizza i punti interni è A<0 e perciò 2 Aih bt bk < 0. i,h Consideriamo ora V omologia armonica definita da P1 it. Sia (yf un punto qualunque A, A' = (.//') il corrispondente, B = (zt) il punto in cui A P incontra %. Avremo: (1) yi = \xi-\- et y’i = yt — 2X xL dove X è definito dalla S bL Zi = S b, y i — X S b, xL — 0. 24 Prof. Guido Fubini [Memoria IV ] Ricordando i valori di x{ si trova così S Vi 1 bi bn Au,, i,Tc e per le (1) si ha (2) H'i = Vi 2 l bi y, v \ h V — 7 7 — 7 — -™-lk Uk 2. A ik bi b/i n Dovendo la proiettività (2) essere a coefficienti interi ra- zionali , saranno razionali i rapporti delle b{ e potremo perciò supporre che le b{ siano numeri interi razionali, primi tra di loro. 2 X Acii b/t ^ Di piu 5 bi dovrà essere un numero intero, qualunque E Aui bi bi t siano gli indici i, t. Ma ora, essendo le prime tra di loro, nessun fattore primo di 2 Alk bL bh può dividere tutte le ; perciò 2 Aek be bh dovrà dividere tutti i numeri 2 2 Aik bh qualunque sia i e perciò anche 2 2 au 2 Aik bk= 2 A br Poiché le bL sono interi primi k tra di loro, 2 Aik bt bk sarà perciò un divisore (come sappiamo negativo ) del numero (pure negativo) 2 A. Siano (a=l, i divisori negativi di 2 A. Avremo perciò per ognuno di essi il sistema di equazione : 2 Aik b, bk --- %a ih 2 2 Aik bk = 0 ( mod ) li di cui si devono trovare le soluzioni (7q bn ) intere prime tra di loro. Per ogni valore di a e per ogni tale soluzione abbiamo un piano di riflessione, ifoi abbiamo perciò ricondotto una parte (che è spesso la fondamentale) della nostra ricerca alla risolu- zione delle equazioni ( A ) ; la nostra teoria ci dà però un au- silio potentissimo per tale risoluzione. Infatti notiamo che per Sulla teoria delle forme quadratiche Hermitiane ecc. 25 ogni soluzione del sistema (A) è individuata una riflessione di T. Date due tali riflessioni Z7, se ne può trovare una terza P-1 V V e quindi infinite altre; anzi basta trovare le riflessioni i? corrispondenti alle faccie di un poliedro fondamentale di F per potere trovare tutto il gruppo T che è da esso individuato e quindi tutte le altre soluzioni di (J.). La teoria di ( A ) resta così simile alla teoria dell’ equazione di Peli, per cui dalla so- luzione minima si passa a tutte le altre soluzioni. La teoria arit- metica e la teoria dei gruppi si prestano così un vicendevole appoggio. Ora è ben chiaro che date due forme quadratiche del tipo iperbolico, il problema di riconoscerne l’ equivalenza e di trovare in caso affermativo tutte le trasformazioni che portano 1’ una nell’ altra è risoluto bentosto, appena si sappia per ciascuna de- terminato il poliedro fondamentale del gruppo aritmetico ripro- duttore. Infatti costruito in modo analogo per ambedue un polie- dro fondamentale, le due forme saranno equivalenti (o almeno una sarà equivalente a una forma simile all’ altra) allora e al- lora soltanto che esisterà una proiettività P a coefficienti intieri che porta 1’ un nell1 altro i due poliedri fondamentali e le cor- rispondenti trasformazioni generatrici del gruppo ; 1’ esistenza di una tale proiettività si può riconoscere (quando ci fosse) con mezzi assolutamente elementari. Se essa esiste, il prodotto di essa per le trasformazioni del gruppo riproduttore di una delle forme (che è subito noto ap- pena dato il corrispondente poliedro) ci dà tutte le trasforma- zioni che portano una forma nell’ altra. I nostri metodi ci hanno così portato a un mezzo generale per studiare 1’ equivalenza delle nostre forme aritmetiche : e qui si schiuderebbe un ampio campo a ricerche particolari. Noi vo- gliamo dare un esempio di trattazione , costruendo il poliedro fondamentale del gruppo F relativo alla forma : Q — j x\ + x\ -{- xl — Xi SC- ATTI Acc. Serie 4a, Voe. XVII — Mem. IV. 4 26 Prof. Guido Fubini [Memoria IV. | o per usare le precedenti notazioni alla forma Q = 2 Oi -]- o?l -|- ®5). Le espressioni 2A, 21 b{ bk, 22 Aikbh sono nel nostro caso K rispettivamente — 16, — lò? — 1 b\ — 1 b\ + 16 ò4 b5 , — S bv — 8 b2 , — 8 b3, 16?>4, 16Z>5; le (J.) diventano: b\ “j- ^2 -f~ — ±b4 b5 = o (o = 1,2, 4) 2b l = 2b2 = 263 = 4 b4 = 4&. = 0 (moti o) ossia bi-fbl + bl-±b^ b5= ri oppure 1 6? + 61+ - 4 64 65 = 2 (A') oppure } b\ + b\ -f- — 4 bì b. — 4 [ = &2 = &3 = 0 (moti 2) ] Ora in questi e in simili casi è sempre assai comodo, co- me dicemmo ricorrere all’ immagine su un semispazio euclideo. Noi otterremo, si può dire, nel caso attuale Y analogo del gruppo modulare nello spazio a 1 dimensioni. Poniamo zt= — 1 *3 -f-y 0. Il piano 2 b{ =. 0 lia per immagine la sfera ^4 ~T~ ^5 (^1 -f- Zf) l>l Z± -(— s2 -j- 63 «3 (P) che si riduce a un piano se bh — 0. Io dico che il poliedro definito dalle «3 > 0 «i < 4" < 4" *8 ^ 4" — ^3 > 0 *2 2? + zi + 4 + 2^ > 1 da cui anche discende zx > 0, % > 0 è un poliedro fonda- mentale per T. Dimostrato questo, allora poiché nessun punto di Zi = 0 è un punto interno di detto poliedro, troveremo che il nostro gruppo opera sul piano £4 =0 in modo impropriamente discontinuo; troveremo così un gruppo conforme impropriamente discontinuo dello spazio euclideo z4 = 0 a tre dimensioni ; ciò che ci dimostra un’altra volta come la teoria di tali gruppi sia inclusa nelle nostre teorie generali. Per vedere il nostro asserto, dobbiamo dimostrare che nes- suna sfera (P) penetra nell’ interno del nostro poliedro. Ciò è evidente per i piani (P) ossia per quelle ipersuperfìcie (P) per cui è b5 — 0. Se b5 =|= 0 noi lo potremo evidentemente supporre po- sitivo ; se bi fosse negativo allora per le (A') si trova tosto che (p) si riduce alla zi + z\ + z\ + z\ = 1 , che è una faccia del no- stro poliedro ; è dunque Z>4 > 0. Ora per le (7) affinchè una tale sfera penetri nel poliedro deve essere — } I I + I I + I b3 I { > I &5 I + I I donde 28 Prof. Guido Pubini [Memoria IV. | Indicando con 5 uno dei numeri 1, 2, 4 si trova perciò dalle (. A ') : j I I I ^2 I H- I ^3 I { 4= (H ~r ^2 H- °) ossia 2 j I ^2 I H- I ^2 ^3 I I b3 | { > 3 {b\ -j- b\ -[- b\) Io Ora b\ -j- b% A 2 | bl b2 | ; b\ -(- bil 2 | &, b3 | ; -f- b\ 2 | fe3 | donde H~ &2 H- &3 2i I &i ^2 | “1“ I &2 ^3 J H~ I ^3 I e quindi ~b\ -j- ^2 4~ ^3 2) interi non minori di 2. E ne siano xf xf .... x$ (i = 1, 2,...., m) le coordinate di un punto generico. Consideriamo ora m spazii G® G^ a % , n2 , .... nm dimensioni; e siano xf ... x® le coordinate in 8(£ . A ogni pun- to di 8 corrisponderà un punto in ciascuno degli spazii /S{{) ; e viceversa, preso un punto in ciascuno degli spazii 8{i), ne risul- terà definito un punto di . In ciascuna degli spazii /SrC':) (che diremo spazii parziali) definiamo una metrica euclidea oppure ellittica (di Biemann) oppure iperbolica (di Lobacevskij) in modo però che non in più che uno di essi viga una metrica euclidea. Avrà così un significato ben preciso la parola : « distanza di due punti » in uno di questi spazii parziali. Siano ora A , B due punti di 8 e siano A(t) , B{i) i corrispondenti in 8{i) , di cui in- dicheremo con A(i) B(i) la distanza. Noi per definizione assume- remo come distanza A B dei punti A, B la quantità definita da : AB2 = S ( AU) BU) f i=i Chiameremo movimenti dello spazio 8 quelle trastormazioni biunivoche di 8 in sè stesso, che conservano le distanze di due punti quale si vogliano. È ben chiaro che data una trasforma- zione di ciascun 8® in sè stesso ne viene definita una trasfor- mazione di 8 in sè. E pure chiaro che se noi in ciascun 8{i) prendiamo una trasformazione biunivoca che sia per lo 8{i) cor- rispondente un puro movimento , ne sarà definito in 8 un mo- vimento ; il teorema reciproco non è però vero ; perchè se p. es. due degli 8® p. es. 8m, 8{2) sono a un ugual numero di dimen- sioni (ossia % = n2) e vige in essi una stessa metrica lo scam- biare le afp con le xf> corrisponde a un movimento in (8j. Però noi possiamo dimostrare il seguente teorema : Se noi in 8 con- 30 Prof. Guido Pubbli [Memoria IY.] sideriamo soltanto quei movimenti che formano un gruppo con- tinuo generabile da trasformazioni infinitesime, allora essi si pos- sono tutti generare mediante trasformazioni di ciascun 8(r) in sè stesso, che per lo 8® corrispondente sono puri movimenti. Questo teorema che rientra per così dire nella teoria diffe- renziale dei nostri spazii sarà da noi dimostrato più tardi; e noi ce ne serviremo per definire come movimenti di 8 soltanto ap- punto quelli che si possono generare come abbiamo teste detto. Così pure dimostreremo più tardi che il nostro spazio 8 ammette per elemento lineare una forma differenziale quadra- tica, che le geodetiche di 8 hanno per corrispondenti su 8{t) ap- punto le geodetiche di 8® ecc. Per proseguire più spicci , noi lascieremo ora queste pro- prietà secondarie e, basandoci sul significato più ristretto dato da noi alla parola « movimenti » dimostreremo che anche per i nostri spazii vale il teorema : Un gruppo G discontinuo di movimenti ( ossia senza trasfor- mazioni infinitesime ) è propriamente discontinuo ossia ammette un campo fondamentale. Infatti ogni movimento il/ di G è per l’ipotesi fatta prodotto di m movimenti, il/(1), il/(2),..., M{m) in ciascuno degli $(1), 8{2).... S{m) parziali. Se G non fosse propriamente discontinuo, ogni punto A di 8 sarebbe infinitamente vicino a coppie di punti equiva- lenti. Un tal punto A determina m punti J_(1);, ZL(2) ,.... A{m) ne- gli m spazii parziali. Se nell’intorno di A esistono punti equi- valenti ciò per i teoremi già svolti significa che un certo nu- mero dei punti A (i) , p. es. J.(1) fiL(2) ,.... , A (ft) sono infinitamente vicini agli spazii assiali ,?(1) , s{2\ .... , sw di k movimenti ellittici J/(1) , J/(2) ,.... , MM nei singoli spazii parziali corrispondenti a uno stesso movimento M di G , mentre i residui movimenti M{k+1) , .... corrispondenti a M sono infinitesimi. Di più è A; > 0, perchè nessun movimento M di Gè infinitesimo. E per 1’ ipotesi fatta per ogni punto A di S si deve presentare uno di questi casi. Osserviamo però che i casi distinti possibili sono in Sulla teoria delle forme quadratiche Rermitiane eco. 31 numero finito. Infatti essendo 0 < h < m , il numero li può avere un numero finito di valori; i li spazii $(1) , S{2) ,... , JSm essendo da scegliersi tra gli m spazii $(1) , , *S(m) non possono sce- gliersi die tra (™) combinazioni ; di più anche le dimensioni di •S‘(1) , s{2) , .... , essendo minori di % , n2 , .... , nK non possono presentare che un numero finito di casi. Potremo perciò spezza- re S in una o più regioni R per ciascuna delle quali vale la seguente proprietà. Ogni punto A di essa è tale che un certo nu- mero ben determinato li dei suoi punti corrispondenti A(1),....A(A) (li > 0) posti in li determinati spazii parziali $(1) , $(2) ,..., $(ft) sono infinitamente vicini agli spazii assiali .s,(1) , s(2) ... , s{k) ( di determi- nate dimensioni) di movimenti ellittici J/(1) .... corrispondenti a uno stesso movimento Jf di G , mentre J[{k+1> ,...., J/(TO) sono infinitesimi. Alla regione R corrispondono in $(1) .... $(ft) delle regioni R{1)... R{h) in cui gli spazii -s,(1)... s[K) formano un insieme ovunque condensato. Un ragionamento già usato precedentemente dimostra allora 1’ esistenza in G di trasformazioni infinitesime, contro l’i- potesi fatta. • Aoi possiamo quindi in ancora parlare di campi fonda- mentali e possiamo con viste puramente geometriche dare dei mezzi generali per costruirli. Xoi non parleremo qui dell’ am- pliamento per riflessione, che facilmente si potrebbe estendere : daremo invece un cenno dei poliedri normali, ciò che ci darà un’ idea delle superficie con cui in ogni caso possiamo limitare il campo fondamentale. Consideriamo di nuovo un punto A e tutti i punti equivalenti A'. Sia A generico , ossia non venga p. es. lasciato fisso da nessun movimento M di G. Consideria- mo attorno ad A la minima regione R limitata da superficie equidistanti da A e da uno dei punti A'. Essa di nuovo si po- trà chiamare un poliedro normale e ogni punto di jSv ha in R un punto equivalente. Qual’ è la natura delle superficie limi- tanti la R uì Una di esse è caratterizzata dalla proprietà di es- sere equidistante da due punti A, A'. 32 Prof. Guido Fubini [Memoria IV.] Supponiamo p. es. clie tutti gli spazii /S{i) ( i = 1, 2, a?) siano a curvatura costante positiva (negli altri casi si usereb- bero procedimenti analoghi) e in ciascuno di essi usiamo coor- dinate di Weiertrass xf x(£.... x® x{^+ 1 legate dalla .rP .... -j- ^+i = 1. Se con y® e £ (i) indichiamo le coordinate dei punti corrispondenti A, A' avremo come equazione della nostra super- fìcie la [-) 2 m r arcos ( x[l) t/f'-f- -f «(^+1 y/ / p ^ A ir un movimento infinitesimo del nostro spazio , o, se si vuole la x'f1 == (s = una costante infinitesima) trasformi in sè la forma (1) o (1)'. Studiamo dapprima il caso (1) e poniamo per semplicità m — 2 ; per non complicare gli apici poniamo : dx\ (i)'2 dx Ji)2 ds 2 v 1—2 Ji)2 dx^]~ ds'2 dx\ \- dx 1 1 ày\ dvl w2 Xn Vi (1) dove le x sono le coordinate in $(1), le y in Si2). I movimenti in jSw sono le trasformazioni del gruppo di Lie generato dalle : dx/ ’ ’V' dx:j Xj dx,- ’ 2 V— 1 dx. • x Xj dx + (4 • • + 4, — 4) dx, — 2 V' x, xj ~ ( i, j = 2, . . . n, ; i ... |_ j ) 7—2 J dove 2' indica che si deve escludere il valore y = i. Indichiamo queste trasformazioni con A\ A ,... XVy — e le analoghe per jS{2) con >$\ , S2 xSV2 |r2 — . Il più generale movimento ZI richiesto sarà evidentemente del tipo V = S X, •+ v p, 8t dove le r\> sono funzioni delle y, le cp delle x. Basta ora scrivere le note formule di Killing , per trovare che le <];, cp sono co- Prof. Guido Pubini [Memoria IV.] 36 stanti. A risultato analogo si giunge nel caso (1)' ed è così di- mostrato il nostro asserto. Ecco p. es. come si può condurre il calcolo. Nel caso (1) si cominci ad annullare il coefficiente di dxx dy{ in TI (ds2). Si trova facilmente : d±i 9 2/i 9

. Il h-4 fcO . . «j (t>iì ~h b, 2 x2 -f- . • • A *iw1 xnl ) . . »2) dove le a, b sone costanti legate dalle 0il + ftll = a\ì A 2621 — ai3 A 2ft31 — = aln2 A 2fc«2I = 0 A A 2ft2i = ' • • * — ^ln, A 2firn1 1 — 0 bm A ai,u — 0 [® — 2, 3, . . . . n4 ; Tc = 2, 3, . . . . «J Si ponga poi uguale a zero il coefficiente di dxx dyk (k= 2, 3;.... n2) e di dyx dxk (Jc='2, 3,.... nx) in TJ(ds2). Si trova così che tutte le a, le b sono nulle, che nessuna delle

dalle yx. Annullando quindi i coefficienti di dx, dyk (i = 2,... nx) (Jc = 2,... n2) in Z7 (ds2) e tenendo conto dei risultati ottenuti si ha infine che tanto le cp come le <]> sono co- stanti effettive. In modo perfettamente analogo (e anzi più semplice perchè in (1)' le variabili x^ rW hanno un ufficio simmetrico) si compirebbe il calcolo nel caso (1)'. È ora una cosa assai notevole , che i teoremi precedenti svolti nel caso di forme quadratiche continuano per alcuni lati a valere anche per forme Hermitiane : in queste ultime pagine accennerò brevemente alle teorie relative. Già il Picard (Acta Mathematica tomo 1°) studia il gruppo aritmetico riproduttore titilla teoria delle forme quadratiche Hermitiane eoe. 37 di una forma Heruiitiana indefinita in tre variabili x, //, z ; che indica con a x x0 4 p y y0 — y z dove a, fi, y sono interi reali posi- tivi e x0y0, z0 sono le variabili coniugate immaginarie delle x, //, s considera poi come esso opera sui rapporti 11 = — , v = e in- Z Z sieme a esso considera il gruppo immaginario coniugato operante sui rapporti u — — v — — . Posto x = x + i x”, — — y' 4 i y", questi due gruppi definiscono un gruppo reale sulle quattro va- riabili reali x, x", y\ y" trasformante in sèia ipersfera .r'24.r"24 +.y'2 + y'r 2— 1 = 0. Ogni trasformazione del gruppo è del tipo _ 4 u -[- Pi V -|- Ri , _ 3/ , u -[- I-\ v -f m3 u 4 p3 v + r3 ' m3 u 4 p3 v 4 R3 Ora Picard dimostra che se 4, 4, Mt ecc. sono della forma a 4 > b («, b intieri razionali) e se si ha 4 4 h\ m2 K 4 4 4 allora il nostro gruppo è certamente propriamente discontinuo nelle variabili ir, v. Questo teorema che serve a stabilire 1’ esi- stenza di gruppi discontinui definibili aritmeticamente non è che un particolarissimo caso di uno dei seguenti teoremi generalis- simi, che può servire di base, come vedremo in un altro lavoro, anche a importanti teoremi funzionali. Sia data una forma Hermitiana Q riducibile al tipo xy x\ 4 x.2 44 4 <_! — xn 4 (A) in n variabili x{, di cui le x° sono le immaginarie coniugate. 38 Prof. Guido Fubini [Memora IV.] Consideriamo un gruppo di trasformazioni del tipo : x) = I aiK xk (i = 1,2, , »), dove | aih \ = A = 1 (*) (1) k che trasformino in so la detta forma. Allora costiti! ira uno eviden- temente un (frappo anche le trasformazioni u a'i\ 1 **»-! + ain an\ ^*1 — [ — ... - — f— 1 Un- 1 ann (i = 1,2..., n — 1) (2) sulle variabili iij. .... u„_t ; questo (frappo trasformerà in se la ipcr- varietà (nel senso dato dal Prof. Sei /re a questo nome) : £ Uj «v — 1 = 0 i (3) Io dimostrerò che se nessuna delle (2) è infinitesima , allora le (2) f/enereranno un (frappo che è propriamente discontinuo nel campo delle variabili uf , u° . Osserviamo clie la (1) è infinitesima soltanto se i mod (au — 1), mod (aik) (i-\~F) sono infinitesimi. Così pure queste uguaglianze si possono supporre soddisfatte anche se la (3) è infinitesima , essendo A = l. Aggiungiamo che noi sempre porremo (**) Ut = K H- in" ; m- = u, — in" ; (i = 1, 2,...., n — 1) La (3) è perciò la ipersfera u? + nf -f- ili + v':i + — 1 = 0 (L Noi indicheremo con $ il primo membro di (4) e con 8' ciò che esso diventa per una trasformazione (2). Siccome per (*) Qui con | aik | indichiamo il determinante delle (**) Ciò non può generare confusione , nonostante il differente significato dato a. Mo- nella (2). Sulla teoria delle forme quadratiche Hermitiane eco. 39 ipotesi 8' =0, 8 — 0 devono rappresentare una stessa iperva- rietà, si verifica tosto che si ha m od2 (anl uL -j- an, «2 -f + an,n-i ««- 1 + ««« ) La (5) anzi non è che la traduzione in formule della no- stra i potesi. Sviluppando la (5) troviamo (cfr. Picard loc. cit.) , indi- cando con (t°ik le quantità immaginarie coniugate di aik , che: (i — 1» 2, . . . , n — 1) a, i a°n -|- a® afj2 -f- . • • . -j- i uin aoi ==1 — (a„i > = Q, + Q, + •••• + <4 dove Qi (i — 1, 2,...., v) è una forma Hermitiana dipendente soltanto dalle variabili dell’ iesimo gruppo e dalle loro coniugate. Siccome la forma Q è riducibile al tipo (A) di queste forme Ql .... 0V (che diremo forme parziali) non più di una è indefi- nita ; potremo perciò supporre se v > 2 che Q{ -(- .... Qv_x , siano definite ; la Qv poi , se dipende da più che una variabile deve essere pure del tipo (H). Indicheremo ora con Q' la forma Q -f .... -J- $v_! e con Q" la forma (>v . Sarà V = 0 , k > 0). Nel caso delle forme quadriclie 46 Prof. Guido Fubini [Memoria IV.] le proiettività, in cui compariva un ciclo a più di un termine erano soltanto le ellitico-paraboliche : V intuizione geometrica bastava per dirci che una tale proiettività non può portare un punto in un punto infinitamente vicino (nel senso euclideo) a meno die esso sia assai prossimo alla quadrica stessa ossia, nel senso non-euclideo a distanza infinita. Noi vedremo qui ripetersi un fatto analogo , ma poiché la intuizione geometrica è nel nostro caso meno agevole , noi ri- correremo alla trattazione analitica. Siano y'P Vi* y{l) . y(i' y\ f' ; y\ (i ) 7y(0 • yn, i .U'+D „(«'-! >0 quelle delle nostre variabili che corrispondono alla radice p = 1 e compariscono in Q" ; le y'f .... y'f (l — 1, .... , i ) (ne > 1) sieno quelle dell’ Zesim0 ciclo a più di un termine. Indicheremo con « 7] » le variabili immaginarie coniugate. La proiettività P sarà dunque = yiL) + yf ; yP — yP + y'P; ; y%_x — y^.-i + v\u 5 yn, = vn , (* = L •••• fi (m =1,2, .... le) dove noi indichiamo con y i valori trasformati delle y. Se noi esprimiamo che questa proiettività insieme all’ immaginaria co- niugata sulle y trasforma in sè una forma Hermitiana Q" si trova tosto che i termini di essa, i quali contengono la y'f (ff), (e=l,2 non possono ulteriormente contenere che una delle tj™ (y™ ), (m = 1,2,...., i ) e che i termini che dipendono dalla y(i+m) (rf+m)), (m = 1,2,...., Te) non possono ulteriormente dipendere che dalle 'rf+m (yi+m) stesse o dalle tqJ* (yf ), (e = 1,2 Consideriamo ora quei termini T di Q" che contengono una delle Sulla teoria delle forme quadratiche Rermitiane ecc. 47 Per quanto abbiamo visto tra essi compariranno tutti i ter- mini T , cbe contengono una delle y^\ yf\ .... y^. La somma dei citati termini T si può scrivere, come è ben chiaro in uno o più modi sotto la forma rWt] Ai + ''Ìmj A2 I ■ • • • j ‘/j ni Ai ,(2) ,A0 dove le A, sono lineari nelle « y»; anzi, poiché la forma Her- mitiana non è naturalmente riducibile a un numero minore di variabili, le Av A2, A{ considerate come funzioni di y[l).... yf sono indipendenti ; noi perciò pur senza mutare le variabili y$ (li — 2, , ne ; l— 1,2, i) e le variabili i/i+m) (m— 1,2,..., li) potremo assumere le Av A0, , A{ come nuove coordinate (che chiameremo xv x2, , x{) al posto delle y yf ; col che avremo : Q — Qi Qz dove Q[J è una forma Hermitiana, che non contiene le variabili xv , Xi yW yW e je coniugate, mentre Q( è una forma Hermitiana del tipo < + a, x, 7](l) -j- ya) é0; ni ^ 1 Ji) jn-. dove ct, a(f sono immaginarie coniugate delle xix a,. Questa forma Q'( è la somma di i forme parziali del tipo della que- sta forma mutando in xx e quindi a? ^ in diventa ponendo xx— u -)- v, y^ — u — v e quindi ^ — w0-^0; w° — v°, questa forma diventa : ( U -f- V ) (tt° — v°) -j- (u° -|- v°) ( u — v) = 2 ( uu° — vv°) che è indefinita. Essendo per ipotesi la nostra forma di tipo ellittico o iperbolico, è perciò i = 1 (*) e Ql è definita. Avremo perciò che Q = (Q A Qz) A Qi C) Ciò dà un altro risultato per la classificazione delle nostre proiettività : Se le varia- tili di Q" corrispondono a una stessa radice, non vi può essere tra i cicli da esse formate che al piu un solo ciclo a più di un termine. 48 Prof. Guido Fubini [Mkmoiìia IV.] dove le forme Q\ Q'ó e la loro somma sono definite, mentre Q\ è indefinita. Se noi supponiamo, ciò che possiamo ottenere mu- tando caso mai il segno di Q che (/ -f- (/2 sia una forma Her- mitiana definita positiva, allora il valore di Q corrispondente a un punto interno o sul contorno della sfera (4) è rispettivamente negativo o nullo. Se ora noi supponiamo che un punto .1 viene portato in un punto infinitamente vicino (nel senso euclideo) dalla nostra proiettività allora, poiché tutte le // si suppongono finite, è evidente per la forma della proiettività in discorso che la sarà infinitesima. Anche Q'[ è perciò infinitesimo. Se dunque A è interno alla (4) allora, dovendo essere Q negativa ed essendo Q' + Q"2 una forma definita positiva, sarà anche Q' A Q"2 infinitesima e perciò tutte le variabili da cui essa dipende saranno pure infinitesime. Si deduce perciò che Q è infinitesimo e quindi A è nel senso euclideo infinitamente vicino al contorno della sfera (4) ed è perciò a pseudodistanza infinita. Se perciò esiste nella nostra proiettività un ciclo a più termini , essa non può portare un punto a pseudodistanza finita in un punto infinitamente vicino. Tutti i cicli sono perciò a un solo termine. Analoga, se non ancora più semplice, è la discussione nel caso che le variabili di Q" corrispondono a due radici di mo- duli inversi e dello stesso argomento : argomento, che moltipli- cando tutti i coefficienti della nostra proiettività totale per uno stesso fattore si può senz’ altro supporre uguale a 1. E si trova così infine: Se una delle nostre trasformazioni (finite) porta un punto A a pseudodistanza finita in un punto infinitamente vicino, allora o tutte le radici dell’equazione caratteristica sono in modulo uguali all’unità e le variabili corrispondenti formano cicli a un solo ter- mine oppure oltre a eventuali radici cosiffatte esiste una coppia di radici che si possono supporre reali e reciproche infinitamente poco discoste da + 1. Nel primo caso anzi A è evidentemente infinitamente vicino a uno spazio fisso della trasformazione. tiit/la teoria delle forme quadratiche Hermitiane e ce. 49 Il primo caso è analogo alle proiettività ellittiche nel caso delle forme quadrici! e, il secondo a quello delle iperboliche o el- littico-iperboliche, la cui parte iperbolica sia infinitesima. In que- sto secondo caso si dimostra come nel caso delle forine quadri- che che esiste una potenza della trasformazione in discorso che è infinitesima. Dunque, se noi abbiamo un gruppo discontinuo di trasfor- mazioni (2) (senza trasformazioni infinitesime) se esso fosse im- propriamente discontinuo in una regione li a pseudodistanza finita, allora, poiché nessuna potenza di una trasformazione del gruppo può essere infinitesima , ogni punto di li sarà infinita- mente ricino allo spazio fisso di una trasformazione, la cui equa- zione caratteristica ha radici in modulo uguale all’ unità. Come nel caso delle forme quadriche si dimostrerebbe resi- stenza di una trasformazione infinitesima nel gruppo , contro P ipotesi. Considerazioni ancora più semplici possono dimostrare lo stesso fatto nel caso delle forme Hermitiane definite. Dunque : Se un gruppo di trasformazioni (2), di cui nessuna è infinitesima, lascia fissa la sfera (4) esso è propriamente discon- tinuo entro la sfera ( a pseudodistanza finita) . Se la forma Hermitiana ha per coefficienti dai numeri interi di Gauss , e tali sono pure i coefficienti delle proiettività del nostro gruppo, questo gruppo, che allora coincide o col gruppo aritmetico riproduttore della forma o con un suo sottogruppo , non contiene evidentemente trasformazioni infinitesime ed è perciò propria menti' discontinuo. Il secondo è il teorema, che Picard dimostra per n — 3 in un modo piuttosto complicato e che, come si vede, non è che un caso particolarissimo del nostro teorema generale. Il problema che ora noi vogliamo affrontare è la costruzio- ne del campo fondamentale di uno dei nostri gruppi : costruzione, per cui Picard non dà, neppure per il suo caso particolare, nes- sun metodo generale. Per noi ora invece la cosa riesce abba- Atti Acc. Serie 4a, Vox,. XVII — Meni. IV. 50 Prof. Guido Fubini [Memoria IV.] stanza semplice : la pura generalizzazione di quanto abbiamo detto per le forme quadriche riesce anche nel nostro caso. Xoi non daremo che brevi cenni del metodo generale , non volendo parlare delle circostanze secondarie, che facilmente il lettore può riconoscere. Per il nostro scopo è fondamentale il fatto da noi osservato che due punti entro la (4) hanno un invariante, nullo soltanto se i due punti coincidono: la loro pseudodistanza. Con- sideriamo un punto generico A e i suoi trasformati A' , A" per le trasformazioni del gruppo. Essi costituiscono chiaramente una figura invariante per il gruppo. Consideriamo le superficie luogo dei punti equipseudo- distanti da due di questi punti: esse pure costituiranno una fi- gura invariante per il gruppo. Perniiamo la minima figura, che comprende nell’interno il punto A e sia limitata da ipersuper- fìcie della specie su accennata ed eventualmente anche dalla (4). Una tal figura è evidentemente tutta distinta dalle equiva- lenti e con locuzione già usata si potrebbe dire un poliedro nor- male del gruppo. Vedremo ben presto come si possa spesso an- che qui usare di un ampliamento del gruppo con operazioni di seconda specie per costruire un campo fondamentale del gruppo stesso. Molte altre delle considerazioni svolte nel caso delle forme quadriche si applicano al caso attuale. In particolare vale anche qui la osservazione fondamentale che il problema di riconoscere 1’ equivalenza di due forme Hermitiane del solito tipo rientra nel problema generale da noi trattato della costruzione dei campi fondainentali di uno dei nostri gruppi. Se infatti due forme Her- mitiane sono aritmeticamente equivalenti , tali saranno pure i loro gruppi aritmetici riproduttori e i campi fondamentali , co- struiti in modo analogo , di questi gruppi. E viceversa. Per ri- conoscere 1’ equivalenza di due tali forme, basta perciò risolvere il semplicissimo problema di vedere se sono trasformabili l’uno nell’ altro per una trasformazione aritmetica T i campi fonda- mentali, costruiti in modo analogo, dei gruppi aritmetici ripro- trulla teoria delle forme quadratiche Hermitiane ecc. 51 d littori. In caso affermativo il prodotto di T per il gruppo ri- produttore di una delle forine dà tutte le trasformazioni che le portano F una nell’ altra ecc. ecc. Per costruire però tali campi fondamentali in modo sim- metrico può anche qui riuscire assai comodo, piuttosto che ri- correre ai poliedri normali , F ampliare il gruppo (quando è possibile) con certe operazioni che sono analoghe alle riflessioni nel caso delle forme quadriche. Per veder bene che cosa sono queste operazioni osserviamo che la trasformazione xx — — .r? (e quindi = — ,/■() muta la nostra forma in sè stessa. A essa cor- risponde la trasformazione : u\ = — u\ ; u'I — u[ ; — u{ ; n-= u- (i — 2,....) (*). Il prodotto di questa trasformazione per una qual- siasi trasformazione (2) sarà detta una trasformazione di seconda specie o un pseudomovimento di seconda specie. Quando poi un tale pseudomovimento di seconda specie lascia, come la trasfor- mazione citata u\ — — u\ , al = al ecc. fissi tutti i punti di una ipersuperfìcie (che in questo caso è la tu = 0) allora esso si dirà una pseudoriflessione. Per vedere la natura di queste pseudoriflessioni e delle corrispondenti ipersuperfìcie (di pseudo- riflessione) noi noteremo che esse non sono altra cosa che le tra- sformate della fa) u\ = — v\ tt'l = uf u\z=u)- uf = ui (i=ry..) per un qualsiasi pseudomovimento (2) di prima specie. Ora la (a) lascia fìssi i punti della u\ — 0, ipersuperfìcie questa che si può definire dicendo che è il luogo dei punti che hanno nulla la parte reale di ux ossia di Il trasformato di questo luogo per (2) è per- ciò quello, per cui è nulla la parte reale di n— 1 ri— 1 dove naturalmente è 2 au a°u — aln a°ln— 1 2 1 1 S aua°ni — alna°nn — 0. Queste ipersuperfìcie nel nostro spazio rap- i all Wi (li2 u2 &1/ et ni ì(\ 4" an2 u2 ‘I- •••4“ etnn al ■ n. (i9 — — 1 • C) Noi qui indichiamo con una lineetta sovrapposta le variabili trasformate. 52 Prof. Guido Fubini [Memoria IV.] presentativi) sono delle quadriclie. Se noi dunque possiamo am- pliare il nostro gruppo in modo che il gruppo ampliato T con- tenga operazioni di seconda specie , noi potremo con superfìcie di questa natura limitare un poliedro , che sarà campo fonda- mentale o per T o per quel suo sottogruppo di indice minimo generabile con sole pseudoritlessioni. Noi abbiamo così visto il fatto tanto notevole che con me- todi analoghi si può portare la teoria delle nostre forme Her- mitiane alla stessa perfezione della corrispondente teoria delle forme quadriche : ma noi diciamo di più che i metodi e gli ar- tifici da noi usati possono anche servire per la teoria dei siste- mi di forme Hermitiane, come hanno servito per la teoria dei sistemi di forme quadriche. E anche qui useremo procedimenti perfettamente analoghi. Siano date più forme Hermitiane Qx Q2 .... (b e siano .r]0 x$ .... x® (i = 1, 2 ,... v) le variabili corrispondenti. Se Qt —■ #[l) £ ® + .... + ^n\-i + Hnftn (essendo le c; le variabili immagina- rie coniugate delle x) porremo — — u^^iutm = u(f) (/= 1,2, ... v) ^ n ( t = 1, 2, .... nx — 1). Siano le forme Hermitiane o definite o in- definite del tipo precedente. Consideriamo un gruppo G di ope- razione T, ciascuna delle quali risulti dal prodotto di v proiet- tività 1\, T, riproducenti rispettivamente la Qx, la Q2,..., la Qv . Indicheremo nello stesso modo queste trasformazioni scritte sotto forma non omogenea. Noi penseremo ora uno spazio /Sk a Jc = 2 (nx — 1) + 2 (n2 — 1) + ... + 2 (nv — 1) dimensioni, le coordi- nate di un punto del quale siano appunto le ut®, ifi® ( l = 1, 2,... v) (t = 1, 2, .... %)• Ognuna delle nostre forme Hermitiane indefinite ni , (p. es. la Qt) definisce una ipersfera [ t } [ up ]2 + [w'^]2 , — 1 = 0]. C=I Consideriamo ora lo spazio subordinato G2{ri[_1) a Sk in cui tutte le coordinate, fuorché le u® u® sono nulle : noi lo chiameremo lo le3imo spazio parziale. Un punto di /Sk definisce un punto in ciascuno spazio parziale (la sua proiezione su di esso) e vice- versa preso un punto in ciascuno spazio parziale, ne viene de- Sulla teoria delle forme quadratiche Hermitiane eco. oo finito un punto di Sk. Consideriamo ora nell’ 7esimo (l — 1, 2,...v) spazio parziale la ipersfera corrispondente a Qt e quindi quella regione B di Sk, tale che il punto dello spazio parziale 7esimo (l—l, 2,..., v) corrispondente a un suo punto qualunque giaccia entro la ipersfera succitata. Come nel caso analogo dei sistemi di forme quadriche si può dimostrare il teorema: Se il gruppo G non contiene t ras formazioni infinitesime ossia se le trasformazioni parziali T, .... Tv corrispondenti a una stessa trasformazione T di G non sono mai contemporaneamente infini- tesime, allora il gruppo G c entro E propriamente discontinuo. È questo il teorema fondamentale della nostra teoria. E noi ora ci chiediamo : È possibile dare in modo conforme ai metodi precedenti un mezzo per costruire i poliedri normali di un gruppo discontinuo G del tipo considerato ? E ben facile ve- dere che sì. Consideriamo due punti della regione B in Sk di coordinate (ufi, ufi) e (ufi, ufi. A questi due punti corrisponderà in ciascuno spazio par- ziale S-2 {ni— i) una coppia di punti u(l) ifi ; le considerazioni pre- cedenti ci danno per questa coppia di punti un invariante (per tutte le trasformazioni Tf) | ' Bfi- (la loro pseudodistanza rispetto alla ipersfera (fi) infinitesima solo se i punti ufi , n{l) sono in- finitamente vicini. Noi chiameremo pseudodistanza dei due punti iniziali in Sk la | 2 Bfif- : ciò che si giustifica osservando che essa è un invariante per ogni trasformazione T, che è nulla solo se i due punti sono infinitamente vicini e che essa è finita se i due punti sono discosti dal contorno di B. Posto questo si consideri un punto generico A di B e i suoi trasformati per G e si costruiscano le ipersuperfìcie luogo dei punti equipseudo- distanti da due dei punti citati. Consideriamo la minima delle regioni interne a B, contenenti il punto A e limitate da tali ipersuperficie (ed eventualmente forse anche dal contorno di B) : essa si può assumere come poliedro normale del nostro gruppo. La costruzione di tali poliedri serve nel modo già più volte ci- 54 Prof. Guido Fubini [Memoria IV.J tato a studiare i problemi dell’ equivalenza di due sistemi di forme Hermitiane. Noi ora dimostreremo che la presente teoria comprende co- me particolarissimo caso anche lo studio delle forme Hermitia- ne, i cui coefficienti siano interi algebrici in un campo alge- brico qualsiasi. E premettiamo perciò la seguente osservazione. Consideriamo un campo algebrico V reale insieme ai coniugati: co- struiamo una proiettivita P su n variabili a determinante -rie i cui coefficienti siano del tipo a -f- i b , dove a, b sono numeri interi algebrici appartenenti al suddetto campo. (*) Insieme alfa proiettivita P consideriamo le proietti vita coniugate (7 cui coeff- cienti sono rispettivamente i coniugati dei coefficienti analoghi di P). Io dico che tali proiettivita non possono essere contemporanea- mente infinitesime. Se noi ricordiamo infatti le condizioni affinchè una tale proiettivita sia infinitesima, riconosciamo tosto la verità del no- stro asserto, perchè non esiste nessun numero intero algebrico infinitesimo insieme ai numeri coniugati. Consideriamo una forma Ql Hermitiana del solito tipo , i cui coefficienti sieno interi di Gauss (**) in un dato campo F( e consideriamo le forme coniugate espresse tutte in variabili di- stinte. Consideriamo una proiettivita 1\ a determinante -f 1 , trasformante Qì in sè e tutte le proiettivita coniugate. Come abbiamo visto 1’ operazione P che risulta dalla considerazione simultanea di tutte queste proiettivita non può mai essere infi- nitesima. Il gruppo di siffatte operazioni P si dice essere il grup- po aritmetico riproduttore della forma Qi (e delle coniugate). A esso si possono applicare dunque tutte le precedenti conside- razioni. E la costruzione dei poliedri fondamentali può servire nel (*) A numeri di questo tipo si darà da noi il nome di numeri interi di Gauss nel campo considerato. (**) Cfr. nota precedente. Sulla teoria delle forme quadratiche Hermitiane eco. 55 nostro caso per riconoscere se una forma è equivalente a una altra forma Q2 , naturalmente nel senso che una proiettività a coefficienti interi

  • i esse mi occuperò in un lavoro, che si sta ora pubblicando negli Atti dell' Istituto Veneto. In un altro lavoro mi occuperò pure delle applicazioni funzionali delle presenti teorie : esso pure è in corso di stampa negli « Annali di Matematica ». Qui mi accontenterò di enunciare le proprietà e i teoremi più importanti contenuti negli scritti citati , tanto più che io spero che il lettore potrà ricostruirne senza gravi difficoltà le dimostrazioni per mezzo dei concetti fin qui svolti. Nella prima nota dimostro anzitutto che , come le nostre metriche rispetto a forme del tipo x1 -f- .... -f xn_y — x„ (*) Nella mia Memoria : « Sugli spazii a 4 dimensioni eco. » (Annali di Matematica 1903) io sono incorso in una dimenticanza , trascurando di enumerare le metriche qui citate e le analoghe ; ciò, perchè confondendo elementi reali con complessi non ho pensato che delle ipersuperficie complesse invarianti per un gruppo di movimenti anziché geodeticamente pa- rallele potevano in ogni punto essere tangenti al cono di linee di lunghezza nulla . Ricordando questo fatto, i risultati della Memoria citata si completano senz’altro. Sulla, teoria delle forme quadratiche Rermitiane eoe. portano a gruppi discontinui di trasformazioni proiettive sulle variabili — = ut + i i\ (i = 1 2 , .... , n — 1) così si può dire : xn Un gruppo finito di trasformazioni lineari omogenee complesse lascia sempre fissa una forma Hermiticvna definita; (ciò che è già noto) e viceversa un gruppo discontinuo di movimenti nelle metriche definite da una forma Hermitiana definita è finito. Così anche il celebre problema dei gruppi finiti di proiettività è strettamente unito alle nostre metriche, così come la teoria dei gruppi finiti di proiettività reali è connessa con la teoria delle metriche liie- manniane, teoria che servì già al Ctoursat e al Bagnerà per sco- prirne una intera classe. Osservo poi come la metrica rispetto una forma .fi — x2 fi coincide con le metriche pseudosferiche; e ciò perchè i movi- menti di tali metriche vengono, come sappiamo, dati da trasfor- mazioni lineari sulla variabile u. + i v, = — . l l x2 Nel caso di n — 2 le nostre teorie includono così i gruppi fuchsiani e la teoria dei sistemi di forme Hermitiane a 2 varia- bili include perciò le teorie di Hilbert-Blumenthal , dei gruppi iperabeliani di Picard ecc. come casi particolarissimi. Nel caso di n > 3 otteniamo delle metriche allatto nuove. La loro teoria si può svolgere, per semplicità, nel caso di n— 3; i teoremi valgono in generale. Ecco qui le proprietà fondamen- tali e caratteristiche, a cui conduce lo studio del caso n == 3. Posto fi- = u + i v , = n -j- i v9 si ha : Jj assoluto è rappresentato dalV iper sfera (t definita da u‘f V? + u| + vi = 1. A lle rette del piano complesso , in cui , x9 , x3 sono coordinate omogenee corrispondono degli spazii G2 , a due di- mensioni, caratterizzati geometricamente dall’ appoggiarsi a due rette fisse immaginarie coniugate. Per due punti A, B dello spazio am- biente passa perciò uno e un solo di questi Gr2. In ognuno di questi Cf2 la metrica subordinata che ne viene definita è una metrica pseudosferica il cui assiduto è V intersezione I di (f2 con Cf ; i cerchi dei nostri Ci., che tagliano il corrispon- Atti Acc. Serie 4a, Vol. XVII — Meni. IV. X 58 Prof. Guido Fubini [Memora IV. j dente cerchio I ortogonalmente . sono le geodetiche della nostra me- trica ; per due punti A , B dello spazio ambiente passa tino solo di questi cerchi , che incontra Gr in due altri punti C , D. Il lo- garitmo del rapporto anarmonico dei punti A, B, C, I) è a meno d’ un fattore costante la distanza geodetica A B. Di più ognuno degli spazii Cf2 c totalmente geodetico. Per forme Hermitiane definite valgono considerazioni ana- loghe ; queste osservazioni bastano alla concezione geometrica delle nostre metriche , e alla immediata estensione ad esse dei metodi che si seguono per lo studio dei gruppi di movimenti negli spazii a curvatura costante. Darò ora gii enunciati dei teoremi fondamentali per le ap- plicazioni funzionali dei nostri gruppi, che io , come dissi , di- mostro in un altro lavoro. I. Sia dato un qualsiasi sistema £ di forme quadriche dei soliti tipi, di cui n a tre variabili, in a quattro variabili. Le prime di queste forme uguagliate a zero rappresentano delle coniche e sia \ (i=l, 2,... , n) il parametro complesso, che defini- sce i punti della iesitoa di queste coniche. Le seconde delle forme precedenti definiscono delle quadriche ; i parametri che definiscono le generatrici della Psima di queste quadriche (i=l, 2,..., m) si in- dichino con | ì-ì, vi# ( |i. , v8. possono considerarsi come coordinate di un punto della quadrica in discorso). Un gruppo discontinuo che trasformi in se £ definisce un gruppo propriamente discontinuo di trasformazioni lineari sulle variabili [x, v. Esistono sempre delle funzioni analitiche uniformi non costanti di queste variabili X, |x, v invariate per il gruppo in discorso. II. /Sia dato un sistema £ di k forme Hermitiane a ìp A 1 (i = 1, 2,... k) variabili. La ies,ma di tali forme sia del tipo dove le £(1) sono le variabili immaginarie coniugate alle x(i). /Si ponga Sulla teoria delle forme quadratiche Bermitiane ecc. 59 gruppo discontinuo che trasformi S in se definisce un gruppo di- scontinuo di trasformazioni sulle uf . Esistono delle funzioni ana- litiche delle n|l) invarianti per il gruppo. I risultati della presente memoria permettono di dimostrare rapidamente con metodi analoghi a quelli di Poincaré i prece- denti teoremi , che danno la più ampia generalizzazione delle funzioni autom orfe a una o più variabili e che includono in sé tutti i casi finora noti come casi particolarissimi. (*) Nel lavoro citato accenno infine a un’ altra ancora maggiore estensione per i gruppi discontinui di cui ogni trasformazione è il prodotto di una proietti vità su un numero qualsiasi di variabili « v » , di una proiettività su un altro sistema qualunque di variabili « y » e così via. Questo generalissimo caso sembra però non presentare, come i precedenti, tante e così svariate relazioni con problemi algebrici, geometrici, numerici. (*) Osserverò che i teoremi precedenti non stabiliscono che 1’ esistenza di funzioni ana- loghe alle funzioni automorfe : il lettore può del resto riconoscere facilmente che si posso- no costruire funzioni analoghe alle funzioni zeta-fuchsiane di Poincaré, le quali possono essere utili nello studio dei sistemi di equazioni lineari alle derivate parziali, il cui in- tegrale generale dipende da un numero finito di costanti arbitrarie. ( Un caso particolare di tali sistemi è studiato da Picard nel II0 Volume degli Acta Mathematica ). * . ■ . ■ He moria V. A. Ricco e S. Arcidiacono L’ ERUZIONE DELL'ETNA DEL 1892 Parte III. VISITE ALL* APPARATO ERUTTIVO ED AL CRATERE CENTRALE Noi due, accompagnati dal custode Galvagno, abbiamo fat- to 16 visite all* 1 eruzione in corso , altre 20 ne lia fatte Galva- gno solo ; parecchie altre ne abbiamo fatte anche dopo cessata l1 eruzione. Queste visite, oltre a farci conoscere da vicino 1’ apparato eruttivo e le lave, servivano a completare le informazioni che ricevevamo e le osservazioni che facevamo continuamente da Ca- tania coi potentissimi cannocchiali dell’Osservatorio, i- quali riducevano 1’ eruzione all’ apparente distanza di poche centinaia di metri : talché se ne potevano seguire anche i minuti par- ticolari ; favoriti pure dalla circostanza, per noi fortunata , che l1 eruzione si svolse appunto nel versante ^meridionale del vul- cano, rivolto all’ Osservatorio. Durante l1 eruzione abbiamo passato parecchi giorni di se- guito ed anche parecchie notti all’ Osservatorio Etneo , mentre a 1000 m. sotto di noi rumoreggiava l’eruzione, ed a 1000 m. a nord di noi rombava il cratere centrale. Alla fine di ottobre 1892, quando era alquanto scemato il furore dell’eruzione, po- temmo anche fare lassù buone osservazioni astronomiche al grande refrattore, per otto giorni , con cielo splendidissimo, mentre un Atti Acc. Serie 4a, Vot. XVII - Meni. V. 1 2 A. Ricco e iS. Arcidiacono [Memoria V.] campo o strato di nubi, di quando in quando attraversato dalle colonne di fumo sorgenti dall’ eruzione , copriva la Sicilia e ci isolava anche otticamente dal resto del mondo. Nel nostro soggiorno lassù non abbiamo provato altro in- conveniente che delle esalazioni sulfuree soffocanti , abbastanza frequenti, provenienti dal cratere centrale, che ci obbligavano a chiudere ermeticamente 1’ Osservatorio, ed alcune scosse, talora forti ed anche fortissime, le quali però non produssero che effetti insignificanti sul fabbricato solidissimo dell’ Osservatorio. Visite di A. Ricco durante 1’ eruzione. 11 Luglio 1902. — Recatomi a Nicolosi , centro abitato il più vicino all’ eruzione (tre giorni dopo che era scoppiata), per vederla meglio , mi porto ad un km. ad est del paese , sulla via tra Nicolosi e Pedara , al cancello della vigna del Sin- daco Abate, in un punto distante 9 1/2 km. dai crateri erut- tanti. A 4h 30m se ne vedono tre, i quali hanno già formato un cono abbastanza elevato sul terreno circostante: i due superiori lanciano in alto scorie e lapillo incandescenti ; il più basso emette lava : inoltre vi è più in giù ed alquanto a levante, una bocca poco elevata, che pure emette lava. Questa bocca della lava, per essere senza cono rilevato ed in terreno basso , non poteva es- sere vista da Catania, e perciò manca nel disegno fatto all’ Os- servatorio la sera stessa. Diriggo il telespettroscopio, tanto allo interno dei crateri, che sui getti di materiali incandescenti che eruttano, non scorgo alcuna riga lucida ; nessuna di quelle del- l’ idrogeno, a noi famigliari nella osservazione della cromosfera solare; della riga lucida I) del sodio si vedono solo traccio in- certe di inversione. Ritornato in Nicolosi, ricevo le seguenti informazioni dal Sindaco, dal Capo delle guide Etnee e dal Custode dell’ Osser- vatorio Etneo. Queste notizie date subito, mentre erano fresche e vive le impressioni, sarebbero state molto importanti, ma per L ’ eruzione dell’ Etna del 1892 3 la complicazione e variabilità dell’ apparato eruttivo , e per la difficoltà di identificare le varie bocche che apparivano sulle due fratture, e poi *si fondevano tra loro, o scomparivano, non si pos- sono utilizzare tutte per la prima descrizione del fenomeno. Ciò che mi risultò di sicuro è quanto segue. Alle 13h 20m del 9 luglio si formarono parecchie bocche sulla frattura occidentale, che poi si ridussero ad una sola, H (Parte II, Tav. III. Pig. 2), attiva, multipla, formata di 3 a I aggruppate, le quali emisero la prima colata diretta a Monte Paggi; alle llh 30m su di una altra frattura più orientale si formò la bocca che abbiamo chiamata 0, la quale diede la colata principale, di- retta a M.te Aero ; alle 15h si produsse un’ altra bocca A sulla frattura orientale ; e dopo ancora un’altra B. Poscia, più in alto a nord, sulla frattura occidentale si aprì un’altra bocca F , che più tardi si ridusse a semplice fumarola, che dava solo fumo bianco. Da questa relazione risulta che in generale su entrambe le fratture prima si aprirono in basso le bocche emettenti lava, poi più in alto si formarono le bocche che funzionavano come ca- mini del focolare vulcanico, eruttando fumo e materiale sciolto; inoltre emerge che 1’ eruzione cominciò sulla frattura orientale, poi si continuò sulla occidentale. Oltre queste bocche principali , se ne formarono sulle due fratture altre minori, in tutto 15 a 20, che poi in parte hanno cessato d’ agire, come fecero prima o dopo tutte quelle impian- tate sulla frattura occidentale; altre sono state rinchiuse nei tre coni, A, B , C, che tosto si formarono coi materiali eruttati dalla frattura orientale. Nella notte seguente, 9-10, essendosi formato un accumulo di lava fluida sul fianco occidentale di M.te Aero , ne partiva ad lh una colata sinuosa di lava : il che fece credere alla for- mazione di una bocca anche sul detto monte, e ad una esten- sione e gravità dell’ eruzione, ancora maggiore del vero. La prima colata, partita dalle bocche occidentali alle 13 x/2 del 9 luglio , giunse alle 10 del 10 alquanto oltre il piede 4 A. Riccò e 8. Arcidiacono [Memoria V.] orientale di M.te Faggi e si fermò, avendo percorso 2 km. in 21 ore, cioè colla velocità media di circa 120 in. all’ora. L’ altra grande colata, partita dalle bocchi orientali alle ore 14 72 del 9 luglio, incontrato che ebbe M.te Nero, si divise in due rami: a mezzanotte il ramo occidentale era giunto a M.te Ardic.azzi, e l’altro a M.te Gfemmellaro, procedendo rispet- tivamente di 2 km. e 3 km. , colla velocità di 216 a 217 in. all’ ora. Al mattino del 10 luglio la colata più occidentale , era giunta a M.te Concilio, l’altro ramo era arrivato ai Dagalotti dpi Cervi ; a mezzanotte dell’ 11-12 luglio la colata occidentale di- struggeva il pometo di Rinazzi , la orientale era giunta oltre M.te Albano. Abbiamo saputo pure che la scossa avvertita a Nicolosi il giorno 8 luglio alle 22h 30m con direzione N-S, fu forte a Ra- galna, con direzione E-W : produsse la caduta di muri a secco, e qualche danno alle case. Durante la notte del 10 all’ 11 i coni erano molto aumen- tati in grandezza. Dalle 5h a 5b 72 dell’ll luglio molto e denso fumo grigio-oscuro veniva eruttato dal cratere centrale. Nel pomeriggio dello stesso giorno, 11 luglio, partiamo per il così detto teatro delV eruzione e ci dirigiamo al lato di ponente, costeggiando a sud i M.11 Rossi; passati questi, alle 19h ci si presenta la montagna ignivoma in piena attività : dal fianco meridionale staccasi una immensa colonna di fumo diretta quasi orizzontalmente a SW ; i raggi del sole vicino al tramonto la co- lorano in aranciato : un’altra colonna di fumo denso, quasi nero, che esce dalle bocche eruttive con maggior violenza , si dirige quasi verticalmente dietro l’altra colonna; dal cratere centrale sono eruttate masse di denso fumo bianco in globi piccoli, fìtti, a contorno tagliente. Procediamo seguendo il piede occidentale dei monti Ri- nazzi e Concilio : si odono continui rombi, di cui alcuni fortis- simi ; si vede un nuovo braccio di lave più ad Est ; saliamo F eruzione dell’ Etna del 1892 5 per l’ erto pendio del più avanzato a nord dei M.4i Ardicazzi, e arrivati alla cima, alle 21 1/2 , restiamo attoniti innanzi alla scena prodigiosa che ci si spiega davanti. Siamo a due chilome- tri e mezzo dal luogo dell’ eruzione. In alto fiammeggiano tre crateri, A, B , C , di cui quello di mezzo dà un doppio getto di fuoco : a sinistra, cioè a XW, vi è un’ altra piccola bocca poco attiva, F , (Tav. Ili, Eig. 2) appartenente alla frattura occiden- tale. I materiali, lapilli e bombe incandescenti, scagliati vertical- mente e con grande violenza, specialmente del cono B, arrivano fino ad un’altezza, che dall’angolo sotteso, risulta di circa 100 m. Sovrasta a questa batteria una vasta nube color di fuoco , per riflessione, come splendido velario di porpora. In basso si stende a perdita di vista un immenso incendio , una inondazione di fuoco, che nè penna di poeta, nè pennello d’ artista varrebbe a descrivere. Sotto alle bocche una grande cascata ardente preci- pitasi nella sottoposta valle, divisa in rivi di fuoco; dalla caldaia di lava liquida, nel fianco occidentale di M.te Xero, scende tor- tuoso un altro fiume di lava, tutto questo fluido ignescente passa sotto di noi ; lambendo il piede della collina sopra cui siamo e delle altre che seguono verso sud, fino a M.te Ilinazzi. In faccia a noi la colata di levante, dopo aver girato dietro M.te Xero, spunta a sud in forma di una rapida, la quale nella sottoposta valle unendosi alla colata di ponente, ha già formato un immenso cu- mulo, una vera montagna di lava, intersecata da rivoli di fuoco: la quale, scendendo nella pianura a mezzodì, si estende fin da- vanti a M.te Albano. Un’altra larga cascata scende per il Daga- lotto dei Cervi, passando a nord di M.te (ìemmellaro e traver- sando la valle , e si unisce alla corrente di ponente. Infine un altro ramo di lava scorre dietro (ossia a levante) di M.te Grosso e M.te Albano. Una infinità di canali, ruscelli, cascatelle di lava percorro- no velocemente in tutte le direzioni quell’ immenso campo di fuoco : la lava superficiale , già raffreddata e consolidata , viene trascinata dalla corrente liquida e rotola e precipita con un ru- 6 A. Ricco e S. Arcidiacono [Memoria V.J more, uno scroscio continuo, simile a quello della caduta di un mucchio di tegole : pare la rovina causata dalle tremende esplo- sioni di grandi artiglierie cui assistiamo , e di cui risentiamo penosamente la ripercussione nella nostra cassa toracica. Un ba- gno di mercurio posato a terra oscilla continuamente e larga- mente, in massa, entro la vaschetta. Piove quasi continuamente minuto e caldo lapillo e cenere : di quando in quando ci arri- vano folate d’ aria calda, soffocante, ed a questa molestia si ag- giunge 1’ intenso calore che irradiato dalla lava che scorre al piede della collina su cui ci troviamo; ma noi quasi non ci accorgia- mo di nulla , tanto la nostra attenzione è assorbita da quella scena di terribile bellezza ; dal cui fascino a stento io mi sot- traggo per tentare di farne uno schizzo e per intraprendere le mie osservazioni; e confesso che di fronte a questa grandiosa ed imponente manifestazione delle forze naturali, mi sentivo invaso da un senso inconscio di sbigottimento, direi di annientamento, come avevo provato nel furore di una grande burrasca in mare. Sotto T ostinata pioggia di cenere, montiamo il telespettro- scopio di Browning, il cui pesante corredo abbiamo trasportato con difficoltà sul monte: lo dirigiamo successivamente alle varie bocche ed alla lava più incandescente, ma non osserviamo nulla di nuovo ; anzi le traccie della riga lucida del sodio sono quasi totalmente deficienti. Si tentano delle fotografie con pose varie, perfino di cinque minuti; ma, come era da aspettarsi dal colore rosso della luce dominante e dalla scarsità in esse dei raggi che hanno azione chimica , sulle lastre Lumière (non isocromatiche) sviluppate poi, non si ottenne che una macchia diffusa al luogo della grande nube sovrastante alla scena dell’ eruzione. Nel ritorno ci affacciamo meglio a vedere la lava del ramo occidentale , diretto verso sud , che ha già distrutto il rigoglio- sissimo pometo di Binazzi , il quale formava 1’ ammirazione di tutti i visitatori dell’ Etna, per 1’ accuratissima cultura, 1’ uber- tosa produzione , la naturale e bonaria cortesia dei coltivatori , sempre pronti e contenti di far gustare i saporiti , ma non vie- L’ eruzione dell ’ Etna del 189 2 7 tati, frutti di quel verde, fresco, piccolo paradiso terrestre , che ora è trasformato in infernale bolgia infuocata. Scendiamo dalla collina fin presso la lava, la cui massa lia il corso simile a quello di un ghiacciaio , lento ma fatale, ani- mato dai rivoli e cascatelle di lava liquida incandescente che scorrono da ogni parte, allo smuoversi della crosta superficiale, al cadere dei massi induriti. È una immensa diga , una lunga montagna ardente alta forse 50 metri in alcune parti , che si avanza minacciosa verso le terre coltivate ed abitate ! All’ alba siamo di ritorno a Nicolosi. 12 Luglio. — In Nicolosi si dice che 1’ eruzione è molto au- mentata, che le colate sono tutte avanzate, che è completamente invaso il piano di Iiinazzi. Continuano le frequenti e forti deto- nazioni, che producono tremiti del suolo, seguite da colpi od ondate di aria, che scuotono le imposte : il bagno di mercurio, che ho collocato nell’ albergo Mazzaglia in Nicolosi è quasi in continua agitazione. In questo giorno ci proponiamo di visitare le fronti della lava per conoscere bene la loro posizione e il loro stato, ed an- che per vedere se realmente vi sia pericolo imminente d’ inva- sione per Nicolosi od altra delle importanti borgate vicine, af- finchè, occorrendo, le Autorità possano prendere i necessari prov- vedimenti per lo sgombro delle case ; perciò viene con noi an- che il Maggiore dei carabinieri, appositamente recatosi da Ca- tania a Nicolosi. Ci dirigiamo prima alla colata di ponente. Arrivati al punto ove la via da Nicolosi a Piano Binazzi, per gli Altarelli, lascia la lava del 1886, vediamo lo spettacolo comune nelle eruzioni, ma pure assai interessante, dei vortici di sabbia e fumo che dal luogo della eruzione sorgono a grande altezza in forma di sot- tili colonne serpeggianti : una di queste s’ innalza a circa 15°, cioè a 1100 ni. d’altezza. Arriviamo a 13h 1/2 alla fronte della lava di ponente, la 8 A. Ricco e 8. Arcidiacono [Memoria V.] quale , oltrepassato Rinazzi, si dirige a SE, costeggiando la co- lata del 1886, e sta invadendo il fresco e giovane castagneto di Erustella. La fronte è irregolare, molto larga, ed in alcune parti, specialmente ad ovest, arriva all’altezza di mia diecina di metri. Alla luce viva del giorno non pare una massa di materia incandescente, ma piuttosto un enorme ed oscuro mucchio di carbone coke, male spento, che una forza interna misteriosa spinga avanti lentamente, travolgendo i blocchi superficiali; que- sti nel cadere mettono in vista e trascinano con loro dei pezzi incandescenti, tra i quali si vedono scorrere pochi rigagnoli di lava liquida. A 6 io. di distanza il calore irradiato è intolle- rabile e non si può stare fermi a distanza minore di 8 m.: con un lungo ramo d’albero stacchiamo dalla colata qualche blocco incandescente e lo tiriamo fino a noi : il ramo si accende al con- tatto di quella lava incompletamente consolidata. Si tenta di determinare almeno approssimativamente la temperatura gettando al piede della colata una pietra avvolta da vari fili metallici e trattenuta da un forte filo di ferro: si lascia che venga coperta dalla lava e poi si ritira : lo zinco si è fuso , ma l1 ottone ha resistito: ciò indicherebbe una temperatura inferiore a 800°, però dubitiamo che non vi sia stato contatto completo con la lava liquida : ripetiamo la prova lasciando più a lungo i fili a sep- pellirsi sotto la colata, ma tirando il filo di ferro non si riesce più ad estrarre gli altri fili. Ma di ciò si è occupato con tutta la cura e precisione possi- bile il compianto prof. Bartoli, il quale col metodo calori metri co ha trovato nella lava vicino alla sorgente fin 1060°, poi tempe- rature decrescenti fin a 750° a tre km. dalle bocche eruttive (1). La fronte avanza lentamente, in modo appena percettibile all’ occhio attento : valutiamo, colla misura della distanza degli alberi successivamente investiti, una velocità di circa un metro (1) Sull’ Eruzione dell’ Etna scoppiala il 9 luglio 1892, Bollett. della Soc. Met. ital. Serie II, Voi. XII, N. 11. L'eruzione dell'1 Etna del 1892 9 al minuto : ma si comprende che questa velocità è variabile se- condo la pendenza e configurazione del suolo , la forma e lo stato di maggiore o minore fluidità della colata. Non si può fare a meno di provare un senso di compas- sione per quei begli alberi condannati ad essere arsi vivi ; già prima che il fuoco li colga, per il gran calore che emana dalla lava, le foglie avvizziscono e si scolorano , i rami si torcono : arriva la lava che circonda e soffoca la misera pianta col suo amplesso di fuoco: la vittima stride e sibila, poi una viva fiam- mata, prodotta dagli idrocarburi rapidamente distillati, pone fine al tormento ; che talora è seguito da piccole detonazioni causate da vapori o gaz che si estricano violentemente. La gran- de e nera massa, che col piede di fuoco si avanza sinistramente nel folto del verde bosco, produce in noi un effetto strano, un senso di tristezza ed orrore. Invece i coraggiosi coloni del luogo col maggior sangue freddo cercano di strappare al fuoco invadente alcuni alberi, che a pochi metri di distanza dalla lava abbattono rapidamente, spogliano dei rami e trascinano lungi. Il rumore della colata che avanza nel bosco non è grande : vi domina quello di fiumana che straripa ed il crepitìo delle piante che ardono : vi si aggiunge di quando in quando lo strepito dei blocchi di lava indurita che cadono, urtandosi tra loro e cogli alberi vicini, o col terreno. Si discute sulla via che probabilmente seguirà la lava, ed il custode dell’ Osservatorio Etneo indica la depressione del ter- reno per cui la nuova colata passerà sulla lava del l. Sono le I9h I5m e la luce meli viva del crepuscolo ci permette di distinguere bene i fuochi della lava e dell’ eruzione. Atti Acc. Serie 4a, Vol. XVII Meni. V. 2 10 JL. Ricco e tS. Arcidiacono [Memoria V.J La lava ha due fronti sovrapposte : nell’inferiore, quasi to- talmente nera, serpeggiano pochi rigagnoli di lava liquida ; la più alta e più recente è meno avanzata, ha il ciglio superiore quasi tutto incandescente e la punta più avanzata ad oriente presenta in testa una cascata ignescente. E tale 1’ altezza com- plessiva di questa fronte, che ci chiude quasi tutto P orizzonte visuale a ponente, dove non vediamo sporgere che la cima di M.te Concilio : a nord ci copre più di metà della vetta del M.te Gemmellaro. Gfli ingegneri del Genio Civile hanno tro- vato anche per questa colata la velocità di circa un metro al minuto. La lava ora scorre su di un terreno quasi privo di ve- getazione arborea, perchè formato di lave antiche, e P impres- sione penosa che proviamo dipende, più che dal pensiero dei danni prodotti, dalla minacciosa grandezza della massa che si avanza lentamente. Conchiudiamo dalle nostre indagini che se vi è pericolo per le sottoposte floride borgate di Borrello, Beipasso, Ni col osi, Pe- dara, considerata la poca velocità delle lave ed i molti ostacoli che presenta il terreno, il pericolo non è imminente, per modo che non occorre prendere per ora alcun immediato provvedimento. Nella notte seguente a Nicolosi si odono rombi pochi e de- boli ; alle 6h 45m del giorno 13 si vede uscire poco fumo bianco dal cratere centrale, molto fumo oscuro dall’ apparato eruttivo , il quale fumo si dirige a levante in lunga colonna quasi oriz- zontale ; dalle lave recenti emanano vapori bianchi. 19 Luglio. — Viaggio all’Osservatorio Etneo e visita all’appa- rato eruttivo. Desiderando collocare il più presto possibile all’ Os- servatorio Etneo un apparato registratore della temperatura e della pressione, appositamente costruito dal Richard di Parigi, mi reco lassù per stabilire il luogo e modo in cui il meccanico del- l’Osservatorio l’ avrebbe poi messo a posto : inoltre questo viaggio mi avrebbe data occasione di studiare ancora 1’ eruzione in corso. Arrivato a Nicolosi a 13 h si odono alcuni rombi forti, con L’eruzione dell’ Etna del 189)1 LI una specie di rullo ; a 17h , oltrepassata la lava del 1886, sulla via dai M.u Rossi a 8. Leo, si presenta l’ eruzione con una enorme e magnifica massa di fumo che si libra quasi orizzon- talmente diretta a ponente , che il sole basso illumina di luce di color aranciato : copiosi vapori bianchi si sollevano dalle lave recenti. Dopo mezz’ ora di strada nel Piano della Sciava, a circa 2 chilometri a sud di M.te S. Leo , incontriamo la testata della lava. A 18h 30m vediamo una eruzione di fumo nero come car- bone, a piccoli globi, poiché diviene chiaro, lasciando cadere la cenere. A 18h 50m si arriva a Casa del Bosco ; si odono conti- nui boati e fracassi, come di impalcature o murature che cado- no ; i crateri più alti eruttano fumo nerissimo , quelli di sotto fumo bianco, più in basso ed a levante si vedono le bocche che eruttano fuoco. Alle ore 20 V2 dalla via fra M.te Oastellazzo e la Montagnola, a circa 800 m. dall’apparato eruttivo, ci si presenta nell’oscurità della notte lo spettacolo delle splendide detiagrazioni delle nuove bocche : se ne vedono 4 in fila : la più alta a nord, A, emette molto fumo nero e poco fuoco; la seconda, verso sud, B, emette delle gigantesche lingue di fuoco formate da abbondante lapillo incandescente, che ci illumina la via ; la terza, C , erutta molto lapillo e scorie incandescenti ; la quarta I) emette lava ; dall’orlo del cono B si vede partire una striscia infuocata, colata o spac- catura (non si può riconoscere bene per la distanza) diretta a W. Talora sorgono simultaneamente tre grandi getti di ma- teriale incandescente fin all’altezza di 8°, cioè 80 a 90 m., che ricade sulle falde dei coni e le copre di fuoco : blocchi e bran- delli di lava incandescente rotolano giù per i pendìi , special- mente dei coni meridionali, dai quali anche si vede scendere la lava in colata. Alle 23h 7 2 arriviamo all’Osservatorio Etneo. Nella notte si sentono boati abbastanza forti e si avverte uno scuotimento sen- sibile del suolo, specialmente verso 1’ alba. 12 A. Ricco e 8. Arcidiacono [Memoria V.] 20 Luglio. — Nel mattino all’Osservatorio Etneo si odono rom- bi molto forti ; alle llh 40m si riparte per 1’ apparato eruttivo ; alle 13h 7 2 siamo a circa V2 km. a NW di esso ; il cratere più vicino A (Tav. Ili, Eig. 1) è il maggiore della serie, lia già la proporzione di una collinetta che si stima alta una cinquantina di metri ; col teodolite trovo che la cima sottende sulla base un angolo di 4° 10', che alla distanza stimata di 500 in. darebbe l’al- tezza di 37 72 111 • però la base dei crateri è molto rialzata su ter- reno circostante dal materiale ricaduto attorno. Questo cono a NW è squarciato da due larghe bocche , separate da un sottile tramezzo , di queste però 1’ inferiore (al 20 luglio) è ridotta pressoché allo stato di fumarola ed emana tranquillamente molto fumo bianco : sopra di essa, sul cono A, vi è un gruppo di fumarole attivissime ; sopra ed a destra vi sono delle sublimazioni gialle sul fianco occidentale del cono ; la bocca superiore, invece, da diverse aperture erutta in quantità enorme fumo di varie tinte : bianco, grigio impuro , nero come carbone per cenere vulcanica trascinata dal vapor acqueo; que- sto fumo arriva all’ altezza angolare di 25° 15', che alla distan- za di 7a km. dà 215 m. Il cratere di mezzo B ha forma conica più regolare dell’ altro A ; dall’ ampia e multipla bocca lancia pure abbondante fumo delle tre dette tinte , ed inoltre emette pure diafane emanazioni azzurre ; di più scaglia con forza mi- nuto lapillo. Il terzo cratere C, che è quello sovrastante alla bocca della lava, è di forma irregolare allungata a conca, erutta fumo bianco e giallo impuro, e inoltre lancia con violenza la- pillo e bombe infuocate. A ponente del cono .4 , alla distanza di una ottantina di metri dal suo piede, vi è la bocca multipla H (Tav. Ili, Eig. 2), formata da tre cavità aggruppate, con orli irregolari, poco elevati; la quale diede la prima piccola colata di lava, che si vede come un argine nero, parallelo alla fila dei crateri (Tav. IV, Eig. 1). Più in giù a Sud vedesi la grande corrente di lava liquida, la quale, trascinando blocchi parzialmente consolidati, si dirige a U eruzione dell’ Etna del 1892 13 ]R.te Xero , che appare nel secondo piano , in fondo al quadro (Tav. IV, Eig. 2). Il fumo esce dalle bocche con grande velocità , da prima sotto forma di strette colonne o lingue, per lo più acuminate, le quali poi si allargano contorcendosi e ravvolgendosi in globi compatti, come balle di cotone, prima piccoli, poi grandi, e assu- mendo forme capricciose, che spesso rammentano l’aspetto di un orso velloso o di una scimmia che si slanci fuori del suo covo (Tav. IV, Eig. 1). Il fumo quindi si dilata rapidamente in vasta estensione e grande altezza, e si scolora lasciando cadere una piog- gia di cenere che si vede scendere a strisce. Dalla grande colata che corre verso sud incanalata fra due argini o morene di lava emana copioso vapore azzurrognolo (Eig. 2). Eorti detonazioni ed un fracasso caratteristico accompagnano le principali eruzioni. (*) Oi avviciniamo fino a 200 m. dal cono di mezzo : il suolo si agita molto sensibilmente sotto i nostri piedi ad ogni esplosione: su di noi cade poca cenere e minuto lapillo caldo, perchè il vento di NW spinge i materiali eruttati verso SE : neppure avvertia- mo odore di zolfo ; come non vediamo prodursi gli anelli di fu- mo, che altri hanno visto in questa ed in altre eruzioni. A 400 m. a NW dell’apparato eruttivo osserviamo una frat- tura del terreno, nella direzione NE-SW irregolare, multipla ; si vedono altre fratture minori sparse a ponente dell’apparato medesimo. A distanza scorgiamo un nuovo braccio di lava che da M.te Guardiola si dirige a M.te Serra Pizzuta. Vel tornare a ISTicolosi a sera vediamo la testata di lava più avanzata verso il detto paese, la quale sta per raggiungere la via che da mezzodì dei M.l‘ Rossi va a S. Leo : la lava ne distaiselo 10 m.: devasta e seppellisce campi coltivati a segala, a vigne, a pometi ; molti villici si affaccendano per salvare quan- to è possibile dalla lava invadente. (*) La Fig. 2 può considerarsi come continuazione della Fig. 1 verso destra, immagi- nando di far coincidere le immagini del cono D nelle due figure. 