.i' 9 MAR 1910 ATTI DELLA ACCADEMIA GIOENIA DI SCIENZE NATURALI IN CATANIA. ANNO LXXXVI 190 9. L: Volume IL CATANIA, ('. G A L .À T 0 L A, editore: 19 0 9. ATTI DELLA ACCADEMIA QIOENIA DI SCIENZE NATURALI IN CATANIA. ANNO LXXXVI 190 9. SEISIE Gi-Cri:bTT Volume IL CATANIA, C. GAL ÀT OLA, EDITORE 1 909. CATANIA — STABILIMENTO TIPOGRAFICO C. GALÀTOLA. CARICHE ACCADEMICHE PER L'ANNO igoS-’gog UFFICIO DI PRESIDENZA RICCO Comm. Prof. Annibaie — Presidente CLEMENTI Comm. Prof. Gesualdo — Vice-Presidente RUSSO Cav. Prof. Achille — Segretario PENNACCHIETTI Cav. Prof. Giovanni — - Vice-Segretario per la sezione di Scienze fisiche e matematiche FELETTI Cav. Prof. Raimondo — - Vice-Segretario per la sezione di Scienze naturali CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE STADERINI Prof. Rutilio PERRANDO Cav. Prof. Gian Giacomo SEVERINI Prof. Carlo LOPRIORE Prof. Giuseppe GRASSI Cav. Prof. Giuseppe — Cassiere LAURICELLA Cav. Prof. Giuseppe — Bibliotecario SOCI ONORARI NOMINATI DOPO l’ APPROVAZIONE DEL NUOVO STATUTO. •S. A. K. IL DUCA TODARO sen. conim. prof. France.sco CHAIX prof. Emilio MACALUSO comm. prof. Damiano CANNIZZARO .sen. gr. uff. prof. Stanislao MOSSO sen. comm. prof. Angelo BLASERNA sen. comm. prof. Pietro NACCARI uff. prof. Andrea STRÙVER comm. prof. Giovanni RÓITI sen. uff. prof. Antonio CERRUTi sen. comm. prof. Valentino GRASSI sen. comm. prof. Battista SCHIAPARELLI sen. comm. prof. Giovanni WIEDEMANN prof. Eilhard CAPELLINI sen. comm. prof. Giovanni DEGLI ABBKUZZl RIGHI sen. prof. Augusto VOLTERRA .sen. prof. Vito DINI sen. comm. prof. Ulisse CIAMICIAN comm. prof. Giacomo DOHRN comm. prof. Antonio BRIOSI comm. prof. Giovanni BIANCHI comm. prof. Luigi GOLGI sen. comm. prof. Camillo PALADINO sen. comm. prof. Giovanni PALAZZO comm. prof. Luigi LUCIANI sen. comm. prof. Luigi BOVERI prof. Theodor WALDEYER prof. Wilhelm SOCI EFFETTIVI 1. CLEMENTI comm. prof. Gesualdo 2. ORSINI FARAONE prof. Angelo 3. BASILE prof., Gioachino 4. CAPPARELLI uff. prof. .Andrea 5. MOLLAME cav. prof. Vincenzo 6. ARADAS cav. prof. Salvatore 7. DI SANGIULIANO march, gr. uff. Antonino 8. UGHETTI cav. prof. Giambattista g. FELETTI cav. prof. Raimondo 10. PENNACCHIETTI cav. prof. Giovanni 11. PETRONE uff. prof. Angelo 12. RICCO comm. prof. Annibaie 13. BUCCA cav. prof. Lorenzo 14. CURCI cav. prof. Antonio 15. GRIMALDI comm. prof. Giov. Pietro 16. GRASSI cav. prof. Giuseppe 17. DI MATTEI comm. prof. Eugenio 18. D’ ABUNDO cav. prof. Giuseppe 19. LAURICELLA cav. prof. Giuseppe 20. STADERINI prof. Rutilio 20. RUSSO cav. prof. Achille 22. PERRANDO cav. prof. Gian Giacomo 23. BUSCALIONI prof. Luigi 24. MlNUNNl prof. Gaetano 25. MUSCATELLO prof. Giuseppe 26. SEVERINl prof. Carlo 27. LOPRIORE prof. Giuseppe 28. DE FRANCHIS prof. Francesco 29. VINASSA DE REGNY prof. Paolo 30. BOGGIO-LERA prof. Enrico SOCI EFFETTIVI DIVENUTI CORRISPONDENTI PER CAMBIAMENTO DI RESIDENZA. SPECIALE prof. Sebastiano STRACCIATI prof. Enrico PERATONER prof. Alberto LEONARDI gr. uff. avv. Giovanni * RICCIARDI uff. prof. Leonardo BACCARINI prof. Pasquale ZANETTI prof. Carlo Umberto CAVARA prof. Fridiano RUBINI prof. Guido DI LORENZO prof. Giuseppe PIERI prof. cav. Mario Divenuto Socio corrispondente per dimissione dal grado di effettivo. SOCI CORRISPONDENTI NOMINATI DOPO L’ APPROVAZIONE DEL NUOVO STATUTO. PELLIZZARI prof. Guido MARTINETTI prof. Vittorio MELI prof. Romolo PAPASOGLI prof. Giorgio CONDORELLI FRANCAVIGLIA dott. Mario PISANI dott. Rocco BASSANI cav. prof. Francesco G AGLIO cav. prof. Gaetano MOSCATO dott. Pasquale GUZZARDI dott. Michele ALONZO dott. Giovanni DISTEFANO dott. Giovanni GOZZOLINO uff. prof. Vincenzo MAGNANINI prof. Gaetano PAGLIANI cav. prof. Stefano CHISTONI cav. prof. Ciro GALITZINE Principe Boris BATTELLI cav. prof. Angelo GUGLIELMO prof. Giovanni CARDANI cav. prof. Pietro GARBIERI cav. prof. Giovanni GIANNETTI cav. prof. Paolo CERVELLO comm. prof. Vincenzo ALBERTONl cav. prof. Pietro LA MONACA dott. Silvestro ZONA cav. prof. Temistocle BAZZI prof. Eugenio .MORSELLI prof. Enrico RAFFO dott. Guido MATERAZZO dott. Giuseppe BORZi cav. prof. Antonio FALCO dott. Francesco DEL LUNGO prof. dott. Carlo GIOVANNOZZI prof. Giovanni KOHLRAUSCH prof. Giovanni ZAMBACCO dott. N. DONATI prof. Luigi DE HEEN prof. Pietro PERNICE prof. Biagio CALDARERA dott. Gaetano SALOMONE MARINO prof. Salvatore PANDOLFl dott. Eduardo LO BIANCO dott. Salvatore GU ZZANTI cav. Corrado VALENTI prof. Giulio MAJORANA dott. Quirino PINTO prof. Luigi ROMITI prof. Guglielmo BEMPORAD dott. Azeglio BELECCI dott. Luigi DRAGO dott. Umberto FANTONI comm. Gabriele POLARA dott. Giovanni RINDONE dott. Carlo 't. 'v' ■ A „ tn ■ . ^ s «à ^ ^ -■ * ^ p^\ . ^ P^-j '.-fi .:^'a :i4^i-ìi*:M ^■•''15 ', '■. ^•‘•.^"■“'"^'^.v'^ " iafeì "’ -v^3 V* -SO- '^. •» '^ ■''' ' ■*' ’'^ytf ' i*^'^G ÌP£^fe'^f%;“ t"^-' ■ ' ..^ .„X. ,‘èi«sic>c> K*>-^-' ; .!?, ■fV'b*^ , ^ •'• f .■^té'iÌI^?!sK^^ v; . ■*i "v '■_jre ti m‘ HemoHa 1. Fillodi e nilodopodi Studio sulle Legumiuose australiaue pei professori L. BIlSCiLIONI e G. MODELLO ^ II. NOTA Nell’ introduzione alla prima nota da noi pubblicata su questo argomento (Atti d. Accad. Gioenia di Se. Nat., Catania 1908) abbiamo accennato alle gravi difficoltà che si affacciano al botanico allorché si accinge a stabilire se un filloma che si allontani alquanto dalla forma classica appartenga o no alla categoria dei fillodi. Le nostre ricerche, dirette ad investigare la forma e la struttura dei fillodi più tipici, quali sono quelli di moltissime Acacie australiane, avevano appunto lo scopo di mettere in chiaro la vera natura e costituzione del fillodio e di segnalare quali caratteri morfologici ed anatomici sono proprii di questi organi. E ciò allo scopo di poter applicare di poi i risultati allo studio di altri organi pure ritenuti (e talvolta forse a torto) quali fillodi genuini. A quanto pare noi non siamo caduti in errore allorché abbiamo insistito sulla confusione che regna nel dominio della botanica a riguardo della natura dei fillodi, poiché un lavoro del Dr. Erminio Migliorato, apparso recentemente negli Annali di botanica del Prof. R. Pi- rotta (^), ce lo conferma. L’Autore, dopo aver fatto rilevare che 1’ Acacia verticillata, come é noto, porta dei verticilli e pseudoverticilli di fillodi, e che uno solo di questi é nettarifero e fornito di gemma all’ ascella, rileva che gli altri sono sempre privi di stipole genuine, le quali invece sono presenti net fillodio che noi chiameremo, col Reinke, fertile, poiché porta una, e, secondo noi, anco talora due gemme all’ ascella. Il Dr. Migliorato giustamente rileva che i fillodi sterili (cioè sforniti di gemma alla ascella e di nettario) per la presenza dei fasci vascolari conformati e distribuiti analoga- mente a quelli dei fillodi fertili non sono emergenze, come erroneamente ammise il Dei- pino, ma neppure stipole come sostennero il Braun e 1’ Hofmeister (Allg. Morph. d. Gew.) Secondo 1’ A. i fillodi sterili, o pseudofillodi di Delpino, sono parti individualissate della regione ftllopodiale e non obbediscono alle leggi fillotassicìie . Essi non hanno né possono avere stipole, né nettario, e le supposte stipole sono dei pseudofillodi ridotti a piccolissime dimensioni, tali da simulare (quando vengano osservate ad occhio nudo) nella forma, ma non nella struttura, le stipole dei fillodi. (^) E. Migliorato. — La fogliazione delle Acacie a fillodi verticillati, subverticillati, conferti e sparsi, 1908 pag. 17 1. Atti Ago., Serie V, Vol. II. Mem. I. I 2 Proff. L. Buscalioni e G. Muscatello [Memoria I.] I pseudofìllodi infine apparvero, secondo il Dr. Migliorato, probabilmente allorquando si erano concretate le funzioni del fillodio : in appoggio a questa ipotesi egli rileva il fatto dell’ apparizione dei pseudofillodi nella piantina quando il carattere archetipo del nomofillo (foglia pennata) è completamente scomparso. In base a tale ipotesi 1’ A. opina che la funzione clorofilliana e le altre assunte dai picciuoli divenuti fillodi reclamassero un aiuto, d’ onde la formazione di organi compensatori. Data una tale costituzione dell’ Acacia verticillata il Dr. Migliorato, come ben si comprende, rifiuta di accettare la nostra ipotesi secondo la quale i pseudofillodi sarebbero pure dei fillodi genuini, per quanto si mostrino sprovvisti di stipole alla base , di gemme all’ ascella e di ghiandole al dorso. Egli non ci informa tuttavia sulla vera natura di sif- fatti organi compensatori. In particolare modo si sofferma, per smentirla, sulla nostra asserzione che la fillotassi dell’ Acacia verticillata si presenti al botanico ancora irta di difficoltà, poiché, egli affer- ma, l’ordine di distribuzione delle foglie (fillodi) è già stato messo in evidenza dal Braun, dall’ Hofmeister e dal Delpino i quali hanno stabilito che la divergenza è di e si mo- stra in tutta la sua evidenza quando si faccia astrazione dalla presenza dei pseudofillodi, i quali, come lo stesso Hofmeister ebbe a dimostrare, sono formazioni posteriori ai fillodi genuini. Fin qui il Dr. Migliorato ; e noi non tardiamo ad affermare che per quanto concerne la fillotassi egli ha perfettamente ragione, purché, ben inteso, col Delpino, l’Hofmeister ed il Braun, si attenga allo studio dei soli fillodi fertili. Se tuttavia noi ci siamo espressi in ben altri termini senza preoccuparci dei lavori degli autori che ci precedettero, 1’ abbiamo fatto non già per ignoranza , ma bensi perché si é stimato opportuno considerare il feno- meno della fillotassi da un punto di vista affatto particolare, come sarebbe risultato evi- dente nel lavoro generale, di prossima pubblicazione, nel quale, come abbiamo promesso nella 1®" nota, sarebbe pure apparsa la letteratura e le osservazioni critiche dei principali lavori stati pubblicati sino ad ora sull’ argomento che ci interessa. L’ appunto che ci ha mosso il Dr. Migliorato ci induce invece a pubblicare ora la se- guente nota diretta ad esporre le nostre vedute sulla costituzione dell’ Acacia verticillata e di altre forme affini di Acacie fillodiniche. Discutiamo innanzi tutto le osservazioni del Dr. Migliorato. La presenza di organi stipularoidi (stipole, stipelle) alla base dei fillodi fertili e sterili deir^. verticillata e di molte altre Acacie pure a tipo verticillato, fra cui tutte quelle indicate dallo stesso Dr. Migliorato, é un fatto per noi oramai accertato ed in questo siamo in perfetto accordo col Gòbel che segnalò la presenza di siffatti organi, sia pure in via accidentale, col Reinke e con altri autori. Nei fillodi fertili le stipole (V. fig. 5) sono relati v'^am ente grandi e fornite di un fascio vascolare ridotto, che, per quanto abbiamo potuto giudicare, deriva dallo stesso cordone destinato al fillodio. La quale struttura é reperibile in quasi tutti gli organi di natura stipolare delle Acacie, fillodiniche o no, da noi studiate. Le stipole dei pseudofillodi sono atrofiche, ridotte a pochi piani di cellule fra cui non abbiamo potuto riscontrare traccia di elementi vascolari. Esse sono reperibili in mezzo alle bozze dei fillodi, all’apice cioè dei rami in via d’accrescimento, dove, occorre notarlo, esistono pure dei peli piuttosto tozzi che potrebbero essere scambiati per stipole, o, all’ opposto, impedire il rintracciamento di queste. A causa della loro costituzione siffatte stipole hanno poco vitalità e sono perciò ca- duche. Fillodi e fillodopodi 3 Ad ogni modo, data la costituzione affatto differente delle stipole e dei fillodi sterili, noi non ci crediamo autorizzati a ritenere le une e gli altri come organi omologhi, in quanto che se si addivenisse ad una tale concezione si verrebbe anche a svisare del tutto la que- stione riflettente la natura dei fillodi , già di per se stessa abbastanza complessa. Que- sto però prova come ancora oggigiorno il problema del fillodio si mostri irto di difficoltà e con differente aspetto ai botanici. Ancor più spinosa è la questione dei fillodi e dei pseudofillodi, o, per essere coerenti al nostro modo di vedere, dei fillodi fertili e sterili. Dal punto di vista morfologico si hanno fillodi quando gli organi che appaiono tali sono situati sul fusto o sui rami nell’ ordine voluto dalla fillotassi : un organo che non segua questa legge può, almeno a priori, esser radiato dal novero dei fillodi. Lo ha detto il Delpino e noi ci inchiniamo all’ autorità del grande maestro, sebbene nell’ambito stesso delle vere foglie siano conosciuti dei casi in cui non esiste una fillotassi. Ma il verdetto delpiniano non va accettato ad occhi chiusi, in specie quando, come nel caso attuale, l’anatomia degli organi sub judice^ la quale pure merita di esser tenuta in consi- derazione, ci dice che i fillodi fertili e quelli sterili hanno, a grandi tratti, la stessa costituzione. La mancanza di una ghiandola sul margine superiore non depone contro la natura Allodiale dei fillodi sterili, poiché è noto che molte Acacie fillodiniche hanno, secondo il Bentham, fillodi privi di ghiandole, o queste sono presenti soltanto sulle rachidi principali allorché tanto queste quanto quelle secondarie hanno assunto la struttura di un fillodio. Né si può ammettere che si tratti di una rassomiglianza di struttura dovuta a con- vergenza di caratteri, grazie alla quale organi disparatissimi hanno assunta la stessa forma e costituzione, poiché siffatti fillodi sterili, analogamente a quelli fertili, portano alla base un rudimento di cuscinetto motore, formato, in conformità di quanto si osserva nei cuscinetti motori di altre Acacie fillodiniche, da un tessuto parenchimatoso più o meno sviluppato avvolgente un cordone collenchimatoso-scleroso nel cui interno stanno raccolti i fasci vasco- lari. (V. fig. 7) L’analogia, anzi l’oiDOlogia, é troppo evidente perché sia lecito trascurarla, tanto più — e questo forse é il lato più importante — che siffatti cuscinetti motori sono atrofici non essendo i fillodi dell’ A. Verticillata dotati di movimenti. Essi costituiscono quasi sol- tanto più degli organi atavici che indubbiamente non si sarebbero formati ex novo se il solo fenomeno della convergenza di caratteri , motivato da cause biologiche in azione, avesse plasmato la struttura dei fillodi sterili. Aggiungiamo ancora che 1’ omologia tra i fillodi sterili e quelli fertili diventa ancor più chiara quando si consideri che alla base di siffatti cuscinetti vi hanno, almeno nei fil- lodi giovani, delle stipole. Anche poco valore si può accordare alla presenza di una gemma all’ ascella dei fillodi genuini (fillodi fertili) la quale manca invece in quelli sterili. Noi sappiamo difatti che solo la porzione basale della rachide principale delle foglie può portare siffatta gemma. Le altre rachidi ne sono, per ovvie ragioni, sempre prive. A favore della nostra ipotesi milita la distribuzione affatto sui generis delle nervature- neir interno dei fillodi, siano questi sterili o fertili. Segnaliamo a questo riguardo che 1’ in- nervazione si allontana di molto dal tipo indicato dal Delpino il quale ritiene i fillodi uni- nervi, ed inoltre aggiungiamo che, per quanto riguarda il numero dei nervi, non vi ha quel- r identità strutturale proclamata dal Dr. Migliorato, poiché mentre i fillodi fertili hanno 5 nervature (V. fig. 2) quelli sterili ne presentano solo 4 (V. fig. 3) e ciò probabilmente pei 4 Proff. L: Buscalioni e G. Muscatello [Memoria I]. fatto che difettano di ghiandola, o non hanno la stessa dignità, per ragioni che discuteremo in seguito, dei fillodi fertili. Neppure possiamo ammettere l’ipotesi del Dr. Migliorato che i pseudo fillodi siano ap- parsi dopoché si erano concretate le funzioni dei fillodi, quasi che si trattasse di organi di terzo o quart’ordine, susseguiti ai nomofilli ed ai fillodi genuini, e destinati ad assumere le funzioni di organi compensatori. Con questo criterio i fillodi sterili diventano quasi degli organi nuovi per la pianta, non reperibili in altra specie all’infuori di poche altre Acacie a tipo verticillato. Ora tale concezione mal si accorda, a nostro parere, colle moderne vedute sulla morfologia del caule e tanto meno poi col fatto che moltissime Acacie vegetano be- nissimo senza il sussidio di siffatti organi nuovi o di compensazione, pur mancando di fillodi genuini (forme a tipo di Retama), o avendo i fillomi ridotti allo stato di squamette. Quasi tutte queste forme di Acacie australiane suppliscono ottimamente, coi loro fusti verdi, alle esigenze della assimilazione, come è il caso appunto per 1’ A. Verticillata. Ci pare adunque piuttosto strano che proprio questa abbia bisogno di produrre organi nuovi di compensazione da sostituire ai fillodi perduti, mentre poi ha un fusto verde e dei fillodi genuini (fillodi fertili) abbastanza sviluppati. Tanto valeva che avesse dato maggior svi- luppo a questi ultimi, poiché così avrebbe raggiunto lo scopo (maggior energia di assimi- lazione) in modo più semplice. La formazione dei fillodi sterili non é poi un fenomeno postumo o tardivo. Tali organi nascono, come tutti i fillodi genuini delle altre Acacie, non sì tosto sono comparse le pri- me foglioline normali, e quasi sempre, ciò che é per la nostra tesi importante, compaiono prima ancora dei genuini fillodi ghiandoliferi portanti il ramo all’ ascella. Nelle piantine giovani noi vediamo infatti apparire dapprima poche foglie pennate (talora fillo- diniche benché fornite di lembi), poi un numero variabile di fillodi sterili (da uno a più), infine il primo fillodio fertile, quando non si ha di nuovo la comparsa di una foglia prov- vista di lembi. In seguito compaiono soltanto più fillodi sterili e fertili. (1) Se poi noi prendiamo a considerare gli apici vegetativi di una pianta in attivo ac- crescimento, troviamo che fillodi sterili e fertili nascono pressoché contemporaneamente un po’ al di sotto dell’apice vegetativo, sotto forma di bozze. Dapprima si presentano analoga- mente conformati, poi avviene una differenziazione nel senso che quelli destinati a portar gemme e ghiandole diventano più grossi e si mostrano incappucciati dalle stipule pure più sviluppate (V. fig. 1). Pertanto non si può parlare di formazioni postume. Oltremodo complesso é il problema della fillotassi, per cui ben si comprende come il Delpino, preoccupato della posizione anomala dei fillodi sterili, li abbia radiati dal novero dei fillomi, per farne, ma a torto, delle semplici emergenze. Invero nell’ Acacia verticillata i fillodi steiàli sono situati disordinatamente lungo i rami; ciò non di meno, se si esaminano un po’ attentamente gli esemplari, si rileva una certa tendenza, nei fillodi sterili, ad aggrupparsi di fianco a quelli fertili, che, occorre notarlo, sono molto più scarsi di quelli sterili. Infatti il Delpino annovera 87 pseudofilli in 1 1 cicli (in numero di 7-8-9 per ciclo), e 5 fillodi fertili, vale a dire 16-17 pseudofilli per un fil- lodio vero. (i) E noto che si può far ritornare la pianta al tipo giovanile mantenendola, come ha fatto il Gòbel, alternativamente all’umido ed al secco : ma 1’ esperienza non arriva che a produrre un certo numero di fo- glioline normali, cioè provviste di lembo. Fillodi e fillodopodi. 5 I fillodi fertili sono, come si è detto, ordinati secondo la divergenza di % : o'' bene, egli è evidente che si debba trovare innanzi tutto la spiegazione della singolare posizione e distribuzione dei fillodi sterili in base ai dettami della fillotassi se si vuole pretendere di dichiarare con tutta sicurezza che i fillodi sterili sono pure a loro volta fillodi genuini. L’ osservazione diretta, la morfologia e 1’ anatomia (a prescindere ben inteso dall’ a- nalogia strutturale delle due forme di fillodi) non ci illuminano completamente su questo punto, troppo profondi essendo i rimaneggiamenti che hanno subito le Acacie fillodiniche durante la loro evoluzione ; quindi noi dobbiamo ricorrere in parte alle ipotesi, scegliendo all’ uopo quella, che, per essere semplice e conforme ai dettami della morfologia e della fillotassi, ci permetta di dare una plausibile spiegazione del problema della distribuzione delle foglie nelle Acacie a tipo verticillato. Il quale problema è stato fino ad ora affrontato con criteri unilaterali, per lo più molto discutibili, e che hanno fatto fuorviare i botanici, di guisa che ben si comprende come questi abbiano perciò veduto nei fillodi sterili degli organi di- sparatissimi. La sola teoria capace di spiegare la comparsa dei fillodi sterili è quella che c’ informa ad un tempo perchè questi sono privi di ghiandole e di gemme e perchè apparentemente si sottraggono alle leggi della fillotassi. L’ ipotesi che noi intendiamo qui esporre si basa sul fatto ormai noto che la diver- genza fogliare nell’ Acacia verticillata è di (1) come si può rilevai'e dalla figura 59 della tavola IX dell’ opera di Delpino (Teoria generale della fillotassi, Genova 1883) , ma più ancora dalla fig. 8 della nostra tavola. Noi ci riferiremo pertanto unicamente a quest’ul- tima, poiché colla stessa si possono comprendere i fatti che verremo esponendo. Noi supponiamo del resto, anche col Delpino, che ognuna delle 5 decorrenze rappre- senti la traccia di un filloma di Acacia verticillata. Questo era, in origine, formato, come è il caso per la maggior parte delle foglie delle Leguminose, di foglioline secondarie laterali, e di una fogliolina terminale, ognuna delle quali era picciuolata. In virtù della fillodinizza- zione tutti quanti i picciuoli si sono ridotti, secondo la nostra ipotesi, a fillodi che poi per- dettero i rispettivi lembi. Oltre a ciò tutta quanta la rachide primaria, ad eccezione della porzione terminale, pure fillodinizzata, si sarebbe fusa col ramo per formare il fillodopodio, come si verifica in molte Acacie, Daviesie etc. A questa fusione, che in fondo è in armonia colla teoria del fillopodio di Delpino, sono però sfuggite le rachidi secondarie, a loro volta fillodinizzate, di guisa che queste riuscirono a formare, coll’estremità della rachide principale, quelle emergenze sulla cui natura i botanici da tempo discutono, ma che per noi sono fillodi genuini. Ammessa una tale ipotesi noi possiamo spiegare ora tutte le particolarità che presen- tano i fillodi dell’ Acacia verticillata. I fillodi fertili sono gli apici emergenti delle rachidi principali, o per essere più esatti i picciuoli delle foglioline terminali. Come tale è ovvio che portino all’ ascella una o più gemme, che abbiano il nettario e che siano fornite di stipole ben conformate. Naturalmente si deve ammettere che questi organi, di appannaggio esclu- sivo del fillodio fertile, siansi spostati a poco a poco dalla loro sede primitiva che era la base del fillopodio Delpiniano a misura che il filloma veniva fondendosi col fusto per for- mare il fillodopodio. Tale spostamento non è però una particolorità dell' Acacia verticillata poiché r abbiamo riscontrato anche in tutte le Acacie fillodopodiche le quali portano le (i) Abbiamo tuttavia constatato che in seguito a spostamenti e torsioni la divergenza può cambiare. 6 Proff. L. Buscalioni e G. Muscatello [Memoria IJ. stipole, le ghiandole e le gemme nel punto dove gli organi appendicolari si staccano dal ramo^ il quale punto è solo la base apparente del fillodopodio. I fillodi corrispondenti alle rachidi o picciuoli secondari, pel fatto stesso che essi sono di ordine secondario o più elevato, mancano di ghiandole, e, come è il caso per tutte le rachidi secondarie, siano fillodinizzate o no, difettano anche di ramo all’ ascella. Essi però portano le loro stipelle rappresentate da quegli organi, per lo più caduchi e costituiti quasi da puro tessuto parenchimatoso, che noi abbiamo segnalato alla loro base, nelle sezioni fatte all'apice dei rami giovani. Del resto occorre rilevare che siffatti organi, in molte Acacie a tipo verticillato, persistono alla base di tutti quanti i fillodi. Grazie ad una simile condizione di cose noi dovremo necessariamenie riscontrare ac- canto ai fillodi fertili quelli sterili, in numero variabile , poiché indubbiamente il grande rimaneggiamento che ha avuto luogo allorché si é esplicato il fillodopodio nell’ Acacia verticillata dovette piovocare 1’ atrofia o lo spostamento di singoli fillodi secondari. Il che si verifica frequentemente quando organi omologhi nascono troppo stipati gli uni ac- canto agli altri. L’ irregolarità nella seriazione dei fillodi sterili é dovuta appunto a questa causa. Nelle sezioni, in serie, al microtomo, da noi eseguite su pezzi di apici caulinari stati previamente imparaffinati, abbiamo potuto rilevare che talora gli effetti del costipamento si appalesano sotto forma di sdoppiamenti delie bozze che debbono dar origine ai fillodi. Sif- fatte bozze destinate a sdoppiarsi erano per lo più assai più grosse delle altre il che atte- stava che avevano tratta origine dalla fusione di due primordi fogliari , troppo ravvicinati fra loro. Colla nostra teoria del fillodopodio noi riusciamo a comprendere la singolare ed ab- berrante fillotassi dell’ Acacia verticillata, mentre con quella delle riduzioni e degli spo- stamenti, sia verticali che in senso orizzontale, arriviamo a chiarire i disordini nella seria- zione dei fillodi ed a spiegare i vuoti che qua e là si verificano lungo i rami. Egli é strano che il Delpino, il quale ha pure col Gaudichaud e col Potonié formulato la teoria del fillopodio, non abbia saputo rilevare la presenza di questo nelle fillotassi dei- fi Acacia verticillata e sia perciò stato indotto a intravvedere nei fillodi sterili delle semplici emergenze. (1) Anche il numero dei fillodi, fertili e sterili, di ogni verticillo é in accordo colle nostre vedute. Essi, ad esempio, nelle tabelle del Delpino sono in numero variabile da circa 5 a 10 il che trova la sua spiegazione nel fatto che essendo 5 le decorrenze rappresentanti per noi 5 fillodopodi, e in ognuna di esse, dovendo, in ossequio alla nostra ipotesi, esserci dei fillodi sterili a destra ed a sinistra, poiché gli stessi rappresentano le foglioline secondarie del fillodo- podio, noi dovremo di necessità incontrare un numero massimo di 10 organi per verticillo. Il minimo di 5 circa indica che vi furono degli aborti o degli spostamenti. Con una tale rappresentazione teorica della costituzione AeW Acacia verticillata se ne deve dedurre che il numero dei fillodi secondari (f. sterili) deve essere all’incirca 10 — 12 pel- laio di ogni filloma ridotto a fillodopodio. Cioè da 20 a 22 per ogni ortostica compresa tra due fillodi fertili, come é appunto il caso per molte foglie composte di Acacia che hanno da 10 a 12 coppie di picciuoli secondarii. Ed invero nella figura 59 dell’opera del Delpino troviamo appunto che tale é il numero dei fillodi situati lungo una data decorrenza a par- ti) A suo tempo uno di noi (Buscalioni) dimostrerà pure che il Delpino non ha colpito nel segno al- lorché cercò di spiegare la fillotassi del Tribulus terrestris in base alla sua teoria. Fillodi e fillodopodi. 1 tire dal fillodio fertile inferiore per arrivare a quello pure fertile immediatamente sovra- stante sulla stessa verticale (v. anche la nostra figura). I numeri indicati costituiscono tuttavia soltanto una media, quale si può dedurre dalle osservazioni stesse del Delpino : nelle piantine giovani si ha un numero meno elevato, ciò che è conforme parimenti alle regole morfologiche , essendo noto che il numero massimo di foglioline non viene raggiunto per ogni singola specie che allorquando la pianta ha acquistato un certo sviluppo. Si potrebbe da taluno ritenere che i fillodi sterili siano dei lembi fogliari più o meno modificati, i quali per la loro orientazione particolare avrebbero assunto i caratteri dei fil- lodi. A riguardo di questo non possiamo dir altro che la struttura degli organi in questio- ne, essendo quella dei fillodi genuini, non ci autorizza a mutar le nostre vedute. Sta però il fatto che il Reinke (Untersuchungen uber die Assimilationsorgane der Leguminosen. Prin- gsheim Jahrbiicher XXX) ha segnalato alcuni casi in cui i lembi fogliari , a motivo dei fenomeni di convergenza, hanno assunto le parvenze di veri fillodi. Alcuni esempi da lui citati non concordano tuttavia colle nostre osservazioni. E dacché abbiamo citato il Reinke ci piace segnalare che quest’ autore, oppostamente al Kaufholz (1), ritiene pure per fillodi genuini i pseudo-fillodi di Delpino ai quali poi as- segna un paio di stipole rudimentali. Queste sarebbero particolarmente distinte neW Acacia cedroides, una forma fornita pure di fillomi verticillati. È però d’ avviso che la presenza di più fillodi su uno stesso verticillo indichi che ivi si è sviluppato un brachiblasto estre- mamente ridotto , il che non corrisponde , secondo noi , a quanto si osserva x\e\Y Acacia verticillata, neìVAcacia juniperina ed in altre forme a fillomi più o meno verticillati. A complemento di questi pochi cenni sulla Acacia verticillata e su altre forme affini ricorderemo ancora che taluni esemplari che abbiamo ricevuto dall’Australia presentano dei fillodi enormemente sviluppati (V. fig. 9) in confronto di quelli che sono proprii deW Aca- cia verticillata coltivata nei nostri giardini (fig. 10). Il filloma presenta pure nel punto d’ impianto sull’asse un cuscinetto motore conformato sullo stampo ordinario, e, sia fertile, cioè glanduligero, o sterile, porta spesso le stipole. Siffatta varietà di Acacia verticillata non ci permette di ritenere per semplici emergenze i fillodi sterili, troppo evidente essendo la loro rassomiglianza coi veri fillodi; come' non ci autorizza a intravedere negli stessi degli organi sui generis come vorebbe il Dr. Migliorato. La struttura anatomica ricorda del resto quella dei fillodi dell’ ordinaria A. verticillata in quanto che quivi pure si hanno 5 fasci vascolari nei fillodi fertili, 4 soltanto in quelli sterili all’ uscita del cuscinetto. Sotto il punto di vista che ci interessa sono pure degne di menzione certe varietà dell’ Acacia juniperina le quali portano dei fillodi distribuiti quanto mai disordinatamente lungo i rami, ma assai spesso raccolti in verticilli o semiverticilli. In queste varietà noi abbiamo constatato la presenza , quasi costante , delle stipole (V. fig. 6) ai lati dei fillodi (come del resto l’abbiamo anche osservata nella A. galioides (V. fig. 11) ed in altre an- cora, come sopra è stato detto) per cui qui cade ogni dubbio che queste non possano esser tali. Le stipole sono setoliformi, spinose, e si mostrano costituite da un parenchima periferico rivestito dall’ epidermide e da un cordone centrale formato in massima parte di elementi sclerosi, allungati, fibrosi. Nell’ interno di questo cordone si incontrano dei piccoli vasi le- gnosi. (i) Beitràge S. Morphol. d. Keimpflanzen, Rostock Dissert. i888. 8 Proff. L. Buscalioni e G. Muscatello [Memoria Ij. Dai fatti esposti noi siamo adunque autorizzati a ritenere come veri fillodi i così detti pseudofillodi del Delpino e del Dr. Migliorato. Concordiamo tuttavia con questi quando egli afferma che siffatti organi sono parti individualizzate della regione fillopodiale , pur facen- do rilevare che essendo tali dovrebbero almeno da un punto di vista teorico, aver indotto r autore a ritenerli soggetti alla legge che domina la fillotassi, perchè i fillopodi la se- guono. Air opposto non possiamo accettare le vedute di quest’ autore allorché afferma che i fillodi sterili sono organi compensatori che nulla hanno a vedere coi fillodi. Il nostro concetto ha trovato recentemente conferma nelle osservazioni del Van Thie- ghem (1) il quale ha rilevato che taluni tipi di Tremandracee presentano una struttura singolarissima, senza riscontro altrove, ma che secondo noi illumina di nuova luce le no- stre osservazioni e fors’ anco quelle fatte dai Reinke sulle Leguminose a foglie sessili. Nelle Platytlieca, e specialmente nella P. galioides, le foglie, apparentemente tutte semplici, sono in numero di 7 a 11, per verticillo. Nei nodi a 7 foglie la stela emette 3 meristele, di cui due più grandi. Una di queste dà un rametto alla gemma ascellare della foglia cui è destinata. Poi le due meristele grandi si triforcano nella corteccia per dare origine alle 7 meristele fogliari. Il verticillo, ettamero in apparenza, è in realtà trimero ed eterogeneo perchè composto di foglie semplici e di foglie palmate a 3 foglioline sessili, una delle quali porta la gemma all’ ascella. Può però anche accadere che la stela separi 5 meristele, una delle quali, la più grande, si triforca. In tal caso si hanno 4 foglie semplici e una trifogliolata gemmipara. Quando si hanno 8 foglie per nodo la stela dà 4 meristele, di cui due , diametral- mente opposte e più grandi, si triforcano tangenzialmente nella corteccia. Il ver- ticillo è quindi tetramero ed eterogeneo, risultando costituito da 2 foglie semplici a da 2 composto- palmate a tre foglioline sessili. La fogliolina mediana di una delle fo- glie composte porta la gemma. In un nodo a 9 foglie la stela emette, secondo la divergenza di Vó (come nella no- stra Acacia verticillata) 5 meristele. Le due prime sono più grandi, e, data la stela per la gemma, si triforcano nella corteccia. Il verticillo enneamero in apparenza, è in realtà pentamero e costituito da 3 foglie semplici sterili e da 2 foglie trifogliolate, oppo- ste, gemmifere. In un nodo a 1 0 foglie la stela separa 4 meristele , di cui tre destinate a trifor- carsi nella corteccia. Decamero in apparenza il verticillo è tetramero ed eterogeneo per- chè composto di 3 foglie trifogliolate e di 2 semplici. Una sola delle foglie trifogliolate porta la gemma che trovasi alla base della fogliolina mediana. Talora uno dei rami della triforcazione si atrofizza e allora il verticillo diventa pentamero. Infine in un nodo all foglie la stela distacca 7 meristele di cui le due più grandi, op- poste, si triforcano. La gemma è situata sul ramo mediano di una delle triforcazioni, da cui riceve un rametto. Può anche avvenire che la stela dia 4 meristele di cui tre si tri- forcano, mentre la quarta, che appare biforcata (per atrofia del terzo ramo), dà anche il ra- mo alla gemma. Qui il verticillo è tetramero, ma le foglie sono in origine tutte e tre tri- fogliolate e solo per aborto di uno dei rami una di esse diventa bifogliolata. Il Van Thieghem mette in confronto la disposizione presentata dalle Tremandracee (i) Van Thieghem Ph. Quelques remarques sur les Trémandracées. Ann. Se. Nar. Bot. 9 Ser. T. IV 1907 p. 373. Fillodi e fillodopodi . 9 con quanto si osserva nei Galium, ma rileva subito che si tratta di condizioni diverse , non possedendo la Platytheca quelle stipole che nelle Rubiacee determinano la comparsa di falsi verticilli fogliari aventi pure un numero variabile di fillomi. Nelle Tremandracee noi abbiamo pertanto delle foglie di differente forma e dignità , le une semplici e le altre composte, le une sterili le altre glanduligere , le quali si avvi- cendano in varia maniera sullo stesso ramo. L’ analogia con quanto succede nell’ Acacia verticillata non potrebbe esser più pa- lese. Non si può, per altro, invocare l’intervento di stipole e di speciali -organi da queste derivati, poiché tanto nelle Tremandracee, quanto nelle Poligalee e nelle Pittosporee, che sono le famiglie affini alle prime, le stipole mancano (fatta eccezione tuttavia per i curiosi or- gani stipularoidi delle “ Ligustrina „ fra le Poligalee). Si tratta^ in altre parole, di vere e genuine foglie che si comportano variamente a seconda della loro posizione sul ramo, per quanto a questo riguardo meriti pure di- esser rilevato' che nelle tre famiglie citate le foglie sono semplici, il che non ci permette di ricorrere col pensiero ad atavismi. Un’ altra particolarità pure degna di esser segnalata è la mancanza di una fillotassi nelle Tremandracee foggiate più o meno sullo stampo della Platytheca galioides. Come mai si potrebbe tracciare, in base al concetto Delpiniano , una spirale generatrice quando a volta a volta si avvicendano verticilli diversamente- ricchi di foglie? Il Van Thieghem cita, ad esempio, la divergenza di “/s per un nodo a 9 foglie, la quale corrisponde , se- condo noi, a quella che è propria dell’ Acacia verticillata , ma non ci informa a riguar- do degli altri casi di verticilli depauperati o arricchiti. Del resto la divergenza indicata del Van Thieghem è basata sull’angolo che fanno fra di loro le singole meristele allorché si staccano, dalla stela, mentre se si volesse rico- struire la fillotassi in base a quanto fece il Delpino per X A. verticillata^ si dovrebbe, co- me nel caso di questa, tener conto soltanto delle foglioline gemmipare il che porterebbe ad un risultato spesso diverso. Ma se non vi ha una vera fillotassi, o almeno, come é il caso per X A. verticillata se ve ne ha soltanto una teorica, ciò non esclude, oppostamente a quanto avrebbe indub- biamente affermato il Delpino se avesse conosciuto la singolare struttura della Platytheca galioides^ che i fillomi emergenti dai rami di' questa specie non siano delle vere foglie, come perciò non lo possiamo escludere per X Acacia verticillata. Entrambe hanno poi questo di comune che a causa di aborti riducono il numero delle foglie (o delle fogliolineX Noi 1’ ab- biamo segnalato nell’ Acacia verticillata-, il Van Thieghem ce lo indica per i verticilli a 10 e a 11 foglie della Platytheca galioides. Da un altro punto di vista questa specie é anche interessante, poiché, considerata sotto l’aspetto anatomico, essa appare formata di foglie in parte trifogliolate in parte semplici; mentre sotto quello della morfologia esterna essa risulta invece costituita da foglie semplici, come appunto hanno affermato tutti i sistematici che si occuparono della famiglia (Chodat. Bentham etc). Noi condividiamo tuttavia col Van Thieghem 1’ idea che il concetto anatomico debba qui prevalere e perciò riteniamo con quest’ autore che talune foglie delle Ptatytheca siano realmente composte, mentre altre rimasero semplici. Ma ammessa questa condizione di cose é duopo pure ammettere che le Platytheca sono quanto mai adatte per illuminarci sulla intricata questione del fillopodio delpiniano. À nostro modo di vedere le basi fogliari (fillopodi) sono in questa specie saldate col caulo- Atti Acc., Serie V, 'Vol. II. Mevi. I. 2 10 Proff. L. Buscalioni e G. Muscatello [Memoria IJ ma , ed in modo così intimo che quando la foglia diventa composta anche i fillopodi (picciuoli) secondari si diramano nello spessore della corteccia stessa. Non vi ha forse an- che in questo un analogia col nostro modo di interpretare la costituzione dell’ Acacia ver- ticillata ? Data la natura delle foglie delle Tremandracee che sono semplici, e tenuto conto che le triforcazioni e gli aborti si fanno più frequenti là dove i verticilli sono più ricchi di foglie, non si può escludere che le traccie fogliari triforcate non siano l’espressione di un feno- meno verificatosi tardivamente. In origine, forse, tutte quante le traccie fogliari della Pla- tytheca galioides decorrevano isolate nello spessore della corteccia ; più tardi si fusero parzialmente fra loro dando origine così alle traccie triforcate e biforcate , che sono ap- punto più grosse delle altre semplici, perchè risultanti dalla fusione di due o più di queste. Qual è la causa che ha determinato siffatto mutamento nella struttura della Platy- theca ? Noi lo ignoriamo : ciò non di meno se consideriamo che queste piante , derivate forse da un tipo poligaloide, abitano le regioni eminentemente aride del West Australia, possiamo supporre che il clima abbia avuto la sua parte nella trasformazione. Il clima ari- dissimo predispone all’ atrofia degli organi vegetativi , costituiscano questi un caule od un filloma. La riduzione per lo più dà luogo soltanto ad un assottigliamento degli organi anziché ad una riduzione di numero. Perciò noi vediamo farsi esile il caule della Platy- theca galioides e passare le foglie dal tipo proprio della nostra comune Polygala a quello ericoideo, o meglio aciculare, senza che per altro il numero dei fillomi riesca di pari passo diminuito. Il numero delle traccie fogliari resta quindi conservato, ma, dovendo que- ste svilupparsi all’ apice dei rami in uno spazio più ristretto, facilmente possono contrarre delle aderenze fra loro e quindi fondersi. Questo è quanto è lecito supporre che sia avve- nuto nella Platytheca , dove poi i fasci doppi, più atti a portare il nutrimento, hanno contribuito a fissare la sede delle gemme le quali nascono per ciò all’ ascella delle foglie provviste di siffatti fasci. La ristrettezza di spazio spiega pure come talune traccie fogliari, nei nodi ricchi di foglie, siano abortite colle rispettive foglioline. Lo studio delle piante in tutto il ciclo del loro sviluppo potrebbe indicarci quanto di vero vi sia nella nostra ipotesi ; ma frattanto noi faremo osservare che le stesse cause le quali hanno plasmato la struttura delle Acacie e delle Daviesie fillodopodiche hanno pure con- tribuito a sviluppare, in seno alle Tremandracee, delle forme straordinariamente simili per costituzione degli organi vegetativi, a siffatte Leguminose. Basterà qui ricordare la Tetrotheca affinis, il cui fusto alato, percorso da un cilindro centrale a decorso sinusoide, ha una evi- dente rassomiglianza con quello di molte Acacie fillodopodiche. Ed ora un' ultima parola sull’ Acacia galioides. Questa specie (v. fig. 1 1) porta delle foglioline di tipo ericoideo disposte in verticilli più o meno genuini, ad ognuna delle quali corrispondono due stipole (v. fig.) conformate esattamente sullo stampo di quelle dei fillodi fertili dell' Acacia verticillata. Stando all’ apparenza esterna si direbbe che X A. galioides sia una forma fillodinica : invece se noi sezioniamo i fillomi troviamo una struttura che differisce notevolmente da quella indicata da noi come tipica dei fillodi. In questi, come è noto, si incontrano sempre due fasci, più grandi degli altri, addossati alle faccie laterali dell’ organo, mentre lungo i mar- gini, rivolti in alto e in basso, decorrono dei piccoli fasci vascolari. Orbene, tutto l’opposto si verifica nell’ Acacia galioides. La foglia ha innanzi tutto una struttura dorso-ventrale con una faccia dorsale (rivolta probabilmente sempre in basso) diversamente conformata Fillodi e fillodopodi. 11 dalla ventrale ; questa è concava quella convessa. Lungo la prima, e più precisamente sulla linea mediana, decorre poi il maggior fascio vascolare della foglia (V. fìg. 4), mentre ai lati di questo si incontrano dei piccoli fascetti formanti nell’ insieme una specie di ferro di cavallo. È quindi più consono al vero riportare il filloma dell’ Acacia galioides al tipo delle foglie ericoidee, conscii tuttavia che 1’ ultima parola sulla intima costituzione delle foglie e del fusto sarà detta quando si sarà potuto seguire la pianta in tutto il suo ciclo evolutivo. Noi concludiamo soltanto affermando che la presenza di vere stipole, nell’^. galioides^ simili a quelle dell’ A. verticillata, è un argomento in più che ci obbliga ad allontanarci dalle vedute del Dr. Migliorato. Non possiamo chiudere le presenti osservazioni senza far rilevare che l’interpretazione da noi data del filloma dell’ Acacia verticillata venne già succintamente esposta nella prima nota, dove a pag. 24 abbiamo scritto: “ ci limitiamo a far osservare che il fre- quente aggruppamento di tre fillodi per ogni nodo può indurre nell’ osservatore il sospetto che si tratti di rachidi secondarie fillodiniche non più sorrette da un picciolo principale che si sarebbe fuso col ramo (fillodio latente). „ (Ricevuta 8 Novembre 1908). Ì2 Projf. L. Buscalioni è G. Muscatello [Memoria I.] SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fio. I. Fio. II. Fig. III. Fig. IV. Fig. V. FtG. VI. Fig. vii. Fig. Vili. Fig. IX. Fig. X. Fig. XI. — Sezione trasversale all’apice di un ramo di Acacia verticillata Willd. (Forma a fillodi stretti). Fil- lodi glanduligeri fiancheggiati da due grosse stipole munite di un fascio centrale. Quelli sterili hanno stipole ridotte. — Sezione trasversale di un fillodio glanduligero di Acacia verticillata Willd. praticata in vicinanza del cuscinetto. I fasci vascolari sono qui in numero di cinque. — Idem di un fillodio sterile. 1 fasci sono in numero di quattro. — Sezione trasversale di un filloma di Acacia galioides Benth. Si nota un fascio mediano inferiore assai più grosso degli altri che lo fiancheggiano. — Stipula di Acacia verticillata Willd resa trasparente colla potassa e coll’acqua di Javelle. — Fillodi di Acacia juniperina. — Sezione trasversale all’ apice di un giovane ramo di Acacia verticillata Willd. I tubercoli rap- presentano le basi di fillodi, pressoché uguali fra loro. — Figura schematica o teorica della fillotassi dell’ Acacia Verticillata Willd. 1 numeri i-8 in ca- rattere grosso rappresentano i fillodi glanduligeri situati all’ estremità dei singoli fillodopodi, i cui fillodi sterili sono segnati coi numeri i-io in carattere piccolo (V. fillodopodio di mezzo.) — Acacia verticillata Willd. dell’ Erbario di Victoria (Melbourne) e proveniente dalle Brown Moun- tains (?) I fillodi sono espansi al punto da simulare dei veri lembi fogliari. Nelle figure, là dove mancano i fillodi, si rilevano le stipole. — Acacia verticillata Willd. a fillodi stretti. — Acacia galioides Benth. proveniente dal Queensland. N'ei punti dove mancano i fillomi si notano le corrispondenti stipole. Pag. I liti. 2 A 2 30 » » » 40 » 4 » IO > » » 23 » » » 24 > 6 » 6 » » 17 » » » 18 » 7 17 » IO » 13 » » » 43 » G » 7-8 » » » 3' » » » 34-35 » 14 » 23 » W » 36 » G » 24 » » » 26 » » >> 30 » » 38 » » » 43 » 16 » 2 » > » 16 » 22 in nota 25 lin. 7 ERRATA-CORRIGE Nota I. di fillodi si vogliono acacie e fillodi Mesembryanthemum Asparagus ma bensì soltanto tre per nodo " Mesembryanthemum della cellula dello stoma Phillocactus auguliger A. pycnanta (fig- 36) alla faccia laterale Leguminose a foglie di fillodi si sogliono Acacie a fillodi Mesembryanthemum Asparagus ^ ma bensì per lo più soltanto o più per nodo Mesembryanthem u m delle cellule dello stoma Phyllocactus anguliger A. pycnantha (fig. 26) alle faccie laterali Leguminose e Bignoniacee a foglie incurvandosi fillodi nascono Cassia phillodinica » » . attiravano Cassia eremopyla » phyllodinica eia luiperina Dav. polyphilla della gliandola è frequente Sydney incuneandosi fillodi spesso nascono Cassia phyllodinea attraversano Cassia eremophila » phyllodinea e la juniperina Dav. polyphylla delle ghiandole, come si è detto, è frequente Sidney Atti Acc. Gioenia di Se. Nat. - Ser. 5.° Vot. //. BUSCALIONI E MUSOATELLO ELIOT CALZOUAHI H FFNilni^lQ-WILANO Memoria If. Sullo sviluppo di uua funzione reale di due variabili reali In serie doppia di Fonrier. IHeinoria di CARLO SEVERINl L’ argomento, di cui vogliamo occuparci, è stato oggetto di alcune interessamenti ri- cerche nel caso delle funzioni continue, (*) per le quali restano tuttavia a determinare le condizioni necessarie e sufficienti , affinchè possano essere sviluppate in serie doppia di Fonrier ; del caso delle funzioni discontinue solo il Prof. Arsela ha recentemente preso ad occuparsi in una Nota preliminare, inserita nei Rendiconti della R. Accademia di Bolo- gna. f*) Scopo di questa Memoria è di esporre alcuni nuovi risultati , che io ho potuto otte- nere intorno alle questioni dianzi dette, risultati facilmente estendibili alle funzioni di quante si vogliano variabili. 1. — Indichi /(x,v) una funzione reale, ad un valore, delle variabili reali x ed v, li- mitata, doppiamente periodica, col periodico 2c rispetto alla x, e col periodo 2d rispetto alla 3', essendo c q d quantità positive, come è lecito supporre. Se m ed n rappresentano numeri interi, qualsivogliano, positivi o negativi, sarà ; sia la /(x , y) atta all’ integrazione di campo, ed all’ integrazione rispetto ad ognuna delle variabili per ogni valore assegnato dell’ altra. In tali ipotesi, se u e v sono due nuove variabili reali, h e k due parametri arbitrari, positivi, c’ è luogo a considerare, per ogni x , y , h q k fissi (/? e Iz maggiori di zero), r integrale della funzione : f {x y- l'mc, y rnd) =/ (x, y). Supponiamo ancora che per x ed y soddisfacenti alle limitazioni ; — c ^ X ^ y c d y yy -j- d C) Cfr. Picard: Trailé d’Analyse, T. I.; Cerni: Sulla rappresentabilità di una funzione a due variabili per seria doppia trigonometrica, Rendic. del R. Istit. Lomb, . Serie li , voi. XXXIV (1901). (**) Sul limite di un integrale doppio; 9 Febbraio 1908. Atti Acc., Serie V, Vol. II. Meni. II. I 2 Carlo Severini [Memoria II. | esteso a tutto il piano, integrale che indicheremo nel seguente modo : La condizione necessaria e sufficiente all’ esistenza di siffatto integrale è che , prefis- sata una quantità positiva o , arbitrariamente piccola, per ogni sistema di valori assegnati ad X, y, h t k {h e, k maggiori di zero), si possano trovare quattro quantità n, v, ^’l, le prime due positive, le altre negative, tali che qualunque siano ; u" ^ II' L" u ; v" v' V ; u(' rC ; o," ‘iL CC , si abbia sempre \du I / {il, V) e u' j vi' - 1 y~i + 1^1 i.„ ^ L.. , ... (ti > dv . ' ul'J vi' f'u' r v" -f- ìdu I f {u, v) e - ( U — X “X~ v—yY I ~k~ ) dv . ^ «1 , ! dui f (u, v) ih'.ì V," „-KTr+(V) dv condizione che si trova certamente soddisfatta nel caso nostro , dacché il primo membro della precedente disuguaglianza si può scrivere : dv-\- hk I da - (u--\-v‘^) f (x+bii, jy-f- kv) e dv -f- - y dv -{■ hk I du jf (x-t-bu, y-j- kv) e ul — X j vi' - y h dv ed è quindi midore di ; hhG ( ifi v2) dv Sullo sviluppo di una funsione reale di due variabili reali in serie ecc. 3 ove G indica una quantità positiva, di cui è sempre minore il valore assoluto della / (x,y). Ciò basta evidentemente al nostro scopo. S’ aggiunga che 1’ integrale J si può ottenere mediante due integrazioni successive , e che è anche permesso invertire 1’ ordine di queste. Per le ipotesi fatte sulla f{x,y) è intanto evidente che l’integrale: f ^ U — X chi rappresenta una funzione di v {x ed li s intendono fìssi), limitata, atta all’ integrazione nell’ intervallo ( — d .... -]-d), e quindi in ogni intervallo finito ; e poiché al crescere di ui ed u\ in valore assoluto, esso tende all’ integrale ; f (.11, V) e — oo u — x\^ du . uniformemente per tutti i valori di v, delle medesime proprietà gode anche la funzione da questo rappresentata. Cosi si può asserire che esiste 1’ integrale doppio : *-[-eo fv — J" p~\- 00 dv I f (u, v) e che è uguale ad J. Altrettanto può dirsi dell’ integrale doppio e però si ha ; ’+ 00 f (u, V) J = f (W) v) e V — y dv come sopra abbiamo asserito. 4 Carlo Severini (Memoria li.] 2. Ciò posto si consideri ia funzione : F {x,y, h, k) — f (u, ^0 « u X ~ V - y k du dv. che, per quanto è stato detto nel § precedente, ponendo : (I) r -|- oc / («, y) e — 00 ' ^ ' dv = ^ {u, y, k) possiamo porre sotto la forma : (2) F (x, y, h, h) — 7^ h f- d) (h, y, k) e La funzione 4>(m , y , k) si mantiene sempre, in valore assoluto, minore della quantità G sopra detta, e, per ogni y Q k fissi, come funzione di u, è periodica, avendosi : d) {u + ime, y, li) — d> (m, y, k). È inoltre atta all’integrazione nell’ intervallo ( — c ... . -\-c). In tali condizioni, per ogni terna di valori assegnati ad y, h, k {h o. k maggiori di zero) si può, ragionando come ho fatto in un’altra mia Nota: Sulla serie di Fourier, (*) giungere a rappresentare la F {x, y, h, k) mediante la seguente serie ; (3) F (x, y, h, h) oc nW V ( n-a , L ^ e. 4 cos a: a'n sen 0 ^ ove^ indicando con a una nuova variabile reale, si ha : «0 = I 2C f+c [ d> (a, y, k) da an = — / d> (a, y, k) cos — a da (n = 1,2, . . . . , co) I I flTZ a'n = -r- I ® (“i sen — -a da {n — 0,1,2 ,..., co) (*) Atti del R. Ist. Ven. , TLXIV — Parte seconda (1905). Sullo sviluppo di nini funzione reale di due variabili reali in serie ecc. ossia per la (1) : icli- 00 /v — y f («5 f i — 00 dv I cos — (z da I f {a., v) e V — y — \~k~ dv (n z=z I, 2, cc) I *+ C 00 IV — y\ ^ nz n — j — I seti — a. da I f {a, v) clt\ ^ I c I .1 — c .7 — =o dv {n = 0,1,2, . . . , eo ) Potendosi, come sopra, invertire l’ ordine delle integrazioni, si ha ancora : ^00 !v — y\ 2 c, hi ' — V h dv I f (a, v) da +0O / V — ^_y\^ / *‘P ^ :k] dv I f (a, v) cos —a da (« — I, 2, . . . . , 00 ) ■•+00/ V —yf PS-c a n — chi ^ h ì ì niz . dv I t '^) sen — a da (k — o, i, 2, . . . , oo ) e quindi ; f* ^ a'n — v—y ~1T dv kir. V — y 'I' 2 (y> , li) ^ ^ ^ ^ dv (« “ O, I, 2, . . . . , co ) ove si è posto : (v, o) =Z — I / (a, v) da (4) (v , n) — I I / , , nz , — ! f (a, V) cos — a. da. c ^ c J —c (« = I, 2, . . . . , co) 6 Cario Severiiii [xMemoria il] ^2 i'V, n) = + c * f ifj., v) sen -^a da (« — o, I, 2, . . . , oo^ Le funzioni {v, n) , 'F2 {v, n), per ogni valore assegnato di n, soddisfano a con- dizioni analoghe a quelle dianzi rilevate per la {u. y, k) , sono cioè limitate, periodi- che col piede 2d, ed atte all’ integrazione nell’ intervallo ( — d -\-d). Si possono dunque i coefficienti Un ed a'n della serie (3) svolgere in serie analoghe a questa. Sia : Un — (S) (j I./ 4 cos ^ rn.n ?en -j- y 1 rrfi ( 7HT , imi '■ — — km, ri COS — y 4- C ,n,n sen — y \ (k = O, 1, 2, . . . , 00 ) ove, indicando con P una nuova variabile reale, s’ intende che sia ; J - d ^ O, I, 2, . . . , oc ) *-f- d hm,n = 'Ti (P , «) COS d{i — d /mz= 1,2, . . . . , 00 \ = o, I , . . . . , 00 / h' — — — ^ m,n — "Fi (p, n) sen -^P ^P — d hn = 0, 1,2, _•= o, 1,2, , 00 \ , CO / <^0,n = I 'I'2 (p, n) rfp — d (« = o, I, .2, . . . . , oc ) ry-d I / mz. Cm,n =~J' '^'2 (P> m — \,2, . n — o, I, 2, m,n ■ f*+ d -4- ; 'F2 (p , n) sen ^^P ^P — d m — 2, n =0, i, 2, , co ossia, tenendo conto delle (4) : S/i/lo sviluppo di ìina fnumoìie reale di due variabili reali in serie ecc. 7 (6) ^0,0 ^O.n — m — 2cd •+d da I f (a, P) d^ — c I - d -f-rf / (a, p) cos — —a (fp (« = I, 2, . . . . , co ) - d zcd ’ + c d da I — c . — d f K P) cos 4 (7H = 1 , 2, . . . . , 00 ) f c e - d I ÌWK da. I / ((z , p) sen — ^ — p rfp (m — o, i, 2, . . . , co ) J — c J — d r+d Co.n = I da I f (a., p) sen dfi (« o, i, 2, . . . , co ) T I Ir r r ir hm,n =-^l da | / (a , p) cos —a cos— p rfp ‘-\-c ('^d I / Ir rv r ir =z da f (a, [i) sen — cos p 4 -i: I l I r r, ir, __ — \ da I f {a, p) sen — a sen — p z^p -c — d hn = I, 2, ... co \ \7i — I, 2, ... co / I 1 J ir/ ù\ D JQ /W = 0,1, 2, . . 00 \ ^'^•'^=71 ^ (« : . . oo) /;h = I, 2, . . . , co \ \« = O, 1,2, . . , coi /W — O, L, 2, . . . , 00 \ V « =: O, I, 2, . . . , oo ; Dalle (5) si ha; nz miz co Z’**' a,i cos X + a' n sen — .c = 4 ('&/»,« cos — x cos — -h & m,« cos — .\ sen y -|- c c p »- miz , nii rn~ c,n n sen — 2; CCS -j- y + c ,»,n sen — .x: sen -r- y) c cl c Cl il) 8 Carlo beverini [Memoria II.] e sostituendo nella (3) : 00 00 ^2 Y' V' — ^ «il, Wjl -- 7li\. iTlt. F {x,y,h,k) = e 4 Zi 4 cos — x cos — y + b „i,n cos — x sen j Jli^ Tnt\. , /tu, 7Afiv .. + c,n n sen — X cos — r )' 4- m n sen — x sen— 7- y) c a ' c a Per un n fisso qualunque si consideri ora la serie, che costituisce il secondo membro della (7) ; è facile vedere che essa converge assolutamente. Si ha infatti : m‘‘ IF — , nr. in- ,, n- inr. ut. hit. e 4 (bri) h cos — X cos-^ v + b m n cos — X sen— r- y + c,n n sen — x cos— r- y — ’ c rf' c a ' c a , UT. mii . + c II, „ sen X sen —7- v) c a 11F k- ( I b,n^n I + I b',,1^,1 j + I C,i,^ri I + I C „t^n | ) , e, tenendo conto delle (6) : ni^ , 7II, m~ ,, nr. m- nr. mr. 4 (bm,n cos — X COS r + b'ni.n COS — X sen -3- V + sen — X cos —7- + c et ' c a c et , n- mii . + c'm,n sen — X sen — y) 16 G e e poiché, per ogni k non nullo la serie S (k) — lÙ ^ e vF li- cci V 4 m mk- \ ™ 4 è convergente, é così dimostrato quanto abbiamo dianzi asserito. Poniamo : 00 Sn(x,y,k) = 'Z ^ 0 4 brn,n COS llT. X COS C my: T , , ut: viT. b m.n COS — X sen — V -f- c et Sarà : e quindi : UT miz , ntz lira + Cm.n sen — X COS -J- I' 4- c',„ „ sen — x sen— j- c et - c d Sn {x ,_r, k) ^ i6GS(k) , nm 4 (x, y. k) ^ lòGS {k)e 4 Sullo sviluppo di una funsione reale di due variabili reali in serie ecc. 9 Per ogni 1/ non nullo se ne deduce, come sopra, che converge la serie ; oo 0 n-h- ^ . Sa (x, V, k) , e con essa la serie doppia ; OO 20 /;2 ^2 4 ft Ifl' ti. . {bill ,i cos — • .Y cos — V -I- b ,, nm X sen — - V -f' + Ciurli scn UT. m~ , n- m- . X cos -T- V c ,n a sen — x sen— ^ y). c a " ’ c a Si arriva così al seguente sviluppo della F {x, y, lì, k) valido , qualunque siano h e k, purché entrambi maggiori di zero : CO (8) F (X, Y, /;, li) — 1’ „ 0 Hit , HT miz , + c,n a sen — X cos -r- y -y r ,,, n sen x sen — p- v). ' c d ' c d Si può aggiungere che, per ogni coppia di valori assegnati ad h e k, la convergenza di tale serie è uniforme rispetto a tutti i valori di x ed y. Indichiamo con T„ {x, y, U) la serie (7) e con T„,,„ (x, v, /^) la somma dei suoi primi m termini. Da quanto è stato dianzi detto segue subito la possibilità di trovare un tal va- lore m' di ni che, qualunque siano x, y ed n, essendo h e k fìssi, maggiori di zero, ri- sulti, tutte le volte che m ^ ni : \Th {x,y, k) — T„,ni (x, y. k) [ ^ , -f- k' , UT, niTi. ,, ib,)i }i cos — a; cos— p y + m n c a '' ' mi: X sen V ■ a ove a è la solita quantità positiva, aibitraiiamente scelta. Sia poi n un valore di //, ab- bastanza grande, perchè si abbia, quando n ^ // : Potendosi scrivere ; CO ibGS [k) il 4 n _ «2F F(x,y,h,k)—'^^^e F) Di,/// (x, y. k) e 0 n ■/2 m (X,y,k) 4- S, n- Ifi ^ irn(x.y,k)—T,i^,„ (x,y,^^]. - si vede subito che risulta per n n' ; m > ni : F (x, y, /;, k) n y « t 0' k^ ^ • T,ii ,n (at, Yj /c) Aiti Acc., Slrìe V, Vol. II. Meni. IL 10 Carlo Severini [Memoria IL] e sostituendo al posto di (x, v, k) la sua espressione ; F {x, y, h, k) — n 0 m 0 e 4 (^m^n mz miz . , COS X COS — V + ^ Ì7ì n c a ■ niT.. COS — X sen — r- y -h c a HTZ VIZ c„i a sen — X COS — j- v ’ c a ' , nz tmz c ni n sen — X sen— ^ v) ’ c a " come si voleva. 3. Quanto abbiamo testé detto, ove in particolare la f ix, y) sia continua , nel qual caso converge ad essa in egual grado, per tutti i valori di .r ed v, la F {x, y, Jt, k), al tendere comunque a zero h & k, il che è ben noto, e sarà del resto anche in seguito dimostrato, permette di estendere due notevoli teoremi dati da Weierstrass (*) per funzioni di una sola variabile. Se ne deduce infatti anzitutto una rappresentazione approssimata, ed a meno di una quantità positiva qualsivoglia, della / Qr, v) per mezzo di un polinomio della forma : 4 0’n,,n COS 0 0 IITZ niTZ . , Ma — X COS — r y -h 0 n COS — A sen c a c miz Ma m- -j- 4' + Cm.o sen — .v ccs y , nr^ nn: 4- sen — X sen — y) ; c a e come conseguenza di ciò il risultato che la / (x, y) medesima è sviluppabile in serie di polinomi cosifatti, serie convergente assolutamente ed in egual grado per tutti i valori di X ed y. Ci pare superfluo insistere su ciò, e ci limitiamo a questo breve cenno, rimandando per maggiori dettagli alla citata memoria di Weierstrass. 4. La serie doppia, che è al secondo membro della (8), se vi si pone h = k —O, si riduce all’ altra : CO CO 2j„ (hrn,n COS X COS —y-\-h ,n,n COS X sen — J/ -h Cm.n sen — x cos — y f\ f\ c et c et c ei (9) , «Tt tmz -4- Fm.n sen — a sen y) che diciamo serie coppia di Fourier. Questa, ove converga, come è necessario se deve servire ad una rappresentazione analitica, ci dà il limite a cui la (8) e quindi la F {x, y, h, k) tende, quando h q k tendono comunque, anche successivamente, allo zero. Per vedere ciò possiamo, nella (8) e nella (9), porre in — n, con che otteniamo le due serie semplici: — rfi (F 4- F) «t: «tc , , «t: mti , rnr mi: , n ^ ^ y n,n COS a: COS -j- J F P n,n sen — x COS— jy -f- Cn,nC0S — X sen — y 4- ^4 c et c et c et (io) , mz mx. 4- c'n n sen a: sen — y) c a ■' (*) Ueber die analystische Darstellharkeit sogenannter wilkùrlichen Functionen einer reeller Verànderìichen, Sitzungsberichte der Kòniglich preussischen Accademie der Wissenschaften zu Berlin. 1885. Sullo sviluppo di una funsione reale di due variabili reali in serie ecc. 11 ^ rnz ,, «- UT n% , ut: «k . V {b,i n cos — .r cos —j-y + b n.n sen — .r cos-r- v+ c,,» cos — x seti— j- r + c seri x seti— ^ y) V“'— 'n c d c d ^ ’ c d - c d 0 i cui valori, per ogni x ed v, coincidono rispettivamente con quelli delle serie doppie (8) e (9). Basterà provare che al decrescere di h e k la (10) ha per limite la (11). Poiché i termini della (10), per ogni x ed fissi ^ sono funzioni continue di h e /^, che al tendere di ^ e ^ a zero, tendono ai corrispondenti termini della (11), le condizioni a tal’uopo ne- cessarie e sufficienti si deducono subito da un noto teorema, stabilito dal Dini {*) per serie di funzioni di una sola variabile, facilmente estendibile a serie di funzioni di più variabili. Senza dilungarci su ciò, che sarebbe affatto superfluo, enunciamo senz’altro tali condizioni: esse sono le seguenti : a) che la serie (11) converga, b) che per ogni quantità a positiva, arbitrariamente piccola, e per ogni numero in- tero, positivo, comunque grande, sempre esistano due numeri li e //, maggiori di zero ed un valore di n maggiore di n' , tali che per tutti gli h e k, che soddisfano alle con- dizioni : o ^ ^ , o C. k ^ k' , ovvero alle altre ; o a h ^ h' , o ^ k ^ k' , I resto della (10), calcolato a partire dal detto valore di n, sia numericamente mino- re di 0. Si tratta ora di far vedere che la prima di queste due condizioni trae con sé la se- conda, della quale pertanto .non fa d’ uopo tener conto. Per la convergenza della serie (1 1) possiamo infatti trovare un valore n dell’indice n tale che si abbia, qualunque sia r intero, positivo : n-\-r SUTZ BTC , n% me me ( p,(.„ cos — X COS y + b sen — x cos — -f- Oi,/i cos x , n~ nx c „ „ sen — X sen — ^ v) ' c d - c. Considerando le quantità: , n% nx ,, nx nx nx nx , nx nx bn, n COS X COS y -p b n, n sen — x cos — r- y x Cn, n cos X sen — j- r -y- c n,n sen x sen — ^ y, c d ' c d c d - c d ^ «q-i Oh,, n-z UT cos a: cos — ^ r C P ' nz Hz nz nz , nz nz sen -V cos — r~ v + Cn n cos X sen — y -j- c ^ n sen a: sen — r- y) c a ' ’ c a ’ c a (hn.nCOS — C n il . . X cos — y -f- P //,/; nx nx nx nx , nx nx — X cos —r y -4- c,,n cos x sen —r~- y -f c n.n sen — x sen — - c d e d ' c d y) (*) Fondamenti per la teorica delle funzioni ecc. § 95. 12 Carlo Severiiii [Memoria IL] minori tutte in valore assoluto di a, e, per ogni h q k fissi, non nulli le quantità positive, decrescenti : «2 (fc'2 + F) _ (« + 1 )* {ÌO^ 4- I 4 , , (n -t- r)2 -f- in base ad un noto teorema di Ade/, possiamo scrivere ; n-j-r n rfi Qfi + k^) , MTt n~ ,, 71TZ n-!Z 4 (bn.n cos X cos — y -f- p n,n sen .r cos — y c d c li ^ Cn,n COS — X sen — ^ v + c d ' . , ^ -t- c n,n sen .X sen— J- y) I < c d - \ = ii-i {hi + F) 4 e, per la convergenza della (10): n „2 (7j2 _j_ k^) ,, «Tt ni: ,, HTi n~ n~ mz ^ {btiM cos — X cos — r V + b n.n sen — .v cos — r- v + cos x sen y -\- c d ■ c d - c rt , im im + c n.n sen X sen- — ^ r) c d ' n- (/;^4 k^) 4 A più forte ragione sarà allora verificata la disuguaglianza : «2 (/;2 + ^2) ~A ,, mz niz ,, HTZ niz niz mz ^ (bn.n cos X cos — i— V 4- b'n.n sen — - x cos — y 4- cos — - x sen -^y -r c d ' c d c d , mz niz -|- c «.« sen X sen — ^ v c d - < 3, la quale sussiste qualunque siano i valori di h ed k, lo zero incluso. Così è dimostrato quanto sopra abbiamo asserito : i valori li e ìi di cui alla condi- zione h) possono qui essere presi ad arbitrio, ed in «, che può sempre scegliersi maggiore di w', si ha il cercato valore di w, Possiamo adunque enunciare il seguente teorema: Se f (x, y) è una funstone reale., ad un valore., delle variabili reali x ed y, li- mitata, doppiamente periodica, col periodo 2c relativo alla variabile x, col periodo 2d relativo alla variabile y (o, e à. quantità positive); se per 'x. ed y , che soddi- sfano alle limitasioni : — C ^ X c — d ^ y ^ -f d è essa atta all’ integrasione di campo, ed all’ integrasione rispetto ad ognuna delle variabili per ogni valore assegnato all' altra, la serie doppia di Fourier. CO CO (9) Zj„ h^{0m,n COS %cos—^y + COS xsen y Cm,n sen — - x cos -\- QQ C CI c et c et , m: m% -4-c'm,nsen ;5csen — — y) c ci c 13 Sullo sviluppo di una fmiBione reale di due variabili reali in serie ecc. supposta convergente rappresenta il limite^ al quale tende, quando h ^ k tendono comunque a sero, la : ■+“ /*+' - ; P (x, r, h, k) — hkii t {il, v) e >-xVl \ du dv. Osserva sione : Per la validità del ragionamento dianzi svolto interessa soltanto che converga la serie semplice (11). Considerando questa serie al posto della serie doppia di Fourier si perviene quindi ad un teorema analogo, sul quale, anziché sul precedente, si potrebbero basare le considerazioni che seguono. Se ne dedurrebbero altrettanti teoremi, in cui alla serie doppia di Fourier è sempre sostituita la (11). 5. Quanto abbiamo dianzi stabilito apre la via ai risultati, a cui in principio abbiamo accennato, sullo sviluppo di una funzione reale di due variabili reali in serie doppia di Fourier. Un primo, importante teorema, che assegna un limite superiore per il valore as- soluto della differenza, in un punto dato, fra la f {x, y) e la serie (9), supposta ivi con- vergente, si può subito, senz’ altre ipotesi, ottenere : S’ indichi infatti con a una quantità positiva, abbastanza grande, perchè si abbia : {12} CO / * -j— OO / * u — (ìP -f- U) ^ du dv — I — («“ -f- V'2) ^ du dv ove 0 è il solito numero positivo, arbitrariamente piccolo, e U ha il significato sopra detto. Sarà allora a più forte ragione, qualunque siano x, y, h, k: F (x,y,h,k) ’-f a / (x -f- hu, y — a kv) e -( iF+v^) du dv Si fìssi dopo ciò una coppia di valori di x ed y che indicheremo con x ed v ; e si chiami con D x, y 1’ oscillazione della f (x, y) nel punto n:, y. Si potranno determinare due quantità positive e ed è tali che per ogni x ed y soddi- sfacenti alle limitazioni ; X — B ^ X ^ X s y — ^ < V < V -[- § risulti ; \ f (X, y) — f {X, y) I ^ y ■ s j. S Si ottiene così per h e k minori rispettivamente di e di — ; V-\-a ra y- — a J — a hu,y-\- kv) e \ du dv < + a T 14 Carlo Severini [Memoria II. J e siccome si può scrivere: f {X, y) - f {x,y)e -('«2 + 7/*) du dv , e si ha quindi: / {X, y) — ^ u *-}- a i __ («-2+7/2) I f (x. v) e du dv V, h, k) —f(x, y) j ^ D,r,.y + 3 . Si ha pertanto il teorema: Nelle ipotesi diansi dette, il valore assoluto detta differenza, in un punto dato, fra la serie doppia di Fourier: ^ «17 wi: ,, «it mr: ut: tn-^ /Q> y V cos xcos— +(/,„,„ cos — X sen-j-j + r,n,« sen x cos — j- + \y' ^ ^ m C Ci C Cl C (t 0 0 , flT 1HT . +C nun sen — X Scn —^y), supposta convergente, e la funzione f (x, y) non supera V oscillazione della f (x, y) in quel punto. Osservazione : Dalla disuguaglianza (13), tenendo presente il risultato del § 4, si possono dedurre altri notevoli teoremi,, quando si ammetta la convergenza della (9) in ogni punto di un dato campo. Per brevità tralasciamo di enunciarli, (f) 6. Se in particolare \a.f (x,y) è nel punto x, y continua, si ha = 0 e dalla (13) segue allora : lim F {x , y , h, k) — f {x , y) , h—Q k—O Si può anzi aggiungere che se la / (x, y) è continua in tutto il campo : — C (x, y, h) — I ' 4- 00 — J(x,y-\-kv)e dv CO (§ 2) è, per ogni y e k fissi {k 0) continua rispetto ad x : tale è infatti, se s’ indica con d una quantità positiva qualsivoglia, la funzione rappresentata dall’ integrale : j/x I f {X,y -h kv) e J — à dv (*; che al tendere di d all’ infinito, converge in egual grado a $ {x, y, k) per tutti i valori di X, y, e k. Riprendendo allora la; F (x, y, h, k) hi ^ / C> (x, y, k) e ' ^ du (*) Cfr., Ar\elà : Sulle serie di funzioni; 1. c. Parte seconda. § 19. 16 Carlo Severini [Memoria 11.1 se ne deduce, per ogni x, _v e ^ (/t >> 0) ; lim F (x, h, k) = (]) (x, V, k). h — o Si ha inoltre per ogni x : lim (t) (x, V, k) = f (x, v) k — Q sicché risulta in ultimo ; lim lim F (X, V, /;, k) f (x, v) k—Q h~o Da ciò, per il risultate; del i; 4, si deduce il seguente teorema, che è una generaliz- zazione di quello enunciato al ^ 6. Se f (x, y) è una fuiiBìone reale , ad un valore, delle variabili reali x ed y, continua rispetto ad ognuna di queste ; limitata, doppiamente periodica, col periodo 2c rispetto ad x e col periodo 4d rispetto ad y, {c e d quantità positive) atta all’in- tegrasione di campo per x e y, che soddisfano alle limitasioni : — c < .V < -|- c — d < y <_ f- d , condizione necessaria e sufficiente affinchè in un punto dato sia rappresentabile mediante la serie doppia di Fourier ^ nn nm , ,, inz un m: m-z V V {'hii n cos — X cos — ; — r -f- /> „ cos X sen —y v + c sen — x cos — r- y -I- n m ’ c rf ' c d - c a ^ 0 0 , nz uizL c sen X cos —y y) c d è che tale serie risulti in quel punto convergente. 8. Passiamo ora ad un aìlio caso notevole. Supponiamo che in un punto assegnato x y la f (x y) , per la quale s’ intendono sempre soddisfatte le condizioni del § 1, ammetta un limite determinato e finito quando il punto X, y tende ad x y , muovendosi lungo un raggio uscente da questo ; in altri termini, posto X = x' -f- p cos 6 , y z=:y' p sen 0 , per ogni 6 fisso esista il lim f (x' A- p cos 6 , y + p sen d) =

