2 <53 s2)
considerando come omologhe quella retta del 1° fascio e quella conica del 2° che passano
per uno stesso punto di g.
Analogo riferimento suppongasi stabilito tra il fascio di rette di centro d3 ed il fascio
di coniche (?ò 52 2:t s3).
Allora si può coordinare ad ogni punto P v del piano , 1’ ulteriore intersezione delle
coniche dei due fasci, che nelle proietti vità stabilite, corrispondono alle rette d2P, d3P. E
se un punto Px si muove sopra una retta r il corrispondente Py genera un luogo del
4° ordine passante per S,2 , S32 , s2 , c3 . Inoltre passerà per ìi che è il corrispondente
del punto comune ad r ed a dx d2 .
La retta d-3 sx è unita.
26. — Passiamo ora alla trasformazione del quinto grado con un punto fondamen-
tale triplo, tre doppi e tre semplici, nella quale la rete delle curve isologiche ha tre punti
base doppi nel punto fondamentale triplo e in due punti fondamentali doppi del suo piano
e un punto base semplice nel rimanente punto fondamentale doppio. La curva unita è
quindi una conica passante per il punto fondamentale triplo , per il punto dop-
pio (base semplice per la rete di curve isologiche) e per i tre semplici.
Per questa trasformazione, supposto che esista, il fascio di raggi avente il centro in
un punto fondamentale doppio di Ex viene mutato in Ey in un fascio di cubiche con un
punto base doppio nel punto fondamentale triplo , e cinque semplici nei tre punti fonda-
mentali doppi e in due semplici.
Similmente il fascio di raggi avente il centro in un punto fondamentale semplice
viene mutato in un fascio di quartiche con tre punti base doppi nel punto fondamentale
triplo dell’ altro piano e in due doppi , e quattro punti base semplici nel rimanente punto
fondamentale doppio e nei tre semplici.
Se d3 e 8:J sono i punti fondamentali doppi dei due piani, che stanno sulla conica
unita C' , lasciando ferme le notazioni dei casi precedenti, possiamo pensare che il fascio
di raggi di centro dA viene mutato nel fascio di cubiche (x2 o, o2 3;i 3, s2).
Inoltre chiamando e , il punto fondamentale di E,: che corrisponde alla retta fonda-
mentale ~<>i, possiamo dire che il fascio di raggi di centro e{ viene mutato nel fascio di
quartiche (x2 o22 o32 s, e2 s3). Ogni retta del fascio d:i (o del fascio e,) taglia la conica
unita C2 nello stesso punto in cui la taglia la cubica (o la quartica) corrispondente.
27. — Invertiamo adesso le considerazioni fatte, e dimostriamo l’esistenza della tra-
sformazione dandone nello stesso tempo la costruzione.
A tal uopo scegliamo sopra una conica C2 del piano sette punti x, S3, s, , s2, e3, d3, eìt
e fuori di essa i punti 5,,<52.
Consideriamo il fascio di raggi di centro d:i (o il fascio di centro e,), ed il fascio di
cubiche (t2 o, o, d:i zl s2) [o il fascio di quartiche (t2 iq o22 o:j2 s, s2 s3) |, chiamando omologhe
una retta del fascio d{ (o del fascio di eL) ed una cubica del fascio (x2 ^ o, o;j s, s2) [o una
quartica del fascio (x* o( o22 o;!2 32 s3) | che tagliano in uno stesso punto mobile la conica
17
Le trasformazioni cremoniane piane di tersa classe , ecc.
C 2, è chiaro che tra le due coppie di fasci viene stabilita una corrispondenza proiettiva.
Per un punto Px del piano passano due raggi per d3 ed e,; a cui corrispondono
una cubica ed una quartica che hanno fuori dei punti fondamentali, ancora un punto co-
mune Py che assumeremo come corrispondente di Px .
Se un punto Px si muove sopra una retta , il corrispondente Py descrive un luogo
del settimo ordine (x4 818 V 833 s,2 e3). Si osservi però che la congiungente d.. et incon-
tra ogni retta in un punto s; i due raggi d3s’, evs coincidono con d3eL. Sicché la co-
nica (x <$2 c)3 si s.,) del piano Eu corrispondente della retta dz et , si stacca dal luogo del
settimo ordine.
Come curva corrispondente di una retta , resta quindi una quintica passante per
~ , V, V, \ , £i> S8» S3-
La conica C2 è unita.
28. — Trasformazione del quarto ordine con tre punti fondamentali doppi e tre sem-
plici, nella quale la rete delle curve isologiche ha tre punti base doppi nei tre punti fon-
damentali doppi del suo piano. La curva unita è perciò una retta passante per i
tre punti fondamentali semplici dei due piani.
Ammessa l’esistenza di questa trasformazione, essa muta il fascio di raggi avente il
centro in un punto fondamentale doppio di Ex , in un fascio di coniche avente i quattro
punti base semplici nei tre punti fondamentali doppi ed in uno semplice del piano Ey . Si
osservi poi che ogni raggio del fascio considerato taglia la retta unita nello stesso punto
in cui essa è tagliata dalla conica corrispondente.
29. — Inversamente segniamo sul piano sette punti <5,, o3 , £,, e2, dx , d%. Conside-
riamo il fascio di raggi di centro dx ed il fascio di coniche (, <5S s2) sia il trasformato del fascio di raggi di centro d 3 .
Tanto per 1’ una che per 1’ altra coppia di fasci un raggio ed una curva corrispon-
denti, tagliano la conica unita in uno stesso punto.
33. — Inversamente , segniamo sopra una conica C2 del piano sette punti generici
dx, !, §2, ^3, Si, £2 e fuori di essa due punti x, s3.
Chiamiamo omologhe una retta del fascio di centro eK ed una quartica del fascio
(x2 8i 822 823 s2 £:,) che passino per uno stesso punto di C2: viene così stabilita tra i due
fasci una corrispondenza proiettiva.
Analoga corrispondenza possiamo stabilire tra il fascio di raggi di centro dx ed il
fascio di cubiche (x2 8t Ò2 83, £, £., ).
Per un punto Px del piano passano due raggi per ev e d3, il punto Py comune alla
quartica ed alla cubica corrispondenti (oltre alle intersezioni che cadono nei punti fonda-
mentali), lo assumiamo come corrispondente di Px •
Se un punto Px si muove sopra una retta r, il punto Py corrispondente genera un
luogo del settimo ordine passante per x4, 5t2, 823, 8r);i, £t2, s22, £3 . Però ogni retta r è in-
contrata dalla congiungente dxe i, che fa parte di ciascun fascio di raggi, e che ha come
corrispondente la conica x 82 8:1 £t £2 . Questa conica perciò si stacca dal luogo.
Resta come curva corrispondente di una retta del piano Ex , una quintica passante
per x;ì, 8t2 , 822, 832, 6t, , sg, e3.
La conica C2 è unita.
Palermo, rj Settembre 1914-
^Memorisi IV.
Istituto Anatomico di Catania diretto dal prof. R. Staderini
Granuli intracellulari di grassi neutri e di cheratojalina nell’epitelio
di rivestimento della lingua
Nota del Prof. GAETANO CDTORE
(con una figura)
Le conoscenze finora possedute hanno fatto considerare /’ epitelio di rivestimento della
lingua come un semplice tessuto di protezione per le parti più profonde e le papille fili-
formi come formazioni che rendono più estesa la superficie libera della lingua e son sede
di speciali organi di senso (terminazioni libere nervose, clave terminali del Krause e cor-
puscoli tattili del Meissner).
Or a me sembra, in base ai risultati ottenuti con le mie ricerche personali, che questo
concetto, piuttosto semplice e circoscritto, debba ampliarsi sempre più per i perfeziona-
menti progressivi della tecnica microscopica, i quali, come vedremo, ci rivelano nuovi par-
ticolari di struttura, che verosimilmente sono manifestazioni di funzioni epiteliali e papil-
lari forse più delicate e complesse di quelle fin qui note.
I.
La ricerca isto-chimica delle sostanze grasse, estesa ormai a numerosi organi, non è
stata, per quanto io sappia, praticata finora di proposito e con ricerche convenientemente
estese nella lingua.
Volli indagare in quest’ organo ed i risultati attenuti, specialmente quelli relativi al-
1’ epitelio che ne riveste la porzione orale della superfìcie dorsale, giudico opportuno di
render noti.
Mi sono giovato più specialmente di materiale umano prelevato, tra le 24 e le 48
ore dopo la morte, da cadaveri d’ ambo i sessi e di diverse età. Un buon numero di pre-
parati ho ricavato inoltre dalla muccosa linguale di cani appena sacrificati. In quanto alla
tecnica, ho preferito la fissazione col liquido di Regaud (soluzione di bicromato di potassa
al 3 °/o p- 80 — formalina p. 20). Appena prelevati, i pezzi venivano sottoposti all’azione
del liquido fissatore, evitando cosi quella tecnica seguita da alcuni sperimentatori (v. D’Agata
3 - cap. V) per ottenere la cosiddetta “ degenerazione mielinica postmortale. „ Ho eseguito
le sezioni col microtomo congelatore e la doppia colorazione di esse col Sudan III o con
lo Scarlatto R ( Fetlponceau ) e con 1’ ematossilina Ehrlich. Ho adoperato inoltre il solfato
ATTI ACC. SERIE 5a, VOL. IX — Meni. IV. x
Gaetano Cut or e
[Memoria IV.]
di Nilblau ed ho ricorso anche al metodo Galeotti. Pezzi trattati con liquidi fissativi con-
tenenti acido osmico (liq. di Hermann), mi hanno dato risultati che sono riusciti di con-
ferma a quelli ottenuti con i metodi speciali sopra cennati.
Tra le diverse sostanze coloranti elettive che sono state finora proposte per queste
ricerche, dai risultati ottenuti panni doversi preferire, per rapidità d’ azione, Io Scarlatto R,
0 in soluzione satura alcalino-alcoolica, come ha raccomandato 1’ Herxheimer o, meglio
ancora, in soluzione satura di una miscela, a parti uguali, di alcool a 70° e di acetone.
Dall’ esame dei miei numerosi preparati, ricavati da materiale umano e colorati col
Sudan III o con lo Scarlatto R, risulta nettamente che le cellule dell’epitelio che riveste la
porzione orale del dorso della lingua presentano, nei diversi soggetti esaminati, granuli
di grassi neutri. Nei pezzetti di muccosa linguale fissati con liquido di Hermann, 1’ acido
osmico colora in nero questi granuli che si distinguono meglio nell' epitelio delle zone
interpapillari, il quale risulta di cellule provviste di una notevole quantità di citoplasma
poco colorato e molto trasparente. Questi granuli si osservano anche (specialmente colorando
col Sudan III o con lo Scarlatto R.) nell’ epitelio che corrisponde alle diverse papille lin-
guali. Si tratta costantemente di piccoli granuli sparsi in tutto il citoplasma: alcuni sem-
brano contenuti nel nucleo, ma con l’osservazione al microscopio, si riesce a riconoscere
che si tratta di granuli posti al di fuori di esso, addossati alla membrana nucleare. Il nu-
mero di essi, vario da una cellula all’altra, è maggiore sempre negli strati più superfi-
ciali dell’ epitelio. È perciò che osservando d’ insieme tutto lo spessore epiteliale, con de-
boli ingrandimenti, la reazione caratteristica dei grassi si osserva appena negli strati più
profondi e presenta un massimo d’ intensità negli strati più superficiali di esso. A questo
massimo si perviene per una graduale intensificazione del color rosso-arancio, dato dai
grassi neutri, dagli strati più profondi verso quelli più superficiali.
Granuli grassi intracellulari molto numerosi ho riscontrato nell’ epitelio linguale dei ca-
daveri di un uomo di 45 anni e di un bambino di 20 mesi. Negli altri soggetti presi in
esame, i granuli si sono mostrati in numero vario da un soggetto all’ altro. Questa va-
riabilità non dimostrasi in rapporto con 1’ età dei diversi individui, nè con lo stato più o
meno avanzato di alterazione cadaverica dei tessuti.
Inoltre 1’ esame istologico autorizza ad escludere che si tratti di un fenomeno auto-
litico.
È noto che durante 1’ autolisi si verificano processi degenerativi del nucleo e del cito-
plasma. Or nei preparati più ricchi di granuli troviamo che i nuclei delle cellule epiteliali
non sono picnotici o altrimenti alterati, ma ben conservati, il citoplasma ha aspetto normale,
1 limiti cellulari son netti e le cellule poliedriche degli strati medi si presentano nettamente
irsute o spinose. Inoltre in questi preparati, il margine libero epiteliale non presentasi de-
teriorato per quell’ esagerato processo desquamativo che è indice di progredita alterazione
cadaverica. Certamente converrebbe osservare come si presentano le cose in tessuti fre-
schissimi e ciò mi propongo di praticare appena potrò disporre di muccosa linguale uma-
na asportata dal vivente per qualche intervento chirurgico.
Intanto ho creduto utile estendere le ricerche alla muccosa linguale di cani appena
sacrificati, attenendomi alla identica tecnica adottata per la muccosa linguale di uomo.
Nel cane, 1’ epitelio linguale termina con uno spesso strato lamellare corneificato che,
nei preparati istologici comuni, mostrasi molto meno colorato delle cellule degli strati sot-
tostanti.
Granuli intracellulari di grassi neutri e di cheratojalina nell' epitelio , e ce.
3
Come esattamente ha fatto notare il Ranvier (8), a differenza dello strato corneo del-
1’ epidermide, le cellule lamellari di questo strato conservano il nucleo ; ma esso è ridotto
di volume e si colora debolmente. .Nei preparati doppiamente colorati col Sudan III o con
lo Scarlatto R. e con l’ ematossilina Ehrlich, tutto lo strato lamellare nel cane presenta
una tenue tinta diffusa rosso-arancio, che sembra dovuta a lipoidi da imbibizione. Con
opportuni ingrandimenti, granuli grassi si distinguono nell’ interno delle lamelle, più nu-
merosi in quelle più superficiali. Nelle cellule degli strati sottostanti risalta la tinta del-
1’ ematossilina e nel citoplasma di qualcuna di esse si possono, con attento esame, riscon-
trare rari e piccoli granuli grassi.
Altri grani e granuli, che rimangono pressoché incolori e che prendono spesso aspetto
tale da farli scambiare con vacuoli chiari, sono disseminati in gran numero nel citoplasma
delle cellule epiteliali appartenenti alle papille filiformi; ma di ciò mi' occuperò nella Ila
parte di questa pubblicazione.
In . conclusione, a differenza di quanto si osserva nell’uomo, l’epitelio che riveste il
dorso della lingua nel cane presenta granuli di grassi neutri limitatamente alle lamelle
più superficiali dello strato corneo ed eventualmente, in numero scarsissimo, anche nelle
cellule degli strati sottostanti a questo. Lo strato lamellare corneo si colora inoltre nel suo
insieme in maniera da far ritenere che contenga grassi neutri anche allo stato diffuso.
Parrebbe dunque confermato dai risultati di queste osservazioni sul cane che i grassi
neutri, variabili per quantità in rapporto alle diverse specie animali ed a condizioni bio-
logiche non facili a determinare, siano componenti costanti delle cellule epiteliali della muc-
cosa linguale (porzione orale della superfìcie dorsale).
Non mi risulta, dalle indagini bibliografiche che ho potuto eseguire (2 — 3) che ri-
cerche di proposito sulle sostanze grasse della lingua siano state eseguite da altri. Gli
Anatomici francesi specialmente ricordano quanto Ranvier (8) scrisse riguardo ai grassi
dell’epitelio linguale. Riporto le sue parole : “ si V on examine les grosses papilles den-
tées dii chien sur des coupes failes après V action de ce réactif (1’ acido osmico),
on sera frappe de voir que la conche lamellaire, doni l' epaisseur est relativement
considérable à la surface de ces papilles , présente dans sa partie profonde ime
zone colorée en noir , et que les cellules polyédriques sous-jacentes contiennent des
gonttes de grciisse. On peni interpréter ces faits de la facon salvante : Les cel-
lules profondes et les cellules moyennes du revétement èpithélial élaborent de la
graisse qui se monti- e dans leur inter ieur sous forme de granili ations ou de gout-
tes di siine les, puis devient diffuse dans la conche lamellaire , tandis que tout à
fait à la surface , elle est progressivement dissoute par les liquides alcalins de
la bouche. „
Con questa breve descrizione Ranvier dimostra di avere osservato gocce intracellu-
lari di grasso limitatamente al rivestimento epiteliale delle grosse papille dentate del
cane. (*) Dalle mie osservazioni invece risulta che questi granuli . tanto più numerosi
quanto più superficiali sono le cellule, oltreché nel cane, si riscontrano spesso, in mag-
(*) Con questa denominazione, Ranvier avrà voluto forse riferirsi a quelle papille (tanto più numerose
quanto più si consideri la porzione orale del dorso della lingua verso la parte posteriore) che nel cane si
presentano più robuste e rilevate delle altre, in forma di cono più o meno inclinato. Nei diversi trattati di
anatomia comparata che ho potuto consultare non si trova indicata questa forma di papille.
4
Gaetano Cutore
[Memoria IV.]
gioì* numero, nell' uomo, nella stessa maniera distribuiti in tutto /’ epitelio iti rivesti-
mento del dorso della lingua ( porzione orale).
Credo qui opportuno ricordare alcune ricerche del. Bizzozero (1) relative alle cosid-
dette forme mielini eh e postmortali che con le sostanze grasse hanno in comune di-
verse reazioni isto-chimiche.
Queste ricerche vanno ricordate perchè si riferiscono anch’ esse all’ epitelio di rive-
stimento della lingua. Orbene, in feti di topo, conservati asetticamente in camera umida
ed in termostato, 24 ore dopo la morte, il Bizzozero riscontrò queste forme mieliniche
nella maggior parte degli organi, eccettuati l’epidermide e l’epitelio di rivestimento della
lingua. In quest’ ultima, neanche dopo 5 giorni, quando i nuclei degli elementi non erano
più colorabili, gli fu dato osservare figure mieliniche.
II.
Un liquido fissatore al quale ricorro da qualche tempo con buoni risultati, cioè l’ac-
qua ossigenata da sola od opportunamente associata ad altri liquidi (*) , riesce a metter
bene in evidenza nell’ epitelio della muccosa linguale un particolare di struttura che era
stato finora semplicemente , e non del tutto esattamente, cennato.
Osservando, anche con ingrandimenti medi, sezioni di muccosa linguale di uomo trattate
col mio liquido fissatore e colorate con ematossilina Ehrlich (Fig. 1), si rimane impressio-
nati fortemente dall’ aspetto differente che l’ epitelio di rivestimento presenta nelle papille
filiformi e nelle aree interpapillari. In queste, 1’ epitelio è dotato di una notevole traspa-
renza e risulta costituito di cellule voluminose, con margini nettamente distinti, con cito-
plasma poco colorato, finemente granuloso, con nucleo vescicolare quasi sempre ben con-
servato e vivacemente colorato. Consideriamo ora una papilla filiforme che si erge in
mezzo ad un’ area epiteliale così costituita : da un lato e dall' altro tutto 1’ epitelio che la
riveste, dalla parte più profonda e laterale fino all’ apice, si differenzia nettamente dall’epi-
telio circostante, per i seguenti caratteri. Le cellule che lo costituiscono sembrano colpite
dal processo di necrobiosi granulosa : il citoplasma è invaso da grani e granuli di forma
irregolare, la membrana cellulare è in molti punti inapprezzabile, il nucleo è picnotico o
vacuolizzato o decomposto in granulazioni più o meno voluminose, molte delle quali sono
migrate nel citoplasma ( caryorrhexis ) ed in esso pare alcune tendano a dissolversi ( caryo -
lisi o cromatolisi). Questi grani non dànno la reazione dei grassi neutri e nei prepa-
rati eseguiti per la ricerca di queste sostanze, nei quali l’ ematossilina abbia agito per un
tempo piuttosto breve, essi si intravedono, fra i granuli grassi, in forma di grani o di
vacuoli pressoché incolori, come ho esposto nella Ia parte di questa pubblicazione. Si co-
lorano invece intensamente, nei pezzi sottoposti all’ azione del mio liquido fissatore, con
1' ematossilina Ehrlich.
Questi particolari di struttura si osservano con molta evidenza , in tutte le sezioni
della muccosa del dorso linguale ( porzione orale ) , con lievi variazioni individuali e
(*) CUTORE — L’acqua ossigenala come liquido fissatore (Nota di tecnica istologica). V. Bollettino del-
p Accad. Gioenia, Fase. 38 — Seduta 4 maggio 1916.
Granuli intracellulari di grassi neutri e di chercitoj al ilici nell epitelio, eie .
regionali che si sottraggono, a giudicare dalle osservazioni finora piaticate, a qualsiasi
regola.
Anche per questa seconda serie di osservazioni mi sono giovato della muccosa lin-
guale di cani, prelevata subito dopo la morte degli animali. Le sezioni di pezzi sottoposti
all’ azione del solito liquido fissatore, colo-
rate con ematossilina Ehrlich, lasciano di-
stinguere nell’ epitelio di rivestimento delle
papille filiformi e di quelle che, nel cane,
hanno forma conica due zone epiteliali : una
più superficiale, costituita di cellule lamel-
lari in via di corneificazione, provvedute in
gran parte di un nucleo ridotto di volume,
poco colorato ; l’altra, profonda, più spessa
della prima , costituita di cellule di varia
forma, più intensamente colorate. Quasi tutte
le cellule di quest' ultima zona, eccettuate
quelle cilindriche dello strato germinativo,
presentano il citoplasma disseminato di
grani e di granuli ed il contorno non ben
netto. Inoltre, in molte di queste cellule il
nucleo è picnotico o vacuolizzato e rap-
presentato da un certo numero di grani
per lo più disposti secondo una linea cir-
colare corrispondente al contorno nucleare;
in altre infine non vi è più traccia di nucleo
ed i grani e granuli occupano di preferen-
za la parte centrale della cellula, raggrup-
pandosi lungo 1’ asse maggiore di essa. Si
hanno cioè gli stessi caratteri strutturali os-
servati nell’uomo. Si possono essi attribuire Fig. i.
all’azione del liquido fissatore da me adope- Microfotografìa di una sezione di muccosa linguale di uomo.
rato? Ciò non e da ammettere, dal momento fisiologica. colorazione con ematossilina Ehrlich.
che essi, per quanto meno nettamente, si
presentano anche in preparati ottenuti con la tecnica più comune (fissazione con soluzione
satura di sublimato corrosivo, con alcool assoluto etc. e colorazione con ematossilina Ehrlich).
In alcuni mammiferi, questi grani e granuli sono più facilmente apprezzabili che non nell’uo-
mo ed è perciò che altri li hanno notati e rappresentati senza determinarne il significato.
Così nel recente trattato di Istologia comparata di Ellenberger e Schumacher (4) è ripro-
dotta (fig. 212) la sezione istologica di una papilla filiforme del cavallo ed in essa sono
rappresentati, nella solita zona epiteliale , i granuli. Questa zona, nella spiegazione della
figura, è indicata col nome di straluni granulosuni. Non si può invocare 1’ azione del
liquido fissatore adoperato anche perchè, se si trattasse di alterazioni cellulari di natura
chimica dovremmo riscontrarle in tutto il rivestimento epiteliale e più specialmente nelle
cellule degli strati più superficiali che col liquido fissatore vengono maggiormente a con-
tatto. Invece le cellule granulose sono limitate all’ epitelio che riveste le papille filiformi e
6
Gaetano Calore
[Memoria IV. ]
non si osservano, neanche negli strati più superficiali, in tutte le zone epiteliali, interposte
fra le papille.
Molto meno si può pensare che si tratti di manifestazioni necrobiotiche, perchè i ca-
ratteri strutturali sopradescritti sono ben evidenti anche nella muccosa linguale prelevata
subito dopo la morte dell’ animale ed inoltre perchè in tutti i soggetti presi in esame, le
cellule granulose si trovano accanto alle cellule epiteliali degli spazi interpapillari, le quali
hanno aspetto normale.
Di qual natura sono questi grani e granuli ?
Escluso che si tratti di grassi neutri, perchè essi non si colorano nè col Sudan III,
nè con lo Scarlatto R., ho voluto provare uno dei metodi proposti per la ricerca degli
acidi grassi. Ho fatto per ciò uso del solfato di Nilblau che, coni’ è noto, colora in rosso
brillante i grassi neutri ed in azzurro scuro gli acidi grassi. Nei preparati da me eseguiti,
si sono colorati in rosso i granuli grassi precedentemente descritti in tutte le cellule epi-
teliali, ma sono rimasti pressoché incolori i grani dell’ epitelio che riveste le papille fili-
formi.
Ranvier (8) nel suo trattato d’istologia scrisse così : “ Ches l’homme , au voisinage
du V linguai , sur certaines papil/es de dimension moyenne, aplaties ou légère-
ment excave'es à leur sornmet, ou observe un épithelium semblable cì l’épiderme,
en ce sens qu'aux couches profondes formées de cellules dentelées succèdent deux
ou trois rangées de cellules polyédriques , contenant de grosses gouttes d’éléidine. „
Questa notizia è riportata nei trattati di Anatomia del Testut , del Poirier ed in quello di
Istologia del Prenant.
Per provare la reazione dell’ eleidina, che alcuni [ Stohr (10), Prenant (7)] ritengono
sinonimo di cheratojalina, mentre altri (Schmorl - 9) afferma che questa si deve distinguere
da quella, ho dovuto ricorrere ai metodi di colorazione indicati per i preparati di pelle,
nella quale appunto queste sostanze si rinvengono (strato granuloso). Ho adoperato per-
ciò una doppia colorazione che permette di distinguere la eleidina dalla cheratojalina
(Schmorl - 9), cioè in un primo tempo ho fatto agire una debole soluzione di rosso Kongo
(5 goccie di una soluzione acquosa all’ 1 % in 10 c. c. di acqua) ed in un secondo tem-
po una soluzione debole di ematossilina. La eleidina dovrebbe colorarsi in rosso, i nuclei
e la cheratojalina in azzurro. Nei miei preparati si otteneva quest’ ultima colorazione tanto
per i nuclei, quanto per i grani che caretterizzano il cosiddetto strato granuloso delle pa-
pille filiformi.
Sembra dunque che le goccie che Ranvier aveva ritenuto formate di eleidina ed ave-
va descritte, nell’uomo, come limitate, in vicinanza del V linguale, a certe papille, di
dimensioni medie , appiattite o lievemente escavate alla sommità, siano invece for-
mate di cheratojalina e largamente rappresentate nell’ epitelio di rivestimento di tutte le
papille filiformi , tanto nell’ uomo quanto nel cane. Io ho preferito la denominazione di
grani a quella di goccie perchè la maggior parte di queste formazioni, anziché presentarsi
regolarmente sferiche, hanno il contorno molto irregolare.
Granuli di cheratojalina sono stati descritti, oltreché nella pelle, in diverse altre muc-
cose dell’ apparato digerente, cioè dal Laffout (ó) nella muccosa della porzione cardiaca
dello stomaco del ratto, dal Kollmann (Max) e dal Papin (5) nel rivestimento corneo dei-
fi esofago di cavia, di ratto, di bue e di montone.
Io non credo di dover entrare ora a discutere intorno all’ origine di questi grani che
Granuli intracellulari di grassi neutri e di cheratojalina nell ’ epitelio , ecc.
7
alcuni ritengono derivati dal citoplasma (Blaschko, Weidenreich, Schridde), altri dal nucleo
(Wertsching, Rabl), altri infine dal citoplasma e dal nucleo ad un tempo (Unna, Posner).
Certo è che i grani ed i granuli di cheratojalina si osservano nei miei preparati colorati con
l’ ematossilina prevalentemente addossati alla superfìcie esterna della membrana nucleare
e nella zona perinucleare : essi inoltre si colorano come i frammenti nucleari che stanno
nella parte più periferica dei nuclei vacuolizzati.
Per meglio determinare la parte che il nucleo prende nella formazione dei grani e
granuli in parola, ho ricorso al metodo Galeotti e nei preparati così ottenuti si sono mo-
strati ugualmente di color rosso brillante tanto i residui nucleari quanto i grani ed i gra-
nuli sparsi nel citoplasma.
L’ origine nucleare di tali formazioni sembra dunque confermata da questi preparati.
III.
Le formazioni intracellulari dell’ epitelio linguale (granuli di grassi neutri e di chera-
tojalina) sulle quali ho richiamato 1’ attenzione hanno, a quanto sembra, valore di compo-
nenti normali di tali cellule epiteliali.
• La vacuolizzazione nucleare più o meno accentuata, ed a volte fìnanco la scomparsa
del nucleo, 1’ intorbidamento del citoplasma, la scomparsa dei limiti cellulari potrebbero, a
tutta prima, ritenersi segni di processi necrobiotici. Ma la costanza del reperto in tessuti
freschissimi, fissati subito dopo il prelevamento , e che per altri particolari istologici si
possono ritenere normali, inducono ad ammettere che si tratti di disposizioni normali. Pare
del resto, anche da quanto è stato osservato in altri organi, che modificazioni nucleari
come quelle sopra descritte a volte preludiano a modificazioni funzionali che si succedano
rapidamente in alcune cellule per un’ attività specifica che si compie a detrimento della
parte più vitale della cellula stessa. Così, per esempio, identiche modificazioni strutturali delle
cellule epiteliali sono state riscontrate anche, in condizioni normali, nelle cellule sessuali
dei testicoli di mammiferi durante la prespermatogenesi (Prenant - 7 - ).
Da quanto risulta dai miei pieparati istologici credo intanto di poter venire alle se-
guenti conclusioni :
1° Le cellule epiteliali che rivestono la superficie dorsale della lingua (porzione orale)
sono contraddistinte costantemente da caratteri isto-chimici speciali, comuni all’ uomo e ad
altri mammiferi (cane).
2° Granuli di grassi neutri sono disseminati nel citoplasma di quasi tutte le cellule
epiteliali ed in numero tanto maggiore quanto più esse appartengono agli strati più su-
perficiali.
3° Grani e granuli di cheratojalina si trovano nelle cellule epiteliali che rivestono le pa-
pille filiformi, dando luogo ad uno strato granuloso compreso tra lo strato corneificato,
quand’ esso esiste, e lo strato germinativo. Quando lo strato corneificato manca, lo strato
granuloso si estende fino alle cellule più superficiali dell’ epitelio papillare.
4° L’ aspetto granuloso non può attribuirsi ad alterazione cadaverica, perchè esso ri-
scontrasi anche in pezzi freschissimi, nei quali le zone epiteliali circostanti alle papille fi-
liformi presentano aspetto perfettamente normale.
Gaetano Calore
| Memoria IV.l
8
5° L’ aspetto granuloso non sembra provocato dai reagenti chimici adoperati nella
tecnica istologica, perchè al di là delle papille filiformi 1’ epitelio di rivestimento non ha
quest’ aspetto, neanche negli strati più superficiali che, nei pezzi interi, sono stati a di-
retto contatto con i liquidi adoperati. Oppure bisogna ammettere che il solo epitelio delle
papille filiformi risenta in maniera speciale 1’ azione dei reagenti adoperati, cioè che esso
abbia proprietà isto-chimiche differenti da quelle del rimanente epitelio.
6° 1 grani di cheratojalina sembrano avere origine prevalentemente dal nucleo*
7° Questi grani, limitati all’ epitelio che riveste le papille filiformi, sono molto proba-
bilmente collegati ad una speciale attività fisiologica , non ancor nota, inerente a questa
specie di papille linguali.
BIBLIOGRAFIA
x. Bizzozero E. — Osservazioni sulle forme mieliniche postmortali. R. Accad. Medica di Torino, 1905.
2. Ciaccio C. — Les lipoides intra-cellulaires — Biologie Médicale, 1912.
3. D' Agata G. — Perturbazione del metabolismo cellulare dei grassi — Pavia, 1911.
4. Ellenberger u. Schumacher — Grundifs der vergleichenden Histologie der Haussàugetiere. Berlin, 1914.
5. Kollmann Max et Papiri L. — Note sur l’origine de la Kératohyaline dans le revètement coinè de l’oesO'
phage du Cobaye. Bibliographie Anatomique. T. XXI 1 1 , Paris, 1913.
6. Laffout A. — Recherches sur l’origine des grains de kératohyaline — ibidem. T. XVII. Paris, 1908.
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8. Ranvier — Traité technique d’Histologie — Paris, 1875-1882.
9. Schmorl G. — Ricerche isto-patologiche — trad. ital. — Torino, 1911.
io. Stohr F. — Istologia — trad. ital. — Napoli, 1887.
Memoria V.
Sulla determinazione dell’intensità nello spettro prodotto dai reticoli di
diffrazione e sulla distribuzione dei massimi principali e dei
massimi e minimi secondari.
Memoria del Prof. VIRGILIO POLARI
( con una figura )
RELAZIONE
della Commissione di revisione composta dai soci effettivi
E. DANIELE e G. P. GRIMALDI (Relatore)
Dalle considerazioni fatte dall’autore risulta che il modo più naturale e più semplice
di trattare la teoria dei reticoli di diffrazione consiste nel dedurre prima analiticamente la
relazione che esprime l’ intensità nello spettro prodotto da una sola fenditura, e nel rica-
vare poi, mediante 1’ applicazione del metodo grafico, l’ intensità nello spettro prodotto per
diffrazione dal reticolo di n tratti e nel ricercare infine la posizione dei massimi principali
e secondari.
La Commissione ritiene che l’ interessante nota sia da pubblicarsi nel volume degli
Atti dell’ Accademia.
La teoria elementare dei reticoli di diffrazione , nel caso di incidenza normale al
reticolo, assume che si ha luce in tutte le direzioni per le quali la differenza di cammino
fra raggi corrispondenti in due fenditure consecutive è di un numero intero di lunghezze
d’ onda. Per tali direzioni, detto S 1’ angolo di diffrazione, a la larghezza d’ogni fenditura
del reticolo e d la larghezza di ogni tratto opaco, sarà quindi, indicando con li un nu-
mero intero
„ Iik
Nelle direzioni per cui ciò non accada, dette di2 dl3 . ... dlP+ì le differenze di
cammino di raggi corrispondenti diffratti rispettivamente dalla la, 2a, 3a, (p -j- l)e*'"‘ft
fenditura, sarà
lhì ~ (1 “ h s) ^
dl3 — 2 (1 — f— e) X
d{i = 3 (1 — f- s) A.
di zH-i — P (1 s) ^ •
ATTI ACC. SERIE 5a, VOL. IX — Metti. V.
[Memoria V.J
Prof. Virgilio Polara
E poiché si potrà certamente trovare un intero p tale che sia p. e = ~ , sarà in
tale ipotesi
> p+t — ( P + ~2~j k
e quindi le perturbazioni provenienti dalle fenditure la e {p -j- 1 )esima si neutralizzeranno
perchè in ritardo 1’ una sull’altra di mezza lunghezza d’onda: lo stesso accadrà per le
perturbazioni provenienti dalla 2a e {p-\-2)esirna, dalla 3a e (p-\-'ò)eiii'"a, etc. fenditura.
E manifesto però che le perturbazioni relative all’ ultimo gruppo di fenditure in nu-
mero inferiore a p -j- 1 non saranno così compensate, e di tali perturbazioni la teoria ele-
mantare trascura 1’ effetto.
Il Wood (*) nel suo trattato d’ottica fisica dopo aver calcolato 1’ intensità nello spet-
tro prodotto per diffrazione da una fenditura di larghezza a e stabilito così la relazione
(1)
sen* x
a sen ò
n~
1
— essendo Ò l’angolo di diffrazione — dimostra l’esistenza dei massimi principali e dei
massimi e minimi secondari nei reticoli di diffrazione servendosi del metodo grafico di
composizione di diverse vibrazioni.
Così nel caso di un reticolo con tre soli tratti, per una differenza di fase fra le vi-
brazioni corrispondenti di due fenditure consecutive = 0, l’intensità, assunta eguale
ad uno 1’ ampiezza relativa a ciascun tratto , sarà 32 — 9, e in corrispondenza si avrà
un massimo principale. Per una differenza di fase cp — 90° l’intensità sarà invece eguale
ad imo , e per cp = 120° 1’ intensità sarà ancora eguale ad uno e si avrà in corrispon-
denza un massimo secondario.
In casi speciali di 3, 4, 5, 6, 12 fenditure il Wood può anche determinare con questo
metodo il numero e la posizione dei massimi secondari e argomentare , per generalizza-
zione, che fra due massimi principali consecutivi si trovano n — 2 massimi secondari.
Ora , se è vero che la trattazione analitica completa del problema della determina-
zione dell’ intensità nello spettro prodotto da un reticolo di diffrazione di n tratti esige
parecchie pagine di calcolo", 1’ uso di sommatorie e la sommazione d’ una serie trigono-
metrica della forma
sen x -j- sen (x-j-v) -f- sen (x-j-2 y) -(- sen (x-j-3jy) -f- — sen [x -j- (n — 1) y] ,
per modo che il lettore dimentica facilmente il significato fisico dei risultati stabiliti ; non
è però men vero che la rappresentazione geometrica del Wood , senza la determinazione
dell’ intensità nello spettro in ogni caso , non ha quella generalità che si conviene alla
natura del problema.
È quindi a mio parere opportuno che la teoria dei reticoli di diffrazione in un trattato
non del tutto elementare sia fatta col metodo analitico là dove esso non implichi grande
apparato di calcolo e col metodo grafico dove il calcolo velerebbe inutilmente 1’ aspetto
fìsico del problema.
(*) WOOD — Oplique physique — Tome I, Paris, Gauthier-Villars, 1913.
Sulla determinazione dell’ intensità nello spettro prodotto dai reticoli ecc
3
D’altra parte, stabilita col Wood la relazione (1) che esprime l' intensità nello spettro
prodotto per diffrazione da una sola fenditura, 1’ applicazione della nota regola grafica che
serve a determinare la vibrazione risultante di più altre conduce in modo semplice, com’è
naturale, alla formola che esprime 1’ intensità nello spettro prodotto da un reticolo di n
tratti di larghezza a separati da tratti opachi di larghezza d.
Supposta 1’ incidenza normale, raggi corrispondenti diffratti secondo 1’ angolo di dif-
frazione 8 da due fenditure consecutive del reticolo presenteranno una differenza di cam-
mino espressa da
[a -f- d) sen 8
e quindi una differenza di fase
(« -f- d) sen 8
<2) f = x
Se si costruisce la poligonale ABCD .... MN avente i lati tutti eguali all’ ampiezza
della vibrazione risultante per ciascuna fenditura e inclinati 1’ uno sul successivo dell’ an-
golo
Sostituendo infine per il valore dato dalla (2)
(5)
sen x
a sen o
{(i+d) sen 3
I
k
a'
71
2 a- sen2 ò
sen ut.
9 (a-M) sen o
sen x y
La discussione di tale espressione conduce immediatamente alla determinazione dei
massimi principali e dei minimi e dei massimi secondari.
Tale discussione, accennata in modo fugacissimo nel Drude (*), è suscettibile di un
più largo e completo sviluppo e può anche servire sia a stabilire il numero dei massimi
secondari fra due massimi principali consecutivi , sia a determinare 1’ accrescimento nel
cammino ottico dei raggi provenienti dalle fenditure estreme relativo al passaggio da un
massimo principale al minimo secondario seguente.
Per
7c (a-\-d) sen o . . _ mk
= m~ e quindi sen o = — - — -
k a~\-d
con m intero, si annullano insieme il denominatore ed il numeratore del fattore
9 n tì {a-\-d) sen 3
sen — r
a tì (a+tf) sen 3
sen” ■ /
in tal caso il teorema dell’ Hopital darà il vero valore del rapporto indicato. In forza di
tale teorema sarà :
pel-
imi
Ti (a-f-tf) sen 3
n~ ( a-\-d ) sen o «tì (a-j-rf) „ ?n ( a-\-d ') sen 3
sen — 3 3 cos o. cos — - — ~
lini
k
tì ( a-\-d ) sen o tu (a-j-rf) s Ti [a-\-d) sen 3
0 sen I — cos 6- cos — -T
Sarà quindi
n cos
«tì ( « -J— ^/) sen 3
= lini
tì (a-f-rf) sen o
11
COS
k
sen" n
Tt ( a-rd ) sen 3
per
lini
tt (a+d) sen 3
2 tì (a-\-d) sen ò
= o se,r x
ir
(*) DRUDE — • Precis d’oblique — Tome I, Paris, Gauthier-Villars, 1911, pag. 304.
Prof. Virgilio Polara
Memoria V.]
6
e conseguentemente per sen 8 —
assumerà 1’ intensità il valore
« <> 9 ~a sen ò
= n a seir
" 2 à 1 sen - <5
In tal caso l’ intensità nello spettro prodotto dal reticolo sarà n2 volte maggiore di
quella relativa allo spettro di una sola fenditura e si avranno in corrispondenza dei mas-
simi — massimi principali — non altrimenti raggiungibili, essendo il rapporto
0 n~ (i~ (a-Vd) sen o
9 li (fl+rf) sen o
sen r —
ha valore in generale minore di uno.
Per calcolare il numero di massimi secondari fra due massimi principali consecutivi
si osservi che, conformemente alle relazioni precedenti, il massimo principale d’ordine m
si ha per
sen 8
mk
(i —f- d '
ed il minimo secondario d’ ordine h per
sen 8' =
hk
n (rt d)
Manifestamente quindi il massimo principale d’ordine m coinciderà col minimo se-
condario d’ordine h~mn.
Analogamente il massimo principale d’ ordine m -f- 1 si ha per
sen 8,
( m -f- I ) k
a -f- d ’
ed il minimo secondario d’ ordine k per
sen 8 \ =
k\
n ( a d)
Sulla determinazione dell’ intensità nello spettro prodotto dai reticoli ecc
7
Il massimo principale d’ ordine ni -f- 1 coinciderà quindi col minimo secondario d’or-
dine k — («/-)- 1) n — ni n -f- n.
Esclusi quindi i due estremi, fra i due massimi principali consecutivi d’ordine ni ed
ni-\-\ si hanno n — 1 minimi secondari e conseguentemente n — 2 massimi secondari.
Nello studio del potere separatore dei reticoli occorre inoltre calcolare la differenza di
cammino fra raggi corrispondenti provenienti dalle fenditure estreme sia nella direzione
di un dato massimo principale sia nella direzione del minimo secondario seguente, per
dedurre il corrispondente accrescimento nel cammino ottico.
Ciò risulta in modo semplicissimo dalle precedenti considerazioni.
