<5". ///< F. A. 37. 14 MAY. 1907 ATTI DELLA DI SCIENZE NATURALI IJV CATANIA ANNO LXXXIII 19 0 6 S E IES I IE QTJAETA VOLUME XIX. C. GALÀTOLA, EDITORE 1 9 0 6. 1 4 MAY. 1907 ATTI DELLA ACCADEMIA GIOENIA DI SCIENZE NATURALI IN CATANIA ANNO LXXXIII 19 0 6 QUARTA VOLUME XIX. O. OALÀTOLA , EDITORE 1 9 0 6. Catania Stabilimento Tipografico C. 6 alatola Accademia Gioenia di Scienze Naturali IN CATANIA Cariche Accademiche per l’anno 1905-’906 UFFICIO DI PRESIDENZA RICCO Uff. Prof. Annibale — Presidente CLEMENTI Comm. Prof. Gesualdo — Vice-Presidente RUSSO Prof. Achille — Segretario PENNACCHIETTI Gav. Prof. Giovanni — Vice-Segretario per la sezione di Scienze fisiche e matematiche FELETTI Cav. Prof. Raimondo — Vice-Segretario per la sezione di Scienze naturali CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE STADERINI Prof. Rutilio PIERI Prof. Mario PERRANDO Prof. Gian Giacomo GRASSI Cav. Prof. Giuseppe — Cassiere LAURICELLA Prof. Giuseppe — Bibliotecario Elenco dei Soci Onorari, Effettivi e Corrispondenti Soci Onorari NOMINATI DOPO L’ APPROVAZIONE DEL NUOVO STATUTO S. A. R. IL DUCA DEGLI ABRUZZI Todaro sen. comm. prof. Francesco Chaix prof. Emilio Macaiuso comm. prof. Damiano Cannizzaro sen. gr. uff. prof. Stanislao Mosso sen. comm. prof. Angelo Blaserna sen. comm. prof. Pietro Naccari uff. prof. Andrea Struver comm. prof. Giovanni Ròiti uff. prof. Antonino Cerruti sen. comm. prof. Valentino Berthelot prof. Marcellino Grassi cav. prof. Battista Schiaparelli sen. comm. prof. Giovanni Wiedemann prof. Eilhard Capellini sen. comm. prof. Giovanni Righi sen. prof. Augusto Volterra sen. prof. Vito Dini sen. comm. prof. Ulisse Ciamician comm. prof. Giacomo Dohrn comm. prof. Antonio Briosi comm. prof. Giovanni SOCI EFFETTIVI 1. Clementi comm. prof. Gesualdo 2. Orsini Faraone prof. Angelo 3. Basile prof. Gioachino 4. Capparelli uff. prof. Andrea 5. Mollame cav. prof. Vincenzo 6. Aradas cav. prof. Salvatore 7. Di Sangiuliano march, gr. uff. Ant. 8. Ughetti cav. prof. Giambattista 9. Fichera uff. prof. Filadelfo 10. Feletti cav. prof. Raimondo 11. Pennacchietti cav. prof. Giovanni 12. Petrone uff. prof. Angelo 13. Ricco Uff. prof. Annibaie 14. Curci cav. prof. Antonino 15. Bucca prof. Lorenzo 10. Grimaldi cav. prof. Giov. Pietro 17. Grassi cav. prof. Giuseppe 18. Di Mattei uff. prof. Eugenio 19. D’ Abundo prof. Giuseppe 20. Lauricella prof. Giuseppe 21. Pieri prof. Mario 22. Staderini prof. Rutilio 23. Russo prof. Achille 24. Perrando prof. Gian Giacomo 25 26 27 28 29 30 SOCI EFFETTIVI DIVENUTI CORRISPONDENTI PER CAMBIAMENTO DI RESIDENZA Speciale prof. Sebastiano Stracciati prof. Enrico Peratoner prof. Alberto Leonardi gr. uff. avv. Giovanni Ricciardi uff. prof. Leonardo Baccarini prof. Pasquale Zanetti prof. Carlo Umberto Cavara prof. Fridiano Fubini prof. Guido SOCI CORRISPONDENTI NOMINATI DOPO l’ APPROVAZIONE DEL NUOVO STATUTO Pelizzari prof. Guido Martinetti prof. Vittorio Meli prof. Romolo Papasogli prof. Giorgio Condorelli Francaviglia dott. Mario Pisani dott. Rocco Bassani cav. prof. Francesco Gaglio cav. prof. Gaetano Moscato dott. Pasquale Guzzardi dott. Michele Alonzo dott. Giovanni Distefano dott. Giovanni Gozzolino uff. prof. Vincenzo Magnanini prof. Gaetano Sella prof. Alfonso Pagliani cav. prof. Stefano Chistoni cav. prof. Ciro Galitzine Principe Boris Battelli cav. prof. Angelo Guglielmo prof. Giovanni Cardani cav. prof. Pietro Garbieri cav. prof. Giovanni Giannetti cav. prof. Paolo Cervello comm. prof. Vincenzo Albertoni cav. prof'. Pietro La Monaca dott. Silvestro Luciani sen. comm. prof. Luigi Zona cav. prof. Temistocle Bazzi prof. Eugenio Chironi cav. prof. Vincenzo Morselli prof. Enrico Raffo dott. Guido Materazzo dott. Giuseppe Borzì cav. prof. Antonio Falco dott. Francesco Del Lungo prof. dott. Carlo Giovannozzi prof. Giovanni Kohlrausch prof. Giovanni Zambacco dott. N. Donati prof. Luigi De Heen prof. Pietro Pernice prof. Biagio Caldarera dott. Gaetano Salomone Marino prof. Salvatore Pandolfì dott. Eduardo Lo Bianco dott. Salvatore Guzzanti cav. Corrado Valenti prof. Giulio Majorana dott. Quirino Boggio-Lera prof. Enrico Lo Priore prof. Giuseppe Pinto prof. Luigi Romiti Prof. Guglielmo Divenuto Socio corrispondente per dimissione dal grado di effettivo. ' . - » . . . ... - M ' Memoria J. Sul movimento piano di un punto materiale libero nello spazio Nota di G. PENNAGCHIETTI Il Prof. Giuseppe Bardeìli in una Nota pubblicata nei Ren- diconti dell1 Istituto Lombardo (1) si propone il problema, per cui, date le equazioni differenziali del moto di un punto ma- teriale libero nello spazio, si vuol riconoscere, senza eseguire nemmeno parziali integrazioni, se la traiettoria è piana. Non mi sembra superfluo aggiungere alcuni, per quanto semplici, svolgimenti alle considerazioni del Bardeìli , le quali, sebbene riferentisi a problema di facile soluzione, hanno tuttavia senza alcun dubbio molta importanza. I. Siano : (1) d2 x d2 y d2z ~dF ~ " 1 di2 = 1 W ~ le equazioni differenziali del moto e le forze X, Y, Z siano date in modo che la traiettoria sia in un piano passante per un punto dato che prenderemo, per semplicità, come origine delle coor- dinate. La equazione del piano sia : (2) x -f c{y c2s = 0, dove i coefficienti er e2 sono arbitrari e la loro determinazione, nell1 ipotesi fatta sulle forze date, sarà completa appenachè sa- Serie. II, voi. XXXVIII, 1905. Atti acci. Serie 4% Voi.. XIX — Mem. I. 1 2 Prof. tì. Pennacchietti [Memoria I.] ranno conosciuti i dati iniziali del problema del moto. Deno- tando con apici le derivate rispetto al tempo e dovendosi avere : (3) X -f- CJ) -p G%Z z=z 0 , il problema del moto ammetterà i due integrali primi frazionari rispetto a x , y , z : . zx — xz xy' — yx (4 C - 7 7 , C = p— 7 . yz — zy yz — zy Le (4) esprimono la proprietà, manifesta a priori , che, se la traiettoria è piana, il momento geometrico della quantità di moto o della velocità è normale al piano della traiettoria stessa. Dalla (3) si avrà identicamente, in virtù del sistema (1) delle equazioni differenziali del moto : (5) X -f ol Y -j- c2 Z — 0. Eliminando cv c2 dalle tre equazioni lineari simultanee (2) (3), (5) ovvero derivando totalmente l’ una o l1 altra delle (4) con riguardo alle (4), si avrà : X1 JC j X, y, z z Z = 0, la quale equazione, sviluppata, prende la forma : ((5) X ( yz — zy) -j- Y (zx — xz') -)- Z ( xy' — yx) = 0 , od anche : x ( yZ — zY) -)- y' (zX — zZ) -f- z (xY — yXj = 0. Da ciò risulta immediatamente la seguente proposizione, che è però evidente a priori senza che alcun calcolo sia neces- sario, cioè : L xi 0 = fz (®j y. 0 = f , («, 0 (*, *) \ (X, t) Fj (®, i) ’ essendo VF1 (x, t), F2 (//, /), vIr3 (~, t) tre funzioni arbitrarie degli argomenti posti in evidenza. Esprimendo che le (9) e (10) soddisfano alla prima delle (7) si trova facilmente che dev’ essere : xl\ {x , t) = z0 (t) X -f- (■ t ) F2 (y, t) = (0 x + S (0 G Prof. G. Pennacchietti [Memoria I.] Esprimendo finalmente ohe anche la seconda delle (7) de- y’ essere soddisfatta, si trova : V 0, t) fc0 (fi (fi ove n3 (t) è una funzione arbitraria di fi Tenendo adunque conto soltanto delle (6), (7), si ha : X _ Y _ Z 7T0 (fi oc + iq (fi ~~ (fi X + ic4 (fi — TZ0 (fi z + x3 (fi e finalmente, tenendo conto anche delle (8 j, si vede che n0 (/), ni (#), n2 (t), h3 (fi) devono ridursi a costanti fi, a, b, c , all’ in- fuori di un fattore comune f (fi) funzione del tempo , il quale fattore può evidentemente essere soppresso. Si avranno così le seguenti condizioni per le forze : lece -[- a ly -j- b A ;z -j- c Se è identicamente fi=o, la forza ha direzione costante ; se fi =|= o, la sua linea d’ azione passa per il punto fisso di coor- dinate y, — , y. Se sono dati i rapporti di tre delle le le le quantità fi, a, b , c alla quarta, cioè se è dato il punto pel qua- le deve passare costantemente la linea d’ azione della forza, le costanti cl9 c.2, c3 che figurano nell’ equazione (1) del piano , si determinano per mezzo delle equazioni : ClX0 4“ C2$'o 4“ CSZ0 1 ? C1XU + C22/o 4~ C3Z0 — 0 , CjC — J — Cuyb — | — c.^c — [ — lì — 0 , a cui, in virtù delle (11), si riduce il sistema delle (1), (2), (3) per la sostituzione dei valori iniziali. Sul movimento piano di un punto materiale libero nello spazio 7 Si conclude che : La condizione necessaria e sufficiente af- finchè un mobile , libero nello spazio , soggetto alV azione di una forza le cui tre componenti debbano dipendere dalla posizione del mobile e possano dipendere dal tempo anche esplicitamente , ma non debbano dipendere dalle componenti della velocità, descriva una traiettoria piana , è che la forza sia centrale , cioè diretta verso un punto fisso , che può essere anche a distanza infinita. Catania, 10 aprile 1906. iVeiiioria II Ricerche intorno al ciclo evolutivo di una interessante forma di Sìeospora fierHarum (Pers.) Rab. per F. CAVAR A e N. MOLLICA * " , ( con 2 tavole e ligure intercalate nel testo ) Le ricerche che sono oggetto della presente memoria si riferiscono allo studio del ciclo evolutivo di una forma di Pleo- sj)ora herbarum (Pers.) Rab. riscontrata su foglie di (Jorypha australi s , e che, cimentata in vari substrati di coltura, diede con straordinaria costanza ed in copia stragrande , veramente insperata, determinate forme di organi riproduttori. Da qualche anno un bell1 esemplare di Gorypha australis , coltivato in piena terra all’ Orto botanico di Catania, andava soggetto a singolari alterazioni delle foglie che dinotavano un processo patologico perpetuantesi da un periodo vegetativo all’al- tro. Le foglie giovani, appena dispiegatesi, vi andavano soggette e le alterazioni si accentuavano sempre più col graduale sviluppo delle foglie stesse, così da fare pensare che il processo patologico fosse di natura infettiva. L’ osservazione attenta delle foglie malate mise in evi- denza realmente che sulle porzioni alterate si presentavano qua e là dei minuti corpiccioli nerastri, prominenti che erompevano dalla epidermide lacerata e che, ad un occhio abituato, si pa- lesavano quali con.cetta.coli fruttiferi di un mieromieete. Esami- nati infatti al microscopio, risultavano quali periteci di uno sfe- riaceo e precisamente di una Pleospora. La costanza colla quale si presentavano cotesti periteci nelle porzioni inaridite del lembo fogliare, la consociazione che qua e là essi mostravano di avere con forme conidiche, che si connettono col ciclo evolutivo di tal genere di pirenomiceti, avvalorarono l’idea che ad un Pleo- Atti Acc. Serie 4a, Vor.. XiX — Meni.. II. 1 2 F. Cavava e N. Mollica [Memoria II.] spora fosse dovuto il caso patologico offerto dalla Corypha au- strali. Se ne intraprese perciò uno studio sia per accertare i rap- porti di parassitismo, sia per portare un contributo alla cono- scenza del suo ciclo evolutivo. Il materiale si prestava molto opportunamente ad una indagine perché, come si disse , il pro- cesso patologico era continuativo su di un esemplare molto ri- goglioso e ricco di foglie, le quali andavano successivamente sog- giacendo alla infezione ed offrivano perciò stadi graduali di questa. Parte di materiale veniva, ad intervalli di tempo, de- bitamente fissato per opportune ricerche microscopiche, e parte ci serviva per le ricerche di coltura del micromicete e per altre investigazioni. Caratteri macro-e microscopici delle alterazioni. Sulle foglie di Corypha australi, che mostravano i primi indizi di alterazioni, si notavano delle minutissime lividure o macchie puntiformi giallastre, disposte in serie nel lembo de- corrente fra i cordoni fibrovascolari, macchie dovute a degene- razione dei cloroplasti, e che viste per trasparenza si presenta- vano semidiafane e come una soluzione di continuità nel tessuto assimilatore. Tali piccole macchie finivano in appresso per con- fluire insieme in guisa da formare delle linee sinuose , limitate dai cordoni fibrovascolari e che in senso radiale si estendevano dalla base, o inserzione delle nervature, fino presso 1’ estremità delle lacinie delle foglie, che per solito non raggiungevano. Mentre andavano così estendendosi le dette macchie assu- mevano grado a grado un colore giallo più scuro , fino a di- venire giallo ocraceo o ferruginoso , dopodiché i tessuti, colpiti da necrosi, inaridivano e le macchie divenivano grigio-cineree ; il lembo allora perdeva ogni consistenza, si faceva fragile e si rompeva lungo le porzioni alterate. Le nervature di vario ordine restavano solo in posto con sottile porzione di tessuto da parte a parte, onde l’intera foglia veniva ad essere divisa in numerose Ricerche intorno al ciclo evolutivo di una intomsante forma ecc. ó fibrille riunite solo all1 estremità delle lacinie e presso il pic- ciolo (Eig. 1). Fig. 1. Foglia di Corypha ausiralis colpita da infezione di Pleospora. Prima ancora che avvenisse tale sfibrili amento delle foglie, sulle linee sinuose o strie di lembo alterato, si manifestavano i minuti concettaceli carbonacei del pirenomicete, molti dei quali restavano pure sulle porzioni sfrangiate aderenti alle nervature 4 F. Cavava e JV. Mollica. Memoria II.] Facendo bollire pezzettini di foglia alterata in idrato potas- sico per un certo tempo, passandoli successivamente in acido ace- tico ed in acqua glicerinata, si rendevano assai bene manifesti al microscopio tali concettacoli contornati da fitto intreccio di filamenti micelici, dei quali quelli che circondavano immediata- mente i periteci erano di colore bruno-oli vaceo, mentre quelli che si internavano nel parenchima fogliare erano incolori o di un giallo chiaro. Oltre i periteci si riscontravano alla superfìcie delle macchie fogliari delle forme conidiche riferibili ad Aiternaria e a Macrosporium , ed anche degli aggruppamenti miceliari e dei veri e propri sclerozi. Facendo delle sezioni trasversali o longitudinali , in corri- spondenza delle porzioni alterate, si potè meglio stabilire il de- corso del micelio , il quale era prettamente intercellulare. Per metterlo meglio in evidenza bastò trattare le sezioni con acqua di Javelle che, come è noto, asporta il contenuto delle cellule, e, dopo opportuni lavaggi, colorarle con bleu di metilene ed cosina o con verde luce e rosso Congo , od anche con acido lattico e bleu di Poirier. Con tali processi si potè ben seguire il percorso del micelio anche in macchie incipienti, e là dove si iniziava la formazione dei conidiofori (Fig. 1, Tav. I). Le ife miceliche erano, come si disse, incolore nell’ interno dei tessuti, qua e là ramificate e for- nite a brevi intervalli di setti trasversali. Il loro contenuto era dato da plasma finamente granulare e da piccoli nuclei che non presentavano una struttura differen- ziata, ma sembravano ridotti a piccole porzioni di sostanza cro- matica. Quale conseguenza del parassitismo del fungo, le cellule del mesofìllo, ad immediato contatto del micelio, presentavano note- voli modificazioni sia nel contenuto che nelle membrane loro. Per quanto le ife non mandassero austorì nell’ interno delle cel- lule, pure il loro decorso fra cellula e cellula non era senza azio- ne disorganizzatrice. Fra i prodotti del metabolismo di queste Ricerche intorno al ciclo evolutivo di una interessante forma eco. 5 ife dovevanvi essere degli enzimi i quali agivano direttamente sulla lamella mediana sciogliendola, d’ onde la dissociazione delle cellule, il disturbo immancabile nei processi osmotici di queste, quindi plasmolisi , degenerazione dei cloroplasti e del citopla- sma. La scolorazione del mesolillo lungo le porzioni interfasciali era precisamente la esterna manifestazione dei disturbi fisiologici causati dal decorso intercellulare del micelio parassita. Dalla natura delle alterazioni esterne e cioè dalla forma delle macchie limitate alle tenui porzioni di tessuto fogliare in- terposto alle nervature della Goryplia , è lecito arguire che il micelio non aveva azione sopra gli elementi molto lignificati del tessuto conduttore, il quale rimaneva, come si disse, illeso. L’os- servazione microscopica confermò appunto questo arresto nella diffusione del micelio in corrispondenza dei cordoni fibrovasco- lari ; le ife iniceliche , perciò, non avevano per svilupparsi che una direzione sola, quella delle porzioni di parenchima fogliare intercedenti fra le nervature. Quando esse avevano raggiunto da un lato la base della foglia e dall’altro l’estremità delle lacinie, ed il parenchima si era esaurito, il parassita si disponeva a frut- tificare, sia emettendo ife conidifere che, o attraverso (Fig. 1, Tav. I) le cellule dello strato epidermico o per la via degli sto- mi, si rendevano libere all’ esterno dando collidi, sia confluendo in determinati punti ove coll’anastomizzarsi delle ife si costitui- vano dei gangli micelici, d’onde poi si originavano sclerozi e con- ce ttacoli ascofori. Le forme conidiche che si osservavano nelle foglie alterate erano riferibili, come si disse, a due tipi diversi e cioè a Macro- sporium (Sarei imi e) e ad Aiternaria (piriformi ed a catenelle). Ciò mise in sospetto che sullo stesso substrato avessero preso stanza due specie di Pleospora, essendo ormai noto che alcune Pleospora hanno per forma conidica dei Macrosporium, altre in- vece delle Aiternaria. Molto probabilmente una di queste specie si era sviluppata da saprofita sulle porzioni alterate di foglie di Corypha danneggiata dall’ altra specie. 6 F. Cavava e N. Mollica [Memoria II.] Questa supposizione era avvalorata da due circostanze : la prima che le due forme conidiche non si presentavano colla stessa costanza, nè sempre concomitanti , la seconda che anche i con- cettaceli ascofori avevano forma, dimensioni e distribuzione di- versa. Gli uni erano più grandi e formati di un ostiolo promi- nente a guisa di collo più o meno incurvato, e sparsi qua e là ; gli altri erano globosi, o globoso-depressi, più piccoli, senza collo e spesso riuniti a gruppetti. Nei primi si riscontravano ascili a spore piuttosto grandi, con sette sepimenti trasversali ; nei se- condi spore più piccole, a soli cinque setti. Ci trovavamo perciò di fronte ad uno spiccato dualismo di forme sia conidiche sia periteciali, e ciò era tanto più singolare in quanto, per essere queste sulla stessa matrice, potevano risollevare il dubbio che entrambe appartenessero al ciclo evolutivo della ornai tanto discussa Pleospora herbarum. Ciò ci indusse viem- maggiormente ad imprenderne uno studio accurato anche nello intento di portare luce su alcune fasi evolutive del tutto trascu- rate da coloro che fin qui si sono occupati di questo interessan- tissimo pirenomicete. Il preteso polimorfismo della Pleospora herbarum (Pers.) Rab. Non vi è forse in micologia argomento di ricerche così di- battuto come quello del ciclo evolutivo della Pleospora herbarum (Pers.) Rab., il tipo collettivo di pirenomicete altrettanto diffuso in natura quanto ricco di forme, e sviluppantesi sopra steli er- bacei, foglie, frutti, etc. , talora quale parassita, più spesso con caratteri di saprofita. Il trovarsi i concettatoli ascofori di questo sferiaceo sovente associati con forme conidifere , picnidiclie e spermogonicbe ha fatto da tempo pensare alla correlazione di queste forme con le periteciali e vi è tutta una ricca letteratura sul pleioinorfi- sino della Pleospora herbarum. Ricerche intorno ni ciclo evolutivo di una interessante forma ecc. 7 Limitandoci ai più importanti lavori, riassumeremo qui bre- vemente le opinioni messe avanti da distinti micologi. È noto come il Tulasne (1) assegnasse al ciclo della Pleo- s por a Jierbarum ben cinque forine di sviluppo e cioè : periteci ascofori (, Sphaeria. herbarum Pers.), picnidì a stilospore minutis- sime ( Cytispora orbicularis Berk. , Plioma herbarum West.), co- nidi riferibili a Cladosporium herbarum , collidi a Sarchiala (Ma- crosporium Sarcinula Berk.) e conidì a catenella (. Helmintliospo - rium teuu issi munì Ivze, Aitenaria tennis Nees). I criteri che condussero il Tulasne a tale coordinamento di forme furono suggeriti non da risultati di ricerche sperimen- tali, ma dall’ osservazione della loro concomitanza o della loro successione sul medesimo substrato. Ne fa fède quanto egli scris- se intorno al modo e tempo di apparire delle varie forme : Fungillus conidiophorus omni fere anni tempestate in lierbis demor- tuis ubique frequentissima apud nos reperitur , pycnides vero peri- thecia polissi mus sero autumno et liyeme currente maturare solet. L1 2 3 4 Hallier (2) andò più oltre ed aggiunse alle forme teste citate del Tulasne i corpuscoli del Cornalia, il Penicillium g ran- de, il Iihyzopus nigricans, un Micrococcus , forme di Mycothrix e bacterì ! II Fuckel (3) opinò che gli Epicoceum rappresentassero pure delle forme macroconidiche delle Pleospora. Il Cooke (I) assegnò alla Sphaeria ( Pleospora ) herbarum il ciclo seguente : « Conidia {Cladosporium herbarum Lk.) ; macroconidia (Ma- crosporium Sarcinula B. et Br.) ; pycnidia (. Myxosporium orbi- culare Berk.); stylosporae (. Plioma herbarum West.); ascosporae {Pleospora herbarum li ab.) ». (1) Tulasne. Selecta Fungorum Carpologia, II p. 261. (2) Hallier. Untersuch. ii. d. pflanzl. Organismi, eto. Potsdam 1868 — Die Muscardine des Kieferspinners (Zeitschrift fiir die Parasitenkunde Bd. I 1868). (3) Fuckel. Symbolae mycologicae. Wiesbaden 1869. (4) Cooke. Handbook of British Fungi, 1871, II, p. 896. 8 F. Cavava e N. Mollica iMemokia IL] Gibelli e Griffini (1), i quali consacrarono lunghe ed ac- curate ricerche sperimentali allo studio del ciclo evolutivo della Pleospora herbarum , vennero alla conclusione che nelle forme as- segnate dal Tulasne alla Pleospora herbarum si trovano gli ele- menti estremi almeno per due specie distinte, l’ una a conidi sarei niformi e fornita di picnidì, l’altra a con idi di Alterna ria e a picnidì ignoti. Il Cladosporium herbarum Lk. è forma concomi- tante quasi sempre colle diverse forme di Pleospora , ma è da escludersi dal ciclo evolutivo di queste. Bauke (2), nel 1877, dalle ascospore di Pleospora ottenne : da alcune Aiternaria e picnidì e da altre Sarei nule (. Macrosporium ) e periteci, e concluse coll’ assegnare entrambe le forme collidi- ci! e alla stessa Pleospora capace di un’alternanza di generazione. Kolil (3), studiando nel 1883 aneli’ egli le forme ottenute dalle ascospore, giunse alle seguenti conclusioni: 1. Dalle Alternarla si hanno sempre Alternarla. 2. Le ascospore danno Sarei nule ( Macrosporium ) e periteci ascofori. 3. Dalle stilospore di picnidì concomitanti coi periteci di Pleospora si ottengono picnidì ed Aiternarie. E conformemente ai risultati ottenuti da Gibelli e Griffini conchiuse che si possono avere due distinte specie di Pleospora. Il Saceardo nella a Spilo gè (4), a proposito della Pleospora herbarum , ammette però entrambe le forme conidiche di Alter- narla e di Macrosporium ed anche uno stadio spermogonico ( Ph <>- ma herbarum West.). Il De Bary (5) ritenne intanto come fortemente verosimile la distinzione proposta da Gibelli e Griffini in due Pleospora a (1) Gibelli e Griffini. Sul Polimorfismo della Pleospora herbarum Tal. (Archiv. trieun. del Laborat. di Botan. crittog. di Pavia.) 1874. (2) Bauke. Beitràge sur Kenntniss der Pycniden, Halle. 1877. (3) Kohl. Ueber devi Polymorfismus von Pleospora herbarum. (Bot. Centi'.) 1883. (4) Saccardo. Syll. Fung. IJ. 1883. p. 247. (5) De Bary A. Vergleich. Morph. u. Physiol. d. Pilse, Leipzig. 1884. Ricerche intorno al ciclo evolutivo di una interessante forma ecc. 9 forme conidiclie rispettivamente di Macrosporium e di Aiternaria. Il compianto Berlese (1) , annettendo alla Pleospora lier- barum la forma conidica di Macrosporium , giudicò non provata invece la forma picnidica ( Phoma lierbarum). Il Mattirolo (2), partendo da ascospòre di Pleospora lierbarum tipica da un lato, e di P. infectoria Euck. ( — P. Alternariae Gib. et Grifi.) dall’altro, ottenne dalla prima collidi a Sarcinula (Ma- crosporium ) e dalla seconda Aiternarie e picnidì , confermando così i risultati di Gibelli e Griffini e di Kohl. Arrivato a questa sola conclusione, non seguì 1’ ulteriore evoluzione delle colture. Il Costantin (3) dalle spore di Aiternaria , variando il sub- strato di coltura, ottenne forme somiglianti specialmente al Cladosporium ed altre che facevano transizione all’ Hormodendron. Il Brefeld (4) ottenne conidì di Aiternaria tanto da Pleo- spora infectoria Euck., quanto da P. vulgaris Ni essi. ; invece da ascospore di P. lierbarum , presa da diversi substrati, ottenne sem- pre Sarcinule e solo dopo quattro mesi accenni di periteci che non arrivarono a completarsi. Infine il Peglion (5), a proposito di una speciale infezione dei semi di Erba medica e di Trifoglio, ebbe ad osservare su questi semi, tenuti in opportune condizioni, lo sviluppo di cate- nelle di Alternarla tennis Nees, e dopo alcuni giorni la formazione di sclerozi e di concettacoli ascofori riferibili alla Pleospora Al- ternariae Gib. et Grifi'. Come si rileva facilmente dalla citata letteratura sono due le correnti intorno al polimorfismo della Pleospora lierbarum (1) Berlesk A. N. Monografia dei generi Pleospora etc. 1888. (2) Mattirolo O. Sul polimorfismo della Pleospora herbarum etc. (Malpighia) 1888. (3) Costantin I. Sur les variations des Alternarla et dee Cladosporium. (Rev. génér. de bot. 1889). (4) Brefeld O. Untersuchung . aus d. Gesammutgebiete der Mycologie. X Heft. (5) Peglion V. IH una speciale infezione crittogamica dei semi di erba medica etc. (Rend. Acc. d. Lincei 1903). Atti Acc. Serie 4a, Vol. XIX — Mem. II. 2 10 F. Cavava e N. Mollica [Memoria IL] Pers. : l’una, secondo la quale al ciclo evolutivo di questo pire- noinicete apparterrebbero una forma ascofora , una picnidica o spermog'onifera e più forme conidicbe, ed è la corrente della vec- chia scuola di micologi descrittori (Tulasne, Hallier, Fuekel , Gook, etc.), invano tentata di risollevare da Bauke ; l’altra, die è data dalla scuola modernà di micologi sperimentatori (Gibelli e Griffi ni , Kolil, de Baiy , Brefeld, Matti rolo, Peglion), secondo la quale due specie almeno di Pleospora sono da distinguere nel tipo della P. herbarum Pers., e cioè una (P. Sarei n trine Gib. et Griffi) ad ascospore più grandi, a 7 sepi menti trasversali, dalle quali nelle colture si hanno conidì a Sarchiala o Macrospor inm, ed un’altra ad ascospore più piccole, a soli 5 setti trasversali, dalle quali nelle colture si hanno per conidì delle Alternarla. Mentre non vi ha dubbio alcuno sulla costanza delle forme conidicbe rispettivamente di Macrosporimn e di Aiternaria perle due specie di Pleospora (P. lierbarum — P. Snrein trine, e P. Infec- toria — P. Alternariae) , altrettanto non può dirsi per le forme picnidiche ottenute talora per 1 ’ una specie di Pleospora e non per 1’ altra e vice-versa Le osservazioni di Bauke, portanti alla unificazione delle due specie di Pleospora in un solo tipo a ciclo alternante ora a co- nidì di Macrosporimn ora di Alternarla con miceli anche di- morfi, sono contradette dalle ricerche dei più ; e così anche quelle di Costantin intorno ai possibili passaggi da Alternarla a Cla- dosporlum e Hormodendron, essendo stata da tutti gli sperimen- tatori citati esclusa la forma di Cladosporium dal ciclo evolutivo della Pleospora herbarum e della P. infectoria. Le nostre colture. Portati da queste controversie a prendere in nuovo esame la questione del polimorfismo della Pleospora herbarum ed aven- do a nostra disposizione materiale offrente le due forme critiche Ricerche intorno ni ciclo evolutivo di una interessante forma ecc. 11 e cotanto cimentate, ci accingemmo pur noi a delle ricerche di colture sperimentali. i Nel Dicembre del 1904 si cominciarono i primi saggi sulla germinazione delle ascospore della forma maggiore, come chia- meremo la Pieoi spora a periteci più grandi, erompenti, con lungo collo ricurvo ed aventi spore a sette sepi menti trasversali, rife- ribile quindi alla Pleospora /Sorci» ulne Gib. et Grifi’. Le prime prove di germinazione furono anzitutto fatte in acqua potabile (1), sterilizzata mediante ebollizione prolungata. I periteci di Pleospora , tolti con un ago dalle porzioni alterate di foglia di Coryplut , venivano enucleati direttamente sul ve- trino portaoggetti, contenente una goccia d’acqua, esercitando una lieve pressione o col coprioggetti o con una lancetta, l’uno e l’altra sterilizzati alla fiamma. Trasportando in altro vetrino il nucleo di ascili fuoruscito e comprimendolo di nuovo colla lan- cetta si mettevano in libertà le ascospore in quantità da fornire materiale per più colture in goccia pendente contenenti ciascuna un numero limitatissimo di spore, talora anche una sola. Non ostante la bassa temperatura dell’ ambiente nel quale si fecero questi primi saggi (la temperatura scendeva fino a 5° e a 4“ C. di notte), le ascospore germinarono. Si notò per altro che la germinazione non avveniva affatto di giorno, ma solo di notte non ostante l’abbassamento notevole di temperatura. Seminate in- fatti al mattino nella goccia d’acqua delle camerette umide di vetro e tenute su di un tavolo alquanto lungi da una finestra, le spore non mostrarono accenni di germinazione durante le ore del giorno ; mentre il mattino dopo si trovarono fornite di lunghi tubetti germinativi. A maggior prova di questa eliofobia delle ascospore, se ne misero a germinare verso sera, e all’ indomani si trovarono con cospicui tubi germinativi. Si fecero pure delle semine di giorno, mettendo le camerette da coltura sotto una grande (1) L’ acqua potabile usata fu quella della conduttura Cardaci piuttosto ricca di sali di Calcio e di Magnesio. 12 F. Cavava e N. Mollica [Memoria II.] campana di vetro rivestita di carta nera, e dopo poche ore si ebbe del pari ad osservare la formazione di tubi germinativi. La luce perciò risultò essere condizione sfavorevole alla ger- minazione delle ascospore. Riguardo all’ influenza del calore, se le basse temperature su indicate non ostacolarono la germinazione, era da vedersi quale azione avevano temperature più elevate. Si misero perciò delle spore a germinare in termostato a varie temperature , e dalle nostre esperienze risultò che le ascospore germinavano a temperature di 15°, 20°, 30° e fìnanco 37° 0. Tut- tavia restò assodato che la germinazione avveniva in minor tempo alle temperature comprese tra i 15° e i 20° 0., si rallen- tava a 30° e cessava oltre i 37°. La latitudine adunque di capa- cità germinativa, al riguardo delle temperature, è assai grande e va da pochi gradi sopra zero fino a 37° e 1’ ottimo sembra of- ferto dai 15° ai 20°. Assicuratici della capacità germinativa delle ascospore, pas- sammo alle colture sperimentando mezzi liquidi e solidi. Mezzi liquidi. Per substrati liquidi ci servimmo sia di acqua di fonte genuina, sia di una decozione acquosa di pezzetti di fo- glia di Coryma austràlis addizionata del 5% di glucosio. Dopo prolungata ebullizione si filtrava il decotto e si sterilizzava al- 1’ autoclave. Le ascospore a 7 tramezzi ( Pleospora herbarum ), le quali appena formate sono circondate da uno strato muscoso che poi perdono (Pig. 2, Tav. I), messe a germinare in goccia pendente, in acqua potabile e al buio , mostravano dopo una o due ore i loculi più o meno rigonfi ed alcuni di essi , generalmehte di quelli estremi, ingrandivano più degli altri, al punto che le spore ne restavano alquanto sformate (Pig. 3, Tav. I). Dopo altre due ore da tali loculi si osservava la emissione di robusti tubetti germinativi cilindrici (Pig. 4), jalini, con plasma omogeneo, i quali dopo essersi alquanto accresciuti si segmentavano trasversal- mente (Pig. 5 , Tav. I) e cominciavano a ramificarsi (Pig. 6). Ricerche intorno al ciclo evolutivo di una interessante forma ecc. 13 Dopo quattro ore circa anche le ife, che si originavano dai tubi germinativi, prendevano a ramificarsi ed i rami si allungava- no diminuendo sensibilmente di diametro, mentre tendevano a raggiungere i contorni della goccia d’ acqua ed anche a sorpas- sarli divenendo, così, aerei. Lo sviluppo miceliare dopo dieci o dodici ore si arrestava evidentemente per la deficienza di mate- riali nutritizi nel substrato di coltura. Seminate le spore in goccie di decozione preparata con fo- glie di Corypha , allora, oltre che ad un più rigoglioso sviluppo di micelio, si assisteva in processo di tempo ad interessanti fe- nomeni, i quali preludevano alla formazione di organi riprodut- tori. Dopo due giorni dalla semina, il micelio acquistava l’aspet- to di un fitto ed intricatissimo velo. Nei singoli articoli delle ife venivano a formarsi delle goccioline in numero di due a tre per cellula e disposte con rilevante regolarità in serie. A giu- dicare dalla rifrangenza, sembravano essere delle sostanze grasse di riserva, e cogli ordinari metodi di colorazione non si colora- vano , mentre ciò avveniva di uno o due altri corpiccioli che le accompagnavano e che erano evidentemente dei nuclei. Col- l’ulteriore accrescimento delle ife, queste escivano fuori dalla goc- cia pendente mantenendosi aderenti al vetrino per la umidità che esso presentava, ina in breve venivano ad esaurirsi. Seguitando ad alimentare con nuova somministrazione di decozione la goccia pendente, si osservavano dopo 3 o 4 giorni dei processi di anasto- mosi svariati fra le ife miceliche. I casi più frequenti erano i se- guenti: due ife decorrenti parallelamente mandavano corti ramet- ti che incontrandosi venivano a saldarsi e a fondersi insieme. Si avevano così unioni ad H (Fig. 7, Tav. I) che spesso si ripete- vano in successivi articoli delle due ife (Fig. 8). Altre volte una estremità di un’ ifa si incurvava ad arco fino ad incontrare o una cellula della stessa ifa (Fig. 10 e 11) o cellule di altre ife (Fig. 9) : in ambo i casi avveniva la intima unione delle mem- brane nei punti di contatto, ed il successivo loro riassorbimento, onde i plasmi venivano a fondersi insieme. 14 F. Cavarci e N. Mollica [Memoria II.] Coleste anastomosi ci sembrano una condizione necessaria per la formazione di organi riproduttori e sono da interpretarsi, a parere nostro, come altrettante zigosi o atti sessuali. Dopo parecchi giorni, nei punti di maggior lavorìo di ana- stomosi miceliari , si videro prendere origine delle forme coni- diche. Da ife procedenti dalle anastomosi ad H, ad arco , etc. si staccavano dei rametti (Eig. 16 a , b) i quali, ergendosi più o meno sul feltro micelico, si segmentavano una o più volte ed assumevano un colore olivastro. Indi si rigonfiavano a botton- cino alla estremità (Eig. 16 e) e questa dopo aver raggiunto un certo diametro, si separava con un setto trasversale dall’ ifa generatrice e successivamente con altro setto veniva a dividersi in due porzioni eguali siccome due emisferi. La direzione del setto era varia : ora normale al filamento, (Eig. 16 d) ora obli- quo (Eig. 16 e, f), ora nella stessa direzione /Eig. 16 b , e). Al primo setto altro ne succedeva secondo un piano normale e , dopo ulteriori divisioni, si veniva ad individualizzare una spora o conidio a forma di Sarchia con 2 o 3 setti trasversali e a membrana da prima liscia poi minutamente aculeolata (Eig. 17). Tali conidì corrispondevano perfettamente a quelli ottenuti già da Gibelli e Grilfini e da altri da Pleoftpora Sarcinulae os- sia dalla vera Pleospora herbarum. In alcune di queste colture su decozione di Corypha venne fatto di osservare, frammiste alle forme a Sorcina o di Macro- sporiam , dei conidì piriformi riuniti a catenelle riferibili al tipo di Alternarla. Ma da un lato il micelio generatore di essi si presentava diverso da quello che generava le Sarchiale, sia pel diametro delle ife che per la lunghezza degli articoli, e dall’ al- tro coteste Alternarla si formavano in determinati punti , in porzioni ben limitate del substrato. Si attribuì, perciò, la loro formazione alla casuale presenza di un micelio dovuto a conidi di Aiternaria caduti in quelle colture. Tenendo in osservazione le colture che avevano dato solo dei Macrosporium , si notò che questi conidì, arrivati a completa Ricerche intorno al ciclo evolutivo di una interessante forma ecc. 15 maturità, si disarticolavano dall’ ifa generatrice e indi a poco en- travano essi pure in germinazione, dando luogo a ife miceliche che non differivano da quelle emanate dalle ascospore. Solo in qualche caso si aveva una variante, in quanto dai tubi germina- tivi, uscenti da vari loculi di un Macrosporium, dopo breve decor- so si aveva una novella formazione di Sarcinule (Fig. 18, Tav. I), cosa avvertita già da Tulasne e da (ribelli e Griffi ni, in modo da ottenersi delle colonie di Macrosporium fra di loro allacciati da brevi porzioni di tubi germinativi. Verso il ventesimo giorno in queste stesse colture e dopo la germinazione delle Sarcinule, si ebbero a notare delle parti- colari differenziazioni nel nuovo micelio. Qua e là si presenta- vano delle singolari modificazioni delle ife, alcune delle quali alla loro estremità si attorcigliavano a spirale, formando come dei cirri o pastorali (Fig. 12 e 15). Ora avveniva che, trovandosi in vicinanza 0 contiguità due di cotesti cirri, si stabilisse ben presto il contatto fra le loro spire (Fig. 13, 14) e successivamente una intima unione fra due tratti di esse, d’ onde la formazione di un gomitolo (Fig. 14), che diveniva così l’inizio di un corpo fruttifero. Evidentemente anche cotesto processo di attorcigliamento di ife e la unione, due per due, di cirri o pastorali è pure da in- terpretarsi come un atto sessuale necessario alla formazione di concettaceli fruttiferi ed inerente al micelio emanante dalle Sar- cinule. Esso ricordava assai quanto si verifica nell’ Ascodesmis nigricans Van Tiegli. (1) per quanto il Van Tieghem non vi desse altro significato che di un modo particolare di anastomosi; e ricorda parimenti quanto avviene nella Boudiera , studiata re- centemente da P. Claussen (2), il quale considerò invece la unio- ne delle ife contorte a spira come un atto sessuale, fungendo una di esse da ascogonio, 1’ altra da anteridio. (1) Van Tieghem T. Bull. d. la Soo. bot. de France T. XXIII p. 271-279. (2) Claussen T. Bot. Zeitung Iahrg. 1905 Heft. I/II. 16 F. Cavava e N. Mollica Memoria II A conferma di queste vedute, che sono da noi condivise, ci sarebbe la seguente osservazione e cioè che là dove non avve- niva la corrispondenza di due ife attorcigliate a spira, ma se ne formava una sola in un determinato punto della coltura, si ve- deva che essa, dopo aver conseguito alcuni giri di spira, rima- neva stazionaria per parecchio tempo, senza che intervenisse al- cuna modificazione di forma, senza che si costituisse alcun go- mitolo; anzi il suo contenuto da granulare si faceva omogeneo e poi acquoso, e la membrana lentamente difluiva fino a non di- stinguersi più dal contenuto : in una parola il cirro micelico ca- deva in degenerazione. (1) Dal gomitolo formatosi per V unione intima di due ife a pastorale, in seguito a processo di segmentazione si veniva a for- mare un nodulo pseudo-parenchimatico che, mentre aumentava in grandezza e compattezza, andava gradatamente modificandosi alla periferia. Ivi le membrane delle ife venivano via via sclero- tizzandosi e assumendo un colore ocraceo che si intensificava sempre più. Si era costituito , in altre parole, uno sclerozio, la cui durata di vita latente era più o meno lunga, e che per strut- tura e dimensione corrispondeva bene a quelli riscontrati sulle foglie alterate di Corypha austrcilis. Dopo un mese e mezzo dalla semina delle ascospore, cotesti sclerozi erano già divenuti dei periteci ascofori forniti di ascili con spore a 7 sepimenti trasversali del tutto identiche a quelle dei periteci tratti dalle foglie di Coryplia. I periteci ottenuti nelle nostre colture in goccia pendente avevano carattere affatto sporadico ; la forma loro era assai regolare ed erano forniti di un lungo collo (Eig. 20, Tav. I) (1) La sterilità che si osservò in colture assolutamente pure, ottenute, cioè, per germi- nazione di una sola ascospora, fa assegnare alla specie da noi studiata carattere di eterotal- lia, analogamente a quanto si verifica in certe Mucorinee (Veggansi il lavoro di A. F. Blakeslee Sexual Reproduchtion in thè Mucorineae. Proceedings of thè American Academy of Art and Sciences voi. XL. N. 4. 1904.). Ricerche intorno al ciclo evolutivo di una interessante forma ecc. 17 incurvato superiormente. Tanto nella parte rigonfia quanto nella ristretta mantenevano per qualche tempo residui di ife brune che poi scomparivano interamente a maturità. Dai periteci così ottenuti si ebbero ascospore ben formate le quali servirono a nuove colture, sempre in goccia pendente, di decozione di Cory filici. Essendosi la temperatura dell’ ambiente di un poco elevata, si ebbe tosto la germinazione e dopo 5 o 6 giorni la formazione di conidi a Sarei nula che, staccatisi dai co- nidiofori, presero a germinare dando nuovo micelio. Dopo soli quindici giorni si riebbero sclerozi e periteci che maturarono ottimamente ascospore. Si riprese a coltivare pur queste asco- spore e si completò novellamente il ciclo evolutivo, e così per cinque volte di seguito, non ottenendosi mai altre forme all’ in- fuori delle Sarcinule e dei periteci ascofori. Benché soddisfatti di questi risultati ottenuti con tanta co- stanza, partendoci sempre dalle ascospore, volemmo invertire le ricerche prendendo per punto di partenza la forma conidica e cioè il Macrosporium. Seminammo delle spore di questo ifomi- cete nello stesso decotto di Corypha , avendo ogni cura perchè le colture riuscissero pure e mettendo in ogni goccia da uno a pochi collidi. Ottenuta la germinazione regolare di questi e la formazione di un abbondante micelio, vedemmo ripetersi nelle sue ife le stesse anastomosi notate già pel micelio avuto dalle ascospore, e formarsi, dopo pochi giorni, nuovi conidi a Sarci- nula. Questi germinarono alla loro volta, e dal micelio formatosi si ebbero dopo una ventina di giorni gli aggrovigliamenti caratte- ristici preludenti alla formazione degli sclerozi. Prodottisi questi, e con forme simili a quelli avuti dalle ascospore, si differenzia- rono, in altri 10 o 12 giorni, in veri periteci con ascili e ascospore a 7 setti. Non è stata certo piccola la nostra soddisfazione l’aver otte- nuto in tempo relativamente breve (poco più di due mesi) la ripe- tizione del ciclo evolutivo con costante alternanza di conidì e di concettaceli ascofori partendo tanto dalle ascospore quanto dai Atti Acc. Serie 4’, Vol. XIX — Mera. II. 3 18 F. Cacar a e N~. Mollica [Memoria II.] conidì. Ed era ben giustificata la nostra soddisfazione se si pensi che i periteci furono in iscarsa misura ottenuti da alcuni investi- gatori, e non ottenuti affatto da altri. Il Brefeld, che si può dire il maestro in micologia sperimentale, non ne ottenne affatto in sei mesi di colture ! Mezzi solidi. Parecchi furono i mezzi solidi di coltura che si sperimentarono. Anzitutto si usarono le patate bollite, tagliate a fette di 1 cm. circa di spessore e sterilizzate all’ autoclave. Le ascospore della solita forma, a 7 setti, germinarono prestissimo dando luogo ad un fìtto ed intricatissimo micelio cotonoso a disposizione raggiata, avente per centro il punto in cui era avvenuta la inoculazione delle ascospore (Eig. 2). Dopo qualche giorno i rami conidio- fori si erano già formati sollevandosi sul substrato a guisa di Fig. 2 • — Coltura su patata di ascospore di Pleospora herbarum. si, spesso anche di forma irregolare che si riconobbero nelle preparazioni microscopiche per sclerozi. Evidentemente nel mezzo solido la formazione di cotesti sclerozi avveniva più tumultuosa che non nel mezzo liquido e da ciò anche la loro forma irregolare e le varie dimensioni da zone scure di aspetto vellutato. Staccando dei pezzetti di coltura ed esaminandoli al micro- scopio, essi risultavano costituiti di perfettissime Sarei nule portate dai so- liti rametti di colore ocraceo. Dopo venti giorni cir- ca apparvero degli am- massi di colore bruno risultanti dall’ insieme di tanti corpicciuoli glo- bulari o globoso-depres- Ricerche intorno al ciclo evolutivo di una interessante forma ecc. 19 essi assunte. Lo stato di riposo di questi sclerozi durò assai più a lungo che nelle colture in goccia pendente, poiché la loro tra- sformazione in periteci ascofori si fece aspettare oltre un mese e mezzo. Per atfrettare lo sviluppo di questi si tentò da prima di sottoporli ad una temperatura più elevata in un termostato, ma senza effetto ; solo si ebbe a notare un risveglio vegetativo delle ife periferiche degli sclerozi, le quali dopo essersi allungate alquanto diedero di nuovo delle Sarei nule (fìg. 19, Tav. I). Anche il Tulasne figura di tali Sarcinule procedenti dal peridio dei periteci. Ritorneremo più avanti su tale fatto. Non riscontrandosi differenziazione in ascili del contenuto di questi sclerozi, si pensò che questi potessero essere delle forme picnidiclie, ina anche questo dubbio svanì per la nessuna com- parsa di stilospore. Siccome intanto il mezzo solido usato, cioè le patate, an- dava essiccandosi per continuata evaporazione dell’acqua propria, sottratta anche dai miceli , si pensò di aggiungere dell’ acqua distillata nelle scatole Retri entro cui stavano le fette di patate con le colture. Dopo 5 o 6 giorni esaminati gli sclerozi si ri- scontrò che in essi erano venute a differenziarsi delle cellule o ife ascogene ed in alcuni gli stessi ascili. Eravamo così venuti in possesso di un mezzo assai accon- cio per ottenere in gran numero e sclerozi e periteci che ci ser- virono poi, come diremo, ad interessanti ricerche sulla evoluzione di questi organi riproduttori. Altro mezzo solido da noi tentato fu la zucca , quella va- rietà che ha polpa aranciata assai ricca di sostanza zuccherina. Si ebbe qui pure un abbondante sviluppo di micelio, non però così rigoglioso come nelle patate e senza la regolare struttura raggiata che si avvertiva in queste (Pig. 3). Si formarono Sarcinule e dopo qualche tempo sclerozi in quantità, non solo alla superficie delle fette di zucca ma anche nell’interno di queste per compenetrazione, nella molle polpa, del micelio. Ad accelerare la trasformazione degli sclerozi in periteci 20 F. Cavava e N. Mollica [Memoria IL] riuscì qui pure l1 addizione di acqua distillata. Non si verificò inai alcuna forma pienidica. Le carote bollite non diedero risultati soddisfacenti. Il micelio scarsamente sviluppato ( > ri gi n <' > dopo p aree c li i giorni delle Sarei nule ina non sclerozi e quindi nè anche periteci. Le mele bollite e ta- gliate a fette si mostra- rono un eccellente sub- strato. Il micelio si svi- luppò copiosissimo dando dopo pochi giorni Sarci- nule e al decimo giorno sclerozi. Addizionate le colture di acqua distilla- tasi diedero esse pure pe- riteci, molti dei quali più regolari che nelle patate e nelle zucche , con collo allungato come nelle colture in goccia pendente. Si volle pure tentare la colla d’amido del commercio, sem- pre in scatole Petri. Si ebbe copioso micelio e pur copiosa pro- duzione di Sarcinule. Ma coll’ essicarsi del substrato si arrestò completamente lo sviluppo delle colture. Le colture in gelatina ordinaria , preparata secondo la ri- cetta di A. Mayer, (1) cioè : cc. 500 acqua gr. 6 peptone Witte gr. 4 estratto di carne Liebig gr. 1 cloruro di sodio gr. 5 destrosio gr. 50 gelatina marca d’ oro (1) A. Maybr, Prak icum fiir bofanischen Bakterienknnde, Jena 1903 p. 28. Ricerche intorno ni ciclo evolutivo di una interessante forma ecc. 21 diedero pure un copioso sviluppo di micelio fioccoso dal quale si ebbero indi a poco Sarei nule e sclerozi. Per altro per suc- cessiva liquefazione della gelatina avvenne una sommersione del fungo e una degenerazione di questo manifestantesi con acutissimo odore ammoniacale. Non valse il trasportare micelio e sclerozi in gelatina fresca a fare riprendere lo sviluppo; forse per prodotti laterali nella scomposizione dei costituenti della ge- latina era avvenuta un’intossicazione delle ife e delle cellule de- gli sclerozi. Nell’ agar-agar , preparato pure secondo la ricetta di A. Mayer (Op. cit.), si ebbero ottimi risultati, e cioè, micelio ab- bondante, fioccoso, formazione rapida di Sarcinule e susseguen- temente di sclerozi e periteci ascofori del tutto conformi a quelli ottenuti con altri substrati. Riassumendo i risultati delle colture in mezzi tanto liquidi che solidi di Pleospora lierbarum si ha che : 1. Dalle ascospore di periteci tratti da foglie di Corypha si ebbero sempre da prima dei conidì sarciniformi e successiva- mente sclerozi e poi periteci ascofori. 2. Dalle Sarcinule o Macrosporium , ottenuti dalle ascospore si ottennero altre Sarcinule, degli sclerozi e dei periteci ascofori. Essendosi completato questo ciclo cinque volte consecuti- vamente in mezzo liquido e su quasi tutti i mezzi solidi tentati, senz’ alcun altra forma intermedia nè conidica nè picnidica ci siamo ritenuti autorizzati a riconoscere nella Pleospora studiata queste sole forme, e cioè : due forme vegetative date dal micelio filamentoso e dagli sclerozi e due forme riproduttive : Macro- sporium e ascospore, con una ritmica alternanza avendosi questa successione : micelio — Macrosporium , sclerozi — ascospore. Questo schema del ciclo evolutivo della Pleospora lierbarum è il più semplice di quanti altri sieno stati presentati o presunti dai vari investigatori : ma attesa la ritmica ripercussione delle due forme riproduttive, ottenute in tanti diversi substrati, ed in così grande copia, siamo indotti a ritenere il nostro schema come 22 F. Cavava e N. Mollica (Memoria II.] la espressione netta e definitiva del ciclo evolutivo di questo pi- renomicete. Colture con ascospore di Pleospora a 5 setti (P. Alternariae Gib. e Grill. —P. infectoria Dock.). Oouie abbiamo fatto notare fin dal principio di questo lavoro , le foglie di Corypha nelle loro parti alterate albergavano oltre alla forma di Pleospora lier- barum , della quale abbiamo studiato il ciclo biologico, un’altra Pleospora a periteci più piccoli , con ostiolo non prolungato a guisa di collo, e ad ascospore a soli cinque setti trasversali. Inol- tre erasi pure osservato che alla superficie delle macchie si pre- sentavano talora dei conidì riferibili ad Alternarla. Dovevasi quindi procedere a colture anche di questa forma , per quanto fosse già noto come essa non abbia nessi genetici con la Pleo- spora lierbarum. Colle ascospore di essa si ripeterono, perciò, le stesse esperienze di colture fatte per l’ altra specie. In goccia pendente con decotto di Corypha si ebbero gli stessi fenomeni circa la germinazione delle ascospore, e cioè: ri- gonfiamento di alcuni loculi inducenti alterazione di forma nelle spore, produzione di più tubi germinativi, d’ onde ife miceliche ramificate, incolore, e la produzione, dopo cinque o sei giorni, di conidì riferibili al tipo di Alternarla succedentisi a catenelle con straordinaria regolarità. Crediamo superfluo il descrivere qui il modo di formazione sia dei conidì ad Alternarla sia delle colonie di queste. È da notare soltanto che nessuna forma intermedia fra Al- ternarla e Macrosporlum apparve nelle colture, e che germinando dopo pochi giorni le Alternarla ottenute dalle ascospore davano luogo a nuovo micelio che non produceva le particolari dispo- sizioni a cirro o a pastorale che notammo nel caso della Pleo- spora lierbarum , ma solo qua e là manifestava delle abbondanti e compatte ramificazioni assumenti un aspetto cespuglioso. Il significato di questi cespuglieti micelici non si potè col- pire poiché essi in ibreve subivano degenerazione. All’infuori di Ricerche intorno al ciclo evolutivo di una interessante forma ecc. 23 queste manifestazioni, non si verificarono altri fatti che si po- tessero mettere in relazione con la formazione di sclerozi e tanto meno di concettacoli ascofori. Una nuova produzione di Al ter- narie aveva luogo fino all’ esaurimento del substrato di coltura, e nulla più. Si rifecero nuove colture coi conidi di seconda generazione, ma si ebbe una ripetizione degli stessi processi con novella for- mazione di Aiternarie. Solo a titolo di curiosità noteremo che in alcune colture si riscontrarono dei singolari gruppi di Aiternarie in luogo delle regolari ordinarie catenelle , così da far pensare alla costituzione di gomitoli micelici preludenti alla formazione di sclerozi o di periteci. Ma esercitando su tali accumuli di Ai- ternarie una lieve pressione con vetrino coprioggetto , si ve- rificava subito la dissociazione dei eonidì non restando che un gruppo di ife brevemente ramificate e fra di loro a bastanza intimamente riunite. Si tentarono anche colture partendo dalle Aiternarie, sia ot- tenute dalle ascospore, sia prese da foglie di Corypha; ma dopo un rigoglioso sviluppo di micelio e di eonidì, non ostante ripetute somministrazioni di liquido colturale, non si ebbe produzione al- cuna di sclerozi e tanto meno di periteci. Nei mezzi solidi non si ebbe maggior fortuna circa la pro- duzione di forme di organi riproduttori oltre le conidiclie. Nelle patate le ascospore diedero abbondante micelio vellu- tato, ma non cotonoso o fioccoso come nella forma precedente- mente descritta, e dopo 5 o 6 giorni si venivano a differenziare parti più sollevate siccome zone annulari intercalatamente piane e rialzate che assumevano colorazione verde oliva scuro. Erano le ife conidiofore che prendevano tale disposizione ; ed esaminate al microscopio le zone più scure risultavano costituite di fitto intreccio di catenelle di Aiternaria. Lasciate a sè per molto tempo coteste colture non manife- starono alcuna variazione, e non si ebbe accenno a formazione di sclerozi e di periteci. 24 F. Cavava e N. Mollica | Memoria II]. Nelle carote fu debole sin dall’ inizio lo sviluppo del mi- celio, nè alcuna particolarità richiamò la nostra attenzione. Si ebbero dopo parecchi giorni collidi di Aiternaria , e nulla più. Su dadi di polpa di zucca le ascospore germinarono ottima- mente dando un micelio olivastro disposto a zone, come nelle patate, e con copiosa produzione di Aiternarie. Il nuovo micelio che si generava per la germinazione immediata delle Aiternarie determinava un processo di erosione nel substrato polposo che ne restava come alveolato o spugnoso. Notammo nella nuova pro- duzione di Aiternarie molti casi d’ involuzione che facevano pensare a possibili forme di passaggio ad altre sorta di collidi , ma erano vere e proprie forme degenerative. Anche qui nessun indizio a formazione di sclerozi e di periteci. Su fette di mele cotte , abbondante si sviluppò il micelio che diede le solite Aiternarie in tempo anzi più breve che ne- gli altri substrati ed in alcuni punti in modo tumultuoso. Es- sendosi disseccate alquanto le fette di mela si pensò di aggiun- gervi acqua sterilizzata per riattivare lo sviluppo del fungo. Si ebbe infatti un notevole risveglio nel micelio con nuova produ- zione di collidi di Alternarla , ma non apparvero mai nè sclerozi, nè picnidì, nè periteci. Coll’ amido del commercio in forma di colla si ebbero gli stessi fenomeni che per la Pleospora a 7 setti: abbondante micelio, produzione di conidì seguita però da esaurimento del substrato. Le colture in gelatina diedero uno splendido sviluppo di mi- celio da prima omogeneo, poi in determinati punti distintamente zonato in seguito a formazione intermittente di ife sterili e di conidiofori con Aiternarie (Fig. 4). Qui pure si ebbe la fusione della gelatina e la sommersione del micelio e delle Aiternarie, ed in appresso la degenerazione del fungo. In agar-agar le ascospore germinarono ottimamente dando luogo ad abbondante micelio e ad Aiternarie, senza seguito di altre forme riproduttive o metagenetiche. Ricerche intorno al ciclo evolutivo di una interessante forma ecc. 25 Riassumendo i risultati ottenuti colla seconda forma di Pleo- spora , cimentata nei vari substrati, si ha che : 1. Le ascospore a cinque setti trasversali, di periteci tratti dalle macchie fogliari di Coryplia australis diedero infallantemente dei collidi piriformi mu- rale-settati , riuniti in catenelle, riferibili ad Aiternaria (certamente V Aiternaria tenuisNees). 2. Le Aiternarie ot- tenute da ascospore, ger- minando nello stesso substrato di coltura, die- dero novellamente delle Aiternaria. 3. Le Aiternaria sia delle colture, sia prese dalle foglie di Corypha (substrato natu- rale), coltivate a se, diedero costantemente Aiternarie. 4. Aon si ebbe in questa seconda serie di esperienze pro- duzione alcuna di sclerozi, nè di periteci. L adunque assai diverso il comportamento nelle colture di questa forma di Pleospora a spore a 5 setti, da quello offerto dall’altra forma a 7 setti sopratutto pel fatto saliente della ripetizione della forma conidica e pel mancato completamento del ciclo evolutivo. Ad altri investigatori era pure occorso di verificare simile ripetizione di forma conidica ( Aiternaria ) senza ottenere periteci (Kohl, Brefeld, Costantin), e gli stessi Gibelli e Griffini (1), ai quali venne dato di ottenere periteci in colture di oltre due mesi, eb- bero a fare la seguente dichiarazione «.... ci conviene dire che (1) Gibelli e Griffini op. cit. p. 87. Atit Acc. Serie 4a, Vol. XIX — Meni. II. 4 26 F. Cavava e JV. Mollica [Memoria II.] finora non abbiamo ancora potuto trovare le condizioni oppor- tune per la formazione dei periteci dalle ascospore che ci pro- dussero Aiternarie nelle nostre seminagioni, poiché tre sole volte , sopra ventidue preparati che fruttificarono Aiternarie, si orga- nizzarono i periteci con ascospore (1). » La ragione di cotesta difficoltà di dare periteci, per parte della Pleosy>ora Alternariae Grill, e Griffi, nei substrati colturali è forse da ricercarsi, secondo noi, in speciali attitudini fisiolo- giche di questa specie e precisamente nel suo comportamento di parassita facoltativo. Stragrande è infatti in natura la diffu- sione della sua forma conidica ( Aiternaria tennis Nees) la quale ha abito decisamente saprofìtico. Essa, al pari del Clciclosporium Jierbarnm , è uno dei più comuni intrusi delle nostre colture, come pure una delle forme più frequenti negli organi vegetali in Aria di decomposizione. Cotesta forma conidica basta a se stessa nei substrati organici, ma non in quelli organizzati, e ciò risultò nelle colture da noi e da altri fatte. Se condizioni speciali, che noi ignoriamo , permettono a questo pirenomicete di insediarsi in organi vivi di piante supe- riori, ivi esso può completare il suo ciclo e dare periteci ascofori. E così che si può spiegare la presenza de’ suoi periteci nelle foglie della Coryplia anstralis sulla quale , come si disse , si ri- scontrarono anche i collidi alla superfìcie delle parti alterate. Si spiega pure in tal guisa il risultato ottenuto dal Peglion su semi di Vicia e di Trifolium attaccati da micelio di Pleo- sporct Alternamele, che messi in opportune condizioni diedero luogo prima ad Aiternarie e successivamente a periteci ascofori. Se la nostra induzione è conforme al vero, le alterazioni delle foglie di Coryplui anstralis dovrebbero essere causate piut- tosto dalla Pleospora Alternariae Gib. e Griffi (P. infectoria Euok.) anziché dalla Pleospora Jierbarum (Pers.) Kab. le cui attitudini (1) Da questo passo citato del memorabile lavoro di Gibolli e Griffini, risulterebbe errata V affermazione del Mattirolo (Op. cit. p. 362) che da conidl di Aiternaria Gibelli e Griffini ottenessero periteci complessivamente in 23 colture. Ricerche intorno al ciclo evolutivo di una interessante forma ecc. 27 saprofìtiche sono luminosamente confermate dalle nostre come dalle precedenti ricerche. La presenza della P. herbamm sulle foglie alterate di Cory- pha australi s dovrebbe ascriversi a mera consociazione ed all’a- vere essa trovato, nelle porzioni già danneggiate od uccise dalla P. infectoria, un substrato adatto pel suo sviluppo. Quanto ad altre forme metagenetiche, per ambo le specie di Pleospora , esse dai numerosi e costanti risultati delle nostre colture su così svariati substrati, sono da escludere. Riteniamo quindi, e con ogni ragione, prive di nesso genetico le forme picnidiche ascritte dai vari autori ora alla Pleospora lierbamm Pers. ( P. Sarcinulae Gib. et Griff.) ora alla Pleospora infectoria Pack. (P. Alternariae Gib. et Griff.). E se picnidì o altre forme conidiche, oltre le due ornai indiscutibilmente ammesse di Macrosporium e di Alternarla, ri- spettivamente per la P. herbamm e P. Alternariae , sono stati riscontrati in substrati di coltura di questi due Pirenomiceti, è da ritenersi , a nostro avviso , che essi rappresentino delle ca- suali intrusioni e non facciano assolutamente parte del ciclo evo- lutivo delle Pleospora in questione. La leggenda del polimorfismo di queste è andata via via spogliandosi delle iperboliche gonfiature di Hallier, delle com- plicate associazioni di Tulasne e di Euckel, dopo che le colture sperimentali condotte con procedimenti esatti hanno ridotto al giusto valore le fasi evolutive. Sussisteva tuttavia fino ad oggi la credenza che forme picnidiche ( Phoma , Gito spora, etc.) potessero rappresentare degli stadi intermedi, attese le frequenti consocia- zioni di queste con periteci o con forme conidiche sullo stesso substrato naturale ; e i risultati di parecchi sperimentatori ave- vano pur dato peso a cotesta credenza. Ma la non concordanza di questi stessi risultati, i dubbi espressi in proposito da auto- revoli investigatori da un lato, e il responso assolutamente ne- gativo delle nostre colture dall’altro, tolgono ogni valore all’ am- missione di forme metagenetiche date da picnidì. 28 F. Cavava e N. Mollica [Memoria II.J Ciò che ha molte volte indotto i micologi ad affermare il polimorfismo dei Pirenomiceti è stato anche il criterio dell’evo- luzione o differenziazione organica che ha fatto supporre una ge- rarchia di forme negli organi riproduttori: alcune più semplici ritenute inferiori, altre più complicate ritenute superiori, fino da arrivarsi alla provvisoria e convenzionale distinzione di fungili imperfetti per tutte le forme inferiori (conidiclie e picnidiche). Le invocate ricerche sperimentali che avrebbero dovuto dipannare la intricatissima matassa dei cicli evolutivi per ridurre ad un giusto limite e valore le specie fungine, non hanno dato che scarsi ed incompleti responsi, e spesso in queste ricerche il pre- concetto di una graduale evoluzione organica , di una ritmica successione di forme, dalle più semplici alle più complesse, ha finito per dar peso e valore a fatti non bene accertati e ad os- servazioni non abbastanza scevre dall’errore, così facile ad insi- nuarsi nelle esperienze. Se le risultanze delle molteplici e svariate nostre colture , con tanta costanza, di dati i quali collimano con i più salienti ottenuti da scrupolosi ricercatori che ci hanno preceduto, posso- no avere sufficiente valore probatorio, le due forme di Pleospora che si trovano così frequentemente consociate anche su di uno stesso substrato, devono ritenersi, come già ebbero a dimostrare Gibelli e Griffini, due specie distinte che, in omaggio ai due mi- cologi italiani che le sceverarono pei primi, potrebbersi tuttora indicare per Pleospora Sarcinulae Gib. et Griffi e Pleospora Al- ternariae Gib. et Griffi Alla prima apparterrebbero le numerose forme della Pleospora herbarum (Pers.) Kab., alla seconda la Pleospora infectoria Euck., la P. vulgaris Messi, e forse altre. Ambedue le specie collettive hanno un ciclo di sviluppo assai semplice, e integrato in due forme di organi riproduttori : i conidì o spore esogene (rispettivamente Macrosporium e Ai- ternaria), e le ascospore o spore endogene a 7 e a 5 setti. Questa duplicità di forme riproduttive è, dopo tutto, conforme a quanto si verifica in molti altri funghi ed in tante alghe. Le Ricerche intorno al ciclo evolutivo di una interessante forma ecc. 29 Carposporee alle quali i Pirenoiniceti sono equiparati in ra- gione della complicanza degli organi riproduttori, (e sempre nuove omologie vengon messe in luce dai recenti studi sui loro processi fecondativi), presentano tipicamente cotesta duplicità di organi riproduttori. D’ altronde è pure assodato clie altre specie di Pleospora danno solo conidì e periteci, così la Pleospora trichostoma (Fr.) Wint., che è una specie collettiva , comprendente forme che si sviluppano sulle graminacee. Dalle ricerche di coltura e di ino- culazione istituite da Dieticke (1) risulta appunto che a lato dei concettaceli ascofori si sviluppano, per le forme comprese in que- sta specie, dei conidì riferibili ad Helminthos'porium. Sviluppo degli sclerozi della Pleospora Zierbarutn (Pers) Rab. v. Cori/phae Cav. et [Violi. (2) Se le precedenti ricerche hanno messo in chiaro le fasi evo- lutive delle due specie di Pleospora che albergavano le foglie di Coryplia australis e, particolarmente per la P. herbarum , hanno dato piena conferma dei risultati ottenuti da altri micologi e sopratutto da Gibelli e Griffini , parve a noi che un punto ab- bastanza oscuro restasse a chiarire e cioè lo sviluppo degli scle- rozi e la loro ditferenziazione in periteci ascofori. Alla soluzione di questo problema furono intese le ulteriori nostre ricerche prendendo le mosse dall’inizio degli sclerozi stessi, seguendo gradatamente le modificazioni di forma e di strut- tura fino alla loro completa trasformazione in organi riprodut- tori, ossia in periteci ascofori. Il materiale copioso da noi ottenuto, in così svariati mezzi di coltura, si offriva egregiamente ad essere utilizzato per simili (1) Vedi Dieticke H, Uber den Zusammenhang ewischen Pleospora, u. Helminthosporinm- Arten. Centralld. f. Bakter. u. Parassitenk. 1902. (2J Differt a typo : peritheciis globoso-conicis numquam colldbescentibus , ostiolo in eollum praelongum, cylindraceum, arcuatimi protracto. 30 F. Cavava e N. Mollica. [Memoria II.] indagini i cui risultati cercheremo di riassumere qui breve- mente. Il modo di prendere origine degli sclerozi è già stato da noi in parte descritto, ed anche interpretato quale il risultato di un processo fecondativo e più precisamente di un atto di coniuga- zione di ife (gameti) morfologicamente non differenziate. Nei substrati liquidi le ife destinate a tale processo si at- torcigliano a spirale, e dalla fusione della estremità di due di queste ife, così avvolte a spira, sembra trarre origine lo sclero- zio. Una conferma di tale induzione non si potè avere in dati di ordine citologico essendo stata assai scarsa la produzione di sclerozi e di periteci nei substrati liquidi. Tuttavia l’osservazio- ne da noi fatta del ripetersi di simili disposizioni di ife prelu- denti alla formazione di sclerozi, e l’altra osservazione non meno importante relativa alla sterilità di ife avvolte a spira, isolate, ossia ottenute dalla germinazione di un’unica ascospora, avvalorano certamente 1’ ipotesi di un processo fecondativo presiedente alla formazione di uno sclerozio. Nei mezzi solidi di coltura, che come si è visto, furono molti e diedero sclerozi in grande quantità per la Pleospora herbarum , fu possibile approfondire delle ricerche e seguire, nelle varie fasi, lo sviluppo di tali organi. Il materiale di coltura veniva, in tempi successivi, fissato con soluzione alcoolico-acetico di sublimato corrosivo , e previa un passsagio di 20 a 24 ore in alcool jodato, passato agli alcooli e agli xiloli (xilolo X alcool, xilolo puro) e indi imparaffìnato e se- zionato al microtomo. Non ostante il processo di sclerotizzazione cui vanno soggette le ife periferiche degli sclerozi, l’ im paraffina- li] ento riuscì quasi sempre egregiamente, atteso il lungo soggior- no (12, 24 fin 48 ore) al quale si sottopose il materiale nei vari passaggi-. Le sezioni attaccate al portaoggetti con glicero-albuinina Mayer , dopo essere state negli xiloli e negli alcooli , venivano colorate preferibilmente con Ematossilina (metodo Heidenhein al Ricerche intorno al ciclo evolutivo di una interessante forma ecc. 31 l’allume ferrico) e molte volte ricolorate con Orango per dare mag- gior contrasto ai nuclei in seno al protoplasma. Dall’esame di migliaia di sezioni, così ottenute, emersero fatti di non dubbio valore, che certamente aprono la via a nuo- ve interpretazioni intorno alla genesi ed al significato degli scle- rozi, come anche relativamente alle differenziazioni interne che conducono alla maturazione degli organi riproduttori od ascili. Prendiamo in attento esame le fasi tutte. L’ unione dei gameti, od ife destinate a coniugarsi, avviene nei mezzi solidi con qualche variante. Tali ife non si attorcigliano più a pastorale, come ne’ mezzi liquidi, ma o subiscono una lieve incurvatura che agevola il loro combaciamento (Fig. 21, 22, 25, 27, Tav. II) ovvero questo ha luogo senza alcuna curvatura fra due ife che si dispogono parallelamente Y una rispetto all’ altra (Fig. 23), ovvero mettendosi rispettivamente di fronte colle loro estremità (Fig. 21). Quasi sempre sono gli articoli terminali che contraggono aderenza fra di loro (Fig. 21, 23, 21, 25) ; in alcuni casi però l’unione può effettuarsi anche fra una cellula terminale ed una intercalare (Fig. 22, 27) o fra due articoli intercalari (Fig. 2(3). Le porzioni di ife che vengono a mettersi a contatto restano sempre limitate da un setto trasversale dalla rimanente ifa , e sono fornite di un vistoso nucleo ognuna, e di abbondante proto- plasma spesso vacuolizzato, onde dallo strato parietale di esso si dipartono sottili barulerelle che vanno al nucleo. Questi carat- teri citologici rendono assai manifeste le ife che iniziano il pro- cesso di formazione degli sclerozi, oltre la maggiore loro gran- dezza in confronto delle ife, sterili o vegetative. Il processo di intima unione delle due ife in coniugazione, se ci è sfuggito in alcune sue fasi, resta però sufficientemente provato da alcuni fatti da noi colpiti e che abbiamo cercato di rappresentare nella Tavola II che accompagna la presente me- moria. Anzitutto, dopo essersi stabilito il mutuo contatto delle ife 32 F. Cavava e N. Mollica [Memoria II. J destinate a compiere il processo di coniugazione, si potè osser- vare parecchie volte una reciproca orientazione dei loro nuclei (Eig. 21, 22) portantisi rispettivamente verso la parete di con- tatto, ed in evidente corrispondenza, in virtù forse di uno sti- molo cheinotattico. Inoltre in molti de’ nostri preparati, come le Eig. 26, 27, attestano chiaramente, si ebbe a riscontrare da un lato la scom- parsa del nucleo in una delle due cellule venute a contatto e la contemporanea presenza di due nuclei nell’ altra contigua, e d’ altro lato la conseguente degenerazione del contenuto dell’ar- ticolo rimasto privo di nucleo. Per quanto non si sia potuto colpire il passaggio di uno dei nuclei dalla cellula virtualmente funzionante da anteridio nell’ altra che può considerarsi come 1’ oogonio, e nemmeno dedurlo da traecie di perforazione della membrana di separazione , i fatti accennati parlano senz’ altro in favore di un processo di coniugazione verificatosi fra i due elementi. Altri dati del resto vengono ad avvalorare tale interpreta- zione. E prima di ogni altra cosa il processo di corticazione che attorno all’ elemento, funzionante da oogonio, si inizia per parte di ife circostanti , procedenti da articoli in connessione più o meno stretta coll’ elemento stesso (Eig. 28, 29, 30, 31). E tale processo di corticazione, che ha riscontro in altri ascomiceti ed anche in alghe carposporee, conduce da prima alla formazione di un ganglio micelico, e successivamente a quella di un corpo pseudo-parenchimatico i cui caratteri di sclerozio vengono sein- prepiù ad accentuarsi. Le sue cellule centrali, infatti vanno facen- dosi isodiametriche, mentre le ife corticanti imbruniscono la loro membrana e si schiacciano in senso tangenziale. Inoltre nell’ esordire di questi gangli micelici, il comporta- mento dei nuclei inette in chiara evidenza come da una cellula iniziale , rappresentante 1’ oogonio fecondato , traggano origine , per ripetute divisioni, altre tante cellule i cui caratteri di eie- Ricerche intorno al ciclo evolutivo di una interessante forma ecc. 33 menti germinali o riproduttivi, rispetto a quelle che si possono dire somatiche o vegetative, sono dalla speciale capacità a colo- rirsi, dalla grandezza del loro nucleo, e dalla maggiore densità del protoplasma assai bene messi in evidenza (Eig. 28-36). I di- segni tratti dalle sezioni microtomiche chiariscono senza alcun dubbio queste particolari differenziazioni citologiche che avven- gono in seno ai corpicciuoli emananti dalla fusione dei gameti. È certamente degno di osservazione il diverso comportamento di alcune fra le cellule di questi gangli inicelici, o sclerozi ini- ziali, i nuclei delle quali si lasciano tanto bene mettere in evi- denza dalle sostanze coloranti, di fronte alle altre circostanti , di carattere evidentemente vegetativo che non reagiscono affatto od assai debolmente. Coll’ ingrossare di cotesti corpi scleroziali il numero di cel- lule a nuclei vistosi va pure aumentando sempre per continuato processo di divisione, senoncliè la loro distribuzione nelle sezioni microtomiche diviene assai irregolare e senza una apparente continuità. Ciò si deve al fatto che cotesti aggruppamenti di ife che determinano il costituirsi di uno sclerozio non seguono alcuna legge cosicché gli elementi che in serie, traggono origine dalle successive segmentazioni dell’ oogonio , possono avere decorso tortuoso e allacciarsi in varia guisa con quelli delle ife corti- canti, onde in una sezione trasversale restano mescolati gli uni agli altri, a ino’ di mosaico. Il solo reperto citologico, e cioè la varia capacità di colorirsi, può fare distinguere gli elementi germinali da quelli somatici, e dare ragione in certo qual modo della varia loro distribuzione. Si nota, ad esempio, non infrequen- temente che cellule fornite di nucleo manifesto e di ricco pro- toplasma si trovano verso la periferia di giovani sclerozi ed anche fra gli elementi stessi del peridio (Eig. 36, 39, 40). Sono precisamente delle emanazioni delle cellule germinali che, per virtù di segmentazione in determinate direzioni, si sono mesco- late alle ife corticanti, pur conservando le loro proprietà di ele- Atti Acc. Serie 4a, Vol. XIX — Mem. II. 5 34 F. Cavava e N. Mollica [Memoria II. | menti riproduttivi e cioè la particolare colorabilità. Ciò spieghe- rebbe, a parer nostro, il fatto, riscontrato nelle nostre colture, della produzione di conidiofori, per parte di cellule del peridio, di periteci o di cellule periferiche di sclerozi (Fig. 19 Tav. I) ; fatto segnalato anche da Tulasne senza essere stato però spie- gato da questo micologo. Ora la presenza nel peridio di elementi aventi plasma germinativo, che si spiega benissimo col modo dianzi accennato di prendere origine dei gangli micelici, dà ra- gione della formazione suddetta di conidiofori da elementi dello stesso peridio. D’ altra parte si notano pure di questi gangli micelici senza che alcuna cellula si ditferenzì dalle altre per la colorabilità o maggior mole del nucleo. È questo il caso rappresentato dalle figure 37, 38 riferentisi a corpi che possono essere interpretati anche per formazioni analoghe alle spore-bulbelli di Eidain e Mattinilo. (1) La ulteriore evoluzione degli sclerozi si esplica in due di- rezioni diverse: da un lato le ife periferiche, o corticanti, si mo- dificano nella loro struttura e nella chimica costituzione in guisa da formare più strati di natura protettiva — il così detto peridio — e , dall’ altro gli elementi della parte centrale , secondocliè de- rivano da cellule germinali o da elementi somatici , assumono funzione diversa o riproduttiva, o di riserva e nutritiva. Le so- stanze coloranti (Ematossilina od altre) servono in questo caso a sceverare gli uni dagli altri elementi. Negli sclerozi allo stato di riposo le cellule a contenuto di riserva alimentare prevalgono su quelle di carattere riproduttivo; ma quando per determinate condizioni dell’ ambiente (umidità e calore) si risveglia l’attività moltiplicativa allora queste ultime prendono il sopravvento sulle prime, e lo sviluppo e l’aumento in numero di queste si compie interamente a spese di quelle che vanno via via obliterandosi, o che, per essere più esatti, vengono gradatamente digerite. (1) M ATTIRO i-O O. — Sullo sviluppo eli due nuovi Hypocreacei e sulle spore-bulbilli degli Ascomiceti. in N. Giornale botanico italiano. Voi. XVIII. Firenze 1886 p. 142 e seg. Ricerche intorno al ciclo evolutivo di una interessante forma ecc. 35 In un determinato stadio di uno sclerozio si ha, perciò, la sostituzione completa degli elementi vegetativi con elementi ri- produttivi forniti tutti di nucleo e di plasma denso e attivo. Un’ ulteriore differenziazione, e di grande valore morfologi- co, è quella che prelude alla formazione degli aschi. In un punto determinato dello sclerozio che abbia già raggiunto le dimensioni normali, si accenna un particolare orientamento delle sue cellule accompagnato da uno stiramento di esse, da una re- gione ad altra dello sclerozio, per solito da quella che può es- sere assunta per base (in quanto è a contatto del micelio da cui si è originato e quindi del substrato di coltura) verso la opposta che diventa perciò 1’ apice del futuro peritecio (Eig. 41 Tav. II). Tale orientazione e stiramento di cellule interessa da prima un piccolo nucleo di elementi, il quale va poi aumen- tando fino a toccare i più interni degli strati del peridio. È una trasformazione in elementi allungati, forniti di vistosi nuclei, delle cellule poliedriche , isodiametriclie dello sclerozio ; e tali elementi sono fra di loro disposti in serie e strettamente uniti in fascio. Per la forma loro e pei rapporti che vanno ad assumere in seguito essi sono da considerarsi come gli inizi delle cosidette parafisi , la comparsa delle quali precede, come si vede, quella degli aschi. Nel maggior numero dei casi la genesi di questi elementi allungati disposti in serie lineari si accenna in un punto più o meno centrale dello sclerozio ; ma non infrequentemente dan- nosi più punti di origine, spesso due, talora ma più raramente tre ; ed apparendo questi nelle sezioni mediane degli sclerozi , si può dedurne che la differenziazione di tali elementi in seno al pseudoparenchima avvenga secondo una zona annidare quando sono due i nuclei di differenziazione , ed anche al centro nel caso che sieno tre. Molto difficile ci è stato lo stabilire il punto di partenza della differenziazione medesima dalFomogeneo ifenchima sclero- 36 F. Cavava e N. Mollica [Memoria II.J ziale, poiché nel maggior numero delle sezioni praticate erano più frequentemente avvertibili gii stadi più o meno avanzati di essa e cioè il nuovo orientamento di ife che mentre si dispo- nevano quasi parallelamente tra di loro , assumevano caratteri citologici assai spiccati e cioè un contenuto più denso e sopra- tutto dei nuclei dotati di grande capacità colorativa. Tuttavia passando e ripassando in esame le nostre prepara- zioni facendo uso dell’ obbiettivo ad immersione omogenea V12 della casa Zeiss, abbiamo potuto rilevare stadi che dànno luce particolare sulla genesi delle paratisi e degli ascili. In mezzo alle cellule costituenti il pseudoparenchima dello sclerozio se ne notano, in un determinato momento di questo , secondo le condizioni di sviluppo, alcune il cui protoplasma si fa più manifestamente granulare , e presentasi più o meno va- cuolato, segno non dubbio di un risveglio di attività. Inoltre i nuclei acquistano una forma e una struttura ben definite, apparendo essi come vescicole sferoidali con un grosso globulo al centro particolarmente colorabile. Il carioplasma es- sendo più chiaro, più finamente granulare che non il citoplasma i nuclei restano perciò ben delimitati e visibilissimi. Ora ci venne fatto di osservare che in quei punti dello sclerozio ne’ quali si accennava tale differenziazione citologica interna, le cellule presentavano modificazioni nella forma oltrec- chè nel contenuto. Il loro contorno, per ineguale distensione della membrana, diveniva irregolare e sinuoso (fig. 12 a , h , Tav. II), e come fossero dotate di speciale metabolia , esse si insinuavano fra le ife dello sclerozio sia dissociandole, sia dissolvendole, evidente- mente per mezzo di enzimi da esse elaborate. Tale processo di digestione di una parte degli elementi dello sclerozio, compiuto da alcune cellule, è cosa fuori di ogni dub- bio e perfettamente consona alla natura di questi organi che rappresentano dei magazzini di sostanza di riserva. Intanto si notò che talune di queste cellule a ripresa atti- Ricerche intorno al ciclo evolutivo di una interessante forma ecc. 37 vita ed a contorno sinuoso, possedevano due nuclei, ed altre ne avevano quattro con regolare disposizione , occupanti i quattro angoli di un quadrilatero (Eig. 42 c Tav. II). Ora cellule binu- cleate si osservavano in precedenza anche in nuclei sclerozi allo stato di riposo, mentre quelle fornite di quattro nuclei appari- vano solo nei punti di risveglio cellulare di questi, onde è lecito indurre che coteste cellule tetranucleate derivano dalle binucleate o per divisione dei due nuclei di queste, o per fusione due a due di cellule binucleate. La figura 42 b della nostra Tavola II ap- poggerebbe piuttosto la seconda ipotesi. Quale può essere il significato morfobiologico di queste strut- ture'? È veramente difficile dare una risposta. Solo è presumi- bile che esse rappresentino una condizione di fatto per la costi- tuzione degli elementi senati sopraindicati, poiché è precisamente dai punti ne1 quali si osservano queste differenziazioni che trag- gono origine le cellule che si orientano in serie lineari, disposte a gruppi, in uno o più parti dello sclerozio. Avvenuta la costituzione di questi gruppi, nei quali ogni singola cellula è uninucleata, si nota però che in breve processo di tempo una fra le cellule della parte mediana di talune delle serie lineari viene ad essere binucleata. Ora anche in questo caso la origine di due nuclei resta assai dubbia, potendosi essa spie- gare o colla divisione del nucleo unico preesistente, ovvero per un processo di anastomosi fra due porzioni di ife contigue. Alcuni fatti potrebbero avvalorare anche in questo caso co- testa seconda interpretazione, così ad esempio lo sformarsi di al- cune cellule delle serie lineari, il divenire esse gibbose da un lato, 1’ emettere una protuberanza che accenna a formazione di un rametto il quale però si arresta in breve appena venuto a con- tatto di un articolo di serie contigua (Eig. 43 a-c). Questi processi parlerebbero in favore di una possibile ana- stomosi, ma non abbiamo dati sufficienti per affermare in modo assoluto che ciò avvenga. Ciò di cui non si può dubitare è 1’ origine dell’ asco da 38 F. Cavava e JV. Mollica [Memoria II.] quella fra le cellule di una serie lineare, che si presenta ad un momento dato binucleata. Quindi anche per la Pleospora herba- rum il nucleo della cellula madre dell’ asce è il risultato della fusione di due nuclei preesistenti. E cotesta cellula madre è di origine prettamente interca- lare, proviene cioè, da una cellula mediana di una serie lineare fertile, mentre sonvi serie lineari del tutto sterili che non dif- ferenziando alcuna delle loro cellule in asco, restano delle para- fisi. Il caso offerto dagli sclerozi della Pleospora lierbanim è, per- ciò, abbastanza singolare, conoscendosi solo finora una origine dell’ asco o da una cellula terminale di un ifa differenziata, o da cellula situata di poco al disotto della terminale (1). È da no- tare che le serie lineari di cellule che si differenziano negli scle- rozi, hanno rapporto tanto cogli elementi della base dello sclero- zio quanto con quelli della parte superiore di esso (Eig. 44), per una evidente fusione avvenuta durante la loro differenziazione. Ora la differenziazione di una cellula di una serie lineare che prelude alla formazione dell’ asco è la comparsa di due nu- clei in seno ad essa. Questo fatto che dal Dangeard (2) è dato come la caratteristica della costituzione di un asco , in quanto questo autore dà valore di atto sessuale alla fusione di tali due nuclei, è di assai difficile interpretazione, come si disse ; e pur volendolo riannodare ai fatti precedentemente descritti , e cioè alla presenza di cellule bi-e tetranucleate nello sclerozio , ciò non rimuove le difficoltà. Si può infatti, accostandosi alle idee del Dangeard ritenere di origine diversa i due nuclei che ven- gono a sdoppiarsi nella cellula ascogena , in quanto che dalle cellule tetranucleate sarebbero derivate , successivamente le bi- nucleate e poi le uninucleate delle serie lineari , ma resta però sempre il fatto che l’intiero sclerozio è il prodotto della unione (1) Faxji.l, H. J. Development of Ascns and Spore formation in Aseomycetes. Procee- dings of tlie Boston Soc. of Nat. History. 