(kp cos 6, kp sen 6) e p dp "2' Cp(9) ^0 / (^P ^P 6) e O J o — p' Pop- per quanto abbiamo sopra posto ed a causa della (15)^ esisterà un valore del para- metro k, abbastanza piccolo perchè risulti, tutte le volte che si ha ^ ^ Ìì , qualunque sia 0, non appartenente aU’insieme rinchiudibile sopra detto e qualunque sia p, compreso fra o e p (G); cioè : (kp cos d, kp sen) d rp(ft) I — P' I d< (kp cos Q, kp senQ) e p dp a T ’ Se ne deduce (17) (‘2TZ Fp (6j / rfQ / cK^p COS0, ^psen Q) « % dp J o J o Quanto all’ altro integrale a T • ■2u: i'p(O) ^ ? (G)% I « ‘ P^P , che figura nella (16), si ha : j‘2TZ /*P (0) F2i: f'oo f‘2% — PC I — o2 — /

0 in alcuni casi , la polinucleosi. In altri casi di patogenesi dubbia il reperto citologico è misto: endoteliale e linfocitario con aggiunta più o meno pronunziata di polinucleari; in questi casi 1’ autore ammette o un' ascite tubercolare o un’ ascite cirrotica infetta da tu- bercolosi. Cosicché r A. in conclusione pur ammettendo che la formula citologica nei casi di liquido peritoneale è d’ interpretazione più difficile di fronte ad un versamento pleurico, ri- tiene che un reperto con prevalenza endoteliale parla per una cirrosi, una predominanza di linfociti per una peritonite tubercolosa. Le ricerche recenti dell’ Ritinger negano qualunque valore diagnostico alla citologia dei versamenti, anche quello che l'iguarda la differenziazione fra transudati ed essudati ; ncn ammettendo nemmeno la formula da tutti accettata per i transudati : la endoteliale. Egli ha visto endotelii in essudati di natura tubercolare, cellule polinucleari neutrofile in liquidi pleurici tubercolari di data non recente (2 mesi) e linfocitosi in essudati pleurici recenti (2-3 giorni). D’ altro canto in essudati non tubercolari ha visto qualche volta polinucleosi altra volta linfocitosi. Mentre si osserva frequente 1’ incostanza della formula endoteliale nei transudati. II. L' esame microscopico degli elementi cellulari dei liquidi da versamento , sorto come semplice osservazione , è assurto alla dignità di citodiagnosi specialmente per le osserva- zioni di Vidal e Ravaut, i quali i primi imposero al procedimento di osservazione un’im- portanza speciale. E noi abbiamo visto che le dispute e le controversie s’ imperniano tutte sui risultati di questi AA. La prima questione agitata sulla legge formulata dai predetti autori (linfocitosi — essudato di natura tubercolare; prevalenza di leucociti polinucleari = essudato per processo infiammatorio acuto ; abbondanza di endotelii = trasudati) ha importanza per il nostro studio inquantochè se all’ esame microscopico troviamo una prevalenza di elementi endo- teliali diagnostichiamo un transudato ; se invece troviamo polinucleosi o linfocitosi dichia- riamo il liquido un essudato. Ma le cose stanno in questi limiti precisi e netti ? In questo nostro studio noi non ci occupiamo che dei liquidi pleurali e peritoneali. Abbiamo visto che molti autori hanno confermato più o meno le formole del Widal {Baryon e Cade, Courmont ed Arloing, Dovter, Dieiilafoy, Achard, Sicliard etc.), ed anche il Wolf ed il Montagard intendono essere d’ accordo col Widal, concedendo una linfocitosi di elementi però provenienti non dal sangue direttamente , come il Widal vuole, ma da alterazioni regressive dei polinucleari ; attribuendo a questa pseudo-linfocitosi un' origine indiretta, mediata, dal sangue ; mentre poi d’ altra parte Patella e seguaci aftermano che per questi cosidetti linfociti è esclusa qualunque origine ematica, essendo 1’ endotelio il generatore dei pseudolinfociti. Però mentre tutti questi autori possono essere d accordo Atti Acc., Serie "V, Vol. II. Mem. III. ' ^ 10 Doti. G. Alonso [Memoria III]. riguardo alla presenza di linfociti o pseudolinfociti, per il nostro argomento ciò suona con grande dissenso : dobbiamo noi caratterizzare il transudato col linfocita vero o con elementi che ad esso danno luogo e che si trovano in via di trasformazione, oppure con endotelii o con polinucleari ? E d’ altra parte quali sono gli elementi che prevalgono e che caratte- rizzano l’essudato? La prevalenza di polinucleari o di linfociti (veri o falsi) e l’assenza o la poca quantità di endotelii sono criterii che parlano per 1’ essudato ? Abbiamo visto che per il transudato quasi tutti gli autori escludono la presenza o pre- valenza di polinucleari ; nè 1’ osservazione di Dopter e Tanton di avere trovato dei po- linucleari in prevalenza e scarsezza di endotelii in un versamento per cirrosi epatica, può con successo opporsi alla opinione più diffusa ; sappiamo dalle osservazioni di Gilbert e Villaret, e di Cade che asciti che all’ inizio o finché non si erano svuotate presentavano la formula endoteliale, dopo eseguite delle punzioni, dimostravano una prevalenza polinu- cleare, e ciò perchè un processo d’ infezione determinato dalla punzione vi apportava i po- linucleari. Quindi niente di strano che il Dopter e Tanton si siano imbattuti in un caso analogo. Invece la maggioranza degli autori, mentre esclude che nel puro transudato si trovino dei leucociti polinucleari, ammette (Widal, Ravaut, Achard e Loeper, Signorelli, Gra- megna, Kóster, Gilbert e Villaret^ Cade etc.) che questo presenti la caratteristica pre- valenza di elementi endoteliali e di forme degenerative di essi. Altri autori vi trovano come elementi prevalenti dei pseudolinfociti con origine endoteliale (Patella) o polinucleare (Wolff). Per gli essudati le opinioni sono discordanti ; un solo elemento ha trovato 1’ accordo della maggioranza di opinioni, il leucocita polinucleare, presente o prevalente negli essudati per processi acuti e specialmente infettivi. Per altri elementi, alcuni autori , facendo capo alle osservazioni di Widal, sostengono che negli essudati, e precisamente negli essudati di origine tubercolare, il reperto predominante sia quello di una linfocitosi, altri invece am- mettono una pseudolinfocitosi con elementi provenienti non dal sangue ma da alterazioni di altri elementi (endotelii). Come si vede, la soluzione del problema nella diagnosi differenziale fra essudato e transudato in base al reperto citologico è molto intrigata o, per lo meno, molto più com- plessa di quanto non è apparso agli occhi della maggior parte degli AA. all’ inizio delle loro ricerche. III. Come abbiamo detto per le ricerche presenti furono utilizzati i liquidi su cui si stu- diarono la percentuale di albumina, la densità e la prova di Rivalta. Diciamo subito che i risultati dello studio di questi caratteri collimano con quelli delle presenti osservazioni. Per queste ricerche citologiche i versamenti venivano esaminati, per necessità di cose, non immediatamente alla loro estrazione, e perciò essendo di bisogno di centrifugare pos- sibilmente tutti gli elementi morfologici contenuti e trovandosi buona parte di questi , nei liquidi contenenti fibrina, impigliati fra i fili di questa già coagulata, si metteva in libertà sbattendo il liquido in parte coagulato in una bottiglia più o meno grande — secondo la quantità di liquido — contenente delle perle di vetro : così il coagulo veniva disgregato e Gli elementi citologici e le loro alterasioni negli essudati ecc. 11 gli elementi rimanevano liberi. Si centrifugava, si toglieva l’eccesso di liquido per decan- tazione, e delle gocce di questo residuo si stendevano con un filo di platino sui portaggetti. La fissazione si faceva col calore o con 1’ alcool assoluto o con la miscela di Ni- kiforojf, quest’ultimo mezzo specialmente quando si dovevano pigliare in esame i linfociti e le cellule endoteliali. I preparati si tenevano nell’ alcool assoluto o nel liquido di Niki- JoroJf per 7^ ora. La colorazione si faceva col triacido di Ehrlicli in cui , come si sa , le diverse tinte sono date da una soluzione acquosa concentrata di Grange , di fucsina acida e di verde di metile ; oppure con la miscela colorante di Csensinsky composta da : Soluz. acquosa satura di bleu di metilene . . . c. c. 40 „ al Va io alcool a 7Qo di cosina . . . c. c. 20 Glicerina ) A .-,1 ^ k ana gr. 20 Acqua distillata i Si mettevano i preparati nel liquido colorante e si esponevano al calore fino allo svi- luppo dei primi vapori. Dopo accurato lavaggio in acqua si esaminavano^ oppure si lavavano si asciugavano e si montavano in balsamo. La miscela colorante di Csensinsky mentre ha dato degli splendidi risultati specialmente nella colorazione dei nuclei in un bel bleu intenso e del protoplasma dei linfociti anch’esso in bleu, si è mostrata inadatta per i leu- cociti polinucleari neutrofili , rimanendo il protoplasma incolore e le granulazioni anche scolorate o solo qualche volta appena colorate in viola. A ciò serviva bene il triacido con cui si coloravano preferibilmente i preparati già fissati al calore. Questi si tenevano 5-10 minuti nella miscela triacida. Dopo lavaggio in acqua si asciugavano e si osservavano in acqua. Questa preziosa miscela colorante di Ehrlicli fa bene risaltare le granulazioni neu- trofile in violetto mentre i nuclei restano colorati in violetto ed il protoplasma specialmente dei linfociti in rosa. Stimiamo opportuno per potere mettere in relazione questi risultati coi precedenti già pubblicati (1), e per chiarire qualche interpretazione dubbia, di trascrivere l’andamento cli- nico dei casi, aggiungendo 1’ esame istologico ; A. Essudati pleurici Caso 1. — Giovane di anni 22 — Pleurite essudativa sinistra — Versamento formatosi da circa 9 giorni — Condizioni generali buone — Alla punzione si estraggono circa 1500 c. c. di liquido limpido giallo ambra — Densità 1018 — Reaz. alcalina — Albumina 3,31 Qo — Prova di Rivalla positiva. L’ esame microscopico mostra discreta quantità di endotelii in parte integri , in parte alterati. Prevalenza di leucociti polinucleari per la maggior parte in buono stato di conser- vazione — Pochi linfociti. Caso 2. — Campagnuolo di anni 38 — Ottime condizioni nutritive — Pleurite essudativa semplice — Versamento datante da 12 giorni— Liquido estratto giallo arancio chiaro, circa c. c. 1000 — Densità 1020 — Reazione alcalina — Albumina 3,68 Qq — Prova di Rivalla po- sitiva. (i) G. Alonzo — loco dt. 12 Doti. G. Alonso [Memoria III] Esame microscopico ; Grande quantità di polinucleari neutrofili, in maggioranza ben conservati ; pochi in via di degenerazione — Pochi endotelii e linfociti più o meno ben conservati. Caso 3. — Donna di anni 45 — Pleurite essudativa — \"ersamento datante da IC gior- ni— Liquido estratto c. c. 1300 — Colorito giallo paglia— -Densità 1022 — Reazione alcalina — Albumina 3, 92 7o — Prova di Rivalla positiva. Air esame microscopico : Prevalenza polinucleare ; questi leucociti si mostrano in parte alterati. Si notano abbondanti endotelii isolati e a lembi di 4-5 assieme. Questi elementi non presentano intense alterazioni ; notasi in alcuni un certo grado di degenerazione idro- pica. Sono presenti pure dei linfociti veri , i quali anch’ essi, hanno attenuato il potere di assumere il colore. Pochissimi pseudolinfociti. Ad una seconda punzione fatta dopo 15 giorni, si estraggono 950 c. c. di liquido limpido di colorito giallo paglia — Densità 1028 — Albumina 4,01 ®/o — Prova di Rivalta positiva. Esame microscopico : Liquido molto corpuscolato ; molti endotelii, in quantità mag- giore polinucleari — Pochi pseudolinfociti e linfociti veri. Caso 4. — Giovane di 26 anni — Pleurite tubercolare — Essudato da 20 giorni — Li- quido estratto 2 litri, giallo un po’ torbido — Densità 1019 — Albumina 5,01 Qq — Prova di Rivalta positiva. Air esame microscopico si nota una prevalenza linfocitica con molti polinucleari alte- rati—Molti endotelii — Presenti un numero rilevante di pseudolinfociti — Molti globuli rossi. Dopo 22 giorni si pratica un secondo svuotamento — Liquido estratto c. c. 1900 — Densità 1018 — Reazione alcalina— Albumina 4, 98 “/o — Prova di Rivalta positiva. Esame microscopico; Discreta quantità di linfociti ed endotelii più o meno alterati — Molti polinucleari con intense alterazioni. Caso 5. — Donna di anni 48 — Pleurite tubercolare — Essudato da 15 giorni — Li- quido giallo torbido, c. c. 1500 — Densità 1018 — Reazione alcalina — Albumina 4,51 °/o — Reazione di Rivalta positiva. Esame microscopico: Linfociti e polinucleari in notevole quantità — Molti endotelii a lembi — Globuli rossi — Pseudolinfociti in discreta quantità. Caso 6. — Giovane di anni 33 — Pleurite tubercolare — Essudato da 35 giorni — Pri- mo svuotamento si estraggono 2 litri di liquido limpido giallo cedro — Densità 1020 — Albumina 4, 18 % — Prova di Rivalta positiva. Seconda punzione dopo 14 giorni — Liquido giallo ambra, c. c. 1500 — Densità 1026 — Albumina 4, 32 7q — Prova di Rivalta positiva. Esame microscopico; Prevalenza linfocitica — Discreto numero di endotelii , pseudolin- fociti e polinucleari in parte alterati. Terzo svuotamento dopo 10 giorni — Liquido giallo torbido — Densità 1027 — Albu- mina 4, 50 7o “ Prova di Rivalta positiva. Air esame microscopico : abbondanti polinucleari in massima parte in preda ad intense alterazioni — Pochi linfociti— Discreta quantità di endotelii e piccoli linfociti. Caso 7. — Giovane di anni 28 — Pleurite semplice — Essudato datante da circa 25 giorni. Primo svuotamento — Centim. cub. 2150 di liquido limpido di colorito giallo-ambra. Densità 1022 — Albumina 4, 08 7o — Prova di Rivalta positiva. Gli elementi citologici e le loro alterazioni negli essudati ecc. 13 Esame microscopico : Globuli rossi linfociti e polinucleari in abbondanza — Pochi endotelii — Rari pseudolinfociti. Secondo svuotamento — Dopo 20 giorni si estraggono c. c. 1600 di liquido giallo ambra — Densità 1024 — Albumina 4, 82 % — Prova di Rivalla positiva. Sempre abbondanti linfociti e polinucleari, in maggior quantità i primi — Endotelii in discreta quantità — Qualche pseudolinfocito. Terzo svuotamento, dopo 30 giorni — Liquido giallo torbidiccio , c. c. 1980 — Den- sità 1028 — Albumina 5,01 % — Prova di Rivalla positiva. Linfociti e polinucleari abbondanti. — In quantità discreta pseudolinfociti ed endotelii. B. — Essudati addominali Caso 8. — Giovane di anni 16. — Peritonite essudativa — Liquido formatosi da circa 45 giorni. Si estraggono litri 8 — Densità 1010 — Albumina 3, 05 o/° — Prova di Rivalla spiccata. Esame microscopico : Endotelii in discreta quantità — ■ Prevalenza polinucleare — Po- chi linfociti. Caso 9. — Giovane di 25 anni — Peritonite essudativa — Versamento datante da 34 giorni — Estrattone litri 11 — Densità 1018 — Albumina 5,80 ”/o — Prova di Rivalla po- sitiva. Linfocitosi prevalente — Pochi pseudolinfociti e polinucleari — Notevole quantità di endotelii. Molti globuli rossi. Dopo 30 giorni si fa un’ altra punzione tirando fuori 10 litri di liquido — Densità 1019 — Albumina 5,82 — Prova di Rixalta positiva. Polinucleosi e linfocitosi in egual grado : elementi molto alterati — Pochi globuli rossi. Molti lembi endoteliali — Rari pseudoiinfociti. Caso 10. — Bambino di anni 8 — Peritonite essudativa, versamento datante da 30 giorni — Si estraggono 8 litri di liquido giallo ambra — Densità 1022 — Reazione alcalina — Albumina 5,63 q/” — Prova di Rivalla evidente. Molti linfociti — Pochissimi polinucleari alterati — Discreta quantità di endotelii in parte alterati ; pochi pseudolinfociti — Globuli rossi. Caso 11. — Peritonite essudativa in un bambino di anni 6. Versamento datante da 28 giorni. Si estraggono 7 litri di liquido giallo cedro — Densità 1016— Albumina 4,61 “/o-- Prova di Rivalla positiva. Prevalente linfocitosi — Molti polinucleari. — Qualche pseudolinfocita — Pochi endotelii molto degenerati — Globuli rossi. Caso 12. — Donna di anni 31 — Polisierosite da 10 mesi. Precedentemente ha avuto fatti 4 svuotamenti — Alla 5^ dopo 25 giorni si estraggono 12 litri di liquido giallo cedro fioccoso, torbidiccio — Densità 1021 — Albumina 5,68 — Prova di Rivalla positiva. — Air esame microscopico si notano: Globuli rossi — Endotelii liberi e a lembi — Molti lin- fociti — Polinucleari in discreta quantità — Intense alterazioni di tutti gli elementi. Caso 13. — Ragazza di anni 16 — Peritonite essudativa — Svuotamento dopo circa 25 giorni dall’ inizio del versamento — Liquido estratto 9 litri, giallo cedrino limpido — Densità 1016 — Albumina 2,95 ®/o — Prova di Rivalla spiccata. Air esame microscopico si notano filamenti di fibrina che impigliano gli elementi mor- 14 Doti. G. Alonso [Memoria III.J fologici. Molti endoteli! e polinucleari abbastanza alterati — Pochi pseudolinfociti — Discreto numero di linfociti. Caso 14. — Ragazzo di anni 14 — Peritonite tubercolare con versamento iniziatosi da circa 35 giorni. Si estraggono 8 litri di liquido giallo chiaro torbido — Densità 1025 — Reazione alcalina — Albumina 4,99 % — Reazione di Rivalta positiva. Esame microscopico : Prevalenza di polinucleari in cui si notano moltissime fasi de- generative — Linfociti ed endotelii in discreto numero — Pochi pseudolinfociti — Abbon- danti globuli rossi. Caso 15. — Donna di anni 30 — Peritonite tubercolare con ascite voluminosa. Ha già subito una punzione circa un mese addietro — Al 2° svuotamento si estraggono litri 12 Va di liquido giallo chiaro, torbido — Densità 1028. — Albumina 5,61 ”/o — Prova di Rivalta positiva — Spiccata linfocitosi — Polinucleari ed endotelii in discreto numero, molto alterati — Pochi globuli rossi. Caso 16. — Giovane di 23 anni affetto da peritonite tubercolare con notevole versa- mento iniziatosi da 32 giorni. Alla punzione si aspirano 8 litri di liquido giallo limpido Densità 1020 — Reazione alcalina — Albumina 5,92 % — Prova di Rivalta positiva. Molti linfociti e molti polinucleari ; in minor numero endotelii — Pochissimi pseudolinfociti — Glo- buli rossi — Gli endotelii e i polinucleari sono molto alterati. Dopo 25 giorni si fa un altro svuotamento in cui si aspirano 6 litri — Densità 1020 — Albumina 5,81 % “ Prova di Rivalta positiva. — Prevalente numero di linfociti— Polinucleari molto degenerati— Endotelii in discreto numero, intensamente alterati — Pochi pseudolinfo- citi — Pochi globuli rossi. Pi} — Transudati pleurici. Caso 1. — Donna di anni 47 — Cardiopatia con transudato pleurico più marcato a destra, iniziatosi da circa un mese — Si estraggono litri 2 Va di liquido di colorito giallo ambra — Densità 1013 — Albumina 1,19 7o — Prova di Rivalta negativa. Esame microscopico : Molti endotelii liberi ed a lembi, con alterazioni intense — Pochi linfociti alterati — Numerosi pseudolinfociti. Dopo 18 giorni si fa un secondo svuotamento estraendo un litro e Va di liquido — Densità 1012 — Albumina 1,12 % — Prova di Rivalta negativa. Prevalenza spiccata di endotelii in massima parte liberi e molto degenerati — Molti pseudolinfociti — Rari polinucleari — Pochi linfociti in parte alterati. Caso 2. — Donna affetta da cardiopatia con versamento datante da circa 40 giorni — Si estraggono circa 1600 c. c. di liquido giallo chiaro — Densità 1016— Albumina 2,56 ®/o — Prova di Rivalta, nubecola appena visibile. Prevalenza spiccata di endotelii la maggior parte a lembi — Discreto numero di pseu- dolinfociti. Dopo 22 giorni dalla prima si fa una seconda punzione e si aspirano c. c. 1950 di liquido molto chiaro — Densità 1015 — Albumina 2,10 °/o — Prova di Rivalta negativa. Endoteliosi spiccata di elementi molto alterati — Notevole quantità di pseudolinfociti — Qualche raro polinucleare. Gli elementi citologici e le loro alterazioni negli essudati ecc. 15 — Transudati addominali Caso 3. — Giovane di anni 34 con ascite voluminosa per cirrosi epatica. Ha già subito 11 svuotamenti; al 12”, dopo 15 giorni dall' 11'’, si estraggono 10 litri di liquido giallo cedro — Densità 1008 — Albumina 0,42 '’/o- Prova di Rivalta negativa. Esame microscopico : Endotelii in grande quantità, alterati. Discreto numero di pseu- dolinfociti. Qualche raro polinucleare e qualche linfocito. Dopo 1 1 giorni si fa un 2° svuotamento in cui si aspirano 9 litri di liquido — Den- sità 1006 — Albumina 0,36 °/o. Prova di Rivalta negativa. Endoteliosi come sopra — Molti pseudolinfociti — Pochi linfociti. Dopo 14 giorni si fa un 3” svuotamento — Estratti 11 litri — Densità 1006 — Albu- mina 0, 22 7o — Prova di Rivalta negativa — Esame microscopico come sopra. Caso 4. — Individuo di anni 58 con ascite per tumore addominale. Ha già subito una prima punzione — Nella presente (2Q si estraggono litri 6 di liquido giallo rossastro — Densità 1016 — Albumina 2, 30 ”/o — reazione acetica lieve nubecola. Molti globuli rossi ed endotelii degenerati ; pochi linfociti e pseudolinfociti. Terzo svuotamento dopo 24 giorni. Estratti 14 litri e 7^ di liquido molto chiaro — Densità 1018 — Albumina 0, 69 % — Nubecola poco distinta alla prova acetica. Mediocre quantità di endotelii degenerati— Pochi globuli rossi— Pochi linfociti e pseu- dolinfociti. Notevole quantità di pplinucleari alterati. Dopo 14 giorni si fa una quarta punzione — Si estraggono 8 litri di liquido giallo cedrino torbidiccio — Densità 1010 — Albumina 0, 48 % — Prova di Rivalta come sopra. Molti endotelii alterati — Discreta quantità di polinucleari, di linfociti e di pseudolinfociti. Quinto svuotamento dopo 11 giorni. Estratti 10 litri — Densità 1008 — Albumina 0,45 Reazione di Rivalta con nubecola quasi invisibile — Endotelii e linfociti alterati , abbon- danti — Molti pseudolinfociti e pochi polinucleari. Caso 5. — Individuo di anni 52 — Ascite per tumore addominale — Dopo 60 giorni dall’inizio del versamento si estraggono 12 litri di liquido giallo cedrino — Densità 1019 — Albumina 2, 57 % — Prova di Rivalta negativa. Globuli rossi — Molti endotelii abbastanza alterati , la massima parte isolati — Scarsi linfociti — Notevole quantità di pseudolinfociti — Qualche polinucleare. La seconda punzione si fa dopo 10 giorni dalla prima ; si estraggono litro 8 di li- quido giallo rossastro — Densità 1015 — Albumina 1,36 7o — Prova di Rivalta negativa. Molti globuli rossi , molti endotelii — Notevole quantità di pseudolinfociti — Pochi lin- fociti — Rari polinucleari- Terzo svuotamento dopo 14 giorni. Estratti litri 7 di liquido giallo paglia — Densità 1014 — Albumina 1,44 % — Prova di Rivalta negativa. Globuli rossi in discreta quantità — Moltissimi endotelii isolati, alterati — Pochi linfo- citi e pseudolinfociti — Qualche 'raro polinucleare. Quarta punzione dopo 30 giorni — Aspirati litri 14 Va di liquido giallo arancio— Den- sità 1016 — Albumina 1,84 “/o — Prova di Rivalta positiva. Molti polinucleari e linfociti — Discreta quantità di endotelii e di pseudolinfociti. Quinta estrazione dopo 12 giorni, litri 11 7^ — Densità 1014 — Albumina 1,22% — Prova di Rivalta positiva. 16 Doti. G. Alonso [Memoria IH]. Linfocitosi ed endoteliosi — Anche i polinucleari sono in discreta quantità — Pochi pseudolinfociti. Caso 6. — Ascite voluminosa per cirrosi atrofica del fegato in individuo di anni 33, che ha già subito 6 precedenti svuotamenti. Dopo 15 giorni si estraggono 10 litri di li- quido giallo cedrino — Densità 1008 — Albumina 1,34 7o — Prova di Rivalla negativa. Endotelii per la maggior parte isolati e molto degenerati. Molti pseudolinfociti — Po- chissimi linfociti — Qualche raro polinucleare. Dopo 9 giorni si fa la 8^ estrazione di liquido, litri 12 — Densità 1008 — Albu- mina 0, 99 Vo — Reazione acetica appena percettibile — Endoteliosi come sopra — Numerosi linfociti — Discreto numero di pseudolinfociti e polinucleari molto alterati— Globuli rossi. Dopo 8 giorni si estraggono ancora 14 litri di liquido giallo cedro, un poco torbido. Densità 1009 — Albumina 0, 65 % — Prova di Rivalla leggermente positiva. Molti linfociti — Endotelii e polinucleari in notevole quantità , molto alterati — Molti pseudolinfociti — Globuli rossi. Caso 7. — Ammalato di anni 33, di cirrosi atrofica del fegato. Ha già subito una prima punzione — Dopo 15 giorni si estraggono 9 litri di liquido giallo cedrino — Densità 1010 — Albumina 1,35 °/o — Prova di Rivalla negativa. Endotelii, in prevalenza a lembi, molto alterati — Rari pseudolinfociti — Pochi linfociti. Dopo 22 giorni si estraggono ancora 16 litri di liquido giallo cedrino— Densità 1009. Albumina 1, 22 7o — Reazione acetica negativa — Rilevante numero di endotelii in massima parte isolati, molto alterati — Rari pseudolinfociti — Pochi linfociti. Quarto svuotamento dopo 18 giorni — Si estraggono litri 15 di liquido giallo cedro, poco torbido— Densità 1010 — Albumina 1,22% — Prova di Rivalla poco intensa — Molti linfociti — Pochi endotelii — Pochi pseudolinfociti. Dopo 15 giorni si fa una quinta punzione , aspirando 18 litri di liquido leggermente torbido, giallo cedrino chiarissimo — Densità 1009 — Albumina 0, 92 % — Prova di Rivalla positiva come sopra — Linfocitosi spiccata — Globuli rossi — Molti endotelii liberi intensa- mente alterati. Pseudolinfociti in discreta quantità. Dopo 15 giorni si aspirano litri 20 di liquido, poco torbido chiarissimo. Densità 1008. Albumina 0, 97 % — Prova di Rivalla positiva come sopra. Caso 8. — Individuo di anni 60 — Ascite per tumore addominale , iniziatosi da 45 giorni. Si estraggono 14 litri di liquido giallo chiaro — Densità 1010 — Albumina 0, 90 % — Prova di Rivalla negativa— Molti endotelii isolati e a lembi, molto alterati. Notevole quan- tità di pseudolinfociti — Pochi linfociti, nessun polinucleare. Dopo 25 giorni si aspirano 8 litri di liquido — Densità 1010 — Albumina 0, 86 7o — Prova di Rivalla negativa — • Endotelii con alterazioni intense — Pseudolinfociti in discreta quantità. Caso 9. — Cirrosi epatica in individuo di anni 34, con ascite datante da circa un mese. Si aspirano 7 litri di liquido giallo limpido. Densità 1014. Albumina 2,50 %• Prova di Rivalla negativa. Endotelii — Polinucleari in minor numero — Pochi linfociti — Pochissimi pseudolinfociti. Secondo svuotamento dopo 15 giorni — Si estraggono 10 litri di liquido giallo limpi- do— Densità 1012 — Albumina 2,82 °/o — Prova di Rivalla negativa. Persiste la presenza dei polinucleari con minor numero di endotelii e pseudolinfociti. Dopo 20 giorni si fa una terza punzione; e si aspirano 12 litri di liquido — Densità Gli elementi citologici e le loro alterasioni negli essudati ecc. 17 1008 — Albumina 1,05 % — Prova di Rivalla negativa. Molti endotelii alterati e linfociti. Pochi polinucleari. Quarto svuotamento dopo 15 giorni. Si estraggono 14 litri di liquido giallo rossastro chiaro — Densità 1007 — Albumina 0,60 °/o- ' — Prova di Rivalla positiva leggermente. Discreto numero di polinucleari ed endotelii — Pochi pseudolinfociti. Caso 10. — Individuo di anni 54. Cirrosi epatica con versamento datante da circa 45 giorni. Si aspirano 9 litri di liquido giallo paglia. Densità 1010 — Albumina 1,70 % — Prova acetica negativa — Molti endotelii — Discreta quantità di linfociti — Pochi pseudolin- fociti — Pochi polinucleari. Seconda punzione dopo 25 giorni — Quantità estratta litri 9 — Densità 1008 — Albu- mina 0, 68 °/o — Prova di Rivalla appena positiva. Esame microscopico uguale al prece- dente ; gli elementi sono in avanzata alterazione. Terza punzione dopo 15 giorni — Liquido giallo chiaro, litri 8 — Densità 1012 — Al- bumina 1,86 7u ~ Prova di Rivalla più pronunziata della precedente. Molti endotelii liberi e molti linfociti — Rari polinucleari — Discreta quantità di pseudolinfociti. Quarto svuotamento dopo 16 giorni — Estratti 9 litri di liquido giallo, molto chiaro — Densità 1012. Albumina 1,98 7u — Prova di Rivalla come la precedente. Molti linfociti : discreta quantità di endotelii isolati, degenerati e di pseudolinfociti. Quinta punzione — Liquido giallo chiarissimo; 7 litri — Densità 1018 — Albumina 2,15 7o — Prova di Rivalla positiva. Esame microscopico uguale al precedente. Sesta punzione — Litri 8 — Densità 1021 — Albumina 3,14 % — Reazione acetica positiva. Abbondanza di endotelii isolati intensamente alterati. — Si nota un discreto nu- mero di linfociti e di pseudolinfociti. Caso 11. — Voluminosa ascile per epatite interstiziale in un giovane di anni 28, iniziatasi da circa 60 giorni. Prima punzione — Liquido giallo cedrino — litri 13 — Densità 1014 — Albumina 2,30% Prova di Rivalla negativa. Prevalenza di endotelii a lembi — Notevole quantità di linfociti, pochi pseudolinfociti. Secondo svuotamento dopo 25 giorni — litri 9 — Densità 10l5 — Albumina 2,29 7o “ Prova di Rivalla negativa. Reperto microscopico uguale al precedente ; solo si nota minor numero di linfociti. Terzo svuotamento dopo 15 giorni — litri 12 — Densità 1012 — Albumina R90 7o — Prova di Rivalla negativa. Endoteliosi con elementi degenerati — Discreta quantità di pseu- dolinfociti e di linfociti — Pochi polinucleari in parte alterati. Quarto svuotamento dopo 20 giorni — litri 16 — Densità 1018 — Albumina 2,90 7o — Reazione di Rivalla visibile, poco intensa. Molti linfociti ed endotelii — Notevole quantità di polinucleari degenerati. Caso 12. — Ascile per cirrosi epatica datante da 5 mesi in individuo di anni 54, che ha già subito 2 svuotamenti. Terza punzione dopo 40 giorni — litri 10 di liquido giallo cedrino chiaro — Densità 1011 — Albumina 1,94 7o — Prova acetica negativa. Formula prevalentemente endoteliale — Pochi pseudolinfociti — Pochissimi polinucleari. Quarta punzione dopo 20 giorni — litri 12 — Densità 1009 — Albumina 0,84 7o — Prova di Rivalla negativa. Molti endotelii degenerati — Discreta quantità di pseudolinfociti e di linfociti in parte degenerati. Atti Acc., Serie V, Vol. II. Mtm. III. 3 18 Dott. G. Alonso [Memoria III]. Quinta punzione dopo 15 giorni — litri 8 — Densità 1007 — Albumina 0^60 ®/o ~ zione acetica negativa. Spiccata endoteliosi con elementi molto degenerati — Molti pseudo- linfociti — Pochi linfociti — Pochi polinucleari. Caso 13. — Cirrosi epatica da circa 6 mesi in individuo di anni 54, con ascite svuo- tata già 9 volte — Dopo 9 giorni si fa il 10“ svuotamento — litri 8 di liquido giallo ce- dro— Densità 1007 — Albumina 0,32 “/o — Prova di Rivalla negativa. Molti lembi endote- liali ed endotelii liberi degenerati — Linfociti e pseudolinfociti in discreta quantità. Undicesima punzione dopo 1 1 giorni — litri 8 di liquido chiarissimo — Densità 1006. Albumina 0,117 7o — Reazione acetica negativa. Esame microscopico come sopra. Dodicesima punzione dopo 9 giorni — litri 9 — Densità 1008 — Albumina 0,22 “/o — Reazione di Rivalla appena visibile. Linfociti in abbondanza — Discreta quantità di endotelii specialmente liberi, degenerati — Molti pseudolinfociti — Qualche raro polinucleare. Riuniamo in un quadro i dati più importanti dei casi descritti per poterli mettere più chiaramente in relazione fra loro ; A. — Essudati pleurici. Num. progr. MALATTIA Numero delle punzioni Da quanto tem- po SI è iniziata la formazione del versamento Densità Albumina Prova di Rivalta ESAME CITOLOGICO A. — Essudati pleurici. I Pleurite sempl. essudativa 1“ punzione 9gior. 1018 34' "/o positiva Discreta quantità di endotelii — Pre- valenza di polinucleari — Pochi linfociti. 2 Idem i“ » 12 » 1020 3,68 idem Grande quantità di polinucleari — Pochi endotelii e linfociti. 3 Idem I® » IO » 1022 3.9^ idem Prevalenza polin ucleare — Endotelii isolati e a lembi in abbondanza. Pochi linfociti. Pochissimi pseu- dolinfociti. » » 2^ » 15 » 1028 4,01 idem Prevalenza polinucleare, molti en- dotelii, pochi pseudolinfociti e linfociti. 4 Pleurite tubercolare . . . I® » 20 » 1019 5, 0! idem Prevalenza linfocitica. Molti polinu- cleari, endotelii e globuli rossi. Di- screto numero di pseudolinfociti. % » » ... 2^ » 22 » 1018 4, 98 idem Molti polinucleari. Discreta quantità di linfociti, pseudolinfociti ed en- dotelii. 5 Idem la » 15 * 1018 4, 5' idem Prevalenza linfocitica e polinuclea- re. Molti endotelii a lembi e glo- buli rossi. Discreto numero di pseudolinf. 6 Idem la » 35 » 1020 4, 18 idem Prevalen. linfocitica con pochi pseu- dolinfociti. Endotelii. Pochi poli- nucleari e globuli rossi. » » 2a » 14 » 1026 4, 32 idem Prevalenza linfocitica. Discreto nu- numero di endotelii, pseudolinfo- citi e polinucleari. » » 3“ » IO » 1027 4. 50 idem Abbondanti polinucleari. Pochi lin- fociti. Discreto numero di endo- telii. 7 Pleurite essudativa sempl. la » 25 » 1022 4, 08 idem Molti globuli rossi linfociti e poli- nucleari . Pochi endotelii. Rari pseudolinfociti. » % » » 20 » 1024 4. 82 idem Prevalenza linfocitica. Molti poli- nucleari. Discreto numero di en- dotelii. Rari pseudolinf. » » » 3“ » 30 » 1028 5,01 idem Come sopra. I pseudolinfociti sono aumentati di numero. Gli elementi citologici e le loro alterasioni negli essudati ecc. 19 u oc O Numero o tem- niziata zione mento ■ri Prova Cu MALATTIA 5 P “ in C s di ESAME CITOLOGICO Num delle punzioni Da (ju! pO 81 è la fon del vei Q < Rivalta B. — Essudati peritoneali. 8 Peritonite essudativa. . . I* punzione 45 gìor. lOIO 3. 05 positiva 9 Idem 0 * 34 » 1018 5, 80 idem » » 2* » 30 » 1019 5,82 idem IO Idem 0 » 30 » 1022 5,63 idem II Idem 0 » 28 * 1016 4,61 idem 12 Polisierosite 5» (4 preced.) 25 » 1021 5,68 idem 13 Peritonite essudativa . . la » 25 1016 2,95 idem 14 Peritonite tuberbolare . . 0 » 35 » 1025 4, 99 idem 15 Idem la (I prec.) 30 » 1028 5,61 idem 16 Idem la » 32 1020 5,95 idem » » 2“ » 25 » 1020 5,81 idem Prevalenza polinucleare. Endotelii in discreto numero. Pochi linfo- citi. Prevalente linfocitosi Molti endo- telii e globuli rossi. Pochi pseu- dolinfociti e polinucleari. Polinucleosi e linfocitosi. Molti lem- bi epiteliali. Pochi globuli rossi. Rari pseudolinfociti. Molti linfociti. Pochissimi polinu- cleari. Discreta quantità di endo- telii. Pochi pseudolinfociti e glo- buli rossi Prevalente linfocitosi. Molti polinu- cleari. Pochi endotelii e globuli rossi. Qualche pseudolinfocito. Molti linfociti. Polinucleari in di- screta quantità. Globuli rossi ed endotelii liberi e a lembi. Molti endotelii e polinucleari. Di- screto numero di linfociti. Pochi pseudolinfociti. Prevalenza polinucleare. Linfociti ed endotelii in discreto numero. Pochi pseudolinfociti. Molti glo- buli rossi. Spiccata linfocitosi. Polinucleari ed endotelii in discreto numero. Po- chi globuli rossi. Molti linfociti e polinucleari. In mi- nor numero endotelii. Pochissi- mi pseudolinfociti. Prevalente linfocitosi. In discreto numero polinucleari ed endotelii. Pochi pseudolinfociti e globuli rossi. A'. — Transudati pleurici. I Cardiopatia punzione 30 » 1013 I. ’-9 negativa » » 2“ » 18 » 1012 I, 12 idem 2 Idem la >, 40 » lOlf' 2. 36 Nubecola appena visibile » » 2» » 22 » 1015 2, IO negativa B'. — Transudati addominali. 3 Cirrosi epatica 12® (il prec.) 1 5 gior. 1008 0,42 7o negativa » » 1 3“ » I I » 1006 0, 36 negativa » ■» 14® » 14 » 1006 0. 22 negativa 4 Tumore addominale . . . 2^ (i prec.) 30 » 1016 2. 30 lieve nubecola * » 3“ « 24 » 1018 0, 69 idem Molti endotelii. Numerosi pseudo- linfociti. Pochi linfociti. Prevalenza endoteliale. Molti pseu- dolinfociti. Pochi linfociti. Rari polinucleari. Prevalenza endoteliale. Discreto nu- mero di pseudolinfociti. Endoteliosi. Pseudolinfociti in di- screta quantità. Rari polinucleari I Spiccata endoteliosi. Discreto nu- mero di pseudolinfociti. Rari po- linucleari e linfociti. Endoteliosi. Molti pseudolinfociti. Pochi linfociti. Come sopra. Molti globuli rossi ed endotelii. Po- chi linfociti e pseudolinfociti. Notevole quantità di polinucleari. Discreto numero di endotelii. Po- chi linfociti, pseudolinfotici e glo- buli rossi. 20 Doti. G. Alonso [Memoria III]. Num. progr. MALATTIA Numero delle punzioni Da quanto tem- po SI è iniziata la formazione del versamento Densità Albuminai Prova di Rivalta ESAME CITOLOGICO » 4'“ » 14 » lOIO 0, 48 idem Molti endotelii. Discreta quantità di polinucleari, di linfociti e di pseudolinfociti. » » 5* » I 1 > 1008 0,45 idem Abbondanti endotelii e linfociti. Molti pseudolinfociti, pochi poli- nucleari. 5 Idem I» > 60 » 1019 2, 57 negativa Prevalenza endoteliale con molti pseudolinfociti. Rari polinucleari. Scarsi linfociti. > > 2» * IO » 1015 1, 36 idem Come sopra con molti globuli rossi. » » 3“ 14 i. 1014 1,44 idem Prevalenza endoteliale. Pochi lin- fociti e pseudolinfociti. Qualche raro polinucleare. Glob. rossi. > » 4" » 30 » 1016 I, 84 positiva Molti polinucleari e linfociti. Di- screta quantità di endotelii e di pseudolinfociti. » » 5^ » 1 2 » 1014 I, 22 idem Linfocitosi ed endoteliosi. Polinu- cleari in discreta quantità. Po- chi pseudolinfociti. 6 Cirrosi atrofica del fegato 7» (6 preced.) 15 » 1008 1, 34 negativa Endoteliosi con molti pseudolinfo- citi. Pochissimi linfociti. Rari po- linucleari. » » 8» » 9 » 1008 0, 99 nubecola appena visibile Endoteliosi . Discreto numero di pseudolinfociti e polinucleari. Nu- merosi linfociti. Globuli rossi. » » 9=* f> 8 » 0 0 0, 65 idem Molti linfociti e pseudolinfociti. Di- screto numero di endotelii e po- linucleari. Globuli rossi. 7 Idem 2^ ( I prec.) 15 » lOIO 1, 35 negativa Prevalenza di endotelii. Pochi lin- fociti. Rari pseudolinfociti. » » 3a » 22 » 1009 I, 22 idem Molti endotelii. Pochi linfociti. Rari pseudolintociti. > » 4* » 18 » lOIO I. 22 appena visibile Molti linfociti. Pochi endotelii e pseudolinfociti. » » 5" » 15 » 1009 0,92 idem Spiccata linfocitosi. Molti endotelii Discreto numero di pseudolinfo- citi. Globuli rossi. » » 6^ 15 a 1008 0, 97 idem Come sopra 8 Tumore addominale . . . I® » 45 ^ lOIO 0. 90 ' negativa Endoteliosi. Notevole quantità di pseudolinfociti. Pochi linfociti. Nessun polin. » » ->a » 25 s> lOIO 0, 86 idem Come sopra. Nessun linfocito. » » 3'^ » 28 » 1009 0, 68 idem Endoteliosi . Discreto numero di pseudolinfociti. 9 Cirrosi epatica !*■ » 30 » 1014 2, 50 idem Prevalenza endoteliale. Polinucleari in minor numero. Pochi linfociti. Pochissimi pseudolinfociti. » » 2* » 15 » 1012 2, 82 idem Polinucleari ed endotelii. Minor nu- mero di pseudolinfociti. » 3*^ » 20 » 1008 1,05 idem Molti endotelii e linfociti. Pochi po- linucleari. » » 4* * 15 » 1007 0, 60 leggermente positiva negativa Discreto numero di polinucleari ed endoteli]. Pochi pseudolinfociti. IO Idem I* » 45 * lOIO I, 70 Molti endotelii. Discreta quantità linfociti. Pochi pseudolinfociti e polinucleari. » » 2^ » 25 » 1008 0, 68 legg. positiva Come sopra. » 8 3“ » 15 » 1012 I 86 positiva Molti endotelii e linfociti. Discreto numero di pseudolinfociti. Rari polinucleari. » » 4* > 16 » 1012 I. 98 idem Molti linfociti. Minor numero di endotelii e pseudolinfociti. » » 5* » 20 » iot8 2. 15 idem Come sopra. » » ó» » 18 » 1021 3> 14 idem Prevalenza endoteliale. Minor nu- mero di linfociti e pseudolinfociti. Gli elementi citologici e le loro alteraBioni negli essudati ecc. 21 Num. progr. MALATTIA Numero delle punzioni Da quanto tem- po SI è iniziata la formazione del versamento Densità Albumina Prova di Rivalla ESAME CITOLOGICO Il Epatite interstiziale . . . I» » 6o » 1014 2, 30 negativa Prevalenza endoteliale. Minor nu- mero di linfociti. Pochi pseudo- linfociti. » » 2®- » 25 » 1015 2, 29 idem Come sopra. Minor numero di lin- citi. » > 3* » 15 » 1012 1,90 idem Endoteliosi . Discreto numero di linfociti e pseudolinfociti. Pochi polinucleari. > » » 20 1018 2, 90 legg. positiva Molti linfociti ed endotelii. Minor numero di polinucleari. 12 Cirrosi epatica 3* (2 pree.) 40 » lOI I I, 94 negativa Prevalenza endoteliale. Pochi pseu- dolinfociti Pochiss. polinucleari. » 4®- » 20 » 1009 0, 84 idem Molti endotelii, Minor numero di linfociti e di pseudolinfociti. > » 5^ » 15 1007 0. 60 idem Endoteliosi . Molti pseudolinfociti. Pochi linfociti e polinucleari. 13 Idem 10^ (9 prec.) 9 ■7) 1007 0, 32 idem Molti endotelii. Minor numero di linfociti e di pseudolinfociti. > 1 » I I 1006 0. 1 17 idem Come sopra. » 12^ 9 1008 0. 22 legg. positiva Molti linfociti e pseudolinfociti. Mi- nor numero di endotelii. Rari polinucleari. IV. Le esposte osservazioni su 16 essudati e 13 essudati ci fanno vedere come gli ele- menti in essi contenuti vanno a subire notevoli alterazioni. Ci occupiamo prima di queste, anche per vedere ciò che al riguardo è utile al nostro tema. Nella ricerca di queste alterazioni ci siamo esclusivamente occupati di tre elementi : endotelii, polinucleari, linfociti ; e ciò 1° perchè sono gli elementi frequenti nei versamenti e quindi importanti per la diagnosi differenziale ; 2° perchè spesso caratterizzano il pro- cesso da cui dipende il versamento. Alterazioni importanti si sono osservate in tutti e tre elementi, ma specialmente nei primi due. Le alterazioni prime endoteliali si sono trovate in elementi esistenti assieme ad altri perfettamente sani, i quali si mostrano di grandezza naturale, di forma rotonda o quasi ; questo inizio di alterazione non consiste che in una diminuita affinità per i colori : 1’ ele- mento, che per il resto presentasi perfettamente normale , mostra solo un indebolimento nella capacità di tingersi, per cui con la miscela di Czenzinsky il protoplasma mostrasi lievemente colorato in bleu. In altri elementi 1’ alterazione è più progredita, notasi un certo grado di degenerazione idropica ; l’ elemento è aumentato di volume per rigonfiamento tor- bido ; anche il nucleo, anch’ esso rigonfiato, presenta la membrana nucleare tesa. In alcune cellule questo stato è tanto marcato da dare 1’ aspetto come se volessero scoppiare. Tanto il citoplasma che il carioplasma assieme alle dette modificazioni presentano quello della diminuita capacità di colorirsi. In alcuni elementi in preda a questo stato di sovrabbondante imbibizione si vedono uno o parecchi vacuoli, e qualche volta uno tanto grosso da spingere il nucleo verso la 22 DoU. G. Alonso [Memoria III] periferia. Non è infrequente vedere nuclei in contatto con questi vacuoli , i quali ultimi pare che abbiano esercitato sul nucleo una spinta tanto forte da incavarlo ed adattarlo su di loro ; ciò dimostra che in questa formazione vacuolare protoplasmatica vi è tanta re- sistenza da comprimere il nucleo. Del resto in tutti gli elementi in cui si sono formati questi vacuoli il nucleo ne resta sempre compresso ed in certo modo compromesso, in modo da presentare alterata la ordinaria forma rotonda, apparendo ora allungato, ora quasi piriforme, ora a forma di fagiuolo e contemporaneamente mostrandosi ' dapprima poco af- fine per i colori, e poi dimostrando una certa fragilità per cui esso comincia a disgregarsi, a spezzettarsi e finire poi in ultimo in detrito. In questi in cui 1’ alterazione nucleare è tanto progredita , il citoplasma è anche fortemente compromesso. Abbiamo accennato ad una diminuita capacità di tingersi e ad un vero stato di de- generazione idropica e vacuolare. Posteriormente il citoplasma mostrasi di aspetto grosso- lanamente granuloso, e poi vi cominciano ad apparire delle minute goccioline rifrangenti , di grasso. Questa minuta degenerazione grassa è messa bene in rilievo, specialmente nella zona citoplasmatica attorno al nucleo, trattando i preparati col liquido di B'iemming. È da notare come in nessun eleii^ento abbiamo potuto seguire questa degenerazione nel modo come si svolge ordinariamente. Qui la formazione di minute goccioline si arresta a questo stato ; non avviene, come succede negli elementi degli organi parenchimali, la fusione delle goc- cioline in gocciole più grosse, fino ad invadere tutto il citoplasma. Pare invece che es- sendo r elemento endoteliale abbastanza compromesso, esso non abbia la facoltà di resi- stere alle fasi della degenerazione grassa e al successivo disgregamento , ma quando la degenerazione in piccole goccioline adipose appare , il citoplasma già comincia a disgre- garsi. E ciò spesso prima, ma qualche volta dopo la demolizione del nucleo. Sicché in ultima analisi di alcuni endotelii non resta che qualche residuo di detrito. È molto singolare il fatto che in elementi vacuolizzati il citoplasma difficilmente pre- senta delle gravi alterazioni disgregative, le quali sono gradualmente intense in quegli en- dotelii che non mostrano dei vacuoli : si direbbe quasi che nel primo caso tutta 1’ attività degenerativa citoplasmatica si concentri nella produzione di vacuoli, e quando questi man- cano, il protoplasma cellulare subisce più specialmente le fasi degenerative. Contemporaneamente o appena dopo l’ inizio dei fatti degenerativi citoplasmatici il nu- cleo mostra anch’ esso delle alterazioni di un certo rilievo. Principalmente in tre maniere abbiamo visto avverarsi la demolizione del nucleo : In alcuni endotelii in preda a forte imbibizione , anche il nucleo è ingrossato e la membrana nucleare fortemente tesa. Questa sia per la diminuita resistenza sia per 1’ au- mento della tensione endonucleare, pare che a certo punto scoppii in qualche punto, met- tendo in certo modo in libertà il carioplasma. In altri elementi invece pare che il nucleo perda di vitalità, esso diviene piccolo, ir- regolare, intiSichisce, fin quando si frammenta. Abbiamo osservato la prima maniera (ca- rioressi) qualche volta in epoca in cui il citoplasma non era ancora distrutto , sicché suc- cede di vedere il nucleo in brandelli in mezzo al citoplasma più o meno alterato. L’ im- picciolimento e la frammentazione del nucleo specialmente si sono notati in elementi quasi del tutto demoliti, in modo che i residui nucleari erano messi in libertà. Ma di fronte a questi due modi di demolizione del nucleo, evvene uno più frequente Gli elementi citologici e le loro alterasioni negli essudati ecc. 23 e più importante e su cui si è imperniata una dibattuta questione : intendiamo dire della degenerazione picnotica dei nuclei endoteliali, che, secondo Patella, porterebbe ad una in- terpretazione speciale sulla provenienza di tutti i linfociti esistenti nelle raccolte, i quali si dovrebbero designare come pseudolinfociti, provenienti da regressione endoteliale, e non come veri linfociti provenienti dal sangue. In alcuni elementi endoteliali il nucleo si vede divenire piccolo , talvolta irregolare. Contemporaneamente acquista un aspetto omogeneo, ed assume il colore con una intensità sorprendente : esso si colora tutto ugualmente come un corpicciuolo di una massa indif- ferente, omogenea. Tutto succede in mezzo ad un citoplasma alterato; e quindi non è dif- ficile scorgere nuclei picnotici entro cellule endoteliali intere sebbene con citoplasma inten- samente alterato ; come d’ altra parte è facile riscontrare endotelii disgregati che mettono in libertà il nucleo picnotico completamente libero o portante attorno residui di citoplasma. Effettivamente questo stato è frequente ed abbondante nei versamenti contenenti en- dotelii ; esso ha una perfetta somiglianza con una linfocita ; e costituisce ciò che è stato denominato pseudolinfocita nel senso di Patella. Ma se la pseudolinfocitosi esiste e tanto numerosa da dare peso nella diagnosi di un versamento, esistono pure i veri linfociti ai quali si deve accordare anche lo stesso impor- tante valore diagnostico. Questi dementò come bene fa osservare lo Schifone, sono resi- stentissimi. D’ altra parte le alterazioni, appariscenti in essi non sono molte. In molti preparati, in mezzo ad un numero prevalente di linfociti normali piccoli, ro- tondi, con un bordo spesso esilissimo di citoplasma e con un nucleo che assume il colore con una intensità meravigliosa, si vedono qua e là di questi linfociti normali di forma e di grandezza che solo presentano in rapporto alla colorazione una pallidezza estrema ; hanno di molto attenuata 1’ affinità pei colori. E ciò riguarda nucleo e citoplasma. Come fase terminale si vedono elementi in cui si comincia a manifestare un certo grado di di- sgregamento ; ed altri ridotti in detrito. Fra le due fasi di questi elementi, incapacità a colorirsi e disgregamento cellulare, non abbiamo potuto sorprendere altro stato di passaggio. Per cui è facile ammettere che l’attenuazione o la perdita del potere di tingersi sia l’esponente di quello stato di alterazione nella compagine cellulare che finisce con lo sgretolamento dell’ elemento linfocitario. La prima manifestazione che abbiamo riscontrato in primo tempo negli altri elementi, cioè r indebolimento ad assumere i colori è anche per i leucociti polinucleari neutrofili l’in- dice primo dell’ alterazione cellulare. E si trovano certi preparati in cui le alterazioni cel- lulari del citoplasma in specie, hanno un riscontro in quelle degli endotelii. Generalmente si nota da parte delle granulazioni un’ attenuazione ad una incapacità a colorirsi. Sicché mentre la colorazione violetta che col triacido assumono le granulazioni neutrofile, mostrasi solo debole in alcuni elementi, in altri non appare affatto e le granu- lazioni quasi quasi non si vedono. Ciò che ha indotto qualche autore ad ammettere che esse in primo tempo siano sparite, mentre probabilmente nella maggioranza dei casi sono semplicemente poco visibili. È notevole il contrasto che presenta in alcuni elementi il nucleo colorato intensamente e r aspetto sbiadito, incoloro del citoplasma. Sono molto interessanti poi le alterazioni regressive nucleari che più specialmente si appalesano con la frammentazione del nucleo e col finale disgregamento o con la conden- sazione picnotica di essi frammenti, nel quale ultimo caso questi assumono una tinta molto 24 Doti. G. Alonso [Memoria III.J intensa. Lo spezzettamento nucleare non sempre accompagna l’ intensità delle alterazioni citoplasmatiche, spesso esso comincia in mezzo ad un citoplasma discretamente conservato, molto sbiadito ; mentre in altri casi esso procede in elementi molto alterati ed in cui il citoplasma comincia a presentare un certo grado di degenerazione grassa ed un principio di disgregazione. E da notare che anche qui la degenerazione grassa non va avanti come ordinariamente, ma si arresta ad un aspetto finamente granuloso di corpicciuoli adiposi. Abbiamo detto che si osserva molto frequente la frammentazione nucleare e la dege- nerazione picnotica di essi frammenti, che perciò assumono una colorazione molto intensa. Così intenderebbero alcuni AA. {Wolff, Montagard etc.) spiegare la genesi dei lin- fociti dei versamenti, ammettendo non una vera linfocitosi ma una pseudolinfocitosi con elementi provenienti dai polinucleari. Però tali elementi sono talmente differenziabili dai veri linfociti che la somiglianza non è possibile : in questa maniera di degenerazione polinu- cleare gli elementi restano ordinariamente piccoli, di dimensioni molto più limitate dei lin- fociti veri. Oltracciò se si va ad esaminare con molta accuratezza il residuo citoplasmatico di questi polinucleari degeneraci, non è difficile scoprire in esso la presenza più o meno chiara delle granulazioni neutrofile. Vero è che i menzionati AA. si basano sul carattere della presenza delle granulazioni nei loro pseudolinfociti di derivazione polinucleare, come un segno che attesti nei pseudolinfociti questa derivazione e non altra; ma ammesso questo carattere, esso costituisce una caratteristica differenziale tra questi pretesi pseudolinfociti e quelli che si osservano in molti versamenti, i quali ultimi elementi non presentano affatto granulazioni, svelabili in nessuna maniera. Le alterazioni descritte si riscontrano tanto nei versamenti meccanici che in quelli in- fiammatori con differenze d’ intensità. Per gli endotelii e per i linfociti le alterazioni cellu- lari sono diffuse e marcate in quegli elementi nuotanti nei liquidi da causa meccanica. L’ imbibizione idropica vi è manifesta in un tempo breve e assume tali proporzioni come non si osserva negli essudati. Già gli endotelii per sè, come lo Schifone ha fatto osser- vare, sono gli elementi più soggetti ad alterazioni; e a conferma di ciò abbiamo visto che in ogni osservazione si constatano quasi tutte le cellule endoteliali in preda a degenera- zione, mentre per gli altri elementi, in molti non si vedono alterazioni di sorta. I leucociti polinucleari neutrofili mostrano le più cospicue alterazioni negli essudati, specialmente per ciò che riguarda la frammentazione nucleare con la fase picnotica, la quale è più frequente a riscontrare nei liquidi infiammatori. Forse per queste differenze influiscono da una parte il tempo in cui gli elementi stanno immersi nei liquidi e dall’ ai- fi altra la diversa composizione di essi liquidi. Abbiamo visto come una questione tanto dibattuta è quella che riguarda la identifi- cazione degli elementi osservati. Questa questione, che non riguarda gli endotelii e i poli- nucleari su cui fi accordo pare completo nelfi ammettere essere i primi gli epitelii delle sie- rose cavitarie e i secondi i leucociti del sangue, questa questione si agita ancora e molto sui linfociti presenti nei liquidi. Sono essi quelli del sangue o hanno altra provenienza ? Una numerosa schiera di osservatori — Widal, Ravaut, Barion, Masuel, Courmont, Arloing^ Tuffier, Milian, Sichard, Dópter, Tanton, Achard, Castaigne , Massari, Schupfer, Cade, Koster, Samele, Signorelli, Lotti, Schifone (il quale ultimo non ebbe ad osservare trasformazione di polinucleari o di endotelii in pseudolinfociti) ed altri — am- mettono che essi linfociti sono i veri e propri del sangue, migrati ; anzi alcuni vanno più Gli elementi citologici e le loro alterasioni negli essudati ecc. 25 in là — basandosi sulle osservazioni di Hirsclifeld, "i^olff, etc. — affermando in questi linfo- citi dei veri movimenti ameboidi con che spiegano il loro passaggio dal sangue nei liquidi da versamento. Da aggiungersi è l’opinione di alcuni AA. fra cui Tarchetti e Rossi, i quali anch’ essi credono trattarsi di veri linfociti, ma derivanti dalla linfa. Contrariamente alle opinioni dei sopraddetti , altri AA. non credono che si tratti di veri linfociti, ma di forme degenerative (picnosi nucleare) di altri elementi, le quali hanno una grande simiglianza coi linfociti veri, i cosidetti pseudolinfociti. E qui riguardo alla de- rivazione le opinioni non sono concordi. Barjon e Masuel pur ammettendo una linfoci- tosi ematica, non negano 1’esistenza contemporanea di un piccolo numero di pseudolinfociti i quali provengono da degenerazione polinucleare. Questa genesi è ammessa in parte da ^olff, Montagard etc., i quali benché accettano una limitata migrazione di linfociti nei versamenti, d’ altro canto ammettono esistenti in questi liquidi una vera pseudolinfocitosi proveniente da alterazione polinucleare, analogamente all’ osservazione di Ehrlich, il quale in individui anemici aveva visto rari elementi di aspetto simile ai linfociti e provenienti secondo lui, da degenerazione dei polinucleari. E da notare però che questa osservazione di Ehrlich è qualche cosa di ben diverso, come fa notare il Patella, e cioè un processo raro avverantisi nel sangue di spezzettamento del nucleo e di divisione del citoplasma dei polinucleari, per cui risultano 3— i elementi piccoli, molto somiglianti ai veri linfociti. Diversamente, come abbiamo visto. Patella, lardini, Gramegna, Abate ed altri , sostengono una pseudolinfocitosi al posto di una linfocitosi ematica, ma ammettono che i pseudolinfociti derivano da alterazione picnotica nucleare dell’ endotelio che riveste la ca- vità ove si raccoglie 11 versamento. Se diamo uno sguardo ai risultati delle nostre osservazioni risalta subito che le opi- nioni degli uni e degli altri sono troppo esclusiviste ; pecca la scuola francese con a capo il ^'idal quando sostiene che tutti i linfociti siano d’origine ematica; sono fuori del vero quelli che ammettono che tutte le linfocitosi nei versamenti sono costituite esclusivamente da pseudolinfociti di provenienza da altri elementi degenerati. Noi abbiamo visto costantemente e numerosa una psudolinfocitosi proveniente dagli elementi endoteliali e parallela quasi sempre ad una coesistente endoteliosi. Ed in nessun caso dall’esame dei nostri preparati siamo auorizzati ad ammettere una trasformazione polinucleare con produzione di pseudolinfociti. Questo risultato sarebbe in contraddizione con r affermazione di Barjon e Masuel che cioè la provenienza endoteliale degli pseu- dolinfociti non esiste ed il fatto notato sia un errore di osservazione ; che essi quando esi- stono, siano rari e provengano dai polinucleari. A corroborare la nostra osservazione viene in aiuto il fatto che in processi acuti as- sieme al grande numero di polinucleari non abbiamo trovato una correlazione parallela con pseudolinfociti, anzi precisamente nella grande maggioranza di casi, questi mancavano dove esisteva una netta polinucleosi. Come pure, è innegabile che una linfocitosi vera, ematica esiste ed è quella che ca- ratterizza sempre i versamenti per processi irritativi o infiammatorii poco intensi, lenti. Lo Schifane nel suo pregevolissimo lavoro sulle alterazioni degli elementi morfolo- gici dei versamenti, accenna ad un tipo di degenerazione citoplasmatica con poca altera- zione del nucleo, in cui questo assume delle note alterative — e specialmente la rarefazione della cromatina e la più debole colorazione di esso — al quale tipo riferisce l’interpetrazione del Patella, erronea, secondo 1’ A., per la dissimiglianza di questo tipo dai veri linfociti. At 1 Acc., Serie V, Vol. II. Mem. III. 4 26 Dott. G. Alonso [Memoria III]. A noi pare però che non sia questo il tipo di alterazioni a cui il Patella e seguaci si riferiscono per ammettere la pseudolinfocitosi , ma ad un altro da noi frequentemente constatato, in cui, come abbiamo già detto, il nucleo assume una colorazione molto in- tensa che somiglia molto a quella che normalmente assume il nucleo del linfocito. D’ altra parte in questi pseudolinfociti di derivazione epiteliale, tanto simiglianti ai veri linfociti non è diffìcile constatare dei caratteri {Patella, lardini) coi quali si possano sem- pre differenziare dai veri linfociti ; come delle dimensioni più piccole o maggiori , una tin- gibilità più rapida e più intensa, una affinità per i colori in ragione inversa della grandezza dell’ elemento, carattere proprio della degenerazione picnotica. Ammessa, secondo le nostre osservazioni, diffusa questa pseudolinfocitosi essa è im- portante per la diagnosi di un versamento, perchè noi siamo autorizzati a pensare ad una formula endoteliale anche in quei casi in cui gli endotelii sono in piccolo numero ed i pseudolinfociti in numero rilevante da dare assieme ai primi una formula prevalente. Un altro fatto importante risulta dalle nostre osservazioni, e cioè che non si può dare un valore assoluto, esclusivo per 1’ origine tubercolare a quei versamenti che presentano una prevalenza di veri linfociti. Ciò concorda coi risultati di Strauss , che trovò formula linfocitica in un essudato non tubercolare. Noi infatti abbiamo visto che in molti versamenti, specie transudati addominali, mentre alle prime punzioni si è mantenuta una formula prevalente endoteliale e pseudolinfocitica, poi a poco a poco per fatti infìammatorii lenti sopraggiunti, i linfociti hanno preso il pre- dominio. Quindi pare che il linfocito si riscontra prevalente nei versamenti di natura tu- bercolare, non perchè sia quasi specifico di questi processi , ma perchè questi rientrano nella categoria dei processi di natura infiammatoria lenta, torpida, con pochi fatti reattivi. Che, se invece il processo infiammatorio s’inizia fin da principio con fenomeni acuti, allora dominano i polinucleari. Aggiungiamo che in alcuni casi (oss. 9 transudati) mentre il processo infiammatorio lento, torpido decorre con la formula linfocitica, in un transudato che presenta abbondanza di endotelii e pseudolinfociti, di botto si acutizza o una nuova infezione sopraggiunge , e allora la polinucleosi diviene la predominante, ciò che ha riscontro nelle osservazioni già accennate di Dopter e Tanton, di Gilbert e Villaret e di Cade. Tutti questi fatti i quali ci fanno pensare che perchè in un versamento siano pre- senti i polinucleari non basta un processo infiammatorio, ma che questo abbia dei carat- teri acuti, sia rappresentato da un agente capace di richiamare per virtù chemiotattica i polinucleari, ci dimostrano ancora che il linfocita non rappresenta la formula citologica speciale del versamento di natura tubercolare , ma che esso domina in tutti quei casi in cui, come abbiamo detto , un processo infiammatorio lento , torpido si svolge. E di ciò fanno fede buona parte delle nostre osservazioni sui transudati addominali. Noi vediamo, come in un precedente lavoro abbiamo illustrato (1), che quando si ri- petono le punizioni , a poco a poco un transudato addominale acquista caratteri di essu- dato. Ciò, come abbiamo spiegato , può esser dovuto a quegli alternantisi stati di anemia e congestione che i vasi subiscono quando essi, compressi e ischemizzati dalla pressione (i) Trattasi delle ricerche accennate in principio di questo lavoro. Gli elementi citologici e le loro alterasioni negli essudati ecc. 27 che esercita il versamento , con lo svuotamento poi divengono congesti per 1’ affluire ra- pido del sangue. Ma vi sono casi in cui il transudato acquista a poco a poco caratteri infiammatorii , perchè — come p. es. in una cirrosi del fegato o in un tumore addominale — a poco a poco la stessa causa che ha dato luogo al transudato, genera dei fatti intiammatorii leggeri. In altri casi i fenomeni infiammatorii si sviluppano per accidentale infezione nel praticare le ripetute punzioni, e allora trattasi di fenomeni che hanno prevalentemente carattere acuto, in cui si ha richiamo di polinucleari. Le nostre osservazioni ci dimostrano ancora che possono accumularsi alcune di que- ste cause : cosi in un versamento cominciato con caratteri puri di transudato, per infiam- mazione lieve e lenta si aggiunge dell' essudato con prevalenza linfocitica, in seguito un grande numero di polinucleari dimostra la acutizzazione dei fatti infiammatorii per una causa che, come una accidentale sopravvenuta infezione, è capace di aggiungere 1’ acuzie in un processo infiammatorio lento e poco intenso. E a tal proposito è utile notare come ciò succede qualche volta in essudati di natura tubercolare con formula linfocitica , in cui o per risveglio di attività del bacillo di Koch o per infezione sopraggiunta data dallo streptococco o da altro microrganismo, la linfocitosi lascia il posto o si aggiunge ad una predominante polinucleosi (oss. 6^, 8®, 9®, 16^ essudati). Le osservazioni citologiche esposte, secondo noi portano un contributo in una questione non priva d’ importanza. Si sa che molti autori dal Landouzy in poi non esitano a di- chiarare quasi tutte le pleuriti semplici a /rigore, di natura tubercolare ; e alcuni portano a convalida di questa opinione il reperto prevalentemente linfocitario in alcune delle sud- dette pleuriti. I risultati delle nostre esperienze invece, ai fatti clinici — i quali sempre più dimostrano la insostenibilità che dalla pleurite a frigore possa originarsi la pleurite tuber- colare o per meglio dire che la prima sia 1’ inizio della seconda — aggiungono un altro fatto, e cioè che la linfocitosi non è carattere da portarsi come contributo alla opinione del Landouzy ; giacché essa formula non è caratteristica delle affezioni tubercolari delle sierose, ma solo di processi infiammatorii lenti, poco intensi. È naturale ora farsi la domanda : quali sono gli elementi che di più si osservano in un dato versamento in modo da caratterizzarlo e quali alterazioni si riscontrano con pre- dilezione in uno più che in un altro versamento ? Noi nel corso delle esposte osservazioni, abbiamo visto che una vera linfocitosi esi- ste, a cui la scuola del Widal, quando si riscontra in un liquido da versamento, vuole dare una caratteristica speciale ; il significato della natura tubercolare, per cui nacque la formula citologica ; prevalente linfocitosi = essudato tubercolare. Però d’allora in qua molti sono gli autori che hanno dimostrato la detta formula inso- stenibile ; e noi abbiamo visto come la speciale caratteristica non sia ben fondata e molti transudati ed essudati di natura non tubercolare sono li a dimostrarlo ed a mettere in rilievo che, tranne uno sparuto numero di linfociti non difficile a riscontrarsi anche in transudati puri, la linfocitosi prevalente è segno di versamento infiammatorio, decorrente con feno- meni poco intensi e lenti. Si è fatta tanta discussione per stabilire come i linfociti possano trovarsi nei versa- menti e se essi abbiano o no potere migratorio, discussione che trova la sua ragione an- che in relazione alla ipotesi messa avanti da alcuni autori, di una pseudolinfocitosi fatta 28 Doti. G. Alonso [Memoria III.J da degenerazione di elementi in sito (endotelii) o di altri ematici (polinucleari) di cui è chiaro e da tempo dimostrato il potere migratorio. Per r obbietto delle nostre ricerche questa questione poco importerebbe a noi. Allo scopo diagnostico, basterebbe sapere quali sono gli elementi che si trovano nelle due specie di liquidi ; sarebbe di secondaria importanza sapere come e perchè essi siano pervenuti in detti liquidi. Però la questione ha sempre una certa attinenza col nostro studio. Noi am- mettiamo che linfociti veri si possono trovare non solo negli essudati cronici non tuberco- lari, ma nei trasudati puri, benché in questi in sparuto numero. Ciò è d’ accordo con una opinione espressa da Wolff in uno dei suoi primi lavori sull’ argomento, in cui afferma che un reperto di linfociti è presente in puri trasudati, am- mettendo fra questi dei versamenti sterili tubercolari, in cui fu esclusa qualunque lesione alla pleura. Da tutto ciò risulta un’ altra prova per escludere che essi siano chiamati che- miotatticamente dall’azione di speciali prodotti batterici tubercolari; e possiamo, in altri ter- mini, escludere ancora la specificità di essi linfociti in rapporto all’ essudato tubercolare. D’ altra parte la migrazione dei linfociti è tutt’ altro che provata, e se II oljf, Jolly, Hirschfeld, Baumgarten, Ranvier, Reinach, ed altri ancora sostengono movimenti attivi e potere migratorio nei linfociti, non mancano autori come Ehrlich, Gravvits, Schultse , Bendix, Ribbert, Israel etc. J), i quali negano nei linfociti qualunque attività migratoria. La questione quindi per lo meno fin’ oggi pare irresoluta. In un modo o nell’ altro esiste il fatto che veri linfociti, ed in casi speciali prevalen- temente, sono presenti nei versamenti ; e questi ultimi casi sono per noi interessanti, giac- ché in piccolo numero possono essere presenti in qualunque versamento : mentre la pre- valenza assoluta e frequente è stata da noi riscontrata nei casi di essudato per infiamma- zione lenta e poco intensa. Un altro elemento riscontrato diffusamente nei versamenti è la cellula endoteliale. La prevalenza di questo elemento è di grande importanza pel suo significato speciale. Su ciò quasi tutti gii autori sono d’ accordo : 1’ elemento endoteliale isolato o a lembi si riscontra predominante ed è caratteristico nei liquidi da versamento meccanico, nei transu- dati. Tutte le nostre osservazioni su questi liquidi ne danno una prova chiara, costante. In essi r endotelio molto di buon’ ora subisce delle alterazioni regressive da noi già de- scritte, alterazioni le quali manifeste nei due generi di versamento, sono molto spiccate e caratteristiche nei transudati. L’ esame dei casi nostri ci fa rilevare come una delle alterazioni più notabili che si riscontrano è la degenerazione idropica; però mentre negli essudati passa rapidamente ad altre fasi alterative (degenerazione grassa del citoplasma, alterazioni nucleari etc.) nei tran- sudati subisce uno svolgimento piuttosto lungo, sicché arriva ad un grado tanto inoltrato da sembrare che 1’ elemento stia per scoppiare . In ciò può concorrere la diversa costitu- zione chimica del versamento , che nel primo caso più intensamente e presto attacca la compagine del citoplasma facendo subire ad esso in modo piuttosto rapido le successive fasi alterative, che quindi rapidamente lo porta alla distruzione; mentre nel caso dei tran- sudati la composizione chimica del liquido pare abbia un’azione sul citoplasma meno intensa, sicché questo nei primi tempi s’imbeve sempre più di liquido e solo relativamente tardi comin- cia a presentare le altre fasi degenerative che vi determinano la disgregazione, la distruzione. (^) V. Patella — Morf. degli essudati — 1905. Gli elementi citologici e le loro alteraBioni negli essudati ecc. 29 Il distacco endoteliale comincia a lembi ed è constatabile ad elementi isolati in se- guito. Una delle altre alterazioni, che come abbiamo detto ha dato e dà luogo ancora ad una viva discussione, è la trasformazione pseudolinfocitica dell’ elemento endoteliale. Questi pseudoliofociti, i quali possono differenziarsi dai veri linfociti e a cui d’ altra parte per le ragioni già esposte, non si può assegnare un’ origine polinucleare, hanno appunto per la loro provenienza endoteliale una stretta relazione con questi elementi. I transudati, specialmente addominali, largamente hanno dimostrato come abbondanti questi pseudolinfoociti si riscontrano dove abbondante è stato il distacco endoteliale. Per tutte queste ragioni al pseudolinfocito bisogna assegnare lo stesso significato dia- gnostico dell’ endotelio, anzi bisogna considerarlo come lo stesso endotelio, caratteristica di versamento meccanico. Anche il leucocito polinucleare neutrofilo rappresenta un elemento importante nei ver- samenti. Per r opinione di quasi tutti gli autori esso caratterizza il versamento infiamma- torio di indole acuta. Noi lo abbiamo visto predominante in tutti gli essudati acuti o per una causa qualunque riacutizzati (infezioni per ripetute paracentesi, riacutizzazioni di pro- cessi tubercolari etc.) CONCLUSIONI 1. Le alterazioni morfologiche studiate negli endotelii, linfociti e polinucleari ci hanno dato i seguenti risultati : A) Negli endotelii da un grado minimo di alterazione, dimostrato solo dalla diminuita affinità per i colori, 1’ elemento mostra in seguito delle note gradatamente crescenti di ri- gonfiamento torbido in toto, formazione di vacuoli e degenerazione grassa, la quale arriva solo allo stato di minute goccioline. Le alterazioni citoplasmatiche sono meno intense negli elementi vacuolizzati. La demolizione nucleare, secondo le nostre osservazioni si avvera in tre maniere ; 1° per carioressi, in quei nuclei fortemente tesi per soverchia imbibizione; 2° per un pro- cesso in cui il nucleo avvizzisce, intiSichisce, per poi frammentarsi ; 3° per degenerazione picnotica. B) I linfociti mostrano di fronte agli altri due elementi una certa resistenza. In essi le nostre osservazioni non hanno potuto colpire che elementi che presentano una diminu- zione nella capacità di colorirsi, ed altri in cui è manifesta una certa disgregazione cellu- lare per cui r elemento finisce con 1’ andare in detrito. C) Nei polinucleari, analogamente agli endoteli ed ai linfociti, la prima alterazione si mostra con una evidente pallidezza di fronte al colore adoperato, per cui le granulazioni neutrofile mostransi completamente scolorate e poco visibili. Vengono in seguito lo stato granuloso, la minuta degenerazione grassa e il disgregamento citoplasmatico. La demoli- zione nucleare si avvera per frammentazione ; ed i singoli frammenti o si riducono in de- trito o subiscono la condensazione picnotica. Le alterazioni cito e carioplasmatiche non vanno di pari passo in tutti gli elementi. 