La differenza di cammino fra raggi corrispondenti delle fenditure estreme sarà
|j. = n (a -f- d) sen 5 .
E poiché per il massimo principale d’ ordine m è
* mi
sarà in tal caso
!*
n (a-j-c/) mi
a + d
nini .
Il primo minimo secondario a destra, poiché il massimo principale d’ ordine ni s’ è
visto coincidere col minimo secondario d’ ordine ni . n, sarà il minimo secondario d’ordine
mn- f- 1. Per esso sarà quindi
s ( mn -f- l) i
e quindi la differenza di cammino relativo a raggi corrispondenti provenienti dalle fendi-
ture estreme
n (a -+- d) (mn i) i
n (a -f- d)
= (mn -{- 1) X .
Per il minimo secondario a sinistra del massimo principale d’ ordine m tale differenza
di cammino sarà invece
(j. — (in n — 1) X
e quindi in generale si potrà scrivere
jjl = (mn + 1 ) X .
L’ accrescimento del cammino ottico relativo al passaggio da un massimo principale
al minimo secondario seguente sarà quindi eguale a X.
8
Prof. Virgilio Poi ara
[Memoria V.]
3
Risulta dalle superiori considerazioni che il modo più naturale e più semplice ed in-
sieme più generale di trattare la teoria dei reticoli di diffrazione consiste nel dedurre pri-
ma analiticamente la relazione che esprime 1’ intensità nello spettro prodotto per diffrazione
da una sola fenditura, ciò che richiede in fondo una sola integrazione di superficie ; nel
ricavare poi, mediante 1’ applicazione del metodo grafico, così come io ho indicato, 1’ in-
tensità nello spettro prodotto per diffrazione da un reticolo di n tratti ; e nel ricercare
infine, mediante la discussione semplice fatta, la posizione dei massimi principali, quella
dei massimi e dei minimi secondari, il numero di massimi secondari fra due massimi
principali consecutivi, 1' accrescimento nel cammino ottico dei raggi provenienti dalle fen-
diture estreme relativo al passaggio da un massimo principale al minimo secondario se-
guente etc.
Le trattazioni puramente grafiche del Sagnac (#) e del Kimball ((•) **) che non si tro-
vano riprodotte nei trattati d’ ottica più moderni e più completi e che io per ciò scono-
scevo fino al momento di licenziare per le stampe questa nota, — la repentina chiamata
alle armi non mi permise una accurata ricerca bibliografica preventiva fra le memorie ori-
ginali, — proponendosi la ricerca dell’ intensità nello spettro prodotto dal reticolo diretta-
mente per via geometrica senza la deduzione preventiva dell’ intensità nello spettro pro-
dotto da una sola fenditura, riescono molto meno semplici ed il procedimento geometrico
appare spesso artificioso. Così i citati autori son costretti a servirsi di due circonferenze
distinte, una di raggio R — su cui van distaccati archi alternativamente eguali ad
a ed a d, e l’altra circoscritta alla poligonale che si ottiene tracciando successivamente
segmenti eguali e paralleli alle corde sottese, nella circonferenza di raggio R , dagli archi
alterni, di lunghezza eguale ad a.
(•) SAGNAC — Journal de Physique — 1898 — Tome VII — pag. 28.
(**) KIMBALL — Philosophical Magazine — 1903 — Voi. 6° pag. 30.
Memoria VI.
Istituto d’igiene della lì. Università (li Catania
Prof. EUGENIO DI MATTEI
L’episodio di Peste dell’autunno del 1914 in Catania
( con una tavola )
I.
CENNI EPIDEMIOLOGICI.
L’episodio epidemico della Peste dell’autunno 1914 in Catania, data la sua poca
entità, non dovrebbe avere altra importanza fuor di quella di una malattia esotica tanto
temuta, che per la prima volta ed improvvisamente fa la sua comparsa in città e che
trova ambiente e medici non preparati alla fìsonomia della nuova malattia. Ed invero,
lasciando da parte i trattati di Patologia esotica, dove si descrive la malattia nelle sue varie
forme, si può dire che le sole poche e rudimentali notizie che si avevano dalle antiche
cronache, circa la comparsa di tal morbo in Catania, rimontavano al 1743, cioè in epoca
ben lontana da noi.
Nella sostanza però il predetto episodio ha un interesse grandissimo, e può dimostrare
anche, date le condizioni sopradette, quanto valore e quanta efficacia possano avere gli
odierni provvedimenti di difesa sanitaria per soffocare , presso qualsiasi centro abitato ,
un focolaio di una malattia infettiva esotica, quando le misure di profilassi vengono ema-
nate ed applicate con sollecitudine, con oculatezza, con fermezza e con l’accordo intelli-
gente di tutti gli elementi che costituiscono l’ingranaggio igienico -sanitario , specie se
questo è ben organizzato.
Egli è certo che i primi casi di peste avvenuti in Catania in persone che mai si
erano allontanate dalla città e dal loro ambiente di lavoro , stanno a dimostrare che la
malattia si verificò per importazione; e data la natura del luogo ove si venne a costituire
il primo focolaio che fu la Dogana, in prossimità del Porto, non rimane a pensare che in
Catania, che ha un gran porto di mare, pieno di scambi commerciali e traffici marittimi,
l'infezione pestosa non potè penetrare che per questa via. Forse un pò incerta rimane l’e-
poca in cui penetrò il primo materiale contagioso e il veicolo del contagio; ma alcuni fatti
che passarono dapprima inosservati e che furono rilevati più tardi ad infezione accertata,
potevano dar bene a tempo opportuno l’avviso della grave minaccia che incombeva sulla
città, e nel contempo dare il filo che conduceva alla scoperfa della vera causa dell’ epoca
della penetrazione del morbo.
Da più tempo , dal personale della Dogana veniva notata, senza però darvi alcuna
ATTI ACC. SERIE =;a. VOL. IX — Menu VI.
Prof. Eugenio Di Maltei
f Memoria VI. |
<)
importanza, un’insolita moria di topi nei diversi locali della Dogana stessa, e propriamente
nel magazzino di deposito delle merci nazionali, sui pavimenti, fra le balle di merci; ne-
gli uffici, sotto il vano di impiantiti di legno, ove si rinvenivano carogne di questi rodi-
tori spesso in via di putrefazione. Si accennava per tanto alla poca pulizia dei locali, allo
stato antigienico di essi, alla poca cura del personale di servizio, ma essendo tale incu-
ria abituale, il fatto della moria dei topi, per quanto rilevato, non ebbe la dovuta impor-
tanza. Nè alcun rapporto si ammise fra i fatti osservati e le condizioni sanitarie marit-
time dell’ epoca, piuttosto inquietanti, con le relative ordinanze di sanità marittima, circa
la comparsa dell’ infezione pestosa in alcuni porti del bacino del Mediterraneo.
Era appunto in quell’epoca, cioè il 26 agosto, che un piroscafo della Compagnia di
Navigazione Siciliana , il Polcevera, di ritorno dalla Libia, dove era stato riconosciuto
inietto , approdava nel nostro porto , dopo essere stato sfrattato da Siracusa per la detta
ragione. Ma il Polcevera, come restò più tardi assodato, non solo durante il breve tempo
di approdo in Catania, non fece alcuna operazione di carico e scarico nel porto, ma la di-
mane proseguì per Risposto, Messina, ed altri scali, senza che in questi s’avesse avuto
niente a deplorare in ordine all’ infezione temuta.
Altri piroscafi prima e dopo il Polcevera avevano avuto regolare approdo nel nostro
porto colle consuete operazioni di carico e scarico, senza che mai nessun allarme si fosse
levato dai lavoratori del mare.
Se non che, a carico del Polcevera, s’ insinua l’altra accusa che esso Piroscafo, che
ordinariamente faceva in quel torno di tempo la linea Alessandria, Libia, Malta, toccando
altri scali del Mediterraneo, aveva preso approdo in Catania il 26 Luglio, proveniente da
Genova, ed aveva da noi eseguito molte operazioni di discarico di merci, che erano state
appunto depositate nel magazzino sopraccennalo delle Merci Nazionali.
Il Piroscafo dopo tali operazioni aveva continuato la sua rotta per la Libia, dove
giunto a Tripoli, veniva dopo qualche giorno dichiarato infetto di peste, perchè nella sua
stiva erano stati trovati morti molti ratti, che all’esame batteriologico venivano riconosciuti
come infetti di peste.
Sembra quindi molto accettabile l’ ipotesi che bensì a questo primo approdo del 26
Luglio del Polcevera , il quale rimase fino al 29 di detto mese nel nostro porto a com-
piere le sue accennate operazioni, anziché al suo secondo approdo del 26 Agosto, durante
il quale il Polcevera non compiè alcuna operazione, si debba la possibilità della pene-
trazione dell’ infezione pestosa nei magazzini doganali di deposito delle merci nazionali.
E se questa data ultima del 26 Luglio si mette in rapporto con 1’ epoca della comparsa
della moria dei topi , rilevata nei locali della dogana parecchio tempo prima dei casi di
peste, verificatisi nell’uomo nei primi di Settembre, si vede che dato il periodo d’incuba-
zione dell’infezione nei ratti e consecutivamente quello nell'uomo, con molta probabilità
si deve ammettere che l’infezione pestosa in Catania sia stata importata dal Polcevera
nel suo primo approdo del 26 Luglio, quando cioè venne riconosciuto infetto a Tripoli,
e che detta infezione vi sia rimasta incubata e diffusa nei topi per circa un mese, pria
di fare le sue prime vittime umane.
Se poi si aggiunge 1’ altro fatto, come venne più tardi ad assodarsi, che i primi col-
piti furono facchini e funzionari che trafficavano nei magazzini di merci nazionali, ove
furono depositate le mercanzie del Polcevera, allora la possibilità prende la consistenza
di un filo epidemiologico bene accertato.
L' episodio di Peste dell’ animino del 1914 in Catania
. )
E di questo parere si sono mostrate le Autorità Sanitarie , che più tardi con oppor-
tune inchieste si occuparono di stabilire l’origine e il decorso epidemiologico dell’infezione
pestosa in Catania.
Come poi l’infezione pestosa dai topi sia passata all’ uomo , dati i risultati bene ac-
certati di numerose ricerche scientifiche ed epidemiologiche, non è certo qui il caso d’ in-
trattenersi a lungo. Infatti nel magazzino doganale dei depositi di merci nazionali ove ven-
nero scaricate le mercanzie del Polcevera, oltre a merci infette dovettero essere scaricate,
in mezzo ad esse, delle "carogne di topi pestosi, come ivi furono trovate, senza potere
escludere che altri topi vivi ed infetti dovettero durante le operazioni di scarico guadagnare
la terra, e come prima tappa dovettero rifugiarsi nei magazzini predetti ; così ben presto
si stabilì 1’ infezione murina , diffondendosi dapprima fra i numerosi ratti della località
e trasmettendosi più tardi, nei modi più noti, da questi animali all’ uomo.
E fu facile invero tale costatazione, sia seguendo le tracce di topi già morti (stanze,
impiantiti, magazzini, uffici, merci,) sia seguendo altre tracce più evidenti, rappresentate
dalle escrezioni dei topi che si trovavano un pò dappertutto (anche sulle scrivanie, scaf-
fali, sedie), senza escludere ben inteso il notevole concorso delle pulci infette dei predetti
topi, delle quali i locali della dogana rappresentavano un vero vivaio.
Che anche le merci dovevano essere poi eventualmente in qualche modo infette o
piene di pulci infette, si può argomentare da qualche caso d’ infezione pestogena dell’uomo,
e proprio dal caso d’ un facchino,- il quale, trasportando abitualmente in collo la merce,
ebbe a soffrire sulla nuca un carboncello pestoso primitivo, come a suo tempo riferiremo.
Ad ogni modo degno di rilievo è il fatto che 1’ infezione nell’ uomo in questo primo
focolaio della dogana scoppiò quasi contemporaneamente negli individui colpiti ; ciò che
fa ammettere che simultanea, o presso a poco, dovette essere 1’ epoca del contagio, qua-
lunque ne sia stato il veicolo.
E fu invero piuttosto tardivamente, cioè il 6 Settembre, dopo circa quaranta giorni
dal primo approdo del Polcevera , che in una conversazione privata ed accidentale presso
la famiglia di un impiegato della Dogana che 1’ Ufficiale Sanitario Dott. Previtera apprese
che due funzionari di detto Ufficio erano morti il giorno precedente dopo breve ed oscura
malattia, e che altri subalterni e lavoranti della Dogana stessa, trovavansi anch’essi tut-
tavia ammalati e qualcuno in grave stato : ed appunto in quella stessa conversazione, fu
rilevato il fatto, già accennato, cioè che da parecchio tempo si erano trovati morti nume-
rosi topi nei vari locali della dogana.
Fu questa la prima vaga ma preoccupante notizia, per la quale il solerte Ufficiale
Sanitario credette di dover dare il segnale d’ allarme , nella sera del giorno stesso , alle
Autorità cittadine. E infatti procedutosi ad un’inchiesta, non si durò fatica per mettere in
rapporto la precedente morìa dei topi con i casi di morte nell’ uomo e per dedurre che
si era con tutta probabilità di fronte a un focolaio di peste murina , localizzato nel mo-
mento alla Dogana , focolaio che si era più tardi propagato all’ uomo , come del resto
veniva in seguito avvalorato dai criteri clinici ed epidemiologici ed accertato dai risultati
batteriologici.
Ai casi dei due impiegati dell’ Ufficio Doganale sovraccennati , se ne aggiunse ben
presto un terzo di una donna, moglie a un facchino doganale, nella quale la diagnosi cli-
nica fu anche lontana dal sospettare la natura specifica della malattia.
Ed è però che vale la pena, riferendo i vari casi di peste avvenuti in Catania, comin-
4
Prof. Eugenio Di Mattel
[Memoria VI.]
ciare da questi casi, che passarono oscuri e che non si fece a tempo di accertare batterio-
logicamente ; e ciò anche per mettere in evidenza 1’ importanza di questo primo focolaio
che chiameremo focolaio della Dogana nel decorso epidemiologico dell’infezione pestosa.
IL
1° FOCOLAIO DELLA DOGANA
(31 AGOSTO -8 SETTEMBRE)
Casi di peste nell’ uomo.
Caso i° — Pappalardo Gaspare di Giovanni di anni 33, Ufficiale di Dogana, abitante in via S. Gae-
tano N. 69.
Precedentemente in ottima salute e senza accusare alcuna indisposizione preliminare nella notte del 2 al
3 Settembre egli veniva improvvisamente assalito da forti brividi seguiti da febbre altissima. Entrò fin da
principio in uno stato comatoso : i brividi si ripeterono nella notte consecutiva, la temperatura si mantenne
elevata, il coma perdurò. I medici chiamati a consulto non si nascosero la gravità della malattia, per la quale
ogni rimedio fu inutile.
L’ infermo , dopo 2 giorni e mezzo dal primo esordire della malattia , se ne moriva ; ed il caso veniva
denunciato allo Stato Civile colla diagnosi di Meningite.
E grande invero dovette essere la preoccupazione del fenomeno morboso del coma,
per giustificare in primo tempo la diagnosi predetta; dappoiché dato il rapido decorso del-
la malattia, che non diede tempo per una diversa interpetrazione dei fenomeni clinici e
per una consecutiva modificazione della diagnosi, si poteva pensare a una forma di set-
ticemia, anche di origine oscura, anziché a una vera meningite.
CASO 2° — Pilato Giovanni fu Carmelo d’anni 45, subalterno di dogana, abitante in via Grimaldi N. 146.
La malattia anche in costui s’ iniziò il i° Settembre con brividi, febbre alta, delirio. Verso il secondo gior-
no gli si manifesta al collo e lungo lo sterno-cleido-mastoideo una tumefazione glandulare che andò leg-
germente aumentando nei giorni consecutivi. Verso il quarto giorno si manifesta un vero bubbone all’ in-
guine sinistro- Al 50 giorno si apprezza distintamente un processo congestivo pulmonare a destra.
Perdurando i fenomeni generali di febbre alta, brividi, delirio, 1’ infermo se ne moriva in seguito ad im-
provviso collasso.
I medici che dapprincipio considerarono gl’ ingorghi glandulari come effetto di causa reumatica, dopo la
morte dell’infermo espressero il dubbio di trattarsi di un processo tifoideo a decorso acutissimo ed eventual-
mente di una forma setticemica.
CASO 30 — Mazzeo Nunzia di Giuseppe d’ anni 20, moglie a un facchino della dogana, abitante in Via
Signore Ritrovato N. 21.
Costei frequentatrice assidua dei magazzini doganali, ove veniva a trovare il marito, senza disturbi pre-
monitori il giorno 3 Settembre , fu assalita da brividi , febbre alta e cefalea. Essa era incinta a 7 mesi.
Chiamato un Sanitario la trovò in travaglio di parto, e costatò ad un attento esame obbiettivo, un’ adenite
inguinale a destra, senza altre speciali localizzazioni morbose ai vari organi ed apparecchi.
II 4 si verificò il parto prematuro con feto morto ma senza alcuna complicazione.
Il giorno 5 la donna, caduta in collasso, decedette.
Fu fatta diagnosi di setticemia acuta.
Di questi 3 casi i sintomi oscuri a decorso rapido con diagnosi poco secura , per
quanto in due di essi 2° e 3°, si fossero costatati i bubboni come elementi probativi per
L' episodio di Peste dell' autunno del 1914 in Catania
D
l’ infezione specifica , non si fecero accertamenti batteriologici , nè autopsie , essendo gli
individui decessi prima che si fosse dato 1’ allarme del sospetto di peste.
Però dopo i primi risultati dell' inchiesta, le Autorità Sanitarie, ad onta delle diagnosi
non rispondenti alla vera natura dell’ infezione specifica, non esitarono un momento per
ritenere i predetti casi tutti e tre come casi di peste , sia per i fatti obbiettivi clinici rilevati
dai sanitari, sia per quegli altri rilevati ma non valutati, sia per il nesso epidemiològico,
(che pur in mancanza dei criteri batteriologici deve avere la sua importanza), specialmente
se si tien conto del gruppo di persone affette, della natura delle loro occupazioni e del
luogo di lavoro, che si constatò infetto.
E per tali motivi furono per detti casi adottati provvidamente le opportune misure di
orofìlassi.
intanto contemporaneamente ai casi citati ne venivano altri denunciati, e da questo
nomento regolarmente accertati.
CASO 40 — Scaglione Michele fu Saverio, d’ anni 45, Ufficiale di Dogana, celibe, abitante in Via Fossa
l dell’ Arancio N. 107.
La malattia s’iniziò bruscamente il 2 Settembre, con febbre alta preceduta da brividi, con cefalea e
lelirio ; più tardi comparvero i sintomi di una congestione polmonare con grave, ansia respiratoria, affanno,
dolori precordiali. L’ infermo a poco a poco cadde in uno stato adinamico e morì in collasso nella mezzanotte
'el 6 Settembre.
Autopsìa — Nessun ingorgo glandulare visibile alla superficie del corpo. Aderenze pleuriche bilaterali per
deurite pregressa. Congestione fortissima al polmone destro con incipiente epatizzazione ; polmone sinistro con
postasi. Cuore flaccido con sangue nero, liquido, con piccoli grumi neri friabili. Fegato, reni, congesti. Milza,
ìolto tumefatta, congesta, molle al taglio con parenchima emorragico.
Esame batteriologico. — Non potè dare molto risultati soddisfacenti, sia per le condizioni di preleva-
ìento dei pezzi anatomici, già in incipiente putrefazione, sia per la scarsezza delle indagini fatte, limitate
Ile ricerche microscopiche dei preparati, sia per l’incertezza delle prime osservazioni.
Tenuti presenti però i sintomi clinici, analoghi a quelli dei casi precedenti , il reperto anatomico di un
recesso settico, e i criteri epidemiologici relativi alle occupazioni di lavoro dello Scaglione, alla sua fre-
uenza assidua nei locali dei magazzini infetti, fu questo caso unanimemente giudicato come peste.
CASO 50 — Desi Giacomo, fu Lorenzo, d’anni 55, coniugato, facchino di Dogana, abitante in Via Geno-
ese N. ix.
La malattia s’ iniziò bruscamente il giorno 3 Settembre col solito treno fenomenico di cefalea intensa, bri-
idi, febbre alta. Più tardi l’infermo accusò dolori vaghi alla regione addominale, disturbi lievi alle vie dige-
sti senz’ altro di notevole nei diversi apparecchi. Al 6° giorno comparvero fatti catarrali ai polmoni che
ndarono lentamente accentuandosi. Però 1’ abbattimento era notevole, lo stato adinamico si rendeva sempre
ù grave, e 1’ infermo cadeva in collasso, morendo la mattina del 7.
Autopsia — All’ispezione nessun ingorgo glandulare appariscente. Macchie larghe, estese nelle varie regioni
eil corpo, d’ un colorito paonazzo: Congestione notevole degli organi dell’apparecchio respiratorio. — Cuore
eremico, flaccido, quasi normale di volume, con sangue liquido rosso-bruno. Intestini iperemia, fegato molto
mgesto, reni con sostanza corticale grigiastra, e midollare fortemente iniettata. Milza grossa, congesta, spap-
ilabile il suo parenchima con lacune venose ripiene di sangue.
Esame batteriologico. — Il reperto microscopico con materiale prelevato dalla milza, dai polmoni e dal
lore , diede risultati positivi per l’accertamento della diagnosi di peste. Le ricerche culturali e gl’innesti
egli animali confermarono la diagnosi microscopica.
CASO 6° — Forti Gregorio, fu Michele, di anni 65, Ispettore di dogana, abitante in Via Zoppala N. 135.
L’individuo il i° Settembre senza disturbi premonitori fu preso da brividi, febbre alta, cefalea, delirio,
ave depressione cardiaca, grande prostrazione nervosa.
Contemporaneamente si manifestano disturbi dell’ apparecchio digerente con timpanismo , dolori vaghi
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Prof. Eugenio Di Mattei
[Memoria VI. |
all’addome, scariche frequenti, disturbi all’ albero respiratorio con ansia disponoica e consecutivi fatti catar-
rali: disturbi all’ apparecchio urinario con albuminuria. Più tardi si manifesta adenite inguinale a destra.
Durante la prima settimana l’ammalato si mantenne in uno stato molto grave, poi a poco a poco le condizioni
generali cominciarono a migliorare , I’ adenite venne a suppurazione e fu incisa. Subentrò presto la conva-
lescenza e 1’ individuo il 28 Settembre usciva guarito dal Lazzaretto.
Reperto batteriologico — Il risultato microscopico del pus del bubbone fu negativo, ma l’esame venne pra-
ticato molto tardivamente : non si fecero con detto pus altre ricerche culturali nè inoculazioni sugli animali,
perchè il reperto batteriologico positivo fu potuto assodare dall’espettorato polmonare.
Caso 7" — Porto Francesco, fu Salvatore, d’anni 27, facchino della Dogana, abitante in via Mulino a
Vento N. 2.
La malattia esordì il 31 Agosto con febbre, brivido e cefalea, con contemporanea comparsa di una lieve
linfangiojte alla regione laterale destra del collo. Alla regione nucale intanto si era già manifestato dapprima
un arrossamento della grandezza di una moneta da due centesimi, che tosto si sollevò formando una flittena
con infiltramento edematoso circostante e con esito in escara necrotica centrale.
In tali condizioni 1’ infermo ricorse ad un chirurgo, il quale incise largamente e profondamente nel dub-
bio che si trattasse di una pustula maligna. Con tutto ciò l’infermo peggiorava, la febbre si manteneva ele-
vata. lo stato generale s’ aggravava. Nel contempo un’ altra pustula compariva nell’ avambraccio destro con
leggiero edema circostante ; ma essa non aveva tendenza a progredire. Intanto si manifestava un’ adenite
inguinale a sinistra, che acquistò un certo volume ma non arrivò alla suppurazione. Negli ultimi giorni es-
sendo già 1’ infermo in grave abbattimento, sopravvenne un catarro bronchiale diffuso con espettorato muco
purulento, e la notte del giorno 18 Settembre 1’ infermo moriva in collasso.
Reperto batteriologico - I risultati delle osservazioni microscopiche e delle culture e delle inoculazioni
sugli animali , condotte con materiale prelevato dal carbonchio , dalla pustula dell’ antibraccio e dal succo
del bubbone furono positivi per la diagnosi della peste.
CASO 8° — Lo verde Sebastiano, di Girolamo, d’anni 32, facchino del porto, abitante in Via Fischetti N.16.
Per ragioni di mestiere egli aveva continui rapporti con la dogana , e da recente avea trasportato delle
merci nei magazzini infetti. Il giorno 4 Settembre senza disturbi preliminari si ammala con cefalea , leggera
febbre, lievi disturbi all’ apparecchio digerente e dolori articolari. Lo stato generale piuttosto depresso non era
in rapporto con la poca gravità dei disturbi accennati. Il giorno io gli si manifestò adenite crurale a sinistra,
la temperatura si rialzò, il polso divenne frequente e depresso. L’ adenite venne a suppurazione.
L’ infermo usci guarito dal lazzaretto il 29 Settembre.
Esame batteriologico — Il reperto del succo del bubbone riuscì positivo nei preparati microscopici e
nelle culture.
CASO 90 — Carbonaro Mario, fu Giovanni, d’ anni io, facchino doganale, abitante in Via Grimaldi N.ioo.
Questo ragazzo addetto ai lavori di facchinaggio alla dogana, aveva trasportato dei colli di cuoiame nei
magazzini doganali. Dopo qualche giorno il i° Settembre, vien colto da febbre elevata e cefalea. La dimane
si comincia a manifestare un bubbone inguinale a destra che venne a suppurazione, mentre si manifestava
nel contempo un bubbone inguinale a sinistra, che venne ugualmente a suppurazione. La febbre si mantenne
sempre elevata, la depressione organica perdurò lungamente ; ma tuttavia dopo una lunga convalescenza uscì
guarito dal Lazzaretto il 30 Settembre.
Reperto batteriologico — Il risultato microscopico culturale e sperimentale col pus dei due bubboni riuscì
positivo per la diagnosi della peste.
Caso io0 — Muscarà Gaetano, d’ anni 40, Ufficiale di dogana, coniugato, dimorante nel vicino comune
di Aci Castello.
La malattia s’iniziò con prodromi di malessere e stanchezza; tuttavia l’individuo recatosi in ufficio l’8
Settembre cominciò ad avvertire all’ inguine destro delle trafitture che si resero moleste verso la sera. Nella
notte fu assalito da smanie, da febbre violenta e la dimane all’ inguine destro si formò un’ adenite.
Il medico fece diagnosi di peste bubbonica.
La febbre a 400 si mantenne tale per circa una settimana, con lievi remissioni mattutine; vi si accom-
pagnò cefalea, delirio. Le condizioni generali adinamiche minacciavano collasso. Ebbe praticata un’ iniezione
L' episodio di Peste dell' autunno del 1914 in Catania
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di siero antipestoso Yersin. Il bubbone sempre più aumentando di volume venne a suppurazione e il 5 Ottobre
fu inciso per la prima volta, essendosi più tardi dovuto praticare altre incisioni.
L’ infermo degente in casa sua, veniva assistito dalla móglie incinta a 9 mesi, la quale a termine di gra-
vidanza, si sgravò felicemente senza alcuna conseguenza. Dopo lunga convalescenza esso infermo guari.
Esame batteriologico — Il risultato del succo del bubbone dopo il secondo giorno di malattia diede ri-
sultato positivo pel bacillo pestoso, confermato dalle culture e dalle inoculazioni negli animali.
Ai precedenti casi ne fanno seguito altri tre, nei quali per speciali contingenze il re-
perto batteriologico non fu sul momento completo e sicuro , o lo fu molto tardivamente
per ulteriori ricerche ; tuttavia i criteri clinici ed epidemiologici lasciarono il convincimento
di trattarsi di peste bubbonica con localizzazione del bubbone , in un caso nella regione
poplitea, e in un altro caso alla regione del collo. Il terzo caso fu di setticemia pestosa.
Caso h° — Cannone Francesco, fu Gaetano, d’anni 54, subalterno di Dogana, abitante in Via Teatro
Greco N. 32.
In questo individuo la malattia esordì fin dal giorno 8 Settembre, con febbre alta sopra i 390, dolori vaghi
per tutto il corpo, alle gambe, e specialmente alla gamba destra.
11 giorno 11 il medico visitato l’ infermo e trovando che la febbre al mattino rimetteva, fece diagnosi di
febbre reumatica. Però aggravandosi lo stato generale, senza speciale localizzazione di alcun processo morboso
ai diversi organi od apparecchi, si tenne un consulto, nel quale i medici, esaminato bene 1’ infermo, notarono
un ingorgo alla regione poplitea della gamba destra, come un vero bubbone, manifestatosi da qualche giorno
e assai dolente. La grandezza di esso era quanto una noce ed era piuttosto duro; all’intorno si costatava
un’infiltrazione edematosa diffusa. Per tali ragioni e per le condizioni di mestiere dell’ individuo che lavorava
nei locali infetti della Dogana, si elevò il sospetto di infezione pestosa, e si fece un esame del siero del bub-
bone. II giorno 13 l’infermo è in profonda prostrazione, polso celere, io7°iio°al i', temperatura al mattino
rimettente 370 6; tuttavia la depressione aumenta, lo stato adinamico incalza, la temperatura di sera s’eleva
a 390 6; il polso diventa piccolo, frequente, 130° al 1', e nella notte in preda a collasso 1’ infermo muore.
Autopsia — Larghe macchie paonazze alla superficie del corpo. Edema diffuso al terzo superiore della
gamba destra e bubbone piuttosto retratto. Polmoni fortemente congesti. Cuore flaccido con sangue nero fluido
nelle cavità. Fegato e reni iperemia. Milza molto ingrossata, congesta, con parenchima molle e spappolarle,
al taglio lacune venose piene di sangue.
Esame batteriologico — Per ragioni occasionali la ricerca si limitò ad una soia osservazione microscopica
di un po’ di siero del bubbone popliteo, che risultò negativa. Più tardi le ulteriori osservazioni sugli organi
dopo la morte, diedero risultati più sicuri.
Ad onta del reperto microscopico negativo nel primo momento perchè superficiale ed incompleto , non si
potè più tardi ammettere alcun dubbio di essere di fronte a un caso classico di peste con bubbone popliteo
non frequente.
CASO I2° — Boggio Francesco, fu Stefano, d’anni 62, facchino del porto, abitante in Via Villa Scabrosa
N. 98.
Per ragione del suo mestiere frequentava i locali infetti della Dogana. In questo individuo la malattia
iniziatasi fin dal giorno 8 con un po’ di malessere e stanchezza scoppiò il giorno 9 Settembre con febbre elevata,
disturbi generali, malessere, cefalea, inappetenza. La febbre dapprima a 390 5, si fece remittente al mattino;
tuttavia grande depressione e senza apprezzabile processo morboso agli organi interni. Il giorno 14 1’ infermo
emette per la prima volta degli sputi sanguinolenti, i fenomeni di prostrazione aumentano, il polso diventa
frequente no0 al 1'. Rivisitato 1’ infermo si riscontra un piccolo focolaio di polmonite a destra. I fenomeni
adinamici incalzano e 1’ ammalato muore in collasso nelle ore meridiane del giorno 16 Settembre.
Non si fece autopsia.
Esame batteriologico. — La ricerca si limitò ad una osservazione microscopica sugli sputi sanguigni. Il
risultato fu ritenuto sul momento fortemente sospetto per il bacillo pestoso, ma più tardi per ulteriori ricerche
fu accertato positivo.
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Prof. Eugenio Di Mattei
[Memoria VI.]
CASO 130 — Munzone Carmelo, di anni 12, scaricatore del porto, abitante in Via Genovese N. 17.
Il ragazzo frequentava per ragion di mestiere i locali della Dogana. In lui la malattia esordì il giorno 17
Settembre repentinamente, con febbre alta, delirio, e dolori forti alla regione del collo e ai ginocchi. Il 19 le
glandule cervicali di sinistra si mostrano ingrossate e dolenti ; la dimane, la tumefazione si estende a tutta
la regione corrispondente del collo. Il 22 si estende ancora alle glandule mascellari e parotidea dell’altro lato.
I bubboni sono voluminosi duri e dolenti; la pelle rossa, lucente, tesa, calda ; i tessuti circostanti edematosi.
La infiltrazione tende sempre più ad estendersi in tutta la regione del collo, determinando disturbi gravissimi
di compressione sui vasi e nervi sottostanti. Subentrano dei fenomeni dispnoici, il volto è cianotico, il respiro
affannoso e con tali fenomeni alle ore 17 dello stesso giorno 22 il ragazzo entra in uno stato preagonico,
per morire più tardi alle ore 19 l/2 in preda a soffocazione per edema della glottide.
Non si fa autopsia.
Esame batteriologico. — Viene limitato a una sola osservazione microscopica di un po’ di siero, ricavato
dagli ingorghi glandulari. Il risultato di tale ricerca monca e deficiente fu negativo; ma ad esso non s’accordò
alcun valore, tenuto conto degli altri criteri clinici, ed epidemiologici che lo fecero giustificare un caso di peste.
Questo primo episodio dell’ infezione pestosa è da per sè molto istruttivo per alcuni
importanti fatti che si poterono assodare, e che riassunti, permettono di ricostruire i di-
versi periodi del primo focolaio pestoso descritto.
Sta di fatto che una preliminare epizoozia mulina avvenne nei locali della Dogana,
secondo ogni probabilità il 28-29 luglio, epoca dello arrivo e dello scarico delle merci del
Polcevera ; che una consecutiva mona di topi intorno o poco dopo quell’ epoca con re-
lativa disseminazione del materiale contagioso di carogne di topi, loro defezioni, pulci,
polveri, imbrattamento delle merci, si ebbe a rilevare nei locali doganali, specie in quelli
adibiti a magazzini delle merci nazionali.
Risulta altresì che dopo 4 settimane circa dell’ avvenuta infezione mulina e propria-
mente quando massima doveva essere la propagazione nei numerosi topi della località,
(epoca che approssimativamente tale si calcola nei casi più comuni e più rigorosamente
accertati dalle indagini epidemiologiche, dove un nesso esiste fra primitivo contagio murino
e consecutivo contagio umano) scoppiano i primi casi di peste dell’ uomo, che si svolgono
in un periodo di tempo relativamente breve, che va dal 31 Agosto all’8 Settembre, (1) e
che può rappresentare il periodo massimo d’ incubazione di peste nell' uomo , ammesso
che il contagio siasi potuto verificare fin da principio o presso a poco in quasi tutti gli
individui con la sola differenza di qualche giorno di tempo 1’ uno dall’altro.
È anche da rilevare che i colpiti, per quanto fossero di condizione sociale diversa,
ed abitassero nei punti più vari della città , dal facchino che portava a spalla le merci
all’Ufficiale di dogana che aveva mansioni di ufficio, appartenevano tutti al personale della
Dogana che lavorava o che passava la giornata nel reparto dei magazzini infetti.
E fra questi va compresa la Masseo (Caso 3°) che essendo moglie di un facchino
che lavorava nel reparto infetto della dogana, vi veniva tutti i giorni a trovare il marito
ed ivi con lui s’ intratteneva.
Così del focolaio della dogana si possono stabilire con abbastanza sicurezza i dati
del principio e fine dell’infezione dell’uomo, che vanno dal 31 Agosto all’8 Settembre,
con un ultimo caso tardivo il 17 Settembre.
(1) Rimane il caso del ragazzo Munzone Carmelo, scaricatore doganale in cui la malattia scoppiò tardi-
vamente il 17 Settembre; ma esso caso allora fu considerato come incerto, senza poterlo più tardi per altro
assolutamente escludere.
L’ episodio di Peste dell' autunno del 1914 in Catania
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Per le energiche misure di profilassi, questo focolaio fu spento alla sua prima esplo-
sione. Nessun altro caso infatti si ebbe a verificare che ad esso focolaio avesse potuto
riferirsi.
E così mentre si riteneva che la iattura di una più grave diffusione di peste in citta
fosse stata scongiurata, inaspettatamente un altro focolaio s’ accendeva in un altro quar-
tiere povero della città.
III.
2° FOCOLAIO DELLA FAMIGLIA DESI.
(25 SETTEMBRE-6 OTTOBRE)
Episodio familiare di Peste.
Questo focolaio non è privo d’ importanza epidemiologica, perchè mette in chiaro la
possibilità di altri fattori diversi ed indipendenti dalla infezione murina, del resto ben noti,
nella propagazione del contagio di peste nell’ uomo.
Per mettere nel suo giusto rilievo l' episodio predetto bisogna premettere che avve-
nuta la morte del facchino di dogana Giacomo Desi (Caso 5°) il giorno 7 Settembre per
giusta misura di profilassi, tutta la famiglia di lui venne portata nei locali d’isolamento,
ove fu trattenuta per ben 7 giorni , e durante i quali vennero nella casa di abitazione
dello stesso praticate le più rigorose disinfezioni.
Restituitasi il 14 Settembre la famiglia alla propria dimora, nulla per altri 10 giorni
ebbe a verificarsi , quando improvvisamente il 25 Settembre si attacca e muore di peste
la figlia, il 1° Ottobre s’ammala e muore di peste la moglie, il giorno appresso la nuora,
e contemporaneamente la vicina di casa del defunto Giacomo Desi.
Vale la pena di riferire brevemente i casi di questo importante episodio di peste
familiare.
CASO i° — Desi Rosaria, fu Giacomo, d’ anni 18, casalinga, nubile, abitante nella casa paterna, in via
Genovese N. n.
Il 25 settembre la giovane Desi, senza apprezzabili disturbi preliminari viene assalita da febbre alta,
cefalea intensa, brividi, delirio, dispnea, e con i sintomi incipienti di una ordinaria congestione polmonare
acuta. Però il fenomeno preponderante e grave ed in nulla rispondente colla benignità dei fatti polmonari
era la grande depressione organica , minacciante da un momento all’ altro un collasso. Il cuore era debole ,
con periodi di vera tachicardia. Polso piccolo, superficialissimo- Espressione del volto ansiosa, sguardo smar-
rito , qualche goccia di sudore alle tempia. Mancanza di adeniti all’ inguine e in altri punti del corpo. Nes-
suna lesione evidente agli altri apparecchi funzionali. Muore in collasso il 27 sera.
Autopsia — Nessun ingorgo glandulare nelle diverse regioni del corpo. — Larghe macchie paonazze al
torace, agli arti superiori ed inferiori, all’ addome, alla nuca, alla faccia, specie alle labbra. Congestione dei
polmoni , specialmente alla base e senza alcun focolaio di epatizzazione ; al taglio fuoriesce del sangue ne-
rastro , misto a spuma rossastra. Nelle cavità pleuriche un leggiero versamento siero-sanguinolento. Cuore
iperemia» , flaccido, in diastole con sangue nero fluido nelle cavità. Organi addominali iperemia. .Pacchetto
intestinale qua e là con macchie sanguigne diffuse e con territori iperemizzati. Fegato fortemente congesto,
al taglio ne fuoriesce sangue nerastro e abbondante. La milza aumentata di volume, con colorito rosso vi-
noso, con parenchima molle spappolarle e pieno di sangue nerastro, fuoriuscente dalle grandi lacune venose.
Reni fortemente congesti ; la sostanza midollare iperemica; notevole contrasto colla sostanza corticale torbida
e tumefatta.
Reperto batteriologico — L’esame microscopico dei pezzi degli organi prelevati all’autopsia (fegato,
ATTI ACC. SERIE 5a, VOL IX. — Meni. VI. 2
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Prof. Eugenio Di Maitei
[Memoria VI.]
milza, polmone, reni) fu negativo. L’ esame culturale non potè essere regolarmente condotto , poiché i pezzi
cadaverici erano già in avanzata putrefazione. Non si fecero inoculazioni negli animali d’esperimento.
Caso 20 — Indelicato Maria, d’anni 52, vedova del facchino Giacomo Desi, e madre della predetta
Desi Rosaria. abitante in Via Fornaciai N. 37.
La Indelicato lasciò subito, dopo la morte della figlia, la propria abitazione per rifugiarsi presso parenti,
nella casa dirimpetto. Il x° Ottobre la donna venne colpita dagli stessi sintomi della malattia del marito e
della figlia, inizio brusco, febbre alta, cefalea intensa, stupore, ansia respiratoria, polso piccolo e frequente,
principio di congestione all’ albero respiratorio, notevole depressione organica, minaccia di collasso. Nessun in-
gorgo giandulare. Nessun processo morboso agli altri organi. Alla sera del 3 la donna muore in collasso.
Autopsìa — Reperto perfettamente identico al precedente: macchie di colore rosso-cupo diffuse sul corpo.
Nessun segno di adenite al collo, alle ascelle, agli inguini. Congestione intensa a tutti gli organi parenchi-
matosi specie ai polmoni, e con tutti i caratteri di un reperto tipico di setticemia acuta.
Reperto batteriologico — Le indagini vengono fatte su pezzi di polmone, di milza, di fegato, e sul san-
gue del cuore. Tanto le osservazioni microscopiche, quanto quelle culturali e sperimentali sono riuscite po-
sitive per la diagnosi di peste. 11 reperto si potè confermare anche con i risultati di un po’ di espettorato
catarrale, raccolto durante là breve malattia della donna.
Caso 30 — Fassari Pietra, di Giuseppe, d’ anni 20, nuora di Giacomo Desi, abitante in via Fornaciai
num. 33.
Fin dal i° Ottobre anche costei cominciava ad avvertire i primi sintomi di un inspiegabile malessere.
Il giorno appresso prende il letto con gli stessi sintomi imponenti e galoppanti delle sue congiunte: febbre
elevata, cefalea, delirio, minaccia di congestione all’ albero respiratorio, forte dispnea, espressione di smar-
rimento nella faccia. Assenza di localizzazione di speciale processo morboso nei varii apparati. Nessun ingorgo
giandulare. Grande postrazione, polso piccolo, frequentissimo. Lo stato di abbattimento e di adinamia prende
il sopravvento, tanto che nella sera del 4 la donna cade in collasso e muore.
Autopsia — Reperto identico ai due precedenti, con i caratteri di una setticemia acuta. Congestione di
ambo i polmoni, specie del destro. Cuore in diastole, iperemico con sangue nero fluido nelle cavità. Milza
tumefatta, molle, flaccida, con parenchima molto spappolabile e con sangue rosso bruno alla superficie del
taglio. Reni congesti con emorragie puntiformi in ambo le sostanze.
Reperto batteriologico — Le indagini microscopiche , culturali e sperimentali , praticate sul sangue del
cuore, sul parenchima della milza e sul succo polmonare, furono positive per la ricerca del bacillo pestoso.
