ATTI DELLA ACCADEMIA GIOENIA DI SCIENZE NATURALI IN CATANIA. ANNO LXXXVII 1910. \ Volume III. V CATANIA, C. GALÀTOLA, EDITORE 19 10. ATTI DELLA ACCADEMIA QIOENIA DI SCIENZE NATURALI IN CATANIA. ANNO LXXXVII 1910. QXJinSTT Volume III. CATANIA, C. GALÀTOLA, EDITORE 19 10. CATANIA STABILIMENTO TIPOGRAFICO C. GALÀTOLA. CARICHE ACCADEMICHE PER L’ ANNO igog-’ gio UBTICIO DI PRESIDENZA RICCO Comm. Prof. Annibaie — Presidente CLEAfENTI Comm. Prof. Gesualdo — Vice-Presidente RUSSO Cav. Prof. Achille — Segretario PENNACCHIETTI Cav. Prof. Giovanni — l'ice-Segretario per la sezione di Scienze Jisiche e matematiche FELETTI Cav. Prof. Raimondo — Vice-Segretario per la sezione di Scienze naturati CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE STADERINI Prof. Rutilio SEVERINl Prof. Carlo CAPPARELLl Cav. Prof. Andrea VINASSA DE REGNY Prof. Paolo GRASSI Cav. Prof. Giuseppe — Cassiere LAURICELLA Cav. Prof. Giuseppe — Bibliotecario SOCI ONORARI NOMINATI DOPO L’ APPROVAZIONE DEL NUOVO STATUTO. S. A. R. IL DUCA DEGLI ABBRUZZI TODARO seti. comm. prof. Francesco CHAIX prof. Emilio MACALUSO comm. prof. Damiano MOSSO sen. comm. prof. Angelo BLASERNA sen. comm. prof. Pietro NACCARl uff. prof. Andrea STRUVER comm. prof. Giovanni RÒITI sen. uff. prof. Antonio GRASSI sen. comm. prof. Battista WIEDEMANN prof. Eilhard CAPELLINI sen. comm. prof. Giovanni RIGHI sen. prof. Augusto VOLTERRA sen. prof. Vito DINI sen. comm. prof. Ulisse CIAMICIAN comm. prof. Giacomo BRIOSI comm. prof. Giovanni BIANCHI comm. prof. Luigi GOLGI sen. comm. prof. Camillo PALADINO sen. comm. prof. Giovanni PALAZZO comm. prof. Luigi LUCIANI sen. comm. prof. Luigi BOVERI prof. Theodor WALDEYER prof. Wilhelm ENGLER prof. Arturo GUCCIA prof. G. Battista SOCI EFFETTIVI 1. CLEMENTI comm. prof. Gesualdo 2. BASILE prof. Gioachino 3. CAPPARELLI uff. prof. Andrea 4. MOLLAME cav. prof. Vincenzo 5. ARADAS cav. prof. Salvatore 6. DI SANGIULIANO gr. uff. sen. Antonino 7. UGHETTl cav. prof. Giambattista 8. FELETTI cav. prof. Raimondo 9. PENNACCH IETTI cav. prof. Giovanni 10. PETRONE uff. prof. Angelo 11. RICCO comm. prof. Annibaie 12. BUCCA cav. prof. Lorenzo 13. GRIMALDI comm. prof. Giov. Pietro 14. GRASSI cav. prof. Giuseppe 15. DI MATTEI comm. prof. Eugenio 16. D’ ABUNDO cav. prof. Giuseppe 17. LAURICELLA cav. prof. Giuseppe 18. STADERINI prof. Rutilio 19. RUSSO cav. prof. Achille 20. BUSCALIONl prof. Luigi 21. MINUNNI prof. Gaetano 22. MUSCATELLO prof. Giuseppe 23. SEVERINI prof. Carlo 24. DE FRANCHIS prof. Francesco 25. VINASSA DE REGNY prof. Paolo 26. BOGGIO-LERA prof. Enrico 27. fodera prof. Arturo 28. CARUSO prof. Francesco 29 30 SOCI EFFETTIVI DIVENUTI CORRISPONDENTI PER CAMBIAMENTO DI RESIDENZA. SPECIALE prof. Sebastiano STRACCIATI prof. Enrico PERATONER prof. Alberto LEONARDI gr. uff. avv. Giovanni RICCIARDI uff. prof. Leonardo BACCARINI prof. Pasquale ZANETTI prof. Carlo Umberto CAVARA prof. Fridiano RUBINI prof. Guido DI LORENZO prof. Giuseppe PIERI cav. prof. Mario PERRANDO cav. prof. Gian Giacomo LOPRIORE prof. Giuseppe -*• Divenuto Socio corrispondente per dimissione dal grado di effettivo. SOCI CORRISPONDENTI NOMINATI DOPO L' APPROVAZIONE DEL NUOVO STATUTO. PELLIZZARI prof. Guido MARTINETTI prof. Vittorio MELI prof. Romolo PAPASOGLI prof. Giorgio CONDORELLI FRANCAVIGLIA dott. Mario PISANI dott. Rocco BASSANI cav. prof. Francesco GAGLIO cav. prof. Gaetano MOSCATO dott. Pasquale GUZZARDI dott. Michele ALONZO dott. Giovanni DISTEFANO dott. Giovanni GOZZOLINO uff. prof. Vincenzo MAGNANINI prof. Gaetano PAGLIANI cav. prof. Stefano CFIISTONI cav. prof. Ciro GALITZINE Principe Boris BATTELLI cav. prof. Angelo GUGLIELMO prof. Giovanni CARDANI cav. prof. Pietro GARBIERl cav. prof. Giovanni GIANNETTI cav. prof. Paolo CERVELLO comm. prof. Vincenzo ALBERTONI cav. prof. Pietro LA MONACA dott. Silvestro BAZZl prof. Eugenio MORSELLI prof. Enrico RAFFO dott. Guido MATERAZZO dott. Giuseppe BORZÌ cav. prof. Antonio FALCO dott. Francesco DEL LUNGO prof. dott. Carlo GIOVANOZZI prof. Giovanni KOHLRAUSCH prof. Giovanni ZAMBACCO dott. N. DONATI prof. Luigi DE HEEN prof. Pietro PERNICE prof. Biagio CALDARERA dott. Gaetano SALOMONE MARINO prof. Salvatore PANDOLFI dott. Eduardo GUZZANTI cav. Corrado VALENTI prof. Giulio MAJORANA dott. Quirino PINTO prof. Luigi ROMITI prof. Guglielmo BEMPORAD prof. Azeglio BELLECCI dott. Luigi DRAGO dott. Umberto FANTONI comm. Gabriele POLARA dott. Giovanni RINDONE dott. Carlo CERMENATI prof. Mario DE FRANCO prof. Salvatore FOÀ prof. Carlo PLATANIA prof. Gaetano PLaTANIA prof. Giovanni SCALIA prof. Salvatore COMES prof. Salvatore CUTORE prof. Gaetano DI MATTEI prof. Emilio fleiiiorìa J[. L. 6DSCALI0NI e 6. LOPRIORE Il pleroma tubuloso, l’endodermìde midollare, la frammentazione desmica e la scbizorrizia nelle radici della Phoenix dactyiifera L. INTRODUZIONE Le osservazioni da noi fatte sulla costituzione esterna e sull’ organizzazione interna delle radici della Phoenix dactyiifera^ mentre da un lato rivelano fatti assolutamente nuovi ed importanti, hanno dall’ altro strettissima attinenza con tutto quanto oggi si co- nosce sulla struttura e sulla morfologia, non solo del sistema radicale, ma degli assi in genere, appartengano questi alle piante superiori od alle inferiori. Crediamo quindi utile far precedere all’ esposizione dei fatti osservati un breve sunto storico sull’ argomento. Chè se, a titolo di confronto , volessimo fare un cenno, anche sommario, di quanto è in dominio della scienza ed in attinenza più o meno diretta coi nostri studi, dovremmo rifare quasi tutta la storia dei sistemi radicale e caulinare nelle loro manifestazioni morfologiche, anatomiche, fisiologiche e filogenetiche, compilando una rassegna estesa ed in parte inutile. Non essendo nostro intendimento entrare in un campo cosi vasto, limiteremo il nostro riassunto storico a quegli argomenti che più davvicino toccano i nostri studi o reclamano una nuova interpretazione in omaggio alle conclusioni, cui saremo giunti con le nostre ricerche. Il lavoro verrà pertanto diviso in tre capitoli, riferibili ai tre punti principali delle presenti indagini. Nel primo esamineremo, dal punto di vista storico, la forma delle radici, vale a dire la morfologia esterna di questi organi. Passeremo poi allo studio della loro interna organi- zazzione, fissando principalmente la nostra attenzione sull'origine delle radici dal fusto o dal periciclo radicale, sulla struttura dell’apice radicale, sulla endodermide, sul cilindro cen- trale, per risalire infine all’ analisi storica del controverso e complesso problema della stela. Per meglio intenderci, premettiamo, che la nostra rassegna, per le ragioni sopra esposte, dovrà spesso sconfinare dal campo delle radici, per illustrare non poche disposizioni strutturali o morfologiche di altre parti della pianta, in modo speciale del fusto. Queste divagazioni fi" Atti Acc., Serie V, Vol. III. M.em. I. I L. Buscalioni e G. Lopriore [Memoria I.| saranno giustificate però dal fatto che molte deduzioni tratte dallo studio dei vari membri della pianta illustrano i reperti da noi riscontrati nelle radici della Phoenix dactylifera o valgono a chiarire alcuni punti controversi ed oscuri della loro struttura. Nel secondo capitolo riassumeremo la lunga serie di osservazioni da noi compiute. Nel terzo metteremo a raffronto i nostri risultati con quelli di altri osservatori, ana- lizzando, con senso critico, le loro osservazioni e discutendo il problema della stela sotto un nuovo punto di vista. Ci permetteremo infine qualche considerazione generale o d’indole filogenetica sulla struttura della pianta. Chiuderanno il lavoro le conclusioni e una ricca bibliografia delle pubblicazioni con- sultate o in particolar modo attinenti a questi studi. Catania, luglio 1909 . Il pleroma tubuloso, ! eiidodermide midollare, ecc. 3 CAPITOLO I. STORIA, o 15 Jv” arooaie;:n:to. I. — Osservazioni morfologiche. Le radici , per la loro vita prevalentemente sotterranea od acquatica , in un mezzo cioè abbastanza uniforme, non presentano, per lo più, variazioni morfologiche e strutturali così profonde come i cauli e le foglie— organi questi molto più evoluti nella loro organiz- zazione. Ciò nondimeno dai lavori di Rimbach, di Gobel, di Tschirch, di Josx, di Monte- martini, di ScHiMPER, di Lopriore ed altri, appare manifesto che le radici possono subire particolari modificazioni in rapporto a speciali funzioni, tanto che il Gobel ha potuto di- stinguere 10 tipi di radicomi, fra cui per il nostro scopo meritano particolare menzione le radici atte alle trazioni meccaniche, le radici aeree, le avventizie e quelle trasformate in organi di aerazione (pneumatoforO. a) Radici meccaniche. — Atte a resistere quasi sempre alle trazioni, queste radici furono studiate dettagliatamente dal Rimbach . il quale , tra i primi , ebbe a rilevare che esse, mentre con la loro struttura rivelano 1’ ufficio cui sono destinate, presentano non di rado rugosità od anellature trasversali, dovute a ciò che le radici, possedendo la capacità di contrarsì, debbono in conseguenza corrugarsi alle periferia, dove il tessuto è meno ela- stico rispetto a quello delle parti centrali. Le radici contrattili sono frequenti a riscontrarsi fra le Monocotiledoni , in ispecie fra quelle fornite di bulbi ed altri organi sotterranei; non mancano però neppure fra le Dicotiledoni. Tschirch , Lindlinger ed altri autori hanno infatti segnalati parecchi esempi fra queste piante. Fra le Monocotiledoni meritano di esser segnalate le Palme, talune delle quali {Corypha umhr acuii fera) presentano associate alle radici di nutrizione (come del resto è il caso generale) quelle tipiche contrattili. Il Drabble ne descrive e figura alcune, in cui le anel- lature sono quanto mai marcate. Stando alle osservazioni di Tschirch , che del resto si accordano con quelle del Rimbach, le radici meccaniche difetterebbero di elementi sclerosati e resistenti, più abbon- danti invece in quelle di nutrizione. h) Radici avventisie — Questo tipo radicale, largamente diffuso specialmente fra le piante delle regioni tropicali, dei siti umidi, fra le epifite ed in non poche altre, riscontrasi pure fra le Palme. Il Winter, che studiò appunto le numerose radici avventizie che spuntano alla base dello stipite della Phoenix dactylifera , è giunto al risultato che la loro formazione è in ìstretta dipendenza con le disposizioni della chioma di questa pianta. Ogni lacinia fo- gliare, egli afferma, è concava in alto , perciò raccoglie I’ acqua piovana e la dirige verso la rachide principale che, essendo pure a sua volta scavata a doccia dal lato superiore. 4 L. Buscalioni e G. Lopriore [Memoria I.J si presta ottimamente ad avviare la corrente liquida verso il fusto. Questo , ricoperto in gran parte dalle basi fogliari più o meno alterate, rappresenta quasi una spugna, molto atta a trattenere l’umidità, la quale agendo sui resti fogliari, li decompone formando cosi, insieme al pulviscolo atmosferico, tutto attorno alla pianta , una sorta di hianus, molto adatto per dar ricetto alle radici avventizie. Così si spiega la grande abbondanza di radici alla base del fusto, senza le quali la pianta mal tonerebbe l’aridità dei siti in cui ordina- riamente vive. A conferma della sua ipotesi, il Winter osserva che altre Palme (Cocos), a fogliame meno atto a dirigere la corrente di acqua piovana verso il fusto, non sviluppano il sistema radicale caulinare epigeo. Per quanto la ipotesi del Winter appaia seducente , tanto più perchè armonizza con quanto si conosce per altre piante e in ispecie per quelle cauliflore (cfr. Buscalioni, Sulla Caulifloria, Malpighia XVllI) , ci permettiamo far rilevare che nella Washingtonia ed in altre Palme vi ha pure abbondante sviluppo di radici alla base del fusto, senza che le foglie siano disposte tutte quante in modo da favorire lo scorrimento dell’acqua lungo lo stipite. Del resto questo è nudo alla parte inferiore e non può quindi dar luogo alla produzione di humus , il quale poi sarebbe di poco giovamento a radici che crescono per ,un certo tratto sotto la corteccia del fusto. c) Radici a tipo pneumatodico. — Dopo che 1’ attenzione dei botanici venne fis- sata sulle radici tipicamente pneumatodiche delle Mangrovie e su quelle delle Conifere , sia viventi che fossili {Taxodium (1), etc.) proprie dei siti paludosi, i biologi hanno segna- lato molti e nuovi esempi di siffatti tipi radicali , che del resto si possono ottenere anche artificialmente (2) da piante che d’ordinario ne sono sfornite (Cactee crescenti in terra sti- pata, secondo Schumann). Noi ci soffermeremo unicamente a trattare di quelle delle Bambusee , studiate dal Montemartini , e dei pneumatofori delle Palme. Le radici aeree delle Bambusee , per lo più atrofiche , si presentano localizzate ai nodi. Esse hanno la corteccia attraversata da lacune aeree e per di più mostrano spesso 1’ apice dimezzato, di guisa che 1’ aria può fa- cilmente dall’ esterno penetrare nel tessuto radicale o, da questo, uscire. Analogo tipo radicale fu riscontrato nelle Palme dal Jost, per quanto le osservazioni, cui giunse questo autore, non siano state integralmente accettate dal Wieler. Quivi, se- condo il Jost, si hanno due tipi di pneumatofori (3) : il primo è contrassegnato dalle radici avventizie, le quali, analogamente a quanto avviene nelle Bambusee, dopo aver raggiunto un dato sviluppo, cessano di allungarsi, imbruniscono e perdono la punta. A questo modo faciliterebbero , secondo 1’ autore, gli scambi tra 1’ aria atmosferica e i tessuti della pianta. Le altre sono invece radici sotterranee che , dotate di geotropismo negativo , o di aerotro- pismo come quelle pneumatodiche delle Mangrovie, escono dal terreno, sviluppano un apice foggiato a clava, suberiflcato, d’ aspetto farinoso e solcato da scanalature. Si tratta qui di veri pneumatodi, i quali però, occorre notarlo, compaiono quasi esclusivamente (almeno secondo Jost) nelle piante coltivate e di preferenza in quelle tenute in vasi e all’umido. L’ autore potè constatare che 1’ accrescimento verso l’alto è collegato in parte all’ aero- (1) Degno di nota é il fatto che le radici pneumatodiche di questo genere sono spesso fasciate. (2) Il Ricome le ottenne sperimentalmente, sottoponendo le radici a trazioni ed oscillazioni pendolari. (3) Forse a questi se ne potrebbe aggiungere un terzo, avendo il Gatin riscontrato sulle radici di ta- lune Palme giovani produzioni lenticellari che funzionano da organi di aerazione. Il pleroma tubuloso, V endodermide midollare, ecc. 0 tropismo, di cui, stando alle osservazioni di Molisch, sono dotate molte radici (1), ciò che varrebbe appunto a spiegare come i pneumatofori si sviluppino abbondanti nelle piante col- tivate all’ umido o sott’ acqua, mentre difettano in quelle viventi allo stato naturale ed in siti piuttosto aridi. Non possiamo far a meno di rilevare che anche fra le piante viventi nelle condizioni naturali non mancano i pneumatofori radicali, poiché uno di noi (Busca- LiONi. Un’ escursione botanica nell’ Amazzonia, Bollettino della R. Società Geogratìca Italiana 1901) li rinvenne negli Astrocaryum viventi sulle sponde del Tocantins, vale a dire in siti solo temporaneamente inondati. (Vedi in proposito anche il lavoro di Tischler, Das Vor- kommen von Statolithen bei wenig oder gar nicht geotropischen Wurzeln p. 34) (1). Per quanto riguarda la direzione di accrescimento dei pneumatofori, è stato notato dal JosT che, se si tengono le piante forzatamente orizzontali, si può determinare lo sviluppo di siffatti organi in tutte le direzioni rispetto alla verticale. Da ultimo faremo rilevare che la natura pneumatodica delle radici dirette all' insù delle Palme è stata messa in evidenza dal Jost con lo stesso metodo adoperato dal Mon- TEMARTiNi per lo studio delle radici delle Bambusee, cioè con l’ insufflazione. d) Ramificasione della radice. — Nelle piante inferiori la ramificazione, tanto del fusto quanto delle radici, è frequentemente dicotomica. Questa disposizione rappresenta, per il PoTONiÈ , la sopravvivenza di un carattere ancestrale largamente diffuso fra le piante delle passate epoche geologiche. La dicotomia, che però talora è solo apparente, venne sostituita nelle piante superiori ed attuali dalla ramificazione a tipo monopodiale, come quella che, dal punto di vista della statica, offre maggiori garenzie. La dicotomia infatti assoggetta l’ asse principale ad una trazione eccessiva, per parte dei rami laterali sempre più divergenti e funzionanti come leve, il che viene parzialmente evitato col sistema monopodiale. Perciò la dicotomia è oggi cir- coscritta alle piante degradate ed a quelle acquatiche, viventi cioè in mezzo piuttosto denso. Se noi però limitiamo lo studio alle radici, troviamo che il sistema dicotomico è pure abbastanza diffuso fra le piante inferiori, per quanto qualche volta sia spurio (falsa dico- tomia delle radici di Isoetes, secondo Scott-Hill), mentre manca quasi fra quelle superiori. Fu tuttavia osservata dal Van Tieghem e dal Rywosch nelle Aracee, dal Reinke nelle Cica- dee, dal Drabble nelle Palme {Kentia, Areca) (2). A quanto pare, però, gli autori non hanno dato eccessiva importanza al fenomeno ; tanto più che fu spesso interpretato quale una dicotomia apparente. Ed invero nella monografia del Drabble la fig. 116 vale ad infondere questa persuasione, poiché rappresenta un asse radicale principale sul quale, in vicinanza all’ apice, ma di lato, stanno impiantate le radici secondarie. Più evidente appare la dicotomia nella fig. 105, per quanto il Drabble insista nel ritenerla soltanto apparente, come risulta dalla descrizione della figura così concepita : “ apparent dicotomy of Roots in Kentia „ (cfr. p. 490). Il momento meccanico che provocò nelle piante la sostituzione della dicotomia col sistema monopodiale, se può apparire efficace allorché si considera il fusto, per lo più cre- (.1) Alcune piante, fra cui talune dei siti per lo più umidi, benché sfornite di pneumatodi , si dirigono all’ insù per effetto dell’aerotropismo , così ad esempio la Bowenia spectabihs ha radici apogeotropiche che sorgono dal terreno, senza tuttavia presentare notevoli differenze rispetto alle altre geotropiche. (2) Secondo Góbel, in molti casi, la dicotomia ha luogo soltanto in seguito a lesioni dell’apice. Si tratta quindi di una ramificazione simpodiale elicoide o scorpioide. 6 L. Buscai ioni e G. Lo priore [Memoria I.] scente aH’aria e quindi soggetto a trazioni di varia natura, non è più applicabile, a nostro parere, alle radici che vivono d’ordinario in un mezzo assai denso, come è il terriccio, nel quale poi non si fanno, che in via eccezionale, sentire le azioni dinamiche sfavorevoli alla dicotomia. Se questa dunque è scomparsa o quasi dalle radici, è segno che, oltre al momento meccanico, anche altri fattori vi hanno contribuito, mentre poi, per converso, la sua persistenza qua e là, in gruppi disparatissimi del regno vegetale ed in ispecie fra le piante superiori, costituisce un documento tllogenetico di altissima importanza. Le radici dicotomiche hanno molti punti di contatto con quelle fasciate, essendo stato posto in evidenza da uno di noi (Lopriore) che queste vanno spesso incontro alla dico- tomia, come ne hanno con le radici geminate di Van Tieghem e di Lopriore. Noi non sap- piamo se altrettanto possa dirsi per le radici a più apici di Scoraonera e di Daucus , studiate dal Clos : questi lo afferma, ma è probabile che le stesse appartengano alla cate- goria di quelle delle Ofridee che, come si sa, sono aggruppamenti radicali. Una particolarità degna di menzione e in istretta relazione con quanto segnaleremo in seguito nelle Palme ci viene offerta dalla dicotomia (dei fusti) delle piante vascolari infe- riori (Felci), in cui il Chandler, il Boodle ed altri autori hanno rilevato, nel punto in cui ha luogo la dicotomia, la comparsa di foglie. Il che trova riscontro con le osservazioni di Lopriore sulle radici fasciate, che nel punto di divisione emettono spesso radici secondarie. Qui giova ricordare che nelle radici fasciate la comparsa di due o più radici di 2° o 3° ordine avviene per Io più nello stesso livello orizzontale (radici collaterali di Lo- priore). II. — Osservazioni anatomiche. a) Apice radicale, — La struttura di questa parte della radice è oramai nota, nelle sue linee generali, grazie alle numerose indagini già compiute (Van Tieghem, Borzì, Man- gin, Janczewsky, Kromer, etc.). E però ancora aperta la discussione intorno al valore ed al significato da assegnare agl’ istogeni, avendo l’anatomia vegetale ormai scosso dalle fon- damenta il dogma della specificità dei tre istogeni di Hanstein. Uno di noi (Buscalioni) ha dimostrato che il pleroma nelle radici delle Monocotiledoni, a volta a volta, può essere considerato come una formazione a sè o, viceversa, collegato col periblema. Le radici piccole hanno infatti un pleroma indipendente, mentre quelle grosse presentano per questi due tessuti (corteccia e cilindro centrale) istogeni comuni. Il fatto, messo in evidenza, oltre che dalla struttura degli apici e dall’esame del midollo contenente elementi reperibili nella corteccia (fibre , ammassi sclerosi circondati da periderma) , ha trovato la sua sanzione anche nelle anomalie delle radici di Phoenix , che talora hanno un mantello (1) foggiato a ferro di cavallo, di guisa che il pleroma comunica liberamente con la corteccia, senza che si possano riscontrare differenze nella costituzione delle cellule. Le Palme mostrano spesso questa fusione di istogeni : lo affermano infatti il Treub per il Cocos, il Flahault per la Phoenix ed il Borzì per le Palme in genere. Ed anche, (r) Come verrà in altro luogo specificato, il mantello corrisponde al cosiddetto” Verdickungstring ” di Sanio, od alla “ cerchia dei lasci procambiali ” di Buscalioni. Il pleroma iubuloso, V endodermide midollare, ecc. 7 infine, il Kormack e il Drabble, nelle radici ritenute dal primo come polisteliche, ebbero a riscontrare l’assoluta mancanza di una delimitazione fra il cilindro centrale e la corteccia. Quanto abbiamo testé messo in evidenza è sufficiente per tratteggiare la stiuttura dell’apice radicale, in ciò ch’esso presenta d’interessante per le nostre osservazioni. Noi ci soffermeremo pertanto a tratteggiare qui unicamente la struttura delle radici pneumatodiche, il cui apice subisce una profonda modificazione strutturale , messa in luce dal Jost. Ac- cenneremo in seguito alla struttura della cuffia radicale e alla sua funzione statolitica. Nelle Palme {Livistona, ed altre) l’apice delle radici pneumatodiche manifesta un aspetto speciale, altrove illustrato, e dovuto al deposito di abbondante tannino nelle cellule della corteccia. Le modificazioni, a cui l’apice va incontro, sono localizzate di preferenza nella cortec- cia, i cui spazi intercellulari appaiono ristretti. Si osserva inoltre una riduzione negli ele- menti sclerosi sottoepidermici e la scomparsa della epidermide. Invece di questi elementi troviamo, alla superficie dell’organo, un tessuto spugnoso fatto da piccoli elementi tondeg- gianti al quale succede uno strato sclerenchimatoso (De Bary) : gli spazi intercellulari sono in gran parte ripieni di una sostanza speciale che talvolta assume la forma di bastoncini addossati alle membrane e analoghi a quelli studiati dallo Schenk nelle Marottiacee e da Mattirolo e Buscalioni nel tegumento seminale delle Papillonacee (Malpighia, 1889, III.) Il tessuto scleroso e quello sovrastante spugnoso, fatti da elementi morti e pieni di aria, occupano gran parte della corteccia. Alquanto differente è la struttura dei pneumatodi apicali nelle radici della Phoenix. Manca qui lo strato scleroso, per cui il tessuto corticale profondo viene direttamente a contatto con quello spugnoso. Risulta dallo studio del Jost sullo sviluppo dei pneumatodi della Phoenix dactylifera che tale tessuto pneumatodico trae origine da un’ attiva segmentazione delle cellule più su- perficiali della corteccia , per cui 1’ epidermide si lacera per dar luogo alla formazione di quelle singolari fenditure altrove accennate. L’accesso dell’ aria nei tessuti viene così assi- curato, ma intanto, per effetto degli scambi gasosi, ha luogo l’imbrunimento delle masse tanniche contenute nelle cellule superficiali dell’organo. Un problema di attualità e di grande importanza si affaccia allorché si studiano gli apici radicali col sussidio di adatti reattivi (jodio), poiché spesso si constata la presenza del cosiddetto amido statolitico, diffuso nella columella ed avente, secondo 1’ Haberlandt, il Nemec ed altri autori, un ufficio non indifferente nel processo geotropico della radice, per quanto taluni (Tischler) abbiano notato la presenza di amido nelle cuffie di qualche pianta poco o punto geotropica e lo Czapek faccia intervenire in causa, nei fenomeni di geotropismo, anche altri corpi. Lasciando per ora impregiudicata la questione riflettente lo ufficio che l’amido mobile può esplicare nelle cellule apicali delle radici, osserveremo qui soltanto come il Nemec abbia constatato, nelle radici tagliate a pochissima distanza dalla sommità, la neoformazione dell’amido statolitico pochi giorni dopo dell’ avvenuta lezione, quando cioè è attivo il processo di rigenerazione. Non di rado esso compare già nella cuf- fia provvisoria, prima ancora, cioè, che la nuova radice siasi organizzata. Ma vi ha di più; quando, per effetto del taglio o per la sede in cui questo venne praticato, si formano due apici vegetativi radicali, ognuno di questi presenta un gruppo più o meno distinto di amido statolitico, formatosi il quale, ricompare la sensibilità geotropica che il taglio aveva soppresso. b) Corteccia. — Troppo è nota la struttura di questo tessuto per insistere nella 8 L. Buscalioni e G. Lopriore [Memoria L] sua descrizione. Accenneremo soltanto alcune particolarità che esso presenta nelle radici delle Palme e che si riferiscono allo strato scleroso superficiale (presente del resto in molte Monocotiledoni), ai fasci meccanici ed ai canali aerei. Dell’ endodermide tratteremo in seguito, poiché, sebbene questo strato appartenga quasi sempre alla corteccia, esso offre tanta importanza nelle nostre ricerche da meritare una descrizione a parte. Per quanto concerne gli strati sclerosi superficiali della radice, le osservazioni degli autori, che si occuparono prevalentemente delle Palme, sono fra loro alquanto discordi. Basterà ricordare che il Drahble riconosce che un po’ al di dietro della cuffia gli strati superficiali della corteccia sono sostituiti dal cosiddetto “ Limitingla3’er ” o epidermide degli autori, cui per altro non può applicarsi la denominazione di “ strato pilifero ” mancandole Palme di questo (1). Le cellule sono sclerosate e suberificate. Al di sotto compaiono parecchi piani di cellule lignificate, allungate od anco realmente d’ aspetto fibroso. Questo strato, insieme a quello suberoso, precedentemente descritto, ap- partiene al tessuto tegumentale ed ha origine in conseguenza di un processo di lignifica- zione che invade tutte le cellule, procedendo in senso centrifugo, mentre la suberificazione dello strato superficiale epidermico avviene in senso centripeto. Dato questo differente com- portamento, ben si comprende come spesso tra i due strati rimangano cellule a pareti sot- tili, poco o punto lignificate, rispettivamente suberificate, le quali servono cosi a mettere ancor meglio in evidenza i due tessuti che compongono il sistema tegumentale. Nella Phoenix il Drabble rilevò la suberificazione dei due strati, senza che abbia luogo la formazione di lignina in quello profondo. Alquanto differentemente considera il Kroemer la struttura dello strato esterno della corteccia radicale , accennando egli soltanto alla presenza , in talune Palme e più spe- cialmente nella Phoenix^ di un’ intercute rafforzata. Lo strato di rinforzo sarebbe equi- valente allo strato profondo tegumentale del Drabble, mentre 1’ intercute verrebbe rappre- sentata da quello periferico. Entrambi gli strati sono formati da parecchi piani cel- lulari (2). La rimanente porzione della corteccia, nelle Palme in genere e nella Phoenix in specie, è costituita da molti piani di cellule che delimitano spazi intercellulari, i quali, secondo il Drabble , hanno origine lisigenica e sono spesso attraversati da filli, prove- nienti dalle circostanti cellule del parenchima. Oltre a questo tessuto, però, molte Palme presentano ancora un largo sviluppo di elementi meccanici, in forma di cellule allungate ed isolate o di cordoni fibrosi. Nella Phoenix esistono soltanto i cordoni fibrosi circon- dati dalle ben note cellule contenenti gli “ Stegmata ” di Kohl. Degno di nota è il fatto che DE Bary avrebbe segnalato nel centro dei cordoni di talune Palme, in modo però alquanto dubbio , la presenza di cellule simili per struttura ai tubi cribrosi. Vario è l’ufficio di sif- fatti cordoni; non è escluso tuttavia che servano a mantener beanti i canali aerei, che per lo più si appoggiano contro di essi. c) Endodermide. — Questo strato può essere considerato sia in rapporto alla sua (1) Gillain avrebbe tuttavia notata la presenza di peli radicali nel Trachycarpus execelsa. Alla stessa conclusione sarebbe giunto il Karsten per l’ Iriartea, La mancanza di uno strato pilifero è probabilmente in relazione col fatto che le radici dei semi di Palme, in via di germinazione, presentano una corteccia in parte fusa con i cotiledoni (Gatin) (2) Sulla funzione e struttura delle guaine esterne della corteccia radicale, cfr. i lavori di Lindlinger e di ScHULZE. Il pler orna Tubiiìoso, ! endoderrnide midollare, ecc. 9 origine, come entità anatomico-istologica, sia in correlazione ai fasci vascolari, come parte della stela. Per ora ci limitiamo a prendere in considerazione il primo punto. L’endodermide è da tutti gli autori considerata, almeno per quanto concerne la radice delle piante superiori, come lo strato più interno della corteccia. Grazie a questo reperto, si è voluto estendere la nozione anatomico - topografica all’ endodermide del fusto e delle foglie; ma qui si sono incontrate non poche eccezioni alla regola che hanno fatto mutare notevolmente il concetto ed il significato dello strato delimitante la corteccia dal cilindro centrale. Cosi lo Schoute potè constatare che l’endodermide nasce talora dal cilindro centrale {Hippuris) e sarebbe perciò, in certo qual modo, analoga agli stelolemmi delle lamine fogliari (cfr. Strasburger), a riguardo dei quali le vedute di taluni autori (Bouygues) mal si con- ciliano con quelle di alcuni altri. E vero che, ad esempio, il Kniep ha combattuto le idee dello Schoute, ma, ciò non ostante, troppi sono i fatti, ed in specie quelli che si potreb- bero desumere dalle piante inferiori vascolari , che dimostrano come 1' endodermide non possa sempre esser considerata come strato - limite corticale (1). Eppure, data la grande maggioranza dei casi, in cui l’endodermide è realmente l’ultimo strato della corteccia, ragioni di opportunità ci consigliano a prenderla in considerazione anche come entità to- pografica. Forte di questo , il Van Tieghem e la sua Scuola continuano a descrivere , anzi a creare endodermidi anche là dove non ne esiste traccia ! E però vero che molte volte, se r endodermide non è presente, è tuttavia rappresentata da strati di elementi alquanto diffe- renziati da quelli circostanti ^strato cristalligero o amilifero, sfornito dei Punti di Caspary), che entro certi limiti potrebbero esser considerati come equivalenti endodermici, ma non è men vero che altri autori hanno stabilito il limite del cilindro centrale in base a tessuti prettamente ipotetici. Perciò lo Strasburger, volendo attenersi ad un concetto istologico da un lato, ad un criterio topografico dall’altro, ha distinto col nome di endodermide quella caratterizzata dai Punti di Caspary, mentre ha chiamato “ tleoterma „ le guaine di altra natura. Noi ritenia- mo , d’accordo con non pochi autori, che la distinzione sia poco felice , poiché sarebbe forse più logico designare tutte le guaine situate al limite reale o ipotetico del cilindro centrale con la denominazione generica di “ endodermide „ e coi nomi specifici di Caspa- riana (se munita dei Punti caratteristici), amilifera, cristalliggera, od anco mista. Egli è -certo che 1’ endodermide non serve solo a limitare la corteccia , essendo stata riscontrata dal Van Tieghem negli strati esterni di questo tessuto, dal Jeffrey, dal Tansley e dal Lulham nell’ interno del cilindro centrale delle Felci e delle Equisetacee, dove forma una vera barriera attorno al midollo, dal Russow attorno ai canali aeriferi dei fasci vasco- lari degli Isoetes, per quanto non tutti gli autori siano concordi su questo punto (Kruch). Ben ponderati i fatti, il significato dell’endodermide, come membrana limitante la cortec- cia, va preso con grande prudenza, dopo uno studio accurato dei singoli casi e senza quei preconcetti che fanno trovare il tessuto in questione anche là dove non esiste. Noi abbiamo intanto creduto opportuno di passare in rassegna i principali casi di localizzazione aber- rante deir endodermide, unicamente in omaggio ai fatti che verremo esponendo su questo tessuto e che ci paiono quanto mai atti ad illuminare il problema dell’ endodermide. (1) Secondo il Vladescu, nella Selaginella Marlensii, l’endodermide apparterrebbe al terzultimo strato della corteccia; formando gli ultimi due il periciclo. Atti Acc., Serie V, Vol. 111. Mem. I. 10 L. Buscalioni e G. Lopriore [Memoria I.] d) Cilindro centrale. — 1) Periciclo. Anche questo tessuto meritò molte discus- sioni. Si può dire che dal giorno in cui Van Tieghem, Douliot, Morot, d’Arbaumont ed altri autori della Scuola francese riconobbero in esso un tessuto sui generis e di grande importanza dal punto di vista della topografia del cilindro centrale, sono comparsi conti- nuamente lavori , diretti sia a confermare le vedute dei botanici sopra ricordati , sia a combatterle. Per quanto concerne il fusto, si può affermare che tutto ciò che venne detto a proposito dell’ endodermide vale per il periciclo. Per il Van Tieghem e la sua Scuola il periciclo forma una zona ben delimitata, cir- coscrivente il cilindro centrale, cui tuttavia appartiene , nella quale nascono le radici se- condarie e si formano tessuti svariatissimi (periderma , fasci vascolari , etc.) in seguito a proliferazione delle sue cellule, quanto mai atte a passare dallo stato adulto a quello meri- stematico. Contro il concetto anatomico del periciclo, quale venne formulato dai Francesi, si è elevato, in gran parte a ragione, il Belli, il quale ha fatto innanzi tutto rilevare che nei casi in cui manca l’ endodermide {Trifolium ad es.) è assurdo voler pretendere di riscon- trare un periciclo. È vero, però, che nell’esempio riportato dal Belli taluni potrebbero rile- vare nello strato cristalligero addossato ai fasci vascolari un equivalente endodermico, ma, a prescindere da queste vedute, più che altro subbiettive ed individuali, sta indubbiamente il fatto che , quando non esiste endodermide , è poco prudente parlare di periciclo. Nè è giusto affermare che la distinzione può farsi in base allo studio degli istogeni del fusto, in quanto che molte volte non è possibile stabilire , in seno all’ apice radicale , un limite netto fra pleroma e periblema, specie quando si tratta di Leguminose. Il Belli tende pur.e ad ammettere che, nei casi in cui elementi del fascio vascolare (tubi cribrosi, vasi legnosi, etc.) nascono nella regione del cosiddetto periciclo, non debbano per questo esser dichiarati di natura periciclica , essendo anzi più conforme ad una sana anatomia il ritenere siffatte produzioni come un' emanazione del fascio vascolare , dei cui elementi inv'^ero constano. Ed anche in ciò il Belli ha per lo più ragione: occorre soltanto notare che talora elementi del fascio hanno indubbiamente origine periciclica e sono quindi estrafasciali. Sono tali ad esempio i vasi periciclici che si formano molto tardivamente e senza regola in talune Monocotiledoni (Buscalioni), nonché il tessuto vascolare di accre- scimento di talune Liliacee arborescenti. Fatte le debite riserve , il Belli ha con valide e forse fin troppo minuziose ragioni dimostrato il lato debole del concetto di Van Tieghem e ancor più giustamente concluso che r endodermide ed il periciclo devono essere considerati non solo dal punto di vista anatomico , ma anche da quello fisiologico , poiché “ senza tener conto della funzione dei tessuti, è vano ed irrito il fabbricare teorie anatomiche pure (1). „ A sua volta la Scuola di Van Tieghem può accampare , a favore della propria tesi, il fatto che endodermide e periciclo sono troppo diffusi perchè non se ne debba tener conto, almeno da un punto di vista teorico, nei casi in cui non si appalesano con caratteri speciali. Procedendo diversamente , vale a dire ripudiando 1’ esistenza dei due tessuti sol (i) Il Belli non considera tuttavia che, come gli organi, così anche i tessuti possono esser presenti anche quando non compiono una particolare funzione ed hanno quindi soltanto il significato di entità filogenetiche. Perciò il botanico deve tener conto non solo della funzione, ma anco della derivazione e dell’origine, se vuol comprendere una data struttura. Il pleroma tiihnloso, V endodermide midollare, ecc. Il perchè i mezzi d’ indagine non la svelano, si sancirebbe un principio erroneo, in omaggio al quale si dovrebbe negare, ad esempio, qualsiasi importanza ai diagrammi fiorali teorici, perchè non conformi alla realtà delle cose. Invece anche questi sono utili pel fatto che presentano i fiori dei differenti gruppi naturali sotto un nuovo aspetto ed offrono ragguagli filogenetici d’ indiscutibile valore. Certo, intanto, che nelle radici il periciclo non solo è quasi sempre presente, ma talvolta offre , persino rispetto al midollo ed ai raggi midollari , caratteristiche tali da elevarsi alla dignità di un tessuto veramente sui generis, pur essendo di natura fondamentale come gli altri due. Particolarmente istruttive sono al riguardo le esperienze di Simon e di Nemec, dalle quali risulta che la rigenerazione della radice ha luogo solo quando siasi compro- messo mediante tagli il periciclo. Di fronte a siffatto reperto non si può fare a meno di concludere che questo tessuto abbia assunto funzioni particolari — forse acquistate secondariamente — atte a renderlo distinto dagli altri tessuti analoghi — midollo e raggi midollari — incapaci, fra l’altro, di rigenerare la radice lesa. Limitando ora le nostre osservazioni alla Phoenix dactylifera ed alle specie affini, rileveremo che nella radice di essa tutti gli autori hanno riscontrato il periciclo e l’ endo- dermide, che non sono invece più distinti nel caule. 2) Fasci vascolari e mantello. Sotto il nome di mantello uno di noi (Buscalioni) ha contrassegnato gli elementi a pareti ispessite, allungati e formanti come un tessuto fondamentale, nel quale stanno immersi i fasci xilematici e quelli liberiani nelle radici delle Monocotiledoni. Questo tessuto può talora estendersi al di là della cerchia vascolare ed occupare così il centro del pleroma, offrendo tutte le parvenze di un midollo, come avviene nelle radici piuttosto esigue, oppure cessa bruscamente dal lato interno, in corri- spondenza della zona perimidollare, che, in ultima analisi , sarebbe una sua emanazione , per essere sostituito, nella parte centrale della radice, da un vero midollo formato di cel- lule a pareti per lo più sottili. Nell’ ambito della cerchia vascolare e quindi del mantello (i cui elementi avvolgono anche i cordoni xilematici o liberiani midollari, quando questi sono presenti) i fasci legnosi e liberiani si alternano, ma talora i primi formano dei cordoni foggiati a V, racchiudenti nelle branche i fasci fioematici. Il Buscalioni ha poi dimostrato che, se i vasi legnosi esterni sono i primi a lignificarsi, sono invece gli ultimi a formarsi , comparendo prima i grandi vasi metaxilematici interni e di mano in mano quelli più esterni in ordine centrifugo. Simile reperto fu per le Palme pienamente confermato dal Drabble. Quest’autore ha poi rilevato che nelle Palme i fasci xilematici e fioematici midollari, dopo un percorso più o meno lungo, si uniscono con quelli della cerchia normale. Il Drabble non si preoccupa del significato filogenetico di tanto reperto, poiché infatti potrebbe trat- tarsi di una mera accidentalità. Noi tuttavia rileveremo che nelle piante vascolari inferiori è frequente la comparsa di cordoni midollari, i quali in un dato momento si fondono con la cerchia vascolare del ciclo normale ed esterno della solenostela. 3) Midollo. Talora presente, talora invece mancante questo tessuto è stato varia- mente interpetrato, tanto che da molti autori venne persino confuso con gli elementi più in- terni del mantello. Esso differisce tuttavia da questo per i caratteri delle sue cellule ed in particolar modo per la costituzione delle membrane cellulari. Gli studi del Buscalioni su questo tessuto, nell’ ambito delle radici delle Monocotiledoni, hanno dimostrato in op- Ì2 L. Buscalionì e G. Lopriore [Memoria I.] posizione alle vedute della Scuola francese, che nelle radici assai grosse, in corrispondenza deir apice, ha luogo una diretta continuazione degli elementi del futuro midollo con quelli della corteccia in via di formazione. Si tratta insomma di un unico tessuto, come del resto lo attestano le anomalie nella formazione dei fasci vascolari delle Palme e la storia dello svi- luppo delle piante vascolari inferiori, in cui, attraverso gli occhielli fogliari o rameali “ gaps „ (cfr. Jeffrey), si ha comunicazione tra gli elementi midollari ed i corticali. Data una tale disposizione di cose , appare evidente che debba perdere importanza l’appunto mosso dal Belli allo Strasburger di aver affermato, da un lato, che la traccia fogliare trascina con sè, all’uscita dal cilindro centrale, una porzione di midollo e, dall’altro, che la stessa esaurisce i suoi elementi parenchimatosi, come si è detto, d’origine midollare, nella corteccia , ciò che non permette più di stabilire quale sia la natura del parenchima 'della traccia , se cioè appartenga al tessuto midollare o a quello corticale. Infatti , noi os- 'serviamo che , essendo corteccia e midollo costituiti da tessuti similari, 1’ interpretazione dèlio Strasburger è abbastanza giustificata. Occorre notare che l’omologia fra la struttura del fascio fibrovascolare fogliare e quella fiei cordoni conduttori del cilindro centrale del fusto coll’ annesso midollo è ancora poco chiara, avendo le osservazioni del Bouygues portato a conclusioni nuove e alquanto diverse da quelle di altri autori. La questione si presenta inoltre ancora più oscura se volgiamo ( . T attenzione alle piante inferiori vascolari, a riguardo delle quali Tansley, Jeffrey ed altri autori emisero concetti affatto opposti a quelli finora accettati sull’affinità fra il tessuto parenchimatoso situato nel centro della stela e l’altro a questa circostante. È certo che nella formazione della piantola, sia che si tratti di Felci che di Equisetacee, compare bentosto un tessuto centrale che ha i caratteri di un midollo , affatto distinto da quello corticale , sia perchè mancano ancora gli occhielli fogliari o rameali, sia perchè la cellula apicale, da ■cui quasi costantemente emanano tutti i tessuti della pianta , forma come un tappo , che impedisce la fusione tra gli elementi del pleroma con quelli del periblema. Ben presto però compaiono i “ gaps ed allora il tessuto midollare non suole più essere distinto da quello corticale. Per noi dunque la questione dell’ indipendenza del mi- dollo dalla corteccia sarebbe ridotta a minimi termini nel senso che per lo meno in molte Crittogame vascolari l’autonomia del midollo sarebbe circoscritta ai pochi elementi paren- chimatosi contenuti nel centro delle stele primordiali. e) Teoria della Stela. — Orientati, per i fatti esposti, sulla costituzione degli assi caulinari e radicali noi ci troviamo ora in grado di discutere uno dei più ardui problemi dell’ anatomia delle cormofite, quello della Stela. ' La teoria, che sancisce questa entità anatomica, venne prima formolata da Van Tieghem e Douliot, in base agli studi sia sulle Primulacee, Ranunculacee ed altre Fanerogame, sia sulle Crittogame superiori. La conclusione è abbastanza elementare : il pleroma può esser ridotto, nella sua più semplice espressione, ad una stela. Questa, unica in originò (assi mo- nostelici) , darebbe poi luògo, in conseguenza di ripetute suddivisioni o di smembramenti, cui andrebbe incontro nell’ evoluzione successiva degli individui o delle parti della pianta , a due modalità anatomiche diverse, che il Van Tieghem distingue coi nomi di astelia e polistelia. In questa i singoli cordoni derivati dalla biforcazione della stela sarebbero 'costituiti da endoderrnide , periciclo , fasci libero-legnosi e midollo (non sempre presente). 'L’assetto di queste diverse parti si compirebbe- poi in modo che in ogni stela secondaria o "di ordine superiore 1’' endoderrnide coll’ accluso periciclo avvolgerebbe completamente il Il pleroma tubuloso, V endodermide midollare^ ecc. 13 complesso vascolare , il quale poi sarebbe costituito alla periferia da libro , al Centro da legno. Si avrebbe cosi una struttura o simmetria più o meno raggiata o centrica. Nel- r astelia invece la simmetria sarebbe piuttosto bilaterale o dorsiventrale , poiché il fascio avrebbe un solo piano di simmetria , ed il midollo (dato che esista) sarebbe eccentrico , per lo più dal lato del legno. La struttura astelica si troverebbe nelle foglie, nelle Equi- setacee , negli Opìiioglossmn , nel fusto delle Ranunculacee ; la polistelica nei fusti della Gunnera , di talune Primulacee , ecc. In genere un aumento nel numero o nel diametro dei fasci fogliari promuoverebbe spesso la polistelia nei fusti (Van Tieghem). Come moda- lità di secondo ordine si hanno la gamodesmia e la g amo steli a, quando i fusti astelici o rispettivamente polistelici tornano a fondere i loro fasci vascolari già smembrati. Quasi' tutte e talora anco tutte quante le strutture testé accennate possono riscontrarsi in una stessa pianta a seconda della evoluzione da questa raggiunta 0 della regione in cui r osservazione vien fatta : allo stato giovane ed alla base predomina la monostelia , più tardi ed in alto la polistelia , negli organi appendicolari 1’ astelia , negli assi fiorali ritorna spesso la monostelia. Lina monostelia apparente riscontrasi, ad esempio, negli Equiseti che diventerebbero monostelici per degenerazione dell’endodermide interna. Per noi ha grande significato il fatto — ormai generalmente ammesso — che astelia e polistelia, con le loro modificazioni secondarie (gamodesmia e gamostelia), si riscontrano quasi esclusivamente nei fusti e nelle foglie. Le radici sono monosteliche, poiché ogni altra disposizione anatomica intralcerebbe in esse il normale funzionamento del libro e del legno (Van Tieghem). Le eccezioni non mancano tuttavia, anzi divengono, secondo noi, ogni giorno più numerose: sono polisteliche, per molti anatomici, le radici delle Licopodiacee e delle Cicadee, quelle aeree delle Aroidee, i tubercoli radicali delle Leguminose ed, acciden- talmente, anche le radici della Vida Faha. Recentemente il Cormack ha rilevato nelle Palme la frequente struttura polistelica delle radici. Egli però fa notare che un completo avvolgimento del fascio vascolare per parte dell’ endodermide e del periciclo avviene ben di rado (Areca), essendovi nella maggior parte delle Palme un semicerchio periciclico-endodermico sol dal lato esterno dei fasci e limitatamente a quelli periferici. Le osservazioni del Cormack farebbero dunque ritenere la polistelia come un fenomeno frequente nelle radici delle Palme — almeno nella porzione loro basale — , ma quelle ulteriori del Drabble mutano completamente fisonomia al quadro anatomico, lasciando perplesso il lettore sul significato della struttura messa in evidenza. Il Drabble afferma che le radici delle Palme — contrariamente alle idee del Van Tie- ghem, che fa precedere la monostelia all’ astelia — si vanno organizzando con fasci separati, per cui i singoli cordoni potrebbero piuttosto essere inglobati nelle formazioni asteliche che in quelle polisteliche del Cormack. All’astelia succederebbe poi la monostelia, manifesta in vicinanza degli apici radicali , che , per il modo di crescere della radice , costituiscono produzioni più moderne di quelle reperibili alla base della radice. Il Drabble trae pertanto la conclusione che il concetto della stela non posa su fatti bene stabiliti ed ovunque pre- senti ; tanto meno poi esso é applicabile alle modificazioni che subisce il sistema vascolare delle piante. Riserbandoci di ritornare sul lavoro del Drabble, quando tratteremo della ra- mificazione del cilindro centrale , passeremo qui in rassegna gii studi più recenti sulla stela delle Crittogame superiori e delle Fanerogame. Cominciamo dalle Crittogame superiori, attorno alle quali hanno lavorato Jeffrey, Farmer éd Hill, Tansley e Lulha.m, Clich, Chanueler, Boodle, Gwinne-Waugham ed altri autori. 14 L. Buscalioni e G. Lopriore [Memoria I.] Un nuovo indirizzo nel concetto anatomico hanno portato i lavori del Jeffrey. Questi, dopo aver premesso che il tipo astelico di Van Tieghem diventa monostelico per Stra- SBURGER — prova evidente della fallacità della teoria stelare — osserva, nei suoi lavori sulle Crittogame superiori, che la descrizione fatta dal Van Tieghem della anatomia delle Felci è affatto erronea. In queste vi è spesso una stela tubolare , da cui poi, in corri- spondenza delle dicotomie del rizoma, si staccherebbe un fascio interno, che darebbe origine alla struttura policiclica, propria di non poche Felci e che nei gradi più evoluti è rappresentata da parecchie solenostelie invaginate le une nelle altre. Nelle piante va- scolari più degradate il tipo di struttura vascolare primordiale sarebbe dato da un cordone assile (protostela) a xilema centrale , al quale seguirebbe un sistema vascolare tubolare (sifonostelico o solenostelico) con un midollo formato spesso da elementi sclerosati e bruni. Con la comparsa degli occhielli rameali o fogliari si presenta nell’ asse del cilindro centrale un altro tipo di midollo, non più distinguibile dal tessuto corticale. Il Jeffrey rileva che nelle Felci s’ incontrano per lo più occhielli fogliari, nelle Lico- podiacee invece occhielli rameali. È noto però che in molte Felci appartenenti al tipo delle “ perforate „ il cilindro centrale ha occhielli di varia natura, il cui scopo non è stato pe- ranco ben definito. Nello studio delle Equisetacee viventi e fossili egli rileva che gli assi giovani di alcune forme attuali — in cui non vi ha più un cambio vascolare — sono costituiti da un tubo di tracheidi reticolate, circondante un tessuto di natura periciclica. Con 1’ evolversi del fusto appare, dal lato interno dei fasci, cioè al limite del periciclo, uno strato endodermico spes- so transitorio, oppure capace di scomparire e ricomparire parecchie volte di seguito. For- matisi gli occhielli, che qui sono rameali, per cui le Equisetacee e lè Caiamiti sono per il Jeffrey cladosifoniche, ha luogo la penetrazione del tessuto corticale nel cilindro centrale, dove forma un nuovo tessuto midollare. Il sistema vascolare, che in corrispondenza degli occhielli si era aperto per dar pas- saggio alle tracce fogliari, si chiude ben tosto un po’ al di sopra di queste. Da siffatta organizzazione il Van Tieghem fu tratto in errore e indotto a ritenere che la stela si bi- forchi, si frammenti e diventi cosi astelica. Considerazioni analoghe sviluppa il Jeffrey, nella memoria sulla struttura e sullo sviluppo delle Pteridofite e delle Gimnosperme, in cui, trattando dellé Ofioglossee, insiste sulla grande somiglianza che passa fra corteccia e midollo, sull’ endodermide interna e sulle comunicazioni tanto di questa quanto del floema interno con 1’ endodermide esterna al fa- scio e rispettivamente col floema esterno. Nelle Osmundacee non è tuttavia sempre pos- sibile distinguere un’ endodermide interna; anzi può avvenire che il floema interno dege- neri, nel qual caso compare una struttura simile alla monostelica, ma dovuta a ben altre cause. D’ altra parte, ammessa la grande frequenza, con cui l’ endodermide interna appare nella piantola delle Pteridofite, il Jeffrey dà a questo tessuto, contrariamente a quanto vuole il Bower, un alto significato filogenetico. Con la scorta di questi dati il Jeffrey prende in considerazione il cilindro centrale delle Angiosperme, venendo per queste a conclusioni parimenti poco concordi con quelle della Scuola francese. Non molto dissimili sono i risultati ottenuti dal Tansley nello studio delle Critto- game superiori, le quali, prescindendo dai casi di degradazione, presenterebbero una con- dizione protostelica primordiale, a cui segue una struttura sifonostelica con floema interno. Quest’autore dissente dal Jeffrey per il fatto che, non trovando egli una continuità, nei Il pleroma tubnloso, V endodermide midollare^ ecc. 15 primi internodi, del midollo con la corteccia, ne deduce che questa è quasi sempre indipen- dente da quello, con cui soltanto più tardi viene a trovarsi in contatto. I momenti meccanici, che determinano la comparsa di un midollo interno, vanno ricercati, secondo Tansley, nella necessità di aumentare le vie di conduzione , le quali sarebbero insufficienti allo scopo, qualora 1’ aumento venisse effettuato col solo ispessimento della protostela od aplostela. Ma perchè da questa si formi un tessuto midollare interno, occorre che gli elementi propri del fascio degenerino dal lato rivolto verso 1’ asse del fusto. Premesso pertanto che l’organizzazione delle Crittogame superiori è in origine protostelica (tipo Lindsaya) e radiale anzicchè dicotomica, per quanto la dicotomia sia spesso indizio di atavismo ; premesso pure che le foglie derivano da rami, il Tansley mette in evidenza alcune forme di stele protosteliche ma a tipo collaterale, le quali in nessun modo, secondo noi, potrebbero essere inquadrate nel tipo monostelico del Van Tieghem, tanto meno in quello astelico. Considerando 1’ endodermide interna, il Tansley osserva che nelle forme a 3 o 4 stele invaginate 1’ una dentro 1’ altra (Felci policicliche) vi hanno pur 3, 4 od anche più endo- dermidi concentriche, potendo ogni ciclo vascolare essere coperto da questo tessuto sia dal lato esterno che dall’ interno. Le endodermidi interne comunicano spesso, specialmente nelle piante adulte, con quelle esterne al cilindro centrale rispettivo, ma talvolta, come nelle forme giovanili ed in alcune Martensia, ne sono indipendenti. Il Tansley ammette quindi che nelle Felci havvi spesso una struttura midollare indubbiamente autonoma e non già derivata, come è quella che si forma in conseguenza di una protrusione di parenchima corticale e rispettiva endodermide attraverso i “ foliar gaps „. L’autonomia è resa evi- dente dal fatto che molti midolli hanno cellule sclerose o altrimenti conformate, ma differenti da quelle del tessuto corticale. L’ endodermide interna discontinua delle Helinin- tostachys non è ritenuta dal Tansley come un prodotto di degradazione secondaria. Infine questi tratta dei cosiddetti fasci vascolari accessori e dimostra che spesso ter- minano ciechi in seno al parenchima del cilindro centrale , sieno essi indipendenti , siano derivati dalle foglie iCeratopteris). Taluni di questi fasci potrebbero servire di raccordo col sistema radicale, a riguardo del quale merita nota il fatto che nelle Angiopteris i fa- sci radicali nascono profondamente in seno al cilindro centrale del fusto, tanto che spesso si attaccano ai fasci della faccia opposta a quella che dà inserzione alla radice. Anche il Gwinne-Waugham, le cui osservazioni verranno più tardi riportate, ammette col Tansley una doppia origine del midollo, mentre toglie importanza allo studio degli istogeni come mezzo per guidarci nella separazione dei tessuti. Di molto interesse per il nostro argomento è il lavoro di Farmer e Hill, i quali, partendo dal concetto che 1’ endodermide interna delle Felci non sempre è presente e che inoltre può formarsi indipendentemente da quella esterna, si levano contro la teoria della stela, che ritengono come un’ associazione di tessuti differenti (midollo, periciclo, endoder- mide, etc.). Per essi il problema della stela si semplifica quando si consideri il fascio va- scolare con le modalità relative ai suoi elementi, senza preoccuparsi dei tessuti che gli fanno in certo modo corteo. Le vedute di questi due botanici inglesi — che am- mettono due sorta soltanto di tessuti o aggregati di tessuti ; il fondamentale ed il vasco- lare — furono ampiamente discusse dal Chandler, il quale, dando maggior importanza alle osservazioni del Jeffrey, ritiene nondimeno che il fusto delle Crittogame superiori, sia in origine monostelico. 16 L. Buscalioni e G. Lopriore [Memoria I.] Infine, fra gli autori che si occuparono della Stela nelle Felci ed altre Crittogame su- periori, ricorderemo il Boodle per aver posto in evidenza nella Schisaea dichotoma ed in altre specie affini talune strutture di meravigliosa somiglianza con quelle che verranno da noi descritte. In connessione con le tracce fogliari si formano nella Schisaea dichotoma i •cosiddetti “ endodermal pockets „ o invaginazioni endodermiche , le quali , a giudicare dalle figure illustrative , si presentano nelle sezioni trasversali del fusto come cerchi od anelli endodermici inclusi nell’ asse del cilindro centrale. Siffatti cerchi sono talora in nu- mero di più, ma si fondono più o meno presto fra di loro, mentre poi quasi sempre sono fiancheggiati (su questo punto insistiamo particolarmente) da cordoni di tracheidi (“ internai tracheids „). Mediante tagli in serie, il Boodle potè constatare che siffatte invaginazioni en- dodermiche a poco a poco si spostano rispetto all’ asse del cilindro centrale per portarsi alla superficie, dove, una volta giunte, si fondono con l’endodermide esterna. Dopo di che r anello si apre all’ esterno, per cui la figui'a che ne risulta è quella di un’ endodermide esterna provvista d’ insenature che si avanzano nello spessore del cilindro centrale. Il sito in cui avviene la fusione delle due endodermidi e l’ apertura dell’ anello interno corrispon- de all’ uscita di una traccia fogliare. Evidentemente è questa in parte la struttura già segnalata da alcuni autori. La pre- senza però in essa di cordoni tracheidali accanto alle invaginazioni endodermiche . è per noi un fatto di particolare importanza. Il Boodle accenna inoltre a bozze endodermiche in- terne di altra natura, avvolgenti un ammasso di cellule sclerose e brunastre od anche un tessuto di elementi a pareti sottili, non dissimili questo e quello dai costituenti del tessuto corticale. Tali bozze endodermiche possono essere parimenti accompagnate da fascetti le- gnosi od anco cribrosi. A quanto pare, il Boodle non annette gran valore filogenetico a tali, produzioni , ri- tenendo eh’ esse siano determinate da particolari momenti meccanici, capaci di alterare la primitiva stela solida (come ad es. nella Lindsaya, descritta dal Tansley e dal Lulham). Il momento meccanico sarebbe chiarito dalla presenza di sclereidi in seno al tessuto av- volto dall’ endodermide interna. Ma non essendo sempre presente questo tessuto, ed inoltre non presentandosi ben chiarita la funzione dell’ endodermide interna, è più logico, secondo noi, ammettere la presenza di qualche rapporto filogenetico. La esistenza poi di tessuti nell’ interno dell’ endodermide interna — data 1’ affinità loro con quelli della corteccia — lascia supporre una comune origine fra midollo e corteccia , per quanto la mancanza di comunicazione fra l’endodermide interna del secondo tipo e quella esterna indichi che il tes- suto in essa racchiuso appartenga alla stela. Il Boodle così riassume i fatti osservati ; La struttura del fusto della Schisaea dichotoma è derivata da un tipo protostelico, passato poi per i seguenti stadi di sviluppo : formazione di un midollo parenchimatoso ; differenziazione in seno a questo di cordoni sclerosati circondati da endodermide e, ai nodi, in comunicazione con gli elementi della corteccia ; riduzione del tessuto scleroso ed emanci- pazione da questo degli elementi corticali (per cui le bozze endodermiche rappresenterebbero r ultimo vestigio dell’ antica comunicazione fra 1’ endodermide interna e quella esterna). A questi stadi seguirebbero la scomparsa dell’ endodermide interna e del tessuto scleroso, con formazione di un midollo puramente parenchimatoso. Con la scorta di questi documenti e dopo aver accennato che i cordoni tracheidali interni sono un vestigio dì antica struttura, il Boodle passa in rassegna la teoria della stela, facendo osservare che questa è dapprima protostelica, con tracce fogliari indipendenti. Col Il plerolua tubnloso, l’endodermide midollare^ ecc. 17 progredire dello sviluppo la porzione interna della stela— la quale, occorre notarlo, consta di elementi vascolari e di parenchima fondamentale — si trasforma in midollo , per quanto non sia possibile seguire al microscopio il cambiamento strutturale. Comparisce così la mo- nostelia quale tipo generalizzato di struttura stelare, non essendo le altre forme di stela che adattamenti secondari inerenti a speciali condizioni fisiologiche, come già ebbe a rile- vare il Brebner. Neppure alla solenostelia di Jeffrey egli accorda eccessiva importanza, poiché nella Schisaea pusilla, ad esempio, non si trova traccia di floema interno. Col riassunto delle osservazioni del Boodle riteniamo opportuno chiudere la rassegna degli studi fatti sulle piante vascolari inferiori, facendo rilevare che per quest’ ultimo autore la monostelia e la protostelia costituiscono due reperti anatomici propri di siffatti tipi ve- getali , riscontrandosi le altre forme di stela solo più o meno saltuariamente nei differenti generi e nelle varie specie di un genere. Gli studi degli autori inglesi hanno pure stabilito che nella grande maggioranza delle Felci comparisce una endodermide interna comunicante con quella esterna attraverso i “ gaps „ fogliari, oppure da questa indipendente (stadi giovanili delle Felci). Qualunque possa es- sere r origine di questa endodermide interna , avendo gli studi di parecchi autori ed in particolare del Van Tieghem stabilito che spesso nelle Felci endodermide e periciclo hanno origine comune, perde, secondo noi, alquanta importanza la quistione di sapere se h en- dodermide interna sia di natura corticale o pleromica. Questo momento, quanto mai degno di studio^ è stato finora trascurato dagli autori. 11 midollo, racchiuso dappidma nel corpo della stela indifferenziata e poi nell’ endoder- mide interna , appare ai differenti autori ora come tessuto stelico, ora come tessuto corti- cale. La quistione è ancora sub judice ; ma noi non possiamo esimerci dal rilevare che siffatto midollo — spurio o genuino — deriva quasi sempre dalla metà interna di quella cel- lula apicale, che dalla metà esterna produce la corteccia. Aggiungeremo, in secondo luogo, che solo una porzione di esso, derivata forse dalla trasformazione degli elementi del fa- scio, può considerarsi come sicuramente stelica. Questa, rara nelle forme adulte, si trova nelle stele giovani, che non hanno messo ancora in comunicazione il midollo con la cor- teccia. L’ altra porzione, che sta racchiusa nella endodermide , è più probabilmente di ori- gine corticale o almeno a questa si può riferire quando si consideri che endodermidi in- terne, non comunicanti con quelle esterne, possono essersi emancipate da queste solo se- condariamente. * Passata in rassegna la struttura della stela nelle Crittogame, occorre, per completare il quadro storico, studiare la stessa nelle P'anerogame , limitandoci tuttavia ai soli lavori che hanno maggiore attinenza con i nostri studi, tanto più che molti autori , occupandosi deir una, non mancarono di riferirsi anche all’altra. Basti ricordare che anche il Jeffrey , studiando le Primulacee ed altre Fanerogame {Giinnera, Parnassia, etc.), notò che anche in queste comparisce dapprima un cilindro cen- trale sifonostelico o solenostelico, che ben tosto dà origine ad un periciclo e ad un’ endo- dermide interna, quasi che la pianta cerchi di compensare col maggior sviluppo dato al periciclo la deficienza di accrescimento in ispessore. Riguardo alle forme asteliche del Van Tieghem, il Jeffrey , dopo aver espresso dei Atti Acc., Serie V, Vol. III. Mem. I. 3 18 L. Buscalioni e G. Lopriore [Memoria L] dubbi sull’ utilità di tener distinta 1’ endoderniide dal tleoterma, sancita dallo Strasburger , osserva che le forme giovani di alcuni Ranunculus hanno parimenti un’ endodermide in- terna, che poi scompare, e che inoltre presentano un sistema sifonostelico. Egli conclude che la concezione del Van Tieghem manca di un serio fondamento anche per il fatto che in pratica non si può stabilire una separazione netta fra le forme asteiiche e le polisteli- che. Però, pur facendo astrazione dalle vedute della scuola francese, i fatti osservati nelle Fanerogame— dove pure il solo fusto presenta strutture apparentemente riducibili al tipo stelico — portano molta luce sui problemi filogenetici, specie quando siano basati sulla sto- ria dello sviluppo e “ chiariscono le cause delle differenze strutturali tra fusto e radice Non molto dissimili sono le idee del Gwynne-Vaugham che illustrò la struttura delle Primulacee — su cui perciò non insisteremo — dovendo piuttosto soffermarci sugli studi del Belli , dello Schoute , del Fischer e del Chrysler , che hanno maggiore attinenza con i nostri. Per il lavoro del Belli, poco vi è da aggiungere a quanto si è già detto ; riconosciuto che periciclo ed endodermide non sono entità anatomiche fondamentali, costanti e ovunque reperibili, la teoria della stela dovrebbe per questo cadere. Lo stesso pensa anche il Fi- scher, dopo di aver passato in rassegna molte piante Angiosperme e Gimnosperme. Lo Schoute affronta invece il problema della stela da un punto di vista diverso. Egli combatte la distinzione creata dallo Strasburger a proposito delle guaine limitanti , fleotermiche ed endodermiche ; rileva col Gwynne-Vaugham l’impossibilità di distinguere nelle Primule polisteliche un pleroma nettamente separato dalla corteccia in corrispondenza dell’ apice vegetativo ; dimostra che il pleroma dà talune volte elementi della corteccia {Hippuris)\ osserva al Belli che la teoria di Delfino, alla quale questi ricorre per di- struggere la teoria della stela, è infondata, non avendo questa ragione di esistere in un fil- lopodio. A parer nostro, però, questo concetto è erroneo (Cfr. Buscalioni e Muscatello— Fillodi e Fillopodi — Atti Accademia Gioenia. Catania 1909). Egli ricorda inoltre i caratteri che valgono in moltissime Fanerogame, sia Angiosper- me che Gimnosperme, a separare il cilindro centrale dalla corteccia ; discute le differenze fra la gamodesmia e la gamostelia di Van Tieghem esamina la struttura delle Crittogame superiori munite di un’ endodermide interna primordiale e conclude infine che la teoria di Van Tieghem è buona, specie se applicata allo studio della monostelia , solenostelia od a quella ancor più primordiale amidollare (protostelia o aplostelia). IMeno esplicito è 1’ autore in riguardo alla controversa questione della polistelia e della astelia : per confortare le sue asserzioni sulla stela, non si preoccupa affatto dei casi in cui vi è una endodermide in- terna , non riconoscendo in questa disposizione il particolare significato filogenetico ad essa relativo, ciò che, secondo noi, è erroneo, specialmente rispetto alle Crittogame vascolari. Importantissime, dal punto di vista che c’ interessa, sono le osservazioni del Chrysler sul cilindro centrale delle Araliacee e delle Liliacee. Secondo l'Autore, nelle Potoidee, che rappresentano un tipo piuttosto degradato, comparisce dapprima una protostela ; nei rizomi « più evoluti si mostrano poi i “ foliar gaps „ che mettono in comunicazione il midollo con la corteccia , mentre i fasci diventano anfivasali. Nelle Calloidee ( Symplocarpus) i fasci si separano gli uni dagli altri e ognuno di essi si cinge di una endodermide speciale. Ma ben tosto tornano a fondersi tra di loro e intanto, in corrispondenza del punto di uscita delle traccie fogliari , si circondano di nuovo anche dal lato interno di una endodermide, Il pleroma tubuloso^ l’ eudodermide midollare, ecc. 19 che, attraverso gli occhielli, comunica con quella esterna. Tale struttura si accompagna al raddoppiamento del floema, che comparisce perciò anche dal lato interno del fascio. Siffatta condizione di cose non dura tuttavia a lungo, non tardando 1’ endodermide interna a scom- parire di nuovo. Dai fatti esposti, il midollo risulterebbe come una emanazione del tessuto fondamentale corticale. Lo stesso reperto si osserverebbe quasi nelle Phylodendroidee {Peltandra virgiuica) e fors’ anche nella Alocasia, in cui è evidente uno stato protostelico. Molte Aracee — affini, come si sa, alle Palme e per noi quindi di particolare interes- se— sono pertanto protosteliche, poi sifonosteliche con endodermide interna, analogamente a quanto si verifica nelle Felci. Singolari sono pure i risultati del Chrysler relativi alla organizzazione interna di molte Asparagoidee {Clini onia, Medeohf), in cui vi è pure una doppia endodermide, di cui l’in- terna è più o meno stabile. Quali conclusioni trae il Chrysler dal suo lavoro ? Innanzi tutto egli ammette che la teoria stelare di V.an Tieghem non corrisponde ai fatti; in secondo luogo che il fascio va- scolare del rizoma di non poche Monocotiledoni mostra, rispetto agli organi aerei, una struttura molto degradata, rispecchiante quella di talune piante inferiori, per cui ha un alto significato filogenetico; che infine midollo e corteccia, a causa della loro intima connessione, non sono che parte del tessuto fondamentale e non già entità diverse. Chiudiamo questa lunga rassegna sulla stela, facendo rilevare che il concetto del Van Tieghem, mentre è ripudiato dal Belli e dal Pùscher per il fatto che spesso attorno alla stela manca l’ endodermide, è combattuto, d’ altra parte, dagli anatomici inglesi e ameri- cani in base alla grande diffusione, che presenta talora 1’ endodermide in seno al cilindro centrale. Il Belli rivolge specialmente la sua attenzione ad un genere {Trifolium), g\ì a\- tri autori a specie, generi e famiglie differenti. Data la singolarità del caso, sarebbe oppor- tuno dimandare ai sostenitori ed agli avversari della stela quale criterio 1’ anatomico do- vrebbe seguire per classificare il fusto della Monstera fenestrata, che secondo il Mangin (pag. 315) porta radici avventizie lungo gl’ internodi ed anche ai nodi, ma limitatamente ad una delle facce , in corrispondenza della quale trovasi ben sviluppata l’ endodermide , mentre sulla faccia opposta, sfornita di reticolo radicifero, vi è un cilindro centrale che si confonde con la corteccia per mancanza di una guaina divisoria (1). Tale fusto è mono- stelico da un lato, privo di stela dall’ altro ! Ai sostenitori della teoria stelare— ancor numerosi in F'rancia ed altrove — faremo da ultimo notare che gli autori, quando, a proposito della polistelia e dell’astelia, affermano col Van Tieghem e col Morot che endodermide e periciclo si ripiegano attorno ai fasci, si ispi- rano a vedute che non sono esatte, o per lo meno non corrispondenti sempre ai fatti. La descrizione diventa poi affatto erronea quando si vuole ammettere col Van Tieghem che, nel caso di strutture asteliche, sulle facce laterali e interne dei cordoni vascolari, periciclo e endodermide non sarebbero più derivati dai tessuti omonimi, perchè periciclo e endoder- mide sono solo presenti sulla faccia esterna del fascio. Essi invece derivano da un quid diverso, dai raggi midollari e dal midollo , donde la necessità di chiamare siffatte cerehie endodermiche col nome di peridesmi. 1 nostri studi hanno invece dimostrato che non si (i) Non accordandosi grande importanza all’ endodermide e al periciclo nella concezione dei cordoni va- scolari. un fascio concentrico diventa quasi omologo ad una monostela primordiale o protostela. 20 L. Buscalìoni e G. Lopriore [Memoria I.[ deve accordare molto peso a siffatta distinzione di origine dei due tessuti — periciclo e en- dodermide — poiché, mentre il midollo e i raggi midollari da una parte sono uguali al peri- ciclo, dall’ altra si costituisce un vero periciclo tutto intorno alle astelie in via di formazione. f) Ramificasione dei fasci vascolari (desini). — Se nelle piante superiori prevale la ramificazione monopodiale, nelle inferiori invece è più diffusa la dicotomia! Qualunque sia il tipo di sdoppiamento, cui va incontro l’asse, lo smembramento è sempre preceduto dalla partizione del cilindro centrale, la quale spesso avviene senza che 1’ asse subisca modificazioni di sorta. Illustreremo qui le modalità che regolano nelle varie piante la sud- divisione del cilindro centrale. Innanzi tutto occorre notare che nelle piante superiori la divisione o segmentazione del cilindro centrale o dei suoi cordoni vascolari si compie in modo molto semplice, men- tre suol’ essere alquanto più complicata in quelle inferiori. Basterà, per convincersene, con- sultare le figure relative degli autori finora citati. Da queste risulta che la stela o il cilin- dro centrale si frammenta in modi svariatissimi, i quali fanno sparire la simmetria radiale o bilaterale che domina nel cilindro centrale di siffatti tipi vegetali. Inoltre le divisioni av- vengono per strozzamento dei cordoni vascolari in punti disparati, di modo che spesso le due metà del cilindro centrale sono disuguali. Il sistema vascolare in via di sdoppiamento presenta perciò molto spesso la forma di un 8 molto irregolare. Quando poi la frammentazione è avvenuta ed i relativi frammenti si sono separati, allora impera nelle sezioni trasversali dei fusti , rizomi , etc. il massimo disordine, poiché stele di varia forma e dimensione si trovano le une accanto alle altre. Noteremo anche che il Chandler e forse pure Farmer et Hill hanno osservato nel punto, in cui ha luogo la dicotomia del cilindro centrale , la frequente uscita di una traccia fo- gliare. . Le piante superiori offrono esempi classici di ramificazione stelare per lo più dicoto- mica, come ad es. osservò il Drabble nelle Palme stesse , senza però approfondire la ri- cerca , secondo noi degna di studio e di grande importanza filogenetica. Sdoppiamenti stelari (ci sia permessa la espressione) aventi carattere anomalo si os- servano in molti casi di fasciazioni delle radici di Zea Mays e di Vida Faba, studiati dal Lopriore e su cui ritorneremo. Altri esempi di partizioni dicotomiche ed anomale hanno consegnato nella letteratura botanica specialmente quegli autori che studiarono la struttura delle radici dicotomiche. La biforcazione inuguale del cilindro centrale si collega spesso ad anomalie nella di- stribuzione dei fasci vascolari, fra cui merita particolare interesse la separazione di cordoni vascolari depauperati — atrofici — i quali, non appena si sono separati dal cordone principale, penetrano nella corteccia e vi si esauriscono, non avendo alcuna funzione da compiere. Siffatti cordoni, stati messi in evidenza dal Marié nelle Ranuncolacee e da Lopriore nella Vida Faba, vennero da quest’ ultimo seguiti in tutto il loro percorso e nelle variazioni loro successive di struttura. Non poche volte però i cordoni depauperati, anzicchè nella corteccia, decorrono nel- r asse del cilindro centrale stesso, da cui derivano, ed allora hanno un certo significato filogenetico, come si verifica per alcuni cordoni vascolari midollari delle Felci, da noi altrove accennati. Quando siffatti cordoni sono accompagnati da periciclo e da endodermide, come ad esempio in molti di quelli radicali ed in taluni caulinari, osservasi che 1’ endodermide persiste ancora per breve tratto dopo la scomparsa degli elementi essenziali del fascio. Il pleronia tnbuloso, V endodennide midollare, ecc. g) Origine delle radici secondarie ed avventiBie — Per questo argomento abbastanza noto rinviamo ai lavori di Van Tieghem, Janczewski, Mangin, Borzì, Vonhoehne, limitan- doci a poche osservazioni — specialmente sulle Palme e piante affini — più strettamente atti- nenti ai nostri studi. Quanto ai processi di digestione, promossi dalle radici in via di svi- luppo e studiati specialmente dal Vonhoehne, dovremo quanto prima farne menzione. 1) Radici inserite sui fasci del fusto. È noto, fin dai lavori di Mohl, Meneghini ed altri autori, che le radici alla base del fusto delle Palme presentano il loro cilindro centrale smembrato in cordoni più o meno robusti che s’ infiltrano tra i fasci fibro-vascolari situati alla periferia del cilindro centrale. Questo fatto è stato messo dal Mangin in correla- zione con la mancanza, tanto nelle Palme quanto nelle Pandanacee, di un reticolo radicifero. Nel momento in cui il cilindro centrale radicalesi smembra, per raccordare i suoi ele- menti con quelli del fusto, rendodermide radicale si scinde, dimodoché i singoli fasci — o almeno quelli periferici — restano soltanto più incappucciati da siffatto tessuto in corrispon- denza del lato rivolto verso 1’ esterno. Il Cormack , che ha studiato il fenomeno dello smembramento nQ.\V Areca ed in altre Palme, rileva che i fasci si dissociano lentamente tanto da occupare un tratto molto esteso della base radicale, per modo che la radice acquista la struttura normale (monostelica, per esprimerci col Wn Tieghem) solo ad una certa' di- stanza dal punto d’ inserzione sul fusto. Venne inoltre notato che la sola Areca presenta un avvolgimento quasi completo dei singoli fasci vascolari — in via di dissociazione — per parte dell’ endodermide a sua volta dissociata. Le ricerche del Cormack stabilirebbeio dunque che le radici delle Palme nascono po- listeliche per divenir poi monosteliche. Ciò per il fatto eh’ esse, essendo sfornite di cam- bio— a differenza di quelle delle Dicotiledoni — e compiendo parecchie funzioni diversamente localizzate (funzione as.sorbente, limitata all’apice; funzione meccanica, relegata invece alla base) , devono necessariamente lungo il loro percorso cambiar forma e struttura in correlazione ai mutamenti fisiologici ed alle cambiate condizioni , cui vanno incontro. L’ accrescimento non può quindi essere uniforme. Il Drabble sarebbe invece giunto ad altri risultati e ad altre conclusioni. Egli rP leva che la struttura delle radici nelle Palme si presenta molto complessa là dove queste abbandonano il cilindro centrale del fusto, su cui s’ inseriscono, e tale si consei'va per un tratto abbastanza esteso (parecchi centimetri) . Il comportamento varia naturalmente da specie a specie, ma può ridursi al seguente schema. All’ origine la radice non risulta co- stituita più da un vero cilindro centrale, ma da un certo numero di cordoni vascolari, in ognuno dei quali i fasci sono disposti in modo da formare col loro assieme un anello che noi chiameremo complesso vascolare. In ogni complesso floema e xilema alternano ancora fra di loro, ma meno chiaramente che nelle altre parti della radice ; inoltre protofloema e protoxilema sono ancora periferici, mentre metatloema e metaxilema sono rivolti verso r asse del complesso. I complessi vascolari periferici si circondano nella loro metà esterna di endodermide, le cui cellule con i caratteristici Punti di Caspary si confondono con quelle del parenchima fondamentale nell’altra metà del complesso. Farebbe eccezione \ Areca , i cui complessi vascolari sono completamente avvolti dall’ endodermide. Allontanandoci dal punto di origine, l’ anello costituito dai complessi vascolari periferici si spezza verso il lato interno, formando cosi due complessi vascolari secondari dimidiati. Il nastro vascolare, che risulta dal nuovo complesso secondario esterno, si distende e si spiega, fondendo le due estremità libere con quelle dei complessi vascolari contigui. La L. Buscalioni e G. Lopriore [Memoria I[- ■)■) superfìcie del cilindro centrale appare quindi formata da uno o da pochi nastri vascolari, i quali presentano un contorno ondulato, corrispondendo ogni arco di siffatta ondulazione ad un complesso vascolare primordiale, da cui il nastro ha tratto origine. Non vi è tutta- via ancora una vera cerchia continua — una monostelia — poiché le interruzioni nei nastri sono parecchie. Nel contempo i complessi vascolari secondari più interni od assili tendono a portarsi verso la periferia del cilindro centrale per unirsi a quelli dei nastri, ai quali si saldano sui margini o lungo le facce che guardano verso il centro del cilindro centrale. Per effetto di questo accollamento disordinato di unità vascolari, ne deriva che i nuovi complessi vascolari di terzo ordine, notevolmente arricchiti di fasci, non prendono la strut- tura tipica dei fasci radicali, in cui, come è noto, si alternano radialmente libro e legno. Alla cerchia normale, costituita da raggi di legno e di libro, si addossano invece, dal lato rivolto verso l’asse della radice, altri raggi legnosi e liberiani, provenienti dai complessi vascolari interni secondari, che si sono fusi con quelli esterni. Questi nuovi raggi sono in posizione inversa rispetto a quelli esterni, per cui su di uno stesso raggio legnoso, procedendo dall’e- sterno all’ interno, s’ incontra prima il protoxilema poi il metaxilema della cerchia esterna, i cui grandi vasi si trovano al polo opposto a quello del protoxilema; compare in seguito un po’ di parenchima fondamentale e quindi susseguono metaxilema e protoxilema dei com- plessi secondari interni accollati. Apparentemente si ha un cordone legnoso, in cui i due protoxilemi sono rivolti 1’ uno all’ esterno, l’altro all’ interno, verso il centro della radice. La stessa disposizione s’incontra nei cordoni liberiani con la differenza che, invece di pro- toxilema e metaxilema, si ha qui protofloerna e metafloema. Tale disposizione non può che pregiudicare il funzionamento della radice quale or- gano di assorbimento e di conduzione. Perciò , a breve distanza dal punto d’ inserzione , scompaiono i lìoemi interni insieme ai proto- e metaxilemi dello stesso lato. Talvolta però persistono più a lungo od anche durevolmente i vasi metaxilematici maggiori della cerchia interna, i quali, cosi isolati, offrono all’anatomico l’impressione eh’ essi appartengano alla cerchia esterna normale, per quanto ne siano separati da un po’ di parenchima fondamentale. Può parimenti avvenire che, per rotazione dei raggi fioematici e xilematici interni in- torno ad un fulcro, rappresentato dai vasi più interni della cerchia esterna, compaiano quei fasci xilematici foggiati a V o ad Y, abbastanza comuni nella struttura della radice ed in- cludenti nella loro apertura esterna il fascette di floema. Non di rado possono avv’enire rimaneggiamenti ancora più singolari, per cui risultano nuovi complessi rappresentati da due V sovrapposti (Q, ma separati da due cordoni liberiani. A misura che la radice si allontana dal punto di partenza, conforma la sua struttura sempre più sul tipo della monostelica fino a concretarla del tutto, mentre le singole endo- dermidi, incappuccianti la porzione esterna dei complessi vasali periferici, si uniscono fra di loro con gli estremi, per formare così un anello continuo attorno al cilindro definitiva- mente costituito. 11 singolare comportamento delle radici avventizie delle Palme porse occasione al Drabble di fare alcune considerazioni critiche sul problema della stela. Egli osserva in- fatti che il cilindro centrale, almeno per un certo tratto, non può essere considerato come monostelico e che a sua volta la stela della pretesa polistelia basale non può essere a buon diritto designata con tal nome, mancando essa di endodermide. Per la stessa ragio- ne verrebbe meno la polistelia. Cadrebbe infine l’intero edilìzio della stela creato dal Van Tieghem, perchè mentre questi sancisce che nelle formazioni steliche si passa costante- 23 Il pleroind tubiiloso, V endodermide midollare^ ecc. mente dalla condizione di monostelia primordiale a quella di polistelia — e ciò per effetto dello smembramento della stela — qui si avrebbe invece la condizione opposta, poiché da una polistelia primordiale si passerebbe ad una monostelia secondaria. Lungi dal voler condividere le idee del Cormack , che ritiene polistelica la struttura delle radici in corrispondenza della base, il Drabble ripudia il concetto della struttura astelica, poiché questa, per formarsi, presuppone la presenza di una stela : come non può per le ragioni esposte chiamar monostelico l’ apice radicale delle Palme. Se il concetto della stela di Van Tieghem mal si applica alla struttura della radice delle Palme, per quanto riguarda la loro regione basale, ancor meno si presta ad inter- pretare r organizzazione dell’apice, dove non troviamo una struttura corrispondente al con- cetto dell’ H.anstein, poiché la separazione degl’istogeni non è abbastanza netta. 11 Drabble conclude dunque che stela e fascio vascolare dovrebbero molte volte es- sere considerati come entità omologhe , poiché non é sempre possibile distinguere il ci- lindro centrale dalla corteccia. Egli abbandona del tutto il concetto del Van Tieghem per stabilire come unità essenziali della radice (e fors’anche del fusto) il tessuto fondamentale da una parte, quello vascolare dall’altra. L’Autore lascia, però, alle future indagini il com- pito di stabilire quanto di vero siavi nella sua ipotesi, che d’altronde collima, secondo noi, con quella di Farmer e Hill. Se nelle Palme vi è frammentazione dell’endodermide, non si trova tuttavia inai esteso questo tessuto dal lato interno dei singoli fasci o complessi vascolari {VAreca eccettuata). Ora tale disposizione s' incontra invece in un genere alquanto degradato delle Dicotiledoni, nella Gunnera, più specialmente nella G. chineusis, in cui, come attesta il Van Tieghem, la radice s’ inserisce sul fusto per mezzo di un reticolo radicifero, il quale, per nascere in faccia ad una delle maglie del reticolo stelico, costringe la l'adice ad inserirsi in corrispon- denza dei cordoni libero-legnosi situati sui lati della maglia. Perciò nelle sezioni trasversali della radice in formazione si riscontrano due endodermidi, l’una esterna ed in contatto con r orlo esterno della maglia , 1’ altra interna in continuità con 1’ orlo interno della maglia stessa. Per effetto di tale disposizione formasi un’ endodermide interna, che però non tarda a scomparire. 2) Insersione delle radici secondarie su quelle primarie. Anche su questo ar- gomento dobbiamo attenerci alle osservazioni del Drabble , le quali tuttavia non sono esaurienti. Egli infatti osserva soltanto che l’inserzione dei fasci avviene profondamente, in seno al mantello della radice madre, per modo che anche i vasi metaxilematici interni riescono in talune specie avvolti dalle tracheidi del reticolo radicifero. E questa una dispo- sizione, che per altro non é propria esclusivamente delle Palme, essendo essa stata rinve- nuta dal Ryvvosch e da altri autori in parecchie Monocotiledoni. Le osservazioni da noi fatte sulla Washingtonia australis confermano pienamente le vedute del Drabble , avendo stabilito che le grosse tracheidi del sistema radicifero si avanzano attraverso il tessuto del mantello , non ancora del tutto lignificato, arrivando sino a contatto dei vasi metaxilematici interni che attorniano completamente. La comparsa delle tracheidi del reti- colo radicifero, presuppone la presenza di un tessuto fondamentale non sclerosato, poiché le tracheidi derivano dalle cellule del parenchima fondamentale. Vediamo perciò che attorno ai grandi vasi metaxilematici interni permane a lungo una guaina di cellule parenchimatose dalle pareti sottili e non lignificate, atte quindi a trasformarsi, quando che sia, in elementi 24 L. Buscalionr e G. Lopriore Memoria I.] tracheidali propri del reticolo radicifero, il quale, per il fusto delle Palme, si comporterebbe diversamente che nelle radici. Una caratteristica di molte bozze radicali delle Palme va ricercata neU’estensione anor- male del reticolo radicifero : questa disposizione segnalata da Mangix e dal Rywosch e che d’altronde è reperibile anche in altre Monocotiledoni, contrasta singolarmente con l'ordinario modo di formazione delle radici laterali, le quali per lo più hanno un reticolo radicifero ridottissimo, innestandosi le bozze radicali tutt’ al più a due o a pochi cordoni xilematici e tloematici della radice madre. Il Drabble infine rileva che in talune Palme vi sono due sorta di radici secondarie; le une, normali, che, appena formate, vengono alla luce, le altre invece decorrenti per un certo tratto nell’ interno della corteccia della radice madre e quasi sempre destinate ad esaurirsi prima di giungere all’ esterno (Areca concinna). Questo ultimo tipo radicale, derivante però dal fusto o da radici su questo inserite, fu da noi riscontrato, con estrema frequenza, al piede dello stipite di esemplari adulti della Washingtonia anstralis. Le radici derivate però dal fusto , quindi avventizie , decorrono ivi per estesi tratti sotto la corteccia, ramificandosi a più riprese. Esse poi, in conseguenza della pressione esercitata dalla corteccia dello stipite, subiscono una notevole deformazione del loro tessuto corticale. Il grande numero di radici sottocorticali che la pianta produce, quando ha rag- giunto una certa altezza, determina un brusco rigonfiamento dello stipite in corrispondenza della base e perciò un aumento nelle sue dimensioni. Data simile condizione e considerato che la formazione di nuove radici presuppone una divisione cellulare più o meno attiva (come del resto afferma lo Schoute) , anziché una semplice trasformazione di cellule parenchimatiche in cellule dei tessuti radicali , noi dobbiamo inferirne che l’ accrescimento dello stipite delle Palme può essere dovuto, in modesta parte almeno, alla proliferazione che dà luogo alle radici. Il nostro modo di vedere collimerebbe da una parte con quanto il Carano osservò nei Pandanus, per i quali è discussa molto la questione dell’accresci- mento in ispessore, e dall’ altra con le osservazioni dello Zodda, confermate recentemente dallo Strasburger. Rileveremo però che lo Schoute riduce a minimi termini 1’ accresci- mento delle Pandanacee per effetto dello sviluppo di un meristema , destinato a formare le radici. 25 Il pleroma tubuloso^ I endodermide midollare, ecc. CAPITOLO IL AIxV STRUTTURA UKUIvU RADICI 1 >1 r» H O EJ re I X D A C T Y U I U e: R A. I. — Morfologia esterna. Tipi di radici.— E noto che nella Phoenix dactylifera, come del resto in molte altre Palme, si sviluppa alla base dello stipite, quando questo ha raggiunto una certa al- tezza, un ammasso veramente singolare di radici aeree avventizie, il quale non di rado si eleva ad un metro circa sul livello del suolo. Le radici son poi cosi fittamente fra di loro stipate da formare come un feltro enorme e compatto, presentandosi nel contempo più o meno alterate per mutua compressione. Le condizioni poco propizie, in cui sviluppasi tal sistema radicale, fa si che le radici , dopo raggiunta la lunghezza di un decimetro circa, diventino vizze , brune e perdano la punta. Data una tale modificazione strutturale, è lecito supporre che esse possano funzio- nare, almeno fino a tanto che si conservano vive, come organi di aerazione , analoghi a quelli studiati dal Montemartini nelle Bambusee. Per lo più le radici aeree crescono dirette obliquamente all’ ingiù con una leggera cur- va ; però in mezzo al feltro, specialmente nella parte alta di questo, non mancano le radici che, isolate od in piccoli gruppi, si dirigono decisamente in alto, quasi a guisa di quelle conosciute come pneumatodiche. Il reperto ha una certa importanza, poiché, trat- tandosi di radici aeree, non è facile invocare l’azione dell’ aerotropismo e dell’ idrotropismo ; inoltre bisogna tener presente che le radici rivolte all’ insù non differiscono da quelle che si portano in basso (Cfr. i lavori di Karsten, War.ming, Seliber, ecc). Il feltro radicale, a causa della sua compattezza, raccoglie terriccio e pulviscolo , of- frendo un ottimo substrato alle epifite, quali 1’ Oxalis cornicnlata, 1’ Urnhil icus pendn- linus ed altre. L’ accrescimento delle radici ancor giovani è così vigoroso che la corteccia della base del fusto, con i resti dei ramenti fogliari, viene non di rado ad essere lacerata e sollevata per estesi tratti, rimanendo tuttavia saldamente innestata nell’ ammasso di radici che vi cre- scono attorno. Non raramente s’ incontrano dei polloni a sviluppo ipogeo, deformi e rachitici, come lo attesta la forma quasi a C delle foglie rivolte in tutti i sensi e portanti lacinie corte e rade. Le radici avventizie, ma ipogee, favorite dall’ umidità del terriccio, riescono invece ad allungarsi notevolmente, subendo ben di rado la necrosi ed il distacco dell’ apice. Il loro sviluppo intermittente è in armonia colle condizioni del mezzo, assai variabili. Il feltro radicale cessa quasi bruscamente, come si è detto, a pochi decimetri dal suo- lo. Le radici più elevate crescono in mezzo alle basi fogliari, che forzatamente allontanano dal fusto, rimanendo a lor volta notevolmente deformate per lo sforzo fatto, tanto che la corteccia appare spesso nastriforme. Atti Acc., Sepie V, Vol. III. Mem. I. 4 26 L. Buscalioni e G. Lopriore [Memoria I.l Havvi qui pertanto tre tipi radicali, non nettamente fra loro distinti, rappresentati il 1° dalle radici aeree, avventizie, a vita breve, ad accrescimento limitato e soggetto alla perdita dell’ apice ed all’ imbrunimento precoce della regione sottostante a quella caduta in necrosi ; il 2“ tipo è costituito dalle radici a sviluppo ipogeo e rigoglioso ; il 3° tipo, infine, da quelle dirette in alto e rassomiglianti perciò ai cosiddetti pneumatodi radicali, de- scritti in non poche Palme, compresa la Phoenix. Asportando il terreno attorno alla pianta, si può rilevare che fra le radici ipogee, che nascono dalla parte inferiore del cono caulinare basale, talune, benché conformate sullo stampo delle compagne, hanno tuttavia caratteristiche particolari inerenti forse alla loro maggiore età. Sono radici lunghe^ brunastre, abbondantemente ramificate ai fianchi. Esse poi, di trat- to in tratto, si piegano bruscamente, quasi ad angolo retto (fig. 2), per continuare di li a poco ad estendersi nella primitiva direzione. Frattanto nel punto in cui comparisce il ginoc- chio danno origine quasi costantemente ad una radice laterale, d’ ordinario piuttosto grossa. Stando ai fatti suesposti le radici genicolate, come noi abbia nio denominato il tipo radicale in questione, rappresenterebbero nella Phoenix una nuova forma di radice. Il grande numero di radici che sviluppa la Ph. dactylifera alla base del fusto, ci ha consigliato a tentare alcune esperienze sulle stesse, allo scopo di studiare come si formino e come si sviluppino sotto l’influenza di migliorate condizioni di esistenza. Perciò fu nostra prima cura di avvolgere tutta quanta la porzione basale dello stipite con un alto strato di terra, per modo che anche parte del fusto priva di radici venisse ad essere interrata. L’ operazione venne eseguita d’ inverno, durante cioè la stagione delle pioggie epper- ciò in un’ epoca favorevole allo sviluppo delle radici. Trascorsi circa cinque mesi, si aspoi- tò con un forte getto d’ acqua tutto il cono di terriccio, per mettere a nudo le radici neo- formate. Con sorpresa si vide che tutto il sistema radicale aveva subito un imponente sviluppo (cfr. fig. 1). Da tutta la base dello stipite coperto di terra erano uscite radici di nuova formazione e si erano allungate quelle preesistenti, che al momento dell’ interra- mento si trovavano ancora in buono stato. Sotto lo stimolo poi dell’ umidità del terriccio e delle favorevoli condizioni di esistenza, lo sviluppo del sistema radicale era divenuto molto attivo anche a qualche decimetro al di sopra del punto in cui, prima che s’iniziasse r esperimento, si arrestava il feltro di radici. Ma i getti più elevati , essendo comparsi al di sopra del cumulo di terra epperciò costituiti da sole radici aeree, si erano ben tosto ar- restati nello sviluppo, diventando in tutto e per tutto analoghi alle radici aeree , che rico- prono normalmente la base del fusto. In altre parole si avevano radici corte, brune e per lo più prive di punta. Sarebbe dunque lecito supporre che se s’ interrasse il fusto sino al livello della chio- ma, lo stipite non tarderebbe a coprirsi, in tutta la sua estensione, con nuove radici, pre- supposte favorevoli le condizioni di umidità. Questo esperimento fu appunto da noi iniziato con la formazione di una impalcatura attorno ad un grande esemplare di Phoenix dactyli- fera , allo scopo di poter elevare il cumulo di terra fino all’ altezza della chioma. Dopo un anno (19 aprile 1910), asportatosi il terreno, si constatò che le radici si erano sviluppate soltanto lungo la regione dello stipite coperta di ramenti fogliari alterati. Più in su esse mancavano affatto. Questo indica che il sistema radicale non trova per lo più condizioni favorevoli per svilupparsi là dove sono ancor presenti le foglie o i ramenti, non decomposti, di queste. Le nuove radici erano per lo più anomale, dicotomiche e polito- miche, senza dire che molte si presentavano rivolte all’insù come le pneurnatodiche. Il pleromn Tubuloso, V emìoderinide midollare^ eco. 27 Non meno ricco di sorprese fu 1’ esame delle singole radici , cresciute nel pane di terra. Le stesse, varianti, per grossezza, dal calibro di una penna da scrivere a quello di un dito (talune anche notevolmente più grosse), di color biancastro, carnosette, si mo- stravano variamente conformate. Le più erano quelle ordinarie di nutrizione, dirette obli- quamente in basso , lunghe e provviste di radici secondarie piccole e corte. Altre invece erano dicotomiche, poiché, dopo un certo sviluppo , improvvisamente si smembravano in due rami uguali o no per dimensioni e che , divergendo bruscamente 1' uno rispetto al- r altro, continuavano a crescere verso il basso. Non mancavano neppure le radici tricoto- miche od altrimenti politomiche, come pure non erano rare le radici dicotomiche, nelle quali uno dei rami od anche tutti e due, dopo un certo percorso , tornavano a dividersi in due o più rami di terz’ ordine (dicotomia e politomia di secondo ordine). Spesso però le ramificazioni di secondo ordine avvenivano nello stesso piano in cui si era effettuata la prima dicotomia, ma erano pure frequenti i casi, in cui le successive bi- e tripartizioni si compivano in un piano ortogonale od obliquo al primo, oppure le scis- sioni dello stesso ordine erano variamente inclinate 1’ una rispetto all’ altra. Non mancavano infine i casi, in cui i due rami di una biforcazione erano incapaci di un ulteriore sviluppo epperciò le due punte divenivano atrofiche. Quando poi uno solo dei due apici arrestavasi nell’ accrescimento, allora assumeva 1’ aspetto di una radice laterale , inserita ad una certa distanza dall’ estremità dell' apparente radice principale, rappresentante il ramo più vigoroso della dicotomia (fig. 7). Nelle figure 5, 11 e 12 abbiamo illustrato i principali casi di radici dico- trico- e poli- tomiche da noi osservati ; le stesse mostrano che quasi sempre le radici secondarie diver- gono bruscamente 1’ una dall’ altra, quasi che nel loro interno esistano, sui vari settori, tensioni disuguali determinanti la separazione. Vedremo più tardi come non pochi fatti d’ in- dole anatomica avvalorino il nostro asserto ; qui faremo soltanto notare che tale condizione torna opportunissima al buon funzionamento delle radici, che, divergendo, sfruttano un’area più estesa di terreno. Non mancano tuttavia i casi, in cui le radici, forse per mancanza di tensioni antagonistiche nel loro interno, decorrono ravvicinate (fig. 3). In corrispondenza della ramificazione dico- e politomica havvi spesso sviluppo di due o più radici secondarie, nascenti allo stesso livello. Casi simili, (fig. 11 e 4, mediana,) permi- sero di stabilire che la tendenza a formare radici orizzontalmente appaiate (radici collaterali di Lopriore) persiste anche lungo i rami derivati dalle ramificazioni fino ad una certa di- stanza dal punto di separazione, dimodoché le schizorrize (così denomina Lopriore tali ram.i), benché del tutto emancipate 1' una dall’ altra, mostrano ancora la comune origine , grazie alla presenza ad uno stesso livello di radici laterali. Pfiù in là, verso 1’ apice , queste pos- sono anche mancare oppure nascere a diversa altezza sui due rami , scomparendo nelle schizorrize la tendenza a formarle allo stesso livello. Tenteremo più tardi di dare una spie- gazione di questo singolare fenomeno. Le figure su ricordate illustrano, da ultimo, il fatto che le radici primarie non sogliono sviluppare più di cinque rami terminali, anzi di regola non si ha che una dicotomia o tut- to al più una successiva divisione di uno dei due rami secondari ; per cui il numero delle radici terminali è di 3-4. Per effetto della dicotomia che colpisce uno dei rami, si possono avere al più cinque apici. Le radici dicotomiche e politomiche sono frequentissime nel pane di terra avvolgente la base dello stipite, ma per lo più limitate nella parte superiore e media di quello. Il che 28 [Memoria I.] L. Buscalioni e G. Lopriore indicherebbe che la tendenza alla dicotomia è più frequente nelle radici di nuova formazione. Verso la parte basale dello stipite esse diventano sempre più rare, finché quelle origina- tesi all’ apice del cono basale sono tutte monopodiali e di nutrizione. Vi ha quindi una correlazione anche fra il punto d’ inserzione della radice sul fusto e la tendenza alla ra- mificazione dicotomica e politomica. Torniamo ora alle radici laterali, che si sviluppano associate sulle dicotomiche (radici collaterali) o isolate lungo i rami di queste od infine sulle radici normali di nutrizione. Tali radici sono esili e dirette in tutti i sensi rispetto alla verticale , inoltre non sono dotate , salvo le debite eccezioni, di notevole accrescimento. La loro origine, come vedremo in se- guito, è ben diversa da quella dei rami provenienti da divisione dicotomica, epperciò è giu- sto considerarle come un sistema radicale distinto. Oltre a queste forme radicali, sono numerose anche le cosiddette radici realmente pneumatodiche ipogee, caratterizzate dal loro comportamento sui generis rispetto alla gra- vità, poiché esse, invece di dirigersi obliquamente in basso, come fanno le dicotomiche o politomiche e quelle di nutrizione, si portano, incurvandosi leggermente, verso l’ alto. Si tratta di radici non molto grosse, poco o punto ramificate, di limitato accrescimento e distinte da un apice rigonfio, che non mancheremo di descrivere più minutamente. La fig. 1. mette in evidenza non poche di queste radici, visibili particolarmente nel mezzo e sul lato sinistro della stessa. Riassumendo i fatti esposti, possiamo distinguere nella Phoenix dactylifera i seguenti tipi di radici, con insensibili gradazioni dall’ uno àll’ altro : aeree. Radici a punta per lo più dimezzata, non ramificata e corta. Costituiscono la massa delle radici crescenti attorno alla base dello stipite. Radici principali cilindriche o schiacciate secondo le condizioni in cui si sviluppano pneuniatodiche\ sotterranee, corte, non ramose, a punta ingrossata. dirette aeree., poco dissimili da quelle aeree propriamente all' insù I dette. \ I di nutrisione. Radici foggiate sullo stampo normale , non dicoto- \ mizzate e portanti per lo più radici trasversali. genicolate. Radici di nutrizione a tipo normale, nascenti verso l’a- pice del cono basale dello stipite ; dirette per lo più vertical- mente in basso ; brune e con molte radici trasversali , di cui talune localizzate in corrispondenza della genicolatura, limitata- mente al lato convesso di questa. dicotomiche, tri- e politomiche {schisorrise). Radici di nutrizione portanti radici collaterali nei punti della scissione o in vicinanza di questa. dicotomiche (schisorrise). Radici secondarle trasversali. [ a tipo pneumatodico. Il pleroma tubiiloso, I endodennide midollare^ ecc. 29 b) Aspetto esterno delle radici. — Abbiamo già accennato alla colorazione e ad altre particolarità reperibili nelle radici in questione. Qui esamineremo alcuni altri dati , di una certa importanza, che, come vedremo, sono in correlazione con 1’ interna struttura. Gatin, Drabble ed altri hanno osservato che le radici delle Palme in generale non portano peli. Noi confermiamo il reperto per la Phoenix dactylifera, pur avendo riscon- trato qualche rara produzione d’ indole tricomatosa. La superficie della radice è, come sopra venne accennato, liscia , bianco-giallastra od anche brunastra per impregnazione di tannino e probabilmente anche di sostanze di natura chimica (radici nascenti all’ apice del cono basale dello stipite). Particolare menzione merita l’apice radicale, che, nelle radici in via di attivo accrescimento, talora è biancastro, acu- minato, munito di cuffia ben distinta e brunastra, tal’ altra invece presentasi di color bruno, deformato ed ingrossato a clava. Oltre a ciò, mentre gli apici biancastri hanno superficie piuttosto levigata, quelli imbruniti si mostrano cosparsi di rughe e screpolature dirette in vario senso, in modo che 1’ apice appare ricoperto da placche e squame. D’ ordinario le radici imbrunite si arrestano nello sviluppo : non mancano però i casi in cui le stesse, dopo una certa sosta, rientrano in attività e si allungano : allora 1’ apice appare di nuovo biancastro, ma circondato alla base da un collaretto brunastro, rugoso e screpolato, che c’ informa, colla sua estensione e ruvidezza, sulle fasi di sviluppo e di ar- resto, cui andò incontro la radice (Fig. 4 - i a sinistra, iii a destra). La forma dell’ apice è per lo più quella di un cono, che è rigido nelle radici sane , floscio in quelle ammalate ; solo nelle radici a tipo pneumatodico e in quelle notevolmente imbrunite si ha up apice foggiato quasi a clava (Fig. 4-m a sinistra). Osserveremo da ultimo che le radici avventizie aeree, senza apice, terminano con una punta sbrandellata, fibrosa, evidentemente dovuta alla distruzione dei tessuti. Dietro all’apice e per un tratto talora assai esteso, oppure a cominciare dal punto in cui ha luogo una schizorrizia sino a una certa distanza, in senso basipeto, dalla stessa, la radice appare non di rado percorsa da un solco longitudinale. La presenza di questo è un indizio che la radice è dicotomica, essendo tali solchi unicamente l’espressione di rimaneg- giamenti profondi compiutisi nell’ interno della radice , al di sopra del punto di strozza- mento. Siffatti solchi sono abbastanza distinti nelle fig. 4 - 1 a destra e i a sinistra -5, 11 e 12. Frequentemente ci fu dato di incontrare radici quasi strozzate in certi punti da un solco marcatissimo (fig. 4 -mediana -e 5), il quale attesta il lungo arresto di sviluppo e fors’ anco le lesioni subite dalle radici. Più rari sono invece i rigonfiamenti localizzati in una regione qualunque della radice, i quali pure sono 1’ indizio di uno stato morboso. Con una certa frequenza, in vicinanza dell’apice e fino a 10 e più centimetri di distanza da questo, si osservano anellature trasversali brune, quanto mai caratteristiche. Si tratta di anelli, simili quasi per aspetto a quelli tracheali, regolarmente distanti gli uni dagli altri. Quando la zona anellata è molto estesa, gli anelli si presentano variamente distanziati, a seconda dei punti in cui vengono studiati. In generale si osserva che dapprima i solchi sono vicini gli uni agli altri, poi si allontanano ed infine tornano a riavvicinarsi. Pare dunque che r accrescimento non uniforme della radice sia causa di tale comportamento, mentre poi non si conosce il fattore che provoca la comparsa degli anelli. Tuttavia non crediamo di andar errati, ammettendo che questi si formino in seguito a processi di contrazione, come è stato segnalato dal Drabble per le radici di altre Palme e come venne posto in evidenza in molte piante dagli studi del Rimbach, del Rywosch e di altri. 