1905 p. 99. (2) Dangeard P. A. — Kecherches sur le dévelopement clu périthèce clìez les ascomycètes. Le Botaniste, Décembre 1904. Ricerche intorno al ciclo evolutivo di una interessante forma ecc. 39 di due ife distinte, cioè morfologicamente differenziate , onde è poco ammissibile die a questo atto di natura sessuale ne deb- bano succedere altri nello stesso ciclo di sviluppo ontogenetico. Noi perciò siamo d’ avviso che la costituzione dell’ asco pro- ceda dallo sclerozio per lo sviluppo di una cellula da prima bi- nucleata poi uninucleata , ma non possiamo accordare a questo fenomeno il carattere di sessualità che vi annette il Dangeard. Anche il T'aulì (1) che si è occupato recentemente dall’origine dell’ asco non può condividere la opinione del Dangeard dopo i numerosi esempi di una vera e propria fecondazione esplican- tesi negli ascomiceti in modo affatto diverso da quello voluto dal Dangeard. E vogliamo anzi riprodurre le stesse sue parole perchè ci sembrano di una grande convinzione. Dopo avere il Taulì ammesso che il Dangeard fu il primo a scoprire la binuclearità della cellula madre dell’asco e ad at- tribuirle il carattere di un atto sessuale, soggiunge: « but tliis conclusimi scarcely seems plausible because tlie following facts appears ho bave been ab ready been satifactorily demonstrated in several instances : 1. there has already been a fusimi of sexual elements in thè ontogeny of thè individuai, 2. thè fusing nuclei in thè ascus are division products of nuclei belonging to thè sanie celi, and perii ape in some cases even daughters of si- ster nuclei , and 3. they are vegetatively active before fusimi , as is tlie single nucleus after fusimi. The phenomenon is pro- bably vegetative rather tlian sexual, but its nature and signifi- cance will not be fully understood untili fnrther research reveals wlietlier or not it is an acqui red feature. Senza ingolfarci in una discussione la quale non lascia spe- rare una definitiva soluzione di questi particolari problemi dello sviluppo degli ascomiceti , e senza volere costringere i fatti da noi osservati nella cerchia di teorie non ancora interamente accettate in micologia , riassumeremo in uno schema i punti (1) Fatili, J. H. — Development of Ascus ancl Spore formation in Ascomycetes. — pag. 102. 40 F. Cavava e N. Mollica [Memoria II.J salienti del ciclo evolutivo della Pleospora herbarum quali sono risultati dalle nostre ricerche, tenendo presente le odierne vedute del Blakeslee relative alla ripartizione dei sessi in miceli solo fisiologicamente differenziati, in quanto che la Pleospora Jierba- rum da noi studiata si è dimostrata nelle colture decisamente eterotallica, cioè fornita di ascospore dalle quali procedono mi- celi sessualmente differenziati. Ecco lo schema riassumente i fatti da noi osservati. ascospore q~ © l •• ascospore ! O 0 micelio \ © &—■ 1 © -*■*' couidi \ © micelio © , © — ---.3 gameti « sclerozio ■"1 © © w ©- À- /v-'\ A A A R A A ■« fase preparatoria delle paratisi cellula madre delle paratisi paratisi -■« cellula madre degli ascili . - ascili 0 è©©®©© 0— - * ascospore In questo schema il punto meno chiaro dal lato della in- terpretazione è quello riguardante la fase preparatoria delle pa- rafisi, e cioè la comparsa di cellule bi-e tetranucleate. Se non si vuole accettare la opinione del Eaull (loc. cit.) Ricerche intorno al ciclo evolutivo di una interessante forma eco. 41 che cotesti processi di divisione e di fusione nucleare rappre- sentino delle fasi puramente vegetative, e se anche non si vuole ammettere in uno stesso ciclo di sviluppo ontogenetico la ripe- tizione di atti sessuali, la bi-e tetranuclearità delle cellule madri delle parafisi potrebbe avere il solo significato di disgiunzione e ricombinazione di entità nucleari (cromosomi o procromosomi) a fine di trasmettere e ripartire nelle ascospore i caratteri ere- ditari appartenenti ai progenitori. Nelle tre divisioni che nell’asco precedono la formazione delle ascospore , la sostanza cromatica verrebbe a ripartirsi nelle cellule figlie in quantità eguali ma non altrettanto fornite delle stesse qualità (caratteri o germi) eredi- tarie. Dal punto di vista filogenetico la successione delle fasi quali abbiamo delineate nella Pleospora herbarum farebbe riattaccare viemaggiormente questi Pirenomiceti alle Alghe Oarposporee, e fors’anco alle Embriofite potendosi annettere allo sclerozio il si- gnificato di un organo omologabile all’ embrione. . ) Spiegazione delle Tav. I e II. Tav. I. 1. — Sezione trasversale di foglia di Corypha australis , che fa vedere il micelio intercellulare di Pleospora herbarum, del quale alcune ife perforano 1’ epidermide. 2 a 6. — Ascospore di Pleospora herbarum ; 2) spora appena uscita dal- l’asco e fornita di alone mucillaginoso; 3 a 6) spore germinanti. 7 e 8. — Fusioni ad H di ife miceliche. 9 a 11. — Altri e differenti casi di unione di ife. 12 a 15. — Particolari modi di unione di ife a pastorale, precedenti la formazione degli sclerozi. 16 e 17. — Stadi vari della formazione dei collidi a Sarcinula. 18. — Proliferazione in colonia di Macrosporium. 19. — Formazione di collidi da cellule del peridio di uno sclerozio. 20. — Peritecio di Pleospora herbarum var. Coryphae ottenuto in coltura a goccia pendente. Tav. II. 21 a 27. — Vari modi di unione di ife precedenti la formazione degli sclerozi, in mezzi di coltura solidi, ed osservati uelle sezioni mi- crotomiclie. Nelle Fig. 26 e 27 si osserva il passaggio avvenuto del nucleo da una cellula nell’ altra. 28 a 36, 39 e 40. — Stadi vari della formazione di uno sclerozio. Gli ele- menti disegnati con protoplasma denso e con nucleo vistoso rap- presentano cellule germinali emauanti dalla divisione della cellula che è il prodotto della fusione di due gameti. 37 e 38. — Gangli micelici senza cellule germinali, comparabili a spo- re-bulbilli. 41. — Sezione assile di uno sclerozio maturo nel quale si nota la dif- ferenziazione di una parte delle sue cellule in serie di elementi filiformi (parafisi). 42. — Cellule di uno sclerozio in via di differenziazione ascogena. 43. — Elementi disposti in serie lineare, frammisti alle parafisi e che si differenziano in aschi. 44. — Sezione di uno sclerozio dififerenziantesi in peritecio ascoforo, dove si nota P origine intercalare delle cellule madri degli aschi. Scià dell '■ Zeccai: Givenùt. J'o/.JUl .. Geni JT. Tccv. JT i (1 N t a i® l , i te y /"' , fi*' fe p 66 / ti*) m ti .0 H ì® h !> 1— ^ i 1 r r 7 U a 1 b ! :* c lite dell ’-dceeul. Gioe/ua FolXX . JTe>jrill Tccv. H .TsuJsO-res drZ- S'i. uX. -Fi. ^eri n^G -JIcl.vqIÌ- Memoria III Azione sperimentale dei succhi digerenti sull’ involucro delle ova di alcune Tenie Ricerche di UMBERTO DRAGO RELAZIONE della Commissione di revisione composta dai soci effettivi Proli. STADERINT ed A. RUSSO {relatore). In questa Memoria 1’ A. espone una serie di ricerche sperimentali sulle ova di Taenia cramicollis, T. serrata e T. medio-cannellata, dirette a saggiare l’ azione dei succhi digerenti dei rispettivi osti intermedi sul guscio di dette ova. Le esperienze sono condotte con la massima circospezione, trattando le ova con succo gastrico acidificato, con bile e con succo pancreatico — ri- cavati secondo le norme della tecnica fisiologica — e mantenute nel termostato alla temperatura di 38°-39° C, insieme a preparati di controllo tendenti ad esplorare il potere digerente dei succhi stessi Il risultato di tali esperienze, contrariamente a quanto generalmente si ammette, non fu assolutamente positivo, e quelle relative modificazioni con- statate dall’ A. non sono esclusivamente devolute all’ azione della bile, come sosteneva, per sue esperienze, il De Vuieenzis. Secondo 1’ A. non è cousta- tabile quell’azione dissolvente sull’intera membrana ovulare ammessa co- munemente, poiché questa non scomparisce nè si assottiglia ; ma dalla mag- giore fragilità da essa acquistata dopo 1' azione del succo gastrico, e più spe- cialmente in seguito alla digestione con succo pancreatico, è a dedurne che queste secrezioni, e a preferenza 1’ ultima, agiscano digerendo il cemento che unisce i pezzi cintinosi del guscio. Un’ altra serie di esperienze fu intrapresa per provare se le ova prima di pervenire nell’ oste subissero delle modificazioni dovute all’ambiente ester- no, ma anche tali ricerche risultarono negative. L’ A. con opportune considerazioni mette in rilievo l’ apparente cou- Atti acc. S'RRIK 4a, Voi.. XIX — Mern. III. 1 2 Umberto Drago [Memoria IH J. traddizione tra i risultati sperimentali e le affermazioni dei Parassitologi derivanti dalla necessità, di spiegare il ciclo evolutivo delle Tenie, e spiega tale contraddizione ammettendo che le condizioni dell’ esperimento in vetro, per quanto prossime alle naturali, non siano tuttavia identiche, e che influenze esterne diverse da quelle sperimentali agiscano sul guscio, rendendolo più accessibile all’ azione dei succhi digerenti, o che infine il guscio dell’ ovo reso più fragile dell’ azione peptolitica del succo gastrico e pancreatico, sia disgregato dall’ azione meccanica dei movimenti intestinali. I risultati notevoli contenuti in questa Memoria, che sarà seguita da altre su lo stesso soggetto, la rendono degna di essere inserita negli Atti della nostra Accademia. Nel corso ili alcune ricerche sull’ embrione della Tenia ser- rata del Cane e della T. crassicollis del Gatto fui colpito dal fatto die le ova iT) , inesse a contatto con succo gastrico rispet- tivamente di Coniglio e di Topo, e mantenute alla temperatura di 37°-38° non presentarono notevoli modificazioni relative all’in- tegrità dell’ involucro esterno. Però è così generalizzato fra i Parassitologi il concetto che il succo gastrico digerisca il guscio delle ova delle varie specie di Tenia, pervenute che esse siano nello stomaco degli animali destinati ad ospitarne il cisticeroo, che un risultato sperimentale, il quale deponga in senso contrario , deve essere assoggettato a prove reiterate, e ad una critica rigorosa. D’ altro canto 1’ asser- zione dei Parassitologi, rispondente più che altro a una neces- sità biologica per potere spiegare il ciclo evolutivo di detti pa- rassiti, non è stata fin’ ora controllata da alcuna prova speri- mentale. (* *) Po osservare prima di tutto che riesce incomprensibile co- fi) Per maggiore intelligenza di linguaggio, mantengo all’ embrioforo la comune deno- minazione di « ovo » . (*) V. appendice in line. Azione sperimentale dei succhi digerenti ecc. 3 me mai il guscio di dette ova, il quale generai mente si ritiene di natura cliitinosa, possa venire più die attaccato, digerito dal succo gastrico al quale, coni’ è noto, è refrattaria la chitina. Sulla costituzione chimica di questa membrana non pare esistano dei dubbi : il Cobbolr (1) p. es. fra gli altri ne sostiene la natura cliitinosa avvalendosi dell’ autorità del Leuckart, ed afferma che... « The reinaining part of thè volle forins a granular mass, being probably concerned in thè formation of thè trine cliitinoìis shell ». Dopo di questi autori tutti gli altri che si sono occupati dell’ argomento non hanno affermato diversamente. Per quanto concerne 1’ azione digerente spiegata dal succo gastrico su questa membrana , e la consecutiva fuoruscita delia larva esacanta, mi basti per tutti menzionare il Raillet (2) il quale scrive che : « Dés qu’ils (le ova) sont parvenus dans l’in- testin, leur coque est détruite sous l’action du sue gastrique et 1’ éclosion a lieu » ; e il Blavchard (3) , parlando dell’ ovo della T. serrata afferma che « Les sues digesti fs dissolvent la coque, et 1’ embrvon est inis en libertà ». Ma, in contrapposto a que- ste asserzioni, i chimici e biologi, fra cui 1’ Hollemann (3) e il Luciani (5) , insegnano che la chitina , come avanti ho ac- cennato, è refrattaria all’ azione del succo gastrico. Date queste considerazioni contraddittorie , e la mia osser- vazione precedentemente ricordata, ho creduto di intraprendere delle ricerche sull’ argomento, non col preconcetto di distruggere un’ asserzione la quale rientra nel dominio delle necessità bio- logiche, ina per constatare se ne fossero esatti i particolari e le condizioni invocate, ed il meccanismo così semplice. Tanto mag- giormente mi sono accinto a questa ricerca in quanto che la (1) Parafiteli ; A treatise on thè Entozoa of man and animale ecc. by T. Spencer Con- sono. (2) Traiti de Zoologie medicale et agricole par A. Raillet. (3) Traiti de Zoologie medicale par Raphael Blancharp. (4) A. F. Hollemann. Trattato di Chimica organica. (5) Luciani — Fisiologia dell’ uomo. -, 4 Umberto Drago [Memoria III]. membrana cliitinosa di cui è parola, non è costituita da uno strato continuo, ma da bastoncelli radiali disposti in serie , co- me hanno asserito il Leuckart, e gli autori susseguenti, fra cui il più recente il Mingazziki (1) , e come io stesso ho potuto constatare (2). « The trae shell, dice il Cobbold (3) display» a series of radiating and circolar lines ; thè foriner, however, are more conspicuous t.han thè lattei*, being due, accordi ng- fo Leu- ckart to tlie presence of a series of fine rod-like chitinous ele- menti, wich are forni ed on thè external surface of thè originai trae shell-membrane ». Sarebbe quindi legittimo il sospetto che questi bastoncelli chitinosi, quantunque inattaccabili dal succo gastrico, siano tutta- via saldati fra di loro da una sostanza cementante, sulla quale agendo il succo gastrico, indurrebbe il disgregamento dei baston- celli e quindi sarebbe resa possibile la fuoruscita dell’embrione. LTna prima serie di ricerche sono state eseguite su ova di Tenia serrata e di 1\ crassicollis. Il materiale rappresentato dalle ultime proglottidi mature di questi elminti, veniva ricercato nei Cani e nei Gratti che a questo scopo venivano sacrificati. Devo però far notare come non mi sia riuscito riscontrare specialmente la T. serrata con quella estrema frequenza colla quale si affer- ma che essa occorra. Molto probabilmente questa infrequenza è dovuta alla circostanza che fra i Cani da me sacrificati solo po- chi erano animali da caccia , la maggior parte provenendo da quelli randagi catturati e fornitimi dal Municipio. Comunque , su un grande numero di animali uccisi, solo tre volte ebbi oc- casione di riscontrare la T. serrata , e, su parecchi Gatti quattro volte la T. crassicollis. (1) Pio Mingazzjmi — Zoologia medica. ‘(2) V. appendice. (3) Loc. cit. Azione sperimentale dei succhi digerenti eco. 5 Una seconda serie di esperienze , per questa relativa diffi- coltà di procurarmi il materiale, è stata intrapresa con proglot- tidi di Tenia saginata eliminate quotidianamente da un indivi- duo che T ospitava. SERIE PRIMA (Tenia serrata e T. crassicollis) Esperienza I. Le proglottidi mature di T. serrata finamente tagliuzzata vengono poste in una capsula di Retri insieme a succo gastrico di Coniglio ricavato col metodo di Eberle, e acidificato con acido cloridrico in rapporto del 2 °/0o. La capsula col suo contenuto viene posta nel Termostato riscaldato a 39° C. Contemporanea- mente in un’ altra capsula di controllo contenente un’ altra por- zione dello stesso succo gastrico acidificato, è messo un pezzetto di muscolo per saggiare il potere digerente della miscela. Due ore dopo si notano alquanto rimpiccioliti i pezzetti di proglottidi , e nella capsula di controllo il muscolo si riscontra rammollito e di colore sbiadito. Quatti*’ ore dopo si osservano assai più accentuate queste mo- dificazioni, e finalmente , riesaminati dopo otto ore , si trovano fluidificati e irriconoscibili tanto i frammenti di proglottidi che il muscolo. Analizzato al microscopio il liquido proveniente dalla dige- stione artificiale delle proglottidi, si osserva un numero grandis- simo di ova libere col loro involucro caratteristico immodificato, e 1’ embrione esacanto. Prolungando la digestione per altre 12 ore coll’ aggiunta di acqua acidulata, e riesaminato il liquido, le ova si mostrano cogli stessi caratteri precedentemente accennati, e quindi colla mem- brana integra, però alquanto più fragile alla pressione. 6 Umberto Drago [Memoria III]. Esperienza II. Manipolazione come nel caso precedente con risultati iden- tici. Il succo gastrico attivo sui pezzetti di muscolo collocativi per controllo, non addimostra alcuna azione sul guscio delle ova le quali lasciano vedere nel loro interno l’embrione già 4-8-12-24 ore dopo 1’ inizio della digestione artificiale. I preparati vengono mantenuti nell’incubatrice per lo spa- zio di due giorni e mezzo , dopo il quale le ova continuano a mostrare inalterato il loro guscio. Esperienza III. Quest7 esperienza identica alla precedente per quanto con- cerne la digestione di frammenti di proglottidi e di muscolo nel succo gastrico, differisce in quanto viene completata da contem- poraneo cimento dei pezzi in succo pancreatico. Questo viene preparato con infuso di pancreas fresco di Co- niglio, e vi si immettono frammenti di proglottidi e di muscolo, che sono esposti alla temperatura del termostato contemporanea- mente ai pezzi immersi nel succo gastrico. Riesaminati dopo 8 ore si riscontra la colliquazione dei pezzi, mentre le ova , osservate al microscopio non presentano , come negli esperimenti precedenti, alcuna modificazione nel guscio. La digestione viene prolungata per 30 ore senza che inter- venga alcun7 altra modificazione. Esperienza IV. Proglottiti mature di Tenia crassicollis manipolate come nei casi precedenti sono messe a digerire in succo gastrico ottenuto, col solito metodo dallo stomaco di Mùs decumanus e acidificato. In altro recipiente è saggiato il potere digerente mediante fram- menti di muscolo. Azione sperimentale dei succhi digerenti ecc. 7 La digestione prolungata sino a due giorni , e le intercor- renti osservazioni macroscopiche e microscopiche mentre danno risultati positivi per quanto si riferisce al potere digerente del succo gastrico, non lasciano scorgere alcuna moditicazione nel guscio dell’ uovo. Esperienza V e VI. Manipolazioni identiche e identici risultati ; solo nell’ espe- rienza Y si nota una maggiore fragilità nel guscio delle ova , il quale a una lieve pressione si rompe in varii punti nel senso delle strie radiali. % Esperienza VII. In questa viene, come per la T. serrata , saggiata contem- poraneamente 1’ azione del succo pancreatico ricavato dal Topo per infuso della glandola. L’osservazione prolungata sino a due giorni non fa rilevare alcun risultato positivo, ma, come per le esperienze precedenti, le ova presentano il guscio inalterato , e 1’ embrione all’ inter- no coi suoi uncini caratteristici. Però, avendo lasciato per altri due giorni i preparati nel termostato , constatai che al 1° giorno il guscio aveva assunto una certa fragilità dimostrata dal fatto che in molte ova esso si rompeva sotto la semplice pressione del vetrino, mentre l’os- servazione del preparato privo del coprioggetti mi faceva discer- nere i gusci integri. Yon avendo potuto, [ter mancanza di materiale, controllare se questa maggiore fragilità di guscio dipendesse esclusivamente dall’ azione digerente del liquido , ovvero da un semplice fatto di imbibizione agevolato dall’ azione prolungata del calore , do- vetti rimandare il seguito di queste esperienze ad altra epoca, tanto più che in alcuni casi avevo visto il fenomeno avverarsi in ova che non avevano subito 1’ azione dei liquidi digerenti, e 8 Umberto Drago [Memoria IIIJ. provenienti da proglottidi rimaste per parecchi giorni in mace- razione nell7 acqua. SECONDA SEME Tenia saginata. Più tardi ho avuto occasione di trovare una fonte inesau- ribile di materiale in un individuo che ospitava la T. saginata ed emetteva quotidianamente da 5-8 proglottidi mature di questo elminto. Ho voluto allora riprendere le ricerche sperimentando 1’ a- »zione del succo gastrico artificiale sulle ova di questa Tenia, e a tal uopo ho preparato una soluzione acquosa di pepsina del commercio che ho acidificato con acido cloridrico al 2 0 00. Ho quindi sperimentato il potere digerente di questa mi- scela, non solo coi soliti frammenti di muscolo, ma ancora coi cubetti e coi dischi di albumina cotta , come si pratica comu- nemente, e il risultato è stato positivo, in quanto che tanto il muscolo che 1’ albumina dopo circa sette ore erano fluidificati. Con questa miscela ho intrapreso delle esperienze sulle ova di T. saginata le quali mi hanno condotto a risultati sostanzial- mente non dissimili da quelli ottenuti nelle precedenti espe- rienze. Epperò, considerando che la pepsina , per quanto attiva , provenendo per avventura da animali diversi da quello destinato ad ospitare il Cisticercus bovis , non mi avrebbe messo nelle iden- tiche condizioni della natura, ho voluto contemporaneamente sperimentare con succo gastrico procuratomi direttamente da tali animali, e relativamente fresco. Per tanto ho preparato ogni volta una certa quantità di succo gastrico di Vitello valendomi della mucosa dello stomaco di animali appena uccisi al mattatoio , e ricavandolo col solito metodo di Eberle. Acidificandolo al titolo del 2-4 °/AA con acido 1 (X) Azione sperimentale dei succhi digerenti ecc. 9 cloridrico , ne ho quindi saggiato il potere digerente come nei casi precedenti , e assicuratomi di esso ho intrapreso le espe- rienze. Esperienza Vili. Le proglottidi di T. sagi nata sminuzzate in piccoli fram- menti vengono poste in succo gastrico di Vitello ed esposte alla temperatura di 38°-39° nell’incubatrice assieme ad altra capsula di controllo contenente frammenti di muscolo e di albumina cotta. Dopo sei ore tutti i frammenti sono digeriti , e il liquido contenente le proglottidi si mostra al microscopio ricco di ova col guscio inalterato e coll’ embrione fornito degli uncini carat- teristici. Prolungando la digestione per molte ore ancora (sino a tre giorni) nessuna ulteriore modificazione si riscontrava nel guscio delle ova , salvo una certa opacità che non sempre permetteva di distinguere attraverso di esso 1’ embrione , e talora alcune leggiere sfrangiature radiali , superficiali dell’ orlo esterno. Nei casi in cui l’opacità non permetteva di distinguere gli uncini dell’ embrione , si poteva sempre constatare la presenza di que- sto, facendolo fuoruscire dall’ involucro mediante pressione sul vetrino. Esperienza IX, X, e XI. Queste esperienze sono state ripetute nelle identiche condi- zioni e colla stessa tecnica delle precedenti allo scopo di con- fermare i risultati, i quali sono stati perfettamente simili : il guscio delle uova non pare risenta nell’ insieme alcuna azione da queste digestioni per quanto prolungate, e per quanto attivo si mostri sui frammenti di muscolo e sulle parti molli delle proglottidi e sull’ albumina cotta ; però si nota ancora quella condizione, precedentemente accennata, della sua maggiore fragi- Atti acc. Stsrik 4a, Voi.. XIX — Mem. III. 2 Umberto Drago [Memoria III]. IO lità la quale fa sì che alla pressione si rompa, e accentuando la pressione i frammenti vengano in parte rimossi dall’embrione (1). Esperienza XII. Constatata Y attività del succo gastrico sulle parti molli delle proglottidi, sui frammenti di muscolo, e sull’ albumina cot- ta, lio voluto fare a meno di frammentare gli anelli della Te- nia che ho quindi immessi interi nel liquido digerente. Il risultato è stato conforme all’aspettativa, poiché già alla 4a ora è avvenuta la completa colliquazione delle proglottidi , e quindi nel liquido non si sono osservati al microscopio che ova libere. Ma con questo esperimento ho voluto mettermi ancora più precisamente nelle condizioni naturali, ed ho quindi trattato le ova, che avevano già subito l’azione del succo gastrico, con bile e successivamente con succo pancreatico ricavato dallo stesso animale di recente ucciso. Il risultato come in tutti i casi precedenti è stato negativo per quanto si riferiva alla digestione del guscio chitinoso. Però molte delle ova, che si presentavano intensamente colorate in verde scuro per la bile , si schiacciarono in seguito alla so- vrapposizione del vetrino, la quale aveva per effetto di rompere in parecchi punti il guscio, con fratture nel senso radiale , che permettevano talora con qualche leggiera pressione la fuoru- scita dall’ embrione. Esperienza XIII. Quest’ esperienza è stata condotta colla stessa tecnica e nelle stesse condizioni della precedente. Le ova che avevano già subito per 4 ore l’azione del succo gastrico dimostrato attivo sui fram- menti di muscolo e sulla stessa proglottide, sono state sottoposte successivamente all’ azione della bile e del succo pancreatico. (1) Noto un particolare non privo di interesse : che tutte le volte che riuscivo a libe- rare dal guscio 1’ embrione, questo si mostrava immobile. Azione sperimentale dei succhi digerenti ecc. 11 I risultati sono stati identici : ho potuto anche qui consta- tare con piena convinzione la maggiore fragilità del guscio, nel quale bastava apporre il copriogetti per determinarne la rottura in molti punti. ei.- ^ Dimostrato così sperimentalmente insussistente il concetto che i succhi digerenti facciano scomparire per azioni peptolitica il guscio delle ova delle Tenie, come parrebbe dovesse avvenire secondo le asserzioni di molti Elmintologi , ma che invece essi rendono soltanto l’involucro più fragile, non ho voluto arrestare a questo punto il corso delle mie esperienze , ma ho creduto prudente variarne alquanto le condizioni. Partendo dalla considerazione che nelle condizioni naturali della infezione le proglottidi di questa Tenia e con esse le ova, non pervengono nel canale alimentare dei bovini appena emes- se dall’ uomo, ma dopo un tempo variabile , ho supposto non inverosimile che esse subissero una modificazione nell’ ambiente esterno per la quale venisse resa più accessibile all’ azione dis- solvente dei succhi digerenti la membrana involgente. Tanto più verosimile mi è sembrata questa ipotesi , in quanto che , come si sa, gli embrioni di varie Tenie conservano per lungo tempo, dopo la fuoruscita delle proglottidi dal corpo dell’ animale ospi- tatore, la loro vitalità e la capacità a svilupparsi in cisticerchi, quando pervengono nell’ ospite intermedio. Pertanto ho istituito nuove esperienze mettendo a macerare in acqua delle proglottidi e cimentandole quindi coi succhi di- gerenti del Vitello, come per le esperienze precedenti, ad inter- valli successivi di 4-7-9-12 giorni. Esperienza XIV. Proglottidi in macerazione in acqua sudicia da 4 giorni. Trattamento come nei casi precedenti. 12 Umberto Drago [Memoria III]. Risultato : dissoluzione delle proglottidi nei succhi digerenti: nessuna alterazione di insieme nel guscio : solo constatabile la consueta fragilità. Esperienza XY. Macerazione prolungata per 7 giorni. Trattamento identico all’ esperimento precedente. Risultato : In molte ova il guscio si frattura in parecchi punti appena vi si sovrappone il coprioggetti. Esaminate però le ova prima di sovrapporre il vetrino sul preparato, solo in al- cuni si rinvengono fratture nel guscio. Esperienza XYI. Proglottidi in macerazione da 9 giorni. Trattamento suc- cessivo coi succhi digerenti del Yitello. Risultato : come nei casi precedenti. Esperienza XYII e XYIII. Dopo una macerazione prolungata per 12 giorni , le pro- glottidi macroscopicamente si presentano alquanto spogliate della cuticola , ed attortigliate , e nel liquido maceratore si nota la presenza di una grande quantità di ova inalterate relativamente al guscio e all’ embrione. Queste proglottidi insieme a una certa quantità di ova vengono immerse nei soliti liquidi digerenti ed esposti alla stufa. Risultato : Maggiore fragilità del guscio già dopo 1’ azione del succo gastrico, condizione la quale si accentua dopo 1’ azio- ne della bile e del succo pancreatico. COXCLU SIOXI I. Le esperienze su esposte dimostrano sufficientemente che le digestioni artificiali non esercitano sull’insieme del guscio chi- tinoso delle ova di Tenia quell’ azione dissolvente, attribuita per Azione sperimentale dei succhi digerenti ecc. 13 comune opinione e per necessità biologica al succo gastrico del- 1’ ospite intermedio, ma esse lo rendono semplicemente più fra- gile confermando la refrattarietà della chitina ai succhi dige- renti. II. Questa maggiore fragilità è dovuta verosimilmente al- 1’ azione peptolitica esercitata da questi succhi sulla sostanza che cementa i pezzi cintinosi del guscio. L1 azione peptolitica sul cemento sarebbe iniziata dal succo gastrico, e il disgregamento dei pezzi cintinosi verrebbe quindi agevolato dalla bile e dal succo pancreatico. III. Gli elementi cintinosi del guscio così disgregati ven- gono quindi rimossi dalla periferia dell’ embrione presumibil- mente mediante i movimenti intestinali. IV. Non è dimostrata sul guscio delle dette ova un’ influen- za della macerazione in acqua che agevoli il disgregamento di esso nei succhi digerenti. APPENDICE Il presente lavoro era già stato comunicato ed in corso di stampa allorché venni a cognizione che il De Vincenzis in una monografia sui Cisticerchi oculari comparsa nel 1887 nella « Ri- vista internazionale » si era occupato dell’ argomento. Questo lavoro rimasto quasi ignorato fra i Parassitologi e i trattatisti che si sono in seguito intrattenuti sull’ argomento, forse perchè il titolo lo ha fatto considerare come una monografia speciale di oculistica , contiene una serie di esperienze sull’ azione del succo gastrico e della bile sopra il guscio dell1 ovo di Tenia sa- ffi nata e diligenti osservazioni sulla fina struttura del guscio stesso. Per quanto si riferisce a questa 1’ A. pur ammettendo che essa sia costituita da bastoncelli, presumibilmente cementati da una sostanza intermedia, sostiene di avere osservato che tali ba- stoncelli, non sono del tutto staccati alla estremità, ma derivino 14 Umberto Drago [Memoria III]. da un unico pezzo ripiegato ad anse formanti perifericamente delle « staffe ». Ma in ordine all’ azione spiegata dal succo gastrico e dalla bile sulla membrana esterna dell’ ovo, mentre i risultati tinali convergono con i miei, molte incertezze e contraddizioni si ri- scontrano nei particolari, nella tecnica e negli apprezzamenti. Così 1’ A. fa vagamente comprendere di avere inutilmente sperimentato il succo gastrico, senza per altro riferire per quanto tempo vi abbia tenuto le ova, non solo , ma dichiara di avere adoperato i succhi digerenti del maiale nella supposizione che il materiale da esperimento appartenesse alla T. armata mentre successivamente fa sapere che si trattava della T. ,s ‘aginata. Oltre a ciò l’A. non acidifica a successivi intervalli di tem- po la miscela digerente di succo gastrico, come si suole praticare nelle digestioni sperimentali, nè controlla il potere digerente del liquido da lui adoperato, per quanto ci faccia sapere che lo estraeva mediante fistola dagli animali. Quindi, dopo aver fatto subire alle ova della supposta Te- nia armata l’azione del succo gastrico di maiale, non si sa per quanto tempo, deducendone la quasi inattività le sottopone ai- fi azione della bile dello stesso animale, ma, caso singolare e contradittorio , mentre egli afferma di essere riuscito in tutti i casi a fare « sgusciare » gii embrioni colla bile di maiale , riferisce a titolo di cronaca in una nota , che un’esperienza gli fallì sol perchè la bile adoperata, che gli si era dato ad inten- dere come appartenente a un maiale, era invece di pecora ! Ognuno vede agevolmente da queste premesse quale valore meritino i risultati e le relative considerazioni, quando si rifletta che, sperimentare coi succhi del maiale sulle ova di T. saginata non è mettersi nelle identiche condizioni della natura, come ho avuto occasione di osservare nel corso del mio lavoro. Quando poi si ponga mente che nel caso di indifferenza specifica di azio- ne dei succili avrebbero dovuto mostrarsi ugualmente attivi quelli dei due citati animali, o, nel caso di prevalenza d’azione, quello Azione sperimentale dei succhi digerenti ecc. 15 di pecora avrebbe dovuto per affinità fisiologica dimostrarsi più attivo, i risultati e gli esperimenti del De Vincenzis diventano molto discutibili. Ma non meno discutibile è la deduzione dell’ A. intorno al- 1’ azione che la bile eserciterebbe, per sè sola, sul guscio, poiché stando a quanto egli descrive e raffigura, questo liquido non solo disgregherebbe gli elementi che compongono V involucro esterno dell’ ovo, ma, a quanto pare, li dissolverebbe, o, non si sa come, li allontanerebbe dal corpo dell’ animale. Egli mentre , confor- memente a quanto io stesso ho constatato, sostiene che i gusci divengono più fragili, esclude che la loro rottura, nelle condizioni di esperimento sia dovuta alla pressione artificiale- del vetrino coprioggetti, o ad altra causa estranea , ritenendo sufficiente di avere appoggiato questo su due altri frammenti di vetrino adia- centi alla goccia, allorquando gli sarebbe stato più agevole e più persuasivo esaminare il liquido, come è stato da me praticato per lo stesso intendimento, senza vetrino. Io tralascio dal fare apprezzamenti su questa pretesa azione peptolitica della bile, la quale non è stata fin’ ora da alcun au- tore in via generale nè accennata nè sospettata. Viceversa dalle più recenti ricerche su questa secrezione- digerente, eseguite dal Bruno nel 1899 si ammette oggidì che 1’ azione predominante della bile sia quella di sospendere 1’ azione del succo gastrico , eccitando all’incontro quella degli enzimi del succo pancreatico. Ed è precisamente col succo pancreatico che il De Vincen- zis ha omesso di sperimentare. È quindi evidente elle nel lavoro di quest’ autore da un canto è difettosa la sperimentazione, dall’ altro sono zoppicanti le interpretazioni ; così che è lecito supporre in base alle cono- scenze fisiologiche e ai risultati delle mie ricerche, che egli, per difetto di manipolazione ha attribuito esclusivamente alla bile quell’ azione che va devoluta principalmente al succo gastrico e secondariamente alla bile o al succo pancreatico. A tutti questi difetti di sperimentazione e di deduzioni io 16 Umberto Brago [Memoria IIIJ. avevo già precedentemente ovviato nel mio lavoro, condotto senza conoscere quello del De Vincenzis, così che mi credo dispensato da ulteriori richiami, rimandando il lettore alle mie conclusioni. Non posson intanto chiudere il presente lavoro senza por- gere sentite azioni di grazie al prof. B. Grassi che mi ha gen- tilmente fornito la chiestagli monografia del De Vincenzis. Memoria IT. Sopra un nuovo sviluppo singolarmente convergente per l’integrale delia estinzione secondo ia teoria di Bouguer Partendo dalla espressione data da Bouguer per il calcolo delle masse d’ aria attraversate dai raggi d’ un astro, il Dott. Azeglio Bemporad mostra come 1’ integrale, che compare in questa espressione, possa calcolarsi me- diante uno sviluppo assai convergente, i cui termini dipendono in modo sem- plice dalla funzione di Kramp. La convergenza dello sviluppo è specialmeute notevole per astri assai vicini all’ orizzonte, mentre le altre forme di svi- luppo ti li qui note non erano praticamente applicabili oltre la distanza ze- nitale di 85°. L’ A. estende inoltre questa forma di sviluppo al caso di strati atmosferici di altezza limitata e anche al caso di distanze zenitali superiori a 90". Questi risultati ci sembrano importanti, e però la Commissione stima che la Memoria sia degna di essere inserita negli Atti dell7 Accademia. 1. Quantunque la teoria d1 estinzione di Bouguer non abbia ormai elle un interesse puramente storico, poiché altre più pre- cise sono venute a sostituirla, pure è utile dal lato teorico e didattico, dare ai relativi sviluppi il necessario rigore non dis- giunto dalla massima rapidità possibile. La teoria d’ estinzione di Bouguer fornisce per il calcolo Atti acc. Serie 4% Voi.. XIX — Mem. IV. A. BEMPORAD RELAZIONI-: DELLA COMMISSIONE DI REVISIONE, COMPOSTA DEI SOCI EFFETTIVI proff. M. PIERI E G. PENNACCH I GITI (relatore). l 2 A. Bemporad [Memoria IV] della massa d’ aria F(z) attraversata dai raggi incidenti colla distanza zenitale s V espressione 00 * _ h 1 / e 1 la 4- h) dh F(z) — I — 1 ■- - I I | / a 2 cos2« -)- 2 ah -)- h 2 0 dove a indica il raggio terrestre, / l1 altezza dell1 atmosfera ri- dotta omogenea, // V altezza di un punto generico della traiet- toria dei raggi luminosi al di sopra del luogo d1 osservazione e finalmente e la base dei logaritmi Neperiani *). Mostrai già in una mia prima nota su questa teoria a), come lo sviluppo dato da Kouguer per questo integrale e ripro- dotto anche nei più recenti trattati di fotometria / -> i , , 1 „ / sec %z tg2z F(z) = sec z — — sec 2: tg-z f (l — — a cos-z) — — -2 — -(- ••• (1) lasci molto a desiderare dal lato del rigore, e assegnai in pari tempo lo sviluppo esatto l 3 p sF F(z) = sec z sec z t(fz -4 — see3* tq*z — (5 sec'-z — 1 ) sec3z tg-z- j~... (la) ' a a ’ a e le relative condizioni di convergenza. Da queste risultava, che lo sviluppo in discorso non è applicabile oltre z — 82°, mentre nelle ordinarie tabelle d’ estinzione sogliono darsi i valori delle masse d’aria secondo la teoria di Bouguer, fino a 2=88° 3). In una nota successiva 4) colmai questa lacuna, dando un nuovo 1 . V. G. Miirj.nit — Die Photometrie dar Gestirne, pa.g. 119, ovvero la mia nota : Sulla teoria d’ ex Unzione di Bouguer — Memorie della Soe. degli Spettro, se. Ita!. Voi. XXX, 1901. -) V. Nota testò citata. 3) Cfr. G. Mììlchr, Die, Photometrie dee Gestirne, pag. 135. 4) Sopra un nuovo sviluppo dell’ integrale della estinzione atmosferica — Memorie Spettro- scopisti XXXI, 1902. Sopra un nuovo sviluppo singolarmente convergente ece. ? sviluppo della teoria di Bouguer applicabile per qualunque distanza zenitale, nella forma i=r—\ n*= OC /:=o n= o dove le cn sono coefficienti costanti e le JH integrali ausiliari dati rispettivamente da i V T e ( — U" 1.2... « l"+ì r*v li " (a -[- i v -|- h ) | /{a ■ i v -j- h)2 — a 2 siu2s «y 0 Il calcolo delle cn Jn veniva eseguito mediante forinole ri- correnti e con un procedimento assai rapido di approssimazioni successive, che non occorre qui ricordare. 1 Questo secondo sviluppo è in effetto praticamente applica- bile per qualunque distanza zenitale (90° esci.), ma ha l’ incon- veniente di essere un po’ troppo laborioso. La nota attuale ha ora appunto lo scopo di accennare una terza forma di sviluppo, che al vantaggio di rimanere applicabile per qualunque distanza zenitale (90° ilici.) unisce quello della massima rapidità. Questo si ottiene, riducendo con opportune trasformazioni il calcolo dell’ integrale (1) a quello della nota funzione di Kramp, di tanto uso nella teoria della retrazione, 4 A . Bemporad [Memoria IV|. per la quale vennero costruite notoriamente tavole numeriche da Kramp, da Bessel e da Radau. *) 2. Nell’ integrale (1) pongasi h = X — X , determinando il parametro X in modo che venga a scomparire il termine noto del trinomio di secondo grado sotto radice, cioè in modo che risulti, JT2 — 2 a X -|- a~ cos2z — 0. JHYa le due radici scegliamo quella fornita dall’ espressione X — a (1 — sin s) , (3) che si annulla per z — 90°. Risulta ao X /» _ *_ l F(z) e (a sin z + x ) dx 1 I i 2 a sin z x x2 (4) e integrahdo per parti F (z) = - i/2 a si !> sin z X 4- X -jT I e ' j 2 a sin z x x2dx.{^a) Jj integrale Il X Fi (Z) = -p T |/2 a sin z x -|~ x2 dx, */ X *) V. R. Radai . — Tdb leu de V intégrale '1 ( Z ) ■> = / J f2 e dt. Armale» de 1' Obser- vatoire de Paris. Ménroires. T. XVIII, pag. D. 1. Sopra un nuovo sviluppo singolarmente conveniente eoe. o sviluppando il radicale iti serie binomiale - — J. — , diviene ') 2 a sin z secondo le potenze di • X X l e \ 1 2 a sin 2 / 1 - 1 X 1 | x )2 tr,\ _ / 2 2 a sin z 8 \2 a sin zi ' ; — i2 ! A' e operando In sostituzione x = it* , x =2 i r\ si trasforma in (5) i / l F,(z ) 2 e'rT\ h, : 2 / e -et f dt J w ‘ ' 2 a sin z-j » ì / l 2 \2 a sin z, 2 I e u t4 dt 1 8 \2 a sin z 2 I e te dt Si ha poi con successive integrazioni per parti : /» CC — — T e~n — j— 2 / e~u t 2 dt T y*oc le~lc t 2 dt 1 2 — ■ r errr -I - — 3 3 e u t‘ dt e-'A r = l- Th e- ' r 5 e_C£ f6 dt 1 ) Lo sviluppo sarà convergente solo finché x B Tornando ora all’espressione (4«) di il primo termine di questa può scriversi in virtù della (5) | / 2 a sin ^ X -f- X- T | '2 a sin z 1 -f 1 - t2)4- 2 a sin « £ 2 « sin 0 1 1 2 T — <> lo l \ 1 \Y Ts a sin z l 8 '2 a sin z 2 T’ — . feriamo, 3 a sin z — • « è prossimamente — 2 a — 12800 km. circa, e per questo valore _ JL di h il fattore e I della funzione integrandi ha un valore estremamente piccolo, onde il valore dell’ integrale fra h — 0 e li — 3a sin z — a non differisce praticamente dal valore dell’ integrale preso fra li — : 0 e li — qo . La condizione di convergenza non porta dunque altra limitazione alla applicabilità della integrazione [per serie, che di considerare distanze zenitali sufficientemente grandi (}> 70°J, ma questa è una limitazione facilmente concedibile, visto che per distanze zenitali sufficientemente piccole ((r) + JL[ ' )t 1 J. ' V n cui v. 0 a sm z I 3 16 >2 a sili z 2 0 (7) dove l1 argomento ausiliario T è dato da T — I sin 4- (90° — s) l 2 e le 0j , 02 hanno le espressioni (6), mentre la funzione di Kramp (7T) si intende presa da una delle note tavole, ad es. (come nei calcoli che seguono) dalla estesa tavola di Radati già citata a pag. 4. Questo sviluppo di F (s) riesce, come si è detto, convergen- tissimo i>er distanze zenitali assai grandi, e intatti oltre *'=84° bastano due soli termini a fornire il valore di F (s) esatto tino alla 4a decimale, mentre collo sviluppo (1«) anche nella forma corretta da me indicata occorsero per g = 85° non meno di 30 termini per ottenere solamente la terza cifra J). Riproduciamo qui sotto i singoli termini degli sviluppi corrispondenti a z — 80°, 81°, 89°, pei valori log l0 = *>,9027583 log' a, — 3,8046410 delle costanti 1 ed a. z 80" 81° 82" 83° 84", 85° 86" 87" 88" 89° I 5, 4827 6, 0508 6, 7520 7, 5992 8, 6866 10, 1041 12, 0149 1 4, 6962 18, 6521 24, 8631 li 685 621 558 496 435 375 319 266 219 182 III 2 2 — 1 — 1 — 1 F(z) 5, 5510 6, 1 127 6, 7977 7, 6487 8, 7300 j 10, 1416 1 2, 0468 14. 7228 18, 6740 24, 8813 ‘) v. Sulla teoria, d’ estinzione di tiouf/uer. Meni, della. Soc. degli Spettroscopisti Ital. Voi. XXX, 1901. Pag. 235. 8 A . Bemporad [Memoria IV]. Nella prima delle note citate ') avevamo ottenuto mediante la forinola (la) e in parte coll’aiuto delle quadrature numeriche i valori 0 80" 81° 82" 83° 84" F{z) 5,551 0,113 0.708 7.040 8,730 in accordo perfetto coi valori dati dalla nuova forinola. Nella seconda delle note citate avevamo ottenuto mediante la forinola (2) i valori 2) z 85" 86" 87" 88" F(z) 10,1422 12,0474 14,7237 18,6703, (8) che differiscono al massimo di due unità della terza decimale dai valori forniti dalla nuova forinola. Ma anche questa pic- cola differenza non dipende menomamente da scarsa approssi- mazione dell1 uno o dell’ altro calcolo, bensì dalla diversità delle costanti assunte nei due casi. Infatti nei calcoli delle due note citate venne adoperato il valore log 10 — 0, 9025196 in luogo del valore più esatto log = 0,9027583, che qui venne assunto. Col primo valore di log 70 anche il nuovo sviluppo (7) di F(z) for- nirebbe esattamente gii stessi valori (8), che fornisce lo svi- luppo (2). Ad es. per z — SS" risulterebbe lk I 18,6544 Il 219 F( 88°) 18,6763 e la perfetta coincidenza dei valori ottenuti per vie tanto di- verse dimostra 1’ esattezza di ambedue i procedimenti. Certo il q ibidem Tal». I, pag. *) Nella nota in discorso (Sopra un nuovo sviluppo. . . . Memorie XXXI, pag. 113) vien dato il valore F( 88°) ~ 18,6773 in luogo di 18,6763, come effettivamente deve essere, e come subito risulta ripetendo la somma «lei termini corrispondenti ad j ^ per « = 88° (pag. 142), la quale deve leggersi LO, 840829 in luogo di 10,841829. Sopra un nuovo sviluppo singolarmente convergente eoe. 9 nuovo sviluppo tanto più rapido rende orinai inutile per il se- guito lo sviluppo (2), ma a noi premeva far rilevare, 'come la maggior lungliez/a di questo non neccia affatto all’esattezza dei risultati. 3. Per s — 90°, ossia per la estinzione orizzontale, risulta T — 9, ed è notoriamente w (0) V - e quindi 0, , e2 0. — — e inline F (90°) 1 4 I 2 a “( 1)1 32 2 a 1 Coi valori accennati sopra delle costanti l ed a risulta quindi F (90°) — 35,416 (9ff) Bouguer ottiene invece per la estinzione orizzontale la e- spressione *) p {90o) = M (2 _ « 1 ~ 3P _ 7 a2 F - 18 a l> + 15 F + j 6 (2 a iy 120 (2 a l)^ ì Quest’ ultimo sviluppo, oltreché più complicato, è inesatto per il solito vizio d’origine degli sviluppi di Bouguer di aver h_ ricorso alla variabile u = 1 — e 1 , con che si vengono a tra- scurare termini, che non sono affatto trascurabili 2). K invero 1) V. G. Mììlj.hk, Die Fhotometrie der Gestirne, pag. 120 (1897). 2) V. Nota: citata Sulla teoria d’ estinzione di Bouguer. Atti acc. Sekik 4a, Vol. XIX — Mem. IV. 2 10 A. Beni parafi [Memoria. IVt] questo sviluppo fornisce per F (90°) il valore F (90°) — 36,678 con una differenza di più che un’ atmosfera dal valore esatto (9 a). 4. TI procedimento d’ integrazione da noi accennato per 1’ integrale della estinzione propriamente detto, fra i limiti Ji—() e li = oc, vale a dire esteso dal luogo d1 osservazione tino al limite dell’ atmosfera, jiuò applicarsi convenientemente anche quando si prenda come limite superiore un determinato valore H =|= oc, cioè quando accada di dover determinare 1’ assorbi- mento di uno strato parziale dell1 atmosfera. Una tale questione si presenta in varie interessanti ricerche sperimentali, come nelle osservazioni astrofotometriche eseguite simultaneamente in due stazioni a rilevante dislivello (Langley, Mùller-Kempf) ovvero nelle osservazioni fotometriche di nevai alpini (Oddone) e simili. Le tavole da me date in un precedente lavoro 4) per il calcolo di risolvono la questione solo per il caso di altezze non superiori a 5000™ e di distanze zenitali non eccedenti 89°. L’estendere le tavole fino a 90° sarebbe stato eccessivamente laborioso (almeno colla forma di tavole da me adottata) in causa del forte anda- mento, che assumono i valori di F(z) fra 89° e 90°. Considerando ora, che non è affatto raro di osservare astri nell’ immediata prossimità dell’ orizzonte, e anche qualche grado al disotto di questo per stazioni molto elevate 2), non parrà su- fi L’ assorbimento selettivo dell ’ atmosfera terrestre sulla hi ve degli astri. Memorie «iella R. Accademia «lei Lincei. Serie 5a, voi. V. fi Per l’Osservatorio Etneo ad es. la depressione dell’orizzonte tìsico ammonta a circa 1°30/. h | /a2 eos2 z -f- 2 ah fi k2 o Sopra un nuovo sviluppo singolarmente convergente eoe. Il perfino accennare qui, come possa agevolmente calcolarsi, caso per caso, il valore di F {z, H ) per valori q ua-lisi vogliano di sr e di H. Avremo anzitutto F(z, H) = F(z) — /a2 h e 1 (a -)- h) dh cos2 z -\~ 2 a h ■ \ - h* H e introducendo ancora la variabile ./• definita dalla (3) e po- nendo X, a (1 — sin H avremo altresì a A-1 / e x a (sin z -|- x) dx —e ' e 1 I , — F (z, H) = F (z) — e 1 e i/o •/ x a sin z x Ora T integrale del secondo membro non differisce da quello della forinola (4) se non per avere Xi in luogo di X. Sono quindi applicabili tutti gli sviluppi seguenti col semplice cam- biamento di T in r | 'a (1 — sin 2) -)- H 1 ~~ ' l Si ottiene così in definitiva, ricordando lo sviluppo (7) di F (z), 1 Fiz, ir (10) \2 a sin zi — ( ) 4 '2 a sin zi l 2 16 '2 a sin z 4 (T) — e 1 4* (T,! tì, (T) - e '8, ( T)l 0,(2’) - « ' 0, (1\) 12 .4. Beni-por a4 [Memoria IV J. In pratica, risto che fino ad N9° si possono usare le tavole citate sopra, e che da 89° in là i termini di 2° ordine sono pic- colissimi, si potranno trascurare i termini in H,, 0.,, . . . , e si ha così una espressione di F (s, H) notevolmente semplice e per- fettamente atta al calcolo numerico fino a ~ = 90". Come esempio ho calcolato i valori di F(z, 11) per //=3000 e s=86°, 87", ...90°. 1 primi quattro valori si accordano sufficientemente con quelli • da me calcolati secondo una teoria più rigorosa nel lavoro già citato. z F(z, 3000m ) forni. (10) forni, rigor. 86IJ 4, 069 4, 447 87 6, 007 5, 779 88 8, 292 8, 1 36 89 12, 743 12, 995 90 31, 258 — 5. Accenniamo ora brevemente, come gli sviluppi conside- rati di F{z) e di F(ss, H) possano estendersi con tutta facilità anche al caso di distanze zenitali superiori a 90". In tal caso, essendo il raggio luminoso volto verso il basso, rispetto al luogo d’ osservazione, la variabile d’integrazione h (altezza sul livello del luogo d’osservazione O) non varierà più da 0 ad x per valori positivi, come vien supposto nella forinola fondamentale (1), ma assumerà invece dapprimo valori negativi fino ad un minimo — H (altezza del punto P dove il raggio corre orizontalmente, data, come subito si vede, da H — a ( 1 — sin z) = 2 a sin2 -5- , (11) se Z indica la depressione 'della visuale rispetto all’ orizzonte) per poi risalire da — H a 0 e quindi da 0 ad x . Scindendo Sopra un nuovo sviluppo singolarmente convergente eee. 13 corrispondentemente l’integrale F (z) =. F (90° -j- '£) in tre parti sarà, come subito dimostra una semplice considerazione geome- trica, F (90° r- Q •-H '0 km , 9735 0, 05289 9, 79398 forni. (14) 55, 137 forni. (15) 55, 132 92 3, 8939 0, 21155 9, 00914 90, 014 90, 0 1 5 Le lievi divergenze che risultano fra i valori calcolati nei due modi, divergenze del tutto trascurabili in pratica, sono im- putabili all’ omissione dei termini d’ ordine superiore. Forinole affatto analoghe alle (14) e (15) valgono per le fun- zioni F (z, H ) (integrali della estinzione corrispondenti a strati atmosferici limitati ad una altezza H' al disopra del luogo di osservazione) e si deducono anzi senz’ altro dalle (14), (15) col semplice cambiamento dei simboli F (z) in F (z, //'). N. B. Quando questa nota eia già composta venne a mia cognizione, che il Chiù. ino Dott. Cerulli, con un procedimento assai diverso, fondato sopra una elegante considerazione geometrica, giungeva a forinole del tutto analoghe a quelle qui date. Lieto della conferma ricevuta per parte del chiaro Astronomo, che mi onora della sua amicizia, aggiungo, che la sua nota comparirà fra breve nelle Memorie della Società degli Spettroscopisti italiani. Voi. XXXVI. Memoria, V Sulla identità proiettiva di due curve algebriche Memoria del D.r GIUSEPPE MARLETTA RELAZIONE della Commissione di Revisione composta deì soci effettivi Proff. G. PENNACCHIETT1 e M. PIERI {relatore). Da pochi fatti spettanti alla Geometria sull’ente algebrico, l’A. desume una condizione (sufficiente) affinchè una corrispondenza frazionale fra due curve del medesimo ordine provenga da un’ omografia «lei loro spazi d’ im- mersione : e la illustra con molti esempi; deducendone varie eleganti pro- posizioni — parte già note (quantunque per vie men brevi) e parte non an- cora osservate. Uno di questi risultati ne accerta, che fra due curve piane del medesimo ordine prive di punti multipli non può intercedere alcuna corrispondenza frazionale non lineare : teorema che l’A. generalizza poi di- mostrando che il simile accade fra due ipersuperficie algebriche dell’ Sr di ordine n > r 1, con un numero finito di punti multipli secondo i < r. L’ ultimo § risolve il problema di assegnare — sotto forma notevolmente semplice — una condizione necessaria e sufficiente acciocché due curve al- gebriche dell’ 8,. siano infinite volte proiettive fra loro. La Commissione — riscontrando nelle quistioni trattate dall’ A. e nei risultati da Lui conseguiti pregi bastanti d’ interesse, di novità e metodo — propone che questo lavoro sia inserito negli Atti accademici. Atti acc. Serie 4a, Voi.. XIX — Meni. V. 1 »•/ ■ . • . . - 11 primo capitolo di questa nota lia lo scopo di assegnare alcuni teoremi, che possono essere utili per decidere se due date curve algebriche (distinte o sovrapposte) sono riferibili proietti- vamente fra loro (*). Alcuni di questi teoremi sono già noti ; e di essi si trove- ranno qui nuove dimostrazioni di notevole semplicità e natura- lezza. Altri, invece, sono nuovi, e non mi sembrano privi d’in- teresse. Il secondo capitolo è dedicato alla ricerca delle condizioni necessarie e sufficienti, affinchè due curve algebriche (distinte o no), siano trasformate l’una nell’altra da infinite omografie. I. 1. Siano C e C' due curve algebriche d’ordine n, di gene- re p, e immerse rispettivamente negli spazi [?•] e [»•]' da r di- mensioni. Supponiamo che fra i punti delle due curve, si possa sta- bilire una corrispondenza biunivoca tu. Questa trasformerà la serie yrn secata su C dagl’ iperpiani dello spazio [r], in una certa serie di C' . Se coincide con la g'rn secata su C' dagl’ iper- piani di [r]', allora m individua fra gli spazi [r] e [r\ una col- lineazione trasformante C in C'. Ciò avverrà certamente, se o> trasforma s gruppi iperplanari (*) Per le curve razionali vedi Maulf.tta « Contributo alla teoria delle curve razionali » . [Read, del Circolo Matem. di Palermo, tomo XXI, 1906]. 4 D.r Giuseppe M arietta [Memoria V]. linearmente indipendenti di C in altrettanti e siffatti gruppi di C, essendo s il numero dei gruppi linearmente indipendenti, atti ad individuare una grn sopra una curva di genere p ; ovvero se i numeri n, r, p sono tali, che sopra una curva di genere p, esista una sola serie lineare d’ordine n e dimensione r. Osserviamo che i soli valori possibili di s sono s = 1 e s — r -f- 1. Sarà s — 1 se sulla curva di genere p esiste più d’una grn , e inoltre è r la massima dimensione che può avere una gn; sarà s = r -\- 1 negli altri casi. Allorché sulla curva di genere p esi- ste una sola grn , diremo che questa è individuata da s — 0 dei suoi gruppi. 2. Da ciò segue senz’ altro il teorema : « Date due curve 0 e C' d’ordine n, genere p, e immerse ne- gli spazi [r] e [r]'; se s è il numero dei gruppi linearmente indi- pendenti atti ad individuare una g* sopra una curva di genere p, allora qualunque corrispondenza biunivoca fra i punti delle due curve , la quale trasformi s gruppi iperplanari linearmente indipen- denti di 0, in altrettanti e siffatti gruppi di 0', individua fra gli spazi [r] ^ W' una collimazione trasformante O in 0’ ». Nei paragrafi seguenti illustreremo questo teorema. 3. Sopra una curva di genere p , si abbia una serie lineare gTn , essendo n > 2 p — 2. Allora è noto (*) che si ha r < n — p\ cioè che n — p è la massima dimensione, che può avere su quel- la curva una serie lineare d’ordine n. Dunque, per il teorema del § precedente, possiamo conclu- dere che : « date due curve 0 e C' d’ordine n, genere p , con n > 2 p — 2 , immerse negli spazi [n — p] e [n — p]', se esiste fra i loro punti (*) Clifkord « On thè Classifieation of Loci ». [Phil. Trans. 1878]. Segre « Rechcrches générales sur les courbes et les surfaces réglées algebriques » . [ Matk. Ann., Bd. XXX]. Castelnuovo « Sui multipli di una serie lineare di gruppi di punti appartenente ad una curva algebrica ».. [Rend. del Circolo Matem. di Palermo, tomo VII, 1893]. Sulla identità proiettiva di due curve algebriche 5 una corrispondenza biunivoca trasformante un gruppo iperpla tiare di C in uno siffatto di C, allora questa corrispondenza individua fra gli spazi [n — ]>] e [11 — p]' una collinea zione, la quale tra- sforma 0 in C' (*). In particolare dunque sono proiettivamente identiche due curve ellittiche d’ordine n dello spazio ad n — 1 dimensioni, se fra i loro punti intercede una corrispondenza biunivoca tale che ad un punto d’ iperosculazione dell’una, corrisponda un punto sif- fatto nell’altra (**). 4. Sia C una curva d’ordine n, di genere p, immersa nello spazio [r], con r < n — p e n > 2 p — 2. La C si può sempre riferire hi univocamente (***) ad una curva Dx d’ordine n -(- p di genere p e immersa in un [«]. Essendo n — p la massima dimen- sione di una gn di Dx , ogni gl~p di questa curva è individuata da uno qualunque dei suoi gruppi. Onde una gnn~p qualunque di Dx si ottiene secando la curva con gl’ iperpiani passanti per il [p — 1] individuato dai p punti della curva, che stanno in uno stesso iperpiano cogli n punti di un gruppo qualunque di g„~p . La grn di J)t , che corrisponde alla serie secata su C dagl’ iper- piani di [r], e la gnn~p individuata da uno qualunque dei gruppi di grn, devono essere contenute in una stessa g„ , che sarà evi- dentemente quella gn~p . Onde la grn in quistione è secata dagl’ iperpiani passanti per (*) Segre « 1. c. » . Per p — 1 vedi anche Castelnuovo « Geometria sulle curve ellittiche . [Atti della R. Acc. di Torino, voi. XXIV, 1888]. Le i/”-' p di una curva di genere p, sono oop- Vedi p. es. Brill e Nother « Veber die aUjebraischen Functionen » [Math. Ann. Bd. VII]. Dunque sono in numero finito solamente, se la data curva è razionale. In tal caso è evidente che si ha una sola g"- , e quindi (SI) ritroviamo il noto teorema, che qualunque corrispondenza biunivoca fra i punti di due curve razionali normali, individua una colliueazione fra gli spazi delle due curve, trasformante Luna curva nell’altra. (**) Segre « Le corrispondenze univoche sulle curve ellittiche » . [Atti della R. Acc. di To- rino, 1889]. (***) Castelnuovo « ricerche di geometria sulle curve algèbriche » . [Atti della R. Acc. di Torino, 1889]. (5 D.r Giuseppe Marletta Memoria VJ. un certo [n — r — 1] avente p punti in comune con . Proiet- tando la curva da quest’ [w — r — 1] in un [r] , si ottiene una curva Cx d’ordine n, proiettivamente identica a C. Dunque C si può considerare come proiezione di una certa curva I) d’ordine ìi-\-p di un [n\, fatta da uno spazio 2 da n — r — 1 dimensioni, avente p punti in comune con T). Conduciamo ora per lo spazio [>•] di C un \ii — p~\, che appartenga allo spazio [w] di I ). Proiet- tando I) in quest’ \n — p] dallo spazio [p — 1] individuato dai p punti comuni a I) e a - , si ottiene una curva F d’ordine ii. È chiaro che (J si può considerare come una proiezione di F, fatta dall’ [n — r — p — 1] traccia di 2 in [n — p~\. Dunque: « Ogni curva (V ordine n e genere p , delio spazio [r] , con r < n — p, e n > 2 p — 2, è sempre proiezione di una curva d’or- dine n dello spazio [n — p] >>. (*) 5. Siano date due curve C e C d’ordine n, di genere p , immerse rispettivamente negli spazi da r dimensioni [r] e [r]', con r < ti — p e n > 2 p — 2. Siano I) e I) le curve d’ordine n degli spazi n — p] e [n — p]\ delle quali C e C' sono rispettiva- mente proiezioni da certi due spazi 2 e 2' ad n — r — p — 1 di- mensioni (§ 4). Pra i punti delle due curve C e C interceda una corrispondenza biunivoca w , trasformante un gruppo iper- planare di C in uno siftatto di C’, e inoltre s{~\- 1 punti (4=1, 2..., li) di C posti in un -)- r — n p], in -^+1 punti siffatti di C\ essendo s{ > n — r — p — 1 ; e inoltre gli li spazi -j- r — n -{-p\, non abbiano alcun punto comune nell’ \r — 1] in cui giace l’an- zidetto gruppo iperplanare di C. E chiaro che due punti omo- loghi in u) , sono proiezioni di due punti uno di I) e uno di /), omologhi in una corrispondenza biunivoca aq, la quale trasfor- mando un gruppo iperplanare di D in uno siffatto di T)\ indivi- dua fra gli spazi \n — p] e \n — p]' una colli neazione trasformante 1) in I) (§ 3). Inoltre, per le altre condizioni alle quali soddi- (*) Veronese « Beliandluny der projectivischen Verhaltuisse . [Matti. Ann. Bel. XIX]. i Sulla identità proiettiva di due curve algebriche sfa co , sono omologhi nella detta collineazione gli spazi S e 2'. Concludendo : « Date due curve 0 e C' d’ordine n e genere p, immerse ne- gli spazi da r dimensioni [r] e [r]', essendo r < ri — p, ed n > 2p — 2 ; se esiste fra i loro punti una corrispondenza biunivoca trasformante un gruppo iperplanare di C in uno siffatto di C' ed Sj 1 punti (i = /, 2,.., li) di 0 posti in un [Sj -)- r — n -f- p] , in Sj. -j- 1 punti siffatti di 0', essendo s£ > n — r — p — 1 ; e se inoltre gli li spazi [Sj -f- r — n — {— p] non hanno alcun punto a comune nell ” [r — /] cui appartiene il gruppo iperplanare anzidetto di 0, allora quella cor- rispondenza individua fra gli spazi [ r] ed [r]' una collineazione che trasforma C in C' ». Facciamo qualche caso particolare. a) Si ponga: n=5, p=l, r— 3, li— 1, ^=1. Il teorema ora dimostrato ci dice, che date due qui litiche gobbe ellittiche C e C\ se fra i loro punti si può stabilire una corrispondenza biunivoca trasformante un gruppo piano di C in uno siffatto di C', e i due rami (distinti o coincidenti ) di un punto doppio di C, in quelli di un punto doppio di C', allora la detta corrispon- denza biunivoca individua fra gli spazi delle due curve una collineazione, la quale trasforma C in C'. Si noti però, che il punto doppio di C (di C'), non deve appartenere al piano dei gruppo di C (di C) anzidetto. b) Si ponga : n— 5, p— 1, r=3, 7>=2, .^=3, s2= 2. Il teo- rema ci dice, che date due quintiche gobbe ellittiche C e C', se fra i loro punti si può stabilire una corrispondenza biunivoca trasformante un gruppo piano G di C , in uno siffatto G' di C, quattro punti complanari di C in quattro punti complanari di C\ e tre punti allineati di C in tre punti allineati di C', allora la detta corrispondenza individua fra gli spazi delle due curve una collineazione, la quale trasforma C in C'. Per altro la retta dei tre punti di C (di C') e il piano dei quattro punti suddetti della medesima curva, non devono avere in comune alcun punto del piano di G (di G'). 8 D.r Giuseppe Marletta [Memoria V]. c ) Si ponga: n=5, ^>=1, r— 3, 7/=2. s\=2 s2—2. Il teo- rema ci dice che date due quintiche gobbe ellittiche C e C', se fra i loro punti si può stabilire una corrispondenza biunivoca trasformante un gruppo piano G di C , in uno siffatto G' di C', e due trisecanti di C in due trisecanti di C\ allora la detta corrispondenza biunivoca individua fra gii spazi delle due curve una collineazione trasformante C in C' . Si noti però, che le due trisecanti di C (di C') non devono avere alcun punto del piano di G (di G') in comune. 6. È noto che la massima dimensione che può avere una g2p_ 2 sopra una curva di genere p, è p — 1 ; e che anzi sopra la curva esiste una sola gl~ % , che è precisamente la serie canoni- ca. Ne segue (§ 2) che « date due curve 0 e C (V ordine 2p — 2, di genere p, e immerse in due spazi [p — 1] e [p — da p — 1 dimensioni , qualunque cor- rispondenza biunivoca passi fra i loro pienti , individua una colli- neazione fra gli spazi [p — 7] e [p — /]', trasformante 0 in C' ». (*) Per es., se due sesti eli e gobbe C e C' di genere p = 4 si corrispondono biunivocamente, esse saranno proiettivamente iden- tiche. 7. Siano C e C' due curve piane d’ordine n > 3 ciascuna priva di punti multipli. Le curve F d’ordine n — 3 del piano [2] di C , secano su questa una c/i- " ("-3) che è la serie canonica di C. Se fra i punti di C e di C' esiste una corrispondenza biu- nivoca co , questa trasformerà la serie canonica di C in quella di C\ cioè farà corrispondere ad ogni gruppo di n (n — 3) punti di C appartenenti ad una curva F, un gruppo di altrettanti punti di C\ giacenti sopra una curva F d’ordine n — 3. Ora vogliamo dimostrare che ad n punti allineati di C corrispondono, in virtù di oc, n punti allineati di C'\ cioè che co individua fra i piani delle due curve una collineazione trasformante C in C'. A tal tine supporremo che, per un certo valore di * _< n — 3 (*) SeCtRE « Rcchcrche» . . . » 1. c. Sulla identità proiettiva di due curve algebriche 9 gli ns punti di C appartenenti ad una curva qualsivoglia E, d’ordine s , abbiano sempre i loro corrispondenti in C' sopra una curva E's ; e dimostreremo che al lora, se n (s — 1) punti di C appartengono ad una curva E,_ l d'ordine s — 1, anche i loro corrispondenti apparterranno necessariamente ad una E's_x . E infatti il gruppo degli n (s — 1) punti comuni a Ce ad Es_x ap- partengono ad oc2 curve Es , ciascuna composta della Es_1 tissa e di una retta; onde per gli n (s — 1) punti corrispondenti di C passeranno ancora ro2 curve E's . Ma due E's non possono avere })iù di s2 punti comuni ; dunque se è n (s — 1) > s2, le oo2 E\ dovranno avere una parte fissa comune contenente gli n (s — 1) punti. Ne segue che questa parte fissa è necessariamente una E\_x ; atteso che una curva E's_2, p. es., non può secare in n fs — 1) > n {s — 2) punti la curva irriducibile C’ . Resta solo da, far vedere, che per 1 < s < n — 3 è sempre n (s — 1) > -v2: e invero da n > s -|- 3 ed s > 1 si deduce n (s — 1) >_ tr -j 2.v — 3 > s2. Concludiamo che: « Se fra i punii di due curve piane dello stesso ordine n > 3, ciascuna priva di punti multipli , si può stabilire una corrispondenza biunivoca , questa individua fra i loro piani una colli ovazione , la- gnale trasforma Vinta curva nell’altra ». 8. « Se fra i punti di due ipersuperficie o forme algebriche 0 e C' dello stesso ordine n degli spazi [r] e [r]', prive di punti multipli, con n > r -4- 1, si può stabilire una corrispondenza bir azionale, que- sta individua fra gli spazi [r] e [r]' una colli oraziane trasformante C in C' » (*) (*) È noto die il sistema canonico della superficie C d’ordine » di uno spazio ordinario [3], priva di punti multipli, è secato, per n 4, dalle superficie d’ordine n — 4. Analoga- mente il sistema canonico della forma C d’ordine n di un [}•], priva di punti multipli, è se- cato. per n r -)- 1, dalle forme d’ordine » — r — 1. L’assenza di punti multipli non è necessaria : le forme potrebbero avere, p. es., un numero finito di punti multipli ordinari di multiplicità i < r — 1 ; visto che le forme d’ordine n — r — 1 secanti il sistema cano- nico di C, devono contener questi punti in qualità di punti (i — r -f- 1) pii. Una proposi- zione analoga per due superficie d’ordine ». 4 non contenenti altre curve che intersezioni complete trovasi già dimostrata nelle Ricerche di Geometria sulle superficie algebriche » del prof. F. Enriques [Meni, dell’ Acc. delle Scienze di Torino, v. XLIV2 , Capit. III]. Atti acc. Serie 4a, Voi.. XIX — Meni. V. 10 D.r Giuseppe Marletta [Memoria V]. Questo teorema si dimostra in modo perfettamente analogo a quello del § precedente; sapendosi che i due sistemi lineari (canonici) segati su C e su C' dalle forme ( aggiunte ) d’ordine n — r — 1 debbono essere omologhi nella data corrispondenza biu- nivoca. Però, mentre nella dimostrazione precedente ad n (s — 1) punti di C corrispondevano necessariamente n (s — 1) punti di C', per il teorema del presente § occorre stabilire, che alla va- rietà da r — 2 dimensioni C Es_ x, che è d’ordine n(s — 1), corri- sponde su C' una varietà pur essa d’ ordine uguale ad n (s — 1). E infatti r — 2 forme generiche Es d’ordine s di [r], si tagliano in una superfìcie P d’ordine sr~2 , la quale seca C in una curva 7 d’ordine nsr~2. A 7 corrisponderà in C' una curva 7' ancli’essa d’ordine ns7~2 , giacché ad una forma Es corrisponde una E\. La varietà C Es_1 ha (s — 1) nsr~2 punti in comune con 7, onde anche 7', avrà (s — 1) nsr~2 punti comuni con la varietà di C' corrispondente alla C Eg^. ]Se segue che questa varietà di C' è incontrata in (s — 1) nsr~2 punti dalla superficie P' (d’ordine sr~2), e quindi essa è d’ordine n ( s — 1). c. v. d. In modo analogo al teorema del § precedente, si proverebbe il seguente : « /Se fra i punti di due curve inane d1 ordine n > 4 , ciascuna dotata di un solo punto doppio, si può stabilire una corrispondenza biunivoca, questa individua fra i dite piani una collineazione tra- sformante l’ima curva nell’altra ». 9. Sia data una curva d’ordine n , genere p con n < 2 p — 2, e immersa nello spazio [r]. Nella presente ipotesi, anzi che cer- care in generale qual’ è la massima dimensione che può avere sulla curva una gn , la qual cosa del resto è facile a farsi (*) ogni qual volta si conoscano i valori di n e di p, ci limiteremo a registrare nella seguente tavola i casi più semplici ; osser- vando che anche alla presente ipotesi di n < 2 p — 2, può appli- carsi il teorema del § 2. (*) Castelnuovo « Sui multipli .... » 1. e. Sulla identità proiettiva di due curve algebriche 11 =ordine della ser. n = 2p — 3 n~ 2p — 4 n = 2p — 5 n~2p — 6 n = 2p — 7 n = 2p ■ — 8 n = 2p — 9 n — 2p — IO 2 p 2p 11 12 jp=gen. della curva P p p P P P P P P P r = massima dimens. di una gn. r = p — 2 r = p — 3 r =p — 3 r = p — 4 r =p — 5 (Per p=6 è invece r—p — 4=2). r—p — 5 r = p — 6 r = p — 7 | Per p— 8, è invece r—p — 6=2 i ( » p= 9, '» » r —p — 6=3 ! r =p — 7 r—p — 8. (Per p = 9, è invece r—p — 7=2). Esempi. Indicando con C%>p una curva d’ ordine n e genere p dello spazio [r], si ha : Sono proiettivamente identiche due curve 6”5 » » » » » G'f 6 » » » » » C*5 C’37,6 C!,, Ci, , ^2,7 C\7,8 C%9 CÌ,io Silo °3,11 se fra i loro punti può sta- bilirsi una corrispondenza biunivoca , trasformante un gruppo iperpiano del- 1’ una, in un gruppo iper- piano dell’ altro. 10. Ecco un altro teorema (§ 2) semplicissimo : « Date due curve 0 e 0 d’ordine n, genere p, immerse negli spazi da r dimensioni [r] ed [r]', qualunque siano del resto i valori di n, di p e di r ; se esiste fra i punti delle due curve una cor- 12 TJ.r Giuseppe M arietta [Memoria V]. rispondenza biunivoca trasformante r 4- 1 gruppi iperpiani linear- mente indipendenti di 0 in altrettanti gruppi siffatti di C', allora la detta corrispondenza individua fra gli spazi [r] e [r] una col- li reazione che trasforma 0 in C ». Per esempio, date due curve razionali C e C' d’ordine n, degli spazi [?■] ed [r]' ciascuna dotata di r -[- 1 iperpiani ipero- sculatori singolari, cioè di contatto n — punto, allora condizione necessaria e sufficiente affinchè le due curve siano proiettiva- mente identiche, è che siano proiettivi i due gruppi dei punti di contatto dei detti iperpiani iperosculatori singolari (*). Per r = n — 1 e C = C\ questo teorema è già noto (**). II. 1. Ci proponiamo ora di trovare le condizioni necessarie e sufficienti, affinchè due date curve algebriche C e C (distinte o coincidenti), siano infinite volte omografiche ; o vogliam dire, affinchè esistano infinite omografìe fra i loro spazi, rispetto a ciascuna delle quali esse siano corrispondenti. Cominciamo dall’osservare che per un noto teorema (***) il genere delle due date curve, non è maggior d’uno ; cioè che in- dicando con p il genere delle curve C e C\ può essere soltanto ^=0, ovvero p— - 1. Quest’ ultima ipotesi si esclude facilmente. Infatti ogni omografia che trasformi C in C coordinerà, p. es., il punto di contatto di un iperpiano stazionario di C' ad un punto siffatto di C ; e in generale ad un punto di C dove que- sta curva abbia qualche singolarità proiettiva , un punto di C', nel quale C è dotata della stessa singolarità. Ma esistono (in generale) due sole (****) corrispondenze biunivoche fra i punti di (*) Marletta « ]. c. » (**) Lorjia — « Intorno alle curve razionali d’ordine 11 dello spazio a n — 1 dimensioni. » [Rendiconto del Circolo Matern. di Palermo, tomo II (1888)]. (***) Schivare « Ueber diejenigen algebraischen Gleichungen zwìschen » Iourn f. Math. 87. (****) Queste corrispondenze sono 4 se C’ e C sono armoniche, e 6 se C e C' sono equi- anannoniche. Vedi Se orf. <- Le corrispondenze » 1. e. Sulla identità proiettiva di due curve algebriche 13 C e C', tali che abbiano come omologhi due punti dati a pia- cere, lino in Ce l’altro in C' : onde saranno per certo in numero fui i/o le omografìe fra gli spazi [r] e [r\ (dove supponiamo im- merse le C e C'), tali da trasformare queste due curve V una nell’altra. Concludiamo perciò, che se due date curve, distinte o coin- cidenti, sono trasformate l’una nell’altra da infinite omografìe, esse sono entrambe) razionali. 