CASO 4° — Pistorio Maria, di Vincenzo, d’anni 21, abitante in via Genovese 19.
Costei vicina di casa, amica delle donne Desi, si ammala aneli’ essa, il i° Ottobre con i soliti sintomi
generali, febbre alta, cefalea, prostrazione grandissima. La dimane 2 Ottobre si nota un ingorgo giandulare
all’ inguine sinistro. Essendo la predetta gravida al 70 mese , partorisce alla sera del predetto giorno una
bambina vivente. Intanto i fatti generali si rendono più gravi, l’adinamia aumenta, il cuore si fa sempre più
debole, il polso più accelerato, e per quanto nessun processo morboso si trovi localizzato ai varii organi ed
apparecchi, l’inferma nella notte del 6, in preda a un grande collasso muore.
Autopsia — Chiazze emorragiche di varia grandezza, da semplici punti a vaste suggellazioni, si trovano
diffuse in tutte le regioni del corpo. Esse spiccano sur un fondo uniforme d’ un colorito paonazzo di tutta la
superficie cutanea ; adenite inguinale a sinistra con tumefazione edematosa che si estende dall’ inguine sini-
stro, linea del Poupart in alto, fino al terzo inferiore della coscia. Caratteristica è la differenza di colorito
fra questa regione edematosa biancastra , quasi cerea con una chiazza emorragica della grandezza di una
moneta di 5 franchi al punto dell’ ingorgo giandulare, col restante della superficie cutanea rosso-bruna. Incisa
la regione edematosa che si mostra al taglio dura e resistente si trova nella profondità una gianduia grossa
quanto una nocciola, fortemente congesta, e che si enuclea con qualche difficoltà. Agli organi interni, della ca-
vità toracica si mostrano i polmoni fortemente congesti , con punti e chiazze emorragiche sulla pleura visce-
rale: nessun focolaio di incipiente epatizzazione ; qualche cucchiaio di liquido siero-sanguigno nelle cavità
pleuriche. Cuore iperemico, ma flaccido, in diastole e con poco sangue nerastro nelle cavità. Nella cavità
addominale gli intestini si presentano con punti emorragici nella sierosa e con intensa iperemia. Fegato for-
temente congesto; milza aumentata di volume di consistenza flaccida . con parenchima molle e spappolabile.
Reni congesti con punti emorragici nella sostanza corticale in tumefazione torbida.
L’ episodio di Peste dell' autunno del 1914 in Catania
Reperto batteriologico — Le ricerche microscopiche, culturali e sperimentali condotte sui pezzi anatomici
prelevati, polmoni, cuore, fegato, milza, e sulla gianduia inguinale furono tutte positive per la diagnosi di
peste.
Con questo quarto ed ultimo caso si chiude il piccolo ma interessante episodio pe-
stoso della famiglia Desi, sul quale non sono superflui alcuni chiarimenti.
Dalla morte del facchino Giacomo Desi , avvenuta il 7 Settembre, allo scoppio del
primo caso cioè della malattia della figlia Rosaria Desi , (25 settembre) trascorsero ben 18-
giorni, durante il qual tempo la famiglia era stata per 7 giorni nei locali d’ osservazione,
e la rispettiva abitazione era stata rigorosamente disinfettata. Inspiegabile sarebbe quindi
questo nuovo caso, non potendosi pensare a un lungo periodo d’ incubazione della malat-
tia di 18 e più giorni. Se non che ad illuminarlo intervengono nuovi fatti, assodati da
accurate consecutive indagini.
Dopo la morte del facchino Desi , la famiglia, per il timore di vedere distrutti gl’in-
dumenti, abiti di lavoro, biancherie da letto, ed altri oggetti d’uso, appartenenti al defunto,
seguendo l’ antica e triste costumanza , ancora fortemente radicata nelle classi povere, ne
trafugò buona parte, nascondendoli presso le abitazioni dei parenti, e vicini attigui, dove
appunto si verificarono i nuovi casi di peste.
Tutti questi abiti che a giusta ragione si dovevano considerare come infetti, dopo
alcuni giorni che la famiglia uscì dai locali di osservazione, furono riportati in casa Desi ,
ove qualche giorno appresso furono maneggiati, puliti, spolverati da madre e figlia Desi ,
mentre gli oggetti di biancheria venivano lavati soltanto dalla figlia. Il 25 settembre costei
si ammala e muore il 27 assistita dalla madre Indelicato Maria , dalla cognata Fassari
Pietra e dalia vicina Pistorio Maria. Ma la madre, tristamente impressionata della morte
della figlia, dopo il decesso di costei, quasi presaga della sorte che poteva minacciarla, lascia
la sua casa d’abitazione in Via Genovese N. Il, per rifugiarsi nella casa dirimpetto dei
parenti in via Fornaciari N. 37, ove anch’ essa dopo un paio di giorni, il 1° Ottobre, ve-
niva colpita della stessa malattia della figlia, e in seguito alla quale nella sera del 3 Ot-
tobre se ne moriva.
Sopraggiunse intanto , oltre alla Indelicato , la volta della nuora Fassari Pietra
(Via Fornaciai 33) e della vicina Pistorio Maria (Via Genovese 19) le quali insieme alla
predetta Indelicato avevano avuto dei continui rapporti con la Rosaria Desi , per averla
curata ed assistita fino alla morte. E così essendosi tutte e tre le donne ammalate il 1° Ot-
tobre quasi contemporaneamente, venivano rispettivamente a morire il 3, 4, 6 Ottobre.
Così si chiudeva l’episodio Desi, soffocato dall’applicazione delle più rigorose mi-
sure di profilassi, per le quali va data grande lode alle Autorità Sanitarie, per aver spento
un focolaio che per ragioni di topografia , quartieri insalubri , e natura di popolazione ,
classi povere, poteva rappresentare un vero incendio per la città.
Dal punto di vista epidemiologico in questo focolaio pestoso manca affatto 1’ elemento
dell’ infezione preliminare murina ; nessun topo morto si potè trovare nelle abitazioni dei
sudetti pestosi, nè prima, nè dopo la malattia, nè anche riandando al primo caso di peste
in persona di Giacomo Desi.
La malattia si verificò per contagio indiretto e diretto, cioè maneggio di effetti d’ uso
infetti e assistenza a malati; e si verificò esclusivamente nell’ambiente domestico femminile
e da persona a persona , confermando il fatto epidemiologico già noto , che 1’ infezione,
12
Prof. Eugenio Di Maltei
[Memoria VI.]
pestosa in famiglia, attacca più facilmente 1’ elemento femminile, come quello che è in pili
diretto rapporto con i malati per assistenza e cura e con i loro materiali infetti , sputi ,
feci, urine ecc. e con gli oggetti ed effetti d’ uso di pertinenza degli stessi.
La forma clinica di questo gruppo di pestosi, è anche importante, perchè in tutti i casi
si trattò di una forma setticemica a decorso rapido, con eccezione del caso 4° che durò
6 giorni e in cui vi fu il tempo per la incipiente manifestazione di un’ adenite inguinale.
La durata di questo episodio fu relativamente breve, cominciata il 25 Settembre si spense
il 6 Ottobre, mediante le pronte ed energiche misure di disinfezione e di profilassi adottate.
3° FOCOLAIO DEI MULINI
12 OTTOBRE -8 NOVEMBRE.
Casi di Peste nell’ uomo.
Un mese appena era trascorso dagli ultimi casi di peste verificatisi alla Dogana, e
una settimana circa dai casi della famiglia Desi , quando un altro focolaio di peste dap-
prima murino e poi umano costituivasi dentro alcuni Stabilimenti di mulitura di grano
detti di S.tn Lucia ed Assunta, i cui fabbricati sorgono lungo quel tratto di spiagga che
sta di fronte ed a ponente della Dogana.
Per rendersi conto dal punto di vista epidemiologico dell’ infezione murina in questi
Stabilimenti, e per considerare questo nuovo focolaio come una dipendenza di quello della
Dogana, non si può ammettere altra ipotesi possibile che quella del rifugio nei locali degli
Stabilimenti predetti dei topi infetti, sfuggiti dai locali della Dogana all’ epoca dello sgom-
bero e del risanamento di questi locali , all’ inizio dei primi casi di peste umana. E ciò
tanto più sembra accettabile se si tien conto che per la via di mare il tratto fra Dogana
e Stabilimenti è brevissimo, ed inframezzato da basso fondo, dai grandi pilastri del ponte
ferroviario e da una parte di costa all’ asciutto : e in conseguenza fra i molti topi sfug-
giti, non pochi fra i sani e gl’infetti potevano aver tempo di raggiungere 1’ opposta riva
dove sorgono i Mulini. Non si può escludere d’ altro canto 1’ altra ipotesi ugualmente pos-
sibile, che topi infetti o sani, morti o vivi, caduti o gettati nel mare presso le acque della
Dogana fossero stati trasportati colle correnti sulla spiaggia Alcalà , dove si trovano i Mu-
lini e dove la risacca rigetta molte sostanze e i rifiuti galleggianti delle acque del Porto.
Sta però di fatto che il 12 Ottobre si trovò sulla spiaggia un topo morto, che fu ri-
conosciuto infetto di peste e che dopo tale epoca molti altri topi, riconosciuti pestosi, ven-
nero trovati morti sulla spiaggia o catturati vivi entro i due Mulini o nei locali dell’ Of-
ficina elettrica, il cui fabbricato sta in mezzo ai due predetti mulini.
Tuttavia rigorose inchieste assodarono più tardi che già fin dai primi di Ottobre il
personale dei mulini raccoglieva dei topi trovati morti nei vari locali degli Stabilimenti e
li buttava in mare o sulla spiaggia per sfuggire al controllo delle autorità sanitarie. E che
così veramente sia avvenuto resta provato dal fatto che il primo caso di peste nell' uomo,
in questo terzo focolaio, avvenne propriamente il 12 Ottobre come adesso diremo.
Questo focolaio di peste murina non diede un forte contributo di contagio umano :
due soli casi in tutto si verificarono, uno nel Mulino Assunta, l’altro nel Mulino S.tr' Lu-
cia, numero piuttosto esiguo se si tien conto che 1’ infezione murina si protrasse in detti
L' episodio di Peste dell' autunno del 1914 in Catania
13
Stabilimenti per circa due mesi , essendo cominciata ai primi di Ottobre e terminata in
fine Novembre.
Descriveremo brevemente i due casi.
Caso in — 0' Antona Carmelo, di Salvatore, di anni 46, lavorante nel Andino Assunta, abitante in Via
Magri N. 35.
Costui era addetto al lavaggio del grano. Il giorno 12 mentre accudiva al suo lavoro fu preso da males-
sere, stanchezza, piccoli brividi; alla notte gli sopravvenne febbre alta e cefalea. Il 14 corrente avvertì la
comparsa di un bubbone crurale a sinistra, dolorissimo. Il 16 con tutta la febbre si recò a piedi all’Ospedale
Vittorio Emanuele, dove fu ricoverato con diagnosi di febbre reumatica e catarro bronchiale. Nello stesso
giorno però stando a letto, essendogli stato riscontrato il bubbone sospetto, fu denunciato all’ Ufficio sanitario
municipale, e trasportato subito al Lazzaretto. La febbre si mantenne ancora per pochi giorni fino a quando
il bubbone, venuto a suppurazione, venne inciso. L’ammalato mano mano, cominciò a rimettersi, tanto che il
15 Novembre uscì guarito dal Lazzaretto.
Reperto batteriologi.» — Fu sottoposto ad esame microscopico e culturale il pus del bubbone ; e il ri-
sultato, controllato con inoculazioni negli animali, fu sempre positivo per la diagnosi della peste.
CASO 20 — Vitale Carmelo, fu Giuseppe, di anni 35, lavorante nel Mulino S.a Lucia, abitante in Via
D’ Amico N. 27 .
11 giorno 7 Novembre mentre lavorava avvertì un forte dolore puntorio alla radice della coscia destra:
ciò non pertanto non interruppe il lavoro. Durante la notte fu assalito da febbre alta, brividi, cefalea, delirio,
nausea, vomiti. La dimane l’adenite si manifestò classica a destra nel triangolo di Scarpa. La febbre si
mantenne elevata fra i 39° e 400 e lo stato generale fortemente depresso. Alla sera incalzando i fenomeni
adinamici, 1’ infermo moriva per collasso nel Lazzaretto, ove era stato a suo tempo internato.
Reperto batteriologico — Dal succo del bubbone si fecero osservazioni microscopiche, ricerche culturali
e sperimentali, le quali tutti confermarono, essendo in vita ancora 1’ individuo, la diagnosi di peste-
Per tali ragioni, avvenuta la morte, non si fece autopsia.
Questo episodio pestoso rispecchia nel suo andamento quello primo della Dogana.
L’infezione murina verfìcatasi ai primi di Ottobre e forse anche prima, per quanto non
accertata subito batteriologicamente, ma assodata in seguito a rigorosa inchiesta, preparò
l’infezione nell’uomo, il cui primo caso si verificò il 12 Ottobre, cioè dopo l’abituale
periodo d’ incubazione , che nel caso in ispecie , deve ammettersi oscillante dai 2 , ai 7
giorni; mentre il secondo caso avvenuto il 7 Novembre non potè evitarsi, sia perchè non
fu facile nè breve il compito della profilassi antipestosa in locali ed ambienti complessi
come quelli dei Mulini nei quali c’era tutto da fare, ed ove per giunta si doveva lottare
contro la resistenza dei padroni interessati , sia perchè non si volle bruscamente ordinare
la chiusura dei due unici stabilimenti di mulitura esistenti in città, allo scopo di conciliare
per quanto era possibile gl’ interessi commerciali ed industriali con quelli sanitari.
Però dopo questi casi la chiusura fu imposta dalle condizioni imprescindibili di pro-
filassi, essendosi dovuto procedere al risanamento razionale degli Stabilimenti e della
spiaggia marina. Così il focolaio murino si spense e altre vittime umane non si ebbero.
Si nota infine che entrambi i casi furono di peste bubbonica e presumibilmente l’ in-
fezione dovette essere contratta per 1’ abitudine che questi lavoranti dei mulini hanno di
attendere ai loro lavori, scalzi e sbracciati, anche pel fatto della stagione autunnale rela-
tivamente calda fra noi.
w
Prof. Eugenio Di Maltei
r Memoria VI.]
v.
IH E EOCOI.AI IH PESTE NEI TOPI.
4 NOVEMBRE - io DICEMBRE.
Sri» /si casi ili peste nell* uomo.
Due focolai di peste nei topi, senza conseguenze per 1’ uomo, si ebbero a verificare
più tardi, e a vario periodo di tempo. Li riassumiamo brevemente.
1° Focolaio — Magazzini Filler — l magazzini a pian terreno della Ditta commer-
ciale “ Filler „ prospettano da un lato sulla via Grimaldi e dall’altro sulla Via Fornaciari ;
all’ angolo di dette Vie stanno le case ove si verificarono i casi di peste della Indelicato
e della Fassari.
In essi magazzini venivano depositati molti generi alimentari, specie cereali; essi era-
no insufficientemente protetti contro le invasioni dei topi ; anzi le colonie di tali roditori
che vi dimoravano erano numerose e favorite o dalle tegole mal connesse del tetto o dalle
gallerie scavate sotto il pavimento, che potevano eventualmente comunicare con le cloache
sotterranee delle vicinanze.
Da tempo in questi magazzini s’ era iniziata la profilassi antipestosa e solo il 4 no-
vembre si potè riscontrare il primo topo morto, riconosciuto pestoso, e dopo di esso o
morti o catturati parecchi altri, ugualmente riconosciuti pestosi.
Non si verificarono casi di peste nell’ uomo, perchè in essi magazzini non vi era
un lavoro attivo quotidiano come nei locali della Dogana, o come, in minor grado, nei
mulini Assunta e S.“l Lucia; ma rimanevano abitualmente chiusi ed aperti saltuariamente
per qualche ora, per il deposito temporaneo di merci.
Ouesti magazzini distano dai mulini accennati poche dozzine di metri e quindi è
molto probabile che i topi infetti, sloggiati o volontariamente usciti dai mulini , mano
mano che si verificava il risanamento di questi, si siano andati a rifugiare nei magazzini
Fitter. Nè vale l’ obbiezione che fra questi mulini e i magazzini accennati vi fossero altri
magazzini ed altre abitazioni intermedie, ove si sarebbe dovuto verificare la prima tappa
e la prima moria dei ratti, dappoiché i topi anche se infetti di peste attenuata, non cer-
cano per ricovero il primo locale che loro si presenta più vicino , ma quello che è più
opportuno alle loro stabili condizioni di vita. Possono emigrare per brevi o lunghi tratti ,
per metri o per chilometri finché la stanchezza non li costringa a fermarsi al più pros-
simo e spesso temporaneo rifugio, pronti ad abbandonarlo anche presto se non trovano
le condizioni opportune di vita.
Resterebbe così da escludersi la ipotesi che questi topi infetti avessero potuto ripe-
tere la loro prima origine dai casi di peste umana verificatisi in Via Fornaciai , sia per
il tempo relativamente lungo trascorso, più di un mese, sia perchè mai nelle sudette abi-
tazioni di pestosi si poterono rilevare dei topi morti.
Nè più attendibile resta 1’ altra ipotesi della introduzione di eventuali merci comunque
infette, dalle quali i topi potevano ripetere il contagio, poiché da molto tempo, prima dello
scoppio della peste, non s’ introducevano in essi locali nuove mercanzie.
L' episodio di Peste dell’ autunno del 1914 in Catania
15
Mediante le rigorose misure di profilassi, colle quali si potè ottenere il risanamento
di detti magazzini, il focolaio murino dopo pochi giorni si spense.
do Focolaio -- Magazzini Piccola Velocità della Stazione Acquicella.
Questa Stazione è lontana parecchi chilometri dalla Stazione ferroviaria centrale. Nel
magazzino della Piccola Velocità delle merci in arrivo vi è un traffico quotidiano molto
intenso di mercanzie le più svariate, che arrivano tanto per via di terra che per via di ma-
re. Un’accurata ispezione tecnico-sanitaria di esso magazzino, per quanto di nuova costru-
zione , faceva rilevare che nell’ interno il suolo era in comunicazione con ampie gallerie
che esistevano fra il pavimento e il sottosuolo, gallerie che i topi avevano da lungo tempo
scavato, ed entro le quali pullulavano in quantità enorme. Già fin dal 30 Novembre si
cominciava a notare con frequenza qualche topo morto, che più tardi all’ esame veniva
riconosciuto infetto di peste. A questo primo topo degli altri ne seguirono morti ed altri
se ne catturarono vivi , e fra i quali il 4 Dicembre ben tre vennero riconosciuti pestosi.
11 panico fu grande, sia per il timore della propagazione della peste nei lavoratori della
Stazione, sia per la difficoltà del risanamento di detti locali e sia altresì per la disinfezione
non facile dell’immensa quantità di merci svariate ammassate nel grande magazzino.
Tuttavia anche in questa impresa che sembrava difficile, lunga e d’esito incerto, le ri-
gorose misure di profilassi trionfarono ; e il 10 Dicembre dopo circa 10 giorni dalla moria
rilevata e dall’ accertamento consecutivo del primo topo trovato morto di peste, il locale
veniva risanato , le merci disinfettate , il focolaio murino spento , e nessun caso di peste
nell’ uomo si deplorava.
Non è facile intanto assodare 1’ origine di questo focolaio di peste mulina, così lon-
tano dal centro degli altri focolai ; ma tuttavia due ipotesi, ugualmente attendibili, si pos-
sono avanzare.
Ed invero la prima è quella che 1’ infezione murina della Stazione Acquicella abbia
avuto origine da mercanzie eventualmente infette , ivi trasportate e depositate, da vario
tempo, e prelevate nei mesi precedenti o durante l’epidemia da locali, ove si erano costi-
tuiti focolai pestosi murini ed umani come la Dogana , gli Stabilimenti Assunta e Santa
Lucia, o i magazzini Ritter. Senza altresì potersi escludere che anche prima di quell’e-
poca si siano potute nel magazzino di Acquicella importare, mercanzie infette e in cui l’a-
gente pestogeno era poco virulento e avesse potuto diffondere in quei topi una malattia
attenuata ; per poi manifestarsi in essi all’ improvviso, e cioè mano mano che per condi-
zioni non sempre tangibili si fosse esaltata la virulenza del germe. E così di questi foco-
lai attenuati, per peste mitigata dei ratti e delle cavie (Swellengrebel ed Otten) come di
focolai di peste grave nei topi senza manifestazione di peste nell’ homo per eventuale
scarsezza di pulci presenti, oggidi se ne fa rilevare la frequenza e la importanza in molti
luoghi, da diversi studiosi vissuti in centri pestosi (Svellengrebel ed Hesen).
La seconda ipotesi può riguardare la emigrazione diretta dei topi dai locali infetti,
Dogana, Mulini ecc. ai magazzini della Stazione Acquicella. La distanza piuttosto notevole,
sempre però di pochi chilometri, non è una forte obbiezione, dappoiché se abitualmente e
nelle condizioni ordinarie di vita e di quiete i topi , per loro abitudini, non si spostano a
grandi distanze, tuttavia può avvenire il contrario quando essi vengono snidati, cacciati
dai loro rifugi o si sentono insicuri , e più specialmente quando sono infetti di peste ;
dappoiché allora per naturale tendenza della malattia , come per i cani domestici quando
diventano idrofobi, che scappano di casa e diventano errabondi, così essi lasciano a stormi
16
ProJ. Eugenio Di Mattei
[Memoria VI.Ì
i luoghi abituali di dimora e percorrono lunghissime distanze tino a raggiungere fuori città,
villaggi e sobborghi vicini, e lasciando lungo il cammino come vestigia del loro passaggio
cadaveri di quei compagni che durante la corsa soggiacciono all’ infezione (Simmond).
In tali casi questi anelli della catena sono preziosi dal punto di vista epidemiologico ;
ma nel caso nostro, in cui essi fanno difetto, non si può asserire che non si sieno veri-
ficati, pel solo fatto che non si sono rilevati, perchè eventualmente pur esistendo saranno
anche potuti sfuggire.
vi.
FISONO.MI A CLINICA DELLA PESTE IN CATANIA.
Dopo la numerazione dei casi clinici accennati, non sarà inutile rilevare alcuni parti-
colari che riteniamo più degni di nota, in ordine alla forma clinica.
In tutti i casi di peste caduti sotto la osservazione dei medici la forma clinica domi-
nante fu la peste cutanea con le sue tre varietà : a) di carboncello primitivo o an-
trace pestogeno, b) di pesticemia o setticemia pestosa , c) di peste bubbonica , non
escluse per ciascuna varietà alcune comuni complicanze. Nessuna spiccata sotto-varietà,
degna di speciale menzione.
Nel 1 0 Focolaio della Dogana, si sono verificate, fra 13 casi di peste, tutte e tre
le varietà cliniche accennate : 1 caso di carboncello pestoso primitivo , 8 casi di forma
bubbonica e 4 casi di forma setticemica.
Nel 2° Focolaio Desi che costò di 4 casi , si ebbe in tutti la varietà setticemica ,
classica, se togli nell’ ultimo caso, 1’ inizio di un bubbone abortito, ma sempre con la
prevalenza dei fenomeni settici.
Nel 3° Focolaio dei Mulini , che costò di 2 casi, si notò la sola forma bubbo-
nica.
_/a Varietà — Carboncello pestoso primitivo .
Degno di nota è il caso del carboncello pestoso di Porto Francesco (vedi caso 7°)
sviluppatosi nella regione laterale destra del collo, dove 1’ infermo abitualmente portava a
spalla la merce infetta. Dopo i primi fenomeni generali , 1’ infermo notando un ingorgo
con una grossa flittena alla predetta regione ricorre al chirurgo , il quale incide larga-
mente, credendo di aver da fare con una pustula maligna. Il processo intanto si diffonde
all’ avambraccio destro con la comparsa di una nuova pustula, che non progredisce. Nel-
1’ ultimo periodo della malattia, verso l’ultimo giorno, si manifesta un’ adenite inguinale e
come complicanza un catarro bronchiale.
Questo caso di una lesione iniziale al collo fa ammettere chiaramente che ivi è stata
la prima porta d’ entrata del bacillo pestogeno e non si può parlare quindi di un fatto
secondario o metastatico, come alcuni vogliono considerare in ogni caso il carboncello ,
dappoiché nel caso di Porto l’ultima manifestazione clinica fu il bubbone, come ultima
localizzazione dell’ infezione ; infatti dopo appena un giorno dalla comparsa del bubbone
l’ infermo se ne moriva.
Non è certo una eventualità frequente quella del bacillo pestoso che, penetrando nel
sangue, produca dei processi metastatici, quando in questi casi la forma più comune è la
i
L' episodio di Peste dell' autunno del 1914 in Catania
17
setticemia pestosa ; mentre non si può escludere la possibilità che in seguito alla pene-
trazione del germe in un punto qualunque dell’organismo, specie se si tratta di un bacillo
pestogeno poco virulento o di individuo non molto suscettibile , si possano manifestare
delle localizzazioni glandulari di carboncello primario , in corrispondenza al punto d’ en-
trata del germe, per più. tardi diffondersi, per continuità di processo, in vari punti della
superfìcie del corpo.
Ritengo altresi che questi casi di carboncello primario , anziché rappresentare una
foima a se, che alcuni chiamerebbero col nome specifico di peste cutanea , debbano con-
siderarsi , giusto quanto ho premesso , come una varietà della peste cutanea stessa , la
quale oltre al carboncello , comprenderebbe la varietà setticemica e la varietà bubbonica ,
m quantochè per tutte e tre le varietà, la porta di ingresso dell’agente patogeno sarebbe
unica ed è la pelle.
- a Varietà — Ireste bubbonica.
1 casi di peste bubbonica in tutto il decorso dell’epidemia furono undici. Quattro pe-
stasi presentarono il bubbone a destra e di questi, in tre, il bubbone fu inguinale, in uno
tu crurale. Quattro presentarono il bubbone a sinistra, in due si manifestò alla regione
crurale, in due alla regione inguinale, ed in uno di questi ultimi il bubbone inguinale com-
parve in seguito ad uno cervicale. In un caso i bubboni furono cervicali e bilaterali ; in
un caso il bubbone fu popliteo, e in un caso il bubbone inguinale fu doppio.
Questa varietà doppia di bubboni inguinali (Foc. 1° Caso 9°) è relativamente rara,
specialmente in un ragazzo; anche non frequente il fatto della suppurazione d’entrambi in
vatio tempo, con esito in guarigione per l’infermo.
Altrettanto rara e la varietà del bubbone popliteo ; e forse la sua rarità contribuì a
non far riconoscere subito la natura del caso, per quanto il decorso clinico non lasciasse
dei dubbn (Foc. 1° caso 11°). Anche rari sono i casi di bubboni cervicali, ma ben tipici
quando essi si riscontrano (Foc. 1° caso 13®). Questi bubboni sono per lo più voluminosi
^ri S'r0SSI tumori> accompagnati da estese infiltrazioni edematose dei tessuti circostanti’
ì che determinano a volte dei gravi disturbi di compressione. Non di rado sovraggiunge
' edema della glottide che uccide il paziente, come avvenne appunto nel caso accennato.
"°he ^uesto caso> fo,'se Per la sua infrequenza o per la rapidità del suo decorso mor-
ale, non fu riconosciuto e diagnosticato come peste.
Può altresì il bubbone cervicale precedere o seguire il bubbone inguinale (Foc. 1°
aso 2°)- (-uesto e un caso tipico in cui il bubbone inguinale fu secondario o consecu-
ivo a quello cervicale. Ed anche detto caso, avvenuto fra i primi e pur tanto caratte-
ristico, passò sconosciuto.
Per gli altri casi di peste bubbonica non vi fu differenza di sito o di regione Se
ondo alcuni la maggior frequenza, e non sempre spiegabile sta pel bubbone inguinale a
inistra, mentre nei nostri casi, 4 furono quelli di bubbone a sinistra (Foc. 1° casi 2°-8°—
oc. 11 caso 4° — Foc. Ili0 caso 1°); e 4 quelli a destra (Foc. 1°, casi 3° 6° 10° —
oc. Ili® caso 2°).
1 bubboni vennero a suppurazione in 5 casi; (Foc. 1°, casi 6°, 8° 9° 10° - Foc 111°
aso 1°); negli altri casi (Foc. 1° casi 2°, 3”-Foc. 11° caso 4°, Foc. Ili0 caso 2°) rimasero
taco pronunziati; ed in qualche caso (Foc. Il® caso 4°) appena apprezzabile alla sezione
aatomica.
ATTI ACC. SERIE 5a, VOL. IX — Mem. VI.
3
18
[Memoria VI].
Prof. Eugenio Di Maitei
In due casi (Foc. 1° caso 10" — Koc. Ili0 caso 2°) i colpiti avvertirono l’inizio del bub-
bone con una prima sensazione dolorosa di trafitture pungenti alla regione inguinale, mentre
erano intenti al lavoro ; e solo la dimane cominciarono le glandole della località a ren-
dersi visibili per aumentare più tardi; in tutti gli altri casi i bubboni comparvero dopo
qualche giorno dalla rapida insorgenza dei fenomeni generali. Non fu sempre facile in tutti
i casi distinguere nettamente il bubbone crurale da quello inguinale , sia perchè spesso
sono entrambi i gruppi glandulari interessati , sia altresì perchè sovente 1’ edema diffuso
non permette la constatazione del bubbone crurale sempre profondo.
3a Varietà - Vestir ernia.
Sopra i 19 casi complessivi di peste ben 7 furono della varietà setticemica, rapporto
più tosto elevato che non si osserva quasi mai nelle ordinarie epidemie di peste, dove la
pesticemia rappresenta una percentuale molto bassa. Questa varietà clinica si presentò nella
maggior parte dei casi con fenomeni generali gravissimi, spesso a decorso fulminante e
sempre con esito mortale. Varie sono state le localizzazioni secondarie di questa forma e
la più frequente fu quella dell’ apparecchio respiratorio con fatti di congestione acuta o
con qualche nodulo d’incipiente epatizzazione.
VII.
PARTICOLARI NOSOR RAPICI URLATIVI ALLE TRE VA li IRTA III PESTE.
7° Tipo Febbrile — La temperatura dei pestosi ebbe un decorso piuttosto irregolare.
Di massima la malattia esordì in tutti i casi con una elevazione notevole della tempe-
ratura che raggiunse quasi sempre i 40°.
Nella varietà setticemica il tipo febbrile fu sempre alto, sui 40° e continuò per tutta
la durata della malattia; di sera vi fu ancora aumento di altri decimi sui 40°; solo nel-
l'ultimo giorno e nelle ultime ore avanti la morte, la temperatura si abbassò di qualche
grado. Questi casi ebbero tutti decorso mortale. -
Nella varietà bubbonica la malattia esordì, tanto nei casi benigni quanto nei medi e
nei gravi, con temperature elevate di 39° -40°, con remissioni mattutine di if-\ grado e
più , fino qualche volta a scendere al mattino sotto i 38°, in 5° e 6° giornata , in modo
da alienare in qualche caso il medico dalla vera natura della diagnosi. Alla fine della prima
settimana, nei casi benigni la temperatura si mantenne fra 37°, 5 - 38°, 5 fino a quando
i bubboni non vennero a suppurazione ; dopo tale esito gradatamente la temperatura si
rimise al normale. 11 brivido febbrile fu quasi costante in tutte le varietà di peste ; però
fu più continuo e più intenso nei casi di pesticemia.
2° Ma n ifesi asio n i cutanee — La pelle degli infermi si mantenne secca, urente, di
un colore rosso-diffuso al tronco, agli arti; mai si ebbe profuso sudore anche nelle de-
fervescenze febbrili; qualche volta la fronte, le tempie diventavano madide ma più spesso
nel forte collasso che precedeva il periodo agonico. Mancarono le forme esantematiche od
emorragiche, nè petecchie, nè sudamina. Non mancò qualche ascesso metastatico o delle
forme abortive. Un solo caso si ebbe di pustula e flittena necrotica come espressione di
L’ episodio di Peste dell' autunno del 1914 in Caluma
19
carboncello primario. Qualche chiazza ecchimotica, azzurrastra, di varia grandezza, si trovò
disseminata in vari punti del corpo e specie agli arti.
3° Apparecchio circolai orio — Certamente il virus pestoso deve avere una notevole
influenza sullo apparecchio cardio-vascolare. Sin da principio si è notata tachicardia , con
toni deboli, oscuri. Il polso sempre piccolo, diventava superficiale , frequentissimo spesso
al di là di 120 pulsazioni al 1'. La sproporzione fra temperatura e polso si rilevava più fa-
cilmente nelle remissioni mattutine del periodo acuto e altresì quando la temperatura, dopo
la prima settimana ha delle remissioni notevoli ; il polso rimaneva piccolo, debole, celere.
Nelle forme setticemiche esso diventava superficialissimo, appena percettibile nello stato
adinamico precedente al collasso.
4° Apparecchio respiratorio — Di massima si può affermare che nei casi in cui
la malattia si protrasse oltre i 2-3 giorni comparvero quasi sempre ed in modo impres-
sionante, i disturbi dell’apparecchio respiratorio, tanto che spesso nei casi dubbi si credette
trattarsi di un processo bronco-polmonare comune. Questa è invece una complicanza
frequentissima, che si riscontra in tutte le varietà di peste, e che va dal semplice catarro
alla congestione , alla formazione di qualche nodulo di bronco-polmonite. Anche questi
fenomeni contribuirono in qualche caso a deviare la diagnosi specifica, e in qualche altro
caso, accertato di peste, a causa del sopravvento dei fenomeni bronco-polmonari e com-
parsa di espettorati sanguigni , si pensò da taluno a una forma di polmonite pestosa. Si
può invece asserire che in tutti i casi il processo catarrale fu sempre la espressione di
un semplice fenomeno congestivo o di una complicanza secondaria , e nemmanco di un
fatto metastatico, giusto quanto si potè rilevare al reperto anatomico. Infatti i medici nei
casi, non sempre diagnosticati di pesticemia, si servirono di espressioni un po’ vaghe ma
che rispecchiavano bene la natura del processo settico che invadeva i tessuti dell’albero
respiratorio , senza localizzazione determinata. Questi disturbi costanti e piuttosto gravi
nella pesticemia sono 1’ effetto del processo setticemico , congestivo , irritativo , dissolu-
tivo, provocato dal veleno pestoso , come oggidì la maggior parte degli autori ammette ;
mentre essi sono meno costanti e piuttosto leggieri, ma pur sempre frequenti, non solo
nella maggior parte dei casi di peste bubbonica tipica , qualunque sia la localizzazione
del bubbone, ma altresì in quegli altri casi, che si presentano con forme febbrili abortive
e specie nel periodo della defervescenza. Ma purtroppo questi casi , come parecchi altri
dei nostri, passano inosservati, perchè i disturbi catarrali sono così lievi di fronte a quelli
generali, da non far fermare su essi subito 1’ attenzione del medico. Ed invero nei sette
casi di pesticemia, in sei si notarono in vario grado i fenomeni bronco-polmonali (Foc. 1°
casi 4°, 5°, 12° — Foc. II0 — casi 1°, 2°, 3°) senza escludere che in un altro caso di pesti-
cemia, dato il decorso quasi fulminante (Foc. I°‘ — caso 1°) i fenomeni bronco-pulmonali
non ebbero tempo ad esplicarsi. Nel restante dei casi (Foc. 1° — casi 2°, 6°, 7° — Foc. Il0
caso 1°) si ebbero a rilevare dei fatti catarrali congestivi, ma non essendo molto impo-
nenti, non si diede ad essi alcuna importanza ; e data la loro lieve entità, forse analoghi
fatti passarono inosservati nel rimanente dei casi.
5° Apparecchio urinario — Non fu facile ad alcun medico seguire i disturbi di que-
sto apparecchio. In un caso solo di peste bubbonica (Foc. 1°, caso 6°) con esito in gua-
rigione si ebbe una nefrite che gradatamente e lentamente risolvette. Del resto queste
nefriti desquamative , infettive , tossiche , sono un fatto frequente come in quasi tutte le
ordinarie infezioni acute, ed assumono una forma più grave nella varietà pesticemica.
20
Prof. Eugenio Di M allei
[Memoria VI].
6n Apparecchio gastro-enterico — Pochi infermi si lamentarono di disturbi digestivi
(Foc- 1° — casi 6°, 8°). La lingua assunse l’aspetto dello stato catarrale, arida, con rivesti-
mento sporco alla superficie, con orli liberi arrossati ; nei casi gravi prese 1’ aspetto della
lingua tifosa. Addome poco dolente, non tumido , dejezioni qualche volta diarroiche.
7° Gravidanza — Fra le 5 donne colpite da peste, due giovani erano incinte al 7°
mese. Una (Foc. 1°, caso 3°) che ebbe una forma gravissima a decorso rapido di peste,
partorì al secondo giorno di malattia un feto morto e la dimane decedeva anche lei; l’al-
tra (Foc. 11° — caso 4°) partorì al secondo giorno di malattia una bambina viva, mentre lei
morì dopo tre giorni dal parto.
8° Fenomeni del sistema nervoso — In nessun caso essi mancarono. La malattia
esordì sempre con malessere generale, intensa cefalea; in alcuni casi i colpiti erano presi
alcuni da irrequietezza, da smanie, altri erano presi da delirio, altri invece assumevano una
forma gravativa. Nessuno dei medici rilevò la caratteristica facies pestica, come espres-
sione di spavento e di terrore, ma invece la fisonomia nei diversi casi ora fu apatica, ora
stuporosa, ora in preda ad ambascia, ora presentò una vera espressione di dolore rispon-
dente alle speciali sofferenze del momento. Nessun infermo ebbe mai coscienza della gra-
vità del proprio stato.
I dolori vaghi nelle varie regioni del corpo, alle estremità, agli inguini, non mancarono
quasi mai. Nei casi benigni questi fenomeni, oltre la grande depressione nervosa, si pro-
trassero per una settimana circa.
9° Durata ed esiti — l casi di pesticemia ebbero una durata oscillante fra due e sei,
sette giorni. Questa varietà assunse una forma quasi fulminante della durata di 2 giorni
in 2 casi (Foc. 1°, caso 1° — Foc. Il0, caso 3°); una forma grave- con durata di 3, 4 giorni
in 4 casi (Foc. 1°, caso 4°, 5° — Foc. II0, casi 1°, 2°); una forma ugualmente grave con du-
rata di ó, 7 giorni in un solo caso (Foc. 1°, caso 12°). Tutti i predetti casi furono mortali.
I casi di peste bubbonica in numero di 11, ebbero quelli gravi una durata media di
5 giorni, con esito infausto (Foc. 1°, casi 2°, 11°, 13° — Foc. II0, caso 4°— Foc. III0, caso 2°),
uno gravissimo con 3 giorni di durata (Foc. 1°, caso 3°) con esito anche letale, e 5 be-
nigni con esito in guarigione una durata media da 20 a 40 giorni (Foc. 1°, casi 6°, 8°,
9°, 10° — Foc. 111°, caso 4°).
II caso di carboncello (Foc. 1°, caso 7°) ebbe una durata di 18 giorni con esito letale.
10° Professione , sesso, età — Furono colpiti dalla peste : fra gli uomini quegl’ in-
dividui che per ragione di professione o mestiere lavoravano alla Dogana , sia come fac-
chini, scaricatori, subalterni, sia come impiegati di concetto, scritturali , ufficiali , ispettori,
segretari : fra le donne, tutte di condizione casalinga , una che frequentava i locali della
dogana, ed altre che assistettero a malati pestosi o che ebbero a maneggiare effetti od
oggetti d’ uso appartenenti a pestosi.
Nessun altro caso oltre 1’ ambiente di lavoro e 1’ ambiente domestico1, già accennati,
si ebbe a verificare.
Gli uomini dettero un contingente di 14 casi, il più giovane fra questi aveva 10 anni,
il più vecchio 65 anni. La morbilità e rispettivamente la mortalità in essi , secondo le
forme della malattia, fu così distribuita :
Varietà carboncello . . . . . . . N. 1 morti l
„ bubbonica . • . • . . . „ 9 „ 4
„ pesticemica . . . . . . . „ 4 „ 4
L episodio di Peste dell ’ autunno del 1914 in Caluma
21
N. 14 uomini : 2 ragazzi da IO a 12 anni — morti 1 vissuti I
5 adulti da 25 a 40 „ — „ 3 „ 2
7 anziani da 45 a 65 „ — „ 5 „ 2
Le donne dettero un contigente di 5 casi: la più giovane era di 18 anni, la più ma-
tura ne aveva 52.
Le forme della malattia furono :
Varietà bubbonica N. 2 — morti 2
„ pesticemia „ 3 — „ 3
La mortalità fu la seguente :
N. 5 donne : 4 giovani da 18 a 20 anni — morte 4 vissute 0
1 età matura 52 „ — „ 1 „ 0
Su 19 casi complessivi, le donne furono 5, cioè il 25 % circa. In esse la mortalità
fu del 100 per cento.
Negli uomini la mortalità fu del 64, 3 °/0.
Nel complesso la mortalità fu del 73,7 %.
//a Cura — Ben poco si è potuto fare a prò degli infermi pestosi circa la cura spe-
cifica. In tre casi (Foc. 1° — casi 1°, e 110— Foc. Ili0 — caso 2°) cioè nel malato Porto la cura
fu intrapresa in corso di malattia avanzata, negli altri Vitale e Muscarà fin da principio.
Si notò un subitaneo abbassamento della febbre, ma tuttavia Porto e Vitale morirono,
e solo il Muscarà guarì.
Il siero inoculato proveniva dall’ Istituto Pasteur (Siero Yersin) la quantità inoculata
fu di 10,20 c. c.; la via d’inoculazione fu la sottocutanea.
Come profilassi il siero non fu adoperato dai ricoverati in osservazione, perchè nes-
suno volle sottomettersi alla iniezione preventiva.
Vili.
REPERTO AN ATOMO-PATOLOGICO.
Di parecchi cadaveri pestosi o sospetti venne fatta l’autopsia, sia allo scopo di pre-
levare dei materiali per 1’ accertamento della diagnosi batteriologica, sia per esaminare le
eventuali alterazioni anatomiche, in rapporto sempre alla diagnosi.
D’importante o di sommamente caratteristico poco si potè rilevare oltre alle comuni
note, proprie delle malattie infettive in genere. Qui riassumeremo ciò che più a disteso
troVasi nei singoli reperti, e ciò che più d’ ogni altro richiamò la nostra attenzione.