2. Dei tre elementi, endotelii, polinucleari e linfociti, i primi sono più vulnerabili ; essi mostrano alterazioni più speciali (degenerazione idropica, formazione di vacuoli) nei tran- sudati ; i polinucleari invece sono più alterati negli essudati. Queste differenze trovano forse 30 Dott. G. Alonso [Memoria III] la loro ragione nella composizione chimica del liquido dove sono immersi e nella durata d’ immersione. 3. In quanto alla identificazione degli elementi la questione è indiscussa per gli en- doteli! e per i polinucleari. Riguardo ai linfociti le nostre osservazioni ci hanno mostrato che r esclusivismo della scuola francese da una parte e del Patella dall’altra, non regge : sono visibili in casi diversi numerosi pseudolinfociti nel senso di Patella, ed in altri casi buon numero di veri linfociti provenienti dal sangue. 4. Ammessa 1’ esistenza di linfociti e di pseudolinfociti è necessaria una accurata di- stinzione fra essi, quando si deve decidere sulla natura di un versamento^ avendo i due elementi un significato molto diverso, equivalendo i secondi per derivazione ad una for- mula endoteliale. 5. Contrariamente alle affermazioni di Widal, il linfocito non è specifico dei versa- menti tubercolari, ma solo dei versamenti originati da processi infiammatori! lenti, torpidi, con fenomeni poco intensi , anche non tubercolari. Si trova quasi sempre negli essudati tubercolari, perchè questi hanno l’andamento suddetto. Mentre d’ altra parte in essudati tubercolari pigliano il sopravvento i leucociti polinucleari quando il processo subisce una riacutizzazione. 6. I polinucleari sono prevalenti nei liquidi originati da processi infiammatori! acuti o riacutizzati e specialmente, come da molti autori viene asserito, là dove esiste un agente chemiotattico capace di chiamare questi elementi. Quindi la polinucleosi quando è sola prevalente, caratterizza sempre un processo acuto, quando è concomitante ad altra formula citologica (linfocitosi), indica la riacutizzazione di un processo lento, torpido. 7. In armonia con ciò le pleuriti acute, cosidette a frigore, hanno una formula pre- valentemente polinucleare. Ciò vale ad allontanare sempre più il concetto del Landouzy, che esse siano di natura tubercolare. 8. Per la distinzione di essudati e transudati fra loro, come indizio generale può con- tribuire il fatto che le alterazioni degli elementi morfologici presentano un carattere di na- tura più distruttiva e di andamento più rapido negli essudati, anziché nei transudati; e ciò, forse in ragione della composizione chimica degli essudati diversa da quella dei transudati. Finora però le diversità d’intensità, di specie e di andamento delle alterazioni negli ele- menti morfologici dei versamenti, non ci danno criteri! sicuri per la diagnosi differenziale. 9. Pigliando in esame i singoli elementi : endoteli!, linfociti, pseudolinfociti e leucociti polinucleari neutrofili, sotto il rapporto della loro presenza nelle due specie di versamenti, possiamo dire che in transudati puri la formula prevalente è quella di endoteli e pseudolin- fociti del Patella : mentre negli essudati prevalgono i linfociti se trattasi di processo in- fiammatorio acuto (specialmente infettivo) o riacutizzato. Nei transudati la presenza o no di lembi endoteliali, il grado di degenerazione idropica e la presenza di nuclei in picnosi danno un indice della età del liquido ; inquantochè la presenza di lembi e le prime fasi della degenerazione idropica parlano per un transudato di recente formazione. In seguito e quando il versamento invecchia, i lembi endoteliali sono sempre più rari e compaiono numerosi i singoli elementi isolati. Ciò pare sia dovuto allo staccarsi 1’ uno dall’ altro degli elementi che formano i lembi e ad una caduta di singoli elementi isolati. Contemporaneamente va sempre più notandosi il processo di condensazione picnotica. Gli elementi citologici e le loro alteraBioni negli essudati ecc. 31 10. Le superiori note morfologiche reggono bene fin quando si tratta di essudati o transudati puri^ constatati tali da altri metodi differenziali e dai criterii clinici. In altri casi quando per dimostrazione di questi si può ammettere che —come per cause diverse spesso avviene — ad una specie di versamento si aggiunge a poco a poco 1’ altra, la formula non è più netta ; e se si vuol basare la diagnosi sui risultati citologici, questa riesce mano mano più difficile. E questa la ragione che ha fatto dichiarare da alcuni autori insufficiente la citologia come mezzo diagnostico dei liquidi di origine meccanica da quelli di origine infiammatoria. Questi ultimi sono i casi in cui è necessario l’ ausilio d’ indizii e caratteristiche d’ altra indole — come l’andamento clinico della malattia e i risultati di altri pregevoli metodi differen- ziali, quali la ricerca dell’ albumina, la prova di Rivalla ecc. — per arrivare alla diagnosi differenziale. 11. In base all’ anzidetto sarebbe molto ingiusto togliere alla citologia qualunque valore diagnostico. Sarebbe più equo accettarla come criterio assoluto, con le norme esposte, quan- do per essa può farsi nettamente diagnosi di versamenti puri, e come criterio contributivo ad altri, per decidere sulla natura di un prodotto, quando essa dà una formula non netta, indecisa, da potere trarre la conclusione che si tratta di versamenti di natura mista. Sentiti ringraziamenti porgo al mio maestro prof. Ughetti, per l’ indirizzo e i consigli datimi nelle presenti ricerche. Catania, Novembre 1908. 32 Dott. G. Alonso [Memoria IILl LETTERATURA Cohnheìm — Lezioni di patologia generale — 1884. 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Università di Catania D.r SALVATORE ^MES ^ ASSISTENTE E LIBEKO DOCENTE Stereotpopismo geotropismo e termotropismo nella larva di Myrmeleon formicarius L, RELAZIONE Della Commissione di Revisione composta dei Socii effettivi Proff. A. CAPPARELLI ED A. RUSSO (Relatore). Nella presente memoria 1’ Autore riduce ad atti riflessi od a speciali tropismi alcuni fenomeni relativi alla nutrizione, al movimento e all’ habitat della larva del Myrmeleon formicarius, fenomeni considerati precedentemente di natura istintiva. Egli è riuscito a notare nella larva suddetta un termotropismo, positivo, entro certi limiti, ed un vero geo- tropismo positiva anch’ esso che distingue dal fenomeno dello stereotropismo, cosi carat- teristico da darne anche una rappresentazione grafica. Le presenti ricerche tendono ad illustrar meglio, con adeguate esperienze, la teoria segmentale del Loeb ed a determinare la parte sostenuta dal “ cervello „ nella funzione locomotoria. La Commissione ritiene che la memoria del Dottor Comes, per la sua originalità, me- riti di essere inserita negli Atti Accademici. La larva del Myrmeleon formicarius è fornita, secondo i più competenti Entomologi, di sei zampe, oltre di un apparato masticatore. Essa, secondo quanto è detto in un trat- tato, il cui autore (2) è anche una eccellente Autorità sull’argomento “ scava nella sabbia un imbuto che le serve di trappola per pigliare le formiche ed altri piccoli insetti che vi sdruc- ii) Le esperienze relative all’ argomento trattato in questo lavoro furono da me eseguite l’estate scorsa durante il mio soggiorno in uno dei villaggi dell’ Etna, dove il materiale si prestava in grande abbondanza per lo studio in questione. {'1) C Emery — Trattato di Zoologia, Zanichelli, Bologna 1901. Atti Acc., Serie V, Vol. II. Mem. IV. I 2 D.r Salvatore Comes [Memoria IV’.] ciolano dentro, mentre nella sua bocca ciascuna mandibola forma, colla mascella corrispon- dente, un tubo mediante il quale la larva medesima sorbisce i succhi delle sue vittime. „ Da questo luogo e da una simile affermazione del Brehm (1) la cui opera può dirsi una vera enciclopedia biologica, parrebbe dunque che lo scopo precipuo dello scavamento da parte della larva sia volto a sorprender meglio la vittima che deve servirle da cibo. In altri termini 1’ azione dello scavamento sarebbe la manifestazione d’ un vero e proprio istinto. Il mio compito sarà quello di dimostrare inesatta 1’ asserzione e di ridurre il fenomeno ad uno speciale tropismo, o, meglio, ad un complesso di tropismi presentati dalla specie in parola. Nel corso delle mie esperienze un fatto mi ha singolarmente colpito, il non aver tro- vato mai dei formicai in vicinanza degli imbuti di Myrmeleon. Questo fatto dovrebbe fare escludere la credenza, ormai generale, e che ha dato il nome alla specie che c’ interessa, secondo la quale 1’ insetto allo stato di larva si nasconde per potere acchiappare meglio le formiche di cui precipuamente si nutre. Io sono invero rimasto lunghe ore in una pa- ziente e noiosa osservazione della tana del Myrmeleon, senza vedervi cadere nè una for- mica nè altro qualsiasi animale, e si badi che ho tenuto d’ occhio la larva in diverse epo- che della giornata. Però, gettando da me stesso una formica nell’ imbuto, ho dovuto no- tare che essa nei suoi tentativi di evasione dalle ripide pareti del conoide capovolto , nel cui fondo loggiava la larva, rimaneva dopo un tempo più o meno lungo impigliata fra le tenaglie di quest’ ultima. Io non potevo tuttavia distinguere la parte presa dalla larva in questo frangente, perchè la posizione del suo corpo, quasi interamente invisibile, me lo impediva; ma io credo, e cercherò di dimostrarlo, eh’ essa reagisse al contatto della nuova venuta con un riflesso d’ ordine stereotropico. Se prendiamo intanto una larva siffatta e la esponiamo allo sco- perto, essa si muove a ritroso o spontaneamente o solamente quando le si tocchino le zampe mascelle, che debbon godere perciò di un forte grado di sensibilità, o se viene in fine a contatto in una qualunque parte del corpo , che non sia però la cefalica, con una qualsiasi particella solida. In quest’ ultimo caso, a dir vero, il movimento non si verifica precisamente nella di- rezione antere posteriore, esso assume invece una direzione più o meno laterale, ma di questo particolare c’ intratterremo in seguito. Qui interessa far notare che se noi toccavamo le appendici anteriori della larva, non più con uno astuccio o col dito, ma col corpo d’una formica viva tenuta per 1’ addome, 1’ animale si allontanava vivacemente appena avvenuto il contatto. Lo stesso accade uccidendo la formica e procedendo poi alla medesima operazione. Da ciò evidentemente si desume che la larva reagisce al contatto della formica come rea- gisce a qualunque corpo che stimoli le sue mandibole. Se veramente la presenza delle formiche dovesse determinare nella larva 1’ atto, volitivo per alcuni istintivo per altri, della nutrizione, essa dovrebbe adoperare tutti i suoi mezzi di prensione e di offesa ogni qual volta le venga dato d’ avvicinare una formica. Essa però non solo non manifesta nessuna sensazione di natura visiva od olfattiva, ma nemmeno di natura tattile e ciò non si potrebbe a prima vista spiegare in relazione con la sua attitudine a catturare le formiche stesse ed (i) A. E. Bkehm — La vita degli animali Voi. X. Gli Insetti. Stereotropismo geotropismo e termotropismo nella larva ecc. 3 a nutrirsene. Per evitare il sospetto che la larva allo scoperto, non si potesse per caso trovare nelle condizioni migliori a procurarsi il cibo, io la facevo penetrare in uno strato di sabbia il cui spessore però mi permettesse di considerarne ancora i movimenti ; indi le presentavo la formica eh’ essa sfuggiva come prima, appena avvertito il contatto. Proce- detti infine ad un vero experimentnm crucis sul riguardo : in un vetrino di orologio, piuttosto ampio, chiusi alcune larve di Myrmeleon insieme con due formiche una delle quali viva, 1’ altra morta. Potei notare che tanto 1’ una che 1’ alti’a non furono aggredite dalle larve, qualunque fosse il tempo trascorso dal principio dell’ operazione, e che per lo stesso tempo le larve si conservavano in vita. Se cosi è, la nutrizione col corpo delle for- miche è un riflesso di cui bisogna cercare una spiegazione adeguata e conseguentemente la tendenza di scavare la sabbia non può più essere spiegata come 1’ istinto di cercare una posizione favorevole all’ aggressione della vittim.a. * * * La spiegazione del primo riflesso emerge dall' esame attento del risultato della espe- rienza seguente. Eccitiamo le mandibole con un corpo qualunque, costringendo la larva a subire una eccitazione prolungata. Dopo un tempo vario col variare della natura dell’ og- getto eccitante, dello stimolo, anche nelle mandibole, che prima schivavano il coi'po di contatto, si manifesta il riflesso prensorio. Così, molestando per 1-2 minuti primi queste appendici boccali col corpo di formiche tanto vive che morte, le appendici medesime rea- giscono allo stimolo aprendosi e stringendo nella loro morsa la vittima. Lo stesso feno- meno naturalmente avviene nell’ interno del buco, dove la vittima con i suoi continui ten- tativi di evasione non fa altro che irritare sempre più tali appendici masticatorie della larva. Di fatto, se noi gettiamo nell’ imbuto di ques’ ultima una formica, la stessa non sarà aggredita subito, ma dopo un certo tempo che è evidentemente proporzionale allo sforzo impiegato per liberarsi dall’ agguato. Per tanto è lecito pensare che, per provocare il l'itlesso in questa regione anterioi'e, la quale presenta in grado minimo lo stereotropismo- in questione, sia necessario uno sti- molo della stessa natui'a, ma di diversa intensità; epperò se si tratta d’ nn corpo inerte o inutile, la larva riapre 1’ imbuto succiatore formato e lo rigetta, se si tratta d’ una formica, essa conserva la presa. Questo si verifica tanto meglio nelle condizioni naturali in quanto r animale, essendo coperto da tutte le parti, lo stereotropismo cefalico può manifestarsi più intensamente, forse per quella stessa ragione che spiega in fisica la legge del re'cul o del rimbalso. Le parti della formica, o di un altro corpo qualsiasi, debbono necessaria- mente irritare i muscoli dell’ apparato masticatore, perchè questo reagisca al loro contatto prolungato. Pel fatto che tale irritazione dev’ essere abbastanza lunga onde porti all' ef- fetto voluto, dobbiamo concludere che lo stereotropismo della porzione postei'iore della larva di Myrmeleon è più accentuato di quest’ altro stereotropismo proprio alla porzione anteriore. Quello che mi sembra anche sin da questo momento assodato è la vera natui'a d’un tale riflesso, a favore della quale parla 1’ esperienza seguente : Se noi provochiamo, nel modo anzidetto, la costrizione delle mandibole mascelle sul 4 D.r Salvatore Comes [Memoria IV.] corpo d’ una formica, l’ atto sarà conservato anche quando si taglia gran parte dell’ ad- dome della larva, e la vittima non sarà rilasciata. Asportando tutto 1’ addome, il corpo della formica rimane stretto ancora dalle forti tanaglie, e lasciando infine il solo seg- mento cefalico che porta 1’ apparato masticatore , la stretta dura tuttavia e la formica , per quanto grossa, si dibatterà per più d’ un quarto d’ ora in una lotta disperata con- tro questo vero ordigno organico. Solo dopo venti o trenta minuti il supplizio avrà fine, le tenaglie si riapriranno e lasceranno sfuggire la vittima coll’ addome mezzo pesto e succiato, o meglio, sarà la vittima che riuscirà a vincere lo sforzo dell’ organo assali- tore. (1) Questo riflesso, talmente localizzato, conferisce al segmento relativo al ganglio sopra e sotto esofageo, innervante l’apparato masticatore, il completo valore d’un segmento indipendente dal resto del corpo e ricorda da vicino le rane scerebrate che perdurano nell’atto della copula, se conservavano quest' atto prima della operazione o meglio ancora i Limii- lus di Loeb, dove, essendo stato conservato il gang'lìo sotto esofageo ed il cervello , ed essendo distrutto il resto della catena, persisteva il riflesso della masticazione. Evidentemente non si può più parlare d’ un istinto, giacché nel caso nostro 1’ animale reagisce con un solo organo, 1’ apparato masticatore,’ e noi sappiamo che , anche volendo ricono.scere la distinzione, ormai convenzionale, stabilita fra atti riflessi ed atti istintivi “ atto riflesso si chiama la reazione d’ un singolo organo o d’ un gruppo di organi a uno stimolo esterno, e si parla di istinti quando 1’ animale reagisce come un sol tutto „ (2) Se noi togliamo adesso, per forza, il corpo compreso tra le appendici masticatorie della larva, queste si richiuderanno : c’ è quindi immutata la tendenza a conservare il ri- flesso. Questo reperto appoggia incondizionatamente la teoria segmentale che speriamo poter confortare con altri fatti che saranno esposti nel corso di queste ricerche. Come un riflesso ad uno stimolo meccanico ha determinato la prensione della vittima , un altro di natura chimica produrrà la suzione, infatti questo secondo riflesso ha luogo solo sul corpo delle formiche e probabilmente su altri corpi viventi. Altri riflessi di natura analoga porte- ranno ai processi digestivi. Ed ora veniamo alla spiegazione del “ movimento a ritroso „ e dello “ scavamento Tale spiegazione la cercheremo ugualmente nella dottrina degli atti riflessi o meglio in quella dei tropismi. Qualunque corpo che stimoli le mandibole, lo abbiamo visto, può far acquistare alla larva il movimento retrogrado. Anche dopo 1’ asportazione delle appendici sudette, 1’ animale, toccato nell’ estremo cefalico, acquista la medesima posizione , mentre dovrebbe sembrare che la positura in discorso le ritorni inutile una volta perdute le armi per offendere. D’ altro lato larve costrette a vivere in ambiente privo di qualunque mezzo nutritivo, come accade trovarne fra gli insetti, vivono e compiono la propria metamorfosi a spese dello stesso organismo. Esaminiamo quale potrebbe essere dunque la causa del “ rintana- mento ., della larva di Myrmeleon. Dagli esperimenti fatti pare che si debba escludere (i) Per il fatto che una formica cosi maltrattata può ancora continuare a vivere e a presentare i suoi movimenti spontanei , io opino che sia soltanto dotato d’ un potere agglutinante e non velenoso come crede Tozinski (Zol-Anzeig. Bd. XXXVI. 14. Beitrag zur Anatomie und Histologie, der Mundwerkzeuge der Myrme- leoniden Larven) il secreto delle glandule di cui sono fornite le Unterkiefer o mandibole inferiori. (2j Loeb I., Fisiologia comparata del sistema nervoso ecc. traduz. ital, pel prof. F. Raffaele. Palermo, Sandron 1907. Stereotropisrno geotropismo e termotropismo nella larva ecc. 5 questo fenomeno doversi ad un’ attitudine offensiva, o difensiva almeno , dell’ animale , ad un tentativo cioè di fuggire il pericolo. Se ciò fosse, 1’ animale dovrebbe far molto uso della sua sensazione visiva in modo da poter fuggire il pericolo stesso, quando trovasi ad una certa distanza. Ma questo fatto non avviene, basti ricordare che bisogna provocare uno stimolo di contatto sulla porzione cefalica o sulle mandibole, perchè l’animale indietreggi. Anche quando si estirpano le man- dibole, e si tocca la porzione cefalica In tal modo mutilata, abbiamo visto verificarsi lo stesso riflesso ; ciò significa che lo stimolo è risentito da un punto qualunque della super- ficie cefalica della larva. Inoltre se la sensazione visiva regolasse il riflesso , non ci sa- rebbe ragione di trovare la larva del Myrmeleon già rintanata, prima che le si avvicini un pericolo : essa dovrebbe rintanarsi in seguito. In tal guisa infatti reagiscono molti ani- mali, le lucertole, per esempio, che rientrano nel buco dei muri se avvertono un pericolo, o le rane che si tuffano nell’ acqua se il movimento della nostra mano non è stato ab- bastanza celere per prevenirle. Per questi motivi dubito fortemente che la larva di Myr- meleon usi fisiologicamente dei suoi occhi o, per lo meno, che essi abbiano raggiunto quello sviluppo sufficiente a produrre la percezione visiva. Ciò non potrebbe arrecare nes- suna meraviglia, stante 1’ abitudine contratta dall’ animale a vivere interamente sommerso nella sabbia. Io non conosco animale che viva perennemente al buio e che non abbia con- temporaneamente ridotto, alterato od annullato il suo potere visivo. Un esempio classico sul riguardo è noto a tutti: la riduzione dell’occhio della talpa. Dopo questa analisi del fenomeno dobbiamo decisamente escludere che il rintanamento nella sabbia ripeta una ori- gine per così dire psichica che 1’ antropomorfismo degli entomologi vorrebbe giustificare con la ricerca d’ un nascondiglio atto a far meglio catturare la preda. Il fenomeno rientra nella categoria dei tropismi e precisamente in quella degli stereotropismi , quantunque , come vedremo, sia luogo di parlare anche di geotropismo, e la sua effettuazione trova una singolare spiegazione nella costituzione morfologica delle appendici locomotorie. Quali motivi ci conducono a questa convinzione ? E chiaro che il segmento cefalico non prende nessuna parte al fenomeno dello sca- vamento, non solo direttamente colle sue appendici, ma anche indirettamente, manifestando nessuna regolazione del fenomeno stesso. I gangli sopra e sotto esofagei non solo non re- golano il fenomeno, ma son capaci di trasmettere al segmento che innervano una reazio- ne del tutto opposta. Se noi avviciniamo, come si è detto, un cor|)0 solido a questo segmento , che è il cefalico, r animale indietreggia, vale a dire sfugge allo stimolo, e ciò sia che questo venga esercitato lateralmente sia frontalmente sia superiormente , cioè in tutte le regioni superfi- ciali del segmento. (1) Per quello che staremo per dire se la parte cefalica fosse stereo- tropicamente positiva, tutto il corpo dell’ animale dovrebbe avvicinarsi allo stimolo , feno- meno che si verifica per gli altri segmenti. Stante la mancanza della percezione visiva, noi abbiamo da fare soltanto con stimoli di contatto e sarebbe quindi assurdo obiettare che la larva nella sua porzione cefalica ( ij Questo fenomeno e quello più importante che il movimento a ritroso è spontaneo, ci tanno ritenere assurda l’ipotesi dello Steiner pel quale la capacità di muoversi all’innanzi costituisce una « funzione specifica » del cervello, e ciò senza bisogno di ricorrere, come fa il Loeb, a movimenti spontanei in avanti presentati da organismi privi di sistema nervoso. 6 D.r Salvatore Comes [Memoria 1\'. “ fogge „ un ostacolo che la tocca. Io non capisco allora perchè essa debba “ non fug- girlo „ quando è toccata posteriormente su tutta la regione addominale , priva di organi visivi, ma invece vi si avvicina colle altre parti del corpo o rispettivamente sta ferma come se avesse raggiunto “ la meta. „ Si ricordi, per altro che in fatto d’irritabilità le parti po- steriori sono le più sensibili, perchè le più giovani e le meno chitinose. La coscienza della presenza del corpo “ solido „ non viene dunque a queste parti dal “ cervello ,, , da un centro nervoso cioè atto a far cercare un nascondiglio. Se noi copriamo il capo della larva interamente con della sabbia, essa sfuggirà al contatto, se noi copriamo il resto del corpo, essa cercherà di restare in tale rivestimento o di coprirsi meglio. Qualcuno obietterà il fatto, da me stesso osservato, che, nei tentativi di scavamento, oltre alla porzione posteriore s’ introduce nella sabbia anche la porzione anteriore o cefalica, ma questa obiezione non è seria. E chiaro che gli undici o più seg- menti della larva del formicaleone sono innervati da altrettanti gangli e che il segmento cefalico della stessa viene al massimo innervato dai gangli sopra e sotto esofagei, i primi dei quali costituenti il “ cervello. „ Se è vera, come io credo, la teoria segmentale del Loeb, noi dobbiamo ritenere che lo stimolo prodotto su undici segmenti produrrà un riflesso più po- tente che non quello prodotto sul capo il quale può essenzialmente considerarsi formato dalla fusione di due segmenti soltanto ; tanto più se accettiamo senza restrizione il concetto fondamentale del Loeb secondo il quale “ la reazione ad uno stimolo è data dalla irrita- bilità del protoplasma delle cellule di contatto „ irritabilità che vien soltanto perfezionata dalla zona nervosa corrispondente. Or i riflessi essendo, nelle due parti, di natura opposta, trionferà quello che più intensamente si manifesta, poiché le due parti dell’ animale sono riunite insieme in un tutto organico ed omogeneo. Del resto sappiamo dalla fisica che se due forze applicate ad un corpo sono uguali e contrarie, il corpo non si sposterà ; se esse sono disuguali, il corpo si muove nel senso della forza maggiore. A rigore di termini, se il corpo potesse essere materialmente divisibile nelle sue mo- lecole, senza nessun attrito, nel primo caso esso manderebbe metà di queste molecole in un senso, metà nell’ altro senso dinamico ; nel secondo caso un maggior numero di mole- cole seguirebbe la forza maggiore ed il resto la minore e questo numero sarebbe propor- zionale alla intensità delle due forze agenti. Da tutto ciò emerge ohe, asportando la porzio- ne cefalica, 1’ animale dovrebbe conservare il suo stereotropismo positivo. Io ho eseguita questa esperienza, però o per gli effetti dello choc susseguente all’ operazione, o per altra ignota ragione, 1’ animale perdeva qualunque possibilità di movimento spontaneo. Se non è riuscita 1’ esperienza sudetta, si l'iesce però a far continuare i movimenti spontanei della larva dopo 1’ asportazione d’ una metà sagittale dell’ apparato cerebrale, in- dicando con questo nome i gangli sopra e sotto esofagei riuniti fra loro dall’ anello omo- nimo. Dopo avere eseguita tale opei'azione, la larva si muove subito verso il lato sano, abbandonando la direzione antero-posteriore che le era propria. Essa descrive nei di- versi momenti un cerchio con a centro il capo e alla periferia 1’ apice addominale, del quale cerchio il corpo rappresenta il raggio , e il lato sano la linea generatrice che coincide materialmente col laggio. Questo esempio tipico dei movimenti di maneggio, che io ho riscontrato con uguale chiarezza in altri Artropodi (lulus terrestris) ci significa, almeno apparentemente, che al cervello non spetta la spontaneità dei movimenti e forse nemmeno la direzione di essi. Se, come è presumibile, le cellule dei gangli innervano i fasci mu- scolari cutanei da una parte, e mandano fibre nervose al cervello dall’ altra, asportando Stereotropismo geotropismo e termotropismo uella larva ecc. 1 una metà sagittale di quest’ ultimo, viene ad essere interessata 1’ innervazione di tutta la metà longitudinale (corrispondente al lato operato) dei muscoli messi in giuoco nel movi- mento a ritroso. Per conseguenza ne sarà diminuito il tono od in altri termini 1’ attitudine alla contrazione, mentre questa rimarrà la medesima nel lato corrispondente al mezzo cer- vello rispettato. È naturale dunque che, dopo il disturbo dell’ equilibrio muscolare, al mo- vimento a ritroso sottentri il movimento laterale e precisamente lo spostamento verso quel lato in cui prevale la tonicità muscolare. Sperimentalmente questa condizione, come ve- dremo, si può effettuare, mettendo a contatto con una superficie laterale dell’ addome una superficie solida, compatta, o meglio disgregata (mucchi di sabbia ecc.) Le cellule muscolari di questo lato, maggiormente irritate dallo stimolo stereotropico, faranno spostare 1’ animale dal lato di contatto. Se invece di asportare una metà del capo della larva, supponiamo la destra, si asportasse l’altra metà, cioè la sinistra, allora, per quello che si è detto sopra, il movimento di maneggio non si verificherà più verso sinistra, ma verso destra. Epperò, asportando tutto il capo all’animale, questo si troverà sotto l’azione simultanea di due forze uguali e contrarie che tendono a fargli eseguire due movimenti in senso opposto : naturalmente esso resterà immobile in considerazione della uguale in- tensità delle due forze agenti e della sua simmetria perfettamente bilaterale. Questa ragione mi sembra sufficiente a spiegarci l’ immobilità della larva decapitata del Myrmeleon, senza farci ricorrere agli ipotetici fenomeni dello choc che nel caso nostro dovrebbero ridursi al minimo per la presenza d’ una respirazione tracheale. Ed allora come s’ ha da spiegare il fatto che in molti animali la mancanza del cervello fa cessare qualunque movimento spontaneo ed in molti altri non ? Evidentemente supponendo minimi nell’ ultimo caso gli effetti prodotti dal disturbo della simmetria. Questi effetti sono di diverso grado, come di diverso grado è la cessazione della spontaneità del movimento, lo credo che questi effetti, apparentemente inibitori!, stiano in proporzione inversa colla lunghezza degli animali. Infatti, facendo, tesoro delle osservazioni riportate da Loeb (1. c.), i vermi e fra di essi gli Anellidi, non subiscono quasi nessuna inibizione di movimento dopo l’asportazione cefalica, vengono poi i Crostacei macruri (Gamberi) e poi i brachiuri. Negli Anfibii gli Urodeli conservano la spontaneità dei movimenti meglio degli Anuri. Certamente, bisognerebbe assodare meglio questa opinione con una serie di osservazioni più appropriate ed accurate. La spiegazione di questo fatto va, secondo me, rintracciata nella maggior lontananza che separa le cellule dei gangli dal “ cervello „ sia direttamente sia indirettamente, ciò che riduce al minimo l’influenza esercitata da quest’ultimo sui primi, e che invece si eleva al massimo grado rispettivamente per distanze minori. Resta però a vedere se gli stessi movimenti di ma- neggio persistono dopo l’ asportazione del cervello (gangli sopra esofagei) praticando la emisezione d’ un qualunque altro ganglio della catena nervosa, operazione che nella specie in parola riesce impossibile per la piccolezza degli organi sui quali si deve operare. Se r operazione della decapitazione, come dicevo, riuscisse , questo corpo decapitato dovrebbe presentare il fenomeno dello stereotropismo. Anche dopo 1’ asportazione completa del segmento cefalico sussiste però ancora 1’ attività muscolare, anzi essa è capace di ma- nifestare dei riflessi. Se infatti una formica, resa più baldanzosa dal disarmo di questo fa- tale avversario, disarmo avvenuto insieme colla decapitazione, si accinge a trasportarne il corpo decapitato, noi vedremo le appendici locomotorie dello stesso fissarsi cosi tenace- mente al substrato che riesce per lo più impossibile il trasporto , tanto più se la presa è avvenuta nella regione anteriore. La persistenza d’ un riflesso così importante sta a dimo- 8 D.r Salvatore Comes [Memoria I\'.) strare l' indipendenza che hanno gli apparati locomotorii e i gangli che li innervano , dai gangli cerebroidi della larva, malgrado non si possa ottenere il riflesso dello scavamento. In compenso si può con miglior risultato eseguire un’ altra esperienza ; togliere all’ animale una parte della porzione addominale posteriore, in modo che gli si permetta per un certo tempo la sussistenza. Cosi operando, se la parte asportata è piccola, 1’ animale conserva i suoi movimenti nello stesso senso. Ciò è strano : nemmeno la mutilazione fa deviare la larva dalla primitiva direzione. Ad ogni modo ciò non accadrebbe, evidentemente , se questa porzione non fosse stereo- tropica. Questo fenomeno richiama quello delle Nereis decapitate, di cui parla Loeb, (1. c.) le quali persistevano a muoversi in avanti , cioè con la parte lesa , anche dopo 1’ opera- zione. Molto più interessante per dimostrare l’indipendenza dei segmenti addominali dal capo, nel movimento, è 1’ esperienza seguente, esperienza che mi riuscì quasi sempre : Ad una larva di Myrmeleon tagliavo trasversalmente la catena ganglionare, ciò che non si rendeva difficile, bastando fare una intaccatura con un paio di forbici fini e taglienti sulla linea me- diana della faccia ventrale dello animale. Sappiamo infatti che la catena sudetta è posta ventralmente. Il taglio si praticava nella parte in cui comincia l’addome, o posteriormente ancora, in modo però eh’ esso non fosse tanto profondo da intaccare il tubo digerente, altrimenti si rischiava il buon esito dell’esperienza per causa della fuoriuscita delle sostanze alimentari. Cosi operando, si separava completamente la parte della catenagaglionare inner- vante tutto r addome, le appendici locomotorie comprese, dalla parte cefalica, in cui resta- vano i gangli sopra e sotto esofagei. Ebbene, 1’ animale si muove come allo stato normale sia nella parte anteriore al taglio, per quanto riguarda le appendici masticatorie, sia nella parte posteriore per quanto riguarda le appendici locomotorie. Tuttavia il fenomeno più ca- ratteristico era la persistenza del movimento nel senso anterio-posteriore evidentemente dovuto alla porzione addominale della catena nervosa. I tre esperimenti da me fatti provano inoltre una grande verità, messa in luce dal geniale fisiologo americano, che, cioè, il sistema nervoso degli Artropodi e così anche il cervello od i centri che ne fanno le veci, siano un mezzo più perfezionato, ma non esclusivo nella conduzione d’ uno stimolo producente un movimento riflesso : per questo nella mag- gioranza dei casi la sua mancanza inibisce la spontaneità dei movimenti stessi, ma non la distrugge. Nei grilli campestri io ho eseguite certe esperienze in proposito, il cui assunto riporto perchè diverso dalle conclusioni alle quali era pervenuto 1’ Yersin (1). Se si deca- pita un grillo, esso non volerà più spontaneamente, però vedremo eseguire quest’ atto su- bito dopo averlo stimolato sulla superficie toracica. La capacità del volo persiste conti- nuando ad asportare, oltre al capo, quella parte del torace che non interessa 1’ apparato muscolare del volo. Anzi è curioso che, ad ogni taglio, 1’ animale cerchi di eseguire, ed esegue per lo più, 1’ azione del volo. Questo paradosso trova una spiegazione plausibilissima se supponiamo per ipotesi che ogni ganglio della catena mandi ai gangli cerebrali alcune sue fibre, ciò che, del resto, viene comunemente ammesso. Così noi avremo che 1’ eccitamento centripeto di queste fibre dovrà far necessariamente reagire il segmento del ganglio a cui esse appartengono. D’altro canto la reazione allo stimolo cutaneo presentata dal grillo decapitato significa che c’ è (i) Citato da Loeb. Stereotropisnio geotropismo e termotropismo nella larva ecc. 9 ancora una sufficiente autonomia nella catena ganglionare posteriore ai gangli cerebrali perchè la funzione del volo si verifichi indipendentemente dalla presenza di essi. Questo fatto e r altro che per ottenere il volo bisogna stimolare la superficie cutanea del torace corrispondente alla regione dei muscoli messi in uso per il volo, danno completamente ra- gione alla teoria segmentale. Anzi debbo ricordare che, mentre ad un certo punto, i tagli avendo invaso parte del territorio sudetto, lo stimolo cutaneo non era più adeguato a pro- vocare il volo, questo si effettuiva, facendo ancora qualche sottile sezione trasversa del torace rimasto. Evidentemente Io stimolo, portato in questo modo più direttamente sul gan- glio, mediante 1’ iiritazione delle fibre nervose che gli pervengono, risulta più efficace a provocare il riflesso. Questo succedeva anche interessando coi tagli fatti la regione delle elitre le quali venivano spesso completamente asportate. Ora si domanda : perchè lo stesso non avviene per la larva decapitata di Myrmeleon? Naturalmente perchè, oltre a quello che s’ è detto avanti, non è in questo senso che si ve- rifica il movimento. Una irritazione dei monconi centrali delle fibre anteriori non ha alcun effetto o, se ne ha qualcuno, esso sarà un effetto inibitore, com’ io credo. Non possiamo altrimenti spie- garci lo stato d’ immobilità acquistata dalla larva dopo la decapitazione, se si toglie un leggiero movimento d’ appallottolamento eseguito verso la parte anteriore. Eppure questo movimento d’ appallottolamento potrebbe fornii'ci la chiave della risoluzione del quesito. A me pare eh’ esso stia a significare un inutile tentativo d’ un movimento in avanti reso im- possibile non solo dalla minima azione che lo stimolo esercita su tutta la massa del corpo, ma anche dalla disposizione speciale delle appendici locomotorie. Queste ultime infatti sono rivolte in avanti con i loro articoli terminali, cosicché, mentre favoriscono un movimento delfanimale all’indietro, impediranno il movimento in avanti. Per dimostrare intanto che il movimento retrogrado della larva non è un prodotto esclusivo di tale disposizione delle appendici locomotorie, basta osservare che lo stereotropismo posi- tivo della larva stessa è tanto più grande quanto meno avanzato è il suo sviluppo, cioè a dire quanto meno sviluppate sono le sue appendici. A provar ciò basta ricordare che l’esperienza dell’asportazione della parte posteriore dell’addome porta a risultati tanto più sicuri quanto più piccola è la larva, mentre nelle più grosse di queste larve ho , sebbene raramente, riscontrato un movimento nella direzione postero-anteriore. Del resto 1’ estrema porzione posteriore dell’ addome reagisce in un senso stereotropicamente più positivo delle altre porzioni della stessa regione, quantunque essa sia sprovvista di appendici locomotorie. Ciò viene provato pure dal fatto che la crisalide della specie in discorso non presenta più movimento retrogrado e stereotropico, bensì movimento saltatorio con leggiera tendenza in avanti, mentre 1’ insetto perfetto si muove soltanto in avanti. E chiaro quindi che lo ste- reotropismo positivo sta ad un piede della parabola colla larva, all’altro piede trovasi il negativo con 1’ immagine, ed in cima della parabola stessa il moto sussultorio della crisalide. Non altrimenti dal cotiledone positivamente geotropico di molte monocotiledoni germina la pianticina nella sua primitiva costituzione di piiimetta con geotropismo negative;. * * * Volendo dare una rappresentazione grafica di quanto adesso siamo venuti esponendo, noi dovremmo rappresentarci lo stereotropismo positivo come determinato da tante linee Atti Acc., Serie V, Vol. II. Mtm. IV. ^ 10 D.r Salvatore Comes [Memoria IV.] di forza quante .sono le cellule che lo presentano, e il negativo da altre linee di forza cor- rispondenti ai protoplasmi che in contatto con un corpo solido s’irritano in senso contrario. Ma le prime, per quello che s’ è detto, saranno più numerose delle seconde. Supponiamo che quelle siano 10 e queste due, e supponiamo che tutte agiscano su uno stesso sistema elastico, (v. fìg. 1) Lo spostamento di questo sistema, prodotto sul senso della freccia A ogni qual volta si facciano agire le dieci forze del campo P, sarà proporzionatamente otto volte maggiore di quello prodotto nello stesso sistema, facendo agire le due forze del campo N nel senso della freccia A'. Nel nostio caso 1’ applicazione di ciascuna categoria di forze è rappresentata dalla irritabilità che possiamo provocare a volontà nelle due porzioni diversamente stereotropiche della larva, ed anche in questo caso, s’ è visto, gli effetti o gli A f — — — — — — — - — — — — — — , — — _ _ / I i spostamenti dei due sistemi di forze sono propor- ^ zionati alla diversa intensità delle medesime. Se noi tagliamo tutte le appendici locomotorie della larva prima di eseguire 1’ asportazione del capo, il movimento d’ appallottolamento sarà più pro- nunziato, perchè sarà rimossa la causa meccanica che in parte lo impediva. Epperò si riuscirà ugualmente a far muovere l’animale quando le si amputino le gambe e si proceda poi alla irritazione della parte stereotropica. In base a queste considerazioni possiamo spiegarci pure il fatto che, asportando una parte piuttosto estesa dello addome della larva di Myrmeleon, essa cesserà di camminare a ritroso e seguirà subito un’ altra direzione, precisamente si muoverà in avanti vale a dire colla parte stereotropicamente o geotropica- mente negativa. È il caso di ritenere allora che siano rimaste in prevalenza assoluta le linee di forza del campo negativo per cui si rende possibile l’ambulazione in avanti. Questo stesso esperimento riesce più difficile in larve che abbiano raggiunto un certo sviluppo. Io credo che ciò debba attribuirsi più che alla maggiore coordinazione della catena nervosa, alla disposizione dalle appendici motorie che potrebbe disorientare i riflessi segmentali. Nella larva giovane infatti tali appendici sono disposte in direzione orizzontale, e quindi permettono sino a un certo punto la deambulazione in avanti, mentre in larve molto più sviluppate esse sono inclinate in avanti e non permettono quindi che il solo movimento nella direzione posteriore. Ed ora veniamo ad esaminare più davvicino il lato fisico con cui si manifesta;, il fenomeno dello scavamento nella porzione addominale, fenomeno che noi abbiamo ascritto alla categoria degli stereotropismi. Se una parte laterale della super- ficie posteriore o addominale del corpo viene ad urtare con un solido, durante il movi- mento a ritroso provocato nella larva stimolando la sola porzione cefalica, questo movi- mento cesserà allora di esser tale. Noi vedremo l’addome della larva scivolare lungo la parte solida di contatto sino a toccarla col suo apice. Se poi tale parte solida è spostabile, se è costituita p. es. da granellini incoerenti di sabbia, il movimento retrogrado si ripristinerà nel senso di questa parte. Ciò non potrebbe essere spiegato, considerando i gangli cerebrali della larva regolatori di tale movimento : se cosi fosse la parte adiacente ai gangli sudetti, cioè il capo, dovrebbe, meglio d’ogni altra regione, presentare il fenomeno che al contrario non vi si manifesta affatto. La spiegazione più attendibile di questa categoria di tropismi mi pare quella suggerita da Loeb. Secondo questo Autore le cellule muscolari degli ani- mali nei quali sono ben discernibili dei tropismi (per esempio l’eliotropismo o il chemiotro- Stereotropismo geotropismo e termotropismo nella larva ecc. 11 pismo) si contraggono verso lo stimolo, se il tropismo è positivo, di modo che saranno in una tensione maggiore quelle che, per la simmetria del corpo essendo lontane, tendono ad avvicinarvisi, donde il movimento verso lo stimolo. Siccome Loeb invoca molto spesso la ragione della simmetria delle parti per spiegarsi il movimento verso lo stimolo, ragione che mi sembra validissima, cercherò di svolgere quivi, con maggiore estensione, l’ idea enunciata dal geniale fisiologo, servendomi d’ una rappresentazione grafica (fig. 2) anche perchè il caso si presta meglio a tali considerazioni. Nel suo movimento allo scoperto la larva di Myrmeleon segue una direzione retrograda rappresentata dalla risultante di tutte quelle forze (irritabilità o tensione delle fibrocellule muscolari) che tendono a far raggiungei'e alla superficie del suo corpo la particella solida su cui poggia di già, per una speciale conformazione anatomica, 1’ apice dell’ addome. Queste forze agiscono tutte parellelamente e in punti simmetrici rispetto alla linea mediana. Per uno dei primi teoremi della dinamica, la risultante di queste forze sarà applicata sulla linea che passa appunto per 1’ estremo posteriore dello addome. E chiaro infatti che la ri- sultante delle due forze uguali A,B applicate ai due vertici A e B del triangolo isoscele AVB (col quale si rappresenta schematicamente 1’ addome della larva) coincide con la linea HH', perchè si possa avere il rapporto -g- = -gp' La linea HH' comprende il segmento PV che rappresenta la linea mediana del corpo. Così si spiega agevolmente il movimento a ritroso della larva allo scoperto e sopra un substrato non incoerente, ma compatto. Le cose però si complicano, se noi veniamo a considerare un corpo solido che venga ad urtare contro un punto qualunque T" della supei'ficie laterale dell’ addome. È lo stesso che qui si applicasse una forza equivalente alla irritabilità manifestatasi nel protoplasma cellulare in se- guito al contatto. Dimodoché per effetto del movimento retrogrado il punto T" è sollecitato a contrarsi secondo la T"R , per effetto del contatto laterale esso sarà sollecitato a muo- versi verso la T"R' normale alla prima. Ab- biamo dunque il caso, contemplato dal primo teorema della dinamica, quello cioè di due forze applicate ad un punto. La loro risultante sarà data dalla diagonale del parallelo- gramma costruito sulle rette che rappresentano le componenti. Nel caso in esame la risul- tante cioè la direzione che assumerà l’ animale dopo il contatto laterale, perchè qui le componenti sono le singole direzioni che 1’ animale dovrebbe eseguire, obbedendo a cia- scuno dei due stimoli, sarà dato dalla linea T"G che è la diagonale del rettangolo T"RR'G. Analogamente un contatto laterale avvenuto nel punto T' , farà muovere 1’ animale secondo la risultante TF. Ciò si può benissimo verificare colla esperienza, portando l'ad- dome della larva in contatto con granellini di sabbia verso i quali vedremo inclinare più 0 meno 1’ apice addominale. È chiaro che tanto più vicino alla porzione posteriore dell’ad- dome sarà il punto laterale di contatto, tanto minore sarà lo spostamento della larva ed in un punto ’V che cade sulla linea mediana del corpo HH' , secondo la quale si verifica il movimento retrogrado, questo spostamento sarà nullo perchè la 2** forza, cioè la laterale, applicata al punto suddetto, è misurata da un segmento uguale a zero. Ecco la ragione per Fig. 2. 12 D.r Salvatore Comes [Memoria I\'.J la quale se si riuscisse, come talora accade, di mettere il corpo solido in contatto colla superficie dell’ addome che si trova sulla linea mediana del corpo , supponiamo sull’ apice geometrico dell’ addome, 1’ animale non si muove. Si capisce però che questo stato di quiete è momentaneo : basta toccare un punto fuori della linea mediana, per quanto ad essa vi- cino, perchè 1’ animale si sposti verso questo punto. Tuttavia nel diagramma presentato e nella spiegazione relativa, noi non abbiamo potuto tener conto d’ un fattore importantis- simo al quale bisogna accennare per spiegare completamente il fenomeno dello scavamen- to. Se è vero che il movimento a ritroso si verifica secondo una linea che giace sul pro- lungamento della linea mediana del corpo e che è la risultante di tutte le forze applicate ai punti simmetrici della superficie addominale, questa linea non sarà però orizzontale, ma inclinata dall’ avanti all’ indietro, dall’alto al basso. Ciò avviene sia perchè tale è la dispo- sizione dell’addome, sia perchè lo stimolo di contatto essendo posto sul più basso dei punti superficiali dell’ addome (il cui apice, è bene ricordarlo, tocca sempre il terreno) verso questo senso, cioè verso il basso, pur andando dall’ avanti all’indietro, dovrà agire ogni forza ap- plicata sui punti irritabili, cioè a dire sulle fibre muscolari. Cosi deve pur avvenire d‘ una seconda forza applicata ad un punto laterale, ma di solito inferiore rispetto ai punti dorsali che si trovano sulla medesima sona per servirmi di una espressione cristallografica che mi sembra molto adatta in proposito. E allora la risultante delle due forze applicate al punto in discorso sarà bensì la diagonale del parallelogrammo costruito sui segmenti che le rap- presentano, ma ne conserverà anche 1’ inclinazione, il che vai quanto dire , giacerà sullo stesso piano, come del resto è geometricamente necessarie; perchè sia possibile la costru- zione del parallelogramma. In pratica essa sarà rappresentata da uno spostamento laterale inclinato dall’ alto al basso. In questa maniera noi ci spieghiamo agevolmente lo stereo- tropismo della larva, nonché la forma ad imbuto ed a cono rovesciato della sua tana. Non ammettendo lo spostamento sincrono dall’ alto al basso , noi dovremmo avere un movi- mento orizzontale della larva , che non porterebbe alla forma speciale suddetta della tana, bensì ad un cavo di sezione cilindrica , basi uguali e raggio di curvatura rappresentato dalla lunghezza del corpo dell’ animale. Evidentemente questa condizione si verifica sol- tanto nel primo momento dello scavamento coriùspondente alla base del conoide rovesciato. Infatti questo particolare biologico della larva è ricordato dallo stesso Brehm (1. c.) nella sua “ Vfita degli animali „. * * ^ Il riflesso dello scavamento, apportato dallo stereotropismo , oltre che coi granelli di sabbia, si verifica con altre sostanze di peso specifico differentissimo. E così che la larva si spinge indifferentemente nell’ interno d’ un mucchio di limatura di ferro , spostandone una quantità equivalente al suo volume, ma d’ un peso molte volte maggiore , o nell' in- terno d’ un ammasso di crusca a peso specifico molto minore di quello della sabbia e delia limatura di ferro. Va con questi esperimenti esclusa qualunque specificità del fenomeno stesso. Del resto di un fenomeno identico si possono riscontrare numerosi esempii nella biologia delle piante che pur sono sfornite d’ un sistema nervmso. Così le curve prodotte sul fusto delle piante volubili e sui viticci delle piante rampi- canti per le quali esse abbracciano i sostegni ed i corpi solidi, e che sono evidentemente Stereotropismo geotropismo e termotropismo nella larva ecc. 13 della stessa natura del movimento laterale della larva del formicaleone, sono spiegate giu- stamente dai botanici con 1’ irritabilità del protoplasma “ sensibile quanto quello animale , al contatto, all’ urto, allo sfregamento (1) In base a queste considerazioni il fenomeno dello scavamento della larva di Myrmeleon è prodotto da reazioni stereotropicamente positive^ non potendo dipen- dere da apparati specifici del sistema nervoso centrale: esso è determinato da quelle proprietà comuni agli animali tutti nonché a tutte le piante, che sono, per dirla col Loeb, (/. c.) “ V irritabilità specifica di certi elementi della superficie del corpo e i rapporti di simmetria. „ * * * Ho voluto vedere, nel corso delle mie esperienze, se la larva, oltre al fenomeno dello stereotropismo, presentasse quello del termotropismo ed ho potuto accertarmi eh’ essa lo presenta sino ad un certo punto, sino a raggiungere cioè una temperatura limite. Riscal- davo a questo effetto la limatura di ferro (colla quale, è bene ricordarlo, ho eseguito il maggior numero delle esperienze fatte) che possiede una migliore conduttività del calore rispetto alla sabbia. La larva vi penetra subito e sempre, malgrado I’ aspro contatto, reso più sensibile dalla elevazione della temperatura, portando quest’ultima gradatamente a 30°, 40®, 50'^ C. In una parola il termotropismo persiste sino alla temperatura di 60®. Al di là di questo limite 1’ animale non accenna più a penetrare nel mezzo solido, ma cerca di schi- varlo con spostamenti laterali. Aumentando ancora il grado termico 1' animale si appallot- tola , mostra cioè la tendenza di sfuggire completamente allo stimolo , sicché manifesta allora un vero termotropismo negativo. Donde ciò ? Evidentemente dal fatto che il termotropismo presentato dalla larva si conserva posi- tivo sino a quella temperatura che rappresenta il limite massimo col quale si comporta la vitalità della larva ; questo limite corrisponde su per giù al massimo assoluto di tempera- tura che si può avere nel buco di sabbia dove normalmente vive 1’ animale. Questo mas- simo raggiunge certamente i 50®-55° nei giorni più caldi d’ estate, al sole e pei nostri pae- si. A partire da questo punto i processi tìsico-chimici, verificantisi nelle cellule allo stato normale, improvvisamente si alterano, sì che una temperatura superiore non sarà più com- portata dalla larva, la quale, in un vano tentativo di allontanarsi, muore bruciata. Infine debbo far rilevare che il movimento a ritroso della larva avviene soltanto in senso geotropicamente positivo. A questo riguardo però, sebbene debba sembrare che il geotropismo sia niente altro che un caso particolare dello stereotropismo, bisogna attribuire a quest’ ul- timo una maggiore azione nella direzione dei movimenti della larva. Quando infatti la larva è allo scoperto, essa non seguirà mai il movimento letrogrado dal basso all’ alto su un piano inclinato , ma anche quando la si disponga in una posizione iniziale che permetta meglio di muoversi secondo tale direzione , essa devierà subito per ridiscendere secondo la pendenza del piano, cioè nel senso opposto. Se però si dispone della sabbia, della lima- tura di ferro , o qualsiasi corpo solido conveniente, sopra la superfìcie del piano stesso, la larva, per inoltrarvisi, seguirà il movimento retrogrado dal basso all’ alto per una con- ti) Strassburger — Trattato di Botanica; Fisiologia (Noli.) Torino, Soc. Editrice libraria. u D.r Salvai or e Comes [Memoria I\'.1 siderevole estensione, dopo un certo tratto però essa devierà per discendere nuovamente nel senso opposto. Mi sono spinto a riferire le osservazioni e le esperienze sudescritte in considerazione della assoluta mancanza di lavori riguardanti 1’ argomento in questione. Ciò mi risulta da lunghe e pazienti ricerche bibliografiche, non che dalla seguente letterina del Loeb, con la quale 1’ Illustre Professore si degnò rispondere (e di ciò pubblicamente Io ringrazio) a mie richieste in proposito “ University of California, Departement of Physiology Berke- “ ley — Nov. 18, 1908 — Mi dear Sir, “ I have not odóne àny veorli on thè iropisnins of thè larvae of Myrnieleon, “ nor do f. know of any other Aiithor having dotte it. I reniain nvith best v:ils for “ thè success of jour isùork. lacques Loeb. „ K. Università di Catania — Dicembre igoS. Heiiiorìa V I corpi solidi sospesi nei iiquidi e i fenomeni di igromipisia dei Prof. A. CAPPA RELLi Il lavoro presente è il seguito di lavori precedenti pubblicati negli atti dell’ Accademia Gioenia. (1) Aveva precedentemente studiato il comportamento di alcuni corpi minutamente sospesi nell’ acqua distillata. Ma era evidente che i corpi inorganici , per quanto ridotti in picco- lissime particelle, pure avevano una tendenza spiccata a precipitare ed a raccogliersi verso l’estremità inferiore della colonna liquida D, cioè, del liquido discendente ; mentre il rigore deH’esperimento richiedeva, che il corpo sospeso rimanesse, durante la determinazione del tempo igromipisimetrico, egualmente distribuito e sospeso in tutta la massa liquida. Intra- presi quindi una serie di esperienze, dove come liquido di sospensione invece d’acqua distillata adoperai una soluzione colloidale, perchè trattenesse le sostanze sospese per la durata del- l’osservazione. I corpi che io ho adoperati sono, per quelli inorganici il talco e lo spuntiglio ; e per quelli organici, 1’ amido ed i corpuscoli rossi del sangue. Volli però prima provare a sospendere lo spuntiglio nell’acqua distillata; essendo esso in polvere impalpabile, rimaneva sospeso per un tempo sufficiente. 11 risultato è riferito nella tabella seguente ; Tabella I. N. progressivo Temperatura in centigradi Liquido D Altezza del liquido nel capillare Liquido A Diametro della sezione del capillare Tempo igromipisime- trico I 150. s Acqua distillata con spun- tiglio al IO ^lo ■ • mm. 23 Acqua distillata .... mm. 0,9 1 3". 6 2 » Id. al 5 » . . » » » 30" X » Id. al 2. 5 » . . » » » A a" 44 4 » Id, al I. 25 » . . » » » i'. 39" 5 » Id. al 0. 62 » . . » » » 2'. 20" 6 » Id. al 0. 31 » . . » » » 3'. 30" 7 Acqua distillata con spun- » tiglio al IO % filtrata . » » » 0 (i) A. Cappareli.i. — Un fenomeno di fìsica-chimica e le sue applicazioni in biologia — Atti Acc. Gioenia di Se. Nat. Serie 4. Voi. 20 e I fenomeni di Igromipisia ib. Serie 5. Voi. i. Atti Acc., Serie V, Vol. II. Mem. V. I 2 Prof. Andrea Capparelli [Memoria V.] Dalla superiore tabella si rileva: che lo spuntiglio semplicemente sospeso si può consi- derare come se esso fosse disciolto nel liquido D. In altri termini il liquido D si comporta come un liquido più denso di fronte ai fenomeni di igromipisia. Il dubbio che lo spuntiglio po- tesse contenere dei corpi solubili era eliminato, filtrando il liquido che lo conteneva, e que- sto liquido filtrato, non faceva più scambio col liquido A. perchè ridiveniva acqua distillata. A maggiore conferma di quanto sopra è detto aggiunsi ai due liquidi A. e D. spuntiglio in proporzioni maggiori in D. che in A. La tabella seguente dimostra che D. si comporta come un liquido più denso. Tabella II. N. progressivo Temperatura in centigradi Liquido D Altezza del liquido nel capillare Liquido A Diametro della sezione del capillare Tempo igromipisime- trico I 150 Acqua distillata con spun- tiglio al IO °/o .- . . mm. 23 Acqua distillata con spun- tiglio al 5 ‘'L . ■ mm. 0,9 19" 2 » Id. » Id. al 2. 5 » . . » 18" 3 » Id. » Id. al I. 25 ». . » 12" 4 » Id. » Id. al 0. 62 » » II" 5 » Id, » Id al 0. 31 » . . )) 9". 6 6 » Id. » Acqua distillata . . . » 8" 7 » Id. » Acqua distillata con spun- tiglio al 5 ®/„. filtrato . » 8" Non riferisco qui le osservazioni concordi del talco, perchè già pubblicate nel lavoro precedente già citato. Anche i corpi organici, come 1’ amido, si comportano nell’ identico modo e le due ta- belle seguenti 3 e 4 lo dimostrano. Tabella III. N. progressivo Temperatura in centigradi Liquido D Altezza del liquido nel capillare Liquido A Diametro della sezione del capillare Tempo igromipisime- trico I 150. 5 Acqua distillata con amido al IO 7o • ■ ■ mm. 23 Acqua distillata .... mm. 0,9 21". 3 2 » Id. al 5 »... » » » 32". 2 3 » Id. al 2. 5 » . . . » » » 50" 4 » Id. al 1.25 » . . . » » » i'. 46" » Id. al 0. 62 » . . . » » » 2'- 52" 6 » Id. al 0. 3 I » . . . )) » » a' 4^" 4 • 47 7 » Acqua distillata con amido al IO ®/o filtrata. . » » » 0 I corpi solidi sospesi nei liquidi e i fenomeni di igromipisia 3 Tabella IV. |n. progressivo Temperatura in centigradi Liquido D Altezza del liquido nel capillare Liquido A Diametro della sezione del capillare Tempo igromipisime- trico I 14”. 6 Acqua distillata con amido al IO 0/0 ... . mm. 23 Acqua distillata con amido al 5 «/o . . mm. 0,9 37" 2 » » » Id. al 2. 3 » . . » 25" 3 » » » Id. al I. 25 » . . » 23" 4 » » » Id. al 0. 62 » » 21" 5 » » » Id. al 0. 3 i » . . » 18" 6 >> » » Acqua distillata .... » 16" 7 » » » Acqua distillata con amido al 5 filtrata . . » 16" Come al solito, fu controllata la soluzione contenente amido, dopo essere stata filtrata e si trovò, che il tempo ìgromipisimetrico corrispose esattamente a quello dell’ acqua di- stillata pura. A differenza di come avevo praticato nelle precedenti osservazioni, non adoperai più r acqua distillata ma soluzioni di gomma , nelle quali anche i corpi inorganici pesanti ri- dotti in polvere impalpabile e mescolati equamente nella soluzione gommosa , rimanevano in sospensione per un tempo abbastanza lungo ; più che sufficiente per la durata dell’ os- servazione. Questi risultati, a differenza di quelli precedentemente ottenuti, credo più accet- tabili. Determinai pertanto il tempo Ìgromipisimetrico di due soluzioni di gomma in propor- zioni determinate, cioè come liquido D. usai una soluzione aquosa di gomma al 10% e come liquido A una soluzione acquosa di gomma di metà titolo, cioè, al 5 “/q , che grada- tamente allungai, come si vede dalla tabella seguente N. 5 : Tabella V. N. progressivo Temperatura in centigradi Liquido D Altezza del liquido nel capillare Liquido A Diametro della sezione del capillare Tempo igromipisime trico I 14®' 5 Soluzione di gomma ara- bica al IO ''/(, . . . mm. 2 3 Soluz. acquosa di gomma arabica al 5 °/q . mm. 0,9 2'. 28" 2 » » * Id. al 2 5 » . » i'. 27" 3 » » » Id. al ; .25 » » T. 5" 4 » » Id al 0. 62 » » 55" 5 » * * Id. al 0. 3 I » » 51" 6 » » » Acqua distillata .... » 45" 4 Prof. Andrea Capparelli [Memoria V.J Avuta nozione del comportamento delle due soluzioni di gomma, vi sospesi lo spunti- glio, il talco, r amido ed i corpuscoli rossi. Con questo mezzo era eliminato 1’ inconvenien- te della rapida precipitazione dei corpi pesanti sospesi ; e quindi le eventuali cause di errore. Sospendendo lo spuntiglio nel liquido D, si ottennero i risultati raccolti nella tabella n. 6. Tabella VI. N. progressivo Temperatura in centigradi Liquido D Altezza del liquido nel capillare Liquido A Diarrtetro della sezione del capillare Tempo igromipisime- trico I 14®- 5 Soluz. acq. di gomma ara- bica al IO con io®/q di spuntiglio .... mm. 25 Soluzione acquosa di gom- ma al 5 ®/o • . mm. 0,9 22" 2 » » » Id. al 2. 5 ». . » 18" 3 » » » Id. al I. 25 » . . » 17" 4 » » » Id. al 0. 62 » . » 15" 5 » » » Id. al 0. 31 » . . > 14" 6 » » » Acqua distillata .... » 12". 3 In essa si vede, che lo spuntiglio imparte al liquido di nei fenomeni di igromipisia, quegli stessi caratteri come se fosse disciolto nella soluzione gommosa. L’ influenza dei corpi sospesi è evidente tanto se si sospendono nel liquido D, che nel liquido A, come risulta dalla tabella seguente N. 7 Tabella VII. N. progressivo Temperatura in centigradi Liquido D Altezza del liquido nel capillare Liquido A Diametro della sezione del capillare Tempo igromipisime- trico I 14". 5 Soluz. acquosa di gomma al IO 0/0 . . . . mm. 23 Soluz. acq. di gomma ara- bica al 5 “/j con 5 ®/o di spuntiglio .... mm. 0,9 io' 1 5" 2 » * » Id. al 2. 5 con 2. 5 di spuntiglio .... » i' 51" 3 » * Id. al 1.25 "/q con 1.25 ®/g di spuntiglio .... » 1' 19" 4 * » Id. al 0.62 ®/„ con 0 62 ®/g di spuntiglio .... » 59" 5 » * » Id. al 3 1 ®/g con 0.3 i °/q di spuntiglio. » 49" 6 » » » Id. al 0. 1 5 ®/o con o.i 5 ®/o di spuntiglio .... » CO Parimenti lo spuntiglio, equamente mescolato alle soluzioni gommose di identica den- sità, in proporzione differente nei due liquidi, imparte ad essi il carattere accennato; per cui si comportano come soluzioni differentemente dense. Vedi tabella seguente N. 8. I corpi solidi sospesi nei liquidi e i fenomeni di igrotnipisia 5 Tabella Vili. N. progressivo Temperatura in centigradi Liquido D Altezza del liquido nel capillare Liquido A Diametro della sezione del capillare Tempo igromipisime- trico I is® Sol. acq. di gomma arabica al 5 o/o con io o/q di spunt. inni. 23 Sol. acq. di gomma arabica al 5 con 5 o/q di spunt. mm. 0,9 44" 2 » Id. » Sol. acq. di gomma arabica al 5 con 2.5 spunt. » 41" » Id. » Sol. acq. di gomma arabica al 5 0/0 con I 23 0/0 di spunt. » 31" 4 » Id. » Sol. acq. di gomma arabica al 5O/0 con o.óz'Vodi spunt. » 26" 5 » \d. » Sol. acq. di gomma arabica al 5O/0 con 0.3 lO/o di spunt. » 25" Per il talco, che precipita rapidamente nelle soluzioni acquose, volli intraprenderne lo studio nelle sospensioni gommose ed i risultati non differiscono da quelli ottenuti nell’ ac- qua. Vedi le due tabelle seguenti N. 9 e 10. Tabella IX. N. progressivo Temperatura in centigradi Liquido D Altezza del liquido nel capillare Liquido Diametro della sezione del capillare Tempo igromipisi- metrico I uh 5 Soluz acquosa di gomma arabica al io ®/o. . . mm. 23 Soluz. acq. di gomma arabica al 5 ®/(| con 5 •’/fl di talco. mm. 0,9 io'. 5" 2 » Id. » >>2.5* 2 ‘ 5 ^ » i'. 35" ? » Id. » » 1.25 » » 1.25 » » » i' 4 » Id. » > 0.62 » » 0.62 » » » 56" 5 » Id. » » 0.31 » » 0.31 » » » 48" 6 » Id. » » 0. 1 5 » » 0. 5 » » 46" Tabella X. N. progressivo Temperatura in centigradi Liquido D Altezza del liquido nel capillare Liquido A Diametro della sezione del capillare Tempo igromipisime- trico I Uh 5 Sol. acq. di gomma arabica al IO “/o con 10% di talco. mm. 23 Sol. acq. di gomma arabica al 5 0/0 ... . mm. 0,9 39" 2 » Id. » Id. » 2. 5 * . . . » 35" 3 » Id. » Id. » 1.25 » . . . . » 27" 4 » Id. » Id. » 0.62 » . . . . » 25" 5 » Id. » Id. » 0.31 » . . . . » 22" 6 » Id. » Acqua distillata .... > 20" 6 Prof. Andrea Capparelli [Memorìa \'.] Nelle tabelle 11 e 12 sono riferiti i risultati del comportamento dell’ amido sospeso nel liquido D, e successivamente nel liquido A. Tabella XI. N. progressivo Temperatura in centigradi Liquido D Altezza del liquido nel capillare Liquido A Diametro della sezione del capillare Tempo igromipisime- trico I 14"- 5 Soluz. acquosa di gomma arabica al io "/q. . . mm. 23 Sol. acq. di gomma arab. al 5 “/o con 5 «/o amido . . mm. 0,9 io'. 18" 2 .> Id. Sol. acq. di gomma arab. al 2.5 “/q con 2.5 "/o amido . » i'.5 3" 3 » Id. Sol. acq. di gomma arab. al 1 .25 '^/o con 1.25 amido * i'. 22" 4 » Id. » Sol. acq. di gomma arab. al 0.62 o/o con 0.62 “/q amido » 1'. 1" 5 » Id. » Sol. acq. di gomma arab. al 0. 3 1 '7q con 0. 3 1 “/q a mido » oc 6 Id. » Sol. acq. di gomma arab. al o.i 5 "/n con 0.15 '7o amido » A a" 44 Tabella XII. N. progressivo Temperatura in centigradi Liquido D Altezza del liquido nel capillare Liquido D Diametro della sezione del capillare Tempo ig’romipisime- trico I 140. 5 Sol. acq. di gomma arab. al IO ®/o con IO “/o di amido mm. 23 Sol. acq. di gomma arabica al 5 «/o mm. 0,9 T. io" 2 » Id. » Sol. acq. di gomma arabica al 2.5 "/o T. 5" 3 » Id. » Sol. acq. di gomma arabica al 1.25 » 55" 4 » Id. » Sol. acq. di gomma arabica al 0.62 '7o .... » 51" 5 » Id. » Sol. acq. di gomma arabica al 0.31 » 47" 6 » Id. » Acqua distillata .... » 45" Da esse si osserva che 1’ amido si comporta esattamente , come i corpi inorganici. Questo risultato differisce da quello ottenuto dalle sospensioni nell’ acqua distillata; e credo che questo sia più conforme al vero, perchè nella soluzione gommosa l’amido si sospende equamente e vi rimane sospeso per un tempo abbastanza lungo, mentre ciò non è possi- bile ottenere nella sospensione nell’ acqua. La tabella N. 13 parimenti dimostra che 1’ amido, sospeso in varia proporzione nei liquidi A. e D, dà risultati analoghi a quelli dei corpi inorganici sospesi nelle soluzioni di gomma. I corpi solidi sospesi nei liquidi e i fenomeni di igromipisici 7 Tabella XIII. N. progressivo 1 Temperatura in centigradi Liquido D Altezza del liquido nel capillare Liquido D Diametro della sezione del capillare Tempo igromipisime- trico 1 150 Sol. acq. di gomma arabica al 5 ‘’/o con IO di amido mm. 25 Sol. acq. di gomma arabica al 5 ®/q con 5 o/g di amido . mm. 0,9 2' 2 » Id. » Sol. acq. di gomma arab. al 5 °/o con 2.5 ®/o di amido . » P- 35" 3 » Id. » Sol. acq. di gomma arab. al 5 % con 1.25 o/g di amido » T. 9" 4 » Id. » Sol acq. di gomma arab. al 5 "/n con 0.62 ®/q di amido » P. 3" 5 » Id. » Sol acq di gomma arab. al 5 ®/o con 0.30 “/o di amido » P. 5" Il sangue fra i corpi organici studiati presenta però un comportamento eccezionale. Per ottenere i corpuscoli rossi allo stato di discreto isolamento dal siero, veniva que- sto centrifugato con cura e decantato il liquido sieroso soprastante e poi era con carta bibula eliminato il siero. Evidentemente i risultati non possono avere che un valore som- mario ed approssimativo, perchè non completamente tutto il siero sanguigno era eliminato; però, io credo, che nel modo come operavo veniva esso ridotto ad una quantità trascura- bile, anche per le proporzioni più grandi di corpuscoli rossi che io usavo. Il sangue defibrinato veniva lasciato per qualche tempo in riposo , quindi filtrato alle carte da filtro comuni ed il siero con la massa corpuscolare era quindi centrifugato. Le due tabelle 14 e 15 dimostrano : che i corpuscoli rossi del sangue seguono la leg- ge comune dei corpi sospesi sino ad un certo punto ; vi ha un momento in cui con l’au- mentare del numero non si ha la diminuzione corrispondente del tempo igromipisimetrico, ma una spiccata tendenza al ritorno indietro. Per tal modo le forti sospensioni e le deboli avrebbero lo stesso tempo igromipisimetrico o molto vicino. Tabella XIV. N. progressivo Temperatura in centigradi Liquido D Altezza del liquido nel capillaie Liquido A Diametro della sezione del capillare Tempo igromipisi- metrico I 14». 