14 A. Ricco e S. Arcidiacono [Memoria V.J 1 Agosto. — A Nicolosi, intorno a mezzodì, si odono pochi rombi leggeri, come in lontananza : il cratere centrale dà poco fumo : è coperto da incrostazioni gialle e rosse. A 16h siamo a Casa del Bosco , cioè a 3 km. dall’appa- rato eruttivo : pochi rombi, non forti, prolungati ; il primo cono a nord, A , il più grande, è gibboso ; ha la bocca inferiore molto sviluppata ed assai attiva, che emette fumo grigio; la bocca su- periore dà poco fumo azzurrino. Il cratere B di forma conica , quasi regolare , un po’ slabbrato verso nord , erutta fumo nero con lapillo e cenere : il suo getto arriva tino a 9°, cioè ISO m. d’ altezza. Il cono C molto ingrandito ed allungato a sud, man- da poco fumo bianco e scorie incandescenti in un getto poco alto , diretto obliquamente a sud. Il conetto T) si è fatto ben distinto e di forma regolare conica: emette fumo bianco denso. Giunti a Pilatella, a circa 100 m. dal cono più settentrio- nale, osserviamo che il fumo che esce dalla sua bocca inferiore ha una tinta alquanto rossastra, forse per riflessione della lava sottostante. Oi rechiamo poscia sulla prima colata, uscita dalle bocche di ponente, per veder meglio tutto l’apparato eruttivo , e riconosciamo che è aumentato molto di dimensione dal 20 luglio in poi. Alla distanza di 200m dalla bocca inferiore di A, ed a NW di essa, vediamo una delle bocche estinte G (Tav. Ili, Fig. 2) formatasi sulla frattura occidentale: è come un foro rotondo nel terreno , che è un poco elevato attorno, a pendio debolissimo. A 19h, nel salire, passando a poca distanza dalle bocche settentrionali, a Tacca dell? Arena, essendo diminuita la luce solare, si vede che le due bocche di A sono veramente il- luminate dalla lava sottostante ; la inferiore oltre del fumo getta anche lapillo e fa un grande rumore continuo , come di treno. Si stimano le altezze 150 m. per A , 100 m. per B , 50 ni. per C. Alle 21h 15m si arriva all’ Osservatorio Etneo : si ode un rumore continuo dall’eruzione ; a 0h 30m del 2 Agosto forte ter- remoto sussultorio ; alle 8h si parte per il cratere centrale , gi- L ’ eruzione dell’ Etna del 1892 15 valido per W ; a 9h incontriamo la cenere eruttata nella notte dell’ 8 luglio , forma una striscia larga circa 100 m. estesa da NW a SE; a 9h 15m arrivi amo sul ciglio del gran cratere: nel- l’ interno non si vede die fumo : e molto fumo solfureo, acido, soffocante, viene da una fumarola che sta su di una punta del- l’orlo a ponente. Osserviamo che ha avuto luogo di recente una grande frana che ha fatto cadere 1 a 3 m. del ciglio tutt’ attorno da E ad W per nord, prendendo metà del giro del cratere. La temperatura dell’aria sull’orlo è 9°, 7, mentre sulle falde del cratere era 8°, 7 ; nelle fumarole che si trovano sul lato nord del ciglio si ha 80°. Discesi dal cratere centrale , andiamo a vedere la grande frattura del terreno prodottasi all’epoca dell’eruzione del 1883 e che passa a 50 m. W dall’Osservatorio : il custode (lai vaglio non la trova cambiata : solo è alquanto diminuita di profondità per materiale che vi è caduto dentro. Scendendo dall’ Osservatorio a 15b 1/2 siamo al piede me- ridionale della Montagnola , a ponente dei M.t! Calcarazzi, sul sentiero dei nevajoli di Pedara, a circa 500 m. a XX W dalle nuo- ve bocche, vicinissimi al luogo ove poi si aperse la bocca più settentrionale. Davanti a noi, a circa 20 m. verso sud, vi è una, delle bocche estinte F (Tav. Ili, Eig. 2) della prima frattura: seguono in fila verso sud parecchie altre bocche estinte 6r, H, ecc. della prima frattura occidentale, in tutto circa una diecina tutte di pochi metri di diametro, fatte ad imbuto con orli poco elevati. La bocca inferiore del cratere A è sempre assai attiva e rumorosissima : emette fumo azzurro con riflessi rossastri. Volendo visitare da vicino la parte meridionale dell’ appa- rato eruttivo, e non potendo avanzare nella stretta zona di ter- reno chiusa dalla prima colata, diretta a M.te Eaggi, e dalla fila delle bocche che lanciano brandelli di lava e bombe, e rendono il passaggio pericoloso, giriamo alla larga ad ovest e, giunti al livello dei coni meridionali, ci dirigiamo ad est, verso lo sbocco della lava, attraversando il suddetto braccio di lava , la cui super- 1G A. Bieco e ti. Arcidiacono [Memoria V.] tìcie irregolare, formata di blocchi sciolti cd aspri, è assai fati- cosa a percorrere , ma sicura , perche consolidata e molto raf- freddata. Io ed il custode dell’ Osservatorio Etneo, con maggior pena montiamo sull’ altra lava che come argine o morena limita a ponente il corso della lava liquida e che, per essere più re- cente , è ancora molto calda , e per essere più vicina al luogo della maggior attività eruttiva , è ancora più irregolare e diffi- cile dell’ altra. Il calore è assai intenso ed accresce la fatica , ma finalmente arriviamo sul ciglio; restiamo estatici, direi quasi allibiti, davanti al quadro meraviglioso che ci si offre ; a destra, in alto fra due muraglie di roccie stranamente frastagliate, che formano una specie di baratro profondo , si precipita la lava che trabocca dalle viscere del cratere e forma una enorme ca- scata incandescente, abbagliante, alta circa una diecina di metri, larga cinque. Il getto di un convertitore Bessemer, che versa ad ogni colata migliaia di chilogrammi di acciaio fuso, e che tanto impressiona e quasi spaventa chi per la prima volta lo vede fun- zionare, è uno zampillo insignificante, un nonnulla in confronto di questa cateratta ardente, la quale si avanza poi come fiume di fuoco sanguigno, denso, marezzato a larghe chiazze roteanti, che scorre velocemente ai nostri piedi, a 6 in. di distanza colla ve- locità di circa 2 m. al secondo, trascinando enormi massi di lava parzialmente solidificata : grandi colonne di fumo sorgono da tutte le parti. Pare proprio un’ ordinaria cascata, in cui l’ac- qua è sostituita dal fuoco, ed ove, invece della fresca nebbia formata da acqua polverizzata, si hanno caldi e molesti vapori, che solo a tratti lasciano vedere questa magica trasformazione dell’ acqua in fuoco. Rapidamente montiamo la macchina a piede e prendiamo alcune fotografie alla meglio, poiché il calore che ci viene da tutte le parti è appena tollerabile, e quello che irradia dalla lava incandescente è tale che non si può rivolgere ad essa la faccia che per pochi secondi ; inoltre, spira un vento, violentis- U eruzione dell ’ Etna del 1892 17 simo clie ci strappa gli oggetti di mano : è il potentissimo ti- raggio prodotto da quell’ enorme focolare. Di più, sotto e fra i blocchi disordinati che ci reggono s’ infiltra tuttora lava incan- descente, che abbrucia la punta dei nostri bastoni d’appoggio; ci decidiamo ad andarcene, quantunque a malincuore, perchè per- suasi di non vedere mai più una scena di così grande e terri- bile bellezza. Occorre appena di dire che i precedenti dati numerici non possono essere che grossolanamente approssimati, perchè rilevati in condizioni difficilissime, cioè essendo mezzo acciecati e soffo- cati dal fumo, assordati dalle detonazioni, minacciati dai crateri soprastanti e dalle lave sottostanti. Colle predette fotografìe, riuscite solo parzialmente per l’or- gasmo e la fretta in cui furono fatte, abbiamo composto l’unito schizzo che può dare un’ idea della scena. Fig. a : Cascata di lava e colata dai crateri meridionali ; 2 agosto 1892. Quasi come pendant del cono />, sull’orlo ovest del cono C, vi è un piccolo cratere, o bocca, però inattiva. Torniamo verso la prima colata e saliamo sul piccolo M.te Pomiciaro (rappresentato in bianco nella Tav. I), che limita ad est la lava della detta colata : così dall’ alto possiamo vedere più com- pletamente e con più tranquillità la parte meridionale dell’appa- rato eruttivo, che dista 300 m. da noi. Vediamo che il cratere D lancia lapilli e grosse bombe : il cratere C pure erutta bombe e scorie e fa terribili detonazioni ; Atti Acc. Serie 4a, Vol. XVII - Mem. V. 3 18 A. Ricco e 1S. Arcidiacono [Memoria V.J il cratere B emette fumo nero ; vediamo lo spettacolo interes- santissimo delle correnti di lava die escono 1’ una dal cratere (7, sventrato verso sud, e 1’ altra dal cratere 1), sventrato verso N\Y: la lava fluida ed i blocchi semi-incandescenti che escono in fila da questo cratere fanno una evoluzione verso sud, e si uniscono alla maggiore corrente che esce dal cratere (J (Mg. a). Alle 19h 45m, nel tornare verso Nicolosi, vediamo un’ altra notevole colata che scende ad Est di M.te Nero, formando un grande ammasso di lava incandescente, che pare esca da un’al- tra bocca; i rombi sono cessati, ed il fumo diminuito. A Nico- losi nella notte si odono rombi leggieri, ma il fumo è aumen- tato di nuovo ; al mattino seguente del 9 agosto alle 6h 50m si avvertono parecchi rombi non forti, l’uno appresso all’ altro. Si riparte per Catania. 18 Agosto 1892. — A 20h x/2 partenza da Catania coi Sig.ri Prof.ri Wallerant della Scuola Normale Superiore di Parigi, ed A. Cliaudeau della Pacoltà di Scienze di Besan§on. Arrivati a Nicolosi alle 23h 0m vi incontriamo l’ ing. Giarrusso del Genio Civile di Catania, il quale ci informa che la lava uscente dal cratere meridionale C , ha formato un argine o morena a po- nente di M.te Nero e si riversa tutta a levante del detto monte; e che le colate le quali vanno verso i monti Guardiola, Ardi- cazzi, Concilio, camminano colla velocità di circa 60 m. all’ ora : si sovrappongono a lave precedenti, e quindi non producono al- tri danni : egli dice pure che a 150 m. a SE del cratere C vi è una grande bocca di lava. Decidiamo di recarci sopra M.te Nero (d’ onde si ha un ottima vista della eruzione), attraversando il ramo di lava di ponente, già consolidato ; partiamo ad lh del 19, arrivati alla detta lava si presenta un individuo che si qua- lifica per lo stradino che ha fatto il nuovo sentiero sulla lava colle contribuzioni delle guide ; dice che fu compiuto in 10 giorni da due uomini, cominciando da ponente, ove la lava si era pri- ma consolidata, ma che al limite orientale contro il monte la L’ eruzione dell ’ Etna del 189 2 19 lava lia cessato di scorrere solo da due giorni. E dichiara che la sua opera è tanto perfetta e sicura, che noi possiamo restare sui muli, e così risparmiare le nostre gambe e le nostre calza- ture, e avere V onore di essere i primi (come dice lui) ad at- traversare la lava senza scendere dalle cavalcature ; le povere bestie s’ incamminano, di mala voglia, per la via scottante e malferma, ove alle salite ripidissime succedono delle discese che sono veri rompicolli ; però non ci accade nessun sinistro, ed al- l’alba, dopo una buona mezz’ora di esercizi di equitazione i più strani, tocchiamo la terra ferma, cioè M.te Vero, con un certo senso di sollievo, quantunque quella collina sia tutta circondata da lave fumanti, calde ed anche incandescenti. Saliti sulla cima settentrionale alle 5h, nella luce debole dell’ aurora, vediamo il materiale infuocato, lanciato dai crateri V e D, (Tav. IV, Eig. 3) le lave incandescenti che scorrono dalle bocche di lava a SE del detto cratere I) e traccie di fuoco anche nelle lave che scorrono lentamente al piede orientale del monte (Eig. 4). Io cerco invano la gran cascata di lava che vidi il giorno 2 di questo mese, e che dobbiamo avere in faccia, alla testa della fila dei crateri; ma la gran massa di fuoco è invi- sibile : una specie di cortina, o tramezzo, o tunnel di lava con- solidata copre e chiude il baratro, lasciando però libera una larga apertura superiore che lancia fumo giallo e scorie infuocate : dalla parte inferiore del tunnel , che pare fatto a gradinata, e non è completamente chiusa, sorgono delle numerose e vivacis- sime fumarole ; a destra il cratere minore, D, ancora slabbrato verso NW, con un respiro potente, come quello di una loco- motiva, lancia col periodo di 1 a 2 secondi fumo bianco e fram- menti incandescenti. Il cratere di mezzo B getta fumo nerissimo fino all’ altezza di 20°, cioè a 250 in.; il cratere N erutta grandi masse di fumo grigio e lapilli con fracasso fortissimo e prolun- gato di rottami cadenti; il fumo arriva all’altezza di 30° cioè di 700 m. Tutte le bocche eruttano quasi incessantemente : da esse sorgono spe^o dei turbini di fumo e cenere. 20 A. Bieco e S. Arcidiacono [Memoria V.] Notiamo die il lato orientale di M.te Nero è in linea retta colle bocche e colla cima della Montagnola. A sinistra riconosciamo 1’ alto argine, stranamente frasta- gliato, dal quale il 2 agosto godemmo lo spettacolo indimenti- cabile della cascata di fuoco. Il Cfalvagno vi vuol ritornare, arrampicandosi per le lave recenti, scoscese, ed ancor scottanti, e ci reca un campione della lava di quel cratere. A levante del cono minore meridionale , Z>, è una specie di bacino o cratere aperto largamente a SE (Eig. I) che ora dà solo fumo bianco e che certamente era una bocca di lava, attualmente estinta : lo stradino dice che tino a 4 o 5 giorni fa gettava fumo e lapillo. Più a SE si osserva una grande massa di lava incandescente che scorre da una specie di conca o fossa con basso argine, irrego- lare, e forma una corrente diretta pure a SE. Un poco più vi- cino, e ad un livello alquanto più basso, vi è un’ altra bocca di lava simile alla detta , però meno incandescente. La corrente liquida che ne parte, si dirige presso a poco parallelamente al- l’altra ; di fianco a queste colate fluenti cammina a stento e col caratteristico rumore delle tegole cadenti , la lava proveniente dal cratere (7, superficialmente solidificata, da cui sbucano nu- merosissime fumarole. Ci rechiamo quindi sulla cima meridionale di M.te Nero, donde si ha lo spettacolo della immensa distesa delle lave del 1886 e del 1892, che sembrano oscure fiumane ramificate, alla- ganti le sottoposte regioni. Il colore più oscuro delle colate del- 1’ attuale eruzione le fa distinguere da quelle del 1886. Scendiamo a piedi da quella cima di M.te Nero, attraver- siamo sui muli un’ altra volta la lava di ponente per il viot- tolo tracciato, ma poi lo lasciamo girando a NW, ed attraver- siamo la prima colata, per andare più direttamente all’Osservato- rio Etneo; ma il procedere sulla lava senza sentiero diviene così difficile per i nostri poveri animali, che ci conviene smontare ed andare innanzi alla meglio, saltando di blocco in blocco, aiu- tandoci col bastone ed anche colle mani ; di quando in quando L’ eruzione dell ’ Etna del 1892 21 io mi volgo indietro, per un sentimento di compassione, a ve- dere come se la cavano i muli, che veramente fanno sforzi enor- mi, miracoli di equilibrio, camminando senza cadere e senza ferirsi su quei massi ineguali, angolosi ed oscillanti. Infine ar- riviamo alla terra scoperta, tutti sani e salvi, uomini, muli, mac- chine e provviste ; rimontiamo in sella e ci dirigiamo all’ Os- servatorio Etneo. Alle 11 x/2 siamo ad un chilometro ad ovest delle bocche , delle quali vediamo la fila completa: notiamo fra i crateri N ed A una serie di fumarole bianche che sorgono da croste di lava: le due bocche , inferiore e superiore di A , danno fumo grigio scarso; fra A e B sorge con detonazioni un’alta e sottile colonna di fumo oscuro : esce dalla nuova bocca B' (Tav. Ili, Eig. 3) formatasi il 17 agosto ; il cratere B lancia fumo nero , il cra- tere C emette fumo nero da una bocca a nord e fumo giallastro da una bocca a sud, il cratere I) erutta fumo rossiccio. I coni B e C sono quasi fusi assieme in un solo monti- cello allungato , con una sella o depressione fra i due; il co- netto I) è più alto e più spiccato da (J di quel che era prima. Alle 12h 72 5 per la via dell’ Osservatorio vediamo un’ eru- zione di fumo bianco dal cratere centrale. Alle llh arriviamo all’Osservatorio Etneo con tempo coperto, piovigginoso. I sismo- scopii sono come furono lasciati il 12 agosto dal meccanico ; il che vuol dire che da allora in poi non ebbe luogo alcuna scossa di terremoto ; nessuna scossa neppure nella notte seguente. All’ alba del 20, a lh 50m , si parte per il cratere centrale, dirigendoci io e Galvagno per l’erto pendio meridionale, i Sig.ri Wallerant e Cliaudeau per il lato di ponente. Dal luogo dell’ eruzione si innalza molto fumo bianco e grigio; a 5h 20m, quando siamo a 3/é dell’ altezza del gran cono, sorge il sole , rosso come al solito ; alle 5h 45m il sole che ha varcato uno strato di nebbia alto 10° , forse dovuto all’ eruzione, è già di color bianco. La parte superiore del cono è coperto da polvere e poltiglia , formata da cenere e sali diversi , delique- 22 A. Bieco e 8. Arcidiacono [Memoria V.] scenti ed efflorescenti , in cui il piede affonda e scivola : lungo il pendio si incontrano molte fumarole calde. A 6h 0m arriviamo sull’ orlo : il termometro segna 5°, 8 ; le varie tinte che per sublimazioni ed incrostazioni sulfuree e d’ altra natura presenta il cratere dentro e fuori sono di un bellis- simo effetto. L’ orlo è rossastro, con una grande macchia gialla di zolfo presso la cima a SW ; nell’ interno, dalla parte di ponente che è libera dal fumo, dominano le tinte giallastre e verdastre oscure, che noi vediamo solo a tratti, quando ce lo permette il fumo che, specialmente dalle fumarole a SE esce abbondante , sulfureo, soffocante ; all’ orlo di ponente vi sono delle fumarole con fumo discendente. Vediamo anche un cono avventizio ade- rente alla parete interna che guarda a SE, che però non emette fumo, è più alto di quello che vidi al 15 luglio 1891: forse crebbe per le eruzioni intercratericlie di scorie del giugno scorso : op- pure in quella occasione si formò un nuovo cono avventizio più alto. Ci avanziamo e scendiamo verso 1’ interno per la depres- sione dell’ orlo SE , tino al precipizio a picco che la termina , ma il gran fumo soffocante ci caccia, prima che abbiamo po- tuto vedere meglio 1’ interno. Saliamo sulla parte più elevata dell’ orlo a sud, per evitare il fumo e dominare meglio l’ inter- no, ma neppure di là riusciamo a scorgere il fondo del cratere, e solo a tratto vediamo porzione delle pareti : dal fondo sale fumo grigio rossastro, denso, in grande quantità. Nessun rombo, nè altro rumore entro al cratere. Alle 7h 2m si comincia a ritornare ; a 7h 49m arriviamo a Vulcarolo , piccolo cratere che esiste da tempo immemorabile al piede del gran cono a 300 in. a NNE dell’Osservatorio ; emette molto vapore acqueo, denso, bianco come al solito. Vi osserviamo il consueto , ma sempre attraente fenomeno dei cerchi di TJlloa. Una persona mettendosi sull’ orlo del piccolo cratere , col sole alle spalle, vede la propria ombra colla testa contornata da un primo circolo od aureola col rosso all’interno e 1’ azzurro all’e- L ’ eruzione dell’ Etna del 1892 23 sterno, e poi da un altro gran cerchio di circa 50° di raggio, che invece ha il rosso all’ esterno e 1’ azzurro all’ interno : come è noto questo è un fenomeno di diffrazione della luce nelle par- ticelle sospese del fumo o della nebbia. Alle 11 h 36m si parte dall’ Osservatorio per il teatro della eruzione; a 12h 3m, essendo a ponente della Montagnola si sen- te forte puzzo di zolfo, proveniente dall’eruzione: il mulattiere dice che stamani, nel salire per recarci i muli, vi era forte puzzo di zolfo che aceupava (soffocava). A 12h 25m arrivati a Tacca Albanelli, vediamo riattivata la colata che va a M.te Concilio. A 12h 50m al piede di Volta Girolamo osserviamo due frat- ture di cui una diretta VE-SW e l’altra, che parte dal mezzo della prima, si dirige verso sud con andamento tortuoso : nella prima frattura vi sono 8 fumarole : smuovendo le pietre, esce fumo da per tutto; le maggiori fumarole sono nell’incontro delle due fratture : nei crepacci e nell’ arena umida si trova (30° di temperatura. Alle 13h 1/2 siamo alle bocche settentrionali dell’ eruzione , le quali esalano poco fumo; a 13h 55m siamo a circa 20 m. a sud del viottolo dei nevaioli di Pedara che segue il piede sud della Montagnola, a circa 130 m. dalla nuova bocca A che ha forma di largo e basso cono regolare : stride continuamente co- me il vapore che esce dalla valvola di sicurezza di una loco- motiva : emette fumo bianco abbondante, ma nessun proiettile ; il lato sud del cratere è verdastro e ne escono moltissime fu- marole vivaci : Galvagno si reca al suo piede occidentale , ma deve allontanarsi subito, tossendo violentemente per il fumo acido e soffocante che ne esce : vi ha udito un fortissimo rumore sot- terraneo ; e qualche rumore giunge anche a noi , con leggiero scuotimento del suolo. Secondo quello che ci riferì dopo il Capo delle guide etnee, questo cratere si calmò poi alle 5h del giorno 20. A 14h 15m siamo sulla linea delle bocche estinte, di cui ne vediamo 7 : la fila è diretta a 1ST 20°W. 24 A. Ricco e 8. Arcidiacono [Memoria V.] A 14 V2 odore di uova fradice, solforoso, forte, soffocante, eli e dà la tosse : rombi sotterranei e scuotimenti del suolo : ciò si ripete altre tre volte. Tutt’ attorno ove siamo, a circa 250 m. a NW della bocca A, e tino a 300 m. da questa, vi è gran quantità di cenere, ed in gran numero, sparse sul suolo, grosse bombe e blocchi di lava lanciati dal cratere N : ve ne sono perfino di 1 V2 m. di diametro : in un blocco rossastro , parallelepipedo irregolare , ancora caldo, introduciamo un filo di zinco in una fessura, solo fino alla profondità di 10 cui. ed il metallo si fonde alla punta: invece 1’ ottone resiste , ciò indica una temperatura superiore a 400°. Grandi bombe sono piantate nel lapillo fino a 50 cui. di pro- fondità ; scorie e brandelli di lava, cadute sulla roccia vi si sono modellati sopra, altre hanno formato sul suolo piano delle stiac- ciate di più che un metro di diametro. Passiamo a 20 m. a sud della bocca N (Tav. Ili, Pig. 4) che da questo lato ha 1’ orlo elevato circa 30 m. sul terreno: su di questo vi sono altre bombe ovoidali grandissime: ne misuriamo una che ha il diametro mag- giore di m. 1, 70. Nel solco o frattura, fortemente inclinato verso sud, fra i crateri N ed A , vi sono 12 e più fumarole vivacissime (Tav. V, Pig. 1). A 16h V2 si parte per il lato di levante dell’apparato erut- tivo. Passando ad est dei crateri A e B si avverte puzzo di zolfo; la bocca fra A e B (Tav. Ili, Pig. 3) è scavata nel piede di B : emette grandi ed altissime colonne di fumo oscuro : la falda di B rivolta a NE presenta moltissime fumarole. Alle 17* 40m siamo ad est del conetto D , che getta verso nord fumo e ma- teriale incandescente; a sud del piede meridionale di D si è for- mata un’altura con bocca di lava, dal cui lato meridionale parte una piccola colata , che scende direttamente dall’ elevazione del suolo su cui sorgono i crateri meridionali, e si dirige verso ENE (Pig. b) ; la superficie di questa lava è increspata , e tutta ricoperta di sublimazioni od efflorescenze saline bianche, che le dànno aspetto singolare, distinto da quello delle altre lave che L’ eruzione dell ’ Etna del 1892 25 sono tutte oscure; Terso sud ancora segue un cumulo di lava re- lativamente fredda ed oscura; poi nella direzione della cima me- ridionale di M.te Jsero si vede una grande bocca di lava incan- descente a , di forma allungata verso SE, cui segue nella stessa direzione una colata pure incandescente : un’ altra minore bocca di lava b è alquanto più in alto, ed a SW (*). A 18h V2 siamo a Casa dei Cervi: a 300 m. nella direzione SW si vede la lava nuova incandescente , sovrapposta all’ anti- ca , e che si dirige verso SE , sotto 1’ altura maggiore di M.te Pinitello. Il Dagalotto dei Cervi, ora invaso dalla lava, è poco importante ed i castagneti finora sono poco attaccati; tutta questa località a nord ed a sud della casa è ancora coperta di lapillo e cenere della eruzione del 1886. A 18h 40m siamo a 1 Y2 km a 1SATE di Monte Albano: a nord di questo monte si vede il gran cumulo di lava recente, piu alto del monte stesso , la quale penetrò anche nella conca- (*) Si riproduce qui un abbozzo da me fatto sul luogo, perchè la fotografìa eseguita non riuscì completamente , come si prevedeva per 1’ ora troppo avanzata e per le tinte nere del soggetto. Lo stesso dicasi per i seguenti bozzetti , fatti in surrogazione delle fotografie non riuscite, o che non si son potute fare. Atti Acc. Serie 4a, Vol. XVII - Mem. V. 4 26 A. Ricco e 8. Arcidiacono [Memoria Y.J vità del cratere, che però presentava a nord una sella bassa, e quindi offriva un accesso non diffìcile alla lava. Più a nord vediamo M.te Grosso circondato da due strati di lava recente, molto più alta a nord , ina non quanto il monte. A 20h V2 siamo di ritorno a Nicolosi. 21 Agosto 1892. — A 6h 40m partiamo da Nicolosi, diretti al lato orientale dell’ apparato eruttivo : a 6h 55m vediamo che tutte le bocche emettono molto fumo bianco o quasi; molto fumo dal cratere centrale ; da 6h 40m a 7h 50m si odono rombi deboli; l’in- tervallo delle eruzioni della bocca B' è minore di ieri ; a 9h 0m la bocca A erutta molto fumo nero. A 9h 3/4 siamo a Casa del Vescovo , a 1700 m. dall’apparato eruttivo , che appare formato da 4 colline simili di forma , de- crescenti di grandezza , addossate alquanto le une alle altre ed allineate da nord a sud : si vedono alte colonne di fumo che partono dalle bocche A, A , B\ C' . A 10h 0m , alla distanza di Y2 km. vediamo una grande esplosione della bocca B' con deto- nazione, come di cannone, scuotimento del suolo e colonna di fumo oscuro alta 30°, cioè 300 m., la quale poi lascia cadere ce- nere, formando una pioggia quasi continua. Coll’ ing. Giarrusso del Genio Civile, che viaggia con noi , si stima 50 rii. il diametro della bocca A, l’altezza dell’orlo sul terreno a nord 25 m., quella a sud 65 m., il diametro della base 150 ni.; questo cratere è cambiato sensibilmente da ieri : l’orlo è slabbrato verso nord, e da questo lato esce il materiale eruttato : lungo il pendio esterno ad W sorgono fumarole bianche, dense, attivissime. A 13h 6m saliamo sui monti Calcarazzi e giriamo il ciglio W per avvicinarci alla bocca A, che fa eruzioni di enormi masse di fumo nero densissimo, con esplosioni e scuotimenti del suolo. A 14h 14m siamo a 700 ni. N 10°E, della nuova bocca B! : il fianco del cono B rivolto a nord è molto intaccato e si vede che Tj eruzione dell ’ Etna del 1892 27 la nuova apertura B' viene di sotto a questo cratere. La bocca B' fa grandissime eruzioni di fumo grigio e nero, cenere e pietre nere e rosse incandescenti (Tav. Y, Mg. 2) di cui è sparso tutto il suolo attorno : alle eruzioni segue per 5 a 6 minuti pioggia di cenere ; le eruzioni producono continue frane delle pareti dei coni vicini A e B, specialmente del secondo. Siccome abbiamo ripetutamente constatato che le eruzioni avvengono con un periodo di circa 6 minuti, in un intervallo ci avviciniamo alla bocca per vederne l’interno : io colla macchina fotografica a piede mi fermo a (30 m. di distanza e pongo 1’ o- reccliio contro il suolo per sentire l’arrivo dell’eruzione prossima, ed avvisare gli altri che avanzano ancora. Appena Galvagno è arrivato sull’orlo, vede salire la cima ristretta quasi acuminata di una densa colonna di fumo che indica una inaspettata eru- zione : egli frigge rapidamente e così due carabinieri che l’ave- vano voluto seguire : avviene una gigantesca eruzione : io volgo lo sguardo in alto e vedo tutto il cielo occupato da una fitta pioggia di pietre : comprendo essere inutile alzarmi e fuggire ; infatti pochi secondi dopo cominciano a cadere pietre tutt’ at- torno : Galvagno è colpito leggermente ad un braccio, un cara- biniere ad una mano, un altro più seriamente alla testa : 1’ in- gegnere Giarrusso che aveva l’ombrello aperto, riceve una pietra su di questo che resta sfondato , e così egli è toccato solo leg- germente alla spalla, io e la macchina fotografica, diversamente da quanto pareva inevitabile, restiamo fortunatamente illesi. Le pietre eruttate giungevano ad un’ altezza stimata 100 m. : una di esse colpendo il calcio del fucile di uno dei carabinieri , ne portò via una grossa scheggia. A 16h 10m procediamo verso sud : il cratere C erutta sem- pre molte bombe, scorie e fumo : il sole visto attraverso di que- sto appare di un rosso intensissimo. A 16h V2 arriviamo presso le bocche di lava : rivediamo, al piede meridionale del cratere D, il grande scoglio di lava sin- golarmente frastagliato, alto circa 3 m., poi la piccola eminenza 28 A. Ricco e S. Arcidiacono [Memoria V.] dal cui piede meridionale parte la piccola colata biancastra : pas- sata anche questa, ci arrampichiamo su per V ultima morena o cresta di rocce ammucchiate , arse, scottanti , che ci separa dal campo di lava, limitato a nord dal piede dei coni meridionali ed a sud da M.te Nero. Le due bocche si presentano verso sud a piccola distanza sotto di noi, la più vicina a (Mg. b), ad una ventina di metri, o poco più, ha forma di conca regolare, diretta da NW a SE , ed è larga pochi metri ; ma la colata incandescente che ne parte dirigendosi a SE e poi a sud va di mano iu mano allargandosi; 1’ altra bocca b è più lontana per un’ altra trentina di metri , ed ha contorno complicato e rialzato, con direzione parallela alla prima; la lava scorre da esse bocche tranquillamente con medio- cre velocità, ondulandosi ed increspandosi leggermente : i pezzi di scorie e di lava che vi gettiamo non vi affondano. L’ ing. Giarrusso che ha studiato bene queste bocche, dice che la prima all’ origine è larga 7 m., e a 300 m. di corso la colata di lava che ne parte è larga 300 m.: la velocità è piccola, di solo 6 ni. all’ora ; l’altra bocca è lontana dalla prima 25 in., è larga 25 ni., e la lava ne sgorga colla velocità di 30 m. all’ora; le bocche di lava sono a circa 800 ni. a SSE dal cratere C. Non starò a descrivere 1’ effetto singolare, imponente, pro- dotto nella semi-oscurità del crepuscolo da quei due veri fiumi di fuoco, i quali animano col loro movimento il paesaggio de- serto, ed orrido, formato da terreni e rupi nere , irte e brulle , stranamente conformate e contorte, su cui non avvi alcuna trac- cia nè di vegetazione, nè di vita. Alle 18h siamo a Casa dei Cervi. Il conducente dice che la nuova bocca a nord N è una delle prime estinte, la quale si è riattivata : egli fu sul luogo al li luglio e vide che dava solo fumo ; egli, come altri, non sa che quella primitiva bocca esiste ancora allo stato di grande fumarola a poca distanza, a ponente del nuovo cratere N. A 18h V2 piove lapillo; la lava inferiore, incandescente, lam- L’ eruzione d eli’ Etna del 1892 29 bisce il dagalotto di castagneti che sta a 150 ni. ad ovest della Casa (lei Cervi e si dirige a M.te Piatto : l’altra lava alta è giunta sopra il pendio che domina la Casa , e la minaccia, come pure la cisterna ed il vicino dagalotto , per il forte pendio, che ne favorirà la discesa. Ci si riferisce che la nuova colata di ponente è arrivata alle falde di M.te Ardicazzi ed invade il poco terreno lasciato libero dalle lave precedenti : si teme che questa colata passi fra i M.tl Ardicazzi e Concilio, e che secondata dal pendio, vada a produrre grandi devastazioni nei terreni a ponente dei detti monti. Continua la pioggia di lapillo fino al nostro arrivo a Nico- losi a 20h V2. 22 Agosto. — A 6b 25m si vede da Nicolosi che le bocche danno fumo bianco scarso: anche il cratere centrale fuma: il sole alto circa 15° è pallido, un po’ gialliccio, e può fissarsi. 20 Ottobre. — A 14h partenza da Nicolosi per la colata orien- tale di M.te Albano : lungo la via si odono rombi frequenti : a 16b 20m siamo arrivati in vista del fuoco : è la fronte della lava più avanzata a sud : i blocchi infuocati cadendo, si rompono in frantumi e polvere incandescente, che scorre lungo i pendìi in modo da parere liquida; il colore irradiato è intensissimo, anche a 20 m. dalla colata; la fronte è alta 7 a 10 m.: avanza di 6 m. in 25 minuti, ossia di circa 14 ijz m. all’ora, la lava raffreddata ha colore rossastro, meno oscuro di quello delle colate di ponente. Si ode un rumore generale, continuo, come di fiumana ; scro- sci e rumori come di tegole cadenti , separati da momenti di tregua e di silenzio. Questa lava scorre sopra lave antiche (del 1766), ed abbruciando il musco ed altre scarse pianticelle produce delle piccole fiammate. 22 Ottobre. — A 7h si parte da Nicolosi; a 8b siamo al pas- saggio della lava del 1892 sulla via a S. Leo: la punta occiden- 30 A. Ricco e 8. Arcidiacono [Memoria V.] tale che ha oltrepassata la via per circa 150 ni. nella direzione SW, è un poco meno avanzata verso sud dell’ altra punta che è rimasta a levante della strada ; stando su di questa si avverte un calore ancor sensibile dalla lava. A 19h 1/2 siamo su M.te Concilio : si vede che la colata di lava che esiste fra questo monte e M.te Ardicazzi passò prima fra M.te Ardicazzi e M.te Ardicazzello poi formò un cumulo di lava, quindi si divise in due rami : 1’ uno diretto a sud 1’ altro ad ovest fra M.te Concilio e M.te Binazzi; la maggiore colata attorno M.te Concilio lo supera in altezza; M.te Ardicazzello è circondato; di M.te Guardiola emerge solo la cima. La lava più recente di M.te Concilio è di tinta più rossa della precedente. Presso la fronte meridionale della lava vi sono numerose e grandi fumarole attive che producono sublimazioni ed incrostazioni bianche , gialle , verdi , rossicce : il loro fumo attualmente non è acido. Si sente odore d’arsiccio, causato dalle foglie cadute che il vento porta sulle fumarole, e vi abbruciano; ma stando sulle lave non si avverte alcun calore sensibile. A mezzodì siamo in vista dell’ apparato eruttivo : il cratere A fa grandi e frequentissime eruzioni di fumo grigio, la bocca estinta F emette fumo bianco, e fumo bianco erutta il cratere C\ eruzioni di fumo rossastro escono dal nuovo cratere secondario C' , più raramente di fumo nero e scorie ; il cratere D erutta fumo bianco, e talora scorie, quasi continuamente, con impulsi a circa un minuto secondo 1’ uno dall’ altro. A 13h x/2 siamo a 300 m. a sud della bocca N e della grande M.ti CARCARAZZI Fig. C : Cratere N visto da WNW al 22 ottobre 1892. U eruzione dell’ Etna del 1892 31 fumarola o bocca estinta F ( Tav. V, Fig. 3). La bocca N ha 1’ orlo abbastanza regolare, ( Fig. c ) orizzontale, però a nord è franato, e ri è uno scoglio di lava frastagliata prominente nel- l’ interno : ad ovest 1’ orlo è slabbrato a canale tino alla fuma- rola F , talché pare che comunichi con essa. Le falde di N sono coperte di cenere biancastra : alla distanza di 50 m. da JSf si sente uscirne un rumore continuo, come di treno ferroviario. Passiamo ad esaminare ad uno ad uno i coni dell’ apparato eruttivo. Il cono A è di poco cambiato : però le due sue bocche, superiore ed inferiore, per le frane interne sono allargate e quasi confuse in una per la scomparsa dei sepimenti interni. Il cratere B (Pig. d) ha ancora forma conica; ma è largamente e profonda- mente scavato nel fianco settentrionale, ove si è formata la bocca intermedia B' ; da questa esce fumo bianco, non abbondante, stri- dente : si odono inoltre rumori continui deboli, come rullo. Il cono C (Pig. e) ha il suo orlo superiore a nord frastagliato da Fig. e : Nuovo cono secondario C' visto da ovest al 22 ottobre 1892. frane : è di color rossastro con incrostazioni gialle e verdi all’orlo : il suo canale diretto a sud è tutto chiuso e colmato da detrito. 32 A. Ricco e S. Arcidiacono [Memoria V.] che forma una superfìcie inclinata continua, leggermente concava: non si riconosce più 1’ argine o morena di lava su cui siamo saliti il 1° Agosto. Ad ovest fino a 300 m. da questo cono si ve- dono blocchi eruttati colle dimensioni perfino di 2 in. (Tav. V, Eig. 4) ; il cratere D ha forma conica regolare, il suo piede a sud è molto sviluppato ed ha invaso quello del cratere C ; fra il suo pendio NW e la cresta settentrionale di 0, ed entro la cavità superiore di questo cratere si è formato un nuovo conetto C' (Eig. e) colla bocca rivolta a NW, il quale di quando in quando fa delle scariche di fumo giallastro e scorie. Siamo saliti sull’orlo occidentale del cratere C con trepida- zione per le eruzioni frequenti di scorie incandescenti del cono 7), che ci domina : mentre disponiamo la macchina fotografica per ritrarre quell’ interno così interessante, una mitragliata del nuovo cono C' ci obbliga alla ritirata, non senza però aver prima com- pletato un rapido abbozzo ; dopo di che scendiamo più che in fretta, dirigendoci a SE : incontriamo strisce o crostoni di lava piani come pezzi di un marciapiede ; poi una serie di lastroni di lava accumulati quasi verticalmente , a libro o ventaglio : rammentano le tavole di ghiaccio della débàcle dei fiumi, e quella formazione e disposizione evidentemente deriva da cause ana- loghe , cioè il consolidamento superficiale e la spinta della cor- rente. Passiamo poscia sui massi accumulati disordinatamente che coprono la bocca di lava a SE del cratere D ; si riconosce an- cora il canale che parte dal piede del detto cratere : vi è tuttora molto calore. Tediamo poi, più a SE, l’altra bocca pure ingom- bra e chiusa da massi stranamente accumulati, e di vario colore; più avanti ancora a SE, circa ad un chilometro, si scorge una terza bocca di lava. Dobbiamo ripassare la colata di ponente , andando per il sentiero, e poi la la colata diretta a M.te Eaggi, insieme ai muli, perchè il mulattiere per errore li ha condotti fino al piede del cratere (7; e quindi torniamo a Nicolosi. L’ eruzione dell ' Etna, del 1892 33 25 Ottobre. — A 5h si parte da Nicolosi per 1’ Osservatorio Etneo : per la via , mentre albeggia appena , vediamo la bocca di lava, la piò vicina a SE del cratere Z>, lucidissima, di color rosso-bianco : anche la lava ai Cervi è assai luminosa ; sopra la eruzione vi è una grande nube rossa, molto risplendente : levato il sole , si vede fumo grigio che esce dal cratere N. A 9h 40m siamo a Casa del Bosco : si ode il rumore dell’eruzione, come di caldaia in ebollizione ; il cratere JSf emette una colonna di fumo grigio alta 9°, cioè 480 m.: ad ovest di esso vi sono due grandi fumarole attive F ; dalla bocca B/ esce fumo bianco , e molto ne esce pure dai crateri C e I). A mezzodì arriviamo al- l’Osservatorio : i tre sismoscopi sono a posto, indicando che dal 7 settembre in poi non vi è stata alcuna scossa di terremoto ; a 17h dall’apparato eruttivo esce fumo giallastro : sopra il luogo della eruzione si vede un grande cumulo di vapori , che pare formato di neve fioccosa, prodotto dalla forte condensazione dei vapori nell’ atmosfera alta, fredda : dall’eruzione stessa si sente un rumore simile a quello del mare lontano, agitato. 26 Ottobre. — Al nascer del sole vi è solo un piccolo strato di nebbia e nuvolette che copre 1’ orizzonte marino : il sole nel sorgere vi produce tre immagini luminose irregolari, rosse , so- vrapposte verticalmente ; al mattino pochissimo fumo sull’ eru- zione. Dopo il tramonto bellissimo crepuscolo rosso , ordinario per forma e colorazione. 21 Ottobre. — Bell’aurora ordinaria: poche nebbie e nuvolette all’ orizzonte marino ; il sole nell’ attraversarle produce due im- magini sovrapposte verticalmente : poco fumo dall’ eruzione, po- chissimo dal cratere centrale, ma diretto all’Osservatorio, e che quindi produce puzzo di zolfo, molto molesto; a 18h Y2 fumo grigio nella parte settentrionale dell’ eruzione ; fumo bianco roseo sul resto, accresciuto ; crepuscolo roseo bellissimo, ma ordinario. Atti Acc. Serie 4a, Vol. XVII — Meni. V. 5 34 A. Ricco e 8. Arcidiacono [Memoria V.] 28 Ottobre. — A 3h */4 forte puzzo di zolfo, soffocante, prove- niente dal cratere centrale, portato dal vento violento di nord: bella aurora ordinaria: il sole sorge attraverso uno straterello di nebbia alto pochi minuti d’arco, sovrapposto all’orizzonte ma- rino , il quale però si vede abbastanza distinto ; a 10h i/2 puzzo di zolfo, che viene da sud, cioè dall’ eruzione ; a llh ’/4 partenza per il cratere centrale ; a 12h 7m siamo a mezza altezza ; cielo sereno sopra, campo di nubi sotto di noi , temperatura + 11°, 3, vento SE debolissimo: a 12h I0m, arrivati all’orlo SE, dopo una salita diffìcile, scendiamo per un piano inclinato verso nord e verso 1’ interno , che presenta chiazze di neve : giungiamo fino all’orlo del precipizio a picco che lo termina, circa a 30 m. sotto 1’ orlo occidentale più alto. L’ interno ci si presenta in tutti i suoi particolari , perchè affatto sgombro di fumo e ben illuminato dal sole meridiano , e perfettamente calmo, cioè silenzioso ; nella parte superiore ha la forma di anfiteatro per le stratificazioni orizzontali distinte che formano come delle gradinate; nella parte inferiore è fatto ad imbuto a pareti liscie, solo scavato verticalmente da molte frane concorrenti nel fondo ; tutte le pareti specialmente superiori so- no coperte da magnifiche incrostazioni verdi, gialle , aranciate : vi sono parecchie fumarole che danno sottili colonne di fumo ascendente, denso, specialmente in quelle che escono dall’ orlo di levante; scarsissime esalazioni solfuree, e quindi nessuna molestia, si odono solo alcuni rari scroscii nell’ interno. Nè al fondo, nè sulle pareti si vedono blocchi di roccia ca- duti , nè bombe , nè altro materiale sciolto. Il cono avventizio aderente alla parete interna che guarda SE è slabbrato e forse anche spaccato ad est : la sua bocca è a circa un terzo della profondità; emette tranquillamente fumo grigio poco abbondante: una colonna di fumo denso, grigio, più importante sale roteando dal fondo, poi si dilata aderendo al lato est del cono: pare che esca da una frattura che faccia seguito alla slabbratura del cono avventizio. Più ad est, e più in alto vi è un altro piccolo era- L1 eruzione dell ’ Etna del 1892 35 tere avventizio , pure aderente alla parete interna del cratere centrale : non emette fumo. A sinistra del cono maggiore avven- tizio cioè contro la parete interna del cratere centrale che guar- da est vi è la nicchia che è una specie di galleria chiusa, poco profonda, certamente prodotta da una frana : le incrostazioni da cui è coperta la fanno parere dorata. A 13h 40m saliamo sulla punta o corno più alto dell’orlo a sud per dominare meglio 1’ interno e vedere il fondo, che è chiuso da una superfìcie continua. A 14h 2m siamo di ritorno alla depressione a SE : vi è la temperatura + 8°,0; le pietre, che abbiamo fatte rotolare per la china esterna del cratere centrale, roteando e saltando arrivano fino al piede del cratere stesso , impiegandovi poco più di un minuto e producendo un rumore come se percorressero una via vuota di sotto. A 14h i/i si comincia la discesa che da prima è difficilissi- ma. Piantando nel terreno per 20 cm. il termometro nei punti donde vediamo uscire fumo, si ha l’ indicazione di 70°. A 15h V4 siamo di ritorno all’Osservatorio : sull’eruzione si vede ancora fumo bianco, fioccoso, e fumo giallastro. 2,9 Ottobre. — Bellissima aurora rosea ; a 5h 10m dall’ eru- zione esce fumo rossiccio ed un rumore come di caldaia che bolle. Al nascer del sole (0h 18m) si osserva il punto verde e quindi sole rosso, poi aranciato, poi giallo, poi bianco, insomma tutti i fenomeni ordinari : anzi il sole appena spuntato, non può essere fissato, tanto è il suo splendore, ossia la trasparenza dell’ aria. A 10h 25rn leggera scossa di terremoto : è caduto il pistillo del sismoscopio Brassart , ma non il dischetto del sismoscopio Cecchi. A 13h 30'“ puzzo di zolfo con vento meridionale , quindi proveniente dall’eruzione , dove si vede fumo grigio : poco fumo dal cratere centrale. A 14h 30m partenza dall’ Osservatorio. 36 A. Bieco e iS. Arcidiacono [Memoria V.] A 15h V4 siamo ad una frattura prodottasi al principio del- 1’ eruzione : va da Tacca Albanelli a Tacca Arena; ha tracciato concavo verso SE, ed entro alla concavità il terreno è abbassato di 2 in. per 1’ estensione di 200 m. ; nel centro dello sprofonda- mento vi è una cavità rotonda, cilindrica, quasi regolare, come pozzo, di 10 in. diametro e 5 m. di profondità. A 16h a Tolta Girolamo si sente puzzo di zolfo e rumore come di mulino , dall’ eruzione ; le fumarole di Volta Girolamo sono molto attive. A 16h 6m siamo poco lungi dal cratere A che è molto at- tivo e lancia grandi masse di fumo grigio, e qualche volta an- che pietre, con molto rumore; piove fitta cenere ; l’aria è molto torbida ; il sole è giallo rossastro, e si può fissare senza pena : si sale sull’ orlo settentrionale di A : il cratere è imponente : è divenuto ancora più grande ; il fumo esce dalla parte meridionale che è divisa dalla settentrionale da una specie di tramezzo di rocce frastagliate , che parte dal punto NW dell’ orlo. Giriamo al piede sud della scarpa e stimiamo 1’ altezza di questa 40 m. Tutt’ attorno il terreno è coperto da una abbondante eru- zione di cenere biancastra, che rende irriconoscibili i luoghi da dove altre volte si era fotografato il cratere. Il cratere A si è tanto esteso , che col suo piede ha rag- giunto quello della bocca estinta o fumarola F (Tav. A, Eig. 3). Procediamo verso altri crateri : arrivati presso la bocca If, ad ore 17, siamo di nuovo avvolti da densa caligine : si ode un grande strepito; crediamo derivi dalla bocca B' ; il cielo è ros- siccio, torbido a nord, più chiaro a sud, ove pare vi sia un’area o bocca serena , azzurrognola : in altri momenti pare vi sia un circolo chiaro, allo zenit ; sono effetti di uno strato di nebbia molto denso, ina basso , cioè di poco spessore. La caligine e l’o- scurità ci impediscono di visitare gli altri crateri ; e ritorniamo a Mcolosi. L’ eruzione dell ’ Etna del 1892 37 Visite di A. Ricco all’apparato eruttivo dopo 1’ eruzione. Queste visite sono state fatte per lo più di passaggio, sia nel recarci all1 Osservatorio Etneo , sia nel fare il rilevamento delle lave : diamo qui concisamente i dati raccolti, relativi allo estinguersi dei residui dell1 attività eruttiva ed alla degradazione dell’ apparato eruttivo. 1 Marzo 1893. — A 10h 55m ove la strada S. Leo è incontrata dalla lava del 1892 , questa presenta delle efflorescenze saline bianche come neve; a llh 10m si vede fumo che esce da M.te Gem- ili ellaro; a llh 20m la lava di grande spessore dietro M.te Concilio fuma ancora; a 12h 25m a casa del Bosco cade nevischio (, graurpél ); a 13h 20m si nota che la colata a M.te Eaggi ne ha oltrepassato 1’ asse di circa 150 m. nella direzione SSW : a 13h 20m nevica. A 13h 55m siamo alla grotta Rifugio dei Pastori : si osserva che la bocca B' ha un orlo o cono rilevato , distinto (Eig. f) forse perchè il materiale che lo costituisce, incrostato e cementato da scorie recenti, ha resistito all’azione demolitrice degli atmosferili, meglio delle falde incoerenti dei coni vicini A e B ; molto fumo dal cratere N e dalla vicina fumarola F , altre fumarole sulla costa meridionale della Montagnola ; incrostazioni gialle sui coni B e C. A 14h 0m ai Orassorelli, si smonta di sella, perchè i muli non possono andare oltre sulla neve; a 15h 10m a M.te Ca- stellazzo ; tuoni da ponente , il cratere N dà fumo copioso , azzurrognolo. Fig‘. f : Bocca secondaria B' vista da W al 1 marzo 1893. 38 A. Ricco e 8. Arcidiacono [Memoria Y.J 2 Marzo 1893. — A 14h 20m scendendo dall’ Osservatorio Etneo siamo ai Grassorelli : nevica; da questo punto si vede il cratere A molto sviluppato, A poco cambiato, B' molto distinto, B basso, largamente sventrato verso nord, C pure aperto verso nord, C' e D ben distinti ; niente fumo. 30 Aprile 1893 — A 9h 40m a Yalta Girolamo si nota che dai crateri A, A, B' e dalla fumarola B esce fumo leggero ; si vedono fumarole anche sul fianco meridionale della Montagnola: molte incrostazioni sul cono A e più ancora su B, che è fra- nato e slabbrato. I Maggio 1893. — A 11 h 0m nebbia densissima: la fumarola A si è fatta grandissima: ha l’aspetto di un vero cratere vul- canico largo una trentina di metri, e molto profondo : una pie- tra per cadere al fondo impiega 3 secondi, il che dà 44 m. di pro- fondità ; le bocche da cui esce il fumo sono in fondo al cratere; non si ode alcun rumore ; a levante vi sono altre fumarole, anche esse entro una grande escavazione o cratere , attiguo al primo. Il fumo che esce da queste bocche è denso e copioso , ma non ha alcun odore : pare sia puro vapor acqueo. II cratere A è molto cambiato : è slabbrato ed allargato verso sud dalle frane : la parte nord dell’ orlo , che è una por- zione interna del cratere , messa a scoperto dalle frane , ha la forma regolare di un segmento sferico cavo : è coperta da incro- stazioni gialle : più a sud vi è una voragine enorme, a forma di imbuto irregolare, ripidissimo, profondissimo : una grossa pietra, che vi gettiamo dentro, vi produce rumore per 50 secondi ; ne esce continuamente fumo ; si stima il diametro della parte me- ridionale 150 m. ed il diametro totale A-S 200 m. A 14h 5m nebbia e nubi : saliamo sul cratere A : vi sono tre grandi cavità coniche in fila diretta al cratere A: la più me- ridionale è doppia; vi è inoltre in fondo un canale diretto obli- quamente in giù, verso sud ; le bocche sono coperte da incrosta- V eruzione dell’ Etna del 1892 39 zioni gialle; nessun indizio di attività, tranne due fumarole nelle due boccile più meridionali, che danno sensibile calore ; la som- mità a sud è pure coperta da belle incrostazioni gialle e verdi. Guardando verso sud si domina e si vede perfettamente la bocca intermedia B' ed il cono B : la prima ci rivolge una bocca ro- tonda, come di pozzo diretto alquanto verso sud, colle pareti in- crostate da scorie e sublimazioni giallo-rossastre : superiormente la bocca è slargata da frane. Il cratere B ha forma complessiva conica , abbastanza regolare, ma è profondamente e largamente scavato nella falda settentrionale, ov’è la bocca B' : il suo cratere è pressoché circolare, scavato ad imbuto, e piuttosto a scodella, e dalla sommità del cono A vi vediamo due bocche (delle tre che lia) e molte incrostazioni e sublimazioni giallastre, ma niente fumo. A 13h 7 le nubi e le nebbie aumentano per modo da ren- dere impossibile continuare V esame dello apparato eruttivo , e partiamo per Nicolosi. 21 Giugno 1893. — Nel passare si vede da lontano che nel- l’apparato eruttivo non vi è nulla di nuovo : poco fumo dal cra- tere A, e nulla dagli altri : fumarole attive fra A ed A. 28 Luglio 1893. — A 14h 0m, passando lungo la fila dei M.tl Silvestri , si vede che nell’ apparato eruttivo solo il cratere A emette fumo. 6 Agosto 1893. — A llh 16m scendendo per il Piano del Lago a circa ij2 km. a sud dell’Osservatorio Etneo si avvertono boati cupi, poco forti, provenienti dal cratere centrale, che emette molto e denso fumo ; a 12h 1/4 siamo a nord del cratere A, il quale getta molto fumo come anche le fumarole attive sulle falde meridionali della Montagnola a circa 400 m. a nord del cratere A : passando ad est del detto cratere si avverte puzzo di ani- dride solforosa ; gli altri crateri del 1892 seno totalmente calmi. Essendoci fermati a Serra Pizzuta Calvarina, ove la lava del- 40 A. Ricco e S. Arcidiacono [Memoria V.] l’eruzione del 1892 forma un grande ammasso, a 11 1 2 vediamo una fumata del cratere A. 20 Settembre 1893. — A 15h 3/4 nel passare vediamo che nell’apparato eruttivo del 1892 solo il cratere A emette un po’ di fumo. 10 Agosto 1894. — A 15h */4 nel salire all’Osservatorio Etneo si vede che il cratere A emette ancora fumo : su di esso e sulle fumarole F vi sono molte incrostazioni bianco-giallastre. 1 Settemòre 1895. — A 15h i/z passando nel recarci all’Os- servatorio Etneo, si osserva che il cratere A emette fumo az- zurrognolo, assai abbondante : nulla gli altri. 30 Settembre 1896. — Il cratere C è squarciato e molto franato nell’ interno : si vede ancora la specie di diga da cui precipitava la cascata di lava ; sull’ orlo superiore vi sono molte incrostazioni gialle e rosse, anche di zolfo : vi è sensibile calo- re : il termometro a contatto del suolo segna 35°. L’orlo è for- mato da un tufo aereo di cenere , abbastanza coerente. Si os- serva una bocca di lava al piede di C la quale dopo essersi estinta si riattivò: è di forma irregolarmente ellittica col diame- tro maggiore di 12 in., il minore 4 Y2 m. la profondità attuale 7 m.: l’orlo nord è ripiegato verticalmente all’ infuori, come da spinta interna. 11 cratere I) ha forma di pozzo rotondo con pareti a picco; una pietra a cadere in fondo impiega 2S, 8, il che darebbe la pro- fondità di circa 38 m., maggiore dell’altezza del cono. Dall’orlo meridionale emana calore fortissimo; il piede di questo cono ha invaso il corso della lava che con forte pendenza usciva dal cratere C. Davanti a questo cono , a sud vi è un cumulo di lava che è quello uscito dal piede del cono 7) alla fine di set- tembre 1892. I! eruzione dell ’ Etna del 1892 41 30 Ottobre 1896. — La bocca del cratere N è grande circa come quella di B. minore di quella di A che però è molto al- lungata e divisa da sopimenti in mina. Il cratere N è fatto ad imbuto profondissimo e ripidissimo : entro vi sono molte fuma- role attive. Il terreno a nord del cratere N è quasi piano ed al livello dell’ orlo settentrionale del detto cratere; più a nord an- cora vi è un cumulo di materiali vulcanici antichi. L’orlo più alto della fumarola F forma una cresta spiccata, con pendio ripido che guarda SE : vi sono delle fumarole scottanti. L’orlo orientale di A è più alto dell’altro ; il cratere è spac- cato e franato, ancora più di quel che era prima. La sella fra B e C è quasi alla stessa altezza dell’ orlo o cresta occidentale di <7, meno alta della orientale, rasenta 1’ al- tezza dell’ orlo del cono C. Il pendio dei coni ad est è più dolce e più esteso di quello ad ovest : dopo il piede ben netto dei coni vi è un piano incli- nato che scende tino a grande distanza verso est, tutto coperto di cenere vulcanica recente, cioè dell’ eruzione del 1892. L’interno del cratere B ha forma regolare ad imbuto, però scavato verso nord fino a B ; nel fondo vi sono tre bocche ro- tonde : dalla orientale esce poco fumo incoloro. Il cono A è alquanto ad ovest della linea di B e 0. I tre crateri A, B , C, sono di forma ovale, allungata circa nella direzione N-S : A e B hanno il vertice acuto verso nord, C è allungato a conca e canale verso sud. L’apparato eruttivo e le lave sono stati visitati da me pa- recchie volte anche in seguito, ma le variazioni osservate si ri- feriscono piuttosto alla loro degradazione , causata dagli agenti atmosferici, anziché a residui di attività. Haturalmente anche al cratere centrale si sono ripetute le visite dopo il 1896 , ed in esso si è notato , più che altro , un lavorio di demolizione, prodotto dalle frane ; e ciò tino all’eru- zione centrale dell’agosto 1899, che modificò sensibilmente l’in- terno del cratere medesimo. Atti Acc. Serie 4% Vol. XVII - Meni. V. 6 42 A. Ricco e 8. Arcidiacono [Memoria V.| Visite di S. Arcidiacono all’ eruzione. 4 Settembre 1892. — Per incarico del sig. Direttore dell’ Os- servatorio di Catania ed Etneo , prof. A. Piccò , partii per Xi- colosi con lo scopo di fare una breve escursione sul teatro erut- tivo, spingendomi sino al l’ O sservato ri o Etneo ed al sommo cra- tere centrale dell’ Etna. L’ itinerario fu così stabilito : percorrere all’ andata il campo eruttivo dal lato occidentale, ed al ritorno , dopo di avere visi- tato il cratere centrale etneo, percorrerlo dal lato orientale. Partii da Xicolosi , accompagnato dal sig. Antonio Galva- gno, custode dell’ Osservatorio Etneo, nella mezzanotte tra il 5 ed il 6 del predetto mese di settembre , e verso le 4h del mat- tino , giunsi sul cono settentrionale di M.te Xero , a poche cen- tinaia di metri dall’ apparato eruttivo. Ancora 1’ alba non era spuntata , e col favore delle tenebre , da quel punto elevato si poteva osservare benissimo lo sgorgo abbondante di una estesa corrente di lava infuocata, cìie si spandeva sopra un piano dol- cemente inclinato verso sud-est, dirigendosi al basso per le erte pendici dei dag alotti dei Cervi. Da quel che si poteva vedere, anche con 1’ aiuto di un buon binocolo, sembrava che le bocche di fuoco principali fossero due. Il colpo d’ occhio era veramente meraviglioso : la vista di un esteso campo mobile di lava, su cui si accavalcavano con vece continua ondate di lava incandescente, contornato a nord dalla imponente serie dei nuovi coni avventizii, a nord-est dall’aspra e selvaggia giogaia della Serra del Salifìzio , ad est, circonfuso da un rado velo di nebbia indorata dalla nascente aurora , dal grandioso M.te Serra Pizzuta Calvarina, era tal cosa da riempire l’animo di stupore e di ammirazione. L’ apparecchio eruttivo , tal quale a noi si mostrava dalla L’ eruzione délV Etna del 1892 43 cima settentrionale di M.te Nero , è rappresentato dalla Eig. 1, Tav. VI. Si Tede in e una bocca di fuoco spenta, ridotta allo stato di emanazione, la quale, dalle ore 14 del 27 agosto, tino alla sera del 29 , mandò fuori una colata di lava (ancora calda al tempo della nostra visita) che lambendo la base orientale del predetto monte, andò a confondersi in basso col grosso della cor- rente principale. Si vede poi a sud il cono eruttivo J) , il più piccolo , di forma regolare ; esso al principio dell’ eruzione mandò fuori lava e fumo , indi solo colonne di fumo bianco e brandelli di lava incandescente, spesso in forma di bombe; funzionava come un enorme camino per dare sfogo ai prodotti gassosi dei grande focolaio vulcanico sottostante. In C si riscontra il cono succes- sivo, verso nord, un po’ più elevato del precedente, con i bordi del cratere irregolari e con una profonda squarciatura sul fianco sud, per la quale si poteva osservare lo interno della voragine. Trovavasi allo stato di solfatara, con le pareti tapezzate da su- blimazioni che facevano un bello effetto alla vista coi loro vivi e svariati colori. In B ed in A si hanno altri due coni eruttivi; essi si so- migliano molto nel profilo, differiscono poco in mole ed altezza, entrambi hanno la bocca craterigena spostata verso nord-ovest rispetto all’asse e presentano sul lato opposto una gibosità su cui risiedono i loro punti culminanti. Anch’essi si trovano in calma, con le pareti interne tapezzate da sublimazioni di svariati colori. Dietro la predetta serie di coni avventizii, si spalanca una grande voragine, un cratere di esplosione, comparso nella notte tra F 11 ed il 12 dello scorso agosto e che si è distinto con la lettera N nella II parte di questa memoria, Diario delPEruzio- ne del 1892, esso si rivela nella fìg. 1 mercè di una colonna di fumo grigio f. Circa le 9h , 14m lasciammo la cima settentrionale di M.te Nero , attraversammo con grave disagio la estesa corrente di lava di ponente, costeggiammo la serie dei nuovi crateri e ci av- 44 A. Ricco e IS. Arcidiacono [Memoria V.] vicinammo alla predetta voragine V, che giace proprio alla base della Montagnola. Nel frattempo le colonne di fumo che lenta- mente si innalzavano da essa , si trasformavano a poco a poco, in violenti eruzioni, il cui prodotto era rappresentato da colos- sali pini di fumo grigio , frammisto ad abbondante materiale frammentario di ogni grossezza , dalla sabbia alle grossissime bombe di più che un metro cubo di volume ; alle 10h circa , eravamo già alla distanza di circa m. 300, in presenza di questo cratere in piena attività. Il succedersi continuo delle sue eru- zioni , l’alto fragore di cui venivano accompagnate, ci offerivano veramente uno spettacolo assai interessante. Riproduciamo una fotografìa (Tav. VI, tig. 2) di questa bocca, la quale essendo comparsa da 26 giorni, non aveva avuto ancora il tempo di accumulare attorno a sè tanto materiale da costituire una notevole prominenza sul terreno circostante. In questa fotografia predomina la colonna del fumo eruttivo , che grigia e con estrema violenza si innalza in aria; dietro si disegna il profilo della Montagnola ed a sinistra si vede un tratto del pendio settentrionale del 1° cono avventizio A. Si procedette oltre, verso 1’ alto ; si lasciò ad est la predetta bocca V, e ci avviammo direttamente verso 1’ Osservatorio Etneo, dove giungemmo alle llh , con un vento di ponente freddo ed impetuoso ; nel salire, in contrada Volta di Girolamo abbiamo visto un debole fumaiuolo, che poi al ritorno non abbiamo più trovato. Alle 7h 20m del giorno 7 intraprendemmo la salita del cono terminale dell’Etna; essa fu compiuta senza alcuno incidente in un’ ora e dieci minuti dal lato sud. L’interno del ceatere centrale etneo, dopo la grandiosa ul- tima esplosione delle 22h 30m dell’8 luglio, si era completamente trasformato.' Prima di quel tempo, e durante le diverse fasi di attività attraversate dopo l’ eruzione del 1886, aveva assunto la forma caratteristica di un gigantesco imbuto, con le scarpate più o meno praticabili e con la bocca del camino vulcanico in fon- L’ eruzione dell’ Etna del 189 2 45 do, ridotta a minime proporzioni, perchè in gran parte oblite- rata dal materiale franato, e dalla quale si compivano i princi- pali fenomeni eruttivi centrali. Con la esplosione della notte del- 1’ 8 luglio 1892, era saltata in aria la impalcatura del cratere centrale con tutto il materiale frammentario incoerente , e la grandiosa cavità craterigena aveva preso la forma attuale di una immensa caldaia con le pareti tagliate a picco , dell’ altezza di più che 60 metri , sulle quali si vedevano innumerevoli strati orizzontali di conglomerati, costituiti da sabbie, lapilli ed altro materiale minuto , variamente colorate da sublimazioni di clo- ruro di sodio , cloruro d’ ammonio, cloruro di ferro , cloruro di rame, zolfo ecc. ecc. il tutto avvolto in turbini di fumo bianco acidissimo, esalante dal fondo della voragine e dagli innumere- voli fumaiuoli facentesi strada attraverso di esse. Il vento di ponente, che lassù spirava impetuoso , le ema- nazioni acide del sottoposto cratere centrale etneo, ci rendevano quasi impossibile, per lo meno molto fastidiosa , la permanenza sulla cima dell1 Etna, epperò, nostro malgrado, abbiamo dovuto fare ritorno all1 Osservatorio Etneo. Ivi facemmo i preparativi per la partenza, verso l1 apparato eruttivo eccentrico e Nicolosi; alle llh eravamo già in marcia, diretti verso sud-est, e lamben- do la base orientale della collina della Torre del Filosofo, rag- giungemmo il ciglio del Piano del Lago , da cui si dominava tutta la immensa Valle del Bove. Disgraziatamente in quell1 ora la nebbia titta riempiva quella vasta e profonda depressione, di modo che dovemmo rinunciare al grandioso spettacolo della vista della Valle del Bove a volo d’ uccello. Scendemmo verse la Montagnola e piegando un po’ a sud- ovest, toccammo il bordo ovest dello Cisternazza. Questa grandiosa voragine non è altro che una bocca erut- tiva spalancatasi durante l’eruzione del marzo del 1792, cioè un secolo fa ; è di forma presso che circolare, del diametro di circa in. 150. 