Digi ee are di è s S |a < ===="<=>*—=< *=REzv = TITOLO PRIMO DELLO SCOPO DELL'ACCADEMIA E DEL CORPO ACCADEMICO 1. L’Accademia si occupa nella prosperità e nel progresso delle scienze delle lettere, e de’ principî delle arti. 2. Essa risiede nel palazzo di Città ai termini -del decreto vice-regio del 1791 ; ed il Magistrato municipale , che la provvede di assegnamento, n° è il Patrono per- petuo, giusta l’altro del 1792. 3. L’Accademia è partita in tre Sezioni: Scienze esatte e naturali; Scienze morali e politiche; Lettere ed Arti. 4. I Socî che la compongono sono divisi in Attivi, Onorari e Corrispondenti. 5. Gli Affivi sono in numero di sessanta, cioè venti per Sezione; essi han dritto alle votazioni, alle cariche , agli emolumenti accademici, e vanno strettamente so0g- getti all'adempimento di questi Statuti. i 6. Il grado di Onorari sarà conferito a persone qualificate o per titoli, o per di- gnità, o per sapere, o per merito segnalato; essi potranno leggere in sessione, e chiunque di loro potrà dare lavori pegli Atti. Essi potranno prendere parte alle vo- tazioni, quando il Presidente lo crederà conveniente. Emeriti saran dichiarati quei Socî Attivi, che avranno colla loro diuturna assi- stenza e con diversi lavori ben meritato dell’Accademia; nel quale caso il posto da loro lasciato si occuperà dal successore. I Socì Emeriti hanno sempre facoltà di vo- 6 STATUTI DELL'ACCADEMIA tare negli affari dell’Accademia; essi quindi interverranno alle sessioni; e conserve- ranno il dritto di concorrere alla carica di Presidente. 7. I Corrispondenti sono residenti o collaboratori, e non residenti. $ 1° Sono ammessi per Corrispondenti o Collaboratori quei soggetti, che, noti qui per valore scientifico o letterario, sono degni di essere aggregati a questo Corpo, alle cui sessioni dovranno intervenire, ancora per comunicare i loro lavori. Essi potranno nelle future vacanze essere promossi .al grado di Socî Attivi. $ 2.° Il titolo di Corrispondente non residente si conferisce a quei dotti, siano nazio- nali o stranieri, che, non soggiornando in Palermo, potranno giovare all’ Accademia co’ loro scritti, e che godono rinomanza per opere di scienze, di lettere o di arti. TITOLO SECONDO DEL MAGISTRATO ACCADEMICO ig Ala Magistratura è costituita da un Presidente, un Vice Presidente, un Se- gretario Generale, un Tesoriere, tre Direttori, tre Segretarî di Sezione. Essi insieme con gli Anziani, de’ quali sarà detto appresso, formano il Consiglio dell’ Accademia. 9. Il Presidente ha sempre il primo posto di onore. Egli qual capo di questo Corpo apre e chiude le sessioni, conserva l’ ordine e mantiene la disciplina: la sua carica dura cinque anni, dal dì della sua elezione; e potrà essere confirmato. 10. Il Vice-Presidente sottentra alle funzioni di capo in assenza del Presidente, ed ha pari durata. i AI. Il Segretario Generale è 1° organo della corrispondenza interna ed esterna dell’Accademia, che a lui affida la legalità, la formazione, la custodia dei suoi Atti: egli pur tiene in serbo Yarchivio, il suggello, i libri, i tomi degli annali, gli scritti ed ogni oggetto a quello appartenente: la sua carica pur è quinquennale, dal dì della sua elezione, e potrà essere confirmato. La segreteria dell'Accademia è sotto gli ordini del Segretario Generale. 12. Gli Anziani trascelti, due per ciascuna delle tre classi, danno il parere sul merito di que’ lavori che possono far parte degli Atti, e sopra ogni altro; e insieme col Magistrato formano il Consiglio permanente della Accademia; convocato sempre dal Presidente, o dal Vice-Presidente, in tutti i casi bisognevoli. 13. Il Direttore è capo della Sezione, e presiede ai suoi radunamenti particolari. 14. Il Segretario di Sezione mantiene la interna sua corrispondenza, e serva le carte che le appartengono. ; 15. La durata dei Direttori, ilei Segretarî e degli Anziani è triennale: essi pure a giudizio dell’Accademia potranno essere riconfirmati. a 16. Nei casi di assenza suppliscono al Presidente il Vice-Presidente ed a questo il più anziano dei Socî Emeriti, ovvero de’ Direttori; al Segretario Generale il Segre- tario più anziano di Sezione e così di seguito ;. come al Direttore di Sezione i! più anziano dei Socî, ed al Segretario di classe l’ultimo socio nominato : l’anzianità sarà sempre riconosciuta dalla nomina e non dall’età. 4 STATUTI DELL'ACCADEMIA 7 17. Il Magistrato è legalmente radunato, qualora dei nove individui che lo com- pongono vi sieno cinque almeno presenti; esso invigila l’ osservanza delle leggi. Il Consiglio è legalmente radunato colia stessa proporzione. 18. Quando saranno uniti il Direttore, il Segretario ed uno degli Anziani si inten- derà legalmente costituita la Magistratura di Sezione. i 19. Le adunanze, così della generale, come delle parziali magistrature, si ter- ranno due volte l’anno: ma per qualche bisogno potranno convocarsene delle straor- dinarie : dal Presidente le prime, dai Direttori le seconde. 20. Le deliberazioni del Magistrato saran prese a maggioranza di voti: in caso di parità, chi presiede ha voto decisivo. Per quelle dei Magistrati di Sezione nei casi di parità si chiamerà la votazione della classe. 21. Quando l’Accademia crederà e potrà proporre dei premî per concorso, il Pre- sidente, consultato il Magistrato eligerà una Commessione di esame con corrispon- dente statuto. TITOLO TERZO ; DELLE SESSIONI ACCADEMICHE 22. Le sessioni ordinarie di ogni anno saranno una per ogni mese, tranne le vacanze di maggio ed ottobre; le straordinarie, generali o parziali, potranno convo- carsi secondo il bisogno, quelle dal Presidente, queste dai Direttori. La prima sessione generale ordinaria dell’anno accademico sarà in forma solenne. 23. Di tali sessioni son destinate le ordinarie alla lettura dei lavori accademici e alla discussione dei trattati argomenti, le straordinarie agli affari interni. 24. Le deliberazioni delle sessioni generali si faranno a maggioranza assoluta di voti segreti, da raccorsi per bussolo ovvero per ischede, purchè i votanti non sieno meno di quindici. Colla stessa proporzione le votazioni di Sezione. 25. Se dalla prima votazione non risulti detta maggioranza, le due opinioni pre- valenti si manderanno a partito, e tutti i votanti si appiglieranno ad una di esse: nei casi estremi di pari suffragio, se ne commetterà lo scioglimento alla saviezza del Presidente. i i 26. Nella categoria degli affari entrano le elezioni così degli Ufficiali, come dei Socì, e per gli uni e per gli altri si procederà nel modo seguente. 27. Per la elezione di un Socio Attivo, la Sezione, cui appartiene, darà nota di più elegibili additando di ciascuno le qualità al Magistrato, che la presenterà alla Accademia, e questa voterà sopra i notati soggetti, cominciando da quello che sarà proposto in maggior numero di note, e così in seguito. 28. Ciascun Socio ha diritto di proporre dei soggetti per Soci Oonorarî o Colla- boratori o Corrispondenti, facendo presenti con nota particolare i loro meriti al Segre- tario Generale, il quale ne farà rapporto all'Accademia, cui si spetta l’ammetterli per la solita via delle votazioni segrete; bene inteso, che il numero di questi Socî seb- 8 STATUTI DELL'ACCADEMIA bene non limitato, sia proporzionatamente discreto. L’elezione si farà nella sessione posteriore alla proposta. 29. Quando un Socio Attivo pel corso di un anno continuo non sarà intervenuto in alcuna delle sessioni, senza legittimo impedimento, debba questo fatto aversi come a tacita dichiarazione di non essere a lui più confacente una tale qualità attiva, ed allora l’Accademia potrà trasferirlo in altra classe. TITOLO QUARTO DEI LAVORI ACCADEMICI 80. Le tre Sezioni potranno tenere tornate accademiche sopra materie che le concernono; benchè non sia disdetto ai Socì di una Sezione il prendere ad illustrare un tema proprio delle altre; da leggerlo intanto nella sessione che a queste pur tocchi. 84. Nella prima radunanza di ogni anno ciascuna Sezione potrà proporre un numero di argomenti da distribuire ai Soci Attivi: ciascun di questi è tenuto di leg- gervi una memoria almeno nel corso di due anni. 32. Si comincia 1’ adunanza sotto la presidenza del Magistrato, e il Segretario Generale legge dapprima il conto reso della precedente tornata; con esso il sunto della memoria ivi letta. Quindi si procede alla lettura di uno o più lavori che saran- no preparati, ed alla discussione degli affari che sono stati posti all'ordine del giorno. 33. Così gli esemplari come gli estraiti delle memorie dovran consegnarsi al Segretario Generale, e riporsi nell’archivio. Delle detle memorie alcune saranno per intero pubblicate negli Affi; delle altre se ne daranno al pubblico i sommi capi, secondo la decisione del Consiglio Accademico. Ciò non ostante potrà l° autore pubblicare da se la memoria col visto del Presidente, e del Segretario Generale. 34. La scelta delle memorie da pubblicare si farà a giudizio del Consiglio acca- ‘demico incaricato della formazione degli Atti. 35. Gli esemplari di questi verranno, altri donati, ed altri venduti, a tenore delle disposizioni del Magistrato: ciascuno autore avrà gratuitamente trenta copie della sua memoria nel volume inserita; ed una copia dell’intero volume ogni Socio. 86. Le sessioni di Sezione si faranno con lo stesso metodo delle sessioni generali. 37. Chiunque sarà eletto Socio Attivo, comincerà l’esercizio della carica col leg- gere l’elogio del suo predecessore, che poi si riporrà fra gli altri scritti, da pubbli- care nella Storia dell’Accademia. ? 38. Ogni Socio è in dovere di presentare all’ Accademia una copia di ciò che stampa, onde fornire col tempo una propria Biblioteca, che si avrà cura di andare accrescendo, parte con donativi, e parte con dotazione. 39. L'Accademia non si rende garante delle opinioni, dei sistemi , e delle dot- trine comprese nei discorsi dei suoi componenti. 40. Al Magistrato dell’Accademia si aspetta l’amministrazione degli averi ed equi- librarli collo stato discusso che dal Corpo intero verrà stabilito. STATUTI DELL'ACCADEMIA e) 41. Il denaro assegnato per dotazione si ritirerà a polizze firmate dal Presidente e dal Segretario Generale. 42. L'Accademia nominerà un Tesoriere, che faccia i conti di entrata e di uscita, a cui favore soltanto si possono spedire tali polizze. 13. Questi terrà sempre presso di se. la sémma riscossa sino alla quantità am- messa nel bilancio per le spese periodiche occorrenti; ma non potrà nulla spendere senza mandati a firma del Presidente e del Segretario Generale. Il di più della som- ma per la pubblicazione degli At si terrà nel pubblico banco da spendersi poi con l’usata regola dal Tesoriere. 44. Il Presidente ed il Segretario Generale potranno disporre le bisognevoli ero- gazioni, dandone conto all’ Accademia per l'approvazione. 45. La carica di Tesoriere è triennale, se non che potrà esservi rieletto. Sua cura sarà ritirare le quietanze delle somme pagate, e controllare le polizze per tenerne conto nel suo registro. x i S 46. Sul finire dell’anno darà i suoi conti al Presidente ed al Segretario Gene- rale, li quali bene esaminati, li presenteranno all'Accademia per riportarne la finale quietanza. 47. Per ciò che altro riguarda l'interno servizio della Accademia, il numero e gli obblighi dei registranti e degli uscieri, la tenuta dell’ Archivio e della Segreteria, saranno sancite peculiari leggi. 18. Le corporazioni letterarie che vorran collegarsi alla nostra potran farlo come Socie o come Colonie. 49. Come Socie saranno accettate quelle che vorranno concorrere al: bene e pro- gresso delle Scienze e delle Lettere per lo mezzo di una regolare corrispondenza. 50. I Presidenti ed i Segretari generali al momento dell’ Associazione saranno reciprocamente dichiarati Socì corrispondenti, e si contraccambieranno i diplomi. 5A. I membri Attivi dell’Accademia socia potranno inviare a questa le loro me- morie per esservi lette ed anco inserite negli Atti, ove ne sieno reputate degne. 52. Come Colonie verranno aggregate quelle Corporazioni letterarie; che vogliano più intimamente appartenere a questa, adottandone gli statuti ed i metodi di lavoro. 53. I loro Presidenti e Segretarìî durante la carica sono considerati come Socî Corrispondenti, ed essi faran conoscere a tempo debito a questa nostra i lavori dei loro colleghi. 54. Le Colonie sono in debito di eseguire quei tali lavori che vengono loro com- messi, e che poi letti nell'Accademia, ove sieno approvati, saranno inseriti negli Atti. 55. Un Socio Attivo delle Colonie, quando si trova in Palermo, interverrà alla Accademia in grado di Collaboratore; e per converso un membro della nostra, inter- venendo in una Colonia, vi sarà riguardato qual Socio Attivo. ELENCO DEI SOGJ —_____—__—_> 0< ‘4 PROMOTORE L’Illustre Commendatore DOMENICO PERANNI Sindaco della Città di Palermo, PATRONO IL MUNICIPIO PALERMITANO, PRESIDENTE Il Signor GIUSEPPE DE SPUCHES Principe di Galati. VICE-PRESIDENTE Il Professore NICOLO’ CERVELLO. SEGRETARIO GENERALE Il Professore GIUSEPPE BOZZO. TESORIERE Il Professore ANTONINO MACALUSO (Incaricato) 42 bo => > Spb fa>_ fîffpaeee aE+FSHRFFFEIEE IE’ o DS QQ A Sb ww da: dWv Dn > O I SO) UU BS ww N > © 0 41 O W DS 9 6 SOCJ ATTIVI iSiioenie—__—_— CLASSE DI SCIENZE NATURALI ED ESATTE . TopAro prof. Agostino, Direttore. . PorcarI barone AncELO, Anziano. . Lo Cicero prof. GiusapPa, Anziano. . MacaLuso prof. AntonINO, Segretario. . ALBEGGIANI prof. GIUSEPPE. . Banpiera dott. GrusrpPpE. BroLo duca FepeRICO LANCIA. . Cacciatore prof. GAETANO. . CAacopARDO prof. SALVATORE. . CALDARERA prof. FRANCESCO. . CANNIZZARO prof. STANISLAO. . CarveLLo prof. Nicorò. . CoppoLA prof. GrusEPPE. . GemmeLLARO prof. GAETANO. . Insenca prof. GIusEPPE. . Napori prof. FEDERICO. . PiccoLo prof. GrroLamo. . RAFFAELE prof. GIOVANNI. . TaconInI prof. PretRO. . ZappuLLa prof. MrcaELE. CLASSE DI SCIENZE MORALI E POLITICHE . Bruno prof. Giovanni, Direttore. . RarsaupI can. prof. MicnrLANGELO, Anziano. . Macciore Perni avv. FRANCESCO, Anziano. . Di MenzaA consigliere Gruseppe , Segretario. . Arpizzone dott. GrroLamo. . BagnARA monsignor FRANCESCO. . DeLtIGNOSO prof. avv. GAETANO. 13 . Fiorenza ab. GiusEPPE. . GuARNERI avv. ANDREA. . La ManTIA consigliere Vrro. . Marino dott. GrusePPE. . MaurIGI marchese GIOVANNI. . Mazza consigliere Luicr. . OrLANDO consigliere Diego. . PeRANNI commendatore DomEenICO. . TurANO monsignor Domenico. . Turrisi barone Nicorò. . UenuLENA prof. GrusEPPE. . VannEsCcHI presidente GAETANO. . G. B. avv. Rurro. CLASSE DI LETTERE ED ARTI . Dr Giovanni prof. Vincenzo, Direttore. . La Lumia dott. Isimoro, Sopraintendente Generale degli Archivi, Anziano. . CostanTINI avv. GrovanNnI, Anziano. . VirrarsALE prof. Mario, Segretario. . Bozzo prof. GrusePPE. . CAvALLARI prof. SAVERIO. . Gusa cav. prof. SALVATORE. . DArrA prof. GAETANO. . Di Marzo ab. GioAcHINO. . GALATI principe Gruseppe DE SPUCHES. . Gravina ab. DomeNICO. . MeLi prof. Giuseppe. . MontALBANO canonico GIUSEPPE. . Pasca canonico CESARE. . PeREZ consigliere FRANCESCO. . SALINAS prof. ANTONINO. . SANFILIPPO canonico PietRO. . Spata dott. GiusEPPE. . Amico prof. Ugo AnTONIO. . ViLLari prof. Fiuppo. 14 SOCJ EMERITI Barone Viro D’'Onpes REGGIO. Avv. Fiuippo SANTOCANALE. Cav. FrANcESco De BrAUMONT. Avv. GrusePPE CRISCENTI. Marchese di ViLLarena MortILLARO Vincenzo. Prof. MARIANO PANTALEO. Prof. Fiuippo MaGGIACOMO. Barone BarroLomro D’Onpes Rao. Dott. FERDINANDO BARONE. Monsignor Vincenzo CRISAFULLI. S0CJ ONORARJ Conte Franc. PaoLo LAnzA di Trabia. Principe di Comitini MicneL® GRAVINA. Principe di Manganelli Antonio PATERNÒ. Principe di Lampedusa Giurio Tommasi. Gonte di Almerita Lucio Tasca. Canonico Francesco Ragusa. Gav. Giovanni FRAGCIA. Avv. Vincenzo Di Marco. Proc. Gen. PretRo CASTIGLIA. Dott. Tommaso LA Russa. Prof. Firippo EvoLa. P. SaLvatore Lanza di Trabia. Marchese di San Gracinto. SOCJ CORRISPONDENTI RESIDENTI 0 COLLABORATORI Prof. AnToNIO GIARDINA. Prof. FrANncEScO Pienocco. Dott. GirusePPE CACCIATORE. Avv. Mario Corrao. 15 Prof. ANGELO AGNELLO. Prof. CARMELO PARDI. Sac. Isinoro CARINI. Barone RAFFAELE STARRABBA. Sac. Marco ANTONIO SPOTO. Prof. Luigi SAMPOLO. Prof. Giovan BATTISTA BASILE. Gav. Giroramo FLORENA. Cav. FeLice FarpELLA di Ripa. Avv. Pietro GRAMIGNANI. Avv. ANTONINO ZEREGA. Cav. RAFFAELE PALIZZOLO. Dott. GArtANO LA FATA. Avv. PaoLino MALTESE. P. Fiuippo MATRANGA. Prof. Gruseppe ARCULEO. Cav. Corrapo Lancia di Broco. Dott. Giuseppe PiTRrè. Dott. SeBASTIANO REYES. March. GAETANO CELESIA. Maestro Pietro PLATANIA. Signora ConcertA FiLETI RAMONDETTA. Sac. Prof. SALvAToRE Di BARTOLO Marchese di Monterosato Dr ALLeRI. SOCJ CORRISPONDENTI NON RESIDENTI Cardinale GAspArRE GRASSELLINI. Principe. Pietro OpESCALCHI. Cav. LronaRDO Vico. Dott. Minà PaLumpo FRANCESCO. Prof. Giuseppe CASCIO-CorRTESE. Dott. Minà La GruA ANTONIO. Cav. RArrAELE BusAcca. Prof. FiLippo PARLATORE. Dott. FrANcESCO Accorpino. 16 Prof. ANDREA ARADAS. Pror. FRANCESCO TORNABENE. Cav. LeopoLno DeL Re. Commendatore MicHEeLE CELESTI. Prof. AgatINO Lonco. Prof. AncELO SECCHI. Prof. Giuseppe MERCURI. Consigliere Vincenzo CACcIOPPO. Consigliere Vincenzo ERRANTE. Prof. FrANcEScO FERRARA. Viro BELTRANI. Cav. NicoLò ANZALONE. Prof. Francesco Acri. Dott. Giuseppe BIONDI. Prof. GrusePpe RomANO. Prof. Pietro FONTANA. Consigliere FRANCESCO CRISPI. Cav. FiLippo STURZO. Prof. MrcHeLE AMARI. Canonico Giuseppe VAGLICA. Prof. Giov. Bart. DE Rossi. Cav. CESARE CANTÙ. Prof. GiusePPE ZURRIA. Dott. VincENZO SCARSELLI. Prof. GiovANnNI CARRUCIO. Cav. AnniBALE De GASPARIS. Dott. Giuseppe SENSALES. Prof. EmiLio CORNALIA. Prof. ORLANDINI ZUCccAGnI. Prof. SiLveEstRO CENTOFANTI. Prof. Giuseppe FERRARIO. Sac. Corrapo Spano. Conte Innocenzo GuAITA. Gav. ANTONIO ARIETTI. Cav. CATIELLO GAETA. Cav. CesArE Guasti. 47 MARIANO GRASSI. ALronso ERRERA. GruLio ALBERGO. DOMENICO VENTIMIGLIA. F. G. ARABIA. Prof. Pietro SBARBARO. Sig.® TroLinpA FrANcESCHI PiGNOCCHI. Prof. FrRANcESCO DENZA. FRANCESCO PRUDENZANO. Comm. FRANCESCO ZAMBRINI. Ab. Luigi Tosti. Cardinale ANTONINO DELUCA. Vito FORNARI. SAVERIO BALDACCHINI. Dott. Francesco Picone. Prof. GIOVANNI SANTINI. Conte GIiovANNI CITTADELLA. Prof. FEDELE LAMPERTICO. Prof. FraNcEScO RizzoLi. Prof. Francesco BrioscHI. Dott. Giacinto NAMIAS. Dott. FRANCESCO BEGGIATI. Dott. G. B. ERcOLANI. Dott. IsArA GRAZIOLI. Prof. GIOVANNI SCHIAPARELLI. Dott. GiuLio CARCANO. . Dott. Lurci CREMONA. Cav. DomeNIcO MARCHETTI. Comm. Lurci LuzzattI. Ab. JAcoPO ZANELLA. Prof. Dieco ViITRIOLI Avv. PasquaLE CONFORTI. Conte Luici PASSERINI. Prof. FrLice CASORATI. Cav. GriAcINTO CARENA. Prof. SALVATORE BETTI. 3 48 Dott. Giovanni De BrIGNOLE di Brenoff. Prof. Lurc1 MINERVINI. - Prof. E. FERGOLA. Cav. NicoLò TomMAsEo. Maestro EnRrICO PFTRELLA. Barone Corranpo AREZZO Comm. Casimiro ZERILLI. Dott. FerpINANDO De Lesseps, Parigi. V. Hugo, Parigi. Gav. F. Guizor, Parigi. Cav. IppoLito Passy, Parigi. Prof. AnoLro HoLm, Lubecca. Cav. Prof. CaRLo WirTE, Halle. Sig. Dott. Lurci Acassiz, Cambridge S. U. (Boston). Sig. Dott. GC. Vesselofski, S. Pèfersbourg. Ab. ApoLro QueTELET, Bruxelles. M. L. Blin, San Quintino. M. Josepa Barnes, Washington. M. Houssarp, Tours. W. Van Wocre, Harlem. Auc. Francois Le Joris, Cherbourg. Jos. HraRy, Washington. CaarLEes Voet, Ginevra. Jos. K. Barnes, Washington. Consigliere Luicr MascHEK, Zara. ISTITUTI ® SOCIETA SCIENTIFICHE CHE SONO in corrispondenza di doni e di comunicazioni CON L'ACCADEMIA COMMISSIONE DI AGRICOLTURA E PASTORIZIA. . .......... SER Palermo ACCADEMIA DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI. . Le . + + +. Aci-Reale AccaDEMIA GIOENIA DI SCIENZE NATURALI. . |... . . +. Catania NCCADEMISEDIASCIENZE LE LETTERE SER en n . + Napoli RERISALTURORLOMBARDO I 0 I e, Milano ACCADEMIA DI SCIENZE... .... DILATA EEC E Saar ea .- +. + + Bologna ISEIRULONDI SCIENZE: (LETTERE CEDV'ARTI: ge 0 e ne ARS . Venezia SOCIELAGIDIGSTORIAMNATURALESG Ne UO SEDI1este INEENEONDISSCIENZE SE LETTERES 0. e o RR Na o . .. Bergamo NCCADEMIAGDIGLELTEREA MO SI ROTTI n E Pisa INCENDENTASDERBEISIOCRITICIHI o SR Siena SocieTA” DI AGRICOLTURA, SCIENZE, LETTERE ED ARTI. . ........ . + Tours ISTITUTO ORNITOLOGICO. DEL CANADA” . ......... LI OOO A BRA nea NOFONIO ISTIRURORDISZOOROGIA RENDI BOTANICA li nno RR eci VICARI SOCIETARENTOMOLOGICAMBELGA 0. 0 MEA . + + + + + Bruxelles SOCIETA? DI SCIENZE; SEETDERE ED: ARTI. ... . PRIA TEnE . San Quintino SOCIETA IMPERIALE DEZINATURALISTI . . E... 0... CORE RU ERRMOSCA! ACCADEMIA DELLE SCIENZE E BELLE LETTERE. . ............. +. Rouen ISTIRURONDI (SCIENZEMNAMURAM: SN na SE GIMEVra: SOGIETAGNDEZINATURAMISTI dec. nn SSN . . +. Hermannstat IMPERIALE REALE ACCADEMIA DI SCIENZE... ..\.......... 0, . S. Pétersbourg UNIVERSI REALE E E O e o Cristiania ISCELUTORESSEX AS RR En, SIE ATE esa Salem ACCADEMIA CONNECTICUT RA IPO O BE A LONuova Haven SOCIEDA@REALE DI AVILTORIA RARO ON RO O Melbourne ISTITUTO COMPARATIVO ZOOLOGICO . . ...°%...... RESSE Cambridge SOCIETA” DI SCIENZE E LETTERE . .... e I TR ADI SOCIETA” DI STORIA NATURALE. . .... RE i BOSLON Commissione DI SrATISTICA DEGLI S. U. . ..... RR Meo Filadelfia. *FErRQEMIO (Conto reso de’ lavori degli anni 1870-74-72) Grande ed insieme glorioso spettacolo ! in tanto trepidare, in tanto comune agitarsi al di fuori, convenire quì come in campo af- fatto neutro dotti uomini d’ ogni ordine ad unico segno, di occu- parsi nella prosperità delle scienze, delle lettere, e dei principî delle arti; e dissertando, ed ancora conversando, questo solo ricercare, e questo solo dimandare, e tutti essere in esso. Di modo che nella con- dizione medesima dell’ Accademia trovano i suoi quel ritiro ch’ è bisognevole agli studì, quì dove intento ognuno a suo solco pone solo vanto nel progredire senza deviare; e a nulla avendo il furor dei novatori, che turbulenti ne sono detti e sediziosi, fa sì che 1’ Ac- cademia conservi le sue arti. Ne reco ad argomento la fondazione di essa; allora che alle fosche meteore del seicento e al discostarsi dai diuturni studì per andar dietro agli efimeri, il male, venuto di là, tardi e poco quì prese, el poco di presente dall'Accademia fu posto in fuga; quando Pietro Filangeri principe di Santa Flavia nel 1718, seguendo le antiche orme e il disegno del Muratori quì a sua posta incarnando, chiamò presso di se i nostri antecessori e provide in un con essi al nobilissimo scopo. Fu opera savia e pure generosa, che durò, che s'aumentò nel corso di varì anni; e l'Accademia pure le scienze sin d’ allora ac- cogliendo, e il valore emulando dei famosi Opuscoli d’ Autori Sici- liani,che solo dalle esercitazioni accademiche erano venuti, di se lasciò 2 una mostra lodevole nel primo volume degli Atti edito nel 1755 coi lavori degli Schiavo, dei Di Blasi, dei Tetamo, dei Barbaraci, che così facevano prova del prezioso ritiro: lavori solidi e lucidi, ch’ è quanto dire perfetti. Quì col ritiro sì trovò ancora l’ozio, e’ susseguenti suoi beni, che vengon più che d’ altro dal favore de’ Grandi. Ed il favore sì accrebbe, nove anni tuttavia al secolo mancando, allorchè il magnani- . mo Vicerè Francesco d’Aquino di Caramanico, il fondatore dei nostri pubblici studì, dell'Orto nostro Botanico uno dei più insigni d’ Europa, del nostro Osservatorio Astronomico uno dei più celebri del mondo, ancora a questa Accademia distese la sua mano; e poichè il Magi- strato del Comune propose che l’ Accademia in questa sua casa sì adagiasse, diviatamente il concedette con dicevole assegnamento. Non più trapassarono dei nove anni succeduti a chiudere il secolo che, essendo Pretore di Palermo il principe di Lampedusa, avolo peclarissimo d’ uno di questi socì, fu pubblicato il secondo volume degli Atti con le lezioni di quei nostri e sul grande cataclisma del globo, e sulla storia della medicina in Sicilia, e sulla sua agricol- tura, e sul suo lanificio, e sui fuochi suoi vulcanici: lezioni di merito, che avrebbero dovuto essere con più equità considerate da chi, sono alquanti anni, quì s’avvisò di ragionarne. Ma qual fortuna non ci avvenne nel 1830, epoca ancora più alle nostre esercitazioni propizia? In essa il presidente Giuseppe Lanza principe di Trabia, ed il Segretario Generale prof. Niccolò Cacciatore l’Accademia ingrandirono, estendendone'in modo più determinato e cate- gorico i confini; e ne consolidarono sino al profondo la base: tale conformandola ad Istituto quale la veggiamo..Il pensiero rampollato nella mente del Leibnitz sopra un altro innanzi surto nella mente degli Italiani, il pensiero, che s’ era, come dissi, quì in certa guisa cominciato a concepire, scienziati accogliendo e lavori scientifici ascol- tando, fu il 1830 da noi insaldato con grand’ animo; ed il Marchese Gargallo con voce ch’era da ciò l’ augurò fra la gioja degli esul- tanti Colleghi. E s’addoppiò l’esultanza al nuovo manifestarsi dell’ Accademia con una seconda serie di. Att# nel 1845, presedendo Franco Mac- cagnone principe di Granatelli, ed in seguito nel 1853 sotto Dome- nico Lo Faso duca di Serradifalco, ed infine. nel 1859 sotto il chia- » d sissimo monsignor Giuseppe Crispi, tre volumi essendosene pubbli- cati l un dell’ altro più dotto; nuovi volumi ora aspettandosi, dopo nove anni di jattura, sotto la presidenza del chiarissimo Giuseppe De Spuches principe di Galati dall’ Accademia rinata nel mese di agosto 1869. Da che essa, per sorte, nel mese di agosto fondata, dopo più che settant'anni nel medesimo mese fu in questa casa rac- . colta; nel qual mese, or son tre anni, è stata a nuova vita ridesta dal provedente Municipio, guidato dall’egregio commendatore Peranni. Il mese di agosto sacro al nome di colui, che un dì valse ad estin- guere la guerra civile in Roma, il flagello di tutti il più terribile. e fiero, il mese di agosto è stato sempre propizio alla. nostra Acca- demia, fondata al bene delle più elette discipline, che da ogni guerra civile aborriscono, e sono, chi dritto vede, le più utili alla patria. Quì per essa adunati come a festa, oggi ch’è la prima sessione dell’anno io la misuro con gioja dal punto del novello risorgimento, e veggo che non è parsa. già fioca pel suo lungo silenzio. I temi generali l’hanno occupato, ed i temi particolari; questi al certo in maggior copia, per esser fidi allo scopo. E se vero è che ben comincia chi comincia dall’ antico, ci sarà bello il por mente, che quì, risorti in istato, ci siamo tosto avvisati di trattare d’Archeo- logia. L’illustrazione dei sepolereti di porta d’ Ossuna è stato argo- mento alla lezione del socio can. Cesare Pasca, che messosi sulle pedate del famoso principe di ‘Torremuzza e del benemerito duca di Serradifalco, ha trattato di quei sepolcreti, di quelle inscrizioni funebri, di quei riti con buona erudizione e con critica diligente. Sull’Archeologia ha pure dissertato il nostro Presidente propo- nendoci di meditare un'iscrizione di l'uligno, di cui offriva un fac- simile, e leggendo col maestrevo suo sguardo tre iscrizioni greche e due italiche antiche. I cui esempio era imitato dal socio profes- sore Salinas sopra un lavoro delio Springer di Bonn circa Parte del medio evo in Palermo, e sopra due monumenti greci discoperti nelle vicinanze di Collesano ed una iscrizione del tempi degli Imperatori Romani ritrovata in Palermo nel fondarsi il palazzo Saponara; e in fine, con plauso, sopra l’opera dell’Holm, sì studioso delle antichità di quest’Isola; e con attento esame sopra una moneta di Alesa ed alcuni suggelli del medio evo in Sicilia. 4 Continuando il socio Giuseppe Bozzo nel suo corso, alle altrui meditazioni sull’antico ha fatto seguitare le sue meditazioni sul nuovo ed ha proposto un’ Antologia Italiana disegnata sulla legge fatta dall’ eminente Accademia della Crusca nel fondare nell’estendere e nel perfezionare il Vocabolario. L’Antologia data in pubblico con la stessa idea, negli stessi termini che fu dato il Vocabolario, tutto scelto per entro agli incliti volumi dei nostri grandi cinque secoli, tutto espresso come egli l’ha posto innanzi a questa Accademia, è volta a fare apprendere con sicurezza nelle nostre scuole l’aurea nostra favella. E dalle lettere traggittandoci alle arti ci fu pregio udire il socio prof. G. B. F. Basile dissertare degnamente sul Ginnasio dell’ Orto Botanico di Palermo, sul merito del De Fourny che lo eresse, sul merito del Marvuglia che vi lavorò d’appresso, sui dati storici della architettura classica ritornata appo i moderni, che quì nel Ginnasio con distinta gradazione si riconoscono e apprezzano. Ed avendone la volta il socio Abate Di Marzo rammentava con senno, a posta sua proemiando, i vantaggi tornati all'Isola sotto il regno di Carlo III. Tal che i resti, i monumenti, la erudizione, la storia, le arti, la favella di lunghi anni ora più ora meno illustri, ma sempre degni d’attenzione, sono stati assiduo argomento delle nostre adunanze in questa classe; avendo avuto di che l’un l’ altro con fraterno animo gratularci. i Non sono stati da meno i nostri studì morali. Il socio Consi- gliere Di Menza ha letto dei giudizì popolari in Italia, dimostrando con evidenza di dati e con caldo zelo di patria, che tale sorta di giudizì, lasciando stare della loro convenienza che non è ora da di- scutere, come in tutta la Penisola, s’era, nè più nè meno, praticata in Palermo e in tutta l'Isola, e che vera non fu la voce (come tante altre malaugurate) che quì i giudizì popolari non s’erano messi bene in pratica. Del valor della lezione non è che io quì vi parli, se accolta ad unanimità fu data subito a stampa, e fu recata ai lontani come no- vella prova, che il male che di noi dicesi è spesso una calunnia. Il socio DI" Giuseppe Criscenti dava segno della sua erudizione in una memoria sul giuramento civile; e ’1 socio D.° G. B. Ruffo lo DÌ dava di accorta analisi e di valida argomentazione esaminando, di- fendendo il libro di Emerico Amari sulla «Critica d’ una scienza delle legislazioni comparate ».Nè tuttavia tenendosi dallo aringo, vi rien- trava più animoso il socio Di Menza; cui erano suo argomento le con dizioni sociali de’ nostri tempi con descriverle ad evidenza, tutto ricon- fortando coi più accurati elementi statistici. Destarono le sue parole un singolar movimento, e la lezione tosto ancora pubblicata , tosto fu mandata alle Accademie sorelle d’Italia e fuori, perchè avvisando tutte insieme ai mali, avvisassero a’ rimedì, e proponessero di che scamparsi dal comune pericolo. La cura degli studîì morali, legali e politici trovò quì dietro a se la cura degli economici; e poichè da ultimo un’ inchiesta sulla in- dustria decretavasi per la Sicilia, sorgea di presente la nostra Ac- cademia, ed era la prima a mettersi in avvertenza; e, sciegliendo un Comitato trai suoi socî, ad accordarsi con la Commissione ch’ era per arrivare a dar mostra che di quà si tende a perfezione, e che la teorica, e’ principî, quì si curano con li corollari e la pratica. L’ effetto seguì quale si desiderava. Che, non solo Vl Acca- demia ebbe il vanto di dar principio al salutare esercizio in così grave congiuntura; ma gli Accademici poi ebbero singolare im- portanza nelle sessioni. Il socio Bruno fu chiamato al Comitato della Presidenza, ed i voti da lui espressi con molto senno furono rico- nosciuti come il felice prodotto del senso pratico corredato dalla scienza, cd ottennero che il Presidente promettesse di recarli diviatamente al Ministro. I socì Turrisi ed Evola con avveduti ragionamenti val- sero a fare splendere i più utili veri, ed il socio Guaita dell’ippica Siciliana e dell’ippica di tutta l’Italia in generale dissertando, mosse il Presidente a dichiarare, che lo proporrebbe ad aggregarsi al corpo consultivo ordinato a ciò dal Parlamento. Non sarebbe parso in sulle prime così vivo l’ardore degli studìî cosmologici in questo sacro recinto; ma, ponendosi ben l’animo sì è veduto all’ opposto. Che i valenti nostri socì naturali hanno anzi fatto buona copia di se movendo da queste sedi per iniziare e so- spingere le letture pubbliche nel Consiglio di perfezionamento delle scuole tecniche. Le voci di Gemmellaro , di Cannizzaro, d’ Insenga, di Todaro, di Tacchini e d’altri nostri sono state colà intese di so- 6 vente; tal che l'Accademia, per essi, ancora colà ha recato i bene- fici suoi frutti. Pure quell’assiduo incumbere degli uni non ha già tolto questo affettuoso esercitarsi degli altri; ed il socio Prof. Giuseppe Lo Cicero ci ha l’una e l’altra volta ragionato dell’influsso delle correnti elet- triche sulla vita; con sicurezza di principî, con chiarezza di dettato adducendo a tutti noi d’ onde avercene pregio. Dopo di che, se lo strepito di una fama veramente universale attira gran vanto, là dove, vie accrescendosi, con la voce, col. degno aspetto dà del suo accrescimento un chiaro testimonio, noi veggiamo che questa Accademia un tal vanto allora certamente se 1’ ebbe che il suo socio Angelo Secchi, reduce dalle osservazioni sull’ecclisse del- l’anno 1870, venne, prima che altrove, in mezzo a noi a raccontare il maraviglioso fenomeno. Il grande Astronomo, il quale, sopra ogni altro s’è posto a seru- tare questo «Ministro maggior della Natura» aveva al tutto securo potuto affiggervi lo sguardo sì a lungo avvezzo a ricercare in esso. La lezione corse a stampa sino a’ remoti itermini, sino a tutti i quali non si potè non ricordare con onore la Palermitana Acca- demia, nelle quale erasi la prima volta quella lezione ascoltata. Dopo di che egli, più oltre andando, pare che più alto abbia spiccato il volo per le vie del firmamento , quasi a conquistarlo: seco lui gli altri illustri, specialmente quelli che onorano il nostro Osservatorio, e la gloria ne mantengono in si cospicuo grado. E poichè lo studio delle scienze naturali sì fa ancor più significante applicandolo alla medicina, ci apparve indi assai meritevole la memo- ria del socio prof. Macaluso sul colchico di Bivona. Osservòiegli la pianta indigena dal lato botanico e dal chimico, e la ritrovò e per la qua- lità e per la quantità della sostanza assai più vantaggiosa del col- chico esotico; si che essa è da aggiungersi e da ammettersi scien- tificamente a far parte della abbondante materia medica di Sicilia. In appresso, non appena venne fatto del nostro numero, il sacerdote Isidoro Carini ci recò in tre sessioni la erudita memoria sulle scienze occulte del medio evo, specialmente fra noi, togliendone l'occasione dalla scoperta di un antico codice di casa Speciale in Palermo. E quella memoria valse a noi di che ammirare del valor dell’Accade- mico, e alla Biblioteca Comunale di che pregiarsi per l'acquisto , che 7 ne fece tosto con buono avvedimento. Nè ancor di molto era stato del nostro numero il Conte Innocenzo Guaita, che, dopo averci offerto di se buon saggio con uno scritto sulla ippica di Sardegna, il quale gli diè di entrare nella Accademia, continuava con lode leggendo al- cune parti del novello suo lavoro sull’ippica di Sicilia: sin dalle prime segnalavasi per la erudizione , pel retto intendere, per la elegante gagliardezza; tal che non fu chi non affrettasse co’ voti il momento di conoscere le altre parti, che ben rispondano al tutto e grande- mente ci giovino. Mentre alia mostra de’ lavori quì eseguiti, è venuta dietro la ‘piena e larga mostra de’ lavori quì presentati, sieno de’ nostri, sieno degli altri che in premio sono stati a noi collegati. Il socio Amico notò con bella lode le forbite poesie del socio De Spuches, il socio Bozzo additò pel dilicato sentimento e pella castigatezza del costume PET vira Frezzi del Palizzolo; assenati sonosi riconosciuti come conveniva, i libri, e le memorie di Starrabba, di Vaglica, di Matranga, di Amico, di Basile, di Spata; ed avendo un de?’ socì fornito di nuovo comento le divine rime del Petrarca, e chiesto che l’ Accademia prima di pubblicarsi le avesse giudicato, un Comitato a ciò eletto ne fe’ nota con plauso; e quel plauso ebbe l'eco degli altri dotti di fuori e ancor delle altre Accademie. E giustamente fra le dotte note furono messe le produzioni, di Vanneschi sulla statistica conerale, di Criscenti sulle varie vicende della nostra Isola ne due terzi del presente secolo, di Maggiore Perni intorno alla statistica di Palermo. E lo furono di poi, le gravi elu- cubrazioni di Cervello intorno alla clinica, e alla materia medica, e alla medicina pratica; e la memoria del socio Zurria di Catania sul- l’elissoide a tra assi ineguali analizzata acutamente dal socio Albeg- | giani, e le memorie della Società degli spettroscopisti Italiani pubblicate con tanto successo dal socio Tacchini, e esposizione con nuovo me- todo delle droghe vegetali medicinali del socio Macaluso, che meritò d’essere ricordata con approvazione dalla chiara voce del socio Cer- vello, e la buona scorsa fatta dal socio Brolo all’ultimo volume de- gli atti di scienze naturali in Nassau di Wiesbaden. E le lettere infine sulla salute pubblica e su’ contagi dirizzate dal dottor Reyes al socio Raffaele furono quì grandemente encomiate; da che, sia quale se si voglia la varietà de’ principî, unica e necessaria nel doloroso caso 8 sarà da aversi la pratica; separando i contagiati da’ sani, e localiz- zando, secondo dicono, il morbo; come si fa nelle epizoozie , come si fa negli incendì, ed in qualunque altro male straordinario e irruente; affinchè, estendendosi, non malmeni oltre e sconfigga. Ed il Reyes in premio del buon lavoro ebbe quì dato il passo , e tuttavia n° è applaudito. La morte battè più volte questo uscio, e noi, frenandoci dal piangere sul cenere de’ fratelli, in onore di ciascun di loro ciascuna volta ci adunammo. Il socio Di Giovanni lesse l’ elogio del celebre Vice-Presidente d’ Acquisto, perfezionatore della grand’ opera del Miceli, e precursore della formola ideale del Gioberti; il socio Maggiore Perni lesse l’elogio dell’ insigne Direttore della classe di scienze morali e politiche Emerico Amari, primo a professore espres- samente dritto criminale nella nostra Università, tra’ primi a risto- rare le scienze morali, politiche e statistiche fra noi; e pure lo fece il socio Di Menza molto accuratamente. E perchè dopo il linguaggio degli uomini non mancasse il lin- guaggiodegli Dei, dopo quelle tristi commemorazioni, De Spuches, Mon- talbano, Agnello, Bozzo, Amico, Villareale, in greco metro, in latino, in italiano esaltarono ancora gli Illustri trapassati ; e l’ ufficio pie- toso resero più sacro. Poi, fece mesto richiamo del socio Pasquale Pizzuto tolto al vanto delle lettere latine fra noi, il socio Montalbano, e lo fece del socio Giacinto Agnello dal gaio e vivace ingegno, il socio Bozzo; e del socio Gregorio Ugdulena critico, archeologo, oratore spettatissimo, il socio Carini; e del socio Agostino Gallo benemerito per le sue ricerche e per le sue applicazioni ad onore del paese, il socio di Marzo. Nè , al quarto anniversario dalla sua morte, si mancò a farlo in onore del celebre socio Rossini ristoratore della musica giocosa, creatore della musica seria, accrescitore della gloria. della musica sacra ; il più logico, il più fermo degli artisti d’ ogni ordine. Alla fine de’ quali mi si conceda ora quì di richiamare mesta- mente Carmelo Martorana, antico de’ nostri, autore rinomato della « Storia de’ Saraceni di Sicilia » valoroso uom di giure, di retto ed anzi di severo costume ; e mi si conceda in ultimo di promettere, che nella prossima sessione sarà debitamente commemorato il socio 9 Nicolò Musmeci, da quel Socio a cui ne incombe. — Sì il dolore ci ha fatto, e ognora ci fa più segnalati, perchè la pietà abbella e perfe- ziona ogni più nobile virtù. Furono questi i nostri fatti negli ora scorsi tre anni; i quali, con- viene rammentarlo, si sono risentiti d’ una certa alterezza. Certo una alterezza acquistata co’ meriti non toglie il decoro , prima qualità dei savî; più se è confortata da prische reminiscenze. Questa Accademia creata di già pel bene delle lettere, estesa di poi al bene delle scienze, si deriva, nel correre di tante e varie vicende, da quella che dopo il mille fu fondata, la prima di tutte, in Palermo. In questa Regia che ci sta tutto dì innanzi agli occhi risuonò la prima volta il bel sermone ; gentile indi, sonante e puro. Noi veniamo di coloro; che, adunati intorno ad un gran re, con ancora alcuni della vicina Napoli, emulando i fratelli del mezzogiorno della Francia, in canti, in suoni, in alterne gare spargendosi, crearono tal sermone usato poi ed ingrandito dalle divine opere di Dante, di Petrarca, di Boccaccio ; noi veniamo di coloro che questa Regia trasformarono in un novello Parnaso, come lo chiamò Giovanni Torti. Ma il Parnaso, o Socì Illustri, era abitato ed animato dalle Muse, l’ultima delle quali, cioè la prima, insegnava la severa scienza del cielo. L’ idea fu già sentita dalla antica sapienza, e con vive imma- gini adombrata; l’idea è stata sentita dalla nuova, e felicemente posta in atto; ed allora che il Filosofo Sassone pensava di fare ingrandire le Accademie a guisa d’ Istituti, non era indarno , che in questa medesima Regia, dove in gentili convegni s'era insegnata la prima forma del parlar materno, giusto allora un tempio s’innalzasse alla portentosa scienza, che scruta le leggi onde si muove la varia danza degli astri. Però l’Accademia nostra non fa che alle antiche glorie aggiun- gere le nuove, ed insieme alle altre Accademie Italiane, con propia faccia, ma intanto non diversa, com'è di sorelle, tiene fronte nel co- mune consorzio scientifico e letterario. Milano, Venezia, Napoli, Vi- cenza, Bologna, Siena, Pisa, Padova, Roma mutuamente ci hanno fede; e Ginevra , il Belgio , la Francia e ovunque tutte , sino alla remota Inghilterra, sino all’opposita America, da tutte parti gareg- giano a farci merito e pregio. 410 Al quel tenore, ora il chiarissimo Ministro della publica Istru- zione ci chiamava ad essere de’ primi alla grande esposizione di Vienna con le opere nostre periodiche e con le altre nostre pubbli- cazioni Accademiche, e volea che a lui le mandassimo, perchè egli medesimo colà in nostro nome le offrisse. Nè ciò è solo, come sempre osservasi, prezioso profitto del nostro ritiro, lo è altresì dell’ozio o agio, il quale è fatto da chi può. Questo Illustre Palermitano Municipio, continuando l’antico esempio, ci prov- vede e ci alimenta. Questo Magistrato paterno tanto adopera; egli che avendo i suoi amministrati a suoi figliuoli, riconosce in noi il fiore più eletto della fortunata famiglia, e vede con l’acuto sguardo, che se curare gli edificì, costruire le vie, parare le pubbliche feste, istruire il popolo, fare riparo a” comuni danni sono azioni belle, soccorrere e proteggere un’ adunanza di dotti, che è usa di prosperare alla benefica sua ombra, è azione non sola bella, ma, in vero dire, sublime. Il Segretario Generale nella solenne tornata del 2 febbraro 1873 CLASSE DI SCIENZE NATURALI RD BSATTE ——TTy=5"7=zZT0o*—___— MEMORIA SUL FOSSILE DELLA ZONA CON PELTOCERAS: TRANSVERSARIUM QUENST. sp. della. Provincia di Palermo e di Trapani PRESENTATA DAL SOCIO Prof. G. G. GEMMELLARO PHYLLOCERAS, Suess. PHYLLOCERAS MEDITERRANEUM, Neum. 1859. Ammonites Zienopranus, Villanova, Mem. geognostico-agricola sobre la Provincia di Castellon — Mem. de la R. Academia de Ciencas de Madrid, vol. IV, Tab. 4, fig. 7. 1868. PayLLoceras Zienopranum, Zittel, Die fauna der aeltern Cephalopoden fuehrenden Tithonbildungen -— Palaeon- tologische Mittheilungen ete. II Abth., pag. 138, Tab. 25, fig. 15: Tab. 26, fig. 1. 1869-70. » » s Gemmellaro, Studî paleont. sulla fauna del calcare a Terabratula janitor del Nord di Sicilia, Parte I, pag.48, Tav. IX, fig.1-2. 1871. » MEDITERRANEUM, Neumayr, Jurastudien — Die Phylloceraten des Dogger und Malm. — Jahrbuch der k. k. geologischen Reichsanstalt, vol. 24. pag. 340, Tab. XVII, fig. 2-5. 9 SUI FOSSILI DELLA ZONA 1872. PuyLLOCERAS MEDITERRANEUM, Gemmellaro, Sopra i Cefalopodi della zona con Sfephanoceras macrocephalum della Rocca chi parra presso Calatafimi—Sopra alcune Faune Giuresi e Liasiche di Sici- lia, pag. 11. Questa specie è proveniente dal calcare compatto brecciforme macchiato in verde della contrada Regalmici presso Castronuovo (Provincia di Palermo) e della contrada Rocca chi parra presso Calatafimi (Provincia di Trapani). Nel Museo di Geologia e Mineralogia della R. Università di Palermo se ne conservano alcuni esemplari. LYTOCERAS, Suess. LyTocERAS GasTALDII, Gemm. 1870. LyTOCERAS MONTANUM, (pars.) Gemmellaro, Studî paleont. sulla fauna del calcare a Zerebralula janitor del Nord di Sicilia, Parte I, pag. 83, Tav. VI, fi. UE Questa specie è discoidale e largamente ombellicata. I suoi giri, un poco più alti che larghi, sono lentamente crescenti e quasi soprapposti gli uni su- gli altri, talchè sul lato interno vi si trova soltanto una leggiera e stretta scannellatura. La sezione de’ giri ha la forma d’un ellisse non molto al- lungato. La superficie esterna de’ diversi esemplari, che fin’ ora conosco, è scon- servata, pure in alcuni siti presentano ancora la loro scultura. Essi sono ornati di costelle sottili e alquanto avvicinate, che corrono dritte su’ fianchi e si piegano leggermente indietro sulla faccia ventrale. Nell’ ultimo giro alcune di esse prendono uno sviluppo maggiore e pare che fossero leggermente fran- giate come quelle del Lyfoceras montanum, Opp. sp. Di tratto in tratto si tro- vano ancora delle costelle molto più sviluppate, le quali su’ modelli interni si presentano sotto la forma di rilevati cercini. ; Il disegno de’ lobi è molto simile a quello del Ly/oceras Adeloides, Kud. sp., però tanto i lobi quanto le selle sono assai più robusti. Il contorno suturale de’ giri cade sul centro della biforcazione della sella accessoria, alla base della quale sporge la estremità del grande ramo laterale del lobo antisifonale. Questa specie distinguesi dal Lyfoceras Adeloîdes, Kud. sp. per essere più lentamente crescente e per la disposizione della sua scultura. Per questo ca- CON PELTOCERAS TRANSVERSARIUM, QUENST. Sp. 3 rattere è molto più strettamente legata al Lyfoceras montanum, Opp. Sp.; ma il suo disegno de’ lobi e la forma de’ giri, che sono un poco più alti che lar- ghi, come pure il loro svolgimento, che è meno lento, distinguono facilmente questa specie dalla forma del titomio inferiore. Le dimensioni di questa specie sono le seguenti, cioè: Diametro e e e Gn Altezza dell'ultimo giro, a’ fianchi, in rapporto al diametro. 0,39 Spessezza dell’ullimo giro in rapporto al diametro . . 0,35 Larghezza dell’ombellico in rapporto al diametro. . . 0,48 Questa specie proviene dal calcare compatto brecciforme macchiato in verde della contrada Regalmici presso Castronuovo (Provincia di Palermo) e della contrada Rocche o Fiaccati presso Roccapalumba (Provincia di Palermo). Nel Museo di Geologia e Mineralogia della R. Università di Palermo se ne trovano due esemplari. OPPELIA, Waagen. OppeLia ANAR, Opp. sp. Tav. lI, Fig. 4. 4862. Ammonires AnAR, Oppel, Palaeontol. Mitth. aus dem Museum des Koe- nigl. Bayer Staates. pag. 207, Tab. 55, fig. 1. 18741. OpPPELIA » Neumayr—Jurastudien— Die Vertretung der Oxford- gruppe im Gstlichen Theile der mediterranen Pro- vinz (Jahrbach der k. k. geologischen Reichsan- stalt, vol. XXI, pag. 366, Tab. XVIII, fig. 5). L'Oppelia Anar, Opp. sp. è una di quelle specie talmente caratteristiche, le quali ancorchè non siano perfettamente conservate, ne è facile la deter- minazione. L’ esemplare, che vi riferisco, è sconservatissimo; esso però presenta al- cuni de’ suoi caratteri principali, quali sono: il deviamento della camera di abitazione dalla spirale regolare, e la scultura della estrema parte della sua regione ventrale. che non mi lasciano dubbio sulla sua determinazione. Essa è stata trovata dall’ Oppel negli strati oxfordiani di Birmensdorf, Thaleim e Friktal (Cantone di Argovia) e da Neumayr a Stankowka. In Sici- lia proviene dal calcare compatto brecciforme colorito in verde della zona con 4 SUI FOSSILI DELLA -ZONA Peltoceras transversarium, Quenst. sp. di Regalmici dintorni di Castronuovo (Provincia di Palermo). Spiegazione delle Figure. Tav. II, Fig. 1.° Oppelia Anar, Opp. sp. vista di fianco di Regalmici dintorni di Castronuovo. Fig. 1.> idem vista dal lato ventrale. PERISPHINCTES, Waagen. PeRIsPHINcTEs ArroLpi, Gemm. Tav. 1, Fig. 3. Diamelto: iL RR REM e dr Altezza dell'ultimo giro, a’ fianchi, in rapporto al diametro. 0,34 Spessezza dell’ultimo giro in rapporto al diametro . . 0,27 Larghezza dell’ombellico in rapporto al diametro. . . 0,47 Questa conchiglia è discoidale, compressa a’ fianchi, largamente ombelli- cata e con contorno rotondato. La sua spira resulta di giri più alti che larghi, lentamente crescenti e provvisti di costote strette e numerose, che nell’ultima metà del giro esterno arrivano a 38. Qneste costole sulla faccia ombellicale sono dirette in dietro, però passando su’ fianchi si inflettono dolcemente, e, dirigen- dosi in avanti, camminano così dirette fino al terzo esterno de’ giri, ove al- cune direttamente e moltissime biforcandosi in due costelle secondarie per- corrono senza interruzione il lato ventrale de’ giri. Oltre alle costole si osser- vano sopra ogni giro fino a quattro strangolamenti, i quali nell’ ultimo giro si mostrano ineguali nella forza e nell'andamento. La sezione de’ giri è ovale, la cui massima larghezza corrisponde presso il margine ombellicale. Il disegno de’ lobi non si conosce. Questa specie, fra i diversi Perisphinctes senza fascia sifonale, per l’an- damento delle sue ccstole ha qualche affinità con il Perisphinetes aurigerus, Opp. sp. Però se ne distingue di leggieri per essere più largamente ombel- licata e compressa a’ fianchi, e per avere le costole molto più sottili e fles- suose. Il Perisphinctes biplex, d'Orb. sp. non Sow. e il Perisphinetes Martelli, Opp. sp. sono anch’esse due specie molto vicine alla specie oxfordiana di Si- cilia; ma mentre la prima se ne allontana per l'andamento delle costole e il numero degli strangolamenti, l’alira specie se ne distingue per la forma della sezione de’ giri. — Questa specie proviene dal calcare compatto rossastro della contrada Rocche o Fiaccati presso Roccapalumba (Provincia di Palermo). CON PELTOCERAS TRANSVERSARIUM, QUENST. Sp. 5 Devo l’ esemplare qui figurato alla gentilezza del Signor Saverio Ciofalo di Termini-Imerese. Questo Perisphinctes si conserva nel Museo di Geologia e Mineralogia della R. Università di Palermo. Spiegazione delle Figure. Tav. 4, Fig. 3.* Perisphinctes Aîroldii, Gemm. visto di fianco. Fig. 3.5 idem visto dal lato ventrale. PeRISPHINcTEs Bocconn, Gemm. Tav. Il, Fig. 2. 187 . PrrispHINcTEs Bocconia, —Gemmellaro, Studî paleont. sul calcare a Te- rebratula janilor del Nord di Sicilia, Parte I, p. 55, Tav. VII, fig. 2. Il Perisphinctes Bocconii, Gemm. ch'è stato da me riferito alla zona con Terebratula janitor, Pict. del Nord di Sicilia, è una specie propria della zona con Peltoceras transversarium, Quenst. sp.. Questo Perisphinctes essendomi pervenuto dalla contrada Regalmici dintorni di Castronuovo (Provincia di Pa- lermo) con il PhyWoceras mediterraneum, Neum. la Terebratula janitor, Pict. la Terebratula diphya, Gol. sp. e con un Lytoceras strettamente pa- rente al Lyfoceras montanum, Opp. sp. credeva che ivi afflorasse soltanto un lembo del titonio inferiore ; ma ulteriori studìî mi hanno convinto trovarvisi ancora, in quel piccolissimo lembo calcare, la zona a Peltoceras transversarium, Quenst. sp. chiaramente caratterizzata dalla presenza del Phylloceras medi- terraneum, Neum. del Peltoceras transversarium, Quenst. sp. dell’Oppelia Anar, Opp. sp. del Lytoceras Gastaldii, Gemm. e del Perisphinctes Bocconii, Gemm. che provengono tutti da questo livello geologico. L’ esemplare di cui allora diedi il disegno, essendo molto sconservato, credo utile far conoscere quello d’ un altro esemplare di questa bella specie, che è conservatissimo. In quanto alla sua descrizione non ho altro d’aggiun- gere che sul suo lato ventrale, oltre delle costelle secondarie, nate dalla bi- forcazione delle principali, a distanza diversa si trova intercalata qualche co- stella, che non si estende su’ fianchi de’ giri. Il lobo sifonale è lungo e largo. Il primo lobo laterale, più stretto e un po’ più corto del precedente, è molto ramificato e termina con due punte; esso a metà della sua lunghezza manda per ogni lato una grande branca laterale, alla parte superiore dalla quale se ne trovano tre, e nella inferiore due altre per ogni lato. Il secondo lobo laterale ha a un di presso la stessa forma del primo lobo laterale, ma è molto più stretto e lungo metà del precedente. Le selle sono svelte, grandemente tagliuzzate e divise in alto in due rami. La 2 6 SUI FOSSILI DELLA ZONA sella laterale è più alta della esterna. Fino alla sutura si contano due lobi e selle accessorî obliquamente disposti. Questa specie, comunissima nella zona con Peltoceras transversarium, Quenst. sp. della Provincia di Palermo, si trova nel calcare brecciforme mac- chiato in verde o rossastro della contrada Regalmici dintorni di Castronuovo, e Rocche o Fiaccati presso Roccapalumba, come pure nel calcare bianco-gial- lastro leggermente marnoso de’ dintorni di Chiusa e Palazzo-Adriano (Provin- cia di Palermo). Nel Museo di Geologia e Mineralogia della R. Università di Palermo se ne conservano molti esemplari provenienti da queste località. Il Dr. Batta- glia-Rizzo e il Prof. Saverio Ciofalo di Termini-Imerese ne possedono altri, che sono stati trovati nella contrada Rocche o Fiacc ati presso Roccapalumba (Pro- vincia di Palermo). Spiegazione delle Figure. Tav. II, Fig. 2, Aspidoceras Bocconii, Gemm. visto di fianco de’ dintorni di Chiusa e Palazzo-Adriano. PERISPHINCTES TAyRRENUS, Gemm. Diametro: TOO RN I TI Altezza dell’ultimo giro in rapporto al diametro. . . 0,39 Spessezza dell’ultimo giro in rapporto al diametro . . 0,27 Larghezza dell’ ombellico in rapporto al diametro . . 0,33 Conchiglia a forma di disco, quasi involuta e con contorno arrotondato. I suoi giri, molto più alti che larghi, sono ornati di costole numerosissime, sottili e avvicinate, che dal contorno ombellicale percorrono, dirette forte- mente in avanti, i fianchi de’ giri, ove il maggior numero alla loro parte me- dia o un poco più esternamente, dividendosi in due o in tre costelle secon- darie, passano senza interruzione sulla regione ventrale de’ giri. Sopra ogni giro interno si trova inoltre un leggierissimo e largo strangolamento. Ep- però la conchiglia oltrepassando il diametro di 105 le costole, verso la parte esterna de’ giri, vanno man mano svanendo, e si trova soltanto presso la parte ombellicale una superficie strettamente ondolata, la quale con l’ulte- riore sviluppo della conchiglia anche esse svaniscono. I fianchi de’ giri sono leggermente arcuati e cadono quasi perpendicolarmente sul lato ombellicale formando un margine rotondato. La sezione de’ giri è di forma ovale più ri- stretta in alto che in basso, e la cui maggiore larghezza incontra il centro della loro altezza. i Il disegno dei lobi è analogo a quello del Perisphinetes geron, Zitt.; però le selle sono meno tagliuzzate, il primo lobo laterale è molto più profondo del sifonale e la linea del raggio centrale, partendo dalla estremità del lobo CON PELTOCERAS TRANSVERSARIUM, QUENST. Sp. 7 ventrale, passa sul centro del primo lobo accessorio, lasciando sotto gli altri due lobi accessori. Questa specie è legata in istretta parentela con il Perisphinetes Ulmen- sis, Opp. sp., con il Perisphinctes metamorphus, Neum. e con il Perisphinctes geron, Zitt. Si distingue di leggieri dalle due prime specie per essere prov- vista di costole molto più sottili e numerose, che svaniscono con lo sviluppo DI della conchiglia. Il Perisphinetes geron, Zitt. però è molto più affine, anzi questo è indubitatamente una stretta forma di derivazione della specie in e- same, la quale ne differisce per il contorno della sezione de’ giri, la cui mag- giore larghezza è al centro della loro altezza, per essere un poco meno stret- tamente ombellicata, e per essere ornata di costelle più numerose e sottili, che svaniscono con lo sviluppo della conchiglia. Questa specie è stata trovata nel calcare compatto macchiato in verde della contrada Rocche o Fiaccati presso Roccapalumba (Provincia di Palermo) con il Peltoceras transversarium, Quenst. sp. il Perisprinetes Bocconii, Gemm. e il Lytoceras Gastaldii, Gemm. PERISPHINCTES REGALMICENSIS, Gemm. Tav. II, Fig. 3. DITER Se A Altezza deli’ultimo giro in rapporto al diametro. . . 0,27 Larghezza dell’ombellico in rapporto al diametro. . . 0,55 Spessezza dell’ultimo giro in rapporto al diametro . . ? Il Perisphinctes Regalmicensis, Gemm. è una specie piccola, discoidale e con contorno esterno rotondato. I suoi giri, al numero di 5-6, sono quasi ci- lindrici, leggermente piani a’ fianchi e lentamente crescenti. La sua camera di abitazione occupa l’ultimo giro, su cui si vede un largo e profondo strango- lamento, il quale larghissimo presso la linea suturale restringesi al fianco e passa sul lato ventrale del giro curvandosi fortemente in avanti. Sopra gli al- tri giri se ne trovano due ugualmente grandi e profondi. La superficie della conchiglia è ornata di numerose costole relativamente grosse, le quali partendo dal contorno suturale si radiano in avanti fino al terzo esterno de’ fianchi de’ giri; ivi la maggior parte si biforcano, e così di- vise in due costole secondarie, con altre semplici, percorrono la loro regione ventrale senza lasciare traccia di fascia sifonale. La superficie esterna dell’ esemplare su di cui si vede l’ andamento dei lobi, essendo alterata dall’azione degli agenti esterni, non sono al caso di po- terne indicare le particolarità. 8 SUI FOSSILI DELLA ZONA Questa specie ha qualche affinità con il Perisphinetes subtilis,Neum.(=Am- monites sulciferus, Opp. non Miinst.) con cui appartiene allo stesso gruppo dei Perisphinctes senza fascia sifonale. Però, mettendo da banda le differenze di scultura che presentano, la specie dell’ oxfordiano di Sicilia è così larga- mente ombellicata che a bella prima si distingue dalla forma, che la precesse nel piano calloviano. Il Perisphinetes Regalmicensis, Gemm. proviene dal calcare compatto brecciforme macchiato in verde della contrada Regalmici presso Castronuovo (Provincia di Palermo) in cui è stato scoverto dal Dr. Antonio Battaglia di Termini-Imerese. In una escursione che ho fatto in quella località ho trovato l’ esemplare qui disegnato , che conservasi nel Museo di Geologia e Minera- logia della R. Università di Palermo. Spiegazione delle Figure. Tav. II, Fig. 1.*, Perisphinctes Regalmicensis, Gemm. visto di fianco. Fig. 3.2 idem visto della regione ventrale. PELTOCERAS, Waagen. PELTOCERAS TRANSVERSARIUM, Quenst. sp. Tav. I, Fig. 1, 2. 1847. AMMONITES TRANSVERSARIUS, Quenstedt, Die Cephalopoden , pag. 199, Rab Loren osai20 1347. » TOUCASIANUS, d’Orbigny, Paléont. Frangaise, Terr. Ju- sass., tom. 4, pag. 508, PI. 190. 1874. PeRIsPHINcTES TRANSYERSARIVS, Neumayr, Jurastudieu — Die Vertretung der Oxfordgruppe im òstlichen Theile der mediterranen Provinz, (Jahrbuch der k. k. geologischen Reichsanstalt, vol. XXI, pag. 368, Tab. XIX, fig. 1-3. 1871. PELTOCERAS TRANSVERSARIUM, Waagen, Abst. of result. of examinat. of the Ammonite-fauna of Kutch et.—Re- cords of the Geological Survey of In- dia, vol. IV, Part. IV, pag. 91. Questa specie che fu stabilita dal Prof. Quenstedt sopra alcuni esemplari provenienti dagli strati di Birmensdorf (Cantone di Argovia) venne nello stesso anno illustrata dal d’ Orbigny sotto il nome d’ Ammonites Toucasianus sopra altri esemplari trovati nell’ oxfordiano della Francia meridionale. Il celebre Prof. Oppel riunì in seguito queste due forme facendo vedere che apparten- CON PELTOCERAS TRANSVERSARIUM, QUENST. Sp. 9 gono alla stessa specie; e che è una delle più importanti specie-guida del- l’oxfordiano. In vero la forma illustrata dal Quenstedt e l’altra dal d’ Orbigny non concordano perfettamente fra loro. Però il Prof. Neumayr ha provato che queste differenze, anzichè essere dipendenti dalle località in cui si trovano , predominando nella provincia mediterranea la forma data dal d’Orbigny, e in quella dell’ Europa centrale, |’ altra del Quenstadt, sono soltanto dipendenti dall’ età della conchiglia; la quale quando è ancor giovane ha la forma del- l Ammonites transversarius, Quenst, e sviluppandosi passa allAmmonites Tou- casianus, d’Orb., lo che ho avuto l’agio di poter verificare, essendo il Pelfo- ceras transversarius, Quenst. sp. assai comune nell’oxfordiano della Provincia di Palermo e di Trapani. Le dimensioni degli esemplari qui disegnati sono le seguenti, cioè: Diametro ridotto a . . . An dI Altezza dell’ultimo giro, a’ Add in a al diametro. 0,37 0,37 Spessezza dell’ultimo giro in rapporto al diametro . . 0,33 i) Larghezza no in rapporto al diametro. . . 0,36 0,38 Questa specie nella Provincia di Palermo e di Trapani si trova nella contrada Regalmici presso Castronuovo e nella contrada Rocche o Fiaccati presso Roccapalumba (Provincia di Palermo; come pure nella montagna detta Rocca chi parra presso Calatafimi (Provincia di Trapani). Nel Museo di Geologia e Mineralogia della R. Università di Palermo se ne conservano alcuni esemplari. Spiegazione delle Figure. Tav. I, Fig. 4, Pelloceras transversarium, Que- nst. sp. visto di fianco proveniente dal calcare compatto rossastro della con- trada Rocche o Fiaccati presso Roccapalumba. Fig. 2 idem visto dal lato ven- trale del calcare compatto brecciforme colorito in verde della contrada fegal- mici presso Castronuovo. ASPIDOCERAS, Zittel. AspPIbOcERAS HELYMENSE, Gemm. Tav, L Fig. 4. Diametro neo ARE RIO Lg A era Altezza dell'ultimo giro, a’ fo in Canporta al diametro. 0,39 Spessore dell’ultimo giro in rapporto al diametro . . 0,40 Larghezza dell’ombellico in rapporto al diametro. . . 0,41 Questo Aspidoceras proviene dalla Rocca chì parra dintorni di Calata- fimi (Provincia di Trapani) in cui la zona con Aspidoceras acanthicum, Opp. 410 SUI FOSSILI DELLA ZONA sp. poggia direttamente in concordanza sopra quella con Peltoceras transver- sarium, Quenst. sp. Questo fossile non essendo stato trovato in sito, ma fra le rocce staccate di quella montagna, le quali formano la scarpa della salita murale del suo lato N. E. non posso con certezza stabilire l'orizzonte geolo- gico, da cui esso proviene. Però dalla natura e colorito della roccia, sebbene sia stata alterata dall'azione degli agenti esterni, credo con molta probabilità che provenga piuttosto dalla zona con Peltoceras transversarium, Quens. sp. La sua conchiglia è compressa e con contorno largo e leggermente de- presso ne’ giovani, e largo e rotondato negli adulti. La- sua spira è formata di 4 alti e robusti giri, i quali rotondati a’ fianchi cadono gradatamente verso l’ombellico. Essi sono ornati di 23 a 24 costole, che partendo dal contorno om- bellicale, sono deboli fino al contorno esterno; ove ciascuna elevandosi in modo da formare un tuberculo robusto, compresso e alquanto prominente, poscia si deprime e passa direttamente sul lato ventrale de’ giri. Queste costole che ne- gli esemplari fino al diametro di 110 sono semplici, in quei che lo sorpas- sano di tratto in tratto si biforcano come quelle dell’Aspidoceras Caletanum, Opp. sp. e lungo il contorno ombellicale ogni costola presenta un leggiero ri- gonfiamento nodiforme, che con lo svolgimento della conchiglia va sempre più sviluppandosi. La sezione de’ giri è un po’ trasversa e alquanto quadrata, la cui maggiore larghezza incontrasi al cento della loro altezza. Il disegno de’ lobi è simile a quello dell’ Aspidoceras Edwardsianum , d’Orb. sp. con la sola differenza, però, che la branca esterna della prima sella laterale è appena divisa in due rami, mentre quella dell’ Aspidoceras Edward- sianum, d’Orb. sp. lo è profondamente. Questa specie sta strettamente legata in parentela con l’ Aspidoceras Ed- wardsianum , d° Orb. sp. Però lo sviluppo maggiore de’ nodi, la biforcazione di alcune costole, il numero minore de’ giri, e il loro diverso svolgimento e forma me la fanno ritenere come tutt'altra specie. . Nel Museo di Geologia e Mineralogia della R. Università di Palermo si conserva l’esemplare qui disegnato. Spiegazione delle Figure. Tav. I, Fig. 4, Aspidoceras Helimense, Gemm. della Rocca chi parra vista di fianco. CON PELTOCERAS TRANSVERSARIUM, QUENST. Sp. 41 ASPIDOCERAS INSULANUM, Gemm. Tav. II, Fig. 4. Diametro eee. A O Altezza dell'ultimo giro, a’ fianchi, in rapporto al diametro. 0,50 Spessezza dell’ultimo giro in rapporto al diametro . . 0,52 Larghezza dell’ombellico in rapporto al diametro. . . 0,26 Questo Aspidoceras proviene dal calcare compatto brecciforme macchiato in verde della contrada Regalmici presso Castronuovo (Provincia di Palermo). Esso è allo stato di modello interno e si presenta rigonfiato, irregolarmente involuto e con contorno esterno largo e fortemente curvato. I suoi giri legger- mente convessi a’ fianchi cadono perpendicolarmente sul lato ombellicale for- mando un contorno alquanto acuto. Lungo questo contorno si osservano dei tubercoli bassi, larghi e avvicinati, che nella camera d’abitazione si mostrano più grossi, ma più distanti fra loro. Essi nell’ultimo giro arrivano al numero di 12. La sua camera d’abitazione è lunga quasi 24 dell’ultimo giro e devia leggermente dalla sua regolare spirale. La regione de” giri ha un contorno esterno parabolico fortemente curvato in alto. Il disegno de’ lobi è piuttosto semplice. Il lobo ventrale è più largo, ma tanto lungo, quanto il primo laterale; questo termina in tre rami, di cui i laterali finiscono con due punte, e quello centrale con tre. Il secondo lobo la- terale ha la stessa forma, ma è più corto del precedente. La sella estrana è larghissima e divisa in due branche molto ineguali, delle quali l’esterna molto più grande e suddivisa in due branche secondarie, e l’ interna non presenta affatto questa disposizione. Il contorno ombellicale cade sul centro della prima sella accessoria. Questa specie è molto affine allo Aspidoceras liparum, Opp. sp. e all’ Aspi- doceras Altenense, d’ Orb. sp. Più strettamente parente alla prima specie se ne distingue per essere più strettamente ombellicata, per avere i tubercoli più bassi e avvicinati, e per il disegno de’ lobi, che nelle sue particolarità è molto di- verso. Differisce dell’Aspidoceras Altenense, d’Orb. sp. perchè questo è più la- teralmente compresso, e perchè ha i lobi e le selle conformati sopra tutto altro tipo. Nel Museo di Geologia e Mineratogia della R. Università di Palermo ve ne sono due esemplari. Il Dr. Battaglia Antonio di Termini-Imerese ne pos- siede un altro esemplare proveniente ancora dalla contrada Regalmici presso Castronuovo (Provincia di Palermo). Spiegazione delle Figure. Tav. II, Fig. 4° Aspidoceras insulanum, Gemm. visto di fianco di Regalmici Fig. 4 Disegno de’ lobi dello stesso esemplare. “RE n Capita Pea, dp È SURI MENILI ITALA / È So ASA La gr Reano pi È n ti ba ta RIO, PONLIEAA RIAPRE RIMANE) atei "PI d i Y 2%) Mei Ca SULLE MALATTIE DA SPASMO È SU MEDICAMENTI ANTISPASMODICI RIFLESSIONI DEL SOCIO PROFESSORE NICOLÒ CERVELLO Lette nelle tornate dei mesi di marzo, aprile, maggio e luglio 1878 La parola spasmo è una delle tante in medicina il di cui significato non ritiene che poco o nulla della sua origine etimologica. Allorquando io pubbli- cava la mia lezione sulla maniera di agire della digitale purpurea, e qualifi- cava come antispasmodico il carattere della influenza, che questa scrofularia esercita sul cuore, varii scritti vennero alla luce dai quali ebbi luogo ad ar- gomentare, che il senso di questa voce ancora non è stabilmente definito nella mente di tutti i medici. Particolarmente in quello, che il prof. Cantani regi- strava nella pregevolissima sua opera della materia medica e terapeutica circa questa mia idea, trovava, che in uno stesso periodo la parola spasmo espri- meva ora una contrazione muscolare ed ora una nevrosi. Nelle considerazioni, che io facea seguire a quelle pubblicazioni, dichiarava che tutto | equivoco veniva dal non aver precisato sino dal principio, che cosa intendessi significare con queste voci spasmodia, ed antispasmodico, e mi giustificava dicendo, che il loro senso era abbastanza diffuso per avermi potuto dispensare di darne le 2 SULLE MALATTIE DA SPASMO definizioni, e che la mia era stata una delle lezioni da me date all’ Univer- sità, e che nel programma delle mie lezioni altra tesi leggesi, che porta per titolo medicamenti antispasmodici dove toccava di dichiarare per esteso la si- gnificazione di quei termini. Or io mi accingo ad esporre le seguenti riles- sioni, che metteranno in chiaro com’io concepisco la dottrina dello spasmo, e la medicazione antispasmodica. Spero che sottoposte le mie idee al giudizio dei dotti, sarò nel caso di correggere quelle, che sono difettose, e di confer- marmi in quelle che saranno giudicate esatte. Dal verbo greco creo «io traggo » si formò in medicina la voce spasmo, la quale perciò fu dirittamente impiegata ad indicare uno stato morboso della fibra motrice muscolare per cui essa entra in una forzata contrazione. Non si potè lungamente restar contenti di questa denominazione perchè essa non indicava altro che un sintomo, e siccome ogni sintomo è spesso prodotto da condizioni morbose differenti, ed anco talvolta opposte, quindi frequenti fiate ebbe ad accadere, che un medicamento, il quale in un caso felicemente aveva sciolto una contrazione forzata, e che perciò meritava il nome di antispasmo- dico, in altre circostanze non la modificava affatto, e talvolta ancora l’aggra- vava. Ciò ebbe ad impegnare i diversi osservatori a distinguere spasmo da spasmo, cioè a porre in categorie diverse quelle patologiche condizioni, che poteano determinare una contrazione morbosa, ed a sceverare fra queste quelle, che sottoposte all’analisi clinica, e svelate dall’anatomia, e fisiologia patologi- che poteano dirsi di già chiarite, e ben note, da quelle altre di cui la teoria lasciava molte cose occulte, ed oscure. Nelle prime lo spasmo, era dichiarato sintomatico, e la sua terapeutica dovea consistere nello impiego di quei ri- medii adatti a combattere i processi che lo generavano; nelle seconde lo spa- smo dovea riguardarsi come essenziale, ed era quello dove correa l’obbligo di ricercarne i rimedi appropriati. Siccome la fibra muscolare, tranne pochi casi non più controversi in cui la sua contrazione si vuole insita alla fibra medesima nel senso halleriano , ordinariamente ciò nol fa che dietro una corrente nervosa , quindi il primo passo dato fu quello di persuadersi, che lo spasmo originariamente deriva dal disturbo dei nervi motori, o dei centri ai quali questi hanno relazione, d’onde si persuase che lo spasmo essenziale non poteva essere altro che una nevrosi. Or se la corrente disturbatrice della contrazione muscolare parte da un processo patologico noto e dimostrato, la contrazione morbosa si riguarda come sintomo di quel processo, e perciò la spasmodia prodotta non va più fra le nevrosi essenziali; e resta questo titolo di essenziale solo riserbato a quelle, che procedono da una condizione morbosa insita propriamente nella polpa nervosa, e straniera affatto a qualunque trasformazione sensibile avvenuta nella compage istologica dei tessuti. I seguenti esempi basteranno a far com- prendere questa proposizione. E SU’ MEDICAMENTI ANTISPASMODICI 3 Le convulsioni sono spasmi, e furono esse un tempo riguardate come es- senziali. Intanto la clinica schiarita dall’anatomia patologica venne a scoprire che la meningite produce convulsioni, le quali sieguono perfettamente le fasi della flogosi produttrice, e d’allora innanzi le convulsioni suscitate dalle me- ningiti vennero escluse dalle essenziali, e furono dichiarate sintomatiche. — Un focolajo apoplettico spesso sulle parti periferiche della polpa nervosa rotta eser- cita una azione irritante , e provoca delle convulsioni: queste altre dunque sono state sequestrate dalla classe delle essenziali. — Molte neoformazioni in- tracraniane ed endospinali producono pure convulsioni, le quali per la stessa ragione più non contano fra le essenziali. — Nè tampoco più vi van comprese quelle altre contratture dolorose, che fanno corteggio alla sintomatologia di taluni avvelenamenti; e così potrei dire di molte altre convulsioni. Una seconda serie di spasmodie sono state osservate nelle potenze mu- scolari addette agli organi del respiro, che si traducono con dispnea, affanno e minaccia di soffocazione, ed han portato il nome di asma. Passavano esse un tempo come nevrosi essenziali, ma l’osservazione di alcuni stati patologici del cuore rivelò, che molte cardiopatie si accompagnano con accessi di forma asmatica, e queste non più come essenziali si sono riguardate, ma come sin- tomatiche delle affezioni cardiache. Più tardi fu notato, che lo enfisema del polmone si rivela con dispnea abituale, aneliti ed accesi asmatici : questi altri asmi cessarono di figurare come essenziali. — La bronchite capillare ha per prodotti funzionali anco degli assalti di stentato respiro, e questi un tempo chiamati asmi vanno ora com- presi fra’ sintomi della bronchite capillare. Io potrei con noiosa erudizione moltiplicare a dismisura il numero di questi esempii, dai quali si detege, che coi progressi dei lumi patologici, e per quelli forniti dall’anatomia morbosa, il numero delle nevrosi spasmodiche idiopatiche si è andato sempre più attenuando, e che non sono caratteri precisi e posi- tivi quelli, che conducono a qualificare una malattia come nervosa, ma vi si giunge per segni negativi e col metodo di eliminazione. Intanto da una parte la mente mal si presta a concepire la idea di un processo morboso astratto dai tessuti, ed indipendente da qualunque lesione di organica struttura; quindi i patologi delle scuole anatomiche han lanciato anatema contro l'ammissione delle spasmodie assolute, ed han cancellato queste forme morbose dai quadri nosologici, vedendo in esse, e sempre, puri sintomi e non altro; imperocchè il ristrettissimo numero di quelle, che sinora non si han potuto rapportare a qualche offesa organica nota, l’ han riguardato come la misura esatta della nostra ignoranza. Se dall'altra parte si volessero riguardare le malattie spasmodiche nel senso delle dottrine vitalistiche, nuovi intoppi insorgerebbero contro la. loro 4 SULLE MALATTIE DA SPASMO ammissibilità, perchè in queste scuole altri modi di ammalarsi non si cono- scono che o per eccesso, o per difetto di vitalità prendendo lo stato fisiologico qual punto di comparazione. Però le malattie, che sono sotto esame, potendo coincidere collo stenismo, e collo astenismo , con eccitamento esaltato, e con eccitamento depresso non saprebbero ove collocarsi nello spirito del vitalismo. Or. dunque la idea di una spasmodia pura, che viene respinta dalle dot- trine anatomiche, e non può trovar posto nelle vitalistiche sarà forse un con- cetto immaginario, e perciò assurdo? î La risposta a questa domanda sarà forse lo svolgimento di tutte le rifles- sioni, che vo qui esponendo; ma debito mio parmi di cominciare dal riferire ciò che ne han pensato quei sommi, che allo studio clinico delle affezioni spa- smodiche si sono sforzati di mettervi qualche cosa di scienza. In questa ri- cerca noi non possiamo rimontare ad epoche assai lontane; vero è che negli scritti d’Ippocrate dei tratti caratteristici troviamo indicanti degli spasmi, ma il dominio delle vere nevrosi è dei tempi a noi più vicini, tempi di squisito incivilimento, dove tutte le condizioni etiologiche si trovano eminentemente riunite capaci a determinare affezioni nervose pure. Colui il quale prima si elevò ad offrire alla scienza una teoria dello spasmo fu il celebre Culler. Egli nella sua medicina pratica, e meglio nella sua materia medica estesa- mente sviluppava la dottrina, di cui qui in brevi linee rappresento miniato il quadro. Nello stato di sanità le fibre motrici si contraggono o in forza della po- tenza volontaria, o in forza di certe cause naturali; nello stato morboso pos- sono contraersi per cause innormali, ed indipendentemente della volontà, o contro gli ordini della medesima. In questi casi morbosi due forme si possono assumere differenti l’una dall’altra. Alcune volte le contrazioni pervenute ad un grado molto più rimarcabile del consueto non sono susseguite, almeno per qualche tempo, da rilasciamento spontaneo : esse non cedono facilmente né allo sforzo, che vi oppongono i muscoli antagonisti nè allo sforzo di altre po- tenze applicate per produrre il loro rilasciamento. Questa forma di contrazione è da lui chiamata spasmo tonico , o semplicemente spasmo. L’ altra forma è quella in cui sottentra un rilasciamento, ma a questo succede un’ altra con- trazione, ed a questa un altro rilasciamento, e tali successioni di contrazioni e di rilasciamento han luogo, e si reiterano sempre senza il concorso della volontà; e senza una novella azione delle cause naturali, più engergiche ed anche violente si rendono queste contrazioni. Tale altra forma ha ricevuto il nome di spasmo clonîco, o semplicemente di convulsione. È sempre la energia del cervello, che suscita tutti i movimenti normali non solamente i volontarii, ma eziandio gli stessi involontarii, e quindi nello stato morboso lo spasmo e la convulsione, come modificazioni di questi mo- E SU MEDICAMENTI ANTISPASMODICI 5 vimenti, devono farci argomentare una modificazione corrispondente nella energia cerebrale. In forza di una legge fisiologica questa energia del cervello alternativamente si trova in uno stato di eccitamento, e di collasso, o per dir meglio nello stato normale il cervello compartisce l’ eccitamento nervoso alla fibra muscolare in modo che la contrazione ed il rilasciamento si alternino con regolare misura. Da qui il Cullen conchiuse che la . caratteristica delle affezioni spasmodiche sta nella irregolarità de” movimenti alternativi; ma ri- tenne fermamente, che in ogni affezione spasmodica v'è essenzialmente una affezione del cervello. Non contento di ciò l’esimio scozzese volle andare più addentro , e sta- bilì, che in ogni spasmo la energia cerebrale acquista un grado estraordinario di forza, e che nella convulsione poi questa energia del cervello determina una successione più rapida, e meno regolare di movimenti. Trovò il Cullen molta difficoltà a definire in che consiste questa modificazione, che prova il cervello nello stato spasmodico, ma fu contento di aver potuto scoprire il ca- rattere, che rivela nella manifestazione objettiva de’ sintomi il subjettivo della condizione morbosa cerebrale. L'alternativa delle contrazioni, e dei rilascia- menti muscolari è regolata e misurata nelle condizioni di sanità dalle fun- zioni così della vita nutritiva, che di quella di relazione; irregolare e disor- dinata ed aritmica in quella morbosa energia del cervello, che produce lo spasmo. Conviene che tra lo stato normale ed il morboso non v’ha che una scala di gradaziofie, e che 1° alternativa di quei movimenti nello stato sano può variare ed oscillare sino a certi limiti; ma oltrepassati questi, il disordine spiega tutto il carattere dominante dello stato morboso. Le cause capaci a produrre lo spasmo possono agire direttamente sul cervello; tal’è un esaltamento morale, un atto di escandescenza e d’ira, che fa nascere il balbettamento. Possono agire anche indirettamente sul cervello spiegando la loro influenza sugli organi addominali, o toracici, come nella ipocondria e negl’isterismi; ma qualunque ne sia il punto di partenza, le af- fezioni spasmodiche suppongono sempre uno stato particolare patologico della energia cerebrale. Molte cose, è vero, lasciava indefinite, ed a desiderare il Cullen, come si potrà rilevare in seguito dei miei ragionamenti, però i tratti del suo genio si rivelano nello aver fissato la sua attenzione sull’aberrazione del ritmo nella dispensa della innervazione, e nello aver fatto rilevare, che il cervello nelle affezioni spasmodiche cede lo scettro del suo impero sugli atti volontarii. Però egli limitava la sua dottrina alle azioni muscolari, e restringeva il processo essenziale morboso nell’ organo cerebrale. Se noi da qui ci trasportiamo ai tempi in cui vivea quel sommo scrittore, e riflettiamo a’ limitatissimi lumi, che allora schiariva la dottrina fisiologica, ne’ difetti della sua teoria veggiamo 6 SULLE MALATTIE DA SPASMO le macchie del sofe, le quali non possono ecclissare lo splendore di quella immensa fonte di luce. Il Trousseau nel suo Trattato di Terapeutica, e di Materia Medica svol- gendo la medicazione antispasmodica mette in più chiara veduta la ubbidienza alla quale è chiamato il cervello dagli apparecchi viscerali in quegli stati morbosi, in cui le spasmodie ne fanno il carattere principale. A prima vista pare, che egli si fosse posto in opposizione diametrale col Cullen poichè solen- nemente. pone a base, che l’encefalo non è la sede degli spasmî, e che nulla ha che fare colla loro produzione immediata. Secondo il francese terapeutista gli spasmi sono evidentemente sotto la influenza de’ nervi ganglionarii; gli spasmi dei muscoli volontarii sono emancipati dallo impero della volontà, e ciò basta per dare la più chiara prova, che questi spasmi passano sotto il do- minio ganglionario. Può il cervello soffrire più fortemente, che tutti gli altri organi, ed aver pervertite le sue attribuzioni più importanti cioè movimenti volontarii, sensibilità animale e manifestazioni degli atti intellettuali: ma questi disordini non sono che simpatici. Gli spasmi essenziali emanano dai differenti centri di azione della vita organica, come i movimenti istintivi: gli uni e gli altri quantunque spesso eseguiti sotto la influenza della volontà hanno per carattere essenziale di dominarla di una maniera più o meno completa; una affezione spasmodica non è che l’esagerazione, o il pervertimento di un atto istintivo, che partendo dagli apparecchi viscerali per un meccanismo analogo a quello delle passioni obbliga il cervello, anche mal suo grado, a darsi a certi atti, a comandare dei movimenti. La spasmodia non è che l’atto affettivo nell'ordine patologico, e perciò ogni spasmo ha da avere il suo analogo nell’or- dine fisiologico. Gli antichi con molto senno le affezioni spasmodiche distin- sero col nome di passioni, e dissero: Passione isterica la isteria ; passione ipocondriaca la ipocondriosi ec. mentre non diedero il titolo di passioni agli altri stati morbosi, che non sono spasmodiche; e non dissero mai passione pleuritica la pleuritide, nè passione erisipelatosa la risipola. Nel dar questa distinta denominazione fecero mostra di uno spirito di osservazione penetran- tissimo. Dietro queste considerazioni il Trousseaw stabilisce per principio, che ogni spasmo dee partire da’ visceri, e quindi dee cominciare con un'aura, che si muove da un punto di una delle due cavità la toracica, e l’addominale, e che i soli spasmi non primitivi vanno esenti da questa aura. Senza negare il prin- cipio, io credo che quest’ultima proposizione aspetta ancora la sanzione della esperienza: e finora mi sembra che abbia qualche cosa di esclusivo. In gene- rale, quantunque in apparenza contradittorii, pure il francese, e lo scozzese, secondo ne penso, proclamano ambidue la medesima dottrina, ed in certi punti l’una può riguardarsi come complemento dell’altra. Ma il fatto, che elice E SU MEDICAMENTI ANTISPASMODICI 7 dal fondo di ambedue è la irregolarità degli atti funzionali, e la soggezione in cui è messo il cervello in alcune affezioni viscerali. Questa parte di dottrina, quantunque espressamente annunziata dal Cullen, pure è posta in chiarissima luce dal Trousseau, e ben potea farlo il professore francese più ricco come era di conoscenze fisiologiche sulle funzioni dei diversi dipartimenti del si- stema nervoso, e con ispecialità di quelle del ganglionario. E quindi assai bene illustrato quel legame intimo, che associa le forme spasmodiche. colle influenze istintive, e colle sorgenti delle passioni. Bene è vero in fatti, che in ogni forte attacco spasmodico, e nelle diverse specie di spasmi, esiste un commovimento di tutte le viscere di quella natura indefinibile, che si sentono e si provano meglio, che non si esprimono; come è precisamente il carattere di quelle sensazioni interne, che partono dalle viscere, e procedono dal si- stema ganglionario, a differenza di quelle sensazioni, che si ricevono pei sensi esterni, e pervengono pel ministero dei nervi cerebrali, e spinali, ed hanno per carattere di essere nette, precise e distinte. In ogni spasmodia abbiamo dei movimenti, che sono emancipati dallo impero delle leggi ordinarie, e sono suscitati da cause diverse dalle normali, quindi non comandati dalla volontà, o indipendenti da quelle condizioni, che sogliono provocarli, come nel cuore. A questi caratteri di sensazioni, e di movimenti non si può non riconoscere l'intervento della potenza nervosa ganglionica, nè si potrà negare che questo intervento si fa con un meccanismo analogo a quello per cui entra in azione nella produzione dei fenomeni dello istinto e delle passioni. È tale una cor- rispondenza tra le contrazioni dèlla fibra motrice, e lo stato peculiare dei centri nervosi ganglionarii che quando questi sono patologicamente affetti, le contrazioni delle fibre muscolari si mettono sotto il dominio ganglionico, che - allora va a pigliar posto invece della causa efficiente ordinaria, e determina dei movimenti abnormi, ed uno scompiglio generale, il quale potrà non ten- dere alla conservazione della vita dell’individuo, ma non resta meno susci- tato, e dipendente dai bisogni innormali nati dalla cambiata condizione de- gli organi. Sia impedita o imperfetta la ossigenazione del sangue; subito una ansietà vaga indefinibile sorge dal fondo del petto, che forza la volontà a met- tere in concitazione tutte le potenze ispiratrici. Sia ritardato il circolo del sangue, e questo umore si ristagni, o si accumuli nelle vie più centrali; si susciteranno allora sbadigli e pandicolazioni dei muscoli del tronco, e delle estremità per facilitare il corso dello umor sanguigno entro i vasi : sono questi degli spasmi suscitati dai bisogni, e le contrazioni muscolari tendono ad un fine salutare. In molti altri casi patologici le contrazioni dei muscoli, ossia i movimenti provocati sembra non avessero alcuno scopo, come in certi accessi isterici; anzi talvolta son diretti ad attentare alla vita; tali sarebbero il. por- tar le mani al collo, e stringerlo per istrangolarsi, il dar la testa nel muro , 8 SULLE MALATTIE DA SPASMO il correre per buttarsi dalle finestre, ed altri simili. Questi spasmi, che sono violenze contro la propria conservazione , pure potrebbero esser comandati dallo istinto per liberarsi dalle orribili sofferenze, che si provano, e sia anche per la morte. Così veggiamo spesso l’uomo in preda ad una sfrenata e vio- lenta passione decidersi ad atti, che meno tendono a conservare la propria vita, ma più presto a secondare quella irresistibile tendenza di darsi la morte nella disperazione di non poter venire sodisfatto nei suoi desiderii. A me pare di vedere un’idea fondamentale comune così nella dottrina del Cullen, come in quella del Trousseau, ed è la concorrenza del cervello e delle viscere nella produzione di una malattia spasmodica; ma fra la dot- trina dello scozzese, che troppo concede al cervello a discapito delle viscere, e quella del francese, che troppo concede alle viscere a discapito del cervello sta a creder mio la verità nel mezzo, e mi sorprende, che il Trousseaw, il quale tanto bene ravvicina il meccanismo delle passioni a quello dello spasmo, non abbia fatto tesoro della lucidissima dottrina delle passioni, che molti an- ni avanti aveva esposto il Broussais nella sua fisiologia applicata alla patolo- gia. Quel professore di Val de-Gràce insegnava riunendo le vedute del Bichat a quelle del Ga, e completando l’una coll’altra le teorie del francese e dello alemanno, che in ogni atto affettivo, e quindi in ogni passione, che vi sta legata, concorrono da una parte un apparecchio viscerale incaricato colla sua funzione della sodisfazione di un bisogno della macchina, o per la conserva- zione del proprio individuo, o per quella della specie, o di un bisogno mo- rale intellettuale per le relazioni col mondo esterno; e dall’altra parte un ap- parecchio intracerebrale, che sta in rapporto coll’altro per comandare gli atti necessarii alla sodisfazione di quel bisogno. Nello stupendo artifizio col quale il supremo creatore ha provveduto a tutte le esigenze della economia ani- male, si ammira una buona intelligenza, che passa tra apparecchio viscerale ed intracefalico, per cui il sistema ganglionario è posto qual sentinella, la cui incombenza è di avvertire quando arriva l’ora, che l'apparecchio viscerale deve entrare in funzione per sodisfare il bisogno; e l’apparecchio intracerebrale av- visato di ciò dia gli ordini a’ muscoli di eseguire gli atti competenti all’uopo. Secondo la dottrina del Browssaiîs il cervello e la midolla spinale impar- tiscono sempre il comando a’ muscoli per contraersi; le viscere da parte loro sono il punto di partenza d’impressioni, che nascono dalle condizioni di loro struttura, e di loro funzionalità. Siccome dev’esservi un accordo fra questi due estremi, che devono ambidue concorrere alla esecuzione delle funzioni costi- tuenti la vita, quindi vi sta interposto il sistema ganglionario, che resta in- caricato della loro corrispondenza. L’eccitamento, che parte da’ centri cerebro- spinali per andare alle viscere, deve passare pe’ gangli , e per la via de’ me- desimi dee transitare ogni impressione, che piglia mossa dalla intimità delle E su MEDICAMENTI ANTISPASMODICI 9 viscere. I ganglii però nel trasmettere la innervazione proveniente dall’ asse encefalo-rachidiano tolgono il moto intermittente, e lo cambiano in continuo, togliendo ancora la percettività, e la subordinazione allo impero della volontà imprimendole il carattere di non essere appercepita, e d’ impartirsi indipen- dentemente dagli ordini dell'Io. Neltrasmettere poi al cervello gl’incitamenti, che promanano dalle viscere danno loro il carattere di essere appercepiti, ma gl’investono della forza di sollecitare, istigare, ed anche talvolta di forzare la volontà a comandare quegli atti, che sono reclamati dalla soddisfazione de’ di- versi bisogni della macchina. Così le impressioni, che il sensorio riceve dalle viscere sono sempre accompagnate da un sentimento di sollecitazione, o di ten- denza sia nel senso favorevole, sia nel contrario di ravvicinare, o di respin- gere qualche oggetto, il che non avviene delle sensazioni, che si percepiscono dietro le impressioni, che si fanno ne’ sensi esterni. E pure è tale la stretta intelligenza, e la relazione, che passa tra cervello, e viscere, che le stesse sen- sazioni appercepite da’ sensi esterni si accompagnano da un sentimento pia- cevole, indifferente, o dispiacevole, se qualche relazione hanno co’ vari stati viscerali, ossia co’ bisogni della macchina. Che un uomo sì accorga, o senta l’odore di un cibo: se egli è digiuno, ed il suo stomaco è sano, quella vista e quell’ odore desteranno un senso di piacere, ed una tendenza a far uso di quel cibo; se non è digiuno, quelle sensazioni gli riusciranno indifferenti; ma se è sazio, o se il suo stomaco è ammalato, quelle sensazioni susciteranno di- sgusto, ripugnanza, ed avversione o tendenza ad allontanare, e respingere quel cibo. Il Broussais esprimea questo fatto con una frase figurata, dicendo, che il centro cerebrale, l'Io, pria di giudicare di qualunque impressione fatta sul corpo internamente, od esternamente consulta lo stato di quegli organi, che possono essere interessati in questa sensazione, e poi si pronunzia. Io non so come suona un linguaggio di tal fatta usato dal Broussais, oggi che uno spi- rito severo presiede allo studio della fisiologia; però dichiarinsi figurate, onto- logiche le sue espressioni, esse sono tanti sforzi tentati per mettere in evi- denza un gran fatto reale, ed inconcusso, che è non solamente il legame stret- to, che associa il fisico al morale, ma che le tendenze, e le passioni hanno le loro radici ne’ varii bisogni dell'organismo, e l’ accordo col quale devono in- tendersi fra loro gli apparecchi viscerali, la cui funzione compie la loro sodi- sfazione, e gli apparecchi cerebrali, che devono apprestare i mezzi a conse- guire questo fine. Ond’è che se si alterano queste relazioni, da tal disaccordo scaturisce una serie di stati morbosi dove il carattere morale dell’ individuo presenterà qualche disordine, i sensi, ed i movimenti saranno più o meno aberrati dal loro esercizio regolare: gl’individui, che ne soffrono, si chiamano vaporosi, bizzarri, mobili, eretistici, ma è ‘precisamente tale stato che dee ri- guardarsi come punto di transizione tra la condizione normale fisiologica, e le 2 10 SULLE MALATTIE DA SPASMO malalattie spasmodiche. Nelle vedute del Broussais si elarga alquanto il campo delle spasmodie, perchè la iniziativa a queste alterazioni funzionali può pi- gliarla un organo intracefalico, e rispondervi l’ apparecchio viscerale relativo, e viceversa, mentre più ristretto si ritrova nelle vedute del Trousseau secondo le quali, è sempre solo l’apparecchio viscerale quello, che può generare un’af- fezione spasmodica. Dagli studi sin qui esposti, le seguenti due conclusioni possono formu- larsi come consentite presso a poco da tutti: 1° le malattie ordinarie hanno la loro sede in un organo, e trovano la loro teoria nella lesione, ossia alterata struttura del medesimo, e quindi nella disturbata funzione, che ne consegue; e poi nelle successioni morbose prodotte dalla offesa primitiva, e nel consenso degli organi, coi quali trovasi legato sinergicamente, quello che fu idiopaticamente colpito dalla causa morbosa, o nell’ alterata crasi, che per influenze chimiche ne può contrarre il sangue; 2° a differenza di queste, le malattie spasmodiche hanno sempre inizialmente doppia sede una in qualche apparecchio viscerale, l’altra in un centro nervoso, ed il carattere di spasmodia consiste in una ten- denza, o passione originata da un bisogno o indebitamente inteso, o non so- disfatto, o pervertito. i Poteano queste conclusioni così formulate contenere una teoria sodisfa- cente sino ad alquanti anni addietro quando si pubblicava il Trattato di Te- rapeutica, e di Materia Medica di Trousseau, e di Pidoux.