AH’ ispezione del cadavere, in alcuni ancora freschi dopo 6-12 ore circa dalla morte,
si notava un color paonazzo a larghe chiazze diffuse nelle varie regioni del corpo e specie
al torace, al collo, all’addome, all’estremità; nella faccia solo le labbra erano livide; qual-
che chiazza ecchimottica azzurrastra di varia grandezza, da una lenticchia ad una moneta
da 5 franchi, si trovò disseminata qua e là per gli arti. In una donna (Foc. Ilo, caso 4°)
l’ispezione, oltre alle note predette, faceva rilevare nella coscia sinistra una netta differen-
22
Prof. Eugenio Di Maltei
[Memoria VI | .
ziazione tra il colorito paonazzo di tutto 1’ arto e il colorito della cute bianco-cereo che
partiva dal 3° inferiore della coscia e si estendeva fino alla linea ideale dell’ arcata del
Poupart. Su questo tratto e propriamente in corrispondenza al pacchetto glandulare si no-
tava una chiazza rosso-bruna , larga quanto una moneta da 5 franchi. Il tessuto corri-
spondente era duro , resistente alla pressione , fortemente infiltrato. Al taglio il coltello
strideva e nella profondità non si potè riscontrare che una gianduia piuttosto piccola, della
grandezza di una nocciola, che si potè enucleare con molta difficoltà.
Nella cavità toracica di tutti i cadaveri pestosi, e che durante vita avevano fatto no-
tare dei fenomeni catarrali bronco-polmonari , si riscontrarono i polmoni fortemente con-
gesti in tutta la massa, con macchie emorragiche più o meno diffuse sottopleurali specie
nelle forme pesticemiche. Dai bronchi, al taglio, veniva fuori un liquido spumoso sangui-
gno, e in qualche caso nel centro dei lobi inferiori qualche nodulo ingorgato come focolaio
d’ incipiente epatizzazione rossa del polmone. Mai si riscontrò un vero e proprio focolaio
di polmonite metastatica. Nelle cavità pleuriche qualche cucchiaio di liquido sanguigno
e alla superficie della pleura viscerale dei punti emorragici e macchie diffuse. — Il cuore,
nella maggioranza dei casi di pesticemia, fu trovato iperemico ma flaccido con sangue
nero fluido nelle cavità , con incipiente degenerazione grassa del miocardio , e con punti
emorragici nell’ endocardio e agli apparecchi valvolari.
Nella cavità addominale il reperto più importante fu dato dalla milza che si presentava
molto aumentata di volume, molto congesta ma flaccida, con capsula ardesiaca, e con punti
e chiazze emorragiche ; al taglio il parenchima era molle spappolarle con lacune venose
ripiene di sangue nerastro e con distruzione di sostanza per focolai emorragici. Il fegato
era molto congesto ed aumentato di volume; al taglio si notavano alcune aree di un co-
lorito grigio torbido che spiccavano dippiù in mezzo al resto della superfìcie iperemica ;
erano aree d’ incipiente degenerazione grassa del parenchima.
I reni si sono mostrati sempre congesti e di consistenza quasi normale. La sostanza
corticale era piuttosto grigiastra in tumefazione torbida di fronte alla sostanza midollare
molto congesta , spiccavano nella corticale dei punti emorragici capillari in corisponden-
za alle venule stellate del Vehrein : era evidente la incipiente degenerazione grassa del-
l’organo. Le capsule surrenali anche fortemente congeste, specialmente la sostanza midol-
lare e in qualche caso con focolai emorragici. Il Pancreas fortemente iperemico con punti
emorragici diffusi. Gli intestini congesti, ma a tratti nei punti ove 1’ iperemia era massima,
corispondeva un’infiltrazione della mucosa, l’ileo era sempre più fortemente iniettato; nel
duodeno larghe macchie verdastre per diffusione di bile.
II cervello e le meningi fortemente iperemici, con punti emorragici alla superficie.
In complesso poche note specifiche, come sopra si disse, oltre alle alterazioni comuni
alle malattie infettive in genere e setticemiche in specie.
IX.
REPERTO BATTERIOLOGICO SU MATERIALI RESTOSI DELL’UOMO.
Per incarico del Ministero dell’ Interno (Direzione Generale di Sanità) fui adibito nella
mia qualità di Direttore dell’ Istituto d’igiene, per l’accertamento della diagnosi batteriolo-
gica, tanto negl’ infermi sospetti, malati a domicilio o al Lazzaretto, quanto nei cadaveri.
L’ episodio di Peste dell' cuti unno del 1914 in Catania
23
Il lavoro febbrile ed intenso, per la grande massa di materiale da esaminare, di fronte
alla poca disponibilità degli aiuti, non sempre mise in grado il Laboratorio di poter appro-
fondire ie ricerche, come avrei voluto e come sarebbe stato necessario in simili casi, e
specialmente quando le prime osservazioni microscopiche non condussero a risultati si-
curi. Ad onta dell’ intelligente e validissimo aiuto , avuto da valorosi collaboratori , pure
oggi con calma , lontano dagli avvenimenti che tanto preoccuparono autorità sanitarie e
cittadinanza, rivedendo appunti, preparati, storie, reperti, oggi più che mai devo ricono-
scere che come nell’ accertamento clinico da parte dei medici, lacune vi sono state anche
nelle ricerche di laboratorio, per mancanza sopratutto di tempo per espletare controlli ne-
cessari e per condurre esperimenti più adatti, lacune che, nel caso nostro, non permisero
subito che in tutti i casi la diagnosi batteriologica avesse potuto corrispondere al resto
dei criterii epidemiologici e clinici.
Ho d’ altra parte la convinzione che in qualche caso è veramente difficile 1’ accerta-
mento batteriologico rapido, senza il contributo di opportune esperienze consecutive; e non
mancano simili reperti negativi in altri episodi pestosi, di altri paesi, di avere avuto cioè
risultati negativi da bubboni sicuramente pestogeni, o da materiali di autopsia di cadaveri
clinicamente diagnosticati pestosi, e tali anche riconosciuti pel criterio epidemiologico. Ogni
epidemia registra simili casi e se ne dovrebbe indagare la ragione , con ricerche condotte
in tempi normali nella tranquillità del laboratorio.
lo oggi rilevo soltanto qualche appunto e comincio colla tecnica della puntura esplo-
rativa. La comune siringa di Pravaz non sempre presta dei buoni servizi , sia perchè
spesso essa non aspira che poco o nulla, sia perchè non sempre l’ago, anche robusto,
imbercia la massa del bubbone quando è piccolo e crurale o quando esso è iniziale e
profondo. Le siringhe devono essere almeno di capacità di 10 c. c. e di forte tenuta per
una conveniente aspirazione e con grossi aghi-cannula come per la puntura lombare, op-
pure in mancanza può prestare buoni servizi la siringa Tursini modificata da Gosio.
D’ altro canto non sempre con una sola prima puntura esplorativa che spesso capita
in tessuti non invasi dal germe pestogeno, si può accertare la diagnosi, per la natura o
quantità del materiale aspirato ; nè poi è sempre prudente di ricorrere ad altre consecutive
punture, tanto più che qualcuno obbietta che le punture ripetute accelerano il processo
irritativo e d’infiltrazione della gianduia, in seguito al quale può avvenire aggravamento
dei fenomeni generali e anche la morte dell’infermo. (Ilvento, Mazzitelli) (1).
Coi materiali prelevati le maggiori difficoltà si hanno quando si tratta di espettorati.
A parte il periodo della malattia più o meno opportuno per la ricerca, si può andare in-
contro a un risultato negativo quando la predetta è limitata alla sola osservazione micro-
scopica. Assenti , scarsi o addirittura irriconoscibili possono in questi casi essere i bacilli
della peste, già da per sè tanto polimorfi. E senza una lunga abitudine per simili ricerche,
molto facilmente la indagine può condurre in errore. A parte la flora banale del muco mo-
dificata da un processo catarrale qualunque, in molti casi il bacillo pestoso nell’espettorato
assume delle forme grandi, ovali, fusate, vescicolari, o altre forme d’involuzione che s’al-
(i) Noi in verità non nutriamo simili apprensioni, anche in base alle ripetute punture che abbiamo fatto
in uno stesso individuo senza aver notato alcuna modificazione nel decorso dell’ infezione pestogena. Tuttavia
riconosciamo che i nostri casi sono ben pochi e quindi teniamo nella dovuta considerazione le osservazioni
dei predetti autori.
24
Prof. Eugenio Di Mattei
| Memoria VI].
lontanano dalla forma comune osservata nelle culture. L’ inoculazione di esso materiale
negli animali può produrre delle morti per pesticemia, potendosi così ottenere per l’accer-
tamento della diagnosi risultati più sicuri con le consecutive culture ; ma in questi casi
gli effetti utili non sono sempre solleciti specie ai fini della profilassi.
Coi materiali prelevati da bubboni se già in avanzata suppurazione, la prevalenza e
la concorrenza dei piogeni può prendere spesso il sopravvento sui germi pestogeni, e può
condurre a risultati poco sicul i ; se invece essi bubboni sono in periodo congestivo e an-
cora piccoli o profondi , l’ ago può aspirare altri umori infiltranti i tessuti periglandulari
e il risultato può anche fallire.
Coi materiali prelevati dagli organi cadaverici, specie nei casi di pesticemia, la rapida
putrefazione può complicare i risultati dell’ indagine microscopica.
Cosicché in tutti i casi il cui materiale dà uno risultato microscopico negativo, si ren-
dono necessarii tutti gii altri controlli e tutte quelle ricerche di laboratorio che vanno dalle
culture alle inoculazioni sperimentali fino alla siero-diagnosi. Ciò che in tempi di epidemia
non è sempre possibile per le accennate ragioni. Tuttavia questi esami e relativi controlli
furono fatti in laboratorio nella maggior parte di quei casi che furono creduti più necessari.
Coi materiali prelevati dai bubboni, dagli espettorati, dagli organi cadaverici, si face-
vano preparati microscopici colorati col bleu di Kiihne, si facevano degli strisci su agar a
becco di flauto, su agar a cultura piatta, innesti in brodo, in brodo di peptone, e poi con-
trolli con inoculazioni nelle cavie e nei topi. In qualche caso si ricorse all’agglutinazione,
col metodo delle precipitine.
Gli innesti in brodo peptone danno sufficienti caratteri diagnostici. Dopo 24 ore alla
stufa le culture o non s’ intorbidano o solo lievissimamente : le colonie assumono un
aspetto di piccoli granuli o fiocchi tenuissimi che si scorgono bene , scuotendo il brodo
della provetta o inclinando il tubo e aspettando che questi fiocchi pulvirulenti cadano sulle
pareti. 11 fenomeno è ben visibile se la cultura è rimasta 24-36 ore in stufa ; se dopo
il tubo si lascia all’ ambiente, si può formare alla superficie del liquido una sottile patina
che si frantuma facilmente e che va al fondo.
Per la identificazione rapida dei germi di peste è anche utile il processo di Nanken
e Leumann, per mettere in evidenza le forme involutive che costituiscono un carattere
peculiare del bacillo pestoso. In questo caso i bacilli assumono dei rigonfiamenti speciali
a guisa di sfere o di corpi ovali e fusati o vescicolati, analogamente a quelle forme già
accennate a proposito dell’ esame microscopico degli espettorati pastosi.
Gli esperimenti negli animali, cavie e topi, quando poterono essere condotti, diedero,
nei casi dubbi, dei risultati soddisfacenti per 1’ accertamento della diagnosi.
X.
REPERTO BATTERIOLOGICO REI TOPI
ANTIPESTOSA.
PER LA PROEI LASSI
Sempre per iniziativa ed incarico della benemerita Direzione Generale di Sanità fu
istituito un servizio di profilassi antipestosa e subito fu condotta in Laboratorio un’ inda-
gine sistematica sui topi trovati morti o catturati nei locali infetti di peste e in molti
altri magazzini e rivendite della città.- La cattura veniva fatta da apposito personale ben
L episodio di Peste dell' autunno del 1914 in Catania
25
provetto, inviato dal Ministero, coadiuvato da altro personale municipale, mediante trappole,
vischio, veleni ecc. La caccia fu abbondante : in meno di un trimestre furono catturati ed
esaminati circa 2000 topi. Essi appartenevano in gran parte alla varietà grigia o topo
grigio, mus decumanus o come comunemente si dice Boccola o topo dei granai o
tectorum. Per quanto si ritenga che la varietà nera ( rattus ) sia più sensibile della
grigia (decumanus) all’ infezione pestosa proveniente dall’ uomo, pure le prime carogne di
topi raccolti, e accertati pestosi, appartenevano al mus decumanus.
Più tardi anche i ratti si trovarono infetti di peste, però sempre in proporzione mi-
nore. Su circa 40 topi trovati pestosi, fra i 2000 esaminati per la istituita profilassi, nu-
mero ben scarso in verità, circa 25 appartenevano al decumanus, e 15 al rattus.
Ma bisogna tener presente che le vere morìe specifiche dei topi che precorsero 1’ in-
fezione nell’uomo, cioè quelle della dogana, e quelle dei mulini, sfuggirono alla ricerca e
all’osservazione, perchè i numerosi topi morti della Dogana non furono rilevati e gli taltri
non pochi dei Mulini furono a ragion veduta occultati dagli interessati. Cosichè si può
dire che i 40 topi infetti, trovati posteriormente, rappresentano gli ultimi animali presso
i quali 1’ infezione andava esaurendosi ; e fra le cause di tale esaurimento dell’ infezione
era annoverata la scarsezza delle pulci , che ospitano i topi stessi , anche per le nuove
condizioni di pulizia e di risanamento , in cui andavano rimettendosi i locali infetti a
causa delle incessanti misure profilattiche.
Per 1’ accertamento della diagnosi si ricorreva all’osservazione microscopica dei pre-
parati fatti dalla milza, che nei topi infetti è ricchissima di germi pestogeni. Altre volte
però il numero di essi germi fu piuttosto scarso ed altre volte si dovette ricorrere alle
inoculazioni sperimentali per differenziarli dai bacilli pseudo-pestosi, non rari nei topi, e
imbarazzanti per la diagnosi microscopica.
Questo servizio di profilassi antipestosa , rimasto oggidì stabile nella nostra città ed
affidato all’ Istituto d’ Igiene , serve come difesa contro nuove eventuali importazioni ma-
rittime di peste.
XI.
MISURE PRO FI LATTI CHE.
Farò cenno dei principali importanti provvedimenti adottati dalle Autorità Sanitarie
(centrale, provinciale e comunale), ritenendo che una relazione tecnica speciale dovrà com-
parire sull’ argomento.
Focolaio della Dogana. — Ben diffìcile e ben complesso fu il compito del risana-
mento e della disinfezione dei diversi locali, uffici e magazzini. Dalla pavimentazione alle
pareti, alle porte, alle finestre, alle fogne sboccanti a mare, al loro espurgo, alla loro di-
sinfezione e ai ripari per impedire che i topi potessero dal mare o dalle fogne risalire e
penetrare nei vari locali della Dogana, a tutto fu provveduto con energia , con celerità e
precisione.
1 magazzini vennero sgombrati , pavimentati , disinfettati , ventilati , riparati da ogni
insidia di buchi e tane per topi. Le acque di mare stagnanti e circostanti vennero disin-
fettate al latte di calce. Le merci furono variamente trattate a secondo la loro natura ,
senza ricorrere ad alcun estremo rimedio di radicale distruzione. Oltre a molti provvedi-
ATTI ACC. SERIE 5a, VOL. IX — Meni. Vi.
4
26
Prof. Eugenio Di Mattei
|i\l EMONIA VI.]
menti d’ iniziativa del personale tecnico dirigente , e tutti improntati alle urgenze dei sin-
goli casi che qui è impossibile citare e riassumere , ben altri se ne presero , analoghi a
quelli presi dalla Direzione di Sanità all’ epoca della Peste di Napoli.
Focolaio dei mulini Assunta e santa Lucia. — Già da tempo si erano iniziate le
misure profilattiche, in questi stabilimenti per i quali la impresa era molto diffìcile, sia per
la natura dei diversi locali, specie dei macchinari, magazzini, uffici ecc., sia per la vici-
nanza di essi , alla spiaggia del mare , sia per le varie merci contenute. F d’ altro canto
si aveva di mira di conciliare i provvedimenti sanitari con gli interessi industriali. Però
avvenuto il primo' caso di peste nell’ uomo si chiusero i locali e si procedette ad una
energica azione di risanamento e di disinfezione, come per i locali e i magazzini della do-
gana e in ispecie per i locali delle macchine, dove sono facili i nascondigli per i topi. Si
disinfettarono le fogne , gli ambienti diversi, si distrussero le immondizie col fuoco , si
sgombrarono i locali del materiale raccogliticcio ingombrante , si risanò la spiaggia , si
diede con tutti i mezzi una attivissima caccia ai topi, si disinfettarono le mercanzie a se-
conda la loro natura e sempre con oculato discernimento.
Focolaio dei magazzini Ritter. — Si ripetettero i provvedimenti d’ordine generale
già presi per gli altri locali. Larga disinfezione degli ambienti e delle merci consistenti in
granaglie, leguminose, cereali, ecc. con l’apparecchio Clayton.
Diede un buon risultato per la disinfezione dei grani alla rinfusa ammonticchiati (1)
un getto di latte di calce al 20-30 % , il quale formò uno strato solido alla superficie della
massa come un tetto, da cui dopo asciugamento si potè togliere man mano scavando tutta
la quantità di grano sottostante, che veniva a sua volta soleggiata, insaccata, esportata e
protetta in luogo sicuro.
Focolaio della stazione Acquicella. — Analoghi provvedimenti per la disinfezione
dei locali e delle mercanzie, specie pel risanamento dei pavimenti dei magazzini, nei quali
furono riparate ed occluse tutte quelle gallerie che servivano di tane ai numerosi topi
della località.
Le misure sanitarie riguardarono anche la profilassi per gli operai lavoranti nei lo-
cali già disinfettati e pronti per la ripresa dei diversi servizi nelle varie aziende. Visita
medica quotidiana anche alle famiglie, bagni, disinfezione, a secondo la natura dei lavori.
Appositi abiti e piedi calzati durante il lavoro.
E infine oltre ai provvedimenti di profilassi generale, emanati dall’Autorità Comunale
con sollecitudine e con oculatezza, provvedimenti cioè per le malattie infettive, per i la-
vatoi, per il suolo e l'abitato, speciale cura si rivolse allo allestimento dei locali di contu-
macia per i parenti degli appestati, nei quali locali vennero ricoverati circa 100 individui pel
periodo di osservazione di 10 giorni e contemporaneamente si provvedette allo istallamento
di un lazzaretto dove venivano trasportati i riconosciuti pestosi. E dove non fu possibile
il trasporto degl’ infermi, anche in casi semplicemente sospetti, per tutto il tempo dell’ac-
certamento della diagnosi , veniva stabilito un rigoroso piantonamento a domicilio fino a
guarigione o al decesso dell’ infermo, con 1’ isolamento degli altri membri della famiglia e
con la disinfezione rigorosa della casa e degli effetti d’ uso, nei casi di diagnosi positiva.
(i) È questo un metodo escogitato dal medico Provinciale Dott. Crisafulli, metodo che corrispose benis-
simo allo scopo, e che merita di essere tenuto in considerazione.
L' episodio di Peste dell' autunno del 1914 in Catania
27
Fu aumentata la vigilanza per la sanità marittima , con apposito personale mandato
dalla Direzione Generale di Sanità.
Nulla insomma venne risparmiato per soffocare a tempo e in breve i focolai murini
ed umani che minacciavano estendersi con grande preoccupazione delle Autorità preposte.
Durante questo febbrile lavoro la città rimase calma e tranquilla, nessuna protesta
si elevò per i provvedimenti di profilassi, anche quando venivano lesi interessi non lievi.
La cittadinanza poco o nulla seppe della jattura che la minacciò, per circa tre mesi ed i
pochi che ne ebbero cognizione ancora si domandano : fu proprio peste ?
Anche dopo 1’ episodio pestoso di Napoli del 1901 i buoni napoletani formulavano
ugualmente la stessa domanda: fu peste? La risposta è precisa allora come oggi: il
pericolo dell’ importazione della peste nelle nostre città, specie nei porti di mare, è uno dei
grandi incerti del grande sviluppo del commercio odierno ed è un incerto che ci può ca-
pitare in qualunque momento.
Il concetto però che peste dev’essere sinonimo di strage di vite umane, se ha ancora
presso i popoli delle radici nell’ antica tradizione, oggi non corrisponde più alla realtà,
dappoiché le nuove conquiste scientifiche e le grandi risorse della profilassi moderna non
lo ammettono non lo giustificano. Constatato un caso, un focolaio di peste, se si vuole
spegnerlo e presto, la severità e 1’ energia delle grandi misure profilattiche non debbono
mai essere giudicate intempestive o esagerate. — L’ episodio attuale di Catania e quello
anologo del 1901 di Napoli ammaestrino.
E quanto si è detto per la peste valga per altre infezioni ; dappoiché la nostra grande
e meravigliosa organizzazione sanitaria moderna, che mette capo alla Direzione Generale
di Sanità e che per i suoi organi diretti si estende e si ramifica attraverso le grandi sta-
zioni dei capo-luoghi di Provincia coi Medici Provinciali, dalle principali alle ultime ed umili
stazioni dei più piccoli centri abitati colle vigili sentinelle degli Ufficiali Sanitari, non per-
mette più oggi che il ricordo storico delle grandi epidemie d’ un tempo !
N. B. — Nel redigere il presente lavoro sento il dovere di ringraziare pubblicamente la On. Direzione
Generale di Sanità Pubblica, la quale in quei momenti di grave jattura per la pubblica salute di Catania mi
affidò degli incarichi di fiducia, sia pel servizio di accertamento per la diagnosi di peste nell’ uomo , sia pel
servizio cittadino e portuale di profilassi antipestosa nei topi; il Comm. Prof. Mauro Jatta, Ispettore Centrale
Sanitario che molto si cooperò per la unificazione di tali servizi ; il Prof. Romano Maggiora, Coadiutore dei
Laboratori Batteriologici dello Stato, e il D.r Gesualdo Matarazzo, Aiuto dell’Istituto d’igiene, per l’efficace
loro contributo nelle ricerche di Laboratorio ; il medico Provinciale Cav. Guglielmo Crisafulli , il D.r Nicola
Consoli med. prov. agg. e 1’ Ufficiale Sanitario Dottor Previtera Salvatore, i quali oltre ad avere preso parte
attiva alle predette ricerche, misero a mia disposizione per consultarli atti e documenti d’ufficio da cui potei
trarre buona copia del materiale che forma oggetto del presente lavoro; il D.r Giuseppe Riccioli , necroscopo
del Comune , che mi coadiuvò nelle autopsie dei pestosi ; non che tutti quei colleghi medici che mi furono
larghi di dati e di notizie per avere assistito direttamente gl’infermi di peste o a domicilio o al lazzaretto o
per averne seguito il processo morboso anche dopo la morte di essi infermi al tavolo anatomico.
Num. d’ordine
dei casi
PROSPETTC
icondo la data prob
I X
13
14
15
1 6
17
18
19
GENERALITÀ
DELL’ AMMALATO
PROFESSIONE
O MESTIERE
LUOGO DI ABITAZIONE
IN CATANIA
Porto Francesco . . .
anni
27
facchino di dogana
Via Mulino a vento
N. 2
Pilato Giovanni . . . .
»
45
subalterno di dogana
»
Grimaldi
» 146
Forti Gregorio
»
65
ispettore di dogana
»
Zappala
» i35
Carbonaro Mario. . .
»
IO
facchino di dogana
»
»
Grimaldi
» 100
Scaglione Michele . .
»
45
ufficiale di dogana
»
Fossa arancio
» 107
Pappalardo Gaspare .
»
33
id. id.
»
S. Gaetano
» 69
Desi Giacomo ....
»
55
facchino di dogana
»
Genovese
» 1 1
Mazzeo Nunzia. . . .
»
20
casalinga
»
Signore ritrovato
» 21
Lo Verde Sebastiano.
»
32
facchino del porto
»
Fischetti
» 16
Cannone Francesco .
»
54
subalterno di dogana
»
Teatro Greco
» 32
Muscarà Gaetano . .
»
40
ufficiale di dogana
Comune di Aci Castello
Boggio Francesco . .
»
62
facchino del porto
Via
Villa Scabrosa
N. 98
Munzone Carmelo . .
»
1 2
id.
»
Genovese
» 17
Desi Rosaria
»
x 8
casalinga
»
»
» 1 1
Pistorio Maria ....
»
2 I
id.
»
»
» 19
Indelicato Maria . . .
»
52
id.
»
Fornaciai
» 37
Fassari Pietra ....
»
20
id.
»
»
» 33
D’Antona Carmelo. .
»
46
Mugnaio
»
Magri
» 35
Vitale Carmelo. . . .
»
35
id.
»
D’ Amico
» Q7
LUOGO DI PR<
INFEZIOf'
dogana
id.
id.
id.
id.
id.
id.
id.
id.
id.
id.
id.
id. (i
proprio domii
domicilio della Des
id,
id.
Mulino Asso
Mulino Santa
DI PESTE
tizio della malattia
A
Intensità
ESITO
DURATA
ESAME
della
della
OSSERVAZIONI
della malattia
batteriologico
Dne
infezione
malattia
imario
grave
I
Sett
-18 Sett.
morto
positivo
1
gravissima
I
»
5
»
id.
non si praticò
riconosciuto tardivamente
media
I
»
28
»
guarito
positivo
lieve
I
»
3o
»
id.
id.
aa
grave
2
»
6
»
morto
incerto
dichiarato pestoso per i criteri
clinici ed epidemiologici.
gravissima
2
»
5
»
id.
non venne fatto
riconosciuto tardivamente.
id.
3
»
7
»
id.
positivo
i
id.
3
»
5
»
id.
non venne fatto
moglie a un facchino della dogana.
Frequentava i locali della do-
gana.
lieve
7
»
29
»
guarito
positivo
grave
8
»
13
»
morto
id.
i primi risuitati furono incerti, i
consecutivi più sicuri.
media
8
»
15
ott.
guarito
id.
i i
grave
9
»
16 Sett.
morto
positivo (espettorato)
id.
17
»
22
»
id.
incerto (gl. cervicale)
dichiarato pestoso per i criteri
clinici ed epidemiologici.
ai
gravissima
24
»
27
»
id.
incerto (organi)
figlia del facchino Giacomo Desi,
lavò la biancheria infetta del
padre.
■ ttic -
grave
I
Ott.
6 Ott.
id .
positivo
amica, vicina di casa, delle donne
Desi —assistette alla Desi Ro-
saria.
1
gravissima
2
»
4
»
id.
id.
vedova del facchino Desi, maneg-
giò gli oggetti infetti, assistet-
te la figliuola.
id.
2
»
4
»
id.
id.
nuora di Giacomo Desi, maneggiò
gli oggetti infetti, assistette la
cognata.
lieve
I 2
»
16
Nov.
guarito
id.
grave
7 Nov.
I 2
»
morto
id.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
Casi di peste sviluppatisi in Catania nell' autunno del 1914.
Abitazioni degli infermi che contrassero l’infezione nel Focolaio della Dogana. I numeri corrispondono ai
casi del Focolaio Dogana (casi dall’ i al 13).
Non è segnato il caso N. 11. L’abitazione di quest’infermo non è in Catania ma nel Comune vicino di
Aci Castello.
Abitazioni degli infermi che contrassero l’infezione nei Mulini (casi 18, 19).
Abitazioni degli infermi che contrassero l’infezione probabilmente per maneggio e lavatura di effetti d’uso
infetti, 0 per assistenza ai malati di peste — Focolaio Desi (casi 14, 15, 16, 17).
Locali dove avvenne morìa di topi pestosi. senza casi di peste umana (Magazzini Ritter e Magazzini
della Piccola Velocità della Stazione Acquicella).
★ ■
Locali dei Mulini Santa Lucia ed Assunta dove avvenne morìa di topi pestosi con casi di peste nell’ uomo
(casi 18, 19).
★ A
Locali della Dogana dove avvenne morìa di topi pestosi con molti casi di peste umana (casi dall’ 1 al 13).
Memoria VII.
Istituto di clinica delle malattie nervose e mentali e di antropologia criminale
della R. Università di Catania, diretto dal Prof. G. D’ ABUNDO.
Alterazioni nel sistema nervoso centrale consecutive a particolari
commozioni traumatiche.
. NOTA SPERIMENTALE- CLINICA
pel Prof. 6. D’ABUNDO
( con quindici figure )
La guerra attuale che si combatte con artiglierie di grosso calibro , destinate con
eccezionale prodigalità a spazzare zone anche limitate di terreno nemico, determinano co-
gli alti esplosivi tali istantanei ed intensi cangiamenti di espansione e di pressione d’aria
da provocare dei gravissimi chok nei combattenti che si trovano nell’orbita di esplosione ;
per cui si verificano negli organi interni processi patologici, senza che esteriormente sieno
constabili particolari alterazioni corporee.
A quale intensità di chok possono essere sottoposti i combattenti lo dimostra il fatto,
che a poca distanza dall’ esplosione dei grossi projettili da 280 e da 305 cadono perfino
delle solide muraglie ed abitazioni ; e ciò semplicemente per la violenta espansione del
“ vento esplosivo. „ Ora è stato recentemente dimostrato, che le lesioni degli organi interni,
consistono in rotture vasali , che producono emorragie nel sistema nervoso centrale nel
polmone, nel fegato, nell’intestino, nei reni ecc. ( Ravaut , Leriche, Baurnel, Dupoy,
Sellier e Chartrier , Guillain, Claude e Lhermiiie ecc. ).
Alla trapanazione del cranio, eseguita a breve distanza dello chok , si rilevano in tali
casi edema e piccoli focolai emorragici nel cervello.
Il liquido cefalo-rachidiano, ottenuto dalla rachicentesi, si presentò più o meno colo-
rato in rosso; in esso si rilevò la presenza di albumina (0,40 %o) e di globuli sanguigni ;
però tale risultato mancò quando 1’ esame non venne eseguito in molta vicinanza al tempo
dello chok esplosivo subito.
Anche dei rammollimenti furono constatati nel sistema nervoso centrale ( Claude e
Lhermitte).
Questi risultati rendono di attualità alcune ricerche sperimentali da me praticate già
da qualche tempo.
Infatti essendo stato invitato come relatore al congresso internazionale di Neuropato-
logia, Psichiatria e Psicologia di Berna, che dovea aver luogo nel Settembre 1914, onde
svolgere il tema: Patogenesi ed esito delle psicosi da spavento (1), credetti utile di ini-
ziare delle ricerche sperimentali provocando manifestazioni di chok nei conigli , semplice-
(i) Tale congresso per la guerra scoppiata nell’agosto 1914 venne rimandato ad epoca da stabilirsi.
ATTI ACC. SERIE 5a. VOL. IX — Meni. VII. x
[Memoria VII.]
Prof. G. D' Abundo
mente per indagare le particolari alterazioni che eventualmente potevano constatarsi nella
circolazione sanguigna.
Io non credetti in tali indagini di servirmi del metodo già adoperato da me nel 1893 (l)
in determinate ricerche sperimentali sui traumi al capo , nè di quelli simigliami adoperati
da altri autori, come Schmauss, Iacob, De Lisi , ecc. credendo più adatto di preferire
un metodo, che eliminasse ogni azione traumatica la quale compromettesse in maniera
più intensa la integrità sia pure d’una limitata parte del sistema nervoso centrale. E ciò
perchè, se nella clinica osserviamo casi in cui traumi diretti alla colonna vertebrale o sul
cranio influirono a determinare manifestazioni neuro-psicopatiche , ve ne sono tanti in
cui non traumi diretti, ma sbatacchiamenti, concussioni, ecc. , ebbero a verificarsi, ed ai
quali si associò un fattore di ordine psicologico, cioè lo spavento, che è un elemento
tutt’ altro che trascurabile, e da tenersi in grande considerazione.
lo ricordava l’ interessante esperimento di Charrin e Roger , i quali mantenendo un
coniglio per 4 ore in una ruota animata da continuo movimento, e facendo l’ esame bat-
teriologico del sangue rilevarono quest’ ultimo così ricco di microbi, da dar luogo una
goccia sola allo sviluppo di 8 colonie ( Bouchard ). La paura e le scosse aveano provo-
i
cato un vero arresto degli atti nutritivi {Bouchard). Ed il Bouchard sostenne, che le in-
fluenze nervose inibitorie sono di ostacolo al fagocitismo normale, che compiono le cellule
linfatiche in lotta coi microbi patogeni; come anche cause nervose possono impedire il
fagocitismo patologico, che compiono nell’ interno dei tessuti i globuli bianchi.
Ciò considerato io credetti nelle mie ricerche sperimentali di avvalermi di una centri-
fuga orizzontale, messa in movimento da un motorino elettrico; la velocità potea essere
attenuata da frequenti interruzioni.
Dai 4 buchi del coperchio della centrifuga penetrava abbondante aria.
10 preferii il coniglio come animale da esperimento, perchè non era facile avere cani
di piccole dimensioni da potere essere contenuti nella centrifuga senza disagio; conigli forti
ed adulti, come anche conigli giovani di 2-3 mesi.
Un solo cane di piccole dimensioni venne adoperato : e mi persuasi dalla ricca sin-
tomatologia che presentò doversi, potendo, preferire i cani in tali esperimenti.
11 tempo variò, da 30 a 120 secondi continuativi.
In generale gli animali non resistono a poco più di tal tempo, se la velocità della
centrifuga è notevole.
In generale la posizione del coniglio era sempre la stessa, cioè adagiato sulle 4 zam-
pe, e colla testa rivolta secondo il giro della centrifuga ; esso durante la centrifugazione
rimaneva inchiodato addirittura alla parete del recipiente metallico.
Appena tolti dalla centrifuga i conigli erano tramortiti; alle volte con fugaci ed inten-
si movimenti rotatori intorno all’asse vertebrale; quasi costantemente esoftalmo più o me-
no marcato, e qualche volta imponente in un occhio a preferenza; deviazione laterale del
collo ordinariamente a sinistra; in qualcuno breve tendenza al maneggio; alle volte fugace
accenno ad un tic laterale del capo, e che in un caso costituì una manifestazione costante,
ritmica e prolungata somigliante al tic dell’ XI0 paio nell’uomo , verificandosi ogni volta,
che si praticava la centrifugazione ; quasi sempre nistagmo verticale, meno frequentemente
orizzontale; abolizione della reazione riflessa ai diversi stimoli; aumento notevolissimo dei
(i) G. D’ ABUNDO. Su di un caso di por enee/ alia sperimentale — Annali di Neurologia, Napoli 1893.
Alterazioni nel sistema nervoso centrale consecutive a particolari ecc.
3
movimenti respiratori e dei battiti cardiaci; spesso ma non sempre abbassamento della
temperatura rettale anche di 2° c. specialmente nei soggetti molto giovani; molto frequen-
temente emorragie delle mucose congiuntivali, nasale, boccale; emorragie sottocutanee dei
padiglioni auricolari.
Lo stato di abbattimento degli animali si prolungava più o meno a seconda del tem-
po più o meno lungo in cui erano stati trattenuti nella centrifuga; ed indi gradatamente
si ripristinavano le condizioni primitive.
Una resistenza maggiore o minore venne constatata; ed in generale qualche soggetto
di 2, 3 mesi si addimostrò meno resistente, verificandosi la morte dopo nemmeno un
minuto di centrifuga.
Gli animali venivano giornalmente sottoposti alla centrifugazione, e qualcuno resi-
stette perfino 97 giorni consecutivi, venendo alla fine sacrificato.
Il dimagrimento costituì una manifestazione ordinaria negli adulti ; come 1’ accresci-
mento dei giovani animali subì un notevole rallentamento colla quotidiana azione della
centrifuga (l).
Riassumo sinteticamente i dati rilevati all’ autopsia ed all’ esame istologico.
1° Nella morte che avveniva in seguito all’ azione della centrifuga si rilevò macro-
scopicamente una forte congestione, con emorragie multiple nelle meningi cerebro spinali.
Ne! canale vertebrale si constatarono suffusioni emorragiche estese nella regione posteriore
del midollo spinale, e a preferenza a livello del rigonfiamento lombare.
Gli stessi fatti si rilevarono macroscopicamente in maniera più o meno visibile negli
organi interni.
L’ esame microscopico nel sistema nervoso centrale confermò il reperto macroscopico,
dimostrando i vasi dilatati e rigurgitanti di sangue. I capillari erano iniettati dai corpu-
-scoli sanguigni allineati a pile, con diapedesi ed emorragie multiple di svariate gradazio-
ni, ma certamente con predominio di quelle piccolissime.
2° Rinnovando giornalmente 1’ esperimento della centrifuga per 60 a 90 secondi (tem-
po che in generale non produce la morte nei conigli adulti e forti) rilevai le seguenti ma-
nifestazioni.
In un coniglio al 3° esperimento della centrifuga praticato in 3 giorni consecutivi si
constatò non immediatamente, ma il giorno dopo una paralisi completa e flaccida degli
arti posteriori, con abolizione dei riflessi tendinei e della reazione dell’ eccitabilità riflessa
.generale agli stimoli dolorifici, e con incontinenza degli sfinteri.
In altri due conigli si manifestò egualmente la paralisi degli arti posteriori dopo 14
.giorni di ripetizione quotidiana dell’ esperimento della centrifuga.
Tali conigli dopo 3-4 giorni dalla paralisi degli arti posteriori vennero uccisi (2). Al-
1’ autopsia si rilevò una forte congestione con punti emorragici multipli nella pia madre
della regione posteriore del rigonfiamento lombare del midollo spinale. La sezione in detto
rigonfiamento lombare mostrò una evidente diminuzione di consistenza nella regione po-
ti) In conigli adulti si giunse ad ottenere una perdita di peso tino a 250 gr. dopo 4 giorni in cui si era
praticata la centrifugazione quotidiana.
(2) Dopo la paralisi fu sempre sospeso 1’ esperimento della centrifugazione.
4
Prof. G. D' Abundo
Memoria VII.]
steriore; e 1 esame istologico, in esso praticato fece rilevare trattarsi di rammollimento
localizzato nella metà posteriore del midollo spinale.
La fìg. la, dimostra il punto
massimo del rammollimento del
rigonfiamento lombare, constatato
in due conigli con lesioni assolu-
tamente identiche ; rammollimento
che risulta meno esteso alla so-
stanza grigia più in sotto , come
nella fìg. 2a.
Le sezioni istologiche ese-
guite al di sopra del rigonfiamento
lombare fecero rilevare, che il ram-
mollimento sotto forma d’ isolotto
allungato necrotico andava dimi-
nuendo d’intensità, finché si limi-
tava nettamente nei cordoni po-
steriori risultandone la disposizio-
ne raffigurata successivamente nel-
la fìg. 3a e 4a ; finche nei tratti
superiori spinali la ricostituzione anatomica si rilevava come nella fìg. 5a .
Nella zona di rammollimento si notavano frammenti di cilindrassi rigonfiati e privi
di mielina, molte cellule granulo-grassose, cellule di glia, frammenti di fibrille nervose,
pochissime emazie.
Un fatto degno d’ interesse era rappresentato dalle lesioni vascolari che in maniera
diffusa presentavansi , e alle
quali probabilmente dovea at-
tribuirsi una parte importante
nei disturbi nutritivi delle cel-
lule nervose. La fìg. 6a di-
mostra chiaramente il diffuso
ispessimento delle pareti va-
sali delle piccole e medie ar-
terie , 1’ evidente rarefazione
delle cellule nervose e la pro-
liferazione degli elementi della
nevroglia.
Nella fig. 5a si rileva
che il corno anteriore sinistro
specialmente nella sua parte Fig. 2.
latero- esterna è meno svilup-
pata dell’ omonimo. Ebbene ciò dipendeva da una rarefazione di cellule nervose sostituite
da qualche gruppetto di cellule di glia.
Alterazioni nel sistema nervoso centrale consecutive a particolari ecc.
5
3. Eseguendo giornalmente la centrifugazione nel coniglio in modo da evitare la morte,
pur verificandosi la classica sintomatologia dianzi accennata, si riuscì a prolungare 1’ espe-
rimento per oltre 3 mesi. Il fatto più evidente era rappresentato dal dimagrimento molto
marcato. Sacrificando appunto
un coniglio dopo 97 giorni di
centrifugazione quotidiana, eb-
be a rilevarsi nel sistema ner-
voso centrale una diffusa si-
st emopatia vasai e, consisten-
te in una periarterite. Nella
sostanza grigia corticale ri-
saltava anche la rete capil-
lare come se fosse iniettala ,
non perchè i vasi fossero ripieni
di sangue (1) , ma si provava
l’impressione quasi che i nuclei
dell’endotelio capillare si fossero
come allungati in modo da riav-
vicinarsi gli uni agli altri , e
quindi da costituire una conti-
nuità dimostrativa della rete ca-
pillare. Fig, 3.
La moltiplicazione dei nu-
clei riguardava a preferenza 1’ avventizia delle arterie di piccolo e medio calibro.
Certamente in generale si notava un aumento delle cellule di nevroglia , le quali in
F'g- 4- Fig. 5.
determinati punti irregolarmente sparsi risultavano raccolte in piccoli aggruppa-
menti, coincidenti anche alle volte con una relativa rarefazione di cellule nervose.
(1) Il coniglio venne sacrificato senza che precedesse la centrifugazione-
6
Prof. G. D' Abundo
[Memoria VII.]
Specialmente nel midollo spinale risultava evidente il tatto della rarefazione degli ele-
menti cellulari nervosi delle corna anteriori. E nei cordoni spinali non mancavano quà e
là delle fibre con turgescenze sferiche, dipendenti dal rigonfiamento dei cilindrassi.
Fig. 6.
In via puramente incidentale credo utile ricordare, che la centrifugazione nei conigli
molto giovani circa (3 mesi) dava gii stessi risultati degli adulti. Però trattandosi di sog-
getti in cui lo sviluppo somatico non avea raggiunto il grado di stabilità, essa dette luogo
in fra le altre, a qualche limitata anomalia di disposizione della sostanza grigia.
Per es. la fìg. 7a dimostra, come nel midollo spinale del giovane coniglio centrifu-
Alterazioni nel sistema nervoso centrale consecutive a particolari ecc .
7
gato una lesione limitata ad un piccolo segmento risolvendosi in una cavità cistica {a)
turbò la conformazione anatomica del corno posteriore ; e la fig. 8 eseguita laddove la ca-
vità cistica s’impiccioliva (a) e quindi
poi spariva, fa rilevare come la con-
formazione del corno posteriore è ati-
pica rispetto al corrispondente.