3 Soluz acq. di gomma arabica al 5 7o cmc.q+cm^ i di sangue cenlrifugalo mm . 2 3 Soluz. acq. di gomma arabica al 5 “/g . . mm 0.9 !'■ 45" 2 » » » 8 -r > 2 » » Id. » 3'- 45" 3 » * » 74- » 3 » » Id. » 2'. 20" 4 » » » 6-\- » 4 » » Id. » P.45" 5 » » » 5+ » 5 » » Id. P. 38" 6 » » » 4-r » 6 » )) Id. » P. 34" 7 » » » 3+ » 7 » » Id. » P. 17" 8 » » » 2 » 8 » » Id. » P. 9 » » » I -|- » 9 * » Id. » P. 22" IO » Residuo del sangue centrifugato. » Id. » P. b" 8 Prof. Andrea Capparelli [Memoria V.] Tabella XV. N. progressivo 1 Temperatura 1 in centigradi Lipuido D Altezza del liquido nel capillare Liquido D Diametro della sezione del capillare Tempo igromipisime- trico I 140. 3 Soluz. acquosa di gomma arabica al 5 , . . mm. 23 Sol. acq. di gomma arabica al r o/„ .... mm. 0,9 i'. 20" 2 » Id. » Id. cmc.g-pcmc.i disan- gue centrifugato . . > i'. 36" 3 » Id, * Id. cmc.8-|-cmc.2 di san- gue centrifugato . . » 6'. 20" 4 f> Id. » Id. cmc.y-l-cmc.3 disan- gue centrifugato . . » 20' 5 * Id. » Id. ■ cmc.6-|-cmc.4 di san- gue centrifugato . » 0 Per eliminare maggiormente le cause di errore il liquido sanguigno veniva filtrato quindi centrifugato , lavato il residuo con soluzione fisiologica e centrifugato di nuovo : così i corpuscoli rossi non contenevano più siero sanguigno. Le tabelle XVI e XVII di- mostrano che i corpuscoli rossi conservano il comportamento citato. Tabella XVI. N. progressivo Temperatura in centigradi Liquido D Altezza del liquido nel capillare Liquido A Diametro della sezione nel capillare Tempo igromipisi- metrico I i4“.C Corp. rossi centrifugati, lavati e cen- trifugati di nuovo . . 22 mm. HjO distillato . . . mm. 0,9 i'. io" 2 » Id. c. c 4 -f I HgO .... » ■% » 45" 3 » Id. » 3 2 » .... » » » 23" 4 » Id. » 2 -|- 3 » . . . . » » » 24" 5 » Id. » I 4- 4 » .... » » » 32" Tabella XVII. N. progressivo Temperatura in centigradi Liquido D Altezza del liquido nel capillare Liquido A Diametro nella sezione del capillare Tempo igromipisi- metrico I 140. C Corp. rossi centrif. lavati e centrif. di nuovo mm. 23 Sol. fisiol. di NaCl. 0.76 “/o mm. 0,9 i'. 15" 2 > Id. c. c. 4+1 Sol. fisiol. 0.76 » » » 47" 3 ■% Id. » 3-f-2 » » » » 37" 4 » Id. » 2-I-3 » » » » 35" 5 » Id. » 1+4 » » » » 54" I corpi solidi sospesi nei liquidi e i fenomeni di igromipisia 9 Per quanto abbia tentato e cercato una spiegazione del curioso fenomeno presentato dai corpuscoli rossi, non sono riuscito a trovarla e mi esprimo dicendo : che deve esservi un rapporto ignorato tra i corpuscoli rossi ed i liquidi nei quali li ho sospesi (gomme e siero sanguigno). Tale rapporto è indipendente dal fenomeno analogo presentato dalla soluzione gommosa semplice, perchè si produce anche nei casi in cui le emazie sono sospese in soluzioni fi- siologiche ; cioè, in soluzioni di cristalloidi. Tutto sommato credo : che il comportamento dei corpi sospesi nei fenomeni di igromi- pisia ci illumina e ci da chiaramente la conferma di alcune nuove vedute sulla teoria delle soluzioni. CONCLUSIONI 1. Nei fenomeni di igromipisia i corpi minutamente sospesi ed equamente distribuiti nei lìquidi si comportano come se fossero disciolti. Il tempo igromipisimetrico varia con la proporzione del corpo sospeso. Credo che questi studi chiaramente appoggiano le nuove vedute sulla teoria delle soluzioni, delle sospensioni e delle sostanze colloidali. 2. Le sostanze minerali sospese si comportano regolarmente nell’identico modo delle loro soluzioni. Le sostanze organiche (amido) hanno lo stesso comportamento delle sostanze minerali. I corpuscoli rossi del sangue, sospesi nei liquidi, invece seguono il comportamento delle sostanze minerali sino ad un certo punto, dopo di che , crescendo il loro numero, il tempo igromipisimetrico non cresce, ma tende a ritornare al punto di partenza. Laboratorio di fisiologia sperimentale della R. Università. Catania, febbraio i^op. Memoria VI Istituto di Fisiolojjia sperimentale della R. Università diretto dal Prof. ANDREA CAPPARELLI DOU. GIOVANNI POLARA Intorno all’azione regolatrice del vago sulla temperatura iuterna degli animali omotermi Le numerose , accurate e concordanti esperienze compiute nel laboratorio dello Ste- fani (1), dal Vasoin (2), dal Farini (3), dal Soprana (4) e dal Pari (5) sull’azione del vago sugli scambi hanno indotto il fisiologo di Padova a considerare questo nervo come rego- latore di tutte le funzioni fondamentali per la vita degli animali superiori. Interessanti sopra tutto sono le osservazioni del Pari, il quale dimostrò che nei coni- gli operati di doppia vagotomia la temperatura interna si eleva più rapidamente che nei conigli normali e che 1’ ipetermia uccide i conigli vagotomizzati prima dei conigli di con- trollo. Il Pari, per evitare delle cause, che potessero mascherare e alterare le variazioni della temperatura interna consecutive al taglio dei vaghi e per poter riferire tali variazioni esclu- sivamente a modificazioni della produzione di calore, riscaldò i conigli vagotomizzati in ambiente saturo di umidità in modo da eliminare ogni perdita di calore dovuta alla venti- lazione polmonare. Poiché in un recente lavoro (6) ho dimostrato che i conigli e i colombi soprariscaldati in ambiente saturo di umidità elevano fortemente la loro temperatura interna e muoiono a temperature più basse degli animali posti in ambiente secco, si può dubitare se i risul- tati del Pari siano da attribuirsi esclusivamente al taglio dei vaghi o su di essi influisca anche 1’ umidità dell’ ambiente. Per chiarire questa quistione volli sperimentare sulle cavie vagotomizzate, soprariscal- date in ambiente secco allo scopo anche di estendere tali importanti ricerche su altri animali. (i) Stefani — Azione del vago sugli scambi e sulla temperatura interna — Ardi, di Fisiologia Voi. V. T. 111. 1908. t2) Vasoin — Sul glicogene epatico delle rane ibernanti e sulle modificazioni quantitative in seguito ad aumento rapido della temperatura nelle rane normali e nelle rane con vago tagliato. Sperimentale 1905. (3) Farini — Sulle variazioni quantitative del glicogene e delle sostanze albuminose del fegato per r influenza della temperatura e per il taglio dei vaghi. Atti Istituto Veneto 1907. (4) Soprana — Azione del vago sulla respirazione interna. Ulteriori ricerche intorno all’ azione del vago sulla respirazione interna. Atti Istituto Veneto T. LXIII. 904 e T. LXIV. 1905. (5) Pari — Sull’azione protettrice del vago contro l’aumento della temperatura interna. Gazzetta degli Ospedali e delle Cliniche n. 14 1 anno 1907 Areh. It. de Biol. XLIX f. III. (6) PoLARA — Sull’ipertermia nei conigli e nei colombi. Archivio di Farmacologia Sper. e Scienze affini Voi. Vili, f. I. Atti Acc., Serie V, Voe. II. Mem. VI. I 9 D.r Giovanni Palar a [Memoria VI.] A tal uopo divisi le cavie, di cui disponevo, in gruppi di tre individui ciascuno pres- so a poco del medesimo peso ; per ogni gruppo una cavia veniva operata di semplice vagotomia, un’ altra di doppia vagotomia, ed alla terza, che serviva come controllo, veniva inciso il connettivo cutaneo, scostati i muscoli fino a raggiungere i vaghi, i quali erano però lasciati integri. Il taglio del vago era fatto al di sotto dell’inserzione del laringeo superiore; l’ope- razione fittizia, a cui era sottoposto l’ animale di controllo, aveva lo scopo di stabilire iden- tità di condizioni negli animali sottoposti all’ ipertermia. Ogni gruppo di cavie così costituito veniva introdotto in una stufa a doppia parete rivestita di feltro, la quale era riscaldata lentamente. Appena posta fuori dalla gabbia e prima che subisse l’operazione, veniva presa la tempe- ratura rettale ad ogni cavia del gruppo : subito dopo l'operazione veniva introdotta nella stufa. Si ebbe sempre cura di operare con la massima rapidità possibile perchè riuscisse più esatta la comparazione reciproca. Introdotte le cavie nella stufa a temperatura crescente, si seguiva scrupolosamente lo andamento della temperatura interna di ognuna di esse, la quale veniva presa con un ter- mometro pronto ad ‘/io- Nelle seguenti tabelle sono contenuti i risultati di queste prime esperienze: I. Gruppo Cavia normale di g. 585 Tempera- tura ambiente Tempera- tura rettale Ora Osservazioni 150 C 38® C 13- Si sottopone alla ope- razione fittizia e su- 35° » 38O3 » 14. 30' bito dopo la tem- peratura rettale è di 44° » 40® » 15. 30' 38®2 C. 46® » 40® 5 » 15.40' 50® » 42®4 » 16 5 5° » 44 ®6 » 16. 25' Muore. Cavia con vagotomia destra di g. 602. Tempera- tura ambiente Tempera- tura rettale Ora Osservazioni 15® C 37®6 C 13 Subisce r operazione e la sua tempera- 35° » 32®5 » 14. 30' tura rettale subito dopo è di 35®4C. 44° » 3804 » 15. 30' 46® » 38®7 » 15.40' 50® » 41® » 16 5 5° » 44° I » 16. 25' Muore. II. Gruppo Cavia normale di g. 600. Tempera- tura ambiente Tempera- tura rettale Ora Osservazioni i6® C 37°9 C 9 Viene sottoposta alla operazione fittizia , 24® » 37®9 » io subito dopo la quale la temperatura ret- 35° » 3 7®9 » 1 1 tale è di 37®8. 46® » 0 0 1 1 . 40' 5 5° » 44° » 12 Ca na con vag otomia desti 'a di g. 650. Tempera- Tempera- tura tura Ora Osservazioni ambiente rettale 16® C 37®6 C 9 Subisce r operazione subito dopo la qua- 24® » 37°) » IO le la temperatura rettale è di 37® C. 35° » 37O9 » II 46® » 0 0 1 1 . 40' 5 5° » 44®4 » 12 Muore. Intorno alVasione regolatrice dei vago sulla temperatura interna ecc. 3 segue I. Gruppo Caria con doppia vagotomia di g. 590. Tempera- Tempera- Ora tura tura Osservazioni ambiente rettale 150 C 38» C 13 Viene operata e im- mediatamente la 35O » 31O5 » 14. 30' temperatura rettale si abbassa a 34'' C 44" » 3 1®6 » i)-3o' 46" » 3 3“ 15. 40' 50° » 34® 16 Muore. 55" » 16. 23' III. Gruppo Cavia normale di g. 590 Tempera- Tempera- tura tura Ora Osservazioni ambiente rettale 15O5 C 37®9 C 12. 30' 24“9 » 37»9 » 13 370 * 37O9 . 13. 30' 49«5 » 41^2 » 14. 2' 35"4 » 44“ » 14. 17' 56'^ » 44«i » 14. 25' Muore. Cavia con vagotomia sinistra di g. 575. Tempera- Tempera- tura tura Ora Osservazioni ambiente j rettale 15O5 c 1 37“6 C 1 2. 30' Viene operata e la sua 2I<'9 » 37“5 * temperatura rettale 13 subito dopo r ope- razione è di 3Ó''8. 37“ » 37% » 15. 30' 49O5 . 41^5 » 14, 2' 5 5®4 » 44“4 » 14. 17' 1 Muore. 1 segue II. Gruppo Tempera- tura ambiente Tempera- tura rettale Ora Osservazioni 16“ C 37^’8 C 9 Immediatamente do- po la subita opera- 24® » 3 1 <'7 » IO zione la tempera- tura rettale scende 35" » 3o'^'9 » 1 1 a 34O5 C. 46" » 31 ‘'7 » 1 1. 40' 55“ » 12 Muore. IV. Gruppo Calda normale di g. 220. Tempera- tura ambiente Tempera- tura rettale Ora Osservazioni i8« C 37®2 C 1 1 27“ » 37O2 » II. 25' 38O7 » 37% » 12 47® » 42'* » 12. 30' 49 0 » 44® » 13- 7' 49O » 44®9 » 13. 14' Muore. Cavia con vagotomia sinistra di g. 800. Tempera- Tempera- tura tura Ora Osservazioni ambiente rettale 18" C 37®4 C I I Subisce r operazione e immediatamente 27" » 34®8 » 11.25' dopo la temp. ret- tale é di 360 C. 0 oc 3 60 » 12 470 » 4 1 08 » 1 2. 30' 49® » 43O7 » 13- 7' Muore. 49" * 13. 14' 4 D.r Giovanni Polara f Memoria VI.l segue III. Gruppo segue IV. Gruppo Cavia con doppia vagotomia di g. 650. Cavia con doppia vagotomia di g. 350. Tempera- tura ambiente Tempera- tura rettale Ora Osservazioni Tempera- tura ambiente Tempera- tura rettale Ora Osservazioni 15O5 c 37"5 C 12. 30' Viene operata e la i8« C ’.yOS C I I • Viene operata e la sua temperatura rettale temperatura rettale 24®9 » 31° » 13 si abbassa subito a 27° » 29° » 11.25' si abbassa subito a 34"8 C. 3 5"C. 37° » 30° s> 13. 30' Muore. 0 CO 28" » 12 Muore. 49") * 14. 2' 47" » 5)"4 » 49" > 49" ' Dai dati suesposti si deduce che le cavie, appena operate di doppia vagotomia, entra- no in forte ipotermia, la quale continua e si accentua sempre più, anche quando gli ani- mali siano posti in ambiente a temperatura crescente. Differentemente succede quando gli animali vengono posti, immediatamente dopo l’ o- perazione, in ambiente a temperatura più alta della loro temperatura rettale, come si vedrà da esperienze che esporrò in seguito. Intanto faccio notare che tutte le cavie doppiamente vagotomizzate messe nella stufa, la cui temperatura più bassa della temperatura interna normale si mantenne tale per qual- che ora, morirono in ipotermia. Lo stesso successe per la maggior parte dei conigli da me operati, i quali lasciati alla temperatura ambiente, morirono a temperatura rettale oscillante fra 36° C. e 37°5 C. Ricordo il caso di un coniglio di g. 1300, la cui temperatura rettale era di 38°8 C. Dopo 15' del taglio di entrambi i vaghi la temperatura rettale si era abbassata a 34° C. e a tal grado si mantenne fino alla sera. Ritrovai l’ indomani il coniglio ancor vivo con una temperatura rettale di 34°3 C. Alle 11, cioè 23 ore dopo dell’operazione, morì con temperatura rettale di 32°5 C. Delle cavie operate di vagotomia da un lato soltanto alcune abbassarono, altre man- tennero normale la loro temperatura interna. L’ abbassamento termico consecutivo all’ ope- razione fu temporaneo e 1’ animale regolò ben presto il suo calore interno. In tutti i casi notai che 1’ abbassamento termico successivo all’ operazione di doppia vagotomia fu sempre immediato e rapidissimo e perciò io ritengo, col Pari, che esso debba attribuirsi ad aumento di dispersione calorica. L’aumento della dispersione del calore degli animali doppiamente vagotomizzati è for- tissimo, continuo ed, in ispecie nelle cavie, capace di produrre la morte agli animali operati. Per dimostrare sperimentalmente che la diminuita temperatura interna degli animali operati di doppia vagotomia è dovuta a forte dispersione di calore avrei dovuto far uso di un calorimetro sensibilissimo, ma poiché il laboratorio non dispone di tale apparecchio, cre- detti opportuno di costruirmi da me un apparecchino, il quale avrebbe potuto indicarmi grossolanamente se gli animali operati subissero aumento di dispersione calorica. Intorno all’ astone regolatrice del vago sulla temperatura interna ecc. 5 Mi servii all’ùopo della stufa a doppia parete ad acqua, la quale portava un solo foro, attraverso cui introdussi il tubo capillare di un termometro Baudin graduato ad ‘/s rotto. L’ acqua della stufa, essendo questa ermeticamente chiusa, saliva nel capillare del ter- mometro e si fermava ad un grado di esso, che accuratamente segnavo. Contemporaneamente un termometro sensibilissimo , il cui bulbo pescava nell’ interno della stufa, mi segnava la temperatura all’ interno di essa. Con esperienze preliminari mi assicurai che l’introduzione di una cavia o di un coniglio nella stufa non portavano alcuna variazione nella temperatura interna di essa e conseguentemente nessuna variazione nel livello dell’ acqua del tubo capillare. Tutto ciò mi indicava la scarsa sensibilità delfapparec- chio ed ero quasi deciso di abbandonare tali esperienze quando volli osservare che cosa sarebbe successo, introducendo nella stufa un animale operato di doppia vagotomia. Allora isolai i vaghi delle cavie e dei conigli, li legai con seta leggermente e, dopo averli rapidamente tagliati, introdussi 1’ animale nella stufa. Riferisco nelle tabelle seguenti i risultati ottenuti : (Jai'ia di (i- 570. Temperatura rettale Temperatura della stufa Altezza dell’aequa nel tubo capillare Ora Osservazioni 37“2 C 15O3 C 30 16. 25' Viene operata di doppia vagotomia. 3Ó®5 » 15O4 » 30. I 16. 45' 3 5‘'4 » 15O5 , 30. 2 17 330 » 15O7 . 30. 3 17. 30' 3 1" » 1 5O9 » 30 4 18 Cavia di g. 620. Temperatura rettale Temperatura della stufa Altezza dell’acqua nel tubo capillare Ora Osservazioni 37"5 C 15O C 29. 9 12 Viene operata di doppia vagotomia. 36» » I 5”2 » 29. 95 12. 20' 34« » 15O3 » 30 12. 35' 3(0 15 «4 30. I 13. 30' Cada di g. 475. Temperatura rettale Temperatura della stufa Altezza dell’acqua nel tubo capillare Ora Osservazioni 37O8 C 130 C 29. 9 9 Viene operata di doppia vagotomia. 34® * I5®2 S 29- 9) 9. 30' 31*' » I504 30. I 9- 55' 6 D.r Giovanni Poi ara [Memoria \'I.J Ho voluto anche osservare se i conigli m’ avessero permesso di raccogliere dei dati più evidenti^ che ho segnato nelle seguenti tabelle ; Coniglio di g. 1430. Temperatura rettale Temperatura della stufa Altezza dell’acqua nel tubo capillare Ora OSSERVAZ10.\I 38<'6 C 15»’ C 20. 9 I I Viene operato di doppia vagotomia. 34O5 >, 15O4 * 30 4 II. 5' 32»7 » i5"8 » 31. I 1 1. 28' Coniglio di g. 1300 • Temperatura rettale Temperatura della stufa Altezza dell’acqua nel tubo capillare Ora Osservazioni 38O8 C i4®4 C 29.7 13 Viene operato di doppia vagotomia. 35", » 15“ » 29.9 13. 22' 34" » 15O3 » 30.2 13.40' I dati superiormente esposti non possono avere alcun valore assoluto , essi non di meno valgono a dimostrare chiaramente che la diminuzione di temperatura, che subito sus- segue all’ operazione di doppia vagotomia, è essenzialmente dovuta a forte aumento nella dispersione del calore. Le cavie ed i conigli operati di semplice vagotomia che, come ho avanti detto, ab- bassano la loro temperatura rettale, messi nell’ apparecchio hanno anch’ essi segnato au- mento di dispersione del calore , tale aumento però è durato per breve tempo e ben pre- sto è tornato al normale col tornare al normale della temperatura interna dell’ animale. Cavia di g, 370. Temperatura iettale Temperatura della stufa Altezza dell’acqua nel tubo capillare Ora Osservazioni 37O2 C 15O2 C 30 13 Viene operata di vagotomia destra. 35" » 15O5 * 30. 25 n. 25' 3702 » 1 5<'i » 30 14 Intorno all’asione regolatrice del vago sulla temperatura inter ita ecc. 7 Cavia (li g. 295. Temperatura rettale Temperatura della stufa Al t e z z a dell’acqua nel tubo capillare Ora Osservazioni 37O5 C (5"? C 30 14 Viene operata di vagotomia destra. 35% » i5®ó 3 30, 3 14- 3S' 37"4 » I p2 » 30 15 Il taglio di un solo vago dunque apporta solo un disturbo temporaneo nella regola- zione della temperatura interna, per cui 1’ animale tenuto alla temperatura dell’ ambiente, irradia in sul principio maggior quantità di calore del normale. In seguito però e ben presto esso provvede alla regolazione della sua temperatura interna. Diverso è l’ andamento della temperatura interna degli animali, quando questi, dopo 1’ operazione di semplice o doppia vagotomia, vengono posti in ambiente a temperatura più elevata della loro temperatura nor- male^ come si vedrà dalle seguenti tabelle ; I. Gruppo Cavia di g. 435 normnle. Tempera- tura ambiente Tempera- tura rettale Ora Osservazioni 150 C 37® C 1 1 37^2 s> 37O3 3 !2. 30' 39® 3 37®9 » '3 4i®5 » 39® » 13. 30' 47® 3 42®5 » 14. 30' Cavia di g. 505 con vagotomia ministra. Tempera- tura ambiente Tempera- tura rettale Ora Osservazioni 15® C 37®2 C 1 1 Viene operata e mes- sa nella stufa. 37»2 3 37®2 3 12. 30' 39® 3 37®8 3 13 4i®5 3 39®2 » 13. 30' 47® 3 45® 3 14. 30' Muore. II. Gruppo Cavia di g. 425 normale. Tempera- tura ambiente Tempera- tura rettale Ora Osservazioni i4«5 C 3é®9 C 8 37®6 3 37® 3 8. 30' 40® 3 39® 3 9 45® » 43® 3 IO Muore. Cavia di g. 410 con vagotomia sinistra. Tempera- tura ambiente Tempera- tura rettale Ora Osservazioni 0 n 37® C 8 Viene operata e mes- sa nella stufa. 37®6 3 37® » 8. 30' 40® » 39® 3 9 45® 3 42®5 3 IO Muore. 8 D.r Giovanni Polara [Memoria M.] segue I. Gruppo Cavia di g. 510 con doppia vagotomia. segue II. Gruppo Cavia con doppia vagotomia di g. 525. Tempera- Tempera- Tempera- Tempera- tura tura Ora Osservazioni tura tura Ora Osservazioni ambiente rettale ambiente rettale !5<> C 3Ó®9 C 1 1 Viene operata e mes- 14°) c 3Ó®8 C 8 Viene operata e mes- sa nella stufa. sa nella stufa. 37O2 » 37®i » 12. 30' 37®6 » 37®2 » 8, 30' 390 » 38®4 » 0 40® » 39") » 9 Muore. 41® » 40" » 13. 30' Muore. III° Gruppo IV® Gruppo Coniglio di g. 1285 normale. Coniglio di g. 1100 normale. Tempera- Tempera- Tempera- Tempera- tura tura Ora Osservazioni tura tura Ora Osservazioni ambiente rettale ambiante rettale i5« C 38O8 C : I 4®5 C 38®9 C '5 370 » 38®8 » li. 15' 38» » 38®q » 15. 30' © 0 38®9 » II. 34' 41® » 39® » 15. 40' 56® » 39® » 1 1 . 40' 43° ’ 40® » 16. 5' Sopravvive. 56® » 41® » II. 50' Sopravvive. Coniglio di g. 1225 con doppia vagotomia. Coniglio di g. 1200 con doppia vagotomia. Tempera- Tempera- Tempera- Tempera- tura tura Ora Osservazioni tura tura Ora Osservazioni ambiente rettale ambiente rettale 13® c 38®6 C I I Viene operato e mes- 1405 C 38»8 C 15 Viene operato e mes- so nella stufa. so nella stufa. 37® » 34O7 » II, 15' 38® » •;4" » 15. 30' 40® » 38®7 » II. 34' 41“ » 39°5 » 15.40' 56® » 0 0 II. 40' 43® ’ 41® » 16. 5' Muore. 56® » 41®; » II. 50' Muore. La temperatura interna delle cavie e dei conigli operati di doppia vagotomia e sopra riscaldati in ambiente secco aumenta più rapidamente della temperatura interna degli ani- mali a vaghi integri. Inoltre le cavie e i conigli doppiamente vagotomizzati muoiono a tem- peratura più bassa degli animali normali. Le cavie con sezione di un solo vago, soprariscaldate in ambiente secco, si compor- Intorno all astone regolatrice del vago sulla temperaliira interna ecc. 9 tano invece come gl’ individui normali ; solo esse muoiono a temperature di poco più basse delle cavie normali. Se adunque anche in ambiente secco, nel quale è possibile la ventilazione polmonare la temperatura interna aumenta molto più rapidamente negli animali con doppia vagoto- mia che non in quelli a vaghi integri, bisogna logicamente inferirne che i vaghi modera- no r eccessiva produzione di calore. Resta così meglio e più largamente confermata l’azione regolatrice dei vaghi sulla tem- peratura interna degli animali a sangue caldo. Durante le esperienze su riferite mi fu facile raccogliere numerosi tracciati di respiro di cavie con doppia vagotomla e soprariscaldate in ambiente secco. Ne riporto semplice- mente uno essendo tutti gli altri simili ad esso. Dall’ esame di tale tracciato si rileva che il taglio dei vaghi produce immediatamente una forte rarefazione negli atti respiratori ; a questa rarefazione corrisponde un forte ab- bassamento della temperatura rettale. Ponendo 1’ animale operato in ambiente a temperatura crescente, i suoi atti respiratori aumentano di frequenza, coll' aumentare della temperatura ambiente , ma si mantengono sempre più rarefatti del normale. Tutto ciò conferma quanto io ebbi occasione di sostenere nel sopracitato lavoro ri- guardo all’ origine della tachipnea. Essa è essenzialmente dovuta ad aumentata eccitabilità bulbare per rispetto agli stimoli periferici trasmessi dai rami sensitivi del vago polmonare. CONCLUSIONI Il v^ago agisce come regolatore della temperatura interna negli animali a sangue caldo: la sua azione regolatrice si manifesta inibendo gli scambi nelle alte temperature. L’ abbassamento termico consecutiva al taglio dei vaghi è dovuto ad aumento della dispersione del calore : tale aumento è molto forte, si prolunga per due o più ore e ge- neralmente si arresta colla morte dell’ animale. Catania, gennaio i^og. Atti Acc., Serie V, Vol. II, Mem. VI. 2 10 D.r Giovanni Palar a [Memoria Vl.J SPIEGAZIONE DEI TRACCIATI A — tracciato di cavia normale alla temp. amb. 1 5® C e alla temp. rettale 37"8C B - » » con doppia vagotomia » > 15° 5 fi » » 34"S » C — » » » » ^ » 44'! » » » » 40'’6 » D - . » » T> » » 5 47O » » » 42'’ » E — » » » » » » 48® » » > A 43O » F ~ » 2> » » » s 50*' » % » » 46'’ . Intorno all’amone regolatrice del vago sulla temperatura interna ecc. 11 I 1 'ì j 1 J ■■I .^leBiiorìsi Vffff. Posizione dei Vulcani rispetto al mare ed al Sole Nota del D.r G, HOT Con una tavola RELAZIONE Della Commissione di Revisione composta dei Socii effettivi Proff. G. P. GRIìMALDI ED A. RICCO (Relatore). Questo lavoro mette in evidenza il fatto singolare ed interessante che quasi tutti i vulcani della terra giacciono presso le coste rivolte al sole. La Commissione ritiene che questa particolarità della giacitura dei vulcani, la quale deve avere importanza per la spiegazione della genesi del vulcanismo, meriti di essere fatta conoscere , pubblicando negli Atti della Accademia la nota e la tavola illustrativa del D.r Horn. Che r attività vulcanica si svolgesse lungo le rive del mare era noto anche ai più antichi investigatori dei fenomeni naturali e che dal mare traessero la loro origine fu la credenza volgare conservataci anche nei canti Omerici : 1’ occhio unico dei Ciclopi figli del Dio del mare Nettuno raffigurava il cratere dei Vulcani ed i massi scagliati da Poli- femo contro le navi d’ Ulisse sono forse 1’ episodio d’ un’ eruzione. Sebbene nessuno più dubiti che esista una strettissima relazione tra il mare ed i vul- cani pure la funzione del mare fu interpretata molto diversamente nelle numerose teorie proposte per render conto di quei formidabili rivolgimenti che si maturano a pochi chilo- metri sotto la superficie della terra e si manifestano a noi soltanto nella loro ultima fase. Pochi sono gli esempi di vulcani attivi lontani dalle acque del mare : in questi l’at- tività esplosiva è totalmente cessata e dànno segno di vita soltanto in qualità di Solfatare, come il Demavend a Sud del mar Caspio ; altri poi sono situati in vicinanza di grandi laghi o mari interni quasiché alla loro vita fosse necessaria 1’ acqua indipendentemente dai sali eh’ essa contiene. Ma non su tutte le rive del mare sorgono vulcani e la Geografia c’ insegna che ne sono esenti quelle che non guardano il Sole, cioè ; le settentrionali nell’ emisfero boreale; nell’ emisfero australe quelle che sono rivolte verso il polo Sud della terra, mentre nelle regioni tropicali illuminando il Sole nel corso delle stagioni successivamente tutte le rive. Atti Acc., Serie V, Vol. II. Meni. VII. I 2 D.r G. Horn [Memoria VII.[ qualunque sia il loro orientamento verso il Sole rispetto i punti cardinali, 1’ attività vul- canica si manifesta dovunque indistintamente. Uno sguardo alla carta geografica che illustra questa nota basterà per farsi un con- cetto di questa particolarità dell’ attività vulcanica limitata alle coste illuminate dal Sole. Si noti p. e. la mancanza assoluta di vulcani nelle coste settentrionali d’ Europa e d’ Ame- rica ed i numerosi centri eruttivi dell’ Islanda meridionale ; le regioni tropicali contenenti i maggiori vulcani del globo rivolti parte a Nord parte a Sud come nelle Isole della Son- da e nell’ America centrale ; il Taravera della Nuova Zelanda, 1’ Erebus ed il Terror i due colossi dell’ Oceano antartico ; la mancanza di centri eruttivi nella costa meridionale dei- fi Africa e dell’ Australia. In questa carta i vulcani attivi sono rappresentati da punti, i vulcani spenti da circoletti , e nel delinearla m’ attenni all’ eccellente rassegna di G. Mer- calli la quale oltre ai vulcani attivi, contiene buon numero di quelli allo stato di Solfatare e di quelli spenti (Vedi G. Mercalli '■ I Vulcani attivi della terra — Milano Hoepli 1907). Con la scorta di quella Rassegna esamineremo le diverse regioni vulcaniche della Terra. I vulcani attivi d’ Europa sono contenuti nel bacino del Mediterraneo. Gli spenti sono per la maggior parte interni. (Vulcani dell’ Eifel, della Francia centrale, della Boemia e dell’ Ungheria). Alcuni vulcani spenti di minor importanza si trovano anche in prossimità del mare. (La catena vulcanica che va da Monte Amiata a Roccamonfina ed i piccoli co- ni del Castel Fullit in Ispagna e del Monte Ferrù in Sardegna). Anche nelle zone del vul- canismo attivo dei gruppi Flegreo Siculo ed Egeo si liscontrano alcuni focolai d’eruzione oramai completamente estinti. Il maggior vulcano attivo (quiescente) dell’ Asia occidentale è il grande Ararat a Nord del lago di Wan e, tranne il vulcano di Medina eh’ ebbe un’ eruzione nel 1827 tutti gli altri centri sono o completamente estinti o dànno segni evidenti di decrepitezza. Anche il Demavend a Sud del Mar Caspio è ridotto ormai allo stato di Solfatara. L’ origine dei vulcani dell’ Asia continentale specialmente quelli della catena del Thian Shan si spiega con la presenza d’ un mare che nelle epoche anteriori spingeva le sue acque in quella regione (1). Nelle diverse epoche geologiche variarono sensibilmente i li- miti dei mari e le configurazioni dei continenti ed alcune regioni situate convenientemente ed allora vulcaniche ora per essersi ritirato il mare conservano appena le traccie dell’attività scomparsa. Un notabile esempio di questo fenomeno è presentato dai ruderi vulcanici delle montagne del Marocco e degli isolotti allineati lungo la costa dalla Galita al golfo di Me- nila. Questa regione era bagnata a Mezzogiorno dalle acque dell’ Oceano Atlantico pene- trante tra le montagne del Marocco ed il mare come lo asserisce il Suess (2). Con la penisola del Kamciatka incomincia la serie quasi ininterrotta di vulcani penin- sulari ed insulari dell' Asia orientale. Il massimo dell’ attività è raggiunto dalle isole della Sonda, dove i vulcani si trovano indistintamente su tutte le coste, tanto su quelle esposte a Mezzogiorno, quanto su quelle esposte a Settentrione, essendo illuminate successivamen- te dal Sole durante la sua oscillazione annuale da un tropico all’ altro. (i) Sudd. Volcanoes, what thè yare and what they teach. pag. 237. (21 11 existait par contre une coramunicntion des deux’ mers par la ligne du Guadalquivir au pied Sud de la Meseta et très probablement une communication encore plus important par le Maroc. (La Face de la Terre I. 448). Posizione dei Vulcani rispetto al mare ed al Sole 3 I vulcani dell’ Africa equatoriale sono situati in prossimità dei grandi laghi come il Teleki ed il Mfumbiro, 1’ uno a Sud del lago Rodolfo, 1’ altro dell’ Alberto Edoardo. Nelle isole del grande Oceano quella di Hawai a 18° di declinazione boreale presenta 4 vulcani, 2 dei quali sono rivolti verso Nord e 2 verso Sud. II Taravera della Nuova Zelanda è sulla costa settentrionale dell’ Isola (il Tongariro , Ngauruhoe e Ruapehu sono quasi nel centro dell’ isola e si possono mettere in relazione tanto con la costa orientale quanto con quella occidentale). Lo stesso fenomeno si verifica nell’ America centrale 1’ attività vulcanica massima si svolge nella zona tropicale tanto sulla costa Sud occidentale del Pacifico quanto in quella settentrionale del golfo del Messico. Nelle zone temperate dell’ America i vulcani si trovano sulla costa occidentale. Anche i centri eruttivi dell’ Islanda si trovano sulle rive che guardano il Sole mentre le opposte ne sono completamente sprovviste. Catania, Aprile 1909. ì- jfleiiiorìst Sullo sviluppo di uua funzioue reale di variabile reale in serie di fuuzioui sferiche di prima specie Memoria di CARLO SEVERINI In una Nota : Sopra aìciuie proprielà comuni a più serie di funsioni di uso frequente nell Analisi, pubblicata recentemente negli atti del R. Istituto Veneto, (* (**)) am- mettendo di tali serie la convergenza, ne ho dedotto alcune notevoli conseguenze, tra cui il teorema che la loro convergenza quasi uniforme è condizione necessaria e sufficiente , affinchè possano rappresentare la funzione data , supposta continua. Passando dopo ciò alla ricerca dei criteri di convergenza, mi propongo nella presente Nota, d’ indicarne alcu- ni, che mi sembrano notevoli , per le serie di funzioni sferiche di prima specie : di tali criteri il primo, come sarà in fine mostrato, si trova in particolare soddisfatto per funzioni continue, a variazione limitatata (ff. Il metodo, che sarà qui adottato, è applicabile anche ad altri casi, come mi propongo di far vedere in una prossima Nota. 1. Sia f {x) una funzione reale, ad un valore, della variabile reale x, limitata, atta all’ integrazione nell’ intervallo (—1, -|- 1). Se con f, (x) indichiamo la funzione, definita per ogni valore reale di x, mediante le condizioni : /i (x) =f ( — 1) per m ^ — 1 f{x)=f{x) „ -l o, si può porre; il') 1 \ n r. sen 0 / f cos rj. (n, 6) I 11 ' ove è X = cos 0, ed a {n, 0) rappresenta una funzione, il cui valore assoluto, nell’intervallo ( — 1 — 5), e per ogni n o, h minore di una costante positiva, finita. Sostituendo nel secondo membro della (6), se ne deduce; e quindi ; («+i) («) _ (n) I w-j-i -P(x) P\x') P{X) P{x ) ^ I ^{x^x'yU) 1 ^ X — X ^ I _ — ^,,1 I) {n+i) (n) __ (n) («+i) | n-f-i P(x) ' P{x'Y P{X) P{x') c; ^ {x,x',n) 2 X — x' X — x' ove P (x, X, n) rappresenta una funzione che è in valore assoluto minore di una costante positiva, finita per ogni n 'P> o q per ogni x ed x' compresi nell’ intervallo ( — 1 -t-8, 1 — S). Z)i una costante positiva, finita, si mantiene pertanto minore il secondo membro della precedente disuguaglianza se, oltre alla condizione dianzi detta, si pone che x ed x' soddisfino all’ altra ; X — x' i ^ s' , e essendo una quantità positiva non nulla, arbitrariamente scelta. Dopo ciò è chiaro che possiamo senz’ altro enunciare il seguente teorema, che facil- mente si deduce dal teorema A. A'. Nelle ipotesi poste in principio (§ 1) per la f (x) la serie : (2) 00 S ^ f (x') P^''\x')dx'. P^''\x) è in un punto x interno all’ intervallo (— 1, -f- 1) convergente, e rappresenta il Sullo sviluppo di una funzione reale di variabile reale in serie ecc. 7 limite, a cui tende, al tendere di k a sero, la F (X, k) = — ^ 0 - fi («) « du . se esistono due numeri positivi, non nulli, s ed fra loro indipendenti, tali che si abbia, qualunque siano n ^<7 h ( | h | ^ 2) : «-f- 1 2 fi ('V', h) («-I-I) (?2) (/I) («4-1) P(x) P{x') P(x) P(x') X — x' dx' ^ M' {M' costante); e di più, per ogni h minore, in valore assoluto, di una quantità positiva h', ab- bastansa piccola: «-hi 2 j[/i + b) — t^ {x')'] d(«+>) p(n) d(”) ^(x) -^(x') -^(y) ^ {xY X — x' dx' 0 essendo positivo, arbitrariamente scelto. In un tratto interno (di’ intervallo ( — 1, -(- 1) per tutti i punti del quale le quantità M' , t, s' ed h' esistano, e possano determinarsi in modo che abbiano, la prima un limite superiore finito, le altre ciascuna un limite inferiore maggiore di sero, per ogni valore assegnato di o, la serie (2) converge in egual grado e ad essa tende in egual grado, al tendere di k a sero , la F (x, k). 5. Conviene ora mettere in relazione la F (.r, k) colla funzione data f {x). Sostituendo u ad , si può scrivere ; I — j“CO fy (x -\- hi) e du . Se quindi G indica il limite superiore dei valori assoluti di / (x), e c è una quantità positiva, tale da avere : 2G 0 essendo il solito numero positivo, piccolo a piacere , si otterrà a maggior ragione, qua- lunque siano X e k (/fe )> 0) : F {x, k) r Fr U fy (x -h ku) e da 0 3 8 Carlo Severini [Memoria Vili.] Si fìssi ora un valore x dì x neU’intervallo ( — 1, -]-l) e si chiami con 1’ oscilla- zione della /i ix) in quel punto. _ Sarà possibile determinare un intorno (x — '/j, x~\~y del punto x {r^ quantità positiva) tale che, per ogni punto x di esso, risulti ; fi (X) — fi (X) I -{- ~ ■ Se pertanto k indica un numero siffatto, che si abbia : risulterà per ogni k k \ k c 1 + 1 1 [ fi ix) — fi {X -1- hi) ] e du ] / — c ed o.ssei vando che si può scrivere : e quindi ; /l {X) = I TC fi (X) e du , 00 fi verrà in ultimo, tutte le volte che h k : 1 F (x, k) — f (x) 1 ^ -P 3 . Da quanto abbiamo dianzi detto si deduce che si può, assegnati due numeri a e >. po- sitivi, piccoli a piacere e fra loro indipendenti, escludere dall’ intervallo ( — 1, -|- 1) un numero finito di tratti, la cui somma sia minore di X, in modo che nelle parti rimanenti, per valori di k che non superano un determinato limite U, opportunamente scelto, risulti : i F (X, -fe) - / W 1 ^ a. In particolare, se la f ix) è in un punto x continua, si ha : lim F (X, l) — f {X) , k—O e se è continua in tutto un tratto, la F (x, k), al tendere a zero di k, converge unifor- memente, per tutti i punti di questo, ad f (x). In un punto, nel quale la f {x) abbia una Sullo sviluppo di una funzione reale di due variabili reali in serie ecc. 9 discontinuità di prima specie, risulta infine ; lim F {x, k) --- fi (X + O) + fi (X -o) (*) r 6. Da quanto abbiamo detto nei §§ precedenti si traggono alcune conseguenze im- portanti. Posto che in ogni punto di un tratto (xi, xa) dell’intervallo ( — 1, siano soddi- sfatte le condizioni di uno dei teoremi A, A', B, (**) sotto le quali la serie : converge, e rappresenta il limite al quale tende, al tendere di ^ a zero, la F (x, ^), risulta in tutti i punti di quel tratto : ove Z)a; indica, come sopra, l’oscillazione della f (xj nel punto x che si considera, e però la serie (2) rappresenta in (xi , Xa) la f (x), fatta al più eccezione per i punti di un in- sieme di misura nulla ; e prefissati due numeri positivi a e A., fra loro indipendenti , pic- coli a piacere, si potranno escludere da (xi, xa) dei tratti in numero finito, la cui somma sia minore di b, in modo che nelle parti rimanenti si abbia : Dopo ciò, convenendo per brevità di dire che le condizioni di uno dei suddetti teo- remi sono uniformemente soddisfatte nel tratto (xi, xa), quando le quantità, di cui si parla in dette condizioni, possono essere fissate in modo che valgano per tutti i punti di (xi, xa), è chiaro che siamo ora in grado di enunciare il seguente teorema : C. Sia f (x) una fnnsione reale^ ad un valore, della variabile reale x, limi- tata, atta all’ integrasione nell' intervallo ( — /, -j- /). Se per un punto x di questo sono sodisfatte le condisioni di uno dei teoremi A, B, A', la serie : Mat. di Palermo, T. XIX, (1900). (**) 11 tratto non può avere come estremi nessuno dei punti — i, q-i quando si tratti del teorema A'. I (*) Cfr. la mia nota: Sulla rappresentavi oue delle juniponi reali di variabili reali ecc.; Rendic. del Gir. Atti Acc., Serie V, Vol. II. Meni. Vili. 2 10 Cario Severini [Memoria Vili.] converge, e soddisfa alla disuguagliansa : ove Dsc indica V oscillasione della f (x) nel punto x, che si considera ; e se in que- sto la f (x) non ha una discontinuità di 2^ specie, risulta inoltre : In un tratto (xi, X2), deirintervallo ( — 1, -pi) tutti i punti del quale siano soddisfatte le coìidisioni di mio di quei teoremi, la serie {2) rappresenta la f (x), fatta al più eccesione per i punti di un insieme di misura nulla ; e prefissati due numeri q e \ positivi, piccoli a piacere, fra loro indipendenti, si pub escludere da (xi, X2), dei tratti in minierò finito, la cui somma sia minore di X, in modo che nelle parti rimanenti si abbia : Se in particolare la f (x) è in (xi , X2) , continua , e le condisioni sopra dette sono ivi uniformemente soddisfatte, la (2) converge alla f (x) in egual grado. 7. Vogliamo ora mostrare che la prima condizione del teorema A è uniformemente soddisfatta per tutti i punti di un intervallo ( — 1— §), interno airintervallo ( — se fra — 1 e -)- 1 la f {x) è a variazione limitata. In tale ipotesi possiamo scrivere ; ove cp (x) e (x) sono funzioni positive, limitate, non decrescenti fra — 1 e -j- 1 , e quindi per ogni h fìsso {\h\ ^ 2) ; /, (X + o) + f^ (x — o) f (V) = t? (x') - 6 {x') , (9) (x' + h) = (O^ ix' + h) — àj (x' -4- h) , ove con tpi (x') e 4*1 intendiamo due funzioni dedotte rispettivamente da cp (x') e (x') come la fi (x) da f (x), (cfr. § 1). Posto per comodità di scrittura : = S {X, x\ n). 2 X — x' (*) Cfr. la mìa nota negli atti del R. Ist. Ven. citata in principio. Stillo sviluppo di una funzione reale di variabile reale in serie ecc. 11 si ottiene ; (10)- «+i P^x) P{x') - P{X)P{X') — I r ' r ' dx' — I cpi (x' + /j) S {x,x\ n) dx' ~ j òj (x' -(- /j) S(v,x',n) dx'. Mostriamo che ciascuno degli integrali, che figurano nel secondo membro della prece- dente eguaglianza, è in valore assoluto minore di una costante positiva, finita, qualunque siano n ed h (|/;| ^ 2) e per ogni x appartenente all’ intervallo (• — 1 -j- 3, 1 — 5), ove 3 è una quantità positiva non nulla, prefissata piccola a piacere. Basterà considerare il primo dei suddetti integrali, il medesimo ragionamento potendosi identicamente ripetere per 1’ altro. Posto : P = S-3', cominciamo col considerare l’ integrale : ' tfi {x' -f- h) S {x, X,' n) dx'. Applicando il secondo teorema della media otteniamo : r-i+o' (ri) ”) = fi (- . —I r -i+ò" r—!+ò' /; + o) I S (x, x', II) dx' + <0^ ( — I -j- o' h — o) I S(x, x',n) dx' , 7-1 J -i+ò" ove 3" è una quantità soggetta alla condizione o ^ 3" ^ 3' , dipendente dai valori di x, h ed 11. Anche qui, dei due integrali che figurano nel secondo membro di questa eguaglianza, basterà che ne consideriamo uno , ad es. il primo. Sostituendo in questo , al posto di S (x, x\ n), la sua espressione ed applicando nuovamente il secondo teorema della media, posto — l-{-3^x^l — 3^ abbiamo : I +-0" (I2) S {x, x', n) dx' — (11+ 1) P(x) («+!) j'^i+l"' („) r-iA-Z'" Av) / («) P(x) I P{x') dx' — — 7Y I P{x') dx' ■ X + I •— I-fÒ" («) («) P{x) • — 1+3" (n+i) + x+i— 3" \P (P) dx' - \P (x') dx' > , J _,+3"' J -1+5"' ) ove 0 ^ 3"' < 3". 12 Carlo Severmi [Memoria Vili.] Tenendo conto della nota formola ; (13) , («) d («+0 d (li — i) + = -d7P{^) si riconosce immediatamente che ciascuno degli integrali del secondo membro della (12) è in valore assoluto minore di — -, — , e però si ha ; 2 « + I ’ ^ I S (x, x' , n) dx' < 2 (n + 1) 2 n -4- I I J'O 1 , I J«+o \P{x')\ + \P{x) x + I .r-f-i— S" ed a maggior ragione : ‘-i-fS" S {x, x', «) dx' ^ * I («) ^ ^ ] I Pix) (”+i) I ( P{x) \ ' S ^ (1 ' Siccome | P[x] | , al crescere di n , tende a zero uniformemente per tutti i valori di X nell’ intervallo ( — 1 1 — ^) , il medesimo può dirsi dell’ integrale : ed analogamente dell’ altro : ^ — 1+8' S{x,x',n) dx', — I r-i+s' I S (x, x' , n) dx' \ -1+5" sicché per la (11) si conclude che, al crescere di n, 1’ integrale : •— 1+5' (Cj [x' h) S {x, x', n) dx' converge uniformemente a zero, per tutti i valori àX h { \ h \ -^2), e per tutti i valori di X nel detto intervallo. Della medesima proprietà gode l’ integrale : {x' + ^'15' {x, x', n) dx'. 1-5' Da quanto abbiamo detto nel § 4 appare evidente che si può assegnare una costante Sullo sviluppo di una fuyisione reale di variabile reale in serie ecc. 13 positiva finita, di cui, qualunque siano n qA h { \ h \ ^ 2), h minore in valore assoluto ciascuno dei due integrali ; [JL pi—V [x' -^h) S (X, x', u) dx' ; / (pj (x' S (x, x', n) dx' . -i+ò' J x+ix Restano i due integrali: ’X cpi (x' h) S {x, x', n) dx' , / pj {x' + h) S (x, x', >i) dx' . X— JJ. J X dei quali ci limiteremo a considerare il primo, lo stesso ragionamento potendosi analoga- mente ripetere per 1’ altro. Applicando il secondo teorema della media^ otteniamo : rx fx (14) / ?! + b) S (X, x', n) dx' - c'r — 'p -{ o) I S (x, x', n) dx' w^{x h —o) I S {x, x', u) dx' . -p. J x—Y- J x—y' ove [i.' è una quantità, soggetta alla condizione 0 ^ [x' ^ [i. Ora si può dimostrare che l’ integrale : r~' I S (X, x', n) dx' J x—Y qualunque sia [J-, soddisfacente alla condizione o , qualunque sia n e per ogni x deir intervallo ( — 1 + 1 — ^) è minore di una costante positiva, finita. Quando avremo, ciò stabilito^ risulterà, a causa della (14), che è, in valore assoluto, minore di una co- stante positiva , finita, per ogni n ed h { \ h \ ^ 2) e per ogni x di ( — 1 -|- ò, 1 — §) r integrale : r I fflj (x' -h h) S (x, x', n) dx' , J x—Y ed analogamente anche 1’ altro : 'x+Y !p, (x' + h) S {x, x', n) dx' ; con che resterà senz’ altro stabilito quanto abbiamo asserito al principio di q uesto pa- ragrafo. 14 Carlo Severiut [Memoria Vili.] Ora per la (13) si ha : (O) /’x — u. I S (x, x', n) dx' J n 2 v= I (v)^ ('•'+£) (v-0 (v-M) (V— I) / I P(x)f P(_X—^) — Pyx — [).) — P(x— ix)-(- P(x— jj.) ' 2 ^ Posto ; X — COS h, X — ^ — COS 6', X — [i. “ cos fi" essendo x compreso fra — I + ^ ed 1 — 9 , possiamo' trasformare il secondo membro della (15) per mezzo della (7). Dall’espressione che così si ottiene per l’integrale ,-X-\L I S (x,x',H)dx' J X- IX si riconosce immediatamente che esso differisce in valore assoluto per meno di una costante positiva, finita, qualunqne siano n, [x ed x, soggetti alle dette condizioni, da : — 2 ir )/ sen 6 sen 6'‘ v—ni (V + — ) e - a (v, 0) / \ \ I sen 6'' (v^ — )0"— — 2 4 a (V, 0") / i6) xf sen 0 sen0' \i—n y. -)0- + 0; i ) 1 I sen fi' sen 2 4 + a fv, fi') Si consideri la prima di queste due somme. Essa può scomporsi in quattro somme, di cui le tre dipendenti da a (v, 6) o da a (v, d') o da entrambe queste quantità, si man- tengono sempre in valore assoluto minori di una costante positiva finita, qualunque sia n e per i detti valori di x e ix, come subito si vede, osservando che il termine generale di esse contiene come fattore , ove p indica un numero intero, maggiore od uguale a 2. vr Per la quarta si ha : — 2 sen 0" X ^ sen 0 sen 0" cos 1 1 4- > sen (V + — ) 0" - — L 2 4 j L 2 ' 4 J V _L i/sen fi" V ” sen (^ + ~^) (0" — fi) — cos (v + ^)(0" P 0) f sen 0 Delle due somme ; 2 ” sen (v q — (0" — 0) ^ 2 ” V XX I • V ’ V XX I V Sullo sviluppo di una funzione reale di variabile reale in serie ecc. 15 la prima è minore, in valore assoluto, come facilmente si vede, di una costante positiva, finita per ogni //, 6, 0"; e riguardo alla seconda si ha che la serie S ^ ) (9 + 6) V ~ I V converge in egual grado per tutti i valori di fi' -]- 6" compresi in un intervallo interno a (o, 2%), il che si verifica se x appartiene a (— 1 -f-^, 1 — essendo [J- .■» * -'"I , ••-• • ? .... vi'» ■> ' V vV»' ' S^? - ■ " \ ** -i- f ■ ;X > ■■^-■1 ■■■'■■• . V'"X St ^ ' .'•■ ..I .- .H/ •»- '■■ .'*'«»*, U ■■> ■• .7^-’' .s't: '. 1. i, H.(.' u .-. >17; ■. .■ '.W ' ,4 ■ ■ ■',?1 S. :i i4 .jr^'-'vr, ' -f. : V''. '-.i; Vi W .m f ■ f 'M ,.7'^ ,ì,n^ ■-»itr -4 ■,*= :Pjr '-f " r V''. Ì.V .*,■ ■ ;%.\<'v, ^, -,«> V. >V„ 5^' ■ ' - ’' " -. '■ ■'■ ■"' ' * ' ■'•‘W-: ■' ' -<#*§ '. ' ... •• _ ■- a; ''-31 ,-«6, '■’! ’TÌ* ' '3i^ it ']y-'. ; - ' r V'v ^,4 ^ - •'tV •-:“' «rrffrs- ■-Z4 74^.': 'Vi,*' ' W ‘,V“ •"’ '■.,' ■■ ; ’-i' W4f- *■ ... - - .. . . -.7 ,.,,^ 'iPs ■' V^T.7'.. ►v m:- - 'f.*jky*'‘fÌìL ’ M. ■ ’ ' \ ' . • ■ > r « tfi'--', ■'■■ ■ - ' ■ ; f . ■ w ' ' ■ ■ ì H-s ■ T ^ r^^ v'k- ■ ' ' - r:^f •f'?' ■ 7 £' (>.■- - '■' -■'É'i-èiì: , " .- V' :•:;-. V>^ .7. Memoria IX Osservazioni meteoroiogiciie del 1908 fatte nel R. Osservatorio di Catania Nota di A. RICCO e L. TAFFARA Il luogo, gli strumenti meteorici, le ore di osservazione e il modo di fare le medie degli elementi osservati, sono quelli stessi adoperati nei sedici anni precedenti, e se ne trova la descrizione nella nota pubblicata nel 1898 (1), rammentiamo qui soltanto che le coordinate geografiche dell’ Osservatorio sono : Latitudine boreale 37®. 30'. 13", 21 Longitudine Est da Greenwich . L'.O'". 18*, 9 e che il pozzetto del barometro è elevato 64,9 m. sul livello medio del mare, e 19 m. sul suolo ; gli altri strumenti meteorici circa altrettanto. I quadri N. 1, 2 e 3 contengono i risultati delle osservazioni dell’ anno meteorico 1908 (dicembre 1907 a novembre 1908); nei primi due si aggiungono anche i valori del dicem- bre successivo, allo scopo di trovare nello stesso quadro i dati di tutto 1’ anno civile, e si riportano in fondo anche le medie relative a questo intervallo : come nei precedenti rias- sunti le temperature e pressioni barometriche non sono ridotte al livello del mare, nè que- ste ultime al valore normale della gravità. La media della trasparenza dell’ aria stimata in sei gi'adi, 0 a 5, (Tab. 2), è dedotta dalle osservazioni delle ore 7 od 8, 9, 15; la L osservazione si fa alle ore 7 dall’aprile al settembre ed alle oi'e 8 dall’ ottobre al marzo. Nel quadro n. 4 si trovano dei singoli elementi i valori medi dedotti dal diciassetten- nio di osservazioni: dicembre 1891 a novembre 1908, valori che consideriamo provvisoria- mente come normali. Della temperatura si riportano nella seconda colonna i valori ridotti col calcolo al livello medio del mare: così ancora la quarta, contiene i valori della pressio- ne atmosferica ridotta al livello del mare e al valore g4s della gravità alla latitudine di 45®. Col quadro N. 5, ove per le stagioni e per l’anno sono date degli elementi corrispon- denti alle colonne D, 3®, 5^, 6^, 7®, 8® e 9^ del quadro 4, le differenze delle medie di 10 anni con quelle di 11 anni, di queste con quelle di 12 anni e così via, abbiamo cercato di vedere quale numero di anni di osservazioni basti per avere le medie normali delle sta- gioni con sufficiente esattezza. Si rileva che con 10 anni si ha già una notevole approssimazione per tutti gli ele- menti, (e specialmente per la pressione) eccetto per la pioggia, che è 1’ elemento più va- ti) A. Ricco e G. Saija. Risultati delle osservazioni meteorologiche fatte nel quinquennio 1892-96 al- r Osservatorio di Catania — Atti dell’ Acc. Gioenia di scienze naturali, Serie 4“ Voi. XI, Catania, 1898. Atti Acc., Serie V, Vol. II. Meni. IX. I 2 A. Ricco e L. Tcijfara [Memoria IX.] riabile ed a rigore eccettuata anche la temperatura per 1’ autunno (in cui è più variabile) e per 1’ anno. Con un periodo di circa 15 anni le differenze si riducono molto, anche per la pioggia ove sono di poco maggiori di ^/loo del totale, e per la temperatura, ove arrivano appena a 0°,3 per le stagioni ed a 0°,1 per 1’ anno. Il saggio fatto sulle medie mensili ha dato differenze un poco maggiori, ma circa dello stesso ordine, cosicché possiamo ritenere che pure le medie mensili dedotte dai 17 anni di osservazioni sieno assai vicine ai valori normali. Confrontando i valori delle stagioni e dell’ anno 1908 con i corrispondenti dell’ anno 1907 abbiamo trovato le differenze che riportiamo nel seguente specchietto ; Confronto 1908 coll’ anno precedente C3 ZJ . Teniperatur deir aria Pressione atmosferica Tensione del vapore Umidità relativa Evaporazion all’ ombra Pioggia tota Nebulosità Soleg- giamento Trasparenz: dell’aria 0 min min 0/ IO mm III 111 °/o Inverno -Et. 9 4-5. 6 -EO, 77 —4, 2 -EO, 22 -186, 8 -8,9 4-0, 14 — 0, I Primavera -Ei, I -Eo, 6 -EO, 69 -Ei, 7 - 0, 19 -E 3E 0 -E1.9 4-0,05 —0, I Estate ^0, 6 0. 0 -Eo,4) —0. 3 -Eo, 44 62 —0, 6 -Eo, 05 -Eo, 06 4-0, I Autunno -E 5 — 0, ' — I, 14 -E2, S — 0, 76 -E257, 2 —8,2 0, I Anno -fo, 5 + 1, 0 -Eo, 16 -EO, I 1 p 0 4- 95> 2 1 CO -Eo, 06 -0, I Come si vede nel sopradetto specchietto la temperatura dell’ aria nel 1908 è stata un po' più alta deir anno precedente ; solo nell’ autunno si è mantenuta relativamente più bassa; la pioggia è stata più abbondante specialmente nell’ autunno. Generalmente 1’ anno 1908 è stato alquanto più caldo e sensibilmente più sereno del precedente. Confrontando poi, come si è fatto nel seguente specchietto^ le medesime medie del 1908, con quelle del diciassettennio 1892-1908, che provvisoriamente consideriamo come normali, troviamo generalmente non grandi differenze, si nota però che la pioggia in in- verno fu sensibilmente minore ed in autunno circa di altrettanto maggiore della normale. Confronto 1908 colle medie del diciassettennio Temperatura dell’aria Pressione atmosferica Tensione del vapore Umidità relativa Evaporazione all’ ombra Pioggia totale Nebulosità 11 Soleggiamento Inverno 0 -Eo, 5 miì) 4-1,8 m m — 0, 12 1 0 —2, 7 mm 4-0, 2 1 mm —162, 5 °/o — 2, 2 -Eo, 06 Primavera 4-0, 3 4-0, 5 —0, 36 -3,9 -fo, 29 -E 3E 3 4-3, 4 — |— Oj 06 Estate -Eo, 6 4-0, 2 4-0, 19 — E 4 -Eo, 92 — 16, 0 —2, I 4-0, 06 Autunno -0,9 4-0, 7 — 0, 16 -E2, 4 —0, 90 -E181, 7 4-2, 3 -EO, 03 1 Anno 4-0, I -Eo, 8 -0, 1 1 - E 4 -EO, 13 4- 34, 5 4-0,4 -Eo, 06 Nessun fenomeno speciale si è osservato nell’anno 1908, solo è degna dinota la grande quantità di pioggia (156""“,4) caduta il 18 novembre; la temperatura (39°, 2) del 7 agosto prodotta dal vento di ponente caldo, nonché l’evaporazione (14™"’, 05) dello stesso giorno che è stata più di due volte e mezzo la normale. Osservasioni meteorologiche del 1908, ecc. 3 Qusiciro 1 — 1008 Temperatura media dell’aria Medie dei massimi diurni di temperatura dei minimi e delle escurs. 1 Temperatura del sotterraneo Temperatura acqua del pozzo Pressione atmosferica 1 Tensione del vapore acqueo [ Umidità relativa M m E 0 0 0 0 0 0 rnm mm 0/ /o Dicembre 1907 .... ‘2- 3 16, 3 8,4 7,8 14, 4 16, I 758,7 7, 36 64,4 Gennaio 1908 .... IO, 9 14, 6 7. 3 7, 3 I 3, 0 16, 2 759,6 6, 71 65, 5 Febbraio IO, 6 14, 8 6, 6 8, 2 11,8 '5,8 757, ' 6, 07 60, 3 Marzo 12, I 15,8 8, 0 7,8 12, 8 16, 0 755,7 7,05 63, 9 Aprile 14, 0 18, 0 9,6 8, 4 13, 4 16, I 755,4 7,45 59, 8 Maggio 21, 1 23,8 15, 6 10,2 16, 0 16, 2 758,9 9, 20 47,0 Giugno 24, 3 28, I 19' 4 8,7 18, 9 16, 3, 757,4 1 2, 02 51,0 Luglio . 26, 2 30, 2 20, 9 9, 3 21. I l6, 4: 756, 1 13, 27 49, 4 Agosto 2G,3 30,3 21,4 8.9 22,4 16, 5 755, 8 14, 15 52, 3 Settembre 22, 5 26, 0 18, 4 7,6 21,7 '6, 3 758, I 1 3, 20 61, 3 Ottobre 19. 3 ■ 22, 8 '3, 5 7, 3 19, 6 16, 6 759,4 ", 98 68, 9 Novembre 14, 3 '7, 9 IO, 7 7- 2 16, 8 '6, 4 756, 6 9, 37 73, 3 Dicembre ...... 10,9 14, 2 7. 7 6, 5 '3,7 16, 2 75 5 , I 7,69 75, 0 Inverno IL 3 15, 2 7,4 7,8 13, I 16, 0 758, 5 6, 71 63,4 Primavera 15- 7 19,9 II, I 8,8 14, I 16, I 756,0 7,90 56,9 Estate 25, 6 29> 5 20, 6 9,0 20. 8 '6, 4 756.4 13, 15 50, Q Autunno 18, 7 22, 2 '4,9 7,4 19,4 16, 5 758,0 11,52 67,8 Anno meteorico. 17, 8 21, 7 13. 5 8,2 16,8 '6, 3 757, 2 9, 82 CO cr^ » civile 17, 7 21, 5 13,4 8, I i6,8 16, 3 756,8 9, 85 60,6 4 A. Ricco e L. Tuffarci [Memoria IX. J Quadro — 1908 p c *35 ORE Di Soleggiamento Trasparenza atmosferica • ] 2 H 0 0 — W Pioggia c c > E 0 0 o> A B A media Freqoenia della massima Dicembre 1907 .... nini 2, 34 mrn 4,8 w “/o 52, 8 1 30. 0 296, 5 0, 44 2,7 0, 02 Gennaio 1908 .... 1,74 64, 5 w 46, 6 159, 2 305, I 0, 32 2, 3 0, 02 Febbraio 2, 28 25, 0 w 45, 3 150,6 312, 3 0, 48 2,7 0, 17 Marzo 2, 39 80, 5 NE 63,9 160, 3 370,4 0,43 1,8 0, 01 Aprile 2, 76 62, 2 W 48,0 220, 5 394,4 0, 56 2, 5 0, 06 Maggio 4, 44 0, I NE 29, 8 298, 4 438, 4 0, 68 2,7 0, 03 Giugno 5,45 5- 4 NE 26, 7 280, 2 439,9 0. 64 2, I 0, 00 Luglio 5, 64 0, 1 NE IO, I 339,8 446,6 0, 76 2,4 0, 02 Agosto 7, 22 gocce NE 1 2, 2 314,0 419,0 0,75 2,7 0, 05 Settembre 2, 90 89, 2 NE 36, 0 224, I 370,8 0, 60 2,9 0,22 Ottobre. 2, 16 54, 9 NE 5 3, 3 i8o, 5 345,8 0, 52 2, I 0, 05 Novembre I, 59 299,8 SW 53. 5 126, 7 303, I 0, 42 2,4 0, 07 Dicembre 1,21 178, 3 sw 6'5, 7 106, 8 296, 5 0, 36 2, I 0, IO Inverno 2, 12 94, 3 w 48, 2 439,8 9 '3, 9 0, 48 2, 6 0, 07 Primavera 3, 20 142, 8 NE 47- 4 679,2 1203, 2 0, 56 2, 3 0, 03 Estate 6, IO 5, 5 NE 16, 5 934, 0 1305, 5 0, 72 2,4 0, 02 Autunno 2, 22 443, 9 NE 47, 6 531, 3 1019, 7 0, 51 2, 5 0, 1 1 Anno meteorico. . . . 3,41 686, 5 NE 39,9 2584, 3 4442, 3 0, 57 2,4 0, 06 » civile 3, 31 860, 0 NE 41,0 2561, I 4442, 3 0, 56 2, 4 0, 07 Meteore acquee -- uumero dei giorni Frequenza della calma e dei venti Osservasioni meteorologiche del 1908, ecc. 5 i^uaflro 3 — 1008 Inverno Primavera Estate Autunno Anno ESTREMI METEOROLOGICI ANNUI OSSERVATI I 16 Massimo .Minimo i) 22 35 44 N 4 I 12 7 24 Temperatura 39®. 2 8 deir aria 7 Agosto 12 febbraio NE II 26 28 16 81 E 8 1 1 3 2 24 Temperatura 23®, 8 9®, 9 del sotterraneo 8 Agosto 9** 12 febbr. 7I’ SE \ 3 4 2 2 n S 0 1 2 3 6 Temperatura 1 ó®, 6 1 5®, 6 acqua del pozzo 12 e 21 ott. 24 febbraio sw 6 5 7 I 29 rn rn min w 35 17 I 0 53 Pressione 768, 8 740, 2 1 atmosferica 12 febbr. 9*^ 2 febbr. 1 5!“ ' NW 9 4 2 5 20 mm lì un Tensione 19, 78 2,49 vapore acqueo 14 agosto 2O 20 febbr. 2 ii* , sereni 4t 41 76 40 198 misti .... i6 16 9 21 62 100 Umidità 20 10 dicembre . 1 coperti 34 35 7 29 105 relativa e 16 novem. 7 agosto 15“ con pioggia. . . . 24 8 9 40 81 iniT) min Evaporazione 14“, 05 0, 03 ; in 24^ all'ombra 7 agosto 30 dicembre con neve o grandine. o I 0 0 I con nebbia .... 13 24 16 8 61 nini Pioggia 156, 4 __ in 24 ore 18 novembre con brina .... I 0 0 0 I ! con temporale. . . 2 0 3 7 1 2 i V elocità 38 km. da W i i oraria del vento — 1 con scariche elettriche 9 6 I 34 50 1 1 e direzione IO aprile i 7*' 6 A. Ricco e L. T affava [Memoria IX.] i^uaclro N. 4: - Medie 1802 — 1908 Te.mpef dell’ è.£ (/> h. o S Z-. ^ ^ > ÌATURA aria — ^ s s Press atmos oJ .2 C/ì i- c S t-. IONE ferica C P bj: ^ li a Tensione del v.ipore acqueo Umidità relativa Evaporazione all’ ombra r: C ’tr. c E 1 Nehulosit:\ C *Sc tx Jj 0 u 0 mtn 1 1 1 1 n mrn ‘’/o mm mrn 0 Gennaio . . . IO, 0 IO, 4 757= / 763= 2 6, 49 66,6 1, 81 86, 6 48, 9 0, 44 Febbraio . . IO, 9 IO, 2 75 5 = 761, 3 6,61 61, 7 2. 1 1 57,7 49= 3 0, 46 Marzo .... 12, 3 12, 7 75 5= 5 760, 9 7= 20 63= 9 2- 3 3 53, 5 47. 3 0, 49 Aprile .... 14, 8 15, 2 75 5= 0 760, 4 8, 18 62, I 2. 77 35.6 46, 5 0, 47 Maggio . . 18, 6 19, I 756. 0 761, 3 9= 40 56, 4 3,6; 22, 4 38. 3 0, 54 Giugno . . . 22, 8 23, I 756, I 7^1=4 II, 67 52, 8 4= 57 6, I 26,7 0, 60 Luglio .... 26, I 26, 4 75 5= 9 761, I 13= 21 50, I 5, 52 4. 0 12, 8 0, 69 Agosto . . . 26, I 26, 4 756, S 761, 7 14, 00 54=0 5,46 11=4 15.7 0, 68 Settembre. . . 23. 7 24, 0 757= 3 762, 5 13=42 59=7 4, 33 56, 0 33= 2 0, 55 Ottobre . . . 19,9 20, 3 757= 2 7É2, 5 12,05 66, 8 2, 08 90, I 49= 3 0, 47 Novembre 15. 3 15,7 757. 5 762, 9 9= 59 69, 8 2, 06 1 16, I 53,4 0, 42 Dicembre . . . 11,6 II, 9 756, 5 761, 9 7= 40 70, I I, 82 1 12, 5 52,9 0, 36 Inverno . . . IO, 8 I I, 2 756, 7 762, I 6,83 66, I 1.91 256,8 50, 4 0, 42 Primavera. . 15.2 15, 6 75 5 = 5 760.9 8, 26 60, 8 2, 91 iii= 5 44=0 0, 50 Estate .... 25, 0 25. 3 756, 2 761, 4 12,96 52, 3 5. 18 21= 5 18, 4 0, 66 Autunno . . . 19, 6 20, 0 757^ 3 762', 6 1 1, 68 65.4 3. 12 262, 2 45, 3 0, 48 Anno .... 17,7 18, I 756, 4 761, 7 9=93 61, 2 3= 28 652, 0 39= 5 0, 51 Osservasioiii meteorologiche del 1908, ecc. 1 Q,uadro 5 - Differenze «Ielle medie «li |>erio«li ereKeenti Stagione Inverno Primavera Estate Autunno. Anno. 1892- igoi » 1902 \ » 1903 ) » I 904 » 1005 » 1906 » 1 907 \ » I 908 I 1892-1901 » 1902 » 1905 » 1 904 » 1905 » 1 906 » 1 907 1Q08 1892-1901 » 1902 » 1 90 3 » 1 904 » 1905 » 1 906 » 1 907 » 1 90S 'O 1 1 1 2 13 14 15 16 17 10 1 1 12 '5 14 15 16 '7 Temperatura dell’aria Pressione atmosferica l'ensione del vapore Umidità relativa Evaporazione all’ombra Pioggia totale Nebulosità j Rapporto del soleggiamento 0, 0 0, 0 — 0, 01 f-o, 4 — 0, 02 + 8,3 -I I, 0 0, 00 —0, 2 — 0, 3 0, 00 -f 0, I 0, 00 - 7.8 —0, 2 0, 00 — 0, T -ì-o, 2 -0, 05 0, 0 —0, 01 - 17, 0 -0,7 -f 0. 02 +0, 2 — 0, I -1-0, 08 -f 0, 3 - 0, or + 4,8 — 0, i 0, 00 0, 0 0, 0 -i-o, 01 -0. 3 0, 00 -13, 6 — 0, 9 -fo, 01 ^-0, I -f-O, I -1-0, 06 0, 0 0, 00 f 7 -0,4 0, 00 0, 0 0, 0 -fo, 01 -fi, 2 -fo, 01 - 0, 9 — 0, 2 0. 00 0, 0 0, 0 — 0, 02 — 0, I ^0, 01 -4,9 -f 0, 8 -f 0, 01 — 0, I 0, 0 -fo, 03 -f 0, 2 — 0, 06 ^ 4.8 —0, 5 0, 00 - 0, I — 0, I -0, 05 — 0, 2 ^0. 01 — 5,6 -rO, 4 0, 00 0, 0 0, 0 0, 00 -ho. I — 0, 02 + 0, 5 — 0, 2 0, 00 0, 0 — 0, I -ro, 03 -f 0, 2 —0. 04 f- I, 7 “f 0, 3 0, 00 -i-0, I -T-0, I -fo, 07 -f 0, 4 —0, 04 — 0, 2 — 0, I 0, 00 -1-0, I — 0, I -^0. 02 -f-o. 2 —0, 01 - 1,9 — 0, 2 — 0, 01 0, 0 0, 0 -0, 07 -f 0, 3 —0, 02 + 2.3 + 1. I 0, 00 0, 0 0, 0 -1-0, IO -f-o, I 0, 00 f- 0, 5 -f 0, 3 0, 00 0, 0 0, 0 - 0, 04 0, 0 — 0, 02 — I, 5 -0, I -fo, 01 — 0, I 0, 0 — 0. 03 0, 0 —0, 05 - 0, 7 -0, 3 -fo, 01 0. 0 0, 0 —0,03 - - 0, I -fo, 03 -f 0, 7 — 0, 2 0, 00 0, 0 0, 0 -fo, 01 -f 0, I — 0, 04 -f 0, 7 f-o, I 0, 00 +0, 2 0, 0 — 0, 01 — 0, 2 —0,05 -f I, 0 f-o, I — 0, 01 0, 0 0, 0 - 0, 03 —0, 2 f-o, 04 —46, 3 - 0, 6 -fo, 01 -0, 8 0, 0 -f 0, 08 4-0, 3 0, 00 -fi 2. 8 -f 0, 8 0, 00 -ho, I -4-0, I -fo. 08 — 0, I f-o, 04 - 3,8 — 0, 6 0, 00 -ro. I 4-0, I -ho, 02 -fo, 3 — 0, 06 -f 7, 5 — 0, 2 -fo, 01 0, 0 — 0, I - 0, 02 -0, 3 -fo, 05 — 2,7 —0, 2 0, 00 0, 0 0, 0 — 0, 06 0, 0 f-o, 01 + 4' ^ -0, 8 f-o, 01 +0, 3 - -0, I -f 0, 05 - 0, I -f 0, 06 —II, 3 — 0, 6 — 0, 01 — 0, I 0, 0 -0, 04 4-0, I f-o, 01 —40, 6 -f 0, 6 0, 00 -0. 3 — 0, T -f 0, 03 — }— 0, 2 — 0, 02 f-23. 9 f-o, I -fo, 01 0, 0 0, 0 — 0, 01 — 0, ; -ho, 01 — 28, 0 —0, 3 0, 00 0, 0 0, 0 ^0, 02 -f 0, 2 — 0, 04 + 12,2 — 0, 2 f-o, 01 H-0, I 0, 0 0, 00 -0, I 0, 00 — 13, 9 — 0, 2 0, . 0 0, 0 0, 0 -fo, 02 -1-0, : -•0, 01 4-3,2 — 0, 3 0, 00 -fo, I 0, 0 -fo, 02 f-o, 2 0, 00 -13, 2 —0, 2 0, 00 5 Henioria X. Il pleroma tnbuloso, l’ endodermide midollare, la frammentazione stelare e la schizorrizia nelle radici della Phoenix dactylifera L. NOTA PRELIMINARE dei Professori L. BDSCALiONI e G. LOPRIORE Il gran numero di radici che talune Palme , come la Phoem'x dactylifera , svilup- pano alla base dello stipite, ci ha indotti a studiare il modo di origine di questi organi, i quali crescono, date favorevoli condizioni di temperatura ed umidità, sol quando rincalzasi la terra al piede della pianta. Riassumeremo qui brevemente i principali risultati delle ricerche finora compiute , ri- servandoci a trattarne diffusamente in una memoria più estesa. Le radici epigee e le ipogee sono, come del resto avviene in molte altre Monocotiledoni, di origine avventizia. Questa origine, però, non dipende dalla disposizione ed orientazione speciale delle foglie, grazie alle quali 1’ acqua di pioggia vien condotta verso la base del fusto (ipotesi del Winter) , poiché ad es. anche alla base del fusto della Livistona au- stralis havvi abbondante sviluppo di radici, le quali, per decorrere nello spessore della corteccia, rimangono tuttavia sottratte al benefizio immediato dell’ acqua di pioggia. Dal punto di vista morfo-fisiologico possiamo distinguere quattro tipi di radici : a) radici a tipo pneumatodico : queste sono per lo più esili, rigide e presentano l’estremità libera rigonfiata, rugosa e ricoperta da squame, o placche suberose, di color bru- nastro. Esse decorrono obliquamente dal basso verso 1’ alto. b) radici trasversali ; (1) queste nascono o dalle radici a tipo pneumatodico o da quelle che descriveremo ben tosto. La loro origine, come del resto quella di tutte le radici secondarie, va ricercata nel periciclo della radice madre (Fig. 3). Anche queste sono piuttosto esili e rigide, ma non presentano la estremità notevolmente ingrossata. Il loro accrescimento è per lo più limitato , avanzandosi nel terreno in senso perpendicolare alla direzione della radice madre. Occorre tuttavia rilevare che talune delle stesse segnano il passaggio a quelle pneumatodiche , per cui una netta separazione non esiste fra le due sorta di radici. F'requentemente, infine, le radici trasversali nascono ap- pajate e sono spesso reperibili nel punto dove la radice madre si sdoppia. c) radici dicotomiche : Sono di calibro medio, od anco relativamente grosse. Esse si (I) A rigor di termini queste non sono altro che le ordinarie radici secondarie, le quali qui devono tut- tavia esser considerate a parte a causa della presenza di radici dicotomiche. Atti Acc., Serie V, Voe. II. Mem. X. I 2 Projf. L. Buscaltoni e G. Lopriore [Memoria X.] sviluppano rigogliose nel terriccio, ma coU’allungamento vanno soggette alla dicotomia, che può anche diventare tri- o politomia, potendo risolversi in due o più radici, partenti oppur no da uno stesso piano. In generale la dicotomia è il caso più frequente. Gli assi secondari tornano pure a loro volta, dopo un percorso più o meno lungo, a dicotomizzarsi, dopo di che, a quanto pare, non hanno più luogo ulteriori sdoppiamenti, non avendo noi incontrato radici portanti più di 4-5 assi secondari (Fig. 1-3). d) Radici ordinarie : Somigliano a quelle dicotomiche, ma di rado presentansi biforcate, mentre invece portano numerose radici laterali (trasversali), gracili e con decorso a zig-zag. Siffatte radici nascono per lo più dalla base del fusto e crescono perciò quasi in di- rezione verticale. Non di rado tuttavia, lungo il loro percorso, si piegano una o più volte bruscamente ad angolo retto, per riprendere di lì a poco la primitiva direzione. Nel punto in cui avviene la genicolatura danno per lo più attacco ad una radice laterale piuttosto robusta. È probabile pertanto che lo sviluppo della nuova radice sia dovuto al cambiamento di direzione (Morfoestesia di Noll). Questi quattro tipi di radici , ma in ispecie quelle piatte e dicotomiche, spesso mo- strano una superficie anulata a mo’ di trachea (Fig. 2 e 3) o più di rado striata, con vere striature parallele, limitate alla porzione giovane e terminale. La causa che determina sia le une che le altre è alquanto oscura ; tuttavia non crediamo di andar errati ammettendo che le sculture o rugosità più accentuate siano 1’ effetto delle contrazioni, cui va soggetta la radice, come ha dimostrato il Drabble per altre Palme {Corypha). (Or. thè Anat. of thè Roots of Palms. Trans, of thè Linn. Soc. London 1904). Però non è da escludersi che le anulazioni a trachea si formino nel momento in cui la radice secondaria attraversa la cor- teccia della radice madre e sotto l’azione dei cordoni fibrosi sparsi nel parenchima corticale di questa, che, a causa della loro compattezza e resistenza, lederebbero gli strati super- ficiali della giovane radice. Occorre tuttavia , perchè il solco si formi , che la radice , in via di sviluppo, rimanga un po’ a lungo in riposo, per subire un certo tempo e con certa intensità 1’ azione lacerante delle fibre corticali. I fatti testé segnalati si osservano soltanto nelle radici crescenti entro il terriccio ; quelle rimaste allo scoperto imbruniscono ben tosto, cessano di crescere, perdono la punta e probabilmente sì accorciano, poiché sono quasi sempre solcate trasversalmente. È d’uopo intanto rilevare che la dicotomia nelle radici della Phoenix dactylifera rappresenta una disposizione morfologica quanto mai singolare ed eccezionale, che trova unicamente ri- scontro nelle radici fasciate della Vida Faba, state studiate da uno di noi (Lopriore (1) ) e in quelle della Tecoma radicans e del Rhus illustrate dal Franke. Assai meno affini sono le cosiddette radici gemelle del Van TiegheìM. (Cfr. anche Lopriore, Zwillingswurzeln, WiESNER Festschrift, 1908). * * Noi dobbiamo ora rivolgere la nostra attenzione alla struttura del sistema radicale. Nella forma tipica ed allo stato adulto, siano le radici dicotomiche , pneumatodiche , trasversali o normali, troviamo innanzi tutto una corteccia, delimitata esternamente, se gio- vane, dal così detto limiting-layer del Drabble, o strato limitante esterno, a cellule (i) Lopriork, Ueber bandfòrmige Wurzeln. Nova Acta d. Leopold. Akadeinie. Bd. LXXXVIII N. i. Il pleroma tubuloso, V endodermide midollare, ecc. 3 con pareti ispessite (Fig. 7). Non esistono peli radicali, come già ebbe a rilevare il Drabble, e ciò per la ragione che nel seme la radice è concrescente col cotiledone (Gatin, Recher- ches anat. et chim. sur la germination des Palmiers , Paris 1906). Tuttavia noi abbiamo osservato in un caso alla superficie della radice qualche rara produzione d’indole tricomatosa. A questa zona succede uno strato di cellule meccaniche (Verstàrkte Interkuten di Kromer) , per lo più sdoppiato per la comparsa di un anello di parenchima ordinario. Il tutto forma il sistema tegumentale di Drabble. Poi viene il grosso della corteccia, costituita da elementi di parenchima ordinario e da fasci di sclerenchima circondati dalle note cellule contenenti i granuli di silice {Stegmata del Kohl). Negli strati periferici e mediani del tessuto s’ incontrano numerosi canali aerei (Fig. 10), d’ origine lisigena, specialmente ab- bondanti in alcune radici. In più di un caso noi abbiamo osservato nel loro interno la pre- senza di filli, dovuti a proliferazione delle cellule parenchimatose circostanti. In un esem- plare , in cui si aveva un canale addossato all’ endodermide , le cellule di questo strato , notevolmente ingrandite, avevano occupato tutto quanto il canale aereo. L’ endodermide è caratterizzata dai soliti punti di Caspary, molto distinti nelle radici giovani, o dalla presenza d’ ispessimenti ad U, reperibili però soltanto nelle radici adulte. L’ispessimento manca tuttavia nelle cosiddette cellule di passaggio (DurchlassBellen), abbastanza numerose. Per ragioni che discuteremo in seguito, è d’uopo rilevare che la parte ispessita delle pareti cellulari è rivolta, come del resto è la norma, verso il cilindro centrale. In quest’ ultimo troviamo alla periferia uno strato periciclico (pericambio), le cui cel- lule sono qua e là lignificate e punteggiate. Seguono i fasci vascolari, alternativamente fioematici e xilematici (questi ultimi spesso accoppiati parzialmente in modo da costituire un V e comprendervi nel mezzo un fascio liberiano). Le due sorta di fasci vascolari sono avvolti dal tessuto fondamentale lignificato, che uno di noi (Buscalioni, Sull’anatomia del ci- lindro centrale nelle radici delle Monocotiledeni, Malpighia 1901) ha denominato mantello. Nelle grosse radici, all’ interno della cerchia vascolare^ troviamo grandi vasi legnosi isolati (vasi metaxilematici interni), avvolti parimenti da un’atmosfera di cellule del mantello. Nel centro del cilindro centrale, se le radici hanno dimensioni piuttosto grandi , s’ in- contra poi il midollo, i cui elementi differiscono da quelli del mantello per avere le pareti sottili e cellulosiche. Aggiungeremo, da ultimo, che, nelle radici conformate sullo stampo normale, il cilindro centrale presenta, in sezione trasversale, contorni circolari ; esso è quindi prettamente ci- lindrico, come il nome stesso indica. Non di rado, però, esso si apre da una parte, con- formandosi a doccia (Buscalioni). Alquanto diversa è la costituzione delle radici dicotomiche, sulle quali quasi esclusiva- mente noi abbiamo fissata la nostra attenzione. Queste presentano un cilindro centrale che solo verso la base è di forma cilindrica, poiché, a poca distanza dal punto di origine della radice, il pleroma tende ad assumere, in sezione trasversale, forma ovale od anche ad 8, quando, come vedremo ben tosto, non si presenta assai più complicato. Questa mo- dificazione strutturale precede costantemente la scissione della stela (Fig. 9 e IO). La bipartizione di questa per lo più avviene in un periodo in cui la lignificazione del cilindro centrale è ancor poco accentuata; allora noi vediamo che, lungo la linea, in cui deve effettuarsi la cosiddetta schizostelia, gli elementi sono tutti a pareti sottili e cellulosiche. Prima ancora che il processo di divisione siasi effettuato, i fasci xilematici e fioe- matici, circostanti alla linea di separazione , cambiano di orientazione e di forma , dispo- 4 l^roff. L. Buscalioni e G. Lopriore [Memoria X.