- Oggi però abbiamo novelli studi, che possono elargare molto il terreno delle spasmodie, e possono farci scoprire un novello orizzonte ancora più esteso. Io vado ad esporre le mie idee sull’assunto. Non senza trepidazione sciol- go le vele per tentare onde sì pericolose, ma mi conforta il pensare che mi spingono venti favorevoli: sono gli studi positivi, e severi fatti da menti ele- vate, e robuste. Limitandomi-ad applicare i loro concetti alla materia, che tratto, spero di poter salvo giungere in porto. Però anzi tutto mi credo tenuto a fare una protesta solenne. Intendo trattare questa materia dalla parte, che è solo demanio del fisiologo, e del medico, cioè intendo esplorare quali modificazioni avvengono durante le affezioni spasmodiche nella parte materiale, che serve di strumento alle funzioni affettive, e di rapporto. Dichiaro, che le mie espres- sioni non son dirette a ferire punto nè poco le idee, che i metafisici profes- sano sulle funzioni dell’ intelletto, e sfuggo di proposito l’arena, ove si dibat- tono materialisti, e spiritualisti con interminabili dispute. Quella sfera è troppo elevata, e se io volessi prestarmi le ali di d’Icaro per ascendervi, temerei d’imitarlo nella sua umiliante caduta. Per altro è troppo recente la polemica dibattuta tra’ professori Tommasi, e Del Crecchio per riaccenderla nuovamente. Durante l'esercizio delle funzioni intellettuali, ed affettive un movimento molecolare certo deve aver luogo nelle cellule componenti gli apparecchi nervosi: ciò la a E SU’ MEDICAMENTI ANTISPASMODICI 44 CY ragion fisiologica cel persuade, e questo è il campo, che intendo coltivare. An- che durante la secrezione della bile un movimento molecolare ha luogo nelle cellule degli acinetti epatici; ma se fondati su quest’ analogia volessimo defi- nife il cervello organo secretore del pensiero, ci perderemmo in un abisso di assurdità, od almeno di supposizioni insostenibili, ed incapaci a sodisfare una mente severa. Dobbiamo convenire col Prof. Tommasi, che non possono met- tersi nella stessa linea le funzioni secretorie, come quella del fegato, colle fun- zioni intellettuali; e la educabilità dello spirito ha qualche cosa di speciale, che non può confondersi coll’esercizio di tutte le altre funzioni. Fatta ora questa protesta con più sicuro animo, passo ad esporre i miei concetti. La materia, che vado a svolgere si accentra tutta nelle tre proposizioni seguenti : 1.° La spasmodia, com’io la concepisco, è quello stato morboso pel quale più parti del corpo, che devono agire di concerto, e cospirare insieme per pro- durre una funzione complessa trovansi fra loro in disarmonia. 2.° Hl sistema nervoso è lo strumento, che prende parte attiva in questa forma patologica. 3.° Questo sistema ciò lo fa diffondendo a correnti disordinate quello im- ponderabile suo proprio animatore di senso, e di moto, e coordinatore di tutti gli atti della vita. SVILUPPO DELLA PRIMA PROPOSIZIONE Per ottenersi l’ esercizio normale di una funzione complessa fa mestieri non solo, che tutti gli atti concorrenti possano singolarmente, ed isolatamente eseguirsi, ma che ciascuno di essi spieghi quella energia, che gli conviene; entri in azione giusto nel momento, che gli tocca; e cessi di agire tosto che il suo intervento non è più necessario: in brevi detti, che mantenga con tutti i suoi compagni nè più nè meno quella simultaneità, ‘o quella successione vo- luta da’ bisogni, onde lo scopo finale della risultante venga perfettamente con- seguito. Che si direbbe di un concerto di musica eseguito da una orchestra, ove ogni artista non entri in tempo a sonare il suo strumento, nè metta quella quantità di forza o di espressione, che il maestro esige nello spirito della sua composizione? Ne uscirebbe invece di armonia, e di melodia un frastuono, uno strepito straziante l’ orecchio di chi ascolta. Or questo è appunto la figura di quel disaccordo negli atti componenti, che costituisce secondo me il carattere dello spasmo. Riguardata così la natura di siffatto stato morboso, il significato della parola, com’io già lo dicea da principio, non ritiene più orma della sua etimologia. Giò non pertanto è così vero, è così essenzialmente connesso que- 419 SULLE MALATTIE DA SPASMO sto carattere col fatto dello spasmo, che non era sfuggito all’attenzione de’ clas- sici osservatori, e gli scritti de’ patologi clinicamente occupati delle spasmo- die, ne sono la più chiara testimonianza. Varrebbero per tutti il Cullen, ed il Trousseau, de’ quali ho già parlato, e se il lettore ritornasse alla succinta espo- sizione , che di già ho dato delle loro dottrine, resterebbe pienamente since- rato di questa verità. Ma mi giova meglio ritrarre testimonianza da lavori più recenti; e per procedere con ordine più dimostrativo esordisco da fatti, che portano il carattere dell’ evidenza; passerò poi a quelli,- che per se stessi più oscuri possono ricever luce da’ primi. Un esempio pratico, che in grande, ed objettivamente cade sotto i sensi ci è somministrato dagli studi di un uomo di genio del nostro secolo dal ce- lebre Duchenne de Boulogne. La elettricità, che diretta dalla sua mente divenne fonte di luce, ed ha schiarito molti fatti anatomici, fisiologici, e patologici per lungo tempo rimasti oscuri, o mal noti, od ignorati affatto, lo guidò a mettere sotto un punto di vista novello una forma morbosa pria di lui indicata sotto denominazioni inconvenienti, da lui chiamata afassia locomotrice, e merita- mente distinta da’ clinici col nome di malattia di Duchenne in onore di chi seppe così bene descriverla, e trarla dalla massa di molte altre forme clini- che colle quali era stata confusa. In questa malattia ogni muscolo volontario sotto la corrente elettrica si contrae regolarmente, e ciò non ostante l’amma- lato è inetto ad eseguire un movimento complesso, che richiede l'associazione di questi muscoli. La parola afassia è molto bene significativa, perchè dipinge quel che c'è di fatto in quello stato morboso, cioè la mancante coordinazione di tutti i movimenti associati. « Abolizione progressiva della coordinazione dei movimenti, e paralisi apparente, che contrasta colla integrità della forza mu-. scolare; ecco i caratteri fondamentali della malattia, che mi propongo a de- scrivere. » Così dà principio al suo scritto il Duchenne (Arch. Géner de mé- decine Décembre 1858 pag. 641). Dopo di avere esposto tutti gl’ interessanti studi da lui fatti su questa malattia, egli, volendo ricercarne la sede, confessa, che non ha potuto da se raccogliere dati sufficienti di anatomia patologica, poi- chè le ‘osservazioni costituenti la parte casuistica del suo lavoro, le avea fatto nella pratica civile. Però non dubitava punto, che questa sede dovea trovarsi in uno qualunque de’ centri nervosi. Quindi alla guida del signor Flourens e del Prof. Bouillaud, che riponeano nel cervelletto lo strumento materiale della facoltà psichica di coordinare i movimenti, ivi pensò, che si dovesse trovare la sede cercata. Intanto studi ulteriori fatti da Axenfeld, Romberg, ed altri han fissato questa sede ne’ cordoni posteriori della midolla, e nelle corrispon- denti radici. Poco interessa al mio argomento il punto, ove quella sede si vuole stabilita: ciò che mi cale, è 1° che ogni muscolo può isolatamente agire, e con- traersi, ma che il movimento complesso manca per la disarmonica azione dei PA E SU’ MEDICAMENTI ANTISPASMODICI 13 muscoli tutti, quando devono simultaneamente contraersi; 2° che questo stato morboso fa presumere immancabilmente una malattia in un centro de’ nervi. La malattia di Duchenne è stata il segnale di tante altre importantissime il- lustrazioni, per le quali presa per tipo la mancante coordinazione de’ movi- menti, nulla ostando la integrità della energia muscolare de’ singoli muscoli, molte forme morbose si sono distinte, che si arrollavano sotto unico vessillo, ma che clinicamente costituiscono vere malattie differenti. In fatti si è trovata in difetto questa coordinazione, quando si è diminuita la sensibilità tattile dei piedi, quando manca il nuovo senso ammesso da Duchenne, e chiamato senso muscolare. e poi meglio venne definito aztifudine motrice indipendente dalla vista, legata ad una anestesia muscolare, e cutanea per malattia spinale. Si è trovata mancante la coordinazione de’ movimenti quando è stata eccedente la contrattilità riflessa ne’ muscoli, dove delle contrazioni morbose insorgono nei soli movimenti, ma cessano poi nel riposo, come nei casi di piede-valgo, 0 equino osservati da Stromayer, e da Dieffenbach, che non si rendeano appa- renti se non nel momento in cui gl’ individui si accingeano a camminare , e faceano perciò gravitare alle piante tutto il loro carpo. Nè mi si vorrà opporre, che io in uno stesso fascio ricordo alterati mo- vimenti de’ muscoli volontarii osservati in malattie a sede anatomica ben de- terminata, ed a sede anatomica non ben determinata, perchè io pongo per ora sotto analisi la contrazione associata de’ diversi muscoli, e quando questa aberra dalla sua regolarità, ha sempre uno stesso meccanismo funziunale, qualunque si fosse il punto di partenza della causa determinante, ed è precisamente quella, distinta dal Duchenne col nome di paralisi funzionale. Un’altra forma di movimenti bizzarri mal connessi è quella detta comu- nemente Chorea o dallo di S. Vito, più ordinaria nella puerizia, e nell’adole- scenza caratterizzata da convulsioni cloniche, contorcimenti di viso, smorfie involontarie saltellamenti di un braccio, o di una gamba, impossibilità di cam- minare. L’ammalato vuol comunicare un impulso ad un determinato gruppo di muscoli, e tosto simultaneo lo eccitamento si trasmette ad altri gruppi, cui la volontà non intendea chiamare in azione. H signor Dufossè fa rilevare un fatto, che svela molto bene il carattere di questa specie di follia muscolare. Che un individuo si faccia stringere la mano da quella dell’amalato; egli pro- verà una strettura irregolare, mentre l’ un dito stringe, l’ altro si allenta, ed invece di un continuato stringimento uniforme, vi ha una serie successiva di sforzi parziali, ed ineguali. Questa malattia è di sede anatomica indeterminata ma che sia di natura nervosa nessuno lo contrasta. Quantunque le facoltà in- tellettuali del paziente si mantengano illese, pure la concorrenza del cervello è dimostrata da ciò, che l’eccitamento agli accessi è |’ atto della volontà nel comandare un movimento, e sul punto di eseguirlo; è il vedere acerescersi la 14 SULLE MALATTIE DA SPASMO intensità dei fenomeni allorchè l’ammalato si accorge di esser guardato ; è il sapere che durante il sonno, in cui per l’ordinario tacciono i fenomeni choreici, se interviene qualche sogno, che suscita movimento, quei fenomeni si risve- gliano, e l’accesso si ripete. Un’altra forma evidentemente spasmodica la balbuzie, io la trovo posta sotto analoga luce da’ lavori del signor Coèn assistente alla clinica di Vienna: li ho letto con sodisfazione nella dispensa 10° del 1872 del Morgagni. Pone il Coèn per base, che tre agenti principali concorrono necessariamente alla formazione dei suoni di cui costa la favella, e che col loro armonico accordo devono produrre quella mirabile rapidità, e scorrevolezza colla quale 1 uomo esprime i suoi pensieri. Tosto che l’uno o l’altro di questi fattori è in difetto, issofatto, manifestasi nel discorso uno sconcerto un disaccordo ingrato, che è la balbuzie. Questi fattori sono: 1° polmoni cogli organi annessi; 2° la laringe 8° gli organi dell’articolazione dei suoni propriamente detti. Secondo che il difetto risiede nell’uno, o nell’ altro di questi tre organi, manifestasi anche luno, o l’altro disaccordo, o vizio della umana loquela. Egli entra a discutere il suo argomento, e crede che la balbuzie provenga da una m0n corrispondente pressione aerea de’ pulmoni diminuita per vizio d’innervazione, che non può equilibrarsi col grado di resistenza degli organi dell’articolazione. In forza di questo esquilibrio i muscoli relativi irritati entrano in contrazioni spasfiche e convulsive; la lingua vien premuta fortemente contro il palato, o i denti, le labra si serrano con veemenza; quindi il paziente nello impegno di superare l'ostacolo accumula tutti i suoi sforzi, per cui si aumenta il grado della con- vulsione spastica, si contorce nel viso, fa movimenti convulsivi colle braccia, e col corpo tutto finchè riesce a montare la pressione pulmonale sino al grado competente. Io non pronunzio giudizio in questa teoria, solo mi contenta, che il disac- cordo, e la disarmonia fra gli atti componenti la funzione complessa (loquela) siano riconosciuti caratteri intrinseci ad una malattia spasmodica, e produttori se ne accusino i nervi. Quel che si vuol per certo si è , che la facoltà della loquela dipenda da un organo cerebrale, a parte. Si è andato in traccia della sede. Lichtestein credè trovarla nella base presso l'origine del 10° pajo, Flou- rens nel cervelletto, Bonillaud nel lobo sinistro anteriore del cervello, ed oggi il maggior numero nei due lobi anteriori della seconda, o terza circonvolu- zione cerebrale. I lavori di Gall diedero la prima spinta a queste ricerche, ed ora ultimamente il Proust nella Memoria inserita negli Archives Génèrales de médecine an. 1871 vi ha fatto più minuti studi; e se alcuno mi objettasse che ancora su di ciò non si è pronunziata l’ultima parola, io punto non rece- derei dal mio assunto, perchè m'interessa solo, che questa sede ha da trovarsi in un punto della massa encefalica, e ciò non mi si può negare, dietro 1’ ec- E SU’ MEDICAMENTI ANTISPASMODICI 15 cellenti notazioni del Taccoud tendenti a provare, che una buona loquela richiede per iniziativa una buona intelligenza, e poi una buona memoria di parole, una buona conducibilità delle correnti nervose dei cordoni periferici, altrimenti non si concepirebbe come una eccitazione passaggiera la ira, lo spa- vento, o un senso di soggezione od altra commozione morale sia capace a pro- durre un temporaneo, od anche fugace balbettamento. Questi esempî addotti mettono in assai manifesta evidenza to disarmonia di quelle funzioni, che dovrebbero camminar di concerto; e la provenienza delle malattie spasmodiche da nervosa origine. Molti altri ne potrei porre avanti gli occhi, ma bastano queste per rappresentare punti di comparazione. Scendo ora alla investigazione di quegli altri, che occultati sotto un velo non ‘possono manifestare la stessa divisa, e farsi riconoscere membri della stessa famiglia. Per sollevare questo velo, e metterli allo scoverto prendo le mosse da una considerazione fondamentale. Il più stupendo fatto, che noi possiamo ammirare nell’ordine fisico della creazione; si è la vifa. Il Creatore supremo ad ogni essere, che vive ha affi- dato un certo numero d’incombenze, e lo ha dotato dei mezzi per adempierle, ossia di strumenti adatti alla loro esecuzione. Queste incombenze costitui- scono tanti bisogni, per l’animale, ognuno degli strumenti destinati a sodi- sfarle dicesi organo, e la esecuzione di ciascuna incombenza porta il nome di funzione. Tutti gli atti che il Creatore esige dagli animali bruti mirano, al conseguimento di due scopi finali, conservazione dell’individuo, e conservazione della specie, le singole loro funzioni, anche le morali, le istintive, le passioni, e le stesse limitate facoltà mentali loro accordate non hanno altra mira, che questi due scopi. All’ uomo il Creatore ha imposto gli stessi doveri, e di più l’altro di scoprire i rapporti, che lo legano al mondo esterno, a’ suoi simili, al suo fattore. L’animale che ha provveduto a’ bisogni fisici pel mantenimento del proprio individuo, e della sua specie, non ha più che fare, e si mette a dormire; l’uomo però dopo di aver provveduto a’ suoi bisogni fisici resta in veglia, perchè sente il bisogno di contemplare lo spettacolo, che gli presenta la natura, e di mirar se stesso dato a questa contemplazione. I fisiologi dunque han risoluto la vita generale in tre vite particolari la nutritiva, organica, v vegetativa come vorrà chiamarsi perché si è intesa sotto tutti e tre questi nomi; la riproduttiva, e l’animale. Io credo inoltre di poter ridurre a tre ordini tutti gli atti vitali inservienti a ciascuna di queste tre vite, sono gli atti plastici, i movimenti e le sensazioni. Gli atti dell’ordine pla- stico riguardano la nutrizione, ossia l'assimilazione per cui dei materiali escono continuamente dal corpo dopo aver fatto parte del corpo stesso percorrendo una serie di processi chimici detti regressivi, ed altri materiali entrano al loro rimpiazzo percorrendo un’altra serie di processi detti progressivi sino alla loro fissazione nella intimità dei tessuti trasformandosi in sostanza propria. 4 6 SULLE MALATTIE DA SPASMÒ I movimenti, che han luogo nella nostra macchina volontarii . od auto- matici che siano, si esieguono in sensi diversi, ed opposti. Le sensazioni, che si percepiscono son di natura anche differente: parte si hanno pei sensi esterni, parte sono suscitate dalla intimità degli organi nostri. Ora io dico, che gli atti plastici della vita vegetativa quelli dei processi regressivi, e gli altri dei progressivi devono mantenere un accordo fra loro ; che i movimenti diversi ed antagonisti devono pure stare in buona armonia: che le sensazioni sì interne, che esterne devono trovarsi in perfetta corrispon- denza; che lo stato normale suppone perfetti questi accordi fra tutti gli atti componenti ogni vita particolare, e perfetto un accordo reciproco fra lo insieme delle tre vite; e che qualora l'armonia si perde fra questi accordi subentra uno stato morboso, che è una malattia spasmodica, concepita nel senso mio. Do il primo posto a’ fenomeni plastici perchè son essi quelli dove la scienza è andata più avanti. Il fisiologo coll’ajuto delle scienze affini : Meccanica Fisica e Chimica con somma scrupolosità è andato seguendo i principi alimentari dalla loro entrata nel corpo, ed in tutte le metamarfosi, che subiscono traver- sando le vie dell'organismo, ed ha così bene indovinato il magistero di alcune fasi, che è arrivato sul suo tavolino ad imitare il processo seguito dalla natura, ed a produrre una digestione artificiale. È andato dietro al chilo giù formato quando assorbito introducesi nei vasi, nè lo ha perduto di vista quando arri- vato ne’ più intimi stami organici dei tessuti vi si fissa assimilandosi in sostanza propria. Ravvisa quei principii stessi quando ripresi dallo assorbimento inter- stiziale rientrano nel sistema sanguigno, ed ha potuto finalmente scoprirli quando sotto lo stato di urea, o di acido carbonico, e di acqua abbandonano l'organismo per restituirsi al mondo esterno. Non tutte le trasformazioni è vero sono ancora ben conosciute, ed a fronte delle più delicate analisi non si è ottenuta una sintesi, che abbia formato una goccia di sangue. Pure facendo i più buoni augurii allo avvenire della scienza attendiamo ansiosi pieni di spe- ranza quel giorno in cui si giungerà a conoscere completamente nel loro mec- canismo i processi progressivi e regressivi, ed a spiegare gli atti perpetui di composizione, e scomposizione pei quali si avvera in noila nutrizione. Spun- tata l’aurora di quel giorno fortunato, che saprà il fisiologo del gran fatto della vita? Poco più che nulla, perchè ciò che in questo fatto vi ha di stupendo, e d’ineffabile non è il vedere come la nutrizione o come ogni altra funzione iso- latamente si compie, ma come tutte le funzioni sono fra loro collegate insie- me; è il conoscere le relazioni come tutti gli organi della macchina sono fra loro associati, così che agendo or contemporaneamente, ora avvicendandosi, ma di concerto sempre, contribuiscono a dare quella risultante maravigliosa, che chiamasi vifa. Senza dubbio è un gran che-l’avere piena conoscenza di tutte le chimiche @ ance è CONFRONTATO CON L’ AUTUNNALE 14 sio e silice. Le ceneri che il residuo del Colchico autunnale appresta sono si scarse, ch’eglino dicono potersi bene negligentare. In quelle per ultimo del Veratro bianco, rinvennero solfato di calce, oltre a’ predetti sali che si con- tengono. nella Sabadiglia. È questa l’analisi qualitativa, che polar e Caventou per primi fecero del Colchico autunnale, del Veratro Sabadiglia, del Veratro bianco. Questi chimici ottennero i sali inorganici bruciando i residui delle operazioni chi- miche; e co’ reagenti, chela chimica analitica appresta, ne stabilirono la taleità. Isolarono gli altri principî organici servendosi successivamente de? veicoli etere, alcool, acqua. Mettendo i semi della Sabadiglia, od i rizzomi del Veratro bianco, od i tuberi del Colchico autunnale a macerare in etere nelle proporzioni e nel modo di uso nelle farmacie, operando a caldo, si ottiene, dietro decantazione, una tintura leggermente giallastra. Conservati i residui per lo incenerimento e lo esame dei principî inorganici, messa la tintura a distillare in storta a B. M. questa fornisce due prodotti: il primo, il distillato, è etere puro, incolore, e senza odore straniero; il secondo è un residuo rimasto nella storta, ch’ è una sostanza grassa, ontuosa, giallastra, insolubile nell'acqua, solubile nell’ alcool, di odore piccante, caratteristico, saponificabile. Saponificata difatti con potassa fornisce un prodotto alcalino, e questo, trattato con una soluzione di acido tar- tarico, mettendo il tutto sul filtro, vedesi restare su di esso alquanti fiocchi di sostanza grassa, che i rispettivi reagenti svelano per un misto di acido oleico, di acido stearico, di acido tartarico. Provengono i due primi dall’oleina e dalla stearina, che trovansi nella crasi chimica delle piante in esame; l’ultimo deriva dall’eccesso di acido tartarico impiegato a scomporre il sapone. Preso indi il fluido, ch’è passato sotto il filtro, e ch’è scolorato, di odore piccante, di reazione acida, messolo a distillare, somministra due prodotti : l'uno distillato, il quale è acquoso, acido, odoroso; l’altro è il residuo rimasto nella storta. Conservato quest’ultimo per altre esperienze, versando sul primo acqua di barite fino a neutralizzarlo, evaporando a siccità. si ottiene una com- binazione salina bianca, che scomposta, mercè una soluzione di acido fosforico, formandosi fosfato baritico, viene a galleggiare non un acido liquido, come quando si scompone il butirato od il delfinato di barite, ma una sostanza bianca in aghi naccherati, fusibili a + 20°, solubilissima nell’acqua, nell’alcool, nell’etere, capace di formare de’ sali; è desso l’acido cevadico — Così mercè l’etere si estraggono dalle tre piante in esame l’ oleina , la stearina, l’ acido cevadico. I Chimici operatori ripresero il residuo dell’ultima distillazione, e che si è detto sopra di conservarsi ad ulteriori esperienze. Questo residuo venne da essi loro trattato a più riprese con alcool bollente; dopo il raffreddamento, se si opera sulla Sabadiglia si ottiene cera; se si analizza il Veratro bianco, od 192 IL COLCHICO DI BIVONA il Colchico autunnale ciò non succede mai. Filtrato, evaporato tale fluido alcoolico, addizionandolo di acqua, rifiltrando si ottiene porzione di sostanza grassa simile a quella ottenuta per l'etere. Eraporato alquanto il fluido filtrato, versandovi sopra soluzione di acetato di piombo, si vede copioso, precipitato, giallastro, prodotto dalla materia colorante speciale delle piante in discorso. Operando sopra entrambi i due prodotti, prodotto filtrato cioè, e prodotto ‘rimasto sul filtro; conservato per poco quest’ultimo ad una speciale ricerca, fatta agire sul primo una corrente di gas idrogeno solforato, vedesi subito formare solfuro di piombo insolubile. Tolto questo mercè filtrazione, aggiungendo al fluido filtrato magnesia, onde sottrarre l’acido acetico rimasto libero dall’ acetato di piombo impiegato, si vede formare eziandio un precipitato magnesiaco, il quale trat- tato più volte con alcool bollente, questo non isciogliendo il sale terroso, ace- tato di magnesia, dietro filtrazione, subito che viene ad evaporarsi l’alcool, met- tesi in evidenza una sostanza alcalina, polverulenta, assai acre, bianca, inodora, errina, non amara, poco o niente solubile nell’acqua fredda; solubile più nello alcool, che nell’etere; solubile in tutti gli acidi vegetali; identica a quella base che Meysner avea appellato Veratrina. Il prodotto rimasto sul fittro, che si avvertì sopra conservarsi ad una speciale ricerca, trattato anch’ esso con acqua e gas idrogeno solforato, ha eziandio fornito sedimento di solfuro di piombo, per le tracce di acetato satur- nino, provenienti da quello impiegato a precipitare la materia colorante. Ora questo, messo a filtrare, somministra liquido scolorato, che, con gli analoghi reattivi, svelasi per un mescuglio di acido acetico, derivante dal predetto ace- tato di piombo, e di un’altro acido, che dopo non facile ricerca Pellefier e Ca- ventou riconobbero agli aghi ed alle peculiari reazioni per acido gallico. Come l’oleina, la stearina, l’acido cevadico vedemmo ottenersi per lo mezzo dell’etere; allo stesso modo mercè l’alcool solo, o coll’intervento dell’acqua, con l’acetato di piombo, l’idrogeno solforato, la magnesia; i primi cioè alcool ed acqua, come solventi; le altre sostanze o come precipitanti, o quali mezzi per ispostare quest'ultime, abbiamo veduto fornire materia colorante gialla ; vera- trina; acido gallico, con cui quest’ ultima è in combinazione, e se trattasi di Sabadiglia, anche cera. Ma gli esimî chimici di cui riassuntiamo il lavoro, non fermarono quì le loro analitiche investigazioni. Dietro avere eglino usato l’etere, l’alcool, pre- sero i residui di entrambi questi solventi, e di quelli altri ottenuti da’ suc- cessivi sedimenti, e si fecero a trattarli con acqua pura, ora a freddo, ora a caldo od anche bollente. I prodotti di sopra, se derivanti dalla Sabadiglia, trat- fati con acqua fredda e filtrati, forniscono gomma, riconoscibile se non altro perchè l’alcool precipita questa dalla sua soluzione acquosa. Se i prodotti resi- dui dell’alcool e dell’etere sono stati forniti dal Veratro bianco, trattati questi CONFRONTATO CON L’ AUTUNNALE 13 prima con acqua fredda, come sopra, somministrano eziandio gomma; ma se dopo impiegasi acqua bollente, ottiensi amido, riconoscibile col jodio. Final- mente operando sui residui del Colchico prima con acqua fredda, ed in ap- presso con acqua bollente, si ha il destro di osservare, nel primo caso gomma, allo stesso modo che per la Sabadiglia e per il Veratro bianco; ma con l’acqua calda siffatti residui, oltre all’amido, come nel Veratro bianco, forniscono copia d’inulina. Riconoscesi tale miscela di amido e d’inulina perciò che versando nella decozione bollente un’infuso di noce di galla, l’istantaneo e sensibile pre- cipitato che si forma dietro il raffreddamento, non sparisce, che ridiscaldando gradatamente al punto di ebollizione, se trattasi di miscela di amido e d’inu- lina; se di amido solo, siffatto precipitato sciogliesi di nuovo a circa 50° del ter- mometro centigrado. Così Pelletier e Caventou riuscirono nell'impegno profissosi, e conobbero se nel Colchico autunnale, nel Veratro bianco, nella Sabadiglia esistono prin- cipî attivi identici, e come essi unitamente a tutti gli altri componenti, pos- sonsi isolare e partitamente nelle loro caratteristiche studiarsi. Il 20 maggio 1833 intanto Couerbde leggeva nell’Accademia delle scienze in Parigi: Alcune ricerche sopra varie sostanze quaternarie di origine orga- nica; all’articolo Veratrina , oltre di assicurare essere questa di natura com- plessa, dice, ch’essa è una sostanza difficile ad ottenersi col processo sino allora conosciuto, molto più impiegando l’acetato di piombo, com: si è veduto pra- ticarsi nel processo Pelletier e Caventou. All’uopo il Couerde antepone il me- todo ch’egli raccomanda per la preparazione della Delfina, principio attivo del Delphinium Staphisagria di Linn. In cotal modo egli assicura ottenersi la Veratrina più facilmente ed in maggior copia. Consiste il processo Couerde nel fare la tintura alcoolica de’ semi con alcool a 36°; nel distillare 1’ alcool ed indi aggiungere al residuo del matraccio altra porzione di alcool misto con acido solforico ed in tal copia quanto basti a non più colorare il miscuglio. Così si ottiene un misto di Delfina, se si opera sulla Stafisagria , o di Vera- trina, se sulla Sabadiglia, od altro Veratro, e di sostanza grassa. Questa viene soponificata versandovi sopra potassa; il precipitato, trattato con alcool bol- lente, filtrato ed evaporato è Delfina o Veratrina, in ragione della pianta im- piegata, ed abbastanza pura, secondo Qouerde, per metterla in commercio. Siccome noi dicemmo, esponendo a questa illustre Accademia poco fa, la storia botanica del Colchico di Bivona in confronto dell’ autunnale , riflettere essa, e segnare colle sue vicissitudini un vero progresso botanico in Sicilia ; allo stesso modo, ora soggiungiamo, che la storia botanica dei Veratri e dei Colchici segna a sua volta un reale progredimento in Chimica organica. Difatti vedemmo sopra che tali piante divise dalle Giuncacee formarono nel 4820 una distinta famiglia col nome di Colchicacee, e che Pellefier e Caventou vi tro- 14 IL COLCHICO DI BIVONA varono un acido organico nuovo detto acido cevadico, ed una base poco avanti scoverta dal Meysner chiamata Veratrina. Ora la scienza botanica e chimica non si è intanto fermata quì: le Colchicacee vennero nel 1833 divise da’ bota- nici in due tribù, entrambe collocate nella famiglia delle Melentacee di Brown; l’una tribù detta delle Verazrinee, l’altra delle Colchidee. La prima ha fusti scapiformi, fiori in grappoli od in spiga; divisioni del perigonio libere, sessili, cortamente unguiculate, o sondate per la loro parte bassa in un tubo. In essa tribù racchiudonsi le Helonias, le Schaenocaulon,i Veratrum, i Melanthium ete. La seconda tribù delie Colchidee presenta specie senza fusti, con fiori nati da colletto sotterraneo; con divisioni del perigonio lungamente unguiculate , il più frequentemente saldate in un tubo. Collocansi in questa tribù i Bu/bocodium, i Colchicum etc. etc. Se le due specie Veratrum album, Veratrum Sabadilla esaminate chimi- camente da Pelletier e Caventou somministrano i due principî di cui innanzi si è fatta la storia ed in specie la Veratrina; non può oramai dirsi lo stesso del golchicum autumnale; dietro i risultati esperimentali ottenuti dall’ Hesse e dallo Geiger nel 1833. Cotestoro adottando ad un di presso il processo Cow- erbe, di sopra esposto, si ebbero dal Colchicum autumnale anzichè Veratrina, come nelle principali specie della tribù Veratrinee, tutt'altro principio speciale, e che appellarono col nome di Colchicina — Siffattamente la progressiva illu- strazione botanica delle piante in esame è stata gradatamente sanzionata dallo incessante progredire della chimica organica. La Veratrina, principio attivo dei Veratri, studiata in confronto della Col- chicina, principio attivo del Colchico, offre i seguenti caratteri differenziali : La Veratrina muove lo sternuto; affatto la Colchicina : questa ha sapore acre, ama- rissimo; l’altra è solamente acrs. La Colchicina è solubile nell’acqua, nell’etere e nell’alcool;. mentre la Veratrina è quasi insolubile nell’ acqua, quasi nulla nell’etere, e solo sciogliesi nell’alcool. L'acido solforico colora la Veratrina pri- ma in rosso sanguigno, indi in violetto; l'acido nitrico la tinge in rosso, Quando si fa cadere qualche granello di Colchicina allo stato secco e polverizzata, nello acido solforico concentrato, e si agita, ciascun granello si circonda di colorito verde, il quale passa poco a poco al giallo; se si aggiunge acido nitrico, od un. nitrato alcalino, si circonda pure di una zona azzurra, che agitando passa al violace, al bruno, ed in ultimo al giallo ; se poscia si mette ammoniaca prende un bel colore rosso-vinato persistente, che ingiallisce cogli acidi, e riap- pare cogli alcali — Sono questi caratteri fisici e chimici, che fanno bene dif- ferenziare la. Veratrina dalla Colchicina. La formula atomistica poi della Gol- chicina è, giusta Hubler, CY H!9 Az 0°; mentre quella della Veratrina secondo Couerbe, esposta da Liebig, è (34 H# Az? 06. Questi due corpi sono dunque differenti — La Colchicina ha inoltre di speciale, che precipita in giallo il biclo- CONFRONTATO CON L° AUTUNNALE 15 ruro di platino; in rosso mattone la soluzione di jodio; in fiocchi bianchicci con la infusione di noce di galla; in bianco con il sublimato — Il jodo-mer- curiato di potassa precipita la Colchicina in una soluzione acquosa dove entra in ‘000- L'acido fosfo-molibdenico la precipita in una soluzione acquosa dove entra in ‘70. Il tanmino la precipita in'una soluzione acquosa dove entra in 4,,;3 — Gli acidi deboli producono sulla Golchicina colorazione gialla; l’acido cromico però la colora in verde, come il cromato di potassa, ed il percloruro di ferro. Hesse e Geiger hanno fatto un reale ed interessante:servizio alla scienza, nell’avere scoverto questa nuova sostanza nel Colchicum autumnale; e nello averla distinta dalla Veratrina. È giusto quì fare rimarcare intanto alcune divergenze, che sulla Colchi- cina vertono tra Hesse e Geiger, e varì esirmî chimici del giorno. I primi hanno assicurato che la Colchicina è capace di cristallizzare, e solo quando la solu- zione eterea od alcoolica è soverchiamente concentrata, allora essa anzichè in cristalli si deposita in istrato di aspetto di resina; ciò anche succede, dicesi, quando Ja si lascia evaporare spontanea. Si assicura eziandio ch’essa è di reazione, quantunque debole, ma pure alcalina, e che sia capace di neutralizzare gli acidi formando sali cristallizzati. L'Ovderlin circa il 1858 sul proposito facea conoscere, che malgrado avere eseguito con accuratezza il processo di estrazione della Colchi- cina secondo Hessee Geiger, pure egli non potè arrivare ad ottenere un prodotto cri- stallizzato; e due altri chimici, ei soggiunge; che a mia ‘preghiera ripeterono l’e- sperienza, si ebbero gl’ identici miei risultati negativi — Mibler ottenne a sua volta la Colchicina sempre con aspetto di vernice, riducibile in polvere, e che ba- gnata con acqua calda dà odore di fieno. Bley, Aschoff, Hiibschmann anzichè come alcaloide ritengono la Colchicina di reazione neutra. Hubler però assi- cura, che messa:questa sostanza in contatto della carta reattiva. arrossata, ne fa ricomparire l'azzurro, semprechè la carta sia stata lievemente arrossata, e sia bagnata con acqua, essendo la Colchicina debolissimo ‘alcaloide. Bley ed Aschoff mai riuscirono ad avere sali di Golchicina cristallizzati. Oderlin afferma, che la Colchicina non si combina cogli acidi, e laddove essa trattasi special- mente cogli acidi solforico ed idroclorico, e credesi ottenere dei composti cri- stallizzabili, questi non sono sali di Colchicina, sibbene è da sapersi ch’essi acidi non hanno fatto che mettere a nudo un’altra sostanza la Colchiceina , ripu- tando la Colchicina di Hesse e Geiger quale mescolanza di più ingredienti; e Maisch ritiene sul proposito, che la Colchicina nello sdoppiarsi sotto la influenza degli acidi si risolve in resina, ed in Colchiceina. Conoscendo così, che il più delle volte, per non dire sempre, la Colchicina si ottiene di aspetto resinoso e come di vernice; conoscendo che la maggior parte de’ chimici ritiene la Golchicina quale alcali debolissimo ; conoscendo, che il 416 IL COLCHICO DI BIVONA prodotto degli acidi, specialmente solforico ed idroclorico su di essa, non forma a dire di Oberlin, sali, ma mette in rilievo un novello prodotto cristallizzato detto dal medesimo Colchiceina; di modo che a dire di Maisch la Colchicina non è che un composto di resina e di Colchiceina; conoscendo tutto questo pria ch’io parli di essa, mi sembra giusto eliminare un dubbio: Hesse e Geiger, mi si potrà dire, operarono sui semi del Colchico autunnale; Pelletier e Caventou su’ bulbi della stessa pianta. Ora non può darsi, che i semi si han Colchicina, ed i tuberi Veratrina ? Dopo Hesse e Geiger, il Bley e lo Stoltez esaminarono i bulbi del Gol- chico autunnale, e vi ritrovarono non Veratrina, ma Colchicina, e più amido, materia colorante, acido gallico, materia estrattiva, zucchero ec. ec. Tranne quest’ultimo, che forse s’ingenera dal trattamento dell’amido coll’acido solforico, il rimanente combina co’ resultati ottenuti dal Pellezier e dal Caventou, esclu- sione fatta della Veratrina. Il Reithner trovò nei fiori della pianta in esame; tannato di Colchicina, gomma , pettina, materia cerosa, resina, zucchero ec. Le ceneri di questi fiori somministrarongli potassa, calce, magnesia, allumina, ossido di ferro, silice; in combinazione degli acidi solforico, fosforico, carbo- nico, non che cloro. Le parti officinali dunque del Colchico autunnale tuberi, fiori, semi, non contengono Veratrina, come aveano asserito Pelletier e Caventou, sibbene Gol- chicina, per come per la prima volta Hesse e Geiger assicurarono, e che in atto questa ritiensi, dietro Oderlin, materia complessa , e giusta Maisch composta di resina e di Colchiceina di Oberlin. | Messa una soluzione acquosa di Colchicina di Hesse e Geiger, acidificata; specialmente con acido idroclorico, ad evaporare a B. M.; trattato il fluido evaporato con acqua, si ottiene un precipitato bianco-gialliccio, il quale lavato e spogliato della materia colorante resinosa mercè alcool od etere, si ottengono anche lasciando operare spontaneamente la reazione, dopo qualche settimana un buon numero di papille a cristallizzazione aciculare. Questo prodotto neutro, senza tracce dell’acido impiegato, è quella sostanza che Oberlin chiamò (Col- chiceina. Essa è isomera alla Colchicina, però differenzia e da questa e dalla Veratrina per quanto siegue: La Colchiceina è solubile nell’alcool metilico, nell’ete- re, nel cloroformio, a cui comunica eccessiva amarezza; nell’ acqua fredda essa è quasi del tutto insolubile, si scioglie alquanto nell’acqua bollente, ma col raffredda- mento si precipita, comunicando sempre all’acqua sapore amarissimo. Differenzia così dalla Colchicina, perchè questa è solubile nell’acqua, nell’alcool e poco nell’e- tere. La Veratrina è insolubile, come la Golchiceina nell’ acqua, lo è quasi niente nell’etere, e solo si scioglie bene nell’ alcool — La soluzione alcoolica della Colchiccina colorasi senza ‘precipitare coll’addizione del bicloruro di pla- tino; la Colchicina viene precipitata in giallo dal bicloruro di platino — L'acido ai - nd CONFRONTATO CON L'AUTUNNALE 47: nitrico concentrato e puro scioglie la Colchiceina colorandola pria. in giallo- chiuso, indi in rossastro, ed in fine ritorna al giallo primitivo. Lo stesso rea- sente acilo nitrico concentrato e puro, noi dicemmo, che colora la Colchicina in azzurro, indi in violace, ed in fine in giallo. Lo stesso reagente tinge di botto in rosso la Veratrina — L’acido solforico concentrato forma colla Colchi- ceina una dissoluzione di colore giallo, e che tale si conserva anche quando sia acquosa; mentr’esso colora la Veratrina in rosso-sanguigno prima, indi in vio- letto. Lo stesso reagente colora la Colchicina allo stato secco prima in verda- stro, ed infine in giallo. La Colchicina scaldata a 140° si aggruma, come fa una resina, e poi si fonde inbrunendosi; la Colchiceina si fonde a 155°, e si abbruna a 200°. Questa ultima infine ha di particolare di essere insolubile negli alcali, come la Veratrina, di colorarsi in verde coll’ossido di ferro, e la sua so- luzione alcoolica non è precipitata dal nitrato di argento, nè dalla tintura di noce di galla. Conosciuta in tal modo, e sino alle nozioni del giorno, l’analisi chimica qualitativa del Colchico autunnale, quali sono i suoi principî attivi, con quali processi possono ottenersi; portando parere che sull’assunto la scienza tuttavia non ha detto | ultima parola, rimane ormai rintracciare in quali proporzioni questi principî attivi vi si trovano, e se nello stesso tempo variano in quan- tità nei tubercoli, ne’ fiori, ne’ semi, ed infine nelle differenti stagioni. Il Miller di Breslavia assicura avere ottenuto da 500 grammi di semi di Colehico autunnale appena 25 centigrammi di Colchicina. Questo principio, è vero, non si ottiene in copia, pure ritirandone 5 centigrammi per ogni 100 grammi di semi, è tal cosa, che deve basarsi o sopra errore di calcolo, o perchè si è operato sulla tintura di semi non bene e completamente esauriti. Il Bley da’ semi di Colchico autunnale raccolti a maturità ottenne 4g di Colchicina; o di olio fisso; “n di glucoso, ed inoltre materia resinosa, ma- teria estrattiva, celluloso, acido gallico, e tracce di acido cevadico — Lo stesso Bley esaminando i bulbi freschi della pianta in esame, raccolti in autunno, ot- tenne %o di Golchicina; 3409 di zucchero; go di materia colorante; po di amido, e più acido gallico, materia estrattiva ec. ec. — Lo Stolfez dice avere ricavato dai tuberi del Colchico autunnale raccolti in autunno %py di Colchi- cina, ed in quelli raccolti in aprile %y di tale base. Siffatti risultati darebbero ragione agl’Inglesi, i quali raccolgono per gli usi medici il Colchico autunnale quando il nuov, bulbo ha terminato di dare le foglie, e non in autunno quando il bulbo ha fornito i fiori. Lo Schroff nel 1854 pubblicò un lavoro sull’ azione comparativa dei tuberi della pianta in esame nelle diverse stagioni ; e dei bulbi coi semi. Secondo Sc/ro/f, in antitesi agl’Inglesi ed allo Stoltez, i bulbi hanno il doppio di efficacia in au- tunno, durante o dopo la fioritura; i bulbi freschi sono più attivi dei semi, e 3 418 ; IL COLCHICO DI BIVONA bisogna diseccare questi bulbi non divisi e tagliati, ma interi. Tali osserva- zioni dello Schroff però è da dire, che non si fondano sopra analisi chimiche. Alcuni preferiscono ai bulbi ed ai semi, i fiori, poichè usando quest’ ultimi freschi, dicesi, ottenere azione medicinale più costante; ma di ciò dov'è la prova chimica ? Il Thomson giudica della bontà dei bulbi quando sfregandoli con tintura alcoolica di Guajaco prendono essi colore turchino. Da tutto il predetto e sino alle conoscenze del giorno è da stabilire: che il Colchico autunnale chimicamente parlando somministra come principio attivo Colchicina e non Veratrina, e che la prima ritrovasi nei bulbi, nei fiori, nei semi nelle proporzioni del 2g. I bulbi raccolti in aprile ne forniscono circa il 94. Essa sta unita all’acido gallico; e ritiensi quale miscela di resina e di Colchiceina. Tanto la Colchicina che la Colchiceina sono energici veleni. È anche da tenere presente l’acido che Pelletier e Caventou appellarono ceva- dico , ch’ eglino asseriscono avere ritirato dai bulbi, e che Bley n’ ebbe solo tracce esaminando i semi — Rimangono in seconda linea le sostanze grasse oleose l’oleina cioè, la stearina, la materia colorante, la resina, l'acido gallico, l’amido, lo zuccaro ecc. Stando così le cose sotto il profilo chimico per il Colchico di autunno, ch’è la specie officinale esotica, si domanda, può dirsi lo stesso per la specie indi- gena Colchicum Bivonae? Questo Colchico indigeno fornisce gli stessi principî attivi Colchicina, Colchiceina, acido cevadico? Ed avendoli, li ha nelle stesse proporzioni ? i Secondo Liebig (Trattato di Chimica organica) la Colchicina non solo si trova in tutte le parti del Colchico di autunno, ma probadilmente nelle altre specie. Abbiamo noi in cotale modo una supposizione, ma non un dato espe- rimentale, che il Colchicum Bivonae debba contenere gli stessi principî del Colchicum autumnale. Nè vale il dire sono esse specie congeneri. Il Pomidoro e la Belladonna sono specie congeneri; intanto il primo si mangia, la seconda è un potente veleno. Il Mellone è. mangiareccio , la Coloquintide no: eppure l’uno è la Cucumis melo, e Vallra è la Cucumis Colocinthys, specie congeneri. Sono da riguardarsi come norma, ma pure non infallibili l’espressioni di Lir- neo nella sua filosofia botanica: Plantae, quae genere conveniuni etiam vir- tute conveniunt, quae ordine naturali continentur, etiam virtute propius acce- dunt; quaeque classe naturali congruuni, etiam viribus quodammodo congruunt. Noi abbiamo veduto eziandio nel caso nostro due tribù della medesima fami- glia botanica le Colchidee somministrare Colchicina; le Veratrinee Veratrina, principî chimici tra di loro distinti. È il fatto chimico, il risultato analitico di accurate esperienze, che decide sulla bisogna. Persuaso di tal cosa mi feci ad esaminare col processo a e Geiger una quantità di bulbi di Colchico di Bivona. Colle debite proporzioni pre- CONFRONTATO CON L’ AUTUNNALE 19 scritte ne’ formolarî e nel modo di uso delle farmacie misi ad infondere per quindici giorni questi bulbi grattuggiati, nell’alcool a 36°, entro cui avea primo messo quanto basta di acido solforico puro. Filtrai; nel fluido alcoolico filtrato passarono le sostanze grasse, non che l'acido detto da Pelletier e Caventou acido cevadico e la Colchicina, spostato, essendo l’acido gallico con cui questa è na- turalmente combinata. Aggiunsi a tai fluido filtrato calce fino a renderlo alca- lino; separai per filtrazione le sostanze grasse, gli acidi oleico, stearico, non che il così detto acido cevadico. In tal modo resi libera la Colchicina nell’al- cool, e versandovi goccia a goccia acido solforico, separai l’ esuberante calce allo stato di solfato insolubile, e resi per quanto più si può la Colchicina priva di materia colorante. Arrivato a questo punto distillai per ottenere 1’ alcool impiegato; aggiunsi al residuo soluzione di carbonato di potassa, formossi sol- fato di potassa solubile, acido carbonico che si svolse, e Colchicina che si pre- cipitò. Raccolta questa sul filtro , ridisciolta in alcool rettificato, trattai con carbone animale; il prodotto filtrato, evaporato, mi diede le reazioni e le carat- teristiche della Colchicina sopra esposte. Contento di siffatto risultato m° incoraggiai ed esaminai collo stesso me- todo i semi del Colchico di Bivona, che io avea fatto raccogliere in maggio dell’anno scorso. Ebbi gli stessi risultati — Il Casper ha da non gvari impiegato un processo speciale onde estrarre da’ semi del Colchico autunnale, la Colchicina; volli io usarlo pel Colchico di Bivona, e come Casper prescrive, feci co’ semi di quest’ultima specie la tintura,che portai a consistenza di sciroppo, indi ripresala con alcool rettificato addizionato di acido tartarico, filtrai, evaporai di nuovo, ag- giunsi una piccola dose d’acqua, che ne separò le sostanze grasse; il liquido saturato con bicarbonato di soda, filtrato ancora altra volta, fu mescolato a quattro volumi di etere solforico. Agitato questo mescuglio, indi messolo a riposo; decantato il fluido gallegiante, questo evaporato spontaneamente, fornì residuo, che rico- nobbi coi reagenti per Colchicina. Nelle tre eseguite operazioni di sopra in alcun modo potei ottenere la. Colchicina cristallizzata; sempre io l'ho avuta di aspetto di resina analogamente ad Oberlin e ad Hiible. La sua reazione messa alla prova, come prescrive Hiible, l'ho marcata leggerissimamente alcalina e quasi quasi neutra. Trattatala con acido idroclorico, col metodo Oberlin, mi fu piacevole, dopo circa dieci giorni, osservare molti cristalli bianchi, madreperlacei, che l’acido solforico e nitrico per le speciali reazioni mi appalesarono essere Colchiceina. Mi prese anche vaghezza di soffregare un bulbo disseccato di Colchico di Bivona con tintura di Guajaco; io non ottenni la speciale colorazione turchina. Tale risultato negativo, secondo Thomson, mi avrebbe portato a conchiudere essere il Colchico, su di cui versava il mio esame, immaturo od inattivo. Intanto esso appartenea alla stessa porzione da cui avea io ottenuto i risultati 20 IL COLCHICO DI BIVONA chimici soddisfacenti di sopra. Plache osservò che varie radici, come quelle della Ninfea, dell’Eleneo, della Bardana, della Borraggine, non che i tuberi della Patata, ridotte in rotelle trasversali si tiugono in azzurro nei punti ba- gnati dalla tintura di Guajaco, anche al coverto dell’ossigeno atmosferico. Tale coloramento non si effettua però se dette radici son divenute secche, oppure sono stale riscaldate a + 100°. La colorazione dunque in azzurro mercè la tintura di Guajaco, non essendo esclusiva del Colchico, non può essere l’ indizio della sua bontà, non isvelando la Colchicina suo principio attivo, e poi nello stato di disseccamento del tubero è anche un fatto, che tale colorazione non si effet- tua, prestandosi tuttavia all’ estrazione della Colchicina, e della Colchiceina. Così esperimentalmente mi sono convinto, che il Colchicum Bivonae di Gussone, pianta indigena, contiene gli stessi principî attivi del Colchicum autumnale di Linneo, pianta esotica. Così la supposizione del Liebig, ripetuta dal Calcara nella sua Florula medica sicula publicata nel 1854, è oggimai un fatto reale esperimentalmente dimostrato. Altri passi intanto mi restavano a fare : 1° Esporre l’analisi quantitativa del Colchico di Bivona, in confronto ai dati da noi sopra esposti del Colchico di autunno. 2° Determinare quanto per ogni grammo di Colchicina si può rica- vare di Colchiceina. 3° Esaminare i tuberi raccolti in autunno, in confronto di quelli raccolti in aprile . e constatare se i risultati dello Sfoltez reggono per il nostro Colchico. 4° Finalmente studiare l’acido detto da Pe/letier e Ca- ventou acido cevadico. Presi all'uopo 250 grammi di semi di Colchico di Bivona, trattai con il processo Hesse e Geiger di sopra esposto ; operai con attenzione, ottenni sei grammi di prodotto Colchicina, cioè circa il due e mezzo per cento di prin- cipio attivo, locchè importa, ch’esso fornisce anche di più di Colchicina , che il seme del Colchico autunnale. Presi indi 200 grainmi di bulbi raccolti in autunno, dopo la diseccazione dei fiori; li grattuggiai, li sottoposi al processo come sopra; pesai attentamente il prodotto Colchicina; esso pesava cinque grammi e venti centigrammi; cioè poco meno del due e mezzo di Colchicina per cento, ad un di presso, anzi di più che il bulbo del Colchico autunnale raccolto in autunno non ne fornì allo Bley ed allo Stollez. È [ Saggiai col metodo Casper, sopra esposto, 250 grammi di semi del Col- chico indigeno, devo confessarlo, mi sembrò relativamente ottenere maggiore copia di prodotto, ma, per circostanze fortuite, non ne potei bene determinare la dose. Tornerò alla prova. Trattai due grammi di Colchicina con acido idroclorico allo stesso modo come prescrive Oberlin, ottenni 35 centigrammi di Colchiceina. Non essendo a mia conoscenza quanto di Colchiceina puossi ricavare dalla Colchicina otte- CONFRONTATO CON L' AUTUNNALE 24 nuta dal Colchico autunnale, mi torna impossibile fare tra il nostro e 1’ eso- tico sul particolare in esame i confronti. Espongo sulla bisogna quello che sinora ho ottenuto, sufficiente, credo io, per dimostrare che il Colchicum Bi- vonae di Gussone contiene Colchicina anche in dose più pronunziata del Col- chicum autumnale di Linneo. Così l’uso, che del Colchico indigeno si fa presso noi, oggi resta leggitimato dall’analisi chimica, ed esso bene a ragione può di ora innanzi fare scientificamente parte della Materia medica vegetale siciliana. A me intanto rimane esaminare: se a dati uguali il bulbo del Colchico di Bivona raccolto ih autunno , come vuole Schroff per l' autuunale, sia più attivo di quello raccolto in aprile, o viceversa, per come dimostrò lo Stoltez, somministrandone in tale epoca circa il %gy- Io aspetto all’ uopo la stagione opportuna. Allora eziandio ho riserbato fare l’analisi qualitativa e quantita- tiva dell’acido che Pelletier e Cavento dissero ritrovarsi nel Colchico, come ne’ Veratri, e da loro appellato acido cevadico. È questo un acido volatile, la sua analisi deve perciò praticarsi in tuberi recenti e completi nella loro vegetazione. Distinte oggi le Colchidee dalle Veratrinee, veduto che il Colchico non racchiude Veratrina, come credeano Pelletier e Caventou, ma Colchicina, si domanda; l’acido cevadico esiste eziandio nel Golchico autunnale e nel Gol- chico di Bivona? È esso un’altro acido; in che differenzia; merita meglio chia- marsi acido colchico? Esiste esso nei tuberi e nei semi delle piante in esame? Bley sappiamo avere ottenuto da’ semi della specie autunnale tracce di acido cevadico. È desso un acido grasso? L'essere volatile a + 20°, il formare com- posti odorosi, non lasciano nell'animo del chimico alcun dubbio sulla bisogna? Appartiene esso meglio alla serie crotonica ? Ciò a tempo e stagione opportuna mi propongo ricercare, e dietro avere sottoposti i risultati a quel distinto pro- fessore, che nell’ Ateneo nostro sostituisce il Cannizzaro , verrò a comunicarli a voi. — Le foglie della specie di Bivona, che come quelle dell’autunnale, gli animali, anche affamati, non mangiano, sono provviste di Colchicina ? È questa un'ultima ricerca, di cui la stagione va ad essere opportuna per attuarla. Possan le ricerche mie esser proficue! Quando avrò tutto fornito , di tutto renderò conto a voi, sicuro che saprete compatire gli sforzi di un vostro socio, tendenti ad illustrare sotto l'aspetto botanico, e chimico alcune piante medici- nali del nostro paese, e su di cui sino a dì nostri ha regnato il vago e lo incerto. Per ora a me basta aver dimostrato esperimentalmente, che 1’ uso terapeutico del Colchico di Bivona, Colehicum Bivonae di Gussone, tra noi indigeno, può be- nissimo sostituirsi a quello del Colchico autunnale, Colchicum autumnale di Linneo esotico, riguardato sinora come la sola specie officinale. — È così , ed è questo uno de’ profili con cui la Materia medica vegetale siciliana viene studiata nel Gabinetto di Materia medica di questa Università. === JE ‘UT Ip UumMeforIeA WNOTY]O9 € SLA di a pr QUOSSNO Tp SUOATYG MOTTO ( KRd2-Tr__ O_o = => = EROE I. In mezzo a tanto progresso , gli ottimisti più sereni, non saprebbero negare oggidì lo stato di crisi in cui versano le condizioni sociali d'Europa. A dì nostri ciò ch’ è predominante, non è più una guerra d’ invasione, una quistione dinastica, o una santa alleanza. Oggi nel centro di ognuna delle medesime quistioni politiche del giorno sorge la quistione sociale che tutte le domina ed assorbisce. i In conseguenza di che da qualche tempo sta minacciosa all’orizzonte di Europa una novella Cometa di Biela che accenna non il finimondo materiale, ma il cataclisma sociale. Egli è dal 1830 almeno che, siamo avvolti in una rete di archetipi sociali, di organizzazioni fattizie, di falansteri, di utopie, d’icarie, e repubbliche del sole, e nel tramestio di cotesta confusione generale di desiderî, e di idee scomposte, il buon senso dei popoli comincia ancor. esso a sperare che possa una volta spuntare l'età dell’ oro , o che i novelli Argonauti possano davvero condurre l’umanità alla scoperta del vello prodigioso. A giudicare umanamente , codesta plejade nebulosa dell'avvenire è , ed esser debbe una incognita. Il tempo e il buon senso dei popoli diranno se lì ci siano corpi o nebbie, esseri o fantasmi. Però se l’avvenire il più lontano è ignoto, se a giudizio umano è negato il vaticinio delle sorti dell’ umanità quali esse saranno nei secoli venturi, vi hanno dei fenomeni che cadono oggi sotto i nostri sensi, c salva la incognita di un lontano avvenire, noi possiamo certamente giudicare se in codesti fenomeni stiano gl’ indizi di una trasformazione benefica, ovvero i sintomi di un altera- zione morbosa. D, LE CONDIZIONI SOCIALI Noi possiamo agevolmente estimare almeno se navigando per queste acque, i novelli Argonauti spingeranno l'umanità sino al vello d’oro, o sino alle gore dell’Averno. II. Fra i fenomeni che cadono sotto i nostri sensi ve ne hanno &i talune specie che si succedono quasi indipendentemente dal nostro volere, e della nostra potenza, perchè sono conseguenza diretta delle leggi fondamentali del- l'umanità, innanzi a cui tutte le utopie e tutti gli archetipi sociali si spezzano in frantumi. Ve ne hanno degli altri che più o meno invece si riattaccano all’ intelligenza e alla volontà umana, e che per questa loro medesima natura, non sono nececessari, ma contingenti, e però modificabili, e correggibili. I principali fenomeni della prima spccie, fenomeni indipendenti dal volere umano, sono il corso delle popolazioni e quello delle sussistenze coi loro effetti. Da mezzo secolo a questa parte noi veggiamo i 230 milioni di abitanti dell’ Europa accrescersi di 23 milioni nel periodo di ogni dieci anni, malgrado le guerre, le pestilenze, le carestie, le crisi economiche e commerciali. Cosicché in ogni decennio sopravvengono 23 milioni di esseri che reclamano il loro posto al banchetto della vita. E cotesto fenomeno generale sarebbe un gran bene come i nostri padri lo reputarono , se il banchetto della vita si elargasse in ogni decennio , tanto da offrire 23 milioni di posti dippiù che nel decennio precedente. III. Ma da un ventennio a questa parte specialmente, due altri fenomeni seguono pari passo lo accrescersi della popolazione Europea , l’ aumento cioè del prezzo delle sussistenze e quello dei bisogni. Dapertutto il valore delle carni, dei polli, delle uova si è accresciuto dall’80 al 90 per %, del 30 al 40 per % (4) quello del pane, e noi stessi che viviamo nelle contrade più felici di Europa abbiam visto in pochi anni raddoppiarsi le pigioni, dal 1856 al 14874, acerescersi il prezzo del pane dal 25 al 30 per %,; quello delle carni dall°80 all’ 85 per V%. Egli è questo il fenomeno dalla parte dei prezzi. Riguardo ai bisogni mutati e cresciuti, il fenomeno non è meno importante. Si è osservato in Francia e specialmente in Parigi che la Grisette è scom- parsa, e che dal 1848. a questa parte non ci siano che Demotselles. Una tale osservazione è applicabile dove più dove meno in tutti i paesi di Europa, aggiungendo che non solamente la Grisetfe è scomparsa, ma spa- riscono sempre più il berretto, le grosse scarpe, il nanchino indigeno, e che dapertutto il cappello, la seta, la lana, le stoffe estere divengono di bisogno e di uso generale anche in Provincia. (4) Vietor Bonnet. Les variations des prix dans le choses de la vie. Revue des 2 Mondes 1869. DEI NOSTRI TEMPI 3 Anche fra noi i contadini, gli operai, i minatori tendono dove più dove meno all'abbigliamento borghese, e nelle città precipue, la donna dell’operaio facilmente si confonde con quelle del banchiere e del proprietario. Venti o trent'anni or sono, il tabacco e il caffè non erano di uso generale che in Inghilterra ed in America. Oggi l’uso ne è generale in tutta Europa, e sono i contadini e gli operai specialmente quelli che ne hanno fatto un biso- gno di prima necessità. IV. Posto adunque l'aumento nei prezzi, l'aumento nei bisogni; il tenue innalzamento che da 20 anni a questa parte ebbe ad ottenere il salario (30 per %) non basta a mantenere |’ equilibrio, e se certe classi hanno miglio- rato, altre impoverirono, e la miseria muta di posto e con intensità mag- giore, appunto perchè, aumento di popolazione, aumento di bisogni, aumento di prezzi non potevano dare il benessere generale, la risultante non poteva essere che miserevole. A misura adunque che il nostro numero si accresce, gli oggetti di prima necessità da noi si allontanano, sicchè senza contare è disogni în aumento, i due fenomeni principali della vita sociale, aumento della popolazione, aumento nei prezzi delle sussistenze, sono fenomeni che non sono armonici, ma in per- fetto antagonismo. E quel che più non sono fenomeni che derivano dalla nostra volontà e dal nostro libero arbitrio, ma effetto di cause, e di forze superiori alla natura umana, e che di conseguenza non è dato a noi di arrestare e di mutare. V. Sta quivi il grande, l’unico problema che da secoli tormenta l'umanità, che produsse sempre e dapertutto i medesimi effetti, che venne simboleggiato in tutte le Teosofie e in tutte le religioni del Mondo, e le cui soluzioni da Pia- tone sino a dì nostri non mostrarono che la potenza delle cause e del male . la nullità e la vanità dei rimedii. Platone, Morus, Campanella, e i moderni socialisti, comunisti, collettivisti, liquidatori. egalitari, non rappresentano che gli sforzi dei Titani atterrati dai fulmini di Giove, mito eterno dell’umanità che osa ribellarsi alle leggi fatali della natura. La scienza e la filantropia si sforzano da tre mila anni almeno ad opporre rimedî più o meno violenti alle leggi necessarie che muovono le popolazioni e le sussistenze, e non si avvidero che il rimedio o non giungeva sino allo infermo, ovvero rendeva più grave la sua condizione. Quando la medicina non trova rimedio a mali ribelli rifugiasi alla Igiene del corpo infermo, che la scienza modesta e prudente insieme chiamò Medicina espettante, che abborre dai reattivi e dagl’irritanti, che adopera in larga scala gli anodini ed è lieta dell’opera sua quando alla forza del male, male non si aggiunga per rimedì violenti o per intemperanze. 4 LE CONDIZIONI SOCIALI La sola osservazione di codesti due fenomeni generali della vita umana, Popolazione e Sussistenza , basta per non dubitare che anche senza le nostre intemperanze e i nostri errori , il male stà nella nostra natura, ed è troppo grande perchè i nostri errori o i nostri trascorsi abbiano ad esasperarlo. VI. Intanto questo appunto interviene per opera delle nostre idee e del nostro libero arbitrio. Il male naturale si esaspera coi nostri trascorsi e i nostri errori. Da un ventennio a questa parte se la popolazione aumenta, la pubblica tranquillità diminuisce dapertutto. Nel solo triennio 1846 a 1849 in Inghilterra da 47 mila, ireati del Regno Unito elevaronsi a 73 mila. 1 soli condannati al carcere nell’anno 1868 perven- nero sino alla enorme cifra di 158,480. I recidivi passarono il numero di oltre a 50 mila fra cui 40 mila erano recidivi per la quinta, sesta, settima e fino decima volta (4). Le Corte d’Assise di Francia per molti anni giudicarono da 4 a 5 mila accusati in ogni anno. A dì nostri sono giunte a giudicarne 8 mila e forse non avranno fornito intera la loro bisogna. Nell’Impero Austriaco l'aumento dei reati è anche più antico perchè co- mincia dal 1845, e da quella epoca a dì nostri non si è mai arrestato un solo anno. E per notare ciò che più direttamente ci riguarda. Dal 1863 al 14870 in Italia, da 73,527 i reati di tutto il Regno pervennero sino al numero di 136,221 con l'aumento cioè di 87 per % in soli 8 anni (2). Potrebbe forse dubitarsi a nostro miglior conforto che in codesto aumento stia l’effetto della popolazione accresciuta. i Ma a codesto conforto è forza rinunziare imperocchè l’aumento dei reati supera d’assai lo accrescimento della popolazione. Per media generale la popolazione d’Europa si accresce nella proporzione (4) Criminalite en Angleterre 1849, 1850, 1868. (2) Regno d’ Italia REATI ANNI —T |T'T*_ —————__ Ts ——P_ 1863-64 1865-66 1867-68 1869-70 Di sangue. . . ... 29,9%1 43,608 47,536 65,825 | Contro la proprietà . . 43,586 60,785 90,359 80,396 Totale . . 73,527 104,393 137,895 146,221 Relazione del Presidente del Consiglio alle camere dei deputati. Tornata del 15 marzo 4871. DEI NOSTRI TEMPI 5 di 1 per % in ogni anno (1) mentre l’aumento dei reati vedesi dove più dove meno del 10 o 12 per % in ciaschedun anno. La proporzione di aumento ne) reati adunque è almeno dieci volte maggiore di quella della popolazione. VII. Se codesto è il progresso dei delitti delle anime corrotte non meno rapidamente succedonsi i delitti delle anime oneste, i suicidî. Nel periodo di trent'anni, dal 1830 al 1860, il numero dei suicidî in quasi tutta Europa si è per media generale raddoppiato, e nelle grandi città è giunto delle volte a qua- druplicarsi. Nel 1830 in Francia non si contavano che 54 suicidì per ogni milione di abitanti. Nel 1860 erano invece 140, oltre al doppio, con un aumento cioè di 4, 86 per anno. Presso a poco la stessa proporzione di aumento è stata in Baviera, nel Meklembourg, in Russia, nello Annover, in Piemonte e in Lombardia. In Milano sino al 1825 non si deplorava che un suicidio sopra ogni 19 (1) Aumento della popolazione per % ANNI Norvegia . . ..... 185560 —4,71 Russia. .. . ..... 1850-56 — 41, 45 SCOZIA O A 80 MAIO. PRUSSIA RR O A 858-6920498 Inghilterra. . . . ... 1861-63 — 4,31 SVEZIA MIR O A 805-600 N493 NaSSAM MR AA I: 01TAI 20 Sassonia. . . ..... 4861-64 — 1,12 Assia Darmstad . . . . . 1858-61 — 1, 03 Wuttemberg . ..,.. idem — 0,97 Spagna... . +. + +. 1858-60 — 0, 95 Belgio. . . . ..... 1856-60 — 0, 90 Meklembourg. .. . . . . 4856-61 — 0, 89 Portogallo . . ..... . . idem — 0,87 Italia. . .... .. +» 1863-65 — 0, 83 Assia Elettorale. . . . . 1858-61 — 0, 82 Greciafient N ASC2-04_ 10,181 Annover. . . . . +... 4184968 — 0, 72 Baden. . ....... 1861-64 — 0,71 Baviera . . ..... . 1855-61 — 0, 64 Paesi Bassi. . . . . . . 4850-59 — 0, 56 Francia. . ...0. 0... 1861-64 — 0, 42° Austria... . .. .. 1855-58 — 0, 32 Media circa. . . 4, per % Statistica del Regno d’ Italia — Popolazione — Firenze 1867. 6 mila abitanti. Nel 1869 invece se ne contava 1 per soli 5263 abitanti, il nu- mero adunque erasi più che triplicato (4). Nel solo regno d’Italia dal 1864 al 1870 4983 suicidì funestarono 4983 famiglie e fra codesto importante numero di morti volontarie parecchie cen- tinaja non ebbero altra causa che la miseria. Fra codesto numero sino a 280 suicidî nel solo anno 1866 erano miseri agricoltori, pastori ed artigiani! (2) VII. L'aumento nei suicidî si ripete anco nelle pazzie il cui rapido incre- mento del pari oltrepassa quello del corso della popolazione, e giunge in certe LE CONDIZIONI SOCIALI contrade del Mondo ad una proporzione dolorosa (3). (4) Francia . Aumento annuo in Francia, Baviera aumento. Prussia . Annover. Meklembourg . Piemonte . ANNI 1827-30 1851-56 1857-60 (senza la Savoia, Nizza e Genova nel 1866) Del suicidio in Italia studi del dottor Bonomi — Annali (2) Le morti violente in Italia durante gli anni 1866 1867 1870 — Lavoro ufficiale. (3). Dottor Gebbia — Prospetti statistici del Manicomio di Torino. . Milano. Argovia . Lucerna . Vuttemberg. Danimarca . Sassonia . Francia . Belgio. Olanda. . . . Inghilterra . Scozia . Irlanda. Baviera . Prussia. Baden. . È Nuova Brunsvich 1825 a 1839 1855 a 1859 1860 a 1864 1821 a 1825 1826 a 1830 1831 a 1834 1869 = iii] fi SUICIDÌ ABITANTI 4 per 1,000,000 100 — — 1410 _ _ 4, 86 per 0% bu = 4,40 — 1,20 — A 1,80 — 1825 — Numero 52 1838 — — 82 1866 — —_ 93 1 sopra abitanti 16,000 Le = I pazzo pe ge | 11,000 9,000 19,000 18,000 17.000 5,000 di medicina del Griffini luglio 1870. sopra 120 abitanti 20 > 370 — — 371 = — 648 a 807 — —- 922 = — 1488 = Palermo 4867. DEI NOSTRI TEMPI T In Italia per esempio le malattie mentali non sono certamente progredite come in Germania, nella Svizzera e nel Nuovo Mondo, ma pure secondo i risul- tamenti statistici del 1862, si contava in Torino nel 1862 1 pazzo per ogni 9441 abitanti, 4 per ogni 1549 nelle provincie milanesi, 4 per ogni 1702 nella pro- vincia di Alessandria. Nel Manicomio di Palermo | aumento dei matti fu: continuo dal 1826 a questa parte, e codesto aumento offre le proporzioni seguenti dal 18441 al 1872. Dal 1841 al 1854. 89 per % Dal 4851 al 1863 20 per %, Dal 1863 al 4872 70 per % Il Manicomio che nel 1841 non comprendeva se non che 123 matti ne comprende oltre a 500 nel 1872. Le ammissioni annue che furono per media 68 nel periodo dei 24 anni corsi dal 1826 al 1849, elevaronsi a 4117 nel decen- nio 4850 a 1859, e sino a 163 nel decennio seguente 1861 a 1870. IX. Aumento nella popolazione, nei prezzi, nei reati, nei suicidîì, nelle pazzie, tutta codesta serie dolorosa di fenomeni sociali non potrebbe accennare il benessere in tutte le classi sociali, e se una statistica completa ed esatta della miseria di tutta Europa non venne mai tentata, non è per questo men vero che la miseria è progredita dal 1830 al 1840, e più ancora nei trenta anni che corrono dal 1842 al 1872. Ciò che è forse meno desolante in ogni paese d’ Europa è la miseria conosciuta, quella cioè che i francesi dissero miseria officiale, rivelata dalle statistiche e dalle istituzioni di carità. Eppure la più desolante fra tutte le mi- serie è quella appunto che sfugge alle statistiche, e ai resoconti, che non stende la mano per accattare sulle vie e che non sollecita un posto nel Conservatorio e nell’Ospizio pubblico. La miseria dei nostri tempi ha tutte le gradazioni della ricchezza e non si sa davvero quale sia il grado più degno di considerazione. Ma certamente la miseria più dolorosa delle società moderne è quella subitanea, cagionata dal- l’elevazione continua dei prezzi e dei valori, quella cioè che costringe da un anno all’ altro a rinunziare alla carne o al vino, che riunisce due famiglie sotto unico tetto a risparmio di pigione, che riduce di un terzo la razione gior- naliera del pane e che grado grado allontana classi e famiglie intere dall’uso di oggetti diversi reputati di prima necessità. « Tutti codesti sono fenomeni di miseria flagrante, e non vi ha paese d’Eu- ropa che non li abbia visto crescere nello spazio di trent'anni. X. E in mezzo a tutto questo noi veggiamo altresì all’ ordine del gioruo un male divenuto ricorrente ed endemico in tutti i grandi centri del vecchio e nuovo Mondo. 8 LE CONDIZIONI SOCIALI Lo sciopero, le coalizioni, le dimostrazioni degli operai sorgono di tempo in tempo minaccevoli e frementi, e distruggono in una settimana tanti valori tanta produzione e tanti risparmi, quanto un anno intero di lavoro non avrebbe potuto darne il lavoro il più assiduo. In questo momento istesso (23 giugno 1872) (1) lo sciopero invade Nuova Jorck e capitalisti e commercianti minacciati dalla coalizione degli operai stanno custoditi a vista dalla polizia. Di codesta epidemia dominante si ebbero esempî è vero durante ìl secolo passato, e a quando a quando nei primi trent’ anni del nostro secolo (2), ma è solamente da un trentennio a questa parte che lo sciopero ebbe ad assumere il vero carattere di malattia periodica ed endemica nei grandi centri d’Europa e di America. Da qualche tempo specialmente non passa un mese senza che una coalizione, ed uno sciopero non si manifesti or in una or in altra parte del vecchio o nuovo Mondo. Che specie di nuovo flagello sia lo sciopero nelle società moderne non fu compreso finora dalle classi degli operai che vi si abbandonano con tanta facilità. Un solo sciopero dell’anno 1864 in sole due contee d’ Inghilterra costava agli operai in ferro la enorme perdita di otto milioni di lire di salarî venuti meno, senza contare i risparmî dai medesimi consumati durante lo sciopero, senza computare le perdite enormi dei capitali fissi rimasti inoperosi, di capi- tali circolanti isteriliti, di profitti mancati e beneficîì perduti (8). La pestilenza, la carestia, la tempesta sono fenomeni distruttori che atte- nuando le forze produttive della umanità, sventuratamente accrescono il con- tigente delle miserie. Ma l'umanità non crea essa stessa, subisce invece codesti fenomeni distrut- tori, e nella sua lotta contra la natura, è a forza di attività e di risparmio che vince con la produzione umana la distruzione naturale. Lo sciopero invece è un flagello volontario , creato da coloro stessi che soffrono, come appendice alla pestilenza, alla carestia e alla tempesta per com- piere a dati periodi l’opera della distruzione, nella quale vanno travolti in- sieme operai, capitalisti, manifattori e commercianti. Così lo sciopero sistematico venne non solamente a mutare ma ad infran- gere radicalmente i naturali rapporti tra il capitale ed il lavoro considerati come forze economiche, ed a sciogliere quei rapporti morali che dopo la riven- (1) Nuova Jorck 7 giugno 1872. Sciopero generale. Gli operai chiedono 8 ore di lavoro e lo au- _ mento del 20 per 0 Sul salario. I padroni resistono custoditi però dalla Polizia. Dlmostrazioni in molte città. Dicesi che l’ Internazionale incoraggisce gli scioperi. Dispaccio telegrafico del 10 giugno 1872. (2) Sciopero di.Lione anno 4744, di Parigi 1789, 1822, 1831. (3) Reibaud les agitations ouvrieres. Revuè des 2 mondes 1869. DEI NOSTRI TEMPI 9 dicazione dell’ eguaglianza civile e dopo la soppressione della servitù eransi naturalmente formati tra ricchi e poveri tra padroni ed operai. Lo sciopero neutralizza gli sforzi della filantropia, le buone intenzioni degli onesti intraprenditori, e nel mondo economico allo stato di pace sosti- tuisce uno stato di guerra aperta che ha diviso in due parti belligeranti il capitale e il lavoro, la ricchezza e la miseria. XI secoli scorsi e segnatamente i secoli XVII e XVIII senza teoriche speculazioni e senza sistema, guidati dalle facili e modeste ispirazioni del cuore creato aveano a sollievo dell'umanità sofferente la pubblica carità ; e codesti naturali rapporti tra la ricchezza e la miseria sì erano mantenuti e conser- vati in condizione da rendere sopportabili almeno i mali della vita. Nel secole XIX la filantropia d'ispirazione passò di moda e la filantropia scientifica prese il predominio per gettare da un verso sino all’utopie le spe- culazioni caritatevoli, e provocare dall’ altro quella reazione arida e crudele degli Economisti che tutte le opere di carità condannava a perire. Codesta reazione scientifica ed economica contro la pubblica beneficenza, è nel- l'ordine dell’idee, uno dei fenomini dolorosi dei tempi nostri che conviene rilevare specialmente per le conseguenze che senza volerlo ha dapertutto provocate. E difatti non era coincidenza, ma iogica successione di cose, se mentre la critica disseccante degli Economisti negava la pubblica carità, dal seno istesso delle classi sofferenti nasceva, da reazione a reazione, la parola diritto all’as- sistenza. La carità pubblica che gli statisti e gli scienziati negato aveano come un volontario beneficio, le classi sotferenti vennero a reclamare non come bdene- ficio ma come diritto. E trattossi molto seriamente di un diritto perfetto all’assi- stenza come sarebbesi trattato del diritto alla libertà o alla proprietà. XII. Malgrado codesto grave mutamento nel corso delle idee intorno ai rapporti tra la ricchezza e la miseria; sino al 1864 la quistione delle classi sofferenti erasi circoscritta dentro questi limiti cioè, a chiedere come un diritto ciò che per sua natura non era che un atto di beneficenza per parte dei pro- prietarî e dei capitalisti. Con l’anno 1864 però sorgeva un era novella, e la vecchia quistione d’un tratto passava i suoi confini e mutava interamente di aspetto. Nel 26 settembre 1864 fra le calde espansioni di un meeting solenne, sorgeva in Londra e nel palazzo San Martin quell’associazione Internazionale degli operai, che ha ripiena l'Europa del suo nome e che non è guari confe- riva a se stessa il formidabile titolo di Signora dell'Europa! (4) {1) Agosto 1871 — Lettera della Internazionale alla Libertè. L’'Internazionale intima a desistere dai processi intentati contro i membri della Comune — mi- naccia di morte —la polizia —i componenti il Consiglio di guerra e tutto l’ esercito — condanna a morte tutti i Capitalisti e si firma. LA PADRONA DELL'EUROPA 9 ded 10 LE CONDIZINI SOCIALI In pochi anni l’ associazione divenne davvero internazionale, imperocchè riunì milioni di affiliati fra le classi sofferenti di ogni nazione, e forte di rela- zioni e di capiteli risultato di volontarie oblazioni, passava lo stretto per se- dere pubblicamente nel 1866 in Ginevra, nel 1867 in Losanna, nel 1868 in Bruxelles, nel 1869 in Basilea e contemporaneamente in varie adunanze della popolosa e sempre agitata Parigi (1). Dalla Svizzera e dalla Francia le asso- ciazioni filiali eransi sparse in Germania, in Ispagna e in Italia e alla fine del 1869 contavansi 8 milioni di affiliati pronti a rispondere ai cenni del Con- siglio generale sedente in Londra. Occorreva all’associazione un dottrinario, un venerabile che come S. Si- mon dettato avesse in forma di postulati scientifici i principî teorici destinati a giustificare la espropriazione generale, e a guidare l’internazionale nei suoi passi. E questo dottrinario fu la Germania che lo forniva nella persona del signor Marx di Trevoi; il quale ad uso della Internazionale dettava la sua critica dell'Economia politica distillando in essa i postulati da cui derivano da una parte l’ abolizione dei profitti degl’ interessi, della rendita, delle pigioni ; e dall'altra le spropriazioni generali in beneficio degli operai. D’ allora l’ associazione internazionale ebbe una completa organizzazione, con un Direttore generale, con un Consiglio generale, un ufficio di Tesoreria, un’altro di Segretariato e corrispondenza mondiale. Le sue adunanze furono perenni e permanenti nelle città principali dei due Mondi e la voce dell’associazione tuonò sempre in tutte le grandi agita- zioni di Europa. Cosa sono ormai innanzi alla coalizione mondiale delle classi sofferenti , le modeste ispirazioni della filantropia, le opere di carità, la Beneficenza pub- blica e fino il diritto all’assistenza dal signor Glais Bezoine? L’ associazione internazionale ripudia in uno tutte le concessioni della Borghesia, e tutte le misere domande dei suoi predecessori. Al Consiglio gene- rale del palazzo San Martin, non bastano nè sussidî, nè oblazioni, quando anche conseguiti sotto la forma di un diri/to dei poveri verso dei ricchi. L’as- sociazione mondiale esige invece una generale liquidazione di tutto l’ asse so- ciale del Mondo ; una espropriazione generale di ogni specie di proprietà per la quale, terre, capitali, strumenti del lavoro, dalle mani dei loro possessori passino in quelle degli operai soli e leggitimi proprietarî. Ecco un linguaggio senza restrizioni, senza orpelli e senza mezze misure. (4) Nella sola Parigi le sezioni della Internazionale formano tre gruppi federativi : 1° La Charabre federale che comprende 40 società. 2° La Caisse federale che ne ha 20. 3° La Federation Parisienne composta di 25 società, Totale 85 società nella sola Parigi. Iournal des Economistes Juin 1871, DEI NOSTRI TEMPI 11 frattasi semplicemente di scalzare e distruggere tutto intero l’ ordine sociale presente, per ricostituirlo sovra un archetipo interamente diverso. Nell'ultimo congresso internazionale tenutosi in Parigi, uno degli Oratori parodiando il celebre detto di Seyes, dicea con enfasi : — Cosa è adesso la moltitudine degli operai del Mondo? — Nulla— Cosa dovrebbe essere ? — Tutto. Con quali mezzi gli operai del Mondo dal nulla si eleveranno alla potenza lel dulto ? Con l’abolizione della proprietà, la spropriazione delle terre e dei capitali di qualsiasi natura, la formazione di un asse ereditario collettivo, che i soli operai avran diritto ad amministrare ed esercitare. E allorquando la liquidazione generale sarà fatta. Quando gli ultimi sa- ranno diventati i primi. Quando l'associazione mondiale sarà davvero la Signora del Mondo, allora gli operai saranno generosi alla lor volta, essi avranno la loro beneficenza pubblica a mettere in opera in favore di tutti i proprietarì e capitalisti espropriati. Essi non costringeranno la borghesia a un lavoro manuale, a cui le loro mani gentili ripugnano; e riserbano per essa una zuppa quotidiana, ma niente altro che una zuppa ad imitazione degli antichi Zoccolanti e Cappuccini (4). La liquidazione generale compiuta, tutti i gotici elementi del vecchio mondo è mestieri vadano in frantumi, perchè il mondo novello possa alla sua volta sorgere e progredire. Giù adunque il principio religioso, l associazione Mon- diale si è dichiarata atea. Giù il matrimonio e con esso la patria potestà, la famiglia, tutte le soggezioni domestiche, tutte le distinzioni e le preeminenze di età e di sesso. L'umanità secondo l’associazione mondiale siccome non ha bisogno della proprieta per sollevarsi dalle sue miserie. non ha mestieri della religione, della famiglia, dei vincoli morali per conservarsi e progredire. L’età dell’oro invece non spunterà nel Mondo che sulle ruine della pro- prietà, della famiglia, della Religione ! La scienza medesima e la giustizia universale assenti per tanti secoli dalla terra, non faranno il loro ingresso trionfale che allorquando Iddio sarà relegato altrove, e le genti saranno restituite in tutto il mondo alla vita degli animali gregarì. Operai di tutto il Mondo, esclamava una pubblicazione del 29 gennaro 1870. « Organizzatevi se volete che cessino le vostre sofferenze e le vostre privazioni. « L'associazione internazionale degli operai porterà l'Ordine, la scienza e la « giustizia là dove oggi non sono che il disordine, l’ignavia e lo arbitrio (2) ». (1) Des bons de soupes. L’Egalitè — periodico internazionale di Ginevra. (2) L’ Egalité. 192 LE CONDIZIONI SOCIALI E questo anno giubilaico degli operai sembra non abbia ad essere sì lon- tano come una volta si ebbe a credere. Durante l’anno 41869 il signor Thornton uno dei delegati Inglesi al Con- gresso solenne di Londra limitavasi a chiedere un secolo per attuare la liqui- dazione generale. Prometteva adunque che l’età dell’oro sarebbe spuntata l’anno di grazia 1999. i Però codesto lungo intervallo parve di troppo, e i più chiaroveggenti si affrettarono invece a proclamare dalla Svizzera, dalla Spagna e dalla Francia che non occorreva attendere l’alba del 1969, che anzi l’ora dell’emancipazione generale era suonata. « Le classi privilegiate, dicea l’ Egalidad di Catalogna, stanno in agonia. « Esse sono fra le nostre mani, e periranno quando gli operai lo credono op- portuno ». i « L’associazione internazionale aggiungeva l’ Egalitè di Ginevra sarà fra « poco tale una potenza, che sarà veramente puerile impresa quella di misu- « rarsi e combattere con essa (1) ». Tutti codesti propositi dal 1864 al 1869 vennero proclamati in tutte le lingue e in tutte le parti del Mondo (2) senza ambagi e senza riserve sotto gli occhi della borghesia di Europa, che non vide in tuttocciò che fuoco di paglia, mentre era invece fuoco di petrolio quello che covava di sotto. XIII. Da lì a poco infatti videsi tutto Io Stato maggiore dell’associazione internazionale elevarsi a Comitato centrale destinato a creare la tanto celebre Comune di Parigi. Le parole, i propositi, la virulenza del Comitato e della Comune di Parigi furono quelli stessi dell’ associazione”internazionale, di cui la celebre Comune non era che il direttorio esecutivo, destinato a cominciare da Parigi la preconizzata liquidazione generale d'Europa. La Comune di Parigi diceano i suoi organi ufficiali viene a stabilire non la città di Dio (civitas dei di S. Agostino) ma la città dell’uomo, universaliz- zando tanto il potere quanto la proprietà. E poichè l'ora della emancipazione generale è suonata, l’ Eroica popolazione di Parigi diverrà immortale perchè essa è destinata a rigenerare il Mondo intero (3). Ai propositi e alle proclamazioni risposero i fatti, e l'Europa apprese, e più che l’ Europa l’appresero la Francia e la borghesia francese, con quali mezzi l’età dell'oro è da conquistare e in che modo la liquidazione generale dell'asse ereditario della umanità debbe realizzarsi, \ (1) L’Egalitè del 3 aprile 1868. (2) Fra tutte le adunanze internazionali, le più celebri sono quelle tenute in giugno 1869 in Parigi — e dette coi nomi dei Circoli in cui ebbero luogo di — De Folies — Belle ville — Prés aux cleres, Ieune Galle. (3) Proclama del-Comitato di Parigi. Giornale Officiale della Comune del 20 aprile 1874, DEI NOSTRI TEMPI 13 Codesti mezzi erano: gl’ incendîì, le proscrizioni in massa, la spoliazione, la distruzione dei monumenti, l’assassinio degli ostaggi, di due Generali e di un Arcivescovo inoffensivo. Le giornate di maggio 1874 che erano appunto l'alba già promessa ed attesa dall'Internazionale sorpassarono in violenze e ferocia le giornate del 93 e le tre celebri giornate di giugno 1848. La storia della Comune è fatta in tutte le lingue d'Europa, e non è certamente oggi che dovrebbe ripetersi; ma occorre ricordarla almeno per notare che la Comune di Parigi non era una reazione alla guerra Germanica, non era effetto delle subdole macchina- zioni di Bismark, non era infine un fenomeno locale di guerra civile, ma era l’inizio della liquidazione generale che il signor Thornton voleva rimandare al 1969, e che l’Egalidad di Barcellona e l’Egalitè di Ginevra nel 1870 annun- ziavano come imminente. Quale paese più facile della Francia per dare la scossa? Quale città più propizia di Parigi per cominciare la liquidazione tanto desiderata? Era da Parigi che occorreva cominciare e da Parigi sì è cominciato per iscalzare il vecchio incivilimento Europeo. Egli è questo il solo, l’ unico, il vero significato della Comune di Parigi e dopo la celebre Circolare del ministro Favre, nessuno in Francia e in Europa potrebbe dubitare, che la Comune di Parigi fosse 1’ Internazionale. L’Europa intera, dicea il signor Favre, trovasi di fronte ad un opera di sistematica distruzione, diretta non già contro la sola Francia o contro l’una o l’altra delle nazioni d'Europa, ma rivolta contro tutte quant’elle sono le na- zioni civili (4). Così durante il corso di quarant’ anni dalle velleità sentimentali di San Simon, e Buret (1830 1840) si passa al diritto all'assistenza di Glais Bezoine, e poscia al Comunismo di Proudhon, Blanc e Ledru Rollin (1848 1860). Indi al Collettivismo teorico, agli scioperi, e si giunge infine all’associazione mondiale e alla Comune di Parigi ! XIV. Codesta lugubre istoria è senza dubbio triste a udire e forse più triste ancora a raccontare. Ma le istorie si formano da se stesse e quando sonosi formate, per gravi che siano i mali che possono comprendere, val meglio sco- prirli codesti mali, e metterli in luce, anzieché covrirli col silenzio o con lo sdegno. Potrebbe forse a nostro conforto dirsi che noi d’ Italia, e in ispecie noi delle Isole italiane in mezzo a codesta congerie di mali necessarî e volontarî, per ventura siamo molto lontani dai centri dell’agitazione mondiale, e che gli, operaî da manifatture siano ben poco numero per destare gravi timori. Anzi tutto a questo riguardo, noi non siamo che a tre giornate da Parigi e a quattro da Londra, senza contare le comunicazioni elettriche. D’altro verso (1) Circolare del 6 giugno 1871 del ministro Favre. 14 LE CONDIZIONI SOCIALI per quanto le condizioni economiche e politiche d’Italia sieno comparativamente diverse da quelle di Francia e d’ Inghilterra, pure convien riflettere, che certe idee sovversive sono destinate a fare il giro del Mondo. Uno dei centri più attivi e pericolosi dell’ Internazionale è da qualche tempo la Spagna, eppure la Spagna non è un paese da manifatture e di opificî. L’ Italia è senza dubbio il paese del buon senso comune, ma dopo la caduta della Comune di Parigi è un fatto già noto ad ognuno che l’Associa- zione mondiale abbia le sue diramazioni in Milano, Bologna, Firenze, Napoli e forse anche in centri minori. Nell'agosto 1871 infatti una di codeste società filiali venne scoverta in Napoli, e i suoi registri accennavano a mille affiliati almeno. L’Italia non è paese di grandi opificì, ma dei tentativi di sciopero all’ in- glese ne abbiam visto in Sicilia, in Napoli e non è guari nella provincia di Ferrara (1). Di salario insufficiente e di diritti al lavoro ne abbiamo anche noi udito qualche parola, e nelle nostre tristi giornate di settembre 1866, nella nostra settimana Repubblicana, vi ha chi sospetta la mano misteriosa del- l’ Internazionale, che contava allora il terzo anno di sua esistenza. Codesto sospetto non sarebbe privo di fondamento se si notasse che nel 1865 l’associazione internazionale avea passato lo stretto, nel 1866 avea tenuto le sue solenni adunanze di Svizzera e durante i tre anni corsi dal 1864 al 1866 avea misteriosamente agito in tutte le agitazioni di Europa. Lo stesso mistero divenuto impenetrabile sui capi e direttori dei nostri moti Repubblicani del 1866 potrebbe accennare ancor esso allo intervento mi- sterioso dell’associazione mondiale. Cosicchè non la Francia nè V Inghilterra soltanto, non l’ Italia continentale ma ben pure le isole italiane hanno il bisogno di garentirsi e difendersi dal- l'invasione delle idee sovversive dei tempi. Giulio Favre come ministro e come uomo di buon senso diè un grave avvertimento ai governi e alle nazioni di Europa con la sua Circolare del 6 giugno, beati coloro che di tale avvertimento saranno per trarre qualche pro- | fitto! Guai invece per coloro che si abbandoneranno ad una letale fiducia ! Vi ha forse in Europa paese più tranquillo e riposato della Repubblica Svizzera? Eppure dal 1866 al 1868 il centro dell’ agitazione internazionale venne trasferito nella confederazione Elvetica; e fin dentro alle patriarcali e ‘modeste fattorie di Basilea penetrarono per opera dell’ Internazionale, il di- sgusto, l'invidia, lo sciopero, la guerra civile (2). | XV. Tutti i fenomeni sinora accennati esprimono e comprendono le qui- (1) Gli ultimi scioperi di Milano — Torino — Napoli — Parma — Busto — Arsizio e i tentativi di Bologna e Venezia (34 luglio a 15 agosto 1872) confermano il nostro assunto. (2) Reibaud — les agitations ouvrieres 1869. DEI NOSTRI TEMPI 15 stioni più ardenti che umana prudenza consiglierebbe a tenere perennemente all’ ordine del giorno, perchè ne va la vita dello incivilimento Europeo tutto intero, ne va il benessere di 250 milioni di proprietarî, capitalisti ed operai medesimi. N A seguirlo codesto ordine del giorno, dovrebbero la statistica e la scienza di ogni paese penetrare più addentro e negli studî sulla popolazione, e in quelli sul territorio, sui prezzi e sulle sussistenze, e quindi ancora sui reati, suicidî, pazzie, miserie e scioperi, imperocchè ciascheduno di codesti fenomeni ha bi- sogno dei suoi studî speciali e delle sue speciali considerazioni. Ma lo studio speciale di tutti codesti fenomeni non basterebbe ancora se anzi tutto allo studio di tutti codesti fenomeni non si facesse precedere una considerazione generale, che è storia bensì, ma ignota o negletta, eppur indi- spensabile a conoscere e a confessare, perchè gli studî medesimi sui mali pos- sano condurre a qualche rimedio efficace. XVI. Dei mali dell'umanità in quarant’ anni abbiamo visti istorie, satire, elegie, critiche e poi trattati di patologia e di terapeutica sociale tanti da for- mare una voluminosa Biblioteca. Vi hanno le critiche della demagogia e delle società secrete, quelle delle coalizione e degli scioperi, le altre delle organizzazioni fattizie comuniste e so- cialiste e di quando a quando la diatriba del Cartismo, del Fenianismo, del Collettivismo. Vi hanno infine le più recenti storie e critiche delle associazioni interna- zionali e della Comune di Parigi. Le quali cose tutte riassumono in sostanza la requisitoria dalla borghesia di Europa avverso tutte le utopie sovversive pro- poste, tentate o consumate da quarant'anni a questa parte in pro delle classi che soffrono. Requisitoria meritata ma incompleta che per completarsi avrebbe di mestieri un sincero atto di confessione. i Dei torti, degli errori, dei delitti de’ comunisti e collettivisti ed anarchisti del mondo ne veggiamo ripieni dei volumi, ma una pagina sola, ancora non si è vista che accennato avesse ai torti, agli errori medesimi della borghesia che è segno a tutte le passioni anarchiche, che è la sostanza della vita di Eu- ropa, che è la classe nella quale stanno riuniti la scienza, la terra, i capitali, il potere e l’amministrazione. E veramente diremmo noi che vengono proprio da jeri tutti i mali che travagliano | Europa, e che a generarli non influirono altri che le classi sof- ferenti ? In altri termini, in codesto cataclisma che minaccia il Mondo, gli stessi uomini d’ordine, la borghesia, sono davvero senza alcuna colpa? È a dubitarne. E un sincero atto di confessione che venga da quanti siamo uomini d’ordine pruoverebbe invece che nelle lontane origini di tanti mali ci hanno le nostre omissioni non solo, ma i nostri errori. 