30 L. Bnscalioni e G. Lopriore (Memoria I.J Gli anelli, gempre trasversali, possono estendersi a tutti i lati della radice , ma il più delle volte sono maggiormente evidenti su 1’ una o 1’ altra faccia, sia questa convessa op- pur concava. In generale appaiono con maggiore costanza su quest’ ultima. Rispetto ai rapporti delle anellature colle varie sorta di radici, noi abbiamo trovato che esse sono facili a riscontrarsi tanto nelle radici crescenti nel cumulo di terriccio , quanto in quelle aeree. Le fìg. 4-mediana-7 fino a 10 offrono tutti i tipi di siffatte anellature a trachea. Un altro tipo di anellazioni osservasi in non poche radici dotate di attivo accresci- mento e si manifesta sotto forma di solchi stretti, nettissimi, brunastri , ricordanti quasi i tagli fatti con uno scalpello. Più che di anelli trattasi qui di stri a tu re, localizzate quasi sempre su uno dei lati della radice. Soggette anche queste all’ accrescimento radicale, ap- paiono a lor volta pure regolarmente distanziate le une dalle altre su tratti più o meno estesi. Per le ragioni sopra esposte cominciano ad essere avvicinate , poi si allontanano e infine tornano ad appressarsi le une alle altre (cfr. tratto superiore della fig. 6 e schizo- stela sinistra della fig. 4 i a destra). La causa delle striature, che per lo più sono limitate alla regione apicale o prossima all’apice, ci è completamente ignota; intanto poco probabile ci pare che siano dovute alla contrazione radicale. Che dipendano da traumatismi inerenti all’ accrescimento della punta .? Non possiamo tuttavia esaurire questo argomento senza segnalare un fatto che po- trebbe forse contribuire, o da solo o con altri, sia alla produzione delle striature, sia delle anellature , anzi più specialmente di queste ultime. Se si esamina una radice secondaria nel tratto in cui attraversa la corteccia della radice madre , si rileva che essa è stretta- mente allacciata dai cordoni meccanici che decorrono longitudinalmente in quest’ ultima , i quali, essendo fortemente tesi, producono, per compressione, solchi trasversali sulle radici in via di uscita. Non è quindi improbabile che i solchi si mantengano visibili anche quan- do la radice si è emancipata dal tessuto materno e formino perciò sia le anellature, sia le striature. Però, data una tale origine , e queste e quelle dovrebbero essere più frequenti presso il punto d’ uscita delle radici, anziché in vicinanza dell’ apice radicale. Non si può tuttavia negare che la contrazione radicale possa far ricomparire le anellature in punti di- sparati della radice e ciò in correlazione con determinate particolarità strutturali che forse sfuggono all’ osservazione. Dopo avere illustrato con testo e figure le varie forme di apici radicali, le loro rugosità e i solchi longitudinali, le anellature dovute a contrazione e le striature, ci volgiamo ora allo studio della struttura interna. II. — Morfologia interna. a) Struttura delle radici adulte normali, non dicotomiche, o pneumatodiche. Sezioni trasversali di radici secondarie adulte fanno distinguere la seguente struttura: Vi ha innanzi tutto un unico strato esterno (epidermide, strato pilifero degli autori , “ limiting ìayer „ del Drabble), formato da cellule per lo più cubiche, a parete esterna alquanto ispessita. Non poche di esse tendono tuttavia a prolungarsi all’ esterno per mezzo di un rigonfiamento conico, il quale sarebbe da considerarsi come una papilla (pelo radi- cale estremamente ridotto). L’interpretazione è avvalorata dal fatto che non mancano cel- Il pleroììia tubuloso, V eiidodennide midollare, ecc. 31 lule foggiate quasi a forma di bottiglia, il cui lungo collo indica chiaramente che si è in presenza di un elemento derivato- da un pelo radicale. Succede poi uno strato di cellule a sezione rettangolare, intimamente fra loro unite, che vanno facendosi sempre più piccole verso r interno, mentre le loro pareti diventano più esili. Questo strato, forte di circa 4-10 piani cellulari, assorbe energicamente la saffranina, ciò che indica che esso è impregnato di lignina: col Sudan III mostra un leggero grado di suberitìcazione. Il tessuto si continua con uno strato di piccoli elementi dotati di mem- brane non molto ispessite, al pari dei precedenti, intimamente fra loro congiunti. Torna di poi a comparire un anello di tessuto assai scleroso, pure fortemente colorabile colla saf- franina, le cui cellule non circoscrivono che rari spazi intercellulari (talora del tutto man- canti). Lo strato è poco robusto ed inoltre non presenta uguale spessore in tutta la sua estensione, potendo qua e là quasi mancare, o all’ opposto diventai'e piuttosto spesso. Quest’ ultimo risultato è di solito determinato da lesioni superficiali. I tre strati testé descritti formano il cosiddetto “ tegumentary S3^stem „ del Drabble. Secondo noi, però, essi vanno tenuti separati a causa della diversa costituzione dei loro ele- menti, per cui sarebbe meglio denominare il sistema con la terminologia proposta dal Kroemer, che lo considera come un’ intercute (strato scleroso esterno) rafforzata (strato scleroso interno). Lo strato esterno si sviluppa in senso centripeto, 1’ interno centrifuga- mente. Viene poi il grosso della corteccia, rappresentato da molti piani concentrici di cellule, le quali, grandi nella regione media, un po’ schiacciate in quella profonda, più piccole verso r esterno, circoscrivono piccoli meati intercellulari. La corteccia non è però nè con- tinua, nè omogenea, presentando nel suo interno grandi lacune aerifere e cordoni scleren- chimatosi. Le lacune aerifere, d’ origine lisigena, come vuole il Drabble, talora mancano intera- mente, tal’ altra invece sono grandi e numerose e, per mantenersi beanti, si addossano in senso radiale ai fasci meccanici, i quali avrebbero pertanto anche 1’ ufficio d’ impedirne il collasso. In queste lacune protrundono non di rado le cellule circostanti del tessuto, ridu- cendone notevolmente 1’ ampiezza. Una volta ci occorse di notare che le cellule endoder- miche contigue ad una lacuna avevano proliferato nell’ interno di essa sotto forma di grandi otricoli a pareti sottili in tutta 1’ estensione, meno che per il tratto in cui esse si inserivano alle cellule omologhe, presentando ivi i caratteristici ispessimenti ad U. I cordoni meccanici sono numerosi in tutto 1’ ambito della corteccia e più specialmente verso r interno. Considerati net loro insieme, essi sembrano come disposti in cerchi con- centrici, talora invece in serie radiali, ognuno dei raggi decorrendo curvilineo dall’ interno verso r esterno. Infine la distribuzione può essere quanto mai irregolare. Il numero degli elementi non è molto rilevante nei singoli fasci ; sta però il fatto che i fasci più esterni e quelli più interni sono più piccoli rispetto agli altri della regione media corticale. Ogni fascio ha una guaina di piccole cellule, a pareti silicizzate e contenenti anche nel loro interno un ammasso di silice (“ Stegmata „ del Kohl). Non mancano i casi, in cui due fasci si ac- collano r uno all’ altro, cingendosi di una guaina comune. Gli elementi del fascio si colo- rano intensamente con la saffranina, che lascia incolore le cellule fondamentali della cor- teccia e quelle che separano i due strati sclerosi superficiali. Tutta quanta la corteccia è disseminata di cellule tannifere, abbondanti specialmente alla periferia del tessuto. In sezione longitudinale le cellule epidermiche presentano un contorno quadrato ; quelle 32 L. Biiscalioni e G. Lopriore [Memoria L] sottostanti (“ intercute „) sono' alquanto allungate nel senso dell’asse della radice, strette invece nel senso radiale : in altre parole si mostrano rettangolari. Lo strato scleroso interno (strato di rinforzo) risulta di elementi a pareti ispessite e sparse di punteggiature, allun- gati ed irregolari per forma, con estremi ottusi od anche un po’ allargati. Il parenchima fondamentale è costituito da cellule grandi, a sezione rettangolare ed a membrana sottile. I cordoni meccanici infine constano di cellule fibrose e ricche di punteggiature, eccettuate ben inteso, le cellule contenenti i granuli silicei, le quali sono piccole e sferiche. In corrispondenza dei solchi, prodotti da contrazione radicale o da altre cause, la strut- tura della corteccia è quella descritta; soltanto che gli strati dell’ intercute rafforzata sono più robusti ed i cordoni meccanici periferici si presentano arcuati, con la concavità del- r arco rivolta verso il solco. Evidentemente trattasi di una reazione a cause meccaniche, agenti solo superficialmente, non mostrando i cordoni interni deviazione alcuna nel loro percorso. Poco interessante è lo sviluppo del tessuto corticale ; noteremo soltanto col Drabble che r ispessimento dei cordoni meccanici avviene in senso centripeto, come è di regola nelle Palme, in seno ad ognuno dei fasci. Lo strato più interno della corteccia, 1’ endodermide, risulta, come al solito, di una sola cerchia di cellule, che nelle radici adulte presentano i tratti radiali e profondi delle pa- reti particolarmente ispessiti, sottile invece il tratto esterno. Non sempre però è lignificata 0 sclerosata fortemente, ed allora lascia riconoscere i Punti di Caspary, che, come gli strati d’ ispessimento, arrossano con la saffranina. In sezione longitudinale 1’ endodermide adulta appare costituita da elementi alquanto allungati, di forma rettangolare e con le pa- reti interne attraversate da numerosi canalicoli. Essa si differenzia molto per tempo con 1 caratteristici suoi Punti di Caspary, che restano visibili fino a che non si compiono gli ispessimenti secondari e terziari della parete. Di solito r endodermide è uniforme, sia che presenti i Punti di Caspary, sia che abbia le membrane ispessite ; non mancano però i casi in cui si riscontrino qua e là, ma senza ordine, le cosiddette cellule di passaggio, localizzate di preferenza in faccia ai cordoni xilematici. In una radice non ancora completamente evoluta ci avvenne di osservare una singo- lare anomalia nell' endodermide, dovuta al fatto che questa, invece di formare un anello chiuso intorno al cilindro centrale, conformavasi invece quasi a spirale. Di questa un estremo era situato, come di regola per 1’ endodermide, davanti al periciclo, 1' altro invece si per- deva in seno a questo, per cui il cilindro centrale non era separato dalla corteccia. Il cilindro centrale (fig. 13) è conformato sullo stampo di quello radicale della maggior parte delle Monocotiledoni. Al di sotto dell' endodermide appare il periciclo, formato da uno a due strati di cellule rettangolari a membrane ispessite , lignificate e ricche di punteggiature reticolate innanzi ai fascetti liberiani , a parete invece sottile e di natura cellulosica innanzi a quelli legnosi. I fascetti liberiani che , al pari di quelli xilematici, sottostanno al periciclo, sono di varia forma e grandezza: in genere essi presentano sezione ovale e sviluppano il proto- tloema all’ esterno. Grandemente variabile è pure la forma dei fascetti xilematici, i quali poggiano contro il periciclo con parecchi vasi allineati in senso tangenziale, a cui succedono ver^o l’ interno i vasi metaxilematici, piuttosto numerosi, variamente aggruppati più che disposti in serie Il pleroma tubuloso, V eìidodermide midollare, ecc. 33 radiali, di modo che il raggio legnoso appare un po’ tozzo. I vasi interni, ridotti a uno o due per raggio, sono molto grandi e non molto distanti da quelli più esterni, che, come di regola, si fanno sempre più piccoli a misura che si portano verso il limite esterno. Non mancano le fusioni dei vasi tra due o più fasci xilematici contigui. La fusione avviene per mezzo dei grandi vasi interni che si accollano gli uni agli altri , donde la comparsa di fasci xilematici foggiati a V o Y, fra le cui branche sta racchiuso un fascette liberiano. Il sistema vascolare è compreso nel tessuto del mantello (cfr. Buscalioni) , i cui ele- menti sono tutti quanti lignificati. Quasi sempre questo tessuto raggiunge il centro del cilindro centrale , ed allora non si può più parlare di midollo : solo nelle radici di media grandezza od anche grosse esso cessa bruscamente un po’ al di dietro dei vasi metaxile- matici interni, lasciando 1’ asse del cilindro centrale occupato da elementi a pareti più sottili, rappresentanti il midollo. Con la saffranina si rendono molto evidenti i due tessuti, non fissando il midollo questo reattivo colorante, che è invece intensamente assorbito dal mantello. Avviene talora che sull’ asse del cilindro centrale si trovino disseminati irregolar- mente del vasi rnetaxilematici , rappresentanti i cosiddetti vasi midollari, ed allora questi sono pure avvolti da una robusta guaina di cellule del mantello. In sezione longitudinale la struttura del cilindro centrale mostrasi in tutti i suoi parti- colari : il periciclo appare costituito da cellule rettangolari ricche di punteggiature (quando le pareti sono lignificate) ; i raggi legnosi risultano di trachee e tracheidi munite di pun- teggiature areniate, scalariformi o reticolate , i fascetti liberiani di tubi cribrosi e cellule an- nesse, il cui complesso riesce separato dai vasi legnosi per mezzo di cellule del mantello le cui pareti restano a lungo allo stato cellulosico. Gli elementi del mantello sono prosen- chimatosi , lunghi, con molte punteggiature semplici; infine le cellule del midollo, quando questo esiste, appaiono di forma rettangolare, assai allungate, con membrana sottile, munita parimenti di punteggiature semplici. La storia dello sviluppo del cilindro centrale non offre grandi particolarità ; si differen- ziano subito il mantello, il periciclo ed, all’ occorrenza , anche il midollo, poi compaiono aggruppamenti cellulari corrispondenti ai fasci liberiani e xilematici. Nei primi si formano bentosto gli elementi del protofloema, sotto forma di tubi cribrosi grandi e a pareti ispessite, ai quali tengon dietro, a poco a poco, le cellule specifiche più interne. Per quanto riguarda lo xilema, si organizzano dapprima i grandi vasi interni poi quelli più esterni: la lignifi- cazione però procede in senso inverso, il che ha fatto credere che lo sviluppo dello xilema avvenga in senso centripeto. Gli elementi del mantello lignificano in senso centrifugo , ma senza che vi sia una grande regolarità, raggiungendo lo stato adulto dapprima quelle cellule che sono più discoste dai vasi dello xilema , che restano cosi a lungo circondate da una guaina di cellule a membrana sottile e cellulosica. Una tale disposizione ha lo scopo di favorire il raccordo delle radici secondarie coi vasi della radice madre, poiché gli elementi non ancora com- pletamente evoluti facilmente si trasformano in tracheidi del reticolo radicifero , ciò che non potrebbero forse più fare se fossero lignificati. D’ altra parte, però, anche intorno ai vasi midollari la lignificazione delle cellule del mantello procede dalla periferia verso il centro, occupato dal vaso , malgrado che questo non venga mai a contatto col reticolo radicifero. Nella Phoenix dactylifera la produzione delle radici laterali o trasversali avviene con Atti Acc., Serie V, Vol. III. Meni I. 5 34 L. Buscalioni e G. Lopriore [Memoria I.J una certa parsimonia ; però lo sviluppo delle stesse è subordinato alle norme ordinarie. II. reticolo radicifero nasce in seno al periciclo ed occupa quasi sempre una larga superficie, tanto che metà od un terzo del cilindro centrale può essere incappucciato dai suoi elementi. Le tracheidi di raccordo s’ infiltrano fra gli elementi vasali, accollandosi, nello xilema, sia ai vasi esterni, sia ai vasi metaxilematici profondi, ma limitatamente a quelli compresi nei raggi legnosi : tutte quante poi si dirigono verso 1’ area, su cui deve formarsi il corpo della futura radice, dimodoché quelle più distanti decorrono quasi tangenzialmente nel periciclo. A causa poi dell’ abbondante sviluppo del reticolo radicifero, il periciclo appare notevolmente ispessito epperciò 1’ endodermide viene allontanata dalla cerchia vascolare (la fig. 74 rap- presenterebbe al riguardo una radice non del tutto normale). Non insisteremo ulteriormente sul modo, con cui si organizzano le varie parti della radice giovane ; diremo soltanto che questa, procedendo attraverso i tessuti della radice madre, lacera 1’ endodermide — la quale, in corrispondenza dell’ apice radicale, perde gl’ i- spessimenti e i Punti di Caspary, dopo essersi talora divisa tangenzialmente — e digerisce poi tutti quanti i tessuti della corteccia che incontra nel suo percorso. Le cellule del tes- suto fondamentale corticale si svuotano e collabiscono, scompaiono i canali aerei, ed infine vengono anche distrutti i fasci meccanici. Sotto l’azione del fermento digestivo vengono disor- ganizzati gli elementi prima ancora che siano stati raggiunti dall’apice radicale, come pure non sono risparmiati quelli anche lontani dai fianchi della nuova radice. Dei cordoni mecca- nici scompaiono innanzi tutto gli strati secondari d’ ispessimento, poi quelli primari, rima- nendo il solo reticolo di lamelle mediane. Infine il cordone si schiaccia e si rende indistinto. La digestione avviene dapprima sulla faccia del cordone rivolta verso la radice in via di accrescimento e di qui procede poi gradatamente verso la faccia opposta. Succede però non di rado che alcuni cordoni siano più resistenti ; in tal caso essi vengono a contatto diretto della radice, ostacolandone spesso la progressione. Di qui la comparsa di solchi sulle facce laterali della radice e di profonde insenature in corrispondenza dell’ apice radicale che appare allora notevolmente deformato, quasi diviso in due ed allargato. Però presto o tardi anche questi cordoni finiscono per disgregarsi, ed allora la radice riprende indisturbata il suo percorso, ritornando allo stato normale. In generale le radici, mentre attraversano la corteccia, sono cilindriche, fornite di una cuffia molto evidente, di pleroma e di periblema ben distinti sui lati e tozzi : gl’ istogeni sono però confusi. Nel momento in cui essi vengono all’ aperto , subiscono uno strozza- mento per parte dello strato tegumentale della radice madre (fig. 21) , il quale rende an- cora più marcato 1’ ingrossamento che subisce la radice, una volta uscita da quella materna. b) Modificasioni strutturali che precedono la dicotomia^ la trico- e la politomia delle radici. Se le radici di nutrizione hanno un tipo di struttura abbastanza costante , che non si allontana dalla norma, quelle dicotomiche (in largo senso) presentano invece modificazioni interne profondissime che dànno loro una impronta affatto caratteristica. La biforcazione , però , solendosi compiere ad una certa distanza dal punto d’ inserzione della radice sul fusto (1), ne segue che, verso la base, anche le radici dicotomiche sono normali. Il processo di dicotomia può così compendiarsi : la radice, cilindrica dapprima , si ap- (i) Le radici dicotomiche s’ inseriscono ordinariamente sul fusto, ben di rado su altre radici. Fanno ec- cezione le radici nate al di sopra di un apice radicale mutilato , essendo spesso in questo caso dicotomiche. Il pleroHia tubuloso, V eiicìodermide midollare, ecc. 35 piattisce ed appare scanalata in senso longitudinale; contemporaneamente il cilindro cen- trale comincia esso pure ad appiattirsi e ad allungarsi in senso perpendicolare alla dire- zione di schiacciamento della radice. Spesso si foggia a gronda o si deforma altrimenti, infine si scinde, per strozzamento, in due od anche più porzioni, in conseguenza di un singolare processo d’invaginazione dell’ endodermide, processo, che si compie quasi sem- pre in un piano perpendicolare all’ asse maggiore trasversale del cilindro centrale. I fram- menti di questo non tardano ad isolarsi, allontanandosi gli uni dagli altri, ed a circondarsi di una porzione di corteccia. Talora però le invaginazioni si arrestano prima di aver pro- vocato la scissione, ed allora havvi un solo cilindro centrale di forma bizzarra, come per es. avviene quando i tentativi di scissione si esplicano in grande vicinanza di uno dei poli del cilindro centrale, perchè allora questo appare come fornito di un’ appendice a lin- guetta, in cui possono o no incontrarsi, oltre al periciclo, gli elementi del libro e del le- gno col rispettivo mantello (fig. 17-20, 26, 29-31, 39 e 40). I frammenti del cilindro centrale, quasi sempre diversissimi per grandezza, una volta isolati, tendono ad assumere forma cilindrica (fig. 16, 31, 32, 55, 56, 59, 81, 82). Lo strozzamento del cilindro centrale è preceduto da profondi rimaneggiamenti in- terni, di grande importanza e degni perciò di fissare la nostra attenzione, come quelli che costituiscono un complesso di disposizioni anatomiche ed istologiche molto eccezionali. Nella sua forma più semplice esso si presenta, allorché la stela (1), prima di divi- dersi, si allarga perpendicolarmente alla direzione di schiacciamento della l'adice, compa- rendo in sezione trasversale sotto forma di un cordone quasi retto, più o meno schiac- ciato nelle facce maggiori (fig. 13-16, 17-20, 22, 23, 62, 66, 79, 105, 109). Per effetto dello schiacciamento scompare il midollo, se prima esisteva, oppure si ri- duce ad un cordone assile assai ristretto , quà e là diviso in compartimenti da trabecole di tessuto del mantello. Ben tosto comincia a delinearsi la zona di strozzamento che porta all’ insaccatura dell’ endodermide nell’ intervallo fra un raggio legnoso ed uno liberiano. Sui fianchi della stessa i fasci xilematici sottostanti ad una delle facce vengono a contatto coi loro vasi metaxilematici più interni, col cordone omonimo e coi vasi pure omonimi sotto- stanti alla faccia opposta, per cui ne risulta un raggio legnoso unico ma doppio, che at- traversa diametralmente il cilindro centrale. Lo stesso dicasi dei fasci liberiani situati late- ralmente al piano di frattura, il quale perciò riesce fiancheggiato, da un lato, da un doppio cordone fioematico, dall’ altro, da un doppio fascio legnoso. Spesso però la distribuzione dei fasci ed i loro mutui rapporti riescono assai più complessi e disordinati, potendo i fa- sci omologhi di una stessa faccia fondersi, ed invece frammentarsi quelli preesistenti o persino sparire taluni cordoni. Gli spostamenti che possono avvenire nella distribuzione di questi rendono ancor più complicato il processo e 1’ aspetto anatomico della regione in via di frattura. La zona di tessuto situata lungo l’asse di scissione appare notevolmente modificata nella sua struttura; innanzi tutto, i suoi elementi fondamentali si conservano allo stato (i) Adoperiamo qui ed altrove - senza pregiudizio di quanto verremo esponendo in questo lavoro e nelle conclusioni generali — il nome di s t e 1 a , per contrassegnare il cilindro centrale od i suoi frammenti. Ma, per meglio intenderci, facciamo intanto rilevare che non ititendiamo dare alla designazione il significato che ad essa accorda il Van Tieghem. Ragioni di chiarezza e di consuetudine ci hanno indotto ad impiegare parimenti i nomi di polistelia, astelia, schizostelia, ecc. senza però accordar loro il significato attribuito dalla Scuola francese. 36 L. Biiscalioni e G. Lopriore [Memoria I.J giovanile, tardando notevolmente a lignificarsi, ciò che rende indistinta la separazione tra quanto spetta al mantello e quanto al midollo. Notiamo però in proposito che gli strozza- menti, destinati a determinare la scissione della stela, si formano d’ ordinario in periodi giovanili della vita delle radici, quando cioè la lignificazione degli elementi è ancora allo inizio. Si incontrano, è vero, cilindri centrali più o meno strozzati, i quali hanno quasi tutti gli elementi sclerosati e sono perciò adulti; ma gli stessi d’ ordinario non subiscono più modificazione alcuna per quanto riguarda lo strozzamento, essendosi questo arrestato. Quasi per legge di compensazione sui lati della linea di scissione gli elementi del periciclo sclerotizzano precocemente. Lo stesso fanno gli elementi del mantello , in modo da inglobare i cordoni più vicini allo strozzamento in un’ atmosfera di cellude rigide e re- sistenti. Del resto, nei cilindri centrali appiattiti e quindi predisposti alla scissione, la ligni- ficazione del tessuto fondamentale non procede più in senso centrifugo, come è la norma, ma bensì diametralmente ed in modo saltuario, per cui tutto il cilindro centrale appare at- traversato, nella direzione dell’ asse minore trasversale, da trabecole di tessuto lignificato che si avvicendano con aree, in cui le cellule hanno conservato le membrane sottili e cel- lulosiche. Molto probabilmente la comparsa delle trabecole trasversali è determinata da condizioni meccaniche che devono porre ostacolo ad un eccessivo schiacciamento del- la stela. A misura che si prepara lo strozzamento, le cellule del periciclo aumentano nella regione che sarà dallo stesso compromessa. Si forma così ai due estremi di questa un cuneo pe- riciclico ad elementi sclerosati, che si avanza nel cilindro centrale. L’ asse di ogni cuneo è però quasi sempre occupato da cellule sottili parenchimatose. L’ infiltrazione del tessuto periciclico sclerosato si fa nel tessuto che separa i fasci doppi xilematici o fioematici at- tornianti il punto in via di strozzamento. Intanto per favorire la diffusione del periciclo, gli elementi di questo compaiono sporadicamente qua e là in seno al tessuto compreso fra i doppi fasci. Non tutti però gli elementi periciclici di nuova formazione vanno incon- tro alla lignificazione. Dai fatti esposti appare manifesto che la regione destinata a strozzarsi, essendo co- stituita da elementi del mantello e del midollo — quando questo esiste — può dar origi- ne, per azione dello stimolo inerente alla scissione, a cellule pericicliche , le quali spesso nascono eterotopicamente. Non occorre spendere molte parole per dimostrare l’ importanza del reperto. Vi è ancora di più: affinchè lo strozzamento si compia, deve pure formarsi una dop- pia fila di cellule endodermiche; 1’ una destinata ad una delle future stele, l’altra alla com- pagna. A tale uopo le cellule parenchimatose, interposte fra la doppia fila di cellule peri- cicliche, si trasformano in cellule endodermiche, caratterizzate dalla presenza dei Punti di Caspary e dagli ispessimenti ad U. L’infiltrazione degli elementi endodermici in seno alla stela avviene , come per quelli del periciclo , saltuariamente anziché rigorosamente dalla periferia verso il mezzo. Perciò vediamo comparire qua e là , in seno al tessuto, cellule endodermiche isolate, che solo più tardi si raccordano con quelle della stessa natura che provengono dalla periferia. Anche per 1’ endodermide dunque vale la regola già enunciata per il periciclo : le sue cellule cioè si formano in parte eterotopicamente a spese degli elementi del mantello e del midollo. Per completare il quadro, dobbiamo aggiungere che le cellule endodermiche di un lato hanno gli ispessimenti ad U rivolti in senso opposto a quelli delle cellule omonime del- Il pleroma tubuloso, l'eudoderniide muìollare, ecc. 37 l’altro lato, in modo che, corrispondendo una fila endodermica ad una stela, l’altra aU’altra, gli ispessimenti ad U restano rivmlti verso il corrispondente cilindro centrale. Formatisi, lungo la linea assile di scissione, un doppio strato periciclico ed una doppia fila di cellule endodermiche, restano preparate le condizioni per la scissione. Questa però non avviene di un tratto a processo finito, bensì gradatamente a misura che si vanno infil- trando le cellule pericicliche e le endodermiche. I due fenomeni si esplicano quindi contem- poraneamente. Una tale disposizione di cose può indurre il lettore a ritenere che il feno- meno della scissione sia dovmto ad una semplice invaginazione endodermica, come am- mette Van Tieghem nei casi di polistelia derivata da monostelia , mentre il processo è assai più complicato, richiecfendo la comparsa eterotopica di non pochi fra gli elementi del periciclo e dell’ endodermide. Con la scissione del cilindro centrale, avviene un leggero rimaneggiamento nella orien- tazione e distribuzione dei cordoni liberiani e xilematici raddoppiati, prossimi alla linea di scissione, i quali si dispongono in modo da completare la cerchia vascolare normale lungo la faccia stata colpita dal processo di scissione. Essi inoltre si frammentano in vario mo- do, tanto da assumere di nuovo le dimensioni degli altri cordoni. Avvenuto questo, le due stele si separano e si allontanano l’ una dall’altra, avvenendo il distacco fra le due file di cellule endodermiche. Finito il processo, noi incontriamo due cilindri centrali normalmente conformati, nei quali, lungo la linea di frattura , si è formato , ex novo, un periciclo e un’ endodermide, con orientazione normale della cerchia vascolare. Mentre le due stele si separano, la corteccia s’ infiltra nello spazio che esse abbando- nano, senza mutare la sua costituzione (fig. 16, 19, 20, 35, 40), o tutt’ al più presentando una diminuzione nei cordoni meccanici, di modo che nel tratto compreso fra le due stele predomina il tessuto parenchimatoso corticale (fig. 29 30, 37-38 e 44). Quando la scissione avviene lungo la parte mediana della stela, allora i due cilindri centrali secondari si mostrano pressoché uguali e talora anche simili per forma e costitu- zione : in caso di scissioni disuguali, eccentriche, le diversità di forma e di struttura possono essere notevoli. Abbiamo infatti osservato numerosi casi, in cui una delle stele era formata dei soli elementi del periciclo, del tessuto vascolare e del mantello (fig. 35, 39, 40), l’altra conteneva ancora per di più una massa di midollo. Quando la scissione è troppo vicina ad uno degli estremi del cilindro centrale allungato, una delle stele appare costituita da due 0 tre fasci vascolari (fig. 35-36) od anco da un fascio monarca, mentre 1’ altra ha la struttura di un cilindro centrale normale (fig. 32). Ma vi ha di più : si sono incontrate non poche stele secondarie, ridotte al solo periciclo ed alla sola endodermide con tutt’ al più qualche cellula del tessuto fondamentale (fig. 35, 36 e 40). Specialmente nei casi di divisioni disuguali eccentriche, è facile assistere alla forma- zione, sopra accennata, di cellule pericicliche od endodermiche in seguito a trasformazione degli elementi del tessuto fondamentale della stela (formazioni eterotopiche). Dapprima compare nel tessuto una cellula endodermica, poi un’ altra e così via fino a che si è for- mata una barriera endodermica tipica al confine della piccola stela incompleta, la quale barriera poggia con le cellule estreme contro 1’ endodermide normale esterna. Lo stesso dicasi per il periciclo. Le frammentazioni si ripetono talora a brevi intervalli nello stesso cilindro centrale. Spesso poi possono avvenire delle frammentazioni multiple contemporanee ; in questi casi 38 L. Buscalioni e G. Lopriore [Memoria I.] ognuna di esse si compie secondo lo schema testé descritto , reperibile , a grandi tratti , anche quando il processo di scissione stelare, come fra poco vedremo, si complica assai. Finora noi abbiamo voluto illustrare il caso tipico della frammentazione stelare, scevro da tutti i processi concomitanti che possono grandemente alterarlo, epperciò distingueremo siffatto tipo di scissione col nome di frammentazione semplice, le cui manifestazioni — giova qui ricordarlo — compaiono anche, più o meno mascherate è vero, negli altri tipi di scissione stelare. Prima di passare alla descrizione di questi ultimi, crediamo utile di riportare qui un caso di frammentazione semplice, un pò aberrante, che, però, serve meravigliosamente ad illustrare il modo di formazione eterotopico dell’endodermide. Trattavasi di un cilindro centrale a sezione ovale o leggermente reniforme. Nel mezzo di una delle facce l’endodermide cessava bruscamente , permettendo così al tessuto corti- cale di entrare in aperta comunicazione con quello midollare rappresentato unicamente da un cordone assile che s’ infiltrava, decorrendo a spira , in una delle meià della stela. L’ altra ne era quasi sfornita : solo nel centio osservavasi un aggruppamento di cellule midollari foggiato quasi a T e un altro piccolo gruppo appariva nella regione dei fasci vascolari. Tutto il resto della stela era riempito dal tessuto del mantello, dai cordoni liberiani e xilematici e dalle cellule del periciclo. Seguendo, nelle sezioni trasversali in serie, l’anor- male struttura , si è potuto constatare che , mentre l’endodermide terminava bruscamente nel punto in cui la stela era spaccata, non poche cellule dello stesso tessuto apparivano sui bordi deir ammasso midollare, che, occorre notarlo, non era in alcun modo distinguibile dal corticale (fig. 110). Queste cellule endodermiche, accantonate qua e là lungo la spirale descritta dal tessuto midollare, poggiavano direttamente contro gli elementi del mantello e presentavano gli ispessimenti ad U rivolti verso gli stessi. Tra le cellule del mantello e quelle endoder- miche non vi era in origine traccia di periciclo; però nel punto in cui, per nuovi rimaneg- giamenti avvenuti nella stela, questa si era alla fine divisa in due metà quasi uguali, si è potuto riscontrare che la regione, in cui era avvenuta la scissione diametrale, era fiancheg- giata, ai due lati, da uno strato continuo di cellule endodermiche formatesi eterotopica- mente a spese del tessuto locale, al disotto delle quali eravi pure uno strato, molto dubbio però, di periciclo derivato probabilmente dalla trasformazione delle cellule del mantello. Aggiungeremo ancora che, a divisione completa, le due stele secondarie si separarono, men- tre in mezzo al tessuto corticale che le divideva, comparve un anello di cellule .endoder- miche, racchiudenti un ammasso di elementi propri del tessuto fondamentale. Impareremo più tardi a conoscere il significato di queste singolari formazioni. Passiamo ora allo studio delle principali modificazioni , più o meno complesse , cui va incontro il processo di frammentazione della stela, incominciando dai casi in cui questa si conforma a doccia — in sezione trasversale a forma di ferro di cavallo — (fig. 13-15, 17-20, 33, .34, 41-42, 62). Quando la stela primitiva è, come nei casi finora studiati, diritta, lo strozzamento av- viene per lo più nella stessa misura e contemporaneamente dai due lati delle facce mag- giori. Questo però non costituisce la norma , essendo anche frequenti gli strozzamenti che cominciano da una delle facce per estendersi verso quella opposta. Orbene gli stroz- zamenti prevalentemente un il ater al i, come amiamo chiamare questo secondo tipo discis- sione, sono quasi la norma nei casi in cui il cilindro centrale si presenta fin dall’ origine Il pleroina tubuloso, V endodermide midollare, ecc. 39 a sezione di ferro di cavallo, o diventa tale un pò prima che avvenga lo strozzamento (fig. 39, 62 e 65). Osserveremo tuttavia che molti cilindri centrali a sezione di semiluna non mostrano la minima tendenza a dividersi, come lo attesta la sclerotizzazione dei loro tessuti. Quando una stela si conforma a doccia per prepararsi a dividei'si, specie se giovane epperciò costituita da tessuti poco resistenti, provoca curiosissime modificazioni, neH’ambito dell’endodermide, dal lato che si fa concavo. Questa essendo un tessuto poco elastico, si estroflette, inviando propaggini in seno alla corteccia (fig. 33, 60) seguite dal sottostante periciclo, (fig. 33). Ma non di rado, quando le estroflessioni sono un po’ robuste, esse in- teressano parecchi tessuti ad un tempo ed in tal caso nell’ interno della stessa vengono ad insediarsi anche i fasci vascolari (fig. 42) con gli elementi del mantello. Si ha pertanto una distribuzione veramente anormale di tessuti diversissimi. L’estroflessione quasi sempre finisce per staccarsi dal cilindro centrale, dando origine a produzioni endocorticali, differenti a seconda la costituzione loro. Se l’estroflessione eman- cipata è costituita soltanto da endodermide, oppur da questa e dal periciclo, allora è, se- condo noi, una pseudostela da estroflessione, che, per il modo di formazione, dovrà costantemente presentare gli ispessimenti ad U delle cellule endodermiche rivolti verso r asse della produzione stessa. Se invece è costituita , oltre che da endodermide e peri- ciclo, anche dai fasci liberiani e xilematici alterni , allora diventa una vera stela, che chia- meremo pseudopleroma da estroflessione. Anche in questa è conservata la orien- tazione delle cellule endodermiche testé descritte, mentre poi il sottostante periciclo si man- tiene allo stato parenchimatoso o sclerotizza , come, del resto , fanno anche gli elementi fondamentali del fascio. Non meno frequente è il caso inverso, in cui 1’ endodermide s’ invagina in seno al periciclo od anco più profondamente. Si ha in tal caso un tipo di invaginazioni che denominiamo laterali, per distinguerle da altre, che descriveremo fra poco sotto il nome di invaginazioni apicali. Le invaginazioni laterali sogliono presentarsi , nella forma più semplice come vere insenature dell’ endodermide , talora ridotte a poche cellule, spesso invece molto grandi. In quest’ ultimo caso si complicano ^ inquantochè nel loro interno viene a incastrarsi un pò di tessuto corticale. Una delle caratteristiche principali di tali formazioni sta nella configurazione dell’endodermide, i cui elementi, contrariamente a quanto succede nelle estro- flessioni, nelle pseudostele e nei pseudopleromi estroflessi, presenta gli ispessimenti ad U, per ragioni ovvie, inerenti alla stessa introflessione, rivolti verso i tessuti del cilindro cen- trale. Nella regione circostante alle invaginazioni laterali, che talora possono arrivare a dieci e più in una sezione trasversale, il periciclo appare più spesso, mentre i sottostanti cordoni liberiani e legnosi, si allontanano dall’ endodermide esterna al cilindro centrale. Quando le invaginazioni si affondano ancora di più, arrivando sino a contatto dei vasi metaxilematici interni e per di più si emancipano, con la circoscritta corteccia, dall’endodermide normale, esse diventano simili in tutto alle invaginazioni apicali, dalle quali non possono più esser nettamente distinte. Noi le abbiamo denominate invaginazioni laterali libere. Qual’ è la sorte finale delle invaginazioni laterali ? Di norma le grosse permangono, le altre invece si riducono a poco a poco, come si può constatare seguendole nelle sezioni trasversali in serie, ed infine scompaiono. Quando si emancipano dall’ endodermide che le 40 L. Bnscalioni e G. Lopriore [Memoria I.] produsse, si presentano — in seno al periciclo od anco più profondamente — come anelli endodermici , racchiudenti del tessuto corticale , (poco o punto distinguibile da quello mi- dollare), costituito però da cellule delicate, o come am.massi discoidei di cellule endodermiche, tutte quante con gl’ ispessimenti rivolti in fuori. La presenza di estroflessioni e di introflessioni endodermiche provoca un notevole di- sordine nel contorno della stela, il quale perciò dal lato concavo si mostra ondulato, fra- stagliato, munito come di cuspidi e di peduncoli. La frammentazione della stela avviene, in questi casi, secondo le norme precedentemente descritte, ma d’ ordinario il processo si complica grandemente, come vedremo fra poco. Intanto sta il fatto che lo strozzamento causante la scissione della stela, si può manifestare qui o dal lato concavo — come di norma — o ad un tempo dal lato concavo e da quello opposto, sebbene la scissione pro- segua più attiva dal primo lato. Mentre si compie la scissione della stela, questa si sclerotizza parzialmente, ma, ana- logamente a quanto si è osservato nelle stele schiacciate e diritte , la lignificazione degli elementi del mantello avviene in senso radiale rispetto all’ asse di cjarvatura della stela. E ciò per i soliti momenti meccanici, altrove stati messi in rilievo (fig. 41-42). Passiamo ora allo studio della frammentazione del cilindro centrale accompagnata da formazione di invaginazioni endodermiche apicali, premettendo tuttavia che, sic- come non è sempre possibile distinguere queste da quelle laterali, quanto verremo esponendo è, per lo più, applicabile ad entrambe. Del resto, come vedremo in seguito, i due tipi di in- vaginazione hanno un’ origine comune. Le modalità e gli aspetti, sotto cui si presentano i tipi di frammentazione che stiamo ora studiando, sono oltremodo numerosi ; per studiarli a fondo occorre sezionare in serie le radici dicotomiche, all’indietro della schizostelia, per tratti estesissimi talora, di 10 o 20 centimetri, compiendosi i vari passaggi dalla forma normale alla schizostelia (1) con estrema lentezza. Molto prima che siasi raggiunto il punto, in cui le radici dicotomiche si scindono in due o in più, il cilindro centrale si prepara alla frammentazione, strozzandosi in un deter- minato punto , lungo una delle facce maggiori della sezione trasversale : contemporanea- mente, ma talora anche molto prima, comparisce neU’interno della stela un ammasso di pa- renchima omogeneo, fatto di piccole cellule, simili tuttavia a quelle corticali, attorno al quale si delinea un’ endodermide tipica cogli ispessimenti ad U rivolti verso il tessuto della stela. In altre parole si ha qui una struttura che ricorda in tutto quella degli invaginamenti la- terali, con la differenza che le produzioni in questione, per ragioni che chiariremo in se- guito, non traggono origine da un lato della stela per invaginazione laterale dell’ endoder- mide. Di qui il loro nome di invaginazioni apicali. Queste sono per lo più profondamente incastrate nel tessuto della stela : seguite in tutta la loro estensione, dalla base verso r apice della radice , esse compaiono come piccoli accumuli di endodermide (fig. 43 in- vaginazione di sinistra) che però quasi subito ingrandiscono, formando anelli riempiti di tessuto corticale (cfr. fig. 29, 30, 33, 36, 37, 41-44, 49, 50, 72, 76). Le invaginazioni, continuano a crescere in senso acropeto finché si aprono aU’esterno della stela in parecchi punti, smembrando questa in due o più cilindri centrali secondari, inuguali e vari per struttura e forma (fig. 60). (i) Anche per questa denominazione vale quanto abbiamo scritto in nota a pag. 35 a riguardo della stela. Più logico sarebbe pertanto parlare di schiipiesmia . Il plerorna tubuloso, V endodermide midollare^ ecc. 41 Talora le invaginazioni, invece di essere centrali, si formano o in seno al mantello, tra i fasci (fig. 35,52) od anche nel periciclo — il che rende ancor più difficile distinguerle dalle invaginazioni laterali — ed allora , ingrandendo, si aprono per lo più soltanto su di un lato della stela, che viene così a deformarsi senza scindersi (fig. 49). Spessissimo si hanno invaginazioni^ situate 1’ una accanto all’altra senz’ ordine; in un caso tutta quanta la stela era disseminata, lungo una linea quasi diametrale, a decorso però obliquo e curvilineo, di siffatte invaginazioni, forse ammontanti a 20 o più, che non tar- darono poi a fondersi fra loro, ad allargarsi e ad aprirsi in più punti alla periferia del cilindro centrale, scindendo così infine questo in parecchie stele secondarie (fig. 35, 36, 76). Quando le invaginazioni apicali hanno raggiunto un certo sviluppo, sia pel fatto che si fondono spesso fra loro e quindi si deformano, sia per altre cause, può avvenire che r endodermide, da cui sono circondate, s’ introflette a guisa di un dito di guanto nel loro interno, riuscendo talvolta a formare vere trabecole, che attraversano in tutto lo spessore il tessuto corticale incluso , suddividendo così 1’ invaginazione in scompartimenti (fig. 37). Ma vi ha di più : non di rado i peduncoli endodermici attraversanti il tessuto corticale della invaginazione apicale si staccano dall’endodermide che ha dato loro origine, ed allora com- paiono pseudostele incluse nel cilindro centrale, ma in realtà incorporate nel tessuto cor- ticale, pure a sua volta circondato dalla stela ! Come si è detto, le invaginazioni apicali finiscono quasi sempre ad allargarsi in modo da spezzare in due o più frammenti la stela. Se però nascono prossime alla superficie, presso ad uno dei poli di questa, la frattura riesce così disuguale che uno dei frammenti non contiene che pochi fascetti vascolari (fig. 35, 36) e forma così un pseudopleroma od anco è privo di fasci. In questo caso si hanno di nuovo delle pseudostele che rassomigliano a quelle prodotte da estroflessione dell’ endodermide, per quanto non abbiano niente di co- mune con queste. Riesce in tali condizioni quasi impossibile distinguere se la pseudostela deriva da invaginazione apicale o laterale (fig. 32, stela a destra). Il lavorìo di dissociazione della stela, iniziato dalle invaginazioni, viene quasi sempre coadiuvato dai fenomeni di frammentazione semplice del cilindro centrale per lo più nel piano stesso in cui si sviluppa l’ invaginazione , che d’ ordinario è diretta perpendicolar- mente al maggior asse trasversale della stela (fig. 33-36, 41, 44, 49, 72). Con lo strozzamento ha pure luogo il rimaneggiamento nell’ orientazione dei fasci prossimi alla area invaginata , di modo che , a processo finito , le stele secondarie presentano una di- stribuzione quasi normale dei loro tessuti (vascolare, periciclico ed endodermico). Non sempre però avviene lo strozzamento per frammentazione semplice, oppure que- sta procede troppo a rilento, esaurendosi prima di arrivare a un risultato efficace. Frattanto, mentre si formano le invaginazioni apicali (od anche laterali), cui spetta il compito princi- pale nella scissione, si vanno concretando nella stela disposizioni quanto mai singolari che valgono a preparare la reintegrazione delle stele non appena si saranno separate. A tal’ uopo vediamo comparire, tutto attorno alle invaginazioni, elementi periciclici sotto forma di cellule parenchimatose o sclerose, punteggiate, analoghe in tutto a quelli dell’ ordinario periciclo, ma evidentemente eterotopiche. Si tratta di un vero periciclo in- terno, derivato dal midollo o dagli elementi del mantello, a seconda della sede dell’inva- ginazione. Il quale poi nelle invaginazioni piccole e centrali non ha alcun punto di con- tatto col periciclo periferico normale, mentre a questo si accolla, in uno o più punti, nelle invaginazioni un pò grandi e periferiche. Quando le invaginazioni sono multiple (fig. 36, Atti Acc., Serie V, Vol. III. Mem. I. 6 42 L. Buscalioni e G. Lopriore [Memoria I.'J 76), ognuna di esse mostrasi avvolta dal proprio periciclo , oppure rutti quanti i pericicli speciali si fondono in uno unico, che ingloba le invaginazioni (fig. 76). A sua volta il periciclo viene circondato da fascetti di legno e di libro alternanti fra loro, per cui — fenomeno veramente singolarissimo ! — compare nel centro della stela una vera cerchia interna vascolare a protofloema e protoxilema in posizione invertita ri- spetto ai vasi omologhi della cerchia normale esterna. Per lo più i fasci legnosi sono me- no numerosi di quelli fioematici; ciò forse per il fatto che, data la loro posizione nel cen- tro della stela , i primi non trovano le condizioni opportune per un normale funziona- mento. Di qui r atrofia di taluni di essi (fig. 33-35, 41-44, 49, 72). Se sono molte le in- vaginazioni ed allineate 1’ una accanto all’ altra, allora la cerchia vascolare le ingloba tutte quante insieme, come avviene per il periciclo, in una guaina vascolare periciclica comune (fig. 76). Data simile organizzazione, il cilindro centrale delle radici dicotomiche assume una fisonomia molto singolare, che nulla ha da vedere con l’ordinaria struttura di una radice. Basti pensare alla corteccia interna con le sue pseudostele o i suoi pseudopleromi, parimenti interni, a cui si uniscono talora fascetti meccanici corticali (fig. 76), al periciclo ed al si- stema vascolare interno, per rilevare 1’ enorme disordine di organizzazione. Il tutto poi ete- rotopico, non solo per origine, ma anche per localizzazione ! La formazione dei fascetti legnosi e liberiani alterni intorno alle invaginazioni testé descritte, se può parere alquanto singolare, ha tuttavia non poca importanza, poiché, appe- na avvenuta la frammentazione della stela, siffatti cordoni col corrispondente periciclo sor- montato dall’ endodermide valgono a rifare ex novo la struttura ordinaria della stela dal lato in cui é avvenuta la scissione. Senza una tale disposizione, la frammentazione stelica darebbe luogo alla comparsa di due o più stele, che da uno dei lati — quello cioè in cui avvenne la frattura — sarebbero sfornite degli elementi del libro, del legno e del periciclo, nonché forse dell’ endodermide. Qualche volta il processo della riparazione stelare non si compie con quella regola- rità testé descritta. Le fig. 29, 30 rappresentano appunto un caso in cui la separazione della stela avviene in modo alquanto anomalo. Qui al solito, lungo la linea di divisione stelica ha luogo la scomparsa di tutti quanti gli elementi specifici del cilindro centrale, rimanen- do soltanto un parenchima non lignificato o in cui soltanto alcuni gruppi di cellule ligni- ficano le loro pareti. Data la poca resistenza di questo tessuto, le due stele in formazione si allontanano l’una dall’ altra, rimanendo tuttavia attaccate per un peduncolo od istmo di tessuto fondamentale (cfr. anche fig. 19, 31), nel quale poi compaiono invaginamenti — di probabile origine *apicale — che da una parte accelerano il processo di scissione, dall’al- tra, emancipandosi dal cilindro centrale, diventano pseudostele libere parenchimatose, endo- dermiche, corticali, piuttosto piccole. Intorno a queste, però, non vi ha traccia di periciclo, di legno e di libro , come sarebbe da aspettarsi da pseudostele o pseudopleromi derivati dalle invaginazioni prima rinchiuse nel cilindro centrale. Sui fianchi dell’ istmo avviene un grande rimaneggiamento dei cordoni liberiani e xi- lematici, ma intanto non pochi fascetti legnosi, che, per la loro posizione anomala, non varrebbero a ricostituire una cerchia vascolare normale nella stela secondaria, a poco a poco si atrofizzano fino alla scomparsa completa. Ad una certa distanza dal punto, in cui avvengono questi singolari fenomeni, le due stele acquistano poi una struttura affatto normale. Il pleroma lubuloso, V endodermide midollare, ecc. 43 Abbiamo così seguito le invaginazioni apicali e laterali dal loro punto di origine fino a quello in cui dànno luogo alla frammentazione stelare. La presenza quasi costante delle due sorta di invaginazioni, le loro facili fusioni e le difficoltà che si incontrano quando trattasi di separare le une dalle altre, ci obbligherebbero a parlare quasi sempre d’invagina- zioni miste. Si è creduto nondimeno di trattare le stesse separatamente per ragioni di chiarezza, affinchè il lettore possa facilmente orientarsi nel dedalo della complessa descrizione. Se noi ora analizziamo la parte che spetta alla frammentazione semplice e quella che è propria delle invaginazioni nel fenomeno della schizostelia, troviamo che il compito principale è affidato alle invaginazioni, quasi sempre associate, laterali e apicali. Lo studio paziente, lungo e non sempre facile delle invaginazioni, che noi seguimmo dal punto in cui appaiono in sezione trasversale come un gruppo di cellule endodermiche fino a quello in cui sfasciano la stela, mentre ha rivelato un fatto veramente unico nel regno vegetale, ha pure mostrato chiaramente che il pleroma delle radici dicotomiche è tuboloso e che i tuboli sono appunto le invaginazioni riempite di tessuto corticale e circondate dal- l’endoderma col relativo periciclo. Talora tutto il cilindro centrale è attraversato da un unico tubolo, che si allarga in senso acropeto ; talora invece sono parecchi tubi, che, poi, nella direzione dell’apice della ra- dice, confluiscono in un solo o in pochi. Quando più tardi tratteremo della struttura e della forma dell’apice radicale della Phoe- nix dactylifera, metteremo in evidenza come si formino detti tuboli e come non si debba dare gran peso — salvo casi eccezionali — alla distinzione fra invaginazioni laterali ed apicali. c) Modificasioìii strutturali nelle stele secondarie. — Per effetto sia della frammen- tazione semplice, sia dell’ampliamento delle invaginazioni, sia infine per i due processi as- sociati, nascono, come si è detto, più stele secondarie, raramente fra loro uguali (fig. 23, 25, 31, 34, 35, 39, 40, 49, 51, 52, 57). Queste, una volta individualizzate, percorrono la radice immerse nel tessuto della corteccia, ma costantemente separate le une dalle altre fino a che , come è il caso più frequente, avviene la scissione della radice, la quale fa sì che ognuna delle stele, o da sola o con qualche altra, entri in una delle schizorrize (fig. 58). Quando la schizorrizia non ha luogo, allora le stele continuano a mantenersi separate fino all’apice radicale. In generale tutte quante le stele, ad una certa distanza dal punto in cui è avvenuta la scissione del cilindro centrale, dal quale han tratto origine, assumono forma più o meno cilindrica : solo le più grosse, sia perchè tornino a scindersi, sia perchè vengono parzial- mente lacerate da invaginazioni o sia infine perchè s’ incurvino a ferro di cavallo, si presen- tano spesso deformate e più o meno ricche d’ insenature (fig. 19, 20, 22, 31, 32, 34, 39, 50, 64). Avviene non di rado che le stele , quando sono piuttosto grandi , tornino a divi- dersi; in tal caso dànno stele di terz’ ordine, più piccole e spesso fra loro dissimili. Se due stele, pressoché uguali per forma e grandezza , si dividono , la divisione avviene spesso in modo che le stele di terz’ ordine risultano di nuovo simili due a due. Abbiamo creduto di denominare siffatto tipo di divisione omomorfo, in omaggio alla grande rassomiglianza dei prodotti secondari, senza però riescire a comprendere le cause determinanti un fenomeno così singolare nonché raro (fig. 26, 31, 32). Le stele di dimensioni piuttosto piccole, le pseudostele, i pseudopleromi , le estrofles- sioni endodermiche contenenti pochi fascetti vascolari, liberiani e xilematici, per solito, dopo un percorso più o meno lungo si esauriscono , senza prender parte attiva nella forma- 44 L. Buscalioni e G. Lopriore [Memoria I.] zione delle schizorrizie o trasformarsi nei cilindri di assi dico- o politomici. Mai infatti abbiamo visto una radice secondaria innervata unicamente da una stela molto ridotta, da un pseudo- pleroma o da una pseudostela ; tutt’ al più in una schizorriza può passare una di queste formazioni, ma sempre consociata ad un cilindro centrale più o mepo vigoroso. Questo è vantaggioso poiché, a causa della tendenza all’ atrofia, le stele piccole riuscirebbero inutili per la radice, se esistessero da sole. Rapido è in generale 1’ esaurimento delle pseudostele e dei pseudopleromì, alla cui costituzione entra, come è noto, per lo più solo scarso parenchima fondamentale: in gene- rale comincia a scomparire questo, perdono poi le differenti cellule dell’anello endodermico, saltuariamente, le loro caratteristiche ed infine, se si tratta di pseudopleromi, scompaiono anche gli elementi del libro e del legno. Il fascetto si riduce cosi a un piccolo cumulo di cellule endodermiche alquanto alterate od anco normali , dopo di che il tutto scompare (fig. 22, 34, 51). Stele assai piccole, in cui vi siano al più due o tre od anche quattro fascetti libe- riani ed altrettanti xilematici (non sempre però i numeri si coi'rispondono !), presentano nel loro percorso reiterati rimaneggiamenti nella distribuzione, nella forma, nel numero e nella disposizione relativa dei loro elementi. Predomina tuttavia un costante e progressivo de- pauperamento sia del legno che del libro. Particolarmente interessanti sono quelle stele che, per effetto del depauperamento, si riducono allo stato monarco, in cui non è più reperibile una struttura radicale ma soltanto quella di un fascio a tipo quasi collaterale. Nelle altre stele meno atrofiche la disposizione radiale e alterna degli elementi vascolari, legnosi e liberiani, è più o meno manifesta. Per quanto concerne gli altri tessuti del cilindro centrale, osservasi che le stele piccole sono formate di periciclo, non sempre però presente, costituito da uno strato quasi continuo sottoendodermico, a cellule spesso lignificate, disposte in uno o due piani. Il periciclo, d’ altronde, è spesso rappresentato nelle pseudostele nate per estroflessioni endodermiche , mentre invece può spesso mancare su estesi tratti delle piccole stele od anche non essere affatto rappresentato. Anche gli elementi del mantello sono per lo più riconoscibili nelle stele depauperate , sebbene non sempre siano lignificati , mentre invece, per ragioni facili ad intendersi, manca sempre il midollo. Il processo di esaurimento delle stele colpisce dapprima gli elementi legnosi e liberiani poi il mantello e infine il periciclo. L’ endodermide resiste più a lungo, ma intanto aumenta il numero delle sue “ cellule di passaggio „ . Le fig. 13-16, 17-20, 29-34, 37-40 illustrano le principali modalità che regolano le frammentazioni del cilindro centrale, il comportamento delle stele secondarie, 1’ ulteriore suddivisione di queste ed infine la riduzione stelare. Particolare attenzione meritano le fig. 61 e 64 , in cui si vedono due stele ancor unite per la doppia endodermide , e le fig. 51 e 52, nelle quali è distinta, attorno alla stela, un’endodermide ricca di “ cellule di passaggio. „ La frammentazione di tutte quante o di parte delle stele formanti una radice può av- venire in un piano unico. Il che succede d’ordinario allorché la stela madre è, nelle sezioni trasversali, diritta (fig. 23, 26, 55) ; quando invece sono conformate a doccia o sono de- rivate da una frammentazione disordinata di un cilindro centrale , minato da molte inva- ginazioni e ricco di estroflessioni, quasi costantemente le stele di terz’ ordine, al pari del resto di quelle di secondo, nascono inclinate le une rispetto alle altre. Talvolta 1’ assieme Il pleroma tubìiloso, I endoderniide midollare, ecc. 45 di queste stele d’ ordine vario rappresenta quasi una sorta di cilindro centrale a tipo poli- stelico e costituito da stele grandi, piccole o mediocri, regolari o deformi, situate alla rinfusa 1’ una accanto all’ altra e grossolanamente disposte intorno ad un centro di tessuto fonda- mentale. Il fatto appare distinto nella flg. 51 in cui avevasi un cilindro centrale, foggiato in sezione a semiluna , pieghettato e frangiato dal lato concavo , racchiudente fra le sue branche un robusto cordone di tessuto corticale disseminato di fasci meccanici. Fra le due branche stavano però parecchie stele di poca importanza, le une rotonde, le altre irrego- larmente ovali ; tutte quante in via di esaurimento , come è stato da noi accertato nelle sezioni in serie. Una stela era già ridotta alla sola endodermide, racchiudente un po’ di tessuto^ probabilmente di natura periciclica. Quell’arcipelago di stele completava la cerchia deir apparente cilindro centrale polistelico. d) SchisorrÌBia. — Alla scissione della stela suole seguire quella della radice (schi- zorrizia), la quale avviene quasi costantemente per dicotomia, anche quando il numero delle stele racchiuse nella corteccia sia di quattro o più. Il processo che porta alla schizorrizia si esplica in modo abbastanza semplice : la cor- teccia si strozza a poco a poco (flg. 22 e 25) lungo una linea che passa fra le stele prin- cipali, ma che non é caratterizzata da alcuna particolarità istologica, se si eccettua il minor addensamento — neppur costante — dei cordoni meccanici (flg. 25), o il minor spessore di questi. Del resto lo strozzamento della corteccia interessa soltanto il tessuto fondamentale, non essendo i cordoni meccanici compresi nella frattura ma semplicemente spostati. Per compiersi la scissione, occorre che lé stele si allontanino 1’ una dall’ altra. Il che avviene in modo da noi non ben chiarito. Probabilmente trattasi di tensioni meccaniche, le quali si fanno sentire più energicamente su una delle facce della stela che sulle altre, limitatamente però al piano in cui già avvenne la separazione delle stele ed ora avviene quella delle radici. Forse a tanto risultato concorre la struttura stessa della stela, in cui il lato, che ha subito lo strozzamento, ligniflca più rapidamente 1’ endodermide ed il man- tello di quello opposto. Il che deve necessariamente creare nella stela una condizione di asimmetria, che può benissimo generare tensioni antagonistiche. Sotto l’ influenza di queste, le stele si allontanano 1’ una dall’ altra, tanto che ognuna — anche nel caso di moltiplicità di stele — riesce circondata da un’ atmosfera di tessuto corticale. Quando il processo di scissione della radice ha raggiunto un certo grado, altri fattori intervengono ad accelerarne la fine e, primo fra questi, la lacerazione della corteccia lungo la linea di scissione. Le due radici si separano così bruscamente, mentre la lesione, dovuta alla lacerazione, cicatrizza sugli orli per il solito processo che dà luogo alla formazione di periderma (flg. 28, 54, 58, 77, 78). A tal’ uopo le cellule circostanti alla formazione proli- ferano attivamente, dando luogo alla produzione di otricoli allungati , ovalari , segmentati più volte trasversalmente. I fasci meccanici, compresi nel tessuto di riparazione, modificano la loro struttura per il fatto che le fibre, di cui risultano, perdono gl’ ispessimenti parietali, tanto che a primo aspetto possono essere scambiati con elementi di nuova formazione. Il processo che conduce alla schizorrizia da un lato, alla formazione del periderma tutto all’ intorno della linea di lacerazione della corteccia dall’ altro, riesce abbastanza chiarito dalle figure 23-25 , la prima delle quali permette di rilevare lo strozzamento ad 8 della radice primaria, la seconda la formazione del periderma intorno alla lacerazione, che va di mano in mano estendendosi, a partire dalla linea mediana. Ano a provocare come ad es. nella flg. 28, la completa separazione delle due schizorrize. 46 L. Buscalioni e G. Lopriore [Memoria I.] Particolarmente interessante è questa fig. 28, poiché essa mostra che le stele localiz- zate nelle vicinanze della linea di frattura possono essere coinvolte nel processo traumatico^ Nel nostro caso trattavasi di una piccola stela che, posta sulla linea di frattura, erasi, per effetto di questa, profondamente alterata. Il periciclo appariva perciò trasformato in un tessuto meristematico a cellule allungate, radialmente disposte rispetto all’ asse della stela e formanti parecchi piani. I fasci liberiani mancavano ovunque e, al loro posto, presenta- vasi un tessuto di cellule parenchimatose e omogenee. Ben conservato mostravasi invece il legno ed il tessuto del mantello, il cui contorno esterno, fortemente ondulato, compren- deva nelle anse i resti alterati del libro. L’ endodermide aveva subito una profonda modificazione strutturale per il fatto che molti suoi elementi non lasciavano più riconoscere i punti di Caspary ed erano anzi dive- nuti simili alle ordinarie cellule del parenchima corticale. La lesione erasi estesa a tutto il fascio: solo in corrispondenza del polo opposto a quello a contatto con la lacerazione corticale i tessuti parevano meno alterati. Le sezioni trasversali in serie, praticate al disotto della scissione, ci permisero di con- statare che, malgrado le profonde lesioni subite, il cilindro centrale tornava a poco a poco allo stato normale : gli elementi patologici scomparivano gradatamente e al loro posto — anche gradatamente — ritornavano le cellule del periciclo e quelle del libro. Ritornando ai casi normali, osserveremo che^ una volta che le due radici — uguali o no — si sono individualizzate, non tardano ad assumere una struttura normale, poiché il peri- derma cessa poco al disotto del punto di separazione, la corteccia si reintegra e la radice assume forma cilindrica. Emerge intanto dai fatti esposti, e più specialmente dall’esame delle figure relative, che la schizorrizia di rado divide le radici in due metà uguali e molto meno dà luogo a tante suddivisioni della radice primaria quante sono le stele. Noi vediamo infatti che una delle radici può comprendere, ad esempio, una stela piccola ed una grossa, 1’ altra radice invece presentarne parecchie, tutte quante di varia forma e grandezza ; talora una delle schizorrize ha una sola stela , la compagna due o più. Di norma le scissioni avvengono in modo che ognuna delle radici contiene almeno una delle maggiori stele , in cui si é fratturato il cilintro centrale originario. Anche la divisione delle stele, se sono parecchie, varia nelle due schizorrize ; talora esse sono, tanto da un lato quanto dall’altro, perpendicolari od oblique al piano di frattura, tal’ altra invece più o meno parallele ad esso. Tali variazioni non sono prive di un certo interesse, poiché dipende dalla posizione reciproca delle stele l’ orientazione delle future schizorrize : se le stele sono nelle due radici tutte disposte in linea retta, allora le ulteriori divisioni delle radici avverranno nello stesso piano delle precedenti ; se invece le differenti stele sono inclinate le une rispetto alle altre, le nuove schizorrizie possono effettuarsi in piani obliqui a quello che ha dato luogo alla prima divisione delle radici. È questo il caso più frequente. Sul numero delle schizorrize definitive non occorre fermarci, essendo altrove già stata trattata simile quistione : esse variano da due a cinque al massimo. Le radici terminali presentano una struttura normale o quasi e terminano in un apice vegetativo piuttosto grosso. Anormali sono invece quelle sole radici che più tardi subiscono nuove divisioni. Emancipandosi 1’ una dall’ altra, le radici munite ognuna di un apice vegetale dovreb- bero — continuando a crescere — ■ comportarsi in modo diverso nelle due schizorrize. Questo Il pleroma tubiiloso^ I endoderm/de midollare, ecc. 47 invece non suole avvenire. Seguite infatti le due radici, mediante sezioni in serie, a partire dall’ apice, si constata che ad ugual distanza da questo in entrambe le schizorrize i tessuti presentano quasi la stessa fase evolutiva. Così ad es. a 10 cm. dall’apice 1’ endodermide presentava nelle due schizorrize i caratteristici Punti di Caspary, mentre il cilindro centrale aveva appena iniziato la lignificazione delle cellule più interne del mantello, dei vasi pro- toxilematici e di quelli metaxilematici più esterni. A 30 cm. circa dall’ apice in entrambe le schizorrize si aveva parimenti 1’ endodermide fornita degl’ ispessimenti ad U ed il man- tello del tutto lignificato, come pure apparivano sclerosati gii elementi dell’ “ intercute raf- forzata Si tratta dunque di un vero accrescimento isocrono, spiegabile con 1’ origine unica delle due schizorrize. Nello stesso modo che le due schizostele tendono ad allontanarsi 1’ una dall’altra non appena siano individualizzate, prima ancora che si accenni la schizorriza, così le schizor- rize tendono ugualmente a divergere fra loro. Questo fenomeno, da noi già accennato altrove, può qui avere una plausibile spiegazione, da riportarsi in conto probabilmente di fenomeni meccanici, i quali da una parte fanno divergere le stele, dall’altra separare le radici derivate dalla divisione. Per comprendere bene i fatti, occorre qui ricordare che le stele di nuova formazione, nel momento che si separano 1’ una dall’ altra, presentano un’ asimmetria marcata, nel senso che il lato, in cui avvenne la scissione, risulta di elementi neoformati, i quali hanno rimarginato in certo qual modo la ferita prodotta dal processo schizostelico, mentre dal polo opposto il cilindro centrale conserva i suoi elementi primordiali e quindi ha una struttura già da tempo fissata. Tale antagonismo strutturale provoca evidentemente tensioni ben diverse in corrispondenza dei due poli della stela — il giovane ed il vecchio — i quali producono accrescimenti disuguali lungo i vari settori del cilindro centrale. L’accrescimento disuguale su due lati opposti conduce all’incurvamento dell’organo epperciò alla separazione prima delle schizostele, poi delle schizorrize. Le figure 4, 5 e 12 illustrano abbastanza chiaramente i fatti, senza avere bisogno per essi di molte parole. Occorre qui notare che talora , per cause a noi rimaste ignote , le schizorrize riman- gono accollate l’ una all’ altra (fig. 3). Dal punto di vista fisiologico e biologico tale con- dizione di cose è evidentemente poco opportuna, essendoché lo sfruttamento del terreno rimane così limitato. Rileveremo da ultimo che la schizorrizia non è sempre accompagnata dall’ accresci- mento delle due radici secondarie. Molto spesso invece queste si arrestano per poco o per sempre nel loro sviluppo, oppure una sola di esse continua a crescere. Nel primo caso si ha una radice a forchetta ; nel secondo una radice vigorosa, portante al fianco una pic- cola, che potrebbe venir scambiata con una radice laterale (fig. 7). e) Formasione delle radici secondarie laterali sulle primarie. — Nella Ph. dacty- lifera, oltre alla formazione di nuove radici per dico- e politomia, si ha la comparsa di ra- dici laterali, che (come fu accennato a riguardo della struttura delle radici normali di nu- trizione) si formano nel modo ordinario , cioè per proliferazione in seno al periciclo della stela madre, le cui cellule dopo essersi suddivise, danno origine da una parte a tracheidi di forma piuttosto irregolare e al libro, dall' altra al corpo della nuova radice. Vogliamo ora studiare un po’ più davvicino le particolarità del processo inerente allo sviluppo delle radici secondarie, nonché i rapporti che queste presentano sia con la stela madre o con quelle ad essa associate, sia con la schizorrizia. Evidentemente lo studio è limitato alle radici secon- 48 L. Biiscalioni e G. Lopriore [Memoria I.J darie nascenti sulle dicotomiche, poiché le laterali delle radici normali vennero già ampia- mente trattate a pag. 34. 1) Struttura della radice secondaria in via di forniasione. — I fatti che verremo qui esponendo sono applicabili anche alle radici normali non dicotomiche, per cui, essendo nota la struttura delle bozze radicali, tratteremo prima di alcune particolarità del reticolo radicifero, talune delle quali possono esser messe in evidenza solo mediante sezioni tan- genziali in serie, praticate sulla radice madre in modo da comprendervi anche le radici in via di formazione. A causa della sua larga base d’ impianto, il reticolo, nei tagli che arrivano ad inte- ressare il cilindro centrale della radice madre, si presenta in forma di due ammassi lenti- colari di tracheidi e di elementi del libro, nettamente delimitati da un lato daU’endodermide, dall’altro a contorni indecisi perchè intramezzati dai vasi legnosi della radice madre. A misura che i tagli si allontanano dal cilindro centrale della radice madre, i due ammassi tracheidali, situati ai due lati del cilindro centrale di questa, si avvicinano sempre più verso la linea mediana, mentre i loro elementi si dissociano in gruppi, disponendosi in modo da formare una figura quasi anulare, racchiudente nel mezzo un parenchima poco o punto differenziato da quello midollare. L’anello di tracheidi è oscuramente scisso lungo la linea mediana e parallelamente all’ asse della radice materna in modo che il reticolo radicifero, più che un vero cerchio, forma come due semilune ravvicinate per gli estremi, lasciando tuttavia una rima talora evidente ad un estremo solo (fig. 45 e 46). Delineatosi una specie di midollo, i fasci tendono sempre più a disporsi in modo da preparare a poco a poco la struttura propria delle radici normali, mentre intanto si delinea il periciclo. Nel compiersi questi mutamenti, appare nel cosiddetto midollo una struttura veramente singolare^ poiché ivi si organizzano cellule a sezione rettangolare o quadrata, che non tardano ad ispessire su tre facce — e più precisamente verso le tracheidi — la membrana che contemporaneamente lignifica ; in altre parole siffatti elementi assumono le caratteri- stiche di un’ endodermide adulta, le cui membrane presentano, com’ è noto, gl’ ispessimenti ad U. Se si ha cura di esaminare molte radici, si trova non di rado che le cellule in questione, prima di ispessire, mostrano le Bende di Caspary, tanto da non far più dubitare della loro natura. Quest’ endodermide midollare forma dapprima uno strato irregolare, simile quasi ad un epitelio pavimentoso, pòi i suoi elementi si scindono in gruppi ed infine si ordinano in serie, formando due o tre cordoni, irregolarmente distribuiti in seno al parenchima mi- dollare, ma tendenti a fondersi gli uni con gli altri per gli estremi. Non mancano per altro i casi, in cui 1’ endodermide è rappresentata unicamente da poche cellule, con la membrana ispessita su tre lati, sparse senz’ ordine — o talora aggruppate — nel parenchima. Quando invece i cordoni sono ben definiti, essi tendono a portarsi verso il midollo per formare una specie di strato di separazione fra questo e gli strati del mantello ora in via di formazione. Però questo non sempre avviene, ed allora la benda endodermica, variamente ripiegata su sé stessa, giace in seno al midollo (fig. 45 e 46). Se in questo permangono per poco o per sempre fascetti legnosi o. liberiani, 1’ endodermide non tarda ad avvolgerli più o meno completamente ; se poi vi sono parecchi cordoni di questo tessuto, gli uni si por- tano alla periferia del midollo per stratificarsi contro il mantello, gli altri restano nel centro della regione per avvolgere i fascetti libero-legnosi, che accidentalmente esistono e che solo più tardi si porteranno alla periferia per fondersi con la cerchia vascolare normale. Il pleroma lubuloso, V endodennide midollare^ ecc. 49 Sta il fatto che 1’ endodermide interna non forma mai uno strato cosi regolare come è quello dell’ endodermide normale esterna al cilindro centrale ; però bisogna qui notare che le due endodermidi procedono di conserva nello sviluppo, nel senso che quando i Punti di Caspary sono evidenti in quella esterna, lo sono anche in quella interna e se l’una ligni- fica ed ispessisce le pareti, anche 1’ altra offre gl’ ispessimenti ad U. La grande importanza di questo reperto c’ indusse ad assicurarci se realmente fossimo in presenza di una vera endodermide. Le sezioni trattate con saffranina si coloravano nei Punti di Caspary e negli ispessimenti ad U, mentre 1’ acido solforico dissolveva tutti i tes- suti, rispettando le sole Bende Casparyane (cfr. fig. 45-46). Identificata pertanto la natura dell' endodermide midollare nelle radici della Pii. dacty- lifern, si è cercata la stessa in altre Palme, esaminando le sezioni tangenziali delle radici in corrispondenza del punto di uscita di una radice secondaria. Le ricerche però non ap- prodarono ad alcun risultato ; nella sola Washingtonia iiiistralis abbiamo incidentalmente notato la presenza, nel tessuto midollare in via di formazione , di qualche raro elemento foggiato sullo stampo di una vera endodermide esterna. La rarità del reperto, lo scarso numero di cellule che offrivano i caratteri propri di quelle endodermiche e la mancanza infine di elementi caratterizzati dai Punti di Caspary permettono però di concludere che nelle Palme una vera e propria endodermide m i- dollare interna esiste per ora nella sola Ph. dactylifera. Ricerche ulteiiori confer- meranno probabilmente la nostra scoperta in altre specie. L’ osservazione, estesa ad altre piante appartenenti a generi, famiglie e classi differen- ti, per ricercarvi un’ endodermide midollare all’ uscita delle radici laterali dalla stela ma- terna, rimase infruttuosa. Intanto, per agevolare in questo senso le licerche di altri studiosi, faremo osservare che nella Ph. dactylifera 1’ endodermide midollare presentasi soltanto in uno strato brevissimo, lungo al più — 1 mm. , di modo che, prima ancora che la radice neoformata raggiunga la periferia della corteccia della radice-madre, essa è già scomparsa , nè più si ritrova in seguito. d) Rapporti tra la formazione della radice secondaria laterale e la slriittnra della radice- madre. — Questi rapporti sono scarsi e di poca importanza. Dal lato in cui comparisce la nuova radice gli elementi del tessuto fondamentale del cilindro centrale ma- terno ispessiscono e lignificano le pareti più precocemente che dal lato opposto. I processi digestivi, provocati dalla nuova radice sulla corteccia della radice materna sono stati suf- ficientemente illustrati, trattando delle radici normali (pag. 34), per non ripetere qui i fatti. Faremo soltanto notare che se la radice in via di formazione ha il potere di dissolvere gli elementi della corteccia che attravei’sa, questi, fino a tanto che non siano digeriti — spe- cie se di natura meccanica— esercitano a lor volta una notevole compressione sui tessuti della nuova radice, la quale reagisce, ispessendo localmente i cordoni fibrosi. Perciò, men- tre nel tratto libero delle radici i cordoni corrono isolati e sono di forma cilindrica o quasi, nell’ ambito della corteccia mateima sono raccolti invece in larghe bende irregolarissime , nelle quali gli elementi sclerificano precocemente. Noteremo, però, che la Mashingtonia australis presenta un fenomeno un po’ diverso, poiché attorno alle nuove radici sclerificano le cellule della corteccia radicale materna. 3) Rapporti tra la formaBione delle radici secondarie e la schiBorrÌBÌa. — Questi rapporti furono già trattati nella parte morfologica delle radici dicotomiche , sicché Atti Acc., Serie V, Vol. III. Mem. I. 50 L. Biiscnlioni e G. Lopriore [Memoria I.] qui noteremo soltanto che le radici collaterali (nel senso di Lopriore) nascono al di sopra della schizorrizia a contatto più o meno immediato di questa , quasi che il processo di scissione della radice-madre costituisca uno stimolo per la formazione di radici laterali. Non di rado però le radici possono nascere al di sotto della schizorrizia , ma in tal caso manca spesso la collateralità, nascendo solo una radice, oppure una sola delle schizorrize essendo capace di emettere assi laterali. Le figure 54, 58, 77, 78 illustrano i principali fatti relativi ai rapporti in quistione , per quanto concerne la struttura radicale , che sola qui c’ interessa. 4) Rapporti di posizione tra le radici secondarie e la st eia-madre. — Se la stela- madre è cilindrica , qualunque punto di essa è capace di dare luogo alla formazione di radici laterali (fìg. 54, 63, 66, 67, 71, 80, 81, 83, 84). Se invece essa foggiasi a gronda od a nastro, i rapporti cambiano : spesso la radice nasce ad uno dei poli della stela nastriforme (fìg. 20, 62, 65) di rado ai due poli contem- poraneamente ed in senso opposto 1’ una all’altra (radici antitrope di Lopriore, cfr. fig. 56, 77-78). In entrambi i casi il reticolo radicifero non si estende molto sulle facce della stela materna. Frequenti son pure i casi , in cui la radice nasce dal lato convesso della radice materna (fìg. 17, 61, 62, 67, 68) ed allora il reticolo radicherò è molto esteso, tanto da arrivare non di rado fino ai poli della stela materna o per lo meno estendersi su larghissimo tratto della faccia d’ impianto (fìg. 21). Ci mancano dati per stabilire con esattezza se sia più frequente 1’ origine polare o viceversa quella equatoriale (impianto della radice su una delle facce della stela materna (fig. 61), riteniamo nondimeno che predomini 1’ origine polare, pur essendo i due casi ol- tremodo frequenti. Relativamente rara è la formazione di radici dalla faccia concava fig. 74), reperibile per norma in quei soli casi in cui la stela materna non offre una grande cur- vatura, che, però , in conseguenza dello sviluppo del sistema radicifero , può sembrare più accentuata per il fatto di mutare i rapporti fra 1’ endodermide e la sottostante cerchia va- scolare che nel mezzo viene alquanto depressa. Osserveremo infine che si possono avere combinazioni svariatissime nel senso che , ad esempio, una stela emetta contemporaneamente una radice ad un polo ed un’ altra su di una delle due faccie (fig. 74), oppure dà origine a due radici equatoriali (fig. 81). 5) Rapporti tra la formazione delle radici secondarie e la scliisostelia.—W rap- porto strettissimo fra schizorrizia e origine delle radici secondarie intercede anche fra questa e la schizostelia. In genere la comparsa dell’ una suol’ essere collegata alla presenza del- r altra, per cui non tratterebbesi di una mera accidentalità , data la frequenza con cui le stele, in divisione più o meno avanzata, formano radici laterali. Frequente è il caso che una stela da un lato si frammenta, dall’ altro emette una ra- dice. Talora i due processi si svolgono ai poli opposti (fig. 20, 62, 67), talora invece hanno il campo di azione ravvicinato. In quest’ ultimo caso il reticolo radicifero cessa là dove ha luogo lo strozzamento che precede la schizostelia (fig. 64, 65, 79). Non mancano i casi in cui due radici nascono contemporaneamente sulla stessa stela in divisione (fig. 64, 81 e 82), ed allora quasi sempre il reticolo radicifero di ognuna termina in corrispondenza della strozzatura. Vedremo più tardi quale interpretazione può darsi a questo singolare fenome- no ; intanto rileviamo che, d’ ordinario, le radici accoppiate sono più piccole, ma di poco, rispetto ad una radice unica, che, in confronto, ha un reticolo radicifero molto sviluppato. Non sono rare le anomalie, delle quali due meritano particolare menzione : spesso si Il pleroma tubnloso, V endodennide midollare^ ecc. 51 è osservato nascere le radici da frammenti molto esigui di una stela, mentre il grosso di questa, cioè tutta la porzione situata al di là dello strozzamento, non mostrava traccia di reticolo radicifero (flg. 56). In un altro caso la stela si era profondamente strozzata , ed una delle due metà aveva formato una radice, il cui reticolo, invece di arrestarsi allo stroz- zamento, aveva invaso parte del periciclo dell’ altra metà, senza che in questa per altro vi fosse accenno di formazione di radici (fig. 59 e 79). 6) Rapporti delle radici secondarie col ìiiiniero delle stele. — Quando le stele sono numerose, avviene spesso che una sola di esse, ad un certo punto, emette una o più ra- dici (fig. 26 sinistra, 59, 71), le altre essendo destinate a rimanere inattive lungamente o per sempre, come non di rado abbiamo osservato. D’ ordinario invece — specie quando ci troviamo vicino ad una schizorrizia — tutte quante le stele, o per lo meno le maggiori, entrano in attività contemporaneamente, per cui in una stessa sezione trasversale s’ incon- trano più radici secondane (fig. 20, 55, 56, 63, 65, 67, 70, 73, 77, 78). Ma vi ha di più : quando una stela è grossa, emette non di rado due radici (fig. 81 e 82). In genere i cilindri centrali molto piccoli emettono raramente radici ; ma non mancano le eccezioni che talora rivestono un particolare interesse, come lo attesta il seguente caso. Da una stela di piccole dimensioni si era sepai ato un piccolissimo cono vegetativo , ed un altro, parimenti di esigue dimensioni, era in procinto di separarsi. Ebbene tanto il pezzo emancipato quanto 1’ altro prossimo ad emanciparsi avevano emesso contemporaneamente — e ciascuno per conto proprio — una gracile radice (fig. 53). Le due radici finirono però ben tosto per andare a male, perchè, venute a contatto, s’ intralciarono nello sviluppo. La teo- ria dei pangeni, che analizzeremo nel 3° Gap., ci darà la spiegazione del singolare com- portamento. In genere si osserva che 1’ uscita delle radici, quando sono parecchie, ubbidisce alle leggi della simmetria. Infatti le radici talora nascono polarmente (fig. 20, 65) talora invece equatorialmente (fig. 55, 81 e 82). Non mancano tuttavia le eccezioni. 7) Direzione delle radici secondarie. — Le radici, siano derivate da una sola stela o da parecchie, presentano direzioni variabilissime: spesso crescono tutte quante parallele e dallo stesso lato, ciò che richiede un’origine comune rispetto alla stessa faccia e permette di .designare le radici come omotrope (Lopriore). Questo caso (cfr. fig. 16, 55, 57, 63-65, 67, 68, 70, 81 e 82), si verifica sia che le radici nascano all’ equatore, sia che nascano invece ai poli. Non di rado le radici si diri- gono r una in senso contrario all’altra ; esse nascono allora su faccie opposte nelle diverse stele (caso raro) , oppure 1’ una trae origine in un polo di una stela e l’altra ad un punto qualsiasi di quella vicina. Questi casi di antitropia (Lopriore) sono rappresentati dalle fig. 56, 77 e 78. Il parallelismo delle radici omotrope è, come facilmente intendesi , poco favorevole al loro funzionamento. A questo inconveniente le radici provvedono col divergere , appena uscite, r una dall’ altra e raffigurare quasi in sezione come un ventaglio (fig. 16, 63, 64-65, 69, 82 e 84). Dal punto di vista fisiologico, tanto l’uscita ad arco, testé accennata, quanto la direzione antitropa sono condizioni vantaggiose per il buon funzionamento della radice. Non mancano infine casi, in cui le radici seguono una direzione poco conforme al loro normale funzionamento, come p. es. quando , nate da una stela periferica di radici polisteliche, esse si portano verso 1’ asse della radice, invece che portarsi fuori per la via più breve o diretta (fig. 64 e 71), o quando due radici si avviano 1’ una contro 1’ altra 52 L. Bìisccdioìii e G. Lopviore [Memoria f.] (tìg. 56 e 78). Nel primo caso, per venire alla luce , le radici devono percorrere una via lunga e difficile^ perchè disseminata da stele e cordoni meccanici. Nel secondo caso 1' in- contro di due radici, se anche effettivamente non conduce fino all’ urto degli apici, provo- ca gravi perturbazioni nello sviluppo loro. Tali inconvenienti sono evitati in modo abba- stanza semplice : le radici cambiano direzione non appena, abbandonata la stela, trovansi dirette su una falsa via. Si direbbe quasi eh’ esse sono dotate di una sensibilità speciale, che fa loro evitare gli ostacoli e i tragitti troppo lunghi (fig. 77, 78, 80). La radice quasi costantemente esce dalla corteccia in senso più o meno trasversale rispetto all’ asse della stela materna; però qualche volta segue una strada inversa, discen- dendo in linea verticale od obliqua nell’ interno della corteccia, in cui scarta , schiaccia o digerisce le cellule, esaurendosi a poco a poco, lungo la via anomala , ed uscendo infine all’ esterno. Intanto, per effetto della forte compressione eh’ esse subiscono per parte dei tessuti circostanti, siffatte radici a decorso anomalo sviluppano un sistema meccanico par- ticolarmente robusto, come vedesi nelle due figure 53 e 71, che illustrano due radici di- scendenti verticalmente nella corteccia. I fasci corticali meccanici sono serrati gli uni con- tro gli altri oppure fusi insieme da formare quasi come tanti anelli sclerosi concentrici. Interessante è lo studio delle radici secondarie sorgenti nel punto, in cui la radice pri- maria si scinde per dare origine a due o più schizostele. Qui la radice neoformata cerca quasi costantemente — incurvandosi opportunamente nel tragitto attraverso la corteccia — di sfuggire la zona, in cui sta per avvenire la lacerazione del tessuto corticale e la conse- guente formazione di periblema (fig. 54, 58, 78). Alla tendenza costante di uscire all’aperto per la via più breve farebbe eccezione un caso da noi seguito al trapasso di due radici secon- darie da una schizorriza all’ altra. Trattavasi qui di una radice primaria in via di divi- sione e contenente quattro stele, di cui le due di un lato — disuguali e destinate ad una delle schizostele — avevano dato origine ciascuna ad una radice secondaria (fig. 71). Queste, seguendo dapprima una falsa via, si erano portate verso 1’ asse della radice madre , rag- giungendolo poco al di sopra del punto, in cui si veniva formando il periderma per effetto dell’ avvenuta lacerazione corticale. A quanto pare, offrendo il tessuto sugheroso grande resistenza al progredire delle radici, queste, anzi che venire all’ aperto in corrispondenza della ferita, continuarono la loro via attraverso la corteccia, per portarsi nella schizorriza opposta a quella, a cui erano destinate le stele che avevano loro dato origine. Percorso poi ùn certo tratto della corteccia della schizorriza che veniva acquistando, quasi a titolo d’im- prestito due radici, entrambe vennero all’ esterno per una via obliqua (fig. 73). Se non si fosse pertanto seguito, mediante tagli in serie, tutto il percorso delle due radici, si sarebbe potuto credere ch’esse appartenessero alla radice, che non le aveva originate. Anche questa però emise quasi subito da entrambe le sue stele due radici. f) L’apice vegetativo delie varie sorta di Stabilito che le radici si fram- mentano e che la stela può strozzarsi in uno o parecchi punti, contemporaneamente o successivamente od anche scindersi spesso per strozzamento seguito da invaginamenti endodermici laterali od apicali, vediamo come siffatti mutamenti si preparino nell’ apice ve- getativo , poiché è ovvio che le singolari strutture finora descritte debbano organizzarsi nell’ apice vegetativo stesso. La nostra attenzione si volgerà pure ad esaminare la struttura dell’apice nelle radici a tipo pneumatodico, presumibilmente diversa dalla normale. Cominceremo anzi da queste, avvalendoci delle sezioni in serie, trasversali e longitudinali. Il pleroma ! ubiti oso, V emìodennide widollare, ecc. 53 Gli apici delle radici a tipo pneumatodico — prescindendo dal diverso grado evolutivo degli elementi — presentano una struttura quasi conforme a quella delle radici adulte, oltre che particolarità anatomiche abbastanza singolari. Lo strato sugheroso o tegumentale ad es. raggiunge tale sviluppo da rendere quasi impossibile la separazione netta fra 1' inter- cute e lo strato di rinforzo. Questo risulta di elementi grandi e capaci di tissare ener- gicamente la saffranina ; quelli dell’ interdite, che pur si comportano analogamente , sono disposti in 10-15 e più piani, di cui gl’ interni poggiano direttamente sullo strato di rin- forzo, in conseguenza defla scomparsa quasi totale del pai’enchima a pareti cellulosiche , che altrove separa i due tessuti. Lo strato pilifero (epidermide degli autori) conserva quasi immutata la sua struttura, ma le cellule difettano di papille. Al di sopra di questo strato incontrasi il tessuto delia cuffia, che diventa tanto più robusto quanto più vicino all’apice. 1 suoi elementi, tabulari o rettangolari in prossimità dell’apice, a misura che da questo si allontanano, si allungano enormemente e quindi si lasciano a prima vista distinguere da quelli sottostanti dell’ epideiTnide. Tutto quanto il tessuto formato dalla cuffia, dall’epidermide, dall’ intercute e dallo strato di rinforzo è molto compatto , difettando gli spazi intercellulari od essendovene di molto piccoli. In compenso la regione è tutta screpolata, di modo che 1’ intercute con la soprastante cuffia e talora persino il sottoposto strato di rinforzo formano placche rettan- golari , piccole , per lo più concave verso 1’ esterno , le quali coprono incompletamente i sottostanti tessuti corticali. Data simile disposizione, ne deriva che gli scambi gassosi pos- sono effettuarsi abbastanza facilmente attraverso le fessure, specie se queste, come spesso avviene , arrivano fin sotto lo strato di rinforzo. Non si può tuttavia concludere che le suaccennate strutture costituiscano un vero sistema aerifero, occorrendo spesso che, al fondo delle fessure le cellule parenchimatose della corteccia reagiscano, dando luogo alla forma- zione di un tessuto peridermico od a nuovi strati di rinforzo capaci di occludere le ferite. Del resto non vi ha neppure un rapporto diretto con le lacune aeree corticali , poiché in alcuni apici sono sviluppatissime ed allora potrebbero realmente indicare una funzione pneumatodica, in altre invece si mostrano scarse od obliterate quasi del tutto. L’attiva formazione di cellule alla superficie della radice fa si che la linea segnata dallo strato di rinforzo decorra ondulata, dovendo continuamente approfondirsi più o meno per passare sotto i tessuti neoformati che si affondano nella corteccia. La grande massa di tessuto suberificato che riveste l’ apice delle radici a tipo pneu- matodico lascia supporre che queste non siano sempre completamente normali, il che ver- rebbe confermato dal fatto di trovar spesso infiltrato fra le cellule un micelio. Lina confer- ma ulteriore la porge il fatto che gii apici sono spesso infarciti di tannino in modo da presentare tutta quanta la corteccia e talvolta persino gii strati superficiali del cilindro cen- trale fortemente imbruniti. Non avendo approfondito in proposito le nostre osservazioni , non possiamo con sicurezza pronunciarci sullo stato dell’apice radicale, tanto più che ta- lora s’ incontravano radici con involucro sugheroso piuttosto robusto, ma sprovviste di mi- celio e di tannino o altrimenti infette. Non molto dissimili per costituzione appaiono talune radici che non presentano i ca- ratteri di quelle pneumatodiche (radici normali di nutrizione); qui trattasi per altro di mere accidentalità, mentre il fenomeno diventa più frequente allorché é quistione di apici radicali di schizorrize. Le sezioni longitudinali di radici pneumatodiche confermano e completano i reperti di 54 L. Biiscalioni e G. Lopriore [Memoria I.J quelle trasversali , essendo difficile trovare una radice con 1’ apice veramente normale a causa deg'l’ istogeni quasi sempre fra loro confusi. Per lo più la cuffia appare sviluppatissima, protrundendosi di molto sui lati dell’apice, dove si frammenta in forma di squame irregolari, costituite da cellule stirate tangenzial- mente e incurvate verso 1’ esterno. Non è però possibile distinguere, in corrispondenza del- r apice estremo , gii altri tessuti sottostanti a causa dell’ ammasso disordinato di cellule ricche di tannino, le quali solamente ad una certa distanza dell’ apice si appalesano come proprie del periblema e dello strato pilifero od anche della cuffia. Il pleroma lasciasi pure a mala pena distinguere, poiché gli elementi apicali del cono piuttosto tozzo trapassano insensibilmente nel magma cellulare comune. Noi abbiamo fin qui descritto 1’ apice radicale , quale si presenta allorché il cilindro centrale é unico ; sappiamo per altro che le radici della parte alta del feltro radicale sono frequentemente dicotomiche, per cui devono necessariamente presentare apici molto spesso anomali, specie quando la dicotomia é ancora localizzata nella punta radicale , come co- stantemente avviene se è di data recente. Le nostre previsioni furono confermate pienamente dall’ esame. Infatti , sezionando in serie trasversali gli apici delle radici, s’ incontrano spesso nel loro interno due o tre ple- romi separati gli uni dagli altri e immersi tutti quanti in un periblema unico. La pluralità dei pleromi che, come vedremo più in là, é reale o solo apparente , può talora estendersi a tratti lunghissimi della radice (10-20 e più centimetri) e allora si hanno radici a stele multiple, quali furono da noi descritte. Non di rado si può constatare che la schizostelia si é appena iniziata in seno all’ apice, poiché a poca distanza dalla sommità della radice i giovani pleromi ben presto si fondono fra loro, costituendo un cilindro cen- trale unico, che in sezione trasversale presentasi in forma di 8. In altri casi i pleromi, di forma semilunare, si collegano con gli estremi ricurvi (fig. 29, .30, 50), donde la formazione di un pleroma unico che circoscrive una massa più o meno grande di tessuto corticale , disseminata , come d’ ordinario , da fasci meccanici in via di formazione. In conseguenza di un tale stato di cose — singolare ed importante, sia dal punto di vista anatomico , sia da quello evolutivo — comparisce al limite fra pleroma e corteccia uno strato di endodermide. Sezioni in serie mostrano che spesso lo spazio occupato dalla corteccia non tarda a restringersi ed infine a scomparire con l’endodermide, mentre i fasci scompaiono molto pri- ma. Il precoce esaui'imento loro dipende dal fatto che, per la posizione anomala, essi non potrebbero compiere alcuna funzione. E ovvio che il tessuto corticale incluso non é altro che quello stesso da noi rinvenuto, insieme all’endodermide, nelle cosiddette invaginazioni apicali delle radici adulte. Chiarita l’origine di queste, resta pui' chiarita la denominazione da noi data e si spiega parimenti il difetto di fasci meccanici nelle invaginazioni delle radici adulte. Con l’obliterazione della corteccia centrale, il pleroma passa dallo stato tubolare a quello di cilindro pieno. Il pleroma apicale — come spesso abbiamo osservato nelle radici adulte — é attraversato longitudinalmente da parecchie invaginazioni corticali di forma e gran- dezza varie, ognuna delle quali é avvolta da endodermide propria, mentre contiene uno o due fascetti meccanici ridotti e destinati a scomparire. Qualche volta, però, succede il feno- meno inverso, nel senso che le tubolature si ramificano a misura che si allontanano dal- l’apice. I fatti testé descritti si appalesano in tutta la loro bellezza nelle sezioni trasversali. Il pleroììia tiibitloso, V emìodennide midollare, ecc. 55 sono meno evidenti ma non meno interessanti in quelle longitudinali; poiché le tubolature spiccano in tutta la loro lunghezza negli elementi della stela in forma di cordoni di cellu- le parenchimatosi, piccoli e percorrenti il pleroma, sia secondo l’asse, sia eccentricamente. Talora se ne incontrano parecchi sullo stesso taglio (fig. 85, 90 e 94) , pur essendo la norma che se ne abbia uno solo (fig. 92 e 93). Noi abbiamo cosi seguito la formazione delle invaginazioni apicali; dobbiamo però aggiungere che anche quelle laterali si formano pressoché nello stesso modo. Esse però nascono sull’estremo bordo laterale dell" apice in via di accrescimento e non presentano quell’imponenza di sviluppo delle vere invaginazioni apicali. Tratterebbesi qui di fenomeni di ugual natura, che, solo per opportunità, si é creduto di tener separati. Spiegata cosi l’essenza delle invaginazioni apicali e laterali, è facile com- prendere la natura di quelle miste, che sarebbero la combinazione delle due precedenti. Dalle nostre ricerche risulta il fatto nuovo ed interessante che nella Ph. dactylifera il pleroma é spesso tuboloso od anco percorso da parecchi tubuli di origine e natura corticale, rivestiti di endodermide. E noto per altro che la divisione delle stele adulte avviene anche per frammentazione semplice o seguita da invaginazioni apicali e laterali. Ebbene anche di queste particolarità anatomiche abbiamo potuto seguire, all’ apice, lo sviluppo mediante sezioni trasversali e longitudinali. Si é infatti notato che talora il pleroma appare defoimato nelle sezioni tra- sversali, il che accenna ad una divisione in corso del medesimo , la quale non tarderà a compiersi con 1’ accrescimento dell’ apice, se già non si arresta , come spesso succede. Nelle sezioni longitudinali in serie le deformazioni, le insenature , gli strozzamenti di siffatti pleromi ci danno talora 1’ illusione che la radice contenga due pleromi disuguali per forma e robustezza. E ciò anche quando il rasoio colpisce le due estremità di un pleroma a sezione semilunare su una delle facce o altrimenti — ma sempre irregolarmente — confor- mato (fig. 94). Più frequentemente invece le differenti sezioni mostrano un pleroma ora robusto ora sottile, secondo che il taglio longitudinale ha colpito la parte ispessita o quella ristretta, strozzata del pleroma. L’unicità del pleroma nel primo caso appare evidente dal fatto che la cuffia é unica, un carattere questo, che, se non costantemente, in molti casi almeno, può servir di guida per stabilire se si é in presenza di due pleromi o di un solo apparentemente sdoppiato. Neppure a questo riguardo dobbiamo essere troppo corrivi nella distinzione, poiché pleromi apparentemente doppi possono poco dopo divenir realmente tali, mentre d’ altra parte ple- romi veramente sdoppiati possono ancora essere sormontati da una cuffia unica , in divi- sione incipiente. Molto interessanti sono i casi, in cui quest’ ultima condizione di cose si verifica, cioè che vi sono realmente pleromi doppi , inglobati però in una sola corteccia (fig. 85, 89 e 91). In tali casi le sezioni longitudinali e le ti'asversali, se non mostrano mai la scissione dei due pleromi, permettono però di constatare che 1’ apice é più o meno profondamente sdoppiato, ciò che costituisce un ottimo carattere differenziale rispetto ai pleromi solo ap- parentemente sdoppiati. Nei casi tipici la cuffia é doppia, sormontando ognuna delle due metà un pleroma , mentre il periblema non accenna a dividersi o tufi’ al più presenta al confine fra le due cuffie le cellule disposte in modo da convergere rispettivamente verso ognuna di esse. Le sezioni longitudinali di tali apici rivelano una grande confusione fra gl’ istogeni , 56 L. Bnscalìoni e G. Lopr/ore [Memoria I.J tanto da non poter chiaramente distinguere la parte che spetta ad un tessuto da quella che spetta ad un altro. I pleromi sono talora avvicinati (hg. 97) , talora notevolmente distanti (fig. 86) e con le punte rivolte in fuori (fig. 91), accennanti alla tendenza di divergere sempre più 1' una dall’ altra. Essi appaiono come due masse robuste, ben rilevate ai fianchi dal circostante tessuto corticale. Se si trattano 1 tagli longitudinali assili con Acqua di Javelle e poi con Tintura acquosa di iodio, si svela la presenza di amido — probabilmente statolitico nelle columelle delle due cuffie , mentre le zone intermedie o ne sono sfornite o non contengono che pochi granuli. Quando la divisione non ha raggiunto l’estremo limite, non vi è una separazione net- ta delle due cuffie; nondimeno nella disposizione dei tessuti dell’unica caliptra si può ri- levare come siavi già la tendenza alla separazione. Dai fatti esposti risulta pertanto che la schizorrizia, al pari della schizostelia, si pre- para all’apice, il quale, dividendosi, sia internamente che esternamente, scinde la radice. In questi singolarissimi apici vegetativi osservasi non di rado 1’ ispessimento e lo sbrindellamento deH’intercute, della cuffia, nonché la comparsa d’ iti fungini. Il tannino vi abbonda pure , tanto da invadere anche i pleromi (fig. 113, 28) o gran parte della cor- teccia (fig. 41 ). Qualche volta si rinvennero, come del resto avviene nei casi di semplice deformazione del pleroma , veri processi necrotici , interessanti la corteccia sotto forma di lacune, causate probabilmente da insetti, circondate da periderma di neoformazione. Xei casi più gravi le anomalie strutturali del pleroma erano ancor più notevoli : si notò ad es. che r apice era stato fortemente danneggiato e che il tannino aveva invaso gran parte dei tessuti. Qui uno dei due pleromi, in cui si era scisso il cilindro centrale originario, presen- tava una precoce lignificazione degli elementi , ciò che contrastava singolarmente con lo stato ancor giovanile delle varie parti dell’ altro pleroma e con lo accrescimento isocrono delle schizorrize, da noi altrove accennato. Da questi pochi casi non possiamo tuttavia recisamente affermare che lesioni gros- solane siano la causa vera della schizorrizia, della schizostelia, della formazione dei ple- romi tubolari ecc. , poiché non di rado ci occorse di esaminare apici sanissimi, almeno apparentemente, in cui tuttavia era reperibile 1’ una delle accennate disposizioni se non parecchie insieme (cfr. fig. 24). In conclusione il pleroma a pi cale, olti'e ad essere spesso tuboloso con tubolature talora multiple, è spesso anche deformato o smembrato in due 0 più stele secondarie, ciascuna delle quali può poi esser munita della propria cuffia, la cui columella contiene amido probabilmente statolico. g) Inneslo delle radici avventisie sul fusto. — Illustrata la struttura della radi- ce in tutto il suo percorso, fino all’ apice, vogliamo ora stabilire come si effettui 1’ innesto della radice e più specialmente del cilindro centrale sul tessuto omonimo della base del fusto. Una ricerca proficua può farsi soltanto mediante sezioni trasversali in serie e del relativo confronto con quelle longitudinali (cfr. fig. 47). II modo, con cui avviene 1’ innesto sul fusto, è molto diverso da quello che regola r attacco delle radici secondarie su di una primaria , risp. di ordine inferiore. Come già accennammo, havvi un reticolo radicherò ben confoimato , che stabilisce 1’ unione fra le due radici, la madre e la figlia. Esiste inolti’e uri’ endodermide interna, localizzata però solo Il pleroìiia htbiiloso, l’ endoderniide iii/dollnre, ecc. a/ nel punto d’ innesto della radice secondaria al cilindro centrale di quella principale. Nell’ inne- sto invece di una radice avventizia sul fusto havvi disposizioni ben differenti , messe in evidenza dal Mohl e da altri, i quali osservarono che i cordoni vascolari smembrati della radice s’ infiltrano fra quelli del fusto con cui si fondono , il che rende inutile la forma- zione di un reticolo radicifero. Le radici nel punto d’ innesto al fusto, presentano dimensioni discrete, con cilindro centrale robusto, formato di elementi in gran parte sclerosati. Il midollo non manca quasi mai , anzi compie una funzione importante nello smembramento dei cordoni vascolari , inviando propaggini — veri raggi midollari — verso la superficie del cilindro centrale, che suddividono la cerchia vascolare in complessi di varia forma e struttura. I raggi midollari a lor volta si ramificano in senso quasi tangenziale, affrettando la separazione e suddivi- sione dei cordoni. In grande vicinanza del punto d’ innesto lo smembramento raggiunge il grado massimo ed allora ogni cordone appare costituito da vasi legnosi e liberiani distribuiti variamente. Lo xilema presenta i vasi interni molto grandi e disseminati senz’ ordine nella massa del mantello, notevolmente cresciuta. Lo stesso disordine regna nella distribuzione dei gruppi liberiani, taluni dei quali si allontanano dalla periferia del cilindro centrale, per insediarsi ai lati dei rispettivi cordoni vascolari, quasi a contatto dei raggi parenchimatosi partenti dal midollo. Il disordine nella costituzione della stela cresce ancora più quando, come di regola, ma più per effetto dello smembramento accentuato, compaiono cordoni vascolari midollari, pure riccamente forniti del tessuto del mantello. Il cilindro centrale appare allora come un ammasso di cordoni disordinatamente distribuiti. Mentre avvengono simili cambiamenti, 1’ endodermide si spezza in più punti, corri- spondenti agli estremi periferici dei raggi midollari, infiltrando i capi fra i cordoni più superficiali, senza però avvolgerli completamente. Poi scompare del tutto e, al suo posto, vediamo comparire, tufi’ all’ ingiro della superficie esterna dei cordoni periferici, piccole cellule contenenti granuli silicei, analoghe a quelle che avvolgono i fasci meccanici della corteccia. Il cilindro centrale, da questo momento, non esiste più come tale. I suoi fasci, irra- diando in tutti i sensi od affondandosi fra quelli dello stipite, si perdono a ridosso di questi ultimi, dopo essersi dicotomizzati ed avere fors’ anche incluso nelle branche un fascio caulinare. A questo punto non vi è neppure più limite fra fusto e radice ; la fusione si è stabilita tra i fasci dei due membri della pianta , di modo che la struttura di questi è quanto mai anomala. Per quanto riguarda la corteccia, le variazioni sono di minore importanza, poiché la corteccia radicale non fa che continuarsi in quella del fusto. Atti Acc., Serie V, Vol, III. Mem. I. 8 58 L. Biiscalioni e G. Lopriore [Memoria I.] CAPITOLO III. Svolta le storia di queste ricerche ed illustrati i fatti più importanti da noi messi in luce, vogliamo ora collegare le nostre osservazioni con quelle degli altri autori e vagliarle insieme con lume critico, per mettere in evidenza analogie e discrepanze e tendere a spie- gare con più razionali criteri alcune strutture della pianta, finora diversamente interpretate. A questo ispirandoci nel presente capitolo, tratteremo i seguenti argomenti: problema della dicotomia, origine delle radici laterali e teoria dei pangeni; formazioni delle radici secondarie in rapporto con le tensioni; analogie di struttura tra le radici della Phoenix dactylifera e quelle fasciate di altre piante ; polistelia del Cormack ; rapporti tra forma- zione e sviluppo delle radici da un lato e lesioni dall’ altro ; apice radicale ; problema della stela del Van Tieghem; rapporti strutturali fra le radici della Pii. dactylifera ed altri tipi vegetali, con speciale riguardo alle forme degradate; infine evoluzione del cilindro centrale. I. — Dicotomia delle radici. È noto che le Palme, fatta eccezione per 1’ Hyphaeue , presentano normalmente un asse unico ; dalle osservazioni di Morris, Master, Leveillé, Proskowsky ed altri risulta tuttavia che non poche specie, fra cui la Ph. dactylifera., possono accidentalmente rami- ficarsi. La ramificazione può avvenire alla base o all’apice del fusto. In quest’ultimo caso essa è quasi sempre la conseguenza di mutilazione dell’ apice vegetativo. Le divisioni del fusto non sono per altro mai dicotomiche nel vero senso della parola, sebbene possano a primo aspetto parere tali. Intanto, giova notarlo, esse ricordano quanto avviene in alcuni tipi alquanto più degradati, come ad esempio Cycas, in cui pure ha luogo accidentalmente un’ apparente dicotomia del fusto. Se però una vera dicotomia non è reperibile nel fusto, essa mostrasi largamente diffusa come risulta dalle nostre osservazioni, nelle radici della Ph. dactylifera., dove è per altro associata anche alla ramificazione laterale e al monopodio (formazione di radici trasversali). Molto probabilmente ricerche future dimostreranno siffatto tipo di divisione degli assi anche in altre specie di Palme, tanto da avvalorare il nostro dubbio che talune pseudo- dicotomie, riscontrate dal Drabble e da altri autori nelle radici di non poche specie di questa famiglia, debbano, invece, essere accolte come vere dicotomie. Se ora consideriamo che la dicotomia è reperibile quasi esclusivamente nelle piante degradate (Licopodiacee, Felci, ecc.), noi dobbiamo inferirne che nella Phoenix s’incontrano ancora le tracce di una organizzazione degradata , limitatamente però alla sola radice. Noteremo qui che, a rigor di termini, non si tratta sempre di una dicotomia nel senso vero della parola, poiché è una cellula vicina a quella apicale, che, dopo essersi ingrossata, assume la caratteristica di questa e dh'^enta così generatrice del ramo (Licopodiacee, ecc.). La dicotomia limitata al solo sistema radicale non costituisce un’ accidentalità : essa è invece strettamente collegata alla costituzione stessa dell’organo, il quale, per la sua vita Il pleroma tithuloso, V endodermide niidollare, ecc. 59 prevalentemente ipogea, per la uniformità di struttura, per la sua poca attitudine a variare, si mostra meno evoluto del fusto e delle foglie. Il PoTONiÉ, che ha studiato questo problema in rapporto con la filogenesi, ammette che la dicotomia sia quasi del tutto scomparsa nelle forme attuali e giovani per il fatto che essa offre, dal punto di vista della statica e delle condizioni di equilibrio degli organi, condizioni d’ inferiorità rispetto al sistema monopodiale. Un albero che si ramifichi per dicotomia, va infatti facilmente soggetto a lesioni per effetto dell’azione di leva a braccio lungo, che esercitano i rami sul fusto a misura che si vanno via via distanziando da questo. Ora ciò non si verifica più, o solo in scarsa misura, nel sistema monopodiale, perchè i l’ami laterali spiegano un’ azione meno energica sul tronco. Indubbiamente la teoria del Potonié è di grande portata, ma, stando alla stessa, non si potrebbe comprendere come la dicotomia sia andata scomparendo anche dal sistema radicale, in cui i momenti statici sopra ricordati, tanto dannosi per il sistema assile aereo, non possono spiegare alcuna influenza. E d’ uopo quindi concludere che se la dicotomia non è più reperibile nella radice, ciò è dovuto a qualche altra ragione biologica o fisiolo- gica, che a noi sfugge. Intanto la presenza di una dicotomia tipica nella radice della Phoenix^ e probabil- mente di altre palme, dimostra che queste presentano ancora non poche tracce di affinità con altre forme inferiori, in cui una dicotomia più o meno tipica costituisce tuttora il normale sistema di ramificazione. Il significato filogenetico appare molto più manifesto, quando si consideri che tanto nella Phoenix^ quanto nelle Crittogame superiori, normalmente dicotomiche, in corrispon- denza della dicotomia avviene per lo più la neoformazione di organi; nelle Crittogame superiori si ha sviluppo di foglie, nella Phoenix di radici laterali. L’antichità grande delle Palme, i cui resti furono già riscontrati nel Cretaceo, forse potrebbero fornire la spiegazione del singolare nesso morfologico ed anatomico con le piante più degradate. Il WoRSDELL ha affermato che la dicotomia rappresenta la forma più semplice della fasciazione, affermazione questa non del tutto infondata, quando il fenomeno si limita agli assi evidentemente fasciati, non già quando trattasi di Palme, in cui la dicotomia si col- lega con processi di segmentazione stelica che nulla hanno a vedere con la fasciazione. Giustamente, però, anche questo autore fa rilevare il nesso tra le forme dicotomiche evo- lute e le degradate (Crittogame, Cicadacee (cfr. Matte)), tra le forme recenti e le arcaiche. Non possiamo però trascurare di far cenno come il Boodle, che si è occupato a lungo della struttura delle piante vascolari inferiori, affermi in base alle ricerche sulla nervatura ó.q\V Adiniithuni renifonne, che non sempre la dicotomia è indizio di inferiorità. Rileveremo d’altra parte che le osservazioni del Boodle non si accordano con quelle del Prantl sullo stesso argomento. 11. — Origine delle radici laterali trasversali e Teoria dei Pangeni. La grande frequenza, con cui vediamo organizzarsi le radici laterali trasversali nel punto della ramificazione dicotomica della radice principale della Ph. dactylifera, costituisce un fenomeno di una certa importanza, specialmente nei casi in cui due o più radici escono allo stesso livello neU’ambito della dicotomia (radici collaterali di Lopriore). 