Però tutto ciò costituiva un epi-
sodio segmentale nel midollo spinale,
il quale poi in sù ed in giù riprendeva
la sua solita costituzione anatomica.
Ciò può chiarire 1’ origine di al-
cune atipie di sostanza grigia verifi-
cabili per processi morbosi svoltisi
anche nei primi tempi della vita extra-
uterina.
Il primo fatto che viene affer- Fig. 7.
mato da queste ricerche sperimentali
è la identità delle lesioni anatomiche del sistema nervoso centrale nei conigli sottoposti
alla centrifugazione con quelle constatate dagli autori da me innanzi ricordati nei militari
traumatizzati per violenti esplosioni dei grossi projettili. Eppure 1' intensità della violenza
è differente, perchè i conigli nella centrifuga rimangono inchiodati in un punto della peri-
feria del recipiente, niente affatto sbatacchiati, per quanto moltissimo spaventati.
Ricordo qui dal punto di vista spe-
rimentale, che Schmciuss producendo
delle succussioni spinali nei conigli con
colpi ripetuti di martello sul dorso degli
animali anche per parecchi giorni con-
secutivi , ottenne manifestazioni perfino
di necrobiosi e necrosi nel midollo
spinale; e nei casi lievi tutta la gamma
dei disturbi nutritivi delle cellule e delle
fibre nervose e della nevroglia. E sù per
giù le stesse lesioni ottennero Iakob ,
De Lisi, e tanti altri.
Ma in tali casi s’ intende bene
ch’esisteva una causa traumatica qual’era
Fig. 8. la martellatura della colonna vertebrale
o del capo, che costituivano* un attentato
preciso e localizzato al midollo spinale ed all’ encefalo.
Niente di tutto ciò esisteva nel metodo eseguito nei miei esperimenti, in cui credo che
debbano invocarsi diversi fattori per interpetrare tutte le lesioni del sistema nervoso cen-
trale.
La genesi puramente meccanica può spiegare le emorragie multiple rivelate in tutti gli
8
Prof. G. D' Abmido
[Memoria VII.]
organi. Le emorragie congiuntivali, nasali, auricolari, ecc. , constatate contemporaneanente
a quelle degli organi interni affermano il fatto, che sotto 1' influenza della centrifugazione
il sangue dai grossi vasi viene violentemente spinto in quelli più piccoli, in modo da ve-
rificarsi una congestione più o meno intensa, mentre contemporaneamente il deflusso ve-
noso dev’essere ostacolato, e così anche quello linfatico. Il tutto poi favorito dallo spavento
dell’animale; poiché è da ricordare, che inseguito allo spavento la curva del polso cere-
brale diventa 6-7 volte più grande , e nello stesso tempo il cervello attraverso le brecce
craniensi fu osservato che si gonfia e palpita con violenza (Mosso).
Per cui nella centrifugazione lo stato congestivo e le emorragie cerebrali sono favorite
dalla associazione dei due fattori meccanico e psicologico.
Dal punto di vista vascolare avviene nei conigli quello che sotto altra forma e con
altro meccanismo si verifica nell' epilettico, che soccombe in seguito ad un intensissimo
accesso convulsivo. In tale caso si constata all’ autopsia una enorme congestione non sola-
mente nel sistema nervoso centrale, ma in tutti gli organi ; ed i preparati istologici dimo-
strano stravasi sanguigni in così gran numero ed in tutto l’organismo, da fare compren-
dere l’impossibilità della ripresa delle funzioni vitali.
Fig. 9.
Del resto anche consecutivamente ad accessi epilettici di eccezionale intensità si pos-
sono avere in determinati individui monoplegie, emiplegie, le quali se rimangono stabili,
sono dovute certamente a emorragie cerebrali.
I rammollimenti e gli isolotti di necrosi da me constatati in alcuni conigli centrifugati
furono identici a quelli rilevati nell’ uomo in seguito a fratture della colonna vertebrale ;
basterebbe in fra gli altri consultare i casi riportati dal Minor nell’ ultimo trattato di ana-
Alterazioni nel sistema nervoso centrale consecutive a particolari ecc.
9
tomia patologica (1) per persuadersene. Eppure in tali casi si trattava di frattura compli-
cata della XIIa vertebra dorsale e di frattura a livello della IVa cervicale.
Ma s’ intende che in questi casi di trauma così intenso da rompere la colonna verte-
brale viene ad essere compromessa immediatamente l’ integrità del midollo spinale, veri-
ficandosi schiacciamento della sostanza nervosa colle solite manifestazioni necrotiche, in-
fiammatorie, degenerative, ecc.
In un caso da me osservato in una giovane donna che nel terremoto di Messina del
1908 riportò frattura completa della colonna vertebrale tra 12a vertebra dorsale e la lom-
bare, il midollo spinale dal rigonfiamento lombare in giù ed un po’ in sù si presentava
rammollito, ed i preparati istologici praticati (fig. 9 e 10) dimostrarono predominanti gli
WÈm
; C
Fig. io.
stravasi sanguigni (s) con tutte le gradazioni dalla necrosi alla degenerazione delle cellule
e delle fibre nervose, alla iperplasia della nevroglia, all’ ispessimento delle pareti vasali,
con deformazioni e spostamento di frammenti di sostanza grigia.
Nei miei esperimenti i rammollimenti riportati nelle fig. la a 4a debbono interpretarsi
come dovuti a trombosi vascolari. Oltre alla forma speciale rivelata nella fig. la e 2a,
induce ad ammettere tale interpetrazione da una parte la particolare conformazione della
lesione dimostrata dalle figure 3a e 4a nei cordoni posteriori, e dall’ altra il fatto della
grande eseguità di emazie rilevata all’ esame istologico.
(i) FLATAU, JACOBSOLN, MINOR. Manuale di anatomìa patologica del sistema nervoso, Voi. Il0 pag.
971 e 975 edizione, del 1909.
ATTI ACC. SERIE 5a. VOL. IX — Meni. VII.
2
10
Prof. G. D' Abundo
[Memoria VII.]
Lo schema della circolazione vascolare del midollo spinale dato da Kadgt e Riaver
rendono maggiormente accettabile la interpretazione della genesi da trombosi.
Da queste considerazioni si rileva sempre più chiaramente, come si possono avere
gravissime alterazioni nel sistema nervoso centrale anche senza diretto o indiretto interes-
samento del sistema osseo ; ciò che del resto era stato già osservato nel campo clinico.
Nel disastro del terremoto di Messina del 1908 io potetti registrare diversi casi di
atrofìe muscolari progressive tipo Aran-Duchenne manifestatesi in soggetti giovanissimi
(12 a 15 anni) con un decorso così rapido, che dopo un mese già le mani erano dispo-
ste marcatamenre ad artiglio. Ebbene esternamente nei primi giorni erano visibili delle con-
tusioni non negli arti ma nel tronco. I soggetti erano stati estratti di sotto alle macerie
dopo esservi rimasti 2 a 3 giorni. E tra queste osservazioni io non enumero affatto quei
casi marcati di contusioni gravi negli arti che provocarono nevriti gravissime con atrofìe
muscolari consecutive.
È da supporre che in tali casi di gravi traumatismi corporei qualche segmento spi-
nale abbia fortemente risentito della concussione generale del midollo spinale nel canale
vertebrale, determinandosi qualche rottura vasale interessante la nutrizione di nuclei cel-
lulari nervose, d’ onde la distrofia muscolare localizzata, favorita nella sua manifestazione
bilaterale da altri fatti, come lo chok, 1’ associazione dinamica, ecc.
Del resto lo chok istantaneo viene
ammesso perfino come momento pato-
genetico di mieliti.
Credo utile qui riportare il caso di
una donna di 22 anni ricoverata attual-
mente nella mia Clinica, e che può mag-
giormente illustrare 1’ argomento in di-
scussione.
N. di anni 22, con un figlio di 2 anni. Ge-
nitori viventi e sani. Il figlio nacque a termine.
II 16 Dicembre 1915 alle ore 20 mentr’ era se-
duta si svolse una rissa per cui Lei fu colpita
da una palla di rivoltella, che penetrò nella re-
gione antero laterale del collo a destra, dove si
constata una cicatrice (fig. n, Fi. Il proiettile
non fuoriuscì dal corpo. Immediatamente alla pe-
netrazione del proiettile la N. cadde per terra
avvertendo un intenso formicolio agli arti infe-
riori e nel superiore destro, meno nel superiore
sinistro ; non potea muovere nè gii arti inferiori,
nè il superiore destro , però muoveva discreta-
mente l’arto superiore sinistro.
Venne trasportata nell’Ospedale di Lentini.
Dopo qualche ora dal trauma aveva grande
voglia di urinare, ma non potea : e lo stimolo
si ripetette con insistenza nella notte per cui fu
necessario applicare il catetere.
Dopo circa io giorni dal ferimento venne visitata dal Prof. Scalone, il quale da me pregato, gentilmente
ini favo) iva le seguenti interessanti notizie, di cui io lo ringrazio sentitamente.
Fig. 11.
Alterazioni nel sistema nervoso centrale consecutive a particolari eco.
1 1
Alla regione antero-laterale destra del collo guarita la ferita del forame di entrata, residuava una tume-
fazione da ematoma diffuso sotto aponevrotico, il quale scomparve per riassorbimento.
Alla radioscopia il projettile venne identificato alla parte laterale sinistra e posteriore del collo a livello
fra P apofisi spinosa della 2a e 3a dorsale.
I disturbi nervosi constatati dal Prof. Scalone possono riassumersi : in anestesia completa negli arti in-
feriori e nel tronco fino a livello dei capezzoli della mammella, senz’ alcuna particolare differenza ai due lati ;
paraplegia estesa ai muscoli del bacino, con esagerazione dei riflessi tendinei; lieve paresi dell’ arto superiore
destro ; integra la motilità dell’ arto superiore sinistro ; incontinenza degli sfinteri ; decubito.
La N. venne operata di laminectomia nell’ Ospedale di Lentini dal Prof. Scalone, il quale rilevò distacco
quasi completo dell’ apofisi spinosa della aa vertebra dorsale, scontinuazione della lamina laterale di destra
con infossamento di frammenti, che furono rimossi con il resto della lamina vertebrale e dell’ apofisi spinosa
fino allo speco vertebrale.
II projettile di calibro 5 mm. era situato un po’ discosto dall’ apofisi spinosa a sinistra in una piccola
cavità ascessuale. 11 risultato operatorio fu la
guarigione per primam della ferita.
La. fig. 12 dimostra la ubicazione della ci-
catrice (v) nella sezione posteriore del collo.
Dopo 1’ operazione i disturbi della sensibilità
cominciarono gradatamente a sparire, rimanendo
immutati quelli della motilità. Dopo circa 8 giorni
la N, avvertiva dolori lancinanti ai due arti in-
feriori con manifestazioni irritative muscolari. Ri-
guardo agli sfinteri la N. cominciava ad avver-
tire lo stimolo vescicale ed anale , Il decubito
scomparve.
La N. volle in tutti i modi lasciare 1’ Ospe-
dale, sebbene il Prof. Scalone le avesse consi-
gliato di rimanere.
lo ebbi occasione di visitare la N. il io
Febbraio 1916, ed il 18 stesso mese la N. entrò
in Clinica.
Ecco riassunti brevemente i dati obiettivi da
me rilevati. Paralisi completa degli arti inferiori
con ipotrofismo nei muscoli della coscia sinistra
e della gamba destra ; piedi ruotati all’ indentro,
maggiormente quello destro.
Nell’arto superiore sinistro tutti i movimenti
erano conservati. In quello superiore destro si
rilevava la mano disposta già ad artiglio con
atrofia dei muscoli interassei e della regione te-
nare ed ipotenare e della regione anteriore del-
1’ avambraccio. La fig. i3a riporta segnata con
-j — (- la topografia dei disturbi della motilità.
Ipotrofismo esisteva anche nei muscoli del braccio e della regione esterna dell’ avambraccio, però la N.
riusciva ad eseguire tutti i movimenti in tali regioni, risultando quasi abolita la forza muscolare nei movimenti
della mano. L’ esame elettrico sarà riportato in appresso.
Negli arti superiori esisteva anestesia disposta a forma radicolare nelle regioni indicate da puntini (....)
nella fig. 13. Anche in tali regioni la sensibilità dolorifica e termica risultavano profondamente indebolite spe-
cialmente nella mano.
Negli arti inferiori si verificava una incertezza nella localizzazione degli stimoli tattili nelle gambe, senza
però che potesse affermarsi una precisa localizzazione ipoestesica.
Nessun particolare disturbo dei sensi specifici.
Riflessi cutanei addominali conservati.
12
[Memoria VII.]
Prof. G. D' Abundo
Riflessi tendinei vivaci in special modo ì rotulei.
Clono dei ginocchi ; clono del piede a destra ; accenno a forma abortiva del clono del piede sinistro.
Niente Babinski.
Posteriormente alla regione delle natiche si notava
decubito topograficamente rappresentato dalla fig. 14-
Sfinteri vescicale ed anale : avvertiva gli stimoli
però non potea soddisfarli a volontà, verificandosi or-
dinariamente perdita involontaria di feci ed urine.
Nessun particolare disturbo della vita vegetativa.
Funzioni psichiche integre.
Sottoposta a cura elettrica, un miglioramento evi-
dente e rapido cominciò a verificarsi negli arti inferiori;
per cui la posizione clinica della N. dopo circa 75 giorni
era la seguente : sensibilità generale reintegratasi in
tutto il corpo ad eccezione della mano destra nella qua-
le persisteva l’anestesia localizzata in un distretto del
cubitale come dimostra la fig. 1 5 con puntini ( ), tanto
nella regione palmare che dorsale.
Motilità cominciata a manifestarsi fin dalle prime
applicazioni faradiche e progredita rapidamente tanto da
riuscire a camminare discretamente sostenuta da una
infermiera; una deficienza di forza muscolare era avver-
tita dalla N. più dalla parte della funzione del tricipite
estensore di sinistra che da quello di destra ; persi-
steva semplicemente ancora una deficienza muscolare nei muscoli della regione antere - esterna della gamba
destra per cui i movimenti di flessione esterna del piede erano limitati, e strisciava un po’ la punta del piede
sul pavimento (fig. 15, H — I — F).
Si rilevava un evidente ipotrofismo nella coscia sinistra che misurava centimetri 2 1/2 meno della destra,
e nella gamba destra che misurava cent. 1 l/s meno dell’altra.
Fig. T4. Fig. 15.
Negli altri muscoli degli arti inferiori. la nutrizione era rigogliosa.
La mano destra già disposta ad artiglio presentava aumentata l’atrofia dei muscoli interossei; stabile era
rimasta l’atrofia dell’eminenza tenare.
Alterazioni nel sistema nervoso centrale consecutive a particolari ecc-
13
I muscoli della regione anteriore dell’avambraccio destro erano ipotrofici (tig. 15, H — r-F).
Forza muscolare nella mano quasi zero.
Riflessi rotulei e plantari esagerati, con clono dei ginocchi e clono del piede destro. Niente Babinski.
Riflessi periostei radiali bilateralmente esagerati.
L’esame elettrico dimostrò leggera diminuizione della contrattilità muscolare alla corrente faradica nella
regione antero-esterna della gamba destra; spiccata reazione degenerativa nei muscoli interassei; meno spiccata
nei muscoli della regione tenare ed in quelli della regione anteriore dell’avambraccio destro.
Sfinteri integri.
Decubito guarito.
Brevi considerazioni cliniche in rapporto al nostro argomento.
In questo caso esiste un dato di fatto rilevato dal Prof. Scalone, cioè ; che il projet-
tile di rivoltella penetrando nella regione antero-laterale del collo a destra produsse una
scontinuazione della lamina laterale di destra della 2& vertebra dorsale con infos-
samento di frammenti, determinando il distacco quasi completo deU’apoflsi spinosa cor-
rispondente e andando poi a incunearsi un po’ discosto dall’ apofìsi spinosa a sinistra.
Ciò fa dedurre, che specialmente la parte destra del midollo spinale sottostante all’in-
fossamento dei frammenti della lamina laterale ebbe a subire l’ influenza massima trau-
matica.
Ma nella sintomatologia generale presentata bisogna naturalmente distinguere i sin-
tomi inerenti ai segmenti vicini o a distanza del midollo spinale sul quale massimamente
il trauma operò, dai sintomi di risentimento da cholz e di deficit, oltre a quelli probabili
funzionali.
Infatti fin dal primo momento si notò la paralisi dei due arti inferiori e dei superiore
destro, mentre il sinistro si potea discretamente muovere. L 'atrofia muscolare negli
interossei e nell’ eminenza tenare ed ipotenare dovette sorgere per tempo nell’arto supe-
riore destro paralizzato, ed essa è da mettersi in rapporto con un’atrofia sviluppatasi nelle
cellule nervose del corno anteriore spinale destro. Infine la manifestazione radicolare dei
disturbi di sensibilità generale negli arti superiori, colla limitazione consecutiva ad una parte
limitata dell’ innervazione del cubitale della mano, tutto ciò fa giustamente pensare che
nella metà destra del midollo spinale il trauma esplicò il massimo interessamento.
Ed infatti dopo la cura psicoterapica ed elettrica praticata se noi osserviamo la figura
15 si deve concludere, che la sintomatologia residuale a distanza dal trauma è emilaterale
destra, avendosi precisamente la distrofia muscolare nella mano , nella regione anteriore
dell’ avambraccio, ed un po’ nella gamba a destra, ed il disturbo di sensibilità localiz-
zato esclusivamente ad una limitata zona d’ innervazione del cubitale nella mano destra.
Il dato riferito dal Prof. Scalone , che 1’ anestesia generale già diffusa a tutto il tronco
ed agli arti inferiori scomparve gradatamente in 2 giorni dopo la laminectomia destra della
2a dorsale fa ritenere, che tale disturbo della sensibilità generale fu dovuto in buona parte
ad una relativa pressione sulla regione posteriore del midollo spinale ; del resto la pare-
stesia tattile si manifestò immediatamente dopo il trauma.
L’ anestesia a forma radicolare negli arti superiori (8a radice cervicale e la dorsale),
rappresenterebbe uno di quei sintomi segmentali associativi provocati dalla lesione anato-
mica del cubitale destro, ed avente un carattere funzionale per 1’ arto superiore sinistro.
I disturbi della motilità verificatesi fin dal primo momento con la paralisi completa
degli arti inferiori, la quale dopo 10 giorni dal trauma persisteva come potette controllare
14
Prof. G. D’ Ab nudo
[Memoria VII.]
il Prof. Scalone , mentre lieve era la paresi dell’ arto superiore destro ed integra la moti-
lità dell’ arto superiore sinistro, non può essere interpetrato come dovuto a compressione
solamente; ma considerando da una parte 1’ ipotrofìsmo constatato nella coscia sinistra e
nella gamba destra, nella quale ultima esisteva una lieve paresi nei muscoli della regione
ante;o-esterna, e dall’altra essendosi avuto un rapido miglioramento della motilità fin dalle
prime applicazioni elettriche, ciò induce ad ammettere, che microscopiche alterazioni ana-
tomiche ebbero a verificarsi in seguito al trauma nel midollo spinale, apparentemente in-
grandite dall’ intervento del fattore funzionale.
Infatti, che qualche applicazione faradica determini la quasi immediata comparsa di
movimenti sù larga scala con rapido miglioramento progressivo, ciò non può essere pro-
dotto che dal fattore psico-terapico legato allo stimolo elettrico. D’ altra parte, che dopo
4 mesi dal trauma dovesse esistere una paralisi completa senz’ alcun risveglio dell’ attività
motrice, costituisce una prova maggiore dell’ esistenza del disturbo funzionale.
La stessa incontinenza degli sfinteri che sparì quasi bruscamente ne afferma sempre
più la origine funzionale.
Il decubito dileguatosi subito colla ripresa dei movimenti e della funzione normale
degli sfinteri dimostra chiaramente la sua origine puramente meccanica irritativa, e non
distrofica spinale.
Il sintonia degno d' interesse che fa ammettere nella N. 1’ esistenza anche di un fat-
tore organico per gli arti inferiori è rappresentato dall’ ipotrofìsmo limitato ai muscoli della
coscia sinistra ed alla lieve paresi con ipotrofìsmo dei muscoli della regione antero-esterna
della gamba destra. Che si possano avere delle atrofie muscolari di origine funzionale
isterica e durature ciò è noto ; e basterebbe ricordare il caso memorabile dell’ isterica pa-
raplegica Anna Aiigier , in cui 1’ atrofia muscolare durò 20 anni con classici disturbi
trofici cutanei, riducendo la paziente addirittura allo stato di pelle ed ossa ; eppure guarì
per suggestione, facendosi trasportare in pellegrinaggio alla tomba di Polisse.
Però la distribuzione saltuaria dell’ ipotrofismo localizzato alla coscia sinistra ed alla
gamba destra, mentre lo stato della nutrizione nel resto dei muscoli degli arti inferiori era
floridissima ; il fatto che all’ ipotrofismo dei muscoli della regione antero-esterna della
gamba destra era associato l’elemento paretico, per cui l’influenza dell’eccitamento elettro-
faradico non dette il risultato ottenuto negli altri muscoli degli arti inferiori ; infine la nes-
suna modificazione subita dai riflessi tendinei e dai cloni del ginocchio e del piede, indu-
cono a ritenere, che il trauma dovette nel midollo provocare microscopiche alterazioni an-
che nel rigonfiamento lombare.
Ed infatti io penso che per effetto del trauma oltre all’ atrofìa delle cellule nervose
del corno anteriore destro spinale da cui si originano il cubitale ed il mediano , abbiano
lievemente risentito a distanza le rappresentazioni cellulari motrici spinali sia del tricipite
estensore della gamba sinistra, che dei muscoli della regione antero-esterna della gamba
destra. E forse questi ultimi muscoli della regione antero-esterna risentirono maggiormente
1’ influenza traumatica per quella solidarietà collettiva , che esiste nelle molteplici unità
neuroniche motrici spinali in special modo di funzione analoga, per cui la sparizione di
un gruppo di esse disturba 1’ integrità funzionale delle altre (1).
(i) Tale ipotesi io sostenni nel mio lavoro : Contributo allo studio delle atrofie muscolari consecutive a
traumi dei nervi periferici. Anno XVII0, N. i e 2 (1901), il Manicomio moderno.
Alterazioni nel sistema nervoso centrale consecutive a particolari ecc. 15
Però nel sistema di conduzione motrice del midollo spinale della N. esiste senza dub-
bio uno stato irritativo, eh’ è rimasto immutabile, e che molto probabilmente è provocato
dalla vicinanza della lesione della sostanza grigia (che determinò 1’ atrofìa muscolare
della mano destra ecc.) al fascio motore cortico-spinale. Ed è da prevedere che lo stato
irritativo della N. si traduca in seguito in una persistente forma spasmodica.
Questo caso è istruttivo per dimostrare, che senza dubbio più che 1’ infossamento
della lamina destra della 2a vertebra dorsale debba avere influito la violenza del trauma
che agì come un colpo di martello, per cui si ebbero sul midollo spinale lesioni multiple,
simili a quelle che vennero dimostrate sperimentalmente dagli Autori da me innanzi citati.
I disturbi funzionali in questo caso erano cementati così finamente con quelli organici
da costituire una fusione sintomatica, senza la più lontana parvenza di una di quelle stig-
mate psicologiche isteriche, alle quali in tempi tutt’ altro che lontani si dava tanta impor-
tanza per affermare il carattere funzionale della nevropatia.
, *
* *
Dalle alterazioni del sisteme nervoso centrale risultanti dalle mie indagini e dal caso
clinico riportato dalla N. volendo ritrarne delle considerazioni comparative in rapporto alle
lesioni riscontrate nei militari trovantisi nell’orbita dell’ influenza delle alte esplosioni, io
credo utile fare rilevare, come complesso risulti il compito del neuropatologo nello studio
dei singoli casi clinici, dappoiché da una parte è possibile sospettare le più svariate e mi-
croscopiche alterazioni del sistema nervoso (1), mentre dall’altra possono sorgere tante
turbe funzionali complicanti il quadro morboso, e la cui sparizione sovente riesce facile
perchè rese possibili dalle reintegrate condizioni anatomiche, o perchè i soggetti lo deside-
rano e vi si prestano ; laddove in altri casi esse risultano tenaci sia per lievi alterazioni
anatomiche, sia perchè favorite da condizioni predisponenti, o artificiosamente continuate
per fini individuali.
Da ciò la necessità di un accuratissimo e ponderato esame psicologico oltre a quello
somatico, poiché sovente l’interpetrazione dei disturbi somatici risulta inattesa, rivelata pre-
cisamente dallo studio psicologico del caso fatto in tempi diversi, e che può dimostrare
delle contraddizioni molteplici e perfino paradossali. Senza dubbio sarebbe essenziale sta-
bilire una opportuna selezione di questi soggetti, e non tenerli in comuni sale dove sono
ricoverati altri affetti da lesioni del sistema nervoso; giacché la vista di manifestazioni
neuropatiche organiche costituisce per essi una scuola feconda d’ imitazione, che rendono
poi complicato lo studio clinico.
Una sorgente di errori può essere rappresentata da quella cosidetta impressione
subiettiva, che alle volte può far sorgere nel clinico una intempestiva diffidenza verso la
realtà delle manifestazioni sintomatiche presentate dal soggetto di studio, per cui una vera
lotta silenziosa ed insidiosa si stabilisce tra impressione subiettiva, che è ordinariamente
tenace, e 1’ esame dei sintomi obbiettivi.
*
* *
Dalle mie ricerche sperimentali, sono risultati 2 fatti, che hanno un interesse clinico
all’ infuori dell’ argomento in discussione.
(i) Non mi occupo di quelle che si verificano negli organi interni.
ló
Prof. G. D' Abundo
[Memoria VII.]
Il 1° fatto riguarda la sisieniopatici vasale riscontrata nei conigli sottoposti nu-
merose volte alla centrifugazione, e che dimostra, come le ripetute congestioni sono
capaci di provocare dei disturbi di nutrizione nei vasi.
Le morbose manifestazioni congestive cerebrali noi le constatiamo nel campo clinico
ordinariamente quando già nei vasi dell’ encefalo si sono determinate delle alterazioni in
seguito a molteplici cause tossiche (alcool, sifilide, ecc.); ed è noto quali gravi conse-
guenze si verificano per la integrità delle facoltà mentali in seguito ad una forte conge-
stione cerebrale.
Quanta differenza del resto non si rileva per gli effetti sulle facoltà mentali tra una
grave congestione cerebrale ed una semplice emorragia capsulare, che determina una emi-
plegia ?
Io ritengo che la sistemopatia vasale da me riscontrata nel sistema nervoso centrale
dei conigli centrifugati possa interpetrarsi come probabilmente dovuta a molteplici fattori.
Da una parte dovettero influire i disturbi nutritivi provocati dalle diapedesi, che hanno
luogo nelle congestioni ripetute, e le quali io credo che debbano verificarsi anche nei
vasa vasorum , che provvedono alla nutrizione della tunica interna ed esterna delle arte-
rie. Dall’altra parte io penso che debba concorrere alla sistemopatia vasale anche il distur-
bato deflusso dei liquidi interstiziali provocato dalla congestione cerebrale (1), tanto più che
1’ encefalo è racchiuso in una cavità ossea, ed i vasi sono contornati da guaina linfatica.
Ed il dimagrimento marcato che si rileva negli animali centrifugati, induce a credere
probabilmente al concorso di una tossiemia provocata dal turbato equilibrio del ricambio
nutritivo organico.
(i) Nel mio lavoro; Contributo allo studio della fisiopatologia delle vie linfatiche cerebrali pubblicato
negli Annali di Neurologia 1891, Napoli, accennai in fra le altre, ai disturbi nutritivi prodotti dalle conge-
stioni cerebrali; e dopo 25 anni quella interpetrazione da me data mi pare che ancora possa ritenersi come
la più probabile. La riporto integralmente (pag. 70, 1. c.):
« Quando si determinasse uno stato iperemia) cerebrale istantaneo (congestione cerebrale) allora deve in
gran parte disturbarsi il normale deflusso dei liquidi interstiziali, ed io per me credo che i disturbi nutritivi
gravi, che noi vediamo sovente determinarsi in seguito a congestioni cerebrali, sieno da attribuirsi non tanto
all’afflusso copioso e rapido di sangue nel cervello, quanto nel disquilibrio istantaneo del normale deflusso
dei liquidi interstiziali, per cui non vengono allontanati rapidamente i prodotti chimici segregati dagli elementi
cellulari. Non discuto il momento patogenetico che determinò il fenomeno congestivo, ma mi pare che il rapi-
dissimo afflusso di sangue al cervello se determina modificazioni importanti nella idraulica linfatica , queste
a loro volta debbono influire per ragioni puramente meccaniche a mantenere il disturbo circolatorio sangui-
gno. Poiché se è disturbato il deflusso linfatico lo sarà secondariamente anche quello venoso per fatti di com-
pressione dei liquidi linfatici sui vasi venosi. Col cessare le cause che determinarono la congestione cerebrale,
si ristabiliscono le condizioni circolatorie sanguigne e linfatiche, però un disturbo nutritivo ebbe luogo, e stan-
te la delicatezza del tessuto nervoso, se in questo per condizioni ereditarie ed acquisite non esisteva una
adeguata resistenza di adattamento, la congestione cerebrale costituirà il momento ecologico per la manife-
stazione d’ una psicopatia. Osserviamo in fatti nella Clinica individui in cui la demenza senile (giusto come
innanzi ho accennato) ha come prodromo una congestione cerebrale, ed in cui all’ autopsia non si rinvengono
lesioni meningee, ma semplice atrofia diffusa e non marcata della corteccia cerebrale ; come pure vi sono de-
menze classiche, in cui all’autopsia non si rinvengono le lesioni proprie della demenza paralitica progressiva,
ed il quadro clinico esplicossi in individui di non più di 50 anni di età, con fenomeni di demenza tranquilla,
preceduti da un semplice accesso congestivo cerebrale. Che l’accesso di congestione cerebrale determini di-
sturbi notevoli nutritivi è facile verificarlo in Clinica, dove vediamo folli peggiorare rapidissimamente dopo un
accesso di congestione. Tale concetto contribuirebbe a fare accettare con alquanta riserva 1’ opinione della
possibilità di rapido aumento e diminuzione del liquido linfatico perivascolare, appunto per i rapporti che
esso assume coi linfatici della pia madre ».
Alterazioni nel sistema nervoso centrale consecutive a particolari ecc. 1 7
Il 2° fatto messo in evidenza dalle mie ricerche fu un tic ritmico riguardante i mu-
scoli della regione cervicale inferiore, che agendo unilateralmente flettono e ruotano il capo.
Come già dissi innanzi nella sintomatologia generale, subito dopo la centrifugazione
risultava costante il fatto della deviazione sovente molto marcata della testa a sinistra ;
ed in parecchi conigli venne osservata fugacemente una tendenza al maneggio ed un tic
ritmico laterale del capo. In un coniglio adulto e vigoroso, che per 97 giorni fu sottopo-
sto alla quotidiana centrifugazione, si verificò costantemento il tic ritmico che durava pa-
recchi minuti, e che sovente sembrava esaurito, mentre bastava un eccitamento qualsiasi
(battere le mani, ecc.) per farlo ricomparire.
Ricordo a tale proposito come in seguito a commozioni traumatiche nell’ uomo pos-
sono con una certa facilità rilevarsi tremori o tic unilateralmente nel distretto dei muscoli
flessori-rotatori del capo.
Questi due fatti nuovi risultanti dai miei esperimenti offrono tale interesse da persua-
dermi a continuare le mie ricerche, anche perchè i tic e le manifestazioni congestive ce-
rebrali rappresentano un campo di grandissima importanza clinica non fecondato dalla
penetrazione sperimentale.
Memorisi, Vili.
Istituto (li Medicina legale della R. Università di Cagliari.
Influenza dell’essiccamento e della luce solare sulla resistenza morfologica
del gonococco.
In un mio precedente contributo alla biologia del gonococco (1), ho studiato, sotto il
rispetto medico-legale, la resistenza morfologica di questo germe fuori dell’organismo e
sottoposto all’ influenza del calore secco e del vapore.
Ritenendo che, nell’interesse della pratica medico-giudiziaria, lo studio di altri fattori
fisici potesse avere una qualche importanza, ho esteso le mie ricerche all’ azione dell’^sszc-
camento e della luce solare.
A queste nuove indagini sono stato anche indotto dal fatto che sull’argomento non
si hanno che scarsi precedenti bibliografici di osservazioni casistiche isolate, i cui risultati
sono per giunta poco concordi.
Haberda (2), occupandosi della questione a scopo forense, dopo avere preliminarmente
stabilito che nel pus gonorroico, disteso in sottile strato , non sono più dimostrabili i
gonococchi dopo poche settimane, afferma che essi sono ancora riconoscibili dopo otto
mesi nei fiocchi spessi essiccati della biancheria.
AH’ incontro Bosch (3) trova che, dopo 5-6 giorni di deposito di pus gonorroico sulle
biancherie, i leucociti sono così alterati che ogni diagnosi microscopica riesce impossibile.
Anche Carry (4) viene presso a poco alle stesse conclusioni di Bosch, aggiungendo
che la ricerca a scopo forense su tali macchie è addirittura priva di importanza.
Non può dirsi, però, che il Kratter (5) la pensi come il Bosch ed il Carry ; infatti
questo diligente studioso della questione dice, confermando i risultati di Haberda, che la
ricerca morfologica del gonococco nelle macchie antiche dà risultato assolutamente posi-
ti) DI MATTEI — Contributo allo studio del gonococco nei suoi rapporti con la Medicina legale — In-
fluenza di alcuni fattori fisici sulla resistenza morfologica del gonococco ( Calore secco e Capare) — Cata-
nia. 1911.
• (2) HABERDA, Gerichtsàrtzl. Remerkung ilber die Gonorrhoe u. ihren Nachiveiss. — Vierteljah f. Ge-
richtl. Med. Bd. Vili.
(3) BOSCH, Le gonocoque: baci. din. et mèd. lég. These de Montpellier, 1893.
(4) CARRY, Le gonococcus de Neisser au Service Sanitair de Lyon. Lyon Medicai, 1894.
(5) KRATTER, Mittheil. u. Formbestandig keil u. Virulenzdauer der Gonokokken. (Nach Unters. v. Cari.
Ipsen) — Id. Ueber die Verwerthbarkeit des Gonokokken befundes f. die gerichtl. Med. (Vortrag. gehalt.
auf. d. X intern. Med. Congr. z. Berlin). Aus d. Beri. klin. Wochensch. 1890, N. 42.
Nota
DI MATTEI
I. Essiccamento.
ATTI ACC. SERIE 5a, VOL. IX — Meni. Vili.
I
Prof. Emilio Di Maltei
[Memoria Vili, j
tivo, non solo dopo giorni, settimane e mesi, ma anche fino ad un anno ; in quanto che
non soltanto la forma e la affinità colorante rimangono normali, ma anche, e questo è
quel che più importa, rimane integra la posizione intracellulare, per confermare la diagno-
si specifica. Secondo questo A. soltanto i nuclei delle cellule di pus verrebbero a frantu-
marsi.
Heiman (1), da canto suo, dopo 66 giorni, da macchie di pus blenorragia) su tela,
potè ottenere dei preparati di gonococchi ben dimostrativi, mentre Wachholz e Nowak (2)
a proposito di un caso di macchie su biancherie d’una ragazza di 10 anni stuprata, dove
si rinvennero molti gonococchi a mucchi entro le cellule e che si scolorarono al Gram, a
loro volta concludono che, a scopo forense , per nessuna ragione i gonococchi nelle vec-
chie macchie devono considerarsi come specifici, ma invece devono ritenersi senza veduta
pratica e senza importanza, per la ragione che vi sono microrganismi simili al gonococco,
i quali, pur comportandosi al Gram come quest’ultimo, possono essere diplococchi di altra
natura.
Certamente io non intendo obbiettare i risultati controversi ottenuti dai vari autori, nè
discutere gli apprezzamenti di Wachholz e Nowak, i quali mi sembrano invero un po’
speciosi; solo vorrei far rilevare che uno studio speciale non è stato metodicamente con-
dotto da alcuno.
Ogni autore si è servito dei casi accidentali sui quali veniva richiamata la sua atten-
zione. E forse nei singoli casi gli autori saranno stati nel vero coi vari reperti e coi ri-
sultati, per quanto questi nel fatto fra loro disparati.
Uno scolo cronico, una goccetta, può benissimo infettare di blenorragia una donna
specialmente una vergine e per giunta se ragazza o bambina; eppure una goccia di questo
scolo cronico , che può contenere pochissimi gonococchi , se imbratta un lembo di bian-
cheria , può rendere diffìcile la ricerca di questi germi nel tessuto , tanto più se lo strato
è sottile, se la macchia è piccola, e se per giunta un dato tempo sia trascorso.
Noi troviamo già queste difficoltà nei casi di pazienti di goccetta , quando ricorrono
alla nostra osservazione microscopica di laboratorio , per sapere se la goccetta mattutina
contenga o meno ancora dei gonococchi. E negli stupri, nella maggior parte dei casi, si è
assodato che gli stupratori sono sofferenti di scoli cronici, che essi credono di vedere ra-
dicalmente guariti con la deflorazione di una vergine e più propriamente di una bambina.
In questi casi, il reperto del pus blenorragico dell’ uomo, deve essere ben diverso da
quello che si ottiene quando la ricerca vien fatta sopra un pezzo di tessuto sul quale un
paziente di gonorrea acuta raccoglie il pus durante le ore del giorno, come abitualmente
vien praticato dagli individui blenorragia ; i quali, per impedire che il pus che scola dal-
1’ uretra venga ad imbrattare le biancherie personali, ricoprono il ghiande di pezzetti di
tela o di cotone idrofilo, e gettano questi materiali ove capita.
E evidente che, in queste condizioni, la ricerca del gonococco non fa penuria, e i
tessuti così imbrattati devono fornire un materiale che deve dare risultati ben diversi dai
casi contemplati più sopra.
(1) HEIMAN, A further study of thè biology of thè gonococcus examination of ex sudale s in cases of
chronic uretritis. Med. Ree. New York, 1896. — A clinic, a bacleriol. study of thè gotioc. Neisser. Arch.
f. Derni. 11 Syphil. Bd. 34.
(2) WaCHHOLZ u. Nowak, Zar Lehre v. d . forens. Bedeut. d. Gonokokken-Befund in alien Flecken.
Viertljahrsch. f. gerichtl. Med. Bd. 9.
Influenza dell ' essiccamento e della luce solare sulla resistenza , ecc
3
Lo stesso naturalmente può dirsi dei risultati che possono offrire le macchie delle
biancherie, le quali si trovano a contatto con i genitali femminei contagiati da blenorragia.
Nè può passare sotto silenzio il periodo più o meno cronico della blenorragia e il fatto
della eventuale intercorrente cura con i diversi rimedii specifici locali e generali in rapporto
alle macchie che da questi scoli in simili casi provengono.
Ora , perchè si parli di armonia di risultati , è bene che le condizioni di esperimento
siano sempre costanti , cioè siano tali da fare escludere ogni dubbio. Epperò era neces-
sario partirsi da premesse ben definite ; e , nel mio caso di esperimento , queste erano
date: 1° dal periodo di tempo dalla comparsa dello scolo blenorragico ; 2° dalla quantità
del materiale infettante impiegato in rapporto alla spessezza dello strato ; 3° dalla natura
del tessuto su cui il pus veniva disteso ; 4° dall’ ambiente in cui si faceva avvenire l’es-
siccamento in rapporto alla temperatura, umidità, aria, luce, ecc.
Naturalmente, i risultati, quali che fossero, dovevano rispecchiare e riferirsi alle con-
dizioni premesse. E qui mi preme subito dire che io non intendo con ciò già riferirmi a
quanto in disparatissime condizioni può avvenire nella pratica; ma penso appunto chele
mie ricerche possano contribuire a portar lume sulla questione, sia per giustificare even-
tualmente i risultati discordi degli autori, sia per tracciare la falsariga di quanto può ac-
certarsi per via dell’ esame microscopico in una tale ricerca, quando ci siano ben note o
quando abbiamo cura di mettere in rilievo le condizioni in cui si trova il materiale affi-
datoci per la disamina.
Ad ogni modo, per esser brevi, dirò : 1° che io mi sono servito di pus blenorragico
di paziente allo stato acuto (2-3 giorni dopo la comparsa dello scolo) e senza ancora l’in-
tervento di alcuna cura nè locale nè generale ; nonché di pus blenorragico cronico a di-
verso periodo (25-35 giorni) con cure intercorrenti ; 2° che la quantità del materiale di-
steso sui tessuti era ora piuttosto abbondante in modo da formare uno strato denso e
spesso, ora piuttosto scarsa in modo da fare uno strato tenue e sottile ; 3° che la natura
del tessuto fu varia, cioè lana, cotone, tela, seta, cotone idrofilo , abiti ; 4° che i’ essicca-
mento delle macchie sui tessuti ora avveniva lentamente in recipienti coperti e a tempe-
ratura della stanza (18° 20° in media), ora veniva fatto rapidamente all’aria libera, a tem-
peratura un po’ variabile a seconda le stagioni (22°-28°) e a luce diffusa, lasciando cioè
nell’ un caso e nell’ altro i tessuti imbrattati all’ ambiente della camera.
Ciò premesso, è bene accennare qui brevemente alle modalità dell’ esperimento.
11 pus blenorragico si lasciava direttamente sulle stesse pezzuoline di differente tessuto,
che i pazienti adoperavano per coprire il ghiande, e queste pezzuoline erano piccole striscie
di cotone, di lino, di seta, di lana, cotone idrofilo; oppure il pus si raccoglieva entro vetrini
da orologio e con le goccie disponibili si imbrattavano i tessuti sopradetti, o altri tessuti
appositamente preparati. 1 suddetti pezzi di tessuto così imbrattati ed imbibiti si mettevano
ad essiccare nel modo anzidetto.
Quando, dopo un periodo determinato di tempo, si voleva passare all’ esame micro-
scopico dei tessuti, si tagliavano frammentini di tessuto, o si distaccavano con la lama di
un bisturi piccole crosticine del materiale rappreso; gli uni e le altre venivano raccolti entro
vetrini da orologio, nei quali si metteva qualche goccia d’ acqua distillata o di soluzione
fisiologica tiepida, per rammollire il materiale. La stessa operazione si faceva sovra vetrini
portaoggetti con gocce d’acqua sterile e tenuti a temperatura di 30° — 35°.