16 LE CONDIZIONI SOCIALI Uomini d’ ordine siamo noi che abbiamo divinizzato il numero come cri- terio esclusivo di verità e quindi di autorità e di giustizia. E Comunisti, Car- tisti ed «internazionali accettarono codesta Apoteosi, e dissero che il numero sono essi, che gli operai e proletarî rappresentano 4 di ogni paese e che le sorti della umanità per ragion di numero debbono riporsi nelle loro mani. Le prime parole di quell’Ateismo demolitore che preoccupa oggidì anche gli uomini di Stato della Gran Brettagna, non uscirono da S. Martin Hall né dalle fragorose adunanze di Belleville. Furono i letterati, i filosofi, i pubblicisti della borghesia primi a scalzare il principio religioso. I comunisti profittarono dei primi colpi per atterrare tutto intero l’edifizio. E se il grossolano e minac- cioso ateismo del Nazional reformer, dell’ Irish people, e dei Comunisti fran- cesi si distingue così spiccatamente dalla gentile e raffinata incredulità di Bo- limbroke e di Voltaire, risalendo per poche generazioni è ben facile trovare nei filosofi del XVIII e XIX secolo e nella così detta filosofia positiva la diretta filiazione dell’ateismo sanguinario dei nostri giorni. Il principio religioso era l’ ultimo conforto delle classi che soffrono, era l’ultimo ostacolo da sorpassare per giungere al delitto e all’ anarchia, e, cosa strana a dirsi, è la Scienza degli uomini d’ordine che ha fatto la prima breccia a tale, ostacolo. XVII. La borghesia senza volerlo attaccava la famiglia scuotendo la patria potestà, e intromettendo il magistrato e la giurisdizione contenziosa fra l’ au- torità paterna è l’ obbedienza filiale. E i Comunisti che sono consequenziari e logici, andarono alle ultime conseguenze. Se l’autorità paterna può essere moz- zata, può bene essere distrutta. Distruggiamo adunque, essi dissero, e sarà più corto. a Da quarant'anni a questa parte abbiamo predicato in tutte le lingue, della soggezione della donna, della necessità di metterla a liyelto del sesso più forte. Ei Comunisti compresero agevolmente che la metà del genere umano poteva contare per qualche cosa nella teoria del numero, e delle nostre velleità sen- timentali profittarono per dichiarare la completa emancipazione della donna. Sino a pochi anni or, sono in risultato , il nostro sentimentalismo non avea altro prodotto che Giurazesse in Corte d’Assise ed Elettrici nei Comizî (4) e al più la ridicola commedia di Miss Vittoria Woodhull in pretenzione di con- tendere col suo muliebre partito, la presidenza degli Stati Uniti al generale Grant. : I comunisti e gl’ internazionali fanno un passo oltre. Dalle pretenzioni legali trascinano le donne ai clubs, alla vita di agitazione politica; e nelle tristi ‘(4) Nel territorio di Wyoming (America Ovest) le donne godono di tutti i diritti politici. Non è guari 6 uomini e 6 donne formarono Giurì in un processo di assassinio. Revue Britannique nov. 1871. DEI NOSTRI TEMPI 17 giornate di Parigi le Petroliere formarono lo Stato maggiore delle devastazioni e degl’ incendì. XVIII. Non furono gli operai di Parigi né gl’ internazionali di S. Martin Hall che iniziarono quella scuola di pseudo economisti, la quale trasformava la scienza economica in una specie di alchimia destinata a seminare l’oro daper- tutto sotto pena di essere sbalzata dal rango delle scienze se ciò non avesse fatto che della miseria fece una pura e semplice quistione di sipartizione delle ric- chezze esistenti, e che da Godwin a dì nostri predicò con osservanza e con fede in tutto il Mondo che se ci ha miseria tuttavia fra gli uomini egli è perchè la ric- chezza vedesi iniquamente distribuita. Una migliore distribuzione delle sole ricchezze esistenti nel Mondo, dissero i seguaci di codesta scuola, basterebbe essa sola a mantenere una popolazione quadrupla di quella che esiste. E la terra, i capitali, le successioni, i testa- menti, le donazioni, i contratti medesimi, è mestieri diano qualche cosa, e che subiscano un attenuazione nello interesse generale dell'umanità (4). Qual meraviglia adunque se dopo tuttocciò i comunisti abbiano messo un poco di logica nelle nostre teorie sociali e ne abbiano cavato tutto quello che logicamente se ne poteva cavare cioè le ultime conseguenze ? I comunisti (omisso medio) aboliscono la proprietà, ma essi meno che da Baboeuf lo appresero da Rousseau, che la borghesia di Europa divinizzò per tutto un secolo (2). Si fè l’apologia dell’anno Giubilaico degli Ebrei e oggi vediamo che la li- quidazione generale degl’ internazionali, presso a poco è il Giubileo del Le- vitico (3). Si levarono a Cielo i provvedimenti di Solone, che di un tratto aboliva i debiti, le ipoteche, gl’ interessi dei capitali (4), e a codesto provvedimento so- migliano i celebri atti del Comune di Parigi che assolveano le pigioni e sospen- deano i pagamenti di qualunque debito. Si è tanto scritto, provveduto e predicato contro l’usura dei capitali, e quivi attinsero le teorie dei comunisti, che negano qualunque interesse a qualunque capitale ! (1) Goodwin — Iustice Politique — Recherches sur la population — Buret. de la misere — 1840 — Memoria Coronata dall'Accademia delle Scienze di Parigi!! — Trinci-Bartolomeo — Osservazioni cri- tiche alle teorie di Malthus. 1856. (2) « Voi siete perduti se dimenticate che i frutti appartengono a tutti e che Ja terra non appar- « tiene a nessuno ». Rousseau -— Enciclopedie articolo. Economie politique. (3) Anno Iubilei redient omnes ad possessiones suas. Levitic. XXV, v. 13. (4) Le apologie di Solone e del Giubileo possono leggersi nella Memoria coronata del signor Buret nel 1840. 3 18 LE CONDIZIONI SOCIALI Potrebbe dirsi adunque che quasi tutte le idee le più sovversive dei comu- nisti e degli internazionali derivano in linea retta, dalla Scienza della borghesia d'Europa. Siamo noi che abbiamo insegnato i principî per cavarsene le conse- guenze, siamo noi che foggiato abbiamo gli strumenti e le armi per compiersi la demolizione. E in certo modo potrebbe sospettarsi che oggi raccogliamo qual- che cosa di simile a quello che abbiamo seminato. XIX. E codeste sementi che abbiamo con tanta profusione prodigate, non sono tutte pervenute nelle mani dei comunisti. Vi hanno tuttavia i lavori e le idee della filosofia positiva dell’epoca, che si sforza a negare il libero arbitrio, che del delitto fa un moto fisico e dinamico del cuore e del cervello. Vi ha la Scienza degli alienisti che lambisce ancor essa i dettami della filosofia positiva e crea una pazzia ragionante per assimilare ai poveri mente- catti i ribaldi più perversi. Sorgono anche nelle discipline penali novelle e peregrine teorie del furto destinate a diluire in qualche modo i ladronecci e le rapine, e a servire di punto di transizione per giungere a giustificare le teorie di Proudhon (4). Sta financo nei codici una forza irresistibile vaga, indefinita e pieghevole che sotto gli auspicî della filosofia positiva può tanto illudere i e haati in Corte di Assise e nei giudizî popolari (2). Allorquando codeste novelle sementi cadranno nelle mani dei comunisti, e per dir più esatto quando essi vi metteranno attenzione, allora l’internazionale che ha abolito Dio, la famiglia, la proprietà, la scienza economica, non rispar- mierà di certo i codici penali e le Corte di Assise. Sarà tutta colpa dei comunisti? XX. Essi si sono serviti dei nostri principî per cavarne le conseguenze (4) Fra 80 dissertazioni esaminate dall’ illustre prof. Carrara 78 propugnarono le dottrine se- guenti sul furto. 1.° Non può irrogarsi la pena ordinaria del furto sinocchè il ladro non avesse portato a casa sua la cosa rubata. 2.° Non ci ha neanco furto tentato sinocchè il ladro non avesse preso qualche cosa nel domi- cilio in cui con violenza o con frode si fosse introdotto con animo di rubare. I 78 candidati erano tutti aspiranti alle magistrature del regno d’ Italia !! Carrara Prolusione del 1870. (2) Articoio 64 codice penale francese — 62 codice penale delle due Sicilie —_ 94 codice penale italiano. Si sono trovati anche dei Penalisti che per la indefinita forza irresistibile dei codici modernì intendono anche la spinta interna dell’ animo e la forza soggettiva, appoggiando tale opinione con la massima. « Necessitas non habet legem. Quod non est licitum inlege necessitas facit licitum. » Bourgnon de Layes. Essay sur le cod. penal, p. 79. DEI NOSTRI TEMPI 19 estreme. Ma non era tutta l’opera loro. Frugarono attorno e dentro i trattati di Economia politica per conoscere quali fossero le sorti che la scienza sociale loro riserbava, e trovarono un teorema che a nome della libera concorrenza e lella teoria della popolazione li condannava alla miseria; e una conclusione più crudele del teorema istesso che a’ caduti nella miseria negava fino il conforto e il sussidio della Carità. Certamente nè la libera concorrenza, nè il principio di popolazione, leggi naturali che regolano il mondo economico, furono opera ed artificio degli eco- nomisti. Ma erano tutta opera loro le conseguenze e le conclusioni che ne eb- bero a dedurre. Allorquardo si era detto alle classi misere del Mondo, che il male è necessa- riamente connesso alla nostra natura, che in un modo o in un altro i fenomeni della miseria sono conseguenza necessaria dello incremento della popolazione, erasi annunziata una ben trista verità, che era abbastanza dolorosa per non doversi rendere anche disperata. E però quando gli economisti troppo freddamente con- chiudevano che il banchetto della vita è riserbato a taluni, che per gli altri, quando non ci ha posto è vano tormentarsi il cuore e la mente per trovar loro un angolo in cui farli sussistere. Quando codesta amara conclusione era annunziata, era d’atten- dersi che proletarî e comunisti avessero proclamato un abuso la libera concor- renza, un nero aforisma escogitato dall’ egoismo il principio della popolazione; apostoli del male gli economisti, e Scienza malefica essa stessa la economia politica. Sicchè d’accordo in questo colla scuola Cattolica dei Gesuiti (1) i co- munisti designarono col nome di Economisti tutti i loro avversarî, e dal rango delle scienze utili cancellavano quella dell'Economia (2). i Reazione non meno puerile ed inane. dell’altra che aboliva Iddio e la Re- ligione, ma provocata dall’ amara conclusione in cui troppo facilmente erano venuti gli Economisti positivi che erano appunto gli esagerati della scuola di Malthus. —_L’eccesso della conclusione era sì flagrante ed enorme che i Malthusiani non fu possibile difendere dalla taccia di cinismo; e filantropi e uomini di buon cuore, pseudo-coonomisti medesimi, per antipatia alla conclusione, fecero causa comune coi Rebecchisti e coi Comunisti. XXI. Il buon senso e il buon cuore dei popoli erano ancor essi interve- nuti in codesta vecchia faccenda delle popolazioni, delle sussistenze e della mi- (1) « La Scienza economica — impara a strarricchire — comanda ìl lusso — ordina si facciano « orecchie di mercante alle sofferenze dei poveri — è cagione primaria del Poverismo che affligge «i principali Stati di Europa ». La Civiltà Cattolica anno III, volume VII, pag. 401. (2) Ciò venne solennemente proclamato nelle celebri adunanze internazionali del 1869 tenute in Parigi. 20 LE CONDIZIONI SOCIALI seria, e senza darsi la pretenzione di risolvere l’arduo problema erano venuti con la carità pubblica e privata a tergere qualche lagrima, a salvare qualche vita, a lenire qualche sventura. Ma gli economisti trovarono che il buon senso e il buon cuore de’ popoli eransi grossolanamente ingannati, e affrettaronsi a dichiarare, che il sentimento della carità non è già un nobile sentimento. che conviene coltivare e nutrire, ma invece come l’ amore la collera e l'ambizione è una semplice passione che conviene circoscrivere e frenare dentro i suoi più angusti limiti (4). Codeste teorie dissolventi che condannavano tutte le opere di carità, che urtavano sì bruscamente le più nobili ispirazioni del cuore umano, spezzavano in modo scientifico tutti i legami che la beneficenza avea formato tra l’ opu- lenza e la miseria e spesso ancora tra il capitale e il lavoro. Il buon senso dei popoli malgrado le teorie degli economisti seguì le sue ispirazioni come nei secoli scorsi, e di tempo in tempo, lasciti, doni ed offerte vennero alle opere di carità prodigate, dove più dove meno egli è vero, ma pure in tanta copia da pruovare ad evidenza siccome stia nella sostanza del cuore umano codesto nobilissimo sentimento della carità il quale se potesse mutarsi in passione non sarebbero le società civili in pericolo ma in condi- zioni davvero edificanti (2). Nondimeno le aride teorie degli economisti sulla carità non lasciarono di produrre i loro effetti. Essa non agì come nei secoli scorsi quale forza sicura di se stessa, ma come potenza venuta in discredito. E le classi sofferenti no- tarono in essa una decisa tendenza a isterilirsi fra le aride dottrine degli eco- nomisti. XXII. E veramente le condizioni di fatto delle opere di beneficenza che (4) « Codesto sentimento che ci muove a soccorrere i nostri simili nei loro patimenti, somiglia «a tutte le altre passioni che agitano il nostro animo. Come la passione dell’ amore dell'ambizione « della collera il sentimento della carità debbe essere regolato secondo i risultati della esperienza ». Malthus — Essay. Liv. IV, Chap. X. (2) Itatia — Opere pie num. 20,155. Lasciti alle medesime pervenuti nell'anno 1874 L..8,343,215. Prospetto statistico pubblicato dal Ministero dello Interno. 1872. Francia — Doni e legati di beneficenza : 4.° Dal consolato alla fine dello Impero. L. 14,924,703 — 4 milione per anno. 2.° Dal 27 marzo 1814 al 34 luglio 1830. L. 51,000,000 — 3 milioni per anno. 3.° Dallo agosto 1830 al 25 febbraro 1848 L. 64,000,000 —3 milioni e 800 mila per anno. 4° Dal 26 febbraro 1848 al 4° gennaro 1855. L. 28,000,000 — 4 milioni per anno, E tanto progresso è avvenuto malgrado la severità del Governo francese ad autorizzare i lasciti di beneficenza. Constitutionnel—16 fevrier 1858 Annali di statistica an. 1856. Inghilterra. 1856 — Società di beneficenza n.° 32,232 con un patrimonio di lire sterline 14,360.000. Reddiconto del Conte d’Abenale, Annali di statistica 1856, vol. 126. DEI NOSTRI TEMPI 21 rimangono, anzicchè diradare codesti timori non valgono invece che ad avva- lorarli per ogni dove. Noi veggiamo tuttavia, in piedi sontuosi edifizî coi nomi di Conservatori. Berotrofì, Case Sante, e di case della SS. Annunziata pei bambini esposti. Che ne abbiamo noi fatto di codeste misere creature? Fra ogni 100 ne veg- giamo perire 70 almeno. Nel solo anno 18741 fra noi, in Palermo, malgrado gli sforzi e le tante cure dello egregio signor Ugdulena fra 100 bambini da latte, ne sono morti sino a 76. Dapertutto in Italia e in Sicilia in ispecie, noi abbiamo depositi di men- dicità e alberghi di poveri con patrimonî, rendite, e larghi sussidî dei Comuni e delle Provincie. Ebbene, senza contare le tante spese amministrative e le pensioni di ritiro, e le spese di lusso, a che servono codesti patrimonî e codesti sussidì ? Servono dove più dove meno a 700 o 1000 donzelle sane, floride, rubi- biconde che contano di far dimora nell’ Istituto, vita durante, come se le mi- serie, e i miserabili fossero finiti con esse, come se altri poveri non succedes- sero di anno in anno, di mese in mese, di giorno in giorno. E i vecchi, e gli operai storpiati e quelle misere donne estenuate dagli anni e dal travaglio e gli imbecilli e i fatui, di cui tanta cura prese la carità dei nostri maggiori? Pei vecchi. per gli storpî, pei fatui non ci è posto nei Depositi e nei Ritiri, perchè le vergini donzelle lo tengono per loro quel posto e la maggior parte di esse lo terrà per tutta la vita. XXI. Noi abbiamo per ogni dove in Italia e in Sicilia specialmente ere- ditato dalla pietà dei nostri maggiori una miriade di legati detti con parola propria d’ incerto genere, i meglio adatti a piegarsi ai successivi mutamenti della miseria e ai diversi aspetti che secondo i tempi essa viene ad assumere. Cosa ne abbiamo noi cavato di codesti tesori della beneficenza di tanti illustri filantropî ? Poco o nulla, imperocchè o essi furono invertiti ad usi diversi dalla be- neficenza, o commutati in patrimonio di una famiglia, o sperperati e perduti per incuria o per fraudi. Ei non vi ha certamente un solo fra noi che voglia credere essere una vera beneficenza in tutti quei legati di maritaggio di certo o d’incerto genere che hanno per condizione necessaria il seguito matrimonio. Eppure un immenso numero di codesti legati occupa numerose opere di carità della Sicilia in ispecie con poca o nessuna utilità, in guisa che molte candidate ai legati di maritaggio invecchiano o periscono nubili nella miseria, e migliaia e migliaia di lire annuali che avrebbero potuto soccorrere tante afflizioni e tanti dolori non servono che ad impinguare le cifre dei bilanci annuali; e aspettano un attestato di matri- monio che forse non verrà giammai. Non è questo un’ incoerente modo di eser- 292 LE CONDIZIONI SOCIALI citare la carità, e di adoperare spesso dei milioni? Non potrebbero tutti co- desti legati di maritaggio commutarsi in larghi e proficui soccorsi a domicilio fatti come i nostri maggiori li facevano nel secolo XVI e XVII, ciò con co- gnizione personale di persone e di cose? (41). XXIV. Abbiamo detto e ripetuto che il credito e le Banche sono l’alimento necessario delle grandi intraprese e del grande commercio. Ma abbiamo dimen- ticato che accanto al grande credito è necessario collocare il piccolo credito destinato alle piccole industrie e al piccolo commercio. E in verità noi abbiamo seminato l'Europa intera di banche, di carte monete e di coupon che servono alle grandi industrie e al grande commercio, ma per la grande massa del po- polo e pel piccolo prestito che cosa abbiamo noi fatto ? Tutti i socialisti si sforzano a predicare la necessità delle banche gratuite del popolo. È una delle tante utopie del secolo. Ma fra codeste utopie e un istituzione di credito accessibile a tutte le classi del popolo non ci ha poi un mezzo termine ? Non abbiamo noi in tutta Europa, in tutta Italia e in tutta Sicilia, dei Monti di Pietà che contano secoli di esistenza ? Non potrebbero codeste vecchie e solide opere di carità rinsanguarsi ed estendersi con adatte operazioni di credito ? In altri tempi in tutta Italia, e più che altrove in Sicilia, i veri filantropi anzicchè riunirsi in assemblee sempre deliberanti, dividevano tra loro per loca- lità e per ispecie i soccorsi alla miseria, adoperandosi ciascuno a provvedere esclusivamente e dirigere |’ applicazione dei soccorsi nella circoscritta località assegnatagli. ; Oggi la massima bisogna delle poche istituzioni di carità che rimangono è appunto il discutere e il deliberare, la minima l’operare singolarmente e indi- vidualmente, il risultato è quindi sterile, e annullato interamente dall’ azione lenta e indiretta de’ corpi deliberanti XXV. In altri tempi la carità privata e anco la pubblica non conobbero quel funesto accentramento che con tanta passione noi d’Italia abbiamo imitato dalla vacuità francese, e i mezzi di cui la beneficenza potea disporre versavansi presso quei nobili e pietosi gentiluomini che direttamente ‘assumevano lo esercizio delle carità, per rioni, per contrade, per quartieri. (1) Durante i secoli XV, XVI e XVII la grand’ opera del Monte di Pietà di Palermo non fu in sostanza che un complesso di soccorsi a domicilio. I sei governatori erano difatti eletti per quartieri e destinati per quartiere. Nell'anno 1566 si trovano: — Pel quartiere Conciaria [Sitajolo D. Vincenzo — Per l’ Albergaria D. Prospero Abbate — Per la Kalsa D. Giovanni di Riggio — Pel Cassero D. Francesco Lanza e D. Ma- riano Imperatore — Pel Capo D. Geronimo Ventimiglia. Atti del Comune di Palermo 1566. DEI NOSTRI TEMPI 23 Oggi in grazia del centralismo alla ‘francese, è tutto l’opposto che accade. Tutti i mezzi di cui la carità più disporre, anco quelli della carità privata, si accentrano sotto una complicata macchina che dicesi Amministrazione della Beneficenza pubblica, e all’azione vigile pronta e pietosa degl'individui è so- stituita quella corpulenta di una gerarchia amministrativa, che giunge sempre tardi e non riesce mai a formare delle persone riconoscenti per quanto misere esse fossero. In breve in altri tempi tra ricchi e poveri, tra gaudenti e sofferenti eransi formati e conservati dei rapporti diretti di patronato, di gratitudine e di carità che i declamatori di piazzia non riuscivano sì facilmente a far dimenticare. Oggi invece codesti beneficì rapporti, sono in gran parte spariti, e il cuore del popolo non è più nelle mani degli uomini pietosi, ma è passato in quelle dei suoi più veementi tribuni. XXVI. Sovra codeste colpe e codeste omissioni che sono appena le prin- cipali sonosi formate quelle acerbe requisitorie in base alle quali i proletarì aspirano con la internazionale alla Signoria del Mondo. La situazione è trista. La frenesia dei desiderî e delle idee di rigenera- zione sociale pervenuta al suo eccesso. La Comune di Parigi fu battuta, ma l’associazione Internazionale vive tuttavia soffiando la ribellione e lo sciopero con la promessa dell’anno Giubilaico. Quale il rimedio ? I consigli di guerra, e il Cesarismo sistematico ? Sventuratamente cento patiboli mandano rivi di sangue, ma cotesto san- gue non isterilisce, feconda. È questa la lugùbre istoria di tutti i tempi. Le leghe dei Governi e le iniziative della potente Germania del Nord contro l'associazione Internazionale ? Ma codeste Crociate governative non sono più dei nostri tempi. E quan- d’'anche una santa alleanza fosse possibile per combattere con misure preven- tive e repressive la formidabile associazione di San Martin Hall, occorrerebbe ancora una santa alleanza di popoli, e questa alleanza non è possibile che nel- l’ordine delle idee. A tanti mali rimedio non saranno nè il Cesarismo, nè i Consigli di guerra né le deportazioni in massa, né la vigile polizia dei Governi. Cento vittime produssero sempre mille proseliti, e milioni di aderenti! Se vi ha ancora un rimedio capace di arrestare il male alle sue sorgenti, ei non froverebbesi che nell’ordine delle idee, cioè nelle medesime cagioni che da mezzo secolo a questa parte scalzarono grado grado il principio religioso , la famiglia, la proprietà, l umana responsabilità, la beneficenza pubblica e privata. Ritorniamo, se siamo ancora in tempo alle nostre idee così imprudente- mente gittate. 94 LE CONDIZIONI SOCIALI Rivediamo senza scrupoli e senza esitazioni i paradossi che a nome della Scienza economica vennero ad infrangere così bruscamente i naturali rapporti tra ricchi e poveri, tra capitalisti ed operai, tra godenti e sofferenti. E nel momento in cui l'aumento della popolazione e dei prezzi rendono sempre più difficile la quistione delle sussistenze lasciamo al suo naturale sviluppo la Scienza nuova della Beneficenza isterilita e sopraffatta sinora a nome della Scienza Economica. In questa grande trasformazione che sotto il regime della libertà si è ope- rata nei 72 anni del nostro secolo, il benessere materiale, la ricchezza, l’opu- lenza istessa non sono» circoscritte nè ad individui né a caste. A. questo agone tutti corrono perchè tutti han diritto e possibilità di aspi- rare. Noi abbiam visto la ricchezza centuplicarsi dapertutto, i godimenti della vita estendersi dall’apice alla base e in mezzo alla generale attività, semplici operai elevarsi in una sola generazione sino al vertice della piramide sociale (4). Ma a misura che la ricchezza estendevasi noi abbiam visto del pari, agiate e vetuste famiglie cadere nella indigenza, classi intere di borghesia divenir proletarie, e la classe dei poveri stremata in una parte, accrescersi dall'altra. Cosicchè il contigente della miseria reclutato dianzi fra le sole classi in- fime, noi abbiam visto e veggiamo formarsi invece da quasi tutte le classi che compongono la società. i E bisogna inferirne da ciò che quella che gli utopisti del secolo chiamano oggi Quistione sociale o Problema sociale, non è la quistione esclusiva degli operai; è invece quella dei poveri in generale. \ A misura che c’inoltriamo nel secolo noi veggiamo moltiplicarsi le utopie e le soluzioni di codesta quistione, e pure il problema rimanere insoluto, ed insolubile, perchè quando il regime della libertà che è quello dettato agli uo- mini dalla Provvidenza non ha potuto in 72 anni dare una soluzione, nulla è . a sperare dagl’ imbelli trovati, e dalle puerili speculazioni dei socialisti, degli organizzatori e dei vincolisti dei nostri tempi. Il problema che gli utopisti dissero sociale, è invece il problema intero dell'umanità, e il problema del male, il problema che le Teosofie, le mitologie le Teologie di tutti i tempi procurarono di spiegare e di comprendere, ma non di risolvere. è Non saremo noi che avremo maggiore saviezza della. Storia del Mondo, e non sarà mai un regime diverso della libertà quello a cui potranno giammai legarsi possibili aspirazioni e liete speranze. (1) Arckrigt.— barbiere di Preston era il minore di 43 fratelli poveri. Egli lasciò 42 milioni. In luglio 1870 un lavorante in panni di Boemia lasciava 70 milioni e moriva Barone Giovanni di Liebig. In febbraro 1874. Brassey operaio di, strade divenuto appaltatore lasciava 80 milioni. DEI NOSTRI TEMPI 25 Codesto grande problema della Umanità siamo noi che di tempo in tempo da insolubile com’esso era l’abbiamo reso acre, violento, e disperato. Giò che è ancora in poter nostro non è già la facilità della sua soluzione, ma la possi- bilità di renderlo sopportabile, con la revisione delle nostre idee esagerate, con la correzione dei nostri errori, riattaccando tra gli uomini tutti gli antichi legami, e riconoscendo la Beneficenza come la Paciera provvidenziale. I mali del Mondo non cesseranno, Comunisti e Internazionali non depor- ranno le loro armi per questo. Ma ove noi saremo per rivedere i nostri errori è possibile che codeste armi non siano retaggio dei loro figliuoli : che le donne a cui restino nell'anima, Dio, e l’amore della famiglia, non diventino sì facil- mente nè clubiste nè petroliere. È sperabile che dai medesimi nostri focolari i nostri figli non passino ancor essi a rinforzare i battaglioni della Interna- zionale. Sono codeste le condizioni sociali dei nostri tempi. Ma questa lunga espo- sizione non è essa stessa, che un breve programma, il quale perchè abbia la sua pratica utilità avrebbe mestieri di sviluppo e di adesione. Il suo sviluppo è dalla Sezione di Scienze morali e politiche di questa nobile Accademia che noi l’attendiamo. L’adesione è dall'Accademia intera, in tutte le sue classi che vorremmo invocarla. Venga da questo illustre consesso la nrima parola di codesta santa alleanza delle idee salutari da contrapporre alle ideé sovversive dei tempi. La nobile Accademia Palermitana sia la prima a sollevare dal tramestio di tante scom- poste aspirazioni le anzidette quistioni urgenti e maturando nei suoi consigli, il programma che le riassume, voglia essa con |’ autorità del suo nome pro- porlo alle Accademie sorelle d’Italia e d'Europa — Chi sa — l’opera comune non sarà forse infruttuosa. PIL Ma EE ari ARRE Pea si AC A fur y da: a. Tre EVOLUZIONI DEL SOCIALISMO TOT_____————_—_—_°--——— CARLO MARX E LE SUE DOTTRINE MEMORIA DEL SOCIO CONSIGLIERE GIUSEPPE DI MENZA Letta nella tornata del giorno 8 settembre 1873 (Appendice alla Memoria precedente) I. Fra le vostre dottrine onorevoli Accademici ve ne ha una siffattamente calunniata che non si ebbe ritegno di intitolare senza orpello ed ambagi La scienza del Male, e che non è molto, i fragorosi Club della Comune di Parigi solennemente cancellavano dal novero delle conoscenze utili. Cosa notevole! Come avversarî della Scienza di Adamo Smith fecero causa comune i Gesuiti della Civiltà Cattolica e i Comunisti di ogni specie! Gli uni e gli altri l’ebbero in avversione, uniti e concordi la segnalarono all’odio pubblico, se non al pubblico disprezzo. La Scienza economica desta adunque delle paure ai comunisti e ai Gesuiti. Se codesto ramo delle conoscenze umane non fosse che un’accozzaglia di errori posti in ordine con qualche metodo, le paure che suscita non sarebbero cosa diversa dalle paure dei bambini perseguitati dalle ombre. Per essere temuta così e posta al bando ella è adunque qualche cosa di vero e di reale in se stessa codesta Scienza calunniata. 9 CARLO MARX È LE SUE DOTTRINE A Ma Socialisti e Gesuiti cosa temono nella Scienza di Adamo Smith ® Le loro paure sono nè più nè meno le paure che destarono tutte quelle grandi verità, che l’ignavia e la superbia degli uomini vollero combattere per tema di restare abbagliati dalla loro luce. Sono le paure della Inquisizione suscitate dalle dottrine di Galileo, le paure di Napoleone I verso le verità morali e politiche professate dai dotti che con parole di scherno ei piacevasi di chiamare Jdeologisti. Misera condizione delle cose umane! I violenti di tutte le epoche e di ogni specie non furon paghi dell’ostracismo degli uomini, vollero altresì met- tere in opera il bando della Scienza e non si avvidero che la Scienza condan- ‘nata al bando è come l'emblema della Salamandra che gli antichi editori non trascuravano d’imprimere nel frontespizio dei loro volumi in folio col motto Arde sì ma non sì consuma. Galileo ai piedi degl’inquisitori fa fremere è vero. Ma sino alla Scienza non giunge qualsiasi tormento. riguardo ad essa tutti gli sforzi della violenza non rappresentano che le. convulsioni di un povero men- tecatto, il quale crede di spegnere con un soffio la luce del Sole. Sicchè le adunanze comuniste in mezzo ai cui Saturnali i mestatori di Parigi cacciavano in bando la Scienza economica, quelle strane adunanze, mal- grado la loro solennità, destano la voglia di ridere. II. E in verità se tutto questo si fosse circoscritto al bando approvato dai monelli e dalle comari di Parigi, la cosa non avrebbe potuto produrre la menoma preoccupazione, imperocchè al postutto la verità è come il Sole che sta immutabile, malgrado le nebbie e i vapori che gli si addensano in- torno. Ma il bando delle sale di Belleville se era una ridicola commedia per le masse plaudenti sì ma inconsapevoli, non lo era punto nè poco pei riforma- tori. Essi bandivano la Scienza di Adamo Smith perchè al suo posto fosse col- locata la Scienza dei socialisti internazionali, la sola Scienza vera secondo essi, destinata a rinnovare il mondo, la sola chiamata a giustificare il predominio delle infime classi sofferenti sulle gaudenti, la sola Scienza preparata a leg- gitimare la crociata che gli operai si apparecchiano a combattere contro il capitale e contro la Borghesia. III. Quando ben sì consideri tutto codesto movimento delle idee dei nostri tempi intorno ai destini della società moderna, esso non offre nulla di comune con le idee socialiste dell’ antichità, dei tempi di mezzo e anche dei tempi moderni anteriori all’ultimo decennio. Io vi prego. di notare, onorevoli Accademici, che le antiche e moderne sette socialiste anteriori all'ultimo decennio avevano per iscopo quello di risolvere ‘in prò di zutto il genere umano, senza distinzione di classi, il grande problema del benessere e della vita sociale; d’un modo o d’un altro esse ricercavano una CARLO MARX E LE SUE DOTTRINE 3 palingenesi, una redenzione, un cristianesimo novello, e le loro aspirazioni erano almeno generose perchè erano umanitarie sempre, partigiane non mai. I socialisti dei nostri giorni deviarono interamente da codesto scopo. Essi compresero pur troppo che il problema del benessere universale era insolu- bile come quello del moto perpetuo, che la felicità terrestre non poteva spe- rarsi in tutto e per tutti, e ciò posto, le loro aspirazioni non furono più verso ‘ le Utopie e le Repubbliche del Sole, ma verso una condizione di cose in cui il benessere sia conquistato da alcune classi spodestando le altre. La vecchia quistione della eguaglianza di Rosseau e di Morelly non entrava né anco essa nei computi dei socialisti moderni perchè lungi di favorire distornava i loro propositi. Essi riconobbero virtualmente il principio della disuguaglianza e divisero in due classi il genere umano Possidenti e Operai. Sostituire questi a quelli ecco ai minimi termini la tendenza decisa dei socialisti dei nostri giorni. E codesta crociata vollero riattaccare alle guerre servili dell’epoca Romana e alla guerra dei Paesani del cinquecento; quasicchè si trattasse di ottenere oggi in pieno secolo decimonono la soppressione della schiavitù, della servitù della gleba, del feudalismo della decima, delle angarie e perangarie feudali. A giustificare il movimento delle idee socialiste dei nostri tempi non si presta neanco la storia di quelle memorabili convulsioni sociali che furono le guerre servili e le guerre dei paesani di Germania. Euno e Anfenione nelle guerre servili, come Munzer e Strauss nelle guerre dei paesani, malgrado i loro eccessi, personificavano il supremo diritto alla uguaglianza civile, quel diritto supremo che le costituzioni civili del tempo negavano ai centomila com- battenti che volevano rivendicarlo. Oggi il radicalismo internazionale con le idee o con le gesta di Francia e di Spagna non è una guerra servile, né una guerra di paesani che viene ad intraprendere, non è l'uguaglianza civile già conquistata per tutti che si ap- parecchia a rivendicare, ma è appunto l'opposto nei suoi desiderî e nelle sue aspirazioni: la guerra di una classe contro di un altra, la guerra all'eguaglianza civile, ai possedimenti, al libero godimento della propria attività e del proprio risparmio. Cosicchè i socialisti recenti non meritano neppure il nome che loro ordinariamente loro si attribuisce di Comunisti imperocchè un comunista della antica setta Rebecchista, per esempio, è qualche cosa di meglio che un inter- nazionale. Un Comunista aspira ad ottenere un benessere impossibile, ma vi aspira per conto universale (4). (4) Il comunismo razionale dicea il comunista Iaclard debbe avere di mira l'interesse generale. vaio Noi vogliamo che non vi siano mai più nè povere nè ricchi, noi vogliamo che tutti siano Li CARLO MARX E LE SUE DOTTRINE Un internazionale si accinge ad ottenere l’ impossibile per una classe a danno delle altre (4). IV. E quali i mezzi per conseguire codesto impossibile ? I riformatori moderni compresero che la forza del numero e i mezzi ma- teriali se erano qualche cosa non erano tutto. Eglino vollero evitare la taccia di violenti e procurarono di legittimare col diritto, la forza materiale delnumero. Essi reputarono necessario convincere il mondo che per soggiogare la Borghesia e i suoi capitali, per sollevare sopra di essa la classe degli operai occorreva evocare un diritto per coloro che sono da sollevare in alto, e un torto per quei che sono destinati a cadere, affinchè i profeti della fede novella possano presso a poco come i capi Anabattisti, proclamare a tutto il mondo, è Iddio che lo vuole, è il Diri/to che lo comanda. Se gli uni cadono abbattuti nella polvere, se gli altri sollevansi per do- minare, è la forza del Diritto che conviene riconoscere in tutto ciò, e non mai la violenza materiale e la forza del numero. Le più recenti evoluzioni delle idee socialiste del nostro secolo si aggi- rano adunque intorno a questo tema: trovare cioè il Diritto, la ragione suffi- ciente e giustificante, per la quale gli Operai debbono abbattere la Borghesia e assicurare il loro predominio. V. Questo in sostanza è quello che ha fatto o creduto di fare il signor Carlo Marx di Treveri nel primo volume della sua Opera intitolata. Il Capi- tale ovvero critica della Economia politica. La Scienza economica di Adamo Smith, d’accordo con la Scienza del di- ritto razionale e del diritto positivo di tutte le epoche, avea proclamato solen- nemente e riconosciuto la legittimità non solo, ma la necessità dei possedi- menti, della loro sicurezza, della loro disponibilità, e della loro fruttificazione nell'opera della maggiore e migliore produzione possibile. Negava in conseguenza agli operai così come a qualunque altra classe il diritto di spodestare, di turbare, di mozzare i possedimenti, ed è per questo che i Club aboliscono la scienza ecunomica e segnano come nemici del genere umano tutti i suoi cultori, (2) è per questo che il signor Carlo Marx si è affrettato a creare la Scienza novella che debbe sostituire l’ antica già posta all'indice. Codesta Scienza malvagia, si è detto, ebbe a falsificare a posta gli ele- (1) Le classi privilegiate, dice la Egalidad organo Spagnuolo della Internazionale, sono in agonia esse cadono sotto le nostre mani e perzranno quando noi vorremo, 3 aprile 1868. (2) Club de la Redoute novembre 1868 in Parigi. Molti spettatori uscirono convinti che i capi- tali non si prestano gratis nella produzione a cagione degli Economisti che sonosi venduti essi e le loro dottrine al Capitale. Molinari. Le mouvement socialiste. Paris 1872 pag. 48, 49. CARLO MARX E LE SUE DOTTRINE 5 menti che concorronc alla produzione delle ricchezze, e falsificandoli venne a creare un artificiale ordine di cose per giustificare poscia una distribuzione di prodotto che è affatto leonina e violenta in danno degli operai. Ritorniamo disse il signor Marx ad analizzare da noi gli elementi e le forze che concorrono a formare le ricchezze prodotte. La nostra analisi darà in uno, siccome risultato, la critica della . cienza economica di Adamo Smith e le fondamenta della Nuova Economia politica da cui deriva il diritto degli operai ad occupare il posto dei capitalisti e dei possidenti. VI. Siccome vedrete onorevoli signori io non mi occupo in questo ragiona- mento a considerare il libro di Carlo Marx in tutti i suoi particolari siccome è costume nelle relazioni accademiche, e non me ne occupo non solamente per non arrecarvi il fastidio di una lunga dimostrazione, ma più presto ancora perchè un l’bro il quale in tutti i suoi particolari, in tutte le sue deduzioni è poggiato a due postulati fondamentali, questo libro se è falso nei suoi postu- lati supremi, è falso in conseguenza nelle sue speciali deduzioni e nelle diverse sue applicazioni. Egli è per questo che io volli a ragion veduta circoscrivere il mio ragionamento ai principii fondamentali delle teorie di Carlo Marx per dimostrarvi, che mobile e claudicante la base, l’edifizio inaugurato dal Marx debbe per necessità di cose andare in ruina. Pertanto comincerò con dirvi che le dottrine del Marx non hanno neanco il merito della novità, imperocchéè, a tacere di altro, esse non sono che un re- taggio del suo predecessore Proudhon accettato quasi, senza beneficio d'inventario. Oltre a sedici anni innanzi che le dottrine del Marx si fossero divulgate per la stampa, fu Proudhon che ebbe per il primo il singolare ardimento di _muover guerra al buon senso comune, così come alla scienza, e negare al capi- tale la sua forza produttiva. Fu Proudhon il primo ad afferimare che la sola parte vivente e produttrice delle nostre società moderne trovasi nella classe degli operai: che la teoria del capitale produttivo è niente altro che la Teoria della forza, che il capitale con la sua influenza malefica è la cagione esclusiva di tutte le nostre miserie, e che infine l’interesse, la rendita, le pigioni, i pro- fitti di ogni specie non rappresentano che una spoliazione, per modo che la proprietà siffattamente costituita, è un furto e nulla più (4). (4) «Ii sistema economico fondato sulla finzione della produttività del capitale giustificabile in altri tempi, oggi è illegitimo. «La sua impotenza e il suo tristo influsso sono evidenti. Il capitale è la cagione di tutte le miserie presenti... Il capitale riceve un sovrappiù (interesse) che non rappresenta nessun prodotto positivo. Il capitale quando è prestato rende un servizio che non costa nulla. Li « La vostra teoria del capitale è la Teoria della forza e nulla più. « La parte viva, produttrice e morale della Società è la classe degli operai. » Proudhon lettres a Bastiat 184) Oeuvres de Bastiat tom. I, 343, 344. 6 CARLO MARX E LE SUE DOTTRINE Tutta la dottrina di Carlo Marx è appunto lì senza che egli lo abbia mai confessato. ) Marx è Proudhon, meno il senso profetico e provvidenziale (4). Carlo Marx io lo ripeto non porta neanco il merito della novità E nello evocare le teorie del Proudhon egli non seppe o non volle giustificarle con un metodo di scientifica ricerca, che avrebbe dato almeno al suo libro la im- portanza di una investigazione analitica e sincera. VII. La Internazionale era sorta da alcuni anni. La Borghesia coi suoi capitali era il bersaglio e l’obbiettivo delle sue ire; e Carlo Marx interpetre di codesti propositi provone a se stesso una sola tesi. Delenda Cartago, distrug- gere la Borghesia coi suoi capitali. Collocare al suo posto gli operai. Con tali auspicî nasceva alla luce il suo libro del Capitale ovvero Critica della Econo- mia politica. Per dimostrare la sua tesi egli ha detto così: L'Economia politica ha collocato “ra le forze che concorrono nella produ- zione delle ricchezze anco il capitale, cioè la terra produttiva, il numerario, gl’istrumenti, gli edifizî, i veicoli, le macchine ete. ed ha fatto credere che i capitali hanno diritto a partecipare sotto titolo d'interesse, profitto, beneficî, o rendita alla distribuzione del prodotto insieme agli operai. Il fatto è, dice Marx, che l'Economia politica ha mentito perchè il capitale non è forza produttiva, non partecipa alla creazione dei prodotti, è cosa sterile del tutto. Cosa morta e null'altro! Se questo è, aggiunge come corollario: signori possidenti la terra vada giù la vostra rendita: signori intraprenditori giù i profitti, banchieri e com- mercianti abbasso gl’ interessi e le dividende. I vostri capitali, quale che sia la loro forma e la loro destinazione, non hanno non possono avere altro diritto” tutto al più che quello di conservarsi quali essi sono; mi lucri e profitti non possono generarsi da loro per la semplice ragione della loro sterilità che è sostanziale ed evidente. La sola, l’unica forza veramente produttiva, egli aggiunge, è quella del la- voro, esso solo è fecondo tanto quanto il capitale è sterile, in guisacchè tutta quella parte di prodotto che sotto forma di rendita, di profitti e d’ interessi vedesi oggi usurpata dai possessori del capitale, tutta codesta parte tanto im- portante dee per necessità di cose essere rivendicata in beneficio del lavoro e degli operai. VIII. Così tutta quanta essa è la dottrina di Carlo Marx poggia sopra una falsa proposizione che è questa: 1 Capitale è cosa sterile, non è forza pro- duttiva, è cosa morta. (1) La mia destinazione, dicea Proudhon, è provvidenziale. Colui che ha fatto il mondo mi gettò sul globo per annunziare alle genti la meravigliosa novella: Consumatum est—la proprietà è finita. CARLO MARX E LE SUE DOTTRINE T[ Esaminiamo codesta proposizione fondamentale. Il capitale è sterile. É questa una illazione. Ma quali sono le sue pre- messe? Il signor Marx non si cura di premesse, egli si appaga di annunziare illazioni e postulati. E noichè tutta la sua dottrina, tutta la sua critica della Scienza di Adamo Sinith eran tutte in codesta proposizione fondamentale, valeva certamente il fastidio di dimostrarla codesta proposizione ed accennare almeno quale sia il nesso logico tra il capitale e la pretesa sua sterilità. Sinocchè il signor Marx si cirerscriva a dirci in forma di postutalo e senza dimostrazione alcuna: il Capitale è sterile per se stesso; chiunque ha diritto a conchiudere esser. questa una conseguenza affatto gratuita, alla quale la logica comune non accorda il suo assentimento. E in verità se abliamo a riformare il mondo a forza di proposizioni gra- tuite, se il desiderio di uva radicale riforma dovesse condurci sino ad am- mettere questa novella foggia di ragionamento, quale verità in questo mondo potrebbe restare salda, quale non potrebbe esser distrutta da una falsa pro- posizione? Siccome gratuitamente si assume: il capitale è cosa morta, potrebbe similmente dirsi, il sole è gelido, la terra è immobile, la gravità è una illu- sione. Carlo Marx, che è una intelligenza non comune, è impossibile non abbia visto da se stesso îl vizio principale della sua nuova dettrina; perchè una mente della sua tempra debb’essere assueta a vedere il nesso ‘logico tra le premesse e loro conseguenze. Egli è che la proposizione era falsa, era gratuita, era artificiale; e le pre- messe non vennero perchè non ci erano del tutto. * In difetto di logiche premesse in fatto egli si contenta di ricorrere come i più meschini sofisti ad una petizione di principio, ad un circolo lineare per dire: il capitale è sterile perchè è cosa morta, lavoro morto , lavoro cri- stallizzato a cui mancano la forza e la vita. Sorprendiamo al passaggio codesta incidentale spiegazione della proposi- zione fondamentale di Carlo Marx, e vediamo se essa fosse altro che una pe- tizione di principio. IX. Anzi tutto occorre rettificare in questa pretesa dimostrazione la defi- nizione istessa del capitale che secondo Marx è lavoro cristallizzato , lavoro morto. Ci ha della figura rettorica in questa definizione, e forse fatta a posta per pruovare con la cristallizzazione lo stato d’inerzia e di mummificazione. Ora il capitale, a dire esattamente e senza figure, non è lavoro canden- sato, non è lavoro in zintura ed essenza, ma prezzo di lavoro, risparmiato, accumulato e destinato alla riproduzione delle ricchezze. Quando un operaio del suo salario di ogni giorno ha la ventura di risparmiarne un’aliquota per versarla nello acquisto di una macchina, di uno strumento o anche di una 8 CARLO MARX E LE SUE DOTTRINE materia prima , la macchina. lo strumento , la materia prima acquistata coi suoi risparmi di salario non sono veramente lo estrazto la tintura condensata del suo lavoro, ma sono più presto e in realità di cose una parte del prezzo di codesto lavoro messa in risparmio e utilizzata nell'opera della produzione. Se la figura rettorica del Marx potesse avere qualche valore potrebbe dirsi invece che non la sola parte risparmiata del salario è cristallizazione di lavoro ma tutto intero il salario ricavato dal proprio lavoro. I nostri contadini, a cuì il linguaggio figurato è sì comune, allorquando rimprovéeravasi loro il poco lavoro e lo elevato salario aveano costume di esclamare: se voi spezzate in due lo scudo che mi avete pagato in salario, esso manderà il mio sangue e il mio sudore tanto esso è il risultato del mio lavoro. da Nella realità delle cose però il capitale non è lavoro in essenza o in tin- tura, ma una aliquota del prezzo del lavoro; un valore permutabile, consu- mabile, e come valore esso ha la potenza che è propria a tutti i valori, cioè di produrre qualche cosa nel meccanismo complesso della produzione. La cristallizzazione accenna la inerzia, ecco perchè la sua formola è così prediletta al signor Marx. Il valore significa potenza attiva, causa. Ecco perchè il signor Marx non ci ha posto mente per non disturbare il suo sistema. E veramente se codesto lavoro mwummificato non fosse che una cosa morta a che prò la privazione che costa il suo risparmio? a qual fine l’operaio vorrà averlo risparmiato e posto in serbo? Egli è mestieri che codesto risparmio valga a qualche cosa, che serva a qualche uso, che adoperato abbia a produrre qualche risultato. X. Ma lavoro cristallizzato o prezzo di lavoro risparmiato, direbbe il signor. Marx, il capitale è sempre cosa morta. Proposizione falsa nella sua forma, io lo ripeto, perchè manca di logiche premesse, e manca di premesse perchè falsa nella sua sostanza, contrasta la realità delle cose e offende ogni comune buon- senso. L’anno 1864 la sola Francia possedeva 25 mila macchine a vapore della forza di 675,000 cavalli vapore equivalenti alla forza di due milioni di cavalli o meglio a quella di cinque milioni di operai lavoranti senza interruzione (4). Venticinque mila macchine a vapore che eseguono i più rapidi, i più ma- lagevoli i più pesanti lavori della Francia, a credere il signor Marx sono cosa morta ! I primi lavori dell’istimo di Suez furono eseguiti con l’ opera di trenta mila operai Egiziani e la immensa mole di tanto lavoro non avanzava di molto. Il Vicerè d’Egitto però proibiva alla Compagnia Francese di adoperare nel canale tanta quantità di operai, sicchè fu costretta la Compagnia a porre (1) M. I. Iacqmin. Les machines à vapeur 1872. a CARLO MARX E LE SUE DOTTRINE 9 in opera le macchine in sostituzione delle braccia umane di che era difetto (4). Ebbene quelle macchine che giungevano in un giorno, ad estrarre del canale sino a 1000 metri cubi di materiale, quelle macchine secondo il Marx erano roba morta. Gosa morta pel signor Marx è un telajo meccanico che centuplica la forza e la destrezza dell’ operaio, materia inerte una macchina tipografica che col solo aiuto di due adulti e due fanciulli stampa in un’ora sino a 12 mila esem- plari, cosa morta la sega meccanica, le macchine da imbianchire , il concia- tore meccanico, le trivelle, i ventilatoi a vapore, le pompe meccaniche ; e il naviglio a vapore, e le ferrovie, tutta roba morta, tutto putredine codesto am- masso di forze poderose che il capitale, attuando i dettami della Scienza, ha rapito alla natura, costringendo l’acqua, l’aria, la luce, la elettricità, la gravità medesima a servire invece di migliaia di braccia umane. Davvero che non la logica scientifica, ma il semplice buon senso comune resta offeso e turbato dalle strane dottrine di Carlo Marx! Gli edifizî, le macchine, le materie prime, le locomotive, che in sostanza non sono altro che capitali, non hanno nè muscoli, nè fibre, né sensibilità , nè vita animale, questo si sa; ma non sono per questo nè cosa inerte nè cosa morta, imperocchè essi sono forza poderosa, capace di produrre risultamenti utili, dove dieci, dove cento volte superiori a quelli dell’opera di semplici ope- rai. Ecco quello che il signor Marx non volle mai considerare. Dire adunque che il capitale è sterile perchè è cosa morta, è come dire è cosa morta perchè è sterile. Un circolo lineare , circolo vizioso. Infatti poi non è nè cosa sterile, nè morta, ma forza produttiva. XI. È troppo facile lo affermare che il capitale è cosa improduttiva e inerte ma proviamoci adunque di farne a meno e vediamo cosa sarà per risultarne. Gli stabilimenti industriali sono inutili, trasportiamo le manifatture all’aria aperta sottoposte alle vicissitudini delle stagioni. Le macchine sono improdut- tive, ritorniamo al semplice lavoro manuale. Il materiale di fabbricazione non vale a nulla, riduciamo le provviste di manifattura al meno possibile. I trasporti a vapore per terra e per acqua sono cosa sterile, limitiamo i nostri approviggionamenti di fabbrica a quelli che ogni località può offrire, e rinunziamo ai vantaggi del Commercio esterno e alle materie prime o manu- fatte che la facilità dei trasporti ci assicura. Così in odio al capitale e alle sue gesta avremo ridotto la prodigiosa in- dustria moderna alla misera e penosa industria dei tempi primitivi! Ma dopo tuttocciò il capitale è ancora necessario per ottenere almeno gli strumenti, le materie prime per quanto siano poche e locali, il denaro da a (4) Iacqmin ibid. 10 CARLO MARX E LE SUE DOTTRINE anticipare per salarî agli operai. Se il capitale è cosa inutile, lo sarà per fermo anche in questa ultima forma. Abbandoniamo adunque anche la più tenue proporzione di materie prime, anche gli strumenti, anche il numerario indi- spensabile da servire alle anticipazioni dei salarî. Ebbene che resterà allora? Resterà l’uomo con le sue braccia, condannato a subire la prepotenza della natura, sopraffatto da tutti gli ostacoli naturali e ridotto a divenire cacciatore, nomade, antropofago forse, per condurre innanzi la misera e combattuta sua esistenza. Si Il capitale non è solamente una forza utile, esso rappresenta una forza indispensabile. Esso è l’aria, l’ alimento, il sangue della vita economica dei popoli civili. Senza capitali codesta vita manca per asfissia, d’inanizione, di anemia. Togliete le forze poderose create dal capitale e ditemi cosa resta, cosa può restare delle nostre società civili. i Il giorno malaugurato in cui il capitale fosse sparito, in quel giorno la barbarie e la miseria generale avrebbero invaso il mondo. E la storia è lì per offrirlo codesto salutare insegnamento. i Sinocchè le genti lottarono con la natura senza altro sussidio che la forza delle proprie braccia, sinocchè il lavoro di un giorno bastò appena alla sussi- stenza di un giorno, ricchezze, industrie, libertà, scienze, lettere, arti, incivi- limento non furono possibili in Europa. Dal dì in cui mercatanti e intra- prenditori ebbero agio a riunire qualche risparmio e formare un capitale, da quel giorno furono possibili i comuni italiani, le repubbliche di Venezia di Genova e di Firenze, le città Anseatiche, e le Isole Brittaniche e più tardi ancora la immensa ricchezza del nuovo Mondo. Senza dubbio ci hanno grandi miserie e patimenti molti anco nelle nostre società civili, ma quali e quante sarebbero codeste miserie senza il sussidio del Capitale che alimenta tutti i lavori, che anticipa tutte le sussistenze, che ammassa prodotti sopra prodotti senza darsi pensiero del giorno dell’anno del mese in cui saranno venduti XI. Ma Carlo Marx comprende pur troppo che senza capitali le società civili corrono diritto alla barbarie, egli non ama che sieno distrutti, desidera invece siano conservati sì, ma senza rinumerazione. Mettiamo adunque la quistione anche a quest'altra pruova. Capitali senza rinumerazione ! ) Voi signori capitalisti e intraprenditori non avrete a temere una spro- priazione generale direbbe Carlo Marx; i vostri capitali, i vostri stabilimenti, le vostre macchine, saranno fedelmente conservati perchè è dell’interesse degli operai la loro conservazione. Vi ha dippiù, capitali, macchine, materie prime tutto resterà in poter vostro come per lo innanzi, sarà similmente a voi concessa una indennità proporzio- nale da servire alla manutenzione, alla conservazione, alla rinnovazione dei CARLO MARX E LE SUE DOTTRINE 44 vostri capitali, la cui perpetuità sarà cosiffattamente assicurata. Tutto questo sarà fatto in prò dei vostri capitali, ma per voi personalmente o capitalisti e intraprenditori, badate, per voi personalmente non è da sperare nè interessi nè profitti nè benefici perchè tutto questo è un fraudolento indebito che voi avete estorto finora. I capitali adunque, circolanti o immobilizzati, saranno conservati, man- tenuti, e rinnovati. Ma in favore di chi verranno essi a fruttificare? Non in favore dei capi- talisti ed intraprenditori che ne saranno i fedecommissari; ma in prò degli operai che ne raccoglieranno il prodotto. Quale adunque sarebbe il tornaconto dei capitalisti a creare, a conservare, a mantenere tutto questo immenso materiale circolante e immobilizzato che forma la dote della prodigiosa industria dei nostri tempi ? Basterebbe forse questo nudo possesso senza godimento, questa platonica conservazione dei capitali, per mantenere nell’ animo dei capitalisti il fermo proposito di risparmiare, di cumulare, di creare e conservare in tutte le forme forze produttive e capitali ? Ridotto l’intraprend:tore o il banchiere ad essere niente altro che un sem- plice fedecommissario chiamato a conservare e a restituire, senza godere della benchè minima parte degli utili della cosa sua, banchiere o intraprenditore , non vorrà, non potrà facilmente sottoporsi a questo novello supplizio di Tan- tato sì contrario alla natura umana, e la conseguenza naturale sarà qualcuna delle seguenti. O egli si rifiuta a cedere così gratuitamente la cosa sua, e voi potrete adoperare la forza per espropriarlo , e la quistione sarà in tal modo risoluta con la violenza e con la espropriazione, ma non mai con la teoria del sig. Marx. O egli lascia fare, e non avendo interesse alcuno alla conservazione delle sue macchine e dei suoi capitali circolanti, non invigila, non ripara, non mantiene, malgrado le indennità che gli concederete, e i capitali deperiranno grado grado senza speranza di essere suppliti da nuovi risparmî e da novelle accumulazioni. E veramente allorquando le privazioni che costa il risparmiare mille lire non debbono produrre alcuno risultato utile, chi sarà fra noi sì dabben uomo da volere risparmiare, privarsi, cumulare per la sola carità del prossimo ? Le grandi ricchezze che nel 1600, e 1700 vennero prodigate dai fedeli alle chiese di Francia Spagna e Italia, erano almeno delle largizioni volontarie in articulo mortis, di cui ogni fedele sperava.un compenso nell’ altra vita. Ma ciò che le teorie di Carlo Marx vorrebbe imporre ai capitalisti dei nostri tempi è una specie di largizione che non troverebbe davvero una parola propria con cui essere significata, una largizione senza il merito di un’azione benefica, senza 12 CARLO MARX E LE SUE DOTTRINE la gratitudine di alcuno, senza la speranza di una rimunerazione nè prossima né lontana, nè umana nè divina. Volere adunque capitali senza rimunerazione conveniente è far violenza alla natura delle cose, è volere l’impossibile, è forzare la natura umana. E chi semina con questi mezzi può distruggere sì ma non edificare; può sperperare ma non conservare integri neanco i capitali esistenti. XII. In conclusione adunque, che il capitale sia cosa morta, improduttiva, sterile è una semplice assertiva smentita dal fatto istesso della efficacia del capitale nell’ opera della produzione, contradetta dal buon senso comune di tutti gli uomini, messa in dubbio dallo stesso Marx che si dà tanta cura e tanto pensiero di conservarlo senza rimunerazione sì, ma integro nell’ opera della produzione. ‘ XIV. Una seconda proposizione fondamentale nel sistema del signor Marx tende a dimostrare la produzione delle ricchezze sociali, come uno effetto esclusivo del lavoro senza partecipazione alcuna del capitale. Codesta proposizione è il compimento dell’altra» proposizione di base che abbiamo sinora esaminato, imperocchè nell’idea del sistema ha per obbietto di compire la dimostrazione della assoluta sterilità del capitale nell’ opera della produzione. ; Anche in questo le dottrine del signor Marx si riferiscono alle teorie del signor Proudhon. È da un pezzo che il Proudhon avea proclamato siccome la parte viva produttrice e morale della società non fosse che nella sola classe degli operai, mentre la produttività del capitale è una finzione e nulla più (4). Codeste idee del Proudhon il signor Marx ha tradotto in questo modo. L’opera dell’uomo nelle società civili è il solo elemento vitale della produzione. Essa è il lavoro vivente, mentre il capitale è lavoro morto e cristalliz- zato, essa sola, l’opera umana, conserva la forza della vitalità, la potenza della causa; mentre il capitale che vi sta in contatto non è che un’ accozzaglia di putridi elementi che difettano di vitalità e per questo non possono nè creare nè produrre. La falsità di quest’ altra proposizione non è meno evidente della prima; imperocchè, quale che sia l’importanza del lavoro umano nell’opera della pro- duzione, essa è ben lungi di essere esclusiva sino ad escludere interamente il concorso di altri elementi. I fatti più comuni non solamente nelle grandi manifatture, ma nelle più umili industrie pruovano ad evidenza che l’ opera dell’uomo senza il sussidio degli strumenti, della materia a specificare, delle macchine, dei processi industriali, dei salarî anticipati, codesta opera umana verrebbe ad esercitarsi nel vuoto senza risultato alcuno, ovvero con risultati x (41) Lettera di Proudhon a Bastiat sul credito gratuito 17 dicembre 1849. CARLO MARX E LE SUE DOTTRINE 13 sì poveri da non meritare il nome e la importanza di risultati proporzionali agli sforzi che costano. Se Carlo Marx non avesse un partito preso nel sostenere il suo assunto potrebbe forse sospettarsi, che in tutto il corpo delle sue dottrine corra per lo meno un’ equivoco derivato dalla necessaria correlazione che esiste tra il capitale e il lavoro umano nell’opera della produzione. La macchina la più poderosa come lo strumento il più semplice hanno mestieri dell’opera più o meno intelligente e destra del lavoro umano per essere adoperati con utilità, e tutte le materie prime trasformabili non ven- gono ad ottenere la loro utile trasformazione che per opera del lavoro umano Da codesta naturale e necessaria correlazione di cose potrebbe sorgere l'equivoco a cui accenno per conchiudere, che se l’opera del lavoro umano è necessaria per rendere possibile la trasformazione utile delle materie trasfor- mabili, l’opera dell’uomo sia uo, e quella del capitale rulla. Ma l’equivoco per avventura è facile ad essere sviluppato. Mi permetterete un semplice esempio. Un pescatore coi risparmì di venti anni riesce a cumulare quattrocento lire e ne forma una barca coi suoi ordegni di pesca. È un capitale. Gli anni e la salute mal ferma non gli permettono di adoperare da se stesso barca e ordegni, e ne cede | uso al suo compagno mercè una conve- niente partecipazione al prodotto della pesca. Il capitale, il lavoro morto, come si esprime il signor Marx e il lavoro vivente stanno in contatto. Codesto compagno, che dianzi pescava all’ amo o alla rete adoperata a mano sulle coste, col sussidio della barca e degli orde- gni si mette in alto mare e quadruplica la sua pesca, che trova più abbon- dante non solo ma in qualità superiore. Non sarà certamente il capitale barca, nè il capitale ordegni che avranno estratto il pesce a venti metri di profondità. Ma togliete la barca e gli ordegni, è forza tornare alla pesca misera incerta e poco lucrativa delle coste. Se il compagno volesse un bel giorno tutto appropriare il prodotto della pesca negando una partecipazione al proprietario della barca ragionerebbe né più nè meno come il signor Marx, imperocchè per sostenere la sua usurpa- zione converrebbe che dica: la pesca e tutta opera mia perchè mio è il lavoro vivente ed efficace; mia la causa, mio ha da essere l’effetto. XV. Non è l’edifizio di un grande opificio, nè il denaro anticipato in forma di salarî, nè gli organzini, nè i disegni, nè le macchine, nè i colori che pro- ducono da se soli le stoffe eleganti che acquistano tanto valore nel commercio di lusso. Ma gli operai in seterie non potrebbero lavorare all’ aperto, senza organzini acquistati dianzi, privi di macchine e d’ istrumenti, senza disegni senza colori, senza un quotidiano salario che renda possibile la loro sussistenza. 14 CARLO MARX E LE SUE DOTTRINE È Cosicchè edifizî, materie prime, salari sono gli ausiliari indispensabili del la- voro umano, essi rendono possibile all’operaio quello che senza capitali diver- rebbe impossibile. Le braccia le più destre e le più abili non possono produrre cosa alcuna senza il sussidio del capitale minimo o massimo che sia; e se questo è, la proposizione la quale assume la esclusiva influenza dell’ opera umana nella produzione, è una proposizione falsa del tutto. La verità è appunto questa, cioè che capitale e lavoro hanno bisogno l’uno dell’opera dell’altro: che la produzione è la risultante del capitale e del lavoro posti in contatto ed in azione: che senza capitale o senza lavoro la produzione è impossibile. Quale è allora l'elemento necessario nell’opera della produzione? È il capitale? No. È il lavoro? neanco. Sono necessari ambidue. È il caso anche quì del celebre apologo del cieco e del paralitico che si ajutano a vicenda, sì che la simultanea opera di ognuno è necessaria per giungere a muoversi utilmente. XVI. Perchè adunque Carlo Marx e Proudhon si sforzane a sostenere non solamente la prevalenza, ma sì bene la esclusività del lavoro nell’opera della produzione ? Per giustificare la massima degli Internazionali: Gli operai sono nulla adesso e dovrebbero essere tutto: per preparare la liquidazione generale del- l’asse ereditario, e rendere possibile la spropriazione delle terre, e dei capitali di ogni specie, in prò degli operai. Garlo Marx col suo trattato del capitale non ebbe di mira la riforma degli studî economici. La sua novella dottrina è operativa ed esclusivamente ope- rativa, egli ha intrapreso una vera crociata contro il capitale e contro i suoi possessori, e le sue dottrine sono il programma e la bandiera con cui le genti hanno da correre all'assalto. Di questo programma ne abbiam visto le prime attuazioni ora in Francia ora in Ispagna, e i pericoli non sovrastano esclusivamente il capitale e la Borghesia che li possiede. Troppo leggermente hanno i riformatori moderni considerato la condizione delle cose quando hanno supposto che la ruina del capitale non avesse altro a produrre nel mondo che lo abbassamento di una classe e il predominio d’un altra. La ruina del capitale, si noti bene, trascinerebbe nella sua caduta la bor- ghesia, gli operai, l’incivilimento generale, la società civile; e primi a cadere sarebbero appunto coloro che fra la catastrofe sperano di sollevarsi in alto. Garlo Marx con le sue dottrine operazive ha creduto intraprendere la redenzione del lavoro per conseguire con essa il benessere generale degli operai, e non si avvide che in ogni cento lire del capitale sociale della società moderna novanta lire almeno stanno a guarentigia della sussistenza degli operai: nella foga delle sue preoccupazioni non giunge a comprendere che per ii CARLO MARX E LE SUE DOTTRINE 15 ogni 1000 lire di capitale che si disperde o si sottrae dalla violenza socialista mancheranno 900 lire di sussistenza agli operai; cosicchè nella liquidazione generale a cui si sforzano di pervenire, la perdita delle classi possidenti nel reddito annuale è di uno contro nove; mentre quella delle classi operaje è invece nella proporzione enorme di move contro uno!! (1). XVII. Egli è per questo che a mio intendimento il torto principale delle dottrine operative del signor Marx non è verso la Scienza, o verso le classi possidenti che sono bersaglio alle sue ire, il torto principale è appunto in rapporto a quei poveri operai che affranti dal lavoro, estinuati dagli scioperi e dalle privazioni, affannati da desiderì senza misura, e trascinati alla guerra sociale, dopo avere tanto sperato e tentato non potrebbero nella ruina gene- rale altro raccogliere , che miserie e privazioni maggiori di prima A questo vanno a riuscire tutte le violente ed artificiali ricomposizioni dell’ordine eco- nomico uscite di tempo in tempo dalle visioni degli antichi e moderni socia- listi. Tommaso Morus cominciava nella sua celebre Utopia con la soppressione della proprietà e finiva con la istituzione della schiavità per far sussistere il beato popolo comunista della felice Isola che egli avea creato (2). Il Conte di Saint Simon sognava una Era non mai vista di benessere e di prosperità, e non realizzava che qualche cosa di simile alla vita inerte e mistica degli an- tichi Monasteri. Fourier volle tutto salvare per mezzo del lavoro attraente, e non produsse invece che i daccanati del lavoro. Louis Blanc tentò nel 1848 di porre in atto la teoria del diritto al lavoro, e non riuscì ad ottenere che ventimila parassiti pasciuti diariamente dalle casse dello stato. Siffattamente le dottrine di Carlo Marx aspirano a creare Operai Sovrani al di sopra di capitalisti sudditi e sommessi, e non potrebbero conseguire che perseguitati capitalisti, e miserrimi operai! To ne offro con anticipazione due pruove e mi dispenso di tutte le altre. La guerra d'America che cagionava tanta carestia di cotone in Europa venne a paralizzare lo andamento di tutti gli Opificì d'Inghilterra. Le perdite degli imprenditori furono enormi, ma tutte le loro perdite unite erano ancora ben poca cosa in rapporto alla miseria che il manco di lavoro produsse nella classe degli operai; risparmi, fondi di associazione, casse di soccorso, tutto disparve in poco tempo, sicchè una immensa moltitudine di operai rimase vittima della più straziante miseria. (1) Senza mettere in computo i lavori di confezione e limitandosi ai soli Javori in grosso della sola industria estrattiva, una commissione d’ inchiesta del 1868 in Inghilterra verificava che nelle industrie del ferro, del carbone, e della calce la parte attribuita al lavoro nell’insieme della fabbrica- zione era da 2]3 sino a 9j10. Des associations owvrieres, Paris 1869 pag. 115 nota (1), Opera attribuita al Conte di Parigi. (2) Description de l’ Ile d'Utopie. Amsterdam 1730. 16 CARLO MARX E LE SUE DOTTRINE a : I milioni di salarî mancati per effetto degli scioperi di questi ultimi anni si contano a centinaia, (1) e se milioni di profitti vennero meno agl’ intra- prenditori per la medesima causa, le vere vittime dei capitali inerti e del manco di lavoro non furono per fermo i capitalisti, ma gli operai. Ora se la sospensione del lavoro e la inerzia del capitale per un solo ramo di industria produce conseguenze sì miserevoli in danno degli operai, cosa è da attendere dalla inerzia di tutti i capitali, di tutti gli opificî, di tutte le intraprese commerciali ? La catastrofe si offre così vasta e meravigliosa da sorpassare qualunque previsione. XVII. Quello che codesto pubblico nemico, questo vampiro che si chia- ma capitale assicura ogni giorno alle nostre società civili in genere, e agli operai in ispecie, non ci ha potenza umana sotto il sole che trovisi in grado di assicurare nel modo istesso; cosicchè in questa guerra dichiarata al capi- tale ci ha della ingratitudine non solo, ci ha della aberrazione, ci ha della monomonia distruggitrice, la quale non trova altra ragione sufficiente che la distruzione per la distruzione. Una volta spariti o perseguitati il capitale e i suoi possessori, la sorgente deila produzione inaridisce , il lavoro e la sussistenza mancano, e le case di soccorso, e gli ospedali e il liceo, e l'università e l’armata e il naviglio, e la nazione e la patria, la patria istessa è in pericolo. Gol lavoro di un giorno non si vive che il giorno di lavoro, sono i salarî cumulati, e pacificamente posseduti che tengono in piedi tutto intero l’ordine economico e sociale del mondo. nm; Chi attenta alla esistenza del capitale, è all'ordine economico delle sussi- stenze, allo incivilimento, all'ordine sociale che attenta. Io giungo sino ad una conseguenza che potrebbe sembrare estrema e che nondimeno è nei limiti del vero; io tengo per fermo che le società moderne sussistono com’esse sono non solamente per virtù dell’azione feconda e conservatrice dei capitali presenti, ma ben pure per virtù dei capitali futuri cioè di quelli che le senerazioni venture saranno per cumulare. Tutti i miliardi dello enorme debito pubblico di Europa e di America non sono poggiati che sulla certezza dei capitali futuri, senza codesta certezza non sarebbero state possibili tutte le meravigliose opere che si riattaccano al debito pubblico del mondo, sì che, scossa per un momento solo la certezza dei capitali futuri, non è solamente la bancarotta generale che ne seguirebbe, ma la per- dita di ogni speranza nelle generazioni presenti e nelle successive nel mi- glioramento e nel benessere civile. (1) Un solo sciopero degli operai da fucine avvenuto il 5 aprile 1865 nel nord d’ Inghilterra costava agli operai medesimi la enorme perdita di otto milioni di lire italiane di soli salarì. Des associations ouvrieres pag. 134, CARLO MARX E LE SUE DOTTRINE 17 XIX. Ecco il nemico che Carlo Marx denunzia al pubblico disprezzo, ecco il Vampiro che si nutre del sangue degli operai! Egli è il Capitale il male- fico, il parassita, il maledetto capitale ! E ladri secondo Marx son tutti i suoi possessori, siano intraprenditori, siano banchieri, siano manifattori o commercianti, ladri tutti coloro che non vivono di lavoro manuale, ladri i possessori anco del capizale intellettuale, ladri forse anche Liebig. anche Stephenson, anche Lesseps, perchè non tennero in mano pialla o martello! Ed è appunto di codesti borsaioli che la Scienza di Adamo Smith si è fatta complice in uno e fautrice. Codesta Scienza malvagia è d’uopo sopprimere e sostituire al suo posto le dottrine di Carlo Marx destinate a contenere il capitale dentro i suoi naturali confini e a trasformarlo da Vampiro che suc- chia sangue in semplice corpo inerte ed innocuo, qual’esso è per sua natura. Egli è col seguire i precetti di codeste dottrine solamente così, che intra- prenditori, proprietarî, banchieri, commercianti potranno salvarsi dalla grave imputazione che pesa su di loro. Egli è duopo che il capitale in moneta, in macchine, in opificî, in derrate si offra gratis allo operaio. Egli è mestieri, che il commercio che è tutto opera di capitale anticipato, si eserciti gratuitamente e senza beneficio o profitto di sorta. Allora il giorno della vera Redenzione sarà per sorgere e le società civili troveranno nella Scienza di Carlo Marx le solide fondamenta di che difettano. XX. Eppure codesto giorno non spunterà giammai sulla terra. Il signor Cabet ha fatto i suoi viaggi in /caria, Louis Blane le sue orga- nizzazioni, Proudhon le sue consradizioni, Carlo Marx la sua diatriba avverso il capitale e i suoi possessori; e malgrado ciò il capitale rimane e rimarrà al suo posto come sorgente della vita economica del mondo; perchè capitale, pro- duzione, sussistenze sono termini di necessaria correlazione. Nessuna sussistenza senza produzione, nessuna produzione senza capitale. Carenza di capitali, carenza di produzione e di sussistenze. Ei non dipende dalle vane speculazioni della nostra mente il mutare con una formula o una teoria la legge di gravitazione, non dipende del pari dalle dottrine socialiste la inversione dell’ordine naturale delle cose economiche, in guisa che possa il mondo sussistere senza risparmî, senza proprietà e senza capitale. L'ordine naturale delle cose economiche è d’ indole necessaria tanto quanto quello della gravitazione generale, perchè ad esso è affidata la sussi- stenza dei 750 milioni di uomini del mondo conosciuto. Nel meraviglioso meccanismo di codest’ordine economico, il capitale eser- cita una funzione principale, e i suoi naturali alleati nello interesse dell’uma- nità sono la Scienza in alto, il lavoro a canto. Innanzi a che l'umanità e le società civili non siano sparite dall’universo, nè la Scienza, nè il lavoro, nè 3 18 CARLO MARX E LE SUE DOTTRINE il capitale possono venir meno; e se di questa triade il solo capitale, fosse con- dannato a perire, il giorno della sua morte sarebbe la vigilia della morte della Scienza e del lavoro. L’uno e l’altra sono interessate alla esistenza del capitale, come quel sovrano dei mezzi tempi lo era verso la vita del suo astro- logo che segnato avea alla dimani della sua morte quella del suo signore e sovrano. Il capitale non può sparire dal mondo, anzi a misura che il numero de- gli uomini si accresce, lo disse Adamo Smith ora è un secolo, l’opera del capi- tale riesce sempre più necessaria. Ei non è di solo capitale che il mondo vive, è vero, ma non è di sola scienza o di lavoro soltanto. L’opera comune dei tre alleati è necessaria e non dipende dal nostro volere il formare un meccanismo artificiale, in virtù del quale il mondo sussister possa per sola azione di scienza o di lavoro. Il capitale è de- stinato a vivere come la scienza che dall’ alto ne dirigge i movimenti, come il lavoro che ne adopera le forze e la materia; e innanzi a codesta triade che riassume tutta l'umanità le vane speculazioni degli uomini sono parole, parole e nulla più! L’azione comune dei tre alleati è necessaria alle società moderne, e tutti i dissolventi, tutti gl’irrifanti che si gittano in mezzo ad essi, se avranno la trista influenza di turbarne l’ armonia, non riusciranno per fermo a spegnere nessuno di essi, perchè la vitalità dell’uno è solidale alla vitalità degli altri, e la necessità della loro unione resiste ai tentativi che separando vogliono distruggere. Però gl’irrifanti se non ammazzano, disturbano, i dissolventi separano se non giungono a distruggere, ed è questa la triste influenza delle dottrine nella cui categoria entrano quelle di Garlo Marx. Possono queste dottrine provo- care prima i Clubs rouges, indi lo sciopero sistematico, poscia la Comune e più tardi ancora in proporzione più vasta la guerra sociale. Da ciò il pericolo, da ciò la necessità di scoprire alla Iuce del giorno i sofismi di che si compone tutta la dottrina di Carlo Marx. Nella storia dei sofismi queste dottrine non resteranno celebri, ma diver- ranno pericolose ove il buon senso dei popoli e la Scienza di Adamo Smith non persistano a smascherarne lo artifizio. I CENSIMENTI DELLA POPOLAZIONE DI PALERMO DEL 1861 E DEL 1871 E I MOVIMENTI DEL DECENNIO MEMORIA PRESENTATA DAL SOCIO AVV, FRANCESCO MAGGIORE-PERNI i —_—_—_—X\>—___ - Raffrontare i due censimenti della popolazione della città di Palermo l’uno del 1861 e l’altro del 1874, rilevare i movimenti intermedii del decennio, ve- dere quale è oggi lo stato della nostra popolazione in rapporto a sè stessa e a quella delle principali città di Sicilia, d’Italia, d'Europa, descrivere per quali mezzi essa vi sia giunta, presagire il suo probabile avvenire: ecco lo scopo del mio lavoro statistico, che presento a questa illustre Accademia, come sin- tesi dei miei studii, rimandando per l’ analisi di esso ai miei scritti pubblicati, e a quelli che fra non guari pubblicherò nella qualità che mi ho di Direttore della Statistica della città di Palermo. CENSIMENTI E MOVIMENTI DELLA POPOLAZIONE Censimenti e movimenti: ecco l'oggetto del nostro studio; e ben vi si pre- stano, perchè non sono elementi isolati che si hanno sotto esame, ma complessi, ma continui, che ben si possono mettere in relazione fra di loro e cavarne utili frutti. 9 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 1864 E 74 La Statistica è una disciplina che a preferenza vive di relazioni e di rapporti; la esposizione isolata di un fatto statistico non ha alcuna importanza da per se stessa; l’acquista quando si mette in relazione alle cause e agli effetti del fatto medesimo , in rapporto ai fatti antecedenti e susseguenti, s'è possibile, della stessa natura che si sono svolti nella stessa località, in relazioni ai simili delle altre città e nazioni nello stesso periodo, in cui il fenomeno che si studia viene a manifestarsi. Questo lavoro e questo studio elevano la Statistica all'altezza di una scienza; e allora essa appare una serie di verità che dipendono da unico principio, e si rende utile agli studii sociali, valendo come sintomo e come misura del pro- gresso o del regresso sociale, della potenza o debolezza di uno Stato, della sua ricchezza o della sua miseria, della sua dottrina o della sua ignoranza, della sua moralità o della sua immoralità, stati antitedi che formano la ma- teria dello studio degli statistici (41). I movimenti della popolazione sono ben diversi dai censimenti di essa; non son mancati di coloro che nella pratica statistica li hanno confusi: dappoichè dai movimenti si può altresì presentare lo stato generale di una popolazione, scopo esclusivo dei censimenti. I censimenti numerano la popolazione di una data città in un dato istante; la numerano nel suo stato di fatto, e la scompartiscono nei suoi varii stati: del sesso, dello stato civile, dell’età, della istruzione, della origine, della reli- gione, delle infermità apparenti. I movimenti presentano annualmente il va- riare e lo svolgersi della popolazione in rapporto alle nascite, alle morti, ai matrimonii, da cui dipende il crescere o il diminuire della popolazione di dritto, non quella di fatto, sulla quale agisce altresì l'immigrazione e 1° emi- grazione; sebbene anche i movimenti della popolazione ne possano presentare il suo numero complessivo di dritto, aggiungendo i nati e togliendo i morti ad un precedente censimento. I ‘censimenti descrivono adunque la popolazione nelle sue compartizioni, i movimenti nelle sue funzioni; i primi sarebbero per così dire la parte anatomica, i secondi la fisiologica della popolazione. I primi sono la base dei secondi, i secondi sono gli esplicatori e i complementi dei primi : stanno fra loro in strette relazioni, in modo che dai censimenti si possono cavare i movimenti probabili della popolazione, e dai movimenti il numero probabile di essa; nobile e delicato ufficio di una scienza, che fu detta aritmetica politica. i Non è mio scopo voler qui svolgere la parte scientifica di questa materia, R : (1) Vedi il nostro lavoro Sull’ordinamento della Statistica, cap. la Norma. Vedi altresì la no- stra definizione della Statistica lodata dal Vanneschi nel suo dotto lavoro: Un quesito sulla Statistica civile; nel Giornale del Consiglio di Perfezionamento di Palermo, Vol. VII, p. 224. E I MOVIMENTI DEL DECENNIO 3 nè dire dell'influenza che esercitano questi studii statistici; pei censimenti l’ho fatto in apposito lavoro (41), pei movimenti lo farò in luogo più adatto; ma ho voluto premettere queste poche idee, perchè le ho trovate indispensabili per lo studio che imprendo sui censimenti e sui movimenti della popolazione di questa città dal 1861 al 1871. II. CENNI STORICI SUI CENSIMENTI E MOVIMENTI DELLA POPOLAZIONE DI PALERMO Fra noi l’uso dei censimenti è antichissimo ; quanto su di essi si sa nel periodo avanti ai Musulmani ho fatto noto in apposito lavoro; come altresì ho storicamente esaminato tutti i censimenti di Sicilia e di Palermo dai Saraceni ai nostri giorni (2). Qui non è luogo di riassumere questi studii; ma per intelli- genza della materia e per completare questo speciale lavoro, attenendomi stretta- mente ai censimenti della popolazione di Palermo, mi sento nell’obbligo di esporre come fin dall'epoca dei Musulmani si hanno notizie censuarie sulla nostra popola- zione, e come dai Normanni in poi queste notizie divengono più distinte, per ridursi alla forma di veri censimenti, nel senso in cui oggi li intende la scienza e si praticano fra le odierne incivilite nazioni. I nostri censimenti dall’ epoca Normanna in poi non ebbero uno scopo scientifico, ma bensì finanziero; essi si facevano e si rinnovavano per distri- buire le fasse, le collette, i donativi. Il censimento era ordinato dal Parlamento, ed eseguito dalla Deputazione del Regno, che invitava i cittadini a cooperarvi: e spediva i commissarî, gli attuari, gli algozzini e gli scrivani, che lo eseguivano e compilavano per via di schede: dando così prima Sicilia l’ esempio in Europa della numerazione degli abitanti col sistema nominativo. Non crediamo doverci intrattenere di più di questi censimenti, e del loro scopo e forma, perchè distesamente ne abbiamo parlato in apposito lavoro ; solo crediamo opportuno ricordare che con questo sistema la Sicilia dal 1504 al 1864 ebbe ventitrè censimenti: dai quali, meno quelli del 1796, 18341, 1861 e 1871 fu esclusa la città di Palermo. E ben dovea essere dispensata dai censimenti generali e imposti; essen- (1) Vedi il nostro Saggio: Sui censimenti della popolazione e su quello della Città di Palermo nel 1864, Palermo 18653. (2) Sui censimenti della popolazione e su quello della città di Palermo del 1861, Saggio stori- co-statistico, da p. 46 a 78. 4 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 18641 E 741 do che la nostra città, pria che i Borboni l’asservissero, era rispettata nella sua libertà e autonomia. Essa pagava i donativi imponendosi le gabelle per mezzo delle autorità municipali; e la sua popolazione era ritenuta un decimo di quella dell’Isola.— Ma non per questo i censimenti mancarono: essi si fecero dalla stessa città, e con sistema pressochè uguale a quello che lo Stato adoperava nelle altre terre e comuni del Regno. —La nostra Città era riguardata come uno Stato; e ai poteri amministrativi univa spesso i politici; e il suo Senato e Pretore costituivano, può dirsi, un governo nel governo, esercitando fun- zioni, che oggi dal potere centrale si disimpegnano;tale era lo sviluppo della vita municipale a quei tempi, in cui i poteri non erano ben distinti e la libertà e il dicentramento dominavano. Questo modo di vita rendea necessarî taluni lavori censuarî, che, quan- tunque non voluti dal Governo, pur la Città dovea eseguire nel proprio interesse. Egli è vero che i cittadini palermitani non si censivano per pagare i do- nativi, e per essere pronti alle armi, come il resto dell’Isola dai 18 ai 50 anni; perchè il donativo pagavalo la città in massa, e perchè nel ripartimento della milizia, i suoi abitanti erano riputati per legge sempre pronti in armi a difesa della Città. — Ma egli è pur vero che il Municipio dovea per sè eseguire quei lavori, che lo Stato altrove intraprendea: sicchè i censimenti si facevano con lo stesso sistema, che si tenea dal governo, ed erano ordinati or dal Senato, ora dall’ Arcivescovo , in rapporto a quali delle due autorità interessava nu- merare la popolazione; ma la Città conosceva così sè stessa, e. i suoi abitatori. E difatti si hanno prove di diversi censimenti, che il Senato ordinava e facea compilare, ma nessuna ne esisteva in riguardo a quelli degli Arcivescovi, priac- chè non avessi avuto il piacere di potere io stesso supplire a questa lacuna con un documento inedito, dal quale si desume un completo censimento ordi- nato dall’Arcivescovo Doria, e fatto dalle parrocchie. Dagli storici si sa che la città di Palermo è stata varie volte censita; e si conta una serie di censimenti dal 1501 al 4874, quando insieme a tutto il Regno fu numerata. La nostra Città nel secolo XVI conta cinque censimenti, cioè 1501, 1548 1570, 1591, 1595, i quali anni corrispondono alle numerazioni dell’ intera Si- cilia; con questa differenza che nel 1591 si censì Palermo, non la Sicilia, e l'Isola intera conta un censimento nel 1583, che non ebbe Palermo; con ciò significandosi, per gli anni i cui censimenti palermitani e siciliani si riscon- trano, che quando lo Stato rinnovava.i suoi censimenti, anche la Città per suo conto, e per ben regolare la sua amministrazione , li faceva; e intorno all’altro, cioè quello del 1591, dovette essere mosso da altra causa; e questa anche altri storici ci rivelano. Fu una funesta carestia, che afflisse la città; e il Senato, essendo Pretore D. Coriolano Bologna, numerò le anime per prov-. E I MOVIMENTI DEL DECENNIO 5 vedere al loro mantenimento. E difatti nel Talamanca si legge: « Im questo anno (1591) fu grandissima fame e carestia crudelissima che si morse quasi la metà del popolo del regno, e in Palermo si fece la numerazione delle anime per darsi il pane (41). » Nel secolo XVII si conoscono quattro censimenti, cioè del 1606, 1613, 1615 e 1653 dei quali uno solo quello del 1653 corrisponde ad altro dell’Isola nel medesimo anno. Le cause, che determinarono gli altri censimenti in certo modo ho cercato trovarle: quello del 4606 fu dal Senato ordinato per un’altra carestia che affliggeva il paese, e di fatti nel citato libro si legge : «In que- sto anno (1606) fu la seconda penuria seu imal’ annata di frumenti pel che si fece nel mese di dicembre la vera numerazione delle anime nella città di Palermo. » La cifra della popolazione dei censimenti del 1391 e del 1606 di cui parla il Talamanca, s’ ignorava avanti la pubblicazione del mio lavoro sui censi- menti; ma oggi in un Codice appartenente ai soppressi Teatini, e che si trova nella nostra Bibblioteca Comunale, ho potuto rilevare questi due censimenti, fatti nella forma medesima di quello del 1613 che io pubblicai; questi due, preziosi documenti saranno da me fatti pubblici quando darò luce al lavoro offi- ciale sul Censimento del 1871. Quello del 1613 fu ordinato dall’ Arcivescovo ed eseguito dal clero, quello del 1615, che presenta lo stesso numero di popolazione, cioè 114, 848 che quello del 1613, è a ritenersi lo stesso censimento, che fatto nel 1613 dallo Arcivescovo e completato in seguito, fu pubblicato o adottato nel 1615 dal Senato della città. Da questo censimento, che nelle forme è simile a quelli che compila- vansi per tutta Sicilia, si ricava, come unico fra noi fosse stato il sistema della numerazione delle anime, comechè per uso fiscale, ecclesiastico o amministra- tivo servisse. —Imperocchè quantunque Palermo di donativi e di milizia fosse stata esente per lo Stato, pure interessando al Comune conoscersi, si censiva scegliendo gli anni medesimi in cui questa operazione facevasi dalla Deputa- zione del Regno; nel fine che in questo periodo, essendo il lavoro comune a tutti, destasse meno avversione, massime conoscendosi che esso non era base di nuove imposte, ma necessità statistica, per l’andamento della amministrazione, e spesse volte per principio di beneficenza nelle pubbliche carestie e calamità. Quale occasione di censimento è la più prospera alla buona riuscita del lavoro; perchè il popolo è animato piuttosto da speranze, che da timori; e la prov- vida autorità municipale ottiene quella fiducia, tanto necessaria a questi lavori che non può avere lo Stato. In ciò Palermo trovò l’esempio di Roma, i cui (4) TALAMANCA, Elenco Universale delli Re dominanti di questo Regno, Palermo 1696 p. 7. 6 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 1861 E 741 censi si fecero spesso in epoche di carestia, ed in seguito dall’Imghilterra, in cui gli incaricati del censimento erano al tempo medesimo i commissarii della tassa dei poveri. Così nella Città di Palermo si continuarono i censimenti anche nei secoli che seguirono il XVII, , e ne ebbe di più che l’intera Sicilia, essendo che essa non solo nello stesso tempo che gli altri comuni dell'Isola censivasi, ma in altri periodi ancora per bisogno dell’amministrazione e del popolo si numerava. E di fatti nel secolo XVIII si contano altri cinque censimenti, cioè nel 1714, nel 1737, nel 1750, nel 1770, e nel 1798; quali censimenti, meno quello del 1737 e 1750, corrispondono a quelli ordinati dallo Stato, che anzi in quello del 1798 la città vi fu compresa dal governo medesimo; per gli altri censimenti del 1737 e 1750 non ho potuto rinvenire negli archivii del Co- mune la ragione che li fece eseguire; ma essi, resi certi dalla storia, servono ad accrescere il numero delle nostre numerazioni di anime. Nel secolo che corre non troviamo altri censimenti che quelli del 1834 dal 1864 e del 1871 nei quali Palermo fu censita insieme a tutto il Reame. Come fosse eseguito il censimento del 1834 s’ignora; si sa che di esso erano state incaricate autorità ecclesiastiche e amministrative, e che le sue cifre ser- virono di base ai movimenti della popolazione di tutti i comuni di Sicilia dal 1832 al 1859, anno in cui mancò il regno e con esso la Direzione cen- trale di Statistica. Quello del 1861 fu fatto scientificamente, e i suoi risultati furono da me pubblicati; ed oggi formano punto di partenza di tutti i lavori statistici che la comunale Direzione ha compilato e va pubblicando. Quello del 1871, eseguito con le stesse norme che quello di dieci anni ad- dietro, ha mostrato come la popolazione sia in via di sviluppo, e i suoi risul- tati saranno fatti pubblici in apposite tavole, che quanto prima vedranno luce; mentre in questo lavoro le sommarie cifre verranno messe in raffronto a quelle del censo del 1861. I movimenti della popolazione ridotti in quadri contano una data molto recente. La statistica per molti secoli fu oggetto di studio degli ecclesiastici; erano le parrocchie le conservatrici di questi preziosi documenti, perchè esse intervengono nei più solenni atti della vita: la nascita, il matrimonio, la morte (4). Questi documenti non furono svolti che dal 1805 in poi. Il Dr. Calcagni, incari- cato dalla comunale amministrazione, pubblicò dal 1805 al 1815 una tavola decen- nale dei movimenti della popolazione, divisa per parrocchie, e poscia anno per anno le continuò sino al 1828, e alla sua morte ne preseguì il nobile lavoro (4) Compilati sugli atti delle nostre parrocchie ho potuto rifare anno per anno i movimenti della popolazione della nostra città dal 1500*ai nostri giorni, che quanto prima vedranno la luce. E I MOVIMENTI DEL-DECENNIO " l'esimio barone D’Antalbo, sotto la sorveglianza della Direzione centrale di Sta- tistica, di cui in seguito fu egli direttore; ma venne interrotto nel 1852 quando all’Intendente parve superflua questa spesa per la Città. E d’allora sino al 1858 non si hanno che le sole cifre complessive dei movimenti annuali della popo- lazione, come si vedono nei lavori dei movimenti della popolazione di Sicilia pubblicati dalla centrale Direzione. Il 1862 era creata la Direzione di Stati- stica comunale, e a me affidata; e d’allora rifacendo con più larghe vedute i mo- vimenti della popolazione del 1859 al 1864, ed eseguendo quelli del 1862 a tutt'oggi, sono stato al caso d’intraprenderne la pubblicazione (1). III. CENSIMENTI DEL 1861 e 1 871 IN RAPPORTO ALL’ACCRESCIMENTO DELLA POPOLAZIONE DI PALERMO E DELLE PRINCIPALI CITTÀ NAZIONALI E STRANIERE Il censimento della popolazione del 1861 e del 1871 si riassume nelle se- guenti cifre: È 1861 1871 aumento Maschi. ... 97,234 109,474 12,240 Femmine . . 97,229 109,924 12,695 Totale... 194,463 219,398 24,935 Questo aumento in un decennio è di grave importanza; esso dà un accre- scimento annuo di 2493, e per 100 di 4,23. In questo aumento la Città concorse per 18,784 e la Campagna per 6154, in modo che |’ una è cresciuta 111,2 per 100 e l’altra il 22,9. Noi qui non intendiamo di svolgere le cause di questo aumento; ci basta accertarlo. La Città che nel 1861 contava 167,625 abitanti,nel 1871 ne numerava 186,406; e la Campagna che nel 1864 era stata censita per 26,838, nel 1871 fu tro- vata 32,992. Egli è certo un prodigioso aumento. (1) Vedi il nostro 2° volume : STATISTICA DELLA CITTÀ DI PALERMO—Movimenti della popola- zione dal 1862 al 1864 con Introduzione — Palermo, 1872 — Gli altri volumi in corso. * 2 8 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 1864 E 74 Volgendo lo sguardo al passato, e osservando per il solo secolo XIX lo sviluppo della popolazione, troviamo per sette decennî il seguente risultato : ANNO POPOLAZIONE DIFFERENZA AUMENTO PER ANNO 1801 130,940 =. ati Do 4844 142,009 11,069 = 1106 1821 160,054 18,042 _ 41804 1831 473,478 13,427 = 1342 1844 164,551 => 14,719 -- 1854 181,740 90,199 ie 2018 1861 194,463 12,723 — 41272 4871 219,398 24,935 se 2493 Essi mostrano che, meno il decennio dal 1831 al 1841 che dà una dimi- nuzione di 11719, tutti offrono un aumento che dagli 14,000 oltrepassa i 24,000; l'aumento maggiore è relativamente nei periodi che succedono le grandi mor- talità; il quale aumento è circa il doppio degli altri decennî; e difatti il periodo del 1831 al 1841 è segnato della mortalità colerica del 1837, e il decennio del 1841 al 1854 da un eccedenza di 20,189 sopra una popolazione di 161,554, cioè del 42,5 per 100; il periodo del 1851 al 1864 è segnato per le due epide- mie coleriche del 1854 e 1855, e il deconnio del 1864 al 1871 dà un ec- cesso di 24,935 abitanti sopra una popolazione di 194,463, quantunque l’epidemie del 1866 e 67 l’avessero stremata, il che importa un aumento del 12,8 per 100; gli altri decennî segnano presso a poco le stesse cifre di eccedenza, esse non oltrepassano i 13,000, a meno di quello del 1811 al 1824 che tocca i 18,000. Nel- l’assieme la nostra città in 70 anni è cresciuta, di 88,458 abitanti con una me- dia di 1264 per anno; e certamente vi hanno poche città che possono vantare tanto rapido progresso nel crescere della popolazione. Venendo a raffrontare l’accrescimento dell'ultimo decennio, pigliando abase i due censimenti, con quello delle principali città di Sicilia, d’Italia, di Europa, si trova. Per la Sicilia CITTÀ POPOLAZIONE GIUSTA IL CENSIMENTO DIFFERENZA ACCRESCIMENTO del IN PIÙ ANNUO 18641 ° 487405 per 100 Palermo... ... 