60 L. Buscalioni e G. Lopriore [Memoria I.] Gli studi da noi fatti sulle stesse ci permettono ora di avventurare una ipotesi, la quale permetterebbe di spiegare in modo semplice non solo il caso offerto dalla Ph. dac- tylifera, ma ancora la quasi costante formazione di radici collaterali nelle dicotomie delle radici fasciate. Per comprendere i fatti bisogna aver presente che le radici trasversali della Ph. dac- tylifern traggono origine dal periciclo, nel cui tessuto presentano una larga base d’ im- pianto, grazie all’ enorme sviluppo del reticolo radicifero. Data una tale condizione di cose, è ovvio che se nella regione, in cui de\’e nascere una radice trasversale, esiste una dicotomia, questa necessariamente interesserà le cellule destinate a dar origine alle radici secondarie, di modo che la regione occupata dal reti- colo radicifero dovrà smembrarsi e ripartirsi infine nei due assi derivati dalla dicotomia. In tal caso dovranno necessariamente comparire due radici, ognuna delle quali sarà al- quanto depauperata. Queste poi nasceranno, per le ragioni esposte, allo stesso livello, poiché, come è noto, le cellule del reticolo radicifere e quelle rizogeniche procedono di conserva neU’evoluzione e quindi nella maturità — che si esplicherebbe appunto con la formazione delle radici — allo stesso livello orizzontale del periciclo materno. Se ora le stesse, per effetto della dicotomia, si trovano ripartite su due radici differenti, daranno origine a due radici, che nasceranno perciò sulla stessa sezione trasversale (radici collaterali). Questa ipotesi spiegherebbe anche il fenomeno della comparsa tardiva di radici 'ap- paiate lungo le schizorrize, ma ad una distanza più o meno grande dal punto in cui avvenne la schizorrizia e su rami differenti di questa. Basterà all'uopo considerare che la schizorrizia avvenne quando le cellule radicifere non erano ancor atte alla proliferazione, non erano cioè mature — e quindi capaci di produrre radici laterali soltanto più tardi e più lontano dal punto di partizione. Si spiegherebbe anche il fatto che radici seriali, in così gran numero osservate da uno di noi (Lopriore) nelle radici castrate della Vida Faba^ non si mostrino appaiate nelle dicotomie, poiché, data la ristrettezza della loro base d’impianto, difficilmente vengono coinvolte nel processo della dicotomia stessa. Per completare 1’ ipotesi e darci ragione dello sviluppo simultaneo delle cellule rizo- geniche, largamente ripartite nel periciclo della Phoenix e di altre piante, ricorriamo ad un’altra ipotesi, riguardante la struttura e funzione dell’ apice vegetativo radicale, ammet- tiamo cioè che in questo si organizzino i pangeni, destinati a formare le cellule rizo- gene. I pangeni si formerebbero ad intervalli più o meno regolari nelle cellule apicali corrispondenti al futuro periciclo, le quali verrebbero separate le une dalle altre, in senso longitudinale, da colonne di cellule prive di pangeni (1). (i) Il nome di «pangeni» viene qui seguito, senza però dare a questi l’intero significato che loro accorda il De Vries. Uno di noi (Buscalioni) è, anzi, d’avviso che la teoria tendente a fissare le carat- teristiche ereditarie dagli organismi a speciali corpi figurati , non corrisponde sempre alla realtà dei fatti , nè va esente da critiche. Il Buscalioni ritiene che la comparsa delle singole caratteristiche somatiche sia motivata nelle cellule non già da un determinato ed unico pangene corrispondente alle stesse, ma da parecchi corpi reagenti fra di loro, gli uni della natura dei fermenti, gli altri dei corpi fermentescibili, i terzi simili ai sensibilizzatori. Questi ultimi agirebbero unicamente sotto lo stimolo delle condizioni del mezzo, ria interno che esterno alla pianta. Tanto il corpo simile al fermento, quanto la sostanza su cui esso agisce, quanto infine il sensibiliz- zatore, compiuta la loro funzione — formazione della rispettiva caratteristica — sarebbero eliminati dalla cellula o mantenuti separati per impedire un ulteriore funzionamento loro. Questo però può esser rimesso in vigore quando intervengano speciali condizioni eccitatrici, come ad esempio una mutilazione, il cui stimolo risveglia e riunisce le tre sorta di pangeni, affinchè rifacciano o restituiscano la parte dell’ organo asportato. Il pleronia tuhnloso, V endodennide intdollare, ecc. 61 Le cellule pericicliche contenenti i pangeni rizogeni, allontanandosi dall’apice, si sud- dividono in tante cellule h^lie, ognuna delle quali avrà ereditato un certo numero di pan- geni. Questi però, essendo organizzati tutti quanti insieme nella stessa cellula madre pri- mordiale, dovranno di necessità evolversi contemporaneamente neH’interno delle successive cellule figlie, per cui, giunti ad una certa distanza dall’ apice , provocheranno nelle cellule che li contengono — e contemporaneamente in tutte — quei processi che danno luogo alla comparsa di una radice secondaria trasversale in seno al periciclo. Se, come vogliono taluni, basta che si formi un solo pangene, perchè si abbia poi a formare la caratteristica somatica, la cosa non cambia, poiché occorre soltanto ammettere che, con la divisione della cellula api- cale pangenetica primordiale, anche il pangene si sia diviso o ripartito nelle due cellule figlie. Considerato il fenomeno alla stregua della teoria pangenetica, ben si comprende che le cellule ricche di pangeni radiciferi vengono a trovarsi ripartite, per effetto della dicoto- mia radicale, su due schizorrize e che, maturando contemporaneamente, daranno pur luogo contemporaneamente a due radici, le quali sar'anno perciò collatei’ali. Una volta, però, che le due schizoiTize si sai'anno emancipate definitivamente, potrà avvenii’e che gli apici di ognuna formino pangeni radiciferi in tempi diftei'enti, i quali non maturino più in modo isocrono. Nelle radici secondarie andrà perciò gradatamente attenuan- dosi il fenomeno della collateralità a misur-a ch’esse si allontaner'anno dal punto della bi- for'cazione dicotomica. Quest’ipotesi spiegher'ebbe ugualmente la facile comparsa di radici collaterali od appaiate nei casi di fasciazione, osservati da Lopriore nella F/cvW Faba. Anche qui le radici collaterali nascono di prefer'enza nella regione della divisione di- cotomica. Alla stessa dobbiamo pur rdcorrer'e per chiarire il fenomeno singolare, osservato da Buscalioni e Muscateli.o, della comparsa di radici parimenti fasciate (riccamente for- nite di radici later'ali in corrispondenza della divisione stelica, pr’eparante la dicotomia) alla base delle foglie del Neriiim Oleander coltivate in soluzione nutritizia. Osserveremo da ultimo che l’ipotesi dei pangeni sarebbe in armonia con le vedute del Nejviec, il quale, nei suoi studi sulla Rigenerazione delle radici, ebbe ad osservare che le cellule endodermiche delle Felci destinate a dare nuove radici, si formano a distanze deter- minate dall’ apice. Non possiamo peraltro escludere che la dicotomia per sè stessa non possa agire come stimolo per la for’mazione di radici collaterali , ma ammettendo questo , occorrerebbe pure ammettere che i pangeni possano essere tr'aslocati dalle cellule in cui si formano e richiamati altrove per virtù dello stimolo. E pr’obabile che ciò avvenga quando le radici si formano da pericicli eteretopici e quando la regione ricca di pangeni r adiciferi ( Vida Falm ad es.) non è molto estesa e quindi non compresa nella dicotomia, la quale, dove si forma, dà pure origine a radici collaterali. Aggiungeremo che tale ipotesi collima con le vedute del Buscalioni sulla loca- lizzazione dei pangeni, che egli ritiene appunto subordinata agli stimoli. Questo ai'gomento sarà presto oggetto di una nota speciale. III. — Formazione delle radici secondarie in rapporto con le tensioni. Le nostre ricerche hanno messo in evidenza il fatto che la formazione delle r'adici laterali è subordinata ad una legge che si può così compendiare : in generale le radici nascono dal lato della maggiore curvatura e convessità. 62 L. Biiscalioni e G. Lopriore [Memoria I.'J Questa legge venne da noi ripetutamente confermata, tanto per radici nascenti da stele conformate a doccia, quando per radici secondarie originantisi su quelle primarie genicolate. Molti esempi di questo genere vennero pure osservati da uno di noi (Lopriore, Bandfdr- mige Wurzeln) : le radici secondarie si originano di preferenza o sul lato di maggiore cur- vatura e convessità della stela madre o sulla faccia convessa della radice primaria di or- dine inferiore. La soluzione del problema va ricercata in speciali momenti d’ indole tìsiologica , sui quali non sono ancora d’accordo i botanici : ricorderemo qui specialmente il Noll, che, nel suo interessante studio sull’argomento, è giunto alla conclusione che la comparsa di radici secondarie dal lato convesso della radice o della stela-madre sia un processo di morfoe- stesia, sotto la quale denominazione si cela, a nostro parere, piuttosto la dichiarazione della nostra ignoranza sui fattori fisiologici, che determinano la localizzazione delle l'adici secondarie, anziché la nozione della vera essenza del fenomeno. E nostra convinzione che il fenomeno non sia così complesso, come a primo aspetto appare, e trovi pertanto la sua spiegazione in fattori , che sono alla portata delle nostre indagini. È d’uopo, se i fatti devono essere compresi nel loro giusto valore, premettere che in ogni tessuto l’insorgere di una tensione negativa, qualunque possa esserne la causa, pro- voca la moltiplicazione o per lo meno Tingrandimento di taluni gruppi cellulari. In altre parole, le tensioni negative costituiscono spesso uno stimolo per la moltiplicazione e l’ in- grandimento delle cellule. Data questa premessa, noi possiamo dedurre che la ramificazione, di qualunque natura essa sia, presupponendo una proliferazione cellulare, debba di preferenza avverarsi nelle facce convesse dell’organo o nel punto di sua massima curvatura. Limitando per ora le osservazioni alle radici delle Palme, faremo rilevare che una stela a sezione ovale, quando cresce in ispessore, sia perchè le sue cellule aumentano di diametro, sia perchè le mem- brane cellulari s’ impregnano di particolari sostanze, deve venir assoggettata ad uno sti- ramento, ad una tensione negativa, lungo tutta la sua superficie, nell’ambito cioè del peri- ciclo. Tale stiramento sarà più intenso, e si manifesterà con maggiore energia in corrispon- denza della regione maggiormente convessa della stela, vale a dire in corrispondenza dei poli di questa, dove la curvatura è assai più accentuata che in corrispondenza delle facce (l'egione equatoriale della stela). Lo stesso principio può essere interamente applicato alla radice, nel senso che il lato di maggior curvatura va soggetto a più forti tensioni che al- trove; il fatto, però, ha per noi poco interesse in quanto che, uscendo le radici laterali dalla stela, a noi importa soltanto la distribuzione delle tensioni nell’ambito del cilindro centrale, Ammesso dunque che le tensioni negative rappresentino uno stimolo alla prolifera- zione cellulare e che esse si facciano sentire con maggior energia dal lato di massima curvatura di una stela, vedremo necessariamente comparire le radici laterali (frutto di una attiva proliferazione cellulare) o sulla faccia convessa della stela o sul lato a brevissimo raggio di curvatura che è quello polare. Per le ragioni esposte, sul lato concavo di una stela non solo la tensione non è più negativa ma diventa persino positiva, producendo una compressione reciproca degli ele- menti. Tale stato favorisce poco la proliferazione delle cellule e quindi la neoformazione di radici. Di qui la rarità di queste sulla faccia concava della stela foggiata a doccia, in opposizione a quanto si verifica su quella convessa. Il pleroinn tubuloso, V eìidodermide midollare, ecc. 63 Col sussidio di questi dati noi siamo ora in grado di spiegare la frequenza nella Phoenix di radici laterali ai poli o sul lato convesso della stela-madre , come pure sul lato convesso delle radici genicolate, nascenti all’ estrema base dello stipite. Sarebbe cosi pure giustificata la comparsa di radici polari sulle radici fasciate, studiate da uno di noi (Lopriore). Se dalle radici passiamo ai fusti, ritroviamo gli stessi fatti e le stesse condizioni fisio- logiche. Spiegherebbesi come nelle Opiintia a rami appiattiti, in cui perciò il raggio di curvatura e le tensioni negative sono fortissime sui fianchi, poco sviluppate sulle facce, la formazione dei fiori, dei frutti e dei nuovi rami abbia preferentemente luogo lungo i bordi. Le osservazioni in proposito fatte da uno di noi (Buscalioni) dimostrano che, se, con adatti apparecchi, si obbliga il cladodio di Opuntia a crescere curvo sulle facce, i nuovi rami nascono pure di preferenza sulle stesse, ma localizzati sul lato convesso. Probabil- mente alla stessa causa (tensioni negative) va ascritto il fatto che i fiori nascono sui cla- dodi di Semele androgyna lungo i bordi, come lo stesso fanno i fiori nella Colletia, nella Multi embeckia platyclada e nei Phyllanthus. Altrettanto infine dicasi per il Sempervivtun arborescens, le cui radici avventizie nascono sempre dal lato convesso dei rami, sia che la pianta venga tenuta in posizione normale, sia che venga capovolta, come sperimentalmente ha dimostrato il Buscalioni. Noteremo qui incidentalmente che le radici di questa pianta (studiate dal Pirotta) si for- mano quasi sempre in conseguenza di deperimento degli individui. l\ò— Analogie di struttura tra le radici della Phoenix dactylifera e quelle fasciate. La fasciazione che, come è noto, può essere dovuta a cause interne spesso ereditarie (De Vries), a condizioni di nutrizwne (De Vries, Meehan) o di esistenza poco favorevoli (Master), a speciali idiosincrasie (Worsdell, Farmer), a parassiti (Cuboni, Peyritsch), a temperature che si allontanano dall’ optimum (Migliorato, Sauny), a lesioni accidentali o provocate ad arte (Lopriore, Goverty) e ad altre cause ancora, non è stata interamente chiarita nella sua intima essenza, dimodoché riesce un po’ malagevole porre a confronto i dati eh’ essa offre con quelli rivelati dallo studio delle radici della Ph. dactylifera . Parecchie teorie furono emesse per spiegare la fasciazione : le une darebbero im- portanza all’ eccessivo appiattimento dell’ apice vegetativo con la conseguente divisione 'delle relative cellule prevalentemente in direzione perpendicolare a quella dell’appiattimento (Penzig); le altre riconoscerebbero, come fattore, la presenza di molti coni di vegetazione, situati gli uni accanto agli altri lungo una determinata linea direttrice; infine alcuni autori accorderebbero anche una certa importanza alla fusione degli assi primari con quelli secondari. Parrebbe quindi che parecchie cause, anziché una sola, possano talora concorrere a produrre la fasciazione, la quale poi si manifesta sotto parecchi aspetti e forme diverse, fra cui importantissime, per noi, quelle conosciute col nome di “ fasciazioni anulari „, illustrate dal Nestler per i fusti della Veronica longifolia, che, in via anormale , pre- senterebbero un accrescimento disuguale dell’ apice vegetativo in corrispondenza delle due facce principali del fusto fasciato. A questo tipo di fasciazione anulare furono riportati da uno di noi alcuni casi di 64 L. Buscal/oni e G. Lopriore Memoria I.j radici nastriformi di Vida Faha, che presentavano una doppia cerchia concentrica di fasci libero-legnosi con posizione inversa dei rispettivi tloemi e xilemi (Lopriore, Bandformige Wurzeln, p. 12). Se si applicano i concetti, che lo studio anatomico delle radici fasciate ha messo in evidenza, a quello delle radici della Palma da datteri, parrebbe, a prima vista, che anche queste si dovessero considerare come fasciate , con tendenza però a conservare la forma cilindrica delPorgano normale. In altre parole il solo pleroma si svilupperebbe disugualmente nelle singole facce in seno ad un periblema, che manterrebbe immutate struttura, forma e simmetria. Nel caso di apici vegetativi imbutiformi, si avrebbe un’ analogia se non un' omologia perfetta con la fasciazione anulare del Nestler, poiché, analogamente a quanto avviene nella Palma da datteri, ha luogo la formazione di fasci di libro e di legno inversi rispet- tivamente alla cerchia normale libero-legnosa. La dicotomia e la politomia, a cui vanno incontro le radici della Ph. daciylifera, conforterebbero 1’ ipotesi dell’ esistenza di una vera fasciazione, talora ordinaria, tal’ altra anulare. .Se poi esaminiamo più partitamente quanto avviene in radici fasciate, come quelle della Vieta Faha e della Zea Mays, studiate da Lopriore, o quelle avventizie, studiate da Buscalioni e Moscatello sulle foglie di Neriuni Oleander coltivate in acqua, le ana- logie con le radici della Phoenix diventano più sentite in vista della struttura anomala del pleroma, della tendenza nelle stele a smembrarsi per dicotomia e per politomia, che però si esplica quasi costantemente secondo il tipo da noi illustrato della frammentazione semplice. Le analogie per altro cessano a questo punto, inquantochè la Phoenix offre un modo quanto mai singolare di frammentazione stelica, che non ha sempre riscontro con quanto si osserva nelle vere radici fasciate di altre piante. Quando mai riscontriamo in queste la frammentazione stelare in seguito alla formazione di invaginazioni apicali, laterali o miste? La fasciazione , affermano quasi concordi gli autori che la studiarono , implica la com- parsa di più apici vegetativi disposti secondo uno stesso piano , che è poi quello della fasciazione (a prescindere ben inteso dai casi di fasciazione anulare). Ora ciò è vero sol- tanto in parte per le radici della Phoenix , ma non è meno vero che profonde appaiono le differenze, allorché si studia il modo con cui si formano in queste piante gli apici mul- tipli, la cui origine va ricercata all’ azione per lo più continuata delle invaginazioni e della frammentazione stelica semplice. Ben ponderati i fatti e tenuto conto che la dicotomia, la pluralità degli apici vegeta- tivi, la scissione stelica per frammentazione e per invaginazione costituiscono un reperto quasi normale nella Phoenix daclylifera, mentre la fasciazione rappresenta piuttosto una anomalia, un’ eccezione alla regola (fatta eccezione per la Ceiosia cristata e qualche altra specie), dobbiamo andar molto cauti prima di affermare che le disposizioni reperibili nella Phoenix, le quali poi interessano, come si é detto il solo pleroma, siano da ascriversi al novero delle fasciazioni. Vi hanno , d’ altra parte , serie ragioni per indurci a credere che molte cosiddette fa- sciazioni , specie quelle attinenti alle radici , non siano realmente tali, ma che invece rap- presentino entità morfologiche di natura non molto differente da quelle che ha plasmato le radici della Phoenix e dipendenti, forse, dalle stesse cause che originano queste. Sic- Il pleroma tiibuloso, V emiodennide ìiiidollare, ecc. 65 come sull’ argomento ritorneremo nelle Conclusioni, qui ci limitiamo a rilevare le analogie. Le fasciazioni, essendo però più proprie degli assi aerei che di quelli sotterranei, non permettono una troppo facile generalizzazione dei risultati dai primi ai secondi, attesa la struttura diversa. La letteratura — verosimilmente incompleta — qui riassunta sulla fasciazione delle radici, mostra che questa è stata finora riscontrala nelle seguenti specie : Alnus da Buchenau, Aloe Master, Cactus ScHULZE e SCHULZESTEIN, Dio scorea ?» ?? Epiphylltim ?? Braun, Mede r a ?5 Frank, Neriiim .?? Buscalioni e Moscatello, Piper ?? Burbidge, Pathos ?? Dammer, Rlius Frank, Spiraea Caspary (probabilmente non radici, ma stoloni fasciati). Tecoma ?> Frank, Vicia ?? Lopriore, Boirivant, Zea Lopriore, Indeterminate Mangin. Dallo studio di alcune radici accidentalmente fasciate, ma più ancora da quello delle fasciazioni prodotte da traumi (Lopriore, Boirivant), si rileva che il cilindro centrale — ana- logamente a quanto avviene nei fusti fasciati — si allarga in un determinato senso — presentando cioè forma ovale in sezione trasversale, — scindendosi non di rado in più stele verso l’apice vegetativo (radici fasciate di Lopriore). Siffatta struttura, particolarmente manifesta nelle radici trasversali di sostituzione a quella principale mutilata, ricorda indubbiamente le vere fasciazioni del fusto e va quindi annoverata fra esse. Ma se noi prendiamo in esame le osservazioni del Boirivant sulla struttura delle radici laterali fasciate, che si formano nella Vieta Faba, allorché si esporta quella principale, troviamo che per effetto della mutilazione stessa, e quasi a titolo di compenso, si manifesta in tutto l’ambito del sistema radicale la tendenza a formare radici secondarie, ricche più dell’ordinario di fasci. Se ne potrebbe dedurre quindi che quasi tutte le nuove radici escono fasciate, ma il criterio dell’aumento del numero dei desmi, per sè solo, non autorizza a sancire tale prin- cipio, fino a tanto almeno che la radice mantiene la simmetria raggiata, vale a dire la forma cilindrica normale. Per decidere in merito a questo problema, bisogna dunque tenerci al criterio della forma- e della struttura, ritenendo fasciate tutte quelle radici che, oltre all’ avere un numero eccessivamente grande di fasci, si presentano più o meno allargate, nastriformi (Lopriore) ed hanno un pleroma più o meno anomalo in seguito appunto all’eccessivo sviluppo dei desmi. Seguendo questo concetto, non facciamo che applicare le vedute degli autori che si occuparono dell’argomento della fasciazione. Ora è facile rilevare che il criterio scelto, nel caso almeno della Vicia Faba e di qualche altra radice fasciata, è poco sicuro, poiché dalle radici nastriformi, tipicamente fa- Atti Acc. Serie V, Voi.. III. Meni. I. 9 66 L. Bìtscaìioni e G. Lopriore [Mkmoria l-l sciate, a quelle cilindriche noi mali e solo più o meno ricche di fasci vascolari, i passaggi sono insensibili e quindi non si può stabilire dove cessi la struttura normale e cominci la fasciazio- ne. E questa, nel caso della Vida, non va ricercata in uno speciale visus della radice in via di sviluppo, che l’obbligherebbe a farsi nastriforme, ma unicamente in ragioni di spazio. Noi sappiamo infatti che la base d’ impianto delle radici secondarie sulle primarie è per lo più assai ristretta, non occupando talora che un raggio, ciò che non permette alla nuova radice di sviluppare un gran numero di fasci. Se perciò per eccesso di nutrizione — che deve di necessità avvenire quando si asporta la radice principale — i fasci diven- tano numerosi, vi sarà un momento in cui la radice nascente, per poterli tutti compren- dere nel suo pleroma, dovrà allungarsi nel senso del raggio, non potendo estendersi in senso trasversale. Ma, a seconda del grado di allungamento nella direzione della radice madre, la forma della radice secondaria diventei'à piatta o nastriforme e quindi più o meno fasciata. E pertanto manifesto che, in molti casi almeno, le condizioni che provocano la cosiddetta fasciazione nelle radici (mancanza di spazio in corrispondenza della base d’im- pianto) sono differenti da quelle che determinano analoga struttura nel fusto; ciò che spiega forse come la fasciazione sia relativamente rara nelle radici. Non crediamo di er- rare, ammettendo che una cei'ta importanza debba essere assegnata al punto di origine ; le radici nascono profondamente, i fusti superficialmente. Le prime sono perciò meno libere per rispetto ai secondi. Se è soltanto questione di spazio, perchè possa o no formarsi una fasciazione, com- prenderemo come le radici della Phoenix dactylifera, malgrado la loro struttura, ricor- dante quella di molte altre radici fasciate ( apici multipli, stele, frammentazioni, ecc.) a causa della loro larga base d’impianto sulla radice principale o sul fusto e del loro esteso reticolo radicifero, conservano la forma cilindrica, che in certo qual rinodo esclude la fascia- zione. Solo quando stanno per dividersi, diventano un po’ irregolari e tendono verso la forma a nastro. Quanto si verifica nella Palma da datteri, si verificherebbe nelle radici della V. Faba se, per condizioni di struttura, lo spazio in senso trasversale, che le radici secondarie hanno per formarsi, potesse variare e diventare proporzionale al numero dei fasci conte- nuti nelle singole radici in formazione. Ciò premesso, dovremo inferirne che le radici nastriformi della fava sono fasciate e quelle cilindriche della Palma invece normali ? o viceversa dovremo dare al concetto della fasciazione un’interpretazione un po’ diversa da quella finora invalsa nella teratologia ? La soluzione di questo problema saià trattata nelle Conclusioni, dove cercheremo di dimostrare come due entità strutturali differenti, quali le radici a desmi multipli delle Palme e quelle cosiddette fasciate della Vida e di altre piante trovino nel concetto del desma una spiegazione facile e atta a considerarle entrambe al loro giusto valore. Confermeremo il concetto sopra esposto, facendo rilevare che le radici fasciate della Vida Faba, una volta emancipate dalla radice materna, tendono a disporre le stele in ordine raggiato, a comin- ciare dai poli, dove la emancipazione può compiersi più liberamente, per procedere verso il mezzo della stela . Questo prova una volta di più che la radice potendo disporre di maggiore spazio, tende alla forma cilindrica. Una conferma si ha nel fatto che le radici fasciate della V. Faba sono polimorfe , se di tipo seriale ; di forma e struttura meno va- riabile, se collaterali, dovute cioè alla concrescenza di non più di due radici nate nello stesso piano trasversale (cfr. anche Lopriore, Zwillings'wmrzeln). Il pleroììia tubnìoso, V endoderuiiiìe midollare, ecc. 67 Data la grande analogia che passa fra le radici della Phoenix e quelle fasciate della Vida Faba, non possiamo porre termine al presente capitolo, senza rilevare, a titolo di confronto, alcune particolarità comuni che presentano le due sorta di radici. Per quanto riguarda la Vida Faba, ci atteniamo ai risultati del Lopriore. Innanzi tutto rileveremo che anche nella V. Faba ha luogo la schizostelia (schizodesmia secondo noi), ma questa avviene ivi costantemente per frammentazione semplice, che però ricorda in tutto e per tutto l’omologo sistema di divisione stelare della Phoenix. Solo in un caso di radice polistelica (nel senso del Van Tieghem) il Lopriore ha potuto constatare la com- parsa di un’endodermide interna alla cerchia dei fasci, un pò prima che questi si separassero gli uni dagli altri per formare parecchie stele indipèndenti, ognuna delle quali si circondò poi, a spese dell’endodermide comune, di una guaina propria. Su migliaia di radici studiate, solo una volta il Lopriore ebbe a rilevare il singolare fenomeno, di guisa che non potè stabilire come si fosse formata 1’ endodermide interna o midollare. Edotti ora dalle ricerche sulla Phoenix, in cui il fenomeno è comunissimo, possiamo arguire che anche nella Vida Faba si possono formare — ma con estrema rarità — imbuti apicali in seguito ad invagi- nazione della corteccia nel cilindro centrale. Non vi ha tuttavia una identità di struttura fra’ le due formazioni, in quanto che, nel caso della Vida Faba, attorno alla probabile invaginazione endodermica non si era formata la cerchia interna di fasci alternativamente liberiani e legnosi, che vediamo invece comparire intorno a tutte le invaginazioni, siano apicali, laterali o miste, nella Phoenix dadylifera. In secondo luogo nelle due specie abbiamo accidentalmente la formazione di stele depauperate, le quali tendono a poco a poco a scomparire. Comune è anche la tendenza alla schizorrizia e nelle schizoridze quella a divai'icare più o meno profondamente l’una dall’altra, sottraendosi alla legge della gravità. Non sap- piamo per altro se i momenti che determinano la 'divaricazione prima delle schizostele poi delle schizorrize siano nella Vida Faba i medesimi messi in evidenza per la Phoenix. Nella Vida, come in altre radici fasciate (Tecoma, Hedera, Hoya, ecc.), si veiifìca la bipartizione dell’apice vegetativo. La rarità, con cui il fenomeno si compie, non ci pei- mette di entrare in maggiori particolari, per stabilire se, analogamente a quanto avviene nella Phoenix, si abbia una partizione reale e non apparente. Qui faremo soltanto rile- vare come il Koehler abbia ottenuto la scissione dell’apice radicale anche per effetto della pressione. Il comportamento era qui però alquanto differente, poiché, cessata la pressione, i due apici divisi potevano tornare a fondersi fra di loro. Casi simili vennero osservati, per le radici del Pandanns e per effetto della pressione esercitata dal terreno sull’ apice già diviso, da uno di noi (Lopriore), ed otterranno una spiegazione quando più tardi parleremo dei desmi. Osserveremo da ultimo come anche nella Vida Faba le radici laterali nascano qual- che volta accoppiate sulla stessa linea trasversale (radici gemelle illustrate dal Lopriore) e si ripetano più volte lungo lo stesso piano longitudinale della radice madre. In tali casi, però, la loro formazione è dovuta ad un fatto anatomico insito nella radice materna, alla grande approssimazione, cioè, delle due placche xilematiche che danno origine alle rela- tive gemelle. Di maggior momento è il fatto che le radici secondarie prediliggano, per formarsi, il lato della massima curvatura della stela o della radice materna (regione polare o regione equatoriale dal lato convesso però delle stele conformate a doccia). Di qui si può dedurre 68 L. Biiscalioni e G. Lo priore [Memoria I.J che anche nella Vida Faba intervengono quei momenti meccanici (tensioni negative), che regolano la formazione e l’uscita delle radici secondarie dalla primaria. Per completare la rassegna delle analogie, si potrebbe aggiungere che i momenti meccanici, per cui nella Vida Faba i cordoni legnosi si dispongono secondo l’asse mag- giore della sezione, vigono anche nella Phoenix, dove pure si riscontrano bende xilema- tiche assili. Il rimaneggiamento dei fasci vascolari nell’ area della schizostelia avviene in tutte le due piante secondo lo stesso principio direttivo. Nella separazione stelica 1’ endo- dermide ed il periciclo compiono anche nella Vida Faba un ufficio importante. In questa da ultimo possono avvenire dilacerazioni interessanti l’interposto tessuto corticale e facili- tanti il compimento della successiva schizorrizia. Questo fenomeno dimostra in particolar modo come abbiano luogo quelle tensioni, accennate dal Lopriore, il quale rileva che, quando le lacerazioni non hanno luogo, succede nella regione compresa fra le due stele un allungamento delle cellule corticali, per cui il maggior diametro di queste diventa pa- rallelo alla linea che unisce le due stele. V. — La Polistelia del Cormack. L’ ipotesi del Cormack, diretta a sostenere che le radici delle Palme sarebbero prima polisteliche poi monosteliche, in rapporto alla diversa funzione eh’ esse compiono nei di- versi punti presi in esame, venne ripudiata dal Drabble dopo che questi ebbe dimostrato che la polistelia è poco evidente. Le nostre ricerche ci obbligano a dissentire dal Cormack non solo per il concetto ana- tomico, ma ancora per l’interpretazione fisiologica, in base alla quale egli pretende di spie- gare i successivi cambiamenti strutturali che avvengono nello sviluppo della radice. Le radici della Ph. dadylifera hanno infatti dapprima una struttura, che potrebbe essere as- similata alla cosiddetta polistelica, poi passano alla monostelica e finalmente, verso l’ apice, ripresentano una costituzione apparentemente polistelica. Se poi 1’ apice di una radice già passata allo stadio monostelico, viene ad essere leso, le nuove radici che nascono in vi- cinanza sua (cfr. cap. VI) appaiono di nuovo polisteliche. Lo stesso si osserva se la lesione è stata prodotta nella radice-madre ancora polistelica. In conseguenza, se la struttura di una radice verso 1’ apice deve essere differente (ipo- tesi del Cormack), perchè qui le funzioni, che essa compie, sono differenti da quelle a cui presiedono le sue parti basali, non si potrebbe comprendere come, nel caso della Phoenix, la radice torni polistelica all’ apice e sia monostelica solo nel mezzo, salvo il caso , poco probabile, che la funzione di una radice sia identica all’ apice ed alla base. Così pure mal si concilia coll’ idea del Cormack il fatto che una radice, divenuta monostelica per neces- sità fisiologiche, dia, una volta lesa, radici di sostituzione costantemente polisteliche, poco adatte perciò a compiere la supposta funzione. Le successive variazioni strutturali, cui vanno incontro le radici della Phoenix e di altre Palme riescono, forse, meglio chiarite nel caso in cui, anziché aver di mira la fun- zione ed il momento biologico, si prende in considerazione la filogenesi ; noi vedremo in- fatti , ben tosto, che il sistema radicale delle Palme, con la sua struttura piuttosto singo- lare ed anomala, variabile da specie a specie, ma più ancora da radice a radice, ha con- servato un carattere eminentemente atavico, per cui la struttura deve oscillare da quella di Il pleroma tnhnloso, l’endodermide midollare, ecc. 69 una radice monostelica, propria per lo più delle forme attuali a quella di una radice po- listelica (nel senso largo della parola) , reperibile quasi soltanto nelle forme degradate (cfr. cap. IX). VI. — Rapporti con le lesioni. I risultati veramente singolari che vennero in luce dalle ricerche dirette a investigare r azione che i tagli praticati in corrispondenza dell’ apice della radice possono spiegare sulla formazione delle radici secondarie e sulla rigenerazione dell'apice stesso (cfr. i lavori di CiESiELSKi, Prantl, Lopriore, Nemec , Simon ed altri) ci hanno indotti ad estendere le osservazioni alla Ph. dactylifera e ad altre Palme. Riassumeremo ora i risultati, premet- tendo che essi richiedono il complemento di nuove ricerche, già in corso nell’ Istituto bo- tanico di Catania. Le lesioni degli apici radicali furono ottenute sia con tagli praticati attraverso la cor- teccia o interessanti anche il giovane pleroma, sia con la puntura del meristema mediante r infissione di spilli sottili nell’ asse dell’ apice radicale alla profondità massima di 2-3 mil- limetri. Quando la lesione interessa la sola corteccia, si osserva solamente la formazione di un grosso strato di periderma attorno al punto leso ; nessuna reazione avviene nel plero- ma o tutt’ al più si verifica in questo unicamente la formazione di radici in corrispon- denza della faccia opposta a quella in cui ebbe luogo la lesione. Il reperto è abbastanza frequente, per escludere la coincidenza fortuita. Ben altro produce la lesione del pleroma. L’ infissione di un ago in questo tessuto apporta, come prima reazione, la necrosi della radice lesa, per un tratto più o meno lun- go (fig. 106). Nel punto dove si esaurisce il processo patologico, si nota quasi costante- mente r uscita di una o più radici, spesso assai grosse, le quali perciò, nel passaggio at- traverso la corteccia materna, producono lacerazioni lineari piuttosto estese. In un caso solo la punta radicale continuava a crescere fino a circa IO cm. dal punto leso, dove, giunta, dividevasi per dicotomia, emettendo prima parecchie radici trasversali, talune delle quali appaiate (fig. 106, seconda a destra). Oltremodo interessante si presenta lo studio anatomico di quelle radici, il cui pleroma è stato leso. Nei pochi esemplari da noi finora esaminati mediante sezioni trasversali in serie, le lesioni, prodotte da punture di spillo e interessanti il giovane pleroma, provoca- rono la comparsa di un tessuto cicatriziale, in seno al pleroma stesso, costituito esclusiva- mente da periderma, che circonda tutto il canale d’ ingresso dello spillo. Quasi sempre le lesioni sono alquanto eccentriche, cioè interessano i fasci vascolari, il mantello ed il peri- ciclo da un lato solo del pleroma. Allora si osserva che, in corrispondenza del punto leso, viene ostacolata la formazione dei sopradetti elementi, e tutto quanto il tessuto risulta co- stituito da cellule parenchimatose a sezione rettangolare o molto irregolari e spesso sube- rificate. Ben tosto, però, attorno al tessuto cicatriziale, dal lato rivolto verso la parte ancora sana del cilindro centrale, si va formando una zona di tessuto in parte parenchimatoso, in parte sclerosato, la quale isola il tessuto malato da quello ancora sano (fig. 105- e 107). Al limite ra le due formazioni si organizza frattanto uno strato di cellule a pareti ispessite 70 L. Buscalioni e G. Lopriore [Memoria I.) sulle facce laterali e profonde (cioè rivolte verso 1’ interno della stela sana), le quali ricor- dano, per la forma e la struttura, quelle endodermiche, pur presentando talune di esse non poche caratteristiche delle cellule pericicliche sclerosate. Noi abbiamo altrove denominato siffatto strato “ equivalente endodermico „ (fig. 105 e 107). Lo strato, fatto da un sol piano di cellule , a direzione costantemente curvilinea , con la concavità rivolta verso la lesione, si estende sui fianchi di questa , fino a raccordarsi coi bordi dell’ endodermide normale, che, per effetto della lesione stessa, è andata distrutta per un certo tratto (fig. 105 e 107). Molte volte però 1’ “ equivalente endodermico „ è interrotto nella regione me- diana ed allora il tessuto peridermico appare in diretta unione con quello proprio del cilin- dro centrale (fig. 105 e 107). Rigeneratasi 1’ endodermide, il cilindro centrale mutilato assume la forma semilunare (fig. 105 e 107), con la concavità rivolta verso la lesione. Esso è poi circondato, dal lato convesso, da una vera e propria endodermide ; da quello concavo, da un equivalente en- dodermico, che però non tarda ad assumere a sua volta la costituzione di una vera endo- dermide. In virtù di tale processo di cicatrizzazione, tutto il tessuto peridermico con 1’ incluso canale resta espulso dall’ ambito del pleroma e perciò d’ ora in poi lo troveremo incuneato nella corteccia, anzi a poco a poco si va portando verso la periferia di questa fino a scom- parire del tutto (fig. 107). Il cilindro centrale, così ricostituito nelle sue linee generali, rigenera dal lato rivolto verso la lesione ì suoi elementi fondamentali ; al di sotto dell’ endodermide si differenzia il periciclo e in pari tempo, ex uovo, sì va ricostituendo la cerchia vascolare, formata da fasci xilematici e fioematici alterni fra di loro e poggianti coi loro protoxilemi e protofloemi contro il nuovo periciclo. Ne deriva che questo, come la sovrapposta endodermide, ha una origine eterotopica. Quando l’endodermìde, come spesso avviene, non forma uno strato continuo, nella parte mediana del cilindro centrale rivolta verso la lesione, dove appunto essa suole man- care, avvengono fenomeni di una certa importanza. Nel tessuto incertae sedis e non ben distinto, che collega ivi la corteccia al cilindro centrale, compaiono fascetti vascolari iso- lati, ognuno dei quali è avvmlto da una speciale endodermide (fig. 107). Stando al con- cetto del Van Tieghem, si avrebbe quindi il trapasso da una forma monostelica ad una polistelica. Ma vi ha di più ; esaminando i fasci conduttori isolati , essi appaiono quasi sempre costituiti, almeno all’ inizio della loro formazione, come quelli collaterali : hanno cioè una struttura che è propria dei fasci caulinari con il libro all’esterno. Siffatta struttura non durerà però a lungo : infatti, mediante sezioni trasversali in serie, si può constatare che ben tosto il cordone xilematico si spezza in due metà, che si allontanano 1’ una dal- l’altra, mentre il sovrapposto fascio liberiano si affonda, venendo così ad occupare lo spazio lasciato libero dallo xilema. Tutto il processo testé descritto ricorda quindi una delle forme di passaggio dalla struttura caulinare del fascio vascolare a quella radicale. In pari tempo 1’ endodermide diventa meno distinta o si spezza e si distende per raccordarsi con gli estremi del- r endodermide che avvolge la rimanente porzione del cilindro centrale. A questo mo- mento il pleroma radicale acquista la struttura ordinaria, a prescindere dalla forma a se- zione di ferro di cavallo che rimane conservata. Solo in qualche raro caso la endodermide Il pleromn tubiiloso, V endodermide midollare, ecc. 71 resta aperta durev^olmente da un lato, che è sempre quello concavo rivolto verso la le- sione. 11 cilindro centrale presentasi poco atto a rimanere inalterato : d’ ordinario ad una certa distanza dal punto in cui avvenne la lesione e che può raggiungere 10 e più cen- timetri esso si scinde per frammentazione semplice — almeno nei casi da noi studiati — in due stele, che poi fanno parte di due radici in seguito aU’avvenuta schizorrizia (fig. 106 seconda a destra). Prima però che questo avvenga, la stela incui'vata emette parecchie ra- dici dai poli e dal lato convesso, talune delle quali collaterali. La schizorrizia non è però il risultato costante e definitivo della riorganizzazione stelare; seguendo infatti per parecchi centimetri stele incurvate, le quali rimasero tali, senza accennare menomamente alla scissione stelica e tanto meno alla schizorrizia, se ne ha la conferma. La schizostelia avviene per frammentazióne semplice. In generale, dato' 1’ appiatti- mento della stela, si nota che nel punto, in cui deve compiersi la scissione, i fasci xile- matici e quelli fioematici di una delle facce si fondono con quelli della faccia opposta, delimitando così una zona nastriforme di tessuto fondamentale, diretto da una delle facce all’opposta, lungo la quale si efl'ettuerà la schizostelia. Risultati ben differenti si ottengono allorché la lesione prodotta daU’ago determina la necrosi della radice lesa e la comparsa di radici laterali a una certa distanza dall’apice di quella principale. Stando al principio, da noi esposto, che i pangeni radiciferi e quindi le cellule coi’i'ispondenti si formano ad intervalli determinati, il tratto necrosato — il quale si arresta là dove nascono le radici laterali — dovrà essere più o meno lungo a seconda dei casi. Come primo fenomeno, vediamo proliferare attivamente il periciclo della radice lesa : la proliferazione è massima in un punto della sezione trasversale e di qui procede, atte- nuandosi, verso il polo opposto, dimodoché soltanto poche cellule pericicliche, situate da- vanti ad uno o due cordoni liberiani o legnosi di questo lato non prendono parte alla proliferazione. Il reticolo radi ci fero del Mangin occupa quasi tutta la circonferenza della stela (fìg. 103). Nello stesso tempo la superficie del periciclo, notevolmente ispessita, si fa on- dulata e poi decisamente frangiata (fig. 103, e 104-). L’ endodermide allora si frammenta nelle insenature, ciò che indica che ci troviamo davanti a formazioni che ricordano quelle polisteliche del Cormack o pseudopolisteliche del Drabble. Ed invero si tratta di forma- zioni analoghe: i singoli segmenti periciclici assieme ai sottostanti cordoni xilematici e li- beriani che hanno assunto una posizione aberrante, si isolano, dando così origine ad un ammasso disordinato di stele, in completamente individuatizzate da un’endodermide sbran- dellata in corrispondenza del lato interno delle singole stele. Questo complesso di stele neoformate (fig. 103, 104 e 111) si allontana poi dal ci- lindro centrale che gli ha dato origine ; intanto i singoli cordoni si orientano gii uni ri- spetto agli altri in modo da riorganizzare a poco a poco un nuovo cilindro centrale (quello della radice laterale in formazione) a struttura più o meno normale e a tipo raggiato. Il rimaneggiamento dei cordoni avviene a poco a poco ed è più tardivo dal lato della nuova radice rivolto verso la stela madre, nel quale perciò può riscontrarsi più a lungo la strut- tura cosiddetta polistelica. Intanto, mentre avviene questo graduale ma disordinato assettamento dei complessi 1 72 L. Biiscalioni e G. Lopriore [Memoria L] stelari, non poche porzioni di endodermide o di equivalente endodermico, avvolgenti i sin- goli cordoni, rimangono invaginate, incastrate nell’ interno del cilindro centrale in via di organizzazione ; le stesse scompaiono ben presto, trapassando le rispettive cellule — ca- ratterizzate da una membrana robusta, ricca di punteggiature e disugualmente ispessite sulle varie facce — in quelle deU’ordinario parenchima fondamentale. Data una tale condizione di cose, ben si comprende che anche quando si tratta di formazione di radici laterali ordinarie, quali vennero descritte nel cap. II, possa con fa- cilità , in seno al parenchima fondamentale midollare , formarsi un’ endodermide interna che di poi scompare di nuovo, ritornando le cellule allo stato di elementi midollari. Le nostre osservazioni si arrestano a questo punto, ma dalle stesse emergono i se- guenti fatti : 1. Le radici nate da un’altra stata mutilata assumono, almeno in vicinanza della le- sione, quasi sempre la struttura che è propria di quelle che abbiamo visto emergere dalla base dal fusto, essendo esse foggiate sullo stampo delle cosiddette radici polisteliche (nel senso del Cormack). 2. Siffatte radici hanno poca tendenza a dicotomizzarsi, mentre la dicotomia appare frequente durante lo sviluppo delle radici lese, nelle quali però la ferita non è stata cosi grave da provocarne la necrosi. 3. In generale le radici schizosteliche e dicotomiche hanno una forma aberrante, es- sendo quasi sempre foggiate a gronda. Dai fatti esposti appare manifesto che la schizostelia e la dicotomia, se sono colle- gate alle lesioni non troppo gravi, incapaci cioè a produrre la necrosi della radice lesa, non avvengono sul sito stesso della lesione, ma bensì ad una distanza, che può essere anche relativamente grande (10 e più centimetri). Non crediamo perciò di errare, affer- mando che le lesioni, se possono provocare la schizostelia e la schizorrizia, lo fanno solo in modo secondario, come effetto delle innovazioni provocate nella struttura e forma del cilindro centrale. Viene così confermata la ipotesi, altrove accennata, che anche i cilindri centrali sani della Ph. dactylifera, purché di forma non perfettamente cilindrica , possono andar sog- getti alla schizostelia, alla quale segue quasi sempre la schizorrizia. I fatti testé messi in evidenza si allontanano alquanto, sotto molti punti di vista, da quelli osservati finora da altri autori nelle ricerche sulle radici lese , epperciò meritano di essere ulteriormente studiati. VII. — Apice vegetativo. 4 i Illustreremo qui brevemente le radici da noi riferite al “ tipo pneumatodico. „ Ragioni di prudenza ci hanno fatto così designare quelle radici rivolte all’ insù e con apice clavato , parendoci poco probabile che esse rappresentino veri pneumatofori. Radici siffatte presuppongono che la pianta viva in siti umidi o persino inondati, vale a dire in condizioni di mezzo tali che l’ idrotropismo e l’ aerotropismo agiscano come sti- moli atti a provocare 1’ orientazione anomala dell’ apice. Invece , nel caso nostro, le radici negativamente geotropiche crescevano in un terriccio sciolto e non eccessivamente umido; inoltre la Ph. dactylifera non è certo una Palma di siti eccessivamente umidi. Anche la struttura delle radici a tipo pneumatodico non corrisponde a quella che è propria del tipo U pleroììia tnbnloso, l endodermide midollare, ecc. 73 in questione. È lecito quindi supporre che la direzione anomala di siffatte radici e la for- ma clav^ata dell’apice siano per lo più l’espressione di condizioni anormali, quasi patogene, come l’attesterebbe l’abbondanza di tannino, reperibile nel tessuto apicale. 11 nostro dubbio è avvalorato dalle osservazioni di altri autori che non hanno ritrovato le stimmate del pneu- matoforo in radici pur ritenute tali da qualche osservatore. Passiamo ora allo studio degli apici sdoppiati. La frequenza, con cui nelle radici ma- late si scindono le stele e si sdoppiano gli apici, fece in noi sorgere il dubbio che le le- sioni fossero causa diretta di siffatte alterazioni, confortati in questo dalle esperienze del Nemec, che pure ebbe ad osservare la bipartizione apicale in seguito a ferite della punta. Ci assicurammo ben tosto che il rapporto è più che altro indiretto. Innanzi tutto sta il fatto che non pochi apici sdoppiati si presentano affatto sani e, in secondo luogo, lo sdop- piamento che succede alle ferite, stando almeno alle nostre esperienze — non troppo nume- rose invero — avviene nella Pii. dactylifera, (cfr. cap. VI) a distanze spesso assai grandi dal punto leso e molto tempo dopo della lesione, perchè possa ancora ritenersi diretta- mente da questa influenzata. Più che altro, a quanto pare , è la forma assunta dal ple- l'oma che predispone o no alla scissione apicale. Lo sdoppiamento dell’ apice è, come altrove abbiamo accennato, apparente o reale. E apparente quando vi hanno due o più pleromi incappucciati tutti da una cuffia unica, nel qual caso vi ha pure un aggruppamento unico di amido , probabilmente statolitico , nella columella. È reale invece quando, oltre a due o più stele, vi hanno due cuffie più o meno distinte, ognuna provvista del proprio gruppo di amido statolitico. Quando lo sdoppiamento ha raggiunto il massimo grado, ciò che prepara la schizorrizia, anche il periblema è sdop- piato più o meno profondamente. Noi crediamo di dover insistere alquanto su queste distinzioni, poiché, sebbene l’ una forma ti'apassi nell’altra, pur tuttavia le distinzioni vanno mantenute, essendo noto che la moltiplicità delle stele non costituisce un carattere sufficiente per ammettere senz’ altro una moltiplicità di apici. Ed invero nelle Crittogame superiori, sotto un unico apice, si possono incontrare parecchie stele o cilindri centrali. Faremo rilevare da ultimo che lo sdoppiamento apicale è nella Pii. dactylifera col- legato a due differenti strutture del pleroma, il quale vi può apparire diviso per effetto della frammentazione semplice o mostrarsi invece variamente fi'ammentato e tuboloso. In quest’ultimo caso si ha una struttura dell’apice che non ha riscontro con altre nel regno vegetale epperò capace di rilevare la grande analogia che, nelle piante superiori, esiste fra gl’ istogeni apicali. Vili. — Il problema della Stela. Lo studio delle singolari disposizioni anatomiche offerteci dalla Ph. dactylifera riu- scirebbe incompleto se non affrontassimo la controversa quistione della stela, proposta dal Van Tieghem, per la quale la nostra specie offre dati preziosi. Al riguardo una prima domanda s’ impone ; Radici come quelle della Pii. dactylifera sono davvero prima monosteliche, poi polisteliche od asteliche , come prescrive il dogma della stela? L’esame dei fatti, alla stregua della teoria del Van Tieghem, dimostra che tanto le radici dicotomiche quanto quelle normali della Ph. dactylifera non seguono la norma suaccennata, non presentando esse una monostelia primordiale. Infatti sulla base Atti Acc. Sbiue V, Voi,. III. Mcm. I. IO 74 L Bnscalioni e G. Lopriore -Mkmoria I.j del fusto esse s’ impiantano con un gruppo di cordoni indipendenti gli uni dagli altri, dis- sociati cioè e con struttura piuttosto astelica o polistelica che monostelica. È vero che il Drabble ha fatto da tempo giustizia di queste pretese forme polisteliche, ma dalle sue ri- cerche, che collimano in gran parte con le nostre, lùsulta che spesso trattasi di processi di scissione stelare assai complessi e non rispondenti assolutamente al concetto della stella. Da questa pretesa polistelia si passerebbe poi alla monostelia, indi e nuovamente alla po- listelia od alla astelia. Nelle ultime rarnificazioni della stela possiamo a\'ere 1’ uno o 1’ altro tipo , rappresen- tato a seconda del modo con cui avvennero le scissioni nella stela; anzi nella stessa se- zione trasversale si possono avere gruppi astelici accanto ad altri polistelici. Del resto , a ben comprendere i fatti messi in evidenza dal Drabble nel suo studio sulla plantula della Phoenix e di altre Palme, pare che anche negli stadi primordiali di queste s’ incontrino strutture accennanti alla polistelia spuria piuttosto che alla monostelia. Faremo inoltre lilevare che il processo di divisione stelare, quale da noi fu descritto nella Ph. dactylifera , grazie alla comparsa delle invaginazioni apicali e laterali, è ben di- verso dai sistemi di divisione della stela descritti dal Van Tieghem e conducenti gli uni all’ astelia, gli altri alla polistelia. Quando mai infatti troviamo entro la stela del \"an Tie- ghem parecchi anelli di endodermide interna, circondanti altrettante zone di parenchima cor- ticale ? Se il modo di scissione dei fasci vascolari della radice della Phoenix non si accoi da col concetto della stella, i cordoni stessi che dalla divisione risultano, a causa della loro costituzione, non possono neppure a lor volta entrare nel quadro della stela. \’i ha infatti una stela quando un complesso di fasci vascolari, con o senza midollo , prevalentemente disposti secondo il tipo caulinare o radicale sono avvolti da un’ endodermide col sottostante periciclo. A voler applicare questo principio alla stela così polimorfa della nostra Phoenix , si incontrano non poche difficoltà. Si possono infatti chiamare ancora stele le estroflessioni endodermiche, nelle quali vi è soltanto endodermide e periciclo ? Sono ancora tali quei cor- doni depauperati, che una invaginazione endodermica ha distaccato dal cilindro centrale e che risultano, oltre che dall’ endodermide e dal periciclo, anche da qualche fascio liberiano e xilematico, in cui libro e legno sono accoppiati secondo lo schema dei fasci caulinari? Quale concetto dovremo farci delle invaginazioni endodermiche laterali, apicali o miste, in cui l’elemento caratteristico della stela, cioè l’endodermide, invece di racchiudere un ag- gruppamento di fasci col relativo periciclo e l’accluso midollo, incapsula un tessuto cor- ticale ? Qui se vogliamo rintracciare i fasci ed il periciclo, dobbiamo portarci all’ esterno deU’endodermide ! I cilindri centrali contenenti un’endodermide interna potrebbero lontanamente ricordarci le strutture di certe Ranunculacee, Equisetacee e Gunnera, ritenute dal Van Tieghem come polisteliche od asteliche. Ma non occorre spendere molte parole per dimostrare che molti cilindri con i loro xilemi e floemi interni hanno ben altra struttura e ben altra origine. Quanto si è detto sopra a proposito dell’ endodermide è applicabile anche al periciclo che accompagna sempre quella in tutte le sue ramificazioni nell’ambito e fuori del cilindro centrale. Noi faremo qui soltanto osservare che se al periciclo vuol darsi 1’ importanza di un tessuto a sè, ben definito e ben localizzato, non può dirsi lo stesso per le radici della Phoenix^ in cui esso, al pari deU’endodermide, può nascere eterotopicamente ed ovunque Il pleroma titbiiloso, I endodennhìe midollare^ ecc. 75 dal tessuto fondamentale del cilindro centrale, le cui cellule, una volta differenziate in ele- menti del periciclo, possono funzionare in conformità della nuova destinazione e produrre persino nuove radici. Nelle lesioni di queste e nella frammentazione stelare si manifesta infatti più palesemente il carattere eterotipico del periciclo e dell’ endodermide, tanto che l’uno e l’altra non possono servir di guida nelle ricerche sulla stella. Nelle nostre ricerche non s’ incontrarono mai pseudostele (stele cioè di solo periciclo e di endodermide) portanti radici. Al contrario stele anche piccole, purché fornite di elementi xilematici e liberiani, sono in grado di sviluppare radici anche notevolmente grosse rispetto alla stela madre. Pare dunque che la formazione delle radici sia collegata, oltre che alla presenza del periciclo, anche a quella dei fasci vascolari. Appare intanto manifesto che se, in base alle considerazioni fatte sull’ endodermide e sul periciclo di origine .eterotopica, viene scossa la teoria stelare, perde importanza tutto quanto da essa emana, come ad esempio la teoria dello stelolemma e del lleoterma di Strasburger. I fatti esposti sono abbastanza eloquenti, perchè si possa ancora, parlare di stela, di monostelia, di polistelia e di astelia nel senso del Van Tieghem. Noi siamo quindi di ac- cordo con quanti ritengono che l’ipotesi dell’illustre botanico francese, per quanto geniale, sia ben lontana dall’avere un’applidazione pratica e tanto meno essere generalizzata. La teoria fu dimostrata erronea, come abbiamo accennato nella prima parte, nei casi stessi che fornirono al Van Tieghem il sostrato più importante per l’edifizio di essa. Dopo le nostre ricerche essa appare erronea anche nel campo delle radici , in cui per altro il Van Tieghem e la sua Scuola sol raramente riscontrarono casi veri di astelia e polistelia (Leguminose, Cycas, ecc.). Forse di tutto l’edifizio stelare non rimane che la monostelia. Infatti è questa an- cora ben accolta da quelli che non riconoscono le alti’e due modalità della stela. D’ altra parte anche la monostelia ha subito, nei lavori del Jeffrey e di altri, tali smembramenti da esser resa quasi irriconoscibile. IX. — Rapporti strutturali fra le radici della Phoenix ed altri tipi vegetali, con speciale riguardo alle forme degradate. Le strutture finora illustrate hanno indubbiamente attinenza con altre segnalate nelle Crittogame superiori .e nelle Gimnosperme. Ma, è lecito, domandiamo, da questa identità di costituzione dedurre che fra le Palme e le altre forme più degradate di Cormofite siavi un nesso filogenetico strutturale? La risposta è ardua, poiché, per poter rilevare dei rapporti filogenetici, è necessario disporre di molto materiale di studio, fornito da specie, generi e famiglie differenti. Solo in queste condizioni è possibile aver tutta una serie di dati tali da permettere poi di affrontare con successo il problema della probabile e più o meno lontana parentela tra forme disparate. Nel caso nostro bisogna invece unicamente contare sui dati, molto incompleti, offertici dalle radici della Ph. dactylìfera e qualche altra Palma da altri stu- diata. Riteniamo nondimeno che i fatti messi in evidenza, per quanto isolati, siano tali da autorizzarci ad intravedere un probabile nesso filogenetico tra la struttura delle Palme e quella propria delle Cormofite meno evolute. Le ricerche future, estese a maggior numero 76 L. Bnscalioni e G. Lopriore I Memokia di tipi, potranno stabilire se la nostra modesta ipotesi merita o no di essere presa in considerazione. Sta, innanzi tutto, il fatto che se le strutture da noi segnalate nella Palma da datteri hanno in parte un’impronta di assoluta novità, non poche di esse collimano con altre che si rinvengono soltanto in forme vegetali degradate, oppure in tipi che con le Palme hanno una certa affinità. Accenneremo dapprima all’ endedormide interna, la quale, tanto frequente nelle radici nella nostra Phoenix, è stata riscontrata dal Van Tieghem nella Gunnera, dal Jeffrey nella Parnassia, dal Chrysler nelle Aroidee. È singolare che in tutte queste forme è più o meno spiccata la tendenza a disporre i fasci del cilindro centrale secondo il tipo poli- stelico-astelico. Il carattere comune adunque potrebbe farci credere ad un’ affinità filogenetica, ma il criterio non è troppo sicuro, potendo esso essere unicamente 1’ espressione di peculiari condizioni anatomiche. Altrove abbiamo infatti segnalato che nella Phoenix, per effetto della polistelia, reperibile nel punto di uscita delle radici, a cui succederebbe poi la monostelia, porzioni di endodeimide rimangono incluse fra le stele, dove subiscono una trasformazione, nel senso che gli elementi diventano del tutto simili a quelli parenchimatosi. Ammesso tale stato di cose, abbiamo accampato l’ipotesi che la natura endodermica di molte fra le cel- lule midollari sia una condizione favorevole affinchè, in determinati momenti e sotto deter- minate azioni, sia interne che esterne, le stesse tornino a riprendere il carattere endoder- mico perduto. La presenza di pangeni endodermici potrebbe effettuare la trasformazione. Così resterebbe spiegata la comparsa improvvisa, ma fugacissima, di un’endodermide interna nelle radici della Ph. dactylifera in corrispondenza della regione, in cui le stesse abbandonano la stela materna, come pure la presenza di essa nei casi d’invaginazione e di frammentazione accompagnati da produzioni eterotopiche. Con questo principio appare evidente che anche in altre forme polisteliche più o meno affini alle Palme od anche in parte discoste (Dicotiledoni) possano aver luogo gli stessi fenomeni nel senso che la porzione di endodermide rivolta verso il centro della stela o si mantiene tale per tutta la durata di esistenza della pianta o si trasforma nell’ ordinario tessuto parenchimatoso midollare, per ricomparire poi, in determinate occasioni o sotto de- terminati stimoli, come endodermide più o meno tipica. Così spiegherebbesi nel fusto della Campanula glomerata la presenza di un’ endo- dermide interna, di cui pochi elementi soltanto offrirebbero i Punti di Caspary. Tale strut- tura anormale, reperibile nelle Felci e dovuta alla presenza di fasci liberiani o libero-legnosi midollari, disposti in cerchi incompleti, venne studiato dal Col, il quale erroneamente inter- pretò le vestigia dell’ endodermide interna come un accenno di polistelia. Desta per altro non poca meraviglia il fatto che se noi discendiamo, in queste inda- gini, sino alle famiglie vascolari degradate, come alcune delle Crittogame vascolari, tro- viamo qui largamente rappresentata la singolare struttura della nostra Palma (cfr. Farmer, Jeffrey, Tansley, Boodle). Risulta dalla rassegna storica da noi fatta che questi autori non sono completamente di accordo sull’ origine dell’ endodermide interna delle Crittogame vascolari, volendo alcuni ch’essa derivi dalla metamorfosi delle cellule più interne della protostela, ammettendo altri ch’essa penetri nella stela attraverso ai “ foliar gaps „ ai “ rameal gaps „ o ad “ occhielli „ di altra natura segnalati specialmente dal Tansley. Il plerulìui tubuloso, V endodennide midollare, ecc. 77 Non è improbabile che si abbiano i\ó a trovare realmente due sorta di endodermidi, ma noi abbiamo esposto sopra alcune ragioni che ci porterebbero a ritenere che 1’ endo- dermide midollare primordiale , se ora è realmente stelica , potrebbe essere divenuta tale soltanto per effetto dell’evoluzione che accelera la comparsa di certe strutture, dissociando la loro affinità con certe altre. Ad ogni modo se gli “occhielli,, di varia natura permettono l’accesso dell’ endoder- mide esterna nel cuore della stela, non possiamo fare a meno di riconoscere che le inva- ginazioni laterali ed apicali della Ph. dactylifera, che pure permettono la diffusione del- l’endodermide nella stela, appartengono alla categoria dei “ gaps „, rivelando così la grande analogia di struttura sopra accennata, per quanto taluno possa obbiettare che nelle Palme gli “ occhielli „ sono radicali, nelle Crittogame superiori caulinari. Ma vi ha di più : nelle Ofioglossee ed in altre Crittogame superiori il Tansley ed altri autori hanno constatato la presenza di un’ endodermide interna ridotta a brandelli e persino mancante in alcuni punti dell’ asse , il che ricorda troppo davvicino quanto ha luogo nella l’hoenix nel momento della formazione delle radici secondarie dalla principale. Ben ponderati pertanto i fatti e considerato che noi non conosciamo i momenti che assicurano 1’esistenza di un’endodermide interna o ne provocano la sua ricomparsa in de- terminati punti ; considerato che le disposizioni della nostra Palma si osservano in fami- glie disparatissime come quelle appartenenti alle Crittogame vascolari ed alle Dicotiledoni, non possiamo negare un legame d’indole filogenetica che insieme le coordina. Se ora consideriamo il fascio vascolare ed il cilindro centrale delle Crittogame supe- riori e di altre forme degradate, troviamo tali reperti concordi con quanto abbiamo osser- vato nella Phoenix da sentirci rafforzati nelle nostre vedute e veder confermate quelle del Karsten e di altri, che riconobbero nella -struttura delle Monocotiledoni non pochi accenni riferibili a quella delle Crittogame superiori. A queste conclusioni ci porta lo studio della dicotomia, presente da una parte nelle radici della Phoenix, dall’ altra nelle radici e nel fusto delle Crittogame superiori, senza dire eh’ essa si rinviene nelle Cicadee (Matte). Il WoRSDELL fa di essa un carattere proprio della fasciazione , anzi afferma che sa- rebbe la forma più semplice di questa entità. A nostro parere, il giudizio è affrettato, poi- ché la dicotomia è appunto diffusa fra le altre piante, in cui suol mancare la fasciazione (Crittogame superiori), mentre dovrebbe avvenire precisamente il contrario. Non meno evidente appare la rassomiglianza fra i due tipi vegetali — Palme e Crit- togame — , quando si consideri il modo di organizzazione delle stele. Cambattuto il concetto del Van Tieghem, il quale riscontrava dappertutto la traccia di una semplice dicotomia stelare^ il Jeffrey, il Tansley, il Boodle, il Farmer ed altri ancora hanno dimostrato che nelle Crittogame superiori il cilindro centrale si frammenta per un processo che ha molta analogia con quello segnalato da noi nelle radici della Phoenix, grazie al quale le invaginazioni fogliari, rameali, ecc. (“ gaps „) si allargano fino a che la stela si risolve in più frammenti, mentre l’endodermide esterna e quella interna si mettono in comunicazione fra loro. Inoltre tanto nelle une quanto nell’ altra ha luogo la frammentazione stelare semplice. Di qui la singolare struttura che presentano i fusti (rizomi, ecc.) di molte Crittogame vascolari in sezione trasversale , caratterizzata in particolar modo dalla presenza di più stele, diversissime per forma e dimensioni, come div^ersissime sono le stele delle radici dicotomiche della nostra Palma. 78 L. Buscalioni e G. Lopriore [Memoria I.] Nè qui si arrestano le analogie : Il fascio vascolare degli assi aerei delle Crittogame superiori è spesso fornito di un libro interno, che può anche degenerare. Il Jeffrey con- trassegna siffatta struttura come “ anfìfloica sifonostelica rappresentata nella sua forma tipica da una stela provvista di endodermide interna ed esterna, periciclo parimenti doppio, cioè esterno ed interno, floema interno, circondato dalla cerchia normale esterna libero-le- gnosa, ed infine midollo. Particolarmente interessanti sono le strutture riscontrate dal Boodle in talune Crittogame sifonosteliche, da noi accennate nella parte storica e molto simili a quella di talune radici dicotomiche di Phoenix. Astraendo dal fatto che le surricordate strutture s’ incontrano nei fusti, rileveremo che nelle radici della Phoenix esse sono molto evidenti là dove s’ incontrano le invaginazioni apicali, laterali e miste, poiché anche ivi trovasi un’ endodermide interna, circondata da un periciclo, a sua volta inglobato in una cerchia interna di libro e di legno ad elementi al- ternanti. Il tutto è poi circondato dalla cerchia normale di xilema e floema, dal periciclo, dall’ endodermide esterna, comunicante a sua volta con l’ interna, là dove si aprono le in- vaginazioni all’ esterno. Una più perfetta corrispondenza non si potrebbe pensare ! Faremo notare che, oltre al libro interno, vi hanno fasci di xilema interno, ciò che però non sorprende, data la struttura della radice. Non può neppur costituire un carattere differenziale importante la presenza, al di fuori della cerchia vascolare interna, di un mi- dollo per il fatto che questo non è sempre presente, essendo le invaginazioni spesso in- globate nel mantello, in cui, ampliandosi, provocano la scomparsa degli elementi midollari. Toccato qui del tessuto midollare, vogliamo brevemente soffermarci, per rilevare dallo studio comparativo della Ph. dactylifera con altre Crittogame superiori le analogie e le differenze. Per queste ultime la quistione di sapere se il midollo sia 1’ omologo della corteccia è ancora suh jiidice. Il Jeffrey ne sostiene 1’ identità, il Tansley ed altri la negano, almeno per il midollo primordiale della pi'otostela, derivando esso dagli elementi di questa che hanno perduto la funzione conduttrice. Per il midollo proveniente dai “ gaps „ fogliari o ra- meali l’origine è più dubbia.. Attenendoci unicamente a questo secondo tipo , non occorre spendere molte parole per dimostrare che anche nella Phoenix si ha la stessa costituzione e che quindi anche qui midollo e corteccia sono due formazioni omologhe. Lo attestano le stele della Phoenix foggiate a gronda, epperciò. aperte da un lato, nonché la struttura dell’ apice vegetativo radicale che, nei cilindri centrali robusti, addimostra una comunanza di istogeni fra corteccia e midollo (Buscalioni) e infine 1’ identità di struttura cellulare dei due tessuti, non potend'o la presenza dei fasci meccanici, propri della corteccia, infirmare la regola, poiché, come si è visto altrove, la presenza degli stessi è subordinata a condi- zioni meccaniche che difettano nell’ ambito del midollo. Si potrebbe obbiettare che , nel caso di invaginazioni apicali o laterali, il tessuto pa- renchimatoso endostelico, di origine indubbiamente corticale, appunto perchè tale , si con- traddistingue da quello realmente midollare, di natura stelica, per la presenza alla sua pe- riferia di un’ endodermide che manca normalmente al midollo. L’ obbiezione ha poco valore per il fatto che un’ endodermide interna si forma anche, per quanto fugacemente, alla periferia del midollo stelico nel caso della formazione di ra- dici laterali. Anzi quivi possono talora formarsi anche due giri concentrici di siffatta endo- dermide , se il midollo contiene cordoni vascolari nel suo interno , ricordando cosi i giri concentrici endodermici delle Felci policicliche, in cui possono aversi anche quattro o cin- Il pi eroìna tu bilioso^ V endodermide ni idoli are, ecc. 79 que giri concentrici di fasci, avvolto ognuno dalla propria endodermide. D’ altronde sap- piamo che r endodermide interna, al pari del sottoposto periciclo, si forma in gran parte eterotopicamente a spese del tessuto fondamentale della stela. La formazione eterotopica delle cellule endodermiche e del periciclo fa appunto rite- nere che anche nelle Crittogame vascolari abbia poco fondamento la separazione di un mi- dollo primordiale stelico da uno corticale. Ne abbiamo data altrove la spiegazione , trat- tando delle endodermidi invaginate nella polistelia, per cui non occorre ritornarvi sopra. Oc- corre però soltanto aver presente che nel corso delle successive generazioni la origine di un dato tessuto, come del resto di un dato organo, può riuscire mascherata da un processo di tachigenesi, ciò che pare sia avvenuto, secondo noi, per 1’ endodermide interna di alcune protostele delle Crittogame superiori. Le nostre vedute sono infine rafforzate, da un lato, dal modo spesso confuso con cui si formano i tessuti negli apici vegetativi, dall’ altro, dal fatto che nelle Crittogame le cel- lule che danno origine al midollo e alla corteccia non sono altro che segmenti di una stessa cellula apicale, gli uni interni e gli altri esterni. In conclusione, per le sovraesposre considerazioni, che hanno messo in chiara luce la grande rassomiglianza morfologica e strutturale fra le radici delle Palme {Ph. dactylifera) e quelle delle piante più o meno degradate ed in ispecie quella propria delle Crittogame vascolari, ci crediamo autorizzati ad affermare che il reperto non costituisca una mera ac- cidentalità od un portato di condizioni di vita analoghe, provocanti una convergenza di ca- ratteri, ma abbia il significato di un probabile nesso filogenetico più o meno recondito. La deficiente evoluzione, cui in generale andarono incontro le radici rispetto ai fusti ed alle foglie, può chiarire il fenomeno. X. — Evoluzione del cilindro centrale. Per non sconfinare dal tema con una trattazione piuttosto ampia di questo sistema, daremo qui soltanto pochi cenni riferibili specialmente a quanto può interessare gli argo- menti finora trattati. Nelle piante inferiori e in talune di quelle appartenenti alle passate epoche geologiche r organizzazione della cosiddetta stela se, a primo aspetto può parere alquanto più com- plessa di quella che ci offre la maggior parte delle piante vascolari superiori ora viventi, è tale però da non poter competere con quest’ ultima nella perfezione della funzione con- duttrice — in largo senso. Basterà ricordare i fasci doppi delle Diploxilee, la policiclia di non poche Felci, la si- fonostelia anfifloica, per convincersene. Con l’evoluzione vediamo quindi modificarsi a poco a poco l’organizzazione della stela, nel senso di arrivare alla struttura propria delle Dico- tiledoni più evolute , rappresentata da un’ unica cerchia vascolare e che ci pare sia la più perfetta, grazie anche alla presenza del cambio persistente, che ha rese inutili certe strut- ture assai complicate. Ha però un altissimo significato morfologico ed anco filogenetico il fatto che la strut- tura ordinaria normale delle Dicotiledoni, contraddistinta, come si è detto, dalla presenza di un cambio in seno ai fasci, si trova già, più o meno evidente, nelle Crittogame supe- 80 L. Biiscalioni e G. Lopriore [Memoria I.J riori od in tipi arcaici, limitatamente, però, a quanto pare, a quelle forme fornite di fogliame ridotto. * Nelle Crittogame a foglie piuttosto grandi, si nota che la pianta sopperisce alla neces- sità di estendere ed allargare le vie di conduzione vascolari , aumentando il numero dei fasci o della cerchia da questi formate. Di qui un risultato rispondente certo allo scopo , ma raggiunto in modo alquanto difettoso e primitivo, come chiunque può constatare, stu- diando appunto la struttura delle Felci policicliche. Questa è tale che, ad un esame super- ficiale , potrebbe essere ritenuta come più perfetta di quella delle Fanerogame superiori , mentre è solo più complicata. Nelle Monocotiledoni la policiclia vascolare non si mostra più evidente, essendo i fasci sparsi e indipendenti gli uni dagli altri ; chi ben considera i fatti può tuttavia rilevare che, in fondo , essa esiste e solo è mascherata dal profondo smembramento che hanno subito i fasci, grazie al quale ognuno di essi si è reso indipendente. La struttura a tipo policiclico permane ancora nel picciuolo di molte foglie delle piante superiori, è reperibile in talune Dicotiledoni, a tipo però monocotileo o piuttosto degradato, quali sono ad esempio le Ninfeacee (1), le Piperacee ecc., ed infine osservasi nelle foglie e nel fusto delle Fanerogame poco evolute, quali sono le Cicadee, come ha splendidamente messo in evidenza il Matte. E d’ uopo pertanto inferirne che la molteplicità stelare, reperibile nelle Monocotiledoni epperciò anche nelle Palme, costituisce un carattere d’ inferiorità organica. La molteplicità delle stele , tanto comune nelle piante inferiori (Crittogame vascolari , Cicadee, ecc.) porta spesso come conseguenza che taluni cordoni vascolari, privi di fun- zione , siano destinati a scomparire dopo un percorso più o meno lungo. Il fenomeno è stato osservato dal Tansley nella Matonia pectinata , dal Drabble nelle Palme , e noi l’abbiamo su larga scala constatato nelle stele depauperate delle radici della Ph. dactylifera. Le Monocotiledoni mostrano inoltre una inferiorità di struttura rispetto alle Felci , ol- treché per i fasci isolati, pel fatto ancora che difettano di quel complicato sistema di vasi di raccordo che vediamo chiudere i “ foliar gaps „ nelle Felci allorché si hanno più cicli di stele , i quali derivano dai cicli sottostanti ai “ gaps. „ Ma è lecito domandarci : non si hanno anche nelle Monocotiledoni strutture , se non omologhe , per lo meno analoghe ? La risposta non é difficile , implicando deduzioni d’ indole filogenetica. Ciò non ostante se noi consideriamo che lo Strasburger ha rilevato la presenza di cordoni vascolari di rac- cordo fra i fasci profondi e quelli superficiali nel fusto di talune Palme dotate di accresci- mento secondario — probabilmente dovuto appunto a tali cordoni — dobbiamo inferirne che qualche lontana analogia, sotto questo punto di vista, si abbia tra le Monocotiledoni da un lato e le Felci dall’ altro. La struttura segnalata dallo Strasburger ci fa pure pensare ai cosiddetti “ Compensation-bundels „ descritti da alcuni autori inglesi. Un lieve accrescimento secondario alla base dello stipite delle Palme può aver luogo, secondo noi, oltre che per i ricordati fasci di raccordo, anche per la formazione di radici avventizie. Infatti là dove queste si formano, ha pur luogo la formazione di nuove cellule, ciò che implica un accrescimento di spessore in quella parte. (i) Secondo Gwynne-Vaughan le Ninfeacee hanno — per quanto concerne la struttura del cilindro centrale — non poche alfinità con le Felci. Le radici poi, come nelle Palme, prendono contatto profondamente coi fasci del rizoma. Il pleroma tubuloso, /' endodennide midollare^ ecc. SI E d’uopo intanto far rilev^are che i cordoni delle radici in via di formazione prendono attacco sui fasci, anche relativamente profondi del fusto, realizzando così una particolare condizione di cose , dal Tansley segnalata nelle Crittogame vascolari. Nell’ Angiopteris quest’ autore osservò infatti che i cordoni delle nuove radici nascono nel rizoma al polo opposto a quello che dà origine alla radice stessa. La tendenza aU’affondamento dei cordoni vascolari par che sia un carattere comune anche alle F'elci ed alle Monocotiledoni. In talune di queste e precisamente nelle Palme, a prescindere dal caso testé citato della inserzione profonda delle radici, il Mohl ha po- tuto seguire il graduale affondamento nel cilindro centrale caulinare delle tracce fogliari , mentre per le Felci, è stato accertato dagli anatomici moderni che, nei tipi policiclici, ta- luni fasci, superficiali ai nodi e fusi con quelli della guaina esterna ordinaria, si affondano in seno al cilindro centrale e si rendono indipendenti in tutto il percorso dell’ internodio. A considerare più particolarmente la struttura del fascio, si affacciano non poche que- stioni relative alla endarchia, alla mesarchia, ecc., sulle quali non crediamo di soffermarci, per non eccedere ,i limiti del nostro tema. Rivolgeremo soltanto la nostra attenzione al problema della protostelia, la quale co- stituisce un carattere primordiale d’ una certa importanza filogenetica , poiché tende a scomparire nelle piante superiori. Tale tendenza non é però definitiva ; nella piantola delle Aroidee p. es., che hanno tanti caratteri comuni con la Phoenix , il Chrysler accertò la sua presenza. Questa però é temporanea e neppur l'eperibile in tutte le specie, avendo non poche di queste un cilindro centrale monostelico o sifonostelico a causa della presen- za di “ occhielli fogliari „. Nelle radici della Phoenix il carattere protostelico è estremamente diffuso come del resto in tutte le radici amidollate. Anzi in queste , analogamente a quanto osservò Tan- sley in alcune Imenofillacee , la protostela o la stela foggiata sullo stampo di questa entità anatomica, possono assumere strutture aberranti, nel senso che, mentre appartengo- no alla l'adice, acquistano le caratteristiche delle stele collaterali. Ciò le fa difficilmente distinguere da un ordinario fascio vascolare caulinare. Questo fenomeno merita di venir segnalato per il fatto che stele a tipo protostelico , ma collaterali , si rinvennero di preferenza nelle radici lese e precisamente nel tratto in cui si l'igenerarono i cordoni vascolari. In questa memoria si sono appena abbozzate le principali questioni relative alla filo- genesi del cilindro centrale, rilevando quei caratteri che valgono a mettere in ex’idenza le affinità fra le Crittogame vascolari da una parte, le Monocotiledoni e specialmente le Pal- me dall’ altra. E nostro debito dichiarare che 1’ argomento fu appena sfiorato e che , per essere approfondito , richiede uno studio accurato di molte altre specie dì Palme e fors’ anche di altre Monocotiledoni. 1 1 Atti Acc. Slrik V, Voi,. III. Mtm. I. 82 L. Biiscalioni e G. Lopriore |iMi;.M(ìkia I-Ì CONCLUSIONI Gli argomenti discussi nelle “ Considerazioni generali „ ci permettono ora di esser brevi e di riassumere le osservazioni esposte in conclusioni abbastanza semplici. Data la costituzione degli organismi vegetali più evoluti, per quel che riguarda il problema della stela, noi dobbiamo tenei' conto solo di due strutture principali, rappresen- tate r una dal tessuto fondamentale, 1’ altra dal fascio vascolare. Il complesso di quest’ ultimo venne non di rado da noi , per ragioni di brevità consuetudine e chiarezza, designato con vari nomi : stela, cilindro centrale, complesso va- scolare. Così pure taluni particolai’i stadi o adattamenti di quest’ ultimo hanno ricevuto nel corso di questa esposizione parecchi nomi, consacrati ormai dalla scienza, come polistelia, rnonostelia, astelia, sebbene non fosse nostra intenzione di dar loro il significato concesso dalla Scuola francese, poiché tratterebbesi qui, secondo noi, soltanto di disposizioni anato- miche più o meno riducibili alle entità, teoriche anziché reali, stabilite dal Van Tieghem e da altri autori. V’olendo ora elevarci alla sìntesi del nostro lavoro, teniamo a rilevare che per noi l’unità fondamentale del sistema vascolare è unicamente il desm a, cioè il fascio vascolare; liberiano, xilematico o libero-xilematico. I desmi possono unirsi in complessi (gamodesmi) o scindersi (schizodesmi). Gamodesmi e desmi singoli si complicano quando, per ragioni fisiologiche o filogene- tiche , si circondano di tessuti secondari, come periciclo e endodermide. Risultano al- lora complessi più elevati, che si possono ben designare “cilindro centrale,, (pleroma) o “ stela secondo che per ogni asse havvi uno o più cordoni avvolti da endodermide. Mancando l’endodermide o il periciclo, come avviene in molti fusti di Mono- e di Di- cotiledoni, si avrebbe di nuovo una sti'uttura desmica o gamodesmica. Essendo però con- sacrati dall’uso i nomi di “ stela „ e di “ cilindro centrale „, è opportuno conservarli. Le stele possono essere durevoli o temporanee ; nel primo caso (radici della Phoenix p. es.) lungo tutto il percorso o almeno per lungo tratto della radice vi sono due o più cordoni vascolari circondati dall’ endodermide e dal periciclo ; nel secondo caso (dictiostele delle Felci) le singole stele or si fondono, or si separano, ed invero parecchie volte lungo il percorso. Non occorre aggiungere che havvi passaggi dall’ una all’ altra, per quanto sia carattere essenziale delle stele durevoli di non più unirsi fra loro , ma di scindersi nuo- vamente. Siffatte distinzioni valgono quasi soltanto per gli assi, siano fusti o radici, men- tre, per le foglie, ragioni di opportunità , basate del resto sulla evoluzione , consigliano a mantenere il nome di meristele ai fasci che innervano le stesse. I nuovi tessuti — midollo , periciclo , endodermide — non possono essere considerati come altrettante unità a costituzione specifica epperò indipendenti gii uni dagli altri. Innan- zi tutto essi appantengono al tessuto fondamentale , inoltre possono, secondo i casi, deri- vare gli uni dagli altri. Così il midollo si collega strettamente con la corteccia, il periciclo Il pi er onici tnbiiloso^ V emiodennide midollare, ecc. 83 col midollo, l'endodermide con la corteccia e col midollo. Queste affinità son venute in luce in gran parte dalle nostre ricerche sulle invaginazioni, sulle endodermidi e sui pen'cicli di origine eterotopica, nonché da quelle di altri autori sulle Crittogame vascolari. Il concetto del desina, quale unità da contrapporsi al tessuto fondamentale trova ap- poggio nelle ricerche del Farmer e di altri autori sulle Felci e del Drabble sulle Palme. Il Farmer infatti ritiene che nelle Felci, la cui struttura ricorda davvicino quella delle radici della Phoenix, meritano soltanto considerazione, da un lato, il tessuto fondamentale, dall’ altro, il fascio vascolai’e. A conclusioni non molto dissimili dalle nostre è giunto il Matte, che nelle sue ri- cerche sulle Cicadee rileva l’importanza del “ pointement trachéen „ come elemento prin- cipale del sistema vascolare. Accordando al desma l’ importanza da noi attribuita, ài può comprendere l’organizza- zione degli assi fasciati meglio che con le altre teorie e spiegare i legami che uniscono questi alla struttura delle radici della Phoenix o di altre forme, in cui la fasciazione è solo apparente. Il numero dei desini può in un asse, per ragioni non ancora ben chiarite, elevarsi al di sopra dell’ordinario, senza che l’asse, continuando a crescere, perda la forma cilindrica. In tal caso il passaggio dalla forma cilindrica alla fasciata non si compie, pur essendovi uno dei fattori della fasciazione, l’aumento cioè dei fasci. Se invece il numero dei desmi diven- ta eccessivamente grande e se determinate condizioni, per lo più d’ordine meccanico, non permettono più lo sviluppo simmetrico dell’ organo intorno al suo asse, si ha una delle forme della fasciazione, in cui l’organo diventa appiattito. Il dualismo di comportamento fu già illustrato in questo lavoro, trattando delle radici fasciate della Vida Faha, sviluppatesi su fittoni privati dell’apice. L’asse fasciato può tuttavia conservarsi monocefalo , presentare cioè un solo apice vegetativo. Il caso non è molto frequente, poiché le tensioni che si generano in seno al pleroma — sviluppato prevalentemente secondo uno degli assi trasversali — ed altre cause ancora favoriscono la separazione dei desmi o dei loro complessi ( gamodesmi ) con la formazione di più apici vegetativi. Insistiamo particolarmente su questo punto, poiché non pochi autori ritengono che la pluralità degli apici vegetativi sia condizione indispensabile per la fasciazione di un asse, caulinare o radicale che sia , mentre per noi non è che un fenomeno secondario. Questa interpretazione è confermata dalle nostre ricerche sulla Phoenix, la cui struttura potrebbe essere scambiata con la fasciazione. La comparsa infatti di più apici vegetativi è fenomeno che segue e non precede la moltiplicità delle stele e che , verificandosi , dà quasi sempre luogo alla schizorrizia. In entrambi i casi essa tende piuttosto a far scomparire che a favorire il processo della fasciazione. La schizodesmia può invece conciliarsi benissimo con la presenza di un solo apice, munito però di due pleromi. La nostra ipotesi che il desma possa, riducendosi od ampliandosi, plasmare la strut- tura e r organizzazione della parte che lo ricetta, tende, da un punto di vista semplice, a rendere omologhe formazioni evidentemente dissimili , come le radici della Phoenix e gli assi fasciati. Non ammettendola, si dovrebbero ritenere anche come fasciate le radici della Ph. dactylifera, ciò che non hanno ardito di fare gli altri autori che studiarono le radici di questa e di altre Palme, rilevando non poche delle strutture da noi studiate, fra cui la duplicità dell’ apice. 84 L. Bìiscalioni e G. Lupriure [Memoria 1. 1 A confeiina della nostra ipotesi rileveremo che se la duplicità dell’ apice e non la costituzione intima del desma fosse la causa vera della fasciazione, questa dovrebbe essere più frequente nelle Crittogame vascolari dicotomiche, che presentano un sistema vascolare organizzato in parte sul tipo di quello della nostra Palma. Invece non è stata mai riscon- trata in tali piante, come non crediamo sia stata rinvenuta nelle Crittogame cellulari, aventi pure due cellule apicali (Dictyota dichotoma) . I casi segnalati dal Costantin tra i Funghi sarebbero forse da ascriversi a fusione di miceli. Il pleroma liibiiloso, I emìodennide midollare, ecc. 85 LETTERATURA Anonymus (Farmer J. B.) — Fasciation in a Ilolly. — Gard. Chr. XLIII, 1908. Baccarini — Attorno all’accrescimento in ispessore dei kBti delle Palme. — N. Giorn. Bot. Ital. XIV, 1907. Ball — Der Eintluss von Ziig auf die Ausbildung von Festigungsgeweben. — Pringslieim’s Jahrb. XXXIX, 1004. Baranetzky — Développement des points végétatifs de la tige chez les Monocotylédones. — Ann. Se. nat. 8me Sér. Ili, 1897. Barsikow — Sekundàre Dicken wachstum der Palmen in den Tropen. — Verh. d. Phys.-Mediz. Ges. zu VVurzburg. XXXIV, 1901. Beinling — Untersuchungen ùber die Entstehung der Adventivwurzeln. — Cohn’s Beitràge. Bd. Ili, 1883. 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Comune è in quasi tutte la tendenza a far divaricare le schizorrize ; particolare ad alcune di esse — p. es. la media- na — quella di formare sulle schizorrize radici secondarie nello stesso tempo, senso e livello (ra- dici omotropiche). » 6. — Radice munita alla base di un profondo solco trasversale e, nel punto della scissione, di una radice secondaria. La tendenza alla formazione contemporanea di queste si appalesa anche più tardi sulle due schizorrize a sviluppo inuguale e di cui la più robusta si scinde all’ apice una se- conda volta. » 6. — Radice munita nella parte superiore di cinque striature trasversali, caratteristiche e profonde, ma priva di anellature a trachea. » 7. — Dicotomia imperfetta. La schizoriiza sinistra, arrestata nello sviluppo, sembra quasi una radice laterale dell’ altra, più robusta, che continua a crescere, presentando, come la primaria, le carat- teristiche anellature a trachea. » 8. — Anellature caratteristiche di due radici, di cui 1’ una clavata , l’altra in via di scindersi all’ a- pice. Le anellature sono più frequenti e ravvicinate verso 1’ apice che non verso la base. » 9. — Radice probabilmente dicotomica, che, al punto della scissione, presenta una delle schizorrize, forse lesa per azione traumatica, sostituita da tre radicelle fra di loro divergenti. L’ altra schizor- riza presenta poco al di sotto della scissione un profondo solco trasversale. » 10. — Le anellature si presentano nella parte media di questo segmento di radice tipicamente spirali, mentre nel tratto inferiore diventano grossolanamente a rosario. Nel tratto superiore, oltre ad un profondo solco trasversale, havvi numerose strie parallele. » 11. — È caratteristica in questa radice dicotomica la formazione su ognuna delle schizorrize di due coppie di radici laterali omotropiche. Tale formazione tende a ripetersi, sebbene in modo meno evidente, anche nel tratto inferiore, in cui le radici maggiormente divaricano fra loro. » 12. — La formazione omotropica delle radici laterali si appalesa poco al di sotto della scissione di que- sta radice tricotomica, le cui schizorrize, oltre a divergere fortemente fra di loro, tendono a bifor- cate rispettivamente i loro apici. TAV. II. Sezioni trasversali — Anatomia della radice. Fig. 13-16. — Le sezioni furono condotte a distanza diversa, dalla base versd 1’ apice, di. una radice dicoto- mica, per mostrare il processo di strozzamento e la scissione definitiva del cilindro centrale in due altri uguali. Questi (fig. i6) danno luogo alla formazione di due radici laterali omotropiche. Ira di loro alquanto divergenti. 96 L. Buscalioni e G. Lopriore [Memoria L] Fi^. 17-20. - Altro processo di scissione di una stela, conformata a doccia, prima in dite, poi in tre schi- zostele, che, nella fig, 20, danno luogo alla formazione di tre radici omotropiche. Nelle sezioni successive, qui non riprodotte, la stela destra si strozza in due. Le quattro stele risultanti tendono più tardi ad arrotondarsi e ad assumere contorni più regolari, dando luogo alla formazione di al- trettante schizorrize. TAV. III. Fig. 21. — Radice tristelica. La stela maggiore, in via di scissione, emette una radice secondaria, che, nel ■ r uscire, subisce un forte strozzamento per parte dello strato tegumentale delf^ radice-madre, ten- dendo poi ad incurvare da una parte il suo tratto libero. » 22. — Radice prossima a scindersi in due schizorrize inuguali, di cui la più grande è tristelica, la pic- cola distelica, con una stela ridotta a pochi elementi e 1’ altra in via di scindersi per invagina- zione. » 23. — Radice tetrastelica, lesa ed in parte rigenerata nella sua metà destra, in cui 1’ arco nero di pe- riderma isola dai tessuti necrosati una stela in via di avanzata riduzione. Questo processo di ridu- zione è progredito al punto da ridurre un’altra piccola stela (interposta fra le due di sinistra e r altra di destra della parte sana della radice) alla sola endodermide ed al sottostante periciclo. La sezione mette bene in evidenza l’ intercute ed il tessuto di rinforzo , parzialmente separati dal tessuto ordinario. » 24. — Radice quasi completamente scissa mediante lacerazione del tessuto fondamejatale. Lfn denso mantello di periderma tappezza la lacuna prodotta aalla dilacerazione. La stela di sinistra svela nella forma irregolare e depressa nella parte rivolta verso la lacuna la sua origine recente. » 25. — Radice in via di scissione. La forma tipica di 8 (in sezione) farebbe ritenere la radice come « gemella ». Lungo la futura linea di scissione sono relativamente scarsi i cordoni meccanici della corteccia. Notevole è 1’ addensamento maggiore dei fasci nella parte esterna rispetto a quella in- terna delle due stele, rivolta cioè verso il piano di prossima scissione. » 26. — Radice conformata a doccia, contenente quattro stele. Le due di destra sono omomorfe ed in via di scissione secondo due direzioni opposte. » 27. — Radice tristelica. La stela mediana, ora in via di riduzione, scompare nelle sezioni successive, permettendo la scissione della radice madre in due schizorrize. » 28. — Radice tetrastelica, scissa ormai in due schizorrize inuguali. Lungo la linea di scissione è note- vole la formazione di tessuto di difesa, che si avanza ed occupa quasi totalmente.il cilindro cen- trale della, stela più vicina, sinistra. TA\'. IV. Fig. 29-30. — Stele che, per invaginazione, si scindono in due altre a forma di gronda, fra le quali s’in- filtra il tessuto corticale con nuovi cordoni meccanici. » 31-32. — Radici prima tristeliche, poi, per scissione di una delle maggiori stele, tctrasteliche. Le piccole stele , una volta emancipate da quelle madri , tendono sempre più ad allontanarsi da esse ed a scomparire. Le stele maggiori, invece di conservare intatti i loro contorni , li rendono , per inva- ginazioni periferiche dell’endoderma, sempre più irregolari fino ad eliminare stele di pochi elementi. » 33-34. — Radice monostelica che , per invaginazione endodermica diviene distelica, poi, per taglio di un istmo della stela maggiore , tetrastelica. La piccola stela proveniente dallo strozzamento della propagine, incuneata nella insenatura della stela madre che si conforma a doccia, mostrasi ridotta ad un anello di elementi endodermici includente pochi elementi del tessute fondamentale. » 35-36. — Radice, prima tristelica, poi, per scomparsa della pìccola stela interposta fra le due maggiori, distelica. L’ invaginazione al polo della stela più grande, per cui separasi una stela ridottissima nella fig. 36, è seguita da tutta una serie d’invaginazioni della stessa stela. È notevole il processo di lignificazione (rappresentato dal’ ammasso oscuro ) del tessuto fondamentale della piccola stela della fig. 36, a cui tien dietro anche quello della stela più grande. TAV. V. Fig. 37-40. — Stele che, ad onta della sclerosi inoltrata del tessuto fondamentale del cilindro centrale, si scindono progressivamente in un numero sempre maggiore di stele, di cui le più piccole tendono per riduzione, a scomparire del tutto. Il pleroma tiibuloso, I endoclennide midollare, ecc. 97 Fig. 41 42. — Radice, che, probabilmente in conseguenza della lesione e successiva tannificazione della cortec- cia, presenta l’ intercute appena accennata e la stela attraversata da parecchie invaginazioni, che tendono a separare stele piccole e ridotte. Ad onta della sclerosi inoltrata del tessuto fonda- mentale del cilindro centrale, si nota in questo un occhiello ben distinto presso la insenatura a doccia della stela ingrandita ( fig. 42 ), rappresentante una pseudostela. » 43-44. — Stele minate da invaginazioni apicali, che, allargandosi, si fondono fra di loro, determinando la frammentazione della stela. TAV. VI. Fig. 45-46. — Stele di radici laterali nel 'punto in cui si distaccano dalla radice madre. Trattate con ac. solforico concentrato, fanno riconoscere 1’ endodermide interna oltre che l’esterna (fig. 45). Nella fig. 46 è rappresentata, a più forte ingrandimento, la sola endodermide interna. » 47-48. — Stele nel loro punto d’inserzione sul fusto, per mostrare l’apparente polistelia (fig. 47) e l’in- serzione dei cordoni vascolari dicotomici (fig. 48). » 49. — Stele contenenti parecchie invaginazioni interne, circondate da fasci legnosi e liberiani, i primi dei quali nelle figura spiccano come punti neri. » 50. — Apice vegetativo, il cui pleroma tuboloso si scinde in due metà, mentre la corteccia contenuta nell’ invaginazione è disseminata di cordoni meccanici. La frattura del pleroma imbutiforme avvie- ne ai due poli per frammentazione semplice e per formazione di particolari invaginazioni. » 51-52. — Stele con cellule di passaggio, ben distinte in corrispondenza delle placche xilematiche, le quali non di rado si accollano per le basi (cfr. fig. 51). TAV. VII. - Radice divenuta polistelica per frammentazione successiva della stela originaria. Nel mezzo le stele più piccole e ridotte danno luogo risp. ad una radice, i cui coni vegetativi, per compressione reciproca, sviluppano notevolmente il sistema meccanico, ma poi finiscono con 1’ esaurirsi. - Radice distelica, che, per la presenza nel suo mezzo di una lacuna, sta per dar luogo alla for- mazione di due schizorrize. È notevole l’incurvamento del cono vegetativo della radice, che, par- tendo dal polo interno della stela più grande, invece di dirigersi in linea retta verso la lacuna e forare il robusto rivestimento peridermico, s’ incurva ad arco, in direzione quasi parallela alla la- cuna stessa, per uscire all’ esterno. - Radice polistelica con quattro radicelle omotropiche, di cui le mediane parallele e le laterali volte in fuori ad arco per non intralciarsi mutuamente nella loro funzione. Nell’ insieme i quattro coni si dispongono a ventaglio. • Quattro coni vegetativi di radici omotropiche, che, per meglio uscire all’ esterno, si volgono in fuori .ad arco, meno quella (sup, sinistra in sezione a forma di cuore) che si volge in senso in- verso ed è costretta a percorrere una via molto lunga per uscire all’esterno. - Stela in via di strozzamento inoltrato, che dà luogo a due radici omotropiche, ma pur fra loro divergenti. Il poderoso reticolo radicifero si estende a quasi tutto 1’ istmo che congiunge ancora le due stele. - Radice distelica in via di dare due schizorrize. È notevole che il cono vegetativo della stela destra, pur uscendo dal polo interno della stela, non segue in linea retta la direzione iniziale, ma si volge immediatamente ad arco verso 1' esterno e parallelamente alla lacuna , incuneandosi fra questa e la propria stela. - Radice tetrastelica. La stela inferiore sta per dividersi mediante frammentazione semplice e manda frattanto una radice secondaria, il cui reticolo si estende al di là della zona in via di strozzamento. La via assai lunga che questa radicella deve percorere, rende poco sicuro il tenta- tivo di venire .all’ esterno. - Stela foggiata ora a gronda per aver distaccato (per effetto di invaginazione) dal perimetro ori- ginario una stela e parecchie pseudostele in via di riduzione progressiva, il contorno interno, frangiato e provvisto di occhielli, svela com.e il rimaneggiamento di questa stela non accenni per ora a finire. TAV. Vili. Fig. 61. — Stela che ad uno dei poli distacca per strozzamento una stela più piccola e cilindrica, mentre dalla faccia equatoriale emette una radice, il cui reticolo si estende a metà della porzione intatta della stela. Atti Acc. Serie V, Vol. III. Meni. I. Fig. 53. - » 54. — » 55. - Fig. 56. - » 57. - » 68. - » 69 - « 60. - 13 98 L. Buscalioni e G. Lo priore [Memoria I.] Fig’. 6'i. — Steli in via di strozzamento semplice. Ad onta della lignificazione inoltrata del cilindro centrale, compiesi ad uno dei poli la formazione di una radice laterale. » 63. — Radice distelica con due coni vegetativi omotropici ma un po’ fra loro divergenti. È notevole che la stela maggiore emette la radice dal lato meno convesso. Ai fianchi dei coni i cordoni meccanici si allineano quasi a catena di rosario. » 64. — ■ Radice distelica. La stela maggiore, in via di strozzamento, manda due radici omotropiche, di cui una si volge ad arco verso l’esterno, l’altra invece si avvia in direzione equatoriale verso la stela in riposo, che, senza essere ancori toccata, presentasi dal lato interno sensibilmente depres- sa. 11 reticolo radicifero dei due coni termina in corrispondenza del piano di strozzamento della stela. » 65. — Stele con due radici laterali omotropiche ma fra loro un po’ divergenti. Ad onta della lignifi- cazione inoltrata, la stela maggiore si strozza nella direzione equatoriale. Lo strozzamento avviene prevalentemente da una parte. » 66. — Radice distelica con sistema tegumentale ed aerifero abbastanza sviluppati. I cordoni meccanici della corteccia sezionati trasversalmente, appaiono, come al solito, in forma di macchia nera; le lacune aerifere in forma di macchie bianche. Una stela manda una radicela al suo polo esterno ; 1’ altra rimane in riposo. j> 67. — Due stele con due radici laterali omotropiche. L’una è in via di strozzamento semplice: l’altra si rompe al limite del reticolo radicifero per ingrandimento di una invaginazione, ben distinta al polo destro. » 68. — Due stele con due radici laterali omotropiche, di cui luna si parte dalla regione equotoriale della stela maggiore ; 1’ altra, per non incontrare questa, si volge fuori ad arco, in direzione parallela alla stessa. La stela minore è fiancheggiata da una stela molto ridotta e presenta un solco al li- mite superiore del reticolo radicifero dovuto ad invaginazione. TAV. IX. Fig. 69. — Due stele con due robuste radici omotropiche , e alquanto divergenti sviluppatesi a livello non perfettamente uguale. » 70. — Radice tetrastelica con d\ie radici omotropiche che procedono parallelamente nella direzione del- r asse maggiore della radice, senz’avere la probabilità di riuscire all’esterno per questa via cos'i lunga. » 71. — Tre stele, di cui la più piccola manda, nella direzione dell’asse maggiore della radice, una ra- dice laterale diretta verso la stela maggiore. » 72. — Stcla in via di scissione, sia per frammentazione semplice che per la presenza d’invaginazioni apicali. » 73. — Radice tristelica con altrettante radici secondarie, di cui una polare, due equatoriali, promosse forse dalla presenza della prossima lacuna (nella figura rappresentata a sinistra dal cordone di tessuto peridermico). > 74. — Stela a doccia, che dal lato concavo emette una radice laterale e, omotropicamente a questa, una seconda dal polo di massima curvatura. » 75. — Radice distelica con tre radici laterali, di cui una equatoriale e due polari antitropiche, emesse a livello non perfettamente uguale a quello dell’altra. » 76. — Stela attraversata da parecchie invaginazioni apicali , contenenti nel loro interno cordoni mec- canici. TAV. X. Fig. 77-78. — Radice distelica con due radicele emesse dai poli interni delle due stele. Nella i**- figura le radici sono convergenti, nella divergenti. » 79. — Radice monostelica, per strozzamento semplice, divisa ormai quasi completamente in due stele, di cui luna manda una radice equatoriale con reticolo radicifero spostato verso lo strozzamento. * 80. — Radice distelica. Una stela emette una radice equatoriale , che , ad onta della grande distanza dell altra stela, si volge immediatamente in fuori ad arco. » 81. — Radice distelica con tre radici equatoriali omotropiche, di cui due partenti dai punti di massima convessità della stela maggiore in via di strozzamento. » 82. — Comportamento identico a quello della fig. precedente , ma con disposizione a ventaglio più manilesta delle radici equatoriali omotropiche. » 83. — Radice distelica. Una stela emette dal polo interno una radice diretta verso l altra stela. » 84. — Radice distelica con due radicele omotropiche, alquanto fra loro divergenti. Il pleroma tuhiiloso, ! endodermide midollare^ ecc. 99 Fig. 85. » 86. » 87. » 88. » 89. » 90. » 91. » 92. » 93. Fig. 94. » 95. » 96. . 97. » 98. » 99. » 100. » 101. » 102. TAV. XI. B) Sezioni longitudinali di apici vegetativi. — Accenno di divisione delle due cuffie. Divisione incompleU dei pleromi. — Divisione incipiente dell’ apice ; si hanno due cuffie e due pleromi. Anche il periblema accenna a dividersi. — Due stele disuguali avvolti da una cuffia unica. — Radice pneumatodica con placche suberose ben distinte. Il pleroma è percorso da un’invaginazione. — Sdoppiamento appena iniziato. Si hanno due cuffie e due pleromi. La sezione è stata trattata con Acqua di Javelle e mostra ben distinti i cordoni meccanici (tratti più neri) e quelli vasco- lari légnosi oltre che il tessuto di rinforzo, l’ intercute ed il periderma. — Il pleroma è percorso longitudinalmente da un’ invaginazione apicale. — L’ apice si scinde. Uno dei pleromi è percorso da un’ invaginazione apicale. — Il pleroma inizia il suo sdoppiamento e presenta lungo 1’ asse un largo imbuto d’ invaginazione apicale. — Il comportamento di quest’apice non differisce da quello precedente. Le placche suberose peri- feriche sono qui abbastanza sviluppate. TAV. XII. — Cuffia e pleroma cominciano a sdoppiarsi. Il pleroma è percorso da due imbuti. — Cuffia molto sviluppata. Pleroma doppio. — Comportamento identico a quello precedente. Pleroma provvisto d’ imbuto. — In conseguenza della frattura dell’ endodermide si stabilisce la comunicazione fra la corteccia e l’interno del cilindro centrale, Cfr. anche la figura no. — ■ Sezione longitudinale della corteccia in corrispondenza di un’ anellatura. Lo strozzamento del parenchima e dei cordoni meccanici si fa risentire abbastanza profondamente nella corteccia. — Il pleroma scisso in due assi distinti è avvolto da un mantello unico di corteccia. ~ Pleroma con imbuto apicale. — Pleroma in divisione incipiente. — Pleroma diviso in due stele distinte e disuguali. TAV. XIIL C) Sezioni dell’ apice della radice e pleromi lineari. ;Fig. 103-104. — Radici lese artificialmente all’apice e che ora danno luogo alla formazione di nuove ra- dici laterali a struttura evidentemente polistelica. » 108-109. — Stadi di una stela che si allunga e distende in direzione del suo asse maggiore per stroz- zarsi in due.’ » 105-107. — Apici radicali artificialmente lesi in modi diversi. Alcuni si sdoppiarono all’apice, altri emi- sero radici laterali appena iniziata la rigenerazione parziale dei loro tessuti, (cfr. fig. io6). Le fig. 10$ e 107 rappresentano sezioni trasversali di questi apici lesi, le cui stele, in corrispondenza delle lesioni si sono in gran parte rigenerate, conformandosi a doccia e mandando dalla parte sana ra- dici laterali. La corteccia, sebbene rigenerata, non ha ricostituito ancora i cordoni meccanici (fig. 105) o presenta una lacuna tappezzata da periderma (fig. 107). » 110. — Comunicazione fra la corteccia e l’interno del cilindro centrale in conseguenza di una frattura dell’ endodermide (cfr. fig. 97). Al limite fra i due tessuti si incontra qualche cellula endodermica eterotopica, facilmente riconoscibili e per gli ispessimenti a V delle pareti. » 111. — Radici laterali in via di formazione presso l’apice di una radice stata artificialmente lesa nel pleroma. La radice neoformata appare ancora tipicamente polistelica dal lato rivolto verso la stela materna. Questa dal polo opposto a quello che ha dato origine alla radice sviluppa un imponente reticolo radicifero destinato a formare una nuova radice. Analoghe disposizioni si osservano nelle fig. 103-104. » 112. — • Dettagli relativi ai casi di rigenerazione e neoformazione sopra descritti. - V -^- rj%iTìt9 ‘ ■ '■ >’v>'''-'’ ■ I ‘"'’ V' P* . --j-V-j'- ■ • ' ’ ti J'.-i V v.< ^ C? •■ • - ■'.ri'-j <, • » ;,/■ -, ■ ■.v^''' ■•'^v' - ’^'T-vvvV': ' , a“\ ■,f}^^^\'.s^'> \ T.VA«n:'V\ W ‘ ,'• JV ■ . ' ; jà^ryy'iv^ ■?>- r - • ■ . , -'f f‘i . ■ - ,/.'■ . * ' ' * * * * r;.,;:V’j, .. . . ■•• ' '•' ■ «*■ '>.'5;:?*nVi'i .■ 'J '’t»' '?-' " ' ■ f‘iN . ' T.’ .' ' ■ ‘^ V- -^-if ; ;/ ?,<, 1 ■ -',. 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'...-‘■iv ' ;.'■ ti> ^!r>- ■''■ *’*•.’ i‘-j‘- '■.••' . ‘ ,y’X’'4Ìr ' •'■ ■ * ''•'pw • Cii ‘itniijTffi i.» KljfiìSitVr .''i : A‘’,'>.; :,' • ‘AP*t^V !- , '?» • .T n •-- ' •. U>M iihi'/'.:'- uy hi i ' :. ' . - . . & - r.fiì f-M y ?.. v.y ."X-JOI .Nijét - i^T- ;■•■ •i^;y ^ . 'V - ', "■■.l.iAi*: ,vi«;K v.iM;^fciiijf"--)'.y;?:'>' •.-•:jì>xX''’ '."A!>-.,ìs;oÌ-: ^ -i.- ^ evi -; ■ '- .y .7:. • • y . . y.v.. r;-y4y. ^ ' - vT <■ , .7", • . "-.v.i.itiiS •; /:;/ j-ìfc '4 ^ ■' '7' y.' ■■ ■■ ^ - f ■' ■y ,'. .7; 'ti Accad. Gioenia — Ser, V. - Voi. Ili Tav. I lORE phot. alfieri LACROIX, Milano. Accad. Oioenia — Ser. V. - Voi. Ili Tav. Il f f 9* * 20 'RE phot. ALFIERI & LACROI.V, .Milano. Accad. Gioenia — Ser. V. - Voi. Ili Tav. HI 3RE phot. ALFIERI & LACROIX, Milano, Accad. Gioenia — Ser. V. Voi. Ili Tav. IV RE phot. ALFIERI 8c LACROIX, .Milano. Accad. Giocnia — Ser. V. - Voi. III. Tav. V 'RE phot. ALFIERI & LACROIX, .Milano. Accad. Gioenia — Ser. V. - Voi. Ili Tav. VI RIORE phot. 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Osservazioni anatomiche 6 a) Apice radicale ..... .......... 6 b) Corteccia 7 c) Endodermide ............... S d) Cilindro centrale . . . . . . . . . . . . . » io 1. Periciclo » io 2. Fasci vascolari e mantello . . . . » it 3. Midollo .... ........... 1 1 e) Teoria della stela . . . . . . . . . . . . .. » 12 /) Ramificazione dei fasci vascolari (desmi) . ■ . » 20 Origine delle radici secondarie ed avventizie . . . . . . . . » 21 1. Radici inserite nei fasci del fusto . . . . . . . . . » 21 2. Inserzione delle radici secondarie su quelle primarie . . . . . » 23 Capitolo II » 25 Forma e struttura delle radici della Phoenix dactylifera . . . . . . . . » 25. I. Morfologia esterna ......... ...... 23 a) Tipi di radici ............... 25 h) Aspetto esterno delle radici . . . . . . . . . . » 2g II. Morfologia interna ............... 30 a) Struttura delle radici adulte, normali non dicotomiche o pneumatodiche . . » 30 b) Modificazioni strutturali che precedono la bi-tri-politomia delle radici . . . » 54 c) Modificazioni strutturali delle stele secondarie. » 45 d) La schizorrizia . .............. 45 e) Formazione delle radici secondarie laterali sulle primarie ...... 47 1. Struttura della radice secondaria in via formazione. . . ...» 48- 2. Rapporto tra la formazione della radice secondaria laterale e la struttura della ra- dice madre .............. 49 3. Rapporti tra la formazione della radice e la schizorrizia ...... 49 4. Rapporti di posizione tra la radice secondaria e la stela madre . . . » 50 5. Rapporti tra la formazione delle radici e la schizostelia . . . . . » 50 6. Rapporti delle radici secondarie col numero delle stele . . . . . » 5 ' 7. Direzione delle radici secondarie . . . . . . . . » 5 ’ /) L’apice vegetativo delle varie sorta di radici ......... 52 g) Innesto delle radici avventizie sul fusto . . . . . . . . » 56 102 L. Buscalioni e G. Lopriore [Memoria I.| Capitolo III pag. 57 Considerazioni generali ............... 58 I. Dicotomia delle radici . . ... » 58 II. Origine delle radici laterali trasversali e teoria dei Pangeni ....... 59 III. Formazione delle radici secondarie in rapporto con le tensioni . . . . . » 61 IV. Analogie di struttura tra le radici della Phoenix dactylifera e quelle fasciate . . . » 63 V. La polistelia del Cormack ............. 68 VI. Rapporti con le lesioni .............. 69 VII. L’apice vegetativo ... . ■ . . ........ 72 Vili. Il problema della stela . . . ... . . . . . . . » 73 IX. Rapporti filogenetici ............ • .» 75 X. Evoluzione del cilindro centrale . ...» 79 Conclusioni ...... 82 Letteratura dell’ argomento ............... 85 Spiegazione delle Tavole » 95 Memoria II Sopra i complessi di rette d’ ordine uno deii’ S4 Nota di G. Harietta. RELAZIONE DELLA Commissione di revisione composta dai Soci effettivi Proff. G. LAURICELLA E M. DE FRANCHIS {Relatore). Questo lavoro del Prof. Marletta contiene la determinazione dei complessi di pi im’ or- dine di rette dello spazio a quattro dimensioni, nel caso che sulla retta generica del com- plesso i tre fuochi non siano tutti distinti. Esso è dunque il complemento di un altro lavoro dello stesso Prof. Marletta pubblicato nei Rendiconti del Circolo Matematico (2“ volume di quest’ anno). Con questi due lavori, la classificazione dei complessi di prim’ ordine nell’ S4 si può dire completa. Per r importanza del risultato ottenuto e per 1’ elegante semplicità della trattazione , proponiamo che il lavoro venga inserito negli Atti dell’ Accademia. In una Memoria precedente (^) feci un primo studio dei complessi di rette d’ ordine uno dello spazio a quattro dimensioni, cioè dei sistemi algebrici 00® di raggi che occupano semplicemente un tale spazio, di modo che per ciascun punto generico di questo passi un sol raggio del sistema. Scopo della presente Nota è lo studio di quei complessi, d’ ordine uno, tali che sopra una retta qualunque di essi , i tre fochi non siano tutti distinti. Complessi siffatti sono quelli del tipo IV (^) ; ma qui voglio trattare di quei complessi che non siano generati dalle rette incidenti una superficie e una curva date. E sebbene la loro esistenza possa dedursi da quanto fu detto nella mia Memoria citata, nondimeno è necessario assegnarne la costruzione caso per caso. Nel § I studierò i complessi tali che sopra un loro raggio generico i tre fochi si riducano a due soltanto (distinti) , uno dei quali cioè sia da contare per due. Nel § II assegnerò i complessi tali che sopra un loro raggio qualunque, i tre fochi coincidano tutti e tre in un punto, il quale quindi è da considerare per tre fochi. Infine nel § III proporrò dei complessi d’ ordine uno, una classificazione, dividendo in sottotipi i cinque tipi dati (^). (1) Marletta, Sui complessi di rette del primo ordine dello spazio a quattro dimensioni [Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo, tomo XXVlll G909)]. la seguito indicheremo questo lavoro con Mar.... (2) Mar. cap. IV. (3) Mar. n® 5. Atti Acc., Serie V, Vol, III. Meni. II. I o G. Marletta [Memoria IL] § 1. 1. — L’ipotesi per la quale della superfìcie focale del complesso F (d’ ordine uno) faccia parte una curva, fu studiata in Mar. cap. IV. Supponiamo ora, primieramente, che la superfìcie focale cp di F sia irriducibile, onde essa sarà incontrata in due punti da ogni raggio di F. Di questi due punti uno sarà da considerare come due fochi. La superficie © è certamente una rigata cubica normale. Sia infatti p la rigata delle rette di F poste in uno spazio generico S, e indichiamone con 11 il grado e con k la multiplicità nella curva Scp. Osserviamo che sopra un raggio ge- nerico di F non esiste alcun foco fuori di cp, onde la rigata p è tale che un piano condotto per una generatrice generica g di essa, seca ulteriormente questa medesima lungo una curva d’ ordine ii—l dotata di due punti {k — 1) — pii nei due punti ^cp. Inoltre questa curva ha con g in comune soltanto il punto di contatto del piano considerato con p ; quindi avrem.o n — 1—2 {k — l)-fil, cioè ii=2k. Ne segue che per un punto qualunque P di o non passa alcun’ altra corda di Scp , onde questa è una cubica gobba, ovvero nell’ ipotesi contraria, ciascuna delle altre corde della curva S'f uscenti da P, incontrando p in 2k^l—n-fil punti, deve appartenere a questa rigata, la quale non potrebbe essere che una quadrica. Ma in tal caso se g^ è un’ altra retta generica di F (non posta in S) , sulla rigata quadrica p , delle rette di questo appartenenti allo spazio gg\ , dovrebbe giacere una determinata retta direttrice di p (^), la quale essendo incidente a g , incontrerebbe pure ^i. Onde tutte le rette del complesso si appoggerebbero a p , e ciò è assurdo. Dunque la superfìcie cp e necessariamente una rigata cubica normale , e le rette del complesso poste nel piano di una qualunque conica di essa, formano un fascio il cui centro appartiene a questa conica C^). Viceversa è chiaro che se mediante qualche procedimento geometrico , sopra ogni conica c generica di una rigata cubica normale cp, rimane individuato un punto P, le rette passanti per questo punto e poste nel piano di c , generano al variare della conica di cp un complesso d’ ordine uno , tale che sopra una sua retta qualunque , due dei tre fochi coincidono. Una conica e un punto come c e P saranno detti associati. 2. Per un punto qualunque P di cp, passino v coniche di questa a P associate ; dun- que le rette del complesso uscenti da P e aventi due fochi in questo punto, formano v fasci. Ma per P passeranno altre oo'^ rette di F, ciascuna delle quali ha i due fochi coin- cidenti posti in un punto distinto da P. Fissata una conica generica c di cp, le coniche di questa aventi in c i punti asso- ciati, son tali che per un punto qualunque P di cp ne passano v-|-l. E siccome, in gene- rale, r unica conica degenere di cp passante per P, ha il punto associato fuori della diret- trice rettilinea di cp, cosi concludiamo (p. es. pensando alla rappresentazione piana di que- sta superfìcie) che il luogo dei fochi doppi delle oo^ rette di F uscenti da P, è una curva d’ ordine 2(v-j-l) avente il punto P come v-plo. Ne segue che le rette di F aventi in P il foco semplice, formano un cono d’ ordine v-\-2. Concludendo possiamo dire che tutte le cx^’^ rette del complesso uscenti da P, forma- no un cono (riducibile) d’ ordine k=2v-\-2. (^) Perchè avrebbe con più di due punti comuni. (-) Ciò, del resto, d’ accordo con quanto si disse in Mar. n“ 39. Sopra i complessi di rette d’ ordine uno dell’ S, 3 L’ ipersLipertìde V-iz generata dalle rette di T incidenti un piano generico è secata dal piano w di una conica c di cp, in questa conica medesima contata k volte, e pell’uni- ca retta del complesso uscente dal punto ojx. Dunque indicando con n la classe di F , cioè il grado della rigata formata da tutte le rette di questo poste in uno spazio generico, possiamo concludere che Ftr è d’ ordine ii-]-l=2k^l ; e quindi è n=2k. Inoltre se to è il piano di una delle v coniche di