46 A. Ricco e ÌS. Arcidiacono [Memoria V.] Aon presenta attorno ai suoi bordi alenila eminenza perché in sul principio della sua comparsa mancò V attività eruttiva nella proiezione di sabbia, lapilli, scorie, brandelli di lava an- tica o coeva ed altro materiale frammentario. Questa voragine lia una grande analogia con quella aper- tasi nella notte fra PII ed il 12 agosto 1892, proprio alla base della Montagnola e che noi abbiamo indicato con la lettera N: entrambe ripetono la loro origine ad una violenta esplosione pro- dotta dai gas racchiusi ad altissima tensione nell’ interno della crosta terrestre, ed occupano i limiti estremi superiori dell1 ap- parato eruttivo ; se non che la bocca di esplosione dell1 odierna eruzione è di proporzioni più modeste, ma in compenso fu molto più attiva di quella comparsa nel 1792 , tanto che con le sue numerosissime e poderose eruzioni vnlcaniane potè costituirsi at- torno un cono assai depresso. Dalla Cisternazza ci dirigemmo per il Castello del Piano del Lago : il ciglio meridionale di quell’esteso altipiano che si trova in cima dell’Etna, e di là, prendemmo la china per la Tacca degli Albanelli. A cominciare da questa località , abbiamo trovato traccio evidenti di fratture, dislocamenti ed anche sprofondamenti del suolo. Constatammo da principio la esistenza di numerose buche piuttosto piccole al Castello del Piano del Lago , ordinate sopra un allineamento che scendeva per la Tacca della Neve agli Al- banelli; ivi trovammo una frattura che scendendo dal di sopra della predetta Tacca della Neve , andava verso sud-est a mettere capo in uno sprofondamento in forma di pozzo, con la sezione circolare del diametro di circa m. 9 per altrettanto di altezza ; al fondo, verso nord, questa piccola voragine s’inabissava nel- 1’ interno della montagna. Da questo sprofondamento la frattura prosegue ancora verso sud, dirigendosi per la regione superiore della Tacca della Pena e per Volta di Girolamo. A Volta di Girolamo siamo già nelle vicinanze dell1 odierno Ij eruzione dell ’ Etna del 1892 47 apparato eruttivo , ed ivi son tante le fratture e tale lo scon- volgimento del suolo, elie sarebbe stata un’ impresa ben difficile il volercisi raccapezzare. Dall’ alto di una ripida scarpata presi una fotografìa (vedi parte II, tavola III, fìg. 2) dell’ apparato eruttivo, visto da NW. In essa campeggia il cono A, il più elevato della serie, con la sua grandiosa cavità crateri gena, divisa da alti tramezzi in quat- tro voragini; indi si vede il 3° cono Jì, di proporzioni più mo- deste del precedente ; dopo di questo , si vede appena il fianco occidentale del cono C , e dietro di esso resta il cono I) , il quale si rivela per un debole pennacchio di fumo bianco; verso il limite estremo di destra della figura , si osserva la cima settentrionale di M.te Nero con la grande corrente lavica di ponente impietrita. Del 1° cono a nord V, non si vede , a si- nistra della figura, che una debole e rada colonna di fumo gri- giastro , essendo rientrato nel momento della nostra visita , in una calma relativa. La predetta fotografia completa quella presa dalla cima settentrionale di M.te Nero (Tav. VI, fig. 1,). Procedendo oltre , mi diressi verso 1’ apparato eruttivo per esaminarlo più da vicino ; feci il giro, in compagnia del custo- de Galvagno , dell’orlo del cratere V, or ora nominato, e po- temmo costatare che esso era in calma, come si disse ; ma dal suo interno venivano fuori tranquillamente delle esalazioni aci- dissime di anidride solforosa ed un alto fragore come di mare in tempesta. Sceso il breve declivio orientale di questo cono , ci allac- ciammo dall’ orlo settentrionale del cono A. Qui ci si parò dinanzi una vista veramente meravigliosa ; avevamo dinanzi a noi spalancate quattro grandiose voragini , allineate presso a poco da nord a sud e mano mano, coi bordi più elevati, fino a raggiungere la considerevole altezza di più che m. 100, separate l’ una dall’altra da colossali muraglioni che anch’essi, grado grado, si spingevano in alto a guisa di una gigantesca gradinata (Tav. VI, fig. 3). Le pareti interne di que- 48 A. Ricco e 8. Arcidiacono J Memoria V.] 8 te voragini erano vagamente tapezzate da sublimazioni dai vivi colori del giallo cedrino dello zolfo, del verde di alcuni sali di rame, del giallo rossiccio del cloruro di ferro, del bianco niveo del cloruro di sodio e del sale ammoniaco ; il tutto poi , come in un immenso circo , era abbracciato dai fianchi ancora caldi del monte. Il magnifico colpo d’ occhio che ci si presentava dinnanzi, la calma quasi assoluta in cui giaceva questo cono avventizio, ci invogliò a tentarne la salita, la quale fu compiuta in breve tempo , senza alcuna seria difficoltà ; noi per i primi abbiamo calcato la sua intatta cima. Xel discendere, lungo il ripido fian- co di SE , ne abbiamo misurato la lunghezza , la quale molti- plicata per il seno dell’ angolo di naturale pendìo con cui si dispose il materiale eruttato costituente i fianchi dol monte (cir- ca 35°), ci diede un’ altezza di m. 114 sul terreno circostante. Compiuta la discesa del cono A , ci spingemmo verso il basso sul lato di levante dell’ apparato eruttivo e giungemmo alla estremità meridionale della serie dei nuovi coni ; c’ inol- trammo fra le lave recenti, ancora calde, per avvicinarci, quanto più era possibile , alla zona di terreno ove si aprivano le boc- che di efflusso delle lave. Dopo breve, ma faticosissimo cammi- no, circa m. 300, verso le 15h , 30m giungemmo dinanzi a due bocche di fuoco : una più alta , relativamente piccola , larga al più 2 m. la quale dava una corrente lavica che si avanzava lentamente in mezzo a due argini rilevati sul piano generale del suolo circostante, costituiti dallo accumulo di materiale fram- mentario solidificatosi alla superfìcie e mano mano depositato ai fianchi di essa corrente, come avviene per le morene laterali dei ghiacciai ; 1’ altra, più bassa , una ventina di metri più a sud, larga, circa 4 in. assai più attiva, dava una corrente di lava colla velocità di quasi mezzo metro al minuto secondo. A que- sta bocca di fuoco assegnando una sezione di 16 mq. doveva dare, con molta probabilità, 8 me. di lava al minuto secondo , 480 me. al minuto primo , 28,800 me. in un’ ora ; 691200 me. 1? eruzione dell’ Etna del 1892 49 in 24h. Si noti che noi abbiamo viste bocche di fuoco, già spen- te, assai più larghe di questa, epperò di una maggior portata ; da ciò si potrà arguire facilmente, tenendo calcolo anche della lunga durata dell’ eruzione (giorni 174) lo enorme volume di materiale venuto fuori dalle visceri del nostro grande vulcano. Noi potemmo accostare questa bocca di fuoco (Tav. VI fi- gura 4) tino alla distanza di 5 in. circa e quantunque ci fos- simo posti con le spalle contro al vento di ponente, che allora spirava, pure il calore irradiato da tutta quella massa incande- scente era così intenso da non potersi a lungo tollerare. La lava c uscendo dalla bocca di fuoco ò, aveva una con- sistenza vischiosa, che si può benissimo paragonare a quella del miele : produceva dei sibili , degli scoppiettìi continui per gas che si sprigionavano dalla sua massa ; immediatamente si rico- priva di uno straterello di scorie , che veniva subito rotto in mille pezzi e rigettati, mano mano ai lati della corrente ; quei frantumi di lava solidificata accumulati, a poco a poco, e poi cementati dalla lava medesima ancora fluida, costituivano degli argini entro i quali la corrente nel primo breve suo tratto con- teneva tutto il suo materiale fluente. Osservammo molte di queste bocche di fuoco spente, rima- ste a nudo, per manco di materiale fluido incandescente ; si ve- deva la voragine spalancata esalante intenso calore e masse più o meno considerevoli di vapori acidi di diversa natura ; per un tratto , verso il punto più depresso, i suoi bordi erano rotti e si prolungavano in basso in due muraglie , qualche volta alte tino a 2 m. presentando F aspetto di una delle nostre strade di campagna fiancheggiate da muri a secco dì pietrame vulcanico. La corrente di lava c, di cui sopra è parola, per una ventina (li metri scorreva sopra un piano dolcemente inclinato , conser- vando una larghezza media di circa 4 in.; dopo scendeva lungo il pendìo di una ripida discesa, espandendosi a ventaglio , alla- gando il piano sottostante. Per quante ricerche si siano fatte in quella ristretta e pe- Atti Acc. Sekjk 4% Vor,. XVII — Meni. V. 7 50 A. Ricci) e S. Arcidiacono [Memoria V.] ri colosa zona di terreno, non riuscimmo a trovare altre bocche di fuoco attive, di modo che si vedeva a chiare note che anche 1’ efflusso lavico nel tempo della nostra visita , era in grande decremento. Essendosi 1’ ora fatta tarda, nostro malgrado , abbiamo do- vuto lasciare quella scena singolare e muovere verso Nicolosi. 8 settembre, a 5h, 30m ci mettemmo nuovamente in cam- mino per raggiungere dal lato di levante i I)ag alotti dei Cerci , allora campo di distruzione dell’ eruzione in corso , e così visi- tare nuovamente le bocche di fuoco che lasciammo ieri sera. Lungo la via, ad oriente di M.te Albano, incontrammo una cor- rente di lava piuttosto attiva , con la fronte larga 10 ni. circa che si avanzava colla velocità media di quasi 12 ni. all’ora, su un terreno ineguale, scabbro, a pendìo risentito, costituito dalle antiche lave del 1766, venute fuori dalle Boccherélle del fatico, in gran parte eguagliate da un grosso strato di sabbia nera pio- vuta nella eruzione del 1886. Questa corrente era la più bassa fra quelle allora esistenti, molte altre rigavano il ripido pendìo dei J)ag alotti dei Cervi , incendiando e distruggendo i doridi ca- stagneti che ivi esistevano. Verso le 8h, 45m guadagnammo la cima di M.te Albano ; di là abbiamo fatto una fotografìa degli enormi accumuli di la- va veritìcatisi attorno M.te Grosso, il quale in gran parte rimase seppellito in mezzo ad esse ; e di quelle accatastate a nord di detto M.te Albano; dopo circa tre ore di lungo e faticoso cam- mino, a 13h riguadagnammo la località compresa fra la base settentrionale Monte Nero e quella meridionale del cono avven- tizio D, ove si aprivano le due bocche di fuoco visitate ieri. Una di esse, la più alta, era già spenta, 1’ altra di cui sopra ci siamo a lungo occupati, era presso a poco nelle medesime con- dizioni del giorno precedente e per averne un ricordo, abbiamo fatto di esso una fotografìa (fig. 4, Tav. VI) dalla parte di po- nente, ad una distanza di circa 30 m. Latto ciò, non senza qualche esitazione, ci dirigemmo verso L’ eruzione dell ’ Etna del 1892 51 ponente per raggiungere M.te Nero, attraversando la estesa cor- rente lavica di levante , sulla quale trovavasi sovrapposta una altra colata, venuta fuori nei giorni 27-29 agosto dalla bocca e tìg. 1, Tav. VI. Quasi nel mezzo di questa corrrente trovammo una bocca di fuoco spenta, accessibile, sormontata da un accumulo di lava scoriacea di forma grossolanamente conica , sventrato sul lato sud , prolungandosi i bordi della sventratura in avanti a guisa di due argini di altezze grado grado più piccole tino a morire alla superticie del suolo. Questa bocca di fuoco, dopo di avere dato il suo contributo di lava fluida incandescente, diede degli sbuffi di cenere bianco-gialliccia che asperse i suoi fianchi e una piccola porzione del terreno circostante. Attraversammo il resto di quella zona di terreno , ove da un momento all’ altro , nel periodo di maggiore attività della fase di deiezione lavica, comparivano e scomparivano le bocche di fuoco ed ove il terreno si vedeva frastagliato in tutti i sensi da fessure e crepacci , dai quali venivano fuori getti di vapori ad alta tensione, producendo dei sibili, lasciando inoltre vedere nel loro fondo la viva lava, il tutto incrostato da sublimazioni variopinte che facevano un singolare contrasto col nero arsiccio della lava recente solidificata. Verso le llh, 30m ci riducemmo sul fianco orientale del cono nord di M.te Nero, sullo stesso punto in cui passammo le prime ore del giorno 6 settembre. Alle 15h abbandonammo la cima di M.te Nero e dopo di avere attraversato a piedi, per circa 20 minuti, la estesa corrente di lava di ponente, ci dirigemmo alla Gasa del Bosco , dove tro- vati i muli, facemmo ritorno a Nicolosi. ■ ' I . . Tav. IY . Apparato eruttivo, visto da Monte Nero, cioè da sud. Fig. 4. Bocche di lava, viste da Monte Nero. Grande fumarola F e cratere N , visti da sud. Fig. 4. Grande masso lanciato a 300 m. ovest dei coni meridionali. ! A Tav. VI Interno del cono avventizio A, visto da Nord. Memoria VI Sulle opposte variazioni di resistenza dei coherer a perossido di piombo per influenza deile onde elettriche Memoria del Prof. ERNESTO DRAGO (1> 1. J\el 1900 il Branly (2) pubblicò una memoria, nella (piale espose i risultati di alcune sue ricerche sull’ accrescimento di re- sistenza dei coherer a PbO2 3 4 per azione delle onde elettriche — Egli affermò come le sue esperienze lo avevano condotto nell’ opinione che 1’ accrescimento di resistenza dei detti coherer, dipende , al pari delle diminuzioni da uno stato fisico della membrana iso- lante interposta fra le particelle. Aschldnass (3) cerca di ricon- durre il comportamento del PbO2 a quello dei contatti umidi di conduttori metallici, i quali sotto l1 influenza delle onde elettri- che aumentano di resistenza. In una mia precedente memoria (4) ho mostrato come i coherer a PbO2 ed a CuS manifestino in certi casi delle dimi- nuzioni di resistenza sotto V influenza delle onde elettriche. In seguito ho voluto studiare con maggiore accuratezza tale fenomeno da me constatato per i coherer a PbO2, enei conteni- (1) Lavoro eseguito nell’ Istituto tisico della IL Università di Catania diretto dal Prof. G. P. Grimaldi. (2) Comptes Rendus. Tomo 130-1900 p. 1069. (3) Wied. Ann. 1899. Band. 67, p. 812. (4) Atti Acc. Gioenia di Catania Serie 4a Voi. XV. Atti Acc. Serie 4% Vol. XVII — Mem. VI. 1 Prof. Ernesto Drago [Memoria VI.] po ho cercato di indagare anche la causa del noto aumento di resistenza dei detti coherer per l’ influenza delle onde elettriche. La disposizione sperimentale messa in pratica è stata la se- guente. Nel circuito di una pila termoelettrica o di tre elementi normali Raoult , erano inseriti il coherer , un galvanometro a grande resistenza coi rocchetti in serie, astatizzato con la durata d’ oscillazione di 10s , ed un interruttore a mercurio. Tutto era convenientemente isolato dal suolo, e nella prima serie di ricer- che eseguite con la pila termoelettrica, con un coherer formato da due striscie di stagnola incollate sopra una lastra di vetro a 3mm circa di distanza l1 una dall’ altra , e con le onde elettriche prodotte da una macchina Wimshurst, vennero confermati i ri- sultati di cui ho fatto cenno nel principio del presente lavoro. Rimanendo costante la distanza fra le sferette dello spinterome- tro della macchina ed il coherer, le scariche intense della me- desima coi condensatori facevano aumentare la resistenza elet- trica del coherer, mentre le scariche deboli della macchina senza condensatori facevano diminuire la detta resistenza. Identico comportamento manifestava il coherer se la differenza di poten- ziale ai suoi estremi si faceva crescere gradatamente sino ad un massimo, che era raggiunto inserendo al posto della pila termo- elettrica i tre elementi Raoult. Esame microscopico. 2. Dopo tali esperienze in me si destò subito la curiosità di analizzare intimamente il fenomeno della opposta variazione di resistenza dei coherer a PbO2 tenuto specialmente presente che detta sostanza non aveva mai svelato delle diminuzioni di resi- stenza a nessuno sperimentatore , e che anzi di tal fatto molti si sono avvalsi per attaccare la teoria di Lodge. Costrussi allora un coherer stratiforme con una lunga stri- Sulle opposte variazioni di resistenza dei coherer , ecc. 3 scia di stagnola incollata sopra un portaoggetti da microscopio e provvista nel centro di una fenditura della larghezza di cir- ca lmm. Tale coherer venne posto sul tavolino di un microscopio di cui ordinariamente si adoperava 1’ ingrandimento di 80 diametri, che permetteva di osservare nettamente V intervallo fra gli elet- trodi di stagnola. L’ ingrandimento di 120 diametri era soltanto adoperato quando si voleva osservare ciò che accadeva in una porzione speciale del detto intervallo presa in esame. Era gli elettrodi di stagnola e sotto il campo del microscopio io mettevo una piccolissima quantità di polvere di PbO2 puro, e poi fra i medesimi per mezzo di un ago sottile da cucire costruivo dei ponti di particelle di PbO2. Il microscopio era isolato dal banco di osservazione per mezzo di un blocco di paraffina, ed analo- gamente per mezzo di una lastrina d’ ebanite forata nel centro era isolato il coherer dal tavolino del microscopio. Le prime esperienze si fecero, come ho già detto, costruen- do dei ponti conduttori di PbO2 , ed il galvanometro con la de- viazione del suo sistema astatico, letta al solito col metodo del cannocchiale e scala , accusava la continuità dei contatti delle particelle di PbO2. Oollegando direttamente un polo del secondario di un pic- colo rocchetto di Ruhmkorff, messo in* azione da alcuni elementi Cupron, con un estremo del coherer si osservavano violenti mo- vimenti e scintilline sotto il campo, del microscopio. La polvere di PbO2 veniva proiettata fuori dall’ intervallo fra gli elettrodi ed il campo così veniva sgombrato con un solco per lo più pa- rallelo alla fenditura. I ponti erano evidentemente distrutti e la deviazione del galvanometro si annullava. Risultati perfetta- mente identici si ottennero servendosi della macchina Wiinsliurst invece del rocchetto. Se però si metteva in azione il rocchetto con un solo elemento Cupron, non si notavano più dei movimenti sensibili nella polvere e 1’ aumento di deviazione del galvanome- tro rendeva palese la diminuzione di resistenza del coherer. 4 Prof. Ernesto Drago [Memoria VI.] Do alcuni esempi di numerosissime esperienze eseguite sul riguardo. Deviazione iniziale del galvanometro prima di eccitare il rocchetto 31d SO'1 70d 140d 40 d SO'1 lo'1 351 10d 50d 25d ir1 od Deviazione del galvanometro dopo V azione del rocchetto sulla polvere di PbO2 95d 140'1 120d (1) ISO'1 I10d 110d 26d 37d 61d (2) 95d 25d (Ili scuotimenti facevano aumentare, come è noto, la resi- stenza del coherer. Se io desideravo un’ azione più lenta del rocchetto talvolta mettevo fra i morsetti dell’ elemento Cupron una conveniente derivazione. Senza osservare nel seguito delle ricerche la deviazione del galvanometro io riuscivo a distinguere con la sola osservazione al microscopio, i casi in cui la polvere diminuiva di resistenza e quelli in cui aumentava. Xei primi non si osservavano mo- vimenti bruschi delle particelle di PbO2 ma abbastanza lenti , mentre negli altri, oltre ai movimenti rapidi, si avvertiva un crepitio particolare derivante dalle scariche fra gli elettrodi o fra le particelle della polvere del coherer. L’osservazione successiva (1) Tale valore della deviazione si ottenne a 10h. Facendo delle osservazioni a 16h si trovò ridotto a 102d. (2) *61d a 10h e 66 a 15h. Ciò prova che le resistenze del coherer si mantenevano re- lativamente costanti per molto tempo, e le variazioni brusche osservate dipendevano real- mente dall’ azione del rocchetto e non da variazioni accidentali della resistenza del coherer. Sulle opposte variazioni di resistenza dei coherer, ece. 5 della deviazione del galvanometro confermava le mie previsioni. Invece di comunicare delle cariche elettriche direttamente al coherer pensai primieramente di comunicarle attraverso 1’ aria per induzione. Perciò costrussi uno spinterometro a punte d’ acciaio , le quali potevano essere collegate con i poli del secondario di Ruhin- korff da un lato, e dall’ altro si mettevano sotto il campo del microscopio ad una determinata distanza dal coherer. La di- stanza esplosiva come anche la distanza fra il coherer e le punte dello spinterometro potevano variarsi a piacere. Si costruivano allora dei ponti di PbO2, interrotti in vari punti in modo da non avere una deviazione del galvanometro, e si cominciava ad eccitare il rocchetto con un elemento Cupron, mettendo le punte alla distanza di 1,5 - 2 min. circa dal cohe- rer e poco distanti tra loro (l/2 o 1 min. circa). Pacerulo allora aumentare la distanza esplosiva sino a 2 o 3 min. circa o anche più, ed avvicinando nel contempo le punte al coherer, si notavano nella polvere regolarissimi movimenti dovuti evidentemente alla polarizzazione delle particelle di PbO2. Le interruzioni dei ponti si chiudevano, le particelle di PbO2 si suddividevano in minutissimi granelli di polvere, i quali con- giunti tra loro presentavano ordinati movimenti vermiformi. Contemporaneamente 1’ osservazione al galvanometro mo- strava come la deviazione aumentasse e spessissimo l’ immagine della scala uscisse fuori dal campo del cannocchiale. Avvicinando ancora di più le punte al coherer o aumentando la distanza esplosiva i movimenti aumentavano d’ intensità, finché assume- vano un carattere disordinato ; le particelle di PbO2 compivano delle violenti escursioni fra gli elettrodi, e, rendendo sempre più intensa l’azione, lo strato di polvere fra gli elettrodi veniva sgom- brato. In questi casi la deviazione del galvanometro evidente- mente si annullava. In tutte queste esperienze si faceva variare la direzione della scintilla nello spazio e si badava a non rendere piccola 6 Prof. Ernesto Drago [Memoria VI.] la distanza fra il coherer e lo spinterometro per impedire che avvenissero delle scintille fra le punte e gli elettrodi di stagnola. I fenomeni da me descritti non hanno bisogno di spiegazione. Da queste esperienze si può però conchiudere, che la pol- vere di PbO2 diminuisce di resistenza quando l’andamento della polarizzazione è regolare ed ordinato. Movimenti rapidi e disor- dinati prodotti dall’ azione intensa , anche senza sgombrare il campo rompono i sottilissimi ponti, ricostituendoli in parte con particelle più o meno grosse che con tale azione partecipano al movimento disgregandosi : la polarizzazione è disturbata e la pol- vere accusa un aumento di resistenza. Per studiare adesso F azione esercitata dalle onde elettriche sopra tale coherer, io adoperai F oscillatore di Hertz con palline nell’ olio di vasellina e la nota disposizione dei fili di Lecher per la produzione delle onde stazionarie. A distanza variabile dai medesimi si disponeva il microscopio con il coherer e si fa- cevano allora le solite osservazioni. Così eseguendo le ricerche si poteva constatare che appena eccitate le onde elettriche scocca- vano delle scintille fra gli elettrodi del coherer, la polvere ve- niva proiettata all’ intorno delle scintille, in tal maniera il cam- po fra quelli era sgombrato ed il galvanometro tornava a zero. Come è noto F effetto delle onde elettriche era lo stesso sia che il coherer si trovasse in un ventre, sia che si trovasse in un nodo. Smisi allora di adoperare una tale disposizione sperimentale, perchè F azione delle onde elettriche era violenta e le scintille nel coherer devevano avere evidentemente un’ azione perturbatri- ce sui fenomeni del medesimo. Decisi perciò di servirmi di un’ azione più debole ed ado- perai allora l’oscillatore di Lodge, di cui le sfere più piccole era- no messe in comunicazione con i poli del secondario del piccolo rocchetto , il quale poteva essere eccitato da uno o da tre ele- menti Cfrenet al massimo. Una delle sferette fu messa in comunicazione con il suolo Sulle opposte variazioni di resistenza dei coherer , eco. 7 l1 altra con un’ antenna, ed analogo collegamento si fece agli estremi del coherer (1). L’ oscillatore era posto a distanza variabile fra 50 cm. e I in. dal microscopio e le distanze esplosive fra le sfere pote- vano raggiungere al massimo 1, 5 min. Con tali azioni deboli prodotte dal detto oscillatore nella polvere di PbO2 non si vedevano scintille ma soltanto movimenti. Costruendo dei ponti di polvere con una o più interruzioni si osservava che questi si chiudevano sotto 1’ azione delle onde elet- triche, e i movimenti delle particelle erano soltanto visibili quan- do s’ interrompeva il circuito del coherer. Se si lasciava chiuso il medesimo non si osservavano movimenti sensibili ed il gal- vanometro non si spostava dallo zero, mentre al contrario quando si apriva il detto circuito ed in punti particolari si chiudevano le interruzioni dei ponti, il galvanometro deviava e spessissimo II immagine della scala usciva fuori dal campo del cannocchiale. Le distanze esplosive erano ridotte piccolissime in queste espe- rienze (frazioni di mm.) con 1’ avvicinare le sferette dell’ oscil- latore alla sfera grande centrale. Non era da pensare ad un’ azione impedente esercitata dalla differenza di potenziale esistente agli estremi del coherer e sta- bilita dalla forza elettromotrice degli elementi Raoul t, perchè fu sperimentato che i movimenti si verificavano anche quando • si escludevano dal circuito i detti elementi. Anche a circuito chiuso si osservavano talvolta delle va- riazioni della deviazione al galvanometro, ma non si constata- vano movimenti sensibili nella polvere. Le riferite ricerche mostrano la diminuzione di resistenza dei coherer a PbO' sotto l’ influenza di deboli onde elettriche, ma si potè anche trovare come aumentando F intensità delle oscillazioni col rendere grande la distanza esplosiva fra le sfere (1) Nel seguito delle ricerche si tolse la comunicazione del coherer con il suolo perchè si constatò che non aveva influenza sensibile sull’ andamento dei fenomeni in istudio. 8 Prof. Ernesto Drago [Memoria VI.] dell’ oscillatore i coherer predetti manifestavano degli aumenti della loro resistenza elettrica. Talvolta pur chiudendosi le in- terruzioni fra i ponti il galvanonietro non deviava. Ciò però po- tendo dipendere da imperfette chiusure, si facevano delle espe- rienze costruendo dei ponti conduttori senza interruzioni e notando la corrispondente deviazione al galvanonietro. Appena allora ec- citate le onde ed aperto il circuito del coherer, si osservavano mo- vimenti delle particelle di PbO2, e successivamente la deviazione si trovava diminuita o spessissimo annullata. Queste esperienze mi lasciarono qualche dubbio sulla inter- pretazione delle cause dei fenomeni, e mi fecero subito pensare all’ influenza di cause perturbatrici sui medesimi. Pifatti, se facendo agire sul coherer delle onde intense si chiudevano sempre le interruzioni dei ponti senza però che la conduttività si stabilisse, e se viceversa facendo agire le medesi- me sui ponti già stabiliti la conduttività diminuiva o si annul- lava, era necessario di cercare quale potesse essere la causa di tale fenomeno. Pensai subito a possibili scintille le quali sarebbero potute avvenire nella polvere, e non potendone vedere al microscopio ricorsi ad esperienze con le fotografie dei coherer. Tali scintille piccolissime invisibili al microscopio sarebbero state probabilmente svelate dalle lastre fotografiche. L’ opinione che vi fossero delle scintille quando i coherer aumentavano di resistenza veniva giustificata dal fatto, che si vedevano sparpa- gliamento di particelle e violenti movimenti concomitanti la for- mazione dei ponti. Ricerche fotografiche 3. Istituii perciò delle esperienze simili a quelle fatte da Malagoli (1) e misi in opera tutte le precauzioni necessarie per un sicuro esito delle esperienze. (1) Elettricista 1898 — N. 9 p. 193. •Sulle opposte variazioni di resistenza dei coherer, ecc. 9 In una scatola di cartone 9 X 12, coperta internamente ed esternamente da carta nera veniva introdotta una lastra foto- grafica 6 % 9 sopra la cui pellicola sensibile si collocavano due pezzi triangolari d’ottone, provvisti di fili che pescavano in due bicchierini con mercurio fìssati sulle pareti della scatola. Dai due bicchierini partivano poi due fili che potevano es- sere congiunti al circuito del galvanometro. L’ intervallo fra i vertici delle dette lastre triangolari, variabile fra 1 o 2 min. , ve- niva chiuso con uno o più ponti di PbO1 2, e si notava quindi la deviazione al galvanometro. Esponendo allora la scatola ben chiusa per 20m o 30m alle onde elettriche, la deviazione si ridu- ceva o si annullava. Le lastre fotografiche, sviluppate dopo al- 1' idrocliinone, non mostravano traccia alcuna di scintilla nel po- sto dove si trovava la polvere, la qual cosa mi fece realmente convinto che 1’ aumento di resistenza dei coherer a PbO2 sotto 1’ influenza delle onde elettriche non deve dipendere dalle scin- tille che si possono ottenere nei coherer, come pensa Sundorph (1). Messa in evidenza, almeno nei limiti delle mie esperienze, 1’ assenza di scintille , io proseguì lo studio delle variazioni di resistenza dei coherer a PbO2, ed ebbi occasione di osservare i fatti che qui espongo. Toccando con la mano 1’ estremo dell’ oscillatore in comu- nicazione con l’ antenna potei constatare che si ottenevano forti movimenti nella polvere del coherer e conseguenti aumenti di resistenze del medesimo. Ancora con maggior efficacia agivano le oscillazioni lente dell’antenna le quali mettevano in vivacissimi e disordinati mo- vimenti le particelle di PbO2. Tali oscillazioni si ottenevano met- tendo in comunicazione un polo del secondario del rocchetto con l’antenna, e l’altro col suolo. In tutti questi casi il coherer pre- sentava degli aumenti di resistenza sotto 1’ influenza delle onde elettriche. (1) Wied. Ami. 1S99 p. 819 Band. 69. Atti Acc. Seme 4', Voi.. XVII — Meni. VI. 2 10 Prof. Ernesto Drogo [Memoria VI.] Esperienze con elettrodi di natura diversa. 4. Nel corso delle mie numerose esperienze mi fu dato no- tare che, quando con oscillazioni di debole intensità si costruiva un ponte interrotto verso il centro del coherer, quest’ ultimo di- minuiva di resistenza sotto 1’ influenza delle onde, mentre se si stabiliva un’ interruzione fra il PbO2 ed uno degli elettrodi di stagnola , si aveva un aumento di resistenza caratterizzato dal fatto che dopo chiusa l’ interruzione il galvanometro non devia- va, e partendo da una deviazione iniziale ottenuta con lo sta- bilire un contatto imperfetto tra 1’ elettrodo ed il PbO2 , si aveva la riduzione o 1’ annullamento della medesima. Per verificare tale fatto nei coherer ordinari si adoperò un piccolo coherer, lungo 3 cm. e con gli elettrodi di rame. La di- stanza fra questi poteva variare nell’ordine dei millimetri, perchè uno degli elettrodi era provvisto di vite, che si poteva muovere in apposita madrevite fissata nel tubetto di vetro del coherer. Per osservare 1’ azione delle onde elettriche deboli verso il centro del coherer, io feci un buco nel vetro compreso fra gli elettrodi , e così con il solito ago da cucire potevo formare dei ponti sotto il campo del microscopio , i quali potevano presen- tare un’ interruzione fra PbO2 e PbO2 ovvero fra PbO2 ed uno degli elettrodi di rame. Vennero così confermati i risultati trovati per i coherer stra- tiformi, di guisa che in questa prima serie di ricerche si destò in me il sospetto che il contatto PbO2 - PbO2 si comportasse di- versamente del contatto eterogeneo PbO2 - metallo rispetto all’a- zione delle onde elettriche. Per amor di brevità qui non trascri- vo le cifre che indicano la variazione della deviazione galvano- metrica nei due casi. Ad evitare possibili cause d’ errore , siccome la polvere di PhO2 aderiva facilmente agli elettrodi, avevo cura ad ogni espe- rienza di pulire bene gli elettrodi in modo da essere sicuro che 1’ azione delle onde si esercitasse sull’ interruzione PbO2 - metallo. Sulle opposte variazioni di resistenza dei coherer , eoe. 11 Sospettando così che potesse avere influenza la natura degli elettrodi, costrussi dei coherer stratiformi con elettrodi di oro e platino e dei coherer ordinari e stratiformi con elettrodi di carbone. Un altro anche ne costrussi con elettrodi di PbO1 2 bene impastato con gomma. Esaminando tutti questi coherer al microscopio per vedere i movimenti e la formazione dei ponti , constatai che le espe- rienze seguirono tutte nella stessa guisa come le già riferite , così che abbandonai V idea che la natura dell' elettrodo avesse potuto avere un’ influenza sui fenomeni dei coherer a PbO2. Pensai piuttosto alle atmosfere gassose esistenti alla super- ficie degli elettrodi ed avviluppanti le particelle di PbO2. Tali atmosfere evidentemente distribuite in modo diverso sopra corpi di natura diversa si sarebbero potute diversamente modificare, sotto P azione delle onde elettriche , agli elettrodi e fra la pol- vere, donde il comportamento differente del contatto Pb02-Pb02 rispetto al contatto Pb02-metallo. Esperienze con il PbO2 nell’ aria rarefatta. 5. Per tali ragioni costrussi un coherer con serbatoio di PbO2, con elettrodi di platino (issi a 4 inni, di distanza e vi feci il vuoto con la pompa Sprengel. (1) Istituì così delle ricerche analoghe a quelle di Dora, (2) ma non mi fu dato trovare al- cun risultato notevole. Anche sotto deboli azioni il coherer au- mentava di resistenza. Fino a questa serie di esperienze avevo dunque trovato che V azione negativa era localizzata nel contatto Pb02-metallo, ma nel seguito delle ricerche avendo osservato che anche il contatto Pb02-Pb02 con onde intense manifestava un accrescimento di re- sistenza, rimasi ancora più dubbioso sulla vera causa dei feno- meni. (1) A. Righi e B. Dkssau — La telegrafia senza fili, Bologna 1903 pag. 347. (2) Wied. Ann. Band. 66, 1898 p. 146. 12 Prof. Ernesto Drogo [Memoria VI. Quale poteva essere la causa per la quale i ponti (li PbO* 2 3 pur chiudendosi non divenivano conduttori ? Ohe cosa mai po- teva avvenire nei contatti fra le particelle di PbO2 ? Mi venne fatto subito di pensare alle esperienze di Sun- dorpli (1) sulla trasformazione del PbO2 in PbO cattivo con- duttore per azione delle scintille. Secondo tale autore la detta trasformazione chimica sarebbe la causa per la quale il coherer esposto alle onde elettriche aumenterebbe di resistenza. Pur non avendo constatato l’esistenza di scintille-, io so- spettavo che sotto F azione elettrica intensa il PbO2 potesse tra- sformarsi in PbO , quando si chiudevano le interruzioni fra i ponti. Poteva infatti svilupparsi del calore (2) fra le particelle di PbO2 , sebbene io mi accertai della poca influenza di un riscal- damento su di un coherer a PbO2 avvicinando al medesimo una ti anima Biniseli. Poteva svilupparsi una piccolissima quantità d’ozono, la quale avrebbe potuto ridurre il PbO2. Si sa infatti che 1’ azione dell’ acqua ossigenata sul PbO2 è la seguente H202 4- PbO2 = H20 -f- PbO -j- 02 1’ ozono agirebbe nella stessa guisa dando luogo alla seguente reazione : 0:! 4- PbO2 — PbO 4- 202 (3) Sebbene fossero difficili con la mia disposizione sperimen- tale sviluppo sufficiente di calore o produzione di ozono , pur tuttavia per escludere addirittura la trasformazione del PbO2 in PbO come causa dell’ aumento di resistenza , istituì delle ricer- che chimiche. a) i. c. (2) Temperatura di scomposizione del PbO'2 è 100°. (3) Mi riserbo di studiare la trasformazione del PbO2 in PbO per azione dell’ elettricità in un gas inerte. Sulle opposte variazioni di resistenza dei coherer , eco. 13 Ricerche chimiche. 6. Si esponeva la polvere all’ azione delle onde elettriche intense e si ripetevano queste esperienze per parecchie volte su di una stessa porzione di polvere, e per parecchi giorni sopra diverse porzioni , per avere così una discreta quantità di PbO2 che aveva manifestato l1 aumento di resistenza. Con esperienze preliminari si faceva avvenire la scarica in una certa quantità di polvere messa direttamente fra le punte dello spinterometro legato al rocchetto, o si metteva in comu- nicazione una sferetta dell’ oscillatore con un estremo del cohe- rer. In entrambi i casi si avevano delle scintille nella polvere e la susseguente analisi chimica accusava la trasformazione del PbO2 nel PbO cattivo conduttore. Se allora si facevano le esperienze come ho riferito nel principio del presente paragrafo, e poi si analizzava il prodotto non si trovava traccia sensibile di PbO. Il metodo adoperato in queste ricerche chimiche fu il se- guente. Si versava sul prodotto che si voleva analizzare una certa quantità di soluzione acquosa d’ idrato potassico al 5 °/0 ° 70 e si agitava il tutto. In tale modo 1’ ossido di piombo veniva sciolto mentre il PbO* rimaneva insolubile. Tale liquido , dopo essere stato filtrato veniva trattato con H2S, il quale dava il precipitato caratteristico di PbS. Si capisce che il liquido non dava precipitato se il PbO2 adoperato non conteneva ossido di piombo. Il metodo di ricerca era sensibilissimo e le analisi ripetute molte volte mi portarono alla conclusione che V aumento di resistenza dei coherer a PbO 2 per azione delle onde elettriche , sempre nei limiti delle mie esperienze, non dipende dalla trasfor- mazione del PbO 2 nel PbO cattivo conduttore. 14 l’rof. Ernesto Drago [Memoria VI.] Esperienze con ponti sottilissimi di PbO'. 7. Xelle migliaia di esperienze da me eseguite per un anno intiero, utcto potuto nettamente osservare, che quando il cohe- rer a PbO2 manifestava una diminuzione della sua resistenza elettrica, sotto il campo del microscopio le interruzioni dei ponti si chiudevano lentissimamente e con movimenti regolari delle particelle. Spessissimo un ponte chiuso lentamente con esili particelle di PbO2 mostrava una diminuzione della sua resistenza, mentre un ponte chiuso con grosse particelle di PbO2 manifestava un aumento, come si poteva constatare osservando la deviazione al galvanometro. Ed erano talvolta così esili le particelle di PbO2, le quali chiudevano le interruzioni dei ponti, che per osservarle bene bisognava ricorrere all’ ingrandimento di 120 diametri. Xon solamente ciò io avevo potuto osservare, ma anche il fatto che la diminuzione di resistenza non si manifestava sempre con 1’ aprire e chiudere nel minor tempo possibile il circuito del coherer. Bisognava tenere aperto per un tempo relativamente lungo il detto circuito perchè si potesse constatare una diminuzione di resistenza. A principio dell’ apertura non si osservavano movimenti sen- sibili, ma dopo un certo tempo qualche particella o gruppo di particelle lentamente si muoveva ed andava a chiudere l1 inter- ruzione del ponte. Cercai di istituire delle ricerche per trovare una relazione tra il tempo d’ apertura del circuito del coherer e 1’ aumento della deviazione al galvanometro, ma non vi riuscii, poiché da un canto le cifre ottenute erano irregolarissime e dal- 1’ altro tutto il mio studio era rivolto alla ricerca qualitativa delle cause dei fenomeni. Do qui alcune cifre le quali dimostrano come la condutti- vità del coherer aumentasse con 1’ aumentare del tempo di aper- tura del circuito del medesimo. Sulle opposte variazioni di resistenza dei coherer, ece. 15 Xella tabella seguente la prima colonna indica il numero d’ordine dell’esperienza, la seconda, il tempo d’apertura del circuito del coherer, la terza la deviazione iniziale, la quarta la deviazione al galvanometro all1 atto della chiusura del medesimo, e la quinta la differenza tra le cifre della quarta e della terza colonna. A. Tre elementi Raoult nel circuito del coherer. 2a 3a 4S 5 llu 5J 60 d 55d rn 60 d 125d 65 d Qui 125d 140d 15d 9 m 140d 200 d 60d 0m 15s 2, 0d 15d 13d 0m 30s 15d 20 d 5d lm 20d 20d 0d 0'" 30s 0d 15d 15d lm 15d 30 d 15d Olii jL 30d 40d 10d 4.m 40d 80d 40d 1™ 0d 50“ 50 d om 50 d O.Jd 5d 5'n 55'1 TO’1 15d 16 Prof. Ernesto Drago [Memoria VI.] B. Un elemento Raoult nel circuito del coherer. la 2U 3:> 4a 53 0m 5S 0d 15d 15d r 1 0™ IO3 15d 35' 1 20d 0m 303 35d 35d O'1 0r" 23 0d 25d 25d X rH Ò 25'1 25d 0'1 oa 0m 303 25'1 25d 0d rn 25fl 30d 5d 0m 53 O'1 20d 20d om io3 20d 30 d l()d 3a rn 30(I 40 1 10d 4'" 40 11 200d 160 1 0 m 2S 0d 100d 100d 0111 53 100d 110" 10d 4a ) 1 lm 110d 120d 10d 5ni 120d 200d 80d In generale queste diminuzioni di resistenza erano ottenute eoi ridurre le scintille dell’ oscillatore a qualche decimo di mil- limetro di lunghezza in modo da avere delle onde di debole in- tensità, al contrario quando si aumentava l’ampiezza delle oscil- lazioni con 1’ aumentare la lunghezza delle dette scintille sino ad 1 inni, o più, o si utilizzavano le oscillazioni lente dell’ an- tenna, allora si avevano degli accrescimenti di resistenza. L’ esame microscopico nei due casi delle opposte variazioni Sulle opposte variazioni di resistenza ■ dei coherer, eco. 17 eli resistenza, come lio già avuto occasione di riferire, metteva in rilievo sempre la diversità dei movimenti nella polvere di PbO2. Più lenti, più regolari erano i movimenti e maggiore era la diminuzione di resistenza, mentre al contrario più bruschi ed irregolari erano i medesimi e con maggiore facilità si aveva l’au- mento di resistenza della polvere. In quest’ ultimo caso non era mai estraneo all’ apparente formazione dei ponti il fenomeno della danza elettrica ed il di- sgregamento delle particelle di polvere di PbO'2. Sospettando che potesse avere influenza sui fenomeni la danza elettrica ed il disgregamento della polvere pensai di isti- tuire una serie di ricerche costruendo però dei ponti sottilissi- mi di PbO2. Difatti ogni particella di PbO2 che faceva parte del ponte conduttore, era costituita da un insieme di innumerevoli parti- celle, ed il disgregamento della medesima ne era la prova. Quando il coherer manifestava delle diminuzioni di resi- stenza, attesa la poca intensità dell’ azione, soltanto piccole par- ticelle subivano dei lenti movimenti, in un tempo relativamente lungo e non si osservavano disgregamenti sensibili dei granelli di polvere, mentre quando il coherer manifestava 1’ aumento di resistenza, data la intensità sufficiente dell’ azione, entravano in movimento grosse particelle, le quali si suddividevano in innu- merevoli granelli di polvere all’atto della formazione dei ponti. Sin da ora chiamerò ponti elementari quelli costituiti da particelle semplici e non multiple di PbO2. Per costruire tali ponti elementari suddividevo le particelle multiple con 1’ ago da cucire sotto il microscopio in minutissimi granelli , e ciò per quanto mi era possibile. Tali esperienze erano penosissime, non essende talvolta sufficiente un’ ora intera di continua osservazio- ne al microscopio per costruire dei ponti che si avvicinassero nel miglior modo possibile ai ponti elementari. I piccoli corpu- scoli aderivano all’ ago ed alla superfìcie del coherer, e spessissi- mo avveniva che mentre il ponte stava per essere costruito, un Atti Acc. Serie 4a, Voi.. XVII - Meni. VI. 3 18 Prof. Ernesto Drago [Memoria VI.] movimento per poco irregolare dell’ ago lo rompeva o ne aggrup- pava i corpuscoli, di guisa che bisognava ripetere 1’ operazione. Però così procedendo, dopo avere superato in parte le diffi- coltà di costruzione dei ponti esilissimi , un fatto notevole per quanto semplice mi fu dato osservare. In tali condizioni l’azio- ne intensa delle onde elettriche rompeva addirittura i ponti ed an- nullava la conduttività stabilita dai medesimi, mentre V azione de- bole agiva efficacemente per chiudere le piccole interruzioni che a bella posta si creavano nei ponti , e l’ago del galvanometro che indicava lo zero della scala a principio dell’ esperienza, dopo l’a- zione deviava, e l’angolo di deviazione cresceva con la lentezza di chiusura delle interruzioni dei ponti. Quasi sempre l’ immagine della scala usciva fuori dal cam- po del cannocchiale. L’ urto meccanico sul coherer rompeva i ponti ed annullava la conduttività stabilita precedentemente dalle onde elettriche. Per realizzare più che mi era possibile la costruzione dei ponti elementari, e nello stesso tempo per rendere meno penose le esperienze, pensai di ricorrere al seguente artifizio. Ho già parlato nel corso del presente lavoro dei movimenti regolarissimi e della concomitante lenta suddivisione delle par- ticelle di PbO2 in minutissimi corpuscoli a proposito delle espe- rienze eseguite con 1’ azione delle scariche del piccolo spintero- metro a punte sul coherer stratiforme. Riferendomi a questa particolarità collegavo per mezzo del commutatore di Polii lo spinterometro al secondario del piccolo rocchetto, e nella prima fase dell’ esperienza, mettendo le punte a poca distanza dalla polvere, costruivo i ponti sottilissimi ; poi manovrando il commutatore mettevo in azione 1’ oscillatore di Lodge. — Le ricerche in tal modo istituite con minore difficoltà e con esito più sicuro delle precedenti confermarono le su espo- ste conclusioni e ciò in qualsiasi punto del coherer , tanto cioè se si facevano agire le onde elettriche sull’ interruzione PbO2 -elettrodo quanto sull’ interruzione PbO2 - PbO2. Sulle opposte variazioni di resistenza dei coherer, ecc. 19 Centinaia di esperienze , di cui qui non riporto i dati per brevità , trattandosi di esperienze puramente qualitative misero in chiaro le dette conclusioni, e 1’ osservazione al galvanometro serviva di conferma. Tutte le riferite esperienze e conclusioni vennero confer- mate con le osservazioni al microscopio istituite sopra il piccolo coherer con elettrodi di rame e del quale ho già parlato. Fra le due azioni opposte esercitate dalle onde intense e dalle deboli prodotte sempre dal detto oscillatore di Lodge era logico pensare che doveva essere compresa un’ azione intermedia, la quale avrebbe potuto condurre ad un’ apparente chiusura di ponti senza stabilire alcuna conduttività. Eseguendo infatti delle ricerche con ampiezza delle onde elettriche crescente o decre- scente mi fu dato constatare in parecchi casi, che, mentre si chiudevano i ponti, non erano estranei i movimenti bruschi dei corpuscoli di PbO2 in tali esperienze. Talvolta quando 1’ interruzione si era costruita fra un elet- trodo del coherer e la polvere, una particella veniva vivamente attratta dall’ elettrodo e quindi in questo caso non si aveva che un semplice spostamento della interruzione, la quale prima del- T azione delle onde elettriche si trovava fra V elettrodo ed il PbO2 e dopo 1’ azione delle medesime si trovava fra PbO2 e PbO2. Talvolta questo spostamento d’ interruzione non era osser- vabile, ma un movimento della particella vicino 1’ elettrodo fa- ceva arguire che quello doveva esservi. In tutti questi casi in cui io osservavo una rapida chiusura d’ interruzione senza aumento di conduttività a me sembrava evidente che la polarizzazione doveva essere disturbata. Del resto V apparente formazione dei ponti non implica che debba stabilirsi la conduttività : spesso infatti formavo dei ponti di particelle senza che la conduttività si stabilisse. Evidente- mente il ponte apparentemente chiuso doveva in realtà essere aperto. Di quest’ azione esercitata dalle onde di media intensità sul 20 Prof. Ernesto Brago [Memoria VI.] coherer ho voluto soltanto parlare per evitare possibili sorprese da parte di chi per avventura avesse vaghezza di ripetere le mie ricerche. Esperienze con polveri metalliche 8. Nelle condizioni delle mie esperienze mettendo sul cohe- rer stratiforme o nel coherer ordinario diverse polveri metalliche osservavo al microscopio quanto riferisco. Nessun movimento sensibile di particelle veniva osservato quando il circuito del coherer era aperto. Nessuna diminuzione di resistenza constatava conseguentemente il galvanometro. Però se si formavano dei ponti di particelle metalliche, o, meglio an- cora se si metteva un grande ammasso di polvere, allora anche a circuito chiuso il galvanometro deviava fortemente senza che nella polvere si osservassero movimenti sensibili. Ciò però non avveniva per tutti i metalli. Per osservare dei leggeri movimenti bisognava o toccare con la mano 1’ estremo dell’ oscillatore in comunicazione con l’antenna, o fare agire addirittura le sole oscil- lazioni dell’ antenna. Riferisco alcune delle esperienze a tal uopo istituite. Coherer stratiforme ad elettrodi di carbone Alluminio. 1. Si era costruito un ponte di Al fra gli elettrodi, ma es- so non poteva essersi formato che apparentemente, poiché il gal- vanometro rimaneva allo zero della scala. Eccitando le onde elettriche, ed essendo chiuso il circuito del coherer, l’ immagine della scala usciva fuori dal campo del cannocchiale. 2. Avendo costruito un ponte con un’ interruzione ed ecci- tando le onde elettriche non si osservava alcun movimento. Toc- cando con la mano il solito estremo dell’oscillatore, si osservavano leggieri movimenti, ma l’ interruzione non si chiudeva. Sulle opposte variazioni di resistenza dei coherer, ecc. 21 Si chiudeva artificialmente l1 interruzione e mantenendo aperto il circuito dei coherer si constatavano leggieri movimenti. Chiudendo il circuito del coherer si trovava che la condut- tività era stabilita. Zinco Nessun fenomeno si osservava con la polvere di tale me- tallo, nè a circuito aperto del coherer, nè a circuito chiuso, nè con onde intense, nè con onde deboli. Rame 11 ponte era apparentemente costruito. L1 immagine della scala usciva fuori dal campo del cannocchiale soltanto, quando a circuito aperto del coherer si toccava con la mano il solito estremo dell’ oscillatore. Acciaio, ghisa e nichel 11 ponte era apparentemente costruito. Eccitando le onde elettriche ed essendo chiuso il circuito del coherer F immagine della scala usciva fuori dal campo del cannocchiale. Magnesio Non presentava alcun fenomeno. Coherer stratiforme ad elettrodi di stagnola Alluminio Non presentava alcun fenomeno. Acciaio Si aveva un aumento di conduttività quando si facevano agire le onde elettriche sii una discreta quantità di tornitura che manifestava una leggera conduttività iniziale. 22 Prof. Ernesto I)raf/o [Memoria VI.] Rame Se si toccava con la mano il solito estremo dell’oscillatore si chiudeva apparentemente il ponte ma non si stabiliva la con- duttività. Zinco 0 Non presentava alcun fenomeno. Ghisa Si chiudevano le interruzioni dei ponti ma non si stabiliva la conduttività. Michel Si constatavano leggieri movimenti di particelle se si toc- cava con la mano il solito estremo dell’ oscillatore. Facendo agire le oscillazioni sul ponte apparentemente chiu- so si stabiliva la conduttività. Magnesio Non presentava alcun fenomeno. Le esposte esperienze servono semplicemente a mostrare co- me nelle condizioni in cui io facevo le ricerche per il PbO2 i coherer stratiformi metallici mostravano dei risultati incerti, e non era evidente la formazione dei ponti. Non mi pare che qui sia il caso di parlare di scintille mi- croscopiche che sembravano essere escluse nella mia disposizione sperimentale, ed il modo d’ agire dei detti coherer poteva essere indipendente dalle medesime, contrariamente a quanto asserisce Mizuno (1). Ed altrettanto si può obbiettare alle recenti conclusioni del (1) Philosophical magazine Voi. 50, 1900 p. 445. Sulle opposte variazioni di resistenza dei coherer , eco. 23 lavoro di Hurmuzescu (1), il quale per spiegare il modo d’ agire dei coherer metallici propone la seguente spiegazione : « L’ azione delle onde produce tra i grani metallici delle « scintille che determinano le saldature (coherer propriamente « dette) o degli effluvi che ossidano i grani ed aumentano la « resistenza delle catene metalliche (antidécoliéreur). « Quando il metallo non è in una atmosfera ossidante e « che la coesione non è determinata per saldatura, gli effluvi « cessano nel medesimo tempo che le onde e la resistenza au- « menta (cohéreurs autodécohérables). Si poteva però constatare la formazione dei ponti condut- tori nelle mie esperienze se si aveva cura di rimuovere con il solito ago da cucire la polvere metallica mentre si facevano delle osservazioni al microscopio. La polvere offriva una certa resi- stenza ad essere rimossa, e separando le particelle durante l1 a- zione elettrica erano messi in evidenza i ponti conduttori costituiti da granelli di limatura uniti tra loro. Dopo tale osservazione se si chiudeva il circuito del coherer la conduttività era stabilita. Ho quindi ragione di credere che per il funzionamento del coherer metallici non sieno necessarie le scintille potendo i! me- desimo compiersi con la semplice polarizzazione dei granelli me- tallici. CONCLUSIONI 9. Dalle mie ricerche sono indotto a concludere che : 1. 1 coherer a PbO2 possono non solamente manifestare defili aumenti di resistenza sotto V influenza delle onde elettriche, ma anche delle diminuzioni. (1) Soeiété Frangaise de phisique-résumé des Communications faites daus la séance du 5 juin 1903. 24 Prof. Ernesto Drago [Memoria VI.] 2. L’aumento di resistenza dei coherer a PbO2 si ottiene quan- do i medesimi sono sottoposti ali’ azione di onde intense, mentre la diminuzione di resistenza dei detti coherer si presenta quando que- sti sono sottoposti all’ azione di onde debolissime , e cresce con il tempo d’ azione delle medesime. 3. La causa dell’ aumento di resistenza dei coherer a PbO 2 ri- siede nella distruzione dei ponti conduttori precedentemente stabiliti, mentre la causa della diminuzione va ascritta alla chiusura di in- terruzioni di ponti conduttori. L urto meccanico sul coherer rompe i ponti ed annulla la con- duttività stabilita precedentemente dalle onde elettriche. 4. Perche tali chiusure e distruzioni di ponti possano mani- festarsi con nettezza è necessario costruire dei ponti elementari con particelle esilissime di PbO2. Se si eseguono delle ricerche con grani grossi di polvere possono venire mascherate le osservazioni per le quali si traggono le precedenti conclusioni. Difatti interviene allora il disgregamento dei granelli di polvere in minutissimi cor- puscoli, il quale ha sui grani la stessa azione di uno scuotimento. 5. Nelle stesse condizioni in cui i coherer a PbO2 manifestano una diminuzione della loro resistenza elettrica, i coherer stratifor- mi metallici sono poco sensibili, e la formazione di catene condut- trici non sembra essere causata essenzialmente da scintille fra grano e grano di polvere, ed avviene con movimenti poco sensibili e con piccolissime distanze fra i grani. Senza bisogno di ricorrere alla teoria di Bose, la quale pre- senta qualche lacuna , (1) e ricordando le esperienze di Toin- ro asina, (2) il quale ripetendo le ricerche sui coherer di potassio e sodio immersi nel petrolio ed esposti all’ azione delle onde elettriche, trova per i medesimi degli aumenti di resistenza che spiega benissimo con la teoria della coerenza , io credo che le mie presenti ricerche possono fare entrare benissimo il PbO2 nella stessa teoria. (1) Wiecl. Ann. 4 1901, pag. 762 ed anche Righi e Dessau 1. c. pag. 226. (2) Journal de pliìsyque — Agosto 1902, p. 556. Sulle opposte variazioni di resistenza dei coherer , eoe. 25 Oramai mi sembra abbastanza evidente perchè nelle espe- rienze di Brani v (1) « sull1 accrescimento di resistenza dei ra- diocondnttori » , toccando con un polo della macchina Wim- shnrst il tubo a PbO2 la resistenza del medesimo cresceva tino a 10000ohm. Io ho ripetuto le dette esperienze ed ho notato che toccando con un polo della macchina Wimshurst un estremo del coherer stratiforme a PbO2 i ponti di polvere precedente- mente stabilite si rompevano, mentre adoperando limatura me- tallica nelle stesse condizioni i ponti precedentemente aperti si chiudevano. La polvere di PbO2 è formata da grani complessi costituiti alla loro volta da leggieri ed esili corpuscoli , ed è quindi evidente che soltanto un’ azione debolissima , può met- tere in chiaro il fenomeno delle coerenze. Dal Laboratorio
  • 4 L’ osservazione ebbe, però, anche qui a svelare che se 1’ a- pice del fittoncino veniva leso per tempo da cause d’ indole di- versa, verilìcavasi la formazione di radici fasciate come in fìttoni castrati. Se , invece , la lesione del cono vegetativo avveniva quando il fittoncino aveva raggiunto la lunghezza di 7-10 cm., allora forno avan si in prossimità dell’ apice, radici così appiattite nel loro tratto basilare da sostituirsi quasi alle fasciate comuni. Va rilevato inoltre il fatto che i fìttoni, in conseguenza della soppressione, mostrano un accrescimento in lunghezza maggiore dell’ ordinario e che 1’ emissione di nuove radici suole avvenire tanto al di sopra quanto al di sotto della regione delle radici soppresse. Lungo quest’ ultima non si formano che poche radici, corte, esili, con apice annerito e con suberifìcazione precoce del- l’ intero percorso loro. Hawi, quindi, due regioni di produzione massima, entro cui s’ intercala una di produzione minima. Spiccata addimostrasi la tendenza nelle radici laterali di nuova formazione a produrre presso 1’ apice , in conseguenza , senza dubbio del suo deperimento, radici laterali terziarie e si- mulare così una falsa dicotomia o somigliare radici tìllosserate. In tutti gli esemplari di radici di fava sottoposti alla sop- pressione (in riprese diverse, circa 150) le radicelle di nuova for- mazione si presentavano precocemente suberifìcate, tanto da as- sumere un color rame caratteristico, al quale seguiva più tardi un imbrunimento più o meno spiccato, limitato specialmente verso l’apice in forma di scaglie. Al color rame ed alla suberifìcazione avanzata degli strati corticali più esterni corrisponde uno stato particolare anche nei tessuti sottostanti, per cui le radici laterali si spezzano facilmente ed il cilindro centrale presentasi imbrunito. Siffatte radicelle sono esili , rigide , facili a rompersi , con percorso ansiforme e tali da impartire all’ intero sistema l’aspetto di un raspo. Tale aspetto, se colpì specialmente in questa serie di prove l’attenzione nostra, tanto da riferirlo alla soppressione, non mancò in qualche esemplare di altre serie di colture , pro- vocato parimenti da cause patologiche. La fasciazione delle radici in rapporto ad azioni traumatiche. 35 CARATTERI DELLE RADICI E ASCIATE Le radici secondarie fasciate sono seriali o collaterali. Le prime differiscono dalle altre per l’origine, la fre- quenza, la polimorfi a, il modo d’impianto e di scis- sione. Per l’ o r i g i n e , le seriali derivano dall’ asse ipocotileo o da un breve tratto sottostante del fìttone ; le collaterali dalla metà non basilare del tratto rizogeno di questo. Le prime pren- dono origine nel periciclo in faccia ad nn tratto molto lungo di lama legnosa ; le seconde in corrispondenza non di una, ma di due lame legnose, che vi partecipano contemporaneamente secondo lo stesso piano orizzontale. L’inizio delle seriali si svela con prominenze non coniche ma cuneiformi , dirette nel senso stesso dell’ asse del fittone ; quello delle seriali non differisce dalle cilindriche ordinarie anche per il fatto della riduzione progressiva verso 1’ apice delle dimensioni loro. Per la frequenza, le seriali sono molto più frequenti delle collaterali , che rappresentano casi rarissimi nelle Dicotiledoni, meno rari nelle Monocotiledoni , in cui costituiscono la sola forma di fasciazione radicale. Per la polim orfia, le seriali presentano una folla di forme svariatissime , difficilmente riferibili a poche fondamentali ; le collaterali offrono invece maggiore uniformità di caratteri e di- mensioni. La forma ad 8 della sezione trasversa spetta loro quasi esclusivamente ed è carattere che le riporta ad un tipo unico. Per il modo d’impianto le seriali si trovano, almeno per il tratto basilare , nello stesso piano dell’ asse del fìttone o della lama legnosa, da cui dipendono. Le collaterali s’impiantano invece con la base secondo un piano normale a quello dell’asse del fittone, quindi normalmente alle prime. Per il modo di scissione, è costante la tendenza nelle 36 tì. Lopriore e O. Coniglio [Memoria VII.] collaterali a scindersi in due , nelle seriali in due o più radici cilindriche. Le prime danno luogo a radici gemelle o doppie, nel senso di VAX Tieghem ; le seconde ad un numero tanto maggiore di radici quanto più grande è la larghezza loro, senza però scindersi alla stessa altezza e far quindi riconoscere la linea di vegetazione o linea a pettine, ritenuta così caratteristica nei fusti fasciati dal Maxvel (31) e da altri. Se, nel fatto, le radici fasciate possono somigliare a pettini od a forchette per la tendenza a risolversi in singole radici cilindriche, se ne scostano, però, sia per il numero esiguo e la lunghezza variabile dei denti , sia ancora per V altezza diversa da cui questi partono. Il trovarsi, però, siffatti denti, almeno alla base, nello stesso piano longitudinale, farebbe convenire il paragone forse meglio alle radici che non ai fusti , i cui ger- mogli si trovano in piani diversi e , più che denti di pettine , simulano appendici di una corona. Al riguardo la presenza sui cauli fasciati di solchi longi- tudinali è da noi confermata per le radici, che ne presentano uno solo e mediano se collaterali, ne presentano parecchi se seriali ed, invero, tanti quante sono le radici cilindriche, deri- vanti dalla scissione. Per simile tendenza a scindersi , i solchi diventano verso l’apice sempre più profondi e larghi sino ad incontrarsi da parte a parte e determinare la separazione delle radici. La forma a rosario della sezione trasversa di simili radici è tipica abbastanza, per essere qui particolarmente illustrata. Le radici parziali, derivanti dalla scissione delle fasciate, sono nelle collaterali perfettamente cilindriche , tendenti verso questa forma nelle seriali. In queste le radici parziali svelano i comportamenti più diversi, procedendo ora parallelamente fra loro, ora divaricando e foggiandosi ad es. in forma di àncora, ora avvolgendosi l’ una con 1’ altra a nodo. Contrariamente , quindi , ad altri processi schizogenici , la schizostelia produce schizorize molto diverse dal punto di vista morfologico. La fasciazione delle radici in rapporto ad azioni traumatiche. 37 Per tale rispetto le collaterali presentano la più grande uniformità , le seriali la più grande varietà di forme o proprie o riferibili in parte a quelle dei fusti, come ad es.: la piana, 1’ anulare e la spirale. La piana, semplice per quanto rara, dovrebbe compiersi secondo un piano verticale, ma, per la tendenza alla scissione, raramente le radici parziali rimangono nello stesso piano del tratto fasciato , che a sua volta si curva e si piega. Astraendo, quindi, dal comportamento delle scliizorize, questa forma di fa- sciazione sarebbe più frequente rispetto alle altre, tanto più clie v’ è non di rado passaggio graduale dalla forma fasciata alla cilindrica, senza che siavi scissione. La fasciazione anulare è rarissima nelle radici. Però i pochi casi riscontrati in migliaia di esemplari confermerebbero il con- cetto, certamente originale ma non suffragato ancora da ricerche anatomiche, che i rami fasciati non sono obconici, non potendo il loro tessuto midollare tener pari passo con quello tanto moltiplicato dei fasci fibrovascolari. Questi casi, riferibili, per altro verso , alla schizostelia, saranno esposti più tardi e varranno a meglio illustrare il concetto nuovo e non conciliabile a prima vista con la fasciazione di rami fistulosi, enunciato dal Prof. Delfino. La fasciazione spirale è frequente nelle radici dell’ asse ipocotileo, sul quale presenta casi numerosi e diversi, non ravvi- sabili, nè forse possibili nei fusti, ina da noi pur seguiti nelle colture acquose, ove le radici sono molto più libere nei movi- menti loro rispetto a quelle del terreno. La tendenza ad avvolgersi in forma di spira fa somigliare simili radici, come si rilevò per i fusti, a pastorali di vescovo od a foglie di felci. Bene spesso, però, simile torsione è a danno dell’accrescimento apicale, che cessa del tutto o continua nel caso abbastanza raro che la radice, dopo aver segnato un largo passo di spira, riprende il suo allungamento in linea quasi retta. Nell’ arrollamento spirale le radici non vi partecipano in genere per tutta la loro estensione per il fatto che parte della 38 (x. Lopriore e G. Coniglio [Memoria VII.] zona fasciata viene a sacrificarsi. Questa parte corrisponde ora alla più interna, ora alla più esterna, quasi mai ad una mediana della zona stessa e, o viene ad atrofizzarsi del tutto, o non di rado ad arrollarsi essa pure per breve lunghezza in senso inverso a quello della stessa fasciata. Di norma la torsione spirale s’ inizia dopo un tratto di fa- sciazione piana , ma non sempre , come ammette il Nestler , per effetto di lesioni meccaniche, difficili a compiersi in colture acquose. Se, nondimeno, alla torsione precede o segue in alcuni casi la necrosi del tessuto corticale o vascolare, non si può non ammettere una certa correlazione fra 1’ una e l1 altra anomalia. Tra le forme di fasciazione, possibili nelle radici, ma diffi- cili a verificarsi nei fusti , merita cenno la tendenza a torsioni elicoidali, per cui quelle si presentano in forma di chiocciola, costituita di un tratto largo alla base, progressivamente stretto in alto e terminante con una radice cilindrica che ne sormonta 1’ apice. In simile torsione è sempre il tratto interno che, o in conseguenza della pressione o per cause difficili a determinarsi, deperisce o dispare del tutto, lasciando il solo tratto esterno che si restringe e riduce ad una radice cilindrica. Quanto agli altri caratteri morfologici delle fasciate seriali, basti accennare che le dimensioni variano così grandemente da non permettere di poter fissare alcuna norma, pur non discostan- dosi da quella generale di presentare una degradazione progres- siva, a partire dal piano dei cotiledoni. Per la larghezza, le radici fasciate non possono certo com- petere con i fusti, tenuto conto delle dimensioni relative e del diverso grado di dignità morfologica, essendo le radici in discorso assi secondari , non primari come i fusti , con cui le mettiamo a riscontro. Questo, però, va inteso con grande restrizione quando si pensa che i fusti non sogliono essere fasciati sin dalla base, ma passano gradatamente dalla forma cilindrica a quella ap- piattita, mentre le radici si comportano in modo inverso, pur risolvendosi come quelli in assi cilindrici. La fasciazione delle radici in rapporto ad azioni traumatiche. 