194,463 219,398 24,935 1,23 Messina . 0. 103,324 111,854 8,530 0,82 Catania eee 68,810 84,397 15,584 2,26 Trapani 30,592 33,634 3,042 0,99 Caltanissetta. . . . 23,879 26,156 2,277 0,95 Sira CUSANO 196008 22,179 2,429 4,22 Girgenti... ... 47,194 20,646 3,452 2,04 E I MOVIMENTI DEL DECENNIO 9 Questo prospetto, senza tener conto dei movimenti annuali, rivela come dopo 40 anni si trovi la nostra città. in rapporto dell’accrescimento della popola- zione, colle principali dell’ Isola. Palermo, come mostrano le cifre, è soltanto superata da Catania e da Girgenti, che ebbero un accrescimento annuo di oltre il 2 per 100, tutte le altre città vi stanno al di sotto; le si accosta Siracusa, che dopo il 1871 ebbe restituito il suo predominio amministrativo su tutta la pro- vincia. Le città di Sicilia sebbene nei movimenti annui superino la nostra popolazione, come avvertimmo in altro lavoro (1), pure nei censimenti quasi tutte vi sottostanno. Pei movimenti è l’azione della mortalità non originaria del luogo che fa sottrazione ai nati, e diminuisce |’ eccedenza; mentre nei censi- menti i morti non propri non agiscono nel calcolo, e la immigrazione che suol essere maggiore nelle grandi città fa sentire la sua influenza. Per l’Italia CITTA’ POLOLAZIONE GIUSTA IL CENSIMENTO DIFFERENZA = ACCRESCIMENTO del IN PIÙ ANNUO PER 100 1864 187 Palermo. ... 194,463 219,398 24,935 1,23 Napoli... 447,065 448,335 ZIONI 0,03 Hormors... 204,715 212,644 7,929 0,38 Roma. ce 197,078 244,484 47,406 2,41 Milano... 196,109 199,009 2,900 0,14 Genova. . ... . 127,986 130,269 9383 0,18 Birenzet. ... . 114,365 167,093 52,730 4,64 Né riescono meno brillanti i raffronti con le città principali d’ Italia; tolto lo stato anormale di Firenze e di Roma, la Città di Palermo le .vince tutte, e di gran lunga. Palermo ebbe un accrescimento annuo di 4,23 su ogni 100 abitanti, e Napoli non ebbe che il 0,03, Milano il 0,14, Genova il 0,18 Torino il 0,38; Firenze, Roma la superano. Firenze al 1861 non era che la scaduta capitale della Toscana; fu per 6 anni la capitale di un grande regno: ecco la ragione anormale del suo strabbocchevole aumento; se si consultano i movimenti effettivi non si vedrà certo questo risultato. L’eterna Roma al 1864 non era che la capitale del mondo cattolico, al 1871 si trovò altresì la capitale di un grande regno, ecco la ragione del suo aumento. Per Palermo è solo l’accre- scimento naturale, è l’effetto della sua vitalità; contrastata ed oppressa ha molta (1) Introduzione al Il volume della Statistica della Città di Palermo — Movimenti della popola- zione dal 1862 al 1864; p. XXIX. i 410 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 1864 E 71 forza espansiva; essa stanca i suoi oppressori, essa disillude i suoi nemici, che pur la vogliono decadente. Néè.in riguardo alle grandi città mondiali i rapporti si mutano. L’au- mento delle principali città straniere si può comprendere nel seguente quadro. Per le straniere nazioni CITTA’ POPOLAZIONE RAFFRONTATA AUMENTO - ECCEDENZA A 10 ANNI DI DIFFERENZA ANNUA PER 100 Palermo . . . . 194,463 219,398 24,935 1,23 Londra... .. 2,362,989 2,803,000 440,014 4,43 Parigi. n° 1,667,841 1,794,380 426,539 0,76 Costantinopoli. 715,000 875,000 160,000 > 2,23 Berlino... .. 658,637 702,437 — 43,800» 0,66 Vienna.Ge 542,000 607,544 95,544 41,86 Pietroburgo . . 494,656 641,970 417,344 9,39 Madrid... .. 275,785. 298,426 29,644 0,82 Bruxelles .. . 273,948 286,827 12,879 0,47 Monaco. . . .. 167,054 180,688 13,634 0,81 Questa tavola è stata formata sugli Annuari dì Economia e Statistica di Parigi del 1864 al 1872, e da essi sono desunte le popolazioni a 10 anni di intervallo, con le quali vogliamo la nostra mettere in relazione. Essa ci mostra, che nell’accrescimento Palermo è superata da Costantinopoli e da Pietroburgo, città centro di due novelle civiltà e capitali d’ immensi regni, gareggia con Londra e Vienna, vince Parigi, Bruxelles, Madrid, Monaco, Berlino. Splendidi risultati son questi che assicurano alla nostra città un luminoso avveni- re. E se ciò ha potuto la sola libertà, controbilanciata dai mali irreparabili dalla ac- centrata unità, qual non sarebbe la sorte di Palermo, se a tanta attività e svi- luppo di popolo potesse concorrere la indipendenza amministrativa ? — IV. TERRITORIO, CASE, FAMIGLIE E POPOLAZIONE IN RAPPORTO FRA DI LORO Conosciuta così in complesso la popolazione dei due censimenti, egli è me- stieri, pria di esaminarla nelle sue varie qualità, lo studiarla in rispetto al ter- ritorio, alle case che abita, alle famiglie in cui si aggruppa, ai presenti ed as- senti all’ istante della numerazione, e al suo stato di dritto e di fatto. ì I tre quadri che seguono presentano a colpo d’occhio questo stato che noi vogliamo conoscere. E I MOVIMENTI DEL DECENNIO li (SI AGGREGATI, SUPERFICIE, CULTURA, CASR_E FAMIGLIE NEL 1861 B_NEL 1871 Bien NUMERO DELLE CASE - AT Og Ei no E ee FE ANNI =“ celeass Î SES DOSÌ9 Z| IN ETTARE | aprrarg| VUOTE | TOTALE | 2 Q 3 È < D De 1861 1193160 | 12431, 67, 41 148 15635 | 38301 ASTA -1193460 | 1263167,61| ‘9269 | 62 | 10504 | 46224 o yfin più 3 » di 224 » 7923 Differenza nel 1871f1 eno 3 ta 5355 L DOS ; POPOLAZIONE ASSENTE È PRESENTE LA NOTTE DEL 31 DICEMBRE 1861 E {871 ANNI 1861 1871 in più Diff. nel 4871( 10 Puo PRESENTI | r=TEe, “<"——«“e> ASSENTI _TrT_—"T2=ensa:è MASCHI |FEMINE!| TOTALE]MASCHI |FEMINE | TOTALE 97234 | 97229, | 1941463 | 3524 | 623 11447 109474 | 109924. | 219398 | 3350 | 641 3961 12240 | 412695 | 24933 » » < » » . 174 12 186 TOTALE GENERALE TT TETI MASCHI | FEMINE | TOTALE 100758 | 97852 112824 | 110535 198610 223359 12683 12066 » 24749 POPOLAZIONE DI FATTO F_DI DRITTO NEL 4864 E NEL 1871 CLASSIFICAZIONE della POPOLAZIONE SA di fatto 00060 I Assenti. .... ò Estranei RUI ee Pte 1861 Sottrazione ....... Popolazione di dritto n Popolazione di fatto ASSE NV EIN ent EStrAN CIR 1871 Sottrazione. . Popolazione di dritto Diff. in più nel1874 I (di fatto didritto CAMPAGNA Teo ——————e CIDTA' =, =-="="=== MASCHI |FEMINE | TOTALEJMASCHI |FEMINE | TOTALE RIUNIONE e MASCH! |FEMINE | TOTALE 83817 | 83808 | 167625 | 13417 | 143421 | 26858 | 97234 | 97229 | 194463 3427 371 3998 97 02 149 35241 623 1447 1076 185 1261 72 33 195 4148 218) 1366 2351 386] 2737 25 19 44 i 2376 403 | . 2781 86168 | 84194 | 170362 | 13442 | 13440 | 26882] 99610| 97634 | 197244 93015 | 93391 | 186406 È 16459 | 16533 | 32992 | 109474 | 109924 | 219398 2783 543 | 3326 567 68 635] 3350 611 3961 2062 235 | 2297 28 19 47 2090 254 | 2344 721 308 | 1029, 539 49 088 1260 357 1617 93736 | 93699 | 187433 | 16958 | 16582 | 33580 | 110734 | 110281 | 221015 9198 | 9583| 18781 3042 | 3112 6154 | 12240 | 126953]| 24935 7568| 9505] 170734 3356] 3142 6698 f. 11124 | 12647| 23771 12 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 18641 E 71 Come si vede il territorio non ha subito alcuna modificazione, nè la esten- sione delle terre dedite alle varie colture ha una marcata diversità dallo stato in cui da noi fu descritta nella relazione del censimento del 1864. La cultura sarebbe la seguente: ESTENSIONE = a Rapeorto | INDICAZIONE CULTURA BSRRRRITONIO SP e La i ETTARE |ARE |CENIT ETTARE | ARE CENT TOTALE CLASSI Semin. alber. e semplici . || 3 953 | 98|50] 3 953 | 98 | 50 3,780] 51442,9 Vigneti alber. e semplici. 750 | 28 | 24 750|28|24f 419.921] 9761,6 Olivehe eee 1002/8628! 1002|86|28] 414,904 33047,7 Giardini ed agrumeti . . . 844 | 66 | 89 Orti alberati e semplici. . 646 | 90 A PR 10,040] 19367,4 Canpett se 40 | 56 | 59 Sommachetl fee 1933199 si 2310|81|34 6,510] 30064,5 Ficheti d’India ed altro. . || 41036 |25 | 34 Boscate e frassineti . . . . 87/40/7094. 8740091 1710136840902 Pascoli i a 5 102|80|63| 5 102 |80|63 2,929] 66389,4 Terre a deliz.esuolip.case 250 | 00 | 00 250|00|00] 59,786] 3252.,6 Totale. ... {| 14 946 | 74|19]44 946 | 74/49 » 194463,0 Le case presentano una differenza in meno: che ove nel 1861 erano 15635 nel 1871 furono 10504, in meno 5134; e pare certamente un controsenso, che mentre la popolazione cresce le case diminuiscono; ma ove si ponga mente al modo diverso di come si censirono le case nel 1861 e nel 1874, questa diffe- renza sparisce; nel 1861 le case furono censite per il numero degli ingressi, nel 1874 per fabbricati in complesso, sicchè il numero si diminuì, mentre effet- tivamente le case sono cresciute. — Gli aggregati, cioè a dire le sezioni e le borgate, nel 1871 crebbero di 47; essendo stati 62 nel 1864, e 109 nel 1874, e ciò fu naturale, che ove nessuna alterazione fu portata alle sei interne sezioni, i casali e casolari della campa- gna col crescere della popolazione crebbero, e località che nel 1864 si censi- sirono insieme ad altre, o si compresero fra le case sparse, nel 1874 ebbero parte a solo, per la loro relativa importanza. Questi aggregati con le loro rispettive case, famiglie e popolazione vanno così distribuiti, seguendo la circoscrizione amministrativa. E I MOVIMENTI DEL DECENNIO SEZIONI DELLE CITTÀ AGGREGATI CASE IRFIDRBli 1 Palazzo Reale. .... 1 Castellammare. . ... 1 Monte Pietà i... 1 Molte tai 8 Oreto”. vv... 4 > DI COMUNI RIUNITI Zisa e Uditore Baida e Boccadifalco. . . Resuttanoe S.Lorenzo . . Mondello e Pallavicino . . Sferracavallo e Tommaso Natale fee Mezzomorreale e Porrazzi Brancaccio e Conte Federico. Falsomiele e Grazia . . . ® 0° 0 0 0 0 Une e 16 Gampagna 93 Totale... 109 AGGREGATI CASE CITTÀ FAMIGLIE POPOLAZIONE MASCHI FEMINE Da 1,007 7,842 19,147 19,214 38,361 1,250 7,633 18,648 18,693 37,941 i 998 ‘7,069 17,233 od 34,584 AGISIOI 7,036 FTO9ZAATAD5I 34,245 2014 7,135 15,281 15,334 30,645 03 ©: 2.624 5.643 5,647 — 11,260 7,146 39,336 93,015 93,394 186,406 CAMPAGNA FAMIGLIE POPOLAZIONE E OLIVA 632 1,464 3,269 3,284 6,553 387 896 2,164 92,173 4,331 389 718 TAT 4,757 3,504 425 673 1,629 4,631 3,256 238 478. 4426 4,434 9,257 290 619 1,550 1,558 3,108 579 1,995 3,449 0,458 6,900 418 645 1,536 1,541 3,077 3,358 6,888 16,459 16,533 32,992 RIUNIONE 7,146 39,336 93,015 93,391 486,406 3,358 6,888 16,459 16,533 32,992 10,504 46,224 109,474 109,924 219,398 13 Questo quadro ci mostra a colpo d’occhio quale sia il rapporto del terri- forio agli aggregati, alle case, alle famiglie. 414 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 18641 E 71 Il censimento del 1861 ci dava in media che ogni aggregato aveva in città, essendo il suo territorio di 25 ch. qu. e 6 le sezioni, un aggregato per ch. qu. 4, 16; in campagna, essendo 56 gli aggregati e 124 ch. qu. il territorio annesso, un aggregato per ch. qu. 2, 22. Il che mostra una tendenza alle grandi agglomerazioni; la quale tendenza pro- segue a mostrarsi più pronunziata nel censimento del 1874; e di fatti in questo ‘censimento , la città oltre le 6 sezionî ebbe 10 aggregati alle due esterne in tutto 16; e la campagna aumentò a 93 i suoi 56 casali; in modo che nel 1871 sì ha un aggregato per ogni ch. q. 4, 56 in città, e un aggregato per ogni chi- lometro q. 4, 33 in campagna. Le case in città nel 1861 erano 9249, e ne toccavano per ogni chil. g. 369, e in campagna, che erano 6386, ne contenea 51 ogni chil, q.; il 1874, per il di- verso sistema di censire le case, non si può mettere in rapporto col 1864; esso ci presenta in città 286 case per ogni chilometro quadrato, e 27 in campagna. Le famiglie per il territorio ci presentano fra i due censimenti una den- sità maggiore nel 1874, sorta per l’aumento delle famiglie nell’ultimo censi- mento; in modo che ove nel 1864 si avevano in città 1251 famiglie per ogni chilometro quadrato, se ne contano 1573 nel 1874; e in campagna si nota la stessa differenza: il 1861 presentava 48 famiglie in ogni chilometro quadrato, e il 14871 ne dà 55, e nell’assieme il primo censimento ci offre 257 famiglie per ch. q., e il secondo censimento 3410 famiglie nella stessa estensione di terreno. La stessa differenza, e anche più marcata, ci si presenta nel rapporto fra le famiglie e le case; il 1871 ha per ogni fabbricato un numero maggiore di fa- miglie; il 1861 ci dava in città 3,4 famiglie per ogni casa, il 1871 ci mostra per ogni casa 5, 5 famiglie; e in campagna il primo anno 0,9 famiglie per ogni casa, e il secondo per ciascun fabbricato ci presenta 2, 41 famiglie; nell’assie- me il 1864 ci dà 2, 4 famiglie per casa, ed il 1871 ci presenta 4, 4 per ogni casa. Questa differenza non sorge solamente per l’aumento delle famiglie, il che è naturale; ma per la diminuizione delle case nell’ultimo censimento, numerate in modo differente del primo. Non possiamo compiere questo parte di rapporti senza non dire della relazione delle famiglie agli individui; i risultati sono i seguenti: ANNO LOCALITÀ FAMIGLIE POPOLAZIONE INDIVIDUI PRESENTE PER FAMIGLIE 1861 (GIR cor 32267 167625 5,2 Campagna . 6034 26838 4.l Totale. . 38301 194463 5,4 cc o = ‘ .E I MOVIMENTI DEL DECENNIO 15 ANNO LOCALITÀ FAMIGLIE POPOLAZIONE INDIVIDUI 7 PRESENTE PER FAMIGLIE {871 Gritalcstoe: 39336 186406 4,7 Campagna . 6888 32992 4,8 Totale. . 46224 219398. 4,8 Da questi rapporti si ricava che mentre nel 1861 ogni famiglia conte- neva in media più che cinque membri in città e più di 4 in campagna, e nell'insieme si oltrepassava il 5, nel 1874, quantunque la popolazione fosse cresciuta, pure la città e la campagna sottostà al 5, con questa differenza, che la città diminuì di 0, 5, la campagna crebbe di 0, 4; la differenza del rapporto non è molto superiore. A questo fenomeno pare siano concorsi due elementi: l’ accrescimento di famiglie meno numerose, e la diminuzione di membri in famiglie che ne ab- bondavano; il che fu prodotto del fatto del militarismo e degli ordini religiosi. Nel- l’anno 1861 vi erano circa 4000 militari dippiù che nel 1874,i quali figuravano in poche famiglie , e tuttavia la leva militare non erasi che appena iniziata; mentre nel 1871 le famiglie si trovavano stremate dal contigente militare di più anni, quindi abbiamo una doppia detrazione d’individui. I conventi erano gremiti al 1861 di monaci appartenenti ad altri comuni, e al 18741 questi man- carono, perchè ritornati in patria; e i conventi rappresentavano poche famiglie e moltiplici individui. Oltre ciò l’ ospizio di Esposizione nel 1861 nonaveva di- latato il suo baliazgio esterno nei comuni vicini, come nel 1871. Ma egli è però da convenire che la città di Palermo non è tra quelle che presentano una media più bassa; il che importa che lo spirito di famiglia v'è ‘ radicato, e che la convivenza sotto lo stesso tetto è comune. Questi elementi di concerto, con una azione reciproca, hanno diminuito la media degli individui per ciascuna famiglia. i Gli assenti dalle famiglie son pochi, il che mostra che la emigrazione tem- poranea è scarsa; la città e il suo territorio e il movimento che vi esiste sono capaci di apprestare i mezzi di esistenza. Gli assenti stanno in rapporto alle famiglie e alla popolazione i in minima proporzione. i In città nel 1861 vi era un assente per ogni 8 famiglie, e per ogni 42 abitanti, e in campagna uno per 40 famiglie e per 180 abitanti. | I rapporti nel 1874 non variano di troppo; la città dà un assente per 12 famiglie e per 58 abitanti, e la campagna un ‘assente per 11 famiglie e per 52 abitanti. Nell’insieme il 1864 presentava per 9 famiglie e per 46 abitanti un assente; ed il 1871 uno per 10 famiglie e per 55 abitanti. 9 0) 16 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 1864 E 71 Questo fatto degli assenti non ha alcuna importanza, se non si mette in rapporto agli abitanti con dimora occasionale o di passaggio, che in una parola diremo estranei. Gli abitanti con dimora stabile e gli estranei costituiscono la popolazione di fatto; gli abitanti con dimora stabile uniti agli assenti, sottraendovi gli estranei, costituiscono la popolazione di dritto. In questa operazione vi hanno delle città che vi guadagnano, città che vi perdono;il quale fenomeno non ha grande importanza in una nazione, perchè gli assenti e gli estranei si compensano fra i varî comuni, dal cui assieme si compone la popolazione dello Stato. Ma non è così studiando una città isolatamente, questo compenso non sempre esiste, e vi ha chi perde, vi ha chi guadagna; Palermo vi perde. Essa perdè nel 1864, che ebbe 4147 assenti e 1366 estranei; essa ebbe una popolazione di fatto di 194463, mentre quella di dritto sarebbe stata 197244, in meno 2781, cioè perdè il 14, 3 per 1000. Essa vi perdè nel 1874, che ebbe 3961 assenti e 2344 estranei; essa vide ridotta la sua popolazione di dritto che sarebbe stata di 221015 abitanti a 219398, in meno 416417, cioè il 7, 3 per 1000. Fra i due censimenti la perdita si presenta relativamente maggiore nel 1861 che nel 1871. Resterebbe a studiare la popolazione dei due censimenti in riguardo al sesso, ma di ciò credo meglio parlarne quando dirò della popolazione per sesso e stato civile. Qui crediamo oppurtuno intrattenerci sulla densità, cioè sul rapporto della popolazione al territorio. V. DENSITÀ DELLA POPOLAZIONE Densità della popolazione importa conoscere quanti abitanti sono per chi- lometro quadrato, e ciò è utile studiarsi in rapporto ad altre città sia dell’Isola che dell’Italia, combattendo talune deduzioni che dalla densità hanno voluto trarre alcuni statistici. Ridotto in quadro il fatto della densità della nostra popolazione pei due censimenti cioè quello del 1861 e quello del 18741 avremo: CITTÀ CAMPAGNA EA "e o na ANNO TERRITORIO POPOLAZIONE DENSITA’ TERRITORIO POPOLAZIONE DENSITA’ IN K. Q. PRESENTE AB. PER K. Q. IN K. Q. PRESENTE AB. PERK.Q. 1861 25 167,625 6,705 4124 26,838 216 1871 25 186,406 7,456 124 32,992 266 E I MOVIMENTI DEL DECENNIO 47 Così abbiamo in totale, riunendo la città alla campagna , pei due censi- menti della popolazione, i seguenti risultati : ANNO TERRITORIO POPOLAZIONE DENSITA” INK. Q. PRESENTE AB. PER K. Q. 1864 149 194,463 1,305 1871 149 219,398 1,472 Media . ... 149 206,930 1,388 Osservando assolutamente la densità, come risulta dai due quadri, si scorge che la città l’ha massima, la campagna minima, e che l’anno più favorevole alla densità è il 1871; la popolazione è maggiore; il territorio è lo stesso che nel 1861, che contenea una popolazione inferiore. Relativamente tra la città e la campagna nel 1864, si trova che la den- sità della prima supera di 6534 quella della seconda; e nel 18741 che la città sovrasta alla campagna di 6190; la campagna nel 18741 ha guadagnato in densità; buon rapporto che può stare con successo di fronte a quello delle altre città. Volendo mettere la densità di Palermo in rapporto alle principali città di Sicilia e a quelle d’Italia si avrebbe: Per la Sicilia CITTÀ POPOLAZIONE TERRITORIO DENSITÀ nel 1871 in km. q per km. q. LOCO Roo Meo 219,398 149 4472 MESSINA 111,854 167 670 Galan a 84,397 164 544 Brione ia 33,634 265 127 SIFACusa eri Dio eo 29,179 224 99 CLEAR RE e ET 20,646 262 79 Galfanmissetta ito dn 26,156 403 65 Per l’Italia CITTÀ POPOLAZIONE TERRITORIO DENSITÀ nel 1871 in km. q. per km. q. Palermo eee 219,398 149 1472 Napoli ce o 448,335 267 1679 REA I 244,484 D D MORINO RA AR I 212,644 1274 167 Miano ea Ro 199,009 82 2497 renze e US, 167,093 40 4440 GENOVA (O n 130,269 98 1329 418 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 18641 E 74 Da questi prospetti risulta, che Palermo per densità sta sopra le città di Sicilia; che in Italia gareggia con Napoli e Genova, è superata da Milano e Firenze, vince Torino e tutte le altre città con cui l’abbiamo messa in rap- porto. | . Ma che cosa dedurre da questo risultato? In riguardo a noi crediamo che non è nulla a ricavare da una divisione di abitanti per territorio, così presa assolutamente; se fossero uguali i territori si potrebbe scorgere nei varii anni l'aumento della popolazione; ma nella forma in cui si costituisce la densità anche questo elemento è incerto; eppure non mancano degli statistici che ne deducono dommi, di cui taluno vogliamo mettere in discussione. Questi, sul fenomeno della densità, hanno voluto fondare una teorica, la quale a noi pare vacilli. Essi han detto, e hanno ritenuto, che la densità della popolazione sta in rapporto dell’incivilimento, e di conseguenza quanto più i paesi sono civili, tanto più sono popolati; il. numero maggiore d’individui su d’un chilometro quadrato è segno di maggiore incivilimento. Al che altri hanno aggiunto che il crescere della civiltà diminuisce il numero delle nascite ; in altri termini le cause produttive dello incivilimento apportano una diminuzione nelle nascite. Queste cose fra gli altri hanno detto e sostenuto il Guillard, il Moreau de Jonnès, e i di loro seguaci (4). Noi tralasciando di dire sul secondo fenomeno, che la civiltà diminuisce le nascite, del quale ci occuperemo in progresso , diremo quì del fenomeno della densità, e se sia vero che essa stia in rapporto dell’incivilimento. Questi due fenomeni che si dicono esistere: della densità della popola- zione in ordine all’incivilimento, e della diminuizione delle nascite in rapporto allo sviluppo della civiltà, sono stati confusi senza essere esaminati, e senza badare che sono contradittori fra di loro, e in opposizione ai fatti che sì cer- cano di addurre. Se è vero che la densità esprime incivilimento, l’incivilimento dovrebbe favorire le nascite, perchè queste accrescono la densità ; e sarebbe al certo strana l’azione dell’incivilimento che diminuisce le nascite e di conseguenza la densità, che ne è la manifestazione. L’errore in ciò nasce dal non avere stu- diato con profondità i fatti statistici dai quali ricavare i principi, e piantare le norme. I fatti sono i seguenti: La media della densità è 27 in Europa, 9 in Asia, 3 in Africa, 2 nell’O-_ ceania, 1,30 nell'America. Da ciò l’incivilimento dovrebbe correre colla stessa progressione della densità, che abbiamo osservato; da ciò verrebbe l'America (41) Vedi GuruLarp, Elementi di Statistica umana o democrafia comparata, Parigi 1833, — A. Moreau DE Ionnes, Elementi di Statistica, Milano 1353. — VANNESCHI, Elementi di Statistica , Pa- lermo 1861. E I MOVIMENTI DEL DECENNIO 19 in incivilimento al di sotto dell’Africa e dell’Oceania; se ciò sia vero, lasciamo ad ognuno il pensarlo. Pigliando a base taluni Stati d'Europa, per iscorgere se la popolazione di- stribuita per le varie divisioni politiche in rapporto alla densità sia sintomo d’incivilimento, ne verrebbe quanto saremo per dire: Starebbero alla testa della civiltà Amburgo e Brema che hanno una den- sità, la prima di 548, la seconda di 320, e alla coda della civiltà starebbero la Svezia e la Norvegia che hanno l’una 7, l’altra 4 di densità. Si vedrebbe in oltre che la Francia, l’Inghilterra, la Baviera, la Prussia, l’Italia, Annover che hanno una densità di 68, 88, 58, 60, 79, 47 starebbero in incivilimento alla pari o al disotto della Moravia che ne ha 88, della Moldavia e della Va- lachia che ne hanno 82. E venendo a maggiori particolari si vedrebbe che alla testa della civiltà in Italia stanno il principato di Monaco che ha una densità di 240, la repubblica di S. Marino che l’ha di 144, mentre le altre regioni italiane stanno al disotto di questa densità. Nella Gran Brettagna, l’Ir- landa sarebbe più civile della Scozia, perchè la prima ha 79 di densità, la seconda 36. E volendo metter occhio alla densità delle principali città dell’Italia e di Sicilia ne verrebbe, che alla coda della civiltà sarebbero Ravenna e Ferrara, che hanno la densità di 9 e 16; che Torino, che l’ha di 167, sarebbe vinta da Messina e da Catania che l’hanno di 607 e 544, che Trapani, che l’ ha di 115, vincerebbe Bologna e Livorno che l’hanno di 406; che Siracusa, Gal- tanissetta, Girgenti, che l’hanno di 99, 79, 65. vincerebbero in civiltà Lucca, Modena, Pisa e Alessandria che l’hanno di 38, 32, 26, 24; risultati che non rispondono alla verità dei fatti. Tacciamo delle grandi città straniere, per le quali sarebbero maggiori le contradizioni tra l’essere e il dover essere. Questi fatti mettono certamente in dubbio il dommatismo degli statistici, che dicono la densità essere il sintomo dell’incivilimento. Questa teoria va studiata con maggiore profondità , nè con poche cifre , quand’esse presentano i paradossi da noi mostrati. La civiltà non si può mi- surare alla stregua della densità, quando questa risulta da un elemento ca- suale, qual'è l’estensione del territorio; un popolo civile in un esteso territo- rio passerà per barbaro, e un popolo barbaro in ristretti confini passerà per civile, la densità non risultando che dalla divisione del totale della popolazione col totale dei chilometri quadrati, che costituiscono il suo territorio. Gli effetti da cui si rileva la civiltà son ben diversi. L’unica verità che si può ricavare si è che gli Stati che hanno un territorio più ristretto hanno una popolazione più densa, e che una densità di popolazione in territorio esteso è segno di uno sviluppo maggiore di popolazione, indipendentemente del suo incivilimento. E di fatti sono le città libere e i piccoli Stati che presentano una densità mag- 20 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 1861 E 74 giore, mentre minore i grandi. Ciò nasce dalla ristrettezza o ampiezza dei loro confini territoriali; nelle grandi città questa contradizione si rileva meglio. Se per avventura, stabilita in un dato anno la densità della popolazione di una città, di uno stato, questi nello stesso anno accrescono o diminuiscono il loro territorio, senza accrescere o diminuire la popolazione, che ne verrà? che, rifatta l’operazione artimetica, la densità si sarà diminuita, o accresciuta; avverrà una pertubazione cha non sarà in fatto; questo popolo in poche ore da civile sarà divenuto barbaro o da barbaro passerà a civile. Ecco un assurdo; e con esso ben si combatte 1’ errore. Egli è vero che la civiltà aumentando il ben essere fa crescere la popo- lazione, e questa, rimanendo lo stesso il territorio, aumenta di densità; ma da questo non si puo elevare un assioma incontrastabile; spesso le popolazioni crescono nella miseria e nell’abbrutimento, e tal’altre diminuiscono nel fiore della loro civiltà. Sono dei fenomeni che richiedono attento esame, e che fa- remo meglio a suo luogo, e quando avremo maggiori elementi a giudicare. NA POPOLAZIONE PER SESSO E STATO CIVILE La popolazione anzi tutto è utile osservarla per il sesso e per lo stato ci- vile. Il primo elemento addimostra la proporzione fra gli uomini e le femine; il secondo i rapporti di come stanno fra loro i celibi, i conjugati, i vedovi. Un’ alterazione di rapporto o una preponderanza di un sesso su di un altro, o di un modo di stato civile su altro, sono segni non dubbi di una maniera di essere anormale, di un perturbamento nella vita sociale. Ma anzi tutto venghiamo alle cifre. La popolazione per sesso e stato ci- vile nei due censimenti del 1861 e del 1871 si riassume nel seguente quadro: DELLA POPOLAZIONE PER SESSO E STATO CIVILE POPOLAZIONE POPOLAZIONE PER SESSO E STATO CIVILE T» 50,75 49,25 4,50 » (2) Elementi di statistica, Parte seconda, capitolo I. E I MOVIMENTI DEL DECENNIO 23 Per l’Italia CITTA” CENSIMENTO 1861 censiMmEnTO 1874 IN 100 ABITANTI IN 100 ABITANTI MASCHI FEMINE ECCEDENZA MASCHI FEMINE ECCEDENZA Palermo . . . 50,00 50,00 > > 49,90 50,10 » 0,20 Napoli o 194,057 (48:95. 2710,» 49,86 50,14 » 0,28 Romazt. 56,96 43,04 13,92 » Porno 52,09. LT.94 448 > (50,35 49,65 0,70 3 Miano Rie Re 2A 442 id 50,65 49,15 1,50 » Firenze... . 48,53 54,47 o 2,94. 49,65 50,95 » 0,70 Genova. . . . 52,05 47,95 4410 » 49,71 50,29 » 0,58 Questi due prospetti ci. mostrano per le città di Sicilia, come nel censi- mento del 1861 è la sola Palermo che presenta un bilancio, le si accosta Tra- pani; tutte le altre città, meno Catania, che ha una eccedenza di femine, hanno una esuberanza di maschi, con quest’ ordine decrescente: Caltanissetta, Siracusa, Messina, Girgenti. Nel 1874 i rapporti rimangono gli stessi; Palermo è Catania hanno una leggiera ed eguale eccedenza di femine, in tutte le altre città i maschi superano le femine, e Girgenti, che nel 1861 fu la città che presentò meno questo eccesso, nel 1871 è quella che lo presenta dippiù. In rispetto alle città italiane troviamo nel censimento del 1864, che al bilancio dei sessi, che trovasi nella città di Palermo, le si accosta Napoli; in tutte le altre città, meno Firenze dove eccedono le donne, superano gli uo- mini, con quest'ordine decrescente: Milano, Torino; Genova. Nel 1874 le pro- porzioni mutano; a Palermo si avvicina Napoli; gli uomini eccedono a Roma Milano, Torino; sottostanno a Firenze e Genova, quali ultime città in rap- porto al sesso non si trovano nelle condizioni del 1861. Come si scorge Palermo tanto nel 1861 come nel 1871 presenta un quasi bilancio di sessi; buona espressione dello stato fisico e morale del popolo. Questo fatto che poco più poco meno diversifica da quanto sì scorge presso le altre grandi città, ove di molto le femine o i maschi prevalgono, deve avere le sue cause. Noi crediamo, che ciò venga prodotto, in riguardo al:non esservi eccedenza di maschi: dalle poche truppe che in città si trovavano e dalla refratta immigra- zione che esiste nel nostro paese; e in rispetto al non esservi eccedenza di femine: dalla mancanza di emigrazione, dal non addirsi gli uomini in profes- 4 24 | 1 CENSIMENTI DI PALERMO DEL 18641 E 71 sioni randagie, dal non forte concorso di donne degli altri paesi. La qual cosa addimostra, che il bilancio è possibile, e che la popolazione di Palermo, che non presenta l'eccedenza , trovasi in condizione più normale delle altre, in cui gli estranei, le truppe, la immigrazione fanno eccedere i maschi, e in cui l'emigrazione e le professioni pericolose diminuiscono gli uomini; mentre la prostituzione e la miseria aumenta le donne, che degli altri comuni vengono nelle grandi città a trovare maggior campo ai sozzi guadagni, ai meschini la- vori. Il che può ancora darci un buon concetto, che mancano le grandi cause che accrescono o mietono la popolazione maschile, e diminuiscono o aumen- tano la feminile; e che per conseguenza la popolazione utile sta alla disutile in pari rapporto, e questa non vive sproporzionatamente a spese di quella, e non ne resta assorbita. Dal sesso passiamo allo stato civile, ancor esso fecondo di buoni risul- tati, ed ove più larga messe si può cavare di economiche e politiche riflessioni. Tre modi di essere costituiscono lo stato civile di un individuo: il celibato, il conjugio, la vedovanza. Oramai che lo stato di liberi e di schiavi, di signori feudali e di legati alla gleba, è quasi spento nelle incivilite nazioni, non albro che questo è lo stato civile delle persone. E questi tre differenti stati fan variare nell’individuo i dritti e i. doveri in rapporto alla società, ed alle varie istituzioni civili e militari. vs Una. popolazione, in cui i celibi superano la regolare proporzione coi con- iugati ed i vedovi, ci rivela una popolazione nella quale le idee morali di famiglia sono illanguidite ed in cui il mal costume regna. E da ciò maggiore il numero degl’illegittimi, degli scapoli, e maggiore la propensione ai disordini, alla milizia, ai delitti; come minore l’amore al lavoro, alla economia, alla pace, all’attività. Ove il numero dei conjugati e dei vedovi supera fortemente quello dei celibi può esser segno di una popolazione, sebbene morale e intenta al lavoro, pure misera, imprevidente, timida, oppressa, e disposta ad esser visitata dai più grandi infortunî ; imperciocchè la miseria comprime le forze vitali della popolazione, illanguidisce il lavoro e l’attività, sfiducia ogni speranza, e genera spesso gli eccessi che la vita celebataria produce. In riguardo al sesso, fra le divisioni delle categorie dello stato Ge: tro- vasi generalmente equilibrio, e se disquilibrio si rinviene egli è nelle femine celibi e vedove, quando la popolazione feminea supera la maschile; ma quando ‘la popolazione bilancia, eccedono di più i celibi sia maschi che femine. Il fatto costante si è che le vedove, qualunque sia la proporzione nei sessi della intera popolazione, superano sempre i vedovi; il che è indizio che gli uomini in vedovanza; sia che abbiano o pur no una famiglia, hanno maggiore pro- pensione e facilità al matrimonio che non le donne; imperocchè gli uomini non aventi famiglia, e rimasti vedovi, la cercano, adiempiendo al voto del E I MOVIMENTI DEI DECENNIO 295 primo loro stato; quelli che hanno famiglia sì ammogliano per trovare chi domesticamente la guidi; mentrechè dall’altra parte le vedove rimangano in questo stato, perchè non trovano negli uomini chi voglia addossarsi una prole non propria; e perchè in genere, a loro mancando la freschezza e le attrat- tive della prima età, trovano difficile un matrimonio, che facile riesce agli uomini di tutte le età, purchè abili a sostentare una famiglia col lavoro. Venghiamo dopo queste idee ad osservare la nostra popolazione sotto il rispetto dello stato civile e del sesso. I risultati sono questi : 1861 1871 STATO CIVILE SESSO STATO CIVILE SESSO MASCHI FEMINE TOTALE MASCHI FEMINE TOTALE Uelibi... -.. 614886. 55959 117845 Celibi . ... 70008 64466 134474 Coniugati. . 32562 32276 64838 Coniugati . . 36191. 35766 71957 Vedovi. .. 2786 8994 14780 Vedovigiet. 8275. 9692 12967 Queste cifre ci mostrano nel 1864: che fra 100 abitanti vi sono 60,6 celi- bi, 33,3 conjugati, 6,14 vedovi; il che importa che i primi sono il 60,14 per 100 della popolazione, i secondi il 33,3, i terzi il 6,4. E il 18741 ci mostra, che su 1400 abìtanti vi sono 61,3 celibi, 32,8 conjugati, 5,9 vedovi ; il che signi- fica, che i primi sono il 64,3 per cento, i secondi il 32,8, i terzi il 5,9 della popolazione. I Raffrontando i due censimenti si osserva che nel 1871 non v'è rimarche- vole differenza. i I rapporti medii ci mostrano che i celibi sono poco più che la metà della nostra popolazione; i coniugati più che il terzo; i vedovi circa un diciottesimo Il che, intorno ai celibi, trova riscontro nella popolazione di Parigi, ove i celibi costituiscono, giusta il Mureau de Jonnes, la metà della popolazione ; intorno ai conjugati, par che segua la proporzione delle città d'Inghilterra, ove secondo Heysham si trova un conjugato fra tre uomini; intorno ai vedovi però la pro- porzione sembra dilungarsi un poco dalle proporzioni stabilite dal Mureau de Ionnès; che ove, egli dice, la proporzione suol essere dal quattordicesimo al quindicesimo, fra noi è dal diciassettesimo al diciottesimo, quale diminui- zione è per altro conforme in certo modo a quella del censimento francese del 1851, ove il numero dei vedovi fu minore degli anteriori censimenti. Volendo raffrontare lo stato civile in complesso in relazione alla popola- zione delle principali città dell’ Isola e del Continente italiano si ha: . 26 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 18641 E 71 PER LA SICILIA PER L'ITALIA IN 100 ABITANTI IN 100 ABITANTI CITTÀ CELIBI CONIUGATI. vEDOVI CITTA’ CELIDI CONIUGAMI VEDOVI Palermo . . . 61 39 6 Palermo... 64 33 6° Messina. . .. 59 34 Ti Napolis 1. 59 34 7 Catania, ... 59 59 8 Romait sc 060 33 7 Caltanissetta . 59 34 7 Torinog. Wi: 59 33 8 Siracusa . .. 62 32 6 Milano .... 59 33 8 Girgenti . . . 59 34 7 Firenze . .. 56 36 8 Trapani... . 60 38 7 Genova ... 60 32 8 Queste cifre, che per poterle meglio raffrontare abbiamo ridotto per 100 abitanti, ci mostrano che Palermo, di fronte alle città di Sicilia, in superiorità di celibi è solamente vinta da Siracusa; tutte le altre città, che hanno fra loro lo stesso numero di celibi, le sono di poco inferiori; che pei coniugati sta nel mezzo, l’uguaglia Catania e Trapani, le sta al di sotto Siracusa, è vinta da Messina, Caltanissetta, Girgenti; che pei vedovi insieme a Siracusa, ne ha meno che le altre città; più di tutte ne ha Catania, e vengono dopo con pari cifre Messi- na, Caltanissetta, Trapani. In rispetto all’Italia le differenze sono maggiori; Palermo in riguardo ai celibi vince tutte le altre città, le si accostano Roma e Genova, esce dalla media ordi- naria Firenze che ha meno celibi che le altre città d’Italia; con pari numero Napoli, Torino, Milano le sottostanno di poco; in rispetto ai conjugati Palermo ha una cifra media; è superata da Firenze e Napoli, sta al di sotto di Genova, cammina alla pari di Roma, Torino, Milano; in ordine ai vedovi Palermo ne ha meno che tutte le altre città; con pari numero le si accostano Napoli e Roma, è di molto separata da Torino, Milano, Firenze, Genova che hanno fra loro lo stesso numero di vedovi. ' In una parola Palermo ha più celibi che le altre città principali del Regno, ha meno vedovi, ha medii conjugati; e, se si vuole, è fra le città che meno ne presentano, il che ha raffronto con quanto dicemmo in altro lavoro: Palermo se si vuole è fra le città che danno meno matrimonii (1). VII. POPOLAZIONE PER ETA”, SESSO, STATO CIVILE, ISTRUZIONE La popolazione pei due ‘censimenti, distinta per età, sesso, stato civile e istruzione presenta questi risultati. (4) Statistica della Città di Palermo vol. Il, Movimento della popolazione dal 1862 al 1864, Introduzione p. XXXIII. = GI E I MOVIMENTI DEL DECENNIO TOL9L s 6689 ST6SE 98E6F 9E876 L38S 65076 I6T6T CGIL QUILUA,] | TYOSEK f outtua]| 1YISEN 18609 l/ 966E 68766 ESOLI 69787 €099 L%07 ULIVI LESST T69TE €067 6666 €8607 9TS6 TG006 LVLI L4L8 89€89 VISLI 87 ESTEI E69ST €80ST 9ET08 66ST 6607 || S6E6Te e 9 VANI 69097 eLe || 8980 8E7 86179 667 L6189 S6S EIT7TOI < s ES OGEGEÌ 066 CEESO re 17SSS 16 TLE09 QUIWIA.T| IYOSEN _———rtvvovo;- <->" —_—____g Py x 3 (©) 3 TUHAIYOS QUITAMOIS = MAIDA WUADIANT AYIIOITI ONNYS © ONNYVS NON ONNVS Q ti D = HNOIZAOULSI ] TEO6O0T] #L7601 s li 7798 | ScoL GESIGE | ETESE T760€ | F8IEE 9LITE | TS%7E 666L6 | TECLE ‘9 7, 671L TLT9 VUrmaT| Mose ||Pururag | IYOSEH fOUTUA,]| 1OSEN fVULUIAS | OSE PTT _— _ | —_—T_TrT—>— |_—_—_—_—-__-- <-> - rr or OSSIS YYd UTVLIOL 869 687 « “« 0678 | 6698 | LOGS | #18 696 | SLEG | 99LGE | T6T9E | 99779 | 8000£ CI « 6 l/ 6£96 TSI | EISG | 7017 676 | 0867 OTES 1797 | TOCE | 7FIGG Y COL 8578 ITEOT | EL69 | E610% | 8TT9T s G OLOTE | TESTE 078 66 7668 | 982% Vi « LI CI 17 ILEGE | GIGCE || 6E6GG | 98879 CIGE | SG6CI Q| LOC | 97SE | 6197 CELT LEGS | LOVI | L89168 | L8EEG | 0869 | SEGL SLE8 | 6699 TEGLI | OVVEG 067 98 IAOGHA ILVOAINOD UTTAIO OLVLS ANOIZANISI ‘TINTO OLVIS ‘OSSAS ‘VII WII INOIZVIOdOT VITTO 70 | 68L66 IXITH9 ouQu U u ‘nd i } FL8I [9U ezuosegia ** * NIVLOL *** 0% ns ul è 00F SE) AC409) a 10000. 09 è 0L (EL8F cereeeete 9g tere. ERO «eee ++ * «ns Ut 00K sere ‘005 è 09 vo ****** 09 è 06 >F98F venete 088 SF severe. 80 VILH IG UTTODHLVO 28, I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 1864 E 741 Il sesso e lo stato civile che venne in complesso presentato nella prece- dente tavola, in questa è messo in rapporto alla età e alla istruzione; anzi questi due elementi costituiscono la parte principale; perchè essi servono a misurare la popolazione sotto il prospetto della forza fisica e della potenza morale; in somma essa esprime tutta la popolazione come un sol uomo nella sua parte fisiologica e nella sua parte pisicologica; L’ età va divisa per gruppi che vanno: 4° della nascita a 15 anni, 2° da 415 a 30 anni, 3° da 30 a 60 anni, 49 da 60 a 100 anni, 5 da 100 anni in su. Il 2° e il 3° gruppo rappresentano la parte veramente utile alla società, cioè le persone che col lavoro della mente o del braccio creano la ricchezza; il 41° gruppo è la speranza sociale; gli ultimi, come si avvicinano all’ età più decrepita, rappresentano la parte inabile, che ha dritto alla vita e alla pubblica assistenza, perchè viene di aver lavorato e contribuito alla generale ricchezza. La istruzione mostra coloro che sanno leggere solamente, che sanno leg- gere e scrivere , o che non sanno nè leggere nè scrivere; essa rappresenta lo stato intellettuale della popolazione e sino ad un certo punto il morale, perchè quasi sempre l’educazione della mente va congiunta all'educazione del cuore. E sebbene le sterili cifre di saper leggere e scrivere non possono servire di misura dello svolgimento intellettuale e morale di un popolo, perchè sono ben altri gli elementi da cui si rileva; pure accennano sempre ad un fenomeno che può significare qualche cosa in ordine allo stato morale. E quando poi l’ elemento della istruzione è messo in rapporto alla età, al sesso, allo stato civile, relati- ‘vamente addimostra ove abbonda la istruzione : se negli uomini o nelle donne, se nelle giovani o nelle tarde età, se nei celibi o negli altri modi di stato civile; il che apre l’adito ad importanti ricerche. Così età, sesso, stato civile, istruzione dànno uno schizzo dello stato economico e morale della popolazione, e della sua forza produttiva in ordine alla formazione e alla consumazione della ricchezza. Venghiamo a far breve analisi di quanto in sintesi abbiamo accennato; e in prima in ordine all’età. La forza fisica e intellettuale di un popolo si osserva (fatto il censimento in .una data epoca) dal numero maggiore degli esistenti da 15 a 30 annie da 30 a 60, in rapporto agli esistenti da 0 a 15 e da 60 in su; imperocchè è quella, che sta nel mezzo, la popolazione utile all’industria, alla società, alla guerra; mentre agli estremi è la popolazione per dir così inutile, che ha dritto a stare a peso dell’altra, perchè le persone del primo periodo devono divenire utili, quelle dell’ultimo lo sono state. «È chiaro, dice il Gioja (1), che supposto uguale numero d’individui in due popolazioni, quella sarà fisicamente e intellettual- (4) Filosofia della statistica, L. 11, sez. I, cap. 4. “a: ia E I MOVIMENTI DEL DECENNIO 29 mente più forte, nella quale abbonderanno più gli uomini a fronte dei ragazzi. » Una popolazione, in cui abbondano i ragazzi, è una popolazione in cui gli uomini non giungono alla virilità; è una popolazione in cui la mortalità rapisce più gli utili ed industriali uomini, che i ragazzi, i quali in quel dato periodo, in cui sono censiti, rappresentano lo stato fisico, intellettivo, politico ed economico del popolo. La vita media diviene più breve, perchè quanto meno sono gli anni che si dividono ai morti, tanto meno sarà la vita media; la vita probabile sarà anche meno, perocchè presa una cifra certa, vedrete che quanto meno giungeranno alla vecchiaia, tanto meno saranno gli anni che gli restano a vivere. Questa tavola in fine può fare arguire la mortalità del paese, essendo quest'ultima una base, ma non la sola delle leggi che governano la popola- zione; dappoichè conoscere come in un dato periodo è distribuita in ordine alla età la popolazione, importa sapere quanti ne mancano in ciascuna età, cioè quanti ne son morti; ma di ciò, meglio è a dire nei movimenti. Nè lo stato politico può esser preterito; perocchè le età ci addimostrano di quali uomini possa disporre il paese in tempi di guerra, quante forze utili possano essere messe in moto, di quale potenza sia la nazione. E l'economia vi può cavare, quanti uomini si possano addire al lavoro, quanta quindi potrebbe essere la forza produttiva del popolo. : Secondo queste premesse i nostri censimenti in riguardo alla età ci pre- sentano i seguenti risultati: NEL 1861 soa Alan SESSO SESSO ANNI ee Cera ‘Da 15a 30. 29,155 = 26,386 53,544 93,184 . 30,944. 64,128 Da 302/60. 32119 33,204 65,323 35,243 35,655 . ‘70,868 TOTALE . . 64,274 59,590 420,864 68,397 66,199 134,996 Da 0al5: 29,789 30,465 60274’ 34451 34676 68,127 Da 60insu 6,474 TAS4 413,325 7,626 8,649 16,275 toraLr . 35,960 37,699 73,599 42,077 43,325 84,402 Il primo gruppo rappresenta la parte utile, il secondo quella ch’è di peso; nei sessi quasi bilanciono ; e mettendosi in rapporto fra di loro ci mostrano che nel 1864 la parte utile superava la disutile di 47265 individui, cioè vi hanno 30 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 18641 E 71 per 60 inutili 100 utili; che nel 1874 la popolazione produttiva supera di 50,594 anime la improduttiva, cioè s’ incontrano per 62 inutili 100 utili, nell’ assie- me i due censimenti ci mostrano che la popolazione dà dei buoni rapporti, e se rela- tivamente nel 1871 questi rapporti appajono di poco inferiori, è sempre segno che la forza fisica ed economica del paese è quasi nelle identiche condizioni, che la vita media non è breve (4), che la vita probabile dà speranza a vivere (2), che il paese ha molte braccia vigorose per difendersi in guerra (3), che vi hanno buone menti e mani perite che possono lavorare, produrre ed accrescere la somma dei beni morali e materiali della città, che compongono la ricchezza di un popolo. Osserviamo adesso la popolazione in rispetto alla istruzione. La istruzione è l’anima della società; per essa gli uomini conoscono chi furono, chi sono, qual’è il loro destino; la istruzione popolare rigenera le masse e le fa degne di migliore avvenire, e capaci di grandi riforme. Dal che il detto di Lebnizio : datemi l’ istruzione pubblica per un secolo ed io vi riformo il mondo. La superiorità delle moderne popolazioni sulle antiche devesi in gran parte alla istruzione, la quale forma il cuore e nobilita gli affetti, educa la mente e rafforza la volontà, insegna a far meglio le operazioni più meccaniche delle arti e delle industrie, e spinge il loro sviluppo; pelchè vero quel che avanti dicevamo, che la istruzione addimostra non solo lo stato intellettuale del po- polo, ma anche il politico e l’economico. Imperocchè l’ istruzione, agendo sul- l'andamento politico e sullo sviluppo economico, è quasi sempre segno di sì importante elemento del progresso. Ma non per questo dee affermarsi che il numero di quelli che sanno leggere e scrivere sia il vero segno dello stato in- tellettuale di un popolo, siccome avanti avvertimmo. La istruzione studiata in rapporto dell’età e del sesso ci può rivelare la istoria intellettuale di un paese , osservando il predominio della istruzione nelle giovani età in rapporto alle antiche ; come il sesso, oltre la preponde- (4) Ecco la vita media di Palermo secondo il signor D. Ragona e G. Vanneschi : Secondo Ragona (maschi) anni 34 Re, Seconda Ragona (femine) » 30 > Base del calcolo dalla nascita per 1000 individui Secondo Vanneschi (maschi e femine) » 32 (2) Ecco la vita probabile di Palermo: ETÀ DELLA VITA SECONDO RAGONA SECONDO VANNESCHI Maschi Femine Maschi e Femine Nascita 24. 0 30. 6 47. 3 _ 5 anni 43. 0 52. 8 47.9 40 anni 38. 7 18. 4 43. 5 20 anni 33. 2 39. 8 36. 5 40 anni 22. 2 26. 4 24. 3 60 anni 12. 4 13. 9 12. 5 75 anni 4.9 4. 8 4. 8 (3) Le liste di leva della città di Palermo presentano annualmente da 2 a 3 mila iscritti. A E I MOVIMENTI DEL DECENNIO 34 ranza di istruzione dei maschi sulle femine, può rivelare i costumi di un po- polo, e la condizione in cui è tenuta la donna. Comunque si fosse, volgendo l’occhio alla istruzione della città di Palermo, in rapporto alla età e al sesso, e pei due censimenti, si hanno i seguenti risultati: ISTRUZIONE PER ETA’ E SESSO NEL -————T T_____czs__/y/TFTFTFy-+-y>y—y—->T-____t________ ___—_—__.——__________ 1861 1874 ce rei CnemtaRAi LerteRAni DI ETÀ Maschi HFemine Maschi Femine Maschi Femine Maschi l'emine 0a15 4364 9863 ‘25425 27629 15282 9840 18149 24836 15 a 30 413598 7490 © 15557 19196 16134 11558 = 417053 419386 30a 60 10945 94145 2174 24059 12751 9710 22482 25945 60insu 2124 1822 4047 5332 4399 24145 3227 6594 TOTALE 31031 21020 66203 76209 48543 33223 60931 76701 Queste cifre ci mostrano che fra noi la istruzione non è trascurata del tutto; e facendo un confronto tra il 1871 e il 1861 troviamo, che in 10 anni noi siamo progrediti. A meglio istituire questo paragone, riduciamo per cento il numero di co- loro che sanno leggere e scrivere, distribuendoli per sesso e per categoria di età. ISTRUZIONE SU 100 ABITANTI PER SESSO E PER CIASCUNA CATEGORIA DI ETA” NEL —._rrr-r-r.r.rr.. -_T—_ pw ___P____—_—T—PP——__m6@ 1861 1871 CATEGORIE e a LATTERATI TILT DI ETÀ Maschi Femine Maschi Femine Maschi Femine Maschi. Femine 02418 720 48.422 45,8 224 144 26,7 36,5 15a30 245 129 280 346 25,2 4180 26,6 30,2 30260 16,8 13,9 324 36,9 Mo 6 60 in su 15,9 43,7. 30,4 40,0 27,0 43,0 198 40,2 Il 1861 mostra come la istruzione sia maggiore nella età da 15 a 80, e minore in quella da 0 a 15 ; e di fatti la prima ha il 19 per 400 e la seconda il 6; le altre due categorie di età, cioè da 30 a 60 e da 60 in su, dànno il 16 per 100; il che mostra come la prima età non riceveva che pochissima istru- zione di fronte alle altre, e che quella da 15 al 30 era la più istruita, perchè nata in un periodo a noi più vicino, in cui si cominciava a sentire il bi- sogno degli studii. 5 32 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 1864 E 71 Il censimento del 1871 presentò un fenomeno differente; le categorie di età da 0 a 15 e da 60 a 400 anni hanno più numero d’istruiti, la prima ne ha il 48 per 109, la seconda 20; le altre due età, cioè da 15 a 30 e da 30 a 60, ci dànno una istruzione superiore più nella prima, ch'è del 24 per 100, che nella seconda, che è del 16; il che rivela che l’istruzione è cresciuta in tutte le età e specialmente nella prima e nell’ ultima; bambini ed adulti sono corsi alla scuola per acquistare l'istruzione. E difatti, raffrontando età per età, si trova che nella prima categoria il 1871 vince il 1861 di un 42 per 100, nella seconda di un 2, nella terza e la quarta di un 5; splendidi risultati che assicurano un importante sviluppo. Osservando i due censimenti per categorie di età in rapporto al sesso, si trova pella prima, che nei maschi l'istruzione è cresciuta del 15 per 100, nelle femine del 5; pella seconda che nei maschi è cresciuta dell’ 1, nelle femine del 5; pella terza che nei maschi è cresciuta dell’1, nelle femine è in bilancio; pella quarta che nei maschi è cresciuta dell’14, nelle femine di 07; così si ha che relativamente l'istruzione è più cresciuta negli uomini che nelle donne. A chiarire meglio in complesso questo relativo aumento, e a poterlo met- tere in rapporto, diamo quì l'istruzione per sesso su 100 abitanti dell’intera popolazione. SESSO PER 1400 ABITANTI NEL 18641 PER 100 ABITANTI NEL 1874 Maschi ... 16,0 34,0 SI 27,8 Femine. . . 10,8 3959 15.4 35,0 TOTALE . . +. 26,8 13,2 37,2 62,8 Queste cifre mostrano, come in 100 abitanti nel 1864 erano istruiti 26,8, dei quali 16,0 maschi, 10,8 femine; e che nel 1871 crebbero a 37.2, così distinti: 22,4 maschi, 15,1 femine; cosichè l’ istruzione in 10 anni è cresciuta nell'insieme di 10,4 per 100, nel quale aumento i maschi concorsero per 6,1 e le femine per 4,3. Egli è certamente un miglioramento, che speriamo corra sempre con la stessa progressione; e allora vedremo gradatamente sparire la mostruosa cifra degli analfabeti, e gareggiare e superare le altre città italiane che sono più avanti di noi. Sì fatta conclusione ci porta a raffrontare la istruzione di Palermo con quella delle principali città di Sicilia e d’Italia, i cui risultati anche per 100 abitanti sarebbero i seguenti: . E I MOVIMENTI DEL DECENNIO 39 Per la Sicilia Per l’Italia _—@% zz. .r ups Pt CITTÀ su 100 ABITANTI CITTA’ su 100 ABITANTI LETTERATI ILLETTERATI SME Palermo... 9115251 62,73 Palermo ... 37,27 62,73 Messina. ... 18,45 81,55 Napoli. .... 35,25 64,75 Catania... . 20,76 79,24 Roma 52,65 47,35 Caltanissetta 10,24 89,76 Torimo:...x. 70,30 29,70 Siracusa . .. 22,74 771,26 Milano... 77,08 DMI Girgenti . . . 18,74 81,26 Eirenze Nite 60,10 39,90 Trapani. ... 17,85 82,15 Genova .... 60,13 39,87 Come si scorge, Palermo, fra le città Siciliane, è alla testa per istruzione con una marcata differenza; Siracusa, che, dopo la nostra città, va innanzi, le rimane al di sotto di 14,51 per 100, e Caltanissetta che è alla coda di 27,03; le altre città vanno con questa scala decrescente: Catania, Girgenti, Messina, Trapani; dopo Palermo è Siracusa in Sicilia che ha popolazione più istruita; e Messina, che ha il secondo posto per importanza fra le città siciliane, ha il ferzo in rispetto alla istruzione. Nel rapporto con le principali città d’Italia Palermo vince solamente Na- poli, ed è al disotto di tutte le altre città. Per la istruzione in Italia, secondo questo quadro, Milano e Torino avrebbero il primo posto; Firenze e Genova verrebbero dopo alla pari; e alla coda starebbero con progressione decrescente Roma, Palermo, Napoli. Questo fenomeno rivela come l’istruzione elementare sia stata trascurata negli ex regni di Napoli e di Sicilia, tanto da presentare sì brutto spettacolo; e più in Napoli che in Sicilia; difatti Palermo e Napoli, le capitali dei due reami uniti, presentano come quella di Sicilia vinca in istruzione la capitale del Napolitano. Delle altre città dell’ Isola non parliamo: l’ ignoranza predomina sulla istruzione. Da questi rapporti non è lecito però arguire che la città di Palermo stia al di sotto di cultura delle altre città dell’Italia, come mostrano i rapporti; ciò può servire ai detrattori di Palermo per calunniarla, ma non è la verità. Que- sto incerto sintomo non è la manifestazione dello stato morale ed intellettuale di un popolo. E siccome non è una cifra minima d’analfabeti il sintomo della istruzione di un paese, così una massima, e molto più una media, non è il sin- tomo della barbarie. La istruzione di un paese si ricava dai mezzi che appre- sta, e dai risultati che dà; sono le Accademie, le Università, i Licei, i Musei, le opere che si pubblicano, gl’ingegni che vi fioriscono che rivelano il grado di cultura di una popolazione. Una superficiale istruzione che insegna solo a leggere e scrivere darà una cifra minore d’analfabeti, ma non farà per nulla 94 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 186% E 71 crescere la civiltà; che anzi le statistiche penali si aumentano di cifre per de- litti e crimini di questa razza di gente, che figura nei censimenti istruita come ai grandi scienziati e letterati (1). La istruzione che cresce per super- (41) Dalle accurate ricerche dei signori Guerry. Dangeville, Morugne e Michel sull'istruzione dei delinguenti, risulta che non è l’ingnoranza ehe dà maggiori delitti, anzi le statistiche portano ad am- mettere : «A. Che più l'istruzione si è andata diffondendo d’anno in anno, più il numero dei delitti accrebbe in proporzione analoga. « 2. Che nel numero di questi crimini o delitti la classe degli accusati che sa leggere e scrivere figura per un quinto dippiù che la classe degli accusati del tutto illetterati; che la classe degli ac- cusati che hanno ricevuto un alta istruzione ci entra per due terzi dippiù, fatta la debita propor- zione tra le cifre rispettive della popolazione in ciascuna di quelle classi. «In altri termini, mentre. 25,000 individui della classe affatto illetterata danno. . . LL... 5 25,000 individui della classe che sa leggere e scrivere ne danno più di ..... 6 { Accusati 25,000 individui della classe che ha ricevuto una istruziorie superiore he danno più di 15 } «3. Che il grado di perversità nel delitto e la probabilità di sottrarsi alle ricerche della giu- stizia ed alla punizione della legge sono in proporzione del grado d’istruzione. «4. Che i dipartimenti nei quali è più diffusa l’istruzione sono quelli che offrono il maggior numero di delitti; ch'è come dire cresce in quelli la moralità in ragione inversa della istruzione. « 5. Che le recidive sono più frequenti fra gli accusati che hanno ricevuto una istruzione che non fra coloro i quali non sanno leggere e scrivere. « Qui, saggiunge Michel, nasce una riflessione che i lettori avranno già fafto prima di noi, vale a dire che una infinità di delitti segreti o pubblici, i quali offendono la probità e la morale pure sfuggono alla vendetta dei tribunali. Ad ogni tratto la legge rimane impotente e muta in faccia ad azioni riprovafé dall'opinione; e innanzi a questa medesima opinione, quante azioni alle quali si acconcia e si presta l’onore del mondo, sarebbero giustamente svergognate dal tribunale della co- scienza e della giustizia rigorosa! Se lo scandalo di ricchezze acquistate con frode; di ambizioni sod- disfatte a prezzo di spergiuri, di principii rinnegati ; di patti vergognosi; di passioni appagate a prezzo dell’ onore e del riposo d’infelici vittime sedotte e sagrificate più con cinica impudenza ; se questi scandali si manifestano colla luce del giorno e fanno mormorare contro la pazienza della di- vina giustizia, è forse la classe povera e ignorante che li da? È dessa forse che trova nei vantaggi , della condizione, nell’ascendente stesso di una più fina istruzione a l'abilità necessaria per eludere la legge e la potenza per sottrarvisi? Ne viene che quand’ anche si ammettesse l’empia opinione che l’istruzione rende gli uomini perversi, un sentimento di giustizia e di generosità indurrebbe a de- siderare che questa si estendesse e si propagasse non già per migliorare i popoli, ma perchè in quest’universale guazzabuglio di tutti gl’interessi e di tutte le passioni eguistiche la lotta almeno diverrebbe leale, e tutti potrebbero assalirsi e difendersi ad armi uguali. » Questo passo, che potrà sembrare esagerato, presenta però quanto basta per provare il mio assunto; in altra occasione pubblicherò le cifre degli accusati in Italia, mettendoli in rapporto alla istruzione propria e a quella di tutta la popolazione; ma fin da ora si possono dare talune cifre con- plessive, che servono a confermare il nostro giudizio. La statistica giudiziaria penale pel regno d’Italia 41870 porta che in tutto il regno furono condannati 29,636 illetterati e 14,813 letterati ; mettendo i rapporto i primi al totale della popolazione analfabeta, e i secondi al totale della popolazione istruita, giusta il censimento del 1874, si ha: che fra 100 individui illetterali ne furono condannati 0,13, e fra 100 letterati 0,16, così si rileva che i letterati eccedono gl’ illetterati; in altri termine riducendo a pari numero gl’illetterati e coloro che hanno ricevuto istruzione si trovano ìn 100 condannati: anal- fabeti 48,4, letterati 51,6. Cosueicna, E Î MOVIMENTI DEL DECENNIO 35 ficie, manca per profondità, mi sia permessa la frase; la prima dà meno anal- fabeti, la seconda ne presenta di più; ma è questa la istruzione che assi- cura la civiltà, che, indipendentemente dal leggere e dallo scrivere, forma per la parola e l’esempio la educazione del popolo, e lo rende più morale e più dotto. Con ciò non intendo che l’istruzione elementare non sia un gran bene; ma voglio ricavarne che non perchè la nostra città presenta molti analfabeti sia meno culta di un altra che ne mostra pochi; e in cio noi crediamo che nes- suno può rinfacciarci di aver torto. VII. POPOLAZIONE PER PROFESSIONI E SESSO La popolazione distinta per professioni e sesso è di grande importanza; perch’essa mostra a prima vista lo stato economico e politico della. città, la sua distribuzione nelle varie classi sociali, e quindi la ricchezza o la miseria, la civiltà o la rozzezza, il buonoo cattivo ordinamento sociale. Su questa parte i due censimenti diversificano nelle ricerche che s’intrapresero. Quello del 1861 portava le professioni, oltre al sesso, distinte per età e relazioni domestiche; l’età erano distinte nei gruppi che abbiamo riprodotti nella passata tavola; le relazioni domestiche consistevano nel conoscere per ogni professione i capi o inon capi di famiglia. Quello del 1871 lasciò l’età negli stessi gruppi, ma soppresse la distinzione per relazioni domestiche, aggiungendo, invece, lo stato civile, cioè per ogni professione conoscere i celibi, i coniugati, i vedovi. Io qui non m'intrattengo a dire se l’innovazione sia stata utile o pur no; ma constato il fatto per mostrare , che in ordine a queste due conoscenze delle relazioni domestiche e dello stato civile, non si possono istituire dei confronti fra i due censimenti; e quindi non possiamo considerare nel presente lavoro la popolazione sotto questo rispetto, come altresì bisogna trasandare l’ elemento dell'età in ogni singola professione, tenendone conto soltanto nello studiare la popolazione senza professioni, perchè è allora solo che l’ età ha la sua im- portanza, onde conoscere se veramente viva a spese altrui la popolazione che vi ha dritto, cioè i fanciulli e i vecchi, o quella delle altre età; e qui ancora ha grave importanza il sesso, per sapere se siano donne o pur no quelle che non esercitano alcuna professione. Ecco intanto il quadro che porta pci due censimenti la popolazione di- stinta per classi sociali e per sesso. I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 1864 E 74 Ke) (oe) Lee” 99 GO | SLI66 | OOLEI | ="="="="==-s Fr°€e€©€*«-*+e===='i''({(|(|F OSSAS 1 INOISSIMOUA USI FNOIZYTOdOA VITI E I MOVIMENTI DEL DECENNIO 37 A colpo d’occhio ben qui si osserva, come i 116 gruppi delle professioni, in cui è distinta la popolazione del 1864 e 155 gruppi in cui è partita quella del 1874, sieno stati ridotti in 8 classi, che la mostrano Proprietaria e capita- lista, Esercente professioni libere, Agricola marina estrattiva, Manifatturiera, Commerciante, Esercente arti e mestieri, Inferiore, o Senza alcuna professione. Il predominio di una classe su di un’altra può svelare a prima vista lo stato sociale ed economico del paese; se in esso predomini la proprietà fondiaria, e la capitalizia, o dell'ingegno; se il lavoro delle arti e mestieri o quello agrario, manifatturiero, del commercio o delle professioni inferiori; se infine la popola- zione seuza professione sia tale da gravar fortemente sulla intera massa del po- polo, o vi stia in regolare proporzione. E allorchè questo lavoro si metterà in rapporto al sesso e all’età spun- terà più adeguato il giudizio, nè recherà meraviglia il numero di coloro che senza professione vivono a spese della società. Egli è certo, che il ben essere sociale viene costituito dall’equilibrio fra le varie classi della società; in altri termini dal destino che è imposto agli uomini quaggiù. Il lavoro è suprema legge della umanità, il capitale è l’anima delle grandi industrie e degli splendidi commerci, la terra è la madre delle materie pri- me; e una popolazione in cui son molte le classi, che vivono col lavoro sia della mente che del braccio è una popolazione progrediente ; e una popo- lazione in cui i capitalisti e gl’imprenditori stanno in giusto rapporto col resto della società è una popolazione ricca; e una popolazione in cui i possessori delle terre sono molti, vi rappresenta una popolazione ove le materie di lavoro abbondano. Sembra cessato, grazie Dio, in Europa il tempo in cui la popolazione si distingueva in nobili, in clero, in liberi, in legati alla gleba; oggi nella libertà ed uguaglianza, il lavoro solo distingue gli uomini, per quel che fanno, e per quel che possono fare ; e la distinzione sta riposta tra coloro che vivono ac- crescendo la somma della ricchezza sociale, e tra coloro che consumano a spese della società. Osserviamo nella nostra città come stanno disposte le classi sociali, e quale sia il loro rapporto con la massa della popolazione pei due censimenti. A facilitare il lavoro di raffronto, giova ridurre il numero delle varie classi per 100 abitanti di tutta la popolazione. Quali rapporti si riducono ai se- guenti: 398 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 1861 x 71 |RAPPORTO DELLE CLASSI SOCIALI PER OGNI 100 ABITANTI ca oisoguala RRBZETO QUALITA’ DELLA POPOLAZIONE SESSO SESSO Proprietaria e capitalista... 41,2 0,8 2,0 1,2 0,8 2,0 Professioni libere (delle). ... ‘43,0 OTO NAST 10,3 isbn È 7, Agricola marina estrattiva. . . 4,71. 0,0 4,7 _ 6,4 0,0 6,4 Manifatturiera ,.......... 441 41,6 5,7 4,8 4,5 6,3 Commerciante ........... 3,8 0,2 4,0 3,6 0,5 4A Arti e mestieri (delle). .... 3,9 0,7 4,0 4,8 1,6 6,4 INferiore e Ro 6,4 2,9 8,4 4,8 2,9 V,1 Senza professione ........ 13,8 43,6 574 14,0 4416 55,6 Non tenendo parola della popolazione senza professione, le 7 classi in or- dine di numero segnano, senza distinzione di sesso, nel 1864 quest’ordine: in prima popolazione delle professioni libere e inferiore; poscia manifatturiera, agri- cola marina estrattiva, e quasi alla pari la commerciante e quella delle arti e me- stieri; nel 1874 l’ordine per qualche classe è di poco alterato: vanno alla testa come nel 1861 quella delle professioni libere e la inferiore, e indi quasi di pari passo quella delle arti e mestieri, e l’agricola estrattiva marina, in fine la manifatturiera, la commerciale. Fra i due censimenti si trova alla pari la proprietaria e capitalista, dimi- nuita di 2,2 per 100 quella delle professioni libere nel 1871, cresciuta nello stesso anno di 4,29 l’agricola marina estrattiva, di 0,8 quella manifatturiera, 0,1 la commerciante, di 2,4 quella delle arti e mestieri; diminuita di 0,7 la inferiore; così è che nel 1871 tutte le classi sociali si sono aumentate a scapito della classe delle professioni libere in massima parte, e in minima della inferiore; oltre a ciò all’ accrescimento è concorso la diminuizione della cifra di quelli che vivono senza professione, che ove nel1864 erano per 100 abitanti 57,4, nel1871 discesero a 55,6. Non vi ha dubbio che il passaggio dalle classi inferiori alle esercenti mestieri più nobili è un bene, non v’ ha dubbio che la diminuizione delle genti senza professioni e l'aumento di quelle che l’esercitano è un bene; e in ciò il 1871 è un progresso; ma la diminuizione della parte della popola- zione esercente le professioni libere, cioè di quella in cui si vive col lavoro della mente è un male; e questa diminuizione è d’attribuirsi alla perdita che fece Palermo del grado di capitale amministrativa dell’Isola;sebbene noné a questo fatto solamente l’accagionarsi del decrescere di queste classe, ma alla diminui- zione di circa 4 mila militari, che figuravano dippiù nel 1864, che fanno, co- me è conosciuto, parte della popolazione delle professioni libere, non che in certo - È I MOVIMENTI DEL DECENNIO 39 modo alla sopressione delle corporazioni religiose; i quali fatti abbiamo sempre visto influire su questo censimento del 1871 in rapporto a quello del 1861. Là dove veramente spicca il miglioramento del 1871, in ordine alle classi sociali, è nel rapporto del sesso: le femine che si dànno un’ occupazione sono cresciute nelle classi delle professioni libere che da 0,7 per 100 si sono ri- dotte a 1,2, dei commercianti che da 0,2 si sono aumentate a 0,5, delle arti e mestieri che da 0,7 sono cresciute a 1,6, di quella senza professioni che da 43,6 si è diminuita a 44,6; la manifatturiera perdè 0,4 e la inferiore si è aumen- tato di 06, segno di miseria nelle famiglie che hanno permesso che le loro donne discendessero a bassa condizione. Osserviamo adesso partitamente ogni classe ,,il che darà maggior luce a quanto abbiamo nell’ insieme esposto. I. La prima classe che abbraccia quella dei proprietarii, capitalisti e ren- dieri presenta questi risultati: ANNO MASCHI FEMINE TOTALE 1861 1,2 0,8 2,0 4874 4,2 0,8 2,0 Differenza col 1874 0,0 0,0 00 Le cifre, essendo uguali pei due censimenti, mostrano che questa classe non subì modificazione. Essa non è numerosa, ma risponde bene ai rapporti che si trovano in altre città; i numeri non possono esprimere la consistenza della ric- chezza, perchè non è dal numero che si ricava l importanza della pro- prietà terriera che si possiede o dei capitali di cui si dispone; sono ben altri gli studii statistici; ma si può assicurare che non vi è difetto di possesso di vasti terreni e di vistosi capitali. IT. La popolazione delle professioni libere abbraccia nel nostro paese, a si- militudine delle grandi città, la maggior parte della popolazione; e vi addi- mostra il predominio della borghesia intelligente sulle altre classi sociali. Essa rappresenta la industria morale del popolo, che certo dev’ essere sviluppata in una città, che era da secoli capitale di un regno, ove gli affari con- fluiscono, ed ove le scienze e le lettere trovano cultura, ed ove è grande copia di pubblici funzionarii ed impiegati e militari ed ecclesiastici ed artisti ed eser- centi le elevate professioni della intelligenza, o alcune di esse. 40 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 1861 E 74 I risultati che presenta questa classe sono i seguenti : ANNO MASCHI FEMINE TOTALE 1861 13,0 0,7 13,7 1871 10,3 179 14,5 Differenza col A8TA — 2,7 + 0,5 — 2,2 . Il che, assolutamente, pei due censimenti, ci mostra come fra noi abbon- dino le libere professioni; e comprovano il fatto che è solo nelle grandi città in cui questa classe ha soverchiante preponderanza sulle altre ; mentre nei piccoli comuni sono le industrie che hanno una precedenza. Relativamente però è nel 1871 che questa classe leggermente decade; è una perdita dal 2,2 per 100. Ne è causa l’essersi ridotta da capitale a cit à di provincia, il che importa minore incentivo alle professioni che vivono del lavoro dell’intelligenza e del genio; è la centralità amministrativa che ammazza e logora le potenze intel- lettive del popolo, che porta al centro la vita, la morte alla periferia. Egli è possibile nelle provincie uno sviluppo di vita economica, ma la decadenza in- tellettuale è un fatto; un fatto doloroso e straziante, che le cifre da 40 anni a 10 anni mostrano col retrocedere di questa classe, ch'è |’ anima e la mo- trice del progresso sociale. i III. La popolazione agricola marina estrattiva in una grande città suol essere fra le ultime classi; fra noi sta nel mezzo, e gareggia con quella commerciante e delle arti e mestieri. Nella cifra totale di questa classe, la popolazione es!rattiva non occupa che pochi individui; fra noi non sono miniere; la marina è anche poca, quasi la totalità della cifra appartiene all’ agricoltura. Il territorio del comune è ri- stretto, sicchè manca la materia per estendersi; pure mettendola in rapporto ai 144,000 et'ari del suo territorio non dà un rapporto molto sproporzionato, calcolando che in queste cifre mancano le donne, le quali fra noi non si dànno ai lavori agrari, ma badano a quelli di casa, mentre in altri comuni nella agricoltura delle donne si tien conto. I censimenti su queste classe della popolazione danno i seguenti risultati: ANNO MASCHI FEMINE TOTALE 1861 4,9 0,0 4,7 ASTA 6,4 0,0 6,4 Differenza col A8TL 44,70 0,0 + 4,7 Il 1874 mostra un progresso sul 1864, di 1,7 per 100; questoaumento nella sua massina parte deve attribuirsi alla popolazione marina, piuttosto che alla agri- E I MOVIMENTI DEL DECENNIO 4A cola ; la prima su un campo vasto e illimitato, si è più sviluppata ; 1’ altra è cresciuta meno, dappoichè la nostra agricoltura anche nel 1861 era firoida e progrediente, e non ha richiesto di troppo braccia per raggiungere quello sviluppo nel quale dopo 10 anni necessariamente si deve trovare. IV. La popolazione manifatturiera sta in medio rapporto alle altre classi, ed occupa il terzo posto, dopo quella delle libere professioni e dell’ agraria e marina; essa rappresenta nella parte meccanica, quanto le professioni libere nella parte intellettiva. Le svariate manifatture occupano parte importante in una grande città , la quale poco vive con l’agricoltura. Fra noi è opinione, che le manifatture in rapporto alla parte economica non sono molto sviluppate; quì non grandi opificii, ma pochissimi ; quì non macchine a vapore, se non qualcuna ; quì non le grandi industrie manifatturiere, ma le piccola; lo strumento la vince sulla macchina, e l'ingegno e perizia nell'arte sul meccanismo di una occulta forza. E purtuttavia non son pochi quelli che vi si addicono; e le manifatture con le arti e i mestieri si potrebbero confondere, se non fossero quelle più elevate, e se non si facesse uso di strumenti più complicati e di più raffinato studio. Fra noi la popolazione manifatturiera presenta le seguenti cifre: ANNO MASCHI FEMINE TOTALE 1861 4,1 1,6 5,7 1871 4,8 1,5 6,3 Differenza col A8T4 4 0,7. — 0,1 + 0,6 I due censimenti, assolutamente comprovano quanto avanti da noi si è detto; relativamente, il 1871 perdeva 0,1 per 100 nelle donne, ne acquistava 0,7 negli uomini, in totale guadagnava 0,6; cifra al certo refratta che non può mo- strare un accrescimento rilevante in questo ramo d’industrie, ma che non segna per certo nè la decadenza, nè la stazionerietà, ma un lento sviluppo che più ehe al progresso delle manifatture dee attribuirsi all'aumento della popolazione. V. La popolazione commerciale vien dietro a quella delle manifatture ; molti son quelli che si addicono alla mercatura di banco, di fondaco, di sen- salia e di trasporto; noi la troviamo di una certa importanza e numerosa sì in città che in campagna: in città per grandi e varî negozi che si fanno, e per gli svariati generi agrarii e manifatturati che s’importano, si esportano, si com- prano, e si vendono; in campagna per il buon commercio e trasporto che si pratica, per l'estrazione degli agrumi, dell’olio, del vino e del sommacco, il quale commercio anche quello della città vivifica ed accresce. Tale commercio però, meno di pochissime e grandi case, si esercita in 49 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 1861 E 74 + ua piccolo, come le industrie manifatturiere ; e l’importanza di esso meglio che dal numero degli esercenti dovrebbe ricavarsi dalle statistiche delle importa- zioni ed esportazioni, che con grande desiderio si attendono, e che speriamo che questa Direzione potrà pubblicare. Il prospetto della popolazione commerciante pei due censimenti è il se- guente: ANNO ù MASCHI FEMINE TOTALE 18641 3,8 0,2 4,0 1871 3,6 0,5 4A Differenza col A87A. — 0,2 00 o In riguardo alle persone che si occupano di commercio può dirsi quanto fu detto per la industria manifatturiera, una incalcolabile differenza esiste fra i due censimenti; il 1871 non guadagnò per 100 che 1’ 0,1 nato da un accresci- mento di 0,3 nelle donne, che vinse la deficienza di 0,2 negli uomini, e lasciò un margine di 0,14. Ma non è così in riguardo alla parte economica, il com- mercio è più sviluppato, gli utili sono cresciuti, e la popolazione commerciale del 1871 vive in più prospere condizioni di quella del 1861; è più ricca e meglio soddisfa i propri bisogni. VI. La popolazione delle arti e dei mestieri abbraccia gli esercenti di quelle piccole industrie, che non possono comprendersi fra le manifatturiere,, ma che non meritano di confondersi fra la grande massa della popolazione inferiore; essa occupa il posto di mezzo , e può apparire più o meno di nu- mero, in rapporto alla minore o maggiore estenzione, che si dà a questa ca- tegoria. Noi ci siamo attenuti al senso più rigoroso ; sicchè essa presenta i se- guenti risultati : ANNO MASCHI FEMINE TOTALE 1861 3,93 0,7 4,0 1871 4,8 1,6 6,4 Differenza col A8T7£L + 4,5 + 0,9 + 2,4 Questa classe sociale, osservata assolutamente, pei due censimenti, mo- stra di stare in medio rapporto con le altre ; studiata però relativamente ci rivela che è cresciuta nel 1871; e ci fa piacere, come essa lo sia a discapito della popolazione inferiore ; il passaggio da questa classe alle superiori è un sintomo di migliorate condizione sociali. E I MOVIMENTI DEL DECENNIO 43 Dopo le professioni libere e gli addetti all’ industria agraria e marina sono gli esercenti arti e mestieri che vengono; e stanno quasi alla pari con quelli delle manifatture; essi segnano l’ultimo anello della umana industria, la più importante classe per gli usi sociali; e il loro aumento è un bene; e lo segnano nel 1871 con un aumento complessivo del 2,4 per 100, nel quale accrescimento i maschi vi portarono il contributo di 1,5, le femine di 0,9; il quale aumento di donne in queste classi sociali ci porta a questa osservazione. Nelle arti e mestieri, a differenza delle altre classi laboriose, troviamo che vi si addicono le donne, alle quali facile riesce l’esercizio di questa industria, e il loro cre- scere a discapito delle loro compagne che vivono, o nelle classi inferiori o senza professione, è un bene, è un aumento di lavoro e quindi di ‘pubblica ricchezza. VII. La popolazione che noi appelliamo inferiore, non per principio ari- stocratico come gl’Inglesi che ne introdussero la voce, ma come cumulativa espressione, che denota, meglio che altra, la classe che si vuole esprimere, occupa tutta quella parte di popolo delle infime classi, che si addice agli altrui servizi, a mestieri bassi e indeterminati, alla mendicità, al vagabondaggio, o che vive tra gli esposti, o negli ospizii di beneficenza , nelle case di prosti- tuzione, relle prigioni, o giace inferma negli ospedali. Questa razza di gente vive a preferenza nelle sole grandi città, forma la sua parte numerosa e pe- ricolosa, mentre nel resto non ce ne ha che poca, ed è essa che porta nei censi- menti un largo contributo. E ciò si avvera, perchè facile è addirsi a bassi mestieri e indeterminati e alla domesticità, pel che non fa bisogno di studio, e facilmente si può pas- sare da una ad altra occupazione, senza necessità di speciale perizia, e senza dolore di doverla abbandonare; come altresì per cattive abitudini e per istento è facile passare là dove è l’abbrutimento, la miseria, il delitto. © In queste classe troviamo anche numerose le donne, proclivi ad addirsi per miseria agli altrui servizi, e faciiji per seduzioni e disavventure a passare nelle classe che vive di vergogna. Ma fortunatamente il censimento del 1871 se non per le donne, almeno per gli uomini presenta un miglioramento, Eccone le cifre: ANNO MASCHI FEMINE TOTALE 1861 6,4 2,3 8,4 1871 4,8 OR) Tor] Differenza col A8T1 — 1,3 + 0,0 — 0,7 Sul complesso dei risultati pei due censimenti non abbiamo nulla d’ ag- giungere; ma relativamente possiamo constatare, che nel 1871 1° 1,3 per 100 degli uomini passò dalla classe inferiore alle altre, e solamente nelle donne si trova un debole accrescimento, di cui è facile indovinarne la causa. 4h I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 1861 E 71 Così svolte le classi che vivono col lavoro dell’ intelletto o delle braccia, venghiamo a rilevare i rapporti di talune principali industrie e servizii della popolazione della nostra città, in confronto a talune dell'Isola e del Continente, per indi passare al gruppo, per così dire, negativo, cioè alle persone che vivono senza alcuna lucrativa occupazione. E qui, per istituire questi raffronti, bisogna scompartire la nostra popola- zione in altri gruppi che trovano riscontro con quelli formati per altre città. Le industrie, come avanti avvertimmo, non sono molto svolte in Palermo, ond’è che fra le grandi città italiane la nostra è al disotto; essa ha il 13 per 100, mentre Milano ha il 28, Torino il 23, Roma il 48, Firenze il 16, Napoli il 15; Palermo in Sicilia è superata da Catania che ha il 17, ma vince le altre città che stanno al disotto del 40. Ma se Palermo perde in questo gruppo guadagna nella categoria delle in- dustrie manifattrici ed agricole, ove raggiunge il 18 per 100, e gareggia con Firenze che ha il 18, e vince Napoli che ha il 417, Genova che ha il 16, Messina che ha 114; sebbene sia superata da Milano che ha il 30, da Torino che ha il 28, da Roma che ha il 27, da Catania che ha il 22. Guadagna più ancora nell’ industria dei trasporti, ove ha il 5 e 27 per 100, ed è superata soltanto da Genova che ha il 7, sorpassando Napoli e Roma che hanno il 4, Milano, Torino, e Firenze che hanno il 3, e per Sicilia, Catania e Messina. che hanno il 3 e 5 per 100. Osservando però la classe dei proprietari e dei rendieri, Palermo cede in parte il posto alle altre città, ed è fra quelle che ne presentano un minor numero; e difatti, per questa categoria la nostra città segna il 2,13 per 100; e in questo rapporto gareggia con Genova, Messina e Catania che lo hanno quasi lo stesso; supererebbe Milano e Napoli che hanno un rapporto minore; sarebbe però vinta da Firenze che ha il 4, da Torino che ha il 5. Ma in ciò è opportuno avvertire che la deficienza in questa classe è da attribursi, a che nelle grandi città come Palermo, Napoli, Milano ed altre ancora, ove questo rapporto ap- pare meschino, molti dei proprietarii e dei rendieri sono calcolati nelle catego- rie delle libere professioni che essi esercitano; onde è naturale, che il gruppo degli esercenti le libere professioni è più numeroso nelle grandi città; e la nostra è fra queste. Per disavventura gli elementi per istituire questo rapporto delle libere professioni ci mancano, e siamo costretti ad attenerci sulle generali (4); solo per la classe che vive esclusivamente d’ insegnamento possiamo notare, come Palermo sia fra le Città che offrono un basso rapporto ; essa ha il 4 per 100, gareggia con Roma che ha la stessa proporzione, vince Genova, Mes- (1) I censimenti delle città con cui mettiamo il nostro in relazione non sono tutti pubblicati; e talune sommarie notizie le abbiamo tratte dalla bella opera officiale : L'Italia economica nel 1873. v E I MOVIMENTI DEL DECENNHO 45 sina e Catania che hanno il 8, è superata da Torino che ha il 10, da Milano che ha il 9, da Firenze che ha il 6; e ciò risponde a quanto abbiamo osservato dicendo della istruzione popolare. Per talune industrie, di cui abbiamo gli elementi, possiamo venire ad altre particolarità; esse sarebbero quelle della tessitura, della concia di cuoji e pelli, del vestiario, e degli articoli di toletta. Per la tessitura Palermo ha il 0,64 per 100, essa si accosta a Genova che ha il 0,67, a Roma che ha il 0,68, a Firenze che ha il 0,94, ed è vinta da tutte le altre grandi città che vanno dal 2, 82 come Milano, all’ 1,03 come Napoli ; è singolare che, in Sicilia, Catania abbia il 3,50 per 100, e sarebbe la città più tessitrice dell’Italia, superando la stessa Milano. Per la concia dei cuoj e pelli, Palermo è tra le prime; il rapporto massimo per le grandi città del Continente è il 0,27 per 100, come a Torino, il minimo il 0,6, come a Genova: e Palermo col suo 0,23 vien dopo Torino; e vince Napoli che ha il 0,16, Roma che ha il 0,44, Firenze che ha il 0,12, Milano che ha il 0,44; in Sicilia è soltanto superata da Catania che ha il 0,35 e da Messina che ha il 0,27; quest’ultima città gareggia con Torino, Catania sta alla testa di tutti. Al contrario per la industria del vestiario, Palermo ha minimi rapporti, essa ha il 3,34 per 100; e con questa cifra è vinta da tutte le città del Continente, alla cui testa è Milano che ha il 12.97, e alla coda Firenze che ha il 4,34 ; in Sicilia è soltanto su- perata da Catania che ha il 5,81. Lo stesso è a dire per gli articoli di toletta; per questo esercizio che va del 0,68 per 100 come si trova a Firenze al 0,27 che presenta Roma, Palermo starebbe anche alla coda; essa ha il 0,35, e se vince x sul Continente Roma, è superata delle altre città; e in Sicilia sta sola seconda a Catania che ha il 0,41. Questi rapporti, che abbiam segnato per le varie industrie in particolare, nelle quali Palermo non sta fra le prime file, risponde a quanto dicemmo trat- tando della industria in generale ; una deficienza nell’ insieme dovea potarla necessariamente fra i particolari. Palermo non è città manifatturiera; essa è l’an- tica capitale dell'Isola ingiustamente scaduta; il suo avvenire nell’ordine mo- rale che porta seco l’economico è questo ; il suo avvenire nell’ ordine econo- mico è il commercio; la ricchezza cresciuta aumenterà gradatamente le indu- strie, e allora anche per questa parte potrà essere tra le prime. In natura nessuno può esser completo; la divisione del lavoro non è negli uomini solanto, è nelle città e nelle nazioni, tutti concorrono per varie vie alla produzione, e la ric- chezza non è che il risultato dei varii fattori, di cui tutti non possono essere allo stesso tempo proprietarii. Fra le classificazioni delle condizioni sociali deve per necessità occupare un posto, e molto elevato, la popolazione , che impotente al lavoro, sia fisi- camente, come moralmente, deve vivere a peso dell’ altra. In complesso i risul- tati son questi: 46 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 1864 E 71 POPOLAZIONE SENZA PROFESSIONE ANNO MASCHI FEMINE TOTALE 1861 13,08 43,06 57,04 1871 14,00 41,06 55,06 Differenza col 1871 + 0,02 — 2,00 — 4,08 Assolutamente, questa classe presenta un rapporto elevato in rispetto al. totale della popolazione, ma scompartendola per sesso e per età, si scorge fa- cilmente come poi non sia di molto superiore: fanciulli e vecchi compongono quest’ immensa cifra della popolazione impotente fisicamente al lavoro , e più che altro le donne, le quali per le abitudini sociali troppo casalinghe., non si prestano a lavori lucrativi; padri e mariti circondano con geloso rispetto le loro donne, che solo nelle loro case si prestano a lavoro, e producono una ric- chezza, che se non può ridursi in moneta che s'incassa, si muta in denaro che non si paga, in lavori speciali che agevolano il lavoro generale, in bisogni che si soddisfano, in servizii che si rendono; cose le quali hanno un valore e sono una ricchezza effettiva. Relativamente il 18741 presenta sul 1864 un miglioramento ; la Jclasse che vive a spese altrui si è diminuita in complesso di 1,8 per 100; la quale cifra, se nell’ insieme sembra non molto elevata, pure è di grave importanza scompartendola nei sessi; la donna è divenuta più produttiva; sono 2 per 100 di donne che hanno abbandonato il vivere a spese altrui, e negli uomini si è accresciuto il 0,2; l'aumento negli uomini è debolissimo, la diminuizione nelle donne è molto sensibile, e dà motivo di segnare questo fatto come un pro- gresso nella economia. Raffrontando per 100 la popolazione senza professione al totale degli abi- tanti, sia per la Sicilia come per l’Italia, si hanno i seguenti risultati : POPOLAZIONE SENZA PROFESSIONE SU 100 ABITANTI In Sicilia In Italia Arr a SE DA Palermo. i ni SEDI Messina e ene 53, 38 Napollig;iot ace 52, 24 Catania sie deo A Roma fi 4h, 89 Trapani ai ae 63, 68 Torino, stiate 38, 41 Siracusa no a 63, 41 Milano: RAReese 30, 48 Girceatito ne eee 55, 25 Firenze: Aglio 48, 85 Caltanissetta ene 59, 50 Genova Sere ALONSO 02 Osservando per le due regionii rapporti in complesso, si vede un grande E I MOVIMENTI DEL DECENNIO 47 stacco: la popolazione senza professioni in Sicilia è massima ed oltrepassa per ‘ogni città la metà di tutti gli abitatori, in Italia relativamente è minima, e al disotto o alla pari colla metà. Questa sproporzione viene dalle donne che fra noi non si addicono a professioni lucrative, mentre altrove sì; e questa spro- porzione è tale, che Palermo, che fra le città dell’Isola ha un rapporto mas- simo, in quelle del Continente l’ha minimo, e il massimo del Continente è al disopra del massimo delle città insulari. L'educazione e le abitudini delle no- stre donne di fronte a quelle del Continente produce una sproporzione, nella quale se vi perde l’economia vi guadagna la morale, e in ciò nessun dubbio, nè occorre altra dimostrazione. In Sicilia, Palermo, che ha il 57 per 100, conta più della gente senza pro- fessione che Messina, Catania, Girgenti, che ne ha meno delle altre città', la cui cifra si spinge sino al 63 come in Trapani e in Siracusa. In Italia Palermo ha una misura troppo elevata; si avvicina a Napoli e Genova che hanno il 52 e il 541 per 100; è vinta con grande sproporzione da Milano che ha il 30, da Torino che ha il 33; la media è rappresentata da Roma che ne conta 45, e da Firenze che ne ha 49. Osserviamo adesso questa classe di senza professione in rapporto al sesso e all’età, dal cui studio si possono ricavare utili deduzioni. Palermo presenta questi risultati. In 100 abitanti senza professione si trovano 26 maschi e 74 femine, cioè a dire, che più di due terzi son femine ; in modo che bilanciando i maschi colle femine, che possono rappresentare la età fanciullesca, si trova una cifra superiore di donne adulte che vivono ja spese altrui, il che trova riscontro nello studiare i senza professione in rapporto alla età e al sesso. Ecco le cifre anche per 100: Raccogliendo i maschi e le femine senza professione al disotto di 15 anni, e mettendoli in rapporto al totale del rispettivo sesso, si trova, che fra 100 ma- schi senza professione 83, 39 appartengono alla età al disotto di 15 anni, mentre nel totale delle femine se ne trovano 33, 64 appartenenti alle prime età; cosiechè nei maschi gli effettivamente senza professione su 100 sono 416, 64, e nelle femine 66, 36; nell’ insieme dei due sessi la popolazione senza pro- fessione al disotto di 15 anni rappresenta il 46,62 per 100. 48 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 1864 E 71 Venghiamo adesso ai raffronti con le città principali dell’ Isola e del Con- tinente. I risultati sono i seguenti : Per la Sicilia I MASCHI E LE FEMINE SENZA PRO- i su 100 FESSIONE AL DISOTTO DI 15 ANNI CITTÀ SENZA PROFESSIONE DANNO PER 100 IN RAPPORTO AL PROPRIO TOTALE ED AL GENERALE MASCHI FEMINE a ie Palermo. . . . 26, 10 13, 90 83, 39 33, 64 46, 26 Messina. . . . 25, 24 74, 76 82, 27 35, 90 47, 63 Catania. . . . 29, 30 70, 70 87, 79 38, 61 53, 02 Trapani. . .. 25, 76 74, 24 88, 67 33, 88 47, 99 Siracusa. . . . 30, 08 69, 92 81, 16 36, 20 49, 73 Girgenti. . . . 26, 05 73, 95. . 95, 82 39, 04 53, 81 Caltanissetta . 28, 09 NOA DEAR DIAZ 54, 68 Osservando questi dati si scorge,come Palermo abbia su 100 senza professione meno maschi di Catania, di Siracusa, di Caltanissetta, ma più di Messina, di Tra- pani, di Girgenti; sicchè può dirsi che essa si tenga nel mezzo; i maggiori maschi senza professione sono in Siracusa che ne ha 30, i meno in Messina che ne ha 25; le femine di conseguenza superano ove i maschi sottostanno, e la media dei rapporti in rispetto a Palermo rimane identica. Sopra il totale generale dei senza professione coloro che sottostanno alla età al disotto di 15 anni sono minori in Palermo, maggiori in Girgenti, la prima ha il 46, 62 per 100, la seconda il 583, 84; il che importa che i senza professione di età adulta sono di più in Palermo che altrove ; alla media di Palermo si accosta Messina e Trapani, a quella di Girgenti, Catania e Caltanissetta. Ma scompartendo queste cifre in rapporto al sesso si ha, che i maschi al disotto di 15 anni in rapporto al totale dei maschi senza professione sono massimi in Girgenti che ne ha 93, 82 per 100, minimi in Caltanissetta che ne ha 53, 12; cosicchè nella prima è meno di un ventesimo di popolazione maschile adulta senza professione, e nella seconda gli adulti senza professione sottostanno di poco alla metà. Palermo è fra le città che si avvicinano al rapporto medio, essa ha meno adulti senza professione di Messina e di Siracusa; ne ha dippiù di Catania e Trapani. Le donne adulte senza professione, continuando i medesimi rapporti, sono dippiù in Palermo e Trapani che hanno il 33 per 100 dei senza professione al disotto di 15 anni, e meno in Girgenti e Caltanissetta che hanno di fan- ciulle il 51 e il 39 per 400; le altre città stanno nel mezzo. E I MOVIMENTI DEL DECENNIO 49 Volendo istituire gli stessi rapporti con le principali città italiane troviamo iseguenti risultati : Per l’Italia I MASCHI E LE FEMINE SENZA PRO- su 100 FESSIONE AL DISOTTO DI 45 ANNI CITTA” SENZA PROFESSIONE DANNO PER 100 IN RAPPORTO AL PROPRIO TOTALE ED AL GENERALE Palermo. . .. .. 26,10. 78, 90 83, 39 33, 64 46, 62 Napoli. ... .. 95.927. 74, "78 88,25 33,42 À7, 27 Roma, 0 98,50 L 7450 90, 32 .. 33,26 49, 44 Tano RR, l84./43 94.980 6,90 Milano. . ... 22,20. 77, 80 82,95 34,55 42, 96 Firenze ..... . 23,60 .- 76, 40 SON36 099, I AOL A9 Cenoga Se L12139. 72, 64 Bi mo 039 (35. 41.00 In Palermo fra 100 individui senza professione, distinti per sesso, vi si trova- no 26 uomini e 74 fernine; e così ha meno maschi senza professione di Roma che ne ha 28 e di Genova che ne ha 27; le città che hanno meno maschi senza profes- sione sono Milano con 22 e Firenze con 23; stanno alla pari con 25 Torino e Napoli che si avvicinano più a Palermo, che a Roma che ha il massimo, o a Milano che ha il minimo. In riguardo al sesso e all’età troviamo che in 100 individui maschi senza professione della età al disotto di 15 anni Palermo ne conta 83, e in 100 individui femine della stessa età se ne trovano 33; questi rapporti mostrano per 100 quale è la popolazione adulta dei due sessi che vive senza professione. Raffrontando si trova, che Palermo ha meno adulti senza pro- fessione di Genova che in 100 ha 75 fanciulli, di Firenze che ne ha 80, di Milano che ne ha 82; resta inferiore a Roma che ne ha 90, a Napoli che ne ha 88, a Torino che ne ha 84. Palermo è fra le città che contano meno adulti maschi senza professione. Per le femine Palermo è vinta soltanto da Torino che ne ha 34, sovrasta di molto Firenze e Milano che hanno 27 e 84, e di pochi centesimi tutte le altre città che hanno 33 per 100, come Palermo. Gli stessi rapporti si osservano raffrontando maschi e femine al disotto di 15 anni, col totale generale dei senza professione. Così sciolto il gruppo di coloro che vivono a spese altrui se ne può de- durre, che la cifra di questa parte della popolazione , che sembra elevata , sta bene in relazione alla popolazione stessa , e scompartita per sesso e per età si trova, che Palermo segue un rapporto medio tanto nelle città continen- tali, come insulari. 