. — pia (onde per un suo punto passano |Jt delle c?o^ rette ad essa omologhe in T), il piano della conica avente la detta retta fondamentale per immagine , sarà per F un piano parassita di multiplicità li-\-[x = 2 ir. Tutto ciò d’ accordo col valore poco sopra trovato per m. Infatti si ha : (/ -L /; q- i) . 2 2 q- / . I 2 q- 2 (2 .1) 2 4 h -f Z) -f l) q- / -q 4 2 a 2 — = 5 t + 4 3- 4 + 4 (t* — = 4 1 ' -i- 5 ( -1- 4 = x. (i) Mar. n° 4. 4 G. Marletta [Memoria II. [ 4. — Supponiamo ora che la superficie focale del complesso F si spezzi in due su- perficie irriducibili (p e cpi ; tina di queste sarà certamente un piano. Sia, infatti, p la rigata delle rette di r poste in uno spazio generico ed n, k e k\ siano rispettivamente il grado di p e le multiplicità delle curve Scp e per questa rigata. Siccome in un raggio generico del complesso , non esiste alcun foco fuori di cp e cpi , un piano to di S condotto per una generatrice generica g di p, secherà ulteriormente questa in una curva d’ordine n — 1 coi puntile? e rispettivamente {k — 1) — pio e iki — 1) — pio. Inoltre la detta curva incontrerà g soltanto nel punto di contatto del piano co con p. Avremo dunque n — i — {li — i) + (/; j — I) -f I , cioè n = k -j- k^. Ne segue che per un punto qualunque P di o non passa alcun’ altra retta incidente le curve Sep e Sep^ , onde una di queste è certamente una retta , per quanto è noto circa le congruenze d’ordine uno ovvero, nell’ ipotesi contraria, ciascuna delle altre rette siffatte uscenti da P, incontrando p in k-\-k ^^-\-\=n punti, dovrebbe appartenere a questa rigata, la quale sarebbe quindi una quadrica. Ma in tal caso se gì è un’altra retta generi- ca di r (non posta in S), sulla rigata quadrica pi delle rette di questo appartenenti allo spazio gg^, dovrebbe giacere una determinata retta direttrice di p ; la quale incontrando g, dovrebbe pure incontrare ^i. Onde tutte le rette del complesso si appoggerebbero a p , e ciò è as- surdo. Concludiamo che una delle due curve Tep e Scpi è certamente una retta, e quindi una delle superficie cp e (pj è un piano (^). Se, p. es., tp è un piano, allora in uno spazio generico S passante per essa, le rette di r generano una congruenza d’ ordine t^no , avente o due linee singolari , una in cp e una in cpi , ovvero una sola linea singolare che sarà una retta , sulla quale ogni raggio della congruenza avrà i due fochi coincidenti. Questa retta dovrà appartenere a cp^ ; l’ ipo- tesi , poi , che sopra un raggio qualunque di F i tre fochi coincidano in un sol punto , verrà studiata nel § seguente. 5. — Consideriamo la prima ipotesi , e precisamente supponiamo che la congruenza- delie rette di F appartenenti allo spazio S , abbia due linee singolari distinte , delle quaù la rettilinea appartenga a cpi. Allora ogni spazio S passante per cp , seca epp in una (sola) retta, onde questa super- ficie sarà una rigata razionale. In cp avremo una curva d’ordine [jl con un punto (ir — 1) — pio posto su questa retta di cp^. Questa curva e la generatrice di cpi ora detta, saranno le direttrici della congruenza formata dalle rette di F poste in 2. Le curve di cp sifi'atte formeranno un inviluppo razionale n di classe e saranno in una certa corrispondenza (1,/) con le generatrici della rigata cpi. Se le curve di '( hanno il punto, (ir — 1) — pio costantemente in un certo punto 4/, al- lora cpj è un cono di vertice M con 7n^ — l generatrici nel piano cp, se mi è l’ordine di 91. Per un punto generico P di

■ (»h — I )] + !>• = P + V- "h • Una ipersuperficie V% è d’ordine 11 -\- \ =J l ^ \i.m ì , e siccome è secata da uno spazio passante per \ in una rigata di grado ]a -1- 1 , conterrà questo piano con la multiplicità k = jl^\i.nii — [x. La multiplicità di cpi per Fx è [x. Inoltre, se è un piano generico , per il punto passano j curve di 7 a ciascuna delle quali corrispondono / generatrici di 91 ; si hanno così jl spazi passanti per 9, i quali secano <\> in jl rette uscenti dal punto e che incontrano in [x punti (e non in [x-|-l punti) la curva = Fr:. Lo spazio S, poi, determinato da

si hanno tin — 1 rette uscenti dal punto le quali non dipendono da x, e incontrano la curva v in un sol punto fuori di 9. Dunque riferendo il sommatorio x a tutti i piani parassiti distinti da 9, si ha ; x — (jl + u. m ri *= — [(;■ / + u. wq — Jl) 2 + / / -1- u 2 {m ^ — i)] — ni i = j 1 (2 — i). 6. — Se una curva dell’ inviluppo 7 è dotata di punto doppio, la sua componente ret- tilinea individua con ciascuna delle l generatrici a detta curva corrispondenti , un piano parassita (semplice) per il complesso F. Viceversa è chiaro che ogni piano siffatto è costruibile come ora si è detto. Ma l’inviluppo 7 possiede _;Y2 (x— 1) curve dotate di punto doppio, quindi possiamo concludere che il complesso F possiede 7/ (2 [x — 1) piani parassiti (semplici); d’ accordo col valore di x trovato in fine del n° precedente. 7. — Se il punto (]x — ■ 1) — pio delle curve di 7 è variabile, la curva razionale C da esso descritta sarà direttrice della rigata 9^ , e quindi la multiplicità di essa per questa superficie sarà eguale ad /. Inoltre , indicando con § il numero delle curve di 7 dotate di punto doppio, e quindi contenenti una retta, è chiaro che si hanno 5/ piani parassiti sem- plici per il complesso F, ciascuno determinato dalla componente rettilinea di una delle 9 curve ora dette, e da una delle / generatrici di 91 corrispondenti a questa curva. E anche manifesto che se 91 ha S' generatrici nel piano 9, questo si può considerare come B' piani parassiti ;x — pii. 8. — Se poi è |x = 2, pur essendo variabile il punto comune ad una curva di 7 e alle / generatrici corrispondenti di 91, l’inviluppo 7 sarà un fascio di coniche, le quali sono in corrispondenza (1, l) con le generatrici di essendo omologhe una conica e una ge- neratrice ogni qual volta siano incidenti. Ne segue che sarà 1= pi^ , indicando con li il numero delle intersezioni variabili della direttrice che 9j ha in 9, con una conica generica di 7, e con Y la multiplicità di questa direttrice medesima per la rigata 91. .Se, p. es., 91 non ha alcuna generatrice in 9, onde è nn = dh F dicendo d l’or- dine della direttrice di 91 posta in 9, e se inoltre è l\-=2d, il complesso F sarà di classe 6 G. Mari atta [Memoria IL] n = ?) dh-\~2. Infatti la rigata delle rette di F poste in uno spazio generico A, ha la retta Affi come direttrice ^dh — pla^ con dh generatrici coincidenti tutte con questa retta me- desima, e inoltre è secata da un piano qualunque di A, passante per A.m.^ — generatrici, corrispon- dono ì rette di (M, et). (®) Circa il numero delle curve di un sistema algebrico irriducibile 00 * dotate di punto doppio, sistema esistente sopra una superficie qualunque, vedi un teorema di Severi dimostrato da R. Torelli nella Nota : « Sui sistemi algebrici di curve appartenenti ad una superficie algebrica ». Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino, voi. XLII (1906). Nel nostro caso, volendo, potevamo servirci soltanto della rappresentazione piana di «Pi. Atti Acc., Serie V, Vol, III. Mem. II. 2 10 G. Marletta [Memoria IL] j[{2'^ — mi — a)-)-j]my(2v — mi) curve ciascuna dotata di punto doppio, e quindi avente come componente una generatrice di cpi. Or siccome a ciascuna di queste curve corrispon- dono / punti di r, cosi avremo — m^={2'<> — mi)/^ piani parassiti semplici per il com- plesso r. Questo, inoltre, ne ammette altri m\--ì jl — pii, i quali sono precisamente gli — 1 piani individuati da r e dalle — 1 generatrici di 91 ad essa incidenti. Concludendo avremo di nuovo; .V = (2V — L + (Wj — I) § II. 17. — Sia ora F un complesso d’ordine uno, tale che su ogni suo. raggio esista un punto il quale sia da contare per tre fochi. Distingueremo due casi, secondo che il luogo di siffatti punti sia una curva ovvero una superficie. 18. — Il luogo dei fochi sia una curva /. Allora per ogni punto di questa passano oo^ rette di F ; si hanno così oo^ coni (a tre dimensioni) formanti un fascio, giacché per un punto generico P dell’ S., passa quell’ unico cono che contiene 1’ unica retta del complesso uscente da P. Se d/ è un punto qualunque della superficie P base del detto fascio di coni, saranno rette del complesso tutte le generatrici del cono che da M proietta la curva /; e ciascuna di queste siccome oltre del foco triplo posto in f, contiene il foco M, sarà luogo di fochi. Si ottengono quindi al variare di M sulla superficie P, oc^ rette ciascuna luogo di fochi; e af- finchè queste si riducano ad oc^, devono esser tali che ognuna di esse sia contata 00^ volte, e quindi appartenga a p. Ne segue che questa superficie sarà composta di un certo numero di piani ai quali apparterà la curva /. In altri termini possiamo concludere, che la curva f è uua curva piana (^°). 19. — Sia f una retta; allora le rette di F poste in uno spazio qualunque passante per essa, formano in questo una congruenza avente / per unica linea singolare. Dunque fissato un punto arbitrario P di /, in ogni spazio condotto per questa esisterà un certo numero / di piani passanti per f medesima, e su ciascuno dei quali le rette del comples- so formeranno un fascio di centro P. Questi l piani generano, al variare di S un cono a tre dimensioni al vertice / ed’ ordine /. Facendo ora variare P su / si ottiene un fascio di coni, tutti aventi la retta / per vertice, i quali sono in corrispondenza biunivoca coi punti di questa retta medesima. Viceversa è evidente che dato un siffatto fascio di coni, tutte le rette che apparten- gono simultaneamente ad un punto di / e al cono ad esso corrispondente , generano un complesso F d’ ordine uno, tale che su ogni raggio di questo i tre fochi coincidono in un punto di /. Uno spazio generico seca la retta f in un punto, e il cono omologo di questo, in un cono (a due dimensioni) d’ ordine l. Dunque la classe di F è uguale ad l. I piani parassiti ddl complesso appartengono alla base del fascio di coni , e precisa- mente se un piano base è i — pio per il fascio, sarà parassità i — pio per r. Ciò ci’ accordo con quanto si disse in Mar. cap. IV. Sopra i complessi di rette d’ ordine uno dell' 20. — Sia f una curva d’ ordine posta in un piano ir (“). Allora in ogni spazio passante per tt, le rette del complesso T formeranno una congruenza d’ ordine uno, tale che su ogni raggio i due fochi coincidono ; dunque questa congruenza sarà una stella col centro in f, visto che f per ipotesi non è una retta. Ne segue che fra i punti di questa curva e gli spazi passanti per ti, esiste una corrispondenza (/, /) ; onde / è razionale. Viceversa è chiaro che dando una siffatta corrispondenza, le rette che simultaneamen- te appartengono ad un punto di f e ad uno degli / spazi a questo corrispondenti , gene- rano un complesso d’ ordine uno , tale che su ogni suo raggio i tre fochi coincidono in un punto della curva f. Le rette di F uscenti da un punto generico di /, formano / stelle (ordinarie); dunque se P è uno dei [j. punti in cui uno spazio generico seca la curva/, in questo spaziò avre- mo l fasci di raggi di F tutti col centro in P. Ne segue che il complesso è di classe n = fi/. Una retta r di t: incontra f in |jl punti ; a ciascuno di questi corrispondono l spazi passanti per in ognuno dei quali r è raggio della congruenza (stellare) che le rette di F ivi formano. Dunque r è da contare ji/ volte come retta del complesso ; cioè tì è da ri- tenere come piano parassita \il — pio. Che, poi. non esistono piani parassiti diversi da Tt, è evidente. 21. — Supponiamo ora che il luogo dei fochi (tripli) dei raggi di F, sia una superficie (p. Questa deve essere necessariamente un piano. Osserviamo, infatti, che sopra un raggio generico di P non esiste alcun foco fuori di (p, onde indicando al solito con n il grado della rigata p delle rette del complesso poste in uno spazio qualunque II, e con k la multiplicità di questa nella curva H'p, p è tale che un piano condotto per una generatrice generica g di essa, la seca ulteriormente in una curva d’ ordine n — 1 dotata di un punto (^— /) — pio nel punto ^cp ; dunque sarà: [k — l)-\-l=n — 1, cioè k — n — 1. Ne segue, primieramente^ che la curva Hcp è certamente piana. Infatti se fosse gobba, le corde di essa uscenti da un punto qualunque di apparterrebbero a p, la quale dovrebbe essere una quadrica, e ciò si esclude con un ragionamento analogo a quelli fatti nei n.‘ 1 e 4. Dunque 'f è una superficie dello spazio ordinario ; anzi è precisamente un piano, perchè nell’ ipotesi contraria, sopra ogni raggio di P posto nello spazio di cp, esi- sterebbe almeno un punto diverso del foco triplo, e foco anch’ esso, e ciò è assurdo. 21. — Sia 's un piano, e P un complesso d’ordine uno., tale che su ogni suo raggio i tre fochi vengano a coincidere in un punto di esso. In uno spazio genericamente condotto per cp, le rette di P non potendo formare una stella (perchè in tal caso il luogo del foco triplo di una retta generica di P sarebbe una- curva di cp), formeranno una congruenza dotata di una retta come unica linea singolare. Dunque in cp abbiamo un inviluppo (razionale) \ di classe /, le cui rette sono in corrispon-j denza (/, 1) cogli spazi 4C passanti per f. Inoltre osserviamo che le rette di P poste in uno spazio le quali quindi si appoggiano alla retta 5 di y omologa di queste, son tal che quelle uscenti da uno stesso punto (di 5), formano un certo numero /i di fasci in pià- ! (*T) Le considerazioni che seguono valgono pure per [>.—1, e - tale che oltre 'di passare per /, in uno spazio generico passante per esso, le rette di P formino una stella col centro in f. È facile però vedere, che il complesso cosi ottenuto non differisce d^ quello del n. 19,. supponendo che il cono d’ordine / corrispon- dente ad un punto ^nerico di f, degeneri negli 1 spazi di un gruppo di una assegnata nel fascio (~), ,e COI ‘suoi gruppi in corrispondenza biunivoca coi "punti di /. ' ' 12 G. Marletta [Memoria IL] ni passanti per la 5 naedesima. In ogni spazio S esisterà, ancora, un fascio di rette di T, avente per sostegno il piano co. Se al variare di S il centro di questo fascio descrive una curva (razionale) co d’ ordine s, ogni retta del piano 9 è da contare 5’ volte come raggio del complesso. Da quanto abbiamo detto in questo n., deduciamo che le rette di P uscenti da un punto generico P di 9, formano jlh -\-\s fasci, e dei quali coincidenti col fascio (P, 9). 23. — Le rette del complesso incidenti una retta generica r di 9, formano una iper- superfìcie p, la quale è secata da uno spazio genericamente condotto per r, in una rigata avente r per direttrice (y//j — pia, e tale che un piano generico a per r la seca an- cora lungo h generatrici tutte uscenti dal punto comune ad r e alla retta di p omologa dello spazio 90. Dunque p è d’ordine indicando al solito con n la classe di r . Per avere la multiplicità di 9 per p, basta calcolare il numero dei punti, fuori di 9, comuni a p e ad una retta generica 5 incidente 9. Osserviamo che nello spazio ,59 ab- biamo una congruenza della quale la retta (unica) direttrice seca r in un punto, e le rette di r uscenti da questo e poste nello spazio 59, formano fasci per ciascuno dei quali esisterà un raggio incidente 5. Onde la multiplicità di 9 per p è n — /j = jll^ -f- b. 24. — L’ ipersuperficie Vr. delle rette del complesso incidenti un piano generico è d’ordine n l=jll s h-\- 1^ e la sua multiplicità in 9 è y/Zi-f-a’, visto che uno spazio 2 passante per questo piano seca Vt. in una rigata d’ordine /i-j-1. Inoltre è da osser- vare che 2 seca ulteriormente due ipersuperficie Vr. e Ftì', in due rigate d’ ordine h + /, aventi per direttrice /i— -pia la retta di y omologa di 2, e in ogni punto di questa retta i medesimi h piani tangenti. Ne segue che il piano 9 si stacca dall’intersezione delle Vz. e Vz' non soltanto (j'/h-j-By volte, ma ancora oltre ;7 (/,^-f~^i^ volte. Concludendo si ha ; X — (/7/j -+ :( -fi /j)- — — y + ^1) — h~ + 25. — Da quanto si è detto deduciamo che se 9' è un piano generico, e diciamo omo- loghi un punto di 9 e un punto di 9' ogni qual volta stiano sopra una stessa retta di r (generalamente non posta in 9), si ottiene fra i punti di 9 e quelli di 9' una corrisponden- za '1, che chiameremo T. I punti di 9' omologhi di un punto generico di 9, sono distribuiti in jl gruppi di punti, ciascun gruppo giacendo in una retta uscente dal punto M= 99'. Ad una retta generica di 9 corrisponde in 9' una curva d’ordine n=jll^^B^l^ avente il punto M come (y7/j s) — pio. A questo, poi, corrisponde in 9 la curva «) (n. 22), e le j rette di i[ uscenti da esso, tutte contante ll^ volte. Ne segue che ad una retta s di 9, uscente da corrisponde in 9 la curva fondamentale d’ordine B corrispondente a questo punto, e una curva d’ ordine 7^, la quale non è altro che la 5 deU’inviluppo y, omo- loga dello spazio 2=59', contata 7, volte. Inoltre osserviamo che se r è una delle j rette di Y uscenti da M, e r una delle 7 rette corrispondenti in 9' (cioè la traccia in questo piano di uno degli 7 spazi omologhi di r), allora r è una retta fondamentale di 9', e pre- cisamente esìste su r un punto infinitamente vicino ad Af, e fondamentale 7j — pio per la trasformazione T. Infine, se è un punto fondamentale di 9', per esso passano infinite rette del com- plesso, onde esso è un foco, e luoghi di fochi ognuna di queste infinite rette. Ne segue Sopra i complessi di rette d’ ordine imo dell’ S, 13 che F appartiene ad un piano parassita ; avremo quindi ; ( in, + ^ ^ hP - ( dh + - ji ìd -x= jii„ eguaglianza che non differisce da quella trovata alla fine del n®. precedente. 26. — Sia cp" un piano incidente secondo una retta un piano t parassita i — pio per il complesso r . Allora la trasformazione che può stabilirsi fra i punti di cp e cp", con proce- dimento analogo a quello tenuto nel numero precedente per J, sarà d’ordine n ~-i=-jip-\- -\-3-\-h — i, col punto iV=cpcp" fondamentale (jlh-\-s — /)— pio, e avente inoltre (7 — 1)1 punti fondamentali h — pii 'infinitamente vicini ad N (dovuti alle j — 1 rette di y passati per N e diverse dalla retta cpx) ; altri l — 1 punti fondamentali /i--pli sulle tracce in cp" degli altret- tanti spazi passanti per cp e corrispondenti alla retta cpt ; e infine un punto fondamentale- (/j — i) — pio su questa retta medesima. Ne segue che la somma dei quadrati delle multi plicità degli altri punti fondamentali, cioè delle tracce in cp" dei piani parassiti diversi da t, è ( idi + — — { jdi + i — — u — i) dy- — {1— 0- iy- — - (h - i)- - jdy = ip + jdp -f 2lli - - jìli . Questo numero aumentato di i (quadrato della multiplicità del piano parassita z) dovrà essere eguale ad x ; ed effettivamente è cosi. 27. — Viceversa, se fra i punti di due piani generici 9 e 9'^ è data una corrispon- denza T come quella del n. 25 (o del n. 26, il che è lo stesso), rimane individuato un complesso r d’ ordine uno, tale che su ogni suo raggio i tre fochi coincidono tutti in un punto di 9. Infatti uno spazio S condotto per questo piano, seca 9' in una retta 5' uscente dal punto M=y-^' , alla quale corrisponde in 9 la curva omologa di M insieme con una retta 5 deir inviluppo p, avente i suoi punti in corrispondenza (/, /Q coi punti di s' . Ne segue che nello spazio S si ha una congruenza d’ ordine tino generata da tutti i raggi che ap- partengono simultaneamente ad un punto P di s, e al piano che da 5 proietta uno qua- lunque degli h punti (di s) omologhi di P. Evidentemente al variare di S si ottiene un complesso F come si voleva. 28. — Sia, p. es. , j—l=zp=ip e — /, con p>l. Allora la trasformazione T fra 9 e 9' è d'ordine v-(-/. Il complesso P è dotato (n. 24) di x=2v— / piani parassiti semplici. Se in particolare un piano 9" seca secondo una retta uno t di questi piani parassiti, allora si ottiene (n. 26) fra i piani 9 e 9" una trasformazione T di De Jonquières d’ordine v col punto /F=r;99" fondamentale (v — 1) — pio, e tale che gli altri 5v — 2 punti fonda- mentali di 9" son dovuti ai rimanenti piani parassiti (diversi da t). Viceversa, data fra i punti di due piani generici 9 e 9", una trasformazione T di De Jonquières d’ordine v, col punto N=99" come fondamentale (v— /) — pio di 9", rimane individuato un complesso d’ ordine uno, tale che in ogni suo raggio i tre fochi coincidono in un punto di 9. Infatti uno spazio generico S passante per 9, seca 9" lungo una retta 5" uscente da N, alla quale corrisponde in 9 la curva fondamentale d’ordine v— /, e una retta 5 passante per il punto fondamentale (v — 1) — pio. Le rette 5 e s” hanno i punti ri- feriti biunivocamente in virtù della trasformazione T' . Le rette che simultaneamente appar- tengono ad un punto P di 5, e al piano che da 5 proietta il punto omologo di P, gene- rano al variare di P su 5, una congruenza lineare avente questa retta medesima per uni- ca linea singolare. Variando S intorno a 9, si ottiene il complesso che si voleva. 14 G. Marletta [Memoria IL] I — 1 piani parassiti (semplici) di questo complesso , sono i 2v — 2 piani che dai punti fondamentali (semplici) di cp" proiettano le rette di ad essi corrispondenti, e il pia- no individuato dalla congiungente N col punto fondamentale (v — 1) — pio di cp, e dalla retta di cp" a questa corrispondente. § in. 29. — Ecco una classificazione dei complessi d’ ordine uno dello spazio a quattro di- mensioni ; Tipo I. — Il complesso F si compone delle rette che incontrano in tre punti , gene- ralmente distinti, una medesima superficie irriducibile immersa nell’ S^. Tipo II. Sottotipo 1. — Il complesso F è costituito dalle rette incidenti un piano cp^, e che si appoggiano due volte ad una superficie cp secata in cubiche gobbe dagli spazi passanti per questo. Sottotipo 2. — Il complesso F è generato dalle rette incidenti un piano cp^ , e che si appoggiano due volte ad una superficie cp secata in coppie di rette sghembe dagli spa- zi passanti per questo. Sottotipo 3. — Il complesso F si compone delle corde di. una rigata cubica normale cp, incidenti una superficie cp4 d’ordine m\.T> 1 , tale che degli m, punti comuni ad essa e al piano di una conica qualunque di cp, ///^ — / giacciano nella curva cpcp^ Sottotipo 4. — Sopra una conica generica di una rigata cubica normale , esiste un punto ben determinato. Le rette che appartengono simultaneamente a questo punto e al piano della conica, generano al variare di questa il complesso F. Tipo ih. Sottotipo 1. — Il complesso F è generato dalle rette incidenti un piano cp2 e due superficie cp e cpi. Queste son tali che uno spazio generico condotto per cp2 seca ùlteriormente cp in una curva d’ un certo ordine v, e cpj in una retta (v — 1) — secante questa curva. Sottotipo 2^. — Dati un piano cp e una rigata cpi secata ulteriormente in una sola generatrice dagli spazi H passanti per cp, esiste in questo piano un inviluppo di curve d’ un certo ordine jj. ciascuna dotata di un punto (|a — 1) — pio. Fra queste curve e le generatrici di cpi esiste una corrispondenza (/ , /) tale che le / generatrici omologhe di una curva di 7, passano tutte per il punto ([J. — 1) — pio di questa. Le rette che si appoggiano simultaneamente ad una generatrice di cp^ e alla curva corrispondente, generano il complesso F . Sottotipo 3. — Una superficie cp^ è secata ulteriormente in curve di un certo ordine V dagli spazi passanti per un piano 9, nel quale ciascuna di queste curve ha una retta (v — ■ 1) — secante. Le rette che si appoggiano simultaneamente ad una di queste curve e alla relativa (v — 1) — secante, generano al variare della curva il complesso F. Sottotipo 4. — Data una rigata 91 secata in una sola generatrice (variabile) dagli spazi passanti per un piano 9, esiste in 9^ un inviluppo razionale 7 di curve unisecanti le generatrici di questa, e in corrispondenza (7, l) coi punti di una retta generica r di 9. Uno spazio L passante per 9, seca 9j in una generatrice g; per un punto qualunque Q di questa passano curve di 7, a ciascuna delle quali corrispondono / punti di r. Le rette di S che appartengono simultaneamente a Q e ai piani che da g proiettano questi punti di r, generano al variare di Q e di S il complesso r. Sottotipo 5. — Dato in un piano 9 un inviluppo 7 dirette, in corrispondenza (/, l) con Sopra i complessi di rette d' ordine uno dell' S4 15 gli spazi S passanti per f, in ciascuno di questi rimane determinata (n. 25 e 27) una con- gruenza d’ ordine uno avente per unica linea singolare la retta omologa di 7. Al variare di S si ottiene il complesso r. Tipo iv. Sottotipo 1. — Il complesso F è generato dalle rette incidenti una superficie cp e una retta r— pia (con r 2> o) di questa, tale che ogni piano passante per essa, sechi ulteriormente la superficie in un sol punto. Sottotipo 2. — Il complesso r è generato dalle rette incidenti una rigata (razionale) cp, e una conica di questa ; 'f, inoltre, è tale che ogni spazio passante per questa conica, la seca ulteriormente in una (sola) generatrice. Sottotipo 3. — Il complesso r è generato dalle rette incidenti un piano e una curva secata in un sol punto variabile dagli spazi passanti per questo. Sottotipo 4. --Il complesso F è generato dalle rette incidenti una curva d’ un certo ordine ij-2>1 con un punto ([j. — 1) — pio, e un cono avente il vertice in questo punto, e tale che ogni spazio passante per la curva lo sechi ulteriormente in una sola generatrice. Sottotipo 5. — Dato un fascio di coni aventi una stessa retta f per vertice, e stabilita una corrispondenza biunivoca fra questi e i punti della retta, tutti i raggi che appartengo- no simultaneamente ad un punto di / e al cono corrispondente, generano il complesso P. Sottotipo 6. — Sia / una curva piana razionale d’ordine [i.> 1, i cui punti siano in corrispondenza {l—l) cogli spazi passanti per il piano di /. Le rette che appartengono si- multaneamente ad un punto di / e ad uno degli spazi a questo corrispondenti, generano il complesso T. Tipo v. — Il complesso r è una stella di raggi. Catania, settembre 1909. Memoria IH. L. BDSCALIONl e P. VIHASSA de RE^NY , Le pellicole di collodio nello studio dei fossili e dei minerali (Con una tavola) Nel 1901 uno di noi pubblicava, in collaborazione col D.r Gino Ppllacci assistente al- r Istituto Botanico dell’ Università di Pavia, due note (1) dirette ad illustrare la larga ap- plicazione che si può fare del collodio nell’ istologia e tisiologia vegetale. Se si spalma, infatti, un po’ di collodio sopra una foglia e lasciatolo di poi essiccare si asporta la sottile pellicola che ne risulta, per sottoporla all’ esame microscopico, rilevasi che tutti i più minuti particolari della superfìcie fogliare riescono nettamente riprodotti nella pellicola. Si ha così una nitida impronta dell’ epidermide fogliare, in cui non solo i contorni delle cellule ordinarie e gli stomi spiccano evidentissimi, ma sibbene ancora le ac- cidentalità più esigue reperibili alla superfìcie delle singole cellule, quali le striature, le gra- nulazioni e le altre particolarità della cuticola. Se poi alla superfìcie della foglia aderiscono corpi stranieri, come ad esempio bacteri, funghi, alghe, pulviscolo e via dicendo anche questi lasciano una impronta, quando non vengono addirittura inglobati nella pellicola. Data una tale proprietà delle pellicole di collodio ben si comprende come questa so- stanza si presti anche allo studio degli organi vegetali dotati di movimenti, quali, ad esem- pio, i cuscinetti motori. Ed invero 1’ applicazione del collodio sull’ organo in distenzione o viceversa in contrazione ci fornisce non pochi ragguagli sulla parte che prendono al mo- vimento le cellule epidermiche. Ma vi ha di più ; avendo il collodio anche la proprietà di dare delle emulsioni a gra- nuli tìnissimi quando venga a contatto col vapor acqueo — proprietà che spesso richiede il rinnovamento del liquido quando questo è stato un po’ a lungo esposto all’ aria — esso permette anche di seguire il processo della traspirazione nelle piante. Basta invero spal- mare, come al solito, col collodio una foglia od altra parte del vegetale in attiva traspira- zione per constatare di poi al microscopio che gli stomi (se si tratta di foglie o di altri organ-i forniti di questi elementi) o le cellule traspiranti sono più o meno velate da una nubecola di finissime granulazioni, la cui origine va appunto ricercata nello emulsionamento del collodio là dov^e esce il vapor acqueo dalla pianta. In siffatta guisa venne messa in evidenza, oltre alla traspirazione stomatica, anche una traspirazione cuticolare. Sotto questo (i) Luigi Buscalioni e Gino Pollacci. — V appUca\ione delie pellicole di Collodio allo studio di alcuni processi fisiologici nelle piante ed in particolar modo della traspiraxione. iD. — Ulteriori ricerche sull’ applicaxione delle pellicole di Collodio allo studio di alcuni processi fisiologici delle piante ed in particolar modo della traspirazione. — Atti dell’ Ist. Bot. di Pavia 1901. Atti Acc., Serie V, Vol. 111. Mean. III. I ') L. Buscalioni e F. Vinassa de Regny [Memoria III.| punto di vista il metodo delle pellicole è indubbiamente superiore a quelli oggigiorno più in voga (metodo di Darwin, di Stahl etc.) che ci danno unicamente dei ragguagli grosso- lani sulla sede del fenomeno. Nelle note sopra ricordate gli Autori si erano unicamente occupati di applicare il em- todo delle pellicole allo studio dei vegetali viventi. Però nell’ ultima pagina della 2^ pubbli- cazione essi segnalavano che il medesimo avrebbe potuto trovare impiego in ricerche di altra indole ed in altri campi di studio. Notavano infatti che il Berry Haycraft (1) aveva fin dal 1891 utilizzato il Collodio per lo studio della fine struttura dei muscoli, delle ossa, dei denti e via dicendo. È duopo tuttavia notare che il metodo adottato da questo autore era quanto mai imperfetto e rudi- mentale, poiché le impronte venivano ottenute premendo V oggetto contro uno strato di collodio più o meno completamente secco. L' impronta che ne derivava era quindi poco durevole, fugace, tanto che non poteva più essere fotografata dopo pochi minuti. Lo studioso che desiderava riprodurla sulla lastra fotografica era perciò obbligato a ricorrere a manipolazioni affrettate ed all'impiego di luci fortissime e fortemente attiniche. Col metodo Buscalioni e Pollacci invece le impronte, anche dopo parecchi anni, conservano la primitiva nitidezza. Del resto è ovvio che l’Haycraft nello studio dei muscoli non potesse ricorrere ad altro mezzo, pel fatto che il Collodio liquido si emulsiona a contatto delle fibre muscolari im- pregnate di acqua, e può dar quindi ottimi risultati soltanto nello studio delle ossa e dei denti. Dopo la comparsa della nota negli atti dell’ Istituto di Pavia il metodo del Collodio liquido ha trovato un’ estesa applicazione nella Scienza (2). Già nella recensione del lavoro, comparsa nella Botanische Zeitung del 1902, veniva segnalata, incidentalmente , 1’ appli- cazione del processo a studi svariatissimi, fra cui quelli attinenti alla paleontologia. Nel 1907 il Prof. Nathorst, su proposta del Prof. Lagerheim, applicava il processo allo studio dei fossili vegetali ottenendo dei risultati quanto mai dimostrativi, come lo attestano le fotogra- fie che accompagnano la pubblicazione sull’ argomento (3). Analoghe applicazioni vennero di poi fatte in Francia, in Germania ed altrove, prestandosi il metodo in modo particolare per le ricerche sui legni fossili che rivelano, anche nei più minuti particolari la struttura dei fàsci vascolari, dei raggi midollari del parenchima fondamentale e via dicendo. Risul- tati meno soddisfacenti si ottengono dalle impronte di foglie, forse pel fatto che le stesse sono spesso dovute a semplici alterazioni chimiche della massa inglobante nel punto in cui viene a contatto della foglia, od a speciale pigmentazione della roccia. Recentemente uno di noi (Buscalioni) tentò di applicare il metodo allo studio dell’inter- na struttura delle piante vive, con particolare riguardo ai tessuti conduttori dell’ acqua. Le ricerche fatte, per quanto poco numerose, hanno- svelato dei fatti nuovi che saranno quanto prima oggetto di una nota. Gosì pure lo stesso autore ha intrapreso lo studio della voce umana e della parola valendosi della micro fotografia di pellicole state applicate ai dischi fotografici; per questo studio sono ora in corso delle pratiche colla rinomata Ditta Edison di Berlino. (1) On thè minute structure of stripeal musch -with special reference to a nevv method of investigation by means of impressions staraped in Collodium. Proc. R. Soc. London 1891 XLIX pag. 287. (2) Noi omettiamo qui di parlare delle applicazioni, già abbastanza antiquate, del collodio nella fotoin- cisione poiché nulla hanno a vedere col processo di cui stiamo trattando. (3) Ueber die Anwendung von Collodiumabdrùcke in d. Untersuchungen d. Pflanzen. Archiv. fur Botanik. 4. Id. Kollodiumafdryck sàjom hjalpmedel vid undersoking of fossilàxter, Geol. Fòren. Fòrhand. XXIX. Le pellicole di collodio nello studio dei fossili e dei tninercdi 3 Finalmente il metodo ha esorbitato dal campo delle Scienze naturali p. d. per entrare in quello dell’ astro-fìsica e della fìsica. Il Robert James Wallace pubblicava infatti nell’ Astrophysical Journal dell’Università di Chicago (Settembre 1905) una nota, corredata di una tavola , allo scopo di dimostrare che i co.stosissimi reticoli spettrali metallici, quali vengono oggigiorno applicati allo studio della spettroscopia celeste, possono essere utilmente e vantaggiosamente sostituiti con un reticolo impresso sul collodio, il quale verrebbe ottenuto, come impronta, col solito metodo delle pellicole. È duopo tuttavia notare che, poco prima, 11 Thorp aveva ideato un analogo apparec- chio che però non era riuscito di pratica utilità a causa delle bolle d’ aria che inquinavano la pellicola (1). Risulta da questi brevi cenni che il metodo delle pellicole di Collodio va ogni giorno più estendendosi , di guisa che è lecito arguirne che altre applicazioni non tarderanno ad essere scoperte. Premesse queste considerazioni noi facciamo notare che il metodo sarebbe certamente applicabile in svariatissimi altri campi scientifici e pratici, come ad esempio nel campo della zoologia ed anatomia comparata per lo studio dei dermascheletri, dell’occhio e delle ali degli in.setti e dell’intima costituzione delle ossa e dei denti e via dicendo; in quello della medicina legale e della polizia per lo studio e la conservazione delle impronte, per le ricerche sullo sperma, ecc. F'uori del campo scientifico accenniamo unicamente alla possibilità di riprodurre col medesimo i reticolati necessarii per l’ industria fotozincografìca oggidì tanto costosi. * * * ■Scopo di questa nota è il dimostrare di quanta utilità possa il metodo essere nello studio del fossili, nei quali esso può far risaltare particolari che non sarebbero in nessun altro modo visibili. È strano che sino ad oggi, salvo le ricerche del Nathorst sulle piante fossili^ nessuno si sia occupato di una più estesa applicazione del metodo. E pure il Nathorst stesso ac- cennava alla sua utilità, ed il Bather (2) riferendo nel Geological Magazine del 1907 sul lavoro del Nathorst non solo accennava alle sue applicazioni sopra fossili diversi dalle piante, ma anche assicurava di avere intenzione di servirsene ampiamente pei suoi studi. Pure sino ad oggi il metodo Buscalioni e Poiacci non venne applicato ampiamente allo studio dei fossili animali; crediamo quindi di essere i primi a dimostrare non solo la sua appli- cabilità in svariatissimi casi , ma anche la sua indiscutibile utilità per lo studio di ogni ordine di organismi fossili, sia per dedurne i caratteri generali macroscopici, sia per cono- scerne anche 1’ intima struttura. E poiché era iniziata questa serie di ricerche non volemmo tralasciare anche 1’ appli- cazione del metodo agli studi mineralogici. (1) Anche f Isarn aveva cercato di produrre dei reticoli poco costosi valendosi tuttavia delle impronte sulla gelatina (V. C. R. de l’Accad. Paris 1903). (2) Bather F. A. — Nathorst’ s use of Collodion Imprints in thè study of thè Fossil Plants. Geological Magaline V, 4 n. 520 — October iqoy. In questa nota si cita il metodo di Nathorst e per incidenza si ag- giunge che anche dei botanici (Buscalioni e Pollacciì si sono serviti delle pellicole pei loro studi. Ora è vero precisamente l’ opposto : che cioè il metodo é stato proposto da Buscalioni e Poiacci e che anche Nathorst se ne è servito pei suoi studi. 4 [Memoria III.] L. Buscalioni e P. Vinassa de Regny Per le nostre ricerche ci siamo valsi di una soluzione sciropposa di celloidina in etere e cloroformio a parti uguali, adoprandola talvolta pura tal’ altra mista ad un poco di olio. Ciò per ottenere in certi casi il distacco più facile della pellicola ed il minore raggrinza- mento della stessa. Quando non si vogliano fare osservazioni troppo minute e basti avere i caratteri più salienti, quali possono scorgersi a piccoli ingrandimenti, consigliamo sempre l’uso del collodio all’olio. Quando invece debbano rendersi visibili dei particolari molto minuti (ad esempio strutture delle pareti etc.) la soluzione con olio è meno indicata. L’ impronta si forma sia lasciando cadere qualche goccia della soluzione sul fossile da studiare, sia spalmandolo con un pennello di vajo. In generale la pellicola è bene sia sottile, ma si danno casi, ad esempio quando l’a- derenza è forte ed è quindi difficile il distacco, in cui occorre un maggior spessore. In generale, dopo due o tre minuti, la pellicola sottile è asciutta e può venire stac- cata. Ma crediamo utile aggiungere che in parecchi casi le migliori impronte si sono ot- tenute in pellicole lasciate in posto sino a spontaneo distacco, che avviene al massimo do- po un paio d’ ore, quando, ben inteso, la pellicola non sia stata fatta troppo spessa. Tal- volta si sono ottenute ottime pellicole dopo tre o quattro giorni dalla applicazione. Occorre sempre porre 1’ oggetto da studiarsi in maniera che la superficie spalmata di collodio si mantenga orizzontale , altrimenti il collodio si riversa tutto da un lato e la pellicola non vien uniforme e si asciuga anche male dal lato ove il collodio si è ammassato. Ottenuta la pellicola questa si trasporta sopra un portaoggetti e si ricopre con un co- prioggetti che viene lutato coi soliti sistemi. In generale si presta bene la paraffina liquida. Quando la pellicola dà particolari molto netti si possono fare anche inclusioni in glicerina senza perdere gran che della nettezza dei particolari. È necessario qui avvertire che non sempre e non tutte le pellicole riescono bene. È utile perciò ripeterle due o tre volte. Così ad esempio alla prima pellicola possono aderire porzioni di roccia che ostacolino la netta visione, oppure negli incavi può essersi conden- sata della umidità che emulsiona il collodio, e nasconde ogni particolare. Ripetendo una seconda pellicola questi inconvenienti possono venire eliminati. Un’altra difficoltà dipende dalla presenza di bolle d’ aria nella pellicola. Ciò accade in modo speciale quando il collodio è molto denso : è necessario allora aggiungervi dell’etere, oppure etere ed alcool. Si comprende bene che non si possono dare delle regole assolute per la preparazione di tali pellicole, e che ciascun operatore, con un poco di pratica, riuscirà a correggere gli errori e a diminuire i casi di insuccesso. Un’ altra osservazione va fatta rispetto all’ inclusioni dei preparati. Spesso tra i due vetrini si raccolgono delle goccie d’ acqua trasudate dalla pellicola o meglio condensate da essa, le quali turbano l’osservazione. Allora si può anche far a meno del coprioggetti , e , distesa la pellicola sul portaoggetti si può osservarla senza coprirla ; ciò è sempre possibile nelle pellicole di collodio con olio , che non si raggrinzano quasi mai. Lavorando in ambiente secco e facendo attenzione di non alitare sul preparato si può eliminare il condensamento delle goccie di acqua: il preparato poi può essere coperto e fiu- tato dopo essiccato convenientemente. Va altresì notato un altro fatto. Le pellicole di collodio all’ olio si intorbidano facil- mente ; ma questo inconveniente è di poca importanza : infatti esse dopo un poco di tem- po, abbandonate a sè, tornano limpide. Le pellicole di collodio nello studio dei fossili e dei minerali 5 E adesso due parole sulla preparazione della superticie destinata a dare, la pellicola. Molte volte basta una semplice pulitura, la quale si può fare collo stesso collodio ; eseguendo cioè una prima pellicola e gettandola via. In generale ad essa restano aderenti tutte le impurità, e la seconda pellicola dà tutti i particolari desiderati. Ma se la roccia è friabile, poco compatta, ad ogni pellicola restano aderenti dei frammenti rocciosi. Se, come nella maggior parte dei casi, sono frammenti calcarei basterà ti’attare la pellicola con acido diluito per asportarli. In taluni casi, per esempio sui coralli, monticuliporidi etc. , è necessario procedere alla levigazione della superticie mediante la smerigliatura su vetro. Talvolta già con questo semplice pulimento si hanno, per la differente resistenza e durezza del fossile e della roc- cia inglobante, incavi e rilievi discernibili sulla pellicola. In caso diverso la superfìcie lu- strata va leggermente attaccata con acido. Il fossile o sporgerà o resterà incavato e la pel- licola riprodurrà questi particolari esattamente. Nel caso di acidulazione va notato che il collodio si emulsiona con grande facilità, dacché negli incavi si mantiene sempre un poco di umido. Occorre perciò badare che la superficie acidulata sia bene asciutta in tutte le sue parti. Una acidulazione troppo energica non è quasi mai consigliabile. Quando, all’ opposto, la superficie sia troppo scabrosa e quindi la pellicola aderisca troppo e non riesca a staccarsi, è necessario lustrare un poco la superficie stessa per ren- derla meno scabrosa. Per talune piante fossili, come già ha fatto il Nathorst, l’ impiego dell’ “ Eau di Javelle „ è indicatissimo per disciogliere le pareti dello sporangio : in tal modo si vedono benissimo le spore nelle fruttificazioni delle felci carbonifere etc. * * * Adoprando questi sistemi abbiamo sottoposto allo studio numerosi gruppi di fossili che passeremo brevemente in rassegna. Di taluni preparati abbiamo dato la figura nella tavola annessa, riproducente delle microfotografie direttamente eseguite dalle pellicole. Dopo gli studi del Nathorst, che ha potuto ottenere colle pellicole delle figure di oltre 500 diametri, non insisteremo sull’ applicazione del metodo allo studio delle piante fossili. Accenneremo solo che esso ci si è dimostrato utilissimo per lo studio della nervatura di Linopteris carbonifere, in esemplari nei quali 1’ osservazione a luce riflessa era molto diffi- cile, e quindi difficilissimo il disegno alla camera lucida con piccolo ingrandimento. I foraminiferi sezionati, e, occorrendo, acidulati danno ottimi particolari delle logge : nelle tavola (I fig. 1.) è riprodotta la figura di una porzione di Nummiilites rotta ed ap- positamente lasciata senza levigare. I radiofari pure danno buoni particolari. Naturalmente il metodo è inutile pei radiolari terziari facilmente isolabili. Ma a quelli più antichi, specialmente se immersi nel calcare, come ad es. quelli titoniani dell’ Appennino centrale, il metodo si adatta ottimamente. Non abbiamo potuto sperimentare sopra buoni esemplari di Graptoliti, e quindi non ab- biamo ottenuti buoni risultati su di essi. Ma non dubitiamo che anche per essi, qualora le condizioni si prestino, il metodo non debba dare buoni risultati. Ottimi risultati ha dato lo studio di corallari paleozoici. La superficie levigata e poi leggermente acidulata di una Favosites devoniana ha prodotto una magnifica pellicola che fotografammo ed è riprodotta nella tavola alla fig. 3. E magnifico è pure l'iuscito il pre- 6 L. Buscalioni e P. Vinassa de Regny [Memoria III] parato di una Monotypa {M. carnica n. f.) che figuriamo nella fig. 2 della Tavola , e che ha dato dei particolari superiori a quelli visibili nella sezione sottile della stessa, pre- parata coi soliti metodi. Abbiamo pure ottenuto interi calici di corallari, benissimo particolareggiati, colla sempli- ce levigazione e acidulazione. Si sono prestati mirabilmente per ciò i corallari neosilurici silicizzati delle Alpi carniche, già studiati da uno di noi 1’ anno decorso. La diversità di na- tura del fossile e della roccia inca.ssante si presta benissimo ai preparati. Benissimo anche si presta il metodo per lo studio delle impronte dei briozoi. Sui brachiopodi ed i molluschi poco vi è da osservare ; il metodo non può servire che a svelare la costituzione della conchiglia. Così ad esempio vedemmo chiaramente la pun- teggiatura di una Terebratula puuctata, e la struttura prismatica del uscio delle rudiste. Nei Cefalopodi invece il metodo serve nuovamente, e molto bene, per rilevare l’anda- mento dei lobi nelle Ammoniti. Facendo la pellicola completa e stendendola si ottiene, in piano, il contorno dei lobi, e con ciò è reso molto più facile il disegno o la fotografia diretta di tutta quanta la linea lobale. Bene anche si presta il metodo per lo studio di taluni esemplari di insetti fossili; la nervatura delle ali risalta infatti spesso nelle pellicole assai bene. Nei Vertebrati finalmente il metodo si presta per lo studio della struttura dello sche- letro. E può dare anche dei risultati magnifici, quali non sarebbe possibile ottenere in nes- sun’ altra maniera. Basterà infatti dare uno sguardo alle fig. 4, 5, 6 della tavola per con- vincersene. Si tratta di una forma di Lebias del calcai'e lacustre di Aix in Provenza. L’ esemplare studiato è un piccolo individuo di 27 mm. di lunghezza, compresso, in- sieme a centinaia di altri, in una lastra. Colla lente d’ingrandimento poco più si scorge che non a occhio nudo; col microscopio a luce riflessa pure poco o nulla si scorge in più. Si noti poi anche la enorme difficoltà di fare osservazioni col microscopio sopra lastre. di grandi dimensioni. Una pellicola venne eseguita nell’ ultima terminazione della colonna vertebrale e sulla coda. I particolari che ne risultarono erano nettissimi (fig. 4) tanto che permisero di fare fotografie con maggiori ingrandimenti. In una (fig. 6) sono nettamente visibili le vertebre con tutti i più minuti particolari anatomici, nell’ altra (fig. 5) i raggi della coda sono ri- prodotti con minuzia grandissima. ■K- * * Il metodo è adunque applicabile a svariati tipi di fossili e quasi sempre con buoni risultati. Ci sembra inutile insistere sulla sua utilità. Esso è destinato non ad eliminare del tutto le sezioni microscopiche, lunghe a farsi, costose spesso, e non di rado difficili, ma a so- stituirle in moltissimi casi. Non solo, ma può rendere possibile di studiare microscopica- mente un fossile, del quale, per determinate ragioni, non sia consentito di ottenere sezioni microscopiche. Inoltre con questo metodo è facile scegliere preventivamente gli esemplari che più danno speranza di buoni risultati per destinarli a sezioni microscopiche. Quando poi si abbiano oggetti opachi, nei quali non sia possibile far osservazioni se non a luce riflessa, la pellicola permette invece di studiarli a luce trasmessa. Se il fossile Le pellicole di collodio nello studio dei fossili e dei ininernli 1 sia ad esempio incluso in un blocco di roccia molto grande, dal quale non sia possibile sepa- rarlo, ogni osservazione microscopica è esclusa : non così se di tutto o di parte di esso si riesca a fare una buona impressione su pellicola al collodio. Se si considerano poi i mezzi di riproduzione è certo che la pellicola si adatta ottima- mente. La microfotografia, anche a fortissimi ingrandimenti, si presta sempre a riprodurre le pellicole, mentre ciò non .sempre avviene pei fossili, specialmente per quelli opachi. E finalmente osserveremo che da un fossile si possono avere sempre poche sezioni microscopiche , e che con esse gran parti del fossile va distrutto. Ciò non avviene colle pellicole che lasciano intatto il fossile; non solo, ma permettono altresì di ripetere airinfìnito la stessa preparazione, dello stesso punto importante, senza alterare menomamente il pezzo ; e questo è reso possibile esclusivamente col nostro metodo. Abbiamo anzi fatto delle prove, lavorando sopra sezioni microscopiche già eseguite e montate. Sciogliendo prima il balsamo del Canadà circondante il preparato ed acidulando leggermente la superficie delle sezioni abbiamo ottenuto delle pellicole, che potevano scam- biarsi col preparato originale, salvo la trasparenza molto maggiore. * ^ * Finalmente per ciò che concerne le applicazioni del metodo alla mineralogia ancora poche parole vogliamo aggiungere. Non crediamo che esso possa servire a scopi peti'Ografici. Infatti nella petrografia è la sostanza minerale più che la forma che interessa. A priori quindi possiamo escludere una applicazione del metodo agli studi litologici. Ma nello studio dei minerali crediamo che si possano avere applicazioni, per quanto limitate. E noto che le facce dei cristalli presentano spesso delle particolarità di grande inte- resse scientifico. Tali particolarità delle facce vengono riprodotte con grande esattezza nelle pellicole di collodio e possono venire studiate anche a fortissimi ingrandimenti. A semplice esempio noi riproduciamo sulla nostra tavola (fig. 7, 8) alcune strie dì una fascia pri.smatica di un quarzo , che ci venne gentilmente comunicato dal collega Prof. Bucca, che ringraziamo. Tali striature non escono affatto dal comune, e sono normali nelle faccie del quarzo. Noi quindi, dando la figura di quelle striature, non intendiamo affatto di dare un esempio che abbia valore scientifico. Mostriamo solamente come facilmente si possano ottenere im- pronte di particolarità delle facce dei cristalli. Le strie figurate non escono dal comune, ma altre ve ne sono le quali hanno un interesse notevole, e possono esser benissimo poste in rilievo colle pellicole di collodio. * * * Ci auguriamo che, in presenza dei risultati da noi ottenuti, il metodo venga accolto ed usato largamente in tutti i campi delle scienze naturali. Sino da ora accenniamo che uno di noi, avendo tra mano un ricco materiale siluriano, che si presta alla produzione di belle pellicole, ha intenzione di adoperare ampiamente questo metodo, che già sino da ora, ha promesso e dato ottimi risultati. Catania, R.*^ Università, novembre 1909. 8 [Memoria III.] L. Buscalioni e P. Vinassa de Regny SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fig. 1. — Nurnmulites sp. Pellicola ottenuta dall’esemplare senza levigazione. — 12: i. Fig. 2. — Monticulipora (Monotrypa) carnica Vin. n. f, — Mesosilurico delle Alpi Gamiche. Pellicola ottenuta dalla sezione montata su portaoggetti. — 25 : i. Fig. 3. — Favosites sp. — Mesodevonico delle Alpi Gamiche. Pellicola ottenuta dall’esemplare levigato e leggermente acidulato. — io: i. Fig. 4-6. — Lebias cephalottes. — Gaicare di Aix. Pellicola ottenuta direttamente dall’ esemplare. Fio. — Ingrandita io: i ; fig. j-6 Ingrandite 20: i. Fig. 7-8. — Striature delle facce di un cristallo di quarzo. Fig. 7. — Ingrandite 5:1; fig- 8 Ingrandite io: i. A.tti Accademia Gioenia di Scienze Naturali Ser. 5.‘^Yo\. III. Prein. Fotot. P. ilarzari ..l* C. • Schio f: I \ ■9 N \ f ) f Memoria IT M. DE FRANGHIS Sulle varietà algebriche ad n dimensioni trasformabili razionalmente In varietà p 1 dimen- sioni), di due integrali di differenziali totali di prima specie linearmente indipendenti, ma funzioni 1’ uno dell’ altro, tragga seco 1’ esistenza, sulla superficie (o su quella varietà) , di un fascio irrazionale, almeno di genere due, di curve (o di varietà ad ;z — 1 dimensioni) ; di questa proprietà mi ero anzi implicitamente servito in una precedente Nota riguardante i piani doppi. In sostanza, il teorema dimostrato in quella Nota può mettersi sotto questa forma ge- nerale ; una varielà algebrica ad n > 1 dimensioni possiede due integrali di dif- ferenziali totali linearmente indipendenti, ma V uno funzione dell' altro, allora è trasformabile razionalmente (in un sol senso, s' intende) in una curva algebrica sulla quale a quei due integrali corrispondano due integrali abeliani. Tale risultato è estensibile : Se una varietà algebrica V„, ad n )> p dimensioni, possiede p -[- 1 integrali p — dimensionali tedi che i rapporti dei differenziali che erdrano in p di essi, rispetto al differetiziale dell’ integrale rimanente , siano funzioni finite indipendenti, allora la \ „ può farsi in corrispondenza semplicemente razionale con una varietà algebrica a p dùnensioni , sulla quale p -j- 1 dati integrali di V„ corrispondono p -)- 1 integrali p — pii {di funzioni razionali). (*) Sulle superficie algebriche le quali contengono un fascio irrazionale di curve (Rend. del Circolo Mate- matico di Palermo, t. XX, 1905 pp. 49-54). Vedasi anche Castelnuovo ; Sulle superficie aventi il genere aritmetico negativo (Ibid. pp, 55-60), Enriques; Sulle superficie algebriche che ammettono un gruppo continuo di trasformazioni birazionali in se stesse (Ibidem, pp. 61-72). (**) 1 piani doppi dotati di due 0 piiì differenziali totali di prima specie (Rend. della R. Acc, dei Lincei, t. XIII5, r® sem. 1904). Atti Acc., Serie V, Vol. III. Metn, IV. r 2 M. De Franchis [Memoria IV.] Sia F (x^, Xì, Xn+i) = O r equazione della V„, supposta (come è lecito) immersa in un S,;+i (a:^, X2, a «-pi), e siano-. A “ Da,- i dX{ dx; dx; ly l-l- Ip 'i l2-- Al = Pi A A2 — p2 A A/; — pp A \ p -\- ì elementi differenziali dati, ove le pi, p2, p/, e le a,^ denotano funzioni razionali di , x-z,..., ed h h ... ip denota una conibinazione di p tra i numeri 1, 2,..., n. È da notare però che l’ordine nel quale si seguono /i , ip non è indif- ferente; uno scambio di due di questi indici produce un cangiamento di segno nel differen- .ziale dx'i^ dxi.^... dxip ; conviene adunque per definizione, cambiare anche il segno alla corri- spondente funzione coefficiente aq L^... ip, quando vi si scambino due indici (*). I sistemi di funzioni aq ò... ip e p., aq t^...ip soddisfano alle condisiont d’ integrabilità Poincaré. (**) Si ha dunque su F„, cioè tenendo presente la relazione F (x, ,X2,..., Xw-pi) = O, 3a h H- 'p-l-l ciXi 'j + (- ir 3a. H h-- ^p+i fi I 3x,-_ ' da t;.. lp+^ q /o dx: l-ì + . ^^Ò'i Ìo...Ìp =0, qualunque siano gl’indici /i , iz, ip, /p+i (distinti) scelti tra i numeri 1, n. Queste relazioni devono essere pure verificate ponendo, in luogo delle a, le a moltiplicate per una qualunque delle funzioni p, , P2,..., Pp. Se ne deducono, per tutti i valori interi di s compresi tra 1 e p, le uguaglianze (valide su F,Q 'hh-'P+'i d>x \ + ( — 1)'" i-i h- ’i>-f 1 h 3 r • vp.- dx: h h ^x,- + “h • • ■ ■ + ( l)'"'^qò-- 3p. dX; = 0. l p+1 La matrice 3pi 3Pi 3Pi dx\ dx-2 dXn dpp 3pp 3pp 3xj 3x., 3x„ ha la carattestitica p, perchè le p sono, per ipotesi, indipendenti. Le ultime relazioni C*) Vedasi p. e. Picard et Simari: Théorie des fonctions aìgébriques de deu.x variables indépendantes , t. I Chap. I. ' Q’') Vedasi, per le citazioni relative, il predetto trattato di Picard e Simart ovvero la mia Nota Sulla riduzione degl’ integrali estesi a varietà. (Rend. del Gire. Mat. di Palermo, t. XII, 1898). Sulle varietà algebriche ad n dimensioni trasformabili ecc. 3 scritte mostrano dunque che le funzioni sono eguali ad una stessa funzio- 3 (pi, P2, . . . , pp ) • Se ne deduce che il differen- ne razionale moltiplicata per gl’ lacobiani ziale rfp, rfp2 ... d^p coincide, a meno di fattori tiniti, razionali in .vq , x„ , con gli elementi differenziali A, pj A,..., P/, A. .Sarà dunque 'F rfpi i/p2. . d^p essendo una funzione razionale. Prendiamo ora, come nuove variabili indipendenti, pj , p2 ,..., [jp , oltre ad altre variabili in guisa da sostituire alla varietà V'^ una varietà V'n ad essa birazionalmente identica (immersa in un conveniente spazio). Teniamo presente che l’espressione T dp^ d^ì ... dt^ph integrabile su V'„ , nel senso di Poincaré ; se ne deduce subito che su V'n la 'F è funzione (certo algebrica) delle sole p. .Su si ha dunque una relazione algebrica g (Mc , pi , p, P/3 = O. Questa equazione individua nello spazio (T , p^ , p2 ,..., pp), a /> -|- 1 dimensioni, una varietà a p dimensioni P), , in corrispondenza razionale con , possedente i ^ O 1 in- tegrali p — pli:\^p) do^ 4.,... d\>p, p, T d\g ^/p,... dpp,...,j Pp T rfp, ifp,... dpp, trasformati dei dati integrali a p dimensioni di V„. E con ciò, il teorema è dimostrato. 2. Nel caso che gl’integrali dei quali si parla siano di prima specie, se ne deduce il teorema ; Se lina varietà algebrica V„ , n >> p di mensioni, possiede p -j- 1 (almeno) integrali p — dimensionali di prima specie tali che i rapporti fra gli elernenti dif- ferenziali di p di essi al rimanente siano funzioni finite indipendenti, la V„ è in corrispondenza razionale con una V,, , a p dimensioni, di genere p — dimensionale maggiore di p (eguale anzi al numero di quegl' integrali). 11 sistema canonico della sudetta varietà Vp risulta anzi, sotto le suddette condizioni, non composto nè con un fascio di varietà a p — ■ 1 dimensioni nè con un sistema, d’ indice 1 , di varietà di dimensione minore (ma maggiore di zero). Sotto questa restrizione, le sopradette condizioni sono evidentemente oltre che sufficienti necessarie, perchè la sia in corrispondenza razionale con la Vp , di genere maggioi'e di p, cioè perchè la V^ possegga una schiera oo-", di genere maggiore di e di indice l, di varietà ad n — p dimensioni. Catania, Novembre igog. j^Keiiioria V. Ln teoria della refrazione astronomica direttamente fondata sni risaltati della fisica dell’atmosfera Nota di A. BEMPORAD In un precedente studio critico sulla teoria della retrazione astronomica, dopo aver esa- minato le conseguenze fìsiche delle ipotesi messe a base delle più celebri teorie, come quelle di Bessel, Ivory, Schmidt, Bauernfeind, Gyldén, v. Oppolzer, Radau ed altre, conclu- devo che nessuna ha VesattesBa che consentirebbero di raggiungere le attuali no- stre conoscense sulla fisica dell’ atmosfera ^). In altra nota affermavo più recisa- mente doversi fondare il calcolo della retrazione astronomica direttamente sui dati forniti dalla fìsica dell’alta atmosfera, riserbando le forinole ipotetiche alle sole regioni superiori finora inaccessibili. È mio intento accennare ora brevemente, con quali procedimenti si possa eseguire il detto calcolo diretto, ciò che non è stato tentato finora da alcuno. Invero anche i saggi di calcolo eseguiti, con intento analogo al nostro, dall’ 111. Prof. Van de Sande Bakhuyzen si appoggiano in modo essenziale alla teoria di Ivory, sottoponendo al calcolo per quadratura meccanica soltanto 1' importo differenziale : refrasione numerica meno refrasione teoretica. Di più il Prof. Bakhuyzen ammette una variazione uniforme della temperatura entro i singoli strati di un km. di altezza, mentre, come egli stesso riconosce questo non accade certamente nei primi chilometri, che sono appunto quelli che portano un maggiore contributo alla refrazione, ed egli trascura infine del tutto l’indagine dei gradienti possibili al disopra dei 20 chilometri. Noi cercheremo di togliere tutte queste lacune, e confidiamo che i metodi qui propo- sti, pur perseguendo lo stesso fine, a cui tendono gli accennati lavori del Bakhuyzen, ap- pariranno come del tutto originali. Assumo come nota dalle trattazioni elementari della refrazione astronomica la for- mola 5). 1) Memorie. Voi. XXXIV ^1905), pag. 251. 2) » » XXXVI (1907), * 86. 3) Bestimmung der Refraction auf Grundlage der aus den Beobachtungen wahrend Luftschifftahrten ab- geleiteten Temperaturgradienten. Bd. IX der Annalen der Sternwarte in Leiden (igo8). L. c., pag. 2. V. prima nota citata, pag. 206. -K- ¥r ^ (I) Atti Acc., Serie V, Vol, III. Mem. V. I 9 A. Bemporad [Memoria VJ. dove |i, [io indicano i valori dell.’indice assoluto di refrazione rispettivamente in un punto generico della traiettoria e alla superficie terrestre,' r ed a indicano i corrispondenti raggi vettori dal centro comune delle superficie (sferiche) d’equilibrio dell’atmosfera, e ^ è la di- stanza zenitale apparente dell’ astro pel luogo d’osservazione. Posto, come al solito, [ji* — 1 2 cò (equazione di Laplace) s “ -p- — a ^ ij (altezza relativa) = tz (costante della refrazione) I + 2C0a 0 — — = a: (densità relativa) e introdotte di più le nuove notazioni 2) 3) —A ( I — s) =1+3 ossia 3 — 2i + 55- + , . . . = 3 — 2a(l — x) (1+3) c dx Ih I — 2 0! ( I A-) ’ r espressione (1) si trasforma nell’ altra semplicissima e perfettamente adatta al calcolo per quadrature numeriche 4) / 2 dh R — a sen ^ I ^ — . I )' cos'2 + V ’o Messo sotto questa forma, il problema della refrazione astronomica può ritenersi iden- tico con quello di determinare le funzioni v e ^ (dell’ altezza P) o se si vuole /a densità X dell’ aria e la sua derivata rispetto all’ allessa. Ogni coppia di funzioni v e che soddisfi beninteso alle condizioni (2) e (3), definisce una speciale teoria della refrazione, e viceversa. Pel nostro computo dell’integrale (4) per quadratura numerica basta possedere una serie sufficientemente fitta di valori di queste funzioni ausiliario v e ^ della variabile indipendente h. È ovvio, come si possano conoscere i valori di queste funzioni, quando si parta da una determinata ipotesi matematica circa la costituzione dell’ atmosfera. Accen- niamo subito, come sia agevole lo stesso computo, anche partendo dai dati che fornisce i) La nostra trattazione non cadrebbe in difetto, sostituendo in luogo di questa relazione di Laplace quella proposta più di recente da Mascart : [jl — i + c S, o l’altra proposta ultimamente dal Lorenz ; + + + 2 P -V 4 La teoria della refrasione astronomica ecc. 3 la fisica dell’atmosfera, p. es. dai valori della temperatura corrispondenti alle varie altezze. Partiamo dalle equazioni fondamentali ben note (5) p I -j- mt po I — {“ wto (principio di Boyle - Gay Lussac) (6) X ds , (equazione dell’ equilibrio aerostatico) dove po, to indicano i valori della pressione e della temperatura dell’aria nel luogo d’ os- servazione, peti valori analoghi ad un’altezza generica /? (ovvero s), m la densità rela- tiva all’altezza medesima e à) = / f' -r mio 1 è la cosiddetta altezza dell’atmosfera ridotta Posto per brevità I + mt — z I -f- mt„ — epperò 1, zr /-j , otteniamo, eliminando p fra le due precedenti equazioni, xds. da cui con facili riduzioni dx dz X z a ds e, integrando fra s = 0 e l’altezza generica s, T r a I ds „ Log X — — Log t I ~z b Gost. , dove i Log s’intendono a base e Passando ai log ordinari a base 10 e alla variabile indipendente //, mediante la rela- zione, che subito discende daU’espressione di s. (8) Ps _(I e fissando la costante d’integrazione in modo che per lt=0 risulti x=\, otteniamo infine (9) log X = log — dove Mod. ~ log^o e = 0,434294... Questo dimostra, come, noti i valori della temperatura e quindi di t alle varie altezze, Per la deduzione dell’ equazione (6) e il significato preciso della costante /, vedi la memoria citata in principio, pag. 217. Qui basterà ricordare che il valore di 1 è molto prossimamente 8 km. 4 A. Bemporad [Memoria V.] sia agevole ottenere per quadrature numeriche i corrispondenti valori della densità x, cosic- ché una delle nostre funzioni ausiliarie, la v, si sa senz’altro calcolare. dx Per l’altra funzione secondo la formola (3) occorre il valore di Per questo dalla (7) si ottiene dx X dx il X ds X ds 1 X ’ e moltiplicando ambo i membri per e applicando la (8) , dx a r(i dx ■ dh X 1 2/; J Nel secondo membro di questa equazione t si suppone nota pei dati sperimentali, x è data dalla (9) , e ~ non è altro (all’infuori del fattore m) che il gradiente termico in al- tezza, ed è quindi del pari un dato speriméntale. Concludiamo che l’espressione (4) dell’integrale della refrazione astronomica insieme alle espressioni (2) e (3) delle funzioni ausiliarie v e ^ e insieme alle formule (9) e (10) d X per X e permettono di considerare come teoricamente risoluto il problema di calcolare la refrazione astronomica in base ai dati sperimentali circa la variazione della temperatura coll’altezza. E poiché questa nostra soluzione é totalmente diversa da quella proposta dal Bakhuyzen, che in luogo delle nostre formule rigorose (9) e (10) adopera fin da principio quelle approssimate corrispondenti all’ipotesi di una variazione uniforme della temperatura coll’altezza entro i singoli strati (di 1 km. di spessore), così abbiamo anche motivo di ritenere che le dette forinole, almeno per l’applicazione fattane alla teoria della refrazione, siano da considerare, al pari delle (2), (3) e (4) come nuove. Beninteso, siccome i dati sperimentali sulla temperatura dell’aria non giungono che fino ad una limitata altezza che attualmente può stimarsi di 15 o al più 20 km., converrà sempre ricorrere ad una qualche ipotesi per la legge di variazione della temperatura al di- sopra, ma soltanto al disopra^ di quest’altezza. 11 confronto delle refrazioni calcolate in base a questa ipotesi colle refrazioni osservate,, specialmente in vicinanza all’orizzonte, dirà poi, se l’ipotesi assunta era legittima, e allora forse, come già esprimevo in un precedente lavoro ^), potrebbe acquistare un senso l’idea più volte espressa da illustri astronomi, che la teoria della refrazione possa fornirci dei lumi sulla costituzione fisica dell’alta atmosfera, mentre con gli attuali procedimenti non si saprà mai se- le differenze Refr. calcolata me- no Refr. osservata siano imputabili al difetto delle ipotesi pei primi km, nei quali è sicuro che sono molto in difetto, ovvero al difetto delle ipotesi stesse al disopra di quelle altezze, a cui si arrestano le nostre osservazioni aerologiche. 1 procedimenti suesposti vennero da me applicati pel calcolo delle funzioni fondamen- tali V e c per le quattro stagioni, nonché per il gradiente termico medio dell’anno, partendo dai valori della temperatura alle varie altezze (fino a 20 km.) già dedotti dal Prof. Bak- huyzen, da un gran numero di ascensioni aeronautiche, nella memoria citata. Poiché, se- condo le deduzioni dello stesso Bakhuyzen, i valori da lui ottenuti per le dette temperature *) Seconda nota citata in principio. Altezza 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 1 5 16 17 ,8 19 20 teoria della refrasioiie astronomica ecc. 5 hanno sempre un errore probabile di qualche grado ^), è lecito applicare, ove occorra, pic- cole correzioni in guisa da rendere più regolare l’andamento delle differenze successive dei valori della temperatura. Con simili ritocchi non mai superiori a mezzo grado, per lo più anzi inferiori a 0°,3, mi riusci di ottenere la costanza delle differenze seconde o terze in intervalli parziali da 2 a per le altezze superiori, e infine gli errori z!z i“, 2 e zt i», 9 per le temperature medie dell’anno, rispettivamente al disotto e al disopra degli 8 km. 2) Come temperatura normale al mare venne ammesso sempre o®, riserbandoci di trattare a parte le va- riazioni della refrazione dipendenti dalla temperatura nell’aria nel luogo d’osservazione. 6 A. Bemporad [Memoria \'.] non presenta che piccole differenze sicuramente trascurabili per il calcolo della refrazione. Dopo ciò, visto che il calcolo più rigoroso e l’osservazione più minuziosa delle refrazioni all’orizzonte, non permetterebbero neppure di decidere se l’atmosfera sia alta 250 o 600 km., par molto problematico che queste teorie possano, come si sperava una volta, fornire dei lumi circa la costituzione deU’atmosfera alle grandi altezze. Nel calcolo delle funzioni v e ^ si ottengono come elementi ausiliarii anche i valori del gradiente termico della pressione p e della densità x dell’aria corrispondenti alle varie altezze, valori la cui conoscenza è di qualche interesse anche all’infuori dell’applica- zione che intendiamo farne per la teoria della refrazione astronomica. Il procedimento da me tenuto, di ammettere diverse leggi di variazione del gradiente termico nei diversi strati, porta seco che alle superfìcie limiti dei detti strati si avrà in ge- nerale discontinuità nella successione dei detti valori, come pure nei valori della funzione q (cfr. form. (3) e (10), non però nei valori della temperatura, della pressione e della den- sità dell’aria, nè in quelli della funzione v. Quindi è che nei quadri seguenti, dove comu- nico i valori ottenuti per le dette funzioni in corrispondenza ai gradienti termici delle va- rie stagioni e alle relative medie annue, le altezze corrispondenti alle superfìcie limiti dei vari strati fìgurano sempre ripetute. Per l’ottenimento delle quadrature e delle derivate, che fìgurano nei secondi membri delle formolo (9) e (10) vennero applicati i procedimenti numerici già accennati in prece- denti lavori Una volta ottenuti i valori delle funzioni v e il computo effettivo delle refrazioni pei vari tipi di gradienti termici corrispondenti alle varie stagioni (ed eventualmente anche ai vari tipi climatici) è questione di puro calcolo numerico secondo formole di un’estrema fa- cilità, le quali si prestano anche ai più rigorosi controlli. Crediamo quindi superfluo l’addentrarci nella esposizione di questi calcoli, riserbandoci solo di comunicarne in seguito i risultati definitivi. Nelle tabelle seguenti raccolgo i valori ottenuti per la temperatura, _ pressione e densità dell’aria atmosferica a varie altezze (fìno a 80 km.), nonché per le funzioni fondamentali v, ^ della nuova teoria proposta per la retrazione astronomica. i) Cfr. Atti deir Accad. Gioenia di Se. naturali in Catania e Memorie della Soc. degli Spettrosc. italiani Voi. XXX. La teoria della refrasione astronomica ecc. 1 I. PRIMAVERA rt „• n: — "Z o — ■ — Temperatura Gradiente termico Pressione flog p) Densità (log .v) log ? IO-' V 0, 0 0, 000 —0, 45 0, 000000 0, oooooo 9, 091550 0, 000 <3, 5 — 0, 563 — I, 80 9, 972813 9, 973708 9, 048324 I. 227 I, 0 — 1 , 800 — 3, 15 9, 945539 9, 948412 9, 00643 1 2, 485 I. ) — 3,713 —4, 50 9, 9181 14 9, 924061 8,965746 3, 773 2, 0 — 6, 300 — 5-85 9, 890458 9, 900598 8, 926145 5,091 2,0 — 6, 300 — 4, 395 9, 890458 9, 900598 8, 947945 5, 091 2, 5 — 8,654 — 5, 01 1 9, 862548 9,876539 8, 918574 6, 405 5, ‘3 — Il, 300 — 5, 560 9, 834377 9,852736 8, 890804 7, 740 3> 5 — 14, 203 6, 041 9, 805909 9, 8291 1 3 8,864575 9, 09 1 4, 0 - 17, 330 —6,45 5 9, 777113 9,805596 8, 8398:0 10,453 4. 5 — 20, 647 6, 801 9, 74795 5 9, 782109 8, 816450 1 1, 827 5>o ■ — 24, 120 7, 080 9, 7 1 8406 9.758579 8, 794404 13, 212 3^ 5 —27, 716 —7, 291 9, 688440 9, 734933 8,773592 14, 605 6, 0 — 31, 400 —7-435 9, 658029 9, 711095 8.7539'3 1 6, 006 6, 5 — 35, 139 —7, 5 ' t 9,627152 9, 686992 8, 735254 ' 7, 4' 5 7>o — 38, 900 —7, 520 9, 595789 9, 662551 8, 7'75'5 18, 83 1 7,0 ■ — 38,900 —9,285 9, 595789 9, 66255 1 8, 687685 18, 83 1 7, 5 —43, 321 _8, 400 9, 563874 9, 638915 8, 687445 20, 260 S, 0 —47, 300 — 7, 517 9. 531372 9, 614003 8, 684732 21, 690 8,5 -50,837 —6,653 9,498333 9, 587825 8, 679548 23, 121 9,0 — 53,933 — 5,750 9, 464800 9, 560386 8, 671892 24, 554 9, 5 — 56, 587 —4, 867 9,430832 9, 53'7'2 8, 66 1 78? 25, 990 IO, 0 — 58, 800 —3,983 9, 396483 9, 501826 8,649237 27, 430 II, 0 61, 900 2, 217 9, 326909 9,438583 8, 616988 30, 322 1 1 —61,9 I, 222 9, 32691 9, 43858 8,65053 30, 323 ■ 12 — 62, 8 —0, 770 9, 25672 9, 37044 8, 5 7004 33, 234 13 —63,4 —0, 393 9, 18629 9, 30120 8, 50679 36, 177 M —63, 7 0, 089 9, 11575 9,23115 8, 44099 39, 148 15 —63, 6 +0, 14: 9 04520 9, 16053 8, 373'3 42,^45 16 —63, 4 _i_o. 296 8,97472 9, 08958 8, 30354 45, 164 17 —63, I -I-O, 378 8, 90435 9, 01850 8, 2326 5 48, 202 18 — 62, 7 -pO, 385 8,83414 8; 94749 8, 16079 51, 258 19 — 62, 3 _i_o, 3 18 8, 76407 8, 87668 8,08828 54, 329 20 — 62, I _{_0, 178 8, 69414 8, 80622 8, or 538 57,412 20 — 62, I _o, 000 8, 69414 8, 80622 8, 013 12 57,4:2 30 —62, 5 0, 080 7,99587 8, 10878 7, 3'4'3 88, 632 40 -63,7 0, 160 7,29713 7,41251 6, 61790 120, 145 50 —65, 7 —0, 239 6, 59523 6, 7 '477 5,92195 151,751 òo -68, 5 —0, 319 5,88739 6, 01281 5, 22347 183, 416 70 —72, I —0, 399 5, 17065 5, 30376 4, 51969 215, 130 80 —76, 5 —0, 479 4, 44179 4, 58449 3, 80760 246, 906 8 A. Bemporad [Memoria ^^] II. ESTATE Altezza in km. Temperatura Gradiente termico Pressioue (log p) Densità (log X) log 9 IO-' V 0 0, 000 — 3, 00 0, 000000 0, 000000 9. 057366 0, 0000 0, 5 -- 1,675 —3,70 9, 972754 9, 975427 9,025533 1, 2486 1,0 - 3,700 —4, 40 9, 945326 9,951253 8, 994446 2, 5194 I, 5 — 6,075 — 5, IO 9. 917676 9,927450 8, 958073 3, 81 IO 2,0 — 8, 800 —5,80 9, 889767 9. 903997 8, 934412 ■ 5, 1214 2,0 — 8, 800 —4, 462 9,889767 9, 903997 8,954443 5, 1214 2, 5 — 11,115 —4, 796 9, 861592 9, 879644 8, 928944 6,4361 3.0 — 13, 593 — 5, in 9,833163 9,855343 8, 904002 7, 7655 3. 5 — 16, 224 — 5,410 9. 804457 9, 831065 8. 879585 9, 1082 4,0 — 19, 000 — 5,692 9- 775451 9, 806779 8, 855661 IO, 4634 4, 5 —21,913 — 5,956 9, 746124 9.782462 8, 832222 1 1, 8302 5,0 —24, 953 — 6, 203 9, 716451 9, 758080 8, 809230 ! 3, 2076 5, 5 — 28, 1 13 —6,433 9, 686410 9, 733606 8, 786656 14, 5952 bj 0 —31, 383 — 6, 64(1 9, 655976 9, 709072 8, 764468 15,9920 6, 5 —34, 756 —6, 841 q, 625126 9, 684266 8, 742646 17, 3974 7, 0 — 34, 222 —7,020 9, 593834 9, 659340 8, 721154 18, 81 1 1 7, 5 —41, 773 —7, i8i 9, 562077 9, 634201 ' 8,699959 20, 2324 8, o —45, 400 —7, 325 9, 529827 9, 608817 8,679025 21, 6609 8,5 —49, 095 —7,452 9, 497059 9, 583157 8, 658329 23,0963 9, 0 — 52,849 —7, 561 9, 463746 9, 557187 8, 637827 24, 5 380 9, 5 — 56,654 —7, 654 9, 429862 9, 530875 8,617487 25, 9858 IO, 0 — 60, 500 —7,729 9, 395378 9, 504182 8, 597259 27,4397 IO — 60, 500 —9, 167 9, 39538 9, 50418 8, 57286 27, 440 1 1 — 67, 200 —4, 516 9, 32456 9, 44728 8, 60417 30, 355 12 — 70, 100 — I, 567 9, 25215 9, 38103 8, 58528 33, 268 13 — 70, 900 —0, 317 9, 17915 9, 30975 8, 53201 36, 200 14 — 71, 300 —0, 767 9, 10600 9, 23746 8, 45464 39, 162 14 —71, 300 —0, 317 9, 10600 9,23745 8. 46043 39, 163 15 —71, 350 +0, 183 9,03277 9, '6434 8, 39370 42, 152 ló — 71, 000 -To, 483 8, 95962 9, 09043 8, 32269 45, 165 17 —70, 450 +0, 583 8, 88667 9, 01630 8, 24853 48, 199 i8 — 69, 900 -4-0, 483 8,81393 8, 94239 8, 17204 51, 251 ■ 19 —69, 550 -fo, 183 8, 74140 8, 86910 8, 09409 54, 321 20 — 69, 600 —0, 317 8, 66894 . 8, 79675 8, 01531 57,403 20 — 69, 600 0, 000 8, 66894 8,79675 8, 01938 57, 404 30 —69, 984 —0,977 7, 94506 . 8,07369 7, 29480 88, 626 40 —71, 138 —0, 154 7, 22013 7, 35124 6, 57247 120, 141 50 —73,060 — 0, 231 6, 49136 6, 62662 5, 84963 151, 751 60 —75,752 —0, 308 5, 75583 5, 89698 5, 12349 183, 416 70 —79, 212 —0, 384 5,01043 5, 15926 4, 39109 215, 130 80 —83,442 — 0, 461 4, 25175 4,41017 3,64921 246, 906 La teoria della refrasione astronomica ecc. 9 III. AUTUNNO Altezza in km. 1 Temperatura Gradiente termico Pressione (log p) Densità (log x) I 0^ ... 0 0, 000 -Li, 100 0, 000000 0, 000000 9, 111057 0, 0000 o, 5 + 0, 125 — 0, 600 9, 972848 9, 972650 9, 061990 I, 2132 I, 0 — 0, 600 — 2, 300 9,945671 9, 946626 9,014479 2, 4640 — 2, 175 — 4, 000 9. 918383 9.921857 8, 968336 3,7476 2, O — 4, 600 — 5,700 9, 890897 9. 898277 8,923377 5, 0598 2, 0 — 4, 600 —4, 517 9, 890897 9.898277 8, 943279 5,0598 2, 5 — 6,858 —4,817 9, 863 168 9, 874218 8, 918423 6, 3809 3.0 — 9, 267 — 5- 117 9.835199 9.850197 8, 893835 7. 7159 3. 5 — Il, 825 — 5,417 9, 806071 9, 82Ò202 8, 8695 1 1 9, 0640 4,0 — >4, 533 — 5.7:7 9, 778460 9, 802218 8, 845443 IO, 4241 4, 5 — '7, 392 — 6, 017 9. 749645 9. 778235 8, 821625 1 1,7957 5,0 — 20, 400 — 6, 3 '7 9. 720503 9,754232 8, 79S051 1 3, 1 780 5, 5 —23, 558 — 6, 617 9, 691007 9, 730200 8,774718 14, 5702 6, o — 26, 867 —6,917 9, ó6i 1 30 9, 706122 8, 751620 15,9719 6, 5 — 30, 325 —7, 217 9,630845 9, 681983 8, 72875 3 17, 3824 7,0 — 33,933 —7, 517 9, 600120 9, 657764 8, 7061 1 1 18, 8013 7, 5 — 37,692 —7,817 9, 568923 9, 653448 8, 683689 20, 2280 8,0 — 41, 600 —8, 117 9. 537219 9, 609019 8, 661489 21, 6621 8,0 — 41, 600 — 8, 6 1 7 9. 537219 9, 609019 8, 650540 21, 6621 8,5 —45, 569 —7.279 9, 504966 9, 584278 8,655473 25, 1021 9,0 — 48, 900 — 6, 067 9, 472197 9. 557918 8, 654669 24, 5416 9, 5 — 51, 656 —4. 979 9, 438986 9. 530081 8, 648685 25, 9822 IO — 53,900 —4,017 9, 405405 9, 500925 8, 638028 27, 4256 1 1 — 57, 100 —2, 467 9. 337590 9, 439299 8, 604 5 1 6 30, 3246 12 — 59, 000 — 1,417 9, 268603 9, 374351 8, 557485 33, 2459 12 — 59, 000 — I, 092 9, 26860 9, 37435 8, 56178 53, 246 U — 59. 829 —0,583 9. 19941 9, 30685 8, 50252 36, 192 14 — 60, 200 —0, 177 9, 13005 9, 23824 8,43975 39, 164 15 — 60, 217 -f-o, 126 9, 06065 9, 16888 8, 37417 42, 162 16 — 59, 982 +0, 326 8, 991 3 1 9, 09906 8, 30626 .45, 180 17 — 59, 600 +0, 422 8, 92210 9,02906 8, 23655 48,217 18 —59, ’73 +0, 414 8, 85304 8,95914 8, 16557 51, 272 19 — 58, 806 + 0, 304 8, 78413 8, 88949 8, 09367 54, 341 20 — 58, 600 -To, 090 8, 71535 8, 82029 8, 02120 57,425 20 — 58, 600 0, 000 8, 71535 8, 82029 8, 02005 57,424 30 —59, 005 — 0, 081 8, 02848 8, 1 3424 7. 33241 88. 637 40 — 60, 221 — 0, 162 7. 34116 7, 44939 6, 64765 120, 145 50 — 62, 247 —0, 24 3 6, 65072 6, 765 1 1 5, 96311 i 151,752 60 —65,085 —0, 324 5, 95445 6, 07275 5, 27616 183,416 70 —68,732 —0, 405 5. 24959 5 . 37 5 3 5 4, 58406 1 215,130 80 —73, >90 —0, 486 4. 53243 1 4, 66798 3, 8S383 1 246, 906 Atti Acc., Serie V, Vol. III. Meni. V. 2 10 ^4. Bemporad [Memoria V.] IV. INVERNO 1 Altezza in km. Temperatura Gradiente termico Pressione ■ log p: Densità (log x) ? I02 V 0 0, 000 +2, 100 0, 000000 0, 000000 9, 123204 0, 0000 0, 5 + 0, 575 +0, 200 9,972871 9.971958 9, 070818 1,2044 1,0 + 0, 200 — I, 700 9. 945757 9.943439 9, 020125 ; 2, 4498 ) I, 125 — 3, 600 9, 91S562 9,920456 8, 970881 1 5.V307 2, 0 — 3.400 5, 500 9, 891191 9, 896634 8, 922841 5,0425 2, 0 — 3.400 — 5,017 9, 891 191 1 9, 896Ò34 8, 919098 5,0423 2, 5 — 5,951 — 5, 189 9, 863570 9,873142 8, 897 152 6, 5701 3,0 -- 8, 589 — 5, 561 9, 835685 9, 849567 8, 875242 7,7099 3, 5 — ".313 — 5, 533 9,807519 9. 825899 8. 853425 9, 0613 4,0 — 14, 122 — 5, 706 9, 779059 9, 802127 8, 831677 IO, 4254 4, 5 — 17, 018 — 5. 878 9. 750287 9, 778239 8, 809989 n. 7958 5,0 — 20, 000 —6, 050 9, 721188 9. 754250 8, 788565 13, 1779 5, 5 — 23, 068 — 6, 222 9, 691744 9, 730085 8, 766799 14, 5695 6, 0 — 26, 222 —6, 344 9, 661935 9, 705792 8,745275 15, 9697 6,5 —29, 463 —6, 367 9,631742 9, 6S1 338 8,723798 17, 3782 7,0 —32, 789 -6,739 9, 601 145 9,656713 8. 702360 18,7948 7, 5 — 3Ó, 201 — 6, 91 1 9, 570120 9, 631903 8, 680958 20, 2190 8, 0 — 39, 700 —7,083 9. 538643 9, 606890 8,659577 21, 6503 8,0 —39, 700 —6, 350 9, 338643 9, 606890 8, 68191 3 21, 6504 8.5 —42, 992 --6, 758 9, 506710 9, 381129 8, 655801 23, 0858 9, 0 — 46, 400 — 6, 817 9, 4745' 5 9, 555218 ò, 6 j ^ ^ 62 24, 5284 9, 5 —49, 750 —6, 525 9,44'435 9, 528806 8, 6:9.)6i 25, 9763 IO — 52, 867 -5,883 9, 408078 9. 501554 8, 608745 27,4283 I I — 57. 700 -3, 550 9, 340107 9, 443225 8, 594486 30, 3 393 12 —59, 500 -}-o, 183 9, 271071 9, 377835 8, 582785 33, 2571 12 —59, 500 —0, 762 9, 27108 9, 37785 8, 57064 33,257 13 — 60, 069 —0, 388 9, 20177 9. 30969 8, 50835 36, 200 14 — 60, 300 — 0, 087 9, '3236 9,24075 8, 44361 39, 170 15 — 60, 267 +0, 141 9, 06294 9, 17127 8, 37684 42, 166 16 — 60, 042 ^-■0. 296 8. 99358 9. ‘0145 8, 30840 45, 184 17 — 59,700 +0, 577 8, 92434 9.03131 8, 23866 48,221 18 — 59. 313 T 0, 384 8, 85524 8, 96165 8, 16797 5', 275 19 — 58, 956 -rO, 319 8, 78629 8, 89195 8, 09633 54, 344 20 — 58, 700 +0, 180 8, 71746 8, 82260 8,02475 57,426 20 — 58, 700 0, 000 8, 71746 8. 82200 8, 02256 57,427 50 — 59. 105 — 0, 081 8, 03026 8, 13622 7, 33459 88,637 40 — 60, 321 — 0, 162 7, 34262 7, -15100 6.64951 120, 144 50 — 62, 346 — 0, 243 6, 65187 6, 76447 5, 96468 '5', 752 60 — 65, 182 —0, 324 5,95526 6, 07374 5, 27737 183.416 70 — 68, 827 — 0, 405 5, 24989 5, 37606 4, 58498 215, 130 80 — 73.283 — 0, 486 4, 53260 4, 66835 3, 88440 246, 906 La teoria della refrasione astronomica ecc. 11 V. ANNO 1 Altezza in km. Temperatura Gradiente termico Pressione Oog p) Densità (log x) E io'* V o 0, 000 H“0, 050 0, 000000 0, 000000 9, 097926 0, 0000 0, 5 — 0, 338 — 1, 400 9,972824 9, 973362 9, 052956 I, 2222 1,0 — 1,400 — 2, 850 9, 945583 9, 947816 9, 009378 2, 4782 I, j — 3, '88 —4, 300 9, 918206 9. 923303 8, 967065 3, 7639 2, 0 — 5, 700 —5, 570 9, 890606 9, 899770 8, 925888 5,0758 2, 0 — 5,700 —4, 783 9, 890606 9, 899770 8, 940436 5,0758 2. 5 — 8, 154 5, 033 9, 862753 9, 875923 8, 916807 6, 3982 3,0 — 10,733 —5, 583 9,834638 9, 852057 8, 893377 7, 7338 3, 5 — 15,437 —5, 533 9, 806242 9, 828165 8, 870126 9, 0818 4,0 — 16, 267 —5, 783 9,777547 9, 804226 8, 847061 IO, 4414 4, 5 — 19, 221 -6, 033 Q, 748531 9, 780237 8, 824178 II, 8120 5, 0 — 22, 300 —6,283 9, 719172 9, 756181 8, 801460 13, '930 3, 5 25, 504 —6, 5 3 3 9, 689448 9, 752043 8, 778913 14, 5837 6, o —28,833 6, 783 9, 659334 9, 707810 8, 756528 15,9835 6, 5 — 32, 288 —7,033 9, 628803 9, 683467 8. 734297 17, 3921 7>o — 35,867 —7, 283 9, 597827 9, 658997 8, 712223 18, 8089 7, 5 — 39, 571 -7, 53 3 8, 566377 9, 634384 8, 690292 20, 2335 8, 0 —43,400 —7, 783 9, 534420 9, 609Ó1 1 8, 668516 21, 6653 8,0 —43,4 0 7, 383 9, 534420 9, 609611 8, 675074 21, 6654 5 —47,035 —7, '29 9, 501941 9, 584063 8, 660496 23, 1009 9,0 — 50, 500 — 6, 700 9, 468953 9, 557785 8, 647712 24, 5409 9, 5 — 53, 706 —6, 096 9, 435471 9, 550607 8, 656245 25, 9847 IO — 56, 567 — 5, 317 9, 401507 9, 502365 8, 625566 27,4318 1 1 — 60, 900 —3,233 9, 332469 9, -442091 S, 604341 30, 3350 12 — 62, 800 —0,450 9,262393 9, 375925 8, 579524 33, 2509 12 — 62, 800 —0, 930 9, 26239 9, 34159 8, 57325 33,251 13 —63, 500 —0, 485 9, 19197 9, 27208 8, 5 1 140 36, 195 14 — 63, 800 —0, 1 50 9, 12141 9, 20178 8,44632 39, 161 ’5 —63, 789 -1-0, I 36 9, 03082 9, 13093 8, 37918 42, 1 56 ì6 —63, 557 -fo, 3'3 8, 98030 9, 05982 8, 30981 45, 174 17 —63, 193 4-0, 401 8, 90990 8,98868 8, 23889 48, 210 18 — 62, 786 -fo, 399 8, 83966 8,91769 8, 16678 51, 264 19 —62, 425 -4-0, 308 8, 76957 8, 84705 8, 09397 54, 374 20 — 62, 200 -t-o, 127 8,69959 8, 77687 8, 02064 57,416 20 — 62, 200 0, 000 8,69959 8,81188 8, 01899 57, 417 30 —62, 599 — 0, 080 8, 00098 8, 1 1409 7, 31964 88,633 40 63, 794 —0, 159 7, 30191 7,41750 6, 625 1 2 120, 143 50 — 65, 786 — 0, 239 6, 59967 6,71942 5, 92681 151, 751 60 — 68, 576 —0, 319 5, 89150 6, 017 12 5, 22798 183, 416 70 — 72, 162 —0, 398 5, 17443 5, 30775 4, 52391 215, 130 80 1 —76, 546 —0, 478 4, 44522 4, 58814 3, 81 147 246, 906 itleiiioria VI. Doti. GIOVANNI POLARA Sulla conducibilità elettrica della saliva mista dell’uomo (con una tavola; Le ricerche fatte finora sulle proprietà fisiologiche della saliv^a umana non riguardano, per quel che io sappia, la conducibilità elettrica del secreto salivare. Numerosi osservatori (1) hanno studiato le variazioni che il potere saccarificante, il contenuto totale in sali, 1’ alcalinità e la pressione osmotica della saliva mista dell’ uomo presentano nelle varie ore della giornata ; ma nessuno ha rivolto l’ attenzione alla condu- cibilità elettrica della saliva, fattore fisico-chimico d’ importanza non secondaria nell’ inter- pretazione di alcune proprietà del liquido salivare. Pertanto mi sono accmto alla misura della conducibilità elettrica della mia saliva, che raccoglievo a vari intervalli durante la giornata e sempre alla stessa ora per giorni suc- cessivi. Per tale misura mi sono servito del ponte del Kohlrausch. La saliva veniva raccolta in recipienti ben puliti ed asciutti, senza eccitazione alcuna , per secrezione naturale ; ne raccoglievo in meno di mezz’ ora sei centimetri cubici, i quali erano subito introdotti nella celletta elettrolitica di Arrhenius fornita di elettrodi di platino platinati e mantenuta costan- temente alla temperatu’-a di 18° C. Per determinare la capacità della cellula ho adoperato una soluzione di K CI a' 0. 10 7n- I valori della conducibilità specifica della saliva sono riportati nella tabella N. 1. Le mie osservazioni fanno rilevare che il valore della conducibilità elettrica specifica della mia saliva mista decresce continuamicnte e costantemente dalla mattina fino alla sera e che tale andamento non subisce alterazione alcuna per effetto della colazione di latte e caffè delle ore otto, nè per causa della colazione delle 12.30' consistente in due uova con pane, frutta e formaggio. Così la conducibilità specifica della mia saliva ha comportamento del tutto diverso di quello della pressione osmotica delle salive studiate dal Brunacci, il quale notò, mediante (I) Tezner. — Variaiions phisiolooiques de la composition de la salive. — Arch. Inter. de Phy. II, 1 53-191. Ellenberger. — Em Beitrag. lu der Frage der Aitsscheidung von Salien durch die Speìcheldriisen. — Hermann lahr. 1895. Nolf. — La presston osmotiqiie de la salive sous-maxillaire du chien. — Arch. de Bici. X\ III. 2 901. Brunacci. — Sulle variazioni fisiologiche della pressione osmotica della saliva umana in rapporto a quelle del suo potere diastatico. — Archivio di Fisiologia — Voi. VI. fas, II, 909. Atti Acc., Serie V, Vol. III. Meni. VI. I 0 Doti. Giovanni Polara [Memoria M.] r abbassamento del punto di congelamento, progressivo abbassamento della pressione osmo- tica durante le ore della mattina ed aumento notevole di essa in seguito ai due principali pasti. Sospettando che 1’ influenza del cibo sul valore della conducibilità elettrica dipendesse dalla quantità e dalla qualità dello stesso, volli per alcuni giorni sostituire alla colazione delle 12.30' il pranzo consistente costantemente in un piatto di pasta, uno di carne, pane, frutta e formaggio. Come si può osservare dalla stessa tabella N. 1. (n. 6-14), il pranzo aumenta note- volmente il valore della conducibilità elettrica, il quale si mantiene così aumentato per pa- recchie ore; dopo però esso accenna a decrescere e si abbassa progressivamente. Sei ore dopo del pranzo è ancora più alto di quello che fosse stato di prima. Non mi fu possibile seguitare l’osservazione oltre quell’ ora. La conducibilità elettrica della mia saliva mista ha il suo massimo valore la mattina, appena alzato ; nelle altre ore della giornata , anche dopo il pranzo , non raggiunge mai queir alto valore. Mentre la pressione osmotica, secondo Brunacci , nelle ore pomeridiane si innalza ad un valore superiore a quello raggiunto la mattina, la conducibilità elettrica, invece, secon- do le mie esperienze, solamente dopo il pranzo s’ innalza raggiungendo un valore supe- riore a quello delle ore della mattina, ma sempre inferiore a quello raggiunto, appena levato dal letto (tab. 3 e curve). * Dopo aver osservato quale forte influenza esercita sulla conducibilità elettrica della sa- liva la qualità e la quantità del cibo, volli anche studiare se simili effetti potessero osser- varsi sulla pressione osmotica. A tal uopo determinai il punto di congelamento della saliva, raccolta a vari intervalli, col metodo del Beckmann. I risultati sono riferiti nelle tabelle 2“ e 3®". Dallo studio di esse si può facilmente no- tare che sia la colazione , sia il pranzo aumentano il valore della pressione osmotica in proporzioni minori la prima, maggiori il secondo. Nell’ uno e nell’ altro caso però il valore della pressione osmotica raggiunto nelle ore pomeridiane dopo il pranzo o la colazione non fu mai superiore a quello avuto la mattina, appena levato. Ciò è contrario ai risultati ot- tenuti dal Brunacci e tale diversità di reperto può essere riferita alla natura propria delle salive studiate. Noto ancora che 1’ aumento della conducibilità, suscitato dal pranzo, è poco duraturo (tab. 3^), mentre quello della pressione osmotica suscitato dai due maggiori pasti è più duraturo, potendosi protrarre fino a 6 ore. Anche tale differenza di reperto tra me e il Brunacci , il quale trovò che solo per due ore si manteneva 1’ aumento conseguente al cibo , non saprei riferire se non a pro- prietà della mia saliva. I valori ottenuti sia della conducibilità elettrica, sia della pressione osmotica nelle stesse ore di giorni successivi , sottoponendomi alla stessa rigorosa vittitazione e allo stesso re- gime di vita, sono molto vari fra di loro e diversificano molto da quelli ottenuti dal Bru- nacci. Tutto ciò induce a ritenere che la concentrazione salina della saliva mista dell’ uo- mo è diversa da individuo ad individuo e dipende da cause varie e molteplici. II comportamento della pressione osmotica durante la giornata dimostra che la con- centrazione molecolare della saliva ha il suo massimo valore la mattina , appena si è Sulla conducibilità elettrica della saliva mista dell' uomo 3 levati dal letto, diminuisce susseguentemente e torna a risalire subito dopo i pasti per ridiscendere di nuovo. Anche l’ andamento della conducibilità elettrica fa rilevare che la concentrazione salina, massima la mattina, discende subito dopo per rialzarsi di nuovo in seguito al principale pasto della giornata, il pranzo ; ma dimostra altresì che essa continua ad abbassarsi quando al pranzo si sostituisce la colazione. Da ciò si può dedurre che il pasto importa bensì un aumento nel contenuto della saliva; ma mentre il pasto maggiore produce forte aumento di contenuto in sali ionizza- bili, il pasto leggero, la colazione, non determina alcun aumento nel contenuto salino io- nizzabile, il quale invece decresce sempre ; vi determina bensì l’ aumento di sostanze, che si sciolgono nella saliva, ma le cui molecole non vengono scisse nei loro ioni. Che sia come io penso può dimostrarlo il fatto che l’ aumento del contenuto dimo- strato dal valore di A non può esser dovuto a presenza di sole sostanze ionizzabili, giac- ché tale valore non è niente affatto proporzionale a quello ottenuto per K. \\ rapporto in- fatti fra i valori di A e Af, che prima del pranzo è di 0.0089, sale a 0,01 dopo il pasto. Ciò mi fa pensare che 1’ aumento di A sia anche dovuto a presenza di altre sostanze non ionizzabili e pur disciolte nella saliva, le quali sono le sole, che vengono aumentate in seguito a colazione e che determinano 1’ aumento di A. In ogni modo nelle linee generali i miei reperti concordano con quelli del Brunacci e per altra via confermano quanto egli potè dimostrare servendosi dello studio della pres- sione osmotica nelle varie ore successive della giornata. Durante le esperienze sudette mi fu facile studiare le variazioni della reazione della saliva mista nella giornata. Ciò feci servendomi delle soluzioni decinormali di acido ossalico e di soda usando la reazione della fenolftaleina. Ripetevo le esperienze volta a volta che determinavo il A e il ed ottenni sempre e costantemente reazione neutra senza alcun minimo grado di variazione. Tali reperti sono contrari a quelli ottenuti da Ezner (1) e da Sticker (2) che stabilirono delle oscillazioni re- golari giornaliere della reazione della saliva e confermano invece, in parte, quelli di Chit- tenden ed Ely (3), i quali non riscontrarono alcuna variazione nella reazione della saliva mista, che trovarono però sempre alcalina. COxNCLUSIONI A. Le oscillazioni giornaliere della conducibilità elettrica specifica della saliva mista dell’ uomo dimostrano ; 1 . il contenuto dei sali ionizzabili della saliva ha il massimo valore la mattina , appena levati dal letto ; esso diminuisce nelle ore successive della giornata fino alla sera, nè subisce alcuna variazione per effetto di pasti leggeri (colazione). 2. tale contenuto aumenta sensibilmente per effetto del maggior pasto della giornata, il pranzo. (1) Ezner — (1. c.) (2) Stiker — Die Bedeutung des Mundspeichls in physiohgischeii und pathologischen Znstdnden — Centrabl. f. Physiolog. III. 1889, (3) Chittenden und Ely : Ueber die .A.lcalinitiit und diastatische Wirkung des menschischen Speichels, Ber. d. deut. Chem. Gesell. XVI 1883. 4 Doti. Giovanni Polara [Memoria \'I.} B. Le oscillazioni diurne della pressione osmotica della saliva mista dell' uomo di- mostrano che la concentrazione molecolare totale di questa è massima la mattina , dimi- nuisce poi successivamente per rialzarsi di nuovo in seguito ai maggiori pasti della gior- nata (pranzo o colazione). C. Solamente il pranzo importa un aumento di sali ionizzabili nella saliva, mentre la colazione produce solo aumento di sostanze, le cui molecole non vengono scisse in ioni. D. La saliva mista dell’ uomo presenta differenze individuali nella reazione, la quale si è sempre mantenuta neutra durante tutte le mie esperienze e per le ore successive della giornata. Laboratorio di Fisiologia Sperimentale Umana della R. Università — C.atania dicembre 1909. Sulla conducibilità elettrica della saliva mista dell’ uomo o I. o DATA Ore 7 Ore 8 Ore 9,30 Ore 1 2 Ore 12,30 Ore 1 5 Ore 18 I 6 Agosto 130 Latte 87 80 Colazione 69 67 2 7 » 98 » 74 74 » 66 67 3 8 » I 16 » 80 70 » 68 66 4 9 » 120 » 74 71 » 65 65 5 IO * 130 » 87 78 » 68 66 6 13 » 128 » 80 77 » 76 70 7 14 » >35 » 72 72 » 69 68 8 15 » !25 » 76 75 » 73 70 9 ■ 17 » >3> » 74 73 Pranzo 73 73 IO 18 » 128 » 7> 71 » 73 73 ‘9 » 133 » 78 76 » 90 90 12 20 » ] 26 » 78 78 » lOI 92 13 21 » 130 » 95 90 » I 22 109 14 22 » 124 » 95 95 » 125 102 '5 24 » 163 » 99 94 Colazione 80 80 i6 25 » 156 » 85 80 » 75 69 >7 28 » 181 » 96 97 » 85 75 Tsatoellti II I 19 Agosto 0. 200 Latte 0. 100 0. 100 Pranzo 0. 120 0. 120 2 20 » 0. 140 » 0. 085 0. 083 » 0. 105 0.095 3 21 » 0. 1 70 » 0. 1 1 5 0 100 » 0. 120 0. 123 4 22 » 0 220 » 0. 070 0. 065 » 0. ogo 0. 130 5 24 » 0. 180 » 0. 1 1 5 0. I IO Colazione 0. 06) 0. 105 6 25 » 0. 205 » 0. 070 0. 070 » 0. 085 0. 145 7 28 » 0. 230 » 0. I IO 0. 030 » 0. 100 0. 095 Tab. i.^ ■ — Valori di K X loooo valutati con la soluzione di KCL al o,io 'Vo- Tab. 2^ — - Valori di IXI. Medie di K. I Agosto 6-15: 24-28 135 Latte 86 83 Colazione 72 2 Agosto 17-22 1 28 » 82 80 Pranzo 97 Medie dì A. I Agosto 24-28 0. 205 » 0. 098 0. 077 Colazione 0. 083 2 Agosto 19-22 0. 185 » 0. 092 0. 087 Pranzo 0. 109 i y Ifleiiioria VII. Dott. SALVATORE COMES Assistente e Libero Docente di Zoologia ed Anatomia Comparata La partecipazione dei mitocondri alia formazione delia membrana divisoria primitiva della cellula (con una tavola) RELAZIONE Della Commissione di Revisione composta dei Socii effettivi Proff. L. BUSCALIONI ED A. RUSSO (Relatore). In questa memoria 1’ autore, servendosi del metodo Benda, è riuscito ad osservare minutamente ed a descrivere il processo di condriodieresi, che ha luogo durante la di- visione cariocinetica della cellula cartilaginea. In modo particolare egli ha rivolto la sua attenzione alla formazione della membrana divisoria primitiva, di origine chiaramente mi- tocondriale. Per tale reperto importante, come pure per la prima descrizione della condriodieresi nelle cellule somatiche, pei confronti di questa colla cariodieresi, per le deduzioni d’ in- dole generale la Commissione ritiene il lavoro del Dott. Comes degno di essere inserito negli Atti Accademici. PREFAZIONE Il lungo ed accurato studio della citodieresi, ci ha, da tempo, rivelato le fasi princi- pali di questo importante processo funzionale della cellula. Se non che, riguardo ad alcuni punti, secondarii se si vuole, ma non per questo trascurabili nel processo medesimo, esi- ste ancora grande controversia fra i citologi. Uno di questi punti è certamente quello che riguarda il modo di formazione della membrana divisoria primitiva delle due cellule figlie. Nei vegetali a dir vero, per merito principale dello Strasburger e del Wiesner noi pos-, siamo seguire, in tutti i momenti, il processo di formazione della sudetta membrana , la cui origine è intimamente connessa coll’ esistenza d’ un protoplasma specifico che Prenant ascriverebbe fra i protoplasmi superiori e che Strasburger stesso ha denominato cino- plasma o meglio ancora , pel caso in ispecie , dermatoplasma. Propriamente le fibrille di questo dermatoplasma che formano il fuso principale , ai cui estremi si son portati durante la metafase i cromosomi, individualizzati al termine della profase, si ispessiscono in forma di bottoncini {dermatosomi) sulla porzione corrispondente al loro piano equa- toriale negli ultimi momenti della metafase e nei primi dell' anafase. Quanto più questa Atti Acc., Serie V, Vol. III. Meni. VII. 1 o Dott. Salvatore Comes [Memoria VII. terza fase del processo cariocinetìco va inoltrandosi, tanto più i dermatosonii ingrossano ed in un ultimo stadio essi arrivano a costituire, anche per 1’ aggiunta di altri bottoni ap- partenenti a tìbrille neoformate, una linea continua detta placca cellulare. Notiamo intanto che sia i dermatosomi come la placca da loro derivante sembrano essere, secondo questo processo, differenziazioni del dermatoplasma o cinoplasma. (1) Ora la placca cellulare non è altro che la membrana primitiva, la quale serve a dividere le due cellule figlie, li- mitando la parte di protoplasma comune di esse. Questo speciale modo della formazione della membrana, tanto comune a' riscontrarsi negli elementi vegetali, non lo è ugualmente nelle cellule animali in alcune categorie delle quali (Molluschi, spermatociti di miriapodi Salpe, Pesci ecc.) fu tuttavia, sebbene meno chiaramente, rinvenuto da diversi osservatori (Hoffmann, Carnoy Kostanecki, Henneguy, Ballovitz ecc ). Ad ogni modo, sia per quanto riguarda gli elementi vegetali che gli animali , è que- stione ancora discussa quella che concerne la natura del dermatoplasma e del cinoplasma in genere, volendo alcuni vedervi rappresentati i soli raggi dello aster, altri una diversa porzione specifica del citoplasma. Certo, se si dovesse seguire l’ idea del Wilson pel quale i raggi deir aster rappresentano vere correnti di diffusione del citoplasma, dirette verso il centrosoma, mal si potrebbe concepire, da tali correnti, 1’ origine d’ un organite cellulare cosi altamente differenziato durante tutta la vita cellulare qual’ è la membrana. In questo caso, come pretendono i Citologi del campo vegetale specialmente, i raggi dell’ aster dovrebbero essere più che correnti, dei veri e propri fili nel significato materiale della . parola. Si discute inoltre per sapere se i filamenti del fuso principale o direzionale appartengano solamente all’ aster od anche al citoplasma adiacente, o non piuttosto ema- nino parzialmente (si perviene cosi ad una complicata categoria di fusi misti) ovvero in- fine esclusivamente dal nucleo, mediante la sostanza del nucleolo o della rete di linina che durante la carodieresi si trasformerebbe nei filamenti stessi. Una domanda che dobbiamo pure muoverci intorno alla natura della membrana divisoria è la seguente; tale membrana, data e concessa la sua origine cinoplasmatica, corrisponde nella sua costituzione ed origine alla membrana della cellula madre che insieme ad essa varrà a formare la membrana completa di ognuna delle due cellule figlie ? E se la membrana di- visoria non avesse natura cinoplasmatica, da quale protoplasma specifico essa deriverebbe.? E come si manifesterà e si caratterizzerà un tale citoplasma ? Per rispondere adeguatamente a ciascuna delle quistioni che abbiamo accennato, biso- gnerebbe differenziare, nel fuso principale, la parte che spetta al citoplasma e quella che spetta al nucleo con reazioni coloranti specifiche , vedere come si comporta coi medesimi reattivi la membrana divisoria rispetto alle due parti sudette e rispetto alla membrana della cellula madre, tenendo di vista nel contempo la formazione e le proprietà della membrana nucleare in rapporto agli altri organiti cellulari. Materiale e metodi usati Un metodo che si presta bene, data anche la conveniente scelta del materiale , per procedere a questa differenziazione di parti è certamente quello del Benda, praticato con (i) Secondo Wiesner a formare anche la membrana contribuiscono essenzialmente i plasomi costituenti elementari del citoplasma, secondo 1' A. sudetto. La partecipazione dei mitocondri alla formazione della membrana, ecc. 3 quelle ultime modificazioni, suggerite dall’A. stesso, che ne rendono più chiaro, più facile e più sicuro il risultato. Il materiale poi che più si adatta alle presenti ricerche mi è stato fornito dalle cellule cartilaginee giovani tolte ad elementi condroscheletrici vertebrali e costali di embrioni o di individui neonati di Mammiferi quali il topo, il coniglio, la cavia ecc. , appunto perchè in tali giovani elementi è più facile riscontrare in abbondanza le figure mitotiche. Praticando su tale materiale e meglio ancora sulle corrispondenti parti cartilaginee di animali adulti il metodo ricordato, è possibile mettere in evidenza nell’ interno della cellula cartilaginea in riposo un vero apparato mitocondriale disposto in reticolo, su cui ho già richiamato 1’ at- tenzione , facendone notare la massima analogia coll’ apparato reticolare del Golgi dopo adeguate e riuscite ricerche comparative (1). Io tornerò ad illustrare in un prossimo la- voro, già pronto e non pubblicato sinora per circostanze impreviste , ed in un modo più comprensivo ed esteso 1’ apparato reticolare visibile col metodo del Benda. Dalle ricerche che, ripeto, esporrò fra breve, risulta che il reticolo mitocondriale costituisce lo stato mor- fologico di riposo del condrioma, di questo nuovo ed essenziale elemento della cellula che prende una parte così attiva , sia nel riguardo del suo metabolismo , come ha dimostrato magistralmente il Russo (2), sia durante i suoi fenomeni riproduttivi. Meves (3), pel primo ha intuita e descritta la vera parte presa dai mitocondri durante la divisione indiretta, per meglio dire durante la spermatogenesi ; ma chi la illustrò, recehtissimamente , assurgendo anche a considerazioni e comparazioni che, se sono discutibili, rivelano di certo larghezza di vedute^ è stato il Prof. Giglio-Tos (4). Quest’ ultimo A. è venuto alla conclusione che nella divisione cellulare indiretta si seguono i tre seguenti processi divisionali : la cariodie- resi o divisione del nucleo, la condriodieresi o divisione del condrioma, e la citodieresi, divisione totale del corpo cellulare. Di questi tre processi i primi due hanno fra loro molti punti di contatto. Così all’ inizio delia divisione, e meglio ancora durante la metafase , si forma, al di sopra del fuso principale, il così detto mantello mitocondriale. Meves descrive il comportamento di questo mantello durante rallontanamento dei due nuclei figli nel modo seguente : “ Wenn, die Entfernung zwischen den beiden Tochterkernen noch gròsser vvird, schnurt sich der Mitochondrienmantel in Aequator sandhurfòrmig ein, wobei sich di àequa- torialen Strànge noch weiter verdiinnen. Diese Strànge werden schliesslich ebenso^’\’ie die (1) Comes S. — Sulla natura mitocondriale dello apparato reticolare delle cellule cartilaginee — Boll. Acc. Gioenia. Fase. VI, Ser. II, Gennaio 1909. (2) Russo, A. — Sull’origine dei mitocondri e sulla formazione del deutoplasma dell’oocite di alcuni Mammiferi — R. C. Acc. dei Lincei 1907. Id. Sull’origine e sulla funzione dell’apparato mitocondriale nelle cellule sessu.ili dei Mammiferi. Boll. Acc. Gioenia Scienze Naturali Catania. Fase. II, Ser. 2® 1908. Id. — I mitocondri e i globuli vitellini allo stato normale ed in condizioni sperimentali (Contributo allo sviluppo del deutolecite e alla differenziazione sessuale delle uova dei mammiferi. Nota I. Atti Acc. Gioe- nia Se. Nat. Catania Ser. V. Voi. II, 1909. A^'edi anche S. Comes.- L’azione della atropina e della pilocarpina nell’oocite di gatta— Atti Acc. Gioe- nia Se. Nat. Catania Serie i“- Voi. I, 1908. (3) Dei molti lavori di questo A. si veggano specialmente: Meves, F. Die Spermatocytenteilungen bei der Flonigbiene (Apis mellifica L.) nebst Bemerkungen uber Chromatinreduktion — Arch. f. Mikr. anat. Bd. 70 1907; Id und Duesberg, I. — Die Spermatocytenteilungen bei der Hornisse (Vespa crabro L.) Arch. f. mikr. Anat. Bd. 71, 1908. (4) Giglio-Tos, E ; e Granata, L. — I mitocondri nelle cellule seminali maschili di Pamphagus mar- moratus (Rurm). Biologia Voi. II, N.'* 4 1908. <‘4 Dott. Salvatore Comes [Memorìa vii.] Spindel bzw. Verbindungsfasern in Zwischenkòrperchen zusammen gefàsst. Schiesslich schwinden die Strànge , welche die beiden Hàlften des Mithocondrien mantel mit dem Zwischcn korperchen verbinden Vollstandig. „ Anche Giglio Tos come il Meves è riu- scito ad osservare che durante la contrazione o regressione polare delle due metà del man- tello mitocondriale, che forniranno ciascuna il paranucleo di ogni cellula, si forma, a spese del mantello stesso, senza dirci però come, il corpo intermediario di Flemming il cui significato ed il cui destino sono tanto discussi (1). Pertanto nessun Autore, eh’ io sappia, si è preoccupato sinora della formazione della membrana divisoria, mettendola in relazione con questo nuovo organo della cellula, cioè col condrioma. A questo punto dunque fanno seguito le mie ricerche, argomento del presente lavoro e parte d’ un lavoro prossimo, per cui sarò adesso relativamente succinto e mi occuperò solo di quella parte della citodieresi che più direttamente c’ interessa. La controdieresi nella cellula cartilaginea. Anch’io, nelle cellule cartilaginee di vertebre e coste di embrioni di mammiferi ho potuto notare un peculiare comportamento del condrioma, comportamento che, pur distac- candosi in qualche fase da quello descritto dal Giglio Tos nelle cellule seminali di Pam- phagus marmoratus (forse a motivo del differente materiale usato) gli resta nelle linee generali molto somigliante, per cui merita di esser designato collo stesso nome di condrio- dieresi giustamente suggerito dal Giglio-Tos medesimo. Ecco le principali fasi di questa condriodieresi del condroblasta. Complessa e varia, nel periodo vegetativo, è, come vedremo, la disposizione dei mi- tocondri nel corpo della cellula cartilaginea, ma il caso più generale è quello d’ un appa- rato reticolare più o meno sviluppato nell’interno del corpo cellulare medesimo, (fig. 1). Quando la cellula si appresta a dividersi il reticolo mitocondriale subisce una fase di involusione. In seguito a tale processo, esso mostrasi addensato ai due poli del nucleo , in corrispondenza dell’ asse maggiore della cellula, sotto forma di due masse violacee do- ve, risolvendo con l’ immersione , si distingue un grosso e fortemente colorato gomitolo mitocondriale (fig. 3). Il condensamento del reticolo però aumenta , mentre diminuisce il suo volume e si fa naturalmente più forte e più omogenea la colorazione violetta delle due masse. Così nella fig. 4 esse non lasciano più trasparire accenno alcuno di gomitolo, costituendo due veri e propri condriosomi a struttura quasi compatta. A questo punto con- vien ricordare che se il reticolo mitocondriale involuto porta ad un solo gomitolo (ciò suc- cede spesso quando il reticolo è sviluppato in preponderanza da un lato solo della cellula, come in fig. 2) allora si perviene per sdoppiamento di quest’unico gomitolo, già conden- sato in condriosoma, ai due condriosomi definitivi (fig. 5) i quali si portano ben tosto ai due poli del nucleo, secondo l’asse maggiore della cellula. Colla formazione dei due condriosomi ha termine la fase d’ involusione, e fa su- bito seguito un’ altra fase eh’ io chiamerei di disgregasene , per lo speciale comporta- mento dei due condriosomi stessi. Questi, nel contempo che il nucleo perde la sua visibi- lissima membrana, tinta, si noti, del colorito mitocondriale, e dispone la sua cromatina a (i) V. Prenant, a. Bouin, P. et Maillard, L. — Traité d’ Histologie, Tome i : Cytologie général e spécial. Paris. Schleicher red. Ed. 1904. La partecipazione dei mitocondri alla formazione della membrana, ecc. 5 gomitolo, si disgregano in tanti condriosomi secondari (1) che facendosi sempre più chiari e caratteristici, si diffondono, poco alla volta, in tutto il corpo cellulare. Uno scarso condensamento di essi ai poli del nucleo ricorda ancora la posizione dove furono i due condriosomi primitivi, condensamento che, per altro, scompare ben presto. La fig. 6 ci rende una chiara idea dei sudetti particolari. Le cose si complicano in certo modo quando si perviene allo stadio del fuso carodieretico principale. A questo sta- dio la disgregazione dei condriosomi continua e si può dire eh’ essa porti alla risoluzione completa in mitocondri o granuli elementari del condrioma, mentre presso al nucleo e precisamente al disopra del fuso principale che resta in tal modo mascherato, si forma un fitto mantello che ci si manifesta colorato come i mitocondri in violetto e rappresenta il mantello mitocondriale. Questo mantello mitocondriale rispetta solamente i due centroso- somi, ora molto bene visibili (fig. 7) È naturale che in una sezione trasversa a livello dell’equatore della ellissi mitotica, come noi scorgiamo nella fig. 8, si veda al centro il nucleo allo stadio di piastra equatoriale e alla periferia i mitocondri e il mantello mitocondriale. Quest’ ultimo sembra formato a spese d’ uno speciale citoplasma proprio del condrioma, come il fuso nucleare è dato probabilmente dalla rete di linina propria del cromatoma. Col procedere della cariodieresi , durante la metafase, il fuso mitocondriale si rende più evi- dente nel senso che mostra distinguibili vieppiù i suoi filamenti (fig. 8) sui quali vanno a disporsi gradatamente i mitocondri sparsi precedentemente in tutto il corpo cellulare, si perviene cioè alla fase della condriotassi. Si ha così la formazione di tanti condriomiti costituenti il mantello mitocondriale cor- rispondentemente allo stadio di aster nucleare come mostrano pure le fig. 9. 