39 Per lo spessore, le radici fasciate mostrano un decrescimento continuo dalla base all’ apice, salvo il raro caso d’ ingrossamenti fusiformi, che la radice presenta per l’improvviso destarsi di lacune nel cilindro centrale. Si comporterebbero, quindi, al pari dei fusti, in cui il passaggio dalla forma cilindrica alla fasciata è di so- lito seguito da una corrispondente diminuzione di spessore. Lo spessore delle radici fasciate varia pure nel senso dell’ as- se trasverso. Al riguardo sono le fasciazioni spirali quelle che presentano le maggiori variazioni, perchè scindendosi gli assi, dopo il breve tratto avvolto a spira, in più radici cilindriche, fanno riconoscere al limite esterno la radice più sviluppata, a quello interno la più ridotta. Lo spessore decrescerebbe, quindi, con grande costanza dalla parte esterna a quella interna. In un solo caso, per difficoltà tecniche non seguito accura- tamente, si potè constatare che di due radici derivate da una spirale, la meno sviluppata era all’esterno. Deve forse attribuirsi a questa posizione insolita il fatto che non appena quest’ultima radice potè liberarsi dall’altra, si arrollò in senso diverso da essa. Un carattere particolare delle fasciate seriali, ma che pare non spetti sempre ai fusti, per quanto almeno la letteratura e 1’ osservazione nostra soccorrono, è quello di presentare gli orli lievemente ondulati. A misura però che tali radici si risolvono in altre cilindriche, il carattere dispare , come del resto manca in quelle più strette. Caratteristica è pure la tendenza ad uscire in forma di ar- chi dal fittone e, per alcune più larghe dall’ asse ipocotileo , di avvolgersi a spira intorno a questo, tentando persino di penetrare con 1’ apice in esso , o di presentare larghe pieghe, foggiandosi quasi a banderuole e portando in alto 1’ apice intero o crestato. Sia per le dimensioni, sia ancora per il numero stragrande, in cui le laterali cilindriche e le fasciate irrompono dal fittone, questo presenta, specialmente se castrato, profonde dilacerazioni longitudinali, che dai cotiledoni si spingono fin quasi al limite della castrazione. 40 G. Lopriore e G. Coniglio [Memoria VII.] La zona più esterna di corteccia, intercedente fra queste di- lacerazioni suole talora sollevarsi, rimanendo fissa al tessuto sot- tostante con i soli estremi, tal altra staccarsi con uno di questi ed arrollarsi in forma di spira su sè stessa. Simili fenditure, non che l’enorme ingrossamento assunto dai fittoni castrati, spiegano la grande reazione opposta alle azioni traumatiche e la conse- guente irruzione di radici fasciate od appiattite. I caratteri fin qui accennati si riferiscono alle fasciazioni tipiche, cioè a quelle molto larghe, il cui diametro minore en- tra più volte in quello maggiore della sezione trasversa. Per le strette, invece, buon numero di caratteri viene a mancare e la tipicità a perdersi. Radici con sezione ellittica alla base, termi- nano all’ apice con quella circolare, frequente essendo simile ten- denza nelle radici secondarie di fittoni castrati, in cui oltre che il passaggio dall’una all’altra forma di sezione, si verifica, dalla base all’apice, una corrispondente riduzione nel numero dei fasci. La rizotassi delle radici fasciate non presenta alcuna rela- zione con la fillotassi dei fusti fasciati. Anzi, stando alle osser- vazioni dei Pratelli Bravais (5), « mentre col passare da una regione relativamente sottile ad una più grossa, senza che si ab- bia un corrispondente aumento di larghezza nelle basi delle fo- glie, crescono i numeri secondarii » (33), nelle radici v’ è ridu- zione invece nel numero di quelle laterali. Siffatta riduzione , se naturale in assi secondari rispetto a quelli primari, sorprende tanto più , in quanto il numero delle lame legnose d’ una radice fasciata, e quindi degli archi corri- spondenti di periciclo, riferito a quello d’una cilindrica, dovrebbe fornire un numero maggiore di radici laterali. Queste tendono a formarsi non sulle facce piane , ma sugli orli delle radici fa- sciate , cioè in corrispondenza dell’ asse maggiore della sezione trasversa , come appunto i fiori della Muehlenbeckia platyclada sui fillocladi di questa pianta. Le fasciazioni delle radici si comportano anche per un altro riguardo in modo inverso a quelle dei fusti. In queste i ger- La fasciazione delle radici in rapporto ad azioni traumatiche. 41 mogli apicali ed i picciuoli fogliari si ripresentano spesso a lor colta fasciati (l’evonimo ad es.), mentre nelle radici non riscon- trasi mai la stessa tendenza , che anzi l1 unico caso d’ una ter- ziaria fasciata si ebbe su di una secondaria cilindrica. Per quel che riguarda 1’ endogenia delle radici fasciate, ac- cenneremo le sole generalità del processo, non potendo questo essere illustrato se non alla stregua di ricerche microtomiche , dirette a studiare il comportamento speciale dell’ apice vegeta- tivo di fusti e radici. Come già premesso, le fasciate seriali derivano da una la- ma legnosa che col relativo libro vi partecipa per un tratto ab- bastanza lungo, avvolgendosi di un mantello esteso di corteccia; le collaterali derivano non da una ma da due lame legnose, che prendono parte alla formazione, nello stesso tempo e livello, per tratti relativamente brevi ma uguali di lunghezza. jSTelle prime 1’ apice di vegetazione non ha la forma ordi- naria di cono ma di cuneo ; il punto vegetativo trasfornì erebbesi cioè in linea vegetativa, che o rimarrebbe intera o si scinderebbe più tardi in singoli punti. In quest’ultimo caso il comportamento non sarebbe diverso da quello in cui singoli punti vegetativi sor- gono contemporaneamente l’uno sovrapposto all’altro, avvolgen- dosi d’ un mantello comune di corteccia. Nell’ uno come nell’ altro caso la presenza di più cilindri centrali, immersi in un parenchima fondamentale, non autorizza a ritenere col Sokauek la fasciazione come patologica. Ammessa nelle prime la partecipazione di un tratto abba- stanza lungo di lama legnosa, questa o rimane isolata nel mez- zo, interposta fra due lamelle di libro , o più raramente si ri- solve in due piastre parallele, ad estremi convergenti ed aventi nel mezzo una striscia di tessuto fondamentale die simula un tessuto n i idolli forni e. In tal modo boema e xilema si ritroverebbero come nel fusto sullo stesso raggio. Quindi la differenza tra fasci caulinari e radicali, fondata sulla distribuzione delle due parti del fascio, Atti Acc. Serie 4a, Voi.. XVII - Meni. VII. 6 42 (ì. Lopriore e G. Coniglio [Memoria. VII.| in quelli secondo un raggio, in questi secondo raggi diversi , avrebbe per le radici fasciate una certa restrizione. Lo sviluppo notevole del tessuto midollare nei fusti ( > Scro- fularia, Lithospermmn ) e del midolliforme nelle radici stabilisce un’altra correlazione tra le fasciazioni degli uni e delle altre , la quale cessa però per le radici fasciate delle Dicotiledoni. Difatti lo stato dianzi accennato è provvisorio o, per meglio dire, limitato alla regione basilare di queste radici. A partire da essa, la lama legnosa, unica o doppia, si risolve in singole piastre, tendenti a forma e disposizione regolari e che rispetto a quelle del fusto offrono differenze profonde. Il tipo di fascio es- sendo diverso nel fusto e nella radice, si comporta anche diversa- mente nelle fasciazioni dell’uno e dell’ altra : nel fusto esso ten- de a conservare la forma propria, nella radice s’inizia con forma diversa ina tende in ultimo verso quella definitiva. La presenza, infatti , alla base della radice d’ una piastra unica di legno, in- terposta fra due di libro, fa riferire il fascio al tipo anficribrale, da cui passa gradatamente a quello radiale. Comune è, però, la tendenza in fusti e radici ad arroton- dare i contorni dei fasci per il fatto che essendo questi distri- buiti su di una linea non circolare ma ellittica , si sviluppano nel senso tangenziale piuttosto che in quello radiale. Per tal modo il libro risente molto più che il legno di tale sviluppo tan- genziale, rimanendo esso limitato in forma di archi fra le piastre legnose delle radici e di semilune depresse su quelle dei fusti. Altra tendenza, originatasi dalla precedente, si riferisce non più alla forma ma alla distribuzione delle piastre legnose secon- do una ellisse più o meno schiacciata. In conseguenza di simile orientazione, le piastre, per non convergere nel senso dell’ asse minore della sezione 1’ una contro 1’ altra ed incontrarsi con le basi, alternano queste, secondo raggi diversi, in modo da utilizzare meglio lo spazio in senso radiale. Panno eccezione le sole piastre polari, disposte cioè agli estremi dell’asse maggiore della sezione trasversa, a causa del loro sviluppo nel senso stesso di quello. La fasciazione delle radici in rapporto ad azioni traumatiche. 43 Più tardi, movendo dalla base all’ apice, nelle radici s’ini- zia lo stato secondario, per cui si compie la fusione delle singole piastre legnose o 1’ arrotondamento dei contorni loro per effetto della formazione di legno secondario, che si addossa al prima- rio. Nei fusti fasciati i singoli fasci si fondono in un anello unico, in cui legno e libro continuano a svilupparsi con la ten- denza accennata. Se, però, la forma iniziale di piastra unica, disposta secondo P asse maggiore della sezione, si conserva, senza risolversi in altre singole, il legno secondario, addossandosi ad essa, vi pro- cede d’ambo i lati parallelamente, terminando alla periferia con i vasi più larghi. A questo modo il legno offre la sezione di un rettangolo più o meno regolare , con orli frangiati o forati per la presenza di vasi più larghi. Lo stato secondario nelle radici fasciate si compie non in tutta la lunghezza, ma preferentemente verso la base. Per fusti fa- sciati non soccorrono le notizie bibliografiche, ina havvi ragione per ritenere eli’ essi non debbano diversamente comportarsi. Il passaggio allo stato secondario può essere affrettato od in parte modificato da cause perturbatrici, come ad es. dal de- starsi di lacune in seno alla corteccia od al cilindro centrale. Riassunto. L’ esposizione comparativa dei caratteri della fasciazione caulinare e radicale, per quanto l’una può compararsi all’altra, permette di distinguere gli stessi in comuniespe c i fi c i: Caratteri comuni: fasciazione piana, anulare e spirale, sehizostelia, estinzione dell’apice per eccesso d’ipertrofia, svilup- po notevole del midollo, particolari disposizioni meccaniche. 0 a r a 1 1 e r i specifici dei fu s t i : tendenza ereditaria (per semi) e individuale (per gemme, che trasmettono la fasciazione dagli assi primari ai secondari), predominio di gemme fiorifere e di fiori unisessuali, fillotassi aberranti, linee a pettine. Caratteri specifici delle radici: poli morti a più spic- cata, rizotassi ridotte, variazioni nel tipo radiale del fascio. 44 G. Lopriore e G. Coniglio [Memoria VII.] RELAZIONI ERA RADICI E ASCIATE E EITTONI Per tali relazioni inerita anzitutto un breve cenno la legge delle superfìci libere, formulata dal Bertrand (1) in questi termini: « Lorsque des produetions seeondaires tardive» se forment dans un organe, elles sont toujours dnes à l’activité d’une zone génératrice à cloisonnements tangentiels dépendante d’une sur- face libre natnrelle on accidentelle, renelle ou virtuelle. Par sur- face libre dans la piante j’entends : 1° la surface dn corps de la piante ; 2° la surface limite de ses cavitò» intérieures, lacunes, décliirures, méats, et plus généralement de tonte solution de eontinuité de ses tissus, qn’elle soit natnrelle ou accidentelle , qu’elle soit ou non en communication avec l’air extérieur ; 3° par extension , la surface limite d’un tissu modifìé ou écrasé , la surface d’une cellule cristallogène, celle d’un sclerite ou d’un vaisseau plein d’air, de gomme ou de rèsine, mie paroi cuticu- larisée, et plus généralement la surface de tout tissu, fut-il ré- duit à une seule cellule, à ime paroi cellulaire, où la vie se ra- lentit, ne serait-ce meni e que temporairement, alors que les tissus voisins continuent à ètre très actifs. On sait depuis longtemps que, lors que des éléments où la vie est ralenti e ou éteinte sont en contact avec un tissu où la vie est très active, ces derniers tendent à s’isoler des premier», il s’établit elitre les deux tissus ime zone génératrice qui entoure les éléments où la vie s’éteint, qui les isole et les séparé ; ce sont ces zones isolante» qui don- nent naissance aux produits seeondaires tardifs. » Questo concetto vien seguito dall’ autore ed illustrato con esempi relativi. Secondo Bertrand lo strato meristematico si comporte- rebbe come un cambio per il fatto che esso produce del sughe- ro fra la superficie libera e sè stesso, sicché tutti gli altri tes- suti posti tra la superficie libera ed il sughero sono condannati a perire. Dalla parte opposta il meristema produce del tessuto La fasciazione delle radici in rapporto ad azioni traumatiche. 45 secondario fondamentale e, se 1’ attività sua dura più a lungo , una parte del tessuto secondario fondamentale diventa zona se- condaria cambiale, la quale verso la superficie libera può for- mare del boema e dalla parte opposta xilema. !Nei casi da noi osservati l’attività di questo ìneristema era abbastanza grande verso la base del taglio od in prossimità im- mediata dell’ incisione, ina non risultava mai così intensa come il Bertrand ammette. E se anche in certi casi la zona di tes- suto nuovo , derivato dall1 attività del ìneristema in discorso, acquista uno spessore rilevante , pure la formazione di nuovo boema e nuovo xilema si verihca soltanto verso l’apice radicale, per attività del tessuto fondamentale , che nei coni vegetativi è certo molto più grande che altrove. In genere le nuove pareti divisorie si formano nei tessuti, lesi per azioni traumatiche o per infezione di parassiti, paral- lelamente alla superfìcie della ferita oppure a quella degli ele- menti ad attività rallentata o spenta. Tali processi di prolifera- zione sono più frequenti nella corteccia, ma non mancano nel cilindro centrale, eh è anzi in quest’ ultimo è costante la ten- denza a dar forma regolare a quei cordoni ancora informi di tessuto, sorti appena da processi così attivi di rigenerazione. Costante essendo la tendenza nell’ endoderma a chiudere il cilindro centrale da quella parte , in cui questo ha perduto Ja sua integrità, si può dire che questa guaina di difesa sia effettivamente la prima a formarsi nel cambio di ferita o meri- steina teste accennato, tanto da rispondere in realtà al nome da- tole dagli anatomi tedeschi. Sol quando l1 endoderma ha chiuso il cilindro centrale, si completano nell1 interno ed all’esterno di esso i tessuti del boema, dello xilema e della corteccia. Tali processi di rigenerazione e d’ isolamento sono alle vol- te così energici da farsi risentire anche a distanza. Così avendo 1’ osservazione mostrato che erosioni nella zona periferica della corteccia si trasmettono fino al cilindro centrale e ne determi- nano in qualche caso la scissione , si volle , con 1’ esperienza , 46 G. Lopriore e G. Coniglio [Memoria. VII.] provare se l’incisione longitudinale della corteccia, non seguita, ben inteso, da alterazioni della stessa o da lesione del cilindro centrale potesse determinare la scissione di questo. Le prove sve- larono nel fatto come in simili casi il cilindro centrale, si scinda oppur no in parti eguali , tende costantemente a far assumere forma e contorni regolari a queste parti. ISTI caso della incisione longitudinale dei tittoni, il proces- so, se non avversato da altre cause, si svolge rapidamente e con- duce alla scissione abbastanza regolare del cilindro centrale ; se invece la corteccia viene ad essere erosa in conseguenza di azioni estranee, allora F isolamento dei cilindri centrali procede in modo lento , poiché , prima che i cilindri parziali raggiungano forme regolari , la radice sottosta a vicende curiose , per cui , seguita in sezioni trasversali, presenta figure strane ed irregolari, tanto diverse dalla circolare. In conseguenza della incisione longitudinale delle radici primarie , si desta non di rado quel processo di rigenerazione designato dai botanici e selvi cultori tedeschi col nome di «Ue- befwallung » per le piante arboree. I lembi estremi della fe- rita, formati dall’ epidermide e dalle cellule corticali sottostanti si arroti ano a spirale verso F interno, lasciando fra loro una la- cuna in forma di cuore. Tale processo somiglierebbe solo per la forma quello dianzi citato , ma non sarebbe , come questo , prodotto dall’ attività del cambio , poiché di solito la chiusura delle incisioni si compie per allungamento in forma di clave delle cellule limitanti la ferita. Riguardo poi al comportamento microchimico degli elementi delle radici castrate od incise , quand’ essi sono suberiticati e vengono trattati con acido solforico concentrato, si imbruni- scono gradatamente senza sciogliersi o perdere i loro contorni. Con la suberifìcazione coincide abbastanza frequentemente la presenza di una sostanza gialla, che si potrebbe ritenere come gomma di difesa, se corrispondesse per le reazioni a quella da alcuni autori e specialmente dal Phael (42) così designata. La fasciazione delle radici in rapporto ad azioni traumatiche. 47 Questa sostanza si trova tanto negl1 intercellulari quanto ancora ad impregnare le pareti ed il lume delle cellule. Sezioni trasversali di radici, che presentano parecchi strati periferici di tali cellule oppure gruppi più o meno estesi di si- mili elementi situati nella zona corticale , trattate con acqua , alcool, etere, a temperatura ordinaria od a quella d’ ebollizione per breve o per lunga durata, si conservano intatte, senza cioè che la sostanza in questione subisse alcun cambiamento nel suo aspetto e carattere microchimico. L1 acido solforico concentrato o la potassa caustica fanno imbrunire la stessa sostanza senza però discioglierla interamente. Eloroglucina ed acido cloridrico impartiscono a membrane così impregnate una colorazione rossastra come se fossero mem- brane lignificate. Sorprende anzi come le pareti degli elementi, i cui intercellulari si presentano così ripieni, svelano pure la co- lorazione rossastra. Con clorato potassico e acido nitrico la sostanza non si scioglie neppure dopo una digestione di parecchie ore , però la colorazione bruna passa gradatamente ad una più chiara, quasi paglierina. Se dopo tale trattamento si ritorna a quello con fio- roglucina e acido cloridrico, la sostanza riprende quasi immedia- tamente la primitiva colorazione gialla o giallo-bruna ; però le pareti, che col trattamento di macerazione hanno perduto buona parte della lignina, mostrano la colorazione in violetto, caratte- ristica delle membrane lignificate. La reazione, raccomandata dal Prael e riferibile appunto alla gomma di difesa non dà neppure risultati decisivi. Secondo tale reazione , prima impiegata dal Temme (47) , dovrebbe la gomma di difesa, dopo un quarto d’ora di digestione in clorato potassico e acido cloridrico , sciogliersi in alcool oppure nel li- quido stesso di macerazione , prolungando in questo la durata dell’immersione dei tagli. Tale reazione non produce però sulla sostanza in questione alcun sensibile cambiamento , astrazione fatta da una leggera chiarificazione. 48 G. Lopriore e tì. Coniglio [Memoria VII.] In confronto al comportamento col liquido di macerazione dello Scpiulze, la reazione del Temme ha dunque un' azione meno energica. Come nella prima, però, la sostanza in questio- ne riprende il suo primitivo colore trattandola con floroglucina ed acido cloridrico, senza che le pareti, da cui era stata sottratta la lignina, presentino la reazione tipica di questa. La sostanza mostra, dunque , contemporaneamente la rea- zione del legno e del sughero, senza però lasciarsi identificare per una di queste due. Ad ogni modo essa differirebbe da quella sostanza gialla o rifrangente la luce osservata dal Kliage (24) tanto nelle cellule corticali delle radici di mais, quanto ancora in quelle di molte Graminacee e Ciperacee. Tale sostanza, da noi senz’altro designata col nome di gom- ma di difesa, se non corrisponde alle reazioni caratteristiche del Prael e del Temme , deve senza dubbio avere 1’ identica im- portanza fisiologica, poiché 1’ abbiamo riscontrata specialmente in prossimità delle superfici messe a nudo in conseguenza di tagli o d’ incisioni, sia trasversali che longitudinali. Aei casi in cui essa riscontrasi in cellule limitanti le la- cune destatesi nelle radici fasciate o in gruppi più o meno estesi del tessuto corticale o del cilindro centrale, l’ importanza fisiolo- gica dev’essere senza dubbio identica a quella testé accennata. Quando le lacune hanno per effetto di scindere i cilindri centrali parziali di uno primitivo, la suberificazione degli ele- menti confinanti la lacuna è quasi costantemente seguita dalla presenza della gomma di difesa, la quale, a conforto della no- stra asserzione, si riscontra anche al di là dei limiti immedia- tamente prossimi della lacuna, quand’ essa è cieca, oppure al solo limite inferiore quando in basso la lacuna è aperta e conduce alla scissione dei cilindri centrali della radice fasciata. Diremo in ultimo che, secondo le recenti indagini del Will, la gomma del legno di difesa sarebbe analoga alla bassorina e deriverebbe da una secrezione del plasma, che tappezza l’interno della parete e costituisce il cosiddetto strato bassorinogeno. La fasciazione delle radici in rapporto ad azioni traumatiche. 49 CENNO SINTETICO Le ricerche fin qui esposte permettono di poter distinguere la fasciazione degli assi in s p ontanea e i n d o 1 1 a. La prima, relativa a cause interne, quindi estranee a queste indagini, è frequente nei fusti, rarissima nelle radici primarie, non rara nelle secondarie, in cui può distinguersi una frequenza assoluta ed una relativa: rappresentata la pri- ma dall’8, l’altra dal 50 % ? cioè che delle primarie con laterali fasciate metà ne presenta 2-5 e metà una sola per ogni radice. L’ alta percentuale di tittoni con più radici fasciate fareb- be considerare la fasciazione come una tendenza insita agli stessi e forse capace, come nei fusti, di trasmettersi ereditariamente. Simile tendenza è ancora più spiccata nelle collaterali, che, seb- bene rare rispetto alle seriali, si ritrovano spesso in numero di più sulla stessa ortostica in conseguenza del loro modo di ori- gine. Ohe la fasciazione spontanea non sia determinata ma sol- tanto favorita da nutrizione attiva, trova appoggio nel fatto che in genere sono i tittoni più robusti di piante vigorose quelli che più spesso presentano laterali fasciate. Semi di fava , rosi da bruchi, dànno tittoni sottili con radici secondarie specialmente rade alla base e mai fasciate. La fasciazione i n dotta, quindi relativa a cause esterne, è promossa direttamente nei fusti da azioni parassitane o mec- caniche, indirettamente nelle radici da quel'e traumatiche. Esclusa, infatti, a priori un’ influenza diretta su httoni, il cui apice venne leso o soppresso, i pochi casi di fasciazione parziale, in fittoneini compressi od incisi radialmente, sono da considerarsi quali eccezioni rarissime. Esclusi , d’ altra parte , i casi non meno rari di fasciate collaterali, la cui formazione dipende dal numero e dalla dispo- sizione delle lame legnose della primaria, quindi da un fatto Atti Acc. Serie 4a, Yol. XVII — Mero. VII. 50 G. Lopriore e G. Coniglio [Memoria VII.| del tutto interno, rimangono, nel caso nostro, le cause trauma- tiche, quindi esterne, come le sole a determinare la fasciazione. Rispetto all’ azione specifica di ognuna di esse, la castrazione è quella che fornisce un contingente tanto più alto di laterali fasciate nonché di laterali cilindriche, quanto più breve è il tratto di radice primaria rimasto dopo 1’ asportazione dell’ apice. Le altre cause, che tendono a menomare l’integrità dell’apice ancor giovane, conducono del pari ed in misura diversa alla fasciazione; quelle, invece, che, rispettando l’incolumità della primaria, me- nomano o sopprimono le secondarie, sono indifferenti per la fa- sciazione. Occorre , però , che in tutti i casi la superfìcie lesa della radice primaria callifìclii o si rigeneri prima che processi patogeni ne affrettino il deperimento. Non altrimenti va intesa 1’ azione della pressione, la quale se, nelle esperienze nostre, mai condusse direttamente alla fascia- zione, pure non ne sembra del tutto estranea, se si giudica da alcuni casi spontanei di perforazione tangenziale dei tegumenti seminali di fava, in cui le radici, penetrate cilindriche, ne usci- vano fasciate. La considerazione, anzi, di questi casi fa pensare che solo una pressione lieve, ma progressiva e continua sui coni vegetativi, paragonabile, per altro verso, agli effetti dell’ azione lenta di parassiti, possa indurvi trasformazioni identiche a quelle compiutesi in apici vegetativi fasciati. Il numero delle secondarie fasciate è in relazione diretta con quello delle cilindriche, le cui medie per ogni centimetro di lunghezza dei fìttoni castrati sono tanto più elevate quanto maggiore il numero delle fasciate per fìttone. Intanto che ricerche microtomiche mirano a studiare il com- portamento dei relativi meristemi apicali, si può per ora ritenere che la fasciazione delle radici secondarie sia dovuta per lo più ad una modificazione iniziale dell’ apice, il quale assume la forma di cuneo invece che 1’ ordinaria di cono; quella dei fusti ad una modificazione successiva dello stesso, che dalla forma conica suole passare a quella di cuneo. La fasciazione delle radici in rapporto ad azioni traumatiche. 51 Quanto al comportamento specifico delle Mono- e Dicotile- doni, le prime danno fasciate collaterali, le altre seriali, rife- rendoci alle radici di mais e fava quali rappresentanti tipiche. Una prevalenza così esclusiva delle un e sulle altre sarebbe 1’ effetto della più alta poliarchia delle prime rispetto alle se- conde. Però anche nelle radici di fava, ed invero di una varietà a semi molto grossi, il numero dei fasci variando, secondo la provenienza dei semi, da 4 a 5 e da 4 tino ad 8, faceva variare parimenti la frequenza delle collaterali. Ad esprimere in forma sintetica i risultati delle azioni traumatiche, dirette a provocare la fasciazione, presentiamo il seguente prospetto, in cui le medie relative sono messe a riscon- tro con quella naturalmente presentata da tittoni interi. Xon si riportano qui stesso le medie delle secondarie cilindriche per ogni centimetro di lunghezza della primaria, ma si rinvia alle rela- zioni loro con le fasciate già esposte nelle singole esperienze. Dei tittoni castrati a 3 cm. il 37 % aveva laterali fasciate « « 5 « 26 « « « 7 « 45 « « incisi radialmente 23 « « « tangenzial.te 20 « « « anularmente 0 « « compressi later.te 10 « « a radici 2ie soppres. 8 << « interi o di controllo 8 « Questi dati riassuntivi svelano chiaramente l’azione dei mez- zi traumatici nell’ indurre la fasciazione. Sul loro valore relativo occorre rilevare che quello della media di tittoni interi è supe- riore all’ altro delle medie di tittoni castrati, incisi o compressi, perchè fondato sn di un numero più che triplo di elementi costitutivi. Se questi fossero stati uguali nelle singole esperienze ed in quelle di controllo, le medie riferibili alle prime sarebbero venute a modificarsi, come fece quella dei tittoni di controllo. 52 tì. Lopriore e G. Coniglio [Memoria VII.] CONCLUSIONI L’ esame dei risultati tìnora conseguiti permette di enun- ciare le seguenti conclusioni d’ ordine generale : 1) La fasciazione delle radici secondarie somiglia nei ca- ratteri fondamentali a quella dei fusti. Ne differisce per il fatto che, mentre questi sogliono passare dalla forma cilindrica alla fasciata, le radici si comportano in modo inverso, passando gra- datamente dalla forma fasciata alla cilindrica o risolvendosi, per scissione dell’ apice, in due o più radici cilindriche. 2) La forma rara di fasciazione dei fusti, detta duplica- zione, si riscontra anche nelle radici, anzi è propria delle col- laterali. Nelle seriali non è che apparente, poiché se anche que- ste presentano casi di bipartizione molto regolare, pure le due schizorize differiscono fra loro oltre che dal punto di vista genetico da quello morfologico ed anatomico. 3) Alle fillotassi aberranti dei fusti fasciati corrispondono nelle radici fasciate rizotassi particolari, per cui la formazione delle radici terziarie si compie per lo più non sulle facce piane o curve ma sui margini delle secondarie, cioè in corrispondenza degli estremi dell’ asse maggiore della sezione trasversa. I) La forma più frequente di fasciazione delle radici è la piana. Non mancano, perù, l’anulare (se a questa vogliono riferirsi alcuni casi particolari di schizostelia) eia spirale, che, contrariamente a quella dei fusti, si compie più verso la base che verso 1’ apice delle radici. Spire incomplete si presentano, però, non di rado anche all’ apice delle singole schizorize pro- venienti dalle fasciate. 5) La fasciazione delle radici è nelle Monocotili (JZea Mays) più semplice che nelle Dicotili {Vida Faba ), essendovi tendenza quasi esclusiva nelle prime alle fasciate collaterali, nelle secon- de alle seriali. La fasciazione delle radici in rapporto ad azioni traumatiche. 53 0) La fasciazione spontanea sembra, almeno per ora, essere determinata direttamente dallo sviluppo dell’ apice secondo un piano longitudinale e indirettamente da favorevoli condizioni di nutrizione. 7) Rispetto alle cause determinanti la fasciazione indotta, valgono per le radici quelle stesse presunte per i fusti. Se non che mentre in questi 1’ azione di cause parassitarle e meccaniche è diretta, nelle radici l’azione di quelle traumatiche è indiretta, ripercuotendosi dalle primarie alle secondarie. S) Fra le cause traumatiche, la castrazione delle radici pri- marie conduce più sicuramente alla fasciazione delle secondarie. Questa è tanto più frequente, quanto più breve la distanza fra il piano d’ inserzione dei cotiledoni e quello di asportazione dell’ apice radicale. 9) L’ incisione radiale dei tittoni, non approfondita sino a spaccare il cilindro centrale, può produrre tanto la fasciazione dei tittoni stessi quanto quella delle radici laterali. Ma come i primi non si conservano a lungo fasciati per la tendenza a bi- partirsi verso 1’ apice, così le laterali fasciate sono meno nume- rose rispetto a ([nelle promosse dalla castrazione. 10) La pressione laterale dei tìttoncini può produrre, finché agisce, la loro fasciazione parziale o provvisoria, ma ben di rado quella delle radici laterali. In natura questa forma di fasciazione indotta rappresenta, certo, una delle più frequenti. 54 G. Lopriore e G. Coni (ilio [Memoria VII.J BIBLIOGRAFIA (I numeri progressivi si riferiscono a quelli citati nel testo) 1. Bertrand : Loi des surfaees libres. Compì, linai, dr VAcad. d. Se. Paris. 1884, p. 48. 2. Borbàs : Fasciation an Weiden in Folge des Kdpfens. Foldmurelési Erde- leeinlc , 1880 , p. 248-49 (riferito dall’A. nel Bot. Centralbl. Bd. 111. p. 950). 3. Borrich: De Banuuculo fasciato. Act. tìafn. 1672, n. 63. (citato dal Penzig). 4. Braun: Das Individuimi der Pfbinze. Abavi. d. Wissenscli. Berlin, 1853, p. 60. 5. Bravais : Essai sur la disposition des feuilles curvisériées. Atta. d. Se. nat. 1837, p. 70-72. 6. Caspary : Gebanderte Wurzelu eines Eplieustockes. Sdir. d. phys. bl'on . Ges. in Konigsberg, 1882, p. 1-3. — Bine gebanderte Wurzel von S p i r a e a s orbi f o 1 i a. Ibidem, 1883. p. 30-32. 7. Costantin : Observations sur la fasciation des Mucedinées. Bull, de la iSoc. mycol. de Franco, T. IV. p. 62-68. 8. Cramer : Ueber die niorphologische Bedeutuug des Ptìanzeneies. 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In contrada Pompeo, presso Mascalucia, nello scorso ottobre rac- colsi un unico esemplare, disgraziatamente un poco guasto ma per- fettamente riconoscibile, di questa elegantissima specie che fin oggi non era stata rinvenuta in Italia. Per 1’ Europa questa specie era riportata di Inghilterra (molto rara), Olanda, Germania, Polonia e Ungheria (frequente) ; si cono- sceva anche del Capo di Buona Speranza e dell’ isola Socotra (Sacc. Syll. XII, p. 954). Più recentemente è stata poi raccolta nell’ A- merica e precisamente nel Colorado , nel Dakota e nella Florida dov’ è frequentissima (Cfr. C. G. Lloyd: The Geastrae, p. 7). Sclerotiopsis sicula Scalia u. sp. Stromatibus oblongis , paruvi prominulis , aterrimis , seriatim disposi- tis e matrice mutata constitutis ; peritheciis profunde immersis , irre- (julariter lenticula ribus , astomis , 700-780 u latis, \i. 80-120 altis , s oli- to,riis, contextu tenui , indistincte olivaceo , parenchymatico ; basidiis cy- lindraceis , brevibus, ciré. 10-12 \i. longis, dense constipatis , ambitimi totius cavitatis obtegentibus , hyalinis ; sporulis copiosi s , oblongis rei oblongo-lanceolatis 9-11 X 3-3.5, continuis, hyalinis, eguttulatis vel sed spurie 2-guttulatis. Sopra rametti aridi, disseccati, si presentano delle macchie nere, prominenti, lucide simulanti quasi una Dotidacea, Lo stroma lentico- lare, piano-convesso, oblungo, è costituito dai tessuti dell’ oste al- quanto alterati; esso è limitato verso 1’ esterno da una zona formata di 2-3 piani di cellule corticali, verso 1’ interno il limite dello stro- ma è dato da alcuni piani di cellule fioematiche aneli’ esse annerite. (1) I Series, in « Rendiconti del Congresso Manico di Palermo , maggio 1902 Atti Acc. Serie 4% Voi.. XVII — Meni. Vili. 1 2 JDr. G. Scalia [Memoria VIIL| Nel mezzo di questo stroma particolare e seguendone la forma si ha quasi sempre un gran peritecio che misura 700-780 p in lar- ghezza, 80-120 in ispessore. Il peridio, di colore debolmente oliva- ceo, è costituito da pochissimi piani di elementi poliedrici e molto stirati tangenzialmente ; esso è tappezzato uniformemente da uno strato fertile esile, parenehimatico , incolore, dal quale si elevano , irraggiando verso la cavità periteciale, numerosi basidii brevi, ci- lindrici, jalini e fascicolati. AH’ estremità di questi basidii si for- mano le spore, le quali si mostrano prima come minuti rigonfia- menti vescicolari mentre più tardi, giunte a maturazione, sono ob- lunghe od obluugo-lanceolate, semplici, jaline e misurano 9-11 piu lunghezza, 3-3.5 in ispessore ; hanno la parete sottile, sono ripiene di plasma granuloso e sfornite di gocciole, alcune, mentre altre pre- sentano regolarmente due goccioliue verso gli estremi. A nessuna delle poche specie di questo genere ho potuto riferire il mio materiale; ho creduto quindi opportuno istituire questa nuo- va specie. Habitat: in frustulis exsiccatis, aridisi? Anagyridis foetidae, Rau- dazzo, Majo 1897 (Legit j M. Fusaja). ? Sclerotiopsis Pelargonii Scalia n. sp. Peritheciis g loboso-conicis , basi saepeque applanatis, in petiolis folio- rum oblongis , aterrimis , nitidulis , asto mis, parenchymati immersis, ac epidermide atrata tectis , prominulis , 520-630 p latis , denique erum- pentibus ; contextu parench y matico subatro , ciré. 18 p crasso , e cellulis minutis, dense aggregatis formato ; basidiis filiformibus , liyalinis 18- 20 p longis , monosporis , dense constipatis e stratu proligero tantum basi perithecii evoluto hortis ; sporulis inaequalibus ac fere semiluna- ribus , utrinque acutatis , plasmate nubiloso qnandoque minute guttulato farctis, liyalinis , 8-11 p long., 1.5-2 p crassis. Sviluppasi sul lembo e sul picciuolo delle foglie di Pelargonium sp. e si manifesta sotto forma di tubercoletti nerissimi, semiglobosi sul lembo , oblunghi sul picciuolo , e prominenti. I peritecii sono immersi, chiusi, e , in tutti gli esemplari da me osservati, costan- temente ricoperti dall’ epidermide annerita. Il contesto pareuchima- tico, nerastro , è dato da cellule poliedriche. Lo strato fertile , da cui si originano i basidii filiformi, jalini, è sviluppato soltanto alla base del peritecio; per questa ragione e per la mancanza di un vero stroma riferisco la specie, non senza qualche incertezza, al genere Sclerotiopsis. Le spore numerosissime riempivano nei peritecii sezio Mycetes siculi novi o nati 1’ intiera cavità, mostrandosi sotto forma di una massa quasi olivacea, mentre in realtà sono jaline. Queste spore vengono di- sperse col dilacerarsi del peridio: tenendo a lungo il materiale in ambiente umido, 1’ acqua assorbita fa rigonfiare la massa delle spore che esercita per ciò una forte pressione sulla parete ; a certo punto questa si rompe irregolarmente e le spore vengono messe in li- bertà. Le spore sono sublanceolate ma per lo più semilunari e si originano solitarie all’ estremità di ciascun basidio , esse misurano 8-11 [j. di lunghezza, 1.5-2 di spessore, hanno un episporio sottilis- simo e sono ripiene di plasma nubiloso, fornito qualche volta di minutissime goccioline di grasso. Habi tat: in foliis exsiccatis Pelargonii sp. , Mascalucia, Majo 1903 (Ipse legi). Diplodia spiraeina Sacc. Reliqu. Liberi. IV , n. 139 ; Syll. Ili, p. 342. Peritheciis sparsi s vel gregariis , primum sub corticc nuMlantibus de- nique erumpentibus , saepius seriatim dispositis , atris, oblongo-depressis , usque 350 g longis , |J. 240-250 latis , 130-140 ;j. altis ; contextu oliva- ceo-fuligineo , parenchymatico e cellulis polygonalibus composito; spo- rulis oblongis rei fere obovatis , aequalibus sed non rare inaequalibus, primum continuisi hyalinis , plasmate granuloso farctis , postea Jlavi- dulis denique, maturitate , castaneo-umbrinis . medio septatis , non vel nix constrictis , 18 — 21X9 — 10 , impellucidis, loculis obscure 1-guttiiJa- tis quandoque eguttulatis ; basidiis brevibus , circ. 10 u longis , cylin- draceis vel saepeque papillaef omnibus, hyalinis. Riferisco alla specie del S a c c a r d o gli esemplari da me raccolti e sui quali estesi la presente diagnosi, perchè concordano abbastanza bene i caratteri delle spore e dei basidii. Differisce il mio mate- riale dalla specie soltanto per i peritecii non distintamente globu- losi e per la forma variabile delle spore. Accanto alle spore oblun- ghe ve ne sono di quasi obovate, e mentre le prime misurano 18 — 21 X 9 — 10, le seconde sono più tozze e misurano 20X14 p. L’essere o il non essere le spore guttulate non costituisce un ca- rattere differenziale del quale si debba tenere molto conto ; anche qui di fatti, come in altre specie, mentre in alcuni peritecii tutte le spore sono distintamente guttulate, in altri nessuna o quasi. In alcune spore le gocciole sono bene visibili, in altre si scorgono solo dopo che il preparato abbia subita una certa pressione. Queste gocciole cominciano a comparire nelle spore quando que- ste sono vicine alla maturazione, mai se ne incontrano nelle giovani 4 Dr. O. Scalia [Memoria Vili.] spore iu via di formazione e di accrescimento ; in questi stadii il protoplasma presentasi sempre uniformemente granuloso. Questa specie è nuova per la Flora italiana , essendo stata rin- venuta fin ora soltanto in Germania ed in Francia. Habitat: in ramulis exsiccatis Spireae ulmariae , Istituto agra- rio siciliano Valdisavoja, Cibali (Catania) , Aprili-Majo 1903 (Ipse legi). Robillarda Oeltidis Scalia n. sp. Peritheciis majusculis, globoso-depressis, 240 — 270 |i. diam. , grega- riis , sub cortice nidulantibus denique erumpentibus , ostiolatis; contextu parenchymatico , olivaceo-fuscidulo , circa ostiolum subatro, e cellulis polygonalibus depressi» formato; stratu proligero totum ambitimi perithe- cii obtegente ; sporulis oblongo-fusoideis, sursum parum attenuatis basi- que rotundatis, 17 — 21 x 4 — 5, hyalinis vel dilutissime chlorinis, medio septatis, non constrictis , apice 2-3 setis indistinctis , filiformi- bus gerentibus , e basidiis filif omnibus , quam sporulas circiter dimi- dio brevioribus, hortis ; paraphysibus hyalinis, fi lif omnibus, 40 — ~ 45 longis, rectis vel jlexuosis, minutissime pluriguttulatis, eseptatis inter- mixtis. Presentasi sotto forma «li macchiette nerastre un poco promi- nenti sui rametti aridi , disseccati. I peritecii subcorticali sono a lungo ricoperti dell’ epidermide non nigrificata, più tardi col dila- cerarsi di questa vengono allo scoperto ; sono globosi oppure glo- boso-depressi e spesso gregarii. Il peridio parenchimatico , quasi olivaceo, eccetto attorno all’ ostiolo dov’ è nerastro, è formato da cellule poliedriche stirate alquanto tangenzialmente. La cavità pe- riteciale è tappezzata da un abbondante strato proligero parenchi- matico ad elementi minutissimi e quasi indistinti. Da questo strato si elevano numerosi basidii filiformi brevissimi alla cui estremità si formano le spore, oblungo-fusoidee o quasi obclavate, portanti all’ estremità 2-3 setole divaricate, filiformi ed appena percettibili, lunghe su per giù come le spore e meglio visibili nei preparati rimasti all’ asciutto. Le spore sono prima continue e jaline, più tardi diventano bicellulari, per la formazione di un setto mediano in corrispondenza al quale non presentano restringimento alcuno ; isolate sono jaline o debolmente dorine, nell’ insieme formano una massa quasi olivacea. Dallo strato fertile si ergono, tra i basidii, delle parafisi filifor- mi esilissime, lunghe 40-45 g, jaline e minutamente guttulate ; Mycetes siculi novi 5 queste parafisi non sono mai molto numerose, ma costanti in tutti i periteci. Belle poche specie fin ora note, appartenenti a questo genere, soltanto Robillarda (liscosioides Sacc. et Beri, e R. Cavarae Togniui presentano qualche affinità con la nostra. La R. discosiodes però ha 1 peritecii molto appianati e le sue spore ovoideo-fusoidee, molto assottigliate verso l’ apice, portano un’unica setola e sono di dimensioni diverse dalle nostre (14 X 3-4). Affinissima, e forse identica alla nostra, è la R. Cavarae del T o g n i u i, raccolta su corteccia di melo. Corrispondono perfet- tamente i caratteri e le dimensioni delle spore (18-20 X 4-5 nella R. Cavarae ), ma le nostre portano 2 o 3 setole e non 3 o 4. 11 Togn in i poi nella diagnosi della sua specie parla di basidii filiformi, lunghi 40 — 50 ;j. ; questi basidii fanno pensare molto ai filamenti sterili da me osservati, ma non ho potuto decidere circa la identità delle due specie non avendo a mia disposizione alcun esemplare di R. Cavarae. H a b i tat: in ramulis exsiccatis, dejectis, Celtidis australis, Cata- nia, Aprili 1903 (Ipse legi). Hendersonia Celtidis australis Scalia u. sp. Peritheciis globoso-depressis, sub corticc nidulantibus denique erumpen- tibus, ;i 310 — 350 latis, 170 — 210 ;jl altis , sparsis rei 2-conjiuen- tibus ; contextu tenui , fuligineo , parenchymatico ; sporulis oblongis , saepius inaequalibus , utrinque late rotundatis , 3-septatis, ad septa parum vel nee eonstrietis , primitus contili ms, hyalinis , postea 1-sep- tatis chlorinis, loculis guttulatis , denique matur itale castaneo-fuligineis 13.5 — IH X 5 — 6', 3-septatis , eguttulatis ; basidiis hyalinis , te reti- bus, jj. 10 — 12 longis suffultis. Periteci sparsi o subgregarii, prominenti, puntiformi, brunastri, frequenti per lo più in prossimità dei nodi, prima ricoperti dal sughero, poi erompenti, globoso-depressi. Il peridio è formato da cellule minute poliedriche e di colore fu ligi neo-fosco. Le spore numerose formano nella cavità del peri- tecio una massa fuliginea, isolate sono invece fosche e si presen- tano oblunghe, largamente arrotondite ai due estremi, diritte ma per lo più inequilaterali od anche un poco ricurve, spesso rigon- fiate all’ apice e alquanto assottigliate verso la base, 3-septate, con logge eguttulate e uniformemente colorate, quasi sempre un poco strozzate in corrispondenza ai setti od anche liscie. 6 f)r. G. Scalia [Memoria Vili.] Queste spore si originano all’estremità di basidii filiformi, jaliui, radianti da un parenchima fertile cfie tappezza tutta la parete del peridio e si presentano dapprima semplici, jaliue e ripiene di pro- toplasma granuloso, poi 1-septate di color subolivaceo e colle logge monoguttulate, finalmente 3-septate bruno-fuliginee eguttulate. La nostra specie non ha niente di comune con E. Celtidis Eli. et Ev., raccolta sopra rametti di Celti# occidentali s nell' America settentrionale, avendo questa le spore gialle 3- 7 -settate , mentre nella nostra le spore sono brune e costantemente 3-settate. È diversa da H. celtifolia Oooke per le spore non davate e più piccole. È affine a E. sarmentorum West, dalla quale è per altro bene distinta per i periteci non appianati e per le spore mai ellissoidali. Habitat : in ramulis exsiccatis aridis Celtidis australi , Catania, Aprili 1903 (Ipse legi). Stagonospora macrospora (Dur. et Mout.) Sace. Syll. III, p. 450. Septoria macrospora Dur. et. Mont. Syll. p. 277 ; Eendersonia piptarthra Sacc. Mich. II, p. Ili ; Hend. Montagne i Cooke. Amphigena , peritheciis immersis pachydermis , globosis , atris, epider- mide tectis ; sporulis maximi, cylindraceo-subclavatis , 3-ò-septatis. 60 — 70 X 10 — 12 , articvlis tandem sohibilibus , r. saltem 3-4-nu- cleati s , sub liy alini . Obs : In exemplare meo sporulae vere majores, usque 100 p lon- gae, 10-14 |j. latae. Ho riferita la diagnosi del Saccardo (Syll. 1. c.) che concorda assai bene col materiale da me osservato; questo in vero si disco- sta alquanto dal tipo per le maggiori dimensioni a cui possono giungere le spore, 60 — 100 X 10 — 14 ; trattasi però indub- biamente della stessa specie. Questa specie è nuova per la Flora italiana, essendo stata rinve- nuta sin ora soltanto in Algeria (Durieu) e in Francia (Roumeguère). Habitat: in foliis exsiccatis voi lauguidis Agaves americanae, S. Placido Oalonerò, Scuola Agraria, Majo 1903 (Ipse legi). Septoria Caryophylli Scalia n. sp. Maculis irregularibus, elongatis, in caulibus exsiccatis subochraceis, linea fusca vel fuscidula cinctis , in foliis distincte ocliraceis irregula- ribus rei ellipsoideis , in utraque pagina foliorum elevatis ac linea purpnreo-fusca marginatis; peritheciis copiosissimi , irregulariter spar- si, saepeque confluentibus, atri, punctiformibus , subglobosi vel globoso My oetes siculi novi 7 conicis, 140 — 170 ji diavi., immersis , ostiolatis ; ostiolis brevibus , papillatis e stomatibus exeuntibus ; contextu par enchy viatico tenui , oliva- ceo-fuligineo, circa ostiolum obscuriore ; sporulis cylindraceis, utrinque rotundatis 27.5 — 35 X 3 — 3.5, medio septatis , non constrictis, ex hyalino dilutissime olivaceis. pluriguttulatis. La nostra specie è affine a S. dianthophila Speg. ma se uè di- stingue facilmente per il fatto che determina la formazione di mac- chie; oltre di che i peritecii non sono mai leuticolari e sono di diverse dimensioni; diverse sono pure le dimensioni delle spore. Differisce da S. Smanivi Speg. per le spore non acicolari, mai 2-settate e non strozzate in corrispondenza al setto. Nel mio ma- teriale i periteci non sono mai globoso-lenticolari e sono più volu- minosi ; le spore aneli’ esse sono più robuste che nella specie di S pegazzini. Completamente diversa dalla nostra è S. dianthicola Sacc. , la quale non forma macchie ed ha le spore molto più esili, continue, eguttulate. Presenta qualche affinità per le macchie e per i caratteri delle spore con S. dimera Sacc. raccolta su foglie di Silene nutans ; ma nella nostra, come dissi, i periteci non sono mai leuticolari e nelle foglie sono più frequenti sulla pagina inferiore che non sulla su- periore. È diversa da S. IHanthi Desm. per le spore distintamente 1-set- tate, più sottili e pluriguttulate. La specie che più si accosta alla nostra è S. (Jarthusianorum West., ma le spore fuoriescono nella nostra sotto forma di cirro olivaceo, non roseo-carneo ; le spore sono poi variamente guttulate e più robuste. Habitat : in foliis caulibusque langueutibus IHanthi Caryopliylli, Mascalucia, Octobri 1902 (Ipse legi). Septoria Solani-nigri Scalia n. sp. Maculis orbicu la ribus, sparsis vel confluentibus, amphigenis, albido fuscidulis in pagina superiore foliorum paullum elevatis , fusco mar- ginane, in inferiore applanatis , linea olir aceo-chlor ina cinctis ; peri- theciis epipliyllis, minutissimis, fere indistinctis, globosis 70-90 fi diavi., profunde immersis , ostiolo ciré. 15 fi diavi., apertis ; contextu tenui , par enchy viatico, olivaceo- fuseidulo , circa ostiolum obscuriore ; sporulis filiformibus, rectis vel Jlexuosis, 20 — 30 X 0.5 — 1, indistincte septulatis, utrinque subacutis, minutissime guttulatis , hyalinis. 8 Dr. G. Scalia [Memoria YIII.J Sulle foglie languide determina per lo più delle macchie orbico- lari, aride, sulla pagina superiore di color bianco-fosco e circondate da una linea alquanto elevata nerastra ; sulla pagina inferiore tali macchie sono invece di color foglia morta e sono limitate da una striscia olivaceo-giallastra. I periteci sono costantemente epifilli e sono appeua percettibili ad occhio nudo sotto forma di minutissimi puntini brunastri. Nella sezione si presentano globosi ed immersi per intiero nel mesotillo P ostiolo circolare, appeua papillato, affiora P epidermide. Il conte- sto parenchimatico è formato da elementi minutissimi, stirati un poco tangenzialmente; 3 o 4 piani di queste cellule costituiscono il peridio che si presenta di color olivaceo-bruuastro, la colorazione è alquanto più intensa negli elementi che circuiscono P ostiolo. Le spore filiformi, assottigliate verso le due estremità sono variabilis- sime per forma ; ora diritte per lo più invece flessuose, si presen- tano qualche volta curve, quasi falciformi, misurano 20-30 jj. di lun- ghezza, p 0.5 — 1 di spessore, presentano dei setti indistinti e nu- merose goccioline. Del genere Septoria , così ricco di specie, soltanto cinque ne sono descritte come viventi su diversi Solarium : Sept. Dulcamarae Desin.. S. Lycopersici Speg., S. Pseudo-Quinae Pat., S. solanicola Eli. et Ev., S. solanina Speg. La nostra, che ho creduto di dovere descrivere come nuova è diversa, ora per alcuni ora per altri caratteri, da ciascuna di esse. La S. Dulcamarae differisce dalla nostra per avere le spore 3-4-set- tate e misuranti 50-60X1-1. La S. Lycopersici non presenta affinità alcuna con la nostra; essa di fatti produce grandi macchie occupanti spesso tutta la foglia, i suoi periteci si sviluppano sulla pagina inferiore e le spore in essi contenute sono cilindriche o subclavate , arrotondite alle due estremità, 3 — plurisettate e assai più robuste delle nostre, 70-110X3. La S. Pseudo-Quinae è diversa principalmente per le maggiori dimensioni dei periteci e delle spore, le quali misurano jjl 50X1-5. La S. solanina non ha niente di comune con la uostra ; le mac- chie che essa forma sono limitate da una zona fosco-purpurea ; i periteci lenticolari sono spesso solitari nel centro della macchia; le sue spore sono molto più robuste ( jr 40-60 X 2). Alquanto affine alla nostra per i caratteri delle spore e la S. so- lanicola, raccolta nella California su foglie di Solanum umbelliferum; Mycetes siculi novi 9 le macchie che essa produce sono però bruno-pallide, i periteci sono più voluminosi e le stesse spore sebbene abbiano la lunghez- za delle nostre pure sono più spesse ( |j. 20-30 X 1. 5 — 2). Habitat: in foliis vivis vel languentibus Solani nigri, Scuola Enologica di Catania, Majo 1902 ( Ipse legi ). Gloeosporium Beniaminae Scalia n. sp. Maculis orbicularibus in pagina superiore foliorum castaneo-fuscis vel fusco-purpureis, linea atra , prominula constante r circumscriptis , in inferiore subfuligineis ; acervulis liypophyllis subcir calar iter dispositi s ovalibus vel oblongis, fulvis , primum epidermide tectis denique, eam dilaceratavi , erumpentibus ; conidiis subovalibus vel fere globosis, 18-24 X lo. 5-1 7, hyalinis, episporio minute punctulato, plasmate granu- loso vel varie guttulato farctis ; basidiis crassis , brevibus, papillae- formibus, hyalinis. Determina sulle foglie delle macchie circolari di color castagno più o meno scuro sulla pagina superiore, dove sono limitate da una zona nera prominente, di colore fuligiueo quasi uniforme sulla pa- gina inferiore. Tutto intorno a tali macchie si nota un’ area deco- lorata, giallastra, la quale sta ad indicare 1’ infezione del micelio nel mesoiillo. Sulla pagina inferiore si osservano le fruttificazioni di questo Gloeosporium sotto forma di puntini ovali od allungati di color can- nella. Nella sezione trasversale si vede come il micelio, jalino, set- tato, ramoso, invade il clorenchima, serpeggia negli intercellulari senza penetrare mai dentro le cellule che vengono discostate per azione meccanica. Il contenuto di queste cellule è in parte utilizzato dal micelio, esse difatti si presentano plasmolizzate ed il loro plasma si osserva sotto forma di grumo di color rosso bruno nel centro della cellula. L’ epidermide delle due pagine fogliari subisce la stessa alterazione. Dopo di essersi sufficientemente sviluppato, il fungo si prepara a fruttificare: il micelio si addensa al di sotto dell’ epidermide della pagina inferiore e viene a formare come uno stroma dal quale si originano i basidi brevi, papilliformi, portanti couidì quasi ovali o globosi, per mutua pressione qualche volta angolosi. Questi conidì sono jalini hanno T episporio sottile e punteggiato e sono ripieni di plasma granuloso fornito di gocciole varie di grassi. I basidi e le spore esercitano una forte pressione sull’ epidermide fogliare che così viene a rompersi e circonda gli acervuli. Atti Acc. Serie 4a, Voi.. XVII - Mem. Vili. 2 10 Dr. G. Scalia [Memoria Vili.] La nostra specie non ha alcuna somiglianza con GL elasticae avendo questa i conidi ellissoidali o allungati e misuranti ;xl2-20X5- È diversa da Gl. intermedium var. brevipes, come da tutte le spe- cie del genere, per i conidì non distintamente oblunghi. Havvi è vero uu Gl. ? succineum Sacc. con conidi sferici, ma 1’ A. stesso lo riferisce con dubbio : N um conidia sint bene evoluta v. merae pla- smatis guttulae, dijudicare nequeo ; ergo de genere quoque dubium restat ( P. A. Saccardo, Syll. Ili, p. 708). Habitat : in foliis vivis vel languidis Pici Beniaminae , Giardino Bellini di Catania, Febr. — Martio 1903 (Ipse legi ). Gloeosporium Cytharexyli Scalia n. sp. Maculis orbicularibus vel irregularibtis , sparsis sed non rare con fìuen- tibus , albido griseis , in pagina superiore foliorum linea purpureo-fuli- ginea parimi elevata constanter circumscriptis , in inferiore obscurioribus, fere stramineis ac fuscidulo-marginatis : acervulis epipliyìlis , atris , punctif omnibus, primum tectis denique erumpentibus , sparsis vel 2 — confluentibus ; conidiis oblongo-cylindraceis , utrinque late rotundaiis , medio saepius constrictis , 13 — 15.5 X 6 — 7 , plasmate granuloso , guttulato farctis, episporio tenui , laevi ; basidiis filiformibus , subae- quilongis , continuisi hyalinis e stromate parenchi/m atico, atro-fuligineo hortis. Determina sulle foglie delle macchie orbicolari od irregolari, an- golose, sulla pagina superiore di colore bianco-grigiastro e circo- scritte da uua linea purpureo-fuliginea, sulla pagina inferiore invece sono quasi pagliue o color foglia morta e limitate da una zona di colore nerastro. Gli acervuli costantemente epifilli si presentano nella parte arida disseccata della foglia sotto forma di puntini neri più o meno abbondanti, irregolarmente sparsi e qualche volta confluenti. Nella sezione trasversale si osserva al di sotto dell’ epidermide uno stroma discoidale parenchimatico di color nero-fuliginoso, costituito da elementi poliedrici e minuti. Al di sopra di questo stroma si ha uno strato fertile, formato di piccole cellule incolore, dal quale si elevano i basidii filiformi , corti , portanti alla loro sommità le spore oblunghe, largamente arrotondile agli estremi , jaline , qual- che volta diritte o un poco curve, per lo più alquanto strozzate nella loro porzione mediana in modo da ricordare quasi le spore di Ascochyta Pisi. Queste spore banuo 1’ episporio esilissimo e li- scio, il loro plasma è granuloso e contiene numerose gocciole di varie dimensioni e irregolarmente disposte. Mycetes siculi novi 11 Assai diversa per i suoi caratteri da 61. intermedium Sacc. , a cui uou può essere riferita per i basidii sempre continui e jalini , per le spore quasi sempre strozzate nel mezzo e variamente fornite di gocciole d’ olio , la nostra specie è prossima a Gl. affine Sacc. Con questa specie ha comune la forma e il colore delle macchie ; ne differisce però alquanto per le dimensioni delle spore e per es- sere queste strozzate e guttulate. Corrispondono d’ altra parte i caratteri dei basidii, ma nella nostra gli acervuli non sono mai ri- coperti dall’ epidermide annerita. Habitat: in foliis vivis vel languidis Cytharexyli quadran- gularis , R. Orto botanico di Catania (Legit et comm. Dr. Gf. Mu- s catello), Febr. 1903. Gloeosporium intermedium Sacc. forma Jasmini arabicae Scalia n. f. Acervulis copiosis , oblongis , 170 — 190 |x diam ., atris, epidermide lacerata cinctis ; straniate discoidali, concavo , parenchymatico fere olivaceo; stratu proligerp tenui , parenchymatico subliyalino ; sporulis rectis , oblongo-cylindraceis, hyalinis, utrinque rotundatis, 15 — 17X3 — 4, episporio tenui , plasmate granuloso ac minute guttulato farctis ; basi- dm filiformibus , hyalinis , subaequilongis suffultis. Sopra rametti aridi disseccati di Gelsomino d’Arabia, in macchie irregolari di colore paglino , per lo più allungate secondo 1’ asse del ramo , si osservano numerosi puntini nerissimi quasi sempre allungati e mostranti a piccolo ingrandimento come un puntino bianco appena percettibile che è dato dalle spore che vengono fuo- ri sotto forma di colonnetta. Le spore oblunghe, continue, cilindri- che arrotondite alle due estremità e variamente guttulate si origi- nano sopra basidii lunghi quasi al pari di esse e derivanti da uno strato fertile parenchimatico che riveste uno stroma discoidale, con- cavo e quasi olivaceo. Riferisco a Gl. intermedium Sacc. il materiale da me osservato per la grande somiglianza delle spore; i basidii però non sono nel nostro caso fuliginei alla base e sono alquanto più corti e più sottili. Noto ancora che il Sacc ardo (Syll. Ili, p. 702) e quanti dopo di lui riferiscono la diagnosi della specie, parlando dei conidi dicono : conidiis elongatis , utrinque rotundatis , rectis , eguttulaxis hyalinis....-, nel mio materiale invece i conidii sono, come dissi, va- riamente guttulati e tali in vero li figura il Penzig nel suo clas- sico lavoro Studi botanici sugli Agrumi (Tav. XXXVII tìg. 4) 12 Dr. G. Scalia [Memoria VIIL| Habitat: in ramulis exsiccatis Jasmini arabicae , E. Orto bota- nico di Catania, Junio 1S99 (Legit Cl. Prof. P. B ac cari ni). Colletotrichum Vanillae Scalia n. sp. Maculis nullis vel fu scidulis ; acervttlis ampliigenis sed in liypophyl- lo copiosioribus aterrimis , sparsi* sed non rare 2-confuentibus , 120 — 210 ]j. diarn ., subcuticularibus, initio fere Vermiculariam simu- lantibus , postea subcolumna ribus , erumpentibus ac cuticula lacerata cinctis ; setulis subrigidis vel feritosi*, fuscis , apicem versus paullum decoloratis, 3-septatis, ad septa , sed non constante r, panini incrassatis, basi subtuberculatis 50 — 100 X 5 — 6; basidiis fasciculatis, cylin- draceis , apicem versus rotundatis , fere spatliulaeformibus , dilute oli- vaceis vel subchlorinis, 1-septatis , 24 — 34 X 6.5 — 7 ; conidiis continuis , oblongo-cylindraceis , apicem versus late rotundatis , òasi sae- peque subangustatis , «oh raro inaequalibus ac fere cnrvatis chlorinis plasmate granuloso farctis, 18 — 21 X 5.5 — 7. Sopra macchie fumoso - fuliginee, principalmente sulla pagina inferiore delle foglie si osservano numerosissimi puntini ueri per lo più sparsi ma qualche volta continenti. Nella sezione trasversale si scorge uno stroma quasi olivaceo o fumoso, subcuticolare e che non si spinge oltre il secondo strato del inesotiilo. Questo stroma appiattito o un poco concavo è costi- tuito di cellule brune poliedriche; cellule simili invadono il lume delle cellule epidermiche prima che lo stroma sia completamente evoluto. Questo stroma ispessendo fa stirare la cuticola che final- mente si rompe e circuisce la fruttificazione del fungo. Dallo stroma verso 1’ esterno si elevano cellule allungate perpen- dicolarmente, a parete sottile e poco colorata e che vanno a fluire nello strato fertile quasi jalino ; da esse si dipartono numerose setole principalmente verso il margine dello stroma. Le setole brune , meno intensamente colorate verso 1’ apice , dove sono in qualche caso incolore, sono quasi costantemente rigonfiate alla base e presentano generalmente 3 setti trasversali in corri- spondenza ai quali possono essere rigonfiate. I basidii densamente aggregati e sorgenti di tra le setole sono per lo più cilindrici od anche quasi clavati , bicellulari e debolmente colorati. I conidii uuicellulari, quasi sempre cilindrici ed arrotonditi alle estremità, sono per lo più diritti , ma ve ne ha di curvati e di irregolari ; non di rado si incontrano couidii arrotonditi all’ apice soltanto e assottigliati verso la base. Mycetes siculi novi 13 Secondo il Rev. Ab. G-. Bresadola, che osservò il mio mate- riale, si tratta di una forma microspora di Vermicularia Vanillae Dolaci. ( Bull. Soc. Mycol. Frane. 