50 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 1864 E 71 IX. POPOLAZIONE PER ORIGINE Lo studio della popolazione sotto il rispetto della origine è d’ importanza relativa. Si tratta conoscere quanta parte della popolazione della Città all’istante del censimento sia nativa di essa, e quanta di altri Comuni, sia del regno che di fuori, vi si sia trovata presente. Distinta essa nei residenti o non residenti, ci mostra per i primi l’effettivo accrescimento della popolazione per straniere im- migrazioni; e per gli altri lo stato ordinario della popolazione mobile, che va- riabile sempre, pure dà una cifra, che serve ad accrescere il complesso degli abitanti nel suo numero, e a far sentire meno l’azione degli assenti. I movimenti della popolazione sono rapidi e continui; e gli uomini si tra- sportano da un punto ad un altro della terra, sia per piantare stanza colà dove trovano da vivere; sia per il loro traffico e per ispeciali professioni, per indi restituirsi in patria, in quella residenza dove hanno casa e famiglia. I primi for- mano una effettiva immigrazione; i secondi una immigrazione temporanea. Accanto un pane sorge un matrimonio; e l’ individuo immigrato, nella nuova patria forma una famiglia, e diventano i suoi figli originarii della terra dove nascono, ed egli stesso cittadino di essa, sebbene non originario. La storia delle immigrazioni e delle colonie dà pruova di questo movi- mento della popolazione , che si ferma in varie città, in diversi punti della terra, e chiama patria il luogo che le da i mezzi di esistenza. Le città, le nazioni sono sorte per mezzo della immigrazione. Vi ha una immigrazione primitiva, cioè quando le popolazioni si muovono a grandi masse, spinte dal bisogno d’abbandonare una terra senza mezzi, o allettati della va- ghezza di nuove regioni, o dalla libidine di conquista e di sangue; questa immi- grazione fonda le città in luoghi senza abitatori, o s’ impossessa di quelle esistenti cacciandone o asservendo i cittadini. Dopo tempo, anche questi diventano ori- ginarii. Ma la immigrazione di cui si occupa il censimento è ben altra. È quel movimento incessante e graduale, pel quale si accrescono le città di nuovi abitatori che vi pigliano stanza, che formano parte integrale della popolazione di un paese, sebbene non vi fossero nati. Questo fatto dell’ immigrazione suppone quello della emigrazione; le città che si accrescono stanno di fronte ai paesi che diminuiscono, o che non si aumentano nella stessa progressione; e in que- sto scambio continuo, sono le grandi città che vi guadagnano a discapito dei piccoli Comuni. Vi ha un altra immigrazione che pur nei tempi moderni occupa gli studii statistici, ed è quella di persone che vanno in un paese per dimo- rarvi qualche tempo ed indi ritornare in patria, o che vi si trovino di pas- E I MOVIMENTI DEL DECENNIO b4 saggio e pur sono censiti nel luogo ove per caso si incontrano; questa specie di immigrazione casuale o periodica si riscontra in quella parte di popolazione che si appella non residente, per distinguerla dalla immigrazione effettiva che forma parte della popolazione residente. Sono quindi è residenti e è non irresidenti che si studiano in rapporto alla origine; i primi mostrano l’ immigrazione effettiva, i secondi l’ immigrazione casuale o periodica. Questo studio non ha alcerto grande importanza nella nostra città, e più si attaglia ad intere nazioni e a grandi metropoli come Londra , Parigi, Co- stantinopoli che a città secondarie ; e l’ importanza è sempre decrescente in rapporto al movimento politico ed economico delle città, e al numero della popo- lazione. Sia che si osservi la origine dei residenti, sia che si consideri quella dei non residenti, in Palermo non si trovano che rapporti medii o minimi; la immigrazione effettiva non vi è gradatamente attirata, e la periodica non trova ragioni per pigliare un carattere di rilievo. Ma ecco intanto il quadro che pei due censimenti mostra in quale pro- porzione stia la popolazione non originaria. Noi l’abbiamo distinta nelle due grandi categorie dei residenti e dei non residenti, che mostrano la immigrazione effettiva e la temporanea, e questi abbiamo divisi in nati in altri comuni dello Stato, e in nati fuori lo Stato, onde rilevare quanta parte vi prenda il mo- vimento nazionale e il movimento mondiale. La specificazione in fine delle pro- fessioni e del sesso mostra di quali classi sociali si è a preferenza avvantag- giata la nostra popolazione, e in che proporzione stanno i maschi alle femine 9 + 4 88 n 188 |s 696 Lace [OT |LYTE 998 |8H6 |SYTT ee —|76 —|Hr + 6.8 |66 [08% 97 |EGF [69 1n6+|8_—|ecc+ 0COr |< OSO i 80 |8 S6 E a 6e—-|L —[ee 2 99 e 99 SIT) A) VAS CI — a 781+|91 +|89T+ AU 888 |9F [aLe (SAVOIA 701 zi EB] Bet 01 n 8 | |edg a I |a VIA, a) co+fje + 684 Je [OLI Ss LI Jo 807 s %” mel rr Zi BOL |'wog| sen ILNUCISTHYU NON : dIVILOL 52 UNQANOO TAN TL) UV |6r |8 og |z8 |cze 66 |7 Sc |[Ger |68F_ {776 797+| 7ot+|lesz+/8_ —|T6L 907 |* 991 |788 |< 788 td ‘ ld Tor {8 £6 I —|° er |a —|L —|06 — I ‘ T CI | 99 GF ‘ ET |le6 {4 8 LIO 76 ||08 08 Gwi-|s___|ewi_]oc—|e_+|8 — To | no lc |g [ecc 997 | 997 [808 {« [80€ 98 +|0v +/or +j6e +/£_—|M + 78 |ov |a | | -|97I 8 ‘ 8 |6or {6 {00T ‘wa | ‘SCI ei 90L |'WOd | ‘SENT JOL OLVIS OT OLVIS OTTIA TUONA INOKNOD IML'IV NI ILVN ILVN (HG ISHU NON UNAN 109 TAN ILNUTISHE ANIDRO Ud ANOIZVTOdIA VITI q > « « q qa “« q n € * * ‘QUAI UI[ 699%. |688F |OSZ uv | |90vr |\zesg |svsr |729 mid U[ ccecor |Iger |#zoer [om |T17T |ezg [\cosst |ovwz |S9LTtT |rz8n)} ... 9g9gF |e6ce [m93IF |eza [oo |ELT [|ESSet |z6cg |T60Tk (oe, VINQUILIIO ® STVLOL © ; [coot + ELY +|0961 +7 +|81 +|93 +|j8c0z +|7ev +/7£61 +f ©‘ ‘ezuaiogia €169 ET9E 0088 ZII |"L 07 66L9 GESE 0968 |1281} ‘ dJeuru.I9]apur 9 PTOE TLS8T 0706 OL 9G TI 1786 SIT 9606 F9S1) @sIOAIP IUOIZIPUO9 I 809 +/8___+|909- 4 H+]: e _+ifgos +|6 +|t06 +] ‘ezuosogig IGL Ta SEL G ‘ S ASIA td OA ZO co da a db @ ou | 6 | | «|a |e 678 Jrost) IONI gt —|F__ +|4et —|pr—|s_—|[gr_|vwr —|{7_ Amr —| '‘ ‘ezuosegia 90L €07 £09 Ia |G 9r |{cg9 86 188 ||TLST ni g9g© ion «“|094 ce |8° . |eg |ces: (76 Ie |t98n CIGLIA LI oov +|sc +fere +flze +7 +|ee +fleoe +|70 +|6og +4 ‘ezuosegig €89 68 Ego gt |? 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( inaltri comunidello Stato 13382 15905 2522 SEuiosli Do COMME ZO prio So Q30 (420: ALT TOTALE... ... 43656 16325 2669 cio pnenati in altri comuni dello Stato 1124 19983 869 fnoritozsStatos si Rao, 249 254 192 TOTALE saio 1366 2947 884 TOTALE GENERALE DEI NON ORIGINARIT. . .. 15022 48572 3550 Pei due censimenti i non originari non sono alcerto di grave importanza; essi furono 15,022 nel 1861, e 18,572 nel 1871, in più 3550; sicchè all'aumento naturale della popolazione concorse la immigrazione di nazionali per 3391 di esteritfi09; E riducendo per:400 sì i residenti come i non residenti nati nello Stato o fuori dello Stato si hanno pei due censimenti questi risultati: fra 100 resi- denti non originarii si trovavano nel 1864 nazionali 98, 01, esteri 1, 99; e nel 1871 dei primi 97 45, dei secondi 2, 55; così che fra i due censimenti si nota, che l’estera immigrazione fu maggiore nel 1871. Si trova l’ opposto fra i non resi- denti; fra 100 originari non residenti nel 1861 si trovarono 82, 61 nazionali e 17, 61 esteri, e nel 1871 nazionali 89, 22, esteri 10, 78; quì crescono i nazio- nali e diminuiscono gli esteri; ma l’accrescimento d’esteri fra i residenti ha una maggiore importanza, che non la diminuizione fra i non residenti; quello è un fatto permanente e reale, questo un fatto transitorio e causale. Questa tavola è da per se stessa chiara per addimostrare i rapporti della popolazione non originaria alla originaria; ma a meglio studiarla, riduciamola per 100 della popolazione. Le cifre sono le seguenti: POPOLAZIONE NON ORIGINARIA PER 100 ABITANTI CENSIMENTO ORIGINE Sn dies ds «e o “ai e i oi b4 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 18641 E 71 Da esse si rileva, in ordine ai residenti, che i nati in altri comuni dello Stato nel 1861 erano 6, 88 per 100 e nel 18741 sono 7, 25, in più 0, 37; che i nati fuori lo Stato nel 1861 erano 0, 414, e nel 18741 sono 0, 19, in più 0, 05; e in rispetto ai non residenti, i nazionali nel 1861 erano 0, 57, nel 1871 0, 94 in più 0, 34, gli esteri nel 18641 erano 0, 12 nel 1871 sono 0, 441 in meno 0, 04; il che prova quel che avanti dicemmo, come assolutamente non abbia alcuna grave importanza il numero della popolazione non originaria; sebbene relati- vamente puossi affermare che il 1874 vince il 1861. Per chi ama conoscere come in rispetto al sesso stia la popolazione non originaria, diremo in complesso, che nel 1861 i maschi furono il 6, 38 per 100 della popolazione, le femine l’1, 34; e nel 18741 si trovano 6, 45 maschi e 2, 01 femine; il 1871 ha dato un maggior numero di femine, sia in rapporto ai ma- schi dello stesso censo, come nelle relazioni del sesso dei due censimenti. Osservando la popolazione non originaria del censimento del 41871 in rap- porto alle professioni si ha il seguente risultato : POPOLAZIONE NON ORIGINARIA IN RAPPORTO AL TOTALE DELLA POPOLAZIONE PER 100 ABITANTI PROFESSIONI E CONDIZIONI SOCIALI i NATI NELLO STATO FUORI LO STATO. Proprietaritfe Sca pia SERIETA Mo 0 23 0, 04 ESsereenti professioni Abete E sd 3, 19 0, 06 COMMIErCIAnA ia TERE DIR SRI 0, 38 0, 06 Manifa(tUFer Ae Ci Re Re ne Ne 0, 34 0, 04 ATTICONORIVE MALI e RE ER 0, 74 0, 08 Di condizioni diverse ed indeterminante. . . . . . 9026 0, 06 Queste cifre ci mostrano, quali ‘classi sociali, colla immigrazione , ab- biamo concorso alla somma della popolazione non originaria : i nati nello Stato danno il maggiore contributo, mentre gli esteri cifre refrattissime. Le classi sociali in ordine di numero seguono quest’ordine : nei Nati nello Stato, eser- centi condizioni diverse e indeterminate, esercenti le professioni libere, agri- coltori e marini, commercianti, manifatturieri, proprietarii e capitalisti; nei Nati fuori lo Stato, agricoltori e marini, esercenti professioni libere, commercianti, esercenti condizioni diverse e indeterminate , proprietarii e capitalisti, mani- fatturieri. Mettiamo ora la nostra popolazione non originaria in rapporto a quella delle principali città, sia di Sicilia che d’ Italia, per rilevare relativamente dove si sia maggiore il movimento d’immigrazione tanto effettiva che transitoria. I risultati son i seguenti per 100 abitanti : E I MOVIMENTI DEL DECENNIO b5 Per la Sicilia —————-r———rrr —T —uesm > T _ RESIDENTI NATI NON RESIDENTI NATI DELLO STATO LO STATO DELLO STATO LO STATO Palesmoc;n: si. .(tones kY8L 7, 26 0, 19 0, 91, 0, 44 Messima:sgs4s 208 oiusresiinfone: 4, 48 0, 25 41, 93 0, 418 Cataniasposcse ssHisgscit nos 12, 00 0, 65 4, 86 0, 27 REA pani IL 1, 55 0, 04 4, 47 0, 26 Siracusa: slot 045 sx 02205 1 0, 00 0, 00 0, 00 0, 00 Giesentiso i) ‘i o e03r4 snloenor 19, 86 0, 24 3, 175 0, 08 Caltanissettane 1.8 onsvori.ie 0, 00 0, 00 0,00 0, 00 In Sicilia, la città di Palermo, intorno ai residenti nati in altre città dello Stato, è relativamente fra quelle che hanno un medio rapporto. Palermo vince Messina, che si trova al disotto del 7 per 100, gareggia con Trapani, è superata da Girgenti e da Catania, avendo l’ una il 19 per 100 e l’ altra il 12; Girgenti in Sicilia starebbe alla cima per popolazione non originaria e Messina alla coda. In ordine ai nati fuori lo Stato, Palermo col suo 0, 19 vincerebbe soltanto Tra- pani; e Catania starebbe alla testa di tutte col suo 0, 65. Osservando la popolazione non residente, tanto pei nati nello Stato come all’estero, troviamo le stesse pro- porzioni, anzi diminuite, dappoichè Palermo sta quasi alla coda di tutte le Città Siciliane. Che dire poi, raffrontando la nostra città con le principali del Gonti- nente? La differenza diviene più marcata. Ecco le cifre: Per l’Italia RESIDENTI NATI NON RESIDENTI NATI DELLO STATO LO STATO DELLO STATO LO STATO Falcomosnt io arena e 7, 25 0, 19 0, 94 0, 44 Napoli = eretta saticofa 19, 49 0, 56 4, 64 0, 2% ROMAN OA A pts 0, 00 0, 00 0, 00 0, 00 MOMO est on IS 50, 27 4, 56 3, 38 0, 28 IERI ARRE 49, 29, 10091; 3, 29 0, 54 IPERZE ANAAO cei SASA 45, 66, 1, 28 3, 85 0, 78 Genova. ii 34, 24 2, 2 5, 57 0, 85 Queste cifre mostrano come nelle città del Continente i residenti nati in altri comuni dello Stato corrano dal 19 al 50 per 100; e i nati all’estero del 0,56 al 2 per 400, in modo che Palermo col suo 7 e col suo 0,19 vi sta in istraordinaria spro- 8 56 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 18641 £ 71 porzione; e come i non residenti nazionali vadano dal 1,61 al 0,57 per 100, e gli esteri dal 0,85 al 0,28, mentre Palermo ha pei primi il 0,94 e pei secondi il 0,144. Nelle grandi città continentali va alla testa Torino pei residenti nati nei comuni dello Stato e Genova pei residenti nati fuori lo Stato; e pei non residenti nazionali o esteri è la stessa città di Genova che va prima; Napoli, con proporzioni più elevate di Palermo, è la città che sta alla coda in riguardo a numero di popolazione non originaria. Da questi raffronti possiamo ricavare talune idee. A dir vero, Palermo non è fra le città che hanno una importante immigrazione sia effettiva che tran- sitoria. Palermo è cresciuta per effetto delle forze naturali della sua popolazione; e la mancanza di vita politica ed am ministrativa ha fatto sì che essa non si è aumentata per grandi immigrazioni. Torino che in 4100 dei suoi abitanti conta 50,27 di non originarii, Firenze che ne ha 45,66 e Milano che ne ha 42,26 mostrano questo rapido accrescersi per effetto dell’immigrazione. Torino deve questo fenomeno al 1849 e al 1860 quando fu capitale morale e capitale ef- fettiva della nuova Italia; Firenze al 1864; Milano all’essere centro della Italia settentrionale e città di gran movimento industriale. Napoli con la sua cifra refratta mostra la poca tendenza degli abitanti di quel regno a stabilirsi nella ex capitale; e Palermo, scaduta da centro politico ed amministrativo dell’Isola, le si avvicina con qualche sproporzione; e rivela come gli abitanti delle Isole siano più legati al luogo dove nascono. Nelle grandi città di cui abbiamo detto, è a convenire che vi è un grande rimescolamento di popolazione con le altre città; dappoichè una immigrazione suppone una emigrazione, e le città, che hanno una metà dei loro abitanti di altri comuni, è a credere che gran parte dei suoi emigrano in altre terre o in quelle donde vengono i suoi immigrati (4). La popolazione di Palermo è popolazione naturale: essa cresce per propria forza, e se gli abitanti di altri comuni non sono attirati a venire in essa; i propri non (41) Il censimento della popolazione italiana all’estero del 31 dicembre 1871, or pubblicato, mostra come l’emigrazione sia eccessiva al nord e al centro d’Italia e vada degradandosi al sud, per ridursi poco sensibile nelle Isole; e difatti, in una cifra complessiva di circa 478,000 italiani all’estero si trovano in rapporto alle Regioni italiane le seguenti notizie: Alla Liguria spettano 27,87 in 100 emigrati; al Piemonte 25,33; alla Lombardia 12,54; alla Venezia 9,74; alla Toscana 6,24; all’Umbria 0,09, a Roma 0,65; alle Marche:1,12; all’Emilia 2,89 alla Campania 5,01; agli Abruzzi e Molise 0,24; alle Puglie 1,16; alla Basilicata 2,03, alla Sicilia 3,36 alla Sardegna 0,90. Complessivamente, su 100 individui classificati per provincia di nascita ne spetta- no 73,43 all’alta Italia (Piemonte, Liguria, Lombardo-Veneto); 10,96 all’Italia centrale (Emilia, Marche Toscana, Umbria e Roma); 9,33 all'Italia meridionale (Provincie Napolitane); 4,26 a Sicilia e Sardegna, La emigrazione è spaventevole in Italia, e in ispecie al Nord di essa e al centro, mentre è quasi incalcolabile nel resto. Dal solo porto di Genova nel 1873 partivano per la sola America del sud 26,183 italiani, 6,122 di più del 1872; questi andavano così distinti: All’alta Italia 14,420; all’Italia cen- trale 4,272; alla meridionale 6,980, a Provincie diverse, tra cui la Sicilia e la Sardegna, 330; esteri 802. Queste cifre sono troppo eloquenti per mostrare a ch'è ridotta l’Italia. E I MOVIMENTI DEL DECENNIO 57 sentono il bisogno di abbandonarla. La sua ristretta popolazione non originaria, se da un lato è indizio di poco movimento, dall'altro è non dubbio segno di ben essere, di amore alla località, di spirito di famiglia ; vi può perdere la parte economica, ma vi guadagna la parte morale. X POPOLAZIONE PER INFERMITA” Lo studio della popolazione per le infermità permanenti è di grave impor- affettanza, sia che esse investano la parte fisica, come i ciechi e i sordo-muti, sia che affettino la parte morale, come gl’imbecilli e i mentecatti; e il loro numero più o meno denota i difetti fisici e morali della popolazione ; in altri termini è la vera espressione degli inutili al lavoro, di quelli che sono veramente di peso alla società, è l’indizio delle forze della popolazione. Melchiore Gioja, così scriveva sull’importanza di questo studio : « Considerando che le ricchezze, în pari circostanze, sono proporzionate agli utili lavori; « Che i lavori sono in ragione della qualità, delle forze e del tempo in cui rimangono impiegati; « Considerando che le persone o difettose nei sensi o nella mente, o man- canti di forze muscolari o soggette a malattie, sono una passività per lo Stato; « Considerando che l’esame di questi difetti ci guida sovente alla cognizione delle cause che li producono, e queste possono talvolta essere, se non distrutte, almeno neutralizzate o diminuite della forza del pubblico amministratore; « Sì riconoscerà l’utilità d’ occuparci Celle qualità fisiche della popolazione. » Egli è indubitato che quanto più cresce il numero di questi inabili fisici o morali, tanto più una popolazione sarà improduttiva e debole sotto il rispetto economico; i ciechi, i sordi-muti, gl’idioti, i mentecatti sono inabili al lavoro; sotto il rispetto politico, questi stessi non è possibile far parte dell’esercito, e il nu- mero dei riformati nelle leve militari è il sintomo della decadenza della parte fisica della popolazione; ed oltre ciò aggrava la popolazione utile di un ser- vizio che la distrae dalla produzione; sicchè anche sotto questo rispetto ha un influenza nella vita economica. i La conoscenza adunque di queste notizie sulle infermità è di grave inte- ‘resse pei governi che debbono pigliar notizie sulla popolazione, e per studiare sì le cause che le producono, come i mezzi per utilizzare si fatta classe; dappoi- chè a meno degli infermi morali , i ciechi e i sordo-muti possono essere addetti a lavori per i quali non fa bisogno dell'uso dei sensi nei quali difettano. Utile però sarebbe conoscere di essi e la origine per vedere se del paese o di altrove; 58 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 1864 E 71 e la età, per avere in parte scienza del periodo della vita nel quale la malattia si sviluppa; e i mestieri che esercitano o esercitavano, nel fine di sapere a che cosa possano addirsi, e quale influenza abbiano tali mestieri sulle infermità. Ma il governo, nè nel 1864, nè nel 18741 ha richiesto sì utili notizie. Infine, anche la beneficenza bisogna di avvalersi delle statistiche sulle infermità; la beneficenza senza principii e per sola umanità non trova giustificazione nella scienza; ma la beneficenza che deve soccorrere l'impotenza è un dovere, a cui le società anche devono ubbidire. Dopo ciò venghiamo ai risultati dei nostri censimenti sulle infermità. DELLA POPOLAZIONE PER INFERMITÀ INFERMITA’ BESTIE VE PO, in più IN MENO | | 196 | ee n Maschi Femine Maschi Maschi Femine Femine Totale Femin Totale Totale a gnà dalla nascita Ciechì 2 5 9 9 4 È d’ ambo gli occhi dopo ) 54| 49 | 103 64 z| 140 12 4| 416 » Sordo-muti - { Galla nascita - (| 471 40 37 Ts È >| >| ||| Imbecilli dalla nascita . 12) 8| 20 o scemi di mente dopo ...... aa "| 28) 45) 73 40] 53] 93f » » » Mentecatti. ....... >| >» »|| 296] 242| 538|| 296| 242) 538f >» > È TOTALE. . . |l 101| 89 | 160] 439] 388] 827]| 3481 2991 647] 19 » | 40 Le cifre, come ben si scorge, sono refratte ; il che rivela che la nostra popolazione, tanto sotto il rispetto fisico come intellettuale, si trova in buone con- dizioni, e forse superiori a quelle delle altre principali città dell’ Isola e del Continente, come meglio si chiarirà in proseguo. Però a facilitarne lo studio, ecco qui per 1000 della popolazione i rapporti fra i due censimenti , avvertendo che questo paragone può solo istituirsi tra le infermità che si trovano censite: INFERMITÀ COMUNI AI DUE CENSIMENTI INFERMI PER 1000 DELLA POPOLAZIONE TT tt —. 1861 4871 Ciechi no SIOE PROATA iS do cp > MIZAR «14, 2.0058 0,54 Sordo:=muti ce. SR RR 05) 0,35 Pei ciechi può dirsi che fra i due censimenti non corra differenza; si tratta È I MOVIMENTI DEL DECENNIO 59 di un centesimo per 1000 di aumento nel 1874. Però assolutamente in ordine ai sordo-muti è da osservare che nei due censimenti se ne trova un numero di non originarii; essi sono convittori di uno Istituto, unico per tutta la Sici- lia; relativamente il 1871 presentò una diminuizione di 10 centesimi su 1000, la quale è di grave importanza, perchè quanto più questo numero si assottiglia, tanto più lo stato della costituzione fisica della popolazione presenta migliori condizioni. Considerando per sesso le infermità, troviamo tra i due censimenti i se- guenti rapporti: MASCHI E FEMINE IN 100 INFERMI NEL INFERMITA” 1861 1871 ; MASCHI FEMINE Re ee Ue 52,43 47,57 55,46 44,54 Sordo-muli. . ..... 54,02 43,98 48,05 54,95 Il 1864 tanto pei ciechi come pei sordo-muti ha una preponderanza di maschi sulle femine, e più fra i sordo-muti che fra i ciechi; il 1874 al rove- Scio dà una preponderanza maggiore ai maschi ffa i ciechi e una leggiera ec- cedenza alle femine fra i sordo-muti; nel resto non vi è cosa di molto ri- lievo fra i due censimenti. Il censimento del 1874 ridotto per 1000 abitanti, onde poterlo meglio e a solo studiare, dà le seguenti cifre : INFERMITA” RAPPORTO PER 1000 ABITANTI Ceci ae Ri E A 0;04 0,50 0,54 SOON 0,20 0,15 0,40 IMPE Re 0,09 0,33 0,42 Nena e i —_—_ —— 2,45 I ciechi danno in complesso 0,54 per 1000 abitanti, cifra al certo refret- tissima; di essi però solamente 0,04 sono nati tali, 0,50 vi sono divenuti; quindi circostanze straordinarie e fortuite, oltre le naturali, hanno dovuto concorrere a privare di vista uomini che alla nascita fissavano gli occhi alla luce. Non è così a dire dei sordo-muti; in queste infelici privi della favella sono più quelli che tali vengono dalla nascita che coloro che per cause fortuite o altre infermità vi divengono; e difatti il 0,40 per 1000 va così distinto: delle nascite 0,25, dopo la nascita 0,15. Gl’ imbecilli seguono la stessa sorte; quelli dopo la na- scita sono dippiù di quelli che tali nacquero dal seno delle loro madri; i pri- mi sono 0,33 per 1000, i secondi 0,09. 60 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 1864 E 741 A dir vero è egli difficile designare se lo stato d’ imbecillità sia venuto dalla nascita o sia acquisito ;: sono rari i casi della imbecillità acquisita per infermità ; le cifre mostrano il rovescio, perchè nel principio della vita egli è difficile conoscere questo difetto morale, I mentecatti sono 2,45; questa è infermità che si sviluppa dopo i primi anni di esistenza. La cifra di 2,45 è un pò alta, perchè in Palermo è un Ma- nicomio che serve ai matti di tutta Sicilia; questi infermi in gran parte non sono. originarii del comune, ma dell’ Isola intera. Quanto abbiamo avanti accennato, cioè che Ja popolazione di Palermo per infermità fisiche e morali sta al disotto delle altre città dell’Isola e del Con- tinente, il che è prova di essere noi in migliori condizioni, si rileva meglio dal raffronto che qui facciamo tra le nostre e le principali città insulari e con- tinentali del Regno. In Sicilia INFERMITA’ PER 1000 DELLA POPOLAZIONE CITTA” ACTA ___BORDO-MUTI — ___ IMBECILLE MENTE- Me e Palermo 0,04 0,50 0,54 0,25 0,10 0,35 0,09 0,33 0,42 245 Messina 072° 0,54 0:72 0247905) -40:26) 00.207.045 MOSSA Catania 0:75 4,429. 2,17 ).,0;42 0,09) 0,51 0,45 0257 (04/3025 Trapani 00530 0123 07601053, LOT 0:68 00/29 02305 » Siracusa 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 Girgenti 0539 R0:827 L21039 » 0 0539, (0524 10,15 0;39700008 Caltanissetta 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 Intorno ai ciechi, sia della nascita che dopo, Palermo ne ha meno che tutte le altre città dell Isola; il numero più clevato dei ciechi è in Catania che ha il 2,17 per 1000, e dopo vien Girgenti; si accostano a Palermo con or- dine crescente Messina e Trapani. La cifra minore di ciechi dalla nascita la ha Palermo con 0,04; di quelli dopo la nascita Trapani con 0,23; indi viene Palermo col suo 0,54; Catania, tanto pei ciechi dalla nascita che dopo, va avanti di tutte col suo 0,75 e col suo 4,42. Dei sordo-muti la cifra più bassa si trova in Messina, che ha 0,28, e dopo vien Palermo col suo 0,35; ma ove si consideri che in Palermo esiste un Isti- tuto d'istruzione di questi disgraziati, si comprenderà benissimo come gran parte dei suoi 0,35 appartengono a popolazione non originaria. La cifra più elevata dei sordo-muti dalla nascita è a Trapani che ha 0,53, la minima in È I MOVIMENTI DEL DECENNIO 64 Messina che ha 0,24, a cui si accosta Palermo con 0,25; per quelli dopo la na- scita il livello più alto l’ha Trapani con 0,45, il più basso Messina con 0,05; Palermo sta nel mezzo con 0,40. Degl’imbecilli Palermo tocca la media col suo 0,42 per 1000; sta alla testa Catania con 0,72, alla coda Messina con 0,35; scomponendo però queste cifre per imbecilli dalla nascita e dopo si trova, che pei primi, Palermo col suo 0,09 per 1000 ne ha minor numero, e Catania ne ha maggiori con 0,45, mentre pei secondi è Palermo che ne ha più di tutte con 0,33 e Messina e Girgenti meno con 0,15, le altre città seguono un rapporto intermedio. Dei mentecatti, Palermo ne ha più di tutte le altre città, perchè un Ma- nicomio unico per l'Isola ha sede nell’antica capitale; sicchè la massima parte di questi sventurati appartengono a tutta Sicilia e alle città che nel confronto con Palermo hanno minori mentecatti. Tolta Palermo , sarebbe Catania in Si- cilia la città che ha più matti, e Messina quella che ne ha meno. Venghiamo a raffrontare le infermità della popolazione palermitana con quelle delle altre città capitali del Continente. Ecco le cifre : In Italia INFERMITA’” PER 1000 DELLA POPOLAZIONE CITTA” CIECHI SORDO-MUTI IMBECILLI MENTE- e I Palermo 0,04 0,50. 0,54 0,25 0,10 0,35 0,09 0,33 0,42 2,45 Napoli 1,13 0,91 2,04 0,64 0,05 0,66 0,49 0,15 0,64 0,33 Roma Torino 0,12 0,86 0,98 14,09 0,08 4,17 0,56 0,31 0,87 2,43 Milano 0,92 4,35 2,28 0,04 0,48 0,52 0,62 0,95 1,57 4.44 Firenze 0:06) 45780 178400533) 0:07 0,40) 10,29 (0,73. 1,02 72,94 Genova 0,44 4,05 1,19 0,87 0,07 0,94 0,24 0,44 0,68 5,44 Questo prospetto di raffronto ci mostra a prima vista, come Palermo abbia, con forte sproporzione, minori ciechi, sordo-muti e imbecilli che tutte le altre città; si altera questa misura intorno ai mentecatti per le ragioni poco avanti esposte, raffrontando questi infermi dell’intelletto fra le città siciliane. Sul conto dei ciechi nel complesso il 0,54 per 1000 di Palermo deve mettersi in rapporto al minimo delle altre città che è il 0,98 come a Torino; che dire se si raffronta al 2,28 di Milano, al 2,04 di Napoli, all’ 1,84 di Fi- renze? Milano è la città in Italia che ha più ciechi, Torino, dopo Palermo, quella che ne ha meno. Se queste cifre si scompartono in ciechi dalla nascita 62 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 18641 E 741 e dopo, si trova: per la nascita, che Palermo con 0,4 e Firenze con 0,06, hanno il minimo; Milano con 0,92 ha il massimo e non trova riscontro approssimativo nelle altre città italiane ; pei ciechi dopo la nascita Palermo con 0,50, ne ha meno di tutte le altre città, e le si accosta, con qualche differenza, Torino con 0,86; toccano il massimo Firenze con 1,78 e Milano con 1,85, vengono dopo con ordine decrescente, Napoli e Genova, che contano 1,05 e 0,91. Lo stesso è a dire pei sordo-muti; il massimo è toccato da Torino con 4,17 per 1000, il minimo da Firenze con 0,40; Palermo, col suo 0,35 è al disotto di questo minimo, ed ha una seria sproporzione col massimo; si accostano più a Palermo che a Torino Milano con 0,52, Napoli con 0,66 ; e a Torino più che a Palermo, Genova con 0,94. Distinti questi infelici nelle due categorie dalla nascita e dopo, si ha, che Palermo nel minimo della prima categoria è vinta da Milano che ha 0,04, e nella seconda da Napoli che ha 0,05, nel resto in entrambe le categorie vince tutte; il massimo dei sordo-muti dalla nascita si trova in Torino che ha 41,09 per 1000, e il massimo di dopo la nascita si incontra in Milano che ha 0,48. Per gl’imbecilli si può dire, che Palermo, fra le città italiane, è quella che ne conta di meno. Guardati in complesso, Palermo in 1000 abitanti ne ha 0,42, mentre Milano ne conta 1,57, Firenze 4,02, si accosta, con qualche differenza, alla nostra città, Napoli che ne ha 0,64, e Genova che ne conta 0,68; si av- vicina a Milano e a Firenze, Torino che ne offre 0,87. Osservando questi sven- turati nelle due categorie dalla nascita e dopo di essa, si trova, che Palermo col suo 0,09 e col suo 0,33 dà il minimo di tutte le altre città; difatti per la prima categoria il minimo è 0,24, e si trova in Genova; il massimo in Milano che dà il 0,62; per la seconda categoria, i minori imbecilli si trovavano in Na- poli che ne ha 0,15, in Torino che ne ha 0.34, e vincerebbero Palermo che ne conta 0,33; il massimo è in Milano e in Firenze, che hanno l’ una 0,95, e l’altra 0,73. Pei mentecatti la cifra minore si trova in Napoli che ne ha 0,33; ma questa cifra non può esprimere la verità , perchè i suoi matti sono ad Aversa ; dopo Napoli il minimo sarebbe toccato da Milano che ne ha 4,44, il massimo da Genova che ne conta 5,44; Palermo col suo 2,45 sta nel mezzo, insieme a Torino che ne ha 2,43 e Firenze che ne offre 2,91. Dal fin qui detto possiamo conchiudere, come cominciammo, cioè, che Pa- lermo, per queste infermità di cui si tien parola, è fra le città che relativa- mente ne presenta di meno, sia nell’Isola che nel Continente italiano; donde è ad arguire che la popolazione versa in buone condizioni fisiche e morali. Un apposito studio potrebbe determinare le cause naturali e morali che possono giustificare le differenze che abbiamo incontrato; ma fin da ora si può ‘arguire, come le condizioni climatologiche, la natura dei terreni, la esposizione la E I MOVIMENTI DEL DECENNIO 63 dei luoghi, la costruzione della città, la costituzione degli uomini, le abitudini e i costumi vi esercitano una efficace influenza; elementi, che, filosofi, natura- listi e statisti, hanno messo avanti negli studî di antropologia, sì per prevedere l’ attitudine al progresso nella popolazione, come ancora per determinare negli individui la forza del lavoro e l’imputabilità delle proprie azioni. XI. POPOLAZIONE PER RELIGIONI Lo studio della popolazione distinta per le religioni che si professano ha una grave importanza, quando s’ intraprende per tutto il mondo; e la impor- tanza va diminuendo in ragione del restringimento del cerchio territoriale e delle razze di popolo su cui versa il lavoro. Nel mondo è la varietà delle popolazioni per le diverse religioni, le quali stampano un carattere partico- lare alla loro barbarie o alla loro civiltà. La religione non è soltanto cre- denza ; essa è morale è costume è legislazione; ed ogni religione imprime un carattere proprio alle scienze, alle lettere, alle arti, alla vita civile e militare Le religioni dell’antichità hanno mostrato questo fenomeno; le religioni vigenti lo dimostrano ancora. Immobile la bramitica , fatalista l islamitica, supersti- ziosa e sanguinaria quella dei popoli barbari, improgressiva e inospitale la buddista; ogni religione eterodossa dà il suo carattere che attenta al pro- gresso della popolazione. Di coloro senza alcuna religione non diciamo; questi non sono popoli, ma individui, cui o l orgoglio, o la disperazione, o il fana- tismo, o l ignoranza unita a corruzione di cuore, fanno schierare tra pochis- simi che dicono Iddio non è, e poi gran parte di essi operano come se Dio fosse, e conformano le lero azioni ad una morale che fu bandita da Dio. La religione è il legame tra l’uomo e Dio, tra il Creatore e il creato, tra il visibile e l’invisibile; essa educa e cuore e mente; nei bisogni e nelle tribolazioni è conforto ; è una voce che incita alla virtù e al bene; essa coi suoi dommi e precetti intende rendere migliori gli uomini quaggiù, allettandoli con le gioie di una vita futura, e spaventandoli con le pene di uno eterno dolore. La varietà delle religioni addimostra come gli uomini ne sentano bisogno; come, in mezzo alla verità e ai traviamenti esista un fondo comune di cre- denza; e come la religione distingua i popoli per nazionalità, e imprima un carattere differente di moralità o immoralità, di libertà o schiavitù, di virtù o di corruzione, di progresso o di regresso. Fra le religioni è la cristiana, rivelata da Dio, la rigeneratrice degli uo- mini. Fondata sulla giustizia, sulla uguaglianza, sulla libertà e sulla umana dignità ha in se gli elementi della verità, del dritto, del buono. Fra le varietà delle cristiane è la cattol’ca , di cui le altre non sono che degenerati rami 9 64 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 1861 E 741 dello stesso tronco. Le altre religioni, non progressive e non fondate sulla ve- rità, lasciano gli uomini nella servitù, nell’immobilità, e spesso nella corruzione. Limitando la popolazione e il territorio, noi dicemmo, lo studio sulle reli- gioni diminuisce d’importanza, se dal mondo scendiamo alla sola Europa, tro- viamo tutta la civiltà di uno stampo; e a meno della parte degli abitanti del ter- ritorio Ottomano, è la religione di Cristo che impera o nella sua chiesa o nelle varie chiese e sette, che se ne sono staccate; se dall’ Europa passiamo ad una nazione di essa, meno poche variazioni, lo stacco diviene minore; e se infine portiamo il nostro studio su una sola città, e in ispecie sulla nostra, è poco o nulla a rilevare; non vi sono che individualità appartenenti a culti diversi, nel resto è la religione cristiana cattolica la credenza degli abitanti. Il quadro che segue, il quale dimostra la popolazione distinta per religioni, dà la prova di quanto affermiamo. Vi fu tempo in Palermo, in cui questo studio potea avere importanza; quando greci, musulmani, ebrei costituivano una buona parte della popolazione, ai tempi Normanni; quando le moschee e le sinagoghe erano accanto le chiese greghe e latine, quando con diverse favelle e costumi si lo- dava Iddio, e la croce e la mezzaluna sfolgoravano sulle guglie e sui campa- nili; ma oggi non siamo più ai tempi dei Normanni; i secoli con la loro azione hanno assimilato quant’ era assimilabile ed espulso tutto ciò che non potè fon- dersi; oggi la popolazione nella quasi sua totalità è cattolica, e le cifre lo dimo- strano. Ecco il quadro : . DIFFERENZA 1861 1874 DELE aldo. IN PIÙ IN MENO te — r_gee rr __r_rrnr rT_ee——_y|l[ ran] _o=_T_r|]rao7Fro=oWWWwWwW e N RELIGIONE r > ù È A È n) È tei S ® 2 Si 2 = S 2 = = 2 E E £ E E E 3 E E E E = cd (>) Q (ao) D (©) o) ® DÌ i D [©] = Eu E = Gu E = E E = [9 E Cattolica . DI 97010) 97175|194185]|108944|109719|218663]| 11934| 42544| 24478] >» » » Evangelica. . 478 53| 231 352 ALL] 496) 174 9 265] >» » « Isdraelitica. . » 4 1 2 > 2 2 » 24 >» 1 1 Di altre relig. > » 46 34 5 36 > 5 oj 15 » 15 Senza regione >» » » 145 56 201 145 56] 201 » » » TOTALE. è . || 97234] 97229|194463]||L109474|109924|219398]| 12255| 12696| 24951] 15 1 16 A meglio studiare questo quadro osserviamo come per 1000 abitanti stanno i credenti delle varie religioni. E I MOVIMENTI DEL DECENNIO 65 RELIGIONI PER 4000 DELLA POPOLAZIONE 1861 1871 Sato e n e n 995,570 996,651 Biani ea I 1,188 2.260 iisora ciba nti 0,005 0,009 IRRPEE RCN GIONE a 0,237 0,170 SENZABRCI ZIONE » 0,910 Tanto nel 1861 come nel 1874 gli accattolici non sono che o deboli unità o frazioni, la totalità spetta ai cattolici. Gli evangelici nel 1861 erano 1,18 in 1000 abitanti ; gli isdraeliti un 5 centesimi; quelli delle altre religioni per 1000 un 0,23; i senza religione non figuravano in questo censimento. Nel 1874 i cat- tolici relativamente perdevano per 4000 abitanti 2,81, gli evangelici vi gua- dagnavano 4,07, gl’isdraeliti 0,004; e quelli delle altre religioni perdettero 0,67; e i senza religione figurano per la prima volta nella meschina cifra di 0,91 per 4000. Volendoli distinguere per sesso, troviamo questi risultati : In 1000 PER SESSO DELLA POPOLAZIONE Ra on Liga o MASCHI FEMINE MASCHI FEMINE Colico. Ri, ‘997,59 999,45 (995.44 — 99844 INCCAMONCi a 002,41 000,55 004,86 001,36 Il che mostra assolutamente pei due censimenti, che nel 1864 fra i cat- tolici le femine superano di 1,86 i maschi della stessa credenza, e fra gli ac- cattolici nella stessa cifra di 1, 86 gli uomini sovrastano le femine ; nel 1874 le femine cattoliche superano i maschi della stessa credenza di 3,00, quindi i cattolici maschi si sono relativamente diminuiti di 1,1à, e della stessa cifra si sono di conseguenza accresciuti gli accattolici del medesimo sesso. Paragonando i due censimenti si trova che i cattolici perdettero per 14000 abitanti ma- schi 2,45, femine 4,31 e delle stesse cifre si sono aumentati gli accattolici pei due sessi. E egli questo un progresso? Le cifre sono sì refratte da non rappresentar nulla d'importanza; ma relativamente possiamo dire che il pas- saggio della verità all'errore non è mai un bene; la società non vi guadagna in nessuno dei suoi fattori; esse esprimono però un fenomeno utile, cioè la li- bertà e la tolleranza, e un rimescolamento, se si vuole, leggiero di popolazione, poichè la gran parte degli accattolici non è originaria del paese. Con ciò abbiamo osservato quanto delle varie religioni vi siano per 100 66 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 1861 E 71 abitanti sì maschi che femine; ora crediamo utile presentare in complesso quanti per ogni credenza vi siano di maschi e di femine. Ecco le cifre: NEL 1861 NEL 1874 IN 100 IN 100 CATTOLICI ACATTOLICI si guai ng Maschi ii; ‘(49:95 80,57 49,82 72,44 Bene 50,05 19,43 50,18 27,89 Queste cifre mostrano, come fra 100 cattolici nel 1864 le donne superavano gli uomini di 00.05 e nel 1874 di 00,36; e come fra 100 accattolici nel 1861 le femine stavano al di sotto dei maschi per 64,14, mentre nel 4874 la dif- ferenza tra i medesimi 44,22; il cattolicisimo tra le femine nel 1871 è diminuito in una proporzione maggiore che non fra gli uomini. Pel solo censimento del 1871 mettiamo la nostra città in raffronto con le principali dell’Isola e del Continente per rilevare dove i credenti cattolici sieno dippiù. I risultati sono i seguenti: In Sicilia PER 1000 DELLA POPOLAZIONE CITTA’ CATTOLICA EVANGELICA ISDRAELITICA ALTRE RELIGIONI SENZA RELIGIONE Palermo... 996,65 2,26 0,04 0,17 0,94 Messina . .. 975,53 3,44 ’ 21,33 » Catania ... 996,41 3,06 0,03 0,33 0,17 Trapani... 985,31 19410] 0,06 1,46 » Siracusa... 000,00 00,00 0,00 0,00 0,00 Girgenti... 994,48 4,36 0,09 AIOT » Caltanissetta. 000,00 (CORE 0,00 0,00 0,00 Questi rapporti sono eloquenti; a colpo d’occhio si scorge come Palermo conti meno evangelici, meno isdraeliti e meno di altre religioni di fronte alle prin- cipali città di Sicilia, e come di conseguenza abbia maggiori cattolici. Fra gli evangelici il rapporto più forte è toccato da Trapani, che in 1000 ne ha 48,17, e dopo Palermo che ha 2,26; il minimo spetta a Catania che ha 3,06; a cui si avvicina Messina con 3.144; i maggiori isdraeliti sono a Girgenti che ne conta 0,09; e dopo Palermo, che ha 0,04, il minimo è toccato da Catania che ne ha 0,06; è singolare che Messina, città commerciale, non ne conti alcuno; mentre per le altre religioni è la città che ne ha maggior numero col suo 24,33; È I MOVIMENTI DEL DECENNIO 67 îl minimo è toccato da Palermo con 0,17, ecco una grande sproporzione ; Ca- tania col suo 0,38 si accosta al minimo, il medio non è raggiunto d’ alcuna città, perchè esse non oltrepassano che di pochi centesimi 1,0 per 1000. Per coloro che si dichiararono atei e di nessuna religione il numero maggiore si trova in Palermo, che ha il 0,94, Catania ne conta 0,17; le altre città nessuno; la sproporzione in questi estremi non esprime che bizzarria di mente, o affet- tata credenza in una filosofia nebulosa e sconfortante. Mettendo per lo stesso oggetto Palermo in raffronto alle città principali del Continente, troviamo una maggiore sproporzione : Palermo è la città che conta maggiori cattolici, e le cifre vanno bene ad esprimere questo concetto. In Italia PER 1000 DELLA POPOLAZIONE CITTA’ CATTOLICA EVANGELICA ISDRAELITICA ALTRE RELIGIONI SENZA RELIGIONE Palermo... 996,65 2,26 0,04 0,17 0,91 Napoli. ... 994,81 3,83 0,27 0,44 1,48 Roma .... 954,66 15,54 18,89 13,94 3 Torino. ... 982,63 4,99 9,44 2,94 » Milano. ... 974,84 14,56 4,48 2,79 3,36 Rirenze <.. 94919 5,49 14,76 30,42 0,44 Genova ... 990,13 5,397 3,11 1,39 » In 1000 della popolazione Palermo ha 996,65 cattolici; queste cifra non è raggiunta d’alcuna città; il minimo è toccato da Firenze che ne ha 949,19 e da Roma che ne conta 951,66; Firenze è la città delle arti e Roma è la ca- pitale del mondo, in esse accorrono da ogni parte uomini di diversa religione cui all’ombra della tolleranza hanno trovato asilo, in ispecie gli ebrei, dei quali se ne trovano a Roma 418,89 in 1000 abitanti e a Firenze 14,76, cifra non rag- giunta da nessun altra città. Al rapporto di Palermo si accostano Napoli Genova e Torino, Milano; tocca quasi la media. La differenza tra il numero dei cattolici in 1000 della popolazione spetta alle altre religioni, e di conse- guenza dove i cattolici sono dippiù, sono di meno quelli di altre credenze. E difatti, il massimo degli Evangelici si trova a Roma con 415,54 e a Milano con 14,56; il minore in Palermo con 2,26 a cui si accosta Napoli con 3,83 e Torino con 4,99, a quest’ ultima città si accostano pure Firenze e Genova che di pochi centesimi superano il è per 1000. Per gl’isdraeliti il massimo è in Fi- renze e in Roma, come avanti avvertimmo, che hanno l’una il 18,89, e l’altra il 44,76, il minimo e a Palermo con 0,041 e a Napoli con 0,27, si accosta al 68 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 18641 E 71 massimo Torino con 9,44, e vengon dopo con ordine decrescente Milano con 4,48 e Genova con 3,44. Intorno ai credenti in altre religioni il maggior numero lo troviamo anche a Firenze con 30,42 e a Roma con 43,94; il minor numero in Napoli con 0,14 che vince lo stesso Palermo che ha 0,17, il 2 per 1000 è oltrepassato da Torino e Milano, non lo raggiunge Genova con il suo 4,39. I senza religione compajono soltanto in quattro città: Roma, Torino e Genova non nè censirono, fra quelli che hanno una cifra che rappresenta questi atei il minimo e toccato da Firenze con 0,14 il massimo da Milano con 3,36 si ac- costano più al minimo che al massimo Palermo con 0,91 e Napoli con 4,48. Così compiuta la parte che riguarda la popolazione divisa per religioni, possiamo dar termine anche alle nostre osservazioni sui censimenti raffron- tati, e venire ad altro ordine d’idee, cioè ai movimenti della popolazione pel decennio corso del 1862 al 1871. XII. MOVIMENTI COMPLESSIVI DEL DECENNIO 1862 e 1871, ACCRESCIMENTO E RADDOPPIAMENTO DELLA POPOLAZIONE Fin quì abbiamo studiato la nostra popolazione in due periodi differenti, colla distanza di 410 anni; l'abbiamo considerato nel suo stato di fatto, non in quello di dritto; non abbiamo osservato i movimenti intermedii pei quali si ridusse col volger dei dieci anni nello stato in cui oggi la troviamo; noi abbiamo studiato la specie, non gl’individui; ora è ben altro il nostro compito. Quanti uomini raggianti di vita al 1861 sono spariti della scena del mondo nel 1871! Quanti altri che non esistevano allora, figurano oggi nelle diverse età della popo- lazione! Quant’altri spuntarono e tramontarono di un subito come meteore, e quanti in breve tempo compirono il loro giro! Tutte le età, tutte le condizioni sociali, i due sessi hanno subito l’azione inesorabile della natura; molti son nati, e molti ancora son morti. L'azione riproduttrice e l’azione distrugitrice sono venute in lotta: la nascita e la morte; la vittoria è stata della vita, ma non vittoria allegra; la morte mietè in due anni del decennio tante vittime con il colera, d’anticipare di più che due anni l’ordinaria mortalità del paese, seb- bene le nascite negli anni successivi avessero gradatamente riparato al guasto della potenza distruggitrice della morte. Il quadro che segue mostra per 10 anni quali si fossero questi movimenti; la prima e l’ultima colonna esprimono la popolazione per sesso al gennaro e al 34 dicembre di ogni anno, a contare dal 1862 al 1871, le altre, anche per sesso, segnano per ogni anno le nascite e le morti; e una categoria delle differenze in più e in meno esprime il crescere o il decrescere della popolazione. Le cifre son chiare ed eloquenti per denotare gli effetti dei movimenti della popolazione. E I MOVIMENTI DEL DECENNIO s andos 0yo cupenb ji 210830] qnd ‘ouotznunzip ejje a o)mammne je osi0onoo ossapduroo ur oueiqge tss9 esp tend adoosouoo a ‘som dad ipc;[asia 1ss0]s 1]S osoat gsod eWE 17) “Q'N OSEGOF | 9SEOOF | EE066 L96E06 | OLLEOF | L67007 GEETOG | 999F0F | 69966 6£886F | 9G7OOT | E8E86 GTE.GT | 6SFOOF | 9886 ETSLOT | 9966 | LL6L6 610006 | 69001 | L98866 C8ET06 | E80I07 | 666007 SSEOGI | 17666 | 71066 OOSLOT | 09066 | 07786 LIGIGI | GEG.H | 8626 9]0}0.L | uma, | IYOSCH TUANMOIA TE $ INOIZVIOdOd a a a a D a UÙ e 6E61 | YOTT c L ‘ 9676 | OTT € G € L66 | L66 € a CI COOP | 6 6976 | 6507 | OTTT OLET | 8S7 | 316 l £ 4 GELT | 188 é : o €861 | GE8 £ O g TELI | 9007 401 | ‘Wwog | “sen | ‘901 | "Wed ONAI NI «Ad NI VZNHUMMIHIO 607 "SUN 7eC9 | 69GE | CTC 9796 | 9696 | 660€ ECES | TESE | €086 OGTL | EGEE | Lese C8LG | SL9a | LOTE 6966 | 9GE7 | LOG7 0988 | 976€ | 7197 GETS | 91SC | 6166 LET9 | 0666 | LYIE GEEI | EE06 | COLE 8T6S | TO8G | LITE og | ‘Wood | *seN ILUONN CEL | ET96E OL TELE 0698 896€ L666 8876 8596 TL8E 8SLE “ma ILVN GISE || GOSS6T | 0866 | LOLS6 || """"VICUN SECTOE | 99970F | 69966 FLST 6£886F | 9S7007 | 8886 OL STSEGF | 6CT007 | 98€86 6987 ETELOY | 99566 | LL6L6 8987 ANOIZVIOdOd 7088 CEGI 8799 O8SL 9676 ELA 6189 706 OGTL IL cO07 6818 7819 6976 £966 TOL9 OLET 0968 OGTL LEVE GE7S CISL SOLI LETI 68 €861 GELI 8094 SSLI 8168 GL9IL I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 1861 E 71 AIVANNY ‘ZNTUYI AIA (ci ISA.LNIS 70 * ‘OINNIOIA TIA OLNINA\Y 9 +|08+|et+|ziz+|s+|08 +|0g 8 + | cer +|706+|84+]|M3+ Li 098 997 607 Len £87 OL7 €17 L6E LEN Ta” €67 c89 OTL 6£9 E79 649 (dA [dos Tea 68 179 699 VEL 913 +|gce+|goe+|zoe+|se+|owm+]| meg Sh + | 0P+ | 98 + | 2er + | ter 4 867 STE 798 VIRS LLE 687 788 077 067 878 1IS £99 779 Ea ELI 9E9 €09 669 86 99 £68 799 8£9 76L (ORAZIO (ai bel) file TO n I II) 90t + | ogr + | er + | 961+ | 221 + 989 IL €62 LEL £69 LS9 087 197 €77 9€7 878 {89 GL 319 179 EI 078 98G FLS 99 EI GLI GI + |z+|et+|9o +|w+]|6 + i +|1 +|ceoo+|@z+]|% + SY GET L87 CES 179 87e 607 087 €77 €67 098 989 (dd) 668 879 cca LES VALI 10S 879 99 19 + | + | co + | 9 — | oo —| er — e — | #9 + | 96r+ | ter+ | 2i6+ L&9 707 607 SOL Egg | OL9 USS 087 L6Y CEY 987 GEL 679 719 VI €87 Le” GLY VSS €69 979 £oL 98 +|zow- | rg |2x +|r8r+|681+ 60 +|zrz+|m+|es+|29%+ 098 €L06 | 8 | SOY L6€ 107 ug 168 988 L9€ 077 979 99 709 SY 8LG 068 IS 8£9 L%9 679 189 LI + | + |eee+|or+|e+|e + ei + | 663 + | ter + | 96 + | S26 + 187 077 €07 68 £67 TIS 817 688 879 077 908 879 69 979 8£9 (dd) T69 . 078 819 699 9L9 T8L OT + | 8F+|98+|zer+|9 +|38 + o +|06 +|+|66+ | 8 + 859 887 088 79% 989 Cze 167 CEE L97 887 ILS 789 949 OIL 919 768 609 ILS cc9 03. 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Nel decennio si contarono 74,350 nati dei quali 38,120 maschi e 36,230 femine, i maschi superarono di 1890 le femine; e si ebbero a riscontro 65,540 morti, dei quali 34850 maschi e 30690. femine, i maschi superano le femine di 4160; se da questa cifra sottraghiamo i1890 maschi nati dippiù, ci resta che la morte non colpì ugualmente i sessi, lasciando in vita 2270 femine. Ciò com- prova quanto avanti dicemmo, che l’azione di maggiore produzione nei nati maschi è annullata dall'azione della maggiore mortalità in questi stessi indi- vidui. Raffrontando le nascite alle morti, esse ci presentano un esubero di 8796, nella quale cifra concorsero dippiù le femine. Ecco quindi, come nel decennio si abbia avuto in media per anno 7435 nati e 6554 morti, cioè un nato per 27 abitanti, e un morto per 30, e un medio aumento di 879 individui, cioè di 4 per 223 abitanti. Ecco qui in un quadro l’accrescimento annuo della nostra popolazione. L'aumento o il decrescimento per ciascun anno, ridotto per 100 abitanti della rispettiva popolazione è il seguente : ANNI AUMENTO DIMINUIZIONE ANNI AUMENTO DIMINUIZIONE 1862 0,90 Dl 1867 30) - 1,23 1863 0,65 do 1868 0,50 Da 1864 0,88 Pe 1869 0,14 da 1865 4,06 Li 1870 1,26 So 1866 Da 0,67 4871 0,95 Le Analizzando questi aumenti e queste diminuizioni si trova che gli anni di maggiore aumento furono il 1874, il 1870 e il 1865; è in questi anni che l’aumento supera V 4 per 100; stanno al disopra del 0,50 tutti gli altri anni, meno il 1869 che raggiunse appena il 0.14; la diminuizione maggiore la segna il 1867 con 41,22 per 100 e a questa tien dietro il 1866 con una dimi- nuizione di 0,67. Così abbiamo che la nostra popolazione batteva la via del- l’incremento sino al 1865, che segna il massimo del primo quinquennio, diminuiva indi nel 1866 e nel 1867 per crescere nel 1868 e nel 1869 e pigliare uno slancio da superare quello del primo quinquennio negli anni 1870 e 1874. E quì due parole, in pria sullo stremato aumento del 1869, e poi sulle diminui- zioni degli anni 1866 e 67. Il 1869 in riguardo alle nascite si presenta con una cifra che supera o uguaglia quella degli altri anni, fu la morte che di- 10 72 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 18641 E 74 strusse tanto beneficio ; esso conta una mortalità troppo spinta; esso ha più che 7000 morti, mentre la media ordinaria non supera che a stento li 6000, sono 1000 morti dippiù che distrussero l’ordinario aumento e lo resero refratto. Nel 1866 il colera mieteva 4046 abitanti, e il 1867 ne rapiva 3821, sono due cifre forti, imponenti, ma quasi uguali, che influirono in differente modo sulla diminuizione della popolazione da essere 0,67 nel primo anno e 4,23 nell’al- tro; ciò sembrerà forse anormale, osservando come quasi lo stesso numero di morti abbia potuto agire in modo si differente; ma ove si consideri che la popo- lazione del 1867 si trovava stremata dei morti del 1866, cesserà ogni meraviglia, lo stesso numero diviso ad un divisore diminuito da un quoto maggiore. Nell’aumento e nella diminuizione i sessi non agirono nello stesso rap- porto; i maschi hanno dato un maggior contingente nelle nascite, le femine uno minore nelle morti; e siccome l aumento e la diminuizione sorge dalla eccedenza dei nati sui morti, e dalla deficienza di questi su quelli, così si trova , che nell’ accrescimento le donne hanno dato un maggior numero che gli uomini. E difatti, nell’aumento noi troviamo i seguenti dati : ACCRESCIMENTO PER 100 ABITANTI SESSO ANNO e TOTALE 1862 0,38 0,52 0,90 1863 0,23 0,42 0,65 1864 0,43 0,45 0,88 1865 0,49 0,57 1,06 1868 0,24 0,29 0,50 1869 SI 0,44 0,44 1870 0,64 0,62 1,26 4874 0,44 0,54 0,95 Media 0,35 0,44 0,94 DIMINUIZIONE PER 100 ABITANTI SESSO ANNO mit ne TOTALE 1866 0,45 0,22 0,67 1867 0,70 0,53 1,23 Media 0,57 0,37 0,94 Ecco le cifre che riguardano tanto gli anni di accrescimento, come quelli E I MOVIMENTI DEL DECENNIO 713 di diminuizione della popolazione. Per avere l’ effettivo aumento annuo del decennio occorre che la diminuizione figuri con l’ aumento ; e i risultati sa- rebbero i seguenti : AUMENTO EFFETTIVO NEL DECENNIO MASCHI FEMINE TOTALE 0,16 0,28 0,44 Queste cifre, sia osservate per anno, come in complesso pel decennio, ci mostrano chiaramente quanto abbiamo assunto, cioè che nell’accrescimento, il quale è di una certa importanza, le femine vi hanno concorso per una som- ma maggiore, nata non da eccedenza di nati sui morti, ma di decrescenza nelle morti delle femine di fronte ai maschi. Avremmo voluto raffrontare in complesso l’annuo accrescimento della no- stra popolazione per 100 abitanti, con quello delle principali città insulari e continentali; ma ci fu negato; dappoichè nelle pubblicazioni officiali del Regno dal 1867 in poi fu tolta, senza ragione, la popolazione al 1° gennaro e al 31 di- cembre di ogni anno, di cui si pubblicavano i movimenti, cosa al certo di grave nocumento agli studii comparativi; sicchè faremo il raffronto per un solo quinquennio. Per la Sicilia È POPOLAZIONE DIFFERENZA ACCRESCIMENTO CITTA ANNUO NELL'ANNO IN PIÙ PER 100 1862 1867 Paleemort 0. 194/163 200012 5549 0,57 Messina si... 103324 111218 7894: 1,53 Calamia i... 0.0 68810 72444 3604 1,05 MEARAni. n 30592 32735 2143 1,40 Caltanissetta . ... 23879 25116 1237 1,03 SIFACUSAMO 49754 21016 1265 1,28 Green 47194 18049 848 0,98 Da questo prospetto si rileva come Palermo, in faccia alle principali città di Sicilia abbia uno sviluppo più lento; e ciò fu marcato, quando presentammo in altro lavoro il raffronto per tre anni; oggi che si istituisce il paragone per cinque anni la posizione è peggiorata; Palermo nel triennio dal 1862 al 1864 74 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 1864 E 74 presentava un annuo accrescimento per 100 di 0,84, oggi questa cifra si è ridotta a 0,57, con 0,23 di meno. Alle ragioni allora esposte circa alla decrescenza, che rilevammo prodotta dalla perdita del grado di capitale, e dal trovarsi fra i nostri morti quelli degli ospedali e degli ospizii che in gran parte non appartengono alla popolazione, e che pure in dritto vi fanno deduzione, è d’aggiungere il fatto della epidemia colerica che rapì nel 1866 e 67 circa 8.000 abitanti, prodacendo una diminuizione per 100 di 0,67 nel 1866 ed 1,23 nel 1867; questa è la causa principale della decrescenza ; mentre le altre città che non furono af- fetti da questi mali, o l’ebbero in esili proporzioni, non presentano questa mar- cata differenza. Ma non per questo, qualunque fosse stata la diminuizione che le due epidemie apportarono, non è a convenire che la città di Palermo non presenti un’accrescimento inferiore a quello delle altre città siciliane, al- meno per gli anni nei quali l'abbiamo studiato. La città che giusta i movi- menti presenta un accrescimento maggiore è Messina con 41,53, quella che ne offre meno è Girgenti con 0,98; ma anche di questa può dirsi che nel 1867 il colera venne a danneggiarle la popolazione. Palermo però, come le grandi città, piglia il sopravvento nei censimenti; allora i morti non propri non entrano nel calcolo, a diminuire lasua popolazione di dritto, come nei movimenti, e la im- migrazione fa sentire la sua influenza censendo una popolazione, che non ha gran- demente agito nei movimenti; e di fatti, ove nel movimento quinquennale, Paler- mo presenta un accrescimento annuo di 0,57 per 100, nel censimento del 1871 mostra un aumento annuo di 23 per 100. Raffrontiamo adesso Palermo con le principali città del Continente: Ecco il prospetto: Per L'Italia ; POPOLAZIONE DIFFERENZA ACCRESCIMENTO CITTA ANNUO NELL'ANNO IN PIÙ PER 400 1862 1867 Palermo; 194463 200012 5549 0,57 Napoli 4471065 4474159 94 0,04 Torno. 204715 210230 5545 0,53 Romi e 197078 » » » Milano toe ere 90109) 201146 5037 0,54 Genova.t. 0... 127986 130410 — 249% 0,38 MWiirenze. 114363 149799 35436 6,19 Questo quadro, che raffronta Palermo con le principali città, con le quali È I MOVIMENTI DEL DECENNIO 15 ha affinità d’ indole, di tradizioni, di vita, ci rivela come essa sia, meno di di Firenze, la più progrediente; e ove si voglia tener conto per Palermo delle due epidemie che rendono anormale il rapporto per la diminuizione prodotta, e per Firenze l’ essere divenuta la capitale di un grande Stato , si ricaverà come l’accrescimento della popolazione di Palermo sia il più progrediente e il più elevato fra le città della Penisola. Dopo ciò, avendo detto dell’accrescimento in complesso, crediamo aggiunger qualche cosa in riguardo alla supposta teorica del raddoppiamento della popo- lazione, che importa conoscere da un costante accrescimento annuo della popo- lazione, quanti anni occorrono, acciocchè essa divenga il doppio. Lo studio di questo fenomeno in un decennio è la condanna completa di uno studio. che non porta a conseguenza , e che ci siamo messi a farlo per provarne l'errore. Il raddoppiamento presenta questo risultato: ANNO POPOLAZIONE ACCRES. ANNI DI ANNO POPOLAZIONE ACCRES. ANNI DI PER 100 RADDOP. PER 100 RADDOP. 1862 194463 0,90 Ti] 1868 4197543 0,50 139 1863 196217 0,65 107 1869 198545 0,14 495 1864 197500 0,88 79 1870 198839 1,26 55 1865 199255 1,06 66 1871 201335 0,95 73 Da questo prospetto mancano il 1866 e il 1867, che portano una seria diminuizione nella popolazione a causa delle due epidemie; in modo che sulle medesime basi si potrebbe istituire il calcolo inverso, cioè, conoscere in quanti anni l’agglomerazione della nostra popolazione si ridurrebbe a metà e meno an- cora, sino a perdere il carattere, di città, di comune, di famiglia. In questo calcolo però è a ritenere nessuna nuova riproduzione, e una costante mortalità, come negli anni in cui straordinariamente avvenne. I risultati sarebbero questi: ANNO POPOLAZIONE DIMINUIZIONE ANNI DI RIDUZIONE DEGLI ABITANTI EFFETTIVA PER 100 AMETA' A 410,000 A 4000 AD UNO 1866 201382 1370 0,67 103 446 583 1817 1867 200012 2469 1,23 56 242 316 986 Consideriamo anzitutto il raddoppiamento per gli anni normali, senza tener conto delle speciali idee sullo scopo del calcolo. Su di esso possiamo dire che 76 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 1861 E 741 l’anno più propizio fu quello del 1870, il cui aumento avrebbe fatto raddoppiare la popolazione in 55 anni e il 1865, nel quale si sarebbe raggiunto lo stesso effetto in 66 anni; al rovescio il 1869 e il 1868 ci presentano la prospettiva di un raddoppiamento troppo lontano, per il primo anno occorrerebbero 495 anni, pel secondo 139 ; gli altri anni seguono un rapporto che si accosterebbe più agli anni prosperevoli che a quelli di funesta influenza; anche i due anni di massima depressione si dovrebbero togliere, perchè essi rappresentano anni di eccezionale mortalità di bambini, e allora il nostro massimo sarebbe segnato dal 1863 il cui aumento porterebbe il raddoppiamento a 147 anni e il 1864 che lo ridurrebbe a 79 anni; in media il raddoppiamento degli otto anni, togliendo i due di considerevole diminuizione, sarebbe di 136 anni. Osservando i due anni di diminuizione, noi rileviamo, data una costante mor- talità, senza riproduzione, che la popolazione di Palermo, con la mortalità del 1866 in 403 anni diverrebbe metà, in 466 si sarebbe ridotta a 10,000, in 583, a 1000, e avrebbe un solo abitante in 1817 anni; con la mortalità del 1867 la posizione peggiorerebbe, si ridurebbe a metà in 56 anni, a 10,000 in 242 anni, a 1000 in 816, e avrebbe un solo abitante in 986 anni. Parogando questi rapporti a quelli dell'aumento, paragonando il raddoppia- mento all’estinguimento si rileva, come e l’una teorica e l’altra non fanno per nulla progredire gli studii della statistica civile. Le previsioni non rispondono alla realtà; un anno di aumento presenta un prossimo raddoppiamento, un anno di decrescenza considerevole ci rappresenta vicino il giorno che la popola- zione sparirà della faccia della terra. Scartati gli estremi venghiamo alle medie; bilanciamo pel decennio gli au- menti e le decrescenze, allora noi troveremo che la nostra popolazione sulla base del decorso decennio, avendo un aumento medio di 0,49 per anno verrebbe a raddoppiarsi in 156 anni; ecco trovato un rapporto più basso; gli anni non rispondono al decennio, e i decennii daranno una mentita ai centennii. Noi veggiamo popolazioni raddoppiarsi in pochi anni, ed anco in pochi anni di- mezzarsi, e gradatamente finire. Quali differenze , quali illusioni fra anno ed anno! quali timori e quali speranze non si eccitano al crescere e al diminuire degli anni di raddoppia- mento! come il cuore non si stringe alla funesta idea della estinzione della popolazione! Ma fortunatamente non è la verità, nè per noi, nè per gli altri paesi, coi quali il nostro potrebbe mettersi in rapporto. La previsione matematica, che è basata sopra condizioni sempre identiche all'anno su cui si fa il lavoro di conoscere il raddoppiamento, non si verifica in fatto; i dati cambiano, il risultato è diverso. È qualche cosa di differente la potenza e l’atto, il dover essere e l’ essere; è grave errore voler fondare qualche cosa sul sistema del raddoppiamento; non ne vengono che fallaci ri- E I MOVIMENTI DEL DECENNIO 17 sultati, che timori mal fondati, che speranze mal concepite. Rifacciamo dopo un decennio il calcolo del raddoppiamento delle varie popolazioni e le trove- remo piazzate in posti diversi; rifacciamo il calcolo di raddoppiamento dopo il periodo segnato ad esso, e troveremo che spesso occorrono ancora più anni di quanti ne sono scorsi per raggiungere il sognato raddoppiamento. Quanti errori su questi calcoli! Gran parte delle esagerazioni del sistema di Malthus e dei suoi seguaci provengono da ciò. La Provvidenza ha fatto delle cose che scappanno alle previsioni del matematico e dello statista, e tra queste, è prima la popolazione nel suo svolgersi; essa segue colle sue nascite e colle sue morti un sistema di armonia prestabilita, che Dio ha fatto, e che a noi non è dato di prevedere. Le speranze di un accrescimento di popolazione che produce ricchezza , in quelli che credono alla teorica che gli uomini creano la ricchezza, il timore di quelli che nel raddoppiamento vedono la miseria e la morte, non sono che un fantasma. « Un fantasma, ben dice il nostro amico Vanneschi, esiste pur troppo in quel meschino amor proprio degli uomini, i quali credono che il mondo abbia bisogno del loro intervento attivo in ogni atomo della economia sociale, senza nemmeno sospettare della esistenza delle leggi della natura che tutte regolano l'universo, indipendentemente dei voleri spesso perversi dell’u- mano orgoglio o dell’ ignoranza di quelle leggi medesime , dalle quali eglino stessi sono guidati e sospinti nel sentiero della vita » (4). XII. NASCITE E LORO RAPPORTI Il misterioso atto della riproduzione, da cui dipende il crescere o il di- minuire degli uomini, e che in diverso modo considerano il fisiologo, il filosofo, lo statistico è argomento di grave studio, ed è soggetto a delle leggi che ora- mai la lunga esperienza ha mostrato di essere vere. Il clima, l’educazione, il costume, la religione, il governo, il diverso grado di progresso vi esercitano una estesa influenza, determinando l’età dei matri- monii, i matrimonii stessi e la loro fecondità, da cui viene il maggiore o minor numero di nascite in rapporto alla popolazione e in rapporto alla mortalità. Lo studio di questo elemento addimostra il variare dei rapporti delle na- scite alla popolazione e delle nascite ai matrimonii; e la statistica comparata rende all'oggetto dei segnalati servigii. Il rapporto delle nascite alla popolazione si è veduto fra le diverse re- (3) Elementi di Statistica pah. 32. 78 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 18641 E 71 gioni della terra variare nello stesso periodo; e variare ancora altresì sì è ve- duto in diverse epoche non che in una medesima regione, nella stessa città. I rapporti sono corsi da una nascita su 22 abitanti ad una nascita su 35, a seconda il grado di maggiore o minore incremento della popolazione. Il sud da sul nord circa un quinto dippiù di nascite; e costumi più modesti e mezzi economici più sviluppati, e religione più morale danno una somma maggiore di nascite sulla popolazione; dappoichè un clima più dolce determina anzi tempo la pubertà, sospinge più efficacemente al matrimonio e favorisce la fecondità; mentre una moralità più sviluppata fomenta lo spirito di famiglia e incoraggia i matrimoni; i mezzi di sussistenza più accresciuti assicurano la vita e l’educazione della prole; e una religione che condanna i vizii della carne e proclama la santità del matrimonio determina gli uomini a questo stato sociale. Nè tali cause fisiche, morali ed economiche soltanto si vedono influire sui matrimonii e sul numero delle nascite, anche le morali e politiche vi con- corrono; dappoichè non è più dubbio che le istituzioni civili e politiche eser- citano il loro potere sulla vita morale ed economica degli uomini, da cui di- pendono i matrimonii e le nascite. I governi liberi ed ordinati determinano uno sviluppo maggiore nella popolazione che non i dispotici e turbolenti. Gli uomini sono amici della libertà, della pace e della stabilità della loro posizione, fuggono dai pericoli e dall’incerto; il lavoro e le ricchezze producono in rapporto diretto delle leggi che assicurano la libertà, la proprietà e la sta- bilità; e l’istintivo amore alla famiglia è favorito da questi elementi. La natura ha dato troppi degl’ interni impulsi al matrimonio; e il misterioso atto della generazione è circondato da tali attrattive che lo sviluppo della popolazione è abbastanza assicurato, se gli elementi morali, economici e politici non venis- sero a distoglierlo. Noi non siamo di quelli che vogliono delle leggi che incoraggiano i ma- trimonii, nè di quelli che ritengono che tanto piu una nazione è ricca e potente quanto è più popolosa. Noi siamo convinti che 1’ ordine che domina la natura è ben costituito della Provvidenza, e che le leggi non devono for- zarlo nè in un senso nè in un altro. Sta nella moralità sviluppata, nell’istru- zione propagata, nella libertà assicurata, nella proprietà e nel lavoro garentiti il segreto di avere una popolazione ed uno sviluppo di essa proporzionato al ben vivere sociale. Ma tenghiamo fermi nelle idee, che il variare del nu- mero delle nascite fra le varie regioni e fra le varie epoche in una stessa regione o città è determinato, oltre gli elementi naturali, da cause morali, econo- miche e politiche. E I MOVIMENTI DEL DECENNIO 79 Nascite per legittimità e sesso — Le nascite della città di Palermo nel decennio del 1862 al 1871 anno per anno, e che distinguiamo per legittimità, si riassumono nel seguente quadro : DELLE NASCITE PER ANNI, LEGITTIMITA R SESSO LEGITTIMI ILLEGITTIMI ESPOSTI TOTALE coesen RLece LEcEtea 1852 3474|3410|6884|| 12 | 44 | 26 [[379 | 383 | 762 [[3865|3807|7672 1863 3484|3366|6847]| 5 4 9 |[364 | 388 | 752 ||3850/3758|7608 1864 3619/3455|7074 » 2 2 ||402 | 414 | 8i6 [[41021]3871|7892 2865 3576|3359]|6935]| 1 » 1 || 327 | 299 | 626 ||[3904|3658/[7562 1866 3417|3176|6593|| 12 3 15 || 273 | 309 | 582 ||3702|3488|7190 1867 3195|2975|6174|| 41 8 | 49 |{291 | 310 | 601 ||[3497/3297/6794 1868 3201|2907|6108]| 12 | 44 | 26 {[303 | 347 | 650 [|3516|3268|6784 1869 3524|3310|6834|| 19 8 | 27 ||281 | 302 | 583 [[3824|3620|7444 1870 3780|3433|7213|| 16 | 16 | 32 || 292 | 282 | 574 |[[£4088|3734|7819 1871 3573|3418|699]|| 14 | 20 | 34 || 263 | 292 | 555 [[3850|3730|7580 MEDIA. . + !!3484132811676511 10 9! 49 1347 333 1 650 Il3812|36231/7435 Queste cifre ci mostrano in complesso che l’anno che ci diè maggior nu- mero di nati fu il 1864, le cui nascite si spinsero sino a 7892 e ad esso si accosta il 1870 che ne offrì 7819; l’anno di massima decrescenza è il 1868 che presentò il contigente di 6794, a cui si accosta il 1867 con un aumento di soli 40 nati; gli altri anni si accostano ad una media superiore sempre alle 7000, tanto che la media del decennio ci da 7435 nati, che in rapporto alla popolazione media in 203267 ci da 1 per 270 abitanti. Nelle nascite, come avanti abbiamo osservato, le femine danno un conti- gente minore, i maschi sono sempre dippiù. Per ogni anno le nascite ci danno i seguenti risultati : ANNI per 100 ABITANTI — ANNI PER 100 ABITANTI cen Ter OT so 6 CHI Dufano n, 1862 1,99 1695 3,94 1867 4,75 1,65 3,40 1863 1,96 AGO 3,87 1868 1,753 1,66 3,39 1864 2,03 1,96 3,99 1869 1,92 4,82 3,14 1865 1,96 4,83 3,19 1870 2,05 1,88 3,93 1866 1,83 41,73 3,56 1871 1794 1,85 3,76 44 80 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 18641 E 71 Cosicchè si rileva, che il rapporto delle nascite alla popolazione è alto, che i maschi vi portano un contigente maggiore delle femine, il che è segno, sotto il rispetto fisico ed economico, che la popolazione nella riproduzione è in via di progresso. ; Sotto il rispetto della moralità abbiamo anche di che rallegrarci. Gl’illegitimi che rimangono nelle famiglie sono in una cifra ristrettissima, e che forse non trova riscontro in altre città italiane ; anche gli esposti sono in una misura moderata. Osservati in media troviamo pel decennio che in 7435 nati per anno si trovano 49 illegittimi, e 650 esposti; in altri termini in 100 nati si trovano 91,00 legittimi, 0,26 illegittimi, 8,74 esposti. Studiati questi risultati per sessi si ha che i maschi che sono in eccedenza fra i legittimi e gl’illegittimi stanno al disotto negli esposti; il che è naturale, trattandosi di esposizione, le femine in pari circostanze di miseria sono riputate più di peso alla famiglia e quindi la di loro esposizione è più numerosa. Riducendo la legittimità o illegittimità per 100 nati si hanno i seguenti risultati : ANNI IN 100 NATI ANNI In 100 NATI È n ci RecR ne ESPOSTI 1862 89,73 0,34 995 1867 90,87 0,28 8,85 . 1863 90,00 0,12 9,88 1868 90,03 0,38 1,59 1864 89,63 0,03 10,34 1869 91,84 0,36 0,83 1865 91,71 0,01 8,28 1870 92,25 0,41 1,94 1866 91,69 0,21 8,140 1871 92,23 0,45 1,92 Questo prospetto mostra come gl’ illegittimi sieno in una minima propor- zione, nessun anno raggiunge un numero intero, sono delle frazioni che vanno dal 0,45 al 0,01; l’anno in cui gl’ illegittimi sono al massimo è il 1874, il minimo è il 1865 ; dal 1865 in poi è sempre una progressione crescente, oltrepassano il 0,20 il 1865 e il 1867, oltrepassano il 0,30 il 1868 e il 41869, superano il 0,40 il 1870 e il 1871. Questa progressione sebbene lenta è un sintomo poco confortante; e si vede da per tutto in Italia, come osserva l’autore della Italia economica nel 1873; e difatti gl’ illegittimi nel 1863 erano in tutta Italia il 4,83 per 100, dal 1865 in poi oltrepassano il 5,00, e il 6,00 per 100. Questo sintomo è ad attribuirsi principalmente al crescere del mal costume e agli ostacoli al matrimonio che portano la ristrettezza dei mezzi e le leggi militari. L’autore dell’opera citata, più che a queste cause, attribuisce il crescere delle nascite illegittime al fatto ehe la legge considera, e la statistica annovera come illegittimi, tutti i nati È I MOVIMENTI DEL DECENNIO SI da matrimonii contratti solamente col rito ecclesiastico. Noi crediamo che questo fatto non eserciti una seria influenza sulla legittimità. Egli è vero che la legge considera come illegittimi i nati da un matrimonio religioso, ma come tali non li può considerare la statistica. Se la legge obbligasse alla dichiara- zione di un nato la presentazione dell’atto di matrimonio, l'osservazione starebbe; ma la legge non viene a questa coerzione, e il nato passa per legittimo quando sono dichiarati i genitori, con la giunta di conjugi. L'ufficiale dello stato civile non va al di là; e il nato potrebbe anche essere illegittimo, e nella statistica passare per legittimo, mentre la legge lo dichiara di non godere questa qualità. Or se padri senza legati in matrimonio dichiarano come leggittimo il Joro figlio naturale, che dire quando i conjugati sono legati in matrimonio ecclesiastico? Quando que- sto matrimonio è ritenuto legittimo da chi lo contrae e dalla pubblica opinione? Saranno molti i casi in cui illegittimi passano per legittimi, ma ve ne saranno pochissimi che uniti in matrimonio religiosamente dichiarino illegittimi i figli; questi saranno tali ritenuti dalla legge, ma non così li registra lo stato civile e di conseguenza così non li numera la statistica. Al mal costume cresciuto con l’ indebolimento delle idee morali, alla miseria, alle leggi militari, ostacoli tutti al matrimonio, è d’ attribuirsi la vera causa del crescere degl’illegittimi in Italia. Palermo però è fra le città che conta meno illegittimi, il rapporto gene- rale del Regno nel novennio trascorso fu 2,97 per 100, e Palermo non può stare in relazione a questa cifra; nè ha riscontro col rapporto regionale che varia dall’1,54 all’8,42; i minimi illegittimi sono nella Liguria, i massimi nelle Marche; il rapporto medio della Sicilia è 2,68, e questa cifra come sta in rela- zione al 0,45 di Palermo ch’è il massimo? La nostra città ha meno illegittimi che le altre. Non così per gli esposti: la esposizione segna una cifra più forte; essa varia dal 10,34 al 7,32; l’anno di maggiori esposti fu il 1864, il minimo il 1871. La esposizione mostra un progresso inverso della illegittimità; e dal 1864 in poi, con qualche differenza, il rapporto si alza sempre sino a raggiungere il 7,32. Questo fenomeno inverso fra gl’ illegittimi e gli esposti, che in gran parte sono illegittimi, sembra contradittorio, e pure ove si consideri che l'aumento degli uni deve necessariamente andare a diminuizione degli altri, cesserà l’appa- rente contraddizione. Oggi si preferisce trattenere in casa il figlio naturale che prima si esponeva alla ruota; oggi vi è maggiore pietà e minore pudore; prima era il pudore che sagrificava tante vittime, ora si ha il coraggio della respon- sabilità dei proprii atti; prima il mistero copriva la colpa, ora la spudoratezza è cresciuta insieme ad un sentimento di affetto, ma è a dubitare se l’una pre- domini sull’altro. Ma egli è però d’osservare che se il rapporto degli esposti è un po’ ele- 82 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 1864 E 74 vato, è d’uopo tener conto che il nostro Ospizio non accoglie soltanto i nati della città, ma quelli ancora di tutta la provincia e di altre parti della Sicilia, il che ne aumenta considerevolmente il numero. E poi è proprio delle grandi città, ove yi acchiudono di questi caritatevoli Ospizii, che vi piombano quanti nel natio luogo non amano far chiaro un mistero che altrove può rimanere occulto. È degno di nota altresì che una parte degli esposti sono legittimi; figli di povere che li espongono oggi, per averli dimani con un sussidio come nutrici, a norma dei regolamenti dell'Opera. Gli esposti dovrebbero far parte da sè, e versarvi studio speciale, che faremo in altra occorrenza, mettendo in rapporto la nostra con le principali città dell’ Italia e del mondo. Gli esposti sono una piaga propria delle grandi metropoli, e non è la popolazione indigena che vi porta tutto il contin- gente; sono tutte le provincie, tutte le regioni che vi concorrono; e al loro aumen- tarsi o diminuirsi esercita efficace influenza l’ordinamento delle Pie Opere me- desime, che possono facilitare l’affluenza dei figli legittimi. Nascite per mesi e per concepimenti — La nascita per mesi esprime l’ in- fluenza che la temperatura esercita sulle forze produttive della specie umana, rimontando ai mesi di concepimento. La nascita nel mese dà |’ elemento alla indagine sul concepimento, e costituisce la parte più importante della materia. Noi abbiamo gli elementi di 10 anni e lo studio si può intraprendere sopra un totale effettivo di 62,000 nati. Ecco le cifre: DELLE NASCITE E DEI CONCEPIMENTI DAL 1862 AL 1871 PER MESI MESI | | = pio pi nascrra ||1392|1863{1364|1865|186611867|1868/1869|1870/1871 See. DEL = || CONCEPIMENTO Gennaro . .... 797 | 750] 754 | 781 | 687 Febbraro . .... || 808 | 662 | 750 | 676 | 649 Marzo. ...... 784 | 672 | 720| 669 | 62 S 665 | 664 | 641 | 671 || Giugno API CREA 638 | 640 | 625 | 618 | 638 571 | 593 | 592 | 595 || Luglio 556 | 565 | 551 | 527 || Agosto 5341 | 728 | 532 | 538 || Settembre 520 | 629 | 572 | 556 || Ottobre 483 | 855 | 632 | 603 | 645 | 579 || Novembre 540 | 548 | 641 | 636 | 623 | 589 || Dicembre 614 | 599 | 642 | 672 | 639 | 642 || Gennaro Novembre. . . . . ||560 | 670|676|592 | 666 | 649 | 622 | 726 | 653 | 740 | 652 || Febbraro Dicembre. . . . . 726 | 747|624| 648] 646 |722 | 586 | 683 | 644 | 682 | 677 || Marzo 703 | 642 | 675 | 794 | 734 | 732|| Aprile 626 | 665 | 632 | 638 | 639 | 676 || Maggio ) Ì FEEEEEEEE Luglio COTTI MENO 477605 | 609 | 594 : 537 MEDIA. . : !639 | 6341 658.1 630 | 599 | 566 | 565 È I MOVIMENTI DEL DECENNIO 83 Le nostre indagini le intraprendiamo sulle medie, tralasciando in questa pubblicazione di tracciare un lavoro annuale; dappoichè i massimi e i minimi fra i mesi dei diversi anni presentano qualche lieve differenza, ma nello insieme è la media che può dare la verità. Il mese che dà maggiori nascite è il gennaro, quello che ne dà meno è mag- gio; cosichè il mese più fecondo nei concepimenti sarebbe aprile, il più infe- condo agosto, il principio della primavera, in cui la. natura è nella massima forza produttiva, e il declinare della està, che rappresenta il languore e la ste- nuatezza della potenza generatrice. I risultati, che su otto anni di nascite si sono ricavati per tutto il Regno si avvicinano ai nostri, ma non vi sono pari; per tutto il regno il mese più fe- condo invece di aprile è maggio, e il più infecondo invece di agosto è settem- bre; sono i mesi successivi al nostro massimo e al nostro minimo; il che addi- mostra il vero, che la primavera è la più agevole ai concepimenti e l’està la meno. Gli altri mesi si accostano al massimo e al minimo, con tale gradazione da costituire taluni un medio ; sicchè la fecondità si può graduare in queste tre serie. Fecondità massima : marzo, aprile, maggio, giugno. Fecondità media : gennaro, febbraro, luglio, dicembre. Fecondità minima : agosto, settembre, ottobre, novembre. Così si avrebbe che la stagione primaverile dà la massima fecondità, V’au- tunnale la minima, e la invernale la media; l estiva va distribuita per 9 giorni alla massima, per 34 alla media e per il resto alla minima. Queste serie di fecondità presentano qualche differenza con quelle stabilite per tutto il Regno, le quali procedono con quest’ ordine: fecondità massima - aprile, maggio, giugno e luglio, diversifica con la nostra per luglio, noi invece abbiamo marzo; media : dicembre, gennaro, febbraro e marzo, diversifica con la nostra per marzo, noi invece abbiamo luglio; minima agosto, settembre, otto- bre e novembre, qui siam pari; ma nell’assieme può dirsi, che la fecondità di Palermo in riguardo ai mesi trova solo picciole differenze con quella di tutto il Regno al massimo e al minimo. Non possiamo dar termine a queste osservazioni intorno alle nascite, senza non dire dei nati-morti e dei parti multipli. Nati-morti — Nati-morti si appellano quelli che nascono morti, non quelli che muojono appena nati. La statistica di questi esseri infelici, i quali periscono prima di veder la luce è la più difficile a farsi; e le cifre, sia refratte, come elevate, non rappre- sentano la verità. La mancanza di legge di stato civile, o l’esistenza di una che dispone di registrarsi più tosto di un modo che di un altro, fanno sen- tire la più estesa influenza in riguardo al numero; sia restringendolo, sia ele- vandolo in un modo straordinario : 84 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 41864 E 71 Il quadro che segue mostra a prima vista l’ influenza delle legislazioni , che dominavano dal 1862 al 1865 e che imperano dal 1865 al 1872. I risultati sono i seguenti : DEI NATI-MORTI LEGITTIMI ILLEGITTIMI ESPOSTI TOTALE ANNI er W LERIIE 1862 7 SRO 00 » » » » » "i Sol 40 1863 2 » 2 » » » » » » 9 » 2 1864 4 1 ò » » » » » » 4 DI 5 1865 11 4 | 45] » » » || 10 3 | 13 || 21 z| 28 1866 70 | 28 | 98]l 4 1 5 8 3 | 11 || 82 | 32 | 4414 1867 46 | 13 | 59|| 2 1 3 1 1 2 || 49 | 15 | 64 1868 44 | 16 | 60|| 7 1 8 » » » || 5I | 17 | 68 I ESC1° 741 | 34 | 102] 12 ANNA: » I 4 || 83 | 33 | #16 1870 80 | 65 | 445|| 7 8 | 415 1 3 4 || 88 | 76 | 164 1871 85 | 65 | 150]| 10 0) (AZ » 1 4 || 95 | 73 | 168 MEDIE. . .! 42! 23! 6611 4 2 6 2 1 3 48 126! 74 I primi quattro anni ci danno una cifra che per anno va dal 2 al 28,1 secondi 6 anni ci danno una cifra che dal 68 va al 168. Quanta sproporzione ! Ma la verità non è fra questi estremi. Fino al 1865 imperava una legislazione, che registrava i nati-morti in registro a parte manoscritto, mentre i nati e i morti si annotavano in registri a stampa; e così a risparmio di lavoro e di tempo gran parte dei nati-morti figuravano tra i nati e frai morti appena nati; per non dire di quelli che non erano rivelati, e venivano sepolti nelle case, nei giardini e in altri luoghi; non rite- nendosi degno di sepoltura chi non avesse ricevuto il battesimo; questo produsse le cifre refratte dei nati-morti. L'errore opposto ha portato la legislazione domi- nante dal 1866. Per questa 1’ ufficiale dello stato civile non ha altro obbligo che di notare i presentati morti; e questa cifra rappresenta i nati-morti, cifra molto elevata, che non è la verità, dappoichè la più parte dei presentati morti hanno perduto la vita dopo la nascita. Così essendo sui nati-morti non si può E I MOVIMENTI DEL DECENNIO 85 portare alcun studio esatto, a meno di quello di conoscere la fecondità della popolazione, aggiungendo ai nati questa cifra, non indifferente, che figura fra i nati-morti. | Ma non per questo è a dire che non si sia ora pensato al rimedio. I necroscopi sono stati incaricati di raccogliere esattamente le indagini sui nati-morti ; e così il lavoro statistico invece di farsi sui registri dello stato civile, sarà fatto sulla relazione degli uomini della scienza; in tal modo la verità sarà assicurata. Questo fenomeno di un accrescimento straordinario dei nati-morti nel sesse- nio, e di cui abbiamo dato ragione, si scorge altresì per tutta Italia; e l’egregio statistico autore degli studii sui movimenti della popolazione dal 1862 al 1871, crede, per difetto d’ indagini, che questo aumento esprima una maggiore esat- tezza nel raccogliere le notizie, per effetto della nuova legge dello stato civile del 1866, senza intravedere, che le cifre che egli ci dava così cresciute non erano la verità, ma espressione di una legislazione difettosa, che ora impera da pertutto in Italia. Pigliando ad esame le cifre come noi le troviamo, ed in complesso per tutto il decennio, rileviamo che in 100 nati si trovano 0,99 nati-morti, e in 100 nati-morti ve ne sono legittimi 87,83, illegittimi 8,14, esposti 4.06, e. qui si scorge, come in riguardo agli illegittimi la proporzione coi nati della stessa condizione è alterata; i nati illegittimi sono in media 0,05, mentre fra i nati- morti gl’ illegittimi sono 8,14 ; il che trova spiegazione , e corrobora quanto dicemmo in riguardo ai nati illegittimi, che meglio si esprime la verità della dichiarazione quando i figli son nati-morti, poichè poco importa a dare una forma di legittimità nell’atto di nascita, come praticasi pei nati vivi. In riguardo al sesso sia per i legittimi come per gli illegittimi, la preva- lenza è dei maschi; difatti in 63 nati-morti legittimi 42 son maschi, in 6 legit- timi 4 son maschi, e in 3 esposti 2 son maschi, e nell’assieme in 74 nati-morti del decennio, 48 sono maschi; in ciò si segue la legge generale di cui abbiamo parlato, cioè che nella nascita i maschi superano sempre le femine. Sebbene qui riputiamo superfluo presentare le cifre dei nati-morti per mese, pure possiamo assicurare che la successione per essi non differisce da quella dei nati, il che è naturale, considerando che è il concepimento che regola i parti sia dei vivi che dei morti; essendo cause tutte estranee alla genera- zione quelle che determinano la morte anteriore o simultanea al parto; in ciò il fatto è comune ai risultati che ha dato la statistica di tutto il Regno. Parti-multipli — Come fra i nati manca una media annuale di circa 100 individui di entrambi i sessi, e che pure furono concepiti, perchè figurano fra i nati-morti, così abbiamo fra i nati una cifra media annuale di circa 417 che pro- vengono dai concepimenti doppii, in modo che lasciando la metà di questa cifra allo effettivo concepimento, troviamo un dippiù di 58 uomini che nacquero da uno 86 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 18641 E 74 stesso parto, in modo che la fecondità della popolazione resta accresciuta di questa cifra, che esprime un concepimento di due esseri invece di un solo. Il fenomeno dei parti doppii dovrebbe seriamente studiarsi dal fisiologo; lo statistico e il pubblicista non vi trovano che un aumento di popolazione, e una fecondità maggiore nella generazione; se ciò sia un pregio o un difetto nella costituzione fisica della popolazione lo dica per noi il medico; se la prole nata dai parti doppii sia o non sia più forte di quella nata da parti unici, se la mortalità agisca più o meno violenta su questi gemelli, sono delle cose che una statistica più particolareggiata potrà dire, sono degli studii speciali, che gli uomini della scienza salutare dovrebbero intraprendere con cura ed impegno, nell’ interesse dell'umanità. I parti multipli per il decennio ci danno i seguenti risultati : DEI PARTI MULTIPLI a NUMERO NUMERO DEI PARTI MULTIPLI DEGL’ INDIVIDUI SECONDO LA COMBINAZIONE DEI SESSI NATI DA1 PARTI MULTIPLI ANNI PARTI DOPPI PARTI TRIPLI E PER SESSO n nere Tee —«s=e5Tr (2=] Z| = a |=Z | as a £ = a È =513|5|38,85|8|5|&|53|[E|3 ZI i dotti Da) E 1862 16 | 18 » » » » 62 || GO | 64 | 124 1863 20.| 20 » » » » 45 || 45 | 45 90 1864 21 | 19 » » » » 641 || 63 | 59 | 41922 1865 17, | 43 1 » » » 48 || 53 | 44 97 1866 14 | 13 » » » » 46 || 47 | 45 92 1867 15 |. 45 » » » » 5700559 MS 1868 24 | 1% » » » » 56 || 66 | 46 | 112 41869 3A | 2% » » » » 77 || 84 | 70 | 154 1870 20 | 19 » » » » 66 || 67 | 65 | 132 1871 25, | 20 » » » » 68 || 73 | 63 | 436 MEDIA. . + 20 | 47 » » » » 58 Il 61 | 561 117 I parti tripli sono fra noi rarissimi; ne troviamo un solo in 10 anni (1865); non così dei doppii, per cui ogni anno porta il suo contingente; l’ anno che diede maggiori parti doppii è il 1871 con 68 parti doppii, il minimo è il 1863 E I MOVIMENTI DEL DECENNIO 87 che ne diede 45, la media del decennio e 58. Raffrontando questa media dei parti doppii alla media dei parti unici, si ha un parto doppio per 129 parti unici. I parti doppii distinti per sesso ci danno : pei parti composti di 4 maschio ‘ed 4 femina, che il massimo è nel 1862 che ne diede 28, il minimo nel 1863 che ne presenta 8, la media annuale è 24; pei parti di 2 maschi, che il massimo si trova nel 1869 che ne da 81, il minimo nel 1866 che ne da 14. la media è 20; pei parti di 2 femine, che il massimo è segnato nel 1869 con 24, il minimo nel 1866 con 13, la media è 17; così in media abbiamo , che in 100 parti doppii sono : 36 di 4 maschio ed 4 femina, 34 di 2 maschi, 30 di 2 femine; dal che si deduce che i parti più numerosi sono quelli di 4 maschio ed 1 femina, a cui tengon dietro quelli di 2 maschi, i minori sono quelli di 2 femine; donde sorge netta la prevalenza dei maschi sulle femine, come nei parti ordinarii. Se dai parti passiamo ai nati di essi, troviamo, togliendo il parto triplo, una media per anno di 57 parti e di 114 nati. dei quali 59 maschi e 55 femine, in più 4; l’anno in cui l'esuberanza de’ maschi sulle femine è maggiore è il 1868, che diede 66 maschi e 44 femine , in più 20; ove questa differenza si scorge minore è nel 1866, che diede 47 maschi e 45 femine, in più 2; uguale differenza presenta il 1870; l’anno in cui i sessi bilanciano è il 1868, che da 45 maschi e 45 femine. Noi avanti lo dicemmo, non possiamo dire della fecondità senza non trat- trattare dei parti multipli e dei nati-morti, e siccome quest'ultimi fanno parte effettiva dei nati, così per determinare la fecondità, ai nati-vitali bisogna aggiun- gere i nati-morti. Non ci staremo a studiarli per ciascun anno, perchè aven- done detto partitamente sarebbe, un superfluo; ci atterremo alle medie. E in media abbiamo : i NASCITE MASCHI FEMINE TOTALE ‘Nati-vitali. . . . . 3812 3623 7435 Nati-morti . . . : 48 ORTA TOTALE... 3860 3649 71509 Cosichè si ha per 100 concepimenti 99,07 nati e, 0,93 nati-morti , e met- tendoli in rapporto alla. popolazione media che è di 199,386 si trova 1 nato per 26,56 abitanti e 4 concepimento per 26,55 abitanti. La media generale del Regno fatta per 8 anni, ci dà in rapporto agli abi- tanti 4 nato sopra 26,72, ed 4 concepimento sopra 26,13; e nell’ insieme 41 concepimento sopra 26,06 individui; i nostri rapporti variano colla media del regno; noi abbiamo fra i nati e i concepimenti la differenza e 00,01, mentre in quello la differenza di 00,59; la nostra media però nell’assieme è al disopra della media dell'intera Sicilia, che da 1 concepimento su 25,01 abitanti. 12 88 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 4864 E 71 Nascite in rapporto all’'incivilimento.— Dicendo della densità. combattemmo la teorica di coloro fra gli statistici che sostengono che la densità della popo- lazione sta in rapporto dell’ incivilimento; or diremo di un altro errore, che lo incivilimento diminuisce le nascite, e diminuisce l'accrescimento della popolazione. Sono il Moreau de Jonnès (1) e il Guillard (2) che han sostenuto questa teorica, che se non è erronea, è almeno incerta e di difficile prova. L’incivili- mento diminuisce le nascite ha detto il primo; l’accrescimento è in senso in- verso della densità ha scritto il secondo; questi due concetti si riducono ad un solo, le nascite diminuiscono col progredire della civiltà, e il nostro amico signor Vanneschi si è fatto sostenitore di queste dottrine, che sentono del pa- radosso. Il Moreau, uso a generalizzare ogni fenomeno che si scorge nella Francia, presenta il seguente quadro, dal quale risulterebbe che, raffrontando le nascite di due periodi, uno più antico ed un altro più moderno, in quest’ultimo le nascite sono in minor numero; e siccome egli crede che più che si inoltrano gli anni più cresce la civiltà, così trovando nei tempi più vicini a noi, minori nascite, ne arguisce che la civiltà diminuisce le nascite , in altri termini queste sono in un rapporto inverso di quella. A parte dello studio per vedere se in oggi presso le nazioni vi sia più civiltà che venti anni in dietro, cosa difficile a calcolarsi in periodi così brevi; a parte di rintracciare se questo fenomeno sia comune a tutte le nazioni ; a parte del dritto di chiedergli anzitutto dove sta riposta la civiltà; il fenomeno di cui egli parla viene smentito dal fatto, adoperando lo stesso sistema che impiega per trovarlo vero. Al di lui quadro, ove mette in raffronto due periodi uno più antico ed altro più recente, aggiungiamo una terza colonna di anni più vicini a noi, e l’ illu- sione del Moreau svanisce. ANNI NASCITE ANNI NASCITE Taio NASCITE STATI DI SU DI SU i gn SU MOREAU ABITANTI MOREAU ABITANTI ABITANTI Germania. . 418410 1 su 26 ori ul at 9) — - Svezia... . 4768. 1 — 27 18299 41 — 830 — _ Russia io ASCONA 2893 1828 41 — 96 1863) 1: AUsu 16:78 Spagna... 11803. 41 — 2950. 41832 4 — 34,50 1861 41 — 25,62 Danimarca. 41742 1 — 26 NASO 99 Prussia... 41700 41 — 20 1828 1 — 27 1860 -1 — 25,50 Inghilterra. 1726. 41 — 28 18294 1 — 36 1863 4 — 25,98 Francia... 41757 41 — 25 1828 4° — 493 1864 41 — 87,70 (1) Elementi di statistica. (2) Elementi di statistica umana 0 democrafia comparata. E I MOVIMENTI DEL DECENNIO 89 Se la dottrina del francese statistico fosse vera, negli anni da noi segnati si dovrebbe trovare una nascita su un numero maggiore di abitanti, ma noi ne troviamo uno minore, quindi ne risulta l’opposta idea. Il fenomeno è sol- tanto vero per la Francia, ed il difetto sta nel generalizzare ciò che avviene in quel paese. Volendo anche applicare alla nostra popolazione il sistema del signor Moreau si avrebbero fra le nascite e gli abitanti i seguenti rapporti, che lo vengono a condannare. Noi non abbiamo seguito l'esempio dello statistico fran- cese, che ha scelto anni, nei quali forse le nascite sono state minori: ma abbiamo presi anni a periodi ricorrenti da 10 in 40 anni dal 1880 al 1870. I risultati sono i seguenti : Anno 41830, 41 nato sopra 30 abitanti Anno 1840, 41 nato sopra 25 abitanti Anno 1850, 4 nato sopra 24 abitanti Anno 41860, 1 nato sopra 29 abitanti Anno 1870, 1 nato sopra 26 abitanti Può dirsi che le cifre danno un rapporto inverso di quello presenta'o dal Moreau; e difatti dal primo al terzo decennio siamo in un continuo accre- scimento, e negli ultimi due, se le nascite diminuiscono non superano il primo decennio che ha 1 sopra 30 abitanti. Cosiché, se non si può stabilire con cer- tezza il sistema inverso, che le nascite aumentano con l’ incivilimento , resta però provato essere erroneo che esse con l’ incivilimento diminuiscano. Il Guillard così si esprime « Se si ricerca la condizione dell’ accrescimento, annuale della popolazione si trova a prima vista, ammessa ugualtà di posizione, che l'accrescimento è in ragione inversa della densità. » Ciò corrobora con una tavola , da cui vorrebbe far risultare che l’accresci- mento annuo della popolazione diminuisce in rapporto alla densità, che in altri termini si potrebbe esprimere: più popolato è un paese, più relativamente di- minuisce il suo accrescimento, la popolazione è meno feconda. Anzitutto si dovrebbe conoscere su quali medie sia formato il quadro, e se l’effetto della decrescenza sia' determinato da una diminuizione di nascita o da un aumento di mortalità, essendochéè l’accrescimento viene dal risultato della detrazione dei morti dai nati, il che ha la sua importanza, dappoichè s’ è pro- vato che |’ incivilimento non diminuisce le nascite, e altresì provato che di- minuisce le cause delle mortalità, e quindi i morti. Lavori lunghi ed esatti occorrono sulle cifre, raffronti e meditazioni, dap- poichè, esse si prestano a sostenere ogni sistema, quando si studia con preoc- cupazione, e si scelgono gli anni anormali. Noi ci auguriamo che il Guillard abbia con tutto impegno studiato il suo assunto, che è stato con buoni lavori combattuto dal Garnier e dal Blok. 90 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 1864 E 71 Ma anche noi, lavorando sulla stessa tavola del Guillard, abbiamo trovato non sempre vero il fenomeno da lui osservato; donde falso che la civiltà di- minuisce l’accrescimento del genere umano. Se l’incivilimento non fosse cre- sciuto in rapporto alla popolazione, noi non avremmo il progresso di essa, ma il regresso; perchè diminuendo questo accrescimento in rapporto al crescere degli uomini, le popolazioni attuali dovrebbero essere minori di quelle del- l’antichità, mentre la storia ci mostra il contrario. Nel quadro del Guillard ove s’ingegna mostrare che accanto una forte densità è un debole accrescimento, troviamo delle nazioni ove si verifica il contrario, il che distrugge la sua teorica. E di fatti, la Sassonia con una densità di 125 ha uno accrescimento di 0,0130. Modena che con 97 l’ha di 0,0109, La Lombardia con 123 l’ha 0,0024 il Belgio con 4154 l’ha 0,0059, la Prussia con 60 l'ha 0,0107, l’Austria con 55 l’ha 0,0146; mentre il Nassau con 90 l’ha 0,0009, Vuttemberga con 89 l’ha 0,0006, Baden con 89 l’ ha 0,0009, Roma con 84 l’ ha 0,0090, Sardegna con 23 l’ha 0,0043, e così di seguito; per non dir di altri fatti, i quali constaterebbero che almeno per l'Europa la dottrina del Guillard non è la verità. Volendo studiare questo fenomeno fra noi, pigliando a base il territorio, la popolazione e le nascite avremmo : POPOLAZIONE DENSITÀ ACCRESCIMENTO DECENNIO DAL MEDIA PER K Q. ANNUO PER 1C0 1820 a 1830 167 068 14121 0,42 1830 a 1840 174 008 1168 0,78 1840 a 1850 178 109 1195 4,40 1850 a 1860 186 479 41254 0,94 1860 a 1870 197 763. 