2. Come è noto, intanto, le curve C e C’ sono oc3 volte omografiche se è n = r, essendo n l'ordine di esse. Onde basta considerare 1’ ipotesi di r < n. La curva razionale C ha (r -f- 1) (n — r) iperpiani stazionari. Sia u un iperpiano di [>•] avente un contatto m — punto in M con C, essendo n > m >_ r -\- 1 ; esso secherà ulteriormente la curva in n — m punti distinti da M, uno dei quali sia per es. A. Ogni omografia Q. esistente fra gli spazi [r] e [r]', e rispetto alla quale si corrispondono le due curve C e C trasforma S in un iperpiano di [>•]', avente un contatto m — punto con C in un certo punto M\ e secante la medesima curva in un gruppo di n — m punti, distinti da M\ che chiameremo Af [i — 1, 2, ... ... , n m ). Ad 0 dunque è subordinata un’ omografia binaria w fra i punti di C e C\ aventi come omologhi M ed M\ A e A'{; dove i ha un determinato valore. Ma l’ iperpiano 2, che è da contarsi in — r volte fra gli (r -f- 1) (n — r) iperpiani stazionari di (7, non gli esaurisce tutti : per la qual cosa le omografie fra gli spazi [r] e [r]', aventi come omologhe C e C', sarebbero in nu- mero finito. In altri termini 1’ ipotesi dell’esistenza di iperpiani stazionari come S, con n > m > r -(- 1, contradice all’altra, che le C e C siano infinite volte omografiche. JSe segue che se C e C' sono infinite volte omografiche, ciascuna di esse è neces- sariamente dotata di r -}- 1 iperpiani stazionari singolari, cioè di contatto n — punto. 3. Siano C e C' due curve razionali siffatte. Coni’ è noto (*), (*) Marletta 1. c. I. 14 D.r Giuseppe Marletta [Memoria Vj. qualunque omografia Q esistente fra [r] e [r]' e tale ila trasfor- mare C in C, determina fra i punti di queste curve, una omo- grafia binaria co , rispetto alla quale sono corrispondenti i due gruppi dei punti di contatto degl’ iperpiani stazionari singolari e viceversa, se w è un’ omografia binaria siffatta, essa individua una omografìa Si fra [r] e [?•]', rispetto alla quale C e C si cor- rispondono. Onde condizione necessaria e sufficiente affinché C e C' siano infinite volte omografiche, è che i punti di contatto degl’ iperpiani stazionari singolari di C (e similmente di C) si distribuiscano in due gruppi, ciascuno formato di punti infinita- mente vicini. Possiamo dunque concludere che « le condizioni necessarie e sufficienti affinchè due curve ( distinte o coincidenti ) O e C', siano trasformate V una nell’ ultra da infinite omografie degli spazi [r] e [r]' cui appartengono , sono : la) che esse siano razionali ; 2a) e poi , o che esse siano normali , ovvero che ciascuna sia dotata di r -|- 1 iperpiani stazionari singolari , e gli r -f- 1 punti di contatto si raccolgano in due gruppi , uno formato da s punti infinitamente vicini , e V altro da r — s -\- 1 punti pur essi infinitamente vicini , essendo 1 < s < r ». Si noti infine, che per r~2k — 1, e s — k , esistono due si- stemi oo1 di omografìe fra gli spazi [r] e [?•]', le quali trasfor- mano C in C'. Catania, ottobre 1905. Memoria TI. Sulla direzione delle correnti atmosferiche in Catania Dr. FILIPPO ERED1A RELAZIONE della Commissione di Revisione composta dai Soci effettivi Proff. G. P. Grimaldi ed A. Ricco ( relatore ) L’ A., quando era assistente nell’ Osservatorio di Catania, raccolse dalle registrazioni del nostro Anemografo i dati per lo studio della frequenza dei venti nelle varie direzioni ; elaborato poscia questo materiale, presenta ora per mio mezzo all’ Accademia una nota importante per la meteorologia e climatologia di Catania, e che perciò ritengo meritevole per se stessa e conveniente per 1’ Accademia di pubblicarsi nei propri Atti. D’ accordo con l’A. si sono soppresse alcune tabelle che non erano as- solutamente indispensabili : così la stampa riuscirà meno gravosa. Il Relatore A. RICCO Le correnti aeree nelle altissime regioni dell’atmosfera, de- vono certamente mani testare fenomeni regolari e costanti, ma presso terra , gli ostacoli prodotti dalle prominenze e dagli av- vallamenti del suolo, gli attriti, i riscaldamenti o raffreddamenti locali ed altre simili cause influiscono talmente sulla loro dire- zione da complicare le leggi generali con molteplici deviazioni ed anomalie. Atti acc. Serie 4a, Voi.. XIX — Meni. VI. 1 9 D.r Filippo Eredia [Memoria VI]. Rendesi quindi indispensabile uno studio lungo ed accurato del fenomeno, con buoni mezzi di osservazione, per determinare con esattezza il modo di azione delle circostanze locali, e i ca- ratteri particolari delle modificazioni che esse producono. L’Osservatorio Astrotisico, la cui direzione è affidata al chiarissimo Prof. A. Ricco , trovandosi in possesso d’ un ec- cellente anem om etrografo Brassart , ho voluto qui riunire i risultati che questo strumento ha som ministrato nel periodo discretamente lungo 1892-1902 che io ho studiato con lo scopo di apprestare qualche elemento relativo a queste ricerche e cer- care di dedurre le leggi che regolano in Catania la direzione delle correnti atmosferiche. Il padiglione meteorologico, annesso all’ Osservatorio Astro- tìsico, è isolato da tre lati per cui non subisce perturbazioni nè impedimenti da terreno o da altri fabbricati, che restano molto al di sotto. Come tetto della camera meteorologica c’ è una terrazza sulla quale sporgono le parti superiori collettrici dell’ anemome- trografo, all’ altezza di m. 98 sul mare e m. 10 sul suolo. In tutto quello che segue deve intendersi che 1’ unità di tempo è l’ora, cioè che il numero delle osservazioni di base è di 21 per giorno. Pippiù siccome 1’ anemometrografo indica unicamente le direzioni dei quattro punti cardinali e le inter- medie, le mie ricerche si limiteranno agli otto punti principali della rosa dei venti. Bisogna ancora avvertire che i giorni sono contati da una mezzanotte all’ altra e che V anno è valutato meteorologicamente, cioè dal 1° dicembre al 30 novembre del- 1’ anno seguente. Nella compilazione dei quadri riassuntivi si ebbe cura di tralasciare intieramente quei giorni in cui mancavano alcune ore di registrazione, ed a un esame scrupoloso furono sottoposti i dati, cercando così di garentire maggiormente 1’ attendibilità delle conclusioni. Mi furono di guida in tale laborioso lavoro i consigli del Sulla direzione delle correnti atmosferiche in Catania chiarissimo Prof. A. Piccò e mi è grata F occasione per espri- mere i sensi della più alta stima e riconoscenza. « Cominciamo a considerare il periodo annuo. Ho determinato per ogni mese il numero delle volte che è stato osservato il vento in ciascuna direzione per tutto il periodo. Però onde avere numeri che siano tra di loro più esattamente paragonali, ho ridotto la frequenza a 10000 cioè ho supposto che in ogni mese si siano fatte 10000 osservazioni. La tal). I. dà queste frequenze in diecimillesimi. Un esame alla sunnominata tabella permetterà trarre le conclusioni che qui sotto trascrivo. Il vento della direzione Ovest è predominante nei mesi di Gennaio, Pehhraio, Marzo, Novembre , Dicembre ; col massimo in Gennaio e Dicembre. 11 vento della direzione Est è predominante nei mesi di Giugno, Luglio, Agosto, Settembre , col massimo principale in Giugno, e massimo secondario in Settembre. Il vento della direzione NE è predominante nei mesi di Aprile, Maggio, Ottobre, col massimo principale in Aprile. I venti delle direzioni W e E si presentano sempre con proprietà opposte coincidendo i massimi dell’uno coi minimi dell’ altro. II N spira con maggiore frequenza nei mesi da Ottobre a Marzo che negli altri. Il S spira con poca frequenza e raggiunge il massimo in Marzo ed il minimo in Luglio ed Agosto. Il SE segue F E ; il SW e NW seguono F W quasi per tutto F anno. Allo scopo di maggiormente fare risaltare F andamento della frequenza delle singole direzioni, adoperando il noto metodo di 4 D. r Filippo Eredia [Memoria VI.] Schouw abbiamo ridotto le otto direzioni alle quattro direzioni principali; ed i valori relativi tro vansi qui sotto trascritti : N S W E Gennaio .... 2100 1702 4692 1470 Febbraio 1431 4125 2643 Marzo .... 3281 1787 3754 3330 Aprile .... 3375 1422 2787 4000 Maggio 1358 2137 4159 Giugno .... 2025 1391 1248 3869 Luglio .... 1009 1121 1048 3571 Agosto .... 1531 1325 1146 3206 Settembre .... .... 2026 1148 2062 2808 Ottobre .... 2645 865 1979 2420 Novembre .... .... 2120 768 2119 1848 Dicembre .... .... 2860 1204 4351 1768 Operando sui soprascritti valori, approssimativamente risultano le seguenti proporzioni : Gennaio . . . . . . . N : : S = 2:1 W : : E = 4 : 1 Febbraio . . . . . . . N : : S = 3:1 W : : E = 2 : : 1 Marzo . . . N : S = 3:1 tV : E = 1 : : 1 Aprile . . . N : : S = 3:1 W : : E = 1 : : 2 Maggio . . . N : : S = 2:1 W : : E = 1 : : 2 Giugno . . . N : : S = 2:1 W : : E = 1 : : 3 Luglio . . . N : S = 1:1 W : : E = 1 : : 3 Agosto . . , . . . . . N : S = 1:1 W : : E = 1 : : 3 Settembre . . . . . . . N : S = 2:1 W : E = 1 : : 1 Ottobre . . . N : : S = 3:1 W : : E = 1 : : 2 Novembre . . . . . . . N : S = 3:1 W : : E = 2 : : 1 Dicembre . . . . . . . N : : S = 2:1 W : : E = 3 : : 1 Da cui si deduce come nei mesi d’ inverno abbiamo pre- dominio dei venti settentrionali e occidentali ; nei mesi della primavera settentrionali ed orientali; nei mesi dell’ està orienta- li e nei mesi dell’ autunno settentrionali ed occidentali. Sulla direzione delle correnti atmosferiche in Catania 5 Per i singoli mesi abbiamo anche : Gennaio Febbraio Marzo . . Aprile Maggio Giugno Luglio Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre N + s : W E = 3 : 6 N 4 s : W 4 E = 4 : 6 N + S : W 4 E == 5 : 7 l\ 4- S : : W 4 E = 4 : : b N 4- S : W 4 E = 4 : 6 N + S : : W 4 E = 3 : : 5 N + S : W 4 E __ 2 : 4 N 4 S : W 4 E = 2 : 4 N -h S : : W _j_ E = 3 : 5 N + S : : W 4 E = 3 : : 5 N S : W + E = 2 : 3 N _i_ S : W 4 E = 4 : 6 Abbiamo dunque per tutti i mesi dell’ anno una leggiera preponderanza dei venti che agiscono secondo la direzione del parallelo in confronto a quelli che agiscono secondo la direzio- ne del meridiano. E ciò dipende certamente dal fatto che i primi spirando dalla direzione del mare sono più liberi, mentre i secondi spi- rando dalla direzione della terra ferma, incontrano un forte osta- colo nel monte Etna. Esaminando infine la tabella I che ci dà la frequenza re- lativa per i singoli mesi, ci risulta come il NE è sempre supe- riore del N soltanto per i mesi di Marzo, Giugno, Luglio, A- gosto, Settembre; inferiore dell1 E per tutti i mesi. Il SW è sempre inferiore all’ W e superiore del S; il SE sempre inferiore all1 E e superiore in alcuni mesi al S. Donde deduciamo che nel periodo da noi esaminato non ri- sulta la costanza di quella legge per la quale i venti intermedii prevalgano sui principali. ifc- Riassunte le particolarità delle singole direzioni delle cor- renti, cerchiamo di vedere in che relazione stanno i nostri dati con quelli emessi da altri che in tale studio ci precedettero, uti- lizzando altre serie di osservazioni. 6 D.r Filippo Erediti [Memoria. VI.] Le prime osservazioni meteorologiche rispondenti al caratte- re scientifico, riguardano il decennio 1817-1826; esse furono sa- pientemente discusse dal valoroso scienziato C. Geni m ella ro che nel suo pregevole lavoro: « Saggio sopra il Clima di Catania» così dispone i venti per ordine di frequenza : W, E, XW, SE, XE, SW, IX, che rispettivamente furono predominanti per mesi 41, 31, 23, 13 , 7 , 3 , 2. Operando col metodo di Schouw su questi dati, otteniamo: N-j-S:0-fE — 6:11 il che, analogamente a quanto abbiamo detto innanzi, ci segnala il predominio dei venti secondo la direzione del parallelo. I va- lori delle quattro direzioni principali sono : X = 50, S = 16, W = 67, E = 51 ; questi valori ci dicono come i venti disposti secondo la frequenza così si succedono : W, E, X, S. Successione, che se si pone in confronto a quanto superiormente abbiamo detto pel periodo 1892-1902, coincide esattamente. Lo stesso può dirsi pel periodo 1833-1840 e 1840-1846 di osservazioni fatte sotto la guida del dotto Grem niellare. * % * Per il periodo diurno abbiamo scelto come unità le stagioni poiché è evidente che aggruppando per trimestri le quantità re- lative alla frequenza dei venti nel periodo diurno, debbonsi in parte eliminare ed in parte attenuare gli effetti delle anomalie accidentali. Abbiamo notato nella tabella II e seguenti il numero delle volte che ha spirato il vento da una data direzione per tutto il periodo, per ciascuna ora ed allo scopo di avere quantità che siano tra di loro paragonabili, abbiamo ridotto la frequenza os- servata a 10000 ; analogamente a quando si fece pel periodo annuo. Sulla direzione delle correnti atmosferiche in Catania 7 Un primo sguardo a siffatte cifre ci fa notare come in primavera, estate ed autunno, non esiste più quella regolarità mirabile di andamento nella frequenza della direzione dei venti che si nota in inverno ; sembra che l1 aria più densa e pesante pel freddo, sia in inverno meno che nelle altre stagioni soggetta a svariati cambiamenti di direzione. E ciò sembra confermare quanto è noto, che in inverno le variazioni atmosferiche si estendono equabilmente in vastissime regioni della superficie terrestre , mentre nelle altre stagioni e massimo in estate sono molto più localizzate e variabili. Bimane ancora facile trarre le seguenti conclusioni : In autunno : il vento N spira con maggiore frequenza du- rante la notte che durante il giorno, raggiungendo il massimo nelle ore del minimo della temperatura. NE, E, SE hanno lo stesso andamento ; la loro frequenza aumenta coll’ aumentare del calore e raggiunge il massimo nel- r epoca del massimo calore. NW, W, SW presentano anche lo stesso carattere diminui- scono coll1 aumentare della temperatura e raggiungono il massimo nell’epoca del minimo calore. Abbiamo dunque in autunno due tipi principali di frequen- za; l’uno rappresentato dai venti NE, E, SE, e l’altro dai venti NW, W, SW. I primi predominano nell’ epoca del mas- simo calore appunto quando per essere il suolo riscaldato più del mare vengonsi a produrre delle correnti che vanno dal mare alla terra apportando una temperatura fresca; i secondi predo- minano nell’epoca del minimo calore appunto quando per esse- re il mare più caldo del suolo si producono correnti che vanno dalla terra al mare e che per l’attraversare che fanno di estese regioni coltivate ci apportano dell’ umidità in abbondanza. Se confrontiamo la frequenza dei venti E e W non riscon- triamo caratteri opposti, mentre li abbiamo per 1’ E e NW. Il che vuol dire che il vento che spira dalla direzione W subisce un forte deviamento per la forte azione esercitata dal nostro 8 D.r Filippo Eredia [Memoria VI.] Mongibello; deviamento clie possiamo anche far militare per spie- garci lo spostamento che subisce il NE relativamente all’ E e SE. Nelle altre stagioni si ripete lo stesso tipo di frequenza che abbiamo notato per Y autunno, solo abbiamo dei valori maggio- ri o minori per i venti di E e W, a seconda del succedersi del massimo e del minimo del calore. La calma in tutte le stagioni diminuisce col crescere del- la temperatura; al nascere del sole si mantiene veramente un po’ alta, e tale rimane per un po’ di tempo e ciò dipende cer- tamente dal fatto che 1’ azione del sole non si manifesta subi- tamente. R. Osservatorio Astrotisico di Catania, Gennaio 1906. titilla direzione delle correnti atmosferiche in Catania 9 Tav. I. Frequenza dei venti dedotta dalla somma della frequenza nelle 24 ore. C N NE E SE s SW W NW Somma Gennaio . 1858 274 399 373 96 134 775 1428 567 5904 Febbraio . 1110 449 670 507 155 71 495 982 602 5040 Marzo . 1083 416 950 752 257 216 578 1066 564 5882 ; Aprile . 1431 261 1104 684 401 66 311 732 482 5472 I Maggio 1724 332 931 1019 436 68 275 533 418 5736 Giugno 2417 248 729 1068 394 100 294 244 170 5664 ! Luglio . 2931 128 647 937 464 27 152 250 199 5736 Agosto. 3093 161 461 816 585 27 158 240 267 5808 Settembre. 2612 237 496 814 287 69 297 457 419 5688 Ottobre 2720 422 690 597 136 151 222 499 443 5880 Novembre. 2924 408 515 486 55 114 270 653 288 5712 | Dicembre . 1682 443 484 416 129 134 438 1358 737 5822 Frequenza relativa, supponendo che le osservazioni per ogni mese siano 10000. Gennaio . 3147 464 676 632 162 227 1313 2419 960 10000 Febbraio . 2203 891 1329 1006 308 141 982 1949 1194 1 0000 Marzo . . 1 1842 707 1615 1278 437 367 983 1812 959 10000 Aprile . 2615 477 2017 1250 733 121 568 1338 881 10000 Maggio 3006 579 1622 1777 760 119 479 929 729 10000 Ginguo 4268 438 1287 1886 696 177 518 430 300 10000 Luglio . 5110 224 1128 1634 809 47 265 436 347 10000 Agosto. 5325 277 794 1405 1007 46 272 414 460 10000 Settembre. 4592 417 872 1431 505 121 522 803 737 10000 Ottobre 4626 718 1175 1015 230 257 378 849 752 roooo Novèmbre. 5119 714 902 850 96 200 472 1143 504 10000 Dicembre . 2889 762 832 714 222 230 752 2333 1266 10000 Atti acc. Skkik 4; Voi.. XIX— Meni. VI. 10 D.r Filippo Eredia [Memoria VI.J Tav. II. INVERNO (Frequenza per 10000). Ore C N NE E SE S sw W NW 0- 1 136, 4 29, 2 33, 8 16,7 5, 4 3, 0 38,2 98,4 56, 1 1- 2 133, 6 32, 2 33, 8 18, 5 3, 6 5, 4 44, 7 93, 0 52, 5 2- 3 128, 2 27, 4 26, 2 19, 7 6, 6 7,2 51, 3 99, 5 53,7 3- 4 131, 8 27,4 26,8 18, 5 7,2 12,5 47, 1 91, 2 55, 5 4- 5 131, 8 31, 0 21, 5 20, 3 7,2 9, 5 38,2 102,0 55, 5 5- 6 137, 2 28, 6 25, 0 17, 3 6, 6 13, 7 40, 6 100, 2 47, 7 6-7 132,4 27, 4 28, 0 12, 5 7,2 10, 7 46, 5 97, 2 54, 9 7- 8 134, 8 29,8 27,4 18, 5 6, 6 13, 1 42, 3 98, 4 45,9 8- 9 134, 8 26, 6 37, 6 19, 2 6, 6 13, 1 45, 3 94, 2 39, 4 9-10 135, 4 26, 8 37,7 23, 3 8,9 13, 1 52, 5 89, 4 29,8 10-11 116, 9 23, 3 37, 6 35, 8 13, 7 14, 9 53, 7 88, 8 32, 2 11-12 96, 6 20, 3 15, 9 47, 7 10, 4 8,9 54, 3 93, 6 39, 4 12-13 76, 3 19, 1 47,1 64, 4 18, 5 12, 5 41, 7 99, 6 37, 6 13-14 76, 3 25, 6 47, 7 69, 8 19,1 16, 1 41, 1 76, 9 44, 1 14-15 58, 4 29, 2 53, 7 74, 5 19, 1 10,1 55, 5 81,7 34, 6 15-16 84, 7 28, 0 55, 5 66, 2 16,7 9, 5 35,8 82, 3 38, 2 16-17 99, 0 29,8 50, 1 62, 0 17,3 6, 6 35, 8 76, 9 39, 9 17-18 110, 3 37, 0 57, 2 35, 8 8, 3 6, 0 30, 3 81, 1 50, 7 18-19 121, 7 29, 2 54, 9 24, 4 7, 7 4,8 34, 6 90, 6 48,9 19-20 121, 1 30. 4 38, 2 30, 4 9, 5 1, 7 33, 4 96, 0 56, 1 20-21 112, 1 37,0 42, 9 21,5 3, 0 4,2 36, 4 107, 9 51, 3 21-22 115, 7 35, 8 34, 0 19, 7 7, 7 1,7 34, 6 106,2 61, 4 22-23 127, 6 32, 2 30, 4 22, 1 4, 2 1,8 45, 3 100,2 53, 1 23-24 118, 1 32, 8 35,2 13, 7 6, 6 1,7 39, 4 104, 4 65, 0 Sulla direzione delle correnti atmosferiche in Catania 11 Tav. III. PRIMAVERA (Frequenza per 10000). Ore C N NE E SE S sw W NW 0- 1 1 51, 6 30,4 48, 6 12, 9 4, 7 3, 5 31, 6 80, 2 53,2 1- 2 158, 0 30,4 43, 3 15, 8 3, 5 5,8 26, 9 77, 8 55, 0 2- 3 160, 4 31, 0 43, 9 12, 3 V2 4, 7 28, 1 82,5 1 52, 7 3- 4 152, 7 31, 0 48, 0 11, 1 2,3 5, 8 26, 3 79, 0 60, 3 4- 5 166, 2 31,0 47, 4 8, 8 4, 2 2, 9 32, 2 76, 1 50, 9 5- 6 171, 5 29, 8 41, 5 12, 9 1,2 5, 8 25, 7 78, 4 49, 7 6- 7 169, 7 17, 5 52, 7 13,5 4, 1 8, 8 33, 9 72, 6 43, 9 7- 8 158, 6 16, 4 55, 0 18, 7 10, 5 11, 1 38, 0 65, 0 43, 3 8- 9 109, 4 16, 4 63, 8 47, 4 24, 6 19, 9 43, 3 65, 5 26, 3 9-10 59, 7 15, 8 59, 1 84, 8 52. 7 15, 8 43, 9 57, 3 27, 5 10-11 35, 7 13, 4 64, 9 113, 0 63, 2 15. 8 37, 5 48, 6 24, 6 11-12 26, 9 15, 2 67, 9 132, 3 72, 0 11, 7 29, 8 42,1 18, 7 12-13 22,8 11,1 79, 6 140,5 72, 0 12, 3 23,4 33, 4 21,6 13-14 21,1 17, 5 89, 5 141, 0 70,2 8,8 21, 6 28,7 18, 1 14-15 20, 5 18, 7 94, 2 148, 6 57, 9 9, 9 20, 5 24, 6 21, 6 15-16 23, 4 24, 0 108, 8 138, 1 55, 0 7,0 17, 6 25, 7 17, 0 16-17 34, 5 22, 8 115, 8 120, 0 46,8 8,8 18, 7 26, 3 22, 8 17-18 56, 2 28,7 124, 1 95, 4 35, 7 7, 6 16, 4 31, 0 21, 6 18-19 87, 2 26,3 120, 6 62, 6 25, 2 8, 8 24, 0 oOj / 26, 3 19-20 117, 0 32, 8 110, 6 33, 3 13, 5 7, 0 24, 6 54, 4 23, 4 20-21 131, 1 33,3 86, 0 24, 6 9,4 7,0 26, 9 63, 8 34, 5 21-22 146, 3 33, 3 70,8 19, 3 4,7 5, 3 27, 5 71, 4 38, 0 22-23 148, 7 33, 9 58, 5 15,2 4,7 5, 3 30, 4 72, 0 48,0 23-24 151, 0 29, 3 52, 1 12, 3 4. 1 5, 3 32,2 72, 0 58, 5 12 D.r Filippo Eredia [Memoria VI. ] Tav. IV. ESTATE (Frequenza per 10000). Ore c N NE E SE S SW W NW 0- 1 299, 3 20,9 11, 6 6,4 0, 6 2, 3 21, 5 33, 7 20, 3 1- 2 307, 4 11, 6 9, 9 4, 6 0, 0 2,3 17, 4 35, 4 27, 9 2- 3 325, 4 12, 2 6, 4 5, 8 2, 4 1, 2 17, 4 23, 2 22, 7 3- 4 335, 3 11, 0 9,9 3, 5 1,2 0, 6 16, 8 18, 6 19,8 4- 5 333, 5 14, 5 7, 5 4, 6 0, 5 1, 7 14, 5 22,1 17,4 5- 6 331, 8 11, 6 8,1 4,6 0, 5 0,0 13, 4 23, 2 23, 2 6- 7 325,4 11, 6 9, 9 7, 6 1,2 3,5 19, 2 18, 6 19, 8 7- 8 287, 6 11, 6 20, 9 16, 8 1, 1 9, 3 19,8 20, 3 19, 2 8- 9 216, 8 9, 3 26, 7 41, 3 43, 6 8,7 25, 6 25. 6 19, 2 9-10 138, 9 8, l 38, 3 97, 0 72, 6 7,0 27, 3 13, 9 13,4 10-11 90, 6 8,7 51, 7 135, 4 87, 7 5,8 16, 3 9, 9 10, 5 11-12 72, 0 7,0 64, 5 153, 4 87, 7 5, 8 10, 5 8,7 7,0 12-13 45, 3 7,0 75, 5 166, 2 93, 6 4,6 12, 2 7, 0 5,2 13-14 43, 0 6, 4 77, 9 166, 2 97, 0 5,2 11, 6 3,5 5, 8 14-15 37, 2 5, 8 84,8 170, 9 90, 1 4,6 10, 5 5, 8 7,0 15-16 51, 7 9,3 96, 5 158, 1 76, 7 1,7 8, 1 5, 2 9,3 16-17 83, 1 11, 0 91, 8 138, 9 66, 2 1, 1 8,1 1,6 8,7 17-18 112, 1 16, 3 92, 4 124, 4 47, 1 1,7 5, 2 9, 3 8,1 18-19 157, 5 23. 2 81, 3 95,9 27, 9 3, 5 s,: 11, 6 7, 5 19-20 214, 4 13,4 72, 0 61, 0 15, 7 2,9 7, 5 15, 1 14, 4 20-21 243, 5 19, 2 55, 2 34,9 8,7 5, 8 1,2 18, 0 19, 2 21-22 274, 2 16, 8 39, 5 19, 8 2,9 3, 5 13, 9 29, 0 16, 8 22-23 286, 5 22, 7 19,2 13, 4 2, 3 2,3 14, 8 32,0 23, 2 23-24 ! 292, 3 22, 7 15, 7 8,7 1, 2 1, 7 18, 6 32, 0 23, 8 Sulla direzione delle correnti atmosferiche in Catania 13 Tav. V. AUTUNNO (frequenza per 10000) j ■ Ork. C N | NE E SE S éw W NW Il 1 «-1 238, 8 33, 9 22, 4 11, 5 2, 9 4, 0 19,0 44, 9 l 36, 8 1- 2 250, 3 30, 5 23, 0 9, 2 l, 7 4, 0 16, 1 43, 2 36. 2 2- 3 248, 6 32, 8 23, 6 8, 0 4, 0 4,6 14,4 4o, i 34. 5 3- 4 248, 6 31, 1 25, 3 8,6 1, 2 6, 3 1 5, 0 40, 3 38, 0 4- 5 248, 0 29. 9 27, 0 6, 3 2, 3 2,9 16, 1 40, 3 41,4 5- 6 1 256, 1 24, 7 23, 0 8, 1 4,0 3, 4 13, 2 38, 5 43,2 6- 7 261, 8 23, 0 21, 3 7, 5 2, 3 4, 0 16,7 37,4 40, 3; 7- 8 249, 7 20,7 26, 5 10, 4 2, 9 6, 3 22, 4 43,7 31, 6 8- 9 214, 0 20, 7 33.9 24, 2 6, 9 10, 9 25,3 52,4 25, 9 9-10 168, 0 14, 4 36, 2 48, 9 16, 1 16, 1 27, 6 58, 7 28, 2 10-11 141, 6 19, 6 39, 7 73, 6 24, 7 15, 5 28, 8 46, 0 24, 7 11-12 118,0 17, 8 46, 6 93, 8 33,4 15, 0 28,2 39, 1 22, 4 12-13 105, 3 12, 7 48, 9 118, 6 31, 6 19, 6 22 4 35, 1 20, 1 13-14 107, 6 16, 1 57, 0 1 20, 3 34, 5 11,5 26, 4 25. 9 15, 0 1 14-15 99, 0 16, 1 69, 0 128, 3 25, 9 10 4 18, 4 32,2 15, 0 15-16 119, 7 21, 3 67, 3 116, 2 20, 1 10, 4 14,4 25, 3 13, 8 ' 16-17 145, 0 21,9 70, 7 93, 8 16, 1 8, 6 16, 1 23, 0 19, 0 17-18 169, 7 24,7 74, 2 66, 2 14,3 6, 9 16, 1 28, 8 13,2 18-19 196, 8 27, 0 59, 3 47, 8 10, 4 7,5 18, 4 27, 6 19, 6 19-2U i 215, 8 33, 9 50, 1 28, 2 5, 2 5, 7 16, 1 36, 8 22, 4 20-21 220, 4 37, 4 42, 6 23, 6 4, 6 6,9 16, 1 39, 7 23, 0 21-22 ii 235, 9 35,1 37, 4 15, 5 2,9 4, 0 13, 8 39, 7 29, 9 ' 22-23 242, 2 33, 4 28, 8 13 ,4 4, 0 3,4 16, 1 39, 7 33, 4 | 23-24 249, 7 35, 1 24, 7 9, 8 2, 9 3, 4 16. 7 38, 0 33, 9 Memoria VII. Trasformazioni delle energie del Prof. ANTONIO CDRCI. Le forale più conosciute di energia secondo 1’ opinione co- nnine sono : meccanica, termica, luminosa, elettrica, chimica, le quali si trasformano le ime nelle altre. Questo fa supporre che sia una 1’ energia universale princi- pale e primordiale , la quale dia luogo trasformandosi da una in altra forma a secondo il sistema materiale in cui si sviluppa e secondo quello in cui passa successivamente. Quale è 1’ ener- gia prima universale da cui si generano le altre '? L’ attrazione della materia e le sue forme secondarie di affinità chimica , coesione, adesione , gravità , gravitazione ecc. sono effetti meccanici di quella primitiva ; onde se queste for- me sono degli effetti, non sono la energia stessa. In ogni modo le suddette forme di energia non sono dif- ferenti per natura e per origine tra loro come si crede erronea- mente ; esse sono sempre la stessa cosa, sotto differenti stati ed aspetti, sensibili a noi atte a produrre variati effetti. La stessa energia primordiale si manifesta ai nostri imperfetti sensi ora come movimento, ora come calore e luce , ora come elettricità dinamica e statica, ora come attrazione o affinità chimica ecc. producendo cambiamenti di materia e di forme e di spazio e dando luogo agl’innumerevoli fenomeni della natura. Per comprendere questi principii è necessario vedere da vi- cino una per una, cosa sono o almeno, quali proprietà hanno le diverse forme di energia. 1. Elettricità. — Secondo gli ultimi recenti portati della fi- Atti acc. Serif. 4a, Voi.. XIX— Meni. VII. 1 2 Prof. Antonio Curai [Memoria VII.] sica questa energia, tanto importante, sarebbe costituita da mi- nime particelle di energia, dette elettroni o ioni elettrici, i quali hanno per carattere più saggiente quello di essere forza viva, in moto, atti a propagarsi o diffondersi con immensa velocità pei conduttori e a seconda la conducibilità della materia (1) e per 1’ etere cosmico. Questi elettroni, che si sono conosciuti e dimo- strati per diverse maniere, sono costituiti di elettricità negativa ; essi si attaccano agli atomi e molecole dissociate da un solvente o dal calore o da altra energia, e costituiscono la carica elettrica degli ioni. Un elemento o gruppi di atomi e di molecole, caricandosi di elettroni, si carica di elettricità negativa ; sottraendo elettroni ad un elemento o molecola, si ha un ione positivo. Così p. e. sciogliendosi in acqua un corpo , quale CINa o ,S04Na2 si scindono il primo in ione CI negativo e ione Na po- sitivo, ed il secondo in SO4 ione negativo e Xa 2Ja due ioni po- sitivi. Questi ioni, quando sono combinati come sali, sono in uno stato neutrale o di equilibrio, essi sono attratti l’un l’altro e così reciprocamente si soddisfano; essi sono senza energia inter- na come vedremo meglio in seguito. Gli atomi , quali quelli che si dicono allo stato nascente e le molecole, non possono stare da soli nello spazio ; essi hanno un vuoto e perciò un’ avidità, un bisogno assoluto di essere associati a qualche cosa o ad altra materia, come elemento o molecola capace di forza ed energia contrarià, o almeno ad una carica o data quantità di energia elettrica positiva o negativa. Natura dborret a vacuo. Perciò quando il solvente o il riscaldamento protratto opera la dissocia- zione, gli ioni nello staccarsi e mettersi in libertà gli uni dagli altri , non possono farlo se non a condizione di combinarsi a qualche altra materia o di acquistare una carica di energia elet- trica: in quest’ultimo caso si ha la vera ionizzazione per disso- (1) A. Righi. — La moderna teoria dei fenomeni fisici (radioattività, ioni, elettroni). Bo- logna N. Zanichelli — 1904. Trasformazioni delle energie 3 |! ciazione, e si lia l’ione libero nell’acqua o nell’aria, cioè un atomo solo o molecola che ha carica elettrica positiva o negativa. La carica degli ioni è 96534 Coulomb per ogni valenza, sia positiva, sia negativa. Crii ioni che hanno funzione chimica ba- sica sono positivi elettricamente, e gli ioni che hanno funzione chimica acida sono elettricamente negativi. Intanto è provato generalmente, sia in Eisica, che in Chi- mica, che quando vi è dissociazione di molecole e di atomi, vi è notevole assorbimento di energia dall’ambiente esterno, e sic- come il calore è l’energia comune che esiste nell’atmosfera e nella terra, perciò ordinariamente in ogni dissociazione vi è as- sorbimento di calore. Egualmente possono essere assorbite altre forme di energia quando vi sono, con lo stesso risultamento, ma il calore è sem- pre presente dapertutto a buon mercato , mandatoci dal Sole e depositato nei corpi. Questo assorbimento di energia dall’ ambiente esterno è ne- cessario , perchè nella dissociazione , una molecola o un atomo che abbandona e si allontana dal compagno, col quale si attrae- va e si soddisfaceva, si saturava , si neutralizzava, si teneva in riposo o quiete ; non può esistere senza la carica di enegia , che natura aborret a vacuo , e per fare ciò assorbe calore cir- costante o altra energia se vi si trova: quale azione meccanica, calore, luce, elettricità ecc. Ripeto che nelle condizioni ordinarie e comuni il calore è 1’ energia che si trova sempre presente , e perciò esso è la sorgente principale di energia in ogni reazione chimica ed in ogni dissociazione. Intanto come abbiamo detto gli elementi dissociati costituiscono ioni con carica elettrica po- sitiva o negativa, mentre hanno assorbito calore e in caso ec- cezionale altra energia. Si può negare e chiudere gli occhi alia verità del fatto, che il calore dell’ambiente e qualunque calore si trasforma ipsofacto in carica elettrica, per soddisfare quell’ a- vidità che hanno gli atomi e le molecole dissociate di essere soddisfatte ed equilibrate o da una quantità di forza o da una 4 Prof. Antonio Curci [Memoria VII.] equivalente quantità di materia % Perciò che ad un equivalente di elettricità corrisponde un equivalente di materia (V. Peggi di Faraday sulla elettrolisi). Non occorre che io qui riferisca le esperienze galvanome- triche, gli studi di elettrochimica ecc., in cui brillano i nomi di Faraday, di Ostawald ed altri per dimostrare che gli atomi e le molecole assorbono calore quando si dissociano , acquistando carica elettrica, e quando poi si associano e si combinano emet- tono elettricità, la quale alla sua volta si trasforma di nuovo in calore o altra forma di energia. Questo è il fatto fondamentale. Apparisce chiaro che nella dissociazione vi è assorbimento di energia , che qualunque sia si trasforma in elettricità negli ioni , e che nella combinazione vi è emissione di energia elet- trica che si trasforma in altre ; e siccome dissociazione non av- viene senza assorbimento di energia esterna per formare la ca- rica elettrica, vale a dire che gli atomi e le molecole associate sono senza energia interna, che se l1 avessero non avrebbero bi- sogno di prenderla all’ esterno. Perciò nelle molecole elettricamente neutre non vi è ener- gia interna come si presume , ma all’ esterno ha un’ aureola o atmosfera unipolare o bipolare e anche a più poli, pei quali le molecole si attirano e possono subire cambiamenti chimici o atomici. L’ elettricità si tiene all’esterno, alla superfìcie colla ten- denza a fuggire. Dunque quando gli atomi si separano assorbono energia ; quando si uniscono la emettono , e così ciascun atomo alterna- tivamente o è combinato ad un altro atomo o è combinato ad una data quantità di elettricità : è questo il fatto fondamentale espresso dall’ antico adagio natura aborret a vacuo , che talvolta è ricordato per ridere. I due ioni, 01 e Na, p. e. separati hanno ciascuno la carica elettrica contraria, per la quale essi tendono ad attrarsi e com- binarsi. Si dice che si combinano per affinità chimica, come se questa affinità fosse una cosa differente dall’ attrazione.' Gli ioni Trasformazioni delle energie 5 si attraggono perchè hanno carica elettrica con diversa tensione; se per quantità è sempre la stessa per ogni valenza, negativa o positiva, per tensione è diversa. Così messi insieme sciolti in acqua, in cui si ionizzano CINa e IK, si ha uno scambio con formazione di INa e C1K, perchè sebbene i quattro ioni abbiano la stessa carica quantitativa, è differente per tensione, la quale è più forte nel CI che nel I, e più nel K che nel Na ; perciò i due più forti si attraggono e si combinano, abbandonando gli altri due restanti, i quali si combinano alla lor volta. I detti quattro ioni separandosi acquistano la carica elet- trica, che prendono dal calore dell’ambiente ; nel combinarsi la emettono come calore in quantità eguale a quella che avevano assorbito. Intanto la loro carica elettrica è scomparsa; siccome energia non si distrugge , perciò è obbligo ammettere che tale elettricità si sia trasformata di nuovo in calore. Ma se dove av- viene reazione chimica vi fossero le condizioni opportune acciò l1 elettricità svolta possa immettersi in un conduttore e formare corrente, allora non si ha sviluppo di calore ; o se ne ha in parte più o meno, a seconda che più o meno possa trasformarsi in corrente, o sia forzata a rimanere incontrando resistenza. Nelle condizioni ordinarie, in moltissime reazioni chimiche vi è sviluppo di energia termica, perchè l’energia elettrica, che primieramente si svolge, si trova in ambiente cattivo conduttore senza potersi trasformare in corrente e quindi obbligato a tra- sformarsi in calore. L’ energia chimica non è che energia elettrica e non altro di diverso; è l’effetto dell’attrazione, come questa è energia mec- canica generata dalla elettricità, la quale accompagna la materia ionizzata con diverso potenziale. La teoria elettrochimica di Berzelius, corretta opportunamente, ritorna, a novella vita. L’elettricità è una, recentemente si è dimostrata 1’ esistenza di elettroni negativi, capaci di caricare un atomo od una mo- lecola e formare un ione elettronegativo ; mentre la mancanza o sottrazione di questi elettroni costituisce un ione positivo. È 6 Prof. Antonio Curci [Memoria VII.] strana questa inversione di concetto alle denominazioni dell’an- tica teoria. Ogni processo chimico fornisce soltanto dell’ energia elet- trica ? Sperimentalmente era stato trovato presso a poco lo stesso valore e si concluse che 1’ energia chimica si trasforma intera- mente in energia elettrica. Ulteriore ricerche diedero risulta- menti meno soddisfacenti. Il problema parrebbe che fosse risolto per le ricerche teoriche e sperimentali di W. Gribbs, di E. Brami e di H. v. Helmotz : i quali dimostrarono che in generale esiste divario fra energia chimica e quella elettrica, vale a dire che contemporaneamente del calore si genera o viene consumato. Eppure, se dobbiamo chinare la fronte all’alta autorità scien- tifica dei suddetti eminenti Fisici, non bisogna mettere in non cale che in tutte le reazioni chimiche e nei più perfezionati ap- parecchi che 1’ uomo possa adoperare, non sempre o quasi mai tutta 1’ energia elettrica, che possa svolgersi, trova le condizioni opportune per prendere la forma di corrente e che perciò in tutto o in parte si deve trasformare all’ istante in calore. Onde è duopo ritornare alla primitiva opinione. In seguito ai recenti progressi della Elettrofisica e della Elettrochimica, non che della Elettrofisiologia, non è consentito di considerare 1’ energia chimica come qualche cosa di differente dall’ energia elettrica ; ambedue sono la stessa cosa e che quindi quando ci pare di svolgersi energia chimica non è che energia elettrica , la quale in tutto o in parte si trasforma in calore o altra forma di energia quando sia il caso, subito instantanea- mente nell’atto di rendersi libera o scaricarsi, se non trova tutte le condizioni complete assolute per essere condotta fuori, ciò che è impossibile nel mondo, in qualunque punto dello spazio e della materia. Prendiamo ad esaminare una combustione per ossidazione. L’ ossigeno è un elemento singolare , il massimo elettronegativo ed ogni altro elemento sotto la sua influenza funziona da posi- tivo. L’ossido che ne risulta è positivo nelle valenze basse, è Trasformazioni delle energie 7 negativo nelle valenze alte quando si combina a elementi me- tallici ; è sempre acido cogli elementi metalloidici. L1 ossigeno ha il potere di fare generare una grande forza elettromotrice, e quindi una* grande quantità di calore e luce. In una combustione vi è combinazione di ossigeno al car- bonio e idrogeno ; i combustibili sono cattivi conduttori della elettricità ed in generale ogni reazione chimica avviene in un sistema di materia, in cui l’elettricità che si svolge non può tra- sformarsi in corrente. La energia o carica elettrica, inerente al carbonio e all’ idrogeno da una parte , acquistata nel separarsi dal calore comunicato , e quella inerente all’ ossigeno si svolge intensa nell’atto della ossidazione. L’ossido risultante è privo di energia, ma quella energia resa libera resta attaccata ai prodotti della combustione, non ha conduttori per potersi diffondere, in- contra da ogni lato resistenza, per necessità si trasforma subito in calore. Perciò nelle osservazioni ed esperienze, l’energia che nella maggior parte si manifesta è calore : onde le osservazioni sono giuste , ma la deduzione è falsa. Del resto non è strano questo mio concetto, anzi è così sem- plice e vero che basta considerare il fatto, che ogni corrente elet- trica tutte le volte che trova resistenza si trasforma in calore e luce per convincersene. E qui è opportuno ricordare le leggi di Ionie; cioè: La quantità di calore, sviluppato in un circuito di corrente o parte di esso nell’ unità di tempo, è proporzionale alla resistenza e al quadrato della intensità della corrente. Ond’ è, che l’energia elettrica, che assume le diverse forme a seconda le condizioni meccaniche e fisiche del sistema, il quale ordinariamente si trova in condizioni non atte a fare eseguire un lavoro all’energia elettrica come corrente, è quella che si trasforma in calore. L’elettricità è l’energia in moto, è la forza viva, l’anima del mondo , 1’ energia che tutto muove e trasforma in natura, ma non sempre può funzionare e compiere un lavoro come cor- rente. Da per tutto incontra ostacolo o deve rimanere inattiva; 8 Prof. Antonio Curci [Memoria VII.] in attesa di lavoro quando occorre; attendere inerte come mo- vimento come azione è assurdo , inconcepibile ; non può andar- sene, anzi deve rimanere, deve restare per servire al momento opportuno, è necessario quindi clie prenda una forma, la quale possa restare, penetrare tutti corpi, diffondersi lentamente e que- sta è la forma di calore. Come elettricità tende a disporsi alla superfìcie e a fuggire ; occorre invece che penetri e vi resti mo- mentaneamente e questo non può farlo che come calore. Neces- saria e sublime trasformazione dell’ energia universale. In natura avvengono decomposizioni e ricomposizioni suc- cessive ed alternative. Nella dissociazione vi è assorbimento di energia per formare la carica elettrica, come pure la forza di affinità o di attrazione tra gli ioni liberi. Gli ioni più forti si combinano coi più forti, i più deboli coi più deboli , emettono energia elettrica libera, attiva, la quale compie quel dato lavoro e produce quel dato fenomeno. In questo immenso lavoro, che in fondo è un processo di ossidazione, si svolge energia elettrica e questa come corrente multiforme compie tutte le funzioni vi- tali degli organismi viventi (1) ed anche una gran parte o tutti dei fenomeni meteorici e tellurici; in ciò 1’ ettricità avanzata si trasforma in calore. I prodotti ossidati poi debbono essere de- composti e allora occorre energia; i componenti nella dissocia- zione debbono riacquistare quella carica che avevano perduto e ciò lo fanno assorbendo calore dell’ ambiente. Il calore nel pe- netrare i corpi, elettrizza negativamente gli atomi, (perchè il calore è elettricità negativa costituita di elettroni) i quali si respingono e nel separarsi, i positivi perdono elettroni, i nega- tivi ne acquistano e si formano le due cariche contrarie ; eli- minato l’ossigeno, gli elementi che vi restano il carbonio, l’idro- geno e 1’ azoto si combinano per formare le sostanze organiche. Questo grandioso fenomeno avviene nella clorofilla delle piante, in cui i raggi solari si trasformano in corrente elettrolitica, che (1) V.) Curci L’ organismo vivente e la sua anima. Trasformazioni delle energie 9 decompone i sali e 1’ acqua, e il cui idrogeno nascente o H io- nizzato, riduce subito gli acidi ossigenati del solfo, dell’ azoto e del carbonio, i quali elementi alla loro volta trovandosi liberi dall’ ossigeno si combinano tra loro. L’ ossigeno restato libero è respinto dal radicale acido, ambedue elettronegativi, mentre l’i- drogeno positivo è attratto e opera la riduzione. Quindi se nella decomposizione degli ossidi fa bisogno di energia elettrica, questa è fornita dal calore proveniente dall’ e- lettricità avanzata nelle precedenti ossidazioni e idratazioni, trasformata in calore. Appunto sotto forma di calore può rima- nere nell’ambiente, onde attendere e penetrare i corpi per de- comporli, dopo ritornata come corrente. Ma ciò si comprenderà meglio quando avremo dimostrato cosa sia il calore. 2. Calore. — Ein qui abbiamo considerato il fatto del pas- saggio della elettricità in forma di calore e di altre energie. Adesso facciamo 1’ inversa, consideriamo il passaggio del calore in elettricità. Abbiamo diversi fatti che dimostrano que- sta trasformazione. a) Abbiamo veduto che nella dissociazione idrolitica , in quella termica ed in ogni altra, gli ioni liberati assorbono calore dell’ ambiente esterno e con questo formano la loro carica elet- trica, che nel combinarsi poi emettono come corrente se vi sono le condizioni opportune, oppure se mancano queste emettono di nuovo come calore. Isella dissociazione e formazione di ioni , dunque il calore si trasforma in elettricità. Aon fa bisogno di insistere su questo fatto molto importante e generale ; è chiaro e incontestabile. In generale si può ritenere che tutte le reazioni, che av- vengono fra ioni, disponendo opportunamente 1’ esperienza, for- niscono una corrente elettrica, come si dimostra coll’apparecchio di Lepke. b) In natura non vi sono che le combustioni, le quali danno calore e luce provenienti dall’ elettricità che primieramente si Atti acc. Serie 4a, Voi.. XIX — Meni. VII. 2 10 Prof. Antonio Curci [Memoria VII.] svolge. Apparecchi elettrogenici naturali sono gli organismi vi- venti, i quali sono atti a trasformare alla loro superficie e nel loro interno tutte le forme eli energia dell’ ambiente in elettri- cità ; la quale allora compie le diverse funzioni e, producendo i fenomeni meccanici, fisici e chimici vitali, ritorna alle primi- tive forme di energia da cui derivò, principalmente in calore. In questi organismi ogni cellula costituisce una pila o un ele- mento elettrogenico: protoplasma negativo e nucleo positivo sono le due parti essenziali per produrre energia elettrica dalle energie dell’ambiente; per cui l’uno non può fare a meno dell’altro e la loro coesistenza è necessaria in modo assoluto, perchè si scambino le correnti di energia protoplasmatiche, che costituiscono il prin- cipio della vita. L’elettricità in corrente, che nasce e si trasforma nelle funzioni, costituisce l’essenza della vita: ed essa, che nel suo insieme considerata costituisce l’anima, proviene dal calore. Per molto tempo l’uomo ha ignorato il significato di appa- recchio elettrogenico negli organismi viventi animali e vegetali. Pu Galvani che fece questa grandiosa ed immortale scoperta e che io, forte delle molte ricerche posteriori interpretandole nel loro A7ero significato, indiscutibilmente ho messo in evidenza nel mio libro U Organismo vivente e la sua anima. Occorreva inventare un apparecchio elettrogenico artificiale che, per quanto imperfetto, come cosa fatta dall’ uomo , dimo- strasse questa elettricità potersi generare dal calore e da altra energia. In seguito alla scoperta del Galvani, Volta inventa la sua pila. Epoca memorabile ed unica di un grande avvenimento per l’umanità e per la scienza! Premetto però, che ogni pila di qualunque genere non è che un meschino ed imperfetto apparec- chio elettrogenico, appena paragonabile a quello perfettissimo naturale della cellula vivente. Gli immensi studi di Elettrofìsica e di Elettrochimica hanno avuto degli importantissimi ed inaspettati risultamenti, che io riassumo brevemente, i quali dimostrano che il calore dell’ am- biente si trasforma in elettricità. Trasformazioni delle energie 11 Tutte le pile di soluzione e di concentrazione hanno di comune, che T energia elettrica fornita non viene generata da energia chimica, perchè in esse ha sempre luogo semplicemente un passaggio da una pressione alta ad un’ altra inferiore e sia questo passaggio effettuato da un corpo gassoso o disciolto, la provvista di energia del corpo non varia. Nemmeno dall’ energia interna (T) che non varia può dunque provenire il lavoro ese- guito ; esso proviene dal calore dell’ ambiente. Per conseguenza gli elementi galvanici suddetti non ci rappresentano che delle mac- chine, le quali trasformano il calore delV ambiente in energia elet- trica (Le Piane, Elettrochimica, 189). Anche nelle termopile viene trasformato del calore in ener- gia elettrica ; la trasformazione avviene in seguito al determi- narsi di una differenza di temperatura. Mentre nelle pile di concentrazione viene trasformato in energia elettrica il calore di temperatura costante. È noto che la tormalina col riscalda- mento si elettrizza; così pure altri corpi: in essi il calore si trasforma in elettricità. Nelle pile chimiche (come quella di Danieli) l’energia chi- mica viene trasformata in elettrica ; ma noi abbiamo veduto che l’energia chimica è energia elettrica proveniente dal calore, che il ione zinco acquista disciogliendosi, perciò in fondo è la stessa cosa. Possiamo concepire questi elementi come macchine in cui tutta l’energia in esse immagazzinata può essere trasformata in energia elettrica. Vi sono altre pile in cui una parte dell’ energia è trasfor- mata in elettrica, 1’ altra si manifesta come calore, a somiglianza degli organismi viventi (1). Altre pile forniscono più energia elettrica di quanto con- sente la quantità di energia chimica, perchè oltre 1’ energia in esse accumulata, trasformano anche il calore dell’ ambiente. Insomma è da concludere che il calore si trasforma diret- (1) A. Curci — Meccanismo della termogenesi animale e natura della febbre — Atti (lolla Accademia Gioenia — Catania, Serie 4a, Voi. XVIII. 12 Prof. Antonio Curci [Memoria VII.J tamente in elettricità, quando mediante opportune disposizioni questa possa farsi svolgere come corrente fuori del sistema, e ciò è ampiamente dimostrato dai diversi apparecchi elettromotori, che 1’ uomo abbia potuto inventare da Volta in poi. c) Anche un altro fatto, abbastanza esteso, dimostra che il calore si trasforma in elettricità, e cioè quello che il calore, oltre il fornire la carica elettrica agli ioni , quando si trova in ec- cesso fa aumentare le valenze agli atomi. Riferisco dapprima un po’ di fatti bruti, di cui in Chimica ve ne sono numerosi. Facendo arrivare una corrente di cloro nella calce o potassa a freddo, si forma ipoclorito (in cui il 01 è monovalente) ; in- vece nella calce riscaldata si formano, clorati e perclorati, in cui il CI è polivalente sino a 7. Lo stesso fanno Br e I. Il calore ha fatto aumentare le valenze col fornire 1’ energia necessaria a formare le cariche elettriche. Facendo agire il fosforo sulla potassa a freddo si forma fosfina e ipofosfìto ; facendolo a caldo si formano fosfiti e fosfati. L’ acido ipofosforico si forma nell’ ossidazione lenta del fosforo all’aria umida; bruciando il fosforo all’aria si ha l’ani- dride fosforica. Il protossido, P40, si ottiene trattando a tempe- ratura ordinaria fosforo finamente diviso colla soluzione di alcali caustico in alcool acquoso ; facendo ardere il fosforo in aria secca si forma anidride fosforosa, P203, e pentossido. L’ arsenico bruciato all’ aria dà anidride arseli iosa, e questa ossidata a caldo in una soluzione di acido nitrico dà l1 acido arsenico. Il pentasolfuro di arsenico, As”2S5, si ottiene da una soluzione calda acidificata di acido arsenico, facendo passare una corrente di H2S ; in soluzione a freddo si ottiene trisolfuro As2S3. Trattando con acido cloridrico concentrato 1’ ossido od il cloruro di antimonio si ottiene il tricloruro SbCl3; scaldando 1’ antimonio in corrente di cloro si ottiene il pentacloruro SbCF, mentre a freddo si ottiene SbCl3. Ossidando 1’ antimonio con Trasformazioni delle energie 13 acido nitrico diluito si ottiene il triossido Sb203 ; scaldandolo con acido nitrico concentrato si ottiene l’acido antimonico H3Sb04. Trattandone il tri cloruro in fusione con un eccesso di cloro, si ha il pentacloruro. In questo caso nel tricloruro fuso, 1’ an- timonio, stimolato dal cloro trova nell’ eccessivo calore l’energia necessaria per formare altre due cariche elettriche positive. Si capisce che ciò non potrebbe avvenire senza la presenza di ca- lore o di altra energia. Sciogliendo il tellurio in acido nitrico si ottiene acido tel- luroso, fondendolo con carbonato sodico e salnitro si ottiene acido tellurico. Il solfo bruciando all’ aria produce SO2 ; in queste condi- zioni sviluppa quattro cariche positive e non più ; ma questo in presenza di ossigeno sotto 1’ azione catalitica di asbesto platinato 0 di ossido di ferro o di ossido cromico, dà SQ:! sviluppandosi altre due cariche positive, e sotto 1’ azione di scariche elettriche oscure si forma S207. L’ azione catalitica o di contatto non è che un’azione meccanica, la quale sviluppa energia elettrica nei corpi, e perciò come le scariche elettriche stesse, modifica e au- menta la carica degli elementi, per cui questi non solo reagiscono facilmente tra loro, ma aumentano le valenze. Nella soluzione di un elettrolita, la somma delle quantità di elettricità negativa deve essere eguale a quella delle cariche positive, poiché la soluzione si comporta come elettricamente neutra. In una soluzione di acido cloridrico la carica positiva degli ioni H' deve perciò essere identica a quella negativa degli ioni Of e siccome sono presenti numeri eguali dei due ioni, ognuno di essi deve possedere una carica eguale, differente solo per segno. In una soluzione di acido solforico invece i due ioni H' debbono possedere complessivamente tanta elettricità positiva quanta negativa ne possiede un ione SO4" ; il quale si dice bi- valente rispetto all’ idrogeno. In questo ione complesso restano libere due valenze dell’ ossigeno e perciò due cariche negative. Le valenze del solfo sono neutralizzate da 6 di ossigeno. Cosic- 1 14 Prof. Antonio Cunei [Memoria VII.] cliè ,nelle molecole complesse, mentre si neutralizzano le diverse cariche degli atomi componenti, si ha una risultante, in cui ogni molecola rappresenta un sistema polarizzato, con un lato nega- tivo ed uno positivo. E quando si trova una molecola in pre- senza di un altra molecola od elemento, si scambia un gruppo od un elemento che sia più forte del sostituito, cioè elettrica- mente più positivo o più negativo. Da ciò risulta la varietà immensa delle reazioni a seconda gli elementi e le condizioni fisiche con o senza 1’ apparente intervento di un’ altra energia elettrica, termica, luminosa, meccanica, la quale è sempre e- lettrizzante, modificando la carica preesistente e favorendo la reazione. La valenza dello stesso elemento può essere diversa secondo la natura degli elementi monovalenti, coi quali esso è combi- nato. P. e. SH2, SOI4, SPI0, in cui il solfo è bivalente, tetrava- lente ed esavalente. Il solfo in questi casi rispettivamente allo idrogeno è elettronegativo e contiene due cariche, rispetto al- cloro funziona da elettropositivo e sviluppa I cariche, rispetto al fluoro sviluppa 6 cariche positive. 1 più forti negativi tolgono più elettroni ai meno forti, i quali diventano positivi, e svilup- pano corrispondenti valenze con le relative cariche. Grli alogeni rispetto all’ idrogeno e metalli sono monovalenti, perchè questi forti elettropositivi neutralizzano elettricità nega- tiva, e così non permettono che si formino ulteriori cariche ne- gative e che si aumentino le valenze; si capisce quindi che al contrario rispetto all’ ossigeno ed altri elementi metalloi- dici, i detti alogeni sieno polivalenti. Il indo col cloro forma 101' e col fluore IP15 ; essendo il iodo elettronegativo, per funzionare da positivo e combinarsi nei due composti notati, ha bisogno di subire 1’ influenza stimolante di una forte massa negativa, la quale sviluppa la relativa carica positiva, onde ne avvenga la combinazione. Perciò 1’ iodo col cloro è trivalente e col fluore più forte è pentavalente. Grli elementi i più elettropositivi, neutralizzando energia Trasformazioni delle energie 15 riducono i metalloidi a monovalenti, i meno elettropositivi in- vece diventano più polivalenti a misura che cresce il carattere metalloidico e la carica elettrica negativa. I forti elettronegativi hanno il potere di sviluppare un maggior numero di valenze ne- gli elementi e fare funzionare da elettropositivi i deboli metal- loidici o elettronegativi ; ma ciò in presenza di calore necessario per formare la carica. Perciò l’elettronegatività e la massa servono a stimolare, col concorso però del calore, lo sviluppo di altre valenze e di altret- tante cariche elettriche. Ad onta della massa dello elemento sti- molante, la polivalenza non si sviluppa senza la presenza del calore, che fornisca P energia necessaria per la carica di ogni valenza. Quando P ossigeno o un alogeno agisce su di un elemento meno elettronegativo stimola la prima valenza, la cui carica elettrica è fornita dal calore ambiente ; e in tal caso quando il calore è in eccesso, sviluppata una prima valenza, favorisce lo sviluppo di altre consecutive , alle quali fornisce P energia per le relative cariche elettriche, e quindi provoca la formazione di composti ad alte valenze ; e allorquando è deticiente, non si possono svi- luppare le valenze perchè, mancando P energia, non si possono formare altre cariche elettriche, e valenze vuote di energia non sono possibili; così si hanno composti a valenze basse. Dunque ad elevata temperatura aumenta il numero delle valenze. Ogni valenza ha una carica elettrica di 9C540 Con- lomb, vale dire colPaumentare le valenze aumentano tante cariche elettriche, e P elemento per soddisfarsi ha bisogno di altrettanti atomi, e queste cariche, nelle condizioni ordinarie, non possono essere fornite che dal calore. Perciò che per ottenere composti superiori ci vuole la presenza di molto calore, senza del quale P ossigeno o P alogeno, anche in grande massa, non può fare sviluppare le altre valenze, per le quali ci vuole energia. Quindi è da concludere, che mentre la valenza è una funzione elettrica, il calore si trasforma in elettricità, la quale deve costituire la carica per ogni valenza. 16 Prof. Antonio Curri [Memoria VII.] Vale a dire che formatasi la prima carica, il calore essen- dovi in eccesso forma di sè stesso altre cariche per altre valenze, stimolate o provocate dall’azione della massa dell’elemento elet- tronegativo. È infine da notare, che il calore nell’ aumentare il numero delle cariche o le valenze tende a rendere gli ossidi più elettrone- gativi, meno basici e più acidi. Gli ossidi monovalenti sono più basici, la basicità diminuisce nei bi e trivalenti e diventa acida nei plurivalenti superiori. Sono numerosi i fatti che dimostrano lo esposto enunciato, sia guardando gli elementi secondo la Legge periodica, sia guardandoli individualmente. P. e. abbiamo 1’ os- sido ferroso, 1’ ossido ferrico e 1’ acido ferrico ; 1’ ossido manga noso, l’ossido manganico, 1’ acido manganico e l’acido iperinan- ganico ; gli ossidi di cromo e gli acidi cromici ecc:. Anche nei composti alogenati si osserva lo stesso fatto. Se il calore da una parte fornisce 1’ elettricità per le cariche delle valenze, e dall’ altra in proporzione del numero delle va- lenze, i composti sono meno basici e più acidi, formando ioni elettronegativi , vale a dire che 1’ elettricità da esso fornita è elettricità negativa. Difatti è provato per altra via che esso elettrizza negativamente i corpi che riscalda. Vale a dire inoltre che il calore stesso è una forma di elettricità negativa, cioè è costituito da elettroni in uno stato speciale di tensione, atti a penetrare i corpi tutti, siano buoni o cattivi conduttori della corrente elettrica. Perciò il calore si può chiamare elettricità termica. Esso penetra direttamente in linea retta qualunque corpo più o meno lentamente di strato in strato, senza bisogno di conduzione; per la via che entra per la stessa ne esce; se occorre vi resta accumulato per lungo tempo. Stabilito ciò, è facile comprendere perchè il calore opera la dilatazione dei corpi e la scissione delle molecole in ioni liberi, carichi di elettricità. Velie molecole gli ioni combinati sono scarichi di elettricità ; ma le molecole sebbene siano elettricamente neutre, possiedono Trasformazioni delle energie 17 alla superficie un’atmosfera di energìa in equilibrio polarizzata, in virtù della quale si attraggono e si tengono unite, cioè ub- bidiscono così alle forze di coesione e di adesione, le quali non sono che forme dell’ attrazione elettromagnetica. Vale a dire ogni molecola, sebbene non ionizzata , ha un polo negativo ed uno positivo , per cui tutte si attraggono e si dispongono in modo speciale geometrico nei cristalli. Perciò in fondo anche la cristallizzazione è una funzione elettrica. Perciò qualunque massa più o meno grande di molecole possiede la forza di attra- zione in ragione di essa. Abbiamo così un corpo solido. Facendo agire su questo corpo solido del calore, il quale è elettricità negativa in tensione speciale , il calore vi penetra, elettrizza le molecole, si capisce negativamente, facendo scomparire la polarità e uniformando la carica e la tensione. Le molecole allora elettrizzate omogenea- mente si respingono, si allontanano sempre più in proporzione del calore che vi penetra fra di esse, (il corpo si dilata) si ren- dono mobili (il corpo fonde) infine si separano (il corpo evapora). Nella separazione prendono una certa quantità di calore , il quale vi rimane aderente ad esse come carica elettrica polariz- zata, prevalendo or la tensione positiva ora la negativa secondo i casi. Le molecole aeriformi si respingono ed acquistano una forza di espansione , atta a trasformarsi in azione meccanica , tanto più quanto più calore o elettricità termica vi si comunica. Proseguendo il riscaldamento, anche le molecole si scom- pongono, cioè gli atomi che costituivano la molecola, si separa- no e allora si formano gli ioni atomici, e quella loro carica elettrica fornita dal calore si divide in positiva per gli ioni metallici, in negativa per gli ioni metalloidici nell’ atto della scissione. Gli è perciò che nella fusione e nella evaporazione vi è assorbimento di energia e non vi è sviluppo di elettricità. Que- sta si sviluppa bensì come corrente o come calore quando il corpo passa da aeriforme a liquido e da liquido a solido, ritor- nando allo stato primiero, perchè allora si libera dell’ energia. Atti acc. Skrih 4a, Vor,. XIX — Mem. VII. 3 18 Prof. Antonio Curai [Memoria VII.] Come nella evaporazione, avviene nelle soluzioni , cioè il corpo clie vi si scioglie si evapora nel liquido e assorbe calore. Le molecole si scindono in ioni carichi di elettricità negativa e in ioni carichi di elettricità positiva; nell’acqua specialmente avviene questa dissociazione idrolitica in tanto maggiore quantità quanto più diluita la soluzione o meglio quanto più solvente si adopera finché vi è sostanza da ionizzarsi ; come pure avviene con maggiore rapidità quando più calore è presente nell’ am- biente liquido, come quello che fornisce 1’ energia necessaria a ciò 1’ atomo ione staccato ne acquisti la carica, senza della quale non può staccarsi nè esistere libero. Dunque il calore è una forma di elettricità negativa in tensione, in aspettativa, mentre 1’ elettricità è energia in lavoro ; tutte le volte che l’elettricità si svolge, se non può compiere un lavoro o neutralizzarsi, e mettersi in equilibrio , si trasforma in calore , il quale nel mondo forma il deposito dell’ energia , im- magazzinata da per tutto nello ambiente, per servire, quando occorre, a fornire quella energia elettrica, la quale deve eseguire un dato lavoro. La vita nel mondo e tutti i fenomeni della natura consi- stono nella vicendevole e alterna trasformazione dell’ elettricità in movimento, in luce ed in calore ; e di questi in elettricità. L’ elettricità negativa e positiva sono la stessa cosa, ma contrarie, a somiglianza di una forma e del relativo oggetto, come in una fotografia abbiamo la negativa e la positiva, dove ciò che è nero in uno è bianco nell’ altro, dove è di più o ri- levato in uno e meno o rientrante nell’ altro. La forma e l’immagine, la negativa e la positiva, applicati l’ una sull’ altra, si neutralizzano, si annullano scambievolmente ; s’ intende in apparenza ; giacché separati acquistano un potere che 1’ una genera 1’ altra. La sostanza assume la forma e la forma rappresenta la so- stanza. Così è l’elettricità positiva e negativa ; separate, quella rappresenta la mancanza e questa la ^esistenza ; così il corpo caldo Trasformazioni delle energie 19 contiene elettroni accumulati e condensati, il freddo ne è privo. Messi insieme tutto si equilibra e in apparenza non si ha nè elet- tricità, nè calore. Questo è lo stato di riposo o neutro della energia. Quando le elettricità, negativa e positiva, s’incontrano subi- scono come una scossa, danno luogo alla scintilla elettrica cioè a formazione di luce e si neutralizzano, cioè si mettono in equi- librio e scompare dell’energia elettrica e termica; si ha abbas- samento di temperatura e assenza di stato elettrico. Forza senza materia non può lavorare, non può manifestarsi, nè neutralizzarsi; perciò è lo stesso dire che due corpi elettrizzati oppostamente (come p. e. fra due nubi o fra una nube e una montagna) cioè uno carico di elettroni, 1’ altro privo affatto, se s’ incontrano e vengono a opportuna vicinanza, si forma una scarica tra essi e si ha un equilibrio di energia ; chi ne ha di più ne cede a chi ne ha di meno. In quell’ istante si forma una scintilla (lampo , fulmine e tuono) si neutralizza dell’ energia e si ha assorbimento di calore con raffreddamento dell’ ambiente circostante. Si condensa del vapore e si ha la pioggia con o senza grandine o caduta di neve. Chi non ha osservato che tutte le volte che scoppia il tuono si ha un aumento di pioggia e diminuzione negl’intervalli Molte volte accade di vedere, specialmente in estate, che dopo alcune giornate di forte caldo, nella sera appariscono nell’orizzonte alcune nubi elettrizzate, nella notte si scambiano le cariche elettriche, coi relativi lampi, il giorno dopo la temperatura è molto abbas- sata, il cielo è nuvoloso e anche piovoso. I raggi solari, costituiti di elettroni negativi, nell’atmosfera si trasformano in calore e luce, determinano la evaporazione del- f acqua, il cui vapore, nel separarsi dalla terra o dai sali che tiene sciolti, si elettrizza positivamente e sale nell’aria. I raggi solari ionizzano il vapore acquoso ed ossigeno nell’ atmosfera, in cui si stabilisce una forte tensione con aumento della pres- sione barometrica. In questa ionizzazione vi è assorbimento di calore e così fa bel tempo relativamente fresco. 20 Prof. Antonio L'urci [Memoria VII.] In un dato spazio non si può contenere una maggiore quan- tità di ioni, perciò ad un dato punto la ionizzazione si diminuisce e si arresta, e siccome continua la evaporazione dalla superficie della terra e del mare , così, contemporaneamente aumenta la quantità del vapore acquoso , fino a die 1’ atmosfera si satura. Allora gli ioni soffrono una pressione, si ricompongono e si ha emissione di calore e di elettricità con formazione di vapore e di nebbia e abbassamento della pressione barometrica ; allora fa tempo umido e caldo. Mi spiego : Allora le ionizzate molecole acquose non hanno spazio suffi- ciente per tenersi a distanza, sono come compresse, si mettono in contatto, emettono energia di cui sono cariche, in parte sotto forma di calore; allora si formano le nubi, mentre la tempera- tura atmosferica aumenta e si hanno le giornate calde afose, in seguito a quelle fresche e splendide. Se si formano nubi oppostamente elettrizzate, allora si han- no le scariche, la neutralizzazione dell’elettricità, 1’ abbassamento della temperatura e la condensazione dei vapori acquosi in acqua o in neve come abbiamo detto. Le meteore e le aurore sono pure effetti di elettricità. Quan- do si stabiliscono le correnti aeree fra poli ed equatore , si ha una corrente in alto dall’ equatore al polo, ed una in basso dal polo all’ equatore. Le correnti equatoriali sono cariche di vapore elettrizzato e quando arrivano ai poli, scaricano la loro elettricità con quella contraria, donde le meravigliose aurore boreali e le tempeste polari. Ho parlato di ciò per dimostrare che quando una corrente elettrica è immessa in un conduttore compie un lavoro, è in at- tività, allora può produrre azioni meccaniche , azioni fìsiche ed azioni chimiche, subendo le relative trasformazioni; quando questa corrente può neutralizzarsi si mette in equilibrio, dell’ energia si rende latente e si ha abbassamento di temperatura ; e quando in- contra resistenza senza potersi neutralizzare o mettersi in equi- Trasformazioni delle energie 21 librio con quella contraria, si trasforma in calore e luce. Quindi il calore è elettricità negativa, non neutralizzata, non in riposo, ina in forzata coatta inerzia, è in tensione. Un corpo incandescente è un corpo che emette elettroni ne- gativi, parte sotto forma di luce, cioè dotati d’immensa forza espansiva e parte come calore, cioè condensati, penetranti e poco radianti, e parte come ondulazioni elettromagnetiche e come raggi dotati di azione chimica ecc., e tutti più o meno ionizzanti. Il semplice riscaldamento, spinto più o meno, produce pure la ioniz- zazione di un gas. Tale è il caso delle fiamme e dei corpi arro- ventati. L’ energia di ionizzazione è allora fornita sotto forma di energia termica. Visto cosa sia il calore, si comprende il meccanismo degli effetti di esso sugli organismi viventi, sia quando manca come nell’ inverno , sia quando è in aumento come in primavera ed in estate. Gli organismi viventi, dai microbi all’uomo, sotto l’influen- za del calore, ad una data temperatura speciale a ciascuno, si elettrizzano , e quel calore interno costituisce ed è la manife- stazione esterna del potenziale elettromagnetico, per il quale le molecole componenti i protoplasmi e quindi le cellule, le quali sono altrettante pile elettrogeniche , acquistano eccitabilità ed energia, la quale però è elettricità. Con ciò ogni cellula si mette in attività, si desta alla vita. Allora sente le attrazioni e le ri- pulsioni, cioè tropismo positivo e negativo con altri corpi e con altre energie dell’ ambiente , si stabiliscono correnti interne e scambio con quelle esterne ; si formano dapertutto sistemi elet- trogenici, correnti che operano fenomeni meccanici, fisici e chi- mici; scambio di materia; decomposizioni e composizioni; ossi- dazioni e riduzioni ; organizzazioni e disorganizzazioni; morti e rinascimenti ; vita e morte ; insomma sviluppo di elettricità in lavoro, di energia attiva, viva. (1) (1) V. L’ Organismo vivente e la sua anima. 22 Prof. Antonio Curci [Memoria VII.] Ogni corpo, come ogni cellula ed ogni organismo vivente quando è caldo è elettrizzato, perciò allora è eccitabile e vivo, atto a muoversi e a trasformarsi, attrarsi o respingersi con un altro, produrre e scambiare energia , attrarre materia , crescere e moltiplicarsi. Perciò pare die tutto faccia il calore ; pare giusto il dire che dove vi è calore c’è vita. È giusto ciò, quando però si con- sideri che dove v’è calore vi è sviluppo di elettricità e che, il corpo caldo è corpo elettrizzato. Ciò viene dimostrato dal fatto, che un corpo qualunque vivo o non, sottoposto ad un agente elettrizzante meccanico, tisico o chimico, quando è saturato di elettricità potenziale e che la elettricità sviluppata è superiore alla sua capacità elettrica o termica o, ciò che è lo stesso, alla sua capacità per il calore latente, si riscalda ; perchè la esube- rante elettricità si trasforma in calore. Perciò è da concludere che il corpo caldo è corpo elettrizzato e che allora è più sen- sibile e più eccitabile. Quando il riscaldamento è oltre un certo limite per intensità e per durata, il corpo s’ infiamma : così avviene il processo infiammatorio in un tessuto vivente (1). Il calore è l’energia in forzata inazione, è il generatore dell’e- nergia attiva, l’elettricità, è la forza depositata e presente daper- tutto per servire a fornire la essenza necessaria, di cui formare le cariche elettriche negli ioni e nelle molecole, in virtù delle quali avvengono le trasformazioni della materia e le manifesta- zioni dei fenomeni della natura e della vita. Ma 1’ elettricità è quella che direttamente opera ogni fenomeno, trasformandosi alla sua volta in quelle energie donde ebbe origine. Perciò il calore rende elettrizzabile ed elettrizza ogni corpo, specialmente ogni organismo vivente, dai microbi all’ uomo ; perciò pare che esso sia l’energia vitale, ma non è. Esso è forma di passaggio, iniziale, la materia prima, ed è avvertito solamente dai nervi tennoestesici, (1) Curci — Sul Meccanismo dell’ infiammazione — Gazzetta degli Ospedali eco. N. 112, Milano, 1904. Trasformazioni delle energie 23 i quali lo trasformano in corrente elettrica, quella eli e dà la sen- sazione psichica del caldo e che eccita ogni protoplasma e anche contribuisce all’accumulo del potenziale vitale. Esso, trasforman- dosi in elettricità o derivando da questa, compie indirettamente tutti i fenomeni della natura. È proprio il caso di dire essere e non essere. Quando un organismo è freddo, non è elettrizzato, non ha potenziale, perciò non è eccitabile. Quando manca il calore, come quando il Sole manda raggi obliqui, vengono sottratti gli elettroni alla materia, l’energia agli atomi ed alle molecole, i quali e le quali si stringono sempre più l’un l’altro e s’ immobilizzano, sono senza energia, non sono elettrizzabili ; cascano in inerzia, in assiderazione, in morte ; la vita si arresta. Dall’ equatore ai poli si osservano tutte le gra- dazioni di passaggio tra questi due fatti estremi. Sicché per ogni pianeta, il suo Sole è la sorgente principale dell’ energia almeno in apparenza , e noi non sappiamo se gli astri solari ricevano energia da altra sorgente a noi ignota, op- pure 1’ abbiano in sé, come costituiti da materia scissa e ioniz- zata o cioè da ioni carichi di elettricità , i quali in continua condensazione e combinazione emettono elettroni irradianti nello spazio dell’ etere cosmico. Questi incontrando i pianeti, ivi pe- netrano l’ atmosfera e colpiscono la superfìcie terraquea : incon- trano resistenza nell’ azoto e nell’ ossigeno, i quali sono elettro- negativi , si trasformano in calore e luce , che dalla crosta terrestre sono assorbiti e trasformati, mentre una parte di questo calore e luce dagli organismi viventi ò trasformata in elettricità attiva , (1) la quale ritorna ad essere emessa come calore , e così tutto infine nella terra si disperde come correnti magnetiche (1) Nella clorofilla e altri pigmenti, e nei diversi organi di senso e parti dell’ organi- smo tutte le forme di energia dell’ ambiente, prodotte dai raggi solari , si trasformano in correnti elettriche, le quali compiono le diverse funzioni vitali e mettono in attività gli or- gani adatti. 24 Prof. Antonio Curci [Memoria VII.] terrestri (1). Durante la notte avviene neutralizzazione ed irradia- zione di energia e perciò abbassamento di temperatura. Ohe la produzione del calore e della luce avvenga nell’at- mosfera del pianeta, e non nel Sole stesso, sarebbe provato dal fatto che vi è più calore e luce alla superfìcie del pianeta e meno nelle alte regioni atmosferiche, dove ad una certa altezza vi è invece freddo e tenebre; (2) (dovrebbe essere il contrario). Così pure quanto più i raggi sono perpendicolari alla superficie della terra, colla quale faccia angolo retto , tanto più vi è calore e luce , mentre ve n’ è meno in ragione della obliquità. Quando i raggi sono perpendicolari incontrano più resistenza ; quando sono obliqui meno resistenza, perchè sfuggono strisciando e vi è meno azione meccanica. Perciò nelle regioni tropicali fa più caldo, che nelle polari. La distanza tra le diverse regioni della terra ed il Sole non ha alcuna influenza ; essa è troppo piccola. 3. Luce. — La luce è una particolare forma di energia, la (1) Nella terra si possono formare come dei nodi carichi di elettricità statica, la quale arrivata ad una certa tensione produce le scosse del terremoto. (2) Il Direttore dell’ Osservatorio Geotisico di Pavia ha comunicato nel 1905 che avendo lanciato dei palloni sonda, da un sommario esame del diagramma ottenuto sull’apparecchio registratore risultò, che i palloni avevano raggiunto una altezza di 14,000 metri, trovandovi una temperatura di 65 centigradi sotto zero. Inoltre si dimostra la genesi locale del calore dal fatto che da un giorno all’altro, co- me anche nello stesso giorno si ha diverso grado di temperatura nelle diverse città. Ed ecco un esempio : Roma 9 Agosto 1905, ore 15 — V.) Massa 31.2, Alessandria 30.6, Novara 32, Pavia 31.6, Milano 31.3, Brescia 32.5, Cremona, 31.2, Mantova 32.8, Verona 32.4, Udine 30.1, Treviso 32.8, Venezia 30.6, Padova 31.3, Rovigo 34, Reggio Emilia 32, Modena 31.1, Ferrara 31.9, Bologna 32.9, Ravenna 30.5, Porli 32.8, Pesaro 34.4, Ancona 35.2, Urbino 31.9, Macerata 33.5, Ascoli Piceno 35.5, Perugia 32.5, Camerino 31.8, Lucca 30.1, Livorno 30,5, Firenze 31.3, Arezzo 33.4, Siena 31, Grosseto 35.1, Roma 34.3, Teramo 35.8, Chieti 34.6, Foggia 37, Bari 34.2, Lecce. 34, Caserta 34, Napoli 31.1, Benevento 32.5, Cosenza 34, Reggio Calabria 32, Trapani 30.1, Palermo 33.8, Messina 33.2, Catania 32.1, Siracusa 33.6, Cagliari 34, Ta- ranto 34.3, Civitavecchia 35. Questo prova che il calore si produce localmente a seconda la densità dell’ aria, pres- sione barometrica, umidità, vento, separazione e congiunzione di ioni, produzione o neutra- lizzazione di elettricità, etc. Trasformazioni delle energie 25 quale, proveniente dal Sole come raggi rettilinei, quando colpisce l’atmosfera e la superficie terrestre si trasforma in oscillazioni elittiche somiglianti a quelle del pendolo ; tali raggi di vibra- zioni vengono riflessi dal corpo colpito e sono percepiti dagli organi visivi nei quali si forma 1’ immagine dell’ oggetto. Que- sti raggi, detti luminosi, in ogni pigmento e specialmente nella clorofilla e negli organi della vista, come sulla lastra fotografica, sono trasformati in corrente elettrica, la quale nelle piante pro- duce la elettrolisi dell’ acqua e delle sostanze ossigenate, da cui si sprigiona ossigeno e si formano le sostanze idrocarbonate sem- plici ed animidate ; e negli organi visivi degli animali, detta corrente, presa dalle espansioni della retina, per il nervo ottico va a fare capo ai centri nervosi , dove produce la sensazione visiva psichica. Che sia così è dimostrato col galvanometro, il quale fa vedere che quando penetra nell’occhio un fascio di luce, si sviluppa una corrente nei centri cerebrali corrispondenti. Così che negli organismi viventi i raggi luminosi, da oscillazioni trasver- sali passano a corrente elettrica, a somiglianza del calore, che pure alla sua volta si trasforma in corrente elettrica nei nervi terinoe- stesici, la quale nei centri dà la sensazione di caldo. Per ogni forma di energia vi è negli organismi un organo speciale, gusto, olfatto, udito, tatto, il quale la trasforma in corrente elettrica. La corrente elettrica, la quale negli organi visivi è prodotta dalla luce, non solamente produce la sensazione psichica , ma anche, riflessa dal sistema nervoso, diventa corrente elettrolitica, la quale eccita il ricambio materiale. Fu dimostrato da Mole- schott e da altri che la luce, per mezzo degli organi visivi, fa aumentare 1’ esalazione dell’ acido carbonico, e poi tutti sappiamo che alla luce ci sentiamo più eccitati, più energici, più caldi, più vivi, più allegri, più felici. Ma in questi ultimi anni in Fisica è stato dimostrato che la luce è dovuta ad elettroni, diffondendosi con grande rapidità, i quali quando colpiscono un corpo acquistano un moto vibra- torio dittico e si riflettono, peroni a noi è possibile vedere il corpo, Atti acc. Serie 4a, Voi,. XIX — Mem. VII. 4 26 Prof. Antonio Curci [Memoria VII.] col quale i nostri organi visivi sono in relazione mediante tali rag- gi. Oggi dopo molti studi si ammette che le onde luminose sono onde elettromagnetiche. (1) Perciò non è più da rifiutare nè da sembrare strana la mia teoria, d’altronde dimostrata dal galva- nometro, che la luce nei pigmenti e negli organi visivi si trasfor- ma in corrente elettrica , essendo già costituita da elettroni o forma irradiante di elettricità. Come le cariche elettriche degli ioni in una pila si scaricano sugli elettrodi e generano la cor- rente, così le onde luminose o elettroni diffusibili si scaricano nei pigmenti, si modificano e generano la corrente, la quale è presa dalle espansioni del nervo ottico o dai granuli dei proto- plasmi negli organismi inferiori, formando una sorgente di ener- gia vitale. Dunque la luce genera elettricità in corrente ed è forma di elettricità. Richiamo 1’ attenzione sopra questo argo- mento fisiologico da aggiungersi a quelli tìsici. Inoltre la luce fu già dimostrata da Melloni e da altri es- sere identica al calore ; calore e luce si accompagnano sempre; noi abbiamo sopra dimostrato che il calore è una forma di elet- tricità costituita da elettroni condensati ; dunque calore e luce sono forme o stati della stessa energia, che noi conosciamo sotto la denominazione di elettricità. I fenomeni meravigliosi, attribuiti ai raggi catodici, sono prodotti dai raggi rettilinei, che partono dal catodo, in aria ra- refatta, i quali sono dotati della proprietà di riscaldare i corpi da essi colpiti, spesso ancora di renderli luminosi , di dare ori- gine col loro urto su di un corpo (anticatodo) a nuovi raggi di altra natura, che sono poi i famosi raggi del Rontgen, e infine di rendere conduttore il gas entro il quale si propagano. Oltre tali effetti viene ammesso generalmente , che i raggi catodici possano , urtando corpi leggieri e mobilissimi metterli in moto, che A. Righi crede avere dimostrato, che tale effetto meccanico dei raggi catodici sia un effetto secondario almeno (1) A. Righi. — L’ Ottica delle oscillazioni elettriche — Bologna 1897 — Idem La moderna teoria dei fenomeni fisici — Bologna. 