1893, p. 188, pb XII, flg. 2). Effettivamente nou sono bene defluiti i limiti tra Vermicularia e Colbtotrichiim, abbiamo tra altri un Coll. Violae-tricoloris R. E. Smith intermedio tra i due generi. Se io ini sono deciso a riferire il mio materiale a Collctotrichum si è per il fatto che quelli che sembre- rebbero periteci completi astemi, non sono altro, a mio modo di vedere, che stadi iniziali. Ohe il nòstro sia un (Jolletotrichum genuino è dimostrato dalla forma, disposizione e colore dei basidi ; c;ìra> eri tutti che disgraziatamente ci mancano per la specie del Delacroix. Dalla flg. IIb di questo Autore rilevo una grande somiglianza col mio materiale, ma le setole non sono rigonfiate in basso ( flg. IP ) e la massa stromatica è assai meno sviluppata ( IP ). Del resto, pur non essendo identica alla mia, io credo che anche la specie ilei Delacroix sia da riferire al genere Colletotri- ch»m, tanto più che nou mancano le specie di questo genere le quali nella fa's iniziale rassomigliano a Vermicularia : lo stesso Autore difatti ha descritto più tardi il Coll. Authurii ( Bull. Soc. Mycoh 1897, p. 110, tav. Vili, flg. D) del quale non figura lo stato iniziale di Vermicularia, di cui tien conto nella diagnosi. Nessuna specie del genere Collctotrichum è stata ancora segnalata su Vanilla, se ne togli Collctotrichum sp. Stouem raccolto nell’America settentrionale e di cui l’A. dà la seguente diagnosi: Aceroulis atris erunipcntibus, amphigenis , et caulicolis , 150 — 180 g di-ami’, setulis circa bacini 3 — 4 septatis, coloratis ; basidiis confcrtissimis, septatis 30 — 45 ;x longis. Il non avere 1’ A. osservate le spore, il fatto che i basidii nel mio materiale sono soltanto 1 — settati e di minori dimensioni mi fanno ritenere che si tratti di specie diversa, tanto più che, per quanto abbia accuratamente ricercato, nou mi fu dato rinve- nire nessuna forma ascofora, mentre lo Stouem riferisce il suo Colletolrichum a Gnomoniopsis Vanillae Ston. Habitat: In foliis exsiccatis Vanillae odorata e , R. Orto bo- tanico di Catania, Junio 1901 (Ipse legi). Coryneum Eriobotryae Scalia n. sp. Maculis amphigenis orbicularibus , sparsis quandoque confluentibus ir regalar ibusque , in pagina superiore foliorurn argillaceo- albidis vel griseolis , linea angusta , atro -purpurea, parum elevata, bene limitatis , in pagina inferiore ochraceo-a rgillaceis , linea fusca circuiti scriptis ; 14 Dr. G. Scatta [Memoria Vili.] acervulis sparsis , primvm tectis denique erumpentibus ac epidermide lacerata cinctis , saturate nigris , ampjiigenis sed saepius hypophylli , 270 — 345 [j. di am. ; b a sidii s fi lì forni i bu s, hyalinis , continuisi IO — 16 non rare usqne 30 \x longis, 1 — 1.5 [j. crassi e strato proligero paren- chymatico, e cellutts minutissimi achrois formato , Ìiortis; conidiis pri- mum continuisi liyalinis, postea , 1-septatis chlorinis denique 3-septatis. ad septa non rei mdistincte constrictis, loculi omnibus olivaceo- fusci- duli , eguttulatis, 13.5 — 9X6.5 — 7, ovalibus rei oblongo ellipsoideii basi saepeque ang astato -trunca tu lis. Determina sulle foglie delle macchie orbicolari di colore bianco argillaceo o grigiastre sulla pagina superiore, ocracee sulla inferiore e limitate sempre da una linea bene definita. Gli acervuli bene di- stinti sulla pagina superiore, dove si presentano sotto forma di pun- tini nerastri, lo sono meno sulla inferiore nella quale sono mascherati dai peli. I basidii sorgono dalla base degli acervuli e sono filiformi, jalini, continui e misurano 10-16 od anche 30 p in lunghezza. Le spore, solitarie all’ apice dei basidii, si presentano prima come vescichette sferiche incolore, poi diventano debolmente giallastre mentre si forma un setto mediano, finalmente sono di colore oliva- ceo-f'osco, 3-settate, nou od appena percettibilmente ristrette in corrispondenza alle pareti trasversali, con logge uniformemente colorate e sprovviste di gocciole. La forma delle spore è variabile: ve ne sono di ovali, ma per lo più sono oblunghe, arrotondite all’ a- pice, un poco assottigliate e troncate verso la base; spesso si presen- tano diritte, ma ve ne sono anche iuequilaterali. Questa specie si distingue da C. foliicolum Fuck. perchè forma delle macchie bene delimitate, per la mancanza di uno stroma pe- riferico olivaceo e per le logge delle spore uniformemente colorate. Per quest’ ultimo carattere anzi è affine a C. concolor Peuzig e a C. Corni albae (Rourn.) Sacc. Si distingue però dalla prima di queste due specie per i basidii più sottili, per le spore non sempre oblungo-ellittiehe ed arrotondite alle due estremità, per il colore di queste spore e le dimensioni. È diversa dalla seconda per la forma e le dimensioni delle spore. Habitat: in foliis vivis Eriobotryae japonicae (soc. Pleospora herbarum), Piazza Armerina (Legit et comm. prof. (Carpentieri) Martio 1903. Mascalucia, Maggio 1903. Memoria IX. Applicazioni analitiche dei gruppi di proiettività, trasformanti in sé una forma Hermitiana di GUIDO FUBINI L’ introduzione delle metriche definite da una forma Her- mitiana da me studiata in recenti lavori, (*) permette di com- pletare risultati da me già ottenuti nella generalizzazione della teoria delle funzioni automorfe e iperfuchsiane di Picard. Essa permette di trasportare nello studio di queste funzioni quei me- todi, che il Poincaré trasse dallo studio delle metriche a curva- tura costante per lo studio delle funzioni fuchsiane e zeta-fuch- siane. In questo lavoro io darò una nuova dimostrazione del- 1’ esistenza delle funzioni iperfuchsiane invarianti per un dato gruppo , dimostrazione che permetterà di dimostrare che tali funzioni variano con continuità al variare continuo del gruppo; quindi dimostrerò almeno in un caso particolare notevole 1’ esi- stenza di funzioni analoghe alle zeta-fuchsiane , funzioni elie permettono di approfondire lo studio dei sistemi di equazioni lineari alle derivate parziali con coefficienti algebrici e che io chiamerò funzioni zeta-iperfuclisiane. Per semplicità studierò sol- tanto il caso di funzioni a due variabili : i metodi valgono in generale. Sia xx0 + yy0 — zz0 una forma Hermitiana A indefinita e siano x0 , y0, z0 le variabili immaginarie coniugate alle x , y, z. (*) Sulla teoria delle forme quadratiche Hermitiane. eco. Atti dell’Accademia Gioenia 1903. Cfr. anche dell’Istituto Veneto (1903), Annali di Matematica (1904). Atti Acc. Serie 4a, Vol. XVII — Mem. IX. 1 2 Guido Fubini [Memoria IX.J Porremo — - ui — «] - j- « ttj ; — = «q = m2 t w2 dove ux , Mi' , u2 , «2 sono variabili reali. A ogni trasformazione lineare omogenea T sulle x, y , z corrisponde una trasforma- zione T' lineare fratta (in generale) sulle variabili ux , u2. Sia- no ux, u% le variabili immaginarie coniugate delle ux , u,2. Con- sideriamo quelle trasformazioni Pelle lasciano fìssa la A e le cor- rispondenti trasformazioni T' . Nello spazio B , in cui le u'x, ?q, u 2, u2 sono le variabili coordinate , le trasformazioni T' costi- tuiscono un gruppo continuo, che si può considerare come grup- po di movimenti di una metrica definita dall’ elemento lineare reale definito (1) ds2 = (1 — u2 uf) duL du\ -j- (1 — ul u\) du2 dui -f- ui du\-\-u2 u\ dul dui (1 — uL u\ — u2 u\ )2 dove è naturalmente ui = %-f- i ux , u2 = u2 + i ecc. Ciò si può verificare direttamente , o anche dedurre dalle formule da me date nei luoghi citati per la distanza (nelle nostre metriche) di due punti , esaminando ciò che essa diventa se i due punti sono infinitamente vicini. (*) Consideriamo ora le ux , ux , u'2 , u2 come coordinate carte- siane in uno spazio euclideo rappresentativo B ; in questo l’as- soluto del nostro spazio B ha per immagine l’ipersfera 8 data da (2) (ufi -f- (ufi -f (ufi -f- (ufi — 1 e le geodetiche uscenti dal punto O (u'x=0, ux= 0, 0, \('x= 0) hanno per immagine le rette uscenti dall’ origine. Le ipersfere di B col centro in 0 hanno per immagine le ipersfere di B' (*) Cfr. loc. cit. pag. 42. Applicazioni analitiche dei gruppi di proiettività ecc. 3 col centro nell’ origine : in una parola le ipersfere di B' col cen- tro nell’ origine sono anche ipersfere per B. Troviamo ora che relazione passa tra il raggio p di queste ipersfere nella metrica (euclidea) di B' e il raggio r, che cor- risponde a esse nella metrica di B. Per veder ciò moviamoci su quella retta di B' , definita da u'i = u2 = u2 — 0. Essa ci rappresenta una geodetica di B ; due punti infinitamente vicini di essa, rappresentano due punti infinitamente vicini di B , la cui distanza, essendo per ipotesi ui = u\ = u\ ; u2 = n% = 0 , è data per la (1) da Se dunque il raggio euclideo della nostra sfera è p , il rag- gio r sarà (3) Troviamo ora il volume non-euclideo della nostra sfera di raggio r. Sia d~ V elemento di volume della nostra metrica ; co- me si sa se A è il discriminante di ds2 , è dx—\/ a dui du({ du2 dui. Ora si trova facilmente che quindi A 1 16 (1 — ul u\ — u2 ul)6 d T : dul du\ du2 dui 4 (1 — ul ul — u2 ulf Passando alle variabili reali ili u[ , u’2 u2 si trova che du\ du[ dui dui 1 1 ~ (1 — Wf (4) 4 Guido Fubini [Memoria IX.] dove sia o2 = (u])2 -f- (m]')2 -f- (iù^f + («a)2- Se noi indichiamo con dx' 1’ elemento di volume euclideo corrispondente in B' troviamo Introduciamo in B! coordinate polari, ponendo 8 cos 6 ; u'i=b sen 6 cos cp ; *4=8 sen 0 sen cp cos cj>; <4—8 sen ® seri cp sen <]> dove 8, 0, Quindi il volume non — euclideo di una ipersfera il cui rag- gio euclideo (il raggio dell’ immagine euclidea) èpe dato da Se r è il raggio non euclideo della nostra sfera abbiamo per la (3) che questo volume V è dato dalla V 32 2 r —Ir \ 2 e -\~ e — 2 'ir 32 Consideriamo un movimento qualsiasi T della nostra me- trica. Le lunghezze (non euclidee) , i volumi ecc. non vengono naturalmente alterate. Siano uì , u2 , u\ , u% le coordinate del punto corrispondente per il movimento T al punto C = (uì , u2 Applicazioni analitiche dei (/ruppi di proiettività ecc. 5 «J, ^2)- Vogliamo calcolare 1’ Iacobiano I delle u rispetto alle w; intanto, poiché T non altera i volami si ha la _ 0 0 duL dui du2 du2 dul du\ du2 dui (1 - B2 (1 - V dove B2 = ui + u2 u% Ma ora per note regole di calcolo, il primo membro dell’ uguaglianza precedente è uguale a donde si trae : (5) d u l du\ du2 dui l - 2\ 3 1 — B 1 — B2 Ora B e 8 non sono che i raggi vettori delle immagini eu- clidee di un punto C e del suo trasformato per T. Indicando con r, r i raggi vettori non euclidei (distanze geodetiche dalla origine) dei punti stessi in li, abbiamo per la (3) che è : Sia ora dato un gruppo qualsiasi 0 discontinuo di movi- menti T. Esso, come sappiamo (*) , è propriamente discontinuo in R ; costruiamone i campi fondamentali con uno qualsiasi dei nostri procedimenti (**); tutti questi campi fondamentali saran- no dal punto di vista delle nostre metriche uguali tra di loro (sovrapponibili). Siano ora Ti , T2 Tn.... le operazioni del no- stro gruppo e costruiamo la serie (7) uj* + \r\k + \r\k + + ur + dove Ti è un numero intero , \In\ è il valore assoluto dell’ Ia- (*) Cft. loc. cit. pag. 49. (**) Cfr. loc. cit. pag. 50, 51. 6 Guido Fubini [Memoria IX.] cobiano precedentemente calcolato relativo al movimento Tn . Questi Iacobiani sono funzioni del punto C ; immaginiamo ora C variabile in un piccolo intorno di volume non euclideo a e consideriamo i punti trasformati Ci C2 e gli intorni corri- spondenti per il nostro gruppo : i volumi aì a2 di questi in- torni saranno tutti uguali ad a. Se, come supponiamo, a è ab- bastanza piccolo, essi saranno tutti distinti. Quelli di essi che sono interni o hanno anche soltanto una parte comune a una sfera di raggio r sono interni a una sfera di raggio r -f- d , se d è la massima corda di a e sono perciò per le (4) in un numero n tale che (8) Tr n < — — {er^d — e-W+O)4 ei (r+d) 32 a Consideriamo ora una serie di sfere concentriche di raggi r, 2 r, 3 r.... ; quei termini della (7), i cui punti corrispondenti Ci cadono tra la sfera di raggio (n — 1 )r e quella di raggio nr 7t2 sono per la (8) in numero minore di — - é[-nr+d) ; ognuno di essi ÒSO.- per la (6) è minore di (X l X \6k e + I / /rX ! r-M* r — 6fc(»i— l)r e("-l | I e- 0 ossia se le > la nostra serie converge assolutamente e uniformemente. Considerazioni analoghe a quella di Poincaré dimostrebbero che al variare continuo del gruppo, questa serie si conserverebbe tale anche rispetto ai parametri definenti il gruppo. Applicazioni analitiche dei gruppi di proiettività eco. 7 Se ora F è una funzione p. es. razionale di uv e regolare nel campo (interno alla (2) ) della loro variabilità e perciò infe- riore a una costante determinata in questo campo, e se noi in- dichiamo con F(Cn) il suo valore nel punto Cn , la serie (9) S F (Gn) Il n 2 è assolutamente e uniformemente convergente se k >> ~ perchè la F è finita e la (7) è assolutamente e uniformemente conver- gente. Una tal serie per una trasformazione Tk del gruppo è moltiplicata come io ho già osservato altrove (*) per un fattore dipendente solo da Tk : il quoziente di due tali serie rappresenta perciò una funzione invariante per il gruppo. Nella nota citata io avevo dimostrato resistenza di tali fun- zioni ; il risultato fondamentale e nuovo è che queste funzioni sono funzioni continue dei parametri definenti il gruppo, appunto come avviene per le funzioni fu eli siane di Poincaré. Ma le nostre metriche possono condurre rapidamente a un altro risultato ben più importante , alla generalizzazione cioè delle funzioni zetafuchsiane di Poincaré (**). Consideriamo a tal line un gruppo V iperfuchsiano , il cui poliedro generatore sia tutto a distanza (non euclidea) finita e sia G un gruppo di sostituzioni lineari omogenee su p variabili a lui oloedricamente o meri edricam ente isomorfo. Siano Hx , //., ...., Hp p funzioni razionali delle ux , u2 regolari nel campo interno alla (2); noi ne indicheremo con Ht (Ct) 2,..., p) i va- lori nel punto 0; trasformato di G per il movimento T{ . La trasformazione di G corrispondente a 1\ si indichi con St . Una trasformazione S{ applicata a p quantità qualsiasi hp, le porta in p loro combinazioni lineari che noi indicheremo con \i Si , Si , .... , lp Si . (') In una nota cioè ora in corso di stampa negli « Annali di Matematica (**) Acta Mathematica Tomo 5. 8 Guido Fubini [Memoria IX.] Costruiamo le p serie : (10) ^ = 2 | [ (C)J lì (n = 1, 2, .... P) Si può dimostrare al modo stesso di Poincaré (*) : I. Se le (10) sono assolutamente e uniformemente conver- £ genti le -L dove è una qualunque delle serie (9) considerate come funzioni del punto C , subiscono la trasformazione Sk , se al punto C viene applicato il movimento Tk . II. Esiste una costante a tale che se la geodetica congiun- gente il punto C al punto Ci lia una lunghezza (non euclidea) Li , il numero n dei poliedri fondamentali che essa attraversa è tale che n < a L{ . III. Esiste una costante M indipendente da i , tale che i coefficienti di e di 8~x sono minori in valore assoluto di Mn ossia di eLi°- los M ; posto N — a log M, essi quindi sono minori di eNLt . Per dimostrare dunque l’esistenza di funzioni analitiche tali che, mentre C subisce una trasformazione Tk , subiscano la trasfor- mazione 8k basta dimostrare la convergenza assoluta uniforme entro 1’ intorno a di C della (10) ossia poiché le H , funzioni regolari entro la (2) , sono finite , basta dimostrare la conver- genza della serie di cui il termine iesimo è il prodotto di lf per un coefficiente della trasformazione 8~x. Ricordando la pro- prietà enunciata di tali coefficienti , si vede che basterà dimo- strare la convergenza della serie (11) £ eNLi If (*) Cfr. loc. cit. pag. 232-233-234. Applicazioni analitiche dei gruppi di proiettività ecc. 9 dove Li è come sappiamo la distanza geodetica Ci C ; questa di- stanza è in generale minore (o se si vuole è dell’ ordine di grandezza) di C{0 -f- OC dove O sia 1’ origine ; basterà perciò in- dicando con Vi il raggio vettore non euclideo di 6) dimostrare la convergenza della Ora per la (6) è (indicando con r il raggio vettore di C) - (, ) V e1 — e r7 -'■\6 E da ciò si deduce tosto che si può scegliere una costante tale che I eSr‘ | < | I? | Basterà perciò dimostrare la convergenza assoluta di S 7/+P e noi sappiamo già che una tale serie converge assolutamente e in ugual grado se h -f- p >> -jj-, ossia se Jc è abbastanza grande. TJ esistenza delle nostre funzioni è così dimostrata. Noi abbiamo così visto con quanta semplicità le nostre me- triche permettano di estendere a campi tanto più vasti le ge- niali concezioni di Poincaré e quanta rapidità esse consentano nelle dimostrazioni. Noi ora vorremo indicare alcune conseguenze del nostro ultimo teorema, che mi sembrano del massimo inte- resse. Come dimostrò Picard (*) in un caso particolare , tra le funzioni di ui , u2 invarianti per un gruppo P iperfuclisiano ne esistono due tali che ogni altra funzione invariante per lo stesso gruppo è funzione algebrica di quelle ; diremo rt due tali fun- zioni ; consideriamo un sistema di p funzioni £2.... di uv u2 (*) Acta Mathematica tomo 5. Atti Acc. Serie 4a, Vol. XVII — Mem. IX. 2 10 (hddo Fubini [Memoria IX.] tali che eseguendo su uv u2 un’ operazione T di F esse subi- scano un’ operazione del gruppo corrispondente G. Supponiamo per semplicità che sia : = 1 — (— 2 — (— 3 — }— dove k è un intero positivo. Le L .... <~p funzioni di uv u2 si po- tranno considerare come funzioni di > nel 1810, dopo aver dichiarato nella prefazione di aver osservato tutti i luoghi, di cui scrive, non fa che ripetere il Fazello, of- fuscandone le tinte. Ecco il testo : « La grossa montagna di S. Calogero, che isolata s1 innalza « dalla spiaggia sopra cui è Sciacca , presenta simili fenomeni « di una sotterranea fermentazione. La superficie come che for- « mata da strato calcareo, che in quella parte della Sicilia, per « una grande estensione, è mescolato al sale muriatico, onde ha « un sensibilissimo carattere di salato, è condannata ad una per- « petua ed orrorosa sterilità. (1) Ma nell’ interno di essa tutto (2) Antonino Silvestro Bellitti — Delle Stufe e dei bagni di Sciacca — Palermo 1783. (3) Ab. Frano. Ferrara — J campi Flegrei della Sicilia... ecc. Messina 1810. (4) È il caso di ripetere: Spectaculum admissi risimi teneatis amici?... Fenomeni carsici e pseudovulcanici del monte 8. Calogero di Sciacca 3 « annunzia una perenne ed incessabile fermentazione solforosa, « perchè i fenomeni vi esistono da tempi immemorabili. Quasi « da ogni parte, da ogni buco, da ogni fenditura escono vapori « di acqua bollente e di zolfo, che riempiono del loro odore sof- « focante tutta quella estensione. Vi si vede un poco al basso « una sorgente assai calda e solforosa, un’ altra che è purgante ; « un’ altra limpida e buona a beversi; un’altra calda e salata e « carica di cinereo glutine calcareo. Ma nella parte alta del banco « che guarda il mare si osserva un grande ed obliquo pozzo, den- « tro il quale odesi un fragore continuo, come di un vento sotter- « ranco o di una caduta di acqua. Verso la cima evvene un altro « simile e dove il fragore sotterraneo è qualche volta più forte. » Chi ha visitato, anche una sola volta, le stufe ed i bagni di Sciacca, ha bisogno di una buona dose d’ingenuità per rite- nere che V Ab. Ferrara vi abbia posato il piede. E bisogna pur dire che non ebbe mai per le mani 1’ opera del Bellitti ; diver- samente come poteva parlare di orrorosa sterilità del monte e tacere completamente della grotta vaporosa ?... Quasi un secolo dopo il Ferrara, nessuna migliore cognizione si ha sui fenomeni che si svolsero e si svolgono sul monte S. Calogero, poiché il Mercalli (5) cita e ripete quanto aveva scritto il Ferrara. La serie delle ricerche scientifiche si aprì al 1881, quando Zinne (6) pubblicò 1’ analisi qualitativa e quantitativa delle ac- que termali e dei vapori delle stufe ; ma quel lavoro, come va rii altri, se giovarono alla Medicina, nulla aggiunsero alle cognizioni geologiche. Sicché sparsero viva luce due lavori (condotti da mano maestra e col massimo rigore scientifico) del Di Stefano (7), il (5) G. Mercalli — Vulcani e fenomeni vulcanici in Italia — Milano 1883 — p. 193. (6) S. Zixno — Analisi qualitativa e quantitativa dell’ acqua santa , sulfurea e ferrata di Sciacca — Stufe di S. Calogero. Napoli 1881. (7) G. Di Stefano — Appunti geologici sul Manie Cranio (Publicato in appendice di un lavoro di G. Licata — Le Stufe ed i bagni di Sciacca) — Osservazioni stratigrafiche, sul pliocene e postpliocene di Sciacca (Nel Bollettino del R. Comitato Geologico an. 1889 n. 3-4). 4 Doti. Raffaele Di Milia [Memoria X.] quale illustrò la geologia stratigratica del monte e di gran parte del territorio di Sciacca. Rimanevano nell7 esclusivo dominio della leggenda le grotte; e, la causa, che provocò la manifestazione esterna dei fenomeni pseudovulcanici e ne sostiene il dinamismo , se intendevasi coi principii generali della scienza, non era obbiettivamente ricer- cata. Io dò col presente lavoro una descrizione esatta delle grotte, indicando le cause che le produssero, descrivo anche più minu- tamente degli autori che mi precedettero , le stufe , a scopo di precisare la causa, che provocò il dinamismo del pseudovulcano ed infine , comparando 1’ intensità con cui alcuni fenomeni si svolgono oggi , e quella con cui si svolsero nel passato , indico l’epoca probabile, in cui la colonna vaporosa apparve sulla vetta del Cronio. Monte S. Calogero. Il monte S. Calogero si eleva dalla foce del torrente gran Salamoile (W) ed a balze raggiunge la massima altezza, in. 387, sulla grotta vaporosa ; similmente a balze declina al torrente Caroballace (E). Un forte rigetto contrario e diretto da E a W, lo tronca nel lato meridionale, in modo che esso si mostra de- clive a X , ove , a mezzo di basse colline , annodasi ai monti secondarii di Caltabellotta e Sambuca, e strapiomba con aspetto alpestre verso S. A questa parte alpestre segue un’ampia zona di terreno pianeggiante, la cui base è bagnata dalle acque del ca- nale di Sicilia. La stratificazione geologica può riassumersi così: 1. Il Tifoideo, rappresentato da spessi strati di calcare con abbondanti cefalopidi e Pigope dgphia, forma il grosso del monte e dalla così detta Rocca rossa (W) si estende fin oltre la metà della lunghezza. Xella contrada Randazzo appare il Cretaceo , che di là si estende fino al Carobollace. 2. Il Nuin mulitico, molto potente, rappresentato da calcari marnosi bianchi o tufacei di color giallastro, lo ricopre come un ampio mantello. Fenomeni carsici e pseudovulcanici del monte 8. Calogero di Sciacca 5 Xel Titanico e nel Cretaceo abbondano i fenomeni carsici, (8) die trovansi sporadicamente rappresentati nel Xummulitico e so- no ovunque rappresentati da grottucole, che rassomigliano come in miniatura alle grandi grotte del Carso e di altre regioni del mondo. Fenomeni Carsici Xella zona pianeggiante, che subì un forte abbassamento per effetto del rigetto, si trovano la grotta dei Mori, di Giallo e di Ci alla. Gìrotta det Moki — Trovasi al piede S del monte a circa ni. 50 (0) sul livello del mare ed altrettanto più a X della sor- gente bromo] educata S. ’F riscia ; ebbe tal nome perchè , dicesi , che in tempi antichi servì di agguato ai corsari africani. La grotta dei Mori presenta un primo antro a forma di ferro di cavallo, colle due branche rivolte verso il mare e colla cur- vatura verso Rocca Rossa. La forma fu determinata da due dia- clasi convergenti a X e divergenti verso il mare : tali diaclasi sono perfettamente osservabili, essendo F erosione più demarcata lungo il loro decorso nella volta dell’ antro. All1 estremo della branca orientale è 1’ apertura d’ ingresso (alta in. 1.20 ; larga ni. 0.70) , la quale mostra nei colpi di scalpello di essere opera della mano dell’ uomo , o almeno dilatata. Il fondo delle due branche dell' antro è dolcemente inclinato verso la curvatura del ferro di cavallo, ove determinasi una conca. Entrando nella grotta , mentre si aspettano le tenebre più fìtte, è bello , dopo essersi inoltrato parecchi metri , rivedere il cielo e talora il sole, per una finestra, che fu aperta dall’ azione erosiva delle acque meteoriche sul fondo di una piccola dolina a forma di piatto (diametro marginale massimo in. 5 ; profondità (8) L’ espressione fenomeno carsico è usata in questo scritto in senso geologico non geo- grafico. (9) Tutte le altezze furori prese coll’aneroide e le altre misure col decametro. I)ott. Raffaele Di Milia [Memoria X.] <5 in. 1), alla quale gradatamente venne a mancare il fondo. L’an- tro misura m. 28 in lunghezza ed ha altezza variabile fra un minimo di m. 1.50 ed un massimo di m. 3 , ed una larghezza massima di in. 4. Nella curvatura della branca occidentale os- servansi due pilastri di forma fusoide, i quali, essendo l’uno rim- petto all’ altro secondo la larghezza dell1 antro, rivelano che l’e- rosione chimica dell’ acqua si esercitò con diversa intensità sul calcare che occupava 1' antro e che questo si ampliò per disso- luzione delle pareti divisorie di tre canali contigui (10). Proce- dendo più verso 1’ estremo della branca occidentale, dei tre ca- nali primitivi continua solo il medio, l’antro diviene angusto e presenta sul fondo uno strato, spesso circa 15 cm. di arenaria friabile, che evidentemente rappresenta un deposito delle acque circolanti nella grotta. All’ estremo della branca occidentale trovasi la gola di un pozzo (diametro marginale medio m. 1,30; profondità m. (i), il quale in basso dilata, formando un secondo antro , che insieme alla gola del pozzo ha forma di un grosso matraccio. Nell’estre- mità. inferiore della gola del pozzo sono due grossi setti di roc- cia in posto, i quali agevolano la discesa dell1 osservatore essendo capaci di sostenere un uomo. Il fondo del pozzo è occupato da sabbia calcarea e minuta ghiaia. Lateralmente il pozzo mostra varii cunicoli , ma nessuno permette il passaggio di uomo, neanche se camminasse carponi. Nella curvatura dell’antro a forma di ferro di cavallo sboc- cano due canali, che permettono il passaggio di un uomo. En- trambi hanno bocche sollevate oltre un metro dal fondo, e, do- po breve decorso, si congiungono in un solo canale (largo circa m. 4 ; alto m. 0,50) con decorso da N a S ed in sensibile pen- dìo. Strisciando come un rettile, mi fu possibile esplorarne circa (10) Un fatto simile osservò Olinto Marinelli nella grotta di Villanova. Cfr. O. Mari- nelli— Fenomeni carsici , (/rotte e sorgenti nei dintorni di Tarceuto in Frinii. (Giorn. In alto an. Vili). Fenomeni carsici e pseudovulcanici del monte S. Calogero di boiacca 7 m. 20 ed ebbi a notare varie fenditure con decorso da E a W, dilatate dalle acque d’ infiltrazione, in modo da apparire in se- zione come un triangolo. Visitai la grotta dei Mori varie volte in pieno inverno e la trovai sempre completamente asciutta, nè mai la fiamma della stearica rivelò la minima corrente di aria. Ciò mi fa ritenere die essa non ha altra bocca superiore e che fu scavata esclusi- vamente per prolungata azione erosiva delle acque d’ infiltra- zione. Fauna — Nel canale più interno catturai due individui o del Eh inóJopli as ferrum-equinum, A uct.; nell’antro anteriore vidi qua e là sterco fresco di Lepus cttniculiis. L.; vidi pure la Lacerili communi $ Wagler ed il Piati dact gius mauritanicus , Gml. Flora — Raccolsi alcune alghe inferiori non determinate. Leggenda — Come saggio di volgare esagerazione riporto la descrizione della grotta fatta dal Farina (11) : « È alto il suo « ingresso poco più di un metro, largo per metà e l’interno che « si dilata ad emisfero, ha presso che m. 1 di diametro, m. 2 */, « di altezza. Si passa poi in una seconda simile alla descritta « mercè un angusto forame a fior di terra, indi in una terza e « così in seguito per un irregolare raggio circa 3 Km. e si as- « serisce avere il buco di uscita all’opposta contrada di Calati. » Crotta di Callo — Trovasi nel pendìo incolto di contrada Sabella , pochi passi più a N della casuccia rustica di un tal Callo, da cui prende nome la grotta. L’apertura d’ ingresso è a m. 170 sul mare; ha forma ovale coll’asse maggiore secondo la linea N-S, ed è una dolina puteiforme, profonda m. 3, aperta dalle acque di dilavamento. Nel primo tratto la grotta descrive un gomito ad IV dell’in- (11) V. Farina — Le Terme Selinuntine ecc. Sciacca 18(34 p. 303. 8 Doti. Raffaele di Milia [Memoria X.J gresso, poi volge a X e cammina quasi dritta per m. 16, con al- tezza raramente superante i m. 3 e larghezza di circa m. 1. Quin- di trovasi un salto, alto m. 2, 50; salito il quale, trovasi una di- latazione (saletta) a forma di una calotta sferica, scavata in un conglomerato ad elementi pugillari e cefalari. Detto conglome- rato contiene anche ferro, che le acque filtranti hanno trasfor- mato in limonile a struttura alveolare. La saletta continua in un condotto, largo m. 2, alto in. 1, discendente a piano inclina- to a X : esso è lungo ni. 8,50 e sul suo decorso vedesi una vera marmitta di giganti (diametro in. 0, 60 ; profondità m. 1, 30). Trovasi dopo un secondo salto, alto circa m. 5 e diviso in due gradoni, di cui l’inferiore è alto m. 2, 80; il superiore m. 2, 20. Salito il salto, trovasi una seconda dilatazione o saletta, più gran- de della prima, ma della stessa forma e scavata ancli’essa in un conglomerato ad elementi pugillari e cefalari. Il fondo della sa- letta è circa cui. 20 più basso del margine superiore del salto. Segue un canale inclinato a X assai basso , che visitai cammi- nando carponi per m. 13, 50. Più oltre il cunicolo è imprati- cabile.— Tutta la parte praticabile della grotta è lunga m. 45 e nelle varie visite, fatte in gennaio, febbraio e marzo, fu trovata sempre asciutta. Solo talora in qualche angolo osservai scarse goc- cioline di acqua, pendenti dalla volta, che, illuminate dal lanter- nino ad acetilene, avevano l’aspetto di perle. È rimarchevole il fatto che V aria della grotta è in conti- nuo moto ascendente dal piano al monte, e l’apertura d’ingresso aspira continuamente aria. Quando all’aperto l’aria è in calma, il vento, che si genera nella grotta, ha forza di spegnere la steari- ca dell’osservatore. Tale moto dell’aria rivela che la grotta ha certamente un’altra bocca più in alto; ma pare che il cunicolo superiore faccia un cammino abbastanza lungo prima d’ aprirsi alla superfìcie terrestre. Xella speranza di rintracciare l’altra bocca, detti alle fiamme un fascio di paglia coperto da cladodi secchi di Opuntia ficiis-indica, e, benché la grotta aspirasse come un ottimo fumaiuolo, non si riuscì a vedere il fumo ricomparire all’aperto. Fenomeni carsici e pseudovulcanici del monte 8. Calogero di Sciacca 9 Questa grotta è assai istruttiva, oltre clie per la corrente di aria, anche per le due salette, che veggonsi nel posto di mag- giore permeabilità della roccia, e per i due salti che, insieme ai rispettivi tratti di canale con pendìo contrario a quello del primo tratto della grotta e al pendìo esterno del terreno, rappresentano due veri sifoni naturali. Grotta di Ciurla — Trovasi nell’estremità occidentale di contrada Sabella in proprietà di famiglia Giulia, da cui prende il nome. La bocca guarda il mare in direzione S-W e trovasi a circa m. 190 di altezza: essa fu aperta da acque di dilavamen- to ed ha forma ovale colla punta in alto (altezza m. 1, 90; lar- ghezza m. 1, 70). Nel primo tratto la grotta presentasi come una stanzetta, alta circa m. 2 ed ha fondo quasi piano, poi volge ad E e s’in- crocia con un secondo canale, formando un pozzetto, e prosegue verso E con fondo a ripido pendìo. Tutto il canale è lungo m. 13; largo da m. 2 a 0, 50 ed ha altezza variabile come la larghezza. Il canale incrociantesi col primo descritto decorre da N a S con fondo a dolce pendìo e dopo un decorso di m. 9 immette nella gola del pozzetto. Similmente sbocca nel pozzetto un altro ramo, il quale originasi a fondo cieco, assai basso e stretto (al- tezza m. 1, 50, larghezza m. 1, 30) e con ampiezza quasi uni- forme, scende da E ad W per m. 7, poi volge a N e raggiun- ge la gola del pozzo dopo altri in. 4. Il pozzetto è profondo m. 2 e verso N continua diretta- mente in un canale sottoposto all’ altro lungo m. 9. Questo ca- nale inferiore può ossevarsi solo camminando carponi e anche con difficoltà per angustia di spazio. Parecchie volte nella stagione invernale mi recai in questa grotta, ma solo dopo copiose piogge osservai stillicidio delle ac- que d’ infiltrazione ed eccezionalmente trovai un po’ di acqua nel pozzetto. Nel dirupo prodottto dal piano della faglia , oltre che la Atti Acc. Serie 4a, Vol. XVII — Mem. X. 2 10 Doti. Raffaele Di Milia [Memoria X.] grotta vaporosa, si rinvengono la grotta della Molara , Cocalo , Cucchiara, Canala, Leproso, Tacliahano. Grotta della Molara — Prende nome dalla contrada, in cui trovasi, ed apresi per varie bocche a circa m. 150 sul mare. La più grande delle aperture d’ ingresso guarda il mare in di- rezione S ed ha figura ellissoidale (altezza m. 2, 10 , larghezza m. 2, 00). La grotta si estende da W ad E ed è lunga m. 24, alta da m. 1 a 7; larga da 2 a 13 m. Il principale diaclasi, che dette luogo alla formazione della grotta è della maggiore evi- denza; segue la direzione della linea di faglia e si biforca verso E, onde la grotta mostra da quel lato un piccolo corridoio bas- so, che circonda un masso. È parimenti visibile un altro diaclasi che s’incrocia col primo e che facilitò la formazione della mag- giore apertura d’ ingresso. La grotta è tutta scavata nel calcare brecciato del Cretaceo ed al lato N è ingombrata da massi rui- niformi di aspetto svariato. Il fondo è un piano leggermente in- clinato verso la bocca principale, innanzi la quale è una conca a forma di piatto, tutta intersecata di fenditure messe in evidenza dall’ azione erosiva delle acque. Le acque della grotta in parte trovarono scolo attraverso le cerniate fenditure e in parte for- marono un rivo scorrente dalla bocca maggiore della grotta, come chiaramente rilevasi da un solco di erosione innanzi 1’ ingresso della grotta. Grotta di Cocalo — Apresi nella parte più alta del pizzo di Ferruzza e fu così nomata da una tradizione puramente orale, la quale reca che Cocalo, re dei Sicani, nascondesse colà i suoi tesori. La grotta è di difficilissimo accesso : io vi arrivai coll’ aiuto del tenente G. Borsa del 28° fanteria, il quale raggiunse 1’ aper- tura d’ ingresso arrampicandosi alla roccia ed aiutò me a salire colla corda. L’ ingresso è a m. 334 sul mare, guarda il S ed è sufficien- Fenomeni carsici e 'pseudovulcanici del monte S. Calogero di boiacca 11 temente ampio ( altezza m. 5; larghezza m. 3 ). Nell’ interno la grotta può dividersi in una parte anteriore molto alta (circa m. 12; larga m. 4, 50), il cni fondo è una conca a fondo di bat- tello ed una parte posteriore risultante da tre canali soprapposti. Il più alto, al tempo della formazione della grotta, riceveva ac- qua di delavamento da un’ apertura, che oggi è una finestra sul- la bocca d’ ingresso. Il canale scende con dolce declivio da S a N , seguendo l’ inclinazione delle assise calcaree. Esso è lungo m. 20 e in due parti del tratto anteriore manca di fondo; decorre sempre basso ed angusto, in modo che appena permette cammi- nar carponi. Il canale medio è in continuità col superiore, col quale fa angolo a N , scende a ripido pendio verso S, ed è lungo m. 17 con ampiezza sempre sufficiente, perchè l’osservatore possa cam- minare in piedi. In qualche tratto bisogna camminare sulle ter- razze o cornici laterali, poiché il fondo fu nel mezzo compieta- mente eroso dalle acque. Il canale inferiore è lungo m. 28 dall’ ingresso della grot- ta ; si estende a N m. 8 più del canale medio e ni. 3 verso S rappresentano la lunghezza della conca anteriore della grotta. Da detta conca si passa nella parte coperta del canale strisciando e salendo un gradone di m. 0, ( » 0 . Più in là il canale si am- plia tino a potervi camminare in piedi, poi diviene nuovamente basso e termina a fondo cieco. Nell’ ultimo tratto presenta alla altezza di circa un metro un terrazzo, che dà immagine di un tavolo a ferro di cavallo. Al gomito del canale superiore col medio, questo manca di fondo e mostra invece un’ apertura ovale, quasi gola di pozzo, che inette i tre canali in diretta comunicazione. Evidentemente 1’ acqua del canale superiore , man mano che, al gomito di sbocco nel medio, erodeva il pro- prio letto per retrocessione della cascata, scorrendo a getto sem- pre più alto sul fondo del medio , vi demarcò una conca , che per successiva erosione sfondò nel canale inferiore. Picchiando sul fondo della conca anteriore, odesi una riso- 12 Doti. Raffaele Di Milia [Memoria X.j nanza, che fa sospettare altra soluzione di continuità nella roc- cia. Ciò mi fa ritenere che le acque della grotta in parte tro- varono scolo nella roccia sottostante attraverso piccole fenditure. La grotta è scavata nel calcare brecciato del Xui ninni iti co ed il diaclasi, che favorì 1’ erosione chimica e meccanica delle acque, è evidentissimo per la soprapposizione dei tre canali e può osservarsi anche nella roccia sottostante. Circa m. 50 più giù della grotta di Cocalo trovasi una balma in forma di una barchetta (lunga in. 5, larga in. 0, 80 ; profonda in. 4) avente il fondo occupato da ciottoli angolosi gittati dalla bocca. Visitai la grotta di Cocalo e la balma sottostante il 21 Dicembre 1902, dopo abbondanti piogge, e le trovai compieta- mente asciutte. Fauna — La grotta di Cocalo costituisce 1’ abituale dimora della Columba lima , L., di cui vidi ovunque sterco secco e fresco. Flora — Xella parte anteriore della grotta e sulla parete di E vegetava un bel cespuglio di Parietaria officinali? L. e le pareti eran quasi totalmente coperte di una piccola alga verde, di cui raccolsi un saggio non ancora determinato. Grotta di Cucchiara — Trovasi nella zona più bassa della parte alpestre del monte ad W del pizzo di Ferruzza ed a circa in. 270 sul mare. Apresi per due bocche che guardano il S ; la maggiore ha forma ovale (alta ni. 2 ; larga 1) la pic- cola ha figura ellissoide (altezza in. 0, 90 ; larghezza m. 0, 70). Entrando nella grotta trovasi un primo antro esteso da E ad W, lungo m. 9, 80 largo m. 2 ; alto m. 3. Esso comunica col canale posteriore a mezzo di un cunicolo sottoposto ad un masso, sito a destra di chi entra nella grotta e con un’ ampia apertura rimpetto la bocca principale. Tale apertura è semisbar- rata da una grossa pietra. Fenomeni carsici e pseudovulcanici del monte 8. Calogero di Sciacca 13 Il canale posteriore decorre da N (ove iniziasi con due rami a fondo cieco) a S per circa ni. 20 con ampiezza variabile (altezza massima m. 4 ; larghezza m. 3,50). Una sezione trasver- sale del canale darebbe immagine di un arco gotico, tanto è evi- dente il diaclasi, che favorì 1’ infiltrazione delle acque. Il fondo, sia dalle aperture d’ ingresso , che dagli estremi posteriori del canale principale, inclina verso una conca centrale, tutta ingombra di sfasciume di materiali, evidentemente franati dalle pareti e dalla volta. La grotta è scavata in una lente di calcare brecciato del Titonico ed evidentemente la forma fu determinata da due dia- clasi, uno diretto secondo la frattura del rigetto e 1’ altro quasi normale al primo ; la grotta è effetto di erosione di acque di dilavamento e d’infiltrazione; quelle ingrottarono per le bocche di ingresso, e queste vidi talora io stesso stillare qua e là dalla volta. Fauna — In questa grotta vidi qualche individuo o del Bhinóloplius ferrum-equinum , Auct. ed un Lithobius forficàtus , L. GIrotta di Mastro Vito Canada — È così chiamata dal nome di uno scalpellino , antico proprietario del fondo. Apresi per due bocche, poste una accanto all’ altra a m. 285 sul mare ed una retta, tirata dalla grotta vaporosa in direzione del 8, la incontra fra i primi alberi di mandorlo. La bocca piccola è nascosta tra due piante di Opuntia e mena in una nicchia a forma di una calotta sferica , la quale posteriormente continua in un cunicolo, che sbocca nel canale adiacente, facendo un salto di in. 1,20. Il cunicolo è lungo m. 11 e funziona come un naturale ventilatore della parte più interna della grotta , imperocché la fiamma di una stearica rivela una corrente d’ aria, ordinariamente di dentro in fuori ; ma che ta- lora (dopo il tramonto delle belle giornate) s’ inverte. La bocca grande ha forma ovale colla punta in alto (larga in. 2, alta in. 5). 14 Boti. Raffaele Di Milia [Memoria X.j La roccia soprastante mostra una profonda insenatura con superficie liscia e rivela, die un ruscello, cadente di là, per re- trocessione della cascata ingrottò sempre meglio le sue acque. Dall’ apertura d’ ingresso si scende per ripido pendìo in una sala quasi rettangolare (lunga m. 9 ; larga 2, 50 ; alta 5), che posteriormente immette in due canali. Il canale di W comincia angusto (bocca larga in. 1, 40 ; alta in. 1, 70) ina più in den- tro la sua altezza si eleva tanto che illuminando la grotta con una stearica, legata sopra una canna, appena si riesce a vedere la volta. Esso è lungo m. 12 ; quasi a metà della lunghezza mostra lo sbocco del cunicolo , proveniente dalla bocca piccola della grotta, e posteriormente si continua anch’esso in un cuni- colo impraticabile all’ uomo , confiuisce cogli altri canali della grotta in 2 pozzi sottoposti , che saranno appresso descritti. Il canale dell’ E della sala descritta è anche più angusto del pre- cedente (alto m. 1, 40 ; largo 1, 15), scende a piano dolcemente inclinato per ni. 7, indi raggiunge il piede di un salto e devia a destra per confluire in un terzo canale più ad E della bocca grande. Superato il salto , di m. 3 , 1’ osservatore trovasi alla con- fluenza di quattro canali ; due provenienti da E e due da W. I due canali dell’E iniziansi entrambi a fondo cieco e scendono ripidi ed angusti (F interno è lungo in. 14 ; 1’ esterno ni. 10), poi si congiungono in uno , che forma un salto di circa ni. 4. Dei due canali dell’ W, uno non si potè esplorare per mancanza di una scala, giacché esso forma un salto di in. 5 con roccia liscia ed erosa quasi perpendicolarmente. Tale salto è perfetta- mente rim petto 1’ altro dei canali dell’ E. — L’ altro canale che è un ramo del primo non visitato, iniziasi con un’ ampia aper- tura circa un metro distante dal labbro superiore del salto, decorre molto ripido da W ad E e si apre sul salto di ni. 3 alla confluenza degli altri tre canali. Nella storia della formazione di questa parte posteriore della grotta, evidentemente fu un tempo in cui i varii ruscel- Fenomeni carsici e psevdovulcanici del monte S. Calogero di Sciacca 15 letti univano le loro acque sopra una fenditura, attraverso la quale trovavano scolo ; poscia col dilatarsi della fenditura, si formò una gola di pozzo, in cui le acque precipitavano da due lati opposti ; si determinarono così le due cascate, che colla continua retrocessione contribuirono all’ampliamento della grotta. Il canale ad E della bocca grande iniziasi a fondo cieco, e, nel primo tratto, largo e basso, è tutto adorno di piccole stalattiti e stalagmiti, decorre per circa m. 10 basso ed angusto e, dopo aver ricevuto lo sbocco del canale medio della grotta (E della scala), va a sboccare in un pozzetto Sotto i salti in- nanzi descritti. Il pozzetto è profondo m. 3 e presenta sulla parete dell’ W un grosso foro per cui si passa in un’ antricciuolo, adorno di festoni di calcare stalattitico e col fondo pur occupato da in- crostazioni come colate venute a più riprese. Più a X del primo pozzo trovasi un secondo pozzo, al quale si perviene camminando carponi in un angustissimo ca- nale lungo m. 3. Questo pozzo ha diametro marginale di m. 1, 20 e profondità di m. 3, 50 : trovasi sulla confluenza del canale di accesso con un altro laterale, di cui non è possibile seguire il corso per angustia di spazio. Un tempo questo pozzo ricevè direttamente le acque del canale E della sala e ciò quan- do il detto canale aveva il fondo circa un metro più alto e con- tinuavasi in un cunicolo , la cui apertura vedesi sul fronte del salto. Tale cunicolo raggiunge il pozzo dopo un decorso di in. 5. Il fondo del pozzo è inclinato verso il 8 e presenta un foro del diametro di circa un dcin. pel quale trovarono scolo le acque della grotta. Attualmente per detto foro penetra una corrente di aria così forte da spegnere la fiamma di una stearica e produce un rumor cupo da intimidire gli inesperti. La grotta è tutta scavata nel calcare del Titonico e rap- presenta il piccolo circo o bacino di ricevimento di un antico ruscello sotterraneo, che (come rivela la corrente di aria) più giù versò all’ aperto le sue acque , o ha altri meati di ricevi- 16 Doti. Raffaele di Milia [Memoria X.J mento, pei quali aspira aria. Le acque (li tale ruscello furono acque d’ infiltrazione, le quali alimentarono e scavarono i canali che s’ iniziano a fondo cieco ed acque di slavamente che for- marono e dilatarono i canali in diretta continuità colle bocche della grotta. La grotta è scavata secondo due diaclasi principali e normali, dai quali diramano altri diaclasi secondarii. I due pozzi sono sull’ intersezione dei diaclasi. La grotta è riferibile al tipo (joule, proposto del Martel. (12) Fauna — Era i ciottoli che ingombrano la sala vidi la Scolopendra morsitans , (ierv. e nei pozzi catturai due specie di Ortotteri non ancora determinati. Leggenda — Riporto dal Farina : « Qui si trova una di quelle grotte spettacolose, la quale credesi perforare il monte in tutta la sua lunghezza ». Y. Farina — Terme .sci itimi fine pag. 85. Grotta del Leproso — Trovasi nel dirupo sottoposto alla Stufa, a m. 320 sul mare, e fu così nomata dal fatto che un leproso curò la sua infermità, usufruendo dei caldi vapori della grotta. Due bocche guardanti il mare dalla medesima altezza ed in direzione S, una distante dall’ altra in. 10, vi danno adito. Tali bocche furono aperte dalle acque di dilavamento, che nelle piogge copiose, ingrottano per esse-. Entrambe hanno for- ma ovale colla punta in alto (la bocca di sinistra è alta m. 1, 50, larga 1 ; quella di destra è larga m. 1, 90, alta 2, 10) ; e con- ducono rispettivamente in una saletta quasi quadrangolare (ognu- na è larga m. 4 ; alta 2). Le due salette comunicano tra loro a mezzo di due bassi canali, che in sezione trasversale appari- rebbero come due losanghe separate da un setto. La distanza (12) E. A. Martel. La spéléolof/ie ou Science des caverne s. Paris 1900. G. Carré e G. Naud. Fenomeni carsici e psewdovvlcanicidel monte S. Calogero di Sciacca 17 massima dall’ angolo di una saletta e quello dell’ altra è di m. 20. # Ciascuna saletta continua posteriormente in un angusto canale. Il canale della saletta sinistra, dalla bocca prospiciente al posto praticabile misura ni. 13 ed ha in fondo un foro, donde emanano gas (O ; V ; CO.,) e vapori di acqua, proprio come nella grotta vaporosa, nel cui camino, con ogni probabilità, il detto canale confluisce. L’ altro canale è lungo m. 23 e raggiunge un’ altezza mas- sima di m. 5 ; in principio è sufficientemente largo, ma, come si progredisce nell’ interno diviene sempre più angusto e presen- ta a circa un metro di altezza due terrazze o cornici laterali, una di fronte all’ altra, che rappresentano un antico letto delle acque della grotta. Il fondo del canale va dolcemente scendendo verso 1’ interno tino a raggiungere una conca, che dilata in uno antricciuolo bassissimo ; più oltre sale in sensibile pendìo. Verso il tramonto del 26 aprile 1903 il termometro segnò 37°C nel canale vaporoso e scese fino a 13°C nella conca del ramo senza vapori. La grotta fu scavata da acque d’ infiltrazione e di slava- mente ed è riferibile al tipo (joule. Fausta — Nel canale senza fumarola rinvenni un grandis- simo numero del Iihinolopltm ferrum-eqmmtm , Auct pendenti a catene dalla volta. Flora — Le pareti delle due salette sono quasi compieta- mente ricoperte di un’ alga verde incrostante, di cui raccolsi un saggio ed in qualche angolo trovasi pure qualche meschina fronda di Adiantum cwpillus- Veneri* L. (trotta di Tachahano o dell’ eco — Trovasi all’ estre- mità occidentale del rigetto, vicino la via di Tavno ed ebbe da- Atti Acc. Serie 4a, Vol. XVII - Mera. X. 18 Doti. Raffaele Di Mil-ia [Memoria X.] gli Arabi il nome di Tachahano dal fatto che contro la roccia, in cui è scavata la grotta, formasi un’ eco distinta. (13) Apresi a circa m. 260 sul mare ed ha adito ellittico, alto metro 6, largo 3. Nell’ interno le dimensioni gradatamente si riducono e tutta la grotta non è lunga più di m. 8. Il fondo ha ripido pendìo verso 1’ esterno. La roccia circostante 1’ apertura d’ ingresso ben lisciata rivela con evidenza l’azione erosiva delle acque di sla- vamente, che scavarono la grotta. Fin dal 1864 fu chiusa ante- riormente da un muro ed utilizzata per bisogni dell’agricoltura. Qualche passo a sinistra della grotta vedonsi a varia altezza dal terreno coltivato varii fori carsici. In uno di essi , che ha fondo inclinato verso l’interno, trovasi un vero conglomerato ad elementi avellanarii, che rappresenta un residuo di minuta ghiaia in preda alle acque, le quali scavarono il foro stesso. Grotta di Mangano — Trovasi alquanto più sopra Ta- chahano, a circa m. 320 sul mare. La bocca guarda il N-W ed è larga m. 2,50, alta 1,20 ; è lunga m. 8 e si va gradatamente restringendo come si procede nell’ interno. È tutta scavata nelle marne bianche del Nummulitico e presenta pochissimo interesse. I fatti rilevati conducono alla conferma dei principii fon- damentali dell’ idrologia sotterranea, già stabiliti dal Martel ed altri speleologi e cioè : 1. Nei terreni calcarei i diaclasi e le giunte regolano la cir- colazione acquea del sottosuolo. 2. Le sale si manifestano nei punti, dove le acque dovettero soggiornare e però vi esercitarono più intensa azione erosiva. 3. I bacini idrografici del sottosuolo tendono continuamente ad abbassarsi. (13) Alcuni scrittori credettero che 1’ eco fosse nella grotta. Questo grossolano errore provenne da una cattiva interpretazione del seguente passo del Fazello : Specus destror- sum obvia est, unde vocis etiam eininus emissae Echo responsa refert. Fenomeni corsici e psevdovvlcanici del monte ÌS. Calogero di Sciocca 19 Fenomeni pseudo vulcanici. Il S. Calogero può considerarsi come tipo dei monti pseu- dovulcanici. Xella retta è la grotta vaporosa, clic asconde nei suoi re- cessi il pseudo-cratere , da cui vien fuori una colonna di fumo visibile talora anche a parecchi Km. di distanza. Presso la grotta vaporosa, nello scoscendimento prodotto dalla frattura del rigetto, redolisi disseminate numerose fumarole, dette nel paese Bagni- celli che corrispondono ai campi di fumarole dei veri crateri. Altre fumarole, allineate sul dorso e sui fianchi del monte, ricor- dano le fenditure dei coni vulcanici. Infine, ai piedi del monte e per la massima parte aggruppate agli estremi del suo asse mag- giore (cioè nella valle dei bagni e nell’alveo del Carobollace) si osservano le sorgenti termo-minerali, le quali, come notò il Baldac- ci (14), pare abbiano qualche relazione colla frattura del rigetto. Con fenomeni anologhi a quelli dei veri vulcani, ma ridotti a più semplice espressione , il S. Calogero ha piccoli parossi- smi (15), periodi di semplici emanazioni ed anche di calma. (14) Baldacci — Descrizione geologica dell’ isola di Sicilia — Roma 1886. (15) Scarse notizie si hanno sui parossismi delle stufe di Seiacca. Si hanno notizie dei parossismi coincidenti con periodi di gravi terremoti degli anni 1727 , 1817 e 1831. Ecco ciò che scrive il Savasta in rapporto agli avvenimenti del 1827 : « Al li 26 detto (settembre) venerdì, ad ore 4 di notte, si fece sentire nelle viscere della terra un tuono orrendo, che intimorì tutti quelli che lo sentirono — vi fu chi vide nel territorio, chiamato dagli Sciac- chitani « Manica Rossa » che essendo scoppiato un terremoto, si aprì una voragine e da essa uscì un’ esalazione infuocata , che puzzava di zolfo , benché portandosi molti curiosi ad osservarla, ritrovaronla chiusa. Altri videro uscire nel territorio Mangiapira una trave di fuoco, che au dossi a precipitare lungi da essi. Molti, che nel tempo del terremoto si trovarono alle stufe del S. Calogero videro che da quelle grotte uscirono fumi e vapori accesi al doppio dell’usato. » Savasta — Istoria dell’ orrendo terremoto di Seiacca nel 1827. Palermo 1829. Rispetto agli avvenimenti del 1817 leggesi nella Biblioteca italiana (settembre 1817) il dì 14 gennaio verso le 3 p.m. si sentì a. Sciacca un terribile tuono sotterraneo seguito da gagliardissimo terremoto Nel 19 si sparse un sensibile odore di zolfo nell’ aria e la Stufa emetteva una colonna di fumo, che scintillava fuoco. Più incerte sono le notizie riguardanti il parossismo del 1831, giacché mentre Hofmann registra che il 18 luglio alle stufe di Sciacca si udirono rumori sotterranei assai più forti dell’ usato, Gemmella.ro scrive : « Replicate osservazioni si son fatte da quel giorno (14 luglio) in poi nei bagni termali e nelle stufe di S. Calogero, per vedere se alcun cambia- mento quelle soffrissero dalla nascita del nuovo vulcano, ma nessuna sensibile variazione si è notata » — C. Gemmellaro. Relazione del nuovo vulcano sorto dal mare fra Sciocca e Pantelleria — Catania 1831. 20 Doti. Raffaele di Milia [Memoria X.j Dalla descrizione, che segue, il lettore non tarderà ad accor- gersi, che le fumarole, allineate sul dorso e sui fianchi del monte, e la stessa grotta vaporosa sono soluzioni di continuità , effet- tuate da acque di dilavamento e d’ infiltrazione lungo due dia- clasi, diretti secondo gli assi del monte, e che i BagnicélU rap- presentano altre soluzioni di continuità su diaclasi irradianti dal pseudo-cratere. Orotta, vaporosa. Trovasi a circa m. 370 sul mare (T. I. Gr. M.) e tu dal- P uomo, che spesso per sua comodità si compiace deturpare 1’ o- pera di natura, divisa in varie parti, che si appellano : Eremo , Stufa degli Animali, Antro di Dedalo e i riposti recessi, cui dò il nome di spelonca Eazello per ricordare il nome dell’ autore, che prima li descrisse. Pianta della grotta vaporosa — ( Planimetria ) Scala 1 : 500 1. Eremo. — 2. Stufa degli animali — 3. Antro di Dedalo. — 4. Spelonca Fazello. — 5. Pseudocratere. — a Sasso caduto. — h Colonna naturale. — c. Antricciuolo fumante. I tratti interlineati rappresentano roccia in sito e le freccioline indicano il pendìo del fondo. Eremo — È la parte più occidentale della grotta; un tem- po fu in diretta continuazione colla stufa degli animali, ma oggi n’ è divisa da un muro. Il nome eremo venne della tradizione affermante che in questa parte della grotta menò vita eremita S. Calogero, il quale Fenomeni carsici e pseudovulcanici del monte S. Calogero di Sciacca 21 fu mandato ad evangelizzare il popolo della vicina città e be- nedire le stufe, che suscitavano terrore nell1 ignoranza degli avi del X secolo. L’apertura d’ingresso guarda il mare e mena in una sala a forma di un grosso tronco di piramide quadrangolare (lunghezza m. 5, larghezza m. 3, altezza variabile da 3 a 7 in.), che sulle pareti mostra caratteristica l’erosione chimica delle acque o nella volta l’ablazione in una marna azzurrognola. In questi ultimi anni (1883) l’ ingresso fu modificato per adattarvi un cancello di ferro e fu spianato anche il fondo, perchè si volle trasformare la sala in sepolcro, nondimeno vi è sempre tanto da leggervi la storia naturale di sua formazione. La sala è ben illuminata ed ha a sinistra un’ apertura, che mena in un antro (lungo ni. 3, largo ed alto m. 2), il quale è scarsainenté rischiarato dalla luce dif- fusa dalle pareti della sala. Ri in petto all’ ingresso è il muro che divide 1’ eremo dalla stufa degli animali ed addossato al muro un rozzo altarino. A S è un secondo antricciuolo , il quale ap- pena può contenere un uomo giacente e comunica all’ aperto con uno spiraglio, pel quale penetra luce e talora acqua. Il fondo ed il tetto mostrano risentito pendìo verso l1 interno e rivelano che il lavorio dell’ acqua fu favorito dall’ azione delle giunte. ISelle frequenti visite da me fatte il 1902 e 1903 1’ eremo fu sempre trovato completamente asciutto. Stufa degli animali — È la seconda parte della grotta e trovasi ad E dell’ eremo. L’ apertura d’ ingresso ha forma ovale col grande asse orizzontale e dista dal cancello dell’ eremo me- tri 5, 30. La stufa in parola è un antro (lungo in. 13 ; largo 5 ; alto da 1 a 3) ; il fondo ed il tetto hanno regolare pendìo verso N secondo 1’ inclinazione degli strati. Bisogna però tener presente che il fondo fu abbassato di circa 25 cui. , come chiaramente rilevasi dai colpi del piccone nella zona bassa delle pareti dei- fi antro. Posteriormente fi antro continua in un cunicolo impra- ticabile all’ uomo, donde emanano caldi vapori di acqua e gas 22 Doti. Raffaele Di Milia [Memoria X.] (O ; X ; C02) ed al lato orientale è un canale , oggi chiuso da un inuriccio, che immetteva direttamente nell’ antro di Dedalo. Temperatura 36°C (dì 14-6-1903). Antro di Dedalo — Trovasi ad E della stufa degli ani- mali ed ha un ingresso proprio, che guarda il mare e dista dalla bocca della stufa degli animali m. 7. L’ architetto ateniese, verso il XII secolo avanti 1’ era volgare, lo avrebbe dilatato ed adot- tato all’ uso dei bagni. L’ antro ha forma di una cornamusa colla punta verso sci- rocco : è lungo m. 9 ed ha larghezza ed altezza massima di in. 4. Il fondo ed il tetto han risentito pendìo verso scirocco ; ma il tetto presentasi nel mezzo più ampiamente scavato , indicando essersi colà esercitata più intensa azione erosiva. L’ antro è la- teralmente munito di sedili di pietra, su cui si adagiano gl’ in- fermi, che prendono le stufe. Temperatura 38°C. (dì 14-6-1903). Spelonca Eazello (16) — Attraversando carponi un foro, che trovasi ad E dell’ antro di Dedalo (detto foro è lungo circa un metro e nella pietra, rotta a facce piane, mostra essere stato dilatato dall’ uomo) si perviene nella spelonca Eazello. Questa ha un canale diretto da W ad E, che è la continuazione diretta dell’ antro di Dedalo, lungo m. 17 con larghezza ed altezza mas- sima da m. 3 a 4. Il canale riceve agli estremi due diverticoli provenienti da S, e di essi quello presso 1’ antro di Dedalo cor- risponde al cosiddetto buco dell’orecchio, l’altro si apre all’a- perto in un’ antricciuolo fumante, sito circa 20 in. ad E del buco dell’ orecchio. I due diverticoli scendono con accentuato pendìo (16) In eo {antro) ad dexteram spelonca est natura quoque latissima ad cuius aditus lae- va.m naturali s est putens profundissimus , quem plures, quod descensus eius non prteceps adeo, sed prope placidus sit, accensis facibus et funibus directi , ausi sunt perscrutali. Ce- terurn cura eo aliquot passus descendissent, stillicidiaque calentis acquae complura ex viva rupe ul)errima deliueutia ort'endissent, et iu viarura ambages prinium ac deinde in augustias ucidissent, horrore raetuque a progrediendo abducti, ne suffucati interirent, ad suprema re- versi sunt. Fazei.lus — De Rebus siculis, Dee. I, lib. VII— p. 271. Fenomeni carsici e pseudovulcanici del monte S. Calogero di Sciocca 23 nel canale principale, che presenta leggerissima inclinazione verso il foro dell’ antro Dedalico. A sinistra del foro dell’ antro Dedalico e in continuazione del diverticolo, proveniente dal buco dell’ orecchio, ai tempi del Fazello, era un canale, che di preferenza era battuto dai visi- tatori, che spingevansi fino alla bocca dello pseudocratere; tanto vero che 1’ illustre storico accenna solo a quel canale e passa a descrivere la voragine fumante , senza accennare ad altra via. Bellitti descrive V altro ramo del canale. Frattanto il 7 luglio 1903 io trovai il detto canale rapidis- simo e tutto coperto di fango di argilla azzurra, in modo da spaventare il solo pensiero di tentare la discesa per esso. Pare perciò che il canale descritto dal Fazello ne avesse un altro sot- toposto e che il suolo del primo sia franato nel sottostante in qualche parossismo del pseudovulcano. Il diverticolo del lato E prosegue direttamente in un altro canale che va a sboccare nella voragine del pseudocratere. Que- sto canale è lungo m. 14, largo da 2 a 3 m. ; alto da 2 a 0 e presenta un doppio scorrimento determinato da una leggera in- sellatura. Presso la bocca del pseudocratere è una grezza colonna di calcare dolomitizzato. La colonna è quasi rimpetto il canale descritto dal Fazello ; quale canale mostra a questo estremo il gran sasso caduto (probabilmente durante i parossismi del 1727) e descritto la prima volta del Bellitti. Ligai una forte corda alla colonna in parola e poi sorreg- gendomi colla destra alla corda e portando nella sinistra una lampada a gas acetilene, potetti scendere alquanto nella bocca dello pseudocratere e spingervi lo sguardo. Lo pseudocratere lia forma di imbuto e numerosi canali confluiscono nella parte lata di esso. Fra tutti se ne distinguono due per ampiezza, uno scendente dal X trovasi quasi rimpetto la colonna, 1’ altro proveniente da E corrisponde meglio al sasso caduto ; entrambi mostrano ripi- dissimo pendio e un deposito di melma gialletta presso lo sboc- 24 Boti. Raffaele Di Milia | Memoria X.j co. L’ interno dello pseudocratere era quasi uniformemente co- perto di uno strato di fango di argilla azzurra. Il termometro, posato presso la colonna segnò 40°C. La grotta vaporosa è scavata nel Titonico a contatto col ETummulitico ed il pseudocratere corrisponde all’incrocio di due diaclasi normali e diretti secondo i punti cardinali. Xella forma- zione della grotta 1’ erosione chimica e meccanica delle acque si esercitò a preferenza lungo i diaclasi e le giunte , ma V azione delle giunte prevalse. La grotta è riferibile al tipo (joule del Martel. La grotta vaporosa, precipuamente d’ inverno, agisce come un condensatore del vapore acqueo, che, ripreso lo stato liquido, prima scioglie 1’ anidride carbonica emanata dallo pseudocratere e poi il calcare dei vari canali, ove scorre; in altre parole il di- namismo del pseudovulcano sostiene il fenomeno carsico. Fumarole. Trascurando la descrizione dei cosidetti Bagnicelli, che mo- strano maggiore incostanza nella loro attività e non pare ab- biano grande valore scientifico, descriverò le fumarole che met- tono in evidenza i due diaclasi, i quali incrociantisi nella vo- ragine dello pseudocratere dividono il monte in quadranti. Le fumarole della linea E-W sono generalmente allineate sul labbro superiore del rigetto. 1. Ad E della grotta vaporosa trovasi una sola fumarola , che dista circa ni. 320 dalla cima del monte e si apre nel cosiddetto antro della Quaquera , sito pochi passi più a S della casa colonica del Sig. E. Scaglione. È un antricciuolo quasi completamente interrato dal terriccio , accumulato dalle acque meteoriche; ha circonferenza di circa m. 4 e dà vapore per una giunta. Temperatura 28 O.0 ( 14-6-1903 ). 2. Ad W della grotta vaporosa e distante circa m. 50 da essa trovasi un altro meato fumante, conosciuto dai terrazzani Fenomeni carsici e psevdovvlcanici dei monte S. Calogero di Sciacca 25 col nome di buco rumoroso, datogli dal Eazello. Ha diametro di cm. 10 e s’ interna nelle marne del Nummulitico con ripido pendio verso X. Il buco rumoroso mena certamente in una grot- tucola, giacché io vi introdussi una canna lunga oltre due metri e questa muovevasi liberamente in tutti i sensi. Il calcare so- prastante il foro fumante mostra una scanalatura a superfìcie liscia, quasi doccia prodotta dal dilavamento. Temperatura 37° C. 3. Un terzo meato fumante dista dal precedente m. 150 ed apresi a fior di terra come bocca di un pozzetto (P apertura ha forma ovale con diametro marginale massimo m. 0. 90; minimo 0,70) si approfonda nella roccia oltre un metro e piega verso la grotta vaporosa in una fenditura dilatata dalle acque meteoriche Temperatura 32° 0. (14-5-1903). 4. Un’ altra fumarola dista dalla precedente m. 120 e tro- vasi a destra di chi scende per la via sul ciglione della Scalilla. La bocca guarda il S ed ha perimetro di circa 1 in. Temperatu- ra 27® C. (14-5-1903). 5. Il quinto meato fumante dista dal precedente in. 60 e trovasi sul terrazzo , che mena al cosiddetto telegrafo vecchio. La bocca guarda il S-W ed ha perimetro di circa in. 3; immette in una grottucola che prima si estende secondo la frattura del rigetto, poi piega a ^Nr. Temperatura 35° 0. (14-5-1903). 6. Qualche metro sotto il precedente ed in posto di non facile accesso trovasi un1 altra fumarola. Il meato ha forma di imbuto col diametro marginale di cm. 37. Temperatura 34° C. (14-5-1903). 7. Il più basso meato fumante trovasi a circa un km. dalla cima del monte ed Etm. 2 più in giù della grotta di Tachaliano. Ha circa cm. 50 di circonferenza e s’ interna nella roccia con fondo inclinato secondo la linea del rigetto. Temperatura 29°0. (14-5-1903). Il diaclasi della linea N-S evidentissimo nella spelonga Ea- zello per i due canali, che sboccano in perfetta corrispondenza nella voragine dello pseudocratere, non è così evidente esterna- Atti Acc. Serie 4a, Voi.. XVII — Meni. X. 4 26 Doti. Raffaele Di Milia [Memoria X.] mente se non per piccolo tratto in direzione S. Pare che su questo diaclasi si trovassero alcune fumarole ( oggi compieta- mente spente), cui accenna il Bellitti a pag. 37 : « [Nùl corpo stesso del monte in una collina a tramontana, nel luogo delle Chiavi .... sonvi diversi buchi da cui fumo caldo e vaporoso esala ». 1° Il primo meato fumante a S dello pseudocratere comu- nica colla stessa grotta vaporosa e corrispoudente all’estremità kS del canale N-S della spelonca Fazello. Ha perimetro ellittico molto allungato (asse orizzontale m. 2, 50 ; asse verticale m. 1. Il caldo vapore vien fuori da una giunta, che è incrociata da piccoli diaclasi. Temperatura 35° C. (11-5-1903) (17). 2. La seconda fumarola trovasi circa m. 20 più giù dell’an- tricciuolo descritto. I vapori vengon fuori da un foro del peri- metro di m. 0,50, che s’ interna nella roccia scendendo a ripido pendio verso N. Le emanazioni si compiono con grande inten- sità. Teperatura 37° 0. (15-5-1903). 3. La terza fumarola trovasi m. 102 più giù della prece- dente e sul medesimo diaclasi secondo il quale più in basso si formò la grotta di Cucchiara o secondo un altro molto vicino. Il vapore vien fuori da un foro orbicolare del diametro di ni. 0, 10, profondo m. 3, che scende ripidamente verso N, con- tinuando in una fenditura, visibile per oltre un decametro. Tem- peratura 26° C. (11 5-1903). Le emanazioni del pseudocratere e delle varie fumarole sono precisamente le stesse. L’ analisi fatta dal Zinno, sopra 10 litri di vapore, presi nell’ antro di Dedalo , fornì i seguenti risultati calcolati sopra un litro : o . . . . 137 h2o . . . 479 X . . . . 365 HC1. . . . 003 co2. . . . 014 H2S. . . . 002 (17) Circa ra. 8 più ad E ed in basso è la grotta delle Pucelle, che è capace appena di ascondere un uomo accoccolato. Ebbe 1’ onore di essere descritta dal Fazello per la grande intensità delle emanazioni : oggi è fumarola spenta. Fenomeni carsici e pseudovulcanici del monte 8. Calogero di Sciacca 27 A che cosa è dovuto il rumor cupo, che odesi presso quasi tutte le bocche fumanti ? È esso causato da acque termo-mine- rali scendenti quasi in conduttura naturale dalla cima del monte alla valle dei bagni, ove verrebbero all’ aperto, come credettero gli scrittori delle terme selinuntine ? Recisamente no e per molte ragioni. Prima perchè lo pseudo-cratere non funziona affatto come un geyser e le volute acque, in cima al monte, restano sempre un parto della fantasia. Secondo perchè mentre la temperatura delle emanazioni vaporose raggiunge appena i 40° 0., quella delle acque solfuree è quasi costantemente di 58° 0 , e questo sbalzo di temperatura sarebbe incomprensibile, giacché le acque man mano che fluirebbero nel basso dovrebbero perdere non gua- dagnare calorico. Terzo perchè, essendo le acque termali preva- lentemente sulfuree; l1 H., S dovrebbe essere un prodotto costante ed abbondante fra le emanazioni delle fumarole e intorno alle bocche fumanti non dovrebbero mancare piccole sublimazioni di zolfo ; invece 1’ analisi rivela appena tracce di H2 S e le subli- mazioni mancano completamente. Causa tisica del suono sono le vibrazioni melecolari dei corpi elastici, nel caso nostro corpi vibranti sono i gas ed i vapori delle fumarole. Or siccome nei fluidi 1’ elasticità è destata unicamente da variazioni di volume o di densità , e nelle fumarole queste variazioni sono continue per V intermittenza delle manifestazioni endogene , in questa trovasi la causa prima del perenne rumore. Perchè alcune fumarole col tempo si spengono ed altre in altri posti si manifestano % Lo spegnersi di alcune fumarole è dovuto ad obliterazione dei meati, per cui il caldo vapore viene all’ aperto ; e tale obliterazione può verificarsi per accumulo di detrito trascinato da acque torrenziali lungo qualche canale; per piccole frane sotterranee e per incrostazioni calcaree, che lenta- mente crescendo finiscono per chiudere completamente i meati sotterranei. La comparsa di nuove fumarole può essere causata o da ter- 28 Doti. Raffaele Di Milia [Memoria X.] remoti e parossismi del pseudovulcano, per cui si aprono nuove fenditure in continuità con quelle fumanti o da infiltrazione di acque, clie aprono nuovi diverticoli ai vecchi canali. Probabilmente il pseudovulcano ha unico camino ed unico pseudo-focolare. Ciò panni attestato dall’ inclinazione dei cuni- coli delle fumarole, i quali convergono verso il camino del pseu- do-vulcano, non che dalla temperatura e dall’ intensità delle ema- nazioni, decrescenti a misura che si scende sui fianchi del monte. CONCLUSIONE Le grotte descritte si formarono coll’ odierno regime pluviale o sono riferibili ad altro regime pluviale più o meno remoto ?... E la manifestazione esterna dei fenomeni pseudo-vulcanici in che epoca avvenne ?... Le osservazioni dirette da me fatte in varie grotte, per due anni consecutivi ed in pieno inverno, mi addimostrarono uno stil- licidio più o meno copioso e, solo dopo piogge dirotte, parziale dilavamento di qualche canale ; oltre che la pioggia è oggi ge- neralmente scarsa in Sicilia e principalmente sulla costa meri- dionale (a Siracusa la media dei giorni di pioggia è 72, 8 in un anno, mentre ad Udine è 273 (18). Questi fatti e sopratutto l’a- renaria della grotta dei Mori ed il conglomerato ad elementi avellanarii, trovato in. un foro carsico ad E della grotta di Ta- chahano, debbono far ritenere che l’attività dei fenomeni carsici esercitasi affievolita e ad intermittenza ; però la formazione delle grotte deve riferirsi ad altra epoca geologica , durante la quale le speciali condizioni climatologiche determinavano una precipi- tazione atmosferica assai più copiosa dell’ attuale. Chi volesse approssimativamente fissare l’ epoca di maggiore attività dei fenomeni carsici del Cronio, bisogna che risalga fino (18) A. Issei. — Compendio di teologìa pag. 52. Torino 1896. Fenomeni carsici e pseudovulcanici del monte S. Calogero di Sciacca 29 all’ origine dell’ era quaternaria ( epoca diluviale ), quando vi- vevano generalmente in Europa , e specificatamente in Sicilia V Elephas antiquati e 1’ Hippopotamm sp., di cui si raccolsero avanzi nella grotta di S. Ciro presso Palermo; la Hiena brumea, V Ursus arctos, V Elephas africanus , di cui si raccolsero avanzi nella grotta di S. Teodoro ( territorio di Messina ) (19). Allora il littorale della Sicilia non era completamente emerso dal mare postpliocenico , che deponeva quei sedimenti (panchina , calcari a Litotamni...) che i geologici distinguono col nome di piano siciliano e su cui sorgono ora ricche e popolose città, come Trapani, Marsala, Mazzara di Sciacca. In quel tempo si mani- festò uno straordinario incremento nella precipitazione atmo- sferica, la quale a sua volta provocò grande intensità nei feno- meni di erosione; allora le grotte del Cronio, in gran parte abboz- zate, accoglievano gran copia di acque, che lentamente le dila- tavano erodendone le pareti ed il fondo. Era tutte , quella più in alto del monte dovè primeggiare per la quantità di acqua , che ricettava e che vi scorreva dalle varie bocche e canali con- fluenti in essa. Tale acqua favorita dall’ incrocio dei diaclasi, a lungo vol- gere di anni, andò lentamente scavando la profondissima gola del pozzo centrale, il cui fondo, gradatamente abbassandosi nella crosta terrestre, dovè pervenire in sito, ove domina un alto grado geotermico. Colà le acque cominciarono a vaporizzarsi svi- luppando anche O; ~N; e C02, che avevano in soluzione. Tale fe- nomeno potè manifétarsi lentamente o anche impetuosamente in seguito a scotimenti sismici, che aprirono nuove fenditure nelle viscere del Cronio; ma certo si manifestò quando la grotta ave- va già 1’ odierna configurazione, e perciò o alla fine dell’ epoca diluviale o durante la successiva epoca delle alluvioni. Allora la colonna vaporosa apparve sul Cronio e la gola del pozzo centrale della spelonca Eazello si mutò in pseudocamino, la (19) Cfr. C. F. Paroma. Trattato di Geologia — Casa editricè F. Vallardi, p. 684. 