| nendosi sui lati della linea in cui deve avvenire la scissione, di guisa che, a sdoppiamento compiuto, essi riescono a completare le due sorta di cerehie vascolari, rimaste dimezzate per effetto dello sdoppiamento e ricostituiscono cosi la struttura che è propria delle stele ordinarie. La scissione è accompagnata e determinata dallo invaginamento dell’endodermide, che da un lato si affonda sempre più nel tessuto della stela, sino a raggiungere gli elementi endodermici del lato opposto. Dopo di che le due stele si separano, mentre lungo la linea di distacco penetra il tessuto fondamentale della corteccia che, come si sa (cfr. Buscalioni), è omologo a quello del cilindro centrale (Fig. 10). La schizostelia o, per essere più esatti, la frammentazione della stela, si compie quasi sempre in modo irregolare e quanto mai curioso. Avviene infatti spessissimo che la endodermide , mentre s’ invagina in senso trasver- sale , invia pure delle introflessioni , quasi delle invaginazioni, foggiate a dita di guanto, verso l’alto, le quali decorrono per un certo tratto (talora per parecchi centimetri circa) nel- l’interno della stela e parallelamente alla direzione di questa. Perciò, quando si sezionano, in serie trasversale e dalla base all’apice, le stele in via di divisione, prima ancora che siasi raggiunto il punto in cui ha luogo l’invaginazione, s’incontrano, in seno al pleroma, e più o meno lontano dall’ endodermide che lo avvolge , stele di varie dimensioni , costituite per lo più da un anello di endodermide, racchiudente un cordone di tessuto fondamentale. Noi denomineremo siffatte produzioni pseudostele d' tnvaginasione, in quanto che colle stele genuine non hanno altro di comune che 1’ endodermide , la quale è qui conformata sullo stampo normale (Fig. 8 e 9). Le pseudostele di grandi dimensioni hanno spesso un contorno quanto mai irregolare e talvolta, per effetto di ripiegamenti della loro endodermide, diventano concamerate. Non mancano poi i casi, in cui le digitazioni si ramificano nello spessore del cilindro centrale e allora troviamo due o più pseudostele d’ invaginazione, di varie dimensioni, le une accanto alle altre, che solo più in basso si fondono in una sola, come può rilevarsi dai tagli in serie. Procedendo verso 1’ apice , si osserva che le p.seudostele si allargano , avvicinandosi sempre più all’endodermide della stela madre : da ultimo la loro endodermide si fonde in un punto con questa ed allora la pseudostela si apre da un lato. A questo punto il taglio ha raggiunto la sede della vera e propria invaginazione endodermica che, addentrandosi sem- pre più nel tessuto del cilindro centrale, finisce per provocare la frammentazione della stela. Che siffatte pseudostele costituiscano degli infundiboli o diverticoli a fondo cieco, do- vuti a invaginazioni, in senso longitudinale, dell’ endodermide, lo prova anche il fatto che tutte quante le pseudostele, a prescindere da qualche rara eccezione che accenneremo fra breve, hanno un’endodermide cogli ispessimenti a (J rivolti verso la periferia, cioè in senso inverso a quello offerto dalle cellule endodermiche delle vere stele (Fig. 10 e 11). Nelle stele molto grandi 1’ invaginazione è accompagnata da incurvamento a ferro di cavallo del cilindro centrale, il quale perciò s’ incava a doccia su una delle faccie, quasi volesse abbracciare o meglio inglobare nel suo interno una porzione di tessuto corticale (1). In tal caso 1’ endodermide dal lato concavo diventa ondulata o pieghettata , quasi ad fi) È occorso qualche volta di osservare che il tessuto corticale incluso nelle concavità delle stele pre- senta i cordoni meccanici apparentemente simili a quelli digeriti. Ciò porterebbe a credere che si sviluppino per parte del cilindro centrale, in attivo rimaneggiamento, speciali enzimi, o che piuttosto il mancato ispessi- mento delle fibre dipenda dalle mancate esigenze meccaniche della zona che viene là a formarsi. Il pi croma tubuloso, l’ endodermide midollare, ecc. 5 attestarci che è avvenuto un accorciamento nel diametro trasversale della stela. Per effetto di una tale condizione di cose capita frequentemente che le porzioni introflesse dell’ en- dodermide si emancipino da questa. Allora noi troviamo nello spessore del periciclo , ed anco fra i fasci vascolari, piccole pseudostele formate quasi esclusivamente da cellule en- dodermiche , cioè senza 1’ interposto parenchima fondamentale (Fig. 10). Le estroflessioni dell’ endodermide provocano all’ opposto — sempre in virtù dello stesso processo di eman- cipazione — la comparsa di pseudostele negli strati della corteccia interna. Noi dobbiamo dunque distinguere diverse sorta di pseudostele (Fig. 9). Le une nascono da digitazioni a fondo cieco, che l’ endodermide introflessa invia nello spessore della stela^ le quali digita- zioni si portano in alto, verso cioè la base della radice; le altre sono dovute semplicemente alle pieghettature, che forma 1’ endodermide in corrispondenza della faccia concava della stela, le quali poi si isolano. Queste ultime sono pseudostele periblemiche, quando stanno nella corteccia ; pleromiche se invece sono incastrate nel cilindro centrale. Dove si for- mano siffatte pseudostele pleromiche ha spesso luogo più tardi la scissione della stela, nel qual caso vediamo le singole pseudostele pleromiche aprirsi nelle invaginazioni dell’endo- dermide in via di scindere la stela. Le pseudostele pleromiche hanno parimenti gl’ispessimenti ad U delle cellule endoder- miche rivolti verso 1’ esterno , mentre quelle periblemiche o corticali li presentano dal lato interno, ciò che è in perfetta armonia col loro modo di formazione. Tanto le pseudostele pleromiche quanto le corticali, se di piccole dimensioni, dopo un percorso più o meno lungo attraverso il cilindro centrale o risp. attraverso la corteccia, si esauriscono , quando, come sopra è stato detto, non si fondono colle invaginazioni endo- dermiche che danno origine alla frammentazione stelare. Qualche rara volta però si formano anche delle endostele nell’ interno del cilindro cen- trale per un processo che ha nulla a vedere coll’ invaginazione. Questo tipo fu da noi os- servato in un solo caso. Si trattava di una stela molto anomala pel fatto che l’endodermide, anziché formare un vero anello attorno al cilindro centrale, rappresentava quasi una spi- rale, di cui un capo si perdeva in seno al periciclo, senza venir a contatto coll’altro estre- mo. Nel centro della stela, così incompletamente separata dalla corteccia, presentavasi un fascio xilematico, isolato, fiancheggiato da due piccoli cordoni di libro, innanzi ai quali notavasi una pseudostela formata dall’ endodermide inglobante un cordone di tessuto fon- damentale. Seguita in tutto il suo percorso, non si potè mai constatare alcun accenno di relazione coll’endodermide normale, per cui è d’uopo concludere che tale pseudostela aveva un’ origine autonoma. In altre parole era una pseudostela originariamente eterotipica. Il fatto, rimasto finora isolato, meriterebbe tuttavia la conferma di ulteriori osservazioni. Come particolarità degna di nota, rileveremo, da ultimo, che le pseudostele d’invagi- nazione, occupanti quasi 1’ asse del cilindro centrale, sono circondate quasi sempre da fa- scetti legnosi e liberiani alternanti fra, loro, per cui il cilindro centrale assume una struttura quanto mai singolare ed anomala, che ricorda certe disposizioni ancestrali, delle quali il legno metaxilematico ordinario delle radici sarebbe 1’ ultima espressione. Abbiamo detto che i fasci legnosi alternano con i liberiani ; però a rigor di termini è d’uopo rilevare che questi ultimi sono spesso in maggior numero dei legnosi attorno alle pseudostele d’invaginazione (Fig. 11). Un tale comportamento trova la sua spiegazione nel fatto che i fascetti xilematici inglobati nell' asse del pleroma non trovano modo di esplicare le proprie funzioni e quindi. 6 Proff. L. Buscalioni e G. Lopriore [Memoria X.] qua e là, si atrofizzano, mentre i fascetti floematici sono sempre in grado di funzionare, e perciò ovunque presenti. È pure molto importante far rilevare che nelle pseudostele d’ invaginazione il paren- chima centrale, avvolto dall’ endodermide, contiene spesso fascetti meccanici , rudimentali o in via di formazione (Fig. 8). Questo fatto, che si osserva soltanto nei casi, in cui le pseudostele siano esaminate presso l’apice vegetativo della radice, dimostra chiaramente che tale tessuto non è altro che l’ordinario parenchima corticale , all’ esterno del quale vi ha r endodermide circondata a sua volta dal periciclo e dai fascetti liberiani e legnosi. Perciò riesce giustificata la denominazione di pseudostele A' invaginaBÌone o inverse, in quanto che la corteccia è in posizione centrale rispetto all’endodermide, i fasci liberiani e xilema- tici sono invece esterni a questa, mentre 1’ opposto succede nelle ordinarie stele. Lo studio degli apici vegetativi c’informa sullo sviluppo delle pseudostele d’invaginazione, poiché dallo stesso risulta che il pleroma è quivi spesso scavato ad imbuto (Fig. 4) , il quale poi , ad una certa distanza dall’ apice in attivo accrescimento, si scinde in un certo numero di ramificazioni secondarie, che rimangono parimenti incluse nel pleroma. Non man- cano poi i casi in cui il pleroma apicale è attraversato da due o più tubulature. Per effetto dell’ invaginazione pleromica apicale , il tessuto periblèmico protrude nell’ insenatura e la riempie sviluppando, al limite del pleroma, un’ endodermide che, per essere in posizione invertita presenta pure invertita, la orientazione degli ispessimenti a V. Noi abbiamo quindi nelle radici di Phoenix riprodotto quanto avviene nei fusti poli- stelici o astelici , in cui , contrariamente alle vedute di V’an Tieghem e in accordo con quelle di Jeffrey, 1’ endodermide e il rimanente tessuto della corteccia penetrano nel cen- tro del pleroma attraverso i così detti foliar gaps (occhielli fogliari). La differenza fon- damentale e di altissimo significato morfologico sta nel fatto che nelle radici della Phoe- nix dactylifera non abbiamo quasi mai delle invaginazioni laterali ma bensì apìcalì ; quindi agli occhielli fogliari si contrappongono gli apical gaps od occhielli apicali. Raramente la frammentazione stelare dà luogo alla divisione della stela in due metà eguali : per lo più una delle stele è piccola rispetto all’ altra. Noi abbiamo riscontrato non poche stele secondarie ridotte a un solo fascetta xilematico o fioematico, circondato da uno strato di periciclo, a sua volta cinto dall’ endodermide. In altri casi si separa soltanto una porzione di periciclo colla circostante endodermide. Qui adunque ci troviamo di fronte a produzioni, che noi crediamo utile denominare stele incomplete (1) , per il fatto eh’ esse difettano dell’ organizzazione propria delle stele nor- mali e vanno inoltre soggette ad un più o meno rapido esaurimento , di guisa che non riescono mai a provocare la schizostelia. Siffatte stele depauperate hanno tuttavia un' impor- tanza grandissima dal punto di vista anatomo-morfologico, valendo a dimostrarci quanto fallaci siano le attuali concezioni sulla stela. Noi insistiamo in particolar modo su questo punto e v’ insisteremo ancora più nel lavoro in extenso, poiché siamo convinti che i fatti posti in evidenza siano quanto mai atti a portare nuova luce sulle moderne teorie rela- tive all’ organizzazione delle piante superiori (Fig. 9). Nelle stele secondarie (schizostele o stele di frammentazione), di dimensioni un po’ più grandi, comparisce ben tosto la struttura propria dei pleromi radicali, con o senza midollo. Un alto significato anatomico ha pure il fatto che mentre avviene l’ invaginazione ( I ) Analoghe stele furono da Lopriore riscontrate nelle radici fasciate di Vida Faba. Il pleroma tubnloso, V endodermide midollare, ecc. 7 deU’endodermide, ma assai prima che questa abbia prodotto la scissione della stela, lungo la linea della futura divisione compaiono in seno al pleroma delle cellule a tipo endoder- mico, che, crescendo in numero, finiscono per collegarsi coi capi dell’ endodermide inva- ginata, agevolando così lo strozzamento della stela. Data una tale disposizione di cose, è lecito concludere che gli elementi dell’ endodermide, se normalmente traggono origine dalla corteccia, possono ciò non ostante formarsi anche a spese degli elementi del tessuto fon- damentale del pleroma, siano gli stessi superficiali o centrali. A nessuno sfuggirà la grande importanza di questi fatti, che non solo illustrano quanto lo ScHOUTE, il Chandler ed altri hanno pubblicato sull’ endodermide e sul suo significato morfologico , ma portano un grave colpo al dogma dela stela , come del resto apparirà ancora più evidente in altre pagine. Ai lati di queste cellule endodermiche , d’ origine in- dubbiamente pleromica , vedianio pure comparire gli elementi periciclici delle future schi- zostele, per cui anche questo tessuto trae qui un’ origine eterotipica. I fatti esposti dimostrano una volta di più come non debba esservi differenza di sorta tra il tessuto fondamentale della corteccia e quello del pleroma. Così si compie la scissione della stela, durante la quale, nel piano di segmentazione, compaiono invaginazioni ed estroflessioni endodermiche secondarie con la conseguente for- mazione di stele incomplete, lungo la linea di frattura, le quali stele poi restano inglobate nel tessuto della corteccia , o viceversa s’ incuneano nel periciclo , spesso abnormemente ingrossato, dei cilindri centrali secondari (F'ig. 8-10). Le due stele, una volta individualizzate, si allontanano l’ una dall’altra e più tardi en- trambe (o soltanto una di esse) tornano a scindersi (Fig. 7). La scissione che avviene , a grandi tratti , secondo i modi testé illustrati , si compie spesso in un piano perpendicolare a quello della scissione precedente. Non mancano poi i casi, in cui una delle stele accenna ad iniziare la scissione coU’invaginamento dell’endoder- mide : questo tuttavia non procede fino allo sdoppiamento della stela , che si mostra perciò semplicemente deformata (Fig. 9). Dato il singolare comportamento del pleroma radicale nella Phoenix dactylifera , se ne deve inferire che la scissione della stela ha luogo per una vera dicotomia o polito- mia (scissione di- o politomica della stela). E qui faremo notare che alla stessa tiene quasi sempre dietro anche la dicotomia della radice {scìiisorrisia dicotomica) (1). Il fenome- no è di un’ importanza veramente grande e di un altissimo significato filogenetico, poiché noi sappiamo che la dicotomia nelle piante costituiva un processo molto diffuso nelle epoche geologiche passate, che però per ragioni meccaniche, state illustrate dal Potoniè , ha dovuto cedere il posto alla ramificazione monopodiale, come quella che é più conforme alle leggi della statica. Noi troviamo infatti oggigiorno la dicotomia diffusa soltanto tra le forme che vivono nell’acqua, vale a dire in un mezzo piuttosto denso, rispetto all’ aria, oltre che in quelle primordiali o degradate (alghe). È vero però che, trattandosi di radici viventi in uno mezzo compatto , il momento stato invocato dal Potoniè, per spiegare il passaggio dalla ramificazione simpodiale alla monopodiale, non reggerebbe. Sarebbe dunque la dicotomia radicale della Phoenix un indizio di degradazione orga- (i) Non abbiamo mai incontrato vere schizorrizie politomiche, come a priori si dovrebbe aspettare, data la politomia delle stele 8 Projf. L. Buscalioni e G. Lopriore [Memoria X.] nica ? È probabile , poiché queste piante sono piuttosto arcaiche , ma noi ci riserbiamo di illustrare altrove questo problema. A complemento di questi brevi cenni sulla di- e politomia radicale, rileveremo ancora che frequentemente gli apici radicali in via di attivo accrescimento sono biforcati e se non appaiono tali esternamente, si presentano pur tuttavia costituiti da due cilindri centrali posti r uno a fianco dell’ altro e avvolti da un comune periblema. Le cuffie sono tuttavia di- vise (Fig. 5). Le nostre osservazioni su questo argomento sono però incomplete, dovendo essere ancora maggiormente approfondite. Ciò non di meno dalle osservazioni sinora fatte possiamo affermare tassativamente che gli apici radicali hanno spesso il pleroma scavato ad imbuto, il che dimostra come le pseudostele d’invaginazione si formino nell’ apice vegetativo stesso della radice. Una tale struttura tale, che è indubbiamente unica nel regno vegetale, è, spesso occasionata da le- sioni anche lievi, cui va soggetto nel terreno l’apice radicale, ma in altri casi non appare motivata da una causa rilevabile al microscopio od alle reazioni. Abbiamo per altro fre- quentemente notata la presenza di ife fungine attorno agli apici fortemente suberificati, nei quali sono più tipiche le particolarità finora descritte. Le radici trasversali nascono invece nel modo solito, vale a dire in seguito a proliferazione cellulare e ad organizzazione degli istogeni in seno al periciclo (zona rizogenica e strato dictiogeno di Mangin — Origine et insertion des racines adventives etc. Thése. Paris 1882). Il reticolo radicifero di Mangin occupa un’ area molto estesa , per cui numerosi sono i fasci xilematici della radice madre che vengono a raccordarsi con gli elementi vascolari della radice secondaria in formazione. In generale, essendo la stela madre di forma ovale, si osserva che una metà circa della sua circonferenza viene occupata dagli elementi del reticolo radicifero periciclico. Le tracheidi di nuova formazione poi non si limitano ad inne- starsi con gli elementi vasali più esterni della radice madre, ma, come si osserva in non poche radici delle Monocotiledoni (cfr. i lavori di Rywosch (1) e di Mangin) prendono ade- renza anche ai vasi metaxilematici alquanto discosti dal periciclo (Fig. 7). Sotto questo punto di vista, però, la Phoenix dactylifera differisce alquanto da altre palme, come^ ad esempio, la Washingtonia filifera, in cui le nuove radici si connettono, per mezzo di tracheidi, anche coi vasi metaxilematici più interni, d’ordinario separati dai fa- sci xilematici. Un comportamento così singolare delle nuove radici non potrebbe effettuarsi, se attorno ai vasi metaxilematici più interni non esistessero delle cellule atte a trasformarsi in tracheidi superficiali. Ora noi vediamo appunto che nelle grosse radici di Washingto- nia filifera i grossi vasi centrali rimangono a lungo circondati da un’atmosfera di cellule parenchimatose, mentre il resto del tessuto fondamentale del pleroma ha già ispessito e li- gnificato le pareti cellulari. Al momento in cui nel periciclo s’ inizia la formazione del re- ticolo radicifero siffatti elementi a membrana cellulosica non tardano a fondersi fra loro e ad ispessire le pareti che poi si ornano di punteggiature semplici , assumendo così la costi- tuzione di vere tracheidi di raccordo, circondanti quasi a mo’ d’ un anello i vasi sopra ricordati. Grazie a queste metamorfosi, le nuove radici riescono così anche a mettersi in comunicazione coi grandi vasi metaxilematici centrali. (i ) Untersuchungen ùb. die Enwicklungsgeschichte d. Seitenwurzeln d. Monocotvlen Zeitschr. f. Bot. i. Jahrg H. 4. 1909. Il plerorna tnhuloso, V endodermide midollare, ecc. 9 Tornando ora allo studio della Phoenix dactylifera^ crediamo utile di far rilevare che quando alla formazione di nuove radici trasversali si accompagna la divisione della stela madre , per lo più la zona rizogenica arriva fino al limite dello strozzamento endodermi- co (Fig. 7). Non mancano però i casi, in cui essa, girando attorno all’ invaginazione en- dodermica, sì estende anche alquanto sull’altra emistela in via d’isolamento. Intanto merita pur nota il fatto che nelle stele in via di scissione compaiono frequen- temente due radici secondarie, 1’ una delle quali s’ impianta su una delle meta della stela, r altra sulla rimanente porzione. La formazione contemporanea di radici trasversali (che talora può arrivare fino a .3 o 4) ha pure luogo quando la stela madre si è del tutto frazio- nata in due 0 più stele secondarie, avendo ognuna la sua zona rizogenica particolare (Fig. 7). Quando poi alla schizostelia (in largo senso, non in quello di Strasburger) succede la sehizorrizia, questa singolare disposizione di cose tende gradatamente a scomparire, ed allora le radici trasversali nascono a livelli differenti sulle schizorrize. Però è d’uopo notare che nella Phoenix dnctylifera non è rara la formazione di radici trasversali allo stesso livello anche quando non si ha traccia di frammentazione o di sehizorrizia. Quali cause provochino 1’ uscita contemporanea delle radici nello stesso piano e nella stessa direzione, è difficile definire in modo esauriente : ciò non di meno possiamo trovare una plausibile spiegazione del singolare fenomeno, ammettendo che i pangeni rizogenici (1) si formino all’ apice radicale stesso e che poi, giunti a maturità, ciò che avviene ad una certa distanza dall’ apice radicale, provochino la comparsa della zona rizogenica e delle radici trasversali. Presupposta ora una tale condizione di cose, ben si comprende che se la stela madre ha iniziato la sua scissione , prima che nelle cellule pericicliche i pangeni rizogenici siano giunti alla maturità, deve necessariamente succedere che le cellule depo- sitarie di tali pangeni, quando vengono a trovarsi ripartite fra le due stele secondarie, o, fra le due schizorrize, daranno, col concorso dei loro pangeni, necessariamente origine a due radici separate. Queste poi nasceranno contemporaneamente e nella stessa direzione , perchè i pangeni avranno in tutte le cellule raggiunte ad un medesimo istante la loro ma- turità, essendosi formate anche contemporaneamente all’ apice della radice madre. Le radici trasversali nascono per lo più sulle faccie delle stele madri, ben di rado sui fianchi (radici polari di Lopriore) , o indifferentemente su questi o su quelle , come del resto uno di noi (Lopriore) ebbe a dimosti'are per le radici secondarie nate sulle stele fasciate della Vida Faba. Quanto abbiamo detto a riguardo dell’ origine delle radici trasversali , è applicabile anche a quelle pneumatodiche, per quanto la nostra attenzione sia stata meno attirata da questo tipo radicale. Le radici trasversali e quelle pneumatodiche, una volta formate, attraversano l’endoder- mide, che, per agevolarne il passaggio, perde le sue principali caratteristiche, talora assu- mendo la costituzione di un tessuto ringiovanito, come lo attestano le divisioni tangenziali, cui vanno soggette le sue cellule davanti alla zona rizogenica. Anche le cellule corticali prossime all’ endodermide subiscono la stessa sorte , ma ben tosto vengono digerite dalla radice neoformata. (ij La denominazione di « Pangeni » non è molto giusta, poiché probabilmente le sostanze che deter- minano l’organizzazione degli esseri non sono che eccezionalmente corpi solidi, figurati e con determinata struttura. (Buscauoni). Atti Acc., Serie V, Vol. II. Mem. X. 2 10 Proff. L. Buscalioni e G. Lopriore [Memoria X.] Questa, nell’ attraversare la corteccia per venir all’ esterno, esercita di poi la sua azione digestiva non solo sulle cellule parenchimatose, ma ancora sui cordoni meccanici di scleren- chima corticale e la esercita con tanta energia che questi sono di già parzialmente disciolti quando ancora non sono stati raggiunti dall’ apice radicale. Spesso però capita che alcuni cordoni meccanici non vengono prontamente digeriti ed allora, sospinti in fuori dal cono della nuova radice, si accollano l’uno all’ altro in direzione radiale e, mentre si oppongono al progredire della radice, determinano la biforcazione del suo apice. Nello stesso modo provocano le anulazioni a trachea, altrove accennate, sulle faccie laterali della radice in for- mazione, quando si accollano lateralmente alle stesse. Edotti dal fatto che le radici delle Palme sono secondo il Drabble polisteliche, secondo noi pseudopolisteliche , perchè (analogamente a quanto avviene nella Phoenix all’ uscita delle radici dal periciclo dello stipite) 1’ endodermide si insinua alquanto sui fianchi delle singole stele, abbiamo voluto ricercare come si comportano i fasci vascolari nel tratto in cui si va organizzando il cilindro centrale della radice secondaria , non appena questa si è emancipata dal cilindro centrale della radice madre. Da questo studio è venuta in luce una disposizione nuovissima , che in certo qual modo riporta la struttura delle Palme al tipo delle Equisetacee e delle Felci (cfr. Tansley e Lulham, A study of thè Vascular Sy- stem of Matonia pectinata). Infatti nel punto in cui le singole stele secondarie accennano a fondersi fra loro per costituire il cilindro centrale a tipo monostelico, ciò che avviene nel tratto in cui la radice trasversale penetra nella corteccia della radice madre o al limite fra questa e il cilindro centrale, compaiono, quasi improvvisamente, nella regione midollare delle vere cellule endodermiche. Siffatte cellule, che sono talora ben distinte a causa dei punti di Caspary o degl’ ispessimenti a U e della loro resistenza all’acido solforico, si uniscono poi assieme in guisa da formare un anello, per lo più incompleto, che cinge il midollo della stela. Molte volte poi alcune stele isolate, disperse nel midollo, sono avvolte da siffatta endoder- mide, che noi chiameremo midollare (Fig. 6). Questa endodermide scompare però ben tosto ed allora la radice non conserva più che 1’ endodermide esterna di origine corticale. Di fronte a un reperto tanto importante, noi abbiamo esteso l’osservazione anche alla Washingtonia filifera , ad altre Palme e Monocotiledoni , nonché alla Vida Faba ed alla Cycas revo- luta, con risultato però negativo. 1 nostri studi sono ora rivolti ad altre specie. Le nuove radici percorrono per lo più la corteccia in senso trasversale per riuscire all’esterno, ma qualche volta cambiano bruscamente di direzione per procedere, per un certo tratto, in senso quasi parallelo alle stele da cui trassero origine. Questa particolarità, piuttosto rara nella Phoenix dactylifera, è abbastanza frequente invece nella Washing- tonia filifera, il cui fusto presso alla base si mostra quasi rigonfio e piriforme a causa delle molte radici avventizie che decorrono sotto il gran mantello suberico della corteccia. Siffatte radici sottocorticali sono per lo più deformate a causa delle pressioni, cui vanno incontro nel prepararsi la via attraverso la rigida corteccia. Molte altre particolarità di un certo interesse sono state scoperte nello studio delle radici trasversali della Phoenix dactylifera. Noi, per ragioni di brevità , ci limitiamo qui a segnalare soltanto che in un caso, in cui la radice trasversale erasi formata un po’ al di sopra del punto di biforcazione della radice madre, essa dopo aver attraversata l’atmo- sfera corticale circondante la stela, da cui aveva avuto origine, finì per penetrare nella ra- dice corrispondente alla stela opposta, percorrendo un certo tratto della sua corteccia, pri- ma di venire all’ esterno. Il pleroma tiibuloso, V endodermide midollare, ecc. 11 Noi abbiamo qui riportati per sommi capi i principali fatti che sono venuti alla luce dalle nostre ricerche: non possiamo tuttavia chiudere questa nota, senza domandarci se il singolare comportamento delle radici dicotomiche della Phoenix dactylifera non sia da considerarsi come una fasciazione, con cui, dal punto di vista anatomo-morfologico, offre grandi affinità, o non sia piuttosto da ascriversi a disposizioni di natura differente, non te- ratologiche, aventi una stretta relazione con la natura della stela e con la evoluzione che questa subisce nella scala vegetale. Per ora ci accontentiamo di posare il problema , riservandoci di discuterlo nel lavoro generale che uscirà quanto prima. Ma frattanto, consci della partipolare importanza che of- frono i risultati delle nostre indagini e della grande luce che esse possono apportare nel problema filogenetico e morfologico della radice, riassumiamo qui i risultati più salienti. 1. Le radici della Phoenix dactylifera hanno varia origine. La più tipica è quella , per cui esse si formano in seguito a dicotomia o politomia , cioè per un processo che ha nulla a vedere con la formazione delle radici secondarie , quale venne concepita dalle os- servazioni di Van Tieghem e di altri autori. 2. Nelle radici, che nascono secondo lo schema tipico, si forma nel punto d’ origine e intorno ad ogni fascio centrale, sia xilemico sia lloemico, un’endodermide, riconoscibile alla periferia del midollo nel momento in cui la radice secondaria sta per peneti'are nella cor- teccia della radice madre. Più tardi quest' endodermide interna scompare. Da tanto reperto è d’ uopo quindi trarre la conclusione che le radici in questione sono in origine asteliche, poi gamodesmiche come i fusti di taluni Equisetum e quelli di non poche Fanerogame studiate dal Jeffrey (1). 3. Una volta uscita dalla radice madre, od anche prima, la radice diventa monostelica midollata oppure semplicemente monostelica, come avviene pure in molti fusti (cfr. Jeffrey). 4. Ben tosto però il pleroma, in corrispondenza dell’apice vegetativo, si scava ad im- buto o diventa tuboloso, ed allora si formano le invaginazioni apicali, che danno origine alle pseudostele d’ invaginazione od inverse, oppure conformasi a doccia, aprendosi da un lato, per produrre invaginazioni laterali , ricordanti il comportamento di alcuni fusti all’ uscita delle traccie fogliari. Le invaginazioni laterali potrebbero essere paragonate ai lederai gaps di Jeffrey o, meglio ancora, ricorderebbero i processi che conducono alla polistelia di Van Tieghem ; gli imbuti pleromici apicali sono invece una condizione di cose nuovissima nel regno vege- tale e di una estrema importanza (2). 5. Le invaginazioni laterali e gl’ imbuti apicali, di cui talora ve ne ha più di uno ad ogni apice, sono circondati da fasci di xilema e di fioema, i quali raddoppiano così la cerchia vascolare normale delle radici. Si forma cioè una seconda cerchia xilemo-floematica nell’in- terno della stela, il che ci riporta ad una primitiva struttura , della quale i grandi vasi di metaxilema costituiscono l’ultima espressione (cfr. Drabble). Una tale disposizione sarebbe analoga alla polistelia gamodesmica del fusto o, meglio ancora, alla sifonostelia (Jeffrey), in cui vi ha pure un fioema interno, ma sempre limitatamente agli assi privi di cambio, come le radici della Phoenix. (1) The morphology of thè centrai cylinder of Angiosperms. Trans, of thè Canaciian Institut, 1900. (2) Forse analoghi imbuti si formano nella Vida Faha a radici fasciate , come ebbe ad osservare uno di noi (Lopriore) che, però, per la rarità in cui si formano, non potè investigarne la vera origine. 12 Projf. L. Buscalioni e G. Lopriore [Memoria X.] 6. Le ramificazioni a fondo cieco in cui si smembrano gl’ imbuti e questi stessi fi- niscono, allargandosi, per frazionare la monostela in due o più stele secondarie; i fascetti interni di legno e di libro vengono, per effetto della frattura, a trovarsi con 1’ annesso pe- riciclo alla periferia delle singole stele, onde possono raccordarsi con gli altri trovantisi già in tale posizione; perciò ognuna delle stele secondarie torna al tipo monostelico (]). Una ulteriore formazione di imbuti riproduce di nuovo il ciclo evolutivo stelare. 7. Se nel fusto, in generale, si ha il passaggio dalla monostelia all’ astelia, qui si ha, in ultima analisi, la monostelia dalla astelia o dalla polistelia , perchè alla schizostelia ('2) tien dietro d’ ordinario anche la schizorrizia (Lopriore). Quando però questa non avviene o non ebbe ancor tempo a formarsi, l’apice radicale appare costituito da due cuffie, da un dermatogeno e da un periblema , che avvolgono due pleromi nettamente separati 1’ uno dall’ altro. 8. La schizostelia (in largo senso) o frammentazione stelare è reperibile in tutte le forme nei vari tratti di una stessa radice di Phoenix dactylifera; il che dimostra quanto grande sia l’affinità tra fusto e radice. Noteremo tuttavia che, per quanto la schizostelia e la schizorrizia s’ incontrino normalmente nelle radici della Phoenix, i casi più tipici delle stesse ci vennero offerti da radici alquanto sofferenti , nelle quali era abbondante lo svi- luppo di ife fungine , di tannino ed altri secreti di difesa nelle cellule corticali dell’ apice, come pure in quelle in cui si avevano le traccio di ferite o di corrosioni. Queste però sem- brano cause piuttosto occasionali che determinanti della schizostelia e della schizorrizia. 9. Fino ad ora la polistelia fu osservata in pochissime radici di Leguminose e Cicadee. Quanto noi abbiamo messo in evidenza, assieme alla polistelia, all’astelia e alla gamodesmia radicale costituisce un reperto unico più che raro nel regno vegetale. 10. Se i nostri studi hanno attenuato le differenze fra fusto e radice, per quanto con- cerne il problema della stela , dagli stessi risulta pure che il midollo ha indubbiamente un’origine comune col periblema (3). 11. Le ricerche esposte complicano però alquanto la questione della stela, avendo noi osservato svaginamenti od estroflessioni del cilindro centrale , alla cui formazione pren- devano parte, secondo i casi, o soltanto l’endodermide col sottostante periciclo , o questi due tessuti ad un tempo, oltre ai fasci vascolari. Alcune fra queste ultime stele corticali constavano però soltanto di xilema o di floema, altre di tutte due. In generale queste pic- cole stele , più 0 meno incomplete , si esaurivano nella corteccia, dopo un percorso più o meno lungo. Data una tale costituzione stelare, quale valore dobbiamo accordare alla stela, in cor- relazione alle vedute di ’Fan Tieghem, Strasburger e Jeffrey ì Crediamo che sia quasi im- possibile far entrare siffatte formazioni nel novero delle stele e perciò sotto questo punto di vista la radice della Phoenix presenta un carattere differenziale rispetto ai fusti (4). 12. Ma, data la presenza di stele incomplete, dato il facile avvicendarsi dell’ astelia , della monostelia e della polistelia, riteniamo che non debba accordarsi troppa importanza (1) A prescindere, ben inteso, dal fatto che, essendo in due o più nel tessuto fondamentale, rappresen- tano una polistelia nel senso di ’ùan Tieghem. (2) In senso lato, non già di Strasburger. (3) A questa conclusione già era venuto uno di noi (Buscalioni) nei suoi Studi sul cilindro centrale delle Monocotiledoni. (4) Anche l’altro di noi (Lopriore) osservò stele incomplete nelle radici fasciate di Vida Faba. Il pleroma tubuloso, V endodermite midollare, ecc. 13 a queste formazioni differenti, anche pel fatto che, in ultima analisi, gli elementi veramente essenziali del cilindro centrale sono_ quelli del libro e del legno. Il loro mutuo assetto rap- presenta una disposizione secondaria , che perciò menoma il significato che sogliamo ac- cordare alla stela. Facciamo intanto qui rilevare la grande analogia strutturale che passa fra la radice della Phoenix dactylifera e talune Felci, nelle quali dal Chandler è stata rinvenuta la dicotomia caulinare, la terminazione cieca di alcuni fasci caulinari e la presenza di un endodermide interna, di origine apicale. (cfr. On thè arrangement of thè vascular Strand in thè Seedlings of some Leptosporangiate Ferns. Annals of Botany 1908). 13. I risultati esposti collimano , sotto molti punti di vista , con quelli ottenuti dal Simon (Regeneration der VVurzelspitze Pringsheim ’s Jahrb. XL. 103) e dal Nemec (Stu- dien tiber die Regeneration, Berlin 1905) negli studi sulle lesioni degli apici radicali. Molti fatti tuttavia , come ad es. la frammentazione stelare , che mal si conciliano con quanto hanno segnalato questi due sperimentatori , debbono ritenersi come del tutto eccezionali. Per questo ci siamo indotti a ripetere sulle radici di Palme alcune delle lesioni traumatiche, già tentate da questi autori. 14. Sebbene il dominante concetto della Stela venga ad essere demolito dalle ricer- che qui riassunte, pure ne abbiamo conservato la dizione, per evitare nel corso di questo lavoro incomode circonlocuzioni. Invece di prendere in considerazione la stela nel senso di Van Tieghem, od il com- plesso dei fasci, quale viene considerato dal Farmer, noi riteniamo che 1’ unico elemento davvero importante è il desma, sia esso xilematico o fioematico, oppure costituito da queste due parti. Tutto il resto rappresenta adattamenti secondari, spiegabili dal punto di vista filogenetico e fisiologico. D’ accordo con Karsten, Chrysler ed altri, non possiamo fare a meno di rilevare i rapporti di affinità strutturale che passano tra le Felci e le Palme, come in genere fra quelle e le Monocotiledoni. La complessa struttura del cilindro centrale delle Felci è soltanto apparente , poiché, secondo noi, essa non è che 1’ espressione di una organizzazione degradata , che si spe- cializza e affina nelle Monpcotiledoni, mentre elevasi al tipo di massima perfezione nelle Dicotiledoni, dove troviamo per lo più una sola cerchia vascolare. Questo tipo vascolare è collegato apparentemente con quello delle piante ancor più degradate delle Felci, come le Equisetacee, mentre in realtà si mostra molto evoluto, poiché tra legno e libro viene ad interporsi un sistema nuovo, il cambio. Al riguardo daremo maggiori dettagli nel lavoro in extenso. Catania, j Maggio 14 l'rojf. L. Bitscalioni e G. Lopriore (Memoria X.J SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fig. 1. — Radice dicotomica con le due estremità parzialmente suberificate. Le due schizorrize mandano ra- dici trasversali, due delle quali nascono pressoché allo stesso livello , pur partendo da due schizorrize diverse. Fig. 2. — Radice dicotomica all’ apice, con rami diversamente sviluppati e con anulazioni a trachea dovute a contrazione. Fig. 3. — Radice dicotomica anellata (solchi di contrazione) e portante, sui rami secondari, quattro radici trasversali appaiate, nascenti, due a due, ad uno stesso livello orizzontale. Fig. 4. — Apice radicale in via di sviluppo. Il cilindro centrale appare sdoppiato per effetto della invagina- zione corticale , che provoca la comparsa delle tubolature in seno al pleroma. Fig. 6. — Apice radicale col pleroma sdoppiato in seguito a frammentazione stelare : una delle stele è ri- dotta notevolmente. Fig. 6. — Sezione trasversale di una radice secondaria nel punto di attacco alla radice madre. Il tessuto è formato in massima parte dal tessuto del mantello, i cui elementi hanno pareti ispessite. Nel centro notasi il midollo costituito da cellule a membrane piuttosto esili. Nello spessore di questo tessuto compaiono tre cordoni di cellule disposte in fila, a pareti radiali un po’ robuste. Queste sono le cellule endodermiche midollari. Fig. 7. — Sezione trasversale di una radice attraversata da due stele , di cui una in via di suddivisione. Dalle due metà di questa, come pure dalla stela isolata si dipartono tre radici omotropiche. Questa figura permette di riconoscere il limiluig layer di Drabble, i fasci di sclerenchima corticali, i canali aeriferi e 1’ endodermide con i suoi particolari ispessimenti. Fig. 8. — Cilindro centrale costituito da due cordoni fibrovascolari separati, ma avvolti da una endodermi- de comune. Uno dei cordoni ha la forma di S l’altro di semiluna. Tra i due cordoni si estende una zona di cellule pericicliche, nell’ interno della quale si rilevano parecchie pseudostele di invaginazione. Ognuna di queste è costituita da un ammasso di cellule corticali, in cui sono immersi fascetti mecca- nici. Al limite tra il tessuto corticale ed il periciclo si notano tante endodermidi parziali quante sono le pseudostele e intorno a queste infine, ma nello spessore del periciclo, piccoli fascetti, costituiti alternativamente da legno e da libro. Fig. 9. — Sezione trasversale di una radice, il cui cilindro centrale è frammentato. Si nota infatti una gros- sa stela semilunare, o meglio foggiata ad U, che dal lato concavo presenta l’endodermide pieghettata. Un’altra stela, pure irregolare per forma, si estende da un estremo all’altro delle due branche deU’U, mentre poi nel tessuto interposto (tessuto corticale disseminato di fasci meccanici, come quello esterno alle stele) s’ incontrano piccole pseudostele periblemiche in via di riduzione. Fig. 10. — Cilindro centrale in via di frammentazione stelare. La forma di esso è irregolare. Degne di nota sono le pseudostele di invaginazione che compaiono attorniate dall’ endodermide e da fascetti di libro e di legno alternanti, nel punto in cui si inizia la frammentazione stelare. Verso la porzione rigonfiata del cilindro, dal lato in cui avvi una brusca piegatura di questo, si incontra una pseudostela periblemica in formazione , la quale non si è ancora staccata dal cilindro centrale. Al di sotto della stessa vi sono due piccole pseudostele pleromiche circondate dal periciclo. Questa figura permette di riconoscere i caratteri principali della corteccia, già enumerati nella spie- gazione della fig. 7. Fig. 11. -- Cilindro centrale perforato, in tre punti, dalle pseudostele di invaginazione. Una di queste é piuttosto grande, le altre due sono invece assai piccole. Le tre pseudostele, costituite da parenchima corticale, sono circoscritte dall’endodermide, la quale è a sua volta circondata da fascetti di libro e di legno alternanti fra loro ; queste tre pseudostele preludiano, fondendosi fra loro , alla frammentazione della stela. Memoria XI FILIPPO EREDIA Ploggie torrenziali in Sicilia RELAZIONE Della Commissione di Revisione composta dei Socii effettivi Proff. G. P. GRIMALDI ED A. RICCO (Relatore). La nota del D.r F. Eredia sulle piogge torrenziali in Sicilia , fondata sopra materiali d’ osservazioni copiosi e sicuri, coscienziosamente discussi , ha per le nostre regioni un interesse locale, non solo scientifico , ma anche pratico per le serie conseguenze che le dette pioggie torrenziali esercitano sulla cultura e sulla produzione delle località cui si ri- feriscono, ed anche per 1' attinenza colla grave questione del diboschimento. Pertanto la Commissione è di parere che sia di molto interesse ed opportunità la pub- blicazione dell’ importante lavoro del D.r Eredia nei nostri Atti. Per cura del R. ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica, è stata recentemente pubblicata una memoria sulla distribuzione dei fenomeni piovosi in Italia (1). I valori che spettano alle varie città siciliane , sono i seguenti e non si allontanano molto da quelli risultanti da una precedente pubblicazione (2). MESI Messina Palermo Trapani Girgenti Siracusa Catania Riposto Gennaio. ....... 98, 2 102, 2 69. 7 68,6 94,9 96, I 107, 2 Febbraio 78.5 78. 8 55, 2 42.4 66, 7 74, 2 82, 2 Marzo 74, I 7', 9 45, 6 46, 4 41, 2 50, 0 56, 3 Aprile 68, 4 66, 3 42, 3 40, 0 39,0 33,6 42,7 Maggio . 37, I 3), ' 21,4 15, 5 20, 6 22, 0 25,0 Giugno .... ... 21,7 16, I 8,4 7, 2 5, 2 6, 9 7, 2 Luglio '3,7 n 0 4, 0 3, 2 7, 5 3- I 8, Agosto 22, 3 14, 3 6,6 4,4 7, I IO, 6 IO, 5 Settembre 46, 2 37, 4 36. 3 29,7 48, 5 46, 5 59, 9 Ottobre 109, 8 lOK 0 88, 2 66, 2 92,9 81,9 86,4 Novembre 1 14, 8 99, 1 85,3 87, I 108, 8 95, 2 1 14, I Dicembre 1 1 2, 0 1 19, 1 85,9 102. 2 104, 5 90, 2 94, 2 Anno 796,0 749, 1 548, 9 5 '2, 9 636, 9 610, I 691,8 (i) Eredi A F. — La precipìla\ioni atmosferiche in Italia dal iSSo al — Annali del ,R. Ufficio Cen- trale di Meteorologia e Geodinamica Voi. XXVI 1 (1905) !2) Eredia F. — Sulla distrilmiione della pio^^ia in Sicilia — Atti del Congresso Geografico Italiano, Napoli 1905. Atti Acc., Serie V, Voi.. II. Mem. XI I 2 Filippo Eredia [Memoria XI. J Però con tali valori non è completata la conoscenza dei fenomeni piovosi in Sicilia , in quanto che non sappiamo la quantità di precipitazione che suole verificarsi nei varii giorni dell’ anno e in special modo le grandi quantità di pioggia che cadono in un giorno. Quest’ ultima conoscenza è sicuramente molto interessante poiché mentre la quantità media annuale di pioggia serve per indicarci le condizioni medie pluviometriche e quindi per farci conoscere le utilizzazioni medie che ne possiamo trarre, la conoscenza delle grandi precipitazioni che cadono in 24'^ è pregevole perchè ci permette di conoscere quelle cifre che apportano alluvioni, straripamenti di fiumi , allagamenti che riescono oltremodo dan- nosi in una regione fertilissima e ove 1’ agricoltura e la pastorizia trovano largo svi- luppo. Ho creduto pertanto opportuno riunire le osservazioni fin’ ora possedute e esaminare le altezze di pioggia osservate in 24". Per dare alla nostra ricerca un certo carattere di particolarità, consideriamo le singole decadi e nella presente tabella trascriviamo i valori più elevati di precipitazione osservata in 24" nelle varie città siciliane aventi osservazioni pluviometriche dal 1879 al 1907. DECADE Messina Palermo Trap.ini Girgenti Siracusa Catania Riposto mm mm mm mm mm mm inm l ja ! 55>6 42, 3 25,9 54, 2 75,8 74, 4 70, 2 Gennaio < 2“- 43>6 57,9 25, 1 30, 4 1 32, 0 37, 0 78, 2 I ja 25,9 35, 2 3;, 5 50, 2 76, 8 62, 8 72, 5 / 4^ 50, 6 60, 5 34, ^ 42,0 36, 2 42, 5 64. 4 Febbraio < 37, 3 42, 9 29. 0 35,8 50,0 109, 2 98, 0 ( 6a 39,6 26, 2 53, > 24, 6 107, 7 57.0 58,0 ( ya 32, I 43,8 44, 6 42, 7 35,0 34,0 63,2 Marzo \ ga 38,6 31, 7 29, 2 22, 0 44,2 90, 5 66, 9 1 9a 3 1,8 33,9 22, 5 52,6 67, 5 105. 9 67, 0 j 10^ 70. 5 46, 0 61,8 41,4 54, I 41,0 81,4 Aprile < J ja S4, 0 27,9 32, 5 32, 8 33,0 17,9 18,6 ( I2a 41,8 36.7 29, 5 25, 4 54,0 CO ri d' j 13^ 35,9 50, 2 24, 6 31.0 22, 5 40, 6 42, 2 Maggio . . . . . < 14®- 16, 3 29, 1 31, 3 27, 6 30, 2 23, I 58, 0 ( I ^a 66, I 34, > 22, 7 21,0 35,0 19, 7 30,0 / l6**- 31,6 37, 5 14, 0 38,0 1 1, 0 13,8 22, 6 Giugno / j.ya 28, 6 29,4 28, 0 6, 4 26, 0 27, 0 14,0 l8a 3h 7 16, 6 ■‘9,0 3,2 IO, 7 26, 0 6,0 ( 19^ 45,0 12, 4 5,0 2, 8 91,0 I I, 0 12,4 Luglio / 20*'^ 17, 8 18,4 13, 5 41, 0 32, 5 I 2, 6 43,6 ( 21^ 37, 7 '3, 5 6, 7 5,0 IO, 0 IO, 3 30, 2 ( 22a 33, 0 18, 5 0, 0 M, 3 21,0 22, 1 56, 4 Agosto 1 23» 33, 6 38,7 15, 8 4, 2 20, 0 44, 5 33,0 ( 24'>- 57, 3 28,7 26, 8 34,0 22, 0 27,8 31,0 Pioggie torrensiali in Sicilia 3 DECADE Messina Palermo Trapani Girgenti Siracusa Catania Riposto 25® rum 31. 1 rum 32, 8 mm 32,8 mm 23, 0 m m 36, 0 min IO, 5 m m 9, 3 Settembre . < 26^ 37, 1 61, I 68,4 34, 2 63, 0 57, 0 1 18, 0 27® 26, 2 35,0 34-4 57, 5 1 19, 5 175, 2 177, 6 28® 66, 3 65, I 59,6 42, 0 73, 2 66, 0 74. 2 Ottobre 29® 41, 5 66, 7 67,0 49- 8 71,0 76, 6 74, 8 30® 89, 6 54,7 81,4 55, 5 198, 0 1 18, 6 117,4 3 1® 95-7 91, 9 78, 4 81,0 90, 5 50, 0 194, 0 Novembre .... 32® 79.9 44. 3 4-1, 3 77,0 93. 5 112,8 107, 0 33a 36, 2 30, I 35, 1 44,0 70, 0 60, 5 77,4 34® 39,8 82, 9 26, 6 41, 2 53,0 U4, 8 73,0 Dicembre .... 35® 42, 5 97,7 35, 6 92, 0 44,0 93,0 66, 0 36® 40,0 50, 2 34,9 54, 5 58, 0 43,9 48. 0 Percorrendo le superiori cifre risulta come le massime altezze di precipitazione si sono verificate nella decade 31^ per Messina e per Riposto, nella decade 35® per Palermo e per Girgenti, nella decade 30® per Trapani e per Siracusa. E tenendo conto delle cifre tra- scritte nelle predetti decadi , risulta come nelle città di Siracusa, Catania e Riposto sono stati osservati valori molto più elevati che non nelle altre località , cosicché il versante orientale della Sicilia, sembra che sia soggetto a più abbondanti precipitazioni. Ma esaminando le cifre relative alle altre decadi, risulta pure come le cifre che spet- tano alle città del versante orientale sono sempre superiori a quelle che sono state notate nelle altre località ; cosicché queste maggiori precipitazioni lungo il versante orientale so- gliono verificarsi in tutto il periodo annuo. Paragonando i valori annuali delle quantità totali di precipitazione delle città di que- st’ ultimo versante con quelli di Palermo e di Messina si nota che sono inferiori di quasi mm. 100 , mentre sono superiori di quasi mm. 100 a quelli di Trapani e Girgenti , men- tre il numero totale annuale dei giorni con precipitazioni spettanti alle città di Siracusa , Catania e Riposto é inferiore di quello osservato nelle altre località. Adunque possiamo concludere come lungo il versante orientale i fenomeni piovosi sono più irregolarmente di- stribuiti, in quanto che una quantità ragguardevole di precipitazione suole talvolta verifi- carsi in un solo giorno. E poiché le precipitazioni che cadono con tale intensità non hanno tempo di infiltrarsi attraverso il suolo e specialmente nel suolo siculo ove la permeabilità del suolo é piccola, si comprende bene come la costa sicula orientale sia più soggetta a disastri prodotti dalle alluvioni. E se a tale abbondanza di acqua si aggiunge la ripidità della costa e 1’ acci- dentalità del suolo in molti luoghi di detto versante , si comprende bene come frequenti siano i danni dovuti alle pioggie. .Sarà al certo opportuno indicare ora quante volte si sono verificate pioggie torren- ziali ; poiché non basta sapere 1’ intensità di un fenomeno , ma occorre conoscere la Se- quenza colla quale il fenomeno suole verificarsi. In varie tabelle che per brevità non riportiamo , furono trascritte le altezze massime 4 Filippo Eredia [Memoria XI.] di pioggia caduta in un giorno , osservate in ciascuna delle 36 decadi dei singoli anni 1879-1907. Nella tabella che segue riportiamo ora quante volte la massima precipitazione diurna delle singole decadi raggiunse i valori qui sotto indicati nella testata della tabella medesima : CITTÀ mm rnm 30-40 mm mm 41 — 50 mm mm 5 1 — 60 mm mm 61 — 70 mm mm 71—80 mm mm 81—90 mm inm 91 — 100 mm mm loi — 150 mm mm I 5 I — 200 Messina . . . 51 r I 9 5 4 I I — — Palermo . . . 45 L 6 5 0 3 2 — — Trapani . . 31 S 5 4 2 I — - — Girgenti . . . 28 2 i 6 0 2 I — — — Siracusa . . 40 26 14 IO 6 I I 2 Catania . . . 44 26 9 4 5 I I 6 I Riposto . . . 46 22 17 G 8 5 2 3 2 Le cifre sopra scritte confermano quanto sopra abbiamo detto e difatti mentre il nu- mero delle volte che sono state osservate nelle varie decadi massime precipitazioni da 30 mm. a 40 mm. è poco differente per le varie località , eccettuate le città di Girgenti e Trapani che hanno numeri minori, per le precipitazioni superiori a 40 mm. si hanno sem- pre valori più elevati per le città del versante orientale. Memoria XII. Istituto (l’Anatomia e Fisìologria comparate della 11. Università di Catania I mitocondri ed i giobuii viteliini deli’oocite di Gonigiia alio stato normale ed in condizioni sperimentali. Contributo allo sviluppo del deutolecite ed alla differenziazione sessuale delle ova del Mammiferi Nota C di ACHILLE RUSSO (con 4 figure nel te.«to ed una tavola) Prefasfoue — Lo sviluppo del deutolecite nell’ uovo dei Mammiferi in questi ultimi anni è stato oggetto di numerose ricerche. Il Van der Stricht (1) ha portato il massimo contributo su tale soggetto, che il Sobotta (2) nel 1895 definiva come uno dei più dif- ficili, non solo con i propri lavori, ma consigliando di estendere 1’ argomento ad altri or- dini di ’V^ertebrati a numerosi suoi allievi, fra i quali ricordo il d’ Hollander (3), de So- mer (4) ed il Lcims (5). Queste mie ricerche, se hanno dei punti di contatto con quelle degli Autori citati, se ne allontanano però molto non solo per il soggetto di studio, che offre delle modalità di- verse nella genesi del vitello, ma anche più per lo scopo a cui mirano, che è precipua- mente quello di portare un nuovo contributo di fatti alla differenziazione sessuale delle ova, già da me accennata in una precedente Memoria (6). (1) Van DER Stricht O. — Le pseudochroìnosome dans l’oocyte de Chauve - souris. Compt. rendus de l’assoc. des Ana omistes — Montpellier 1902. » » La conche viléllogéne et les mitochondries dans l’oeuf de Chauve - souris — Verhandl. d. Anat. gesellsch. in Jena, 1904. » » La structure de l’ oeuf des Mammiferes. i.®'’ Partie — Arch. d. Biologie — T. 21 — 1904. » » La structure de 1’ oeuf des Mammiferes — 2'ne Partie — Bull, de 1’ Ac. rovai de médecine de Belgique — IV ser., T. XIX, 1905. (2) Sobotta J. — Die Befruchtung und Furchung des Eies der Maur. Arch. f. Mikrosk. Anat., Bd. 4^, 1895. pag. 43. (3) D’Hollander F.— Les pseudochromosomes dans les oogonies et les oocytes des Oiseaux — Bibl. Anatomique — 1904. (4) De Somer e. — Les premiers stades de la vitellogenèse dans 1’ ovule de la Poule — Ann. de la Soc. de medecine de Gande, 1905. (5) Lams H. — Contribution à F étude de la genése du vitellus dans l’ ovule des Teléostéens ■ — Arch. d’anat. microscopique. 1904. » s Le corps vitellin de Balbiani et la masse vitellogène dans l’oocyte de Rana temporarij. Verhandl. d. Anat. Gesellsch. in Rostok. 1906. (6) Russo A.- — Modificazioni sperimentali dell’ elemento epiteliale dell’ ovaia dei Mammiferi — Atti R. Acc. dei Lincei. Roma 1906. Atti Acc., Serie V, Vol. II. Mem. Xll. I 0 Achille Russo [Memoria XII.] In altre pubblicazioni posteriori (1) ebbi inoltre l’occasione di rilevare alcuni particolari processi con i quali i mitocondri dell’ oocite prendono parte alla formazione dei globuli vitellini a struttura mielinica, di natura acidofila. Con questa Nota mi propongo di deter- minare meglio lo sviluppo di questo elemento essenziale del vitello^ di mostrare la sua evoluzione durante tutto il ciclo vitale dell’ oocite, e le modificazioni che subisce, insieme alle granulazioni mitocondriali, quando le Coniglie siano state convenientemente trattate con Lecitina. Sarà inoltre fatto cenno delle condizioni in cui si trova, negli stadi finali dello sviluppo dell’ oocite , la granulosa, la quale partecipa ai mutamenti che subisce il materiale- deuto- plasmico del vitello. Mi riserbo per altro di trattare a parte tale argomento, su cui si sono accumulati numerosi lavori, che riguardano la degenerazione dell’ uovo. Per la maggiore intelligenza dei fatti, che qui saranno esposti, bisogna però distinguere la vera degenerazione degli ovisacclii, da alcune condizioni speciali in cui essi si trovano prima che 1’ uovo fosse fecondato. Mi lusingo che il contenuto di questa Nota giovi in qualche modo ad illuminare uno fra i problemi più complicati ed oscuri, che si discutono nel campo della Biologia ! Tecnica e distinsione degli stadii evolutivi dell’ oocite. — Per queste ricerche mi sono servito di ovaie di Coniglie adulte, che furono trattate con il metodo di fissazione e di colorazione proposto dal Benda. Sebbene per differenziare le diverse granulazioni, conte- nute nel vitello, servano anche bene le colorazioni ottenute con V Eniatossilina ferrica di Heidenhain, pure, per non lasciare adito alla critica, di cui in Italia si sono fatti por- tavoce , con prematuro giudizio, il Levi (2) ed il Giglio-Tos (3) , cioè che i granuli fon- damentali del protoplasma di natura mitocondriale siano di natura deutoplasmica, mi sono servito a preferenza della colorazione Benda. Questa , come si vede dalie figure, che accompagnano questa Nota, colora in azzurro i mitocondrii. mentre i globuli deuto- plasmici si colorano in una tonalità che dal rosa va al giallo-aranciato. Credo superfluo intrattenere il lettore sui procedimenti impiegati per la colorazione di Benda , in seguito alle modificazioni proposte dallo stesso Autore, poiché essi furono det- tagliatamente esposti dal Meves (4) ! Per facilitare le descrizioni ed i confronti delle ova esaminate in varie condizioni, di- stinguo diversi gradi di sviluppo dell’ oocite, i quali si possono considerare come tipi fondamentali. Tra uno stadio e 1’ altro si possono trovare stadi intermedi. Non potendosi considerare 1’ oocite indipendente dal suo follicolo, poiché le cellule fol- licolari sono r elemento indispensabile all’ incremento del vitello, così contradistinguo i di- versi stadi del ciclo vitale dell’ uovo dallo sviluppo diverso raggiunto dal suo involucro. (1) Russo A. — Sull’origine dei mitocondri e sulla formazione del deutoplasma nell’ oocite di alcuni Mammiferi — Rendic. R. Acc. dei Lincei — 1907. » » Sull’ origine e sulla funzione dell’ apparato mitocondriale nelle cellule sessuali dei Mam- miferi. Boll. Accad. Gioenia di Se. Nat., Catania. Fase. 2°, Ser. 2“, 1908. (2) Levi G. — In Sunti e Riviste del Monit. zool. italiano. Anno 1907. Fase. 9. (3) Gigi.io-Tos e. — I mitocondri nelle cellule seminali maschili di Panpha^us marmoratus ( Burm. ). Biologica. Voi. 2°, 1908. (4) Meves Fd. und Duesberg j. — Die Spermatozytenteilungen bei der Hornisse (Vespa crabo L.) — Arch. f. Mikrosk. Anatomie. Bd. 71 — 1908. I mitocondri ed i globuli vitellini deU’oocite di Coniglia ecc. 3 Coincidendo quasi sempre il grado di sviluppo del follicolo ovarico con quello dei mate- rali deutoplasmici del vitello dell’ ovo, si possono distinguere i seguenti stadi : 1. Ovo con follicolo a cellule piatte. 2. Ovo con follicolo a cellule cubiche. 3. Ovo con follicolo di 2 strati di cellule. 4. Ovo con follicolo di più piani di cellule e con spasi follicolari. 5. Ovo con cavità follicolare completamente sviluppata, che fa distinguere una granulosa ovulare ed una parietale. 6. Ovo maturo. I. Evolusione dei mitocondri e dei globuli vitellini (dio stato normale. 1. Negli oociti con follicolo a cellule piatte mancano affatto i materiali deutoplasmici. Nel protoplasma si distingue una massa fondamentale compatta , quasi incolora , in cui sono sparsi dei granuli mitocondriali. (Fig. 1). Questi sono in maggior numero alla peri- feria e qua e là ammucchiati anche perifericamente, in modo da costituire dei grumi di sostanza mltocondriale. In questo stadio si osserva, per lo più verso la periferia del vitello, un nucleo vitel- lino, che si colora in rosso-giallastro, come il nucleolo. Attorno ad esso si osservano spesso addensati dei mitocondri, come fu descritto dal Van der Stricht (1). Non credo però che tale addensamento, dal v. d. Stricht denominato buayau vitellogène, nella Coniglia sia normalmente destinato allo sviluppo del deutolecite. 2. Nell’ ooplasma dell’ oocite con cellule follicolari quasi cubiche (Fig. 2Q, i mitocon- dri, pur tenendosi in massima parte raccolti alla periferia, cominciano a disporsi in file, che si anatomizzano fra loro in qualche punto e che si prolungano verso il centro dell’ovo, dove è situata la vescicola germinativa. Quando le cellule follicolari sono divenute molto allungate e qualcuna comincia già a scindersi per dar luogo al follicolo di due piani cel- lulari, r addensamento dei mitocondri alla periferia dell’ ooplasma è molto diradato, ed al contrario si osserva, in quasi tutta la superficie del vitello, una rete di cordoni costituiti da mitocondri (Fig. 3^). Per tal modo, in questo stadio, tutta 1’ area ooplasmica è divisa in tanti spazi, dentro cui si formeranno i vacuoli, contenenti il materiale deutoplasmico liquido del vitello. Nello stadio considerato, i punti nodali della rete mitocondriale si mostrano spessiti, per un addensamento di mitocondri, i quali formano dei veri buayaux vitello- gènes, secondo l’ espressione di v. d. Stricht. Difatti, in essi, in fase più progredita dello sviluppo, appariscono i primi globuli vitellini a struttura mielinica, di natura acidofila. 3. Negli oociti con follicolo di 2-3 piani di cellule cominciano a delincarsi i primi vacuoli, i quali, essendo chiari, spiccano assai bene nella massa del vitello azzurrognola (Fig. 4a). Essi sono sparsi irregolarmente , ma per lo più occupano la zona mediana del vitello. Attorno a questi vacuoli e nei tratti, che limitano un vacuolo e 1’ altro vicino, che nell’ insieme formano una rete, sono, in questo stadio, dei globuli abbastanza numerosi, che si tingono in violetto o in una tonalità di colore che dall’azzurro va al roseo. (i) Van der Stricht 0. — Loc. cit 1905. 4 Achille Russo [Memoria XII]. Interposti fra questi globuli si osservano delle granulazioni esilissime, che si colorano in azzurro e che dai primi sono perciò bene distinti. Sono essi i mitocondì'i, che in questo stadio non sono così evidenti come negli stadii precedenti ed in quelli susseguenti. I globuli colorati in violetto, distinti dai mitocondri, oltre che per la loro colorazione, dalla loro forma e grandezza, sono qualche volta circondati da un addensamento di mi- nute granulazioni azzurre o mitocondriali. In base a tale constatazione di fatto io ritengo che i globuli vitellini, come altrove avevo sostenuto (1), si formino per fusione di alcuni granuli mitocondriali e per la trasfor- mazione della loro natura microchimica. In stadi molto precoci di formazione dei globuli vitellini, la colorazione rosea-gialla- stra caratteristica non è ancora visibile, però essi sono già bene distinti per la loro forma rotondeggiante, simile a quella dei globuli in pieno sviluppo. L’ origine dei globuli vitellini è meglio evidente nei preparati fìssati con liquido Benda e colorati con 1’ Ematossilina ferrica. In questi preparati si osserva , come ho già detto altrove (2), che negli addensamenti di mitocondri alcune granulazioni mutano la loro na- tura microchimica, poiché non si colorano più in nero. Questi granuli incolori, fondendosi fra loro, formano il globulo vitellino, che appunto con r Ematossilina ferrica resta sbiadito. 4. Nell’ ooplasma dell’ oocite con follicolo di 3 e più piani di cellule ed in cui comin- ciano a formarsi degli spazi follicolari, i materiali deutoplasmici si possono dire al com- pleto (Fig. 5N. In questo stadio quasi tutto 1’ ooplasma è pieno di vacuoli, i quali determinano una rete, che è la rete vitellina. Questa si estende dalla periferìa del vitello fìn quasi alla vescicola germinativa, che, per tale incremento del deutoplasma , viene spostata verso un polo dell’ ovo , dove è circondata da vitello compatto (3). Lungo tutta la rete vitellina sono disseminati i globuli vitellini, a struttura mielinica, che ora hanno raggiunto il loro defìnitivo sviluppo. Essi sono un pò più grossi che nello stadio precedente e sono tinti in rosa o in giallo-rossastro ; cosicché spiccano benissimo fra le minute granulaziani mi- tocondriali colorate in azzurro. 5. Il vitello delle ova, che hanno raggiunto il massimo del loro sviluppo, che, cioè, sono provvedute di una larga cavità follicolare e sono circondate da una granulosa ovu- lare, distinta da una parietale, non si presenta da per tutto con gli stessi caratteri. Alcune ova, come nello stadio precedentemente descritto, hanno una rete vitellina, che limita dei vacuoli regolarmente disposti in tutta l’estensione dell’ ooplasma, eccettuato nel polo dell’ ovo, dove trovasi la vescicola germinativa. Sulle maglie della rete di tali ova so- no disseminati i globuli vitellini, che spiccano, per la loro forma e colorazione rosea, fra le granulazioni mitocondriali colorate in azzurro. Altre ova, pur essendo presso a poco nel medesimo stadio di sviluppo, hanno spazi vacuolari meno evidenti e più piccoli e mancano affatto dei globuli a struttura mielinica, avanti descritti. Queste ova sono soltanto fornite di una rete a maglie regolari, costituita da mitocondri, i quali si colorano in azzurro (Fig. ó»). In queste ova si osserva talvolta fi) Russo A. — Loc. cit. 1907. (2) Russo A. — Cfr. supr. (3) Circa alla polarità dell’ uovo di Coniglia, che non ho creduto di trattare qui a lungo, rimando alle Memorie di Van Beneden, di v. d. Stricht e di Rubaschkin, citati nel corso di questo lavoro. I mitocondri ed i globuli vitellini dell' oocite di Coniglia ecc. 5 nell ooplasma una o due masse rotondeggianti di vitello compatto poco colorato simili a quelle recentemente riscontrate da Athias (1) ed interpretate come residui del nucleo vitellino. Fig. 1. — Sezione di ovaia di Coniglia normale di circa io mesi, in cùi si osservano due follicoli diversa- mente costituiti. In quello di destra la granulosa parietale é integra e 1’ ovo è ricco di globuli vitellini tinti in nero. In quello di sinistra le cellule più superficiali della granulosa, nel punto più lontano dal cu- mulo ooforo, sono in cromolisi ed alcune sono cadute nel liquido follicolare.— L’ovo, relativamente a tale costituzione della granulosa, è privo di globuli vitellini ed in esso solo si osserva la rete mitocondriale. Alcune ova con tali caratteri presentano inoltre un follicolo integro in tutte le sue parti, cioè, con cellule della granulosa sia parietale che oviilare allo stato normale. In alcuni follicoli invece^ ad uno stadio quasi uguale del precedente e che portano ova con i medesimi caratteri, si osserva che alcune cellule della grannlosa parietale, nel punto più lontano del disco proligero, e propriamente quelle interne a contatto con il liquido follicolare, sono in incipiente degenerasione croniatolitica. Essa è simile a quella che su larga scala si verifica nei follicoli atresici, che contengono ova in avanzato stadio di distruzione (corpi lutei falsi), o che contengono ova apparentemente floride, perchè proviste di fuso polare, ma destinate a perire, perchè la degenerazione ha anche attaccato le cellule del disco proligero (Flemniing). Tale fatto fa supporre che le ova con i caratteri sopra descritti e con follicolo nor- (i) Athias M. — Les phénomènes de division de 1’ ovule dans les follicules de De Graaf en voie d’a- resie chez le Lérot (Elioniys qnerciniis L.). Anat. Anzeiger. 1909. Bd. XXXIV. 6 Achille Russo [Memoria XII. J male o in incipiente degenerazione cromatolitica della granulosa parietale^ siano in fase più avanzata dello sviluppo ovvero delle ova che, per un metabolismo poco attivo, abbiano consumato più presto la propria riserva di detitoplasma, impiegando a proprio beneficio le cellule della granulosa. La seconda ipotesi viene avvalorata dalla degenerazione della granulosa nelle Coniglie digiunanti, come sarà esposto in una Nota in corso di stampa (1). Qualunque sia 1’ interpretazione che si voglia dare alle ova sprovviste di globuli vi- tellini e con cellule della granulosa parietale in cromolisi, pare sicuro che esse, al con- trario di quanto avviene nelle ova degenerate, siano anche fecondabili. Restando nell’ ovario, è naturale che subiscano 1’ ultima fase del loro ciclo vitale, de- generando completamente col proprio follicolo. 