1904. Trasformazioni delle energie 27 in massima parte del riscaldamento da essi prodotto. {Il moto degli ioni nelle scariche elettriche. Bologna Ditta W. Zanichelli, 1903). Quindi i raggi catodici sono ad un tempo elettroni, i quali prendono forma di elettricità, di calore e di luce. I raggi catodici sono deviati da una calamita e perciò sono elettromagnetici e, dall’accurato studio che è stato fatto d’ un tale fenomeno, si è dedotto, che essi si comportano come fosse- ro costituiti da corpuscoli elettrizzati negativamente e dotati di grandissima velocità e cioè di elettroni negativi liberi. È noto, che i fenomeni della luce e del calore raggiante possono considerarsi come fenomeni elettromagnetici, e che dalle equazioni del campo elettromagnetico possono desumersi quelle che rappresentano la propagazione delle onde luminose (Righi). Lorentz ha supposto che agli atomi della materia siano con- giunte delle particelle elettrizzate o tutte positivamente o tutte negativamente, le quali prendano parte per via di assorbimento o di emissione al fenomeno elettromagnetico. In particolare la emissione della luce sarebbe dovuta a quelle particelle, le quali perchè elettrizzate, generano vibrando quelle onde elettromagne- tiche che chiamiamo onde luminose. Zeemann, con lo studio delle radiazioni di un gas luminoso, le quali si modificano sotto 1’ a- zione di un forte campo magnetico, in cui ogni riga dello spettro di emissione è sostituita da un gruppo di righe nuove, ha dato dimostrazione e conferma di questa teoria. Con ulteriori studi di questo fenomeno si è riconosciuto, che nelle righe nuove sdoppiate, la luce è polarizzata e si è giunti a dovere ammettere, che le particelle vibranti abbiano carica negativa, e che le particelle, le quali prendono parie colle loro vibrazioni ai fenomeni luminosi propagati dall1 etere , altro non sieno che gli elettroni negativi , che già i raggi catodici ci avevano fatto conoscere. I raggi X sono ionizzatoli, producono fenomeni chimici come ogni corrente elettrica, sono penetranti in linea retta anche at- traverso cattivi elettroconduttori, a somiglianza del calore. 28 Prof. Antonio Curci [Memoria VII.] Essi sono originati dai raggi catodici e questi da elettroni negativi e cioè da elettricità. Anche le altre radiazioni sono derivanti da elettricità tra- sformata, onde è sempre una quella energia, la quale prende i diversi aspetti ed acquista delle proprietà, per le quali si distin- guono le diverse forme sensibili ai nostri sensi e ai nostri ap- parecchi. (1) In modo che le forme sono diverse ma la sostanza o 1’ essenza dell’ energia è una. Da quanto abbiamo esposto risulta una conseguenza assai importante, cioè quella che i raggi catodici sono ad un tempo irradiazioni elettriche (elettroni), calore e luce, vale a dire sono costituiti da energia, la quale facilmente assume le tre forme principali di elettricità, di calore e di luce, oltre alle forme se- condarie. Presumo quindi di avere dimostrato l’unità dell’energia. 4. Energia Chimica. — Ora che abbiamo veduto quali sono le forme principali ed essenziali dell’energia e quali le sue tra- sformazioni, possiamo comprendere appieno il valore della sup- posta energia chimica. Sono stati i Biologi e Fisiologi, i primi a commettere questo errore i quali, dominati dal più cieco materialismo chimico si sono formati una idea confusa e fantastica che la vita e ogni fenomeno vitale, (funzioni) fossero effetto di reazione chimica e manifestazione o lavoro di energia chimica senza sapere cosa sia. E da ciò ne è seguito la ipotesi, generalmente accetta come verità fondamentale, che in ogni funzione vitale, vi sia in ori- gine una reazione chimica, e da questa si svolga 1’ energia detta chimica, la quale generi le altre energie per la esplicazione delle funzioni o dei fenomeni vitali e che quindi è ritenuta come la sorgente principale, anzi la madre delle altre energie : energia vitale, elettrica, termica, luminosa ecc. Così il pensiero, un atto riflesso, la contrazione muscolare non sarebbero che effetto di una reazione chimica. (1) È molto probabile cbe vi sieno nel mondo irradiazioni ancora ignote. Trasformazioni delle energie 29 Questa opinione comune è completamente erronea e falsa, come risulta dal nostro studio precedente ; ed anche senza di questo, basterebbe domandare a questi Signori: quale sarebbe la causa prima che determinerebbe la reazione chimica generatrice del pensiero, dell’atto riflesso, della contrazione muscolare, della sensazione ecc. Lo stimolo, si risponderebbe, determinerebbe la reazione chimica nelle cellule e da ciò l’esplosione dell’ energia. Ma noi rispondiamo e dimostriamo che lo stimolo sviluppa 1’ e- nergia immediatamente senza l’intermezzo della reazione chimica, come tutta la Fisica sperimentale e la Elettrofisiologia e la stessa Fisiologia generale dimostrano ampiamente ed all’evidenza. Ma da quanto abbiamo sopradetto, 1’ energia che si sviluppa in una reazione chimica, è nel primo istante elettrica, la quale, a seconda le condizioni materiali del posto dove avviene la rea- zione, si svolge in tutto o in parte come corrente, come calore e come luce. Questa energia elettrica proviene dalla carica degli ioni, che questi acquistano, allorché si formano, dal calore am- biente e non da una energia accumulata nelle molecole composte, le quali, quando si formano, come sappiamo dalla congiunzione degli ioni, sviluppano come elettricità o calore e luce 1’ energia portata da essi. Perciò questa elettricità non proviene da energia accumulata nei composti, come s’è supposto,* i quali ne sono sen- za. I composti sono senza energia interna , perchè quando si formano perdono quell’ energia portata dagli ioni, e contraria- mente alla ipotesi dell’ energia chimica, quando vi è separazione di ioni o scissione di molecole vi è assorbimento di energia, ma quando vi è combinazione di ioni e formazione di molecole, vi è emissione di energia; la quale è elettrica nel primo istante, cioè è fisica, non chimica e non proviene dalla non esistente energia interna, ma da quella esterna acquistata nel momento della scissione. In molte o quasi tutte le reazioni chimiche, precede prima la scissione e la formazione degli ioni, i quali prendono dal ca- lore ambiente tante cariche elettriche quante valenze hanno, e 30 Prof. Antonio Curci [Memoria YII.J poi a questa segue immediatamente lo scambio degli ioni e la loro combinazione con lo svolgimento all’ esterno della carica acquistata nella scissione. Quando gl’ ioni nella combinazione sviluppano meno calore di quanto ne assorbono nella scissione, si hanno le reazioni en- dotermiche, come nella formazione delle sostanze organiche. Si vede chiaro che in una reazione chimica non si mani- festa nessuna energia interna accumulata precedentemente nel composto. Riferiamo un esempio concreto. Nella molecola albumina o in generale organica, si suppone accumulata l’energia del Sole, che si svolge nella cellula nell’ atto della funzione, la quale se- guirebbe all’ossidazione della molecola organica. Questo è il prin- cipio falso comune ; falso perchè non è così il vero processo ; che invece è il seguente : La molecola organica è atta ad ossidarsi perciò può coll’os- sidazione svolgere 1’ energia che gli atomi componenti acquistano nello scindersi ; cioè : le molecole organiche non hanno energia interna al pari delle altre ma in presenza di alcali minerale, che le rende conduttrici, sono attraversate dall’energia elettrica, che si svolge dalle cellule e sotto la cui influenza si scindono ; allora si formano ioni che assorbono energia dell’ ambiente, ioni sempre più semplici, tino agli atomi del C, H, S, Az. Questi ioni hanno valenze libere con cariche elettriche relative , e perciò avidi di combinarsi con ioni con cariche opposte e con- trarie, e siccome l’ossigeno si trova sempre presente, si combina ad essi, e si ha così l’ossidazione della molecola organica. L’os- sidazione ed ogni altra combinazione di ioni contrari sviluppa enorme quantità di energia elettrica, la quale si accumula nei protoplasmi dell’organismo vivente, specialmente in quello ner- voso, e serve a svolgersi per compiere le funzioni, allorché uno stimolo meccanico , fisico o chimico ne provoca lo sviluppo di essa nell’ organo senza bisogno di una previa reazione chimica. Quindi non è 1’ energia chimica non esistente nei composti Trasformazioni delle energie 31 quella che genera le energie e che produce i fenomeni vitali. Ci vuole sempre una energia precedente esterna per fare sorgere una reazione chimica, ed è in questa circostanza che si mani- festa l’ energia assorbita dagli ioni e che, quando è resa mani- festa, vi resta come calore nell’ ambiente esterno o come po- tenziale elettrico vitale nei protoplasmi viventi , per poi , ad altra prossima occasione, servire a formare la carica e a scindere altre molecole e ritornare a manifestarsi per compiere un lavoro od una nuova reazione chimica. Queste sono le trasformazioni che 1’ energia universale su- bisce nella sua eterna circolazione o nel suo moto perpetuo, in ogni organismo vivente e in tutta la natura. Nell’ ambiente se una reazione chimica avviene fuori l’influenza di un protoplasma vivente, viene prima provocata da una energia ; e poi la elet- tricità svoltasi non trovando conduttori o se non può compiere un lavoro si trasforma in calore. In tutti i casi mai si svolge energia chimica, la cui esistenza diviene inammissibile dopo gli studi splendidi della Fisico-chimica moderna. Fu chiamata affinità quella forza che fa combinare gli ele- menti fra loro, e siccome la combinazione avviene fra elementi con carica elettrica contraria, così essa non è che effetto mec- canico dell’ attrazione della materia, e questa alla sua volta è effetto della carica elettrica. Perciò anche nella suddetta proprietà, che è un pernio della Chimica, la supposta energia chimica non trova appoggio, nè ha con essa quella relazione che si è voluta ammettere. 5. Dio. — Da tutto ciò che noi abbiamo fin’ ora detto risulta, che la energia assume tre forme o stati principali : calore, corrente elettrica e luce. Le diverse radiazioni dei corpi radioattivi sono for- me secondarie di elettricità e sono speciali a data materia. I raggi X sono raggi catodici, cioè elettricità negativa o elettroni radi- anti e molto penetranti, come è noto. L’ azione meccanica non è una energia in sè stessa, come si dice, ma è un effetto di spostamento nello spazio di una data materia, prodotto da una 32 Prof. Antonio Curci [Memoria VII.] vera energia come elettricità, calore e luce. La coesione, l’ ade- sione, 1’ affinità chimica sono anche effetti meccanici dell’ at- trazione della materia, ma quest’ attrazione è data dall’ energia elettrica, come carica positiva o negativa inerente agli atomi ed alle molecole. La famosa, misteriosa e tanto decantata ener- gia, chimica, abbiamo visto, è carica elettrica. Risulta evidente da ciò che 1’ energia universale assume tre forme principali nel passare da un sistema di materia ad un altro, e propriamente corrente elettrica genera calore e luce, come calore e luce gene- rano corrente. Noi abbiamo quindi : 1. L’ energia termica come elettricità condensata, quando non trova conduttori per scorrere, che è costretta rimanere, poco atta a irradiarsi e diffondersi, penetrante più o meno qualunque corpo buono o cattivo conduttore, per cui si può paragonare ad una sostanza solida, la quale costituisce un deposito di energia condensata e impedita di espandersi, e perciò pronta a fondersi e sciogliersi (mi si permetta 1’ espressione) o a mettersi in moto per riempire il vuoto di un atomo o molecola che si scinde e si separa, cioè a formare la carica degli ioni. 2. Abbiamo energia elettrica, come corrente, che sopra un conduttore isolato è temporaneamente statica, ma in conduttore all’ infinito scorre con grandissima velocità, come farebbe un li- quido, in cerca di neutralizzarsi. Questa è paragonabile ad una sostanza liquida, la quale in corrente adatta opera fatti meccanici, fisici e chimici ; perciò è energia in moto, in lavoro, ed ha bisogno di conduttura; è pe- netrante solo dove può compiere delle scissioni e trova ioni ato- mici o molecolari. Dove incontra ostacolo, e basta una condut- tura più stretta o meno conducibile o una interruzione, acciò come un liquido subisca una specie di compressione ed una con- densazione, per cui subito si trasforma in calore e luce. 3. Infine abbiamo 1’ energia luminosa, sotto forma di onde elettromagnetiche, atte ad espandersi per ogni lato con immensa Trasformazioni delle energie 33 velocità, a somiglianza di un gas, il quale si sprigiona appena si forma e non ha bisogno di conduttura, se incontra un corpo si ridette e così lo rende a noi visibile e alla seconda ridessione essa è spenta, è assorbita tutta dai corpi, nei quali si trasforma in elettricità o si neutralizza. Dove vi è sviluppo di energia, come in una combustione, nella combinazione dell’ossigeno con il car- bonio e 1’ idrogeno (tutti tre già ionizzati) vi è sviluppo di elet- tricità la quale, non trovando conduttori, si trasforma parte in calore, cioè si condensa e vi rimane nel gas che si svolge, come anche nell’ aria e nei corpi circostanti vicini ; parte si espande istantaneamente intorno, qual gas esilissimo con immensa forza di espansione, come raggi luminosi, quelli cioè atti a trasfor- marsi in corrente negli organi visivi per produrre la sensazione psichica della visione. Vale a dire, che gli elettroni nella luce si respingono, si espandono e s’irradiano con grandissima velocità per mezzo del- l’etere cosmico o forse senza bisogno di esso, e servono a mettere in relazione gli animali con l’ambiente anche a grande distanza. Senza gli organi visivi e i corpuscoli della clorotìlla questa ener- gia, che li produce, sarebbe inutile nel mondo. Cfli elettroni nel calore, come se sottoposti ad una compressione, si condensano, acquistano una grande tensione, si muovono intorno a sè stessi con moto circolare, vorticoso, elicoide e aderiscono agli atomi ed alle molecole della materia ; diventano penetranti , atti ad essere assorbiti, poco ad essere ritiessi. Infine nella elettricità, gli elettroni scorrevoli , mobili , se trovano conduttore, si mettono in moto come le molecole di un liquido, e perciò essi sono in una condizione di movimento, intermedio fra il calore e la luce. Appunto in questo stato intermedio costituiscono 1’ energia attiva, funzionante, viva, quella che opera le trasformazioni della materia con fenomeni meccanici, tìsici e chimici, che si ammi- rano in natura ; quella che crea e anima gli organismi viventi, i quali perciò sono macchine che trasformano le energie dello ambiente in correnti elettriche interne, mediante le quali si com- Atti acc. Seri® 4a, Voi.. XIX — Mem. VII. 5 34 Prof. Antonio Curci [Memoria YJI.J piono tutte le funzioni, compresa la meravigliosa psiche animale, e che poi restituiscono all’ambiente come calore e luce; quella che riempie tutto il mondo e tutto 1’ infinito universo e che pro- duce e muove gli astri ; quella insomma che costituisce la po- tenza o onnipotenza creatrice, infinita, increata, indistruttibile, presente da pertutto, in ogni tempo, che tutto fa e tutto muove; che è negli astri, è in noi, in ogni animale, in ogni essere di qualunque natura. Insemina quella essenza creatrice, che si chia- ma Dio, Allah o Brama, Età, come si voglia, il nome non im- porta, non è che questa energia universale, che tutto crea e tutto trasforma e che si manifesta a noi come corrente elettrica, come calore e luce e come altra forma radiante con gli effetti mec- canici, fìsici e chimici della materia, e gl’innumerevoli fenomeni relativi del mondo universale. Perciò tutte le forme di energia, tutti i fenomeni in natura in noi e fuori di noi, tutte le vicende umane, sociali, politiche e religiose e quelle individuali sono manifestazioni di questa energia universale creatrice, cioè di Dio. Onde considerato così, non possiamo negare di vedere e sentire realmente ed evidente- mente che Dio esiste, è da per tutto ; negli atomi, nelle mole- cole e nei corpi viventi o non (1), e possiamo ripetere con convinzione e cognizione di causa, quale fatto vero, tangibile, sensibile, reale e naturale gli eloquenti versi di Metastasio Dovunque il guardo io giro Immenso o Dio ti vedo E qualunque fenomeno, meraviglioso che sia, è sempre feno- meno naturale, non soprannaturale, onde la metafisica entra nei limiti della natura , perchè il soprannaturale è fuori di Dio e (1) Ciò relativamente a, noi, giacché la natura col suo Dio è tutto un organismo vi- vente. Materia senza energia è inerte, energia senza materia non si può trasformare e mani- festare; perciò la natura è costituita dall’ energia colla materia o da Dio col suo creato. Trasformazioni delle energie 35 perciò non esiste. Fuori natura nulla esiste, nemmeno lo stesso Dio. La natura è infinita come infinito è anche il suo Dio o 1’ energia che la crea e la anima : e perciò oltre l’ infinito nulla può esistere ed ogni preteso soprannaturale è assurdo. Così possiamo concludere che noi siamo giunti a dimostrare scientificamente la esistenza di Dio ; quale cosa vera che vedia- mo, che sentiamo e che tocchiamo da per tutto; e perciò è vero il detto comune ab antiquo, che nulla si fa e nulla si muove, sia in bene che in male, senza il volere di Dio, cioè senza le trasformazioni fatali della energia, che noi abbiamo fatto oggetto del nostro studio. Liberatorio di farmacologia sperimentale della E. Università. Catania, Agosto, 1905. Memoria, Vili. Risultati delle osservazioni meteorologiche del 1905 fatte nel R. Osservatorio di Catania Nota di A. RICCO e A. CAVASINO Il luogo, gli strumenti meteorici, le ore di osservazione e il modo di fare le medie degli elementi osservati, sono quelli stessi adoperati nei tredici anni precedenti, e se ne trova la descrizione nella nota pubblicata nel 1898 *) , rammentiamo qui soltanto che le coordinate geografiche dell’ Osservatorio sono : Latitudine boreale 37° 30' 13", 21 Longitudine Est da Green wich . lb 0m 18S, 9 e che il pozzetto del barometro è elevato 64,9 m. sul livello medio del mare, e 19 m. sul suolo : gli altri strumenti meteo- rici circa altrettanto. I quadri H. 1, 2 e 3 contengono i risultati delle osserva- zioni dell’anno meteorico 1905 (dicembre 1904 a novembre 1905): nei primi due si aggiungono anche i valori del dicembre suc- cessivo, allo scopo di trovare nello stesso quadro i dati di tutto 1’ anno civile, e si riportano in fondo anche le medie relative a questo intervallo : come nei precedenti riassunti le temperature e pressioni barometriche non sono ridotte al livello del mare , nè queste ultime al valore normale della gravità. La media della trasparenza dell’aria (Tab. 2, colonna M) in quest’ anno è dedotta dalle osservazioni delle ore 7 o 8, 9, 15, 16 9 Ricco A. e Saija G. — munitati delle osservazioni nieteoroloqiche fatte nel quinquennio 1892-96 all’Osservatorio di Catania — Atti dell’ Acc. Gioeni.v di j scienze ; naturali:, Serie 4A) i Voi. XI. Catania, 1898. , i''i J ;,( j : H , ; 1 ) il fi . * ! ■ i S ■ '! U ■• ! iti :'m t I ■liti ) > 1 Atti ir'f Sirniir ,Ia V„i YTY Af „ r. . vfrr 1 2 A. Ricco e A. Caratino [Memoria Vili.] o 17, essendosi aggiunta una osservazione nelle ore pomeridiane a distanza dal mezzodì eguale a quella della prima osservazione mattutina. Per gli eventuali confronti si è aggiunta anche la me- dia alle ore 7 o 8, 9 , 15 , (colonna N) , analoga a quella degli anni precedenti. Nel quadro X. 1 si trovano dei singoli elementi i valori medi dedotti dal quattordicennio di osservazioni: dicembre 1891 a tutto novembre 1905, valori che consideriamo provvisoriamente come normali. Della temperatura si riportano nella seconda co- lonna i valori ridotti col calcolo al livello medio del mare : così ancora la quarta contiene i valori della pressione atmosferica ri- dotta al livello del mare e al valore g5_ della gravità alla lati- tudine di 45°. Confrontando i valori delle stagioni e dell’ anno meteorico in esame con i corrispondenti dell’ anno precedente, abbiamo ot- tenuto il seguente specchietto : Temperatura dell’ aria Pressione atmosferica ! Tensione del vapore Umidità r e 1 a t i va Evaporazione all’ ombra £ cg © c3 Se b£ o £ Nebulosità Soleggiamento Inverno. 0 —2, 4 min -4-3, 6 mm — 1, 46 -5,7 mm +0, 13 mm — 271, 6 -7,7 +0,10 Primavera . — 0, 3 —0, 2 — 0, 40 —2, 4 -PO, 39 — 76,5 + 7,0 -0, 02 Estate . -0,2 —0,6 0, 00 + 0,1 + 0, 49 — 8, 5 -1-3, 8 +0,01 Autunno + 1,4 -0,2 +0, 49 -3,2 + 1, 27 —151, 9 —4, 6 — 0, 07 Anno —0, 4 +0, 6 — 0, 35 -2,8 -+-0, 56 — 508, 5 -0,4 0, 00 Degni di nota sono, in confronto a quelli del 1904, i valori della temperatura , più bassi (specialmente quelli dell’ inverno) fino all’ autunno ; quello molto alto della pressione nell’inverno, quello basso dell’ umidità relativa e della quantità di pioggia, specialmente nell’inverno, e in tutte le altre stagioni e nell’ anno. Quanto al comportamento dei singoli mesi , è notevole la temperatura media e la minima più bassa in gennaio e febbraio; 1’ umidità relativa e la pioggia più grande in dicembre. Risultati delle osservazioni meteorologiche del 1905 eoe. 3 Passando poi a paragonare gii stessi valori con quelli medi del quattordicennio, si ha quest’ altro specchietto : 43 -r J5 'w .V £ "i ? X £ 5 Tensione del vapore 45 .— £4 o V N ^ j> li Pioggia totale » o «D £ II Soleggiamento Inverno. 0 -1,6 mm + 1,6 mm — 1, 07 —4, 4 mm +0, 13 m m — 62, 8 + 1, 5 —0,03 Primavera . — 0, 3 +0, 1 +0, 12 —0, 7 +0, 28 - 4-2 2 0, 00 Estate . -4-0, 4 — 0, 3 +0, 48 4-0, 4 +0, 62 + 8, 9 +4,6 — 0, 07 Autunno —0, 3 —0,8 —0, 35 -2,7 ,4-0, 75 — 97, 8 + 2, 5 — 0, 06 Anno -0,4 4-0, 1 —0, 21 — 1.8 + 0, 44 1 —158,9 +2, 6 — 0, 04 Le differenze generalmente sono poco forti : però la pioggia fu inferiore alla normale in tutte le stagioni (eccetto 1’ estate) e nell’ insieme dell’ anno. La nebulosità fu sempre maggiore della normale, e ciò specialmente nell’ estate. Quanto alle medie mensili in confronto alle normali , il gennaio ed il febbraio ebbero temperatura bassa, l’agosto l’ebbe alta; in dicembre l’umidità relativa fu molto forte e la pioggia abbondantissima. E da notarsi anche la poca frequenza di aria perfettamente trasparente in tutto 1’ anno. Riguardo agli estremi meteorici, fu notevole la temperatura minima dell’anno — 1°,4 in febbraio; con abbondante caduta di neve per due notti di seguito, ciò che in Catania non si era verifi- cato da parecchi anni; 1’ altissima pressione (771m,2) in gennaio, e la grandissima tensione del vapore acqueo (20mm,54) in settembre. Avendo ora 14 anni di osservazioni , abbiamo creduto op- portuno di fare anche il Quadro ]S\ 5 che dà i risultati relativi ai venti, allo stato del cielo , ecc. e gli estremi degli elementi meteorici nei medesimi 14 anni. Risulta confermata la consueta predominanza in Catania dei venti col seguente ordine Ì7E, E, W, SW ; la notevole serenità del cielo , la scarsità dei giorni con pioggia , grandine , neve , o brina, ed anche la scarsità dei temporali. 4 A. Ricco e A. Cavasino Memoria Vili.] Quadro N. 1 — 1905. c3 -4^ ©H © *C P4 p ci Medie dei massimi diurni di temperatura, dei minimi e delle escurs. O C3 2 p c3 -u> ~ E5 © © 4=> % 4=> ~ o iperatura ìi del pozzo © .1 p •£ .z ,© ® * © © © © © E, ©_ § s-s 2 © s gB *3 > *P £ © H ® M in E © r- H © © E© H © Ph 43 * ' © Dicem. 1904 0 11,0 o 14,7 0 7,8 o 6, 9 0 12,9 o 16, 1 mm 757, 6 mm 6, 91 i 66, 7 Gennaio ’905 8,1 11, 9 4,8 7,1 10, 4 15, 8 758, 7 5, 35 62, 6 Febbraio. . 8, 8 13,1 5,1 8, 0 10,2 15, 9 759,0 5, 25 58, 4 Marzo . . . 12, 9 17,2 8,7 8,5 11,7 16, 0 755, 4 7, 07 60, 5 Aprile . . . 15, 7 19,8 11,7 M 13, 8 16, 0 754, 9 8, 39 60, 4 Maggio . . 18, 4 22, 3 14, 6 7,7 15, 6 16, 1 756, 1 10, 05 61,7 Giugno . . 22, 6 26, 6 17,8 8,8 17,7 16, 1 755, 8 11, 29 53,8 Luglio . . . 26, 7 31, 1 22,4 8, 6 20, 8 16, 2 755, 7 14,60 52,9 Agosto. . . 27, 4 81,7 22. 8 8,9 22, 3 16, 3 756, 2 14, 33 50,8 Settembre . 24, 7 28,8 20, 5 8, 3 22,4 16,4 756, 9 14, 55 60, 2 Ottobre . . 18, 3 22, 4 14, 4 8, 0 19, 2 16, 2 755, 2 9, 99 60,7 Novembre . 15, 9 19, 9 12,1 7, 8 17,0 16, 2 756, 8 9, 36 66. 0 Dicembre . 12,1 15, 0 9, 6 5, 4 14, 9 16, 3 759, 7 7, 21 75, 8 Inverno . . 9,3 13,2 5, 9 7,3 11,2 15, 9 758,4 5, 84 62, 6 Primavera . 15, 7 19, 8 11,7 8,1 13, 7 16, 0 755, 5 8,50 60, 9 Estate . . . 25, 6 29,8 21, 0 8, 8 20, 3 16, 2 755,9 13, 41 52, 5 Autunno . 19, 6 23,7 15,7 8, 0 19, 5 16, 2 756, 3 11, 30 62,3 Anno meteor. 1 7, 5 21, 6 13, 6 8, 0 16,2 16, 1 756, 5 9, 76 59, 6 » civile. 17, 6 21, 6 13,7 7,9 16, 3 16, 1 756, 7 9,79 60, 3 Risultati delle osservazioni meteorologiche del 1905 eco. 5 Quadro UT. 2 — 1005. et 5 g cc 1 © 'S SOLEGGI AM EN TO TRASPARENZA ATMOSF. ■5 ■i. o -e- c P 1 ^ Ci a a P et fi 1 M Evapo all’ < 'OC tue c £ © — s o 'C . £ i dell’ aria 29 agosto 16 febbraio NE 12 19 24 16 71 'fi © E 1 7 17 6 31 Temperatura 24,° 5 5,0 4 del sotterraneo 29 agosto 16 febbraio fi « ' SE 4 3 7 6 20 cS *3 S 0 3 2 0 5 Temperatura 16,° 4 15,° 5 fi acqua del pozzo 12 settembre 10 gennaio n fi ai sw 12 11 15 5 43 & © w 19 11 5 19 54 Pressione 771, 2 743,0 £ NW 5 2 1 14 22 atmosferica 24 gennaio 9h 17 aprile 15h Tensione 20, 54 1, 69 sereni 29 22 58 29 138 | vapore acqueo 24 sett. 21h 4 febbraio 8h •- misti 35 55 30 42 162 O Umidità 100 13 coperti .... 26 15 4 20 65 relativa 15 febbr. 21h 29 giugno 15h 0 con pioggia . 36 27 20 28 ni 1 con grandine o Evaporazione 13, 34 0. 30 fi T neve .... 4 1 0 0 5 in 24h all’ombra 4 ottobre 17 gennaio © fi con nebbia . . 2 1 0 3 6 46, 8 S" Pioggia in 24h — © con brina. . , 2 0 0 0 2 1 30 ottobre © "5 SS con temporale 5 2 1 6 14 Velocità oraria del vento 40 Km. NE — e direzione 29 genu. llh 'conscariche elettriche 12 8 19 10 49 Risultati delle osservazioni meteorologiche del 1905 eoe, i Quadro ST. 4 - Medie 1802-1905. Tempe dell’ all’osser- vatorio ratura aria ridotta al mare Pres atruos all’osser- vatorio ■bone ferica riti, al ma- re e a g. 45 © © ©» ’x *© ** e -c3 > -4-3 __ ^ © © 1 ^ © O ’bb Zi O £ Nebulosità © © "3 'o X Gennaio . . 0 10,1 0 10,4 mm 757, 3 min 762,8 mm 6, 47 66, 3 mm 1 , 80 mm 80, 9 47, 5 0, 44 Febbraio. . 11, 0 11, 3 756, 5 762, 0 6* 74 65, 3 2, 08 61, 4 48,8 0, 46 Marzo . . . 12, 6 13, 0 755, 2 760, 6 7, 32 64, 3 2, 28 51, 5 47, 0 0, 48 Aprile . . . 15, 1 15, 5 755, 1 7 60, 4 8, 32 62, 7 2,70 34,8 45, 9 0,46 Maggio. . . 18, 5 18, 9 755, 8 761, 0 9, 51 57, 8 3, 48 24, 8 39, 0 0, 52 Giugno. . . 22,9 23, 2 756, l 761, 3 11, 70 53, 1 4, 52 6, 5 26, 4 0, 60 Luglio. . . 26,3 26,6 755, 9 761, 0 13, 12 49, 7 5, 55 4,4 12,7 0, 68 Agosto. . . 26, 26, 6 756, 5 761, 6 13,99 53, 6 5, 28 13, 1 16,2 0, 67 Settembre . 24, 1 24, 4 757, 1 762, 3 13, 37 59,0 4, 46 52, 4 29, 9 0, 56 Ottobre . . 20, 3 20,7 757, 0 762, 3 12, 04 66, 1 3, 09 92, 0 48, 2 0, 47 Novembre . 15, 4 15, 8 757,4 762, 7 9,53 70,1 2, 10 108, 1 53,0 0, 42 Dicembre . 11,7 12,1 756, 6 762, 1 7, 51 69, 4 1, 86 98, 3 50, 5 0,39 Inverno . . 10, 9 11, 3 756, 8 762, 3 6, 91 67,0 1,92 240, 6 48, 9 0,43 Primavera. 15, 4 15, 8 755, 4 760, 7 8, 38 61, 6 2,82 111, 1 44, 0 0, 49 Estate . . . 25, 2 25, 5 756, 2 761, 3 12, 93 52, 1 5, 12 23, 9 18, 4 0, 65 Autunno. . 19,9 20, 3 757, 1 762, 4 11, 65 65, 0 3,22 252,5 43, 7 0, 48 Il Anno . . . 17, 9 18, 2 756, 4 761, 7 9, 97 61, 4 3,27 628, 1 38,8 0, 51 Meteore acque — numero dei giorni Frequenza della calma e dei venti 8 A. Ricco e A. Cavasino [Memoria Vili.] Quadro 5 — Medie 1802-100*5. j sereni 1 misti 1 coperti .... I con pioggia . I { con grandine . (con neve. . . con briua. . . I con nebbia . . l con temporale Inverno Primavera Estate Autunno Anno ESTREMI METEOROLOGICI DEI. QUATTORDICENNIO Massimo Minimo 29 25 38 39 131 7 4 o 6 19 Temperatura 4- 41, 1 o - 1,8 dell’ aria 11 Agosto 19 Febbraio 1896 1895 9 19 16 11 OD 7 13 16 10 46 mm 111 III Pressione 772, 3 737, 7 1 5 8 3 17 atmosferica 9 Febbraio 9h 17 Genn. 9h 1903 1893 2 2 1 2 7 mm (Vi Ili 12 7 5 7 31 Tensione 21, 73 1, 07 vapore acqueo 3 Settem. 15h 18 Febbr. 21h 1902 1895 16 12 4 8 40 8 5 2 5 20 Umidità 100 4 relativa 1892, 18 Feb. 12h 26 Giugno 7h 1893, 1 Geu. 9» 1898 24 29 67 29 149 1904, 7 Geu. 9h 1905, 15 Feb. 21h 34 41 21 38 134 min mm 32 22 4 24 82 Evaporazione 18, 22 0, 08 in 24h all’ ombra 25 Giugno 27 Gennaio 33 25 9 25 92 1898 1896 1, 5 1,0 0,2 0, 8 3, 5 mm Pioggia in 24l1 175, 2 — 0, 6 0. 0 0, 0 0.0 0, 6 25 Settembre 1902 2,7 2,1 0, 3 1, 5 6,6 Velocità 55 Km. N — 0,4 0, 1 0,1 0,1 0,7 oraria del vento 22 Dicem. 21h e direzione 1904 3,2 3,7 3, 7 4,9 lo, 5 Memorisi IX, Sul moto di rotolamento Memoria 1“ del prof. G. PENNACCHIETTI Il vincolo di rotolamento puro, cioè senza possibilità di strisciamento, si esprime, coni’ è noto, mediante un sistema di equazioni ai differenziali totali, per lo più non integrabile, per il qual fatto, da più anni, si è riconosciuto che alcuni principii e procedimenti generali della meccanica razionale non sono ap- plicabili, senza opportune modificazioni, a siffatta specie di pro- blemi. I sistemi in movimento ad n gradi di libertà sono stati con Hertz (*) distinti in olonomi e non olonomi. Questi ultimi sistemi, ai quali assai spesso appartengono i corpi in rotolamento puro, hanno dato origine a importanti lavori recenti, tra cui quelli degli illustri matematici Leumann, Yierkand, Hada- mard, Caryallo, Korteweg, Appell (2), Maggi (3) e (Deb- bia (4). Quanto segue si riferisce al problema del rotolamento puro di un corpo solido sopra un corpo solido fisso e panni che nella forma spedita di tali svolgimenti possa trovarsi, se non m’ingan- no, qualche piccolo contributo alla teoria meccanica del moto ("*) Prinzipien cler Mechanik, 1894. (-) Si vegga 1’ eccellente opera di P. Appell, Traité de Mécanique Rationello, ove si trovano anche molte citazioni, t. II, seconda edizióne 1904. Si consulti anche: P. Appell, Scientia 1899, Lee mouvements de roulement en Dynamique. ( 3 ) Teoria matematica del movimento dei corpi, Milano 1896 ; Principii di Stereodina- mica, 1903, nei quali trattati la teoria dei sistemi non olonomi è bastantemente svolta e si hanno altre citazioni sul soggetto. ('*) M. Gebbia. Sulla integrabilità delle condizioni di rotolamento di un corpo solido sopra un altro, e su qualche questione geometrica che vi è connessa. Rendiconti del Cir- colo Matematico di Palermo, T. XX, anno 1905. Atti Acc. Serie 4a, Vor,. XIX — Mera. IX. 1 2 G. Pennacchietti [Memoria IX.] di rotolamento, sicché ho stimato farne oggetto della presente pubblicazione. Sia xx yi zl una terna d’assi cartesiani ortogonali fìssi nello spazio. Gli assi s’intenderanno sempre disposti in modo che un osservatore coi piedi all’ origine 0t e col capo verso zì veda av- venire dalla sua sinistra alla sua destra la rotazione di 90° con la quale si può far coincidere la semiretta 0^ colla semiretta 01?/1 ed analoga disposizione intenderemo per ogn’ altra terna d’ assi che ci occorrerà di considerare. Il centro di gravità 0 del corpo mobile si assuma come origine comune di un sistema di assi 0 x\y\z\ paralleli agli assi 0ixiyizl e del medesimo senso rispettivamente e d’ un sistema d’ assi 0 xyz fìssi nel corpo. Di- remo Yj, £ le tre coordinate di 0 rispetto agli assi 0 ixiyizi,

T3 per gli altri due assi 0 y, 0s. Ohiameremo x, y , z : xi, yì, zi le coordinate d’uno stesso punto del corpo rispetto agli assi omonimi. Le due superfìcie convesse del corpo mobile e del corpo fisso in contatto sieno rappresentate rispettivamente dalle equazioni : § I. Relazioni geometriche provenienti dal solo contatto. (1) /(*, y, ?) = 0 , (2) F (aq, yl} ZJ = 0. Le formule di trasformazione delle coordinate sono : x = ixL — §) «i + (; IJ L — ri) p4 + (z1 — Q Ti ? y — t*i £) a2 ~b (Vi — ri) P2 ~f" (zi ~ £) h i z = (xL- q) a3 + (yi - -/]) p3 -f- (zL — Q T3 /Sul moto di rotolamento 3 colle loro inverse : — £ — «i * + «2 y + «s * i Vi - ri = Pi x + P2 y + P3 2 > zi — £ = Tt * rf- T-2 3/ h z • Avendo le due superficie nel punto di contatto la normale connine, le coordinate di questo x, y , z; xv yv zi dovranno, oltre alle (1) e (2), soddisfare alle due equazioni : 3f_ K K. dx, dy, .32, ~JF ÌF_ W~ dx, 3 y, dz. (L cioè, facendo uso delle formule (3) : (5) df , df , 3^+3^“*+ di | dx. df dza> dx 1 1 1 i/ 32 3i^ 3/' , df . 3^+37'^ 3 F dz{ E_. dz Le (1), (2), (5) per mezzo delle (4) e delle formule die esprimono i nove coseni mediante i tre angoli euleriani sono quattro equazioni fra le nove quantità £, vj, S, 0, ’s>, l>, x, ?/, z. Ael caso in cui queste 4 equazioni siano tutte fra loro compatibili e distinte, potremo ottenere 1’ espressione d’ uno de’ sei parametri S, v], Z, 0, in funzione degli altri cinque e potremo avere altresì l’espressione delle tre coordinate x,y,z del punto di con- tatto in funzione di questi cinque parametri e, posto che il cor- po solido mobile non sia soggetto ad altro legame oltre il pre- supposto contatto col corpo fisso, il sistema mobile avrà cinque gradi di libertà. È pure agevole la interpretazione del caso in cui le 4 suddette equazioni non siano tutte fra loro distinte, 4 G. Pennacchi etti [Memoria IX. J ma siano bensì compatibili. Dell’ uno e dell’ altro caso seguono qui gli esempi. A) — Le due superfìcie rappresentate dalle (1) , (2) siano p. es. sferiche e tangenti esternamente, avendo la seconda il centro nel punto . Le stesse equazioni potranno assumere rispettivamente le forme : X‘ 5 -f y2 -f- s2 = R2 , x2 + y 2 + z* = R2 ; si dicano b, e, le coordinate del punto 0a rispetto 0 xyz ; si troverà col metodo ora accennato il risultato agli assi d’ altron- de evidente ; Ra Rh Re X R+R^ y R-^R{ ’ ^ R+R, ’ l/S* + r, 2 -j-Z2 = R+R, , essendo : a = — (£cq -f 7jP4 -f CTi) , b = — (c[a2 -4 riP2 + ^2) ? 0 — — (^a3 + -/Ìp3 + ^Ts) • B) — Supponiamo invece che la superfìcie fìssa sia il piano 01 xi yi , onde : 3P_0 f^_0 3®, ’ 3y, ’ (7) _3£ 3/1 3/1 02/ 32 Ti T2 T3 Il piano fisso ssi= 0 è rappresentato rispetto agli assi 0 xyz dall’ equazione : (8) Ti* + T*3' + T8s, = — Z- Poiché : ■q = sen 6 sen tp , T2 — sen ® cos h — cos ® ? (9) Sul moto di rotolamento 5 le equazioni (1) , (7) , (8) ci daranno una relazione algebrica fra 0 , 0 . Sul moto di rotolamento 7 Qui denotiamo con lettere maiuscole le coordinate correnti rispetto agli assi 0 xys rigidamente uniti alla curva e mobili in- sieme con essa. Affinchè la tangente alla curva mobile, rappre- sentata dalle equazioni : i+I(r-*) + I(Z-2)=#’ c>F d F d F sr(*— ) + s*(1 -») + aT=0’ giaccia nel piano fìsso, devono essere soddisfatte le due condi- zioni : K 3 f K dx ’ 3 y ’ dz dF dF d_l F dx ’ dy’ dz Ti ». T2 > t3 K dx ’ ^—1 ^ df .3 f . df te * + 1^+3? 2 = 0 dF di) ’ dF dy ’ dF . dF , dF tex + df 'J + Tz z Ti » To » — k delle quali la seconda è evidente conseguenza della prima e della seguente : (è) Tt x + h y + Ts 2 = — k. Abbiamo così un sistema formato da 4 equazioni che sono le (a), (6), (1) e (2), alle quali debbono soddisfare i sei parame- tri che determinano la posizione della fìgura mobile, acciocché il contatto abbia luogo. Queste 4 equazioni, supposte distinte e non contradittorie, ci daranno una relazione fra i due angoli 8 G. Pennacclxietti [Memoria IX.] euleriani 0, © e ci faranno perciò conoscere le coordinate x , ?/, ~ del punto di contatto in funzione di uno di questi due angoli . La figura mobile avrà 5 gradi di libertà. Se si aggiunge la con- dizione clic un punto connesso rigidamente colla figura mobile sia fìsso, il sistema ammetterà due gradi di libertà. Nel caso di un cerchio di raggio B col centro fìsso , prendendo gli assi Oj # , 0 nel piano stesso del cerchio e fìssi nel cerchio, si troverà : x = — P sen

l) » L/i = n + »’i K — S) -- Pi Oh — z) , VzL = Z'-^Pi (Vi — fi) - 2, K — ?) , nelle quali , qx , ri sono le componenti, secondo gli assi xiyissì^ì della velocità angolare istantanea del corpo. Se xi,yi, zl sono Sul moto di rotolamento 11 le coordinate del punto del corpo mobile che all’ istante t è in contatto col corpo fisso, si avrà: Osservando che la componente della velocitò del centro di gravitò secondo la normale n comune alle due superficie condotta pel punto di contatto, è evidentemente nulla, una di queste tre equazioni è conseguenza delle altre due in virtù delle relazioni geometriche considerate nel § I. Otteniamo così le seguenti relazioni cinematiche : una delle quali, per quanto abbiamo detto, può dedursi per mezzo della derivazione, dalla equazione algebrica tra tj, z, 0, co, c|> che si ottiene secondo il § I . Denotando con p, q, r le componenti della velocitò angolare istantanea secondo gli assi Oxyz e valendosi delle formule di trasformazione delle coordinate (§1,4), si avrà dalle (1): W j ri —Ih -Q- rL [x, — K) , \ — Pi(yi - *]), % = K* — a3y)p + M 2 + («!«/ — (CC3X — atz) q -f (cqy — a0x) r, (2) i 'r( = ~ M P + (hx ~ M 2 + (M — M r > \ Z' = — T 3y) P + (hx — Ti*) <1 + (hy — t2*) r • Siano «, à, c le coordinate del punto fisso rispetto al sistema di assi 0 xyz legati invariabilmente al corpo mobile. Si G. PennaccMetti [Memoria IX.j 12 avrà : a — — (S«4 + r$L + CTt) , b = — (^a2 -f- */]P2 -j- Ct2) , c — — (^“3 + "(IP3 + CTs) • Se queste equazioni si derivano rispetto al tempo e nei ri- sultati si sostituiscono invece di V, e;' le espressioni (2) e invece delle derivate dei coseni si pongono le note espressioni in funzione dei coseni stessi e di p, q , r, si ottengono le formule seguenti : a = q(z — c) — r(y — b), b' = r [x — a) — p (z — c) , c=p(y — b) — q{x — a), da 7, db , de -T7 , b c =-r7 . ove è posto (3) Chiamando TT la velocità del centro di gravità, si avrà dalle (2) : W2 — (x2 + y2 + z2) ( p 2 + q2 + r2) — ( xp + yq -f zrf . Se x, y , z sono assi baricentrici principali del corpo mo- bile e se A, B, G sono i momenti principali d’inerzia ed ‘m è la massa totale del corpo, la forza viva T sarà data dall’ espres- sione : (4) (x2-\-y2-lrz2)(p2-\-q2-\-r2) — {x:p-\~yq-\-zr)2 + \ {Ap2-\- Bq2 + Cr)2. Nei tre casi seguenti A), B), C ) il sistema mobile ha solo grado di libertà ed è quindi necessariamente olonomo. un Sul moto di rotolamento 13 JJ) — Consideriamo in particolare il caso del rotolamento puro di un cilindro sopra un piano (§ I, TP). Faremo uso delle formule generali : a — cos

— sen cp sen cjj cos 6, a2 = — sei) cp cos — cos cp seu c|> cos b , P — cos «p seu c}) -j- seu cp cos cj> cos G, P2 == — seu cp seu cj> -j- cos cp cos c|> cos 0, a3 = seu cjj sen 0, P3 = — cos sen 0, p — seu 0 sen cp, = sen 0 cos cp, ?3 = cos 0 , — cp' sen 0 sen <[> -j- 0' cos c[> , qL — — cp' sen 0 cos cjj -|- 6' sen cp, rA r=z cp' cos 0 cj/. Colle convenzioni e notazioni del (§ I, jF1) avremo : y = F (z) , cp =r 0, F' (z) — cot 0 , £ = — (/ sen 0 — 2 cos 0. Le prime due delle equazioni (1) diventano : 5' -j- 0' sen cj; (j/ sen 6 -j- z cos 0) — di' x sen cj> -j- cos cj> (y cos 6 — z sen 6) 0, 7j' -j- cj/ a? cos cj> -[- seu cjj ( — y cos 0 -j- z seu 0) — 0' cos cjj {y sen b s cos 6) — (h Queste due equazioni, di 1" grado rispetto ad x, devono esj sere soddisfatte per qualunque valore della x, sicché se ne de- duce dapprima cj/ = 0, cioè 4> = essendo 0 il valore iniziale di cjj. Per maggior semplicità potremo supporre cjjQ nullo, sicché per tutta la durata del movimento avremo : c}> = 0. Allora si avrà anche % = 0, cioè : 5 = ^0 e inoltre : -/)' — b' ( y sen 6 -[- z cos 6) = 0. 14 G. Pennacchietti [Memoria IX. J B) — Consideriamo il caso di un cono che rotola senza striscia- re sopra un piano. A causa delle relazioni sopra trovate (§ I, G) si avrà’ dalle (§ I, 4) : xl — Z = x (cq + a2 p + «3 a) -j- a2 (ap — b) -f a, (ac - c) , ÌJi — ri = x (Px — j— P2 p — P3 G) P-2 (a? ~~ b) + P3 («5 — c) . eL — Z = T2 (op — 6) + T3 («o— c). Dovendo le relazioni VxL = 0 , T7[/l=0 e perciò le prime due delle (1) essere soddisfatte qualunque sia x, si conclude che dovrà essere : **1 = 0- Le prime due delle (1) diventeranno perciò : + o, 0, Z, co- stituiscono un sistema di sette equazioni fra le otto quantità p, a> Z, 0, . Queste sette equazioni ci dicono che un cono obbligato a rotolare senza strisciamento sopra un piano fisso ha un solo grado di libertà, sicché la determinazione del movi- mento richiede la conoscenza di un solo parametro in funzione del tempo. C ) — Supponiamo infine che un corpo solido debba muo- versi parallelamente al piano fisso 0 1a,1?y1 e nello stesso tempo per mezzo della sua superfìcie, che supporremo convessa, rotoli senza strisciare sul piano stesso. Prendo il piano xOy parallelo al piano xfiiyi , onde : 0 = 0. La linea dei nodi rimane indeterminata, ma condotti gli Sul moto di rotolamento 15 assi 0 x{y'z{ paralleli agli assi Oix1yisi , potremo prendere la se- miretta Ox^ come linea dei nodi, onde : 4».== o. Si lia inoltre : S — Zoì essendo Z0 il valore iniziale di z. Se nel contatto non è impe- dito lo strisciamento, il corpo che qui si considera, ha tre gradi di libertà ; la condizione dell’ assenza dello strisciamento dà luo- go a due nuove equazioni e non resterà al corpo che un solo grado di libertà. § III. Equazioni del moto. Siano X, Y, Z, />, M, X le sei coordinate del sistema delle forze attive rispetto agli assi 0 xyz supposti baricentrici e prin- cipali ; siano X', Y', Z', L' , il/', N' le proiezioni sugli stessi assi della reazione del corpo fìsso applicata al punto xpj^x di con- tatto e i momenti di questa reazione rispetto agli stessi assi. Siano li, v, w, p, q, r le componenti della velocità del centro di gravità e della rotazione istantanea e finalmente denotiamo con A, B , C i momenti principali d’inerzia del corpo mobile rispetto al centro di gravità 0. Sia m la massa totale del corpo mobile. Le equazioni del moto saranno : m ^Tt qw ~~ rvì ~ x + x' > * ! m + ru ~~ — y+ Y' ’ m pv ~ ^ z > 16 G. Pennacchietti [Memoria IX.] A -)- ( C — B ) qr — L -f- L' , B^. + (A-C}rp = M + M', C Ì^ + (B- A)pq = N-\-r. Essendo nulla la velocità del punto di contatto, si avrà : u — j— qz — ry = 0, v -\ -rx — pz — 0, w -j- py — qx — 0. Inoltre si ha : Li = yZ' — zY' , M' — zX' — ; xZ\ N' = xY' — yX Se Lq , M0, JY0 sono le proiezioni, sugli assi Oxyz, del mo- mento risultante delle forze attive relativo al punto di contatto, si ha : (1) L0= L — yZ+zY, M0 — M — zX -J- xZ, N0 = N — xY + yX. Dalle equazioni precedenti, per via di eliminazione, si ot- tengono le equazioni del moto nella forma : (2) \A-\- — mx (y -f « -^) -f- {C— B) qr -f- m ( pxJrqy-\-rz)X X (yr — «2) — (qy + «0 + p {yy' -f zz) con due altre analoghe, od anche : = Ln (3) A + m (x2 -f- y2 -f- z2) ]^- _ mx {x -f y -f e -f (6Y- B) qr dt dt dt -j- m (px -)- qy -f- rz) {yr — zq — x) -]- p {xx' -j- yy' -]- zz) = L„ con due altre analoghe. Moltiplicando le (2) rispettivamente per x, y, z e sommali- Bui moto di rotolamento 17 do, si trova la seguente notevole loro combinazione, la quale può tener luogo di una di esse : (4) A dp dt ( C — B) qr — L Bd± + (A-V)r1>-M]p + + {u% + (B-A)n-v = 0. Inoltre si può osservare clie, quando esiste l’integrale delle forze vive, questo può tener luogo di un’ altra delle equazioni (2) ovvero (3) del moto. Se U è il potenziale da cui provengono le forze attive, l’ integrale delle forze vive è: (5) ^m(xz-\-yz-\-z2) (j>2— |— {— »'2) + ^(Ap2+JBr/+6V2)— ~m(xp+yq-{-zr)z— D=h. Se nelle equazioni (2) si considerano x, y , z costanti, si ot- terranno pel moto di un corpo solido intorno a un punto fisso che ha le coordinate assegnate x , y , z rispetto agli assi bari- centrici principali d’inerzia, le equazioni seguenti : A -f m ( y 2 dp do mx ( y —A dt ' dt 4- dv *-fa) + (V — B) V + m (px-\~qy + rz)x X (yr — zq) — L0 , con due altre analoghe, nelle quali equazioni devono intendersi x , y , z eguali a costanti date. Nel caso del rotolamento puro di una superficie sferica o anche di una linea sferica di raggio B sopra una superfìcie qua- lunque fìssa le equazioni (3) si semplificano, perchè si ha allora identicamente : x1 ~Y V 2 -f - zz = Rz , xx -}- yy -[- zz = 0, onde : (6) (A -j- mR2) ~ — mx (xp -]- yq' -j- zr) -j- (C — B ) qr m (px -(- qy -(- rz) x X (2/»’ — zq — x) = L0 Atti Acc. Serie 4a, Voi.. XIX — Mem. IX. 3 18 G. Pennaccliietti [Memoria IX. J con due altre analoghe. Se il corpo rotolante è una sfera omogenea soggetta all’ a- zione di una forza qualunque applicata al centro e di una cop- pia situata in un piano parallelo alla retta che unisce il centro al punto di contatto colla superficie fìssa, si avrà : A = B = C , Lx - {- My -J- Nz = 0 e la (4) diventerà : ÈP ,r i d± dt ^ dt Se di più la superficie fìssa, su cui rotola la sfera , è un piano, quest’ ultima relazione diverrà (§ I, B) : dp , dq , dr n dT^-0’ onde, osservando che si ha : pi i + 2t'2 + n' 3 = o , avremo : Ph + (lh + rh = ^ ove Jc è una costante. Quest’ integrale del problema ci offre la seguente proposizione : /Se una sfera omogenea è costretta a roto- lare senza strisciare sopra un piano fisso , sotto V azione di una forza qualunque applicata al centro e di una coppia situata in un piano qualunque perpendicolare al piano fisso, la componente della rotazione istantanea secondo la normale al piano fisso è costante. Se il corpo che è in contatto col piano fisso 0 lxiyi, è una sfera, si avrà (§ I, B): yr — zq — x = 0, zp — xr — y — 0, xq — yp — z = 0, e supponendo di più che la sfera sia omogenea e che L0 — 3f0 z=]¥0=0, si concluderà subito dalle equazioni precedenti il ri- l Sul moto di rotolamento 19 sultato notissimo : p =p0 , q = q0 , r = rQ, siocliè la rotazione avverrà uniformemente intorno a uno stesso diametro della sfera. Perciò si può supporre = 0 , qQ = 0 e quindi : c!> = 0, 6= 0O, cp r =r0t Pi = 0, qt — — r0 sen 0o , rt = r0 cos . Essendo ora : oo i = 5 , = *1 ? «i = 0 » le (§ I, 1) diveranno : = — Rr0 sen 0o , r[ — 0, = 0 , onde : c, — — Zir0 £ sen 0O , r( = 0 , oltre £ = 7?, e si concluderà die il moto del centro di gravità avviene uniformemente lungo una retta perpendicolare al dia- metro (isso della sfera intorno al quale essa ruota. Qui osserviamo che il metodo seguito dall’illustre matema- tico C. Xeumamt (*) nel problema del moto di rotolamento puro di una superficie convessa sopra un piano fisso non è esatto, per- chè si fonda sopra una non giusta applicazione del principio di Hamilton ad un sistema non olonomo, per quanto il Leumann abbia avuto per primo il grande merito di riconoscere che sif- fatta specie di questioni costituisce una classe di problemi ai quali non si possono applicare inalterati i principii classici della meccanica di Lagrange. Applicando le formule di 0. \ eum al caso tanto ovvio di una sfera pesante vincolata a rotolare so- pra un piano orizzontale si trovano formule assai più compli- cate di quelle estremamente semplici che abbiamo dato in fine (*) C. Neumann, Ueber die rolleude Bewegnng anf einer gegebenen Horizontalebeno imter dem Einfluss der Schwere ; Bericlite der Konigl. sachs. Gesellschaft der Wissenschaf- ten zu Leipzig, 1885 : Mathematiche Aunalen, B. XXVII, anno 1886 pag. 478. 20 G. Pennaccliietti [Memoria IX. J del presente paragrafo come applicazione ovvia delle formule generali. § 1 Y. Applicazione alla circonferenza. Applichiamo le equazioni del moto ad una circonferenza pesante di raggio B, che rotola, senza strisciare, sopra il piano fisso Oxiì/1, supposto orizzontale. Avremo: mR2 A = B— — — , x — R sen 9 , y = — R cos 9 , z = 0 L0 — mg (yr3 — zj9) , M0 = mg (aqq — xy3) , N0 — mg (aq, — y^) , e quindi : L0— — mg R cos c p cos 6 , M0 = mg R sen 9 cos 6 , iV0 = 0. Con sole sostituzioni si avranno le equazioni del moto nella forma seguente : (1— (— 2 cos2 9) ^ — 2seii9Cos 9^ — qr — 2 (jp sen 9—]—^ c°s cp)2 cos cp eot © — ~ cos 9 cos (1) \ — 2 sen 9COS 9^-j-(1_l_2sen29)-^=rjp-l-2(i>sen9-j-Scos9)2sen9Cot0-[_'^,seilcPCOf dv 2 = (p sen 9 q cos 9) (p cos 9 — q sen 9) . Moltiplicando la la per sen 9 , la 2a per cos 9 e sommando si ha : (2) (-^r ) sen 9 -f ( — pr) cos 9 = 0. Sul moto di rotolamento 21 Risolvendo le stesse equazioni rispetto alle derivate di p, q, , r, si lia : 3 _ qr( l-J-2 se li'2 cp)-f-2 sen cp cos cp||»' — 2 (p sencp-j-gcoscp)2 cos cpcot 6— ^coscpcos (5, 3 d~=pr (1— (— 2 cos2 cp) — 2 sen ? cos cp. gr-j-2 (p sen cp-f-g cos cp)2 seu cp cot 0 -f- ^sen), dalle formule : x = — E sen co , y = — R cos co , z = — a, 'C, = a cos 6 -j- E sen 6 . Si sostituiranno questi valori nella 3a delle (§ III, 2) e nella (§ III, 4) e si esprimeranno le />, q , r mediante le p , q , r , co- me si è fatto nel § precedente. Si osserverà inoltre che dalle formule (§ IV, 5) e dalle seguenti : (q Carvallo, Théorie du mouvement du monocycle et de la bicyolette, Mém. couronnd par V Academie des Seieuces, Prix Foiirneyron, Iournal Polyteelinique, 1900. § V. spigolo vivo sopra un piano orizzontale fisso. p — cp' seu 0 sen co -j- 6' cos cp , q = cji' seu 6 cos cp — 6' sen co , r ■= ò' cos 0 -j- cp' Sul moto di rotolamento 23 si trae : (1) p — c|/ sen d , — — 6% r' r= <[>' cos 6 — {— cp' . (2) (3) Si ottengono così le due equazioni : mRa — {G -j- mR2) ^ -j- mRp ( a cot 0 -(- R) = 0 , AR% + Ga% = R(I (AP cot d — Gr') . L’ integrale delle forze vive è : (4) m {R-\-a2)(p'2-\-qz^-r'2)—(ar'-^Rp')2 j + .y [ Y/2+S'2)+ Or'2 j Gr'2 =h. È facile verificare che i risultati precedenti equivalgono in- tieramente a quelli dati da P. Appell (*) nella Memoria in cui è trattato il problema precedente. Basta porre nella (2) m~ 1 e inoltre sostituire alle nostre notazioni

, a, — c come pure, per cambiamento di senso di assi, a p , q , r rispettivamente — p , — q, r, per vedere che le (3), (2) sono rispettivamente identiche alle equazioni (d) pag. 5 della citata Memoria di Appell, alla quale rimandiamo per la elegante ap- plicazione delle serie ipergeometriche nel caso di a = 0 che è quello del cerchio. § YI. Corpo solido omogeneo pesante di rivoluzione sopra un piano orizzontale. Seguendo le notazioni del (§1, C ), si ha: X— — p sen cp , y — — p cos cp , z — F (p) , F' (p) — tan 0 , Z = p sen 6 — F (p) cos 6 . O Appell, Sur 1’ intégration des équations dii nionvement d’ un corps pesant de ré- volution roulante par line arète circnlaire sur un pian liorizontal ; cas particulier du cercali. Rend. Ciro. Matem. di Palermo, t. XIV. anno 1900. 24 G. Pennaccliietti [Memoria IX.] Facendo le sostituzioni come nel § precedente, si giunge al seguente sistema di equazioni differenziali : la 3a delle quali è 1’ integrale delle forze vive. Siccome p e z si conoscono in funzione di 6 , le prime due delle equazioni (2) 'ci daranno p , r in funzione di 6 mediante la integrazione di un’ equazione differenziale ordinaria lineare del 2° ordine, dalla quale, oltreché da quadrature, dipenderà la soluzione completa di questo problema che è una generalizza- zione di quello svolto nel paragrafo precedente e sul quale si trova una sommaria indicazione in fine della citata Memoria di Appele. Catania 21 Novembre 1906. (2) m (p 2-\-z2) {p2-\- Prof. G. Lopriore [Memoria. X.| conseguenza forse della reazione troppo immediata, disordinata- mente 1’ una all’ altra. Con l’utilità evidente di siffatte reazioni del sistema mec- canico contrasta però il fatto, biologicamente poco spiegabile, che i cordoni di sclerenchima nel libro delle radici di fava si avvol- gano quasi interamente con un parenchima di elementi concen- trici ai cordoni e distesi tangenzialmente agli stessi, come il Ber- trand (i, p. 3) descrive per le superfici libere od isolanti. Quanto alle altre reazioni, se non sempre emerge l’ utilità dei movimenti traumatropici, è chiara invece quella delle rea- zioni successive, intese a difendere i tessuti interni ed a ristabi- lirne la funzione. Così il sughero, la gomma e la resina di difesa sono prodotti di azioni traumatiche, che per la loro po- sizione periferica hanno fin qui meglio fermala l’attenzione. L’ importanza loro dal punto di vista biologico è nota. Op- ponendosi all’entrata dell’aria e dell’acqua, prestano efficace di- fesa ai tessuti sottostanti, messi improvvisamente a nudo. Il cosiddetto legno di difesa risponde aneli’ esso mirabil- mente al suo ufficio, grazie all’ impermeabilità per l’aria e per l’acqua ed al peso specifico maggiore. [Fisiologicamente ed anato- micamente esso non è altro che durame formatosi precocemente per la difesa dell’ alburno. Agenti esterni. Per quel che riguarda l’azione degli agenti esterni, un’impor- tanza grandissima esercita la temperatura, importanza, che, rilevata prima da me (Lopriore ii, p. 208) venne poi confermata dagli studi successivi del Simon (i, p. 127) e del Némec (i, p. 272). Così, importa, dal punto di vista biologico , che 1’ ottimo di temperatura per la rigenerazione coincida con quello per lo accrescimento e che temperature basse, le quali ancor permet- tono l’accrescimento, ritardino la rigenerazione, senza però so- spenderla del tutto od almeno arrestare quei processi interni che ne preludiano l’inizio. Note sulla biologia dei processi di rigenerazione delle Cormo fite , eco. ( Non meno importante è il fatto che in radici situate in- versamente, cioè con F apice rivolto in su , la durata della ri- generazione si prolunghi di poco oltre l1 ordinario e che la pi- leoriza si conformi diversamente, pur potendo riprendere la for- ma consueta non appena la radice vien rimessa in posizione normale. Tutti quei mezzi meccanici che ritardano F accrescimento , ritardano pure la rigenerazione. Radici ingessate conservano il potere rigenerativo tino a quando conservano la vitalità. Questo limite, variabile, com’ è da aspettarsi , nelle diverse piante , è per le radici di fava di 7, per quelle di mais di 14 giorni. Le stesse radici, decapitate e rinchiuse in cubi di argilla , si rige- nerano normalmente in 3 giorni. L’ importanza biologica di questi risultati, così evidente per sè stessa, rifluisce pur nella pratica, se si pensa che in terreno argilloso, molto compatto, le radici vengono spesso arrestate nel loro sviluppo od anche stirate e dilacerate, come quello, dissec- candosi, si screpola o si fende. I mezzi chimici finora tentati, per studiare sui processi ri- generativi specialmente F azione anestetica , sono F etere ed il cloralio. I risultati relativi , per quanto importanti dal punto di vista fisiologico, lo sono meno da quello biologico, in riguar- do particolarmente alle condizioni naturali di vegetazione. Così in acqua col 3/4 % di etere le radici di mais compiono con normale rapidità la rigenerazione loro, pur mostrando un note- vole ritardo nell’ accrescimento in lunghezza (Simon). Inacqua doralizzata, invece, tanto la rigenerazione quanto F allungamento subiscono un notevole ritardo, mentre il nuovo cono vegetativo non sospende F allungamento, come il Simon ha osservato nelle colture sopra cennate. Oltre che sui veri processi di rigenerazione , Fazione del- F etere venne anche tentata dal Goebel (i) per promuovere nel Bryophyllum la formazione di germogli fogliari. L' effetto ne è anzi così pronto , che questi si mostrano già dopo un giorno, 8 Prof. G. Lopriore [Memoria X.J per quanto d7 altra parte i vapori di etere danneggino le foglie, facendole perire insieme agl7 inizi dei nuovi germogli. Effetti non diversi produce I7 etere , anticipando la schiusa delle gemme coll7 abbreviare il loro periodo invernale di riposo. Il suo impiego nelle colture forzate tende, anzi, a divenire una pratica abbastanza diffusa di giardinaggio. Quanto alle condizioni esterne che promuovono la nutri- zione, è ovvio che la rigenerazione si compie tanto più rapida- mente quanto meglio favorita da un abbondante trasporto di materiali plastici. L’accumulo di questi nella regione che sta per rigenerarsi esercita un’influenza notevole sull7 intensità del pro- cesso rigenerativo, specialmente se azioni favorevoli vi cooperano. Biologicamente importante è però il fatto che , in conse- guenza dello stimolo traumatico , la pianta moltiplichi la sua attività fisiologica e quindi le sue risorse materiali , trionfando anche sulle condizioni esterne poco favorevoli alla nutrizione. In correlazione con questo fatto sta forse quello della gran- de rapidità con cui si svolgono i processi di rigenerazione, po- tendo i nuovi coni vegetativi formarsi già in due o tre giorni. Correlazioni. Le correlazioni, che si destano in conseguenza di stimoli traumatici, sono di natura strutturale o funzionale, per quanto difficile sia distinguere l7 una dall7 altra. Esse si rivelano o sul- l7 organo stesso colpito dal trauma oppure su organi diversi , prossimi o lontani, « potendo uno stimolo risentito da un7 in- dividuo in un determinato punto produrre i suoi effetti in altra parte del medesimo ». (Beccari i, p. 537). Biologicamente vantaggioso per la pianta sarebbe il posse- dere un certo grado d7 indipendenza fra sistema aereo e sotter- raneo, dimodoché uno stimolo prodotto sull7 uno non determini un ritardo nell’altro, fino a che questo non sia rigenerato. Le prime ricerche, in tal senso condotte dal Kny (i) mediante la soppressione ora dell7 asse epicotileo ora di quello ipocotileo, Note sulla biologia dei processi di rigenerazione delle Cormofite eco. 9 mostrarono infatti un alto grado d’indipendenza dell’uno dal- l1 altro, sicché la decapitazione dell’ uno non ritardava 1’ accre- scimento dell’ altro. Questo fatto, messo in evidenza per piante di mais e di fava provenienti da semi, non ha trovato conferma in esperienze successive condotte su tralci di vite vergine e di salice. In questi la soppressione dei germogli produce un note- vole ritardo nello sviluppo delle radici e viceversa (Kjsty ii, p. tus). Correlazioni non meno importanti ho potuto osservare in piantine di fave private, per decapitazione, della pluinula. Al- l’ascella dei cotiledoni si formano in tal caso fino a tre germogli laterali. 1 cotiledoni inverdiscono prima ancora di esaurire i materiali di riserva e perdurano più a lungo sulla pianta. Sebbene fra i germogli cotiledonari persistano più tardi rap- porti molto evidenti di gerarchia, relativi al tempo della forma- zione, sicché non tutti raggiungono lo stesso grado di sviluppo, è certo biologicamente utile che la pianta reagisca alla decapi- tazione, moltiplicando il numero dei futuri capi. Il fatto, però, di non aver mai osservato dopo la decapita- zione la tendenza a fasciarsi sia nelle radici laterali di fagiuolo che nei germogli cotiledonari di fava, lascia credere che il di- fetto di concomitanza del fenomeno sul sistema epi- ed ipogeo della stessa pianta sia dovuto a ragioni di costituzione interna, che forse meritano di venir meglio indagate. La decapitazione del tìttoncino provoca lo sviluppo delle radici laterali con tanto maggiore intensità quanto più preco- cemente eseguita. A 3 cui. di distanza dal piano d’inserzione dei cotiledoni si formano in media 10 radici per ogni centimetro di lunghezza del fittone, a 5 chi. se ne formano 7 ed a 7 cui. appena 5. Sotto 1’ enorme sviluppo delle radici laterali, 1’ antico fittone quasi scompare, sicché il sistema radicale arieggia quello delle radici fascicolate delle monocotiledoni. Su queste correlazioni non insisto più a lungo , rientrando esse piuttosto nei fenomeni di sostituzione che in quelli di ri- generazione , rilevo , però , il fatto che le azioni traumatiche Atti acc. Stori k 4% Vor.. XIX — Meni. X. J Prof. G. Lopriore [Memoria X.] IO hanno spesso 1’ effetto di rendere palesi caratteri latenti. Così mentre le radici laterali fasciate si riscontrano normalmente su fìttoni interi di fava nella proporzione dell1 8 °/0, su quelli de- capitati alla distanza di 3, 5, e 7 cm. dal piano d’inserzione dei cotiledoni si riscontrano rispettivamente nella proporzione del 37, 26 e 15 %. I risultati del Kny, relativi agli effetti ritardatari prodotti dalla soppressione dell’un sistema sull’ altro, vennero da Franz Hering (i) confermati, seguendo 1’ inclusione in gesso ora degli organi aerei, ora dei sotterranei. Con questo processo gli organi rimangono, invero, sotto lo stimolo continuo del protratto ac- crescimento, stimolo ben diverso da quello traumatico e che, una volta cessato, promuove senz’altro l’accrescimento tino al- lora sospeso. Ad ogni modo 1’ importanza biologica di poter ri- prendere e continuare in misura più rapida dell’ ordinaria il so- speso sviluppo è abbastanza grande. La pressione può condurre a correlazioni non diverse da quelle prodotte dalla decapitazione. Così la formazione di radici laterali su fittoncini sottoposti a pressione si trasporta , in ra- gione dell’ intensità dello stimolo, dalla base all’ apice di questi, traslocandosi in senso inverso non appena cessa la pressione. Ma se, per numero e peso, le radici laterali sottostanno a quelle di piante normali, biologicamente si rendono utili sia per la ten- denza a formarsi sull’ asse epi- ed ipocotileo, sia per la capacità di raggiungere in breve, cessato che sia lo stimolo, dimensioni in lunghezza e spessore financo 1/3 maggiori delle normali. Steli di fava con fìttoni sottoposti a pressione si sviluppano dapprima così bene se non meglio dei normali, ma non tardano dopo qualche tempo a risentirne sfavorevolmente. Questi risultati, biologicamente spiegabili, ma non sempre, nello stesso senso, utili alla pianta, conseguiti dal Kòhler (i) per mezzo della pressione, vennero da me confermati, in assoluta in- dipendenza da essi, sia per mezzo della pressione che della de- capitazione e incisione radiale. Note sulla biologia dei processi di rigenerazione delle Cormofite , eoe. 11 Riguardo all’incisione radiale, l’osservazione da ine fatta che Httoncini feriti lateralmente alla punta possono partire e rige- nerare F apice come per effetto d’ un taglio longitudinale, m’in- dusse a tentare se 1’ incisione radiale possa condurre allo stesso risultato. Confermata sperimentalmente questa idea, trovai che anche la pressione, da me invano tentata per promuovere la fasciazione delle radici, può condurre allo stesso risultato. Il Kòhlek (i, p. 23) ha infatti osservato che se un fittone di fava, stretto fra due lastre di vetro convergenti ed ingessate, non può ad onta dell’appiattimento proseguire il suo cammino ed at- tingere maggiore profondità, scinde il suo corpo fibro-vascolare, già tanto schiacciato, in due o più altri di forma quasi cilindrica. Questi, dopo di essersi isolati, possono fondersi per ricosti- tuire il corpo primitivo, che a sua volta può scindersi di nuovo e ripetere ancora la detta vicenda. Siffatto comportamento, men- tre prova la grande plasticità della radice, si svela d’ un’ impor- tanza biologica grandissima, nel caso che la radice partisca ef- fettivamente il suo apice. La bipartizione di questo sarebbe in tal caso preceduta e favorita da quella del corpo libro- vascolare. La formazione di più coni vegetativi, capaci di fondersi op- > pure di crescere isolatamente, è certo biologicamente vantaggio- sa, se si pensa che nel terreno la punta dei ffttoncini subisce azioni traumatiche d’ ogni sorta. Ma se i due coni provenienti dalla rigenerazione di un apice fenduto, vengono nel terreno a contatto, possono fondersi e ricostituire un cono unico. Questo fatto, da me prima osservato, poi confermato per altra via dal Kòhler e dal Simon, se prova la grande plasticità della radice, dimostra che la tendenza, promossa dal geotropismo, a ri- costituire un apice unico torna biologicamente utile alla radice nel lavoro di penetrazione attraverso il terreno. Radici aeree di Pandanus con apice fenduto ed in via di rigenerazione presentano i due coni rigenerati, 1’ un dall’altro divisi finché si sviluppano nell’ aria, ma come attingono il terreno, fondono gli stessi per ricostituire un cono unico e potervi più facilmente penetrare. 12 Prof. O. Lopriore [Memoria X.] Siffatta tendenza è provata ancora da un esperimento inge- gnoso del Simon. Se nel pleroma d’ una radice decapitata si introduce un tubetto di vetro in modo da farne rimaner fuori l’estremo, del pleroma si rigenerano lobi staccati, die, ricongiun- gendosi all’apice del tubo, ricostituiscono un sol cono vegetativo. Nelle correlazioni finora accennate non è sempre agevole il distinguere dal carattere strutturale quello funzionale, poiché i cambiamenti anatomici sono determinati da quelli fisiologici. Fra le correlazioni in cui prevale il carattere anatomico sonò da contarsi quelle in cui gli stimoli si trasmettono a distanza. In radici di fava e di mais ho potuto spesso osservare che, per effetto dell’ incisione longitudinale non ledente il cilindro cen- trale , lo stimolo ripercuotessi in direzione diametralmente op- posta sino a promuovere qui la formazione di radici laterali. In qualche caso, però, la struttura del cilindro centrale è così eccentrica da far pensare a perturbazioni profonde nelle condi- zioni trofiche della radice, riflettentisi anche in quelle laterali. Al riguardo il tessuto midollariforme molto sviluppato ed omogeneo delle radici di mais deve contribuire a trasmettere più facilmente gli stimoli da un punto all1 altro della radice. A questo genere di correlazioni sarebbe pure da riferirsi la scliizostelia, più facile a verificarsi nel fusto che nella radice, stante la natura diversa, nonché la disposizione là periferica , qui centrale dei fasci tìbro-vascolari. L’ utilità biologica della schizostelia, quando ogni cordone stelico non si avvolga d’ un mantello proprio di corteccia, panni, però, molto dubbia. Era le correlazioni meno dirette, ma non meno importanti, accennerò quelle rilevate dal Lindemuth (i) e dal Mattinolo (i). Il primo, tagliando alla base gli assi fiorali di Lilium can- didimi e Laclienalia luteola e tenendone il piede immerso in acqua, otteneva semi normali, come d’ordinario non si hanno in natura. Impedendo la formazione dei semi, mediante 1’ estirpazione dei fiori, promuoveva in basso quella di bulbilli. Nei giacinti, invece, compiendosi normalmente la granificazione, i bulbilli si forma- vano in alto. Note sulla biologia dei processi di rigenerazione delle Cormofite, eoe. 13 Il Mattinolo riusciva, anche per mezzo dell’ estirpazione dei fiori, via via che si formavano, a prolungare di molto la fio- ritura della fava ed a provocare la cauli fio ria. Rinviando alle spiegazioni, da me offerte altrove (vi, p. 271) su questi fenomeni correlativi, panni specialmente importante il fatto, fin qui non rilevato ma chiedente ancora più estesa confer- ma, di potere sperimentalmente produrre la caulifìoria mediante azioni traumatiche. Ora se si pensa che queste in natura possono compiersi nei modi più diversi, s’ intende F estensione grandis- sima che possono assumere nell’ indurre la caulifìoria , offrendo una spiegazione più completa e soddisfacente di questo fenomeno. Se le stesse cause possano provocare la scapiti ori a, stan- no per provare alcune mie esperienze in corso. Movimenti traumatropici. Ho affermato che F utilità dei movimenti traumatropici non sempre lasciasi biologicamente intendere. Mi permetto ora di ritor- nare sull’ argomento, per meglio chiarire alcune osservazioni mie e commentare altre più recenti dello Spaldlng (i) e del Bulìns (i). Se si fende il cono vegetativo d’ una radice o d7 un fusto e se in conseguenza le due metà divaricano fra di loro , volgen- dosi in fuori ad arco, non è certo con l’esporre all’esterno una così larga superfìcie di ferita ch’esse provvedono alla rigenera- zione in modo più sicuro di quanto avverrebbe se rimanessero a combaciare fra di loro. E se più tardi, allungandosi, si avvolgo- no a spira od a nodo intorno a sè stesse, come non di rado mi è occorso (li, p. 224) di osservare per radici aeree o crescenti in soluzione acquosa, esse rivelano in modo ancor più manifesto F inutilità di simili movimenti. Ma se, astraendo da comporta- menti così poco naturali per quanto ovvii alla mia esperienza , ne osserviamo altri più facili a compiersi in natura, come p. es. quelli di fìttoli cini incisi radialmente, le curve traumatropiche avrebbero forse F utilità biologica di rimuovere dalla causa tran- 14 Prof. G. Lopriore [Memoria X.J matica (meccanica o chimica) la parte del fittone, che sovrasta alla ferita e che perde tanto più della sua capacità rigenerativa quanto più s’approssima alla base. Ohe tali curve possano in realtà compiersi nel terreno, spe- cialmente se troppo compatto, così come in segatura di legno, è però da mettersi in dubbio, dopo che le osservazioni dello Sfal- dino e quelle più recenti del Burn»s hanno dimostrato che i mezzi meccanici (inclusione delle radici in gesso o introduzione in tubi di vetro) rendono impossibile il compimento loro. Anche il geotropismo tende già 24 ore dopo l’ avvenuto trauma a neutralizzare, secondo il Nèmec, il traumatropismo, ri- ducendone 1’ intensità o limitandolo alle parti più giovani. L’ inclusione in gesso, se non permette le curve traumatro- piche , non le estingue però del tutto, potendo esse esplicarsi, dopo che le radici vengono liberate dall’ invoglio di gesso, tino ad otto giorni dopo 1’ inclusione. Con 1’ altro mezzo meccanico , per cui radici lateralmente ferite vengono introdotte in tubi di vetro , che, senza impedire 1’ allungamento, impediscono il compiersi delle curve traumatro- piche, lo stimolo traumatropico non si estingue ina rimane at- tivo, traducendosi in curve evidenti, non appena le radici escono con l’apice dall’altro estremo del tubo. Cessata V influenza dei mezzi meccanici, la reazione si com- pie con pari intensità, per impulso sia della vecchia che d’nna nuova ferita, praticata uniformemente a ino’ d’incisione anulare. Ma molto più che dall’azione ritardatrice dei mezzi mecca- nici, l’ intensità delle curve traumatropiche viene affievolita dalla bassa temperatura. Così radici ferite continuano ad allungarsi a 4-7° C. senza mostrare curve traumatropiche, portate invece a 18-21° C. incurvano tutte 1’ estremo dopo 24 ore. L’ intensità delle curve è però meno sensibile rispetto a quella di altre ra- dici, che, ferite allo stesso modo, vengono ingessate, poi liberate dopo alcuni giorni dall’ involucro e portate in segatura di legno. A limitare l’ importanza biologica del traumatropismo sta Note sulla biologia dei processi di rigenerazione delle Cormofite, eco. 15 il fatto , osservato dal Xèmec, die lo stimolo traumatropico si trasmette soltanto fino ad una determinata distanza dalla ferita e die la curva traumatropica rimane dapprima limitata nella zona di accrescimento più vicina all’ apice, accentuandosi però, col tempo, più verso la base che verso l1 apice. Le curve traumatropiche, estinguendosi dopo le 24 ore che susseguono al trauma, non procedono di conserva con la rige- nerazione. L’affermazione, quindi, del Buttisrs che ferite laterali esercitino uno stimolo continuo per l’induzione di curve trauma- tropiche, il quale dura tino a che le radici non siano rigenerate, va intesa dal Nèmec nel senso che lo stimolo traumatropico scompare prima della completa rigenerazione e , invero , quasi contemporaneamente all’ iniziarsi dei processi specifici di rige- nerazione o di cicatrizzazione. Così radici incise obliquamente , rigenerantisi quindi prima di quelle incise trasversalmente, estin- guono anche prima le loro curve traumatropiche. La tendenza nei filatici ni di sèmi in germinazione a perforare il terreno con la piumetta volta ad uncino, allo scopo biologico di proteggerne il cono vegetativo, se potesse essere riportata in conto dello stimolo traumatropico esercitato dal terreno, troverebbe forse una spiegazione biologica più soddisfacente. Ma, astraendo dal fatto che spesso la piumetta mostra già fra i cotiledoni del seme in riposo una conformazione rispondente a quella che adotta più tardi, diffìcile è spiegare, perchè i germogli di fava, formatisi nel- l’ascella dei cotiledoni in conseguenza della soppressione dell’ asse epicotileo, conformino ugualmente 1’ apice ad uncino. Questa tendenza, da me spesso osservata, sorprende tanto più in quanto esplicasi su piante allevate in colture acquose , i cui semi posano, non entro terra, ma su reti di filo , su lastre di vetro o di sughero. Biologicamente essa è così poco spiega- bile come 1’ altra dei germogli ascellari dei cotiledoni del Plia- seolus multijlorus, prodottisi in modo identico a quelli di fava, a presentarsi fasciati ed a strisciare lungamente sul sostrato, pri- ma di divenire eretti. 16 Prof. G. Lopriore [Memoria X.] Rigenerazione delle foglie A differenza di fusti e radici, le foglie delle fanerogame mancano della capacità di rigenerarsi, essendo più vantaggioso per la pianta affrettare la schiusa delle gemme anzi che rappez- zare foglie rotte, forate o contuse. Questa spiegazione, non sperimentale ma teleologica, offerta dal Weismanx, risponde al vero, con la sola restrizione che le foglie succedenti si a quelle distrutte da insetti o da crittogame sfruttano, con danno non lieve, le riserve plastiche della pianta, come per es. avviene per effetto delle infezioni peronosporiche. Il Wejsmanx (i) pensa che « per la pianta sarebbe di un vantaggio minimo il richiudere fori nelle foglie, possedendo sen- z’ altro la capacità di emettere nuove foglie. » Ora in foglie di Monstera pertusa , caratteristiche per la presenza di fori abba- stanza grandi ed ineguali, io ho provato con un foratappi a pro- durne altri , meno per constatarne la chiusura che per seguire la rimarginazione dell’orlo. Ma questa, mentre è così facile nei fori naturali , in cui 1’ orlo si distingue appena da quello peri- ferico della lamina , non si compie affatto nei fori artificiali , che, suberificando gli elementi periferici, si delimitano con una aureola color ruggine. Oggi ancora, dopo quattro anni dacché furono praticati, non si sono estesi nè per necrosi ulteriore del tessuto limitrofo . nè per macerazione della lamina promossa artificialmente. Sorprende , ad ogni modo, il comportamento di queste foglie, che, pur persistendo parecchi anni sulla pianta, non curano nè la chiusura , nè la rimarginazione dei fori , di- versamente da quanto fanno gli assi aerei di piante vivaci nel tendere con vicenda costante alla chiusura di quei fori , che, a ino’ di cingoli e per attività del cambio, sormontano le ferite delle parti adulte, in conseguenza dell’ asportazione di rami. Siffatto comportamento si spiega con la mancanza nella foglia Note sulla biologia dei processi di rigenerazione delle Cormofite , eco. 17 di meristemi, capaci di rigenerare i tessuti lesi. Per questa ra- gione non mi è riuscito di osservar mai foglie rigenerate, spe- rimentando sulla rigenerazione degli apici di fusti spaccati. Non- dimeno lamine e picciuoli, colpiti dal taglio , tendono in certo modo a regolarizzare i contorni, assumendo, ad onta della strut- tura asimmetrica, un aspetto quasi normale. Il difetto di rigenerazione è largamente compensato in alcu- ne piante dalla proliferazione o formazione d’individui agami. Fig. 1. Nymphaea stellata Willd. var. bulbillifera. Foglia clie alla base della lamina produce una nuova pianta con numerose altre foglie (che ripetono la stessa vicenda), radici e gemme liorali. */2 Grand, nat. (dal Ross) Questa tendenza è specialmente grande in quelle piante, in cui, mancando un conno evoluto, le foglie tendono a sostituir- visi, acquistando una grande egemonia di sviluppo. Così nella Nymphaea stellata var. bulbillifera alla base della lamina ed alla pagina superiore, nel punto in cui i nervi convergono insieme, Atti acc. Serie 4a, Vol. XIX — Meni. X. 3 18 Prof. G. Lopriore [Memoria X.J si forma una gemma, capace di produrre una nuova pianta con numerose foglie, radici e gemme fiorali. Il Ross , da cui riproduco la figura 1 e che ringrazio per la cortese concessione della riproduzione galvanica, ha osservato che la formazione di tali gemme si verifica specialmente in au- tunno, quando la pianta concentra le sue riserve plastiche, ma che il loro germogliamento si compie in estate o sulle foglie più esterne morenti o su quelle recise. La tendenza a formarsi alla base della lamina è dovuta , secondo Goebeb, al fatto che là convergono i fasci conduttori, destinati al trasporto dei materiali plastici. In foglie di altre piante ( Bryopliyllum , Begonia) le gemme si formano alla peri- feria della lamina in condizioni biologiche rispondenti alla vita di quelle ed atte ad assicurare la moltiplicazione loro. La sostituzione di bulbilli a semi in alcune piante fluvio- lacustri dell’ Amazzonia avrebbe un’ importanza biologica non diversa da quella dianzi accennata, servendo i bulbilli, secondo Buscalioni (i), a moltiplicare la pianta più rapidamente dei semi, non appena attingono il terreno melmoso e vi radicano a somiglianza di quanto fanno le mangrovie. Oasi di vera rigenerazione fogliare sono stati osservati dal Goebel (ii p. 485), dal Pischixger (i) e dal Pigdob (i) nei due generi di Gesneriacee, Monopliyllaea e Streptocarpus , sottogenere Eu-Streptocarpns con specie ad una foglia sola, gruppo « Uni- foliati » del Pritsch (iii, p. i58). Per intendere il particolare comportamento di queste foglie, occorre premettere eh’ esse rappresentano nell’ Eu-Streptocarpus quasi i soli organi vegetativi provenienti dai cotiledoni, di cui uno solo sviluppasi prevalentemente per differenziazione del uieri- stema sito alla sua base. Questo, proliferando, permette un vero accrescimento secondario, producente una nuova lamina, che s’ interpone fra base ed apice del cotiledone e che, mentre perde i caratteri embrionali, acquista quelli d’ una vera foglia caulina. La differenziazione, compiendosi in quello soltanto dei cotiledoni, Note sulla biologia dei processi di rigenerazione delle Cormofite ecc. 19 che è dotato di meristema basale, produce un’anisofillia spicca- tissima, accentuando la già notevole diversità iniziale di gran- dezza dei cotiledoni, di cui il picciuolo suol rimanere rudimentale. Foglie diverse dalle embrionali per forma, grandezza e pre- senza di picciuolo possono non di rado formarsi, originandosi da quell’internodio dell’asse principale, intercalato, fra epi- ed ipo- cotile, che dal Eritsch (i, p. 98) fu denominato « mesocotile » e che suol formare anche radici avventizie, in difetto di qual- siasi accenno di una radichetta embrionale. Altra particolarità importante che .determina , secondo me, la capacità nelle foglie a rigenerarsi, è il difetto assoluto di una plumula, cioè di un cono vegetativo emergente fra i cotiledoni dall’ apice del mesocotile, difetto, che riscontrasi oltre che nello Streptocar finis, nella Rlugia zeylanica ( K . Notoniana dei giardinie- ri) e probabilmente nella Iioettlera liamosa (Eritsch, iii, p. iss). Un comportamento quasi identico mostra la Monophyllaea Horsfieldii , senonchè, rispetto alle specie unifoliate dello Strep- tocarpus , essa presenta non un mesocotile, ma un ipocotile, che persiste e sviluppasi più tardi in uno stelo evoluto. Date queste particolarità anatomo-biologiche delle due Gres- neriacce, 1’ asportazione nello Streptocarpus del cotiledone gran- de, di quello cioè destinato a servire come organo assimilatore, promuove la rigenerazione dello stesso , sia che il meristema basale venga asportato per intero coll’ embriofìllo, sia che ri- manga in parte. In quest’ultimo caso il meristema, proliferando, rigenera la foglia , compiendo quell’ accrescimento, che avrebbe compiuto anche senza 1’ asportazione della lamina cotiledonare. Nell’altro caso vi è rigenerazione (l’un a lamina fogliare a spese del callo, rigenerazione, che il Pischhstger ritiene come vera, a differenza dell’ altra, che non sarebbe tale. La nuova lamina si forma sul mesocotile in continuazione diretta del moncone rimasto ed in conseguenza dell’attività del callo, che origina un nuovo meristema. Questa rigenerazione corrisponderebbe alla par- ziale, l’altra alla diretta del Simoist. 