In ogni caso il materiale opportunamente disteso e convenientemente preparato, si sot-
4
Prof. Emilio Di Matlei
[Memoria Vili.]
toponeva alle colorazioni specifiche (bleu di metilene di Loeffler — metodo di Grani — me-
todo di Nicolle — violetto di genziana carbolica — cristal violetto carbolico, ecc.).
1 risultati vengono riassunti nelle seguenti tabelle:
Tabella A.
Pus di blenorragia acuta (3 giorni) — senza cura — Al microscopio, reperto ca-
ratteristico — Macchie con strato denso, spesso — Essiccamento rapido e
lento all' aria e in recipienti coperti.
TESSUTO RISULTATI DOPO MESI
IMBRATTATO
2
A
6
e
IO
12
14
16
le
20
24
Lino ....
4-
4-
—
_r
— U
_ f-
—
Cotone .
4
4-
4-
H-
4
4-
4-
4
—
—
—
Seta ....
i
” r
+
4
4
i
—
—
—
—
—
Lana.
+
-1-
4-
i
4
i
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4
4
4~
4
—
Cotone idrofilo.
4-
4
4-
4
-1-
i
4
4
_L
1
4
,
-t“
4
Abito estivo
(tela cruda). .
1
4-
+
4
4
4
-J_
—
—
—
—
Abito invernale
(lana spessa) .
-f
4-
4
~r
4
_L_
i
4
4
“4
—
Tabella B.
Pus di blenorragia cronica (25-35 giorni) con cura intercorrente — Al microscopio
ancora ben visibili, ma poco numerose , le cellule di pus e le epiteliali con
gonococchi — Macchie con strato spesso — Essiccamento come sopra.
TESSUTO
RISULTATI
DOPO GIORNI
IMBRATTATO
15
30
60
90
120
150
leo
Lino ....
4-
4
4-
—
—
—
Cotone .
4
4
4
4
—
—
—
Seta ....
4-
4
' —
—
Lana.
4
4
4-
4
—l—
—
—
Cotone idrofilo.
4
4-
4
4
4-
4
—
Abito estivo
(tela cruda).
4-
_i_
i
4
4
—
—
Abito invernale
(lana spessa) .
4
4“
4
4”
+
—
Non aggiungo altre tabelle estensive per riferire i risultati ottenuti nei casi in cui i
tessuti diversi s’ imbrattavano con macchie a strato sottile, sia distendendo la goccia del
Influenza dell' essiccamento e della luce solare sulla resistenza , ecc.
5
pus blenorragie© con lama di coltello, sia strofinando leggermente la goccia sulla striscia
della pezzuola. In ambo i casi, sia che si fosse trattato di scolo acuto o di scolo cronico,
ad essiccamento lento o rapido, i risultati differiscono notevolmente da quelli accennati
nelle tabelle, e si possono brevemente compendiare nei seguenti termini :
Condizioni del materiale blenorragie© e d’ esperimento come per la Tab. A.
Macchie a sfrato sottile.
Lino
ó
mesi
massimo
Cotone
6
id.
id.
Seta
o
id.
id.
Lana. .....
8
id.
id.
Cotone idrofilo .
id.
8
id.
id.
Abito estivo . . .
. . . . id.
4
id.
id.
Abito invernale .
.... id.
6
id.
id.
Condizioni, del materiale blenorragie© e d’esperimento come per la Tab. B.
Macchie a strato sottile.
Lino positivo 30 giorni massimo
Cotone id. 30 id. id.
Seta id. 20 id id.
Lana id. 40 id. id.
Cotone idrofilo id. 40 id. id.
Abito estivo id. 30 id. id.
Abito invernale id. 35 id. id-
I risultati di queste ricerche, che non sembrano fra loro abbastanza concordi , ripor-
tati alle condizioni uguali di esperimento devono considerarsi come uniformi. Ed invero
pare che una prima condizione fondamentale sia se nelle operazioni microscopiche si ha
da fare con pus di blenorragia acuta, dove, come è noto , i leucociti si trovano zeppi di
gonococchi, in modo da simulare vere culture pure, e più specialmente quando non si è
cominciata la cura specifica. Una seconda condizione da tenersi presente è quando il
materiale che ha imbrattato il tessuto è in notevole quantità ; non portando la modalità
dell’ essiccamento una sensibile differenza. In queste condizioni la ricerca del gonococco
nelle macchie è sempre positiva con i caratteri propri a questo microrganismo anche nei
suoi rapporti coi leucociti. Quanto più a lungo però va la ricerca, tanto più si trovano
aggrinzati, alterati, frammentati i leucociti, ma sempre persistente e riconoscibile alla co-
lorazione è la presenza del gonococco. Se all’incontro, pur mantenendosi tali condizioni,
lo strato del materiale che imbratta il tessuto è sottile , le alterazioni dei leucociti si ren-
dono più manifeste e avvengono più rapide : le forme del gonococco, già da per sè meno
numerose, per la quantità del materiale disteso, vanno facendosi più rare e meno resi-
6
Prof. Emilio Di Maltei
[Memoria Vili. J
stenti, molto probabilmente per l’azione distruttiva più diretta a cui sono sottoposti per
effetto dell’ essiccamento stesso e degli agenti esterni.
I risultati si possono meglio rilevare dal confronto di essi nella seguente tabella :
Si è ottennio risultato positivo col materiale blenorragico acuto
deposto sui tessuti.
in strato sottile
in strato denso
Lino
fino
a 6
mesi
Cotone ....
77
6
77
Seta ....
»
9
Li
77
Lana ....
77
8
77
Cotone idrofilo .
77
8
77
Abito estivo .
77
4
77
Abito invernale .
77
6
77
(ino a 16 mesi
77
77
'7
77
77
16
77
12
20
24
14
18
77
»
77
77
77
A corrispondenti risultati si è venuti con la serie di ricerche condotte con pus di
blenorragia cronica interrotta da cure , e a seconda della quantità del materiale caduto o
disteso artificialmente sui tessuti.
Di massima, come preliminare, si nota il risultato costante che le macchie di pus
blenorragico acuto danno un reperto positivo che dura molto più a lungo di quello delle
macchie con pus blenorragico cronico, e specie se il paziente sia stato sottoposto a cura
e se questa per giunta sia stata più o meno persistente. In tal caso, fin da principio si
nota che le forme gonococciche , per quanto evidenti e ancora caratteristiche , sono rela-
tivamente scarse.
E se a questo si aggiunge l’ altro fatto della maggiore o minore quantità del mate-
riale disteso sul tessuto, si rileva che il risultato positivo in rapporto al tempo si è man-
tenuto subordinato alla quantità stessa.
Riassumiamo, per maggiore evidenza e per maggiore brevità, i risultati di questa se-
conda serie di ricerche:
Si è ottenuto risultato positivo col materiale blenorragico cronico
deposto sui tessuti
in
strato
sottile
in strato
denso
Lino
fino
a 30
giorni
fino a 90
giorn
Cotone
77
30
77
90
77
Seta
77
20
77
60
77
Lana
77
40
77
„ 120
77
Cotone idrofilo
77
40
77
150
77
Abito estivo
77
30
77
„ 1 20
77
Abito invernale
77
35
77
„ 150
»
Non è inutile riassumere in unica tabella i risultati delle presenti ricerche, per rilevare
Influenza dell’ essiccamento e della luce solare sulla resistenza , ecc.
7
comparativamente il loro rapporto nelle condizioni diverse di esperimento:
TESSUTI
PUS
BLENORRAGICO
ACUTO
PUS BLENORRAGICO CRONICO
Macchie sottili
Macchie dense
Macchie
sottili
Macchie dense
Lino ....
6
mesi
ió
mesi
30 giorni
90
giorni
Cotone .
6
»
1 6
»
30
»
90
»
Seta ....
2
»
I 2
»
20
»
ÓO
»
Lana ....
s
»
20
»
40
»
120
»
Cotone idrofilo.
8
»
24
»
40
»
150
»
Abito estivo
4
»
14
»
3°
»
120
»
Abito invernale
6
»
1 8
»
35
»
150
»
Si deve intanto rilevare un fatto che si ritiene importante, relativo alla natura del
tessuto imbrattato.
Costantemente si è notato che le macchie di pus blenorragico acuto o cronico, nei
tessuti di lino e cotone, si comportano nella ricerca e in ragione al tempo quasi ana-
logamente. La seta, all’ incontro, se macchiata di pus blenorragico acuto o cronico, dà un
reperto positivo molto più breve, in ragione di tempo, che i primi due tessuti. E a sua
volta la lana ed il cotone idrofilo imbrattati danno un reperto che è il più lungo di tutti
i tessuti studiati.
Naturalmente s’impone la ricerca della ragione della diversità dei risultati nei vari
tessuti. E , fra le varie ipotesi, non del tutto priva di considerazione deve essere quella
che la lana ed il cotone idrofilo s’ impregnino facilmente e profondamente in tutte le loro
fibre in modo che la quantità di materiale di fronte agli altri tessuti non solo è di gran
lunga maggiore, ma altresì resta più lungamente conservata, sia per il potere igroscopico
di questi tessuti, sia per quella specie di atmosfera umida che rimane nello spessore del
tessuto, e che viene protetta dalle fibre della superficie.
Per analogia si può dire che, la brevità di tempo del reperto positivo nelle macchie
sulla seta, ha per ragione la condizione fìsica, non escluso il minor potere igroscopico,
opposta a quella che si verifica nella lana; ed infine che i tessuti di lino e di cotone sia-
no, per le condizioni fisiche accennate, l’anello intermedio fra la seta e la lana.
Un’ ultima osservazione abbiamo fatto circa le modalità dell’ essiccamento. Per quanto
risultati sostanzialmente differenti non vi siano, pure ci è stato lecito rilevare che le mac-
chie ad essiccamento rapido qualche volta hanno fatto notare la persistenza della forma dei
gonococchi più lungamente di quelle nelle quali 1’ essiccamento è stato lento e graduale.
Anche qualche influenza vi debbono avere gli agenti atmosferici , in ispecie nei rapporti
col vapore acqueo dell’ atmosfera, col potere d’ igroscopicità, umidità dei locali, ecc. ; ma
sull’azione di questi non abbiamo potuto fare che poche esperienze, non confacendosi, per
molti riguardi, la natura delle ricerche a un simile studio.
II. Luce solare.
Fra i fattori fisici principali, non può andar trascurata l’azione della luce solare sulla
resistenza delle forme gonococciche nelle macchie dei tessuti ; anche perchè nella pra-
8
Prof. Emilio Di Maltei
| Memoria Vili .J
tica è facile di aver da fare con biancherie macchiate esposte al sole a luce diretta.
Invero ben nota è 1’ azione nociva di questo agente sui diversi microrganismi pato-
geni, e anche su quelli ritenuti i più virulenti. Nò io posso qui citare tutte le numerosis-
sime ricerche che dai molti studiosi sono state condotte sui moltissimi microrganismi pa-
togeni, come quello della tubercolosi, della difterite, del carbonchio, del tetano, del tifo, ecc.
e anche su altri non patogeni.
Quello che devo invece far rilevare si è che sull’ argomento mancano studi sistematici
circa la resistenza morfologica del gonococco.
Non saprei la ragione per cui questo microrganismo patogeno sia stato trascurato; forse,
essendosi dato peso al fatto accertato e comune che il gonococco è un germe per viru-
lenza poco resistente all’ aria, si è creduto che non vi fosse stata necessità d’ indagare
ulteriormente. Non devono poi andare escluse tutte le difficoltà che parecchi autori hanno
posto avanti anche nelle ricerche più comuni della pratica, in rapporto alla identità del
germe in parola. Non era quindi del tutto inutile condurre una serie di esperimenti in pro-
posito, per conoscerne i risultati e per giudicare eventualmente quali applicazioni si potes-
sero desumere per la casuistica della nostra specialità.
Dico subito che ci servimmo al solito di materiale blenorragico acuto e cronico come
negli esperimenti precedenti, e che si imbrattarono i vari tessuti ora con macchie dense,
ora con macchie sottili.
Disteso il materiale sui tessuti, questi venivano esposti alla luce diretta del sole, per
differenti periodi di tempo, dopo i quali, con la solita tecnica, si procedeva all’ esame mi-
croscopico.
Riassumo brevemente nelle tabelle seguenti i risultati ottenuti dai tessuti imbrattati
con macchie a strato spesso di pus blenorragico acuto e cronico.
Tabella C.
Pus blenorragico acuto — Macchie a grosso strato
TESSUTI IMBRATTATI
DURATA DI ESPOSIZIONE DELLE MACCHIE ALLA LUCE SOLARE
30'
60'
2h
4h
6h
I2h
I8h
24h
Lino
4-
+
4-
+
4-
-4
—
Cotone
4-
4_
,
4-
4-
—
Seta
-4
4-
4-
4-
4-
—
Lana
+
-4
“T"
-U
-4
-4
Cotone idrofilo ....
4-
1
~r
+
-4
4-
Abito estivo
-4
4-
4-
4-
4-
-4
—
—
Abito invernale ....
-1-
••4
4-
-1-
—
Influenza dell essiccamento e della luce solare sulla resistenza , ecc.
9
Tabella D.
Pus blenorragico cronico — Macchie a grosso strato.
TESSUTI IMBRATTATI
DURATfl DI ESPOSIZIONE DELLE MACCHIE ALLA LUCE SOLARE
30'
60'
2h
4h
6h
I2h
I8h
24h
Lino
4-
4-
4-
—
—
—
—
Cotone
+
4-
4-
—
—
—
—
Seta
-f-
4-
+
+
—
—
—
—
Lana
+
4-
+
+
4-
4-
—
—
Cotone idrofilo ....
+
4-
+
4-
4-
4-
—
Abito estivo
4-
4-
+
4-
4-
—
—
—
Abito invernale ....
— L
-f-
4-
4-
1
+
—
.
I risultati conseguiti dai tessuti con macchie a strato sottile , per brevità , possono
essere sinteticamente così compendiati :
Condizioni del materiale blenor. e d’esper. come per la Tab. C.
Macchie a strato sottile.
Lino positivo 2 ore massimo
Cotone id. 2 „ id.
Seta id. 60 minuti id.
Lana. id. 4 ore id.
Cotone idrofilo ... id. 4 „ id.
Abito estivo id . 2 „ id.
Abito invernale id. 2 „ id.
Condizioni del materiale blenor. e d’esper. come per la Tab. D.
Macchie a strato sottile.
Lino
positivo 60 minuti
massimo
Cotone
id.
60 „
id.
Seta
id.
0
0
id.
Lana
id.
2 ore
id.
Cotone idrofilo . .
id.
2
— ' V)
id.
Abito estivo ....
id.
60 minuti
id.
Abito invernale . . .
id.
2 ore
id.
Come vedesi, anche i risultati di questa seconda serie di esperimenti sull’azione della
luce solare, per quanto sembrino fra loro piuttosto discordi, tuttavia, riportati alle condi-
zioni uguali di esperimento, lasciano facilmente rilevare una certa uniformità.
Così, appariscono condizioni importanti per 1’ esito positivo della ricerca, lo stadio
acuto della blenorragia e la maggiore spessezza dello strato di materiale che forma le
macchie, nonché la minore durata di esposizione alla luce solare.
ATTI ACC. SERIE 5», VOL. IX — Meni. Vili.
2
10
Prof. Emilio Di Mattei
[Memoria Vili.]
In tali condizioni, la ricerca del gonococco riesce sempre positiva, sia nei riguardi
dei caratteri di questo microrganismo, sia nei rapporti di esso coi leucociti o colle cellule
epiteliali.
Quanto più lunga è la durata di esposizione delle macchie alla luce solare, tanto più
le alterazioni dei leucociti e delle altre cellule sono notevoli, mentre la presenza del gono-
cocco appare meno evidente e meno riconoscibile alla colorazione.
Se invece lo strato del materiale è sottile, le alterazioni dei leucociti e degli epiteli si
rendono più rapidamente evidenti e le forme dei gonococchi si fanno più presto rare e
meno resistenti, senza dubbio per 1’ azione più immediata della luce solare.
Così, analogamente a quanto si potè osservare per 1’ azione dell' essiccamento, abbia-
mo che, ad uguale condizione e natura di tessuto, il risultato positivo si può accompa-
gnare per un tempo più lungo, là dove è più cospicuo lo strato di materiale imbrattante.
E ciò può servire a giustificare i suaccennati risultati, apparentemente discordi, che, rias-
sumiamo nel seguente specchietto, perchè ne riesca più facile il confronto:
Si è ottenuto risultato positivo col materiale blenorragico acuto
de posto sui tessuti
in strato
sottile
in strato
dengo
Lino. . • •
. . . fino a 2
ore
fino a 12
ore
Cotone . . .
• • • „ 2
fi
„ 12
fi
Seta.
• • • » 60
minuti
» 6
fi
Lana
„ 4
ore
18
>1
Cotone idrof.
• • • » 4
ff
„ 18
»
Abito estivo .
9
• * • j)
ff
„ 12
»
Abito inv.
0
• • • » — 1
ff
„ 12
f)
Risultati analoghi si sono avuti con le ricerche sulle macchie di pus di blenorragia
cronica interrotta da cure, a seconda della maggiore o minore spessezza dello strato di
materiale imbrattante i tessuti.
Come principio di massima, queste macchie dànno un risultato positivo di minor
durata che quelle di pus blenorragico acuto, e ben presto lasciano intravedere una certa
scarsezza delle forme gonococciche.
D’altra parte, il risultato positivo in rapporto al tempo di esposizione alla luce solare, si è
mostrato subordinato alla maggiore o minore quantità del materiale disteso sul tessuto, così
come può rilevarsi dal riassunto dei risultati, che facciamo sinteticamente qui appresso :
Si è ottenuto risultato positivo con materiale blenorragico cronico
de posto
sui tessuti.
in strato sottile
in strato
denso
Lino ....
60 minuti
fino a 4
ore
Cotone . . .
* »
60 „
4
Seta ....
60 „
4
fi
Lana.
. . . „
2 ore
„ 12
ff
Cotone idrof.
* • * ff
9
ff
n 18
»»
Abito est. .
• # • fi
60 minuti
„ 6
fi
Abito inv.
• • • »»
2 ore
„ 12
fi
Influenza dell’ essiccamento e della luce solare sulla resistenza , ecc.
1 I
Nella tabella che segue, per una più sollecita e più evidente comparazione, vengono
riassunti i vari risultati di tutte le ricerche sull’ azione della luce solare :
TESSUTI
PUS
BLENORRAGICO ACUTO
PUS BLENORRAGICO CRONICO
Macchie sottili
Macchie dense
Macchie sottili
Macchie dense
Lino
2
ore
i2 ore
6o minuti
4
ore
Cotone
2
»
12 »
6o »
4
»
Seta
6o
minuti
6 »
6o »
4
»
Lana
4
ore
1 8 »
2 ore
1 2
»
Cotone idrofilo .
4
»
1 8 »
2 »
1 8
»
Abito estivo .
2
»
12 »
6o minuti
6
»
Abito invernale .
2
»
12 »
2 ore
I 2
»
Anche in questa serie di ricerche, relativamente alla natura del tessuto imbrattato, si
è costantemente notato il fatto di un comportamento quasi analogo delle macchie di pus
blenorragico acuto o cronico sui tessuti di lino e di cotone, in rapporto alla durata di e-
sposizione alla luce solare. In ragione di tale durata, la seta offre un reperto positivo più
breve che i tessuti predetti ; mentre la lana ed il cotone idrofilo presentano il più lungo
reperto fra tutti i tessuti sottoposti alla ricerca, sieno essi macchiati di pus blenorragico
acuto, o di pus blenorragico cronico.
Crediamo che la ragione di questo fatto possa anche, in gran parte, essere spiegata
con le stesse ipotesi fatte più sopra a riguardo dell’ azione dell’ essiccamento.
Nel caso della luce solare, poi, ben si intende che 1’ azione di essa debba mostrarsi
manifestamente più intensiva e deleteria, sia per il rapido essiccamento determinato dalle
condizioni termiche, sia per la notevole influenza esercitata da tutte le parti dello spettro,
compresi i raggi rossi e le parti non visibili dello spettro stesso, che, come si sa, hanno
la proprietà di manifestare delle azioni battericide.
Mi sembra, frattanto, che, nel loro complesso, i risultati delle presenti ricerche siste-
matiche, e particolarmente di quelle indirizzate allo studio dell’ influenza dell’ essiccamento
sulla resistenza morfologica del gonococco, oltre che ad assodare alcuni fatti importanti
dal punto di vista della pratica medico-legale, riescano in certo qual modo a chiarire, se
non a comporre, il dissidio e le divergenze degli autori intorno all’ argomento, e su cui
ho richiamato 1’ attenzione in principio di questa nota.
È lecito supporre, infatti, che la discordanza esistente nei risultati dei predetti autori,
debba essere principalmente ricercata, sia pure subordinatamente al fattore tempo, nella
disparità delle condizioni di ricerca (stadio acuto o cronico della blenorragia, influenza o
meno di mezzi curativi, maggiore o minore spessezza dello strato di pus nelle macchie,
differente natura dei tessuti macchiati) in cui eventualmente si sono trovati gli autori stessi
nei casi accidentali che hanno richiesto il loro esame.
I risultati delle presenti esperienze, che non hanno precedenti bibliografici di vere
12
Prof. Emilio Di Maltei
[Memoria Vili.]
osservazioni sistematicamente condotte, riescono poi abbastanza evidenti per formulare al-
cune conclusioni di un certo interesse per le pratiche applicazioni alla medicina forense.
E dai dati raccolti e riassunti nelle tabelle si desumono precisamente i seguenti fatti con-
clusivi :
1. L’Influenza dell 'essiccamento e della luce solare sulla resistenza morfologica
del gonococco è in rapporto col periodo di durata dello scolo blenorragico, con la quan-
tità del pus formante lo strato della macchia, con la natura del tessuto macchiato, non
esercitando grande influenza 1’ ambiente in cui ha luogo 1’ essiccamento.
2. L’ essiccamento e la luce solare esercitano una minore influenza deleteria nei
casi di macchie spesse di pus di blenorragia acuta su tessuti di lana e su cotone idrofilo,
che non nei casi opposti.
3. Nelle predette condizioni, mostrasi anche notevole la resistenza del gonococco in
macchie su tessuti di lino e di cotone.
4. Nei casi di macchie a strato sottile, il gonococco offre all’ azione dei fattori stu-
diati una molto minore resistenza ; la quale mostrasi tuttavia sempre in rapporto con la
natura dei tessuti macchiati.
5. E notevolmente più nocevole 1’ azione dell’ essiccamento e della luce solare, nei
casi di macchie di pus di blenorragia cronica, anche quando lo strato del materiale for-
mante le macchie sia spesso.
6. Infine, di gran lunga ancora più nociva si dimostra 1’ influenza dei fattori studiati,
quando trattisi di macchie di pus blenorragico cronico a strato sottile.
Memoria IX.
/<
Delle varietà algebriche con infinite V2.
Nota di GIUSEPPE MARLETTA
In questa Nota , mediante la rappresentazione delle iperquadriche Vf._ j dell’ Sr nei
punti dell’ Sy , ove è v = , si assegnano alcune proprietà delle varietà algebriche
ad r dimensioni, dotate di oo1 Vl_x .
I risultati ottenuti vengono applicati alle varietà algebriche ad r -(- 1 dimensioni, do-
tate di oc'2 Vr-i , e ciò con un procedimento che assai facilmente si potrebbe estendere
al caso generale delle varietà algebriche ad r -j- / — l dimensioni, dotate di oc' F,l_i .
§ 1.
1. Sia I1 una varietà algebrica irriducibile ad r dimensioni, immersa nell' Su , d’or-
dine »)4 e dotata di infinite Vf._i generalmente non specializzate; queste, quindi (x) ,
costituiranno un fascio (/e).
Indicheremo con 12 la varietà , ad r -j- l dimensioni , costituita dagli spazi S,. delle
varietà k ; con jj. l’ordine di e con 5 il numero delle k esistenti in uno generico degli
Sr generatori di N (2).
2. Proiettando genericamente il fascio (k) da un S/l_r_1 in un S,. = Q , si ottiene un
sistema ili) di oo1 iperquadriche (generalmente non specializzate) di Q, d’indice n , per il
quale sistema è elemento 5 -pio ognuno dei jx S,,_! (doppi) tracce in Q dei [i spazi S,. ,
generatori di 12 incidenti 1’ centro di proiezione. Anzi se D è un punto generico
di uno A di questi |i spazi Sr_! , delle n iperquadriche li passanti per D, 2 s (e non più)
coincidono con lo spazio (doppio) A stesso.
Si noti , inoltre , che per la genericità della fatta proiezione , il sistema (li) non ha
alcun elemento (multiplo) proiezione di più varietà k non giacenti in uno stesso Sr. Ne
(fi È noto essere un fascio ogni sistema (necessariamente) co1 irriducibile di coniche (generalmente irri-
ducibili) esistente sopra una superficie algebrica d’ordine h> 4 .
G. CASTELNUOVO e F. ENRIQUES, Sopra alcune questioni fondamentali nella teoria delle superficie
algebriche [Annali di Matematica, serie III, voi. VI (1901), pp. 165-225], n. 17; e
M. DE FRANCHIS, Le superficie irrazionali di j° ordine con infinite coniche [Rendiconti della R. Ac-
cademia dei Lincei, serie V, voi. XV, 20 semestre 1906, pp. 284-286] n. 1.
Ora si noti che le V'zr-\ di Y non sono co1 con / J> 1 , giacché altrimenti, come facilmente si dimostra,
un Sh,-r E2 generico dovrebbe secare T in una superfìcie costituita da quadriche , ciò che è assurdo. È poi
evidente che (h) è un fascio.
(2) Per h=r+ 1 2 coincide con P Su , ambiente, contato u. volte, cioè S è l’inviluppo, di classe co-
stituito dagli spazi Sr delle V2,—\ del fascio (k).
ATTI ACC. SERIE 5a, VOL. IX — Metti. IX. x
V
[Memoria IX.]
Nota di Giuseppe Marletta
segue che se ( k ') ha, oltre dei jx Sr (doppi) elementi s-pli sopradetti, qualche iperquadrica
u- pia, questa è proiezione di una varietà //-pia per il fascio ( k ).
3. Si stabilisca ora un’ omografia tra le iperquadriche di Q e i punti di uno spazio
Q ' V (?' “f" 3)
o , ove e v z= il .
v 2
Alle iperquadriche di Q ognuna costituita da un S,._! doppio, corrispondono (3) i punti
di una varietà ad /'dimensioni, d’ordine 2r ; essa è r-pla per l’ ipersuperficie $ (di Sv),
d’ ordine r - 1— 1 , luogo dei punti omologhi degli S0-coni quadrici di Ih
Al sistema (//), del n.° 2, corrisponde quindi una curva c d’ordine n, la quale potrà
opportunamente essere chiamata la curva caratteristica del fascio ( k ).
4. Tutti gl’ iperpiani dell’ Sv corrispondenti ai sistemi (lineari) ognuno costituito dalle
iperquadriche di Q passanti per un punto di A (n.° 2), secano c in 11 punti 2s dei quali
devono coincidere col punto B, di <{>, corrispondente di A (contato due volte).
Ma tutti questi iperpiani hanno in comune lo spazio S,. tangente <\> nel punto B ,
quindi concludiamo che la curva c ha in il punto s-plo B , ed 5 punti (distinti o no)
infinitamente vicini a B.
Si osservi, inoltre, che siccome l’elemento generico di (li) non è (n.° 2) un S0-cono,
la curva c non appartiene all’ ipersuperfìcie O (n.° 3).
Si ha dunque
H . r . 2s < (/' + 1) n + 1 ,
cioè
tra i numeri jj-, s ed n esiste la diseguagliansa (4)
(1)
<
(r - f- I ) n -j- I
2 rs
o, ciò che è lo stesso, 1’ altra
(2)
5 <
G + 1 ) «
lr\y
5. Il limite superiore di |x dato dalla (1) si abbassa se è 0, ove S' indica il nu-
mero degli spazi S,._! (distinti o no) doppi almeno per la varietà T, e tali che ognuno
di essi, contato due volte, sia un elemento del fascio (k).
Infatti ai 6' iperpiani (doppi) di £2 proiezioni (n.° 2) dei 5' S,._t di T detti or ora,
(3) C. SEGRE, Gli ordini delle varietà che annullano i determinanti dei diversi gradi estratti da una
data matrice [Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, serie 5a, voi. IX (20 semestre 1900), pp. 253-260],
n. 4 e
G. SCORZA, Le varietà di Veronese e le forme quadratiche definite [Rendiconti della R. Accademia
delle Scienze Fisiche e Matematiche di Napoli, fase. xi° e 12° (1915)].
(4) Per r — 2 cfr. la mia Nota Delle superficie algebriche con infinite coniche [Rendiconti del Circolo
Matematico di Palermo, tomo XL (1915), pp. 103-109], n. 6.
Delle varietà algebriche con infinite V 2
3
corrispondono (n.° 3) ò' punti di <\> nei quali questa varietà tocca la curva caratteristica c
del fascio (k).
Si ha dunque
p . r . 2s -)- 8'. r . 2 (r 1 ) n -f- 1 ,
e quindi (5)
1 jj. < — •
6. Le varietà k che abbiano per proiezioni (n.° 2) in Q S,._i doppi, sono evidente-
mente soltanto le jj.s i cui Sr, nei quali sono immerse , sono incidenti 1’ centro
(n.° 2) di proiezione, e le 5' delle quali si parla nel n.° precedente. Ne segue che se dagli
(r-\-\)n punti comuni alla curva c e all’ipersuperfìcie <]?, si tolgono quelli appartenenti
alla varietà <{>, rimangono
(r -f- l) n — jj. . r . 2s — 5'. r . 2
punti ai quali corrispondono S0-coni (fi) di (k') non degenerati in Sr_, doppi.
Dunque
il fascio ( k ) possiede (r - f- 1) n — 2 jirs — 2rò' S0-coni.
Per r — 2 questo teorema era noto (7).
Per h = 4, r — 3, jj. = 1, 5 — 1 e Ò'= 0, T è un’ipersuperfìcie dell’S4 , d’ordine n
con un piano (n — 2)-plo ; il numero dei suoi coni quadrici è dunque \n — 6, si ritrova,
cioè, un teorema noto (s).
7. Supponiamo, in particolare, che 1’ (n.° 2) centro di proiezione, anzi che es-
sere generico, nell’ Sh ambiente, passi per un punto doppio per F e vertice di un S0-cono
del fascio (k).
Ragionando come nei n.i precedenti , si trova che il numero dei rimanenti S0- coni
di (k) è
(r-f-1) (w — 2) — 2 (jj. — 1);*5 — 2 r(s — 1) — 2rh'=[(r-\-\)n— 2| irs-- 2r8'j — 2 .
Concludiamo dunque che ogni S0-cono di (k) il cui vertice sia punto doppio per T,
conta per due fra gli S0-coni di (k).
Per r — 2 questo risultato era noto (y).
Anche per r — 3, e h = 4, jì = 5 == 1 e V— 0 questo teorema era noto (10) .
(5) Per r — 2 cfr. 1. c. in (4), n. 8.
(G) Fra questi 50-coni intendo inclusa , e contata (generalmente) / volte , ogni varietà k specializzata
l volte, ove è / < r. Ciò d’accordo col fatto che alle iperquadriche di Sr , specializzate I volte , corrispon-
dono punti /-pii per l’ ipersuperficie (ln Cfr. SCORZA 1. c. in (:ì), n. i.
(7) Cfr. I. c. in (4), n. 19.
(8) Cfr. il mio lavoro Sulle varietà del quarto ordine con piano doppio dello spazio a quattro dimen-
sioni [Giornale di Matematiche, voi. XLI, (1903)], n. 7 bis.
(9) Cfr. 1. c. in (4), n. 20.
(10) Cfr. I. c. in (8), n.‘ 27 e 27 bis.
4
[Memoria IX. ]
Nota di Giuseppe Mariella
8. Sia F una varietà algebrica irriducibile ad r-\-l — 1 dimensioni, immersa nell’S/t ,
e dotata di un sistema (li) oc/ di generalmente non specializzate.
Dati alcuni numeri caratteristici di Y e ( /c) , si considerino tutte le varietà di que-
sto sistema incidenti un dato ; esse generano una varietà 7 , ad r dimensioni ,
dotata di 00 1 V*- 1 .
Applicando a 7 i risultati ottenuti nel § precedente , si trova qualche relazione fra i
detti numeri caratteristici, e, inoltre, l'ordine della varietà, ad r -\- 1 — 4 dimensioni, ge-
nerata dagli oc'-1 S0-coni del sistema ( k ).
Nei n.i seguenti svilupperemo, come esempio, nell’ ipotesi di / — 2 quanto ora ab-
biamo soltanto accennato.
9. Sia, dunque, T una varietà algebrica irriducibile ad r -j- 1 dimensioni, immersa
nell’S/,, e dotata di un sistema co2 (k) di V]._x generalmente non specializzate.
Indicheremo con in il numero di queste incidenti un generico (u); con n il
numero delle k ognuna delle quali incontra in punti distinti due generici Sh_r aventi un
comune. Indichi inoltre |a il numero delle varietà di ( k ) ognuna delle quali ha due
punti in un S/t_,. generico.
Tutte le 00 1 varietà di ( li ) incidenti un dato S'u_r , generano una varietà 7, ad r di-
mensioni, d’ordine in n .
Gli spazi Sr di queste varietà generano, poi, una varietà N, ad -j- 1 dimensioni,
d’ordine '2\i-\-m. Infatti le li i cui spazi S,. incontrano un dato , generano una
varietà, ad r dimensioni, con oc1 , passante per gii ni punti (distinti o no) tracce
di li in S' 1 , e tale che un S/,_,. condotto genericamente per questo l’ incontra ulterior-
mente in 2jJ. punti. Ne segue che esistono 2jj. -j- ni varietà k ognuna incidente S'h_r , e
il cui spazio S,. incontra ; cioè N è d’ordine 2 jx-j-m.
10. Ed ora si applichi a 7 (n.° 9) il teorema del n.° 6, supponendo che il sistema (li)
abbia sue varietà ognuna costituita da un S,._! doppio , le quali generino una varietà ad
r dimensioni d’ordine 5' 2> 0.
Si conclude che
il sistema ili) possiede ool S^-coni che generano una varietà , ad r dimensioni,
d’ordine
n (r 4- 1) — m {r — 1) — 4 \i.r — 2 ri'.
11. a) Per r — 2 e li — 3 si deduce che data nello spazio ordinario una congruenza
di coniche d’ ordine ni , tale che delle sue coniche ne esistano 11 incidenti in punti di-
stinti due date rette generiche complanari ; jj. aventi per corda una retta generica data ;
e dotata, inoltre, di una rigata d’ordine Ò' > 0 di rette doppie, allora le rimanenti oc1 co-
niche degeneri di essa congruenza generano una rigata d’ordine
3// — m — 8|J- 16',
(u) Per h — r -\- 1 m indica, dunque, quante sono le varietà del sistema (£) passanti per un punto ge-
nerico di Su , cioè indica l’ordine della congruenza ( k ).
Delle varietà algebriche con infinite V2
5
Per ni — 1 questo teorema era noto (i3).
b) Per r=l si ha 2 n 4|J. — 28' = 0 , da cui 8' = n — 2(jl ; si ottiene cioè il
noto ordine della curva unita (complessiva) di una corrispondenza esistente fra i punti di
una superficie algebrica.
12. Siccome (n.° IO) è
n (r -(- 1 .) — ni (r — 1) — 4| ir — 2r8' > 0 ,
sarà
I1- <
n (r -j- i) — vi (r — I) -j- I
4 r
Per es., ritornando alla congruenza (n.° 11, a) d’ordine ni, è sempre
P < 2
3 u — m I
o
2
e, quindi, in ogni caso
- 3 n — m i
I1 < 8
Catania, maggio 1916.
(12) D. MONTESANO, Su le congruenze lineari di coniche nello spazio [Rendiconti del R. Istituto Lom-
bardo di Scienze e Lettere, serie II, voi. XXVI, fase. XVI (1893)], n. 4.
Memoria X.
Istituto di Fisiologia sperimentale della R. Università di Catania
diretto dal prof. A. t'APPARELLI
Sulla emolisina splenica
Nota per il Prof. A. CAPPARELL1
Tra le funzioni attribuite alla milza, va notata quella emolitica, formulata dal Nolf e
confermata da altri autori, che, in un periodo recente — 1911 - 12 — , si pronunziarono net-
tamente per l’ esistenza di una auto-emolisina splenica ; cioè di un corpo avente azione
distruttiva sui corpuscoli rossi dello stesso animale e quelli di animali di specie affine :
(ed io ho trovato anche di specie differenti).
In un accurato lavoro del dottor Rocca villa , aiuto del chiarissimo prof. G. Zagari,
è riesaminata la tesi del potere emolitico comune, attribuito a tutti gli organi animali. La
mia attenzione è stata principalmente rivolta a quella parte del lavoro che si riferisce alla
funzione emolitica della milza ; e infatti il dott. Rocca villa, così nettamente si esprime.
“ Il potere emolitico posseduto dagli estratti di milza non merita punto di essere ele-
vato a dignità di indice positivo dell’esistenza di un elaborato splenico, dotato di proprietà
emolitiche. Tutto al più può venire considerato come lo esponente di una condizione bio-
chimica dei protoplasmi quantitativamente ma non qualitativamente , un po’ diversa
per la milza, in confronto che pei- gli altri visceri. „
Quantunque in questa recisa credenza, frutto di un lavoro metodico ed accurato, tra-
sparisca il dubbio che nella funzione emolitica della milza ci sia qualche cosa di differente
degli altri organi, se non altro per quantità ; tuttavia la funzione nettamente e fortemente
emolitica della milza viene messa in dubbio nella sua entità o per lo meno menomata.
Pur non tenendo conto di altri dati chimici, oramai aquisiti definitivamente ; contro
queste conclusioni si opponevano alcune osservazioni da me fatte incidentalmente per altri
argomenti, in animali inferiori ; le quali osservazioni mi avevano abituato all’ idea di una
funzione emolitica, netta , elevata, posseduta dalla milza e dal fegato ; dove, più che negli
altri organi, non solo è grandissima la distruzione delle emazie, ma anche notevole la spe-
ciale modificazione dei prodotti derivanti dall’emolisi: principalmente dell’emoglobina san-
guigna, le cui fasi cataboliche sono quasi esclusive di questi organi.
Ho voluto quindi rivedere alcune mie osservazioni e rifarle metodicamente per rag-
giungere lo scopo, cioè, se veramente esistesse nella milza una speciale funzione emolitica.
Per le mie esperienze mi son servito del “ triton cristatus „ , animale a sangue fred-
do, con organi resistenti a tutti i mezzi operatori ; mentre gli animali superiori omeotermi
credo non si prestino così bene e resistano come quelli, ai maltrattamenti necessari per le
ricerche, oltre che alle alterazioni per le osservazioni “ in vitro. .,
ATTI ACC. SERIE 5a. VOL. IX — Meni. X.. x
Prof. A. Capparelli
[Memoria X.j
Troppo facilmente i tessuti degli animali superiori, per la sottrazione della circolazione
sanguigna normale, per la immersione in liquidi più o meno eterogenei e per 1 abbassa-
mento della temperatura, perdono le proprietà ordinarie o presto si alterano ; per cui, trat-
tandosi di corpi attivi, in determinate condizioni, possono essi, ove tali condizioni vengano
mutate, non dare più risultati conformi alle loro reali funzioni.
Le mie esperienze si limitano quindi a controllare, con materiale non identico, quella
parte del lavoro del Roccavilla, che riguarda la controversia sulla esistenza o meno di
una auto-emolisina splenica o anche di una funzione emolitica degli elementi parenchima-
tosi della milza.
Esporrò brevemente le ricerche intraprese in vitro.
1° Ho voluto vedere prima se la milza del tritone esercitasse sulle emazie dell’ani-
male stesso azione emolitica.
Estratto il sangue per decapitazione dei tritoni, viene centrifugato e ripetutamente la- '
vato con soluzione fisiologica ; la quale, essendo ipertonica di fronte alle emazie del tri-
tone, offre maggior garenzia per 1’ esattezza dei resultati sperimentali, in quanto che non
dispone i globuli rossi a dissoluzione per ragioni chimico-fìsiche.
Lavate le emazie, vengono sospese in soluzione fisiologica ed addizionate poscia di
milze dello stesso animale, spappolate in un mortajo.
In queste operazioni si è avuta la massima cura d’ asportare la milza con istrumenti
differenti da quelli usati per incidere la cute, perchè, come ho dimostrato in un mio pre-
cedente lavoro (L), un veleno potentemente emolitico vien segregato dalla cute dei tritoni.
Praticata la miscela, questa è lasciata alla temperatura ordinaria dell’ ambiente —
11°. c.— : dopo 16 ore viene costatata emolisi completa.
2° Ho voluto vedere se il fenomeno si ripetesse anche con sangue eterogeneo,
ed ho trovato, seguendo una tecnica identica alla precedente, che l’emolisi avveniva ugual-
mente con emazie di bue deplasmizzate e lavate, con emazie di coniglio, di rana ecc.
3° Ho anche trovato che potere emolitico sui corpuscoli rossi di bue esercita, nelle
condizioni sperimentali identiche sopra cerniate, la milza di rana; ma in questo caso, l’e-
molisi è debole.
4° Volli inoltre vedere se 1’ antiemolisina del siero inibisse il potere emolitico della
milza, e perciò, invece di adoperare emazie di bue prive del siero e lavate, immersi gli
elementi splenici del tritone spappolati in mortajo e replicatamele lavati con soluzione
fisiologica, nel sangue totale di bue.
L’ emolisi avvenne ugualmente forte.
5° Volli in seguito usare la perfusione delle piccolissime milze tritoniche, facendovi
pervenire il siero fisiologico dai grandi vasi addominali: le milze poi, così trattate, veniva-
no spezzettate, triturate, lavate, filtrate ; ed il residuo, scolorato, raccolto sul filtro, veniva
mescolato con corpuscoli rossi di bue.
Dopo 16 ore 1’ emolisi era completa.
Questa esperienza reiteratamente intrapresa, dette sempre lo stesso risultato.
La poltiglia era fatta di 5, 6 milze tritoniche, e le emazie adoperate nella quantità di
circa 2 cc.