1327 0,95 ‘ Queste cifre raccolte con la massima esattezza per 60 anni, non rica- | vate da elementi diversi come quelle del Guillard, non danno nemmeno ra- gione alla sua teorica; il secondo decennio presenta un aumento sul primo, il terzo, e con grande sproporzione, offre un maggiore accrescimento ; e se il quarto mostra sul terzo una decrescenza, il quinto viene su con l’aumento; in modo che noi possiamo dedurne che il fenomeno, regalatoci come certo , è non solamente problematico, ma erroneo. Però non per questo noi intendiamo dedurre che sia verità l’ opposto; solo abbiamo voluto intraprendere questo studio per non fare accettare come verità un errore , massime quando se ne vuol cavare che l’incivilimento diminuisce le nascite. Questo sistema avendo in certo modo falsa la base della densità, la quale non esprime maggiore o minore incivilimento, essendo casuale il rapporto della È I MOVIMENTI DEL DECENNIO 91 popolazione al territorio, (vedi $ V) ne sorge, che esso andrebbe meglio stu- diato; da che esso si presenta importante alla vista dello statistico, e degno che vi si travaglino gl’ingegni. Null’altro che questo: Le popolazioni crescendo arrivano ad un certo punto nel quale si fermano nel loro accrescimento, la media annuale gradatamente diminuisce, impedendo così quel raddoppiamento potenziale, che coprirebbe la terra di uomini. Ma per ciò si può dire, che in rapporto alla densità diminuiscono le nascite, o, peggio. le nascite diminuiscono in rapporto all’ incivilimento ? Quando una popolazione cresce rapidamente si emigra, diminuisce la densità, diminuisce l’accrescimento, ma non diminuiscono le nascite, perchè l’accresci- mento può derivare per l’ aumento della mortalità ; e in tutto in ciò non vi ha alcun concorso del crescere o del decadere della civiltà e della sua influenza sulle nascite. Lo studio di questo fenomeno implicherebbe la grande teoria della popolazione, pur tuttavia disputata, della provvidenza e della fatalità, di Malthus e dei suoi avversarii, e su cui, in questo lavoro, mi sono imposto silenzio. L'emigrazione e la morte fenomeni naturali nella vita degl’ individui e delle nazioni agiscono sulle nascite; ma non è su queste che agisce la civiltà, che può influire sui primi. Si emigra indipendentemente delle nascite, si propaga la civiltà, se l’emigrante è civile, in straniere e lontane regioni, come le colonie; si muore e per mortalità diminuisce la popolazione, senza che la civiltà ne soffra. XIV. MORTALITÀ E SUOI RAPPORTI Una fatale legge sovrasta l’ umanità; è la morte! Questo doloroso feno- meno per il quale si estingue l’esistenza, e si scomparisce dalla scena del mondo per dar luogo a nuovi viventi, non trova che l’espressione di una muta cifra in una tavola statistica; e la riunione di esse per migliaja segna la mortalità di un paese. L’individuo non è più, ma la specie cresce e si svolge, e lo sta- tistico dice: Ja popolazione progredisce. La natura assicura l’esistenza della po- | polazione, ma in mezzo ad essa ogni giorno, ogni ora, ad ogni battito del cuore sparisce un individuo. Tutte le età, tutte le condizioni vi portano in diverse proporzioni il loro contingente, e l'umanità si rinnova sempre, è sempre gio- vane, piena di vita e di attività. I progressi delle scienze, gli sforzi delle leggi, le cure degli uomini sono tutti concorsi a voler mantenere la vita umana; la vita media si allunga e si abbrevia a seconda che la morte colpisce le bambine o le adulte esistenze; tutto ciò però per nulla ha seriamente influito sulla esistenza dell’ individuo, 92 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 18641 E 71 ma su quella delle specie. L'umanità è chiamata a vivere lunghi e lunghi secoli, ma non l’individuo ; questo sparisce e della somma di migliaja e di milioni d’individui si fa un sol uomo che si rinnova sempre con le nascite , che si scarica del superfluo e del vecchio con le morti. La terra è di limite alle produzioni e le produzioni lo sono agli uomini. Quando le nascite sono per più anni aumentate oltre la normale misura, giunge anormale la morte, e porta, l'equilibrio; quando la morte fatalmente distrugge fuori del consueto una popolazione, in brevi anni il disquilibrio si ricolma con eccessiva produzione di nati; tutto è armonia nel creato, e la Provvidenza ha disposto le cose in modo che l’equilibrio regna, e l’equilibrio rotto una volta si ristabilisce subito con l’azione della vita o con quella della morte. Illusorii sono i timori che la popolazione tenda ad esquilibrarsi, e utopisti coloro che credono stare nelle volontà umana impedire la morte, o procu- rare la vita. La nascita e la morte sono un fenomeno naturale che i siste- mi o le leggi non potranno in alcun modo regolare. Cercate di aumentare la popolazione, cercate d’infrenare il suo sviluppo, cercate d'impedire il suo decadimento? Nulla si può. Le nascite e le morti seguono una legge fatale. Incoraggiate o impedite i matrimonii; voi non potete che per poco forzare la natura, voi avrete nati, ma non avrete uomini ; la morte porterà l’ equilibrio; voi non avrete nati, la morte arrestandosi per un momento porterà l’equilibrio. È la morte che col suo estendersi o col suo re- stringersi porta l’equilibrio nella popolazione. L’incivilimento, la ricchezza, la scienza mantengono meglio quest’ equili- brio, privano l'umanità delle grandi scosse; ma riducendo tutto a media, media dei secoli e media dei luoghi, media dei sessi e media delle età, media delle condizioni sociali e media delle cause di morte, media dei tempi normali è media dei tempi anormali, fondendo tutto, riducendo tutto ad una media unica, si troverà una fatale e provvida legge, che tutto governa, che tutto com- pensa, che assicura la esistenza e lo sviluppo del genere umano, indipenden- temente dai sistemi. Il clima, le abitudini, le leggi i governi esercitano una qualche influenza sulla vita, e di conseguenza sulle morti. Vi ha luoghi in cui non si giunge che difficil- mente alla tarda età, ed altri in cui la vecchiaia è comune. Vi hanno costumi, alimentazioni e lavori che usano gli uomini, pei quali le forze diminuiscono e la vita troppo presto manca; come per contro questi elementi possono essere efficace causa di salute e di longevità. Vi hanno leggislazioni e governi che agiscono al ben essere od al mal essere delle popolazioni, e quindi ritardano la morte, o l’accelerano. Non vi ha alcuno che non veda come questi elementi eser- citino una seria influenza sulla mortalità. Ma tra le cause pertubatrici dell’ equilibrio della vita con la morte sono le È I MOVIMENTI DEL DECENNIO 93 carestie, le epidemie, e le guerre. L'umanità è stata afflitta in tutti i tempi e in tutti i luoghi da questi flagelli; essi inaspettati distruggono una genera- zione, e bisogna attendere lunghi anni acciò la popolazione si equilibri. Le carestie almeno in Europa hanno perduto il carattere micidiale che si avevano un tempo; ma non già le epidemie. Alle pesti sono succeduti le invasioni del colera, più di quelle spaventevoli e mortiferi, e dal 1828 a questa parte tutti gli Stati d'Europa sono stati mietuti; esse sono comparse quasi ogni decennio, rapendo migliaja e migliaja di uomini. E le guerre! considerate per un momento, a dir di tempi a noi vicini, le guerre della repubblica e del primo impero francese, le grandi rivoluzioni e le guerre del 1848, 1854, 59, 64, 66, e 70. per non dir delle minori; quanti uomini sono periti per l’irrequieta ambizione di pochi! e l’umanità ha offerto un largo tributo di sangue, e le tavole di mor- talità si sono accresciute, e l’opera distruggitriee della morte ha combattuto e vinto per un momento l’azione creatrice della nascita. Oh la morte! questo funesto fenomeno , che spesso veggiamo o udiamo- tutti con indifferenza è il soggetto più importante dello studio della scienza, e più che altro della statistica; che appresta a tutti i suoi larghi elementi. Quando il fisiologo e il filosofo contemplano la morte, non la studiano che nell’individuo; per l’uno è la cessazione dei movimenti dei nostri organi: gli occhi più non veggono, le orecchie più non sentono, la lingua più non gusta, il cuore cessa di battere, il respiro manca, i muscoli si avvizziscono , il colore sparisce, l’immobilità e la rigidità si stende per tutto il corpo; per l’altro è lo spirito che abbandona il suo compagno; la carriera è finita, l’ora è sonata; e a tutti sovrasta la stessa sorte, senza eccezione; e il genio della meditazione si fa allora a considerare le migliaja di esistenze rapite; e il filosofo leva un grida di disprezzo sulla vanità delle nostre passioni, sul alzar tanto alto i nostri desiderii, e manda una parola di consolazione sull’ immortalità dello spirito, che compie in una seconda vita, il fine per cui fu creato. Non così per lo statistics; egli abbraccia la specie non l’individuo; egli vede l'umanità, non l’uomo; e se ha una lagrima per spargerla sulla caducità della vita, per il dolore di perderla, ha una parola di conforto nel vedere che la po- polazione comincia a crescere, e che una generazione consegna all’altra il te- soro dei suoi trovati, della sua scienza, della sua ricchezza, per conservarlo e deporlo in grembo della generazione che l’incalza e le succede; l'umanità non muore, in fin che Dio abbia segnata la sua fine. Morti in complesso.—La città di Palermo non è tra quelle che hanno una mor- talità elevata è fra quelle che toccano il minimo, e lascia il campo alle nascite per dare un aumento alla popolazione, che come vedemmo è superiore a quello di tutte le altre città italiane; e se si tolgono gli anni delle mortalità eccezionali per causa di epidemie si vedrà che gli anni normali danno una mortalità molto più bassa. % a DI 94 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 1864 e 71 Il decennio di cui noi ci accupiamo presenta a prima vista una mortalità media 6554 individui; ma se da questo decennio togliamo i due anni anor- mali 1866 e 67, nei quali infierì il colera, la mortalità si riduce ad un livello più basso, cioè a 5859; la mortalità quindi di Palermo può ritenersi non supe- rare ordinariamente 5700, tenendo conto che anche il 1868 fu anno eccezio- nale per mortalità di bambini; esso supera di circa 1000 la mortalità ordinaria; ma è meglio attenerci alla prima cifra cioè 5850 avendo presente che in un decennio devono sempre trovarsi degli anni di una aumentata mortalità. Co- sicchè la mortalità di Palermo è il 2,95 per 100 della sua popolazione; in altri termini si ha 41 morto per ogni 34 abitanti; mentre la mortalità di Roma, di Milano, di Torino, di Napoli, di Firenze è in un rapporto superiore. La media di tutto il regno da 4 morto sopra 38, 44 abitanti o in altro modo del 3,02 per 100; e la città di Palermo è al di sopra di questa media. Morti per stato civile e sesso.— La mortalità del decennio per istato civile e sesso si compendia nelle seguenti cifre: DELLA MORTALITÀ PER STATO CIVILE E SESSO CELIBI CONIUGATI VEDOVI TOTALE INIT e Tee = ee {e 2 e {E ET a = >) E = CIME tai 2 E = fa F- 1862 2127|1827|3954]| 690| 491|1481]||300 | 483 | 78%|[3117|2801|5918 1863 2467|19355|4422]| 722] 477|1199||203 | 501 | 704|[3392|2933|6325 1864 2460|24165|4625]{ 518| 408| 926/1169 | 417 | 586|[3147|2990|6137 2805 1978|1617|3595]| 711| 424/1135|| 230 | 475 | 705|[2919|2516|5435 1866 3225|2602/5327|[1105| 732/1857||284 | 592 | 87C|[4614|3946 8560 1867 3382/2638|6020||1205| 990/2195][320 | 728 |104£|/4907|4356/9263 1868 2052|1638|3690/| 803| 476|1279/|252 | 561 | 843|[3107|2675|5782 1869 . |[2955|2471|5426]| 664| 414 107% 208 | 438 | 646]|/3827|3323|7150 1870 ‘||1904|1659|3563/| 671/ 426|1097]|227 | 436 | 663|/2802|2521|5323 4871 2112|1767|3879|| 708| 481|1189/|202 | 378 | 380/[3022|2626|5648 MEDIA. . . !2466!2034!450011 780' 534 1314239! B01! 7240!13485!3069!6554 Il quadro ci porta ad esaminare la mortalità per sesso e per istato civile. Togliendo gli anni anormali 1866 e 1867 di cui diremo a parte si scorge che la massima mortalità fu nel 1869 che diede 7150, cioè 4 sopra 28 abi- E I MOVIMENTI DEI DECENNIO 95 tanti; la minima nel 1870 con 5323, che diede 41 sopra 38 abitanti; gli altri anni segnano una media che si accosta or più or meno al minimo , al mas- simo nessuno; perchè sino ad un certo punto il 1869 può considerarsi un anno anormale; dopo quest'anno è il 1863 che dà una maggiore mortalità con 6325, cioè 4 sopra 84 abitanti. Il 1866 e il 1867 diedero una mortalità superiore a causa del colera ; nel primo anno si ebbero 8560 morti col rapporto di 1 sopra 24 abitanti, e nel secondo 9263, cioè 4 sopra 22 abitanti; in queste cifre elevate la mortalità colerica vi esercitò una influenza massima. Le cifre di questa infausta mor- talità, che per la prima volta si pubblicano, si riducono alle seguenti : MORTI PER SESSO STATO CIVILE ANNI MASCHI FEMINE TOTALE e i ui 1866 2216 4838 4046 3199 616 235 4046 1867 2030 4794 8821 2434 4089 309 3821 Come si scorge, si ebbe in due anni una straordinaria mortalità di 7867 individui, cioè il 3,914 per 100 della popolazione. In ambedue le epidemie i ma- schi furono più danneggiati delle femine, e più nel 1866; i celibi più dei coniu- gati nel 1866, e i conjugati e vedovi dippiù nel 1867; difatti nel primo anno i celibi rappresentano il 78 per 100 e nel secondo il 64. In riguardo al sesso per tutto il decennio sono i maschi che più colpisce la morte; la sproporzione maggiore è nel 1866, che dà fra i sessi la differenza di 668, la minore nel 1864 che dà la differenza di 157 maschi dippiù. La me- dia del decennio ci dà 3485 maschi e 3069 femine, un esubero quindi di 416 maschi; e in rapporto proporzionale si trova che 100 morti si dividono in 58 maschi e in 47 femine, con una marcata differenza del 6. per 100. Mettendo in rapporto queste cifre alla media di otto anni di tutto il Regno troviamo in questo, che per 100 femine si trovano 106,67 morti maschi, cioè in una relazione simile alla nostra. Raffrontando anche in media le morti alle nascite troviamo, che per 100 nati vi sono 78,80 morti; il che importa che la popolazione vi guadagna in me- dia 21,20 così distribuiti 8,62 ne’ maschi, 12,58 alle femine; il che conferma quanto avanti si è detto, che la mortalità nelle donne è minore, e che esse portano un maggiore contigente degli uomini nell’accrescimento. Pel Regno i rapporti sono i seguenti: per 100 nati si hanno 81,14 morti, il guadagno è 18,89, il quale trovasi inferiore a quello della nostra città. Per lo stato civile troviamo, che l’anno in cui eccedono in rapporto agli altri i celibi è 1864, quello in cui eccedono i conjugati è il 1866, quello in cui ecce- 13 » “ 96 1 CENSIMENTI DI PALERMO DEL 1861 E 71 dono i vedovi è il 1868; e viceversa l’anno di minori celibi è il 1867, quello di minori conjugati è il 1864, quello di minori vedovi è il 1864. | Difatti pel decennio la media di 100 morti per istato civile è la seguente, in 100 morti si trovano al Medio celibi 68,66 conjugati 20,05 vedovi 11,29 al Massimo » 64.99 » 23.68 » 11,32 al Minimo » 66,95 » 20.61 » 12,44 JI rapporto generale del Regno in media per otto anni è il seguente: in 100 morti si trovano celibi 65.25, conjugati 21,56, vedovi 13,19: quale media messa in rapporto alla nostra ci dà fra i celibi differenza —3.44, fra i conjugati 44,51, fra i vedovi +-1.90, dal che si rileva che fra noi la mortalità colpisce più celibi che vedovi o conjugati. Volendo osservare meglio questo fenomeno. è mestieri mettere in relazione i morti delle tre condizioni di stato civile in rapporto alla popolazione dal cen- simento 1861 divisa per istato civile ; e allora si hanno i seguenti risultati : POPOLAZIONE E MORTI PER STATO CIVILE STATO CIVILE NUMERO RAPPORTO PeR 109 Gelibi'i x ac 117845 60,69 Conjugati .... 64838 33,94 Vedowli.. 7 41780 6,06 î quali mostrano che relativamente i vedovi e i conjugati offrono una minore mortalità, il che è determinato dalla età che presenta la popo'azione compresa fra i diversi modi di stato civile, come meglio si vedrà da quanto segue : Morti per età — Conoscere come la mortalità si distribuisca nei varii periodi della vita umana è stato ed è uno studio importante, tanto sotto i! rispetto fisico come morale ed economico degli uomini; e le tavole di mortalità hanno attirato l’attenzione degli scienziati, onde conoscere la probabilità della vita come della morte; e la vita media assoluta e la vita media relativa, e la vita probabile sono state le precipue deduzioni che si sono ricavate dalle tavole di mortalità; attorno alle quali con varii metodi e con serii studii si sono intrattenuti i più attivi e positivi ingegni delle scienze sociali e matematiche. La brevità del tempo, e l’indole stessa del lavoro, non ci permettono intra- prendere gli studii sulla vita media assoluta e relativa e sulla vita probabile ricavandole dalla tavola di mortalità del decennio; ma fin da ora c'impegniamo a questo studio, che vedrà luce quando questo lavoro in più larghe vedute dovrà ricomparire con uno scopo più determinato. Per ora ci atterremo a dar la media decennale dei morti per età, raffrontando ogni singola età al totale, e paragonando per ognuna i maschi alle femine. Senz'altro, ecco qui i risultati: E I MOVIMENTI DEL DECENNIO 97 DELLA MORTALITÀ MEDIA [EL DECENNIO PER ETÀ MELIA DSL IECENNIO || CIASCUNA ETA ETA DEI DEFUNTI e ga roTaLi: o x:SONI | FEMINE | TCTALE | per 100 SU 109/FEMINE PDrfapaseitàsarzmamese ga St 230 195 4137 6,30 112,75 Dauneserat2 mesi ft e e CRE 193 I 96 199: 3,04 107,29 DAS oe 1 493 197 230 3,51 115,88 eo tti LA 121 262 400 || © 116,53 Da vati Aree e Es 123 259 393 || 410;57 DAEBaniOlaS2 anni Roe 0, I 33006 769 ti,73 102,37 ha È RO AR e A 27 493 6,46 104,35 10 è 40 Ro odo 805 123 248 3,78 101,62 DIES nn 83 84 167 2,53 98,81 De Gal e 1 150 301 4,60 || = 100,66 De 10 Bee Se o Tò 64 139 2,12 117,19 De (GS e de 9 82 173 2,64 i A40;97 Da 20 4 Ae SSA 5 (08 | 343 4,77 209,90 DIBOSNIIONE I e Ae e 143; 97 245 3,74 152,57 Îa 0 At RR SROAtToiO] UA oe co 2,82 128,39 RARE NI O eo ale AME ol 1189 203 3,10 128,09 DAI AA 91 204 3,14 124,17 DE (00 ET i 88 209 319 137,50 DR LIO 2 Ur 1545 Da E a E O, 82 188 || 2,87 124,54 Ra 0 è ERRE EEA RA To 117 235 3,59 100,85 Phi GE A A RIE | Meo 99 199 3,04 101,01 DO e o n I AOI 105 207 316 95,28 De: 78 a Roo 79 90 169 258. || 87,77 DI ECC O OR ET 75 92 167 2,55 81,52 Daf CE OA OR 40: 4T ST 90 zi i e 20 2 0,52 || 70,00 Ca CS AI OA NR AI 6 8 I4 0,21 75,00 CCNEENA RE PE 2 4 6 0;07 50,00 BARONA e DA I 55 0,84 292,85 SLO talee 3485 3069 6554 100,00 113,53 98 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 4861 6 71 I rapporti ci mostrano come la morte miete inesorabilmente nei primi periodi della vita. Un 6 per 100 sono dei morti in fra un mese, ad un anno la cifra si eleva ad un 20, a due anni il 42, 59 per 100 è nella tomba; indi la mortalità comincia a decrescere, ma a 15 anni sono il 62, 12 per 100 che muore; in modo che volendo distinguere la popolazione in due grandi categorie d’elà, cioè della nascita a 15 anni e da 15 anni in su; si trova che circa 24 delle morti appar- tengono alla età inferiore, cioè a dire alla età immatura; è questo un sintomo poco confortante. La probabilità della vita è in rapporto inverso della deficienza della morte; la probabilità della vita cresce quindi dopo il periodo dei 15 anni; sino a 50 oscilla la media del 2 al 3 per %, meno l’età da 20 a 25 anni che tocca quasi il 5 per 4100; il che può nascere da mortalità estranea al paese, dappoichè a questa età in gran parte appartengono i morti negli ospedali civili e militari. Dopo 50 anni il rapporto si mantiene sempre costante da 1a 2 a 5 per 100 per decrescere da 90 a 100 anni, in questa ultima età il rapporto oscilla dell’0,52 al 0,07 per 100; la lunga vita quindi è rappresentata da minime frazioni. Raffrontando queste cifre alla media di otto anni di tutto il regno noi ci troviamo in proporzioni assai diverse. Nel primo mese la mortalità è il 12 per cento, cioè il doppio della nostra che è il 6; al primo anno è 28, mentre fra noi è il 20; la mortalità è maggiore. A_2 anni le probabilità di morte sono minori in tutto il regno che fra noi difatti per tutto il regno abbiamo a 2 anni il 59 per 400, mentre fra noi si tocca il 42; questa sproporzione cresce ancora della nascita a 15 anni; la mortalità del regno è 53,26 per 100, e fra noi 62,12. Come conseguenza la mortalità diventa maggiore in tutto il Regno nelle altre età della vita; qui la morte colpisce a preferenza il primo periodo della vita, nel resto del Regno gli altri; qui la morte immatura è più comune che nel resto d’Italia; le morti longive sono di conseguenza anche più rare fra noi. Non crediamo qui doverci occupare delle cause e degli effetti di questa marcata differenza; e venghiamo alla prevalenza del sesso nelle varie età dei morti. Il fenomeno della prevalenza maschile nella mortalità è un fatto constatato, e di cui ci siamo sempre occupati; quindi accenneremo ai massimi e ai minimi delle prevalenze nelle età. La massima prevalenza maschile è nella età da 20 a 25. si trovano 209,90 maschi per 100 femine; ma siccome è a credere che in queste età concorra la mortalità estranea al paese, come avvertimmo, così scartando questa età, noi troviamo la massima prevalenza maschile da 45 a 50 ch’è di 137,50, da 30 a 35 e da 35 a 40 ch'è di 4128. La minima prevalenza è da 1 a 2 anni ch’ è 102,37, da 3 a 4 anni ch’ è 104,62, da 65 a 70 anni ch'è 104,01. E I MOVIMENTI DEL DECENNIO 99 Le età nei quali i sessi quasi bilanciano sono da 5 a 10 anni 100,66 su 100, da 60 a 65 anni 100,85 su 100. Gli anni in cui le femine sovrastanv ai maschi sono da 4 a 5 anni 98,81 su 4100, e poi tutte le età da 70 a 100 anni, le quali oscillano da 50 su 100 a 95. Dal che si rileva che nelle morti i maschi prevalgono alle femine nelle prime età, meno da 4 a 5 anni, e nelle età giovini ed adulte; e che le femine sovrastano i maschi nelle tarde età. Anche le cause e gli effetti di questo feno- meno è mestieri rimandare ad altro lavoro. Raffrontando queste prevalenze con quelle che ci presenta la media di tutto il Regno, noi troviamo delle differenze. La massima prevalenza dei maschi in tutto il regno è nelle età dalla nascita ad un mese, da 1 mese a 6 mesi e da 45 a 55 anni, mentre fra noi è sola al massimo nelle età adulte, le infantili stanno fra le medie. La minima prevalenza per tutto il Regno è nella età da 2 a 4 anni e da 55 a 60, fra noi si segna altresì lo stesso rapporto. L'equilibrio dei sessi in tutto il Regno è nelle età da 10 a 15 anni e da 80 a 90, mentre fra noi è da 5 a 10 anni e da 60 a 65 anni. La prevalenza della mortalità femminile si osserva per tutto il Regno negli ultimi anni della vita, cioè da 95 a 100 anni e nei periodi da 15 a 20, da 25 a 30, da 65 ad 80 anni, mentre fra noi è soltanto da 70 a 100 anni, e nei periodi di giovine ed adulta età la prevalenza è maschile. Cosicchè puossi dedurne, che i rapporti di prevalenza di sesso nella morta- lità variano quasi interamente fra la nostra città e la media di tutto il Regno. Studieremo altra volta le ragioni di queste differenze. Morti per mesi — La vicenda mensile dei morti è feconda di utili risultati. Noi l’abbiamo fatta per le nascite, onde scorgere la fecondità in rapporto alla stagione e alle influenze metereologiche, or per lo stesso oggetto intraprendiamo il lavoro pei morti, acciò gli vomini della scienza vi possano ricavare utili dedu- zioni, per determinare quale potere gli elementi naturali esercitano sulla morte. Per tutto il decennio e senza distinzione di sesso i risultati sono i seguenti: 100 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 1861 E 71 DELLA MORTALITÀ PER MESI ANNI | ly MESI |-T {TOT 1862 | 1863 | 1854| 1865 |1866|1867|1868|1869|.s70|.s71|TE|T7 2 Gennaro. . . ... 296] 627) 571) 506| 420| 486| 560 9,30 Febbraro . .... || 484| 393] 458| ao] 367] 435) 423 7,89 MAIZO PRO OO 477] 500| 467) 548| 386] 497| 4453 8,07 Aprilesa Set, 472| 495] 535| 289) 391] 480| 430 7,74 Macc1o e 456| 464| 491) 4418| 421| 554] 402 7,69 Giugno ...... 495] 5532] Bis] 464| 354] 50€] 554 8,25 togli co 3060 467] 564) 325) 541] 404| 670] 528 8,77 AGIO eg 464| 484] 536] 493] 397|3582]| 511 8,33 Settembre... .. 460) 438| 464| 392| 405| 705| 532 7,92 Ottobre PASINI 437| 528] 520] 403|2385| 409 487 8,38 Novembre. . . .. 500] 518| 488] 440| 2073] 40%| 455 8,40 DICE NONE 604| 565) 558) 431| 560| 537| 457 9,35 TotaLe. . . ! 3918! 6325! 6137! 5435] 8560! 9263! 5782 do Cu 8552! s8591 100 Queste cifre ci mostrano, con la media normale, che la massima mortalità è in dicembre e gennaro, la minima in aprile e maggio, gli altri mesi si avvi- cinano a questi estremi. La media effettiva presenterebbe altri risultati, ma non sarebbero la verità, perchè vi esercitarono influenza la epidemia del 1866 nei mesi di ottobre e novembre, e del 1867 nei mesi d’agosto e settembre. È dunque l’inverno che produce la massima mortalità, la primavera la minima, l'autunno e l’està stanno nel mezzo; nell’autunno la massima mortalità la dà novembre, nell’està luglio, sicchè si avrebbe per ordine di maggiore mortalità la seguente progressione, riducendola in media per 400 morti: Dicembre 9,35, gennaro 9,30, luglio 8,77, novembre 8,40, ottobre 8,38, agosto 8,33, giugno 8,25, marzo 8,07, ottobre 7,92, febbraro 7,80, aprile 7,74, maggio 7,69. La mortalità per mese della nostra città non trova gran fatto riscontro con quella ai tutto il Regno; la massima mortalità sarebbe nell’està, la minima nell'inverno, si toccherebbe il medio nelle stagioni intermedie. Queste diversità risulterebbe dalla differenza del clima e dalla posizione dei luoghi; l’està dà minori morti fra noi, che non nel resto del Regno, l’inverno al contrario è fra noi più micidiale. E 1 MOVIMENTI DEL DECENNIO 101 Morti-violente — Le morti violente colpiscono l'umanità inaspettatamente; e nelle sue varie forme spegnono una vita che naturalmente si sarebbe prolun- gata. Terribili infortunii pesano sugli uomini e orribili delitti tolgono per passione l’esistenza a molti individui. Quantunque le morti violente sieno fuori della normale mortalità, pure quando. per una serie di anni si trova che la morte violenta, sia accidentale che criminale, colpisce gli uomini, deve considerarsi altresì come una forma naturale; la probabilità colpisce gli uomini, e il crescere oil diminuire delle varie cause delle mortalità violente segna come in termo- metro i gradi di probabilità che per ogni anno minaccia i superstiti. Il clima, le abitudini, le passioni, le professioni, i costumi determinano le varie cause delle morti violente, sia accidentali che criminali; e la ripetizione degli stessi fatti, e i movimenti ascendenti o decrescenti di esse addimostrano il progresso o regresso morale ed economico delle popolazioni. Le morti violente, sia accidentali come criminali, si riassumono pel decennio nelle seguenti cifre: L 1861 x 71 I CENSIMENTI DI PALERMO DE 102 766 | 06 |T0€|} 66 | EIG|| 19 | 86F||80F | “66 1” « y « « « « « 6 , « Y « « CI « « ti « « « CI 4 « « 4 IA 6 |6 €8 _||9 LL ||8 9L |{g 9 « «< « « ‘ é « « « L8 |L 08 ||9 UL || L VIA 99 Q 6 tO ci € I 6 T e FRS ii eis IC ai OE « « « « « n J PI q I È I £ È I , « 4 CI “ 4 « « « CI < 6 T « , « , « < a VA U a « 1 © q q mn I) G 3 ‘ [ 6 « L q (ti « « < « « « q PI © 96r | 18 |err]|z8 |ost]|eg | &r|oor| 97 ld « lA CI « « « a « A F r CI « CI € q I q « « « € € « PI , « « « « I « CI q I © , , q « q I? 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Per omicidi 92, dei quali 83 maschi e 9 femine, essi rappresentano l’°1,57 per 100 sulle morti; e in rapporto al sesso in 100 si mostrano 90,22 maschi e 9,78 femine. Per suicidii una media di 5, tutti maschi, che in rapporto alla morta- lità dà il 0,85 per 1000. Raffrontati nell'insieme troviamo, per 100, che le morti violente vanno così distinte: per cause accidentali 66,67, per omicidii 34,29, per sudicii 1,70. Raffrontando queste medie a quelle di tutto il Regno, che danno: accidentali 65,80, omicidii 26,23, suicidii 7,65, noi ci troviamo con una differenza in più di 0,87 per le morti accidentali, di 4,06 per gli omicidi, e con una differenza in meno di 5, 95 per i suicidii , differenza al certo marchevolissima , che rivela come fra noi sono rari i suicidii. i Studiando a parte queste cause di morti, troviamo che la maggioranza si appartiene alla morte repentina e per apoplesia ; esse sono il 72,45 per 100 delle morti violente; l’anno di maggiori morti fu .il 1868 che ne diede in com- plesso 202, quello che ne diede meno fu il 1863 con 86. Dopo questa specie di morti, che meglio si potrebbero comprendere fra le na- turali, sono quelle per effetto di cadufe che portano il maggior contigente; esse sono 29; l’anno che ne diede dippiù fu il 1868 che ne offrì 43, ne die meno il 1864 con 144; anche in queste specie-di morti la prevalenza è nei maschi. Vengono indi i morti per abbruciamento in una media di 10, delle quali 6 son femine; l’anno che presentò maggiori vittime fu il 1869 con 20, quello che ne diede meno fu il 1862 che ne mostra 3, il 1863 non ne presentò alcuno. Per annegamento si ebbe soltanto una media di 4; l’anno massimo fu il 1867 con 8, il minimo il 1862 con 2, non ne presentò alcuno il 4863. Per ischiacciamento di rovina di fabbriche e altro ne abbiamo soltanto 3; il massimo fu al 1864 con 9, il minimo fu di 4, vi furono due anni nei quali non si ebbero a deplorare queste disgrazie. L’inedia, Vasfissia, 1 disastri in opifici, la precipitazione dall’alto presentano nel decennio una media di 2; vi hanno degli anni in cui non si deplorano di queste vittime, anni in cui si ha un massimo di 9 e di 6 ed un minimo di 1. Non si sono potute formare medie, perchè inferiori al numero di 10 delle morti violente per avvelenamento , per scoppio d’armi da fuoco , per fatto di animali, per incendii, per iscoppio di miniere , per disastri di ferrovia, per ubbriachezza, per lanciamento di pietre; non vi è alcuno che sia perito per scoppio di ful- mini. Così essendo, ben si scorge come per le morti accidentali non vi sono giorni e mesi che determinano il loro aumento. 14 4104 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 1864 E 71 Gli omicidi però sono in una cifra elevata; essi, in media, sono in rapporto alla popolazione il 0, 46 per 1000, in rapporto alle mortalità l’ 4, 57 per 100 e in rapporto alle morti violente il 34,29. Per sesso stanno in una grande sproporzione; in 100 uccisi vi sono 90,22 maschi, 9,78 femine. Così li abbiamo osservato in complesso. Studiandoli nei suoi particolari, per anni e per categorie di omicidi, troviamo i seguenti risultati : L’ anno in cui si ebbero in complesso maggiori omicidì, — a prescindere del 41866 che ne ebbe 215 maschi e 56 femine in tutto 234, a causa delle gior- nate di settembre, — fu il 1862 che ne diede 112; quello che ne presentò di meno fu il 1865 con 62, gli altri anni si avvicinano a questi estremi; fra le cate- gorie degli omicidii sono i volontarii che assorbiscono la massima parte ; e difatti in media fra 92 omicidii 87, appartengono a questa classe, 5 agli in- volontarii ; i primi in 100 sono 94,56, i secondi 5,44; l’ultima categoria cioè gl’infanticidii non presentano una media intera, se ne hanno soltanto 2 in un decennio, in modo che sarebbero in media decennale, 0,20. I suicidii anch’essi sono rari; la loro media decennale è di 5 maschi, le femine non raggiungono in media una cifra intera, essi sono in totale 5, cioè in media 0,50, e figurano per 1 negli anni 1865, 1866, 1867 e per 2 nel 1874; sicchè i suicidî sono per 1000 della popolazione 0,03, per 1000, della mortalità 0,85, per 100 della morti violente 4,70; cifre al certo refratte. I morti in duello ci danno altresì una cifra da non tenersene conto; in tutto il decennio non si ha che un solo morto, nel 1869. Sicchè in media si avrebbe 0,10 per 1000 e in rapporto alla mortalità 0,17 per 100, e delle morti violente 0,34. Le esecuzioni capitali però ci danno una cifra più forte; esse sebbene non figurano in tuttigli anni, pure ci danno il numero di 3 nel 1863, di 2 nel 1865, di 4 nel 1866, di 4 nel 1867, di 2 nel 1869, con un totale di 15, che per il decennio ci danno una media di 1,50 per anno, cioè il 0,25 per 1000 della mortalità, ed il 0,51 per 100 delle morti violenti. Raffrontanto queste medie delle morti violenti per causa criminale con quelle di tutto il regno troviamo, per il Regno i seguenti rapporti : in 100 morti violente 26,23 sono omicidi!, 7,65 suicidii, 0,04 duelli, 0,28 esecuzioni capitali; per Palermo questi : omicidii 34,29, suicidii 1,70, duelli 0,34, esecuzioni capi- tali 0,514; e così si ha che la media è inferiore in tutte le morti violenti, meno per i suicidii. Le morti violente in complesso per mesi li veggiamo oscillare con una differenza non al certo marcata; il decennio ci si presenta queste cifre: E I MOVIMENTI DEL DECENNIO 105 DELLE MORTI VIOLENTI PER MESI MEDIA MESI DEL DECENNIO ||2S UE 1862) 1863| 1864| 1865| 1866] 1867| 1868|1869 |1870 | 1871]| M. F. TUE Gennaro . . || 34] 20] 23] 24| 26] 35| z5| 43] 20] 28/0 18] 41| 29] 9,87 Rebbrarorssi|26} (30420 240/024 10234200340) 330. 24 46] 9 25] 8,50 Reza IN2ARI Lo (S| 28:33) 20/033] 038] 728) (85. 48927919 esi Gi si ai i ie aa is5i 27] 27029) os eadozaz Maggio... || 24| (A4&| 211 48| 26 28] ,28] 23/341] 27] 47) 7] 24/816 Gun ie Riz MEI 2 07120) 2a 02 9 257] 200276 I Meo 72519) Gori i2z 22) ao 25.] doll (26. dei] 6; 22) 7,48 Arosio 20 IZ 20 45 2) 8 ass da odo] 5247 Settembre . || 20] 44| 24] 23/422] 18] 25] 28) 48] 48 241 7| 31]|10,54 Ottobre. . ..|| 41] 12] 20} 25] 94/2 28| 19] 20] 44| 47) 19] 7] 26] 8,85 Novembre . 13 15 IL 28 32 19 SONER2I 16 23 13 8 21 || 7,44 Dicembre. . 10 10 10 35 31 53 30| 27 20] 34 18 8 26 || 8,85 TOTALE . !l 2381! 181! 2401 2801! 488! 301! 3541 333! 2591 30411 204! 90] 294! 400 La massima mortalità, togliendo l’anormale settembre 1866, è in gennaro, dicembre, marzo, ottobre; in questi mesi oscilla da 26 a 29; la minima in aprile, giugno, agosto, novembre; in questi mesi è costantemente 24; la media nei mesi di febbraio, maggio, luglio, settembre, la media oscilla da 25 a 22. Gli anni parzialmente non rispondono perfettamente a questa serie, ma egli è dalle medie che risulta la verità. Può dirsi che l'inverno e parte dell'autunno ci danno il massimo della mortalità, le altre stagioni ci danno o il minimo o il medio; vediamo in ciò che il freddo, la mancanza di lavoro, l’alto prezzo dei commestibili, che sono più pronunziati nella stagione invernale, esercitano in- fluenza sulle morti violente. XV. MATRIMONI! E LORO RAPPORTI Crescere e moltiplicarsi: ecco la legge generale delle esistenze; a mezzo l’amore, a fine la riproduzione. Tutto cresce, si moltiplica, si riproduce con un’armonia sorprendente, e non si trova altro limite che nello spazio e nei 4106 I CENSIMENTI DI PALERMO DEL 18641 E 71 mezzi d'esistere; la morte inesorabilmente è nemica di questa fatale tendenza, e vi mette un riparo; e l’atto viene in lotta con la potenza, e la vince, e si rista- bilisce l’equilibrio nel traboccante sviluppo. Ma per l’umana famiglia la tendenza a riprodursi ha qualche cosa di più elevato, di più nobile e di spirituale; l’accoppiamento dei sessi è regolato da una eterna legge, che santifica queste unioni, che costituisce la famiglia, che assicura la procreazione e l’educazione della prole. Non è bene disse Dio che Vuomo sia solo, facciamogli un aiuto che gli somigli, e nacque da lui la donna; e di due si fece una sola carne, così costituendosi la indissolubilità dell'unione; il matri- monio, santificato dalla religione, solennizzato e rispettato dalla legge, base della famiglia, legame della società, ed alimento del progresso degli uomini. Lo studio del matrimonio in rapporto al numero, all’età in cui si celebra, ai mesi in cui si contrae, alla condizione dei coniugi che lo sollennizzano, dà impor- tanti risultati che servono alle meditazioni del filosofo, del pubblicista e dello statistico. Sebbene appaia che il matrimonio non eserciti influenza sulla popo- lazione, sulle nascite e le morti, pure esso ve ne ha grandissima; senza matri- monii le nascite diminuiscono, perchè la corruzione è elemento di spopolamento; la mortalità aumenta, perchè mancando il legame di famiglia i bambini ‘arri- vano difficilmente ad essere uomini, e la società resta in preda al disordine, e il progresso non trova addentellato, perchè il legame tra una generazione ad un altra è troppo debole. Noi qui non verremo a predicare il matrimonio, ma non saremo certo fra quelli che gli vorrebbero mettere ostacoli; noi non vogliamo leggi che lo inco- raggino, ma non vogliamo la corruzione che lo detesta; noi appartenghiamo alla scuola della moralità e della libertà, e sappiamo che essa è conforme alla natura. Per essa una popolazione ha tanti matrimonii quanti la società ne può tollerare, quanti i mezzi d’ esistenza ne comportano, quanto la moralità e la preveggenza ne fanno nascere. Il matrimonio moralizza l’uomo, gli collega in nobile conserto le forze fisiche e morali, lo immedesima colla donna, colla famiglia e coll’ eredità, e per ciò cresce in lui l’amore all’ordine, al lavoro al risparmio, elementi necessarii al progresso sociale. Una società ove i celibi prevalgono ai conjugati è una società corrotta, imprevidente, turbolenta, che minaccia il decadimento; e difatti si domanda a qual governo a qual paese possono appartenere uomini che non hanno relazione sulla terra, come sapranno comportare l’autorità delle leggi e dei costumi quando non hanno alcun legame, come servire alla patria quando in essa non hanno figli? E al rovescio, una società ove soprabbondano i conjugati presenta l’immobilità e la miseria; il lavoro è insufficiente per il proletario , e la mercede non basta a numerosa famiglia; la disperazione diviene compagna della necessaria inerzia, e turbe affamate minacciano di continuo i cardini E I MOVIMENTI DEI DECENNIO 4107 della società. Il giusto mezzo sta nella normale proporzione che offre una società, ove la moralità e la libertà hanno impero, accanto all’attività e alla preveg- genza. Il matrimonio ha le più dolci attraenze; all’età della grazia e della vigoria è qualche cosa che si agita nel corpo e nello spirito, che spinge ad amare; è una forza occulta che avvicina i sessi, è sentimento arcano che parla e che favella amore. E se il vivere è amore, la vita sta nel matrimonio, che lo santi- fica; amore alla moglie, alla posterità; amore, alla vita, alla proprietà; e quando si giunge all’ ora estrema si sa di non morir tutto, si sa che vi hanno degli uomini che porteranno il nostro nome, che si rammenteranno di noi, di noi che non abbiamo interrotto la catena degli esseri. Laonde ben fu detto, che il matri- monio è il più bel giorno della vita ! Il numero dei matrimonii di una tavola statistica messo in rapporto al numero della popolazione è l'indice dello stato di essa. La storia ci mostra che il decadimento degli Stati sta in ragione inversa del numero dei matrimonii; le rigide virtù, gli austeri costumi, la ricca previ- denza, l’amore alla proprietà, il desiderio al lavoro, il bisogno dell'ordine e dell’immegliamento mancano, e con essi si offusca lo splendore di uno Stato. i matrimonio protegge e mantiene i costumi, consolida le società, fa rispettare le leggi, impedisce | aggravarsi della mano della tirannide per l’ amore dei figli; mentre il celibato produce il libertinaggio, scioglie il legame sociale, fomenta l’adulterio e la prostituzione , dispregia l’ autorità delle leggi, e si accontenta meglio d’una corrotta tirannide, che d’una rigida libertà. « A misura che una nazione corre verso il suo decadimento, scrive il Virey, il numero dei matrimonii diminuisce ed aumenta la quantità dei celibi. » La miseria è a temersi per l’ eccesso dei matrimonii, ma la corruzione porta danni maggiori per la dimi- nuzione di essi. Le città più corrotte hanno minori matrimonii, che non in proporzione maggiori le povere; ed oramai è dimostrato, che i matrimonii nelle grandi città vanno diminuendo, mentre crescono nelle campagne, le quali pare fossero chiamate a riparare coll’immigrazione in esse la decadenza della popo- lazione di queste grandi voragini. Uno studio speciale sul numero dei matrimonii, e sulle condizioni alle quali si contraggono fra le diverse nazioni e le diverse città, sarebbe pregno di utili deduzioni alla scienza; ma noi non ci staremo ad intraprenderlo; il qui detto basta per dare un idea di questo sublime atto della vita umana, e passiamo ad osservarlo nel nostro paese. Matrimonii per istato civile dei coniugati —I matrimonii pel decennio in rapporto allo stato civile dei conjugati vanno così distribuiti. 108 1 CENSIMENTI DI PALERMO DEL 1861 » 71 DEI MATRIMONI! PER STATO LA NUMERO DEI MATRIMONII CONTRATTI RAPPORTO PER 100 +AHTH HM MZ LeE—.——_ _—_— 8 > E o 2° SIE > E < < < S <

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EDI] ele dre Fem. & 2 41862 4141| 366 3 | 1044| 1421 » » » » » » 1863 19] 384 3 748] 1124 » » » » » » 1864 19} 435 3 847| 1304]| » » » » » » 1865 417| 441 2 774) 1234 » » » » » » 1866 497| 134 | 10 245| 586|| 331 | 207 | 255 | 379)|129,S0] 54,62 1867 304| Z19| 36 559! 1118]| 523; 340] 595 | 778] 87,89% 43,70 1868 348| 305 | 49 4Ai| 4143] 653 | 397] 460| 716||141,95f 55,45 1869 370] 358 | 61 655] 4444|| 728| 431] 716 | 1013]| 101,68] 42,55 1870 394| 341| 38 556] 1329] 735 | 432 | 594| 897||123,73] 43,16 1871 375| 355.) 41 583] 1354] 730] 416] 624| 938||116,98] 44,35 MEDIA. » 334] 285 | 39 501) 1156]| 616 | 370] 540| 736||114,07] 47,08 E I MOVIMENTI DEL DECENONI 113 Le cifre ci mostrano nel loro assieme, che gli atti sottoscritti dallo sposo o dalla sposa sono al disotto di 4 del totale dei matrimonî, che quelli sottoscritti dal solo sposo sono 4, quelli della sola sposa 4, nell’ insieme gli atti non sottoscritti d’alcuno sono circa 4 della intera cifra. S L’anno in cui si ebbero maggiori atti sottoscritti dai maschi fu il 1868 , dove se ne ebbero meno il 41867, e per le femine l’anno in cui esse sottoscrissero più atti è il 1868, quello in cui ne sottoscrissero meno il 1867. Se dagli atti matrimoniali sottoscritti, passiamo alla istruzione dei coniugati troviamo, che essa in riguardo ai maschi presenta una proporzione in certo modo soddisfacente, mentre non è così per le femine. Per 100 maschi illetterati si trovano nella media decennale 114,07 letterati, e per 100 femine 47,08, così si ha che i maschi superano gl’illetterati dello stesso sesso di 14,07 e le femine restano al disotto di 52,62; l’ anno in cui pei maschi la prevalenza dei letterati è al massimo e il 1868 sono 144,95 per 100, dove è meno è il 1869 sono 101,68 su 400; e per le femine la massima prevalenza è nel 1868, ch'è 55,45 su 100, la minima nel 1869 ch'è 42,55. Dal che si rileva che la istruzione relativa- mente prevale tra i maschi che tra le femine; nè la serie degli anni mostra un progresso o un regresso nella istruzione; gli anni oscillano, e il rapporto mostra una cifra che or sale or diminuisce entro certi limiti, e che varia pei maschi sono dal 144 per 400 al 101, e per le femine dal 55 al 42. Con ciò diamo termine a quanto riguarda i matrimonî, e al presente lavoro. Due censimenti e dieci anni di movimenti, svolti in tutte le sue parti, ben possono presentare lo stato della popolazioue d’una città che è la terza del Regno, la capitale di un Isola popolosa ed illustre. E noi con l’amore di cit- tadino, con lo studio di cultore delle economiche e statistiche discipline abbiamo fatto questo lavoro, sempre fedeli alla verità, con lo scopo di giovare alla scienza che professiamo, e al paese verso il quale ci lega sincero affetto, e con la pena di non avergli potuto dare quella estensione ch’era nostro desiderio, e che l’importanza dell’argomento richiedeva. Ma quanto abbiamo scritto è sufficiente per mostrare che cosa siamo, che cosa. potremo essere ; quando con tante difficoltà politiche, economiche ed amministrative seguiamo uno sviluppo in cui pochi ci son primi. Il che ci conferma sempre più in quel pensiero, che la nostra popolazione ha troppo vive forze per potere indietreggiare nella via del progresso, a cui è chiamata dalla Prov- videnza. Troppo ha dato la natura alla nostra città e alla nostra popolazione; ma le sue forze, sono in continua lotta con quelle del potere, che indirettamente le ha infrenato. La sua vita tradizionale è stata spenta, ed una novella che l’uguagli non è potuta nascere, nè può. Le abitudini e la secolare supremazia 444 CENSIMENTI DI PALERMO DEL 64 E 74 E I MOVIMENTI DEL DECENNIO politica ed amministrativa imprimono nel carattere di un popolo e nella vita di una città un movimento tutto proprio, disviluppando delle forze a discapito delle altre, movimento che diviene una seconda natura e che il potere è obbligato di rispettare sino ad un certo punto, per non incatenare le forze vive di un paese. E allorchè con l’onnipotenza delle leggi si crede di modificare la natura, non si fa che comprimere per un tempo più o meno lungo quella vitalità che presto o tardi deve riscuotersi; essa è più potente delle leggi; le leggi passano, si modificano, si distruggono, e le popolazioni ripigliano allora quello slancio ch'e proprio della loro energia, e che le leggi non poterono. annullare. La storia è aperta alla prova di questo vero. Che nulla si dia, ma che nulla si tolga, e lo svolgimento, quando gli ele- menti son favorevoli, è assicurato : farà da sè. Il male con la sua influenza può ritardare il progresso, anzi il male è il suo opposto, è il nemico che lo contrasta, ma non lo vince, nè può spegnere quella vitalità che si pronunzia anche a traverso degli ostacoli; e la nostra città in tutti i tempi ha dato splendido esempio di questo fatto. L'annullamento della sua vita politica ed amministrativa, le inconsulte leggi che hanno distrutto le fonti della sua ricchezza, le espoliazioni legali a cui è stata soggetta , le pesanti imposte che hanno attentato al suo movi- mento economico, l’abbandono in cui è stata tenuta per effetto della centralità, le epidemie che hanno a migliaja mietuto i suoi abitanti, hanno impedito il naturale sviluppo nel suo crescere e nella sua ricchezza; ma non hanno ‘per nulla distrutta quella forza espansiva che la porta ad un migliore destino. E finchè questa esiste è a sperare nell’azione del tempo che logora l’errore, cor- robora la verità, rafforza la giustizia e avvia la popolazione a quello stato, ch'è il desiderio di quanti amano il progresso e il lustro di questa città. Palermo 25 marzo 1874. I LIBERISTI E GLI AUTORITARI ECONOMIA POLITICA DISCORSO DEL PROFESSORE GIOVANNI BRUNO Letto nella tornata del 1° nov. 1874 Una grave questione attualmente si agita fra gli economisti di Germania e d’Italia che parrebbe volerli dividere in due campi che si appellano dei libe- risti e degli autoritari. Il nostro egregio Fr. Ferrara levò un grido di allarme con una dotta me- moria intitolata—// germanismo economico în Italia, facendo appello agli anti- chi cultori della scienza affine di scendere sul terreno a propugnare la causa dei ‘liberisti, la quale, com’egli dice, è quella dell'umanità e della patria. Dopo di lui l’onorevole Luzzatti s° impegnò a difendere la causa degli au- toritarì in un articolo pubblicato in settembre nell’ Antologia di Firenze ; e quindi gli economisti si divisero in due schiere. I più numerosi per avvivare la fede antica nella scienza fondarono una Società in Firenze col titolo di Adamo Smith ; il minor numero invece intende di costituire un’altra società, o con- gresso in Milano onde discutere o sostenere la nuova credenza degli autoritarî. È dunque opportuno di scendere in campo ad esaminare le questioni che alimentando un disaccordo fra gli economisti più rinomati possono compromet- tere l’ integrità e l’importanza della scienza economica. Il mio carattere uffi- 2 I LIBERISTI E GLI AUTORITARÎ ciale m’ impone questo dovere, ed io l’adempio come posso, dichiarando avanti tutto essere mio intento, non già quello di eccitare vi è più alla lotta gli eco- nomisti, bensì quello di cooperare a temperarla e ad estinguerla; poichè a me sem- bra che la dissidenza, per quanto apparisca profonda e spiccata, non è poi irre- conciliabile, essendo più fondata su d’un equivoco, che in una ribellione contro la scienza; e però credo che la discussione franca e leale farà scomparire gli screzî, dissipare le illusioni, e nel terreno della concordia assicurare vieme- glio il trionfo della verità. Ed in vero la scuola liberista ispirandosi nel libro di Adamo Smith risolve tutte le questioni sociali col principio della libertà. La scuola autoritaria, senza rinnegare la libertà, anzi invocandola come verità prima, crede ch’essa si rinforza , e si legittima nella resistenza neces- saria dell’ autorità : perlochè vuole investigare la parte equa che spetta alla libertà, e quella che spetti all’autorità. Fin quì le due scuole, pare a me, potrebbero procedere di accordo, poichè i liberisti, pur proclamando la libertà come regola universale, non respingono l’azione necessaria dello Stato tendente ad accrescere la potenza della libertà. Ma quì non si fermano gli autoritarî. « Il progresso industriale, dice l’onore- « vole Luzzatti (4) complica sottilmente i rapporti sociali, e la sola formola « della libertà non può risolverli in senso pacifico ed equo ». I liberisti e gli autoritarì convengono che la libertà e l'autorità sono due dati egualmente indispensabili all'ordine politico, e che dalla loro combinazione razionale sgorga ogni progresso civile; ma i primi sostengono che l’ intervento dello Stato sia necessario alla tutela, all’estensione della libertà; gli altri pre- tendono che la società possa avere degl’ intenti pei quali è insufficiente la libertà, che non si possono conseguire senza l’ajuto dello Stato, e che in tali casi, se il vincolo è necessario, V’esitazione, al dire del Luzzatti, sarebbe un delitto sociale, e quel che è peggio una violazione dei principi scientifici ! In altri termini gli uni credono che tutte le libertà sono compatibili coll’ordine sociale; gli altri opinano invece che molti vincoli potrebbero essere compatibili colla libertà. Ecco posate le cagioni precipue della divergenza; ecco disvelato l’equivoco. Pei liberisti la missione dello Stato è quella di sbarazzare tutti gli ostacoli che possano impedire l’esercizio, l’attuazione salutare delle libertà economiche; per gli autoritarî la missione dello Stato odierno è cooperativa, direttiva, perchè la società è irta d’ interessi collidenti, e quando la-loro influenza minaccia rovina lo Stato ha V obbligo d’ intervenire. Per gli uni tutte le sofferenze , tutte le perturbazioni sociali rimediabili sono l’ effetto d’ incompleta libertà ; (1) Vedi nuova Antologia, settembre 1874.' a IN ECONOMIA POLÌTICA 3 per gli altri, invece, sono la conseguenza di aver voluto annichilire l’ azione dello Stato, supposta in certi casi più provvida della stessa libertà. Noi siciliani naturalmente in siffatta questione non possiamo schierarci che dal lato dei liberisti. La Sicilia forse prima di altre regioni d’ Italia accolse la teoria della libertà, che Paolo Balsamo importava dall'Inghilterra verso l’ultimo scorcio del secolo passato, occupando in questo Atenèo la cattedra di Economia, che fu quarta in Europa, e terza in Italia; e la stessa teoria fu poscia seguita dallo Scrofani, da Nicolò Palmeri e da altri non pochi scrittori di cose econo- miche. Però debbo notare che quel liberismo , che avea gittato sprazzi di luce interrotti da nuvole oscure , cominciò a brillare di un permanente splendore dal 1836 col Giornale di Statistica fondato in Palermo dal Ferrara, ricercato e pregiato anche dagli stranieri, e dove si svolgevano argomenti, troppo arditi pel tempo in cui furono scritti e pubblicati da quei valenti uomini che vi colla- boravano, come il Busacca, l’Ondes Reggio, il Perez, Emerico Amari, giammai abbastanza rimpianto, e da altri economisti distinti. La scuola ufficiale, dopo il Balsamo, occupata da Sanfilippo non avea per vero abbracciato con piena fiducia il liberalismo economico; ma verso il 1839 il professore di Palermo convertivasi alle dottrine del Say ; e poscia nel 1844, allorquando le sorti del cimento sostenuto coll’ egregio Busacca fecero a me con- ferire la cattedra di Economia politica, fu proclamata questa dottrina liberista, la quale non è stata esente di contrasti pei pregiudizi, gli errori, e gl’ inte- ressi ufficiali e privati che le si opponeva. Giò non ostante la cattedra dell’ Università di Palermo mantenne vivo il sacro fuoco della scienza. Quanto più grandi gli ostacoli e i pregiudizi a vin- cere altrettanto maggiori si fecero gli sforzi per combatterli. E la scuola inau- gurata nel 1845 continuò nella sua missione di ispirare una fede coraggiosa e intera nei postulati della scienza e un amore ardente per tutte le libertà economiche, mettendo in rilievo quell’espressioni del Pecchio , che la scienza non è che una parte di libertà velata sotto nomi diversi, e dimostrando che i suoi teoremi mentre guidano alla ricchezza sono le stesse strade che guidano alla libertà. E per dare una sola prova di quanto costasse il proclamare altamente , senza transazioni o sfumature le verità scientifiche, traseriverò quì un autografo a me inviato dal Maniscalco direttore della Polizia, da cui si può desumere la diffidenza che esse destavano. « Il Direttore del dipartimento di Polizia avverte il sig. Professore Bruno « di essere più castigato nel linguaggio qnando sulla cattedra svolge alcune « teorie di Economia, nelle quali balenano concetti arditi che infiammano una « gioventù ardente e facile a concitarsi alle idee che sconfinano in esagerazioni « politiche » 10 marzo 1858 « Maniscalco ». YI I LIBERISTI E GLI AUTORITARÌ Intanto mentre il liberismo economico pareva già pervenuto, almeno teo- ricamente, al suo apogèo; ecco in Germania sorgere una scuola di economisti i quali cominciano a far dubitare dell’efficacia della libertà a risolvere le più importanti questioni sociali. E l’Italia, che non ha lasciato il mal vezzo d’ imitare lo straniero, e che addì nostri volge più la sua attenzione sull’Alemagna, come per lo innanzi la fissava sulla Francia, vede pur essa illustri economisti, i quali accettano come un progresso questa scuola germanica, che i francesi con frase spiritosa appel- lano dei socilisti cattedratici. Difatti il Cossa, il Lampertico, il Luzzatti, lo Scialoja per non citare che i più reputati, lavorano ad accreditare in Italia questa scuola, che per equi- voco chiamasi novella, e che potrebbe determinare una dissidenza spiacevole fra economisti, che militando sotto unica bandiera potrebbero tanto giovare al vero progresso della nostra Penisola. A rilevare questa tendenza riferirò alcune parole dell’egregio prof. di Pavia del rapporto da lui fatto al regio Istituto Lombardo di scienze e lettere sul 1.° vo- lume dell’opera del Lampertico, (1) pur esso apostolo della scuola autoritaria, e dove le frasi usate dal Cossa, per esporne i criterì, non lasciano dubbio sulle sue opinioni poco favorevoli all’ortodossia liberista dello Smith, del Say e di tutti i grandi maestri della scienza. « Rendere più agevole, egli dice, lo studio delle nuove dottrine spogliandole « di quel facile e non sempre profondo dogmatismo che rivestono talora nelle « opere degli economisti classici, senza cadere del resto in quell’eccessiva rea- « zione di dubbio sistematico per cui peccano non poco, anche i migliori seguaci « delle recentissime dottrine germaniche; evitare l’o/timismo assoluto dei per- « petui lodatori delle armonie necessarie degl’interessi sociali, senza incappare « nello scetticismo sconfortante dei sostenitori delle antimonie, o nelle costru- « zioni arbitrarie dei partigiani dell’ onnipotenza economica dello Stato , tale « ci sembra l’assunto primo e per ogni rispetto lodevole che si è proposto l’autore « (il Lampertico). : E poscia soggiunge in su la fine del rapporto, quasi per enunciare più apertamente la sua opinione « I socialisti della cattedra hanno il merito inne- « gabile di avere, non già, come alcuni di essi fanno le viste di credere, inco- « minciata, ma valorosamente continuata la lotta contro quel principio, così as- « soluto ed incompleto del lasciar fare, che applicato senza le necessarie limi- « tazioni e gli opportuni temperamenti condurrebbe a danni morali, politici « e sociali, di cui è ben difficile formarsi astrattamente un concetto adequato. (4) Economia dei popoli e degli Stati. } IN ECONOMIA POLITICA 5 « Noi siamo i primi ad applaudire a questa guerra, diremo anzi a ‘questo « trionfo riportato dagli scienziati tedeschi sugli economisti dilettanti , sui razionalisti puri e semplici, sui pretesì continuatori de’ grandi maestri del- l'Economia, ed anzi desideriamo che le loro opere vengano studiate atten- tamente in Francia e in Italia, dove la gran maggioranza degli scrittori e dei professori bandiscono ancora, e dalla cattedra e cogli scritti, il dogma del nichilismo, o per lo meno quello dell’ omeopatia governativa, come la « panacea infallibile di ogni malattia economica e finanziaria ». Giò non ostante il Cossa rivendica per un momento le glorie di Smith, di Malthus, di Ricardo ec. ma poscia conchiude nettamente con queste frasi : « Accettando per conto nostro, quanto v'è di sano nelle nuove dottrine « germaniche crediamo se ne possa trarre molto profitto per temperare il rigore « teoricamente assurdo e praticamente nocivo della teoria nuda e cruda del « non intervento economico, ma respingiamo in pari tempo quelle esorditanze « in senso opposto che con molta imponenza di erudizione ci arrivano d’oltre- « monti, e che qualche giovane troppo fervente vorrebbe accolte senza bene- « ficio d'inventario. «Non dimentichiamo che se la libertà economica ha valore di mezzo , « e non già di fine, e che se-essa anche come mezzo non è sempre îinfullibile, « e vuole essere bene spesso temperata, non dimentichiamo che negli studj « di civiltà avanzata , la libertà è sempre la regola, la norma ordinaria da « seguirsi ove si può, e che essa è poi anche un ideale a cui si deve mirare « e che diventa sempre più applicabile e con minori limitazioni, quanto più « l'istruzione, la moralità, la religione vanno mettendo salde radici e diven- « tano fattori sempre più efficaci del progresso civile, senza cui non può con- « seguirsi intero neppure il progresso economico. Per tal modo l’opinione del Cossa rivelasi abbastanza; e la facilità colla quale egli accetta le dottrine germaniche, e volge in dubbio i dogmi della vec- chia scuola mi dimostra che il dotto professore di Pavia non ha, per lo meno potuto ispirare ai suoi allievi, pelle libertà economiche , quella fede ardente che in lui mancava, mostrandosi invece pieghevole a seguire il socialismo ale- manno colla sembianza di volerlo temperare o correggere. Ora se la verità economica non dev'essere più un dogma assoluto, perchè incompleto e pericoloso, se alla teoria del lasciar fare si possono apportare delle necessarie limitazioni e degli opportuni temperamenti per evitare danni morali, politici e sociali; allorchè d’ altro canto non si deve incappare nello scetticismo sconfortante dei sostenitori delle antimonie, o nelle costru- zioni arbitrarie dei partigiani della onnipotenza economica dello Stato , io domando: quale sarà la teoria che dovrà seguire la nuova chiesa? quale il domma dei nuovi adetti purificati all'acqua tedesca? quale la scorta che guiderà 2 A (a) A A 6 GLI ECONOMISTI E GLI AUTORITARÎ lo Stato? Se la libertà è un ideale per l’avvenire, se deve essere sempre la regola, la norma da seguirsi dove si può; se d'altronde la libertà ha valore di mezzo e non di fine, e se anche come mezzo non è sempre infallibile, a chi noi ci rivolgeremo per una regola attuale, un giusto mezzo che non fal- lisce come la libertà, che non è feoricamente assurdo e praticamente nocivo come la teoria nuda e cruda del non intervento economico, e che al tempo stesso non sia esorbitante e non racchiuda le anzimonie delle dottrine germa- niche ? Noi cultori della vecchia scienza non conosciamo che le leggi della natura, o l’arbitrio dell’uomo, ossia l’empirismo. La libertà, mezzo o fine, è per noi un diritto, o una legge della natura, una forza sociale necessaria che mon si può violare. Ogni teoria che non parte da questo principio e non riposa su di esso, è concetto umano che può variare secondo le teste degli uomini, e niuno è obbligato di riconoscerlo e di accettarlo come regola della vita sociale. Un ministro giudicherà un momento che la libertà bancaria sia feconda di prosperità commerciale. Un altro ministro vi scorgerà un grande pericolo, e reputerà conveniente «di apportarvi degli opportuni temperamenti, interve- nendo a frenare il libero esercizio del credito bancale. Il primo si è ispirato alle leggi della natura, ha lasciato fare; niuno potrà accusarlo di arbitrio, egli avrà seguito un principio, una teoria della scienza. Lvaltro si sarà fatto guidare dai suoi criferi, i quali non hanno base nella natura, neppure nella scienza che si fonda su quella; saranno |’ effetto delle sue apprensioni e dei suoi timori, e quindi non sono che l’espressione d’ un concetto empirico, incerto, isolato che non sgorga da una regola sicura, stabile e generalmente riconosciuta. Anzi questo concetto, partodella mente umana, potrà sembrare troppogeneroso, troppo condiscendente; e verrà più tardì un allro, che autorizzato a recare degli opportuni temperamenti adotterà delle nuove e più rigorose restrizioni col pretesto, o colla convinzione di evitare danni morali, politici e sociali. Vi sarà un governo che vuole rispettare la libertà d’insegnare e di ap- prendere come una legge della natura. Un altro vedrà invece utile d’interdire ad alcune classi questo diritto e di comandare l'obbligo dell’insegnamento elementare. Un ministro vorrà la libertà delle professioni parendogli che la società sia abbastanza matura per valutare il merito degli esercenti. Un altro ministro giudicherà necessario di prescrivere la durata dei corsi, i programmi, i metodi, i libri, gli esami, le patenti. E poi un altro giudicherà anche in- sufficienti tutte queste misure, e aggiungerà un tirocinio posteriore al diploma di dottore e un esame perentorio per ascrivere un forenze nei ruoli dei collegi giudiziari. Non mancheranno giammai delle assemblee che approvino i progetti fon- IN ECONOMIA POLITICA "i dati sulla libertà, come quelli fondati sui criterî di un ministro , i quali se- guiranno una scala semitonata, secondo che si allontanino più o meno dai canoni della scienza. Io non voglio moltiplicare gli esempi, ciò che ho detto è sufficiente a dimostrare che l’infervento dell’autorità, o di ciò che chiamasi Sfafo, non ha , un punto fisso dove abbia il dovere di fermarsi. La regola del giusto mezzo non è ancora trovata. Ciascuno colla nuova dottrina germanica potrà discostarsi dalla scienza, dalle leggi della natura, dal rigore teoricamente assurdo , e praticamente nocivo della teoria nuda e cruda del non intervento economico; ed intervenire invece con dei femperamenti di cui egli solo saprà misurare Popportunità, senza che niuno abbia il diritto di gridare: fermatevi! non es- sendovi più verun titolo scientifico, irrefragabile per segnalare le esorditanze, perchè nè anco la legge della natura si vuole riconoscere per infallibile. Fortunatamente finora il male non è assai propagato. Gli scrittori più . reputati di cose economiche mi sembrano ancora riverenti alla scuola di Smith, e i pochi che rendono omaggio alle nuove dottrine teutoniche lo fanno con una certa perplessità, una certa timidezza. Si direbbe ch’essi cerchino ajuto o per essere sorretti nel pendio in cui possono sdrucciolare, o arrestati da mano ferma per ritemprarli nella fede antica, cui non sanno decidersi d’ abban- donare. Difatti escludendo le splendide figure del Cossa, del Luzzatti, dello Scialoja, del Messedaglia, del Lampertico , gli altri nomi noti in questo nuovo mondo economico sono quelli di un Toniolo, di un Errera, di un Montanari, di un Nazzani, di un Palma, i quali, non ostante il loro merito, non sembrano apostoli da trascinare l’Italia alla fede novella, anzi è da sperare che la voce autorevole degli economisti provetti varrà a disviarli dal falso tramite in cui si sono innoltrati. lo quindi non posso dividere la opinione del mio amico Ferrara che in Italia il germanismo abbia già quanto occorra per essere, o divenire ben pre- sto una dottrina predominante « poichè s’egli è pur vero, come egli dice, «che giovani maestri avidi di novità chiamati ad insegnare la scienza, possono « fra pochi anni pervertire le sane idee economiche » pure ho fede nei nomi di Arrivabene, di Ferrara, di Torriggiani, di Corsi, di Marescotti, di Sbarbaro, di Virgilio, di Tullio Martello, di Protonotari, di Giacomo Falcone, di Majorana Cala- tabiano e di cento altri che sarebbe lungo lo enumerare, per opporre un freno a questa corrente limacciosa che vorrebbe travolgere in loto le pure acque della libertà. : E di vero noi italiani, molto tempo prima che gli alemanni ci avessero an- nunziata come nuova questa scuola di economisti auzorifari, la quale trae la origine dalla scienza camerale, o cameralistica del Gasser, del Iusti, del Roes- 8 I LIBERISTI E GLI .AUTORITARÎ sing e di molti altri, avevamo avuto degli scrittori eminenti,i quali avendo più fiducia nell’ingerenza delio Stato, che nel regime assoluto della libertà compilarono dei grossi volumi per sostenere come la direzione governativa in molti negozî sociali e nei privati interessi fosse preferibile e più salutare della libertà. Ma l'autorità stessa di un Gioja, per citare il nome più colossale, non valse ad illudere gl’italiani sull’utilità dell’influenza governativa, difatti dopo di lui il Romagnosi, il Pecchio, il Rossi, il Conte Arrivabene, il Sacchi,il Cattaneo, il Cibrario, il Minghetti, il Bianchini, il Boccardo, lo stesso Scialoja,i nostri con- terranei De Luca, Albergo, Vanneschi, Intrigila, Scordia, Di Menza, Maggiore Per- ni e non pochi altri viventi succitati seguirono risolutamente la scuola liberista. Giova ancora ripeterlo: la dissidenza fra i liberisti e gli autoritarî si parte da un equivoco; dal considerare come nuova una vecchia dottrina che fu com- battuta e annullata, tanto nella sua forma modesta e seducente dello Stato pro- tettore e direttivo, quanto nella sua forma radicale e sovversiva di un socia- lismo livellatore ed organizzatore. Se gli autoritarî si limitassero a richiedere l’ intervento dello Stato in tutto ciò che non può conseguirsi per opera della libertà, e che invece si possa ottenere per opera della Potestà sociale, i liberisti nulla avrebbero da opporre, purchè non si arrechi alcuna lesione, alcun vincolo alla privata libertà. Se l’ Inghilterra interviene nel servizio telegrafico o postale, perchè abban- donato ai privati non si estende per tutte le comunità e non si rende acces- sibile a tutti, gli autoritarî non han ragione di scorgervi, come fanno, una transa- zione della libertà. I liberisti vi consentono, purchè 1’ intervento dello Stato, non impedisca la concorrenza d’un servizio simile nell’ interesse privato. Se il governo fa vigilare sull’igiene delle fabbriche e delle miniere, se regola le ore del lavoro pei fanciulli e per le donne, i liberisti non vi fanno la guerra, perchè l'esercizio della libertà non importa la facoltà di ammazzare o di farsi ammazzare. Se operai e padroni convengono nella scelta di probiviri per comporre pacificamente i contrasti nella fissazione dei salarî, in questa istituzione i libe- risti non possono ravvisare che una forma nuova di arbitrato, ammesso da tempo negli affari commerciali, senza nocumento di sorta per la libertà. Gli autoritarî si servono di somiglianti esempî onde esagerare le preten- zioni dei liberisti all’astenzione dello Stato; ma se fossero questi soli i motivi della discrepanza la conciliazione sarebbe già fatta. Epperò gli autoritarìî movendo da coteste ingerenze legittime o tollerabili, perchè non lesive della libertà, s' innoltrano più avanti sostenendo che com- piuta la parte negativa e distruttiva della scienza nelle riforme economiche, debba ora lo Stato, come dice l'inglese Cairnes, intervenire per iniziare un’o- pera di riforma positiva e ricostruttiva (1). (1) Essays in political Economy theoretical and applied —London 1873. IN ECONOMIA POLITICA 9 E ciò avviene perchè, tanto in Germania che in Italia travisandosi la mis- sione dello Stato gli si vuole accordare un’ insolita ed inesperta fiducia, che non ebbe giammai nei tempi anteriori. Ecco infatti il nuovo concetto dello Stato proclamato al Congresso di Eisenach del 1872 per la bocca del prof. Gneist di Berlino. « La precedente generazione, egli diceva, affine di combattere gli ostacoli di una legislazione antica adottò il sistema della libera concorrenza come condizione della libertà industriale, in un tempo in cui si respingeva come pericoloso l’ intervento governativo. Ma le circostanze sono mutate ; la società si è rinnovata , essa non è più diffidente verso il governo, mentre poi una viva irritazione si è accesa fra i diversi ordini sociali, la quale non potrà scomparire col solo aumento della produzione e col facilitare i commerci. La nostra associazione al cospetto dei « mali che il nuovo ordine di cose ha prodotto, dovrà innanzi tutto ricercare « come lo Stato possa rimediarvi ». Queste idee sono state di peso accettate in Italia ce mi piace di riportare un brano di un articolo pubblicato in novembre 1873 nella nuova Antologia, col quale il sig. LuigiPalma giudica Guglielmo D'Humbolt, o meglio il suo Saggio sui limiti dell’ azione dello Stato scritto nel 1792 e dato alla luce nel 1854; in quell’articolo il Palma, che sembra parteggiare pella scuola autoritaria, non poteva accettare le idee dello scrittore tedesco che vorrebbe limitata l’azione dello Stato. Il Palma descrive lo Stato nella maniera più seducente ; l’autore ne ha un concetto roseo, brillante, direi poetico, e spesso per provare l’azione utile dello Stato confonde ciò ch’esso ha fatto come còmpito suo naturale, cui non contrastano i più liberisti scrittori di Economia, per dedurne la convenienza di addossargli altre funzioni che sorpassano la sfera della sua naturale mis- sione, e rientrano pet converso nell’energia e nella libera attività degl’ individui, « Lo Stato, egli dice, (pag. 509) innanzi ai progressi moderni, era quasi « dovunque dominio del capriccio di un Principe, di una oligarchia, di una « metropoli, di una casta qualunque. Dar loro soverchio potere è parso giu- « stamente lasciarsi confiscare, assorbire dai loro interessi sinistri. Presente- « mente lo Stato siamo noi, rappresentati dai nostri principi nazionali, da « deputati da noi eletti, da amministratori da noi singacati e che agiscono « secondo leggi discusse ed approvate dai nostri Parlamenti. « Parlando di Stato noi intendiamo lo Stato civile moderno, il cui Governo « significa la volontà, la ragione, Vinteresse generale, lo Stato libero rappre- « sentativo nella sua piena sincerità. Quindi i vecchi odî non hanno ragione « di essere per questa parte ». Quì 1 equivoco è assai trasparente. Lo Stato non è l’ideale perfetto di tutti i tempi, non è una costante: ma è una variabile. A A A A A A A 410 ì LIBERISTI E GLI AUTORITARÎ Nei tempi trascorsi di maggiore ignoranza e di minore civiltà si aveva diritto, secondo gli autoritarî a dubitare dello Stato e si poteva reclamare, se non altro teoricamente più ampie libertà per l'individuo; nei tempi nostri di maggiore progresso di più diffusa istruzione si può allargare la sfera di azione dello Stato restringendo la libertà dell'individuo ! E ciò per la sola ragione che lo Stato siamo noi, i nostri principi, i nostri deputati, i nostri amministratori; o in altri termini perchè il governo significa la volontà, la ragione, Vinteresse generale. Ora io domando : con queste condizioni forse l'Inghilterra, la Francia ed altri Stati grandio piccoli retti a forme rappresentative hanno sempre saputo evitare gli errori, i traviamenti a danno della libertà e del benessere dei popoli? Il regime coloniale con la sua schiavitù e i suoi monopoli; il sistema proibitivo e protettore; gli eserciti permanenti e le guerre ingiuste: le restrizioni indi- screte e le ingerenze importune nell’ istruzione, nel pensiero, nella coscienza, nell’esercizio delle professioni, e cento altri atti condannati dalla scienza non furono forse l’opera di Stati che si possono considerare altresì come emanazione del popolo ? E quando i governi smettono gli antichi errori, o se ne discostano len- tamente , dobbiamo noi darne il merito allo Sfafo dei nostri tempi, alla sér- cerità dei suoi atti, ovvero dobbiamo inferirne che l’azione continua, latente della libertà costringe i più pertinaci a spezzare i vincoli e le catene del pas- sato e a rendere omaggio a questo grande principio vivificatore dell’ umana attività ? Se Fox e Wilbeforce fanno decretare l'abolizione della schiavitù; se Cobden ec Bright costringono Robert Peel a riconoscere la verità economica del com- mercio libero; se spingono Lord Russel ad emancipare le colonie , tutto ciò è forse dovuto alla sincerità dello Stato moderno, ovvero alla prepotenza della pubblica opinione illuminata e convinta dalla teoria giuridica ed economica della libertà ? Lo ripeto ancora una volta, è d’uopo distinguere il bene che fa lo Stato governo attuando successivamente i dettami della scienza, dal male che potrebbe fare se sì consentisse alla legittimità del suo intervento, attribuendogli la sapienza e l’accorgimento che può mancare ai particolari, e quindi la facoltà d’intervenire in ogni caso con opportuni femperamenti a scapito della libertà individuale. Nel primo caso gli economisti più liberali non contrastano l’ intervento dello Stato. Esso è nella sua naturale missione, quando.accosta la legislazione alla scienza , riconoscendo sempre meglio il diritto individuale della libertà. Anzi da questo lato gli economisti lamentano spesso che lo Stato governo man- tenga la legislazione troppo lontana dalla scienza e non s' ispiri in tutti i suoi atti nei canoni accertati e sanzionati da lei; e per l’opposto fanno plauso IN ECONOMIA POLITICA 44 al progresso dell’ umanità per opera dello Stato che ha lentamente condotto la società civile all’attuale condizione, traversando di buona o di mala voglia, spontareamente o forzatamente i periodi dolorosi e cruenti della schiavitù, della servitù della gleba, delle corporazioni di arti e mestieri, del feudalismo, dei monopolî, dei privilegi che vulneravano il diritto dell’individuo e del corpo sociale; egli è in questo modo che si manifestal’azione operativa della scienza. Nel secondo caso gli economisti non possono trovarsi di accordo con gli autoritari, poichè tutto quanto potrà essere abbandonato agl’individui non può avocarsi dallo Stato col pretesto, o col motivo che i privati non fanno, 0 sono lenti a fare tutto ciò che la società può pretendere a vantaggio di sè stessa. In questi casi si dovrebbe riconoscere l’onniveggenza dello Stato, non che l'incapacità o l’ignavia invincibile degl’ individui per concedere al governo la fa- coltà d’intervenire come Provvidenza in tutto ciò in cui non si sviluppi ancora l’accorgimento o l interesse dell’individuo. Ma siccome niuno può esser sicuro che in tali circostanze lo Stato-governo possegga maggiore preveggenza, mag- giore. capacità, maggiore interesse dei particolari, poichè il governo-Stato è mutevole, tanto più rapidamente, quanto più libere sono le forme politiche delle nazioni, così i liberisti si attengono in quest’altri casi alla formola più sicura, più naturale della libertà, mancando sovente la guarentigia dell’utilità nell’ in- gerenza dello Stato, contro alla quale ha deposto l’esperienza per gli attentati, le pastoje e i disastri commessi a danno dei diritti e degl’interessi individuali. Attribuire insomma all’ intervento, all’ opera dello Stato, il merito delle riforme che hanno sospinto l’uman genere nella via della civiltà gli è come disco- noscere l’ influenza naturale e potente che ha dovuto esercitarvi la scienza. Dedurre da questo progresso la convenevolezza della legittimità dell’ inter- vento dello Stato, val quanto diffidare della verità e della virtù operativa della scienza; gli è cadere nelle vecchie dottrine dell’empirismo e sostituire l’arbitrio variabile dell’uomo alla legge universale ed immutabile della natura. Perlochè diremo al Palma, se lo Stato fonda arsenali militari nella Spezia, in Tolone, o a Portsmouth, se scava un porto mercantile a Brindisi, se fa asciu- gare le paludi Pontine, se regola il corso del Tevere, se fonda uffici postali , telegrafi ed altro simile tendente ad agevolare |’ attività spontanea e libera degl’individui, in tutto ciò ei può essere considerato nella sua missione dai meno austeri seguaci deila scuola, detta di Manchester. Ma se arrogasi il diritto di fare tutto ciò che i privati non vogliono, o non posson fare in date circostanze e condizioni; se perciò colle sue intrapese impedisce, anche temporaneamente, il libero sviluppo della privata attività , allora trascende dalla sua naturale mis- sione, e i liberisti in questo straripamento vi scorgono un pericolo pella libertà individuale e un danno al maggiore benessere della società tutta intera; impe- 192 I LIBERISTI E GLI AUTORITARÎ rocchè in questi casi il bene è ciò che sì vede, ma il male che non si vede è assai più grande dell’apparente vantaggio. In ogni modo possiamo noi affidare il progresso alle nazioni nelle mani dello Stato e far dipendere da lui, quando pure sia nostra emanazione , il concetto degli opportuni temperamenti, coi quali si reputi necessario di limi> tare la libertà? Possiamo noi essere sempre sicuri che prineipi, deputati, amministratori, anche scelti da noi, facciano sempre il bene del popolo, e non ubbidiscano qualche volta ai loro criteri, ai loro pregiudizî, ai loro errori? Noi italiani costituendo uno Stato moderno potevamo aspettarci, e direi ancora pretendere, che in questa grande trasformazione l’Italia edotta dall’espe- rienza di altre nazioni, non dovesse commettere veruno degli errori che trasse a rovina i popoli, e fece loro versare fiumi di oro e di sangue. Ma forsechè gl’ italiani non hanno nulla a deplorare negli atti di questo novello Stato che è nostra emanazione? Non si è dovuto forse lamentare che gli atti più contrarii alla libertà sono stati sovente l' opera degli uomini più illuminati , dei quali il paese poteva tutt’ altro aspettarsi che un intervento, elevato a sistema di governo, e che ha originato debiti enormi, tributi esorbitanti, corsi for- zati, pastoje al credito, monopolî, e regie cointeressate ! Del resto ammesso che nulla siavi da rimproverare agli Stati moderni ; che possa invece in tutti i loro atti, scorgersi la volontà, la ragione, l'interesse generale, dovremmo per questo recedere dal rigore della scuola liberista ? Siamo noi sicuri che gli eventi umani, le vicende delle nazioni non possano immu- tare e travolgere siffatte condizioni ? E allura? Allora niuno degli autoritarî oserebbe affidare allo Stato alcuni atti da cui dipendono il progresso e il benes- sere sociale. Ciascuno dei seguaci di questa scuola, se pure avrà vita e durata, si rivolgerà ansioso come all’àncora di salvezza, al principio razionale, crudo, nudo della libertà assoluta; poichè allora si accorgerà che la teoria dell’ inter- vento dello Stato è teoria matevole con gli uomini e con gli eventi; e la teoria della libertà sta salda, immutabile, eterna contro gli arbitrî umani e le vicende dei tempi, perchè è una verità che scaturisce dalla natura. Tutto ciò che si afferma in favore dello Stato evidentemente è la con- nda seguenza di un equivoco, d’un falso concetto che si fa del medesimo, o meglio della confusione in unico ente dello Stato e del Governo. Gli autoritarî dino che. lo Stato è una entità ideale, considerato soltanto come società politica indipendente, ma che nulla vi ha di comune fra lo Stato-società, e lo Stato-governo. Il primo è un’entità astratta, è l’ espres- sione usata per significare un aggregato di uomini raccolti a vita di nazione; esso progredisce o decade secondo le vicende della soc età che lo costituisce ; il secondo è un ente reale che si compone di quel mi di domini che rap- presentano ciò che nella pratica si chiama governo della società. s dea pre e © © IN ECONOMIA POLITICA 13 Il primo, lo Stato società, ente ideale, esiste sempre finchè la società non sia distrutta; il secondo ente reale Stato governo, deve necessariamente mutare col succedere degli uomini che lo compongono ; |’ uno è irresponsabile delle vicende sociali; l'altro ha tutta la risponsabilità dell’incremento morale, intel- lettuale e materiale della società; questa risponsabilità che dà l’obbligo allo Stato governo di spingere la società nella via del progresso fa manifesta la necessità di una guida sicura inflessibile che non possa variare coi criterî peculiari degli uomini che governano, e che sono mutevoli, non solo perla breve durata della vita, ma per le oscillazioni politiche, o per altre circostanze che ne impon- gono la rinnovazione. Ora se il progresso delle umane società non ha una legge invariabile, eterna, decretata dalla natura, se puossi invece far dipendere dall’arbitrio, dal criterio variabile degli uomini transitorì che formano il governo Stato, si può dare causa vinta agli economisti autoritarî. Aspettiamo dall’ ingerenza dell’ autorità, da questo vecchio e nuovo principio ezico il progresso economico delle nazioni. Se però la storia antica e contemporanea può deporre che i governi non sono stati sempre felici ispirandosi nei loro criterî, nei loro lumi, nelle loro migliori intenzioni per favorire lo sviluppo morale ed economico dei popoli , allora bisogna ricercare una stella polare che sia scorta agli uomini di tutti i tempi che timoneggiano le nazioni, che sia indipendente dai criteri e dagli arbitrî umani, che sia attuabile in tutti i luoghi e in tutte le circostanze, e quest’astro luminoso i discepoli di Smith lo hanno trovato nel principio etico della libertà e della risponsabilità individuale, se non come rimedio eroico e completo pei mali dell’ umanità , ma come il migliore regime, da cui può derivare il maggiore benessere sociale. Nò: l’opera negativa e distruttiva della scienza non è, nè sarà giammai compiuta, siccome pretendono gli autoritarî. Lo Stato potrà intervenire nelle riforme positive continuando l’opera distruttiva della scienza, che sarà ad un tempo ricostruttiva della società. Restano ancora migliaja di vincoli a spezzare, migliaja di ostacoli a rimuovere, onde spianare il sentiero all’ umana civiltà ; e i liberisti invocano l’azione dello Stato, perchè inspirandosi nei canoni della scienza assicuri il trionfo della libertà, unico agente del progresso morale e materiale delle nazioni. i E siccome non è a sperarsi che le passioni, gl’ interessi, le ambizioni , gl’intrighi siano debellati in un prossimo avvenire per fondare |’ impero della moralità e. della giustizia, così la lotta fra la libertà e la resistenza, tra la verità e l’errore durerà per secoli ancora, se non eterna, e quindi l’azione opera- tiva e distruttiva della scienza sarà sempre attuale. À me pare che a quest’insolita fiducia verso lo Stato-governo han dovuto contribuire gli ultimi avvenimenti politici dei nostri tempi. ge 3 44 I LIBERISTI E GLI AUTORITARÎÌ La rivoluzione che aspirava alla costituzione di due grandi nazionalità vide due statisti e due principi farsi iniziatori, alleati e condottieri, dell’ele- mento attivo, ardito, battagliero che lavorava alla grande trasformazione dell’I- talia e della Germania. Questo intervento nella rivoluzione, attribuendosi al solo scopo di propu- gnare e soccorrere le aspirazioni e gli interessi dei due popoli, ha dovuto accreditare l’infl:enza e la generosità dei rispettivi governi. Lo Stato che si è veduto difensore e timoniere di un rivolgimento politico che produsse le nuove nazionalità può esser creduto anche abile a risolvere nell’ interesse del popolo certe quistioni sociali. La sua ingerenza negli affari privati non si è più temuta, nella supposizione che le riforme economiche, le quistioni di dritto e di giustiza si possano risol- vere con quell’ avventurosa politica che ha reciso con la spada le resistenze più polenti. Ma io che ho piena fede nel progresso continuo delle nazioni e nel trionfo di tutte le libertà economiche non posso temere il decadimento della scienza per le invasioni del germanismo in Italia; ossia per il predominio dell’errore sulla verità. Se nei secoli che abbiamo di già valicato la scienza pura potè costituirsi e procedere vittoriosamente a sgominare l’ errore, malgrado l’igno- ranza dei tempi, il dispotismo dei governi, l’antagonismo dei popoli; malgrado tutti gli ostacoli frapposti al suo incesso dai pregiudizî e dagl’interessi privati; dobbiamo ai giorni nostri e sotto un regime di libertà politica quasi generale in Europa , coll’ avanzarsi della civiltà , colla diffusione dei lumi in tutte le classi sociali, dobbiamo oggi temere che l’errore economicu prevalga più facil- mente della verità scientifica ? E ciò per il solo motivo che pochi scrittori tedeschi e italiani spasimanti di novità intendono di far passare come nuova una vecchia dottrina che ha fatto il suo tempo, e avverso la quale di già si collegano scrittori eminenti affine di assicurare l’ impero tranquillo e pacifico della scuola di Smith, dì Say, di Bastiat, di Dunoyer! i L’ Italia per altro, ha mostrato sinora di avere un merito sulle altre nazioni, il buon senso di conoscere gli errori e di saperli schivare. Le false dottrine dei comunisti e dei socialisti non trovaron giammai presa in Italia. Tommaso Moro colla sua Utopia scosse la sobria Inghilterra, affascinò lo stesso Enrico VII e il cardinale Volsey. L’anabatismo di Munzer insanguinò la Ger- mania. Il Sansimonismo abbacinò per un istante lo stesso Michele Chevalier, quando in Italia il Romagnosi e il Bianchini lo consideravano come un delitto. Il socialismo organizzatore trasse il popolo di Parigi alle sanguinose giornate di giugno 1848, ma l’ Italia rimase sempre estranea a tutto questo movimento : La Città del sole del monaco Campanella di Calabria, con cui si continuava IN ECONOMIA POLITICA 45 la catena delle tradizioni comuniste, ricalcata sull’ utopia del Moro, passò inosservata, quantunque prodotta da un uomo che godeva di un’ alta riputa- zione per le persecuzioni incontrate col tentativo di strappare il regno di Napoli agli Spagnuoli. E se oggi la setta degl’ internazionalisti fa capolino nelle nostre contrade la colpa è di coloro che fecero troppo sperare senza attenere le promesse. Un governo che si fa condottiero della rivoluzione , non è più libero di arrestarsi a mezzo il cammino ; come colui che montando su di un convoglio espresso non può fermarsi a libito suo. Il carattere della rivoluzione è quello di camminare sempre correndo più dell’Ebreo errante; se trova ostacoli com- batte per atterrarli: saràla monarchia che le si para dinanzi? cercherà di rove- sciarla; sarà la repubblica? cercherà di surrogarvi il comunismo e il socialismo. Così l’ internazionalismo in Italia finora non ha il carattere e la divisa di Carlo Marx e di Lassalle; si confonde col repubblicanismo, salvo a domandare la liqui- dazione generale e a procedere col ferro e col fuoco il giorno in cui la repub- blica non l’avrà (atto felice. E per essere giusto ugualmente colla Germania, io debbo notare che dopo il congresso di Eisenach del 1872, dove si inaugurò il programma della nuova scuola, e dopo la costituzione della società di politica sociale, hanno avuto luogo in Alemagna due congressi di economisti ; l' uno in Vienna in agosto 1873 , dove concorsero i partigiani stessi del congresso di Eisenach, senza che avvenisse alcun serio conflitto di opinioni fra gli economisti liberali e quelli autoritarî, e non ostante che trattandosi dell’ amministrazione delle casse di risparmio si respingesse come nociva qualunque partecipazione dell’ autorità pubblica che imponga allo Stato una parte di risponsabilità anche morale. Nell’altro con- gresso tenuto a Crefeld in agosto 1874 si fecero dei tentativi di ravvicinamento onde fare scomparire le divergenze fra i liberisti e gli autoritarî. Nelle que- stioni che si agitarono sul privilegio delle intraprese ferroviarie, sul dritto di fissare le tariffe di trasporto, sulla pluralità e sull’ unità delle banche , sui limiti della circolazione fiduciaria i socialisti cattedratici usarono della più grande moderazione. E voglio anche soggiungere che nel recente Congresso di Eisenach, tenuto agli 14 ottobre ora scorso, agitandosi due gravi questioni, quella di esaminare se mai fosse utile di decretare una penalità nelle violazioni del contratto di lavoro, e quella delle casse obbligatorie per le pensioni agli operai infermi o vecchi, prevalse il principio della giustizia e della libertà. Nella prima que- stione Hirsch e Ianson dimostrarono a nome della giustizia e dell’vguaglianza l’inopportunità e il danno della sanzione penale, essendo sufficienti le ordinarie conseguenze civili. Nell’altra il Duncker di Berlino si oppose energicamente al Kalle di Briebrick e agli altri che sostenevano !a obbligatorietà, non che 16 I LIBERISTI E GLI AUTORITARÎ al Wagner, il quale, pur convenendo che la libertà sarebbe preferibile, enun- ciava che la coazione era un metodo educativo , e quindi bisognava usarla quando la libertà non basta da se. Finita la discussione ove presero parte i più reputati economisti autoritarî, la proposta del Duncker contro la obbii- gatorietà fu accettata da 283 voti contro 14 col trionfo del principio della libertà! i Del resto gli autoritarî di Germania, esclusi i nomi di Wagner, di Engel, ‘di Schaffle, di Contzen, di Scheel non sono tutti delle sommità che possono esercitare un'influenza decisa pel trionfo delle loro dottrine contro ai nomi di Schultze-Delitzsch, Lammers, Stahl, Gensel, Oppenheim, e direi del Rotteck, del Roscher, dell’Hildebrandt. comunque partigiani della scuola storica. Ma io sento di aver trapassato anche troppo i limiti tollerabili di un discorso e quindi mi affretto a conchiudere, che il primo, il più urgente bisogno cui dovrebbe attendere la novella Società Adamo Smith, alla quale varî nostri rispettabili accademici hanno l’onore di appartenere, è quello di promuovere, di sviluppare, propagare e difendere con tutti i mezzi possibili le dottrine delle libertà economiche onde dissipare i pregiudizi delle masse insipienti, ignare affatto dei principi organici della civile società. Allorchè il popolo è chiamato a formare l’opinione pubblica e a partecipare alla sovranità nazionale è un bi- sogno per tutti di estendere la conoscenza dei principi naturali che regolano le questioni di lavoro , di proprietà, di salario, di benessere ; la conoscenza di queste cose può liberare il popolo da quelle epidemie morali prodotte dagli avven- turieri del pensiero che spargono nel. mondo un mescuglio confuso di verità e di errori. Nei tempi agitati che noi traversiamo l’opinione, sempre inquieta e spesso allucinata, rende la società civile fluttuante ed incerta, ora per la paura dei radicali e dei socialisti, ora per la paura dei conservatori. Quando predomina l'una si sagrificano le libertà per aver l’ordine, primo dei bisogni sociali; otte- nuta poi la sicurezza, l'opinione ferita dai procedimenti del dispotismo, inde- gnata dagli abusi del conservatismo, eccitata dall'amore della giustizia abbatte, o lascia cadere il governo autoritario e rivendica le sue libertà. Quest’ altalena, queste oscillazioni sono nella natura delle cose, ma gli effetti si rendono tanto più disastrosi, quanto maggiore è l'ignoranza del popolo, e quanto più abbarbicati gli errori economici. Ecco dunque l'urgenza d’illuminare l’opinione per purgarla dei pregiudizî, delle illusioni alimentati dall’ ignoranza, ed introdurvi invece la nozione del vero progresso, onde renderla più morale più calma al cospetto delle complicazioni sociali, più ragionevole nella ricerca del benessere e più propria infine a comprendere la missione naturale del governo e meglio esercitare sopra di lui la sua critica e la sua azione. I IN ECONOMIA POLITICA 17 Gli è per questo che in Inghilterra il self government è nella coscienza di tutti e le ingerenze dello Stato si combattono come attentatorie alla libertà privata; gli è per questo che quivi le più recenti e più grandi riforme hanno avuto l'iniziativa popolare, e il governo adottandole non ha fatto che rendere omaggio alla potenza dell'opinione, con che indirettamente ha concorso a dare maggiore autorità alla scienza. Se poi non mancherà qualche esempio d’inge- renza governativa su cui vorrebbero appoggiarsi gli autoritarî, questi esempî sono fatti isolati, sono deviazioni cagionate dallo spirito del tempo, non sono conse- guenze di un sistema scientifico; sono errori che non diventano giustificabili , sol perchè decretati dal Parlamento inglese. Contro a qualunque esempio si può rimarcare che l’Inghilterra ha saputo evitare per due secoli tutte le commozioni politiche, e resistere a tutte le utopie, a tutte le promesse di palingenesi sociali che hanno agitato la Francia e che ora minacciano l’Italia, perchè i canoni della scienza insegnate in sei mila scuole pubbliche e private hanno contenuto il popolo inglese nei limiti di ciò che si può pretendere dallo Stato ed hanno sospinto il governo a dare oppor- tuna applicazione ai canoni della scienza. Ma dove l’ insegnamento economico non è così diffuso, dove i governi si imitano a fare bandire in poche cattedre la libertà, ed intanto decretano delle restrizioni, dei vincoli, dei monopoli, come accade in Francia e in Italia, quivi si esagera l’onnipotenza dello Stato, e quando il popolo non sia soddi- sfatto nei suoi desideri riescono più fac:li le perturbazioni sociali e politiche, poichè ai governi vien meno Ja forza di mantenere la disciplina delle masse a nome di una scienza nella quale essi per primi han dimostrato di non aver fede. Ed io spero pertanto nell’opera attiva della stessa società dissidente che vuol fondarsi in Milano per opera dello Scialoja, del Cossa, del Luzzatti e del Lam- pertico; essi provano il bisogno di manifestare nella circolare testè diramata in Italia, che il loro programma si compendia mella libertà della scienza. E malgrado che eglino si propongano d’ investigare: quale funzione eco- nomica spetti allo Stato odierno, perché la libertà non sì sfrutti dal fatalismo degli ottimisti, pure dalla sapienza di cotesti uomini che ricercano sincera- mente e francamente la verità, puossi a ragione sperare, che l’ influenza ger- manica sia ricacciata di là dai monti, che la discussione aperta e leale dei valenti economisti che appartengono alle società di Firenze e di Milano, valga a rialzare in Italia il culto per la scienza, a porre in maggiore rilievo i pericoli dell’ intervento dello Stato, il quale se non fu sempre innocuo, quando fu retto da illuminati economisti, diverrà disastroso nei momenti in cui il popolo sofferente ed illuso crederà che spetti allo Stato il dovere di rimediare alle sue miserie e di provvedere alla sua felicità. 