20 Frof. G. Lopriore [Memoria X.J Ma ben più importanti di questi fenomeni di rigenerazione sono, dal punto di vista biologico , quelli di correlazione , pro- dottisi in conseguenza dell’ asportazione dello stesso cotiledone. Per piantine di Streptocarpus Eraxz Heriistg ba provato che se il cotiledone destinato a svilupparsi viene per tempo sop- presso o ritardato nel suo sviluppo mediante l1 inclusione in gesso, sviluppasi in sua vece il cotiledone piccolo, che normal- mente suol rimanere rudimentale. Queste esperienze, continuate dal Pischlxger in modo com- parativo su tre diverse specie di Streptocarpus , cioè S. Wend- landi , S. Oardeni e S. hybridus , hanno mostrato che se nella prima specie l’asportazione totale o parziale del cotiledone gran- de, destinato a svilupparsi, viene eseguita per tempo , il cotile- done piccolo raggiunge molto più rapidamente del solito le dimen- sioni definitive, elevandole, in certi casi, fino al doppio delle normali. La ragione biologica di questo forzato sviluppo è evi- dente: intanto che si compie la rigenerazione del cotiledone grande, l’assimilazione viene assunta dal piccolo, il quale prov- vede i materiali necessari al compiersi di quella. Il fatto più importante in questi fenomeni di correlazione è che alla base del cotiledone piccolo si forma, in conseguenza dello stimolo traumatico esercitato sul grande, un meristema secondario (secondo Pritsch primario, perchè dato dal mesocotile), capace di proliferare e di permettere quindi, oltre che 1’ accrescimento secondario, le funzioni definitive, spettanti al cotiledone grande. Altro fatto importante è che la proprietà, atavica nello Streptocarpus Wendlandi e probabilmente in altre specie ad una sola foglia, di produrre appendici diverse dalle embrionali, men- tre per norma rimane latente, si rende invece palese dopo l’ a- sportazione del cotiledone grande. Altra proprietà atavica, che dimostra in questa specie una differenza profonda di organizzazione rispetto alle specie caule- scenti e rosulate, è la tendenza nei germogli avventizi o di sostituzione a ripetere lo stato embrionale della pianta. Soppri- Note sulla biologia dei processi di rigenerazione delle Cormofite , eco. 21 mendo, infatti, la maggior parte della lamina e dell’appena ini- ziata infiorescenza, il GtOebel (ih, p. 138) otteneva tre germogli avventizi, provvisti ognuno di u n a gran foglia caniina e perciò distinguibili da quelli delle specie caulescenti e rosolate. Nello Streptocarpus Gardenia die, come specie rosulata, pro- duce una rosetta di foglie, il cotiledone grande non si rigenera, se viene asportato in parte od in tutto. Un comportamento intermedio presenta lo S •treptocarpus liybridus , il quale è probabilmente una forma ibrida delle due precedenti. In esso 1’ asportazione totale del cotiledone grande conduce, come nello 8. G (ir deni , all’accrescimento secondario ed allo sviluppo di foglie non embrionali. L’ asportazione par- ziale, invece, lasciando ancor parte del meristema basale , con- duce, come nello 8. Wendlandi , alla rigenerazione del cotiledone stesso. Nella Monophyllaea Borsjieldii l’asportazione del cotiledone grande con parte del meristema basale , ne determina la rige- nerazione , mentre il cotiledone piccolo o non cresce affatto o cresce al punto da raggiungere dimensioni fìnanco doppie delle normali. L’ asportazione del cotiledone grande con tutto il me- ristema fa perire le piante, non potendo il cotiledone piccolo assumere le funzioni di quello soppresso. Non di rado, però, il Ligdob. (i) avrebbe in questo caso osservato la formazione sul rnesocotile di foglie avventizie, se, ben inteso, gli esemplari in esperimento avevano raggiunto un certo grado di sviluppo. Que- sto risultato, mentre conferma quello del GtOebel sulla tenden- za nei germogli avventizi dello Str. Wendlandi a ripetere la con- formazione embrionale, conferma ancora quello osservato da me rispetto alla tendenza nei germogli formatisi all’ ascella dei co- tiledoni di fava, in conseguenza della soppressione della piu- metta, a conformare 1’ apice ad uncino. La facoltà rigenerativa nei cotiledoni sembra essere più grande di quella a produrre individui agami, cbe, se finora ven- ne osservata dal Zabel nei cotiledoni della Borrago officinali s , 22 Prof. G. Lopriore [Memoria X.] fu tentata invano dal Kuester (i) in quelli di altre piante, per quanto ricchi di materiali plastici. Il comportamento particolare delle due Gesneriacee dipende verosimilmente dal difetto di un vero conno, per cni le foglie ten- dono a sostituirvisi, munendosi di meri stema o prestandosi quello del mesocotile e acquistando la capacità rigenerativa. In questi casi la foglia svelerebbe una entità superiore a quella del conno. Anche nelle felci, ore il conno non è così evoluto come nelle fanerogame, la capacità rigenerativa viene assunta dalle foglie, che a differenza di quelle dello Streptocarpus , sou prov- viste di meristeina apicale. Tale capacità, difettando negli assi, (il cui apice presenta una sola cellula terminale, non un gruppo iniziale facile a rigenerarsi) viene assunta dalle foglie, che, per venir spesso brucate dagli animali, hanno bisogno di rigenerarsi. L’identità di comportamento rispetto alle due Gesneriacee dipende dal fatto che l’apice rimane a lungo embrionale. In conseguenza però della localizzazione diversa del meristema, la rigenerazione si compie non più alla base ma all’ apice. Se questo infatti viene longitudinalmente spaccato , si rigenera , dando luogo allo sdoppiamento della lamina ed al completarsi di ogni singola metà, come mostra la figura 2. La possibilità di tale sdoppiamento fu messa in evidenza dal Beyerinck (i) per il Blechnum brattili ente, dal Goebel (i) per il Polypodium Heracleam e dal ITgdor (ii) per lo a Scolopenclrium Scolopendrium. Dal punto di vista filogenetico merita considerazione il fatto, rilevato già dal Figdoe, che uno sdoppiamento a forchetta della lamina fogliare, simile a quello ottenuto artificialmente non è raro in natura, anzi, per essere stato spesso osservato, venne già descritto come varietà « daedalea » Dòli. Tale varietà sarebbe più frequente in Inghilterra che altrove, a causa della presenza là di particolari animaletti, capaci con la loro visita di determi- nare reazioni identiche a quelle promosse artificialmente. Induzione simile avventurai io pure, dieci anni fa, parago- nando il comportamento di radici fendute, rigenerate e di nuovo Note sulla biologia dei processi di rigenerazione delle Cormofite, ecc. 23 fendute con quello dei Tunicati , sottoposti dal Magazzini (i) a tagli successivi. Il taglio ripetuto dello stesso sifone in un esem- plare di Giona intestinalis determinando una forma identica alla varietà descritta come « inavrosiplionica », permette indurre che in natura una tale varietà s’ è probabilmente formata per amputa- zione ripetuta da parte di altri animali. L’ azione di questi nel foggiare, per successivi adattamenti biologici, determinate forme di organi vegetali, se de- bole ora, dev’ essere stata particolarmente grande al tempo della cosiddetta e- poca plasmativa del Beccare Ben diversi dai fe- nomeni di rigenerazione sono quelli di sostituzio- ne, offerti in modo ti- pico dalle foglie di cicla- mi, in conseguenza di fe- rite o di altri mezzi che inattivano la funzione, co- me ad es. inclusione in gesso o rivestimento con collodio. Questo fatto, scoperto prima da Hildebraind (i), poi seguito nelle sue par- ticolarità dal Winkler e dal Goebel, è stato anche recentemente con nuovi casi illustrato dal suo sco- pritore e ricondotto alla vera natura, attribuitagli fin dapprima come processo di sostitu- zione e non di rigenerazione (Hildebrand, ii, p. 39). Fig‘. 2. Polypoditim Heracleum. Foglia spaccata longitudinalmente all’ apice ed in cui ogni metà ha rigenerato la metà clic le manca, (dal Goebel) 24 Prof. G. Lopriore [Memoria X.] Contrariamente all’ effetto ritardatore dei mezzi meccanici, l’inattiyità promossa dal buio sulla foglia di Cyclamen non pro- voca la formazione di una nuova lamina (Winkler), mentre basta nella Circaea per rendere ortotropo il germoglio plagiotropo più vicino all’apice (Goebel, i, p. 647 ). Tal comportamento crea in organi , come son le foglie , viventi alla luce e per la luce, quindi sensibili alla sottrazione di essa, un divario profondo ri- spetto al conno. La luce può influire, però, non di rado direttamente sulle condizioni fototrofìclie delle foglie, promuovendo 1’ anisofillia. Il Wiesner (i) ha osservato , infatti , che le foglie ancor giovani dei rami di Aescalus esposte direttamente al sole, riman- gono turgide e continuano a crescere, mentre quelle opposte ap- passiscono e muoiono, in conseguenza dello spostamento in senso trasversale della corrente d’ acqua ascendente , promosso dalle foglie soleggiate. A questo modo si può tanto promuovere una spiccata anisofillia quanto invertire quella già esistente. La stessa spiegazione potrebbe anche valere a giustificare la grande anisofillia delle Gesneriacee, fissata già nel seme per ereditarietà e riconoscibile per la diversa grandezza dei due co- tiledoni. Ora se si pensa che la foglia ha per funzione principale la traspirazione e che ad essa subordina lo sviluppo dei veicoli di trasporto, coordinandovi la funzione fotosintetica, non sorprende se la luce provoca reazioni diverse per favorire 1’ una o 1’ altra funzione. Maggiori particolarità al riguardo sta per offrire il Bu- SCALioxi in un suo studio biologico sulla vegetazione dell’Au- stralia, relativo specialmente alle acacie a fillodi ed agli eucalipti. Indifferente non è neppure la respirazione, se atmosfere pri- ve di ossigeno possono determinare nei cicìami l’inattività delle lamine fogliari e quindi la sostituzione loro con delle nuove (Goebel, iv, p. 394). Gli stessi effetti possono dunque venir provocati da agenti diversi, anzi molto diversi dalle azioni traumatiche. Note sulla biologia dei processi di rigenerazione delle Cormo fite, ecc. 25 Cenno sintetico. La considerazione dei fatti sinora esposti rivela che, mentre fusto e radice presentano nei processi di rigenerazione identità di comportamento, la foglia ne differisce per un comportamento particolare, che non di rado svela in essa un’entità superiore a quella del conno. L’ identità dì comportamento negli assi delle Cormofite si svela nella capacità loro di rigenerarsi per virtù dei menatemi apicali, di cicatrizzarsi per virtù di quelli secondari e di pre- sentare gli stessi fenomeni di correlazione. Così alle fillotassi aberranti nel fusto , corrispondono rizotassi aberranti nella ra- dice, finché, pero, la rigenerazione non è completa. Così la stessa deviazione teratologica , come la fasciazione, da latente rendesi palese negli assi laterali di prim’ordine, in conseguenza delle azioni traumatiche compiute sugli assi principali. La foglia o manca interamente della facoltà di rigenerarsi o l’esplica nei rari casi che possiede meristemi. Il difetto di questi determinerebbe dunque l’impossibilità a rigenerarsi, difetto, che, in organi caduchi come le foglie, è teleologicamente spiegabile. I casi ancor rari ed isolati di vera rigenerazione fogliare si hanno in quelle piante, in cui il conno è poco evoluto o manca interamente della pi umetta ( Streptocarpus ) o presenta all’apice una sola cellula terminale incapace a rigenerarsi (felci). Dove i meristemi esistono, la foglia presenta, oltre che la facoltà rigenerativa , particolari disposizioni atte a proteggerli , come ad es. speciali tricomi per i meristemi basali delle (fe- sneriacee, arrollamento spirale dell’apice per i meristemi apicali delle foglie giovani di felci. Importante , però , è il fatto che nello Streptocarpus la soppressione del cotiledone provvisto di meri stema abbia 1’ effetto di promuovere la formazione od emi- grazione di ineriste m a nell’altro che ne è privo e che resta ru- dimentale. Se tal fenomeno di correlazione, dovesse ulteriormente Atti acc. Serie 4a, Vol. XIX Meni. X. 4 Prof. G. Lopriore [Memoria X.] 26 svelarsi, l’importanza dei meristemi primari nei processi di rige- nerazione verrebbe molto a limitarsi. La capacità di cicatrizzazione è grande negli assi, mi- nima o nulla nelle foglie. Rispetto alla rigenerazione essa ap- pare biologicamente più utile, richiedendo un consumo di ma- teriali e di energia notevolmente più piccolo. La polarità, riconosciuta dal Vììchting (ii) negli assi ri- spetto alle formazioni nuove , manca nelle foglie, per quanto W. Magnus (i) creda di scorgerla in quelle colpite da galle. La sostituzione si compie quasi sempre mediante un ger meglio od una radice laterale, che, prendendo il posto dell’ asse principale, ne assume anche la struttura per mezzo di variazioni anatomiche corrispondenti (Boirivant). La foglia manca di si- mile capacità plastica. Le lamine formatesi non da gemme ma da inizi siti sul picciuolo, in sostituzione di quella soppressa o resa inattiva, non raggiungono insieme la superficie venuta meno, nè lasciano riconoscere alcun rapporto di egemonia ( Cijclamen ). L’ inattività prodotta dal buio sull’estremo del fusto basta a rendere ortotropo il germoglio plagiotropo più vicino all’ api- ce (Cireneo,), ma non provoca nella foglia la formazione di una nuova lamina, così facile a venir altrimenti promossa ( Oyclamen ). In attesa che ricerche ulteriori completino la biologia della rigenerazione della foglia, sta per ora il fatto che come, per effetto della divisione del lavoro e della conseguente differenziazione dei meristemi, vi è progressiva evoluzione dalle Tallofite alle Cormo- fite, così in seno a queste vi è progressione dal conno alla foglia. La foglia rappresenterebbe, in conseguenza della differenzia- zione più spinta dei meristemi e quindi della sua incapacità a rigenerarsi, un organo più evoluto del conno. Ad illustrare le idee di Delfino sull’ interpretazione del conno e della foglia sarebbe questo uno degli argomenti più pro- mettenti per stabilire se le piante siano cormofite o fillofite. I Note sulla biologia dei processi di rigenerazione delle Cormofite, eoe. 27 LETTERATURA BeCCari, Nelle foreste di Borueo. Firenze 1902. Bertrand, Lois des surfaees libres. Bull, de la Soc. botan. de Franco 1881, Tome XXXI. Bkyerixck, Over regeneratie Verscbijnseten van gespleten vegetatienpunten van stengels en over bekerworming. Ned. Kruidk. 1886, Ardi., Serie II, Deel IV, Stuck. I. Boirivant, Organes de remplacemeut chez les piante». Ann. d. Se. nat. 1897, Tome VI. Burns, Kegeneration and its relation to trauinatropism. Beili, z. Bot. Ctbl. 1904, Bd. XVIII. Buscalioni, Un’ escursione botanica nell’ Amazzonia. Boll. Soc. geogr. Roma 1894. Delfino, Teoria generale della fillotassi. Atti della R. Università di Genova, 1883. Figdor, (ij Ueber die Regeneration der Blattspreite bei Se olope n dr i uni Scolopendrium Ber. d. Dcntscben bot. Gesellscb. 1906, Bd. XXIV. — (ji) Regeneration bei Monophyllaea Horsfieldii. Oester. bot. Zeitsclir. 1903 N. 10. Fritsch, Ci) Ueber die Entwickelung der Gesneriaceen. Ber. d. Dentsch. bot. Ges. 1894, Bd. XII. — (il) Gesneriaceen, in Engler - Prautl, Nat. Ptlanzenfam. IV. 3lj — (in) Die Keinipflauzen der Gesneriauen, Jena 1904. Goebel, (i) Organograpliie. Jena 1898. — (il) Ueber Regeneration im Pflanzenreicli. Biol. Zentralbl. 1902, Bd. XXII. — (in) Morphologische und biologiscbe Bemerknngen. 14. Weitere Stndien uber Re- generation. Flora 92 (1903). — (iv) Allgemeine Regenerationsprobleme. Flora, Erg. Bd. 1905. Haberlandt, Die Scliutzeinricktungen in der Entwicklung der Keimpflanzeu. Wien 1877. Hering, Ueber Waclistuinskorrelationen infolge mechanischer Hemmung. 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Ibidem. 28 Prof. G. Lopriore [Memoria X. J Lopriore, (i) Regeneration gespaltener Stammspitzen. Ber <1. Deutsch. bot. Gesellscb. 1895. — (u) Regeneration gespaltener Wurzelu. Nova Acta Ac. Leop. Carol. 1896 . Bd. LXVI. — (ni) La fasciazione delle radici in rapparto ad azioni traumatiche. Atti Accad. Gioe- nia. Catania 1903, Voi. XVII. — (iv) Kiinstlich erzeugten Verbanderung bei Phaseolus multiflor us. Ber. d. Deutscben bot. Gesellscb., 1904, Bd. XXII. — (v) Verbanderung iufolge des Kopfeus. Ibidem. — (vi) Regeneration von Wurzelu und Stammen iufolge trauinatisclier Einwirkuugen. Résultats scientitìques dn Congrés iuternational de Botanique, Wieu 1905. Jena 1906. Magnus, Esperimentell-inorpbologische Untersucliuugen. Ber. d. Deutscheu bot. Gesellschaft 1903, Bd. XXL Mattirolo, Sulla influenza che P estirpazione dei tìori esercita sui tubercoli radicali delle leguminose. Malpighia, Voi. XIII. Mingazzini, Rigenerazione nei tunicati. Boll. Società Naturalisti, Napoli 1891. Serie I, Voi. 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DE LOCA Comunicando questi nuovi tentativi di siero-terapia della leb- bra, ad onta dei progressi fatti in questi ultimi tempi dalla dot- trina delle immunità naturali ed artificiali verso gli agenti delle malattie infettive, potrei su per giù ripetere quello che scrissi nel 1896 sull’ istesso argomento (1) ; con questa differenza, che invece di far consistere, come feci allora, i fattori dell’immunità naturale dei bruti rispetto alla lebbra, in sostanze godenti potere antisettico specifico, preformato o no, riferirei oggi tali fattori a sostanze battericide o antitossiche; e inoltre : invece di ritenere, come ritenni allora, che coll’inoculazione di materiale lebbroso nell’animale, si produca nell’ organismo di questo, una sostanza antisettica, capace di annientare la vitalità del bacillo di Hansen, riterrei oggi che, con tale inoculazione, si avrebbe la produzione di sostanze battericide dotate della medesima costituzione delle sostanze battericide dei sieri, cioè sostanze costituite da una parte termostabile (sensibilizzatrice o anticorpo) e da una parte ter- molabile (alessina o complemento). E nelle sostanze antisettiche da me ammesse nel 1896, farei oggi forse anche rientrare quelle sostanze antitossiche, che è da sospettare, si formino nell’ organi- smo refrattario inoculato con virus lebbroso , per neutralizzare , (1) Tentativi ili siero-terapia nella lebbra. Comunicazione alla Soc. ital. di dermatolo- gia— Ottobre 1895. Giorn. ital. mal. cen. e della pelle. Fase. Il, 1896. Atti acc. Serie 4% Voi.. XIX — Meni. XI. 1 2 Prof. R. De Luca [Memoria XI.] non dico dei veleni solubili (esotossine nello stretto senso della parola), uia veleni più o meno insolubili (endotossiue) quale le proteine in genere, derivanti dalla distruzione dei corpi batterici. * * Una differenza fondamentale fra le prime ricerche e quelle attuali, sta però nel concetto direttivo che mi guidò allora e quello che mi ha guidato adesso ; allora con la sola inoculazione di sostanza lebbrosa nel coniglio, credei di poter suscitare nell1 or- ganismo di questo, la produzione di una sostanza antitossica che supponevo impedisse lo svolgersi dell’ infezione e di poterla avere nel siero di quest’animale in tale quantità da esercitare un’azio- ne battericida sul bacillo di Hansen. Oggi invece , ben cono- scendo come si possono ritenere, in massima, falliti i tentativi diretti ad ottenere sieri curativi da animali refrattarii inoculati direttamente col virus verso cui non sono recettivi , riprendo le ricerche , e le riprendo collo scopo di togliere o almeno di diminuire quanto è più possibile il potere battericida normale del siero di animale refrattario alla lebbra e di stimolare in questo la produzione di sostanze specifiche contro il b di Hansen e i suoi veleni. In altri termini, mi propongo di vedere se sia possibile ottenere un siero antilebbroso, inoculando di sostanza lebbrosa un animale refrattario, reso precedentemente più o meno recettivo con la diminuzione o anche colla distruzione dei com- plementi. * Proponendomi di diminuire o anche di distruggere i com- plementi di un organismo refrattario alla lebbra e non potendo far calcolo sui complementi battericidi, perchè nessun animale, per quanto è oggi ammesso , è ritenuto recettivo rispetto alla Nuovi tentativi di sieroterapia nella lebbra 3 lebbra (1) bo preso in considerazione i complementi emolitici , perciò bo scelto per l1 esperimento, un animale il cui siero fosse normalmente emolitico sui corpuscoli rossi dell’ uomo , cioè lo agnello. Nella speranza die parallelamente alla diminuzione dei complementi detti, in seguito al trattamento, diminuissero anche i battericidi, e nel caso nostro, i lepricidi, e dopo di avere pre- so in considerazione alcuni dei procedimenti die poteano ri- spondere allo scopo di diminuire o anche di distruggere i com- plementi, bo ricorso al procedimento indicato da Wassermann, per ottenere dal coniglio, siero che fosse capace di fissare i com- plementi esistenti nel siero normale di cavia. Soltanto , poiché io, invece dei due termini : coniglio e cavia , aveva quelli di agnello ed uomo, ricavai dal primo il siero che dovea fissare i complementi nel secondo. Preparato così l1 uomo col siero di agnello, siccome lo sco- po da raggiungere era quello di rendere 1’ agnello recettivo e poscia infettarlo di lebbra, inoculai questo, prima con siero an- ticomplementare tirato dal sangue del lebbroso trattato e poscia con sostanza lebbrosa carica di b di Hansen. Con tale trattamento, si sarebbero, è vero, potuti ottenere, nel siero d’ uomo, anche delle sostanze antisensibilizzatrici, ma tale eventualità non avrebbe potuto che essere favorevole alle mie ricerche, perchè mi avrebbe dato un mezzo per rendere an- che più recettivo li animale. * -* * Il 10 Novembre 1904. Salasso della giugulare di un agnello del peso di kilogr. 14 ; si estrae circa 22 chic, di sangue che (1) Perchè non li credo dimostrati e anche perchè contraddicono ai miei numerosissimi esperimenti (V. trasmissibilità della lebbra la e 2a serie di esperimenti in Rivista di igiene e sanità pubblica, 1895) non ammetto i trapassi della lebbra agli animali, che si asseri- scono recentemente ottenuti. Cfr. Tiroux — Ann. d’ Hyg. et méd. colon. J. Vili, N. 1. 1905. Nicolle Comptes Reudu de 1’ Acc. d. se. 27 Febbr. 1905. Nè tanto meno ritengo esatta P osservazione secondo la quale si sarebbero osservati dai ratti lebbrosi. Cfr. Déau. lourn. of Hyg. 1905 N. I. 4 Prof. li. De Luca [Memoria XI. J si lascia coagulare in larga capsula Petri al coperto di qualunque inquinamento; si separano 12 chic, di siero, di cui 6 chic, furono injettati il giorno 11 e 6 il giorno 16 novembre nel cellulare sottocutaneo di C. Gì. di anni 17 nativo dell’ isola di Malta, da 3 anni affetto di lebbra mai curata e tìglio di madre lebbrosa. Il 11 Novembre 1904 , nuovo salasso di 27 cmc. dalla giu- gulare del medesimo agnello , da cui si ottengono 15 cmc. di siero, di cui sette cmc. si incettano il 18 e otto il 26 successi- vo nel cellulare sottocutaneo del medesimo lebbroso. Il 3 Dicembre 1904 , salasso dalla giugulare di un altro gio- vine agnello del peso di Kil. 13 di 18 cmc. di sangue , da cui si tirano 8 cmc. di siero , che si injetta sottocute al medesimo lebbroso in unica volta. Il 13 Dicembre 1904 , salasso dalla giugulare di un altro giovine agnello del peso di 16 kilogr. , da cui si ricavano 10 cmc. di siero che vengono injettati in unica volta sempre al medesimo lebbroso. Oosicliè, fatti i conti, in 31 giorni, furono injettati al leb- broso C. complessivamente 15 cmc. di siero di agnello sano. Patto questo trattamento, bisognava vedere se nel siero del lebbroso trattato, fossero diminuiti i complementi emolitici. Conoscendo che in condizioni normali 10 cmc. di siero di agnello emolizzano completamente le einasie contenute in 1 cmc. di emulsione London (5 cmc. di sangue umano defibrinato in 100 di Na. Cl. a 0, 85) mi fu possibile stabilirlo. A tal uo- po, ad 1 cmc. di soluzione di Na. Cl. a 0, 85, aggiunsi in dosi via via crescenti frazioni da 0,005 a 1 crac, di sangue del leb- broso trattato e poi successivamente cmc. 10 di siero di agnello, e trovai così che 1’ azione emolitica di questo era ostacolata da 0, 75 di siero di lebbroso trattato. Il risultato di avere ottenuto un siero anticomplementare dal lebbroso trattato verso 1’ agnello era così raggiunto ; però ove con questo siero avessi voluto distruggere tutti i complementi emolitici contenuti nella massa sanguigna dell’ agnello, facendo Nuovi tentativi di sieroterapia nella lebbra 5 le dovute proporzioni , trovai che avrei avuto bisogno di una dose di siero antieoinplenientare enorme ed impossibile ad ot- tenere da un uomo, dose, che del resto, era da sospettare aves- se potuto riuscire tossica all’ animale. Conoscendo però, che per rendere recettivi alcuni animali ad infezioni batteriche, p. e. i colombi al carbonchio, basta inoculare dosi di siero anticomple- mentare infinitamente minori di quelli che occorrono negli espe- rimenti in vitro (una centesima parte ed anche meno) così mi contentai di incettare qualche cmc. per volta di siero anticom- plementare. E dal 19 Dicembre in poi, inoculai fi giovani agnelli e per 20 giorni, singolarmente ad ognuno 10 cmc. di siero anticom- plementare , ottenuto in varii piccoli salassi fatti al lebbroso trattato. Procedei indi all1 injezione ai medesimi 6 agnelli di mate- riale lebbroso e nel modo seguente : Il (fiorilo 11 Gennaio 1905 , cioè dopo due giorni dell1 ulti- ma injezione di siero negli agnelli , escisi dalla fronte del leb- broso 0. E. di anni 27 da Pachino , ammalato da 9 anni di lebbra tubercolare, un grosso nodulo di circa cmc. 1 \'2 , carico di b di H. ; lo tagliuzzai colle forbici e lo ridussi in poltiglia (senza nè sabbia nè quarzo) poltiglia che diluii in soluzione fi- siologica di Na. 01. nella proporzione di 1 : 20. Lasciai riposare alquanto e in 3 dei 6 agnelli injettai la porzione liquida per via endovenosa , e l’altra, depositatasi in fondo del mortaio, per la via sottocutanea ed endoperitoneale. Nei rimanenti 3 agnelli, injettai un estratto acquoso-glice- rico di grosso leproma, carico di bacilli di H. , esciso dal brac- cio del medesimo ammalato 0. e preparato nel modo seguente: dopo spezzettato minutamente colle forbici il leproma, lo triturai in mortaio ; diluii la poltiglia ottenuta in una miscela di Na. 01. al 0, 85 per 100 e glicerina ana, nelle proporzioni 1 di pol- tiglia e 30 di miscela ; lasciai riposare il materiale per 18 ore e poi lo filtrai al carbone. 6 Prof. R. De Luca [Memoria XI.] Tale filtrato fu iniettato ai detti 3 agnelli tanto per via endovenosa quanto per la sottocutanea ed endoperitoneale. In tutto il corso dell’ osserva/ione , durata dal Gennaio a Dicembre 1905, nessuno dei 6 agnelli trattati presentò fenome- ni morbosi di sorta , eccetto che uno , nel quale , nei mesi di Maggio e Giugno, fu notata una certa spontanea caduta dei peli del dorso, senza visibile alterazione della sottostante cute. Tale caduta di peli, dopo il Giugno, si arrestò spontaneamente. Il siero separatosi dal sangue di tutti e 6 i detti agnelli trattati, cavato con salassi successivi e a turno (in tutto 180 chic.) fu adoperato per infezioni sottocutanee , a scopo curativo , nel contadino S. A. di anni 28 da Mascalucia, con pertinenze ere- ditarie negative e da 12 anni affetto da lebbra tubercolare (1). Tali infezioni non sortirono effetto curativo di sorta nè pros- simo nè a distanza. Infatti oggi, Aprile 1900, il S. si trova an- cora ricoverato in clinica nelle identiche condizioni nelle quali si trovava l’anno scorso, prima della cura. * * Come conclusione delle esposte ricerche si ha: che con i me- todi ora da me adoperati non si riesce a rendere recettivo l’a- gnello alla infezione lebbrosa , meglio che con qualcuno degli altri metodi pure da me sperimentati in altri animali (smilza- mento, dissanguamento, narcosi , fame) (2) nè ad ottenere dallo agnello trattato, un siero che abbia azione curativa di sorta. (1) Mi piace notare che il comune di Mascalucia non ha lebbrosi, e che nel S. la lebbra si sviluppò dopo 2 anni dacché lasciata Mascalucia, era andato ad abitare Cibali, antico focolaio di lebbra. (2) V. Sul trapasso della lebbra — 2a serie di esperimenti, Catania 1897. Memoria XII. Istituto Zoologico della K. Università diretto dal Prof. A. Russo. Sopra un mostro doppio di Sus Scrofa L. (Sicefalo-Sinoto) per i dottori G. POLARA e S. COMES S. Comes [Memoria XII. J ottuso verso la linea mediana. Le apofisi giugulari sono normali, le due interne sono addossate ai lati della linea mediana di fusione e ridotte. Era i due occipitali superiori si trova un os- sicino soprannumerario di forma pentagonale (v. fig. 6), che si può considerare come derivante dalla fusione delle due squamine dei temporali interni dei due individui. Il Calori descrive quest’ osso formato dalla fusione delle squamine dei temporali interni con un solco mediano (sicuro accenno di duplicità) confinante in alto coi due parietali, men- tre nel nostro soggetto esso è più piccolo e compreso fra i due occipitali superiori e l’interparietale, che evidentemente mancava nel soggetto del Calori. La forma di ognuno dei due parietali è quella di un qua- drilatero (v. fig. 6) molto diversa dal normale avvicinandosi in- ^ vece a quella del parietale umano. Infatti esiste una bozza parietale, che manca nel normale e mentre quivi il parietale è formato di due parti, una orizzontale e l’altra quasi verticale e unentesi con la prima lungo una cresta ad angolo legger- mente ottuso, nel mostro manca tale distinzione essendo il parietale co- stituito da una unica parte convessa all’infuori, però la sutura temporo- parietale è, come nel normale, con- vessa in basso. Era i due margini superiori interni degli occipitali su- periori e la parte posteriore interna dei margini posteriori dei parietali esiste un interparietale, che assume uno sviluppo notevele anche fra i due occipitali. Esso è disposto in avanti e all’insù dell’osso soprannumerario descritto. La sua forma è esagonale (v. fig. 6). Fig. VI. — Ossa principali del cranio : 1. frontale — 2. parietale — 3. occipitale su- periore—4. interparietale — ó. osso sopran- numerario interoecipitale. Sopra un mostro doppio di Sus Scrofa L. (tricefalo- Sinoto) 11 I temporali sono 4 , gli esterni dei due individui normal- mente sviluppati ; delle quattro apofisi inastoidee le interne sono molto ridotte e disposte lungo la linea mediana ed ai suoi lati. Lungo la linea mediana avanti a loro e fra i due occipitali ba- silari esiste un foro triangolare, che si deve intendere originato dalla fusione dei due forami lacero-anteriori interni corrispon- denti. Esistono quindi tre forami lacero-anteriori in tutto, come nel soggetto del Calori. In avanti del foro i basi-occipitali si uniscono lungo la linea mediana. Similmente le rocche dei tem- porali interni sono ridotte e per la compressione laterale acqui- stano uno sviluppo maggiore in lunghezza senza però saldarsi fra di loro, come nell’esemplare del Calori. Sulla loro superficie si notano i forami dei condotti uditivi interni poco sviluppati e i fori mastoidei ridotti ad un leggero infossamento. Esistono quindi 4 fori uditivi interni e solo due veri forami mastoidei. I fori lacero-posteriori sono occlusi lungo la linea di unione delle rocche sudette da membranelle ossee, in tutto quindi i fori lacero-posteriori sono 4 di cui i due interni incompleti, contra- riamente a quanto avveniva nel soggetto del Calori, dove erano tutti e quattro egualmente sviluppati. I fori dei condotti uditivi esterni delle rocche mediane sono coperti dall’osso soprannumerario e quindi non comunicano con gli orecchi rudimentali descritti. Nei temporali esterni manca la cresta, che nel normale si estende dal foro auricolare esterno alla sutura tempore-parietale. Lo sfenoide è unico e normale. Esso si unisce per la base, munita di due facce convergenti indietro con il margine ante- riore dei due basi-occipitali, formando una sella turcica molto profonda e superiormente limitata da due apotisi clinoidee molto sviluppate. Nel soggetto del Calori il basisfenoide è doppio , il posteriore è rudimentale e situato sulla linea mediana. I due forami ovali e le due fessure sfenoidee sono normali. Degna di nota è 1’ origine dei forami ottici da un infossamento osseo co- mune, diretto dall’indietro all’avanti e a sghembo verso sinistra; 12 Dottori G. Potava e 8. Pome», [Memoria XII.] il destro molto più stretto del sinistro dà passaggio al nervo ottico molto ridotto , che immette nella cavità orbitaria con l’occhio privo del cristallino, il sinistro è invece normale. La cecità è dovuta quindi alla mancanza del cristallino e all’atrofìa del nervo ottico. L’alisfenoide destro è più inclinato verso l’esterno del sini- stro, il quale è meno concavo e limita quindi una cavità orbi- taria più grande della corrispondente destra. Il limite anteriore, infatti della cavità orbitaria destra è più indietro del corrispon- dente di sinistra. L’etmoide è unico e normale, così pure i frontali. Tutte le ossa della faccia sono normali e come appartenenti ad un solo individuo, eccezion fatta degli intermascellari privi delle apofìsi palatine e delle ossa palatine, che mancano affatto (mancano quindi anche le coane). Dalla fatta descrizione risulta che la duplicità della testa cessa di rendersi evidente all’interno dalla sella turcica in avanti ed all’esterno dai parietali ai nasali. La cavità cranica in complesso è molto diversa dalla nor- male: questa è ad imbuto allungato e con la parte slargata all’i il dietro , quella del mostro è, come la scatola cranica, emi- sferica. Cavità e scatola cranica somigliano alle corrispondenti parti dell’ uomo , come s’ è fatto notare, rassomiglianza dovuta certamente ad un fenomeno di convergenza prodotto da azione meccanica. Sistema Nervoso Centrale Il cervello nella parte anteriore è unico e normale. Le cir- convoluzioni cerebrali sono numerosissime e non simmetrica- mente disposte nei due emisferi ; così la scissura superiore in- terna dell’ emisfero destro decorre dalla parte posteriore del lobo parietale alla anteriore del lobo frontale, mentre la corrispon- dente dell’emisfero sinistro si termina solo al terzo anteriore dello Sopra un mostro doppio di Sus Scrofa L. (Sice falò- Sinoto) 13 stesso (1). I corpi quadrigemini sono disposti lungo una stessa linea trasversale mentre nel normale si dispongono due in avanti e due indietro. Di essi i due mediani sono più grossi , i due laterali meno sviluppati. Ma appare evidente che i due di de- stra, uno più grande, l’altro più piccolo appartengono al nuovo- nato destro e gli altri due al sinistro perchè ognuno della coppia destra, come ognuno della coppia sinistra porta un solco trasversale poco pronunziato, è vero, ina certo valevole ad atte- stare la duplicità d’ognuno, risultante dalla fusione di due corpi quadrigemini : 1’ anteriore e il posteriore. Depilisi manca del tutto. Si trovali solo due corpi genicolati 1’ uno appartenente al- F individuo destro, 1’ altro al sinistro. È interessante a notare 1’ andamento delle due henderelle ottiche, che dal chiasma dei nervi ottici si portano in alto e indietro passando avanti e vi- cino ai corpi genicolati, ai quali non si fermano, ma, procedendo oltre, vanno a portarsi al disopra dei talami ottici corrispondenti terminandosi alla parte posteriore di questi ultimi cioè ai due pulvinar. Le cavità dei ventricoli laterali sono normali, molto svilup- pata invece è la cavità del terzo ventricolo, da cui partono , lateralmente alla linea mediana, due aquedotti di Silvio, ognuno dei quali inette capo alla cavità di un quarto ventricolo de- corrente dall’ interno verso l’esterno. Esistono due cervelletti, sormontante ognuno la cavità del quarto ventricolo corrispondente ; ogni cervelletto è fornito del verme e degli emisferi cerebellari all’ esterno, dell’ albero della vita nel suo interno. Dei quattro peduncoli cerebrali , che ab- biamo riscontrato, i due esterni si continuano direttamente nel midollo allungato rispettivo, gl’ interni si saldano fra di loro lungo la linea mediana formando un istmo che si continua di- (1) Le circonvoluzioni risultano perfino più numerose delle circonvoluzioni di un cer- vello adulto. 14 Dottori 6r. Potava e ti. Comes [Mkmokia XII. Fig. VII.— Schematica del cervello: CQS corpi quadri- gemini sinistri — CQD corpi quadrimini destri — CTS cer- velletto sinistro — CTD cervelletto destro TLC— emisferi cerebrali — IjICTC Lobo interecebellare cuneiforme. rettamente oon un lobo intercerebellare soprannumerario molto sviluppato ed interposto fra i due cervelletti (v. tig. 7). Prima di congiungersi col lobo sudetto i peduncoli in- terni danno un ramo laterale, che prende parte , insieme con i peduncoli esterni, alla formazione del midollo al- lungato cor ri spo n d en te . 11 lobo intercerebellare su descritto è ricoperto per intero dall’ inter- parietale e dall1 osso soprannumerario inter-oeeipitale. Una forma- zione encefalica molto vicina a quella da noi or ora ac- cennata fu ritrovata anche dal Calori. Egli, avendo riscontrato nel suo esemplare « due cervelli, uno vescicolare posteriore con una cavità ventricolare, ed uno anteriore perfettamente normale » ritenne che il cervello posteriore rappresentasse la vescicola ce- rebrale anteriore primitiva. Il cervello posteriore del Calori è anch’esso una formazione soprannumeraria molto simile per po- sizione e per forma a quella da noi segnalata. Ma mentre questa è situata tra i due cervelletti laterali e un po’ all’ infuori nella linea mediana , combaciando i suoi margini esterni con i margini interni degli emisferi cerebellari, quella del Calori è posta sempre fra i due cervelletti, ma al- quanto in avanti sulla linea mediana per modo che i bordi in- terni degli emisferi cerebellari ricoprono in parte i bordi esterni del corpo soprannumerario. Inoltre la nostra è priva di cavità ed è formata invece da circonvoluzioni trasverse simili in tutto a quelle dei cervelletti e come in questi differenziate sulla linea mediana in un vero e proprio verme, quella del Calori presenta una cavità ed è priva di circonvoluzioni, come dimostrano i Sopra un mostro doppio di Sus Scrofa L. (Sice falò- Sinoto) 15 suoi disegni. Evidentemente al nostro caso non può convenire F interpretazione die l1 Anatomico di Bologna lia dato a sif- fatta formazione, sia perchè essa ha tutti i caratteri esterni d’un cervelletto e presenta un regolare albero della vita nel suo in- terno, sia perchè, esistendo due talami ottici normali, non pos- siamo comprendere la presenza d" una vescicola cerebrale indi- visa. Senza dire che difficile sarebbe il concepire uno sposta- mento cotanto pronunziato della prima vescicola cerebrale indi- visa posteriormente ai talami ottici e alle lamine quadrigemine. E se il Calori ammette, come risulta dal suo lavoro, che « dalle gambe del cervello e dalle braccia dei tubercoli quadrigemini cominci l1 unione dei cervelli propriamente detti » come pos- siamo comprendere la presenza d’ una vescicola cerebrale primi- tiva indivisa quando essa si sarebbe dovuta fondere del tutto colla corrispondente ? Pertanto, con tutti i riguardi dovuti alla memoria dell’ Illustre Scienziato, noi ci permettiamo di dissen- tire al riguardo dalla sua ipotesi e crediamo piuttosto che il lobo soprannumerario sia prodotto dalla proliferazione delle metà degli emisferi cerebellari, che costeggiano la linea mediana d’u- nione. Lobo ed osso sono senza dubbio formazioni volute dalla necessità di sostegno dalle parti adiacenti, e da queste per un adattamento cenogenetico prodotti, come per altro ebbe a dichia- rare per 1’ osso lo stesso Calori. Posteriormente al cervelletto ogni parte del tubo encefalo midollare è normale. CONCLUSIONI Il mostro in esame, nella progressiva fusione delle sue parti dall’ indietro all’ avanti fa rilevare quanto possa 1’ azione mec- canica nello sviluppo ontogenetico. Ad essa crediamo si debbano attribuire la conformazione dello scheletro cranico e le modifi- cazioni di posizione e di forma avvenute nelle colonne verte- 16 Dottori 0. Potava e Scalia [Memoria XIII.] derazione per ispiegare la formazione delle montagne simmetriche, la cui tettonica, piuttosto che alla teoria delle spinte laterali, con la quale si è cercato di spiegare il sollevamento di tutte le mon- tagne della terra, corrisponde alle idee di Leopold von Buch il quale pensava che le spinte dei magma lavici, ascendenti in direzione verticale , hanno dovuto esercitare un’ azione molto importante nella formazione delle montagne. Dal Gabinetto di Geologia della R. Università. Catania, aprile 1906. Memoria XIV, Sul modo di variare della radiazione solare durante le fasi di un’eclisse Memoria di A. BEMPORAD RELAZIONE DELLA COMMISSIONE DI REVISIONE, COMPOSTA DEI SOCI EFFETTIVI Proff. G. P. GRIMALDI e A. RICCO {relatore). Il Dott. Bemporad, partendo dalle osservazioni di Secchi, Langley ed altri circa la diminuzione del potere radiante dei punti del disco solare dal centro verso la periferia, stabilisce anzitutto una forinola, che rappresenta assai bene i risultati di queste osservazioni, e che corrisponde all’ ipotesi dell’esistenza di un’atmosfera omogenea attorno al Sole. Egli applica quindi questa forinola per determinare mediante integrazione i valori della radia- zione relativa delle varie parti scoperte del disco solare durante le fasi d’una eclisse, e dà una soluzione completa del problema con quel grado di appros- simazione, che consentono le nostre cognizioni attuali. L’ A. applica infine questi suoi risultati alle osservazioni attinometriche e alle misure delle fasi eseguite nell’ Osservatorio astrotìsico di Catania durante le eclissi parziali di Sole del 28 Maggio 1900 e del 30 Agosto 1905, giungendo alla conclu- sione notevole, che in ambedue i casi la diminuzione osservata della radia- zione fu più forte di quella calcolata. Le tavole numeriche , che accompa- gnano il lavoro facilitano notevolmente la riduzione delle osservazioni atti- nometriche eseguite durante un’eclisse in circostanze qualisivogliano, e me- ritano quindi di venire integralmente pubblicate. INTRODUZIONE È ben noto da molteplici ed accurate ricerche di vari astro- nomi, come il potere radiante dei punti del disco solare decresca, procedendo dal centro verso la periferia, fino a ridursi, sul lembo estremo, ai quattro decimi circa del potere radiante dei punti Atti acc. Skrik 4a, Voi.. XIX — Mem. XIV. 1 2 A. Bemporad [Memoria XIV.] della regione centrale. Questo contegno, nel quale ha certo gran parte, se non unica *), 1’ assorbimento esercitato dall’ atmosfera solare, fa sì che la radiazione delle varie porzioni scoperte del disco solare durante un’ eclisse non sia proporzionale alla super- ficie apparente delle porzioni stesse, ma vari secondo una legge più complessa, che qui ci proponiamo di studiare. Non è fuor di luogo notare, che per la esatta interpetrazione dei risultati delle osservazioni attinometriche o bolometriche fatte durante un’ eclisse solare è indispensabile tener conto della circostanza in questione, fenomeni analoghi possono avere anche qualche importanza nello studio di certe variabili (stelle del tipo di Algol, ovvero doppie spettroscopiche o fotometriche 1 2), e in altre ricerche affini. In quello che segue, ottengo anzitutto (Oap. I) una rap- presentazione analitica del modo di variare del potere radiante dei punti del Sole, secondo la distanza apparente dal centro, fondandomi sulla forinola ottenuta, calcolo (Oap. II) in due modi diversi, e cioè con procedimento analitico e colla integra- zione numerica, il valore dell’ integrale del potere radiante esteso a tutto il disco solare e quindi il valor medio del potere ra- diante medesimo. Calcolo quindi (Oap. Ili) con procedimenti diversi, secondochè la fase considerata è maggiore o minore di 0,5, 1’ integrale del potere radiante esteso all’ area scoperta del Sole durante un’ eclisse parziale, e raccolgo in una tabella i va- 1) Non unica, perchè Secchi avrebbe notato ad es. un massimo d’ intensità della radia- zione in corrispondenza all’ equatore, massimo che non potrebbe farsi dipendere evidente- mente dall’ azione dell’ atmosfera solare. V. Memorie della Società degli Spettrosc. Italiani. Voi. IV, 1875 pag. 121. 2) Lo spettroscopio rivela, com’ è noto, la duplicità di varie stelle (come Algol) che non. sono altrimenti risolubili cogli attuali mezzi d’osservazione. In molti casi (come nel caso citato) le doppie spettroscopiche sono anche variabili, e la natura della variabilità è tale, che si concilia benissimo colla ipotesi di un sistema doppio o multiplo, in cui intervengano periodicamente parziali occultazioni. Vi sono infine dei casi, in cui, essendo la luminosità dell’ astro troppo scarsa, lo spettroscopio nulla rivela, mentre il fotometro accusa una va- riabilità del tipo di Algol. In tal caso si parla di doppie fotometriche (Cfr. in proposito Ch. André. Sur le systéme formé par la Planète doublé (433) Eros. Astron. Nachr. Voi. 155 p. 27.) Sul modo di variare della radiazione solare durante le fasi di un'eclisse 3 lori numerici da me ottenuti, coi quali, ricorrendo naturalmente alla interpolazione, può considerarsi come completamente risoluto (con quel grado di approssimazione, che consentono le nostre cognizioni attuali) il problema di determinare per una fase qual- siasi di una eclisse solare in condizioni qualsi vogliano (eclisse parziale, totale o anulare) l’ importo della radiazione dell’ area scoperta del Sole, in parti della radiazione totale. Applico infine (Cap. IV) la tabella così ottenuta alle osservazioni eseguite nel- l’Osservatorio di Catania durante le eclissi del 28 Maggio 1900 e del 30 Agosto 1905, mostrando come ambedue le volte la di- minuzione osservata della radiazione solare sia stata più forte di quella calcolata. Questa conclusione importante viene confer- mata anche dalle osservazioni eseguite dal Prof. Julius a Burgos durante l’ultima eclisse, e solleva la questione di vedere, se, come opina lo Julius, i procedimenti fin qui usati per lo studio delia diminuzione del potere radiante verso il bordo del disco solare non siano affetti da cause sistematiche d’ errore. Questa ricerca verrà senza dubbio molto agevolata dalle nostre tavole. Lo studio attuale dunque, anche prescindendo dall’ interesse che può pre- sentare dal lato puramente teorico, si prefigge anzitutto uno scopo essenzialmente pratico, quale è quello di preparare i mezzi per il confronto delle osservazioni col calcolo in eclissi future. Cap. I. — Rappresentazione analitica del modo di VARIARE DEL POTERE RADIANTE DEI PUNTI DEL DISCO SOLARE DAL CENTRO ALLA PERIFERIA. 1. Valori osservati del potere calorifico dei punti del disco solare a varie distanze dal centro. Dall’eccellente trattato del Prof. G. Mfiller ricavo la se- guente tabella comparativa dei valori ottenuti da Secchi, Vogel, Langley e Frost per il potere calorifico dell’ unità di superficie apparente del disco solare a varie distanze dal centro *). l) Mììller — Die Photometrie dei' Gestirne (189 7) p. 323. 4 A. Bemporad [Memoria XIV. [ Tabella I. Distanza dal centro del 0 ♦ Secchi - Vogel Potere calor Langley fico secondo : Frost Media 0, 00 100 100, 0 100, 0 100 0, 20 99 99, 5 99, 4 99 0, 40 98 96, 8 96, 3 97 0, 60 94 92, 2 89, 8 92 0, 70 89 88, 4 84, 6 87 0, 80 82 82, o 77, 9 81 0, 90 69 72, 6 68,0 70 0, 96 (57) 61, 9 57, 2 59 0, 98 (47) 50, 1 50, 0 49 1, 00 40 — (39) (40) Il divario fra i vari autori sale in qualche caso al 5 °/0, la media può essere allora approssimata a meno del 2 o del 3 °/0. Questo avvertiamo, perchè pei calcoli definitivi ci permettiamo di ragguagliare i valori medi assegnati nella 5a colonna con forinole empiriche, che lasciano in qualche caso residui appunto del 2 o 3 °/0 rispetto ai detti valori medi. 2. — Varie forinole di ragguaglio. Supponendo, che la diminuzione del potere radiante dei punti del Sole verso la periferia dipenda essenzialmente dall’as- sorbimento dell’ atmosfera solare, sarà naturale cercare di rag- guagliare i valori medi della precedente tabella con qualcuna delle forinole empiriche più usate per lo studio dell’ assorbi- mento dell’ atmosfera terrestre. Le forinole da noi date in un recente lavoro *) ci parvero troppo complicate per lo scopo at- tuale, in ragione sopratutto della scarsità delle nostre cognizioni circa la costituzione fìsica dell’ atmosfera solare. Restava a sce- gliere fra 1’ una o 1’ altra delle più note forinole empiriche, come quella di Laplace, che mette in relazione 1’ assorbimento colla P Zur Theorie der Extinktion des Lichtes in der Erdatmosphàre — Mitteilungen der Grossherz. Sternwarte zu Heidelberg N. IV. Sul modo di variare della radiazione solare durante le fasi di un’eclisse 5 refrazione subita dai raggi, quella di Bouguer, che parte dalla ipotesi di una legge esponenziale per la diminuzione della den- sità del mezzo assorbente coll’ altezza, e infine quella di Lam- bert, che corrisponde all’ ipotesi di un’ atmosfera omogenea. La formola di Laplace Tenne già applicata dal Prof. Seeliger per una ricerca analoga alla presente, benché indirizzata a tut- t’ altro scopo, nella forma log J - Reir. sin £ ammettendo la refrazione nell’ atmosfera solare come propor- zionale a tgz. Questa espressione presenta l’inconYeniente di con- durre ad un valore infinito di — log J per z — 90°, e poiché questo valore di z corrisponde al contorno del disco solare, ne seguirebbe per i punti al contorno una intensità calorifica nulla, ma questo contrasta così vivamente coi risultati sperimentali (Tabella I), che giudicammo del tutto inopportuna l’applicazione della formola in discorso per il nostro scopo. Lo stesso inconveniente si presenta colla formola di Bou- guer, sia nella forma originaria *) log J log J0 -j- log p sec 2 — tefz sec « -f- sia nella forma corretta da me accennata in un precedente lavoro 1 2) log J = log J0 -j- log p |sec z — tefz sec z -j- .... — lj , ed è singolare, a questo proposito, che tale inconveniente sfug- gisse del tutto al Secchi, a cui pure si debbono le prime espe- rienze in questo campo 3). 1) Cfr. G. Mììller. Die Photometrie der Gestirne. Pagg. 119, 120. 2) Sulla teoria d’ estinzione di Bouguer. Memorie della Società degli Spettroscopisti Ita- liani Voi. XXX (1901) pag. 217. 3) Sull’ intensità del calore nelle varie parti del disco solare. Memorie dell’ Osserv. del Collegio Romano 1851, App. 3 e App. 5 e inoltre Astron. Nachr. Voi. 34 N. 806 (1852) Voi. 35 N. 833 (1833). V. anche Sur V intensité lumineuse des diverses parties du disque so- laire. Compt. Rend. Voi. 49 pag. 931 (1859) e 62 pag. 1060 (1866).. 6 A. Bemporad [Memoria XIV.] Altre forme di sviluppo da me date altrove *) per la teoria d’ estinzione di Bouguer, clie andrebbero esenti dall’ inconve- niente di dare estinzione infinita (o indeterminata) per z = 90° sono da rigettare nel caso attuale perchè troppo complicate * 2). Non resta dunque che ricorrere alla forinola di Lambert, la quale per avventura risponde a tutte le condizioni desiderate, vale a dire fornisce una espressione analitica assai semplice deir assor- bimento di uno strato sferico omogeneo, dà un valore finito per z = 90°, e conduce, come si vedrà, ad un’ ottima rappresenta- zione della intensità calorifica nei vari punti del disco solare in ordine alla distanza dal centro. 3. — Deduzione della forinola di Lambert. Alla forinola di Lambert si viene immediatamente condotti nel caso nostro dalla seguente semplice considerazione. Sia O P (Big. 1) il raggio condotto dall’ occhio O dell’ os- servatore a un punto qualunque P della superfìcie APRE del Sole ; PQ — r la distanza apparente del punto P dal centro del disco solare ; z l’inclinazione del raggio OP rispetto alla normale PS alla super- ficie solare; S il centro del Sole; A PRE' la superficie limite dell’ atmosfera solare. „ . Se noi ammettiamo quest’atmosfera come f ig. -1 omogenea, le masse atmosferiche attraver- sate dai raggi parelleli ORS e OP sta- ranno fra loro come i segmenti PP' ed RR' . Ponendo per bre- 4) Sopra un nuovo sviluppo dell’ integrale della estinzione atmosferica. Memorie della Soc. degli Spettrosc. Ital. Voi. XXXI (1932) pag. 131. 2) Prima che questo lavoro venisse alla luce, giungevo quasi contemporaneamente col Ch.ino Dott. Cerulli, ad un nuovo sviluppo assai più semplice degli altri citati per l’inte- grale di Bouguer, ma allora avevo ormai condotta a termine la trattazione presente col mezzo della formola di Lambert, e non era più il caso di mettere in prova anche la nuova forinola (V. Sopra uno sviluppo singolarmente convergente per V integrale della estinzione, se- condo la teoria di Bouguer. Atti dell’ Accademia Gioenia di Scienze naturali in Catania Serie 4 voi. XIX 1906.) Sul modo di variare della radiazione solare durante le fasi di un’eclisse 7 rità RP'=l0 (spessore dell’atmosfera solare in direzione normale), e indicando con l il segmento PP' (spessore attraversato nell’atmo- sfera solare dal raggio OP) con a infine il raggio del Sole , abbiamo subito dal triangolo PP’S {a -}- l0 )2 = l2 -}- a2 -j- 2 a l cos z, da cui l 1/ , , „ a . a 2 „ a — — =11 — 2 — — cos- « — — cos s (1) ^0 ^0 ‘0 che è appunto la forinola nota nell’ Astrofotometria sotto il nome di forinola di Lambert. 4. — Variazione della intensità calorifica J dei punti del disco solare dal centro alla periferia , nella ipotesi di un’ atmosfera omo- genea. Indichi ora J* il potere radiante dell’ unità di superficie apparente del disco solare, quale sarebbe senza 1’ esistenza di un’ atmosfera attorno al Sole. Semplici considerazioni mostrano che, in virtù del principio di emanazione di Lambert, rigoro- samente dimostrato da Lommel per le sostanze incandescenti opache ’), questo potere radiante J* può ritenersi uguale in tutte le regioni del disco solare, vale a dire che questo, al pari di una palla infocata, ci apparirebbe per tutto egualmente lumi- noso, se non esistesse 1’ atmosfera assorbente che lo circonda. Ammettendo allora, che 1’ assorbimento operato dall’ atmosfera solare sulla radiazione calorifica complessiva (risultante di tutti i raggi calorifici delle varie lunghezze d’ onda) segua la legge esponenziale di Bouguer-Pouillet, avremo, detti J, J0 i valori del potere radiante dell’ unità di superfìcie apparente in P' ed P', cioè dopo 1’ assorbimento operato dall’ atmosfera solare, e 4) Cfr. Wiedemann Annalen. Bd. 10, p. 149 e G. Miiller, Die Photometrie der Gestirne p. 31. 8 A. Bemporad [Memoria XIV.] detto p il coefficiente di trasmissione dell’atmosfera medesima in direzione normale, J0 = J* p i J = J* p l° . Di qui si lia log J = log JQ + log p — lj , e sostituendo per — 1’ espressione (1) , dopo avervi fatto cos e — i/l — r2 ? e ponendo per brevità -r- = >■ » log p = — (j. , /0 — 1, o = l, l0 si ottiene infine l’ espressione log / = - p- j|/l + 21 + 1/1- f2) - X |/r=7* - lj (2) per rappresentare (colle varie ipotesi da noi fatte) la legge di variazione della intensità calorifica J col variare della distanza apparente r dal centro del disco solare. Si vede subito, che per r — 1, vale a dire sul lembo estremo del disco, si ha ancora un valore finito di log J, epperò un valore diverso da zero per la intensità J, come appunto 1’ esperienza dimostra. 5. — Determinazione delle costanti X, p.. La forinola (2) è così semplice, che la determinazione delle costanti e v- dai valori osservati di J non presenta difficoltà sostanziali. Tuttavia non è immediatamente applicabile il metodo dei minimi quadrati, perchè il parametro X compare in (2) sotto un’ espressione irrazionale. Oi limitammo quindi a determinare i valori delle dette costanti, in modo da rappresentare esatta- ISul modo di variare della radiazione solare durante le fasi di un’eclisse 9 mente due dei valori osservati della J. Questa determinazione condurrebbe in generale ad equazioni piuttosto complicate, che si semplificano però, se per uno dei due valori della J si sceglie quello corrispondente al contorno del disco solare, cioè il valore Ji della J per r = 1. Si avranno da determinare allora le due incognite X e n dalle due equazioni log J = — |i jj/r+ 2 X -f X2 (1 — r2) — X j/l — r- — 1 j (2) log J, = - g jj/1 + 2 X - lj (3) dove s’ intende, che J , Jv r denotino valori noti. Posto per brevità log J — L log J1 = Li (logaritmi intesi a base 10) si lia per X 1’ equazione L, /j/l + 2 X + X2 (1 - »•*) - X j/l — r2 — lj — L (yl + 2 X - l) =0. L’ eliminazione dei radicali contenenti x condurrebbe ad espressioni piuttosto complicate e ad un’ equazione di 4° grado in X. Si ottengono invece espressioni più semplici ed una risul- tante di 2° grado, introducendo 1’ incognita ausiliaria u = j/l -)- 2 X W Con ciò si ottiene infatti, dopo varie riduzioni, 1’ equazione LLl |/ 1— r2 ul-\- li1 — L\ jl— |/l— Pj'j u — {Ll—Lf-\-Li {L—L) ^/l— rz=%) Per valori di r piuttosto grandi il termine noto di questa equazione risulta negativo. Non si avrà in tal caso nessuna am- biguità nella scelta fra i due valori possibili per u, perchè delle due radici si dovrà scegliere (conforme alla (3) sempre la posi- Atti acc. Skrik 4a, Voi.. XIX — Meni. XIV. 2 10 A. Bemporad [Memoria XIV.] tiva. ]Se può nascere ambiguità, quando le radici siano ambedue positive, cioè per valori di r tali che R (Ll - L) l/l - r2 - (Li - Lf > 0, poiché allora per legge di continuità dovrà scegliersi manifesta- mente la radice corrispondente al segno + del radicale. Avuta la u , la (4) fornisce X e la (3) fi. Riproduco nel quadro seguente i valori ottenuti per le u, X, n da tre diverse coppie di valori di J ricavate dalla Tabella I (5a colonna) I II III r — 0,7 r = 1,0 J — 0,87 J= 0,40 r = 0,8 r= 1,0 J — 0,81 J = 0,40 r = 0,9 r = 1,0 J = 0,70 J : 0,40 log u 0,44642 log X 0,53234 log b 9,34568 0,45469 0,55125 9,33286 0,42612 0,48544 9,37772 6. — Rappresentazione dei valori osservati della intensità J. La forinola (2) conduce con questi valori dei parametri X e n alle seguenti rappresentazioni dei valori medi di J (Ta- bella I). Distanza dal centro del © Valori osservati della J V alori I calcolati U iella J III I 0 — c II III 0, 20 0, 99 0, 992 0, 992 0, 992 0 0 0 0, 40 0, 97 0, 966 0, 966 0, 964 0 0 + 1 0, 60 0, 92 0, 913 0, 914 0, 909 + 1 + 1 + 1 0, 70 0, 87 0, S7o 0, 872 0, 86= 0 0 0 0, 80 0, 81 0, 80s 0, 81o 0, 80i 0 0 + 1 0, 90 0, 70 0, 707 0, 709 0, 70o — 1 — 1 0 0, 96 0, 59 0, 60o 0, 60s 0, 595 — 1 — 1 0 0, 98 0, 49 0, 542 0, 544 0, 538 — 5 — 5 — 5 1, 00 0, 40 0, 40o 0, 40o 0, 40o 0 0 0 La rappresentazione dei valori osservati appare a prima Sul modo di variare della radiazione solare durante le fasi di uni1 eclisse 11 vista assai buona, e fa solo eccezione il valore di J per r= 98, che presenta (con tutte e tre le coppie di valori dei parametri X e n) un divario del 5 °/0 dal valore osservato. La cosa non può sorprendere, perchè i valori della radiazione solare al con- torno del disco risentono naturalmente in maggior grado 1’ in- fluenza dell’ atmosfera solare, che non sarà certamente omogenea come noi abbiamo supposto, e che darà luogo in ogni caso a delle refrazioni e forse anche a riflessioni totali. Per un primo calcolo di saggio ci parve lecito trascurare questo divario fra il calcolo e V osservazione, e applicammo quindi nei calcoli defi- nitivi la semplice forinola (2) senza alcun termine correttivo per le parti al contorno del disco solare. Solo ci parve opportuno distribuire gli scarti fra i due ultimi valori di J per r = 0,98 e r = 1,00, e provammo quindi, quali rappresentazioni si hanno, assumendo IV V r ~ 0,7 J — 0,87 r = 0,7 J = 0,87 r — 1,0 J : 0,38 II "o H ■— 0,37 Si ottiene rispettivamente log u — 0,47375 0,48713 log X =z 0,59446 . . . 0,62452 log ji = 9,32752 9,31933 Distanza Valori Valori calcolati della J 0 - - C dal centro osservati del © della J IV V IV V 0,20 0,99 0, 992 0, 99-2 0 0 0,40 0,97 0, 966 0, 96c 0 0 0,60 0,92 0, 91s 0, 91s + 1 + 1 0,70 0,87 0, 87o 0, 87o 0 0 0,80 0,81 0, 80e 0, 80e 0 0 0,90 0,70 0, 70s 0, 70o 0 0 0,96 0,59 0, 59i 0, 58t 0 0 0,98 0,49 0, 53o 0, 524 — 4 + 3 1,00 0,40 0, 38o 0, 37o + 2 — 3 La rappresentazione fornita dal sistema V di costanti è 12 A. Beni por ad [Memoria XIV.] ormai tale, che difficilmente potrebbe ottenersi migliore senza ricorrere a forinole assai più complicate. A questo sistema quindi ci arrestiamo, e di questo ci serviremo nei calcoli, che seguono per rappresentare la distribuzione apparente della energia calo- rifica sul disco solare. Cap. II. — Calcolo del potere radiante medio dei PUNTI DEL DISCO SOLARE, RISPETTO AL POTERE RADIANTE DEL- LA REGIONE CENTRALE, ASSUNTO COME 1. 7. — Disposizione del calcolo. — Prima di procedere, coll’aiuto della forinola ottenuta nel precedente capitolo. al calcolo della radiazione delle singole fasi, applichiamo la for- inola stessa per ottenere il valore della radiazione complessiva del disco solare, quando si ponga = 1 il potere radiante delle parti centrali, vale a dire il valore di esteso a tutto il disco solare O, o ciò che torna lo stesso il va- lore del potere radiante medio dei punti del disco solare esteso all’ area scoperta a , che corrisponde ad una determinata fase di un’ eclisse (e inoltre a un determinato rapporto dei se- ( J te O O Ottenendo poi il valore a Sul modo di variare della radiazione solare durante le fasi di un'eclisse 13 midi a ni etri r© e r^) il quoziente // : 1 ci darà il valore della radiazione della fase considerata, rispetto alla radiazione del- l’ intero disco solare computata come 1. Vista l’importanza fondamentale che ha nella nostra ri- cerca il calcolo esatto di Y, abbiamo ottenuto questo valore in due modi diversi, e cioè in primo luogo per quadratura nume- rica, e secondariamente con procedimento analitico. Mettiamo questo al secondo luogo, perchè tale fu in effetto 1’ ordine della nostra ricerca, ordine, che vorremmo quasi chiamare naturale, perchè 1’ integrazione numerica è sempre effettuabile , e basta alla pratica, mentre 1’ integrazione analitica solo per avventura è effettuabile con procedimenti semplici, come capita nel caso attuale. 8. — Quadratura numerica. Si ha in primo luogo (5) Assumendo Jr come funzione integranda f (r) , venne ap- plicata per il tratto da r =. 0 a r = 0,98 la nota forinola d’ in- tegrazione 4) « + (i + A) f (r) dr — w j /[«+(* + y) w ] + -W / a — w + (H- t ) w ] - La+ (® + t) w] + •• con ì 24 17 5760 4) Cfr. Banschinger. Tafeln zur theoretischen Astronomie. Pag. 137 (Leipzig. 1901). 14 A. Bemporad [Memoria XIV.] e con un interyallo w di 0,08 da r^O, 00 fino a r — 0, 40 con intervallo di 0,04 da r — 0, 40 fino a r = 0, 88 e con intervallo di 0, 01 da r = 0, 88 fino a r — 0, 98 Per il tratto da r = 0, 98 a r = 1,00 venne invece appli- cata la forinola da me accennata in un precedente lavoro *) (6) f (r) dr = w f -f- [i w ] -)- f ( a-\-iw] J h ? [a+(iJrVìw] + ìi fU [« + (* + !)«>] _ _19_ fnl 720 •' a + (*+ 4) w] + mfIV + (i + 2) w] - • • • con (6«) \f [a — i-w) = — \ /'(«) + / («+ \w) — -yr f* (« + w) + • • e coll’ intervallo w = 0,004. Con queste forinole e mediante calcolo logaritmico a 5 de- cimali, sulla base della forinola (2) , coi valori (V) delle co- stanti 1 2) , ci risultò / 0,40 J JrdV o /' 0,88 0,40 0,88 J 0,98 ri, oo 0,98 — 0, 07868 — 0, 26673 — 0, 05970 = 0, 00933 Jr àr — 0, 41444 1) Riduzione delle osservazioni attinometrielie eseguite in Catania durante P eclisse di Sole del 30 Agosto 1905. Memorie della Società degli Spettroscopisti, 1906. 2) V. pag. 11. Sul modo di variare della radiazione solare durante le fasi di un’eclisse 15 9. Quadratura con procedimento analìtico. Introducendo -nella relazione (5) l’espressione (2) e la no- tazione (4) e ricordando che il log J della (2) è inteso a base 10, abbiamo i f > r ±Y= Jrdr = 10 / r dr. LO | u2 + X2 (1 — r2) ~\\/ 1 — r2 o a , 1 —vii' = 10 / r dr. e [ (/ u 2 + X2 (1 — r2) - X [/ 1 _ avendo posto !og10 « = [ 9, 68155 Ponendo ora otteniamo anzitutto 1 — r2 = t , 1 ^ / — v Y = 10 | t dt . e V u2 -f X2 A2 — X t Ponendo poi _ V u 2 + l2t2 —\t ossia t r~ 2 X v x , ar — v* ir t (li = 112 "2 2 > 4 A.2 v2 ar otteniamo (scambiando i limiti d’ integrazione) 4- l'- io ° x (v4 id — x* 4 X2 v2 a?3 dx , (7) 16 .4. Bemporad | Memoria XIV.] dove (cfr. forili. (4) a pag. 9) *0 = V [ [/ U% -j- X2 — X ] Ora si lia, mediante integrazione per parti , f* T / —*1 — X — X ~ 1 e x dx — _e -f- x e e, mediante integrazione per serie, e dx xz 111 x 2^ + V+2 '0gX “1^3 + , X 2 ( — 1)" xn ' 2.1. 2.3.4 “ w.l.2...(»+2) ' Procedendo al calcolo numerico dei singoli termini, coi va- lori (V) delle costanti u , X , |i , otteniamo ordinatamente e x dx — + 0,61867 + 0,29713 (termini in x0) — 0, 22886 — 0, 33749 (termini in xj = + 0, 34935 dx = -f- 2, 16705 — 2, 08186 -f- 0, 36663 I -j- 0, 08004 — 0, 00481 -f- 0, 00031 ^ termini in x0 — 0, 00002 -f ) — 0,22994 + 0,67814 + 0,19420 \ — 0, 24577 + 0, 04530 — 0, 00891 termini in x, + 0, 00164 — 0, 00028 + 0, 00004 i — 0,00001 + ) = 0, 96175 , Sul modo di variare della radiazione solare durante le fasi di un’eclisse 17 e sostituendo infine in (7) ~ Y = 0, 41415 in accordo perfetto col valore (0, 41444) già trovato sopra colla quadratura numerica. Dai due calcoli si trae dunque la conclu- sione che : Il potere radiante medio dell’unità di superficie apparente del disco solare , rispetto al potere radiante delle parti centrali assunto come unità , viene espresso dal valore 0, 829. In uno studio precedente 4 * * 7) ottenevo con procedimento pu- ramente numerico fondato sui valori di J direttamente osservati (valori medi della tabella I) il valore 0,831 come espressione dello stesso potere radiante medio. L7 accordo non potrebbe esser mi- gliore, e anche questo viene a confermare come la forinola (2) sia un’ ottima forinola di ragguaglio per il nostro scopo. Gap. III. — Calcolo della radiazione della porzio- ne SCOPERTA DEL SOLE PER UNA DATA FASE DI UN7 ECLISSE 10. Varie forme di calcolo. Il calcolo numerico della radiazione y della porzione sco- perta del disco solare, corrispondente ad una data fase di una eclisse richiede una doppia integrazione, per la quale è naturale riferirsi ad un sistema di coordinate polari r , 0 col polo nel centro del Sole e colla congiungente i centri del O e della C come asse polare. Secondochè si pensa di eseguire prima la in- 4) Relazione sulle osservazioni attinometriche eseguite nell’ Osservatorio astrotisico di Catania durante l’eclisse del 30 Agosto 1905. Memorie della Soc. degli Spetfrosc. Hai. XXXV, pag. 31. Atti acc. Suiti h 4a, Voi.. XIX — Meni. XIV. I 3 3,8 A. Bemporad [Memoria XIV.] tegrazione nel senso della r o quella nel senso della 0 , si avran- no due diverse forme di calcolo espresse rispettivamente da (8«) y = -~J Jr 6{r) di' . (86) ro In ambedue le forinole s’intende sostituita per J l’espres- sione esponenziale, che si ricava della (2). Nella prima forinola poi 20 indica 1’ angolo , sotto cui la porzione scoperta del Sole è vista dal centro del Sole medesimo, e sarà da porre = 2%, qualora il centro del Sole sia contenuto nella porzione in discorso (fase minore di 0,5) , ovvero quando si tratti di un’ eclisse anulare ; r0 , ì\ invece denotano i raggi vettori dei punti, in cui il contorno della porzione scoperta viene incontrato dal raggio generico di anomalia 0. La r0 è quindi in ogni caso una radice della equazione ?" -j- a - -j- 2 or cos 0 — l2, (9) dove l indica la misura del raggio apparente del disco lunare ed a la misura della distanza dei centri del O e della C in parti del raggio apparente del disco solare assunto come unità ; mentre rì secondo i casi, o vien dato dall’ altra radice di que- sta stessa equazione, ovvero è da porre = 1. Nella seconda forni ola d(r) indica la porzione di circon- ferenza del cerchio di raggio r concentrico al Sole, che cade en- tro 1’ area scoperta , e viene quindi definito dalla relazione 72 2 2 0(?') — are cos — , (10) v ' 2ar fatta speciale considerazione dei casi, in cui questa espressione risulti immaginaria, come avviene, quando il cerchio di raggio Svi modo di variare della radiazione solare durante le fasi di un'eclisse 19 r appartenga per intero alla porzione scoperta del Sole ; r0 in- dica poi nella forinola (8b) la minima distanza dei punti della porzione scoperta dal centro del O . La prima forma di calcolo (Sa) è assai comoda, ma richie- de per il calcolo numerico effettivo, che siano preventivamente P formati i valori di / Jrdr per una serie di valori snfficiente- J r0 mente vicini di rQ , così da poterne ricavare agevolmente per sem- plice interpolazione V ammontare dell’ integrale medesimo per un valore qualunque di rQ fra 0 ed 1. Ora il calcolo per qua- dratura numerica da noi eseguito nel capitolo precedente si presta benissimo a tale scopo. In base a questo calcolo abbiamo quindi . . r costruito la tabella di valori di / Jr dr data in line (Tav. II), ottenendo dapprima i valori del detto integrale per r = 0,04 0,08, . . . 0,96 1,00 e riducendo poi l’intervallo tavolare a 0,001 coi noti procedimenti d’interpolazione. Soltanto per gli ultimi valori di r (e precisamente da r = 0, 994 a r — 1, 000) essendo malagevole l’impiego delle forinole d’interpolazione, in causa del forte andamento delle differenze, si dovette ricorrere al pro- cedimento analitico, pure accennato nel cap. precedente, e que- sto fornì in pari tempo un saggio soddisfacentissimo del grado di approssimazione ottenuto col procedimento numerico. La seconda forma di calcolo (86) non richiede alcuna inte- grazione numerica preventiva, perchè l’integrale si presenta già nella forma di integrale semplice ; però per valori assai piccoli di a la funzione 0(r) acquista un andamento assai forte , che rende malagevole l’integrazione numerica. 11. I ari casi 'possibili. Per ridurre al minimo i calcoli numerici necessari alla co- struzione delle tavole, che rappresentano la soluzione pratica del nostro problema, abbiamo trovato opportuno distinguere vari casi1 20 A. Bemporad [Memoria XIV.] secondo la grandezza della fase e il valore del rapporto l dei semidiametri apparenti del O e della C. l.° Caso Fase > 0 , 5. Eclisse parziale. In forinole : a < l a -j- l > 1 In tal caso (fig. 2 ) sono applicabili in generale tanto la (80) come la (86) , però la prima senza eccezione, la seconda invece solo per valori non troppo piccoli di a. Nella (80) 0 s’intende definito dalla relazione cos 0 = -, (0 < 0 < 7C) (11) Z et ed è da porre inoltre r0 = — a cos b -\- \/l~ — or siir0 (12) *•, = Nella (8b) invece è da porre r0 — l — a, e s’intende b (r) ri- cavato dalla (10) colla limitazione 0 < b =1,52 si trova appunto 0,881 come valore della radiazione re- lativa. 3° Caso. Quando il bordo del disco lunare non taglia quello del disco solare, ma è tutto interno (o tangente) a questo, il li- mite d’ integrazione 0 , colla forinola (8a) , coincide con * , e quindi 1’ intervallo d’ integrazione ^ risulta un sum multiplo di % , ciò che porta una notevole semplificazione nei calcoli. Al- l’ infuori di questa, non v’ ha altra differenza sostanziale fra i calcoli del 3° caso e quelli del 1° ; non aggiungiamo quindi al- tro in proposito, limitandoci ad accennare, che l’ intervallo preso nei nostri calcoli (del 3° tipo) fu sempre di 15°. II. Relazioni particolari e ricerca dei massimi e minimi dei nostri integrali. Avendo ammesso che la intensità J sia funzione semplice- mente della distanza r dal centro del disco solare, è senz’ altro manifesto , che nel caso di una eclisse anulare il valore della radiazione corrispondente ad una data fase corrisponde a due diversi valori di b (parti scoperte del diametro trasversale del Sole) legati fra loro dalla relazione b + 21 J- bi — 2. Possiamo dunque dire che, quando l = 1 — T) il calcolo della radiazione non richiede nessuna qua- dratura superficiale, ma si riduce senz’ altro al calcolo dell’inte- grale semplice f / Jrdr l da noi già tabulato nella Tav. II. Nella figura (5) abbiamo rappresentato l’ andamento di al- Radiaz. 0,32 0,24 0,16 0,08 0,00 Porz. scoperta 6 — 0,40 0,32 0,24 0,16 0,08 0,00 Fig. 5. cuni dei nostri integrali da b = 0, 40 a b — 0, vale a dire il modo di variare della radiazione solare (in varie ipotesi circa il rapporto dei semidiametri del O e della ©) col variare della fase 30 A. Bemporad [Memoria XIV.] da 0, 80 ad 1, 00 (totalità o centralità). Per fasi non troppo grandi le varie curve corrono quasi parallelamente ; una differenza sen- sibile non si manifesta che per fasi maggiori di 0, 9. La diffe- renza più rilevante, coni’ è naturale, vien presentata dalle due curve relative all’ eclisse anulare. Per avere una idea dell’ errore a cui si andrebbe incontro, trascurando la diminuzione del po- tere calorifico dei punti del O dal centro alla periferia, abbiamo aggiunto alle quattro curve 1, 2, 3, I rappresentanti i risultati del nostro calcolo (per l = 0,92 0,96 1,00 1,08) una quinta curva (5) corrispondente al caso l = 0, 92, ottenuta ammettendo , che la radiazione delle porzioni scoperte del disco solare sia propor- zionale alla superficie delle porzioni medesime *). Come si vede, la differenza è sensibilissima, e tale da giustificare ampiamente l’estensione data ai nostri calcoli. Intorno alla fase massima in- fatti 1’ errore a cui si va incontro, ammettendo la detta propor- zionalità, ammonta quasi alla metà dell’ importo della radiazio- ne, quale risulta dal calcolo rigoroso. p Per tracciare questa curva abbiamo calcolato le aree a,, a2, s3, a4 delle porzioni sco- perte del disco solare per Z — 0,92 e per a — 0,16 0,24 0,32 0,40. Nel primo caso (area anulare) è manifestamente a, — 1,00* — 0,922 = 0,1536. Per gli altri tre casi ci siamo serviti del sistema di formolo subito ottenibile dalla Fig. 6. P = ^ (* + a + b = Area triang. ABC— 1/ p (p — 1) (p — a) (p — l) tg 2 p ( p—a ) tg P p {p— 1) tg — «i p (p—t) (Controllo — + -~ ■ — 90°) ^ £QO So — Area settore A C E — — o^0 ~ -0 = 16', 02 epperò l = — - Q- = 1.014. Dividendo poi i valori osservati delle porzioni scoperte del O per r© otteniamo i valori seguenti di b b 0,459 0,316 0,253 0,242 e per questi valori di l e b si ricavano infine dalla Tav. Ili i valori seguenti della radiazione relativa p P 0,255 0,164 0,126 0,119 La circostanza che le prime due cifre significative nella prima coppia di valori di q e p coincidono, mentre nelle due coppie seguenti si accentua la superiorità di p rispetto a q , sta l) Memorie della Società degli SpettroseopisU italiani XXIX, pag. 133. iSul modo di variare della radiazione solare durante le fasi di un’eclisse 37 a dimostrare clie la diminuzione osservata della radiazione so- lare corrispondente all’ aumento della fase, anche nella eclisse del 1900, come nell’ ultima dell’ anno scorso , fu più forte di quella teorica. Questa notevole manifestazione, che si ripete in circostanze così diverse, sembra confermare F ipotesi da noi già avanzata in un precedente lavoro 1), che F eclisse solare provochi una va- riazione nel potere assorbente dell’atmosfera terrestre, concomi- tante alle variazioni della fase e dello stesso segno di queste. Questa ipotesi viene altresì convalidata dal fatto, che secon- do i nostri calcoli, la diminuzione della radiazione sarebbe stata più forte nella eclisse del 1900, anziché in quella del 1905, in relazione evidentemente col fatto che le condizioni atmosferiche furono allora più sfavorevoli e il Sole più basso sull’ orizzonte, che non nell’ ultima eclisse del 1905. Le nostre osservazioni at- tinometriche sono troppo grossolane, per poterne ricavare, anche solo all’ingrosso, di quanto sarebbe aumentato, ciascuna volta, e con quale legge, F assorbimento atmosferico ; molto fondata ap- pare invece la speranza, che interessanti risultati al riguardo possano ricavarsi, applicando il nostro metodo di riduzione a se- rie di osservazioni ottenute durante un’ eclisse coi moderni sen- sibilissimi pireliometri a compensazione elettrica. 18. Osservazioni del Prof. W. IL Julius a Burgos. In un recentissimo studio del prof. W. H. Julius, pubbli- cato nel numero di Maggio dell’ Astr opti ysical Journal , viene esposto a new method for determining thè rate of deerease of thè radiative power from thè center toieard thè limò of solar disi-, che presenta qualche analogia col metodo da noi proposto, e che ap- plicato alle osservazioni da lui stesso ottenute nell’ultima eclisse a Burgos, conduce al risultato del tutto conforme al nostro, che *) V. Relazione sulle osservazioni attinometriche eseguite nell’ Osservatorio di Catania durante 1’ eclisse di Sole del 30 Agosto 1905. Memorie della Società degli Spettro scopisti ita- liani, Voi. XXXV pag. 34 e 35. 38 A. Bemporad [Memoria XIV.