11, 12, 13 ecc. Pertanto una certa quantità di mitocondri rimane sparsa sul corpo cellulare con note- vole condensamento verso i due poli del nucleo in divisione. Nella fig. 1 1 abbiamo colto uno stadio identico al precedente dove per 1’ opportunità della sezione fatta lungo l’asse cellulare, si osserva il fuso nucleare, colorato, come le parti del nucleo, in rossastro e fiancheggiato lateralmente da qualche condriomito del fuso mito- condriale. Con questa caratteristica differenza di colorazione resta chiaramente dimostrato che i due fusi si conservano abbastanza indipendenti 1’ uno dall’ altro. Colla ricostituzione dei due nuclei figli, anafase, la formazione mitocondriale presenta una seconda fase di involuzione di cui descriviamo i principali stadi. Nella fig. 14 abbiamo rappresentato i mitocondri del fuso condensati preferibilmente in vicinanza dei due nuclei che mostrano ancora distinti i loro cromosomi. Il fuso mitocondriale, sprovvisto nel suo percorso, meno che nella sua parte mediana, di mitocondri, presenta la sua speciale natura cinoplasmatica. Nella fig. 15 i due nuclei figli sono già quasi del tutto ricostituiti: in loro vicinanza e dalla parte del fuso si notano gli accumuli mitocondriali fatti più densi ed in cui si può distinguere appena la costituzione granulare. In ambedue le figure altri mitocondri si di- stinguono sparsi nel corpo cellulare di ogni cellula figlia; ma preferibilmente situati ai- fi altro polo del nucleo. La placca cellulare già accennata nella fig. 12 sotto forma d’una serie allineata di granuli disposti lungo fi equatore della cellula, sopra le singole fibrille del fuso mitocondriale si è intanto vieppiù integrata negli stadi rappresentati dalle fig. 13, 14, 15. Arriviamo finalmente all’ultimo stadio dell’anafase, come si osserva nella fig. 16. I nuclei (I) Sono frequenti i casi in cui si notano quattro di tali condriosomi secondari, come se si formasse una tetrade di condriosomi. 6 Doti. Salvatore Comes [Memoria VII.] figli sono completamente ricostituiti e si sono rivestiti d’ una caratteristica membrana violetta, i centrosomi, meno visibili, si vedono lontani dalla parete nucleare, i due cumuli mitocondriali périnucleari si sono trasformati in due masse compatte. Ognuna di queste masse presenta la forma di un cono tronco con la base maggiore accollata al nucleo e con la minore in relazione alla placca cellulare già sdoppiata e costituente la parete rispet- tiva della membrana cellulare. Ogni massa, limitata da un più delineato contorno violetto, acquista, dopo la completa divisione cellulare, una forma rotondeggiante e costituisce un grosso paranucleo o Nebenkern, posto accanto al nucleo in riposo (fìg. 17). A partir da questo punto si succedono nella formazione mitocondriale dei cambiamenti che ne caratte- rizzano il periodo vegetativo o di riposo. Di due tali cambiamenti giova intanto far cenno a questo punto piuttosto che altro- ve. L’ unico condriosoma formatosi, ingrandisce ben presto le sue dimensioni, ma nello stesso tempo esso diviene meno colorato e compatto. Nel suo interno si individualizzano allora dei filamenti, spessi e rotti a mo’ di condrioconti (tìg. 18) o sotto forma di un fila- mento unico ravvolto a spirale, (fìg. 19) disposizione che ricorda quella osservata da Gi- glio-Tos negli spermatidi di Pamphagus. Dopo simile disgregazione la formazione mito- condriale perde la forma di Nebenkern ed acquista la disposizione reticolare più o meno diffusa (fìg. 1, 2) allo stesso modo che negli spermatidi è questo medesimo Nebenkern che si differenzia nel filamento spirale. (1). Da ciò che si è detto risulta dunque che il comportamento della condriodieresi du- rante la divisione del controblasto si manifesta con processi determinati e costanti in gran parte simili a quelli descritti da Giglio-Tos nella cellula seminale in divisione. Questa so- miglianza di comportamento (che paragoneremo estesamente altrove) mentre fornisce la prova migliore della natura veramente mitocondriale delle formazioni da me descritte, per- mette di estendere alle cellule somatiche in divisione ciò che fu descritto nello stesso pe- riodo funzionale delle cellule sessuali. Ciò, a mio vedere, è di somma importanza, facen- doci concepire altre relazioni , d’ indole generale, delle parti morfologiche della cellula du- rante la sua dieresi, e facendoci intendere come tappe diverse d’ un elemento costante del- la cellula stessa, il condrioma, le numerose differenziazioni citoplasmiche state volta a volta descritte da Flemming, Heidenhain, Pensa, Von Bergen, Arnold, Meves ecc. nella cellula cartilaginea. Non voglio terminare questa rapida scorsa sul comportamento del condrioma durante la citodieresi, scorsa necessaria per meglio chiarire, nel prossimo capitolo, quanto concerne la formazione della membrana divisoria primitiva, senza istituire anch’ io un parallelo tra il comportamento sudetto e quello del nucleo. Tale parallelo è relativo da un lato al tempo in cui si verificano i principali cambiamenti delle due parti ricordate, dall’ altro alla forma raggiunta dalle stesse in ogni determinato tempo. Come la cariodieresi si compie in tre ( I ) Dopo questo rapido esame della condriodieresi ne gli elementi da me studiati , possiamo riconoscere in essa quattro differenti modi di presentarsi del condrioma durante la vita cellulare. Essi sono: i. Il Con- driosoma, riscontrabile alla fine dell’ anafase e al principio della fase di riposo' (teleofase). 2. Il reticolo mito- condriale proprio della fase di riposo. 3. I mitocondri, caratteristici della profase. 4. I condriomiti che si osssr- vano durante la metafase e parte dell’ anafase. Questo schema come vedesi è identico a quello datoci da Giglio-Tos nella cellula seminale di Pamphagus, ma offre una quarta forma di più, il reticolo mitocondriale in- tercalato nella fase di riposo. Così allo schema dato da Giglio-Tos sui diversi modi di aggregazione del con- drioma, paragonabili a quelli presentati dal cromatoma, bisogna aggiungere il reticolo mitocondriale che fa ri- scontro alla rete di cromatina, ambedue proprii della fase cellulare di riposo. La partecipazione dei mitocondri alla formazione della membrana, ecc. / tempi distinti, la profase, la metafase e 1’ anafase, cosi può dirsi per la condriodieresi. La profase nucleare comprende tutti i processi che si svolgono nel nucleo dallo stadio di ri- poso, con la cromatina a reticolo, sino allo stadio di piastra equatoriale. Essa implica la formazione dello spirema, la sua frammentazione in cromosomi e spesso la divisione lon- gitudinale di questi. La metafase va dalla piastra equatoriale inclusa allo stadio di diaster : abbraccia tutti i processi che si svolgono nei cromosomi lungo il fuso principale , acro- matico. L'a anafase va dalla fase di diaster, esclusa, a quella della costituzione dei nuclei figli, rifà quindi tutti i passaggi della profase, in senso inverso. Per quanto riguarda la condriodieresi, la profase va dalla riduzione del reticolo rnito- condriale alla disgregazione in mitocondri, previa la formazione dei due condriosomi po- lari; la metafase è caratterizzata dall’ ordinamento dei mitocondri sulle fibre del mantello mi- tocondriale sotto forma di condriomiti , l’ anafase dal condensamento di questi ultimi nel paranucleo definitivo con la cui formazione s’ inizia la fase di riposo. Cosicché anche 1’ a- nafase della condriodieresi puossi considerai'e come una profase rovesciata ed infatti, men- tre in questa dal condriosoma unico, si va, per successiva gradazione, alla forma mitocon- driale tipica cioè ai mitocondri, nell’ anafase si passa da questa forma al condriosoma uni- co o paranucleo, previa la costituzione e la regressione dei condriomiti caratteristici della metafase. Pertanto il parallelismo del condrioma col cromatoma si può portare più in là di quanto a prima vista non sembri. Effettivamente la profase nucleare termina con la for- mazione dei cromosomi (in numei'o determinato) la mitocondriale colla formazione di una diade di condriosomi. Nella metafase nucleare i cromosoni divisi scivolano lungo i filamenti del fuso cinoplasmatico per formare lo stadio di diaster, nella metafase mitocondriale i con- driosomi divisi scivolano lungo i filamenti del mantello mitocondriale per condensarsi ai poli cellulari ogni metà sotto ciascun nucleo figlio. Nell’ anafase alla ricostituzione del nu- cleo di ogni cellula, corrisponde la ricostituzione del paranucleo o Nebenkern pure di ogni cellula. Al reticolo cromatico che si riscontra nella fase di riposo corrisponde infine il re- ticolo mitocondriale del condrioma quiescente. Intercede tuttavia una notevole differenza tra il nucleo cromatico ed il mitocondriale ; la maggiore suscettibilità di quest’ultimo ad esse- re influenzato dall’ ambiente nutritivo. Anche se questa modificazione dell’elemento mito- condriale non fosse dimostrata sotto 1’ azione dei processi del metabolismo, essa si dovrebbe supporre, ove si pensi che il condrioma è una differenziazione citoplasmica ed è quindi sog- getto a tutte le cause che possono direttamente influire sul citoplasma, fra cui quella di essere posto più superficialmente rispetto al cromatoma. Così possiamo spiegarci perchè la formazione mitocondriale aumenti nelle condizioni di ipernutrizione, e diminuisca e sì tra- sformi in quei casi sfavorevoli di nutrizione che raggiungono il loro acne nel digiuno completo, come pure in elementi in via di riduzione. Così nelle cellule della corda dorsale visibili nel materiale stesso da me adibito, la prima a ridursi è la formazione mitocondriale, mentre il nucleo persiste molto più a lungo. Epperò, nella fase di riposo essa è facilmente visibile nello stadio di reticolo in tutti gli elementi a ricco ricambio nutritizio (cellule nervose, intestinali, glandulari in genere) come pure in questo stadio, specie quando più non si avranno ulteriori processi di con- driodieresi, esso è suscettibile di contrarre svariati rapporti con altre parti citoplasmatiche e di modificarsi in esse od in sostanze di secrezione, cosa che del resto si verifica anche pel nucleo in riposo. Ad ogni modo il comportamento del condrioma nella citodieresi è così definito e co- 8 Dott. Salvatore Comes [Memoria \'IL] stante eh’ esso ben può considerarsi come una nuova parte essenziale della cellula , che , pur entrando in funzione attiva nella citodieresi, conserva un elevato valore somatico, for- nendo un nuovo dato per la concezione d’una vera binuclearità della cellula, e per quanto riguarda le cellule sessuali, il substrato di una doppia anfìmixis, la nucleare e la citoplasmica. Ulteriori dettagli sulla formazione della membrana divisoria primitiva. Per- sintetizzare le nostre idee su ciò che, se non è la parte più importante, è certa- mente la più originale delle presenti ricerche, veniamo a studiare più da vicino la forma- zione della membrana divisoria. Non si tosto è avvenuta la separazione delle due metà dei cromosomi, che fra di essi si presenta, come si è detto, il fuso cinoplasmatico di unione, il quale tanto più si allunga quanto più quelli si distanziano. Ora è interessante far notare che, nel descritto processo di citodieresi , le fibre del fuso , oltre ad essere interne rispetto a quelle del mantello mitocondriale, son colorate in rosso arancio come i cromosomi, mentre le mitocondriali presentano un colorito intenso violetto. Questo particolare, a dir vero, si rileva anche dalle figure annesse al lavoro di Giglio-Tos, ma io vi insisto, per ricordare che il metodo Benda è capace di colorare diversamente il fuso di unione dei due nuclei figli e quello dei condriomi sia durante la cariodieresi che durante la condriodieresi. Il fuso cino- plasmatico, chiamiamo pure cosi il fuso di unione dei due nuclei figli, scompare ben presto e precisamente al principio dell’ anafase. Il fuso mitocondriale che lo riveste mostra allora più definite le sue fibrille, lungo le quali scivola, allogandosi presso ad ogni nucleo figlio, una certa quantità di mitocondri, forse in causa di quelle stesse ragioni fisiche o chimiche che si sono invocate per spiegare il movimento verso i poli presentato dai cromosomi. Però nella fibrilla del fuso e precisamente sul suo piano equatoriale si dispone e resta definiti- vamente un granulo mitocondriale, sicché ad un certo momento del processo di cui ci oc- cupiamo si osserva una serie granulare di mitocondrii disposte sulle fibrille del mantello omonimo (fig. 13). Nella fig. 9 della Tavola noi vediamo iniziarsi tale disposizione equatoriale di alcuni mitocondri. I mitocondri in parola si ispessiscono sempre più e, verso la periferia della cellula, es- si si allivellano con altri mitocondri che sembrano attratti ad acquistare tale disposizione dalla catena mitocondriale primitiva. Pare che questi ultimi alla lor volta siano i mitocon- dri equatoriali di fibre più superficiali del mantello precocemente riassorbite, come devesi pensare osservando la fig. 15 in cui, mentre persiste la porzione centrale del mantello mi- tocondriale, è scomparsa la periferica ed in corrispondenza di questa è rimasta un inizio della membrana. Per siffatto grande sviluppo in estensione della linea granulare o mitocon- driale mediana come per 1’ ulteriore suo destino, non si può dare ad essa il valore, ristret- to e limitato d’ un corpo intermediò di Flemming, come ha fatto Giglio-Tos per gli ele- menti seminali. Molto evidentemente essa corrisponde alla placca cellulare dello Stra- sburger. Ben presto infatti, per ingrossamento di ogni singolo granulo , tutti i mitocondri arrivano a toccarsi ed infine a fondersi, formando, in seguito a ciò, la vera membrana di- visoria primitiva. Che poi tale membrana abbia un’ origine esclusivamente mitocondriale lo prova la sua costituzione granulare ancora abbastanza visibile per un certo tempo dopo la sua formazione (si osservi a tal riguardo la fig. 13) giacché se i granuli mitocondriali si sono fusi per il loro punto mediano od equatoriale, rimangono liberi i loro poli. Si ot- La partecipasione dei mitocondri alla formasione della membrana, ecc. 9 tiene in questo modo in sezione l’ immagine d’ una corona di rosario le cui grana avvici- nate sino al contatto, son distinte tuttavia alle parti estreme dove non si toccano. Più o meno tardi però la fusione avrà luogo anche nelle parti distali o polari dei granuli, aven- do questi perduta, in seguito alla mutua compressione ed al conseguente schiacciamento, la forma rotondeggiante, ed acquistata gradatamente la forma cubica o prismatica atta a farli ben combaciare per tutta 1’ estensione della su- perficie di contatto, e a disporre rispettivamente allo stesso livello le due superficie libere di essi. Io do, qui accanto , la rappresentazione sche- matica del modo con cui va molto verosimilmente, formandosi la membrana divisoria primitiva. Bisogna ricordare che negli stadii più avanzati del suo pro- cesso formativo, la membrana primaria, in corrispondenza della sua estrema parte perife- rica, viene a mettersi in relazione con una invaginazione corrispondente, già pure formata, della membrana della cellula , invaginazione che determina lo strozzamento delia cellula stessa. Durante il tempo in cui avviene tale invaginazione, la membrana cellulare perde, nel punto invaginato, la sua continuità e compattezza, risolvendosi in tanti mitocondri di- sposti in fila che convergono per ogni lato verso la membrana divisoria sino a toccarla. A questo particolare si deve, secondo me, attribuire un grande significato. La risoluzione in mitocondri d’ una parte della membrana cellulare, la quale , del resto , presenta colora- zione violetta in tutta la sua distesa, ci spiega primieramente la sua natura mitocondriale, giacche è ovvio pensare che , se una parte di essa può risolversi in mitocondri, di mito- condri sia per tutta la sua estensione costituita. In secondo luogo questa risoluzione in granuli mitocondriali della parte invaginata della membrana favorisce la cementazione di questa parte con gli estremi periferici della membrana divisoria, mediante un processo di fusione analogo a quello descritto poco fa per quest’ ultima. In questa maniera si forma al completo la membrana di ciascuna cellula figlia (fig. 17). Un’ ultima quistione, relativa all’ ulteriore sviluppo della membrana divisoria, avvenuta già la sua formazione , è di sapere se essa rimane unica o se invece si sdoppia. Certa- mente, il fatto stesso di trovare spesso isolata la cellula cartilaginea adulta, ci fa supporre, senz’ altro , lo sdoppiamento. Ma 1’ esistenza vera , dimostrativa di essa io ho potuto co- glierla, osservando i miei stessi preparati. Nella fig. 16 noi abbiamo infatti due cellule figlie, nell’ ultimo periodo della anafase coi nuclei quasi in riposo e con i rispettivi centrosomi e paranuclei, questi ultimi formatisi uno per ogni cellula, dal mantello mitocondriale. Or bene, è nella porzione della cellula in cui i due paranuclei si trovano quasi anco- ra in contatto che si vede il totale sdoppiamento della membrana divisoria primitiva e un notevole distanziamento tra le due membranelle così originate. Qual’ è, si domanda ora, la vera essenza di tale sdoppiamento ? Io debbo confessare che non ho ancora sott’ occhio sufficienti e chiari stadi di passaggio fra quest’ ultima disposizione e quella d’una mem- brana divisoria unica. È probabile che in seguito al movimento presentato in due direzioni diametralmente opposte dalle due cellule figlie la membrana mediana primitiva si delamini. La delaminazione sarebbe per altro resa possibile dalla persistente divergenza dei due tratti invaginati della membrana cellulare ^ divergenza che rappresenterebbe la causa efficiente della delaminazione, allo stesso modo che due fogli di cartone incollati possono separarsi Atti Acc., Serie V, Vol. III. Meni. VII. 2 10 Doti. Salvatore Comes [Memoria VII.] solo quando si apra un solco di separazione al loro margine e si tirino in senso opposto i due lembi resi liberi. Con tutto questo, resta ancora a spiegarsi il fenomeno intimo dello sdoppiamento. Noi non possiamo analizzare più i mitocondri che costituirono la membrana divisoria, sebbene non ci sia alcun dubbio, come abbiamo visto, sulla costituzione mitocondriale di quest’ulti- ma. Il clivaggio della membrana ci fa supporre la divisione dei mitocondri, divisione proce- dente dall’esterno verso l’ interno della membrana stessa, il cui punto di mezzo è appunto l’ultimo a delaminarsi come è stato l’ ultimo a formarsi. Giglio-Tos occupandosi, per tutt’altra questione, della possibile divisione dei granuli mitocondriali, tende ad ammetterla anche per personali osservazioni, senza però chiaramente pronunziarsi. Anche il clivaggio della mem- brana credo possa con molta verosimiglianza parlare in favore della divisione o scissione dei mitocondri. Non escludo con questo che la membrana divisoria primitiva possa esser costituita dall’ accoppiamento d’ una doppia linea di mitocondri disposti in due serie paral- lele sul piano equatoriale della cellula (sebbene 1’ osservazione non mi autorizzi ad affer- marlo) e che la delaminazione sia piuttosto da considerare come un semplice distacco pro- vocato dall’ impulso di trazione dello strozzamento della membrana della cellula madre e dallo allontanamento dei due corpi cellulari tìgli. Come si vede dal rapido esame dei fatti descritti precedentemente, numerose e com- plesse sono le quistioni che si connettono all’ argomento di cui ci siamo occupati, di alcu- ne delle quali siamo ben lontani di aver portato, per ora, una conveniente risoluzione. Ciò r^on deve meravigliarci quando si pensi che il substrato delle nostre ricerche risiede in parti cellulari così minute, da stare al limjte tra la costituzione morfologica e la concezio- ne tìsica di quelle parti medesime. Conclusioni Ad ogni modo, da quello che in questo lavoro siamo venuti esponendo, risulta, mi pare, in modo non dubbio, che anche nelle cellule animali del soma, e fra queste (per far la dovuta restrizione) negli elementi cartilaginei, abbia luogo durante un ben definito processo di condriodieresi, la formazione della membrana primitiva divisoria, colle stesse modalità con le quali tale formazione ha luogo, secondo gli studi di Strasburger e di Wiesner, nelle cellule dei vegetali. Però mentre in questo caso sembra entri in giuoco il fuso cinoplasma- tico d’ unione dei due nuclei tìgli, per quanto lo Strasburger colla denominazione di der- matoplasma gli abbia voluto attribuire caratteri citoplasmici non peranco determinati, nella cellula cartilaginea si può escludere recisamente l’intervento del fuso cinoplasmico nucleare per la formazione della membrana in discorso. (1) Questa è invece di esclusiva origine mitocondriale. Si forma infatti una placca cellulare, di natura mitocondriale anch’essa, perchè costituita dalla disposizione seria ta di mitocondri, uno su ogni filo del fuso mitocondriale. Per tal motivo alla denominazione di placca cellulare, si potrebbe sostituire quella, genetica- mente più precisa, di placca mitocondriale., come all’ altra, pure impropria, nel nostro ca- so, di dermatoplasma quella di condrioplasma, e portando ancora più oltre tale sostitu- (I) A questo proposito mi accingo a fare io stesso delle ricerche comparative negli elementi vegetali coll’uso dello stesso metodo del Benda, allo scopo di determinare la vera natura del dermatoplasma di Stra- sburger. La partecipasione dei mitocondri alla formazione della membrana^ ecc. 11 zione, si preferirebbe alla parola dermntosomi V altra di condriosoni, se con questa non si fosse già designato dai Citologi, come abbiamo visto, uno stadio particolare del con- drioma. Dalla placca mitocondriale origina, colle modalità sopra descritte, la membrana divisoria primitiva, in seguito al cui sdoppiamento si completa la membrana cellulare di ciascuna cellula figlia al termine della citodieresi. IO Dicembre 1909. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE DELLA TAVOLA Tutte le figure furono ritratte da sezioni di pezzi di vertebre e di coste ancora allo stato cartilagineo di embrioni e di neonati di Coniglio, Topo ecc. fissati e colorati col metodo del Benda, secondo le ultime mo- difiche portate al metodo dallo stesso Autore. Fu adoperato per tutte un microscopio Zeiss : ^ 4 aper. ed evag. del tubo di 200 mm. e una camera lucida di Koristka con ob. imm. cm o, 160 mm. proiezioni sul tavolo da lavoro. N. B. — In tutte le figg. la membrana nucleare, la cellulare e la divisoria nei loro diversi stadi, come pure il mantello mitocondriale e i differenti stadi del condrioma, si presentano colorati in violetto ; la croma- tina ed i cromosomi, nonché il fuso principale che regola la divisione di questi ultimi, in giallo aranciato ; i centrosomi tendono più spesso al violetto che al rossastro, cosi pure il citoplasma la cui tinta però è sem- pre debole. Fig. 1 — Cellula cartilaginea posta presso la zona calcificata con reticolo mitocondriale esteso a quasi tutto il corpo cellulare. Vertebra d’ un embrione a termine di coniglio. Fig. 2 — Idem con reticolo più ridotto posto da un solo lato del nucleo. Fig. 3 e 4 — Graduale condensamento del reticolo mitocondriale diffuso della fig. i, sino alla formazione dei due condriosomi. Vertebra di coniglio neonato. Fig. 5 — Divisione in due condriosomi dell’unico condriosoma derivante dal condensamento del reticolo del- la fig. 2; cartilag, cost. di embrione a termine di topo. Fig. 6 — Inizio della profase nucleare, scomparsa della membrana nucleare e principio della disgregazione dei due condriosomi in mitocondri. Materiale di osservazione come sopra. Fig. 7 — Formazione del mantello mitocondriale (dal plasma mitocondriale o dalla sfera?) che nasconde il nucleo in fase di piastra equatoriale, i mitocondri si mostrano sparsi in tutta la cellula. Condro blasto di cartilagine costale di topo neonato. Fig. S — Stadio di piastra equatoriale del nucleo. La sezione essendo caduta lungo l’asse della figura carioci- netica, il mantello mitocondriale non è visibile, lo è invece il fuso principale. I mitocondri continuano ad essere sparsi in tutto il citoplasma. Vertebra di embrione a termine di coniglio. Fig. 8' — Stadio simile al precedente con un primo accenno della condriotassi, si notano infatti 304 con- driomiti che si stendono al disopra del nucleo, una gran parte dei mitocondri rimane sparsa nel corpo cellulare. Materiale come sopra. Fig. 9 — Inizio della metafase. Diaster con la condriotassi già avanzata ; i mitocondri si sono avvicinati al centro della cellula, allineandosi in condriomiti e formando cosi il fuso mitocondriale che maschera il fuso d’ unione dei cromosomi. Si noti che i più grossi tendono a disporsi verso l’equatore della figura mitotica. Vertebra di embrione a termine di coniglio. Fig. 10 — Sezione trasversa in corrispondenza d’ uno degli aster nucleari di un condroblasta in fase di diaster. All’esterno dei cromosomi si nota il mantello mitocondriale, i condriomiti in sezione si mostra- no come granuli mitocondriali. Materiale come sopra. Fig. 11 — Diaster in cui per esser la sezione caduta in corrispondenza dell’asse longitudinale della figura, si vede benissimo il fuso cariodieretico, all’esterno e da ciascun lato del quale si nota qualche con- driomito che rivela la presenza del fuso mitocondriale. Condroblasta di costola di topo neonato. 12 Doti. Salvatore Comes [Memoria VILI Fig. 12 — Condrobksto del corpo vertebrale d’ un topo neonato in stadio di diaster. All’equatore del fuso mitocondriale, i cui condriomiiti sono visibilissimi, si accenna la placca cellullare ed esternamente a questa l’invaginazione della membrana cellulare già iniziata nella figura ii. Fig'. 13 — Cellula cartilaginea di vertebra d’ un embriorte al termine di coniglio. Stadio di diaster un po’ più avanzato del precedente, come dimostra l’abbozzo della membrana; si vede benissimo la costituzione granulare della membrana divisoria che si mette in relazione con l’invaginazione dei granuli mito- condriali in cui si è scomposta la parte invaginata della membrana cellulare. ' Fig. 14 — Diaster d’ un condroblasta di vertebra di topo neonato. Abbozzo dei due mucchi mitocóndriali che accennano alla formazione dei due paranuclei, sul piano equatoriale del fuso mitocondriale in via di riduzione, abbozzo della membrana divisoria. Fig. 15 — Anafase con ricostituzione quasi completa dei due nuclei tìgli e dei paranuclei in condroblasta di vertebra di topo neonato. La membrana divisoria completa alla parte esterna della cellula in divi- sione, non è ancora costituita al centro della stessa. La sezione è caduta in corrispondenza dell’ asse longitudinale della cellula. Fig. 16 — Formazione completa delle due cellule figlie, per sdopppiamento della membrana divisoria primi- tiva. Fine dell’ anafase in un condroblasta di costola cartilaginea di topo neonato. Fig. 17 — Cellula cartilaginea allo stadio di teleofase in cui si osserva il paranucleo aderente al nucleo. Ma- teriale come sopra, Fig. 18 — Uno stadio più avanzato del precedente, il paranucleo si ingrandisce e si differenzia in condrio- conti. Materiale come sopra. Fig. 10 — Una cellula cartilaginea in teleofase di vertebra di embrione di topo con paranucleo differenziato in filamento a spirale. Jn: lìiWìiin (/l'S'/. . //// lol ///. S)t: -J. Heiiioria Vili. D.r SALVATORE DI F^O Libero docente di Mineralogia nella R. Università di Catania La Tenorile dell’Etna (con una tavola) RELAZIONE DELLA Commissione di revisione composta dei Socii effettivi Proff. P. VINASSA E L. BUCCA {Relatore). Sinora non era stato fatto un lavoro speciale sulla Tenorile dell’ Etna. Il lavoro del prof. S. Di Franco oltre a colmare questo vuoto, dà nuovi particolari relativi alia forma, struttura e proprietà ottiche di questa specie minerale, stabilisce in modo indiscutibile la sua identità colla Tenorite del Vesuvio e schiarisce le relazioni di essa colla pretesa Ataca- mite, modificando cosi l’interpretazione data dal Lasaulx. Completa lo studio una tavola di microfotografie ottenute per riflessione e per trasparenza delle laminette di Tenorite, su- perando difficoltà di non poco conto. Il lavoro del prof. Di Franco per 1’ importante contributo che dà alle nostre conoscenze su questa specie minerale, merita di essere inserito negli Atti della nostra Accademia. Il Prof. .Silvestri nella elaborata descrizione dell’ eruzione dell’ Etna del 1865 (1) in- dicò tra i prodotti di sublimazioni la Melaconite, dal Lasaulx riferita alla Tenorite (2). Avendo avuto occasione di confrontare il minerale suindicato dal Silvestri con la Te- norite che si rinviene tra i prodotti di sublimazioni del Vesuvio e descritta dallo Scacchi (3) ho trovato tale stretta analogia da reputare interessante il suo studio. L’esame morfologico dei campioni della Tenorite provenienti rispettivamente dall’ Etna e dal Vesuvio non lascia alcun dubbio di trattarsi della stessa specie tanto che se non (1) O. Silvestri — 1 fenomeni vulcanici presentati dall’ Etna nel 186^-64-6^-66, considerati in rapporto alla grande eruzione del i86p — Atti Acc. Gioenia di Se. Nat. — Ser. 3, Voi. I. pag. 53. (2) Waltershausen-Lasaulx— D«7- Aetna — Voi. II, Leipzig, 1880, pag. 504. (3) A. Scacchi — Contrihu^Joni mineralogiche per servire alla storia dell’ incendio vesuviano nel mese di aprile iZ']2 — Atti della R. Acc. delle Se. Fis. Mat. Voi. 6, Napoli, 1875. Atti Acc,, Serie V, Vol. III. Meni. Vili, i 0 Doti. Salvatore Di Franco [Memoria fosse per la natura differente della lava dei due vulcani i campioni potrebbero facilmente confondersi. La Tenorite dell’ Etna si presenta a gruppi di piccole laminette fragilissime^ talvolta curve, opache e di colore grigio oscuro a splendore sub-metallico e nei punti più sottili per trasparenza è di colore bruno come la biotite ; più rara nella forma aciculare e den- tritica. Al microscopio le lamelle si risolvono in aggregati cristallini (v. Fig. 1^) assai appiat- titi secondo il pinacoide (010), a forma di penna, 1’ asse della quale corrisponde all’ asse di geminazione. Osservate a luce riflessa le due ale della penna non compaiono simmetriche perchè mentre quella di destra è libera e lascia scorgere le linee di stilatura che fanno un an- golo di circa 12° coll’asse; l’ala di sinistra è ricoperta di una serie di barbe di penna, ciascuna delle quali corrisponde ad un piccolo geminato simile a quello di tutta la penna. Gli assi di queste barbette fanno un angolo di circa l'F 30’ (1) coll’ asse principale della penna. Voltando la lamella si nota che la parte posteriore dell’ ala libera è ricoperta dalla serie di barbette, e viceversa all’ala ricoperta corrisponde la faccia semplicemente striata (2). Osservate per trasparenza invece le due ale mostrano contemporaneamente e simme- tricamente disposte le barbe di penna. La banda chiara che si osserva nella figura, simile alla nervatura principale d’ una foglia e che sembra vi si inseriscano le lamelle è formata anche da una serie continua di piccoli cristalli geminati. Il contorno delle due ale è a sega, ogni dente della quale ha un lato parallelo alla striatura e 1’ altro normale a questa direzione. La striatura poi è parallela alla linea di sfaldatura e lo spigolo di geminazione coin- cide con r asse longitudinale della lamella. Quando gli spigoli longitudinali delle laminette non sono paralleli alla sutura di ge- minazione e terminano gradatamente a punta la Tenorite presenta la forma lanceolata. La Fig. ‘F dell’ annessa tavola rappresenta una microfotografia d’ una lamella di Te- norite ingrandita 34 diametri e nella quale si vede una striatura che fa un angolo di 33° con r asse principale e un’ altra striatura che fa un angolo di 66° con lo stesso asse ; 'quest’ ultima però risulta dalla successione di piccole laminette sovrapposte. Esse hanno forma triangolare e si attaccano sopra la lamella principale facendo anche un angolo di 33° con r asse principale, seguendo quindi la stessa direzione della striatura. In una lamella di forma rombica potei osservare che la striatura corrispondeva ad una serie di minutissime laminette quasi lineari , disposte su di essa le quali sporgendo fuori il contorno della lamella vi determinavano una seghettatura abbastanza apprezzabile. Ora le rugosità o pieghe che il Kalkowsky ha descritto sugli aggregati cristallini di Tenorite, che sembra corrispondano alle striature indicate dallo Scacchi^ non sempre pos- (i ) Il valore di 72“ 30’ è stato anche trovato da Scacchi e Kalkowsky per la Tenorite del Vesuvio, mentre Jenzsch ha dato il valore di 72° 57 e Maskelyne 72° 38’ (2) Avendo gli autori che si sono occupati della Tenorite, fatte le loro osservazioni soltanto a luce ri- fratta, fu impedito loro di constatare la esistenza delle laminette sopra descritte scambiate per semplice striature. La Tenorile dell’ Ehm sono considerarsi come vere striature , perchè molte volte corrispondono ad una serie di piccole laminette sovrapposte , come si vede benissimo dalle figure dell’ annessa tavola , scelte sopra un numero considerevole di campioni e fotografati superando non poche dif- ficoltà. Lo stato dei cristalli di Tenorile dell’ Etna non mi permettono di potere calcolare le costanti cristallografiche come hanno tentato di fare Maskelyne, Scacchi e Kalkovvsky per quella del Vesuvio. 11 Prof. Maskelyne (1) pur riconoscendo che la determinazione cristallografica della Melaconite di Lostwithiel presentava serie difficoltà per la imperfezione dei cristalli , volle avvicinarla alla Tenorite del Y^esuvio , eh’ egli descrisse come foi'mata da fine fibre na- striformi. Sei anni prima della comunicazione del Masketyne il Dott. Jenzsch (2) aveva descritto i cristalli di ossido di rame formatisi in un forno di arrostimento del cantiere di Mulden presso Freiberg. Egli li ritenne per rombici, però le facce date per prisma sono diversamente svilup- pate e la piramide Va P compare con sole due facce : poteva egli senz’ altro riferirlo al monoclino. Del resto i suoi dati coincidono con quelli di Maskelyne. Il Prof. A. Scacchi riferì le laminette di Tenorite del Vesuvio al monoclino, e svilup- pate secondo il piano di simmetria. Tra la Melaconite del Maskelyne, e la Tenorite del Vesuvio, secondo Scacchi , vi è una relazione di polisimetria, cioè ; sono tutte e due monoclini, mostrano 1’ angolo di cir- ca 72° ma i loro piani di simmetria stanno tra di loro perpendicolari. Il Kaikowsky (3) invece dalle proprietà ottiche dimostrò appartenere la Tenorite al sistema triclino, e che però si allontanava poco dal monoclino. Essendo le laminette troppo piccole e troppo elastiche per lasciarsi prendere isolata- mente, e volendo verificare le proprietà ottiche al microscopio poneva le lamelle tra due pezzetti di copri-oggetti e con un apparecchino speciale vi dava un movimento rotatorio. Però le misure del Kaikowsky non aveano pretesa di grande esattezza, nè i dati dello .Scacchi furono da lui sostanzialmente modificati. Del resto egli stesso raccomandava per la sua importanza il lavoro dello Scacchi. Per la Tenorite dell’ Etna il Lasaulx (4) lasciò insoluta la questione : egli stesso as- serisce di non potere ricavare maggiori dati di quelli della Tenorite del Vesuvio. I risultati delle osservazioni che ho potuto fare sulla Tenorite dell’ Etna confrontate con quelle accurate e minuziose dello Scacchi per la Tenorite del Vesuvio mi conducono ad accettare anche la forma monoclina per la Tenorite dell’ Etna ; mentre i metodi non sempre sicuri e convincenti del Kaikowsky lasciano molti dubbii sul suo riferimento al si- stema triclino. (1) Maskelyne. — On crystals of melaconite and tenorite — Report of thè British association lor thè advanccment of Science; meeting heald at Birmingham in September 1865, London, 1866, pag. 33. (2) Dott. Jenzsch. — Ueber die Krystallfonn des Eupferoxydes — Ann. d. Ph}'S. und Chem. von Pog- gendorft', Voi. XVIl, 1859 pag. 647-51. (3) E. Kalkowsky. — Lkher Kristaìlosyslem und iwiHingsbildung des Tenorites — Groth : Zeit. f. Kryst 1879, 111, pag. 279. (4) 1- c. 4 Doti. Salvatore Di Franco [Memoria Vili.] In diverse laminette trasparentissime e con forte illuminazione l’ angolo di estinzione rispetto alla sutura di geminazione è stato da me trovato di 36° 15', simile valore l’ottenni anche nelle laminette di Tenorite del Vesuvio. Scacchi invece per quest’ ultima dà un angolo di estinzione di 36<’, valore che il Kal- kow^sky non ottenne nelle misure eseguite e dà valori differenti secondochè si tratti del- r individuo di destra o di quello di sinistra. Nella Tenorite dell’Etna si ripete lo stesso fenomeno di dicroismo descritto per la Te- norite del Vesuvio dallo Scacchi ; infatti una delle due immagini, anche nelle più esili la- melle, è tanto assorbita da comparire quasi completamente nera. * * * La Tenorite dell’ Etna è un prodotto dei fumaioli dei crateri e della lava specialmente durante la fase di solfatara. Secondo il Silvestri essa si forma nei fumaioli di P Categoria ad una temperatura di circa 1000'’ (1). Non sempre nei fumaioli prodotti dalle eruzioni dell’Etna (2) si forma della Tenorite e mai nelle medesime proporzioni ; mentre in alcune eruzioni è abbondante in altre è stata scarsa, come precisamente è avvenuto al \Tsuvlo. La Tenorite dell’Etna si trova impiantata o direttamente sulla scoria o sui cloruri di sodio o di potassio. In alcuni campioni mi fu dato osservarla assieme a piccoli granuli di magnetite. Nei fumaioli dell’ Etna nessun altro minerale di formazione contemporanea accompa- gna la Tenorite oltre i suddetti ; recentemente il Prof. Lacroix (3) a proposito di alcune sublimazioni della eruzione del 1906 del Vesuvio, nelle scorie contenenti cristalli di Ga- lena vi osservò laminette di Tenorite. Per la successione dei minerali che si trovano nei medesimi fumaioli dell’ Etna , la Tenorite sublima dopo i cloruri di sodio e di potassio, essa vi è impiantata sopra , certe volte alterata di maniera che la massa generalmente bianca dei suddetti cloruri si presenta più o meno intensamente colorata in verde caratteristico dei sali di rame. I campioni di Tenorite dell’ eruzione dei 1892 esistenti nel Gabinetto di mineralogia e vulcanologia della R. Università di Catania e collocati insieme con altre sublimazioni della medesima eruzione lentamente si trasformano, forse per azione dei vapori di acido clori- drico che si sprigionano dalle scorie contenenti le sublimazioni. Allora per avere la conferma e spiegare la genesi di questi cristalli alterati di Teno- rite feci arrivare dei vapori di acido cloridrico a freddo sopra una scoria contenente cri- stalli di sola Tenorite. La Tenorite, così sottoposta, dapprima perdette la lucentezza e dopo un paio d’ore il nero incominciò a trasformarsi in un verde simile a quello dell’ Atacamite. (ij I fumaioli di Categoria del Silvestri corrispondono ai fumaioli secchi del Deville e a quelli di ele- vatissima temperatura del Fouquè. (2) L’Etna dà pochissime varietà di sublimazioni in confronto al Vesuvio. (D LacUoix. — Sur quelques prodiiits de fumarolles etc. Compt. rend. igo6, CXLII. La Tenorile deli' Eina 5 Dopo tre giorni tutti i cristalli di Tenorile contenuti nella scoria si trovarono colorati d’ un verde più o meno intenso secondoché i cristalli erano più distanti dall’ azione dei vapori di acido cloridrico. La medesima trasformazione avviene con i cristalli di Tenorile del Vesuvio. ■Secondo lo spessore della laminetta e la durata dell’ azione dell’ acido cloridrico la Tenorile alterata presentava la forma laminare primitiva o si riduceva in masse pulvuru- lenti amorfe. Il Lasaulx (1) a proposito della Tenorile dell’Etna la fa derivare dalla trasformazione dell’ Atacamite, asserendo di avere trovato delle concrezioni di Atacamite ai Monti Rossi (eruzione del 1669) ricoperti da una patina nera, da lui riconosciuta per Tenorile; invece dai numerosi esemplari avuti a disposizione dai Monti Rossi e da altre località (2) e dal- r esame del materiale in posto si è avuto sempre il caso contrario ciò che porta alla con- clusione che la Tenorité sia la sublimazione primitiva e che per azione di metamorfismo si sia convertita in parte o totalmente in quel minerale verde-bluastro denominato gene- ralmente per Atacamite e che più propriamente deve riferirsi all’ Ateiina di Scacchi. Il Lasaulx era un osservatore assai accurato e coscenzioso e la sua asserzione po- trebbe spiegarsi come essere dovuta al ritorno dell’ Ateiina alla Tenorile alla parte più esterna. Riassumendo possiamo dire che la Tenorite dell'Etna è identica a quella del Vesuvio e che il minerale indicato per Atacamite non è altro che un prodotto di metamorfismo della Tenorite. In generale le emanazioni vulcaniche vanno soggette a cambiamenti dovuti alle dif- ferenti temperature a cui si producono e alle molteplici reazioni parziali che avvengono durante una eruzione ; noi, non conosciamo che il prodotto ultimo. Catania, Istituto di Mineralogia e Vulcanologia della R. Università. (1) 1, c. pag. 504. (2) Anche nel basalte dell’isola dei Ciclopi e precisamente in una inclusione mi fu dato osservare delle laminette di Tenorite in parte metamorfosate in Ateiina. Atti Acc. Gioenia - Ser. 5. Voi. III. Dott. S. di Franco - La Tenorite dell’Etna TENORITE Fig. I. ingr. as diametri e fotografati a luce riflessa Fig. 2. ingr. 3d diam. e fotografati per traspc S. di Franco fot. P. MAR2ARI 4, C. ‘ SCHIO .^Eeiiiorì» IX. S. S CALIA • La fauna del Trias superiore del gruppo di M.*' Judica. Parte I. ( Con tre figure nel testo e tre tavole ) I fossili descritti in questa memoria provengono da varie località del gruppo di M.*® Judica , dove li ho raccolti durante una serie di ricerche geo-tettoniche che formano og- getto di un altro lavoro (1) del quale riassumo brevemente i risultati. I terreni più antichi di questo gruppo montuoso sono quelli del Trias superiore (Car- nico) i quali risultano costituiti nella parte più profonda da marne calcareo-arenaceo-argil- lose, sulle quali riposano in concordanza potenti masse di calcari compatti a liste e noduli di selce. Queste formazioni assumono la forqua di lenti più o meno estese che si sostitui- scono anche lateralmente, e sono allineate sensibilmente da E a W su tre linee parallele corrispondenti alle più importanti dislocazioni prodotte da una lunga serie di spinte tangenziali agenti in direzione meridiana, che le fecero sporgere dai terreni del Flysch eo-miocenico. La massima parte dei fossili che formano oggetto di questo studio provengono dalle marne calcareo-arenaceo-argillose , le quali contengono una ricca fauna del San Cassiano- Kaibl , e presentano le maggiori affinità litologiche e faunistiche con i depositi equivalenti delle Alpi sud-orientali, delle Prealpi lombarde e della Selva Baconica, con i quali hanno comuni un rilevante numero di specie tra le più distinte e caratteristiche , ed il nanismo spiccato della quasi totalità delle forme. Anche i calcari selciferi sono molto fossiliferi, però alla loro unifoi mità litologica cor- risponde anche una grande uniformità della fauna, quasi essenzialmente costituita da Ha- lobia e Posidouoinya, i cui gusci sottili sono ammassati in banchi, spessi fino a "più ùi venti centimetri. .Solo dove fra i calcari si intercalano delle brecciole marnose si ritrovano qua e là delle faunule con vari elementi del San Cassiano-Raibl, ciò che ne dimostra l'e- quivalenza con le marne calcareo-arenaceo-argillose , le quali rappresentano una facies di flysch del Gamico. Al disopra dei calcari selciferi e delle marne argillose del Trias superiore, che talvolta sostituiscono lateralmente i calcari , riposa in vari luoghi una formazione di scisti siliceo- marnosi, nella quale non si sono ancora trovati dei fossili e che è stata provvisoriamente riferita al Lias per le analogie litologiche che essa presenta con gli scisti siliceo-marnosi (I) S. ScALiA. — lì gruppo del M.te Judica. Boll. d. Soc. Geol. Italiana, voi. XXVIII , pp. 269-340 — Roma, 1909. Atti Acc. Seuie V, Vol. IIL .Mem. IX. S. Scalia [Memoria IX. della Sicilia occidentale, sovrapposti ai calcari a crinoidi del Lias medio, e che presso Tra- bìa contengono la elegante fauna degli strati con Leptaena della base del Lias superiore. Queste formazioni secondarie sono ben radicate sotto alla coltre dei terreni terziari, coi quali venivano confuse fino a poco tempo addietro le marne argillose del Trias superiore; ciò che indusse alcuni geologi stranieri a ritenere le masse calcaree di questo gruppo mon- tuoso, e delle altre montagne mesozoiche della Sicilia , come i fi ammenti non in posto di una grande falda di ricoprimento, scivolata verso sud dalle profondità del Tirreno sulle argille e le marne del Flysch eocenico. La tettonica di questo gruppo montuoso è invece molto semplice, ed anche da lontano se ne possono facilmente discernere i motivi principali. Una larga ondulazione centrale forma la cupola ellissoidale di Judica con due piccole piege secondarie: Serro Sello a noi d e Serro degii Uccelli — M.te Ardìca a sud ; una grande onda a nord (M.te Scalpello), una più piccola a sud (Barcuneri-Gammaniura), ed un’ altra ad est (M.te Turcisi). M. Ardìca S. degli Uccelli M. Judica Fig'. 2. — Monte Scalpello visto da Sud. M. Turcisi (303 m). Fig. 3. — Sezione del M. Turcisi nella scala di i : 25,000 .ì ni. Marne calcareo-arenaceo-argillose del Trias sup. — C. Calcari selciteri j del 1 rias sup.— Se. Scisti siliceo-niarnosi (Lias?) —FI. Flysch eo-miocenico. A i Nelle sinclinali mesozoiche sono costrette le pieghe del Flysch eo-miocenico , alcuni > lembi del quale penetrano in trasgressione anche fra le zolle dislocate della grande cupola centrale crollata. 9 La f mina dei Trias superiore del grappo di Jndica 3 Le principali località fossilifere che hanno fornito la interessante fauna triassica che forma oggetto di questo lavoro, sono le seguenti; Regione Acquanova, R.ne Saraceni, R.ne Castellace, colline di Paraspora, M.te Accitedda, M.te Ardìca, Banco, dintorni di Giardinelli, M.te Trovatura, Serro Sello, Gammaniura e Barcuneri. La massima parte dei fossili descritti si conservano nelle Collezioni dell’ Istituto di Geologia della R. Università di Catania , altri appartengono al Museo di Geologia della R. Università di Palermo, ed altri ancora al Museo di Geologia del R. Istituto Superiore di Firenze. Mi è grato porgere qui i più sentiti ringraziamenti al mio Ch.mo Direttore ed amico prof. Paolo Vinassa de Regny, al quale debbo ogni riconoscenza per avermi messo in grado di poter compiere lo studio di questa fauna, e per gli aiuti ed i consigli di cui mi è sempre prodigo; al Ch.mo prof. Giovanni Di Stefano per avermi gentilmente affidato in istudio molti bellissimi fossili appartenenti all’Istituto di Geologia della R. Università di Palermo, e per avermi mandato dei libri ; al Ch.mo prof. Carlo De Stefani per avermi mandato in esame alcuni esemplari di brachiopodi, illustrati dal d.r Nelli ; ed infine, ai Ch.mi dottori Agostino Galdieri e Michele Gortani per avermi gentilmente mandato dei libri e del materiale di confronto. Istituto di Geologia delia R. Università di Catania, dicembre 1909. DESCRIZIONE DELLE SPECIE ECHINODERMATA Crinoidea. Gen, ENCRINUS Miller 1. Encrinus cassianus Klirst. sp. Tav. I , lig. i . 1845. F/abel/ocrinites cassianiis Klipsteìk — Beitrdge Biir geologischen Kenntniss der óstlischen Alpen , pag. 277 , Tav. XVIII , fig. 23 a, b. 1865. Encrinus ., Laure — Die Fauna der Schichten von St. Cassian. Denkschr. d. K. Akad. der Wissenschaften, Wien, Bd. XXIV, Abth. I, pag. 267, Tav. Vili a, fig. 1-6. 1 903. ,, Vinassa de Regny — Fossili del Montenegro, I. Fauna dei calcari rossi e grigi del Sutorman . Mem. d. R. Acc. d. Scienze di Bologna, ser. V. tomo X, pag. 17 (461) Tav. 11, fig. 9-10. (i) Sarebbe stato mio vivo desiderio poter pubblicare per intiero la descrizione di questa ricca ed elegante fauna, ma, non permettendolo la mole del lavoro, ho creduto più opportuno dividere questa memo- ria in varie parti, nella prima delle quali sono illustrati gli Echinodermi, i Brachiopodi e le Aviculide. Nelle parti successive verranno illustrate al più presto le altre numerose forme di Lamelllbranchi , di Gasteropodi e di Cefalopodi. 4 S. Scalìa [Memohia IX.] 1903. Encrimts cassianus Ergili — Die Fauna der Pachycardientuffe der Seiser Alp. Palaeontographica, Bd. L. Abth. I, pag. 151, Tav. XVII, fig. 5-7 [cnm syn). 1909. „ „ ScALiA — Il gruppo del Mie Judica, Boll. d. Soc. Geol. Ital. voi. XXVIII, pag. 292, Tav. II (IX), fig. 1-2. 1909. „ „ Bather — Triassic Echinoderws of Bakony. ResuMaXe der wissenschaftlichen Erforschung des Balatonsees, I Bd, I. Teli. Pai. Anhang., Tav. I, fig, 1-9 {ctun syn.). Gli articoli peduncolari che ho riferito a questa specie confrontano perfettamente con quelli tipici illustrati dal Laube. Essi sono piccoli, cilindrici, leggermente convessi, con gli orli crennellati. Il rapporto tra 1’ altezza ed il diametro è di 1 ; 2, 2. Sulla superficie articolare, attorno al canale centrale, si nota un leggiero rilievo a contorno indeterminato ; le pieghe radiali, forti e rilevate, sono limitate alla zona marginale. Degli esemplari raccolti, uno proviene dalle brecciole calcaree delle colline di Paraspora, ed il frammento figurato dalle marne della contrada Acquanova (M.te Scalpello). Collesione : Istituto geologico della R. Università di Catania. 2. Encrinus granulosus Muenst. Tav. I, fig. 2. 1841. Encrinns granulosus Muenster — Beitrdge sur Petrefaktenkunde, IV, pag. 53 Tav. V, fig. 11-19. 1865. „ „ Laube — Fauna von Si. Cassian, I, pag. 271, Tav. Vili a fig. 7-12. 1903. 1903. 1909. ViNASSA DE Regny — FossiU del Montenegro, I, pag. 18 (462), Tav. II, fig. 19-20. Broili — Fauna der Pachycardientuffe der Seiser Alp, I, pag. 150, Tav. XVII, fig. 1-3 {cum syn.). Bather — Triassic Echinoderms of Bakony , pag. 11, Tav. I, fig. 10 {cum syn.). Di questa specie ho trovato fino ad ora un solo articolo peduncolare, depresso, alto poco più di un millimetro e col diametro della superficie articolare largo 2 millimetri e mezzo. Le superficie articolari mostrano abbastanza chiaramente la elegante ornamentazione, caratteristica di questa specie, costituita da numerose pieghe granulose, a volte dicotome, le quali irraggiano verso la periferia dalla parte centrale, liscia e leggermente incavata. Loc. Acquanova. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. Gen. BAG.^NOCRINUS .^gass. em. Loriol 1. Balanocrinus laevigatus Muenst. sp. Tav. I, fig. 3. 1841. Pentacrinus laevigatus Muenster — Beitrdge sur Petrefaktenkunde, IV, pag. 50, Tav. IV, fig. 7. Laube — Fauna von St. Cassian, I, pag. 277,]Tav. Vili a, fig. 21 {cum syn). 1865 La fauna del Trias superiore del gruppo di MP Judica a Gli articoli peduncolari che riferisco a questa specie sono di piccole dimensioni e si trovano per lo più isolati, oppure riuniti in serie di 2-4. Essi sono cilindrici o leggermente escavati verso la mettà della loro altezza ; la loro superficie esterna è perfettamente levigata, ed il margine integro. Il rapporto tra 1’ altezza ed il diametro degli articoli è di 1:1,2. La superficie della base articolare presenta una impressione in forma di rosetta quin- quelobata e granulosa, alquanto levigata dal ruzzolamento. Loc. Acquanova. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 2. Balanocrinus subcrenatus Muenst. sp. Tav. I, fig. 4, 5. 1841. Pentacrinus subcrenatus Muenster — Beitrdge sur Petrefaktenkunde, IV, pag. 49, Tav. IV, fig, 6. 1865. „ „ Laube — Fauna von St. Cassian, I, pag. 278, Tav. VII1«, fig. 22-23. Ho riferito a questa specie numerosi articoli peduncolari di dimensioni diverse , ma sempre assai più piccoli degli esemplari di San Cassiano. Gli entrochi da me esaminati sono cilindrici o leggermente convessi, a superficie liscia e col margine quasi crenulato. Le superficie articolari sono ornate da una piccola rosetta quinquelobata e da 22 a 24 costelle radiali submarginali, fra cui restano limitate cinque piccole depressioni liscie di forma triangolare o leggermente arrotondate verso il margine. Negli esemplari provenienti dai calcari colitici di Gammaniura, il rapporto tra l’altezza ed il diametro è di 1 : 3. Nel- r unico articolo peduncolare di questa specie che ho fino ad ora trovato nelle marne ar- gillose dell’ Acquanova, tale rapporto è invece di 1 : 2. Loc. Acquanova. Gammaniura. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. Geo. ISOCRINUS Meyeh. 1 . Isocrinus propinquus Muenst. sp. Tav. I, fig. 6, 7, 8. 1841. Pentacrinus propinquus Muenster. — Beitrcige sur Petrefaktenkunde, I\v pag: 49, Tav. IV, fig. 9. 1865. „ „ Laure -- Fauna von St .Cassian, I, pag. 276, Tav. Vili a, fig. 17. 1903, „ „ SCOILI -- Fauna der Pacliycardientuffe der Seiser Alp, I, pag. 151, Tav. XVII, fig, 8 {cuw syn.). 1904. „ sp.(?) Bohm - Lfber die obertriadisce Faiuia der Bdrenin- sel, k'unkl. Svenska \’etenskaps - Akade- miens Handlingar, Bt. XXX\'ll, X. 3, pag. 7, 'l'av. I, fig. 12-14. 6 S. Scalia [Aìemoria IX. I Di questa specie ho trovato numerosi articoli pedunculari molto depressi, general- mente di piccole dimensioni, spesso isolati o anche riuniti in serie di 5-6. Essi sono pentagonali, più o meno tondeggianti, oppure nettamente pentagonali, altre volte più o meno escavati longitudinalmente ai lati, come nella forma tipica figurata dal Muenster. Il rapporto tia l’altezza ed il diametro varia da 1 : 3 a 1:5. La impressione della superficie articolare corrisponde perfettamente a quella degli esem- plari figurati dal Muenster, dal Laube e dal Broili. Loc. Gammaniura. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 2. Isocrinus tyrolensis Laube sp. Tav. I, tìg. g. 1865. Pentacrinus tyrolensis Laube — Fatma voti St. Cassimi I, pag. 211, Tav. Vili fig. 20. 1889. „ „ Wohrmann — Die Fauna der sogenannten Cardila — und Raibler-Schichten in den nordtiroler und bayerisclien Alpen. Jahrb. d. k. k. geol. Reichs. Bd. XXXIX, pag. 192, Tav. V, fig. 10 [cani syn.). 1909. Isocrinus „ Bather — Triassic Echinoderms of Bakony, pag. 31, Tav. II. Gli articoli peduncolari di questa specie sono di piccole dimensioni, prismatici, penta- gonali, longitudinalmente escav^ati ai lati, cogli spigoli arrotandati e fortemente dentati al margine. Il rapporto tra la loro altezza ed il diametro è di 1 : 2, 5. Loc. Acquanova, Colles. Ist. geol. Univ. Catania. Echinoidea. A. Testae. Gen. EODIADEMA Duncan 1 . Eodiadema Admeto Braun sp. Tav. [, fig. IO. 1841. Cidaris Admeto Braun in Muenster — Beitrdge sur Petrefaktenkunde , I\' , pag. 40, Tav. Ili, fig. 3. Ho riferito a questa specie un frammento, composto da sei placchette interambulacrali che corrispondono perfettamente alla descrizione ed alle figure del Muenster. Le aree scrobiculari che circondano i tubercoli sono contigue ed il circolo scrobiculare è ornato da una serie di piccoli granuli che si distinguono appena dagli altri granuli che ornano la superficie delle placchette. Loc. Gammaniura. Colles. Lst. geol. Univ. Catania. La fminn del Trias superiore del e;ruppo di MP Judica / Gen. TRIADOCIDARIS Dòd. l. Triadocidaris subsimilis Muenst. sp. Tav. I, fig. 12. 1841. Cidaris subsimilis Muenster — Beitrlige sur Petrefaktenkunde , IV, pag. 40, Tav. Ili, lìg. 2. 1865. „ „ Laure — Fauna von St. Cassian, I, pag. 280, Tav. Vili b, fig. 4, Tav. IX, fig. 1. Un frammento di placchetta, il cui tubercolo, robusto, elevato e liscio, presenta gli stessi caratteri della specie descritta da Muenster. Loc. Acquanova. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. Gen. MIOCIDARIS Dòd. 1. Miocidaris Klipsteini Desor sp. Tav. I, fig. 1 1. Synopsis des Ecliinides fossiles. pag. 4. Fauna von St. Cassian., I, pag. 283, Tav. IX, fig. 7. Fauna der Pachycardientujfe der Seiser Alp. I, pag. 153, Tav. XVII, fig. 19 (cum syn.). Un frammento molto ben conservato composto dalle due serie di placchette meridiane di un’ intera area interambulacrale. Vi si scorge nettamente la disposizione dei tubercoli circondati da aree scrobiculari strette e relativamente molto depresse, contigue nelle regioni apicali, e separate nella zona mediana dalle fitte granulazioni che ornanq la superficie delle placchette. Loc. Gammaniura. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. B. Radioli. 1. Cidaris alata Agass. Tav. I, fig. 15, 14, 15. 1858. Cidaris Klipsteini Desor — 1865. „ „ Laure — 1903. „ „ Ergili — 1840. Cidaris 1865. 1903. )) 1909. 15 1909. alata Agassiz — Descript ion des Echinoàermes fossiles de la Suisse, pag, 74, Tav. XXI a, fig. 5. „ Laure — Fauna von St. Cassian 1, pag. 286, Tav, \4II b, fig. 8, {pars). „ Ergili — Die Fauna der Pachyca rdientuffe der Seiser Alp, 1, pag. 155, Tav. XVII, fig. 52-54 {cmn syn.). , „ Sch\.iA — il gruppo del M.te Judica. Eoli. d. Soc. Geol. Ital., voi. XXVIII, pag. 293, Tav. IX, (II) fig. 3-6). „ Eather — Triassic Echinodenns of Bakony, pag. 170, Tav. XI, lìg. 273-309, Tav. XIV, fig. 440-441 {cinu syn.). 8 S. Scalici [Memoria IX.] Di questa elegante forma ho trovato diversi radioli, dei quali specialmente uno è me- ravigliosamente conservato. Vi si osservano bene i caratteristici processi aliformi , la fine granulazione del lato adorale ed i forti tubercoli, allineati sensibilmente in serie longitudinali, del lato adapicale. Altri di tali radioli appartengono alle forme clavata e lanceolata illustrate dal Muenster e dal Laube, altri due infine alla varietà poculiformis Bather, del Trias della Selva Ba- conica (L. cit. pag. 177, Tav. XI, fig. 303-304. Loc. Acquanova, Gammaniura. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 2. Cidaris semicostata Muenster Tav. I, fig. i6. 1841. Cidaris semicostata Muenster — Beitrdge buv Petrefaktenkunde, IV, pag. 45, Tav. Ili, fig. 20. 1843. „ sp. Klipstein — Beitràge sur geologi schen Kenutiniss der óstlischen Alpeii, pag. 273, Tav. Vili, fig. 14 ( pars). 1865. „ semicostata Laube — Fauna von St. Cassian, I, pag. 289 , 4'av. X, fig. 3 (pars). 1903 „ „ Broili — Fauna der Pachycardientiiffe der Seiser Alp, I, pag. 157, Tav. XVII. fig. 37-41. Di questa forma ho trovato un piccolo radlolo , molto ben conservato , con il corpo appiattito, spatuliforme, arrotondato all’ estremità distale, e col margine tagliente. Il lato adapicale è ornato da granuli grossi e piccoli sparsi irregolarmente , mentre quello adorale è ornato superiormente da 5 costole longitudinali, di cui una, submediana , assai più robusta e rilevata delle altre , assume quasi l’ importanza di una carena. Tutte queste costole svaniscono quasi vèrso la mettà del corpo, il quale verso la testa è sparso di minutissime granulazioni. La testa è appena distinta dal corpo e la fossetta articolare è piccola e col margine liscio. Loc. Acquanova. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 3. Cidaris spinulosa Klipst. Tav. I, fig. 17. 1842. Cidaris spinulosa Klipstein — Beitràge sur geologischen Kenntniss der óstlischen Alpen, pag. 271, Tav. XVIII, fig, 10 d-e. Ho riferito a questa forma due radioli dei quali quello figurato, proveniente dalle brec- ciole marnose dell’ Acquanova, è claviforme, con 1’ apice appuntito e con la superficie or- nata di forti tubercoli disposti in serie longitudinali più 0 meno regolari. Il corpo del ra- diolo è leggermente bilaterale, col lato adorale appena più convesso del lato adapicale. I tubercoli, piccoli in vicinanza del collo, si fanno sempre più grossi verso l’apice. La fallila del Trias superiore del gruppo di M*'' Jiidicn 9 e sul lato adorale sono disposti su tre linee longitudinali abbastanza regolari, le quali sva- niscono un po’ prima che il corpo si restringa verso 1’ apice, il quale è circondato da tu- bercoli mammilliformi o spinulosi di diversa grandezza. Questo radiolo è rotto verso il collo e perciò non se ne conoscono i caratteri della testa e della fossetta articolare. Deir altro esemplare, proveniente dai calcari marnosi della collina di Gammaniura, si scorge solo una parte della superficie del lato adapicale , ricoperta da spine acute e ta- glienti, di varia grandezza. La parte inferiore del lato adorale è liscia ; quella superiore è mascherata da incrostazioni assai tenaci che impediscono di scorgerne i caratteri. Il collo è corto e breve, 1’ anello obliquo, e la fossetta articolare piccola e col margine liscio. Loc. Acquanova. Gammaniura. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 4. Cidaris trigona Muenst. Tav. I, fig. i8. 1841. Cidaris trigona Muenster — Beitrdge sur Petrefakteiikunde,\V , •pag. Ili, fig. 15. 1865. „ „ Laube — Fauna von Si. Cassian, I, pag. 285. Tav. Vili 6, fig. 6. 1903. „ „ Broili — Fauna der Pacliycardientufpe der Seiser Alp, I, pag. 156, Tav. XY4I, fig. 42-44. 1909. „ „ Bather — Triassic Echinoderms of Bakony , pag. 219 , Tav. XIII fig. 413-416, Tav. XVII, fig. 452, {cuni syn.).- Di questa forma ho trovato fino ad ora un solo radiolo di piccole dimensioni ed in ■ ottimo stato di conservazione. Esso ha il corpo corto, allargantesi verso 1’ apice, a sezione subtriangolare , e con r apice appiattito, leggermente escavato e circondato da un lieve cercine. 11 lato adorale è un po’ appiattito e quello adapicale assai convesso , la superficie è ornata da granuli non molto serrati, che sul lato adapicale sono generalmente più piccoli e disposti con una certa regolarità. Il collo è liscio e appena distinto dal corpo ; la testa è piccola ed è separata dal collo da un lieve anello ; la fossetta articolare ha il margine finemente crenulato. Loc. Gammaniura. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 5. Cidaris cfr. scrobiculata Braun Tav. I, fig. 19. 1841. Cidaris scrobiculata. Braun in Muen.ster — Beitràge sur Petrefaktenkunde^W^ pag. 45, Tav. Ili, fig. 21. 1858. „ „ Desor — Synopsis des Echinides fossiles, pag. 19, Tav. II, fig. 1. 1865. „ „ Laube — Fauna von St. Cassian, I, pag. 285, Tav. V4II ù, fig. 7. 1909. „ „ Bather — Triassic Echinoderms of Bakony , pag. 183 , Tav. XI, fig. 336-339. Atti Acc. Serie V, Vol. III. Mem. IX. 2 S. Scalia '10 [xMemoria IX, Ho confrontato con questa specie un frammento di radiolo di forma subclavata , bi- laterale, col lato adorale un po’ depresso ed il lato adapicale abbastanza convesso. Sulla superficie si notano numerose piccole foveole che sul lato adorale sono disposte in linee longitudinali e trasversali, formando così un reticolato molto regolare. L’ apice è troncato un pò obliquamente all’ asse del radiolo ed è ornato da leggere granulazioni presso il margine e da un lieve tubercolo subcentrale. Questo radiolo è rotto verso il collo, che è molto grosso. Si sconoscono i caratteri della testa e della fossetta articolare. Loc. Gammaniura. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 6. Cidaris flexuosa Muenst. Tav. I, fig. 20. 1841. Cidaris flexuosa. Muenster — Beitràge sur Petrefaktenkunde , W, pag. 44, Tav. Ili, fig. 18. 1865. „ „ Laube — Fauna von St. Cassian, I, pag. 290, Tav. X, fig. 7 [cui il syn.). Ho riferito a questa forma la parte inferiore di un radiolo di forma clavata che cor- risponde esattamente alla fig. la del Laube (Tav. X). Stilla superficie si scorgono appena le sottili linee flessuose che caratterizzano que- sta specie. Nel nostro esemplare, come in quelli di San Cassiano, la testa è distinta dal collo da un anello abbastanza rilevato e lievemente incurvato; la fossetta articolare è grande e col margine crenulato. Loc. Acquanova. Colles. Ist. Geol. Univ. Catania. 7. Cidaris dorsata Br.wn. Tav. I, fig. 21, 22. 1841. Cidaris dorsata Braun in Muenster — Beitrdge sur Petrefaktenkunde, IV, pag. 46, Tav. IV, fig. 1. 1865. „ „ Laube — Fauna von St. Cassian, I, pag. 283, Tav. IX, fig. 12. 1903. „ „ Broili — Fauna der Pachycardientujfle der Seiser Alp , I, pag. 153, Tav. XVII, fig. 20-24 [cum syn.). 1909. „ „ Bather — Triassic Ecliinodernis of Bakony, ^àg. 11^, Tax . XI, fig. 310-311, Tav. XIV, fig. 438 [cura syn.). Radioli di piccole dimensioni, dei quali uno è piriforme, l’altro è più allungato ed un pò appiattito a un lato. La loro superficie è ornata da fine granulazioni,^ sparse irrego- larmente. Il collo è corto e liscio, la testa piccola, e la fossetta articolare piccola e col mar- gine liscio. Oltre ai due esemplari figurati, i quali provengono dalle brecciole marnose dell’ Acqua- nova, nelle Collezioni dell’ Istituto di Geologia della R. Università di Catania se ne con- :1 La fauna dei Trias siiferiore del grappo di J adira 11 serva anche un frammento ben riconoscibile proveniente dai calcari colitici della collina di Gammaniura. Loc. Acquanova, Gammaniura. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 8. Cidaris dorsata Braun, mut. marginata Bather Tav. I, fig. 23-26. 1909. Cidaris dorsata marginata Bather — Triassic Echinoderms of Bakony, pag. 180, Tav. XI, flg. 312-333, Tav. XIV, tìg. 439. Radioli corti, claviformi, bilaterali, col lato adorale alquanto depresso e qualche volta leggermente escavato. La superficie è ornata da grossi tubercoli tondeggianti, i quali sul lato adorale sono_ generalmente più rilevati, e disposti in serie trasversali diritte, oppure leggermente arcuate, con la convessità rivolta verso 1’ estremità distale. Sul lato adapicale i tubercoli sono più irregolari, ed in certi esemplari tendono a di- sporsi in linee longitudinali, assai meno chiare di quelle che si trovano al margine dei due lati e che in qualche esemplare si elevano a guisa di pseudoprocessi aliformi. Il collo è corto e robusto, la fossetta articolare ha il margine liscio. Negli esemplari illustrati dal Bather, la disposizione in serie trasversali dei tubercoli che oinano il lato adorale è appena accennata in qualche radiolo (fig. 321). Questi radioli presentano delle affinità con quelli della C. trigona, Muenst., dai quali tuttavia differiscono per i caratteri dell’ ornamentazione e per quelli, ancor più importanti, del collo e della fossetta articolare. Loc. Gammaniuia. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 9. Cidaris triserrata Laube Tav. I, fig, 27. 1865. Cidaris triserrata Laube — Fauna von St. Cassian, I, pag. 294, Tav. X, fig. 11. 1895. „ „ Salomon — Geologische and palaeontologische Studieti iiber die Marmolata, pag. 138, Tav. I, fig. 52-54. Pa- laeontographica, Bd. XLII. Ho riferito a questa forma un frammento di radiolo di piccole dimensioni, a sezione triangolare e con gli spigoli taglienti, dei quali quello mediano si presenta seghettato. Come nel radiolo descritto e figurato dal Laube, i due lati più stretti sono concavi, e quello più largo è convesso e leggermente rugoso, mentre gli altri due presentano delle leggiere strie longitudinali, evanescenti verso il collo. La testa è separata dal collo, piuttosto corto e forte, da un anello prominente; la fos- setta articolare è larga, col margine liscio. Loc. Acquanova. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 12 S. Scalia [Memoria IX. [ 10. Cidaris Wàchteri Wiss. Tav. I, fig, 28. 1841. Cidaris Wissmann in Muenster — Beitrdge sur Petrefaktenknnde,\\\ pag. 48, Tav. V, fig. 22. 1858. „ „ Desor — Synopsis des Echinides fossiles, pag. 22, Tav. II, figura 27. 1865. „ Braunii Laube (non Desor) — Fauna von St. Cassian, I, pag. 293; Tav. X, fig. 6 {pars). 1909. „ ^aechteri Bather — Triassic Ecìiinoderms of Bakony. pag. 191, Tav. XII, fig. 347-351, Tav. XV, fig. 443. Un frammento di radiolo leggermente compresso, bilaterale, con la superficie ornata da tubercoli, i quali sopra il lato adorale sono molto più sviluppati che sull’altro; ciascun lato ha un margine fortemente tubercolato. Eoe. Gammaniura. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 11. Cidaris cfr. Wissmanni Desor. Cidaris spinosa Muenster (non Agassiz) — Beitràge sur Petrefaktenkunde, IV, pag. 44, Tav. Ili, fig. 16. „ Wissmanni Desor — Syno'psis des Echinides fossiles, pag. 22, Tav. II, fig. 19. „ „ Laube — Fauna von St. Cassian, I, pag. 291, Tav. X, fig. 8. „ „ Broili — Fauna der Pachycardientuffe der Seiser Alp. I, pag. 156, Tav. XVII, fig- 19, {cum syn.). „ „ Bather — Triassic Ecìiinoderms of Bakony, pag. 195, Tav. XII, fig. 352-358, Tav. XV, fig. 445. Un frammento di radiolo di piccole dimensioni, a sezione rotonda, ornato da spine più 0 meno ravvicinate e da piccoli tubercoli, che corrisponde alla figura data dal Muenster della sua C. spinosa. La striatura della superficie non è visibile nel nostro esemplare, il quale è rotto infe- riormente, per cui non se ne conoscono i caratteri del collo, della testa e della fossetta articolare. Eoe. Acquanova. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 12. Cidaris Wissmanni Desor, var. rudis Bather. Tav. I, fig. 29. 1909. Cidaris ìAissmanni var. rudis Bather — Triassic Ecìiinoderms of Bakony, pag. 199, Tav. XII, fig. 359-366, Tav. XV, fig. 446. Un frammento di radiolo di forma subclavata, con la superficie irregolarmente ornata da grossi tubercoli variciformi che gli dànno un aspetto nodoso. 1841. 1858. 1865. 1903. 1909. La fauna del Trias superiore del gruppo di Judica 13 Il collo è forte e breve ed è separato dalla testa da un anello largo e poco promi- nente; la fossetta articolare è piccola e col margine liscio. Loc. Acquanova. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 13. Cidaris bicarinata Klipst. Tav. I, fìg. 30-32. 1843. Cidaris bicarinata Klipstein — Beitràge sur geologischen Kenntniss der bstli- schen Alpen, pag. 272, Tav. XVIII, fìg. 11. 1858. „ „ Desor — Synopsis des Echinides fossiles, pag. 22, Tav. Il, fig. 21. 1865. „ linearis Laube (non Muenster) — Fauna voti St. Cassian, I, pag, 292, Tav. X, fig. 10 {pars). Ho riferito a questa forma diversi frammenti di radioli, cilindrici verso la base, ma carenati verso 1’ alto, cosicché il corpo si presenta da una parte convesso e dall’ altra in forma di doma. La sezione del radiolo è pressocchè triangolare con gli spigoli più o meno arrotondati e con il lato maggiore più o meno convesso. Il collo è forte e breve, ed è separato dalla testa da un collaretto liscio; la fossetta articolare è piccola, col margine crenulato. Laube riunì questa specie alla C. linearis Muenst., dalla quale è da tenersi ben di- stinta per la forma diversa del corpo. Loc. Acquanova. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 14. Cidaris De-Lorenzoi n. f. Tav. I, % 33-37. Radioli di forma conica più o meno irregolare, con la superficie irregolarmente coperta da granuli o da protuberanze varicose, più rilevate e più numerose verso la base. L’estremità distale è troncata più o meno obliquamente all’asse del radiolo, ed è espan- sa , a volte callosa, con la superficie liscia delimitata verso il corpo da un margine piut- tosto acuto, continuo. In altri esemplari la parte distale è escavata, col margine continuo oppure irregolarmente ondulato, ornata nel mezzo da un lieve tubercolo. Il collo è forte e breve, ed è separato dalla testa da un anello poco rilevato; la fos- setta articolare è molto piccola e col margine liscio. Questa forma ha dei rapporti di affinità con uno degli esemplari di Jeruzsàlemhegy illustrati dal Bather {Loc. cit. pag. 177, 182, Tav. XI, fig. 308-309) e descritto da questo autore come una varietà poculiformis della C. alata o della C. dorsata. Degli esemplari di quésta forma fin’ ora raccolti, tre provengono dalle marne gialla- stre dell’ Acquanova ed uno dalle brecciole calcaree di Paraspora; essi si conservano nelle Collezioni dell’ Istituto di Geologia della R. Università di Catania. Il radiolo rappresentato dalla fig. 34, proviene dalle brecciole calcaree di Castellace e fa parte delle Collezioni del Museo di Geologia dell’ Università di Palermo. Loc. Acquanova, Paraspora, Castellace. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. — Ist. geol. Llniv. Palermo. 14 S. Scal/a [Memoria IX.] 15. Cidaris campanulifera n. f. Tav. I, fig. 38. Questo radiolo ha il corpo grosso e corto, campaniforme, con la superficie ornata di granuli tondeggianti molto avvicinati e sparsi irregolarmente, più rilevati verso il collo, qualche volta irregolarmente concresciuti. L’ estremità distale è troncata perpendicolarmente all’ asse del radiolo ed è separata dal corpo da un cercine liscio, stretto e poco rilevato. La superficie distale liscia e legger- mente ondulata è ornata nel mezzo da un caratteristico tubercolo, il quale da un lato è diviso in due piccoli lobi, mediante un .solco ricurvo che si diparte dalla sua sommità e raggiunge la superficie distale. L’ unico radiolo di questa nuova forma, è rotto verso il collo e ci sono quindi com- pletamente sconosciuti i caratteri del collo, della testa e della fossetta articolare. Loc. Acquanova. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 16. Cidaris calatidifera n. f. Tav. I, fig. 39. Radiolo di forma conico-compressa, irregolare, con superficie irregolarmente granulosa verso il collo, liscia verso la parte superiore del corpo. L’ estremità distale è troncata e molto espansa, e la sua superfìcie, liscia e leggermen- te convessa verso il centro, è distinta dal margine da un leggiero solco circolare. Il margine che divide la regione distale dal resto del corpo è rilevato e piuttosto acuto, per mettà del giro irregolare e continuo, e nell’ altra mettà ornato da 13 piccoli lobi, qual- che volta concresciuti in gruppi di due o tre. Il collo e la testa sono indistinti dal corpo che si allarga verso la base in corrispon- denza della fossetta articolare, la quale è larga, informe e col margine liscio e irregolar- mente ondulato. Questo elegante radiolo, ricorda lontanamente la forma delle calatidi delle composite. Loc. Acquanova. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 17. Cidaris craterifera n. f. Tav. I, fig. 40. Radiolo di piccole dimensioni, cilindrico v^erso la base, espanso rapidamente in forma di calice verso 1’ estremità distale. Il margine della concavità crateriforme che occupa la regione distale è continuo e leggermente ondulato. Di questa forma, che ricorda gli apotecii pedicellati di diversi discomiceti, non si co- noscono ancora i caratteri del collo, della testa e della fossetta articolare. Loc. Acquanova. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. La fauna del Trias superiore del gruppo di Judica 15 18. Cidaris cupulifera n. f. Tav. I, fig. 41. Di questa nuova forma, ho trovato un solo radiolo di piccole dimensioni, che rasso- miglia stranamente alla cupola del frutto delle Quercus. La sua superfìcie è ornata da un lato da tubercoli rilevati, disposti con una certa regolarità, e per il resto è liscia. L' estre- mità distale ha il contorno ellissoidale ed è foitemente escavata, liscia, e col margine con- tinuo. Il collo e la testa sono indistinti, e la fossetta articolare è piccola, informe e col margine lobato. Loc. Paraspora. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 19. Cidaris spathifera n. f. Tav. I, fig. 42. Questo elegante radiolo che ricorda le spate delle Phoenix ha il corpo bilaterale e su- balato, con la superfìcie levigata. .Sopra il lato adorale, in continuazione del collo, si nota il rachide discretamente rigonfio e limitato lateralmente da due leggiere depressioni laterali, parallele ai margini, i quali dipartendosi dal collo si inflettono dolcemente verso il lato ada- picale per rialzarsi verso I’ estremità distale. Il lato adorale è leggermente escavato nella sua mettà superiore, dove svanisce 1’ in- grossamento del rachide che si nota in continuazione del collo; i margini, rialzati e incur- vati verso r estremità distale, lasciano fra loro come una piccola doccia. Il collo, corto e robusto, è separato dalla testa da un anello appena visibile; la fossetta articolare è piccola e col margine liscio. Questa forma ha qualche affinità col frammento olotipico del Radiolus penna di Je- ruzsàlemhegy, illustrato da Bather (Loc. cit.. pag. 216,217, Tav. XIII, fìg. 399-403), dal quale differisce per il minore rigonfiamento del rachide, per le depressioni laterali molto più leggere e , per i caratteri del collo che è assai più corto e robusto di quello della forma descritta da Bather, con la quale non si possono istituire altri confronti non cono- scendosi di quel radiolo che la sola parte basale. Loc. Paraspora. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 20. Cidaris Aquaenovae n. f. Tav. I, fig. 43. Questo radiolo ha una forma irregolare che ricoi'da lontanamente le corolle delle labiate. La superfìcie del corpo è ornata di tubercoli di varia grandezza , genei’almente poco rilevati. L’ estremità distale è troncata obliquamente all’ asse del radiolo , ed è alquanto espansa, escavata e col margine sinuoso, ornato di sei lobi di forma ii’regolare, tre supe- riori e tre inferiori, divisi da due larghe selle, formate dalle sinuosità del mai-gine. Due dei tre lobi inferiori sono talmente concresciuti da sembrare a prima vista uno solo. 16 S. Scalici [Memoria IX.] Il collo e la testa sono indistinti, la fossetta articolare è piccola, informe, e col mar- gine leggermente ondulato. Loc. Acquanova. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 21. Cidaris sicula n. f. Tav. I, fig. 44. Radiolo fusiforme , con la superfìcie liscia e con 1’ apice un pò arrotondato. Il collo forte e breve, è ornato da un lato da una escrescenza varicosa che si estende un pò sul corpo del radiolo. La fossetta articolare è molto piccola, appena distinta, e col margine in parte liscio ed in parte crenulato. Loc. Acquanova. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. BRACHIOPODA. Gen. TEREBRATUL.A Klrin. 1. Terebratula Cassiana Bittn. Tav. 1, fig. 45-48. 1841. ? Terebratula vulgaris minor Muenster — Beitràge sur PetrefakteiikundeilY, pag. 62, Tav. VI, flg. 16. 1866. „ indistincta Laube — Fauna von St. Cassian II, pag. 7 {pars), Tav. XI, fìg. 7-8-9. 1890. „ Cassiana Bittner — Brachiopoden der alpinen Trias. Abhandl. d. k. k. geol. Reichs.-Anst. Wien. Bd. XIV, 1890, pag. 59. Conchiglia più 0 meno depressa , poco più alta che larga a contorno tondeggiante verso il mai'gine frontale, subtriangolare nella regione umbonale. 1 diversi esemplari fin’ ora trovati presentano le seguenti dimensioni. I II III IV Altezza - 9 mm. 9 mm. 6,5 mm. 4,5 mm. Larghezza 8 „ 8 „ 5 5 4 „ Spessore 5 „ 3,5 „ 3 „ 2 L’ umbone è forte , coi margini laterali subacuti , troncato all’ estremità dal forame - La valva ventrale è più arcuata della valva dorsale , la quale raggiunge il massimo della convessità presso la mettà della sua altezza. Spesse volte negli esemplari più depressi tanto la valva dorsale quanto quella ventrale, oppure una sola delle due, sono fortemente appiattite in vicinanza della commessura, per cui le conchiglie presentano come un lembo marginale. La superficie è ornata da fini linee di accrescimento , alcune delle quali sono un pò più rilevate delle altre, specialmente verso il margine frontale. La fauna del Trias superiore del gruppo di Mf Judica 17 Degli esemplari fin’ ora trovati, alcuni più rigonfi provengono dalle brecciole calcaree delle colline di Paraspora (fig. 46) , altri più depressi provengono dalle marne giallastre .dell’Acquanova (fig. 45) ed altri più piccoli, dai calcari colitici di Gammaniura (fig. 47, 48). Loc. Paraspora, Acquanova, Gammaniura. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 2. Terebratula neglecta Bittn. Tav, I, fig. 49. 1890. Terebratula neglecta Bittner — Brachiopoden der alpinen Trias , pag. 60, Tav. 1, fig. 3. 1903. „ „ Broili — Die Fauna der Pachycardientuffe der Seiser Alp, 1, pag, 163, Tav. XVIII, fig. 15. 1909. „ „ WiLCHENS — Palaeontologisclie Unterschung triadischer Faunen aus der Unigebung von Predasso in Sudlirol — Verhandlungen des Nath.-Mediz. vereins zu Heidelberg. N. F, X. Bd. 2. Heft., pag. 112 (32), Tav. IV, fig. 16. Ho riferito a questa specie due valve ventrali di forma ovale, subtriangolaii, poco più alte che larghe, con 1' umbone robusto, poco ricurvo, troncato all’ estremità dal forame. In esse, specialmente nella v'alva figurata è ben visibile la falsa area. Le dimensioni di queste due valve, sono le seguenti: I 1) Altezza 7 mm. 6 mm. Larghezza 6 „ 5 „ Spessore 2,5 „ 2 „ I margini laterali dell’ umbone sono arrotondati. La linea della commessura presenta lateralmente e al fronte delle leggiere ondulazioni. La superficie è ornata da sottili linee di accrescimento, più rilevate verso il margine frontale. Loc. Acquanova. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 3. Terebratula (Coenothyris) julica Bittn. Tav. I, fig. 50-54. 1890. Terebratula julica Bittner — Brachiopoden der alpinen Trias, pag. 125, Tav. IV, fig. 14, 15, Tav. XXXIX, fig. 15-16. 1899. Coenothyris Calcar aeF^iAA — Il Raibl dei dintorni di M.''^ Judica — Boll. d. •Soc. Geol. Ital. voi. XVIII, pag. 222, Tav. Vili (II) fig. 4-7. 1899. „ siculus Nelli ~ Ibidem, pag. 222, Tav. Vili (II) fig. 8-11. 1899. „ Gemniellaroi Nelli — Ibidem, pag. 221, Tav. Vili (II) fig. 2-3 [excl. fig. 1). Arri Acc. Skrii- V, Voi.. III. \Um. IX. 3 18 S. Se ni ni I Memoria IX. f 1900. Terebratula julica Bittner — Brachiopoden aus dee Trias des Bakoiiyer- wnldes. Resultate der wissenschaftl. Erforschung des Balatonsees , Bd. 1 , 1 Th., pag. 5 , Tav. I , tìg. S-28, Tav. V, fig. 20, 21. Conchiglia di forma ovale od ovale-pentagona, poco più lunga che larga, più o meno rigonfia, con 1’ umbone robusto, limitato lateralmente da due carene ottuse , e variamente ricurvo a seconda dello Air estremità esso ì spessore ; troncato I della conchigi dal forame li lia. piuttosto stretto. Ili IV Altezza 14 min. 18 mm. 20 mm. 20 mm Larghezza 12 „ 16 „ 16 „ 15 „ Spessore 6 10 „ 12 „ 10 ., La valva ventrale è più arcuata di quella dorsale, la quale presenta il massimo della sua convessità presso il deltidio , sotto il quale si distingue nettamente un setto che rag- giunge generalmente il terzo, o anche la mettà della conchiglia. La valva ventrale presenta due solchi più o meno marcati , ai quali corrispondono sulla valva dorsale due pieghe più o meno rilevate. La commessura delle valve è retta ai lati, e variamente sinuosa nelle parti latero-frontale e frontale. Gli esemplari I e II (fig. 50 e 51) furono descritti dal Nelli {Toc. cit.) come Coe- nothyris Gemmellaroi, Tesemplare III (fi^. 52 e 54) come C. Calcami^ e l’esemplare IV (fig. 53) come C. siculus ; però lo stesso Nelli osservò che le tre specie da lui descritte come nuove potevano venir considerate come vai’ietà di una sola specie. Grazie alla gen- tilezza del Ch."’“ prof. C. De Stefani ho potuto esaminare tali esemplari, ed avendoli con- frontati con le figure e le descrizioni che il Bittner dà della Terebratula julica del Trias della Selva Baconica, non mi resta più alcun dubbio che essi appartengano a questa specie. Gli esemplari di questa specie provengono dai calcari oscuri della parte occidentale del Scalpello; essi furono raccolti dal prof. O. Marinelli e si conservano nelle Colle- zioni del Museo di Geologia del R. Istituto Superiore di Firenze. Gen. WALDHEIMIA King. 1. Waldheimia (Aulacothyris) subangusta Muenst. sp. Tav. II, fig I. 1841. Terebratula subnngusta Muenster — Beitrdge sur Petrefaktenkuude, IV, pag. 64, 1 890. fi al dh e ini ia Bittner Tav. VI, fig. 16. — Brachiopoden der alpinen Trias, pag . 63, 1903. ìì Broili Tav. I, fig. 3. — Die Fauna der Pacliycardientuffe der Sei- ser Alp, I, pag. 163, Tav. XVIII, fig. (culli syn.). 16. Conchiglia piccola, piuttosto depressa, a contorno subrotondo ; 1’ umbone , appuntito e ricurvo, ha i margini laterali angolosi e 1’ apice troncato dal forame piuttosto largo e ben distinto. Altezza 8 mm. Larghezza 7 „ Spessore 3 „ La fauna del Trias superiore del gruppo di MT pudica 19 La v'alva ventrale è arcuata, col massimo della sua convessità presso il centro ; essa presenta un seno largo che si estende per quasi tutta la larghezza frontale. La valva dor- sale è depressa, col massimo della convessità verso la regione apicale ; essa presenta un solco longitudinale che si diparte presso 1’ apice e si allarga rapidamente verso la regione frontale, dove forma un ampio lobo in corrispondenza del seno della valva dorsale. Sulla valva dorsale per trasparenza si scorge nettamente il setto mediano, che rag- giunge quasi il terzo frontale. La commessura laterale è appena ondulata e presenta una dolce curva verso la valva ventrale. La superficie è ornata da sottilissime linee di accrescimento , più rilevate verso i margini. Loc. Acquanova. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. Geo, SPIRIGER.A d’ Orb. 1. Spingerà (Dioristella) indistincta Beyr. sp. Tav. II, fig. 2-7. 1890. Spirigera indistincta Beyrich, in Bittner. — Bracliiopoden der alpinen Trias pag. 58-59, Tav. XXIX, fig. 28-31 {cuni syn). 1900. „ {Dioristella) „ Bittner Bracliiopoden aiis der Trias des Bakonyer- 'waldes, pag. 32, Tav. Ili, fig. 1-6. 1903. „ „ Broili — Die Fauna der Pachycardientujfe der Seiser Alp. I, pag. 159, Tav. XVIII, fig. 1. Conchiglia piccola, generalmente poco più lunga che larga, a contorno subpentagonale variabile. L’ umbone è robusto, coi margini laterali arrotondati e l’apice piccolo, troncato da un forame relativamente grande. I II HI IV Altezza 7 mm. 7 mm. 4 mm. 4,2 mm Larghezza 5 5,2 „ 3,2 „ 4 Spessore » 3 „ 2 1,7 „ La valva ventrale è più convessa della valva dorsale e presenta un seno largo, ap- pena pronunziato, al quale corrisponde un lobo assai debole sulla valva dorsale. La commessura laterale è appena ondulata. La superficie è ornata da sottilissime li- nee di accrescimento. Gli esemplari figurati provengono dalle marne giallastre dell’ Acquanova, altri più pic- coli se ne trovano nelle brecciole e nei calcari colitici di Gammaniura. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 2. Spirigera (Diplospirella) Wissmanni Muenst. sp. Tav. II, fig. 8. 1841. Terebratula Wissinanni Muenster — Beitràge sur Petrefaktenkunde, I\", pag. 64, Tav. VI, fig. 18. 20 S. Scalici [Memoria IX. 1890. Spirigera Wissmanni Bittner — Brachiopoden der nlpinen Trias, pag. 79, Tav. Il, fig. 6-9, Tav. XXIX, tìg. 22 {cum syn.). 1900. „ {Diplospirella) „ Bittner — Brachiopoden aus der Trias des Bakonyer- imldes, pag. 33, Tav. Ili; fig. 7-8. Conchiglia piccola, rigonfia, a contorno subpentagonale. Altezza 5,5 mm. Larghezza 5,5 „ Spessore 4 „ L’ umbone, piccolo e poco elevato, ha i margini laterali dolcemente ricurvi e l’ apice subtruncato da un piccolo forame tondeggiante. La valva ventrale è appena più rigonfia della dorsale, la quale raggiunge il massimo della sua convessità nella regione apicale, da dove si diparte un lobo mediano poco mar- cato, al quale sull’ altra valva corrisponde un seno discretamente pronunziato. La commessura laterale è leggeimiente ondulata. Loc. Acquanova. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 3. Spirigera (Diplospirella) eh. sufflata Muenst. sp. IL fig. g. 1841. Terebratnla sufflata? Schloth in ÌNIuenster — Beitrdge sur Pelrefaklenhunde,. IV, pag. 63, Tav. VI, fig. 15. 1890. Spirigera sufflata Bittner — Brachiopoden der alpinen Trias, pag. 80, Tav. II, fig. 10. 1900. „ [Diplospirella) „ Bittner — Brachiopoden aus der Trias des Bakonyer - waldes, pag. 33, Tav. V, fig. 18. 1903. „ „ Broili — Die Fauna der Pachycardientuffe der Seiser Alp. I, pag. 159. Tav. XVIII, fig. 2. Ho paragonato con questa specie un frammento di Spirigera il quale lascia scorgere benissimo alcuni caratteri che corrispondono a quelli della S. sufflata Muenst. sp. Le due valve sono molto e ugualmente rigonfie ; l’ umbone robusto e ricurvo ha i margini arrotondati e I’ apice troncato da un forame abbastanza grande. Mancando la mettà frontale della conchiglia non si possono confrontare gli altii ca- ratteri specifici. Loc. Acquanova. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. Gen. RHYNCHONELLA Fisca. 1. Rhynchonella vivida Bittn. n. var. multicostata. Tav. II, fig. IO. 1890. Rhynchonella decurtata Gir., var. vivida Bittner — Brachiopoden der alpinen Trias, pag. 10, Tav. XXXll, fig- 11-12, Tav. XXXI, fig. 27. La fauna del Trias superiore del gruppo di Mf Judica 21 Una valva ventrale alquanto incompleta, che per il suo andamento generale aliforme e per 1 caratteri del seno si avvicina molto alla Rh. vivida Bittner. Il nostro esemplare è un po’ meno alto della forma di San Cassiano, dalla quale differisce anche per il maggior numero delle costole che ne ornano la superfìcie e che sono più fine e meno rilevate. Loc. Castellace. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 2. Rhynchonella notabilis Bittn. n. var. subpentagona. Tav. Il, fig. 1 1. 1890. Rhynchonella notabilis Bittner — Brachiopoden der alpinen Trias, pag. 225, Tav. XIII, fig. 1-4. Conchiglia piccola, depressa, a contorno subpentagonale. Altezza 4 mm. / Larghezza 3,4 „ Spessore 1,2 „ La valva ventrale è ugualmente rigonfia della dorsale e dal suo apice si diparte un seno discretamente profondo, al quale sull’altra valva corrisponde una leggiera depressione, più pronunziata verso il lato frontale. L’ umbone della valva ventrale è piccolo, appuntito , poco ricurvo e coi margini ta- glienti ; i lati dell’ umbone della valva dorsale sono leggermente dilatati a guisa di orec- chiette. I inargini laterali della conchiglia sono leggermente ricurvi e verso il terzo infe- riore si piegano bruscamente verso il margine frontale che è nettamente intagliato. La commessura laterale è un po’ ondulata con la convessità rivolta verso la valva dorsale. La superficie della conchiglia è ornata da sottili linee di acci'escimento e da costole radiali, delle quali due molto sottili nel seno, e 3-4 acute e più rilevate per ogni lato. La nostra vaiietà è molto affine alla var. sagittalis Bittn., dalla quale differisce per il contorno nettamente subpentagonale. Loc. Serro Sello. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 3. Rhynchonella aff. Mentzelii v. Buch. sp. Tav. II, fig, 12-14. 1890. Rhynchonella MenlBelii v. Buch, in Bittner — Brachiopoden der alpinen Trias, pag. 12, Tav. XXXII, fig. 14-16 {cuni syn.). 1903. „ „ Bittner — Brachiopoden und Laniellibranchiaten aus der Trias von Bosnien, Dahnatieu und Venetien, Jahrb. d. k. k. geol. Reichs. Bd. Lll, p. 59, Tav. XXI [IVJ, fig.* 10-12. Diversi fi'ammenti ben riconoscibili per la forma generale della conchiglia e per i ca- ratteri del seno e delle costole radiali, folti, alte e un poco arrotondate, che in due esem- plari presentano anche la dicotomia accennata da v. Buch. Gli individui di questa specie sono piuttosto frequenti nelle marne giallasti'e dell’Acqua- S. Scalia [Memoria IX.] 99 nova, però tentando di staccarli dalla roccia e di ripulirli v^anno facilmente in frantumi. Nelle Collezioni deli’ Istituto di Geologia dell’ Università di Catania se ne conservano quattro esemplari. Gen. HALORELLA Biitn. 1. Halorella pedata Bronn. sp. Tav. li, fig. 15, 16. 1840. Terebratula pedata Bronn. — Index palaeontologiciis, I. Noni., pag. 1244. 1890. Halorella „ Bittner — Brachiopoden der alpinen Trias, pag. 179, Tav. XVJI, fig. 4 {cimi syn.). Di questa specie ho trovato fino ad ora due sole valve, che per il numero delle co- stole (8-14) si possono rapportare tutte e due all’ olotipo (var. rarecoslata Bittn.) La valva rappresentata dalla fig. 15 presenta un numero maggiore di costole, le quali però sembra che non sorpassino il numero di 14. L’altra, più piccola e meno deformata ne presenta di meno, e benché sia rotta lateralmente pare che non dovesse averne più di 8. Questa specie è stata riscontrata da G. G. Gemmellaro , al disopi'a della dolomia con Daonella Lepsiusi Gemm., del Monte Grifone, in prov. di Palermo (1). Il primo degli esemplari figurati pi'oviene dai calcali marnosi oscuri delle colline di Paraspora e 1’ altro dalle brecciole marnose dell’ Acquanova. Entrambi si conservano nelle Collezioni dell’Istituto di Geologia dell’ Università di Catania. 2. Halorella amphitoma Bronn. sp., var. rarecostata Bittn. Tav. II, fig. 17. 1890. Halorella amphitoma Br. sp. var. rarecostata Bittner — Brachiopoden der al- pinen Trias, pag. 184, Tav. XX, fig, 9-14. Una valva ventrale incompleta che per la sua forma suborbicolare e per le coste forti, rilevate, tettiformi , che ne ornano la superficie , non lascia alcun dubbio sul riferimento specifico di questo esemplare, il quale per 1’ esiguo numero delle coste si può senz’ altro riferire alla var. rarecostata Bittner. Loc. Acquanova. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 3. Halorella plicatifrons Bittn. Tav, li, fig. 18. 1890. Halorella plicatifrons Bittner — Brachiopoden der alpinen Trias, pag. 186, Tav. XXI, fig. 1-20. Di questa bella specie ho trovato fino ad ora una sola valva abbastanza ben conser- vata con una depressione submediana molto forte, cosicché il fronte si presenta bilobato. (i) Gemmellaro G. G., Sui Trias delia regione occideniaìe della Sicilia. Meni. d. R. Acc. dei Lincei, ser. 3» \ i)l. XII, pag. -156. (1882) — J Cefalopodi del Trias superiore della regione occidentale della Sicilia, pag. .XXVIl. (iqo.)) - Arthaber, Die alpine Trias des Medilerraii-Gehietes , pag. 381 e 463 (1903). - Scalia, Il gruppo del M."- Pudica, Ifoll. d. Soc. Geol. Italiana, voi. XXVIII, fase. II. pag. 316 (1909). La fauna del Trias superiore del gruppo di M.^ Judica 23 La superfìcie è ornata da 14-15 costole che si dipaitono ad una certa distanza dal- l’apice; quelle che stanno nella depressione mediana sono alquanto più deboli delle altre. Loc. Serro Sello. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. Gen. THECOSPIRA Zugm. 1. Thecospira aff. Semseyi Bittn. Tav. II, fig. 19, 20. 1900. Thecospira Semseyi Bittner — Brachiopoden aus der Trias des Bakonyer- waldes, pag. 41, Tav. IV, fig. 40-71, Tav. V. fig. 1. Una piccola valva ventrale completa, un pò obliqua, spessa, con la cicatrice di attacco ben visibile e la superfìcie ornata da varici concentriche e da sottili costole radiali. Un altro frammento di valva ventrale mostra la stessa ornamentazione ma è più ri- gonfio, più allungato, meno obliquo e di più grandi dimensioni. Questi due esemplari mostrano delle affinità con la 77/. Semseyi Bittn. del Trias superiore di Veszprém, nella Selva Baconica, della quale specie tuttavia differiscono per i caratteri molto marcati dell’ oi'namentazione. La piccola valva completa proviene dalle inaine argillose dell’ Acquanova ed il fram- mento più grande dai calcari colitici della collina di Gammaniura. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. MOLLUSCA JLa,mellibra.nctiia,ta Gen. AVICULA Klhin. A. Inornatae 1. Avicula Cassiana Bittn. Tav. Il, fig. 21-22. 1895. Avicula Cassiana Bittner — Lamellihrancliiaten von St. Cassian , Abhandl. d. k. k. geol. Rechs. Bd. XVIII , Heft. I, pag. 71 Tav, Vili, fig. 6-8. Di questa forma, che il Bittner distinse dalla multiforme Av. Gea d’ Ore., ho trovato alcune valve di diverse dimensioni ed in buono stato di conservazione, le quali per i loro caratteri corrispondono agli esemplali di San Cassiano e della Cortina d’ Ampezzo, illu- strati dal Bittner. Queste valve sono inequilaterali , oblique, più o meno tondeggianti e discretamente rigonfie, con la maggiore convessità tra gli apici ed il margine infero-anteriore. Esse sono generalmente di più grandi dimensioni di quelle della Cortina di Ampezzo e di San Cassiano. L’ orecchietta anteriore è molto piccola, subtriangolare, appuntita. L‘ orecchietta poste- 24 S. Scalia [Memoria IX.] riore, incompleta in tutti gli esemplari , è larga, depressa , e distinta dal resto della con- chiglia da un leggiero solco. Il margine cai'dinale è diritto, quello posteriore escavato, quello infei'o-posterioi'e arrotondato , e quello anteriore sinuoso al disotto dell’ orecchietta. Gli apici sono molto anteriori, ricurvi, poco elevati ed un poco sporgenti oltre il margine cardinale. Sulla superficie si scorgono in qualche esemplare delle fini linee concentriche di ac- crescimento tra cui alcune più forti, sublamelUrse. Loc. Gemmaniura. Colles. Ist. geolc Univ. Catania. 2. Avicula Cortinensis Bittn. Tav. II, fig. 23. 1895. Avicula Cortinensis Bittner — • Laìnellibranchiaten von Si. Cassimi pag. 71, Tav. Vili, tìg. 5. Questa forma è molto vicina alla precedente, dalla quale si distingue per il contoino generale meno arrotondato, per 1’ escavazione del maigine posteriore più profonda, per l’ o- recchietta anteriore un poco più sviluppata e più appuntita e per la maggiore ripidità della convessità vei'so il margine anteriore, il quale presenta un seno più largo e più profondo. Gli apici sono piccoli, molto anteriori, poco elevati e non sporgenti olti’e il margine cardinale. Bittner ritiene che 1’ originale dell’ Av. Gea di San Cassiano appartenga a questa forma. Loc. Gemmaniui’a. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 3. Avicula decipiens Sal. Tav. Il, fig. 24. Geologische und palaeontologische Studien iiber die Marinolata. Palaeontographica, Bd. XLII, pag. 152, Tav. IV^. fig. 36-39. Fauna der Vachycardientujfe der Seiser Alp, I, pag. 168, Tav. XIX, fig. 3. Sul Trias dei dintorni di Gijfoni. Att. d. Acc. Pontaniana, Voi. XXXVIII, pag. 45, Ta\'. I, tìg. 8. Alcune valve di differenti dimensioni leggermente rigonfie, sottili, a contorno semicir- colare, le quali confrontano perfettamente con le forme del Pizzo di Cainallo e della Mar- molata, illustrate dal Salomon. Come giustamente fece rilevare il Galdieri {Loc. cit. pag. 47) questa forma differisce in modo troppo evidente dall’ Av. caudata Stopp. e daWAv. mytiliformis Stopp., con le quali il Bittner {Loc. cit. pag. 72) l’aveva riunito sotto il nome di Av. caudata. Loc. Gammaniura. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 1895. Avicula decipiens Salomon — 1903. » sp. Broili — 1908. decipiens Galdieri — r La fmiiia del Trias superiore del gruppo di MT\Judica 4. Avicula sicana n. f. Tav. II, fig. 26-28. Ho designato con questo nome alcune valve destre, .che per alcuni caratteri si diffe- renziano dalle forme precedenti dello stesso gruppo ; esse sono molto inequilaterali, strette, piuttosto depresse, e a contorno semicircolare. I II III Lunghezza 33 mm. 32 mm. ? mm. Altezza 15 15 18 „ L’ orecchietta anteriore è piccolissima, triangolare, appuntita ; quella posteriore larga , depressa, molto allungata all’ indietro e terminante a punta , è quasi indistinta dal resto della conchiglia. Gli apici sono piccoli, poco ricurvi, subterminali. Il margine cardinale è lungo e diritto, quello posteriore leggermente escavato , e quelli infero-posteriore ed ante- riore a contorno semicircolare. Il margine anteriore presenta un piccolo seno ben marcato al disotto deir orecchietta anteriore, che nella sua parte inferiore è munita di un piccolo solco. Sulla superficie, generalmente mal conservata, si notano tracce di larghe costole con- centriche quasi piane, separate da sottili strie. Questa forma è molto affine all’ Av. Cassiaua Bittn., all’ Av. Cortinensis Bittn., all’Az). caudata Stopp., ed aìl’Av. decipiens .Salomon, dalle quali tuttavia differisce per la forma ed il contorno generale, e per i caratteri delle orecchiette. Loc. Gammaniura. Colle!3. Ist. geol. Univ. Catania. 5. Avicula caudata Stopp. Tav. II, fig. 29-30. 1858-60. Avicula caudata Stoppani — Les Pétrifications d’ Esino, Paléont. lombarde, pag. 92, Tav. XVIII, fig. 18-19. 1896. „ cfr. „ Bittner — Lamellibranchiaten voii St. Cassiau, pag. 73, Tav. Vili, fig. 17-18 (pars). 1897. „ „ De Lorenzo — Fossili del Trias medio di Lagonegro, Pa- laeontographia Italica , voi. II , pag. 129 (pars). 1903. „ „ Broili Fauna der Pachycardientuffe der Seiser Alp, I, pag. 165, Tav. XVIII, fig. 21-23 (excl. A. deci- piens Sal.). Due valve destre in cattivo stato di conservazione ed alquanto incomplete , ma che tuttavia non lasciano alcun dubbio sulla loro appartenenza a questa distinta specie del Trias sup. della Lombardia. Queste due valve sono di più piccole dimensioni di quelle del Pizzo di Cainallo, e mo- strano l’orecchietta anteriore abbastanza sviluppata e acuminata, come quelle illustrate dallo Atti Acc. Seiuf. V. Vol. III. Mem. IX. 4 26 S. Se alia [Memoria IX.] Stoppane Dall’andamento dell’orecchietta posteriore, la quale è rotta in entrambi gli esem- plari, si può facilmente arguire che essa doveva essere molto allungata. Loc. Gammaniura. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 6. Avicula mytiliformis Stopp. Tav. II, fig. 31-33. 1858-60. Avicula uiytiliformis Stoppani — Les Pétrifications d' Esilio, pag. 91, Tav. XVIII fìg. 16-17. 1896. „ cfr. caudata Bittner — Lamellibranchiaten von Si. Cassian, pag. 73, {pars). Di questa specie, che si distingue dalla precedente per essere un po’ più rigonfia e per i caratteri dell’ orecchietta anteriore, breve e molto ottusa, ho trovato diverse valve di piccole dimensioni le quali corrispondono esattamente alla descrizione ed alle figure che lo Stoppani diede per le forme del Pizzo di Cainallo e di Val del Monte. Loc. Gammaniura. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 7. Avicula sicula n. f. Tav. Il, fig. 34-37. Ho distinto con questo nome quattro piccole valve destre, molto depresse, quasi piane, inequilaterali, subtriangolari, le quali presentano le seguenti dimensioni : I II III IV Lunghezza 9 mm. 11 mm. 11,5 mm. 13 mm. Altezza 6 „ 8 „ 8,5 „ 9 „ L’orecchietta anteriore è molto piccola ed un po’ appuntita; l’orecchietta posteriore, quasi indistinta dal resto della conchiglia, oppure separata mediante un leggiero solco, non oltrepassa il margine infero-posteriore. Il margine cardinale è diritto, quello posteriore leggermente escavato, quello infero-po- steriore subovale, quello anteriore quasi diritto, con un leggiero seno al disotto dell’ orec- chietta. Gli apici sono depressi, quasi indistinti, molto anteriori. Sulla superficie, ricoperta da incrostazioni tenaci, non si scorgono linee di accrescimento. Queste valve hanno qualche affinità con quelle dell’ Av. mytiliformis Stopp. , però ne differiscono per la forma più obliqua, per la minore estensione dell’ orecchietta poste- riore e per il margine posteriore meno escavato. Loc. Gammaniura. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 8. Avicula pannonica Bittn. Tav. II, fig. 38-40. 1901. Avicula pannonica Bittner — Lamellibranchiaten aus der Trias des Bciko- nyervjaldes — Resultate der wissenschaftl. Erforschung des Balatonsees, Bd. I., 1 Th., . pag. 25, Tav. IV, fig. 13. La fauna del Trias superiore del gruppo di Mf Jiidica 27 1907. Avicula cfr. pannonicae Waagen — Die Laniellibranchiaten der Pacliycardieii- tuffe der Seiser Alni. Abhandl. d. k. k. geol. Reichs. Bd. XVIII, Heft 2, pag. 89, Tav. XXXIV, fig. 2 a, b. Di questa forma, che si distingue dalle altre affini dello stesso gi'uppo per il gi'ande sviluppo dell’orecchietta anteriore, ho trovato diverse valve destre ed una valva sinistra, i cui caratteri corrispondono peifettamente con quelli della forma di Jeruzsàlemhegy illu- strata dal Bittner; solo le dimensioni sono alquanto minori. Tali valve sono molto inequilaterali, subtriangolari, poco rigonfie. L’orecchietta anteriore è molto sviluppata, subtriangolare , inferiormente arrotondata , depressa ; essa è distinta dal resto della conchiglia per mezzo di una larga depressione. L’ orecchietta posteriore è anch’essa molto sviluppata, depressa. Il margine cardinale è diritto, il margine posteriore leggei'mente escavato, quello infero-posteriore ricurvo, e quello anteriore quasi diritto, con un largo seno .sotto 1’ orecchietta anteriore. L’ apice è anteriore , poco ricurvo , non spor- gente oltre il margine cardinale. Sulla superficie alquanto incrostata si scorgono tracce delle linee di accrescimento. Loc. Gammaniura. Collegi Ist. geol. Univ. Catania. 9. Avicula Gortanii n. f. Tav. II, tig. 42. Una valva sinistra molto inequilaterale, obliquamente ovata, sottile, discretamente ri- gonfia anteriormente, e largamente depressa verso il margine infero-posteriore. L’orecchietta anteriore è piccola, subtriangolare, delimitata dal resto della conchiglia da una larga depressione che scende ripidamente verso il margine anteriore. L’ orecchietta posteriore è incompleta, e dal suo andamento si scorge che doveva prolungarsi al di là del margine infero-posteriore ; essa è delimitata dal resto della conchiglia da un solco assai stretto verso gli apici, e largamente aperto verso il margine posteriore. Verso la mettà di essa si inizia un altro solco il quale si allarga rapidamente all’ indietro. Il margine car- dinale è diritto, quello posteriore escavato, quello infero-posteriore ovato, e quello anteriore sinuoso. L’ apice è piccolo , subterminale , poco elevato e non sporgente oltre il margine ■cardinale. Sulla superfìcie, mal conservata, non si scorgono tracce delle linee di accrescimento. Oltre che per la forma generale della conchiglia , questa specie si distingue chiara- mente dalle altre dello stesso gruppo per il solco che ne orna l’ orecchietta posteriore. Loc. Gammaniura. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 10. Avicula Kokeni Wòrm. Tav. II, fig 43, 45. 1892. Avicula Kokeni Wohrmann u. Koken — Fauna der Raibler - Schicliten vorn Schlernplateau, Zeitschiift d. deutsc. geol. Gesellschaft, Bd. XLIV, 2 Heft, pag. 175, Tav. Vili, fig. 8, 9, 9a. 28 S. Scalia [.Memoria IX.] 1903. Avicula Kokeni Broili — Fauna der Pachycardientuffe der Seiser Alp , I, pag. 164, Tav. XVIII, fìg. 19. 1907. „ „ Waagen — Die Lamellibr anelli al en der Pachycardientuffe der Seiser Alni. pag. 91, Tav. XXXIV, fig. 7, (nec. 6, 8). 1909. „ „ WiLCHENS — Palaeontologische Unterschung triadischer Fau- nen aiis der Unigebung von Predasse in Sildtirol, pag. 41, Tav. V, fig. 3. Alcune valve di diverse dimensioni^ inequilaterali, più alte che lunghe, subromboidali, discretamente rigonfie. L’orecchietta anteriore è per lo più discretamente sviluppata, subtriangolare, depressa, e distinta dalla parte mediana della conchiglia per mezzo di una marcata depressione. L’orecchietta posteriore è larga, depressa, leggermente escavata posteriormente. Il margine cardinale è diritto, quello posteriore leggermente escavato, quello inferiore arrotondato, e quello anteriore fortemente sinuoso. Dall' apice, appuntito e ricurvo, si diparte una sottile carena che si allarga rapidamente verso il basso. Sopra una valva sinistra si scorgono delle costoline concentriche sublamellose, serrate, che diventano più forti verso il margine inferiore. Loc. Paraspora. Colles. Ist. geol. Univ. Catania — Ist. geol. Univ. Palermo. 11. Avicula cfr. Tofanae Bittn. Tav. II, fig. 4&, 47. 1896. Avicula Tofanae Bittner — Lamellibr ancliiaten von St. Cassian . pag. 71, Tav. VIII, fig. 9-11. 1903. „ „ Broili — Fauna der Pachycardientuffe der Seiser Alp, I, pag. 165, Tav. XVIII, fig. 20. Questa forma si distingue dalle precedenti per essere quasi ugualmente alta che lunga. Le valve sinistre sono discretamente convesse, quelle destre abbastanza depresse. Le orec- chiette sono quasi indistinte, ed il margine anteriore più o meno sinuoso al disotto dell’ 0- recchietta anteriore. Loc. Gammaniura. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 12. Avicula Frechii Bittn. Tav. II, fig. 41, 48, 49. 1895. Avicula Frechii Bittner — Lamellibr anchiaten von St. Cassian , pag. 72 , Tav. VIII, fig. 12-13. 1903. „ „ Broili — Fauna der Pachycardientuffe der Seiser Alp. I , pag. 166, Tav. XVIII, fig. 24. Di questa specie, che si distingue dalle altre dello stesso gruppo per la maggiore con- vessità e per essere più stretta e più lunga, ho trovato diverse valve le quali corrispon- dono all’ olotipo illustrato dal Bittner. L’orecchietta anteriore è abbastanza sviluppata, convessa, separata dalla parte me- La fauna del Trias superiore del gruppo di MP Judica 29 diana della conchiglia da una forte depressione largamente aperta verso il margine infero- anteriore. L’ orecchietta posteriore è incompleta, però dal suo andamento si può facilmente dedurre che essa era molto allungata ed acuminata all’ indietro, come il tipo di Richtho- fenriff rappresentato dal Bittner nella fig. 12 (Loc. cit.)- Essa presenta nel mezzo un largo solco, che dipartendosi dalla sua estremità va svanendo verso la regione apicale. Il margine cardinale è diritto e molto lungo, quello posteriore profondamente escavato, quello infero-posteriore subovale, e quello anteriore largamente sinuoso. Gli apici sono mol- to anteriori, ricurvi, e non sporgenti oltre il margine cardinale. Sulla superfìcie, alquanto mal conservata, si scorgono tracce delle linee di accrescimento, le quali in corrispondenza del seno sono fortemente curvate, con la convessità livolta verso la regione apicale, e pas- sando sull’orecchietta posteriore si rivolgono bruscamente all’ indietro. Loc. Gammaniura. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 13. Avicula Hallensis Wohrm. Tav. II, fig. 50. 1889. Avicula Hallensis Wòhrmann — Die Fauna der sogenannten Cardila — und Raihler-Schichten in den Nordliroler und buyer iscìien Alpen. Jahrb. d. k. k. geol. Reichs. Bd. XXXIX, pag. 205, [25], Tav. VII, fig. 9. 1895. „ „ Bittner — Lamellihr anchiaten von St. Casskm, pag. 70, Tav. Vili, fig. 19, 20. Una valva sinistra discretamente conservata, lunga 28 millimetri, alta 12 millimetri, ovale, rigonfia. \J orecchietta anteriore è piccola, arrotondata , distinta dal resto della conchiglia per mezzo di una larga depressione. L’ orecchietta posteriore è lunga e appuntita ; essa non oltrepassa il margine infero-posteriore della valva , dalla cui parte mediana è distinta me- diante un solco, abbastanza forte nella regione apicale e largamente aperto all’ indietro. Il margine cardinale è diritto, quello posteriore escavato, quello infei'o-posteriore arrotondato, e quello anteriore sinuoso. L’apice, molto anteriore e fortemente ricurvo, è discretamente elevato ed un poco sporgente oltre il margine cardinale. Sulla superficie, mal conservata, si osservano tracce delle linee di accrescimento, che sull’orecchietta posteriore si mostrano alquanto larnellose e curvate all’ indietro. Loc. Gammaniura. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 14. Avicula Sturi Bittn. Tav. II, fig. 5 1-56. 1895. Avicula Sturi Bittner — Lamellihr aìichiaten von Si. Cassian, pag. 69, Tav. Vili, fig. 1-4. Numerose piccole valve destre e sinistre quasi ugualmente rigonfie, oblique, inequila- terali, con 1’ orecchietta posteriore più 0 meno allungata all’ indieti’o e appuntita, separata 30 S. Scali a [Memoria IX.] dal resto della valva da un solco netto. L’ orecchietta anteriore è abbastanza sviluppata, arrotondata, rigonfia, e più o meno nettamente delimitata, mediante una depressione larga- mente aperta verso il margine anteriore. Gli apici sono anteriori , molto robusti ed elevati , non sporgenti oltre il mai'gine cardinale. Il margine cardinale è lungo e diritto, il margine posteriore fortemente escavato, quello infero-posteriore bruscamente ricurvo, e quello anteriore più o meno sinuoso. Queste valve sono per Io più fortemente incrostate e perciò non vi si scorgono sulla superficie le sottili linee di accrescimento, che però sono visibili in qualche esemplare non incrostato. Loc. Gammaniura. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 15. Avicula subtrigona n. f. Tav. IL fig. 57-59. Ho distinto con questo nome divei’se valve destre molto affini a quelle dell’ /in. Sturi Bittn., dalla quale però differiscono per la loro forma generale , per essere più rigonfie , subcarenate, e per l’andamento del lembo infero-posteriore della conchiglia, il quale è rial- zato all’ indietro. Le due orecchiette sono nettamente delimitate. Il margine cardinale è lungo, quello posteriore fortemente intagliato, e quello antei’iore fortemente sinuoso. I margini infero-posteriore ed infero-anteriore sono subangolosi, e in- sieme all’ angolosità foianata dalle regioni apicali, dànno al corpo principale della valva un aspetto subtrigono molto caratteristico, per il quale questa forma si distingue a prima vi- sta dalle altre affini dello stesso gruppo e dalla vicina Av. Sturi Bittn. Queste valve sono ricoperte da incrostazioni molto tenaci. Loc. Gammaniura. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 16. Avicula Gammaniurae n. f Tav. II, fig, 60. Di questa forma ho trovato fino ad ora una sola valva sinistra , la quale presenta però dei caratteri abbastanza importanti per poterla distinguere dalle alti’e forme fin’ ora descritte. Essa è lunga 16 millimetri e alta 11 millimetri, di forma quasi ovale, rigonfia, con la maggiore convessità verso il terzo anteriore. L’ orecchietta anteriore, estesa, convessa ed arrotondata , è quasi indistinta dal resto della valva, dalla quale è tuttavia separata mediante una leggerissima depressione ; anche l’orecchietta posterioi-e, che si mostra incompleta, è poco distinta. Il margine cardinale è quasi diritto, il margine posteriore escavato, quello infero-po- steriore subovale, e quello anteriore leggermente sinuoso. L’ apice è molto robusto , ricurvo , subterminale e non sporgente oltre il margine cardinale. La fauna del Trias superiore del gruppo di M}^ Jndica 31 Le incrostazioni tenaci che ne ricoprono la superficie non vi lasciano scorgere traccia delle linee di accrescimento. Loc. Gammaniura. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 17. Avicula arcuata Muenst. Tav. Il, fig. (•>1-63. 1834-1840. Avicula arcuata Muenster in Goldfuss — Petrefacta Germaniae. II, pag. 128, Tav. CXVII, fig. \ap. 1841. „ „ Muenster — Beitrdge sur Petrefaktenkunde, IV, pag. 17, Tav. VII, fig. 13. 1895. „ „ Bittner — Lamellibrancliiaten von Si. Cassimi, pag. 67, Tav. Vili, fig. 21-23. 1903. „ „ Broili — Fauna der Pacliycardientujfe der Seiser Alp, I, pag. 164, Tav. XVIII, fig. 18. Ho riferito a questa specie tre valve sinistre di diverse dimensioni, alquanto incom- plete^ obliquamente allungate, rigonfie, arcuate. L’orecchietta anteriore è più piccola della posteriore, subrettangolare, appena distinta dal resto della valva per una leggiera depressione. L’ orecchietta posteriore, un poco più grande dell’ anteriore, è invece nettamente delimitata dal resto della valva mediante un solco piuttosto profondo, a partire dal quale la convessità della valva cresce rapidamente, cosicché la conchiglia assume un aspetto subcarenato. All’ indietro l'orecchietta posteriore è tagliata quasi ad angolo retto. Una di queste valve è rotta verso la regione apicale, però dall’ andamento generale della conchiglia si scorge chiaramente che l’apice era robusto, prominente e ricurvo, come nelle altre più piccole. Sulla superficie, mal conservata, non si scorgono nemmeno tracce delle sottili strie concentriche che si osservano negli esemplari ben conservati di San Cassiano, coi quali i nostri corrispondono per tutti gli altri caratteri. Loc. Gammaniura. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 18. Avicula sp. i-nd. Tav. II, fig, 64. Una valva sinistra alquanto mal conservata, quasi ugualmente alta che lunga, ovale, rigonfia, con 1’ orecchietta anteriore incompleta, distinta dal resto della valva mediante un piccolo solco. Anche 1’ orecchietta posteriore è incompleta e distinta nella regione apicale da un leggiero solco che sembra svanire nella regione posteriore. Per la forma generale questa valva ricorda \ Av. Gansingensis v. Alb. della \'al Brembana (von Alberti — Ueberblick iiber die Trias, pag. 93, Tav. I, fig. 8, Stuttgart, 32 S. Se al in [Memoria IX.] 1864), però il nostro esemplare è molto mal conservato perchè si possano stabilire altri confronti con questa specie. Loc. Gammaniura. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 19. Avicula cfr. obtusa Bittn. Tav. Il, fig. 65-66. 1895. Avicula obtusa Bittner — Lamellibranchinten von St. Cassiaii, pag. 72, Tav. Vili, flg. 16. Ho confrontato con questa specie tre valve sinistre, oblique, discretamente rigonfie, con le orecchiette anteriori piccole, subrettangolari, un pò arrotondate, appena distinte dal resto della conchiglia mediante un solco assai leggiero. Le orecchiette posteriori sono in- complete. Il margine cardinale è diritto, un po’ meno lungo della conchiglia; quello poste- riore leggermente sinuoso , quello infero-posteriore ovale, e quello anteriore leggermente sinuoso al disotto dell’ orecchietta. Queste valve hanno le maggiori affinità con VA. obtusa Bittn., ma siccome esse pre- sentano le orecchiette posteriori incomplete non ho creduto di poterle riferire con sicurezza a questa specie del Bittner, dalla quale differiscono anche per essere un poco più rigonfie. Loc. Gammaniura. Colles. Ist. geo!. Univ. Catania. 20. Avicula Plataniai n. f. Tav. II, fig. 68. Ho distinto con questo nome una valva sinistra lunga quasi 12 millimetri e alta poco più di 8 millimetri, inequilaterale, obliqua, molto rigonfia nella regione apicale e piuttosto pianeggiante nella parte infero-posteriore. L’ orecchietta anterioi'e è piccola, quasi rettangolare, leggermente arrotondata, separata dal resto della valva da una leggiera depressione largamente aperta verso il maigine an- teriore; l’orecchietta posteriore, incompleta, è piana e larga, e dal suo andamento pare che non dovesse oltrepassare il margine infero-posteriore. Il margine cardinale è diritto e presenta una stretta area ; il margine posteriore è escavato ad angolo retto, quello infero-posteriore ovale, quello inferiore retto ed obliquo, e quello anteriore largamente sinuoso. L’apice, discretamente robusto, non sporge olti'e il mar- gine cardinale. La superficie della conchiglia è ricoperta da tenaci incrostazioni. Loc. Gammaniura. Colles. Ist. Geol. Univ. Catania. B. Ornatae. 2 1 . Avicula aspera Piche. Tav. II, fig. 69. 1857. Avicula aspera Pichler — Zur Geognosie der Tyroler Alpen — Neues Jahrb. f. Min. Geol. u. Pai., pag. 694, fig. 2. La fauna del Trias superiore del gruppo di MT Jtidica 33 1889. Avicula aspera Wòhrmann — Die Fauna der sog. Cardila — u. Raibler Schi- clìten, pag. 205, Tav. VII, fig. 7, 8, 8«. 1908. „ „ Galdieri — Sul Trias dei dintorni di Giffoni, pag. 43, Tav. I, fig. 3. 1909. „ „ ScALiA — Tl gruppo del Monte Judica, pag. 293, Tav. IX, fig. 7. Di questa elegante e caratteristica forma ho trovato solo una valva sinistra, piccola, lunga poco più di 10 min., alta 7 mm., fortemente inequilaterale, obliqua, rigonfia, sottile. L’ orecchietta anteriore, piccola, depressa, è abbastanza distinta ; 1’ orecchietta poste- riore, molto sviluppata, è nettamente distinta dal resto della valva, da cui è separata me- diante un solco obliquo e ben marcato , specialmente in corrispondenza della regione api- cale, dove la conchiglia è subcarenata. Il margine cardinale è diritto, il posteriore concavo, quello infero-anteriore convesso. L’ apice, molto anteriore, è prosogiro e poco sporgente oltre il margine cardinale. La superficie è ornata da pieghe concentriche ondulate e discretamente rilevate, che danno a questa specie un aspetto molto caratteristico. Anche 1’ orecchietta posteriore pre- senta la stessa ornamentazione, sebbene meno rilevata ed appariscente. Loc. Paraspora. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 22. Avicula? Zamboninii n, f. Tav. II, fig. 2). Una valva sinistra lunga poco più di un centimetro, alta 7 millimetri, inequilaterale, obliquamente ovale, discretamente rigonfia, sottile. L’ orecchietta anteriore è incompleta, però dal suo andamento si può facilmente ar- guire che doveva essere discretamente sviluppata ; essa è distinta dal resto della valva per mezzo di una depressione largamente aperta verso il margine anteriore. L’ orecchietta po- steriore è depressa, poco sviluppata, e benché rotta, pare che doveva essere leggermente appuntita e poco allungata; essa è separata dal resto della valva da un leggiero solco lar- gamente aperto all’ indietro. Il margine cardinale è diritto, quello posteriore leggermente escavato, quello infero- posteriore arrotondato e quello anteriore sinuoso. L’ apice è anteriore, poco elevato e non sporgente oltre il margine cardinale. La superficie della conchiglia è ornata da larghi cingoli concentrici e da sottili linee di accrescimento, le quali passando sull’ orecchietta posteriore si mostrano leggermente ar- cuate, con la convessità rivolta aU’indietro parallelamente all’incavo del margine posteriore. Temendo di guastare irrimediabilmente 1’ unico esemplare fin’ ora trovato di questa forma, per prepararne la linea cardinale, resto nel dubbio se si tratti veramente di un’ Avi- cula oppure di una Gervillia, al quale genere potrebbe anche appartenere, per la forma generale della conchiglia e per il rispettivo sviluppo delle orecchiette. Loc. Gammaniura. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. Atti Acc. Seiue V, Vol. III. Meni. TX 5 34 S. Sccdia [Memoria IX.] 23. Avicula Dinii Gald. sp. Tav. II, fig. 70. 1908. Cassianella ? Dinii Galdieri — Sul Trias dei dintorni di Gijfoni, pag. 49 , Tav. I, fig. 1 1. Una valva sinistra di piccole dimensioni ed incompleta, i cui caratteri corrispondono esattamente con quelli della Cassianella (?) Dinii del Trias superiore dei dintorni di Gif- foni, descritta dal Galdieri, il quale, non avendone potuto osservare l’area cardinale, riferì provvisoriamente questa specie al genere Cassianella^ notando però che per alcuni carat- teri essa se ne allontana, avvicinandosi invece alle Avicole. Avendo confrontato il nostro esemplare con tre esemplari dell’ Acqua della Raja (Gif- foni) che il di’. A. Galdieri mi ha gentilmente mandato in esame , ho potuto notare che nell’ esemplare siciliano, la cui superficie è alquanto levigata dal ruzzolamento, le linee di accrescimento non si scorgono così nettamente come negli esemplari di Giffoni. Vi si notano però benissimo le costole radiali, per lo più alternanti grandi e piccole, che svaniscono in prossimità delle orecchiette. Sull' orecchietta posteriore si scorgono ab- bastanza chiaramente le linee di accrescimento cui'vate ad arco , con la concavità rivolta all’ indietro. Infine avendo potuto preparare in parte 1’ area cardinale, non resta più alcun dubbio che questa specie appartenga realmente al genere Avicula, come del resto aveva ritenuto probabile il Galdieri. Loc. Paraspora. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 24. Avicula Di-Stefanoi n. f. Tav. II, fig. 71-75. Conchiglia obliqua, inequilaterale, più lunga che alta. Valva sinistra discretamente rigonfia, con 1’ orecchietta anteriore di discrete dimensioni, più o meno arrotondata , distinta dal resto della valva per una leggiera depressione. L’ 0- recchietta posteriore, molto sviluppata e acuminata all’ indietro , è distinta dal resto della valva mediante un piccolo solco che dipartendosi dall’ apice va sempre più allargandosi verso il margine posteriore e svanisce presso la mettà della conchiglia. Il margine cardinale è diritto, quello posteriore escavato quasi ad angolo retto, quello infero-posteriore arroton- dato, e quello anteriore lievemente ricurvo, con una leggiera insenatura in corrispondenza della depressione che delimita 1’ orecchietta anteriore. L’ apice è anteriore e molto ricurvo. La superficie è ornata da pieghe concentriche che negli individui giovani, e nelle re- gioni apicali degli esemplari adulti, sono poco rilevate e continue, ma coll’ accrescersi della conchiglia, esse si mostrano sempre più rilevate ed ondulate, mano mano che si accosta- no verso il margine infero-posteriore, dove divengono quasi squamose. Tali pieghe passando sull’ orecchietta posteriore si piegano bruscamente all’ indietro ,. dirigendosi obliquamente verso il margine cardinale che però non raggiungono, arrestandosi La fauna del Trias superiore del gruppo di Mf Judica 35 esse al margine di un solco ben distinto , il quale si diparte dalla punta dell' orecchietta posteriore decorrendo parallelamente al margine cardinale , e va sempre più restringendosi fino a che svanisce verso il terzo anteriore della conchiglia. Al disotto del margine cardi- nale si nota una listerella alquanto rilevata. Questa specie per la sua ornamentazione si avvicina s\X Avicul a crispata Goldf. (1), dalla quale differisce però per la forma generale del corpo e per i caratteri dell’orecchietta posteriore e del solco parallelo al margine cardinale. Loc. Gammaniura. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 25. Avicula ornato-plicata n. f. Tav. Ili, fig. 1-5. Conchiglia obliqua, subromboidale, inequilaterale, poco più lunga che alta. Dimensioni : I II III IV V Lunghezza 11,5 mm. IO mm. ? mrn. 8 mm. 14,5 mm. Altezza 7, 5 „ 7 „ 7 „ 6 „ 10 „ Valva sinistra rigonfia, con 1’ orecchietta anteriore depressa, subtriangolare, distinta dal resto della conchiglia da una depressione subtriangolare che si allarga rapidamente verso il margine infero-anteriore. In nessuno degli esemplari fin’ ora raccolti 1’ orecchietta poste- riore si mostra completa, però dall’ andamento generale si può arguire che la sua estre- mità si estendeva poco oltre il margine posteriore della conchiglia, dal cui corpo è sepa- rata mediante un solco obliquo poco marcato. Il margine cardinale è diritto, quello poste- riore escavato , quello infero-posteriore fortemente ricurvo , e quello infero-anteriore quasi diritto e parallelo al solco che separa 1’ orecchietta posteriore dal corpo della conchiglia. L’ apice è subterminale e un poco sporgente oltre il margine cardinale. La superficie è ornata da pieghe concentriche , irregolari , molto fitte e strettamente ondulate, specialmente nel mezzo delle valve; passando poi sull’ orecchietta posteriore esse si piegano all’ indietro conservandosi sempre ondulate, come si scorge chiaramente in uno degli esemplari meglio conservati. Questa specie è molto affine sXX Avicula aspera Pichl., dalla quale tuttavia differisce per la forma generale della conchiglia, per la larga depressione subtriangolare che delimita r orecchietta anteriore, per il solco posteriore assai meno marcato e per la più forte ondu- lazione delle pieghe, che sono anche assai più fitte e più rilevate. Loc. Acquanova, Castellace. Colles. Istit. geol. Univ. Catania — Ist. geol. Univ, Palermo. 26. Avicula Gemma n. f. Tav. Ili, fig. 6 a, h. Di questa elegante forma che per i caratteri della sua ornamentazione si distingue chiaramente dalle altre Avicule di questo gruppo , ho trovato fino ad ora una sola valva sinistra lunga circa 10 millimetri, alta 5 millimetri, obliqua, inequilaterale, rigonfia. (i) Goldfuss. — Petrefacta Germaniae, voi. II, p.ig. 129, Tav. CXVII, fig. 4 a, h. 36 S. Scalia I^Memoria IX.] L’ orecchietta anteriore, piccola, presenta un leggiero solco presso il margine anteriore ed è distinta dal resto della valva da una leggiera depressione. L’ orecchietta posteriore , discretamente sviluppata è un po’ rotta verso la punta , la quale sembra che non abbia dovuto sorpassare di molto il margine posteriore della conchiglia, dal cui corpo è distinta per mezzo di un solco obliquo e ben marcato, specialmente verso la regione apicale , ciò che dà a questa forma un aspetto subcarenato. Il margine cardinale è diritto, il margine posteriore escavato ad angolo acuto, e quello infero-anteriore leggermente ricurvo. L’ apice è molto anteriore , ricurvo , e un poco spor- gente oltre il margine cardinale. La superfìcie è ornata da tredici costoline radiali incrociantesi con numerose pieghe concentriche sublamellose , regolarmente ondulate a guisa di festoni ; talune di esse , più sviluppate delle altre e nodulose all’incontro con le costoline radiali, dividono la supei'fìcie della conchiglia in zone concentriche regolari. Sull’ orecchietta posteriore si scorgono ab- bastanza chiaramente le linee di accrescimento, fortemente piegate all’ indietro e legger- mente ondulate. Questa forma, che per la elegante ornamentazione della sua superficie ricorda un poco X Av. ptilckella v. Ale. (1) del Muschelkalk superiore della Lorena, ne differisce oltre che per la forma diversa della conchiglia e per i caratteri dell’ orecchietta posteriore, anche per il maggior numero delle costoline radiali, assai più fine che nella specie dell’ Alberti, nella quale mancano inoltre le pieghe più rilevate che nella nostra forma dividono la superfìcie in zone concentriche regolari. Loc. Paraspora. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. 27. Avicula imbricata n. f. Tav. Ili, tig. 7. Una piccola valva sinistra incompleta, inequilaterale, subtriangolare , discretamente ri- gonfia, sottile. L’ orecchietta anteriore è piccola, subtriangolare, con un piccolo solco presso il mar- gine anteriore ; essa è delimitata dal resto della valva mediante una depressione triango- lare abbastanza profonda. L’ orecchietta posteriore, incompleta , è separata dal resto della conchiglia da una doccia stretta e poco profonda. Il margine cardinale è diritto, il margine posteriore escavato , quello infero-posteriore bruscamente ricurvo, e quello infero-anteriore incurvato, con una insenatura in corrispondenza della depressione che delimita l’ orecchietta anteriore. La superfìcie è ornata da fìtte pieghe concentriche regolarmente ondulate che le danno un aspetto embricato assai caratteristico. Tra queste pieghe più rilevate si intercalano delle leggere linee di accrescimento poco ondulate. Sull’ orecchietta posteriore le pieghe , assai meno ondulate , si rivolgono bruscamente all’ indietro affievolendosi rapidamente verso la punta dell’ orecchietta , alla quale convergono tutte , per cui quelle più vicine al margine cardinale decorrono quasi parallelamente ad esso. (i) F. von Alberti. — Ueberblick iiber die Trias, png. 93, Tav. I, fig. 7, Stuttgart, 1864. ÌM fauna del Trias superiore del gruppo di Mf Jiidica 37 Questa specie , oltre che per la forma generale della conchiglia , si distingue chiara- mente dalle specie affini dello stesso gruppo, per la caratteristica ornamentazione , spicca- tamente embricata. Loc. Paraspora ColleB. Ist. geol. Univ. Catania. 28. Avicula Arthaberi n. f. Tav, III, fig. 8-9. Ho distinto con questo nome due valve sinistre alquanto incomplete , rigonfie , con l’orecchietta anteriore arrotondata, convessa, separata dal resto della valva da una depres- sione ben marcata. L’ orecchietta posteriore è rotta in entrambi gli esemplari , ma dal suo andamento si può facilmente arguire che essa doveva prolungarsi alquanto al di là del margine infero- posteriore. 11 margine cardinale è diritto , quello posteriore escavato , quello infero-posteriore ri- curvo, e quello anteriore sinuoso. Gli apici, robusti e fortemente ricurvi in avanti, sporgono un poco oltre il margine cardinale. La superficie della conchiglia è ornata nel mezzo da 6-7 costole radiali, nodulose ai- fi incontro con le pieghe concentriche abbastanza forti che passano anche sull’ orecchietta posteriore, piegandosi bruscamente all’ indieti'o. Questa forma è affine alla Avicula Geuima n. f. ed &\\l Av. pulchella v. Alb. (vedi pag. 35-36). Differisce però da entrambe , oltre che per la forma generale della conchiglia e per i caratteri delle orecchiette , per il numero e per la grossezza delle costoline radiali e per le forti pieghe concentriche che ne ornano la superficie. Loc. Gammaniura. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 29. Avicula Tommasii n. f. Tav. Ili, fig. IO. Di questa forma ho trovato fino ad ora due valve sinistre le quali per le loro dimen- sioni si distinguono facilmente dalle altre specie affini dello stesso gruppo. Esse sono fortemente inequilaterali, convesse, obliquamente ovali, alte 14 millimetri e lunghe 20 millimetri dal margine dell’orecchietta anteriore al margine infero-posteriore della conchiglia. L’ orecchietta anteriore, relativamente grande, è arrotondata, convessa, appena distinta dal resto della valva da una leggiera depressione. L’ orecchietta posteriore è delimitata da un leggiero solco largamente aperto verso il margine posteriore ; essa è incompleta in tutti e due gli esemplari , ma dal suo andamento si può arguire che non dovesse oltrepassare di più di 3 o 4 millimetri il margine infero-posteriore. Il margine cardinale è diritto, quello posteriore escavato, quello infero-posteriore, for- temente ricurvo, ondulato, e quello anteriore sinuoso. Gli apici sono molto anteriori, discre- tamente robusti, e un poco sporgenti oltre, il margine cardinale. 40 S. Scalia [Memoria IX.] La superficie della conchiglia è ricoperta in alto da incrostazioni assai tenaci che non ne lasciano scorgere chiaramente rornamentazione, la quale verso il margine infero - poste- riore è alquanto più chiara ed è costituita da tubercoli risultanti dall’ incrociarsi di pieghe concentriche e di costole radiali le quali sporgono un poco sul margine infero-posteriore, formando una serie di piccoli tubercoli. Per tale carattere questa forma si avvicina un poco a quella precedentemente descritta, dalla quale però differisce per la forma generale della conchiglia e per gli altri caratteri già notati. hoc. Gammaniura. CoUes. Ist. geol. Univ. Catania. 34. Avicula pes-hominis n. f. Tav. Ili, fig. 17. Ho distinto con questo nome un’ altra piccola valva sinistra alta 6 millimetri , anche essa incompleta, e che presenta qualche affinità con le due valve precedentemente descritte, mostrandosi ornata verso il margine infero-posteriore da alcuni tubercoli che sono però di- sposti in modo da raffigurare la disposizione delle dita di un piede umano. Questa piccola valva è fortemente inequilaterale e regolarmente convessa. L’orecchietta anteriore è piuttosto grande, arrotondata, convessa, ed è distinta dal resto della valva da un solco largamente aperto verso il margine ; 1’ orecchietta posteriore si presenta incom- pleta e non se ne può determinare con esattezza 1’ estensione. Il margine cardinale è diritto, quello posteriore fortemente escavato, quello infero-po- steriore sub-acuto, quello inferiore dolcemente ricurvo, e quello anteriore fortemente sinuoso in corrispondenza del solco che delimita l’orecchietta anteriore. L’apice é molto anteriore, sub-marginale. Loc. Gammaniura. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 35. Avicula varicosa n. f. Tav. Ili, fig. 18-19. Ho distinto con questo nome due piccole valve sinistre molto gibbose, arcuate, alte millimetri 6,5 e lunghe 9 millimetri dal margine dell’orecchietta anteriore al margine infero- posteriore della conchiglia. Esse si distinguono nettamente dalle specie affini precedentemente descritte, oltre che per la forma generale della conchiglia , anche per 1’ ornamentazione della loro superficie, sulla quale si trovano sparsi irregolarmente dei grossi tubercoli e delle varici. L’ orecchietta anteriore è discretamente sviluppata , più o meno convessa e arroton- data, distinta dal resto della valva da una leggiera depressione ; l’orecchietta posteriore si mostra incompleta, ed è delimitata verso la conchiglia da una larga depressione curvilinea con la convessità quasi concentrica al margine infero-anteriore della conchiglia. Il margine cardinale è diritto, quello posteriore fortemente intagliato, quello infero-po- steriore trifido, quello inferiore incurvato, e quello anteriore sinuoso. Gli apici sono anteriori, piuttosto alti, ricurvi e non sporgenti oltre il margine cardinale. La fauna del Trias superiore del gruppo di Judtca 41 Per il suo margine infero-posteriore intagliato, questa forma si avvicina un poco alla Av. cristata, dalla quale tuttavia si distingue per la forma generale della conchiglia e per la mancanza del solco profondo che nell’ Av. cristata delimita 1’ orecchietta posteriore. Loc. Gammaniura. Colles. Ist geol. Univ. Catania. 36. Avicula parallela n. f. Tav. Ili, fig. 20. Una valva sinistra lunga 11 millimetri, alta 8 millimetri, molto inequilaterale, spessa, discretamente rigonfia, arcuata. L’ orecchietta anteriore, subtriangolare, è poco distinta. L’ orecchietta posteriore si mostra incompleta, ed è delimitata dal resto della valva mediante un solco obliquo, diritto. Nel mezzo la conchiglia è obliquamente depressa, in- curvandosi rapidamente verso il margine infero-anteriore e verso il solco che delimita 1’ o- recchietta posteriore. Il margine cardinale è diritto; quello posteriore profondamente intagliato, quello infero- posteriore bruscamente ricurvo, sub-angoloso ; quello infero-anteriore obliquo , leggermente sinuoso, quasi diritto, e parallelo al solco che delimita l’orecchietta posteriore. L’apice è robusto, anteriore, elevato ; esso non sporge oltre il margine cardinale. Sulla superfìcie, mal conservata, si scorgono tracce di costole radiali e di pieghe con- centriche variciformi. Questa forma si distingue facilmente dalle altre Avicule ornate precedentemente de- scritte, per la forma generale della conchiglia, per la sua depressione obliqua e per il con- torno quasi rettilineo del margine infero-anteriore , il quale decorre parallelo al solco che delimita 1’ orecchietta posteriore. Loc. Gammaniura. CollcB. Ist. geol. Univ. Catania. 37. Avicula Seguenzai n. f. Tav. Ili, fig. 2t a, b. Una piccola valva sinistra lunga poco più di 8 millimetri e alta 6 millimetri, rigonfia, obliquamente ovale, arcuata. L’orecchietta anteriore è molto piccola, arrotondata, convessa ; essa è distinta dal resto della valva da una depressione triangolare, largamente aperta verso il margine. L’orec- chietta posteriore ha la punta rotta, la quale doveva oltrepassare appena il margine infero- posteriore ; essa è delimitata da un solco largamente aperto all’ indietro e più profondo verso la regione apicale, verso cui si abbassa ripidamente la conchiglia, che acquista così un aspetto subcarenato. Il margine cardinale è diritto, quello posteriore intagliato quasi ad angolo retto e con tre piccoli lobi sporgenti sul lembo rivolto verso l’orecchietta ; il margine infero-posteriore è ricurvo e leggermente ondulato; quello anteriore sinuoso. L’apice è robusto, subterminale, ricurvo e discretamente elevato; esso non sporge oltre il margine cardinale. Atti Acc. Seiue V, Vol. III. Meni. IX 6 42 S. Scalla [Memoria IX.] La superficie è sparsa irregolarmente di varici ondulate prodotte da pieghe concentri- che, le cui ondulazioni irregolari sono più chiare presso il margine infero-posteriore, dove sporgono anche sotto forma di tubercoletti. Tali pieghe, passando anche sull’orecchietta posteriore, dove si rivolgono obliquamente all’ indietro, diventano leggermente nodulose e si restringono rapidamente, svanendo del tutto a metà d’ altezza dell’ orecchietta. Per tali caratteri e per la forma generale della conchiglia questa forma è facilmente distinguibile dalle altre affini dello stesso gruppo. La fig. 21 h rappresenta l’interno della valva descritta. Loc. Gammaniura. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 38. Avicula areata n. f. Tav. Ili, fig. 22 a, b. Ho distinto con questo nome una piccola valva destra rigonfia, spessa, obliquamente subtriangolare, molto inequilaterale, alta millimetri 6,5 e lunga millimetri 9,5 dal margine dell’ orecchietta anteriore al margine infero-posteriore della conchiglia. Questa forma è ca- ratterizzata da un’ area cardinale larga più di 1 millimetro. L’ orecchietta anteriore è relativamente grande, subacuta, e rivestita di una callosità irregolare che si estende fino all’ apice. L’ orecchietta posteriore è incompleta, ma dal suo andamento e della sua strettezza si può arguire che doveva essere abbastanza lunga; essa è delimitata dal resto della conchiglia per mezzo di una depressione largamente aperta verso il margine posteriore. 11 margine cardinale è diritto, quello posteriore escavato, quello infero-posteriore ar- cuato, e quello anteriore sinuoso, con un intaglio al disotto dell’orecchietta anteriore per il passaggio del bisso. L’apice è molto anteriore, ricurvo, poco elevato e non sporgente oltre il margine cardinale. La superficie della conchiglia è ornata da callosità nodulose assai irregolari, risultanti da pieghe concentriche alquanto ondulate, più evidenti verso il margine infero-posteriore. Questa specie si distingue facilmente per i suoi caratteri generali e specialmente per la sua larga area ligamentare. La figura 22 b ne rappresenta l’ interno. Loc. Gammaniura. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 39. Avicula sp. Tav. Ili, fig. 23. Un frammento di valva sinistra fortemente rigonfia con 1’ orecchietta anteriore subret- tangolare, convessa, separata dal resto della valva mediante un solco leggiero verso la re- gione apicale e profondo verso il margine anteriore , che si presenta fortemente sinuoso. L’ orecchietta anteriore è larga ed è separata dal resto della valva da un solco profondo dal quale si eleva quasi verticalmente la conchiglia, che nella sua parte mediana è rego- La fauna del Trias superiore del gruppo di Mf Judica 43 larmente convessa. Gli apici molto robusti e fortemente ricurvi non spoi'gono oltre il mar- gine cardinale, il quale presenta un’ area ben distinta e fortemente escavata. Loc. Gammaniura. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. Gen. AVICULOPECTEN M’Coy. Aviculopecten ’Wissmanni Muenst. sp. 1841. Avicula Wissmanni Muenster — Beitrdge sur Petì;efaktenkuude, IV, pag. 78, Tav. \41I, fìg. 1. 1895. Aviculopecten „ Bittner — Lamellibranchiaten von Si. Cassian, pag. 76, Tav. Vili, fig. 25. 1899. „ „ Tornquist — Neue Beitrdge sur Geologie und Palaeon- tologie der Umgebung von Recoaro und Schio {ini Vicentin), III, Zeitschr. d. D. geol. Ges. Bd. LI, pag. 363, Tav. XIX, fìg. 4. Un solo esemplare mal conservato, sulla cui superfìcie si scorgono solo le costole ra- diali largamente spaziate e alternanti grandi e piccole ; le lamelle concentriche che dànno a questa forma un aspetto clatrato molto caratteristico sono quasi del tutto distrutte dal- •]’ erosione. Loc. Gammaniura. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. Gen. G.^SSIANELLA Beyiì. Cassianella gryphaeata Muenst. sp. Tav. Ili, fig. 24-27. 1840. Avicula gryphaeata Muenster in Goldfuss — Petrefacta Gernianiae, II, pag. 127, Tav. CXVI, fìg. 10. 1895. Cassianella „ Bittner — Lainellibranchiaten von Si. Cassimi, pag. 55, Tav. VI, fìg. 1-3. 1909. „ „ Sc.vLiA — LI gruppo del M. Judica, pag. 294, Tav. IX (II), fig. 8-9. Di questa specie, che secondo Galdieri potrebbe considerarsi come la forma originaria da cui derivano le altre Cassianelle del San Cassiano-Raibl, ho raccolto diverse valve si- nistre, piccole, sottili, gibbose, obliquamente romboidali, col margine cardinale diritto, mar- gine anteriore sinuoso, e infero -posteriore arrotondato. Gli apici sono mediani, fortemente ricurvi e sporgenti oltre il margine cai’dinale. L’o- recchietta anteriore, più larga della posteriore, subtriangolare, più 0 meno sporgente e con- vessa, è divisa dal resto della valva mediante' un .solco largamente aperto; l’orecchietta posteriore è breve ed ottusa. La superfìcie della conchiglia è ornata da lievi linee di accrescimento , leggermente ondulate. 44 S. Scalici [Memoria IX.] Il Nelli [// Raihl dei dintorni di M.te Judica , loc. cit. , pag. 244, Tav. Vili fll), fìg. 2], fu il primo a citare questa specie del Trias superiore del M.te Judica ; però dalla strettezza degli esemplari figurati, ritengo che debba trattarsi invece della C. angusta Bittn. Loc. Acquanova. Gammaniura. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 2. Cassianella gryphaeata Muenst. sp. , var. termistria Bittn. Tav. Ili, fìg. 28. 1840. Avicula tenuistria Muenster in Goldfuss — Petrefacta Germaniae, II, pag. 127, Tav. CXVI, fig. 11. 1866. Cassianella „ Laure — Fauna von St. Cassian, II, pag. 48, Tav. XV4I , fig. 3. 1895. „ gryphaeata Muenst. sp. , var. tenuistria Bittner. — Lamellibran- chiaten von St. Cassian, pag. 58 Tav. VI, fig. 9. Una piccola valva sinistra rotta verso il margine posteriore, la quale si distingue dalla C. gryphaeata tipica, per la presenza della chiglia radiale posteriore. Loc. Acquanova. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 3. Cassianella angusta Bittn. Tav. Ili, fìg. 29-40. 1892. Cassianella angusta Bittner — Triaspetrefakten von Balia , Jahrb. d. k. k. geol. Reich., Bd. XLI, pag. 112, Tav. II, fig. 15, 16. 1895. „ „ Bittner — Lamellibranchiaten von St. Cassian, pag. 60, Tav. V, fig. 23-26. 1901. „ „ Bittner — Lamellibranchiaten aus der Trias des Ba- konyer-vùaldes, pag. 29, Tav. V, fig. 4-6. 1908. „ „ ScALiA — Il gruppo del Monte Judica, pag. 294, Tav. IX (II), fig. 10-11. Questa specie si riconosce per la forma stretta e per la larga depressione radiale della parte posteriore. Valve sinistre piccole, sottili, obliquamente ovali, gibbose. Il margine cardinale è breve , leggermente arcuato , il margine anteriore sinuoso , e quello infero-posteriore ovale allungato. Gli apici sono submediani, prosogiri, fortemente ri- curvi e molto sporgenti oltre il margine cardinale. L’ orecchietta anteriore è subtriangolare, convessa, distinta dal resto della valva da una doccia stretta e profonda che si prolunga fino al terzo inferiore o anche al margine della conchiglia. L’ orecchietta posteriore, più piccola dell’ anteriore, è breve ed ottusa. La superficie della conchiglia è ornata da numerose linee di accrescimento leggermente ondulate. La fauna del Trias superiore del gruppo di M.^ Judica 45 Nel solco radiale che separa 1’ orecchietta anteriore dal resto della valva , le linee di accrescimento sono incurvate in avanti. In alcuni esemplari provenienti dalle marne giallastre dell’Acquanova (Tav. Ili, l1g.38, 39). le linee di acccescimento sono rilevate, e acquistano l’importanza di vere costoline sub-la- mellose, per cui li ho distinti come una varietà lamellosa della Cass. augusta Bittn., con la quale confrontano per la forma generale della conchiglia, per i caratteri dette orecchiette e per la doccia stretta e profonda che delimita 1’ orecchietta anteriore. Questa specie si presenta con una certa frequenza nelle marne giallastre e nelle brec- ciole marnose dell’Acquanova, dove ne ho trovato fino ad ora 20 esemplari, rappresentanti tutti delle valve sinistre, molte delle quali in ottimo stato di conservazione. Altri 30 esemplari ho potuto estrarre da un piccolo blocco di brecciola calcarea in- tercalata fra le marne argillose del fianco meridionale della collina di Gammaniura , dove in generale si presentano più o meno coperti da incrostazioni assai tenaci. Loc. Acquanova, Paraspora, Gammaniura. Colles. Ist. geol, Univ. Catania. 4. Cassianella sicula n. f. Tav. Ili, fig. 41. Ho imposto questo nome ad una piccola valva sinistra, lunga 7 mm. e alta 5,5 mm. che per la sua forma generale e per il suo caratteristico contorno subromboidale, si distin- gue nettamente dalle altre Cassianelle fin’ ora note. Essa è sottile, molto gibbosa, obliquamente romboidale, e subcarenata per la grande ripidità del suo lato posteriore. Il margine cardinale è lungo, diritto ; il margine anteriore e posteriore leggermente sinuosi, convergenti verso il margine inferiore arrotondato. L’apice è mediano, molto robusto, alto e fortemente ricurvo. Le orecchiette sono triangolari , de- presse, subeguali; quella postei'iore è separata dal resto della valva da un lieve solco lar- gamente aperto verso il margine. Sulla superficie, alquanto levigata dal ruzzolamento, si scorgono appena le tracce di sottilissime linee di accrescimento. Loc. Acquanova. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 5. Cassianella Scalpellensis n. f. Tav. Ili, fìg. 42. Ho distinto con questo nome una valva sinistra alta 8 mm. e lunga 6 mm. che, come quella precedentemente descritta, non ho potuto paragonare con alcuna delle forme già note. Essa è più alta che lunga, obliqua, arcuata, col lato posteriore largamente pianeg- giante ed il lato anteriore molto ricurvo. Il margine cardinale è lungo e diritto, l’ anteriore ed il posteriore leggermente curvi, convergenti obliquamente verso il margine inferiore, che è fortemente incurvato. L’ apice discretamente robusto, è un po’ anteriore e fortemente ricurvo. L’orecchietta anteriore è breve, depressa, un po’ ottusa, e appena distinta dal resto della valva mediante una leggiera depressione. 46 S. Seal/ a [Memoria IX.] Sulla superficie, lievemente incrostata, non si scorgono linee di accrescimento. Loc. Acquanova. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. Gen. HALOBIA Bromn 1. Halobia mediterranea Gemm. Tav. IH, fig. 43, 1882. Halobia mediterranea Gemmellaro — Sul Trias della regione occidentale della Sicilia. xMem. d. R. Acc. dei Lincei, ser. 3®, Voi. XII, pag. 14, Tav. Ili, fig. 7-9. Diverse valve di svariate dimensioni, trasversalmente ovali, inequilaterali, piuttosto de- presse, sottili, col margine cardinale lungo e diritto, e l’ orecchietta nettamente distinta dal resto della valva mediante un solco piuttosto profondo. L’ apice, acuto e leggermente ri- curvo in avanti, si trova verso il terzo anteriore del margine cardinale. La superficie della conchiglia è ornata da costole radiali e da cercini concentrici larghi e lontani verso il margine, e più stretti e rilevati nella regione apicale. Le costole radiali sono piuttosto larghe e piatte, seinplici, ovvero suddivise in due 0 tre costoline secondarie, leggermente arcuate all’ indietro, e separate da solchi stretti e poco profondi, specialmente nelle regioni anteriore e posteriore della conchiglia. Loc. Castellace, Paraspora, M. Accitedda. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 2. Halobia subreticulata Gemm. Tav. IH, fig. 44. 1882. Halobia subreticulata Gemmellaro — Sul Trias della regione occidentale della Sicilia, pag. 15, Tav. Ili, fig. 13, Tav. IV, fig. 7. L’ esemplare figurato proviene dai calcari selciferi del fianco occidentale del M. Acci- tedda, dove questa Halobia si trova insieme alla specie precedente, in diversi banchi, es- senzialmente costituiti da gusci sottili dell’ Halobia sicula Gemm. Altri esemplari un po’ deformati, ma ben riconoscibili, se ne trovano negli strati di calcite fibrosa intercalati fra le marne argillose delle colline di Paraspora, dell’ Acquanova e dell’ estremità occidentale di M. Scalpello. Questa specie si distingue facilmente per la sua forma depressa, suborbicolare, quasi equilaterale, e per la ornamentazione della sua superficie risultante dall’ intersecazione di sottili strie concentriche con le costole radiali, piane, piuttosto larghe, leggermente arcuate all’ indietro e separate da solchi intercostali stretti e poco profondi. Loc. M. Accitedda, Paraspoi’a, Acquanova. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. La fauna del Trias superiore del gruppo di MP Judica 47 3. Halobia Beneckei Gemm. Tav. IH, fig. 45. 1882. Halobia Beneckei Gemmellaro — Sul Trias della regione occidentale della Sicilia, pag. 12, Tav. Ili, fig. 3, 4; Tav. IV, fig. 4, 5. Questa Halobia si distingue per la sua forma trasversalmente ovale e rigonfia. Ben- ché nei nostri esemplari, alquanto schiacciati e deformati, che si trovano sulle lastre di calcite fibrosa, non si possa osservare quest’ ultimo carattere, pure, per la forma generale della conchiglia, molto inequilaterale e con gli apici situati verso il terzo anteriore, e per i caratteri delle costole radiali, forti, molto suddivise, e leggermente arcuate, riesce facile distinguere le valve appartenenti a questa bella specie, che è molto comune nei calcari selciferi del Trias superiore della Sicilia occidentale. Loc. Paraspora, Acquanova. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 4. Halobia insignis Gemm. 1882. Halobia insignis Gemmellaro — Sul Trias della regione occidentale della Sicilia, pag. 11, Tav. II. 1897. „ „ De Lorenzo — Fossili del Trias medio di Lagonegro , Pa- laeontographia Italica Voi. 11, pag. 137, (25), Tav. XVfH (111), fig. 1-3, 7, 9. Un frammento ben riconoscibile per le larghe costole radiali, leggermente convesse e molto suddivise, per i solchi intei'costali principali stretti, profondi ed ineguali e per le fini strie ed i cercici concentrici, variciciformi. Questo frammento confronta perfettamente con la descrizione e le figure del Gemmel- laro e del De Lorenzo, il quale ultimo ritiene che questa specie debba fondersi con la Halobia Lomineli Mois. L’ unico frammento che fin’ ora ho trovato nei calcari selciferi del gruppo di M.te Judica non mi permette di istituire altri confronti, percui 1’ ho riferito senz’ altro alla spe- cie istituita dal Gemmellaro per gli esemplari provenienti dai calcari selciferi della Sicilia occidentale che occupano la identica posizione stratigi'afica dei calcari del Trias superiore del gruppo di AI. te Judica. Loc. Castellace. ColleB. Ist. geol. Univ. Catania. 5. Halobia lenticularis Gemm. sp. Tav. Ili, fig. 46. 1882. Daonella lenlicularis Gemmellaro — Sul Trias della regione occidentale della Sicilia, pag. 18, Tav. I, fig. 3-5. 1897. Halobia „ De Lorenzo — Fossili del Trias medio di Lagonegro , pag. 138 (26), Tav. XIX [VJ, fig. 7. Questa specie, si distingue facilmente dalle altre Halobie dei calcari triassici della Si- cilia e della Basilicata per la sua forma lenticolare, leggermente rigonfia verso gli apici , 48 S. Scalia [Memoria IX. inequilaterale, col margine cardinale anteriore più corto del posteriore, ed entrambi arro- tondati verso il margine anteriore e posteriore. La sua superfìcie è ornata da pieghe concentriche larghe e discretamente rilevate, un po’ più strette e serrate verso la regione apicale, e da coste radiali larghe, piane, ineguali, separate da leggerissimi solchi intercostali. I numerosi resti di questa Halobia si trovano generalmente ammassati in banchi spessi fino a trenta centimetri, intercalati tra i calcari a liste e noduli di selce , del M.te Scal- pello, in contrada Castellace e Acquanova, del Banco, della cresta calcarea di Barcuneri, ecc. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 6. Halobia sicula Gemm. Tav. ITI, fìg. 48, 49, 50. 1882. Halobia sicula Gemmellaro — Sul Trias della regione occidentale della Si- cilia^ pag. 16, Tav. IV. fig. 2-3. 1897. „ „ De Lorenzo — Fossili del Trias medio di La^onegro, 135 (23), Tav. XVTI (III), fig. 8 e 10. Gli eleganti gusci di questa distinta e diffusa specie dei calcari selciferi della Sicilia occidentale e della Basilicata formano, come quelli della specie precedente, degli strati spessi fino a più di venti centimetri in contrada Castellace e specialmente sul fianco orientale del M.te Accitedda, dove trovansi associati ad Halobia mediterranea Gemm. Halobia subreticulata Gemm., Posidononiya gibbosa Gemm. e Posid. affinis Gemm. Diversi esem- plari si trovano anche negli strati di calcite fibrosa delle colline di Paraspora e della con- trada Acquanova, intercalati fra le marne, le argille e le brecciole con ricca fauna del San Cassiano-Raibl. Come si può scorgere facilmente dalle figure 4% 49, e 50 della Tav. ITI , gli esem- plari del gruppo del M.te Judica corrispondono perfettamente con quelli della Sicilia ()cci- dentale e della Basilicata , illustrati rispettivamente dal Gemmellaro e dal De Lorenzo perciò ritengo inutile ripeterne qui la descrizione dettagliata. ColleB. Ist. geol. Univ. Catania. 7. Halobia trans versa Gemm. Tav. Ili, fig. S2. 1882. Halobia transversa Gemmellaro — Sul Trias della regione occidentale della Sicilia, pag. 17, Tav. Ili, fig. I, 2. Questa specie è molto comune negli strati di calcite fibrosa, incercalati nelle marne, calcareo-arenaceo-argillose. Essa si distingue facilmente per essere molto inequilaterale , trasversalmente ovale, con la regione posteriore più larga deU’anteriore, per gli apici situati verso il quarto anteriore del margine cardinale , lungo e diritto, e per la fine ornamenta- zione della sua superficie , risultante da forti cercini concentrici e da numerose costole radiali fini e alquanto rugose all’ incontro con finissime strie concentriche. L’ esemplare figurato che presenta le due valve aperte , proviene dalle colline di Pa- raspora. Loc. Paraspora , Castellace , Acquanova. Colles. Istit. geol. Univ. Catania. La fattila del Trias superiore del gruppo di MP Judica 49 8. Halobia Curionii Gemm. Tav. Ili, fig. 53. 1882. Halobia Curionii Gemmellaro — Sul Trias della regione occidentale della Sicilia, pag. 18, Tav. Ili, fìg. 5 e 6. Diverse valve trasversalmente ovali, più lunghe che alte, caratterizzate da costole ra- diali leggermente convesse e poco divise, separate da spazi intercostali larghi, e dalla pre- senza di alcune costole che restano indivise per tutta la loro lunghezza. Questa specie non è molto frequente e si trova negli strati di calcaree fibroso la- striforme delle colline di Paraspora. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. Gen. POSIDONOMYA Bronn. 1. Posidonomya affinis Gemm. Tav. Ili, tig. 47. 1882. Posidonomya ajfinis GeMMELLARO — Sul Trias della regione occidentale della Sicilia, pag. 20, Tav. IV, fig. 6. 1897. „ „ De Lorenzo — Fossili del Trias medio di Lagonegro , pag. 131 (19). Di questa elegante specie ho trovato fin’ ora il modello interno di una valva destra la cui impronta lascia scorgere la forma un po’ inequilaterale e rigonfia obliquamente, con r apice discretamente robusto e ricurvo. I cercini concentrici, larghi ed equidistanti nella regione apicale , svaniscono verso il margine paileale ; le costole radiali sono fini , semplici , molto spaziate verso il lato ante- riore, più strette e convesse nel mezzo, separate da solchi sottili e poco profondi. Tali co- stole si arrestano molto avanti del margine posteriore. Loc. Castellace. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 2. Posidonomya gibbosa Gemm. Tav. IH, fig. 54. 1882. Posidonomya gibbosa Gemmellaro — Sul Trias della regione occidentale della Sicilia, pag. 22, Tav. V, fig. 11-12. 1897. „ „ De Lorenzo — Fossili del Trias tnedio di Lagonegro , pag. 131 (19). Numerose piccole valve molto rigonfie, gibbose , inequilaterali, con 1’ apice robusto e ricurvo, con la superficie ornata da 5 6 cercini concentrici, rilevati e leggermente convessi, separati da solchi- larghi e profondi. Arri Acc. Serie V, Vol. III. Mcm. IX 7 50 S. Scalia [Memoria IX.] Questa specie, piuttosto frequente nei calcari selciferi della Sicilia occidentale e della Basilicata, si trova in molte località del gruppo del M.''® ludica e specialmente nei calcari compatti del M.*'® Accitedda, del M.‘® Ardìca, del Banco, della collina di Barcuneri e nei calcari grigio-bluastri a Posidonomya elegans Gemm. delle colline di Paraspora. L’esemplare figurato proviene dal fianco orientale del M.'® Accitedda. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 3. Posidonomya lineolata Gemm. 1882. Posidonomya lineolata Gemmellaro — Sul Trias della regione occidentale della Sicilia, pag. 21, Tav. IV, fig. 9-10. 1897 „ „ De Lorenzo — Fossili del Trias medio di Lagonegro, pag. 132 (20). Numerose valve, molto sottili, che riesce difficile preparare per la loro fragilità e per la tenacia dei calcari grigio-bluastri nei quali si trovano assieme alle altre Posidonomya, dalle quali si distinguono per le finissime strie radiali che fanno rassomigliare questa specie ad una Halohia. Toc. Paraspora. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 4. Posidonomya elegans Gemm. 1882. Posidonomya elegans Gemmellaro — Sul Trias della regione occidentale della Sicilia, pag. 21, Tav. IV, fig. 11 e 12. Questa piccola ed elegante specie si trova abbondantemente nei calcari grigio-bluastri intercalati nelle marne calcareo-arenaceo-argillose delle colline di Paraspora, essenzialmente costituiti da un impasto di piccoli e sottili gusci di diverse Posidonomya dalle quali si distingue per la convessità della regione apicale, per 1’ apice ottuso e per le strette costole radiali , fra le quali se ne intercalano delle altre più fini, che partendo da div'erse altezze raggiungono il margine palleale. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. 5. Posidonomya fasciata Gemm. 1882. Posidonomya fasciata Gemmellaro — Sul Trias della regione occidentale della Sicilia, pag. 20, Tav. IV, fig. 7 e 8. 1897. „ „ De Lorenzo ~ Fossili del Trias medio di Lagonegro, pag. 132 (20). Numerose piccole valve suborbicolari, e rigonfie un po’ obliquamente , con gli apici submediani, discretamente robusti e ricurvi, con la superficie ornata di larghe pieghe con- centriche che divengono più leggiere verso il margine paileale. Verso la metà dell’ altezza La fauna del Trias superiore del gruppo di Mf Jndica 5i della conchiglia si dipartono pochi solchi radiali che raggiungono il margine posteriore. Questa specie si tro\''a assieme alla specie precedente nei calcari grigio-bluastri di Pa- raspora. Colles. Ist. geol. Univ. Catania. Gen. MONOTIS Bronn. 1. Monotis Stoppami Gemmellaro. 1882. Monotis Stoppauii Gemmellaro — Sul Trias della regione occidentale della Sicilia, pag. 23, TavL V, fig. 1-3. Nei calcari grigio-bluastri , assieme alle specie precedenti si trovano numerosi resti , per lo più frammentari, riferibili a questa elegante specie del Trias superiore della Sicilia occidentale, caratterizzata dalle fini e strette costole radiali, intersecate da finissime linee di accrescimento che ne ornano la superficie. Fra gli interstizi delle costole principali, dal margine paileale si dipartono diverse co- stoline secondarie che raggiungono diverse altezze. Loc. Paraspora. CoUes. Istit. geol. Univ. Catania. r - .. i. a' II. ;• ; .'■ r i j . }--7 ' ' v: < 1 SPIEGAZIONE DELLA TAV. I. Fig. I a, h. Encrinus casstanus Klips t. sp. (X 2 diam.) — Acquanova ...... Pag. » 2. » granulosus Muenst. (x 2 diam.) — Acquanova ....... » 3. Balanocrinus ìaevigatus Muenst. sp. (X 2 diam.) — Acquanova ...... » 4, 3. » subcrenaivs Muenst. sp. (x 2 diam.) — Acquanova, Gammaniura . . » » 6, 7, 8. Isocn'nus propinquus Muenst. sp (x 2 diam ) — Gammaniura ...... » 9. » tyrolensis, Laube sp. (x 2 diam.)— Acquanova ....... » IO. Eodiadema Admeto Braun sp. (x 2 diam.)--Gammaniura. ...... » II. Miocidaris Klipsteini Tìeso^ sp. (x 2 diam.) — Gammaniura. » » 12. Trhidoddaris subsimiìis Muenst. sp. (x 2 diam.) Acquanova .,...» » 13,14,13. Cidaris alata Agass. (X 2 diam.) a, a, a, Lato adorale; h,h,h. lato adapicale; c,c. pro- filo— Acquanova ............ » 16. » semicostata Muenst. (x 2 diam.) a, Lato adorale; b. lato adapicale; c. profilo — Acquanova ............. » 17. » spinnlosa Klipst (x 2 diam.) a, Lato adorale; h. lato adapicale; c. profilo — Acquanova ............. » 18. » trigona Muenst. (x 2 diam.) a, Lato adorale; b, lato adapicale; c, profilo — Gammaniura ...... ....... » 19. » cfr. scrobictilata Braun. (x 2 diam.) a, Lato adapicale; c, profilo — Gammaniura » » 20. » flexuosa Muenst. (x 2 diam.) — Acquanova ........ » 21, 22. » dorsata Braun. (x 2 diam) — Acquanova . » » 23-26. » dorsata Braun., mut. marginata Bather. (x 2 diam.) — Gammaniura . . » » 27. » triserrata Laube (x 2 diam.) — Acquanova ........ » 28. » Wàchteri Wiss. (x 2 diam.) a, Lato adorale ; b, lato adapicale ; c, profilo — Gammaniura ............. » 29. » Wissmanni DesoR, var. rudis Bather. (x 2 diam.) — Acquanova ...» » 30-32. » bicarinata Klipst. (x 2 diam.) — Adquanova ........ » 33-37. » De Lorenioi n. fi; (fig. 33, 36, 37 x 2 diam.) — Acquanova, Castellace, Paraspora » » 38. » campanulifera n. fi (x 2 diam ) b, estremità distale — Acquanova . . » » l'^a. b » calatidifera n. fi (x 2 diam.) h, estremità distale — Acquanova ...» » 40 a,/>,c. » craterifera n. fi (x 2 diam.) c, estremità distale — Acquanova ...» » 41 a,b. » cupulifera n, fi (x 2 diam.) b, estremità distale — Paraspora ...» » 42 «,?>,('. » spathifera n. fi (x 2 diam.) a, Lato adorale; b, lato adapicale; c, profilo — Paraspora. ............. » 43 a^b,c. » Aquaenovae n. fi (x 2 diam.) a, Lato adorale ; b, lato adapicale ; c, profilo — Acquanova ........... . » » 44. » Sicilia n fi (x 2 diam.) - Acquanova » » 45-48. Terebratula Cassiana Bittn. (x 2 diam.) — Paraspora, Acquanova, Gammaniura. . » » 49. » neglecta, Biitn. (x 2 diam )— Acquanova » » 50-54. » (Coenothyris) julica Bittn. (fig. 30,51 = Coen. Gemmellaroi Nelli; fig. 52, 54 = Coen. Calcarne NeEli ; fig. 53 = Coen. Siculus Nelli) — W. di M.te Scalpello » 17 9 9 10 10 1 1 1 1 12 12 13 13 14 14 '4 15 15 15 16 16 '7 SCALI A - Fauna del Trias sup. del M. .Indica - Tav. I. mem. Mccaa. uioenia d. Se. nat. Catania - Serie 5. Voi. III. AUT. For. P. MARZARI A C. * SCHIO SPIEGAZIONE DELLA TAV. IL '>g- I a, h. Waldheimia {Auìacothyris) subangusta Muenst. sp. — Acquanova . , Pag. 18 » 2-7 Spirigera (Dioristelìa) indistincta Beyr. sp. (X 2 diam.) — Acquanova . » 19 » 8. » (Diplospirella) Wissmanni Muenst. sp. (x 2 diam.) — Acquanova. » 19 » 9- » » cfr. sufflata Muenst. sp. (x 2 diam.) — Acquanova , » 20 » IO. Rhynchoneìla vivida Bittn., n. var. multicostata — Castellace. » 20 » II. » notahilis Bittn. n. var. snbpentagona (x 2 diam.)-— Serro Sello » 21 » 1 1-14. » aff. Mentxelii v. Buch. sp. — Acquanova ..... » 21 » 15-16. Halorella pedata Bronn. sp. (var. rarecostata Bittn.) — Paraspora, Acquanova » 22 » '7- » amphitoma Bronn. sp. var. rarecostata Bittn. — Acquanova . » 22 » 18. » plicatifrons Bittn. — Serro Sello » 22 » 1 9 a,h. 20 a^h. Thecosp ira aff. Semseyt Bittn. (x 2 diam.) — Acquanova, Gammaniura » 23 )► 2 1-22. Avicula Cassiana Bittn. — Gammaniura ....... » 25 » 23- » Cortinensis Bittn. .......... » 24 » 24. » decipiens Sal. .......... » 24 » 2). » Zamboiiinii n. f. ......... . » 33 » 26-28. » sicana n. f. . . » » 25 » 29-30. » caudata Stopp. .......... » 25 » 3'-33- » mytiliformis Stopp. ......... » 26 » 34-37- » Sicilia n. f. .......... . » 26 » 38-40. » pannoiiica Bittn. . ......... » 26 » 41- » Frechii Bittn. » 28 42. » Gortanii n. f. . » » 27 » 43-45- » Kokeni WòHRM. — Paraspora » 27 » 46-47. » Tojanae Bittn. — Gammaniura ....... » 28 » 48-49. » Frechii Bittn. .......... » 28 » 50, » Hallensis Wòhrm. .......... » 29 » 51-56. » Sturi Bittn. (x 2 diam.) — Gammaniura ..... » 29 » 57-)9- » subtrigona n. f. (x 2 diam.) — Gammaniura ..... » 30 » 60. » Gammaniurae n. f. — Gammaniura ....... » 30 » 61-63. » arcuala Muenst. . » ....... » 31 » 64. » sp. ind. ...» ....... » 31 » 65-67. » cfr. obtusa Bittn. . » ....... » 32 » 68. » Ptataniai n. f. . . » » 32 » 69. » aspera Piche, (i x 2) — Paraspora . . .... » 32 » 70. » Dinii Gald. sp. (i X 2) ». » 34 71-75 » Di-Stefanoi n. f. — Gammaniura ....... » 54 Mem. Accad. Gioenia d. Se. nat. Catania - Serie 5. Voi. III. SCALIA - Fauna del Trias sup. del M. .ludica - Tav. II AUT. FOT. P. MARZARJ i C. • SCHtO ] SPIEGAZIONE DELLA TAV. III. Fig. 1-5- Avicula ornato-plicata n. f. (fig. 1-4x2 diam.) — Acquanova, Castellace . . . Pag. 35 » 6 a, b. » Gemma n. f. (x 2 diam.) —Paraspora . » 35 » 7- » imbn’catu n. f. (x 2 diam.) » ... » 3'-' » 8-9. » Arthaheri n. f. (x 2 diam.) - Gammaniura . . . » 37 » IO. » Tommasii n. f. . . . » . . . » 37 » 11-13. » granuhita n f. (x 2 diam.) »... » 38 » 14. » Broilii n. f (x 2 diam.) »... . . . . » 38 » '5- » cristala n. f. (X 2 diam.) »... » 39 » t6. » Paronai n. f. (X 2 diam.) »... . . . . » 39 » '7- » pes-hominis n.f. (x 2 diam.) » . . , . . . . » 40 » 18-19. » varicosa n. f. (x 2 diam.) »... » 40 » 20. » parallela n. f. (x 2 diam.) »... . . . . » 41 » 21 a, b. » Segueniai n. f. (x 2 diam.) »... » d I » 22 a, b. » arcata n. f, (x 2 diam.) »... » 42 » 23. » sp »... . . . . » A2 » 24-27. Cassianeìla gryphaeata Muen'ST. sp. — .Acquanova . » 43 » 28. » » » var. ieniiiitria Bittn. — Acquanova » 44 » 29-40. » angusta Bit’jk. (fig. 38-39 n. var. ìamellosa) — Gammaniura, .•\c(iuanova . » 44 » 41. » sicula n. f.— .^cquanova ..... » 45 » 42, » Scalpellensis n. f. — Acquanova .... » -15 » 43- Haìohia mediterranea Gemm. — .M.te .\ccitedda » 46 » 44. » subreiiculata Gemm. — M.te .\ccitedda » 46 » 45- » Beneckei Gemm. — Paraspora ..... » 47 » 46. » lenlicularis Gemm. sp. — .Acquanova » 47 » 48. » sicula Gem.m. — M.te Accitedda ..... » 48 » 49-50. Calcari compatti ad Halobia sicula Ghmm. — M.te Accitedda . » 48 » 5'- Calcare fibroso lastriforme con Halobia mediterranea Gemm . e Haìohìa sicula Gfmm.— Paraspora .... 46,48 » 52 Haìobia transversa Gemm — Paraspora ..... » 48 » 53- » Curionii Gemm. » ..... » 49 » Al- Posidonomya affinis Ge.mm.— Castellace . .... , . . . » 49 » 54- » gibbosa Gemm. — M.te Accitedda » 49 Mem. Accad. Gioenia d. Se. nat. Catania - Serie 5. Voi. III. SCALIA - Fauna del Trias sup. del M. Judica - Tav. Ili, P. MARZARl 4 C, • SCHIO !!M[emoria X. i basalti globulari ed I tufl palagonitici in Vai di Noto Nota di G. POTÈ (con tre tavole e due figure nel testo) RELAZIONE DEI Proff. P. VINASSA e L. BUCCA (^Relatore). \ basalti globulari e i tufi palagonitici sono stati argomenti lungamente discussi da illustri naturalisti e sui quali non tutti sono d’accordo, poiché spesso il preconcetto o la semplice speculazione teorica hanno predominato sulla osservazione diretta. Il lavoro del Dott. G. Ponte, basato essenzialmente su osservazioni in posto e accurate analisi chimi- che e petrografiche porta a risultati più attendibili e merita perciò di essere inserito negli Atti dell’ Accademia. I tufi palagonitici che circondano i basalti dei Àf. Iblei e che occupano tutta quella fertilissima regione della Sicilia sud-orientale, chiamata del Val di Noto , sono attraversati in ogni dove da numerosi dicchi, i quali, messi allo scoperto per denutazione , si presen- tano ora quali potenti muri ciclopici sprofondati nel suolo, ora insinuati fra gli strati oriz- zontali dei tufi (Lagergànge), o emersi in forma di piccole espansioni ( Effiisivdecke). Nei dintorni di Militello, Palagonia e Mineo tali dicchi sono più abbondanti di ogni altra parte del Val di Noto; essi s’intersecano, si diramano e corrono spesso in linea retta per parecchie centinaia di metri, mentre le espansioni appaiono in forma di collinette per lo più arrotondate cupoliformi (vedi Tav. 11 Fig. 4) , le quali si succedono ininterrot- tamente lungo un grande arco che da Mineo, rasentando la sponda destra del fiume Gor- nalunga, si distende sino al mare presso Primosole. Generalmente le espansioni restano da un lato nascoste fra gli strati dei tufi rotti e Atti Acc„ Serie V, Vol. III. Mem. X. I o G. Ponte [Memoria X.] sollevati, dall’ altro lato vi poggiano sopra e formano delle rupi tagliate a picco talvolta alte 50 e più metri (vedi sezione r, Tav. I Fig. 2 e Tav. II Fig. 3). Alcune di queste espansioni, in gran parte demolite dagli agenti atmosferici, sono iso- late dal dicco da cui provengono e restano sospese su di una piramide di tufi , come si osserva al poggio Pizzuto nella piana di Mineo (Vedi sezione 'P e Tav. I Fig. 1). Sez. 2^ — Poggio Pizzuto presso Mineo. La struttura dei dicchi ordinariamente è colonnare ed i prismi quadrangolari e penta- gonali sono disposti orizzontalmente come delle cataste di legna. Le espansioni presentano tutte la struttura globulare {Kugelig oder spheroidisch Absonderung) ; gli sferoidi per lo più depressi ed ellissoidali hanno un diametro che varia da V4 a 3 metri, sono saldati fra di loro da una crosta di vetro basaltico, spessa qualche centimetro e formano unica roccia avente 1’ aspetto di un’ ammasso di grosse palle di can- none (vedi Tav. II Fig. 1 e 2). La struttura interna degli sferoidi è radiale colonnare, cioè la massa basaltica si pre- senta divisa in cunei convergenti, le cui teste sono per lo più quadrangolari o pentagonali. La prima descrizione dei basalti globulari del Val di Noto si trova in una nota di Carlo Gemmellaro (2), il quale li riscontrò sulla rada di Agnone, nel feudo di S. Giuliano presso Lentini, nei dintorni di Feria e di Buscemi, sul Monte Lauro presso Buccheri e sulla collina di Marineo presso Grammichele. Anche Federico Hoffmann nelle sue “ Geognostische Beobachtungen gesammelt aitf einer Reise durch Sicilien „ (3) descrive i basalti globulari di Buccheri e di Pala- gonia le cui masse, egli dice, più ellissoidali che sferiche raggiungono i 6 piedi di dia- metro, hanno la struttura radiale e sono rivestiti d’ una crosta vetrosa dello spessore di un pollice, che gradualmente si diffonde nella massa basaltica ordinaria. Sartorius von Waltershausen nella sua nota “ Ueber die submarinen vulkanischen Ausbriiche in der Tertiar-Formation des Val di Noto „ (7) accennando alle rocce / basalti globulari ed i tufi palagouitici in Val di Noto 3 del Monte Lauro presso Buccheri, già prima descritte dal Gemmellaro e dall’ Hoffmann come basalti globulari, dice esser formate di bombe vulcaniche come quelle che si osser- vano presso Aci Castello in Sicilia, nella costa di Ballycastle nell’ Irlanda e più distinta- mente nella costa di Loch Seridan nell’ isola Muli. Gli sferoidi dei basalti globulari del Val di Noto e di Aci Castello non si presentano completamente separati ed indipendenti gli uni dagli altri, essi debbono la loro forma ad una speciale contrazione che subisce la roccia durante il suo consolidamento e non pos- sono confondersi, come fece Sartorius von Waltershausen, colle comuni bombe vulcaniche, le quali sono delle parti strappate dal magma fluido e proiettate dalle esplosioni gassose. Johnston-Lavis nella sua descrizione geologica dell’ Islanda (62) parla pure della strut- tura globulare radiale dei basalti di Reykj^anes e li paragona a quelli di Aci Castello in Sicilia, i quali sono meno schiacciati di quelli dell’ Islanda^ per la ragione che quest’ ulti- mi si formarono quando la lava era più fluida, come egli potè provare sperimentalmente iniettando con una siringa uno sciroppo colorato più o meno denso in un’ altro non co- lorato. Alcune lave dell’ Etna presentano pur esse la struttura globulare, ma gli sferoidi non hanno una crosta vetrosa come quelli di Ad Castello, del Val di Noto e dell’ Islanda. Carlo Gemmellaro (4) ha spiegato la formazione dei basalti globulari del Val di Noto ammettendo una rapida contrazione del magma in presenza dell’ acqua del mare , ma il fatto che alcune lave dell’ Etna sebbene molto lontane dal mare presentano la struttura globulare, mentre altre, venute in comatto con 1’ acqua, non ne mostrano neppure l’accen- no, fa pensare che alla rapida contrazione del basalte contribuiscono anche le speciali con- dizioni fisico-chimiche in cui può trovarsi il materiale effusivo. I basalti globulari, che in V’al di Noto hanno il massimo sviluppo e formano la ca- ratteristica principale della regione, più che per la loro struttura esterna meritano speciale studio per la composizioue mineralogica e chimica della roccia interna rispetto a quella vetrosa esterna. Le masse vetrose che spesso accompagnano le rocce basaltiche sono state dapprima classificate dai naturalisti come proprie specie minerali. Cosi Braithaupt (1) descrive la massa vetrosa di Sàsebuhl presso Dransfeld come un nuovo minerale che chiama tachilite; mentre Hausmann (9) dà il nome di ialomelano a quella sostanza simile alla tachilite ri- scontrata nei basalti di Bobenhausen. Per lungo tempo la tachilite ed il ialomelano furono ritenuti due sinonimi del vetro basaltico, finché Rosenbusch (38) propose di chiamare tachilite il vetro basaltico solubile in HCl ed ialomelano quello insolubile. ludd e Cole (45) dimostrano come questa classificazione, basata sulla maggiore o mi- nore solubilità della roccia nell’ acido, sia assai arbitraria e che non è necessario di fare questa distinzione quando basta chiamare ossidiane basaltiche tutti i vetri basaltici. Zirkel (59) classifica le ossidiane basaltiche col nome del basalte a cui appartengono; però, r illustre petrografo, fa osservare che la parte vetrosa può assumere per differenzia- zione del magma il carattere d’ una roccia di tipo diverso. Streng (52) infatti ha notato che, nelle correnti dei basalti feldspatici dei dintorni di Giessen venute fuori in varie epoche , le più antiche costituite di basalti , contengono dal 43 al 44 % di SiO"*^ ed hanno ac- canto all’ olivina prima 1’ augite automorfa, e poi il plagiòclase per lo più xenomorfo, men- tre la parte superficiale vetrosa contiene soltanto cristalli di olivina e di augite. Le correnti 4 G. Ponte [Memoria X.] più recenti costituite di anainesiti e di doleriti con il 50 tino al 53 °/o di SiO'^ hanno ac- canto all’ olivina prima il feldspato automorfo e poi 1’ augite xenomorfa , mentre nella parte superficiale vetrosa si osservano soltanto cristalli di olivina e di plagioclase. Manca ancora una serie estesa di tali ricerche per potere venire a delle conclusioni nette ed a tale riguardo lo studio dei basalti del Val di Noto merita speciale attenzione. Il materiale sottoposto allo studio microscopico è stato staccato in varii posti dai ba- salti globulari dei dintorni di Palagonia, scegliendo per l’analisi chimica quello della collina di Serravalle, perchè il più ben conservato. La crosta che riveste questi basalti è nero-pece o debolmente bluastra con splendore grasso, ha la durezza e la compattezza del quarzo e si rompe in pezzi parallelopipeidei , ed in ischeggie concoidi ; polverizzata è color cenere debolmente giallastro ed inattiva sotto r influenza d’una potente calamita. Al cannello fonde in un globulo leggermente magnetico. L’ HCl a freddo non l’intacca, ma a caldo dopo 24 ore ne discioglie circa il 10 Sar- torius von Waltershausen (7) invece afferma che il vetro del basalti globulari del Val di Noto, molto simile alla tachilite di Gmelin (5), è completamente solubile nell’ HCl lasciando soltanto un residuo di silice gelatinosa. Si è invece potuto osservare che questa grande so- lubilità nell’ HCl si osserva soltanto nei vetri basalici molto alterati. La parte interna del basalte è di colore grigio scuro , molto compatta, un po’ meno dura della crosta vetrosa e fonde al cannello in un globulo nero. Nell’ HCl è più solubile della parte vetrosa, dopo 24 ore a caldo se ne disciogiie circa il 20 “/g. La polvere della roccia è color cenere e non lascia attrarsi dalla calamita. La crosta esterna degli sferoidi in lamina sottile sotto il microscopio presenta general- mente una massa omogenea amorfa completamente isotropa, di colore giallastro o bruno scuro con abbondanti segregazioni d’ olivina in granuli di varie dimensioni da mm. 0, 05 a mm. 0, 80 e non di rado in sezioni rombiche ed esagonali molto arrotondate e ricche di inclusioni vetrose (vedi Tav. Ili Fig. 2). Questa massa vetrosa si diffonde gradualmente nella parte interna degli sferoidi e man mano diventa più oscura intorbidata da piccoli globuliti di colo’r bruno disposti a ro- sario e fluidalmente con direzione tangenziale alla crosta vetrosa e spesso circondanti le segregazioni cristalline, costituite di olivina e di limpide listarelle di labradorite (Vedi Tav. Il Fig. 1) Alcuni sferoidi la cui crosta vetrosa é molto sottile, meno di un centimetro, come quelli della collina di Serravalle, presentano una massa non completamente amorfa, ma costituita da una filza di cristalliti pellucidi lunghi da mm. 0, 05 a mm. 0, 10 acuminati agli estremi, disposti fluidalmente e tangenzialmente alla crosta vetrosa e circondanti i gra- nuli di olivina, che vi sono discretamente abbondanti (vedi Tav. Ili Fig. 4) Questa massa criptocristallina verso 1' interno degli sferoidi diviene un po’ più oscura ed accanto ai cri- stalliti si distinguono dei microliti plagioclasici (vedi Tav. Ili Fig. 5). La parte interna di tutti gli sferoidi è ipocristallina, costituita di soli microliti plagio- clasici disposti ofiticamante fra una base intersertale di colore giallastro (vedi Tav. Ili Fig. 3), mentre l’olivina vi si trova sporadicamente soltanto concentrata in noduli grossi anche un centimetro. La magnetite manca completamente, tanto nella parte vetrosa, quanto in quella ipocristallina dei basalti globulari. Fra queste osservazioni sono rimarchevoli, la disposizione tangenziale dei microliti e dei globuliti e la distribuzione periferica degli elementi porfirici ; ciò fa eccezione a quanto I basalti globulari ed i tufi palagonitici in Val di Noto 5 afferma Zirkel (59) a pag. 515 del suo magistrale trattato di petrografia, ove dice che la struttura globulare non è di regola accompagnata da una speciale distribuzione radiale o tangenziale degli elementi cristallini. E ipotesi ben fondata che gli elementi microlitici si trovano in quelle rocce le quali non hanno subito un lento e graduale consolidamento ; ed è pure provato che un brusco raffreddamento del magma non dà tempo ai microliti di individualizzarsi chiaramente. Nei basalti in esame si osserva che là dove la crosta vetrosa è molto doppia si ha una massa amorfa^ mentre dove la crosta è meno spessa si ha un inizio di microlitizzazione, ciò appunto perchè in quest’ ultimo caso il raffreddamento del magma è avvenuto meno bruscamente. Piacendo agire dell’ HCl sulla lamina sottile della pai'te interna ipocristallina di questi basalti si osserva che la base intersertale viene facilmente disciolta , differendo in ciò dal vetro basaltico ; il che fa pensare che la massa vetrosa durante la segregazione dei mi- croliti feldspatici ha subito una differenziazione nella sua composisione chimica, difatti se- parando per mezzo della soluzione di Thoulet , questa base intersertale, e sottoponendola all’ analisi dà un risultato differente della massa vetrosa esterna , la cui composizione è quasi uguale a quella della parte interna del basalte presa complessivamente. Eccone i ri- sultati : Basalte Vetro basaltico Base vetros: SiO^ 47- i8i 47. 161 51-512 AP03 I). 2II 15.049 4. 28) Fe'203 4. o66 0. 868 1 2. 280 FeO 7- 2)6 IO. 99) 2. 614 CaO 8.8)7 9. 1 12 2. 908 MgO 6. 645 6- 34) 18. 881 MnO 0. 016 0. 024 tracce NiPO 7-614 7.732 2.633 K^O I. 412 I. 318 0.917 TiO'2 I. 091 I. 012 tracce 0. 077 0. 062 tracce H^O 0. 721 0. 415 4.014 100. 145 100. 091 100. 044 P- s. = 2. 868 p. s. = 2. 9 1 2 p. (/) il c^ 0 Lagorio (51) dietro una serie di ricerche venne alla conclusione che nelle rocce basiche ricche di alcali il contenuto in silice della base vetrosa è maggiore di quello che risulta dall’ analisi complessiva della roccia, mentre che nelle rocce povere d’ alcali la base ha una percentuale di silice uguale a quella dell’ intera roccia. D’ altro canto 1’ allumina e gli alcali hanno, nella base, una percentuale più elevata di quella della roccia presa complessivamente, menti'e la percentuale della calce e della magnesia è più moderata. Dando un’ occhiata alle analisi sopra riportate si vede che la percentuale della silice nella base è più elevata di quella della roccia complessiva e ciò confronta con 1’ ipotesi del Lagorio, giacché il basalte in esame è una roccia basica ricca d’ alcali. Però invece di riscontrare un aumento nella percentuale dell’ allumina, della calce e degli alcali si ha una diminuizione che viene ad essere compensata con un forte aumento di magnesia. 6 G. Ponte [Memoria X]. Queste osservazioni trovansi in parte in forte contrasto con la teoria esposta dal La- gorio, la quale ha il difetto, come giustamente fa osservare Zirkel, (59) di essere basata su di un ristretto numero di ricerche e merita delle correzioni, che si potranno fare quando si avrà un considerevole numero di tali ricerche. Confrontando 1’ analisi della parte interna del basalte con quella della parte vetrosa esterna si nota soltanto una differenza nel contenuto in Fe'0^,Fe0 ed H-0 : nella parte in- terna ipocristallina vi è maggiore quantità di Fe^O^ e di H‘^0, avendo la roccia elementi più facilmente alterabili per il processo di differenziazione che ha subito il magma durante la segregazione microlitica ; 1’ Fe^O'* è quindi un prodotto secondario. L'elevata percentuale degli alcali (circa il 9 °/o) non è un fatto nuovo, giacché simile risultato è stato osservato da Gmelin (5) nelle tachiliti di Bobenhausen nel \Mgelsberg ricche più di potassa che di soda. È rimarchevole in fine 1’ elevato peso specifico pella parte vetrosa (2, 912) rispetto a quella ipocristallina (2, 868) mentre che generalmente è stato osservato il contrario (59). Delesse (48) spiega questo fenomeno ammettendo una differenziazione nella composizione chimica delle diverse parti del basalte. ludd e Cole (45) invece avendo riscontrato nei dicchi dei basalti feldspatici delle isole orientali della Scozia una completa corrispondenza tra r analisi della salbanda vetrosa e quella della parte interna cristallina, spiegano la dif- ferenza del peso specifico con la maggiore alterazione che ha subito la parte cristallina rispetto al vetro compatto, come si osserva in tutti i basalti globulari del \'al di Noto. • * * I tufi palagonitici del Val di Noto si presentano in grandi ammassi per lo più strati- ficati, costituiti da detriti vetrosi, da scorie e da frammenti basaltici molto alterati le cui ca- vità cellulari sono rivestite o colmi di cristallini di calcite, di aragonite, di analcime, di phillipsite (63) e di mesolite (67) talvolta in aggruppamenti sferolitici. La calcite riempie pure tutte le fenditure e gl’ interstizi del tufo , ne collega i granuli incoerenti fra i quali spesso cristallizza conservando la sfaldatura del romboedro : fenomeno consimile a quello del grès cristallisé de Fontainebleau. I granuli vetrosi sono circondati da una zona d‘ alterazione facilmente solubile neU’HCl con residuo di silice. Sartorius von Waltefshausen (13) diede il nome di palagonite a questo prodotto di alterazione, che ritiene essersi formato per azione chimica dell’ acqua del mare sul mate- riale vulcanico. Bunsen (10), che analizzò per il primo la palagonite trovata dal Sartorius, la consi- derò come un miscuglio di due silicati idrati formatisi per azione di sostanze alcaline ed alcalino -terrose sul basalte. Rosenbusch (32) in fine, dietro un accurato studio microscopico di vari tufi palagoni- tici, dimostra che la palagonite non è, come ammette Sartorius v. Waltershausen, un corpo porodinamorfo, ma piuttosto è un silicato ialino-amorfo, un prodotto immediato dell’ atti- vità vulcanica, una roccia basica ricca d' acqua, strappata dal magma in forma di detrito ed in gran parte alterata. II vetro basaltico dei tufi del Val di Noto in lamina sottile presenta una massa omo- I basalti globulari ed i tufi palagonitici in Val di Noto 7 genea, isotropa e pellucida non di rado con delle segregazioni d' olivina e di plagioclasio; quest’ ultimo in listarei le semplici o bigeminate del tipo labradoritico sempre limpide, anche quando sono investite dalla zona d’alterazione (vedi Tav. Ili Fig. 6). L’olivina vi si trova come nella parte vetrosa esterna dei basalti globulari, cioè in ci istallini rombici ed in gra- nuli spesso con iclusioni vetrose ; i granuli che si trovano nella zona di alterazione pre- sentano un’ inizio di serpentinizzazione. Qui appresso sono riportate le analisi di due vetri basaltici la cui composizione è al- quanto differente. L’ analisi del vetro a è molto simile a quella della crosta vetrosa dei ba- salti globulari avanti studiati, quella del veti'o b si avvicina invece un po’ più alla base vetrosa degli stessi basalti. a b c tl SiO- 48. 903 50. 531 43-716 41, 26 .\h03 13. 802 9- 494 II. 314 8. 60 Fe=03 CO 9. 028 0 co o^ 23. 52 FeO 6. 840 2. 121 — — CaO 7. 268 4. 680 2. 163 5- 59 MgO 8. 846 12. 127 9- 750 4. 84 MnO tracce tracce tracce — Na-^O 5. 318 4- 9U 5- 441 I. 06 K^O 0. 9Ò1 0. 61 3 0. 429 0. 54 TiO^ 0. 714 0. 3 18 0. I2I — P-205 0. 042 tracce 0. 022 — H^O 1-643 5. 217 9- 593 12. 79 n O tracce co 0 0. 330 — 100. 107 100 092 100. 163 100.00 P- s =2.803 p.s.=2.7i7 p. s.=2.34i p.s.=2.5 Il vetro b ha una zona d’alterazione più estesa dell’altro a tanto che trattato con HCl lascia meno residuo insolubile. Può dirsi generalmente che i granuli vetrosi più piccoli sono i più completamente al- terati in una massa opaca di colore giallastro molto solubile nell’HCl con residuo di silice. Questo prodotto d’ alterazione del detrito vetroso ha una densità molto variabile e nel- la soluzione di Thoulet può aversi una serie di precipitazioni di peso specifico da 2,315 a 2,604. Una porzione di questa sostanza separata con la soluzione di Thoulet ed avente il peso specifico 2,341 analizzata ha dato il risultato riportato sotto la lettera c, il quale è alquanto differente da quello ottenuto da Sartorius von Waltershausen e riportato sotto la lettera d. Da questi risultati analitici risulta che il vetro dei tufi palagonitici e per conseguenza la sostanza in cui esso si decompone, ha una composizione variabile dovuta alla differen- ziazione che subì il magma durante la segregazione degli elementi cristallini, quale è stata avanti osservata nella base intersertale della parte ipocristallina dei basalti globulari della stesa regione. Dall’ Istituto di Mineralogia e Vulcanologia dell’ Università di Catania. 8 G. Ponte [Memoria \'.] BIBLIOGRAFIA 1. 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Fig. 5 Fig. 6 P. MARZARI 4 C. - SCHIO ^leiiioria XI, Sopra ^lì sviluppi io serie di fuozioni ortogonali Nota di CARLO 8EVERINI In questa Nota riassumo brevemente alcune ricerche intorno agli sviluppi in serie di funzioni ortogonali, di cui mi propongo di occuparmi in un prossimo lavoro. Mi limito per semplicità alle funzioni di una sola variabile, indicando per queste i principali risultati, a cui sono giunto. 1. Sia : (1) V, (X) {k=ì, 2, . . . . , oo) una successione infinita di funzioni della variabile reale x, definite in un intervallo finito (a, b), sommabili insieme ai loro quadrati, e tali che si abbia ; l'b f 0 se m — |— u / p ix) Vn {x) Vn {x) dx -- J ' l se m = n , a ove p (x) è una funzione determinata per ciascuna successione (1), misurabile, limitata ed avente un limite inferiore maggiore di zero. Detta f{x) una funzione sommabile insieme al suo quadrato neU’intervallo {a, b), (*) e posto; r Ak = p (x)/(x) V,, (x) dx (P =: 1, 2, . . . . , oo), a Sai.x) = ZK A,c Fft (x) 1 si ha : ■h p{x) [f{x) dx — A, 1 a («= 1,2, .... , oo), rh p (m) [/(x) — ix) ]2 dx , (*) Le considerazioni che seguono si estendono immediatamente al caso che le funzioni date siano de- finite soltanto nei punti di un insieme misurabile, contenuto in (a, h). Atti Acc., Serie V, Vol, 111. Mtm. XI. I 2 Carlo Severini [Memoria XI.J donde segue che la serie: CO (2) è convergente. 2. Dalla convergenza della (2), poiché ; m (x) [S„, (x) — Sn(x)f dx = Zk A,^ n-\-\ a {m > n), - risulta ; lim m,n—oo p (x) [S„, (x) — (x) f dx=zO Se ne deduce facilmente (*) resistenza di una funzione f^{x), sommabile insieme al suo quadrato e soddisfacente alle condizioni : (3) da cui si trae : 'irn I p {x)[ f\ (x) — S„ (x) dx = 0 , 7^ zzr OO rb •im I p (x) [fi (x) — S„ (x; ] dx = 0, n-—oo A^ = \ p (x) /i (x) Fft (x) dx (/fe=l,2, . . . . , oc). 3. A causa della (3) si può, fissati due numeri positivi, qualsivogliano, a ed e, deter- minare una successione di numeri interi, positivi : 77j , 772 , ) 1 tale che, per ogni /, la misura dell’ insieme dei punti, ove : I fi (x) — S„ . tx) I ^ ^ , (*) Cfr. E. Fischer: Sur la convergence en moyenne [Comptes rendus des séances de l’ Académie des Sciences (Paris), tome CXLIV (i®>' semestre 1907), pp. 1022-1224. 3 Sopra gli inviluppi in serie di funsioni ortogonali risulti minore od uguale a , cioè si abbia ; m I E Risulta allora in tutti i punti di (a, b), fatta al più eccezione per quelli di un insieme di misura nulla ; f, (x) = lim S„. (x) (4) /, (X) = (X) + Z, [ (x) - S„. (X) ] ; ed esclusi i punti di un insieme, la cui misura è minore di una quantità positiva t, che può essere scelta ad arbitrio, la precedente serie (4) converge in egual grado alla f\ (x). 4. Ammettiamo ora che la serie (5) Ak Fft (x) , ^ j ^ a sia convergente nei punti di {a, h), {*) e però convergente in egual grado, quando si esclu- dano i punti di un insieme, la cui misura è minore di una quantità positiva x , arbitraria- mente scelta. Si può infatti {**) determinare una successione crescente di numeri interi, po- sitivi : fi (x) — S„. (x) 0 {i=l,2, oo). n -2 , tale che, detto H^. l’ insieme dei punti, in cui qualche resto della (5) a partire dall’ nf° , non è in valore assoluto minore di -f- , si abbia ; 2' ’ m ( //„. ) ^ (/= 1, 2, , cx)) ; ed allora, assegnato un valore i' dell’indice /, in modo da avere: (*) L’ipotesi che la (5) converga si può sostituire coll’altra che sia in ogni punto di {a. b) determinata: segue infatti dalla (4) che deve allora essere convergente, fatta al più eccezione per i punti di un insieme di misura nulla. (**) Cfr. H. Lebesgue : Sur ime proprièté des fonctions [Comptes rendus des seances de l’Académie des Sciences (Parisi, tome CXXXVII (2“® semestre, 1903), pp. 1228-1230] — Lefons sur les séries trigononiétrìques [Paris, Gauthier - Villars (1906)]. 4 Carlo Severini [Memoria XI.] e posto : H, = +r,„, + + ..., ove in generale con H' s’indica l’insieme dei punti di che non appartengono a nessuno degl’ insiemi ; :y=o,i,2,..., h-ì) , è ben chiaro che per tutti i punti dell’ insieme C^b {Hi,) complementare di Hi. , la cui misura differisce da 6 — a per meno di t, la (5) converge in egual grado : preso un nu- mero g positivo, arbitrariamente piccolo, se i" è un valore dell’indice i, abbastanza grande perchè siano soddisfatte le condizioni; ^ g , risulta, per ogni n ^ ni„ : ^ii Aji V (x) ^g, fatta eccezione per i punti di H„.„ , che è contenuto in Hjf _ Dal risultato del § prec., segue ora, nell’ ipotesi che la (5) converga : 00 fi (x) = Au V/i (x) , 1 fatta al più eccezione per i punti di un insieme di misura nulla. Inoltre, essendo F un insieme misurabile qualsivoglia, contenuto in (a, b), si ha : fi (x) dx= j A,i V„ (x) dx e poiché (§ 2): /i (x) dx Ak / Vk (x) dx , risulta in fine ; CO CO ^1, A A (x) dx — 2lK A / A (x) dx , 1 1 cioè la serie (5) è completamente integràbile per sene. (*) Riassumendo possiamo dunque enunciare il seguente teorema : La funsione f(x) e le : (1) A (x) (>fe=l,2,...., oo) (“) Cfr. G. Vitali: Sull’ integrazione [Rendiconti del Circolo Matematico (Palermo) Tomo XXIII (i® semestre, 1907), p. 137.] Sopra gli inviluppi in serie di fuìisioni ortogonali 5 siano nell' intervallo (a, b) sotmnahili insieme ai loro quadrati, e le (1) soddisfino alle condisioni : ^ I 0 se ni P {X) Vm ix) Vn (^) dx =c j ' 1 se w a ove p (x) è una ftinsione determinata per ciascuna successione (1), misurabile, limitata ed avente tin limite inferiore maggiore di sero. La serie : 00 / (5) {x) , A„=\ p {x)f{x)V,fx)dx , a supposta convergente, rappresenta nell' intervallo (a, b) una funsione sommabile insieme al suo quadrato, verso la quale converge in egual grado se si eccettuano i punti di un insieme, la cui misura è minore di una quantità ~, arbitrariamente scelta ; è inoltre integrabile completamente per serie. 5. La successione (1) si dice, come è noto, chiusa se, all’ infuori di funzioni ad in- tegrale nullo, non esiste alcuna funzione b {x), sommabile insieme al suo quadrato, tale da avere : r (6) / p{x)d{x) V^ {x)dx — 0 (k=:ì,2, , oo) , a o, come brevemente diremo, se non esiste alcuna solusione effettiva delle equazioni in- tegrali (6). [n tale ipotesi risulta, qualunque sia la f{x), soggetta alle condizioni sopra dette : rh (7) -, I P ^x) f/(x) — S„ (x) dx = 0, tl oo e viceversa. Nel caso contrario la (1) si dice non chiusa, ed allora, perchè abbia luogo la (7) occorre che per ogni soluzione effettiva 6 {x) della (6) risulti : ' P (") [x)f{x) 6 (x) dx = 0. a Ove la (7) sia verificata, partendo da questa, anziché dalla (3), si può evidentemente ripetere il ragionamento dei due precedenti §§. Si arriva così al seguente risultato ; (*) (*) Cft. G. Lauricella: Sopra gli sviluppi in serie di fun:(^ioni ortogonali [Rendiconti del Circolo Mate- matico (Palermo) Tomo XXIX (i® semestre 1910)]. 6 Carlo Severini [Memoria XI.] Nelle ipotesi del teorema precedente, se, ove la successione (l) non sia chiusa, si ammette inoltre che si abbia : r / p {x)f{x) 9 {x) dx — 0 ,/ a * per ogni soluzione ejfettiva 0 (x) delle equazioni integrali : (6) ^ (x) 6 (x) Fft (x) 0 (^ — 1, 2, . . . . , oo) , Ci la funzione rappresentata dalla serie : (5) Zk. Fft (x) , p(x)f{x)V„{x)dx> a che si suppone convergente, coincide, fatta al più ecceziotie per i punti di un in- sieme di misura nulla, (*) colla funzione data f(x). 6. Nel caso che la serie (5) non converga, ferme restando le altre ipotesi del prec. teorema, ci si può giovare di essa per la rappresentazione analitica della funzione /(x) , ricorrendo ai procedimenti di sommazione delle serie divergenti, tra i quali primo si pre- senta il procedimento di Riemann, poiché, nelle dette ipotesi, la (5), integrata termine a termine nell’ intervallo (a, x) {a s(ila, lima mediana obscnia paium pulente. Tabiilae inUgrae, ptnnae ; in re- gione proxiniali obsoletae, in distali J reqnentes nonnnmqnani freqnenlissimae. E questa la piu comu.ie tra le forme dendroidi di Lanza, da dove ne ho numerose colonie ramose , ad elegante alberello : esse però sono immerse nello scisto e non si può quindi isidarle per foU grafi rie, se non a rami isolati, i quali per lo più si rom- pono per lo mezzo e fanno subito palese la loro elegante foima pinnata. A prima \ ista si può credei e di aver a che tare con una forma comune al Pizzùl; la Callopora Tai amellii, ma la sezione mostra che non si tratta di una Callopora ma sibbene di una foima di Aionotripide a pareti distalmente ingrossate, forme che secondo TUlrich vanno riferite al suo “ genere „ Mcnctryp ella. Un altro carattere che talvolta può servire a d.stmguere anche a prima \ ista la nuova forma dalla Callopora Taramellii sono le maggiori dimensioni e la forma terminale dei rami che non è mai clavata. Alla superfìce i ca ici appariscono nettamente come coppe pochissimcr esca\ ate, per lo più angolose a quattro, cinque o sei angoli, di dimensioni uniformi o quasi, e che solo di rado sono leggei mente ariotondate. Ogni accenno a dimorfismo è da escludere. I calici minori sono solamente giovani individui prodotti per lo più per gemmazione, di rado per fìssipantà. In sezione trasversale si vedono nettamente le sezioni angolose dei po’iperiti, anche esse tipicamente uniformi. I calici di dimensioni minori sono al solito da interpretare come nuovi individui giovanili. In sezione longitudinale inx'ece, specialmente se essa corrisponde alla linea mediana e comprende tutto il corpo del corallo, si vede nettamente la forma allungata e divergente dei polipi centri.li i quali verso la periferia si curvano abbastanza fortemente e sono in questo punto forniti di numerosissime tabule. Anche la parete, che è sottile e sempre priva della linea scura mediana, verso la periferia si ingrossa abbastanza. Le tabule sono rare nella porzione centrale del corallo ove se ne contano da 1 a 3 per ogni mm. Ma verso 1’ esterno sono invece fitte tanto, che se ne hanno fino a 9 per ogni mm. Atti Acc., Slrie V, Vol. 111. Mem. XII. 2 10 P. Vi nassa de Regny [Memoria XII. J Questa forma offre delle somiglianze con la Monticulipora pulchella Nicholson (Genus Monticulipora pag. 135, fig. 23 nel testo) che pure ha la caratteristica delle tabule più numerose nella porzione distale ed un accrescimento nello spessore delle pareti. Questa forma è però una tipica Eterotripide con accrescimento per fissiparità, netto dimorfismo nei poliperiti e formazione di macule , che mancano del tutto nella nuova forma carnica. Lo stesso carattere del maggior numero di tabule e dell’ ingrossamento della parete nella porzione distale si ha pure nella Monticulipora O' Nealli James in Nicholson (Mon- ticulipora pag. 118 Tav. Ili, fig. 3) la quale oltre ad essere una tipica Heterotrypa si distingue subito per il molto minor numero delle tabule nel centro del corallo. Tra le vere Monotrypella la M. aequalis Ulrich {]our. Cincinnati V. 4, pag. 247. Tav. 1 U f'ig- 3) ha molto maggiore regolarità nella forma dei poliperiti e nella disposi- zione delle tabule; regolarità che appunto ha valso a questa forma di esser considerata come il tipo delle Monotrypella. Per adesso questa forma è esclusiva del Chiadin di Lanza. Ma non è difficile che tra i numerosi esemplari di Callopora Taramellii del Pizzùl qualcuno sia riferibile in- vece a questa nuova specie. Per quante sezioni però io abbia fatte tra gli esemplari de! Pizzùl sino ad ora non sono giunto a rinvenirla di questa località. Monticulipora (Heterotrypa) Dal Piazzi n. f. Tav. I, Fig. 23-25. Coralluni dendroide., ramulis cylindricis dichotomis, apice obtuso non clavato. Calices majores ad superficiem cingalo parum proeminente circnmdati, in quo calices minor es patent. Polypi majores et minores ab axi centrali radiantes, pianati, ad peripheriam valde recurvi, fere geniculati. Polypi majores prismatici 4-6 an<- gulati, 0,25 mm. lati; polypis minor ibus angulosis irregulariter circumdati. Polypi minores prope superficien tantum dispositi. Tabulae regalar es planae ; in polypis majoribus atqiie in porlione axiali rarae, in superficiali frequentes : tabulae in] minoribus frequentissimae. Paries subtilis, linea obscura mediana patens, in portioni axiali subiindulata. Di questa forma ho solamente dei frammenti del giacimento di Lanza, e non mi è stato possibile averne nemmeno un pezzo isolato. A prima vista non può distinguersi dalle altre forme ramose come la precedentemente descritta e la Callopora Taramellii -ad es., se non facendone una sezione. È probabile perciò che essa si trovi confusa colle altre forme dendroidi anche- a Me- ledis ed al Pizzùl. La forma è a rami cilindrici dicotomi terminati da un apice ottuso ma non mai clavato. Alla superfice appariscono dei calici abbastanza minuti perchè se ne contano da tre a quattro per ogni mm. Questi rappresentano le aperture dei poliperiti maggiori at- torno ai quali colla lente si possono scorgere le aperture dei poliperiti minori. La disposi- zione di questi è molto irregolare, poiché mentre attorno a taluni calici maggiori si dispon- gono sei o sette calici di polipi minori in altri luoghi i polipi minori mancano o sono in assai piccola quantità. Non si riscontra mai la disposizione a macule. In sezione longitudinale si vede assai bene la disposizione pinnata dei poliperiti i quali irraggiano da un asse centrale, solo è da osservare la netta piegatura e quasi ingi- Fossili ordoviciani del Nucleo centrale cantico il nocchiatura verso l’esterno della loro terminazione. Anche interessa notare il fatto che i li poliperiti minori mancano del tutto nella porzione centrale del corallo, e sono limitati alla ' porzione esterna, come avviene del resto in parecchie altre forme che pei caratteri interni parrebbero assegnabili alle M anotripidi , mentre pei caratteri visibili negli adulti e nella .porzione superficiale sono invece delle Heterotrypa. I poliperiti maggiori si mantengono sempre nettamente angolosi a 4-6 angoli ed an- golosi sono pure sempre i poliperiti minori. Non può quindi trattarsi di una Callopora ma sibbene di una vera e tipica Heterotrypa. Le tabule sono piane, complete, regolari; sono rarissime e poste a distanze molto irre- golari nella porzione centrale del corallo, mentre verso l’esterno, tanto nei poliperiti maggiori quanto nei minori, sono fittissime contandosene sino a dieci o dodici per ogni millimetro. Questa forma è simile alla Monticulipora (Heterotrypa) O' Nealli James (in : Ni- CHOLSON, Monticulipora pag. 118, tav. Ili, Fig. 3) ma se ne distingue subito per non avere i coralliti cosi arrotondati, per le dimensioni, per la mancanza di genicolazione nei coral- liti esterni e per il maggior numero di tabule nella porzione distale. Inoltre nella forma carnica la parete non è così inspessita. Per la genicolazione dei poliperiti esterni e per il numero delle tabule le somiglianze sono anche maggiori colla M. subpnlchella Nicholson (Monticulipora pag. 135 fig. 23 nel testo e Tav. V, Fig. 2) che però si distingue subito per la disposizione a macule dei po- - liperiti minori. Frammenti del Chiadin di Lanza. Monticulipora (Callopora) Taramellii n. f. Tav. II. Fig. 1-7. Corallum dendroide, rarnis cylindricis dichotomis, apice obtuso, clavato. Polypi majores et minores, ab axi centrali radiantes, externe recurvit, fere pianati. Ca- lyces majores in superfìcie rotundati, cingulo parum proeminente circmndati, in quo calices minores anguiosi patent. Polypi majores rotundi, quandoque partirn suban- gulati, polypis minoribns angulosis irregulariter circumdali. Tabulce m majoribus rarae, in minoribus frequentissimae, regulares, planae. Quandoque polypi minores in majores rotundatos et paucetabulotos transeunt. Paries subtiiis, regularis. Questa specie, che è la più diffusa Monticuloporide di questi sti'ati sia a Cas. Meledis sia a Palon di Pizzùl sia a Lanza, ha una elegante forma dendroide, con rami cilindrici aumentanti regolarmente per dicotomia, con terminazione ad apice ottuso, il più delle volte quasi clavato. Le dimensioni sono svariate : ne ho uno che misura un’ altezza di 6 cm. ■ma che, completato, doveva raggiungere i 10 cm. In esso i rami hanno uno spessore di 4 mm. Ma in altri esemplari io spessore è assai minore ; uno di essi dimostra come la specie possa assumere una forma di alberello a rami molto numerosi. I poliperiti che hanno pareti molto sottili, partono tutti da un asse mediano del ramo e si spingono irraggiando ed elegantemente curvandosi verso la superficie , di modo che in sezione un rametto assume un aspetto quasi regolarmente pinnato. Non si riscontra mai la brusca curvatura e quasi inginocchiatura dei poliperiti esterni. I poliperiti sono tipicamente dimorfi. I maggiori misurano da 0,4 a 0,5 di diametro, sono ovali o rotondi od eccezionalmente anche in qualche punto poligonali. I minori hanno ;12 P. V/nnssn de Regny [Mkmoria XII. j dimensioni svariate, ma quasi sempre inferiori a l/lO di mm. Questi sono sempre netta- mente angolosi. Essi circondano il polipcrite maggioi'e irregolarm unte : talvolta cioè sono stmplictmtnte interposti agli ang( li, tal’altia lo circondano con serie continua od anche in ■doppia serie. A. la superficie affiorano i poliperiti maggiori sotto forni i di apei’ture tondeggianti, circondati da un riliexo poco accentuato e di picc(jlo spessore nel quale sboccano le apertuie dei poliperiti minori. Le tabu e sonò poche nei poliperiti maggiori ; esse distano da 1 a 3 mm. tra loro e talora anche di più. Invece nei poliperiti minori le tabule sono numerose, dacché se ne (Contano fino a 7 su di un mm. Esse sono sempre regolari, piane e complete. Non di rado i poliperiti minoii si dilatano, si arrotondano, perdono la fitta tabulazione e assumono così tutti i caratteri dei maggiori. Questo fatto è stato del resto negato anche ■ in alti'e foime a poliperiti dimorfi. Questa foima molto elegante e caratteristica appartiene certamente alle M )nticulipore .eterotripidi. Ma non può venire unita alle Diplntrypci vei'e e proprie perchè ha i p >liperiti maggioia rotondeggianti. Per questo carattere si avvicina alle Fistulipora emeg io ancora .alle Callopora. Secondo Nicholson (Paleoz. T ibul. Curals pag. 3)1) Fishilipora e Cal- ^lopora sono idubbiamente sinonime. L’ Ulrich invece (Op. c\t, Jonrn. Cincinnali Soc. V, 4, pag. 250) si oppone natamente e decisamente a questa riunione, e, secondo me, non a torto. Ma mentre Fislnlipora è un buon sottogenere che quasi potrebbe conside- rarsi come genere a sè, Callopora nori può avere che valore di sottogenere, o meglio ancora di sezione del sottogenere Heterotrypa , analogamente a Monotrypella Ulr. in rapporto a Moiiolrypa. Una forma molto prossima alla specie carnica è la Callopora elegantula H.all (Palaeont, of New-Yoik, II, pag. 144, tav. XL, fig. 1) che 1’ Ulrich descrisse per primo (Op. cit. jonrn. Cincinnati, V, 4, pag. 250, Tav. Xl, fig. 6) nei suoi caratteri interni. Ma essa subito si distingue dalla nuova forma carnica per il maggior numero delle tabule vnei pouperiti maggiori, e per il maggior numero dei poliperiti minori contornanti i princi- pali. Questo fatto allontana la forma carnica dal tipo Fistuliporide per avvicinarla invece .alle Heterotrypa. Comune tanto a Meledis quanto al Palon di Pizzul ; un poco più rara a Lanza. Monticulipora (Callopora) foru.mjuliensis n. f. Tav. I, Fig. 26-28. Cor alluni dendroide, rami cylindrici dichotomi nonnumqnam in V — formam; calices major es in superficie patentes, rolundati , projundiusculi , craterijormes , (iugulo panini proeniinente circumdati. Polypi majores et niinores radianles ad peripheriam recurvi. Polypi majores rolundati, tum valde incrassati tum suban- gulati; polypis minoribus angulosis irreguluriler circumdati ; tabnlae in poslypis tnajoribus rarae, in minoribus frequentissiniaè ad peripheriam praesertim. Tabulae planae, integrae, regulares. Ne ho taluni esemplari di cui uno solo quasi completo ed a netta forma di V molto allargato. I rami sono cilindrici ad apice ottuso sempre dicotomi. Alla superfìcie si scorgono i calici rotondi abbastanza profondi, crateriformi, limitati Foss/li ordovic 'ani del Nucleo centrale carn/co 13 da un cingo'o poco appariscente, nel quale sboccano i polipi minori, non sempre però b-ii visibili, a causa dello stato di conser\azi(jiie ddl'esemp.are. i > In sezione trasversale si nota nettissima la di\ ei'sità dei pcdiperiti. I poliperiti maggiori sono sempre o quasi sempre tondeggianti, raramente un poco subango.osi, i minori sem- .pre ango osi. Ma si nota a.tresi un’altra diversità tra la porzione più centrale rispondente al punto deila bifca'caz.one dei rami e quella più periferica del ramo stesso. Infatti nella p(;rz.one ceiiti'ale si haniio i calici oxalari fortemente inspessiti ed allor.tanati molto 1’ uno dali'a.tro ed anche i poliperiti minori sono o\’ali. In sezione longitud.nale mediana si vedono nettamente solo i poliperiti minori, di- vergenti, ricuivi alla periferia e abbastanza fittamente tabulati. I po.iperiti maggiori presentano anch’essi delie tabule ma molto rade. Le tabu. e sono piane, integre, compiete e nei poliperiti m.nori se ne contano da 8 a 10 per ogni n'.illimetro. Per l’inspjss.nijnto de'le pareti dei poliperiti nella porzione centi’ale si ha somiglianza co., a F.stulipora (?) clnusa Ui.rich {Journal Clua'uuati. VII, I, pag. 47, Tav. IH, iìg 4,i) dna q Olle pei'ò si d.stingue nett. unente pei cai’attei'i della sezume tangenziale. Anche jie.,a Helerulrypa i^rucilis James (in Niciu.lson Moniichli] ora pag. 12ó, fig. 20 nel testo) SI hanno punti con inspess. mento dei poliperiti e punti con poliperiti angoi<,si ; ma fa forma cainicti non può in alcun modo confondersi con questa Eterotripide, a causa della ■ glande d.versità nella struituia dei poliperiti e dello inspessimento notevole della parete. Alleile la Helerotrypa J/idrewsl Nichoi.son [Mouticulipora pag, 129 Iìg. 21 nei •les.o) ha questo duplice tipo di pareti nei poiipenti; ma i poliperiti minori sono molto più numerosi ed anche il tipo della tabulazione è diverso. Frammenti del Ch ad.n di Lanza. MoMICULIPuR.V (PrASOPORa) FISTULIPOROIDES n. f. T.IV. II, Fig. 8-1 1. ( orallum irregiilariter globosuiu, sublieui/spliaer/cuni, basi concaviuscula, epi~ ih ca subì li, membranacea indilla. Polypi prismatici radiatim dispositi regnlares, Tubuli majores, tabnlis incompletis, reciirvis impleli. Nonmimquam tabulae vesci- cicares valde extensae , ut in Fistnlipora, adsunt. Portio lateralis tubulorum majoruui fri quenler tabulata. Tubuli minorcs valde tabulati ; tabulae integrae, r>(urvae vel inclinalae. Interduni iabulae in nonnullis tubulis coutiguis altitu- dine pares. Paries sitblilis, simplex imperforata. h curalo ha la Ibi ma di una massa più o meno emisferica a superfìcie esterna a ro. ondata e colla base escavata ricoperta da una sottile membrana epitecale. Le di- lli.its, uni deireseinplare maggiore completato sono: Diamelro massimo . D.ametro minore Altezza . mm. 100 mm. 40 (?) mm. 30 Si tratta quindi di una forma abbastanza grande. A. la superticie si notano numerosi calici subangolosi, appena arrotondati in qualche punto ; i più numerosi su per giù dede stesse dimensioni, i meno numerosi più piccoli 4ii circa la metà. P. Vtnassa de Regny \A [Memoria XII.] A prima vista questa specie può credersi una Monticulipora petropolitana a causa della sua forma emisferica, per quanto di dimensioni maggiori e più allungata, e pei cò- ^ralliti sottili prismatici e di due tipi. Soltanto la sezione microscopica palesa il tipico andamento delle tabule ; specialmente caratteristiche sono per questo le sezioni tangenziali. In sezione tangenziale difatti si vedono nettamente i contorni dei poliperiti maggiori , angolosi a 4-6 angoli. I poliperiti minori per lo più quadrangolari sono abbastanza rar ;Pd irregolarmente disposti. I poliperiti maggiori hanno un diametro da 0,35 a 0, 40 mm. Nel lume di ciascun calice si nota un’ apertura semilunare che è data dal taglio di una tabula incompleta, vescicolare; caratteristica questa dei due sottogeneri Prasopora e Peronopora. In sezione longitudinale si notano tubi maggiori e tubi minori molto irregolarmente /disposti. Nei tubi maggiori le tabule sono incomplete e vescicolari : ma a differenza delle altre Prasopora, in ceidi punti invece di aversi una sola serie di tabule laterali, che limitano il tubulo secondario, si ha un vero e proprio tessuto spugnoso vescicolare, simile a quello delle FislUlipora. Ma nella maggior parte dello scheletro predomina la tipica Struttura delle Prasopora. Questo fatto è, secondo me, abbastanza interessante e getta una ,luce abbastanza viva sul valore limitatissimo delle distinzioni “ generiche „ stabilite rjn questi organismi. , Nella sezione longitudinale è anche da notare il fatto che in taluni punti si ha cor- rispondenza delle tavole in vari poliperiti contigui ; da ciò risulta una struttura a tipo iconqentrico abbastanza spiccata. ,1, • 1^,1 poliperiti minori si originano per fìssiparità e sono tutti quanti forniti di tabule complete, spesso ondulate, irregolarmente ricurve, inclinate ecc. E da notare altresì che talvolta anche i tubi maggiori hanno le tabule complete. In generale le tabule sono fìtte, contandosene normalmente da 5 a 6 per ogni mil- limetro, mentre nei punti ove più spiccato è il tipo concentrico se ne hanno 3 e 4 am- massate in un decimo di millimetro. Per quanto esista la porzione che accenna ad una fìstuliporide, pur tuttavia va escluso per questa specie il genere Fistulipora. Restano adunque solo Peronopora e Prasopora. Mi sembra che si debba accettare il genere Prasopora perchè i coralliti spiniformi man- cano e le pareti sono sottili ed apparentemente uniche. V'. . Questa forma è ben distinta da tutte le poche Prasopora note sino ad oggi. Dacché nè là P. Grayae molto più piccola e a tabule ben diverse, nè la P. Sell'wyni a struttura vescicolare irregolare ed a fitti tuboli minori e meno che mai l’ incrostante P. Newberryi presentano alcuna somiglianza colla forma carnica. In ogni caso le somiglianze un poco rpaggiori sono colla P. Sellwyni specialmente colla Fig. 42 C del Nicholson (Tabulate Corais pag. 317) per errore confusa dal Nicholson stesso colla Diplotrypa Whitea^esi. Due esemplari del Chadini di Lanza. Striatopora Gortanii n. f. Tav. II, Fig. 20-22. : Gorallum dendroide ramis cylindricis, apice obtuso vel subclavato. Polypi pPfygQ'i^ales y uniformes , a linea mediana divergentes , parum recurvi. Paries in initio tubulorum subtilis, prope superficieni gradatim incrassata , linea obscura Fossili ordoviciani del Nucleo centrale carnico 15 mediana patente. Calices polygonales 4-7 angulati, velsubrolundati, valde incras- sati, excavati, crateriformes, apertura circulari pertusi. Crateres calicinales laevi- gati,non striati. Tabulae integf ae, planae, rarae. Pori murales parum frequentes., irregulariler diffusi. La forma di questa Striai opora è nettamente ramosa, dendroide: avendo pero solo dei rami isolati non posso dire nulla del portamento generale del corallo. I rami sono cilindrici, abbastanza grossi, misurando un diametro di m. 7-8 in alto ottusi e quasi clavati. In sezione longitudinale si osserva come da una linea mediana ideale irraggiano i poliperiti che verso 1' esterno si incurvano leggermente. Questi sono poligonali , tutti dello stesso tipo: le dimensioni variano, nelle sezioni, a secondo dell’età del poliperite, ma ogni traccia di dimorfismo è esclusa. I poliperiti affiorano alla superficie con dei calici poligonali, talvolta arrotondati, del diametro di circa mm. 0,5. A causa dell’ inspessimento fortissimo della parete verso l’ esterno tali calici assumono la forma di coppe, nel cui fondo è und apertura circolare, corrispondenti al lume residuale del poliperite, dopo l’ inspessimento sclerenchimatoso della parete. Nell’ interno della parete è sempre visibile la linea scura di separazione. L’ interno dei calici, forse per lo stato di conservazione del fossile, è liscio, non striato come nelle Striatopora note sino ad ora : ma va notato però che anche nelle Striatopora già descritte talvolta taluni calici sono lisci. Le tabule sono complete, pianeggianti, poco numerose. Poco numerosi sono anche i pori murali, che sono distribuiti irregolarmente ed in generale aggruppati. Non si conoscevano sino ad oggi Striatopora più antiche del Neosilurico. E nes- suna delle forme descritte può confondersi con questa carnica. Palon di Pizzùl e Gas. Meledis in piccoli frammenti di ramo. Trematopora Pironai n. f. Tav. 1, Fig. 18-19. Corallum dendroide apice obtuso, ramis cylindricis. Calyces ovales in super- ficie patentes, cingulo ellyptico circumdati. Polypi polygonales a linea mediana divergentes, parum recurvi. Polypi superficiales magni, crateriformes. Paries in regione axiali parum incrassata linea mediana obscura carens , in regione peri- pherica incrassata. Tabulae rarae. Pori desunt. Ho di questa forma ramosa a rami cilindrici solo delle impronte di superficie e talu- ne sezioni di esemplari molto giovani. Il diametro dei rametti può arrivare sino a mm. 7, 5 superando perciò le dimensioni accennate dal Pocta ad es. per la Trematopora horrida, in Barrande, Syst. sii. Bohè- me, Anthozoaires, pag. 314. Tav. 96, fig. 14-15, Tav. 101 Fig. 1-3, 7: forma che ester- namente presenta molte analogie con questa carnica. Per le dimensioni si avvicina quin- di più alla Trematopora (?) bifida Poèta, forma mal nota e forse non molto lontana dalla horrida. All’ esterno si notano nettissime aperture ovalari, allungate nel senso stesso della lun- ghezza del ramo, e circondate da un netto cercine ellittico che va a fondersi con quello, vicino. La disposizione di questi calici essendo regolarmente alternante ne viene alla su- perficie un elegante disegno a losanghe. 16 P. Vinnssa de Rei^ny [Memoria XII]. In sezione trasversale si notano i poliperiti assiali tutti su per giù della stessa di- mensione e tutti rtgo'aintente poligonali. Alla periferia invece appariscono dei gi; nd.ssimi polipei'iti, aperti verso 1’ esterno e a netta foiina di coppa. L’ esemplale figuralo è certo uno stadio giovanile, poiché il diametro suo è appena di 1 mm. La parete è poco spessa e priva di linea scura mediana nei poliperili angolosi , mentre è abbastanza più spessa nelle logge per Lriche, ed in essa si nota un i.ccenno di linea scura mediana. Le sc.mi- g.ianze coi tipi di Slrialopora sono abbastanza fiati, se si osservi la sola sezione e non si tenga conto della caratteristica foima delle aperture esterne. In sezione longitudina e si lìotano poche tabule piane, regolari. Ma nessuna delle se- z'oni longitud.nali è in tale condizione da permettere un disegno o maggiori particolari nella descrizione. Per quanto adunque di questa specie il materiale sia deficiente credo che possa ba- stare ad individuare la nuova forma, che essendo prossima alla Tremntoporn horrida de-jla BoLinia se ne distingue per i caratteri interni e più specialmente per le molte mag- giori dimensami relative delle logge periferiche in confronto ai poliperiti interni poligonali. Non è difficile che la forma si abbia a tiovare anche in Sardegna, dacché forti sono le somiglianze esterne colla Ceriopora ( ) foraminosa descritta dal Meneghini (Paléonto- logie SardJgne pag. 124, Tav. B, tìg. 23). Vari modelli e frammenti di ramo al Palon di Pizzul. Beremcea gigantea n. f. Tav. It, Fig. 15-16. Zooarhtin crvstosuvi . snbt/le, discoidale, lohatum, vel infundibuliforìne. Zooè- eia tviuicsa, ulne vieta, bi evia, - diclicioìiia, siibinibricata. Apertura ierminalis ro- iiiìiciata, j.eristcìhtìte cimilvri jaiilio patente circumdata. E una fuma abbastanza comune al Pizzùl, e che credo debba riferirsi slWq. Berenicea, a causa degli zooeci tubulifoimi con apertura superiore rotonda, i quali sono disposti so- pra ad una epiteca sottile e striata. La forma non é, a d.fferenza delle altre Derenicea, mai incrostante, ma si presenta come una crosta sottile talvolta a vero e proprio imbuto. Anche le dimensioni sono per una Berenicea abbastanza riotevoli. Il mio esemplare maggiore misura mm. 53 di altezza per mm. 33 di larghezza. Gli zooeci sono alti da I a 2 mm. al massimo e il loro mas- sim<) diametio airiva a mm. 0,5. Tutti gii zcjoeci hanno foima leggermente otricolare e non presentano tracce di stria- tui'a tras\’ersale. Essi si addossano 1’ uno all’ altro un poco divergendo, di modo che ne risulta ciane un aspetto imbricato. Spesso gli zooeci cadono, ed allora resta la membrana sti’iata che conserva solo quà e là tracce degli zooeci o qualche zooecio superstite. La forma cosmopolita Berenicea consimilis ha , salve le dimensioni, molte somi- glianze colla forma carnica. Specia’mente l’esemplare figurato da Hall (Naturai History of New York, Paleontology II, 1852) alla tavola 40 E Fig. 8 ha molta analogia. Pure Io esemplare di Rochester figurato dal Bassler (Bull. U. S. Geolg. Survey N. 292 pag. 16 Tav. V Fig. I) ha molta somiglianza colla nuova forma, salve sempre le dimensioni eia mancanza di striatura degli zooeci, che del resto non sono utricolari. Fossi/ 1 ordoviciani dei Nucleo centrale carnico 17 Sono invece un poco utricolari gli zooeci nell’ esemplare scandinavo figurato da Hen- i^iG (Gotlands Silur-Bryozoer, 2. Arkiv for Zoology. K. sv. Vetensk. Ak. Ili, 10) nella fig. 7, 8 delle Tav. III. Invece per la forma decisamente utricolare si hanno somiglianze colla Berenicea ve- siculosa Ulrich (Journal Cincinnati V, 3 pag. 185 Tav. Vi. Fig. 5) ; ma i polipi sono in essa meno imbricati, meno numerosi ed al solito più piccoli. Non rara al Palòn di Pizzùl. Fenestella (Reteporina) carnica n. f. Tavola II, Fig. 12-14 Zooarinni raniulosnni. ramiili subtiles, sii/cis latitudinis majoris discreti, ir- regulariter anastomosantes, dichotomi. Sepimenta filiformia rara, irregnlaria. Fe- nestulae ellypticae, raro subquandrangulares, altitudine variae, latitudine fere pa- res. Ramuli cylindrici non carinati. Pori crebri, circulares, profundi , regulares , duplices, prope niarginern dispositi, alterni. E una forma che per la disposizione dei pori deve riferirsi alle Fenestella e per la mancanza della carena mediana al sottogenere Reteporina ; essa è però una tra le più irregolari Fenestella che si conoscano. La forma è ad arboscello, che rnisuia una altezza di mm. 12 per una massima lar- ghezza di mm. 16. I rami sono per lo più dicotomi ed anastomosati a maglie ellittiche, abbastanza regolari in larghezza ma di altezza diversa. La larghezza delle fenestrule è difatti di circa mm. 1, mentre 1’ altezza oscilla tra mm. 2 e mm. 4. Raramente si notano i sepimenti filiformi estesi da ramo a ramo. 1 rami sono rego- larmente cilindrici, senza alcun accenno di carena mediana. I pori sono profondi, circolari, abbastanza spessi, contandosene, per ogni lato, circa 3 per ogni millimetro di lunghezza del ramo. Essi sono disposti in due serie ai margini del rametto e sono nettamente alternati. La porzione non porifera manca. La nuova specie si distingue nettamente dalle sue congeneri per la irregolarità grande delle fenestrule. Una forma irregolare, ma non sino a questo punto, è quella Fenestella reticulata Hisinger descritta dal Hennig (Op. cit. pag. 2 Tav. I Fig. 1-2) colla quale hanno pure somiglianza i pori per la loro forma e disposizione. Ma le somiglianze tra le due forme si arrestano a questi pochi caratteri. Tra le forme boeme poi nessuna può, nemmeno alla lontana , avvicinarsi alla specie carnica. Unico. Raion di Pizzul. POLIPORA Tommasii n. f. Tav. II, Fig. 17-19 Zooarium expansuni, ramuli subtiles, sulcis latitudine niinoribus discreti , regulares, recti, interdum dichotomi. Sepimenta Jlliformia , ad inter sectionern ra- mulorum incrassata, valde irregulariter disposita. Fenestulae subquadrangulares , altitudine varia , quandoque rotundatae. Superficies non porifera planiusciila , striis in longitudineni silicata. Superficies porifera poris crebris, ovalibus, profun- dis, irregulariter dispositis praedita. Lo zooario ha una forma pianeggiante, espansa, laminare ; ma essendo solo in fram- mento non è possibile dire del portamento generale di esso. E formato da rami , abba- Atti Acc., Serie V, Vol, III. Mem. XII. 3 18 [Memoria XII. ] P. Vinassa de Regny stanza sottili , della larghezza di circa 0,8 mm., separati da solchi in generale più stretti dei rami. Questi sono abbastanza regolari, rettilinei, uniformi, paralleli salvo nei punti ove avviene 1’ accrescimento per dicotomia. 