(i) Sul veleno del « tritoli cristatus. » Atti dell’ Accademia Gioenia Voi. V. Serie III.
Sulla emolisiua splenicu
3
Non ho intrapreso le medesime ricerche con la polpa epatica dello stesso animale; ma
lio potuto constatare che forte potere emolitico possiede la bile dello stesso animale.
6° Ho voluto quindi osservare se le sostanze emolitiche della milza sono termostabili
o no. Le milze furono al solito estratte, lavate, pestate e collocate in termostato a 56 c° ;
mescolate poscia a corpuscoli rossi di bue. Dopo 24 ore si ebbe emolisi quasi completa.
Le emolisine quindi resistono a questa temperatura elevata, in guisa da aversi la reazione
fisiologica.
7° Fu ripetuta la precedente esperienza riscaldando la milza a 65°. in tal caso non
si ebbe affatto emolisi. La temperatura di 65° distrugge il potere emolitico della milza.
83 Volli quindi vedere se il potere emolitico si ripristinasse, nel caso che fosse aggiunto
alle milze inattivate a 65°, . del siero fresco di cavia. Ebbene i risultati ottenuti con questa
esperienza sono stati negativi : cioè, le milze non riacquistano più le proprietà emolizzanti.
In questa serie di esperienze non tralasciai ancora di studiare le modificazioni subite
dalle mescolanze , nella loro concentrazione molecolare dopo la emolisi ; e ciò anche per
assodare meglio il valore delle reazioni biochimiche e fìsiche, che avvengono per il potere
funzionale degli elementi liquidi' ed istologici della milza : determinai prima il tempo igromi-
pisimetrico (t. i.) del sangue defìbrinato di bue, e trovai per un’altezza della colonna sangui-
gna cm. 1.5 t. i. minuti 2\1. Poscia, mescolati cm.:! 1 disangue ed 1 milligrammo di ve-
leno tritonico, determinato il t. i. prima dell’emolisi, trovai per un’altezza della colonna di
cm. 1.5. t. i. minuti 2', e dopo 16 ore dall’ emolisi completa, t. i. , sempre per la stessa
altezza, minuti L. 5, come risulta dal seguente quadro :
Altezza
Diametro
Valore
LIQUIDI DEL CAPILLARE
del liquido
della sezione
del tempo
nel capillare
nel capillare
igromipisimetrico
Sangue defìbrinato di bue ....
cm. 1.5
mm. 0. 9
2'. X
Miscela di sangue defìbrinato e veleno
tritonico, prima dell’ emolisi .
»
»
2'
Miscela di sangue defìbrinato e veleno
tritonico dopo 1’ emolisi ....
»
»
L-S
Considerando che come ho dimostrato (1) i corpuscoli rossi sospesi nei liquidi di
concentrazione molecolare normale per essi , si comportano come se fossero sostanze di-
sciolte ; e che perciò i risultati diventano perfettamente paragonabili in rapporto ai risultati
della determinazione del t. i. : si deduce quindi; che, mentre il t. i. del sangue defibri-
nato ed il t. i. di quello addizionato di veleno differiscono per una durata trascurabile ; il
sangue emolizzato invece è divenuto di una concentrazione molecolare superiore.
Il fatto che pare contradica a quanto sopra ho esposto in ordine al comportamento
del t. i. e quindi della concentrazione molecolare, mi pare che nettamente non possa in-
(i) I corpi solidi sospesi nei liquidi ed i fenomeni d’ igromipisia. Atti dell’ Accademia Gioenia Serie V —
voi. II.
4
Prof. A. Cappnrelli
'Memoria X. 1
tendersi con la modificata viscosità del liquido solamente, ma in seguito alla liberazione
del contenuto globulare e dalla sua dissoluzione nel siero sanguigno, come vedremo in
base ad esperimenti fra breve.
Stabilito cosi l’andamento dell’esperienza, determinai il t. i. del sangue defibrinato di
bue, filtrato alla carta ordinaria e perciò contenente i globuli rossi ; t. i. che fu minuti 3'
per altezza della colonna 1.5. Indi determinai il t. i. dello stesso sangue, dopo mescolato
con milze tritoniche, al solito lavate e pestate, e dopo già 16 ore dall’ avvenuta emolisi:
t. i. che fu minuti 2'. 3 per la medesima altezza 1. 5, come risulta dal seguente quadro:
LIQUIDI DEL CAPILLARE
Altezza
del liquido
Diametro
della sezione
Valore
del t. i.
Sangue defibrinato di bue filtrato .
cm. i. 5
mm. o. 9
5
Sangue defibrinato di bue filtrato e me-
scolato con milze tritoniche (Dopo
1’ emolisi)
»
»
2 . )
Da queste prove si deduce: che quando avviene l’emolisi, la concentrazione molecolare
del siero con corpuscoli rossi si modificherebbe, aumentando; ma io credo, fondandomi
sui dati fornitimi dall’igromipisia, che modificazioni chimico-fisiche avvengono in seno alle
mescolanze, e principalmente riguardo la viscosità di queste, modificazioni che io ho po-
tuto constatare con le seguenti opportune esperienze e delle quali bisogna tenere anche
conto.
In effetti. La viscosità del sangue, defibrinato determinata col viscosimetro di Ostwald,
era rappresentata da : vj = 5. 45 (temp. 37°).
La viscosità dello stesso sangue, emolizzato, con tracce trascurabili di veleno tritonico,
filtrato, era rappresentata da : tj — 4. 90 (temp. 37°).
La viscosità poi degli stessi corpuscoli rossi lavati e centrifugati, non che sospesi in
soluzione fisiologica, era rappresentata da : vj = 3. 2 prima della mescolanza con tracce
di triton-veleno ; da: tj ~ 2. 8 dopo la mescolanza e ad emolisi avvenuta.
Nelle determinazioni viscosimetriche abbiamo adunque un valore minore.
Ho voluto infine vedere se gli estratti acquosi , alcoolici ed eterei di milza contenes-
sero le sostanze emolitiche.
Le milze al solito estratte, lavate , pestate, venivano esaurite prima con soluzione
fisiologica e filtrate; il residuo rimasto sul filtro, veniva raccolto ed esaurito con alcool,
indi trattato con etere, nuovamente filtrato e svaporato in capsule di vetro. Raccolto il
residuo dal fondo delle capsule sudette, veniva mescolato a sangue di bue defibrinato.
Risultati : emolisi incompleta con 1’ estratto acquoso ; debolissima con gli altri estratti.
Ciò tende a dimostrare che gli elementi anatomici della milza sono capaci di elabo-
rare, produrre una sostanza, che può essere versata in circolo : e se nei miei estratti l’at-
tività emolitica è minore, ciò conferma il mio modo di vedere anzi cennato, e cioè che i
maltrattamenti a cui si sottopone 1’ organo milza, 1’ azione dei liquidi adoperati come sol-
Sulla emolisina splenica
5
vente, compresa la circolazione artificiale per quanto essa si supponga vicina alla normale,
pure alterano 1* organo stesso, sì da indurci in errore sulla sua vera funzione.
Non credo di avere risolta la questione sulla funzione emolitica della milza con le
mie esperienze, non tanto per la nettezza dei risultati , quanto pel fatto che i tritoni di-
stano molto nella serie zoologica dagli animali superiori e dall’ uomo principalmente. Ma
stimo bene di risollevare la questione perchè questa non sia seppellita ma sottoposta a
nuovi studi e a procedimenti più adatti a raggiungere Io scopo che ci prefiggiamo , cioè
quello della determinazione dell’ importante funzione di quest’ organo. Per le mie osserva-
zioni si può nettamente stabilire che nel Triton Cristatus la milza possiede una funzione
emolitica elevata.
Catania , 4 Maggio 1916.
*
Memorisi XI.
Clinica Oto-rino-laringoiatrica della R. Università di Catania
11 mio metodo di auto - vaccinazione oncogena nella cura dei tumori
maligni dell’uomo, e i risultati in parte favorevoli da me finora
avuti.
2a NOTA PREVENTIVA — (con presentazione di malati).
Come esposi, circa un anno fa, nella mia prima nota comunicata a questa Accade-
mia sullo stesso argomento, io, completamente deluso dai risultati della terapia operativa
nei casi frequenti di tumori maligni che mi è dato osservare nelle regioni pertinenti alla
disciplina che coltivo, mi rifiutai recisamente di intervenire sulla paziente che a Voi pre-
sento ; la quale era affetta da un grosso fibro-sarcoma telangettasico (controllato dall’esa-
me istologico) che occupava tutta la fossa nasale destra, fino a sporgere a guisa di fun-
go dalla coana corrispondente.
Senonchè, avendo la famiglia tenacemente insistito presso di me, acciocché volessi
esperimentare qualsiasi mezzo, anche pericoloso, pur di tentare qualche cosa per la po-
vera inferma destinata a morire a breve scadenza, pensai di trattare quel caso esclusi-
vamente con una cura generale fondata sul principio della auto vaccino-terapia.
E senza consultare, per fortuna, se da altri fossero stati fatti oppur no, per i tumori ma-
ligni dell’ uomo, dei tentativi basati sullo stesso principio fondamentale di terapia, volli
mettermi, anche correndo qualche rischio, nelle condizioni più razionali e più semplici per
ottenere i migliori effetti terapeutici sul tumore. A tal uopo mi preoccupai sopratutto di
non far subire al tessuto neoplastico, da iniettare all’ inferma, alcun trattamento che po-
tesse lontanamente far temere un' alterazione qualsiasi della sua sostanza attiva, che an-
cora non conosciamo : non aggiunta, quindi, di antisettici, non filtrazione del materiale,
non esposizione a temperature alte o basse, e tanto meno uso di autolizzati, anche di
pochi giorni. Invece uso di materiale fresco che, sciacquato per circa mezz’ ora in solu-
zione fisiologica sterile e ridotto poi asetticamente in frammenti piccolissimi, in ultimo pe-
stati e sbattuti, veniva e viene iniettato in sospensione acquosa (2), per le prime dodici
iniezioni, 3 a 18 ore dopo averlo tenuto in termostato a 37°, e tutte le altre volte solo
mezz’ ora a un’ ora dopo.
L’altro criterio che mi guidò e continua a guidarmi in queste esperienze, è quello
(j) Comunicata nella seduta del 3 Giugno 1916.
(2) Questa nella siringa si presenta come un liquido opalescente ma trasparente, in mezzo a cui nuo-
tano delle piccole e non molto numerose particelle di tessuto neoplastico : un liquido insomma che somiglia
molto agli antigeni acquosi.
ATTI ACC. SERIE 5», VOL. IX — Meni. XI.
1
o
Prof. S. Citelli
[Memoria XI. j
di cominciare la vaccino-terapia con dosi lievi (ciò anche per rendere assai difficile il tra-
pianto del tumore) di andare avanti con dosi per lo più progressive, e di continuare le
iniezioni (nei casi in cui esse riescono utili) possibilmente fino alla guarigione. Nei varii
pazienti da me trattati sono state fatte, in media, da tre iniezioni al mese (in principio)
a una sola al mese (quando la dose diviene forte). L’ intervallo tra un’ iniezione e 1’ altra
è stato proporzionato (fin dove era possibile) sopratutto alle alterazioni prodotte sul tumore
dalla iniezione precedente (nel senso che, quando terminavano, o quasi, le alterazioni per
10 più necrotiche prodotte dall’ ultima iniezione, ne facevo un’ altra). Ho tenuto però anche
conto, sul riguardo, del volume e del decorso del tumore, dell’ emorragia provocata dalla
asportazione dei pezzetti necessarii per 1’ iniezione e delle condizioni generali dell’ infermo.
Diversamente, poi, di quanto avevo fatto fino al giorno in cui comunicai la mia pri-
ma Nota, ho spinto la dose massima della iniezione a 18-20 cm3 di sospensione (ciò
quando il trattamento era molto avanzato e 1’ organismo, quindi, già preparato a soppor-
tare alte dosi). Inoltre per maggiore esattezza nella tecnica, ho pesato, prima di trattarlo,
11 tessuto neoplastico da iniettare, diluendolo (dopo averlo preparato per 1’ iniezione) nella
proporzione media di 5 ctgr. di sostanza neoplastica per ogni cm.3 di soluzione fisiologica
sterile. Ho cominciato le iniezioni con ctgr. 10-15 di sostanza neoplastica (del volume, in
media, di un pisello) e ho spinto la dose fino a un grammo (del volume in media di una
piccola nocciuola). Infine, invece di sbattere a mano la sostanza neoplastica da iniettare,
l’ultima volta (per estrarre meglio la sostanza attiva) ho cominciato a servirmi dello sbat-
titore meccanico, iniettando la sospensione appena terminato lo sbattimento (senza metterla
affatto in termostato).
Brevi notizie sui risultati da me avuti colla vaccino-terapia.
Accortomi che il mio metodo cominciava a dare nella prima inferma risultati inco-
raggianti, lo ho applicato, man mano s’ è presentata spontaneamente l’occasione, finora
a 10 pazienti, nei quali ho praticato, in tutto, 82 iniezioni.
Inconvenienti — Per quanto riguarda gli inconvenienti locali del metodo, l’esperienza
mi ha dimostrato come i due principali pericoli che si potevano teoricamente temere, siano
inesistenti. Mai , difatti, ho dovuto lamentare trapianto in sito del tumore , e mai
ho avuto suppurazione ; invece il liquido iniettato s’ è riassorbito in alcuni minuti e la
reazione locale è stata di solito quasi nulla o lieve : e dire che ho fatto sempre le inie-
zioni al braccio (perchè fosse semplice la cura in caso di suppurazione), e che in qualche
infermo (come quest’ altro che a Voi presento) sono arrivato a iniettare 17-18 cm." di so-
spensione su braccia, come vedete, veramente scarne (1).
Per quanto riguarda, poi, le emorragie che si provocano più o meno abbondanti nei
sarcomi, quando si asportano i pezzetti per 1’ iniezione, esse, mercè l’aiuto della pituitrina
e del tamponaggio, non hanno dato mai luogo a inconvenienti gravi.
Come disturbi generali, infine, dirò che le iniezioni, anche quelle forti, per lo più o
non provocano febbre oppure leggera e fugace elevazione termica ; e che alle volte pro-
ducono un senso di malessere, di spossatezza, di scombussolamento e nuli’ altro : questo
però quando il tumore e le metastasi sono esterni.
(i) Solo due iniezioni fatte a due malati nella stessa seduta, in cui, non si sa come, un mio Assistente
dimenticò di bollire i’ ago della siringa, suppurarono : non è il caso, quindi, tener conto di esse.
Il mio metodo di auto-vaccinazione oncogena nella cura dei tumori ecct
3
Risultati terapeutici — Ecco quanto ho potuto constatare finora :
Sarcomi ed endoteliomi -- Caso 1 — Il primo caso da me trattato è la giovane
donna che presento e a cui ho accennato in principio. Essa ha avuto fatte 28 iniezioni, di
cui la prima il 30 Ottobre 1914 e l’ultima ni Maggio scorso: la dose più alta è stata di
gr. 1 di sostanza neoplastica (del volume di una nocciuola) in 18 cm." di liquido. Il trat-
tamento, come ho comunicato nella nota dell’ anno scorso, si mostrò efficace fin da prin-
cipio, efficacia che (salvo un breve periodo in cui la riproduzione sembrava volesse pren-
dere il sopravvento sul disfacimento, cui andava incontro il tumore per la vaccinazione)
si è affermata sempre più ; sicché adesso (se non si avrà, come speriamo, una riproduzione)
si può dire che 1’ inferma sia quasi guarita. Della grossa massa neoplastica rossa e car-
nosa, difatti, che riempiva tutta la fossa nasale destra e sporgeva anche dalla coana, non
rimane più nulla (1); lo stato generale, prima molto deperito, durante la cura è divenuto
ottimo e si mantiene tale fino a oggi; pur avendo l’inferma perduto per ogni iniezione
(salvo 1’ ultima) da cm. 100 a 150, e anche più, di sangue, e pur non avendo fatta alcuna
cura ricostituente. Mentre prima della cura, infine, si avevano epistassi spontanee piuttosto
frequenti ed abbondanti, queste scomparvero quasi del tutto durante e dopo il trattamento.
Coll’ osservazione clinica, poi, controllata di tanto in tanto dall’ esame istologico, ho
potuto constatare che il tumore sotto l’azione vaccinica in massima parte si disfaceva,
producendo una secrezione nasale densa, puriforme, accompagnata di tanto in tanto da
eliminazione di blocchetti di tumore necrotico, e qualche volta anche di grossi blocchi ;
come questo (quanto una piccola mandorla) che a Voi presento, il quale venne eliminato
e raccolto dall’ inferma il 5 Ottobre 1915, dopo 20 giorni dalla 20a iniezione ricevuta. Ol-
tre alla progressiva fusione necrotica del tumore si è notato anche, però in punti limitati,
la trasformazione di esso in comuni piccoli fibromi molli ; e il fibroma peduncolato che
presento (un pezzetto del quale venne tolto, per 1’ esame istologico) è stato 1’ 1 1 Maggio
scorso (il giorno dell’ ultima iniezione) asportato dalla coana, ove il tessuto sarcomatoso
s’ è man mano trasformato, del tutto o quasi, in fibroma molle, che ancora la occupa in
parte. I fibromi molli puri non risentono più 1’ azione vaccinica (così come sarebbero
inattivi iniettandoli) ; perchè, come ho potuto confermare coll’ esame istologico, 1’ azione
vaccinica si esplica elettivamente sulle cellule sarcomatose : essi, quindi, verranno fra breve
asportati.
Questo caso adunque, mercè la sola cura generale vaccinica, si potrebbe considerare
guarito; salvo a sorvegliare a lungo l’inferma per quanto riguarda ipotetiche riproduzioni.
Caso 2° — Riguarda una Signora di circa 45 anni, sorella di un Collega. Essa era
affetta da un endotelioma che, partendosi dal fornice sinistro del faringe nasale, occupava
la metà circa di questa cavità (occludendo la relativa coana) e sporgeva anche un po’ ,
col suo polo inferiore, dietro il velopendolo. Attorno la punta dell’ apofisi mastoide esi-
steva inoltre una notevole metastasi ghiandolare (della grossezza di un pugno), dura e co-
perta di cute sana. Vi erano anche degli intensi dolori nevralgici verso l’ orecchio e tere-
branti verso il cranio ; dolori che torturavano l’ inferma, ridotta pallida, cachettica, in con-
dizioni di grande debolezza.
11 Collega, avendo appreso da me che nel primo caso che avevo in cura i risultati
(i) Nel mezzo del meato medio s’ è formata una esostosi a superficie libera convessa, quanto una mezza
noce e ricoperta di mucosa sottile e rossa.
4
Prof. S. Citelli
[Memoria XI.]
si mostravano favorevoli, trattandosi d’ altro canto di un tumore maligno inoperabile, e-
spresse il desiderio che si tentasse anche su sua sorella la vaccino-terapia.
E, per quanto 1’ inferma fosse in condizioni generali scoraggianti e il tumore abba-
stanza grosso (specie la sua metastasi), tuttavia iniziai la cura, iniettando: la la volta qua-
si cm.3 2 di sospensione, la 2a volta (alla distanza di 15 giorni) cm.3 2 72- 3a (alla
distanza di 18 giorni) cm.3 3. Il prelevamento del materiale neoplastico in questo caso, a
differenza che nel primo, apportava una emorragia insignificante, la quale cessava poco
dopo spontaneamente. Queste iniezioni furono benissimo tollerate e non si ebbe quasi
alcuna elevazione termica : esse provocarono solo una secrezione nasale muco-sanguino-
lenta piuttosto abbondante, e pare anche una lieve riduzione del tumore rino-faringeo. La
metastasi rimaneva identica, i dolori, però, prima insopportabili, si attutirono alquanto, e
comparve paralisi della corda vocale sinistra, evidentemente per compressione della meta-
stasi sul vago-spinale alla sua uscita dal cranio.
Intanto, prevedendo che andando avanti nella cura, mentre il disfacimento del tumore
rino-faringeo non avrebbe apportato alcun inconveniente perchè trattavasi di un tumore
esterno, il possibile disfacimento, invece, del grosso focolaio metastatico avrebbe potuto
apportare dei danni gravi (poiché il materiale disfatto doveva, in mancanza di comunica-
zione coll’ esterno, venire riassorbito), proposi alla paziente di incidere profondamente il
focolaio metastatico, in modo da metterlo in comunicazione coll’ esterno. Costei però, un
temperamento nervosissimo e quanto mai impressionabile, vi si rifiutò recisamente. Co-
stretto quindi a continuare la cura lasciando chiuso il tumore metastatico, praticai dopo
20 giorni (cioè il 29 maggio 1915) una quarta iniezione di cm.3 6 di sospensione. Senon-
chè alcuni giorni dopo questa, oltre ad aumentare la secrezione densa che veniva fuori
dal naso (mista alcune volte a grumi o blocchetti biancastri, forse di tessuto neoplastico),
si ebbero di importante i seguenti fatti : 1° la fossa nasale sinistra, prima quasi occlusa,
cominciò a respirare discretamente (segno che il tumore rino-faringeo s’ era ridotto alquan-
to di volume); 2° i dolori, già mitigati dopo la terza iniezione, quasi scomparvero; 3° una
settimana dopo l’iniezione sorse un po’ di febbre la quale raggiungeva come massimo,
la sera, 38° 1; febbre che persistette e che, come vedremo, doveva essere in rapporto col-
1’ assorbimento del tumore metastatico, il quale cominciava a disfarsi. All’ispezione e alla
palpazione, però, questo presentavasi poco modificato ; anzi sembrava un po’ aumentato
di volume, forse per la reazione infiammatoria.
Sempre costretti, intanto, ad andare avanti in quel modo, dopo 17 giorni dalla 4a,
praticai una 5a iniezione di 7 cm.3 ; ed anche questa volta, proprio una settimana dopo,
la febbre si elevò bruscamente e senza interruzione, raggiungendo la sera i 39°, 5. I do-
lori però scomparvero completamente e dopo 13-14 giorni dall’ iniezione si riassorbì ra-
pidamente e quasi del tutto il tumore metastatico ; ma purtroppo tre giorni dopo la
scomparsa di questo, la povera inferma cessò di vivere.
Evidentemente adunque in questo caso la febbre, prima lieve e poi alta, fu provocata
dalla penetrazione in circolo del materiale di disfacimento del tumore metastatico che rapida-
mente poscia si fuse; e alla stessa causa si dovette la morte. Se quindi si fosse ester io-
rissato, incidendolo, il grosso 'focolaio metastatico, la morte non sarebbe avvenuta: anche
se la fusione del tumore fosse stata lenta il risultato probabilmente sarebbe stato diverso.
D’ altro canto con pari evidenza risulta da questa osservazione (che dolorosamente non
potè essere seguita fino alla possibile guarigione), che gli effetti utili della vaccinazione su
Il mio metodo di nido vaccinazione oncogena nella cura dei tumori ecc.
5
tutto il tumore furono indiscutibili ed intensi: difatti il fratello della povera Signora (un
medico abbastanza intelligente e colto) in base a questo solo caso da lui seguito con mol-
to interesse, dopo lo morte della paziente mi scriveva: “ il criterio della cura auto-vacci-
nica nei tumori maligni è esatto e risponde pienamente ai risultati clinici. „
Caso 3° — Ragazzo di 15 anni assai magro. Si presentò nei primi di giugno 1915
con un tumore enorme che riempiva tutto il faringe nasale, tutta la fossa nasale destra
(fino a bloccare anche la narice), e che inoltre (attraverso la fossa pterigo-mascellare) ave-
va formato una grossa propaggine (che potremmo chiamare facciale) la quale rendeva
sporgente la metà destra della faccia (l’infermo quindi appariva sformato e, da quel lato,
coll’ aspetto tipico della faccia di rana) . Esistevano infine due gangli sottomascellari a de-
stra, il più grosso dei quali era quanto una mandorla.
Il paziente accusava anche una marcata sonnolenza, con astenia ; e con frequenza
andava incontro a delle forti epistassi spontanee.
Trattavasi (come confermò l’esame istologico) di un enorme sarcoma a cellule polimorfe,
inoperabile.
Ad onta della gravità del caso la quale, con tutta la migliorìa ottenuta, ancora dura,
caso che vi presento perchè ve ne rendiate meglio conto, io 1’ 8 giugno dello scorso anno
iniziai la cura vaccinica. Da allora fino a oggi gli sono state fatte 18 iniezioni (1’ ultima
il 20 maggio scorso), di cui più della metà forti (da 40 ctgr. , cioè, fino a 90 di tessuto
neoplastico) : ogni volta 1’ asportazione del materiale per la vaccinazione ha provocato
emorragia nasale abbondante ; però fin dall’ inizio della cura sono quasi cessate le epi-
stassi spontanee. Anche qui un paio di giorni dopo ogni iniezione (oltre a lievissimo e
passeggero malessere) è cominciata una secrezione nasale puriforme più o meno densa;
di tanto in tanto con qualche blocchetto di tessuto disfatto. Tale secrezione è andata
poscia man mano aumentando, per raggiungere un acme e poi decrescere gradatamente ;
fino a scomparire quando cessavano gli effetti locali dell’ ultima iniezione subita. Questi
effetti locali si son potuti seguire con evidenza sulla propaggine nasale, la quale, finché
è durata la secrezione, ha presentato in tutto o in parte (anche a distanza dal punto in
cui fu asportato il pezzetto per l’ iniezione) una superficie grigiastra o grigio-biancastra,
superficialmente ulcerata; mentre, quando è cessata o quasi la secrezione, essa ha riacqui-
stato una superfìcie liscia grigio-rosea, e che al microscopio s’ è trovata di nuovo ricoperta
di epitelio: nessun dubbio quindi che la secrezione è stata provocata in gran parte dalla
azione dell’ iniezione.
I risultati avuti dopo quasi un anno di cura sono i seguenti : 1° le due fosse nasali,
prima del tutto occluse, adesso respirano, la sinistra (dopo una migliorìa graduale) medio-
cremente e la destra anche un poco ; 2° la fossa nasale destra, prima completamente
occupata dal tumore fino all’ orifizio esterno della narice, ora nel suo terzo anteriore è
libera, e nei due terzi posteriori la propaggine neoplastica la occupa solo in basso, mentre
la vòlta rimane libera di tumore ; 3° la propaggine facciale adesso è ridotta abbastanza
di volume, tanto che l’infermo, prima completamente sformato, ora ha un aspetto discreto.
Oltre a ciò, nel timore che un rapido assorbimento del materiale di disfacimento di que-
st’ ultima propaggine (non in comunicazione coll’ esterno) avesse potuto un giorno o l’al-
tro dar luogo a gravi fenomeni di intossicazione generale, il 13 dello scorso aprile (quan-
tunque 1’ infermo non presentasse febbre) misi tale propaggine allo scoperto attraverso la
mucosa della bocca (dove essa si presentava coperta dalla sola mucosa). Però trovai con
0
Prof. S. Citelli
[Memoria XI. J
mia sorpresa che il tumore quivi era in gran parte costituito da grasso : anzi iniettai, dopo
trattata nel solito modo , quasi un grammo di tale sostanza , e ciò per assicurarmi che
questa non fosse tossica. Difatti 1’ iniezione non apportò alcun inconveniente , e neanche
modificazione alcuna della propaggine nasale : 1’ esame istologico, d’altro canto, confermò
trattarsi in gran parte di tessuto adiposo, misto a vasi e a connettivo. Bisogna ammettere,
quindi, che questa propaggine situata in mezzo ai tessuti, per la prolungata azione vacci-
nica abbia lentamente subito una degenerazione grassa (non trattandosi, intanto di mate-
riale tossico, lasciai che la ferita della mucosa della guancia si chiudesse lentamente).
La propaggine nasale, poi, non ha subito qui, come nel primo caso, parziale trasfor-
mazione in vero fibroma molle. Però la porzione alta di essa (che poi è andata man
mano disfacendosi, sopratutto in questi ultimi tempi) non aveva conservato il colorito roseo
del sarcoma, ma era divenuta d’ aspetto biancastro con accenno a trasparenza: e 1’ esame
istologico ha confermato che le cellule sarcomatose quivi, per necrobiosi, erano divenute
sempre più rare.
In questo caso adunque, la cui gravità è tuttora evidente, la cura vaccinica ha dato
finora risultati molto favorevoli; essa quindi verrà continuata (se gli obblighi militari me
lo permetteranno), fino a una possibile guarigione.
Caso 4° — Giovane di 23 anni. — Nei primi del luglio 1915 presentava un fibro-
sarcoma (controllato dall’esame istologico) che riempiva quasi il faringe nasale, occluden-
do le due coane : non esistevano propaggini neoplastiche, nè nelle fosse nasali nè altrove.
L’ 8 luglio dell’anno scorso venne cominciata la cura vaccinica, e d’allora fino all’ 11 del
mese passato l’ infermo ha avuto fatte 12 iniezioni, la cui dose più forte è stata di cen-
tigrammi 70 di sostanza neoplastica (1). In questo caso la secrezione da parte del tumore
non è stata tanto evidente : tuttavia in circa 10 mesi, non solo non s’ è nolato aumento
della massa del tumore (come sarebbe dovuto succedere , anche per le numerose irrita-
zioni da esso subite per 1’ asportazione dei pezzetti), ma s’ è ottenuto (pur avendo il pa-
ziente, per ragioni militari, dovuto interrompere la cura per due mesi) una riduzione ma-
nifesta della massa neoplastica. Adesso, difatti, le due fosse nasali respirano mediocremente.
Inoltre, come nei casi 1° e 3°, le epistassi spontanee piuttosto frequenti ed abbondanti
cui il paziente andava incontro prima della cura vaccinica, cessarono quasi del tutto.
Caso 5° — Uomo di 45 anni con linfo-sarcoma del faringe nasale, delle dimensioni
di una grossa castagna. Ebbe fatte sole tre iniezioni auto-vacciniche, alle quali il tumore
reagì discretamente. Però, sia perchè le lievissime emorragie cui prima dava luogo spon-
taneamente il tumore aumentarono un po’ d’ intensità durante la cura vaccinica, sia so-
pratutto per ragioni di famiglia, l’infermo volle lasciare l’ospedale e tornare al paese natio
ove morì tpare di cachessia) dopo quasi un anno.
Questo caso quindi, purtroppo, s’ è sottratto al nostro ulteriore studio.
Caso 6° — Giovane di 28 anni, sanissimo e bene sviluppato. E affetto da un fibro-mixo-
sarcoma (diagnosi stabilita coll’esame istologico) del faringe nasale, tumore che, come un
pallino da giuoco, occlude quivi le due coane, e oltre a ciò riempie (con una propaggine)
i due terzi posteriori, circa, della fossa nasale destra: di tanto in tanto l’infermo avverte
dolori sopratutto verso l’orbita destra. Otto-dieci mesi fa era stato sottoposto da altri a due
(i) L’ asportazione del materiale, fatta attraverso le fosse nasali, ha provocato sempre emorragie abbon-
danti, e oltre a ciò ha presentato delle non .lievi difficoltà.
Il mio metodo di auto vaccinazione oncogena nella cura dei tumori ccc.
interventi operativi attraverso la fossa nasale destra; con inutile parziale e temporanea ridu-
zione della propaggine nasale accompagnata da abbondante emorragia. La cura vaccinica in
questo paziente è stata cominciata il mese scorso ; avendo avuto fatta la la iniezione (di
ctgr. 20 di sostanza neoplastica) il 17 Maggio, e la 2a (di ctgr. 25) il 25 dello stesso mese.
Dopo pochi giorni, intanto, dalla seconda iniezione è cominciata una secrezione densa
dalla fossa nasale destra, secrezione che prima 1’ infermo non aveva mai avuto e che
dura tuttora. Inoltre si sono accentuati 1’ altro ieri le fitte dolorose verso l’ orbita ed è
comparso del dolore verso l’occipite; mentre obbiettivamente il tumore (compreso quello
del rino-faringe) comincia a perdere il suo colorito biancastro, per divenire in parte bianco-
roseo. Tutti questi fatti già dimostrano che la neoplasia reagisce alle iniezioni vacciniche.
Speriamo che il risultato possa essere favorevole come negli altri ; ma per ora non pos-
siamo aggiungere nulla, trovandoci all’ inizio della cura.
In complesso, adunque, nei sarcomi e tumori affini i risultati sono finora lusinghieri.
Difatti, invece di avere un aumento di volume dei tumori (come sarebbe dovuto succedere
dopo tanto tempo, per il progressivo e rapido crescimento che li caratterizza, accentuato
dalle continue irritazioni prodotte dai traumi per il prelevamento del materiale neoplastico
necessario alla vaccinazione), abbiamo avuto (a eccezione dei due ultimi casi di cui non
si può tener conto) o la scomparsa quasi completa della neoplasia oppure la sua notevole
riduzione; accompagnata da fenomeni clinici ed istologici tali, che non lasciano dubbio
sulla efficacia favorevole del trattamento da me fatto.
Carcinomi — I carcinomi, invece, non solo non si sono avvantaggiati, come i sar-
comi, dello stesso trattamento, ma hanno subito un peggioramento più o meno notevole,
dovuto assai probabilmente (oltreché alle irritazioni meccaniche per il prelevamento del
materiale e alla propria tendenza a crescere) anche all’ azione stimolante o sensibilizzante
del vaccino neoplaistico. Salvo, quindi, che una cura auto-vaccinica un po’ diversa, meglio
se matematicamente controllata (per quanto riguarda le dosi e gli intervalli tra una dose
e l’altra) dall’indice opsonico (quando ciò sarà possibile), non riuscirà in appresso a dare
risultati migliori (come è avvenuto per la tubercolina), per ora mi sembra sconsigliabile
per essi tale metodo di trattamento. Tutt’al più, per maggiore sicurezza, si potrebbero
fare delle ulteriori prove presso qualche altro ammalato (anche con iniezioni lievi e rinno-
vate spesso), per stabilire se verranno confermati i risultati da me finora avuti.
Aggiungerò incidentalmente che pure la iodo-terapia intensiva da me tentata negli
stessi casi (dopo fallita la cura vaccinica), tranne che una certa calma nei dolori ottenuta
solo in principio, non mi ha dato alcun risultato; anzi pare abbia anch’ essa stimolato
1’ ulteriore progresso della malattia.
Gli infermi con carcinoma da me trattati sono i seguenti quattro.
Caso 1° — Donna di anni 45 con adeno-carcinoma che riempiva in gran parte la
fossa nasale destra. Le vennero praticate 7 iniezioni vacciniche, nei giorni: 22 giugno '915,
5 e 18 luglio, 5 e 19 agosto, 4 e 18 settembre ’915 (l’ultima iniezione fu di ctgr. 45, le
altre progressivamente meno). Le iniezioni vennero tutte benissimo tollerate (solo qualche
volta vi fu lieve e assai passeggera elevazione termica); però dovetti constatare un note-
vole aumento di estensione del tumore, il quale, attraverso l’etmoide, invase rapidamente
l’orbita con una propaggine neoplastica della grossezza di un uovo. Fu perciò che smisi
la cura.
Coso 2° — Uomo di 60 anni con adeno-carcinoma inoperabile (anche per estese
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[Memoria XI.]
Prof. S. Citelli
metastasi ghiandolari) del pavimento della bocca. Il 2 e il 22 novembre ’915 gli vennero
praticate una iniezione vaccinica per volta (la 1 a di 15 e la 2a di 25 ctgr.) le quali non
diedero luogo ad alcun inconveniente. Però avendo constatato che il tumore si estese ra-
pidamente dopo le iniezioni, smisi la cura.
Caso 3° — Uomo di anni 41, con carcinoma papillare il quale riempiva tutto il
rino-faringe e in gran parte la fossa nasale destra. Due iniezioni auto-vacciniche (eseguite
la la il 4 e la 2a il 20 Gennaio di quest’anno) fecero rapidamente aumentare l’estensione
del tumore e i dolori cefalici e all’ orbita destra. Dato ciò , quantunque le iniezioni non
avessero dato luogo ad altri inconvenienti, credetti opportuno smettere la cura.
Caso 4 0 — Donna di anni 65 con epitelioma ulcerato (recidivato a una vasta ope-
razione con plastica) della cute del naso e della faccia destra. Si pratica un’ iniezione
auto-vaccinica di ctg. 10 , la quale apportò un rapido e netto peggioramento della lesio-
ne. Non s’ insistette quindi nella cura.
Siero-terapia e ricerche sierologiche.
Servendomi intanto dei due preziosi infermi qui presenti (sarcoma N. 1 e N. 3) ho
cominciato ad affrontare anche un altro lato dell’ argomento così importante e ancora così
oscuro di cui mi occupo. A tal uopo ho fatto finora quanto segue :
l.° Tre giorni fa, con una siringa sterile in cui avevo messo un pizzico di citrato
di soda (per ritardarne la coagulazione), ho estratto cm.(i) * 3 12 di sangue da una vena al
gomito di questa inferma , quasi guarita , e 1' ho subito iniettato in una vena al gomito
di quest’ altro infermo, che presenta un tumore clinicamente e istologicamente non iden-
tico ma affine. L’indomani mattina poi ho estratto all’inferma, col salasso, cm.3 35 di
sangue il quale, tenuto in ghiacciaia per 12 ore, ha dato cm.3 19 di siero che la sera ho
iniettato sottocute allo stesso infermo.
2° Servendomi come antigene di un po’ di sospensione del tumore dell’ infermo (per-
fettamente identica a quella che si inietta per la vaccinazione) ho fatto eseguire la prova
della fissazione del complemento col siero , sia dell’ inferma che dell’ infermo (anch’ esso
lungamente trattato colla vaccinazione).
Orbene i risultati nell’ uno e nell’ altro senso sono stati favorevoli e concordanti.
Colla sieroterapia, cioè, in questo infermo [che aveva ricevuto 1’ ultima iniezione vac-
cinica di ctgr. 30 (l) il 20 maggio, e che quando gli ho iniettato il sangue e poi il siero
non presentava più quasi affatto disfacimento del tumore nè secrezione] ho di già in po-
chissimi giorni, ottenuto la rapida fusione e scomparsa di quasi 2 cm. (nel diametro an-
tero-posteriore) dello sprone antero-inferiore (il più avanzato) che presentava la propaggine
nasale ; nello stesso tempo ricomparve discretamente abbondante la secrezione nasale e
1’ aspetto ulcerato del tumore. Gli effetti adunque della siero-terapia sono stati evidenti.
La reazione di Bordet e Gengou, d’ altro canto, gentilmente eseguita dal valoroso e
scrupoloso Collega Prof. Giosuè Biondi, ha dato debole ma evidente inibizione dell’emolisi;
ha avuto quindi (dopo fatte tutte le necessarie prove di controllo, non esclusa la prova del
(i) Ho fatto leggera questa iniezione', perchè, potendo rivedere 1’ inferma che mi doveva servire per la
siero-terapia solo in questi giorni, desideravo che per quest’ epoca (acciocché gli effetti della sieroterapia fos-
sero più chiari) fosse cessato il disfacimento del tumore consecutivo all’iniezione vaccinica.
Il mio metodo di auto-vacc incisione oncogena nella cura dei tumori ecc.
9
siero senza l’antigene e la Wassermann tipica) un risultato debolmente ma sicuramente posi-
tivo. Ciò sia col siero dell’infermo da cui fu preso f antigene, sia col siero dell’inferma (1).
Questa identità di comportamento dei due sieri con lo stesso antigene, in riguardo alla
fissazione del complemento, conferma e spiega il risultato clinico da noi avuto colla siero-
terapia (2), e ci dice ancora meglio che la cura vaccinica da noi fatta ha prodotto, oltre
ai ricettori sessili specifici (i quali restano fissi a difesa delle cellule dell’ organismo), degli
anticorpi immunizzanti liberi, sia nel siero dell' inferma quasi guarita, sia in quello dell’in-
fermo in cui s’ è già ottenuto un notevole miglioramento.
Va da sè che queste ricerche verranno (quando sarà possibile) continuate, per vedere
se i risultati saranno sempre concordi a quelli iniziali da me accennati (3). Inoltre, per ec-
cesso di precauzione, qualche volta inietterò allo stesso infermo del siero di sangue umano
normale, come controllo al risultato avuto colla sieroterapia specifica.
Comunque mi permetto di dire fin d’ora che, se questi risultati sieroterapici e siero-
logici venissero confermati, indicherebbero che anche la sieroterapia (forse meglio che la
auto- vaccinazione) potrebbe risolvere questo grave ed impellente problema terapeutico. Tutto
sta forse nel trovare una specie animale a cui si possano trasmettete i tumori maligni
dell’ uomo, e adatta nello stesso tempo a fornire siero curativo a sufficienza. Forse sarebbe
bene tentare ciò nelle scimmie antropomorfe, nel dubbio si possa al riguardo trattare di
malattie dell’uomo per le quali, come per la lue, siano molto poche le specie animali
recettive.
CONCLUSIONI.
Da quanto abbiamo brevemente esposto risulta:
1° Che il mio metodo di auto-vaccinazione, mentre non dà luogo ad inconvenienti, fa
veramente la cura vaccinica dei tumori, sia perchè questi non sono stati mai asportati (e
poi iniettati solo per cercare di prevenire le recidive), sia perchè non si tratta assolutamente
di cura con autolizzati ; nè è a parlare di autolisi in vivo poiché le iniezioni sono essen-
zialmente costituite da un liquido che si assorbe rapidamente, spesso senza alcuna reazione
locale.
2° Se i relativi risultati da me finora avuti saranno definitivi e ulteriori esperienze li
dimostreranno piuttosto costanti, dal punto di vista pratico il mio metodo di auto-vacci-
nazione, pur richiedendo del tempo e della pazienza, rappresenterà un progresso degno
della maggiore considerazione nella cura dei sarcomi e degli endotelioni ; mentre è da
sconsigliarsi in quella dei carcinomi, per i quali bisognerà trovare altra via, oppure rego-
larsi (almeno in principio e quando sarà possibile) in base alle indicazioni dell’indice opsonico.
Oltre a ciò dalla cura colla auto-vaccinazione si potrebbe, con opportune applicazioni
e dopo estese esperienze, arrivare a una cura siero-terapica.
(1) Anche prendendo come antigene la sospensione di tumore dell’ultimo infermo di sarcoma (Caso 6° con
fibro-mixo-sarcoma), il risultato è stato identico.
(2) Anzi la prova della fissazione del complemento potrebbe forse servire in condizioni simili da indicatore
sulla affinità biologica di due tumori.