[ la radiazione solare diminuirebbe, procedendo dal centro Terso la periferia del disco solare, piu rapidamente di quanto Tenne finora ammesso, così da ridursi sul lembo estremo a 0,24 del potere radiante al centro, anziché a 0,40, come risulta in media dai precedenti risultati. Il metodo di Julius consiste nello sta- bilire con procedimento grafico e meccanico — precisamente di- segnando in grandi proporzioni le successiTe porzioni scoperte del O per Tari istanti durante 1’ eclisse e, in ciascuna di queste porzioni, tante zone concentriche al Sole, e poi ritagliando e pe- sando accuratamente le listerelle corrispondenti alle singole zone — un grande numero di equazioni fra i Talori medi dell’intensità J corrispondenti alle dette zone, e i valori osservati della radia- zione. 11 metodo da noi proposto consiste invece nell’am mettere dapprima una legge già abbastanza approssimata, e nel ricavar- ne poi con procedimenti differenziali soltanto le piccole corre- zioni necessarie per stabilire l’accordo più soddisfacente fra l’os- servazione ed il calcolo. Il nostro metodo non è dunque altro a priori che un metodo di riduzione , inteso a mettere in luce le discordanze fra i risultati delle osservazioni atti no metriche ese- guite durante un’eclisse e quelli delle osservazioni attinometriche eseguite con Sole interamente scoperto in vari punti del disco so- lare, il metodo di Julius aspira invece a riuscire un metodo di ri- cerca diretta , vale a dire ammette, che queste discordanze siano dovute ad errori sistematici nelle dette osservazioni attinometriche con Sole interamente scoperto, e conduce senz’altro ai valori del potere radiante J a varie distanze dal centro dal O , che meglio si accordano coi risultati delle osserrazioni fatte durante un’ e- clisse. Secondo ogni probabilità il nostro metodo dovrebbe riu- scire di applicazione più facile e più sicura che non quello di Julius, perchè più conforme al principio — tanto fecondo nelle scienze matematiche e naturali— delle approssimazioni successiTe. 19. Applicazione della Tavola III alle osservazioni di Julius . Per applicare il nostro metodo di riduzione alle osserva- Sul modo di variare delia radiazione solare durante le fasi di un’eclisse 39 zioni di Julius dobbiamo procurarci per i singoli valori osser- vati della radiazione solare i corrispondenti valori della porzione scoperta b dal diametro solare. Poiché le osservazioni, sulle quali si fonda lo Julius per dedurne i valori di ) 0 ro (6) 0 »'o (0) 0 io (0) 0 »'o (0) 122°, 72 1, 0000 121°, 82 1, 0000 120°, 98 1, 0000 120°, 17 1, 0000 119°, 41 1, 0000 1 116, 58 0, 8522 115, 73 0, 8490 114, 93 0, 8457 114, 17 0, 8425 113, 44 0, 8393 110, 45 0, 7012 109, 64 0, 6951 108,88 0, 6892 108, 16 0, 6834 107, 47 0, 6776 104, 31 0, 5525 103, 55 0, 5446 102, 83 0, 5368 102, 15 0, 5293 101, 50 0, 5219 98, 17 0, 4143 97, 46 0, 4059 96, 78 0, 3976 96, 14 0, 3897 95, 53 0, 3821 92, 04 0, 2976 91, 37 0, 2902 90, 73 0, 2831 90, 13 0, 2763 89, 56 0, 2699 85, 90 0, 2109 85, 28 0, 2055 84, 68 0, 2004 84, 12 0, 1957 83, 59 0, 1914 0, 96 79, 77 0, 1533 79, 18 0, 1500 78, 63 0, 1468 78, 11 0, 1438 77,62 0, 1411 73, 63 0. 1170 73, 09 0, 1149 72, 59 0, 1130 72, 10 0. 1111 71, 64 0, 1095 61, 36 0, 0780 60, 91 0, 0772 60, 49 0, 0764 60, 09 0, 0757 59, 70 0, 0751 4 9, 09 0, 0594 48, 73 0, 0591 48,39 0, 0587 48, 07 0, 0584 47, 76 0, 0581 36, 82 0, 0494 36, 55 0,0492 36,29 0, 0491 36. 05 0, 0489 35, 82 0, 0488 i 24,54 0, 0438 24, 37 0, 0437 24,20 0, 0437 24. 04 0. 0436 23, 88 0, 0436 l 12,27 0, 0409 12, 18 0, 0409 12, 10 0, 0409 12, 02 0, 0409 11, 94 0, 0409 1 0,00 0, 0400 0, 00 0, 0400 0. 00 0, 0400 0, 00 0, 0400 0, 00 0, 0400 1 119, 06 1, 0000 117,82 1, 0000 116, 67 1, 0000 115, 57 1, 0000 114, 54 1, 0000 113, 11 0, 9036 111, 93 0, 9015 110, 83 0, 8996 109, 79 0, 8979 108, 82 0, 8960 107. 15 0, 8087 106, 04 0, 8051 104, 99 0, 8019 104, 01 0, 7987 103, 09 0, 7957 101, 20 0, 7178 100, 15 0, 7134 99, 16 0, 7093 98, 23 0, 7054 97, 36 0, 7016 95, 25 0, 6333 94, 26 0, 6286 93, 33 0, 6242 92, 45 0, 6200 91, 64 0, 6160 89, 30 0, 5571 88, 36 0,5525 87. 49 0, 5482 86, 68 0, 5441 85, 91 0, 5403 83,34 0, 4903 82, 47 0, 4861 81, 66 0, 4822 80, 90 0, 4785 80, 18 0, 4751 , U, oU 71,44 0, 3851 70. 69 0, 3822 69,99 0, 3794 69, 34 0, 3768 68, 73 0, 3744 59,53 0, 3128 58, 91 0, 3110 58, 33 0, 3093 57, 78 0, 3077 57, 27 0, 3062 1 47,62 0, 2648 47, 13 0, 2638 26, 66 0, 2628 46, 23 0, 2619 45, 82 0, 2611 •35, 72 0, 2335 35, 35 0, 2331 35, 00 0, 2326 34, 67 0, 2321. 34, 36 0, 2317 23, 81 0, 2141 23, 56 0. 2139 23, 33 0, 2137 23, 12 0, 2135 22, 91 0,2133 11,91 0, 2034 11, 78 0, 2034 11, 67 0,2033 11, 56 0, 2033 11, 45 . 0, 2033 \ 0, 00 0, 2000 0, 00 0, 2000 0, 00 0, 2000 0, 00 0, 2000 0, 00 0, 2000 ! 116, 48 1, 0000 114, 65 1, 0000 112, 98 1, 0000 111, 43 1, 0000 110, 00 1, 0000 104,83 0, 8714 103, 19 0, 8688 101. 68 0, 8664 100, 29 0, 8642 99, 00 0, 8621 I 93, 19 0, 7507 91, 72. 0, 7470 90, 38 0, 7436 89, 14 0, 7405 88, 00 0, 7376 \ 81.54 0, 6449 80, 26 0, 6413 79, 08 0, 6380 78, 00 0, 6350 77, 00 0, 6322 ] 69, 89 0, 5580 68. 79 0, 5549 67, 79 0, 5523 66, 86 0, 5498 66, 00 0, 5476 0, 64 < 58,24 0, 4900 57, 33 0, 4878 56, 49 0, 4858 55, 71 0, 4841 55, 00 0, 4875 | 46,59 0, 4390 45, 86 0, 4376 45, 19 0, 4364 44, 57 0, 4353 44, 00 0, 4343 f 34,95 0, 4026 34, 40 0, 4018 33, 89 0, 4012 33, 43 0, 4006 33, 00 0, 4000 23, 30 0, 3783 22, 93 0, 3780 22, 60 0, 3777 22, 29 0, 3775 22, 00 0, 3772 1 1 , 65 0. 3645 11, 47 0, 3644 11, 30 0, 3643 11, 14 0, 3643 11, 00 0, 3642 V 0, 00 1 0, 3600 0, 00 0, 3600 0, 00 0, 3600 0, 00 0, 3600 0, 00 0, 3600 1 / 116, 11 1,0000 113, 08 1, 0000 110, 40 1,0000 108, 00 1,0000 105, 85 1, 0500 104, 49 0, 9165 101, 77 0,9141 99,36 0,9120 97, 20 0,9102 95, 26 0, 9085 92, 88 0, 8352 90, 46 0, 8318 88, 32 0, 8287 86, 40 0, 8261 84, 68 0, 8237 \ 81,27 0, 7602 79, 16 0, 7567 77, 28 0, 7535 75, 60 0, 7508. 74, 09 0, 7484 | 69,66 0,6944 67. 85 0, 6913 66, 24 0, 6886 64, 80 0, 6862 63, 51 0, 6841 0 ,48 < 58,05 0, 6392 56, 54 0, 6368 55, 20 0, 6348 54, 00 0, 6330 52, 92 0, 6314 j 46,44 0, 5950 45, 23 0, 5934 44, 16 0, 5920 43, 20 0, 5908 42, 34 0, 5897 1 34,83 0, 5612 33, 92 0, 5606 33, 12 0,5598 32, 40 0. 5591 31, 75 0, 5585 f 23,22 0, 5382 22,62 0, 5378 22, 08 0, 5375 21, 60 0, 5371 21, 17 0, 5369 11,61 0, 5245 11, 31 0, 5244 11, 04 0, 5243 10,80 0, 5242 10, 59 0, 5242 \ 0, 00 0, 5200 0, 00 0, 5200 0, 00 0, 5200 0, 00 0, 5200 0, 00 0, 5200 Atti acc. Skiuk 4% Vol. XIX — Meni. XIV. 8 58 A. Bemporad [Memoria XIV.] Segue ( Tavola IV). \ l b \ 1, 00 1, 02 1, 04 1, 06 1, 08 1, 10 0 ° I 0 (0) 0 M9) 0 rn (®) 0 }-o (®) 6 (0) 118n,69 1,0000 118°, 00 1, 0000 117°, 34 1, 0000 116, 71 1,0000 116°, 11 1, 0000 1 1 5°53 1, 0000 '112, 75 0, 8362 112, 10 0,8332 111, 47 0, 8302 110, 87 0, 8273 106, 43 0, 7077 107, 83 0, 7623 106,82 0, 6721 106, 20 0, 6667 105, 60 0, 6612 105, 04 0, 6560 96, 76 0, 4382 100, 13 0, 5343 *100,88 0, 5148 100, 30 0, 5078 99, 74 0, 5010 99, 20 0, 4944 87, 08 0,2430 92, 42 0, 3421 94, 95 0, 3748 94, 40 0, 3677 93, 87 0, 3610 93, 36 0, 3545 77, 40 0, 1423 84, 72 0,2121 89, 01 0, 2639 88, 50 0, 2583 88, 00 0, 2529 87, 53 0, 2478 67, 73 0, 0959 77, 02 0, 1402 83, 08 0, 1873 82, 60 0, 1834 82, 14 0, 1799 81, 69 0, 1766 58, 05 0, 0723 69, 32 0, 1015 0, 96 / 77, 15 0, 1386 76, 70 0, 1362 76, 27 0, 1341 75, 86 0, 1321 48, 38 0, 0589 61, 62 0, 0794 71,21 0, 1079 70, 80 0, 1065 70, 40 0, 1052 70, 02 0, 1040 38, 70 0, 0506 53, 91 0, 0657 59, 34 0, 0744 59, 00 0, 0738 58, 67 0, 0733 58, 35 0, 0728 29, 03 0, 0455 46, 21 0, 0567 47, 48 0, 0578 47,20 0, 0576 46,93 0, 0573 46, 68 0, 0572 19, 35 0. 0423 38, 51 0, 0505 35, 61 0,0487 35, 40 0, 0486 35, 20 0, 0485 35, 01 0, 0484 9, 68 0, 0405 30,81 0, 0463 23, 74 0, 0435 23, 60 0, 0435 23, 47 0, 0435 23, 34 0, 0435 0, 00 0, 0400 23, 11 0, 0433 1 11, 87 0, 0408 11, 80 0, 0408 11, 73 0, 0408 11, 67 0, 0408 15, 40 0. 0414 0, 00 0, 0400 0, 00 0, 0400 0, 00 0, 0400 0, 00 0, 0400 7, 70 0, 0403 0,00 0, 0400 113, 58 1, 0000 112, 67 1, 0000 111, 80 1, 0000 110, 99 1, 0000 110, 21 1, 0000 109, 47 1, 0000 ; 107, 90 0, 8943 107, 03 0, 8927 106, 21 0, 8910 105, 44 0, 8895 101, 03 0, 8166 100, 35 0, 8147 102, 22 0. 7928 101, 40 0, 7900 100,62 0, 7873 99, 89 0, 7847 91, 84 0, 6550 91, 23 0, 6520 96, 54 0, 6980 95, 77 0, 6946 95, 03 0, 6913 94, 34 0, 6882 82, 66 0,5237 82, 10 0, 5208 90, 86 0, 6122 90, 13 0, 6085 89, 44 0, 6051 88, 79 0, 6018 73,47 0, 4240 72, 98 0, 4217 i 85, 18 0, 5367 84, 50 0, 5331 83, 85 0, 5298 83, 24 0, 5267 64, 29 0. 3515 63, 86 0, 3500 79,51 0, 4717 78,87 0, 4686 78,26 0, 4657 77, 69 0, 4629 55, 11 0, 3000 54, 74 0, 2989 c oc c 68, 15 0, 3720 67, 60 0, 3699 67, 08 0, 3679 66, 59 0, 3660 45, 92 0, 2635 45, 61 0, 2628 56, 79 0, 3048 56, 33 0, 3035 55, 90 0, 3023 55, 49 0. 3011 36, 74 0, 2378 36, 49 0, 2375 | 45, 43 0, 2603 45, 07 0, 2595 44, 72 0, 2588 44, 39 0, 2582 27, 55 0, 2202 27, 37 0, 2200 34,07 0,2313 33. 80 0, 2309 33, 54 0. 2306 33, 30 0, 2303 18, 37 0, 2086 18, 25 0, 2085 22, 72 0, 2131 22, 53 0, 2130 22, 36 0, 2129 22, 20 0, 2127 9, 18 0, 2021 9, 12 0, 2021 11, 36 0, 2032 11, 27 0, 2032 11, 18 0, 2031 11, 10 0, 2031 0, 00 0,2000 0, 00 0, 2000 \ 0, 00 0, 2000 0, 00 0, 2000 0, 00 0, 2000 0, 00 0, 2000 108, 66 1, 0000 107, 42 1, 0000 106, 26 1, 0.00 105, 17 1, 0000 104, 15 1, 0000 103, 19 1, 0000 97,80 0, 8601 96, 68 0, 8582 95, 63 0, 8564 94, 65 0, 8549 95, 47 0, 8765 93, 81 0, 8645 86, 93 0, 7849 85, 94 0, 7323 85,01 0, 7299 84, 14 0, 72 77 86,79 0, 7656 84, 43 0, 7451 76, 06 0, 6296 75, 20 0, 6271 74, 38 0, 6248 73, 62 0, 6227 78. 11 0, 6702 75, 04 0, 6150 I 65,20 0, 5455 64, 45 0, 5435 63, 76 0, 5417 63, 10 0, 5400 69, 43 0, 5909 65, 66 0, 5644 0, 64 54,33 0, 4810 53, 71 0, 4796 53, 13 0, 4784 52, 59 0, 4772 60, 75 0, 5267 56, 28 0,5009 1 43,47 0, 4334 42,97 0, 4325 42, 50 0, 4317 42, 07 0,4310 52, 07 0, 4761 46, 90 0, 4525 1 32, 60 0, 3995 32,23 0, 3990 31, 88 0, 3986 31, 55 0, 3982 43, 40 0, 4369 37, 52 0, 4165 21,73 0, 3770 21, 48 0. 3768 21, 25 0, 3766 21, 03 0. 3764 34, 72 0, 4073 28, 14 0, 3907 10,87 0, 3642 10, 74 0, 3642 10, 63 0, 3641 10, 52 0, 3640 26, 04 0, 3858 18, 76 0, 3733 1 0, 00 0, 3600 0, 00 0, 3600 0, 00 0, 3600 0,00 0. 3600 17,36 0, 3712 9, 38 0, 3633 j 8, 68 0, 3627 0, 00 0, 3600 1 0, 00 0, 3600 1 103, 89 1, 0000 102, 10 1, 0000 100, 46 1, 0000 98, 95 1, 0000 97, 55 1,0000 96,26 1, 0000 93, 50 0, 9071 91, 89 0, 9057 90, 41 0, 9044 89,06 0,9033 89, 43 0, 9784 86, 63 0, 9012 83, 11 0, 8216 81, 68 0, 8196 80, 37 0, 8179 79, 16 0, 8163 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1, 0000 106°, 26 1, 0000 102o,48 1, 0000 110, 53 0, 9532 104, 49 0, 9502 99, 65 0, 9480 95, 63 0, 9462 92, 23 0, 9447 1 98, 25 0. 9048 92, 88 0, 9003 88, 58 0, 8969 85, 01 0, 8942 81,98 0, 8921 85, 97 0, 8574 81, 27 0, 8525 77, 51 0, 8488 74, 38 0, 8460 71, 73 0, 8436 | 73,69 0, 8131 69, 66 0, 8087 66, 43 0, 8053 63, 76 0, 8027 61, 49 0, 8007 0, 32 ' 61. 40 0, 7737 58, 05 0, 7702 55, 36 0, 7676 53, 13 0, 7655 51, 24 0, 7638 i 49,12 0, 7405 46, 44 0, 7380 44, 29 0, 7362 42, 50 0, 7348 40, 99 0, 7336 1 36,84 0,7142 34,83 0,7127 33,22 0,7116 31, 88 0, 7108 30, 74 0, 7101 24, 56 0. 6953 23,22 0, 6946 22, 14 0, 6941 21, 25 0, 6937 20, 50 0, 6934 12, 28 0, 6839 11 61 0, 6837 11,07 0, 6835 10, 63 0, 6834 10, 25 0, 6834 0, 00 0, 6800 0,00 0, 6800 0, 00 0, 6800 0, 00 0, 6800 0, 00 0, 6800 180, 00 0, 9600 180, 00 1,0000 129, 20 1, 0000 112, 75 1, 0000 102, 21 1, 0000 165, 00 0, 9578 165, 00 0.9971 119, 26 0,9848 101, 47 0,9766 91,99 0, 9748 150, 00 0, 9515 150, 00 0, 9884 109,32 0,9684 90, 20 0, 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8688 35, 49 0, 8681 33,61 0, 8675 32, 06 0, 8671 30, 76 0, 8667 18, 53 0, 8563 26, 62 0, 8559 25. 21 0, 8555 24, 05 0, 8553 23,07 0, 8551 9, 26 0, 8473 17, 75 0, 8471 16, 81 0, 8470 16, 03 0, 8468 15, 38 0, 8467 0, 00 0, 8418 8, 87 0, 8418 8, 40 0, 8417 8, 02 0, 8417 7, 69 0, 8417 0, 8400 0,00 0, 8400 0, 00 0, 8400 0, 00 0, 8400 0, 00 0, 8400 0, 32 0, 16 99.21 89, 29 79, 37 69, 44 59 52 49, 60 39, 68 29, 76 19.84 9,92 0, 00 94, 59 85, 13 75, 67 66.21 56, 75 47, 29 37.84 28, 37 18, 92 9, 46 0, 00 1, 0000 0, 9328 0. 8727 0, 8205 0, 7767 0, 7413 0, 7142 0, 6951 0, 6837 0. 6800 1, 0000 0, 9640 0, 9319 0. 9042 0, 8813 0, 8633 0, 8504 0, 8426 0, 8400 60 A. Bemporad [Memoria X1Y.J Tavola V. Valori della funzione — 0 (r) = are tag j 1 ) (l + r "_) valori diversi di ì o 2 ' l (a+r + iXa + r — i) 6=za+l — l (0 espresso in primi). \ 1 b \ 0, 9 1,0 1, 1 r logi- 0 (»•) Diff. log^- 0 (r) Diff. log L 0 (r) Diff. 0,04 X + X X + X X + X 0, 08 3, 2395 4- 640 3,2411 + 646 3, 2424 651 0, 12 3, 3035 + 233 3, 3057 + 240 3, 3075 245 0, 16 3, 3268 101 3, 3297 4 108 3.3320 -f 113 0, 20 3, 3369 -j- 41 3, 3405 + 47 3, 3433 4- 54 0,24 3, 3410 -p 7 3, 3452 + 15 3, 3487 + 20 0, 28 ■ 3, 3417 — 13 3, 3467 — 6 3, 3507 0 0, 32 3, 3404 — 28 3, 3461 — 20 3, 3507 14 0, 36 3, 3376 — 37 3, 3441 — 29 3, 3493 93 0, 40 3,3339 — 46 3,3412 — 37 3, 3470 30 0, 44 3, 3293 — 51 3, 3375 — 43 3, 3440 36 0, 48 3, 3242 ... 37 3, 3332 — 48 3 3404 40 1, 04 0, 52 3, 3185 — 62 3, 3284 — 51 3, 3364 44 \ 0, 56 3, 3123 -- 66 3, 3233 — 56 3, 3320 48 0,60 3; 3057 _ 69 3, 3177 — 59 3, 3272 50 0, 64 3, 2988 — 74 3,3118 ' — 61 3, 3222 53 0, 68 3,2914 — 77 3, 3057 — 65 3,3169 56 0, 72 3, 2837 — 80 3, 2992 — 68 3, 3113 58 0, 76 3, 2757 — 85 3, 2924 — 71 3, 3055 61 0, 80 3, 2672 — 89 3, 2853 - 74 3, 2994 63 0, 84 3, 2583 — 92 3, 2779 — 76 3| 2931 65 0, 88 3, 2491 — 96 3 2703 — 79 3, 2866 67 0,92 3, 2395 — 101 3, 2624 — 83 3, 2799 70 0,96 3, 2294 — 105 3, 2541 — 86 3, 2729 73 1,00 3,2189 3, 2455 3, 2656 0, 20 ■— X + X - X +' X X + X 0, 24 2, 9532 -1-1155 2, 9578 -1-1161 2, 9616 -1-1166 0,28 3, 0687 + 565 3, 0739 571 3, 0782 -1- •376 0,32 3, 1252 + 335 3, 1310 + 342 3, 1358 4- 347 0, 36 3, 1587 + 215 3, 1652 + 222 3, 1705 + 228 0, 40 3, 1802 4- 144 3, 1874 + 151 3, 1933 156 1 °, 44 3, 1946 4- 96 3, 2025 -4- 103 3, 2089 + 110 0, 48 3, 2042 + 63 3, 2128 + 71 3,2199 + 76 0, 52 3, 2105 + 38 3, 2199 + 46 3, 2275 4- 53 0, 56 3, 2143 4- 20 3, 2245 . 28 3, 2328 34 1, 20 0, 60 3, 2163 + 4 3, 2273 + 12 3, 2362 4- 20 0, 64 3,2167 — 9 3,2285 + 1 3,2382 4- 8 J 0, 68 3, 2158 — 18 3, 2286 — 9 3, 2390 1 0, 72 3, 2140 3, 2113 — 27 3, 2277 — 17 3, 2389 10 1 0, 76 — 36 3, 2260 — 25 3, 2379 17 0, 80 3,2077 — 42 3, 2235 — 31 3, 2362 23 ■ 0,84 3, 2035 — 49 3,2204 — 37 3, 2339 28 0, 88 3, 1986 — 56 3, 2167 — 43 3, 2311 33 0, 92 3, 1930 — 61 3, 2124 — 47 3, 2278 38 0, 96 3, 1869 ' 67 3, 2077 — L 52 3,2240 41 1,00 3, 1802 3, 2025 3, 2199 Sul modo di variare della radiazione solare durante le fasi di un'eclisse 61 Segue Tavola V. \ 1 b \ 0, 0 1, o 1, 1 r log y 1 (»’) > Diff. log A fi (r) Diff. log \ 0 0') Diff’. 0, 36 — CO 4" 00 — 00 + QO — co -f- OO 0, 40 2, 8104 +1268 2, 8172 +1275 2, 8230 +1280 0, 44 2, 9372 + 657 2, 9447 + 663 2, 9510 + 667 0, 48 3, 0029 + 411 3, 0110 + 418 3, 0177 + 424 1 0, 52 3, 0440 + 280 3, 0528 + 287 3, 0601 + 292 0, 56 3, 0720 + 200 3, 0815 + 206 3, 0893 + 212 | 0, 60 3, 0920 -j- 145 3, 1021 + 152 3, 1105 + 157 0, 64 3, 1065 + 106 3, 1173 + 113 3, 1262 + 119 1, 36 0, 68 3, 1171 -f- 75 3, 1286 + 83 3, 1381 + 90 0, 72 3, 1246 + 53 3, 1369 + 91 3, 1471 + 67 0, 76 3, 1299 + 34 3, 1430 + 43 3, 1538 + 50 0, 80 3, 1334 + 19 3, 1473 + 29 3, 1588 -)- 35 0, 84 3, 1353 + 6 3, 1502 + 15 3, 1623 + 23 0, 88 3, 1359 — 4 3, 1517 + 6 3, 1646 + 13 0,92 3, 1355 — 15 3, 1523 — 4 3, 1659 + 4 0,96 3, 1340 — 23 3, 1519 — 12 3, 1663 — 3 1, 00 3, 1317 3, 1507 3, 1660 0,52 — CO ~j — CO CO + oo OO + so 0, 56 2, 7104 +1320 2, 7191 +1325 2, 7264 +1329 0, 60 2, 8424 + 700 2, 8516 + 706 2, 8593 + 712 0,64 2, 9124 + 450 2, 9222 + 456 2,9305 + 461 0, 68 2, 9574 + 314 2,9678 + 322 2, 9766 + 327 0, 72 2, 9888 + 230 3, 0000 + 236 3, 0093 + 242 1, 52 0, 76 3, 0118 + 173 3,0236 + 180 3, 0335 + 185 0, 80 3, 0291 + 130 3, 0416 -4- 137 3, 0520 + 143 0, 84 3, 0421 + 99 3, 0553 + 107 3, 0663 + 113 0,88 3, 0520 + 74 3, 0660 + 82 3, 0776 + 88 0, 92 3, 0594 + 54 3, 0742 + 62 3, 0864 + 69 0, 96 3, 0648 + 36 3, 0804 + 46 3, 0933 + 52 1,00 3, 0684 3, 0850 3, 0985 0, 68 00 + so OO + 00 OO + 00 0, 72 2, 6322 +1347 2, 6423 +1353 2, 6509 +1358 0, 76 2, 7669 + 726 2, 7776 + 732 2, 7867 + 736 0, 80 2, 8395 + 474 2, 8508 + 480 2, 8603 + 485 1, 68 0,84 2, 8869 + 336 2, 8988 + 342 2, 9088 + 347 0,88 2, 9205 + 250 2, 9330 + 256 2, 9435 + 262 0, 92 2, 9455 + 190 2, 9586 + 198 2, 9697 + 203 0, 96 2,9645 + 147 2, 9784 + 154 2, 9900 + 160 1, 00 2, 9792 2, 9938 3, 0060 0, 84 00 + oo OO + OO OO + <» 1, 84 0, 88 2, 5674 +1366 2, 5786 + 1372 2, 5883 + 1376 0, 92 2, 7040 + 743 2, 7158 + 749 2, 7259 + 754 0,96 2, 7783 + 489 2, 7907 + 495 2, 8013 + 500 1,00 2, 8272 2, 8402 2, 8513 Memoria XV Effetti magnetici del fulmine sulle lave dell’Etna del Dott. GIOVANNI TR OVATO -C ASTORI N A RELAZIONE della Commissione di revisione composta dai soci effettivi Proff. G. P. GRIMALDI e A. RICCO ( relatore ) Le indagini del D.r Trovato sono molto interessanti , in quanto che fanno conoscere buon numero di tracce magnetiche a nastro doppio , la- sciate dalle scariche fulminee sulle lave, (non semplici punti o poli magne- tici isolati come si è trovato altrove) ; le quali tracce, come quelle trovate dai Proff. Giovanni e Gaetano Platania sui fabbricati, possono servire a deter- minare la direzione delle scariche elettriche atmosferiche. Pertanto si ritieue la detta nota meritevole di esser pubblicata negli Atti dell’Accademia; anche perchè mette in vista un fenomeno che finora pare speciale delle roccie laviche dell’ Etna. I. 1. Nei dintorni di Acireale e precisamente in contrada Piano Pizzone avevo, nell’estate dell’ anno scorso, intrapreso uno studio sui punti magnetici distinti nelle rocce dell’ Etna. In se- guito al temporale che ebbe luogo il 18 Agosto dello stesso an- no verso le ore 15 V2 , avendo dopo la pioggia ripreso le osser- vazioni, da una guardia daziaria fui informato che un fulmine era poco prima caduto a piccola distanza dui luogo ove io mi trovavo. Il muro fulminato trovasi nella proprietà del Sig. Oasimiro Carpinati a circa 200 m. dal cancello di ferro che guarda a S-E, posto al principio della via per la quale si può andare a S.a Atti acc. Serie 4a, Voi.. XIX — Meni. XV. I o Trovato Castorina [Memoria XV.] MIMIItllllliffi Maria di Loreto. Esso ha sensibilmente la direzione E-W , se- para 1’ orto dal vigneto ed è a pochi passi dal punto ove co- mincia il rampicante, che ne riveste la parte superiore. Il tratto di muro colpito dal fulmine trovasi compreso fra due muri paralleli AB e CD (tìg. 1) , alti poco più di un me- tro e distanti circa ni. 25 tra loro, go Su i quali sono quasi perpendicolari al muro colpito e si arrestano a circa 1 ni. da esso. 17el vigneto, alla distanza di meno di 1 m. dal muro E-W, vi sono due mandorli M ed M' di 6 in. circa d’altezza. Il primo M dista circa m. 12 dall’ estremo A del muro AB. Due gruppi dei suoi rami , m , n , pendono sul muro fulminato per una larghez- za di m. 1 circa, presentando una interruzione di più di tre metri in m ed n. A circa 8 m. da que- sto mandorlo verso W, trovasi il secondo 31 del quale un grup- po di rami pende sullo stesso muro. Alcune viti, poste nella vigna a poca distanza dal muro, avevano i loro lunghi tralci av- viticchiati ai rami del primo mandorlo pendenti sul muro. Esse furono completamente disseccate; altre, poste a maggior distanza, subirono di meno 1’ influenza del fulmine. Un uccellino fu ful- minato, il rampicante in parte disseccato, le foglie delle piccole querce crescenti sul muro scolorate. 2. Sul terreno, dalla parte dell’ orto, osserva valisi tre lunghi solchi ('tìg. 1) s\ s", quasi normali al muro colpito , della profondità di 3 cm. circa , sensibilmente rettilinei. Il primo , lungo in. 8, distava circa m. I dal muro AB \ a m. 4, 50 cir- ca dal primo solco trpvavasi il secondo lungo in. 10 ; il terzo lungo m. 7, distante circa ni. 8, 50 dal precedente , era al di là del muro CD ed a 10 cm. da esso. Avvicinando una bussola Affetti magnetici del fulmine sulle lave dell ’ Etna ó tascabile (1) al muro ili corrispondenza del 1° solco s' sotto il pri- mo gruppo di rami procedendo da sinistra a destra, lio subito verificato resistenza di una zona distinta a nastro , di polarità Fig. 2. Nord nn , (fig. 2) per tutta una striscia quasi verticale del muro a sinistra del solco (per citi guarda il muro stando sul solco), ed una seconda zona distinta, ma di polarità Sud s, per una secon- da striscia, sensibilmente parallela alla prima, a destra del solco. Queste due zone sono larghe 1 cm. e distanti cm. 25 circa l’una dall’ altra (2). A destra della zona s , lio osservato successivamente altre due zone distinte a nastro ; la prima nn di polarità Nord, l’al- tra ss di polarità Sud leggermente tortuose, ina aneli’ esse pres- s’ a poco verticali e distanti tra loro da 15 a 20 cm. Queste due zone però, mentre cominciano, come le due precedenti, dal ciglio del muro, non arrivano fino al suolo fortemente magne- tiche , ma cominciano ad indebolirsi ad 80 cm. dal medesimo. Ivi trovasi una pietra, la quale presenta una piccola superfìcie erosa, dovuta alla scarica elettrica, ed in corrispondenza ad essa (1) Queste ricerche sono state eseguite con una bussola tascabile, l’ago della quale ha 3 cm. di lunghezza. (2) I nostri muri di campagna , aventi circa 90 cm. di spessore, sono costruiti a secco con pezzi di lava basaltica, ciascuno dei quali presenta all’esterno una faccia più o meno piana con contorno poligonale. Le faccie dei muri, e specialmente quelle appartenenti a muri non da recente costruiti , come nel caso attuale, non sono pertanto continue e quindi i nastri distinti citati sono interrotti dagli spazi tra un pezzo di lava e l’altro. 4 Trovato Castorina [Memoria XV.] erano stati anche rotti dal fulmine i rami sovrapposti del ram- picante. In seguito i due nastri magnetici si abbassano tino al suolo, però, ad eccezione di qualche punto, non presentano la caratte- ristica di distinti. Un po’ a destra dell’ estremo superiore del nastro ss, se ne osservano due altri, distanti cin. 10, paralleli tra loro, però è a sinistra il nastro distinto di polarità /Sud s', lungo circa 15 cm. a destra quello di polarità Nord n', un po’ più lungo del prece- dente (1). 3. Al secondo solco s ", sotto il secondo gruppo di rami, non corrisponde, come per gli altri, una traccia magnetica per tutta la lunghezza del muro sulla faccia rivolta a settentrione. In corri- spondenza a questo solco si osservano due zone, a nastro, distinte, di 1 cm. di larghezza e parallele tra loro (fìg. 2), le quali co- minciano a 60 cm. dal suolo e, come nell’ultimo caso considerato è a destra la zona distinta di polarità Nord un, fortemente ma- gnetica , che raggiunge il suolo ed a sinistra quella di polarità /Sud s, la quale comincia quasi dall’altezza della precedente, dista cm. 20 e scompare dopo circa 25 cm. di lunghezza. Segue quindi che , tanto in questo , quanto nell ’ ultimo dei casi precedenti, la scarica elettrica sarebbe avvenuta tra elettricità, positiva della nube e negativa del suolo. 4. La traccia magnetica su questa faccia corrispondente al terzo solco s ha forma un po’ arcuata, il punto più alto della quale si trova immediatamente sotto i rami del secondo man- dorlo M' pendenti sul muro. I rami del rampicante, che ne ri- vestono la parte superiore , furono in parte rotti e spezzati. La traccia magnetica comincia a partire dal suolo , ove si tro- vano molte pietre accumulate. È lunga circa m. 2,70 ed è co- stituita da due zone distinte a nastro nn, ss, (fìg. 2, a destra) e (1) Per mettere in evidenza la disposizione delle zone magnetiche nei muri fulminati di cui si parla, colla scorta della bussola ne ho segnato convenientemente la traccia sul posto prima di fotografarli. -Effetti magnetici (tei fulmine sulle lare delV Etna 5 di polarità Nord a sinistra, Sud a destra, in generale di 1 cm. di larghezza e distanti da 8 a 15 cui. tra loro. 5. Nessun effetto meccanico osservatasi sul terreno dalla parte della vigna, quantunque le tracce magnetiche sulla faccia del muro ad essa rivolta si presentino abbastanza estese. Sul muro, sul quale pendono i rami del mandorlo M, (fig. 3) appartenenti Fig. s. al primo gruppo, vi sono delle pietre con punti distinti. Essi fanno seguito ai nastri magnetici suddetti della faccia rivolta a N, corrispondenti al primo solco s (n. 2j. Ad esso corrisponde, sulla faccia che guarda a /S, un’altra traccia magnetica, la quale comincia (fig. 3) dall’orlo del muro, alto m. 1,30 e finisce al suolo. Non è verticale, ma sensibilmente inclinata, in corri- spondenza ai tralci di una vite, i quali, appoggiandosi soltanto sulF orlo del muro, si tenevano da esso lontani persino a 40 cm. di distanza, quasi parallelamente alla traccia magnetica. Essa a sinistra (per chi guarda il muro da ffj è costituita da un nastro distinto di polarità Nord mi, leggermente tortuoso e lungo in. 1,60. Verso destra, ed a 7 cm. di distanza, trovasi il rispettivo nastro di polarità Sud ad esso parallelo e lungo cm. 15 , il quale comincia verso il basso e raggiunge il suolo. Più in là 13 cm. da questo nastro, se ne trova un altro di- stinto di polarità Nord, il quale è lungo cm. 20 e quasi ad esso parallelo. Segue quindi, sempre verso destra a 10 cm. di di- stanza dal precedente, un secondo nastro distinto di polarità 6 Trovato Castorina [Memoria XV. J Sud s's'. Esso dista circa 30 cui. dal nastro distinto nn , co- mincia aneli’ esso dall’ orlo del muro, si mantiene ad esso pa- rallelo e raggiunge il suolo. Presso 1’ estremo superiore del nastro nn, si notano, a si- nistra, due punti distinti a 40 cm. circa tra loro, ed è a sinistra il punto distinto di polarità Nord ed a destra quello di polarità Sud in una piccola superfìcie erosa. 6. Su questa stessa faccia, a pochi metri verso sinistra dalla precedente traccia magnetica, se ne osserva un’ altra sotto il secondo gruppo di rami del mandorlo M in corrispondenza al secondo solco s". Due viti collocate a 20 cm. di distanza da questa faccia ed a circa m. 2,50 tra loro avevano i loro lunghi tralci disposti a forma di arco. La traccia magnetica ha forma analoga (fig. 3), quantunque i tralci delle due viti, come nel caso precedente, fossero lon- tani del muro persino ad una distanza di 30 cm. Essi poggiavano soltanto sull’ orlo del muro, corrispondente alla parte più alta della traccia magnetica, che dista m. 1,40 dal suolo ed erano avviticchiati al 2° gruppo di rami del mandorlo M pendenti sul muro. La traccia magnetica in discorso è costituita da due nastri distinti di un cm. di larghezza, lunghi circa m. 1,95, distanti da 10 a 15 cm. e sensibilmente paralleli tra loro : a sinistra v’è il nastro distinto di polarità Nord nn, a destra quello di polarità Sud ss. A poca distanza verso sinistra dai precedenti nastri, e pa- rallelamente alla loro parte più bassa, ve ne sono altri due, ana- loghi ad essi e lunghi 15 cm. circa, e come precedentemente, si ha : nastro Nord a sinistra, nastro Sud a destra. Sia a sinistra di quest’ arco magnetico, che sull’ estremo del muro, sotto i rami del mandorlo, si osservano punti distinti di polarità diversa. La traccia magnetica che costituisce la parte destra dell’arco è invece abbastanza debole non solo, ma le due polarità opposte Effetti magnetici del fulmine sulle lave dell ’ Etna 7 sono soltanto sensibili verso la parte più bassa e si ha : a sinistra la zona magnetica di polarità Nord riri , a destra quella di po- larità contraria ss. Non si osservano punti distinti. Le pietre della faccia 8 , racchiuse da tutto 1’ arco magne- tico, non esercitano azione sensibile sull’ ago della bussola ; in- vece quelle esterne e comprese fra queste e la prima traccia, lo fanno deviare sensibilmente dalla sua posizione di riposo. Su questa parte si vedeva chiaramente P azione del fulmine, poiché per lungo tempo le foglie del rampicante, di cui esso è ricoperto, erano appassite per una lunghezza di circa 8 m. e facevano un chiaro contrasto colle parti laterali perfettamente verdi. 7. Mentre a ciascun solco s ed s" corrisponde, sulla faccia del muro rivolta alla vigna, la traccia magnetica già descritta, invece relativamente al solco s" , su questa stessa faccia e sotto i rami del mandorlo M' , non si osserva nessun effetto magne- tico. 8. Ho detto che il terzo solco s"‘ era parallelo alla faccia che guarda ad W del muro C 1) (tig. 1) ; il quale è alto circa m. 1,20. La traccia magnetica su questa faccia è lunga comples- sivamente circa m. 4, (30. Il suo principio dalla parte sinistra (per chi guarda il muro da W) corrisponde perfettamente al prin- cipio del solco sul terreno. Essa leggermente inclinata da sini- stra a destra comincia da m. 0, 9(3 dal suolo (tig. 4), presentan- do a destra la zona di polarità Sud ss, ed a sinistra quella di polarità contraria un, con qual- che punto distinto. Cominciano quasi alla stessa altezza dal suo- lo e scompaiono entrambe a 30 cui. da esso. La zona di pola- rità Sud non è però continua ed è più evidente soltanto agli estre- mi. Ad 80 cm. dalla parte più bassa verso destra, si osservano due nastri distinti n,s paralleli tra loro, sopra una pietra che Fig. 4. 8 Trovato Cast-ovina [Memoria XV.] poggia sul terreno, ed è a sinistra il nastro distinto di polarità Nord, a destra quello di polarità contraria. Sono lunghi 20 citi. circa. Quindi, dopo breve interruzione, si osserva presso il suolo il principio di altre due zone magnetiche, le quali in seguito si dirigono verso alto, ed è a destra la zona di polarità Sud s's, de- bolissima e discontinua , a sinistra quella di polarità contraria nrì, molto più sensibile con un punto distinto N , di polarità Nord, a 70 cm. dal suolo, sullo spigolo rivolto a NW. Il solco s" sul terreno (1) continuava per un metro circa oltre 1’ estremo di questo muro ed aveva line presso il muro EW sotto i rami del mandorlo il/' pendenti sul muro. A questo solco faceva seguito il doppio nastro distinto sul muro EW, di cui ho detto al n. 4, come si osserva dalla fìg. 4. 9. La faccia opposta di questo muro che guarda dentro l’orto presenta aneli’ essa delle tracce magnetiche e per lo più verti- cali. Ad 8 m. di distanza circa dall’ estremo sinistro di questa faccia ( per chi guarda), havvi una pietra, a cm. 96 dal suolo, sulla quale si osservano due sensibili nastri distinti : a sinistra v’ è quello di polarità Sud, lungo cm. 36, a destra quello di po- larità contraria, lungo cm. 15. Questi nastri sono sensibilmente verticali e paralleli. Altre tracce isolate più o meno estese so- pra pietre analoghe si osservano proseguendo ancora verso de- stra per circa in. 2, 4, 5, 8 da questa pietra magnetica. Il non avere indizio alcuno che questa faccia fosse stata, contempora- neamente alle altre già descritte , colpita in qualche punto da scariche elettriche, l’ esistenza di tali tracce magnetiche più o meno estese, frequentissima a diverse altezze nei nostri muri di campagna, e 1’ abbondanza di punti e nastri distinti nelle lave in situ di queste contrade , corroborano 1’ ipotesi che le tracce magnetiche accennate siano dovute ad altre fulminazioni. 10. Nell’ orto , accanto al muro dalla parte N, trovai poi (1) Le tracce magnetiche sulla faccia di questo muro parallelo al solco s"' si potreb- [ bero considerare come dovute a due scariche elettriche diverse. Effetti magnetici del f ulmine sulle lave deW’ Etna 9 delle selieggie che dimostravano all’ evidenza di essere state stac- cate dalle pietre del muro in corrispondenza della scarica ful- minea ed, esaminatele colla bussola , ho trovato che in esse la distribuzione magnetica è analoga a quella di una calamita : una parte della loro superficie presenta un magnetismo di po- larità Nord, il resto offre una polarità contraria. Una scheggia, avente forma circolare di 1 cm. di diametro, presenta nelle sue due faecie le due polarità opposte. Una parte di una pietra fran- tumata dal fulmine ha la forma di una piramide triangolare. Per la base ed una sua faccia stava attaccata al resto della pietra. La base presenta un magnetismo di polarità Nord, il re- sto della superficie una polarità contraria. Una pietra di circa 3 Kg. , avente forma sferoidale, tolta dal mucchio presso il mu- ro EW (n. 4) , offre un solo punto distinto di polarità Sud , il resto della superficie presenta un magnetismo di polarità Nord. II. 11. Durante lo stesso temporale un fulmine cadde presso la stazione ferroviaria al n. 18 della strada detta Crocifisso. La cala colpita, a pian terreno, posta den- tro un cortile, dista pochi m. dalla stra- da suddetta. La porta e la finestra, praticate in uno stesso muro, guardano a S-W. A pochi metri dalla finestra v’ è un grosso fico dell’ altezza ordina- ria, alcuni rami del quale pendono su l’estremo sinistro della casa. Il fulmine investì il muro SE-NW. Della facciata SW ne scrostò un pezzo (fìg. 5) presso la parte superiore dello stipite sinistro della finestra , la- sciando una impronta avente la forma di un triangolo isoscele colla base in alto di 27 cm. di lun- ghezza e 36 cm. di lato. Un gallo presso la finestra fu fulini- At'II acc. Skiuk 4a, Vor,. XIX — Meni. XV. 2 10 Trovato Castorina [Memoria XV.J nato. Un bambino di 3 anni che stava sulla soglia della porta, distante più di 1 in. dalla finestra , colpito leggermente dal fulmine stramazzò a terra. In seguito rinvenne. Salito su di una scala a pinoli, esplorando questo muro per mezzo della bussola, in’ accorsi che la traccia magnetica, comin- ciava dalla parte più alta di questa facciata. Seguendo 1’ orlo da sinistra a destra, a 85 cin. dall’ estremo sinistro comincia un nastro distinto di polarità Nord nn, di 1 cm. di larghezza ; si abbassa quasi verticalmente per più di mezzo metro, quindi di- venta tortuoso piegando verso destra e lambendo quasi la parte scrostata ; in seguito continua in basso per altri 38 era. sulla faccia SE dello stesso stipite , nel resto del quale non ci sono punti distinti. Seguendo sempre 1’ orlo del muro, a 9 cm. di distanza dal- 1’ estremo superiore del precedente nastro, se ne osserva un altro brevissimo, pure distinto e di polarità Sud. Più in là 9 cm. dall’ estremo superiore di esso, ha origine un altro nastro distinto ri di polarità Nord, lungo circa cm. 15 e leggermente inclinato verso sinistra. Poscia a 13 cm. ne segue un altro ss della stessa lar- ghezza dei precedenti e di polarità Sud, il quale, quasi verti- calmente, si abbassa per cm. 80 e scompare presso 1’ estremità inferiore della parte scrostata ; così che essa rimane compresa tra il primo nastro distinto nn e quest’ ultimo s's. Siccome la faccia del muro è continua (1) anche continui sono i nastri ma- gnetici distinti. Più giù dello stipite, fino al suolo , non si os- servano tracce magnetiche. Presso la parte scrostata staccai un pezzo di calcinaccio ed un pezzo di tegola di terra cotta ad esso aderente. Tanto l’uno, (1) I muri di città sono costruiti, iu generale, con pezzi di lava basaltica più o meno regolare ; gli spazi tra i diversi pezzi sono riempiti con rottami di terra cotta, schegge di lava ecc. ed i vari pezzi sono tra loro collegati con una malta che localmente chiamasi « cottile » Effetti magnetici del fulmine sulle lave dell' Etna 11 quanto 1’ altra fanno deviare sensibilmente l’ ago magnetico. La finestra, di forma rettangolare lunga m. 1,16 e larga cin. 79, era chiusa durante il temporale. Sulla sua parte sini- stra, a circa 30 cm. di altezza, si vede una traccia di legno bru- ciato b larga cm. 1,5 e lunga cm. 30, avente origine presso lo stipite e leggermente inclinata in basso. Nella parte superiore di destra, a pochi cm. dal rispettivo stipite, si osservano fusi le estremità di due chiodi e tutto in- torno il legno bruciato. 12, Dentro la stanza offre tracce magnetiche soltanto quel tratto della parete opposta compreso tra la porta e la finestra. Esse, in generale, sono deboli e tali da prevalere il ma- gnetismo di polarità Sud. A cui. 68 dal suolo si osserva che , per un tratto lungo cm. 21 e largo da 3 a 5 cui. 1’ intonaco fu scrostato e la pietra messa a nudo offre un debole magne- tismo di polarità Sud. 13. Da quanto precede è facile concludere : 1. Sulla lava dell’ Etna il fulmine ha prodotto tracce sensi- bilissime magnetiche costituite in gran parte da lunghe zone distinte , a nastro, di 1. cm. di larghezza. 2. La loro disposizione è abbastanza regolare e tale da non lasciare dubbio alcuno sulla via percorsa dal fulmine , essendo ogni zona di una data polarità parallela a quella di polarità opposta. A sinistra ( per chi guarda) si ha quasi sempre la zona di polarità Nord, a destra quella di polarità Sud. In due soli casi (n. 1, 2) le zone hanno polarità in- vertite. 3. La scarica elettrica , determinata dalla disposizione di queste zone, ha avuto quindi luogo, nel maggior numero dei casi , tra elettricità positiva del suolo e negativa della nube. Ad analoghe conclusioni son venuto da ricerche eseguite 12 Trovato Castorina {Memoria XV.] su rocce dell1 Etna, presso il luogo fulminato. (1) Le zone distinte a nastro dopano, dalle quali si pub rilevare la direzione della sca- rica elettrica , sono ivi abbastanza frequenti. Di ciò ini occuperò per esteso in una prossima nota. 4. In quei casi in cui i tralci delle viti erano presso il muro, quantunque ad una certa distanza , la traccia magnetica lia forma analoga alla loro disposizione, la quale negli altri casi è ordinariamente verticale. 5. Il fatto poi che queste scariche elettriche avvennero in cor- rispondenza ai rami degli alberi , di cui si è parlato, conferma an- cora una volta quanto è pericoloso ricoverarsi , durante i temporali , sotto gli alberi in campagna. (1) Invece i Proli'. Giovanni e Gaetano Platania avendo eseguite analoghe ricerche sui fabbricati fulminati trovano la direzione della scarica elettrica costantemente dal suolo alla nule— Coni. Gaetano e Giovanni Platania : Effets magnetiques de la foudre sur les roches volcaniques. Comptes Rendus 4 Décembre 1905 — Giovanni e Gaetano Platania : Sul magnetismo prodotto da fulminazioni. Meni. R. Acc. degli Zelanti 3a serie— Volume IV 1905-1906. Maggio 1906. Catania, Memoria XVI Ricerche sull’ “ attrazione „ delle cellule sessuali di OMBERTO DRAGO RELAZIONE DELLA COMMISSIONE DI REVISIONE COMPOSTA DAI SOCI EFFETTIVI Proff. R. STADERINI ed A. RUSSO (relatore). L’ Autore, premesso che 1’ attrazione che eserciterebbero le ova sugli spermatozoi della stessa specie viene oggi dai più interpretata come una modalità- di Chemiotropismo, e dopo una minuta rassegna bibliografica dalla quale risultano opinioni contradittorie , per tentare di risolvere un così grave problema instituisce varie esperienze. Dalle ricerche che l’A. ha con- dotto con tecnica rigorosa ed i cui risultati sottopone ad una critica minu- ziosa, emergono nuove circostanze di fatto, le quali escludono un’ attrazione specifica e. l’ intervento di azioni chemiotropiche. Risulta infatti, dalle molte ricerche fatte, che spermatozoi appartenenti a generi diversi, a diverse classi ed anche a tipi animali diversi possono aggrupparsi attorno alle ova, co- stituendo cumuli analoghi a quelli formati da elementi della stessa specie dell’ ovo, come ancora che attorno alle ova uccise con vari mezzi e rese artificialmente incapaci di “attrarre,, gli spermatozoi, si possono con sem- plici artifizi fisico-meccanici, indipendentemente dal chemiotropismo, indurre quegli accumuli, che hanno fatto pensare ad azioni chemiotropiche. L’ importanza dell’ argomento che il Dott. U. Drago si è proposto di trattare, non ostante le grandi difficoltà che talora oltrepassano i comuni mezzi d’ indagine, rendono il presente lavoro molto pregevole e perciò la Commissione propone che sia inserito negli Atti di questa Accademia. Secondo l’ indirizzo della moderna Biologia, molti dei più noti fenomeni vitali presentati dagli esseri unicellulari, vengono ascritti, a stimoli chimici e fisici i quali avrebbero una certa Atti acc. Serie 4a, Voi.. XIX — Mem. XVI. 1 2 Umberto Drago [Memoria XVI.] analogia colle affinità chimiche e le proprietà tisiche che si avvera- no nella materia non organizzata. Per tali manifestazioni del pro- toplasma vivente si sono create denominazioni speciali traducenti le modalità dei fenomeni che ne derivano, e la « chemiotassi, » il « barotropismo » colle sue modalità, il « termotropismo » ecc. sono assurti alla dignità di fenomeni biologici reattivi essenzial- mente legati all’ azione di stimoli tìsici e chimici, mentre d’altro canto non mancano coloro i quali assegnano a tali fenomeni cause tisico-meccaniche, come la diffusione, l’osmosi, l’imbibizione, dalle quali gli organismi elementari sarebbero sollecitati passivamente. Da quali di queste due scaturigini derivino poi realmente le attività e le influenze che presiedono a questi fenomeni è tuttavia oggetto di esperimento e di discussione essendo appunto il campo dei biologi diviso e contrastato. Non si può negare a quest’ arduo problema quella singola- re attrattiva che deriva . dal desiderio di ricondurre a leggi e fenomeni conosciuti, tuttocciò che si sottrae a una facile spiega- zione il che spiega 1’ indirizzo unilaterale della moderna biologia, e la concorrenza verso di esso da parte di molti dei suoi cultori. D’ altro canto però la brama del nuovo e quella di raggiungere la meta fa lasciare per via molte questioni insolute , o fa ap- prestare interpretazioni discutibili sotto parecchi aspetti. Una delle questioni che si è creduto di aver risoluto, per lo meno mediante illazioni, è quella relativa al chemotropismo sessuale — altre volte noto sotto la denominazione di attrazione sessuale — a quel fenomeno cioè per il quale l’elemento sessuale maschile sarebbe attratto dall’elemento femminile in via generica, e in via specifica l’ elemento maschile di una data specie non sarebbe attratto che dall’elemento femminile della stessa specie. Le moderne teorie e le moderne ricerche tendono in altri termini ad ammettere che quell’ ignota e misteriosa « forza di attrazione sessuale » che secondo la vecchia dottrina, quasi come un ap- petito sessuale elementare, richiama attorno all’ ovo gli sperma- tozoi, e soltanto quelli che sono atti a fecondarlo, cioè della Ricerche sulV u attrazione ,, delle cellule sessuali 3 STESSA specie, non sia dovuto che a stimoli chimici, determi- nati dall’ azione di speciali sostanze contenute nell’ ovo, ovvero il prodotto di fenomeni tisici , indotti da speciali condizioni tìsiche quali p. e. 1’ isotonicità, e rispettivamente l’ anisotonicità degli elementi sessuali fra di loro e col mezzo in cui si muo- vono, le correnti osmotiche l’attrazione molecolare ecc. L’accennata dottrina chimica ha avuto il principale punto di partenza dalle ricerche dello Pfeffer sugli spermatozoi di felce. (1) Com’ è noto quest’ autore riempiva dei tubetti capillari, saldati ad un’estremità, con soluzione al 5°/0 di acido malico, e li im- mergeva quindi in goccie contenenti spermatozoi di felce. Dopo un certo tempo notava che gli spermatozoi erano penetrati nel tubo, e da questa osservazione deduceva che 1’ acido malico agi- sce come chemotropico per gli spermatozoi della felce. In se- guito quest’autore volle trasportare le sue conclusioni dal campo artificiale a quello naturale, e con ricerche microchimiche di- mostrò la presenza di acido malico nelle parti delle piante che contengono i prodotti sessuali, però non potè dimostrare ugual- mente la presenza di quest’ acido nell’ archegonio delle felci. Ciò non pertanto l’ azione chemotropica dell’ acido malico sui prodotti sessuali maschili delle felci è entrata nella convinzione dei biologi i quali ritengono che lo stimolo direttivo degli sper- matozoi sia appunto determinato dall’acido malico, che, secondo loro, sebbene non ne sia stata particolarmente provata la pre- senza, esisterebbe nell’ovulo delle felci. Accanto a queste ricerche del Pfeffer si possono mettere le ricerche del Lidforrs sui tubi pollinici (2). Quest’ autore speri- mentando sui tubi pollinici di A arcissus Tazzetta avrebbe trovato che, mentre molte sostanze zuccherine, acide e saline (destrosio, (1) W. Pfeffer — Locomotorisclie Ricbtungsbewegungen durcb Cliemiesche Reize. Un- tersucb. ans dern hot. Iust. zu Tuliingen — Bd. I (1881-1885). Id. Ueber cbemotactiscbe Beweguugen von Bact. Flagellateli un Volvoeineen — Ibid. Bd. II (1886-88). (2) Lidforrs (Bengt) Ueber deli Chemotropismus des Pollenscblaiicbe (Ber deutscb. Bot. Ges. XXX). 4 Umberto Drago [Memoria XVI.] levulosio , maltosio , arabinosio , acido citrico malico , formico , solfato di soda ecc.) sono senza azione sui detti tubi pollinici, la diastasi ne lia una sorprendente, poiché introducendone alcuni granuli nella soluzione di coltura, dopo l/2 ora i tubi pollinici manifestano una netta curvatura nella direzione dei grani. Le conclusioni dei seguaci del Pfeffer campate, come s’ è visto, sopra un semplice hoc post hoc , sono state in seguito ge- neralizzate ed estese sino al punto da suscitare nei biologi il convincimento che in ogni cellula femminile esistano sostanze speciali capaci di attrarre soltanto quella determinata specie di spermatozoi. « Il fenomeno straordinario che fra le innumerevoli masse di spermatozoi di animali differenti che popolano il mare, ogni specie, trovi il suo ovulo corrispondente, è quasi sempre un effetto di chemotropismo , e si spiega molto facilmente perchè ogni specie di spermatozoo è chemotropico per certe sostanze specifiche le quali sono caratteristiche dell’ ovulo della specie corrispondente. » Così si esprime il Verworn nella Fisiologia ge- nerale, illustrando le esperienze del Pfeffer : così è ammesso comunemente dai biologi. Che cosa intenda 1’ A. con quel « trovare » 1’ ovulo cor- rispondente, non si comprende bene, poiché se si considera che 1’ atto della fecondazione ovulare si può scindere in due momenti, cioè 1° nell’ avvicinamento dello spermatozoo all’ ovo 2° ; nella penetrazione e quindi nella fusione dei pronuclei, non si sa a quale dei due momenti il Verworn alluda; poiché non sarebbe inverosimile ammettere a priori che gli elementi femminili, pur attirando indifferentemente tutte o parecchie specie di sperma- tozoi , sarebbero poi capaci di lasciarsi penetrare e fecondare soltanto dalla specie corrispondente. Non a torto adunque il Morgan (1) parlando di questo feno- meno si esprime con queste parole: « It has been assumed by embryologists that there exists some (1) F. H. Morgan — s elf-Fertilization induced by artificial means in thè Journal of espe- rirà. zool. „ Ricerche sulV “ attrazione „ delle cellule sessuali 5 sort of attraction between thè eggs and thè spermatozoa of thè sanie species. This idea would readly snggest itself to anyone who saw spermotozoa collecting in crowds around thè eggs, but it by no means follows that this phenomenon is really due to an attracting substance emanati ng from thè egg. The result may be due to thè membrane of thè egg , to wicli those spermatozoa stick that come accidentally into contact witli it. In faci I have observed similar collections of sperma- tozoa in thè ascidian around pieces of thè body tessile , wliere thè result had wery appearance of being due to some sticky substance, exuding from tlie piece, rather than to an attraction exerted by thè piece on thè spermatozoa. « Pfeffer ’s oft-quoted experiment with thè antlierozooides of ferns, lineworts etc. appears to support thè idea that tlie an- terozooids are attracted to thè malie acid that is present in tlie neck of te archegonia, but in thè light of thè recent experiments of Jenning and others, as to tlie way in wicli unicellular forma accumulate in a drop of acid, we can readely see that usually given to them. » Senza entrare sui particolari di queste afferai azioni è certo che la dottrina del cliemotropismo sessuale che ha già varcato i confini delle monografie, e ha invaso i trattati, comincia a per- dere terreno non soltanto per quanto riguarda l1 attrazione che io ho chiamato « specifica » ma ancora il fenomeno d’ indole generale; ed anzi, come si può desumere dalle precedenti afferma- zioni e interpretazioni del Morgan, quasi per reazione si tende all’ estremo opposto, a negare cioè che, in generale 1’ affollarsi degli spermatozoi attorno alle ova sia dovuto a speciali sostanze cheinotropiche dell1 ovo esercitanti uno stimolo direttivo sugli elementi sessuali maschili. Il Carazzi nelle sue Ricerche embriologiche e istologiche sull’ ovo di Myzostoma (j labrum L. discutendo l1 « attrazione chi- mica » degli spermatozoi per opera delle ova prevede il non lon- tano tramonto di tale dottrina, e combatte la sua applicazione 6 Umberto Drago [Memoria XVI.] nella spiegazione del processo fecondativo dei mammiferi addu- cendo 1’ enorme distanza alla quale gli spermatozoi dal collo u- terino dovrebbero risentire 1’ azione ehemotropica delle ova che si trovano all’ estremo superiore delle trombe. Non v’ ha dubbio che da questo punto di vista l’obbiezione sarebbe esatta, se fosse vera la premessa. Ma i biologi moderni a spiegare il fenomeno attrattivo nei mammiferi non invocano più il cliemotropismo : in questo caso, secondo loro (per es. il V erworn fondandosi sulle esperienze di Stilai e di Itotli) (1) lo stimolo sarebbe rappresen- tato dal reotropismo cioè dall’ azione della corrente liquida che normalmente va dai genitali interni agli esterni, la quale stimo- lerebbe gli spermatozoi a muoversi in senso ad essa contrario ; senza contare che il Low (2) in seguito alle sue esperienze pra- ticate con spermatozoi e pezzetti di mucosa uterina e intestinale, attribuisce il cliemotropismo alla reazione alcalina della mucosa dell’utero, la quale avrebbe un’ azione direttiva sugli spermatozoi. D’altro canto il Buller (3) studiando il processo di fecon- dazione negli Echinodermi ( Arbacia pustolosa. E. microtubercu- latus. Spliaerechinus granularis ) per indagare se le ova di que- sta specie secernano sostanze capaci di attrarre chimicamente gli spermatozoi, è riuscito a risultati perfettamente negativi. Per il che egli si crede autorizzato a concludere che non esiste at- trazione; « il contatto è assicurato semplicemente dal gran nu- mero di spermatozoi e dalle dimensioni delle ova. » Non solo, ma le esperienze lo inducono a credere che, d’ una maniera generale, gli spermatozoi sono incapaci di rispondere alle eccitazioni chi- miche con un cambiamento di direzione. In contrapposto a queste deduzioni il dttxgerx (4) ricercan- (t) Anche il Battelli si è occupato di questo argomento con ricerche le quali lo hauno condotto a identiche conclusioni (V. Archlves de Sciences phisiques et naturelles an. 15° — 4° period, voi. XII. 2) Low — Die Chemotaxie der Spermatozoen in weiblichen Genti alstràkt. (3) Buller — (A. H. R.) The Fertilization Proces in JEcMnoidea (Meét. Brit. Assoc.). (4) E. von Dungern Nouvelles experiences sur la physiologie de la fecondation — Zeitschrift fin Allg. Phys. 1. 1. Ricerche sull ’ u attrazione ,, delle cellule sessuali 7 do le cause che favoriscono 1’ unione degli elementi sessuali di un medesimo genere, e impediscono generalmente quella fra ge- neri differenti, ha potuto isolare dalle ova di Astropecten auran- tiacus e Asteria* glacialis delle sostanze che uccidono gli sper- matozoi dei Ricci. Queste sostanze sarebbero resistentissime e sopportebbero, senza alterarsi una temperatura di G0°. Nelle ova dei Ricci mancano però sostanze tossiche per gli spermatozoi di Asterias, e allora l’ A. suppone che la penetrazione degli sper- matozoi di Ast. nelle ova di Riccio sia impedita o da sostanze agglutinanti sui detti spermatozoi , o da sostanze capaci di sti- molarne i movimenti , provocando in essi quel movimento ana- logo al « riflesso » riscontrato dal Jenning negli Infusori , e consistente in movimenti circolari continui , mentre all’ opposto per favorire la penetrazione degli spermatozoi dello stesso genere, entrerebbero in giuoco influenze capaci di indebolirne i movi- menti e di contribuire quindi a far loro prendere una direzione perpendicolare favorevole alla penetrazione. Queste influenze sa- rebbero principalmente costituite da un protoplasma omogeneo. Un altro agente , fisico , P elettricità , è stato invocato da O. Hertwig per spiegare P attrazione sessuale. IP A. ricusan- dosi ad ammettere come causa essenziale di questo fenomeno la chemiotassi nel senso di Pfeffer, e quindi P influenza di una sostanza chimica eliminata, poiché gli spermatozoi si uniscono soltanto coll’ ovo della stessa specie, tende piuttosto ad ammet- tere l’ipotesi anticamente sostenuta dal Nageli, secondo il quale P attrazione sessuale sarebbe dovuta a fenomeni elettrici. Sul proposito il Boeodest, citato dal Kulagii (1) osserva che, poiché non vi sono che due specie di elettricità, non si com- prende come un uovo avrebbe azione soltanto sullo spermatozoo della stessa specie. (« Da es zwei Arten Electricitàt giebt, eine positive, und eine negative, so ist nielli zu begreifen , wie es (1) Nic. Kulagin — Ueber die Frage der geschleclitlicheii Vermehrung bei den Tieren — Zoolog. Auz. XXI, pag. 653. s Umberto Drago [Memoria XVI.] si eli wohl durch electrisch Erscheinungen erklaren liesse, wa- rum das Ei nur auf die Spermatozoiden derselben Art anziehend wirkt. ») Einalmente il Delage (1) che è riuscito a frammentare le ova di Stron gilocentrotus lividus in due parti, di cui una conte- nente il nucleo, e 1’ altra priva , avendo notato che attorno ad entrambe si affollavano egualmente gli spermatozoi, nega al nu- cleo ogni influenza sull’attrazione sessuale, mentre I’Iwanzow (2) gliene attribuisce tanta da farne dipendere un maggior potere chemotropico sugli spermatozoi nelle ova non mature. Infatti quest’autore avendo sperimentato con ova immature di H olotu- ria fabulosa, non solo ha notato che gli spermatozoi vi si diri- gono numerosi, ma che altresì vi penetrano raggiungendo il nu- cleo ove si dissolvono in un ammasso di granuli, e quest’ azione chemotropica sarebbe maggiore da parte delle ora immature anzi- ché di quelle mature. Ma accanto a queste vedute e a queste ricerche nel campo della chimica biologica , non mancano le ipotesi fisico-mecca- niche confortate da esperimenti per analogia, e fra queste è da annoverare quelle esposte nel lavoro di Herrera (3) tendente a mostrare il processo fecondativo come un fenomeno di attrazio- ne molecolare. L’A. si è servito per questo intento di un sot- tile strato d’ olio (versato in un piatto,) nel mezzo del quale ha lasciato cadere una goccia di tuorlo d' ovo che vi è rimasta sospesa. Avvicinando alla goccia un corpo acuminato , questa estuberava nella direzione del corpo, simulando perfettamente un cono d’ attrazione, e talora presentando contemporaneamente delle deformazioni che potevano paragonarsi a pseudopodi. Se invece del corpo acuminato fisso, si poneva vicino alla goccia di (1) Djslage V. — Embrione sane noyaw maternel — C. R, Ac. Se. CXXVII — p. 528-531 (2) N. Ivanzow - Ueber die pliysiologische Bedeutung der Process der Eireifung — Bull. Soc. Moscou 1898, pag. 355. (3) Herrera Alfonzo — La fecondation par attraction molecularè — Boll, de la Soc. Zool. de Franco. XII— 225. Ricerche sulV “ attrazione „ delle cellule sessuali 9 tuorlo un piccolo « spermatozoo artificiale » di legno, questo veniva immediatamente attratto e penetrava nella goccia. L’ A. paragona quindi questi corpi all’ ovo e allo sperma- tozoo, e i fenomeni fisici che essi, presentano, ai rispettivi feno- meni biologici che precedono il processo fecondativo, e si crede pertanto autorizzato a dedurne un’ analogia la quale, come è evi- dente, non è esente di critica. Come s’ è visto da questa rapida esposizione bibliografica, le vedute, le ricerche e le conclusioni dei vari autori sul feno- meno dell’ « attrazione sessuale » sono così disparate e contra- dittorie, che il problema si può dire ben lontano dalla soluzione definitiva. Fatta astrazione dai particolari del fenomeno , dalla *ua natura, dal suo meccanismo, si può dire che gli autori non sono d’ accordo nemmeno sul principio generale , cioè se real- mente si verifichi una vera attrazione da parte delle ova e degli spermatozoo Così che allo stato attuale si può stabilire che volendo in- trattenersi a studiare le modalità del fenomeno, bisogna comin- ciare colla pregiudiziale. In ordine alle ricerche dei vari autori e alle deduzioni tratte dai biologi come ancora ai risultati contradittori sull’argomento dell’ « attrazione sessuale » ho voluto intraprendere un corso di ricerche le quali ho continuato per circa tre anni con brevi in- terruzioni. Come si vedrà nell’ esposizione di esse non ho mancato di sottoporre i procedimenti tecnici, i risultati e le deduzioni ad una critica rigorosa, circondandomi di quella circospezione che un compito così difficile e delicato richiede. Ho intrapreso le esperienze con obbiettivi diversi, e in or- dine a questi le distinguo in serie in questa rapida esposizione. Serie prima. In questa serie ho avuto di mira di trasportare nel campo della biologia animale quanto era stato praticato dallo Pfeffer Atti acc. Serie 4a, Voi.. XIX — Meni. XVI. 2 10 Umberto Drago [Memoria .XVI.] r»el campo della biologia vegetale : ho voluto cioè sperimentare se le ova introdotte insieme ad un mestruo in tubetti capillari chiusi ad un’ estremità, esercitassero un qualche stimolo che motropico sugli spermatozoi della stessa specie animale, conte- nuti in una goccia di liquido nella quale pescava P apertura del tubo capillare. Salvo qualche modificazione, che noterò, intesa a semplifi- care la tecnica, ho modellato il mio metodo di ricerca su quello praticato dal citato autore nelle sue ricerche sugli spermatozoi delle felci. Come materiale di esperimento ho scelto ova e sperma dello jStrongilocentrotus lividus che ho diluito in acqua di mare, assi- curandomi, prima di estrarre gli organi sessuali, che gli animali fossero vivi, e controllando, dopo l1 aggiunta del mestruo l’ino- cuità di esso, rivelata dalla vivace mobilità degli spermatozoi. Questa precauzione mi si è dimostrata indispensabile perchè non di rado notavo, che P aggiunta di acqua di mare uccideva gli spermatozoi o per lo meno ne paralizzava il movimento, già molto vivace prima della miscela. Con tali precauzioni ero sicuro di operare con elementi ses- suali perfettamente vitali. I tubi adoperati avevano un diametro oscillante da l/\ a 72-2/3 di lum- e una lunghezza da 12-18 inni. Patta la diluizione delle ova che avevo cura di trarre da ovaie mature, in individui che già ne emettevano all’ esterno in acqua di mare, come ho precedentemente esposto, le introducevo nel tubo capillare con un procedimento diverso da quello dello Pfetfer. Questi operava nel modo seguente : Prescelti i tubi, dopo averli chiusi alla lampada ad una delle estremità, li immergeva nel liquido di cui voleva riempirli, e sottoponeva il tutto al vuoto nella macchina pneumatica. Avvenuta la rarefazione del- 1’ aria il liquido si introduceva nei tubi, e alla fine rimaneva nell’ estremità, chiusa uno spazio di 2-4 min. ripien d’aria. Ricerche sull’ “ attrazione ,, delle cellule sessuali 11 Questo processo abbastanza lungo e relativamente compli- cato, veniva da me sostituito come appresso : Prescelti i tubi aperti da tutte e due le estremità, li immergevo nel liquido il quale prontamente vi ascendeva. Prima che si riempissero com- pletamente e quando ancora rimaneva uno spazio di 4-6 mm. all’ altra estremità, li ritiravo. Sostenendoli con una pinzetta, senza esercitarvi alcuna pressione, avvicinavo 1’ estremità vuota di liquido a una piccolissima fiammella e rapidamente immer- gevo F altra estremità nel liquido contenuto in un vetro da orologio che avevo tenuto vicinissimo al tubo. L’ estremo di questo esposto alla fiammella si saldava subito, e l’istantanea immersione dell’altro estremo nel liquido, aveva per effetto di ricostituire entro il tubo la colonna liquida spostata per opera della dilatazione indotta dal calore. Se l’operazione non m’era riuscita , se cioè per effetto della dilatazione dell’ aria e del li- quido e della loro successiva contrazione pel raffreddamento , veniva a penetrare dell’ aria all’ estremo libero del tubo, bastava avvicinare l’estremo chiuso del tubo, mantenuto dentro al liquido, a una certa distanza dalla fiamma perchè avvenisse una nuova dilatazione dell’aria e del liquido, capace di scacciare la bollicina d’aria terminale, richiamandovi in sua vece del liquido. Una precauzione indispensabile doveva ancora adottare nel rompere i tubi per ottenerli delle volute dimensioni , poiché se la superfìcie di frattura non era pressoché orizzontale, e relati- vamente liscia e continua, ma frastagliata o a becco di flauto , si tratteneva all’ estremo libero del tubo una bollicina d’ aria la quale naturalmente, come nel caso precedente, impediva il con- tatto diretto fra il liquido interno e l’ esterno. Si comprenderà di leggieri come non sia agevole ottenere che tubi si trovino in queste condizioni, e come occorra spesso rifare più d’ una volta la preparazione dello stesso tubetto. È perciò che in questo genere di ricerche il tempo e la pazienza dello sperimentatore sono messi a dura prova. Colla modificazione di tecnica precedentemente accennata , 12 Umberto Drago [Memoria XVI.] non solo semplificavo e rendevo più spedito il metodo, ma ottenevo che, dopo la chiusura del tubo , lo spazio di aria residuale era molto minore di quello che residuava nei tubi adoperati dallo Pfeffer nei quali tale spazio, su tubi di 4-7 inni, di lunghezza, variava dai 2-4 cioè circa la metà della lunghezza del tubo. Questo risultato ha una grande importanza per 1’ esattezza delle ricerche, poiché avuto riguardo alla sottigliezza delle pareti del capillare, lo spazio d’aria viene tanto più facilmente influenzato dalla temperatura esterna e quindi tanto più facilmente determi- na la fuoruscita o il rientrameli to meccanico del liquido, quanto maggiore è la quantità d’ aria a tergo e rispettivamente la dila- tazione di essa. Col metodo da me adoperato io riuscivo per lo più a ridurre quello spazio a meno di un millimetro. Compiuta quest’ operazione adagiavo il capillare sul porta- oggetti, in modo che l’ imboccatura pescasse nella goccia di li- quido, mantenendovelo orizzontale, obliquo, o verticale, con oppor- tune disposizioni , a seconda le esigenze dell’ esperimento. Per impedire 1’ evaporazione del liquido esterno, collocavo per lo più il preparato in camera umida, invece di ricoprirlo col portaog- getti, come praticava lo Pfeffer, il che del resto non avrei potuto ugualmente fare, data la disposizione obliqua e verticale dei tubi. Così a determinati intervalli toglievo dalla camera umida il preparato, e lo sottoponevo a una rapida osservazione. Esperienze. Un numero considerevole di esperienze vengono eseguite in- troducendo nei capillari le ova di Strongilocentrotus con acqua di mare, e immergendo 1’ estremità aperta dei tubi nella goccia di liquido contenente gli spermatozoi dello stesso animale. Esa- minato già dopo pochi minuti il liquido contenuto entro il tubo ho notato la penetrazione degli spermatozoi e il loro caratteristi- co aggruppamento attorno alle ova. ideile osservazioni successi- ve la penetrazione è andata aumentando : gli spermatozoi con- tenuti nel tubo non solo si sono mostrati in quantità crescenti, ma Ricerche sull ’ u attrazione ,, delle cellule sessuali 13 si sono approfonditi guadagnando le sezioni superiori del tubo, e aggruppandosi al solito attorno alle ova. Quest’aumento nella manifestazione del fenomeno lia però un limite e cessa dall’ os- servarsi quando gli elementi maschili agglutinati all’ imbocca- tura 1’ occludono. L’ esito di questo genere di esperienze è costantemente quello descritto , tutte le volte che si osservano le precauzioni di tec- nica che ho accennato precedentemente, poiché basta la più pic- cola inosservanza come p. es. la penetrazione di qualche piccola bolla d’ aria nel tubo, o il residuo di esso all’imboccatura, o la concentrazione del liquido esterno anche per leggiera evapora- zione, o lo spostamento meccanico del tubo dal centro della goc- cia verso i margini di essa, ove generalmente la concentrazione è maggiore e gli elementi si incontrano meno vitali e quindi meno vivaci e in parte agglutinati, bastano lo ripeto, queste cause apparentemente di poca entità perchè gli spermatozoi del liqui- do esterno rimangano agglutinati all’ imboccatura del tubo senza penetrarvi sino a raggiungere le ova. Devo notare a questo proposito che non ho potuto con si- curezza convincermi se la distanza delle ova contenute nel tubo dall’ imboccatura di esso, avesse un certo rapporto coll’ intensità di penetrazione degli spermatozoi. Xell’ introdurre nel capillare il liquido colle ova mi è accaduto spesso di notare, specialmente quando il numero di esse era rilevante, che il primo ovo della serie contenuta era vicinissimo all’ imboccatura, ed all’ opposto, ho notato altre volte che il primo ovo della serie distava dell’im- boccatura non di rado per più di metà della lunghezza del tubo. Ebbene, in tutti e due i casi il fenomeno della penetrazione de- gli spermatozoi, salvo qualche eccezione, si verificava ugualmente e colle stesse modalità. Dalle esperienze surriferite si può adunque ammettere con sicurezza che gli spermatozoi dello Strongylocentrotus liviclus con- tenuti in un mestruo penetrano nei tubi capillari contenenti ova 14 Umberto Drago [Memoria XVI.] dello stesso individuo. Questa conclusione soltanto, e non altra più ampia, si può trarre da questi fatti, i quali non autorizzano certamente a dedurre clie si tratti di un fenomeno di chemo- tropismo. II. Serie di esperienze. Per escludere eventualmente la possibilità che la penetra- zione degli spermatozoi nel tubo sia un fenomeno di barotrofi- smo negativo, ho intrapreso un’ altra serie di ricerche variando la disposizione degli oggetti in senso perfettamente opposto. Ho introdotto cioè gli spermatozoi dello stesso animale nei tubetti la cui imboccatura ho immerso in una goccia d’ acqua di mare contenente ova. Le esperienze ripetute per molte volte mi hanno condotto a risultati costantemente positivi : gli spermatozoi cioè fuoresco- no dai tubi e assumono la caratteristica disposizione attorno alle ova contenute nella goccia esterna. III. Serie. Per assicurarmi meglio dell’ entità delle precedenti ricerche ho adottato una terza modificazione nella disposizione degli og- getti, capovolgendo i tubetti contenenti lo sperma diluito e facen- done pescare 1’ estremità in goccia pendente dal vetrino , nella quale erano contenute ova in acqua di mare. Queste operazioni richiedono una tecnica speciale, e più che la tecnica, molta circospezione. Per mantenere i tubi nella posizione verticale io usavo at- taccarli a un piccolo cubo di paraffina di cui fondevo la parte centrale. Bisognerà però condurre l’operazione rapidamente, e aver cura di immergere 1’ estremo chiuso del tubo nella paraffina solo quando questa comincia a solidificarsi , poiché nel caso diverso si rischia di perdere una piccola quantità di liquido per evapo- razione all’ imboccatura, ed altra più rilevante per dilatazione 15 Ricerche sull' u attrazione „ delle cellule sessuali dell’ aria e del liquido stesso dovuta al calore della paraffina a contatto coll’ estremo chiuso, il che, nel consecutivo ritrarsi dal liquido farebbe penetrare l’ aria nell’ imboccatura costituendo quindi un’ interruzione nella colonna liquida interna ed esterna. Per maggiore sicurezza e rapidità è opportunissimo d’incol- lare il tubetto sulla paraffina dopo di averne immerso 1’ imboc- catura nella goccia pendente, e adottarvi quindi al disotto un sostegno mobile. Ma con tali precauzioni non è esaurita la prova della pa- zienza dello sperimentatore , poiché occorre che 1’ imboccatura del tubetto non vada a battere contro il vetro che sostiene la goccia pendente, e quindi bisogna che questo sia aneli’ esso ap- poggiato a un sostegno mobile capace di piccoli spostamenti a vite nelle due direzioni verticali. Dopo ciò io mettevo 1’ apparecchino in camera umida per impedire che la goccia esterna evaporasse, dovendo esaminarla a intervalli relativamente lunghi per esser sicuro del risultato delle esperienze. Il risultato di queste è stato in massima negativo, in quanto che, quasi costantemente non si è avverato la fuoruscita degli spermatozoi dal tubetto, e quindi il consecutivo aggruppamento attorno alle ova della goccia pendente. Solo su due delle nove esperienze eseguite ho notato pochissimi spermatozoi fuorusciti dal tubo e aggruppati attorno alle ova. E poiché è da ammet- tere che nel maggior numero dei casi, 1’ uscita degli spermatozoi era impedita dalla pressione del liquido della goccia esterna, è facile interpretare i risultati diversi dei due casi citati consi- derando che la quantità del liquido della goccia non può essere sempre uguale, e tale da esercitare una pressione significante sul sottostante liquido del tubetto. Per controllare poi i risultati e constatare che realmente nes- suno spermatozoo era penetrato nella goccia contenente le ova, nei citati casi con esito negativo, io usavo, esaurita 1’ esperienza, diluire la goccia in acqua di mare, ed osservare dopo un certo 16 Umberto Drago 1[Memoria XVI.] tempo se si etfettuissero in qualche ovo dei processi di segmen- tazione, osservazione che ebbe in tutti e sette i casi esito nega- tivo, mentre il campione di controllo, che avevo cura di appre- stare ogni volta unendo direttamente sperma ed ova deliriti in acqua di mare, in una capsuletta , mi dava i soliti stadi divi- sionali. Dalle precedenti esperienze si può quindi concludere che la constatata fuoruscita degli spermatozoi dai tubi o reciprocamente la loro introduzione e il loro movimento verso le ova non siano dovuti a nessuna delle due specie di barotropismo, poiché se da un canto è evidente e quasi costante che gli elementi sessuali maschili dell’ JEJcMnus lividus per raggiungere le ova si diriggo- no, (entro un determinato limite di pressione) nel senso perfet- tamente opposto alla pressione del liquido , è altresì evidente e costante che essi seguono ancora la direzione della pressione. A precisare presumibilmente V indole del fenomeno consta- tato nelle varie serie di esperienze, ho istituito un’ altra serie, servendomi di ova della stessa specie, delle quali distruggevo previamente la vitalità del protoplasma col calore. IY. Serie. Per assicurarmi del grado di temperatura necessario ad uc- cidere il protoplasma delle ova, esponevo contemporaneamente nel termostato in due capsule distinte, ben chiuse, ova e sperma- tozoi diluiti in acqua di mare, partendo da una temperatura ini- ziale di 25° e facendola aumentare gradatamente. Successiva- mente, ad ogni aumento di 5° gradi , esaminavo la mobilità degli spermatozoi. Questa, a partire da 45° si andava indebo- lendo, finché a 55° era completamente annullata. Era quindi a presumere che a questa temperatura la loro vitalità fosse annul- lata. Però per assicurarmi viemmeglio che non si trattava di una semplice sospensione del movimento, aggiungevo alla cap- Ricerche sull’ “ attrazione ,, delle cellule sessuali 17 siila contenente gli spermatozoi così riscaldata, una quantità re- lativamente grande di acquà di mare allo scopo di raffreddare il mestruo e di ripristinarne la densità eventualmente aumen- tata per evaporazione del liquido, quantunque, come ho accen- nato precedentemente, avessi ben chiuso le capsule. Allorché mi ero assicurato che la temperatura di questa mi- scela era quella dell’ ambiente riesaminavo gli spermatozoi i quali si mostravano ugualmente immobili come prima di quest’ ag- giunta. L’osservazione prolungata e ripetuta mi metteva al co- perto da possibili errori. Se adunque a 55° l’attività del protoplasma di questi sper- matozoi è annullata, è molto verosimile che alla stessa tempe- ratura il protoplasma delle ova subisca la stessa sorte. Tuttavia per essere più sicuro, riscaldavo le ova a 65°. Noto di passaggio che queste temperature le assumevo direttamente immergendo il termometro nei liquidi delle capsule, poiché non solo si manife- sta, coni’ è naturale, una notevole differenza fra la temperatura del termostato e quella dei liquidi contenuti nei piccoli recipienti introdottivi, ma questa differenza non è nè costante, nè propor- zionale ai vari aumenti di temperatura. Per assicurarmi della integrità fisiologica del materiale sot- toposto alle dette esperienze, usavo ad ogni ricerca preparare un campione di controllo, come ho riferito nell’ esposizione della se- rie precedente. 1. In un primo gruppo di questa serie ho voluto osservare il comportamento degli spermatozoi verso le ova quando queste ve- nivano riscaldate alla temperatura eccessiva di 100° 0. Aggiun- gendo lo sperma diluito, all’ acqua contenente le ova riscaldate a 100° dopo un certo tempo che questa si era raffreddata alla temperatura dell’ambiente, notavo che gli elementi sessuali ma- schili generalmente non costituivano attorno alle ova quei soliti Atti acc. Serik 4*, Voi-. XIX — Meni. XVI. 3 18 Umberto Drago [Memoria XVI.) aggruppamenti caratteristici, ovvero se si accumulavano attorno a qualcuno, il cumulo era rado noli solo, ma temporaneo : dopo pochi istanti si scioglieva e gli elementi maschili si allontana- vano. Per rendermi un conto più esatto del fenomeno e avere sot- t’ occhio la differenza del comportamento degli spermatozoi verso le ova normali vive a quelle uccise col calore a 100° facevo quindi una miscela delle due specie d’ ova e vi aggiungevo lo sperma. La distinzione fra le due specie d’ ova era facile , poiché quelle esposte alla temperatura di 100° assumevano un colorito più chiaro, opaco, e non lasciavano scorgere il nucleo. Quest,’ esperienza ripetuta parecchie volte mi faceva appunto confermare con maggior sicurezza il risultato precedentemente esposto cioè che gli spermatozoi non si accumulavano , o solo scarsissimamente e fugacemente attorno alle ova previamente esposte alla temperatura di 100° 0. Xelle capsule di controllo 1’ integrità fisiologica del mate- riale adoperato era assicurata dal fatto che già alla Ia ora dopo 1’ unione dello sperma colle ova normali, queste si presentavano allo stadio di morula. II. In un susseguente gruppo di esperienze riscaldavo diretta- mente in una capsuletta di porcellana che esponevo a una piccola fiamma a gas, le ova a 75° O. e dopo il rafreddamento aggiun- gevo lo sperma diluito. Tolta una goccia dalla miscela ed esa- minata al microscopio, non notavo alcun aggruppamento degli spermatozoi attorno alle ova. Riesaminata la miscela dopo 1-6 ore non notavo alcuna figura di segmentazione, mentre nel cam- pione di controllo le morule erano osservabili già dalla Ia ora. III. Nel terzo gruppo di esperienze riscaldavo le ova nel termo- stato a 67°. La temperatura del liquido contenuto nella capsula Ricerche sull’ 11 attrazione ,, delle cellule sessuali 19 misurata direttamente era in tal caso di 58°. L’ aggiunta dello sperma, dopo il raffreddamento del liquido, induceva P aggrup- pamento degli spermatozoi attorno alle ora quasi come nelle ora normali contenute nella capsula di controllo. In questa si nota- vano al solito gli stadi di morula dopo la 4a ora. IY. Yel quarto gruppo il riscaldamento delle ova veniva fatto direttamente nella solita capsuletta in cui tenevo il termometro sin dal principio dell’ esperienza, e che esponevo a una piccola fiamma a gas. A 60° 0. ritiravo la capsula dalla fiamma e raf- freddavo gradatamente il liquido coll’ aggiunta di acqua di mare e ponendo la capsula a galleggiare in acqua fredda. L’ aggiunta di sperma diluito non provocava alcun aggrup- pamento dei suoi elementi attorno alle ova, malgrado i movimenti vivacissimi degli spermatozoo e l’integrità fisiologica del mate- riale dimostrata dalle figure di segmentazione ottenute al solito nella capsula di controllo. Y. Esperienze come nei gruppo precedente. Riscaldamento di- retto a 56°. Risultato negativo come nel caso precedente. Yelìe capsule di controllo il risultato è come al solito positivo. Yl. In questo gruppo di esperienze esponevo nel termostato la capsula col liquido contenente le ova, e la ritiravo quando la temperatura della stufa segnava 60°. La temperatura del liquido della capsula misurata direttamente era allora di 52°. Raffreddato il liquido, e aggiunta la miscela di sperma e acqua di mare non si notava alcun aggruppamento attorno alle ova, nè figure di seg- 20 Umberto Drogo [Memoria XVI.] mentazione nelle ore successive, mentre nel materiale di controllo alla 5a ora si costatavano le ova allo stadio di morula. VII. Riscaldamento diretto a 50°. Risultato positivo : aggruppa- mento caratteristico evidentissimo. Nessuno stadio di segmenta- zione però si osserva sino alla 6a ora in queste ova, mentre nel campione di controllo con ova normali, il risultato è al solito positivo. Vili. Riscaldamento a 52° nel termostato della capsula contenente il liquido colle ova. Temperatura interna del liquido 17°. Ag- gruppamento degli spermatozoi come nelle ova normali. Nessu- na figura di segmentazione però vi si nota in prosieguo, mentre nelle ova normali di controllo si riscontra lo stadio di gastrula alla 12a ora. IX. In un susseguente gruppo di esperienze riscaldavo diretta- mente le ova a 47° 0. e dopo il raffredamento aggiungevo lo sperma diluito. Tolta una goccia dalla miscela ed esaminata al microscopio, notavo attorno alle ova l’ aggruppamento caratteri- stico degli spermatozoi, il quale perdurava , esaminando dopo molto tempo il rimanente della miscela contenuta nella capsula. Però nessuno stadio di segmentazione mi era dato di riscontrare nelle ova contenutevi, malgrado prolungassi le osservazioni sino alla 6a ora , mentre nel materiale di controllo già dopo 4 ore riscontravo quasi tutte le ova allo stadio di morula. X. Riscaldamento diretto delle ova a 42°. Raffreddamento e ag- giunta di sperma. Aggruppamento caratteri sco degli spermatozoi Ricerche sull ’ “ attrazione „ delle cellule sessuali 21 attorno alle ova come nel caso normale. Nessuna figura di seg- mentazione dopo 6 ore. Nelle ova normali di controllo si nota lo stadio di morula alla 4a ora. XI. Riscaldamento delle ova in termostato. Temperatura della stufa 40°. Temperatura del liquido contenente le ova nella cap- sula 37°. Risultati come nel caso precedente. XII. Riscaldamento in termostato. Temperatura della stufa 35°. Temperatura del liquido entro la capsula 33°. Aggruppamento caratteristico degli spermatozoi attorno alle ova, come nei casi precedenti. Alla 12a ora si nota lo sviluppo di larve poco mo- bili e non vitali, in quanto die delle gastrule formatisi solo po- chissime si muovono debolmente , e non vanno più oltre nello sviluppo, mentre nelle capsule di controllo si riscontrano larve mobilissime che seguitano a progredire nello sviluppo se si man- tengono vive sino al 3° giorno, dopo il quale non vengono più esaminate. XIII. A partire dalla temperatura di 33° quale è stata provata nel precedente gruppo di esperienze eseguii altre ricerche abbas- sando ogni volta il riscaldamento delle ova di 3 gradi , e per- venni già dalla seconda prova in poi cioè sin da quando elevavo la temperatura a 27° ad ottenere oltre all’ aggruppamento carat- teristico degli spermatozoi attorno alle ova , anche le figure di segmentazione e le larve in condizioni di tempo, di sviluppo e di vitalità identiche a quelle ottenute colle ova normali di con- trollo. Riassumendo i risultati delle ricerche di questa serie va con- 22 Umberto Drago [Memoria IVI.] siderato anzitutto che la diversità fra il risultato ottenuto da qualche esperimento mediante il riscaldamento diretto e qualche altro dedotto da esperimento in termostato a temperatura pres- soché uguale, non è che apparente, e che le ragioni devono ap- punto risiedere rispettivamente nella lentezza o nella rapidità colla quale nei due casi era determinato il riscaldamento. Così p. es. si capisce agevolmente il perchè nel gruppo III in cui il riscaldamento medio a 58° veniva ottenuto indirettamente nel ter- mostato, si otteneva un risultato positivo, mentre alla tempera- tura di 56° determinata direttamente, il risultato era negativo. Evidentemente l’integrità fisica e fisiologica delle ova veniva dan- neggiata in misura maggiore nel caso in cui il riscaldamento era più brusco, benché la temperatura fosse di due gradi inferiore. Del resto non è su queste piccole differenze di temperatura che io conto di fondare delle deduzioni. A prescindere adunque da questa piccola e apparente discor- danza, i risultati delle esperienze eseguite precedentemente ci dicono : 1. Che gli spermatozoi dell’ E lividus non si aggruppano colla consueta disposizione caratteristica attorno alle ova della stessa specie le quali siano state previamente sottoposte nel ter- mostato a temperature superiori a 50.