6. La diversità che si osserva nei costituenti del vitello, allo stadio precedentemente considerato, si accentua anche di più nelle ova mature e prossime a cadere nelle trombe. Per ottenere tali stadi finali ed avere la certezza che le due sorta di ova siano fe- condabili, ho tenuto, conforme a quanto suggerì il Van Beneden ed altri più recenti os- servatori (Regaud e Dubreuil), per un tempo variabile da 7-9 dopo il coito fino a 2-3 gior- ni, insieme con il maschio, delle Coniglie adulte in calore. In seguito a tale unione ucci- devo le femmine e staccavo con un taglio di rasoio i follicoli più grossi e sporgenti sulla superficie dell’ ovaia ; cosicché spesso ho potuto sezionare al microtomo tutti i follicoli poco prima di scoppiare e contenenti ova con le vescicole polari già formate o con il 1“ fuso polare. Oltre a tale carattere, per giudicare della maturità delle ova così raccolte ed avere la certezza relativa che non si trattasse di ova degenerate, ho tenuto presente, come già fe- cero E. Van Beneden (2), Paladino (3), Sobotta (-1), Lams e Doorme (5) ed altri, i carat- teri delle cellule della corona radiata, le quali allo stato normale sono molto allungate e con protoplasma, poggiante sulla zona pellucida, quasi filiforme ; mentre, nei casi di de- generazione alcune di esse presentano i noti fenomeni di cromolisi , descritti per primo dal Flemming (6). Tenendo presente inoltre le ricerche di varii Autori e quelle più recenti di Heape (7) e di Regaud e Dubreuil (8) , dalle quali si rileva che la rottura dei follicoli maturi non (1) Russo A. — Sulla cromolisi delle cellule della granulosa durante il digiuno e sul suo significato nella differenziazione sessuale delle ova nei Mammiferi — In questo stesso volume degli Atti dell’Accad. Gioenia. (2) Van Beneden E. — Recherches sur l’émbryologie des Mammifères. La formation des feuillets chez le Rapine. Arch. de Biologie. T. I— i88o, pag. 138, 139. (3) Paladino G. — Ulteriori ricerche sulla distruzione e rinnovamento continuo del parenchima cvarico nei Mammiferi. Napoli, 1887. (4) Sobotta J.— Die Befruchtung und Furchung des Eies der Maus. Arch. f. Mikrosk. Anatomie. Bd. 45, 1895 . * » Ueber die Bildung des Corpus luteum beim Kainchen, etc. — Anat. Hefte — Bd. Vili, 1887. (5) Lams H. et Doorme J. — Nouvelles recherches sur la Maturation et la Fecondation de l’Oeuf des Mammifères. Arch. de Biologie, T. XXIII, 1907. (6) Flemming W. — Ueber die Bildung von Richitungsfiguren im Sàugethierei beim Untergang Graaf- scher Follikel. Arch. fùr Anat. und Physiol. , Anat. Abtheil. , 1885. (7) Heape W. — Ovulation and degeneration of ova in thè Rabbit, Proceed, Royal Soc. LXXVI, 1905. (8) Regaud Gl. et Dubreuil G. — Influence du Male sur les fonctions ovariennes. L’ovulation , chez la Rapine, n’est pas spontanée. Lyon medicai, 1908. » » — L’ovulation de la Rapine n’est pas spontanée— Comptes rendus de seances de la Soc. de Biologie, T. LXIV, 1908. I mitocondri ed i globuli vitellini dell' oocite di Coniglia, ecc. / è spontanea nel Coniglio, ma provocata dal coito, è da ritenere che le ova con i caratteri sopra indicati, contenuti nei follicoli esaminati, siano pronti a cadere nelle trombe per es- Fi;^. 2. — Follicolo di Graaf ma- turo. in cui la granulosa pa- rietale è in parte distrutta (gpd) — Il cumulo ooforo è in- tegro ed è anche integra quella parte della granulos.i parietale con la quale esso si connette, mediante tratti cellulari. — L’ovo ha gi<à amesso il i° glo- bulo polare e contiene il 2° fuso polare, che è normale. Il vitello è privo di globuli vitellini e contiene solo la rete mitocondriale. Que.sta figura semischematica fu ricavat.a da sezioni appartenenti alla serie da cui fu presa la micro- fotografia rappresentata nella Fig. 6®, Tav. 2^, nella Nota 2^, (ag) antro follicolare, (tfe) strato esterno della teca del tollicolo, (tfi) strato interno, (eg) epitelio germinativo. Fig. 3.- — Follicolo di Graaf maturo, in cui la granulosa parietale (gp) ancora non è interamente distrutta. Relativamente a tale feno- meno, l’ ovo è ricco di globuli vitellini, taf) antro follicolare, (tfi) e (tfe) stra- to interno ed esterno della teca del follicolo, (eg) e- pitelio germinativo. 8 Achille Russo [Memoria XII.] sere fecondate. In tale condizione ritengo di avere esaminato le ova nella loro fase evo- lutiva finale (1). In alcune di tali ova, come nella fig. 7^ della Tavola, corrispondente a quello che si osserva nella figura qui, stesso inserita, che rappresenta l’insieme del follicolo, il vitello contiene solo una rete di granuli mitocondriali e la zona pellucida è poco colorata, mentre poi la granulosa parietale è in gran parte distrutta. In altre ova invece, anche al medesimo stadio del precedente, con fuso polare o con vescicola germinativa pronta alla cariocinesi, il vitello, oltre la rete mitocondriale, contiene vacuoli più evidenti e dei globuli vitellini, però meno numerosi e più piccoli che nello stadio evolutivo precedente. La zona pellucida in queste ova è per lo più colorata in azzurro, quando si è adoperato il Cristalvioletto, o in nero, dopo il trattamento con /’ Ematossi- lina ferrica. Oltre a ciò, in questo caso la granulosa parietale conserva ancora le sue cellule intatte, ovvero, pur essendo distrutta negli strati superficiali, a contatto con il liquido follicolare, fa vedere gli strati cellulari sottostanti più vicini alla membrana 'vitrea. In qualche caso si osservano ancora intatti alcuni corpi di Cali ed Exner (fig. 2^ nel testo). La diversità delia granulosa, che è concomitante con la diversità dei costituenti del vitello, fa ritenere, come meglio sarà dimostrato nella Nota avanti citata , che tratta più da vicino 1’ argomento , che effettivamente esistano nella Coniglia due tipi di ova mature contradistinte da un diverso tipo di metabolismo. Alcune conservano più a lun^o i mate- riali deutoplasmici, altre invece li consumano più presto ed impiegano a proprio benefizio la granulosa parietale, la quale in questi casi è in gran parte distrutta. IL I mitocondrii ed i materiali deutoplasmici durante V evolu sione dell’ oocite nelle Coniglie trattate con Lecitina. Le figure 8, 9, 10, 11, 12 furono ricavate da sezioni di ovaia di Coniglia a cui fu somministrato per bocca, dal 1° Dicembre al 28 Gennaio successivo, della Lecitina sciolta in Soluzione fisiologica di Cloruro di Sodio al 0,5 “/q. Tale soluzione veniva data ogni mattina, prima dei pasti ordinarii, in proporzione di 25-30 cc., mescolata con Crusca. In questo periodo di tempo furono fatte 5 iniezioni sottocutanee ed una endoperitoneale di Le- citina mescolata in olio di Vasellina, secondo le norme indicate nella Nota a pag. 12 di questo lavoro. Le iniezioni sottocutanee furono fatte nella faccia interna delle cosce e ai due lati dell’addome al 20 ed al 23 Dicembre, al 4, al 10 ed al 24 Gennaio, l’ iniezione endoperi- toneale fu fatta al 16 Gennaio. 1. Nell’ oocite con follicolo a cellule piatte gran parte dell’ooplasrna è occupato da gra- nuli azzurri mitocondriali. Questi però sono più abbondantemente raccolti alla periferia, dove formano dei cumuli posti ad uguale distanza fra loro. Da tali cumuli si dipartono verso il centro, ove trovasi la v^escicola germinativa, delle correnti di granuli mitocondriali (fig. 8^). ( 1 ) Mi riserbo di esporre in una prossima Nota i risultati ottenuti sulla struttura del vitello delle ova, che sono già cadute nelle trombe. Qui voglio ricordare che della diversità di struttura dell’ooplasma dell’ uovo di Maiale si è già occupato il Rubaschkin, però senza attribuire alcun particolare significato al fenomeno. Cfr. Ueher die Reifungs-und Befruchtungsproiesse des Meerschweincheneies — Anat. Hefte — Bd. 29 — 1905. I mitocondri ed i globuli vitellini dell’ oocite di Coniglia, ecc. 9 In questo stadio, come negli stadii successivi, /’ ooplasma, che nel normale si tinge poco, si osserva sempre colorato in azzurro più o meno intenso. 2. Nell’oocite con follicolo a cellule più spesse i mitocondri conservano la disposizione descritta nello stadio precedente ; però, quando esse sono divenute cubiche, dai mucchi di granuli mitocondriali periferici, si dipartono dei cordoni, che in più punti si anastomizzano, e che sono formati dalla stessa sostanza mitocondriale. Tale disposizione reticolare del mitocondrioina, che, nello stadio normale corrispon- dente, è appena accennata, si sviluppa precocemente nelle Coniglie lecitinate. 3. Quando il follicolo comincia ad essere in qualche punto di due piani di cellule , vale a dire molto prima che nello stadio normale corrispondente^ tutto 1’ ooplasma (fig. 9Q è occupato dal reticolo mitocondriale, il quale lo divide in tante aree, dove si formeranno ben presto i vacuoli. Difatti, tanto questi costituenti del deutoplasma quanto i globuli aci- dofili a struttura mielinica cominciano a formarsi in questo periodo, come si osserva nella stessa fig. 9^ precedendo così lo stadio 4°, descritto nelle Coniglie normali. Questo stadio , quale fu rappresentato nella fig. , non mi fu possibile osservarlo nelle Coniglie lecitinate ; cosicché credo che, in queste condizioni di esperimento , per un’ accelerazione dello sviluppo del deutolecite, si passi alle condizioni descritte nello stadio 5® delle Coniglie normali. 4. Negli oociti con follicolo di 3 a più piani di cellule od in cui si osservano già degli spazii con liquido follicolare , 1’ ooplasma è già occupato , in quasi tutta la sua estensione, da una rete, che limita dei vacuoli. Questi però sono più piccoli e meno chiari che nel normale, essendo pieni di un materiale che si colora più tosto intensamente. Lungo le maglie della rete sono i globuli vitellini colorati in rosa, più piccoli e più nu- merosi che nel normale, insieme a tali globuli sono frammiste delle minute graniilasioni mitocondriali colorate in azzurro (fig. lOQ. Una simile struttura della massa deutoplasmatica si conserva fino a che il follicolo ovarico contiene degli spazii follicolari molto larghi ed è già molto avanti nel suo sviluppo. È notevole a considerarsi che in questo stadio la zona pellucida è fortissimamente colorata in azzurro e che il protoplasma delle cellule follicolari , specialmente quello delle cellule della corona radiata che poggia sulla zona , è ricco di granuli o di masse com- patte colorate anche in azzurro, come i mitocondri dell’ ooplasma (Fig. lOQ. Nel protoplasma delle cellule follicolari in generale, ma specialmente in quello delle c. coronali, si osserva in questo stadio, dopo il trattamento delle Coniglie con la Leci- tina, un sistema di filamenti, che avvolgono il nucleo e che si continuano nel protoplasma basale, soprastante la zona pellucida. Tali fili si colorano in azzurro, come la massa mi- tocondriale, per cui non è inverosimile che essi siano della stessa natura (Figg. 11“ e 12Q. 11 trovare nelle cellule del follicolo ovarico, più evidenti che nel normale, questo siste- ma di fili protoplasmatici, colorantisi in azzurro come i mitocondri, indipendentemente del loro particolare significato e di un possibile ravvicinamento con 1’ apparato reticolare di Golgi (1), fa ritenere che la Lecitina attivi i processi costruttivi delle cellule nutrici. Un (i) Per la quistione del significato àtW apparato reticolare veggasi la comunicazione fatta al Convegno dell’Unione Zoologica italiana in Bormio dal Prof. Golgi, (Monitore Zool. ital. — Suppl. 1909), il quale mantiene in proposito il più grande riserbo. Il ravvicinamento con ì’ apparato mitocondriale di Benda e Meves, viene reso poco probabile dalle osservazioni del Dott. Perroncito, opportunamente ricordate dallo stesso Prof. Golgi, cioè che negli spermi di Paludhia vivipara 1’ apparato reticolare si presenta costituito diversamente dell’appa- Atti Acc., Serie V, Vol. II. Mem. Xll. 2 10 Achille Russo [Memoria XII.] segno di tale attività sarebbe la maggiore affinità che hanno i costituenti protoplasmatici con le sostanze coloranti specifiche impiegate. Oltre a ciò, la possibilità, da me precedentemente espressa (1), cioè che il materiale per r incremento del condrioma ovulare venga fornito dalle cellule follicolari, se non mi inganno, è anche confermata dalle correnti radiali di minutissimi granuli , che si trovano nello spessore della sona pellucida e che si colorano anche in azzurro, come i mitocon- dri. Resterebbe così a decidersi se i granuli mitocondriali, che si osservano più ab- bondanti neU’ooplasma, in seguito al trattamento delle Coniglie con la Lecitina., penetrino già formati attraverso la sona, ovvero se non penetri una sostanza, che potrebbe chiamarsi mitocondriogena , la quale rende più evidente , con i mezzi di tinzione impiegati , delle granulazioni protoplasmatiche, che allo stato normale non si colorano. Tale questione però, non altera il risultato finale, cioè che 1’ aumento delle granula- zioni mitocondriali , in seguito a somministrazione di Lecitina , sia indice del migliorato metabolismo animale. Dopo quanto ho esposto, non mi pare che sia il caso di soffermarmi sulla quistione sollevata da Levi (2), a cui ha fatto eco Giglio-Tos (3), cioè che le granulasioni mitocondricdi , aumentate mediante l’uso della Lecitina, possano essere di natura deuto- plasmica; poiché le due categorie di corpi sono bene distinte da una speciale colorazione, come avanti si è detto e come chiaramente si vede nelle figure. 5. Allo stadio precedentemente descritto succede 1’ uovo maturo, il quale si distingue per i caratteri già indicati al N. 6 del capitolo precedente. Da una coniglia lecitinata ho raccolto sei ova mature, le quali presentavano quasi tutte gli stessi caratteri. In queste ova (Fig. 1 D) 1’ ooplasma è cosparso da piccoli vacuoli, limitati da una rete vitellina fortemente colorata in azzurro. Lungo la rete si osservano delle minute gra- nulazioni azzurre di natura mitocondriale e dei globuli vitellini di varia grandezza, alcuni grossi, posti nei punti nodali della rete, altri più piccoli, colorati in rosso molto intenso, tendente quasi al bruno. L’ ooplasma, al di sotto della zona pellucida, è compatto e formato da granulazioni azzurre, fra cui spiccano alcuni globuli vitellini rosso-bruni. La sona pellucida, come nello stadio precedente, è fortemente colorata in azzurro, tanto che in essa non si scorge alcuna struttura. Al di sopra della zona, alla base delle cellule della corona radiata, che sono molto allungate, si osservano cumuli di sostanze anche fortemente colorate in azzurro, le quali formano, come nel caso precedente, il ma- teeriale mitocondriogeno . rato mitocondriale, studiato dal Meves. D’altra parte, un argomento in favore del ravvicinamento suddetto sarebbe l’osservazione del Comes (Boll. Acc. Gioenia, Catania, 1909), il quale nelle cellule cartilaginee mise in evidenza con il metodo di Benda lo stesso apparato reticolare, osservato dal Pensa, impiegando il metodo fotografico Golgi. Avendo avuto il piacere di osservare le nitide preparazioni del Prof. Golgi, sono di accordo con lui, al- meno per ciò che riguarda le cellule gastriche ed altri elementi di tessuti diversi, in cui 1’ apparato reticolare è limitato ad una regione del protoplasma, quella che circonda il nucleo. Vedi anche dello stesso Prof. Golgi a pubblicazione completa apparsa in questo anno nel: Boll, dell’ Accademia medico chirurgica di Pavia e nel: Archives italien. de Biologie, in cui si troverà anche un’ interessante esposizione critica dell’ argomento. (1) Russo A. — Loc. cit. 1907. (2) Levi G. — loc. cit. (3; Giglio-Tos e. — loc. cit. - / mitocondri ed i globuli vitellini dell’ oocite di Coniglia, ecc. 11 La maggior parte delle ova mature delle Coniglie lecitinate presenta caratteri comuni con quelle descritte nel normale allo stadio 5” e ó’, cioè con quelle che sono fornite di vacuoli e globuli vitellini e che hanno la sona pellucida fortemente colorata. In accordo con tali caratteri, anche la granulosa si presenta in pieno rigoglio ; poiché le cellule della porzione parietale sono tutte floride e nel liquido follicolare si trovano poche cellule in dissoluzione, come nel corrispondente tipo dell’ovisacco, descritto allo stato normale. Anche nel caso delle Coniglie lecitinate tale stato di floridezza, come si è detto, non è generale; poiché alcuni ovisacchi hanno ova in cui i materiali nutritizi contenuti nel vi- tello e nella zona pellucida sono deficienti ed in cui la granulosa parietale ha le sue cellule in cromolisi molto avanzata, specialmente nella porzione in contatto col liquido fol- licolare. Tale trasformazione però è più rara nelle Coniglie lecitinate , essendosi artificial- mente arricchito 1’ ovaia di sostanze plastiche , le quali conservano più a lungo nelle ova i materiali deutoplasmici. Difatti, come si osserva nella figura 9^ della Nota 2^, avanti citata in una sezione longitudinale di ovaia di Coniglia lecitinata, che comprende quattro follicoli maturi, tre sono con granulosa integra ed uno ha la parietcde in degenerazione croma- tolitica. III. Differensiasione sessucde delle ova di Coniglia. Accordo tra i risultati sperimen- tali ed i dedi morfologici. Confronto con i risultati sperimentali di R. Hertvoig, Il momento causale della deterrninasione del sesso. In una precedente pubblicazione avevo distinto due specie di ova prossime alla ma- turità , di cui alcune erano ricche di materiali deutoplasmici, mentre altre ne erano affatto prive. Con le presenti ricerche il loro significato viene ad essere meglio determinato ; poiché le ova con vacuoli e globuli vitellini sono da considerare come ele- menti che hanno raggiunto l’ul- tima tappa del loro normale sviluppo e che per un metabo- lismo attivo si conservano a lungo in tale stato, mentre quelle che mancano di tali materiali per un metabolismo poco energi- lo oltrepassano più facilmente. Le particolari condizioni del metabolismo, che determinano questo stato speciale deH’oocite, vengono confermate dalle con- dizioni della granulosa parie- tale, la quale in questi casi, es- sendo in degenerasione croma- , . . , Fig’. 4. — Micro fotogr;ifia di follicolo di Graaf di Coniglia normale si trasforma essa stessa n i a n i . i i . ■' r ■ ’ con cellule della granulosa parietale ed ovulare in cromolisi. in una sorgente di materiale Anche r ovo presenta i segni della degenerazione. 12 Achille Russo [Memoria XII.] nutritizio. Se l’ovo, giunto a questo stadio, non esce dal follicolo per essere fecondato, dege- nera insieme alla porzione ovulare della granulosa, come si osserva nella figura 4^ qui annessa. Dall’ esposto si rileva che la critica mossa dal Dott. Heape (1) a tale constatazione di fatto deriva dall’ incompleta valutazione dei fenomeni riguardanti l’evoluzione dell’ov’o e del suo involucro. Il dottor Heape, considerando come ova degenerate quelle da me disegnate nella tavola 2® della Memoria precedente (2), non ha tenuto presente che le ovaie, da cui le ova furono ricavate, vennero fissate col sublimato, il quale coarta i tessuti e spesso produce delle immagini che sono incomplete. La diversità di struttura delle due specie di ova mi è stata però confermata da preparazioni fatte con altri metodi. Spero perciò che egli, valutando meglio i fatti, in base a queste nuove ricerche, che estendono anche al follicolo la differenziazione delle ova, da me rilevata nel lavoro precedente, si convincerà dell’errore in cui è caduto e lealmente lo vorrà dichiarare. Delle due specie di ova , da me sopra distinte , le prime sono destinate a produrre individui di sesso femminile, le seconde di sesso maschile. Tale affermazione viene avva- lorata dalla percentuale dei nati dei due sessi allo stato normale e nelle Coniglie trattate con Lecitina e dalla coincidenza dei risultati della statistica con i dati morfologici dei fol- licoli nelle due sopradette condizioni. Coloro i quali si occuparono della statistica delle nascite nel Coniglio ammisero una- nimemente che la percentuale dei cf cf sia superiore a quella delle 99- Dalle mie ricerche risulta che la percentuale dei cTcT oscilla, secondo varie circostanze, dal 52 al 58 7o- H Basile (3) stabilì una percentuale di 51,14 °/o ; però, in un lavoro d’insieme (4), ho di- scusso i dati forniti da questo Autore, dimostrando che la percentuale da lui fissata , sa- rebbe aumentata, se non avesse accoppiato le Coniglie subito dopo il parto. Anche le cifre comunicatemi gentilmente dal Dott. Hurst, a mezzo del Prof. Bateson, e quelle più recenti del Dott. Punnett (5) confermano la maggiore proporzione dei cfcT- Invece nelle coniglie trattate con Lecitina tale proporzione viene notevolmente inver- tita, in quanto aumentano i nati di sesso femminile. (6) Tale inversione non è dovuta alla (1) Heape W. ■ — Note on Russo’ s attempi to show differentiation of thè sex in thè ovarian ova of thè Rabbit. Proceedings of thè Cambridge Philos Society. Voi. XIVi Part. VI. 1908. (2) Russo A. — loc. cit. 1906. (3) Basile C. — Influenza della lecitina sul sesso e sui caratteri, mendeliani — Rend. R. Acc. dei Lincei— Roma 1908. (4) Russo A. — Studien ùber die Bestimmung des weiblichen Geschlechtes. — G. Fischer. — Jena 1909. (5) Punnett F. C. — On thè alleged influence of lecithine upon thè determination of sex in rabbits. Proceed. of thè Cambridge Philos. Society — Voi. XV — 1909. Anche il Dott. Punnett , come risulta da questa Nota, non condusse gli esperimenti secondo le norme da me seguite e perciò non ebbe risultati conformi ai miei. Egli, difatti, si limitò a dare soltanto per os la Lecitina in Soluz. fisiologica di CI Na, mentre io a tale trattamento accoppio sempre le iniezioni sottocutanee ed endoperitoneali. (6) In risposta alle affermazioni di alcuni Autori, i quali, dopo avere ripetuto in maniera incompleta i miei esperimenti, ritennero che la Lecitina non abbia alcuna influenza nell’alterare la proporzione normale dei sessi nel Coniglio, aumentando il numero dei nati di sesso femminile, pubblico i risultati che ho ottenuto durante il corso di questo anno. Aggiungo alcuni dettagli di tecnica, che nelle mie precedenti pubblicazioni su l’argo- mento non erano stati sufficientemente precisati, e qualche modificazione, che rende più facile l’uso della Lecitina. Ho scelto N. 20 Coniglie di io mesi circa, di cui io furono trattate con Lecitina e io lasciate per con- I ìnitocondri ed i globuli vitellini dell oocite di Coniglia, ecc. 13 mortalità di embrioni nell'utero, che sarebbero di sesso maschile, come vorrebbe il Basile; poiché il numero dei nati è normale, secondo quanto si sa sul numero medio dei piccoli che si hanno in ogni portata. A tale riguardo perciò rimando il lettore ai Manuali di Coniglicultura ed al recente trollo. Per gli accoppiamenti furono impiegati io dei quali ognuno serviva per 2 Q, cioè una normale ed una trattata con Lecitina. Il trattamento con tale sostanza resta fondamentalmente lo stesso di quello già noto; però, alcune mo- dificazioni evitano gl’inconvenienti, di cui si è lamentato qualche autore. Le Coniglie furono introdotte in Laboratorio il primo Dicembre e da questo giorno fino alla data del loro accoppiamento fu data per os ogni mattino, insieme a della crusca, da 25 a 30 c. c. di Lecitina, sciolta in soluzione fisiologica di Cl. Na, al 0,5 ®/g. In questo periodo di tempo furono fatte 5 iniezioni sottocutanee di 1-2 cc. di Lecitina, mescolata con olio di Vasellina al 15-20 ''/o, ed una endoperitoneale anche di 1-2 cc. In seguito a queste iniezioni le Coniglie non ebbero a soffrire alcun disturbo, ad es. gli ascessi, di cui parla qualche autore. Il punto scelto per le iniezioni sottocutanee fu di preferenza il lato interno delle cosce ed i due lati del- l’addome, l’iniezione endoperitoneale fu fatta al solito in uno dei lati dell’addome, sopra il tessuto mammario. 11 punto scelto per l’ iniezione veniva, dopo avere divaricato i peli, lavato con acqua molto calda, unita ad una soluzione di Sublimato al 2 Dopo l’iniezione veniva fatto sempre un lungo massaggio sulla parte con cotone idrofilo bagnato nell’ acqua quasi bollente. Con tale metodo ho evitato qualunque disturbo. Ho adoperato anche in questo esperimento la Lecitina Merck, la quale, quando è pura, mostrasi di co- lore giallo molto chiaro. È invece bruna quando comincia ad alterarsi. La Lecitina per potere essere iniettata fu mescolata con Olio di Vasellina, previamente filtrato. Tale me- scolanza si ottiene, senza alterare la Lecitina, nel modo seguente : Si versa in una capsula una certa quantità di olio di Vasellina, tanto quanto basta per i soggetti che si vogliono iniettare, ad es. 25 cc., a cui si ag- giungono 5 gr. di Lecitina, e si tiene al termostato circa 24 ore, alla temperatura di 36“, 38°. Alcune ore prima di fare le iniezioni si agiti in modo che la Lecitina si mescoli bene all’Olio di vasellina ed avere cosi un liquido sciropposo, denso e di colore giallo chiaro. Essendosi con tale procedimento prodotte delle bolle di aria, bisogna aspettare 1-2 ore prima di servirsi del liquido. La mescolanza era preparata volta per volta, e per ottenere il massimo di Lecitina nella minima quan- tità di Olio essa veniva messa sempre in eccesso. Tali dettagli potrebbero sembrare superflui ; però la riuscita dipende in gran parte dalla preparazione del liquido da iniettare e dal modo di fare le iniezioni; poiché neU’organismo è necessario che TOlio di Vasellina si separi e che la Lecitina venga solo assorbita, lo ho potuto constatare che qualche volta , preparando il li- quido ad elevata temperatura, invece di avere una unione meccanica della Lecitina con l’Olio di Vasellina, si otteneva una vera soluzione , il cui prodotto era un liquido molto fluido di colore bruno-rossastro, in cui la Lecitina doveva essere alterata. Come conseguenza dell’ introduzione di tale sostanza nell’ organismo , si pro- ducono non solo facilmente degli ascessi, ma spesso si hanno dei casi di morte ! Quando invece il trattamento con la Lecitina sia fatta con tutte le precauzioni sopra indicate, le Coniglie aiunentano di peso, il loro metabolismo viene migliorato, il che si manifesta con un arrossamento della mucosa nasale e vaginale e con un turgore speciale delle labbra, che non si osserva ordinariamente nelle Coniglie normali. Il confronto fra il numero dei nati dei due sessi nelle Coniglie normali ed in quelle trattate con la Le- citina riguarda nei miei esperimenti i prodotti del i» parto. Nei parti successivi delle Coniglie lecitinate non sempre si ottengono gli stessi risultati, specialmente quando tra un parto ed il successivo accoppiamento non si faccia intercedere il tempo necessario per 1’ allevamento dei piccoli ed una nuova ovulazione, nel quale frattempo si ripeterà il trattamento fatto precedentemente. Gl’ insuccessi, che spesso si verificano nei parti successivi, non alterano però il significato delle cifre ot- tenute nel 1“ parto, dopo il primo trattamento ; poiché non è improbabile che l’ovaia, per effetto delle inie- zioni, subisca delle modificazioni, che per ora sfuggono ad una precisa analisi. Dall’ esposto risulta in ogni caso che quando si raccolgono le cifre dei nati del primo parto delle Coni- glie lecitinate e si confrontano con i nati delle Coniglie di controllo, come si rileva dal prospetto sopra riportato, si ha un effettivo aumento dei nati di sesso femminile. Ciò, secondo me, basta per ora a dimostrare che la Lecitina, migliorando il metabolismo dell’ovaia, aumenta la possibilità di avere un maggiore numero di nati di sesso femminile. Tale risultato mette il Problema della sessualità nella sua giusta via, secondo il giudizio di coloro, i quali seguono benevolmente queste ricerche. 14 Achille Russo [Memoria XII.] pregevole lavoro di Gini, (1) il quale trattò il quesito dal punto di vista del Calcolo delle pr'obahilità. I risultati avuti quest'anno e che qui sotto riferisco, sono, se non m’ inganno, una ri- prova di quanto avevo precedentemente affermato. Essi riguardano i prodotti del 1° parto di 10 Coniglie normali di controllo e di 10 trattate con Lecitina, accoppiate con gli stessi cf cT- Coniglie nor- mali EPOCA DEL PARTO Con. nutrite ed iniettate con lecitina EPOCA DEL PARTO rf 9 (T 9 I 4 3 16 Febbraio 1900 I 4 4 I Marzo 1909 2 3 2 18 2 I 4 I > > 3 4 I 24 » » 3 2 ) 4 » 4 3 5 8 Marzo ■* 4 3 5 5 » > 5 5 4 24 Febbraio 5 3 4 5 » 6 4 3 5 Marzo « 6 2 4 IO » ' 7 5 3 6 » » 7 3 4 12 » 8 3 2 8 » » 8 2 5 20 » » 9 3 3 8 9 3 4 25 * > IO 2 3 IO » •st IO 3 3 2 Aprile » 36 29 29 40 I prodotti degli accoppiamenti sopra riportati, che in precedenti esperimenti furono con- simili, dimostrano che, mentre allo stato normale, fra tutte le ova che maturano e sono fecondate, la maggiore probabilità è che una grande parte di esse oltrepassi lo stadio con ooplasma a globuli vitellini , dando perciò una maggiore proporzione di cfcf, nelle Coniglie lecitinate invece tale stadio si conserva più a lungo nelle ova, cosicché aumen- tano le possibilità di avere un maggior numero di $9- Difatti, nelle serie di ova mature, prese da Coniglie normali in calore e tenute con il cf da 7 a 12 ore dopo il coito, si osserva un maggior numero di follicoli con gr. parie- tale distrutta e con ovo sprovvisto di globuli vitellini, cioè con i caratteri maschili. Al con- trario, nelle serie di ova prese da Coniglie trattate con Lecitina, i follicoli hanno per lo più la gramilosa integra ed il vitello con globuli vitellini. Tale modo di considerare il Problema della sessualità viene anche confermato dalla mortalità di embrioni di sesso maschile, quando le Coniglie si accoppiano subito dopo il parto. Difatti, durante la pregnezza dell’ utero, nell' ovaia, dove V ovulasione è continua, maturano delle ova che^ per la deficiente nutrizione dell’organo, oltrepassano facilmente lo stadio con globuli e vacuoli vitellini. Queste sono appunto le ova che per le condizioni speciali del loro metabolismo, accentuatosi di più per effetto della gravidanza, sono destinate (i) Gini C. — Il sesso dal punto di vista statistico — Remo Sandron — 1908. I mitocondri ed i globuli vitellini dell’oocite di Coniglia ecc. 15 alla produzione dei maschi. La loro mortalità, secondo me, (1) è dovuta sia alle condizioni speciali deir uovo, sia alle condizioni anormali in cui si trova lo mucosa uterina subito dopo il parto. Gli sperimenti del Basile, che ebbe i medesimi risultati, secondo me, hanno un valore da questo punto di vista. * Con queste ricerche si possono accordare gli interessanti studii di R. Hertvoig, il quale ha seguito un ordine di idee molto diverso. Questo Autore ha potuto, mediante spe- ciali artifici, fecondare le ova di Rana a diversi gradi del loro sviluppo , ottenendo una forte percentuale di maschi da quelle fecondate in uno stadio precoce ed in quelle che, per una lunga permanenza nell’ ovario , erano divenute ultramatnre iiieberreife). Dalle ova invece fecondate quando avevano raggiunto il loro punto ottimo otteneva una maggiore percentuale di femmine. Secondo Hertwig, la differenziazione dei sessi si basa sopra una differente regolasio- ne cellulare, cioè sopra una diversa relazione delle parti essenziali ; la sostanza nucleare e quella protoplasmatica , che esprime col quoziente; K (massa nucleare), P (massa proto- plasmatica). Una tale relazione plasmatica-nucleare muterebbe nei diversi stadii di ma- turazione delle uova ; cosicché quelle ricche di cromatina darebbero cf cf , quelle invece che ne sono povere darebbero QQ. (2) Tale maniera di considerare il problema dei sessi si accorda con l’evoluzione del deu- toplasma, tracciata in queste ricerche. Difatti , la massa del vitello è relativamente mag- giore nelle ova, che hanno un metabolismo attivo e che perciò si conservano più a lungo allo stato optimum del loro sviluppo , mentre essa diminuisce nelle ova, che tale stadio oltrepassano facilmente e che, per un metabolismo poco attivo, consumano più presto la loro riserva nutritiva. Inversamente, la massa nucleare sarà relativamente minore nella prima specie di ova e maggiore nella seconda. Da ciò risulta che anche nella Coniglia è appli- cabile il concetto di Hertwig , il quale paragona i due differenti stati, sopra indicati, alle note caratteristiche delle cellule sessuali , in cui la reiasione plasmatica-nucleare è nell’uovo in favore del protoplasma, in favore del nucleo nello spermio. (3) * '* * Da quanto sopra ho esposto credo sia lecito , anche in via di approssimazione ed in forma teorica, stabilire i momenti principali della determinazione sessuale. A tale riguardo ricordo ancora che nel Coniglio la fuoriuscita delle ova mature dai (1) Anche R. Hertwig è di opinione che il sesso femminile sia più resistente. Difatti, egli osservò che nelle culture di larve di Rana, mentre i girini di sesso maschile erano decimati, quelli femminili vivevano più a lungo. (2) "Mach meinen auf der Beschatfenheit der Sexualprodukte hasierten Anschmungen wiirden Eier, welche relativ àrmer an kernsubstani sind, IVeihchen liefern, chromalinreichere dagegen Mànnchen. Wir kònnen diesai Gedanken in iolgende Formeln fassen : " 9 > ^ — d'’ Hertwig pag. 103. (3) Wir vjissen ferner. dass die Kernpìasmarelation in reifen Ei des Protoplasma, in Spermato\oon \ugunsten des Kerns ganx^ gewaltìg verschoben ist. In dieser verschiedenen Zellregiilation ist das einujge alien Ein- Xelfiìllen sexueller Diefferen ier un g gerneinsame Merhmal gegeben. (R. Hertwig — pag. 103). 16 Acìiille Russo [Memoria XII. J follicoli non è spontanea. Come recentemente dimostrarono Regaud e Dubreuil , con esperimenti più appropriati di quel che non avessero fatto altri precedenti ricercatori , è il coito che determina la rottura dei follicoli nelle Coniglie in calore , per cui nelle trombe cadono delle ova, che hanno raggiunto in differenti condizioni 1’ ultima tappa del loro svi- luppo. La penetrazione dello spermatozoo in ova di diversa costituzione è la causa princi- pale della determinazione del sesso ; poiché, se esso penetra in ova ricche di materiali deu- toplasmici si ha una maggiore probabilità di avere una 9) se penetra in quelle che ne so- no deficienti si avrà un cf. È da escludersi perciò, almeno nelle specie pluripare, un’ in- fluenza materna esercitata su l’uovo dopo la fecondazione, poiché tutte le ova, risentendo conteinpor aneamente le medesime influense del metabolismo della madre, dovrebbero sviluppare o 1’ uno o 1’ altro sesso. Se ciò non avviene, egli è perchè 1’ uovo porta con sé r attitudine a produrre uno dei due sessi. Quale sia la base materiale di una tale attitudine si rileva dal complesso di questa Nota, la quale correda di fatti positivi un concetto, che recentemente anche R. Hertwig aveva esposto come un’ ipotesi , che non poteva avere alcun fondamento di realtà. (I) Il diverso metabolismo delle ova, di cui 1’ espressione sensibile ci è data dallo svilup- po diverso che assumono i materiali deutoplasmici e dallo stato della granulosa pa- rietale, secondo me, è il momento causale principale della determinazione del sesso. Que- sti risultati dell’osservazione si accordano con la maggior parte dei fatti che sono cono- sciuti a tale riguardo nel Regno animale e vegetale ! Maggio, 1909. (,1) Egli, d i fatti , cosi si esprimeva a pag. 102 del lavoro citato: « Dieselben bekàrapfen die Ansicht, dass die Entwicklung eines Eies , sei es zu einem Weibchen oder zu einem Mannchen oder einem herma- phroditen Organismus auf dem getrennten oder gleichzeitigen Vorkommen spezifischer mànnlicher oder wei- blicher Substanzen beruhe, wodurch dem Ei voti Anfang an ein besonderer unverànderlicher Charakter auf- gepràgt sein wùrde. Die Atinahme derartiger spezifischer Gescblechtssubstanzen wàre eine Hvpotbese, ivelcbe keinen realen Boden bespl ». I mitocondri ed i globuli vitellini dell’ oocite di Coniglia, ecc. 17 SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Tutte le figure furono ritratte da sezioni di ovaie di Coniglie, fissate e colorate con i metodi proposti dal Benda'per lo studio dei mitocondri. Per tutte fu adoperato un Microscopio Zeiss gr. m. o),), om 160 mm ’ ^ applicata la Camera lucida Nachet. La fig. 7^ fu ritratta con oc. coni. 6 obb. im. om. 0,160 mm.' La carta da disegno fu tenuta a livello del tavolino del Microscopio. Lettere comuni a tutte le figure. b v = ispessimenti della rete mitocondriale. c c — cellule coronali. c /— cavità follicolare. g V — globuli vitellini a struttura mielinica. m ~ mitocondri. nv— nucleo vitellino. s IH — sostanza mitocondriogena. V — vacuoli vitellini. V g — vescicola germinativa. \p = zona pellucida. Le figure i®, 2“, 3®, 4», 5^, 6^, 7“* rappresentano ova O porzioni di ova di Coniglie normali; le figure 8“, 9^, 10^, ii^, e 12®, quelle di Coniglie trattate con Lecitina. — Docile con follicolo a cellule piatte. — Oocite con follicolo a cellule quasi cubiche. I granuli mitocondriali cominciano a disporsi in fili per formare la rete mitocondriale. -- Oocite con follicolo di 1-2 piani di cellule, in cui la rete è completamente sviluppata. Nel punti nodali si osservano dei cumuli granulari. — Oocite con follicolo, di più piani di cellule, in cui cominciano a comparire i vacuoli. La rete mi- tocondriale limita i vacuoli e lungo le maglie sono globuli vitellini e granuli mitocondriali. — Oocite con follicolo fornito di spazi follicolari, in cui si osservano i vacuoli e la rete vitellina , nella quale sono i granuli mitocondriali, colorati in azzurro ed i globuli vitellini, colorati in rosa. — Oocite ad una stadio quasi identico della precedente figura. Mancano i vacuoli ed i globuli vi- tellini e solo si osserva la rete mitocondriale. — Ovo maturo con vescicola polare e 2» fuso polare, pronto ad uscire dal follicolo, appartenente al follicolo di Graaf semischematico riprodotto nella Fig. 2^, inserita nel testo. Il disco proligero è normale, la granulosa parietale è in parte degenerata. L’insieme dei caratteri fa ritenere che da tale ovo si avrà un embrione di sesso maschile. — Oocite, come nella, fig. O, da Coniglia trattata con Lecitina. — Porzione di oocite, come nella fig. 3*, da Con. c. s. — Porzione di oocite, come nella fig. 5®, da Con. c. s. — Porzione di ovo quasi maturo, con cellule della corona radiata molto allungate nel cui proto- plasma si osserva un sistema di fili colorati in azzurro, come i mitocondri. Da Con. c. s. — Cellule della corona radiata, che poggiano sulla \ona pellucida, di un ovo meno sviluppato di quello della precedente figura, da Con. c. s. Fig. 1» Fig. 2® Fig. 3a Fig. i® Fig. 5a - Fig. 6® Fig. 7a Fig. 8® Fig. Fig. lOa Fig. 11® Fig. 12® 0^ Àcc. ùwmUìydiScNai. Voi. I/.Sef! 3. A. Russo dis. d. V, ifleiiioria, XIII Istituto d’Anatomia e Fisiologia comparate della R. Università di Catania Sulla cromolisi delle cellule della granulosa durante II digiuno e sul suo slgnlBcato nella differenziazione sessuale delle ova del Mammiferi Nota 2'^ di ACHILLE RUSSO (Con 2 flgrure nel testo e 4 tavole) Numerose ricerche furono eseguite intorno all’ atresia delle ova dei Mammiferi ed alla degenerazione delle cellule follicolari. Chi volesse avere notizie su tale argomento potrebbe leggere i lavori del Flemming (1), del Paladino, (2) dello Schottlànder (3), di Holl (4), del- l’Henneguy (5), del Sobotta (6) del Van der Stricht (7) e di altri molti, in cui sono riportate la letteratura dell’ argomento e le varie questioni che si riferiscono ai processi degenerativi, che si compiono negli ovisacchi. Un problema, che- ha attinenza con le presenti ricerche, si è quello di sapere se la cromolisi, di cui sono attaccati i nuclei delle cellule follicolari e se la distruzione di que- ste nelle ova mature o prossime alla maturciBioue, poste alla superficie dell'ov^aia, sia un fenomeno normale, destinato alla formazione di liquido follicolare, ovvero se tale feno- meno sia un segno della degenerazione a cui 1’ ovo va incontro. (1) Flemming W. — Ueber die Bildung von Richtungsfiguren im Siiugethierei beim Untergang Graaf- schen Follikel. Arch. fiir Anat. und Physiolog. Anat. Abtheil. — 1885. (2) Paladino G. — Ulteriori ricerche sulla distruzione e rinnovamento continuo del parenchima ovari- co nei Mammiferi — Napoli— 1887. (5) Schottlànder J. — Beitràge zur Kenntnis der Follikelatresie nebst einigen Bemerkungen ueber die unverànderten Follikel in der Eierstòcken der Sàugethiere. Arch. fùr Mikrosk. Anatomie — Bd. XXXVII. — 1891. Schottlànder J. — Ueber den Graaf’schen Follikel, seine Entstheung beim Menschen und seine Schik- sale beim Mensch nud Sàugethiere. Arch. f. Mikr. Anat. — Bd. XLL. 1895. (4) Holl M. — Ueber die Reifung der Eizelle bei den Sàugethieren. Sitz — ber. der Kaiserl. Akad. d. W'iss. in Wien — Mathem.— naturwiss. Classe — Bd. GII. 1893. (5) Henneguy F. — Recherches sur les follicules de Graaf chez les Mammiferes et quelques autres A'er- tebrés. lournal de F Anat. et de la Physiol. — An. XXX — 1894. (6) Sobotta I. — Die Befruchtung und Furchung des Eies der Maus. Arch. f. Mikrosk. Anat. — Bd. 45. 1895- (7) Van der Stricht O. — L’atresie ovulaire et l’atresie folliculaire du follicule de Graaf. dans l’o- vaire de Chauve-souris- Verhandl. der Anat. Gesellschaft— 1 5 Versamml. Bonn. 190!. Atti Acg., Serie V, Vol. II. Mtm. XIII. I 2 Achille Russo [Memoria XIIIJ Le opinioni al riguardo sono divise; poiché ad es : Schottlander (1) ed Hol! (2) riten- nero che nelle ova mature le cellule della granulosa, a contatto del liquido follicolare, possano distruggersi per cromolisi per provvedere all’incremento dei materiali nutritizi della formazione ovulare. Holl anzi rilevò che il processo cromatolitico nelle cellule della granulosa fosse in al- cune ova più intenso, in altre meno ed in altre affatto mancante, pur essendo tutte queste ova fecondabili, essendo proviste di fi^so polare normale. Il Sobotta, di accordo con Flemming, credette invece che la cromolisi sia sempre un segno degenerativo , avendola solo osservata nei follicoli posti profondamente nello stroma ovarico e che perciò non potevano venire nelle trombe per essere fecondate. Non esclude per altro che nella granulosa si possano trovare delle masse omogenee che si tin- gono con i colori nucleari, ad es. la Safranina , ma tali prodotti egli ritenne che siano simili a quelli che si osservano nei tubi seminiferi del testicolo. Per risolvere tale questione, per sapere, cioè, se le uova mature con granulosa parie- tale in degenerazione cromatolitica siano normali, io ritengo che abbia importanza il con- siderare lo stadio evolutivo della formazione ovulare, la posizione sua alla superfìcie del- l'ovaia, e quindi la possibilità che le ova possano essere fecondate, infine i criteri che ci possono essere suggeriti dal comportamento loro in condizioni sperimentali. Comincio con il considerare la granulosa in queste ultime condizioni , specialmente nel digiuno. A — Digiuno da 15 a 20 giorni. Furono tenute in Laboratorio delle Coniglie alle quali veniva somministrata mattina e sera una razione di verdura di 20-25 grammi. Esse vissero da 15 a 20 giorni e furono sagrificate nel periodo massimo del loro esaurimento. Una Coniglia fu tenuta in tali condizioni dopo il parto, vivendo cosi 10 giorni, e fa- cendo vedere nell’ ovaia le più profonde modificazioni per ciò che riguarda la struttura dei- fi ovo e della granulosa. Nei follicoli mono o polistratificati le cellule si mostrano quasi avvizzite, cioè più pic- cole del normale, con nucleo a contorni sinuosi e scarso protoplasma. In questi stadi la cariocinesi., così frequente nel normale, è affatto mancante e solo qualche cellula è in degenerazione cromatolitica (3). Quando invece si è formata una cavità follicolare e perciò si distingue una granulo- sa parietale e una ovulare si assiste ad un fenomeno, secondo le mia opinione , signi- ficante per la vita dell’ ovo. In tutte le ova che sono giunte a tale stadio del loro svilup- po e che perciò bisogna ritenere quasi mature o prossime od essere tali , le cellule della granulosa parietale, nel punto più lontano del cumulo ooforo, specialmente quelle che sono a contatto del liquido follicolare, perdono i rapporti che prima avevano fra loro e (1) Op. cit.-(i893). (2) Op. Cit. (3) Anche nell’ovaia di Gatta, sagrificata dopo un lungo digiuno, si osservano nei follicoli ovarici alcu- ne cellule in cromolisi; però sempre in grado molto minore che nelle Coniglie. Anche nello stato normale, come è confermato dal Flemming (loc. cit.) tale processo è più raro, il che dipende da un metabolismo spe- ciale e da speciali proviste di grasso di cui fi animale dispone. Sulla cromohsi delle cellule della granulosa durante il digiuno ecc. 3 con le cellule circostanti e si distruggono per un processo degenerativo, che si inizia con la cromohsi nucleare. Tale processo in origine fu studiato minutamente da Flemming(l), il quale ne rilevò le note caratteristiche. In seguito Hermann (2) e Schottlander (3) rile- varono alcuni particolari caratteri di tinzione, che assumono i diversi costituenti nucleari, con varie sostanze cole Nei preparati otte- nuti dopo fissazione al Sublimato e colorazio- ne con Ematossilina fer- rica, si osserva che il nucleo viene da prima assalito da picnosi, per cui ha l'aspetto di una massa omogenea, roton- deggiante e fortemente colorata (fig. H). In se- guito esso si frammen- ta, similmente a quanto venne figurato da Flem- ming, Schottlander, Hen- negu}' ed altri, e le pic- cole masse che ne derivano si spargono nel protoplasma, dove si sciolgono ed in ultimo scompaiono affatto. 11 protoplasma alla sua volta si vacuolizza e quando la degenerazione è completa costituisce un corpuscolo, che verosimilmente in seguito si scioglie e che fa parte del liquido follicolare. Inoltre, secondo quanto dimostrò anche il Flemming, nel protoplasma si osservano dei globuli, che si tingono in nero con 1’ acido osmico e che sono affini alle sostanze grasse. Le cellule più vicine alla cavità follicolare sono le prime a degenerare ed a cadere nel liquido sottostante, il quale perciò si arricchisce di materiali nutritizi, che vengono im- piegati a benefizio dell’ oocite. La distruzione delle cellule della granulosa parietale per la formazione di sostanze nutritizie rappresenta, secondo me, l’ultima provvista che la formazione ovulare impiega per la vita dell’ ovo. La granulosa ovulare prende parte minore in tale processo ; difatti , come si os- serva nella fig. P della 3'av. P, in essa pochi elementi sono in degenerazione, mentre la granulosa parietale li ha quasi tutti in tale stato. Secondo quanto si osserva in alcuni follicoli maturi delle Coniglie normali , in cui , come vedremo, prima di scoppiare, rimane intatto solo il cumulo ooforo , la granulosa ovulare conserva anche nel digiuno, fino agli ultimi momenti della vita dell’ ovo, la fun- zione di assorbire e di elaborare i materiali , che sono il prodotto del disfacimento delle cellule della granulosa parietale. ranti. Fijf. — Cellule della granulosa di Coniglia, uccisa dopo io giorni di digiuno, consecutivo alla gravidanza. Stadio di piatosi e di cromohsi ■, a. a, a : stadi! finali della trasformazione delle cellule della granulosa — Fiss. Su- blimato, Color. Ematossilina ferrica. (1) Flemming W. — loc. cit., pag. 226. (2) Hermann. — Ueber regressive Metamorphose des Zellkernes — Anat. Anzeiger — Anno t888. (3) Schottlander J. — Cfr. sup. (1895^. 4 Achille Russo [Memoria XIII] B. — Confronto tra la cromolisi delle cellule della granulosa e quanto avviene nei vitellogeni dei Platodi. Il processo cromatolitico, a cui vanno soggette le cellule della granulosa durante il digiuno, è simile a quello che si avvera nelle cellule dei vitellogeni dei Platodi, quando si trasformano in globuli di vitello. Tale trasformazione nel Syndesmis, un Rabdocele parasita dello Sphaerechinus granularis, incomincia anche dal nucleo, che diventa picnotico e poi si frammenta per essere riassorbito, restando della cellula solo la massa protoplasmatica, trasformata chimicamente, che formerà il globulo vitellino (1). In altre specie di Rabdoceli, la trasformazione della cellula giovane dei vitellogeni in materiale deutoplasmico presenta un maggiore ravvicinamento con te cellule in cromolisi avanti trattate. Ad esempio, come ha osservato il Bohmig, nel Monoophorum striatimi, nel protoplasma delle cellule vitelline compariscono in origine dei globuli di grasso, che fra loro si fondono per formare il vitello nutritivo. Un tale processo è simile a quanto si os- serva nelle cellule in croniolisi, dopo il trattamento con T acido osmico, il quale, come per il primo osservò il Flemming, mette in evidenza nel protoplasma dei globuli lipoidi. Oltre a ciò, come è noto, nei Platodi le cellule delle gonadi e quelle dei vitellogeni han- no una origine comune, similmente a ciò che si avvera nei .Mammiferi tra le cellule della granulosa e le ova. Tale parallelismo rende con più forte ragione il confronto sopra stabilito non invero- simile, per cui ritengo che nelle Coniglie tenute in condizioni di esperimento (digiuno) si ripeta su larga scala, ed in minor grado in alcuni follicoli di Coniglie normali, un fenomeno ordinario di alcuni animali inferiori. Potrebbe però obbiettarsi che le degenerazioni delle cellule della granulosa, come furono sopra descritte, nelle Coniglie tenute in digiuno, siano da riferirsi a quelle che si osservano nei follicoli con ova in avanzata atresia e che già formano un corpo luteo falso. A chi abbia pratica con tali formazioni sarà facile capire che l’obbiezione in questo caso non ha alcun valore, poiché mancano le note caratteristiche del corpo luteo. Difatti, come si osserva nelle figg. 2^ e la forma del follicolo è integra, con regolare cavità follico- lare, che fa distinguere bene la granulosa ovulare e parietale. Inoltre l’ovo, sebbene molto deperito, è intatto, senza alcun segno di degenerazione , come avviene di osserv^are nella formazione ovulare, che è stata assalita da atresia. Oltre a ciò, nelle ovaie delle Coniglie digiunanti, tutti i follicoli sono nelle condizioni sopra descritte, il che fa ritenere che 1’ esaurimento , a cui fu assoggettato 1’ organismo , abbia influito sulla trasformazione delle cellule di tutte le granulose in materiale di nutri- zione. La trasformazione delle cellule della granulosa in materiale deutoplasmico , in così larga misura, non è certamente un fatto normale ; però, io opino che alcune strutture, ar- tificialmente riprodotte, mettano il ricercatore sulla via più diretta per l’ interpretazione di particolari fenomeni, che, in altro modo, non potrebbero essere adeguatamente apprezzati. Il problema della natura della cromolisi nella granulosa dei follicoli maturi , che aveva dato luogo alle ppinioni discordanti di vari osservatori, come fu accennato al prin- (i) Russo A. ■ — Sulla morfologia del Syndesmis Echinorum Fr.' — Ricerche fatte nel Lab. di Anat. nor- male in Roma, etc. Anno 1895. / Sulla cromolisi delle cellule della granulosa durante il digiuno ecc. cipio di questa Nota, trova, se non m’ inganno, in queste ricerche sperimentali un nuovo dato di fatto, che ce lo rende alquanto più chiaro. C. — La granulosa negli stadii finali dell’ oocite nelle Coniglie normali. I fatti sopra riferiti, sebbene in minor grado , si osservano anche nella granulosa di talune ova mature o prossime alla maturazione nelle Coniglie normali. Tralascio di occupai mi dei fenomeni degenerativi che avvengono nei follicoli non ancora maturi o in quelli prossimi a maturità o anche maturi, che, essendo situati profondamente nel tessuto ovarico, sono destinati ad una sicura involuzione , come già osservarono, fra gli altri, Flemming (1), Paladino (2), Schottlànder nel lavoro del 91 (3), Sobotta (4), Spuler (5), Yanosik (6), e recentemente Athias (7). Per lo scopo a cui sono rivolte queste ricerche prendo invece in considerazione i follicoli posti alla superficie dell’ ovaia e che sono destinati a scoppiare e quindi ad essere fecondate. Come ho dimostrato in un precedente lavoro (b) e come è stato meglio illustrato in un lavoro a questo precedente (9), negli ultimi stadi evolutivi àeW'oocite, la massa del vitello è conformata sotto due tipi diversi. Mentre in alcuni essa è costituita da vacuoli e da una rete sulle cui maglie si distinguono, con i metodi di fissazione e di colorazione proposti da Benda, i granuli di natura mitocondriale ed i globuli vitellini a struttura mielinica, negli altri invece i vacuoli sono meno evidenti, i globuli vitellini mancano affatto e solo si ossei'va la rete di granuli mitocondriali. La struttura di questa seconda specie di ova non può essere confusa con quella delle ova atresiche, in cui la degenerazione dell’ ovo è accompagnata da quella delle cellule del disco proiigero. Nel caso delle ova da me esaminate, le cellule che circondano l’ovo hanno la forma caratteristica di cellule molto allungate, con protoplasma filiforme poggiante nella zona pellucida, come nelle ova normali mature. Anche in queste ova la zona pellucida presenta le note caratteristiche, che si osservano nel normale (10). (!) Flemming W. — loc. dt. (2) P.^L.\DiNO G. — loc. cit. (3) Schottlànder J. — loc. c\e. (4) Sobotta I. — loc. cit. (5) Spuler A. — Ueber die Teilungserscheinungen der Eizcllen in degenerierenden Follikeln des Sàu- gerovariums — Anat. Hefte. 1901. (6) Yanosik Y. — Die Atrophie der Follikel und ein seltsames Verhalten der Eizelle — Ardi. f. Mi- krosk. Anat.. Bd. 48. 1897. (yj Athias M. — Les phénomènes de division de 1’ ovale dans les lollicules de Graaf en voie d’atrésie chez le Lérot — Anat. Anzeiger, 1909. (8) Russo A. — Modificazioni sperimentali dell’ elemento epiteliale dell’ ovaia dei Mammiferi — Atti della R. Acc. dei Lincei, Roma 1906. (9) Russo A. — I mitocondri ed i globuli deutoplasmi dell’ oocite di Coniglia allo stato normale ed in condizioni sperimentali. Contributo allo sviluppo del deutolecite ed alla differenziazione sessuale delle ova dei Mammiferi — In questo stesso Volume degli .*\tti dell’ Acc. Gioenia. (10) In questo punto credo opportuno rispondere ad una nota del Dott. Heape (Proceedings ol thè Cambridge Philosophical Society, Voi. XIV. Part. VI, 1908. gote on Russo’ s attempi io shoiu dìfferentìaiion of sex in thè ovarian ova of thè Rahbit) il quale è d’accordo con me nel ritenere die il sesso femminile sia influenzato da speciali condizioni di nutrimento e che le ova possano essere stimulate a compiere variamente il loro sviluppo per mezzo di differenti proviste di nutrimento fornite alla madre. Egli però non crede dimostrata istologicamente la differenziazione sessuale delle ova, anzi crede che le ova rappresentate come maschili siano degenerate. Confesso che la figurazione di quelle ova non è stata molto 6 Achille Russo [Memoria XIII] Tale distinzione, che si comincia a manifestare nelle ova non ancora mature, ma che hanno già distinta una granulosa parietale ed una oculare, con ctnlro follicolare {sVdàìo 'ó. deir evoluzione della formazione ovulare^ da me tracciato nella Nota precedente), come si osserva nella figura 5^ della Tav. 2^, è accompagnata sempre da diversità di conformazione delle cellule della granulosa parietale. Mentre nella prima specie di ova la gramilosa sia ovulare che parietale è integra in tutte le sue parti, con cellule, cioè, floride e con le note caratteristiche di elementi as- sorbenti e secernenti, nella seconda specie di ova alcune cellule della granulosa parietale, e propriamente quelle più interne, a contatto con il liquido follicolare, sono in degenerazione cromatolitica. Similmente a quanto si è osservato nel digiuno ed a ciò che fu precedente- mente osservato da vari autori nei follicoli degenerati, i nuclei sono attaccati da cromolisi, le cellule si distaccano da quelle sottostanti e cadono nel liquido follicolare, dove si dissolvono. Le alterazioni delle cel- lule della granulosa parie- tale in tale specie di ova si fanno più manifeste in stadi più avanzati dello sviluppo e nelle ova pronte ad uscire dai follicoli, come si osserva nella fig. 1^ della Tav. iT. Questa rappresenta un ovo con una vescicola polare già formata e con il secondo fuso polare. Tale ovo è cir- condato da un largo follicolo sporgente sulla superficie del- l’ovaia e quindi prossimo a scoppiare. Ora, mentre l'ovo è circondato da un cumulo ooforo normale, il quale con le sue cellule si attacca, me- diante tratti cellulari, a quella parte della granulosa parietale» che gli è più vicina e che è anche normale, il resto di questa, situata a maggiore distanza, è quasi completamente di- strutta. Sulla membrana vitrea, che limita le cellule della granulosa dalle cellule intersti- Fijr, 2“ — Microfoto^rnfia di un Follicolo di Coniglia normale con cel- lule della granulosa parietale ed ovulare in cromolisi. Anche 1’ ovo presenta i segni della degenerazione. felice, poiché esse furono ricavate da ovaie fissate al Suhìimato, il quale coarta i tessuti e dà immagini in- complete e spesso ne produce alcune che non sono reali. Posso però assicurare che l’ uovo maturo con piaster è stato preso da un follicolo sporgente alla superficie dell’ovaia e quindi con ogni probabilità destinato a scoppiare. È vero che la corona radiata non è integra, ma ciò, ripeto, può essere effetto del fissatore o di un’ incipiente grado d’ involuzione per la prolungata permanenza dell’ uovo nell’ ovaia, il che non esclude che 1’ uovo stesso sia un uovo maschile. L’altro uovo, ritenuto da Heape come invaso da Leucociti, poiché in esso furono rappresentati due corpi cromatici, è anche normale. Primo perchè la zona pellucida, il disco proligero ed il resto della granu- losa sono normali, poi perchè il vitello è intatto, ed infine perchè i corpi in questione non sono affatto da ritenere elementi estranei all’ uovo, non avendo nè i caratteri dei leucociti, nè quelli di un Coccidio , che spesso occorre di osservare nel vitello delle ova di Coniglia. In questi casi la degenerazione è evidentissima ! Sulla cromolisi delle cellule della granulosa durante il digiuno ecc. 7 siali della teca del follicolo, si osservano ancora, sparsi qua e là, alcuni elementi epite- liali, mentre il rimanente delle cellule è distrutto e disperso nel liquido follicolare sottostante. Una tale formazione non deve essere confusa con quelle forme di degenerazione descritte recentemente da Athias, (1) in cui, secondo quanto egli afferma, pur essendo ancora quasi integra la porzione ovulare della granulosa, 1’ ovo presenta delle anomalie di struttura ed ha un fuso polare con caratteri anormali. Altri follicoli, posti anche alla superficie dell’ ovaia, attestano che l’uovo, se non esce per essere fecondato , e ciò può accadere per la mancanza del coito , che nel Coniglio provoca 1’ ovulazione (2), subisce tutta la fase involutiva, per cui esso degenera con la granulosa ovulare. La fig. 2“ infatti, rappresenta un uovo maturo o prossimo a maturazione, in cui non solo la granulosa parietale è degenerata, ma quanto quella ovulare, mentre il vitello del- r uovo presenta anche i segni della degenerazione. Vicino a follicoli di Graaf così fatti ve ne sono altri, anche sporgenti sulla superficie dell’ ovaia e contenenti ova mature con vescicola germinativa periferica in imminente mi- tosi o con fuso polare già formato, in cui le cellule della granulosa sono integre o in cui non si è raggiunto un così alto grado di distruzione nella granulosa parietale, come nel caso precedentemente descritto. Tali ova, in accordo con i caratteri della granulosa florida, hanno il vitello con più abbondante deutoplasma, cioè con vacuoli più evidenti e con globuli vitellini sulla rete vitellina, come si osserva nella fig. 8^ della Tav. 3“. In questo punto credo necessario richiamare le osservazioni del Paladino (3), il quale nel Capitolo , che tratta dello scoppio del follicolo di Graaf e dello svolgimento del corpo luteo vero, sostiene che la granulosa normalmente si distrugge per degenerazione e che essa non prende parte alla costituzione del corpo luteo, il quale perciò sarebbe una formazione connettivale. Tale constatazione è in accordo con le mie osservazioni; soltanto che la granulosa parietale, per un metabolismo speciale della formazione ovulare, permane più a lungo in alcuni follicoli ; cosicché, quando 1’ ovo è già pronto ad uscire dalPovaia, di essa si trova ancora uno strato sottile su tutta 1’ estensione della teca, come fu descritto e figurato da Sobotta (4), mentre in altre ova la granulosa parietale istessa è in massima parte di- strutta, in modo che Vanirò follicolare viene limitato dalle cellule dello strato interno della theca folli culi. (1) Athias M. — loc. cit. (2) Per r influenza del coito su 1’ ovulazione nel Coniglio si legga il lavoro recente di Cl. Regalici e G. Dubreiiil, in cui è riportata anche la letteratura su l’argomento. « hifluence du Male sur ìes fonctions ova- riennes . L’ oviilation, chei la lapine, n’esi pas spontanee » in; Lyon medicai, jpo8. Vedi anche degli stessi Autori. n L’ ovulation de la Lapine n'est pas spontanee » in : Comptes rendus des seances de la Soc. de Biologie, T. LXIV, 1908. Si legga anche un lavoro di W. Heape, non citato dai precedenti autori, che tratta quasi lo stesso ar- gomento : « Ovulation and degeneration of ova in thè Rabhit. Proced. Royal Soc. LXXVl. 1905. (3) Paladino G. — loc. cit. (4) Sabotta I. — Ueber die Bildung des Corpus luteum beim Kaninchen nebst einigen Bemerkungen ueber der sprungreifen Follikeln und die Richtungsspindeln des Kaninchens. Anat. Hefte - Band Vili, 1897. 8 Achille Russo [Memoria XII IJ D — La granulosa negli stadii finali dell’ oocite nelle Coniglie trattate con Lecitina. Nelle Coniglie nutrite ed iniettate con Lecitina (1) i follicoli prossimi alla maturità so- no quasi tutti con granulosa parietale a più strati di cellule floride (Figg. 10*' e 11” della Tav. 4”). In qualcuno di essi le cellule più interne sono in cromolisi e distaccate da quelle sottostanti, però le fasi con granulosa parietale in parte distrutta o molto assottigliata, per la degenerazione delle cellule interne, non mi è occorso di osservarle che raramente. In una sezione longitudinale di ovaia, presa da una Coniglia lecitinata, che comprende 4 follicoli quasi maturi , 3 sono con granulosa integra , mentre uno solo presenta la sua parietale con cellule in cromolisi^ come si osserva nella fìg. 9” della Tav. 4”. Tale constatazione di fatto mi fa ritenere che la Lecitina, aumentando nell' ovaia i materiali nutritizii, ritarda la degenerazione cromatolitica delle cellule della granulosa pa- rietale , le quali cellule , come si è osservato nelle Coniglie tenute in digiuno , vengono impiegate come elemento riparatore del diminuito ricambio, a beneficio dell'oocite. E — Percentuale dei nati maschi e /emine nelle Coniglie normali ed in quelle trattate con Lecitina. Significato della diversa costitusione della granulosa parietale nella differensiasione sessuale delle ova. Coloro i quali si sono occupati di fare una statistica dei nati dei due sessi nelle Co- niglie normali non sono d' accordo nell' assegnare una cifra esatta a ciascuno di essi. Tutti però convengono che i nati di sesso maschile siano in una percentuale maggiore delle nascite femminili. Secondo le mie ricerche, non si può assegnare una percentuale esatta di cf , poiché essa varia secondo circostanze diverse, come la nutrizione, 1' ambiente esterno e specialmente il tempo che si fa intercedere tra un accoppiamento e 1’ altro. In base a nuove indagini, condotte allo scopo di stabilire il numero delle nascite maschili, credo di potere affermare che esso oscilli tra un massimo di 58 ed un minimo di 52. Il Basile (2), che si occupò dello stesso argomento, non ostante stabilisca una percentuale di 51, 14 cf , conferma con le cifre della sua statistica e con i dettagli fornitici nel Quadro N. I, quanto ho detto sopra. Nelle Coniglie nutrite per due mesi con Lecitina ed in questo frattempo anche iniet- tate, come si è detto nella Nota precedente, più volte citata, la percentuale dai cf diminuisce ed aumenta invece quella delle 9- Il Basile , che recentemente volle ripetere gli esperimenti , confermò i risultati da me avuti, sebbene dalla sua pubblicazione ciò non risulti. Egli, difatti, nel 1° parto di 5 Coniglie, delle 6 da lui lecitinate, ebbe una percentuale di 9 superiore ai cf, come si rileva dal Quadro N. 2 del suo lavoro (3). Nei parti successivi l’ A. non ebbe che raramente un aumento di nati di sesso femminile e perciò, sommando insieme i nati di tutti i parti, gli risultò, come nel normale, anzi al di sopra del normale, una più elevata percentuale di cf • (1) Per il trattamento praticato alle Coniglie si legga la Nota al paragrafo III della Memoria precedente, pubblicata in questo stesso Volume degli Atti accademici. (2) Basile C. — Influenza della Lecitina sul sesso e sui caratteri mendeliani. Rend. R. Acc. dei Lincei — Roma. 1908. — (3^ Dalle Coniglia N. i ebbe 3 cf ^ 5 9; ^41a C. N. 2 ebbe 3 cf ^ 4 9, àalla C. N. 3 ebbe i cf ^ 3 9^ dalla C. N. 6 ebbe 2 ^f e 3 9, C. N. 14 ebbe 3 (9 e 4 $ ; in totale 12 e 19 9- Sulla cromolisi delle cellule della granulosa durante il digiuno ecc. 9 Per quanto a me occorre dimostrare basta però il confronto dei prodotti del 1° parto di un determinato numero di Coniglie normali e di altrettante trattate con Lecitina. Tali parti appunto avevo scelto nel compilare la Statistica, che è riferita nei miei lavori precedenti. Riferendomi adunque a tali risultati, dai quali risulta molto chiaramente che le Coniglie trattate con Lecitina producono un maggior numero di ?, e tenendo presente che dopo tale trattamento la granulosa parietale, nel maggior numero dei follicoli maturi, non pre- senta i segni di una avanzata degenerazione, come spesso avviene di osservare nelle Co- niglie normali, ritengo che, insieme ai caratteri del vitello, anche il follicolo abbia il suo valore nel processo della dijfereìisiasione sessuale. Se le ova con granulosa parietale integra sono destinate a produrre 9 e quelle che la presentano in degenerazione sono destinate per cf , quale è il significato biologico che a questa seconda specie di ova bisogna dare ? R. Hertwig nelle sue interessanti ricerche sulla sessualità (1) ritenne, in base ad espe- rimenti fatti su le Rane, che le ova iiltramature producano cf e che quelle che hanno raggiunto il punto otiinio del loro normale sviluppo producano 9- Come fu esposto nella Nota precedente, pubblicata in questo stesso Volume degli Atti, tale circostanza, secondo R. Hertwig, implicherebbe un diverso rapporto tra la massa protoplasmatica dell’ovo e quella nucleare, che sarebbe in favore del nucleo nelle ova maschili, in favore del protoplasma nelle femminili. L’ evoluzione del vitello, descritta nella mia precedente Nota, avanti citata, e lo stato della granulosa nelle due specie di ova mature, pronte ad uscire dal loro follicolo, può parzialmente mettersi di accordo con i risultati di Hertwig. Le ova con follicolo integro, con sona pellucida ricca di materiali nutritizii e con globuli vitellini possono essere con- siderate come elementi che hanno raggiunto il punto ottimo del loro sviluppo, il che ver- rebbe anche dimostrato dai medesimi caratteri che le ova presentano in uno stadio prece- dente. Le ova con granulosa parietale in degenerazione, con sona pellucida chiara e che mancano di globuli vitellini potrebbero invece considerarsi come elementi, che abbiano oltrepassato tale stadio, cioè come ova ultramature. Se l’uovo che ha raggiunto questo stadio non fosse fecondato, restando nell’ ovaia, per la mancanza del coito, come qualunque altro elemento cellulare, degenererebbe con il suo involucro, come lo dimostra la fig. 2^ del testo, in cui anche la granulosa ovulare ha le sue cellule degenerate. In base però ai risultati della denutrisione, ottenuta col digiuno, e AcW ipernutrisione dell’ovaia, ottenuta con la Lecitina, se non m’inganno, si può assegnare un valore più diretto alla causa naturale, che fa durare a lungo lo stato ottimo delle ova o che ne accelera la fine e il cui segno ci è dato dal fenomeno della cromolisi della granulosa parietale. Difatti, se, mediante V inanisione, la granulosa parietale si distrugge per provve- dere alla nutrizione dell’ oocite e se, nella ipernutrizione artificiale, la granulosa istessa per lo più si trova inalterata, le due diverse condizioni della granulosa, che si sono osser- vate allo stato normale, dovrebbero essere riferite ad un diverso tipo di metabolismo di tutta la forpìiasione ovulare. Giugno, 1909. (!) Hertwig Rich. Weitere Untersuchungen ùber das Se.xualitatsproblem. Verhandl. v. Deuisch. Zool. Gesellschaft, 1906. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Tav. Fìg. 1^ — Sezione di un follicolo, come nella Microfotografia della Fig. 5“, di ovaia di Coniglia, uccisa dopo IO giorni di digiuno consecutivo al parto. — Le cellule della granulosa parietale (gp) sono quasi tutte in cromolisi, quelle della gran, ovulare (go) sono ancora integre.— Fiss. al sublimato, color, con Emat. ferrica. Fig^. 