30 Doti. Raffaele Di Milia [Memoria X.] parte più alta e slargata, ove prima era stato un laghetto, in pseudocratere e tutta la grotta divenne Stufa. Gli altri meati fumanti debbono ritenersi di epoca più recente, giacché le acque non vi hanno esercitata così profonda azione erosiva, che avrebbe rese assai più ampie le loro bocche coi rispettivi canali. La scarsezza della precipitazione acquea odierna mi fa ri- tenere, che il dinamismo del pseudovulcano è sostenuto oggi da infiltrazione di acque per meati diversi dalle bocche fumanti. Memoria XI Le trasformazioni (2, 2) quadratiche e cubiche di spazio Memoria dei Dott. G. 1ARLETTA Con due mie note precedenti, che dovrò citare nel corso del presente lavoro , detti principio allo studio delle trasforma- zioni (2,2) fra piani. In esse trattai della trasformazione quadra- tica e delle due specie di trasformazioni cubiche , assegnando, inoltre, alcuni teoremi e alcune forinole relative a trasformazioni d’ordine e generi qualunque. La presente nota inizia lo studio analogo per gli spazi or- dinari, studiando la trasformazione quadratica e le trasforma- zioni cubiche (2,2), ove per trasformazione cubica s’intenda ogni trasformazione che ad una retta generica di uno spazio , faccia corrispondere una cubica nell’altro, e ad una retta di questo li- na cubica di quello. E da notare che mentre per le trasforma- zioni piane mi son servito quasi sempre di certe superficie dello spazio da quattro dimensioni, le presenti , invece, sono studiate direttamente senza uscire dagli spazi ordinari dati, tranne (pian- do la semplicità e l’eleganza del ragionamento me 1’ abbia con- sigliato. Dei sei capitoli in cui questo lavoro è diviso , il primo ò quello che tratta la trasformazione quadratica. In esso assegnati i caratteri generali , si dà una costruzione della trasformazione senza uscire dai due spazi dati. Inoltre si assegna una costruzione assai elegante della più generale trasformazione quadratica involutoria, mercè però l’in- tervento della forma quadratica dello spazio da quattro dimen- Atti Acc. Serie 4a, Vor.. XVII — Mera. XI. 1 Doti. G. Marletta [Memoria XI.J 0 sioni. Anzi si assegna pure l’analoga costruzione nel caso della più generale trasformazione quadratica involutoria fra piani. Xel secondo capitolo si fà una classificazione di tutte le trasformazioni cubiche, dividendoli nei tre tipi seguenti : 1. Trasformazioni per cui sono ellittiche le cubiche corri- spondenti alle rette. — 2. Trasformazioni per cui sono piane e razionali le cubiche corrispondenti alle rette. — 3. Trasforma- zioni per cui sono sghembe le cubiche corrispondenti alle rette. Quest’ ultimo tipo alla sua volta si suddivide in due sotto- tipi : a) Esiste in ciascuno spazio un complesso lineare speciale di rette ciascuna delle quali contiene una coppia di punti con- giunti. — b) Esiste in ciascuno spazio una congruenza lineare di rette autocongiunte. Le trasformazioni dei primi due tipi si posson tutte co- struire con opportune proiezioni di una forma cubica dello spa- zio da quattro dimensioni. Numerosi ed importanti sono i casi particolari che il 1° tipo presenta, ma per amor di brevità non si insiste su di essi. Le trasformazioni del 3° tipo si possono costruire tutte con proiezioni opportune di varietà a tre dimen- sioni dello spazio a cinque dimensioni. I. i La trasformazione quadratica. 1. Siano 8 e 8' due spazi ordinari riferiti algebricamente in modo che ad un punto del primo corrispondano due punti del secondo, mentre ad un punto di questo corrispondano due punti di quello. Se un punto di 8 descrive un piano ' — X — lungo una conica ». (*) A due piani generici di 8 — di 8' — corrispondono due qua- drielie di 8' — di 8 — che si toccano in due punti di — di A — . Ne segue che esse si secano lungo due coniche, una delle quali è la corrispondente della retta comune ai due piani di 8 — di 8' — . L Sopra una retta generica di 8 — di 8' — non esiste al- cuna coppia di punti congiunti : tutte queste coppie sono sparse nelle rette di una stella. A tal line cominciamo col dimostrare che le rette conte- nenti (almeno) una coppia di punti congiunti non possono for- mare un complesso. Infatti se ciò fosse, in un piano generico © esisterebbe una semplice infinità di coppie di punti congiunti, formanti una curva comune a a ed alla sua quadrica (n° 2) con- giunta — D’ — doppio per la trasformazione T ». Le rette della stella (Z>) sono perciò autocongiunte, e quindi a ciascuna di esse corrisponde in 8' in forza di T , una retta di (*) De Paolis — Le trasformazioni doppie dello spazio. — Meni. Acc. Lincei 1885 — 6 1. Le trasformazioni ( 2 , 2) quadratiche e cubiche di spazio 5 (//) contata due volte. Da questa osservazione deduciamo die « fra le due stelle (D), (D') intercede un’ omografia. A, ove sono corrispondenti rette o piani , che si corrispondono in T ». 5. Ad una retta della stella (Z>) corrisponde in forza di T una retta di (//) contata due volte ; e viceversa. Ad un piano di (/>) corrisponde un piano di (//) contato due volte ; e vice- versa. Cioè fra un piano di (/)) e il suo corrispondente in forza dell’ omografia A, la T determina (*) una trasformazione qua- dratica (2,2). Da questa osservazione seguono moltissime pro- prietà della data trasformazione 1\ delle quali enuncieremo le seguenti : « Nello spazio S — S' — la superficie limite e la superficie dop- pia si toccano lungo iota conica , e il cono circoscritto ad entrambe lungo questa, ha il vertice nel punto doppio D — D' — ». (**) « Ad una tangente ■della superficie limite X — ' — a X — , e avente il vertice sulla superficie doppia X' — ;j. — ». 6. Da quanto abbiamo detto segue « una costruzione della più generale trasformazione quadratica (2,2) fra due spazi aiuti- navi ( distinti o sovrapposti) S e S' » . Si rammenti (***) in primo luogo che una trasformazione quadratica (2,2) ( T ) fra due piani ~ e è perfettamente deter- minata assegnando una proietti vita o fra due fasci (/>") e (i)Y), un’ altra co fra le tangenti di una certa conica (X) di ", e quelle (*) Tutte le proprietà sia ora ottenute circa la trasformazione T , si possono eziandio ottenere con ragionamenti analoghi a quelli che faremo per la trasformazione cubica, del primo tipo. (**) Marmetta — « La trasformazione quadratica (2,2) fra piani -> Circolo Matemat. di Palermo, t. XVII, 1903. (***) Marletxa — 1. c. n. 18. n. 10 — Eend. d. 6 Dott. G. Marletta [Memoria XI.] di un’ altra conica (n’) di r.\ in maniera però che tanto ò che co trasformino, nello stesso modo, le due tangenti di (X) uscenti da D, nelle due tangenti di (|fi) uscenti da I) . Osserviamo inol- tre, che per determinare co è sufficiente assegnare una sola coppia di tangenti corrispondenti, giacché fra le due coppie uscenti da D e da 7/, la corrispondenza è fissata, una volta che si è asse- gnata o. Siano te / le due tangenti corrispondenti di (X) e (;>.') di cui si parla : al punto 71/ di contatto di t corrisponde, con- tato due volte, il punto 7LT di t’ posto sulla retta o7>7l/. Ora è da notare che se si cambia f con fi altra tangente che da 71/ si può condurre a (jx'), la trasformazione (7’) non viene a mutare, giacché in sostanza non si fa altro che sostituire la proiettività co con F altra w, che deve (*) intercedere fra le tangenti di (>.) e quelle di (jf) in forza della stessa ( T ). 7. Ed ora ecco la promessa costruzione della .trasformazio- ne T fra due spazi ordinari 8 e 8. Si stabilisca una corrispondenza omografica A frà due stelle (7>) e (//) rispettivamente di 8 e 8'. Scelta una quadrica qua- lunque X di 8, non passante per Z>, si iscriva un’ altra quadri- ca |F nel cono quadrico di (//) che corrisponde , in forza di A, al cono circoscritto dal punto D a X. Inoltre si fissi un punto qualunque 71/ di X, e un altro punto a piacere M di 8', posto sulla retta A 7) 71/. Con ciò è perfettamente determinata una certa trasformazione quadratica (2,2) (T) fra due piani qualunque omo- loghi in forza di A, e passanti rispettivamente per le rette DM e DM' . Infatti in due piani - e r/ siffatti sono assegnate le co- niche limiti (X) e (|j.'), quali sezioni delle quadriche X e |j.. Sono assegnate, inoltre, le proiettività § e co, la prima in forza dei- fi omografìa A la seconda perchè si conosce una coppia di tan- genti corrispondenti (oltre di quelle uscenti da D e D') , nella tangente a (X) in 717, e in una, scelta a piacere, delle due tangenti (*) Ma aletta — 1. c., ii. 9. Le trasformazioni (2, 2) quadratiche e cubiche di spazio i che da M si posson condurre a (|F). Questa scelta, poi, non fa mutare la corrispondenza (2,2) (T), per quanto si disse in tine del n° precedente. Clie la trasformazione T così costruita fra i due spazi 8 e 8' sia quadratica, è facile vedere. Si noti tinahnente che la T non varia, se si sostituisce J/ con un altro punto qualunque X di X, purché Jf si sostituisca con .V', se questo è F omologo (contato due volte) di N in T. Infatti basta osservare che in due piani corrispondenti in T , passanti rispettivamente per le rette 7>.V, I)X\ la trasformazione (2,2) determinata dalla T, e F altra ottenuta con un procedimento analogo a quello ora detto, coincidono , giacché sono determinate entrambe dai medesimi dati, con le medesime proiettività. 8. Siano X' e \>- due quadriche quali si vogliano di uno spa- zio ordinario 8\ tangenti lungo una conica : il polo del piano di questa rispetto ad entrambe si chiami I) . Indi si stabilisca un’ omografìa A fra le stelle (/I) e (//), ove I) è un punto qua- lunque di un altro spazio 8, e nel cono quadrico di (/>) che corrisponde in forza di A-1 a quello circoscritto da J) a X' e \>.\ si iscriva una quadrica X. lutine si scelga un punto generico il/ di X, e uno il/', dei due punti in cui X' è secata dalla retta A/)il/. Procedendo come nel n'J ])recedente si ottiene una trasformazio- ne quadratica (2,2) fra 8 e 8', in cui ;i è evidentemente super- ficie limite e X' superfìcie doppia, giacché questa non è altro che la quadrica passante per 1/ e tangente ;i lungo la medesima conica secondo la quale la tocca X'. Ne segue che « date due quadriche quali .si vogliano , tangenti lungo una conica, e detto I)' il loco bipolo , i coni quadrici circoscritti ad una di esse dai punti dell ’ altra, son tali che due qualunque si secano in una coppia di coniche, una delle quali giace in un piano per I> , e tutti quelli i cui vertici sono punti di una stessa conica , hanno in coniìt ne due punti allineati con 1)' ». Questo teorema di geometria proiettiva elementare, si de- 8 I)ott. G. M arietta [Memoria XI.] duce dalle proprietà dette sopra circa la trasformazione quadra- tica (2,2) studiata. Esiste un teorema analogo nel piano, circa due coniche bitangenti. Del resto di questi due teoremi si pos- son dare dimostrazioni dirette. 0. Servendoci del teorema qui sopra enunciato, possiamo dare un’ altra costruzione della più generale trasformazione qua- dratica (2,2) fra spazi ordinari 8, 8'. Si dia in 8 una qnadrica a riferita proiettivamente ad una altra k di 8' ; poscia sia fi una qnadrica tangente a' lungo una conica. Dato un punto P di 8, il suo piano polare rispetto a a seca questa stessa lungo una conica, alla quale corrisponde in un’ altra conica. Tutti i coni quadrici circoscritti a fi dai punti di questa, si secano (n° 8) in due punti allineati col bipolo I) di a', |/ : assumeremo questi due punti come corrispondenti di P. Per quanto si disse nel n° precedente è chiaro che in t;il modo si viene a costruire una trasformazione quadratica (2,2) fra i due spazi 8 e 8' . Si può dare una costruzione analoga per la trasformazione quadratica (2,2) fra piani. 10. « Qualsivoglia trasformazione quadratica (2,2) fra spazi ordinari , si pub sempre costruire, a meno di omografie, mediante proiezioni dei punti di una qnadrica dello spazio da quattro di- mensioni » (*). Se i due centri di proiezione, sono reciproci rispetto alla quadrica di 8± , i due punti congiunti di un punto qualunque di 8 — di 8' — coincidono, e le due trasformazioni congiunte si riducono a due omologie armoniche. Da questo teorema segue che « una trasformazione quadratica (2,2) fra due spazi ordinari è perfettamente determinata (a meno di omografie) , quando sitai noti i due punti doppi, e quattordici coppie di punti corrispondenti (*) Marmetta — 1. c., n. 19. Le trasformazioni (2, 2) quadratiche e cubiche di spazio 9 generici , (tali che proiettati da quelli diali rette omologhe in due stelle omografiche) ». 11. Sia t una conica, e abeti un quadrilatero ad essa circo- scritto: se p è una retta generica del piano di t , è chiaro che mediante t e assumendo come centri di proiezione i vertici Q E= ad e Q = bc, si può stabilire su di essa una corrispondenza (2, 2). Inoltre osserviamo che per note proposizioni, la condizione ne- cessaria e sufficiente affinchè questa corrispondenza sia involu- toria, è che sia p EE ab. cd. Siano ora Q e Q' due punti qualunque di uno spazio ordi- nario S, e b una quadrica di questo non passante per essi. I due coni circoscritti a 6 da Q e Q’, si toccano nei due punti in cui 0 è secata dalla polare della retta QQ , e quindi essi si secano in due coniche; indichiamo con ~ il piano di una di esse. Mediante proiezioni dei punti di 0 da Q e ’Q' su x, si può stabilire in questo piano una trasformazione quadratica (2, 2), la quale è in- volutoria per quanto poco sopra si è osservato. Viceversa è chiaro che a meno di omografìe, ogni trasformazione quadratica (2, 2) involutoria piana, si può ottenere come ora si è detto. Con procedimento analogo possiamo dare, a meno di omo- grafìe, una costruzione delta piu generale trasformazione quadrati- ca (2,2) involutoria dello spazio ordinario. Vello spazio da quat- tro dimensioni si assuma una forma quadratica 0, e due punti Q, Q' fuori di essa. I due coni a tre dimensioni circoscritti da questi punti a b, si toccano lungo la conica secondo cui b è se- cata dal piano polare della retta QQ'. Ve segue che essi si se- cano in una superficie del quarto ordine , spezzata in due qua- driclie. Se ora si sceglie lo spazio di una a piacere di queste quadriclie, come quello in cui si vuole stabilire una trasforma- zione quadratica (2,2), mediante proiezioni dei punti di b da Q e Q', si ottiene una trasformazione involutoria. È poi evidente che viceversa ogni trasformazione quadratica Atti Acc. Serie 4a, Vol. XVII — Meni. XI. 2 10 Doti. G. Marletta [Memoria XJL.j (2,2) involutoria dello spazio ordinario, si può, a meno di omo- grafìe, ottenere nel modo ora detto. II. Classificazione delie trasformazioni cubiche. 1. Chiameremo trasformazione cubica (2, 2) fra due spazi ordinari iS e ogni corrispondenza algebrica (2,2) stabilita fra questi spazi, in modo che ad un piano generico di jS — e di S' — corrisponda una superficie cubica di /S ' — di 8 — . Segue intanto immediatamente che ad una retta generica di /S — di S' — cor- risponde in &' — in S — una curva del terzo ordine. 2. Sia T la trasformazione cubica in esame, e facciamo la ipotesi che sia ellittica la cubica r corrispondente ad una retta generica r di S. Le cubiche r sono in numero quattro volte infinito , e in un piano generico ¥ di JS' non ve ne può essere una semplice infinità, giacche se così fosse la superfìcie cubica corrispon- dente di <{/, avrebbe infinite rette doppie, e quindi si spezzerebbe in due piani cjq e c|>2 , uno dei quali, p. es. 2; visto che fra i piani '\>2 e ¥ intercederebbe mediante T una cor- rispondenza biunivoca. Se poi la data trasformazione determinasse fra i piani ¥ e ò una corrispondenza (2,2) , allora entrambi questi piani sareb- bero autocongiunti, e ciò è assurdo essendo ¥ un piano generico di Concludiamo dunque che in un piano siffatto non può esistere una semplice infinità di cubiche r . È poi facile com- prendere che non può esistere alcun piano di contenente oc 3 Le trasformazioni (2, 2) quadratiche e cubiche di spazio 11 curve /, giacche non esiste alcuna superfìcie (di 8) avente un tal numero di rette (doppie). Perciò possiamo concludere che in 8' esiste una doppia infinità di piani %, ciascuno dei quali possiede x 2 cubiche r. Ad un piano ri corrisponde in 8 una superficie cubica spez- zata in due piani reo, uno dei quali - è da contare due vol- te. In forza di T fra i piani ~ e non può intercedere una corrispondenza (1,2) , giacché in tal caso ad una retta generica di 8' corrisponderebbe in S una curva d’ordine superiore al ter- zo; ma invece resterà determinata una corrispondenza (2,2). Per una retta generica s di 8 passa un piano (almeno), e per quanto ora abbiamo detto la cubica s di 8 ad s corrispondente, sarà posta in un certo piano -, e sarà ellittica, giacché é mi- to (*) che se fra due piani - e if, intercede una trasformazio- ne (2,2) , e ad una retta generica r di - corrisponde in una cubica ellittica, anche ellittica sarà la cubica s corrispondente ad una retta generica s di %'■. Concludiamo che « data una tra- sformazione cubica (2, 2) fra spazi ordinari , se sono ellittiche te cubiche di uno spazio corrispondenti alte retta dell’altro , pure ellit- tiche saranno le cubiche di questo che corrispondono alle rette di quello ». 3. Con analoghi ragionamenti si dimostra che « data una trasformazione cubica (2,2 J fra spazi ordinari, se so- no piane e razionali le cubiche di uno spazio corrispondenti alle nette dell' altro, pure piane e razionali saranno le cubiche di questo che corrispondono alle rette di quello ». (*) Maklett.v — « Le trasformazioni cubiche (2. 2) fra piani » (I, 3) — Remi. d. Cir- colo Matem. di Palermo, t XVII, 1903. In questa mia nota citata, si ponga: corrige acl un punto determinato della co-1 l>\ . » » » » or-1 a'l . 12 Doti. G. Marletta [Memoria XI.J 4. Dai due teoremi precedenti si deduce immediatamente che « data una trasformazione cubica (2,2) fra spazi ordinari, se so- no sghembe le cubiche di uno spazio corrispondenti alle rette del- V altro, pure sghembe saranno le cubiche di questo che corrispondo- no alle rette di quello ». 5. Siccome in seguito faremo vedere che esistono effettiva- mente trasformazioni per le quali si verificano le ipotesi dei tre teoremi precedenti, così possiamo ora classificare le trasforma- zioni cubiche (2,2) fra spazi ordinari , formandone tre tipi ; e precisamente metteremo nel 1 0 tipo quelle trasformazioni per le quali sono ellittiche le cubiche corrispondenti alle rette ; nel II0 tipo quelle per le quali sono piane e razionali le cubiche corrispondenti alle rette. E , infine , porremo nel IIP tipo le trasformazioni per le quali alle rette corrispondono cubiche sghembe. III. La trasformazione cubica del primo tipo. 1. Sia T una trasformazione cubica (2, 2) fra due spazi 8 e 8', tale che siali cubiche ellittiche le curve di 8 — di 8' — corrispondenti alle rette di 8'-— di 8 — (II, 2). Ai piani di 8 — di 8' — corrispondono in 8' — in 8 — superficie del terzo ordine a sezioni piane ellittiche. Si vide (II, 2) che in 8 — in 8' — esiste una doppia infi- nità di piani ~ — a ciascuno dei quali corrisponde in 8' — in 8 — un piano ir' — - — contato due volte , (insieme con un altro piano), e che fra due piani i e corrispondenti , la data trasformazione T, determina una trasformazione cubica (2,2) di primo genere. Le trasformazioni ( 2 , 2) quadratiche e cubiche di spazio 13 2. Ora osserviamo elie i piani % — — formano una stella. Infatti per una retta generica di 8, p. es., passa quel solo piano x, che corrisponde al piano di 8' contenente la cubica che corrisponde alla retta. Dunque concludiamo che « in 8 e in 8' esistono due stelle tali che ad un piano qualunque di una di esse , corrisponde nell’ altro spazio un piano dell ’ altra stella , contato due volte , ( insieme con un piano fisso). Fra due piani siffatti la trasformazione T determina una trasformazione (2,2) cubica di primo genere , i cui punti fondamentali sono rispettiva- mente i centri D e D' delle due stelle, punti che sono dunque pure fondamentali semplici per la trasformazione T. Fra le due stelle (D) e (D ) intercede un’omografia dove sono omologhi piani <> rette cor- rispondentisi in T ». Questa omografia si indicherà con A. Al punto I) — I) — corrisponde in 8' — in 8 — il punto 7/ — I) — insieme con un certo piano fondamentale o — o — . 3. È poi facile dimostrare che « qualunque trasformazione (2,2) cubica del primo tipo, fra spazi ordinari, si può sempre costruire, a meno di omografie , mediante proiezioni dei punti di una forma cubica dello spazio da quattro dimensioni, da due punti di essa ». I. È noto (*) che per un punto qualunque della forma cu- bica di 8, passano sei rette di essa , le quali appartengono ad uno stesso cono quadrico. Ne segue che « nello spazio 8 — 8' — esistono sei punti fondamentali (semplici ), oltre del punto D — I)' — , ed essi son posti in una stessa conica » . Per distinguerli dal punto I) — I) — , chiameremo questo punto fondamentale di F classe, e gli altri saranno chiamati punti fondamentali di 2a classe. (*) Seghe — « Sulle varietà cubiche dello spazio a quattro dimensioni e... » Meni. fi. R. Acc. eli Torino, serie 2a, tomo XXXIX. 14 Doti. G. M arietta [ Memoria XI.] 5. Si definiscano le superfìcie limiti e le superficie doppie, analogamente a come si fece (I, 3) per la trasformazione qua- dratica. Osservando che la superfìcie limite >. di 8 — di 8' — è il contorno apparente della forma cubica da un suo punto, si deduce senz’altro che « la . superficie limite X di S — ) e (1)’) omologhi in A, la T determina una trasformazione (2,2). Questa ha per curve limiti e per curve doppie le sezioni ottenute nella superfìcie X, \i e e [jl rispettivamente. Ma è noto (**) che la cur- va limite e la curva doppia di una siffatta trasformazione pia- na, si toccano in tutti i punti comuni , e che le tangenti in questi concorrono nel punto fondamentale, dunque : « Nello spazio S — S' — la superficie limite e la superficie doppia si toccano lungo una curva del dodicesimo ordine, e i piani tangenti comuni nei punti di questa curva , concorrono tutti nel punto fondamentale li — II' — ». Del resto ciò segue dall’osservare che il cono in tal modo ottenuto, è la traccia in 8 — in 8' — dell’ altro di seconda spe- cie, circoscritto alla forma cubica dalla retta DI) . b. Si è detto (III, 2) che al punto D — I) — corrisponde (*) Seghe — « 1. e. » (**) Marletta — « 1. c. » (III. li). Le trasformazioni (2, 2) quadratiche e cubiche di spazio 15 in 8' — in 8 — il punto // — D — insieme col piano fondamen- tale o — 5 — ; questo è il luogo delle rette fondamentali (*) dei piani — - — . «A ciascuno degli altri sei punti fondamentali corrisponde una retta uscente da D — -da I) — ». s « Queste sei rette fondamentali appartengono ad uno stesso coia) quadrici) , e giacciono nella superficie a/ — ;j. — ». « Le curve corrispondenti alle rette sono cubiche ellittiche , le quali toccano sci volte la superficie limite. I loro piani passano per il punto fondamentale di lò classe ». « Le superficie di S — di S — che corrispondono ai piani di S — di S — toccano la superficie limite - dei fasci (7/ ) e (li) , è cubica (di genere nullo) ; infatti se fosse quadratica ad ogni punto della retta h — li dovrebbe corri- spondere una retta in 8' — in 8 — , cioè h e li dovrebbero es- sere fondamentali , e ciò non è. Viceversa supposta cubica la (-, f) , ogni punto delle rette d e d' è fondamentale ( di 2a classe) per T. e quindi la trasformazione è quadratica, visto che ad un punto qualunque di d — di d' — corrisponde una retta in 8' — in 8 — . In seguito supporremo precisamente che sia quadratica la trasformazione che intercede fra due piani come % e ; e supporremo cubica (di genere nullo) ciascuna trasforma- zione come (-, f). Osserviamo , ancora , che a d — a d' — corri- sponde in 8' — in 8 — la retta d! — d — , insieme con un pia- no fondamentale. 5. Supponiamo che gli spazi 8 e 8' siano immersi nello spazio V da cinque dimensioni, e procediamo similmente a co- me si fece nel § I del capitolo precedente. Nel presente caso un iperpiano generico condotto per lo spazio ordinario qq, seca la varietà F lungo una rigata del quarto ordine passante per le rette 9 10,50 9,00 8,50 7,00 7, 75 9,00 10,91 10,76 11,06 10 » 10 11,95 12,28 11, 55 10, 75 10,44 9,65 9,89 9,37 6,33 8 » 12 9,30 8,90 8,70 8,02 9, 56 10,83 12,12 12,40 14, 76 12 1 10,' » 13 9,27 8, 52 8,30 8,25 8, 75 11,56 16,77 17,81 19,11 16 12,1 » 14 11,13 10,84 9, 56 8,72 7,80 10,91 19,27 18,91 19,79 16 ) if » 15 8,70 8, 50 9,50 9,65 9,92 11,35 15, 37 13,47 12,12 10 3 li » 16 8,60 9,30 9,42 9,96 7,60 10,23 10,27 10,42 14,35 10 ) 9, » 17 8,72 7,35 7,24 7,32 7, 89 8, 15 9, 54 9, 75 8,89 7 il, » 18 10,49 10,20 9,71 9,21 8,81 8,60 7,91 7,20 7,17 7 ) i » 19 13, 25 11,35 10, 75 10,62 10, 54 10,69 9,74 10,00 10,25 & i 9, » 20 13,21 12, 75 10, 10 9,80 9, 55 9,42 10,78 10,10 12j oo id l 9) » 21 10, 22 10,02 10,80 10,87 11,28 13,25 13,59 13,83 14, 68 13 12. » 22 15,43 15,27 14,80 14,18 17, 05 15,32 13,11 12,65 12,70 11 $ » 23 10,44 9.31 8, 51 11, 00 12,11 13, 02 15, 96 15, 45 15, 39 1.4( ii, » 24 6, 51 6,60 6,72 7,10 8,30 9,02 13,69 11,35 12,47 r lj 19, » 25 5,32 5,11 5,31 5.16 6,11 8,41 10,88 9, 55 12,01 16 » 26 8,10 8,04 7,51 8,91 7,22 7, 11 12,18 12,04 12, 68 ijis ! li). » 27 7, 32 7,08 6,02 6,35 7, 51 9, 52 11,05 9,48 11,98 ito u * 28 10,22 9,61 9,30 8,30 10,50 11,36 11,43 11,27 12,19 ru i li. » 29 12,80 12,50 12,22 10,91 11,80 12,10 13,08 12,50 13,45 131 ! il> » 30 12,25 10,24 10,10 12,61 12, 80 11, 10 13,33 13,00 13,87 l'3à 13; Ottobre 1 11,85 12,15 10,40 11,20 11,37 11,23 11,58 13, 23 13,31 142 l| » 2 10, 22 8, 35 7,31 9,42 9,21 8,55 8,87 9, 35 11, 55 ito» m; » 11 7,10 7,82 7,32 7,10 7,32 7, 52 6,64 7,53 7,92 |84 Somme . . 291, 19 278,01 281, 02 289, S4 807,09 343, 85 342, 00 365, 70 é Numero dei termini 30 30 30 30 30 30 30 30 30 | ;{$ Medie . . . 10,11 9, 70 9,26 9, 36 9, 66 10, 23 11,46 11,40 12,19 11» H m M j 13 Sulle variazioni diurne del potenziale elettrico delV atmosfera ì il metri «Il mercurio. 1 1 1 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 10,2 12, 56 13, 12 10, 78 9, 72 10, 34 9, 65 io, 28 11, 73 10, 17 10, 04 9, 69 9 5 9,03 8, 69 9, 60 9, 64 9, 95 10, 39 12, 65 14, 52 11, 78 9, 87 9, 00 Il 7 12, 19 14, 37 11, 83 12, 70 12, 12 12, 39 14, 35 17, 07 12, 76 io, 95 9, 64 11 0 10, 39 12, 86 11, 91 11, 82 10, 58 10, 65 12, 46 13, 45 io, 64 io, 03 9, 83 12 j 7 12, 04 14, 34 12, 13 12, 19 11, 79 11, 68 11, 31 11, 98 11, 27 11, 18 11, 34 12Ì1 12,02 15, 04 11, 08 12, 04 11, 86 11, 40 12, 11 16, 51 13, 11 11, 89 11, 59 9. 5 12, 26 17, 56 10, 90 io. 50 10, 43 10, 75 13, 82 17, 34 11, 10 12, 90 11,00 Ili 8, 17 9, 86 10, 64 10, 98 9,81 8, 41 8, 73 9, 66 9, 50 9, 16 10, 62 7, 73 7, 06 8, 00 10, 50 10, 82 11, 75 12, 50 15, 91 12, 98 11, 92 9, 90 10, j) 9, 58 9, 72 00 10, 02 10,10 11, 40 14, 50 20, 53 15, 39 12, 08 9, 73; 10,1 10,00 9, 51 10, 54 11, 70 11, 21 11, 69 13, 22 18, 30 13, 05 12, 70 .11,85 10, 12,27 14, 59 10, 50 9, 73 8, 38 8, 10 8, 96 9, 92 9, 86 8, 72 8, 20 11,1 9,00 7, 26 10, 49 9, 75 10, 25 io, 41 9, 90 io, 46 11, 50 11, 22 10, 00 12 11, 32 9, 30 10, 40 9, 65 8, 72 8, 85 9, 05 6, 77 9, 57 8, 25 9,65 13-j 12, 10 11, 02 12, 70 11, 35 11, 75 11, 42 10, 74 io, 51 11, 60 11, 82 1 1 , 28 12, 12, 25 io, 14 13, 65 14, 76 13,85 12, 99 11, 25 11, 10 13, 12 12, 75 12, 12 10,1 12,76 13, 61 12, 65 13, 24 14, 38 14, 64 14, 65 14, 11 14, 20 13, 89 13, 70 15,' 15, 52 14, 94 13, 32 12, 25 11,37 12, 87 14, 13 14, 26 13, 30 13, 15 12, 54 15, : 15, 85 13, 32 12, 39 12, 88 13.82 14, 54 14, 95 14, 95 15, 06 14, 70 14,02 15,; 16, 54 16, 60 13, 22 14, 11 13, 01 12, 23 14, 21 15, 53 13, 33 12, 52 11, 04 12,, 14, 32 14, 44 12, 11 10, 10 9, 40 9, 72 11, 21 12, 65 9, 32 8, 84 8, 50 10, 10, 22 11, 61 8, 24 8, 16 9, 21 9, 23 9, 44 12, 00 9, 30 8, 22 7, 63 11, 11,15 10, 72 8, 51 9, 24 9, 61 10, 00 io, 22 10, 96 9, 11 9, 12 9, 13 12, 11,12 11, 25 8, 84 9, 25 8, 22 io, 10 10, 25 IO, 12 9, 66 9, 11 9, 43 12, 13,04 11, 06 9, 88 9, 70 10, 22 io, 21 12, 12 10, 96 io, 31 9, 91 11, 11 12, 13,00 12, 78 11, 00 13, 12 11,12 11, 64 12, 35 13, 33 11, 80 12, 70 12, 40 11, 11,42 13, 22 1 2, 06 13, 00 12, 40 11, 31 11, 40 13, 33 12, 40 12, 15 12, 61 13, 6 14,00 12, 09 12, 29 14, 87 13, 35 12, 81 12, 94 11, 71 12, 27 11, 70 11,50 11, 5 13,50 12, 93 10, 54 11, 68 11, 81 10, 25 io, 50 11, 80 io, 14 io, 20 10,30 10, 3 12, 65 5, 09 9, 34 9, 80 9,60 9, 04 9, 23 6, 48 6, 90 7, 21 8, 00 Ì64, 9 Ì58, 00 358, 10 328,54 338,45 329, 48 330,52 353, 43 387, 95 340, 50 328, 90 317,35 30 30 30 30 30 30 30 30 30 30 30 30 11,8 Q 11,98 11, 93 IO, 95 11, 28 10, 98 11, )2 11, 78 12,93 11,55 10,96 10, 5S } m M 14 Prof. A. ( Invasino [Memoria XII.J Nella Tabella III sono riportati i valori della tensione del vapore acqueo in ciascuna delle 24 ore, di tutti quei giorni per cui lio costruito la relativa curva, scegliendo sempre giorni calmi e sereni, ed ho fatto anche le medie per ore di tutti i 30 giorni d’ osservazione. Da essa appare subito che le ore in cui cadono i massimi ed i minimi di tensione sono presso a poco quelle stesse in cui si avverano quelli di elettricità ; però la relazione non appare tanto evidente dalla media generale, quanto dal confronto delle singole curve giornaliere corrispondenti. Ma quello che più reca sorpresa si è la grande rassomi- glianza tra la curva dell’ elettricità e quella barometrica diurna, e la loro coincidenza è tanto più spiccata quanto più caline e serene sono le giornate. L’ intima relazione tra 1’ elettricità atmosferica e le varia- zioni diurne del barometro è un fatto veramente singolare e degno di tutta 1’ attenzione degli studiosi di meteorologia. Essa è stata notata anche da Everett e Whipple (1) a Kew, da Ellis a Greenwich , da Ragona (2) a Modena, da Eoi ti e Pasqualini a Eirenze, ed io la trovo confermata anche qui a Catania. Ed è curioso che mentre la pressione atmosferica mostra una stretta relazione con l’elettricità dell’aria, viceversa gli elementi da cui la pressione dipende principalmente, cioè la temperatura e 1’ umidità relativa, non mostrano alcuna relazione con 1’ elet- tricità atmosferica. Ciò mi induce a credere che sulle variazioni diurne barometriche influiscano non poco anche quelle dell’elet- tricità, e che queste alla loro volta dipendano da un’ altra causa a noi sconosciuta. Ma su questo particolare io non oso affatto pronunziarmi, e lascio il giudizio definitivo ai dotti, perchè l’ar- gomento è tale da richiedere un lungo e profondo studio e una larga discussione. In particolare ritengo che a più sicure conclusioni si per- (1) Observatìon of Atmospheric Electricity at thè kew Observatory during 1880. By G. M. Whipple, Superintendent — Report of thè British Association 1881. (2) Memorie dell’ Aocad. di Scienze, Lettere ed Arti di Modena— Anno 1870, Tomo XI, pag. 10. Sulle variazioni diurne del potenziale elettrico delV atmosfera 15 Terrà quando le osservazioni dell’ elettricità atmosferica si fac- ciano contemporaneamente in parecchie stazioni , e si possano rendere paragonabili fra loro le diverse curve ottenute insieme in luoghi vicini e lontani, alti e bassi, sul mare e in terraferma. È da augurarci quindi che nei numerosi nostri Osservatorii me- teorologici si attenda assiduamente a queste importantisime ri- cerche, che si collegano con tanti problemi insoluti di tìsica ter- restre, relativi al magnetismo, alle correnti telluriche, all’aurora boreale, ed, interessando anche la vita pratica, agli effetti disa- strosi della grandine e dei colpi di fulmine. Ma affinchè si generalizzino nei nostri Osservatorii le ri- cerche sull’elettricità atmosferica, panni che bisognerebbe sempli- ficare gli apparecchi a ciò destinati e che se ne renda più pra- tico il loro uso, perchè appunto la ragione principalissima per cui molti non intraprendono o hanno abbandonato queste osser- vazioni sta nel fatto che, oltre al paziente lavoro di sviluppo fo- tografico delle curve, si richiede un’ assidua sorveglianza degli apparecchi, e tutte quelle cure le più diligenti e meticolose per ben regolarli onde il loro funzionamento sia esatto. Un passo in questo senso è stato fatto dal Chiar.mo Prof. L. Palazzo, Diret- tore dell’ Osservatorio di Roma, il quale in una sua recente co- municazione fatta nella riunione della Commissione Internazio- nale per lo studio dell’ alta atmosfera, descrive un apparecchio registratore da lui ideato, molto semplice ed ingegnoso, destinato per le osservazioni durante le ascensioni in pallone, o con cervi volanti : certamente questo strumento , od uno somigliante, con opportune modificazioni potrebbe servire ad uno studio (almeno sommario) dell’ elettricità atmosferica anche negli Osservatorii. Compio infine il dovere di porgere i miei più sentiti ringrazia- menti al Cliiar.mo Prof. A. Ricco, il quale mi ha fornito di tutti i mezzi necessari per queste mie ricerche, e di tutti quegli utili e sa- pienti consigli necessari per ben condurre tali delicate osservazioni. Catania Gennaio 1904. Dal B. Osservatorio Astrofisica e Meteorologico. ■ ■: . ! _ . » . ' . Memoria XIII. Sugl’ Integrali delle equazioni del moto d’ un punto materiale Nota II. del Doti VINCENZO AMATO 111 questa Xota, die fa seguito all’ altra pubblicata negli Atti di quest’ Accademia (Serie Ia, voi. XIV, die diremo Xota I), sarà dato un metodo per costruire due integrali primi comuni a più problemi del moto d’un punto sopra una superficie varia- bile col tempo di posizione e anche di forma (nell’ ipotesi ge- nerale che la forza sollecitante dipenda dal tempo , dalla posi- zione e dalla velocità del punto materiale di massa unitaria), ovvero due integrali primi comuni a più problemi del moto di un punto sopra una superfìcie fissa, nel caso in cui la forza di- penda dalla posizione e dalla velocità del punto (Korkine, Ma- thematische Annalen , voi. II, 1870). Sarà inoltre data una concisa dimostrazione di un teorema del Ivorldne che stabilisce come condizione necessaria, per resi- stenza di due integrali primi comuni a più problemi del moto d’un punto sopra una superficie fissa, la sviluppabilità della su- perficie stessa, quando la forza dipenda soltanto dalla posizione del punto. 1. Le equazioni differenziali del moto d’un punto sopra li- na superfìcie si possono scrivere così u" — TJ, v" — V, dove le V, V sono funzioni delle t, u, v, u, v (Off. Xota I, § I) Se Tfi (t, il, v, u\ v) = a Atti Acc. Serie 4% Voi,. XVII — Mem. XIII. 1 Doti. Vincenzo Amato [Memoria XIII.J è un integrale primo comune a due problemi ( "U , VJ, (Tq, \\) deve soddisfare simultaneamente le equazioni A- (W) = da' 1 do' o, b (ir) = C ( W) = a ir ~dt + M , 3W 3 u + gir dw , 3 u ' ' dv , dw 3 ir _ 47 + 1 W ~ 1 A(l)-B (7,-) i a ir o, dove lt ed 7 hanno significati noti (Nota I, § II). Perchè il sistema (1) sia jacobiano, cioè perchè esistano due integrali primi comuni a più problemi debbono essere soddisfatte le condizioni A (70 = 0, A (l) = 2 B (k), B [B (fr)] — C (7). Dalla prima si ha li = cp (7, «, v, v -- leu), essendo tp una funzione arbitraria. Assumendo, in luogo di v , la nuova variabile w data dal- l1 equazione v = io -{- cp (7, u , u, «’) si ha 7 = «> ’■ «) — • y, (u. r. s) — e., , tali eh e sia diverso da zero it toro determinante funzionate rispet- to alle r, s, ed uguagliate a due costanti arbitrarie , è nota la tra- sformazione da operare stille u, r, s per passare alle variabili t, u, v, u, Y e mediante questa trasformazione le (5) costituiscono un sistema di due integrali primi , in funzione delle t, u, v, u, v, comuni ai problemi (U, Y) pei quali sia (**) V — le U — 1. 2. Ora si può analogamente, prendendo le mosse dai risul- tati contenuti nella mia JSTota : Sull' integrazione d’ uif equazione (Giornale di Matematiche di Battagliai, settembre 1901), stabi - C) Nota I, pag. 4. (**) I,a condizione V — i U — l si può esprimerò introducendovi le variabili t, ». r, », -»' (Nota I, pag. 11). Sugl ’ integrali delle equazioni del molo d’ un punto materiale t lire la trasformazione relativa al sistema di due integrali primi comuni a più problemi del moto d' un punto sopra una super- ficie fìssa, nell’ ipotesi che la forza sollecitante dipenda dalla posizione e dalla velocità del punto. Infatti i risultati della Xota ora citata si possono enuncia- re così : Sia r una variabile ausiliaria ed F {ri, r, r) una funzione qualunque delle n, r, r. Consideriamo le forinole <£. dF 3®"’ = F ( u,r ) X) dr — a (•«, r) dr (6) dove le oc, p sono funzioni arbitrarie, e dopo aver fatte le diffe- renziazioni e le integrazioni indicate, sostituiamo r col suo va- lore in funzione delle a, v, ir che si ha dairequazione u~F {u, r, ?■). Allora le ((>) daranno per ® (u, v, ir) = (Oj (u, v, r) e per (u, v, ir) — 3 A (7) Questo sistema fornisce così un integrale primo comune a più problemi. Trovato questo integrale V (m, v , ir) = a. 8 Doti. Vincenzo Amato [Memobia XIII.] poiché IV = V — O il, risolvendo rispetto a dt l’equazione A =r a , si ottiene, con quadratura, l’altro integrale primo comune t -j- b — |i (u, v, a), dove le a, b sono due costanti arbitrarie (Korkine, Meni, cit., § 7). Ciò posto, tenendo conto delle (6), al sistema (7) si può so- stituire 1’ equazione + “ («, r) = 0 dìi or (8) Come nel § 1, si possono distinguere due casi : a ) Sia data la funzione a. S’integri l’equazione dr du=U e l’integrale ottenuto, risoluto rispetto alla costante, si trasformi, in funzione delle variabili u , v, iv, per mezzo della relazione w — F (ìi, v, r), (S) dove F è una funzione qualunque, supposta assegnata. Si trovi l’altro integrale primo comune nel modo anzidetto e si operi in- fine sui due integrali trovati la trasformazione u=zu v — v, v — w -j- co (u, v, ott. Vincenzo Amato [Memoria XIII.] Assumendo come coordinate curvilinee le m = cost. ed un altro sistema di linee n — cost., e continuando a chiamare ri- spettivamente questi sistemi di linee colle lettere ir. r. si ha Infatti la prima equazione del sistema (1 ci dice che TT dipende dalle v\ v per mezzo dell'espressione r' —

    Edwardsy del Carus e di altri autori più recenti. CRUSTACEA DECAPODA 1ACEUEA XATANTIA Pani. Pexaeidae — Sp. Bate. S ottofam . Pen aei n a e — O rtm . 1. Penaeus caramote — Desm. È abbondante nel Compartimento marittimo di Catania, abita alla profondità di 50-60 m. circa, e quasi quotidianamente comparisce sul mercato in notevole quantità. Gli esemplari in collezione sono stati catturati colle nasse nella baia di Catania. Pam. Pexaeidae — Sp. Bate Sottofam. Penaeinae — Ortm 2. Penaeus membranaceus — Risso È abbondante nel Compartimento marittimo di Catania; infatti, nel mercato ci si mostra copioso in ceste, insieme con altri Crostacei cioè : col Pandalus Pristis , col Pandalus narrai , abbondantissimi nel nostro mare. Abita in mezzo al fango alla profondità di 100-300 m. circa. La sua frequenza, in rapporto alle profondità in cui fu rin- Primo contributo alla conoscenza dei crostacei decapodi abissali ecc. 3 venuto questo Crostaceo , induce a credere die la distribuzione batimetrica di esso varii da 508 m. a 300. — I caratteri di questa specie hanno dato luogo a discussioni, ripor- tate nel lavoro del Senna. Secondo alcuni , il rostro sarebbe lungo tanto da sorpassare di molto gli occhi e da raggiungere o superare lo scafocerite, ed i maschi a parità di dimensioni colle femmine l’avrebbero notevolmente più corto. Questi dati sono confermati dalle mie osservazioni; però nei numerosi esemplari di maschi il rostro raggiunge lo scafocerite senza superarlo mai, nei maschi il rostro è di poco più corto, e il numero dei denti, che il Oarus crede da 5-6 e il Senna da 8-9, nei miei esemplari è da 7-8. Il maschio è costantemente più piccolo della femmina. Cani. Peistaeidae — Sp. Bate. Sottofam. Paràpenaeinae — Ortui. 3. Penaeus siphonocerus — Phil. È scarsissimo, forse perchè abitualmente vive a grande pro- fondità. Cfli esemplari in collezione mi sono pervenuti dalla baia di Catania e sono stati presi colle nasse. — Il rostro nel margine inferiore è munito di numerosi peli, e nel su- periore porta costantemente sei denti, il primo dei quali è più distanziato, il secondo più robusto degli altri. Questi caratteri contraddicono evidentemente le osservazioni del Carus, secondo cui i denti del margine superiore sarebbero sette e tra l’uno e l’al- tro numerosi peli. La squama antennale è lunga quanto lo scafocerite. Il solco cervicale molto accentuato è terminato ai due lati con due spine di cui la superiore- più robusta. Il I. somite dell’addome è più stretto degli altri e forma una specie di collaretto; gli ultimi tre sono carenati; il IV lo è per metà, mentre il YI porta nel suo margine anteriore una spina sottile. Il telson, appuntito e fortemente solcato longitudinalmente, porta in vi- cinanza del suo margine anteriore una sottilissima spina per ogni lato. La branca esterna ed interna dell’uropodo termina ai margini con numerosi peli simili alle barbe delle penne degli uccelli. 4 Francesco Magri [Memoria XIV. | Pam. Pexaeidae — Sp. Date Sottofa in . Pasiphaeinae (Dana) Cls. 4. Pasiphea Sivado — Risso Da notizie attinte da alcuni pescatori, mi risulta die que- sto crostaceo si pesca colle nasse, alla profondità non superiore a 200 in. Credo probabile però, che si peschi a profondità mi- nori, senza escludere la possibilità di una cattura superficiale. Infatti lo /Smith , come ha rilevato il Pie/gio , considera le specie del genere Pasiphea come essenzialmente nuotatrici e non rigorosamente abissali. Crii esemplari in collezione mi sono pervenuti dalla baia di Catania e sono stati catturati dentro le nasse. — Ha il corpo fortemente compresso, il cefalo torace non carenato nella sua porzione anteriore, che si va gradatamente allargando sino alla posteriore. Il margine frontale del cefalo-torace è libero , gli occhi sono brevi e peduncolati. Lo stipite ante anulare è composto di tre articoli, che presi insieme so- no lunghi meno di i/3 del cefalo-torace. Il I. di tali articoli è lungo quanto gli altri due, ed incavato nel mezzo, dove raccoglie gli occhi ; il più corto è l’articolo mediano. Lo stipite porta le antennule, il filamento esterno delle quali è più forte dell’interno e della lunghezza quasi del cefalo torace. La squama antennale stretta, quasi lanceolata supera in lunghezza lo scafocerite. Il peduncolo antenuale è lungo e diviso in tre articoli, dei quali è più sviluppato il I. superiore. Il I. paio di pereiopodi ha dita lunghe una metà del metacarpo. Il I. paio , il più sviluppato , ha dita sottili e di poco più lunghe del metacarpo. Le tre paia rimanenti cioè III, IV, e V. sono le più gracili e le meno lunghe. I pleopodi sono molto bene sviluppati. II VI. somite, che è più lungo degli altri, è munito di una spina sot- tile al margine anteriore. Il telson è breve. L’animale è di color bianco cartilagineo. Primo contributo alla conoscenza dei crostacei decapodi abissali eec . o Eam. Peìtaeedae — Sp. Bate Sottofam. Crangonidae — Dana 5. Lismata seticaudata — Risso È abbastanza raro , si pesca colle nasse alla profondità di 200 in. circa. Gli esemplari in collezione sono stati catturati nella baia di Catania. Fani. Peyaeldae — Sp. Bate Sottofam. Aristeinae — Alcock 6. Aristeus antennatus — Risso E scarsissimo , e si pesca colle nasse , die vengono messe alla profondità di 150 in. circa, per la cattura dei gamberi. La scarsezza di questo crostaceo e il non trovarsi in tutte le stagioni, non lascia alcun dubbio che il suo habitat sia abis- sale, come è confermato dal Senna che l’ha trovato alla profon- dità di 800-1005 m. Per tali ragioni bisogna ammettere che la sua comparsa nel mercato di Catania sia dovuta ad una entrata accidentale nelle nasse da pesca. Gli esemplari in collezione mi sono pervenuti dalla baia di Augusta e sono stati catturati colle nasse. — L’ animale ha il rostro che supera di molto lo stipite delle anten- nule ed è munito alla base di tre denti robusti. I tergali dei tre ultimi segmenti pleonali sono carenati , il terzo è ca- renato solo per metà; e tutti sono terminati dalla parte inferiore da un dente, contro l’opinione del Carus , il quale ritiene che in questa specie il rostro superi di poco lo stipite delle antennule e che porti alla base cinque denti robusti e che solo il IY e il Y somite dell’ addome sono carenati, mancanti però di denti ai margini inferiori. 6 Francesco Magri [Memoria XI Y.] Il I. paio dei piedi mascellari è cosparso di peli e molto sviluppato uei due sessi. La femmina costantemente è più robusta del maschio. Fam. Pexaeidae — Sp. Bate Sottofam. Aristemae — Alcock 7. Aristeomorpha pholiacea — Risso Questo crostaceo nelle osservazioni del /Senna è riportato alla profondità di 760-823 m. Secondo le mie osservazioni esso vive a 200 m. circa. La frequenza con cui questa specie si rinviene nel Compar- timento marittimo di Catania , fa credere che la sua distribu- zione batimetrica sia molto variabile. dii esemplari in collezione mi sono pervenuti dalla baia di Augusta, però se ne trovano anche nella baia di Catania. — Il rostro è diversamente lungo nei due sessi; infatti, nella femmina supera di molto lo stipite delle antenuule ed è alquanto curvo all’ingiù verso la base mentre in seguito è ascendente, convesso e carenato, ed alla punta gracile e assottigliato. La cresta nella porzione frontale è provvista di cinque denti bene svi- luppati ed acuti con numerosi peli tra un dente e l’altro. Il resto del rostro porta da due a cinque denti molto meno sviluppati di quelli della cresta e più distanti, perciò il numero totale di essi può ascendere ad undici, ma per lo più è minore, rimanendo però costanti i denti della cresta frontale. Il margine inferiore del rostro è liscio, cosparso di peli solo alla base. Il rostro nel maschio è molto più corto e raggiunge appena la lunghezza della cresta di quello della femmina; è convesso, carenato e munito di cinque denti tra i quali sono dei peli come nella femmina. Lo scudo nell’ Aristeomorpha plioliacea è lievemente carenato sulla linea dorsale della regione gastrica. La regione branchiale è bene indicata da una cresta- li dorso del III. somite non è carenato, è carenato invece il IY e il A somite e il VI in cui si distinguono tre carene. Il colore dell’ animale è rosso intenso, gli occhi sono di colore azzurro carico. Primo contributo alla conoscenza elei crostacei decapo di abissali ecc. EEPTANTIA Euryonidea — De Haan E a m . E u li y o sidae — Dana 8. Polycheles typhlops — Heller Questo crostaceo è scarsissimo nel Compartimento marittimo di Catania , e pare che sia una forma esclusivamente abissale, perchè solo qualche esemplare viene ad impigliarsi casualmente nelle nasse dei gamberi. Gli esemplari in collezione mi sono pervenuti dalla baia di Catania e sono stati catturati colle nasse. — Il carapazio è leggermente convesso nei due sessi con i margini forti pelosi e dentellati. Il solco cervicale è molto manifesto, incurvato e lateralmente biforcato. La linea principale segue l’ andamento di una curva e raggiunge il margine esterno presso il suo terzo anteriore, l’altro ramo va orizzontalmente al margine esterno. Questi due rami limitano due infossature , una più grande inferiore e una molto più piccola superiore e dividouo il carapazio in tre regioni: una anteriore cefalica, una posteriore toracica ed una mediana laterale piccola e triangolare. La superficie della regione cefalica del carapazio è percorsa da tre creste longitudinali spinifere caratteristiche, la più sviluppata corre lungo la linea mediana e procede sino al margine posteriore. Nella parte posteriore ai due lati della cresta mediana , vi sono altre due linee spinifere, che scendono sino al margine posteriore. Le chele dei primi pereiopodi non differiscono nei due sessi. Nel maschio il V non è chelato e termina con un breve dattilo, nella femmina è una pic- cola chela a dita alquanto disuguali. Nella femmina il I. pereiopodo è poco più lungo che nel maschio, pure biarticolato, ma di forma diversa. Il ma- schio è costantemente più piccolo della femmina. 8 Francesco Magri [Memoria XIV.] EUCIPIDEA Eam. Acaxthephyridae ( Date ) — Ortiu. Sottofam . A cantliepliyrinae — Ortrn . 9. Acanthephira pulchra A. M. Edwards Questa specie fu pescata a 1650 m. da S. A. il Principe dì Monaco colle nasse al largo di Monaco, e dal Giglioli nella Cam- pagna Talassografica del Washington , col clangano alla profon- dità di 2188 a 2390 m. Da noi tale specie è scarsissima e si pesca alla profondità di 200 m. circa nella baia di Augusta colle nasse. — Le Acantliepliirinae sono animali essenzialmente abissali, perciò si deve credere o che qualche individuo occasionalmente risalga a profondità mino- ri, o che venga quivi trasportato da correnti marine. Il Eiggio però sostiene che , pur vivendo normalmente a grandi pro- fondità, abbia una distribuzione batimetrica che nel Mediterraneo varia entro limiti assai estesi, da 200 a 2690 m. Miln e Edwards ha descritto assai brevemente questa specie che crede somigliante alla A. armata delle Antille, dalla quale si distingue per l’ar- matura del rostro, di cui il dente anteriore è separato dagli altri da un in- tervallo maggiore di quello esistente fra i cinque denti seguenti , e nella parte inferiore è guarnito di denti posti ad intervalli irregolari. Il Eiggio ha descritto questo crostaceo, e ci ha dato anche la figura. Il Senna però non crede esatta nè la descrizione nè la figura. Dalle osservazioni degli autori messe in rapporto colle mie rilevo che il Eiggio ha esaminato esemplari femmine mentre il Senna esemplari maschi, perciò le discrepanze e le pretese inesattezze sono probabilmente dovute a differenze sessuali. Infatti, nella femmina il rostro è un pò più lungo di quello del maschio, come si osserva nella figura del Eiggio. Posso aggiungere anche che l’ultimo dente del margine superiore nel maschio è più distanziato che nella femmina, che i denti del margine inferiore del rostro sono quattro in tutti e due i sessi, ma nel maschio sono disposti in due coppie, cioè due alla base e due in alto : quelli della base sono più ! distanziati di quelli che si trovano in alto, come ben si osserva nella figura del Senna. Primo contributo alla conoscenza dei crostacei decapodi abissali ecc. 9 Nella femmina invece i primi tre denti del margine inferiore sono ugual- mente distanziati e solo il quarto è meno distante dagli altri, come si osserva nella figura del Éiggio. 11 Senna dice che costantemente il III. somite sia carenato nei 2/3 po- steriori ; ma nei miei esemplari l’ ho riscontrato completamente carenato. L’ animale è di color rosso intenso, cogli occhi di colore azzurro. Pam. Pandalidae (Bate) — Ortm Sottofam. Pandalinae — Orini 10. Pandalus narwal — M. Edwards Per la sua frequenza nel Compartimento marittimo di Ca- tania credo clic esso non debba ritenersi come una forma esclu- sivamente abissale. Il Senna nelle sue osservazioni 1’ ha trovato alla profondità di 350 m. ; io l’ho trovato alla massima profondità di 110 m. circa. di esemplari in collezione mi sono pervenuti dalla baia di Catania e furono catturati dentro le nasse. — Il numero dei denti superiori del rostro che il Cortes enumera da 20 a 24 nei miei esemplari è sempre superiore a 30 e giunge anche a 38. I denti della base del rostro, clie sono i più sviluppati , sono general- mente in numero di quattro e talvolta cinque. II telson porta ai margini laterali sei spine sottili e termina con tre spine di cui le due esterne sono più robuste dell’ interna. Tra questa e le spine esterne si trovano dei peli. Il III. somite caratteristico, arcuato nel margine inferiore, termina con una punta. Le due spine esterne del telson portano alla base altre due piccole spine. Fam. Pandalidae (Bate) — Ortm Sottofam. Pandalinae — Ortm 11. Pandalus heterocarpus — Costa Per la sua grande rarità nel Compartimento marittimo di Catania questo crostaceo pare debba riferirsi alla fauna abissale, e che quindi accidentalmente sia capitato nelle nasse dei gam- Atti Acc. Serie 4a, Vol. XVII - Mem. XIV. 2 10 Francesco Magri [Memoria XIV.] beri. Esso fu descritto dal prof. Achilìe Costa che lo chiamò Ueterocarpus per la conformazione delle sue zampe. Per un certo tempo si credette una forma propria del golfo di Napoli , ma il Riggio nel febbraio del 1S9I lo rinvenne in- sieme con alcuni crostacei provenienti dalla baia di Augusta. In seguito fu riscontrato anche dal Senna nel Mediterraneo. Io l’ ho trovato nella baia di Catania nell’ inverno dello scorso anno, alla profondità di 150-100 m. circa. Gli esemplari in collezione sono stati tutti catturati colle nasse. — Rostro lungo e gracile provvisto eli denti sottilissimi, che variano nei diversi individui, però il numero di quelli del margine inferiore è sempre maggiore di quelli del margine superiore. Placca laterale del III. somite arrotondata. Lo scafocerite è più corto dello scudo. 11 I. paio di pereiopodi non raggiunge il massillipede esterno che è provvisto di peli. Pam. Nikidae Sp. Baie (Processi dae — Ortm) 12. Nica edulis — Risso La scarsezza di questo crostaceo nel Compartimento marit- timo di Catania, e il rinvenirsi solo dopo che il mare è stato molto agitato, non ci lascia alcun dubbio che esso debba rife- rirsi alla fauna abissale. Gli esemplari in collezione furono catturati a 200 in. circa colle nasse nella baia di Catania. GALATHEIDEA II EXDKILSON Eam. Galatheidae — Henderson Sottofam. Galatheinae — M. Edw. e Bouv 13. Galattica strigosa — Linneus È scarso nel Compartimento marittimo di Catania. Tutti gli esemplari sono stati pescati colle nasse alla profondità di 200 metri circa nella baia di Ac-i Trezza. Primo contributo alla conoscenza dei crostacei decapodi abissali ecc. Ofelia mia collezione si trovano cinque esemplari di (xalathea che per molti caratteri pare debbano riferirsi ad altre due specie diverse. Mi propongo quindi farne uno studio speciale. Fani. CIalatheidae — Henderson Sottofam. Galallieinae — M. Echv. e Bouv. 14. Munida bamffica (Pennant) La distribuzione batimetrica di questo crostaceo varia da 940 m. (Senna) a 100 m. , alla quale profondità 1’ ho trovato spesso nella baia di Aci Trezza , da dove provengono tutti gli esemplari in collezione. — Lo stipite delle antenne triarticolato raggiunge appena gli occhi. Il I. articolo porta due spine bene sviluppate al suo margine anteriore, il II. una spina dal lato sinistro, il III. una spina gracile dal lato destro. Il filamento antennule è lungo per tre volte l’animale e piu riarticolato, munito ai margini laterali di sottilissimi peli. Lo stipite delle antennule è formato di un solo articolo , che in basso porta due spine, di cui la superiore più sviluppata della inferiore, il mar- gine anteriore porta pure due spine di cui l’interna è molto più sviluppata dell’esterna, 1’ antenna è biarticolata e terminata con un breve fiocco. Il 1. paio di pereiopodi sono molto sviluppati e arrotondati ; le dita della mano ugualmente sviluppate terminano l’esterno con due unghia , bianche cornee appuntite, l’interno con un’ unghia pure appuntita. Il Y. paio di pereiopodi sono gracili, corti e terminano in una piccola chela tra un ciuffo di peli dorati. Il I., IL e III. portano numerosi e brevi peli sul margine anteriore. Il IL somite è munito di sei spine, le prime quattro disposte due per lato ugualmente distanziate e le due rimanenti mediane più distanziate delle altre; il III. somite porta quattro spine, una per lato corrispondente longi- tudinalmente all’interno delle due del somite superiore e due mediaue cor- rispondenti alle due mediane del somite superiore. Le branche dell’ uropodo terminano al margine esterno con numerosi peli biondi. 12 Francesco Magri [Memoria XIV.] NEPHROPSIPEA - Ortmann Pani. Rephkopsidae — Leacli. 15. Nephrops norvegicus — Linneus Secondo le osservazioni del Senna , questo crostaceo fu pe- scato alla profondità di 823 in. col clangano. I miei esemplari furono pescati colle nasse alla profondità di 300 m. circa, nel Gennaio dello scorso anno. Essi provengono tutti da Aci Trezza. — L’animale è di color bianco osseo lucente, e solo il carpo e le dita delle grosse cliele del I. paio di pereiopodi sono chiazzati in rosso mattone. Il carapazio, il telson e i pleopodi sono bianchi ed hanno quasi l’aspetto di vetro smerigliato. BRACH1URA NOTOPODA Pam. Ixachidae — Miers Sottofam. Lept apodi nae — Miers 16. Stenorhyncus phalangium — M. Edw. Si trova in quella porzione di mare che da Catania va alla baia di Aci Trezza, insieme con altre specie del genere Inacus, che vengono dai pescatori volgarmente chiamati Tarantidi di mari. Il dott. S. Lo Bianco nelle sue osservazioni riferisce di aver pescato una Megalopa di Stenorliyncus phalangium alla profondità ! di 1500 m. Ila noi tale specie si cattura in discreta quantità alla pro- fondità di 300 m. circa. Gli esemplari in collezione mi sono pervenuti dalla baia di Catania e sono stati catturati colle nasse. Primo contributo alla conoscenza dei crostacei decapodi abissali eoe. 13 Farri. GtONOPLACIDAe — M. Echv. 17. Gonoplax rhomboides — Desm. È abbondante nella baia di Aei Trezza, dove si pesca solo d’inverno colle nasse alla profondità di 200 ni. — Nel maschio il metacarpo del I. pereiopodo è quasi il doppio della lunghezza delle dita, nella femmina il metacarpo e le dita sono quasi uguali. Il dito esterno nel maschio presenta costantemente una macchia nera. Nella femmina i I. pereiopodi sono disuguali, il sinistro più lungo del destro, le mani un poco appiattite e le dita della lunghezza del metacarpo. L’addome nella femmina è largo e i primi due somiti più larghi degli altri. Nella mia collezione si trovano due esemplari un maschio e una femmina molto affini al G. rhomboides — ma se ne distinguono per il fatto, che il maschio ha i I. pereiopodi poco più lunghi di quelli della femmina, il sinistro è un poco più lungo del destro e con la mano più stretta della destra , e che nella femmina il I. pereiopodo sinistro è più piccolo del destro. Occorrerebbe quindi esaminare se si tratti di specie diversa o nuova. Gli esemplari in collezione mi sono pervenuti dalla baia di Aci Trezza. 14 Francesco Magri [Memoria XIV.] INDICE BIBLIOGRAFICO 1. Giglioli E. H. — Un nuovo mondo — Gli abitanti degli abissi oceanici ed il viaggio del Challenger intorno al globo in : Nuova Antologia , Fi- renze 1877; e Nuova Antologia, fase. XVI. Roma 1878. 2. Giglioli E. H. — La scoperta di una fauna abissale nel Mediterraneo , in Atti del III. Congresso Geografico Internazionale, voi. II. Venezia, ISSI. 3. Senna A. — Le esplorazioni abissali nel Mediterraneo del li. piroscafo Washington nel 1881 — Ja nota stigli Oxicefalidi in: Bull. Soc. Ent. Ital. au. XXXIV, 1902. 4. Senna A. — Le esplorazioni abissali nel Mediterraneo del E. piroscafo Washington nel 1881 — IF nota sui crostacei decapodi in: Bull. Soc. Ent. Ital. an. XXXIV, 1902. 5. S. Lo Bianco — Le pesche pelagiche abissali eseguite dal Maia nelle vici- nanze di Capri. Abdruck aus den Mittbeilungen aus der Zoologisclien Station zu Neapel 15 Band 3 Heft. 1901. 6. S. A. S. — Le Prince Albert l.er de Monaco in : Bulletin du Muséum di Histoire naturelle. Paris, 1900. 7. Iules Richard — Les campagnes scientifiques de 8. A. 8. le Prince Albert l.er de Monaco : imprimerle de Monaco, 1900. 8. G. Cano — Viaggio della E. Corvetta Vittor Pisani attorno al globo — Cro- stacei brachiuri e anomuri, 1889. 9. M. Gabriel Desbats — Ocèanograpliie dans le Colfe de Guascogne , en Galice et en Portugal — Bordeaux, 1902. 10. Cartjs V. I. — Produmus Faunae Mediterraneae — Voi. I. Stuttgart, 1884 p. 470-524. 11. Milne Edwards — Crustacès t. L, II., III. — Paris, 1834-37-40. 12. Cocco A. — Descrizione di alcuni Crostacei di Messina in : Giornale di Scienze, lettere ed arti per la Sicilia tom. XLIV an. XI. Palermo 1833. 13. Fabriciits I. Ch. — Fntomologiae Systematicae — Supplementum, 1794 p. 307-418. Primo contributo alla conoscenza dei crostacei decapodi abissali ccc. 15 11. 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Cavanna in: Bull, della soc. entomol. Ital. 1877, voi. IX, p. 293. - . ... Memoria XV, Forinole d’incidenza per le coppie: « punto e retta, retta e piano punto e piano» nello spazio da n dimensioni. Memoria del D.r NICOLÒ GIAMPAGLIA Secondo la denominazione di H. Sehubert due spazi lineari, di diversa dimensione, che si appartengono diconsi incidenti e per forinola d’ incidenza relativa a due spazi s’intende ogni relazione intercedente fra varie condizioni fondamentali a cui può essere assoggettato il sistema di due spazi incidenti (* *). Di forinole d’incidenza nello spazio ordinario tratta lo Sehubert nel Gap. II del suo libro « Ivalkiil der abzalilenden Geometrie » e prima che egli in una sua recente memoria avesse assegnato in uno spazio ad v dimensioni la forinola fondamentale d’ incidenza (*) Tolgo dalle memorie dello Sehubert le seguenti notazioni e definizioni : « Il simbolo [«] rappresenta uno spazio lineare di punti ad a dimensioni giacente nello spazio ambiente [»J ad n dimensioni (a n) ». « Dati A + 1. spazi [«„], [ttj, .... [«/._ i] , [« ] , con 0 an ) » 01 >’i) ’ ^ ì o)’ 0l)ntenute nella presente nota (N. N. 3,11), le quali però erano state da me trovate prima della pubblicazione della memoria dello Schubert. (**) V. Vielfache tangenten in Radine heliebiger dimensione)). — Malit Ann. Bd. XXVI, v>l. (***) V. Forinole di coincidenza per le serie algebriche x 11 . delle coppie di punti dello spazio ad n dimensioni — Rend. del Circolo Mat. di Palermo t. 5° $ 2° 1891. (****) Xel considerare la coppia di spazi di ugual dimensione ma indipendenti di posizione ha grande importanza la condizione che i due spazi della coppia siano infinitamente vicini. Questa condizione, come pure ogni condizione, inerente alla coppia, composta con essa, di- cesi condizione di coincidenza per la coppia di spazi. Una relazione intercedente fra condi- zioni di coincidenza e condizioni fondamentali inerenti alla coppia dicesi formola di coinci- denza relativa alla coppia di spazi. (*"'**) Per la risoluzione del prodotto di due condizioni fondamentali inerenti alla retta, sarà adoperata la forinola seguente : o.~k 0). («o, af (b0, fcQ 2 (a0 ~ bn — n -'r I -f- tz, al -j- bL — n — a) , a=0 «love /«, è il minore dei numeri — a0 — 1, bl — b0 — 1, e dove bisogna ritenere nulli i sim- boli nei quali risulta fl0 -f- bn — n -J- 1 -f- o. 0. (Cfr. la nota di F. Palatini ed G. Zeno Giani- Formole (V incidenza per le coppie : «punto e retta , retta e piano , eco. I na tal ricerca non appai* * priva d’ importanza quando si pensi die una forinola di incidenza, o di coincidenza, opportu- namente interpretata per ciò che concerne una varietà algebri- ca, o un sistema di varietà, può esprimere una relazione fra i caratteri di quella varietà, o di quel sistema, fi. Forinole d’ incidenza per il punto e la retta. 1. Relativamente al sistema di un punto e una retta inci- denti, dopo le due note formole d’ incidenza : 1) {a, n) (n—1) = (a) -j- («, n — 1) ; a < n — 1 (#) 2) (a, n) {v — I) = (v— l-,n) {a) -f {a, n — l) ; a < n — Z-f- 1 (**) resta soltanto a conoscere la forinola d’incidenza più generale possibile la quale si può ottenere nel modo seguente : Applichiamo la 2) per un [w-ft] di [/*] e segniamo con sbarre due spazi che s’ appartengono (***), si avrà : 2)' (a, n-k) ( n-l-ìc ) = (n-1-k. n-k ) (« ) A (a, n-l-k) ; a < n-l-k -{- 1. belli « Prodotto di (lue condizioni caratteristiche relative ai piani di un iperspazio » Acc. Reale delle Scienze di Torino. Anno 1900-901. Nel caso del prodotto di due condizioni relative al piano verrà adoperata invece que- st’ altra foratola : x). (a0, aL, (h,) [k, a., — 1, ap — li{ (t0— 1, «p + q, ot + i2). dove la somma va estesa a tutti i valori delle tre variabili i per cui : 1 ) — j — (a, n-l-k). La dimensione della 3) è uguale a: n-a-^l + k- 1; per a — 0 e per tutte le coppie di valori di lek per cui 7 -f- k =z ,%, Forinole fV incidenza per le coppie : « punto e retta, retta c piano, eco. 5 sarà n — a-j-l-r'-'k — 1 = 2 n — 1, cioè in tal caso la dimensio- ne della 3) uguaglia il numero delle costanti del sistema pun- to— retta incidenti e quindi avranno luogo le seguenti egua- glianze : (0.1) Ot-1) — (0, n)(n-2) = = (0. Ji-l) (1) = (0, ») (0| : 1. ossia : (0j I) (0 ) = (0. 