° E reciprocamente , con linguaggio più pratico, che le ova di E. lividus esposte come so- pra, a temperature superiori a 50° perdono il potere di « attrarre gli spermatozoi » della stessa specie. 2. Che le dette ova mentre conservano sino alla tempera- tura di 50° il potere di attrarre gli spermatozoi, perdono, a par- tire da temperature superiori a 33° la capacità di venire fecon- date e svilupparsi. 3. Che le temperature inferiori a 33° non offendono sensibil- mente nelle dette ova nè il potere attrattivo, nè la facoltà di essere fecondate. I. E quindi che i momenti della coniugazione cellulare, cioè l’avvicinamento dello spermatozoo all’ovo, e la fecondozione 23 Ricerche sull ’ “ attrazione ,, delle cellule sessuali di questo, sono sino ad un certo punto indipendenti Furio dall’altro, in quanto die l’ovo può essere incapace alla fecondazione, pur es- sendo capace di attrarre lo spermatozoo come in condizioni normali. Questo sdoppiamento di un’attitudine che si è ritenuta fin ora unica, come lo provano i lavori e le considerazioni dei pre- cedenti osservatori, in parte già citati nel corso di questo lavoro, sarà oggetto a suo tempo di discussione. Quel che importa per ora precisare è la ragione per la quale gli spermatozoi non si accumulano attorno alle ova che hanno subito temperature su- periori a 50'J. Si potrebbe anzitutto supporre che venendo meno a quella temperatura la vitalità del protoplasma ovulare, questo non sia più capace di attrarre gli spermatozoi. Si verrebbe così a rimettere in onore la vecchia dottrina vitalistica che ammetteva la mis-te- riosa forza vitale capace di esercitare un’ arcana forza attrattiva sull’ elemento maschile. Ma è però certo che se tale non è la causa, essa è intimamente collegata a modificazioni fisiche o chimiche le quali a quella temperatura devono avverarsi rid- i’ ovo, e che non è ammissibile dopo questi risultati che F ac- cumulo degli spermatozoi attorno alle ova, sia, come vogliono certuni, fra crii il citato Boiler un fenomeno puramente occa- sionale di contatto, dovuto alla loro molteplicità nel mezzo in cui sono contenute le ova, e alla dimensione di queste. Che quest’ ipotesi fosse già da scartare si può assumere a priori considerando anzitutto che quel caratteristico accumulo degli elementi maschili attorno alle uova, si avvera anche se il mezzo è povero dei detti elementi, ma quando tale considera- zione non bastasse, i risultati sperimentali da me citati prece- dentemente distruggono completamente tale ipotesi. Non si com- prenderebbe infatti perchè gli spermatozoi si accumulano attorno alle ova che non hanno subito Fazione di una temperatura re- lativamente elevata, mentre si mantengono lontani da quelle esposte a temperature superiori a 50°, pur rimanendone costan- te il loro numero e le dimensioni delle ova. 24 Umberto Drago [Memoria XVI.] A ogni modo per togliere ogni dubbio possibile a favore dell’ ipotesi del Buller, io lio praticato un gruppo di esperienze unendo corpuscoli inerti, come polveri di carbone e sabbia, con spermatozoi di Echinus lividus. IV. Serie In questa serie ho adoperate polveri di carbone e sabbia a granuli piuttosto grossi, che ho aggiunto sul coprioggetti alla goccia di sperma diluito in acqua di mare, facendo nelle varie esperienze variare la quantità di spermatozoi contenuti nel li- quido tino ad adoperare soluzioni poverissime, ottenute mediante ripetute diluizioni della goccia che chiamerò madre. Contem- poraneamente ho avuto cura di istituire collo stesso liquido di- luito che mi serviva per sperimentare la polvere, delle esperienze di controllo con ova normali dell’ Echinus. I risultati pareva sulle prime, dovessero dar ragione al Buller, poiché nelle miscele ricche di zoospermi, si vedevano questi accumulati attorno ai corpuscoli di sabbia e di carbone. Però osservando attentamente, e confrontando coi preparati di controllo si notava : 1° Che i detti acciainoli si avveravano anche attorno a granuli piccolissimi. 2°. Ohe essi erano di gran lunga meno ricchi di zoospermi che i cumuli attorno alle ova. 3° Che la loro formazione era fugace e non permanente, come in questo ultimo caso. 4° Finalmente che il fenomeno diminuiva di inten- sità a misura che si impoveriva di zoospermi la miscela, me- diante le diluizioni, finché non si avverava affatto ; mentre era sempre dimostrabile e in maniera evidente trattando le ova nor- mali del Riccio cogli stessi liquidi contenenti minore quantità di zoospermi. Dopo tali esperienze non mi pare che il Buller abbia più ragione di sostenere la sua ipotesi, la quale del resto non è for- mulata in una maniera tanto chiara da escludere che essa col- 25 Ricerche sull ’ “ attrazione „ delle cellule sessuali leghi il fenomeno alla serie di quelli dovuti a diverso tropismo e precisamente a quello che i biologi chiamano tigmotropismo. Cade qui opportuno di far rilevare che il vero fenomeno dell’ attrazione sessuale, nel senso in cui viene obbiettivamente osservato, non consiste semplicemente nell’ accumulo degli sper- matozoi attorno alle ova, ma presenta altre particolari modalità che gli sono caratteristiche, e delle quali non si deve fare astra- zione. Queste modalità consistono, coni’ è stato testé accennato principalmente nella persistenza degli accumuli, nella loro esten- sione, la quale comprende attorno all’ ovo un’ area che talora ha un raggio doppio di quello dell’ovo, nella loro compattezza e nella graduale degradazione verso la periferia, mentre le zone intermedie fra le varie ova sono relativamente povere di fila- menti spermatici. È l’ insieme di tutti questi caratteri, e non soltanto i semplici accumoli, che hanno indotto gli osservatori ad ammettere nelle ova una proprietà attrattiva sugli sperma- tozoi, intimamente legata alla fecondazione. Così che nei risultati dei vari autori che hanno sperimen- tato in un senso o nell’altro, per escludere o ammettere l’at- trazione sessuale, e per assegnarle una causa tìsica, chimica o meccanica che agisca come stimolo fisiologico attivo o come agente da cui siano sollecitati passivamente gli elementi ma- schili, sono appunto da fare le più caute riserve, essendo legit- timo dubitare se essi si siano realmente trovati di fronte ad osservazioni perfettamente identiche, nella loro esteriorità ob- biettiva, ai fenomeni d’“ attrazione sessuale ,,. Escluso adunque che 1’ accumulo degli spermatozoi attorno alle ova si debba unicamente a un semplice contatto nel senso del Bueler, resta a indagare quale altra ragione possa inter- venire nel fenomeno dell1 “ attrazione ,, dal momento che questa, come s’ è visto, non si verifica nelle ova esposte a temperature relativamente alte. E anzitutto, pur non allontanandomi dai concetti biologici moderni, mi è sembrato indispensabile precisare se il fenomeno Atti acc. Serie 4a, Voi,. XIX — Meni. XVI. 4 26 Umberto Drago [Memoria XVI.} si connetta esclusivamente all’ attività del protoplasma vivente, o possa sussistere indipendentemente da questa per effetto dei prodotti del suo metabolismo già preformati. Per ricavarne eventualmente qualche delucidazione, lio vo- luto istituire nuove esperienze coi tubetti, come nella prima serie, introducendovi in un gruppo il liquido, ottenuto mediante finissimo pestamento, espressione e decantazione dagli ovari del Riccio, in un altro ova, previamente esposte a varie tempe- rature come nelle esperienze della serie III. Y. Serie Yon avendo nulla di particolare da aggiungere per quanto si riferisce alla tecnica, la quale è stata identica a quella se- guita nelle precedenti serie di esperienze, mi occupo dei criteri ai quali mi sono informato e ai relativi risultati. Le prove del primo gruppo sono state seguite da risultati positivi analoghi a quelli della la serie in cui le ova erano state introdotte integre. In quelle del secondo gruppo, praticate cioè introducendo nei tubetti le ova esposte precedentemente alle identiche temperature provate nelle esperienze fatte direttamente, ho notato, da prima con molta sorpresa, che gli sperinatozoi contenuti nella goccia esterna in cui pescava al solito, l’ imboc- catura dei tubi, penetravano in questi anche quando le ova contenutevi erano state esposte a temperature superiori a 50° 0. Per maggiore uniformità di procedimento riscaldai le ova a 75° C. prima e a 100° successivamente, ottenendo uguali risul- tati positivi. Però notai che i zoospermi malgrado la loro pene- trazione nei capillari contenenti ova riscaldate oltre i 50° C, non si disponevano attorno alle ova nei noti cumuli caratteri- stici, come avveniva nelle ova normali e in quelle riscaldate a temperature inferiori, introdotte nei tubi. Era quindi evidente che la penetrazione nei capillari non aveva nulla che vedere coi fenomeni di attrazione e che proba- Ricerche sull1 “ attrazione ,, delle cellule sessuali 'Q1 Miniente non riconosceva 1’ influenza specifica del contenuto dei tubi. Per assicurarmi di questa possibilità ho istituito un’ altra serie di esperienze. VI. Sekie 1. Ho introdotto dapprima nei capillari soltanto dell’ acqua di mare previamente filtrata e ho immerso 1’ imboccatura nella solita goccia di liquido contenente sperili atozoi del Riccio. Il risultato è stato positivo, in quanto che si è ottenuta una evidente penetrazione degli elementi sessuali entro i tubi capillari. 2. Ho riempito i tubi con acqua distillata, adoperando in seguito lo stesso procedimento. Il risultato è stato positivo: gli sperai atozoi sono penetrati nei tubi ; però essendo 1’ acqua distillata un mezzo nocivo alla loro esistenza, ne sono stati uccisi o per lo meno paralizzati, poco dopo la loro introduzione, cosicliè non hanno potuto inva- dere le parti più alte dei tubi. 3. Tubi riempiti con soluzione concentrata di Cloruro di sodio in acqua distillata. Penetrazione come nel caso procedente, riuscendo tale solu- zione tossica per gli elementi sessuali dell’ Echinus. 4. Tubi con soluzione 1 °/0 di acido ossalico. Risultati come nel caso precedente. Questi risultati, non volendo generalizzare, provano per lo meno che il metodo dei tubi capillari non è assolutamente adatto allo studio dei fenomeni di attrazione sessuale. Poiché la pene- trazione degli spermatozoi nei detti tubi avviene in qualunque condizione, qualunque sia la costituzione chimica e la condizione fisiologica del contenuto, poiché gli zoospermi pur penetrando nei tubetti contenenti ova sovrariscaldate non si accumulano at- torno ad esse, poiché essi penetrano indifferentemente nei tubi non solo quando questi contengono sostanze per essi indifferenti 28 Umberto Brago [Memoria XVI.] come 1’ acqua di mare, ma altresì nocive e tossiche come l1 acqua distillata, le dosi elevate di cloruro di sodio, e 1’ acido ossalico, è evidente che la loro penetrazione non è dovuta a un qualsiasi stimolo fisiologico direttivo che abbia attinenza colla funzione fecondativa. Nello stato attuale di queste ricerche non mi paiono adun- que possibili che le seguenti ipotesi per spiegare il mancante accumulo degli speruiatozoi attorno alle ova riscaldate oltre i 50° 0. 1. Determinandosi per effetto del calore una parziale coa- gulazione del protoplasma dell’ ovo, questa modificazione fisica potrebbe ostacolare meccanicamente la penetrazione del zoosper- ma, togliendo ogni ragione fisiologica all’ attrazione, e rispetti- vamente agli spemi atozoi per accumularsi attorno alle ova. 2. O i detti accumuli sono realmente dovuti a chemotro- pismo derivante dall’ ovo i cui prodotti, agenti da stimoli chi- mici, vengono a quella temperatura alterati. 3. Ovvero che non si avveri realmente un tropismo sessuale, ma che 1’ accumulo degli spermatozoi attorno alle ova, e quindi l’apparente attrazione non sia dovuta che a un agglutinamento prodotto da una qualche sostanza vischiosa esistente in quantità inapprezzabile nello strato più periferico dell’ ovo , e quindi coagulata o distrutta da temperature superiori. La prima ipotesi mi pare facile a scartare considerando anzitutto che temperature poco superiori a 50° non producono nel protoplasma coagulazioni o precipitazioni così dense da osta- colare meccanicamente 1’ introduzione del filamento spermatico. Ma dato pure che 1’ alterazione si verifichi, noi possiamo affermare che i due momenti della coniugazione : attrazione e penetrazione, sono aneli’ essi sino ad un certo punto indipendenti o che in altri termini gli spermatozoi formano i cumuli carat- teristici anche attorno a quelle ova, nei quali sicuramente non possono penetrare, come ad esempio attorno alle ova fecondate. Ma poiché si potrebbe obbiettare che tali cumuli osservati at- Ricerche sull’ “ attrazione ,, delle cellule sessuali 29 torno all’ oro dopo la penetrazione del zoosperma, siano cumuli, residuali determinati prima della penetrazione, ho istituito le seguenti esperienze. Y II. Serie I. Gruppo Agitando alquanto un’ acqua di mare ova di E. lividus che presumevo molto verosimilmente fecondate, riuscivo a liberarli quasi completamente dei zoospermi che vi erano aderenti. Ag- giungendo alle ova così preparate, nuovo liquido spermatico, notavo evidentissimo il fenomeno dell’ attrazione e dei cumuli attorno a tali ova. II. Gruppo Ova di E. lividus fecondate e in via di segmentazione. Aggiunta di liquido spermatico come sopra. Risultato positivo evidente : attorno alle ova che si trovano nelle prime fasi della segmentazione cioè a 2, 4, 8 blastomeri, gli spermatozoi si accumulano come attorno alle ova normali non fecondate. Dopo tali esperienze mi pare sufficientemente dimostrato che 1’ « attrazione sessuale » è indipendente dalla penetrazione dello spermatozoo nell’ ovo e quindi la prima ipotesi per spie- gare la mancante attrazione in ova soprariscaldate è destituita di fondamento. Occorre adunque esaminare la 2a quistione se cioè tale at- trazione sia dovuta a sostanze emananti dall’ ovo ed esercitanti uno stimolo chimico, o in altri termini, se trattasi proprio di un caso di chemotropisino sessuale, come ammette la generalità dei biologi da Pfeffer in poi. Certamente l’ ipotesi non manca di avere il suo addentellato sperimentale d’ indole generale , per quanto ci siano ignoti i cambiamenti chimici che possono per avventura verificarsi nel 30 Umberto Drago [Memoria XVI.] protoplasma ovulare per effetto della temperatura. Noi sappiamo per esempio che a temperature superiori a 60° O. le lecitine del tuorlo si sdoppiano. Si potrebbe quindi dedurre che altri sdoppiamenti o sintesi si determinino a noi sconosciuti, per ef- fetto dei quali cambiando struttura la sostanza protoplasmatica, verrebbe meno 1’ azione cliemotropica di esse. Per delucidare possibilmente questo quesito, ho voluto stu- diare il problema non meno importante dell’attrazione specifica cioè di quell’influenza che, secondo la generalità dei biologi, ogni oyo spiegherebbe per attrarre soltanto lo spermatozoo della stessa specie ; ho creduto quindi utile istituire una nuova serie di esperienze. Con queste ho cercato anzitutto di constatare se fosse realmente vero che gli spermatozoi si accumulassero soltanto attorno alle ova della stessa specie, o si trattasse piuttosto di uno dei soliti preconcetti scientifici, di cui il Yerworx, sul proposito , nel passo precedentemente citato , ci dà un esempio dimostrativo. Esperienze Per questo scopo ho incrociato sperimentalmente ova e sper- matozoi di animali diversi, cominciando prima con elementi sessuali provenienti da individui di specie diversa poi da indi- vidui di diverso genere, classi, ordini e tipi, avendo cura di mettere i detti elementi nelle identiche condizioni naturali di mezzo : avvalendomi cioè di animali marini. Nella tecnica ho avuto cura di assicurarmi della perfetta vitalità dei prodotti sessuali sia coll’ osservazione diretta, sia coi campioni di controllo nei quali seguivo il fenomeno di fecon- dazione e di segmentazione ; non solo, ma ho anche istituito delle esperienze comparative per quando si riferiva all’ entità dell’ attrazione, mescendo il liquido spermatico sia con ova dello individuo diverso, sia con quello di individui della stessa specie. Questa pratica usavo sia in preparati separati, sia sullo stesso preparato, cosichè non poteva rimanere dubbio. 1° Che gli elementi 31 Ricerche sull ’ “ attrazione ,, delle cellule sessuali sessuali fossero vivi ed attivi. 2° Ohe il contenuto dei liquidi spermatici fosse nei due casi quantitativamente identico. 3° Ohe il paragone fra il prodotto normale e quello incrociato fosse contemporaneo e perfettamente obbiettivo. Queste precauzioni mi sono sembrate indispensabili non solo per l’ esattezza e la scrupolosità dei risultati, ma ancora per evitare che nelle mie osservazioni e deduzioni si infiltrasse quella suggestione, dalla quale pur troppo non pochi osservatori sembra siano stati trascinati in ricerche di questo genere. Vili. S E EIE I. (xEUPPO Ova di Echinus microtuherc. Spermatozoi di E. lividus. Lo sperma di E. lividus diluito al .solito in acqua di mare viene aggiunto sul porta oggetti a una goccia contenente ova di E. microtuberculatus , e in altro vetro a una goccia con ova dello stesso E lividus. Il risultato dell1 esperienza è positivo e abbastanza evidente come del resto era a presumersi, visto la naturale possibilità di incrociamenti fecondativi e generativi fra individui di specie differente. Gli spermatozoi si aggruppano attorno alle ova co- stituendo quei cumoli tanto caratteristici. Questo gruppo di espe- rienze viene anche invertito nel senso che vengono successiva- mente incrociati gli spermatozoi dell1 Echinus tuberculatus colle ova dell’E. lividus ottenendone gli stessi risultati positivi. II. Geuppo Uova di Echinus lividus e spermatozoi di Asterias glaciali s In una prima esperienza vengono messi insieme ova di E. lividus e sperma di Asterias glacialis , e contemporaneamente è preparato il solito campione di controllo con ova e spermatozoi di Echinus. 32 Umberto Drago [Memoria XVI.] Il risultato è positivo ed evidente anche in questi elementi sessuali incrociati, appartenenti a individui di differenti classi : si notano gli accumuli di spermatozoi attorno alle ova come nel campione contenente ova e spermatozoi di Echino. L’ esperienza reciproca con ova di Asterias e spermatozoi di Echinus si esegue contemporaneamente a quella di controllo , essendo facile a distinguere le ova di Echino da quelle di Aste- rias, per il maggior diametro di queste. Viene quindi fatta una miscela delle due sorta di ova, e vi si aggiunge sperma diluito di Echino. I risultati che si hanno contemporaneamente sott’ occhio non lasciano distinguere differenze sostanziali. Come nei casi prece- denti, gli spermatozoi di Echino si accumulano attorno alle ova di Asterias nella stessa guisa che si addensano attorno a quelle dello stesso individuo. III. Gruppo Ova di Echinus e spermatozoi di Ophyuris Questo gruppo di esperienze è stato condotto come il pre- cedente, e mi risparmio quindi dal riferirne i particolari : lo sperma di Ophyuris viene aggiunto alle ova di Echinus e si hanno analoghi risultati positivi evidenti, in quanto che gli spermatozoi di Otìuride fanno densi accumuli attorno alle ova di Echino. Per mancanza di materiale non ho potuto eseguire il gruppo di esperienze reciproche cioè con spermatozoi di Echino e ova di Otiuride. IV. Gruppo Ova di Echinus e spermatozoi di Sepia ofpc. Da questo gruppo in poi ho assunto i prodotti sessuali da differenti tipi animali marini, incominciando a incrociare le ova di Echinus cogli spermatozoi della Sepia officinali^. Ricerche sull ’ “ attrazione ,, delle cellule sessuali 33 Ed anche qui, nelle numerosissime prove ripetute il risul- tato è stato positivo. E poiché gli spermatozoi di Sepia sono facilmente distin- guibili da quelli dell ’ Echinus ho voluto in alcuni preparati fare un miscuglio delle due sorta di sperma e aggiungere tale mi- scuglio alle ova di Echino. I cumuli che si sono subito formati attorno alle ova erano molto densi e costituiti in proporzioni talmente abbondanti delle due sorta di zoospermi, da non potere assolutamente dire quali di essi prevalesse numericamente. Anche qui non ho potuto eseguire 1’ esperienza reciproca per F eccessiva dimensione delle ova di Sepia la quale non mi permetteva di seguire 1’ esperimento al microscopio. V. Gruppo Le esperienze seguenti sono state eseguite mettendo insieme i prodotti sessuali di alcuni pesci con quelli dell’ Echinus livi- dus. Devo però far notare che la difficoltà di procurarmi dal mercato pesci vivi o pescati da recente, quantunque mi abbia condotto a fare molteplici esperimenti , tuttavia solo in tre mi ha fatto riscontrare gli elementi sessuali vivi. In uno di questi esperimenti ho riunito lo sperma di En- graulisencrasicholus i cui elementi erano vivacissimi, colle ora dell’ Echinus. Il risultato è stato positivo, poiché attorno a tali ova ho potuto notare i caratteristici cumuli di spermatozoi dell’ Engraulis. ÌNÙi due altri esperimenti mi sono valso rispettivamente delle ova di Mugil ceplialus e Crenilabrus pavo tratte da indi- vidui che mi erano stati portati al laboratorio quasi vivi. Ho prescelto le ova più piccole perché fossero accessibili allo esa- me microscopico e vi ho aggiunto lo sperma dell’ Echinus. Anche in queste due esperienze ho avuto risultato positivo poiché ho potuto notare attorno alle dette ova cumuli molto ricchi di spermatozoi. Atti acc. Serie 4% Voi.. XIX — Meni. XVI. 5 34 Umberto Drago [Memoria XVI.] Ma in queste due esperienze sono i cumuli, per la loro ori- gine, da assimilare a quelli che si formano attorno alle ora dell’ E. lividus ? Certamente i loro caratteri non lasciano a ve- dere alcuna dissomiglianza, ma sulla loro origine non può asso- lutamente concludersi che sia identica a quella dei casi prece- denti. Infatti, data la forma e la dimensione delle ova, i detti accumuli potrebbero aver quella causa puramente fìsica di attra- zione molecolare accennata dall’ Herrera e che io stesso ho potuto constatare con alcuni esperimenti molto dimostrativi eseguiti mettendo insieme ova di Rana e spennatozoi di Eclii- nus uccisi col calore. Anche in questo caso in cui nessuna causa di attrazione può venire invocata sugli spennatozoi morti, ho ottenuto attor- no alle ova dei cumuli di questi , sebbene non molto ricchi, cumuli i quali non possono spiegarsi diversamente se non am- mettendo che l’ ovo per la sua dimensione e la sua forma sfe- rica eserciti sui piccoli spennatozoi sospesi nel liquido un’ attra- zione d’ indole tìsica analoga alle attrazioni molecolari. Oosicliè non si può assegnare un valore decisivo, positivo o negativo, ai risultati di queste due ultime esperienze. Ma dalle altre esperienze di incrociamento risulta evidente che 1’ « attrazione » degli spennatozoi verso le ova e i relativi cumuli, si verificano anche quando gli elementi dei due sessi non solo appartengono a generi diversi, ma a diverse classi e diversi tipi, e come sia una semplice presunzione il ritenere che ogni spermatozoo sia attratto dall’ ovo della stessa specie. L’ invocare poi, come fa il Verworx, l’argomento delle « innumerevoli masse di spennatozoi di animali differenti che popolano il mare » per sostenere che « ogni specie trovi il suo ovulo corrispondente » infirma anziché rafforzare il concetto dell’ attrazione specifica. Dato infatti che realmente esista nel mare questa grande promiscuità di innumerevoli masse di spennatozoi di differenti specie, sarebbe strano l’ammettere che per ogni ovo esistesse per lo meno una sostanza specifica capace di agire sullo spermatozoo Ricerche sull1 “ attrazione „ delle cellule sessuali 35 della stessa specie come una calamita sulla limatura di ferro com- mista ad altre polveri , prelevandolo dalla promiscuità , senza subire influenze minoratrici dalla distanza, dalla diluizione del mezzo, e dall’ incontro delle analoghe sostanze emananti dalle ova delle altre specie. ISTè d’ altro canto sarebbe giustificata l’e- norme dispersione di prodotti sessuali che avviene per ogni ani- male in confronto a quelli che realmente vengono fecondati e si sviluppano. Pare invece più leggittimo T ammettere che, anche quando sussista una causa generale che solleciti indistintamente tutti gli spermatozoi verso le ova, a qualunque specie appartengano, manchi invece quella causa specifica che attragga la specie verso la specie, e che l’ incontro degli elementi della stessa specie sia nella generalità affidato al caso, agevolato dalla comunanza del mezzo, dalla vicina convivenza degli animali della stessa specie, e dal numero straordinariamente grande di elementi sessuali di cui la natura , indipendentemente dalla prolificità , ha fornito tali animali. Tanto più verosimile appare questa deduzione, in quanto che ha riscontro di analogia nel regno vegetale, come per es. nell’ impollinazione delle piante anemofile. L’indole stessa della fecondazione nelle varie specie ani- mali in rapporto alla quantità dei prodotti sessuali , ci fa pre- sumere che l’attrazione specifica non è conciliabile colle moda- lità fisiologiche dei vari casi. Così troviamo in generale assai più abbondante la produzione e più frequente la emissione dei prodotti sessuali in quelle specie che si riproducono per fecon- dazione esterna, in confronto a quelle in cui questa funzione si compie nell’interno dell’organismo. Qual’ altra ragione adunque può fare variare nei due casi la produzione degli elementi ri- produttori, se non la più facile o più difficile dispersione nel- l’ambiente, poiché la prolificità non può in tutti i casi venire invocata*? ìson pare adunque logico a priori 1’ ammettere nelle ova la presenza di sostanze capaci di attrarre soltanto gii sper- matozoi della stessa specie, essendo questa una condizione che 36 Umberto Drago [Memoria XVI.] impedirebbe o per lo meno limiterebbe grandemente la disper- sione di tanta quantità di prodotti sessuali , e quindi non ren- derebbe ragione della loro esuberante produzione. Per i precedenti esperimenti e per gli argomenti testé espo- sti, la pretesa atti-azione esercitata dalle ova sugli spermatozoi della stessa specie non ha ragione di sussistere, e non sussiste nel fatto. Per quanto io lio constatato nei vari esperimenti, gli spermatozoi si accumulano indifferentemente attorno a ora di specie diverse. Molto probabilmente la differenziazione specifica si manifesta nell’ impossibilità che avrebbe lo spermatozoo di differente specie a penetrare entro 1’ ovo o a fecondarlo deter- minandone la segmentazione. Con ciò non è però risoluta la questione dell’ attrazione sessuale nella sua espressione generale, cioè l’indagine della causa che determina gli accumuli degli spermatozoi attorno alle ova in genere, comprese quelle di specie differente. Prendendo le mosse dalle esperienze eseguite mediante lo aumento di temperatura , noi abbiamo potuto escludere 1’ inter- vento d’ una modificazione fìsica la quale impedendo la pene- trazione del zoosperma, tolga eventualmente il movente per la attrazione ; ma rimane ancora a discutere la 2a ipotesi cioè la possibilità di un’ influenza perturbatrice della temperatura sulle eventuali sostanze chimiche agenti come stimoli, e la 3a rela- tiva anch’ essa all’ azione perturbatrice del calore su una so- stanza agglutinatrice degli spermatozoi la quale potrebbe av- volgere 1’ ovo esternamente, e determinare quindi 1’ apparenza di fenomeno attrattivo a un fenomeno puramente meccanico. Per tentare di chiarire queste due ipotesi ho istituito una nuova serie di esperienze tendenti ad ottenere la morte del pro- toplasma ovulare senza indurvi presumibilmente alterazioni chi- miche, e studiando quindi il comportamento degli spermatozoi quando venivano messe a contatto coll’ ovo così influenzato. Per tale scopo mi sono servito della corrente elettrica co- stante ottenuta da un grande elemento Grenet, misurabile con 37 Ricerche sull ’ u attrazione ,, delle cellule sessuali un sensibile milliamperometro e graduabile con reostato metal- lico. IX. Serie Adoperando correnti debolissime di 1-1V2 MA sono riuscito ad uccidere le ora, assumendo come criterio di controllo per la loro morte la contemporanea morte degli spermatozoi trattati colla stessa intensità di corrente, e 1’ incapacità delle dette ova ad essere fecondate e a segmentarsi. Poiché P aggiunta dello sperma al liquido (acqua di mare) in cui si trovavano le ova già sottoposte a questo trattamento, determinava la morte istantanea degli elementi maschili, ho ri- cambiato 1’ acqua lavando parecchie volte le ova in nuovo li- quido. Dopo tale pratica ho notato che gli spermatozoi si ag- gruppavano immediatamente attorno alle ova uccise colla cor- rente, come attorno alle ova normali. Per effetto della corrente le ova subivano delle modificazioni fìsiche visibili, consistenti principalmente nel loro rigonfiamento e nel rischiaramento del protoplasma che poteva determinarsi o soltanto alla periferia o in tutto 1’ ovo. Ma poiché, ad onta della circospezione spiegata per elimi- nare P influenza elettrolitica della corrente (alternandola rapida- mente con opportuno invertitore) non riuscivo completamente nello intento, ed ottenevo dopo l’applicazione della corrente un liquido nocivo alla vitalità degli elementi maschili, era presu- mibile che P azione elettrolitica sebbene diminuita non fosse completamente eliminata, e che quindi le scomposizioni che av- venivano nell’acqua contenente le ova si avveravano presumi- bilmente nel protoplasma di, questo. Sebbene adunque non sia sicuro di essere riuscito allo scopo di uccidere il protoplasma senza indurvi alterazioni chimiche, tuttavia i risultati di queste esperienze hanno un valore non trascurabile. Xelle ova, infatti, sottoposte a tale trattamento, essendo il protoplasma morto , P accumulo degli spermatozoi non poteva 38 Umberto Drago [Memoria XVI.] evidentemente attribuirsi all’azione cheun iotropica dei prodotti metabolici in formazione, nè a quella dei prodotti preformati e residuali, i quali anche quando non fossero influenzati diretta- mente dalla azione chimica elettrolitica della corrente, dovevano tuttavia trovarsi nell’uovo in associazione a quegli stessi prodotti della decomposizione elettrolitica die avevano reso l’acqua di mare, attraversata dalla corrente elettrica, letale per gli spermato- zoo Quell’eventuale azione chemiotropica positiva di tali sostanze residuali doveva necessariamente esser controbilanciata dall’azione negativa, letale, dei prodotti elettrolitici. L’ ipotesi adunque che l’accumulo degli spermatozoi attorno alle ova fosse il portato d’ un’ azione chemiotropica, perdeva per effetto di quest’ altra serie di esperienze nuovo terreno. Ma poiché, volendo sottilizzare, si potrebbe obbiettare che la decomposizione elettrolitica del protoplasma, quantunque ovvia ad ammettere, non era tuttavia provata direttamente, come lo erano la sua morte e le sue alterazioni fisiche, e le modifica- zioni fisiologiche del liquido contenente le dette ova, ho voluto intraprendere un’ altra serie di esperienze tendenti appunto ad alterare chimicamente il protoplasma ovulare non solo, ma a renderlo altresì tossico per gli spermatozoi. X. Seme Per tale scopo ho trattato le ova del Riccio con soluzioni di bicloruro di mercurio adoperando concentrazioni di liquido diverse, e variando la durata di permanenza delle ova in esse. I. Gruppo ! In un primo gruppo ho aggiunto una goccia di soluzione satura di sublimato corrosivo a 20 goccie d’acqua, venendo così ad ottenere una diluizione di circa 3,35 0/00, abbastanza concen- trata, come si vede, per uccidere i microrganismi e le spore più Ricerche sull ’ “ attrazione ,, delle cellule sessuali 39 resistenti. In questa soluzione ho mantenuto le ova per 10 mi- nuti, dopo il qual tempo le ho rimosse, aspirando cautamente il liquido e sostituendolo ripetute Tolte con acqua di mare. Quando mi sono assicurato che quest’ acqua addizionale non uccideva gli spermatozoi, ho messo insieme le ova così trattate, e lo sper- ma normale del Riccio diluito come al solito. Il risultato positivo è stato di un’evidenza indiscutibile : gli spermatozoi hanno formato immediatamente attorno alle ova i cumuli tanto caratteristici. II. Gruppo In questo gruppo di esperienze ho prolungato la durata di permanenza delle ova nella stessa soluzione mercurica per mez- z’ ora, dopo il qual tempo ho dovuto eseguire un lavaggio assai più abbondante e ripetuto delle ova, prima di ottenere un li- quido innocuo per gli spermatozoi. L’ aggiunta dello sperma diluito, alle ova così trattate, ha mostrato chiaramente la formazione dei soliti accumuli degli elementi maschili attorno alle ova ; non solo, ma 1’ esperimento è valso a dare la misura della rapidità con cui il fenomeno si determina, poiché quando si va ad esaminare il preparato, dopo l’aggiunta dello sperma, per quanta sollecitudine si spieghi nella manipolazione, si riscontrano i noti cumuli già formati e gli spermatozoi morti. III. Gruppo Ho voluto finalmente trattare le ova con soluzione satura di sublimato, lasciandovele per dieci minuti, dopo il qual tempo ho eseguito al solito un lavaggio esauriente sino ad ottenere una acqua innocua per gli spermatozoi. L’ aggiunta di questi alle ova non determina accumuli di sorta: gli spermatozoi permangono per un certo tempo vivaci, ma poi perdono ogni mobilità. 40 Umberto Brago [Memoria XVI.] Le modificazioni fìsiche sono nei tre gruppi di esperienze, comuni; variano solo nel grado. Esse consistono principalmente nell’opacità acquistata dal protoplasma, che già ad occhio nudo si rivela come un imbianchimento delle ova, modificazione del resto notissima nelle pratiche di fissazione al sublimato, usate per la tecnica istologica, e dovute alla coogulazione degli albu- minosi con formazione di composti organici del mercurio. Per tali esperienze nelle quali il protoplasma dell’evo non soltanto perde ogni attività vitale, ma si trasforma chimicamente in un composto letale per gli spermatozoi, mi pare ovvio conclu- dere che nè i prodotti di un metabolismo che più non sussiste, nè quelli eventualmente preesistenti, possono essere invocati co- me cause stimolanti degli accumuli degli spermatozoi attorno alle ova. Ancora qui militano, e più potentemente, le conside- razioni fatte a proposito delle ova sottoposte all’ influenza delia corrente costante, e l’unica obbiezione possibile relativa all’e- ventualità che il sublimato pur uccidendo il protoplasma, arre- standone il metabolismo, e inducendovi notevoli alterazioni chi- miche, non alteri le sostanze chemiotropiche residuate dai pro- cessi metabolici originati prima della morte, cade di fronte alla contemporanea tossicità assunta dal protoplasma in queste con- dizioni. Poiché , dato pure che queste sostanze chemiotropiche residuali non vengano alterate dal sublimato, è evidente che la loro azione fisiologica « attrattiva » deve venire neutralizzata dall’ azione per dir così, repulsiva di quel veleno contenuto nel protoplasma, azione, la quale abbiamo visto determinare la morte degli spermatozoi, poco dopo che questi si sono accumulati at- torno alle ova. Se adunque da un canto è dimostrato insussistente, il clie- motropismo specifico soltanto fra prodotti sessuali della stessa specie , se dall’ altro le manovre atte a produrre la morte del protoplasma, la sua alterazione chimica e la sua tossicità , en- tro certi limiti, non impediscono gli accumuli degli spermatozoi attorno alle ova in genere, la dottrina del chemotropisino ses- 41 Ricerche sull ’ u attrazione ,, delle cellule sessuali suale non si può dire per lo meno confortata dall’ esperienza dei fatti. Resterebbe a ricercare allora la cagione per la quale gli spermatozoi si accumulano attorno alle ova, e l’ ipotesi più na- turale mi parrebbe in questo caso che il fenomeno sia dovuto a un agglutinamento dei filamenti spermatici attorno all’ ovo, de- terminato da una sostanza attaccaticcia che lo ricopra esterna- mente, o dalla proprietà adesiva dello strato periferico. Quest’ ipotesi spiegherebbe anche la mancanza di accumuli attorno alle ova trattate con soluzione satura di sublimato, es- sendo verosimile che la soluzione così concentrata alteri tìsica- mente lo strato periferico dell’ ovo sino a impedire l’agglutina- mento degli spermatozoi. Tuttavia per tentare di comprovare tale ipotesi io ho eseguito due ordini di esperienze, valendomi di ova di Riccio rese speri- mentalmente col calore o la soluz. satura di sublimato, incapaci di « attrarre » gli spermatozoi. Ho immerso queste ova rispetti- vamente in albume d’ovo e in muco faringeo, allungati con acqua di mare, lasciandovele per circa un’ ora, dopo il qual tempo li ho tratti dai liquidi, e vi ho aggiunto, come al solito, lo sper- ma diluito dello stesso animale. Ho notato attorno alle ova che avevano soggiornato nell’al- bume dei ricchi cumuli di zoospermi vivacissimi, però tali cumuli non erano permanenti, in quanto che dopo un certo tempo si dira- davano. Viceversa, attorno alle ova uccise colla soluzione satura di sublimato e trattate quindi col muco, si formavano cumuli quasi ugualmente ricchi come nelle ova normali, e permanenti. Se adunque ova incapaci di « attrarre » gli spermatozoi, e quindi prive delle presunte sostanze cliemiotropiche interne , diventano capaci di attrazione con una manovra artificiale che ne modifica soltanto lo strato esterno tìsicamente, è logico am- mettere che il chemotropismo, quale fattore dei noti cumuli degli spermatozoi attorno alle ova, non sussista nel fatto. Tuttavia io non voglio annettere a queste esperienze un Atti acc. Serik 4a, Vol. XIX — Mem. XVI. 6 42 Umberto Drago [Memoria XVI.] valore decisivo per spiegare quei cumuli di spermatozoi attorno alle ova, che hanno tanto fissato 1’ attenzione dei biologi indu- cendoli ad ascriverli a una « forza di attrazione » concretata in questi ultimi tempi sotto forma di stimolo cliemiotropico eser- citato da speciali sostanze contenute del protoplasma dell’ ovo. Mi limito solo a rilevare che tutti questi risultati non depongono in favore di questa dottrina del chemotropismo sessuale , e che molto verosimilmente gli accumuli di spermatozoi attorno alle ova della, stessa e di diversa specie, e quindi P apparente « at- trazione » esercitata dall’ elemento femminile, non rappresentino che il prodotto della proprietà aggluti natrice degli elementi dei due sessi la quale si intensificherebbe col contatto dei due ele- menti viventi. Riassiiii to dei risultati Facendo astrazione da ogni apprezzamento, mi pare oppor- tuno riassumere i risultati delle ricerche fatte : 1. Il metodo dei tubi capillari, già adoperato dal Pfeffer pei prodotti sessuali di alcune piante, applicato ad analoghe in- dagini sugli animali, non dà alcun affidamento. Esso è fallace in quanto che non fornisce un criterio sicuro per asserire che gli spermatozoi obbediscano a stimoli emananti dalle sostanze contenute nei capillari , seguendo soltanto quella direzione per penetrarvi. Dalle esperienze fatte con sostanze presumibilmente chemiotropiche, indifferenti e nocive, risulta invece che gli sper- matozoi animali agitandosi in tutte le direzioni , pervengono accidentalmente entro i tubi capillari. 2. Grli spermatozoi dell’ JEchimis lividus , e probabilmente di altre specie animali, fuorescono ed entrano indifferentemente dei tubi capillari disposti verticalmente, e fecondano le ova col- locate rispettivamente all’ interno e all’ esterno. 3. Il previo riscaldamento delle ove di E. I. a tempera- ture superiori a 50° 0. circa impedisce 1’ « attrazione » degli spermatozoi. 43 Ricerche sull ’ “ attrazione,, delle cellule sessuali 4. Il riscaldamento a temperature superiori a 33° C. e inferiore a 50°. C. mantiene nelle ova la capacità di « attrarre » gli spermatozoi, ma le rende incapaci di essere fecondate. 5. Le oya immature con grossa vescicola germinativa , attraggono gli sperai atozoi allo stesso modo die le ova mature. 6. L’ ovo già fecondato, e quindi provvisto di membrana esterna, attrae gli spermatozoi come 1’ ovo non fecondato. 7. Nell’ unione incrociata dei prodotti sessuali di Ecliinus lividus , Asterias glacialis , Ophyuris , Sepia officinalis, EngrauHs encrasicholus , Mugli cefalus , Crenilabrus paco, 1’ attra- zione e 1’ accumulo degli spermatozoi attorno alle ova si eser- cita come fra gli elementi della stessa specie. 8. La corrente galvanica debole mentre uccide il proto- plasma ovulare , non impedisce 1’ accumulo degli spermatozoi attorno alle ova. 9. Le ova di Riccio trattate per 10-30 minuti con solu- zione di bi cloruro di mercurio al 3 °/00 e lavate accuratamente attraggono gli spermatozoi come le ova normali. 10. Le ova predette trattate con soluzione satura di bi- cloruro di mercurio per 10 minuti perdono il potere di attrarre gli spermatozoi. 11. Le ova che in seguito ai superiori trattamenti hanno perduto il potere di attrarre gli spermatozoi, lo riacquistano se vengono tenuti per circa un’ ora in muco diluito con acqua di mare. CONCLUSIONI Da questi risultati sperimentali, io credo si possano trarre le seguenti conclusioni. I. Gli spermatozoi di E. lividus non risentono come stimolo direttivo l’ influenza della gravità : essi non sono cioè barotropici. II. L’ « attrazione sessuale » è indipendente dalla capacità dell’ ovo a lasciarsi penetrare dallo spermatozoo. 44 Umberto Drago [Memoria XVI.] III. Essa è altresì indipendente dalla maturazione dell’ovo e dalla sua fecondabilità, cioè dall’attitudine a segmentarsi. IV. A prescindere dalla causa dell’ attrazione sessuale , è erronea la credenza di un’ attrazione specifica, determinante lo accumulo degli sperrnatozoi soltanto attorno alle ova della stessa specie. V. Gli esperimenti non confermano 1’ opinione di un che- motropismo sessuale d’ indole generale : per essi pare invece più verosimile 1’ ammettere che gli sperrnatozoi si accumulano at- torno alle ova per una proprietà adesiva dello strato periferico di queste, resa più efficace dal potere agglutinante degli sper- matozoi. E quindi per non pregiudicare il concetto sull’ indole e sulla causa del fenomeno sarebbe opportuno sopprimere le espres- sioni di « chemotropismo », e « attrazione sessuale » sostituen- dole con altra che caratterizzi il fenomeno dal lato puramente obbiettivo, come p. es. « coniugazione germinale. » Memoria XVII. 1 fossili postpliocenici di Salustro, presso Motta S. Anastasia. Mentre i vari depositi postpliocenici che compariscono qua e là in mezzo ai terreni vulcanici che si estendono a Nord-Est della città di Catania sono stati da lungo tempo oggetto di studio da parte di molti geologi e paleontologi italiani e stranieri, la vasta formazione di argille che si estende ad Ovest della città fin presso Paterno è rimasta quasi inesplorata, almeno dal punto di vista paleontologico. Tolto infatti un elenco di 13 specie rinvenute da Inter- landi alla Possa della Creta (1), altre 30 enumerate dal prof. B. Gravina (2) di varie località delle Terreforti, non abbiamo di questa contrada che degli accenni un po’ vaghi in alcune me- morie del Prof. C. Gemmellaro (3) ed una Relazióne geognostica del Prof. Sci uto-Pàtti (4), nella quale sono compendiate le po- che notizie geologiche che si avevano sni vari depositi di questa fertile regione. (1) P. Inthrlandi — - Memoria sopra il terreno terziario della Fossa della Creta e sue a- diacenze presso Catania ( Atti d. Acc. Gioeiiiu oli Se. Nat. in Catania, Tomo XIII, 1839). (2) B. Gravina — Note sur les terrains tertiaires et quaternaires des environs de Catane (Boll. ol. Soc. Geo. ole Trance, sér. 2e ; voi. XV, 1858). (3) C. Gemmei.t.aro — Condizioni geologiche del tratto terrestre dell’ Etna ( Atti d. Acc. Gioenia oli Se. Nat. in Catania, T. I. ) — Cenno geologico sul terreno della Piana di Catania (Ibiolem, voi. XIII) — Sulla costituzione fìsica dell’ Etna (Ibidem, ser 2a. voi. III). — Saggio di storia fisica di Catania (Ibiolem, ser. 2a voi. V.) — Vulcanologìa dell’Etna (Ibiolem, ser. 2a, voi. XIV) — Elementi di Geologia, pag. 132., Catania, 1840., ecc. (4) C. Sciuto Patti — Relazione geognostica delle colline delle Terreforti, ecc. (Atti ol. Acc. Gioenia di Se. Nat. ser. 2a, voi. XII), 1856. Atti acc. Serie 4a, Voi,. XIX — Meni. XVII. 1 2 Doti. 8. Scalia [Memoria XVII.] Anche più tardi Lyell (1), Waltershausen (2) ed altri autori hanno parlato incidentalmente delle argille delle Terreforti, che strati grati cani e n te sono state sempre associate ai ben noti depositi fossiliferi di Cibali, di Catira e di Nizzeti ; fino ad ora però non si conosceva di questa contrada una località molto fossilifera la cui fauna potesse mettersi a raffronto con quelle abbastanza ricche degli altri depositi postpliocenici sub-etnei, già da tempo cono- sciuti, e dei quali mi sono occupato in vari lavori pubblicati negli Atti di questa Accademia (3). La nuova località fossilifera dalla quale provengono le specie più avanti enumerate mi venne indicata dal sig. O. De Fiore che ne ebbe notizia dai signori Monaco, nella cui proprietà sita in contrada Salustro, a trecento metri circa ad Ovest del Cimitero di Motta S. Anastasia, i fossili si trovano in grande abbondan- za sul pendio settentrionale di una coll inetta argillosa, elevata di 280 metri sul livello del mare. In questa località, come negli altri depositi del Postpliocene sub-etneo, le argille azzurre, quasi pure, che stanno in basso, sono molto povere di fossili, i quali si trovano invece in abbondanza nelle argille superiori, giallastre e sabbiose che contengono anche dei ciottolini di arenarie, di quarziti e di varie rocce cristalline. Nella formazione argillosa di Salustro non ho riscontrato lenti di sabbie vulcaniche, ciottoli di basalto, cristallini isolati di augite o frammenti di altri elementi vulcanici che si trovano frequen- temente nei depositi di Nizzeti, Catira, S. Paolo, etc. Superior- (1) Ch. Lyell — Principles of geology. Varie edizioni. » — • On thè Structure of Lavas with Remarks on thè Mode of Origin of Mount Etna, etc. (Phil. Trans, for 1858, Bd. 148, P. II). (2) S. von Waltershausen. — Ber Aetna, voi. II, pag. 33-39, Leipzig. 1880. (3) S. Scali a — Revisione della fauna post-pliocenica dell’ argilla di Nizzeti, presso Aci- Ca8tello (Catania) Atti d. Acc. Gioenia di Se. Nat. in Catania, ser. 4a, voi. XIII, 1900). — Il Post- pliocene del Poggio di Cibali e dì Catira, presso Catania (Ibidem, ser. 4a , voi. XIV, 1901). — Sopra una nuova località fossilifera del Post-pliocene sub-etneo (Ibidem, ser. 4a, voi. XIV, 1901). — Sul Pliocene e il Post-pliocene di Cannizzaro ( Boll. d. Acc. Gioenia di Se. Nat. in Catania, fase. LXXII, febbraio, 1902). 1 fossili postpliocenici di Salustro 3 mente agli strati fossiliferi , che formano come una lente , si notano degli straterelli di sabbie giallastre zeppi di piccole valve di Mactra siibtruncata , Montg. s p . , e più in alto le argille , sempre più sabbiose, passano a sabbie giallastre, sulle quali riposa il conglomerato che si estende sopra una vasta zona delle Terreforti. Dall’elenco che segue risulta che le specie dame rinvenute nella contrada Salustro ascendono a 154, delle quali solo cinque non sono conosciute viventi: Chlamys sub-clavata, O ant.r . sp., Dentai inni PhiUppii , Montrs., Tur niella tricarinata , Br. s p . , v a r . plio-recens, Montrs., Buccinimi striatimi , P h . , Nassa crasse-sculpta , Brugn. sp. Queste specie si riscontrano anche negli altri depositi postpliocenici sub-etnei. Questa fauna che per il modo di aggregazione dei generi e delle specie, per la freschezza delle conchiglie, le quali spesso mo- strano ancora vivi i colori, e per 1’ esiguo numero di specie non conosciute viventi, mostra le più grandi affinità con quelle di Nizzeti, Cibali, Catira e S. Paolo, non lascia alcun dubbio sul riferimento di questo nuovo deposito fossilifero ad un orizzonte molto elevato del Postpliocene marino o piano siciliano del Doderlein, al quale appartengono gli altri depositi argillosi sub- etnei. Elenco delle specie fossili raccolte a Salustro. ANTHOZOA 1. Lophohelia Defrancei, Ed, et H. — Quattro esemplari. 2. Caryopliyllia clavus , Scacchi — Rara. Fossile anche a Cannizzaro, a Catira e a Nizzeti. 3. Cladocorci caespitosa, L. sp. — Rara (viv. z. Lt.) Fossile anche a Nizzeti, S. Paolo e Pozzo di S. Toda.ro (Oollez. Gravina). EOHINODERMATA 4. Ampliiura squamata, Sars. — Gii bello esemplare , (viv. Lt. L.) Debbo la determinazione di questa specie, trovata dal Sig. De Fiore in un 4 Doti. S. Scalia [Memoria XVII.] tubo di Vermetus gigas, Biv. , alla gentilezza del Chiarissimo Prof. A. Busso, al quale rendo qui vivissime grazie. o. Cidaris sp. — Un frammento di radiolo. VERMES 6. Serpula vermicularis , L. — Rara (viv. z. Lt.). Fossile anche a Ca- tira e a Xizzeti. 7. Vermilia sp. — Rara. * 8. Bitrupa arietina , Miill. — Frequente (viv. z. Lt. L.) Abbonda nei depositi di Cannizzaro, Cibali, Catira, Xizzeti, S. Paolo, Vena e Fossa della Creta (Collez. Aradas). 9. Pomatoceros triqueter , L. sp. — Rara (viv. z. Lt. L.) Fossile anche a Catira, Xizzeti e S. Paolo. 10. Protula protula, Cuv. sp. — Frequente (viv. z. Lt. L.) Fossile an- che a Catira, a Xizzeti e a S. Paolo. 11. Betepora cellulosa , L. — Un bello esemplare (viv. z. Lt.) MOLLUSCA Lamellibranchiata 12. Chlamys opercularis , L. sp. — Frequente (viv. z. Lt. L. C.) Fossile anche a Cibali, Catira, Xizzeti, S. Paolo e Vena. * 13. Chlamys inflexa , Poli sp. — Una valva beu conservata (viv. z. L. C.) Fossile anche a Cannizzaro, Cibali, Catira, Xizzeti e Motta S. Anastasia (Collez. Grav.). 14. Chlamys subclavata , Cantr. sp. — Una valva rotta. Fossile anche a Cibali, Catira, Xizzeti e S. Paolo. 15. Pecten Jacoboeus, L. sp. — Piccole valve, (viv. z. L.) Fossile an- che a Cibali, Catira, Xizzeti, S. Paolo e Vena. 1G. Lima ( Radula ) squamosa , Lamk. — Una valva rotta (viv. z. Lt. L.) Fossile anche a Catira, Xizzeti e S. Paolo. 17. Anomia ephyppium L. — Due belle valve (viv. z. Lt. L. C.) Fos- sile anche a Cibali, Catira, Xizzeti e S. Paolo. 18. Placunanomia potetti formis, L. sp. — Varie valve (viv. z. L. C.) Fos- sile anche a Cibali, Catira, Xizzeti e S. Paolo. * Le specie precedute da un * sono state indicate dal Prof. B. Gravina (Op. cit., pag. 418-421) per le Terreforti, senza precisarne le località dove furono rinvenute. Quelle pre- cedute da una -f- non sono conosciute viventi. 1 fossili postpliòcenici di Sa lustro 5 19. Placunanomia striata , Br. sp. — Frequente (viv. z. L.) Fossile nu- che a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo. 20. Ostrea sp. — Valve indeterminabili. * 21. » ( Gryphaea ) cochlear , Poli — Una valva rotta (viv. z. L. C.) Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti, S. Paolo e M. Cardillo (Grav.). * 22. Nucula nucleus, L. sp. — Varie valve (viv. z. Lt. L. C.) Fossile an- che a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo. 23. Nudila silicata, Bronn. — Abbastanza frequente (viv. z. L. C.) Fos- sile anche a Cannizzaro, Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo. 24. Leda (Lembulus) polla , L. sp. — Una sola valva (viv. z. Lt. L. C.) Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo. 25. Arca ( Anadara ) Polii , Mayer. — Una valva (viv. z. L. C.) Fossile anche a Cannizzaro, Nizzeti e S. Paolo. 26. Pectunculus insubricus, Br. sp. — Due valve (viv. z. Lt. L.) Fos- sile anche a Cannizzaro, Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo. 27. Pectunculus bimaculatus. Poli sp. — Una valva (viv. z. L. C.) Fos- sile anche a Cibali, Catira, Nizzeti, S. Paolo e Vallone di S. Biagio (Grav.). 28. Venericardia silicata , Brug. sp. — Una sola valva (viv. z. Lt. L.) Fossile anche a Nizzeti. 29. Astarte fusca , Poli sp. — Una piccola valva (viv z. L. C.) Fossile anche a Cannizzaro, Cibali, Catira e Nizzeti. 30. Astarte silicata, Da Costa sp. — Rara (viv. z. L. C.) Fossile anche a Catira e a Nizzeti. * 31. Cardium echinatum, L. — Una piccola valva (viv. z. L. C.) Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo. 32. Cardium papillosum, Poli — Abbondante (viv. z. Lt. L.) Fossile an- che a Cibali, Catira, Nizzeti, S. Paolo e Pozzo di S. Todoro ( Collez. Grav. ). * 33. Cardium tuberculatum, L. — Abbastanza frequente (viv. z. Lt. L.) Fossile anche a Cannizzaro, Cibali, Catira, Nizzeti, San Paolo, Vena e Fossa della Creta (Iuterlandi). 34. Cardium paucicostatum, L. — Due belle valve (viv. z. L. C.) Fos- sile anche a Cibali e a S. Paolo. 35. Cardium minimum , Ph. — Abbondante (viv. z. C.) Fossile anche a Nizzeti. 36. Tapes edulis, Chemntz sp. — Una valva rotta (viv. z. Lt.) Fossile anche a Cibali e a Catira. 37. Venus ( Cliione ) ovata , Peno. — Comune (viv. z. Lt. L. C.) Molto frequente in tutti i depositi postpliocenici sub-etnei. 6 Doti. ti. tienila [Memoria XVII.] 38. Venus ( Chione ) striatula , Forb. et Haul. — Abbondante (viv. z. L.) Fossile anche a Cannizzaro, Cibali, Catira, Xizzeti, S. Paolo e Vena. 39. Venus (Chione) gallina , L. — Piccole valve (viv. z. L.) Fossile anche a Cibali, Catira, Xizzeti, S. Paolo e Vena. # 40. Venus (. Anaitis ) fasciata , Donov. — Poche valve (viv. z. L. C.) Fos- sile anche a Canuizzaro, Cibali, Catira, Xizzeti e S. Paolo. 41. Meretrix chione, L. sp. — Una valva (viv. z. L. C.) Fossile anche a Cibali, Catira, Xizzeti, S. Paolo e Vena. 43. Donax trunculus , L. — Tre valve (viv. z. Lt.) Fossile anche a Ci- bali, Catira e 8. Paolo. 43. Tellina donacina , L. — Tre valve (viv. z. L. C.) Fossile anche a Cibali, Xizzeti e S. Paolo. # 44. Tellina distorta, Poli — Una piccola valva (viv. z. Lt. L.) Fossile anche a Cibali, Xizzeti e S. Paolo. 45. Tellina pulchella, Poli — Una piccola valva (viv. Lt.) Fossile an- che a Cibali e a Catira. # 46. Mactra subtruncata , Montg. sp. — Abbondante (viv. z. Lt. L.) Fos- sile anche a Cibali, Catira, Xizzeti, 8. Paolo, Vena, Pozzo di S. Todaro (Collez. Gravina) e Fossa della Creta (Collez. Aradas). 47. Mactra corallina, L. — Una valva ben conservata (viv. z. Lt. L.) 48. Lutraria ellittica, L. — Un frammento (viv. z. Lt. L.) Fossile an- che a Catira, a Cibali e a Xizzeti. 49. Corbula gibba, L. — Abbondante (viv. z. L. C.) Fossile anche a Cannizzaro, Cibali, Catira, Xizzeti, S. Paolo, Vena, Fossa della Creta (Collez. Aradas) e Pozzo di S. Todaro (Collez. Gravina). 50. Pholas dactylus, L. — Pochi frammenti (viv. z. Lt.) Fossile anche a Xizzeti e a S. Paolo. Scaphopoda 51. Dentalium dentale , L. — Un esemplare rotto (viv. z. L. C.) Fossile anche a Cannizzaro, Cibali, Catira, Xizzeti, S. Paolo e Vallone di 8. Biagio. (Gravina). 52. Dentalium novemcostatum, Lamk. — Belli esemplari (viv. z. L. C.) Fossile anche a Cibali, Catira, Xizzeti, San Paolo e Pozzo di S. Todaro (Collez. Gravina). 53. Dentalium rubescens, Desìi. — Quattro frammenti (viv. z. L. C.) Fossile anche a Cibali e a Catira. -f- 54. Dentalium Philippii, Moutrs. — Un esemplare e varii frammenti. Fossile anche a Cannizzaro, Cibali, Vena e Fossa della Creta (Interlaudi). I fossili postpliocenici di Salustro 7 Amphineura 55. Chiton olivaceus, Spengler. — Una placca intermedia (viv, z. Lt.) Fossile anche a Nizzeti. Gastropoda 56. Fattila coernlea , L. — Due esemplari (viv. z. Lt.) Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo. 57. Emarginala elongata , O. G. Costa — Un bello esemplare (viv. z. Lt. L.) Fossile anche a Cibali, Catira e Nizzeti. 58. Fissurella gibberula, Lamk. — Un esemplare rotto (viv. z. Lt.) Fossile anche a Nizzeti e a S. Paolo. 59. Haliotis lamellosa , Hidalgo — Un piccolo esemplare (viv. z. Lt.) Fossile anche a Catira, Nizzeti e S. Paolo. 60. Astralium ( Bolina ) rugosum , L. sp. — Un magnifico esemplare ed un opercolo (viv. z. L. C.) Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo. 61. Turbo (Collonia) sanguineus, L. — Belli esemplari (viv. z. L. C.) Fossile anche a Catira, Nizzeti e S. Paolo. 62. Fhasianella palla L. sp. — Vari esemplari (viv. z. Lt.) Fossile an- che a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo. 63. Fhasianella punctaia , Risso — Diversi esemplari (viv. z. Lt. L.) Fossile anche a Nizzeti. 64. Calliostoma conuloide, Lamk. sp. — Diversi esemplari (viv. z. L. C.) Fossile anche, a Nizzeti e S. Paolo. 65. Calliostoma convitivi, Lamk. sp. — Un solo esamplare (viv. z. L.) Fossile anche a Cibali, Catira e Nizzeti. 66. Calliostoma dubitivi , Ph. sp. — Frequente (viv. z. L. C.) Fossile anche a Nizzeti e S. Paolo. 67. Calliostoma Laugieri, Payr. sp, — Quattro esemplari (viv. z. Lt. L.) Fossile anche a Catira, Nizzeti e S. Paolo. 68. Calliostoma sp. 69. Calliostoma granulatimi , Borii, sp. — Un solo esemplare (viv. z. Lt. L. C.) — Fossile anche a Catira e Nizzeti. 70. Calliostoma M atonii , Payr. sp. — Frequente (viv. z. Lt.) Fossile an- che a Catira e Nizzeti. 71. Calliostoma striatimi , L. sp. — Frequente (viv. z. Lt. L.) Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo. 72. Calliostoma exasperatum, Perni, sp. — Molto abbondante (viv. z. Lt. L.) Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo. 8 Doti. 8. /Scali a [Memoria XVII.] 73. Calliostoma millegranum , Pii. sp. — Abbondante (viv. z. L. C.) Fossile anche a Catira e Nizzeti. 74. Calliostoma depictum, Desìi, sp. — Non molto comune (viv. z. L. <_'.) Fossile anche a Catira, Nizzeti e S. Paolo. 75. Calliostoma sp. — Uu magnifico esemplare. 76. Gibbuta magus, L. sp. — Abbondante (viv. z. Lt. L. C.) Fossile anche a Canuizzaro, Cibuli, Catira, Nizzeti e S. Paolo. 77. Gibbuta Guttadauri, Ph. sp. — Quattro piccoli esemplari (viv. z. L. C.) Fossile anche a Catira, Nizzeti e S. Paolo. 78. Gibbuta ardens , von Salis — Frequente (viv. z. Lt. L.) Fossile anche a Catira e Nizzeti. 79. Gibbuta fanulum , Gmel. sp. — Tre bei esemplari (viv. z. L. C.) Fossile anche a Nizzeti. 80. Gibbuta Richardii , Payr. sp. — Vari esemplari (viv. z. Lt.) Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo. 81. Gibbuta canaliculata , Lamk. sp. — Rara (viv. z. Lt.) 82. Gibbuta turbinoides , Desh. sp. — Comune (viv. z. Lt.) Fossile an- che a Nizzeti e S. Paolo. 83. Gibbuta umbilicaris , L. sp. — Tre esemplari (viv. z. Lt.) Fossile anche a Nizzeti e S. Paolo. 84. Gibbuta Ractcetti, Payr. sp. — Frequente (viv. z. Lt.) Fossile auche a Nizzeti. 85. Clanculus corallinus , Cerni, sp. — Sei esemplari molto ben conser- vati (viv. z. Lt. L.) — Fossile anche a Catira, Nizzeti e S. Paolo. 86. Clanculus cruciatus , L. sp. — Frequente (viv. z. Lt.) Fossile a Ci- bali, Catira Nizzeti, e S. Paolo. 87. Clanculus Jussieui , Payr. sp., et var. cincta , Seal. — Frequente (viv. z. Lt.) — Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo. 88. Clanculus (Olivia) Tinei , Calcara sp. — Un bello esemplare (viv. z. C. A.) Fossile anche a Nizzeti. 89. Calyptraea chinensis, L. sp. — Piuttosto frequente (viv. z. Lt. L. C.) Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo. # 90. Natica (Nacca) millepunctata. Lamk. sp. — Abbondante (viv. z. Lt. L. C.) Fossile anche a Canuizzaro, Cibali, Catira, Nizzeti, S. Paolo e Pozzo di S. Todaro (Collez. Gravina). 91. Natica ( Nacca. ) fusca , De Blainv. — Due esemplari (viv. z. L. C.) Fossile anche a Canuizzaro, Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo. 92. Natica (Nacca) catena , Da Costa sp. — Poco frequente (viv. z. Lt. L. ) Fossile anche a Nizzeti e S. Paolo. 1 fossili postpliocenici di iSalustro 9 93. Natica ( Naticina ) macilenta , Ph. — Abbastanza frequente (viv. z. L. 0.) Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti, S. Paolo e Pozzo di S. Todaro (Collez. Gravina). 94. Natica (Ne verità) Josephinia , Risso sp. — Due bei esemplari (viv. z. Lt. L.) Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti, S. Paolo e Pozzo di S. To- daro (Collez. Gravina). 95. Rissoia variabili s, Miilhf. sp. — Vari esemplari (viv z. Lt. L.) Fos- sile anche a Nizzeti e S. Paolo. * 96. Rissoia oblonga , Desm. — Rara (viv. z. Lt. L.) Fossile anche Cibali, Catira e Nizzeti. 97. Rissoia sp. — Un solo esemplare. 98. Rissoia (Alvania) cimex, L. sp. — Rara (viv. z. Lt. L.) Fossile an- che a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo. 99. Rissoia ( Alvania ) lactea, L. — Un solo esemplare (viv. z. Lt.) Fos- sile anche a Nizzeti. 100. Rissoia ( Alvania ) cancellata , Da Costa sp. — Rara (viv. z. Lt. L.) Fos- sile anche a Nizzeti e S. Paolo. 101. Rissoia ( Alvania ) Montagui, Payr. — Rara (viv. z. Lt.) Fossile anche a Nizzeti. * 102. Scalarla ( Clathrus ) communis , Lamk. — Un esemplare rotto (viv. z. Lt. L.) Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti, S. Paolo e Fossa della Creta (luterlandi). 103. Scalarla (Fuscoscala) ten uico sta, Mieli. — Vari esemplari rotti (viv. z. L. C.) Fossile a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo. * 104. Turritella communis , Risso — Abbondante (viv. z. L. C.) Fossile anche a Cannizzaro, Cibali, Catira, Nizzeti, tì. Paolo , Vena e Pozzo di S. Todaro (Collez. Gravina). -)- 105. Turritella tricarinata , Br. sp., var. plio-recens, Montrs. — Comune. Fossile anche a Catira e Nizzeti. 106. Turritella breviata , Brugn. — Due esemplari (viv. z. L. C.) Fos- sile anche a Cannizzaro, Catira, Nizzeti e S. Paolo. 107. Vermetus gigas , Biv. — Un frammento ben riconoscibile (viv. z. Lt.) Fossile anche a Nizzeti e al Pozzo di S. Todaro (Collez. Gravina). 108. Vermetus semisurrectus, Biv. — Un frani incinto (viv. z. Lt.) Fossile anche a Nizzeti e a S. Paolo. * 109. Vermetus subcancellatus , Biv. — Vari frammenti (viv. z. Lt.) Fos- sile anche a Nizzeti e S. Paolo. 110. Vermetus triqueier, Biv. — Due bei frammenti (viv. z. Lt.) Fossile anche a S. Paolo. Atti acc. Serie 4a, Vor.. XIX — Mem. XVII. 2 10 Boti. 8. Scalia [Memoria XVII.] # 111. Buiima subulata, Donov. sp. — Un esemplare molto beu conservato (viv. z. L. C.) Fossile anche a Cibali. 112. Cerithium vulgatum , Brug. — Un framento ben riconoscibile (viv. Z. Lt. L. C.) Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti e Fossa della Creta (Collez. Aradas). 113. Ceritlnum rupestre , Risso. — Due esemplari ben conservati (viv. z. Lt. L.) Fossile anche a Nizzeti e a S. Paolo. 114. Bittium Jadertinum , Brus. sp. — Vari esemplari (viv. z. Lt.) Fos- sile anche a Nizzeti. 115. Bittium lacteum , Ph. sp. — Tre esemplari (viv. z. L. C.) Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo. 116. Bittium Latreillei , Payr. sp. — Frequente (viv. z. Lt. L.) Fossile anche a Nizzeti e S. Paolo. 117. Triforis perversa , L. sp. — Un solo esemplare (viv. z. Lt. L. C.) Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo. 118. Chenopus serresianus , Mich. — Frequente (viv. z. L. C.) Fossile anche a Cannizzaro, Cibali, Catira, Nizzeti, S. Paolo e Fossa della Creta (Collez. Aradas). 119. Cypraea ( Trivia ) europaea , Montg. — Un solo esemplare (viv. z. Lt. L. C.) Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo. 120. Cypraea ( Trivia ) pulex , Gray — Due esemplari (viv. z. Lt. L. C.) Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo. 121. Cassidaria echinophora, L. sp. — Frequente (viv. z. L. C.) Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo. * 122. Cassidaria Thyrrena , Chemntz. sp. — Un magnifico esemplare (viv. z. L. C.) Fossile anche a Cibali e Catira, 123. Triton corrugatus , Lamk. — Un bello esemplare (viv. z. L. C.) Fos- sile anche a Cannizzaro, Catira, Nizzeti e S. Paolo. 124. Columbella rustica , L. sp. — Due esemplari (viv. z. Lt. L.) Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo. 125. Columbella ( Mitrella ) scripta , L. sp. — Abbastanza frequente e molto ben conservata (viv. z. Lt. L.) Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo. 126. Columbella ( Mitrella ) decollata , Brus. — Rara (viv. z. L.) Fossile anche a Nizzeti. 127. Columbella ( Mitrella ) Gervillei , Payr. sp. — Due esemplari (viv. z. L. C.) Fossile anche a Nizzeti e a S. Paolo. 128. Lachesis minima , Montg. sp. -- Un esemplare (viv. z. L. C.) Fos- sile anche a Cibali. I fossili postpliocenici di Salustro 11 -j- 129. Buccinimi striatimi , Pii. — Un magnifico esemplare. Fossile anche a Cannizzaro, Catira, Nizzeti e S. Paolo. 130. Nassa Edwardsi , Fischer. — Abbastanza frequente (viv. z. L. C. A.) Fossile anche a Cannizzaro, Cibali, Catira, Nizzeti, S. Paolo e Pozzo di S. Todaro (Collez. Gravina). 131. Nassa costatata, Ren. sp. — Rara (viv. z. Lt. L.) Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo. -f- * 132. Nassa crasse-sculpta, Brugo, sp. — Due piccoli esemplari. Fossile anche a Cannizzaro, Cibali, > Catira, Nizzeti e S. Paolo. 133. Nassa limata , Chemntz. sp. — Abbastanza frequente (viv. z. L. C.) Fossile anche a Cannizzaro, Catira, Nizzeti e S. Paolo. * 131. Nassa mutabilis, L. sp. — Abbondante (viv. z. Lt. L.) Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti, S. Paolo e Pozzo di S. Todaro (Collez. Gra- vina). 135. Nassa ( Zeuxis ) incrassata, Strom. sp. — Rara (viv. z. Lt.) Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti, S. Paolo e Pozzo di S. Todaro (Collez. Gra- vina). 136. Nassa ( Zeuxis ) reticulata, L. sp. — Rara (viv. z. Lt.) Fossile anche a Nizzeti e S. Paolo. 137. Nassa (. Zeuxis ) varicosa, Turton sp. — Abbastanza frequente (viv. z. Lt. L.) Fossile anche a Nizzeti e S. Paolo. L38. Nassa (. Amycla) corniculum , Olivi sp. — Rara (viv. z. Lt.) Fossile anche a Cannizzaro, Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo. * 139. Nassa (Mone) gibbosula, L. sp. — Rara (viv. z. L.) Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti, S. Paolo e Fossa della Creta (Interlandi). 140. Cyclonassa neritea, L. sp. — Molto rara (viv. z. Lt. L.) Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo. * 141. Murex (Bolinus) brandaris, L. — Vari frammenti ben riconoscibili (viv. z. L. C.) Fossile anche a Cibali, Catira e Nizzeti. 142. Murex ( Muricantlia ) trunculus, L. — Un magnifico esemplare (viv. z. Lt. L.) Fossile anche a Cannizzaro, Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo. * 143. Murex ( Muricopsis ) eristatus, Br. sp. — Nou molto frequente (viv. z. L. C.) Fossile anche a Catira, Nizzeti e S. Paolo. 144. Ocinebra Edwardsi, Payr. sp. — Un solo esemplare (viv. z. Lt.) Fossile anche a Nizzeti e S. Paolo. 145. Ocinebra erinacea, L. sp. — Vari esemplari (viv. z. L. (3.) Fossile anche a Nizzeti. 146. Ocinebra ( Hadriania) craticulata , Br. sp. — Frequente (viv. z. L. C.) Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo. 12 Boti. S. Scalia [Memoria XYIT.] 147. Trophon muricatus, Montg. sp. — Non molto frequente (viv. z. L. C.) Fossile anche a Nizzeti. 148. Fusus rostratus , Olivi sp. — Due soli esemplari (viv. z. Lt. L. C.) Fossile anche a Oannizzaro, Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo. 149. Eutria cornea, L. sp. — Un solo esemplare (viv. z. Lt. L. C.) Fos- sile anche a Oannizzaro, Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo. 150. Marginella secalina , Ph. — Rara (viv. z. L. C.) Fossile auclie a Ca- tira, Nizzeti e S. Paolo. 151. Daphnella ( Raphitoma ) fuscata , Desìi, sp. — Rara (viv. z. Lt.) Fossile anche a Nizzeti e S. Paolo. 152. Daphnella ( Bella rdiella) gracilis, Montg. sp. — Rara (viv. z. L. C.) Fossile anche a Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo. 153. Bonus ( Chelyconus ) mediterraneus, Brug. — Un solo esemplare (viv. z. Lt. L.) Fossile anche a Oannizzaro, Cibali, Catira, Nizzeti e S. Paolo. 154. Ringicnla conformis , Montrs. — Abbastanza frequente (viv. z. L. C.) Fossile anche a Cibali, Nizzeti, S. Paolo, Vena e Pozzo «li S. Todaro (Collez. Gravina). Dal Museo di Geologia della R. Università Catania, maggio 1906. Memoria XVIII. Dott. SALVATORE DI FRANCO T Gli inclusi nei basalte dell’ isola dei Ciclopi. fcou una tavola) RELAZIONE DELLA COMMISSIONE DI REVISIONE COMPOSTA DAI SOCI EFFETTIVI Proff. GRASSI e BUGGA (relatore). Il lavoro del D.r S. Di Franco tratta di una questione importante e nuova riguardante la genesi di svariati minerali, onde va rinomata l’ isola dei Ciclopi. Nessuno uvea sinora accennato all’ esistenza di singolari inclu- sioni nel basalte di quell’ isola, e che la ricchezza di quei minerali fosse limitata ad una speciale e limitata zona, indicata dal D.r Di Franco col nome di zona ad analcime. ' Pertanto la Commissione propone che il suddetto lavoro venga inserito negli Atti dell’ Accademia Da gran tempo V isola dei Ciclopi è stata argomento di stu- dio, principalmente per la sua ricchezza di minerali, che la pon- gono in vivo contrasto con tutta la regione etnea , dove quelli sono scarsi ; in quanto, poi, all’ analcime essa è divenuta una lo- calità classica. L’ esame del copioso materiale di quell’ isola, esistente nel Gabinetto di Mineralogia e Vulcanologia della R. Università di Catania, mi ha condotto ad osservare che, principalmente nei campioni ricchi di zeoliti , il basalte presenta delle macchie gri- gie più o meno chiare, ordinariamente di forme arrotondate, del diametro di 5 mm. sino a 8 cm. e più, che spiccano sulla massa Atti acc. Serie 4*, Voi.. XIX — Mem. XVIII. 1 2 Doti. Salvatore Di Franco [Memoria XVJII.] molto oscura del basalte , e alcuni campioni di esso sono così ricchi di queste macchie da assumere 1’ aspetto di una vera breccia. Di queste macchie nessuno ha fatto cenno sinora e pertanto ho creduto importante lo studio di esse, anche per le conseguenze minerogenetiche che se ne possono ricavare. (1) Queste macchie , che un’ osservazione superficiale potrebbe riferire ad accidentalità proprie della massa del basalte, ad esa- me più attento si fanno riconoscere come vere e proprie inclu- sioni di rocce estranee, più o meno metamorfizzate dal magma basaltico. È da notare, però, che non tutto il basalte, che forma il basamento dell’ isola, presenta queste inclusioni ; nè, come gene- ralmente si crede, in tutte le parti del basalte dell’ isola abbon- dano le druse di cristalli di analcime. Questo minerale è limi- tato ad una zona molto sviluppata nell’ insenatura Nord dell’i- sola , zona potente da tre a quattro metri , nella quale si nota una struttura piuttosto brecciata e in cui sono inglobati anche grossi pezzi di marna (v. fìg. 1). Tale zona è ricca delle suddette inclusioni e di geodi di analcime : essa è formata da una roccia, simile nell’ aspetto al basalte, ma un po’ più oscura e con lucentezza più grassa, ed è costituita principalmente da analcime (2) e deve considerarsi come un prodotto secondario locale, del quale mi occuperò in altro studio. La zona di cui parlo è sottostante alla marna (3) dell’ isola : riposa sopra di un basalte compatto, spesso con pronunziata strut- (1) Questo lavoro fu annunciato con una nota preventiva nel Bollettino dell ’ Accademia Gioenia di Catania — Fase. LXXXIV, Gennaio 1905. (2) Quella appunto denominata da C. Geinmellaro Analcimite (Atti Accademia Gioenia Sjer. I, Voi. II, 1827, pag. 64). (3) Questa marna fu creduta da C. Geinmellaro (Atti Accad. Gioenia, Catania, Ser. II. Voi. II, 1845, pag. 309) come un prodotto di alterazione del basalte e denominata Ciclopite,, idea combattuta da Lyell (Principes of Geology Voi. Ili, pag. 337) il quale la ritenne co- me marna argillosa anteriore al basalte e da esso spinta in alto. Gli inclusi nel basalte dell’ isola dei Ciclopi. 3 tura columnare , più sviluppato nella parte settentrionale del- l’isola (v. fìg. 2) la quale, battuta continuamente dalle onde ma- rine è sottoposta ad un progressivo diroccamento. Questo basalte è del tutto identico a quello dei vicini scogli (faraglioni), della costa di Aci Trezza e Aci Castello e della vicina località di Nizzeti e in quest’ ultima a contatto con marna fossilifera. Nelle lave e nelle bombe dell’ Etna trovansi non di rado inclusioni principalmente di arenaria ; note sono quelle delle eruzioni del 1883, 1886 e 1892 (1). Gli inclusi del basalte dell’ isola dei Ciclopi sono però di natura differente , perché dovute ad una marna più o meno argillosa. Esse, per l’aspetto che presentano all’ osservazione of- frono il modo di constatare il graduale passaggio della loro formazione. Infatti dalle inclusioni di marna intatta , analoga a quella sovrastante al basalte dell’ isola stessa o a quella della costa vicina, troviamo altre inclusioni con struttura gradatamente sempre più compatta e massiccia, e in fine aggregati di diversi minerali estranei al basalte, e che pare siano stati sin’ oggi ri- tenuti invece come accidentali concentrazioni degli elementi dello stesso basalte, o come prodotto dall’azione di acque ter- mali sulla massa del basalte. Non è sempre sicuro che tali aggregati debbano riferirsi ad inclusioni profondamente metani orti zzate , ma è degno di nota che essi mancano del tutto nel basalte ordinario ; sono invece (1) Cfr . G. Basile. — Le bombe vulcaniche dell ’ Etna — (Atti Aoc. Gioenia, Catania , Ser. Ili, Voi. XX, 1888, pag. 29). 0. Silvestri. — L’eruzione dell’Etna del 1886. — Nota II. Ricerche petrografiche sugli inclusi della lava e delle bombe. — Atti Aoc. Gioenia, Catania, Ser. IV, Voi. VI, 1893. Altre inclusioni si trovano nelle lave dell’ Etna, alcune delle quali furono descritte da A. Lacroix (Lee enclaves des roches volcaniques — pag. 40, 155, 474); però nulla lianno esse di comune con quelle dei basalti dell’ isola dei Ciclopi, si tratta di rarità cosi limitate , da non poterne ricavare delle serie conclusioni, pertanto meritano uno studio accurato che io ho da qualche tempo intrapreso e mi propongo di pubblicare prossimamente, quando sarà possibile aumentare il materiale che da tempo vado raccogliendo, con la massima esattezza sia per la provenienza, sia per le condizioni di giacitura. 4 Doti. Salvatore Di Franco [Memoria XY1II.] frequenti nella zona ad analcime , nella quale soltanto, come lio detto, si presentano gl’ inclusi. Inoltre è d’ avvertire che queste associazioni minerali hanno dimensioni e forme simili agli inclusi, e abbondano là dove questi sono piu metani orfizzati. Delle inclusioni alcune sono giallo-chiare e conservano tal- volta ancora la friabilità della marna originaria ; esse spiccano nettamente sulla massa oscura del basalte (v. fìg. 3) dal quale si staccano senza transizione. Generalmente si presentano di color grigio più o meno chiaro, con struttura compatta, molto tenaci, talora dall’aspetto di selce. Al contatto col basalte terminano con una zona più chiara, di larghezza variabile da ijw di min. a più di 1 min. dovuto a metamorfismo di contatto. Tra queste e le prime specie di inclusioni abbiamo tutti i passaggi possibili; ma non è raro il caso che in uno stesso pezzo di basalte si trovino inclusioni corrispondenti a diversi stadi di metamorfismo, disordinatamente distribuite, riferibili perciò a frammenti di marna strappati a diverse profondità e metamor- fìzzate più o meno profondamente dal magma basaltico. Mentre la massima parte delle inclusioni presentano una massa compatta, in molte di esse è notevole una cavernosità de- terminata da una certa bollosità, colle cavità per lo più tap- pezzate da minerali cristallizzati ( pirosseno , ciclopite, e zeoliti di- verse), oppure rivestite da una patina bianca (probabilmente di silice idrata ( idrosilicite di Waltershausen). Questa cavernosità è più notevole nelle inclusioni più pro- fondamente metainorfizzate ; ma non è rara pure in quelle che ricordano ancora la loro origine marnosa. In talune di queste inclusioni, la cavernosità è più accen- tuata, o anche limitata alla parte periferica, proprio in vicinan- za del contatto col basalte , in modo da determinare un facile distacco dell’ inclusione dal basalte includente; 1’ inclusione anzi talvolta giace completamente distaccata dentro una corrispon- Gli inclusi nel basalte dell’ isola dei Ciclopi. 