2® e 3® — Microfotografie di follicoli appartenenti ad ov.de di Coniglie digiunanti, c. s. — Fiss. e color, c. s. — Molte cellule della granulosa parietale sono in cromolisi. Fig. 4^ — Microfotografia di sezione di ovaia per mostrare il punto, dove fu ricavata la fig. 5’ della Tav. 2*. Tav. 2^ Fig. 5^ — Sezione di ovaia di Coniglia normale di circa io mesi, in cui si osservano due follicoli diversa- mente costituiti. In quello di destra la granulosa parietale è integra e F ovo è ricco di globuli vitellini tinti in nero. In quello di sinistra le cellule più superficiali della granulosi, nel punto più lontano dal cumulo ooforo, sono in cromolisi ed alcune sono cadute nel liquido follicolare. — L’ ovo, relativamente a tale costituzione della granulosa, e privo di globuli vitellini ed in esso solo si osserva la rete mito- condriale. Fig. 6® — Microfotografia corrispondente alla fig. 7^^ della Tav. seguente. Tav. 3^ Fig. 7* — Follicolo di Graaf maturo, in cui la granulosa parietale è in parte distrutta (gpdj — Il cumulo ooforo è integro ed è anche integ_ra quella parte della granulosa parietale con la quale esso si connette, mediante tratti cellulari. — L’ ovo ha già emesso il 1“ globulo polare e contiene il 2® fuso polare, che è normale. Il vitello è privo di globuli vitellini e contiene solo la rete mitocondriale. Questa fig. se- mischematica fu ricavata da sezioni appartenenti alla serie da cui fu presa la microfotografia rappresen- tata nella Fig. 6“, Tav. 2^ — (ag) antro follicolare, (tfe) strato esterno della teca del follicolo, (tfi) strato interno. Fig. 8^ — Follicolo di Graaf maturo, in cui la granulosa parietale (gp) ancora non è interamente distrutta. Relativamente a tale fenomeno, l’ovo è ricco di globuli vitellini, (af) antro follicolare, (tfi, e tfe) strato interno ed esterno della teca del follicolo. Tav. 4^ Fig. — Quattro follicoli appartenenti ad ovaia di Coniglia lecitinata. Solo il 2*' follicolo, da destra, ha cellule in cromolisi. Per i dettagli si confrontino le figg. io® ed ii® Fig. 10® — Follicolo maturo appartenente a Coniglia lecitinata', in cui tutta la granulosa è integra. Micro- fotografia che rappresenta a più forte ingrandimento uno dei follicoli della fig. 9®. Fig. 11® - Follicolo appartenente anche a Coniglia lecitinata, in cui gli strati più superficiali della granu- losa parietale sono distaccati ed in cromolisi — Micro fotografia. Fig* 12® — Microfotografia corrispondente alla fig. 8® della Tav. precedente. TaV. la Fig. 3. Atti deir Acc. Gioenia di Se. Nat. — Ser. Voi. 2\ fig. fig. 4, Tav. Atti deir Acc. Gioeuhi di Se. Nat. — Ser. 5'\ Voi. 2". i: ? ^AU Tav. 4^ Atti deU’Acc. Gioeiiia di Se. Nat. — Serie 5'" Voi. 2^\ Fig. IO. Fig. 12, Memoria XIT Prof. G. P, GRIMALDI e Doti, G. ACCOLLA Influenza delle scariche oscillatorie e del magnetismo sull’ Isteresi elastica del ferro per trazione I Malgrado i numerosi lavori pubblicati fin da quando Joule nel 1842 scoperse che il ferro cambia di dimensioni per effetto della magnetizzazione, vi sono ancora insolute nu- merose quistioni riguardanti le proprietà magneto-elastiche dei corpi in istretta relazione con la magnetostrizione. Come osserva Nagaoka (1) la teoria che realmente soddisfa ai vari aspetti del fe- nomeno è ancora nella sua infanzia e nessuno ha osato rompere la barriera dei fenomeni che presentano isteresi. Lo studio di questi fenomeni è ben lungi dall’essere completo : se difatti vi sono delle ricerche sull’ influenza delle deformazioni elastiche sull’ isteresi magnetica , non è a nostra conoscenza che siano state studiate le variazioni che l’isteresi elastica di un filo di ferro subisce in un campo magnetico o per effetto delle onde elettriche. Di tale studio ci occupiamo in questo lavoro (2). Fra le ricerche che riguardano 1’ influenza delle deformazioni elastiche sull’ isteresi magnetica ricorderemo quelle di Sella e Tieri perchè presentano una certa analogia con alcune delle esperienze qui esposte. Il Sella (3) studiò 1’ influenza delle onde elettriche sull’ isteresi magnetica di un filo di ferro generata da una deformazione elastica, invece che da un cambiamento di campo esterno come nel detector Marconi. Egli cosi costruì un detector magneto-elastico che poi il Tieri ha perfezionato e reso sensibile (4). Le esperienze del Sella c’ indussero ad esaminare se le onde elettriche avessero al- cuna influenza sull’ isteresi elastica di un corpo e da tale esame ebbe origine il presente lavoro, il quale fu poi esteso ad altre ricerche come riferiremo in seguito. Abbiamo voluto cominciare con lo studio dell’ elasticità di trazione, perchè in tale caso ci riusciva più agevole il ricercare il fenomeno in parola, che si prevedeva essere assai piccolo. E intenzione però di uno di noi di continuarlo per 1’ elasticità di flessione. (1) Trans, int. cong. S.^ Louis 1904, voi. 1 p, 356. (2) Le ricerche che formano oggetto della presente memoria furono eseguite negli anni 1903-1904 ed i risultati preliminari pubblicati in due note comunicate all’ Accademia Gioenia di Catania nel febbraio 1904 (Cfr. anche Nuovo Cimento t. VII pag. 202; 1904). II lavoro completo però non è stato condotto a termine e pubblicato prima di ora perchè uno di noi è stato occupato nell’ ufficio di Rettore di questa Università. (3) Rend. Acc. Lincei Voi. XII (1903 L semestre) pag. 340. (4) Rend. Acc. Lincei Voi. XV, 1906 1“ sem. pag. 164 e 2“ sem. pag. 94. Atti Acc., Serie V, Vol, IL Meni. XIV. I 2 Prof. G. P. Grimaldi e Doti. G. Accolla [Memoria XIV.] Per raggiungere il nostro scopo abbiamo dovuto costruire un apparecchio tale da per- mettere di misurare con sicurezza piccolissimi allungamenti ; di esso diamo qui appresso una descrizione particolareggiata. II Le disposizioni escogitate dai diversi sperimentatori per determinare con grande esat- tezza e sensibilità piccole variazioni di lunghezza sono principalmente fondate sul metodo delle frangie d’ interferenza di Fizeau, o su quello dello specchio girevole o a tre punte, (leva a riflessione di Cornu). Il primo metodo, al quale ricorse Nagaoka nei suoi numerosi e importanti lavori sulla magnetostrizione, come questo sperimentatore stesso fa osservare, (I) non si presta bene per misure rapide, quantunque le frangie d’ interferenza possano talvolta servire da micro- metro estremamente sensibile. In sua vece egli ha adottato il metodo dello specchio a tre punte con una disposi- zione ottica semplice e ingegnosa che permette di renderlo sensibilissimo con relativa fa- cilità. L’ apparecchio di Nagaoka fu impiegato alla misura delle variazioni di lunghezza di sbarre od ovoidi orizzontali; in seguito però Honda e Shimizu (2), per non parlare di altri, adoperarono un apparecchio il quale era fondato sullo stesso principio e che serviva per misurare variazioni di lunghezza su fili situati in direzione verticale. \J apparecchio (3) impiegato nelle nostre ricerche è anche fondato sullo stesso princi- pio, ma ne differisce molto nella disposizione sperimentale ; esso è rappresentato in gran- dezza due volte e mezzo più piccola del vero nella Fig. I della annessa tavola. È collocato in una stanza posta a tramontana e sostenuto, per mezzo di una sospensione a ginocchio, dalla robusta mensola M solidamente fissata a un muro maestro interno. Si compone di una parte fissa e di una parte mobile. La parte fissa è costituita dal telaio ABB' A nel quale le aste cilindriche AB e AB\ lunghe m. 1,50 ciascuna , sono di rame e le spranghette rettangolari AA e BB' di ottone come il resto dell’apparecchio. Alla spranga BB' sono avvitate le due colonne D, D' le quali sostengono la piatta- forma orizzontale EE' e su questa si innalzano le tre colonnine uguali 0^, G', G" , che a sfregamento dolce passano attraverso tre ghiere fortemente avvitate alla piattaforma LE . Di queste ghiere due H ed H' sono visibili nel disegno, la terza rimane nascosta da altri pezzi. La piattaforma LE si appoggia contro i dadi F, V' spinta dalle due spirali d’ottone J, L che circondano due pilastrini fissati alla piattaforma EE . Per mezzo di questi due dadi la piattaforma LE può essere innalzata od abbassata con graride regolarità. La parte mobile dell’ apparecchio è sospesa per mezzo del filo da cimentare e si com- pone del telaio NOO' N' ; alla parte inferiore di esso è fissata a vite la colonnina Q che sostiene la piccola piattaforma P. t Per smorzare le eventuali oscillazioni del sistema i due cilindretti di ottone i?, E si fanno pescare in due tubi di vetro contenenti glicerina e debitamente fissati a muro. (1) Phil. Mag. Ser. V, voi. 37, pag. 131 (1894). (2) Phil. Mag. Ser. VI, voi. 4, pag. 341 (1902). (5) Questo apparecchio fu assai bene costruito dal meccanico A. Rubino di questo Istituto. Influensa delle scariche oscillatorie e del magnetismo, ecc. 3 Lo specchietto piano S è montato verticalmente sopra una lastrina rettangolare di ot- tone, che porta tre punte acuminate di acciaio accuratamente costruite, delle quali due sono fissate per mezzo delle vitine a e c ; la terza, appena visibile nella figura, si può avvici- nare o allontanare dalla retta che congiunge le altre due a seconda della maggiore o mi- nore sensibilità che si vuole dare all’ apparecchio : questa punta si fissa mediante la viti- na b. Il piccolo dado a vite d serve a regolare il centro di gravità del pezzo in modo che esso rimanga in equilibrio sulle tre punte. La punta h appoggia sopra una lastrina di vetro fissata sulla piattaforma P; le punte a Q c appoggiano sopra il taglio di una scanalatura accuratamente incavata sulla piatta- forma LL! parallelamente ed a piccola distanza dal bordo anteriore. L’ estremità superiore del filo FF di cui si tratta di misurare le variazioni di lun- ghezza viene saldata in argento in un foro centrato praticato all' estremo inferiore di ottone dell’ asta cilindrica Z di zinco fissata per mezzo di una robusta vite di pressione alla ghiera Y ; 1’ estremità inferiore è congiunta mercè il tubicino di rame Y' pure con salda- tura in argento ad un grosso filo d’ ottone P. L’ estremità inferiore di f/ è poi opportu- namente fissata al pezzo NN'. Al sistema mobile dell’ apparecchio è sospeso per mezzo d’ un filo flessibile / un piattello metallico munito di smorzatori a glicerina, su cui si possono collocare dei pesi in modo da assoggettare il filo F su cui si esperimenta a carichi iniziali variabili a vo- lontà. Il filo /' prolungandosi inferiormente passa attraverso un foro centrale del piattello e porta due pesi di piombo Pi, P-i separati 1’ uno dall’ altro da due centimetri circa del me- desimo filo, esattamente centrati e pescanti in un bicchiere pieno di glicerina, il quale scor- revole in apposita ghiera, può essere abbassato od innalzato senza spostamenti laterali. Per ridurre al minimo 1’ adesione di P% sul fondo del bicchiere e di Pi sulla faccia superiore di P^ , questi pesi riposano su tre punte fissate alla parte inferiore di ognuno di essi. Con tale espediente si raggiunge il risultato di far agire i pesi gradatamente, evitando così le scosse derivanti dalle brusche variazioni di carico. Avevamo immaginato dei congegni per sollevare delicatamente i pesi del bicchiere; ma r esperienza ci dimostrò che si possono evitare le scosse sollevando od abbassando deli- catamente a mano il bicchiere dentro la ghiera, senza ricorrere a disposizioni complicate. Perchè 1’ apparecchio dia risultati perfettamente regolari è necessario che il punto di sospensione del filo da cimentare e il centro del foro della lastra BB' stiano sopra la stessa verticale e che il bordo posteriore della piattaforma mobile P non tocchi la piattaforma fissa LL! pur essendone assai poco discosto. Tale condizione si otteneva senza eccessiva difficoltà regolando con cura le parti mo- bili dell’ apparecchio, dopo aver tolto al filo la torsione. Un po’ obliquamente davanti allo specchietto è collocato un collimatore da spettrosco- pio con la fenditura orizzontale nel cui centro è attaccato un filo sottilissimo di quarzo. Esso è illuminato dalla fiamma di una candela mantenuta in posizione costante. Il fascio di raggi paralleli che escono dalla lente del collimatore riflesso dallo spec- chietto viene raccolto da un cannocchiale munito di oculare micrometrico. Si ottiene così un’ immagine estremamente netta del filo di quarzo e nella parte cen- trale spicca una riga brillante e sottilissima che permette, quando l’apparecchio è ben re- 4 Prof. G. P. Grimaldi e G. Accolla [Memoria XIV.] golato, di fare la puntata con un errore che difficilmente eccede una divisione del tam- buro del micrometro. Ili L’ apparecchio qui descritto era stato dapprima costruito per studiare le variazioni di lunghezza dei fili di nickel per magnetizzazione longitudinale e per tale scopo si fecero di rame le aste del telaio, di zinco 1’ asta cilindrica Z e il filo U di ottone, in modo da co- stituire un sistema approssimativamente compéhsato per la temperatura. In seguito r apparecchio fu adibito alla misura delle variazioni di lunghezza di fili di ferro soggetti a trazione. La compensazione in questo caso non era più esatta, nè si cercò di ottenerla, giacché si potè constatare che le variazioni lente di temperatura, quali quelle che si verificano normalmente in una stanza esposta a traaiontana, non impedivano di ot- tenere risultati attendibili. In prova di ciò riportiamo a titolo d’ esempio nella seguente tabella le variazioni di lunghezza subite da un filo di ferro ricotto (N. 1) misurate di 5 in 5 minuti al variare della temperatura ambiente, la quale, da 15®, 0 alle 14'', scese a 14®, 3 alle 17'‘ 5"'. ORA Accorciamento in ]). ORA Accorciamento in fj. ORA Accorciamento in iJL i4*> 5“ 0 15» 5“ 0, 55 16» 5“ 1,49 » IO 0, 12 » IO 0, 58 » IO 1, 56 » 15 0, 23 » 15 0, 65 » 15 1, 56 .5 20 0, 25 » 20 0, 77 » 20 1,69 * 25 0, 32 » 25 0, 8 1 » 25 1, 81 * 30 0, 37 » 30 0,95 » 30 1, 90 » 35 0, 30 » 35 I, 04 » 35 1, 97 » 40 0, 39 » 40 I, 07 S> 40 2, 07 » 45 0, 42 45 I, 09 45 2,09 » 50 0, 46 » 50 I, 16 » 50 2, 14 » 55 0, 49 55 1.25 * 55 2, 20 15 0, 53 16 I, 30 17 2, 29 » 5 2,43 .Si desume dall’ esame delle cifre riportate che la maggiore variazione di lunghezza verificatasi in 5"^ era di [j. 0,19, mentre essa ordinariamente si aggirava intorno alla me- dia di |x 0,07. Quando le variazioni di lunghezza erano maggiori del valore medio sopra riportato o quando le vibrazioni del muro di sostegno dell’ apparecchio, dovute al passag- gio di carri nelle vie adiacenti all’ edifizio universitario o al muoversi d’ una persona in luoghi prossimi a quello dove si esperimentava^ impedivano di ottenere nelle misure risul- tati regolari, le osservazioni si rigettavano. 11 riscaldamento prodotto da irradiazione sul filo avrebbe avuto influenza sensibile ; però questa causa perturbatrice venne eliminata mediante diaframmi di cartone d’ amianto opportunamente disposti. Inflnensa delle scariche oscillatorie e del magnetismo, ecc. o In tutte le esperienze 1’ obbiettivo del cannocchiale di circa 40 cm. di distanza focale era a 2 m. dallo specchietto, e in tale condizione quando la distanza tra la punta è e la congiungente le due punte a q c era di min. 2,94 una divisione del tamburo del micro- metro oculare corrispondeva ad una variazione di lunghezza del filo di circa [x 0,02. Riducendo la distanza tra le punte si sarebbe ottenuta agevolmente una sensibilità qua- drupla e di gran lunga più grande ricorrendo a un cannocchiale di più forte ingrandimento; ma nel nostro caso non era necessario spingere la sensibilità al massimo perchè le cause d’ errore delle quali parleremo più oltre avrebbero reso poco attendibili i risultati ottenuti. In certi casi anzi abbiamo diminuito la sensibilità dell’ apparecchio aumentando la di- stanza suindicata. Il cannocchiale ad oculare micrometrico di cui s’ è parlato era montato orizzontalmente sulla colonna d’ un catetometro. Sopra e sotto di esso furono fissati due cannocchiali au- siliarii più piccoli ( distanza focale dell’ obbiettivo di ciascuno 16 cm. ) girevoli tanto attorno ad un asse verticale quanto ad uno orizzontale, i quali, in mancanza di oculari microme- trici, furono muniti di reticoli tracciati su vetro. IV Per ridurre in misura assoluta gli spostamenti dell’ immagine del filo di quarzo osservati nei cannocchiali bisognava procedere alia taratura degli apparecchi. Essa si otteneva in modo diverso a seconda che per le deformazioni cui si assog- gettava il filo con pesi tensori differenti era applicabile approssimativamente o pur no la legge di Hooke. Nel primo caso, cioè nei limiti della validità di questa legge, si misurava da un lato lo spostamento che 1’ immagine del filino di quarzo subiva rispettivamente in ognuno dei tre cannocchiali e dall’altro con un catetometro di Starke munito di oculare micrometrico si misurava l’allungamento in valore assoluto del filo con un carico più forte, cioè con quello necessario per condurre 1’ immagine del filo di quarzo dal cannocchiale più alto al più basso. Il catetometro di Starke era situato a circa 1 metro di distanza dalla colonnina che sostiene la piattaforma P dell’ apparecchio. Su questa colonnina era attaccata una striscio- lina di carta bianca il cui bordo si poteva nettamente collimare. Quando il carico iniziale del filo in esame ( N. 1) era di 1800 gr. 1’ immagine del filino di quarzo si formava nel P cannocchiale (il più alto) : rallungamento subito dal filo per r aumento di 5 gr. del carico era in media di divisioni 2,9 del reticolo. Col carico 2021 grammi necessario per condurre l’ immagine del filino di quarzo nel secondo cannocchiale 1’ allungamento per 5 gr. di sovraccarico corrispondeva in media a 174 divisioni del tamburo. Col carico di 2212 gr. che conduceva l’immagine nel 3“ cannocchiale l’allunga- mento per 5 gr. era in media di divisioni 2,9, valore uguale a quello trovato col 1° can- nocchiale, ciò che ci fa ritenere applicabile in questo caso la legge di Hooke con appros- simazione sufficiente. L’allungamento del filo in valore assoluto misurato col micrometro oculare del cateto- metro di .Starke ( a sua volta tarato a mezzo di un metro campione ) per la variazione di carico da 1800 a 2212 grammi era di ]x 287,80. Da questa cifra si deduce che un decimo di divisione dei reticoli del primo e terzo 6 Prof. G. P. Grimaldi e Doti. G. Accolla [A^emoria XIV. J cannocchiale corrispondev^a a [x 0,12 e che una divisione del tamburo del micrometro del cannocchiale centrale a [j. 0,0206. Questi valori sono stati dedotti da una serie di misure concordantissime. Nel caso delle misure eseguite col filo N. 2 1’ apparecchio dovette essere tarato a nuovo perchè fu necessario diminuire la sensibilità aumentando la distanza tra le punte. In questo caso la legge di Hooke dati i forti carichi ai quali veniva sottoposto il filo non era più applicabile neanche approssimativamente e d’ altra parte non si potevano misurare con esattezza sufficiente, al micrometro oculare del catetometro, gli allungamenti prodotti da carichi piccoli, come quelli occorrenti per far rimanere 1' immagine del filo di quarzo nel campo dei cannocchiali. Si ricorse perciò alla misura diretta dell’ angolo di rotazione dello specchietto, eseguita col noto metodo dello specchio e scala. L’ allungamento lineare a corrispondente ad un dato angolo di rotazione 6 si deduceva dalla formola : dove S è la distanza fra la punta b e la congiungente delle punte a e c. Tale distanza veniva misurata con il microscopio di una macchina a dividere che permette le misure con r approssimazione di 1/500 di mm. e risultò di cm. 0,446. La scala verticale, era collocata a cm. 172,3 dallo specchietto. Riportiamo qui appresso i risultati delle misure di taratura eseguite ; come le prece- denti esse sono medie di valori assai concordanti. 1° Cannocchiale. — Carico iniziale 1800 gr., sovraccarico 20 gr., spostamento deU’im- magine del filino di quarzo divisioni 6,0 ; angolo di rotazione dello specchietto 0“ 9' 14", allungamento cm. 0,00120. 2^ Cannocchiale — Carico iniziale 2592 gr., sovraccarico 20 gr., spostamento dell’im- magine del filino di quarzo 381 divisioni del tamburo ; angolo di rotazione dello spec- chietto 0“ 8' 46", allungamento cm. 0,00114. 3° Cannocchiale — Carico iniziale 3521 gr., sovraccarico 20 gr., spostamento della immagine del filino di quarzo divisioni 0,6 ; angolo di rotazione 0'’ 0' 55". allungamento cm. 0,00012. Da questi valori si deduce che un decimo di divisione del reticolo corrisponde nel 1“ e 3*^ cannocchiale a [x 0,20, mentre per il secondo cannocchiale una divisione del tam- buro corrisponde a [x 0,030. Abbiamo anche misurato al catetometro Starke gli allungamenti per i carichi neces- sari a condurre l’ immagine da un cannocchiale all’ altro e contemporaneamente gli angoli di rotazione dello specchietto. Abbiamo così ottenuto i seguenti risultati: Carichi gr- Variazioni DI CARICO gr- Angoli DI ROTAZIONE Allungamenti calcolati IN CENTIMETRI osservati i8oo — — — 2592 792 60 7/ 37" 0, 0476 0, 050 3521 929 70 2' 2" 0, 0546 0,053 Influenza delle scariche oscillatorie e del magnetismo^ ecc. 7 Come si vede il confronto degli allungamenti calcolati dalle rotazioni dello specchietto con quelli osservati al catetometro presenta una concordanza soddisfacente. V Nell’ eseguire le misure che formano oggetto di questo studio ottenemmo i migliori risultati procedendo nel modo seguente. Collocato il filo nel modo sopra riferito si regolavano le viti V e V in maniera da far cadere l’ immagine del filo di quarzo sul cannocchiale centrale quando il peso Pi tendeva il filo mentre il peso P2 riposava sul fondo del bicchiere. Si abbassava poi questo fino a che il secondo peso agiva sul filo e si regolava il cannocchiale inferiore in modo da far cadere 1’ immagine sul reticolo. Si sollevavano infine successivamente i due pesi regolando analogamente la posizione del cannocchiale superiore. Con questa disposizione si può far compiere al filo un ciclo unilaterale di trazione limitato soltanto a tre punti sia all’ andata che al ritorno. Ciò bastava nel nostro caso perchè nostro scopo non era uno studio completo del comportamento elastico del filo, ma ci interessava sopratutto di constatare se 1’ area di isteresi elastica subisse delle variazioni per effetto delle scariche oscillatorie come avviene per r area d’ isteresi magnetica. Bastava quindi determinare la differenza degli allungamenti corrispondenti al peso me- dio per carichi crescenti e decrescenti. Il nostro studio , oltre che su un filo di acciaio del quale parleremo brevemente in seguito, è stato eseguito sui due fili di ferro sopra menzionati provenienti da una matassa con la quale avevamo ottenuto buoni risultati nella costruzione di un detector magnetico , e che furono tirati alla filiera nel laboratorio. La lunghezza e il diametro (uguale nei due fili distinti nelle esperienze col N. 1 e N. 2) erano rispettivamente cm. 115 e cm. 0,035. Il filo N. 1 venne sottoposto a cicli compiuti con pesi tensori Pi e P2 rispettivamente di 221 e 191 grammi (nella glicerina) , pel filo N. 2 i detti pesi erano invece 792 e 929 grammi (nella glicerina) ; il carico iniziale iden- tico per i due fili era di 1800 gr. Entrambi i fili vennero ricotti, per una ventina di minuti circa, con la corrente elet- trica procedendo gradatamente sia nel riscaldamerlto che nel raffreddamento. Dopo la ri- cottura ci accertammo che non avevano subito per 1’ ossidazione diminuzione sensibile di diametro. Prima di eseguire le misure i fili venivano ripetutamente ciclizzati aumentando il ca- rico iniziale di 200 in 200 grammi fino a raggiungere un carico complessivo superiore di circa 300 gr. al carico massimo usato durante le esperienze; con procedimento inverso si ritornava al carico iniziale. Nelle esperienze con le scariche elettriche il filo sottoposto a trazione era circondato da una spirale di filo isolato, lunga cm. 130,8 e avente 4,52 spire per centimetro, avvolto, su un tubo di vetro del diametro di cm. 2,1. Le estremità questa spirale B (fig. II) erano unite alle armature «, a' di due piccoli condensatori piani formati con fogli di stagnola di 127 cm.^ di area incollati sopra lastre di vetro verniciato con gommalacca di area pres- socchè doppia e di cm 0,12 di spessore; le armature b, b' dei detti condensatori comuni- 8 Prof. G. P. Grimaldi e Doti. G. Accolla [Memoria XIV. J cavano con uno spinterometro S a sfere di cm. 2 di diametro e con gli estremi P, P' del secondario di un rocchetto d’induzione da 15 cm. di scintilla. L’ interruttore del rocchetto richiese attenzione speciale, poiché per ottenere risultati concordanti era necessario che 1’ oscillatore funzionasse con molta regolarità. I migliori ri- sultati si ebbero con un interruttore a mercurio sotto alcool mosso da un motorino elettrico. Le sfere dello spinterometro venivano frequentemente ripulite con carta smerigliata finissima. Appena si faceva agire il rocchetto si osservava un allungamento del filo che è da attribuire al riscaldamento prodotto dall’isteresi magnetica e dalle correnti di Foucault. Ove si volesse ritenere quest’ ultimo effetto trascurabile nei fili sottili, come quello ci- mentato, r apparecchio potrebbe servire alla misura dell’ isteresi magnetica col metodo ter- mico in modo analogo a quanto hanno praticato diversi sperimentatori tra i quali Guye e Herzfeld (1). Nel nostro caso si trattava invece di eliminare una grave causa d’ errore. Una lunga serie di osservazioni ci dimostrò che adoperando fili sottili l’equilibrio ter- mico si raggiungeva abbastanza rapidamente e la lunghezza del filo rimaneva sensibilmente costante, a condizione che l’interruttore del rocchetto funzionasse con perfetta regolarità. Dopo molti tentativi riuscimmo a mantenere pressocchè invariato 1' effetto termico per il tempo necessario a compiere parecchi cicli; del resto era facile controllare le variazioni termiche tra un ciclo ed un altro, rigettando quelle osservazioni nelle quali si notavano differenze sensibili. Naturalmente prima di fare una serie di misure si regolava la distanza esplosiva dello spinterometro e la corrente del primario del rocchetto in modo che 1’ allungamento termico fosse di pochi ijl (2). A dimostrare la costanza dell’ effetto termico riporteremo qui appresso alcune misure eseguite col filo N. 1. In esse dopo aver lasciato il filo in riposo per un tempo sufficien- temente lungo col carico costante di 2021 gr. si misuravano alternativamente le variazioni di detta lunghezza in [j. a peso costante con o senza scariche dell’ oscillatore. I Serie ( i numeri tra parentesi indicano T ordine delle misure ) sen\a scariche (i) o,o (3) 0,0 (5) 0,6 (6) 0,06 (8) 0,06 con scariche (2) 4,28 (4) '4.36 (4) 4,36 (7) 4,36 (7) 4,36 allungamento medio 4,31 II Serie scariche (i) 0,0 (3) 0,16 (5) 0,32 con scariche (2) 4,29 (4) 4,58 (4) 4,58 allungamento medio 4,32 (i) C. R. T. CXXXVI, pag. 957 (1903). (2) La costanza dell’ effetto termico è stata anche dimostrata da Guye e Herzfeld nelle citate ricerche. In esse i fili adoperati (dei quali il N. i aveva un diametro di cm. 0,037) etano sottomessi all’azione di un alternatore che dava da 100 a 1200 periodi al secondo e permetteva di ottenere un campo che variava da 56,6 a 9,4 unità C. G. S. Gli Autori constatarono difatti che sotto 1’ azione delle magnetizzazioni alternative i fili si riscaldavano e assumevano quasi istantaneamente una nuova temperatura stazionaria. Infhiensa delle scariche oscillatorie e del magnetismo, ecc. 9 Come si vede facilmente queste due serie, ottenute quando 1' apparecchio aveva con- seguito i perfezionamenti necessari, non lasciano a desiderare per la loro costanza , spe- cialmente se si considera che esse richiedevano un certo tempo durante il quale la tempe- ratura ambiente subiva le lente variazioni delle quali abbiamo già parlato. A titolo di confronto riportiamo un’ altra serie eseguita con altro scopo su un filo di acciaio, cm. 0,052 di diametro, nel primo periodo delle ricerche e che serve a dimostrare come anche in circostanze sfavorevoli 1’ effetto termico si manteneva pressocchè costante. Nelle misure che seguono 1’ interruttore apriva la corrente sul mercurio, ma era a semplice martelletto ed abbastanza imperfettamente costruito ; la disposizione per ottenere le scariche oscillatorie alquanto diversa sicché l' effetto termico risultava più piccolo ; le misure stesse non furono eseguite a carico costante dopo un lungo riposo, come le prece- denti, ma a carichi crescenti, cosicché si faceva sentire l’influenza della elasticità susseguente. Carico ar. jyj allungamento in (j. senza scariche (i) o (3) o » » con scariche (2) 1,33 (2) 1,33 II Carico gr. lOj) (1) o (2) 1,7' (3) 0,18 (2) 1,71 III Carico gr. (DO (3) 0,09 o (2) D17 (2) 1,17 IV Carico gr. 13 77 allungamento in u. senza scariche (1)0 » » con scariche (2) 1,33 VI Carico gr. 2J73' allungamento in u. senza scariche (1) o « » con scariche (2) 1,62 (3) (2) 1.53 (3) 0,81 (2) 1,62 V Carico gr. 1)1) (1) O (2) 1,62 (3) 0,27 (2) 1,62 VII Carico gr. 2)j^ (1) O (2) 1,53 (3) 0,54 (2) 1,53 Volendo eliminare almeno parzialmente l’effetto dell’ elasticità susseguente si può prendere come misura dell’ effetto termico la differenza tra 1’ allungamento con le scariche e la media dei valori precedenti e seguenti, che del resto si ottenevano in un tempo ab- bastanza breve ( le tre misure erano fatte all’ incirca in 40’' complessivamente ). Si ottengono così i seguenti risultati : allungamenti termici I 1.35 II » 1,62 III » 1.15 IV » 1,44 » 1,48 VI » 1,22 VII » 1,26 media u. D36, diflerenza zt (j. 0,24 VI Riporteremo ora i risultati delle nostre ricerche ; per maggiore chiarezza però li rìte- riremo in ordine diverso da quello col quale furono fatte e cominceremo dal literire par- ticolareggiatamente due serie di misure eseguite con il filo N. 2 procedendo come sopra si è detto, dopo averlo ciclizzato. Nella prima colonna delle seguenti tabelle sono riportate le variazioni del carico, espres- se in grammi , mediante il quale il filo veniva sottoposto a trazione ciclica : il valoie Atti Acc., Serie V, Vol, II. Mem. XIV. - 10 Prof. G. P. Grimaldi e Doti. G. Accolla [Memoria XIV. J zero si riferisce al carico iniziale di 1800 gr. preso come punto di partenza dei cicli. Le due colonne che seguono indicano per ogni ciclo le variazioni di lunghezza in micron per carichi crescenti o decrescenti a seconda della direzione della freccia. Nella colonna suc- cessiva è indicata in [j. la differenza tra le due lunghezze del filo sotto lo stesso carico medio nella serie crescente e decrescente. Abbiamo preso questa differenza per ogni serie come misura dell’ isteresi. Le tabelle I , II , III si riferiscono a tre serie di cicli eseguiti successiv'^amente nello stesso giorno, delle quali la prima e la terza serie furono ottenute senza scariche e la se- conda sotto r azione di esse. Tabella I Cicli senza scariche Variaz. del carico Variaz. di lungh. Ist. Variaz. di lungh. Ist. Variaz di lungh. Ist. Variaz. di lungh. Ist. Variaz. di lungh. Ist. 0 0 0 0 — I — I — 0,2 - 0,2 -0,2 —0,2 -0,2 792 476 1 478 t 2,0 476, i4 477,7! 1,6 475,7! 477,4! 1,7 1 475,74- 477,^! V9 475,s! 47»! 2,2 1721 1022 1022 1022,2 1022,2 1022 1022 I02[,8 1021,8 ro20;4 1020,4 Variaz. del carico Variaz. di lunghezza Ist. Variaz. di lunghezza Ist. Variaz. di lunghezza Lst. 0 — 0,2 — 0, 2 — 0, 2 — 0, 2 - 0,2 — 0, 2 792 476, I ! 478 ! 1,9 476, 1 ! 478, 2 1 2, I 476, 3 ! 4— CO 1,7 1721 1021, 8 1021, 8 1022, 6 1022, 6 1022 1022 Isteresi inedia ix 1,9 Tabella II Cicli con scariche Variaz. del carico Variaz. di lungh. Ist. Variaz. di lungh. Ist, Variaz. di lungh. Ist. Variaz. di lungh. Ist. Variaz. di lungh. Ist. 0 0 — >6 5,8 5,8 5,8 5,8 6,4 6,4 5.8 5,8 6,2 792 482 ! 483,2! 1,2 481,7! 483,'! 1-4 482 ! 483,3! ',3 481,9! 483-4! 1,5 482.1! 483,8! 1,7 1721 1028 1028 1027,8 1027,8 1027,2 1027,2 1027,8 1027,8 1028 1028 Variaz. del carico Variaz. di lungh. Ist. Variaz. di lungh. Ist. Variaz. di lungh. Ist. Variaz. di lungh. Ist. Variaz. di lungh. Ist. 0 6,2 6 6 6,6 6,6 6,6 6,6 7 7 7,6-^i,6 792 481,8! 483,6! 1,8 482,3! 483,2! 0,9 482,1! 483,8! 1,7 482,6! 483-9! 1,3 482,4! 00 S.AJ 1,4 172: 1027,6 1027,6 1028,6 1028,6 1028.6 1028,0 1027,6 1027,6 1028,4 1028,4 Isteresi media jx 1,4 Influensa delle scariche oscillatorie e del magnetismo, ecc. U In questa serie la differenza fra i due valori sotto il carico iniziale nella prima co- lonna del primo ciclo e nella seconda colonna dell' ultimo ciclo , dà la misura dell' effetto termico dovuto alle scariche; esso ha un valore costante al principio ed alla line della serie. Tabell.v III Cicli senza scariche Variaz. del carico Variaz. di lunghezza Ist. Variaz. di lunghezza Ist. Variaz. di lunghezza Ist. Variaz. di lunghezza Ist. 0 0 0 0 0 0 0 0 0 792 476 i 00 2,0 476 si. 478 t 2,0 476,4 477.9! 1,8 476 si. 477,9! ',9 1721 1022 1022 1021,8 1021,8 1021,6 1021,6 !02I,8 102 1,8 Variaz. del carico Variaz. di lunghezza Ist. Variaz. di lunghezza Ist. 0 0 — 0, 2 — 0, 2 0 792 476 si. 477, 8! 1,8 47), 94" 477, 8! I, 9 1721 1022 1022 102 I, 4 1021, 4 Isteresi media u. 1,9 Nell’ osservare le precedenti tabelle si rileva che non tutti i cicli si chiudono perfet- tamente. Ciò si deve attribuire all’ elasticità susseguente che , per quanto si operasse ra- pidamente e con il filo previamente ciclizzato, non si eliminava del tutto nei limiti di pre- cisione richiesti da ricerche cosi delicate. Influiva anche qualche piccola variazione della temperatura ambiente. Queste esigue per quanto inevitabili cause d’ errore si eliminavano col moltiplicare il numero dei cicli, la media dei quali dava, come si vede, risultati sod- disfacenti. Nelle tre tabelle che seguono l’iportiamo anche per disteso un’ altra serie di misure eseguite con lo stesso filo a distanza di alcuni giorni dalle precedenti. Tabell.^ I\’ Cicli senza scariche Variaz. del carico Variaz. di lunghezza Ist. Variaz. di lunghezza Ist. 0 0 0 0 0 792 476 si. 478. 2! 2, 2 476, 4 478, 2! 2, I 1721 1022 1022 1021, 8 1021, 8 Isteresi media jj. 2,2 12 Prof. G. P. Grimaldi e Doti. G. Accolla [Memoria XIV.] Tabella V Cicli con scariche Variaz. del carico Variaz. di lungh. Ist. Variaz. di lunghezza Ist. Variaz. di lunghezza Ist, Variaz. di lunghezza 0 0-^7, 5 9,5 9,5 9,9 9,9 10,1 9,9 9,7 792 483>5-Ì 485 t 1.5 00 485,5! 1,2 483,7! 485,3! 1,6 483,7! 485 ! 7721 1029,5 1029,5 1030,3 1030,3 1029,7 1029,7 1029,7 1029,7 Isteresi media a 1,4 Tabella VI Cicli senza scariche Variaz. del carico Variaz. di lunghezza Ist. Variaz. di lunghezza Ist. Variaz. di lunghezza Ist. 0 0 0.4 0,4 0,8 0,8 0,8 792 476 ! 478,3 ! 2,3 476,2 ! 478,4 ! 2,2 476,3 ! 478,5 ! 2,2 172 1 1022 1022 1021,8 1021,8 1022 1022 Isteresi media u. 2,2 Le esperienze che ora riporteremo qui appresso furono eseguite sul filo N. 1 e coi pesi tensori più piccoli precedentemente indicati, con una disposizione elettrica alquanto di- versa (fig. Ili) nella quale invece di due condensatori se ne impiegava uno solo. L’ effetto termico al principio della serie dei 7 cicli con le scariche era di jx 4,2 e alla fine [l 4,5. Per brevità invece delle serie complete, ci limitiamo a riportare i valori dell’ isteresi , misurata nel modo anzidetto, nei cicli con o senza scariche. Tabella VII Isteresi nei cicli seyixfl, scariche IX I, IO o, 98 1,04 1,04 Isteresi media [x 1,04 nei cicli con scariche (X o, 76 o, 64 o, 82 o, 84 o, 50 o, 40 o, 46 [X o, 66 Abbiamo anche tentato di eseguire delle ricerche coi fili di acciaio; però l' isteresi ela- stica nelle condizioni delle nostre esperienze aveva dei valori così piccoli da non poterne apprezzare con sicurezza le variazioni sotto 1’ azione delle scariche elettriche. Tutte queste misure come le altre che per brevità non riportiamo dimostrano una forte Influensa delle scariche oscillatorie e del magnetismo, ecc. 13 diminuzione dell’ isteresi elastica per effetto delle scariche oscillatorie. Misurando l’ isteresi nel modo come noi abbiamo fatto la diminuzione secondo le precedenti tabelle va dal 26 al 36 per cento. VII Oltre le esperienze con le scariche elettriche sopra riportate ne abbiamo eseguito con- temporaneamente altre per esaminare se la magnetizzazione longitudinale del Ilio avesse influenza sull’ isteresi elastica di esso. A tale scopo il filo era collocato lungo 1’ asse di un grande solenoide di 22 cm. di diametro e 140,5 cm. di lunghezza (4'irw = 48,38) sufficientemente lungo perchè il filo si trovasse in un campo magnetico costante. La corrente magnetizzante non sorpassava ordinariamente i due amperes per evitare un riscaldamento eccessivo del filo. Anche con due ampères il riscaldamento non era trascurabile ; esso produceva nelle diverse serie un allungamento di quasi 10 jJi. Però 40 minuti circa dopo chiusa la corrente magnetizzante si raggiungeva l’equilibrio termico e si potevano eseguire ricerche attendibili. Poiché le variazioni di lunghezza per effetto della magnetizzazione (facilmente misu- rabili con il nostro apparecchio) avvenivano istantaneamente, in alcuni casi potevamo ese- guire rapidamente qualche misura appena eccitato il campo prima che il filo subisse ri- scaldamento sensibile. Riportiamo i risultati di alcune serie di esperienze eseguite in queste condizioni (1) col filo n. 1 dopo che si era raggiunto 1’ equilibrio di temperatura. ISABELLA Vili Isteresi dei filo nel campo terrestre H I, 20 1. 34 I, 24 I, 34 I, 30 1,24 I, 20 Isteresi inedia i, 29 nel campo di 9, 7 unità C. G. S. u 1 , 00 o, 82 0, 88 1, 04 1, 00 0,97 0,97 Tabella IX Isteresi dei filo nel campo terrestre (j. o, 88 0,91 o, 90 o, 88 Isteresi media ji o, 89 nel campo di 9, 7 unità C. G. S. a O, 65 o, 68 o, 65 11 o, 66 (i) Naturalmente in queste esperienze non si faceva agire il rocchetto che produceva le scariche nel solenoide interno. 14 Prof. G. P. Grimaldi e Doti. G. Accolla [Memoria XIV. J Tabella X Isteresi del filo m\ campo di 9. 2 uuità C. G. S. \>- o, 5 5 o, )t o, 49 V- 0, 5 1 Tabella XI Isteresi del filo nei campo di 14, j unità C. G. S. 0,47 o, 47 o, 42 o, 56 Isteresi media jj. o, 70 a o, 48 Non è a nostra conoscenza che prima di noi siano state eseguite delle esperienze dirette sulla variazione dell’ isteresi elastica del ferro in un campo magnetico ; tale variazione ri- sulta nettamente dimostrata dalle nostre ricerche che danno una diminuzione d’ isteresi nel modo da noi misurata dal 24 al 30 per cento, per campi che non permettono la saturazione magnetica del filo. Tale diminuzione è all’ incirca eguale a quella trovata con le scariche elettriche. Con lo stesso filo N. 1 abbiamo eseguito nel solito ciclo delle misure d’isteresi elastica nel campo terrestre mentre era incrudito dalla filiera prima che fosse ricotto : confrontandoli con quelle eseguite pure nel campo terrestre immediatamente dopo la ricottura si ha la seguente tabella. Tabella XII Isteresi del filo mcrudito ricotto [j. 0, 12 0 00 0, 17 0, 74 0, 21 0, 77 Isteresi media p. 0,17 V- o>77 La ricottura del filo produceva quindi un aumento dell’isteresi (misurata come si è detto) dall’ uno al quadruplo circa, mentre il campo magnetico da noi impiegato produceva una diminuzione dal 24 al 30 per cento. Se nessuno ha eseguito ricerche dirette sulle variazioni d’area d’ isteresi, diversi speri- mentatori si sono però occupati delle variazioni del modulo di elasticità col magnetismo, e le ricerche dimostrano che tale variazione effettivamente esiste. Secondo Nagaoka (1) il cambiamento apparente dell’ elasticità per la magnetizzazione osservato con esperienze nel campo terrestre (1 o, 67 o, 69 o, 74 nel campo terrestre V- o> 77 o, 77 o, 62 o, 70 Isteresi media \>. 0,71 (i) Trans, int. cong S.^ Louis 1904, voi. I p. 355. Influenza delle scariche oscillatorie e del magnetismo, ecc. 15 di trazione e di flessione è un effetto contemporaneo della variazione di lunghezza e del modulo di elasticità e come i due effetti devono essere separati è un problemà da risolvere. Le ricerche più importanti sull' argomento sembrano quelle di Honda e collaboratori. In un lavoro (1) pubblicato nel 1902 Honda, Shimizu e Kusakabe misurarono le va- . riazioni del modulo di elasticità di flessione del ferro dolce e di altri metalli col metodo dello specchio girevole. L’asta di ferro dolce cimentata aveva le dimensioni di ó-L'” x 0, 903 x 0, 901. In campi deboli si ebbe una piccola diminuzione di elasticità quando il carico flettente sor- passava 1,5 kg. Poiché il ferro si contrae lateralmente nei campi deboli, tale contrazione potrebbe spie- gare r apparente diminuzione dell’ elasticità. Per forti campi 1’ elasticità aumenta col magnetismo raggiungendo un valore limite òE verso i campi di 50 unità C. G. S. L’ aumento relativo — — del modulo di elasticità di- minuisce col crescere del carico flettente. In un esteso lavoro successivo pubblicato nel 1907 (2) Honda e Terada hanno fatto uno studio particolareggiato delle variazioni delle costanti elastiche delle sostanze ferroma- gnetiche con la magnetizzazione. Per quello che riguarda 1’ elasticità di trazione gli Autori hanno misurata la variazio- ne del modulo di elasticità con la magnetizzazione sia direttamente, sia deducendolo dalla variazione di lunghezza con la magnetizzazione sotto diversi carichi mediante un’ equa- zione che presuppone 1’ indipendenza nell’ ordine di applicare rispettivamente il campo o il carico tensore, conforme a quanto si ammette nella teoria della magnetostrizione. Il metodo sperimentale adottato è quello dello specchio girevole ; però con una di- sposizione differenziale molto ingegnosa le variazioni di lunghezza per il carico venivano compensate e si misuravano i cambiamenti di tali variazioni nel campo magnetico. Natu- ralmente il modulo di elasticità nel campo zero non poteva essere misurato con questa disposizione e venne perciò determinato con altro apparecchio. Per eliminare 1’ influenza dell’ isteresi gli A. confrontarono i risultati ottenuti con ca- rico crescente. Il filo di ferro di Svezia ricotto del quale si servirono gli A. era del diametro di 0,0904 cm. cioè circa 3 volte più grosso del nostro ; la tensione massima alla quale lo sottoposero gli sperimentatori fu di 5535 grammi per mm.^, quindi notevolmente inferiore al carico iniziale dei nostri cicli che corrisponde a 18750 gr. per mm.^. Tale forte carico fu necessario nel nostro caso per ottenere un' area d’ isteresi non trascurabile. In completo accordo con precedenti sperimentatori gli Autori ottennero un allunga- mento nei campi deboli, che l’aggiunge un massimo in un dato campo ed in seguito si muta in contrazione. Il massimo allungamento diminuisce col crescere della tensione tra- sportando lo zero verso i campi deboli, cosicché al di là di una certa tensione si ha sem- pre un accorciamento per magnetizzazione. Per es. in campi d‘ intensità \ icina al nostro, cioè di 8 unità C. G. S. circa si ha un allungamento per un carico da 1627 a 4754 gr. (1) Phil. Mag. voi. 4 pag. 459 (1902), Cfr. anche pag. 537 dove sono riportate le esperienze latte con r elasticità di torsione. (2) Phil. Mag. Voi. 13 pag. 56 (1907). 16 Prof. G. P. Grimaldi e Doti. G. Accolla [Memoria XIV'.] per mm.‘^ ed una contrazione per ii carico massimo sopra indicato di 5535 gr. per rnm.^ Identico risultato si è avuto per i campi di 12 a 13 unità C. G. S. Anche noi abbiamo misurato incidentalmente la variazione di lunghezza del filo X. 1 con la magnetizzazione ed abbiamo trovato sempre un accorciamento come si rileva dalla seguente tabella. T — 18750 gr. / ìuju-. Intensità Accorciam. òl X IO« del campo in micron 1 9-7 0, 18 0, 16 20, 3 0, 82 0, 71 I nostri risultati qualitativamente sono di accordo con quelli di Honda e Terada , quantitativamente non è possibile fare un confronto, perchè come si è detto, le tensioni era- no di gran lunga differenti nei due casi : ecco del resto alcuni dei valori ottenuti dagli Autori pel massimo carico : T = 5535 gr. / mm-. Intensità del campo 3^ , „ - X IO” 3,2 — 0, 06 8,2 — 0, 09 17, I • 0, 05 22, 5 — 0, 08 33,8 — 0, 21 74, 8 - 0,94 Per quel che riguarda la variazione del modulo di elasticità nel campo magnetico gli A. trovarono nel filo di ferro ricotto sempre un aumento del detto modulo : tale aumento però era assai più piccolo nelle misure dirette che in quelle nelle quali il modulo veniva dedotto, dalle variazioni di lunghezza nel campo magnetico, mediante l'equazione sopra ac- cenata. Per altro questi ultimi valori del modulo sono in certo modo di accordo con quelli misurati con P elasticità di flessione nel lavoro precedente, in un campione completamente diverso nelle proprietà magnetiche. L’ aumento del modulo d’elasticità nel campo magnetico determinata da Honda e col- laboratori è un fenomeno in correlazione con la diminuzione d’ isteresi da noi trovata : a queste variazioni che 1’ elasticità del ferro subisce nel campo magnetico fanno ri- scontro quelle studiate con la torsione (1) e finalmente 1’ aumento di tenacità sul quale E. Drago (2) ha recentemente eseguito minuziose ed accurate ricerche in questo Istituto. fi) Tangl — Drud. Ann. T. VI, S. 34 (1901) — Cray e Wood — Proc. Roy. Soc. Voi. LXX, p. 294(1902). Honda — L. c. (2* memoria) — Cantone — Rend. Ist. Lomb. ser. II, voi. XXXVII, p. 567 (1904). (2) Rend. Acc. Lincei. — Voi. XVIII, ser. 5“ pp. iii e 294 (i® sem. 1909). Influensa delle scariche oscillatorie e del magnetismo^ ecc. 17 Il Drago ha trovato in media per campi che variavano da 40 a 1400 unità C. G. S. un aumento del 0,9 per mille del carico di rottura. Vili Ci sembra non privo d’ interesse il riportare alcune serie di misure eseguite con le scariche elettriche sul filo N. 1 mentre esso era magnetizzato dalla corrente costante del grande solenoide. La disposizione elettrica era simile a quella della figura III con la sola differenza che era stato eliminato il condensatore e una estremità della spirale era isolata. L’ effetto ter- mico, al quale in questo caso possono sovrapporsi le piccole variazioni di lunghezza do- vute all’ alterazione del magnetismo prodotto dalle scariche, era di [j. 4,56. Tabella XIII Isteresi del filo magnetizzato ( Intensità del campo 9, 7 unità C. G. S. ) Cidi senio, scariche )x I, 00 o, 82 0, 88 1, 04 I, 00 o, 90 Cicli con scariche ji o, 70 o, 64 O, 74 Isteresi media u. o, 97 [A 0,69 Nelle seguenti tabelle riportiamo due altre serie di esperienze eseguite sullo stesso filo in condizioni diverse dell’ apparecchio che fu smontato e rimesso a posto tra una serie e 1' altra. Tabella XIV Isteresi del filo magnetizzato (Intensità del campo 9,7 unità C. G. S.; efifetto termico p. 3,37) Cidi senia scariche p o, 63 o, 68 o, 65 Cicli con scariche o, 37 o, 33 o, 47 o, 60 o, 44 Isteresi media p 0,66 p 0,44 Tabella XV Isteresi del filo magnetizzato (Intensità del campo 9,2 unità C. G. S.; effetto termico p 4,12) Cidi sona scariche 1^ o, 5 3 o, 31 0,49 Cidi con scariche p o, 32 o, 25 o, 33 0,25 o. 30 Isteresi media p o, 5 1 p o, 30 18 Prof. G. P. Grimaldi e Doti. G. Accolla [Memoria XIV] Le v^ariazioni in valore assoluto sono in queste misure più piccole di quelle registrate nella tabella X mentre in valore relativo sono o eguali o più grandi. Accenneremo in ultimo ad alcune misure di allungamenti a peso costante prodotti nel filo N. 1 dalle scariche oscillatorie, eseguite incidentalmente nel corso delle ricerche com- parativamente nel campo terrestre e in campi magnetici di diversa intensità. Ove si volessero ritenere trascurabili le correnti di Foucault con filo così sottile come quello da noi adoperato, I’ effetto termico, come già s’ è detto, potrebbe misurare l’energia assorbita dal filo per 1’ isteresi. Quando si creava il campo, prima di fare agire il rocchetto, come è stato riferito, il filo si accorciava e sono qui appresso indicati gli accorciamenti corrispondenti ai diversi campi. Il carico costante era di 2021 gr. la disposizione elettrica quella della fig. Ili ad un condensatore e 1" apparecchio nelle condizioni delle misure riportate nella tabella VII. Le tre serie di misure sono state eseguite nello stesso giorno. Serie I EFFETTO TERMICO nel campo terrestre l^- 4» 3 1 in un campo di 9,7 unità C. G. S. che produceva un accorciamento di p. o, 18. . » 3,62 Serie II (0 EFFETTO TERMICO nei campo terrestre IJ- 4> 3^ in un campo di 9,7 unità C. G. S. che produceva un accorciamento di p 0,21. . » 3, 13 Serie IH EFFETTO TERMICO nel campo terrestre 5M3 in un campo di 20,3 unità C. G. S. che produceva un accorciamento di p o, 82 . » 2, 32 Nella terza serie si faceva lievemente sentire l’influenza del riscaldamento dovuto alla corrente magnetizzante. Ad ogni modo non vi è alcun dubbio che l’effetto termico, cui in questo caso, come sopra si è detto , possono sovrapporsi le piccole variazioni di lunghezza dovute all’ alte- razione del magnetismo prodotto dalle scariche oscillatorie , varia notevolmente nei diversi campi magnetici. Dall’ Istituio di Fisica della R. Università di Catania, Giugno i^op. (i) Nelle prime due serie facendo cessare l’azione del campo magnetico si ottenne un allungamento iden- tico all’ accorciamento precedente. \ jf iS f > ]?leiiioria XV. Prof. G. LOPRIORE Note sulla gerininazione dei semi del Nespolo del Giappone. INTRODUZIONE I semi del Nespolo del Giappone oflTono, oltre alla particolarità dell’ inverdimento più o meno intenso ed esteso deU’embrione e dei cotiledoni, alcuni altri fatti non meno impor- tanti, che ne rendono il comportamento alquanto diverso da quello degli altri semi. Essi raggiungono prima del fi'utto la maturità fisiologica e germin-ano, appena liberati da questo, con la sola risorsa dell’ acqua propria. .Se quindi vengono tolti ancoi' giovani ed incompleti da frutti immaturi, son capaci d' inverdire alla luce diffusa i cotiledoni nudi e di germinare, in tubi chiusi di vetro, col favore dell’ acqua propria o traspirata. I semi, verdi nel frutto, si conservano tali anche più tardi, anzi, per la presenza della clorofilla, essi rimangono attivi, senza quasi passar mai allo stato di vita latente. II potere germinativo si attenua e spegne in tempo relativamente breve , non appena cioè il corpo cotiledonare diventa bruno per acqua che va via e per intime trasforma- zioni chimiche. A differenza quindi di altri semi, che conservano tanto meglio la loro vitalità quanto più poveri d’acqua, questi del Nespolo perdono con l'acqua la facoltà di germinare. D’altra parte la presenza di sostanze cianogeniche e la loro metamorfosi per effetto di fermenti enzimici non possono non influire sulla vitalità dell’ embrione. Altro fatto degno di nota è che questi semi si decompongono facilmente quando sia- no in massa, entro vasi aperti, esposti all’ aria, formando un terriccio nero e fino, il quale attenua la rapida ed ulteriore decomposizione degli strati più profondi , ma non ne impe- disce il definitivo regresso. Pertanto le particolarità relative alla germinazione vengono esposte in queste “ Note „ che tengono dietro agli ‘‘ .Studi anatomo-fisiologici „ pubblicati nell’ ultimo volume di questi Atti. Come quegli “ Studi , dovettero seguire i semi dall' inizio alla maturazione, cosi queste prove sulla germinazione li continuarono , mettendo in luce alcune altre parti- colai'ità d’ indole anatomica o fisiologica, che verranno qui riassunte. Sui fatti già esposti e sul significato di alcuni termini usati nella memoria piecedente rinviamo a questa, senza qui ripeterci nuovamente. Le presenti ricerche integrano quelle già compiute, ma non esauriscono del tutto l’ar- gomento, che formerà ancora oggetto di ulteriori indagini. Catania, luglio 1909. Atti Acc., Serie V, Vol. II. Mem. XV. I 2 Prof. G. Lopriore [Memoria XV. | GERMINAZIONE Per quanto facile sia la germinazione, essa non offre, neppure in frutti ipennaturi od appassiti sull’ albero, una vera viviparità. Nè a questa possono riferirsi quei rari casi , in cui un cornetto verde, simulante la radichetra, sorge dalla base del seme. Nondimeno, per accertare se la grande succosità del mesocarpo permette la germina- zione dei semi entro il frutto, furono scelti alcuni frutti più maturi e messi in terreno ani- dro, tenuto parecchie ore per due giorni di seguito nella stufa alla temperatura di 100“. L’ osservazione svelò che, come naturalmente suole avvenire per i frutti rimasti al- r albero, avviene anche per i frutti messi in terreno aiiulro : il mesocarpo dissecca e 1’ epicarpo vien quasi direttamente a cingere e serrare i semi. La polpa dissecca, mentre la germinazione dei semi non va al di là di un lieve allungamento della radichetta^ che fora appena il tegume.ito. Un mese dopo che i frutti erano rimasti nel terreno, la germi- nazione iniziavasi, senza però molto progredire. Anche i semi, con o senza tegumento, messi nello stesso vaso con i frutti , non avevano per nulla iniziato la germinazione, anzi presentavano la superfìcie esterna dei cotiledoni fortemente raggrinzita. Appena i vasi, trascorso il mese, vennero abbondantemente innaffiati, la germinazione procedè rapida e bene. ^ * Per meglio seguire il processo germinativo, considereremo il comportamento delle di- verse parti dal seme : embrione, ciìtiledoni, tegumenti. EMBRIONE La germinazione s’ inizia con I’ emissione del fittoncino , che, se non contrastato nel suo sviluppo, raggiunge in breve notevoli lunghezze. La comparsa della piumetta non av- viene che molto tardi, nè il fusticino, che la porta, presenta sviluppo proporzionato a quello del fittone. Il fittoncino si mantiene a lungo indiviso e non manda che tardi radici laterali. Dalla sua base partono però, non di rado, ad angolo retto due forti radici , che , per di- mensioni competono col fittone. Il fusticino, eretto e abbastanza sensibile all' eliotropismo, presenta la piumetta di un lieve color rosa, determinato da antocianina che presto scompare. All' ascella dei cotiledoni si sviluppano non di rado due altri germogli, che presto, per dimensioni, gareggiano col principale. Questa vicenda si verifica molto spesso in semi germinanti al buio , quasi che la pianta voglia sostituire il germoglio principale eziolato con altri secondari. Non sempre però r emissione di germogli e di radici laterali è simultanea. Semi senza tegumento, messi a germinare nella sabbia umida con la cupola embrio- nale rivolta in su — cioè capovolti — , presentano un fittone aereo, che, alle volte, aderisce al tegumento e, continuando a svilupparsi in senso verticale, penetra nel terreno, altre volte, prima di approfondirsi in questo, segna nell' aria archi molto ampi , che producono radici Note sulla germinasione dei semi del Nespolo del Giappone 3 laterali soltanto dopo la loro penetrazione nei terreno. 3'ale comportamento avvicinerebbe queste radici a quelle delle Pothoidee , che da Engler e Lierau vennero designate come WurBeltrdger — portaradici. Siffatti organi, con i loro laterali, son bruni per anticipata formazione di periderma, mentre il tratto sviluppantesi nel terreno è bianco, turgido e più grosso del tratto aereo. Nel sut) inizio, però, il fittoncino rilevasi bene in forma di cordon- cino bianco sul fondo scuro del tegumento. Non è raro il caso che radici secondarie penetrino e si sviluppino fra i semi dei coti- ledoni propri o fra quelli di semi estranei e che qtiindi, sotto la pressione degli stessi, si schiaccino, mostrando annerita, pei' effetto della stiberitìcazione, la superfìcie di contatto. Un fatto di particolare interesse è che l’embrione si ricostituisce su cotiledoni isolati, dando germogli e radici. .Sebbene le sue dimensioni estremamente esigue non permettono, nel separare i cotiledoni di un seme, stabilii'e se ognuno di essi rimanga provvisto di parte o di tutto r embrione , pure ogni cotiledone si comporta come un seme normale. Riserbandomi di stabilire più in là se i germogli siano ascellari od avx entizi ed in qual modo si compia la rico.stituzione dell' embrione, confermo per ora le osservazioni del Kùster e del Portheim, per cui su cotiledoni isolati la formazione delle radici è più ab- bondante di quella dei germogli. La formazione di questi e di quelle è più facile se, i co- tiledoni rimangono in camere umide e possibilmente con la faccia ventrale aderente al vetro. Per semi germinanti senza tegumento, entro tubi da saggio, sorprende il fatto che il fittoncino, atrofizzandosi per tempo, manda verso la base radici laterali in numero di due od anche più, tanto da costituire come un fascio di radici o da arieggiare radici fascicolate. Che si formino c> no radici laterali, il moncone del fittoncino si conforma, alla base del .seme, a mo’ di cercine, e spesso si cinge di un manicotto di color rosso ruggine che, a prima vista, sembrerebbe tessuto sugheroso, macche poi, all’esame microscopico, si svela formato da una quantità grandissima di peli corti e pluricellulari a parete suberifi- ■cata, formatisi probabilmente allo scopo di moltiplicare la superficie assorbente del mon- cone del fittoncino. Pluricellularità e suberificazione, però, compiendosi tardi, quando cioè la funzione assorbente poco giova alla sorte del giovane organismo , farebbei o ritenere i peli piuttosto come reazioni determinate dal sospeso sviluppo del fittone che quali mezzi intesi ad elevarne la funzione assorbente. ■Semi senza invoglio, affondati parzialmente nel terreno, inverdiscono nella parte epi- gea ed anche nelle facce interne dei cotiledoni non ancora completameiite divaricati. Se per la parte epigea vi fu insolazione diretta e quindi arrossimento con formazione di an- tocianina, il rosso delle facce estei'iie contrasta col verde di quelle interne. Nei semi di frutti precoci il verde della cupola embrionale traspare non di rado attraverso i tegumenti .sottili e tesi, senza raggiungere la tonalità di quello di semi germinanti senza tegumento. COTILEDONI In conseguenza della germinazione s’ inizia il divaricamento dei cotiledoni, il quale, se procede più spedito senza 1’ inviluppo dei tegumenti, si compie però sol quando il fustici- no ha raggiunto una lunghezza notevole. Sorprende anzi che anche per semi liberati dai tegumenti, i cotiledoni divarichino tardi e diffìcilmente : che inoltre fusticino e piumetta, a causa delle esigue dimensioni loro, restino a lungo stretti fra i cotiledoni, senza presen- 4 Prof. G. Lo priore [Memoria XV.] tare uno sviluppo corrispondente a quello del fittone. Mentre questo raggiunge in breve una lunghezza 3-5 volte maggiore di quella del seme, il germoglio non svela all’ esterno alcun segno di vita. La divaricazione, iniziandosi alla base del seme, raramente progredisce fino all’apice, ove i cotiledoni sogliono rimanere aderenti anche a germinazione progredita. .Stante simile tendenza, per cui i cotiledoni si arcuano 1’ uno contro 1’ altro o 1’ uno a ridosso dell’ altro, il germoglio s’ incurva ed esce lateralmente dalla base dei cotiledoni, divenendo eretto. Tale comportamento, non comune ad altri semi , che sogliono divaricare i cotiledoni in modo regolare e progressivo dalla base all'apice, dimostra che l’ufficio dei cotiledoni è quello di organi di riserva, non di organi elaboranti, per cui , ad onta della ricchezza in clorofilla, non tendono ad esporre la superficie clorotìllata alla luce. Biologicamente esso sorprende per il fatto che le facce interne dei cotiledoni , essendo inverdite prima ancora di divaricare, dovrebbero affi'ettare questo processo, per esporre la superficie inverdita alla luce e metterla in grado di compiere il lavoro fotusintetico. Lo sforzo, che il germoglio compie nel far divaricare i cotiledoni per le basi, è ab- bastanza grande, se si pensa eh’ esso, pur cacciando 1’ apice lateralmente, si conforma fra i cotiledoni ad uncino e con 1’ ansa di questo li divarica anche dal lato opposto. La divaricazione è più grande e precoce nei semi marcatamente eterocotili , per cui il cotiledone più piccolo , specie se fogliaceo , cede facilmente allo sforzo del germoglio e si allontana dall’altro. In questi semi, se i cotiledoni arieggiano la disposizione equitante, divaricano molto più di quelli normali. Il cotiledone fogliaceo suole ordinariamente an- dare a male, poiché avvizzisce e si contrae, coprendosi anche di muffe, specie quando i semi sono stati già liberati dai tegumenti. Questo conferma il concetto che i cotiledoni, pur simulando la forma fogliare, non ne assumono che temporaneamente la funzione. In semi tricotili o più che tricotili il divaricamento dei cotiledoni si compie in modi diversi ed è relativo alla posizione dei cotiledoni rispetto all’ asse. Negli emitricotili divaricano i due grandi cotiledoni , ma non i lobi di quello imper- fettamente diviso, entro cui il germoglio suole annicchiarsi. L’ angolo di divaricazione cresce in certo modo col grado di polispermia ; è grande nei semi dei frutti trispermi, medio nei dispermi , piccolo nei monospermi. Un comporta- mento analogo mostrano i semi, se vengono riscaldati nella stufa a 100°. In semi conservatisi verdi e turgidi negli strati inferiori della massa , che riempie grandi matracci, la proporzione di quelli divaricati rispetto ai non divaricati è di 1:2. Le modalità l'elative alla divaricazione ci han trattenuto più a lungo per il fatto che questa tenderebbe a mettere i cotiledoni in condizioni favorevoli all’ assimilazione. Però nè la divaricazione, nè la germinazione ipogea giustificano la tendenza nei semi del Nespolo ad inverdire più o meno intensamente i cotiledoni. Durante la germinazione 1’ esaurimento dei cotiledoni è molto lento e quasi sempre incompleto. La grande massa di amido scomparisce per digestione ed impiccolimento graduale dei singoli granuli, che sol di rado presentano canalicoli periferici di erosione. Anche nelle deiezioni delle larve (Piodia interpunctella) , che vivono nei semi del Nespolo, verificasi un comportamento- simile. I granuli di amido, che quasi esclusivamente costituiscono siffatte deiezioni, si presentano infatti senza canalicoli d’erosione, ma a con- torni più arrotondati e a dimensioni più piccole. In semi eterocotili, con un cotiledone fogliaceo, questo avvizzisce od ammuffisce, sen- Note sulla germinasione dei semi del Nespolo del Giappone a za che 1’ altro compensi 1’ embrione della perdita, esaurendosi più rapidamente. Del resto, per piccolo che sia un cotiledone rispetto all’ altro, esso non si esaurisce in precedenza, ma cede la sua riserva amilacea in misura proporzionata all’altro. Non ostante, però, l'esi- guo spessore, la faccia interna di siffatti cotiledoni è meno inverdita di quella estei’na. Un fatto, che, per l’estrema rarità sua, merita di essere qui accennato, è la presenza di numerosi peli alla base dei cotiledoni dei semi in germinazione, localizzati specialmente nelle insenature e lungo gli spigoli. I peli sono uni- o pluricellulari, fusiformi o falcati, ad estremo semplice o nnunito di papille , tanto da ricordare per forma e colore le teleu- tospore della Pnccinia coronata. I peli giovani sono unicellulari, diventano col tempo pluricellulari e non si formano se non in semi germinati in aria umida. Essi avrebbero quindi l’ importanza biologica di aumentare la superfìcie assorbente dei cotiledoni. Ben diversi da questi sono i peli a riflessi argentei, che sogliono circondare l’estremo della radichetta di semi malandati e, per cause parassitarie, inverditi specialmente all’apice. Essi si rilevano bene, a causa del loro colore, sul fondo verde sottostante, che ornano di un’aureola particolare. All’esame microscopico si presentano lievemente arcuati, uncinati alla base, appuntiti agli estremi, con pai'ete spessa e contenuto molto scarso. Siffatti caratteri, mentre non permettono di ritenere questi peli come organi assorbenti, non rivelano chiaramente quale altra funzione essi abbiano. TEGUMENTI L’osservazione del Sachs, che la germinazione dei semi è resa difficile dai tegumenti, venne in queste ricerche costantemente confermata ; sorprese anzi il fatto che, in tubi da saggio chiusi con tappo, i semi liberati dai tegumenti germinavano in proporzione elevata^ mentre quelli con tegumento non germinavano affatto. Semi non liberati dai tegumenti germinano invero anche bene, però i loro germogli non raggiungono — almeno nel primo periodo di germinazione — lo stesso sviluppo di quelli provenienti da semi liberati dagl’invogli. Semi con tegumenti naturalmente squarciati nei frutti germinano alquanto più facil- mente di quelli normali. Spesso, però, la differenza è appena apprezzabile, tanto più che la cupola embrionale vien messa a nudo dallo squarcio dei tegumenti. Quando questi, a germinazione iniziata, si rompono per effetto del turgore della massa cotiledonare, lo squar- cio presentasi a mo’ di sutura, non mai con tagli ben limitati e con scoprimento di larghi tratti della massa cotiledonare, come d’ordinario succede per i semi naturalmente squai'ciati nei frutti. La rottura del tegumento s’inizia quasi sempre all’apice del seme, anche prima che i cotiledoni divarichino, e si compie in modo irregolare. Sebbene in corrispondenza dell’ilo e della cupola embrionale essa sia più facile e di effetto più sicuro per la germinazione, pure non si riscontra mai nei semi a tegumento squarciato nel frutto. Durante la germinazione la cupola tegumentale che, avvolge la base organica del seme, può disgregarsi con maggiore facilità che il resto del tegumento e favorire quindi lo svi- luppo deU’embrione, essendo più sottile e ad elementi più piccoli e più lassamente riu- niti fra loro. In semi eterocotiii, la parte di tegumento che ricopre il cotiledone più piccolo suol ri- manere addossato allo stesso, come questo divarica dall'altro. 6 Prof. G. Lopriore [Memoria XV.J La perforazione del tegumento in corrispondenza della radichetta si compie, sebbene di rado, prima ancora che questa si allunghi, ed è determinata dall' erosione chimica più che deir azione meccanica della radichetta. La prima sembra più facilmente ammissibile per il fatto che, ove I' estremo della radichetta si spinge in fuori, il tegumento conformasi .su di esso a mo' di cappuccio. I! rompersi improvviso, con crepitio o senza, dei tegumenti dei semi esposti ai' aria, riesce biologicamente dannoso, promuovendo la perdita dell'acqua della massa cotiledonare e compromettendo la vita delTembrione. Dal punto di vnsta anatomico la struttura del tegumento e particolarmente atta a fa- vorire, con l’asssorbimento dell'acqua, la germinazirme del seme. Il mirica- spessore della cupola tegumentale e la sua particolare struttura facilitano il maggiore a.ssorhimento della acqua per parte della sottostante callotta, che è appunto quella che mantiene e desta la vita deU’embrione. .Spessore e struttura di questa parte del tegumento, rilevate già, per spiegare l’ inver- dimento della cupola embrionale, hanno importanza biologica non piccola nel promuovere anche la germinazione. Così pure forma e .struttura dell’ilo contribuiscono non poco a favorire l’as.sorbimento deH’acqua, a causa della lacuna centrale e del parenchima spugnoso dell’ilo stesso. Dal punto di vista fisiologico i tegumenti non offrono grande protezione ai semi, an- zi, squarciandosi già nel frutto o anche dopo che questo fu liberato dai semi, essi met- tono a nudo la massa cotiledonare, compromettendo la vitalità latente dell' embrione. Allo stato integro essi non avrebbero quindi altra funzione biologica che quella d’im- pedire— a beneficio deU’embrione - la lapida traspirazione della massa cotiledonare. Come questa si contrae, distaccandosi dal tegumento, si copre di una lieve rugiada, formata dal- l’acqua di traspirazione. I tegumenti, pur distaccandosi dalla mas.sa cotiledonare, impedi- scono quindi la libera dispersione dell’ acqua nell’ ambiente. Se durante la germinazione i tegumenti restano intatti, essi non .sogliono corrugarsi se non ad esaurimento inoltrato della ma.ssa cotiledonare. A causa delia rugosità maggiore della faccia ventrale dei semi , specialmente nei frutti monospermi, il tegumento si stacca più facilmente da questa che dalla faccia dor- sale, che anche a causa della sua particolare convessità, contribuisce alla maggiore ten- sione del tegumento. L’offuscamento di coloi e, che i tegumenti subiscono durante la germinazione, è dovuto, secondo ogni pi’obabilità, all’assorbimento dell’acqua che sostituisce l’aria, ed a processi di ossidazione delle sostanze tanniche. Riguardo alle strie guttulate, disseminate sui tegumenti e più abbondanti in prossimità della cupola embrionale, non si potè scoprire alcuna particolare funzione biologica durante la germinazione. , DLIRAd’A DEL POTERE GERMINATIVO l semi del Nespolo nipponico perdono più o meno presto il potere germinativo. Dopo un anno la proporzione dei semi germinabili riducesi al .b-10 ®/(, ed è rappresentata dai soli semi rimasti verdi e turgidi. Note sulla germinasione dei semi del Nespolo del Giappone 7 Se liberati dai tegumenti, i semi inverdiscono su tutta la superficie e, intrattenendo il processo fotosintetico, si conservano a lungo. Ma non appena la clorofilla comincia a de- gradare, essi si disfanno rapidamente, ancora più rapidamente di quelli protetti dai tegumenti, riducendosi ad un tenue terriccio di color nero. In grandi masse gli strati superiori possono limitatamente contribuire alla conserva- zione degl’inferiori. Cosi in cristallizzatori scopeili, alti 10 cm., i semi della metà inferiore del vaso germinano e si mantengono verdi, mentre quelli degli strati superiori non germi- nano ed imbruniscono. Dal basso in alto sarebbevi dunque regressione continua del verde, del turgore e dello stato generale di conservazione dei semi. Col tempo, però,— dopo un anno o poco più- anche gli strati inferiori si disfanno al modo stesso dei superiori. I semi non germinati, rimasti verdi e turgidi sotto la massa decomposta, possono, non di rado ed in numero esiguo, germinare, dopo essere stati liberati da questa. Siffatto com- portamento ricorderebbe quello accennato dal Pei'ek, senza però averne la stessa impor- tanza , e' per cui alcuni semi rimarrebbero nel terriccio dei boschi magari per secoli allo stato di riposi;. .Semi a cotiledoni già imbruniti, rimessi in terreno umido od in acqua, non sono più capaci di germinare, ma si coprono facilmente di muffe e mandano l’odore caratteristico di essenza di mandorle amare. Nei singoli semi la degradazione della clorofilla suole iniziarsi all’apice del seme stes- so e procedere verso la base, per compiersi in ultimo nell’embrione. Con la scomparsa della clorofilla procede l’ imbrunimento della massa cotiledonare, dovuta all’ ossidazione dei prodotti tannici e svelabile alla bella colorazione rossa aranciata che questi danno col bicromato potassico. II disfacimento od umificazione dei semi compiesi, per effetto di agenti chimici, ve- getali ed animali con maggior facilità quando i semi nudi sono in mucchi esposti all’aria. Fra gli animali sono comuni un microlepidottero. Piodia interpunctella, ed un acaro, il Tiroglyphus domesticus. La prima, frequentissima anche in semi apparentemente sani, deporrebbe le sue uova molto per tempo negli ovari ancor giovani, dando luogo allo sviluppo di larve piccole e bianche, che si nutrono a spese della’ massa amilacea del seme e producono abbondanti deiezioni, costituite quasi esclusivamente di amido indecomposto. Il Tiroglyphus domesticus forma colonie estese, rilevantisi bene, a causa del colore bianchiccio, sui fondo oscuro della massa umificata. Quale azione essi compiano nel deter- minare il disfacimento,- non potei seguire con la necessaria accuratezza. Fra gli agenti vegetali — prescindendo dai bacteri — le muffe esercitano un'azione pre- ponderante. 