2) (0 ) = = (0, >èl) (0) = (0, n) (0) = 1. § II- Formole di coincidenza per la coppia di punti. 2. La forinola fondamentale di coincidenza per la coppia di punti (P, P') è la seguente : p) S = (a-1) +' (n-1 y — (n-2, n), (*) dove s denota la condizione che i due punti della coppia siano intinitamente vicini. — Essa è di prima dimensione e però rife- rita ad una data serie co 1 di coppie (P, P') esprime che « il nu- mero di quelle coppie i cui punti sono intinitamente vicini è uguale al numero di quelle coppie che hanno il loro punto P in un dato [n-1], aumentato dal numero di quelle altre che hanno il loro punto P nel dato [n-1], meno il numero di quelle coppie per le (piali la congiungente i due punti incontra un dato [n-2]» . Moltiplicando si boli cani ente la p) per {a, n-a ) si ottiene : £ (a, n-a) = {a, n-a)(n- 1) -f- (a, n-a) (n-1)' - — (a,n-a)(n-'2, n), ma la 3) del § I per = a, 1—1, ci dà : («, n-a) (»-l) : (n-a-l,n) (a) -{- (a, n-a- 1) — (n-a, n) (a- 2) i : a n — a (a, n-a) (n-l)’= (n-a-ì,n) (a)' -}- (a, n-a- 1) — (n-a, n) («-!)' ) (*) V. H. Schubert — Vici foche ta, n genten.... 6 Doti. Nicolò Giampaglia [Memoria XY.J mentre, per la forinola di risoluzione 6), è : (a, n-a) (n-2, n) = {a, n-a-l) -f- (a- 1, n-a). quindi, sostituendo e riducendo, si lia : £ («, n-a) =rr (n-a-l, n) (a) -j- (n-a- 1, n) (a)' — ( n-a,n ) (a- 1) — (n-a, n) (n-1)’ -f- (a, n-a- 1) — («-1, n-a) ; 2 a <[ n. Ideila stessa guisa si perviene alle eguaglianze : s (a- 1, n-a -j- 1) = (n-a, n) («-1 ) (n-a, n) (a- 1)' — (n-a — {— 1, w-) (a- 2) — — (n-a -j- 1 ,n) (a- 2)' -|~ (a- 1 , n-a) — (a- 2, n-a — |— 1) ; 2a-2 < a. s (a- 2, n-a -\- 2) = (n-a -j- l,w) (a-2) -j- (n-a -f- 1, n) (a- 2)' — (n-a — j— 2, n) (a- 3) — — (n-a -j- 2 ,n) (a- 3)' -f- («-2, «-«■ -j- 1) ~ («-3, «-«■ -j- 2) ; 2 a- 4 < w. s (1 %-l) = (n-2, ») (1) + (n-2, n) (1)' — (h-1, n) (0) — («i-1, n) (0)' + (1, n-2) - (0, m-1) £ (0, n) = (n-1, n) (0) -\~ («-1, n) ((>)' -j- (0, n-1), Queste forinole sono tutte dello stesso peso n, da esse, som- mando membro a membro e riducendo, si ottiene : £ (0, ni) — j— s ( 1, n-1) -(- -f £ (a- 1, n-a -j- 1) -f- s (a, n-a) = (n-a-l, n) (a) -f- (n-a-l, n) (a)' -f- («■> n-a-l) ; 2 a n-k) = (n-k- 1, «) (a) — (n-k, n) (a-1) -\- (n-k- 1, ») (a)' — (n-k, n) (a-1)' -j- (a, n-k- 1) — (a-1, n-k) ; a <4 a-/.- Mutando successivamente in questa eguaglianza a e /»• ri- spettivamente in a-1, k-1 ; a- 2, k-2 ; 0, k-a, si avranno le uguaglianze : T«.i) s («-1, n-k-\- 1) = (n-k, n) (a-1) — (n-k -f- 1, n) (a- 2) -f (n-k, n) (a-1)' — (n-k -}- 1, a)(a-2)'-j- (a-1, n-k) — (a-2, n-k - 1) ; a-1 <( n-k -j- 1. ìj 3 (1,»-À* -f- a-1) — ( n-k -j- a-2, n) (1) — (n-k -j- (a-1, ri) (0) -|- (n-k-\-a-2,n) (1) — (n-k p- a-1, n) (0)' -{- (li n-k -{- a-2) — (0, n-k -f- a-1) ■(0) e (0, n-k - a) == (n-k a-1, n) (0) -f- (n-k -|- a-1, n) (0/ -J- (0, n-k a-1) Sommando le 7) membro a membro e riducendo si ricava : f). 3 (0 ,n-a -4 l ir) -4 3 (1 ,n-k -f a-1) ~4 . . . . + s (a,n-k) = (;n-k-l,n)(a)-\-{n-k-l,n) (a) -4 (a, n-k- 1 ) ; a < n-k. Questa è una nuova forinola di coincidenza per serie di coppie di punti. 8 Dott. Nicolò Giani paglia [ Memoria XV.] 4. La (a) del numero precedente si può anche scrivere così : Ba) £ (a, n-k) =z(a,n-k) (n- 1) -\- (n-k- 1, n) (a)' — (n-k, n)(a- 1)' — (a-l.n-k) ; a < n-lc perché, in virtù della 3) del § 1, è : ( a, n-lc ) (n- 1) = (n-k- 1, n) («) -|- («., n-k-1) — (?»-A'. «.) Moltiplicando la p) per (a + 1, n-k) (w-1), si ha : £•(« 1, n-k) (n- 1) = (a -f- 1 ,n-k) (n- 2) -f- («• + 1, «-&) (w-l)(»-l)' — («, -}- 1, w-A-) (?t-2, n) (n- 1), ma, per la 3) del § 1, è : (a -f- 1, n-A) (n-l)'= (n-k-l}n) (a -j- 1)' -f- («-(- 1 . v-k-V) — w) (a)' e d’altro canto, per la 0), è: (<* -f- 1, n-k) (n- 2, «•) — («■ 1, n-k-L- 1) -j- («•, v/-A'), quindi, sostituendo, si ottiene : K+i) £ (« + 1 ,n~k) (n- 1) = (a + 1, n-k) (n-2) + (»cA-l, w) (« 1)' (»-l) — («-A1, n) (a)' (n- 1) — (a, n-k) («-!). In modo analogo si trovano le eguaglianze che seguono : £ (« + 2, «-A-) (n-2) — (a + 2» 0»-3) + (n-k-1, n) (a -]- 2)' (n- 2) — (n-k, n) (a -)- l)'(»-2) — (a -}- 1, n-k) (n-2) &«+.*) s(» -f 3, w-fr) («-3) = («4~3, »»■*) («-*) + (w-A-1, «) (« 4-3)' (w-3) — (n-k, n) (a 4~ (n- 3) — («4~ 2, n-k) (n- 3) ò n-k-i ) &(n-k-2 ,n-k)(u-)—k—)—2) — (n-k-2, n-k) (<(4_ I’ 4~ 1)4— (n-k-1 ,n) (n-k-2) (a — j — — j — 3 ) — (n-k, n) (n-k-3)' (a 4~ k 4- 2) — (n-k -3, n-k) (a 4~ & 4~ 2). ^n-k-\) z(n-k-l,n-k,)(a-\-k-\- 1) — (n-k-1, n-k)(a-\-k) 4- (n-k-1, n) (n-k-1)' (a. 4-A4-I) — (11- k, n) (n-k-2)' (a 4- A' 4~ 1) — (n-k-2, n-k) (a-j-k 1). Forinole (V incidenza per le coppie : « punto e retta, retta e piano, ecc. 9 Dal sommare membro a membro le 8) risulta : i=n-k- 1 A). 2 £ (i, n-k) (n -f- a-i) = (n-k- 1, n-k) (a -f- k) — (a-1, n-k) i=a i=n-k- 1 i=n-k- 1 -f- I! (n-k-1, n) (n -f- a-i) (i)' — 2 (n-k, n) (n -(- a-i) (i-1)' ; a < n-k. i=a i=a La A) è ancora una nuova forinola di coincidenza, per serie CJO n+k—a jj COppie tli punti, più generale della T). Ponendo in es- sa k — 0, si lia (*) : A)' 2 2 (i,n)(n-\-a-i) =— (a-l,n) -f-2 (n-\-a-i) (i)'=— (a-l,n) +2 (i) (n -j- a-i)'. i=a l=a i=a Dalla A)', ponendo a = 0, si ricava la forinola che esprime il principio di corrispondenza nello spazio punteggiato da n di- mensioni, cioè : (**). 2 2 (i, n) ( n-i ) = 2 (») (n-i)' ; 2=0 2=0 ponendo a =. 1, si ottiene F altra nota forinola di coincidenza : 2 2 (i,n) ( n-i +1) = — (O,?0 + 2 (i) (n-i -j- P- (***)• i= 1 » = 1 § in. Formole d’ incidenza per il piano e la retta. 5. Il numero delle costanti della coppia, costituita da una retta e un piano incidenti, è : 3/<-4. Il principio di permanenza (*) Si conviene, mia volta per sempre , eli attribuire il valore zero ad ogni simbolo di condizione, il quale sia privo di senso , vale a dire ad ogni parentesi , gli elementi della quale non soddisfacciano in tutto alle disuguaglianze, di cui in principio della nota di pag. 1. (**) Cfr. M. Pieri — « Formole di coincidenza » N. 2. (***) Cfr. M. Pieri - Sopra un Problema di Geometria Enumerativa » Giornale di Ma- tematica. Atti Acc. Serie 4a, Vol. XVII — Meni. XV . 2 10 Doti. Nicolò Giampaglia [Memoria XV.] dei numeri ci fornisce le due seguenti relazioni fondamentali fra le condizioni caratteristiche a cui si può assoggettare una tal coppia : (a, n- 1, n) (n- 2, n) = (a, n) -f- (a, n-2, n) ; i a < n-1. (*) ahi) (a, n- 1, n) (n- 2, n- 1) = (a, n-1) -}- (a, n- 2, n-1) ; ' Infatti, se F [«] della condizione (a, n-1, ti) giace nell’ [a- 2] della condizione («-2, n), la condizione (a, n-1, ti) (n- 2, n) vien sod- disfatta tanto da quelle coppie la cui retta soltanto incontra l’[a], quanto da quelle altre il cui piano incontra F [rt] e taglia l’[n-2] in una retta ; nè potrà esser soddisfatta altrimenti , quindi, es- sendo tutte e tre le condizioni in parola del medesimo peso, deve sussistere la a\§). Così pure, se F [«] della condizione (a, n- 1, a) giace nell’ [n-1] della condizione (n- 2, n- 1), la condizione (a, n-1, n) (n-2, n-1) vien soddisfatta tanto da quelle coppie la cui retta giace nell’ [n-1] e incontra F [«], quanto da quelle altre il cui piano giace nell’ [n-1] e incontra F [a]; e soltanto in questi due modi, perciò, visto che le sudette tre condizioni sono dello stesso peso, dovrà sussistere la a®. 6. Dalle due forinole precedenti discendono immediatamente le altre due : Tm) («* «-2, ») (n-2, n) = (a, n-1, n) (n- 3, n) -\-(a, n-2, n-1) — (a- 1, n ) ; , a < n-1. «!;?) («, n-2,n) ( n-2,n-l)=(n-3 , n-1, n) ( a , n-1) -)- (a,n- 3, n-l)—(a-l,n-iy, ] Per ottenere la fio) moltiplichiamo simbolicamente la <4$) per (n-2, n), si avrà : (a, n-1, n) (n-2,n) (n-2, n) = (a, n) (n-2, n) -j- (a, n-2, n) (n-2, n) ma : (n-2, n) (n-2, n) = (n-2, n-1 ) -f- (n- 3, n) (a, n) (n-2, n) = (a, n-1) -f- (a-1, n) (*) Cfr. H. Schubert: — Ueber die Incidenz 6 2°, forinola 1), per m ” 1, y — 0,1. Forinole d' incidenza per le coppie : « punto e retta, retta e piano, ecc. 11 epperò : (a,n- 1, n) (n- 2, n- 1) -(- (a,n- 1, n) (n-3, n) = (a,n-l)-f- (a-l, n) -f- (a, «-2, n) (n-2, n). Questa uguaglianza, sostituendo al termine («, y«-l, w) (n-2, n- 1) il 2° membro della a\^) e riducendo, si trasforma nella y|°). Per ottenere la af;$), moltiplichiamo simbolicamente la a^o) per (w-2, n- 1), la 4,’i) per (w-2, w) e uguagliamo i secondi mem- bri risultanti, si avrà : (a, n-2, n) (n-2, n-1) = (a, n-2 ) -)- (a, n-2, n- 1) (n-2, n), cioè, segnando con sbarre due spazii che s’ appartengono : (a, n-2, n) (n-2, n-1) = (a, n-2) -(- (a, n-2, n-1) (n-2, n-1) ; ma per la 4®, applicata in un [w-1] di [w], si ha : (a, n-2, n-1) (n-3, n-1) — (n-3, n-2, n-1) (a, n-1) -f- (a, n-3, n-1), quindi, si può scrivere ancora : p) (a, n-2 , n) (n-2, n-1) = (a, n-2) -j- (a, n-3, n-1) -(- (n-3, n-2 , n-1 ) (a, n-1). La a^°), quando si ponga a = n-3 e tosto si moltiplichi per (a + 1, n), ci dà : q) (n-3, n-1 n) (a, n-1) — (a, n-2) -f- (a- 1, n-1) -]- (n-3, n-2, n-1) (a, n-1). Dal confronto della p) con la q) risulta la 7. Si moltiplichi simbolicamente la a^) per (n-3, w-1, w), si avrà : (a, n-1, n) (n-3, n-1, n) (n-2,n) = (n-3, n-1, n) (a, n) -)- (a, n-2, n) (n-3, n-1, n). La forni ola x) , citata in principio , relativa al prodotto di due condizioni inerenti al piano, ci dà in questo caso : (a, n-1, n) (n-3, n-1, n) = (a-1, n-1, n) -f- (a, n-2 , n), (a, n-2, n) (n-3, n-1, n) = (a-1, n-2, n) -]- (a, n-3, n) -|- (a, n-2 n-1), 12 Doti. Nicolò Giampaglia [Memoria XY.J perciò la precedente eguaglianza si può scrivere : {a- 1, n- 1, n ) (n- 2, n) -[- (a, n-2, n) (n-2, n) = (n- 3, n-1, n) (a,n) -|- (a-1, n-2, n) + («, n-3, n) + (a, n-2,n-l), e ancora, tenendo conto della a*$) (in questa si cambi a in «-1) e della fi;®) : (a- 1, n ) -j- (a-1, n-2 n) -]- (a, n- 1 n) (n-3, n) -j- («, «-2, n-1) — (a-1, ri) = = (n- 3, n-1, n) (a, n) -f- (a-1, n-2 , n) -f- (a, n-3, n) -]- (a, «-2, n-1) , cioè, riducendo : a|®) (a, n-1, n) (n-3, n) = (n-3, n-1, n) {api) -(- (a. n-3, n) ; a < n-2). Con analogo procedimento si trova : al;®) (a, n-1. n) (n-4, n) = (n-4, n-1, n) (a, n) -(- (a, n-4, n) ; a <[ n-3 , quando prima però si conosca la y!’,o) - A tal fine moltiplichiamo la ag’o) per {n-2, n-1), otteniamo : {a, n-1, n) (n-3, n-1) — (n-3, n-1, n) (a, n-1) -j- (a, n-3, n-1) , cioè, per la a|°) : a^®) (a, n-1, n) (n-3, n-1) — (n-3, n-1 n) (a, n-1) -(- (a, n-3, n-1). D’ altro canto, moltiplicando la a^°) per {n-2, n ), si ottiene : (a, n-1, n)(n- 3, n-1) -(- (a, n-1, n) (n-4, n)=(n-3, n-1, n) (a, n-l)-j-(n-3, n-l,n) (a-l,n) -)- (a, n-3, n) (n-2,n) ; questa uguaglianza per la «ss diviene : {a, n-1, n) (n-4, n) -[- (a, n-3, n-1) = (n-3, n-1, n) (a-1, n) -f- (a, n-3, n) (n-2, n), cioè : f|®) (a, n-3, n) (n-2, n) = {a, n-1 n) (n-4, n) -(- (a., n-3, n-1) — • (n-3, n-1, n) (a-1, n) Forinole (V incidenza per le coppie : «punto e retta, retta e piano, ecc. 13 Si moltiplichi ora la 4$) per (n-4, n- 1, n) ; sviluppando po- scia i prodotti relativi a due condizioni del piano secondo la nota forinola -) e sostituendo si avrà : (a-2,n-l, n) (n-2, n) -{- (a-l, n- 1, n) (n- 2, n) -j- (a, n- 3 n) (n-2,n) = (n- 4, n- 1, ») (a,») «-2, m) — f— (cf-1, m-3, n) -}- (a, n-1, n)-\-(a- 1, «.-2, m-1) -j- (a, n-3, n-l). Questa eguaglianza, trasformandone il 1° membro mediante la <4;§) (cangiando a in a- 2), la filo) (cangiando a in a-l) e la ilo) e tosto ri ducendo, diverrà : (a-l, n-1, n)(n- 3, n) -j- (a, n-1, n) (n-1, n) — (n-3, n- 1, n) (a-l,n) rr («-4, n-1, w) (a,n) • -(- (a-l, n-3, n) -)- (a, n-4, n), ina per la (cangiando « in a-l) è : (a-l, ii-l n) (n-3, n) = (n- 3, n-1, n) (a- 1, n) (a-l, n-3, n), quindi, sostituendo e riducendo, si perviene alla 4$). 8. Come dalle 4$), 4|i) si ricavò la «|J), così, con analogo procedimento dalle 4o), 4$) si otterrà la : a|;J) (a, n-3, n) (n-2, n-1) — (n-4, n-1, n) ^-(a, n-4, n-1) — (n-3, n-1, n) (a-l, n-1) ; a T^o), aìj}), si otter- rebbe la : (a, n-1) (n-5, n) rr: (n-5, n-1, n) (a, n) -(- (a, n-5, n) ; Forinole (V incidenza per le coppie : « punto e retta, retta e piano, ecc. 15 sicché, applicando ripetutamente i varii procedimenti fin qui te- miti, verremmo ad ottenere in generale le seguenti forinole d’in- cidenza : a};“0) (a, n- 1, ri) ( n-k , n) = (n-k, n- 1, n) (a, n ) -f- (a, n-k, n) ; a < n-k -|- 1, a2,ì°) (aì n~^ì n) (w-2, w-1) = (n-k- 1, ii- 1, n ) (a, n-1) -j- (a, n-k- 1, n-1) — (n-fc, n-lM) (n-1, n-1) ; a -l. n-2), si ottengono rispettivamente le relazioni : {n-k- 3, n- 2, n-1) (a, n-3) = {n-k- 3, n-1, n) (a, n-3) — (a, n-Zt--4) — (a-1, n-k- 3) — (a-2, n-k-2) — — {a-k-1, n-3), {n- 3, «-2, n- 1) {a, n-k- 3) = (n-3, n-1, n)(a, n-Zc-3) — (a, n-Zr-4) — (a-1, n-k-3), (n-k-l, n- 2, n-1) (a-2, n-3) = (n-fc-1, n-1, n) (a-2, n-3) — (a-2, n-Zc-2) — — (a-/c-l, n-3), sicché, sostituendo questi risultati nell’ ultima eguaglianza e ri- ducendo, si ha : af;3°) (a, n-k , n) (n-4, n-3) = (n-k-3, n- 1, n) {a, n- 3)-J- (a, n-Z>3, n-3) — (n-3, n-1, n) (a, n-k-3) — (n-Z’, n-1, n) (a.-3, n-3) ; a n-k-2). In generale , applicando successivamente Z-l volte il pre- sente procedimento, si troverà : o.'ifu) {a, n-k , n) (n-Z-1, n-l) — (n-k-l, n-1, n) (a, n-Z) -(- (a, n-k-l, n-Z) — (n-Z, n-1, n) (a, n-Zi-Z) — (n-k, n-1, n) ( a-l , n-l) ; a < n-l-k -[- 1. 11. Intanto, se la «a si moltiplica per (w-Z-1, n-Z), si ottiene T eguaglianza : (a, n-1, n) (n-k-l, n-l) — (n-lc, n-1, n) (a-Z, n-Z) -(- (a, n-Z;, n) (n-Z-1 , n-l), che, in virtù della af|°l z), si trasforma nell’ altra : («5 n-1, n) (n-k-l, n-l) = (n-k-l, n-1, n) (a, n-Z) -)- (a, n-À-Z, n-Z) — (n-Z, n-1, n) (a, n-Zc-Z) ; Atti Acc. Serie 4a, Vot. XVII - Mera. XV. a n-l-k -j- 1. 18 Doti. Nicolò Giambia glia [Memoria XV.; 12. Or la applicata in un [r-6] di [«], diviene : (a, n-Jc-s , n-s ) (n- 2, n) = (a, n-k-s, n-s) (n-s-2, n-s ) = (n-k-s-l, n-s- 1, n-s) (a, n-s) -(- {a, n-k-s- 1, n-s) -[- (a, n-k-s , n-s- 1) — ( n-k-s , n-s- 1, n-s) (a- 1, n-s) ; a < »-fe-s e d’altro canto la <4»°^), ponendo : una volta n-k-s-l in luogo di a, ,s in luogo di l, k = 1 e quindi moltiplicando per (« + s, n) ; un’al- tra volta n-k-s in luogo di a , s in luogo di l, k =. 1 e quindi moltiplicando per (a + 6-1, n), ci fornisce le due relazioni : (n-k-s- 1, n-s- 1, n-s) (a, n-s) = (n-k-s- 1, n-1, ») (a, n-s) — j— (n-s, n- 1, n) £ (a-1, n-k-s) — J— (a-2, n-k-s — j— 1) — |— ~ (a-k, n-s- 1) j — (n-s-1, n- 1, n) f (a, n-k-s)-\- (a- 1, n-k-s — J— 1) — [— (a-k, n-s) ] , (n-k-s, n-s- 1, n-s) (a-1, n-s)=(n-k-s, n- 1, n) (a-1, n-s) — [— ( n-s , n- 1, n) J (a-2, n-k-s~ j— 1) — j — (a-s, n-k-s j 2 ) — [— ..... — j — (a-k, n-s-1) | — (n-s-1, n-1, n) [ (a-1, n-s-k- 1- 1)-J- (a-2, n-s-k- \-2) -j- (a-k, n-s)] , perciò, sostituendo nella precedente eguaglianza e ri ducendo, si avrà la forinola : a!ì,os’s) (ai n-k-s, n-s) (n- 2, n) = (n-k-s- 1, n- 1, n) (a, n-s) -j- (n-s, n-1, n) (a-1, n-k-s) -j- (a, n-k-s- 1, n-s) -)- (a, n-k-s, n-s- 1) — (n-k-s, n- 1, n) (a-1, n-s) — (n-s-1, n- 1, n) (a, n-k-s) ; a < n-k-s. 13. Allo stesso modo si passa dalla a £4°^) alla forinola più generale Difatti la rffij), applicata in un [w-6] di [w], si trasforma come segue : Formole d' incidenza per le coppie : «punto e retta , retta e piano, ecc. 19 (a, n-k-s, n-s) { n-l-1 , n-l) — (a, n-k-s, n-s) (n-l-s- 1, n-l-s) = — (n-l-k-s, n-s- 1, n-s) {a, n-l-s) -j- (a, n-k-l-s, n-l-s) — (n-l-s, n-s- 1, n-s) (a, n-l-k-s) — (n-7c-s, n-s- 1, n-s) (a-l, n-l-s) ; a <)n-l-k-s-\-l, mentre dalla medesima, se si pone : una volta n-l-s-k in luogo di a, s in luogo di l, k = 1 e quindi si moltiplica per (a + s , n-l) ; un1 altra volta n-l-s in luogo di a, s in luogo di l, k — le quindi si moltiplica per (a + s, n-l-k ) ; una terza volta n-k-s in luogo di a, s in luogo di /, k — 1 e quindi si moltiplica per (a + s-l, n-l), si ricavano le seguenti relazioni : (n-l-s-k, n-s- 1, n-s) (a, n-l-s) — ( n-l-s-k , n-l, n) (a, n-l-s) -)- (n-s, n-l, n) [ (a-l, n-2 (— 1) -|- -)- (a-Z-A--|-l, n-l-s- 1)] — n-l,n) [ (a, n-2l-s-k 1) -(- -(- (a-l-k- j-1, n-l-s) ] , (n-l-s, n-s- 1, n-s) (a, n-l-k-s) = (n-l-s, n-l, n) (a, n-l-s-k) -j- (n-s, n-l, n) [ (a-l, n-2l-k-sJri) -|- -(- (a-Z-j-1, n-l-s-k- 1) | — (n-s- 1, n-l , n) [ ( a,n-2l-k-s — [— 1) — )— -j- (a-l- (-1, n-l-s-k) J , (n-k-s, n-s- 1, n-s) (a-l, n-l-s) = (n-k-s, n-l, n) (a-l, n-l-s) -(- (n-s, n-l, n) [ (a-l- 1, n-l-s-k- (-1) -j- -[- (a-l-k-)- 1, n-l-s- 1) | — (n-s- 1, n-l, n) | (a-l, n-l-s-k-)- L) -|- -)- (a-l-k- j-1, »-Z-s)], perciò, sostituendo nella precedente eguaglianza e riducendo, si ottiene la forinola : (a, n-k-s, n-s) (n-l- 1, n-l) — (n-l-s-k, n-l, n) (a, n-l-s) -)- (a, n-l-s-k, n-l-s) -(- (n-s, n-l,n) (a-l, n-l-s-k) — (n-l-s, n-l, n) (a, n-l-s-k) — (n-k-s, n-l, n) (a-l, n-l-s ) ; a < n-l-s-k 1, 20 Boti. Nicolò Giampaglia [Memoria XV.] la quale è una forinola d’ incidenza, di (a A 2s 21 A k-a- 3)ma di- mensione, abbastanza generale per la coppia di un piano e una retta incidenti, e, riferita ad una serie algebrica 00”+a,+2i+fc-a'3 di tali coppie, rappresenta una relazione tra numeri, ciascun dei quali si riferisce ad una delle condizioni fondamentali in essa scritte, esprimendo quante coppie della serie soddisfano quella condizione. lf. Alquanto caratteristica, ma non del tipo delle forinole a), è la formola d’ incidenza : 7j) (a, 11- 1, n) f (n - ~ - 1, nf — (n - A , n-1)2] = (n-r, n) f (a, n) -f (a, n- 2, n) ], di (n -f- r - a - 2)ma dimensione, valida per r pari ed a < n-1. Per la dimostrazione, risolviamo, secondo la formola 0), i due prodotti simbolici : (» " \ - b n) b »)> (» " \ , » - !) ( » - \ , n-1) , che possono anche denotarsi rispettivamente coi simboli : (« - A - 1, n)2, (n - A , n-1)2, si avrà : (n - A - 1, n)2 = (» - A - 1, » - A ) + (» - A - 2, n - A -f 1) A A (n-r A n-2) A (n~ri n-i) A (n-r-i, n) 9 i n-1)2 = (n - — - 1, n - — ) A (w “ ~ n - — A 1) A A A»' A b n-2), da cui, sottraendo membro a membro, si ricava : tb (n - ~2 " b A — (n ~ ~y i n-1)2 = (n-r, n-1 ) A (n-r- 1, n) ; r numero pari. Or, se moltiplichiamo simbolicamente la a|$) per (n-r, n), si ottiene : (a, n-1, n) (n-r, n) ( n-2 , n ) = (n-r, n) [ (a, n) A A n-2, n) ]? Forinole (V incidenza per le coppie : « punto e retta , retta e piano, ecc. 21 ma, per la 0), è : (n-r, n) (n- 2, n) (n-r, n-1) -j- (n-r-1 , n) , quindi, in virtù, della relazione ji), si lia la vj). Riferita ad una serie algebrica ocY™'2 di coppie, costituite da una retta e un piano incidenti, la -q) esprime che : « la diffe- renza tra il numero delle coppie , per cui il piano incontra un dato [a], mentre la retta s’ appoggia a due dati [n - - 1], e il nume- ro di quelle per cui il piano incontra il dato [a], mentre la retta s’ appoggia a due dati [n - ',-] e giace in due dati [n-1], passanti rispettivamente per questi, uguaglia il numero delle copypie, per cui il piano incontra il dato [a] e taglia un dato [n-2], passante per questo, secondo una retta , mentre la retta incontra un dato [n-r], accresciuto del numero di quelle , per cui la retta soltanto s’ appoggia all ’ [a] e all ’ [n-r] » . § IY. Forinole d’ incidenza per il punto e il piano 15. La coppia, costituita da un punto e un piano incidenti., ha per numero di costanti : 3w-4. La forinola fondamentale d’ incidenza, relativa ad una tal coppia, si può ottenere per semplice calcolo dalle forinole fonda- mentali d7 incidenza, inerenti alle coppie di un punto e una retta, di una retta e un piano, incidenti. Basta infatti notare che, se un punto deve giacere in una retta e questa in un piano, anche il punto deve giacere in quel piano. Intanto, rispetto alla coppia di un punto e una retta incidenti, lia luogo la relazione : (n- 2, n) (n-1) = (n- 2) -(- (n-2, n-1), che si ricava dalla forinola 1) del § I facendo a— n-2 ; rispetto alla coppia di una retta e un piano incidenti, ha luogo l’altra relazione : (a, n-1, n) (n-2, n) =: (a, n) -j- (a, n-2, n), che è la forinola <4$) del § ILI. 22 Doti. Nicolò Giampaglia [Memoria XY.j Per aver dunque una relazione fra condizioni, relative al punto e al piano solamente, bisogna eliminare fra queste due eguaglianze le due condizioni (n- 2, n), (n- 2, n-1), inerenti alla retta. A tal fine si moltiplichi la prima di esse per («, n-1, n), la seconda per (n-1) e si uguaglino i secondi membri risultanti, si avrà : ( a , n- 1, n) (n- 2) (a, n- 1, n) (n- 2, n-1) = (a, n) (n- 1) -f- f a , n- 2, n) {n-1)-, questa eguaglianza, in virtù della 1) del § I e della <4’°) del § III, si trasforma nell’ altra : (a, n- 1, n) (n- 2) -j- (a, n- 2, ?j-l) = (a) -]- (or, «-2, «) (»-l), ossia : p['°) (a, n- 2, ti) (n-1) — (a, n-1, n) (n-2) -f- (a, ?*-2, n-1) — («) ; « n-1 (*), che è la forinola cercata. Questa forinola si può anche dimostrare col principio della conservazione del numero. Infatti, indicando per brevità con P e ~ rispettivamente il punto e il piano della coppia, prendasi l’[>?-2] della condizione («, n- 2, n) nell’ [n-1] della condizione (n-1) ; al- lora la condizione («, n 2, n) (n-1) sarà soddisfatta : 1°) Se P giace nell’ [n-2] senza giacere in [u], da tutti i piani % che incontrano [a], i quali taglieranno di conseguenza 1’ [n-2] secondo una retta e da questi soltanto ; 2°) se P non giace nell’ [n-2] ma soltanto nell’ [n-1] , da tutti i piani % che incontrano [«] e giacciono in questo [n-1] e da essi soltanto. Dunque le coppie (P, it) che soddisfano la condizione («, n-2, n) (n-1), saranno parte di quelle che soddisfano la con- dizione ( a , n-1, n) (n-2), più tutte quelle che soddisfano la con- dizione (a, n-2, n-1) ; e le coppie , soddisfacenti la condizione (*) Cfr. H. Schubert Ueber die hicidenz § 3, forni. 6) per m ~ 0, v — 0. Forinole ( 458 ) Il luogo, gli strumenti meteorici, le ore di osservazione e il modo di fare le medie degli elementi osservati , sono quelli stessi adoperati negli undici anni precedenti , e se ne trova la descrizione nella nota pubblicata nel 1898 x) : rammentiamo qui soltanto che le coordinate geografiche dell1 Osservatorio sono : Latitudine boreale 37° 30' 13", 21 Longitudine Est da Green wicli . I'1 0'n 18s, 9 e che il pozzetto del barometro è elevato 61, 9 in. sul livello medio del mare, e 19 m. sul suolo : gli altri strumenti meteo- rici circa altrettanto. Aggiungiamo che nel novembre 1902 fu acquistato un re- gistratore delle scariche elettriche atmosferiche del tipo Boggio Lera 2) con coherer a palline : la sua antenna collettrice alta 6 m. è collocata sul terrazzo dell’ Osservatorio, e il rimanente dell’ apparecchio nella sottostante stanza insieme con gli altri strumenti. Ancora, nell’estate 1903 e stato collocato sullo stesso terrazzo un pluviografo a galleggiante, tipo HELLMAior, di proprietà del 9 Ricco A. e Saija G., Risultati delle osservazioni meteorologiche fatte nel quinquennio 1892-96 all’ Osservatorio di Catania— Atti dell’ Acc. Gioenia di scienze naturali, Serie 4a Voi. XI. Catania, 1898. ') Roggio - Lek a E., Sopra un apparecchio registratore delle scariche elettriche dell’ at- mosfera. Ibid. A ol. XIII, 1900 — Sui miei, apparecchi segnalatori e registratori dei temporali . H’id. Voi. XIV, 1901. — Un’ utile modificazione del coherer per gli apparecchi segnalatori dei temporali. Ibid. Voi. XV, 1902. Atti Acc. Serie 4% Voi.. XVII - Mera. XVI. 1 2 Prof. A. Piccò e L. Mendola [Memoria XVI.] nostro P. Uffizio del Genio Civile, nel quale è allo studio la bonificazione della Piana di Catania. Il funzionamento è stato eccellente : così ci sarà possibile di intraprendere uno studio esatto sulla intensità della pioggia, ciò che era stato impossibile finora per la mancanza di un apparato registratore. I quadri X. 1, 2 e 3 contengono i risultati delle osservazioni dell’ anno meteorico 1903 ( dicembre 1902 a novembre 1903 ) : come ne’ precedenti riassunti le temperature e pressioni barome- triche non sono ridotte al livello del mare, nè queste ultime al valore normale della gravità. quadro N. 3 si aggiunge da quest’ anno il numero dei giorni nei quali si sono avute abbondanti scariche elettriche atmosferiche, registrate dall’ apparato su menzionato. Xel Quadro ]ST. 1 si trovano de’ singoli elementi i valori medi dedotti dal dodicennio di osservazioni dicembre 1891 a novembre 1903, valori che consideriamo provvisoriamente come normali. Della temperatura si riportano nella seconda colonna i valori ridotti col calcolo al livello medio del mare: così ancora la quarta colonna contiene i valori della pressione atmosferica ri- dotta al livello del mare e al valore gA. della gravità alla lati- tudine di 15°. Confrontando i valori delle stagioni e dell’ anno in esame con i corrispondenti dell’ anno precedente, abbiamo ottenuto il seguente specchietto : Temperatura cieli’ aria Pressione atmosferica Tensione del vapore Umidità relativa Evaporazione all’ ombra Pioggia totale ,r> 4=> J© rS © © 0 .2 ‘5 o X HH Inverno. - 1,1 + 3, 4 — 0, 65 — 0,3 — 0, 07 — 9,6 + 12,5 — 0,08 Primavera . 0, 0 0, 0 — 0, 47 — 3,3 + 0, 80 —107, 4 — 14,4 — 0,01 Estate. . — 1,0 — 0,5 — 0, 61 - 1,3 — 0, 14 + 15,9 + 6,7 — 0,01 Autunno - 0,7 + 1,5 1 co co — 6,8 + 0, 44 — 615, 4 — 14,8 + 0,02 Anno - 0,7 + i»o — 1, 80 — 2,3 + 0,26 —716, 5 + 4,6 — 0,02 Risultati delle osservazioni meteorologiche del 1903 , ecc. Sono da notare i valori della temperatura, più piccoli in quasi tutte le stagioni ; quelli eierati della pressione atmosferi- ca e della nebulosità nell’ inverno ; quelli più bassi della tensio- ne e dell' umidità nell’ autunno, e della nebulosità nella prima- vera e nell’ autunno. Le divergenze poi sono grandissime nelle quantità di pioggia caduta nella primavera e nell’ autunno, e ciò è dovuto tanto alla eccessiva abbondanza dell’ anno precedente quanto alla scarsità di quest’ anno. Passando poi a paragonare gli stessi valori con quelli me- di del dodicennio si ha quest’ altro specchietto : © § .2 <3 ® Ir zi 25 © 2 u - n, — Tensione del vapore C? ’S ^ © Evaporazione all’ombra © ’5jo tfj s +2 "cc % £ Insolazione Inverno . — 0,2 + 3,7 — 0, 26 - 1,8 + 0, 09 — 85, 5 + 2, 0 — 0,03 Primavera . 0, 0 + 0,1 - 0,27 9 9 + 0, 65 — 53,7 + 5,2 — 0,06 Estate . - 0,7 — 0,2 — 0, 96 — 1,4 + 0, 05 — 5, 8 — 4,0 — 0,07 Autunno — 1,0 + 0,6 — 4, 62 — 3,6 0, 00 —140, 4 — 8,6 — 0, 06 Anno — 0,5 + 1,0 - 1, 52 — 2,3 + 0,21 —285, 4 - 1,4 — 0,04 Da questo si ricavano conclusioni del tutto analoghe alle precedenti, eccetto che per la nebulosità, la quale si «è scostata poco dalla normale. È degna poi di nota la scarsezza della quan- tità di pioggia in tutte le stagioni : di fatto si hanno valori presso che uguali alla metà della normale ; e il valore annuale è superato, in difetto da due soltanto di quelli del trentottennio 1865-1903, e cioè da 190,5 nel 1867 e 308,6 nel 1871 ’). Anche nel 1903 si sono avuti dei crepuscoli rosei , ma ge- neralmente deboli : alquanto più intensi nel febbraio e ne’ primi di marzo : non hanno raggiunto che l’ intensità 4, indicando con q Mendola L., La pioggia in Catania dal 1865 al 1900 — Atti dell’ Acc. Gioenia di scienze naturali, Ser. 4a Voi. XV, pag. 64. Catania, 1902. 4 Prof. A. Piccò e L. Mendola [Memoria XVI.] 10 T intensità massima dei grandi crepuscoli rosei del 1883-'!. L’ anello di Bishop (anello di diffrazione intorno al sole) si è visto poclie volte, in forma di arcone, ossia ponte a sesto rial- zato sull’ orizzonte al luogo del tramonto ; qualche volta si è visto striato, come nel 1883-1. A sole alto in Catania non si è mai visto 1’ anello di Bishop ; solo qualche volta si è potuta osservare fra le nubi una nebulosità rossastra sotto al sole. Al 23 agosto a Bundazzo (altit. 751 m.), occultando il sole, abbiamo visto 1’ anello di Bishop, sensibilmente rossastro, all'e- sterno, ma assai debole. Questa diminuzione dei crepuscoli rosei nel 1903, in confronto di quelli del 1902 , sembra coincidere con la diminuzione dell1 opacità dell1 aria che generalmente si è osservato aver avu- to luogo dal 1902 al 1903. Catania, febbraio 1904. Risultati delle osservazioni meteorologiche del 1903 , ecc. o Quadro N. 1 — 1903. © ^ r®. © Medie dei massimi diurni di temperatura, dei minimi e delle escurs. © a © et u u © © — -+-S - o ri ® © H 7B Temperature medie del suolo Profondità Temperatura acqua del pozzo M 111 E Ohi, 20 Om, 40 Om, 60 0 0 O 0 0 0 0 0 O Dicembre. . ii, i 14, 7 8, 4 6, 3 13, 2 10, 9 12, 1 13, 3 16, 3 Gennajo . . 10, 7 14, 6 7/0 7, 5 1 12, 1 10, 0 10, 6 11, 4 16, 2 Febbrajo. . 10, 5 14, 6 6, 9 7. 7 77, 6‘ 9 , 9 10, 6 77, 2 16, 2 Marzo . . . 12, 7 16, 4 9, 2 7, 2 12, 3 12, 4 12, 8 13, 0 16, 2 Aprile . . . 11, 1 18, 5 10, 0 8, 4 12, 9 14, 7 15, 2 15, 2 16, 1 Maggio . . 19, 1 22, 8 15, 0 7, 7 15, 3 18, 2 18, 8 18, 4 16, 1 Giugno . . 21, 3 25, 2 17, 1 8, 0 17, 6 23, 0 23, 2 22, 8 16, 2 Luglio . . . 25, 1 29, 1 20, 3 8, 8 19, 7 26, 8 27, 1 26, 4 16, 3 Agosto. . . 26, 6 30, 6 22, 0 8, 6 21, 6 28, 1 28, 5 28,0 16, 3 Settembre . 23, 2 26, 6 19. 8 6, 8 21, 6 25, 3 26, 0 26, 0 16, 3 Ottobre . . 19, 8 23, 9 16, 0 7, 9 20, 1 19, 7 20, 8 20, 9 16, 3 Novembre . 14, 4 17, 9 11, 2 6, 7 16, 5 15, 0 16, 0 16, 4 16, 3 Inverno . . 10, 8 14, 6 7, 5 7, 2 12, 3 10, 3 11, 1 12, 0 16, 2 Primavera . 15, 3 19, 2 11, 4 7, 8 13, 5 15, 1 15, 6 15, 5 16, 1 Estate . . . 24, 4 28, 3 19, 8 8, 5 19, 7 26, 0 26, 2 25, 7 16, 3 Autunno. . 19, 1 22,8 15, 7 7, 1 19, 4 20, 0 20, 9 21, 1 16. 3 1 1 Anno . . . 17, 4 21, 2 13, 5 7, 7 16, 2 17, 8 18, 5 18, 6 16, 2 6 Prof. A. Ricco e L. Olendola | Memoria XVI.] Quadro ST. 2 — 1903, Pressione atmosferica O © 2 & JL s j. £ ^ © H % cz > Umidità r e 1 a t i v a © et *5 'S, et ~ £ *c3 w Dicembre . Inni 756, 7 mm 7, 07 66, 7 mm 2, 21 Gennajo . . 762, 4 6, 70 66, 7 7, 76 Febbrajo. . 768, 0 6, 30 63, 0 1, 98 Marzo . . . 758, 1 7, 39 64, 4 2, 39 Aprile . . . 7 52,6 7, 04 56, 3 4, 02 Maggio . . 755, 6 9, 71 57, 0 3, 99 Giugno . . 754, 8 11, 05 56, 8 3, 97 Luglio . . . 756, 3 11, 38 46, 7 5, 44 Agosto. . . 756, 7 13, 12 48, 8 5, 85 Settembre . 758, 8 12, 97 59, 5 3, 91 Ottobre . . 757, 4 10, 88 60, 2 3, 86 Novembre . 757, 4 8, 53 65, 2 1, 81 Inverno . . 760, 6 6, 70 65, 5 1, 99 Primavera . 755, 4 8, 06 59, 3 3, 46 Estate . . . 756, 0 11, 90 50, 7 5, 10 Autunno. . 757, 9 7, 13 61, 6 3, 20 Anno. . . . 757, 4 8, 46 59, 2 3, 45 totale ’cQ INSOLAZIONE Pioggia © A B A ~B mm h h 95, 1 53, 8 100, 4 296, 5 0, 34 20, 3 58, 8 110, 2 305, 1 0, 36 27, 2 36, 3 167, 1 301, 0 0, 56 28, 9 48, 9 165, 0 370, 4 0, 45 14, 7 45, 3 176, 5 394, 4 0, 45 8, 7 53, 8 181, 7 438, 4 0, 41 11, 7 32, 8 189, 5 439, 9 0, 43 4, 2 8, 3 230, 8 446, 6 0, 65 0, 0 1, 7 302, 6 419, 0 0, 72 23, 9 25, 1 153, 9 370, 8 0, 42 30, 3 30, 6 172, 8 345, 8 0, 50 61, 6 47, 2 115, 6 303, 1 0, 38 142, 9 50, 1 377, 7 902, 6 0, 42 52, 3 49, 4 523, 2 1203, 2 0, 43 15, 9 14, 0 782, 9 1305, 5 0, 60 115, 8 34, 3 442, 3 1019, 7 0, 43 326, 9 36, 9 2126, 1 «• 4431, 0 0, 48 Risultati delle osser razioni meteorologiche del 1903 ecc. i Quadro 3 — 1003. CZ o § 5 ESTREMI METEOROLOGICI ANNUI © Cw z Q > .2 ■g 2 OSSERVATI fi Massimo Minimo c. 41 39 56 40 176 10 22 Temperatura 34, 2 1, 9 © N. 3 i 8 dell’ aria 16 luglio 25 dicembre *5 NE 7 17 16 12 52 9, 1 Temperatura 22, 7 © ci E. 6 9 9 6 30 del sotterraneo 2 settembre 20 febbraio ci © SE 0 1 2 1 4 0m , 20 29, 0 7, 0 7 16 agosto 26 dicembre © S . 1 0 0 3 4 | s: = sw 18 4 4 15 41 0m , 40 29, 3 9, 0 5 n I 16-17 agosto 27 dicembre C- ^ i © w 7 17 4 5 33 Om , 60 28, 3 10, 9 -H NW 0 2 0 i 3 16-20 agosto 27-28 die. Temperatura 16, 4 16, 0 sereni .... 26 26 71 31 154 acqua del pozzo 30 novembre 28 aprile ■- misti 39 41 19 40 139 Pressione 772, 3 740, 7 © 5) atmosferica 9 febbr. 9»' 30 nov. 151» ’© coperti . . . 25 25 2 20 72 Tensione 20, 53 2, 37 © con pioggia . 27 28 8 26 89 vapore acqueo 13 sett. 21b 17 febb. 211» © © i con grandine. 2 0 0 0 2 Umidità 95 18 © © a con nebbia . . 4 6 0 4 14 relativa 28 mar. 211» 12 apr. 151» © c8 © con brina . . 0 0 0 0 0 Evaporazione 11, 67 0, 45 © all’ ombra 11 ottobre 8 dicembre "© con temporale 3 4 3 6 16 1 39 25 11 92 Velocità oraria 33 Km N 'con scariche elettriche 17 del vento 23 die. 14h 1 8 Prof. A. Piccò e L. Mendola [Memoria XVI.] Quadro N. 4 - Medie 1892-1003. Tempe dell’ all’ osser- vatorio ratura aria ridotta al mare Press atmos all’ osser- vatorio rione ferica rid. al ma- re e a g Tensione del vapore acqueo ’S Cg — ' © s "E cT > « Se ÒL ■ \j|iso[uq9jsj Insolazione Gennajo . . 0 10 , 2 0 10, 6 mm 757, 3 mm 762, 8 mm 6 , 50 65, 9 mm 1, 88 mm 61, 7 45, 7 0, 46 Febbrai o . 11, 0 11, 4 756, 5 762, 0 6, 86 66, 4 1, 99 66, 6 48, 7 0, 46 Marzo . . . 12, 6 13, 0 755 , 3 760,7 7, 27 64, 1 2, 31 46. 6 46, 7 0, 48 j Aprile . . . 15, 0 15, 5 75.5, 1 7 60,4 8, 26 62, 6 2, 69 38, 4 46, 2 0, 46 Maggio . . 18, 4 18, 8 755, 6 760, 8 9, 46 57, 9 3, 43 21, 0 39, 6 0, 52 Giugno . . 22, 8 23, 1 756, 1 761, 3 11, 64 52, 8 4, 51 6, 4 25, 9 0, 61 Luglio . . . 26, 2 26,6 755, 9 761, 0 12, 93 48, 5 5, 55 2, 0 11,2 0, 71 A gosto . . . 26, 2 26, 5 756, 5 761, 6 14,02 54, 0 5, 11 13, 3 16, 8 0, 68 Settembre . 24, 1 24, 5 757, 2 661. 5 13, 29 58, 6 4, 50 54, 0 28, 8 0, 56 Ottobre . . 20, 6 21, 0 757, 2 762, 5 12, 27 66, 3 3, 05 87. 3 47, 5 0. 47 Novembre . 15, 6 16, 0 757, 5 762, 8 9, 68 70, 7 2, 05 114. 0 52. 3 0. 43 Dicembre . 11, 8 12, 1 756, 8 762, 2 7, 54 69, 5 1, 89 100, 1 49, 9 0, 42 Inverno . . 11, 0 11, 4 756, 9 762, 3 6, 96 67, 3 1, 90 228, 4 48, 1 0, 45 Primavera . 15, 3 15, 7 755, 3 760, 6 8, 33 61, 5 2, 81 106. 0 44, 2 0, 49 Estate . . . 25, 1 25, 4 756, 2 761, 3 12, 86 52, 1 5, 05 21. 7 18, 0 0, 67 Autunno. . 20, 1 20, 5 757, 3 762, 5 11, 75 65, 2 3, 20 256, 2 42, 9 0, 49 Anno . . . 17, 9 18, 3 756, 4 761, 6 9, 98 61, 5 3, 24 612, 3 38, 3 0, 52 Memoria XVII. Eruzioni e P i o g g i e. Nota di A. RICCO Indubbiamente 1’ acqua lia una grande parte nel funziona- mento dei vulcani : masse enormi ne vengono lanciate fuori, sia allo stato di vapore, sia di fango, sia di acqua bollente : anche le lave già eruttate emettono grandi quantità di vapore acqueo. Inoltre da alcuni è ritenuto che 1’ acqua determini le eru- zioni penetrando nei focolari vulcanici, sia dal mare , sia per mezzo delle pioggie. Alcuni anni fa quest’ ultima ipotesi è stata discussa in relazione alle recrudescenze delle eruzioni vesuviane dai prof. Gr. De Lorenzo ed E. Semmola in seno alla K. Acca- demia delle Scienze di Napoli, ammettendo l’uno l’influenza di- retta delle acque di pioggia cadute sul vulcano e filtranti sino a contatto colla lava incandescente (1) e l’altro soltanto l’azione delle acque circolanti sotterra (2). Ho voluto cercar di vedere anch’ io quel che risulta, met- tendo in relazione le eruzioni etnee colla pioggia. Ho cominciato dall’ultima grande eruzione, quella del 1892, che, essendosi svolta nel versante meridionale dell’Etna e perciò proprio in faccia all’ Osservatorio ed alla portata dei nostri potenti cannocchiali , ha potuto essere seguita da noi giorno e notte in tutte le fasi della sua lunga durata, che fu di quasi 6 mesi : talché si è in grado anche di fare un confronto rigoroso (1) Dott. G. De Lorenzo — • Sulla probabile causa dell’ attuale attività del Vesuvio. Ren- diconti della R. Acc. delle Scienze di Napoli ; Maggio 1900. (2) Prof. E. Semmola — Le Pioggie ed il Vesuvio. Ibid.; Agosto e Dicembre 1900 e Marzo 1901. Atti Acc. Serie 4a, Vol. XVII — Meni. XVII. 1 2 A. Ricco [Memoria XVII] delle alternative numerose di attività colle cadute di pioggia: di queste abbiamo considerato solo quelle di 10 min. o più , rite- nendo che le minori non possano penetrare a molta profondità e produrre sensibili effetti. Ed ecco questo confronto : 27 agosto : pioggia 27.8 unii. Attività eruttiva mediocremente crescente , stazionaria nel giorno seguente, decrescente nel 3° giorno. 13 settembre : pioggia 12.3 mm. Attività crescente, fortemente crescente nel 2° giorno, poi stazionaria. 20 settembre : pioggia 13.6 mm. Attività stazionaria, stazionaria anche nei due giorni seguenti. 10 ottobre ; pioggia 10.1 mm. Attività non potuta determinare, stazionaria nei due giorni seguenti. 18 ottobre: pioggia 15.0 mm. Attività decrescente, stazionaria nei due giorni seguenti. 11 novembre: pioggia 17.6 min. Attività decrescente anche nei due giorni seguenti. 27 novembre : pioggia 26.3 mm. Attività eruttiva mediocremente crescente, stazionaria nei due giorni seguenti. 14 dicembre: pioggia 75.5 mm. ! Attività stazionaria, decrescente nei due giorni seguenti. 28 dicembre : pioggia 28.0 mm. Eruzioue finita in questo giorno. Riassumendo, si ha : Attività Eruttive Nel giorno della pioggia Nel 2° giorno Nel 3° giorno Crescente 3 1 0 Stazionaria .... 2 6 6 Decrescente .... 3 2 3 Indeterminata . . . 1 Si vede che i casi di attività crescente dopo la pioggia cir- ca si bilanciano con quelli di attività decrescente , e che pre- Eruzioni e Piogijie. 3 valgono i casi di attività stazionaria dopo la pioggia ; e clic neppure la straordinaria pioggia del 14 dicembre produsse ri- sveglio di attività eruttiva. ISTon risulta dunque una influenza immediata od a breve scadenza della pioggia sull’ eruzione del 1892. Ma questo studio può farsi sopra base più larga, facendovi contribuire tutte le eruzioni etnee di cui si conosce la data, ed osservando come sono avvenute in relazione al periodo annuo della pioggia, che, come è noto, in Sicilia è ben determinato , perché si ha una stagione affatto asciutta ed una stagione pio- vosa ; per simmetria dividendo 1’ anno in due semestri , 1’ uno contenente i mesi più scarsi di pioggia, 1’ altro quelli piovosi , si ha : Semestre asciutto : Aprile a Settembre. Semestre piovoso : Ottobre a Marzo. Riguardo alle eruzioni etnee, oltre quelle che diedero luogo alla prima formazione del vulcano, avvenute in epoca geologica precedente 1’ attuale, secondo 1’ Alessi sono citate (1) : 5 eruzioni preistoriche o mitologiche , preelleniche ed elle- niche, le quali diedero occasione ai miti relativi ai Titani, ad Encelado, a Proserpina, a Fetonte, a Bacco, ad Ercole, ecc. 16 eruzioni storiche, di cui anche 1’ anno è incerto, ed ap- partengono specialmente all1 epoca greca della Sicilia. 14 eruzioni storiche di cui si conosce 1’ anno : sotto 1’ im- pero romano. 21 eruzioni ricavate dai classici , delle quali è dato solo 1’ anno. 13 eruzioni ricavate da vari autori. 69 eruzioni di data certa, cioè di cui è dato sempre l1 an- no, talora il mese, ed il giorno, dal 1169 in poi. Sarebbero dunque in tutto 138 eruzioni più o meno note : (1) Storia critica delle Eruzioni dell’Etna. Atti dell’Acc. Gioenia Tomo IX, 1835, p. 207. 4 A. Ricco [Memoria XVII] ma di sole 62, dal 1169 in poi si conosce il mese in cui scop- piarono, lasciando quella del 253 che è isolata, quantunque si sappia che avvenne nel febbraio. Segue nella tabella l’ elenco delle eruzioni raccolte dalle migliori fonti, cioè dall’ Alessi, dal Ferrara, dal Recupero, ecc. Anno MESE GIORNO del principio dell’ eruzione Anno MESE GIORNO del principio dell’ eruzione 253 febbraio 1 1610 febbraio 6 1109 febbraio 1 o 2 1613 ottobre T 1285 gennaio 7 o 17 (1) 1614 luglio (2) 1 1323 giugno 30 1633 febbraio 21 1329 giugno 28 1634-36 dicembre 18 1329 luglio 15 1640 febbraio t 1333 ? f 1643 febbraio 1 1381 agosto 5 o 6 1646 novembre 20 1408 novembre 9 1651 febbraio 1 1444 ? ? 1669 marzo 11 1446 settembre 25 1682 settembre t 1447 settembre 21 1688 aprile f 1 1470 ? ? 1689 marzo 14 1494 ? 1 1693 gennaio 11 1536 marzo 22-23 1702 marzo 8 1537 marzo 11 1727 novembre 20 1566 novembre • 1 1732 dicembre 10 1579 settembre 9 1735 ottobre 11 1580 ? t 1744 ? I 1603 luglio 1 1747 settembre 1 1607 giugno 28 1752-4 ? 1 (1) Quest’ eruzione si disse contemporanea alla morte del Re Carlo I, la quale avvenne al 7 gennaio, ma la notizia giunse a Catania solamente 10 giorni [dopo : [tanto ho saputo dal Chiarissimo Collega prof. V. Casagrandi Orsini. (2) L ’ efflusso della lava di questa eruzione durò 10 anni. Eruzioni e Pioggie. 5 Anno M E S E GIORNO del principio dell’ eruzione Anno MESE GIORNO del principio dell’ eruzione 1755 marzo ? 1 1838 agosto 8 1758-9 ottobre ? 1842 novembre 27 1759 aprile 14 1843 novembre 17 1763 febbraio 6 1852 agosto 22 1766 aprile 26 1863 luglio 8 1780 maggio 18 1865 geunaio 30 1787 luglio 1 1868 dicembre 8 1792 marzo nei primi 1869 settembre 26 1802 novembre 15 1874 agosto 29 1805 luglio 11 1879 maggio 25 1809 marzo 27 1883 marzo 22 1811 ottobre 27 1886 maggio 18 1819 maggio 27 1892 luglio 8-9 1832 ottobre 31 1899 luglio 19 e 25 Naturalmente questo elenco non può esser completo, perchè nei tempi antichissimi (e forse più durante le tenebre d’ igno- ranza nel medio evo) 1’ Etna era più oggetto di terrore anziché di studio : sia per le spaventose sue conflagrazioni, sia per la su- perstizione ed il mistero religioso di cui pagani e cristiani cir- condavano il vulcano, sia per la cintura di foreste, presso che impenetrabili, formate di alberi colossali, dei quali ora restano pochi campioni celebri, come il Castagno dei cento cavalli , ormai decrepito e cadente. Si ha poi la prova della incompletezza dell’ elenco nel fatto che il numero delle eruzioni registrate è scarsissimo o nullo nei primi secoli, e poi va rapidamente aumentando, avendosi : Secoli XII XIII XIV XV XVI XVII XVIII XIX Eruzioni 1 1 5 6 5 16 16 20 6 A. Bieco [Memoria XVII] mentre in generale tutti i vulcani tendono alla estinzione , e quindi le loro eruzioni più probabilmente debbono andar dimi- nuendo di frequenza. Ad ogni modo, passiamo a studiare la distribuzione nei me- si, nelle stagioni e nei due semestri, come si è detto sopra, per le 58 eruzioni di cui è noto il mese dello scoppio; considerando clie le eruzioni dell’ Etna sono fenomeni grandiosi visibili a gran- de distanza, per cui non vi è ragione di credere che siano state tralasciate quelle di una stagione, piuttosto che di un’ altra, tanto più che siamo in un paese ove le vicende climatiche sono assai miti. La distribuzione delle eruzioni per mesi dell’anno meteorico ci dà : Dicembre Gennaio Febbraio Marzo Aprile Maggio Giugno Luglio Agosto Sett. Ottobre Nov. 3 3 7 9 3 4 3 8 4 6 5 7 Inverno Primavera Estate Autunno 13 16 15 18 Semestre asciutto : Aprile a Settembre 28 eruzioni Semestre piovoso : Ottobre a Marzo 34 eruzioni Considerando i semestri, si ha veramente una prevalenza sensibile delle eruzioni nel più piovoso ; ma se si guarda la distribuzione nelle stagioni, si trova che il numero delle eru- zioni è minimo nell’ inverno , che in Catania ed in Sicilia è la stagione più piovosa. Ma questo risultato contradittorio col detto prima, potrebbe spiegarsi col fatto che nell’ inverno, ed in parte della primavera, sopra circa la metà superiore del vulcano invece di pioggia cade neve, la quale permane sul suolo senza fondersi e senza penetrarvi ; ma poi allo sciogliersi delle nevi nella seconda metà della primavera e nel principio dell’ estate si dovrebbe avere la maggior frequenza delle eruzioni, e ciò non è, perchè in primavera, estate ed autunno si ha prossimamente la stessa frequenza delle eruzioni. Eruzioni e Pioggie. 7 Guardando poi ai mesi, si hanno massimi di frequenza delle eruzioni in marzo, luglio , e novembre , cioè in condizioni plu- viali affatto diverse cioè : con neve in Marzo, siccità in Luglio, pioggie abbondanti in Novembre. E così pure si hanno minimi di frequenza delle eruzioni in dicembre , gennaio , aprile e giugno , pure in condizioni af- fatto diverse riguardo alle idrometeore. Dunque neppure da queste statistiche pare risulti dimo- strato che la pioggia abbia una influenza immediata od a corta scadenza sulle eruzioni. Nè si potrà dire che la pioggia eserciti la sua influenza con un certo ritardo sulle eruzioni , occorrendo del tempo per penetrare tino ai focolari vulcanici ed eccitarvi le eruzioni ; perchè allora se il ritardo è di mesi o di stagioni si dovrebbe trovare nelle eruzioni il periodo annuo stesso delle pioggie, ma solo spostato in ritardo, il che non si verifica ; perchè anzi il semestre piovoso è quello che dà maggior numero di eruzioni , come se non vi fosse ritardo, e dopo le abbondanti pioggie e la fusione delle nevi della primavera, in estate ed autunno si han- no altrettante eruzioni quanto nella primavera stessa. Se poi il ritardo sia anche maggiore, allora per il dimorare e F immagazzinarsi dell’acqua nelle cavità del suolo, scomparirà 1’ influenza dell’ avvicendarsi delle stagioni , e si potrà trovare solo che le eruzioni seguono gli anni piovosi con ritardo di un certo numero di anni. Dalle osservazioni dei giorni piovosi tenute da O. Gemmel- laro dal 1816 al 1826 risultano più. piovosi a Catania e Nicolosi i seguenti anni, ai quali metteremo di contro gli anni delle eru- zioni che seguirono, si ha : Auni piovosi 1817 eruzione al 1819 : ritardo 2 anni id. 1820 id. 1832 > 12 » id. 1823 id. 1832 » 9 » id. 1826 id. 1832 » 6 » 8 A. Ricco [Memoria XVII] Per V anno piovoso 1817 si lia un ritardo dell1 eruzione di 2 anni, ma per gli altri anni piovosi non vi sono eruzioni se- guenti, se non quella del 1832, che dà un ritardo minimo di anni 6 ; quindi nulla può ricavarsi da questo confronto. Dal 1832 al 1859 furono fatte bensì osservazioni pluviome- triche all’ Università di Catania , ma sia per le molte lacune , sia forse per 1’ irregolare funzionamento dello strumento, non si può ricavarne alcun dato sicuro. Si aggiunga che appunto negli anni 1832 e 1838 in cui vi furono eruzioni, le osservazioni pluviometriche sono incomplete; e negli anni 1812, 1813, 1852, 1863, in cui avvennero pure delle eruzioni le osservazioni plu- viometriche non furono fatte. Per completare in qualche modo questo confronto possiamo valerci della lunga serie di osservazioni pluviometriche delFOs- servatorio di Palermo che comincia dal 1806 (1). La distanza fra Palermo e Catania (165 km.) non è così grande da cambiare il carattere delle annate dal punto di vista delle pioggie, tanto più che in Sicilia le meteore idriche, essendo prevalentemente inver- nali, non sono fenomeni locali, ma bensì portate dai vasti cicloni o depressioni barometriche che attraversano V Europa (2). Si ha dunque : Anni piovosi in Palermo 1808 Eruzione al 1809 ritardo 1 anni id. id. 1808 id. 1S11 » 3 » id. id. 1814 id. 1819 » 5 » id. id. 1816 id. 1819 » 3 » id. id. f 1820 id. 1832 » 12 » id. id. 1823 id. 1832 )) 9 » id. id. 1831 id. 1832 » 1 » id. id. / 1835 id. 1838 » 3 » id. id. 1840 id. 1842 » 2 » id. id. 1843 id. 1843 » 0 » id. id. 1849 id. 1852 » 3 » id. id. f 1853 id. 1863 » 10 > id. id. 1858 id. 1863 » 5 » id. id. 1863 id. 1863 > 0 » (1) Lo studio della pioggia in Palermo è stato fatto successivamente da Cacciatore, Tacchini, Millosevich e De Lisa. (2) Dobbiamo dire però che il rapporto della quantità di pioggia nelle due stazioni non è costante nei diversi anni, e quindi questo confronto non può avere che un valore limitato. Eruzioni e Pioggie. 9 Abbiamo indicato con una f le annate fortemente piovose (pioggia > 750 inni.). Anche qui non abbiamo alcuna regolarità nel ritardo delle eruzioni rispetto agli anni piovosi, e neppure rispetto ai molto piovosi, che più certamente lo furono anche per le regioni etnee. Finalmente al 1868 furono istituite regolari osservazioni plu- viometriche nell’ Università di Catania , le quali poi sono state diligentemente e coscienziosamente discusse e pubblicate dal D.r L. Mendola (1). Se ne ricavano con sicurezza gli anni più piovosi in Cata- nia dal 1865 in poi , cioè quelli che dànno dei massimi della quantità di pioggia : abbiamo distinto (come prima) i massimi più forti colla lettera f. / 1873-4 eruzione al 1874 e 1879 : ritardo 0 0 5 auni 1877 » » 1879 e 1883 » 2 0 6 » f 1880-1 » » 1883 e 1886 » 3 0 5 » 1883-4 » » 1883 e 1886 » 0 0 2 » 1887 » » 1892 » 5 » 1889-90 » » 1892 » 2 » f 1894 » » 1899 » 5 » 1896 » » 1899 » 3 » f 1898 » » 1899 » 1 » Scegliendo opportunamente le eruzioni seguenti gli anni piovosi, si può trovarne cinque le quali seguono col ritardo di 5 a 6 anni ; ma evidentemente il confronto così fatto è troppo artificioso, perchè se ne possa concludere qualche cosa di positivo. Tentiamo anche di cercare la relazione fra pioggie ed eru- zioni, in senso inverso , ossia vediamo se le eruzioni sieno state precedute da anni piovosi o meno; si ha : Eruzione del 1874 abortita : pioggie grandi nel 1873 e 1874. » » 1879 notevole: pioggie scarse nel 1878 e 1879. » » 1883 abortita : pioggie scarse nel 1882, maggiori della media nel 1883. » » 1886 grande : pioggia normale nel 1885, maggiore nel 1886. » » 1892 grande : pioggia poco superiore alla normale nel 1891 e 1892. » » 1899 centrale : pioggie grandi nel 1898, poche nel 1899. (1) Atti dell’ Acc. CHoenia Voi. XV, Serie IV, 1902. Atti Acc. Serie 4a, Vol. XVII - Mem. XVII. 2 10 A. Bieco [Memoria XV Abbiamo soltanto 1’ eruzione breve e piccola del 1874 e l’e- ruzione centrale nel 1899 di solo fumo e lapilli e quasi istanta- nee, precedute da grandi pioggie. [Finalmente dobbiamo notare che abbiamo avuto negli ultimi anni casi di pioggie strabocchevoli, non seguite da alcuna eru- zione. Infatti nel Settembre 1902 si ebbe 469 min. di pioggia, cioè quasi la pioggia normale di tutto l’ anno : nell’ Ottobre seguente la pioggia fu 239.5 mm. ancli’essa enormemente superiore alla me- dia del mese (66 mm.) : e non è seguita tinora alcuna eruzione. Nella la decade del 1904 la pioggia è stata di 223 mm. , cioè circa 10 volte la normale , e finora (giugno 1904) non si è veri- ficata alcuna eruzione. Pare dunque che dall’ esposto si possa concludere che le pioggie non hanno influenza a determinare le eruzioni dell’Etna. Certamente la percolazione dell’ acqua meteorica attraverso le falde dei vulcani ed attraverso il terreno attiguo si fa lenta- mente e viene regolarizzata e resa continua dalle cavità che in- contra ed ove si raccoglie ; come del resto accade per 1’ acqua che alimenta le comuni sorgenti. D’ altronde è noto che nelle caverne ha luogo stillicidio continuo in tutte le stagioni , e ciò si verifica pure nelle grotte vulcaniche, come in quella delle Co- lombe ed in quella degli Archi sull’ Etna, ed anche a non molti metri di profondità. Perciò le acque di pioggie non possono arrivare ai focolari vulcanici che in modo continuo e regolare e quindi non posso- no essere causa determinante delle eruzioni o dei parossismi vul- canici. Ma di fronte alla antica scuola dei nettunisti , i quali am- mettono che le acque del mare o delle pioggie producano le eru- zioni, sta la scuola più recente dei plutonisti i quali ritengono che le eruzioni siano prodotte semplicemente dal calor interno della terra, senza intervento di acqua dall’esterno, cioè dall’ atmosfera o dal mare; anzi alcuni vanno più avanti; ed alla testa di essi sta l’illustre geologo Prof. E. Suess, il quale ritiene che le acque, ed Eruzioni e Pioggie. 11 attualmente almeno una parte : quelle che egli chiama acque gio- vanili, acque nuove, acque vulcaniche, provengono direttamente dai gaz e vapori che si svolgono dalle lave o dal magma interno (. Entgassung ), e che quindi prendono parte per la prima volta alla circolazione idrica terrestre; mentre egli chiama acque gua- dose ( vadose ) le acque dei mari, dei fiumi, ecc., le quali da tempo fanno parte della detta circolazione. Certamente in origine le acque tutte provennero dal raffred- damento e condensazione del vapor acqueo dell’atmosfera, ab- bandonata dal globo terrestre incandescente, quando cominciò a consolidarsi : quindi 1’ origine ignea o plutonica dell’ acqua è fuori di dubbio. Ma anche attualmente, senza parlare dei vulcani di fango (la cui acqua dai nettunisti si vorrebbe far venire dal mare) , ovunque sui vulcani, ove il vapor acqueo delle fumarole può condensarsi, si ha produzione più o meno abbondante d’ acqua giovanile. Così a Vulcarolo presso l’Osservatorio Etneo (1), il fu- mo condensandosi, distilla, e si sente 1’ acqua cadere a goccie nel fondo di quel piccolo cratere, che ne contiene sempre alquanta. A Stromboli vi è una piccola sorgente d’ acqua, a metà del versante Est del vulcano, detta la Schìcciola , evidentemente prodotta dalla condensazione del vapor acqueo dello Stromboli stesso. Nelle Favare , grandi fumarole di Pantelleria, gli indigeni favoriscono la condensazione del vapor acqueo, mettendo degli sterpi obliquamente sulle bocche esalanti , con che 1’ acqua di condensazione percola in piccoli bacini, che servono a dissetare le greggi e talora anche gli uomini. Ma tornando al nostro argomento della relazione fra eru- zioni e pioggie, possiamo domandarci : poiché non risulta che le pioggie producono le eruzioni, può darsi che le eruzioni de- ci) Se si facesse la spesa di ima conduttura di 300 m. per portare il vapore di Vul- carolo all’ Osservatorio Etneo, si avrebbe per condensazione l’acqua ed il calore che ora ci procuriamo a stento, fondendo neve e consumando molto combustibile. 12 A. Ricco [Memoria. XVII] terminino le pioggie Domanda che avrebbe dal lato pratico un nesso intimo colla ancora dibattuta questione della influenza degli spari sulla grandine. Il Sarasin recentemente ha emessa F opinione che 1’ epoca glaciale sia stata prodotta dalle frequenti e violentissime eru- zioni d’ allora, che avrebbero ingombrato di ceneri F atmosfera, producendo impedimento alla radiazione solare , e copiosissima condensazione del vapor acqueo atmosferico : donde freddo in- tenso e nevi abbondantissime, che avrebbero coperto tìn F Eu- ropa di parecchie centinaia di metri di ghiaccio. Per rispondere direttamente alla domanda se le eruzioni determinino la pioggia, cominciamo dal caso semplice dell’ eru- zione del 1892. Come abbiamo già detto F estate in Sicilia è quasi priva di pioggia : sarà quindi facile vedere se F eruzione ne ha prodotta , come si potrà vedere se in generale nei mesi dell’eruzione la pioggia fu maggiore del solito; abbiamo infatti : MESI deir eruzione del 1892 PIOGGIA Normale 1*92 Differenza 1892 — N Luglio 2.3 4.0 + Agosto 8.5 29.0 + 20.5 Settembre 31.0 43.0 4- 12.0 Ottobre 66.3 51.8 — 14.5 Novembre 90.1 55.5 — 34.6 Dicembre 86.2 91.5 -f- 5.3 Totale. . . . 284.4 274.8 — 9.6 Le differenze mensili , quantunque positive nei primi tre mesi, sono piccole, discordanti, inconcludenti nell’ insieme; nel totale del periodo dell’eruzione la pioggia è anzi stata alquanto più scarsa del solito, e ciò malgrado le enormi colonne di fumo, la cui cenere spesso arrivava tino a Catania ed anche assai più lungi, ed i vapori arrivavano molto al disopra della cima del- F Etna, cioè oltre F altitudine di 3000 m. e malgrado le poten- Eruzioni e Pioggie. 13 tissime detonazioni che facevano tremare le invetriate in Catania. E dopo ciò si potrà credere all1 efficacia degli spari di minuscole artiglierie a far dissolvere in pioggia le nubi temporalesche % Ma consideriamo la cosa più in generale: vediamo cioè se le eruzioni sono state accompagnate o seguite da mesi o stagioni piovose, ed anche qui per ora non potremo considerare che gli anni posteriori al 1865 ; abbiamo : Data e durata dell’ eruzione Differenza della pioggia colla media in millimetri per mesi per stagioni 1865 : Gennaio 30 a Ging. 30 Febbraio ? , Marzo ? Aprile — 34 , Maggio — 17 Giugno — 2 , Luglio — - 2 Estate — 13, Autunno + 80 1868 : Dicembre 8 . Dicem. — 71 , Genn. -j- 4 Inverno (1869) : — 1 32 1869 : Sett. 26 Settem. — 25 , Ottob. — 42 Autunno - 38 1874 : Agos. 29 a Sett. 1 Settem. — 31 , Autunno — 27 1879 : Mag. 25 a Giug. 5 . Giugno — 7 , Estate — 106 1883 : Marzo 23 a 26. Marzo -f- 39 , Aprile + 26 Primavera + 48 1886 : Mag. 18 a Giug. 5 . Mag. — 6 , Giugno — 1 Estate • — 1 1892 : Luglio 8 a Die. 8. Luglio + 2 , Agosto + 20 Settem. -4- 12 , Ottobre — 15 Novem. — 35 , Dicem. -|- 5 Gena. — 41 Inverno — 100 1899 : Luglio 19 a 25 . . . Luglio — 2 , Agosto + 26 Estate +17 In generale si vede che, nè durante le eruzioni, nè dopo, nè per mesi, nè per stagioni, si ebbe pioggia maggiore della nor- male, anzi più spesso fu scarsa, cioè in 15 mesi su 23 conside- rati, ed in 6 stagioni, sopra 8 considerate. Possiamo dunque concludere che le pioggie non determinano le eruzioni etnee , e che queste reciprocamente non determinano le pioggie. ■ ' ■ . . — Memoria XVIII. Azione Fisiologica del Potassio del Prof. ANTONIO CORCI Dando uno sguardo alla bibliografia scientifica su quanto si è fatto relativamente all’ azione fisiologica e terapeutica del potassio e del sodio, e guardando come i diversi Trattati di Ma- teria Medica riassumono le conoscenze su tale argomento, si de- duce in generale che il potassio (s’ intende sotto forma di sale : carbonato, fosfato , solfato , nitrato, cloruro , bromuro , ioduro e acetato, tartrato, citrato e solfometilato, solfo-etilato, solfopropi- lato, solfo-butilato, solfoamilato ecc.) iniettato nella vena o sotto la cute secondo 1’ animale , vi determina P arresto del cuore e perciò la morte dei centri nervosi per 1’ arresto improvviso della circolazione del sangue ; mentre il sodio (sotto le stesse forme di sali) anche a gran dose non eserciterebbe alcuna azione sul cuore e sull’ organismo. Da ciò ne è risultato P uso nella pratica medica di esclu- dere dai medicamenti i farmaci a base di potassio e sostituirli con quelli di sodio ; p. e. dapprima si usava comunemente il bro- muro ed il joduro di potassio ed oggi dai Clinici e Medici pratici viene consigliato ed usato invece il joduro di sodio , e qualun- que altro bromuro che non sia di potassio. Le mie ricerche mi portano a fare vedere che ciò è erro- neo, ma anzi contrario al vero e quella conclusione è la conse- guenza di esperienze mal fatte e male interpretate. Infatti riguardo all’ azione biologica non è affatto vero che il potassio abbia azione debilitante e paralizzante sul cuore, ma invece come dimostrerò ha notevole azione eccitante sulla fibra muscolare cardiaca e vasale se a piccole dosi, iniettate nella vena Atti Acc. Serie 4a, Voi.. XVII - Mera. XVIII. 1 Prof. Antonio Curci [Memoria XVIII] o con prudenza e cautela lentamente in soluzioni non concentrate; ma die in soluzione concentrata alla dose di 1 a 2 o 3 grammi in una volta nella giugulare, come hanno fatto alcuni precedenti sperimentatori, determina un rapido arresto del cuore, s’ intende per un1 azione rapida intensa alterante del sale potassico sulla composizione chimica della libra muscolare. Per la via del san- gue dopo assorbimento della mucosa gastroenterica, 1’ azione è graduata, lenta, normale, ricostituente e non alterante come quan- do s’ inietta nelle vene. Così il sodio non è indifferente ed inattivo, sol perchè iniet- tato alla dose di 3 a 4 grammi non fa arrestare il cuore come fa il potassio. Esso ha un’ azione generale eccitante il sistema nervoso-cerebro-spinale animale e vegetativo , che si manifesta notevolmente con intense convulsioni alla dose di 2 grammi di sale sodico per cliig. di animale e con l1 eccitamento del cuore e aumento della pressione sanguigna, senza aversi arresto di questo organo, se non quando si sia giunti ad iniettare almeno 5 o 6 grammi per chg. Lo si vede che è quistione di dose relativa : il potassio a cen- tigrammi, il sodio a grammi , quello eccita la fibra muscolare cardiaca e vasale, questo eccita la cellula e la fibra nervosa ani- male e vegetativa. Perciò da questo previo annuncio si vede come le idee am- messe e professate dai Parmacologi, sull’azione biologica del po- tassio e del sodio sieno incomplete e sbagliate, ed io passerò a dimostrare con esperienze dirette e proprie qual’ è la vera azio- ne di questi due metalli. Del pari sbagliati sono i criteri di volere sostituire ai sali di potassio quelli di sodio per evitare 1’ azione debilitante del potassio sul cuore ; primo, perchè 1’ azione terapeutica evidente che esercita il j od uro di potassio, non manifesta affatto il ioduro di sodio, il quale si mostra in pratica poco efficace e molto meno di quello potassico; secondo, perchè i sali di potassio per la via dello stomaco non possono trovarsi nel sangue in quella eoncen- Azione Fisiologica del Potassio. 3 trazione che è pericolosa per la vita del cuore, come quando si fa la iniezione nella giugulare, sia per la lentezza dello assorbi- mento, sia per la rapidità dell’ eliminazione. Riguardo alla non possibilità di potere avvelenare il cuore per la via dello stomaco, altri molto autorévoli hanno preso la parola a cui io sento di dover essere ossequente. Io convengo con essi completamente, anzi aggiungo di più die col potassio , non solo non si debilita ma anzi si rinforza 1' organo cardiaco ; e perciò anzicchè evitarlo bisogna premedi- tatamente usarlo a preferenza, sia come eccitante e rinforzante il muscolo cardiaco e vasale , sia perchè il sale potassico è più etfì cace. Io dimostro perchè il sale potassico (joduro ecc.) è più efficace nel ricambio materiale di quello sodico col fatto noto già da tempo, a cui nessuno ci ha pensato , che i sali di sodio restano nel plasma sanguigno ed umori interstiziali circolanti , mentre i sali potassici entrano a far parte dei tessuti e penetrano quindi nei protoplasmi e forse nei nuclei, il sale potassico com- posto a funzione basica si combina agli albuminoidi componenti il protoplasma a funzione acida; perciò il joduro potassico penetra nella cellula, mentre il ioduro di sodio resta fuori di essa negli umori interstiziali e nel plasma sanguigno. E siccome gli albu- minoidi ed altri composti organici subiscono il processo di ossi- dazione quando sono in combinazione con alcali o sale alcalino, così si capisce che il sale potassico, il quale penetra nella cellula, neutralizza i composti acidi e li rende atti ad essere decomposti e bruciati dall’ ossigeno ; mentre il sale sodico nulla può fare nella cellula nella quale esso non penetra , sebbene eserciti la stessa azione sulle sostanze organiche acide contenute nel plasma. Ecco perchè il sale potassico affretta il ricambio materiale nella cellula, mentre il sale sodico a riguardo di questa è indifferente, esercita la stessa funzione fuori la cellula cioè sugli umori in- terstiziali e nel plasma. Eino dal 1883 io ho eseguito numerose esperienze e studi per cui pubblicai sulla Gazzetta degli Ospitali , Luglio, 1885 , 4 Prof. Antonio Curci [Memoria [XVIII] N. 22 una nota preventiva Sull’ azione biologica dei principali metalli alcalini ed alcali/no-terrosi che qui riproduco integralmente, per servire punto di partenza e per affermare la data e la lun- ghezza del mio lavoro. 1. Il potassio, nei batraci (rane, rospi), produce paralisi di senso e di moto, la quale si manifesta dapprima nel punto dove si è iniettato il sale potassico, ma poi si manifesta nel generale. Prima uccide il cervello, il sistema nervoso spinale ed il sistema muscolare volontario, poi, molto dopo, uccide il cuore. Per ot- tenere questi risultati , bisogna che l1 iniezione si faccia in sito lontano dai centri, cioè in un arto posteriore. Pacendo V iniezione nei sacelli linfatici dorsali , la paralisi dei centri nervosi, dei muscoli volontari e del muscolo cardiaco è quasi contemporanea. Invece, facendo agire il sale potassico di- rettamente sul cuore scoperto, questo si arresta in breve tempo; e non pertanto dopo 1’ animale si muove e fugge. Nei mammiferi poi il potassio aumenta dapprima 1’ eccita- bilità dei muscoli striati e del muscolo cardiaco ; quelli, sponta- neamente o per lieve eccitamento, entrano in contrazione tonica, e questo esagera la sua funzionalità sistolica e diastolica. In se- guito paralizza il cuore, il quale è sempre ucciso prima che gli altri muscoli possano essere paralizzati. Il sistema nervoso non è influenzato che indirettamente in seguito a disturbi cireolatori. Il potassio dà talvolta tremori e leggieri moti convulsivi , ma questi fatti dipendono dalla aumentata eccitabilità muscolare e dall’ anemia cerebrale in seguito a indebolimento e paralisi del cuore. La differenza d’ azione nei batraci e nei mammiferi dipen- derebbe dalla differenza di temperatura, giacché nei primi (ani- mali a sangue freddo) alla temperatura ordinaria il cuore è poco sensibile all’ azione del potassio ; invece alla temperatura di 37° O. (rospi) di 22° 0. (rane) diventa più sensibile e si paralizza prima, talvolta contemporaneamente o poco dopo dei centri ner- vosi, e così si avvicina al cuore dei mammiferi. Azione Fisiologica del Potassio. 5 È probabile forse che , raffreddando gli animali a sangue caldo , si dovrebbe in essi paralizzare prima il sistema nervoso e muscolare volontario, in ultimo il cuore. 2. Il sodio nei batraci a piccole dosi aumenta 1’ eccitabilità dell’ organismo e specialmente la sensibilità generale. A dosi grosse produce forti convulsioni toniche e veri accessi tetanifor- mi. Le convulsioni sono il risultato di un forte eccitamento del sistema nervoso centrale, dei nervi periferici, specialmente delle placche terminali e della contrattilità muscolare. La morte av- viene per esaurimento dei centri nervosi. Il cuore è 1’ ultimo a morire. Nei mammiferi il sodio produce gli stessi fenomeni che nei batraci, aumenta cioè 1’ eccitabilità nervosa e muscolare, e così il solletico od un leggiero stimolo su di una regione della cute, determina contrazione tonica del gruppo muscolare sottostante. In seguito produce convulsioni toniche, che cominciano dal tre- no anteriore e poi si estendono al posteriore : le convulsioni sono tetaniformi violenti. Ai primi accessi convulsivi, la respirazione si arresta nella fase inspiratoria per tetano dei muscoli toracici e, per impedire 1’ asfissia, è necessaria 1’ insufflazione dell1 aria od anche la sem- plice compressione del torace. In seguito cessa lo stato convulsivo e succede la paralisi , che comincia dal capo e dal collo, con perdita di coscienza, viene al tronco e si paralizza la respirazione (necessaria la respirazio- ne artificiale), indi finalmente scende al treno posteriore. A que- sto punto V animale è morto e di esso solo vivente è il cuore , il quale infine, dopo aver funzionato più del normale, si rallenta e si arresta. Sicché il sodio uccide gli organi nell’ ordine seguen- te : cervello, midollo allungato, midollo spinale, cuore. I muscoli striati rimangono eccitabili , presentano notevole la contrazione idio-muscolare e s’ irrigidiscono pochi minuti dopo la morte. Il sodio fa aumentare la temperatura animale. 6 Prof. Antonio Olirci [Memoria XVIII] 3. 