5 dente cavità del basalte. In questo caso è sempre dalla parte della massa del basalte che si trova la zona oscura di contatto, riuscendo così più chiara la dimostrazione che questa caverno- sità è soltanto nella inclusione e non mai nella massa del ba- salte. L’ origine di queste cavità dentro le inclusioni va collegata non solo coll’ acqua contenuta nella marna come acqua di cava, ma pure in parte dovuta alla disidratazione dell’ argilla della marna stessa , anzi con questa va pari passo la formazione dei varii minerali succennati, come 1’ analcime o altre zooliti , la ci- clopite (varietà di anortitè). Esame del basalte includente. Macr. — Il basalte racchiudente le inclusioni è in tutto identico a quello libero d’inclusioni e di analcime, che come ab- biamo detto , è sviluppato alla parte inferiore dell’ isola. E di colore grigio oscuro , leggermente verdastro; tale colorazione è dovuta ad un gran numero di piccole macchie giallastre o ver- dastre disseminate nella sua massa. Vi spiccano le segregazioni nere di augite e giallo dorate di olivina , più raramente quelle di feldspato. Micr. — Al microscopio si rivela una struttura nettamente doleritica lasciandosi distinguere i seguenti elementi : feldspato, augite , olivina e magnetite. Il feldispato predomina : è in cristalli lamellari , molti al- lungati, a geminazione secondo la legge dell’ albite; fra i Nicols danno un angolo di estinzione fra le lamelle, che varia da 27° a 32°. Consimili valori trovò il Lasaulx (1) che dalla composi- zione chimica della roccia deduceva doversi riferire ad un pla- gioclase meno basico dell’ anortitè , la quale, come si sa, com- pare sotto la varietà di ciclopite , nelle cavità del basalte stesso. (1) Waltershausen-Lasaulx. — Ber Aetna— Leipzig — 1880, Voi. II, pag. 427. Doti. Salvatore Di Franco [Memoria XVIII.] 6 La ciclopite a sua volta è dal Lasaulx riferita a prodotto di sublimazione ; da quanto abbiamo sopra detto riesce invece più facile attribuirla ad un prodotto di metamorfismo, infatti non la troviamo che nella zona ad analcime ed inclusioni. L’ augite è in granuli più o meno irregolari e arrotondati; talora, specie nei più piccoli è conservata la forma geometrica; presenta un colore grigio-violaceo, leggermente pleocrotica (gial- lo-verdastro , verde-giallastro , verde-violaceo) ; contiene inclusi di magnetite : rare sono le inclusioni vetrose. I granuli più grandi presentano spesso un nucleo più chiaro o anche perfet- tamente incoloro. L’ olivina è generalmente in piccoli granuli , per lo più è mascherata da un prodotto rossastro di decomposizione, che va anche diffondendosi nella massa fondamentale e arriva a cir- condare 1’ augite o il feldispato. La magnetite è in granuli discretamente grandi, diffusi nella massa del basalte. La massa fondamentale è vetrosa , e presenta in modo ir- regolare delle macchie più o meno sviluppate di sostanza gial- lastra o verdastra delessitica , che il Lasaulx considera come prodotto di decomposizione di essa. In alcuni punti ad essa si aggiunge un po’ di quel prodotto rossastro dell’ olivina , colo- rando tutta o parte della macchia. Esame microscopico delle inclusioni. Le inclusioni, esaminate al microscopio , risultano formate da granuli e scagliette incolori , disseminati in una massa fon- damentale grigiastra d’ apparenza omogenea. Questi granuli o scagliette sono in alcuni punti più grandi, più numerosi e addossati fra di loro in guisa da dare alla roc- cia un aspetto cristallino ; in altri punti invece sono minuti e radi, in modo da dare piuttosto un aspetto porfirico ; è la strut- tura ordinaria delle rocce argillose. Gli inclusi nel basalte delV isola dei Ciclopi. 7 Quando però 1’ inclusione ha subito un più profondo me- tamorfismo, oltre a questa parte or cennata , presenta dei cri- stalli ben sviluppati di un pirosseno verde smeraldo {smarag di- te), sparsi nella massa , la quale acquista una tinta un po’ più giallastra dovuta ad un abbondante concorso di granuli o ba- stoncelli giallognoli che per le proprietà ottiche si lasciano ri- ferire ad epidoto. Un’ altra formazione speciale è quella che si trova nelle cavità delle inclusioni; le quali vengono riempite da una sostanza rossastra, che in alcuni punti dimostra una certa struttura fi- brosa, colle fibre perpendicolari alle pareti della cavità. Alcune volte le cavità restano completamente ostruite , altre volte ri- mane uno spazio ancora libero. La sostanza di queste fibre, che non si lascia attaccare dagli acidi, va riferita a termantite. Esaminando con un ingrandimento maggiore la massa di queste inclusioni, si osserva che i granelli cennati sono formati da masserelle di sostanza amorfa, cosparse internamente da mi- nutissimi cristallini rettangolari , i quali a nicols incrociati in- terferiscono e si estinguono obliquamente alla loro massima lun- ghezza, lasciandosi riferire con molta facilità a feldispato. L’ angolo di estinzione è grande, sì da arrivare sino a 30°, ciò che fa sospettare trattarsi di anortite che, confò noto, è uno dei minerali frequenti delle druse di questo basalte, costituendo la varietà ciclopite. Nella massa dell’ inclusione sono rari i granuli che possono riferirsi con sicurezza a magnetite; ciò forma un grande contra- sto col vicino basalte, in cui la magnetite è tanto abbondante. La massa dell’ inclusione presenta una struttura nettamente differente da quella del vicino basalte; essa è più o meno granu- lare, mentre il basalte ci presenta la struttura di un feltro a fi- bre di feldispato e pirosseno. Al contatto della inclusione col basalte però compare una zona nettamente distinta (v. fig. 4) per il colore più carico del 8 Doti. Salvatore di Franco [Memoria XVIII.] resto dell’ inclusione e per la struttura minutamente cristallina. In questa zona si distinguono chiaramente due parti prin- cipali : una più chiara dal lato del basalte , con prevalenza di elementi vetrosi e feldispatici e forse anche di wollastonite , di cui quelli di forma più allungata, penetrano dentro al basalte , mostrando così come in questo punto la marna si sia intima- mente mescolata al magma basaltico ; l’ altra parte più oscura dal lato interno della inclusione, risultando costituita essenzial- mente da minutissimi cristalli di pvrosseno verde chiaro, interca- lati con grossi granuli bruni o rossastri di termantite. Spesso notansi delle macchie verde giallo chiare, poco pleo- croitici e debolmente birifrangenti da riferirsi a clorite. Catania, Gabinetto di Mineralogia e Vulcanologia dell’Università. ii Acc. Gioenti di Se. Nat. Ser. 4 Voi. XIX. D.’ S. DI FRANCO, Gli inclusi nel basalte dell’ isola dei Ciclopi, Memorisi XIX Sui potenziali elastici ritardati Mota di G LAURICELLA • Come la nota formolo, di Kircliliojf , relativa all’ equazione canonica dei piccoli moti , porta alla considerazione dei potenziali ritardi , così 1’ estensione di tale forinola alle equazioni generali dei movimenti vibratori nei mezzi isotropi porta alla conside- razione di tre sistemi di integrali di spazio e di superficie, che per analogia si possono chiamare potenziali elastici ritardati. I potenziali ritardati godono , come è noto, di proprietà analoghe ai potenziali newtoniani-, in particolare per essi si han- no teoremi analoghi a quelli di Poisson , di discontinuità dei doppi strati, di discontinuità delle derivate normali degli strati semplici , eco. (1) Mi propongo qui di fare 1’ estensione di tali teoremi ai potenziali elastici ritardati. 1. Indichiamo con /S lo spazio occupato da un mezzo iso- tropo, con a la superficie limite, con n la normale nei punti di ° diretta verso lo spazio /S, con x, y, z le coordinate dei punti dello spazio riferiti a tre assi cartesiani ortogonali , con a e b rispettivamente le velocità di vibrazioni longitudinali e trasver- sali del mezzo, con t il tempo variabile e con r la distanza di due punti qualsiasi (x, ?/, z), ( £, o, £) dello spazio. Come risulta dalle formolo di Love (2), le quali rappresenta- no 1’ estensione della forinola di Kirclihoff alle equazioni gene- (*) v. Voi.tekra, Sul principio di fhrt/ghens (Nuovo Cimento ; S. Ili ; T. XXXII, XXXIII; 1892, 1 893). 2) The propay'ation of wave-moliou in cui isotropie clastic solici medium [Prooeedings <>f thè London Mathem. Society, Ser. 2, Voi.' I, Parts 4 and 5.]. Atti acc. Serie 4a, Voi.. XIX — Meni. XIX. 1 2 Prof. G. Lauricella [Memoria XIX.| rali dei movimenti vibratori nei mezzi isotropi, i tre sistemi di potenziali elastici ritardati si possono scrivere nel seguente modo : , , 1 / 3r\2 1 1 r. 1 tX{q,o,Z,t f)dt - 1- r ( 0^,] \ 2 X(£,o,Z,t a') +-p7.z(^ ^ rdxdy \Jkx(£j>&t a) fe2X(£,o,£:,* --)j dove dS— dfc do de. , e dove X(x,y,z,t) è una funzione arbi- traria delle variabili r, ;y, 5?, £, che si suppone finita e continua, insieme alle sue derivate prime rispetto ad x , y, z e alle sue de- rivate dei due primi ordini rispetto a t, per tutti i sistemi di valori di x, y , z corrispondenti ai punti di jS e per qualsiasi va- lore di t, ; i Sui potenziali elastici ritardati 3 dove da è 1’ elemento di superfìcie a , al quale appartiene il punto (£ , o , £), e dove X (S- , o , Z, t) è una funzione dei punti (£j , o , z) di a e della variabile t , finita e continua insieme alle derivate prime tangenziali su a e alle derivate dei due primi ordini rispetto a t ; dove : 1 dx2 r. 1 I t'xfe,o,z,t-t') (-] ( -2.X(^,0,C, <— )--j* z j) ^ [ (4) , 1 1 ^ r + °> Zi* j~)> m=tll * |^r *(&•>, v-^)— ' dxdy] a ' ft2 6' \ » con (£ , o , £) funzione dei punti (£ , u , £) di a e della va- riabile finita e continua insieme alle derivate prime tangen- ziali su a e alle derivate dei due primi ordini rispetto a, t , e dove ancora si conviene che, nel fare le derivazioni di u, , v, , w, rispetto ad n, u, e;, le variabili c, , u, £ , che compariscono e- 4 Prof. G. Lauricella [Memoria XIX.] V splicitamente nelle funzioni X (c , o, rC, t — t'),X(£, u, £, t — ) , A (£, o, 21, £ — devono essere ritenute come costanti. 2. Per gli integrali (1) sussiste un teorema analogo a quel- lo di Poifison. Dimostreremo tale teorema, servendoci delle eleganti con- siderazioni fatte dal prof. Somigliala in una Sua recenti1 No- ta 1 ) per il calcolo di tre integrali (che si possono ottenere dalle (4), supponendo X funzione della sola variabile t), dei quali si è giovato il Love per dedurre le Sue forinole. Posto : /* r ( * r cp (g, 0, C, r, t)= ^2-yl tir j X (g, o, Z, t — ~) dr , ò o >,) *- 3| = A- / A’ (5, o, C «, ^ + ±1 ■! A (5,,, 5, ») tó , ne segue : «=* + *+ «=! A**, 3a; cy dz x 32 . _„. 3W 3 hi A 2/ ;3.rs = (fc2 A, - - *>'t) **«'+(«* A2 - ^>2t) - (&* A2-D?) ^ = = — X[x,y, «,*) + 5 Ut: / X Z,t) r + 4t zaj dt X (^’ *} ^ ” _3M 1 3ic4 5 1 i . (?aSy 1 i 3 / 4 K f X (Xì °) ^ ~ 4^| ^ ^ (?> u’ *) ^ | = (a:> 20 2> *0 «y «y « 5 Similmente si lia : 3?=<>. 30 3^?/? (a2 - Z>2) ^ 4- fc2 A2 ^ = o . ' 32 1 3f2 4) Cfr. Somigli ana ; 1. c., forni. (6), (6)'. Atti acc. Skiiiic 4a, Vol. XIX — Meni. XIX. 2 6 Prof. G. Lauricella [Memoria XIX. J Le tre precedenti forinole rappresentano appunto l1 esten- sione del teorema di Poisson agli integrali di spazio (1). 3. Grli integrali (2), (3) godono rispettivamente di proprietà analoghe a quelle degli strati e dei doppi strati. Per stabilire tali proprietà, cominciamo dall’ osservare che si può scrivere : 1 l 1 d2r ( 1 1— rXfe,o,Z,i & )+ 2 a )' b2 J ^ b] r 13'4 LldX(Z,o,Z,t-t) t)\l 2 dt b 2 Ir b2 — a2 d’rj 2 a2 dx2) r a 1 -£)— Xfaì&fì 3*rll i Xfao&t—^—Xfco&t)) _L _X_L 5 X ' 2dx2 I b3 + / \,2dX&o,Z,t-lf) ^ 2 ~dx2 I * di dt’ Xfep. fC,ft)fb2 — a 2 d2r ^ r d2r ^ 1 -j) ■£■) Vi= ¥ ì~2aP dxdyW~2dxdyr¥ — 4^- a? — f + L / 0 r- dX{^A> t-f) 2 dxdy I dt w. du^ __ £fep,'C,t) _3_ (J. _j_ b2 — a2d2r ) 1_ 1 dt b ■ dx b2 dx I r 1 2 a2 dx 2 ì b3 ì b — A. 1 1 j)— X{Z,otZ,t)\dr * —P b’ + Sui potenziali elastici ritardati 7 A,t) d ^1 b 2 2#/ r Z>2 — a 2 22rl 2 a2 d,z.‘2j 1_§ dtX^°,^,t T* à-L) l>r' —^-(1-8) 2r 2# X&»,Z,t) dsl b 2 2# j r Z>2- a2 22r/ 2 et2 2&Ù 22 2f rXfc’VCJ- r, 2> ^ + • Z> 2* ? 2iq X (£, o, C, t) g ^ ir— a2 d2r ) dx b 2 dx Z 2 et2 2,r2(/ d«h _ (S, C» fi _9_ ( ^2— ^2 2V ^ 2# Z>2 dx l 2 rt2 dxdz \ con 3, 3j quantità comprese fra 0 e2— a2 2V 2 a2 2x2 ’ 1 — 9 «2 a2 2#2?/ » wi 2 a2, dx dz ’ X fe o,C, fi , z>2 M i + “ i 1 X (£, u, £, t) , «'l+A , Dalla semplice ispezione delle forinole precedenti risulta che le funzioni , v\ , sono finite e continue dovunque sia il punto ( x , y , #), e che le loro derivate prime si mantengono finite e continue finche tale punto è discosto da a, mentre diventano infinite, tutt’ al più come — , quando esso punto va su a; per cui, se si indica con n0 la normale a a in un punto jp0=(£o, o0, Z0) e si pone : _fr2 dU'i2 dnn -)-(a2 — b2) (3*« , 3<2 | ^'l2 \ 2# ' 2(/ 9^ cos ( n0x)-\-b - ^ 1 «o_ cos (n0x) lfC0 s(n,y)--^ ) + -f- Z>2 12 cos(»0z) — ^cos (n0x) J , 8 Prof. G. Lauricella [Memoria XIX.| Y\z=b2 ^ +(a2-&2)(^2 +^H C0&M+b2 Ì^f cos (n0z)— d-^f cos (n0y) + &2 cos (V» — %T cos (»o!0 ) » avremo che le espressioni X\2 , Y\2 , Z\2 sono funzioni finite e continue dei punti (%, y, z) di tutto lo spazio (i punti della su- perficie a compresi). Similmente, se si pone : J " 00 " (nxìXb^YXXcoshriy) — X cos(nx 1 ' oz co w . con dn" cln du" 3£ cos (nx) du? do cos (ny) -|- cos (nz) e con l’avvertenza che, nell’eseguire le derivazioni di u" v” w? rispetto a £, o, c, le variabili 5, o, C, che entrano esplicitamente nella funzione X(£, o, £, £) , devono ritenersi come costanti, ri- sulterà che le espressioni u'\2, v'\2, w'i2 sono ancli’esse funzioni finite e continue dei punti (.r, y, z) di tutto lo spazio (i punti della superficie a compresi). 4. Ora poniamo : X& C, *) b 2 u L do, X (É, o, C, f) b 2 1 X&o.Z,t) w\d a a a Sui potenziali elastici ritardati 9 _k2 du n 11 d,K {a2 — b2) I da' 3l/lt . dw\{ dx 2// 3°' ii dvn ^jcosK,T)+fc2 (^cos(»0?/) j— cos(w0») ) + 3m/ii , , 3 w -Jj-cos(n^) ^ COS 00 ^1* = il. ? e supponiamo che la superfìcie a soddisfi alle seguenti condi- zioni : 1° in ogni suo punto abbia il piano tangente determinato e variabile con continuità al variare con continuità del punto di contatto ; 2° esista una lunghezza l tale che, preso un punto p qual- siasi di a e considerato il cilindro circolare avente per asse la normale nQ a a in |»0 e per raggio 1 , la porzione di superfìcie a interna a questo cilindro sia incontrata in un solo punto al più dalle parallele ad nQ ; 3° esista un numero positivo c tale che, chiamando rQ la distanza di p0 da un altro punto pì qualsiasi di a , e £ l’angolo acuto (die n0 fa con la normale in px , si abbia : s < cr0. Dall’ipotesi fatta che la funzione X (5, o, £, t) è finita e continua in tutti i punti (S, o, C) di a e per tutti i valori di t , insieme alle sue derivate prime tangenziali, risulta (1), indicando con p o con p il punto (x, y , z) (sempre discosto da a) secondo che è nel campo finito limitato da o o nel campo infinito, (die le espressioni : lini X'li (X, y, z, t.) , li ni y'n {x, ih z, 0 , lim Z’ u (x, y, z, t) ; P=P0 P=Po P=Po lim X'u (®, Ih z, t ) , lim Fu (tv, y, z, t) , lim Z' ii (x, y , z. t) P'=Po P'=Po P'=Po (f) Cfr. la mia Memoria : Equilibrio dei corpi elastici isotro})i (Annali della R. Scuola Normale Superiore di Pisa, 1894) , Cap. Ili0, § 6. Atti acc. Sbiuk 4a, Vor.. XIX - Mem. XIX. 2 10 Prof. G. Lauricella [Memoria XJX.| sono determinate e finite e soddisfano alle equazioni (‘) : lini X'u ( x , y, z, t) — lini X'n («, y, z, t) = — X (5 0, o0, Z0, t ) , P=Po P’=Po lini Tu ( x , y, 2, t) — lira Tu (x, = P=Po Quindi, posto : X'i = X'n + X' 12 * rx : Tu + r 12 ? Z'i — Z'u -[- Z'l2 , avremo che le espressioni lira X'i {x, y, z, t) , lira Y\ (, x , y, z, t) , J>=Po P=Po lira Ai (x, y, z, t) , lini Yi [x, y, z , «) , P'=Po P—Po lira Z'i (x, y , 2, t) ; P=Po lira ZA (a?, i/, 2, t) P=Po sono determinate e finite e soddisfano alle equazioni: - X (£,, C0, <) , 0, °, ossia: le tensioni nei piotiti di a, corrispondenti agli integrali (2) : u' (x, y, z, t), v' (x, y, z, t), V (x, y, z, t) delle equazioni del moto ela- stico, sowo determinate e finite dalle due facce di a e soddisfano alle equazioni (5). Questo risultato rappresenta l’estensione agli integrali di superficie (2) del noto teorema sulla discontinuità della derivata normale di strato. 5. Passiamo ora allo studio degli integrali (3). lira X\ (x. y, 2, t) — lira X\ (x, y, z, t ) = P=P0 P'=Po ,,, \ dm Yl' ( x , y, 2, i) — lira F/ (a?, y, 2, t) = j I P=Po P—Po ■ lira Z[ (x, y, 2, t) — lira Zt' {x, y , 2, #) = \ P=P0 P'=Po ( 1 ) Ibid. ; Gap. Ili», forni. (25), (25)'. Sui potenziali elastici ritardati 11 Si ponga : U 11=4x 1 jX(^,u,Z,t)\ , 2 duL b2 > dn I du' . d'', dw' \ - + («2-62) (~w + 17+ 17 ) c< lde\ ^cos (ny) — c’r de'. 9 /9w'i 3w'i 1 cos ( nx ) | -)- 62 | cos (nz) — ~^r~ cos (nx) j ^ da , 3? A (^, 0) ^ , 2 1 4tc / Z>2 / dn / 1 da , Se vani mentiamo che la funzione X(S-, u, t) per ipotesi è finita e continua in tutti i punti (£, o, £) di a e per tutti i va- lori di t , insieme alle sue derivate prime tangenziali, e se an- che qui indichiamo con p o con p il punto (x,y,z) (sempre di- scosto da a) secondo che è interno o esterno ad S, si avrà (*) che le espressioni : lini u"il , lini r" , lini w" P=P0 o II P=Po lini u\ , , lini v"u , lini w" P=Po P'=P» P--Po sono determinate e finite e soddisfano alle equazioni : lini (, x , ,ì/, z,t) — lini u" Kl (, II sii P=Po V'~Po lini v"u (x, y, z , t) — lini v"l{ (, x, y, z, t) 7- 0 , P=Po P'=Po lini w"u { x , y, z, t ) — ■ lini w"il {x, y, z , t) z= (). P=Po P'=Po Di guisa che, se si pone niente a quanto fu dimostrato per le funzioni u\2 (a?, y, z, t ) , v"n (a?, y, z, t), w'\2 (ai, y, z, t ) al § 3, e se (4) Crf. mia cit. Meni. ; Cap. Ili, § 4. 12 Prof. G. Lauricella [Memoria XIX.] si ha riguardo alle forinole : // // i // // // i n n tr i n u — tt u -j- m 12 , » = « n r 12 , w = w l{ + io ts risulterà che le espressioni : lini u" (x, y, », t) , lini v" (x, y, z,t) , lim io" ( x , y, », t) ; 2^=Pn P=P 0 P=2>„ lim ?t" (a?, :»/, », t) , lini r" (a?, y, », t) , lim m?" (a?, y, », #) /= Po P=Pa sono determinate e finite e soddis fano alle equazioni : lini u (x, y, », t) — lim u" ( x , y, », t) = X (&, , u0, £0, t), 2>=2>o /=2>o lim v" ( a? , y, », 2) — lim ®" (a?, y, 2, <) = 0, P—Po P=P0 lini w" (x, y, », #) — lim io" (a?, y, », t) = 0. P=P0 P=Po Questo risultato è 1’ estensione agli integrali di superfìcie (3) del noto teorema sulla ; discontinuità dei doppi strati. 6. Passiamo ora a dimostrare un teorema relativo agli in- tegrali (3), il quale rappresenta 1’ estensione del noto teorema di continuità della derivata normale dei doppi strati. Supponiamo che la funzione X(£, o, £, t) sia finita e continua insieme alle sue derivate dei tre primi ordini tangenziali e ri- spetto a t. In virtù di questa ipotesi si può dimostrare, appunto come si fa per i doppi strati (*) , che le derivate dei primi due ordini delle funzioni u ( x , ?/, », t), v" (x, ?/, », t), w" (x, y , », t) sono finite e continue anche quando il punto («,;/,») di 8 (o del cam- po 8'), mantenendosi discosto da a , si avvicina indefinitamente f1) Vedi la mia nota : Sulle derivate, della funzione potenziale di doppio strato (Rendiconti della R. Acc. dei Lincei : voi. XIV, serie 5al. Sui potenziali elastici ritardati 13 ad un punto qualsiasi di a. In particolare le espressioni: ammetteranno limiti determinati e finiti, quando il punto (yc,g,z) del moto elastico hanno le tensioni , nei punti di o e dalle due facce di essa, determinate e finite. Noi qui ammetteremo senz’ altro le precedenti proposizioni, che possono dimostrarsi nel modo anzidetto, e passiamo a dimo- strare che queste tensioni dalle due facce di a hanno in uno stesso punto il medesimo valore. Introduciamo le seguenti notazioni : ■JW \ 37 j «os Ka) + {x,y, z , t)= di 8 (o di 8') si avvicina ad un punto p0 = (%oi £0) di a, ossia gli integrali u" (x, y, z, t), v" (x, y, z, t), w" (x, y, z, t) delle equazioni A"21 = lini X\ (x, y, z , t), Y2l" P=Po li m Yf {x, y, z, t), . . . P=P 0 A"22 = lini X’\ (x,y, z , t) , P=Po u"2i — lini u' (x,y , z, t), v"2l P=Po — lini t1" (#, */, 0, fi, P=P 0 h"22 — lini u" (x,y, z , fi, = ?«"21 -- A (£0, o0, £0, fi , P=Po v\2 = lini v" (x, y, z, t) = v"2l , P—P o 14 Prof. G. Lauricella (Memoria XIX. *iW— |^f/ t r (3J fl) b,X(z,o,r,t b)^-j- I r (s> u> 5 ) > *1 (-*)= a4 / T dxdy * ’ ^J-l * *X&'>,Z,t-f)df + ±¥; U,{X): dydx r ’èy dx ( v, {X)=X- r— / tX (£, o, £, £ — t ) -j- * v,j_ / ir «.(*)= *'X (£, 0, £, i— f) ' -}- A («1, X, «)=/>2 +(«2-^2) (|r + !~ + tr) C0S (',ta:;)+62 (^C08(»y)— ^cos (nx)j 3£ 3u 3£ a? /3m? Sm;, , -)- o* (-^r- cos (nz) cos (noe) ) , B(«„X,») = 6!'4^-) + . . . Sui potenziali elastici ritardati 15 Le forinole di Love ci danno per i punti di S : " (x,y, Z, t) = j I A(ulf u"2l, n) + B(uv v"2l,n)-^C(ul, w"2l,n) j da— j |«£ (Z"21)-f e/ e/ a a -f L (Y"gl) + tMZ"21) j da, ir i punti di /S' : (%: y, *, t)= ^ )A (“» M"22> »)+'-5(wi> l"22’ »)-b6'(*i> Mf'gg, «) j da-f- _L / j tti (Z"22)-f a a H- vi (Y 22) H- M’i(^ 22) ! d° 4* 1 ' j Z («,, m"21, ») -f- B(ulì v"2i, n) -f C (tu, w'' 21, n) j da 4ir Z (m, , Z, ») da -)- — — / J «1 (Z 22) -f- ri (Y 22) — tri ( Z 22) j da ; 4tc e poiché si lui, come risulta dalle (6), lini 1 „ lini li „ f p=po ^ A(uh u 21, ») da — — / Z (tti, m 21, ») da = m 21 (?i, u0» C0, *) , ^ — -Po 4x lim 1 | „ , lini 1 , B (mi, « 21, ») da — ) — / £ («1, r 21, n) da 0, risulterà dalle due precedenti forinole, passando ai limiti e som- mando membro a membro, M 21 (?0, uo, Zqì t) -j- M 22 (<^0, U0, £0, t) :zr tt 21 (^o, ,jqì X101 lini 1 I P'=Po 4tT A (mi, Z, n) da — 16 Prof. G. Lauricella [Memoria XIX.] — lini 1 P=Po 4ic jiti (X'^d+t’d 1 21) | (Z 21 ) j do- (- lira 1 P ’=P0 4x jl «0, Co,*) + lim (^30 *) — P'=Po — I |«i (A"ai - r'22) + n (Y"2i - f e per conseguenza : +«>1 {Z"'2\ — Z"22) ! ria ®=Có */=uo »=C0 (7) 0 — f% ~l |«1 (X"ai-A"„) + n (Y"21-Y"22) + in (Z"al Z"22) j do x=z0 y=* 0 Z— £„ Similmente sarà: 0 = 4~Jl U2 (X"si — A"22)-f-^2 (Y"21 — Y"22) 4“ u\ (Z"21-Z\2) j do (7)' ^ / / W3 21 ^ 22 ) “h ! da x — 1 y—^o 2 — Co r X — £0 Z=C 7. Ciò premesso , si considerino le tre funzioni dei punti (x, y, z) dello spazio e di t : Hi (x, y, z, t)= \uv (X"2i-Z"22)+n ( Y\i- r'22) + Wl (Z'21 - Z"22)\ do , ! Svi potenziali elastici ritardati 17 n2 (Z"2i-X"l)-f v2 (l"2i— r'22) + w2 (Z"21-Z”22) J do , Queste funzioni sono della medesima natura delle funzioni u , v , w’ , espresse dalle forinole (2), e formano un sistema di integrali delle equazioni del moto elastico. Poiché le Hv Hy come risulta dalle (7), (7)', si annullano nei punti di a per qua- lunque valore del tempo, e poiché esse a distanza infinita di- vengono infinitesime come ~ , avremo per qualunque valore del tempo t e per qualunque punto ( x , ?/, «)dello spazio : Hi {x, y , t) = H, (x, y. 2, t) = H3 (x, y,z,tj = 0. Si ha quindi : ed in forza delle forinole (5) e delle analoghe, che non abbia- mo scritte, risulterà finalmente : Memoria XX, Sulla radioattività di alcune terre per ENRICO BOGGIO-LERA * ^ • Il metodo ideato dai coniugi Curie per la determinazione della radioattività di una sostanza, consistente nel misurare me- diante la compensazione col quarzo piezoelettrico, la corrente che si produce attraverso P aria compresa fra le armature d’un condensatore piano, quando queste vengono mantenute ad una differenza di potenziale costante e sufficientemente elevata per- chè possano essere utilizzati tutti gli ioni che vengono prodotti da uno straterello della sostanza attiva sparsa in modo unifor- me sopra una delle armature, panni tino al presente il migliore. Ma non tutti hanno i mezzi di provvedersi di un apparecchio Curie. E d’ altronde v’ è da farsi la presente domanda : Consi- derata la complessità delle radiazioni dei corpi radioattivi, e il diverso potere penetrante di esse anche per P aria, e P assorbi- mento talora notevolissimo che si verifica nello spessore stesso dello strato del corpo attivo, e per maggior complicazione anche P emanazione di quasi tutti i corpi radioattivi, si può realmente asserire che P intensità della corrente fra le armature del con- densatore nell’ apparecchio Curie dia la misura della radioatti- vità di una sostanza ì A me pare di nò — Sembrami infatti che anzitutto bisogne- rebbe poter studiare per ciascuna sostanza P effetto dipendente dai raggi a, ih y, separatamente, e così quello dipendente dal- Pemanazione ; e che inoltre bisognerebbe sempre misurare l’effetto prodotto dall’ unità di massa della sostanza attiva, mentre que- sta poi dovrebbe esser distribuita in strato sottilissimo per evi- tare P assorbimento delle radiazioni per opera della sostanza medesima. Atti acc. Serie 4a, Voi.. XIX — Meni. XX. 1 2 Enrico Boggio-Lera [Memoria XX.] Ma appunto per tali difficoltà, nelle misure di radioattività si determina di solito l’effetto complessivo delle diverse radiazioni e dell’ emanazione di una sostanza radioattiva, introducendo in un ambiente limitato una certa quantità di questa sostanza in- sieme ad un’elettrometro caricato ad un potenziale arbitrario, e misurando la velocità di abbassamento del potenziale , tenendo conto naturalmente dell’abbassamento dovuto all’imperfetto iso- lamento. Così Elster e Geitei che per i primi misurarono la radioat- tività di numerose terre e prodotti vulcanici di varii paesi, tro- varono, con un elettrometro da loro ideato, e con 125 grammi di sostanza, una dispersione di 29 volt per ora coi fanghi di Battaglia, di 102 volt col fango di Capri, di 350 volt coi fanghi di Baden-Baden, 3000 volt per ora coi fanghi delle sor- genti di Baden-Baden, di 2, 9 volt con terra del giardino del- l’ Osservatorio di Catania, di 1 volt con ceneri dell’ eruzione Etnea del 1659. Analogamente Vicentini e De Zara misurarono la disper- sione, in volt per ora, prodotta in un loro speciale elettroscopio, particolarmente costruito allo scopo di sottrarlo all’ influenza dell’atmosfera attivata dalla sostanza in esame, e trovarono con 18 gr. di materiale attivo una dispersione di 3, 5 volt per ora per i fanghi di Abano, di 1, 1 volt coi residui ottenuti per evapo- razione delle acque di quelle sorgenti , di 6, d volt colle incro- stazioni raccolte nei bacini di concentrazione, e similmente per i fanghi di Battaglia ed altre sorgenti termali Euganee. Il Doti. Giovanni Trovato usò un apparecchio simile a quello di Elster e Geitei, ed esperimento in modo analogo sopra un gran numero di terre e di rocce specialmente dei dintorni di Acireale e dell1 Etna, e trovò che tutte sono più o meno debolmente radioattive. Essendomi ancor io accinto a fare delle esperienze sulla radioattività di alcune terre, ed avendo riconosciuto la conve- nienza di usare un elettroscopio di piccola capacità, parvenu Svila radioattività di alcune terre 3 anzitutto non rigoroso il misurare la radioattività eoi decre- mento del potenziale in volt per ora, od in generale per uguali intervalli di tempo, giacche quando è piccola la capacità dell’e- lettroscopio, essa varia in modo non indifferente col grado di divergenza della fogliolina, ossia col potenziale. Infatti se anche si esperimenti partendo sempre con ogni sostanza da uno stesso valore iniziale per il potenziale, al variare della sostanza varian- do pure il potenziale tinaie risulta pure diversa la capacità tinaie dell’ elettroscopio, e i decrementi del potenziale cessano allora di essere proporzionali ai decrementi delle cariche. Stimai pertanto metodo migliore quello di esperimentare a decremento di potenziale costante e tempo variabile , anziché a tempo costante e potenziale di scarica variabile come hanno fatto sin qui tutti gli altri esperi mentatori ; misurai quindi i tempi necessairi perchè il potenziale discendesse da un costante e sem- pre uguale valore iniziale ad un altro pure costante e sempre uguale valore finale ; così il decremento del potenziale verifi- candosi sempre fra gli stessi limiti, la quantità di elettricità sottratta all’elettroscopio dalla sostanza attiva fu sempre in tutte le mie esperienze rigorosamente costante. L’elettroscopio di cui mi sono giovato è del tipo di quello dei sigg. Elster e Greitel , e fu costruito dal Dott. Giovanni Trovato. Esso consiste in una scatoletta cubica ( di lamiera di ottone sottile ) avente 5 cm. di lato, e due finestre di vetro su due facce opposte. Nell’ interno della scatoletta è fissato sul fondo un sottile cilindretto di dielettrina , su cui a guisa di cappello è fissato un ditalino di ottone, i cui bordi non toccano però il cilindretto di dielettrina per evitare l’inconveniente della carica di quest’ ultima. Sul ditalino è saldata un’ asticella di ottone con una fogliolina di alluminio che si muove in un piano parallelo a quello delle facce della scatoletta aventi le tìnestrine di vetro. L’ asticella di ottone è più lunga della fogliolina e sporge all’ infuori della scatoletta per un foro praticato nella faccia superiore e termina con un cilindretto cavo di ottone 4 Enrico Boggio-Lera [Memoria XX.] della lunghezza di cui. 2 e del diametro di cui. 1. Al disotto della faccia inferiore della scatoletta cubica è saldato un piuo- lino di rame che serve a sostenere la scatoletta stessa al disopra di una vaschetta circolare di rame di cm. 13 di diametro e cm. 2 di altezza , nell’ interno della quale veniva collocata la sostanza attiva. Tutto 1’ apparecchio era posto sopra una base circolare di ferro, e coperto con un cilindro di ottone dell1 al- tezza di cm. 30 e del diametro di cm. 15, munita anch’essa di due tìnestrine di vetro in corrispondenza delle tinestrine analo- ghe dell1 elettroscopio. Per avere una buona scala graduata a tratti assai sottili , ne disegnai una di 20 cm. di raggio e quindi ne ritrassi una fotografia alle dimensioni della lunghezza della fogliolina di alluminio contenuta nell1 elettroscopio ; ed invece di mettere questa scala nell’ interno dell’ elettroscopio, seguendo una dispo- sizione preconizzata dal Prof. Righi, la collocai al di fuori del- l’apparecchio , e mercè una lente ne proiettai 1’ immagine nel piano dello spostamento della fogliolina. Con un cannocchiale osservavo poi insieme la fogliolina e la scala. Per esperi mentare distribuivo uniformemente sulla vaschetta di rame situata al di sotto dell’ elettroscopio una quantità de- terminata della sostanza in esame, e dopo aver caricato l1 elet- troscopio fino ad avere una deviazione un pò superiore a 48° , ricoprivo 1’ apparecchio, e misuravo con un contasecondi il tempo t che trascorreva fra il momento in cui la fogliolina veniva a passare dalla divisione 48 e quello in cui veniva a passare sulla divisione 47. Ma t non rappresentava realmente il tempo che la sostanza dovea impiegare ad infliggere all’elettroscopio la perdita di po- tenziale corrispondente a quella diminuzione di deviazione della fogliolina , giacché 1’ elettroscopio indipendentemente dalle so- stanze, ossia colla vaschetta vuota, subiva lo stesso decremento del potenziale in un tempo ti (naturalmente sempre più grande di t) a cagione degli ioni normalmente già esistenti nell’ aria e Sulla radioattività delle terre o della imperfezione dell’isolamento. Per tenere conto di tali per- dite io facevo delle determinazioni alternate di t e di , met- tendo nna volta dentro l’apparecchio la vaschetta con la sostanza ed un’ altra volta una vaschetta identica ma vuota. Indi dalle medie ottenute rispettivamente per t e per deducevo il valore T del tempo vero che la sostanza da sè sola avrebbe impiegato a produrre la stessa caduta di potenziale nell’ ipotesi d’ un isola- mento assolutamente perfetto , e dell’ assenza assoluta di ioni nell’ aria atmosferica, mediante la forinola T=tX h che io giustifico subito mediante la seguente considerazione : Se con la sostanza, il tempo impiegato è stato t , e senza di essa è stato ti , nel tempo t l’aria coi suoi ioni e l’ isolatore dell’ eletti’.0 hanno per loro conto sottratto la frazione — del- 1’ elettricità perduta dall’ elettroscopio in quel dato intervallo di scarica ; e quindi la sostanza in esame, nel tempo t ha sottratto soltanto 1 — ossia di quella quantità di elettricità per- h h duta ; quindi per infliggere all’elettroscopio quella intiera perdita la sostanza da sola avrebbe dovuto impiegare il tempo ^X r^— - T ^ — X Ora io ho trovato che per tutte le terre su cui ho esperi- mentato, il tempo T così da me calcolato è inversamente pro- porzionale alla quantità di sostanza attiva posta nella vaschetta purché questa quantità non superi considerevolmente i 100 grammi; od in altri termini il prodotto del numero dei grammi m di sostanza posta nella vaschetta per il tempo T, è costante per una data sostanza nei limiti di massa anzidetti. Questo pro- dotto che indico con M, io chiamerò modulo relativo di radio- attività della sostanza. Così ecco un esempio che tolgo dal libro delle mie espe- rienze. 6 Enrico Boggìo-Lera [Memoria XX.] 22 gennaio 1906. Esperimenti con 25 gr. di terra della villa del Dott. Cuonio (Capri) : t media di varie determinazioni = 14™ tL » » » — 46™ 50, __ 14 X 46, 50 32,50 ’ M = 20 X 25 = 500 Esperimenti con 50 gr. della terra medesima : t media di varie determinazioni = 8m 40 K T M 2> » » 8, 40 X 50, 12 56"' 12 47, 72 9, 9 X 50 = 495 = 9, 9 Esperimenti con 75 gr. della terra medesima : t media di varie determinazioni t. T = » » 5, 80 X 40, 50 5m 80 40"’ 50 34, 70 M = 6, 8 X 75 0, 8 507 Esperimenti con 100 gr. della terra medesima : t media di varie determinazioni 4™ 41 , 37™ 24, T = 4’ 41. X.37' 34 = 5, 0 M 32, 83 5 X 100 =r 500 Esperimenti con 10 gr. della terra medesima: t media di varie determinazioni = 25™ 50 50™ 75 25, 50 X 50, 75 I _ 25, 25 M = 51, 3 X 10 = 51, 3 513. Sulla radioattività di alcune terre 7 Assumo quindi come modulo relativo di radioattività della terra predetta di Capri il numero medio 500 -f- 495 -(- 507 -j- 500 j- 513 5 503 II significato del modulo di radioattivila di una sostanza è chiaro : Esso rappresenta il numero dei minuti primi che 1 gr. di sostanza impiegherebbe a sottrarre all ’ elettroscopio quella co- stante quantità, di elettricità che esso perde nella caduta della fo- gliolina dalla divisione 48 alla divisione 47 ; ed è evidente che esso è tutC affatto relativo al mio elettroscopio, ed a quella de- terminata caduta del potenziale. Esso è tanto minore quanto è maggiore la radioattività della sostanza, e la sua inversa può assumersi come misura di questa radioattività in unità arbitraria. Xel seguente prospetto presento analogamente i risultati ottenuti da esperimenti con altre terre : SOSTANZA Quantità di sost. m. t h T Ms media rn m m Depositi vulcanici di Capri . . 10 gr. 19. 12 39. 12 37. 2 372 20 » 11. 25 33. 25 17. 00 340 30 » 9. 03 40. 47 11. 6 348 355 40 » 7. 53 41. 10 9. 2 368 50 » 5. 97 41. 66 6. 95 348 Pozzolana di Acireale 25 » 22. 50 59. 17 36 4 910 50 » 13. 63 57. 50 17. 9 895 901 75 » 9. 75 52. 66 12. 0 898 1 100 » 7. 72 53. 16 9. 0 900 Sabbia dal 324 a, C 25 » 31. 03 44. 16 104. 5 2610 50 » 18. 45 27. 75 55. 1 2755 1 2746 75 » 19. 61 41. 83 36. 8 2760 100 '> 16. 60 39. 25 28. 6 2860 8 Enrico Boggio-Lera [Memoria XX.] SOSTANZA Quantità di sost. m. t h 1 T T/s media m in m Fango delle Macalube 25 » 31. 50 45. 50 101. 0 2525 50 » 23. 75 46. 00 49. 0 2450 2494 75 » 19. 25 46. 50 32. 8 2460 i 100 » 16.50 47. 00 25. 4 2540 : Fango di S. Venera di Acireale 25 » 28. 38 49. 37 66. 8 1670 j 50 » 20. 40 49. 17 34.8 1740 ' 17.39 75 » 16. 03 49. 00 23.8 1780 1 100 » 13. 60 49. 37 17.4 1740 Argilla di Acitrezza 25 » 31. 47 46. 00 99.5 2480 50 » 25. 66 50. 85 51. 9 2595 , 2516 75 » 21 75 55. 43 35. 6 2490 l 100 » 17. 05 53. 45 25. 0 2500 Terra deL giardino dell’ Istituto Tecnico di Catania 100 » 13. 05 57. 00 16. 5 1650 Terra del podere della Scuola Enologica di Catania .... 100 » 12. 12 20. 08 30. 4 3040 Terra di una grotta del detto podere 100 » 14. 05 42. 67 21. 0 2100 Terra dell’ Orto Botanico . . . 100 2> 22. 50 47. 63 41. 4 4140 Terra delia Piana di Catania . 100 » 16. 70 34. 42 32. 4 3240 » dell’ Anfiteatro Greco-Ro- mano 100 7> 28. 78 49. 67 68. 5 6850 » del Giardino Bellini . . . 100 » 23. 10 37. 83 59. 5 5950 » della Plaia (Catania! . . . 100 » 16. 70 34. 42 32. 4 3240 3130 » » 100 » 18. 77 49. 50 30. 2 3020 » Salmastra della Plaia . . 100 » 24. 16 34. 92 78. 0 7800 » della Contrada Bicocca. . 100 » 17. 90 41. 05 31. 8 3180 Ghiaia rossa da costruzione (Ca- tani a) 100 » 28. 70 46. 83 74. 0 7400 Arena della Plaia 100 » 35. 92 39. 25 42. 4 42400 Terra di Grammichele luO » 17. 25 40. 17 30. 2 3020 » » Francofonte 100 » 17. 15 44. 50 27. 95 2795 » » Isola dei Ciclopi . . . 100 » 25. 33 47. 42 54. 75 5475 » Villa Belvedere (Acireale) 25 » 28. 00 52. 50 59. 50 1485 - » 50 » 19 00 52. 50 29. 7 1485 | 1 » 75 » 14. 50 52. 00 20. 1 1505 1 H> 100 X> 11. 50 52. 50 14. 7 1470 ' Sulla radioattività di alcune terre 9 STAZIONE Quantità di sost. m. t h T m m m Marua del Basso Egitto .... 100 » 14. 00 51. 93 19. 2 1920 Terra fina di Palazzello Motta 100 » 15. 66 37. 83 27. 4 2740 » Piedimonte Etneo .... 100 » 6. 30 34. 73 7. 7 770 Fango di Montegrotta 100 » 2. 00 30. 75 2. 14 214 80 » 2. 54 29. 75 2. 8 224 60 » 3. 23 31. 33 3. 6 216 216 40 » 4. 60 34. 31 5. 3 212 Cenere del Vesuvio (eruz. 1906) 12 gr. 65 20. 00 27. 00 77. 1 975 ' Ma per quanto è stato detto precedentemente, questi mo- duli di radioattività non hanno così che un valore relativo di- pendente dall’ elettroscopio e dall’ intervallo di scarica, e quindi servono soltanto ad esprimere relativamente il diverso grado di radioattività. Per ottenere dei risultati indipendenti dall’ elettroscopio e dalla caduta del potenziale , ho poi fatto numerose esperienze di confronto con l’Uranio metallico in polvere. E poiché esso è molto più radioattivo delle terre è bastato metterne 1 gr. nella vaschetta di rame sotto all’elettroscopio; sarebbe stata sufficiente una quantità anche molto minore, ma per mettermi nelle stesse condizioni delle esperienze fatte con le terre bisognava per lo meno ricoprire uniformemente il fondo della vaschetta. L’Uranio me- tallico puro mi fu fornito nella quantità di 15 gr. dalla Casa Kalilbaun. Dalla media di molte determinazioni è risultato per 1’ U- ranio il modulo di 0,85 che io indicherò con Mu. Poiché come ho precedentemente osservato l’ inversa del modulo di una sostanza può misurarne la radioattività (in unità arbitraria) , il rapporto del modulo dell’Uranio al modulo 1\L s della sostanza, potrà assumersi come misura della radioattività della sostanza in confronto all’Uranio; ed esso sarà indipen- Atti acc. Serie 4a, Voi.. XIX — Mem. XX. 2 10 Enrico Boggio-Lera [Memoria XX.] dente dalla grandezza, dimensione e forma dell’ elettroscopio e dalla caduta del potenziale. Infatti io di ciò mi assicurai fa- cendo variare sia la caduta del potenziale, sia la capacità del- l’ elettroscopio (mettendo sul cilindretto dispersore un dischetto di stagnola, od una vaschetta di Alluminio) : cambiavano i mo- duli Mu ed J/s, ma restava costante il rapporto. ideila seguente tabella presento i valori dei rapporti os- sia le radioattività cosi dedotte per le precedenti sostanze in rapporto all’Uranio metallico in polvere. Radioattività rispetto all’ Uranio. Terra di Capri 16, 7X10-4 Depositi vulcanici di Capri 24, 0 » Pozzolana di Acireale 8, 9 » Sabbia del 324 a. C. (Acireale; 3, 1 » Fango delle Macalube (Girgenti) 3,4 » » di S. Venera di Acireale 4, 9 » Argilla di Acitrezza 3, 4 » Terra del Giardino dell’ Istituto Tecnico di Catania .... 5, 1 » » » Podere della Scuola Enologica » .... 2, 8 » » » Grotta del Podere » » » .... 4, 0 » » Orto Botanico di Catania 2, 0 » » Piana di Catania 2, 6 » » Anfiteatro Greco Romano di Catania 1, 2 » » Giardino Bellini di Catania 1, 4 » » Plaia di Catania 2, 7 » » Salmastra della Plaia di Catania 1, 1 » » Contrada Bicocca di Catania 2, 7 » Ghiaia rossa da costruzione di Catania. 1,1 » Arena della Plaia di Catania 0, 2 » Terra di Grammichele 2, 8 » » Fraucofonte 3, 0 » Isola dei Ciclopi 1, 5 » Villa Belvedere (Acireale) 5, 7 » Marna del Basso Egitto 4, 4 » Terra fina di Palazzello Motta 3? 1 » Sulla radioattività di alcune terre 11 Terra lina di Piedimonte Etneo 11, 1 » ' Fango di Montegrotta 39, 3 » Cenere del Vesuvio (eruzione 1906) 8, 7 » Cenere dell’ Etna (1906) 0, 53 » Avverto che questi numeri esprimono la radioattività delle predette sostanze in confronto all’Uranio in condizioni normali. Io ho di recente constatato (credo per il primo) che la radio- attività di questa sostanza, e così quella della pechblenda, e di alcune altre, viene notevolissimamente influenzato dalla luce. In fatti esponendo la vaschetta contenente 1’ uranio al sole prima d’ introdurla nell’ apparecchio , la radioattività dell’ Uranio si trova essere divenuta ben sette volte maggiore, giacché il mo- dulo è disceso da 0,85 a 0,12; però quest’aumento di radioat- tività scompare in un tempo pressapoco uguale a quello della durata di esposizione alla luce solare. Risultato analogo ho tro- vato esponendo l’Uranio alla luce dell’arco voltaico; e siccome anzi con questa sorgente luminosa, l’effetto fu assai cospicuo, debbo ritenere che esso sia dovuto ai raggi ultravioletti. Di que- sto fenomeno intendo fare uno studio particolare. Ho poi fatto delle esperienze sulla radioattività di una mescolanza di una materia inattiva con dell’ Uranio metallico in polvere. P. es. ho mescolato intimamente 1 gr. di Uranio con 99 gr. di arena della Piala, la quale è la sostanza meno radioattiva che ho fin qui trovato nelle mie ricerche. Mettendo successivamente nella vaschetta quantità crescenti di questa miscela, i risultati ottenuti furono molto diversi da quelli avuti con le terre. Infatti trovai : CON io gr. di arena urauata all’ 1 % , M ~ = 67 » 20 » » » » 103 » 30 » » » » 120 » 40 » » » » 135 » 60 » » » » 208 12 Enrico Boggio-Lera [Memoria XX.] La conclusione die io credo poter ricavare da questo fatto, e dagli esperimenti sulle terre e sui fanghi mi pare abbastanza importante : Come 1’ aumento che si riscontra nel modulo della terra uranata, e che ho pure verificato esperimentando sull1 Uranio metallico in polvere, all1 aumentare della massa, sta a dimostrare che i raggi uranici vengono assorbiti considerevolmente dall’ura- nio stesso e dalla sostanza inattiva a cui esso è mescolato, e che perciò essi sono principalmente costituiti dai raggi poco pene- tranti a e P; così al contrario l’indipendenza del modulo di ra- dioattività delle terre e dei fanghi dalla loro massa, (almeno fino a un certo limite) dimostra che il potere radioattivo di dette terre e fanghi è principalmente dovuto ai raggi T e ad una e- manazione. Ed invero io ho potuto di recente accertare che una fra- zione abbastanza grande della radioattività delle terre e dei fanghi è dovuta a raggi y penetrantissimi, mediante le seguenti esperienze : Introdotto nell1 apparecchio gr. 100 di terra di Piedi monte Etneo ho trovato che il tempo ts necessario perchè la deviazione della fogliolina dell1 elettrometro si riducesse da 18° a 47° era minuti 5, 50 ; ricoperta poi la terra con un disco di Alluminio di mm. 0, 3 di spessore ho trovato che il tempo richiesto era tc — min. 9,66; d’altra parte a vaschetta vuota, si aveva £t=m.l5,9. Con la formula da me data deduconsi quindi i tempi Ts e Tc che sarebbero stati impiegati rispettivamente a sostanza scoperta, ed a sostanza coperta, per la stessa diminuzione della deviazione, senza le dispersioni estra- nee ; e cioè : Ts — in. 8, 4 Tc — m. 24, 6 Sulla radioattività delle terre 13 Conseguentemente mentre la sostanza scoperta toglie ad ogni minuto all’ elettrometro -1— della carica considerata, la sostanza b, 4 stessa coperta col disco di Alluminio di mm. 0, 3 di spessore toglie ancora 7^-— r della carica al minuto ; e quindi deducesi die — — : — ■ cioè circa d— dell’ azione radioattiva totale della 24, o 8,4 100 terra di Piedimonte Etneo passano ancora attraverso all’ Allu- minio dello spessore di mm. 0, 3. Ricoprendo la terra medesima con un disco di zinco dello spessore di mm. 0, 65 lio trovato : t'c = m. 10, 40, e quindi mediante la solita formula : T'ì = m. 10, 4 X — 15,9 15,9 — 10,4 m. 30 ; onde deducesi analogamente che attraverso allo zinco dello spes- 1 1 28 sore di mm. 0, 65 passano ancora — : — — ossia — — della radia- 1 30 8, 4 100 zione totale. Pinalmente ricoprendo la terra con un disco di Piombo di mm. 2 di spessore ho trovato : t"c=m. 11,25, da cui : T"c = 11, 25 X 15, 90 15,90— 11,25 = m. 38, 5 ; onde si ricava che attraverso al Piombo dello spessore di 2 mm. 11 22 passano tuttavia 5 - : 7— ossia — — dell’ effetto totale. 1 38,25 8, 4 100 Inoltre ricoprendo soltanto in parte la sostanza attiva me- diante settori circolari di lamiera metallica aventi angoli di T’T’T,7CT’ A- ’ T ’ 10 trwvato clie 11 temP° Afe' imPie" 14 Enrico Boggio-Lera [Memoria XX.] gato nella scarica quando una frazione Jc della superficie trovasi scoperta, e la frazione residua Té — 1 — h trovasi coperta, si può rappresentare abbastanza bene in funzione di Jc e di Jc', e di Ts e Tc , mediante la formola : Thth, Ts T T Questa forinola era d’ altronde prevedibile ; giacché se -7=— •*•8 come abbiamo osservato esprime la frazione della carica sottratta ad ogni minuto all’ elettrometro quando l’ intera superfìcie della sostanza si trova scoperta, e la frazione della carica sottratta ogni minuto quando la superfìcie è coperta dalla lamina metal- ll le lica ; -7=- e saranno le frazioni della carica sottratte all’elet- -*-S J~C trometro ad ogni minuto, rispettivamente dalla porzione scoperta e dalla porzione coperta della superfìcie della sostanza ; onde la somma deve rappresentare la frazione — della carica ■*-s J-c sottratta complessivamente per ogni minuto all’elettrometro, sem- pre beninteso senza le dispersioni estranee. P. S. Sento il dovere di ringraziare il Cav. Leonardo Pratesi, Preside di questo Regio Istituto Tecnico, per avermi fornito i mezzi di eseguire questo lavoro, e il Dott. G. Tro- vato per avermi zelantemente aiutato nelle esperienze. Catania, 5 Luglio 1906. Memoria XXI Dott. 6I0LI0 TRINCHIER1 Contributo allo studio della « caulillorìa » RELAZIONE DELLA COMMISSIONE DI REVISIONE, COMPOSTA DEI PlIOFF. A. RUSSO E G. LOPRIORE (relatore). La memoria dal titolo : Contributo allo studio della « cauliflorìa », pre- sentata all’ Accademia Gioenia. dal Dott. Giulio Trinchieri, si occupa di un fenomeno molto discusso, frequente fra le piante dei climi caldo-umidi delle regioni tropicali, raro in quelle della zona temperata, per cui i fiori si svi- luppano sul caule e sui rami adulti in prossimità di cicatrici fogliari. L’ Autore, delimitato il vero carattere di questa disposizione, designa per « pseudocauliflorìa » quei casi in cui i fiori si formano all’ ascella di foglie, ma vi persistono dopo che queste son cadute. In base al lavoro del Buscalioni su questo fenomeno, l’Autore mette in rilievo la particolare tendenza delle piante cauliflore a difendersi contro l’ azione dannosa della soverchia umidità o delle piogge frequenti ed ab- bondanti. Spiega alcune apparenti contraddizioni offerte da piante xerofite, come le Cac tacce, le quali, pur vivendo in luoghi aridi , presentano nondi- meno i loro tessuti riccamente provvisti di acqua e quindi in condizioni bio- logiche non molto diverse da quelle viventi in luoghi umidi o piovosi e come tali ricche parimenti di acqua. Quanto alla possibile influenza delle azioni traumatiche sulla cauliflorìa (vedi di questo volume la nostra memoria X. p. 13), il Trinchieri senza pro- nunziarsi esplicitamente in riguardo all’ azione diretta, ritiene però che esse siano da considerare come un fattore indiretto, importante per la de- terminazione del processo. È merito dell’Autore di avere accertato casi tipici di cauliflorìa in piante da noi estesamente coltivate, come il Cìtrus medica L. var. Limon L. e il C. Aurantium L. var. Limetta (Risso), e di averne scoperti nuovi in altre Atti acc. Sekie 4a, Vol. XIX — Meni. XXI. 1 2 Dott. Giulio Trinchieri [Memoria XXL] esotiche, come il Ficus capensis Tliuub. ed il Jasminum Sambac Ait., ospitate da qualche tempo nell’ Orto botanico di Catania. Il metodo seguito nello studiare questi casi e le escogitazioni dell’ Au- tore nel riportarli ai principi generali del fenomeno fanno sperare che pros- simamente nuovi contributi si abbiano su quest’ importante argomento, men- tre per ora delle indagini compiute si propone la pubblicazione negli Atti dell’ Accademia. .È noto che col nome di « caulitiorìa » o « caulofìorìa » si designa quella particolare disposizione presentata da molte piante, proprie dei climi caldi ed umidi delle regioni tropicali, e che solo per eccezione si osserva nella flora delle zone temperate, in virtù della quale le gemme fiorali appaiono sul caule e sui rami, per lo più in corrispondenza d’ una cicatrice fogliare. Ta- lora le gemme fiorali si mostrano anche su organi sotterranei o decorrenti a fior di terra, per la qual cosa è lecito domandarsi se, in alcuni casi, esse non siano da considerare come formazioni aventi sede su vere radici, anzi che su stoloni o rizomi. Ciò premesso, credo opportuno di circoscrivere esattamente il significato della caulitiorìa, poi che altrimenti si possono ri- tenere cauliflore piante, che in realtà non lo sono. Perchè una pianta sia caulifiora, occorre per lo meno che il fiore si sviluppi dopo che la foglia ascellante è caduta, giac- che qualora si sviluppi all’ ascella, ma persista dopo che la foglia è caduta, è difficile stabilire se si tratti di una condizione quasi normale piuttosto che di vera caulitiorìa ; ond’ io propongo , per questo caso, il nome di « pseudocauliflorìa. » Sono invece realmente cauliflore quelle piante che svilup- pano i loro fiori in più o meno immediata vicinanza d’ una ci- catrice fogliare, ma su rami più o meno vecchi. Confi è noto , per spiegare il fenomeno in discorso furono proposte diverse ipotesi, tra cui quelle del Pumpe, del Walla- ce, dell’HABEELAXDT, del Potoxié, dello Schimper, del Johow. Contributo allo studio della « caulifloria » 3 Di recente, poi, il prof. Buscalioni (1) , dallo studio del controverso problema, è giunto a conclusioni le quali modificano notevolmente le idee finora in vigore. Egli, fra altro, ha potuto mettere in evidenza, con la scorta dei dati paleontologici , che la Gau littori a è un fatto antichissimo , poi che di essa esistono tracce già nel Carbonifero (2) e successivamente nel Cretaceo (3). Sembra che il processo caulifloro s’ inizi i con gruppi abbastanza degradati del regno vegetale, in quanto che il Potorie l’avreb- be riscontrato in parecchie Calamariacee, nelle Botrodendracee, in diverse Lepidodendracee, nelle Sigillariee e nelle Cordaite (4), ma non al di là di un certo limite. Per i terreni posteriori, poi, valgono le osservazioni del Buscalioni : delle 34 famiglie con rappresentanti cauliflori riportate da questo autore, 22 fecero la loro prima comparsa nel Cretaceo, 3 nell’ Eocene, 2 nell’ Oligo- cene. Cosi pure delle 126 specie di Dicotiledoni sicuramente cau- lifiore citate dal Buscalioni, 20 si rinvengono nel Cretaceo su- periore, se pure non sono apparse prima, 4 nel Paleocene, 6 nel- 1’ Eocene e 15 nell’Oligocene (5). Come ognun sa, opinano i geologi che in quei tempi, da noi tanto lontani, la temperatura del nostro globo fosse più ele- vata di adesso e nello stesso tempo il clima molto umido, a causa dei frequenti acquazzoni che trasformavano le terre emerse in veri pantani. E quindi naturale l’ ammettere che le piante di quei periodi dovessero modificarsi in guisa da ottenere che la pioggia non danneggiasse organi così importanti per le stesse, quali sono i fiori e i frutti. Noi vediamo perciò largamente diffuse nelle piante del Carbonifero certe disposizioni dirette (1) Buscalioni L. , Sulla caulifloria. Malpighia, voi. XVIII, 1904, p. 117-177, tav. II-III. A questa Nota potrà ricorrere utilmente il lettore, così per maggiori notizie sull’ argo- mento come per la bibliografia del medesimo. (2) Buscalioni L. . loc. citi. , p. 138-139. (3) loc. cit. , p. 150-152. (b loc. cit. , p. 138. (5) loc. Cit. ; , p. 150-151. 4 Boti. Giulio Trinchieri [Memoria XXI.] appunto a proteggere gli apparati riproduttori da un eccesso di umidità, come ia forma di cono assunta dai frutti delle Selaginella , dei Lepido dendron e di altre piante ancora, nei quali organi le parti essenziali erano in modo efficace difese da brat- tee ; come la riduzione in larghezza della lamina nelle foglie delle Calamariee, ciò che doveva impedire la persistenza sulle stesse delle gocce di pioggia; e l’essere, in varii casi, l’infiore- scenza collocata sotto un notevole numero di foglie, del die si trovano tracce nelle Sigillarla ; e la presenza delle aflebie , vale a dire di quegli organi riscontrati nelle [Felci del Carbonifero, e che, secondo il Potorie , avevano 1’ ufficio di proteggere le gemme fogliari, oltre a quello di contenere acqua (1). Disposizioni analoghe, cioè inerenti alle condizioni d’ umi- dità eccessiva offerte dall’ ambiente, si rinvennero nei periodi po- steriori al Carbonifero — e ne sono esempio gli apparati riprodut- tori delle Grimnosperme, le radici a ginocchio dei Taxodi-uni (2) — come si trovano oggidì nelle piante equatoriali, specialmente se queste vivono in siti soggetti a frequenti piogge (3). Così nelle Pandanacee e in molte Palme la speciale costi- tuzione dell’ infiorescenza è, per gli organi riproduttori, un’ effi- cace difesa contro l’umidità; in altre Palme, poi, l’infiorescen- za è doppiamente protetta contro i rovesci di pioggia, prima dalla presenza di una larga spata e poi dalla riunione dì parecchie foglie al di sopra dell’ infiorescenza stessa: è un caso simile a quello, già ricordato, delle Sigillarla del Carbonifero. Nelle Dicotiledoni, le principali disposizioni protettive sono rappresentate o da involucri di origine bratteate — ed esempi di ciò dànno diverse famiglie come Bignoniacee , Composite, Dip- sacacee, Santalacee, Ombrellifere, Clusiacee , Miricacee, Cupuli- fere — ovvero da involucri perianziali e ricettacolari , il che si verifica per le Moracee, Orticacee, Vochisiacee, Lauracee, Tern- (1) Buscalioni L. , loc, cit. , p. 136-138. (2) loc. cit. , p. 139-140. (3) loc. cit. , p. 152-158. Contributo allo studio della « cari Ujl orla, » stretti iacee, Colliri nifere, Euforbiacee, Rainnacee , Sassifragacee , Mirtacee, Litrariee, Ericacee, Rosacee , Ebenacee , Verbénacee , Rubiacee, Mori ini iacee, Chenopodiacee, e per altre famiglie ancora. Altre volte, poi, le piante (Artocarpee, Magnoliacee, .Aloni- in iacee, Rosacee, Sassifragacee, Rubiacee, Anonacee, Melaste ma- cee, Ficus , Castilloa , A rtocarpus inteff ri foli a , Trochodendron , Tambou- rissa , / Siparuna , For stenia , Nelumbo , Euryale, Victoria , Boccalaya , Frayaria , Fhodotypas, Liquidambar , Morinda, iSarcocephalus , Anona ■nutricata , Fupomatia, Melastoma e Btackea) sono difese contro ru- mi dita per mezzo di sincarpi ; ovvero per mezzo di arilli e di organi arilloidei : così nelle Dilleniacee, Sapindacee, Celastracee, Anonacee, Rainnacee, Rubiacee, Ninfeacee , Enforbiacee, Legu- minose, Miristicacee, Connaracee, ecc. Lo stesso ufficio protettivo esercitano pure la così detta « linea lucida » delle Colun nifere , Celastracee , Leguminose , Marsiliacee e Oannacee, nonché i peli che appaiono sul tegu- mento seminale ( Oossypium , Quiina, Triyonia, ecc.). Ora, a tutte queste disposizioni, intese a difendere gli ap- parati riproduttori delle piante contro 1’ azione dannosa della soverchia umidità, dovuta alla frequenza e all’ abbondanza della pioggia, va aggiunta, secondo il Buscalioli, anche la cauli fio- rì a (1). Disposizione questa, che attualmente s’ incontra assai spesso in tutti i punti delle regioni tropicali dove perdurano quelle condizioni d’ ambiente le quali, stando ai dati paleonto- logici, costituivano la principale caratteristica del Carbonifero e del Cretaceo. Infatti, la maggior parte delle 126 specie di piante indubbiamente caulitiore, enumerate dal Buscatagli (2), è pro- pria di regioni calde ed a piogge frequenti e copiose. E qui credo opportuno di osservare che, dato il grande nu- mero di piante caulitiore esistenti, 1’ elenco riportato dal Busca- tagli non può essere certamente completo , pur tenendo conto (1) Boscajjoni L. , loc. cit. , p. 139 e 159-160. (2) loc. cit., p. 121-128. 6 Doti. Giulio Trinchieri [Memoria XXI.] delle modificazioni che lo stesso autore già vi introdusse mediante le aggiunte contenute nella nota collocata alla fine del suo la- voro (1). Per esempio, nel citato elenco non è fatta menzione dei- fi Frycibe ramiflora, di cui ci dà notizia H. Hallier (2). Quest’autore pone il gen. Frycibe fra le Convolvulacee, men- tre , secondo il De Oaxdolle (3) , fi ordine delle Frycibeae va da quelle allontanato e avvicinato invece alle Ebenacee — che hanno varie altre specie caùliflore, già ricordate dal Buscalio- ìti — o alle Aquifoliacee. Però, nella monografia del Peter (4). il gen. Frycibe vien messo fra le Convolvuloideae-Frycibeae (5). Paccio notare tuttavia che i pochi rappresentanti fossili delle Convolvulacee furon trovati nel Terziario antico (6), il che è in accordo con fi ipotesi del Buscalioxi. Così pure fra le specie del gen. Ficus — ben noto per avere molti rappresentanti cauliflori — comprese nell’elenco sopra ricor- dato, non figura il Ficus capensis Thunb. , dell’ Africa australe, di cui, nel maggio di quest’anno, ho potuto osservare nell’Orto botanico di Catania uno splendido esemplare, che aveva la mag- gior parte del suo tronco addirittura coperta di tanti ricettacoli piriformi (cenanzi). Questi erano raccolti in numerosi grappoli — non saprei come altrimenti chiamarli — risultanti di molte in- fiorescenze , discretamente peduncolate. I grappoli pendevano lungo il tronco ed avevano i rispettivi apici occupati , non già da uno o più cenanzi, bensì da una gemma fogliare chiusa. Inoltre i singoli ricettacoli erano così disposti su quella specie di grap- (1) Buscalioni L. , loc. cit. , p. 169 e segg. (2) [I allibi; H, , Bamteine zn einer Monograpbie d. Convolvulaceen. Ueb. d. Gattung Ery- cibe i(. biol. Bedeutung d. stammbiirtìgen Bliiten u. Friichte. Bull, de 1’ Herbier Boi ssi er, voi. V, 1897, 11. 9, p. 735-754 e n. 12, p. 105. (3) De Candolle , Prodromm systematis naturalis regni vegetabilis , pars IX, Parisiis , MDCCCXLV, p. 463-464. (4) Peter A. , Convolvulaceae, in Fai. P/lanzenfam. , IV. Teil, Abt. 3a. (5) loc. cit. , p. 36. (6) loc. cit. , p. 11. Contributo allo studio della « cauliflorìa » 7 poli che i loro piccoli orifici apicali guardavan tutti il terreno, ciò che avviene talora anche nel Ficus Carica L. Ora , sembra a me che le accennate disposizioni debbano esercitare un ufficio di protezione contro 1’ eccessiva umidità. E mi spiego. Se anche all’ estremità del grappolo esistessero uno o più ricettacoli, 1’ acqua di pioggia, la quale, per essere il grap- polo diretto verso terra, dopo averne percorso P asse, si raccoglie all’ apice del grappolo stesso, finirebbe, a lungo andare, col dan- neggiarli. L’ essere poi le aperture apicali dei varii cenanzì co- stantemente rivolte in basso fa sì che la pioggia non possa per quella via penetrare in mezzo ai fiori, e recar loro nocumento con la sua presenza. Infine, nei primi giorni del corrente mese di luglio, trovai nello stesso Orto botanico di Catania un’altra pianta, il Jasminum /Sambac Ait. , la quale portava numerosi fiori sui rami più vecchi e privi di foglie. Si tratta perciò di una pianta caulifiora, che, come le altre due sopra ricordate, non è indicata tra quelle dell’ elenco del Buscalio:ni, alle quali pertanto P aggiungo. Il Jasminum Sambac è un frutice originario delle Indie orientali e , precisamente, vive nelle foreste presso la spiaggia del mare (1) ; per conseguenza è propria di luoghi molto umidi. Inoltre il gen. Jasminum è molto antico, giacché, sarebbe apparso nell’ Eocene (2). La cauliflorìa della specie da me esaminata forse è in rela- zione con la sua qualità di pianta rampicante. Finalmente, il gen. Jasminum è assai diffuso nelle regioni tropicali bagnate da piogge torrenziali (3), il che spiegherebbe, se ancora ce ne fosse bisogno , la comparsa della cauliflorìa in qualche tipo del genere stesso. (1) De Candolle, Prodromus systematis naturalis regni vegetabilis , pars Vili, Parisiis, MDCCCXLIV, p. 301. (2) Buscai,[ONi L., loc. cit., p. 149. (3) De Candolee, loc. cit., p. 301 e segg. 8 Doti. Giulio Trinchieri [Memoria XXI.] * * Ho accennato in principio che nelle regioni temperate la cau- liliorìa non è, nelle condizioni normali, un fatto frequente : anzi, per quanto mi consta, da noi ne otfre un esempio sicuro soltanto il Cercis iSiliquastrum L. (1) , che, in primavera , dischiude i suoi graziosi fiori rosei. Però è risaputo che esistono alcune piante le quali eccezio- nalmente possono presentare il fenomeno, specie se assoggettate ad azioni traumatiche. Una pianta, per esempio, che in tali condizioni con fre- quenza diventa caulitìora è la Vite. A questo proposito, O. Bec- caci (2) ricorda di aver rilevato la presenza di qualche piccolo grappolo di fiori sui ceppi, nudi di foglie , di alcune viti , che, per innesto , erano state private delle loro parti superiori. Lo stesso autore (3) cita poi un altro caso di caulifiorìa nella Vite, nel quale ai fiori erano succeduti i frutti , riportato dalla Henne H orticole (4). Hi un altro ancora, perfettamente identico al pre- cedente, nel modo di manifestarsi, il dott. Moxtemartixi (5) ci dà la descrizione accompagnata dalla relativa figura. Infine, an- che il prof. Lopriore, a quanto gentilmente mi riferisce, ebbe a notare più d’ una volta casi consimili. Grazie alle osservazioni che potei fare sopra un’ altra pian- ta, è dato anche a me di portare un contributo all’ argomento che ora ci interessa. Sul finire del mese di maggio dell’ anno scorso, mentre os- (1) Alcuni considerano come pianta caulitìora anche la Ceratonia Siliqua L. Le mie os- servazioni, che ho dovuto per ora limitare a piante già fruttificate, non mi permettono di stabilire se nel caso del Carrubbio si tratti o non di vera caulifiorìa. (2) Bkccari 0. , Nelle foreste di Borneo. Firenze, 1902, nota a p. 538. (3) loc. cit. , nota a p. 538. (4) Vedi p. 430, fig. 93, anno 1882. (5) Montemartini L., Un caso di «. caulofloria » nella vite. Italia agricola, anno XL, n. 15, 1903, p. 348-349, e tavola a colori. Contributo allo studio della « cauliflorìa » 9 servavo con un senso di rincrescimento un alberetto di Citrus medica L. var. IAmon L., coltivato nell’ Orto botanico di Sassari e che mani inesperte avevano non molto tempo prima sottopo- sto ad una intempestiva ed esagerata potatura, mi accadde di posare gli occhi sopra un ramo , eh’ era tra i più grossi posse- duti dalla pianta, sul quale spiccavano, a varia distanza fra loro, tre fiori (fig. 1). Esaminando più da vicino il ramo in discorso, Fig. 1. Cauliflorìa nel Citrus medica L. var. Limon L. — A, B, C, primo, secondo e terzo fiore nati sul ramo ; dei primi due è rimasto il gineceo , il terzo è chiuso ancora. (Da una fotografia dell’ Autore). tosto mi accorsi che nessuna traccia di foglia era presso i fiori da me notati, per la qual cosa fui indotto a concludere che si ti aitasse di un caso di cauliflorìa, die, per quanto io sappia, ancora non e stato da altri riscontrato e descritto nel Limone. Seguendo, giorno per giorno, lo sviluppo dei fiori del mio alberetto, i quali verso la metà di giugno erano tutti e tre aperti, potei constatare che i medesimi presentavano molti casi teiatologici. Casi teratologici, più o meno interessanti e in com- Atti acc. Serie 4a, Vol. XIX — Mem. XXI. 2 10 Doti. Giulio Tr incineri [Memoria XXL] plesso già conosciuti nel gen. Citrus L. (1), dal prof. Pexzig (2) attribuiti alla coltura e da altri autori , per esempio Cesati , Passerini e Girelli (3), nonché Paoletti (4), considerati in parte come caratteri ormai stabili del genere stesso, ma che non è, credo, superfluo riferire qui. Il calice del bore, che si aprì per primo (fig. 1, A), aveva quattro lobi , dei quali uno alquanto più piccolo dei rimanenti piuttosto espansi, disposti tutti da una parte, vicinissimi tra loro. La corolla dello stesso fiore si componeva di otto petali, però soltanto quattro apparivano normalmente sviluppati. Giudicando dall’ aspetto, fui indotto a sospettare che gli altri quattro petali ripetessero la loro origine da altrettanti stami. Esclusi questi ultimi, 1’ androceo risultava di ventidue sta- mi, venti di lunghezza disuguale, tutti liberi, meno quattro sal- dati a due a due per breve tratto a cominciare dalla base, uno accennante appena a trasformarsi in petalo, ed uno, infine, mac- chiato in due punti di rosso, con l’antera abortita e saldato per intero col pistillo, che mostrava, per tutta la lunghezza dell’o- vario, una specie di solco, nel quale andava ad affondarsi la corrispondente porzione del filamento dello stame. La saldatura dello stame col pistillo era tale, che, dopo parecchi giorni dall’a- pertura del fiore, disarticolatosi lo stilo — alquanto schiacciato in alto — dall’ ovario, la porzione superiore dello stame servì a trattenere lo stilo medesimo. Avvenuta, poco dopo 1’ antesi del primo fiore, quella del • (1) Cfr. : Savastano L., Le forme teratologiche del fiore e frutto degli Agrumi. Annuario della R. Scuola superiore d'agricoltura in Portici, voi. IV, 1884, fase. 3°, p. 5-32, tav. I-IV. Pisnzig O., — Studi botanici sugli Agrumi e sulle piante affini. — Annali di Agricoltura, Ro- ma, 1887, voi. 116, p. 99-103, e tav. Vili, ±ìg. 2-3, dell’ Atlante. — Pflaneen-Teratologie. Genua, 1890, I. Bd., p. 310 e 345. (2) Penzig O. , — Studi botanici sugli Agrumi e sulle piante affini. — Annali di Agricol- tura, Roma, 1887, voi. 116, pag. 99. (3) Cfr. : Cesati V., Passerini G. e Gibelli G., Compendio della Flora italiana, 1881, p. 760. (4) Cfr. : Paoeetti G., — Butaceae, in Fiori Adr., Paoeetti G. e Béguinot A., Flo- ra analitica d’Italia. Padova, 1900-1902, voi. II, p. 25 7. Contributo allo studio della « cauli florta » 11 secondo (fìg. 1, B), notai che anche in questo il calice era di- viso in quattro lobi, uno dei quali ridottissimo; che quattro era- no i petali, di cui due soltanto ben sviluppati. Gli stami, in nu- mero di venti, si mostravano tutti liberi. Del terzo fiore (fìg. 1, (7), molto prima del suo sbocciamento, appariva all’esterno, circondato dai petali stretti fra di loro, l’estre- mità superiore dello stilo, di forma perfettamente cilindrica, sul quale spiccava ben distinto lo stimma conico e colorato in giallo intenso. Pur rimanendo chiusi i petali, lo stilo continuò per diversi giorni ad allungarsi e, da bianco che era, assunse prima un color verde carico, poi divenne intensamente paonazzo. Ghian- dole oleifere ben evidenti erano sparse per tutta la lunghezza della colonnetta stilare. Quando poi il fiore accennò a sboccia- re, l’ apertura della corolla cominciò dalla base, mentre in alto i petali continuavano a rimanere come saldati tra loro ; dalla fessura in tal modo prodottasi nella corolla s’ intravedevano alcuni stami alquanto contorti. Il cal ice di questo terzo fiore non era affatto diviso in lobi. Sei erano i petali, esternamente di color rosso sbiadito e irre- golari quanto alle dimensioni e alla forma, per contorsioni più o meno pronunciate, sfrangiature all’apice, eco. Gli stami, in numero di trenta, erano di lunghezza ridotta ed in parte ave- vano antere atrofiche. Notai inoltre che i filamenti di due stami presentavano alla base una breve saldatura e che due altri sta- mi s’ erano uniti per mezzo delle antere. Dopo venti e più giorni dal completo sbocciamento dei miei tre fiori, sebbene la forma primitiva dei rispettivi ovarii avesse cominciato a modificarsi, temendo forte per la loro esi- stenza, a causa della stagione asciuttissima e dei venti che sof- fiavano impetuosi, mi decisi a sacrificare e raccogliere i tre ovarii in discorso. Sottoposti i medesimi all’ esame microscopico, dopo averli convenientemente preparati, vidi che il primo di essi presentava sette logge ben sviluppate, più un’ altra quasi atrofica in corrispondenza del solco in cui, come sopra ho ac- 12 Doti. Giulio Trinchieri [Memoria XXI. | cennato, stava in parte affondato uno staine. Nove logge aveva l’ovario del secondo dorè, ed otto quello del terzo. Non potei appurare se gli ovarii fossero stati o non fecondati. Lo stesso processo caulitìoro, che ho descritto nel Limone, vidi presentato, con relativa frequenza, dal Citrns Aurantium L. vai*. Limetta (Risso). Un esempio di ciò può dare la fig. 2, tratta dalla fotografia* che feci nel passato maggio, di un esemplare della pianta ora ricordata, vivente nell’ Orto bo- tanico di Catania. Per quanto mi consta, nep- pure questo secondo caso di cau- liflorìa è stato finora messo in evidenza da altri. Mi fu riferito che l’ esem- plare citato venne sottoposto, in diversi tempi, alla potatura, tal- volta anche un po’ eccessiva , a giudicare dalle tracce rimaste. Oltre a ciò, può forse aver con- tribuito alla comparsa del feno- meno un altro fatto : l’ individuo, che fu oggetto delle mie osser- vazioni , sorge proprio sull’ orlo di un antico canale d’ irrigazione dell’ Orto , per la qual cosa le sue radici si trovano nella spe- ciale condizione di essere assai di frequente e molto copiosamente bagnate dall’ acqua che scorre nel canale. I fiori del mio esemplare, che in modo tanto evidente ca- ratterizzavano il fenomeno , non presentavano, per sè stessi, al- cuna particolarità degna di menzione. Fig. 2. — • Cauliflorìa nel Citrns Aurantium L. var. Limetta (Risso). — A, Gine- ceo di un fiore nato sul ramo. (Da una fotografia dell’Autore). Contributo allo studio della « cauliflorìa » 13 In riguardo al gen. Citrus, dirò infine che alcune sue spe- cie, per esempio C. Aurantium L. var. grandi? L. {C. decuma- nus L.), sono diffuse in luoghi piovosi , altre nell’ Arcipelago indo-malese, la regione delle piante cauliflore, e soltanto poche in siti aridi (1). * * * Passati così in rapida rassegna i diversi casi di cauliflorìa nelle piante dei nostri paesi, venuti a mia cognizione, mi sem- bra ora molto interessante il cercare la giusta interpretazione dei medesimi. Si è detto nelle pagine precedenti che, per quanto riguarda i casi da noi esaminati , il processo caulitìoro si manifestò di solito su individui che avevano subito 1’ influenza di azioni trau- matiche. Ma sono queste direttamente sufficienti a spiegare il feno- meno ? jSToii oserei affermarlo. Lasciamo , per un momento , da parte ogni considerazione biologica, e vediamo se non sia possibile in qualche altro modo renderci piena ragione di quanto abbiamo osservato. Io credo che nel determinare la comparsa della cauliflorìa nelle nostre piante abbia avuto speciale importanza il fattore anatomo-morfologico. Se noi ci facciamo a considerare il fenomeno sotto il punto di vista morfologico, non tardiamo a convincerci di questo: che, in ultima analisi, la cauliflorìa è rappresentata dallo sviluppo di gemme, le quali dallo stato latente, dopo tempo spesso lun- ghissimo, passano allo stato di vita attiva (2). Ora, le gemme dormenti possono distinguersi in fiorali e fogliari. Quest’ ultime , di organizzazione naturalmente meno (1) Cfr. : De C andò lek Alph . , Géograpliie botanique raisonnte, t. II, Paris - Genève, MDCCCLV, p. 863 e segg. (2) Buscalioni L. , loc. cit. , p. 119-120. 14 Boti. Giulio Trinchieri [Memoria XXI.] complicata delle prime, sono, in regola generale , quasi le sole che si sviluppano nei nostri climi. Al contrario , nei paesi tro- picali, date le condizioni particolari dell’ ambiente, le gemme fiorali dormenti tendono a svilupparsi pure frequentemente. Conosciamo inoltre, per le ricerche del Prunet (1), F esi- stenza di un grosso raggio midollare, che lo stesso autore chiama « rayon médullaire gemma-ire » , mediante il quale le gemme dormenti delle piante legnose sono messe in comunicazione col midollo del fusto (2). Orbene, questo potente raggio midollare, tra altro, ha l’uf- ficio di portare una grande quantità d’ acqua alla gemma dor- mente. Sappiamo ancora , per limitarci ai casi di cauliflorìa ri- cordati , che i frutti delle nostre piante cauliflore sono molto ricchi d’ acqua, la quale è in gran parte fornita dall’ umidità del terreno in cui le piante vivono. Se a tutto questo complesso di condizioni , mirante a for- nire un largo quantitativo d’ acqua o alla pianta o per lo meno ad alcune delle sue parti (frutti succulenti, per esempio), noi ag- giungiamo F azione di cause traumatiche, che determinino gravi mutilazioni, vedremo portato al grado massimo lo stato d’imbi- bizione della pianta , a causa della ridotta traspirazione. Così che, se le azioni traumatiche non hanno, per sè sole, la poten- zialità di produrre il fenomeno della cauliflorìa , date queste condizioni di cose , che rispecchiano in parte quanto si osserva nelle regioni tropicali delle « foreste piovose » ( Begenwalder ) , sono tuttavia da considerarsi come un fattore importante per la comparsa del processo. Nei casi da me in particolar modo studiati , la cauliflorìa (1) Prunet A. , Becherches sur les noeuds et sur les eiitre-noeuds de la tirje des Dieoty- lédones. Aim. des Se. nat. , Botan. , 7.e sèrie, t. XIII, 1891, p. 344 e segg. , pi. V, fig. 15-16. (2) Il Prunet (loc. cit. , p. 351-353 , pi. V, fig. 16) descrisse questa particolare di- sposizione anatomica anche in una pianta cauliflora , il ricordato Cercis Siliqiiastrum. Contributo allo studio della « cauliflorìa » 15 ha origine puramente da fattori interni, anatomo-morfologici da un lato e fisiologici dall1 altro , essendo estraneo alla sua com- parsa il momento biologico. Però, ciò ammettendo, si viene in- direttamente a confermare l1 ipotesi del Buscalioej, secondo la quale la cauliflorìa dei paesi tropicali è una conseguenza della necessità sentita dalla pianta di difendersi da un’ eccessiva umi- dità. Infatti, nelle regioni delle Begenw timer abbiamo anzitutto il terreno imbibito d1 acqua, condizione questa che favorisce lo assorbimento per parte delle radici. Secondariamente , abbiamo dei tipi di piante dotate di grande fogliame, di legno tenero e di altre particolarità anatomo-morfologiclie, le quali ci indicano che queste piante assorbono grande quantità d’ acqua. Ed in verità, è noto che molte di esse hanno il fusto riccamente prov- visto d’ acqua. Ora , sono appunto queste le condizioni che si richiedono perchè si sviluppi la cauliflorìa. Ivi , però , a questo momento fisiologico si aggiunge, coirne sopra è stato detto, il fattore bio- logico, il quale ha perpetuato una condizione di cose, che altri- menti sarebbe andata perduta. Peraltro, a questo proposito, devo far osservare che v’ è una specie di contraddizione in termini nella cauliflorìa delle regioni tropicali , poi che mentre il pro- cesso caulifìoro serve , come si è detto più volte, a difendere i fiori e i frutti dalla pioggia , viene invece da questa favorito. Ma è facile accorgersi che la contraddizione esiste soltanto in apparenza. Tuttavia v’è qualche caso, che si presta ad essere ritenuto anomalo. È noto, infatti, che anche le Cactaoee (I) presentano talora il fenomeno della cauliflorìa. Orbene , potrebbe sembrare che 1’ interpretazione data al fenomeno stesso mal si accordasse con la natura delle citate piante , essenzialmente xerofìte. Ma (1) Schumann K., Umgewòhnliche SprossMldung an Kakteen. Monatsschrift Jfìir Kakteen- kuntle. VI. Jahrg. 1896, p. 102. 16 Doti. Giulio Trinchieri [Memoria XXI.] basta considerare che le Oactacee, pur vivendo nei luoghi aridi, hanno i loro tessuti riccamente provvisti d’ acqua, perchè , sen- z’ altro, si sia condotti a riconoscere che, anche questa volta, la contraddizione non è reale, bensì soltanto apparente. Dal R. Istituto botanico di Catania, nel luglio del 1906. il 4 MAY. 1907 INDICE Memoria G. Pennacchietti — Sul movimento piano di un punto materiate libero nello spazio I F. Gavara e N. Mollica — Ricerche intorno al ciclo evolutivo eli una interessante forma di Pleospora herbarum ( Pers .) Rab. (con figure intercalate e (lue tavole) . .... II Drago Umberto — Azione sperimentale dei sacelli digerenti sul- V involucro delle ova di alcune tenie. Ili A. Bemporad — Sopra un nuovo sviluppo singolarmente conver- gente per V integrale della estinzione secondo la teoria di Bouguer IV G. Marletta — Sulla identità proiettiva di due curve algebriche. V Filippo Eredia — Sulla direzione delle correnti atmosferiche in Catania VI A. Curci — Trasformazioni delle energie VII A. Ricco e A. Cavasino — Risultali delle osservazioni meteoro- logiche del 1905 fatte nel R. Osservatorio di Catania . Vili G. Pennacchietti — Sul moto di rotolamento — Memoria la . . IX G. Lopriore — Note sulla, biologia dei processi di rigenerazione delle Cormofite determinati da stimoli traumatici (con figure intercalate) X R. De Luca — Nuovi tentativi di siero-terapia nella lebbra . . XF S. Comes e G. Polara — Sopra un mostro doppio di Sus Scrofa L. (Sice fato- Sinoto) (con figure intercalate) XI F S. Scalia — Sopra alcune singolari formazioni montuose del Messico (cou figure intercalate) XFII A. Bemporad — Sul modo di variare della radiazione solare du- rante le fasi di un' eclisse (con figure intercalate) .... XIV G. Trovato Castorina — Effetti magnetici del fulmine sulle lave dell Etna (con figure intercalate) XV U. Drago — Ricerche « Sull' attrazione » delle cellule sessuali . XVI S. Scalia — I fossili postpliocenici della contrada Salustro, presso Motta S. Anastasia XVII S. Di Franco — Gli inclusi nel basalto dell' isola elei Ciclopi (con una tavola) XVIII G. Lauricella — Sui potenziali elastici ritardati XIX E. Boggio-Lera — Sulla radioattività di alcune terre .... XX Giulio Trinchieri — Contributo allo studio della, « Caulifloria » (con due figure intercalate) XXI mi wM\Wwm -t ni r ^rnil-k) Pi) pi », fj wtiVvtfc «V, !; v/;y.pt y?;*l ?( VM ? ? 1 W l *• v >■ ; JKAIS ,ft;v »’ »/. r ‘A - v v f'i ImsIIH i^wvfì 4 <“*'■«*£/ ì », y. 1 wfflì il '•/wkT.lU-' MrSMi’! fàVtw kO Krany l.w 1 it'j ■ ';'. :V-;'ì'V;'p^ pPSffi tj’w.'g %V'[ »'• » ?V-V i*\ ,'i ; » t. ®V { **t ÀV \}'ti ‘Va A * ■' Sri w!iw$ jO'JwfiK’; 1 fi ♦. / ( ’ il y» j t v/'/ ii I; V*» A V > »' j Wf M ■m ftòfei ,;i gifi/yV* 1 il1 M 1 iìiFj wWj'M Ì|: j wVi 1® JSJKi ha llli f.'ii'ìA'j i w»; , J, K.fj V j l' Y m f f Ir, »•* ■ [»mIkw5 ì's ' K< VlVàrt [jy jet I'a'ìH Mlìl# ,;, y !';’> Va;