18 I LIBERISTI E GLI AUTORITARÎ IN ECONOMIA POLITICA Lavoriamo dunque illustri accademici a sciogliere questo problema, facciamo che l’Italia integrando l’importanza della scienza economica colla cooperazione at- tiva di tutti i cultori delle dottrine morali e politiche riesca viemeglio ad impri- mere nella mente di ciascuno che il principio irrefragabile della libertà è il fonda- mento di ogni progresso sociale, e che ogni deviazione da questa verità può compromettere la missione sublime della scienza che insegna le leggi della per- fettibilità umana e del progresso continuo. della civiltà e della ricchezza delle nazioni (4). (4) L’ Accademia facendo adesione ai principî del liberismo economico svolti dal prof. G. Bruno socio ordinario e direttore della Sezione di scienze morali, ha deliberato unanimamente di stamparsi il suo discorso negli atti al volume quarto ch'è in corso. Ea REM O LASSE DI LETTERE ED ARTI e: 5 Ki ; SORA, i I Da \G ì Î N x Sy È su > j 0a DR i 3; lx Li Ri Ù Vi [VANO Tì Hel dh) R ri “ ; i ti i ; DI. Î i Î A a: si x IPSE Ter vaece o LOL AISTIO ì 3 È A i En È Fa, = QUIZ fee) 3 Î EL na ti ; Ger ato DENZA 10 i È Ù Ù « n È * VS 4 È Vo, io sa to, L, i | } N; ì ; ) LANG É Ù x E IR ; cominci” 1, ia > È A / Ù ; i x % a) L i i è SURI Tm) NE di I (ATAOMO: 7 La | ì # sog eta AGR ce fr Vor (i PROSPERO INTORCETTA OVVERO EVO ESD IO RE EUROPEO 0ICONEUCIO NOTIZIA LETTA DAL SOCIO PROF. VINCENZO DI GIOVANNI nella tornata solenne del 2 febbraro 1873 Le memorie siciliane ricordano con onore qualche nome che la storia ge- nerale d’Italia sia civile, sia letteraria, artistica o scientifica, spesso ignora o trasanda: e ciò singolarmente pei due secoli XVI e XVII, che furono per l’I- sola dei più splendidi che avesse avuti nella coltura intellettuale e nelle arti. Quanti poeti latini o italiani, storici o prosatori di vario genere, fossero degni di essere registrati nella storia della letteratura italiana, altra volta fu avvisato a proposito delle due storie di letteratura greca e latina del Cantù, e di un sag- gio di poeti e prosatori siciliani dei due secoli decimosesto e decimosettimo (4): e come paja incredibile che vadano dimenticati nella storia delle belle arti in Italia, ad es., Girolamo Alibrando, il principe dei pittori della scuola di Mes- sina tanto illustre pei nomi degli Antonî, ai quali appartenne il famoso Anto- nello; Vincenzo Anemolo, che è il Raffaello siciliano; Antonio Gagini, che non ha forse chi il superi fra gli scultori del suo tempo dopo il Buonarroti; Pietro No- velli detto il Morrealese, da scambiare in merito col Wandyk; Litterio Paladino (2) V. Filologia e Letteratura siciliana, vol. 2, pag. 95 e segg. 277-323. Pal. 1871. 4 IL PRIMO TRADUTTORE EUROPEO e il Barbalunga, che sono l’ Annibale Caracci e il Domenichino di Sicilia (4); è cosa ripetuta sempre da chi visita le nostre pinacoteche dopo quelle di Firenze, di Roma e di Napoli. Ora lo stesso è avvenuto eziandio negli studî scientifici (2) e di erudizione : e però ci è sembrato opportuno ritornare sopra ciò che abbiamo in altra occasione accennato di Prospero Intorcetta e di altri orientalisti sici- liani del secolo XVII, e notare di proposito la parte che la Sicilia abbia avuta nella prima coltura degli studî orientali in Europa, dopo che aveva data an- ch’essa tanta opera al rinascimento degli studî classici, alla archeologia ed alla diplomatica. L’anno 1687 vedeva la luce in Parigi una importantissima opera col ti- tolo: « Conpucius Sinarum philosophus, sive ScrentIA Sinensis latine exposita « studio et opera Prosperi Intorcetta, Cristiani Herdtrich, Francisci Rougemont, « Philippi Couplet Patrum societatis Jesu, Iussu Luwudovici magni eximio mis- « sionum Orientalium et litterariae reipublicae bono e bibliotheca regia in lu- « cem prodit. Adjecta est tabula Chronologica Sinicae monarchiae ab hujus exor- « dio ad haec usque tempora (Apud Danielem Horthemels, via Iacobea sub « Moecenate). » Doveva seguire in questa edizione ai tre libri King un quarto, cioè il Mencu « Sinarum philosophus secundus qui uno post Confucium sae- culo vixit: » ma questo libro fu indi tradotto in latino dal P. Noel nella sua po- steriore raccolta che comprese Sinensis imperii libros classicos sex e sinico idiomate in latinum traductos (Pragae 1714), e in francese dal P. Cibot nel t. 1° delle Memorie intorno alla Cina (3). Ora, essendo il Confucius ete. opera che riguardava specialmente la filosofia di quell’antichissima nazione dell’estremo Oriente, la storia della filosofia ne ha tenuto singolar conto; e storici tedeschi e francesi e italiani, l'hanno citata come la prima rivelazione che abbiano a- vuta gli Europei delle dottrine di Confucio. Se non che, non si è sufficientemente conosciuta la storia di quell’opera, e dal vedersi pubblicata a Parigi si è data da alcuni la gloria di quel lavoro alla Francia; sì che fu scritto dal Cousin nella sua Histoire générale de la Philosophie: « C'est un francais, un père jésuite, le P. Couplet, qui le premier a fait connaître Confucius à 1’ Europe dans le grand et bel ouvrage : Confucius Sinarum philosophus, sive scientia sinensis, in fol. Paris 1687 (p. 120, Paris 1864). » Non so quello che ne dica (1) V. Memorie dei Pittori Messinesi ecc. Messina 1821. — A. Gallo, Elogio storico di Pietro Novelli pittore, architetto e incisore ecc. Palermo 1830,—M. Galeotti, Preliminari alla storia di An- tonio Gagini scultore siciliano del secolo XVI‘ della sua scuola. Palermo 1839.—G. Di Marzo, Sto- ria delle belle arti in Sicilia ecc. vol. 3. Palermo 4862. i (2) V. il nostro libretto Della filosofia moderna în Sicilia ecc. Palermo 1865, la Biblioteca Sicula del Mongitore, le Biografie d’ illustri siciliani di E. Ortolani. Napoli, vol. 4°, 1817-20. (3) V. De Backer , Bibliothég. des écrivains de la Compagnie de Jesus ete. deuxième serie, pa- gina 309. Liège, 1854. DI CONFUCIO 5 il Windischmann nella sua opera sulla filosofia cinese citata dal Ritter, al quale non parve dar luogo nella sua grande Storia della filosofia alla sapienza ci- nese che reputò niente filosofica: ma altri storici, come il Tenneman, tutti si riferiscono al Confucius del Couplet , ovvero alla traduzione del P. Noel. Il Brukero intrattenendosi della filosofia dei cinesi (t. IV, pars alt. De Philosoph. Sinens. p. 846 e segg.) loda sopratutto i Missionarii Gesuiti per quella me- morabilis collectio, come la dice, del Confucius; ma è sempre il Couplet che va nominato per tutti; siccome indi il Noel, il quale pur dava la sua edizione dei libri cinesi ventiquattro anni dopo del Couplet, e quarantadue anni dopo che avevano veduta la luce per opera del siciliano Prospero Intorcetta. Il quale non comparisce in quelia Storia critica di ogni filosofia che appena nel titolo del Confucius, e tuttavia confusi nome e cognome (Prosperintorcetta); siccome ezian- dio solamente storpiato in Jounefta o in Intorcetta comparisce nel Tenneman e nel nostro Appiano Buonafede sotto il titolo del Confucius parigino , igno- rata del tutto la stampa cinese dell’Intorcetia del 1662 e 1669. Pertanto, a correggere questo equivoco, e restituire specialmente alla Sicilia l’onore di aver dato all'Europa la prima volta la traduzione latina dei libri ci- nesi di Confucio, io riferirò brevemente quanto si sa dell’autore principale del Confucius sive scientia sinica latine exposita, che fu il nostro Prospero Intor- cetta di Piazza, missionario gesuita, conosciuto in Cina e fra quei missionarî col nome cinese di Ir fo ge kio-ssé, che io interpreterei nel nostro volgare, Intorcetta Chiazzese secondo il dialetto siciliano, o Piazzese, secondo la lingua comune italiana. Nelle missioni di Oriente dei secoli XVI e XVII ebbero i siciliani molta parte. Giordano Ansalone di Santo Stefano, dell’ordine dei Pp. Predicatori, fu nelle missioni del Giappone, fermandosi per qualche tempo nelle isole Filip- pine, e Vimparò il cinese in modo maraviglioso, scrivendo un libro che il Mon- gitore nota col titolo De idolis sectis et superstitionibus Sinensium cum eo- rum confutatione. Moriva dopo un crudele martirio di sette giorni, a capo di altri quarantanove Cristiani pur condannati con lui a morte, il 18 novembre del 1634 nella città di Nangasacco. Francesco Maria Maggio palermitano, nato nel 1612 da Bartolo Maggio giureconsulto di molta fama, e da Vincenza Ive- glia, figlia dell’illustre e virtuoso Girolamo (4), dopo cinque anni ch'era entrato fra’ Chierici Regolari, partiva nel 1636 per le missioni dell’Asia, riducendosi sino al Caucaso, e propagando ardentemente in quelle regioni la fede cristiana, non senza attendere allo studio di quelle lingue, sulle quali pubblicò l’opera importantissima : Synlggmata linguarum Orientalium quae in Georgiae re- gionibus audiuntur, Liber primus, complectens Georgianae seu Ibericae vul- (1) V. Mongitore, Biblioth. Sicula, t. I, p. 279. 6 IL PRIMO TRADUTTORE EUROPEO garislinguae Institutiones Grammaticales—Syntagmata linguarum Orientalium, liber secundus, complectens Arabum et Turcharum Orthographiam et Turcicae linguae Institutiones. Romae 41643 (iterum 1670). Nei quali due libri, notò V'A- mari « la più estesa è la grammatica georgiana , a scriver la quale il Maggio fu il primo, o tra i primi in Europa. La turca e l’arabica, accompagnate dai riscontri in caratteri siriaci ed ebraici, mostrano anche buoni studî e molta pratica (1). » Ma trai più antichi missionari, e dei più profondi conoscitori delle cose di Oriente, fu senza dubbio Nicolò Longobardo, gesuita, del quale così lasciò scritto il Bartoli suo contemporaneo: « Il Longobardo nato in Calta- girone di Sicilia l anno 1565 e religioso nostro fin dal 1582, era uomo per natural habitudine di gran cuore, per virtù apostolica di gran zelo, e per ga- gliardia di corpo durevole alle fatiche, nè di quanti Europei ha fin hora ve- duti la Cina, adoperati nel ministero dell’Evangelica predicazione , alcun ne ha più di lui meritevole di raccomandarsi con lode, in risguardo a cinquan- fotto anni che durò, cioè fino al novantesimo dell’età sua, faticando (2). » Ri- corda pertanto il sommo scrittore come il nostro siciliano fondò la Cristianità di Sciaoceo e delle terre vicine; come fece penetrare la fede con grande cir- cospezione ancor fra le donne; come per sua opera era nei novelli convertiti fervidissima la pratica delle virtù cristiane; come ebbe il Nostro a sostenere gravi calunnie sino al pericolo di vita per parte degli idolatri di Cincùn e dei Bonzi di Quanhiao; come difese la dottrina cristiana e la sua morale e i co- stumi europei dalle accuse dei Bonzi, e dalla satira degli istrioni che rappre- sentano sui teatri i corrotti costumi degli Europei di Macao; come finalmente « la perizia nella lingwa e scrittura cinese » e la santità di sua vita, gli pro- curano alti onori nella Compagnia, e la riuscita di assai difficili missioni (L. IV, p. 1040-1059). E più del Bartoli, scrisse a lungo del Longobardo | Aguilera nella sua opera Provinciae Siculae Societatis Jesu ortus et res gestae ab an- no 1612 ad ann. 1672 (Pan. 1740, Pars secunda p. 600 e segg.), il quale fa nascere il Longobardo nove anni innanzi, cioè nel 1556, e morire nel 1654, d’anni novantotto; e narra della maravigliosa perizia del Nostro nella lingua e nella letteratura cinese, tanto da essere nominato a capo del Collegio dei matematici di Occidente per decreto imperiale, e da essere stati stampati in caratteri cinesi per opera sua più di 100 volumi di cose matematiche ed astro- nomiche, sì che vinse in fama gl’indigeni e la loro società scientifica opposta agli Europei. Ebbe eziandio il Longobardo molta parte nella famosa qui- stione dei riti cinesi; e lo stesso Bartoli racconta che il Nostro si oppose ap- punto al P. Ricci, riprovando il titolo cinese che era dato a Dio, « e per l’huomo (1) V. Storia dei Musulmani di Sicilia, vol. 1, p. X, Firenze 1854, (2) La Cina, |. I, p. 390. Roma, 1663. DI CONFUCIO 7 ch'egli era di grande autorità, sì come antico in quella missione e bene esperto nella lingua cinese (avvegnachè non tanto nella teologia) seco trasse alquanti altri, ai quali, come a lui pareva più sicuramente farsi a nominar Dio col nostro vocabolo Deus, avvegnachè in bocca ai Cinesi si trasformi, e divenga un non so che mostruoso e di niuno convenevole significato : » e vinse nella risoluzione di quella questione il nostro Longobardo, quantunque avesse avuto principale avversario (al quale il Bartoli pure aderiva) il Ricci, e con que- sto si trovassero anche il Brancato e l’ Intorcetta siciliani (1). Il Mongitore cita fra le opere del Longobardo un trattato De Confucio ejusque doctrina , oltre un libro dell’anima e sue facoltà scritto in cinese e le Annuae literae e Sinis anni 1598 pubblicate a Magonza nel 1604 : e Appiano Buonafede fa molto conto del nostro dofto Longobardo , dal cui libro Monumenta nonnulla de religione Sinensium tira la esposizione della dottrina dei Cinesi intorno ai principii delle cose (2). Ma i pp. De Backer nella loro opera citata (serie V, p. 439) notano che il Longobardo, morto a Pechino nel 1655, ove ebbe a spese dell’ Imperatore splendidi funerali, lasciava non uno, ma due libri in cinese, cioè il King kiao ge co, i. e Exercitium quotidianum variarum precum, nel quale libretto il nome cinese del Longobardo è appunto Lowung-hoa-min, e il Ling hoen tao ti xue , ile de anima ejusque potentiis : e questi oltre ad al- tre opere, fra le quali il libro sopra Confucio e la sua dottrina, pubblicata a Madrid nel 1676 dal p. Navarrette, a Parigi, tradotto in francese, nel 1704, dai direttori del seminario delle missioni straniere, e finalmente dal Leibni- zio nelle sue Epistole edite dal Kortholt nel 1735. Più giovani del Longobardo, ma eziandio espertissimi nella lingua cinese furono Francesco Brancato e Luigi Buglio, pur siciliani e missionarii gesuiti in Oriente nella seconda metà del secolo XVII. Francesco Brancato giungeva in Gina nel 1637, e vi pigliava il nome di Pan Koue Kouang. Predicò l’evangelo nella provincia di Kianguan, fabbricandovi più di novanta chiese e quarantacinque oratorii; nè si stancò del suo ammirabile zelo (3) finchè passando da Pechino a Canton quivi moriva nel 1671. Pubblicò in cinese alcuni trattati teologici (4) Il Bartoli riferisce tutte le ragioni pro e contro della questione; della quale si occupò il Gio- berti nel Gesuita Moderno, t. iI, c. VIN, ricordando il nostro Longobardo, pur messo avanti a pro- posito dal P. Pellico e dal P. Curci nelle loro risposte ai Prolegomeni e al Gesurta del Gioberti. (2) « Nicolò Longobardo Gesuita visse molti anni nella Cina, e molta industria pose alla ricerca delle vere sentenze cinesi, e ne ordinò il loro sistema fisiologico in un libro intitolato : Monumenta nonnulla de religione sinensium. » E in nota aggiunge : « Questo libro fatto rarissimo è stato ri- stampato per cura di Crist. Kortholt, e inserito nella sua raccolta delle lettere e osservazioni Leibni- ziane. » Della istoria e della indole di ogni filosofia, v. I, p. 154. Milano 1837. (3) Il Bartoli cita nella conclusione della sua Cina una lettera del P. Brancato scritta in data di agosto del 1664 riguardante l’andamento, i e progressi di quella missione. V. I. IV, p. 1150. Roma 1663. 8 IL PRIMO TRADUTTORE EUROPEO e una confutazione delle divinazioni ; ma sopratutto restò celebratissimo sino ai nostri giorni il suo Catechismo o trattenimento degli angioli col titolo Thian chin hoei kho, edito la prima volta nel 1664, e ridotto dal capo della missione Russa a Pechino 1820, ad uso della confessione greco-russa (1). Il nostro Brancato , siccome sopra è detto, fu favorevole ai Riti cinesi, oppugnati dal Longobardo; ed abbiamo di lui sul proposito l’Apologia col ti- tolo: De Sinensium ritibus politicis acta, seu R. P. Francisci Brancati, socie- tatis Jesu, apua Sinas per annos 34 missionarii , Responsio Apologetica ad R. P. Dominicum Navarrette ordinis Praedicatorum (Pariis, apud Nicol. Pe- pie MDCC). Si trova poi il nostro Brancato sottoscritto il terzo fra i dodici Padri che riconobbero e giudicarono degna di luce la versione del libro Chum Yum, che l’Intorcetta dava fuori in Quam cheu nel 1667, e continuava a Goa nel 1669. Luigi Buglio, nato a Mineo nel 1606, fu pure per 45 anni in Cina e molto stimato in corte dell'Imperatore, sì che ebbe il titolo di gran Mandarino (2). Si se che moriva a Pechino nel 1682, dopo di avere pubblicato in cinese più di oitanta volumi (3), fra’ quali la Somma teologica di San Tommaso in 30 volumi; e di aver faticato coi pp. Verbiest e Magalhaens alla riforma del ca- lendario cinese. Intanto mentre era così onorato in Cina il nome siciliano, vi giungeva appunto nel 1656 Prospero Intorcetta, nato in Piazza nel 1625, ed entrato gio- vinetto nella Compagnia di Gesù, scappato dal Collegio di Catania ove studiava scienze giuridiche. Ebbe residenza con altri Padri nella provincia di Kiangsi (4), e si trovò nella persecuzione generale del 1664 imprigionato a Canton, donde, pigliando il suo posto in carcere un altro religioso, fuggì a Roma, ove giunse nel 1674, ad esporvi lo stato desolante della missione. Dopo di che ritornato in Cina a raggiungere i suoi compagni, si trovò una seconda volta in gra- vissimi pericoli e tradotto innanzi ai tribunali nella novella persecuzione del 1690, nella quale perdette le stampe in legno ch’ egli stesso aveva inciso dei libri (1) V. De Backer, Op. cit., 4 serie, p. 63 (2) V. Mongitore, Biblioth. cit. t. 2, p. 30. Dopo lunghe ricerche mi riuscì di trovare in mezzo a cose vecchie il ritratto del p. Buglio vestito da mandarino, e altro ritratto o del Longobardo o dell’Iintorcetta, (perocchè è senza titolo) pur vestito alla cinese, con iscrizioni nel ventaglio, e in un rotolo dispiegato da una figura mulie- bre, che forse rappresenta la Sapienza sinica, in caratteri cinesi; dipinti del secolo XVII, o del prin- cipio del XVIII, e ora collocati nella Biblioteca Comunale palermitana, insieme ai circa duecento ritratti degli uomini nostri siciliani, che vi si vedono. (3) « Le p. Buglio parlait et écrivait le chinois avec une étonnante facilité, et il a publié en cette langue plus de 80 volumes. » V. De Backer, Op. cit. 3 série, p. 214. (4) « Il avait pris le nom Chinois de In-to-tse, et le surmon de Kio-ssé. » De Backer, op. cit. série, p. 308. DI CONFUCIO 9 cinesi da lui tradotti, sui quali studiò sempre finchè cessò di vivere nel 1696. I pp. De Backer fanno il nostro Intorcetta autore del libro Ye-sow hoeî li, cioè Regole della Compagnia di Gesù, e di un altro pure in cinese che contiene gli Esercizi Spirituali di Sant'Ignazio : le quali due opere secondo i citati bi- bliografi furono editi prima del 1687, e non già, secondo che nella persecuzione del 1690 furono giudicati dalle autorità cinesi, sin dagli anni 1573 e 1645, cin- quant’anni prima che giungesse in Cina l’ Intorcetta. Scrivevasi eziandio dal Nostro un Testimonium de cultu sinensi, datum anno 1668, (Lugduni et ve- neunt Parisiis apud N. Pepie 1700), nel permesso del qual libro dato dal Su- periore della missione in Quàm cheu a 15 aprile 1668 è detto che i passi ri- feriti da’ libri cinesi e inseriti in quella dissertazione, erano stati tradotti in latino alla lettera dal P. Brancato; e nel 1672 era stampata dall’Intorcetta a Roma la Compendiosa Narratione dello stato della missione cinese cominciando dall'anno 1580 fino al 1669, voltata in latino dallo Scholl, coll’altro trattato pur del Nostro Catalogus prodigiorum apud Sinas, regnantibus Tartaris, eo- rum pracludia et progressus in ultima persecutione (Roma, 26 gennaro 1672). In fine del qual catalogo il P. Scholl fa sapere di alcuni « commentarios in Confucium et Mencium Philosophos Sinaenses, traductos in latinum sermonem a P. Prospero Intorcetta, quorum operam sub praelo urget P. Athanasius Kir- cher. » Al che aggiungono i pp. De Backer: « ces commentaires, dont il est fait mention et qui n’ont pas été imprimés, sont sans doute ceux dont parle Sotwel: Et Romae cum esset, reliquit totam Paraphrasim integri textus Con- .fucii typis dandam. » Se non che, la massima gloria dell’Intorcetta sta nella Sapientia Sinica ; e sopra questo lavoro, comunemente attribuito al Couplet, mi fermerò di proposito. Esistono nella Biblioteca Nazionale di Palermo , già dei pp. Gesuiti , al- cuni volumi interamente in cinese, (1), altri in cinese e in latino; fra quali due si che riferiscono alla questione dei riti cinesi, due agli studî sopra Con- fucio dell’Intorcetta. Si riferisce alla questione dei riti cinesi, una Brevis Re- latio eorum quae spectant ad declarationem Sinarum Imperatoris Kam Hi circa Coeli, Confucii et avorum cultum, datam anno AT700: accedunt primatum, do- ctissimorum virorum et antiquissimae traditionis testimonia. Opera pp. Socie- tatis Jesu Pechini pro Evangelii.propagatione laborantium. È sottoscritta Pe- (4) Tra questi uno è la vita di G. Cristo rappresentata sino alla morte e coronazione della B. Vergine in incisioni in legno cen spiegazioni sotto, tutte in cinese. Prima dell’ annunciazione è una figura del Tempio di Salomone, e precede questa la figura di G. Cristo coi quattro Evangelisti agli angoli e una carta di Gerusalemme cogli edifizì principali della storia evangelica. Le carte sono ordinate al modo orientale. Nell’arte c’è il carattere italiano, e qualche figura, come quella del Re- dentore, richiama il tipo dei musaici siciliani. 2 410 IL PRIMO TRADUTTORE EUROPEO kini 29 iuliù anno ATOA con la firma di dodici Padri della Compagnia; e con- tiene questa relazione tutta in latino, meno alcune interrogazioni a dialogo in parole cinesi, la Supplica fatta all'Imperatore dagli Europei in lingua e ca- ratteri tartari, e il Decreto Imperiale di risposta nel testo originale cinese (4). Va con essa Relazione eziandio l’altro volume stampato in carta cinese, con caratteri incisi sopra legno, che ha per titolo: Informatio pro veritate con- tra iniquiorem famam sparsam per Sinas cum calunnia în pp. Soc. Jesu et detrimento missionis, comunicata missionariis in Imperio Sinensi anno ATAT (senza altra data). Ma preziosissimi sono gli altri due volumi, sin’ oggi ignorati dai biblio- grafi che ne hanno saputo un solo esemplare nella Biblioteca di Vienna (2); (4) Il Brunet nota sotto il titolo di ques’opera: « Cette édition a été. impr. à Pekin avec des planches de bois: on y trouve, outre le texte latin, deux traductions l’une en chinois et l’autre en tartare. » Manuel du Libraire etc. t. I, p. 1249. Paris 1860. Questa indicazione è poco esatta, perchè la supplica degli Europei in lingua tartarica e il De- creto Imperiale in cinese, non sono traduzioni, ma originali. (2) V. De Backer, Op. cit. deuxième serie, pagina 308 e segg.—Debbo alla gentilezza del pro- fessore Cavaliere Salvatore Cusa, che, stato nell’autunno passato in Vienna, volle vedere quell’esem- plare ivi conservato della Sapientia Sinica e della Sinarum scientia Politico moralis, per confron- tarlo col nostro, la nota delle opere di Confucio che si trovano nella Imperiale Biblioteca di Vienna, così come la ho avuta comunicata dall’ illustre professore, cioè : 4. I quattro Libri (Sse-chou-tching-weu) cioè Thai-hio, Tohoung-young, Lun-iu, Meng-tseu, senza alcun commentario. Esemplare mandato nel 1687 da Everard Pcamph a Mentzel e da costui dato a Leopoldo I. Si apparteneva una volta al celebre P. Ricci, vol. 4, in-8.° 2. Un’altra edizione della stessa opera, vol. 1, in-8.° 3. Un’altra edizione della stessa opera coi commentarì di Tchu-hi, vol. 2, in-8.° 4. Un’edizione degli stessi quattro libri in Mansciù e Chinese, 1691, vol. 1, in-8.° 5. altra edizione in Mansciù e Chinese. Traduzione in Mansciù fatta per ordine dell’imperatore. Pekino, 1755, fascicoli 4, in-8.° 6. Traduzione portoghese dei 4 libri col Commentario di Tchu-hi, ms. in carta chinese, vol. 2, in-12.° 7. Il Thai-hio (Magna scientia, sive liber primus Tetrabiblit Su-chu dicti) tradotto in latino dal P. Filippo Couplet, col testo chinese apposto dal suddetto Mentzel. 8. Il Thai-hio litografato e stampato in carta chinese sotto l’ispezione del barone von Schilling. Pietroburgo, fasc. 1, in foglio. 9. Il Tehoung-young. Pubblicato dall’Intorcetta (che lo chiama Chum-Youm), lo stesso di quello che si osserva nella Biblioteca Nazionale di Palermo. 10. Lo stesso Techoung-Young litografato sotto l'ispezione del barone von Schilling. Un fascicolo in foglio. 11. Lo stesso. Edizione tascabile litografata da Levasseur. Parigi, fascicolo 1, in foglio. 12. Lun-iu. frammento di un’antica edizione con commentarì. 413. Meng-tseu. Frammento di un’ antica edizione senza commentarì dei quattro libri che con- tiene questo libro Meng-tseu. 44. Meng-tseu. Seconda parte del detto libro con commentario. DI CONFUCIO 41 stampati l’uno in Kién Cam în urde Sinarum Provinciae Kian si 1662, su- periorum permissu; l’altro in Cau, con altra data in fine, cioè: Goae iferum recognitum , ac în lucem editum die Octobris, anno 1669 , superiorum per- missu. Il primo comprende sotto il titolo SApieNTIA Sinica erponente P. Igna- fio a Costa Lusitano Soc. Jesu a P. Prospero Intorcetta siculo ejusdem soc. Orbi proposita, il libro Lun Yù in cinque parti e contenuto in pag. 76, e il libro #4 hio, compresovi 14 pagine oltre a una carta di guardia con caratteri cinesi verticali, il frontespizio con fregi in legno, la facoltà data all’Intorcetta di stampare la Sapientia Sinica dal P. Provic. Giacomo le Favre, la dedica del- l’Intorcetta ai pp. missionarii di Oriente in'data di Kién cham urbe Provinciae Kiam si, 13 aprile 1662, la prefazione ad lectorem e la vita Confuciù Prin- cipis Sapientiae Sinicae; cose che occupano otto pagine senza numerazione, la quale comincia col principio del Lid. Lun Yu Pars 4, e a pagina 76 ha finis Lib. A sententiarum, quem Sinae vocani Exim Him. È stampato tutto in carat- feri incisi sopra legno e in carta cinese, ad una faccia (1). Il secondo col titolo {1) Abel Remusat nelle sue Nouveaux Meélanges Asiatiques ec. t. Il (Paris 1829) dà una accurata notizia del nostro siciliano col titolo Prosper Intorcetta missionaire a la Chine p. 229 e segg. , e pare aver conosciuto quanto ne scrisse il Mongitore che è citato a p. 232 a proposito della data della edizione del Tehoung-young. Il dotto orientalista francese pone come due libri separatamente stam- pati, il Ta? hio e il Lun-iu forse da lui veduti separatamente rilegati ; e al Taz-hio dà la data che esso porta del 1662, del Lun-iw dice che è senza indicazione di data e di luogo. Ma dall’ esem- plare della Biblioteca Nazionale di Palermo si rileva che tanto il Ta?-hio, quanto in Lun-iw sono tutti e due contenuti nel libro Sapientia sinica ete. stampato a Kién Cham nel 1662. Di più crede che del Lun-iu non ci sia restata che la sola prima parte, perchè forse non ne vide mai le altre parti, quando l’esemplare palermitano ha cinque parti di questo libro, e sarà pertanto il più completo che esista in tutta Europa tra’ tre o quattro esemplari che esistano di questa edizione di Goa, che il Remusat dice d'une rareté excessive en Europe (pag. 231). Di questa traduzione de? libri cinesi Si- narum scientia politico-moralis edita in Goa nel 1669 si è sospettata una edizione del 4647, scam- biando la data della prefazione, con la data di edizione, siccome opina lo stesso Remusat: ma non si sa spiegare intanto l’iterum recognitum che si legge in essa edizione del 1669. Ora questo dterum recognitum si riferisce all’essere stata la edizione cominciata in Chu, e ripresa in Goa, ove sì compiva nel 4669. Il Remusat aggiunge infine: « le P. Intorcetta fu le principal, mais non le seul auteur de cette tradution, qui est signée de seize autres jésuite, parmi lesquel on doit distinguer le PP. Cou- plet, Herdtrich et Rougemont (p. 233). » Ma i padri Gesuiti soltoscritti nella revisione ed approvazione dell’opera, non ne sono gli au- tori, come ben si rileva dalle parole della prefazione , e dalla permissione del p. Pacheco in data del 1667, ove è detto: « quod opus primum a p. Ignatio Costa, deinde a p. Jacobo le Favre, de- mum a p. Mathia a Maya praedecessoribus meis approbatum, et a duodecim aliis patribus Soc. no- strae in finis recognitum et pubblica luce disnum judicatum fuit. » Della stessa Sapientia sinica nel cui frontispicio si legge exponente P. Ignatio a Costa Lusitano, e a P. Prospero Intorcetta siculo ejusd. societ. Orbi proposita, nella lettura dedicatoria che faceva il nostro siciliano ai padri missionari in Oriente diceva di essere sua opera, operam meam; tanto lavoro aveva messo di suo in quella espo- sizione del p. Costa! o 412 IL PRIMO TRADUTTORE EUROPEO SinaruMm ScientIA politico moralis a P. Prospero Intorcetta siculo societatis Jesu în lucem edita, e con caratteri cinesi a doppia linea verticale nello stesso fron- tespizio interpetrati yn #3 sè Iè su hoei, comprende l’appovazione dei pp. della Compagnia, moderatores soc Jesu in sinensi Provincia, la facultas R. P. Pro- vincialis con la data del 34 luglio 1667, e la firma Zelicianus Pacheco, la pre- fazione ad lectorem dell’Intorcetta stampata in carta e in tipi europei, e indi ScientiAE Sinicag Liber secundus Caum Yùm, medium constanter tenendum , versio literalis, in fol. 44 a una faccia impressi sopra legno in carta e carat- teri cinesi, e in fol. 18 stampati a due facce in carta e tipi europei. Questo libro secondo Chum Yuw è anche seguito da una Confucii vita con parole cinesi intromesse nel testo latino , e tutto senza numerazione di pagine. Ed è pur da notare che il primo volume porta |’ originale cinese interlineato dalla tra- duzione latina; il secondo è a due colonne, l’una del testo cinese, l’altra della versione latina (4). Questi due volumi contengono i primi tre libri del Su xv, cioè il té hio, il chum gum, il lun gu, dei quali l'Intorcetta s’intrattiene appunto nella pre- fazione del primo volume, che ci piace in parte qui riferire, a rendere viem- maggiormente luce sull’autore del lavoro in discorso. « Ad lectorem. « Habes amice lector hic litteralem expositionem Textùs sinici Sw 2wv nun- « cupati juxta mentem Interpretum Sinensium fere viginti, ac praecipue cham « Colai, qui fuit Imperii Primas et Praeceptor Imperatoris; visam insuper exami- « natam et approbatam a pp. Antonio de Govvea Lusitano, Pietro Canevari « Genuensi et Francisco Brancato Siculo, viris in libris Sinicis et lingua ver- (1) Nelle Memorie per servire alla storia letteraria di Sicilia dello Schiavo t. 4, P. II, p. 69 e segg., si dà notizia di altro esemplare in caratteri cinesi dell’opera Sinarum scientia politico-mo- ralis a P_ Prospero Intorcetta siculo societ. Jesu in lucem edita, Chù 1667—Scientiae Sinicae Liber secundus versio literalis. Goae iterum recognitum ac in lucem editum die 1 Octobre 1669: il quale esemplare esisteva nel 1756, che è la data della notizia che ne pubblicava lo Schiavo, nella Biblio- teca del signor Marchese di Giarratana; e so oggi tuttavia esistere nella stessa Biblioteca, che è del principe di Fitalia. Altro esemplare di questa Sinarum Scientia Politico moralis a Prospero Intor- cetta siculo societatis Jesu in lucem edita—Scientiae sinicae Liber secundus Chum Yim, versio lite- ralis. Goae iterum recognitum ac in lucem editum 4669, esiste pur nella nostra Biblioteca Comunale, segn. XV. H, 47; e passò nella Comunale dalla Biblioteca dell’Università nel 1858. È un po’ guasto: ma per la rarità, poichè sarebbe il quarto esemplare conosciuto, è anch'esso assai pregevole. In essa Biblioteca Comunale abbiamo eziandio il Confucius Sinarum Philosophus sive Scientia Sinensis latine exposita studio et opera Prosperi Intorcelta, Christiani Herdtrich, Francisci Rougemot, Philippi Cou- plet, Patrum societ. Jesu ele. Paristis 41687; esemplare di bella conservazione. DI CONFUCIO 13 « satissimis, nec non studio ac labore pp. Philippi Couplet et Francisci Rou- « gemont ejusdem societatis Jesu. « Porro libri apud Sinas maxime celebrati et in quibus examinantur ad « gradum literati universim ad su 2w et & kim reducuntur. Su xv constat « quatuor libris. Primus, isque brevissimus #@ hiò dictus a cem eu secundo « Confucii discipulo expositus , disserit in quo sita sit perfectio hominis et « boni regiminis. Alter chém yim dictus a eu su Confucii nepote compositus « de medio virtutis servando agit, opus imperfectum et fragmentis constans, « adeoque obscurius (ut ipsi fatentur Sinae ), unde etsi in libris sit ordine « secundus, in exponendo tamen est ordine ultimus. Tertius un yw dictus « complectitur varias sententias et apophtegmata : quartus ab ipso Authore «e mém gi dicitur, continetque responsa varia et discursus morales: quod vero « ù% kim dGicitur libros quinque complectitur, 1 est 2% kim, quem et suo « tempore in lucem dabimus si otium feret , estque veluti summa chronolo- « gica priscorum regum. 2 2 kim odarum liber. 3 yé km qui agere credi- « tur de auguriis fastis et nefastis ab ipso 70 4è (a quo chronologia regum or- « diuntur historici, fuitque aliquot saeculis ante Trismegistum, ac ipsum Moy- « sen) editus. hunc chew cum et cum cu et ven vam, comentati sunt refe- « rentes fere omnia ad elementorum rerumque omnium origines, generationes, « ac vicissitudines: hune ipsum librum quia obscurissimus, Confucius jam se- « nior optabat revolvere. 4 l ki seu regula virtutum civilium. 5 chum giew « liber, qui agit de bonorum praemiis et. malorum suppliciis, ut ita revocet « populos ad virtutem a qua defecerant. Atque haec breviter de libris Sw 2w « etù kim ». Dopo queste notizie dà ragione come disponeva nella impressione il te- sto cinese e il testo latino della versione, e avverte infine: « notae apposilae « in margine sunt: f. p. $. prima denotat folium textus juxta ordinem im- « pressionis Nan Kim editae Authore chè hi qui liber vulgo dicitur su 2% « gié chu: secunda indicat paginam; tertia signat periodum illam, quae ali- quali spatio distat ab alia periodo in ipsomet textu sinico. » Nella prefazione poi al secondo volume da il Nostro siciliano le ragioni morali perchè si era accinto all’ impresa , cominciata in Quam cheu e conti- nuata a Goa, di dar fuori, col testo cinese e la versione latina , quel libro chùm yùm, medii scilicet seu aureae mediocritatis constantia; e perchè infine del libro dava eziandio Confucii vitam ex praecipuis Sinarum monumentis eru- toi. Innanzi alla quale prefazione è la facoltà che il P. viceprovinciale Pa- checo dava al nostro Intorcetta; « ut typis excudendam curet Sinarwm Scien- « tiam Politico-moralem: quod opus primum a P. Ignatio a Costa, deinde a « P. Tacobo le Frave, demum a P. Mathia a Maya praedecessoribus meis ap- « probatum , et a duodecim aliis patribus soc. nostrae in Sinis recognitum , A 14 IL PRIMO TRADUTTORE EUROPEO « et pubblica luce dignum judicatum fuit . . . In urbe Quam heu metropoli « Sinensis provinciae Quam tum. die 341 mensis iulii anni 1667. » Dalla quale facoltà si rileva che la parte avuta dal P. Costa e dagli al- tri padri nominati nella versione latina del libro Cham yim, era stata sola- mente di recognizione ed approvazione, e il lavoro è proprio dell’Intorcetta, autore anch'egli delle due Vite di Confucio, l’una premessa al primo volume, e l’altra in fine di questo secondo; e tutte e due alquanto diverse nella forma. Non è esclusa pure la parte del Rougemont e del Couplet nella interpetra- zione dei due libri del Lun yu e del #4 hio: ma il lavoro principale fu sem- pre del nostro siciliano, tantochè nella dedicazione ai Padri delle missioni di Oriente potè dirlo operam meam: ed ebbe più di tutti ragione il Bruaet quando + a proposito del Confucius di Parigi del 1687 notò : « Bonne edition de cet ouvrage nommé en chinois le 7a hio d’ après le titre du premier livre. La plus ancienne traduction qu’en aiènt fait des Europées a été publiée avec le texte chinois par le P. Prosper Intorcetta jésuite sicilien, in urbe Quam cheu 1667, et revue de nouveau à Goa le 4. oct. 1669 in fol. et aussi à Nanckin en 16379 » (Op. cit. t. deux. 221): Altri missionarii siciliani attesero a dar relazioni geografiche o di storia naturale dei paesi di Oriente , come pur di America (1): ma senza dubbio vanno sovratutti i nostri cultori di quel tempo delle cose orientali , il Lon- gobardo e l’Intorcetta ; del quale, o illustri signori, credo basteranno queste brevi notizie perchè gli sia restituita la gloria e il merito di avere il primo dato agli Europei i libri di Confucio tradotti in latino ; raffermando io così quello che altra volta ebbi a dire, cioè: « dalla Cina portavano i nostri fra i primi in Europa, traducendoli in latino, i libri di Confucio, e le notizie di quei popoli e di quelle Religioni allora ignorate e subbietto di mille favole (2). » La Sicilia in quel secolo con Fortunato Fideli apriva alla medicina nuove vie; con Gian Alfonso Borelli poteva vantarsi di aver dato un degno successore al (1) Un p. Serafino da Corleone dei Minori osservanti, missionario nel Messico e nelle Indie circa il 1700, scrisse alcune lettere sul Guatimala e sulla Luigiana, pubblicate nella Galleria di Minerva, t. 3, citata dal Mongitore, Bibl. Sicula, t. 2, p. 217: un Francesco Passalacqua da Salemi, degli Os- servanti, nato nel 1638, prefetto delle missioni di Egitto e di Etiopia, tradusse in arabo gli atti del Concilio Calcedonese, ad uso degli orientali; e già un Gandolfo siculo, pur dei Minori Osservanti, Com- missario Apostolico in Terra Santa, in Egitto, in Etiopia, nelle Indie, scriveva sulla metà del secolo XV una Relatio de statu rerum Orientalium citata dal Wadingo presso il Mongitore, op. cit., app. 4, p. 19; e più volumi mss., che comprendevano una storia di 25 anni passati in Oriente, lasciava il teatino padre Castelli palermitano, missionario nella Georgia, nella Colchide e in Persia in quel secolo XVII; volumi oggi esistenti con carte di luoghi e disegni di costumi e ritratti di personaggi nella Biblio- teca Comunale di Palermo. (2) V. Filologia e Letteratura Siciliana, vol. 2, pag. 335. Pal. Pedone, 1871. DI CONFUCIO | 15 Galilei; con Silvio Boccone e con Francesco Cupani vantava nomi da stare a pari del Linneo-e di altri più illustri botanici che avesse l’Europa; con Gio- van Battista Odierna dava la prima all’Europa, scoprendo nuovi astri, il sag- gio di Effemeridi astronomiche ; con Antonino Amico e con Rocco Pirri pre- cedeva nella diplomatica la Francia e la Germania; col Fardella e col Vipe- rano filosofava nobilmente quanto la Francia col suo Malebranche; e col Cam- pailla dava all’ Italia il Lucrezio cristiano. In lettere basterebbero il Sirillio , il Balducci, il Rao Requesens, il Paruta, il Bagolino, il Valguarnera a darle vanto di bella coltura nel volgare, nel latino, nel greco; e col Ventimiglia ap- prestava all’Allacci raccolti i primi monumenti della poesia Italiana. E pure quel secolo vide le ribellioni di Palermo e di Messina, e la ferocia di un conte di Santo Stefano inerudelire contro accademie, archivii, mss. e fin contro le cam- pane delle città. Vide in un tumulto esser ferito il Novelli, così come innanzi aveva veduto restar sepolto sotto le macerie di una secreta di Castellammare Antonio Veneziano. Se fosse stato più tranquillo per opera di buon governo, certamente quel secolo che pur ha tante glorie, sarebbe stato in Sicilia dei secoli più luminosi di nostra letteratura : nè intanto senza quella preparazione del secolo XVII noi avremmo avuto nel secolo appresso il Caruso , il Mongi- tore, il Di Giovanni, il Cento, il Natale, il Miceli, lo Spedaliere, lo Schiavo, il Torremuzza, il Testa, il Gregorio, che furono i maestri del nostro secolo; il quale speriamo poter anch’esso tramandare al secolo che verrà nomi non meno degni di quanti sono stati fin oggi gloria ed onore di questa nobilissima Isola. RO Ted RECITATE NELLA SOLENNE ADUNANZA DEL 2 FEBBRARO 1873 inauzurandosi IL NOVELLO ANNO ACCADEMICO EIZ AAMIIPOTATOYZ ANAPA® Tépuar TelvenTaG TOÙG XATd "Axoòn pay IavoppiTav ‘Eppavovd)i X4X610v, Nixddany Movopexty, Toafoproy O0]Soxévay, nat AdyoUGTIVOY TaX}ov ENHIKHAEION ZA / /, , e \ Agerv péXXovay TovTtw XaptlTecouy ÉopTàv ” _ Hpati, © pndîv Xaprpstepov yÉfove, ‘Hp deroduevov ti doxm mTOMETpOY dpovpns, DI AN /, 5 , DI [\ H Téda Tatpwac, N vato, N Totapòs, a\ 9, n LI DS H 6pos; "ANNA xAéog uettov TpOVECGLY onndeî Ampogopwy dpetfig yeltoow Odpavida. N 2, , > / Ovoxvoy dIModartos T'EMerbev ozipvos ayrivop / 297€ x > / > > / Ieviiuos, isproplets Ntidas eis dmdpovs, , o > DS Anpo66pov CHAYLOV Zouyyds, copupod te per? Iydoîg L Da) 9 / D /, / Ipîig adbatpors abrodizas Tpopeyov. “AVO DI dd È) Z a N 292, vieawy, n ddpvars Eoteppévos, N dpio’éxactos, > _? , ’ ES où xéxAetotat, TaX}ov ciuerbe xAfet. “Itev xa dotbog. TAXI TiS x'aivov anobii; » y, » ;i Apuogi té oi Xaprtes, xat aùv Epwri Kiro. UA 4 Ipepor, dè Mobo TOY piprwv év etddoror ‘Hybar, xai xiocòy, xa xaXixecoi fidwy, ATÀIV dANdocovtes piaiv îe cidog dpupov Oi pèv d6p6v Yuyov, oi dì dndovidov. € N x 4. VAS Hobv xat mavies FaXAov xAnlodot PENLATÀV 2) DL , n) n EcMNdy ér’ivdotore epyuaciw, dì papato. II Ra, e ZAN 25 DÀ 9€ n Eixovas, totopidas x Epuvacav dyalpab'iavtòv Mvpra, tà aticas dotuv dele TATPNS. Toùsde cuvnobdéviac d'domdleto, nat PIAEEGLEV Tag, t0’e6 abtod eotepavodto Beod. % e 7 59 PO A 6 bprauPeder veobvaTwy dù DET oTndOv, Kovipev éxAnîn atdépog cis Teuévn. OÒ tiv’ Ebcebta, x’Eùvota, Zwppociva te Tpocdégat, dNMd uéap diyîàa dé oi pépove Evtpora)iCopévo TAtpIS TU adràp ÉTerTa, 94 TO TETPwTAL, TS TONY durérerai. Xafpere, xAetvitaror, x’dyave tò pértcua déyorole. Etg xaXd oppri Cory eù duoncopevos. x Giuseppe De SpPucHES Socio Presidente POESIE IDEM LATINE REDDITUM STI sublimes animae coelestia templa Sidereasque colunt sedes, mundoque fruuntur. NEMESIANI Ecl. I. ‘Luce hac, qua Charites sibi debita munera poscunt, Qua fuit haud nobis altera splendidior, Quaenam urbs, quod natale solum, quae vallis, et arvum. Qui mons, quique amnis carmine dignus erit? Sed montana decus fastigia celsa merentur, Virtutum auctores quae tetigere Deos; Nulla ubi laus illis, quae patrant facta scelesti, Frondibus ornati tempora sanguineis; Harmoniae exsortes quae, cinctae ac vestibus atris, Lugubre ubi carmen non sonat Eumenidum; Invidia unde ferox, ac jurgia longius absunt, Sive Erycis lubeat per juga ferre pedem, Sive per Heraeos colles, ubi Cypridis horti, Quae fundit tenera florea serta manu. Exanimis at rebus erit qui carminis usus, Qui colli sensus, graminibusque subest ? Vita igitur functos socios, jam vertitur annus, Musa canat, Sophiae munere conspicuos. Laus grata est Superis; cupidas haec allicit umbras, Saucium uti cervum vena perennis aquae. Te, Salve o, primum celebret dulcissima Clio, Qui Latii reddis sensa venusta modis : PER L'INAUGURAZIONE DELL'ANNO 1873 Cui nulli adversi fregerunt pectora casus, Nec dolor ille quidem maximus, exilium. Supremum Laurae vatem per culmina, et urbes Te luget passis moesta Camena comis: Thespiadi adjungit modulamina tristia cantor, Qui cecinit dulci carmine Meliolum. Ipse tuo capiti dum dat sua serta, tenebis Tu loca Petrarcae proxima luminibus. Pieris ornavit largo tua funera fletu; Pallas sed geminos conqueritur socios : Musmecium luget, commercia legibus altis Qui dedit, heu multis flebilis ille bonis, Qui pavidi nautae verrentes navibus aequor Figunt corda mari, lumina sideribus. Ugdulenam etiam; cujus sapientia, virtus Vim rapidi tristem temporis haud metuet; Ingenio ipse nihil divo mortale secutus, Nil torvo humanum lumine despiciens : Hic vixit, reputans aevi monumenta vetusti, Resque etiam novit temporis ipse sui. Falmine ut horrisono noctis diffinditur umbra, Sensa Dei haud aliter pandidit ille volans. Quonam Erctae resonat dulci modulamine collis, Qui coetus Superum ex aethere desiluit ? Gui forma insignes plaudunt, iucunda puellae Carmina promentes aemula Pieridum? Ortygiae vatum extremus flos ille recisus, Et mellitus adest Cyenus Oretigenum. Hi Siculi Orphei: sunt illi laude nitentes, Qui tabulis, fingunt marmore et effigies. Insigne huc etiam Sapientum convenit agmen, Quique comis Cereris fulgida serta dedit. Non hic clara senum, juvenum nec vivida turba Desunt, pro patrio qui cecidere solo. Advena Marte potens liquit lacrimabilis astra, Explendam nunquam pectore spem refovens; Victima qui Sphyngis populos lato ore vorantis, Illius atque, acri libera corda movens Ingenio patriae qui jura vetusta tuetur Cum Indis, qui propria vivere lege petunt. POESIE Floribus, aut lauris, aut querna fronde decorus Gallo quisque studet reddere dulce melos. Adfuit et Phoebus; renuet quis carmina Gallo? Stant cireum Charites; ipse Cupido, Venus. Myrtorum foliis, hederae serpentis Amores, Atque rosarum inter nunc recubant calices: Spirituum versis certa sub imagine formis, Lusciniae speciem, chrysalidisque ferunt; Atque omnes Gallum dulci modulamine vatem Conspicuum factis, carminibusque sonant; Historias, tabulas, memorant monumenta, ferendo Queis ipsos patrio dat nova serta solo. Unanimes cuncti figebant oscula Gallo; Serta dedit manibus Phoebus et ipse suis : Cum sociis vita modo functis ille triumphat, Victor et ad sedes poscitur aethereas. Illum ubi Diva manet, Pietas, Prudentia et alma Integritas; anceps haeret at ille animus, Retro oculos vertens patriae telluris amore, Sed tandem coeli limina dicta petit. Salvete, o Glari, modulis laeto ore faventes; Ile aure est facili dignus honesta canens. Socio Can. Gruseppe VAGLICA PER L'INAUGURAZIONE DELL'ANNO 1873 IMITAZIONE (in versi italiani) Poi che a le Grazie è ben che si festeggi Questo giorno gradito, Del qual più bello non comparve mai D’oriente sul lito; Qual del mondo città, qual de la patria O campo, o valle, o fiume, O monte fia, cui celebrar è bello Fuor di tutto costume ? Ma ben si addice agli ardui gioghi ’1 vanto, Chè ivi prima; cagion’ de le virtuti, Furo i Numi veduti. Ove non l’opre d’ improbi nemici Si lodan già; nè que’ che al truculento Capo insertaro il ramuscel cruento; Né delle negre erinni, Cui sono ingrati gl’inni, Risuonano ai lamenti, ch’ ivi tace La gara impronta e l’odio mordace, O il vivo aere eccelso Piaccia spirar, che su per l’alte cime Empie di gioia |’ Erice sublime; O per i clivi erei, Dove oliscon di Venere i roseti, Che da le nivee mani Versa nembi odorosi Di fiori rugiadosi. Ma all’ inanimi cose omai che giova D’alti carmi la prova? Qual senso il monte e l’erbe mute alletta ? Dica V inno i compagni, (1) Fu il Salvo valente cultore della poesia latina; e lasciò una bella versione del canzoniere del Petrarca. POESIE Che nel volger de l’anno a noi mancaro, E che il fervido ingegno Di sapienza e di virtù educaro. Anco al cor dei celesti Grata è la gloria; e la ricercan presti Gl’ idoli e l’ombre, come suol cervetta La perenne fontana. E dite prima, o Salvo (4), Magno testor de la canzon romana Clio si rammenta : di te cui non franse Di povertà la mano inesorata; Nè il maggior dei danni Abbandonar la patria addisiata. Sciolta le chiome per città, per poggi Te compiange la Musa, Te di Laura novissimo cantore; E colla diva aggiunge il suo dolore Ei, che pupilla dei latini vati Disse ne’ carmi ornati La vitrea linfa di meliolo sacra; E, composta al tuo crin la sua corona, Presso il fulgido raggio Del Petrarca ti asside, e ti ragiona. Fu pianto della Musa il tuo partire; Ma altri duo Grandi oimè periti anch'essi Palla, piangendo, mi sospinge a dire. Te pria, Musmeci, esplicator sovrano Del commercial diritto; Gui seguita il lamento di lor tutti Che han gli sguardi negli astri, ed han nei flutti L’anima intenta; e scossi da paura Al fischio d’aquilone Volan del mar la torbida pianura. E te deplora, ahi pena! Ch’eterno monumento Di sapienza e di virtù lasciasti, Immortal Ugdulena. PER L'INAUGURAZIONE DELL'ANNO 1873 9 Nulla ti piacque corruttibil cosa; Nè quello che agli umani utile torni Spregiò tua mente altera e disdegnosa, Che visse sol pensando Quello che fu ne’ prischi E ne’ presenti giorni, E tutto seppe il genio tuo ammirando. E come suole l’ombra della notte A lo schianto del fulmine allumarsi, De l'Eterno così l’alta parola Schiaristi nelle tue pagine dotte. Ma qual di presso all’Erta Suona nuova armonia ? Onde di raggi eternali coperta Discende a noi celeste compagnia ? E a chi cantan le lodi Le fanciullette, amabili le gote, Emule a le Pieridi nei canti? Si appressa il fior d’Ortigia, ultimo vate (4) A noi ritolto; e de l’Oreto il cigno (2), Che al nome suo fedele Diè carmi più soavi assai del miele; E l’uno e l’altro Orfeo (3) Vanto e splendore di Sicilia, e quanti Fe’ chiari lo scalpello, O l’amor de le seste, od il pennello, Poscia dei sofi il coro, E quei che pose a Cerere sul crine (4) Un astro, fulgidissimo decoro. Nè manca chi le cose cittadine Resse, e il giovane forte, Che per la patria andò contro a la morte. Dal cielo anch’ei discende Il valoroso giovane straniero (5), (1) Il marchese Tommaso Gargallo di S.racusa , insigne traduttor d’Orazio, di Giovenale ecc., e poeta valentissimo. (2) Giovanni Meli di Palermo. (3) Vincenzo Beilini e Giovanni Pacini, amendue di Catania. (4) Giuseppe Piazzi, che scoprì il pianeta Cerere. (5) Massimiliano d’Austria; la morte del quale fu pianta dal Gallo con una poesia. 10 POESIE Degno ahi tanto di lacrime ! che corse Con superbo pensiero Dietro a speranza, che bella s’accende, Ma non si aggiunge mai. Vittima de la sfinge Voratrice dei popoli e del fiero Propugnator del dritto e de la legge. Che l’indian corregge. Ciascun di lauri, o querci Incoronato, o di perpetui fiori Gallo, che gli diè onori, D’onor rimerta, e plaude e ne sorride. E vien Febo pur egli: e chi al buon Gallo Fia che dineghi i versi? E son col nume Le Grazie, e con Amor Venere anch'ella. E gli altri Amor sen vanno Agilissimi spirti Fra le foglie dell’edera e dei mirti, O di rosa novella Fra i petali odorati, L’eterea lor natura oggi mutando In venusta apparenza O di lievi farfalle, O d’usignol che canti in erma valle. Tutti, come il disio gli agita e allieta, Acclamano al poeta D’opre benigno, che volse il pensiero Solo all’onesto e al vero. E rammentan le sculte effigie, e i segni Ond’ebbe gloria ognun di loro, ed onde Crebbe l’onore dei sicani ingegni. E Gallo or un baciava; or’ei toglieva Baci e baci da loro . . Mentre Apollo il cingeva d’inclito alloro. Così trionfa e agli ultimi compagni Nell’alta gloria assunto Egli s'aggiunge agli spiriti magni. Su la soglia del cielo, Olimpie Dive belle e vereconde, La Pietà, la Dolcezza e la Prudenza, PER L'INAUGURAZIONE DELL'ANNO 1873 Ad onorarlo del fervente zelo, Gli fan lieta acconglienza. x Ma gli palpita il core. Di ben diverso amore: Amor di patria lo rivolge indietro E si fa in volto dubitoso e tetro; Ma come al ciel s’appunta Di tutt'altro desio tace la punta. Salvete, illustri, ed accogliete i carmi Con lieto viso; parmi Ben d’udienza degno Chi l’onesto a cantar volse l'ingegno. Socio Ugo Antonio Amico 14 POESIE NOVI ANNI BONA OMINA AD SOCI0S GLEGIA Orbe anni redeunte novo, dum pandit ad auras Flos siculi frondes laetior ingenii, Quid melius poterit mentes incendere Vatum Quam quae sunt nostris obvia luminibus ? Haud petat externas modulari carmine laudes Nostra camena suis invida litoribus, Dum Triquetrae aeternare decus nunc acrius instant, Atque vigent stimulis corda agitata novis. Haec altrix generosa virum trinacria tellus, Et Sophiae et cunctarum artium opima parens, Quam natura olim populis dedit esse magistram, Ac urbes inter praestitit Argolicas, Non Laurae ut Cantor versu est modulatus acerbo, Prima dolet fronti praemia rapta suae. Nunquam effeta quidem cunctis trinacria saeclis, Pignora clara sui protulit ingenii. Melpomene sumpsit primos hic moesta cothurnos; Et nostris risit prima Thalia plagis. Stesichori hac tellure graves sonuere camenae, Et Musa hoc lusit litore Theocriti Iceta hic aevo dictavit sensa futuro, Quae Galilaei alta mente reposta manent. PER L'INAUGURAZIONE DELL'ANNO 1873 Artibus Empedocles variis inclaruit orbi, Et scripsit populis jura Garumna suis. Aitica terra olim siculos mirata disertos, Quos Plato non aequo carpere dente putat. Romulidum hic genti quam vis non ulla subegit, Arte potens unus restitit Archimedes. Praetereo innumeros florentes artibus, alis Quos nunc fama gerit non peritura suis. Dulcia adhuc resonant, cecinit quae carmina vates, Molli ipsum referens Anacreonta lyra. Quid memoro veteres insigni laude nitentes, Si genii hic siculi fama vetusta viget ? Conspicio hanc umbras sapientum errare per aulam, Queis sicana olim terra superbierat, Hae visae gestire mihi superesse videntes, Queis praesens aetas jure superbit ovans. Non hoc musa canit, vestras ut mulceat aures, Nec sit carminibus gratia parta suis, Splendida sed passim vestra id monumenta loquuntur, Quae sophus attonito suspicit intuitu. Testis adest clara redimitus tempora lauro, Carmina qui thuscis dat sophoclea modis; Quodque olim Graecis perfregit vincula captis, Euripidis mulcet dum fera corda melos: Testis qui sophiae studiis ac arte potentes Ingenuis Siculos pinxit imaginibus. . Hic Sophiae latebras doctis committere chartis, Naturae insudat pandere et ille sinus; Alter ubi constent rerum commercia pandens, Sublimi venas mente recludit opum; Temporis hic solers reserans monumenta vetusti, Permulcct nitidi viribus eloquii; Ille subit Pindi validis fastigia pennis, Serta addens patriis fulgida temporibus; Singula scripta alius dum mentis acumine librat, Quae laudanda simul quaeque cavenda monet. Vos o qui doctas colitis nunc Palladis artes, Quidque valet Siculum proditis ingeniun, Pythagorea mihi lubeant si somnia, ferrem Hic animas veterum nunc superesse virum, 13 POESIE Quas igitur referam praeses tibi maxime grates, Quas vobis Siculi gloria magna soli, Queis, me non ulla florentem lande, nec ullis Spectatum clari viribus ingenii, Hic ubi Trinacriae melior flos cogitur omnis, Tam doctis placuit coetibus inserere ? Ipse pari cuperem modulari carmina plectro; Mens animi tanto at pondere pressa stupet, Sit spectare satis coram tot pignora laudum, Carmine si digno Musa referre negat. Non secus ille puer cupidis suspectat ocellis Quae nequit exigua carpere poma manu. Quid novus exoriens annus tot laudibus addet? Quae dabitis patriis nunc nova serta comis ? Dum fervere videt majora ad munera mentes, Hanc spem laeta suo pectore Musa fovet. Qui reliquos Siculus jam mentis acumine vicit, Ipse sui genius mox quoque victor erit. Socio Pror. (Gr. VAGLICA NINA SICILIANA IDILLIO Îl giorno che d’Oreto in su la sponda Fra la turba plaudente Enzio adduceva Le trionfate liguri triremi; A far più bello il ghibellin contento Tutta dei vati l’ inclita famiglia A la villa convenne, che di liete Ombre la piaggia occidental corona. La disser Zisa da colei che bella Di elette forme, quasi fior che spunta, Allegrò de l’Emiro il cor paterno Che poi tra le pervinche, e i verdi aranci, E le fresche fontane, ahi ne depose La compianta persona, e del suo nome Sonaro i chioschi e i floridi viali Ombreggiati di palme!! Erano insieme Federico e il vicende Enzo, con l’altro Che biondo e bello e di gentile aspetto La gloria no, ma sol perdè la vita Di presso a Benevento. A lor si aggiunge Piero il fedele, contro cui s'indugia Tacita l’ira cortigiana; e il segue Con Guido e con Ruggiero Odo e Inghilfredi E quel da Leontino, che con altri Chiudono in nobilissimo corteo POESIE Nina, cui tanta il ciel diede bellezza E ci forma e d’ingegno.—Onde ne vieni, Vaga fanciulla, cui sorride amore Dagli sguardi loquaci, e da le guance Di porpora suffuse? Ibla ti diede Co’ suoi giardini il fiore, onde t'ingemmi Trepido il seno? o tra le sue più belle Giovanette l’accolse Erice antica Negl’ idalj roseti? A la tua cuna Deposero gli allori i generosi Che fér del sangue de la punica oste « D’Imera il vallo mareggiar si truce » ? Te pargoletta e la zanclea riviera Vagheggiò la bellissima Morgana, Quando al roseo mattino apre verzieri Stellati in fior’ di croco e di smeraldo; O ti raccolse infante appo le fulve Acque il regale Oreto? Onor di tutte Le sicane città fosti sicana Appellata, o gentile, e tal nei tempi L’immortal nome volerà onorato De le grazie sorrise e de le care Fantasie giovanili una secreta Cura turba la luce, chè ti geme Tacita piaga entro del petto, e amore Ti fa dolce ogni pena, amor che vive Di speranze, di lacrime, d’inganni. Al venir della sera, in quel solenne Quietar del creato, allor che pare A la luce morente che la speme Deserti i cori sconsolati, e sorga Col disio degli affetti una tristezza Di soavi memorie, e dei perduti Anni più belli un desiderio acuto ; Tu presso al lido, che tant’ami, il piede Soffermi, e l’onda miri che si allarga In un cerchio infinito, e ti diparte Dal vate da Maiano, a cui ti giunge Nobil disio, chè la bellezza e il censo Cede di gloria a l’onorato vanto; PER L'INAUGURAZIONE DELL'ANNO 1873 1T E il murmure de l’acqua, che ribacia Lenta la riva, un sospiroso addio Ti par, che venga de la sua Toscana. Oggi se l'occhio movi a la ricurva Sponda, s'accheta ogni altra imago e tace; Che venteggian le sicule bandiere Coronate di gloria, e per le torri, E per le vie frequenti alzasi il grido Che onora e acclama il giovanetto svevo. Poi che si stetter tutti appresso al magno Qui Federico, un fervor d’inni risveglia L’alte menti ai poeti.—Era nel viso D’ognun la gioia, era negli occhi il voto D’omaggio al prode, che fiaccò l'orgoglio Del... guelfo procace; e già comincia Guido il canto di gioia, allor che il Sire Così riprese: ogni canzon si taccia Ogn'inno di vittoria; è bello il lauro Se verdeggia le tempie al vincitore Contro barbare genti, che nemiche Dai gioghi alpini scendono a predarli, Maraviglia del mondo, Italia mia; Ma se l’ira dei tempi il fratricida - Acciar mi strinse in mano, e me sospinge A pugnar contro gl’itali fratelli Si pianga il fato e il danno onde si prostra L’italo figlio, e l’un Valtro si rode Senza speme di meglio. Amor si canti Che le menti d’Ausonia avvinca insieme In un solo disio. E tu che in nodo D’'amor congiungi a la gentil Toscana Quest’isola del sol, Nina, ci canta D’amor la nota: dì verrà che amore Stringerà tutta l’itala famiglia Ne la gloria de l’armi e del pensiero. {acque: e tutti ripiegaron gli occhi A la fanciulla: e fu silenzio intorno. Ella, trepida gli occhi, e il petto ansante Questo soave disse inno d’amore. 49 418 POESIE Lungo il lembo del tuo verde boschetto Al tepor de le brezze fiesolane Vola il cor mio rapito al mesto detto Dei tuoi carmi e con te vinto rimane: Vinto così che a lui d’ogni altro: affelto L’acute voglie si appresentan vane, E ne alimenta il desiato errore Una favella, che tu dici: amore. “Amore alma è del mondo, amore è vita Perchè ogni affanno tace e si riposa: Ei solo alluma la beltà infinita Sempre a lo sguardo dei profani ascosa: Egli i petti discordi a pace invita, Amore e cor gentil sono una cosa; Sempre ripeta amor la mia canzona, Chè amore a nullo amato amar perdona. Dal terren che ti accoglie a noi deh! vola Tra questi rari e peregrini ingegni; Mesci a la nostra ancor la tua parola Cantiam d’amore i sospirati regni: Così la fama de la bella scuola, Cresciuta a l’ombra dei vincenti segni, Corra, cantando amore, ogni contrada, E fia riposta la cruenta spada. E noi contenti a la gioia novella Lungo i giardini, che l’Oreto inonda, Accorderem l’armonica favella Al susurro de l’aure e de l’onda: Or degli aranci a la conserta ombrella, Ora de l’Erta a la scogliosa sponda, Con quell’accento, che viene dal core, Andrem cantando la virtù d’amore. Plauser quelle leggiadre alme: primiero Fra tutti ’1 Sire: te diran le genti Immortal donna; chè tu sola agguagli L’infelice di Lesbo, anch'essa il core Piagata d’ardentissimo desio; E ne la vita, che per nuova gloria Lo stil moderno a Italia tutta schiude PER L'INAUGURAZIONE DELL'ANNO 1873 Vanto lieve non fia a questa perla Del tirreno, l’aver te prima musa Norma a le Delle dei venturi tempi. Gli altri, tacendo, a le parole oneste S'accordavan; quand’ella in tali accenti Ruppe, figgendo ai secoli futuri L’acuto sguardo scrutator del vero. Entro qual nitid’astro; ed in qual sole Vivi, del canto armoniosa figlia, Lieta speranza a la trinacria prole, A questa del tirreno aurea conchiglia ? Chi ti apprende le fervide parole Che saranno ai venturi maraviglia ? Chi l’imago ti avviva e chi ’1 concento Mite, come degli angeli lamento? Quale d’autunno auretta che si geme Tra le foglie dei cedri e degli ulivi; O pura linfa che, correndo treme Presso ai fioretti che fann’orlo ai rivi; Con tal suono il dolor, l'ansia, la speme E gl’istanti di gioia fuggitivi Tu cantando verrai, e con le nuove Rime gli animi aecendi ad alte prove. Oh! come lieta al suono peregrino, Che d’insueti numeri s’ abbella, Il fronte adergerà per dolor chino Questa, amore de l’onde, isola bella! Come dai gioghi de l’arduo Apennino AIl’Alpe, onde l’Italia s’incastella, Saluterà ciascuno in cor superbo Te amico raggio nel dì fosco e acerbo Ma la tua luce subita scolora E manchi, aiméè, desiderata c pianta; Al bacio della morte ad ora ad ora La giovin faccia di pallor s'ammanta; Presso al feretro tuo s'angoscia e plora La gente, che di te si gloria e vanta; To questo allòr ti sacro, ed al tuo merto Fia gradito così di Nina il serto. 19 20 POESIE Qui la bella si tacque : e gli altri ’|1 viso A stupore atteggiati ed a contento Muti stavano al suon de le parcle Vaticinanti. Da l’aeree cime De le montagne già pendea la luna; E di candida riga iva l’azzurro Vel del lago segnando; e 1’ increspava L’aura che giù venia dai verdi colli De la sera tranquilla aninunziatrice. Dai poggetti vignati una canzone Ora sì ora no dolce scendeva Com’eco di liuto, e si perdea Tra’ silenzi dei campi; e lungo il mare Scintillavan le faci, e a suon di tube S'ode il nome echeggiar d’Enzio, e ripete Enzio da lungi ogni animo sicano. Socio Pror. U. A. Amico (*) E quì come in apperdice di giusto tributo di lode, ed affinchè in queste pagine ancora ri- splenda il nome del valentissimo nostro socio Emerico Amari non mai abbastanza compianto , sarà ben che sì aggiunga il canto letto in nostra Accademia nella tornata del 18 dic. 1870 dalio stesso socio De Spuches in di lui memoria. EIX OANATON TOY IHANY EMHPIKOY AMAPIOY EAETOZ. OUTos igpbiutoy CANSORAI TAYuare KeXT®y (74 2, ITTOWY Te TTO\Éuos dpr OpuaoconÉvov. D Na Difea, Kympidos oò pirerai por paazerv dépa, x Epwtos, EIN , O / /, > sà Oùxi Arovioov edetpoodA i yfa xoprnv. i ” »e n I Eppere TAVCUÒIA, xÙdoc zati GTÉ una APATOUVTWWY, ’Hòè quoppetdoy xocuua Tdvta Det. 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È Iuépa ovs ETpEpEv, ul QUNÉEPAGTOG Epvé Li x > IS ENbete xat Za puday valovTeg untéo dordoy, Sf s D) AN TÀ , Xpucogpopoy Nuony, dè PALAoTA Bid, OÙ tà feebpa ouUos deldexto TIOTOYV dyatoyv 5) 9 EXlor T'OIfioTov otéppa Zupazocioy. Kat fa, copo) Katdvns, où pipvere, oùdèé YXUQovTeg CA " x\ VÀ VA DI AGteL Tap Tavpov poappapa Tovduteri. e 0) ’ 95 Ixot 7 YEXn0avy Td popov dAdbacto qopfivar, 27 > e K'éé Axpdyavtos dre uvipata cepvà véuet. Moyrobey îx TAvTOY ipo todde dLdoîvto Moppapa, ypUcos, ovvl, dvbea, dela, ddxpu. Os d9EN fig dpertio idpuobar icoy dpad pa! Zar? éxn Y7ò mddau devtepa toùde Xéwy. GIUSEPPE DE SPUCHES Socio Presidente IDEM LATINE Mens refugit Celtarum acies, turmasque potentes Hîc canere in pugnis quae fremuere novis. Non est cura mihi Veneris, nec munera Amoris, Nec crispam Bacchi dicere caesariem. Dispereunt subito decus atque insignia regum, Deliciae et Superùm gratia, risus, amor. Nunc siculae Charites Emerici heu! funera lugent, Quippe fuit Sophiae splendida progenies. Mox periit sapiens quo non praestantior alter Scitus, Aristophanis norat et ipse sales. Omnes Relligio sensus, arcana Mathesis Credidit, huic omnes Jus dedit ire vias. Sic tum consilio, tum libertatis amore ntestrisceeraOv saRrtell is.oit i 21 POESIE Non vigor unus alit, nec pectora spiritus unus, Ast Heliconiadîm quot nituere choro. Quot privata gerens vel pubblica commoda jactat Dia unus totidem mente coegit, opes. Vos quid Oreteae juvenes nec solvite fletus, Nec serta Herois nectite sub feretro ? Huc violas huc ferte rosas et lilia mirthis Vincta simul, lauros virgineumque crocum. Perpetuos questus Musarum et jungite alumnis, Sidera dum patriae fulgidiora cadunt. Vos una Triquetrae soboles, spes optima, adeste Himera alat, tellus sive Ericina placens. Sit pariter Zanclea domus jam enixa poetas, Aureo ab amne Nisis, sit Bida rara solo, Quo primum lucis fluvios collegit achates; Inde Siracusius sanguis et adveniat. Eja Sophi Catinae, vel qui prope moenia Tauri Laevia caelatis marmora, ferte pedem; Cumque Agragas properet quin balsama conferat Hybla, Quas decorant veterum tot monumenta viràm; Undique terrarum haec Heroi marmora sunto, Gloria, onyx, aurum, sertaque cum lacrimis. O utinam simulacra Viro, quae debita, surgant, Priscus ut invideat talia signa Ceops! Socio CAN. G. MONTALBANO IMITAZIONE IN VERSI ITALIANI Non le cozzanti schiere Dei Celti canterò; nè per i valli Gli animosi cavalli A la pugna annitrenti. Nè di Venere bella e dell'Amore Le grazie lusinghiere Meta saranno ai queruli lamenti, Nè dirò carmi a le ricciute ehiome Del figliuolo di Giove. Per nulla il cor mi move, O della gloria invidiato il nome, O diadema regale, O allegrezza che infiori Bi alcun sorriso ancor labbro immortale. oggi le muse di Sicilia estinto Emerico lamentano, Emerico Inclito figlio di Sofia! Fu vinto Da lo stral de la morte egli maggiore Di quanti ornaro il bello italo regno Per altezza d’ingegno. Dell’altrui senno indagator, sovente Si volgeva alle carte, Onde mostrò quel che può il riso e l’arte Nella vetusta etate, Disdegnando ogni vizio, il rodio vate; PER L'INAUGURAZIONE DELL'ANNO 1873. Quei che Matesi con sue cifre involve, O di candido vel chiude ai profani Secretissimi arcani Religione, o i nobili problemi Che a ben comune insegna La fatidica Temi, Tutti egli seppe; e vinse (e che non puote Virtù, se bella in suo splendor si mostri? ) Negl'italici rostri Contrarie voglie a libertà devote. Parea del Magno in petto Non raggiasse immortal solo un spirto; Ma di lor caldo affetto Animassero in lui fervidi accenti Le dive Eliconiadi eloquenti; E quali son virtudi Ne la pubblica cosa o la privata; Perchè n’ebbe tal vanto Che non vide altrettanto Questa etade, che corre, o la passata. Onde, o vergini figlie al biondo Oreto, Lamentose venite, E d’eterne ghirlande Il tumulo del Grande—oggi fiorite. Rechi alcuna la bianca Violetta, ed il giglio; Spanda un’altra coi mirti Più caro assai d’ogni regal tesoro Il trionfale alloro; Altra la rosa e il eroco Dal colore di trepida donzella Quando al foco d’amor fassi più bella. E insieme ai sacri vati, Cui scaldaron le muse, Questo, che a noi si chiuse Astro maggior dai cieli ottenebrati, Perennemente piangete, piangete...... Sparve quell’astro, che vi fea sì liete. E tu pur vieni, gloriosa, altera Fervida gioventù, speme ai Sicani, Tu, cui nudriva Imera; O per gl’idalii piani Fra le colombe e i mirti Erice, amor soave a Citerea. E voi de la zanclèa Riva figliuoli, armoniosi spirti; E quei che guardan per le verdi sponde Di Nisa, correr l’oro in mezzo a l’onde; O di Bidi felice, Che prima volse fra le sue correnti L’agate risplendenti : E voi, che udiste l’umile pendice 29 ronsie rn 1 INAUGURAZIONE DELL'ANNO 1873 Li 2 IRC # Lieta “echeggiar de la silvestre musa, F è Rie i Onor de la possente Siracusa. $ P Nè v'indugi ’l disio di sapienza i a * Voi, cui bagna il Simeto; al Se Nè tardino i tuoi figli, e li stupendi | è, Dr) Marmi, o città, che in vetta a l’arduo Toro I ? Fra le sicule glorie anco risplendi. È $ i i Si aggiunga al nobil coro : Quei ch’Ibla nutre, o il turrito Agrigento, de i E, se hanno cari i sacri timiami, ì i Rechino vasi d’odorato unguento. di Da ogni villa ci chiami — Amore al Grande; e a la novella tomba . PA "n a rechisi e marmi, — i dg nice, e fiori, amaro pianto, e carmi. Che se ben degno a la virtù di lui le cai Porremo un monumento, ué 3 Sarà secondo a questo i bia L’altro, che sorge altero a Cheope antico, Maraviglia dei secoli e sgomento. pi * - Socio UGO ANTONIO AMICO + da * a .. De * , ei i 4. » VLOCGIO DEL CELEBRE SOCIO GIOACHINO ROSSINI LETTO DAL SOCIO GIUSEPPE BOZZO nella tornata del mese di novembre i872 Come torrente ch’alta vena preme Alla più sublime delle arti altera del nome d'un inclito cultore porge quest’ accademia affettuoso tributo; e la santità dell’ ufficio si fa più efficace unendosi ad essa la voluttà del dolore; perocchè oggi fanno quattro anni, che lasciò la nostra valle lo spirito immortale di Gioachino Rossini. . Oggi, come in ciascun anno dal termine di sua vita, non pure in tutta l’Italia, ma in tutta |’ Europa, e via in ogni parte del globo dov’ è lume di civiltà, risorge un grido solo, onde i cuori si commovono, ed insieme si so- spingono ad unanime plauso. Ed il chiaro consesso quì volto alla prosperità delle scienze, delle lettere e dei principii delle arti, adempiendo al decreto di onorare il grande artista, che fu chiamato suo socio, ben si rende partecipe m di tale commozione e ben risponde a tale plauso, alle voci che di là vengono aggiungendo la sua. i Si ascolti questa voce ora che il dolore di tanta perdita, abbenché vivo, è meno inteso, e che le parole e lo stile si possono con moderanza adoperare; 9 ELOGIO DI GIOACHINO ROSSINI ed uno degli Accademici vi adempia come se vi adempiano tutti, come talora ad esprimere il voto di una famiglia uno si proferisce in nome degli altri; e sia ancor per attestare, che degli studi fra noi antichissima è la sede, la cui fiamma ora desta all’aura di tant’arte ed alla luce di tanto nome; pura a sì alto esempio ne mantegna la ragione. Il bello fu il primo elemento dell’anima di Gioachino Rossini, e tal virtù dovunque concordemente si esalta ; d’° onde il mio alla fine non sarà che un concorrere ad esaltazione sì grande, ed un affarmi al modo degli illustri uo- mini che mi hanno preceduto. Oh possa, dopo casi inopinati che me l’hanno impedito, oh possa a ciò adempiere in omaggio di lui che ovunque apparve rifulse, e addusse l’arte al maggior colmo, e che mentre rappresenta l’immagine dell’età in cui visse, palesa distintamente le fasi segnalate del suo splendido corso. Per vero i movimenti migliori di un essere perfettamente organato, tutti prosperi ed ascendenti, si determinano per tre epoche l’una dall’altra distinta; tanto che gli antichi, i quali ogni special concetto cangiavano in un mito, e ad ogni singolare oggetto imponevano una divinità, a ciascuna di tutte e tre queste epoche una dirittamente ne imposero, fin diversa pei due sessi. E in tanto la particolar qualità di queste epoche, ed il carattere proprio delle pro- duzioni in ciascuna di esse, non mai più chiaro è apparso che nella vita dei valenti uomini; ed in nessuna più apparve che nella vita del Rossini. Il quale, badandosi all’ indole ehe è cosa intima e non alla forma che è cosa mecca- nica, chiaramente fu veduto sorgere a volo che sente del lirico nella prima epoca, andandone poi alla seconda con sentimento drammatico , per soprap- porsi finalmente nella terza con una tale grandezza quale d’epopea. Dimodo che via mostrando quanto egli giovò all'arte, e gloria vi ottenne assai luminosa, sarò vago a convenirmi colla varia e viva nota di tutte e tre l’epoche, per le quali i dì volsero del suo continuo trionfo. Con maraviglia è ad osservare, che l’anno in cui nacque Gioachino Ros- sini morì Wolfango Mozart, volendo Dio, qui è a ripeterlo, che un ingegno non meno grande seguisse ad attestare la bellezza dell’estro umano. in tale eccelso magistero; e pure è ad osservare che inquell’anno medesimo. Dome- nico Cimarosa scrisse il matrimonio segreto, come. se l’arte, ora auspice al natale del celebre Pesarese, siesi voluta più gloriosa apprestare ornandosi di un nuovo lavoro, qual si bello porgevaglielo il celebre Napolitano. Che. dirò dei primi passi di lui? erano i passi del Gigante, che: salta fuori a correre la via. D’onde parve che poco si addottrinasse, perchè presto si addottrinava; ed insieme che con la teorica con l’osservazione e con.la:pra- tica sopra i migliori scrittori, non pure di poco, ma di molto preceduti, sino a coloro i quali a fare risorgere l’arte, (e qui appare il:primo-pregio:di Gioa-. ec ELOGIO DI GIOACCHINO ROSSINI 3 chino Rossini), non avevano studiato se non pel sentiero che s’ era innanzi battuto, e con gl’ingegni in antico usati migliorandoli e aumentandoli (4). D’onde fermossi nel pensiero sin dall'ora concepito e poi sino in ultimo ripetuto, che talune che sembrano innovazioni dell’arte, anzichè un progresso. sono un regresso, un ricondurre ai tentativi già una volta fattisi; che potranno per un momento sorprendere non potranno a lungo dilettare, nè fare |’ arte rifiorire, come credono che rifiorisca. In fatto Rossini conducendosi da quei più lontani ai meno lontani giù a moderni suoi predecessori, e studiando e imitando come fa chi aspira al sommo, stette coi più illustri, e con quelli che coi loro esercizi la melodia e l'armonia avevano fatto insieme nascere dalla propria mente, legate non solo ma formate di getto, da non potersi disgiungere senza perdere virtù; lungi da uno strumentale tolto come dissero a fitto, e posto sulla nota cantabile come corpo morto sopra corpo Vivo. AI tenore di tal raro musicale congegno, che rabbelliva i canti semplici e ameni del dolce aere percosso dal nostro carissimo sì, erano sempre venuti d’ oltr’ alpe ad ispirarsi, e da ultimo i più eletti della dotta Germania Gluck Hasse, Hendel, Haydn, Weigl, Mozart; come che essi all’arte dei suoni abbiano dato più opera, la quale più sta nel valore dell’ingegno, quando i nostri la davano più all’arte dei canti, la quale sta più nella forza del sentimento: cia- scuno come porta la sua propria natura. Su tutti i quali Rossini dì e notte meditava, e ponevali in partitura, segnatamente le opere del Mozart, primo a sciogliere i vincoli opposti alla libertà del comporre ed appellato il maestro più Italiano degl’Italiani, come le opere del Clemente, che appellarono a dritto il Mozart dell’Italia. Era tutto in questo con cura tanto assidua, che Stani- slao Mattei suo rinomato maestro, avanti che dello sprone vide seco lui avere bisogno del freno, Isocrate novello con un novello Teopompo. Insieme si ama-- vano, ciò che loro fu sommo onore, e l’ uno chiamava il Mattei con signifi- cante nomenclatura Maestro Contrapunto, e l’ altro sì caro affetto sentiva pel Rossini sino a piangere di poi ed assai a trepidare-quando I’ animoso disce- polo, ai moti degl’Italiani per liberarsi dallo straniero, alzò un canto e poco stette, che non cadesse nelle mani di chi quei moti soffocava. E già fuor delle mura del collegio di Bologna sorgeva il novell’ astro a rallegrare il mondo addolorato da tante guerre, contaminato da tanto sangue, quando l’Italia agli alteri gesti bellicosi , i superbi casi. vedeva succedere di altra straniera dominazione, e vie le armi imperversando versarsi le nostre vite per l’altrui ambizione: mentre con grave danno della musica si diserta- (4) Secondo poi era occorso al totale separarsi delle ati, ed alla nuova prosodia, che tanto sulla nuova musica è valuta ed è potuta. 4 ELOGIO DI GIOACCHINO ROSSINI vano i collegi ed i teatri al fiero reclutamento, che i giovani compositori ed i cantanti strascinava alle battaglie fuor dei confini della patria. Al qual danno altro aggiungevasi per l’arte non meno grave e perverso, che allora di poco entrato il secolo soffriva Ja melodia per l’ abuso del canto, non più nativo ed ispirato da produrre miracoli eguali a quelli di Tracia e di Tebe, nè più omogeneo al carattere dell’umana voce con perfezione elet- tissima, ma dato a girandolare senza bellezza e senza espressione; e soffriva l'armonia, per abusi ancora strani, e per la pratica introdottasi di scrivere musica per soli strumenti; corpo in vero senz'anima, come lo chiamava Platone. A togliere l’arte nostra da tali sofferenze valenti maestri erano badati , come il Paer, e più il Mayer; ma ciò che quei prodi avevano intrapreso Ros- sini prodissimo compiè, egli dato dal cielo, e che potè solo aggiungervi. Egli in onta a tanti mali con gran cuore apprestossi e l’arte in tutto gli fu scudo; ma non sì che non abbia dimostrato a sua posta, che la manifestazione di un genio è il rimutamento dell’ arte stessa in tutto quanto il suo dominio. Veggiamo con gioia che sin d’ allora contemperò le due scuole, ma che sempre in lui prevalse la scuola Italiana; perocchè è stato lodevole 1° esempio dei Germani, i quali studiando la nostra musica ad essa hanno cercato di confarsi, non men di quello degl’Italiani, i quali studiando la musica tedesca hanno sempre curato di conservare la propria. E la gioia s'addoppia notando, che quel suo apparire sino da compiuti appena i tre lustri, fu il primo biancheggiare di una alba purissima, e quei vaghi preludî tosto riconosciuti l’espressione «armonica dei movimenti del cuore al cui tocco, come a quello d’un’ arpa eolia, si fa più dolce il desiderio di ri- tenere nel nostro interno la sensazione che ne deriva. I componimenti allora ai componimenti in poco tempo si seguirono, e tutti in essi hanno trovato il bel nido di quelle preziose melodie che poi nelle sue grandi opere con pie- nezza si sentirono, sino in quelle opere dell’epoca perfetta : in esse lo spirito la rapidità e la gajezza, ed il puro sentimento e la cantilena originale, eil focoso impeto che porta al volo senza il timor della caduta. Però se i Milanesi ascoltarono la sua Pielra del paragone (4842) la dis- sero, un gran capolavoro, e chiamarono l'adolescente maestro il vero Dio della musica; se i Romagnuoli ascoltarono il suo Demetrio e Polibio (41842) ecco, esclamarono, ecco il Cimarosa redivivo. i Qual parola più vera e qual più notevole sentenza? perchè egli oramai continuava , ed aumentava il lavoro dell’ autore degli Orazî e Curazi meglio le varie parti rilevando e distinguendo, e l’opera di dotti maestri, come Mo- zart come Haydn, dirò così, compiendo; d’onde con la musica di lui fu mag- giormente esteso il meccanismo armonico, ma senza astruse complicazioni che inaridiscono e soverchianze che soffocano, e senza bassa adulazione alla musica ELOGIO DI GIOACCHINO ROSSINI 5 straniera; e fu maggiormente ampliata la schietta arte del canto, ma tenen- dosi sempre a quella integrità della frase che mai non si oltraggi, ed a quel prezioso periodo, che mai non s’interrompa, dal quale mai non si devii, contro il principio di ragione guida del sentimento. Oltre che curò egli di accele- rare i recitativi ritmati, di ravvivare gli obbligati, che voHe espressamente conservare come mezzo di chiarezza e di efficacia, e di aumentare i canti di concerto e d’ ingrandire i finali. Queste le parti precipue del mutamento Rossiniano, presentite o adom- brate nel nostro mezzogiorno da ardenti giovani maestri. l’ Orgiato in Napoli ed il Russo in Palermo, ma che tutte a pieno eseguì il Pesarese capo della scuola. Queste al tutto apparvero nel Tancredi (1843) di cui non fu mai mu- sica più originale e piacevole. Via egli andando dalla nativa Romagna alla ospitale Venezia, facendosi a nuove conquiste per quelle parti della penisola, era per tutti un nuovo udire, un nuovo consolarsi; che Rossini alla grazia ed alla semplicità del Paesiello, derivata e coltivata su quella divina e veramente Italiana del Pergolese, l’babondanza ele vive tinte congiungendo del Cimarosa faceva un tutto proprio suo, il quale ai tempi rispondesse, come vuole la mu- sica regina delle arti. Ma dei tempi il grand’ uomo non ritraeva che il mi- gliore; eran guerre, erano audaci fatti, ed egli la gagliardezza solo ne ritraeva - la risolutezza, l’efficacia, gittando all’oblio il peggiore, ed a rientrare nel nulla; di modo che la sua musica, la quale surse così piena e leggiadra, surse in- sieme impressa di vita, dirò quasi, vivissima, che egli sempre conservò in sino alla ultima nota. L’estro che move con sì subito slancio, che lascia di se così invidiabile desiderio, apparve tosto nella elegante introduzione dei cavalieri, e nel nuovo preludio dell’aria di Tancredi, la cui espressione si fa maggiore allora che l'Autore, dopo il bel primo tempo, fa brillare un raggio di sfavillante melodia al soave canto dell’ eroe, che di tanti palpiti e di tante pene spera mercè ; quel raggio rapì i cuori, e niuno fu che nol ripetesse, e con moto che non potea reprimersi, non lo divulgasse, a far chiaro anco ai lontani il nome già insigne del valoroso maestro. E poichè l’ oratore, anco nei punti culminanti, non può che accennare, e solo tenersi a metter vaghezza nell’uditore di conoscere per se tutte le parti di un lavoro, io sì reggendomi accennerò al duetto fra Tancredi ed Amenaide dove al-secondo tempo è un tenerissimo insieme, di cui uno eguale, più pa- tetico ma non più semplice, recò di poi Rossini nella Semiramide; ed al duetto fra Tancredi ed Argirio, che si termina con un grido energico di guerra non mai per l’innanzi sulle scene ascoltato; eco a tanti gridi che tuttavia rimbom- bavano, la generosa cui traccia dai seguaci maestri è stata con plauso più volte imitata, risollevando il pensiero di Orfeo proclamato da Pitagora: essere 6 ELOGIO DI GIOACCHINO ROSSINI il Dio delle armi ed il padre delle Muse quelle menti immortali, che danno vita alle sfere con velocità sempre infinita e in pari tempo gioconda. Il Tancredi tema di siculo argomento, tema dell’ onore, della fede, dell’ a- more, che aveva ispirato il Voltaire alla sua prima grande tragedia, ispirò il Rossini alla sua prima grande Opera; mercè la quale furono atterrati e distesi i mali che all’arte da alcun tempo sovrastano. Ripetendosi il Tancredì sembrò il modo musicale aver cangiato faccia, perchè la melodia e l’ armonia vi ap- parvero più belle e più nuove, quella sempre prima, questa sempre concorde, e l’arte fece altri acquisti, e mosse alla perfezione che un giorno dovea otte- nere col Guglielmo Tell. E la scuola di Germania l’approvò, l’esaltò nel modo il più eloquente, quando il Mayerbeer, già sagnalatosi nel suo nativo sistema, in ascoltare il Tancredi volle il nostro metodo dirittamente adottare, e scrisse il Crociato , col tema eguale mostrando che dell’ Autore del Tarncredì voleva farsi discepolo. Memorabile più ancora questa opera, perchè in essa il Rossini frenò del canto Italiano i deplorabili abusi. Che spentasi la bella scuola vieppiù fiorita del 1750 al 1780, si andava in arbitrio ed in falso, ed i gorgheggi , le volate, i piccioli gruppi non uscivano più dal cuor dell’aria, come già erasi fatto; ma così i cantanti si perdevano in tritumi in ismancerie e in altri assurdi, che la cantilena ne smarriva la propria fisonomia. Allora Rossini accorse con grande animo, e giacchè un canto non potea più aversi, che all’ estro dell’ esecutore tutta affidasse la sua bellezza con la spontaneità, con la varietà, con la pro- prietà maestrevole che tanto avevano portato vaghezza in quegli anni, scrisse egli ciò che i cantanti nelle comuni, o in altri punti, dovessero eseguire, e li obbligò ad un lavoro, che se non produceva i mirabili effetti del canto im- proviso d’una volta, impediva che il canto di più tralignasse, e la melodia con gli arzigogli di più non si offendesse. Giò fu a lui di gran pregio; ed intanto, come suole accadere, alcuni se ne sdegnavano e gli davano mala voce. Alla quale aggiungevasi l’ altra che altri davangli a cagione di alcune novità nella composizione: essersi troppo dalle note regole dilungato, libertà nel canto, libertà ne’ suoni; sino lagnan- dosi di essere ogni cosa confusa e malandata, che pure l’uomo non vi vedeva un'ombra di virtù. i Veramente di secolo in secolo nell’ esercizio delle belle arti gl’ ingegni ereatori hanno fatto un grande aumento passando i noti segni per accrescere vantaggio, d’onde esse sono salite in perfezione; ed intanto sempre sì eccelsi ingegni ne sono stati in sulle prime censurati ed accusatida’ maestri, che con rigore inteder sogliono a guardare le arti non si sregolassero. Ma dopo l’all’erta, risedendo gli animi è posatamente attendendo , e, dovuto ancora quei maestri spianare le ciglia in vedere, per dirlo con le pa- ELOGIO DI GIOACCHINO ROSSINI 7 role di Giorgio Vasari in proposito di Lionardo da Vinci, che le novità non consistevano che in una libertà, che non essendo di regola fosse ordinata nella regola, e potesse stare senza far confusione o guastar l'ordine, il quale aveva bisogno di una certa invenzione di tutte le cose, e di una certa bellezza con- tinuata in ogni minima parte, che mostrasse tutto quell’ordine ma con orna- mento. Però sempre in si fatti casi si è osservato, che l applauso dei dotti all’applauso del popolo alla fine rispondendo, l’azione degl’ingegni creatori non più n° è stata impedita. Questo, tenendomi alla musica, la quale di novità ha più che ogni altra di bisogno, perchè la sua espressione è generica e non specifica, molto meno individuale, questo accadde alle novità apportate dal nostro Alessandro Scar- latti creatore dell’arte moderna, questo alle novità apportate dal Sammartini, celebberrimo armonista di Milano, detto l’Haydn dell’Italia per quello che ag- giunse alla pratica dei suoni, questo sin testè era accaduto al Pergolese invi- diato contradetto, così amabile compositore, per avere trovato a tempo l’ecce- zione alla regola. Nè più che questo accadeva ora al Rossini, il quale se tanto utile fece all'arte non lo dovette che allo studio dei classici, e quindi non mai andò in libertinaggio, molto meno in barbarismo, e pel vario e l’ornato, e il più avvivato dell’arte, non lasciò mai d° essere logico e fermo , e fu cono- sciuto da tutti il più intero musicista che sia stato mai al mondo. Senza che i critici si avvisarono di notare in lui un certo trasandare per accrescere diletto, ora col più inusato, ora col più saliente e il piccante. Della qual cosa noi non discolperemo il valentuomo , là dove egli medesimo non volle discolparsene, ponendo in margine delle sue carte come si dovesse l’uno e l’altro luogo secondo regola correggere, solo soggiungeremo, che ardimenti così fatti nei sommi artisti sono da tollerare se a luogo e a tempo giovano a un più vivo effetto; vietati essendo agli altri, perchè non corrano in falso, e l’arte non mandino miseramente in rovina. E Rossini avanti che smagarsi per cagione di quelle censure, da possente ‘- vena più presso, alla rinomanza acquistatasi con un opera di tema serio, nuova fama acquistavasi con un opera di tema allegro, a rialzare l opera giocosa , nostro vanto ai bei giorni sì gloriosi per l’arte. : Non fu chi non c’invidiasse per questa specie di bellezza, non fu ora chi ancora più non lo facesse alle note tutte ‘grazia e cagion di vero riso della Italiana in Algeri (1843). Dal principio in sino altermine è una fragranza ed un candore da non potersi esprimere; alla vivace introduzione, al duetto tra il soprano ed il basso di un vezzo, di un’ amenità non mai immaginata, al quartetto Kaimaka vivace e quasi fervido, da fare ancora invidia, come dissero, a Cimarosa ed a Mozart, sono in accordo le altre. parti della vaghissima opera; più il rinomato terzetto, nel quale rendendo con più spirito l’arguta invenzione 8 ELOGIO DI GIOACCHINO ROSSINI del Machiavelli, si appalesò il Rossini con tal briosa venustà, che sarebbe ba- stato esso solo a creare qual più fosse desiderabile fama. Quei canti giocondissimi dell’Ifaliana in Algeri, quella foga, quella piena che inonda di suoni lieti e sfolgoranti. furono la festa dell’ arte e misero i cuori e le fantasie potentemente in delirio; perchè la gioja della musica di questo genere tanto celebre nel Pergolese e nei seguaci, piena d’ogni pregio che le si addice, pure non avea ottenuto quell’ alacrità , quel tripudio, quello ardore che accende ma non consuma, come ora l’otteneva per questo Proteo novello. Con tal musica Rossini salì al sommo dell’ epoca dove siamo a contem- plarlo, e nella quale diè il fenomeno singolare di un artista quadrilustre che in soli due anni con impeto sovrumano compose undici opere (giacchè trala- sciò le minori) e che acquistò un nome da non poter più perire. Tal che i capi dello Stato tutto armi ed armati. cinti d’ una forza ch’ è la più assoluta di tutte, non osarono di mettere sopra di lui le mani per toglierlo dalla più gen- tile delle arti e condurlo alla più fiera delle esercitazioni : tanto l’ebbe ad obietto sacro chi meno alla beltà delle cose suoleva avere rispetto. D’onde Rossini levato ad entusiasmo stese la destra, già esente dalla tre- menda coscrizione, a scuotere di nuovo la lira ed a cavarne i concenti deli- ziosi dell’Aureliano (1844) simili ai concenti d’un angelo, udendo i quali in Paradiso l’ Alighieri esclamò essere quell’Angelo egli medesimo una lira. L’ adoloscenza che brilla nell’ esercizio di un’arte non mai spiccò il suo volo come in quello di costui, con aleggiar sì leggiero, con portamento sì na- tivo e virtù da innamorare ancoi più duri; ond’egli all’estro che lo governava, anzi lo incalzava, chiese al poeta Casti, che tergendosi dal fango nel quale avvoltolavasi, gli porgesse un melodramma da secondare tanto estro; ed il Casti, riscosso, gli dié col melodramma il Turco in Italia di ancora più fare una musica con suoni, con canti, con balli, liberi, spensierati, presso alla follia. Se nell’Ifaliana în Algeri pare che i fiori spirino più fragranti, nel Turco in Italia olezzano sì soavi come testè mossi dallo stelo. Che Rossini era pro- prio quì nel suo elemento, egli nato per l’opera giocosa, come nel cuore si sentiva, come di se in pubblico sempre attestava, e che quando negli altri generi fu grande, in questo genere fu sommo; e pure con accordi, anco allora nel serio, vivi ma temperati, e con metodo temperatissimo, anzi schiettissimo. Ah se il canto che sorge spontaneo ed i cuori circuisce ed alletta, qual fu quello da lui inventato in questa sua prima epoca, è meglio una dolce eco del. canto degli eletti, furono in vero fortunati gli abitatori dell’Italia me- dia e della superiore di averli da lui continuamente ascoltato, il nome suo benedicendone come di apportatore della migliore bellezza; benedicendolo an- cora più, che tramezzo al gaudio del Turco în Italia e dell’Ifaliana in Algeri 7 ELOGIO DI GIOACCHINO ROSSINI 9 fè risuonare il canto sacro alla patria, ed un fuoco ardente investì la musica con la quale, quì proclamava l’Italia « amor del Cielo e della terra », colà esor- tava a mirar per tutta la penisola « gli esempî di fede e di valore. » Sì che la fantasia del nuovo musicista dallo slancio quasi etereo, rivelava l’anima del- l’affettuoso cittadino dal generoso sentire, e poneva alto suggello alle esquisite melodie. i Però gl’Italiani del mezzogiorno con brama lo chiedevano; perchè la gioja degli uni ancora negli altri traboccasse, e tutti dalle Alpi al faro intorno a lui esultassero. E Rossini, ai bei richiami, quando solo di tre anni gli era corso il quarto lustro, già rinomato nell’arte, e della stessa ristoratore e bene- fattore cospicuo, fu alla terra dei vulcani, ad aggiungere ali alla fama che dovea rinvigorirsi. i Non senza trepidazione v'impresse le prime orme; da che dovunque trovava la memoria di quei maestri, che già avevano recato l’età d’oro della musica, e sentiva tuttavia risuonare i soavi concenti, che furono la delizia di quei vi- vaci abitatori. Ma andando sopra sé stesso, e frenando il primo sentimento, un altro ne provava di nobile emulazione; di modo che quì ora con fervore incredibile fu veduto sormontando: risplendere, e trattar novella corda per darsi alle at- trattive di una musica drammatica. Sopra un suolo che manda di continuo il ribollente suo fuoco, sotto un cielo che ispira la più tenera melodia, questa corda il dilettava ed egli con sua arte trattavala. Vero è che molti maestri della classica Napoli l’avevano guar- dato in bieco per cagione di quelle innovazioni; ma poichè per li motivi di sopra discorsi quell’ubbia alla fine erasi dileguata, solo ora i mediocri si rima- nevano