1 sepi menti sono sottili, filiformi nel centro , ma ingrossati nel punto di attacco coi rami. Sono molto irregolarmente disposti, poiché in taluni punti sono fitti e posti alla di- stanza in media di mm. 0,5 ; in taluni altri sono radi e distanti da 2 a 3 mm. Da ciò una irregolarità nella dimensione delle fenestrule, le quali sono subquadrangolari, talvolta ovalari. La parte non porifera è pianeggiante ed è fornita di leggere strie longitudinali. Sulla parte porifera i pori sono numerosi, ovali, allungati , abbastanza profondi , a disposizione molto irregolare ; talvolta si trovano anche nel punto di attacco del sepimento col ramo ; ma non si dispongono mai sul sepimento stesso come nelle Phyllopora. Questa forma presenta delle analogie colla Polypora fracta Pocta (in Barrande, Syst. silur. Bohème, Bryozoaires, 1894, pag. 91, tav. 8, fig. 1,2) ; ma se ne distingue subito per la maggior irregolarità nella disposizione dei sepimenti e quindi nella forma delle fenestrule, inoltre la forma boema ha i pori rotondi o appena ovali e molto più regolarmente disposti, avvertendosi netta qua e là la disposizione quinconciale. Unico. Palon di Pizzul. CoRYLOCRINUS CARNICUS BaTHER Tav. II, Fig. 1-3. 1910 Corylocrinus carnicus Bather — Ordovician Cystidea of thè Gamie Alps 1910 Riv. it. di Paleont. XVII, 1 pag. 26. tav. II, fig. 1-3. Teca a forma di coppa colla massima ampiezza in rispondenza dell’ apice del II cir- coletto. Placche del II circoletto più alte che non quelle del III ; le due a sinistra un poco più larghe che alte, mentre le restanti sono un poco più alte che larghe. Placchette dei cir- coletti II, III e IV a contorno irregolare. Placche spesse con suture depresse e larghe linee concentriche di accrescimento. La superficie cresce leggermente verso la serie dei pori. Deir esemplare si ha una parte non completa della teca ed una porzione di impronta esterna dalla quale è stato possibile avere una impronta in cera. Tutto il fossile è legger- mente contorto. Le misure sono le seguenti ; Diametro trasversale ..... mm. 17,7 Diametro sagittale ..... 16,3 Asse verticale ...... • 11 Altezza dal piano basale al lato destro • ìì 15,2 Altezza c. s. al lato sinistro, circa • yy 9,4 Il circoletto I è bilateralmente simmetrico. Le due placchette sottili minori sono assai più larghe delle due maggiori, e perciò occupano più di un terzo del circoletto. Il circoletto II consiste di sei placchette di cui quelle che sono alla sinistra della plac- chetta posteriore del circoletto I arrivano sino al margine superiore della teca. Mentre quelle poste a destra sono separate dalla porzione superiore della teca dalle altre placchette del III circoletto. Foss/7f ordoviciani del Nucleo centrale carnico 19 La placchetta posterolaterale II sinistra si appoggia sulla posteriore I sinistra. La plac- chetta si può ricostruire nel modello. Essa, veduta dal lato della teca, si mostra irregolar- mente pentagonale, col lato più breve appoggiato alla posteriore III sinistra. L’ umbone si trovava probabilmente alla giunzione del lato della teca colla superficie tegminale. La placchetta non occupava una gran parte della superficie tegminale , ma da essa sembra separata mediante una forte sutura. L’ antero-laterale li sinistra si appoggia alla posteriore I sinistra ed alla anteriore I sinistra. Essa è eptagonale, ma vista dalla parte della teca è scutiforme. L’ anteriore II è un esagono regolare e si appoggia alle anteriori I destra e sinistra. L’ antero-laterale 11 destra è un eptagono irregolare, che si appoggia alle due plac- chette destre del circoletto I. La postero-laterale li destra, che si appoggia alla posteriore I destra, è pentagonale. La posteriore II come 1’ opposta anteriore II è esagonale ed è bilaterale, ma si slarga considerevolmente in alto. Questa placchetta come pure le ultime tre menzionate sono in- teramente situate dalla parte della teca. Le placchette del circoletto III sono troppo mal conservate per poterle descrivere ac- curatamente. Del pari è molto difficile di identificare le placchette del tegmento propriamente detto. E notevole però che esse sono più numerose e meno regolarmente disposte che non nelle specie sino ad oggi descritte di Corylocrinus. L’ aumento nel numero è un accenno ai Caryocrinus. La nuova specie presenta analogie col C. crassiis v. Koenen ; ma se ne distingue per il tegmento disposto ben diversamente e anche diversamente costituito. Oltre a ciò la lineatura concentrica delle placchette è un carattere sino ad ora ignoto nei Corylocrinus ed i pori sono assai meno distinti. Perciò la forma carnica, meglio che come un individuo anormale di Corylocrinus crassns, può considerarsi come una nuova specie. Unico. Gaserà Meledis. Corylocrinus sp. nov. Tav. Ili, Fig. 4-5 1910 Corylocrinus sp. non descr. Bather — Op. cit. pag. 27, Tav. II, Fig. 4-5. Si tratta di impronta e controimpronta di una placchetta in parte rotta. Essa presenta sette coste radiali, e poiché le coste radiali nei Corylocrinus 'vanno agli angoli della placchetta, si può dedurre che la placchetta era eptagonale ; cioè appartenente al circo- letto II. Delle sette coste tre sono fornite di una serie di pori ai due lati, e quattro hanno una sola serie da un lato solamente. Una tale placchetta può disporsi in una sola ma- niera perchè possa manifestare una simmetria bilaterale , ed è questa la posizione nella quale venne disegnata. La placchetta appartiene certamente, al circoletto li di un Cariocrinide. La determina- zione del genere è più difficile. Ma probabilmente si tratta di un Corylocrinus. Infatti i Corylocrinus sono piuttosto neosilurici, gli Hemicosniites sono prevalenti nel Nord di Europa. Le ragioni sono, come si vede, piuttosto aprioristiche. Ma dallo studio della plac- chetta nulla di più sicuro si può rilevare. 20 P. Vinassa de Regny [Memoria XII.] La placchetta è alta mm. 25.2 e larga 23. Una tale larghezza che rappresenta il 94 dell’altezza è nuova in questa famiglia. La superficie è piana, senza umbone prominente ma colle coste benissimo spiccate. L’ umbone, cioè il punto ove le coste confluiscono, è situato a mm. 9.3 dal margine su- periore, cioè a 0,37 in rapporto alla altezza totale della placchetta. Posizione questa del tutto inusitata. I pori nella porzione superiore sono benissimo spiccati, quelli della porzione inferiore son più debolmente sviluppati. Nella controimpronta la porzione tra le coste si presenta irregolarmente rugosa, Nessuna delle forme conosciute presenta placchette che possano somigliare, anche lontanamente, alla ora descritta ; di modo che si può ritenere che essa appartenga ad una nuova forma, che per mancanza di miglior materiale non può sino ad ora essere suffi- cientemente basata. Unico. Palon di Pizzul. CoRYLOCRiNus sp. ind. 1910 Corylocrinus sp. ind. Bather, Op. cit. pag. 29. Va probabilmente riferito a questo genere l’impronta interna di una placchetta penta- gonale che misura mm. 9 X 6.8. Tre linee di pori partono dall’umbone e giungono ai tre angoli adiacenti. E di queste linee la mediana è doppia, le altre semplici. Nei due spazi triangolari adiacenti si vedono impronte dello stereoma scorrere dai pori ai lati. Il resto della impronta è liscia ed è un poco più alta forse per deposizione di una ipostereoma. La plac- chetta è probabilmente una delle due placchette pentagonali del circoletto IL La placchetta non è simmetrica, forse per compressione della roccia. Questo esemplare ha grandissime analogie con quello figurato dal Meneghini (Paleon- tologie Sardaigne Op. cit. tav. A fig. 22). Potrebbe darsi che esso appartenesse ad un esemplare più piccolo della specie precedentemente descritta. Unico. Palon di Pizzul. Corylocrinus sp. ind. Anche dal giacimento di Lanza ho raccolto un esemplare , purtroppo specificamente indeterminabile, ma che si deve, anche per giudizio del Dr. Bather , riferire con grande probabilità ai Corylocrinus. Mi limito a citarlo per mostrare sempre più la grande somiglianza dei vari giacimenti camici e la relativamente grande diffusione di queste rarissime forme nel Carodoc car- nico. Unico. Chiadin di Lanza. Dinobolus (?) sp. Tre mal conservati esemplari del Palon di Pizzul mi permettono appena un ravvici- namento generico. Le maggiori somiglianze sono col Dinobolus Davidsoni Salt. (in: Davidson, Brit. Silur. Brach., Palaeont. Soc., pag. 58, Sen. IV, fig. 30-39; e Supplement Silur. Brach., Ibidem 1883, pag. 212, tav. XVI, fig. 20). Vi corrisponde per il contorno generale, non essendo possibile vedere altri caratteri. Fossili ordoviciani del Nucleo centrale carnico 21 Rhynchonella cfr. Lapworthi Dav. È un esemplare molto piccolo, tanto largo quanto alto in 4 mm. Verso l’umbone ha forma triangolare, poi diviene tondeggiante. Si tratta di una valva ventrale non molto con- vessa, con una ampia insenatura di piccola profondità. Le coste, in numero di 14, sono forti, angolose e non tutte arrivano all’umbone. Avendo un solo modello di una sola valva non posso esser sicuro della determina- zione. Ma il contorno generale, triangolare all’ umbone e rotondo al fronte, e la forma, il numero ed il tipo delle coste accennano a somiglianze innegabili con questa forma del Llandeilo inglese, come è descritta e figurata dal Davidson (1883, Supplement, pag. 154 tav. X, fig. 7). Unico. Palon di Pizzul. Spirifer cfr. plicatellus L. sp. Ho un esemplare molto compresso e contorto che misura mm. 33 di larghezza, e circa 28 di altezza, il quale presenta molte somiglianze con questa forma e in modo spe- ciale cogli esemplari riferiti dal Davidson alla var. globosa del Salter. La valva è una dorsale che, appunto come nella varietà, si distingue per la sua mag- giore globosità in confronto alla forma tipica. La linea cardinale è molto breve, il solco mediano è netto e non è fiancheggiato da altre pieghe. L’umbone è ricurvo ed ottuso. Tutta la superficie è ricoperta da numerose strie ; ne ho potute contare circa centodieci , quanto se ne contano appunto, a parità di larghezza, nel grande esemplare che il Davidson (Op. cit. pag. 89 Tav. IX, fig. 7) figura del Neosilurico inferiore inglese. Delle fini ma benissimo visibili strie di accrescimento ricoprono la superficie del guscio, e danno alla conchiglia un aspetto cancellato. Questa forma è stata molto discussa ; ma dopo gli studi del Davidson può conside- rarsi ben nota. Essa si può ritenere esclusiva della parte inferiore del Neosilurico. Venne però anche citata nella parte più alta del Curadoc. Potrebbe anche darsi che il mio esem- plare fosse una forma diversa e forse anche nuova; ma dato lo stato del materiale a mia disposizione non mi è permesso alcun giudizio sicuro. Chiadin di Lanza. Unico. Porambonites intercedens Pano. var. filosa M’ Coy Tav. Ili, Fig. 6, 7. 1846 Atrypa filosa. M’ Coy.— A Synopsis of thè silurian Fossils of Ireland, pag. 39, Tav. Ili, fig. 28. 1869 Porambonites intercedens Pand. var. filosa M’ Coy. — Davidson. — A Monograph of thè British Fossil Brachiopoda VII — Silurian ’Qrachìo'poda, Palaentograph. Society, 'gag. 195, tav. XXV, fig. 16 {excl. fig. 17-19), tav. XXVI, fig. 1-3 {cum syn.). Ho di questa forma tre esemplari, di cui uno, proveniente dal giacimento del Chiadin di Lanza, è quasi perfettamente conservato. Misura mm. 31 di altezza ; mm. 47 di lar- ghezza e mm. 18 di spessore. 22 P. Vinassa de Regiiy [Memoria XII], Si distingue quindi dagli esemplari tipici inglesi per essere un poco più depresso ed allargato. Ma, come si sa, il contorno di questa forma è abbastanza variabile. La forma è subpentagonale, colla massima convessità verso 1’ umbone. La linea cardinale è breve, ma essendo 1’ esemplare incrostato dalla roccia non si vede bene. La valva dorsale è convessa ed è munita • di un seno poco profondo che si estende sino quasi ad un terzo dall’ umbone. La valva ventrale presenta una leggiera piega, slar- gata, arrotondata, maggiormente visibile presso l’ umbone. Gli umboni sono ricurvi, ottusi, poco prominenti. Degli ornamenti non si vedono che delle costoline minute, filiformi fasciolate. L’ esemplare meglio conservato del Pizzul è, come il precedente, abbastanza più largo che alto, misurando , completato , mm. 63 di larghezza e mm. 50 di altezza. .Si tratta di una valva dorsale , di forma subpentagonale , abbastanza convessa , specialmente presso air umbone. La linea cardinale appena leggermente ricurva , è abbastanza breve, raggiun- gendo poco più della metà della larghezza conchigliare ; essa misura difatti 35 mm. In- contra perciò i margini rotondeggianti laterali sotto un angolo abbastanza ottuso. Il seno concavo è ampio , poco profondo ; si estende dal fronte sino poco oltre la metà della conchiglia verso l’ umbone. Occupa più di Vs del margine frontale. L’ umbone è grosso, ottuso, ricurvo, poco prominente sull’ area bassa di forma trian- golare. Nel centro dell’ area si ha la fessura, triangolare, aperta. L’ esemplare conserva solo in parte il guscio, specialmente in prossimità dell’ umbone. Ma quivi sono nettissime le caratteristiche ornamentazioni, costituite da una serie di co- stoline sottili, filiformi di cui talune qua e là più fitte, come disposte a fasci , che vanno aumentando di numero verso il margine mediante interpolazione di altre costicine. Fra costa e costa si hanno solchi di larghezza un poco variabile; questi solchi intercostali presentano la caratteristica scultura della varietà, costituita da una serie di minuti incavi, ovali, numerosi, separati 1’ un dall’ altro da piccoli rilievi. Il terzo esemplare è un semplice modello, con netto seno frontale , di dimensioni un poco più piccole. Questa specie è variabilissima nel suo contorno; ciò spiega 1’ errore del Pander che la descrisse sotto undici denominazioni diverse. Caratteristica della varietà è l’ornamenta- zione dei solchi intercostali. La specie, ed anche la varietà, sono comunissime nel Siluriano russo : anche nel Ca- radoc inglese si trovano abbastanza frequenti; in modo speciale la varietà. Ma la forma inglese appena può distinguersi da quella tipica russa, e in special modo da quella figu- rata dal DE Verneuil (Geology of Russia, II) nella tavola II, fig. 4 f. Nel giacimento , tanto simile ai nostri, di Grand Glanzy questa specie venne citata dal Frech; il v. Koenln non la cita. Lo Stache la citò dubbiosamente di Uggwa. Il Frech però successivamente la citò senza dubbio di questa località, facendone risaltare 1’ impor- tanza. Importanza del resto rilevata anche dai trattatisti come il de Lapparent ed il Pa- RONA (1). Palon di Pizzul 2 esemplari — Chiadin di Lanza 1 esemplare. (i; In entrambi gli autori citati il nome della forma è errato. Il De Lapparent la chiama infatti Por atri- bonites antecedens, e il Parona Parambonites intermedius . Fossili ordovi'ciani del Nucleo centrale carnico 23 Triplesia insularis Eichw. sp. Tav. Ili, Fig. 6-8 1842 — Terebratula insularis — v. Eichwald. Urwelt Russland, II; pag. 49, tav. II, fig. 6. 1845 — Spirifer insularis Eichw. — de Verneuil. Geology of Russia , II, pag. 148 , tav. Vili, fig. 7. 1871 — Orthis insularis Eichw. — Davidson. Brit. Silur. Brach., pag. 273, tav. XXXXII fig. 8-15 (cum syn.). 1883 — Triplesia insularis Eichw. — Davidson. Silur. Suppl., pag. 143, tav. Vili, fi- gura 17-22. Un solo esemplare, in modello, privo di una parte del margine sinistro rappresenta una valva dorsale, che misura, completata e addrizzata, una larghezza di mm. 40 ed una altezza di mm. 27 circa. La forma della valva è quindi trasversalmente ovata, a margini arrotondati. La linea cardinale è diritta , più lunga della metà larghezza della conchiglia, misurando essa mm. 26. La valva è molto globosa , ma apparisce anche di più essendo compressa per la fossilizzazione al margine frontale. Una piega ampia, ma poco rilevata, ed arrotondata parte dall’ umbone ed arriva al fronte allargandosi in modo da occupare più di un terzo del margine frontale. Tale piega però nel mio esemplare non risulta che presso al fronte , poiché verso la regione umbonale resta il solo modello interno. L’ umbone è grosso, ottuso, non molto ricurvo, prominente sull’ area cardinale bassa. Del guscio non restano che tracce ; ma, anche dal modello, nella regione frontale si rileva che le linee di accrescimento sono molto spiccate, quasi a forma di coste concen- triche. Ma anche una costolatuia radiale, rada, si può scorgere in taluni punti. Il Davidson dice la conchiglia priva di ornamenti radiali. Ma questo non sempre è : e difatti anche nelle sue figure si notano accenni ad ornamenti radiali, come ad esempio nella fig. 9 della tav. XXXVII. Molto interessante è l’interno ; esso risponde perfettamente a quanto si sa di questa specie per merito del Davidson. Questi solo nel 1883 potè (Sii. Suppl. pag. 143) dare caratteri sufficienti per dimostrare che la specie non apparteneva al genere Orthis^ come egli stesso prima e la maggior parte degli autori avevan creduto, ma sibbene alle Triplesia. Sino dal 1869 però poteva disegnare un modello interno dì valva dorsale (Tav. XXXVII fig. 15) un poco schematico ma abbastanza rispondente : il mio esemplare, come può giu- dicarsi dalle figure, presenta notevoli somiglianze col modello disegnato dal Davidson. Del mio esemplare ho creduto utile figurare anche la controimpronta ottenuta colla plastilina, perchè più netta risultasse la somiglianza coll'esemplare del Davidson , figurato nel Supplemento a tav. Vili, fig. 19, il quale ha servito principalmente per ottenere sicu- rezza nella determinazione generica. Sotto all’umbone ed in sua immediata vicinanza si nota nel mio esemplare un pro- cesso cardinale mediano, nel quale si intravede come un accenno di bipartizione, di modo che si può arguire che il processo cardinale fosse stato bifido. Lateralmente al processo cardinale, ad un livello di poco inferiore si hanno due prominenze dentiformi semplici, che lasciano nel modello degli incavi profondi. Sotto a questi tre processi cardinali si trova uno spazio rigonfio, abbastanza ampio, a forma di un W allungato. Tale spazio ha una forte depressione mediana, solcata da una linea netta , legger- 24 P. Vinassa de Regny [Memoria XII.] mente ondulata, che, a differenza di quanto si nota nella forma inglese, si spinge nel mio esemplare molto più verso il fronte. Le impronte dei muscoli adduttori sono quattro, disposte nel centro della conchiglia in due paia, ai Iati della linea mediana : le paia sono nettamente distinte da un solco mediano. Questa forma è frequente nel Caradoc inglese, russo e scandinavo. Non venne mai citata nè del giacimento di Grand Glanzy nè di quello di Uggwa. La diffusione verticale è ^nche relativamente estesa, essendosi trovata la specie , sebbene in minor quantità di esemplari, sia nel Llandeilo superiore sia nel Llandovery. Unico. Palon di Pizzul. TrIPLESIA (?) SPIRIFEROÌDES M’ CoY Sp. Tav. Ili, Fig. 19 1851 Strophomena spiri feroi'des, M’ Coy. — Ann. a. Mag. Nat. Hist, Vili, pag. 402. 1859 Strophomena spiriferoides M’ Coy. — Salter in Murchison — Siluria , 2“^ ed. pag. 211 fìg. 2. 1871 Orthis (?) spiriferoi'des M’ Coy. — Davidson — Brit. Silur. Brach. pag. 275, tav. XXXVII, fig. 3-7 (cum syn). ^ 1883 Triplesia (?) spiriferoides M’ Coy. — Davidson. — Silur. Suppl. pag. 146, tav. Vili, fig. 30. Ho di questa specie un esemplare quasi completo, meno che presso 1’ umbone che è asportato. Anche più di metà del guscio è conservata. La conchiglia è nettamente subquadrangolare : misura, completata , una larghezza di mm. 25 ed un’altezza di mm. 17. 1 margini laterali sono arrotondati, la fronte è quasi rettilinea. Nulla posso dire nella linea cardinale che manca, ma a giudicare dai margini laterali, che si piegano verso l’umbone, si può dedurre che fosse un poco più breve della larghezza della conchiglia. La valva ventrale è meno convessa che non la dorsale; è pianeggiante verso i mar- gini laterali, nel mezzo ha un seno ampio, non molto profondo, quasi piano nel fondo e che si allarga fortemente verso il margine frontale. La valva dorsale, più convessa, è munita di una piega mediana^ molto ampia verso il fronte, arrotondata in alto e scendente rapidamente ai lati. Numerose coste rotonde, uniformi, separate da solchi poco profondi, crescono di nu- mero verso il margine per interpolazione di coste minori, ma più che altro per biforcazione. Esse sono in numero di 12 sulla piega e sul seno frontale, e di 15-16 per lato su en- trambe le regioni marginali esterne. Il numero quindi delle coste è di poco inferiore a quello dell’esemplare tipico figurato dal Davidson nella Tav. XXXVII fig. 3. Numerose strie concentriche di accrescimento, equidistanti, nette sono sparse su tutta la conchiglia, ben visibili anche a occhio nudo. Colla lente si scorge come una leggera embriciatura di tutte le coste. L’interno della conchiglia è spatizzato ; cosicché nulla posso aggiungere al poco che si sa dei caratteri interni di questa forma, sulla cui posizione generica si è molto discusso, senza mai venire a conclusioni. Il Davidson ha sempre fatto notare la somiglianza cogli Spiri/ er ; ma la mancanza di spirali interne esclude questo genere. Fu quindi considerata da lui prima come un’ Or- Foss/// onìovichmi del Nucleo centrale caniico 25 this, ma dubbiosamente. 11 nuovo rifeiimento alle Triplesia, proposto dal Callaway è accettato nel 1883 dal Davidson, ma non con molto convincimento. La forma ha tipo e contorno caratteristico tale che la determinazione è facile e sicura. 11 mio esemplare risponde quasi perfettamente a quello tipico figurato dal Davidson alla fig. 3 della Tav. XXXV'II. Se ne distingue solo per il numero un poco minore delle coste, per una depressione un poco maggiore e per una maggiore ampiezza del seno. Questa specie va dal Llandeilo al Caradoc : ma è specialmente frequente nel Caradoc, ove forma dei banchi di qualche decimetro di spessore nel calcare di Baia. Xon è difficile che esista anche nel Caradoc della Sardegna. Nel materiale, infatti, che si conserva a Pisa ho veduto taluni modelli che hanno grande analogia con questa specie. Unico. - Gas. Meledis. I Orthis Actoniae So\\'. I Tav. III. Fig. II. 1839 Orthis Actoniae. Sowerby. — Sii.- Sjvstem, pag. 639, Son. XX, fig. 16. 1871 „ ., .Sow. Davidson. — Brit. Silur. Brach., pag. 252, Tav. XXXVl, : fig. 5-17 (cani syni) :j 1883 „ „ .Sow. Davidson. — Silur. .Suppl., pag. 190, Tav. XI, fig. 12. j L’esemplare che ho rìgurato è uno dei meglio conservati e dei più rispondenti tra i ;■ vari che ne ho di questa forma , che può considerarsi quasi il fossile guida del Cai'adoc. j Esso misura, completato, una larghezza di mm. 24 per un’altezza di mm. 13,5. E quindi Ij di dimensione abbastanza limitata, ma è del tutto rispondente alla forma tipica e può, me- 1 glio che ad ogni altra, riportarsi alla figura 9 della Tav. XXXVl del Davidson che ripro- ■ duce una figura del .Salter di esemplare tipico del Caradoc. Si tratta di una valva ven- ■] trale, a forma quasi semicircolare. La linea cardinale è lunga quanto la conchiglia è larga, ed in causa di una leggera insenatura dei margini termina in due brevissimi, ottusi aculei, j La valva non è molto convessa, misurando essa appena mm. 2,5 di spessore ; presso alle ,j orecchiette è pianeggiante, anzi quasi un poco scavata. L’umbone è poco sporgente, legger- mente ricurvo. Della valva dorsale apparisce solo l’area molto bassa, con forame triango- lare, aperto. Le coste sono angolose, quasi carenate, in numero di 14, con interpolate altre minori, una per ciascun intervallo, anch’esse angolose e che si spingono sino circa alla metà della conchiglia. Le strie concentriche sono sottilissime e fitte ; le lamelle di accrescimento invece sono i rade e abbastanza nette. l Ij Un secondo esemplare è abbastanza più piccolo misurando una larghezza di 8 mm. |j ed un’altezza di mm. 5,5 ; ma è del tutto rispondente. Si tratta di una valva dorsale por- 5 tante 13 coste angolose, rilevate, separate da solchi molto più larghi di esse. Le costoline I interpolate, come avviene sempre negli individui giovani, non sono intercalate ad ogni cop i pia di coste maggiori ma solo ogni 3 di esse. La somiglianza maggiore si ha coll’esem- piare figurato dal Davidson nella figura 6 della Tav. XXXXI. ,1 Un terzo esemplare è invece assai più grande, misurando circa 30 mm. di larghezza ! Atti Acc., Serie V, Vol. III. Mnn. XII. 4 I 26 [Memoria XII.] P. Vimissa de Reguy per 19 mm. di altezza: esso è però tutto contorto. Sono tuttavia nette e ben visibili le somiglianze coU’esemplare figurato dal Davidson alla Taw XXXM fìg. 7. Un quarto esemplare incompleto, avendo le coste abbastanza più numerose e sottili che non fossero in quello precedentemente descritto, presenta le maggiori somiglianze col- l’esemplare figurato dal Salter [Meni. Geolog. , III London 1867, pag. 339, Tav. XXI, fig. 5) e riprodotto nella fig. 13 della citata tavola del Davidson. E pure allo stesso tipo va riportato un altro esemplare, ma questo di Gas. Meledis , che presenta numerose coste sottili, angolose, con netta interpolazione di costoline minori. Dal nuovo giacimento di Ganza proviene un solo esemplare molto piccolo, misurando appena 5 mm. di larghezza, ma del tutto rispondente alla tipica forma. Per ades.so è questo il solo esemplare rappresentante a Ganza 1’ O. Actouiae. Altri frammenti sia del Palon di Pizzul, sia di Gas. Meledis sono altresi da riportare a questa specie. Questa forma appena individuata dal Sowerby, si può dire non fosse del tutto nota se non per merito delle figure e della descrizione del Salter ma più ancora di quelle del Davidson. Il Sowerby però notò le analogie colla O. flabelhilnm., analogie grossolane che però il Salter non nega, pur segnando nettamente le differenze. Esse consistono nella forma diversa della valva ventrale, ma principalmente nella forma e disposizione delle coste. Queste sono angolose nella O. Actoiime, ed oltre a ciò, mentre nella O. flahellnhim si accrescono specialmente per bifoi'cazione, nella O. Actoniae non si ha mai biforca- zione, ma le nuove costoline sono sempre intercalate, una ogni coppia di coste maggiori. La forma, comunissima in Inghilterra, si trova anche , ma raramente . nel Llandeilo superiore o nel Llandovery inferiore; la sua principale diffusione è però nel Garadoc. Dei giacimenti classici essa sembra limitata alla Gran Bretagna ; x’enne citata però anche della Scandinavia. La forma citata come varietà di O. Actoniae dal Lindstrom (in: Angelin, Fragmenta silurica, Holmiae 1880, tav. XII, fig. 44-47) non mi sembra veramente che possa appartenere a questa specie. Forse maggiori analogie presentano gli esemplari figurati nell’opera su indicata nella tav. XIV, fig. 4-9 e più specialmente quello delle figure 7, 8. L’O. Actoniae è però diffusa nella facies del Garadoc del tipo carnico. Infatti essa venne citata ad Uggwa. E il v. Koenen (A^. /. fiir M. G. u. P. 1886, II, pag. 246) ne raccolse a Grand Glanzy oltre 7 esemplari, larghi 30 mm. con 12 forti coste carenate, che presso al margine si raddoppiano per interpolazione di altrettante coste minori. Ed anche il Frech (Z. d. d. g. Gesell. 1887, pag. 396) la dice pure comune negli scisti di Grand Glanzy, e simile al tipo di Uggwa. La specie si trova pure in Sardegna. Difatti mi sembra impossibile di tener distinta se non tutt’al più come varietà, quella forma che il Meneghini (in: LaMarmora, Voyage. en Sardaigne, III. Géologie, pag. 121, tav. A, fìg. 11) distinse col nome di O. sardoa La somiglianza con individui giovani di O. Actoniae, somiglianza del resto accennata anche dal Meneghini, è forte. La revisione degli esemplari originali del Meneghini, conser- vati nel Museo di Pisa, mi ha sempre più confermato in questa idea. Del resto anche se VO. sardoa non dovesse rientrare nell’ O. Actoniae, tra il mate- riale inedito della Sardegna, conservato nel Museo di Pisa e che meriterebbe uno studio accurato, ho veduto esemplari che debbono senz’altro riferirsi alla O. Actoniae. E cosi il giacimento del Garadoc sardo, inesplicabilmente ignorato da molti geologi Fossi// ordoviciani del Nucleo ceni vede cani /co 27 stranieri e nel quale troveremo altre forme a comune coi giacimenti camici, si collega al siluriano alpino. Palon di Pizzul. Cas. Meledis. Chiadin di Lanza. Orthis flabellulum Sow. Tav. Ili, fig. 1 3. 1839. — Oi'th/s flahelliiluìii. — J. de C. .Sowerby, in Murchison ; tav. XIX, tìg. S ; tav. XXI, tìg. 1869. — „ ,, .Sow. — Davidson. Brit. Silur. Brach., pag. tìg. 1-12. {Clini syn.). 1883. „ „ ,, — Davidson. .Silur. Suppl., pag. 179, .Silurian .System , 8. 248, tav. XXXIV, tav. XIll, tìg. 3-6, 20, 21. 11 migliore esemplare del Pizzul che ho hgurato, è una valva ventrale, di foi’ma tras- versalmente ovale larga 30 mm. e alta 20 mm. La linea cardinale è leggermente ango- losa di poco più corta della larghezza della conchiglia, misurando essa mm. 25 circa. La valva è pochissimo convessa verso l’umbone e presso ai due margini laterali ; dairumbone al margine frontale si nota una depressione che va ampliandosi in larghezza via via che ci si avvicina al fronte , in modo che presso al margine frontale si ha come un’ ampia ondulazione poco prominente. Le coste sono molto numerose, circa una cinquantina, di dimensioni variate. Le mag- giori partono daU’umbone, e via via che si avvicinano al margine si allargano e si allon- tanano, dimodoché gli spazi concavi intercostali in taluni punti verso il margine sono maggiori di larghezza che non le coste. Tra le coste maggiori se ne hanno poi altre minori sia interpolate, sia, e più spesso, originate per biforcazione delle coste maggiori. Di queste coste minori talune arrivano sino ad un terzo dall’ umbone, altre sono limitate in prossimità del margine. Le coste sono tutte rotondeggianti e nettamente prominenti. .Sottili e tìtte strie di accrescimento , numerose ed equidistanti si scorgono colla lente diffuse su tutta la conchiglia. Trattandosi di un modello nulla ho potuto vedere dei caratteri interni. Un secondo esemplare è pure un modello, ma di dimensioni molto limitate, raggiun- gendo esso appena 10 mm. di larghezza. Le coste sono molto meno numerose ; nettissima abbastanza profonda è la depressione mediana. L'esemplare Hgurato presenta in modo speciale somiglianze colla Hgùra 6 della tav. XXXIV del Davidson. Anche al Chiadin di Lanza è rappresentata la specie. Ho difatti della località una valva dorsale , non molto grande , misurando mm. 19 di altezza per mm. 23 di larghezza. La linea cardinale è diritta ed è più corta della conchiglia, misurando essa soli mm. 14 di lunghezza. La valva è poco ma regolarmente convessa. A differenza dell’ esemplare del Pizzul le coste sono poco numerose, essendo esse circa una ventina, rilevate, ottuse e un poco ondulate irregolarmente verso il margine. Per ciò le somiglianze maggiori si hanno colle figure 5 e 7 della Tav. XXXIV del Davidson. Questa specie venne talvolta creduta identica alla O. call/gramnia, mentre invece ne -8 P. Villa ssa de Reguy [Memoria XII.] è benissimo distinta. Infatti, nella O. flahellulum la valva ventrale è pianeggiante e nella O. calligramma è sempre regolarmente convessa; e per la dorsale si nota che essa è meno alta della ventrale nella O. calligramina, mentre è l'opposto per la O. flabellnìinn. La variabilità deirornamentazione- è grande non solo in esemplari diversi ma anche in diversi punti dello stesso esemplai'e. La variazione si nota nel numero delle coste e nella forma e presenza delle costoline secondarie. Non sono rare delle varici di accresci- mento presso al margine, spesso abbastanza spiccate. È una forma chi trova anche nel Llandeilo, ma che ha la sua massima diffusione nel Caradoc non solo europeo ma anche americano. Non \ enne sino ad ora citata nè di Uggwa, nè degli altri giacimenti dello stesso tipo di Cabrières. Palon di Pizzul. Chiadin di Lanza. OrtHIS cfr. FLABELLULUM .SoU'. Tav. tu, fig. 12. Riferisco con dubbio a questa forma anche due modelli interni, di cui quello figurato è quasi completo in tutte le sue parti. Esso misura 40 mm. di larghezza su 35 mm. di altezza. È perciò di dimensioni maggiori dell’ordinario. Anche il secondo esemplare, incom- pleto, appartiene ad un individuo su per giù delle stesse dimensioni. Il contorno della conchiglia è rispondentissimo a quello della specie tipica : difatti la linea cardinale è più breve della larghezza della conchiglia, ed i margini laterali sono re- golarmente tondeggianti. Anche quel poco che si scorge delle ornamentazioni, specialmente l’andamento crenulato del margine, è del tutto rispondente alla forma tipica. L’area muscolare è rotondeggiante all' umbone, rettilinea ai lati, e nella l'egione fron- tale è incisa da un dente ottuso. E quindi rispondente anche per questo carattere alla specie tipica. Dove si notano invece differenze è nell’ andamento del sistema vascolare. Difatti i rami di esso sono fitti, diretti sia verso i margini laterali, sia verso il fronte, varie volte dicotomi e ripetutamente anastomosati , in maniera da formare un leticolato abbastanza fitto. La forma tipica invece, come è figurata dal Davidson nella fig. 12 della tav. XXXI\', ha i rami vascolari meno numerosi e non anastomosati e reticolati. Palon di Pizzul. Orthis calligramma Dalm. Tav. Ili, fig. 15. 1827. — Orthis calligramma — Dalman in Kon. Sveii. Ak. Veteiisk. Verhandl.^ pag. 114, tav. II, fig. 3. 1845. — „ „ Dalm. — de Verneuil. Geolog. of Russia, II, pag., 207, tav. Nili, fig. 7-9. 1869. — „ „ „ — Davidson. Brit. Silur. Brach., pag. 240, tav. XXXV, fig. 1-17 [cum syn). 1883. — „ „ „ — Davidson. Silur. Suppl. , pag. 181 , tav. XIII, fi- gura 23-26. Di questa specie ho numerosi esemplari, tutti però incompleti, sia del Palon di Pizzul sia di Gas. Meledis. Non ne ho che dei dubbi del Chiadin di Lanza. Foss/7i ordoviciani del Nucleo cetili ale cantico :i9 L’esemplare figurato è una valva dorsale incompleta , di foi'ma quasi perfettamente semicircolare, ma però un poco più larga che alta , misurando essa, completata, 20 min. di larghezza e 18 min. di altezza. La linea cardinale è diritta ed è appena un poco minore della larghezza della conchiglia. La convessità della valva è uniforme e abbastanza forte. Le coste, molto grosse, sono in numero di quindici , il minimo di quelle notate in questa specie : sono semplici , tondeggianti , rilevate , separate da spazi concavi che in generale hanno uguale larghezza, ma in taluni punti presso al margine sono un poco più larghi' delle coste. Delle sottili costoline radiali, in numero di due o ti'e , si veggono nel solco intercostale ; e tali costoline pi’esso all’ umbone appena visibili, si rendono sempi'e più patenti verso i margini. Le linee concentriche di accrescimento sono fini, sottili, equidistanti, visibili qua e là anche senza lente, e ondulate in corrispondenza dei solchi e delle coste. Questo esemplare del Raion di Pizzul credo possa riferirsi alla specie tipica ; esso del resto presenta somiglianze con due varietà diverse, distanti tra loro anche per età. Difatti la forma generale e il numero delle coste fanno avvicinare l’esemplare in studio alla var. Dcroidsotii de Vern. sp. del Wenlock (Davidson, Brit. Silur. Brach., tav. XXXV, fig. 19 specialmente) mentre per le costoline intermedie molto spiccate le somiglianze sono mag- giori colle fig. 13,14 della tavola stessa, che invece rappresentano la var. proava Salt. « del Llandeilo superiore. Un altro esemplare del Pizzul può pure riferirsi alla forma tipica: esso per il grande numero (circa 25) delle sue costoline, fitte e sottili si rassomiglia alla varietà del Cafadoc non nominata dal DavmsoN, e da lui figurata nella stessa tavola XXXV nella fig. 6. Riferisco invece senz'altro alla var. scotica ÌM’Coy ( Davidson , Op. cit. tav. XXXV, fig. 20-22) altri due esemplali del Pizzul, con 22-24 coste, che presentano le maggiori so- miglianze colla fig. 20 della citata tavola, e che riproduce appunto la figura della Orliti-, situi scotica del M’ Coy (Brit. Palaeoz. foss., pag. 232, tav. 1 h, fig. 29), forma carat- teristica del Caradoc. Appartengono poi alla var. virgala Sow. sec. Salter (Davidson, Op. cit. tav. XXXV: fig. 23-24) due modelli incompleti di Gas. Meledis, che si distinguono per avere le coste molto più rade, separate da spazi intercostali più larghi, e che si avvicinano in modo spe- ciale aU’esemplare del Caradoc figurato da Salter {Metti. Geolog. Stirvey, London 1866, 111, pag. 22, fig. 3) e riprodotto dal Davidson nella fig. 23 della citata tavola. È caratteristica di questa specie l’assoluta mancanza di coste minori interpolate tra le maggiori. Grande è però la variabilità sia nella forma generale della conchiglia sia nella forma e numero delle coste. Molte forme si possono avvicinare alla O. calligramtiia, ma non confondere con essa tra quelle che si rinvengono nei giacimenti della Gamia la più prossima è [' O. flabelltilutii: ma questa se ne distingue però benissimo per avere le coste più regolari e per la presenza delle costoline nei solchi intercostali : inoltre nella O. calligratntna mancano del tutto le costoline minori sia interpolate, sia derivate da biforcazioni maggiori. Questa forma ha una grande diffusione orizzontale e verticale. Essa diftàtti è nota , oltreché in Inghilterra, anche in Russia, Svezia, America del Nord ed in Sardegna. E ver- ticalmente va dal Llandeilo pel Garadoc ed il Llandovery sino al Wenlock. Le varietà però che ho potuto riconoscere sia al Pizzul sia a Meledis sono tipiche del Garadoc. La forma venne citata dal v. Koenen nel giacimento sincrono al nostro di Gabrières 30 [Memoria XII.] P. Vinassa de Regny (Neue Cystideen Caradoc Sch. v. Montpellier. — Neiies Jahrh. f. Min. Geol. u. Palaeont., 1886, II, pag. 246) da dove ricorda un esemplare incompleto con 13 grosse coste. Il Frech {Zeitsch. der deut . geol. GeselL, 1887, pag. 396) non la cita espressamente della località. Questa specie è pure rappresentata nel Caradoc della Sardegna. Il Meneghini non la cita nel lavoro principale (1857, Palaont. de Sardaigne) ; ma la cita invece il Bornemann nel Supplemento (1860) ed il Meneghini accoglie senza osservazioni la determinazione. Palon di Pizzui : forma tipica e var. scotica Gas. Meledis : var. virgata. Chiadin di Lanza : esemplari dubbiosi. Orthis porcata M’ Coy. Tav. ni, tig. 9, IO. 1846. — Orthis porcata M’ Coy. — .Silur. Foss. of Ireland, pag. 32, tav. Ili, tig. 14. 1871. — „ „ M’ CoY. Davidison — Brit. Silui’. Brach. pag. 250, tav. XXXI, tig. 12-20; tav. XLV4, fìg. 4. (ciini syn.). Di questa forma ho cinque esemplari quasi completi sia di Cas. Meledis, sia del Palon di Pizzui, sia di Lanza e vari frammenti di entrambe le località , i quali stanno a dimo- strare come questa specie sia abbastanza comune nel Caradoc della Gamia. L’esemplare maggiore pi’oviene da Cas. Meledis. Esso misura mm. 37 di larghezza e mm. 29 di altezza. La sua forma è nettamente semicircolare. Esso è una valva dorsale, •dalla linea cardinale diritta abbastanza minore della larghezza della conchiglia, poiché mi- sura solo mm, 23 di lunghezza. La linea cardinale incontrando i margini laterali produce due nette angolosità ottuse. Al di sotto della linea cai'dinale i margini ed il fronte sono tondeggianti. La valva è molto convessa , misurando uno spessore di oltre 9 mm. ; ma presso al cardine essa è un poco depressa, pianeggiante. Le coste numerose, circa 70, sono rotondeggianti, nette, prominenti; pei' la maggior parte raggiungono se non 1’ umbone almeno i due terzi della conchiglia : 1’ aumento del numero delle coste è dovuto all’ interpolazione di una, raramente di due costoline interme- die, separate da solchi di ugual larghezza. Delle sottilissime strie concentriche di accrescimento, fitte, equidistanti tagliano le coste radiali. Un secondo esemplare , che ho figurato (Tav. III, fig. 10) proviene dal Pizzui. Esso è di dimensioni un poco minori, dacché, completato, misura 36 mm. di larghezza e 27 mm. di altezza. La forma é press’ a poco uguale a quella dell’ esemplare di Cas. Melidis, solo che é un poco meno regolarmente semicircolare, e la linea cardinale é relativamente assai più lunga. L’ umbone é ottuso e poco ricurvo. Le coste, sottili, tondeggianti, prominenti sono in numero di circa sessanta; talune di quelle interpolate arrivano sino a pochissima distanza dall’ umbone. Le linee di accresci- mento sono nettissime specialmente al margine. Un terzo esemplare pure del Pizzui é assai più grande, misurando 42 mm. di lar- ghezza per 36 mm. di altezza. Esso é rispondentissimo per forma generale come pure Foss/// ordoviciani del Nucleo centrale carnico :u per forma, numero e tipo delle coste. Qui, più che negli altri esemplari più giovani, sono net- tamente visibili presso al margine le lamelle di accrescimento, fittissime e quasi squamate. Riferisco pure a questa foima, ma con dubbio, un modello (Tav. Ili, fìg. Il) nel quale manca il contoino dei mai'gini laterali e la porzione cardinale. Esso però per l’anda- mento frontale, la depressione mediana, e più che altro per il tipo e il carattere della costo- latura non è certo molto lontano da questa forma. Proviene anch’esso dal Palon di Pizzul. La sola cosa che distingue gii esemplari del Pizzul dalla forma tipica è il fatto che la linea cardinale è un poco più lunga di quanto normalmente si osservi nella O. porcata. Al di sotto di essa il margine ha una leggera lientranza, per cui le terminazioni della linea cardinale appariscono come ottusamente e brevemente mucronate. Ala non mi sembra questo carattere sufficiente a tener distinti dalla specie inglese gii esemplari del Pizzul, tanto più che nell’ esemplare di Meledis, identico per ornamenti e tipo, questo carattere non si riscontra. E d’altra parte la O. porcata, come del resto tutte le sue congeneii, varia notabilmente per forma generale e per numero di coste. La specie è molto diffusa, specialmente in modello , in tutta la Gran Bretagna ma sempre nel Caradoc. Il V. Koenen (iV. Jalirh, Jiir Min. Geol. n. Palaeont. 1886, li) cita di Cabrières un esemplare un poco più rigonfio che non la specie tipica, con poche coste aH'umbone che verso il margine si triplicano. Ma secondo il Frech ( Z. d. d. g. Gesell. 1887) non si tratterebbe della vera O. porcata ma di una forma nuova. Palon di Pizzul. — Gas. Meledis. OrTUIS cfr. INTERCOSTATA PORTL. Questa forma sembra molto rara in Inghilterra ; poiché quantunque il M’Coy (Synopsis foss. Ireland pag. 31) la dica frequente in varie località, il Davidson (Brit. Silur. Brach. pag. 236) non ne ha potuto descrivere che poche valve ventrali. Ln esemplare incompleto del Palon di Pizzul può riportarsi con sufficiente sicurezza a questa forma; esso misura 12 mm. di larghezza per 7 mm. di altezza, e presenta delle coste radiali, tondeggianti, nette, abbastanza distanti tra loro, tra le quali è interposta una costicina minore che si anesta ad un terzo di distanza prima di raggiungere 1’ umbone. Questo carattere (non dappertutto però ben visibile) è quello che più mi fa credere trattarsi di questa specie. Ma non molto diversa è però anche la forma generale della conchiglia che somiglia moltissimo alla fig. 3 della tavola XXXVIII del DaviDSON (1871). Palon di Pizzul. — Unico. Orthis unguis Sow. sp. Tav. Ili, Fig. 14. 1839. — Terebralnla unguis. — Sowerby. — Silur. Sj'st. , tav. XXI, fig. 13. 1867. — Orthis „ Sow. — Salter in: Murchison, Siluria, 4"’ Ed., pag. 527, tav. V, fìg. 3, 4. 1871 „ „ „ Davidson. — Brit. Silur. Bradi., pag. 257 , tavo- la XXXVII, fig. 16-22. (?) 1883 „ „ „ Davidson. — Silur. Suppl., pag. 177, tav. XIII, fig. 28. Il mio esemplare è molto piccolo , essendo largo mm. 24 ed alto circa mm. 23 : la maggiore larghezza è posta nel mezzo della valva, esso è quindi quasi perfettamente or- 32 P. Vinassa de Regny [Memoria XII.] biculare. Si tratta di una valva dorsale, a linea cardinale diritta, convessa ma non molto. La depressione mediana si scorge solo verso il margine frontale. Le coste sono in numero di circa 18, prominenti, separate da solchi di larghezza mi- nore. Le coste non sono però angolose come negli esemplari tipici, ma piuttosto rotondeg- gianti. In parte ciò deve riportarsi a fossilizzazione essendo il mio un modello un poco eroso. Tra le coste maggiori si. hanno, limitatamente però alle porzioni laterali, delle co- stoline minori, che non oltrepassano la metà della conchiglia. Le strie di accrescimento sono visibili ovunque, ma in modo speciale sulle costoline minori intermedie. Il mio esemplare per forma generale ha somiglianza con quello figurato dal Davidson nella hgura 17 della Tav. XXXVII, il quale ha altresì le coste assai più tondeggianti che non gli altri tipi della specie. Per la presenza delle costoline intermedie e per la netta can- cellatura derivata dall’ incrocio colle strie di accrescimento le maggiori somiglianze si hanno poi coir esemplare figurato nella fìg, 19 della tavola stessa. Questa forma, che non raggiunge mai dimensioni un poco grandi, era per adesso ci- tata solo dal Caradoc inglese. Unico — Palon di Pizzul. Ortis cfr. Menapiae Hicks in Dav. Tav. III. fìg. 16-17. La forma della conchiglia è subquadrangolare talvolta oi’biculare un poco più larga che alta, più spesso però viceversa, forse per effetto di compressione durante la fossilizza- zione. La linea cardinale leggermente angolosa è di poco minore della larghezza della con- Tutto ciò risulta chiaro dal seguente specchietto di 1 dimensioni : II III Altezza ..... mm. 1 1 mm. 19 mm. 17 Larghezza .... . „ 13 „ 13 „ 15 Lunghezza della linea cardinale ■ „ 12 „ 12 „ 14, 5 Dei tre esemplari sopra indicati due provengono dal Palon di Pizzul ed uno dal Ghia- din di Lanza. Il primo degli esemplari del Pizzul (I) è una valva dorsale pochissimo convessa, con solco mediano longitudinale, stretto presso l’umbone e gradatamente, ma di poco, allargato verso il margine frontale. Il solco è poco profondo. L’umbone piccolo è poco ricurvo. Caratteristiche sono 1’ ornamentazioni costituite da numerose (circa 40) costoline, net- tissime, angolose, quasi carenate, sempre crescenti in numero, esclusivamente per nettissi- ma biforcazione. Sottili strie concentriche di accrescimento, fìtte ed equidistanti tagliano le costoline radiali. Il mio esemplare è un modello incompleto , e non mi permette quindi sicurezza di determinazione. Tuttavia nessun’ altra forma conosco che possa meglio di questa avvici- narsi al mio esemplare. Come risulta anche dalla figura , 1’ esemplare presenta analogie spiccatissime per forma , dimensioni ed ornamenti , coll’ esemplare figurato dal Davidson nella figura 8 della tavola XXXIIl dell’opera più volte citata. Fossi// ordoviciani del Nucleo ceutnile cani /co 33 Il secondo esemplare (II) del Pizzul è un modello che comprende entrambe le v'alve. La dorsale è abbastanza rigonfia con netto solco mediano, poco allargato però verso il mar- gine frontale. La ventrale è più depressa quasi pianeggiante col rilievo netto acuto, verso r umbone più ottuso e più largo verso il margine frontale. Le costoline nettissime sono in numero di circa 50 di cui 20 arrivano sino all’ umbone e le rimanenti si formano per netta biforcazione. L’esemplare di Lanza (III) è più alilbrme, tanto che sul primo avevo creduto potesse riferirsi all’ O. vespert/l/o, ma da essa si distingue nettamente per le sue dimensioni che danno alla conchiglia 1’ aspetto subquadrato tipico dell’ O. Meuap/ae. E rappresentata la valva ventrale con netto rilievo centrale che si slarga verso il fronte. Le coste sono leg- germente ondulate e se ne contano circa cinquanta. Questa forma non è comune in Inghilterra, ove è esclusiva della parte inferiore del Llandeilo. Essa è caratterizzata, secondo il Davidson (Brit. Silur. Bradi. , pag. 228), dalle sue limitate dimensioni, poca convessità delle valve e nette ornamentazioni. Con molta probabilità si tratta anche nei giacimenti camici della stessa forma inglese, o almeno di forma ad essa molto prossima; lo stato del mio materiale non mi permette però un giudizio sicuro. Palòn di Pizzul. — Chiadin di Lanza. OrTHIS cfr. TESTUDINARIA DaLM. Sinché il Davidson (Bradi, of thè Budleigh — Salterton Pebble-Bed, tav. XLIl, fig. 26) non ebbe figurato un esemplare tipico della .Scandinavia, e non ne ebbe fissate cosi i caratteri, questa forma venne ripetutamente citata, ma quasi sempre erroneamente. Lo stesso Davidson nella sua monografia (Silur. Brach. pag. 226) figurò sotto questo nome esemplari che non vi appartenevano; sono perciò da escludere le figure 13, 14, 15, 17, 21 della tav. XXV4IL Anche nel supplemento egli non si era accorto dell’ errore, il quale venne corretto solo nell’indice generale dell' Opera. La vera O. iesUid/mir/a è una piccola forma quasi circolare o solo un poco tra- sversalmente ovale, priva quasi del tutto di seno, con coste numerose, rotonde, crescenti di numero verso il margine per interpolazione di una o due altre costoline, più brevi, tra una coppia di coste maggiori. Le strie concentriche sono fitte, equidistanti e ben visibili; si hanno pure nette lamelle di accrescimento. Nel mio materiale ho dei piccoli esemplari incompleti, i quali offrono delle analogie con la forma che il Davidson ha figurato nella figura 23 della Tav. XX\'I1I. Esclusivamente negli scisti del Palon di Pizzul. OrTHIS cfr. RU.STICA .Sow. Ho due esemplari, uno proveniente dal Palòn di Pizzul e l’altro del nuovo giacimento di Lanza, i quali sono troppo mal conservati per dare una sicurezza di giudizio, ma che permettono però un ravvicinamento a questa specie , caratteristica dei terreni immediata- mente susseguenti al Caradoc. La conchiglia è abbastanza allungata misurando nell’esemplare del Pizzul mm. 32 di lunghezza per mm. 20 di altezza. Corrisponderebbe quindi per dimensioni relative alla Atti Acc. Serie V, Voi,. III. Meni. XII. 4 34 P. nassa de Pei(ny |Mi;moria XI 1.] varietà Walsalliensis. La linea cardinale è abbastanza più breve della larghezza delia conchiglia misurando infatti mm. 22. Entrambi i miei esemplari rappresentano la valva dur.sale convessa e priva di de- pressione mediana ; il margine frontale presenta una leggera curvatura in alto. Le coste sono perfettamente corrispondenti a quelle della specie tipica. .Sono circa ottanta , finissime, di cui una metà arrivano sino all' umbone nettissime , mentre le altre sono ad esse interpolate. Le maggiori somiglianze, come già ho detto, si hanno colla figura 20 della tav. XXXI\' del Davidson che rappresenta la var. alsalliensis. Palòn di Pizzul. — Chiadin di Lanza. Orthis alternata .Sow. 1839. — Orthis alternata — Sowerby, .Silur. Syst. pag. 638, tav. XIX, tìg. 6. 1871. — „ „ .Sow. — Davidson, Brit. .Silur. Brach. pag. 264, tav. XXXI, fig. 1, 3, 7, 8 {excl. fig. 2, 4-6 et ami syn. p. pi). 1883. — „ „ „ — Davidson, Silur. Suppl. pag. 187, tav. XR', fig. 1-6. Ho taluni esemplari, tutti però incompleti, che si possono riferire con piena sicurezza a questa specie. La conchiglia è quasi circolai'e pianeggiante, in generale più larga che alta. La linea cardinale è diiitta ed è leggermente più bi'eve che non la conchiglia. Nei miei esemplali è conservata la sola valva dorsale , in genere pianeggiante , un poco convessa nel mezzo e leggermente scavata nelle regioni laterali. Le costoline che ornano tutta la conchiglia sono numerose^ fitte, filiformi, rotonde, più numerose al margine per biforcazione o per interpolazione. Tutte le costoline sono rettilinee anche nella regione cardinale, e questo carattere tiene i miei esemplari, per quanto incompleti, nettamente di- stinti dalla forma seguente. Le strie concentriche sono sempre nettamente visibili. Questa forma ha qualche analogia colle Strophoinena , specialmente colla Stropho- mena expansa; se ne distingue però subito pei caratteri interni di tipica Orthis. Piu diffìcile è distinguerla invece dalla prossima O. retrorsistria, che taluni vogliono anzi considerare come semplice varietà. Se però sono consei'vate le coste presso ai margini cardinali il dubbio non è più possibile, mancando nella O. alternata la caratteristica cur- vatura di esse. Inoltre le dimensioni sono sempre un poco maggiori che non nella O. retrorsistria. Con grande probabilità talune delle forme dal Meneghini (Paléontologie de la Sardaigne pag. 108, tav. A, fig. 6, 9) riferite alla 0. testudinaria, appartengono invece alla O. al- ternata. Certo è che tra il materiale del Caradoc sardo conservato a Pisa ho potuto riconoscere tipi molto prossimi. E del resto il Meneghini stesso attendeva il “giudizio di un Davidson „ sui brachiopodi inglesi per aver sicurezza del materiale da lui studiato. Questa specie venne dal v. Koenen citata anche di Grand Glanzy ; ma non risulta se si tratti veramente della O. alternata o della O. retrorsistria. Riferendosi egli difatti al Davidson nota analogia tanto colla fig. 3 della Tav. XXXI, che è una vera O. alternata quanto colla fig. 4 della tavola stessa, che è invece la retrorsistria. Può anche darsi che nella Montagne noire si abbiano, come nelle Gamiche, entrambe le specie. Palòn di Pizzul. Foss/7/ ordovìciani del Nucleo ceulnde cuniico 35 OrTHIS KETROKSISTRIA M’ COY. Tav. Ili, lig. 21. 1852. — Orili ìs retrorsistria M' Cov. Bi iti.sch. Paleoz. Foss. pag. 244 , tav. I H, tig. 12, 13, 1871. — Ortlu's (dteniata Sow. var. retrorsistria M’ Cov. — David.son, Brìi. Silur. Brach., pag. 264, tav. XXXI, tig. 2, 4, 5, 6 ; tav. XXXV4 tig. 39-42. 1881. — Ortliis retrorsistria M’ Cov. — Davidson, Silur. Suppl. pag. 185, tav. XIV, tig. 7-16 [cum syii.). Xe ho un solo esemplare, che per forma ed ornamenti e rispondentissimo. Esso mi- sura, completato, una larghezza di 17 mm. per un’ altezza di mm. 14. I margini sono nettamente arrotondati. La linea cardinale è diritta ed alquanto minore della larghezza della conchiglia. Il mio esemplare rappresenta una valva ventrale, con netta depressione mediana, liancheggiata da due porzioni pianeggianti. Le costoline sono numerose, lìtte, rotonde, di cui talune arrivano all’ umbone, altre sono minori ed in numero di 1 o 2 si interpongono alle maggiori. Le costoline presso al margine cardinale presentano nettamente la divai'icazione e la curvatura verso 1' alto ca- ratteristica di questa foi'ma. Le maggiori somiglianze si hanno con 1’ esemplare tipico Hgurato dal Davidson nel supplemento alla tav. XIV' nella tìgura 9. Xel Caradoc inglese questa forma è comunissima. Non venne sino ad ora citata nelle Gamiche; forse, e si veda perciò quanto ho detto per \'U. alternata, si trova a Grand Glanzy. .Sembra mancare nel giacimento sardo. L’nico. — Palòn di Pizzul. Orthis ellipsoides Barr. Tav. Ili, tìg. 20. 1876. — Orthis ellipsoides Barrande , ,S3'stème sylurien de la Bohème, Brachiopodes , tav. 61, hg. VII; tav. 108, lig. I, 1 ; tav. 125, fìg. Vili, tav. 127, lìg. IV, 3. Testa siihorbicularis , fere rectaugularis , lata niagis quaìn alta , marginibus regulariter rotnndatis, fronte snbiecla interdnni sinnata. Linea cardinalis recta, latitudine tesine minor. Valva venlralis ad nniboneni convexa ad niargines pla- niuscnla ; sinns vi.x distinclns. Valva dorsalis planiusciiln ad niargineni car- dinaleni conve.xa. Cosi eli ae crebrae, tennes, fot n ndae, ad nnibonem evanescentes, ad niargines patentes, frequentiores minoribus costis interjectis, ad niargineni car- dinalem snbrecnrvae. Strine concent ricae snbevanescentes , laniellae concenl ricae patentes. In interiore valvae venlralis inipressio nmscolaris superne proeniinens, inferne incavala, fere bilobata. In interiore valva dorsali dens niedianus ellypticus, dentes laterales acuii; inipressio nmscolaris duplex, sulco profundiusculo disliucta. ' Ne ho due esemplari entrambi in modello ed uno solo completo. Quello che ho fi- gurato è largo mm. 12 e alto mm. 10, ed ha contorno nettamente tondeggiante. La linea cardinale è più breve che non la conchiglia, quasi peifettamente rettilinea. 36 P. Vinassa de Peguy Memoria XH.] La valva è leggermente convessa presso l’umbone, ma ai margini è pianeggiante. Le coste sono numerose ; talune si spingono verso Tumbone ma non lo raggiungono, la mag- gior parte sono limitate al margine, ove è nettamente visibile 1’ interpolazione delle coste minori. L’impronta muscolare è duplice, sepai'ata da un solco abbastanza profondo. Nettissime sono le tre impronte dentarie al margine cardinale. Il mio esemplare per il tipo delle coste risponde all’ esemplare figurato dal Barrande nella tav. 61 ; per il tipo dell’ apparato cardinale invece a quello figurato nella tav. 108. Il secondo esemplare ha su per giù le stesse dimensioni ; le coste però si estendono un poco più verso 1’ umbone. Anche in questo sono nettissime le impronte dei denti. Palòn di Pizzul. Orthis pathera .Salt. in Mngh. 1857. — Orthis patera Salter. — Meneghini, — Paléont de Sardaigne , p. 124, tav. A, fìg. 12 p. p. 1871. — „ „ Davidson. — Brit. Silur. Brach., pag. 267, tav. XXX fìg. 1-8. Credo doveroso aggiungere il nome del Meneghini a quello del Salter , poiché il Meneghini per primo descrisse e figurò la specie, che aveva ricevuto dal Salter un nome manoscritto. E trovo incomprensibile come il Davidson abbia descritta e figurata la specie inglese senza nemmeno accennare al Meneghini, che di quattordici anni lo aveva proce- duto. E, sia detto per incidenza, trovo pure inesplicabile che trattatisti come il Lapparent e recentemente il Haug ignorino il lavoro , fondamentale per la geologia della Sardegna , del Lamarmora e Meneghini. 11 Meneghini ebbe il nome di Salter da una lettera del Murchison al Lamarmora, e volle mantenerlo anche alla forma sarda e giustamente. Si tratta certo della stessa forma del Baia e del Caradoc inglese. I caratteri esterni ed interni sono gli stessi , eccezione fatta pel contorno , che negli esemplari sardi è prevalentemente più allargato. Ma il Me- neghini accenna nella descrizione e mostra anche, nelle belle figure , come il contorno passi da quelli di una Lingula a quelli di una Donax, pur mantenendo sempre gli stessi caratteri di ornamentazione ed interni. Nè va dimenticato che gli esemplari sardi sono fortemente compressi. Tutt’ al più vi potranno esser dubbi sul riferimento dell’ esemplare figurato nella massa scistosa riprodotta nella figura 12 A q distinto con b, a causa del- l’umbone troppo prominente. Mentre il h' della stessa figura è rispondentissimo anche pel contorno tondeggiante. Ne posseggo un esemplare in modello di una larghezza di 23 mrn. e di 19 mm. di altezza, perfettamente semicircolare ai margini, con linea cardinale diritta, più breve della larghezza della conchiglia. Le numerose costoline radiali filiformi hanno lasciato la loro traccia anche nel modello. Nettissima è l’ impressione muscolare, doppia, per effetto del solco (nel modello) che la divide in due porzioni. La somiglianza del mio esemplare con quelli inglesi e con quello sardo della fig. 12 A b' h. grandissima. Unico. — Palon di Pizzul. J^'oss/// ordovidiuii del Nucleo ceutnde caruico 37 ORTHIS BIFORATA V. SCHLTH. Sp. Tnv. Ili, Fig. 23 1871 — Ortliis hiforala v. Schlth sp. — Davidson Brìi. Silur Biach., pag. 268, tav. XXXVIII, flg. 12-26. Questa specie è eminentemente variabile per forma, globosità, ornamentazioni, e basta difatti dare uno sguardo alla lunga lista dei sinomini citati dal Davidson per convincersene. Ma la sua frequenza e diffusione hanno permesso uno studio accurato di tutte le sue va- riazioni tanto che esso può dirsi oggi conosciuta precipuamente per merito di Hall e di David.son. Ne ho un solo esemplare, un poco compresso, incompleto nella porzione umbonale e che conserva anche il guscio. La conchiglia è trasversalmente ellittica, più larga che alta ; difatti essa misura com- pletata mm. 23 di larghezza per meno di mm. 20 di altezza. Essa è molto globosa, mi- surando uno spessore di 17 mm. I margini laterali sono arrotondati e si curvano verso r umbone, dimodoché si può arguire che la linea caidinale fosse più breve della larghezza della conchiglia. La fronte è meno arrotondata e leggermente sinuata nella sua porzione mediana. La valva ventrale è convessa ; misura uno spessore di mm. 6,5, ed è munita di un seno, poco spiccato verso 1’ umbone; ma verso il fronte ben netto, ampio, ottuso. La valva dorsale è molto più convessa della ventrale ; essa misura difatti uno spes- sore di mm. 10,5 per cui la conchiglia assume un aspetto globoso. La piega mediana su questa valva è meno netta che non negli esemplari tipici della specie ; solo verso il fronte si distingue bene, sebbene sia però sempre poco rilevata. Ciò è da riportarsi in parte an- che a fenomeno di fossilizzazione. Le coste radiali sono grandi, patenti, arrotondate, separate da un solco profondo più stretto della costa ; esse sono in numero di 6 sulla piega, e di 8 per ogni lato sulle por- zioni marginali ; arrivano tutte sino all’umbone ben visibili. Le costoline concentriche sono numerose , nette , e tagliando le coste radiali danno alla conchiglia 1’ aspetto embriciate. Xettissima è la punteggiatura molto fìtta di tutta la conchiglia. . . La rottura della porzione umbonale permette di vedere i caratteri interni , di ambe le valve, e cioè della valva ventrale i due processi dentari div^ergenti, e della ventrale i due grandi processi brachiali e della forma di V strettita. La sola cosa che distingue il mio esemplare dalla specie tipica è il poco rilievo della piega mediana sulla valva dorsale. Ma ciò non può essere sufficiente a tenerlo distinto , trattandosi di forma eminentemente polimorfa. Le maggiori somiglianze si notano colle fig. 15 della Tav. XXXVIII del Davidson, che rappresenta la \mx. fi ssicostata M’ Coy del Caradoc. Questa forma si estende dal Caradoc, ove è prevalente, al Wenlock. E molto diffusa, dacché si rinvenne in Russia, Scandinavia, America ecc. E rappresentata anche in Sar- degna, da dove sotto il nome di Spirifer terebratuliformis M’ Coy (sinonimo di O. hi- forata) la descrisse e figurò il Meneghini (Op. cit. pag. 102, Tav. H, fig. 2). Unico. — Cas. Meledis. 38 P. Viìiassa de Regìiy IMi-;mokia Xll.) Orthis vespertilio Sow. 1839 — Orthis bilobata — Sovverby, Silur. S3^st. tav. XIX, tìg. 7. 1839 — „ vespertilio— „ „ tav. XX, fig. 11. 1848 — • „ „ .Sow. — Phillips a. Salter, Mem. Geolog. Snrivey, London , II, pag. 291 {('utn syn.). 1869 — „ „ „ Davidson, Brit. Silur. Brach., pag. 236, tav. XXX, tìg. 11-21 (cinn syn.) L' esemplare meglio conservato proviene da Gas. Meledis. Esso ha una forma sub- quadrangolare ed è abbastanza più largo che alto ; misura difatti, completato, una larghezza di mm. 24 ed un’ altezza di mm. 16. La linea cardinale è più lunga della larghezza mas- sima della conchiglia come avviene nella maggior parte degli esemplari di questa variabile forma. La linea cardinale si presenta cosi leggermente ed ottusamente mucronata. I mar- gini cardinali, sotto alla linea cardinale, si scavano un poco, poi tornano ad essere rego- larmente arrotondati, dando così il caratteristico contorno alato alla conchiglia. La fronte è incavata da un seno non molto profondo. Il mio esemplare rappresenta una valva ventrale, e presenta un foi'te rigonhamento mediano, quasi carenato. La valva è un poco concava presso alla piega mediana , poi si rigonfia ai due lati e scende pianeggiante ai margini ed al fronte. Le coste radiali sono numerose, sottili, prominenti, un poco angolose, per lo più cre- scenti per dicotomia, ma talvolta anche pei' interpolazione ; talune di esse sono aggruppate a fascetti di 4 o 5 diverse per dimensioni. Le strie di accrescimento sono poco visibili. L’ esemplare di Meledis presenta spiccatissime analogie coll’ esemplare tipico figurato dal Sovverby nel Silurian System del Murchison, e riprodotto anche dal Davidson nella figura 1 1 della tavola XXX. Di altri due esemplari, provenienti dal Palon di Pizzul, uno è riferibile senz’ altro a questa specie, il secondo invece è un po’ dubbio. Il primo è un modello di valva doi'sale , fortemente carenato , il quale presenta con grande nettezza 1’ aggruppamento delle coste in fascetti di maggiori e minori. Esso offre le maggioi'i analogie coll’ esemplare figurato nella fig. 1 2, della Tav. XXX del Davidson ; solo è di dimensioni più limitate. Il secondo esemplare è pure un modello di valva dorsale, fortemente alato , con in- cavo non molto profondo e nettissime linee di accrescimento, tanto che la conchiglia ap- parisce cancellata. Questo cai'attere distìngue il mio esemplare dalla tipica vespertilio, ove le strie concentriche non assumono in generale tanta importanza, e lo avvicina invece alla forma seguente. Un esemplare, perfettamente rispondente al tipo, e più specialmente alla forma figu- rata dal Davidson nella fig. 19 Tav. XXX, ma di minori dimensioni, proviene dal nuovo giacimento del Chiadin di Danza. La forma, molto variabile di contorno e di ornamenti, si può considerare un fossile guida per il Caradoc inglese : essa difatti solo per eccezione venne rinvenuta anche nel Llandovery. La forma è stata rinvenuta anche in Russia; non venne però mai citata nè a Grand Glanzy nè ad Ugwa. Gas. Meledis. — Palon di Pizzul. — Chiadin di Danza. i Foss/7/ ordoviciani del Nucleo ceulntìe caru/co 39 Orthis noctilio Sharpe 1849. — Ortlìis noctilio — Sharpe — On thè Geology of thè neighbourhoud of Oporto. Qiiayt. douriì. Geol. Soc., \\ pag. 151, tav. VI, hg. 2. 1857. — „ „ .SiiAR. — Meneghini — Paléont. Sardaigne , pag. 114, tav. A tìg. 8 (excl. He et 16). Testa semiovalis aiit semicircnlaris, ultitudine et latitudine fere parihus, uiar- ginibus lateralibus subrectis , fronte rotnndata, leviter sinuata. Linea cardinalis recta , latitndinein testae aeqnans vel snperans , qnandoqne obtnse et brevissime mucronata. Valva ventralis panini conve.xa , in medio plicata , plica proeminens obtnsii. Umbo i eciirvns obtnsns, area depressa. Valva dorsalis sinn mediano pro- fnndo optnso signata ; lobi laterales conve.xi ad marginem cardinalem planinscnli. Umbo obtnsns, brevissimns. Cosine radinles ad nmbonem circiter 15, deinde bifnr- catae, ad marginem circiter 50 ; rotundatae, proeminentes, snlco profnndo, lato disiectae , striis concentricis , praesertim in siilcis i ntercostalibus patentibns can- cellatele. E questa una delle forme meglio conservate tra quelle descritte dallo Sharpe ; ed il Meneghini ne completa benissimo la conoscenza colla sua descrizione e le sue ligure. La forma sarda deve certamente riferirsi a quella portoghese, eccezion fatta per gii esemplari ligurati dal Meneghini nella tìg. He e 16, che del resto il Meneghini stesso aveva indicato come molto dubbiosi. La sola cosa che distingue la forma sarda, ed anche la mia , è il numero delle coste, che è di circa 50 al margine, mentre .Sharpe parla, nella descrizione, di 60-70. Ma, come giustamente nota il Meneghini, in nessuna delle tre figure di .Sharpe si hanno mai più di 50 coste. Anche giustissima e perfettamente rispondente col mio esem- plare è r osservazione del Meneghini che le cestelle concentriche sono assai più visibili nei solchi intercostali che non sull’ alto delle coste radiali. Di questa forma ho un esemplare di valva dorsale, incompleto nella sua parte destra. Completato, il mio esemplare misura mm. 15 di larghezza per mm. 14 di alt&zza. La linea cardinale è poco più lunga della larghezza della conchiglia, di modo che i margini laterali la intersecano quasi ad angolo retto. La fronte è leggermente sinùosa. La depressione me- diana è nettissima ed ottusa. Le costole presso al margine oltrepassano le 45; sono rotonde, rilevate, separate da spazi profondi più larghi delle coste ; queste sono bipartite , ma anche per eccezione tri- partite. Tali costole sono tagliate da numerose, nette costoline concentriche, le quali sono maggiormente visibili nei solchi intercostali. Il mio esemplare , salve le dimensioni minori , presenta le maggiori analogie colla fig. ‘la dello Sharpe e Hg del Meneghini. Questa forma è prossima alla O. vespertilio, ed anzi sul primo avevo riferito ad essa il mio esemplare ; ma se ne distingue però per la forma generale , e più che altro per la sua ornamentazione. Le coste difatti sono nella O. noctilio più forti, meno numerose e nettamente cancellate per 1’ incrocio colle strie e le costoline concentriche. Unico. — Palòn di Pizzul. 40 P. Viìiassa de Pegny [Mkmoria Xll.J Orthis cfr. Bouchardi Daw'. Un frammento di Orthis del Palon di Pizzul presenta innegabili analogie con questa forma descritta dal Davidson nella sua Monografia dei Brachiopodi siluriani, già citata, a pag. 209 e figurata nella Tav. XXVI, fig. 16-23. La caratteristica ornamentazione embriciata, e le costoline minori interpolate alle mag- giori a poca distanza dal margine rispondono perfettamente ; e rispondono pure le limitate dimensioni , non raggiungendo il mio esemplare , completato, i 15 mm. di larghezza. La somiglianza maggiore si ha coll’esemplare figurato dal Davidson nella figura 18. Questa forma è prevalente nel Wenlock , ma scende anche nel Llandovery e nel Caradoc. Unico. — Palon di Pizzul. Ortis carnica n. f. Tav. III. Fig. i8. Testa trasversaliter ovata fere semicirciilaris, latior qiiam allior : latitiido major prope dimidiam testam. Linea cardfnalis recta, latitudine testae panilo mi- nor. Valva dorsalis convexitisctila, praesertim ad nmbonem ; ad aiiriailas cardi- nales panilo excavata. Umbo tennis , obtnsns , parnm recnrvns. Costellae crebrae fasciculatne, maioresve, minoresve alternae. In regione mediana sexdecim, in qna- tnor fascicnlos qnatnorcostatos disposilae , costa mediana majori. Fascicnlis laie- rales carinati, asyrnmetrici : costa ììiajor in snmma carena; in ledere interiore una in exter iore ti es vel qnatnor costellae minores. Ad marginem cardinalem costellae niinores non fascicnlatae. Strine concentricae parnm pedentes. Conchiglia un poco trasversalmente ovata ma quasi semicircolare al suo margine, più larga che alta, misurando essa mm. 8,5 di larghezza e mm. 7,5 di altezza; colla massima larghezza posta poco al disopra della metà della conchiglia : linea cardinale diritta un poco più breve della larghezza della conchiglia stessa. Valva ventrale ignota. V'alva dorsale dolcemente convessa senza incavo mediano ; convessità maggiore spinta un poco verso 1’ umbone ; verso 1’ orecchiette cardinali un poco scavata. Umbone piccolo, ottuso, poco ricurvo. Superficie ornata di numerose costoline caratteristicamente disposte. Esse partono dal- l’umbone biforcandosi varie volte, ed hanno un aspetto fascicolato. Nella porzione mediana della conchiglia si notano quattro fascetti di quattro costcline ciascuno , separati da un solco un poco più profondo di quello che è tra le costoline. La costa ottava mediana tra questi fascetti è maggiore. Ai lati di questa porzione mediana si hanno poi altri quattro fascetti per ogni lato, separati da un solco lineare nettissimo, e tali fascetti sono tipicamente asimmetrici. Hanno cioè una sezione a domo triangolare ed una costa maggiore occupa la sommità dello spigolo ; ma mentre nella faccia volta verso la porzione mediana si conta una sola costolina minore, nella faccia opposta se ne contano da tre a quattro. Si hanno così due facce di questo angolo una minore ed una circa il doppio maggiore. Oltre a que- Foss/U ordoviciani del Nucleo centrale carn/co 41 ste quattro coppie di fascetti, verso il margine cardinale, vengono altre costoline minori ed uniformemente disposte. Le strie di accrescimento sono pochissimo visibili, ma si no- tano due cingoli concentrici abbastanza rilevati. Questa specie ha somiglianza per la forma generale tanto colla O. Edgelliana Salter in Davidson (Op. cit. pag. 231 Tav. XXXII flg. 1-4) , quanto e forse più colla O. Val- pyana Dav. (Op. cit. pag. 235 Tav. XXXII tìg. 21-23). E per le ornamentazioni, in linea generale, nemmeno si notano differenze grandissime ; poiché nell’una specie e nell’altra esse sono costituite da coste maggiori con altre minori interposte e con netto accenno di fasci- colatura. Ma nella O. carnica questa disposizione fascicolata è assai più spiccata non solo, ma anche e più si nota nelle fascicolazioni la disposizione domiforme asimmetrica, con lati pianeggianti ascendenti verso il solco lineare profondo. E caratteristica è pure la presenza dei quattro fascetti quadricostati nella porzione mediana della conchiglia. Per le caratteristiche ornamentazioni, nonostante che si ti’atti di una sola valva, credo giustificato un nuovo nome per questa forma proveniente dagli scisti del Palon di Pizzul. •Stropho.mena expansa Sow. sp. Tav. in, fìg. 22. 1839 — Ortliis expansa — Sowerby — Silur. Sy.st. tav. XX. flg. 14. 1848 — Strophomena expansa Sow. — Phillips a. Salter. Meni. Geol. Surv. London, II, pag. 377. 1871 — „ „ „ — Davidson. Biit. Silur. Brach. pag. 312, tavo- la XLV, flg. 1-10 {cuni syn.). 1883 — „ „ — Davidson. Silur. Suppl. , pag. 194, tav. XV, flg. 1-5. Ne ho un unico esemplare incompleto ma del tutto rispondente. Il contorno è quasi nettamente semicircolare; la valva è difatti più larga che alta; misura, completata, una al- tezza di mm. 48 ed una larghezza di mm. 57. La valva è molto depressa misurando uno spessore di appena 2 mm. La linea cardinale diritta è un poco minore della larghezza della conchiglia, perciò l’ intersezione di essa coi margini laterali è sub-rettangolare. Il mio esemplare rappresenta una valva ventrale. Le costole sono numerose, rotonde, flliformi, di dimensioni diverse ; le maggiori sono poste alla distanza di 0,7-1 mm. e arrivano sino all’umbone; le minori in numero di 2 o 3 sono poste tramezzo ad esse e si arrestano prima di giungere all’ umbone. Tutte hanno un decorso leggerissimamente ondulato. Tutta la superfìcie è segnata da numerose e finissime strie concentriche, che diffìcil- mente si scorgono ad occhio nudo. Lamelle di accrescimento ben nette si scorgono spe- cialmente verso il margine. Il mio esemplare è maggiore di quelli fìgurati dal Davidson : per grandezza si avvi- cina assai ai modelli fìgurati da quest’ autore nella fìg. 9 della tavola XLV7 Del resto il mi N (/) c ^ bD ’É V o u c Si Cas. r2 u > cirj c C 'w/ Cv O O V 2; — + + + _1_ — — — — -f- 1 1 + — — — 4- — - 4- 4- 4- — — — — — — + + + + + + + 1 + 1 1 + 1 4- 4- -4- ■+ — — — — 1 1 1 + 1 11 4- — - — i + 1 1 1 1 — — 4- + — — — — — — z — 4- — — — — — 4- + 4- — 4- -4 4- _l Z z z + 4- + + -T— 4- + 4- ? 4- — — 4- — ■f — 4- — — — — 4- + + — + 4- 4- — — + -f- 4- - 4- -1- } — — — + — — — T — — — — 4- — T — + — — — -r — — + — p — — + — 4- — — — — — 4- 4- — — — 1“ — — — 4- . — — — -4 4-- — — 4- — 4- — 4- — — — 4- .... — 4- + — — 4^ 4- — 4- + — — — -i- + — — — + 4- + + — — 4- 4- + — — + — + 4- — — — — 4- — — — 4- -- — 4- + — — — 4- — — — — — — — — — — H- — — — + — — — — 4- — — — + — — — Fossili oì'doviciani del Nucleo centrale caruico 47 Di queste 51 forme, talune, e precisamente 14, non offrono sicurezza di determina- zione. Le l'imanenti tutte quante accennano alle somiglianze grandissime col bacino inglese. Escludendo le Monticuliporidi, che sono per la maggior parte nuove e che nel bacino inglese attendono ancora uno studio compiuto, noi non troviamo che due sole specie ; 1’ Ortliis ellipsoides Barr. e V Orthis noctilio Sh. , che non siano rappresentate in Inghilterra e più precisamente nel Caradoc inglese. Ma tanto 1’ ellipsoides quanto la noctilio si tro- vano rispettivamente in Boemia ed in Portogallo in strati contemporanei al Caradoc. Non vi può quindi esser dubbio che gli scisti di Cas. Meledis, del Pizzul e del Chiadin di Lanza appartengano all’ Ordoviciano superiore, o Caradoc. Difficile è dire con esattezza a quale assise speciale del Caradoc gli strati della Car- ola corrispondano. La divisione in zone dalle Trilobiti o dalle Gi'aptoliti, come si è fatta in altre regioni ordoviciane, non si può applicare ai giacimenti camici che mancano di questi fossili. Non restano dunque che le condizioni di giacitura, e queste, specialmente per Cas. Meledis ove gli scisti con O. Actoniae sottostanno immediatamente al Gotlandiano inferiore fossilifero, mostrano che si ha a che fare con una zona superiore del Caradoc. Ed appunto a questa epoca riferisco gli scisti ordoviciani studiati , tal quale come a quest’ epoca vanno riferiti gli scisti di Grand Glanzy, litologicamente e faunisticamente identici. Del resto talune for- me, come r 0. cfr. rustica di Lanza accennano nettamente ad una età più recente. Ma sopra un’ altra rispondenza litologica e faunistica mi piace qui di insistere. Cioè sulla rispondenza col Caradoc tipico della Sardegna. Come ho già accennato, del Siluriano sardo pochissimi si sono occupati. Dai trattati- sti che vanno per la maggiore si cita il Bornemann , ma si tace o quasi del Meneghini. Nella Lethaea del Ròmer soltanto (I Bnd. 1, pag. 24) si cita, sulla fede del Murchison (Siluria, Ed. \q 1872, pag. 422), la presenza in Sardegna del Siluriano inferiore e supe- riore presso Piumini Maggiori pei' le ricerche di La MariMora e Meneghini. Ma il Frech , nella continuazione della Lethaea (1897) , nemmeno nelle Tabelle di rispondenza pone la Sardegna ; e pure vi pone altri giacimenti poveri e mal noti, del Portogallo ad esempio. Nè diversamente agisce il Lapparent , il quale anch’ esso tratta superficialmente del- r ordoviciano sardo, limitandosi a citare la memoria illustrativa dello Zoppi sui giacimenti minerari dell' Iglesiente. Il recente buon trattato del Haug è, almeno per quanto si riferisce al Paleozoico ita- liano , molto superficiale ed inesatto. 11 trattato , quantunque a scopi editoriali non porti data, è comparso nel 1908. Ma in esso non si tien nota di quanto è stato fatto in Italia in questi uliimi anni ; non solo , ma poco il Haug sembra conoscere anche degli scrittori antichi. A proposito della Sardegna infatti egli, se avesse idea dell’esistenza dell’opera mo- numentale del Lamarmora e del Meneghini, che pure è scritta in francese, non direbbe che; “ Rien ne peimet de l'aire croire en Sardaigne à une lacune entre le Cambrien et l’Ordovi- cien.... Le calcare metalifero est envisagé par Bornemann comme un terme de passage A sa partie superieure il alterne avec des schistes à Dalmanites et Couularia.... L’etude detaillé de 1’ Ordovicien de Sardaigne est encore à faire. „ Nè meno superficiale è del resto l’indicazione del Haug (II, 1, pag. 652) sul Gotlandiano sai'do. Ora invece, dallo studio geologico e paleontologico del Meneghini (Op. cit. pag. 88), risultano nel .Siluriano sardo nettamente distinti, oltre del Cambriano, il Caradoc fossilifero 48 P. Vinassa de Re^ny [Memoria XII. j con la facies corallina e quella a brachiopodi , tal quale come nelle Gamiche e a Grand Glanzy, e il Gotlandiano inferiore e superiore. Le forme comuni ai due giacimenti carnico e sardo sono numerose ; esse sono difatti : (?) Trematopora Pironai Vin. Corylocrinus sp. (?) Triplesia spiriferoides M’ Coy. Orthis Acioniae Sow. O. calligraiuma So\\\ O. cfr. testudinaria Dalm. (?) O. alternata Sow. O. pathera .Salt. in Mngh. O. hiforata v. Schlth. sp. O. Noctilio Sharper Strophomena expansa Sow. sp. Leptaena cfr. productoidea Mngh. E sono più che sicuro che nuovi studi su nuovo materiale faranno crescere notevol- mente questo numero ; intanto posso accennare sino da ora alle grandi somiglianze con forme carniche dei Tabulati sardi, che necessitano un nuovo ed accurato studio. Questa connessione tra le Alpi orientali e la Sardegna ha grande interesse, tanto più che già nella fauna alpina comparisce una forma, 1’ O. noctilio Sharpe, che, frequente in Sardegna , è caratteristica in Portogallo ove sembra vicaria della O. vespertilio Sow. Avremmo così una connessione del mare ordoviciano delle Alpi orientali da un lato per intermediario della Sardegna col mare iberico , dall’ altro col mare inglese mediante i gia- cimenti della Francia. La comunicazione tra il mare carnico e quello inglese doveva però essere di maggiore importanza, in quanto gli elementi faunistici del Caradoc inglese sono numerosi nel mare carnico e vanno gradatamente diminuendo verso la Sardegna. Poco importante invece era la comunicazione col mare boemo. Soltanto Monotrypa certa Pocta, Orthis ellipsoides Barr. e la diffusissima Strophomena rhomboidalis Wilk. sp., sono comuni ai due giacimenti. La separazione del bacino boemo, nettissima del resto sino dal Siluriano più antico, si mantiene tuttora ed è perciò tanto più interessante 1’ in- vasione neosilurica delle forme boeme nel bacino delle Alpi orientali, invasione di cui ab- biamo tracce numerosissime sino dall’ inizio del Gotlandiano. Catania, Istituto geologico della R. Università, mar\o i^io. SPIEGAZIONE DELLA TAV. L SPIEGAZIONE DELLA TAV. I. Fig'. 1- 4. — Monlicnlipora {Monotrypa) cantica Viti. 1. Esemplare visto di fianco . . . , 2. Sezione longitudinale. .... 3- Porzione della stessa. .... 4. Sezione tangenziale ..... » 5- 8. — Moniiculipura {Monotrypa) certa Poeta . 5. Contorno di un esemplare sezionato. 6a. Esemplare visto dall’ alto .... 6b. Suo contorno in sezione .... 7. Sezione tangenziale ..... 8. Sezione longitudinale ..... » 9-lÌ. — Monticuìipora {Monotrypa) Paronai Vin. .9. Esemplare visto di fianco .... 10. Sezione longitudinale. .... 11. Sezione tangenziale ..... » 12-17. — Monticuìipora (Monotrvpeìla) Consuelo Vin. 12. Esemplare rotto per metà. 13. Porzione inferiore di un rametto biforcato 14. Sezione longitudinale mediana di un ramo 15. Sezione trasversale di un ramo. 16. Sezione trasversale ..... 17. Sezione longitudinale. .... » 18-19. -- Trematopora Pironai Vin. . . . . 18. Modello in plastilina della superi', esterna. 19. Sezione trasversale di un giovane ramo » 20-22. — Monticuìipora {Monotrypelìa) italica Vin. 20. Esemplare in parte sezionato 21. Sezione longitudinale. . , . . 22. Particolare della superficie. » 23-25. — Monticuìipora (Helerotrypa) Dalpiaxj Vin. 23. Esemplare sezionato ..... 24. Sezione longit. di un ramo, trasversale di un ramo adiacente .... 25. Sezione prevalentemente trasversale . » 26-28. — ; Monticuìipora {Callopora) forumjuliensis Vin 26. Esemplare frammentario .... 27. Sezione trasversale ..... 28. Sezione longitudinale ..... Ingr. 2 : i » 3:1 » 10; I » 6:1 Grand, nat. » Ingr. 5 ; i » 5:1 Grand, nat. Ingr. 8 : i » 8:1 Grand, nat. » Ingr. 4; I » 4:1 » 6:1 » 6 ; I Ingr. 3 : i » 20 : I Gratid. nat. Ingr. 5 : i » 5:1 Ingr. 6 ; i Ingr. 9: I » 9:1 Grand, nat. Ingr. 7 ; i » 7:1 pag. Ciis Meledis » » » Chiadin di Lanza » » Palon dì Pizzul »- Chiadin di Lanza » » Chiadin di Lanza » » ' » » » Palon di Pizzul » Palon di Pizzul » » Chiadin di Lanza Chiadin di Lanza » Chiadin di Lanza » » » » » » Tutti gli esemplari si conservano nel Museo geologico della R. Università di Catania. Mem. Accad. Gioenia Se. nat. Catania Serie 5. Voi. III. VI NASSA. Fossili orcloviciaui d. Cariiia Tav. I. P. MARZARI i C. - SCHIO SPIEGAZIONE DELLA TAV. IL SPIEGAZIONE DELLA TAV. IL 1-7. — Monticuliponi (Callopora) Taramellii Vin. pag. I. Esemplare in modello ..... Grand, nat. Palon di Pizzul 2-3. Esemplari rotti nel mezzo .... Ingr. 2 I Gas. Meledis 4. Esemplare in modello ..... Grand, nat. Palon di Pizzul 5. Sezione prevalentemeute longitud. Ingr 6 I Chiadin di Lanza 6. Sezione trasversale di un ramo giovane . » 5 I Gas. Meledis 7. Sezione trasversale di ramo .... » 9 I Ghiadin di Lanza 8-11. — MonLicnlipora (Frasopora) fistuliporoides Vin. » 8. Esemplare visto di fianco .... Grand, nat. Chiadin di Lanza 9. Sezione trasversale ...... Ingr. 3 I » IO. La medesima ....... » 6 I » II. Sezione tangenziale. ..... » 6 I » 12-14. — Fenestella (Reteporina) carnica Vin. » 12. Esemplare originale ..... Ingr. 2,5 I Palon di Pizzul 13. Impronta in plastilina ..... » 3 . r » 14. Particolare della superficie porifera. » IO r » 15-16. — Berenicea gigantea Vin. .... . . . . » 15. Esemplare infundibuliforme con resti di zooari Ingr. 3 I Palon di Pizzul :6. Esemplare con numerosi zooari • » 3 I » 17-19. — Polypora Tommasii Vin. .... » 17. Particolare dal modello della superficie porifera Ingr. 3 : I Palon di Pizzul 18. Esemplare originale con porzioni di superi. non pori fera ..... . » 2.5 : I » 19. Modello in plastilina dell’esemplare Grand, nat. » 20-22. — Slrialopora Gortanii Vin. .... 20. Esemplare incompleto ..... Grand, nat. Gas. Meledis 21. Sezione trasversale ...... Ingr. IO : I » 22. Sezione longitudinale ..... » 2 : I » Tutti gli esemplari si conservano nel Museo geologico della R. Università di Catania VI NASSA, iossili ordoviciani d. Cariiia. Ta.v. II. AUT. DIS. £ FOT. Mem. Accad. Gioenia Se. nat. Catania Serie 5. Voi. III. P. MAR2ARI C, SCHIC SPIEGAZIONE DELLA TAV. IIL SPIEGAZIONE DELLA TAV. III. Fig 1-2. — Coryìocrinns carniciis Bather .... pas:. 18 I. Esemplare visto di sotto ..... Ingr. 2 : I Gas. Meledis 2. Modello in cera di una parte del lato posteriore » I : 2 3. Esemplare visto di sopra ..... » 2 : I » 6-7. — Corylocrìnus sp. nov. ..... » 19 4. Impronta della superficie esterna di una placca eptagonale ..... Ingr. 2 : I Palon di Pizzul 5. Modello in cera della porzione inferiore della stessa » 2 : I » » 4-5. — Pommhoniies intercedens Pand. var. filosa M’ Coy » 21 6a. Esemplare in grand, nat. Palon di Pizzul 6h. Particolari dell’ ornamentazione » 6c. Porzione cardinale ...... » 7. Altro esemplare in grand, nat. Chiadin di Lanza » 8. — Triplesra insularis Eichw. .... » 23 8fl. Esemplare in modello ..... Ingr. 2 I Palon di Pizzul 8^. Modello interno in plastilina .... » I •5 : 1 » » 9. — Orthis porcata M’ Coy ..... » 2 I » » 30 » 10. — Orthis cfr. porcata M’ Coy. .... Grane . nat. » » 3' » 11. — Orthis Actoniae Sow. ..... Ingr. 2 I » » 23 » 12, — Orthis cfr. flabellulum Sow. .... Grand nat. » » 28 » 13. — Orthis flabellulum Sow. ..... » » » » 27 » 14. — Orthis unguis Sow. ...... Ing:r. 2 I » » 31 » 15. — Orthis calli gramma Dalm. ..... » 2 I » » 28 » 16. — Orthis cfr. Menapiae Hicks .... » 2 : I » » 32 » 17. — ,) » » » .... » 2 I Chiadin di Lanz.t » 32 » 18. — Orthis carnica Vin. ...... » 40 i8a. Modello in plastilina dell’ esemplare Ingr. 5 • I Palon di Pizzul \ih. Particolari dell’ ornamentazione . » » 19. — ■ Triplesia (r) spiriferoides M’ Coy sp. Cas. Meledis » 24 » 20. — Orthis ellipsoides Barr. ..... Ingr. 2 : I Palon di Pizzul » 35 » 21. — Orthis retrorsistria M’ Coy. .... » 2 I » » 35 » 22. — Strophorneva expansa Sow. .... » 2 I » » 49 » 23 a-b. — Orthis biforata v. Schlth. sp. . . . Cas.. Meledis » 37 » 24. — Leptaena trasversalis Wahl. .... Ingr. 2 ; I Palon di Pizzul » 43 » 25. — Leptaena sericea Sow. ..... » 2 : I » » 43 Tutti gli esemplari si conservano nel Museo geologico della R. Università di Catania V \ Ì! i h il' Mem. Accad. Gioenia Se. nat. Catania Serie 5. Voi. III. VI NASSA. Fossili ordoviciaiii d, Carnia Tav. III. AUT. DIS, E FOr. P. MARZARl A. C. SCHIO Memoria XIII Sulle successioni di funzioni ortogonali Nota di CARLO SEVERINI Nell’ ultima adunanza di questa Accademia ho presentato una breve Nota, in cui sono riassunte alcune mie ricerche intorno agli sviluppi in serie di funzioni ortogonali. Limitan- domi per semplicità al caso di una sola variabile, ho tra l’ altro dimostrato il seguente teorema ; La funzione f (x) e le: siano, iìi un intervallo finito (a, b), sommabili insieme ai loro quadrati, e le V/; (x) soddisfino alle condizioni : ove p (x) è una funzione determinata per ciascuna successione (1), misurabile, li- mitata ed avente un limite inferiore maggiore di zero nell’ intervallo (a, b). Se, ove esistano soluzioni effettive 6' (x) (che non siano cioè ad integrale nullo) delle equazioni : supposta convergente, rappresenta, eccettuati al più i punti di un insieme di mi- sura nulla, la funzione f (x) , ad essa tendendo in egual grado, se si escludono Atti Acc.. Skru: V. Vol. III. Meni. XIII. (1) {k = l, 2, . . . , oo) a (2) {k = 1 , 2, . . . , oo) , a si ammette che, per ognuna di queste soluzioni si abbia : ‘b (3) a la serie : (^) co a I 2 Carlo Severiììi [Memoria XIII.] i punti di un insieme di misura minore di una quantità positiva, che può essere scelta comunque piccola ; è inoltre integrabile completamente per serie. A riconoscere se le condizioni del precedente teorema .sono soddisfatte, ed in partico- lare se non esistono soluzioni effettive delle equazioni integrali (2), nel qual caso la suc- cessione (1), come è noto, si dice, chiusa, e solo occorre tener conto della convergenza della serie (4), giovano le considerazioni, che qui vengono esposte. l. La proprietà che la (1) sia chiusa è caratterizzata dal Fatto che per ogni funzione f (x) , sommabile insieme al suo quadrato nell’ intervallo {a, b), si abbia; (5) P l-v) f{x) dx = A,:- , 1 o, ciò che è lo stesso : (6) \p{x) f{x)-S„{x) 11 ex: ' dx = 0 ove si è posto ; (x) Zh Vk (x). Per la validità della (5), che è il punto di partenza nella dimostrazione del teorema sopra ricordato, è necessario e sufficiente, ove la (1) non sia chiusa, che per ogni solu- zione effettiva delle (2) risulti verificata la (3). (*) 2. Trasformiamo la condizione espressa dalla (5). Si ha anzitutto: p (x) | /(x)— S„ (x) I dx ^ < p (x) /(x)— S„ (x) r dx / p (x) dx > ■ e, se / è il limite inferiore della p (x’I nell’ intervallo [a, b) ; . l rh I /(x) — S„ (x) I dx ^ i p (cc) /(x) — S„ (x) dx / p (x) dx ; 1 ) ’ donde si deduce per la (6) : (7) lim w — co I /(x) — Sa (x) I dx = 0 {a n / (9) I p (aà ./■(.vi '^dx~^\Af= p(x) fix) - S„ (ai •y a a che ha luogo qualunque sia n , esiste una funzione (.t) , sommabile insieme al suo qua- drato nell’ intervallo {a, b) , e tale che si ha ; p (.vi /; (.V) dx — Af , A„ = f p (ai/l (a) V„ (a) dx ; e quindi, per quanto è stato sopra detto ; /i (.r) dx = Al, / V,,. (ai dx j a {a 3) le radici positive di una delle seguenti equazioni; P,, (^) = 0 , P', {b)=0, 3- P', {3) - hP,, (3) = 0, = 1, 2, . . . . , 00) soddisfacenti alle condizioni : y!:+(Kp-g) K=o V,[Ph v, = o per a (x’) Fft/(x) (l^/^'^«) ed integrando, deduciamo ; I p (x)Rn(x) V/,(x)dx = 0 (k = l, 2, . . . . , n). Risulta dunque ; (15) Bn= / p {x) f{x) Rn{x)d.v. Moltiplichiamo ora entrambi i membri della (13) per p(x) «pv (»), entrambi i membri della ( 14) per p (x) f (x) , ed integriamo. Otteniamo : " (v) / p {x) f[x) cp,^ {x) dx = Zn A„ B„ -j- P (x) Fissato ora un numero positivo a , arbitrariamente piccolo, si determini anzitutto un Atti Acc. Seiuk V, Vor. III. Me/n. XIII. 2 10 Carlo Severini [Memoria XIII. J valore v' di v tale che si abbia ; (20) 6- ' \p («■) f ('^) — 3 S Intorno al! Altinonietro .-Inigo TABELLA IL A Umidità Attili.» Arago D Z Term.o Nord relativa Cielo Nero Lucido Differenza 57»28' 2 I^Ó 64 azzurro 36»6 27^7 8"9 56 20 22 6 62 id. 37 4 28 3 9 I 53 IO 22 9 6r id. 38 6 29 5 9 I 50 52 23 8 59 id. 39 6 30 1 9 5 48 IO 24 2 59 cirri vicini 40 0 30 7 9 3 44 40 26 2 55 al 0 42 7 32 4 IO 3 41 30 27 0 51 azzurro 45 0 34 0 1 1 0 38 40 27 2 51 id. 46 4 34 7 Il 7 34 50 30 0 44 id. 49 5 37 2 12 3 31 25 30 4 40 id. 50 0 37 6 12 4 Anche le tabelle seguenti III e IV, contengono due serie fatte in condizioni di cielo simili tra loro, delle quali la terza aveva per sottosuolo il solito tavolo coperto di bacinelle di porcellana bianche e nella quarta il tavolo ei'a invece ricoperto di pezzettini di carbone coke triturato. TABELLA III. A Umidità Attin.» Arago DZ Terni.» Nord relativa Cielo Differenza 58052' 2 5»0 65 azzurro chiaro 3905 3o»7 8»8 57 40 25 0 64 id. 40 2 30 9 9 3 5 5 20 2 5 6 62 id. 40 9 3' 5 9 4 5 3 20 26 1 61 id. 41 7 32 0 9 7 51 52 26 0 60 id. 42 6 32 7 9 9 48 5 5 27 5 58 id. 44 0 33 6 IO 4 46 30 29 0 S4 id. 45 5 35 0 IO 5 42 50 30 8 49 id. 47 6 36 6 1 1 0 40 30 31 0 49 id 48 7 37 5 1 1 4 36 25 31 6 46 id. 49 9 38 0 Il 9 TABELLA IV. 57o55' 2406 69 azzurro chiaro 35 00 2805 ó»5 56 45 25 8 64 id. 38 5 30 3 8 2 5 5 20 25 6 64 id. 39 6 31 I 8 5 52 40 26 0 64 id. 40 I 3> 5 8 6 50 40 26 3 61 id. 41 4 32 5 8 9 47 45 29 0 52 id. ^3 7 34 3 9 4 45 25 28 8 55 id. 44 I 34 5 9 6 42 0 31 0 50 id. 47 0 37 0 IO 0 38 50 30 8 48 iti. 48 4 37 9 IO 5 3 5 28 32 0 41 id. 49 4 58 4 1 1 0 4 Dott. Guido Raffo [Memoria XI\’.| Per amore di brevità termino questa nota colle due seguenti tabelle, ottenute in con- dizioni di cielo simili tra loro, durante le quali il solito tavolo era ricoperto di rena del Ti- cino, per uno spessore di due centimetri circa, durante la VI serie la rena era di continuo tenuta bagnata. TABELLA V. A Umidità Attili » Arago DZ Termo Nord relativa Cielo Nero Lucido Differenza 59°i5' 2506 68 azzurro chiaro 3809 30”8 8«i 56 50 26 2 65 id. 40 5 32 0 8 5 55 4 26 6 64 id. 41 2 32 5 8 7 53 18 27 0 62 id. 42 0 33 0 9 0 51 IO 28 2 62 id. 43 I 33 9 9 2 48 20 28 8 58 id. 45 4 35 7 9 7 45 IO 29 9 55 id. 47 4 36 8 IO 6 42 0 30 6 51 id. 48 8 37 7 1 1 I 38 IO 31 8 49 id. 50 2 59 0 I l 2 35 40 33 0 46 id 51 40 0 ' ' 5 TABELLA V 1. 57°5o' 2ó°8 65 azzurro chiaro 3 8-’ 2 31"! 7“I 56 32 27 0 65 id. 40 \ PI 8 I 55 15 27 8 64 id. 41 7 3 5 0 8 7 53 IO IO 00 59 id. 42 6 3 3 <2 9 0 00 0 30 0 59 id 45 8 54 4 9 4 0 00 29 4 59 id. 45 2 3 5 4 9 8 46 0 31 8 53 id. 46 8 36 5 IO 3 42 8 32 6 50 id. 48 5 37 7 IO 8 39 0 3 3 7 48 id. 50 5 39 I Il 4 36 0 34 3 46 id. 52 I 40 4 Il 7 Riassumendo, dalle tabelle I e II tra loro e dalla III e IV tra loro si vede chiaramente che il colore del suolo influisce non solo per il maggiore o minore riscaldamento ma anche sulla luminosità; e che dalle tabelle V e VI tra loro si vede che l’umidità non influisce affatto sulla maggiore o minore luminosità. (1) Da tutte le serie si rileva che alla maggiore o minore luminosità, resta quasi indiffe- (i) Per convincersi che veramente la differenza ira i due termometri indica il grado di luminosità, basta tenere uno per mano gli involucri dell’ attinometro, e si vedrà che i due termometri vanno di pari passo, senza differenza alcuna. Intorno all’ Attinonietro Arago rente la temperatura del termometro a Nord, e che invece interessa moltissimo la distanza zenitale. Concludendo parmi poter affermare che tra gli attinometri empirici, quello Arago pre- senta dei v^antaggi sugli altri, poiché è interessante determinare la luminosità delle giornate la quale concorre molto alla nutrizione e sviluppo dei vegetali e quindi possa generalmente rendere utili servigi all’ agricoltura. Pavia, Maggio 1910. Memoria Istituto d’ Anatomia e Fisiologia comparate della R. Università di Catania Su l’accelerazione dei processi anabolici nell’ ovaia delle Coniglie tenute in digiuno e sol suo valore biologico Nota di ACHILLE ROSSO (Con una Tavola microfotografìca ) In un precedente lavoro ho rilevato (1) alcune modalità, mediante le quali, nelle Co- niglie tenute in digiuno completo di 4-5 giorni, aumentava nell’oocite ii materiale nutritizio 0 dentopìasma. Nello stesso tempo rilevavo che le cellule follicolari aumentavano la loro attività secretrice per la preparazione del materiale nutritizio suddetto. Nuovi esperimenti fatti su gli stessi animali mi permettono di confermare tali osser- vazioni, di aggiungere nuove particolarità del fenomeno e di intrattenermi sul suo valore biologico (2). Il materiale nutritizio, come io ho dimostrato nei precedenti lavoii (3), è rappresentato nell’ ovo della Coniglia dai vacuoli e dai globuli sl struttura mielinica, i quali normalmente (1) A. Russo — Sui mutamenti che subiscono i mitocondri ed i materiali deutoplasmici dell’ oocite di Coniglia in diversi periodi di inanizione. Arch. f. Zellforschung. B. 5. Heft 2. 1910. (2) Ad ogni Coniglia tenuta in digiuno fu sempre lasciata per controllo una Conigli.» di peso e di età quasi simile. Per lo più per questi esperimenti furono scelte Coniglie giovani da 4 ad 8 mesi. Riferisco le pesate di una sola coppia di Coniglie, potendosi ritenere che su per giù la diminuzione di peso nelle Coniglie digiunanti siano quasi simili. Coniglia di 5 mesi, tenuta in digiuno completo 4 giorni, dette successivamente le seguenti pesate : I» giorno Kg. i. 270 2'^ » » I. 260 3 " » » I . I 5 o 4" » » I. 130 5“ » » I. 018 Coniglia normale della stessa etcà, pesò successivamente : i® giorno Kg. 250 2" » » 1.235 3” » » I. 280 4“ » » I. 300 5" » » I. 352 (3) A. Russo — I mitocondri ed i globuli vitellini dell’ oocite di Coniglia allo stato normale ed in con- dizioni sperimentali. Contributo allo sviluppo del deutolecite ed alla differenziazione sessuale delle ova nei Mammiferi — Atti Acc. Gioenia Se. Nat. Catania — Voi. 2“, Ser. 5», 1909. Atti Acc., Serie V, Vol. III. Mem. XV. i 9 Achille Russo [Memoria X\’J. si formano nell’ oocite con follicolo polistratificato e raggiungono il massimo sviluppo quando nel follicolo stesso si sono costituiti degli spazi pieni di liquor folliciili. - Nelle Coniglie digiunanti (1° periodo di digiuno) si osserva invece un’accelerazione nella formazione e sviluppo dei detti materiali, come facilmente si rileva, osservando le Microfotografie qui annesse, che rappresentano alcuni stadi di oociti normali con i corri- spondenti di Coniglie digiunanti. In queste (fig. 2) gli oociti con un solo piano di cellule cubiche o quasi presentano « in diverso grado già formati i globuli a struttura mielinica, mentre nelle Coniglie normali < (fig. 1) in questi stessi stadi tali materiali non si sono ancora sviluppati, osservandosi { solo le granulasioni mitocoudriali, addensate per lo più alla periferia del vitello. i Negli oociti più avanti in sviluppo, cioè con follicolo di due o tre piani di cellule, i \ materiali deutoplasmici sono ancora più abbondanti. Difatti, come si vede nella microfo- ^ tografia 4, i globuli vitellini sono cosi grossi e numerosi, da riempire tutto il protoplasma dell’ ovo. I vacuoli sono anche bene costituti, occupando quasi tutta 1’ area del vitello, come si osserva nella Microfot. 6, che rappresenta uno stadio poco più avanzato di quello rap- ; presentato nella Microfot. 4. In questi stessi stadi nelle Coniglie normali i materiali nutritizi, cioè i globuli a strut- tura mielinica^ non sono ancora formati, poiché, come si legge nel mio precedente lavoro (1), essi cominciano a svilupparsi in quelli più evoluti, quando cioè 1’ uovo è rivestito di un follicolo polistratificato. L’ ovo rappresentato nella microfot. 3, presa da Coniglia normale, in cui il follicolo è di tre piani, presenta solo la rete mitocoiidriale, ma non ancora i globuli. Negli stadi finali dello sviluppo delle ova, i processi costruttivi di materiale elaborato, che si immagazzina nel vitello dell’ ovo, cessa ed il materiale istesso, che si era già for- mato, permane quasi inalterato, fino a che per un più prolungato digiuno (2® periodo o periodo finale del digiuno) non viene impiegato dall’ oocite a proprio benefizio (2). Differenze apprezzabili non ho potuto osservare negli oociti con follicolo avente una cavità follicolare delle Coniglie digiunanti in confronto dei corrispondenti stadi delle Coniglie normali. Soltanto i globuli vitellini sembrano essere più piccoli. ■Jf * * In rapporto allo sviluppo precoce dei materiali deutoplasmici, osservati in un primo periodo di digiuno, anche le cellule follicolari, che circondano gli oociti nei primi stadi del loro sviluppo, aumentano la loro attività specifica di cellule assorbenti e secernenti. Tale (1) Russo A. — I mitocondri ed i globuli vitellini dell’ oocite di Coniglie allo stato normale ed in con- dizioni sperimentali. Contributo allo sviluppo del deutolecite ed alla differenziazione sessuale delle ova dei Mammiferi. (Nota C). Atti Acc. Gioenia di Se. Nat. Catania, Voi. IL Ser. 5®- 1909. (2) Nel digiuno prolungato per molti giorni, i materiali deutoplasmici vengono quasi totalmente distrutti, perchè impiegati a benefizio dell’ovo. Tale risultato potrebbe anche essere di accordo con le vedute generali, che considerano L ovaia quasi come un organo privilegiato, il quale in un primo periodo di digiuno si av- vantaggia della liquidazione di altri tessuti. Quando però questo pabulo si è esaurito, l’ ovo stesso, non potendo attingere il nutrimento dall’ esterno, consuma i materiali che prima aveva immagazzinato, mentre negli stadi finali consuma anche le proprie cellule follicolari, le quali, come ho anche io dimostrato (Cfr. Atti Acc. Gioenia, Voi. II, Ser. 5^ Nota 2^, 1909), degenerano mediante il processo di cariolisi e si trasformano in materiale nutritizio. Su r accelerasioue dei processi anahoìici nell' ovaia delle Coniglie ecc. 3 fenomeno è specialmente apprezzabile nei follicoli monostratifìcati. Nei follicoli a cellule piatte il protoplasma è molto sviluppato, specialmente dove poggia sul vitello, mentre nel normale le stesse cellule sono per lo più delle sottili lamelle. Oltre a ciò, nel protoplasma che poggia su 1’ ovo si osservano dei globuli di secrezione, che nel normale in tale stadio mancano affatto, e che attestano come in un primo periodo di digiuno in tali elementi au- menta il potere di elaborazione dei materiali nutritizi (Vedi fig. nel testo del lavoro avanti citato, 1910). Ma il fenomeno è più spiccatamente evidente quando le cellule follicolari sono dive- nute cubiche. In questo stadio, come si osserva nella Microfotografia 2, il protoplasma delle cellule follicolari, che poggia su 1’ ovo, è molto sviluppato e vacuolizzato ed in esso si osservano numerosi globuli di secrezione, tinti in rosa col metodo Benda, insieme ad abbondanti granulazioni tinte in azzurro. In questo stadio la sona pellucida, che è un prodotto di elaborazione delle cellule follicolari, è completamente sviluppata, mentre nelle Coniglie normali in questo stesso stadio essa è rappresentata da una esile membrana. Si confronti, per averne chiara 1’ idea, la fig. 2, avanti citata, e la Micro fotografia 1, che rappresenta uno stadio di oocite normale poco più avanzato ed in cui, ciò non ostante, la sona pellucida ancora non è comple- tamente sviluppata. Negli stadi più evoluti i processi di elaborazione dei materiali nutritizi, sono poco apprezzabili nelle cellule della granulosa. * * * L’ epitelio germinativo, che riveste l’ovaia e che è bagnato dal liquido peritoneale, aumenta la sua attività di epitelio assorbente e secernente nel digiuno completo di 4-5 giorni. Difatti, come si osserva nella Microfotografia N. 5, esso si presenta più spesso e con protoplasma basale o prossimale, poggiante su V alhnginea, allungato e vacuolizzato, similmente a quanto fu da me (1) riprodotto sperimentalmente, iniettando della Lecitina nel cavo peritoneale. Nelle Coniglie normali invece 1’ epitelio stesso è basso, con scarso protoplasma e con nucleo appiattito o rotondeggiante. Il reperto sopra riferito attesta che in un primo periodo del digiuno 1’ epitelio germi- nativo è in fase di assorbimento e di secresione interna e che il pabulo per 1’ avve- rarsi di tale processo trovasi nel liquido sieroso peritoneale. È lecito da ciò supporre che la denutrizione degli altri tessuti, attestataci dal dima- gramento e dalla rilevante diminuzione di peso, avvenga non solo per il consumo dei ma- teriali necessari alla vita degli stessi tessuti, ma anche perchè una porzione di tali mate- riali entra in circolo e va a benefizio dell’ovaia. L’esatta constatazione di tale fenomeno però meriterebbe una ricerca più minuta, ma noi crediamo di non errare, affermando per sem- plice analogia, in base cioè allo stato in cui si trova V epitelio germinativo, che la liquidazione parziale di alcuni tessuti debba anche avvenire a vantaggio della gonade. (i) Russo A. — Modificazioni sperimentali dell’ elemento epiteliale dell’ovaia dei Mammiferi. — Atti R. Accademia dei Lincei. Roma, Voi. VI. Ser. 5^ 1907. » » — Studien ueber die Bestimmung des weiblichen Geschlechtes — Jena, 1909. 4 Achille Russo [Memoria XV']. *: * * I fatti sopra riferiti si collegano con quanto fu osservato dal Miescher (1) molti anni or sono, durante il digiuno naturale a cui vanno soggetti i Salmoni del Reno, quando rimontano l’ Alto Reno nel periodo della fregola. Durante questo periodo i .Salmoni non prendono nutrimento, come è dimostrato dall’ essere 1’ intestino sempre vuoto; però, mentre la massa generale del corpo diminuisce di peso, l’ovaia cresce dal 0,4 al 0,19, fino al 27 °/o del peso del corpo. I materiali necessari allo sviluppo delle glandule sessuali sono forniti essenzialmente dalla muscolatura del corpo, in ispecie dai grossi muscoli del tronco, i quali, come dimostrò il Miescher, diminuiscono in ragione dell’ aumento di peso delle ovaie. Ana- logamente il Miescher potè anche osservare che mentre le ova si ai'ricchiscono di Lecitina e di Nucleina i muscoli se ne impoveriscono. Dopo tale constatazione di fatto era probabile che qualche cosa di simile dovesse av- venire in altri animali, tenuti artificialmente in un conveniente digiuno. La prova viene fornita da queste ricerche, le quali mettono in rilievo molto chiaramente il fenomeno del- l’accelerazione dei processi costruttivi del materiale deutoplasmico nell’ oocite, specialmente nei primi stadi del loro sviluppo. Dal complesso di queste ricerche pare in ogni caso dimostrato che nella Coniglia il digiuno in un primo momerrto agisca come uno stimolo, il quale eccita l’ovaia a compiere più energicamente le sue funzioni. Quale sia la natura di tale stimolo nel nostro caso è difficile a precisare. Il Luciani (2), fondandosi su 1’ osservazione del Miescher, afferma che nel caso del Salmone V inanisione assume V iiìiportansa di una vera funsione fisio- logica, diretta a favorire Vevolnaione degli organi sessuali a spese degli altri tessuti e conseguentemente ad assicurare la grande funaione riproduttiva di detti animali. I fatti osservati nella Coniglia potrebbero anche accordarsi con tale ipotesi; però, mentre nel Salmone il digiuno è naturale, per cui pare si tratti di un adattamento fisio- logico, che conduce alla formazione di elementi sessuali maturi normali, nella Coniglia il fenomeno è artificiale e non ha lo stesso scopo. Catania, Luglio 1910. (1) Miescher R. — Ueber das Leben des Rheinlachses im Susswasscr. I Abtheil. Arch. f. Anat. und Entwicklungsgesch. i88i. (2) Luciani L. — Fisiologia dell’ Uomo — Voi. IV, pag. 496, 1910. Su V accelerazione dei processi anaholici nell ovaia delle Coniglie ecc. 5 SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Tutte le Microtbtogratìe furono riprodotte da preparati di ovaie, fissate col Benda e colorate con Ematossilina ferrica. Le microfot. 1 e 3 appartengono ad ovaia di Co- niglia normale ; le Microf. 2, 4-, 5 e 6 a quella di una Coniglia di 5 mesi tenuta 5 giorni in digiuno completo. Fig 1 Oocite con follicolo di un solo piano di cellule che in qualche punto si sono scisse per formare il follicolo di due piani cellulari. Nel vitello si osserva solo la rete protoplasmatica mitocondriale e qualche globulo vitellino. La zona pellucida ancora non è sviluppata. Fig. 2. — Oocite ad uno stadio poco meno sviluppato del precedente. Ciò non ostante nel vitello si osser- vano numerosi f oblili vitellini. La zona pellucida è al completo sviluppo. Le cellule follicolari sono in uno stadio di attiva secrezione. Fig. 3. — Oocite con follicolo di 3 piani di cellule. Nel vitello si osserva la rete mitocondriale e qualche fohulo vitellino. Fig. 4. — Oocite ad uno stadio meno avanzato del precedente, in cui, ciò non ostante, il vitello è gremito di globuli vitellini. Fig. 5- — Epitelio germinativo con cellule in diversa fase di assorbimento e di secrezione interna. Fig. 6 — Oocite con follicolo polistratificato (4-5 piani di cellule), in cui si osservano già dei Corpi di Cali. 11 vitello è pieno di globuli vitellini e di vacuoli. . ì • '' :;■? *-vyj • ■' ’ ■'" ‘ '*' ''" ■^>,4*.-'!- ^ '■•; ■ •• ,. ■ i .. . ■ ■ •• : ■^'' V' , . . .■'■ -'^, S vn •avfótto't) ■ .WAjVù,:-'^ ‘A*a ‘^ùVM'./.;.. .\’..vmv\ ^ iV. tei ■ Ì-'V ■ . 1 ft''w ' "i*''"'"' - v - — '■ 5 ■ 1-: r. t/i ■ ■■ -/'-te »' '.'v;' -JK vJ-fd* »lc; '• . '^-'- S <■■>; fe' . ■ * Av* *‘ V"' *''' A ' ^ *' ‘ ~ ■ * '■ * jlf >S '^1^ t . vA'^'ÀV 'ri'. ' ' • "'J wSsS' : ^ / ^ ■Wr’' . . v ^ .. ■.. .'• ' • j ' *.l ■ry'- ' • ^‘ -i\> )}>■ j;f^viv (y«iT‘.,n < > ; -''.‘- jin? ■„. > jvy i»'> • ì ■ .■ ; ‘J'jvi. ■'’!<■!: ■.fC-it‘ i.!7< ;- Sri?'.- • -'v ' * i.^'nVVrtSt^ \ ^ v".'%' t ^ /.■■* '- 4 ■ ■ .'....•- , ,V . ’ ...■>■• ^,.sa :.’ '•' o* ■■^V- «Arfit' •; '( .;•-. .i - ' ò. •oJ*C-*]5*t ^ •:'-.c.H .'/'■ •- ' ■ '''.y , " " ' ■ •l5 .■/ ■ ' . ■; i :_',;t i.£>ÌÌA«]- -'' ^ te v^':" . ■ V r“ ' • * ■ ;* v '.ì> .‘Av)\j ti, Vù-ic^' ?2^ tli^'.i •/'; ■; ..V' .I- :4j !'■ i.mh^ì-'- - • '"■ ; .'-tf .i ' • ■ ' ' '^' ’■ ' ri ' '4 ..,3 > olis/^’' 'Sjii ' ,'■ '■ /*'. ■■ ■■' A / 4U. » • ,4. %ru; P. :,tv? . ^5,- ' ^' ^ • V-" ■• ■ - ■-* . 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A Lui spetta il merito di avere pel primo dimostrato il vero agente patogeno di una forma di Anemia splenica, che fu già clinicamente ritenuta infettiva da Pel ^ Ebsteiìi , Cardarelli^ Fede ecc., del- la quale però era stato indicato come causa ora un microrganismo tifo-simile (/)’ Anto- na e Salvati), ora un micrococco (Fede), ora uno speciale bacillo (Pianese e Gianturco). 11 Pianese trovò i corpi di Leishman nella milza, nel fegato e nel midollo delle os- sa di bambini morti con diagnosi di anemia splenica, e nel succo della milza (ottenuto colla puntura ) di altri bambini viventi affetti danà’'-stéssa malattia. Il Nicolle (2) dal 1907 ad oggi ha fatto importantissimi studi sopra una Leishma- niosi osservata a Tunisi da lui e dai suoi Colleghi su 20 bambini. Egli non solo ha tro- vato i corpi di Leishman , ma li ha coltivati, e li ha inoculati a cani e scimmie riprodu- cendo la malattia. Inoltre ha potuto dimostrare spontanea una tale infezione nei cani di Tunisi, portando cosi un fatto a favore dell’origine canina del Kala-asar infantile. Con questo nome egli chiama la malattia studiata e con quello di Leishinania infantum il parassita ; non ritenendo ancora dimostrata l’identità di tale infezione col vero Kala-azar delle Indie. Il Gabbi (3) a Messina nel 1908 fece diagnosi di Kala-azar in alcuni malati , in 2 dei quali trovò nel succo della milza i corpi Leishman- Donovan. Altri casi poi Egli e i suoi Allievi hanno trovati nella provincia di Messina e nella Calabria. È necessario far rilevare che alcuni casi del Gabbi sono importantissimi, perchè ve- rificatisi in adulti. lo e i miei Assistenti dal Luglio 1909 abbiamo studiato un buon numero di casi di Leishmaniosi. E già al Congresso di Medicina interna tenuto a Milano nell’Ottobre 1909 potei comunicare i primi 7 casi. (1) Pianese. Comunicazione alla 2.“- Riunione dei Patologi in Roma, 1905. Lo STESSO. Atti della R*‘. Accademia Med. Cliir. di Napoli 1908. (2) Nicolle. Archives de l’institut Pasteur de Tunis. 1908-10. (3) Gabbi. Policlinico Sez. med. fase. 6. Roma 1909. Lo STESSO. Studi intorno ad alcune malattie tropicali della Calabria e della Sicilia, fase. 1 e 11. Roma 1910. Atti .