11 Penicilliuvu glaucum ed il Mucor Mucedo invadono per i primi la massa e preparano il campo agli altri agenti di disfacimento. L’azione di questi agenti è così ra- pida che dei semi rimane il solo inviluppo cuticolare dei cotiledoni, il quale non tarda a disfarsi ben presto. 1 semi, abbiano o no i tegumenti, si comportano in modo diverso anche in condizioni affatto identiche. Gruppi di cento semi a diversi gradi di polispermia, conservati in ba- rattoli di vetro di forma e chiusura perfettamente identiche, svelano un comportamento particolare in ogni singolo caso : mentre alcuni rimangono verdi senza ammuffire, altri in- vece ammuffiscono ed imbruniscono, mandando foi'te odore di essenza di mandorle amare. L’ esame di uno di questi gruppi di 100 semi, conservati in barattoli chiusi per 8 mesi. 8 Prof. G. Lopriore [Memoria X\'.] svelava un forte odore di essenza di mandorla amara. Liberati dai tegumenti, i semi pre- sentavano annerita la massa cotiledonare e la punta della radichetta , mentre i tegumenti erano molli e, nella faccia interna, alquanto . rugiadosi. Dopo S mesi il peso si eia ridotto di gr. 2,90. Divisi in due gruppi di 50 semi, del peso ognuno di 60 gramuìi, furono pesati successivamente per seguire le perdite in acqua tanto dell’una metà, liberata dai tegumenti, quanto dell’altra. La prima, del peso comples- sivo di 60 gr. presentava 57 gr. di cotiledoni e di embrioni con 3 gr. di tegumenti. La diminuzione successiva di peso ch’essa subi — senza qui riferire i singoli dati — fu dapprima superiore che nell’altra, ma poi fini con l’equipararsi ad essa. In atmosfera confinata i tegumenti sono attaccati con estrema facilità dalle muffe ; i cotiledoni nudi resistono invece moltissimo. Anche le radici sviluppatisi in aria umida sono meno resistenti dei germogli. La conservazione migliore dei semi nudi rispetto a quelli coperti ancora dagl’invogli è probabilmente dovuta all’attività vitale -che manca ai tegumenti — più che a quella foto- sintetica della clorofilla, che può continuare a funzionare. Lo stesso però avviene, sebbene in misura più limitata, anche per semi tenuti al buio. GERMINAZIONE IN .SOSTRATI ARTIFICIALI ED IN LUCI MONOCROMATICHE. Il fatto che i semi di questo Nespolo sono a germinazione ipogea fa preferire alla semina nel terreno la coltura in soluzioni nutrienti od in aria umida. Cosi è possibile di seguire non solo le diverse fasi della germinazione, ma d’isolare, in determinati casi, quei semi presentanti qualche importante particolarità morfologica e coltivarli a parte. A differenza di altri semi, questi del Nespolo, liberati dai tegumenti, germinano con grande facilità, in barattoli chiusi, a spese dell’acqua propria e di traspirazione. Non germi- nano con la stessa facilità nei loro tegumenti, perchè questi esercitano un’azione ritardatrice d’ indole, meccanica, pur ritenendo l’acqua emessa dai cotiledoni a beneficio dell’ embrione. Tubi da saggio e barattoli di vetro , chiusi rispettivamente con tappi di gomma, di sughero o di cotone idrofilo, presentano un numero decrescente di semi germina.fi rispetto a quelli imbruniti e secchi di tubi e barattoli lasciati aperti, per servire da controllo. AI buio la germinazione si compie cosi bene come alla luce. I germogli si presentano, come è natui'ale, fortemente eziolati, con internodi lunghi e pelosi e con foglie a dimensioni lidotte. .Soltanto qualcuna fra le piumette più giovani presenta, a somiglianza di quanto succede in condizioni naturali, una leggera tinta rosea, dovuta alla formazione di anto- cianina. 11 risultato più importante delle prove di germinazione al buio è che le prime foglio- line, già verdi nell’ embi'ione, si conservano verdi anche più tardi, assumendo dimensioni quasi norniali, mentre le fogiioline apicali o sono eziolate o presentano una lievissima sfu- matura verde. Questo risultato indusse a provare, se i semi rimasti bianchi in frutti maturati all’albero entro sacchetti neri, quindi sottratti alla luce, fossero capaci di dar pure foglioline verdi. La grande costanza svelata invece da questi semi a dare germogli eziolati dimostra che la capacità dei semi normali a dare nel buio germogli verdi non è se non un effetto continuativo della capacità, già contratta dai semi stessi, d’ inverdire Tembrione nel frutto, in ambiente cioè parzialmente oscuro. Note sulla gerniiiiasione dei semi del Nespolo del Giappone 9 Preme inoltre rilevare che il verde dei semi germinanti al buio, con o senza la pro- tezione deH’invog'lio seminale, viene col tempo a peixiere d’ intensità. Tale perdita o scom- parsa della clorofilla essendo, com’è naturale, più intensa per i semi liberati dai tegumenti, indusse a stabilire prove comparative con alcuni dei semi più verdi , facendoli germinare al buio, parte entro tubi di vetro chiusi, parte entro tubi di vetro aperti, quindi in condizioni affatto identiche ma alquanto meno favorevoli per la germinazione rispetto ai primi. Per quanto le differenze siano in questi casi apprezzabili soltanto ad occhio, pure si notò nei semi germinati e non germinati uno scoloiamento più o meno intenso , che non era certo effetto del solo avvizzimento prodotto dalla ti'aspirazione. Luce gialla. — Per gli esperimenti di gei minazione con luce gialla furono impiegate tanto campane di Sé.nebier quanto cilindri di vetro con soluzioni di bicromato potassico. Entro questi si immergevano tubi da saggio contenenti semi senza tegumenti ; mentre sotto le campane si mettevano o tubi prepai'ati come i precedenti o vasi pieni di sabbia, entro cui s' immergevano in tutto od in parte i semi con tegumento o senza, per 1’ apice o per la base allo scopo di studiare, con la germinazione, anche le condizioni dell’ inverdimento. La germinazione compivasi bene tanto nella sabbia quanto nei tubi chiusi con tappo di sughero. Nella prima il comportamento non era diverso da quello già descritto per cam- pane ordinarie. Nei tubi, invece, germinavano meglio i semi inferiori, più vicini al fondo, dove cioè raccogliesi l’acqua di traspirazione, che non i superiori, sperdenti verso l’alto r acqua stessa. Una differenza irotevolissima svelavasi qui pure a favore dei semi geiminanti senza tegumento. In tubi da saggio, chiusi con tappo di sughero, essi pi’esentavano in fondo al tubo un vero intreccio cupoliforme di radici, partenti dai . semi più bassi, mentre verso l'alto le radici erano meno sviluppate, i germogli invece più regolari e lunghi. Gli effetti della luce gialla non sono quindi molto diversi da quelli verificatisi nel buio. I germogli si presentano fortemente eziolati. Alcuni però dei più progrediti fra quelli cre- sciuti nel tei'reno sotto campane di Sénebier mostrano all’apice una lieve tendenza elio- tropica. Nei semi copeiti ancora dei tegumenti rinverdimento non progrediva afl'atto. .Soltanto ’la regione dapprima bianca del corpo crjtileclonare acquistava una tinta paglierina, mentre il verde della cupola embri(rnale perdeva alquanto della sua intensità. Nei semi nudi 1’ inverdimento era alquanto più forte ; massimo nella cupola embiionale e di qui, in lieve misura, decrescente fino all’apice opposto, immerso nella sabbia. Da rilevai'e è il fatto che, in tubi irnmersi nella soluzione di bicromato, le muffe si sviluppavano sui semi nudi nel solo tratto di un tubo emei’so per caso dal liquido. .Sarebbe quindi confermato il fatto che il loro sviluppo è in relazione con la qualità della luce. Luce asBurra. — Gli esperimenti con questa luce furono condotti in modo identico a quanto è stato desci'itto per quella gialla, impiegando campane di Sénebier e cilindri di vetro con liquido cupro-ammoniacale. In questi s’ immergevano tubi da saggio con semi liberati dai tegumenti; mentre sotto le campane si mettevano vasi comuni da fiori con semi in tutto od in parte affondati nel terreno con l’apice o con la base, allo scopo di studiare anche qui, con la germinazione, le condizioni dell’ inverdimento. Alla luce azzurra la germinazione si compie men bene che alla luce gialla. 1 risultati si somigliano però in questo che dei semi, messi in tubi chiusi, gl’ inferiori germinano me- glio dei superiori. 11 fittoncino, arrestato spesso nel suo sviluppo, lasciasi sostituire da ra- Atti Acc., Serie "V, Vol. II. Mem. XV. 2 10 Prof. G. Lopriore [Memoria XV. ì dici laterali, partenti o tutte dalla base del tìttoncino, a mo’ di radici fascicolate, o a di- stanza diversa da essa , quando l’apice del fittone, resistendo alle muffe o al difetto di umidità, non sospende per tempo l’accrescimento. L’uscita delle radici laterali di sostitu- zione avverrebbe in tal caso col favore della riserva d’ acqua dei cotiledoni. A giudicare poi dalla debole tendenza eliotropica dei germogli sviluppatisi alla luce azzurra, si direbbe che questa abbia meno influito di quella gialla. L’inverdimento era, tanto nella cupola embrionale quanto lungo le cornmissure , poco delimitato. Così semi a tegumenti già squarciati nel frutto, esposti in tubi da saggio alla luce diffusa entro cilindri pieni di liquido cupro-ammoniacale, inverdivano leggermente sol- tanto in corrispondenza della zona denudata dallo squarcio. Liberati dai tegumenti e ri- messi nelle stesse condizioni di prima, inverdivano uniformemente, sebbene molto lieve- mente, su tutta la superficie. L’inverdimento avverrebbe dunque, sebbene in misura diversa, attraverso le due solu- zioni colorate. Ch’ esso sia in relazione con la maturità dei semi , può dimostrarlo il fatto che frutti immaturi , seccati all’ albero non presentano mai la cupola embrionale inverdita. Questa non presenterebbesi di norma mai verde in semi, i cui tegumenti non abbiano preso ancora il color marrone. ACQUA La particolarità dei semi del Nespolo nipponico di poter germinare, appena liberati dal frutto, a spese della propria riserva d’acqua, verrà qui brevemente esaminata alla stregua del contenuto acquoso dei semi stessi. Come appare dal prospetto seguente, la provvista d’ acqua varia nei semi freschi dal 50 al 55 o/o e — se il caso non v’ impera — crescerebbe col grado di polispermia dei frutti. Nei semi di un anno essa riducesi al 14 ”/o. In misura pressoché uguale crescerebbero le ceneri dal 3, 20 al 3, 30 V«, elevandosi al 3, 46 o/o nei semi di un anno, ed essendo rispettivamente del 2, 99 °/o nei tegumenti , del 7, 43 o/o negli embrioni (Cfr. prospetto di pag. 11). Le riserva d’ acqua non supera dunque quella di molti altri semi , nè scende al di sotto di quella ordinaria del 10-14 o/o, data dal Giglioli (1. c. p. 70) per semi secchi. Nei semi freschi, se tale riserva non viene liberamente dispersa, permette la immediata ger- minazione in atmosfera confinata. Così in vasi e tubi di vetro aperti la germinazione non avviene ; si compie invece facilmente, se questi son chiusi ; ed invero con tanto maggiore facilità quanto più perfetta è la chiusura e quanto più i semi— liberati dai tegumenti — son vicini al fondo dei vasi, in cui raccogliesi l’acqua di traspirazione. Nè in tale atmosfera confinata si altera stabilmente il ricambio gassoso dei semi, che, per essere clorofillati, decompongono alla luce 1’ anidride carbonica prodotta dall’ ossidazione, evitandone 1’ accu- mulo eccessivo e fors’ anche esiziale. Note stilla germinasione dei semi del Nespolo del Giappone 11 Rapporti percentuali fra sostanza organica, acqua e ceneri in lOO semi freschi di frutti monospermi peso iniziale gr. 207, 12 sostanza organica „ 101, 50 — 48, 75 % . con .4, 20 °/o di ceneri acqua „ 105, 62 = 51, 25 °/o 100 semi freschi di frutti dispermi peso iniziale gr. 182, v56 sostanza organica „ 88, 50 = 48, 40 "/o , con 3, 22 % di ceneri acqua „ 94, 06 = 51, 60 °/o 100 semi freschi di frutti trispermi peso iniziale gr. 170, 90 sostanza organica „ 76, 50 — 44, 80 o/o , con 3, 30 di ceneri acqua „ 94, 40 = 55, 20 100 semi freschi di orig/ue mista peso iniziale gr. 185, 50 sostanza organica „ 92, 50 = 49, 87 °/o , con 3, 25 7o ceneri acqua „ 93, 00 ~ 50, 13 % 100 semi di mi anno di origine mista peso iniziale gr. 76, 1 1 sostanza organica „ 65, 20 = 85, iìO 7o ; ‘“'oo 3, 46 of di ceneri acqua „ 10, 91 =; 14, 40 % in tegumenti di origine mista si contengono 2, 99 "'/o di ceneri in embrioni „ „ „ „ „ 7, 43 o/^ di ceneri Notevole al riguardo è la differenza di comportamento fra semi con tegumento e quelli che ne sono sprovvisti. Questi germinano presto e bene, gli altri non si destano che tardi, imbruniscono più rapidamente e perdono anche più presto il potere germinativo. Semi senza tegumento, sottoposti in \asi di vetro (strozzati verso la base a mo’ di vaschetta) ad alternative di secchezza e di umidità — portando o togliendo acqua dalla va- schetta, munita di tubo laterale — si tennero in vita con germogli e radici tino a due anni, mentre d’ordinario in vasi aperti disseccano ed imbruniscono dopo 2 — 4 mesi. 11 forte idrotropismo delle radici svelasi nel fatto che queste , attraverso il diaframma di cotone, separante la vaschetta d’acqua dal vaso superioi'e pieno di semi, scendono a bagnarsi nel lieve .strato d acqua. La notevole riserva d' acqua dei semi si perde, per difetto di opportune disposizioni atte a ritenerla, in modo rapido e continuo. Così la perdita immediata di peso che , in conseguenza della improvvisa liberazione dei tegumenti, i semi subiscono per la rapida traspirazione della massa cotiledonare è di 1 centigi‘amma circa per seme. 4'ale perdita decresce a misura che i .semi invecchiano, per cui, mentre il rapporto in peso fra tegu- menti e cotiledoni è di 1:23 — 1:27 nei semi freschi, si riduce ad 1:10 nei semi vec- chi di 1 a 2 anni di età. .S’ intende che la peidita in peso è relativa allo stato di conser- vazione dei semi. Se questi vengono pi'otetti dalla forte traspiiazione, si conservano turgidi^ entro vasi di vetro ben chiusi, un anno e più. Perdita giorìialiera sìdnta dal P giugno al 30 luglio da 12 Prof. G. Lo priore [Memoria XV]. Q o o O o O o o o o o o O o o O o O o o o c o o o o o o o o o o OS OS O 0^00 OO CO o. r-x ISxOO r^co r^co t-xSO vo so sO »yr lyx ro ryr O d d o" d CD d cTo" d d d d d d o" d d c òs d d d d d 6 o o o o o o c o o O o o o o c o o o o o o o o o o o o o o o — o - n rrx '^'O OO o y^\0 CDs ’^sO OS •^00 OO n so o .>r o o so o dcd I>.sO K/^ > r» . or r-xOO OS O OO . o od no d OS xA rA d oc" '■D rr ri c dod r-x sd xy^ rrv ri A so sO nO sO xy" xy^ -Tf Tj- Tt rrs rr\ rrv cr\ rr fT\ rrs n «CO r^oo OO OS O n rrsSO o (N Tj-sO t>. OS o n rr\ TSC Os d so o c o osco r^so rr\ n o COSOO r^vO A xy^ rs n A O o (js OS 00 OO rrs rrs n n n n -■ ►- •-« — c o o o Ti O o O O c o O O o o o o O o o o O o o o o o G c o o b= OO xy^\0 n — o n n n O ri OS <0' OS OS ““ "" — 1-. •" - “ d o’ d o" o o o o o o o O O o o o o O o c o o c o o o o o o o o rTN lyr o O' ./-N ““ osco co sO Tj* n o OS 00 oc ISxnO ’T d rr sO r. ''S rr OS.OO sO d'co’’ r^\o rr\ ri d cò'oo r-xsd sd' sjd l A rrs fV-\ rrv rTN rA d (^ d d •-1 o O o o O o O o o OS OS OS OS Os Os OS (O' OS OS (OS Os OS OS OS (Os (0' (OS o (Ds o o o o O O C o o o o o O o o O o O o o O it;' c OSCO < 00 r^so so “ o o O cs OS (JS OS 0^00 I>x rr. n ri n n n n n ri rT rT ri n o O o o r> O o o O O o o O O o C o O c c O 00 o o - o o o o ri rrs .y^ o xy-. co xA (Si OS osso n o” ( ocTsd’ d d o(d'sd' .nO OS O CO cs n OO o n o rr\ osso O rrs rr x::j- d -:tsO ty^ t/-v xyrvO L/~\ lyr x^ vrs 'b- d o" d d d d o" o" d o" d 6 d d' o" d d d d c" d d d G o" d d o" d o" o o 0/-NOO ri n ri co O sO lyr !>. n o co rr O sO L/^ o O so n o - xr^ O -too n sO O sO - !>. n ISx d [•-X rr OS Tj- o fy^ ri n” s d d Cs OSCO 00 l4o so' A crs rys rT rT A -T o" C d ósoo' O o O o O o o c OS OS OS OS OS OS (OS O' OS cDs OS OS OS (OS (OS OS OS OS (Osco OO OO S O ea O bo OOOOOOOOOOOOO^-b-O-^^O'vOOCNf^r^OOOOcoO rr\ .-tn Q (^OO OO I>. CO t>»CO ^sO ’tI" tJ- xO [>. ^ ^ ^ J' ^ odoóóóóóóoóóoó d d o d d d d (d d d d OOOOOOOOOOOOOO-^OOCTst^r^ I>xOO K/-'CO co co co co o o (SCO v.^(N ri rr>u/-^t^O <^lS»Q OO O 'O O 0^ rrsr^“- v/^O .cTNT:l-> CO ON O “ ri rr. »y-N\0 t^OO ON O ^hHi--ih-^hHh-,ricincscinncinrifr' Note sulla germiuasioue dei semi del Nespolo del Giappone 13 Iniziandosi l’ imbruniinento, diminuisce rapidamente il tui'gore e la massa cotiledonare si contrae, riducendosi sino a metà del volume primitivo, mentre i tegumenti sogliono rimaner tesi anche per tempo maggioi'e, celando la massa sottostante, contratta ed imbrunita. Come è ben naturale, la perdita in peso è anche subordinata alla temperatura, quindi al tempo in cui si esperimenta. La tabella di pag. 12 mostra che il peso decresce progres- sivamente e che dal 16-29 °/o nel l" mese, scende al 14-16°/o >iel 2° mese di speri- mentazione. Cosi 100 semi di frutti monospermi, liberati dai tegumenti e pesati, giorno per giorno, dall’ 8 settembre all’ 8 ottobi'e , subivano una perdita di 50 gr., corrispondente alla percentuale del 30, 3 mentre nel mese successivo perdevano 10 gr. ed in altri quattro mesi, Hno al 26 febbraio, 5 grammi appena, cioè in media 3 gr. mensili. La stessa tabella mostra che i semi con tegumento squarciato (cfr. colonna 4) per- dono in due mesi tant’ acqua quanto quelli (cfr. colonna 2) liberati del tutto dai tegumenti (risp. 40,70 e 41,70 o/o). (Questi ultimi presentano, però, come è del resto ben naturale, una grande differenza nella perdita mensile dal primo al secondo mese. In tutti i gruppi di semi la perdita è grande nei primi giorni, appena dopo la libera- zione loro dai tegumenti, ma decresce successivamente con grande uniformità. .Se questa non si verifica e qualche lieve sbalzo succede, in conseguenza di sbalzi diurni di tempe- ratura, la vicenda si ripercuote regolarmente in tutti i singoli gruppi di semi. La perdita è relativa al grado di suddivisione e di aggregazione della massa seminale ; semi piccoli traspirano più dei grandi ; semi isolati traspirano più di quelli aggruppati. Per stabilire appunto in che modo la suddivisione della massa seminale , la grandezza cioè dei semi, ed il loro stato, se cioè isolati od aggruppati, stiano in relazione con la perdita in peso, furono scelti 5 semi isolati e 5 aggruppati — conservanti cioè la stessa ag- gregazione che nel frutto — di peso pressocchè uguale, risp. gr. 7,98 e gr. 8,00 e prove- nienti da due frutti distinti. Pesati giornalmente per due mesi consecutivi, giugno e luglio, essi svelarono una perdita di peso abbastanza uniforme, corrispondente in ultimo a quella del 34 e del 36 °/o- Ad onta della persistenza dei semi del secondo gruppo a tenersi in un nucleo unico , cjopo la liberazione loro dal mesocarpo , essi avevano subito , rispetto agli altri, una perdita maggiore del 2 7o, dovuta allo sviluppo precoce delle larve della P/orf/r/ interpunctella (cfr. P e 2^ colonna del prospetto di pag. 14). In modo ben diverso, ma più rispondente all’attesa, si comportarono due altri frutti, uno con 10 semi piccoli ed isolati, l’altro con 4 grandi aggruppati e di peso alquanto inferiori ai semi dei due frutti precedenti. Sebbene la perdita giornaliera, in luglio tosse stata quasi uguale nei due giaippi, quella complessiva fu in uno del 44, nell’altro del 17 7o» mostrando chiaramente come la frammentazione maggiore della massa seminale importi una perdita anche maggiore di peso (cfr. 3'’' e 4^ colonna del prospetto di pag. 14). In questi due gruppi sorprende la grande regolarità, con cui si compie la perdita di peso nei due mesi di giugno e luglio. Questa è in media nel secondo gruppo di gr. 0,02 , con un massimo, frequente nei primi giorni ma raro più tardi, di 0,03 ed un minimo, rarissimo, di 0,01. Nel grimo gruppo la perdita segna il massimo di 0,09 nel giugno, mostrandosi così quasi tripla rispetto a quella dell’ altro gruppo, ma declina per mettersi alla pari con esso. Per i teguménti basti qui accennare che non si hanno perdite, nè oscillazioni grandi di peso. Così 50 gr. di essi che per due mesi vennero giornalmente pesati in un bic- chiere aperto (16X7 cm.), raggiunsero il peso minimo di 49,30 e mostrarono oscillazioni variabili da 0,10 a 0,20 centigr. al giorno. J*ef(ìifa (j ionia Nrra subita dal J° (tiiufuo ai dO ìuf/lio da 14 [Memoria XV.] Prof. G. Lopriore OCOOOOCOCOOOOOCOOOOOOOCCCOOOCO o' o* o"* o" c o"' o o o o o o o o o ó o o o o d' c c d d ó d d d d l->.. L/-\ rr\ NH cn » C^O vO O vO \0 ^ ' Zm \0 '«O O VO 'O vO vO.vO vO O vO 'O VO vO O • Z àtì ci \C '>0 >0 vO vO vO sO vO vO 'O vO vO d'cTooooooocooooooocooooocoooco — 00 OVVO <-'~'000'0- — O' ■rj- r<^ rrs rr\ CSCMC*^CS"~’^*“*^0000C Ov G'OO OC CO OC CO l'Ci-^r^r^t^rCrCr^irC.rCt^r^i-Cr^r^tCrC.rC. rCsc" so" vd o" ^ vo so vo ^o ve' nO 'v~N«vNCv|l'-T— CO ».^/^ «<^ »/^ «/-s vr^ v/-^ ly-» i-<-n ^ ly-v ly». «./-n C O G G ri I'-. l-^sO ^«00-0000 o" o" d d d d d d c -rf- -rt ijr\ ~i- 'rf OOOOOOOOOO d d d d d d 6 d d d oooocooooo d d d d d d d d d d O O O •- n o »^vO O v/vw tv.rr'OvvyvQvO HH-.OCOG GOO 00 tv tv-O vO sO ur* rt CO*' Cvtvr^tCtvtvtvlrCtvtvrCtvlvtv rCvo^'vo 'd' vO*' 'd d vO vo^ vO VO vO vO vO ve >.rs *?J*vO -^VO rr\ py^ ^sO tv Tj* rr* Tf «w pr\ ^ -« OO O G GOO OC tvVO vO i-^vrs»/-\T;:^r:f'r:J-rrsrr>rrsr>l n VO VO VO VO VO VQ sO VO ■G VO ’G »/V X/-» X/^ xy^ xy^ xy^ xr» »y-» |>~V x/^ \y^ ,y-K ^y*^ ^ rr' OC ^ tVVO x'^ xyv xy^ x.^vO xy^ xy-> xy~,vO xyN xyv ty«» xy^ xy^ "^vO "^VO x-r\ ^-OOOOOOOOOOOOOCOOOOOOOOOOOOOOO o d' e' o’' d o" cT cT cT d* cf o" o" o" cT o" d* d d' o o" ^rp^Gxy^G'^ G Geo CO 4v tvG Gx^xy-\T:f'^<^rr\rin •-■ x-tQ OG IvOO 00 tv tvvO G vrs xyv tv tv cv rv tv tv tv tv tv tv tv tv i-C tv cC tv i-C tvG*' vcT G vd vd G*' vd vd vd G*^ n rrv -;}• tysvO tvCO G O n fTs Tj- xyvsO tveO G O nncsnnnnncrs n prs xy>vO tvOO G O perdita mensile i8,o4«/u perdita mens. i8,9s'’/„ perdita mmile 19,62'V,, perdita mens. 19, 87%'perdita mensile 3 v 83‘V,, perdita mens. 14- 46'''o!pBrdita mensile 9, io"/,, perdita mens. 8, 71“/, perdita totale 34 perdita totale 36 « „ I perdita totale 44 " , 1 perdita totale 17 "/„ Note sulla germinasioue dei semi del Nespolo del Giappone L5 Per stabilire se la perdita in pesu dei semi stia in relazione con la vitalità dell'em- brione, furono scelti 4 gruppi di 10 semi, corrispondentisi per peso due a due. 1 primi due gruppi vennero liberati dai tegumenti, gli altri due rimasero intatti. A metà dei semi di ognuno di questi due gruppi venne punto 1’ embrione mediante una spilla. .Si avevano così quattro gruppi, corrispondentisi fra loro due a due, oltre che per il peso, per 1’ inte- grità o no deir embrione e dei tegumenti (cfr. il prospetto di pag. 16, in cui la vicenda è chiaramente espressa). 11 comportamento dei singoli gruppi fu alquanto irregolare, essendosi verificate spe- cialmente nel luglio oscillazioni grandi di peso, dovute certamente al progredito sviluppo delle larve della Piodia interpiinctella, le cui deiezioni non vennero rimosse ma pesate con i semi. Devesi a questo rifeinre il fatto inconsueto che la perdita subita dai semi normali sia stata nel luglio di gran lunga maggiore che nel giugno. Sorprende ancora più che la per- dita totale del 43 ®/o subita da questi semi sia di gran lunga superiore rispetto a quella del 31 "/o subita dai semi con embrione punto. A causa della grande esiguità dell’ em- brione , la sua soppressione non influisce per nulla sulla perdita in peso dell’ Intera massa seminale. Nel complesso i dati riassunti nella tabella di pag. 16 mostrano, in confronto di quelli della tabella precedente di pag. 14 , una grande irregolarità nel comportamento dei semi. Siffatta irregolarità è da attribuirsi alla presenza delle larve della Piodia inter punctella, che, sviluppandosi di più nel luglio , alterano le perdite di peso in modo da renderle su- periori a quelle di giugno. Difatti le larve svelarono fin dai primi di luglio la loro presenza mediante abbondanti deiezioni e , alla fine del mese , comparvero in numero di una o di due in quasi tutti i semi tenuti in osservazione. Tale comportamento indusse a seguire le vicende, cui vanno incontro i semi abitati da queste larve ed, in modo comparativo, quelle di semi affetti da altri parassiti animali. Su tali indagini ci riserbiamo di riferire più tardi. * ¥r * Oltre che la perdita , s’ intese a studiare le condizioni dell’ assorbimento dell’ acqua. Siffatto studio, che, dal punto di vista biologico, sarebbe certo molto importante , incontra in pratica non poche difficoltà. Per semi interi basta ogni piccola lesione dei tegumenti , perchè l’acqua vi penetri e si accumuli fra questi ed i cotiledoni, senza lasciarsi eliminare , nè ponderalmente con facilità determinare. D’ altra parte questi semi, per quanto accuratamente lavati ed asciu- gati prima, rimangono sempre con i tegumenti impregnati di sostanze zuccherine, le quali permettono in contatto dell’ acqua 1’ incomodo sviluppo di un’ abbondante vegetazione di muffe. Per semi liberati dai tegumenti la determinazione quantitativa dell’ acqua assor- bita incontra pure difficoltà perchè, se i semi son freschi, avviene che essi, nel venir tolti dall’ acqua e liberati da quella rimasta aderente, subiscono per traspirazione una notevole perdita di peso, che intralcia la determinazione dell’ aumento effettivo subito dalia massa cotiledonare. Pcnlif<( (/iornaliera .siihl/a (ini P f/iuf/no dì ìU) hifflio da 10 .semi di frutti di.sjH’ 16 Prof. G. Lopriore [Memokia X\’.J GNOO o' o" o o o c o o o c o o o c ceco >CCCI>*CCCCCC ^ -co co - o'* C c" o'' o" c" d rj X: \0 CO CO co co oc ■ ^ ^ • r 5 o o o c o -i- ' o'' o" o" o" c" cs — — (N n CS o" o o" cT c" c c c" d d d c" c" c** c'' d “T “T r^co “ = ' CN d d — cl H w 0 0 co ‘O M fV> fv. L'^ C-s. cccoócóócóooococcocooooccooocoo . ^ ^ ^ ^c • ci 0 osco «e re rH 0 OSOC 0 le Ci e co r^so re re - ^ ys y ,s ,v C3 "C — j- "rr d re re re re re f/-\ re re Ci Ci CI d CI fs Ci •—1 ^ >— < >-H ►- 1— >— ( 1—1 1—1 >-• 1—1 t-H »—. ^ 1— 1 ci 0 5 e« - e e :r~' co ri ry-N rv-N 0 rCv Ci Ci -f* o CO CO CO »e sO sC ' sO 0. CI .e so SO le .e Ci re re a; « ' • ■ CI Ci ri Ci Ci Ci CI Ci ri CI Ci >— < y' ^ 0 0 0 0 0 0 0 0 e 0 0 e G d e 6 ò 0 o 0 0 e 0 e e 0 e e e e & *sl 0 e L--- -t CI e OS le »e IS^ 0^ - \o 0 CO — 77- *^CC Ci !>. Ci e r-- co d OS l>. Ci 0 CO 0 Tj- 0^ »y> re CI 0 OS le Ci OCO sO le Ci - 0 0" d d d d d ded ed' od' co" r-- r '■» i>- d d sO sO sO sd sd sd* »e >e ve .e ve v>^ .e ra —1 ►-< " ' ■“ - — ■— 1 “ "" *“ oa ca. — 0 Ci 0 0 n 0 0 _ - 0 i>- e 0 .e OS do Os:o SO 0 OssO sO sO ,e e - — ^ l-H 0 - 0 0 0 0 e « - 0 0 0 0 0 e" e d e" o" 0" e" 0" c“ d e 0" 0" 0" d 6 ò d e" 0" e" d 0" 0" 0' o’ 0" d 0" d 0" Ci 3 ri bl 9 '4* ■ s Q . (S n c4 ..CsOs*4'l'^— ty-NOso •-■ i/*v Gs ' r/s Q 1/-S (S tS ci G rr\ — OS tT^SO i— i Q CO v/~\ rr\ ci 1 S5 • ^ ^ r^co os o Note sulla germhiasione dei sewi del Nespolo del Giappone 17 Più facile è la determinazione dell' acqua assorbita dai semi secchi , sebbene anche qui la ripresa del liquido proceda in modo lento. Così 100 semi di frutti teti’aspermi conservati in barattolo chiuso pesavano il 24 VI. 08 gr. 11.-) „ 24 I. 00 „ 111 „ 26 1. 00 dopo 24 ore d’ immersione in acqua .... ,, 113 „ 27 1. 00 dopo 24 ore di permanenza in calta bibula. . . „ 112 30 I. 00 dopo 48 ore d’ immersione in acqua e 24 di permanenza in carta bibula . . . . . . . . „ IP^ ,, 2 li. OP dopo 48 ore d' immersione in acqua e 24 di permanenza in calta bibula . . . . '. . . . „ IIS ., 7 11. 00 dopo 72 ore d’ immersione in acqua e 48 di permanenza in carta bibula . . . . . . . . „ 117 Nelle determinazioni successive il peso oscillò fra i 118 ed i 120 gr.; ma per inter- \ento poi delle muffe si abbandonò ogni ulteriore determinazione. Ripresa dunque l’acqua iniziale dopo sei giorni d' immersione, 1' assorbimento successivo non fu proporzionato al peso ed al volume dei semi. 17 incapacità dei cotiledoni a divaricare e, la mancanza di cavità interne fanno rigon- fiare ben poco questi semi. Sorprende nondimeno che semi vecchi di un anno , privi di tegumenti, sviluppino T odore caratteristico di essenza di mandorle amare anche dopo 10-15 ore d' immersione in acqua. .Siffatto sviluppo è tanto più rapido ed intenso quanto più elevata la temperatura dell' acqua. Così due gruppi di 100 semi, del peso ognuno di 75 gr. , trat- tati nel febbraio in due barattoli uguali con lo stesso volume di acqua distillata, della tem- peratura di ]4‘* nell’ uno, di 40" nell’ altro, svelarono 1’ odore di essenza di mandorle amare più prontamente in questo che in quello. Per seguire anzi i cambiamenti di volume , che i semi avrebbero svelato, i due barattoli furono chiusi con tappo di gomma forato ed at- traversato da tubo di uguale lunghezza , terminante ad imbuto. Ogni tubo affiorava con l’estremo inferiore al livello del liquido, che nei due barattoli laggiungeva la stessa altezza. Sebbene il liquido proveniente dall’ acqua a 40" fosse divenuto e nmasto più torbido dell’ altro, pure non mostrò in principili alcun movimento ascensionale nel tubo. In pi'osie- guo di tempo però e con 1’ ax’anzarsi della stagione estiva, esso cominciò ad elevarsi nel tubo, sino a pervenire nell’ imbuto ed a mostrare qui numerose bollicine di gas. Un movimento ascensionale così tardivo fe’ pensare che nella camera d’aria sovra- stante al liquido si raccogliesse, in conseguenza di processo fermentativo, una certa quan- tità di gas, che, premendo sul liquido, ne determinasse l’ascensione lungo il tubo. La confeiina di questa supposizione si ebbe nel fatto che mentie il liquido di questo barattolo contenex a piccola quantità di zucchero (0, 15 7o)> l’altro ne eia relativamente ricco (2, 15 L’intorbidamento e lo sviluppo di gas ei'ano dovuti alla fermentazione dei carbo- idrati: il movimento ascensionale nei tubo ne era la conseguenza. .Siffatto movimento non era dunque determinato dal rigonfiamento dei semi ma dalla cessione per parte loro di materiali fermentescibili. Sorpiende ad ogni modo il fatto che sebbene nei due barattoli i semi rigonfiassero, raddoppiando quasi il volume iniziale , 1’ acqua invece si mantenesse in quello, in cui fu immessa alla temp. di !4'‘, ad un livello pressoché costante. Queste prove dimostrano ch^" l’acqua a 40" deteimina una cessione maggiore di ma- teriali fermentescibili e che, con la morte precoce deH’embrione, succede la mobilizzazione rapida delle riserve del seme. Atti Acc., StHiE V, Vol. II. Mem. XV. 2 18 Prof. G. Lo priore [MexMOria XV. I ACIDO CIANIDRICO Il forte odore di essenza di mandorle amare, che i semi di questo Nespolo mandano, in conseguenza della putrefazione, della torrefazione e della immersione loro in alcool, indusse a determinare il contenuto percentuale di acido cianidrico. Nella letteratura esiste già una determinazione fatta dal Ballano , secondo il metodo Buignet, per cui in 100 gr. di semi sarebbero contenuti 52 milligr. d’acido cianidrico anidro, corrispondenti a 52 centigr. di acido medicinale od alla quantità dello stesso acido, conte- nuta in 100 gr. d’acqua di lauro ceraso, preparata per uso farmaceutico. Secondo determinazioni , eseguite nel Laboratorio Chimico del Prof. Grassi Cristaldi dell’ Università di Catania, il quantitativo sarebbe invece di 10 milligr. per 100 gr. di semi. La differenza (5:1) è certamente dovuta al diverso metodo impiegato. Nelle nostre determinazioni si operò su 100 semi liberati dai tegumenti, che, dopo essere stati alcuni giorni in alcool, vennero ridotti a pasta e lasciati 24 ore in digestione con quattro volte il loro peso d’acqua, che poi venne distillata e ridotta tino ad 1/4 del volume totale. Anche l’alcool in cui i semi erano stati conservati venne trattato con potassa, distillato, ripreso con acqua, filtrato ed aggiunto al distillato acquoso precedente. Il tutto venne portato a 500 cmc., decolorato della clorofilla e titolato con soluzione decinormale di nitrato d’argento. Tale proporzione di acido cianidrico, se rende velenosi i semi del Nespolo, non può certo favorire la germinazione in sostrati costituiti da frammenti di semi stessi. Esperienze in questo senso furono tentate sia con farina grossolana di semi di otto mesi, in cui si immergevano semi della stessa età conservatisi ancor verdi, sia con polti- glia di semi freschi, entro cui si mettevano semi ugualmente freschi e sani , già liberati dai tegumenti ed in parte con radichetta a sviluppo iniziato. Farina e poltiglia venivano messi in vasi da fiori ed innaffiati con acqua che, dopo colata dal foro del fondo, veniva rimessa nel vaso. In tutti i due sostrati la germinazione non si potè compiere : l’estremo della radichetta anneriva, diffondendo l’annerimento aU’intorno nella cupola embrionale, ed anche quando esso aveva raggiunto qualche millimetro di lunghezza, arrestavasi repentinamente nel suo sviluppo, annerendo daH’apice alla base. Questo risultato coinciderebbe con quello ottenuto • dal De Toni e da altri autori , facendo germinare semi di tabacco in presenza di piccole quantità di nicotina o di altri alcaloidi. V^a rilevato il fatto che le muffe [Penicillium glaucum) invadevano fin da principio il sostrato, sviluppandosi anche nel vaso sottostante, in cui raccoglievasi l’acqua di scolo. Questo risultato spiegherebbe il fatto che semi, punti già nel frutto, con 1’ intento di sopprimere o ledere I’ embrione, germinano con certa difficoltà, forse perchè 1’ acido cia- nidrico, reso per tal modo libero, nuoce alla vitalità dell’ embrione. In correlazione con questo fatto starebbe 1’ altro che semi conservatisi sani e verdi nonché quelli in via di germinazione non mandano odore di essenza di mandorle amare. , Questo odore si rende invece sensibile non appena 1’ embrione muore , come ad es. per insolazione prolungata in giugno e luglio dei semi^ che per tal modo subiscono, anche . in ambiente umido, una sorta di torrefazione. Effetto identico hanno i vapori di cloroformio, i quali fanno imbrunire 1’ embrione col , tessuto circostante e ne sospendono il potere germinativo. Questo però non viene compro^ . 9C tfXti Note sulla gerniinasione dei semi del Nespolo del Giappone 19 messo, se i vapori non vi hanno azione immediata e diretta. Cosi 25 cmc. di cloroformio, messi in una provetta graduata di 50 cmc. sormontata da un lungo serpentino di vetro , terminante in alto ad imbuto e contenente 10 semi senza tegumento, si erano in un mese ridotti a 15 cmc. senza compromettere per nulla con i vapori propri e dei restanti 10 cmc. la vitalità dei semi. Questi erano rimasti nell’ imbuto coperti da una scodella di vetro im- bottita di carta bibula, bagnata periodicamente di acqua. Anche l'acido fenico nella proporzione di 1 : 10 000 sospende la facoltà germinativa, pur conservando turgida la massa cotiledonaie. ANTOCIANINA Sulla comparsa ed importanza biologica dell’antocianina voglio qui brevemente .soffer- marmi. L’osservazione che semi senza tegumenti, infossati pai'zialmente nel terreno, si colo- rano in rosa per antocianina che si forma nella parte scoperta, m’ indusse a studiarne le condizioni di formazione. Si svelò pertanto che, qualunque sia la posizione del seme, l' antocianina si forma, mascherando il verde della cloroHlla, sia alla base che all’apice, come anche lateralmente e nelle stesse facce interne del seme, se queste vengono ad essere direttamente esposte alla luce. La demarcazione è netta fra parte emersa e parte infossata nd terreno; anzi il limite fra la zona rosea e la verde, più o meno intensa, è segnato da un anello l'oseo più marcato. In corrispondenza delle parti squarciate dei tegumenti la zona messa a nudo si colora in modo ben delimitato, meglio delimitato che per rinverdimento prodotto dalla clorofilla. L’antocianina è localizzata nella parte più colpita dalla luce , da cui leggermente de- grada con la sua tinta rosea \'erso la parte rimasta nell’ ombra. In semi germinati a luce diffusa, più di rado in quelli germinati al buio, la piumetta presenta una lieve tinta rosea, che scompare con l’ulteriore accrescimento. Semi senza tegumenti, esposti a tramontana, in tubi da saggio, alla breve radiazione del sole morente, presentavano una lieve tinta rosea nella .sola parte esposta dei cotiledoni. L’ antocianina si forma anche senza la radiazione solare diretta , come p. es. nella piumetta di semi germinati al buio. .Semi con cotiledoni rimasti bianchi — per essere stati sottratti all’azione della luce entro frutti chiusi sull’albero in sacchetti neri — liberati dai te- gumenti e messi in tubo da saggio, immerso in cilindro pieno di acqua, tanto da trovarsi in un mantello di liquido di circa 2 cm. di spessore, inverdivano uniformemente ; ma sol- tanto le parti esposte alla luce diretta nelle ore pomeridiane presentavano una leggera sfu- matura rosea, prodotta da antocianina. L’insolazione diretta e prolungata dei mesi più caldi — giugno e luglio — sia pure attraverso pareti doppie di vetro, fa succedere al breve arrossimento un imbrunimento intenso dei cotiledoni con contrazione del tessuto ed emanazione di odore di essenza di mandorle amare. Se invece i cotiledoni sono immersi in acqua, essi perdono il verde della clorofilla, senza perdere il rosso dell’antocianina. Semi liberati dai tegumenti ed esposti su terra umida, in modo da infossare in essa un cotiledone e lasciare l’altro esposto al sole, mostravano arrossito prima ed imbrunito poi il cotiledone scoperto, che, contraendosi verso l’apice, subiva notevole riduzione di di- mensioni. In conseguenza di tale contrazione, può l’ altro cotiledone colorarsi nella parte 20 Prof. G. Lopriore [Memoria X\'.] scoperta per azione della luce solare e presentare sulla faccia interna un arco semilunare roseo, lim.itato all’ apice e tanto più esteso quanto più il cotiledone superiore si è contratto. La formazione di antocianina si compie anche se i cotiledoni sono spalmati con burro di cacao oppostamente a quanto Buscalioni e Pollacci osser\’arono in altre piante. .Semi liberati dai tegumenti, immersi in acqua ed esposti in questa al sole di giugno o di luglio (temp. 25-30°) divengono prima rossi poi bruni e mandano un leggiero* odore di essenza di mandorle amare, che si comunica all’acqua. Dopo tre giorni di esposizione continua, essi perdono il potere germinativo. Lo stesso avviene, in condizioni normali, per semi tenuti alcuni giorni nelTacqua a temperatura ordinaria, bissi perdono gradatamente il verde e col tempo anche il potere germinativo , mentre si coprono di una densa patina bianca, costituita in gi'an parte da bacteri. L'imbrunimeiito e la conti azione della massa cotiledonai'e si compiono rapidamente nei semi emei'genti dall'acqua e quindi esposti direttamente al sole, sia pure nei mesi invernali — febbraio e marzo — in cui a giornate serene sogliono succedere altre nuvolose. .Semi senza tegumento, conservatisi verdi per tutto un anno in vasi di vetro, immersi poi per metà nel terreno ed esposti a tramontana, arrossavano anche nella parte non col- pita dal sole, in conseguenza della formazione di sostanze tanniche. CENNO SINTETICO I fenomeni relativi alla genninazione dei semi del Nespolo nipponico sono in gran parte connessi con quelli del loro inverdimento : più la cupola embrionale è verde, più i semi sono fisiologicamente maturi e facili a germinare. Un siffatto comportamento, poco spiegabile dal punto di x'ista biologico , se si pensa che la germinazione è ipogea e quindi fa a meno della luce, può essere invece giustificato dal bisogno fisiologico di rendeie autonomo Tembrione sin dall’inizio dei suo sviluppo, for- nendogli già nel seme la riserva necessaria di clorofilla. In correlazione con questo fatto sta r altro che le prime foglioline dei semi germinanti al buio, già verdi neH’embrione, si conservano verdi anche più tardi, sviluppandosi, ed assumono dimensioni quasi normali. 11. potere germinativo si attenua e spegne a misura che si riduce il contenuto di acqua e di clorofilla. .Semi l imasti all’ albero entro sacchetti neri fino all’estate inoltrata, sebbene protetti dal mesocarpo, disseccano e pei'dono il potere germinativo. Il mesocarpo si contrae ed annerisce , senza permettere che 1’ acqua , di cui è tanto ricco e che tanto facilmente perde, soccorra lo sviluppo dell’ embrione. 'Tale comportamento, simile a quello da me osservato nel mettere semi e frutti freschi in terreno anidro, dimostra che la succosità del mesocarpo e la povertà del seme in clo- rofilla non sono fattori molto favorevoli alla germinazione. Ma neppur dopo essere sgusciati dal frutto, i semi sono difesi dai tegumenti contro la perdita dell’ acqua. Anzi, per difetto di qualsiasi disposizione idrofila e per squarciarsi già nel frutto, i tegumenti contribuiscono alla perdita dell’ acqua e della facoltà germinativa. La caratteristica maggiore di questi semi sta però nel fatto che l’essiccamento in con- dizioni ordinarie compromette il potere germinativo, mentre in altri semi ne assicura la re- sistenza e la durata. Siffatto comportamento è tanto più singolare in quanto i semi, dissec- cando all’aria, non impoveriscono la risei'va di a^qua nè a sbalzi, nè al di sotto di quella Note stilla germinaBÌone dei semi del Nespolo del Giappone ordinaria di altri semi. Le ricerche hanno infatti mostrato che la perdita dell’acqua avviene con sorprendente graduale uniformità, senza scendere al di sotto del 14 "/g. Al riguardo l’osservazione del Jodin che in semi allo stato di riposo la vita rimane sospesa, perchè lo scarso contenuto di acqua non ne permette la respirazione , potrebbe forse spiegai’e perchè i semi del Nespolo, perdendo con 1 acqua anche la clorofilla, abban- donino lo stato di vita attiva, senza passare a quello di vita latente, e sacrifichino quindi abbastanza presto il loro potere germinativo. .Simile comportamento troverebbe un certo signiticato biologico nel fatto che questi semi, maturando nei frutti dalla primavera all’estate, cioè in una stagione molto calda per i paesi di origine e per quelli d’importazione, affrettano lo sviluppo deU’embrione prima che questo, con l'elevarsi della temperatura, perda con I acqua la sua vitalità. In queste condizioni e contrariamente a quanto succede per altri semi (cfr. I. Giglioli, 1. c. p. 82) l’umido, invece di compromettere la sorte dei semi del Nespolo, destando in essi anticipatamente ed inopportunamente la vita deU’embrione, la favorirebbe in modo partico- lare. Quindi le copiose rugiade e le variazioni grandi di temperature — facili a verificarsi nei paesi in cui questo Nespolo vive — condensando sui semi molto vapore in ambiente saturo di umidità, ne favorirebbero la germinazione. In semi secchi, a corpo cotiledonare annerito, la ripresa deU’acqua avviene lentamente ; ma, una volta avvenuto, non promuove la vita dell'embrione. La resistenza vitale dei semi, che le ricerche del Giglioli tanno dipendere dalla pronta essiccabilità (cfr. in proposito anche il Macchiati, p. 1 43) soffrirebbe per questi del Nespolo una non lieve eccezione. Quindi la possibilità, ammessa da alcuni autori ed affacciata di recente anche dal D.r Albo (I. c. p. 96) di sospendere la vita nei semi mediante l’elimi- nazione completa dell’acqua e di sottrarli cosi per un tempo indeterminato alla legge del- l’evoluzione, verrebbe, per questi del Nespolo, se non esclusa, certo molto limitata. La perdita dell’acqua non è la sola a contrariare la vita deU’embrione. Mentre questa, come ha dimostrato il Giglioli per altri semi (medica p. es.), conservasi anche dopo 15 anni di permanenza nell’alcool assoluto, quindi in uno stato quasi anidro, è compromessa invece immediatamente quando i semi vengono posti a germinare in poltiglia di fram- menti o farina degli stessi semi di Nespolo , freschi od anche secchi. L’ effetto dell’ acido cianidrico o delle sostanze cianogeniche sarebbe dunque immediato ed- esiziale sull’ em- brione e potrebbe forse spiegare perchè semi lesi da azioni traumatiche o parassitarie ger- minano con certa difficoltà. Del resto anche tracce di altri acidi tossici (p. es. ac. fenico 1 : 10 000) son capaci di spegnere l’attività dell’embrione e degli stessi enzimi, rendendo inerte la grande riserva amilacea e conservando turgido per tempo indeterminato il corpo cotiledonare. I semi del Nespolo nipponico, che tanto hanno contribuito alla diffusione di questa preziosa Rosacea nel Mezzogiorno d’ Italia, presentano dal punto di vista fisiologico un com- portamento particolare, ben diverso da quello di molte nostre Rosacee arboree. Se tale di- versità dipende da particolari condizioni ataviche, trapiantatesi dai paesi di origine in quelli d’ importazione, è difficile poter stabilire dallo studio sinora compiuto sulla germinazione. Certo che al difetto di particolari disposizioni atte a conservare la facoltà germinativa la pianta provvede col gran numero di semi e con la pronta germinazione loro. Prof. G. Lopriore [Memoria XV'’]. Albo Balland Buscalioni De Toni e Giglioli Jodin Kolkwitz Kiister Lopriore Macchiati Maquenne Peter Portheim 1 . irrTERATUKA CONSl H/FATA ■ — La vita dei semi allo stato di riposo. Boll. Soc. Hot. it. 1907. — Note sur la présence de l’acide cyanidrique dans les semences du néflier du japon. Journal de Pharmacie et de Chimie. 1876 T. 24. e Pollacci — Le antocianine ed il loro significato biologico. .\tti Istit. Botan. Pavia 1904. Mach — Sopra l’influenza esercitata dalla nicotina e dalla solanina sulla germogliazione dei semi di tabacco. Boll. Istit. Botan. Parma 1895. - Resistenza dei .semi, e specialmente dei semi di medica, all’azione prolungata di agenti chimici, gassosi e liquidi. Gazz. chini, it. IX. 1879. ~ Chimica Agraria. Napoli 1902. — Sur la durée germinative des graincs. Comptes rendus, T. 129. — Ueber die Athmung ruhender Samen. Ber. d. Deutsch. bot. Ges. XIX. 1901. — Beobachtungen iiber Regenerationserscheinungen an Pflanzen. Beiheft z. Bot. Centralbl. Bd. XIV. — Vitalità dei semi. Nuova Rassegna, Catania 1902. - Studi anatomo-fisiologici sui semi del Nespolo del Giappone. Accad. Giocnia. Catania 1908. — Sulla germinabilità dei vecchi semi mutilati. Bull. Soc. Bot. it. 1908. — Sur la conservation du pouvoir germinatil des graines. Comptes rendus, T. CXXXIV. — Contribution à 1’ étude de la vie ralentie chez les graines. Ibidem T. CXXXV. — Kulturversuche mil ruhenden Samen. Nachr. K. Ges. d. Wiss. Góttingen 1893. — Beobachtungen Iiber Wurzelbildung an Kotvledonen von Phaseolus vulgaris. Oesterr. Bot. Zeitschr. Wien 1903. — Physiologische Versuche ùber die Keimung der Schminkbohne ( Phaseolus multiflorusj. K. Akad. d. \Mss. Wien 1859. Sachs Tleiiiori». XVI. Istituto Anatomico di Catania diretto dal Prof. R. Staderini. Sulla distribuzione deiie libre elastiche nella capsula del Tenone dell’ Domo Nota II. del Dott. ANGELO D’ ORSO - Settore Assistente (Con una Tavola) Facendo seguito alla Nota F, nella quale avevo riferito il modo di comportarsi delle fibre elastiche nelle guaine di Tenone dei muscoli dell' occhio (1), nella presente Nota ri- ferisco i risultati delle mie ricerche sulle fibre elastiche della guaina di Tenone del Nervo ottico, e della capsula di Tenone propriamente detta, quella cioè che è in diretto rapporto con la sclerotica. Al solito mi sono servito di capsule di feti, neonati, bambinfi giovani ed adulti. Ho fissato i pezzi in soluzione satura di sublimato corrosivo, includendoli in paraffina e colo- rando le sezioni col metodo ’Weigert per le fibre elastiche. I. (Tessuto elastico nella guaina di Tenone del nervo ottico). È noto che la capsula di Tenone dal globo oculare passa sul nervo ottico, forman- do ad esso una guaina che si continua per un certo tratto indietro assottigliandosi. In questa guaina, sulla cui struttura gli autori non si sono soffermati in special mo- do, io ho potuto trovare, in mezzo al connettivo che la costituisce, numerose fibre elasti- che, delle quali qui sotto studieremo il comportamento. Ho asportato il nervo ottico, rivestito dalla guaina in tutta la sua lunghezza, reciden- dolo, anteriormente insieme ad un pezzo di sclerotica, e posteriormente a livello del fo- rame ottico. Osservazione a) Feto di centimetri 31. Le fibre elastiche della guaina di Tenone sono rarissime, molto corte e piccolissime. Occupano lo strato più interno della guaina, negli strati più esterni si nota qualche rara e molto corta fibra elastica. (i) Atti dell’ accademia Gioenia di scienze naturali in Catania Serie 4'*- Voi. XX. Atti Acc., Serie V, Vol, II. Mtm. XVl. I 0 Doti. Angelo U Urso [Memoria XVI]. Al contrario nelle guaine meningee del nervo ottico, le libre elastiche sono più nu- merose, più lunghe. Mancano nei sepimenti interfascicolari del nervo. Fig. P. Osservazione b) Feto di centimetri 33. Le fibre elastiche sono in numero pressocchè uguale a quelle 'dell’ osservazione pre- cedente. Al solito si trovano nello strato più interno. Comincia solo a notarsi qualche rara e piccolissima fibra elastica nei sepimenti inter- fascicolari più superficiali. Osservazione cJ Feto di centimetri 37 ^/o. Le fibre elastiche tanto nella guaina di Tenone che nelle guaine meningee sono in nu- mero maggiore. Più numerose e più sottili nelle guaine meningee che nella guaina di Tenone. Sono aumentate di numero anche negli strati più esterni. Sono corte e sottilissime nella parte media e posteriore della guaina, poco più nume- rose anteriormente. Nei sepimenti interfascicolari le fibre elastiche sono sempre rare. Fig. 2^. Osservazione d) Neonato di giorni 23. Le fibre elastiche sono molto più numerose, più grosse e più lunghe. Occupano tutta la superficie della guaina. Mentre nella guaina di Tenone del nervo ottico del feto di cent. 37 Va sono rare nella parte più esterna, qui sono molto più nume- rose, e di volume maggiore anche nella parte più esterna. Però sono sempre più numerose, più lunghe e più grosse nella parte più interna e disposte circolarmente, nella parte più esterna invece sono più corte, meno numerose e di minor volume e disposte in vario senso. Nelle guaine meningee del nervo sono più sottili e disposte in senso circolare. Ve ne sono alcune che hanno un decorso obliquo, le quali si spingono verso la sostanza propria del nervo e nei sepimenti interfascicolari. In questi le fibre elastiche sono in maggior quantità, grosse specialmente nei sepi- menti superficiali. Osservazione e) Neonato di mesi 2. Nella guaina di Tenone le fibre elastiche sono poco poco più numerose, con le stesse particolarità di numero, volume e disposizione di quelle dell’osservazione precedente. Fig. 3^ Sulla distribuzione delle fibre elastiche nella capsula del Tenone dell’ Uomo 3 Osservazione f) Bambino di anni 2. Le fibre elastiche sono ancora più numerose, più lunghe e più grosse. Le stesse modalità di distribuzione si notano per riguardo alla loro distribuzione nella superficie della guaina e cioè più numerose e più sviluppate negli strati più interni. Se ne notano quà e là nelle diverse sezioni alcune molto lunghe e grosse. Nelle por- zioni posteriori della guaina sono più corte, meno grosse e meno numerose. Le fibre elastiche delle guaine meningee sono numerose, ma più sottili. Le fibre elastiche sono in buon numero anche nei sopimenti interfascicolari più interni però sono più numerose e più sviluppate in quelli più periferici. Fig. 4“. Osservazione g) Individuo di anni 19. Le fibre elastiche sono più grosse, più lunghe e in maggior numero. Sono aumentate di numero anche negli strati più esterni della guaina, ma in proporzione minore relativa- mente agli strati più interni. Nelle guaine meningee, sono lunghe, sottili, ma meno numerose di quelle della guaina di Tenone. Sono sempre più sviluppate nei sopimenti interfascicolari anche più interni Osservazione h) Individuo di anni 38. Qui le fibre elastiche sono abbondantissime, molto più grosse e più lunghe. Negli strati più esterni della guaina le fibre elastiche sono molto più corte e disposte in senso diverso. Nei sopimenti interfascicolari sono numerose e molto sviluppate. Osservazione t) Individuo di anni 53. Le fibre elastiche sono numerosissime, lunghe, grosse specialmente nella parte me- dia della guaina. La stessa distribuzione e disposizione si nota per riguardo alle fibre elastiche nella superficie della guaina. Numerose e sviluppate sono le fibre elestiche nei sopimenti interfascicolari anche più interni. Fig. 5^. Osservazione 1) Individuo di anni ó8. Le fibre elastiche sono abbondanti lunghe e grosse. Occupano tutta la superficie della guaina, al solito in maggior numero nella parte più interna di essa. Sono disposte per la massima parte circolarmente. Sono pure numerose nelle guaine meningee e nei sopimenti interfascicolari del nervo ottico. 4 Doti. Angelo U Urso [Memoria XVI]. CONCLUSIONI Dalle osservazioni fatte sulle fibre elastiche della guaina di Tenone dei nervi ottici sopra descritte si può concludere : 1. Le fibre elastiche nella guaina di Tenone dei nervi ottici dei diversi soggetti non occupano tutta la sezione della guaina. Come ho potuto notare nelle guaine dei muscoli, anche nelle guaine di Tenone del nervo ottico , si ha che le fibre elastiche nei soggetti più giovani occupano lo stato più interno, è qui che fanno la loro prima apparizione. Man mano che procede lo sviluppo, le fibre elastiche aumentano di numero e quindi occupano una maggiore superficie della guai- na, fino ad occuparla del tutto nei soggetti più sviluppati. In tutte le guaine di Tenone del nervo ottico delle diverse età, le fibre elastiche sono più numerose e meglio sviluppate nella parte più interna della guaina che nella esterna. 2. Le fibre elastiche in tutte le età hanno un maggior sviluppo nella parte anteriore e media della guaina, vanno diminuendo posteriormente. 3. Le fibre elastiche nella guaina di Tenone vanno aumentando di numero, volume e lunghezza man mano che aumenta la età del soggetto. 4. Per riguardo alla loro disposizione, le fibre elastiche sono in massima parte disposte circolarmente. 5. Lo sviluppo delle fibre elastiche nella guaina di Tenone e nei nervi ottici non pro- cede contemporaneamente. Nel connettivo interfascicolare il tessuto elastico comparisce più tardivamente che non nella guaina di Tenone. Le fibre elastiche infatti mancano nel connettivo interfascicolare del feto di cm. 31 — Cominciano a comparire nei setti interfascicolari più superficiali dei feti di cm. 33 e 37 Ya e poi man mano nei setti più profondi negli altri soggetti. In seguito aumentano di numero volume e lunghezza. IL Tessuto elastico nella capsula di Tenone propriamente detta. Per escidere la capsula di Tenone ho fatto nel seguente modo : Dopo avere asportato la parete superiore del cavo orbitario e portato via tutta la massa adiposa e messo allo scoperto i muscoli oculari e il nervo ottico, ho inciso la capsula di Tenone circolarmente tutt’ intorno alla periferia corneale, staccandola dalla sclerotica fino a livello della estremità sclerale del nervo ottico. Ho reciso man mano i muscoli oculari da una parte in prossimità della loro inser- zione sclerale, e dall’altra posteriormente al loro punto di entrata, lasciando alla capsula attaccati i loro monconi. Ho reciso il nervo ottico , anteriormente con un pezzo delle membrane oculari e po- steriormente poco prima della sua entrata nella capsula^ lasciando il moncone attaccato ad essa. In questo modo ho potuto avere la capsula di Tenone in tutta la sua continuità ed estensione, rispettando i rapporti che essa contrae con i muscoli e col nervo ottico. Sulla distribusione delle fibre elastiche nella capsula del Tenone dell’Uomo 5 Dopo averla distesa su apposite lamine di sughero e fissata, 1’ ho sottoposta a tutte le manipolazioni dette sopra per la ricerca delle fibre elastiche. Le sezioni sono state condotte parallelamente alla superficie della capsula. Osservazione a) Feto di centimetri 31. In tutta la superficie della capsula , le fibre elastiche sono discretamente numerose, lunghe, estremamente sottili, con decorso quasi rettilineo : sono regolarmente disposte nel medesimo senso per la massima parte — Fig. if. Nella parte mediana o centrale della capsula le fibre elastiche sono meno numerose e più sottili. Degno di nota è il comportamento delle fibre elastiche in vicinanza e tutt’ intorno al punto di entrata dei muscoli oculari e del nervo ottico. In rapporto al nervo ottico e tufi’ intorno ad esso sono molto numerose, più corte, più ondulate e un po’ più spesse. Esse decorrono circolarmente al nervo ottico. Al contrario, in vicinanza e tufi’ intorno al punto d’entrata dei muscoli, le fibre ela- stiche sono numerose, più grossse e più tortuose. Esse sono per così dire ammassate attorno al muscolo. Nella parte limitante il mu- scolo, le fibre elastiche sono corte, molto grosse e incurvate fortemente su sè stesse. Osservazione b) Feto di centimetri 33 , Le fibre elastiche sono piuttosto uguali p er numero e per comportamento. Sono però un po' più spesse. Osservazione c) Feto di centimetri 37 V^- Le fibre elastiche sono più numerose e più grosse. Non hanno un andamento rego- lare, ma sono disposte in senso diverso. Incontrandosi sotto diversi angoli , formano un reticolo sottile a maglie irregolari. La disposizione delle fibre elastiche per riguardo ai muscoli ed al nervo ottico è si- mile a quella del soggetto precedente. Osservazione d) Neonato di giorni 23. Le fibre elastiche sono in numero maggiore e più sviluppate. Decorrono in tutti i sensi in tutta la superficie della capsula— Si notano alcune fibre elastiche molto grosse e fortemente ripiegate su sè stesse. In rapporto ai muscoli ed al nervo ottico si ha il medesimo comportamento — Fig. 7». 6 Dott. Angelo D’ Urso [Memoria XVI. i Osservazione e) Neonato di mesi 3. Le fibre elastiche sono ancora più numerose, al solito disposte in diverso senso , si notano molte fibre elastiche grosse e molto tortuose. Uguale disposizione si nota in rap- porto ai muscoli ed al nervo ottico. Osservazione f) Bambino di anni uno. Le fibre elastiche sono abbondanti e molto sviluppate in grossezza e in lunghezza — Al solito variamente disposte e con decorso differente. Più numerose sono le fibre elasti- che tortuose— Nella parte mediana sono meno grosse. Lo stesso comportamento si nota in rapporto ai muscoli, dove sono molto più grosse e più tortuose. In rapporto al nervo ottico sono più corte e meno spesse — Fio. 8^. Osservazione g) Individuo di anni 17. Le fibre elastiche sono sempre numerose ed hanno il medesimo comportamento e di- mensioni di quelle dell' osservazione precedente. Osservazione h) Individuo di anni 33. Le fibre elastiche ripetono la medesima disposizione e distribuzione di quelle dell’ os- servazione precedente. Osservazione ij Individuo di anni 54. Le fibre elastiche sono numerosissime, lunghe, molto spesse. La disposizione è uguale a quella delle osservazioni precedenti. Osservazione l) Individuo di anni 60. Le fibre elastiche per riguardo al numero, volume e distribuzione sono uguali a quelle dei soggetti precedenti. CONCLUSIONI Dalle osservazioni fatte sulle fibre elastiche della capsula di Tenone dei soggetti so- pradescritti si può concludere : 1. La capsula di Tenone è riccamente provvista di fibre elastiche le quali, già fin dalle prime età sono molto sviluppate in lunghezza. Sulla distribusione delle fibre elastiche nella capsula del lenone delVUomo 1 2. La quantità delle fibre elastiche e la loro dimensione varia proporzionalmente alla età del soggetto, aumentando di numero, spessore e lunghezza man mano che procede lo sviluppo. 3. La loro disposizione è varia secondo 1’ età ; nei soggetti più piccoli le fibre elasti- che nella massima parte sono disposte nello stesso senso. 4. Considerata la capsula nel suo insieme, si osserva che le fibre elastiche non sono distribuite regolarmente in tutta la superficie. Le fibre elastiche sono variamente disposte e dirette in tutti i sensi intrecciandosi fra di loro sotto diversi angoli. — Sono inoltre meno numerose e meno sviluppate nella zona centrale della capsula. Più numerose e più spesse nella parte periferica. Sono ancora meglio sviluppate e più abbondanti attorno al punto di entrata dei di- versi muscoli oculari dove generalmente sono anche più tortuose. — Formano in questo mo- do attorno ai diversi muscoli, tanti robusti cercini elastici che contornano i muscoli nel loro passaggio attraverso la capsula. Attorno al nervo ottico invece sono meno sviluppate e meno numerose. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE FIG. ì2 — Sezione trasversa del nervo ottico di un feto di centimetri 31. ( Zeiss l 'c) G. T. — guaina di Tenone con rarissime fibre elastiche che occupano lo strato più interno di essa. Qualche rara fibra elastica si nota nello strato più esterno. G. M. — guaine meningee con fibre elastiche poco più numerose di quelle della guaina di Tenone. S. — sepimenti interfascicolari privi di fibre elastiche. N. — tessuto nervoso. FIG. 2^ — Sezione trasversa del nervo ottico di un feto di centimetri 37 (Zeiss i/c). G. T. — guaina di Tenone con fibre elastiche più numerose e meglio sviluppate che nell.i fig. I e che occupano lo strato più interno. Sono anche più numerose nello strato più esterno. G. M. — guaine meningee con fibre elastiche poco più numerose ma molto più sottili. S. — sepimenti interfascicolari. Cominciano a comparire delle rare fibre elastiche in alcune setti interfa- scicolari più periferici. N. — tessuto nervoso. FIG. 3^ — Sezione trasversa del nervo ottico di un neonato di mesi due. (Zeiss i/c) G. T. — guaina di Tenone con fibre elastiche più numerose e più spesse che nella fig. II. Occupano tutto lo spessore della guaina, meno numerose però e più corte nello strato più esterno della guaina stessa. G. M. — guaine meningee. Qui le fibre elastiche sono in numero minore e più sottili che nella guaina di Tenone. S. — • sepimenti interfascicolari. Le fibre elastiche sono più numerose e meglio sviluppate, e si spingono fin verso la parte centrale del nervo. N. ' — tessuto nervoso. FIG. 4® - Sezione trasversa del nervo ottico di un bambino di anni due. (Zeiss i.'c). G. T. — guaina di Tenone. Le fibre elastiche sono ancora più numerose, più grosse e più lunghe che nelle precedenti figure. Occupano tutto lo spessore della guaina. Nella parte più esterna della guaina sono più numerose e meglio sviluppate di quelle corrispondenti della fig. HI. G. M. — guaine meningee. Qui le fibre elastiche sono in nnmero minore e più sottili di quelle della guaina di Tenone. S. — sepimenti mter fascicolari, in cui le fibre elastiche poco più numerose e meglio sviluppate. Ah — tessuto nervoso. FIG. 5* Sezione trasversa del nervo ottico di un individuo di anni 53. (Zeiss i/c). G. T. — ■ guaina di Tenone, molto ricca di fibre elastiche, grosse e lunghe, le quali occupano tutto lo spessore della guaina. Nella parte esterna sono più corte. G. M. — guaine meningee, con fibre elastiche molto numerose, lunghe e sottili. S. — sepimenti interfascicolari con fibre elastiche numerose. N . — tessuto nervoso. FIG. 6®- — Sezione frontale di Capsula di Tenone di un feto di cent. 72 (zona periferica). Le fibre elastiche sono discretamente numerose e dirette nello stesso senso. FIG. 7®- — Sessione frontale di Capsula di Tenone di un neonato di giorni 2^ (zona periferica;. Le fibre elastiche sono più numerose e disposte e dirette in vario senso. Si notano delle fibre elastiche molto tortuose. FIG. 8“* — Sezione frontale di Capsula di Tenone di un bambino di (zona periferica). Le fibre elastiche sono abbondanti e più spesse. Ancora più numerose sono le fibre elasticfie molto tortuose. Per il comportamento delle fibre elastiche attorno al punto d’ entrata dei muscoli. Ved. fig. Vili, della Nota 1. Alti-Acc. (mema di Se. JaA Sen 3. Volli. DI D'rj’so-le'fLÒ[‘& oieLdùÀù m/M eeymi/ei eli Imano LitTaa'u.’ia/tie s Jhra/i:‘hi-ia. INDICE Memoria ^ L- Buscalioni e G. Muscatello — Fillodi e fiìlodopodi — Studio sulle leguminose australiane - Il Nota (con una tavola) ............... I Severini Carlo — Sullo sviluppo di una funxione reale di due variabili reali in serie doppia di Fourier. II G. Alonzo — Gli elementi citologici e le loro alteraiioui negli essudati e nei transudati. Loro valore per la diagnosi differenxiale di questi prodotti . . . . . , . . . .Ili ^ S. Comes — Stereotropismo , geotropismo e termotropismo nella larva di Myrmeleon funnicarius L. (con due figure inserite nel testo) ............ W ^ A. Capparelli — I corpi solidi sospesi nei liquidi e i fenomeni di igromipisia ..... V Giovanni Poiana — Intorno all’anione regolatrice del vago sulla temperatura interna degli animali omotermi .............. ... VI G. Horn — Posixione dei vulcani rispetto al mare ed al Sole (con una tavola) ..... VII .i/" Carlo Severini — Sullo sviluppo di una JunxJone reale di variabile reale in serie di funiioni sferiche di prima specie. . .............. Vili A. Ricco e L. Taffara — Osservaiioni meteorologiche del ipoS fatte nel R. Osservatorio di Catania. IX L- Buscalioni e G- Lopriore — Il pleroma tubuloso. lendodermide midollare, la frammeiitaiione slelare e la schiiorriiia nelle radici della Phoenix dactylifera L. — Nota preliminare (con una tavola). X i/ Filippo Eredia — P‘0ggie torreniiali in Sicilia . . . . . . . . . . .XI A. Russo — I mitocontri ed i globuli vitellini dell’oocite di coniglia allo stato normale ed in condiiioni sperimentali. Contributo allo sviluppo del dento lecite ed alla differeniiaiione sessuale delle ova dei Mammiferi. Nota (con 4 figure nel testo ed una tavola) XII Detto — Sulla cromolisi delle cellule della granulosa durante il digiuno e sul sito significato nella diffe-, renxjaxjone sessuale delle ova dei mammiferi. 2^ Nola (con 2 figure nel testo e 4 tavole) ; XIII G. P- Grimaldi e G- Accolla — Influeiixa delle scariche oscillatorie e del Magnetismo sull’ isteresi elastica del ferro per trazione (con una tavola) ......... XIV G- Lopriore — Note sulla germinazione dei semi del Nespolo del Giappone ...... XV A. D’ tirso — Sulla distribuzione delle fibre elastiche nella capsula del Tenone dell’Uomo. Nota li. (con una tavola) XVI 2 9 IM 1910