a combatterlo, e con armi assai deboli; tal che ne furono sterminati al primo passo del grand’uomo con l’Elisadelta (1815) i Rossini precedette Walter Scott il quale nel castello di Kenilwort tanto poi si segnalò per la forza: drammatica: ma quella forza dal Rossini fu operata con tal successo, che, salvo i termini che le due arti distinguono, il pregio della sua musica restò di sopra del pregio del rinomato romanzo. Si sappia espressamente ‘che .il tema fu proposto dal maestro al poeta; più il tenore della scena del finale del prim’atto. Ciò si sappia per conoscere che Rossini sin’allora poco- curante della poesia della sua opera e sol quanto gli desse occasione al caro volo dell’estro, ora questa che dicono pianta dello edificio, volle attentamente si curasse, se all’azione delle passioni doveasi la sua musica ora conformare. Dall’ adolescenza che spargesi in canti vivi ma ingenui, alla giovinezza che li produce meditati e profondi, la brama spingevalo di addurre al secondo trionfo l’arte che tanto amava, e che tanto ingrandiva. Se al duetto in minore tra Leicester e l’occulta sposa con dolce cantilena e 2 10 ELOGIO DI GIOACCHINO ROSSINI inaspettato movimento si levarono in entusiasmo, e non fu chi non dicesse che quì era una bellezza sin’allora sconosciuta, ben fu altra la maraviglia alle parti di seguito; in sino al finale che di drammatismo è segnalato esempio. Ascoltando l’Elisabetta trovarono i Napolitani cantilene originali, soavi, ope- rative, accordi nuovamente, splendidamente condotti, recitativi di grande signi- ficanza con accorti e ben trovati passaggi secondo la passione che agita e si- gnoreggia ; essendo in essa al second’atto azione che non punto illanguidisce o trasvia, e musica d’egual merito in tutte le sue parti. Che i poeti di quel tempo seguaci, come meglio lo potessero, del Meta- stasio, cercavano non discordar dall’esemplare, e sebbene nello stile seco lui non si elevassero, nella condotta non si smarrivano, nè andavano mai in pre-. cipizio, molto meno in subisso. Andando misurato il poeta sì faceva il maestro e tal fu quì fino in ultimo alla bellissima aria della regina che, discoperta la trama, libera l’ innocente e punisce il traditore. V’è terribile, ma sempre mu- sicale declamazione nel recitativo e nel primo tempo, vi è dolce pietà nel canto del secondo tempo; e nell’ultimo tempo v° è leggiadria e tenerezza con note che chiedono la più elegante agilità. La quale agilità può essere trovata irragionevole da chi non sa, nè può immaginarsi con qual’ arte essa un giorno era eseguita da cantanti, i quali tuttavia l'andata scuola sostenevano; e voler conoscere la bellezza di una mu- sica, e più d’un canto, senza che sia bene eseguita, è, si sa, il voler cono- scere il volto di una bella donna quando essa è fatta cadavere (4). Lieto della vittoria fu col Zorvaldo e Dorliska (1816) come ad un accordarsi per un lavoro maggiore: pel Barbiere di Siviglia (1816) che rinnova il prodigio di un’eterna giovinezza. La musica notissima, mai sempre vivissima, è portata a cielo per la va- ghezza, per l’allegrezza vera, pei canti originali, per l elegante armonia con fervido moto, e per una come onda d’invenzione libera, rapida, urgente che par minacci le sponde. Ma mi si conceda che, fido al mio tema, io segnali in questa opera eccellente della seconda epoca i luoghi più cospicui pel sen- timento e l’affetto. Tale il finale del prim’ atto, tra le più egregie creazioni (1) Non si confonda il tema dell’ultimo tempo di quell’aria sulle parole: « Bell’alme generose ec. » scritto dell’Autore nello spartito, con le variazioni sullo stesso tema scritte da lui per mettere in tutta mostra la bravura della prima donna Colbran. Queste variazioni sono d’ un fare accademico (come delle altre per le quali parve per poco che il Rossini nuocesse all’arte) che nulla ha che fare col metodo drammatico, di cui qui è argomento; e ne sono tanto distinte, che anzi correvano separata- mente, nè sempre si richiedeva che le prime donne l’eseguissero. Bee i ELOGIO DI GIOACCHINO ROSSINI 14 dell’inclito Pesarese, dove in prima è un pingere l'affanno con dilicato pen- nello; e° modi ora patetici di Rosina che si duole, ora animosi del Conte che se ne rammarica, ora irruenti del tutore che la sgrida, l’un l’altro si succe- dono con mirabile effetto, con andatura qui affrettata, colà in vero studio ri- tardata, ed ora interrotta, ed ora quasi discoppiante, da fare omai più con- vincere, che Rossini di musica sentimentale era felice inventore. Che dirò poi, a posta mia, che dirò, al second’atto, dell’ aria veramente pietosa e drammatica che canta la pupilla disfogando il suo dolore con | a- mante a lei presso sotto le spoglie di maestro? Quell’andante assai lamentoso, quell’agitato in seguito pel timore il dott. Bartolo non si svegli, sono di bel- lezza impareggiabile, si che mi sento quasi fuori di me uscito per maraviglia in vedere talvolta mandar via quell’ aria per sostituirvi altra, sia pure pre- gevole, ma a cui quì in vero non è illuogo. Che dirò al leggiadro sestetto, dell’ accento affannoso di Rosina cui Figaro esorta a non starsi e disperare? e, dopo la viva e nuova tempesta, descritta con suoni industri in tutta la sua forza, che dirò del primo tempo del terzetto al trionfo inaspettato del tenero amatore? e di que’ canti gentili, di que’ tragetti sceltissimi a far più care sino in ultimo rilucere le faville d’amore? che dirò io quando Sthendal-Beyle egli stesso, biografo accurato, e grande amico del Rossini « male, esclamò, male av- visano essere il Barbiere opera interamente buffa, ma essa al più non è che un’opera di seconda gajezza »? Dopo di che la musica dell’ingegno creatore, che nel senso intimo della drammatica ad agio manifestavasi, e nel carattere con- forme, che ritraeva il carattere del secolo co’ suoi timori e’ dolori e con le sue trepidazioni che non sono più cessate, nella grande opera Otello s’ intese a pieno risonare (1816). Come il doloroso argomento colla fantasia del Novelliere Italiano aveva ispirato lo Shakspeare, così ora ispirava il Rossini, il quale si profferse con cuore più commosso e con fantasia più agitata a questa musica, fiamma dei vulcani d’Italia, come la chiamò il Foresi. Il caldo n’ è tosto per la pietà del protagonista, che gl’inni marziali del trionfo di Cipro interrompe con canto di tal tristezza da fare presentire sven- tura; ancora più in appresso al movimento che s’insinua col voto, che « amor diradi il nembo-Cagion di tanti affanni », pietà carissima che s’ aumenta nei cuori all’ incantevole duetto tra Desdemona e la confidente, dove un arcano senso di mestizia giunge a fare esclamare: questa donna sarà per sempre in- felice; pietà vivissima alla nota affannosa di lei stretta dal padre a nozze im- possibili; pietà tenerissima nell’aria del second’atto quando Desdemona odiata dall’ occulto sposo, e sì intanto innocente, e sì desolata, prostrasi a piè del padre, che par l’abbandoni: pietà in fine divina nel recitativo del terz’atto ai lagni della sventurata, al canto del gondoliere su’ dolci versi di Dante, alla ro- 19 ELOGIO DI GIOACCHINO ROSSINI manza, miracolo di malinconia, modello a tutti gli scrittori indi venuti a ri- produrre questo bellissimo e tutto italiano genere di canto. D’onde ascoltando l’ Otello tutti esclamano : nò, la vera espressione del dolore non fu solo in antico. Toccherò indi del terrore? Ora allo sdegno del padre nel finale del primo atto, che, discoprendo il segreto legame della figlia, prorompe, maledicendola, in quella famosa nota di settima diminuita di fa diesis che fa gelare il san- gue, e perdonare all'artista il suo soverchio ardimento: ora al second’atto al- l'inganno che soffre Otello per la perfidia di Jago e vuol morire ma vendi- cato dopo di lei, con nuovo e maraviglioso dialogo, in cui al terrore è mesco- lata la pietà, terminando in un acuto slancio, che gli ascoltatori toglie a loro medesimi, e tutti li porta all’ esaltazione più estrema; terrore sublime all’ ul- tima scena del terz’ atto. all’ infuriar della tempesta, della quale non fu mai la più poetica, ed al cui tenore spesso aggiustasi con vario moto il canto del geloso Moro, e la sua smania e le sue furie, e sino il suo dolore; giacchè i due affetti, lo ripeto, spesso qui si congiungono. E in esso un tutto insieme armonioso, severo, reflesso, un progredire del- l’arte de’ suoni dal Tancredi in avanti, una pienezza di canti ispirati, e con forza temperata da dolcezza, ed un dipingere col colorito il più incantevole tra il gajo del cielo Veneto e il focoso del cielo Africano. E in mezzo a tanto cu- mulo di pregi non mai un soverchiar di stromenti, non îati e sopracuti pro- lungati e laceranti, non urli come di fiere, non querimonie declamate, nè in- terminabili omei di moribondi; ne’ quali solo trascorrono que’ maestri che di- menticano, che Petrarca volendo esprimere ora il terrore, ora il pericolo, ora l'agonia di chi muore, questo solo cantò: « Che altro che un sospir breve è la morte? » Nulla di tutto questo nel Rossini, che nel canto più pietoso come nel più terribile, ligio ad un estro che sempre sacrifica sul casto altare dell’arte, lungi da ogni spasimo e da ogni orrore, desta tra’ bei canti ajutati da’ be’ suoni i due affetti sovrani che costituiscono il dramma; e che quind’innanzi, se da un tema serio è talora obbligato a passare ad un tema meno serio, non mai più per tal vicenda perde il tono drammatico. Giò fu veduto nella Cenerentola (41817) la quale tra la piena delle liete melodie e il ricco ed il brillante delle forme armoniche, come che non recate a tutta la perfezione del Barbiere di Siviglia, sì avvantaggia con la grazia spi- ritosa, e con quella rapidità ed eleganza che furono le speciali doti dell’ Au- tore; ma nella quale insieme si osserva del dolente e fin del malinconico che la rende misteriosamente più amabile. Come nel bel quartetto al prim’atto, e nel duetto tra l’oppressa giovinetta e l’incognito amatore; e, lasciando gli altri luoghi perchè i termini mi spingono, nell’aria finale al canto delizioso di Ce- ELOGIO DI GIOACCHINO ROSSINI iS, nerentola, che rammenta essere nata all’affanno ed al pianto, e che ora per- dona i suoi oppressori e li abbraccia, e con tenerezza si rincora alla idea della novella sua sorte; laonde anco il Carpani meditando la Cenerentola dovette dire, che in quest'opera v'è assai del commovente. Giò che in seguito fu ve- duto ancora nel Corradino (1821), dove, tra lo scherzevole ed il quasi scur- rile, mostrasi il pietoso e l’affettuoso nelia preghiera di Aliprando, e nell’estasi amorosa del trasformato Castellano. Che se tale sopra temi d’indole allegra, quale sopra temi d’indole seria? quale nell’opera impareggiabile la Gazza Ladra? (48417) Chi al soave terzetto non prega con Ninetta e con lo sventurato suo padre, affinchè il Nume bene- fico difenda- il giusto minacciato dall’empio insidiatore? Chi al finale del pri- m’atto non si penetra alle grida strazianti di lei strappata dalle braccia dello sposo per essere condannata del capo, come rea, che la credevano, di furto domestico? Chi non piange al pianto di Pippo e di Ninetta nelle squallide mura del carcere? Chi al magistrale sestetto tra le voci ora pietose, ora terribili del padre che innanzi a’ Giudici chiede e si affanna? Chi al suono funebre che inesorabilmente rintocca accompagnando |’ innocente giovinetta al patibolo? Il pubblico non si rimase attonito alla prima rappresentazione di questa mu- sica, come talora gli era occorso alla nuova bellezza di altre musiche di Ros- sini, ma rapito da melodia tanto drammatica gridò all’unanime evviva sino dal principio dell’eccellente sinfonia. Ed egli in tanta febbre dell’arte come poteva ancora per poco aver posa? E dopo l’Armida (1817) e dopo l'Adelaide di Borgogna data in Roma (18418), eccolo di nuovo in Napoli, sede, quasi dissi, della seconda sua maniera, a far di sè diversa prova con l'oratorio Mosè (1818); allora ch’egli più fervido e invi- diabile che nol sia stato il Cimarosa, il quale dall’allegro del Mazrimonio se- greto al serio degli Orazi e Curiazi ed al sacro del sacrificio di Abramo fe- licemente tragittossi, quì con significato ancora più profondo tra mezzo al dram- matico fece l’epico, e il sacro, presentire, che dovevano un giorno recarlo all’apo- geo. Perchè allora tutti gli stili gli si affacciavano alla fantasia, tutte le spe- cie l’allettavano, e come iride da iride in lui reflettevano. In seguito del qual presentimento ritornava al sentimento drammatico col Ricciardo e Zoraide (1818). E di là con animoso consiglio mettersi in prova col Gluck del declamato nell’ Ermione (1819) per quindi ricondursi alla fede degli Italiani accordi che mai abbandonano il canto con l Edoardo e Cristina (1819), in sino a riapparir nel suo bel punto con la Donna del Lago (4849). Gli risuonò nuova nota nel trattar questo tema, togliendola da’ canti di Ossian, all’eco che quì se ne ripercoteva sull’arpa del Monti e del Pindemon- te. L’amorosa melodìa s’insinua e molce il cuore al canto d'Elena che saluta i matutini albori, ed al duetto di Lei col congiurato Rodrigo, ed alle due arie 14 ELOGIO DI GIOACCHINO ROSSINI affettuose del delizioso contralto; come la tremenda ci riscuote al finale del prim’atto nel coro de’ Bardi ad accender l’ira de’ guerrieri con patriotici canti: dove Rossini dividendo l’ armonia in due orchestre, il coro de’ Bardi, e la musica militare, le riunisce poi con fina arte, che per sentenza de’ dotti è più piacevole di quella di egual sorta del Mozart. In fino a che la terribilità di tanti suoni, e nel terzetto, e negli altri cori, si chiude col grido di « o vin- cere o morir » che così allora cantatosi, s° è poi di continuo con ansia ripe- tuto, nulla accorgendosi che tale altera fierezza era stata da Rossini sin d’al- lora inventata. E quì per sorte pervenuto bisognerebbe che ad accrescer vanto ragio- nassi, come prima dell’Armida (1817) dall’incantevole duetto, di poi della Bianca e Faliero (41820) dall’ immortale quartetto, del Maometto Secondo (41820) dal- l’inimitabile marcia de’ Greci, della Matilde Shabran, (4824) di cui sopra fu detto, e di altre opere non pubblicate, e di molti, più che cento, componimenti di vario genere, ovunque sparsi; alcuni de’ quali, come fu ben considerato, equivalgono ad interi spartiti, e ognor più svelano un tesoro che non può punto esaurirsi. Tale la giovinezza di sua arte, che dissero fenomeno singolarissimo, se in cinque anni un po’ trascorsi valse a dare sì sterminato numero di produ- zioni, tra le quali diciotto grandi opere: nove di queste di prim'ordine. E pure in mezzo alla più apparente non curanza, nello strepitoso consorzio de’ suoì compagni d’arte, nell’officina de’ venditori di carte di musica, nella frequenza delle locande, nel clamore de’ festini; sino per le vie, ora all’ uno ora all’al- tro domandando che gli dessero di potere fermare sulla carta le sovrumane melodie, che più dal cuore che dalla mente scaturivano senza volerlo a lui, il quale vera fece trovare la sentenza, che « per gl’Italiani cantare è vivere, » a lui che potè più che mai essere ravvisato « Come torrente ch’ alta vena preme »; tramandando sempre musica facile, pronta, tutta cuore, tutta brio, tutta forza d’italiano artistico valore, che subito s'intende, che subito s'impara, senza ardui intrighi, senza il bisogno di prove e riprove, e senza il bisogno di ricercare altrove un più basso novello diapason pei poveri male arrivati cantanti. L’ accusarono, oh maraviglia! in tal suo più bel fervore, l’ accusarono di superfluo, ma quell’impeto, o furia, era sì maraviglioso che ciò che avrebbe po- tuto togliersi a fronte di tanta rara qualità era un. nonnulla; l’accusarono di fra- gore pari a quello delle armi che allora rimbombavano per le italiche pianure, ma fu solo animosa forza che avviva, nè mai va a coprire o ad opprimere il canto, nè mai a trasmodare, come oggi trasmodano; l’ accusarono di ripetizio- ne, ma si ripeterono tutti i grandi uomini Omero e Virgilio, Boccaccio e Sha- kespeare, i grandi uomini fatti spesso a prendere lo stesso errore che prese ELOGIO DI GIOACCHINO ROSSINI 15 il figliuolo di Cefiso, il quale dovendo essere poi per pena in altra forma tra- smutato, non in altra lo fu che in quella d’un bel fiore; l’accusarono in fine di ciò che dicono convenzione, ma la ferrea necessità, che spesso preme gli artisti, più gli artisti di musica, faccia quì compatire se non può fare assol- vere; quì dove è da soggiungere, che in questo sole non mai apparirono an- cora che picciole macchie quando i suoi raggi percotevano le fronti e facevano gli animi ribollire colle creazioni di prim'ordine, come il Tancredi, il Barbiere di Siviglia e V'Otello; quì dove è da concludere, che quelle accuse furono più di tutto esagerata opera di Zoili; li quali non è stato mai uomo di genio che non abbia tollerato, e niuno più li tollerò di Gioachino Rossini, che date le spalle al rabbioso vento dell’ invidia, mentre solo la ignoranza è senza invi- dia quaggiù, volle con la Zelmira (41822) cingersi di nuova aureola. In essa non una sola ripetizione, non una sola frase che non sia espres- siva. Cercando la Zelmira in tutte le sue parti si trova un effluvio di dolce tristezza, che al. Cimarosa riconduce ed al Mozart; e l’amore col dolore vi sono suscitati in pari guisa, od in migliore, della Gazza Ladra e della Donna del Lago: mentre le cantilene sono elette, e la ispirazione porta alla declamazione, che viva sì vi si osserva, ma sempre canora; giacchè allora al tener della nota ed al canto declamato cominciavasi a fare ritorno; e a recare in minor nu- mero i fiori, e gli altri ingegni di soverchio piccanti. E vi si osserva ancora maggiore sviluppo di scienza; chè quì all’animoso intuito ancora meglio rispon- deva il grave ed accurato riflesso, come ancora meglio chiedevano i tempi, nei quali l’arte sempre adagiasi col suo accorto magistero. Giò fece Rossini, ma stando sempre nel proprio ambito; in tutto senza man- care, in tutto senza eccedere; e qui anzi, o Ascoltatori Illustri, chieggo non senza alterezza di considerare, che questo ingegno creatore, di vena quasi irrefrena- bile, guardò di continuo l’arte non traboccasse, e se s’ingrandì e s’inalzò, e aggiunse pregi ai pregi, cercò il più; ma cercò il meglio, arrestandosi nella li- nea dove comincia il difetto. Preso alla varia bellezza, inebriato dal lume di tanta gloria dovrò io tener- gli dietro ora che egli giunge al sommo di sua eclittica? ma non sia che me ne rimanga, giacchè mi deliberai con affetto a celebrarlo. Già risaliva l’Italia per alla Francia quando aveva montato l’ arco dei suoi anni ed al più alto volo preparavasi. E sulle lagune della Roma dei mari dove un giorno erano risuonati gl’ilari e lieti canti dell’Ifaliana in Algeri, ora i gravi risuonavano e i patetici della Semiramide (1823); suo addio all’Italia, che gli fu madre e mae- stra. Quale maravigliosa vicenda in meno che non fanno nove anni! Al canto d’indole lirica era quello succeduto d’indole drammatico, ed ora il canto sus- seguiva che dell’indole epica prendea. 16 ELOGIO DI GIOACCHINO ROSSINI Quantunque in sulle prime ancora essa la Semiramide abbia gli animi sbigottito, pure alla fine penetrò col raggio di sua bellezza, e tutti ne. furono rischiarati e consolati, e si diffuse di lido in lido, e passò i monti e percorse come lampo tutto l’universo; tal che Rossini ne fu chiamato l’autore della Se- miramide. In essa trovarono dell’epico in mezzo a tanto drammatico. Natura segui- tava il suo industre lavoro; l’artista in sull’andare dal secondo al terzo passo, sentiva già di questo, ma teneva tuttavia di quello. L'introduzione in ampia forma, il gran finale del primo atto, più nella sua prima metà, i cori dei sacerdoti della maestà e del riposo epico danno già un cenno: mentre il duetto del soprano e del contralto che s’ispira alla cara mestizia dei canti del nostro mezzo giorno; il duetto tra la regina e l’indegno suo ministro, e l’aria di co- stui prima di scendere nella tomba, sentono del movimento drammatico assai vivacemente; come indi il finale con quei gemiti, con quel dolore. con quel ter- rore sino al terzetto, che ripetendo, ma con altro movimento, la prima frase dell’allegro della sinfonia, provvede col bel ritorno al senso intimo dell’opera e lascia negli uditori una sensazione indelebile. Tutto secondato da un tono spesso concorde al risentito orientale dei luoghi dove l’azione trascorre; e così in altre opere. E pure ciò a grandi tocchi e risoluti: non mai mutando e rimu- tando battuta per battuta, che par l’usare un nuovo gesto per ogni nuova pa- rola, come fanno gli scrittori cui spesso manca l’estro; sì inventando con frau- chezza ed animoso consiglio, come fanno i veri valentuomini i quali al mondo sono pochi. E già i destini lo chiamavano in Francia per darsi al terzo ludo in terra ancora essa di dotti e protettrice delle arti, posta quasi nel centro di questa che dicono la parte più incivilita del globo; quasi per fare meglio a tutti ma- nifesta la sua novella azione ed il supremo suo esempio. Qual tema più degno dell’ epica grandezza che il riscatto di un popolo dalla schiavitù in cui geme? ed egli che ora vola com’ aquila, questo tema fa segno delle sovrane sue note, e ritorna al Mosè ed al Maometto, e-li rabbe- lisce e li compie, come l’arle gli dava nel suo maggiore incremento. Gli Alemanni proclamarono il Mosè capolavoro. Giò che nel 1818 aveva, e nel 1820 presentito, ora nel 1826 e nel 1827 certamente sentiva, e | uno diede alla scena di Parigi col titolo Assedio di Corinto. l’altro annunziandolo ‘oggimai rinnovato. Colà l’ardita impresa di una gente di antica grandezza, che si vuol togliere al giogo dei barbari oppressori, è resa con musica di tutta gagliardezza; eco, più che già da sei anni, alle battaglie, che fieramente com- battevansi. E dal canto maestoso del potente Musulmano chiamando i suoi prodi ad esultargli d’intorno, all’animato ritmo dei soggetti che insorgendo con suoni bellicosi affrettansi alla pugna, è un’altezza, è una grandezza che non vanno ELOGIO DI GIOACHINO ROSSINI 17 in parole. Quà dalla solenne invocazione al Signore fatta dal Condottiero del popolo Ebreo per domandare che le tenebre dal cielo Egizio si diradino, alla preghiera del popolo, che si riscatta e chiede pietà sulle rive dell’Eritreo , preghiera resa efficacissima per un rivolto assai mirabile di modo che ha fatto esclamare, potersi sopra essa fondare una religione, è altezza e grandezza an- cora più ineffabile, perchè viene da Colui che di lassù ispirò il santo libro. Sul teatro musicale Italiano di Francia, palestra del buon gusto, che sin testè vi avevano mantenuto Cherubini e Spontini, ora si apprestava il desiato compimento per mano di un artista vi è ancora più grande; il quale dopo /As- sedio di Corinto ed il nuovo Mosè, dopo i cari avvicendamenti dal Viaggio di Reims (41825) al Conte Ory (1828), vi faceva ascoltare il Guglielmo Tell (41829) l’ultima e la più grande delle sue opere, che bene i critici chiamarono epopea svizzera, come avevano chiamato epopea ellenica / Assedio di Corinto, ed epopea sacra il Mose. Nella sinfonia la più bella di lui che n’ era inventor felicissimo, dai festivi ranz des vaches al terribile rimbombo di patria guerra è un andar mara- viglioso di potentissimo effetto. E come, guardando a si eccelsa opera, come di parte in parte si potrebbe descrivere il pregio di essa, che bene addiman- dano un mondo immenso musicale? Alla tenerezza delle melodie amorose e alla dolcezza dei carmi nunziali al prim’atto, secondati da vaghi balli che me- nansi al canto con Dantesca fantasia, rispondono al second’atto la piana ele- ganza dell’aria di Matilde e ’1 caro foco del suo duetto con l’amante. Al terzo atto le melodie si fan più deste, la grandezza nell’armonia cresce al doppio, di luogo in luogo, di tratto in tratto, vie alle mirabile creazione del giura- mento dei Canzoni, ascoltando la quale Donizzetti esclamò: la musica del primo e del secondo atto e del quart’atto del Guglielmo Tell l’ha composto Rossini, ma la musica del terz’atto l’ha. composto Dio. E nel quart’atto l’artista, altero di avere sin qui condotto un prezioso congegno, dove la pompa dell’arte in alta maniera si dispiega, presso al termine si regge con varietà che è fonte di bellezza, allorchè sparge nei cuori la più dolce gioia con musica , che de- scrive, e quì scolpisce, l’arrischiata prova di Guglielmo, la salvezza del figlio e la morte del tiranno, che dallo Eroe, sì trasalito, finalmente fu ucciso. Là dove Rossini torna al brio della lieta sua vena, quale meglio scaturivagli del- l’animo infocato, e meglio valea a chiudere il corso glorioso di sì infinite bellezze. Ed oh (prego che si avverta) quanta diversa gioia! Che come il dolore ed il terrore degli atti precedenti del Guglielmo Tell hanno una tal quale spe- cie di elevatezza, che nelle drammatiche melodie dell’ Otello e della Gazza ladra sino a questo punto non si trova, così le gaje cantilene del Guglielmo Tell, lungi dall’ avere lo spensierato e ’l leggero dell’ Italiana in Algeri e del Turco in Italia, e delle altre bellissime opere giocose della prima epoca, 3 18 ELOGIO DI GIOACHINO ROSSINI hanno un non so che di soavemente dilicato, di leggiadramente esquisito, che porta sempre ad elevarsi, e fin si accorda al sublime degli atti precedenti. Il Guglielmo Tell di Rossini fu lodato da tutti, dotti ed indotti, e di quale che siesi sistema; perchè in esso Rossini valse a recare alla perfezione la melodia e l’ armonia senza intorbidare la purezza del canto italiano. Chi lo chiamò quindi portento musicale, i cui cori sono altissimi poemi, chi lo disse l’espressione più compiuta, chi l'adempimento anzi del desiderio di tanti anni e delle fatiche di tanti sapienti, chi il non plus ultra dell’arte; la sua perfe- zione. La Francia fu altera di avergli dato a cogliere l’eccelso alloro; invidiabile a tutte le altre nazioni, da che sopra delle altre gli fu benefica e generosa. Ed egli al suono di tanta lode, con chiaro animo scorgendo che alla musica del teatro non era più che aggiungere, si tacque omai per essa, a cui tutto aveva dato. Parve ozio vizioso, e fu virtuoso contegno in lui che, giunto al colmo, temeva, oltre andando non si dilibrasse. Dal Guglielmo Tell come da miniera tutti, come considera l’Hallevy, tutti cavarono Italiani e stranieri; e Mayerbeer, che ascoltando il Tancredì 1’ avea imitato col Crociato, ora ascoltando il Guglielmo Tell lo imitò con gli Ugonotti : mentre la Francia per Auber il più provetto de’ suoi artisti, che pure lo imitò in qualche luogo della sua Muta di Portici, con gran voce lo chiamò Divino Maestro e Giove della musica. Consacrava così il nobile titolo dei coltivatori della cara arte dei suoni, che male dai cultori delle altre arti si trascura, sino a vergognarsene ; dava così al Rossini il nome a lu} adeguato per questo perfetto lavoro della terza sua epoca, perchè lo appellava col nome del padre degli dei; come dianzi in me- rito della Zelmira, perfetto lavoro della seconda epoca, l Italia per Giuseppe Carpani lo chiamò maestro Juniore, come già sin merito del Tancredi, perfetto lavoro della prima epoca, tutto il mondo per Sthendal-Beyle 1’ aveva chiamato musicista dall’estro vergine. I tre voti quì si vedono di mutua virtù contra- cambiarsi, e tra gl’idoli che li rivestono, mostrano l’ordito del mio elogio ra- gionevole e chiaro, e ’l merito del Rossini dirittamente segnalano: prima genio ingenuo anzi divinatore col canto ispirato da colui che finsero nume dell’ado- lescenza, cui fa dato di portare a perfezione la cetera; poi coltivatore dei più intimi affetti nell’irritare nel molcire, nell’empiere di terrore col dramma, di cui fu padre, colui che attribuirono a nume della giovinezza, domatore sì delle tigri, ma protettore di Eschilo, di Sofoche, di Euripide; condottiero in fine dell’arte al più eminente suo grado, eguale al grado della più grande delle poetiche creazioni, nata dalla mente del cieco vate di Smirne, al fiato di Lui che die- dero a nume della virilità, e dissero, che col cenno facea tremare l’ Olimpo. E intanto, essendo che l’epico ha così prossima cognazione col sacro; poi- Pi TEEN RSLIE RARA ELOGIO DI GIOACHINO ROSSINI 19 chè dopo del Guglielmo Tell il grand’'uomo , prendendo commiato dal teatro non lo prese già dall’ arte cui fu fido sino all’ultimo, trai canti di vario ge- nere e di geniale argomento, onde gli corse in seguito la vita senza che più il premessero le necessità dell’artista, scelse al fine di coltivare la musica re- ligiosa. Quindi pose in nota ancor egli le meste parole dello Stabat (1841), la cui musica ha un sentimento dolce insieme e profondo. Dalla lamentosa in- troduzione, che tutta ritrae l'intensità del dolor materno, all’animato e rapido finale che ripete il desiderio della superna felicità, sono maestosi e pietosi canti, li cui pregi non distinguo perchè il confine m’è presso. Cercherete voi ascoltatori col vostro cuore più che col vostro intelletto , la dolcezza dell’ an- gelica melodìa del tenore, i duetti delle donne che superano in leggiadria gli eguali del Tancredì e della Semiramide, il vivace Inflammatus, la grande strofe alla palestrina con l'incantevole intercalata del basso, il terribile squillo an- nunziator del giudizio; tutto voi cercherete e ’1 diletto vi sarà maggiore e la impressione più intera: a me solo bastando averlo fatto per cenni, onde si abbia che quel sentimento e quella bellezza sono un certo testimonio del progresso da lui recato anco alla musica sacra. Mormorino alcuni mancarvi in certi passi la santità, giacchè il mormorare contro i valentuomini non cessa sino in ultimo; l'ombra, secondo me, secondo altri di me maestri, di tratto si di- legua, se lo Stabat abbia esecuzione sentitamente posata e meditatamente affet- tuosa; e di continuo, come voleva l'Autore, ed in chiesa, ch'è luogo da esso. La musica religiosa è la musica per eccellenza , perchè è la musica che unisce la terra col Cielo; laonde i più eccelsi maestri non hanno creduto mai di chiudere degnamente la carriera, se non l’ appuntassero tra ’1 pio tenore dei devoti canti; come i poeti più eccelsi terminarono con tali inni la serie diversa dei loro componimenti. Laonde Gioachino Rossini avendo poi dovuto vedere agitarsi e trepidare l’Italia, dov'era due volte ritornato, d’onde era me- stieri che di nuovo e per sempre s’allontanasse, non volle dalla sacra terra l'una e l’altra volta dipartirsi senza lasciarvi di se un’orma in questo genere vastissima. La prima volta compiendo i Cori alle tre virtù (1841), da cui le altre derivansi, che, collocate dall’Alighieri in giro dalla destra ruota del carro trionfale del Signore, ne gioiscono ognor più e fanno gioire i redenti, con vera delizia tramutandoli dal mite candore dell’una, al vivo rigoglio dell’altra, e via al santo: foco della terza. La seconda volta musicando l’inno di Bacchilide alla pace, (1847) con nuova ardita fattura, con maraviglioso, al suon dell’eco, ed inarrivabile congegno. Qual’orma più vasta potea stamparsi e quale più pre- ziosa? È la pace il premio delle virtù, la musica lasciataci dal nostro grande «maestro in efficace modo ci giovi: l’ Italia virtuosa ed in pace tornerà tutta dessa la. regina del mondo. 20 ELOGIO DI GIOACHINO ROSSINI Tosto alla fine oltre i monti per dare alla benefica Francia l’ultima prova di valore nella messa, che disse piccola (1863), ma che tutti addimandano col giusto nome di grande. Nella quale alle glorie antiche aggiunse le nuove, e il religioso conservando e ’l progresso dell’arte contemperandovi, fè ascoltare una musica con ingegni anco migliori di quelli usati dai maestri che lo precedettero. Come alla bellezza ora grave, ora pietosa, ora elevata e celeste potrò io trovar modo di adeguar la mia orazione? come al caro Domine Deus, al mestis- simo miserere nobis, alla famosa aria del Crucifirus, al divino canto 0 Salutaris Ostia, alla prelibata apostrofe dell’Agnus Dei, alla fuga del cum sancto Spiritu che chiamarono una pagina di Michelangelo? Mi terrò solo al Sanctus, nel quale il maestro, dopo un vivo e quasi subito slancio, si aumenta, s’innalza, e ne porta il finito ai pie dell’Infinito. Non è chi oltre a tutti gli altri lavori sacri di Rossini, non è chi a questo s'accosti e sopra gli altri non lo ponga; e non vi scorga il grand’uomo presso al termine dei suoi giorni avere meglio presentito i canti che in Cielo eter- namente risuonano, e col Savigny non vi senta per entro il dolce irradiarsi della bellezza di Raffaello; non è chi di noi Italiani non si commova e super- bisca, ricordando che Mayerbeer alla sublimità della messa di Rossini lo pro- clamò maestro dei maestri, e ripetè con più animo l’ antico voto di Condillac intorno alla nostra musica: il genio è vostro, o Italiani, e noi lo veneriamo troppo per non riconoscerlo ed adorarlo ove che sia. Autor tanto immortale, dell’arte tanto benemerito, impresse le sue vesti- gia solo dovunque era degno di lui; tralasciò i temi che non fossero virtuosi, e’ temi orribili sfuggì, peggio che i fantastici; e dar moto moderato al cuore umano fu solo suo vanto. Tale ne’ piccioli componimenti quale ne’ grandi; solo di mole piccioli, ma grandissimi di merito: le dodici serate musicali; il Laws Deo di pretta espres- sione; il canto dei pastori, il duo dei marinari, il daco da seta pei miseri lavo- ratori di Lione, il voto di riconoscenza al famoso monaco Guido di Arezzo, la farantella coi cori per li dilettanti di Napoli. Alla morte del Cherubini, che l’avea preceduto nell’atto indipendente della riforma della musica il canto dei Titani, come Titano egli stesso s'intese poi chiamare da Mazzini; alla morte di Mayerbeer capo degli armonisti Germanici il suono funebre con pia mestizia ispirata da amor fraterno; nella grande esposizione di Parigi la sinfonia tutta brio di universale esultanza; ed ora alla Spagna consacrandosi, ed ora al Portogallo per esprimere coi suoni i loro varii commoventissimi casi; ed ora alla Inghilterra mandando con grato animo a Lord Vernon la sua Francesca da Rimini; ed ora all'Italia, primo dei suoi pensieri in sino all’ultimo, tosto- chè non fu chi non si sentisse ricercare le viscere all'estremo canto di questo cigno nel 1868, intitolato—una parola a Paganini, elegia dirizzata al Sivori: bue ELCGIO DI GIOACHINO ROSSINI DA: onore reso dal signore dell’arte al più bello degli strumenti, cui avevano accre- sciuto pregio quei due valenti Italiani; miracolo questa elegia di doloroso sen- timento in lui, che tanto miracolo di letizia aveva prodigato nel corso dei suoi giorni. Intanto che, come di Mozart fu detto, che, avendo imparato la nota patetica dal Boccherini, non aveva potuto in tutto dimetterla in quale che siesi stata più allegra composizione; così Rossini, egli stesso, di se a pieno con- sapevole, fu sempre in dubbio, nei suoi componimenti i più serii non tra- sparisse talora la gaja venustà, che in vero fu l’anima del divino suo estro. Quì termina la vita artistica di Gioachino Rossini, perchè quì termina la sua vita naturale, essendo con lui cessato un alto vanto dell'ingegno umano e dell’umana fantasia. Pochi uomini furono in terra celebri altrettanto; niuno lo era certamente al momento in cuì egli finì di vivere. Capo di una scuola che non potrà più sconoscersi, e sapendo tutte quante le composizioni che sino a lui s'erano scritte, tal che fè rivivere il mito che la memoria è madre delle Muse, ristorò l’opera giocosa, creò l’opera seria, migliorò la musica sacra, e fu fido sempre al precetto di Dionigi d’Alicarnasso, che nel piacere al popolo è riposto il fine d’ogni arte ed il principio d’ ogni giudizio. Nacque pel canto, e vi fu fedelissimo. Ne scelse la parte più eletta e la seguì con ispirito e con dolcezza ; e se il canto fu creato per esprimere l' a- more, per eccitare a generosi gesti, per mettere in accordo la terra col Cielo, chi di lui ne diede più vero, chi più splendido esempio dall’amor giulivo del Ricciardo e Zoraide, della Matilde di Shabran, della Zelmira all’ amor dolente del Tancredi, dell’Otello, dell Ermione; dal canto energico dei Bardi nella Donna del Lago al feroce giuramento degli Svizzeri nel Guglielmo Tell; dalla pietosa invocazione della Gazza Ladra alla miracolosa preghiera del Mosè? Zelatore dell’arte ne tolse gli abusi, ma senza ira; ingranditore dell’ arte inclinò al vario e all’ornato, ma senza sbalzi, nè accumulo; e lungo tanta car- riera non mai, raro a udirsi, deviò o decadde. Di fantasia nata al bello, chia- mò l’Urbinate suo maestro e suo autore; ima non già, che con maravigliosa possanza non si desse all’ineffabile volo del sublime; e di natura artistica eguale a quella del Canova, i cui marmi, onde avventuroso atticizzava, gli furono in- nanzi agli occhi sino da fanciullo, se allo scultore di Possagno era stato dato insieme che l’Adone e la Danzatrice , fare il Perseo ed i leoni del Mausoleo di papa Rezzonico, a lui tra mezzo ad uno sterminato numero di composi- zioni di media tempra per le quali era stato proclamato bel genio, fu dato ancora di creare la Semiramide, il Mosè, il Gugliemo Tell. Nell’auge della gloria si compiacque di coloro, che al suo esempio aggiun- gevansi, che tutti, ancora i suoi compagni, diventarono suoi seguaci, ed altri ancora ne sorsero in grandissimo stuolo; e guardò con contento animo i più Î] 29 ELOGIO DI GIOACHINO ROSSINI illustri, e disse naturale Bellini, fecondo Donizzetti, dotto Mercadante, e lodò Verdi nelle sue prime opere: ma si fece poi timido al trascorrer degli uni, ed ebbe dolore della deviazione degli altri. E quando / opera si cangiava in un concerto di strumenti con l’accompagnamento delle voci, e tra’ boati e lo schia- mazzo era la più nemica implacabile minaccia, fu ancor questa la ragione per la quale si. pose in silenzio pel teatro; mal soffrendo che in tempi sì di so- verchio agitati la musica dovesse andarne in eccessiva agitazione: avendo poi riso del riso inestinguibile che Omero attribuisce a Giove, per quella che di- cono musica dell’avvenire. Che non è mai stato un più assurdo di questo, un capovolgere, un chie- dere che la quercia metta in alto le radici e configga sotterra le frondi. Domi- na (4) nella poesia e nella letteratura sotto il nome di scuola dell’ avvenire un freddo realismo, e domina del pari nelle arti belle: nella pittura che si com- piace dello sfoggio degli accessori anzichè dell’espressione dell'intimo affetto; come nella musica che per riuscire imitativa si fa rumore assordante, ed alle armoniche combinazioni sacrifica l’espressione melodica. Ma questo realismo non può prevalere lungamente in Italia ove le arti ebbero sempre un culto più spirituale e tradizioni più gentili. Non può prevalere, più che altro, nella musica, che tutta sta nel tempo, ch'è alta ministra dell'umano sentire, risposta agli affetti alle idee alle glorie alle sventure quali che sieno di solo il tempo che corre. Non mai la musica dell’avvenire fu tanto disprezzata che in Francia; non mai altri tanto la maledisse quanto il Grande che salì per continui trionfi dal Tancredi al Guglielmo Tell. Romoreggiando più furiosa la tempesta dell’arte , accorse Gioachino Ros- sini in sul confine della vita, e sentendo ch’era presso ad essere accolto tra le braccia di Colui, che, come disse l’Aquinate , è fonte di consonanza, testò due premi, uno al migliore autor di poesia melodrammatica, l’altro al miglior maestro che la renda in musica, ed, espressamente , che sia un melodista; la poesia e la melodia al grand’uomo furono vedute gli elementi più precipuî d’ una eccellente musica; la poesia e la melodia, al culto della bell’ arte eterna base e sostegno, quì da Rossini avvantaggiate: compimento al bene che alla musica, immortal Genio, avea fatto. (1)Seguito quì le parole dello egregio dott. B. Prina (Le nuove condizioni d'Italia:e la letteratura L. s.) il quale vi manda innanzi questa altissima sentenza « Le lettere ele arti belle non fioriscono per solo magistero di regole o per eccellenza di metodi; ma sorgono a perfezione sol quando si accendono d’in- timo affetto e s’inspirano alle sublimi idee di religione e di patria. Ora questa potenza di affetti, questa fede operosa in un che sopranaturale ed eterno, fu nella moderna società affievolita dallo scetticismo »; e «conclude riportando la non meno alta e preziosa sentenza del professore. A. Conti (IV bello nel vero l. s.) « Lo scetticismo sinistramente opera sulle arti del bello, perchè dai filosofi passa ‘negli artisti e nel popolo, divenendo infermità ‘universale, ‘oravissima, minacciosa di guai. » ELOGIO DI GIOACHINO ROSSINI 23 L'ultima sua azione fu all’arte Italiana la più utile; le ultime sue parole sieno alla nobil arte le più esemplari. Ah lungi da noi una musica che dicono Gallo-Germanica, connubbio impossibile. La musica nostra in questa terra vero dei vivi sempre risuoni e si mantenga; ed essendo la musica l’espressione del sentimento delle nazionalità, come insegnò il maestro dell’ Accademia, nella maniera più fida sempre la bell’indole della nazione rappresenti. Ah l'Italia gran madre ad altri canti s'ispiri, che ancora gli animi confortino, e s’innalzi a portati originali e propri, e la memoria di questo, ch'io chiamo uomo d’oro, le stia innanzi, e la rincori. E la gran madre dell’arbor vittoriosa e trionfale. ornando la sua fronte, a tal segno fortunato per la musica arrivi, che, come al primo splendore dell’ estro di Rossini fu con gioia esclamato: ecco il redi- vivo Cimarosa, così al primo splendore dell’estro di un altro novello apporta- tore di vera musica Italiana possa con egual gioja esclamarsi: ecco il redivivo Rossini. SULL'ANTICO EDIFIZIO DELLA PIAZZA VITTORIA IN PALERMO MEMORIA DEL SOCIO PROF. G., B. F. BASILE Letta nella tornata del 29 novembre 1874 Se vero é che nelle arti il giudizio diritto e sicuro sia scabro e difficile, e vaghi spesso fra limiti assai lontani, ragionare di quella splendida opera e stupenda che per avventura nel dicembre del 1868 fu scoperta nella Piazza della Vittoria nella fausta occorrenza delle feste dalla Città di Palermo ordi- nate ad onore de’ Principi Reali Umberto e Margherita , è compito malage- vole, quando già eruditi italiani e stranieri non ne rintracciarono sinora un cenno nelle storie delle epoche , alle quali opinarono riferirla, nè ricordanza alcuna negli scritti dell’età posteriore rinvennero. E pure il monumento è rag- guardevole; ed occupa una vasta superficie. I frammenti delle colonne corinzie, i bei capitelli, i resti delle pitture murali, le grandi sale con pavimenti a musaico che figurano le ricche leggende della mitologia gentilesca ; ed ivi lo intreccio vago degli ornamenti, la posa naturale di molte figure, alcune teste ispirate a dolcezza e grazia verginale, ed altre maschie ed ardite con disegno largo e potente ; la finezza del lavoro materiale , e la disposizione magnifica del tutto assieme fanno arguire valenti artefici, e ripongono quest’ opera per alcuni versi al di sopra de’ monumenti della specie escavati in Pompeja. 2 SULL ANTICO EDIFIZIO Nè questi detti per orgoglio municipale; poichè un distinto straniero, il signor Aubè , il quale ammirò le peregrine bellezze de’ particolari di questo antico nostro edifizio, lo giudica altameute « Se è musaico , egli dice, della battaglia di Arbella ha maggiore interesse per la composizione, si può dire che non sì è rinvenuto sin oggi in Pompeja alcun mosaico che abbia tanta grandiosità e tanto stile quanti il Nettuno , tanta bellezza quanta V Apollo raggiante, e tanta grazia e vita quanta ne hanno la bionda testa della Pri- mavera e la testa bruna dell’Autunno nel musaico di Palermo. Ed il professore Heydemann dopo averne dato descrizione soggiunge : #/ musaico di Palermo è da stimarsi fra è primi per la grandiosità e per la ricchezza del motivo; e fa voti urgenti che ne fosse fatta la pubblicazione. Giova intanto in sul principio osservare nel più grande de’ pavimenti a musaico le non poche restaurazioni, e le rappezzature quà e là in varj punti con notabili differenze; alcune molto antiche con serio proponimento di ripri- stinare la forma sdrucita, coscenziosamente imitando , ed altre allo scopo di livellare, o d’impedire guasti maggiori; rappezzi nei quali vi ha sempre qualche disegno intromesso,che per grossolano che sia, sparge un pò di luce a cuno- scere le epoche nelle quali l’edifizio, perdurando, fu usato e goduto. II Occuparonsi del nostro antico edifizio con notizie abbastanza particolareg- giate, direi quasi esclusive, delle rappresentazioni figurate dei pavimenti , il prefato professore Heydemann nell’Areheologische Zeitung di Berlino, il signor Aubè in una memoria diretta al Ministro della pubblica istruzione di Francia ed il sig. Pitrè in un articolo pubblicato nel Supplemento perenne alla nuova enciclopedia di Torino. Il sig. Starrabba poi con alcuni suoi appunti nélle Nuove Effemeridi sici- liane di Scienze, Lettere ed Arti, muove a confutare l’ Abate Di Marzo , il quale in una nota del primo volume de’ Diari della Città di Palermo, conget- turava probabile che questi preziosi avanzi appartenessero all’Aula Regia, di cui fa menzione Falcando come sottostante al Palazzo nuovo dei Re Normanni. Il Professore berlinese ritiene che l’edifizio fosse stato una ricca privata abitazione de’ tempi romani, appartenente ai primordj della seconda centuria dell’era cristiana, e concede che potrebbe anche riferirsi alla prima; osserva le antiche restaurazioni, ‘ed i rappezzamenti delle epoche posteriori, e per essi si limita a farne ravvisare l’importanza; dottamente illustra le figure del musaico e conchiude osservando la semplicità maggiore che scorge nello stile dell’ Orfeo dell’ altro suolo, del quale il lavoro gli sembra meno gentile del primo; ma fedelissimo e vivace nel colorito e nel disegno. PE ILE Se PESTO DI PIAZZA VITTORIA IN PALERMO 5) Il Signor Aubéè si fa luogo a dubitare che lo spazio escavato appartenga ad un solo edifizio, e ritiene certo che gli oggetti resi alla luce sieno di vario interesse e di epoche differenti forse distanti non poco fra loro; dalle ristau- razioni ricava che sono parecchie l’età sovraposte, ed almeno due le serie dei possessori; si avvisa che la sola parte veramente importante, in riguardo al- l’arte antica , comprenda la sola metà dell’ escavazione dal lato che si volge al corso. Quando poi egli scende a considerare il primo quadro cioè : la fine tra- gica d’Ippolito rappresentata nel pavimento della prima sala dell’edifizio, non crede probabile che una composizione di quella importanza fosse per bene spie- gata nella soglia di una antica abitazione, e si permette di supporre che l’an- tico ingresso fosse stato dietro a colui che entra nello stato attuale. Si ferma quindi a considerare il pezzo principale dell’ escavazione, cioè il grande pavimento a musaico, lo ritiene più antico di quelli di Pompeja, od almeno dell’epoca medesima, e rileva che taluni ornamenti hanno riscontro in questi ultimi, ed in altri antichi musaici raccolti nel museo del Vaticano ; nota pure le cattive restaurazioni, e gli stupidi riempimenti di pietrucce del- l’epoehe posteriori, e reputa che il Municipio di Palermo avrebbe in miglior modo provveduto alla conservazione di questo prezioso monumento col farlo trasportare iu una delle sale del Museo della città (4), avvegnacchè, le pioggie, non ostante la tettoja costruitavi, in parecchi punti vi abbiano cagionato molto danno. Esaminando il pavimento della terza camera opina , che l’Orfeo solo sia di eccellente disegno ; ma ne giudica il valore assai inferiore a quello delle Stagioni, dell’Apollo raggiante, e del Nettuno della grande sala; lo rapporta al regno degli Antonini cioè , alla prima metà del II secolo , dimostrando le differenze che lo distinguono dalle rappresentazioni del mito d’ Orfeo trovate da De Rossi nel Cimitero di S. Calisto, e dalle altre simili rinvenute nelle catacombe, e riportate nella Roma sotterranea del Bosio. Conchiude col calco della iscrizione a graffito scoperta in un frammento di colonna, e conviene ch’essa sia intera secondo l’opinione emessa dal sapiente nostro ellenista Principe di Galati; ne riporta la doppia lettura a norma della separazione delle lettere , che può farsi in due modi diversi cioè, nel primo modo: Sì certamente è una fortuna avere una sola donna e nel secondo: Sì, sia, chessa invecchi questa donna, nella sua solitudine. Opina impertanto che questa iscrizione, approdi a nulla per determinarsi l’epoca del nostro edifizio ; perocchè le lingue punica, greca e latina furono (1) Questa opinione era stata annunziata sin d’ allora che fu scoperto il musaico dagli egregi Ab. Gravina e Prof. Bozzo nostri Socj. Li SULL’ANTICO EDIFIZIO lungamente in uso nell’antica Sicilia; e la greca si parlò e si scrisse sino al- l’araba dominazione. Il sig. Pitrè descrive egli pure con diligenza ed interpetra le figure a musaico de’ pavimenti; siegue osservando che la rappresentazione dell’ Orfeo sebben corrretta, non abbia la delicata esecuzione di quelle della grande aula; dalla freschezza degli intonachi de’ frammenti delle pareti inferisce che queste non sieno le primitive; ricorda la moneta rinvenuta negli scavi colla iscrizione greca ZANOPM. In quanto all’ epoca gli apparisce chiaro che l’ edificio in maggior parte richiami alla romana dominazione , e la grande aula segnatamente a tempo non molto lontano dal secolo d’Augusto; posteriore di molti anni la sala d’Or- feo, e posteriori anche più gli altri pavimenti che non sono composti con fi- gure. Gli sembra in complesso che altro sia stato l’uso dell’edifizio in origine, altro ne abbia preso col volgere del tempo , e col cangiare di dominazione ; pubblico in prima , privato da ultimo; non inverosimile che abbia potuto essere il palagio della questura romana. Il sig. Raffaele Starrabba è il primo che con documenti storici e ragioni filologiche entra a discutere per via di esclusione le fattesi congetture relative alla conoscenza dell’edifizio. Egli nega che questa sia l'Aula regia del Falcando, comecchè la parola Aula (nel greco «6d) coll’ autorità di Ateneo significhi atrio cortile , luogo aperto; nè la grandezza del monumento escavato risponde a quel luogo ove Guglielmo I fea convocare il popolo, e molto meno alla vastità del regio cor- tile che comprendeva secondo la relazione di Ibn Giobair le abitazioni dei cortiyiani, le sale del consiglio, le officine del tiràz, l’antico anfiteatro romano. E dal riferito sinora si ricoglie che ad eccezione delle dotte illustrazioni delle figure mitologiche de’ pavimenti, così bene determinati dai prefati scrittori e di qualche opinione emessa e non dimostrata riferentesi all’epoca di alcuni particolari, restiamo a nuovo nella importante ricerca dello scopo e dell’ uso dell’edifizio. Forse un lavoro speciale sull’ epoca greco-romana in Sicilia , simile allo studio del periodo arabo-normanno fatto da Michele Amari spargerebbe luce non poca sui maestosi avanzi messi dal caso allo scoverto ; e fino a che le congetture non sieno avvalorate dai documenti degli scrittori, sembrami potreb- bero solamente essere giovevoli alcuni studî preparatorî, secondo certe vie che sieno concorrenti alla soluzione del quesito. Per la qual cosa io mi prefiggo di aprire un campo d’ investigazioni dal lato architettonico cioè : sulla pianta dell’edifizio nella sua distribuzione e cor- relazione di parti, al fine di ricercare con tai elementi l’uso primitivo del me- desimo; tenute in mente le modificazioni addottevi che risultano evidenti dalla DI PIAZZA VITTORIA DI PALERMO b diversa costruzione dei muri aggiunti, tenuti considerati i collegamenti che si veggono non nati nella prima mano di lavoro, e le forme ed il carattere decorativo sempre in parallelo dei monumenti simili antichi ormai conosciuti e determinati. Se non riesco mi valga il buon volere. II. La pianta dell’ edifizio annessa alla memoria del signor Aubè non può essere utile al fine che mi propongo. Ell’è piuttosto una indicazione sommaria dello stato attuale planimetrico , anzichè un lavoro preciso, nel quale sieno distinte le più vetuste dalle recenti costruzioni. Oltre che essa è incompleta, conciossiachè nel rilevarla direttamente dal terreno vennemi fatto di scoprire alcuni pedamenti di altre linee murali che ho riportato nella mia icnografia della Tavola I, figura I cioè: il muretto f e le tre linee che circondano l’ambiente g. In questa icnografia ho distinto a semplice tratteggio i muri de’ quali si conserva il solo pedamento, a doppio tratteggio quelli che sin oggi si elevano sopra terra, e solamente in contorno alcuni pochi a, b, c che si vede chia- ramente sono posteriori; poichè nello incontrare i muri contigui non vi s’ inne- stano, ma stanno in combaciamento di antico intonaco colorato che riveste le pareti che avrebbero dovuto penetrare per coliegamento. Non esiste traccia, nè indizio di due stanze che il signor Aubè completa verso il punto d, e posso assicurare all’ illustre Accademia che la forma perime- trale della corte con vasca coi muretti c, d interposti ai pilastri, come riporto nel mio disegno, è stata desunta da elementi che esistono in posto senza lasciare dubbio alcuno. Nella Figura II della medesima tavola ho tentato il restauro dell’edifizio, il quale, come ognun vede, si completa per analogia. Difatti non può volgersi in dubbio che in H sievi stato un corridojo ana- logo a quello del Fato opposto 1; poichè il muro destro, il muro di fronte ed il piccolo ingresso esistenti, analoghi agli elementi che si vedono nel lato oppo- sto, chiaramente lo determinano. La camera t analoga a quella del lato oppo- sto u si completa, direi, da se medesima , senza però tener conto del fram- mento d della pianta dello stato attuale, il quale, si vede dalla sua grossezza, è un fuor d’opera relativamente allo spessore de’ muri di questa parte dell’edi- fizio, e si può ritenere di epoca estranea a quella alla quale mi riferisco. In quanto poi alla parte scoverta da recente non ho voluto determinare ad arbitrio i confini anteriori dell'ambiente K_, ed ho solamente limitato le stanzette g, bh, f, i, seguendo lo inizio di tale scompartimento cennato dal 6 SULL’ANTICO EDIFIZIO muretto esistente de come nello stato attuale; conciossiachè si deve ritenere che altri muretti divisorî simili all’ esistente vi sieno stati, senza pretendere che le stanzette £, i, g. h abbiano avuto esattamente la lunghezza del ten- tato restauro. Si vede chiaro che nella ristaurazione non ho nulla arbitrato; e la sola aggiunzione di tre muretti trasversali nella parte anteriore da me testè sco- verita sorge dalla considerazione necessaria, che il divisorio esistente sarebbe stato impossibile senza che un altro tramezzo ad una certa distanza chiudesse la stanzeita £. Ed è conseguente ripetere dal lato opposto tai elementi per quella analogia che regna in tutta l’ icnografia dell’edifizio VS Or la prima indagine che sorge spontanea è quella di vedere se questa icnografia possa appartenere all’antica abitazione signorile, ovvero ad un pub- blico ufficio, riferibili, s' intende sempre, al classicesimo. Bisogna all'uopo, in primo luogo, richiamare i principî generali che rego- lavano le classiche abitazioni corrispondenti agli usi di quella vita. L'abitazione antica romana fu in vero all’ etrusca originariamente affine, poi contemperata dalla greca influenza. I costumi e le arti dell’antica Roma non furono indigena e naturale pro- duzione del clima, ma l’aggregazione, e l’amalgama di elementi stranieri. Egli è vero che nelle prime due centurie Roma può essere considerata come città quasi interamente etrusca; ma, situata fra l’Etruria e la Magna Grecia, in pro- gresso di tempo non potè scampare all’ influenze vive degli usi e delle arti di questi due popoli. Le tre caratteristiche principali dell’abitazione del classicesimo cioè : 4.* una sola elevazione o piano, 2.8 la esclusione di fenestre allo esteriore, 3. l’Atrium indispensabile circondato di stanze, appartengono similmente al ramo etrusco, ed all’ellenico, e per trasmessione alla civiltà dell'antica Roma. Le case di Pompeja, come è noto, con rara eccezione, sono ad un sol piano; e se in talune scorgonsi piccole scale accennanti ad un suolo superiore , si vede chiaro che questo era un accessorio non necessario, forse destinato agli schiavi. Tutti gli appartamenti principali per gli usi della vita compreso quello delle guardie sono distribuiti al pianterreno, attorno agli atrii; i quali talvolta sono semplici al modo etrusco, e tal fiata circuiti da un peristilio alla maniera ba LI greca. Da questi luoghi interni scoverti, come è noto, prendevano l’aria e la luce le stanze che vi eran disposte intorno. Questi principî generali della grande abitazione di quell’ epoca sembra DI PIAZZA VITTORIA DI PALERMO 7 fossero esiesi anche alle piccole case di tre o più membri, nelle quali il corpo di centro era lasciato scoverto per essere atrio, e fornire la luce e l’aria alle rimanenti stanze laterali. In questo sistema il numero, la forma, ed il nesso delle singole stanze varia a tenore dello spazio a dividere, e delle peculiarità a soddisfare. Intorno al primo atrio semplice eran disposte alcune piccole stanze per dormirvi i membri inferiori della famiglia e le guardie , e questo talvolta si elargava verso il limite superiore in due ambienti oppositi A/ae. Adjacenti al muro di fondo erano alcune grandi camere, delle quali una rappresentativa Tablinum contenea i ritratti degli antenati, ed a costa della medesima un andito Fauces, che introduceva nel secondo spazioso atrio con peristilio, elevato sopra qualche scalino avente un bacino nel centro Piscina; ed intorno le stanze per dormire , la sala da pranzo Zriclinium , quella del ricevimento Qecus. Alla cucina si avea ordinariamente accesso da una piccola porta sita all’angolo di questo secondo atrio, e questa oltre comunicava al di fuori colla pubblica via. Continuando lo stesso sistema un altro piccolo andito menava ad un por- tico che precedeva il giardino. In breve, la icnografia della nobile antica abitazione consistea in una serie di compartimenti rettangolari che si succedevano ; ognuno con un atrio nel mezzo circondato da stanze; l’ultimo rettangolo era il giardino. La greca era molto simile alla romana abitazione; lo stesso sistema di scompartimenti, ma non le medesime destinazioni; poichè si sa che mentre presso i Greci le stanze intorno all’atrio anteriore servivano per le abitazioni degli uomini, e quelle del posteriore per appartamenti delle donne, presso i Romani le prime erano addette al commercio dei padroni di casa coi suoi clienti, e le seconde all’abitazione di tutta la famiglia. VO Premessi questi caratteri essenziali della greca, e della romana abitazione gettiamo ora lo sguardo sulla icnografia del nostro edifizio, Tavola I, figura 2°; e ci accorgeremo di leggieri che il primo atrio k dei servi e delle guardie vi esiste colle sue stanze all’intorno, ma che il secondo non vi è immediatamente come nell’antica abitazione; bisogna percorrere i corridoj pr qs per rinvenirio nello scompartimento v, x, y col suo peristilio, e la sua piscina nel centro. Talchè l’antica nobile abitazione della Piazza della Vittoria contiene nei suo grembo organicamente un gran pezzo distinto, e reso indipendente per mezzo dei corridoi predetti laterali. Ho segnato questo pezzo centrale colle grandi lettere A, B, ©, H, D, t, 1, E, F, u, il quale sembra non essere altro che un pubblico ufficio di elevata importanza, tenuto presente anche il merito delle sue decorazioni. 8 SULL’ANTICO EDIFIZIO Questo pezzo centrale composto di tre aule succedentisi, e di varie stanze annesse per uffici accessori ha la sua distribuzione da usi evidentemente spe- ciali determinata: di fatti i due corridoj H, I che menano alle stanze D, E così immediati agli altri p, q sarebbero una inutile ripetizione se un uso speciale non li avesse imposto; onde le persone che uscivano dalle stanze D, E per condursi nell’aula A li traversassero senza percorrere i contigui p, q. Il grande musaico A ha una larga fascia intorno, da tre lati solamente, e confina colla soglia dell’ ingresso sino a toccare le basi delle colonne. Questa posizione non si può spiegare colle ragioni decorative, e tal musaico sembra piuttosto fosse la significazione rituale di un tappeto. Il piccolo musaico G che non ha l’euritmico nel lato opposto, non è affatto decorativo; ma deter- minante un sito che dovea essere essenziale per la sua destinazione. Niuno antico sacro edifizio etrusco, ellenico o romano, ha riscontro evi- dente colla icnografia di questo pezzo di centro che esce fuori delle regole dell’abitazione di quei remoti tempi. Mentre esso è organico nell’edifizio e vi occupa una posizione distinta, non impedisce il nesso, nè intercetta le comu- nicazioni della nobile abitazione che lo precede e lo siegue; poichè due cor- ridoj laterali collegano il primo atrio lx col secondo v, x, y, in guisa che chiuso questo ufficio centrale restava l’abitazione libera, connessa, indipendente. Ebbe ragione il sig. Aubè a sospettare che il musaico b non fosse la soglia dell’edifizio; quantunque egli non abbia conosciuto l’atrio lx che lo pre- cede. E difatti un musaico di quell’ importanza non sarebbe ben messo alla soglia del vestibolo, ove ne’ migliori esempi di Pompeja solevasi scrivere un semplice Salve. Su queste considerazioni di fatto completo la mia congettura. Il personaggio che abitava l’edifizio era un alto pubblico funzionario. Egli dalle sue stanze private adiacenti al secondc atrio con peristilio recavasi in officio per lo ingresso S, e parmi aveva seggio nell’aula B nobilissima, nel cui pavimento è figurato Orfeo, il più gran savio del paganesimo greco, legi- slatore, teologo, medico, poeta, celebre cantore, immagine allegorica del potere assoluto indiscutile. i Le persone intfodotte alla sua udienza erano ricevute nella grande aula A da una persona che avea posto in G. Intorno al primo atrio erano le stanze delle guardie e de’ servi. Il tutto—assieme induce ad interpretare l’edifizio per una sala basilicale pagana. Nè la mancanza dell’ abside emicircolare al modo romano fa serio osta- colo a questa supposizione , conciossiacchè si sa che in Pompeja ed in Otri- coli esistono basiliche a pianta rettangolare, cioè di una forma definita dalla greca, anzichè dalla etrusca influenza, il che è ovvio nei monumenti dell’an- tica Sicilia. DI PIAZZA VITTORIA IN PALERMO 9 Importanti edifizi con organizzazione propria erano, come è noto, presso i Romani le basiliche. La loro forma fu originariamente greca, come il nome lo prova, ma lo svolgimento loro costruttivo si deve all’arte romana. E qui giova non poco di notare che esistevano basiliche e sale basilicali nelle abitazioni, e nei palagi dei ricchi, come segnatamente si conosce che ve n’era una entro al Palazzo Flavio sul Palatino. Questa composizione edilizia usuale presso gli antichi può ben ravvisarsi nel nostro monumento, poichè mi sembra aver dimostrato cogli elementi icno- grafici che questo non sia un palagio semplice, nè un ufficio isolato ; bensì l'unione di questi due fattori in una sola disposizione architettonica. Che l’edifizio sia stato abitato nell’ epoca medievale non può volgersi in dubbio, poichè nel grande pavimento a musaico fra gli antichi restauri per- tinenti al paganesimo osserviamo intrusi alcuni ornati che si riferiscono chia- ramente all’arte bizantina ; esempj ne sieno quegli ornati a triangoletti nelle croci de’ rappezzi del grande pavimento che han riscontro in talune forme ornamentali della S. Sofia di Costantinopoli, e 1° altro ben grande che occupa tutto intero uno scompartimento ottagono verso l’orlo a destra interposto alla quinta e sesta linea delle medaglie, il quale è similissimo a taluni motivi di provenienza bizantina che veggiamo nella Cappella del R. Palagio di Palermo. Né fa maraviglia che le simbologie del paganesimo si fossero conservate entro alla civiltà cristiana nel palazzo dei Tribunali, mentre si sa, che si durò nel libero esercizio dell’idolatria sino alla fine del IV secolo , quando fa im- peratore Onorio il secondo figlio del gran Teodosio, cui toccò il governo del- l'occidente. Fu egli, come è noto, che ordinò fossero distrutte tutte le imagini degli idoli nelle provincie a lui soggette. Riassumendo, ed ammessa la mia congettura, il monumento della Piazza Vittoria sarebbe un palagio contenente una sala basilicale di origine piuttosto greca, e se romana, alla greca molto vicina, attesa la forma rettangolare dell’ aula della giustizia; certamente in uso nel periodo romano, e forse al medesimo scopo nell’epoca bizantina. Uno studio monografico di quest’ultima dominazione in Sicilia potrebbe forse valere col riscontro storico a rendere più accettabile una tale interpe- trazione. GAI Scatti w et ‘de SA i ra ten ì ti tt 1 » N Li n Ù 7 uf 1 * < ia i ia CA cene) 7 ia RR n % pci: i Si Li AI À he Ù nu anna Mii pit id = pe LÒ 3 Î ee n De ai (SL E { LA L E l Hi aa 1% \ ì Ì - i < = ° \ 7 x & \ - fi FI o \ 4 z i E i 2 > f CS gl : Tira i ' È Ù ANTICO EDIFIZIO NELLA PIAZZAVITTORIA DI PALERMO. PIC.I. IRI(G106, Stato attuale. Tentativo di restauro. Tee LS «=aaEEÒÙ Ke È SS Ì 5 SG O) 7}}}}}{}{}{}{}} i co osal 7“ ©“ BERE“ Uli} I {© ÀÙ, Salco o (O) Mo co Mosai Ò N OT? OOTESOUI Spue LL) zzz QI 7 E BB?’ DE QD©$ “DB? IMI B9Q IPO] SI YSNSNSS or DOì9)yì)ì)'9hÀhNNNÒ Parte scoverta darecente Si us] TTD ZZZ. 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Vincenzo di Giovanni leggeva un discorso col titolo M.r Benedetto d'Acquisto e le sue opere, il quale discorso insieme a componimenti poetici, greci, latini e italiani, e decorato del ritratto del D'Acquisto, fu pubblicato nello stesso anno 1869, a spese del Municipio di Monreale, che fu rappresentato nella tornata Acca- demica dal suo Sindaco e dall’Assessore per la pubblica Istruzione. Si propose il Di Giovanni ritrarre nel suo discorso l’imagine della mente e il disegno delle opere del D’Acquisto ; e però poco tratte- nendosi sulla vita privata o pubblica del lodato, tratteggiò lo stato degli studi filosofici in Sicilia nell’ultimo ventennio del secolo scorso, quando nasceva il D'Acquisto; indi i tempi stessi del D'Acquisto e così lo svolgimento della sua mente, e de’ suoi studi; esponendo le dottrine fondamentali de’ molti volumi di filosofia speculativa, di morale e di diritto lasciati dal venerando Arcivescovo, già profes- sore di filosofia morale e di diritto naturale nella R. Università palermitana—Notò la importanza delle dottrine psicologiche ed ontologiche dell’Illustre uomo, raffrontandole con altre dottrine contemporanee, e specialmente fece avvertito come il D'Acquisto precedeva il Gioberti nel porre a principio fonda- mentale di tutta la scienza il principio di creazione; e come nello stesso tempo correggeva il sistema oramai famoso del suo concittadino Vincenzo Miceli. Finiva l’oratore raccogliendo la disposizione dialet- tica di tutte le opere del Filosofo Siciliano , e conchiudendo come a tanto ingegno e a tanta bella gloria di Sicilia era meritamente dovuto l’omaggio che gli rendeva quel giorno l'Accademia, celebran- done la memoria, appena ricominc'iava le sue tornate, per alcuni anni interrotte. Di Emerico Amari e delle sue opere diceva il 18 dicembre 1870 il socio avv. Francesco Mag- giore-Perni. Egli lo ritrasse per intero nella sua vita, nelle sue opinioni, nei suoi stud}, nell’influen- za che esercitò nel progresso morale e politico del suo paese, e ne porse un Saggio che vide luce a parte, per cura di questa Accademia. Questo dotto filosofo e pubblicista, ei diceva, nella cattedra, nella tribuna, colla stampa, in ogni atto della sua vita fu sempre lo stesso, e non ebbe mai a pentirsi delle sue opere. In patria o nel- l’esilio, nel duro carcere o nel gabinetto del governo mantenne sempre lo stesso contegno e professò sempre gli stessi principii. 9 ESTRATTI Nasceva in Palermo da Mariano Salvatore Amari conte di S. Andriano e da Rosalia dei marchesi Bajardi a 10 maggio 1840. : Iniziò i suoi studi nel collegio Calasanzio, diretto dei P. P. delle Scuole pie; i letterarii e scien- tifici compì nella regia Università. A 43 anni avea forniti i suoi studi di rettorica, a 16 anni era un letterato, a 23 anni com- pariva per le stampe come filosofo, a 31 anno sedeva tra i più insigni professori della scienza penale, a 38 anni si mostrava legislatore e politico abilissimo. E qui il suo biografo, dopo avere fatto un quadro dello stato politico ed intellettuale dell'Europa, e della Sicilia in ispecie, avanti e dopo al 1830, condizioni politiche e morali che contribuirono allo sviluppo dell'ingegno dell’Amari e alle sue inclinazioni per le scienze filosofiche e sociali, dice che l’Amari in politica ebbe i principii di libertà e d’indipendenza, in filosofia armonizzava la virtù di Platone e l’ utilità di Bentham, l’autorità e la libertà, il male e la Provvidenza, la stabilità e il pro- gresso. Al corrente di tutte le dottrine e di tutti i sistemi; profondo nello studio della storia e in quello dell’uomo, dotto nelle leggi e nei principii, si fece fra noi banditore d’idee e di principii che sembravano una rivelazione, rigenerando il pensiero e con esso preparando la rigenerazione sociale del popolo. La prima sua pubblicazione fu nel 1833 a proposito degli Elementi di filosofia del Prof. Tedeschi di Catania; egli in questa occasione eombattè l’ecletismo, e si fece sostenitore del sensismo, del metodo analitico. Due istituzioni liberali sorgevano in Palermo dal 30 al 35, l’Istituto d’Incoraggiamento e la Direzione di Statistica : istituzioni che la dispotica centralità italiana aboli. L’A mari fu socio dell’I- stituto, ed attivo collaboratore del monumentale giornale della Direzione di statistica. Nell’uno sostenne con la voce la libertà, nell’altro la difendeva e propagava con gli scritti. Nell’istituto d’Incoraggiamento è storico come ei sostenesse il libero cambio, nell’ altro sono monumentali le sue pubblicazioni sulla Società statistica di Londra, sui difetti e riforme delle statistiche deì delitti e delle pene; sul sistema protettore e la collisione degl’interessi rivali, sulle Prolusioni di Pietro Ulloa, sull’isola di Lampedusa sui principii di dritto pubblico marittimo del Lucchesi Palli, sui privilegi industriali. Nel 1843 dava alle stampe una dotta prolusione letta all’apertura degli studii dell’Università, intitolata : Degli elementi che costituiscono la scienza del dritto penale, tentativo di una teoria del progresso, che é per lui riforma continua indicata dalla scienza e compiuta dalla libertà per mezzo della tradizione, e nel 1844 pubblicò negli Atti di questa Accademia il profondo lavoro sull’indole la misura ed il progresso dell'industria comparata delle nazioni. Di tutti questi seritti con larghe vedute fu fatta analisi. Ma l’Amari non era solamente scrittore, era professore, era benefico amministratore. In otto anni d’insegnamento di dritto penale si alzò al grado dei grandi criminalisti d’Europa. Egli fu primo in Sicilia che portò il liberale e umanitario linguaggio del filosofo e del giuridico; egli trascinava con entusiasmo; la sua parola era animata, la sua dottrina era profonda , egli non era il commentatore della legge, ma il riformatore d’essa; fu abolizionista della pena di morte. Ma era non solamente il professore di dritto penale era l’apostolo delle nuove dottrine. Amministratore del Manicomio vin- trodusse importanti riforme: gli stessi matti lo chiamavano padre. Nella rivoluzione del 1848 ebbe la più splendida figura. E qui l’Autore dopo avere delineato lo stato della Sicilia e le cause che produssero la rivoluzione, disse che l’alba del 12 gennaro trovò l’Amari imprigionato a Castellammare; e quando ne uscì pigliò parte ai lavori del Comitato = a lui devesi il famoso atto di convocazione del generale parlamento a 23 marzo e le riforme alla costituzione del 1812. Fu deputato alla Camera dei Comuni con doppia elezione e vice presidente d’essa. Il più giovine dei deputati esercitava massima influenza, e il suo linguaggio fu sempre per la moderazione, la libertà, la giustizia. De ESTRATTI 3 La sua vita parlamentare fu breve. Egli a 27 aprile con altri patriotti era mandato Commis- sario a Roma, Toscana, Sardegna; e come ei conducesse questo delicato ufficio lo dicono i docu- inenti. Ma fu al certo grave perdita al potere di Palermo l’assenza dell’Amari, che ritornava in patria quando prorogossi il Parlamento, e battè la via dell’esilio quando la libertà cadeva. Egli si ridusse a Genova, e fu nell’esilio Jo stesso uomo che era stato nella sua terra natale; ritornando agli studi e al lavoro per la rigenerazione e l’indipendenza della Sicilia. ; Nel 1850 scrisse in Torino col Ferrara la Croce di Savoja; nel 1854 fu assiduo collaboratore dell’Economista ; nel 1852 pubblicava la ritrattazione di Glandston. Ed opera sua sono indirizzi e memorandi a principi e a Congressi in difesa della Sicilia; dei quali sono storici quello nel 1854 a. Sua Maestà la Regina della G. Brettagna, quello del 1856 a Lord Palmerston; quello del 1857 a Lord Ellembourgh ; e più che altro quello del 1859 a Napoleone II. nel quale egli presentava i dritti di uno dei più infelici popoli d’Italia, è Siciliani. Egli mantenne sempre alta la bandiera di liberale e di siciliano. Nè solamente la Sicilia; ma anco i Siciliani emigrati difendeva con la sua condotta alta- mente dignitosa e dolce, da parere anco stimabile e conciliante agli avversi; la stessa polizia borbonica in un documento segreto lo chiamò moderato ed onesto. Gli studi furono però nell’esilio la principale di lui occupazione; egli spinse in 12 anni la sua operosità al punto estremo , accoppiando la meditazione alle ricerche in tutti i rami dello scibile , come ne fan prova i suoi manoscritti, di cui il suo amico e biografo Fr. Maggiore Perni ci lasciò un elenco, che si trova annesso al Saggio di lui pubblicato. Storia, archeologia, filologia, annali di legisla- zione , traduzioni dal greco , dal tedesco e del sanscritto uccuparono la sua vita, tutto facendo da se. Ma tutti questi studii gli servirono di mezzo e di materiali alla sua nuova e stupenda opera Critica di una scienza delle legislazioni comperate, monumento della sua mente e dei suoi studi, che riscosse applausi per ovunque, tanto che il grande Mittermajer lo disse: libro per la ricchezza delle idee, le copiose e le ingegnose ricerche, per gli svolgimenti storici e le acute osservazioni appartenente alle più importanti opere dell’epoca moderna. Di questa stupenda opera ha lasciato inedito il secondo volume. Noi tralasceremo di far esposizione di questo libro, del quale nella biografia si parla a lungo; certo è che dopo la pubblicazione di quest’ opera. il nome di Emerico Amari divenne celebre , e la sua fama si estese. A 22 dicembre 1859 il professore di dritto penale di Palermo era chiamato a Firenze profes- sore di filosofia della storia nell’Istituto di perferzionamento; e da quella cattedra a 24 marzo 1860 vi leggeva il dotto discorso: Del concetto generale e dei sommi principi della filosofia della storia Durò pochi mesi il suo insegnamento nella dotta Firenze; e fra i suoi manoscritti si trovano completi sei lezioni di filosofia della storia, oltre un altro lavoro, ancor esso inedito, che porta per titolo Saggio di ricerche sulla dottrina della filosofia della storia o scienza nuova; limiti al progresso, ossia limiti all'infinito perfezionamento; e un abbozzo sulla Storia delle storie. . Il suo biografo si trasportò alla rivoluzione siciliana del 1860, e ci presentò l'Amari reduce in patria nell’agosto, ove trovò una prevalente opinione che per l’Italia intendeva distruggere i veri interessi della Sicilia che pur erano conciliabili con quelli della unità nazionale. Lottò, ma non vi riuscì; e partiva per Torino. Quando tornò il plebiscito era consumato, ed egli scrisse quella solenne protesta a proposito della di lui nomina a componente il Consiglio straordinario di stato, che faceva lo stupendo progetto dell’organamento da dare alla Sicilia come una regione italiana. Fatto consigliere ordinario di stato rinunziò, fatto professore all’università di Palermo rinunziò, fatto Presidente del consiglio superiore d’istruzione pubblica rinunziò; cariche, onori, tutto rinunziò, e visse in patria la vita dell'esilio. Fu ministro dell’interno per pochi giorni nella luogotenenenza del 1864 per salvare il paese; indi deputato al Parlamento italiano nel 1861 e 1867, ma rinunziò per due volte, dopo avere però so- stenuto l’onore siciliano e i principii di giustizia e di libertà. 4 i ESTRATTI E in mezzo alle amarezze di sventure domestiche e al dolore della sua patria duramente trattata, non abbandonò i suoi diletti studii,e qualche cosa pubblicò, qualche cosa lasciò inedità; e li tramezzava ai positivi lavori, a cui si sobbarcava come rappresentante della citta al Consiglio Comu- nale e Provinciale. L’Amari amava la libertà, ma abborriva la licenza e la corruzione; amava le riforme e il pro- gresso, ma lo volea sorretto dalla scienza e dalla tradizione, amava gli studi ma li volea liberi; egli era tollerante delle altrui credenze, ma non volea perseguitato il cattolicismo che professava; egli volea l’unità, ma abborriva la fusione; volea amministrazione libera non corpi servi; potere centrale forte e giusto, non la morte del potere local,e e leggi non ispirate che alla giustizia. Egli era moderato e progres- sista, ma non potea vedere la distruzione di tutto e di tutti; amava l’Italia e la Sicilia, ma voleva conciliati i loro armonici interessi. I fatti trovò in opposizione alle sue idee, sicchè come Gregorio VII. potea ripetere. Amai la giustizia, odiai l’ingiustizia, e perciò muoio in esilio. Ed esilio furono gli ultimi anni della sua vita, interrotta da solenni proteste ed invocazioni al dritto; raddolcita dall’af- fetto degli amici, dall’amore agli studii, dalla fede in Dio. Il 6 settembre 1870 era colpito da acerbo e letale morbo che la scienza medica nè conobbe, nè curò; moriva a 24 settembre della morte dei giusti. La dimane un modesto carro seguito dall’in- tero paese, che il pianse, portava il suo frale al cimitero dei Cappuccini. Il presidente del consiglio provinciale sospendeva le sedute; la Giunta Municipale gli votava un monumento nel Panteon, e più tardi un busto la Provincia; PUniversità, la Accademia sacravano un giorno alla sua commemorazione , i giornali di Sicilia ed esteri compiansero 1’ inesorabile perdita A compimento di questi brevi cenni sulla vita e le opere dell’Illustre estinto, giova riprodurre, con le parole del saggio il ritratto fisico, intellettuale e morale che ivi se ne fa conie chiusura del suo saggio medesimo. Certamente chi ebbe a conoscere l’Amari, ivi è scritto non potrà dimenticare la bella espressione che lasciava la sua presenza: Di alta statura e di nobile aspetto: la sua fronte era serena, il suo volto aperto ed animato; i labri delicati e serpeggianti accennavano alla gravità e dolcezza del suo carattere ; il naso un pò sospinto addimostrava la vivacità del suo spirito; due piccoli occhi ed espressivi che si vede- vano a traverso d’un eterno ‘occhiale erano profondamente incavati sotto due folte sopraciglia e rive- lavano lo svegliato ingegno e l’uomo avvezzo alle meditazioni; i suoi bianchi capelli e la simigliante barba aperta nel mento, circondavano la sua ancor giovine faccia che era l’espressione della sua anima purissima. Il suo andare era grave, ma senza affettazione; il suo bruno vestito era semplice, ma senza negligenza; i suoi modi eran modesti, ma senza volgarità; il suo dire era imponente, ma senza superbia, la sua voce armoniosa ed imponente, ma senza i vizii della declamazione. Chi lo vedeva prendeva un senso di fiducia e familiarità mista ad affetto e venerazione. Mente vasta ed analitica che si spaziava in tutto lo scibile e ovunque portava una esatta osser- vazione , cogliendo i più disparati rapporti delle cose; pensieri nobili e nuovi, figli di profonda meditazione e sostenuti da una logica irresistibile; forma pura ed affettuosa che trovava sempre un modo nuovo e seducente nel presentare la cosa. Era la mente di un filosofo e l’anima d’ignoto poeta, che pur nel silenzio del suo studio avea verseggiando disfogato i suoi nobili effetti. La sua fede in Dio era viva ; e le sue credenze cristiane erano sostenute da una convinzione incrollabile e da un sentimento profondo; in tutto potea dirsi che portasse una specie di scetticismo, non nelle cose di fede. Ma la sua religione era senza superstizione e intolleranza ; era animato da una specie di libertà ove non fosse legge sancita. Sensibile alle altrui pene e gli altrui piaceri; uguale nella prospera e nell’avversa fortuna; non vinto nè da speranze nè da timori , ammiratore rispettoso dei grandi che lo precessero, non ebbe altra ambizione che seguirli. Modesto senza ambizione; austero senza durezza; moderato senza debolezza: ESTRATTI 6 riformatore, ma legato alla tradizione e al progresso; capace di sacrifizii senza obbligo a farli. Tollerante delle altrui opinioni e delle altrui debolezze; indifferente alle interessate lodi o partigiani biasmi; affet- tuoso e tenace nelle scelte amicizie; disdegnoso alla vista delle onte recate all’altrui merito; estimatore sincero della giustizia sopra qualunque altra affezione. Il Socio Sac. Carini leggea in tre tornate successive della nostra Accademia un suo discorso (6 dicembre 1871, 2 febbraro 1872, 23 aprile 1872.) Sulle scienze occulte nel medio evo e sopra un codice della famiglia speciALE. Egli deserivea dapprima l’importante e curioso codice membranaceo, che forma l'argomento della sua lettura, e ne assegnava la redazione ai primi anni del secolo XIV. È un manuale d’alchimia; appartiene a qual genere di compilazioni collettive, ch’erano così comuni nel medio evo; offre molto interesse per la storia delle scienze naturali nell'età di mezzo; contiene , fra altre cose, due glossarì chimici, un trattato su’ pesi e sulle misure del tempo ec. e presenta pure di notevole l’uso, allora incipiente, delle cifre arabiche. Comincia il Carini a discorrere degli apocrifi trattati, con- tenuti nel manoscritto, di Ermete Trismegisto, Salomone, Maria profetessa etc. Continua colle scienze occulte presso i Caldei ed i Persiani a proposito del Gobria ricordato nel codice Speciale. Indi passa ad intrattenersi delle tracce, che serba il detto codice della scienza alchimica ed occulta de’ Greci ed accenna ai trattati, che son ivi attribuiti falsamente ad Aristotile, ad Ippocrate, a Galeno ed anche ad Aristeo. Venendo agli Arabi, largamente rappresentati nel manuale alchimico, il Carini, accennato innanzi tratto a quel tanto ch’essi tolsero dai Greci, dai Siri Nestoriani, non che dalle fonti Cinesi ed Indiane si trattiene sulle versioni, per mezzo di cui i trattati dei filosofi e maestri arabi perven- nero all’Occidente Cristiano; e specialmente enumera i grandi lavori di Gerardo Cremonese, Michele Scoto e de’ molti dotti orientali, che furono incoraggiati a quelle traduzioni dall’Imperatore Federico come Iacob di Simeone Antoli, Iuda-Cohen-ben-Salomon ete. Indi riunisce le notizie relative ai celebri filosofi ed alchimisti musulmani Geber, Rasis, Abu-Bekr, Avicenna, Calid, Arbù-Abbàs, Abu-l-Kasîs, Rachaidib ete. de’ quali tutti vi sono scritti, o memorie nel codice Speciale. Facendo passaggio agli alchimisti ebrei, il Carini non tralascia di fermarsi sulle cifre e sui segni misteriosi e cabalistici di cui essi fecer uso per mantener credito alle scienze occulte. Tien dietro un quadro di queste mede- sime scienze nell’Occidente cristiano : e qui, accennato alle vicende che ebbero in Europa i cultori svariati dell’alchimia, dell’astrologia, della magia, il Carini parla degli scritti alehimici che corsero per opera o sotto i nomi di Michele Scoto, Guido Bonatti, Cardinale Bianco, Fra Daniele da Cremona, Fra Michele de’ Sigoli, Ruggiero Bacone, Alberto Magno, Arnaldo da Villanuova, Giovanni da Rupescisia, ed anche S. Tommaso d’Aquino, sapientissimo anch’egli, per quanto lo consentivano i tempi, nelle scienze naturali, ma a torto annoverato dal codice fra gli alchimisti. Illustrando i vari trattati del manoscritto, il Carini vien a tracciare come un breve saggio storico delle scienze occulte nel medio evo: Data informazione intorno ad altri scritti od anonimi o con titoli falsi e curiosi, contenuti nel codice, il socio disserente completa le sue notizie discorrendo sui luoghi della Divina Commedia relativi ad alchimia, astrologia, e magia; dopo che narra îe vicende successive delle così dette scienze occulte fin ai nostri tempi, parlando di Cecco d’Ascoli, Galeotto Marzio, Pietro Abano, Paracelso, Cardano, Porta, il p. Kircher , Giuseppe Balsamo. Nella sua rapida rassegna non trascura le notizie, che più direttamente si riferiscono alla Sicilia. Conchiude mostrando l’ interesse che hanno per la storia e per lo studio delle scienze fisiche i manoscritti di questo genere ed in particolare il codice Speciale. Questo codice, dopo letto il Discorso del sac. Carini, venne acquistato dalla Libreria Comu- nale di Palermo. 6 ESTRATTI Il Socio Prof. G. Albeggiani nella tornata del 28 gennaro 1873 ha presentato un estratto della memoria del Prof. F. Zurria sulle superficie dell’Ellissoide a tre assi ineguali nei seguenti termini. Il Prof. Zurrìa, dell’Università di Catania, con una sua memoria letta nell'adunanza d’agosto 1870 dell’Accademia Gioenia, e che si è compiaciuto inviare alla nostra Accademia, ha trattato dell’argo- mento della quadratura della superficie dell’elissoide a tre assi ineguali. Di questo subbietto vari distinti geometri sonosi occupati, e l’ illustre Iacobi volle più di una volta considerarlo sotto varii punti di veduta. Il Prof. Zurria rammentando i lavori di parecchi analisti snll’assunto, e peculiarmente quelli di Legendre, Catalan, e Serret, osserva che considerazioni geometriche han semplificato la quistione della riduzione dello integrale doppio, rappresentante la quadratura della superficie in proposito, ad integrali) elittici; e quindi egli si è proposto di raggiungere lo stesso intento senza abbandonare la via analitica. E vi riesce felicemente—Dopo di avere cambiato le variabili nello integrale doppio intro- ducendo le coordinate sferiche 8, a vece delle ortogonali x, y, con successive trasformazioni analitiche, perviene alla formula segnata (6) nella memoria, la quale esprime la ricercata quadratura in integrali elittici; e dalla stessa inferisce con semplice trasformazione le due altre formule (7) ed (8) date benanche da Catalan e Serret, e poscia, come fecero costoro , alla espressione della quadratura in quistione data pel primo dal chiarissimo Legendre. Fa vedere finalmente l’Autore come la formula (6) da lui dedotta prestisi facilmente ai casi particolari della quadratura della superficie dell’elissoide di rivoluzione allungata o depressa, ovvero della quadratura della superficie sferica. RISTRELTO DELLE OSSERVAZIONI METEOROLOGICA ESBGCITE NELL'ANNO 1872 R. OSSERVATOR]O DI PALERMO 9 RISTRETTO DELLE OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE ESEGUITE NELL'ANNO 1872 BAROMETRO — TERMOMETRO CENT. VENTO NUVOLE —-T-+T en — sn TT T___—r—r__|\___—___— rr. T_T TFr__—<__ eZ a_n T__ (o = ° 2 S 5 E E E Bielle 22 | e | e o | 8 RENEE - [es |3|-#|2s|8|3|# S = e s = S = 2 S DINE 9 Coi iS = = 2 7 Si = ct =| Si E les St Rei 3 © S Ei © E ro) S = © E a i 22] = = 2 S =] =i = =) (e 5 i = =) 3 N [a -z2,© = d D ei = D S Ea 2 S SS Ss & SU = S = 02 S = È S = GS (nn) & = > A = [ca Q Q Q E mm mm | mm 0) o) (o) AREE 762,20 | 6|752,81 |740,93 | 10]{ 17,0 |25]| 11,5 | 58,6 |sii{|oso| 0,2| 0,8| NO.|[67,2]| 0,6 | 38,6 NALE Ri 65,25 | 7| 37,47| 43,40|27]| 18,9 |16| 128 | 9,3 |20o|| oso] 0,2] 0,7] O. |[69,0| 0,5 | 32,7 a De eno 63,09 | 5| 52,57 | 40,62|24][ 20,8 |24| 144 | 93 | 3]|oso | 0,2/-0,7] S. |[33,9] 0,5 | 28,9 PETRI 58,79 | 26| 51,35 | 39,99 |20]| 284 |20} 16,8 | 9,7 |io]|oso| 0,3| 0,8|ESE.|[50,2| 0,5 | 26,0 A OO 60,25 | 26| 54,30 | 48,46|21|| 346 |21] 19,7 | 13,0 | 2] NE | 0,2] 0,7] SO. |[333] 0,5 | 18,2 SIEDO 60,79 | 13| 54,82 | 49,15 | 40] 290 |21| 22,1 | 16,2 | 2] NE | 0,2| 05|NO.|[19,6| 0,5 | 9,0 km | km Sie 200h Cato . || 57,54|43| 54,00] 50,32| 9]|| 30,8 |16] 254 |21,2 |10]| NE | 10,9|32,7|0x0.[|14,5] 0,5 | 7,3 RE 56,75 | 14| 53,64 | 49,81| 2] 30,4 | 125,5 | 21,0 |31]| nE |12,3|32,4|nx0.||19,0| 0,5 | 104f Settembre Ae 61,82 | 28 | 53,26 | 49,281 |25/| 36,0 |25| 244 18,8 |29]|| NE |10,4]|37,3| ONO.|[26,2 | 0,5 13594 OtObreRsSto, nin 57,92 | 31| 54,12 | 44,95 | 24|| 28,7 |14| 21,3 13,6 |23]| OSO | 11,5|38,4| O. |[36,7 | 0,6 | 31,9 NONE DIC RNA O 64,12 |27| 55,741 | 42,42|12]| 20,9 | 3| 16,1 | 142 |20|[oso | 9,8|31,6|Ss0.|{45,9| 0,5 | 23,0 DICE (EINEN. 64,90 |31| 53,54| 41,07 | 14]| 23,1 | 3| 45,0 | 10,7 |19]|0so | 12,4| 70,0] so. [{60,0| 0,5 | 32,7 Medie 761,12 754,13 |745,08 26,65 18,72 | 43,47 14,3 42,6| 0,5 | 228 ; mm mm Massimo 765,25 (7 febbraro 9m). Escursione barometrica annua = 25,26 | Massimo Medio generale del barometro | 754,13 Medio generale Minimo 2 739,99 (20 aprile mattina). Minimo Hd La ono del numta jul iuimo nemesi £ data a atuma, usa Lunikà come Lorca sabbia. NEL REAL OSSERVATORIO DI PALERMO ò PIROTGIGAHINA E s CIORNI PIOVOSI E = È a _———--+-+-+---=- + - meeme—ee]m]_—em=em]©—-—e eeme]e]e]r —roooooeT_|1—__—_— 2.3.4,5.8.9.10.11.12.13.14.18,19.20,21.26,28.29,30. 134,48 3.4.5.10.44.42.13.15.22.24.28. 10,78 (i 4.10.11.12.1% 19.20.24.25.26.27. 25,37 1] 2.3.5.6.7.10.11.29.30. 34,10 Il "| 1.8.0.11.12.27.28.29. 6,61 | 2.3. 1,83 i} 9. 1,40 | 25.20.29.30. 10,76 | i 19.20. 3,30 1.9.10.11.44.15.17.19.22.23.24.25.29.30,31. 145,01 Il 11.12.44.15.47.18.25. 27,88 3.4.5.6.9.142.13.14.16.17.18.19.20.21.27 del termometro 5,6 (11 Gennaro, mattina) U\ enel 2 RIN VENTO FORTE Tuoni S E (©) 8.9.40.11.12.20.29. 10. 410.44. |l 13.15.25.26.27. » » 8.9.19.20.24.25. 10. » 1.2.3.5.9 10.11.17.19.20.22.29. 5.10. » 8.21.25.28. 4, » 4A0A4, » » 3.5.149. 9 » 4,5.22.24.25.30 30 » 21 20. » » 10.11.12:13.14.20.24.25.30, 1.9.144.17.24. » 24. 441.142.414. 14, » » (25 Settembre, mezzodì) | Escursione fermometrica annua = 30,4 {| Massima forza del vento alla mozza- Socto G. CACCIATORE GTO RNI'CION 1.3.8.9.11.13.18.19.20.26. o km notte del 3 dicembre=70,0 col SO. II Direttore MASO DELLE OSSEEVAZIONI NETHOROLOGICKE ESMGUITE NELL'ANNO 1875 R. OSSERVATOR[O DI PALERMO 6 RISTRETTO DELLE OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE ESEGUITE NELL'ANNO 1873 BAROMETRO TERMOMETR') CENT. VENTO Mesi 9 o 2 © È E E 3 S| « (08 42 See o | E s Z|Is|=3|£E|ces 73 Di a |5l sg | &|#| 3 (£l a | 8 (| |88 (ee 9=8S S |=| 3 cei 27 E ESE = |ssl|le|zs 2 e 2 E sele | s Sii SE @ & @ & Au iS == à a È mm mm mm O) (o) 0 km (0) FORDARO 009 dd 40 766,82 | 14 |757,79 |742,73 | 21 HO SON ATA AZIO 8,7|29||OSO| 9,7|38,2| 0 0,5 | 28,8 | HEbbIALO LIRE 68,48 | 19] 53,54| 38,86) 6] 18,2|27| i1,4| 6,2|15||0S0|10,8|48,%4|OSO 0,6 | 42,6 MALZO RR 50,98 | 15 | 51,70 | 44,56 | 1 22,8 | 17 14,7 9,4 | 1/|OSO|410,2|43,9| SO 0,5 | 26,0 ADORO. 57,46 | 30] 5145 40,17|23|| 24,2|16| 15,8| 9,2|42||0S0|13,2|56,0| S 0,6 | 33,6 Maggio. .... CR 87,64 | 12] 52,23| 45,53| &|| 27,7|47| 4184| 411,6|10|| NE |10,3|43,1|0SO 0,3 | 23,8 CIUCRO NA 58,88 [29] 54,76] 48,55|12]) 285/25| 221] 417,0) 2|{ ne |10,0|36,2|] N 0,3 | 17,6 LUCIO NE Ran Rn 58,40 {30 | 55,25 | 51,20 | 40] 30,2|24 26,0| 21,8| 6|| NE | 11,0|23,3 | NE 0,5 | 5,1 AGOSTO RAIN 58,54 [17] 55,39 52,24|29] 35,3|29| 27,4| 23,2|20]| NE |11,6|40,9| NO 0,3 | 8,0 Settembre... 60,06 | 20 | 55,44 | 50,70 | 25 38,7) 6| 23,9 15,4 | 27] NE | 11,8] 45,1 0 0,6 | 21,0 OKI RR CERA 59,80 | 2| 54,40] 43,84 | 30 26,5 | 30 20,5 16,4|27]|OS0 | 9.1|39,4 | SSO 0,5 | 27,28 NOVE MDC ea 63,42 | 27 | 53,43 | 42,82 | 28 20,8) 4 16,9 10,0 | 18||OSO | 9,8 | 32,2 OSO 0,6 | 33,9 DICE MER 63,82 | 26 | 57,08| 47,55 | 1 14,9 |448| 11,5 6,0 |9.10]| OSO | 10,6 | 50,0 | NNE 0,6 | 36,9 Medie . . . ||760,86 734,37 |745,48 25,34 18,35 | 12,87 19,8 47,8| 0,5 | 25,3] È > i mm à Massimo 768.45 (19 febbraro, mezzanotte) | Escursione barometrica annua=29,59 | Massimo Medio generale del barometro | 754.37 Medio generale Minimo 738.86 (6 febbraro, mattina) Minimo NEL REAL OSSERVATORIO DI PALERMO 1 GCHrOFRINI' CON GIORNI PIOVOSI VENTO FORTE Tuoni Grandine Quantità in mm. 4.5.13.19.21.22.23.25.26.27. 21, 3|| 19.19.20.21.22.23. 1.2.5.6.7.8.9.10.11.13.14.15.17.28. 6.11.13.27.28. 1.2.9.4.40.11.14.18.26.27. 50,75 || 1.13.14.18.20.27. 1:2.3.4.0.11.12.13.14.17.18.19.20.23.24.26.27.29.30. 2.3.6.7.12.13.44.16.17.18.19.23.24.29.30 3.7.8.9.10.20.23.24.25.29. 7.9.14.24.29.30. 3.6.41.12. 16.21. 18.31. 11.12.30,31. 17.13.24.25.26.27.28.29.39. 5.8.16.17.24.25. 10.11.12.13.1/4.19.20.21 28.30. 25.930,51. 10.11.20.28, 24.5.10.12.14.15.16.17.13.21.22.23.28.29. 4,25 || 5.6.23.27. LAOA44. 1.4.5.6.7.8.9.10.12.13.14.15.16.17.24.25.29.30.31. ò 90284207 » (o) ,7 (6 settembre, pomeriggio) Escursione fermometrica annua=32,7 | Massima forza del vento alle 9 p. m. del 3 Jel termometro 18,4 km Ì 39 (9-10 dicembre, mezzanotte) 16 aprile= 56,0 col S. Il Direttore Socio G. CACCIATORE a) io LIBRI PERVENUTI IN DONO ALL’ ACCADEMIA —_— _—r=>—_—>£0. -_————_——@— SCALIA GIOVANNI, Il Panteismo biblico. Catania, 1871. AgAssIz LUIGI, (Socio) Rapporto del !868 del Museo Zoologico di Boston, 1869. » Sul centenario di Humboldt e suoi onori. Boston, 1869. RIccARDI PIETRO, Biblioteca Matematica Italiana. Modena; 1871. SECCHI ANGELO, (Socio) Memoria sul progresso delle cognizioni Solari ottenutesi per l’Ecclisse di di- cembre 1870 (letta nella R. Accademia Palermitana nel di 8 Gennaro 1871). Roma, 1871. VANNESCHI GAETANO, (Socio) Un quesito sulla Statistica Civile. Palermo, 18741. LETTERA del Presidente della Accademia di scienze naturali di Nuova-York sui lavori dal 1866 al 1868. 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