\cc. Serie V, Vol. 111. Meni. XVI. I l’rof. R. Pel et ti [Memoria XVI.] Jemma (1) e i suoi Assistenti hanno studiato parecchi casi di Anemia splenica da Leishmania appartenenti a Palermo e a diverse Provincie della Sicilia. Altri casi di Leishmaniosi hanno segnalato a Lisbona \' Alvares (2) e il Critien (3) a Malta. Venendo ora a parlare dei nostri malati, io terrò conto unicamente di quelli, nei quali la diagnosi fu accertata dalla presenza dei corpi di Leishman ; perchè per uno studio se- vero ed esatto della malattia, ritengo erroneo e inopportuno considerare anche i casi, che non ebbero questa conferma. Nel momento attuale, in cui si vuole individualizzare una malattia, che, ad onta degli studi di Clinici insigni, rimase fin qui confusa nel complesso ed oscuro gruppo delle anemie spleniche infantili , il fare a meno della constatazione dell’agente patogeno varrebbe quanto riportare nel buio la malattia che vogliamo illustrare I casi dunque di accertata Leishmaniosi osservati da noi a Catania dal luglio 1909 a tutt’oggi sono : 20. Ai quali se si aggiungono i 12 studiati dal Direttore della Clinica Pediatrica Prof. Pongo e 5 altri visti dal Dr. Licciardi (4), possiamo dire che pur troppo in Catania il numero dei casi è superiore a quello delle altre città di Sicilia. Specialmente se si tien conto che i casi del Gabbi non appartengono alla sola Messina, ma anche alle Calabrie , e quelli di Jemma a parecchie provincie dell’Isola. I nostri malati, quelli del Pongo e del Picciardi sono tutti della città di Catania. E tutti bambini da 1 a 5 anni. La natura dell’infezione è stata bene accertata coll’esame del succo della milza, nel quale si videro i corpi di Leishman, che non abbiamo mai trovati nel sangue periferico. I parassiti da noi osservati erano più o meno numerosi nei singoli casi, e vedevansi o liberi nel plasma, o inclusi a gruppi in una sostanza mal definibile (gangne di Pave- ran e Mesnil), oppure annidati in gran numero nel protoplasma di grosse cellule mono- nucleate. (Vedi Fig. 1.) Fig. 1 La forma dei nostri parassiti è uguale a quella dei parassiti trov'ati dal Peishman (5) ne (1) Jemma. Sopra un caso di anemia splenica-Policlinico Sez. prat. Roma 1910. Lo STESSO. Sull’anemia splenica infantile da parassiti di Leishman (Kala-azar ?). Riforma medica \.2^. N. 12,13. (2) Dionysio Alvarez. Un aso de kala-azar infantil a Lisboa. A Medicina contemporanea, Marzo 1910. (3) Critien. Kala-azar infantile a Malta. Arch. de l’Inst. Pasteur de Tunis. F. IL 1910. (4) Licciardi. Contributo clinico allo studio del Kala-azar in Catania. Gazz. Med. di Roma. 1910. (5) Leishman. Il Kala-azar. Nel Trattato delle Malattie dei paesi tropicali pubblicato dal Mense. Sul Kala azar osservato a Catania 3 Kala-azar deile Indie, come risulta dalla descrizione e dalle ligure del suo lavoro su que- sta malattia. Dal confronto poi dei nostri preparati con quelli del Pianese, del Nicolle, del Gabbi , del Jemnia (che per gentilezza loro abbiamo esaminati) è chiara 1’ identità morfologica dei nostri parassiti con quelli osservati dai suddetti Autori. Nei preparati colorati col Gienisa abbiamo visti parassiti di diversa grandezza (da 2 a 3,5 [JL di lunghezza per 1,6 a 2,5 jx di larghezza). Hanno figura quasi sempre ovale, talvolta rotonda. In essi notasi un protoplasma, un grosso nucleo, un blefaroplasto e talvol- ta un vacuolo (Vedi Fig. 2.) Fig. 2. Il protoplasma è tenue e leggermente colorato. Il nucleo è grosso , ovale o rotondo ed eccentrico. Il blefaroplasto è foggiato a bastoncino, o puntiforme e si colora più inten- samente del nucleo. Studiando i nostri preparati abbiamo potuto notare ancora alcune particolarità , che , secondo me, delineano le fasi di vita della Leishmania nella milza (1). Le Leishmanie sono di varia grandezza ; piccole, medie e grandi. Le forme piccole mostrano uh nucleo relativamente grosso con protoplasma scarso. Nelle medie il nucleo appare ingrandito e più di esso il protoplasma ; inoltre compare un blefaroplasto puntifor- me. Nelle Leishmanie grandi si vede un grosso nucleo , un blefaropasto per lo più fog- giato a bastoncino e un abbondante protoplasma. Questi fatti inducono ad ammettere successivi stadi di' sviluppo delle Leishmanie , le quali nei nostri preparati mostrano anche le fasi di un processo di moltiplicazione. Infatti la divisione di questi parassiti , effettuantesi prima nel nucleo e poi nel proto- plasma, appare chiarissima nei nostri preparati. Il nucleo in alcune forme mostra una in- cipiente divisione, in altre è già diviso in 2. E in alcune Leishmanie, con due nuclei ben distinti e separati, il protoplasma comincia a dividersi secondo il maggior diametro e in direzione intermedia ai due nuclei. Crediamo poi che la moltiplicazione avvenga nelle così dette ganghe^ nelle quali ora si vedono parassiti ben distinti , ora molti nuclei ben colorati senza distinzione di proto- plasma. Una bella figura , dove piccoli parassiti ben conformati (uno con 2 nuclei) sono disposti a rosetta e circondati da un tenue residuo di ganga, ci porta a credere che la gan- ga presti culla ed alimento alle Leishmanie (2). Queste ganghe poi riteniamo col Nicolle (1) Feletti. Contribuzione allo studio delle Leishmanie. Patliologica i Marzo igio. To.maselli .•\. Studio delle Leishmanie nel succo della milza ecc. Policlinico Sez. Medica, 1910. (2) Veggasi il citato lavoro del Tomaselli. 4 Prof. R. Reietti [Memoria X\’I.| che-" provengano dal protoplasma delle grosse cellule mononucleari; giacché nei preparati dove sono numerose le ganghe, notansi anche molti grossi nuclei con brandelli di proto- plasma o senza. Nei nostri preparati infine abbiamo visto altre forme di Leishmania, che riteniamo in via di degenerazione. Questa s’ inizia colla vacuolizzazione del protoplasma , che poi si estende anche al nucleo, il quale si colora assai debolmente. Pare che il blefaroplasto sia r ultimo ad alterarsi ; infatti in parassiti con vacuolizzazione generale e nucleo sbiadito, il blefaroplasto appare ancora ben colorato. Il succo della milza dei nostri bambini nei terreni di Novy\ Neaì e di Nicolle ci ha dato belle culture di Leishmania, che si è sviluppata nel modo e colle forme indicate dal Nicolle (1). Seguendo lo sviluppo dei parassiti, li abbiamo visti nei primi giorni ingrandirsi di volume conservando la forma ovale primitiva, poi emettere un lungo flagello all’estremità più vicina al blefaroplasto. In seguito il corpo dei parassiti cresce allungandosi e si assottiglia in punta all’estremità opposta a quella provvista di flagello. Assunta quella forma le Leishmanie possono aumentare ancora di volume, cosi che se ne vedono di varia grandezza. Viste a fresco muovono rapidissimamente il flagello e si spostano nella direzione di esso. Nei preparati a secco colorati col Giemsa i singoli individui adulti mostrano un lun- go corpo roseo, contenente un grosso nucleo violaceo ed un blefaroplasto colorato più in- tensamente del nucleo. Il flagello appare lungo, ondulato, ora roseo, ora del colore del blefaroplasto, col quale in alcune forme sta in rapporto. (Vedi fig. III.) Fig-. 3. Nei preparati si osservano inoltre parecchie forme di moltiplicazione, la quale avviene evidentemente per divisione longitudinale del pai'assita. Essendo ancora in corso nella nostra Clinica le indagini rivolte a scoprii'e d’ onde venga e come penetri nell’ organismo umano la Leishmania, non posso qui renderne conto. Dirò soltanto di alcune circostanze, che si riferiscono all’ etiologia del morbo osservato nei nostri bambini. Essi abitavano quasi tutti nei sobborghi e nei quartieri posti alla periferia della città come si rileva dalla qui unita pianta di Catania. E talvolta a piccoli gruppi; cosi nel quar- ti) Feletti 1. c. PuLViRENTi. Sulla cultura dslla Leishmania. Atti Acc. Gioenia. Catania. 1910. * * Su/ Kala-aBar osservato a Catania o tiere detto della Petriera (un piccolo spazio di terreno abitato da circa 600 persone) ne abbiamo trovati 4 casi. Sull’origine canina dell’infezione, sostenuta da Nicolte, Gabbi ed altri possiamo dire che dei nostri 20 malati 16 non ebbero contatto alcuno con cani (1). Nelle case di 3 bambini non furono mai viste cimici, e quelle di altri 2 non furono infestate da zanzare : insetti che alcuni Autori credono poter trasmettere la malattia. In parecchi bambini che contrassero Leishmaniosi mentre si nutrivano del solo latte materno,. dobbiamo anche escludere come veicolo d’infezione le sostanze alimentari inquinate. Riguardo a\V età dei nostri piccoli infermi, la malattia cominciò da 3 a 30 mesi, in due a 5 anni. In quanto al sesso, noi abbiamo visto colpiti più i maschi (12 casi), che le femmine (8). La condisione sociale dei nostri bambini fu quasi sempre povera (18 casi); 2 soli erano di famiglie in discrete condizioni economiche. Nessuna influenza ebbe la stagione nel favorire l’ inizio della malattia, il quale si av- verò in tutti i mesi dell’ anno, con leggiera prevalenza in Marzo e in Aprile. * * * I fenomeni clinici osservati nei nostri malati sono quelli del Kala-azar. Dominano fra tutti e sono costanti \a. febbre, V anemia ed il tumore di milBa. La malattia cominciò in tutti i bambini colla febbre. In seguito andò man mano in- grossandosi la milza, si manifestò una progressiva anemia, poi debolezza e’ dimagrimento fino alla cachessia. La febbre fu in tutti i casi irregolare; ora alta, ora leggiera ; remittente, od intermit- tente; insistente, o interrotta da intervalli di apiressia; preceduta o no da brivido; con ele- vazione massima ora serotina, ora meridiana, ora doppia nel corso del giorno; con durata varia dell’ accesso ; con discesa accompagnata da sudore più o meno profuso. Spesso ve- demmo che la febbre non era corrispondente colla gravezza della malattia. Riporto qui, come esempio, due porzioni di curve termiche. La prima appartiene ad una bambina (M. Maria) al 3° mese di malattia, la seconda ad un’ altra bambina (T. Con- cetta) negli ultimi mesi di vita. Fig’. 4. — Temperatura di M. Maria misurata 2 volte al giorno. (i) Il mio Aiuto D.r Pulvirenti sta esaminando i cani, che vengono accalappiati a Catania. In 85 finora esaminati non lia trovato Leishmanie. Ha ottenuto anche esito negativo esaminando le zecche dei cani , che furono in contatto con bambini ammalati. 6 Frof. R. Reietti [Memoria XVI.) Fig:. 5. — Temperatura di T. Concetta misurata 4 volte al giorno. U anemia con tutti i suoi caratteri vedemmo il più delle volte marcatissima, in qual- che raro caso appena accennata. La milza nei nostri malati trovammo sempre ingrossata, con aumento però non cor- rispondente alla gravità della malattia. Il volume di essa ora si presentò enorme, ora di- screto; la consistenza più 0 meno dura; la superficie liscia. Il fegato nella metà dei casi era ingrossato; ma sempre meno della milza. La pelle presentava in alcuni un colorito pallido-cereo, in altri pallido-terreo. Notam- mo in parecchi bambini emorragie cutanee in forma di petecchie, in qualche caso a larghe chiazze. Edemi fugaci comparvero alle mani, ai piedi, alla faccia; e talvolta a malattia inoltrata divennero diffusi e persistenti. Le mucose visibili trovammo spesso molto pallide. Qualche volta osservammo epistassi ed emorragie gengivali. In 2 casi si svolse un gravissimo noma. Le glandole rarissimamente nei nostri bambini erano ingrossate. Nell’ apparecchio circolatorio si notò debolezza dei toni cardiaci, polso piccolo e fre- quente. Nell’apparecchio trovammo spesso catarro bronchiale, talvolta fin dall’i- nizio della malattia. Le funzioni dell’ apparecchio digerente in alcuni bambini erano perfette; altri presen- tarono inappetenza, nausea, desiderio di cibi strani, spesso anche diarrea. Talora compar- vero enterorragie, talvolta si svilupparono enterocoliti. L’ iirina non presentò altro di anormale che scarsezza di urea. Il sangue era povero di corpuscoli rossi, di emoglobina ed anche di globuli bianchi. La forinola leucocitaria diede i seguenti risultati: aumento dei mononucleati medi e grandi, S/l/ Kaìa-asa/- osservato a Catania 1 diminuzione dei piccoli mononucleati e dei polinucleati neutrolili, assenza degli eosinofìli (1). Tutto questo quadro clinico può dividersi col Fulvirenti (2) in 3 periodi. Nel 1® do- mina la febbre ; nel 2° spiccano la febbre , l’ anemia, il tumore di milza ; nel 3° è mani- festa la cachessia. In questo stato avvenne la morte dei nostri bambini, quando non fu determinata da qualche complicazione (noma, enterroragie, enterocoliti ecc.) E noi abbiamo già avuta una mortalità di 17 casi su 20. La durata della malattia non raggiunse l’anno. In I caso fu di un mese circa. In- vece in 2 bambini ancoi a \’iventi ha sorpassato 1’ anno. È necessario aggiungere che nel decorso della malattia abbiamo osservato talvolta dei fugaci miglioramenti. Tutte le cure da noi finora praticate riuscirono vane. * Controversa è ancora la natura di questa malattia osservata a Tunisi , in Italia e al- trove; giacché mentre il Gabbi la ritiene identica al kala-azar indiano, Vianese, Nicolle, Jemina, ecc. la trovano differente. j Io però sono convinto che si tratti di vero kala-azar. E questa convinzione la traggo dalle osservazioni fatte a Catania. Infatti nei nostri casi la somiglianza clinica col kala-azar ' è indubitata; uguali i sintomi clinici, la durata, l’esito delle due malattie. Noi non abbiamo ' osservato quelle differenze messe avanti da Jen/ma sul colorito della pelle, sulla durata, sul- ' l’esito. L’obiezione che la Leishmaniosi osservata a Tunisi, in Italia ecc. colpisce i bambini, mentre il kala-azar indiano attacca gli adulti, cade dopo i casi segnalati dal Gabbi in adulti. ' L’ altra obiezione : che da noi la malattia si presenta endemica , mentre il kala-azar I nelle Indie assume forma epidemica, non può reggere ; perchè tante altre malattie, senza ! mutar natura, si presentano ora epidemiche, ora endemiche, ora sporadiche. Mi conferma di più nella mia convinzione il fatto che il parassita osservato nei miei ! casi ha caratteri morfologici identici a quelli della Leishmania indiana. E ben vero che la Leishmania indiana non si è potuta coltivare finora nei mezzi di j Novy, Neal e di Nicolle, nè trasmettere ai cani (Vatton)\ mentre la nostra Leishmania si I è coltivata nei suddetti terreni {Nicolle, Gabbi, Feletti, Jenima) e si è trasmessa ai cani ,j (Nicolle, Gabbi, Jemma, Alvares). Io però ritengo che nuovi tentativi elimineranno an- che queste differenze. Difatti, ad esempio, il Longo (3) ha potuto recentemente coltivare la !i Leishmania dei bambini nel sangue citratato, come si coltiva l’ indiana; e così cancellare I un’ altra differenza tra i due parassiti elevata dal Nicolle e da altri, che non avevano po- tuto ottenere questo risultato. (1) Vedi* To.maselli A. Alcune ricerche sul sangue di .ammalati di Kala-azar. Riv. cr. di Clinica .Medica. Firenze 1910. (2) PuLViRENTi. Su 20 casi dì bambini affetti da Leishmaniosi (Kala-azar) ecc. (3) Lo.'ìGO a. Sulla coltivabilità della Leishmania infantum nel sangue splenico infetto citratato. Policlinico Sez. prat. 1910. I I PIANTA DI CATANIA cl i cl i o i:» e [ casi di Kala- azar sono i\ap- pi'esentnti dai q u a d ratini bianchi. Memori» XVff. La digestione delie membrane vegetali per opera dei Flagellati contenuti nell’ intestino dei Termitidi e il problema della simbiosi Nota del Proff. LOIGI BDSCALIONl e SALVATORE COMES Come è noto , le Termiti sono insetti comunissimi appartenenti all’ Ordine degli Ar- chitteri o Pseudoneurotteri che, come altri rappresentanti degli Insetti medesimi, vivono in società o in colonie, caratteristiche per un rimarchevole polimorfismo. Così, oltre alla coppia reale fornita nel primo momento di ali, ci sono individui alati dell’uno e dell’altro sesso, (larve o ninfe) che daranno poi anche re e regine di sostituzione, o di complemento, senza ali, ed individui completamente atteri che secondo la diversa conformazione delle mandi- bole e di altri oi'gani si distinguono in operai e soldati , pur essi a sesso determinato. Il Prof. G. B. Grassi, che in collaborazione col D.r Sandias si occupò abbastanza minutamente della morfologia e della biologia di questi organismi, opinò che essi si nutrano del legno triturato dai loro robusti organi masticatori ed introdotto sotto forma di piccoli frantumi nel tubo intestinale. Pur troppo, chi guardi un utensile in legname od un albero infestato dalle , Termiti , ricava la convinzione più ferma di questo fatto a causa delle miserevoli condizioni in cui gli oggetti termidati sono ridotti. In Sicilia , dove le Termiti dei Generi Calotermes e Termes abbondano, si vedono dei mobili diversi, come scaffali , librerie , imposte di bal- coni 0 di finestre completamente rovinati (1). La biologia delle Termiti , oltre che per la loro alimentazione , è anche interessante pel fatto che esse albergano nel loro intestino e più specialmente in una dilatazione della porzione posteriore di esso, detta Ampolla cerale, numerose specie di Protozoi della classe dei Flagellati, comprese le une nella Famiglia delle Lophomonadidae , come Joenia an- nectens (Grassi), (nel Calotermes flavicollis), Trichonyrnpha agilis Leidy (in Termes lucifugus), Microjoenia liesamitoides Grassi (in Termes lucifugus), Lophophora va- cuolata Comes n. gen. n. sp. (In Termes lucifugus), le altre in quella delle Cercorno- nadidae, quali Monocercornonas termitis Grassi in Termes lucifugus e in Caloter- uies flavicollis, Dinenympha gracilis Leidy in Termes lucifugus , di cui uno di noi ha testé descritto lo spiccato dimorfismo sessuale, oltre ancora alla famiglia delle Pyrso- niniphidae, cioè Pyrsonymplia flagellata Grassi, Holomastigotes elongatum (Grassi) ambedue in Termes hicifugus , per fermarci a quelle specie che vi sono nelle Termiti nostrali. (i) L’Istituto Botanico di Catania ebbe infatti la scuola completamente rovinata da questi insetti, es- sendo andati distrutti quasi del tutto i banchi e il pavimento in legno, come ebbe a constatare il Grassi che si servì di detto materiale pei suoi studi, il Baccarini e come, purtroppo, continuiamo noi stessi a constatare. Atti Acc. Serie V, Vol. III. Meni. XVII. i 2 Proff. L. Buscalioni e S. Comes [Memoria X\'II.] Per rendere più comprensibili le quistioni che riguardano le presenti ricerche, crediamo utile fare un cenno sulla struttura delle specie di Flagellati che albergano nell’ intestino di Termes lucifugus. Famiglia Lophomonadidae Trichonimpha agilis. — Le sue dimensioni sono rilevanti (lungh. 130 [i, larg. 40 il) e la sua forma è quella d’una mammella col capezzolo situato alla estremità anteriore. Il capezzolo da cui sorge un ciuffo di numerosi flagelli filiformi, è costituito da ectoplasma alla periferia, da endoplasma al centro ; al disopra dell’ ectoplasma in questa porzione si differenziano delle strie longitudinali e parallele (mionemi) che si stendono un po’ sulla base della mammella delimitando una regione detta zona striata. All’estremo del capezzolo si differenzia un tubo cilindrico che rappresenta il collo della porzione striata la quale per la sua forma dicesi anche bottiglia. L’ecto e l’ endoplasma della bottiglia son separati da lacune riempite di liquido. Segue poi il corpo della mammella., o sona non striata., fornita anch’esso di ecto- plasma e di endoplasma contenente il nucleo che è rivestito posteriormente da un cestello di bastoncelli ed anteriormente accolto dal fondo incavato della bottiglia. Questa porzione non striata contiene spessissimo nel suo endoplasma numerosi corpi batteroidi di cui si dirà in seguito. Microjoienia ìiexamitoides. — Molto più piccola della precedente, di forma owalare^ con ectoplasma ed endoplasma, quest’ ultimo contenente il nucleo posto anteriormente. Po- chi e numerosi flagelli si notano all’ estremo della parte anteriore striata perifericamente come in Triconinfa. Esiste un bastoncello assile. Lophophora vacuolata. — Dimensioni rilevanti essendo più lunga, ma meno larga di Trichonimpha. Forma clavata con un estremo anteriore munito d’ un fiocco allungato e la porzione posteriore vacuolata. Corpo attraversato da 4 membrane ondulanti, distinguibile in ectoplasma ed endopla- sma. In quest’ultimo e posteriormente risiede il nucleo. Fam. Cercomonadidae. Dinenimpha gracilis. — Esiste un chiaro dimorfismo sessuale. Il corpo del maschio è allungato, nastriforme attraversato da 4 membrane ondulanti e da un bastoncello sche- letrico che si prolungano posteriormente le une in quattro flagelli liberi, 1’ altro in un pun- giglione. Quello della Q clavato, con 4 membrane ondulanti prive di flagelli e con bastoncello scheletrico che non termina in un pungiglione. Monocermonastermitis. Di piccole dimensioni, munito aU’estremo anteriore di 6 lunghi flagelli e di un baston- cello subassile che attraversa il corpo. Fam. Pyrsonymphidae. Pyrsonympha flagellata. — Corpo subellittico , fornito di flagelli disposti su linee- spirali incrociate ; nucleo situato presso 1’ estremo anteriore , e circondato da bastoncelli.- Ectoplasma distinto dall’ endoplasma. La digestione delle ìuembrane vegetati per opera dei Flagellati^ ecc. 3 Holoinasligotes elongaUim. — Caratteri molto simili a quelli della specie precedente; forma ovalare, manca di papilla all’ estremo anteriore. La quantità di tali Flagelllati che vivono nell’ntestino delle Termiti è addirittura stra- grande ! Se si apre infatti T ampolla cecale di un operaio o di un soldato di Terines In- cifiigns, essa si mostra piena zeppa, quasi occlusa dai Flagellati in parola che si muovono chi più chi meno vivacemente fra i frantumi di legno contenuto nell’ ampolla stessa. Si devono al Grassi osservazioni interessantissime sui neonati delle Termiti ; — questi non ospitano i Flagellati, i quali scompaiono pure in quegli individui che si approssimano alla muta , in quelli destinati a diventar individui reali o di sostituzione. Mancano infine altresì in quegl’individui i cui organi genitali sono in via di maturazione. Invece gl’ individui adulti delle Termiti, specialmente gli operai ed i soldati, raggiunta una determinata lunghezza, ospitano nel loro intestino tale quantità di Flagellati da presen- tare la dilatazione nota col nome di ampolla cecale. Lo stesso Grassi ha osservato nel corpo di quasi tutti i Flagellati suddetti dei pezzi irregolari simili a quelli che si trovano nel lume intestinale , che egli ritiene pezzetti di legno di cui cibansi i microrganismi in parola. Se sia veramente legno e come questo venga trasformato nel corpo di tali microrganismi il Grassi non ha detto , sebbene si sia assicurato mediante reattivi della presenza del legno e della cellulosa nell’ interno del lume intestinale delle Termiti. Però egli , preoccupato del fatto che quasi tutta la feccia (detriti alimentari) contenuta nell’ intestino dell’ospite passa attraverso il corpo dei Flagellati, sospettò che il compito di questi nell’ ingerire il legno dovesse essere probabilmente diverso da quello di nutrirsene, come farebbero dei semplici commensali o parassiti. “ Molte volte, ecco quello che egli scrive in proposito, mi sono domandato se i Protosoi non abbiano un’ im- portansa per la digestione, poiché il tritume onde componesi la feccia, passa quasi tutto attraverso il loro corpo. La cosa è possibile, ma non è dimostrata. „ Tutta- via egli ci fa leggere altrove (pag. 18 del 1. c.) parlando del nutrimento delle Calotermiti , dentice a quello di Terrnes liicifugus : “ I Calotermiti devono certamente digerire il cel- lulosio, o la lignina od entrambe queste sostanze ternarie. „ Tale asserzione toglie evi- dentemente peso all’ importanza di quanto sopra egli ebbe a sospettare. Per tanto abbiamo fatto nostra la domanda del Grassi e crediamo di essere giunti appunto alla dimostrazione del fatto interessantissimo che i Flagellati in discorso hanno una grande importanza nella digestione delle Termiti, poiché trasformano nel loro corpo unicellulare il legno ingerito in vere sostanze nutritive, assimilabili con estrema facilità dalla mucosa intestinale dell’ospite. Così essendo, tutti o per lo meno la maggior parte dei Fla- gellati ospitati nell’ intestino delle Termiti vivrebbero in condizione di una vera simbiosi , e non allo stato di parassiti, come in fine dei conti mostra di credere anche il Grassi. La stessa considei'azione che tali microrganismi mancano nei neonati delle Termiti , che pre- sumibilmente non possono ancora divorare il legno, e che del resto vengono nutriti di sa- liva solamente e negli individui in muta e destinati a divenire reali o di sostituzione, ai quali le grandi larve e le ninfe propinano un esclusivo nutrimento salivare, conforta la no- stra asserzione che del resto è semplice conseguenza delle esperienze fatte. Depone pure a favore del nostro asserto la circostanza che anche quando i Flagellati sono straordina- riamente abbondanti nell’ intestino, non provocano nell’ospite alcun segno di malattia o di 4 Proff. L. Buscalioni e S. Comes [Memoria XVII.] sofferenza, mentre riesce difficile^ secondo quello che dice il Grassi medesimo, tenere in vita dei nidini fatti con individui sensa ProtOBoi. (pag. 17 1. c.). Le nostre esperienze, lo diciamo sin d’ora, si riferiscono solo ai soldati e agli operai di Termes lucifugus, che abbiano potuto avere in grande abbondanza , ed ai Flagellati che essi ospitano (1). * * Se osserviamo al microscopio ed a forte ingrandimento uno di qualsivoglia di siffatti Flagellati, troviamo che in seno al protoplasma ed accanto al nucleo, ma limitatamente alla porzione posteriore dell’ animale, sono disseminati dei corpicciuoli di varia forma e gros- sezza, taluni piccolissimi, altri invece relativamente grandi tanto da riuscir distinti anche a debole ingrandimento. La forma dei corpi è per lo più irregolare, tutta a spigoli e punte, solo i più piccoli presentansi tondeggianti, ora ovali od anco aciculari. Gli autori che studiarono la costituzione dei Flagellati in questione affermano , come altrove è stato detto, che siffatti corpi non siano altro che pezzi di legno stati incorporati dai Flagellati. L’ incorporazione , secondo il Prof. Grassi , avverrebbe mercè i movimenti ameboidi di cui è dotata la porzione posteriore dell’ animale. Le sue ricerche a questo riguardo si riferiscono però unicamente alla Triconympìia agili s ; ma noi riteniamo che l’ultima parola sull’ argomento non sia stata ancora detta , non potendosi escludere del tutto che anche una vera e propria deglutizione possa aver luogo dal polo anteriore od orale dello animale , dove esiste infatti una specie di imbuto faringeo che presenta continui , vistosi e rapidi movimenti di invaginazione e di estroflessione, in ciò coadiuvato dalle circostanti ciglia flagelliformi (ci riferiamo principalmente a Triconympha agilis) , se per poco si affligge r individuo con una soluzione nociva alle sue condizioni fisiologiche. Le nostre ricerche in proposito non approdarono a risultati di sorta, poiché essendosi posti dei Flagellati in una soluzione fisiologica di sai di cucina nella quale stavano im- mersi dei piccoli granuli d’ amido (polvere di riso) e tritumi di legno non si è potuto sor- prendere alcun individuo nell’ atto di inghiottimento : anche ad esperimento finito non si è trovato che uno o due individui con dubbi granuli d’ amido nel loro interno. Neppure ci fu dato di assistere all’ inghiottimento dei pezzettini di legno, d’altronde sempre presenti nei liquidi in cui si osservano gii organismi. Ciò significa che i Flagellati in discorso in- goiano e digeriscono difficilmente l’ amido, forse per la mancanza d’un enzima amilotico ma di ciò a suo tempo. Nessun autore ha tentato la via delle reazioni microchimiche per stabilire con sicu- rezza la vera costituzione dei corpuscoli quasi normalmente presenti nel protoplasma dei Flagellati; la loro natura lignea venne proclamata unicamente in base al fatto chele Ter^ (i) Sebbene il presente lavoro fosse iniziato e condotto di connine accordo , perchè in esso emerga la parte presa da ognuno di noi, dichi.iriamo che mentre Buscalioni si è in modo speciale occupato delle ri- cerche microchimiche riguardanti la digestione delle membrane vegetali e di porzione della bibliografia, Co- mes invece ha avuto di mira le ricerche d’indole cito-biologica connesse alla fisiologia degli organismi ed al problema della simbiosi. La digestione delle membrane vegetali per opera dei Flagellati, ecc. o miti divorano il legno, i cui pezzettini trovansi di poi in abbondanza nell’ intestino e fra mezzo alla numerosa falange di microrganismi in questo presente. La forma dei corpuscoli endoplasmici ha pure guidato gli osservatori alle conclusioni sudette : noi per altro, convinti che questi due criteri siano troppo incerti, abbiamo creduto doveroso di arrivare ad una conclusione sicura colla scorta dei mezzi che ci fornisce la tecnica microscopica. Una ricerca di tale natura si impone pel fatto che, data 1’ esigua dimensione dei cor- pi endocellulari, non è possibile, se non in via affatto eccezionale, riscontrare negli stessi delle strutture, quali le punteggiature, le striature, le stratificazioni, gli ispessimenti, i pori e via dicendo , reperibili nelle ordinarie membrane cellulosiche , o lignificate. Solo in un caso abbiamo infatti riscontrato un dubbio accenno di punteggiature. Siccome le Termiti mangiano preferibilmente il legno , abbiamo scelto come primo reattivo la floroglucina mescolata all’ acido cloridrico. Sotto 1’ azione di questo reattivo il protoplasma di tutti quanti i Flagellati si è l'igonflato e poi disorganizzato , pur restando incolore, mentre i pezzetti contenuti nel suo interno hanno assunto una colorazione rossa- stra più o meno intensa che è quella che assumono le membrane lignificate quando ven- gono a contatto del reattivo in questione. Si è però subito notato che non tutti i pezzi si colorano con eguale intensità e che anzi quelli di dimensioni piuttosto grandi presentano delle aree poco colorate , accanto ad altre che Io sono fortemente. Si è pure saggiata l’azione del solfato di anilina disciolto nell’HCI, anziché nell’acido solforico, e ciò per ragioni che appariranno chiare in seguito. Ebbene , anche con questo reattivo si sono colorati intensamente in giallo verdastro molti dei frammenti endocellulaii. Le nostre osservazioni si limitano a questi due reattivi , poiché gli altii proposti per colorar la lignina come p. es. lo scatolo , determinate sostanze coloranti , e via dicendo , non sono specifiche e nel nostro caso poi avrebbero dato delle ragioni secondarie più dan- nose che utili. Non crediamo utile insistere sull’ uso del Clorojoduro di zinco , inquantoché questo reattivo, colorando in giallo il protoplasma, non permette di rintracciare la lignina. Col bleu di anilina abbiamo in alcuni pezzi ottenuta la colorazione caratteristica delle membrane di natura callosica , qual è quella , ad esempio , dei tubi cribrosi ricoperti dal callo. All’opposto risultati incertissimi si sono ottenuti coll’impiego della corallina. Le reazioni eseguite ci permettono adunque di afl'ermare che i corpuscoli speciali con- tenuti nel corpo dei Flagellati sono realmente costituiti da resti di membrane vegetali , le une lignificate le altre (più scarse) callosiche. Ma qui si affaccia una questione ; I pezzi che hanno fornita la reazione della callosi devono esser considerati come residui di membrane lignificate che sotto 1’ azione di spe- ciali sostanze contenute nel Flagellato avrebbero perduta la lignina , pur conservando gli strati di callosi, oppure non sono dessi delle membrane cellulari di natura callosica state ingoiate tali e quali dal Flagellato e rimaste inalterate nel corpo protoplasmatico ? La ri- sposta é tutt’ altro che facile ; tuttavia se si considera che i grossi pezzi di legno non danno ovunque la stessa reazione colla floroglucina ed HCl, appare logico ammettere che i pezzetti di natura callosica siano tali in virtù di qualche sostanza che alterò la costitu- zione chimica delle membrane ingoiate. Edotti intanto dalla natura callosica-legnosa dei pezzi di membrane contenuti nel 6 Proff. L. Buscalioni e S. Comes [Memoria XML] corpo dei Flagellati, non possiamo far a meno di raccomandare agli studiosi che si occu- pano di tali Protozoi, di andar molto cauti nel pronunciar giudizi sulla costituzione intima degli stessi. Noi sappiamo infatti che con taluni metodi moderni di colorazione, quale quello di Giemsa e di Romanowski in cui si utilizza il bleu di metilene ed altri colori di anilina, si ottiene facilmente la colorazione del legno ed in generale delle membrane cellulari, d’o- rigine vegetale. Chi non è avvertito di questa circostanza può facilmente scambiare i pezzi di membrana vegetale con speciali costituenti del corpo dell’ animale , quali ad esempio i cromidi , i corpi di cromatina, i centrioli, i residui nucleari, i bleforoblasti e via dicendo. Stabilito , in modo sicurissimo , che i Flagellati incorporano le membrane vegetali e specialmente quelle lignificate sorge spontanea la domanda ; qual è la sorte cui esse vanno incontro ? Già il fatto che un dato pezzetto di membrana si colora variamente nelle differenti parti colla floroglucina , e che inoltre non pochi frammenti danno le reazioni della callosi, lascia supporre che i pezzi di membrana vadano a poco a poco alterandosi e disorganiz- zandosi. La nostra supposizione trovava conferma nell’ esame dei preparati a tresco, poiché accanto a microrganismi ricchi di pezzi di legno se ne trovavano degli altri poveri di ingesti, od anco del tutto privi. È vero che alcune specie di Flagellati, presenti nell’ inte- stino delle Termiti , non hanno la proprietà di ingerire il legno , come secondo il Grassi , Holomcistigotes elongatum, ed altre ne ingeriscono poco e pare in condizioni non abituali, come Lophophora vacuolata, ma a prescindere da questi tipi sui generis, noi faremo no- tare che nelle stesse specie più xilofaghe la quantità di pezzettini ingeriti variava moltissimo e talora era ridotta a nulla. Si potrebbe supporre che gli individui privi Mi legno nonne abbiano ingerito, ma tale supposizione non esclude l’altra che cioè i pezzi ingeriti siano stati disorganizzati, come lo attesta appunto la varia ricchezza in contenuto legnoso in varii individui. Se il legno viene disorganizzato, distrutto , è duopo inferirne che nel corpo dell’ ani- male esistano parecchi fermenti atti ad intaccare, a disciogliere, a disorganizzare le mem- brane vegetali, anche quelle più resistenti come sono appunto le lignificate. Ora ammesso col Vines, Green, Grùss, Buscalioni, Comes, Fermi, Czapeck, Fischer ed altri autori che ogni enzima non agisce che su determinati corpi anzi su un determinato corpo, dobbiamo infe- rirne che molte essendo le sostanze costituenti la membrana della cellula vegetale (lignina, callosi, peciosi, cellulosi, gomme etc.) nel Flagellato devono esser contenuti altrettanti enzimi. Occorre ancora aver presente che il più delle volte un dato enzima provoca soltanto una determinata scomposizione ; perchè questa continui arrivando alla formazione di nuovi composti di disorganizzazione occorre 1’ intervento di altri fattori e spesso di altri enzimi. Perciò, per stabilire, almeno dal punto , di vista teorico , la somma di enzimi che po- trebbero esser presenti nel corpo del Flagellato, si è dovuto rintracciare, colla scorta delle reazioni microchimiche, i prodotti reperibili nel protoplasma, limitando, beninteso, lo studio a quelli la cui produzione potrebbe asciiversi a stadi successivi di disorganizzazione e de- composizione del legno e delle membrane cellulosiche. Riporteremo qui alcune reazioni all’uopo eseguite. Coi sali di calcio non abbiamo riscontrato la formazione di ossalato calcico, colla tin- tura di jodio acquoso o colla soluzione di jodio sciolto nel joduro di potassio non si è ot- tenuta la reazione caratteristica di corpi di natura amilacea, come col clorojoduro di zinco non si è riscontrata traccia di cellulosa. La digestione delle membrane vegetali per opera dei Flagellati, ecc. 1 Air opposto, risultati di non poco interesse ci ha offerto 1’ impiego della soluzione di lodo-joduro di potassio quale venne proposto dell’ Ei'rera e da altri per lo studio del gli- cogeno. Con questo reattivo si è notato che alcune specie di Flagellati [Holomastigotes elon- gatuììi che per l’appunto non ingerisce legno) si colorano in giallo chiaro, come del resto si colorano le masse protoplasmatiche ; altri invece {Pyrsonimpha flabellata , e Dine- nymplia agilis, dove la 9 ne contiene quantità maggiore del f , e anche questo può in- vocarsi come un carattere importante del dimorfismo sessuale di questa specie) assumono una colorazione bi'uno acacju, diffusa a tutto il corpo, indicandoci così 1’esistenza del glico- geno. Nella Lopliophora e in Trichonimplia il glicogeno si trova in vicinanza del nucleo. Nella prima attorno ad esso , nella seconda che bisogna considerare come un organismo piuttosto evoluto, almeno per quanto si può giudicare dalla sua struttura più complicata, della quale struttura il Grassi ha fatto una minuziosa e precisa descrizione, il glicogeno , sotto forma di minutissimi granuli, ed anco di sostanza indifferenziata, diffusa, si presenta unicamente in corrispondenza del polo anteriore del corpo dell’animale. La parte posteriore o corpo basilare, che è separata dalla precedente mercè una mem- brana, acquista soltanto la colorazione solita giallastra caratteristica del protoplasma. Osser- vando di tali Triconinfe sottoposte all’ azione dell’ iodoioduro di potassio , vediamo quasi costantemente e anteriormente al nucleo, in corrispondenza della zona striata dell’ectoplasma che delimita il corpo della bottiglia di cui parla Grassi e al disotto dell’ectoplasma mede- simo una massa rotondeggiante od ovoidale riposantesi sul nucleo la quale presenta inten- samente la reazione del glicogene. In questo organismo vi ha quindi una differenzia- zione strutturale e funzionale, il quale reperto dal punto di vista filogenetico ed evolutivo degli organismi non ha poco valore. Noi ci troviamo invero di fronte a un orga- nismo unicellulare in cui, la funzione glicogenica se non è localizzata ad un determinato organo, il fegato, come avviene nelle forme superiori altamente complesse ed evo- lute, è però affidata ad una porzione del protoplasma che funziona da fegato pur non avendo , come ben si com- prende, la costituzione di una gianduia epatica, sia pure in miniatura. Merita intanto di esser rilevato che il nu- cleo sta addossato aU’ammasso glicogenico, al limite tra questo e il protoplasma ordinario della porzione basale del corpo. Tale accantonamento del nucleo ci indica che questo organo cellulare, o direttamente od indirettamente, esercita una qualche azione nella produzione del glicogeno, il che non ci deve recar meraviglia, poiché noi sappiamo che il nucleo, oltre a partecipare ai processi di divisione cellulare e di riproduzione, esercita pure, nell’ambito della cellula , un’azione trofica, regolando la nutrizione. Potrebbe darsi, cioè, che il nucleo produca degli speciali granuli zimogenici mediante i quali da materiali plasticamente inferiori (cellulosa, callosi, gomme ecc.) si perviene al glicogene. Ciò, mentre è in accordo colle moderne vedute sulla secrezione cellulare quali Fig. 1. — Esemplare di Triehonympha agilis, trattato con cloro-ioduro di zinco; c. capezzolo; /. flagelli; gl. Regione glicogenica, punteggiata; n. nucleo — Oc. comp. 4. ob. 8. 8 Proff. L. Buscalioni e S. Comes [Memoria XVII. si ricavano dai lavori del Trambusti , del Galeotti, dei Voinow, di Heidenhain, dei Lowit, e per quanto riguarda i vegetali dall’ Haberlandt principalmente, può metterci sulla buona via per risolvere la questione tanto discussa dell’origine del glicogene nella cellula epatica, per la quale alcuni ammettono un’azione enzimatica, ed a ragione, dopo quanto s’ è visto nel caso in esame , propria della cellula epatica stessa , altri con non minore insistenza una semplice azione protoplasmatica, altri infine un semplice fenomeno di polimerizzazione per disidratazione. Del resto nella stessa cellula epatica, secondo gli accurati lavori di A. Trambusti, e di G. Ferrari si son notati ammassi perinucleari di granuli di cui in un primo momento è provvisto anche il nucleo ed a spese dei quali essi originano. Questi granuli che gli Aa. citati ritengono come veri granuli zimogenici , continuando nel citoplasma le loro trasfor- mazioni diverranno i prodotti finali della secrezione. Bisogna aggiungere però , che nè il Trambusti, nè il Feri'ari, hanno assodato, come noi crediamo di aver fatto, se il secreto definitivamente formatosi da tali zimogeni sia bile più che glicogene. Noteremo da ultimo che l’acqua di Javelle applicata ai Flagellati provoca una pronta disorganizzazione della porzione posteriore del corpo , mentre intacca stentatamente 1’ am- masso glicogenico. Sotto l’azione del reattivo la struttura granulare diventa ancor più chiara, ricordando così quella osservata da uno di noi (Buscalioni) nel corpo del Coccidium oviforme. Ora il glicogeno, come è noto, per mezzo di speciali enzimi può trasformarsi in zuc- chero ed altri prodotti. Fu perniò nostra cura di ricercare la presenza degli zuccheri colla reazione di Raspail , il quale propose 1’ impiego dell’ acido solforico concentrato e di una parimenti concentrata soluzione di zucchero per colorare in rosso roseo o rosso violetto le sostanze proteiche. Applicando adunque ai Flagellati xilofagi, una soluzione concentrata di H2SO4 questi devono colorarsi in rosso roseo o rosso violetto qualora nel loro protoplasma si contenga dello zucchero. La reazione ha dato splendidi risultati tutte le volte che fu applicata, di guisa che pur riconoscendo che il reattivo non è specifico per le sostanze proteiche , ma sibbene ancora per altri corpi ( Glicosidi, alcaloidi (V. Nickel) ) crediamo di non andar errati, ammettendo che nel caso attuale ci indichi realmente la presenza di zuccheri in mezzo alla sostanze proteiche del corpo cellulare. Gli zuccheri sarebbero diffusi in tutto il corpo protoplasmatico, prendendo questo una tinta rosea violacea diffusa. L’ acido solforico fatto giungere sotto il vetrino ricoprente i preparati di Flagellati determinava prontamente la reazione , ma in pari tempo effettuava pure lo spappolamento dell’ animale, donde la comparsa, da ultimo , di una massa retico- lata, roseo violacea, prodotta dalla confluenza delle masse protoplasmiche disorganizzate. Appare dunque conforme al vero ammettere che il legno incorporato venga, in ultima analisi, ridotto allo stato di zucchero ; vale a dire subisca una profonda alterazione costi- tuzionale che solo con reattivi molto energici può ottenersi generalmente. Basta questo solo fatto per indicarci quanto energiche e complesse siano le azioni chimiche che vanno com- piendosi nel corpo di siffatti organismi situati agli ultimi gradini della scala animale ! Qui convien ricordare che sembra assente fra questi enzimi, l’amilasi, ciò che è di una grande importanza nella biologia delle Termiti e dei Flagellati in discorso. Infatti sia le une che gli altri vivono al buio, vale a dire in condizioni poco propizie per la formazione delle amilasi, che invece trovansi più abbondanti alla luce , cioè nelle foglie verdi dove sciolgono ben presto V amido autoctono. La digestione delle membrane vegetali per opera dei Flagellati, ecc. 9 Si potrebbe obbiettare che aU’acido solforico stesso reagente sul legno o sui primi pro- dotti di decomposizione di questo debba ascriversi la reazione ; riteniamo che 1’ obbiezione non abbia valore pel fatto che la reazione è troppo pronta perchè si possa sospettare una preliminare azione dell’ H2SO4 nella formazione degli zuccheri. E duopo da ultimo far rilevare che la reazione dello zucchero fu pure segnalata nelle cellule delle pareti intestinali delle Termiti. L’ importanza di questo reperto verrà messa in evidenza nelle conclusioni; qui faremo solo notare che trattati allo stesso modo i Protozoi viventi nelle acque inquinate, nelle in- fusioni di fieno, e via dicendo non ci hanno mai svelato la presenza di zucchero, mentre taluni di essi presentavano netta la reazione del glicogeno. Data la grande affinità delle gomme cogli zuccheri e il facile trapasso delle une ne- gli altri sotto l’azione di acidi; dati inoltre gli stretti rapporti che intercedono fra la gomma e le sostanze pectiche si è cercato anche di stabilire la presenza di tali corpi per mezzo del rosso di Rutenio, un reattivo stato proposto dal Mangio per mettere in evidenza la gomma e le mucilaggini derivanti dai composti pectici. Applicato questo reattivo sugli animali vivi si è constatato che i Flagellati ne riman- gano ben tosto avvelenati, infatti non tardano ad eseguire colla porzione anteriore del corpo, in cui vi ha l’imbuto faringeo, (ci riferiamo a Tryclionimpha agilis) dei movimenti abnor- mi di succhiamento cui abbiamo accennato, grazie ai quali 1’ imbuto non tarda a colorarsi in rosso vivo. (Questa può essere una prova a conferma dell’ opinione da noi emessa che r ingestione delle sostanze alimentari specialmente liquide possa avvenire per la porzione anteriore. Dopo un po’ di tempo gli organismi sono uccisi ed allora tutta quanta la massa pro- toplasmatica si colora in rosso vivo. Ancor più intensa è la colorazione nel nucleo : debole invece nei flagelli. Essendo noto che il rosso di rutenio colora debolmente, od anco lascia quasi incoloro il protoplasma, se ne deve inferire che 1’ intensa tinta rossa da questo as- sunta è indizio della presenza di sostanze mucilaginose — gommose (d’origine pectica) nel- r interno dell’ organismo. A questo riguardo dobbiamo notare però che non tutte le specie dei Flagellati in discorso presentavano lo stesso grado di colorazione : più colorati erano gl’ individui di Trychonimpha e di Dinenympha, meno colorati gli altri. Molte delle reazioni idrolizzanti che portano alla formazione di zuccheri si compiono in mezzo acido o sotto 1’ azione di speciali enzimi, od anco in presenza dell’ uno e degli altri. A quali di questi corpi va attribuito il forte poter digestivo dei microrganismi? Data r esiguità di questi è difficile pronunciare un giudizio esatto nella questione ; ciò non ostante i fatti che abbiamo messo in evidenza ci inducono a vedere che la digestione sia piut- tosto un portato di speciali enzimi (forse di molti enzimi ad un tempo), anzicchè di acidi. Innanzi tutto sta il fatto che il contenuto dell’ ampolla cecale saggiato colle cartine di Tornasole dà una reazione anfotera, od anco leggermente alcalina. Più di tutto però è convincente 1’ esperimento in vitro. Delle sottilissime sezioni di semi di Tropaeolum maius, il cui albume, come è noto, pei lavori di Frank, contiene delle cellulosi di riserva sotto forma di ispessimenti delle pareti cellulari, vennero collocati nel liquido fisiologico (soluz. di CINa al 0,70%) in cui erano state previamente spappolate parecchie ampolle cecali di Termiti allo scopo di in- quinare il preparato con un grande numero di Flagellati. Dopo 24 ore esaminatosi il preparato al microscopio si potè constatare che le pareti Atti Acc. Seuie V, Vol. III. Mtm. XVII. 2 10 Proff. L. Biisccilioni e S. Comes [Memoria X\01.] cellulari erano state profondamente intaccate, ridotte in parte alle sole lamelle mediane, op- pure ancor fornite degli strati di ispessimento, ma questi rigonfiati, corrosi, ridotti in gra- nuli. Più resistenti a quest’ azione intaccante dei Flagellati erano le punteggiature, natural- mente perchè quivi le membrane sono più ispessite che altrove. Una tale disorganizzazione de- ve essere ascritta a particolari ci- tasi anziché ad acidi, poiché i saggi preliminari colle cartine di Torna- sole non ci avevano rivelato, come è stato detto, la presenza di questi. Noi non sappiamo se le citasi fossero contenute nei Flagellati, op- pure nel secreto delle cellule inte- stinali delle Termiti, o in entrambi, ma i fenomeni che abbiamo messo in evidenza e le molte reazioni fatte ci portano a ritenere che se i fermenti sono presenti nel liquido intestinale sono pure presumibil- mente contenuti nei Flagellati. Del resto noi abbiamo visto nelle numerose osservazioni microscopiche del contenuto intestinale delle Termiti, che il legno è per la maggior parte compreso , sotto forma di frantumi più o meno piccoli, nel corpo dei Flagellati e solo in pic- colissima quantità trovasi libero nel contenuto intestinale medesimo. E se nei corpo dei Flagellati esso può gradatamente trasformarsi in cal- losi, gomma , peciosi , glicogeno, zucchero , è presumibile che nello interno del protoplasma di tali Pro- tozoi e non nel succo intestinalesi trovino quegli enzimi che provo- cano tali trasformazioni. Occorre notare che i Flagel- lati dopo poche ore dacché erano stati tolti dall' intestino morivano, sia per le condizioni diverse del mezzo in cui venivano a trovarsi, sìa forse per la diminuzione dell’ossigeno, inquantochè i preparati, onde potessero restare- inalterati per parecchi giorni, venivano lutati o con olio, o con paraffina. Il processo necrobiotico che conduceva alla distruzione dell’ individuo era accompa- gnato da reazioni singolari per parte dei microrganismi. Questi dopo essersi agitati viva- mente nel liquido, attestandoci colla loro irrequietezza, lo stato patologico di esistenza, si arrestavano e poscia cominciavano ad emettere dalle varie parti del corpo dei prolunga-- Fig. 3. — Microfotografia d’ una sezione dello stesso materiale posto a contatto dei Flagellati. Si vedono le membrane cel- lulari disgregate , ed in certi punti ridotte alla sola lamella mediana. Fig. 2. — Microfotografia di albume di Tropaeolum majtis incluso in soluzione fisiologica priva di Flagellati. Le membrane cel- lulari sono integre. La digestione delle membrane vegetali per opera dei Flagellati, ecc. 11 menti di varia forma, ramosi o curvi, sottili o grossi, spesso anastomotici , che in alcuni individui rendevano irto tutto il corpo, tanto erano numerosi. 11 fenomeno è intei'essante poi- ché la proprietà di emetter dei pseudopodi è caratteristica di determinati gruppi di Protozoi. È d’ uopo ancora aggiungere che avendo inglobati nei preparati non pochi granuli di amido di semi di Vida Faha, di Mais, di Riso non si è ottenuto che una dubbia azione idrolizzante e limitatamente ad alcuni granuli. Ciò lascerebbe supporre che i Flagellati con- tengano solo delle citasi, ma noi siamo ben lungi dall’ affermarlo in modo tassativo. Sta però il fatto che 1’ assenza, per ciò che concerne 1’ amido, di un processo di natura idro- litica, esclude nel succo intestinale la presenza di acidi energici, i quali se avessero agito sulle membrane cellulari non avrebbero mancato di intaccare parimenti i granuli d'amido. Col Sudan III si è infine tentato di metter in evidenza 1’ eventuale presenza di grassi e di olii, neU’interno dei Flagellati, ma con risultato negativo. All’opposto delle granulazioni grasse od oleose furono con questo reattivo intensamente colorate in rosso sia nel liquido in- testinale, sia nelle cellule delle pareti dell’intestino delle Termiti. Anzi bisogna aggiungere che tali cellule negl’individui forniti di protozoi sono completamente infarcite di granuli di grasso. Ora ciò sembra di grande importanza per la migliore concezione del meccanismo cito-fisiologico onde avviene r assorbimento dei grassi nella mucosa intestinale. Evidentemente, nel caso in esame, i grassi non sono assorbiti come tali. Essi mancano nel legno ingerito , mancano pure nel corpo dei Flagellati , solo in piccola quantità si riscontrano nel succo intestinale; quantità forse Fig'. 4.— Porz. della mucos.i intestinale , ^ . ^11 • 1 11. , • appartenente alla regione dell’ampolla dovuta a distacimento d una porzione dell epitelio da cui ■ - - - cecale, e trattata a fresco con Sudan III 0-, a. globuli adiposi, n. c. nucleo cellulare. I globuli di grasso si mostra- no nell’orletto striato delle cellule, ma più piccoli, e non colorati dal reattivo oc. comp. 4. Ob. imm. omog. vengono fuori i globuli adiposi , che v’ erano contenuti. Essi derivano dalla traasformazione degli idrati di car- bonio per azioni enzimatiche speciali della cellula della mucosa intestinale e nel suo interno; ciò deporrebbe con- tro la teoria dello assorbimento dei grassi sotto forma di emulsione. (Vedi a questo pro- posito i più recenti lavori di Oppel, Aiingazzini, Drago, Monti, Arcangeli, Bezzola ecc.). Facciamo ancora notare, prima di lasciare quest’ argomento, che forse la presenza in quantità straordinaria, ma pure incostante, di granuli adiposi nella mucosa intestinale ed, aggiungiamo nelle cellule limitanti i tubi malpighiani , va messa in relazione con 1’ esi- stenza dei corpi adiposi, quegli enormi accumuli di grasso che si riscontrano nella cavità generale del corpo degli insetti , tutto all’ intorno del tubo digerente. A proposito dei tubi di Malpighi che , come si è detto , hanno i loro elementi infarciti di adipe , sarebbe da vedere se essi costituiscono dei semplici organi di escrezione, come si ritiene dai più, od anche e principalmente degli organi di riserva come i corpi adiposi. Sembra dunque accertato che i Flagellati non siano in grado di trasformare gli idrati di carbonio in grasso : è vero che tale trasformazione appare poco chiara dal punto di vista chimica, ma ciò non ostante essa è stata segnalata da più di un autore nei vegetali, e specialmente nelle piante sempre verdi che all’autunno, vale a dire quando i processi di assimilazione si arrestano 0 si fanno poco intensi, producono dei grassi a spese dell’amido. Fu pure osservata nei semi durante la loro evoluzione. Negli animali la derivazione dei grassi dagli idrati di carbonio è anch’ esso uno dei fenomeni più frequenti ad osser- varsi (Bottazzi : Chimica fisiologica). 12 Proff. L. Buscalioni e S. Comes [Mejioria X\']I.] Non vi ha quindi dubbio, dai fatti esposti , che i Flagellati disorganizzano le pareti callosiche, pectiche, cellulosiche e lignificate, riducendo le une e le altre allo stato di gom- me, di zuccheri e di corpi glicogenici. È una profonda metamorfosi che essi determinano in grazia di speciali, e certo nu- merosi enzimi, contenuti nel loro corpo. A questo punto noi non crediamo di andar errati affermando che siffatte trasforma- zioni tornano anche utili all’ ospite. Lo attesta la reazione degli zuccheri nelle cellule inte- stinali delle Termiti, e lo accenna pure il fatto che i Flagellati, mentre si rinnovano con- tinuamente, vanno pure incessantemente a morte , di guisa che gli zuccheri contenuti nei loro cadaveri fuorescono, diffondendosi nel contenuto intestinale che viene di poi assorbito dalle pareti dell’ intestino della Termite, per la fabbricazione dei grassi. Non è escluso per altro che anche in vita i microrganismi non possano cedere , in parte almeno, zucchero a misura che vanno formandolo. Intanto non possiamo terminare questa rassegna senza far rilevare che nelle colonie di Termiti tenute in recipienti di vetro, all’ oscuro , dopo 48 ore si è constatata la morte di tutti i parassiti appartenenti alla specie Trichonimpha agilis e ciò malgrado che assieme alle Termiti si fossero posti dei pezzi di legno. (1) Orbene colla morte forse è venuta a mancare la reazione degli zuccheri, delle mucilaggini e del glicogeno sia nei Flagellati, sia nelle cellule dell’intestino delle Termiti^ il che ci indica che tali composti furono assimilati da questo ultime. Conclusioni e Considerazioni generali. In conclusione rimane assodato che nell’ associazione delle Termiti coi Flagellati non dobbiamo vedere un caso di parassitismo in cui questi ultimi sarebbero gii attori, come è quasi la norma quando i Flagellati si incorporano ad altri organismi, ma bensì un bellis- simo esempio di simbiosi mutualistica. Noi lo segnaliamo a biologi onde possano studiarlo più a fondo, non avendo noi per molte cause, ma in specie per mancanza di mezzi e di reattivi adatti, potuto ricercare molti dei prodotti secondari (come ad esempio le aldeidi ed i corpi della serie aromatica) che probabilmente devono comparire nel corpo del Flagellato durante le varie fasi del complicato processo di digestione del legno. Ad ogni modo , dopo quanto si è detto, è giusto domandarci : Quali sono i termini dentro i quali avviene tale simbiosi ? Noi crediamo che nel mutualismo stabilito fra Pro- tozoi e Termiti, i primi abbiano, abitando l’intestino di queste, la possibilità di vivere in un ambiente che ne permette la vita e lo sviluppo e fornisce loro il principale alimento , il legno sminuzzato , che altrimenti non potrebbero ingerire. Presumibilmente il legno che così vien ingerito dai Flagellati , in tanto lo è più facilmente senza alcun effetto nocivo alla vita e all’integrità del protoplasma e del nucleo, in quanto esso è rammollito dai succhi salivari e intestinali del simbionte ospitatore. Questi ultimi poi, cioè le Termiti , ricavano dalla simbiosi coi Flagellati, il precipuo vantaggio di potere usufruire dei materiali nutritivi (zuccheri e glicogeni) immagazinati o apprestati dai simbionti ospiti , da questi abilissimi chimici degli alimenti, da questi veri cuochi che sanno ricavare da un materiale così poco digeribile qual è il legno secco, un cibo tanto nutriente e saporito. (i) La morte va attribuita all'essiccamento graduale cui andavano incontro i pezzi di legno e gli or- ganismi che di questo si cibano. Intanto non è privo di interesse, dal punto di vista sistematico , rilevare che alcune specie di Flagellati resistono di più, altre meno all’ essiccamento. La digestione delle membrane vegetali per opera dei Flagellati^ ecc. 13 Se non ci fossero i Flagellati probabilmente le Termiti non saprebbero trar profitto del legno che ingeriscono. Lo dice il fatto che non mangiano legno, ma cibo per altra via confezionato (saliva, feccia) gli individui che non contengono Protozoi, come questi non sono ospiti o muoiono negli individui sprovvisti di legno. La simbiosi in discorso è spinta al punto che quando ci troviamo di fronte ad individui (neonati, o coppie reali di sostitu- zione, o qualunque altra Termite) i quali si cibano di feccia, con questa feccia vengono tra- sportati nel nuovo organismo ospitatore numerosi Flagellati, numerosi lavoratori del legno a scopo alimentare, appartenenti per lo più a Trichonimpha agilis, la quale per le sue di- mensioni, ed in conseguenza per la quantità di legno che può ingerire e per la più com- pleta trasformazione che fa subire a questo legno per trasformarlo in materiale assimilabile dall’ intestino della Termite, deve essere ritenuta come la più utile delle specie ospiti di Tennes hicifugus. Per questo trapasso, d’altra parte, i Flagellati trovano nuovo materiale legnoso da smal- tire e nuovo terreno per svilupparsi di più (forse alcuni stadi nel loro ciclo di sviluppo avvengono dopo tale passaggio). Anzi questo particolare intorno alla feccia di alimento ricca di Flagellati, deve metterci sulla buona via per apprezzare il valore alimentare della feccia che rappresenta una delle portate più gradite del menu delle Termiti, e la sola poi per determinati individui come pei piccoli e per quelli destinati a divenir reali di sostituzione. Un’ altra domanda che pur dobbiamo muoverci è la seguente : se non ci fossero i Flagellati , questi fornitori di cibo assimilabile, le termiti potrebbero cibarsi di legno da sole ? Crediamo di trovarci nella verità rispondendo negativamente. Noi non possiamo aver individui sforniti ad arte di Protozoi , ma i nidi degli indivi- dui privi di Protozoi, lo dice anche il Prof. Grassi, difficilmente possono albergare a lungo le colonie ed evidentemente emerge dalle presenti ricerche che ciò devesi appunto alla man- canza di Flagellati, piuttosto che alle condizioni di muta in cui le Termiti si trovano. Infine ci sarebbe da risolvere un’ ultima quistione per sapere quale, nei rapporti sim- biotici cosi stabiliti, rappresenta il più antico ed il più necessario fra i simbionti , e se la simbiosi descritta rappresenta una condizione primitiva o derivata; in altri termini se ci fu un tempo in cui le Termiti poterono digerire il legno, da loro ingerito, senza 1’ aiuto dei Flagellati. Noi, lo confessiamo, non ci riteniamo forniti di prove necessarie per dare una risposta decisiva. Abbiamo però con ogni sicurezza provato che nelle attuali condizioni i Flagellati ospiti dell’ intestino di T. lucifugus elaborano dal legno (che loro forniscono le Termiti ospitatici e dopo una serie di graduali trasformazioni) glicoceno e zuccheri . dai quali materiali poi per quel più complicato neccanismo fisiologico che si riscontra nei Me- tozol, le Termiti pervengono alle sostanze grasse e alle sostanze albuminoidi, sostanze pla- stiche più elevate nel ciclo continuo di trasformazione che subisce la materia vivente ! Un’ ultima considerazione intorno all’ intima essenza della simbiosi di cui ci siamo oc- cupati. E notevole un fatto, cioè, che la simbiosi, la quale si risconti a abbastanza raramente in tutta la serie dei viventi, costituisce un fenomeno biologico molto frequente nella classe degli Insetti. Certamente debbono concorrere molte condizioni alla determinazione di tale fenomeno cosi bene localizzato, condizioni che in gran parte si ignorano. Noi vorremmo dare fi'a tali condizioni un gran peso, alla rilevante estensione di rapporti che sussistono fra questa classe di Artropodi ed il resto del mondo vivente di unita allo stato ancora poco 14 Proff. L. Buscalioni e S. Comes [Memoria XV4L] evoluto degli organi digerenti. Gli è così, tralasciando di parlare di quei fenomeni piutto- sto controversi di simbiosi offerti da certi coleotteri ed altri insetti colle formiche , e da certe piante con le medesime (gli uni e le altre detti perciò mirmecofìle) che fra le formi- che, una specie caratteristica, 1’ Atta sexdens , presenta chiari e interessanti fenomeni di simbiosi (studiati dal Von Ihering Zool. Anzeig. XXI Bd. 1908 e da Goeldi , Biol. Cen- tralbl. 1905 e da altri) — con un fungo, Rosites gongilophora, al quale essa appresta il letame sotto forma di pezzi di foglie affinchè possa vegetare , mentre poi la formica si ciba del suo micelio. Orbene anche V Atta presenia un diverticolo faringeo in cui recente- mente vennero rinvenuti dei pezzi micelio del fungo , diverticolo paragonabile all’ ampolla cecale delle Termiti. Del resto fenomeni mutualistici del tutto simili avvengono nelle stesse Termiti. Un altro caso interessante di simbiosi mutualistica ci è stato rivelato dalle recenti ac- curate ricerche del Petri sulla Mosca olearia {Dacus oleaé) con un batterio che l’A. identifica col B. Savanastoi. Questo batterio che alberga nei ciechi cardiaci dell’ insetto, vi impedi- sce lo sviluppo di altri microrganismi che hanno un’ azione nociva sul corpo dell’ ospita- tore , o neutralizza 1’ azione di tali microrganismi se per caso essi si sono sviluppati (l). Probabilmente giacché siamo a parlare dei batteri come simbionti anche nel caso nostro noi potremmo trovarci presenti ad un fenomeno di simbiosi concatenato a quello che abbiamo descritto fra le Termiti e i Flagellati ospiti del loro intestino, in cui cioè la simbiosi mu- tualistica si contrae fra questi ultimi e certi batteri non bene identificati che vivono in grande abbondanza come s’ è detto nel loro corpo (specie in quello di Trichonimpha agi- lis) Sinora noi non abbiamo dimostrato che la presenza di questi batteri possa avere un’a- zione rilevante sulla digestione delle membrane vegetali. Ma ciò è presumibile se per poco noi richiamiamo l’ importanza del B. coli che ospitiamo nel nostro intestino nei fenomeni della digestione. Mentre questo batterio trova nel succo intestinale a reazione acida condi- zioni favorevoli per la sua esistenza e pel suo sviluppo, esso provoca sicuramente un’azione trasformatrice sia sugl’idrati di carbonio, sia sui grassi, sia sui proteidi (Luciani). Del resto è nota l’azione dei bacteri nella decomposizione di parti v'^egetali e nell’ isolamento delle cellule. Per quanto riguarda i grassi che a noi interessano più davvicino, mentre per l’azione microbica si originano da essi una gran quantità di acidi con sviluppo di CO2 e di H, pare provato che l’amido e la cellulosa che contengono questi corpi sono digeriti e decomposti per effetto della stessa azione. E ben fa notare il Luciani che, non tanto per la digestione della cellulosa (sost. difficilmente digeribile) il fenomeno è importante , quanto perchè così è resa possibile 1’ azione degli enzimi del succo intestinale sulle sostanze nutritive impri- gionate dalla cellulosa. Ciò è analogo a quanto con ogni probabilità avviene nell’ interno dell’ intestino medio delle Termiti, giacché quivi la cellulosa è sciolta dai microorganismi (i) Ugualmente importanti sono le ricerche recentemente pubblicate dal Pierantoni sulla Simbiosi » ere- ditaria degli Omotteri » [zool. Anz. Bd. XXXVI N. .4-5, August igio]. In molti rappresentanti di quest’or- dine di Insetti {Icerya purchasi , Dactylopius citri, Coclus cacti, alcuni Afidi, Cicada septemdecim , Aphrophora spumaria) 1’ A. ha notato una simbiosi ereditaria che va dall’uovo all’adulto con ammassi di Blastomiceti co- stanti nelle 99 e non nei cTcf individui i quali la presentano son tutti vegetariani. Per quanto non abbia ricercato in proposito l’A. sospetta che il compito fisiologico dei Blastomiceti simbionti sia quello di agevolare lo smaltimento delle sostanze zuccherine che i simbionti ospitatoci traggon dal loro nutrimento (nota agg, durante la correz. delle bozze). La digestione delle membrane vegetali per opera dei Flagellati^ ecc. 15 protozoarici , mentre 1’ amido contenuto nelle cellule, o libero lo è posteriormente dagli enzimi prodotti dalla mucosa intestinale. Il nostro caso desta però un interesse più vivo pel fatto che non sono batteri i simbionti ospiti, (1) bensì microrganismi ancora più evoluti. Flagellati , i quali per quanto sinora si sappia furon riscontrati come parassiti dannosi o come inutili commensali. Ciò assume una grande importanza sia per la biologia di questi Protozoari, sia per le vedute generali che riguardano la simbiosi. Prima di chiudere la presente nota ci preme di far notare che, edotti da quanto av- viene nelle Termiti, abbiamo divisato di estendere le nostre ricerche ad altri organismi ani- mali xilofagi (insetti del tarlo, mammiferi in digiuno ecc.). R. Istituto Botanico e R. Istituto Zoologico dell’ Università. Catania, Giugno 1910. (i) Lasciando impregiudicato però il possibile fenomeno di simbiosi fra i flagellati e i batteri che albergano. 16 Projf. L. Buscalioni e S. Comes [Memoria XVII. BIBLIOGRAFIA DELL’ ARGOMENTO Bottazzi F. — Chimica Fisiologica, Società Editrice libraria, Milano 1900. 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Pulvirenti espone nel suo lavoro le fasi di vita della Leishmania nelle culture. L’ importante lavoro, merita 1’ inserzione negli Atti dell’ Accademia Gioenia. Il Prof. Feletti annunziava nel N. 32 del “ Pathologica „ lo sviluppo della Leishtna- nia ottenuto nel nostro Istituto, con materiale di innesto preso da bambini affetti da Leish- maniosi. Il primo ad ottenere culture della Leishmania fu il Rogers (1) nel 1904. Egli innestò nel sangue con citrato di sodio al 10 % 4 succo della milza di ammalati affetti di Kala- Azar indiano. La cultura veniva tenuta alla temperatura di 20^-22o e si otteneva lo svi- luppo del parassita. Più tardi (1905) lo stesso Rogers (2) ottenne culture di Leishmania nel sangue al citrato di sodio cui aggiungeva tracce di una soluzione di acido citrico. Ottenne anche ri- sultato positivo col sangue aspirato dalla milza o dal fegato del paziente e citratato, come Lavernn e Mesnil (3) avevano fatto per la cultura del tripanosoma ugandense. Questi risultati sono stati confermati da ChaUerjee (4) da Christopher s (5) e da Mackensie (6). Il Leishman (7) ottenne lo sviluppo del parassita nel sangue aspirato dalla milza o dal fegato affetti da Leishmaniosi , addizionato di acido citrico e tenuto alla temperatura di 170-220. ■ (1) Lancet, 23 luglio 1904. (2) Lancet, 3 giugno 1905. (3) Mense — Tratt, delle Malat. dei paesi trop. Voi. III. 1909. (4) Lancet, 5 Dicembre 1904. (3) Scient. Mem. Gov, of Ind , 1905. (6) 1. R. .^rmv, Nov. 1905. (7) Mense. Tratt. delle M.rlat. dei paesi trop. Voi. IV. 1909. Atti Acc. StRie V, Vol. III. A/«>w. XVTII. I 2 Dult. G. Pulvirenti [Memoria XVlllJ Nel 1908 (1) il Nicolle fece in Tunisi tentativi di cultura con sangue della milza di bambini affetti di Leishmaniosi in terreni alla Rogers e ne ottenne risultato negativo. Ot- tenne invece lo sviluppo del parassita nei terreni di Novy-Neal e in quello da lui modifi- cato, nei quali il Rogers da innesti di Kala-Azar indiano ottenne risultati negativi. Di qui la distinzione che il Nicolle ha voluto fare dei due parassiti in riguardo allo sviluppo o meno nei detti terreni nutritivi, sebbene nessuna distinzione di forma abbia potuto rimarcare. Nei terreni di Novy-Neal e di Nicolle, questi ha constatato sempre lo sviluppo del pa- rassita nell’ acqua di condensazione e mai in superficie dell’ agar. Il matei'iale d’ innesto r ha preso sempre dal succo splenico. Massaglia (2) dice di aver coltivato la Leishmania infantum nei terreni di Novy-Neal e di Novy-Neal -Nicolle. Jemma, (3) Di Cristina e Cannata (4) hanno ottenuto lo sviluppo della Leishmania in superficie nei terreni di Novy-Neal e di Nicolle, e nel sangue di coniglio con aggiunta di citrato di sodio in anaerobiosi. Come materiale d’ innesto hanno adoperato pezzetti spappolati di milza o di fegato di cani infetti e di un bambino morto per Leishmaniosi. Le colonie in superficie presentavano contorni ben netti , superficie convessa , lucente , forma ovalare o circolare , colorito gri- giastro. Da preparati del materiale culturale colorati alla Romanowsky hanno potuto osservare le diverse modificazioni del parassita, come sono state descritte dagli autori precedenti. Il Pongo (5) ha coltivato la Leishmania in una soluzione di citrato al 2 % ottenen- done dopo 25 giorni circa dalla semina le più svariate forme di sviluppo. Il Gabbi (6) infine l’ha veduto svilupparsi nel terreno di Novy-Neal-Nicolle. 10 ho fatto tentativi di cultura sia nei mezzi alla Rogers , sia seguendo il metodo di Leishman , sia nei terreni di Novy-Neal e di Novy-Neal-Nicolle. Ho preso sempre come materiale d’ innesto il succo splenico. Ho tenute le culture costantemente alla temperatura di 20°-22°. Coi metodi Rogers e Leishman ho avuto sempre risultati negativi. Invece nei ter- reni di Novy-Neal e di Novy-Neal-Nicolle lo sviluppo del parassita è stato costante , la- sciando limpida r acqua di condensazione. In questa si vedeva solo il piccolo coagulo di sangue, col quale era stato fatto l’innesto. 11 parassita che si sviluppa resta ordinariamente attaccato al grumo , e si libera solo quando questo viene in qualunque modo disfatto. Nei primi 3-5 giorni dalla semina il parassita comincia a modificarsi , ingrandendosi di volume fino 2-3 volte e conservando spesso anche la propria forma (Fig. 2, 3 e 4). Verso l’8° giorno è abbastanza ingrandito e già munito di flagello (Fig. 5, 6 e 7). In seguito verso il 12° giorno si presenta nello stato di pieno sviluppo; ora isolato (Fig. 8, 9, 10, e 11), ora a gruppi di due, tre o più elementi (Fig. 17 e 18). Contemporaneamente si possono vedere forme più piccole, sottili e provviste di flagello (Fig. 12, 13, 14 e 15).- (i) Arch. de l’ Inst. Pasteur de Tunis, Fevr. 1908. yi) h Policlinico. Sez. Prat. Fase, 6, 1910. (3) Gazz. di Medie, e Chir. io Marzo 1910. (4) Gazz. degli Osped. 21 Apr. igio. (5) Il Policlinico, Sez. Prat. Fase. 21, 1910. (6) Rif. Med. N. 18, 1910. Sulla cultura della Leislimania 3 Il parassita isolato si avanza coll’ estremo flagellato in avanti, e con movimento più o meno rapido, secondo lo sviluppo del flagello. Più di rado il parassita presenta movi- menti di rotazione attorno al proprio asse. Se si presenta a due o più elementi , questi o restano immobili o si avanzano lentamente in direzione non tracciata da nessuno dei flagelli. Ho potuto seguire la mobilità del pai'assita sino al 50° giorno d’ età. A fresco in ogni parassita si può distinguere un flagello, un protoplasma, un nucleo, un blefaroplasto e qualche punticino poco rifrangente contenuto nel protoplasma. Nei preparati col Giemsa il protoplasma assume una leggiera colorazione bleu-violetta, non sempre omogenea, più intensa ora verso un margine ora verso 1’ altro. Questi si pi'e- sentano netti. Il corpo del parassita misura da 8 a 21ij- in lunghezza e da 2 a 8|J- in lar- ghezza. Ordinariamente si presenta allungato e con due estremità : una più grossa col lla- gello, l'altra più sottile ora arrotondata, ora a punta. Rare forme presentano una listerella di protoplasma quasi a semiluna attaccata soltanto per gli estremi ai due poli del paras- sita (Fig. 16). Le forme medie e piccole possono finiie a punta anche all’ estremità, dove è attaccato il flagello. Più di rado si vedono forme tozze piriformi (Fig. 4 e 6). Più rare ancora sono le forme perfettamente rotonde (Fig. 5). Il nucleo 0 grosso cariosoma è rotondo od o vaiare, misura da 1,5 a 3,5[j. di dia- metro, sta sempre più vicino all’ estremità opposta a quella col flagello. Si presenta colo- rato in rosso violetto e granuloso. 11 centrosoma ordinariamente è puntiforme od allungato e rare volte falciforme. Mi- sura 1|J. di larghezza e può arrivare a 2,5ii di lunghezza. Costantemente trovasi tra il nucleo e il flagello, e si colora uniformemente e intensamente in l'osso-granata. Il flagello attaccato quasi sempre all’ estremità più grossa del protoplasma si pre- senta ora ondulato, ora ricurvo in svariate forme. Spesso sembra una continuazione del protoplasma o sembra conficcato in esso per l-2n, altra volta invece parte da un adden- samento del protoplasma e più raramente dal blefai'oplasto. Prende una colorazione poco più intensa del protoplasma, la quale tende più al violaceo che al bleu. I corpuscoli sparsi nel protoplasma sono rotondi, non superano le dimensioni di 1\>. e sono colorati come il blefaroplasto (Fig. 17). Accanto a queste forme di pieno sviluppo se ne osservano altre in via di degenera- zione, come si rileva dall’ abbondante vacuolizzazione e dall’ assenza o dalla frammenta- zione del nucleo (Fig. 31). In riguardo alla moltiplicazione del parassita da tutti gli Autori si ritiene che essa avvenga per divisione longitudinale. Si notano effettivamente anche nei miei preparati delle formole piccole e medie tal- volta con due nuclei, con due blefaroplasti e senza flagelli (Fig. 19); tal’ altra con un nu- cleo, un blefaroplasto e due flagelli (Fig. 23) ; ora con uno o con due nuclei , con due blefaroplasti e con due flagelli (Fig. 21, 22). Altre forme infine accanto ad una divisione avanzata del protoplasma mostrano una incipiente ma evidente divisione nucleare (Fig. 20). Nelle dette forme anche il protoplasma presenta divisione secondo il maggior diame- tro e che ora si inizia lungo il corpo del parassita (Fig. 24), ora dagli estremi (Fig. 20 etc). Altre forme di divisione sembrano gruppi di parassiti, e si presentano ora privi di flagelli (Fig. 27) ora forniti di altrettanti flagelli quanti sono gli individui formanti dirò così la colonia (Fig. 26). 4 Doti. G. Pulvirenti [Memoria X\ III.| Sono da ritenersi anche parassiti con incipiente divisione alcune forme costituite di un protoplasma non sempre omogeneo con tre o quattro nuclei e con altrettanti blefaro- plasti con uno o più flagelli e con un protoplasma omogeneo o con accenno di divisione (Fig. 28, 29). Il flagello è sempre vicino al blefaroplasto. Infine si notano forme medie e piccole ammassate quasi a rosetta ; sono ben distinti vèrso la periferia meno verso il centro , che si presenta quasi omogeneo e nel quale si vedono piccole masse cromatiche (Fig. 30). Gli elementi completi sono in maggioranza ri- volti coir estremo flagellato verso 1’ esterno. Osservati in vita questi parassiti riuniti a rosetta hanno il flagello in movimento vi- vacissimo, e spesso qualcuno dei parassiti posti alla periferia si distacca dalla massa. Dalle forme di divisione che ho descritto non si può dedurre se la divisione si inizii dal blefaroplasto o dal nucleo, oppure dal protoplasma. Questo modo di riproduzione pare asessuale. Da ciò che ho esposto la forma di Leishmania ottenuta in cultura dagli ammalati di Catania presenta una morfologia perfettamente identica a quella descritta nei paesi tropi- cali da Leishman , da Roger s etc ; da Nicolle a Tunisi; da Jeinma , Di Cristina e Cannata a Palermo. In riguardo alla biologia invece esistono controversie, inquantochè Rogers, Chatterjee, Christophers, Mackensie, Leishman ottennero lo sviluppo della Leishmania dei paesi tropicali nel sangue al citrato di sodio e all’ acido citrico , mentrechè tali risultati non si sono potuti ottenere da Nicolle, da Jemma e dai suoi assistenti, nè da noi. Questa differenza messa avanti per il primo da Nicolle si porta ancora come argo- mento per distinguere la Leishmania che è causa del Kala-Azar delle Indie, da quella che produce lo stesso quadro clinico da noi e più specialmente nei bambini. Io però ritengo che tutte queste differenze cultui'ali non dipendano da diversità di Leishmania, ma piuttosto, come dice Nicolle stesso, da dettagli di tecnica involontaria- mente trascurati. A ciò mi fa pensare anche il fatto che Di Cristina e Cannata hanno osservato lo sviluppo del parassita nel sangue di coniglio citratato in anaerobiosi, e il Longo lo ha ottenuto nel sangue^ splenico infetto citratato al 2 °/o. Pare adunque che la differenza essenziale cominci ad attenuarsi se la Leishmania no- strana si sviluppa anche negli stessi mezzi nutritivi più o meno modificati , in cui si svi- luppa la Leishmania delle Indie. Onde io credo che i qaratteri morfologici e biologici della Leishmania infantum e della Leishmania Donovan porteranno a concludere per 1’ unicità del parassita. Sento il dovere di ringraziare il mio illustre Maestro Prof. Reietti , per gli incorag- giamenti e consigli avuti in queste ricerche. 1. Atti ddl'Accade/nia Cdoenia - Scri& V.loLlfl. Dott.Q.Rilvirenti- Sulla cultura della Leishniania Dott.G.Pulvipenti dis. Lit.Tacchinardi e Ferrari-Pavia Memoria X1X< Clinica medica della R. Uiiivei-sità dì Catania, Direttore Prof. R. FELETTI D.>’ L TOMASELLI , assistente Morfologia delie Leishmanìe nel sncco splenico di bambini affetti da Leishmaniosi (con una tavola litografica a colori) RELAZIONE DELLA Commissione di revisione composta dei Socii effettivi Proff. R. FELETTI E A. RUSSO [Relatore). Il D.r A. Tomaselli nel suo lavoro intitolato “ Morfologia delle Leishmanie nel succo splenico di bambini affetti da Kala-azar „ descrive il ciclo di vita di questi parassiti nel- r organismo umano. Il lavoro presenta novità ed importanza tali da meritare 1’ inserzione negli Atti deir Accademia Gioenia. Il succo splenico è 1’ unico prodotto che ci è stato possibile sottopori’e ad un esame accurato nei bambini affetti da Leishmaniosi. Lo studio d^li altri organi ci è riuscito im- possibile per assoluto divieto oppostoci dai parenti degli ammalati. La morfologia della Leishmania è stata descritta dal Leisìiman nel Kala-azar indiano, dal Nicolle nella Leishmaniosi infantile di Tunisi ; da Pianese, Gabbi., Feletti, Jemma nei casi osservati in Italia. Il tipo descritto dal Leisìiman con i suoi tre elementi (corpo protoplasmatico-nucleo-blefaroplasto) è quasi identico a quello illustrato dagli altri autori. Il Pianese ha distinto tre varietà di parassiti a seconda della loi'o dimensione. La forma più piccola a differenza delle altre due sarebbe sprovvista di blefaroplasto e di membrana e si troverebbe soltanto nel fegato. In questo organo i parassiti si colonizzerebbero, secondo il Pianese dopo aver invasa la milza ed il midollo osseo. Il Nicolle ha confermato il reperto del Leishman. Circa la sede ha notato come i parassiti si trovassero nelle grandi cellule mononucleari , delle quali le cosidette ganghe (Laveran, MesniI) sarebbero pezzi staccati in seguito a strisciamento. E mia intenzione di riferire in questa nota su alcune particolarità riguardanti la mor- fologia e lo sviluppo dei corpi di Leishman nella milza di ammalati osservati nella Clinica Medica di Catania. Circa i metodi di tecnica adoperati per mettere in evidenza i parassiti, oltre a quelli Atti Acc., Sehie V, Vol. 111. Mem. XIX. i Memoria XIX, Clinica medica della R. Università di Catania, Direttore Prof. R. FELETTI D.r A. TOMASELLI, assistente Morfologia delle Leishmanie nel succo splenico di bambini affetti da Leishmaniosi (con una tavola 1 i t o r a f i c a a colori) RELAZIONE DELLA Commissione di revisione composta dei Socii effettivi Proff. R., FELETTI E A. RUSSO [Relatore). Il D.r A. Tomaselli nel suo lavoro intitolato “ Morfologia delle Leishmanie nel succo splenico di bambini affetti da Kala-azar „ descrive il ciclo di vita di questi parassiti nel- r organismo umano. Il lavoro presenta novità ed importanza tali da meritare 1’ inserzione negli Atti dell’ Accademia Gioenia. Il succo splenico è 1’ unico prodotto che ci è stato possibile sottopori'e ad un esame accurato nei bambini affetti da Leishmaniosi. Lo studio degli altri organi ci è riuscito im- possibile per assoluto divieto oppostoci dai parenti degli ammalati. La morfologia della Leishmania è stata descritta dal Leishìuan nel Kala-azar indiano, dal Nicolle nella Leishmaniosi infantile di Tunisi ; da Pianese, Gabbi, Reietti, [emina nei casi osservati in Italia. Il tipo descritto dal Leishman con i suoi tre elementi (corpo protoplasmatico-nucleo-blefaroplasto) è quasi identico a quello illustrato dagli altri autori. Il Pianese ha distinto tre varietà di parassiti a seconda della loro dimensione. La forma più piccola a differenza delle altre due sarebbe sprovvista di blefai'oplasto e di membrana e si troverebbe soltanto nel fegato. In questo organo i parassiti si colonizzerebbero, secondo il Pianese dopo aver invasa la milza ed il midollo osseo. Il Nicolle ha confermato il reperto del Leishman. Circa la sede ha notato come i parassiti si trovassero nelle grandi cellule mononucleari , delle quali le cosidette ganghe (Laveran, Mesnil) sarebbero pezzi staccati in seguito a strisciamento. E mia intenzione di riferire in questa nota su alcune particolarità riguardanti la mor- fologia e lo sviluppo dei corpi di Leishman nella milza di ammalati osservati nella Clinica Medica di Catania. Circa i metodi di tecnica adoperati per mettere in evidenza i parassiti, oltre a quelli Atti Acc., Skrih V, Vol. IH. Mem. XIX. i o D.r A. Tomaselli [Memoria XIX.] da tutti adoperati a tale scopo (Giemsa-Leishman etc.) ne ho adoperato uno che, a parer mio, è utile specialmente quando i preparati vengono allestiti a solo scopo diagnostico. Il metodo da me preferito è il seguente : 1. fissare per pochi minuti gli strisci di succo splenico con alcool metilico, ovvero con alcool-etere ; 2. porre una goccia di soluzione acquosa di bleu di metilene su un vetrino copri- oggetto e capovolgerlo sul porta-oggetti in cui furono fatti di strisci. Dopo qualche minuto se i parassiti sono presenti si colorano. In tal caso si leva il vetrino copri-oggetti, si asciuga 1’ altro, il quale rimane così utilizzabile. Nel caso in cui la colorazione al bleu di metilene non riuscisse gradita si scolorerà il vetrino porta-oggetti in alcool e si colorerà con la sol. preferita. Dallo studio dei miei preparati ho potuto sorprendere, a parer mio, tre fasi della vita del parassita nel succo splenico. Queste sono: 1° maturazione — 2“ moltiplicazione — 3“ degenerazione. 1. Maturasione. I corpi di Leishman negli strisci di succo splenico per il loro dif- ferente aspetto e volume possono distinguersi in tre tipi. Il primo tipo è rappresentato dagli elementi più piccoli (1 — 1, [J- X 0, 5 — 1 |J-). La loro forma sovente è ovoidale ; il nucleo è disposto spesso verso una delle estremità ed appare finamente granuloso. Non si notano mai vacuoli nè dentro il nucleo ne dentro il protoplasma di questi ele- menti, il blefaroplasto non è visibile. In qualcuno di questi elementi il nucleo in un punto della sua periferia mostra un punticino, in corrispondenza del quale la cromatina appare più ispessita che nel resto del corpo nucleare. Il secondo tipo è rappresentato da parassiti di media grandezza (1,5 — 2|J-X1 — l,5ii), ovoidali, costituiti dal protoplasma, nucleo e blefaroplasto. Questo è puntiforme. Il terzo tipo comprende gli elementi di maggior dimensione (2 — 2, 5 [i. X 1, 5 — 2, 5ij.) rotondeggianti od ovali. Essi sono forniti di un grosso nucleo e di un blefaroplasto punti- forme o fatto a bastoncino. Alcune considerazioni possono farsi sui reperti già descritti. La forma dei parassiti è apparsa varia ed incostante. Difatti, non ho potuto confermare il fatto osservato dal Pia- iiese, che le forme grandi siano sempre ovalari o piriformi e le medie e piccole costante- mente rotonde. Di conseguenza non condivido la deduzione che, essendo i parassiti più piccoli solo nel fegato, 1’ organo nel quale il parassita prima si colonizza sia il midollo delle ossa a cui seguirebbero la milza ed il fegato. Questi tre tipi di elementi rappresen- tano verosimilmente successive fasi di un processo di maturazione dei parassiti. E infatti dal tipo di maggior dimensione che si iniziano i fenomeni di 2“ Moltiplicasione. I miei preparati dimostrano in modo evidente che i parassiti si moltiplicano per divisione longitudinale. Il primo a mostrare segni di divisione è il nucleo. Esso appare falcato in alcuni elementi nel corpo dei quali non si riscontra accenno a di- visione. In seguito tale incisura nucleare si rende più evidente mentre comincia a formar- sene una nel corpo cellulare. I processi di divisione rispettivamente del nucleo e del corpo progrediscono a poco a poco in modo da dividere in due il parassita il quale dà luogo così a due nuovi elementi. Difficile a spiegarsi è il comportamento del blefaroplasto. Morfologia delle Leishmanie nel succo spleuico dei bnrnhini , ecc. 3 Dai miei preparati non ho potuto determinare con sicurezza se esso si divida ovvero se derivi dal nucleo del parassita neoformato. La sede della moltiplicazione ho creduto che fosse il corpo delle grandi cellule della milza e dei grandi mononucleati. Alcuni di essi appaiono infatti pieni di un numero con- siderevole di parassiti. Nei preparati di succo splenico allestiti per strisciamento non è raro il vedere dei corpi rotondeggianti, colorati in roseo dalla soluzione del Giemsa, contenenti una quantità più o meno grande di corpi di Leishman. Tali corpi io credo, conformemente all’opinione di N'icolle, che siano pezzi del corpo delle grandi cellule della milza e dei mononucleari staccatasi in seguito alle manovre di tecnica. 3°. DegeneruBione. Accanto alle forme già descritte appaiono in line alcuni elementi che per i loro caratteri rappresentano una fase involutiva. Questa si inizia con una degenerazione vacuolare del corpo protoplasmatico, il quale appare rigonfiato, a contorni indecisi, colorato in bleu dalla soluzione del Giemsa. Anche il nucleo dopo il protoplasma si vacuolizza. L’ultimo a scomparire pare che sia il blefa- roplasto. CONCLUSIONI Riassumendo dalla morfologia dei corpi di Leishman nel succo splenico, pare possano dedursi i seguenti fatti : 1° I corpi di Leishman vanno incontro successivamente ad un processo di maturazione, moltiplicazione, degenerazione. 2° Il processo di maturazione si compie attraverso tre stadii rappresentati rispettiva- mente da altrettanti elementi differenti tra di loro per forma e volume. 3“ La moltiplicazione avviene nel corpo delle grandi cellule della milza e dei grandi mononucleari per divisione longitudinale rispettivamente del nucleo, del corpo cellulare , e forse del blefaroplasto. 4-0 II processo di involuzione ha luogo per degenerazione vacuolare successivamente del corpo cellulare e del nucleo. Il blefaroplasto è l’ultimo a scomparire. Ringrazio il Ch.mo Prof. Feletti per i suggerimenti datimi. )TT. L TOMASELLl ■ STUDIO DELLE LEISHMANIE NEL SUCCO DELLA MILZA DEI BAMBINI AFFETTI DA KALA-AZAR. ■3 W i STANISLAO CANNIZZARO STANISLAO CANNIZZARO Discorso commemorativo pronunziato dal Prof. GIUSEPPE GRASSI CRISTALDI NELLA seduta DEL 16 GIUGNO 1910. Stanislao Cannizzaro, che la nostra Accademia Gioenia si gloriava di annoverare fra i Soci Onorari, nacque a Palermo, il 13 luglio 1826, dal Dottor Mariano Cannizzaro, ma- gistrato di cospicua famiglia messinese, e da Donna Anna Di Benedetto , di famiglia pa- trizia palermitana, più tardi benemerita per parecchi martiri del Risorgimento italiano. Ultimo nato di numerosa prole , era 1’ ultimo superstite. Sposò nel 1857 Henriette Whiters, inglese, e ne ebbe un figlio, l’ ingegnere Mariano , e due femmine , di cui vive oggi una sola, la Signora Annetta Zanardi. Fece i primi studi a Palermo, nel collegio Carolino Calasanzio, presieduto dagli Sco- lopi. — Inscritto poi nella Facoltà di Medicina , frequentò 1’ Università di Messina, e, ancor giovanissimo, vi consegui la laurea. Durante l’anno 1845 pubblicava tre memorie su argomenti di medicina. Quantunque il padre occupasse sotto i Borboni l’ alta carica di Ministro di Polizia e poi quella di Presidente della Reale Gran Corte dei Conti, il figlio Stanislao si fece subito notare per i suoi sentimenti liberali, agitandosi e prendendo parte a tutte le congiure che miravano a scalzare quel governo che Gladstone defini “ la negazione di Dio. „ Perseguitato dalla polizia, dovette lasciare la Sicilia e passare all’ Università di Pisa , ove frequentò i celebri laboratori del Melloni e del Piria. — Questi , ammirando le spiccate attitudini e la svegliata intelligenza del Cannizzaro, lo consigliò a dedicarsi alla Chimica. Nel 1848 lasciò gli studi per le aperte battaglie della libertà , e il 12 gennaio lo si trovò fra i più audaci organizzatori della Rivoluzione Siciliana. — Fu segretario della Ca- mera dei Comuni e, col grado di capitano d’ artiglieria , il primo settembre prese parte a Messina alla gloriosa resistenza contro i Borboni. — Poscia che fu soffocata nel sangue queir epica lotta, con la qualità di Commissario straordinario del Governo provvisorio, do- vette firmare 1’ armistizio col generale Filangieri. Avendo i Siciliani concentrate le loro forze sulle alture di Taormina, lo si trovò an- cora alla difesa di quel campo che, com’è noto, per 1’ indugio del Capranica, ebbe la stessa sorte della forte e valorosa Messina. Atti Acc., Serie V, Vol. III. Appendice. I G. Grassi Cristaldi ') Caduto il Governo provvisorio e sapendosi inscritto fra quei quaranta condannati a morte che Ferdinando II non volle mai graziare, Cannizzaro s’imbarcò per Marsiglia sul- r unica nave rimasta a quel Governo, e continuò per Parigi , ove rimase per lavorare Au Jardin des Plantes con Cahours. Uno dei pochi superstiti del Parlamento siciliano, ricordava sovente, col suo vivo en- tusiasmo giovanile, quelle sue prime armi della vita parlamentare. Ritornato nel campo sereno dell’indagine scientifica, nel 1851 pubblicò il suo primo lavoro di chimica sulla cianammide, in collaborazione con Cloéz; e l’anno successivo, da solo, r altro intorno all’ azione del cloruro di cianogeno sulla metil-ammina. Nel 1853, con una reazione che porta il suo nome, scoprì il primo termine della se- rie degli alcooli aromatici: 1’ alcool benzilico. Pubblicò in quel periodo di tempo altri importanti lavori, fra i quali quello sull’ alcool anisico, in collaborazione con 1’ amico Bertagnini, di cui non si stancava ricordare con af- fetto la squisita bontà d’ animo e le alte qualità intellettuali. * ^ * Passato con altri esuli in Piemonte, cominciò qui la sua carriera di professore , inse- gnando chimica, fisica e meccanica nell' Istituto tecnico di Alessandria ; e il Governo pie- montese, che ebbe subito agio di apprezzare il valore del giovane chimico, gli affidò po- scia r insegnamento della Chimica generale nell’ Università di Genova. Si dedicò all’ insegnamento con sublime trasporto , e la preparazione della sua lezione era uno studio indefesso per tor via le astruserie dagli argomenti difficili e oscuri. Appunto uno dei fattori, cui Cannizzaro deve la sua meritata fama mondiale, devesi allo sforzo continuo di rendere alla portata degli allievi le sue elaborate e splendide lezioni. È noto che nel decennio innanzi al 1860 regnava nella Chimica grande confusione e incertezza sui criteri da seguire per determinare i pesi atomici degli elementi e sul valore delle formole. Questa confusione era il tormento di Cannizzaro. Tutti gli anni , quando egli comin- ciava le sue lezioni , si preoccupava della difficoltà che incontravano i giovani a seguirlo nell’ esposizione dei concetti fondamentali ; e poiché “ quando studiavo chimica — egli ebbe “ occasione di dire — non capii per molti anni nulla del vero valore delle formole, così io “ compativo i miei studenti. „ Durante il suo esìlio in Francia (1852-1853) ebbe la fortuna di assistere ai corsi di Regnault al Collège de France, giusto quando quell’ insigne fisico svolgeva e discuteva le sue celebri esperienze sui calorici specifici ; e avendo con lui a lungo discusso e ragionato, rimase penetrato dagli argomenti che militavano a favore dei pesi atomici corrispondenti alla legge di Dulong e Petit, che, scoperta sin dal 1819, non soddisfaceva il desiderio del Berzelius. Cannizzaro rimase sopra tutto colpito dal fatto che il sistema dei pesi atomici , chia- mati allora equivalenti termici dal Regnault, coincideva con quello che Rose e Marignac avevano dedotto con la legge dell’ isomorfismo del Mitscherlich. Questo fatto e 1’ altro della geniale riforma di Gerhardt , nella chimica organica , di comparare le sostanze a volumi eguali, lo ricondussero all’ ipotesi di Avogadro, da lui va- Discorso conuneinorativo 3 gheggiata per molti anni e per la sua semplicità e per la conferma sanzionata da Clau- sius con le sue considerazioni attinte dalia teorica meccanica del calore. — Afa Gerhardt, impressionato dalle anomalie riscontrate nella densità dei vapori , rinnegava quell’ ipotesi ; per lui non era una verità molecolare, ma un fatto accidentale. E Cannizzaro, che doveva insegnare chimica inorganica ed organica, non poteva adot- tare un sistema di forinole per la prima e il sistema di Gerhardt per l’ altra. Ala gli studi sulla dissociazione di Deville, gl’ importanti lavori di Berthelot sulla gli- cerina, quelli di Wur'tz sul glicol , le scoperte di Frankland sui composti organo-metallici eliminarono gli argomenti invocati dal Gerhardt, e Cannizzaro potè applicare a tutta la chimica l’ ipotesi di Avogadro sulla costituzione dei corpi allo stato gassoso , potè confer- mare le riforme di Gerhardt nella chimica organica e potè mettere in perfetta armonia i pesi atomici dedotti da Regnault mediante i calorici specifici , e da Rose e Marignac per mezzo dell’ isomorfismo. Quando nel 1896, nell’occasione delle onoranze resegli dagli allievi e dai chimici di tutto il mondo . narrò succintamente e modestamente le vicende per l’evoluzione di tutte queste idee, soggiunse : “ Ho vivissima nella memoria la soddisfazione, dirò anche la gioia che provai, quan- “ do, dopo le vacanze impiegate a preparare il mio corso, potei esporre i concetti fonda- “ mentali della teoria molecolare e atomica nel modo sopra indicato. — Mi accorsi che era “ la prima volta che gli studenti avevano- capito chiaramente il significato delle tbrmole “ chimiche. „ Ne comunicò ai colleghi il risultato, ma esitò a farne oggetto di una Memoria che potesse oltrepassare le Alpi. Preferì la forma di una lettera, diretta al Professor Deluca, allora professore di chimica a Pisa. Questa lettera , pubblicata nel 1858 e riletta dopo 52 anni, olezza ancora di attualità e dimostra quanta limpidità e quanta chiarezza nella par- simonia della parola era in Cannizzaro. Sentite ; “ Per condurre i miei allievi al medesimo convincimento che io ho , gli ho “ voluti porre sulla medesima strada per la quale io ci sono giunto , cioè per 1’ esame “ storico delle teorie chimiche. „ Perchè, come ebbe a dire nel suo discorso Farada}' (letto da Cannizzaro alla Società chimica di Londra il 30 maggio 1872), “ qualche volta è accaduto, per amore d’una troppo “ grande semplicità, d’una troppo grande brevità, di enunciare la teoria atomica in modo “ da seminare nello spirito dei principianti le illusioni più grandi e più dannose per la loro “ educazione intellettuale. Per evitare questi inconvenienti, consiglio coloro che insegnano, “ d’avere sempre presente allo spirito la genesi storica e l’evoluzione di questa dottrina per “ rendersi un conto esatto della fase alla quale essa è giunta attualmente nel suo sviluppo. „ Ed esponeva, con quella sua singolare chiarezza, l’ipotesi di Avogadro tanto discussa e non ancora accettata dalla maggioranza dei chimici, insistendo ch’essa doveva applicarsi per la determinazione dei pesi delle molecole, prima anche che se ne conoscesse la com- posizione. “ Comparate, diceva ai giovani, le varie quantità dello stesso elemento, contenute sia “ nella molecola del corpo libero, sia in quelle di tutti i diversi suoi composti , e non vi “ potrà sfuggire la seguente legge : le varie quantità dello stesso elemento , contenute in “ diverse molecole, sono tutte multiple intere di una medesima quantità, la quale, entrando “ sempre intera, deve a ragione chiamarsi atomo. „ 4 G. Grassi Cristaldi Quando intraprende la discussione sul peso atomico del mercurio , che i chimici so- stenevano eguale a 100, Egli, fondandosi sulla eguale capacità calorifera degli atomi, “ par- “ mi , — dice — , eh' io possa sostenere che ciò che è nelle azioni chimiche la mezza “ molecola dell’ idrogeno , è la intera molecola di mercurio : tutte e due queste quantità “ sono indivisibili — , almeno nella sfera delle azioni chimiche attualmente note. E aggiungeva : “ Tu ti accorgi bene che con quest’ ultima espressione io scanso la questione : — se “ si possa giungere a dividere ulteriormente questa quantità. „ E segue sviluppando il concetto della determinazione dei calorici specifici dei metalli e dei loro composti, sostenendo la necessità di raddoppiare i pesi atomici dello zinco, del rame, piombo, calcio, ecc. — Ne scaturiva quindi la nuova forma di combinazione MX2 intermedia tra la MX e la MX3, e in armonia con i calorici specifici da una parte e con le densità dall’altra. Questa lettera, pubblicata, nel Nuovo Cimento, col titolo di : SUNTO DI UN CORSO DI FILOSOFIA CHIMICA non suscitò grande interesse, ed a causa della poca diffusione della lingua italiana , fu solo nota a qualche raro chimico di oltr’ Alpe. Intanto la confusione sulla teoria degli atomi raggiungeva il culmine. Epperò con la speranza di venire ad un accordo mercè uno scambio reciproco di opinioni, tre distinti rap- presentanti delle nuove idee, C. Weltzien. A Wiirtz ed A. Kekulé, nel settembre del 1860 decisero di riunire a congresso tutti i chimici del mondo a Karlsruhe , in Baden. — Più di 100 degl'invitati risposero all’appello, alcuni forse per cortesia, molti per la speranza di potere pervenire al desiderato accordo. Ma si parlò molto e si concluse poco. Cannizzaro vi pronunziò un brillante discorso decisamente contrario alle idee sostenute da Dumas. Questi che presiedeva la seduta, so- steneva che in chimica sono due le scienze : l’ inorganica e l’organica. A cui rispose Cannizzaro deplorando la cattiva abitudine, spesso seguita, di adottare per la chimica organica pesi atomici e regole del tutto diversi da quelli dell’ inorganica e sostenne il concetto dell’ unità della scienza. Il suo discorso, vibrato e vivace, incontrò la generale approvazione, ma non valse a cambiare il risultato di tutta la discussione, compendiata in fine dai discorsi di Hermann Kopp e di Otto Linné Erdmann, i quali conclusero che non era il caso di decidere su tali quesiti scientifici, piuttosto dovevasi lasciare piena libertà ad ogni investigatore. Se la forma della discussione, dice Lothar Mayer , riuscì infruttuosa , fu però molto utile, perchè dallo scambio delle varie idee si preparò l’accordo per l’avvenire. — Dopo la chiusura del Congresso , Angelo Pavesi, per incarico di Cannizzaro, distribuì un piccolo e modesto opuscolo, il Sunto d’un corso di filosofia chimica il quale, quantunque apparso alcuni anni prima, era a tutti poco conosciuto. — Anch’io, soggiunge il Mayer, ne ebbi una copia che intascai con l’idea di leggerlo durante il mio viaggio di ritorno. Lo lessi anche ripetutamente a casa e fui sorpreso della chiarezza che il piccolo scritto spandeva sopra i più importanti punti di controversia. Mi caddero le bende dagli occhi, i dubbi sparirono e al loro posto subentrò la sensazione della più tranquilla certezza. Se alcuni anni più tardi potei contribuire alla chiarezza dei fatti ed alla tranquillizza- Discorso commemorativo o zione degli spiriti bollenti, si attribuisca in gran parte allo scritto del Cannizzaro. Quello che avvenne a me dovette ripetersi agli altri congressisti. Le alte onde del dissenso incominciarono ad appianarsi e i pesi atomici di Berzelius rientrarono nel loro giusto diritto. Risolta da Cannizzaro l’ apparente contradizione tra la legge di Avogadro e quella di Dulong e Petit, poterono entrambe essere applicate e per la prima volta essere poste le fondamenta solide per l’insegnamento del valore chimico degli elementi, senza le quali la teoria della concatenazione degli atomi non si sarebbe di certo potuto sviluppare. Ecco perchè Cannizzaro fu un precursore. Ma c’ è di più. La definizione dell’ atomo data da Cannizzaro, servi al Mendelèeff da base miliare per la scoperta della legge periodica degli elementi chimici. Cito un brano dell’interessante discorso Faraday letto dal celebre chimico russo alla Società chimica in- glese nel 1889: “ È uopo indicare tre serie di date, senza la conoscenza delle quali, la legge perio- “ dica non si sarebbe potuto scoprire ; date che ne resero l’ apparizione naturale e intelli- “ gibile. La prima si riferisce a quell’ epoca in cui si conobbe definitivamente il valore " numerico dei pesi atomici. Dieci anni prima questa conoscenza non esisteva , e ne fa “ fede il fatto che nel 1860 si riunirono a Karlsruhe da ogni parte del mondo i chimici “ per venire in qualche accordo se non per le idee relative agli atomi, almeno in rapporto “ alla loro definitiva rappresentazione. Molti dei presenti probabilmente ricorderanno che “ vane furono le speranze di venire ad un’intesa e quanto terreno fu guadagnato a quel “ congresso dai seguaci della teoria unitaria sì brillantemente presentata. — È vivo ancora “ in me il ricordo dell’impressione prodotta dai discorsi che non ammettevano transazioni “ e sembravano patrocinare la stessa verità basata sulle concezioni di Avogadro, Gerhard! “ e Regnault, che a quell’epoca erano lungi dall’essere accettate. E quantunque non si po- “ tesse arrivare a nessun’ intesa, gli scopi della riunione furono raggiunti, perchè le idee “ del Cannizzaro riuscirono dopo pochi anni ad essere le uniche che potessero resistere “ alla critica, in quanto che rappresentavano 1’ atomo come la più piccola quantità di un “ elemento che entra sempre intera nella molecola dei suoi composti „. “ Tali pesi atomici reali e “ non quelli convenzionali „ poterono offrire una genera- “ lizzazione. " Come esempio, è sufficiente indicare i seguenti casi nei quali la relazione mostrasi “ con la massima evidenza : K = 39 Rb — 85 Cs = 133 Ca= 40 Sr =87 Ba = 137 “ mentre con gli equivalenti allora in uso K = 39 Rb = 85 Cs = 133 Ca= 20 Sr = 43,5 Ba = 68,5 “ sparisce completamente quell’aumento progressivo del peso atomico, tanto evidente nei “ valori reali. E Cannizzaro Stanislao, con la sua impareggiabile modestia, afferma e ripete : “ Di tanta e insperata fortuna del mio modesto opuscolo io non mi attribuisco altro ò G. Grassi Cristaldi “ merito che quello del maestro di scuola che pone il massimo zelo nel suo insegna- “ mento. * * * Intanto al 1860 Giuseppe Garibaldi liberava la Sicilia dalla tirannide borbonica e chia- mava a coprire la cattedra di chimica dell’ ateneo palermitano il Cannizzaro, — il quale, a dare maggiore impulso all’evoluzione della Scienza, si procurò la cooperazione di Adolfo Lieben, reduce dal laboratorio di Wiirtz a Parigi, e di Guglielmo Koerner, il più valoroso cooperatore di Kekulé. E l'istituto chimico di Palermo divenne un centro importante di in- dagini sperimentali, la scuola che diede Paternò, Oglialoro ed altri. Nel 1871, un anno dopo la breccia di Porta Pia, invitato a fondare a Roma l’Istituto chimico di via Panisperna, vi profonde tutte le sue energie di scienziato e di maestro. Sotto la sua direzione quell’ Istituto è un vero centro di attività scientifica : vi si accorre anche dall’ estero per ascoltarvi le più belle ed elevate lezioni, per lavorarvi in tutti quei rami che i giovani allievi coltivano con maggiore trasporto. Perchè il Cannizzaro non impose mai argomenti, non creò pastoie alle giovani intelligenze : lasciò fare. Fu così che vi potè eccellere la chimica inorganica con Francesco Mauro e Augusto Piccini, fu così che vi si potè coltivare con Ciamician quel ramo geniale della spettroscopia che valse ad illustrare vieppiù l’omologia di molti gruppi di elementi e con Nasini dare quel notevole sviluppo alle sue belle inda'gini di fisico-chimica; e fu cosi che la chimica organica potè offrire un campo vasto e svariato ai giovani cultori che oggi coprono con dignità e onore quasi tutte le cattedre di chimica delle università italiane. Cannizzaro nel suo Istituto non fu solamente lo scienziato, il maestro, ma il consi- gliere autorevole, lo sprone al lavoro, l’arguto istigatore alla gara. Alla parola , talvolta rude, associava 1’ amorevole consiglio paterno, alla critica spietata, il savio suggerimento. Per Cannizzaro non si può ripetere il noto verso del Leopardi : Virtù viva sprezziam , lodiamo estinta , perchè non v’ è Accademia che non lo ebbe socio e non v’ è Ordine di merito di cui non fosse insignito. Nominato senatore da Vittorio Emanuele II sin dal 15 novembre 1871, subito si fece notare nell’autorevole consesso per assiduità nel seguirne i lavori , per vivo interesse in tutte le questioni politiche e per buon senso e competenza nelle discussioni ; e ne ebbe meritato premio con l’elezione a vice-presidente del Senato in ben cinque legislature. Fu quasi senza interruzione membro del Consiglio superiore della P. I. e di quello della Sanità pubblica. La Royal Institution of Great Britain lo insignì nel 1891 della medaglia di Copley, distinzione rara che in Italia ebbero solo pochi , come Volta e Matteucci. L’ Istituto di Francia gli conferì la medaglia di Lavoisier. * ^ * Nel 1896, 21 novembre, (1) ad iniziativa degli antichi assistenti di Palermo e Roma (Carnelutti, Ciamician, Fileti, Grassi-Cristaldi, Cucci, Koerner, Marino-Zuco, Nasini, Oglialoro, fi) Poiché era difficile per il 13 luglio ai professori allontanarsi dalle proprie sedi, venne stabilito di ri- mandare al 21 novembre la cerimonia delle onoranze. Discorso commemorativo / Paterno Piccini, Schiff R., G. Tassinari e Valente) si festeggiò il settantesimo anno della nascita del Cannizzaro nell’anfiteatro dell’Istituto chimico. Vi convennero tutti i professori di chimica delle Università italiane, numeroso stuolo di professori di altri Istituti, una larga rappresentanza di professori dell’ Università romana e di studenti, di soci dell’ Accademia dei Lincei, numerose rappresentanze di sodalizi scientifici e professionali : insomma tutto quanto di meglio accoglie la scienza della nostra Italia. Il Governo vi era degnamente rappresentato dal Marchese di Rudinì, presidente del Consiglio dei Ministri, da Galimberti , rappresentante il Ministro delja pubblica istruzione, allora assente dalla Capitale, e da Ar- coleo. La festa che si volle modesta, riusci invece solenne e commovente. Ricordo ancora il brivido corso nelle mie vene e gli applausi fragorosi e insistenti all’ apparire del Can- nizzaro col suo abituale sorriso bonario. Furono tanti e tali gl’indirizzi spediti che quella festa assunse l’importanza di un vero plebiscito da parte degli scienziati e dei Corpi Scientifici di tutto il mondo. Quell’omaggio solenne, grandioso, unanime fu l’espressione d’un giudizio lungamente maturato sopra lavori e scoperte che da circa cinquant’ anni resistevano alla critica più severa, sopravvivendo, dopo sì lungo tempo, alle molte evoluzioni, agli enormi progressi. Cannizzaro , commosso, pronunziò uno di quei suoi discorsi semplici ed elevati , fer- mandosi sopra tutto sulla storia di quel suo opuscolo che tanto esitava a pubblicare. Fra le molte cose ricordo con piacere il pensiero che Egli, rivolse alla memoria del suo mae- stro, Raffaele Piria, che tanto onorò con i suoi lavori la Patria , e che nell’ Università di Pisa fu il vero capo-scuola della chimica italiana. * * * Cannizzaro, zelantissimo nell’adempimento dei suoi doveri, teneva molto alle sue lezioni, precedute sempre da accurata preparazione ed esposte con tale arte persuasiva da suscitare grande entusiasmo nell’ uditorio, il quale finiva per applaudirlo fragorosamente. Molti cultori di scienze e professori di chimica esteri passando da Roma non man- cavano di andarlo a salutare e di assistere alla sua lezione. Ricordo un giorno il celebre Hoffmann starsene per un'ora ad ascoltare religiosamente l’argomento sulla determina- zione del luogo chimico nei composti aromatici bisostituiti , svolto magistralmente e col solito entusiasmo. Terminata la sua esposizione, Cannizzaro, rivoltosi all’amico, gli dice: E avete avuto la pazienza di seguirmi sino alla fine ? E Hoffmann : Anzi , ritornerò in Germania , contento di avere imparato da voi il modo di esporre la lezione ai miei allievi ! * * * La tempra ferrea del suo carattere e del suo organismo, malgrado la sua tarda età di 84 anni, gli permise di fare, sino all’ ultimo, il suo dovere. Il 22 gennaio segna la data dell’ ultima sua lezione. Il male , che negli ultimi mesi progrediva a gran passi , si mostrò ribelle a tutte le 8 G. Grassi Cristaldi cure. Sino all’ ultimo parlò con piena lucidità mentale; ma alle 9 V2 del 10 maggio si assopì per dormire il sonno eterno e salire all' immortalità. E qui termino con le stesse parole rivoltegli da Sua Eccellenza Galimberti il 21 no- vembre 1896: “ A voi , che onorate ed illustrate all’ estero il nome d’ Italia e che in Italia tanto illustrate il nome della vostra Sicilia , noi riverenti c’ inchiniamo ; e se nel Congresso di Lilla un grande, il più illustre forse, chimico tedesco, non dubitava di chiamare la chimica una scienza francese , noi , con maggiore verità e per merito vostro e di tanti valenti vostri coisolani, qui, ben possiamo chiamare la chimica una scienza siciliana. „ Catania, 16 Giugno 1910. INDICE Memoria L. Buscalioni e G. Lopriore — Il Pìeróma tuìmìoso, 1’ endodermide midollare, la frainmenlaxjone desmica e la schiiorri\ìa nelle radici della Phoenix dacl)difera L (con XIII Tav.) .... I G. Marletta — Sopra i complessi di rette d’ordine uno dell' S,, II L. Buscalioni e P. Vinassa de Regny— pellicole di collodio nello studio dei possili e dei minerali (con una tavola) Ili M. De Franchis — Sulle varietà algebriche ad n dimensioni trasformabili rai_ional mente in varietà a p n dimensioni, aventi il genere p — dimensionale maggiore di p IV A. Bernporad — La teoria della refras^ione astronomica direttamente fondata sui risultati della fisica dell’ atmosfera - V G. Polara — Sulla conducibilità elettrica della saliva mista dell' uomo, (con una tavola) VI S. Comes — La partecipaxpone dei mitocondri alla formai^ione della membrana divisoria primitiva della cellula (con una tavola) VII S. Di Franco — La Tenorite delle lave dell’ Etna Vili S. Scalia — La fauna del Trias superiore del gruppo di Monte Judica (con tre figure nel testo e tre tavole) IX ^ G. Ponte — I basalti globulari ed i lupi paìagonilici in Val di Noto (con tre tavole e due figure nel. testo) X C- Beverini — Sopra gli sviluppi in serie di fun-{ioni ortogonali XI P. Vinassa de Regny — Fossili ordoviciani del nucleo centrale cantico (con tre tavole) .... XII C. Beverini — Sulle successioni di funzioni ortogonali XIII G. Raffo — Intorno all’ attinometro Arago XIV A. Russo — Su r acceleraiione dei processi anabolici nell' ovaja delle Coniglie tenute in digiuno e sul suo valore biologico (con una tavola microfotogra.fica). ' XV R. Feletti - Sul Kata-aiar osservato a Catania. — (con figure nel testo e una Tavola). . . . XVI L. Buscalioni e S- Comes — La digestione delle membrane vegetali per opera dei Flagellati conte- nuti nel t’intestino dei Tennitidi ed il problema della simbiosi (con 4 figure nel testo) . . . XVII G- Pulvirenti — Sulla cultura della Leishtnania con una Tavola) XVIII A. Tomaselli — Morfologia delle Leishmanie nel succo splenico dei bambini affetti da Leishnaniosi (con una Tavola) XIX APPENDICE G. Grassi Cristaldi — Discorso commemorativo su Stanislao Canni^garo. ;-i '>-■•••.• . V ^ J- -<■■. • - j • •■■ S ''.V ' ■ ■' ^• ■* l;'. r' : . ''.■ . r \ tó' .T*:: ■ ■• :, ; iJ • %v ?!:) ruH:! : f., 4f' *•*!«',•■:■.■, iìk--' J. Il: -: ■■■;• ; ;»- ^; - > -•' H, :■ ' . ■ EF^^'3. •■:■•»'•• ' ■ •■• A ••• \ --::■ '• ' ^V! ■ ;■ '.'■.t. , '; <1 ' ■■■ '.■ 5 ’V - i rW , tly.-r :'. '/ : ' V) ' '■ ■ » *- ' ■ , •• J'”' vi.' * - ■ '< -.‘y'y.?” ^_ . , * .■;' '. * } '*"*' ^ '" ■’ feg- ; ': • ■’ A»":»'' y - ^ '?t: . i - 4 ■ ', ■' ' .■ *■ ■ri';-'’ . ' y ’' ' ' ; , '(.V ‘ ■'« *'1^ l: J- .y - ' •; V - ^ !.*<. >1 'Jk'»-. • p'^ 5m .-k Vf, ■' ' ■ 5! / ■'’■' , «>L ;y f'tiV/-, ... : ■ '. ..'jt-TU;»' A' i..i''^.>Ài.' A. » ■'• ".■ V ."►.I V * v*/: >.:• ■\ - 3* , ■ . .A .. • ì; •■.ók .v > 4 ,^'’ ■;■ •■V‘> ' 'v ••■ ’ir.*' .vt ^ , -A . -'■'-( r' !‘'> :■ ... '■t '': ■ - yA' >A''*' *• r - -AvV .A .'ifeWis™ . 'A ••' . .- , .' J' , . _. feV - , ,. .. - f ■ A- V y -=■ .. ,-‘:- :- v % ■' , ..‘i'"?,'>/ ./' ■ .'"A ■ -A ■* ' '. .'■•• ".. iw . .■■•■ -au^TS.' -, I.'. = ..••• >T-;v.-. 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