11 litio, nei mammiferi, agisce come il sodio, dando gli stessi fenomeni, collo stesso ordine e sede. 4. Il calcio, nei mammiferi, produce una notevole anestesia ascendente, die comincia dagli arti posteriori, mano mano vien su al tronco, al torace ed agli anteriori, poi alla faccia, alla cor- nea ed in ultimo alla congiuntiva palpebrale. A questo punto 1’ animale completamente insensibile ad ogni stimolo, con aboli- zione dei riflessi, senza moto volontario, con rilasciamento mu- scolare, con respiro calmo e con cuore un po’ debole e rallenta- to, presenta un quadro analogo a quello deir anestesia per clo- roformio. La coscienza pare conservarsi fino all1 ultimo segno di sensibilità. (li un ti all1 anestesia completa di tutte le parti esterne del- l1 organismo, l1 animale poco dopo ricupera la sensibilità in or- dine progressivo discendente, e ritorna presto allo stato normale. Se la dose è troppo spinta, il cuore viene paralizzato e la morte non avviene che per arresto cardiaco. 5. Il magnesio, nei mammiferi, agisce come il calcio, colla differenza però che l’anestesia non è completa nella congiuntiva palpebrale , e, prima di poter giungere a ciò produce l1 arresto del cuore. Quindi il calcio ed il magnesio agirebbero sui cordoni posteriori del midollo spinale e sui centri sensorj del cervello. Iti guardo all’ azione dei detti metalli sul cuore e sulla cir- colazione vi sono dei fatti di una certa importanza ; ma sicco- me, per la dimostrazione e intelligenza di essi, sono necessarie delle figure, così tanto queste cose, quanto lo svolgimento di ciò che ho brevemente accennato in questa nota, come altri parti- colari formeranno il materiale di un1 apposita Memoria. Messina, maggio 1885. Azione del potassio sul sistema nervoso e muscolare. Un sale di potassio, quelli comuni che possono penetrare nel sangue cogli alimenti : carbonati, tartrati, fosfati, acetati, ci- Azione Fisiologica del Potassio. 7 frati, nitrati, solfati, cloruro, ecc., può avere qualche azione sul sistema nervoso % Iniettiamo nel sangue una quantità notevole di sale potas- sico allo scopo di avere manifesti i fenomeni dipendenti dalla sua azione, che si vuole conoscere qual’ ora 1’ abbia. Le esperienze di Blake del 1839 (1) e poi quelle di C. Ber- nard e di Grandeau (2) e le ulteriori di Traube (3) , di Gu ti- ni ann (1), Bosenthal (5), Podcopaeu (6), Kemmerich (7), Bun- ge (S), Hermans, Balck, Aubert e Delin, Sydnay Binger e Mur- rell (9) e di molti altri hanno messo in rilievo , che mentre i sali di sodio non manifestano nessuna influenza sul sistema ner- voso, muscolare e circolatorio e sulla temperatura, i sali di po- tassio hanno un’azione tossica paralizzante specialmente sul cuore. Questi risultamenti hanno appunto prodotto la persuasione generale fino nei medici pratici dell’ azione deprimente del po- tassio sul muscolo cardiaco, e perciò temendo quest’ azione, da tutti si è richiesto di non usare nella pratica medicamenti a base di potassio , come gl’ ioduri , bromuri , salicilati ecc., ma invece preferire quelli di sodio , ammettendo che il sodio non avesse alcuna azione nociva, nè utile. Vedremo quanto sia giu- stificato e quanto valore abbia questo preconcetto. Ma venendo ad osservazioni più minute sui diversi tessuti organici e sui diversi animali e studiando a parte 1’ azione lo- cale, cioè F azione in seguito al contatto immediato di un sale potassico in soluzione acquosa con un tessuto e 1’ azione gene- rale, che si ottiene dallo stesso sale potassico iniettato nel san- gue e per questo portato nell’ interno dei tessuti e degli organi in contatto cogli elementi anatomici, si sono avuti dei fenomeni differentissimi negli animali a sangue freddo e negli animali a sangue caldo, i quali hanno dato luogo ad altri preconcetti er- ronei. Infatti nei batraci i sali di potassio esercitano un’ azione deprimente sui centri nervosi, cioè aboliscono sensibilità, moti- lità, movimenti riflessi, incominciando dagli arti posteriori e ve- 8 Prof. Antonio Curci [Memoria XVIII] nendo agli anteriori sino a farsi generale , ed a questo punto aprendo il torace dell’ animale si trova il cuore pulsante e che funziona normalmente ; mentre negli animali a sangue caldo si ha 1’ arresto del cuore senza previa azione qualsiasi sul sistema nervoso. Esperienza. — Ad una rana di media grandezza, iniettan- do in un arto posteriore 2 cg. di sale potassico, dopo 5 m. vi è paresi ed ineccitabilità dell’ arto iniettato. Più tardi la stessa paresi ed in eccitabilità si manifesta anche nell’ altro arto po- steriore e poi aumenta d’ intensità e si diffonde agli arti ante- riori, tincliè la rana senza movimento , rilasciata è ineccitabile in tutto il corpo e non manifesta alcun fenomeno riflesso agli stimoli meccanici. Dopo 35 m. dall’ iniezione, 1’ animale è come morto, ma ha il cuore pulsante e vivo. Colla elettrizzazione lo- calizzata sulla testa si ottiene contrazione in tutto il corpo, me- no nell’ arto iniettato diventato ineccitabile per 1’ azione imme- diata locale. Circa 1 ora dopo si abolisce pure 1’ eccitabilità nervosa e muscolare allo stimolo elettrico, mentre il cuore con- tinua a funzionare, un po’ più lentamente e non si arresta che assai tardi. Dunque si deduce da ciò che il potassio in tali animali è un paralizzante del sistema nervoso e poi di quello muscolare quando vi arriva per la via normale del sangue ; mentre il cuo- re continua a vivere e funzionare indipendente ed autonomo. Siccome 1’ eccitabilità elettrica si conserva per qualche tem- po dopo abolito ogni movimento agli stimoli volontari e mec- canici, dobbiamo dire che si abolisce 1’ eccitabilità delle cellule sensitive o riflettrici dell’ encefalo e del midollo spinale, per cui non si possono produrre più nè atti riflessi nè volontari ; ma che rimane eccitabile la parte motrice, la quale non può essere eccitata che dall’ energia elettrica, la quale può raggiungere di- rettamente i centri motori , facendo a meno degli apparecchi sensitivi. In ultimo si abolisce anche 1’ eccitabilità degli organi o apparecchi motori nervosi. Aon per tanto a questo punto il Azione Fisiologica del. Potassio. 9 cuore ancora vive e funziona; vuol dire che questo organo (parte nervosa e parte muscolare) non viene attaccato dal sale potassico. Questi risnltamenti sono contraddittori con quelli risultanti dalle prime esperienze, e non sono per niente conformi a quelli che si ottengono negli animali a sangue caldo, come vedremo. Per avere netti e distinti i fenomeni dell’ azione, nel modo come l1 abbiamo esposto, è necessario usare qualche precauzione, cioè che nelle rane 1’ iniezione si faccia in sito lontano dal ono- re in modo da evitare che la soluzione possa raggiungerlo per diffusione di contiguità attraverso i tessuti vicini e perciò non iniettare nella cavità addominale, nè nei sacelli linfatici dor- sali, ma bensì in una gamba posteriore e 1’ iniezione deve essere in dose e soluzione di piccolo volume, onde vi arrivi il sale po- tassico per il sangue dopo assorbito. Infatti se 1’ iniezione si fa nei sacelli linfatici dorsali o nella cavità addominale, il cuore si arresta contemporaneamente colla manifestazione della paralisi generale. E quando poi si fa venire direttamente in contatto col cuore scoperto una soluzione di sale potassico, quest’organo si arresta a capo di pochi minuti , mentre la rana o il rospo fugge grac- chiando col cuore arrestato ed ineccitabile. Perciò nei batraci la paralisi dei centri nervosi non si può attribuire a disturbi della circolazione sanguigna , ma devesi attribuire ad azione diretta sulle cellule nervose. Quando il sale circola col sangue ne arriva eguale quantità tanto nel tessuto nervoso, quanto in quello muscolare ; ma se per il muscolo la quantità non è sufficiente, per 1’ organo nervoso basta a fargli perdere la vita. E siccome con quantità maggiori iniettate si ha anche la paralisi del muscolo, vuol dire che la cellula ner- vosa sensitiva e poi quella motrice hanno in tali animali mag- giore affinità col sale potassico, il quale penetrando la cellula vi si combina al protoplasma acido e vi forma un composto morto, un composto non atto a produrre 1’ energia vitale o ner- vosa. Dal suo canto il muscolo volontario segue subito il tessuto Atti Acc. Serie 4a, Yoe. XYII — Mera. XVIII. 2 10 Prof. Antonio Curci [Memoria XVIII] nervoso nell’ assorbire sale potassico , con cui la miasma e il sarcoplasina si coagula, si altera o si trasforma in un composto non vitale e non atto a produrre 1’ energia muscolare. Il mu- scolo cardiaco è meno attaccabile, lia meno affinità ed esso muore molto più tardi, allora quando può essere attaccato da maggior quantità di sale potassico. Bisogna che faccia notare , che quest1 azione del potassio , conseguenza di un’ alterazione chimica dei protoplasmi, è un1 a- zione alterante o distruggitrice di quella composizione tìsica e chimica molecolare atta alle proprietà vitali , non è preceduta da alcun sintonia che accenni a qualche precedente azione ec- citante ; perchè l1 animale perde l1 eccitabilità senza alcun sin- tonia di previo eccitamento. Il contrario si osserva nei mam- miferi. Da questi risultali) enti si deduce che nei batraci 1’ azione del potassio non è quella che gli antichi sperimentatori hanno rilevato nei mammiferi ; nei batraci quindi il potassio è un ve- leno nervoso paralizzante, e poi anche muscolare. Per vedere 1’ azione sui mammiferi io riferisco qualche mia esperienza dalla quale si rileverà che il potassio non ha azione sul sistema nervoso, ma ha azione eccitante sul sistema musco- lare, al contrario di quanto è ammesso da tutti, come tuttora si crede che il potassio cioè abbia azione paralizzante tossica sul cuore e non altro. Esperienza. — Ad un cane da caccia di Clig. 9 si fa in una salena esterna l’ iniezione di una soluzione di fosfato neutro di potassio al 5 °/0. L1 iniezione si fa lentamente nella proporzione di 20 cgm. di sale per volta. Dalle prime iniezioni il polso si fa più forte e si rallenta, ciò che indica eccitamento notevole del cuore, al contrario del- 1’ opinione comune e di ciò ne faremo uno studio a parte come merita per la sua importanza. Giunti ad iniettare 3 a 4 grani, si nota che i muscoli, specialmente quelli delle scapole, degli arti anteriori e del torace entrano in contrazione spasmodica o tonica col toccare o stropicciare la pelle soprastante. Alla dose Azione Fisiologica del Potassio. 11 di 0 grammi 1’ eccitabilità, cioè la facilità di contrarsi è più no- tevole e vi sono anche contratture e tremori. A 7 i/2 grani. 1’ a- niinale si regge appena in piedi e tremula per contrattura mu- scolare, mentre la coscienza ed il moto volontario appaione nor- mali. Il polso continua ad essere lento ma forte. Alla dose di 8 1 grani, iniettati, si osservano gli stessi fatti; l’animale tre- molante , facendolo muovere viene arrestato dalla contrattura muscolare energica e duratura che si desta alla contrazione vo- lontaria dei muscoli. A 10 grani : di sale iniettato, il cuore è minacciato di ar- resto, mentre prima si nota un forte impulso di esso nel torace, scompare o si indebolisce il polso alla crurale o 1’ urto al costa- to e allora come preso da uno svenimento, per anemia cerebrale, 1’ animale cade e perde il potere volontario di stare in piedi. Questi fenomeni si dissipano presto, come il cuore riprende la sua funzione. Ma siccome il sangue è saturo di sale potassico , o meglio la fibra muscolare, così a questo momento ogni altra iniezione provoca e minaccia F azione delle grandi dosi somi- glianti all’ azione locale, cioè un’ alterazione mortale della fibra muscolare che si manifesta colla paralisi e F arresto dell’ organo. dell’animale in esperimento ad ogni iniezione abbiano) avuto la sincope cardiaca coi fenomeni consecutivi di svenimento e perdita di coscienza e di movimento, cacciando un grido, aven- do un leggero accesso convulsivo, orinazione e rilasciamento mu- scolare generale. Insieme a questi fenomeni si osserva notevolissimo F au- mento della contrattilità dei muscoli scheletrici , i quali facil- mente si contraggono e s’ irrigidiscono strofinando la pelle od anche senza causa apprezzabili ; ma durante la sincope sebbene sieno eccitabilissimi essi sono rilasciati , vale a dire che la loro funzione è provocata da energia proveniente dai centri. Unita la sincope, cioè il cuore ritornando a battere, si ri- pristina la coscienza ed il moto volontario e la esegerata con- trattilità dei muscoli che si erano rilasciati. Dopo varie di queste alternative alla iniezione del 16° gram- mo di sale potassico, il cuore si è arrestato definitivamente, con fenomeni convulsivi e morte permanente. Anche dopo la morte, sebbene i muscoli scheletrici, siano ri- lasciati mostrano una contrattilità notevolmente aumentata e si osserva essere molto energica ed intensa la contrazione idio- muscolare , giacché strisciando la punta di un bisturi o di uno spillo sul muscolo scoperto questo si contrae formando un cordone Ili Prof. Antonio Ciuci [Memoria [XVIIIJ rilevato lungo la linea dello strisciamento. Il cuore intanto è assolutamente ineccitabile. Yale a dire che 1’ azione sul cuore e più rapida che sui muscoli scheletrici : 1’ azione eccitante delle piccole dosi si eser- cita, dapprima sul cuore, poi coll1 aumentare la dose si manife- sta l1 azione eccitante sui muscoli scheletrici ; e così la dose tossica , quella che altera la composizione della miosina , e del sarcoplasma coagulandola (vedi appresso) è minore per il cuore, maggiore per gli altri muscoli. Nelle condizioni normali la contrazione ha la durata dell’ec- citamento nervoso e cessato questo, cessa la contrazione, in mo- do che il muscolo sia ubbidiente alla volontà ; invece sotto l1 a- zione del potassio all1 impulso della volontà segue una contra- zione energica superiore all1 energia nervosa, più del bisogno e più di durata. Questo è eccitamento e non paralisi e dimostra all’evidenza che il potassio fa aumentare la contrattilità ai muscoli degli animali a sangue caldo; il contrario negli animali a sangue freddo come abbiamo visto. Non è dunque un veleno muscolare paraliz- zante, ma è un notevole eccitante dei muscoli ; mentre come aveva già notato il Gruttmann quando i sali di potassio circolano con il sangue nell’ organismo non agiscono affatto sui nervi e soltanto debolmente sui muscoli. Si capisce che Gruttmann parla di azione paralizzante e niente affatto di quella eccitante, che non supponeva affatto. Dalle esperienze sulle rane e dall’ applicazione diretta della soluzione del sale potassico su dei tessuti (muscolare e nervoso) si è venuti alla convinzione generale che il potassio abbia azio- ne paralizzante, perchè un tessuto , un nervo , un muscolo, un cuore in tale condizione perdono rapidamente ogni eccitabilità. Il fatto poi della iniezione di grandi dosi in soluzione concen- trata nella vena, che ha per effetto il rapido arresto del cuore, ha dato l’ultimo colpo fatale ad affermare vieppiù l’erronea idea Azione Fisiologica del Potassio 13 che il potassio abbia azione paralizzante generale sui nervi, sui muscoli e sul cuore specialmente , sino al punto da bandirlo dalla terapia ed usare invece del joduro e del bromuro di po- tassio, medicamenti di provata efficacia, il joduro e bromuro di sodio o di altro metallo , medicamenti di dubbia efficacia , te- mendo la pretesa azione deprimente sul cuore. Altre due esperienze con fosfato di potassio sui cani dimo- strano gli stessi effetti dell1 aumentata eccitabilità e contrattilità dei muscoli scheletrici, che per non dilungare non riporto ; ma voglio riferire qualche altra, fatta con solfometilato di potassio, onde escludere che non sia per parte dell1 acido quest1 azione eccitante sul muscolo. Esperienza. — Cane bastardo di chg. 9, 400 , nella vena crurale si fa lentamente e a riprese l1 iniezione verso il cuore di soluzione di solfometilato di potassio; ogni volta si è fatto la iniezione di grani. 0,25 di sale sciolto in 2 di acqua, per evitare l’azione intensa e rapida sul cuore. Iniettati grani. 0,50, sorgono tremori negli arti posteriori , ed il polso del cuore è rallentato ma più forte. Continuando le iniezioni ogni 3 o 4 minuti , i tremori si fanno generali ed il cuore si fa più lento. La respirazione è rara e profonda, il to- race si arresta nella fase inspiratoria per contrazione esagerata involontaria dei muscoli, onde si comprime il torace per aiutare l1 espirazione e permettere una nuova inspirazione. Stropicciando la cute, i muscoli sottostanti entrano in forte contrazione ; i tremori continuano , ma l1 animale cammina re- golarmente. Cuore lento ma forte. Iniettati 3 1/2 di sale vi sono tremori più forti ed anche movimenti dei muscoli della faccia. La respirazione è inceppata, arrestata nella fase inspiratoria per l1 esagerata eccitabilità dei muscoli e perciò insufficiente alla ematosi , che quindi si aiuta colla insufflazione. Indi i tremori si accentuano , si ha contra- zione tonica dei muscoli degli arti anteriori e delle spalle e poi un leggiero accesso tetanico generale ; ma l1 animale lasciato li- bero può camminare e va ad accovacciarsi. Così seguita fino a giungere ad iniettare 10 grammi di solfometilato, tino a quando si è arrestato il cuore, a cui sono seguite varie inspirazioni e dei movimenti convulsivi per anemia cerebrale. 14 Prof. Antonio Curci [Memoria XVIII] Questa esperienza dimostra le stesse cose delle precedenti , cioè aumento della contrattilità muscolare, aumento dell’ impulso del cuore e nessuna azione sul sistema nervoso. Esperienze fatte con carbonato di potassio hanno dato per risultamento che questo sale ha un’ azione molto intensa sul cuore, per cui il cuore si arresta facilmente prima che il sale possa agire sui muscoli scheletrici e perciò è facile non potere v edere quest’ azione. Una volta ho potuto avere fatti evidenti usando un artifìcio come passo ad esporre. Esperienza. — Cane da caccia di clig. 11. 700. Nella vena crurale si inietta soluzione di bicarbonato di potassio grammi 5 in 40 di acqua ; due grammi di soluzione per volta ; così il sale non arriva immediatamente nel cuore e può diffondersi in tutto 1’ organismo e dare azione su altri organi. Alla 5a iniezione si ha già la tendenza della respirazione ad arrestarsi nella fase inspiratoria e poi, dopo due altre, si ha il tetano dei muscoli toracici, per cui è necessario insufflare l’a- ria. Il cuore pulsa forte , la pressione sanguigna aumentata, ad altre due iniezioni il cuore si è fatto irregolare, si è tetanizza- to, come ha dimostrato 1’ ultimo tracciato, e si è arrestato. In tutto si è iniettato 2 1/i grani, di bicarbonato potassico. Visto che anche col carbonato si ha 1’ aumento della con- trattilità dei muscoli, ma essendo intensa la sua azione sul cuo- re non è possibile di potere vedere 1’ ulteriore azione, e intanto si ottiene già 1’ aumento della contrattilità dei muscoli, a minor dose che con gli altri sali, ho fatto un’ altra esperienza facendo 1’ iniezione nell’ arteria crurale in senso centrifugo. Esperienza. — Cane da caccia di chg. 24. Si fa 1’ iniezio- ne nell’ arteria crurale sinistra di un grammo di bicarbonato potassico sciolto in 20 c. c. di acqua. Ad ogni iniezione 1’ ani- male grida per dolore e 1’ arto si distende e trema senza ottene- re altro. Chiusa 1’ arteria, messo 1’ animale in libertà, mostra di soffrire e trascina 1’ arto paralizzato penzoloni. Sicché da questa esperienza, in cui ho tentato di fare agire direttamente il sale sui muscoli senza passare per il cuore , ne è risultato che ad ogni iniezione si è avuto contrazione muscolare , donde il di- stendimento ed il tremore dell’ arto. Perciò si conferma ancora il fatto che il potassio eccita i muscoli scheletrici. Azione Fisiologica del Potassio. 15 La conclusione di queste prime ricerche è che il potassio è un agente muscolare ed eccita o aumenta la contrattilità dei muscoli scheletrici, i quali sia per 1’ eccitamento naturale proveniente dai nervi, sia per via riflessa o diretta con un sem- plice atto meccanico , strofinare , spizzicare ecc : entrano facil- mente in contrazione oltre il grado normale per intensità, forza e durata. ISTon manifesta azione sul sistema nervoso. Azione sull’ apparecchio circolatorio. Von solamente sui muscoli scheletrici, ma anche più no- tevolmente e più intensamente sui muscoli splancnici, p. e. cuore e vasi, il potassio agisce eccitando. Su questo argomento io ho fatto numerose esperienze , di cui le principali sono pubblicate in due miei scritti : Alcune ri- cerche sul meccanismo di azione dei metalli alcalini ed alcali no-ter- rosì. (Annali di Chimica ecc. Voi. III. Serie IV. 1886 e AVI. V. Serie IV; 1887). Io qui riferirò esperienze nuove non inserite in quei due scritti. L’ azione del potassio sul cuore dei batraci (rane , rospi) è molto nota e si sa che il cuore s1 indebolisce , riduce le sue si- stoli e si arresta paralizzato, e specialmente se la soluzione di un sale potassio vi arriva a bagnare il cuore dallo esterno, l’or- gano in breve tempo subisce dapprima un certo eccitamento che si manifesta in un aumento del numero delle sistoli , ma poi subito si rallenta e si arresta pallido, contratto ed ineccitabile , mentre 1’ animale è vivo e forte, fugge col cuore paralizzato. Quest,’ azione locale è effetto di azione intensa e differisce dall’ azione graduata e leggiera quando vi arriva col sangue, co- me un ferro rovente da uno moderatamente caldo. Col sangue il sale arriva poco a poco nel cuore, come con- temporaneamente vi penetra in altri organi ed in altri muscoli, 16 Prof. Antonio Curci [Memoria. XVIII] allora si ha un’ azione più naturale. Così nei batraci è necessa- rio usare la precauzione di iniettare la soluzione salina in un arto posteriore e non mai nei sacelli dorsali e molto meno nella cavità peritoneale , nei quali casi si ha sempre un’ azione per contatto immediato. In questo modo facendo, iniettando cioè in una gamba da 2 a 3 cg. di sale potassico dopo avere messo il cuore allo scoperto si osserva quanto segue : riduzione a quasi metà del numero delle sistoli ventricolari con maggiore durata ed ampiezza della escursione diastolica, prevalenza della diastole ed aumentata energia della sistole. In un certo momento la dia- stole è così ampia e prolungata che appare duplicata (ciò si os- serva benissimo nei rospi) nel quale fatto pare come se dopo la diastole solita vi manchi la sistole e invece di questa, dopo un brevissimo istante di sosta, segue una secondaria ed ulteriore dila- tazione diastolica, dopo la quale infine succede una forte sistole. In ultimo il cuore si rallenta sempre più, perde la sua for- za, s’ indebolisce e si ferma pallido e contratto (senza sangue) quando è stato esposto all’ aria; invece si trova rilasciato alquan- to rosso-violaceo, per contenere sangue, quando si è lasciato co- perto nel torace. Ho fatto le medesime esperienze su animali previamente atropinizzati ed ho osservato sempre gli stessi fatti. Ho fatto anche esperienze grafiche col cuore asportato e messo tra la pin- zetta cardiaca del Marey e bagnandolo colla soluzione salina diluita, ho veduto lo stesso rallentamento e delle intermittenze visibili dal tracciato. Tutto ciò indica che il potassio ha azione sul muscolo car- diaco e che gli effetti sono dipendenti da un’ azione diretta del sale potassico sulla fibra muscolare cardiaca, sia che il sale vi arrivi per il sangue o direttamente dall’ esterno. Anzicchè esporre a dimostrazione di quanto dico le cifre nude delle esperienze, che ognuno può ripetere, e non credo ne- cessario allungare questo scritto inutilmente, preferisco discutere un poco il significato fisiologico di questi fatti. Azione Fisiologica del Potassio 17 Abbiamo visto, che il cuore aumenta la diastole ed esegue una sistole più energica. Questo secondo me significa aumentata contrattilità della fibra muscolare e s’ interpreta per aumentata energia potenziale elet- tromagnetica delle fibrille e propriamente dei dischi trasversali. Siccome il potassio non pare che aumenti l’energia nervosa, giac- ché, come abbia veduto e, come abbiamo dimostrato avanti, non esercita azione alcuna sul sistema nervoso dei mammiferi, così dobbiamo concludere che il potassio in moderata quantità, in so- luzione salina e perciò ionizzatole o ionizzato, per la sua carica elettrica, aumenti il potenziale dei dischi magnetici delle fibril- le muscolari (V. mio lavoro L ’ Organismo vivente e la sua anima ) e perciò aumenta 1’ eccitabilità o la contrattilità, come si manife- sta ad ogni stimolo, il quale nel caso del cuore in sito naturale, l’ossigeno del sangue e lo stimolo nervoso (anch’esso elettrico). Quando il sale potassico vi arriva in grande quantità, allora si combina ai fosfo-albuminati del sarcoplasma, e forse anche ai dischi trasversali, di cui altera la costituzione fisico-chimica e fa perdere il potere elettromagnetico, e con ciò ogni eccitabilità e proprietà fisiologica. Così è che il potassio dapprima è ecci- tante e poi a grande dose è paralizzante. Quando si fa l’iniezio- ne nella vena di un mammifero, la massa del sangue, carica di sale potassico vi arriva prima nel cuore e subito mediante le coronarie nel muscolo cardiaco, e in questo prima sempre che nelle altre masse muscolari , dove vi arriva meno concentrata. Perciò la prima azione del sale potassico si esercita sul cuore e sui vasi, i quali organi sono i primi a trovarsi in contatto di esso, oltre Tesserci una maggiore affinità della fibra muscolare splancnica con un sale potassico. Lo studio dell’ azione sulla circolazione sanguigna riesce meglio sui cani, facendo uso della limnometria e sfigmografia. Con questi mezzi ho ottenuto dei fatti molto interessanti ; gli stessi effetti ho ottenuto con curarizzazione o senza. Atti Acc. Serie 4a, Vol. XVII - Meni. XVIII. 3 18 Prof. Antonio Curci [Memoria XV Ili] Esperienza. — Cane bastardo di kg. 9,100, curarizzato, ap- plicazione del manometro e sfìgmoscopio alla carotide ; iniezione nella giugulare di una soluzione di carbonato potassico al 5 0 , iniettano 20 centi gr, . per volta. Ora Pressione Osservazioni 11,33 160 Tracciato 1° fìg'. la 11,35 Iniezione di 0, 20 di C03K — Tracciato 11,36 260 2°, 3° 11,38 190 Iniezione di 0,20, di carbonato K. 11,42 240 il tracciato mostra curve ampie ed alte. 11,45 160 Iniez. di acqua sempl., in quant. eguale, 4 11,47 145 Iniezione di 0,20 carbonato K. 11,49 200 11,50 230 — A ore 11,52, iniezione di 0,20 11,53 250 iniezione di 0,40 12,7 220 iniezione di 0,20 12,13 210 iniezione di 0,20 12,15 arresto del cuore. In tutto si sono iniettati grani : 1, 60 di carbonato di potassio. I fatti risultati sono i seguenti : dopo ogni iniezione si ha un enorme aumento della pressione arteriosa, la quale con- siderata che nello stato normale al massimo sia di 160 millim. arriva dopo l’ iniezione del sale potassico a 230, 250 e oltre. Il manometro indica che le oscillazioni della colonna mercuriale sono molto alte ed ampie* e dopo una serie di sollevamenti suc- cedono delle oscillazioni molto ampie in basso, indicando delle diastoli assai profonde ed estese. I tracciati sfigmografi ci mo- strano curve molto rare, alte ed ampie e di tanto in tanto delle curve in basso, come per mancanza di una diastole o prolunga- mento notevole di essa. Nell’insieme si osserva che il cuore ral- lenta la sua pulsazione, ma è molto più forte , esegue una più energica sistole ed una più ampia diastole. I prolungamenti dia- stolici sono causa che fanno sembrare intermittente il polso e con essi coincide il rapido abbassamento istantaneo della co- lonna manometrica. L’iniezione di acqua semplice è stata seguita da lieve abbassamento della pressione e dimostra che 1’ enorme aumento della pressione dipende dall’ arrivo del sale potassico nei muscoli, e perciò 1’ eccitamento del cuore e dei vasi è prò- Azione Fisiologica del Potassio. 19 prio dovuto al contatto di esso colle fibrille muscolari e cioè coi dischi trasversi. EspeFvIEjVZA. — Cane barbone di kg. 7,500 — solita applica- zione alla carotide del manometro e dello sfigmoscopio ; inie- zione nella giugulare di fosfato neutro potassico al 5 °/0. Il fosfato agisce con minore energia del carbonato e per- mette di osservare meglio tutte le fasi dell’ azione. Ora Pressione Osservazioni 11,18 160 tr. 1° fig. Il — Iniezione di 0,60 11,21 165 iniezione di 0,60 11,24 175 rallent. e interiniti, del polso — iniez, 11,26 180 tr. 2, iniezione di 0,80 11,38 190 trace. 3. In seguito per 1 1/2 ora la pressione si è mantenuta al di- sopra di 160 ed in questo frattempo si sono iniettati altri 2,60 di fosfato. Il polso ha presentato gli stessi caratteri come si ri- leva dai tracciati avuti, cioè curve ampie ed alte con delle pro- fonde e duplicate diastoli di tanto in tanto , indicanti un au- mento enorme nella forza e nella estensione della diastole e della sistole cardiaca, non die aumentata contrazione e tonicità dei vasi. Poi continuando ancora 1’ osservazione per altre ore 3 V2 ed iniettando altri 5 gr., la pressione arteriosa è andata gradatamente abbassandosi a 140, 100, 90, 55, allorché il cuore si è arrestato. Contemporaneamente all’abbassamento della pres- sione sanguigna, il polso di pari passo si è indebolito, reso più piccolo e più frequente , senza presentare più le intermittenze diastoliclie ed in ultimo rarefacendosi è scomparso. Questa esperienza ci fa vedere che con il fosfato si hanno meno effetti nocivi, essendo il fosfato un componente normale dei protoplasmi, quale fosfoalbuminato in generale o fosfocar- nico potassico in particolare. Con il carbonato, con cloruro si ha un’ alterazione più rapida dei fosfoalbuminati e perciò si ha la morte istantanea del cuore quando la dose è grandissima ; col fostato l’alterazione è più graduata e permette che il cuore perda 20 Prof. Antonio Ourci [Memoria. XVtIIIJ le proprietà vitali gradatamente. Ma sempre emerge il fatto sco- nosciuto clie sotto T azione di un sale di potassio tutto 1’ appa- rato circolatorio viene eccitato, aumenta di forza e di energia, e perciò di funzionalità completamente l1 opposto di quello che si ritiene comunemente. Esperienza. — Cane bastardo di clig. 10, 100 ; solita ap- plicazione del manometro e sfìgmoscopio alla carotide; iniezione nella safena esterna di solfometilato di potassio in soluzione al 3 7, 0/0. Ora Pressione Osservazioni 11,30 170 iniezione di grani. 0, 70, a 0, 10 per volta 11,42 210 polso un po’ rallentato ed intermittente , o- scillazioni più alte 12,11 200 iniezione graduata di gr. 2, 70 12,17 250 12,22 240 iniezione di altri 0, 80 ; polso più lento, più ampio con intermittenze 12,25 arresto del cuore dopo iniettati altri 1, 20. Con 1’ arresto del cuore la colonna mercuriale si è abbas- sata a 0°, 1’ animale ha emesso delle grida, ha avuto convul- sione, ha urinato ed è morto per improvvisa anemia cerebrale. Si sono iniettati in tutto grani : 5, 10 di solfometilato. I risultamenti di questa esperienza sono conformi a quelli delle altre. Altre esperienze, che lascio inedite, dimostrano pure l’enor- me aumento della pressione arteriosa , non che 1’ aumento in ampiezza e forza del polso, con rallentamento e qualche inter- mittenza di tanto in tanto. Sicché i fatti che emergono sono che quando nel sangue vi arriva una notevole quantità di sale potassico, si ha aumen- to della pressione sanguigna e rinforzamento della pulsazione cardiaca ; ciò che indicherebbe essere il cuore ed i vasi sottoposti ad enorme eccitamento, per cui da una parte i vasi contraen- Azione Fisiologica del Potassio 131 dosi spingono il sangue nelle parti centrali del sistema arterio- so, dall’ altra il cuore spinge con più forza la massa sanguigna nell’ aorta. A chi sarebbe dovuto questo aumento straordinario della contrattilità e funzione dei muscoli cardiaci e vasali '? Sa- rebbe dovuto ad azione eccitante sulla fibra muscolare diretta- mente o sul sistema nervoso cardiaco-vasale, onde questo eserci- terebbe la sua aumentata funzione sull’ apparato muscolare ? Per rispondere a questa domanda facciamo delle esperienze usando artificii da potere vedere se e quali effetti si hanno da un sale potassico sul cuore e sui vasi, sottratti il più che possi- bile alla innervazione. Le esperienze sul cuore di rana staccato dall1 animale, han- no poco valore, perchè il cuore se è sottratto dall’ innervazione estrinseca, quella cerebro-spinale , non è da quella intrinseca gangliare, che è 1’ apparecchio eccitomotore immediato del mu- scolo cardiaco. In modo che staccato il cuore e messo in un sangue contenente una data proporzione di sale potassico , gli effetti possono dipendere tanto da azione sui muscoli , quanto sui gangli nervosi. E allora, cosa si può conchiudere ? Dico di passaggio che ho pur non di meno fatto queste esperienze, staccato il cuore da una rana, applicatovi la pinzetta cardiografica di Marey , ho preso dei tracciati prima e dopo la immissione di una soluzione di sale potassico, e da questi ho veduto che le pulsazioni del cuore si rallentano e subiscono delle intermittenze, in modo analogo come si osserva nei tracciati ottenuti dal cuore in sito sotto l’influenza della innervazione estrinseca. Queste esperienze ci dicono che il potassio può agire sul cuore , come sui vasi e che il rallentamento e l’ intermittenza del polso, cioè la prolungata diastole , sono dipendenti da mo- dificata funzione dell’ organo cardiaco, indipendentemente dalla innervazione estrinseca e dalla pressione del sangue. Con ciò non abbiamo potuto ancora sapere se agisce sulla fibra musco- lare o sulla cellula o fibra nervosa. 22 Prof. Antonio Gurci [Memoria XVIII] Debbo riferire in proposito che dai cani non curarizzati , ho avuto molti tracciati sfigmografìci che indicherebbero come il cuore sotto 1’ azione del potassio andrebbe soggetto al tetano, specialmente nel momento quando per la grande dose vi è mi- naccia di paralisi. E siccome questo fatto non si è mostrato nelle esperienze con curarizzazione dell’ animale, in cui è abbassata l1 eccitabilità dei nervi , così dobbiamo concludere che 1’ azione tetanizzante consistente in una serie di sistoli l’una sull’altra, provenga da un ripetuto eccitamento del sistema nervoso o meglio da scariche precipitose dell’ energia elettrica, dai gangli, la quale promuove la sistole. Inoltre ho fatto esperienze sui cani distruggendo previamen- te il midollo allungato mediante punteruolo attraverso lo spazio occipito-atlantoideo e previo taglio dei vaghi. In questo modo sebbene abolita la innervazione centrale cardio-vasale, l’ iniezio- ne del sale potassico nella giugulare ha dato sempre gli stessi effetti, cioè aumento enorme della pressione arteriosa , rallenta- mento e rinforzamento del polso con qualche intermittenza o prolungata diastole. In queste circostanze sperimentali restano sempre i nervi e gangli periferici in funzione ed eccitabilità normale, perciò si può dire che il potassio vi agirebbe per mez- zo di questi. Allora ho fatto esperienze in cani, a cui mediante prolun- gate inalazioni di etere o di cloroformio, oppure mediante spinta curarizzazione sino al punto che, eccitando con corrente elettrica il nervo crurale od altro nervo sensitivo, sieno aboliti i riflessi vasomotorii. E noto che nello stato normale eccitando un nervo sensitivo si ha per riflessione sui centri vasomotori un aumento della pressione sanguigna, non cliè un rinforzamento delle pul- sazioni cardiache ; questi si chiamano riflessi vasomotorii- (1) Ora coll’ inalazione dell’ etere o del cloroformio o colle iniezioni di (1) V. esperienze pubblicate negli Annali di Chimica 1886 e 1887. Azione Fisiologica del Potassio. 23 gran dose di curaro si arriva a rendere impossibili questi riflessi vasomotoria Kel caso degli anestetici 1’ eccitamento resta ferma- to nei centri sensitivi e non passa nei centri vasomotori! ; nel caso del curaro 1’ eccitamento passa ai centri motorii si riflette pei nervi centrifughi, ma si arresta all’ estremità di questi e non passa nella fibra muscolare. Perciò è colla curarizzazione che otteniamo condizioni sperimentali precise e concludenti, in quan- toccliè allora siamo sicuri che abbiamo sottratti i muscoli al- T influenza nervosa, e allora possiamo sapere se il farmaco agi- sce per i nervi, o ne fa a meno di questi ed agisce direttamente eccitando la fibra muscolare. Messa l1 esperienza così, si sa che per l1 abolita funzionalità nervosa che mantiene la funzione muscolare , la pressione del sangue scende molto bassa a 60 e 50 e anche 40 millim. , men- tre il polso cardiaco è piccolo e debole. A questo punto iniet- tando nella giugulare il sale potassico, dopo poco si vede in modo sorprendente che la colonna mercuriale sale, e le sue oscillazioni diventano visibili ed ampie cioè la pressione aumenta enorme- mente raggiunge il grado normale e poi lo sorpassa sino a 200, 250 e oltre, mentre le pulsazioni cardiache si rinforzano e sono più alte e più ampie. Questi brillanti risultamenti dimostrano a parer mio che sebbene i nervi sieno ineccitabili e non trasmettono l’eccitamento alle fibre muscolari, il potassio ne fa a meno e produce gli stessi effetti di eccitamento , vale a dire agisce sulla fibra muscolare direttamente, che eccita s’ intende sviluppando enorme quantità di quella energia che fa contrarre le fibre muscolari. Ed ora si vorrà persistere da parte dei Clinici e Medici nel- 1’ errore che il potassio sia un debilitante del cuore e dei vasi uì Essi a causa delle cattive esperienze dei primi sperimentatori , che iniettavano 1’ enorme dose di 2 a 3 grani: di sale potassico, non ne hanno avuto colpa, sono stati ingannati, ma ora se si ostinano diventano colpevoli davvero. Ma a schiarimento e ulteriore dimostrazione del fatto enun- 24 Prof. Antonio Curci [Memoria XYIII.] ciato , che è il punto principale importante dell’ azione del po- tassio riferisco le seguenti esperienze. Esperienza — 25 Gren. 1886. Cane di cliilog*. 11,800, cura- rizzato sino alla paralisi dei Tasomotori, cioè die eccitando il nervo crurale non si lia aumento di pressione sanguigna e non eccitamento delle pulsazioni cardiache : Ora Pressione Osservazioni 11,20 55 Assicurata l’abolizione dei riflessi vasomotori 11,22 55 Iniezione di 10 cg. di C1K. in soluzione al 2 % nella giugulare. 11, 24 110 Rallentamento e sollevamento del polso. 11,25 85 Iniezione di 20 cg. di OIK. 11,27 160 11,29 75 Iniezione di 40 cg. di C1K. Paralisi cardiaca e morte. Esperienza — 12 luglio 1886. Cagnolina di chiJg. 3, curariz- zata sino ad essere aboliti i ridessi vasomotori, eccitando il ner- vo crurale. La pressione arteriosa è abbassata a 65 e iniettando cg. 10 di carbonato di potassio si ha un grande innalzamento della pressione sino a 120 con aumento del polso in altezza ed am- piezza. Esperienza — 19 gennaio 1886. Cagna di chilg. 10,800 cura- rizzata sino all’abolizione dei ridessi vasomotori. La pressione è 50-80 millm. , ma dopo 1’ iniezione di cg. 10 di cloruro di po- tassio aumenta sino a 200 e contemporaneamente il polso è di- ventato più raro, più forte, più ampio. Poi si è abbassata nuo- vamente la pressione a 75 e fatta 1’ iniezione di cg. 10 di C1K nella giugulare, è aumentata a 110 e più tardi abbassata a 85, j per una terza iniezione di cg. 20 di C1K si è alzata a 130 e poi ancora iniettati altri cg. 20, la pressione è salita a 200 con le solite modidche del polso. Indi si sospende la respirazione artitì- ciale e la pressione giunta a 150 è poi per l’astìssia salita a 210. Dunque è inutile più dubitare, il potassio eccita gli organi della circolazione sanguigna ( cuore e vasi ) anche quando sono depressi e quando la eccitabilità del sistema nervoso cardiovasale Azione Fisiologica del Potassio. 25 è abolita per spinta curarizzazione; e ciò fa perchè eccita diret- tamente la fibra muscolare. Siccome io sostengo la teoria che la fibra muscolare si con- trae per influenza di energia elettrica proveniente dai nervi o anche per la stessa energia che si svolge nel muscolo stesso in seguito a contatto tra la fibra muscolare e sale potassico o di altro stimolo chimico, fisico o meccanico ; così io concludo che il potassio eccita la fibra muscolare direttamente perchè con questa forma un sistema elettrogenico ; il ione K con carica po- sitiva aumenta il potenziale delle fibrille. In altri termini la fi- bra muscolare è elettrizzabile al contatto di un sale di potassio e perciò si eccita e si contrae. Essendo dunque di natura elettrizzante e perciò di eccita- mento 1’ azione del potassio sulla fibra muscolare, si capisce che quando s’ iniettano grandi dosi la fibra si arresta per abnorme e intensissimo eccitamento o per abolita elettrizzabilità. L’ arresto del cuore sotto le grandi dosi può essere effetto di alterazione chimica, cioè che si forma colle piccole dosi com- posto vitale ed elettrizzabile, colle grandi dosi invece composto non vitale non elettrizzabile e perciò non eccitabile. Io poggio questa ipotesi sul fatto che P albume d’ uovo trattato con alcali, dapprima forma un composto solubile e poi aumentato P alcali si coagula come gelatina ed insolubile nell’ acqua. Differenza di azione del potassio negli animali a sangue caldo e a sangue freddo. In qualunque maniera, via e forma il sale potassico vi arriva nel sangue e che con questo si diffonde nell’ organismo, esso è assorbito dai tessuti in diverso grado a seconda P animale. Così nei batraci si osservano fenomeni di paralisi del sistema nervoso, dapprima di quello centrale e poi di quello periferico, indi per- dita di eccitabilità dei muscoli scheletrici, infine dopo eccita- mento, tardiva paralisi dei muscoli plancnici (cuore, vasi). Invece negli animali a sangue caldo i primi fenomeni che si osservano Atti Acc. Serie 4% Vol. XVII — Mera. XVIII. 4 26 Prof. Antonio Gurci [Memoria XYI1IJ riguardano gli organi della circolazione sanguigna, coi fatti del rallentamento del polso e del più forte impulso del cuore, del no- tevole aumento della pressione sanguigna per speciale eccitamento della fibra muscolare del cuore e dei vasi ; mentre non si arriva a potere agire sui nervi. Ciò parrebbe significare die a bassa temperatura il sale potassico abbia più affinità col tessuto nervoso, dal quale viene pel primo assorbito, poi dai muscoli scheletrici, in ultimo dai muscoli plancnici ; al contrario ad elevata tempe- ratura, le affinità sarebbero prevalenti pei muscoli splancnici, moderate pei muscoli scheletrici, nulle o non possibili pei nervi. Inoltre si osserva una differenza anche nella qualità dei sin- tomi, cioè nei batraci vi è paralisi del sistema nervoso prima e del sistema muscolare poi, mentre nei mammiferi indifferente pel sistema nervoso, si osserva un forte eccitamento della fibra mu- scolare cardio vasale con piccole dosi e debole eccitamento dei muscoli scheletrici. Ciò vuol dire che nei batraci il sale potassico si combina alla sostanza nervosa e ne annienta la proprietà di produrre energia ; al contrario nei mammiferi, se si combina o non alla fibra muscolare splancnica, è evidente che sviluppa in essa fibra 1’ energia necessaria che fa aumentare 1’ eccitabilità e ne produce la contrazione. Siccome detta energia , secondo me è sperimen- talmente dimostrato essere di natura elettrica (1), così concludo che la fibra muscolare, specialmente quella splancnica, alla tem- peratura degli animali caldi è elettrizzabile in contatto del sale potassico, mentre non lo è il tessuto nervoso. Quest’ ultimo pare che non si combini col sale potassico alla temperatura animale , e ne è indifferente , ma si combina alla temperatura bassa dei batraci e, in seguito a questa combinazione, subisce P annientamento di ogni proprietà vitale. Nell’ uno e nell’altro caso risulta quindi, che il tessuto nervoso non è elet- trizzabile in contatto di un sale di potassio penetrato per la via (1) V. Curci L’organismo vivente e la sua anima. Azione Fisiologica del Potassio. del sangue. Certamente non è la stessa cosa lo scoprire l’encefalo e applicarvi direttamente una sostanza, come lia fatto Astolfoni con sale potassico, allo scopo di studiarne 1’ azione sul sistema nervoso. (10), Questo metodo può essere adoperato solamente a scopo scientifico e non per trarne qualche criterio pratico. E molto tempo che io cercai e spiegai la ragione di questa differenza e come appendice la esposi in uno scritto stampato sugli Annali di Chimica nel 1886 già citato, che io qui credo utile di riferire, giacché quelle esperienze e deduzioni sono ri- maste inosservate. La ragione della differenza dell’ azione consiste nella diffe- renza di temperatura.- Infatti mettendo delle rane in acqua e ri- scaldando gradatamente quest’ acqua alla temperatura circa 32°c. e non sorpassando i 33 e tenendocele per un paio di ore, allo scopo, con il riscaldare i tessuti, di renderle quasi degli animali a sangue caldo, ho fatto in uno degli arti posteriori 1’ iniezione di un sale potassico, bicarbonato, cloruro, fosfato ecc. alla dose di 2, 3, I e 5 cgm. Allora ho osservato che 1’ animale dopo un certo tempo incomincia a mostrare sintomi leggieri di paralisi ; a questo momento scoprendo il cuore, si trova già arrestato in diastole ; mentre alla temperatura ordinaria anche quando la pa- ralisi generale è completa , il cuore si trova sempre pulsante. Quindi il cuore si arresta prima che incomincia 1’ azione sul si- stema nervoso , cioè a dire s’ inverte 1’ ordine ordinario di essa azione a bassa temperatura. Stabilito questo fatto con molte espe- rienze e riconfermato anche sui rospi, i quali animali sopportano un maggior grado di calore, sino a 37°c. e così riscaldati in acqua a 37 e non oltre per un buon paio di ore , facendo poi 1’ inie- zione sempre in uno degli arti posteriori per evitare la penetra- zione nella cavità peritoneale alla dose di 5 e talvolta sino a 10 cgm. di sale potassico, hanno poi presentato lo stesso fatto , vale a dire di trovare il cuore arrestato al cominciainento dei primi sintomi di paralisi generale. Per vedere con precisione il momento in cui il cuore si ar- 28 Prof. Antonio Curci [Memoria XYJI1J resta lio fatto esperienze su rane e rospi, a cui aveva previamente scoperto il cuore, colle dovute precauzioni di fare una piccola apertura e senza aprire il pericardio, quanto bastava per poterlo vedere ed osservare. In tali casi ho visto il cuore dapprima ral- lentarsi e poi arrestarsi, mentre l’animale aveva ancora tutti i movimenti, sensibilità ed eccitabilità. Non è inutile dire e far no- tare che si sono tenuti degli animali di confronto , senza inie- zione, ai quali il cuore non si è arrestato. Ho veduto pure in questi esperimenti che 1’ eccitabilità del miocardio si abolisce prima di quella dei muscoli striati (s’intende di quelli non imbevuti di soluzione potassica). Il contrario adun- que di ciò che avviene alla temperatura ordinaria di inverno. Talvolta, mi è accaduto di osservare che il cuore arrestato, messo l’animale fuori l’acqua calda, col raffreddamento ha ripreso le sue pulsazioni. Quest’ultimo fatto indicherebbe che il sale di potas- sio non si combina stabilmente alla sostanza muscolare, perchè non credo poter ammettere che col raffreddamento venisse rotta la combinazione avvenuta a caldo, e perciò dobbiamo concludere che è solamente 1’ aumentato calore che rende il muscolo elet- trizzabile in contatto del sale e perciò eccitabile in modo anor- male ed esagerato — e che a freddo ciò non avviene. RIASSUNTO In riassunto risulta che il tessuto nervoso tanto negli ani- mali a sangue freddo, che in quelli a sangue caldo non si ec- cita in presenza di un sale di potassio, anzi si paralizza e perde 1’ eccitabilità ; cioè esso non si elettrizza e perde la conducibi- lità elettrica e da ciò la ineccitabilità. I muscoli a bassa tem- peratura fanno come il tessuto nervoso, si paralizzano perdendo 1’ elettrizzabilità e la conducibilità , forse in questo caso in se- guito a combinazione chimica come pare dallo aspetto diverso che prende il muscolo. Ma ad una temperatura superiore cioè ai 32° pei batraci ed ai 37° c. pei mammiferi, i muscoli special- Azione Fisiologica del Potassio. 2U mente del cuore e dei vasi sono eminentemente elettrizzabili col potassio, per cui aumentano di eccitabilità e di funzione e que- sto fenomeno avviene per semplice contatto e non in seguito a combinazione , perchè come abbiamo visto nelle rane già calde, i fenomeni di iperfunzionalità del cuore si dissipano col ritorno alla temperatura ordinaria; ciò non potrebbe avvenire se il potassio contraesse una combinazione chimica colla sostanza muscolare. La prova della elettrizzabilità del muscolo a temperatura elevata in presenza del potassio risulta dai numerosi studi spe- rimentali di Elettrotisiologia, che qualunque irritante applicato su di un muscolo (sale di potassio, sodio ecc.) il quale aumenti l1 eccitabilità ed ecciti la contrazione, produce la variazione ne- gativa o corrente di azione nella corrente di riposo, cioè produce una corrente elettrica, la quale, mentre si manifesta all’ esterno come variazione negativa , nell’ interno provoca la contrazione muscolare. Ciò è solido fondamento dimostrativo al mio principio, che un irritante in contatto di un tessuto svolge energia elet- trica, per la quale si eccita e si ha la reazione. E quindi dobbia- mo ammettere che a quel grado di temperatura il muscolo è elettrizzabile in contatto di un sale potassico. Da ciò la eccita- bilità speciale del muscolo cardiaco e vasale per il potassio. A piccole dosi 1’ intensità dell’ energia è sufficiente a pro- durre un notevole eccitamento ed aumento della funzione mu- scolare, a grande dose la quantità enorme dell’ energia uccide come fulmine la libra muscolare. Si capisce che iniettando grosse dosi nella vena si ha un intenso eccitamento del cuore e dei vasi, per cui si ha un rapido innalzamento della pressione e rinfor- zamento delle pulsazioni cardiache, ma subito come fulminato il cuore si arresta. Questo fatto appunto diede luogo all’errore di far credere essere il potassio un forte deprimente del cuore e si è cercato bandirlo dalla farmaceutica. Intanto non bisogna di- menticare che il potassio è contenuto abbondantemente negli ali- nienti, entra come costituente del protoplasma , serve come base alcalina nel ricambio materiale e per allontanare gli acidi dal- 30 Prof. Antonio Curci [Memoria XVIII] l’organismo. Bisogna rilevare specialmente che lia una funzione fisiologica messa in luce dalle nostre esperienze, quella cioè che esso serve a stimolare e conservare 1’ eccitabilità muscolare. È quindi un controsenso, un errore anzi , quello di volerlo esclu- dere dal novero dei medicamenti, mentre è necessario come ali- mento e può prestare servizi come medicamento per sollevare le forze dei muscoli, specialmente del cuore in malattie di questo organo e nelle denutrizioni, quale di marasma cardiaco , cuore atrofico e debole, degenerato eco. Azione Fisiologica del Potassio. 31 BIBLIOGRAFIA 1. Edimburg medicai Iournal. 2. Iourn. de 1’ anatomie et de la pliysiol ; voi. I. p. 378. Paris. 1804. 3. Gesammelte Beitràge zur Pathologie und Pliysiologie, voi. I. p. 383. 4. Berliner kliniscbe Wochensckrift, 1865 — Arcliiv. f. patliol. anato- mie, voi. 35. 5. Vergleichende Untersuchuugen iiber die pliysiologische Wirkung der Salze der Alckalieu und alkaliscben Erdeu. Inaug. Diss., Dorpart, 1874. 6. Wirchws ’ s Arcliiv. f. pathol. anat., voi. 33, p. 505, 1865. 7. Archiv. f. d. ges. Pliysiol. voi. T. p. 120, voi. II. p. 49, 1868. 8. Arcliiv. fur d. ges Pliysiol. voi. IV p. 235 — Zeischrift f. Biologie voi. IX p. 104. 9. The Iournal of Pliysiology, voi. I. p. 72. 10. Arcliives lutei', de Pliarmacodynamie et de Thèrapie — Bruxelles 1903, voi. XI. ■ • . Memoria XIX» Sopra una classe di problemi di meccanica riducibili a quadrature Memoria del Prof. 6. PENNACCHIETTI Supponiamo che le componenti X, 1, Z della forza che agisce sopra un punto materiale, libero nello spazio, di massa eguale all’ unità, sieno funzioni delle sole coordinate x. //. z del punto e die tra le componenti stesse sussistano due relazioni della forma : 0. Y ~ yX=-^- cp (7j , : Qi , xZ-z X = B (r, , Z) , ove si è posto, per brevità : y_ r z__ * X ' X Supponiamo altresì che si abbia : d>' , dr * ~ m ’ V ~ "3C ’ «' =f (p* *) + ™ fi !§-) > P' = • '[ 'i essendo f\ f\ funzioni qualunque date degli argomenti rispetti- vamente indicati. Atti Acc. Seri»; 4a, Voi,. XVII — Mem. XIX. 1 2 Prof. G. Pennacchietti [Memokia XIX. In ciò die segue ci proponiamo di dimostrare die i pro- blemi del moto d’ un punto libero nello spazio, soddisfacenti a tali condizioni, sono tutti e soli quelli pei quali sussiste la fun- zione di forza : 1 f ■ + z2\ i 1 f ■ 1 M X1 -j- t/2 -f- Z 2 ' [ ** 1 f y2 f MT) PL {oo- y2 -f- z2) , dove la terza funzione, che comparisce nel secondo membro, è data arbitrariamente, come abbiamo detto delle due altre, ed il suo valore dipende soltanto dalla distanza del punto dall’ origi- ne delle coordinate ; e dimostreremo eziandio che tutti questi pro- blemi sono riducibili a quadrature. Tale è il risultato della presente ricerca. Questa è la classe di problemi che forma oggetto dello scritto. Seguendo lo stesso metodo tenuto in questo piccolo lavoro, sarebbe pur agevole in- dicare anche altre classi di problemi del moto d1 un punto libero nello spazio similmente riducibili a quadrature, ma sopra di esse non abbiamo stimato doverci qui fermare. § I. Siano : (!) W = (- P diz=^ t71’ ove sono funzioni date di tj, £, le equazioni differenziali del 2° ordine del moto, in un piano, d’ un punto materiale, di massa eguale all’ unità, sotto 1’ azione di una forza P dipendente dalla sola posizione del punto. Sia : 9 L (r[ 1 £ 0] ì O — — 1 ^2 (^5 ^ ri 1 ^ ) C2 5 93 (rl 1 ^ ri 1 ^ » (2) Sopra una classe di problemi di meccanica riducibili a quadrature. 3 ove fiv c2, c3, sono tre costanti arbitrarie ed ove : dZ dt ’ un sistema di tre integrali primi distinti, indipendenti dal tem- po, del sistema (1). Siano d’ altra parte : le equazioni differenziali del 2° ordine del moto d’ un punto ma- teriale, nello spazio, sotto 1’ azione d’ una forza F dipendente, similmente, dalla sola posizione del mobile. Supponiamo che i momenti della forza F rispetto a due assi, passanti per un dato punto dello spazio, die assumiamo come origine delle coordinate, siano funzioni date omogenee di grado negativo — 2 delle coordinate .r, //, z del punto mobile. È evidente che, se tale proprietà si verifica rispetto a due assi qualunque, ortogonali o no fra loro, passanti pel punto dato, si verifica eziandio per qualsivoglia altro asse condotto per lo stesso punto. Si abbia adunque : (4) xY — //X = -i- ' o (7j , Z) , xZ — — ò (T| , Z) , In tale ipotesi si deduranno immediatamente dagli integrali (2) del sistema (1) tre fra i cinque integrali primi distinti, in- dipendenti dal tempo, del sistema (3) e saranno : (3) ove y_ X ' X z Prof. G. Pennacchietti [Memoria XIX.J essendo «pA , cp2 , | 2F \j — -qx’ , z' — &r' , 3^ ? ^ 1’ equazione di una superfìcie conica, sulla quale resterà costan- temente il punto materiale, libero nello spazio, sotto 1’ azione della forza F. E quasi superfluo aggiungere che il primo mem- bro dell’ ultima equazione si otterrà dal primo membro della penultima, sostituendo le quantità ~ , -t- , al posto di , £ ri- spettivamente, e conservando la intera arbitrarietà a tutte e tre le costanti distinte cv c0, c3. Sopra una classe di problemi di meccanica riducibili a quadrature. § II. Pel problema del piano, in confronto del moto rettilineo, vale, come osservò il Bertrand, un teorema analogo. E infatti, se il momento della forza P, di componenti soddis- facciano alla (9), ove f sia una funzione data dell’ argomento ~ e f sia, come si è detto, la derivata di tal funzione rispetto 8 Prof. G. Pennacchietti [Memoria XIX. J a questo argomento. Il sistema (1) ammetterà 1’ integrale pri- mo (10). Supponiamo di più che lo stesso sistema (1) ammetta V integrale delle forze vive : Ciò è manifestamente possibile, e, data la funzione f che figura nella (9), la determinazione della funzione di forza r(r„£) dipende da una quadratura. Il problema del piano è in tal caso ridotto a quadrature. Se allora del sistema (3) si conosce un integrale primo, indipendente dal tempo, il quale non sia uno dei tre integrali primi distinti, indipendenti dal tempo, comuni a tutti i singoli problemi della classe caratterizzata dalle equazioni (4), dalle • 'cl'v 3r relazioni cp = e dalla funzione v(-q, £) ora determi- nata, il problema del moto del punto nello spazio sarà riduci- bile a quadrature. Resta di vedere come si possa approfittare delle precedenti osservazioni per dimostrare il teorema che mi sono proposto nella introduzione di questa Nota. A tale scopo ricerchiamo intanto la condizione necessaria e sufficiente, a cui devono soddisfare le due componenti co, <[> della forza P, nel problema del piano, affinchè la forza P, di componenti X , l7, Z, nelF ipotesi (4), ammetta una funzione di forza u. Supposta P esistenza di tale funzione, le (4) diventeranno : (il) - (V + C) - » Ob l) = * § IH 3« a- 3» 1 x + ? Oh 0 — r~ 0 ■ 3» (loj — %v3 -f- rfcx2 4- (-/|2 -f- 1) x2 -f- (vj, £) — 0, i cui primi membri rappresenteremo brevemente con A (F), B(F). Si avrà identicamente : A (B (F) ) - B (A (F) ) = !3*2 fcjq. — r‘dT} +[^ + 1)lr + r^3T ~ n 3? ~ 3? 3C r‘ ’• drj _ dF )_ 3« t Si verifica che si ha pure identicamente : (F) - 3qB (F) = 3x2 (£ +3 (£p - rtf) = 0. Atti Acc. Serie 4% Voi,. XVII - Meni. XIX. 10 Prof. (òr. Pennacchietti [Memoria X1X.J Se indi da queste due equazioni si elimina la quantità 3 P(£ ~ — vj e poi l’equazione risultante si divide per x2 — , si avra 3? 36 3

    — ?cp) -f- (>l2 H“ 1) 27 ~r 7i? ^ — (£2 4~ 1) "j?" — r della forza P, nel pro- blema del piano, affinchè la forza P, di componenti X, T\ Z, nell’ipotesi (4), ammetta una funzione di forza u. § IY. Si giungerà infine alla dimostrazione del teorema enunciato nella introduzione, ricercando la condizione, per cui la forza P, di componenti

    (vj, £), nel problema del piano, e la forza P, di componenti X (x,y,z), Y (x,y,zj, Z (x, y, z), nel problema dello spazio, nell’ ipotesi (4), provengano, simultanea- mente e rispettivamente, da funzioni di forza u (vj, £), v (x, y , z). Supposto cbe ciò si verifichi, potremo porre : (15) . La funzione di forza v, nel problema del piano, è allora la somma di una funzione della distanza del punto mobile dal- 1’ origine delle coordinate nel piano e di una funzione omogenea 12 Prof. G. Pennaccliietti [Memoria XIX. J di grado negativo — 2 delle coordinate r(, £ del punto, sicché iì punto mobile nel piano può considerarsi soggetto a una forza diretta costantemente verso 1’ origine e funzione della distanza e ad un’ altra forza che ammette una funzione di forza omo- genea di grado negativo — 2. Nell7 ipotesi delle (lo), (17) si ha poi sviluppando : (18) di' de ove : (19) f, ((H = 2 f fi d-) + (! + -S) f, <7~) ’ o ciò che è lo stesso : (20) ove : di) d® '• W ~ r‘ ac (21) /; (-f ) = [ i + ({-)’ ] fi (f) . cioè il momento della forza P, rispetto all’ origine, nel proble- ma del piano, è una funzione omogenea di grado — 2 delle coordinate. § V- Passiamo ora ad integrare il sistema delle due equazioni differenziali parziali di prim’ ordine lineari omogenee (12), (13) colle condizioni (15), (17), le quali, per quanto si è detto, non sono necessarie, ma però sono sufficienti perchè il sistema stesso sia Jacobiano. Sopra una classe di problemi di meccanica riducibili a quadrature. 13 3F A tal line dalle (12) e (13) elimino , ho presenti le (15) e (20) e pongo per brevità : (22) Dovrò integrare il sistema Jacobiano : , ,, 3 F 3-F 1 3F x 3^ q 5? f 3 {rj-ì = 0 ’ ac- 3F 3 F 3F 3f - V‘ h + (1 -MV ir + ir + '?(■'!> S) ir ove, per le (21) e (22), è : (23) f3 («) = (1 + a2) f\ (a) . Questo sistema, trasformato mediante la (22), dalle varia- bili u, x, 7], Z, alle variabili u, x, vj, a diviene: = o (24) 3 BF | 2 /-i | 2 \ »2a 3 F 3F ~'qx (1 +rr) -dh ^ 35" + ? *T = 0 ’ dove, dapprima per le (18), (20), (22), (23), è : (25) f3 («) = /* («) = (1 + a2) /)' («) + 2a f\ (a) , poi, per la prima delle (15), per la (17) e per la (22), si tro- verà essere : (26) ? =z 2yj f (ri2 (1 + a2) ) - - j\ (a) - ~ f' (a) Della prima equazione del sistema Jacobiano (24), tenendo conto della (25), si hanno le due soluzioni : (27) fi («) w rf (1 + a2) = a , 14 Prof. G. Pennaccliietti [Memoria X1X.J sicché si può porre : F = F (x , a , w). Mediante le due relazioni (27), assumo come variabili in- dipendenti 7], x, a, w, invece di yj, x , a, «, con che, facendo i consueti calcoli, la seconda equazione del sistema Jacobiano (24) diviene : y d+°) y-V' dF = 0, nella quale ora F è funzione delle tre sole variabili x , w. Di quest’ equazione si hanno le soluzioni : (28) (l+o)a* = p, w-(TT^- = D oltre la soluzione identica : cosi. Onde 1’ equazione, che serve a determinare la funzione di forza u, è : F (P, T) = 0 ovvero : T = Fl (P) , da cui, eseguendo, per mezzo delle (28), (27), (22), le trasfor- mazioni inverse, per ritornare alle variabili x, q , £, u, si tro- verà facilmente la seguente espressione generale della funzione di forza u : (29) u = ^2 fi + X 2 (1 ■ •C2) f (y f-\-^) JrFl (tf2 (1 + v + O )• 1 Si verifica facilmente che la funzione : F = ff f‘ (4>+^(i +V + g) + g> + (**(! + >!•+!?) )-*, quando le quattro quantità x , r(, «, vi si considerino come Sopra ima classe di problemi di meccanica riducibili a quadrature. 15 variabili indipendenti, soddisfa al sistema (12), (13), ove, secondo le (26), (22), la prima delle (15) e la (17), siano fatte le posi- zioni : ♦ = W C'r + ^ fi <■ f > - -£ f; ( \) , #=: w <»ì!+s!)+4 -fi'(-r-), ’l 'l le quali, per ciò che precede, rendono Jacobiano il sistema stesso. Per le posizioni (5), la espressione generale (29) della fun- zione di forza u assume anche la forma : (30) r /, *2 + y2 + z2 + U (*• + *» + «•), già data nella introduzione di questo lavoro. § VI. Tutto ciò, che si è detto sin qui, si riassume dicendo : 1" che i problemi del moto d’ un punto libero nello spazio, indi- cati in principio di questa Vota , sono tutti e soli quelli pei quali la funzione di forza u è contenuta nella formula generale (30) ; 2° che tutti questi problemi sono riducibili a quadrature. Un integrale di tali problemi è dapprima quello delle forze vive : (A) V ( x '* -f y '* -f z'2) — u = kt ove u è la espressione (30) e Jc la costante arbitraria. Avendosi poi le (18), (19), si conclude, dal teorema espres- so dalle (9) , (10), che un integrale primo del problema del moto nel piano è : (31) « - ClT + 2 (1 + /, (-|) = o. Perciò, in virtù della corrispondenza che abbiamo espresso 16 Prof. G. Pennaccliietti [Memoria -&1X.] colle (2), (6), e che abbiamo dimostrato nel § II, un altro in- tegrale primo dei problemi del moto libero nello spazio è : (B) {yz — zy'f + 2 (1 + 4r) fL (~) = c , essendo c la costante arbitraria. Il problema del moto nel piano ammette anche V integrale delle forze vive (11), nel quale v è la espressione (17) ; quindi, in virtù della ora accennata corrispondenza , il problema del moto del punto libero nello spazio ammette, oltre i due inte- grali primi trovati (A) e (B), anche 1’ integrale primo seguente : (0) (xy' — yx'f -[- (xz' — zx)2 f -y- ft (—) = h • v x~ ' y2 1 K y ove li è la costante arbitraria. Finalmente dai due integrali primi indipendenti dal tempo (11), (31) del problema del moto nel piano si deduce, con qua- drature, secondo la teoria del moltiplicatore di Jacobi, un terzo integrale indipendente dal tempo, pure del problema nel piano, e da quest’ ultimo integrale si dedurrà, servendosi di nuovo della corrispondenza spiegata nel § II, un quarto integrale, parimenti indipendente dal tempo, pel problema nello spazio. Si conosce così un sistema di quattro integrali primi di- stinti, indipendenti dal tempo, cioè (A), (B), (0) e il quarto ora detto, pei problemi del moto nello spazio, definiti dalla funzione di forza (30), sicché, il teorema, enunciato nella introduzione del presente lavoro, ne scaturisce, senz’altro, applicando una seconda volta la teoria del moltiplicatore di Jacobi. Catania-, 25 luglio 1904. INDICE Dott. S. Di Franco — Studio Cristallografica sull’ Ematite dell’Etna (con due tavole) Prof. F. Cavar» e N. Mollica — Intorno alla « ruggine bianca » dei limoni Osservazioni e ricerche (con una tavola). ..... Dott. Barbagallo P. e Brago B. — Primo contributo allo studio della Fauna elmin- tologica dei pesci della Sicilia orientale ....... Prof. G. Fiiluni — • Stilla teoria delle forme quadratiche Hermitiane e dei sistemi di tali forme ............. A. Ricco e S. Arcidiacono — V Eruzione dell’ Etna del 1892 — Parte HI — Visite all’ apparato eruttivo ed al cratere centrale (con tre tavole) .... Prof. E. Di •ago — Sulle opposte variazioni di resistenza dei coherer a perossido di piombo per influenza delle onde elettriche ....... G- Lopriore e G. Coniglio — La funzione delle radici in rapporto alle funzioni traumatiche ............ Dott. G. Scalia — Mycetes siculi novi ......... Prof. G. Fllbini — Applicazioni analitiche dei gruppi di projetiività trasformanti in se una forma Hermitiana .......... Dott. R. Di Milia — Fenomeni carsici e pseudovulcanici del monte S. Calogero di Sciacca ............. Dott. G. Marletta — Le trasformazioni (2,2) quadratiche e miriche di spazio Prof. A. Cavasi no — Sulle variazioni diurne del potenziale elettrico dell’ atmosfera . Dott. V. Amato — Sugl’ integrali delle equazioni del moto d’ un punto materiale F. Magri — ■ Primo contributo alla conoscenza dei crostacei deeapodi abissali del Com- partimento marittimo di Catania ......... Dott. Nicolò Giampaglia — Formale d’ incidenza per le coppie punto e retta, retta e piano, punto e piano nello spazio ad n dimensioni ..... A. Ricco e L. Mendola — Risultati delle osservazioni meteorologiche del 1903 fatte nel R. Osservatorio di Catania ......... A. Riccò — Eruzioni e Pioggie .......... Prof. A. Curci — Azione fisiologica del potassio ....... Pl'Of. G. Pennaccllietti — Sopra una classe di problemi di meccanica, riducibili a quadrature ............ Memoria I II III IV VI VII Vili IX X XI XII XIII XIV XV XVI XVII XVIII fa' XIX - 9 . fPfSI ilill mwm il*