(3) Durante la composizione tipografica di questo articolo ho fatto altre due prove analoghe di siero-
terapia con risultati locali sempre evidentemente favorevoli. Gli effetti sono stati più lenti e della durata di
12-15 giorni, 0 più, quando il siero è stato iniettato sotto cute, molto più rapidi colle iniezioni endovenose.
ATTI ACC. SERIE 5a, VOL. IX — Meni. XI. 2
10
Prof. S. Citelli
[Memoria XI.]
3° Per la auto-vaccinazione si prestano meglio di tutti (contrariamente a quanto s’era
pensato) i tumori esterni o in comunicazione ampia coll’esterno. Ciò perchè, mentre l’espo-
sizione all’ aria e alle secrezioni del materiale che serve per la vaccinazione non apporta
alcun inconveniente, è più facile prelevare ogni volta il materiale per le iniezioni, si pos-
sono così seguire benissimo clinicamente e anche istologicamente le modificazioni che su-
bisce il tumore (e si può esser sicuri, quando esso è stato eliminato, che realmente è scom-
parso), si possono controllare e sorvegliare benissimo (quando avvengono) le recidive, e
infine il disfacimento che subisce man mano il tumore non dà luogo a fenomeni di intos-
sicazione più o meno grave, per la ragione che il materiale disfatto si elimina facilmente.
Però oltreché gli esterni, potranno essere curati collo stesso metodo la massima parte dei
tumori interni, purché con degli interventi chirurgici adatti essi vengano esteriorizzati ;
esteriorizzazione che spesso è necessaria per le metastasi dei tumori esterni, allo scopo di
evitare una possibile grave intossicazione generale.
4° Dal punto di vista, infine, della patologia (sempre, qualora saranno largamente e
rigorosamente confermati i risultati finora da me avuti) il comportamento del tutto differente
dei sarcomi ed endoteliomi, da una parte, e dei carcinomi, dall’altra, rappresenta un criterio
biologico nuovo e importante per far pensare si tratti di malattie essenzialmente differenti,
legate cioè a cause patologiche con meccanismo d’ azione ben diverso. Invece essenzial-
mente identici sarebbero, da questo punto di vista, i sarcomi e gli endoteliomi.
Inoltre questa considerazione, l’effetto terapico utile da me avuto colla vera auto-
vaccinazione e i risultati positivi della siero-terapia e della deviazione del complemento, non
sembrano affatto favorevoli alla teoria anatomica o cellulare dei tumori.
Come ho accennato in principio, intanto, io, autorizzato dalla famiglia della prima
inferma a tentare qualsiasi mezzo, volli subito iniziare la cura vaccinica, mettendomi nelle
condizioni più rigorose e più efficaci di trattamento: non consultai quindi allora, se fossero
stati fatti da altri simili tentativi nell’uomo.
Però man mano andavo avanti nel trattamento e sopratutto avanti di comunicare la
mia la nota, adempii al dovere di scorrere la letteratura al riguardo. Allora constatai che,
coni’ era da prevedersi, erano già stati applicati anche alla cura dei tumori maligni
dell’uomo (1) i due principii dominanti della moderna terapia biologica; la auto-vaccinazione,
cioè, o immunizzazione attiva, e la siero-terapia o immunizzazione passiva. Senonchè i ri-
sultati con la siero-terapia furono nulli: solo recentissimamente nuovi tentativi fatti a New-
York da Berkele}^ pare lascino sperare qualche cosa contro le recidive dei carcinomi
[quest’Autore inietta a scopo profilattico all’ uomo, dopo avergli estirpato tutto o quasi il
tumore, il siero ottenuto dalla pecora immunizzata per mezzo del tumore estirpato (2)].
(1) Quanto al riguardo è stato esperimentato sugli animali pare abbia poco da vedere coi tumori maligni
dell’uomo, che con probabilità rappresentano dei processi patologici essenzialmente diversi di quelli degli
animali.
(2) Nel siero preparato da Berkeley, colla prova della fissazione del complemento, sarebbero stati trovati
degli anticorpi talmente abbondanti da legare rapidamente il complemento alla dose veramente minima di
cm.1 2 3 0,001. È da notare però che, dato ciò, non si riesce a spiegare come, pur contenendo tale siero una
dose cosi elevata di anticorpi, esso si sia mostrato inutile nella cura dei tumori senza l’asportazione; mentre il
siero della mia prima inferma che lega il complemento alla dose di cm.3 0,20 si è mostrato clinicamente attivo.
Il mio metodo di a alo- vaccina. zio n e oncogena nella cura dei tumori ecc
Per quanto riguarda, poi, la auto-vaccinazione, questa era stata di solito adoperata
essenzialmente con ben altri criterii che quelli miei. E cioè, non per curare i tumori esi-
stenti, ma per cercare di impedire le recidive dopo 1’ asportazione del tumore.
Si trattava adunque di una vaccinazione profilattica contro probabili recidive e non, come
faccio io, di vera e sola vaccino-terapia contro il tumore lasciato a sè. Oltre a- ciò veni-
vano fatte per lo più una o poche iniezioni neoplastiche, a dosi massive le quali (per
quanto il materiale fosse stato alcune volte più o meno alterato con trattamenti chimico-
fisici varii) diedero luogo in alcuni casi (Delbet, Graff e Ranzi ecc.) al grave inconveniente
della riproduzione del tumore nel punto in cui s’era praticata l’iniezione. E fu proprio per
tali dolorosi risultati che la auto-vaccinazione venne abbandonata anche dal più caldo e uno
dei primissimi fautori di essa, il Blumenthal ; secondo cui non era possibile eliminare il
pericolo del trapianto qualora si fosse adoperato materiale fresco.
Questo Autore difatti (seguito da parecchi altri in Germania) ha sostituito alla auto-
vaccinazione fatta come sopra abbiamo detto, il trattamento (anch’ esso per lo più com-
plementare dell’asportazione) con autolizzati di 2-3 o più giorni di sostanza neoplastica;
conservata durante tale tempo in acqua cloroformica, o in acqua con toluolo, lysolo, acido
fenico, alcool a 50°, oppure esposta a temperature elevata o messa in ghiacciaia o filtrata.
E vero che Blumenthal nel 1913 diceva che fin allora non era stata data la prova che i
sudetti estratti autolizzati dei tumori agissero diversamente che quelli freschi ; ma i miei
risultati forniscono appunto tale prova, perchè io, diversamente che gli altri Autori i quali
si son serviti di autolizzati, ho constatato che i carcinomi non solo non migliorano adope-
rando estratti freschi, ma peggiorano ; mentre i miei risultati rigorosi sui sarcomi dicono
ben altra cosa che quelli avuti finora.
Inoltre anche per il sudetto trattamento con autolizzati in liquidi antisettici Blumenthal
e Luckenbein dicono espressamente che esso poteva essere adoperato solo nei tumori
chiusi e non in quelli esposti come nei casi da me trattati ; mentre , come abbiamo
visto, io, non solo mi son servito, senza disinfettanti e senza autolisi, di tumori esterni
(ciò senza inconvenienti), ma son dovuto venire alla conclusione che per fare tali cure bi-
sogna per lo più esteriorizzare i tumori interni o le metastasi di quelli esterni; senza dire
che solo i tumori esterni si prestano a un controllo clinico rigoroso per quanto riguarda
i risultati. Ecco perchè, come accennavo in principio, è stata una fortuna eh’ io non abbia
scorso la letteratura avanti di cominciare il trattamento nella prima inferma ; altrimenti,
per quanto i tentativi degli altri Autori fossero stati fatti con criterii ben diversi dai miei,
forse avrei abbandonata l’ idea di tentare il mio metodo di auto-vaccinazione.
1
.
.
memori» XII.
S. DI FRANCO
I Minerali delle fumarole dell’eruzione etnea del 1910
(con ima tavola)
Le fumarole vulcaniche attirarono sempre l’attenzione e lo studio dei naturalisti, rap-
presentando esse un fenomeno dei più interessanti delle eruzioni, e formando la base
delle più disparate ipotesi sulle cause del vulcanismo ; ma con criterii veramente scienti-
fici solo Monticelli e Covelli (1), Pilla e Cassola (2) studiando le eruzioni del Vesuvio,
per i primi classificarono le fumarole e stabilirono che la natura dei loro prodotti cam-
biava col variare della temperatura, legge trovata vera e meglio precisata ulteriormente.
Con gli studii di Saint-Claire Deville (3), Fouqué (4), Silvestri (5) e recentemente
quelli del Lacroix (6) sono state accertate oramai la natura e la distribuzione delle fuma-
role d’ un vulcano durante il periodo eruttivo.
Infatti il Saint-Claire Deville con ricerche rigorose fatte non solo al Vesuvio, durante
1’ eruzione del 1855, ma anche in altri vulcani italiani e in quella del 1867 di Santorino,
potè stabilire che le fumarole variavano man mano che andava declinando 1’ attività vul-
canica e la temperatura, succedendosi secondo i seguenti sette ordini :
1. Fumarole secche a cloruri.
2. Fumarole di cloridrato d’ ammoniaca.
3. Fumarole di acido cloridrico e di acido solforoso con abbondanza di vapor di
acqua.
4. Fumarole di acido solforoso, senza tracce di acido cloridrico, (osservate all’ Etna
ed a Vulcano).
5. Vapori d’acqua con piccole quantità di acido solfìdrico e zolfo nativo.
6. Emanazioni di acido carbonico.
7. Vapore d’acqua pura (qualche volta con tracce di acido solfìdrico e acido carbonico).
(Q MONTICELLI e COVELLI, Storia, dei. fenomeni del Vesuvio avvenuti negli anni 1821-22-23, Napoli,
1823.
(2) PILLA e CASSOLA, Lo spellatole del Vesuvio c de’ Campi Flegrei , Napoli, 1832 e 1833.
(3) C. S. CLAIRE DEVILLE, Sur la nature et la distribution des fumerolles datis V èruption du Vésuve
dii 1 ,er mai 1855 — Bull. Soc. Géol. de France, Ser. 2a, Voi. XIII, pag. 606.
(4) FOUQUÉ F., Sur l’ èruption de l’Etna du 31 janvier 1863 (Lettres de M. Fouqué à M. Ch. Sainte-
Claire Deville) — Comptes rendus, Voi. 60, i° seni. 1865, pag. 548, 1135, 1185 e 1331.
Idem, Rapport sur les phènomènes chimiques de 1‘ èruption de l’Etna — Arch. miss. se. et litt.. t. 111.
1866, p. 165-246.
(5) SILVESTRI O., I fenomeni vulcanici, presentati dall’ Etna nel 1863-64-63-66 considerati in rapporto
alla grande eruzione del 1863 — Atti Acc. Gioenia Ser. 3a. Voi. 1., 1867, pag. 179.
(6) LACROIX A., Les minèraux des fumerolles de V èruption du Vésuve en avril 11406 — Bull, de la
Societé frammise de Minéralogie, Voi. XXX, 1907, pag. 219.
ATTI ACC. SERIE 5», VOL. IX — Meni. XII.
1
S. Di Franco
[Memoria XII.]
9
Raramente il S. Claire Deville potè osservare che le fumarole si allontanassero dal-
l’ ordine di successione descritto; una volta soltanto trovò il cloruro d’ ammonio nelle fu-
marole secche, come pure accidentalmente osservò nelle fumarole a cloruro d’ammonio
1’ idrogeno solforato e lo zolfo nativo.
In seguito il S. Claire Deville, dietro i suoi ultimi studii fatti durante 1’ eruzione del
Vesuvio del 1860 e il Fouqué, secondo il risultato delle sue osservazioni fatte durante la
eruzione dell’Etna del 1865, ridussero le fumarole ai seguenti quattro principali tipi:
1. Fumarole secche.
2. Fumarole acide.
3. Fumarole alcaline.
4. Fumarole a vapor d’acqua con o senza gas carburati.
Il Fouqué nelle fumarole di terzo ordine potè talora constatare oltre il cloruro d’am-
monio, 1’ acido solfidrico e qualche volta anche un po’ di anidride solforosa e un po’ di
zolfo.
Nell’eruzione del 1910 io potei osservare che di regola nella stessa fumarola non
comparivano insieme le emanazioni di cloruro di ammonio e quelle solfidriche e credo
sia più naturale dividere il terzo ordine di Fouqué in due categorie distinte, in considera-
zione anche che lo zolfo stesso si deposita ad una temperatura molto inferiore a quella
che occorre al cloruro di ammonio, cioè in una fase posteriore.
Il Silvestri modificò in parte le precedenti classificazioni, avvicinandosi dippiù allo
stato reale dei fenomeni.
Egli classificò le fumarole nelle seguenti categorie:
1. Fumarole a sali sodici.
2. Fumarole a sali ammoniacali:
var. A (con acido cloridrico libero).
„ B (senza acido cloridrico libero).
3- Fumarole a solo vapor d’acqua (neutre).
4. Fumarole idrocarboniche, acido carbonico, con vapore acquoso leggermente acido
per acido cloridrico, acido solfidrico e con deposito di zolfo.
Il Lacroix invece, nel suo studio sui minerali delle fumarole dell’ eruzione vesuviana
del 1906, fece la seguente classificazione, la quale corrisponde benissimo a quella risul-
tante dalle mie osservazioni fatte durante l’eruzione dell’Etna del 1910:
1. Fumarole a sali di potassio e di sodio.
2. Fumarole acide.
3. Fumarole a cloruro d’ ammonio.
4. Fumarole solfìdriche.
Nella classificazione del Lacroix le sostanze sono esclusive di determinate fumarole
mentre in quella del Silvestri alcuni prodotti sono comuni a due o più categorie di ema-
nazioni; i caratteri distintivi delle singole varietà sono netti ed una semplice osservazione
permette di determinare immediatamente la categoria alla quale appartenga la fumarola.
Il Silvestri chiamò le fumarole della prima categoria a sali sodici, ma siccome si for-
mano anche sali potassici, sebbene in minor quantità, è più esatto dire, come fa il Lacroix,
a sali sodici e potassici.
Le due varietà di fumarole a sali ammoniacali del Silvestri, basate sulla presenza o
assenza dell’acido cloridrico, costituiscono un artifizio, inquantochè una vera distinzione
I Minerali delle fumarole dell' eruzione etnea del 1910
3
assoluta non può farsi, come del resto egli stesso ammette. È più naturale distinguere le
fumarole acide da quelle a sali ammoniacali, moltopiù che la temperatura in esse è dif-
ferente e nelle fumarole acide non è carattere essenziale la formazione del sale ammoniaco.
Le fumarole solfìdriche poi sono così caratteristiche, specialmente dopo che è cessato
1’ efflusso lavico, da rendersi necessaria una distinta categoria e che corrisponde al minimo
di attività vulcanica, mentre la prima categoria a sali sodici e potassici corrisponde al
massimo d’ intensità.
Per completare la serie proposta dal Lacroix, bisogna considerare una quinta categoria
di fumarole ad acido carbonico, che rappresenta il periodo di estinzione e si manifesta
verso la fine del periodo eruttivo, quasi sempre con tracce di acido solfìdrico.
Si noti ancora che tra tutte le fumarole non esiste alcun rapporto di successione ;
esse si generano spesso senza procedere 1’ una dall’ altra e le stesse categorie di fuma-
role possono coesistere in diversi punti , anche a breve distanza d’ uno stesso apparato
eruttivo .
Verso la fine dell’eruzione del 1910 io notai che mentre la regione dei crateri dava
emanazioni solfidriche, lungo il corso della lava continuavano quelle a cloruro di ammonio.
Per quanta somiglianza si possa trovare nelle diverse eruzioni dell’ Etna, riguardo ai
prodotti delle fumarole vi sono sempre delle differenze notevoli nella quantità dei diversi
prodotti. In generale lo stesso prodotto in alcune eruzioni si produce in abbondanza, in
altre scarsamente e alle volte manca affatto : ciò potrebbe formare un carattere distintivo
di ciascuna eruzione.
Alcuni di questi prodotti esistono già formati nel magma stesso, altri si formano per
reazione dei prodotti primitivi fra loro, o cogli elementi del magma o coll’aria atmosferica.
Nel presente studio io mi sono occupato più specialmente dei minerali formatisi du-
rante la suddetta eruzione dell’Etna del 1910 nelle diverse fumarole: argomento che non
è stato toccato dai diversi autori che hanno trattato di quella eruzione etnea.
Non ho però preso in esame i prodotti che si possono ottenere per ricristallizzazione
delle varie sublimazioni raccolte nelle fumarole stesse, perchè non sempre questi prodotti
artificiali compaiono nelle fumarole stesse, allo studio delle quali ho voluto limitare le mie
indagini.
4
S. Di Franco
[Memoria XII.]
MINERALI DELLE FUMAROLE A SALI SODICI E POTASSICI
(la Categoria)
Le fumarole a sali di sodio e di potassio, corrispondenti alle fumarole a sali sodici
del Silvestri, si produssero ad alta temperatura tra 900° a poco più di 1000° (l) e furono
le prime a manifestarsi nel periodo più attivo dell’ uscita della lava.
In queste fumarole oltre il cloruro di sodio {edite) e il cloruro di potassio ( silvite )
con tracce di solfati dei medesimi metalli alcalini, allo stato di aft Halite, si riscontrarono
il natron, la termonatrite , il trona, la tenorile e l 'atei ite.
Le prime fumarole diedero soltanto cloruri di sodio e di potassio incolori o leucolitici ,
servendoci della espressione di Ampère, in seguito col diminuire della temperatura depo-
sero sostanze colorate in verde e in giallo-rossastro, in tutte le gradazioni, per azione dei
sali di rame e di ferro, dando prodotti eroicomici.
A lite NaCl e Silvite KC1.
L 'Alite e la Silvite, la prima in maggiore quantità, si produssero sia sulle lave fluenti,
appena raffreddate, generalmente in patine ed in incrostazioni, sia nei crateri attivi in cri-
stallini apprezzabili.
In generale risultano di cloruro di sodio, associato al cloruro di potassio, qualche
volta con tracce dei solfati degli stessi metalli alcalini; epperò non formano il cloruro
doppio di sodio e di potassio, ma i due cloruri si trovano mescolati meccanicamente.
Anche il materiale proiettato dalle esplosioni vulcaniche, si riveste d’uno strato bianco
costituito da tali sostanze e certamente dovuto alla condensazione dei vapori salini emessi
dal materiale stesso.
I vapori delle bocche esplosive quando strisciano sul suolo lasciano un deposito di
sublimazioni in modo che tutto il terreno circostante all’ apparecchio eruttivo ha un aspetto
originale.
Generalmente vicino la bocca di emissione, le due morene, fra le quali scorre la lava,
si coprono di efflorescenze saline più o meno colorate con predominio del giallo-rossastro.
In alcuni punti della corrente della lava, per l’azione prolungata di tali fumarole si ha
un prodotto più abbondante delle semplici incrostazioni.
Si trovano anche minuti cristallini nei crepacci e nelle cavità delle scorie ai bordi dei
crateri.
Con leggiero ingrandimento vi si osservano nettamente le facce di cubo con nitide
tremie e quelle dell’ ottaedro della silvite splendenti e nette ; talora le facce sono arro-
tondate.
Nei cristalli relativamente più grossi le stesse forme si apprezzano ad occhio nudo,
in particolare le facce triangolari dell’ ottaedro.
Sotto leggiera pressione sfaldano secondo le facce del cubo.
(i) Secondo Brun il NaCl dà fumi bianchi a partire da 900° ed i punti di fusione dei seguenti sali alcalini :
NaCl (8oo°). KCI (762), K2 So4 (1067°) confermano la temperatura minima di queste fumarole, il Silvestri ser-
vendosi di fili metallici Cu (io62°), Ag (iooo°), zinco (500°) ecc. indicò per le fumarole di ia Categoria una
temperatura di 1000'.
I Minerali delle fumarole dell eruzione etnea del 1910
3
La formazione in cristalli isolati o in aggregati di cubi ben definiti con spigoli di 2
o 3 millimetri, accenna a lento deposito e quindi a sviluppo calmo; mentre i depositi in
ammassi mammellonari, rivelano un abbondante svolgimento di vapori densi formanti ra-
pidi e informi depositi appena arrivati all’ esterno.
Aftitalite K3Na (S04)2 . nNa2S04 .
Il Maravigna (1) nella sua terza memoria sulla orittognosia etnea, pubblicata nel 1832,
accennò al solfato di potassa, trovato nel grande cratere e nelle fumarole allo stato pul-
verulento, raramente in mammelloni, unito al cloruro di ammonio, al solfato di soda ed
al cloruro di sodio; in seguito, nelle tavole sinottiche dei prodotti dell’Etna, edite al 1838 (2),
lo indicò col nome di aftalosa.
Il Silvestri (3) nel suo studio sui prodotti delle fumarole dell’ Etna, a proposito del-
1’ eruzione del 1865, in una sostanza bianca raccolta sulle scorie vulcaniche, trovò il sol-
fato di soda insieme a cloruro di sodio abbondante, cloruro di potassio e carbonato di
soda; e nel materiale vicino l’apparecchio eruttivo trovò anche il solfato di soda, insieme
al cloruro di sodio e cloruro di potassio e lo fece derivare dall’ azione dell’ ossigeno del-
1’ aria sull’ acido solforoso che forma acido solforico e attacca il sale marino e non parla
del solfato di potassio, il quale avrebbe dovuto formarsi, in quanto 1’ acido solforico agisce
anche sul cloruro di potassio.
Infatti il Lacroix (4) nelle fumarole dei bordi del cratere durante 1’ eruzione vesuviana
del 1906, trovò delle croste di silvite, di alite e solfati di potassio e di sodio allo stato di
aftitalite S04 (K,Na)2 e fa derivare questi solfati, meno in alcuni casi, dalla trasformazione
dei cloruri di sodio e di potassio per 1’ azione dello acido solforico formatosi come sopra.
Il Waltershausen (5) nel suo lavoro sull’Etna si occupa brevemente del solfato di
soda e di potassa ( aftalosa. ) del cratere e delle fumarole e lo riferisce a quello trovato
al Vesuvio e studiato dallo Scacchi.
L 'Aftitalite prodotta nelle fumarole dei crateri dell’eruzione etnea del 1910 si pre-
senta di colore bianco, raramente in bruno chiaro ; spesso le piccole ed esili laminette
rosso-sangue di ematite incluse le danno una tinta leggermente rosea.
In generale non ha forma cristallina distinta, solo qualche volta si trova a gruppi di
laminette esagonali, le quali esaminate al microscopio lasciano distinguere ai bordi 1’ ac-
cenno ad una piramide.
I cristallini isolati sono rari, sempre in forma di tavolette appiattite secondo la base
j000lj, contornate dal prisma jl0l()| e in alcuni anche della piramide jlOllj.
Considerati i cristalli come romboedrici, sia per la disposizione delle facce, sia per
la costante uniassicità (6), le forme riscontrate nell’ aftitalite dell’ Etna sono le seguenti :
c— jlllj, tu — 1 2 T T j , r — 1 1 0 0 1 , p = j 2 2 1 ( .
(1) C. MARAVIGNA, Atti Acc. Gioenia, Ser. r, Voi. VI. pag. 211.
(2) C. MARAVIGNA, Tav. VI, N. 28, 1838, Parigi.
(3) O. SILVESTRI, L. c. pag. 198 e 216.
(4) A. LACROIX, L. c. pag. 222.
(5) WALTERSHAUSEN-LASAULX, Der Aetna, Voi. Il, 1880, Leipzig, pag. 527.
(6) Secondo Franco parte dell’ aftitalite del Vesuvio dovea considerarsi biassica, però lo studio degli stessi
cristalli fatto dallo Zambonini riconfermò 1’ assegnazione di essi a uniassici fatta dallo Striiver.
6
S. Di Franco
[Memoria XII.]
Dall’angolo (111) : (100) = 56° 3', media di otto misure con limiti estremi di
56° T — 56° 6', mi risultò il rapporto parametrico :
a : c — 1 : 1,28635
che si avvicina di molto a quello dato dallo Zambonini (1) per 1’ aft Halite del Vesuvio:
a : c =■ I : 1, 2849.
Carbonato di sodio.
Il Carbonato sodico che si forma nelle fumarole dell’ Etna fu indicato per la prima
volta dal Fouqué e dal Silvestri nei loro studii sull’ eruzione del 1865, mentre prima era
noto, come prodotto dell’ Etna, quello trovato nelle fenditure della lava delle eruzioni del
1669 (Monti Rossi) e del 1843 (Bronte), descritto dal Maravigna (2) sin dal 1831 col
nome di idro-carbonato di soda, simile al natron dell’ Egitto.
Secondo Groth il natron corrisponde alla formula Na2C03. I0H20 ma in natura
esistono altri due carbonati : la tennonatrite (Na2C03. H20) ed il trona o urao
(Na2C03.NaHC08.2H20).
Però dai dati delle analisi del Maravigna e Zuccarello (3), sopra il carbonato di
soda trovato nella lava del 1669, risulterebbe un composto non noto in natura e neppure
esistente tra i carbonati di sodio idrati ottenuti artificialmente.
Il Dott. Salvatore Platania (4), intraprese uno studio sul carbonato di soda trovato
nella lava del 1669, e sebbene dai risultati delle sue analisi non si possa con sicurezza
indicare a quale dei tre noti carbonati debba riferirsi, ha però il merito di avere dimo-
strato, sin dal 1832, il modo di formazione del carbonato di soda delle lave, come si
dirà in seguito a proposito della genesi.
I dati delle analisi fatte dal Silvestri (5), sul carbonato di soda prodotto dalle fu-
marole dell’eruzione etnea del 1865, non condurrebbero a nessuno dei carbonati noti in
natura nè di quelli ottenuti artificialmente; però il carbonato di soda analizzato dal Silve-
stri conteneva tracce di cloruro di sodio e di potassio e solfati dei medesimi alcali. Egli
inoltre, nell’ interno d’ un blocco di lava scoriacea trovato vicino le bocche eruttive, circa
un anno dopo dell’eruzione del 1865, potè constatare, in seguito ad analisi, mescolato ai
suddetti sali un carbonato di sodio privo di acqua, la cui esistenza non è stata confer-
mata da ulteriori ricerche.
Recentemente Stella Starrabba (6) raccolse in alcune grotte nella lava dell’ eruzione
del 1669 alcuni campioni di carbonato disodio, i quali presentavano due aspetti differenti :
(1) F. ZAMBONINI, Mineralogia vesuviana , Napoli, 1910, pag. 316.
(2) C. MARAVIGNA, Materiali per servire alla compilazione dell' oriltognosia etnea — Atti Acc. Gioe-
nte, Ser. ia, Voi. V, pag. 150.
(3) ZUCCARELLO e MARAVIGNA, Memoria di un sottocarbonaio di soda scoperto nelle lave del litorale
di Catania — Giornale di Scienze, Lettere ed Arti per la Sicilia, Voi. XXX III, 1831, Palermo.
(4) S. PLATANIA, Sul carbonato di soda nativo nelle lave dell’ Etna con alcuni concetti sulla sua for-
mazione — Atti Acc. Gioenia, Ser. ia, Voi. Vili, 1834, pag. 153.
(5) O. SILVESTRI, L. c. pag. 191 e 216.
(6) F. STELLA STARABBA, Contributo allo studio dei carbonati di sodio delle lave dell’ Etna. Riv. di
Min. e Crist. Italiana, voi. XLI 1 , 1913, Padova.
1 Minerali delle fumarole dell' eruzione etnea del 1910
7
o in ammassi pulverulenti costituiti da minuti cristallini o in incrostazioni a struttura sac-
caroide a granuli privi di forma cristallina e dal suo accurato studio vi potè riconoscere
il natron puro ed il trona.
Egli fa anche una opportuna critica sui risultati delle analisi eseguite dal Maravigna-
Zuccarello, dal Platania e dal Silvestri; risultati tanto vari perchè certamente dovuti alla
contemporanea presenza di diversi carbonati nella stessa massa analizzata.
Sino ad oggi però non si aveano dati sicuri sul carbonato sodico formatosi nelle fu-
marole durante un’ eruzione dell’ Etna ; avendo avuto a disposizione un discreto numero
di buoni campioni, prelevati da me stesso dalle fumarole dell’eruzione del 1910, potei dal-
l’analisi constatare 1’ esistenza del natron, della termonatrite e del trona.
Natron Na2 C03. 10H,0.
Il Natron prodotto dalle fumarole si presenta in aggregati di granuli cristallini, tra-
sparenti ed incolori, i quali al microscopio non lasciano distinguere un contorno regolare;
raramente si trova in croste aderenti alla lava: esposto all’aria si appanna perchè i gra-
nuli cristallini diventano opachi, per conservarli trasparenti occorre metterli in recipienti
ben chiusi.
La sostanza è solubilissima nell’ acqua, ha forte reazione alcalina e fa effervescenza
con gli acidi; riscaldata in tubo di vetro sviluppa vapor d’acqua in discreta quantità, che
si condensa in goccioline nella parte fredda del tubo stesso.
Il sale prelevato da tre diversi campioni e riscaldato separatamente in crogiuolo sino
a peso costante per determinare la perdita dell’acqua mi diede i seguenti risultati:
a)
Peso della
sostanza.
. gr. 0,454
Perdita al
calor rosso .
. „ 0,293
Acqua °/0
62,39
b)
Peso della
sostanza.
. gr. 0,693
Perdita al
calor rosso . .
„ 0,435
Acqua °/0
62,77
c)
Peso dèlia
sostanza . .
. gr. 0,735
Perdita al
calor rosso . .
. „ 0,462
Acqua %
62,86
I suddetti valori di 62, 39; 62, 77; 62, 86 si avvicinano alla percentuale della perdita
dell’ acqua del natron in seguito a riscaldamento, che secondo la formula Na2C03.I0H20
è di 62, 94.
L’ analisi eseguita sopra gr. 0,693 di sostanza, scelta nei campioni meglio conservati,
mi diede i seguenti risultati :
C02 .
Na20 .
K20 .
H,0 .
gr. 0.107917
„ 0,150318
„ tr.
„ 0,435 .
15, 56 %
21, 76 „
62, 77
100, 09
Somma
gr. 0,693235
8
S. Di Franco
[Memoria XII.]
i quali si avvicinano ai valori teorici :
COg 15, 38 %
NasO 21,68 „
IO H20 .... 62,94 „
100, 00
con la differenza che nel natron delle fumarole dell’ Etna si trovano sensibili tracce di
potassio.
Fatta la soluzione acquosa, lasciai cristallizzare il carbonato di soda e decantai il li-
quido, in cui mediante trattamento con alcool e cloruro di platino riscontrai piccole quan-
tità di potassio (precipitato giallo).
Termonatrite Na2C03.H20.
La Termonatrite si trova in croste bianche, opache, aderenti alle lave; al microsco-
pio non si può con sufficiente esattezza osservare la forma cristallina , però qualche
lamella mostra la forma rombica data da jlioj con troncatura corrispondente a j lOOj .
Fatto un saggio sopra gr. 0,480 di sostanza mi diede: anidride carbonica gr. 0,1702
ossia una percentuale di 35,46; la perdita dell’acqua al calor rosso mi risultò 14, 57 %;
valori molto vicini a quelli della termonatrite secondo la formula Na2C03.H20:
C02 .
35, 48
NatO.
50, 00
h2o .
14, 52
100, 00
La termonatrite non è stata sino ad oggi riscontrata tra i prodotti delle fumarole
dell’ Etna.
Una volta che il natron perdendo nove delle sue molecole di acqua di cristallizza-
zione si riduce a termonatrite (Na2C03.H20) d’ accordo col Matteucci ritengo che la sua
presenza si debba alla parziale disidratazione del natron , in determinate condizioni di
temperatura.
Troua Na2C03.NaHC03.2H20.
In pochi esemplari constatai una leggiera patina, che al microscopio risulta formata
di piccoli aghetti, con estinzione retta nel senso dell’ asse di maggiore allungamento.
La sostanza ha reazione fortemente alcalina, con gli acidi anche più deboli fa effer-
vescenza, svolgendo abbondante anidride carbonica; scaldata in tubo di vetro svolge acqua,
che si deposita nella parte fredda del tubo stesso.
Al calor rosso ha dato un residuo fisso di 69,91 %> valore che si avvicina al 70,36
per cento che dovrebbe lasciare secondo la formula : Na2C03.NaHC03.2H20 stabilita per
il trono.
Anche il trono non è stato sino ad ora constatato tra i prodotti delle fumarole che
si manifestano durante 1’ eruzione dell’ Etna.
I Minerali delle fumarole dell' eruzione etnea del 1910
9
Lo Stella, come è detto precedentemente, trovò il trotta in alcune grotte nelle lave
del 1669, associato al natron.
*
* *
Per l’origine del carbonaio di soda , trovato nelle cavità delle lave, l’ipotesi del Ma-
ravigna (1) che lo fa derivare dall’ azione del cloruro di sodio sul carbonato calcare, che
secondo lui formerebbe in parte il sottosuolo dell’ Etna, non ha alcuna base di fonda-
mento; prima perchè diffìcilmente potrebbe spiegarsi la formazione del carbonato di soda
coll’ azione del cloruro sul carbonato di calce, secondo perchè le rocce che formano la
base dell’Etna sono principalmente arenarie e non calcaree, come risulta non solo dalle
prove stratigrafiche, ma dalla natura silicea degl’ inclusi delle lave e delle bombe, dove
mancano i silicati calcari, tanto frequenti in altri vulcani.
Il Silvestri (2) per spiegare la presenza del carbonato di soda nelle fumarole del-
1’ Etna durante le eruzioni, ammise la decomposizione parziale del cloruro di sodio, effet-
tuata per mezzo del vapore acqueo sotto l’ influenza dell’ elevata temperatura che accom-
pagna queste emanazioni saline della lava ed in seguito per azione dell’ anidride carbo-
nica dell’ aria la soda caustica passa ben presto allo stato di carbonato.
Egli cita in proposito la nota esperienza di Gay-Lussac e Thénard colla quale essi
giunsero a trasformare in parte in idrato il cloruro di sodio, riscaldato in presenza di si-
licati con una corrente di vapor d’ acqua, secondo 1’ equazione :
NaCl -f H20 = NaOH -f HCI
Anche il Matteucci (3) a proposito del suo studio sul bicarbonato di soda del Vesu-
vio si attenne a tale spiegazione, ammettendo però che sull’ idrato sodico per trasformarlo
nel corrispondente carbonato agisse l’anidride carbonica dello stesso magma incandescente.
Però, occorre ricordare che sin dal 1832 il Dott. Salvatore Platania (4) aveva spie-
gato la formazione dei carbonati trovati nelle cavità della lava dell’ Etna, nelle contrade
S. Giovanni di Gaiermo, Misterbianco e Beipasso, cioè nella lava della stessa corrente
della grande eruzione del 1669, ammettendo la decomposizione del cloruro di sodio in
idrato sodico ed assorbimento dell’ anidride carbonica dell’ aria ed anche di quella che si
poteva svolgere sotto la lava.
Dunque il Platania ammise la decomposizione del cloruro sodico in idrato e l’azione
su questo dell’anidride carbonica, prima assai del Silvestri e del Matteucci, con la diffe-
renza che secondo quest’ ultimo l’ anidride carbonica era quella emessa dalle lave stesse.
Si sa che la lava a temperatura elevata, trattiene una grande quantità di sostanze
gassose, che si sviluppano col graduale raffreddamento di essa, tra queste figura anche
1’ anidride carbonica, la quale basta colla sua azione per spiegare la formazione dei car-
bonati (5), senza ricorrere alla sola influenza dell’anidride carbonica dell’aria.
(1) C. MARAVIGNA, L. C., pag. 151.
(2) O. SILVESTRI, L. C., pag. 189.
(3) R. V. MATTEUCCI, Sul bicarbonato sodico prodottosi sulle lave dell’ eruzione vesuviana principiata
il 3 luglio 1S95 — Rend. R. Acc. Se. Fis. Mat. di Napoli, Fase. Il0, Nov. 1897, pag. 12.
(4) S. PLATANIA, L. C., pag. I71.
(5) Le esperienze del Brun (A. BRUN, Recherches sur l’exhalaison volcanique- Genève, 1911, pag. 91)
danno più dell’ 80 % di CO» tra le esalazioni gassose della lava dell’eruzione etnea del 1879.
ATTI ACC. SERIE 5a, VOL. IX — Meni. XII.
2
10
S. Di Franco
[Memoria XII.]
Sembra dunque che questa sia l’ ipotesi più attendibile, ed è pertanto adottata dagli
odierni naturalisti.
Tenorite CuO.
La Tenorite (1) nell’eruzione del 1910 si produsse in quantità appena apprezzabile,
invece fu relativamente abbondante nell’ eruzione del 1886 e non se ne trovò traccia al-
cuna nelle sublimazioni dei blocchi rigettati dal cratere centrale durante 1’ eruzione del 1879.
Questo minerale compare nelle fumarole delle correnti di lava e in quelle dei crateri,
e nelle scorie senza essere accompagnato da altri minerali di formazione contemporanea ;
raramente è impiantato sopra la massa bianca dei cloruri, spesso colorandoli in verde
caratteristico, per la formazione dell’ ossi-cloruro di rame.
Si presenta a gruppi di piccole laminette fragilissime, di colore grigio-oscuro e splen-
dore sub-metallico, o in masse di cristallini aghiformi della lunghezza di 4 a 6 millimetri.
Al microscopio le laminette si risolvono in aggregati cristallini appiattiti secondo (010),
mostrando nelle parti più sottili, per trasparenza, la colorazione bruna come la biotite.
La presenza della tenorile è interessante per il chimismo nel focolare vulcanico, per-
chè la presenza del rame non è stata riscontrata tra i componenti della lava, e bisogna
ammettere che esso non sia venuto fuori allo stato di ossido, perchè gli ossidi di rame
non volatilizzano neanche alla più alta temperatura.
11 Lacroix ammette che il rame venga dalle profondità del focolare vulcanico allo
stato di Cu3 Cl2 volatile ad alta temperatura e che forma un minerale bianco la nantokite ,
non osservato sino ad oggi tra i prodotti dell’ eruzione, il quale essendo molto instabile
si trasforma in cloruro rameico (CuCL).
Per azione del vapor d’acqua sul cloruro rameico si formerebbe la tenorite come in-
dicò il Covelli (2).
Però non trovando nei campioni contenenti le laminette di tenorite tracce di cloruro
rameico , sembra che essa siasi formata per tale reazione compiutasi nella massa stessa
della lava nel focolare vulcanico o durante il percorso della lava prima di venire alla su-
perficie del suolo.
Atelite °2CuO. CuCL. 3H20 (3).
L’ Atelite si presenta in masse amorfe e pulvurulenti, essa è prodotta dall’ azione del-
1’ acido cloridrico sulla tenorite.
Sottoponendo infatti i cristalli di tenorite ai vapori di acido cloridrico, dopo qualche
giorno si trovano colorati in verde più o meno intenso, dovuto alla trasformazione in
atelile.
Secondo lo spessore della laminetta di tenorite e la durata dell’azione dell’acido clo-
ridrico essa conserva la forma laminare primitiva o si riduce in masse amorfe.
(x) S. DI FRANCO, La Tenorile delle lave dell’ Etna — Atti Acc. Gioenia Ser. 5, voi. Ili, 1910.
(2) N. COVELLI, Sul bi-solfuro di rame che /orinasi attualmente nel Vesuvio. Atti R. Acc. delle Scienze
di Napoli 1839, Voi. IV, pag. io.
(3) Secondo la formula data dallo Scacchi in seguito ai risultati dell’ analisi: CuO 45, 59, Cu CI2 38, 19,
H20 e perdita 16, 22 Somma 100. Atti R. Acc. Se. Fis. Mat. di Napoli VI, 1874, pag. 22.
11
1 Minerali delle fumarole dell' eruzione etnea del 1910
Per effetto dei vapori di acido cloridrico, che lentamente. si sprigionano da altre sco-
rie, i campioni di tenorile raccolti e conservati nel laboratorio di mineralogia e vulcano-
logia della R. Università di Catania talvolta si sono trasformati lentamente in atelite.
MINERALI DELLE FUMAROLE ACIDE.
(2a Categoria )
Col diminuire della temperatura le fumarole assumono carattere acido : prima a com-
parire è l’acido cloridrico, poi in minor quantità l’anidride solforosa.
Queste emanazioni durante 1’ eruzione si svolgevano sia nelle fumarole dei crateri, sia
lungo il corso delle lave; però 1’ acido cloridrico prima abbondante, sul declinare della
eruzione venne sostituito in parte dall’ anidride solforosa, specialmente nella regione dei
crateri, essendo rara nelle fumarole delle lave.
In queste fumarole per la temperatura meno elevata non fu più possibile la forma-
zione dei sali alcalini, fatto anche constatato dal Fouqué nell’eruzione dell’Etna del 1865
e dal Lacroix in quella del Vesuvio del 1906.
Si produsse invece relativamente abbondante il cloruro di ferro , in poca quantità
Vernatile e piccoli granuli di magnetite e di pirite , quest’ ultime due non riscontrate sino
ad ora tra i prodotti delle fumarole delle eruzioni dell’ Etna, e tracce di solfo.
Ematite Fe203
L’ Ematite si produsse in pochissimi cristalli, analogamente a quanto si è constatato
nelle recenti eruzioni, anzi in quella del 1886 non ne comparve punto.
I campioni prelevati offrono due tipi : o in lamine a contorno esagonale, colore gri-
gio-oscuro e splendore metallico, o in piccole laminette d’ una estrema sottigliezza, colore
rosso-sangue senza splendore metallico.
II primo tipo presenta sviluppatissima la base, che dà 1’ aspetto lamellare ai cristalli,
ad essa si associano i due romboedri, il diretto • 1 0 0( e l’inverso j 1 1 0j e piuttosto ra-
ramente il prisma jlOlj.
La base presenta qualche striatura parallela al romboedro inverso.
Rari sono i cristallini isolati, invece sono comuni i gruppi di laminette addossate,
formando dei contorni poligonali molto complicati.
Le laminette sottili sono trasparenti e al microscopio secondo lo spessore mostrano
una tinta dal rosso-chiaro al rosso-oscuro.
La formazione dell 'ematite si spiega in base ad esperienze da laboratorio, come quella
del Gay-Lussac, colla nota reazione del cloruro di ferro trasformato in ossido :
2FeCl3 -f- 3H2O = Fe203 -f- 6HC1
Secondo il Silvestri l’acido cloridrico nelle fumarole attaccherebbe i composti di ferro
della lava formando il percloruro di ferro da cui si origina il ferro oligisto.
Però io ho notato che nelle scorie, dove si trovano impiantati i cristallini di ematite ,
non si osservano tracce di cloruro di ferro, nè si osserva al microscopio, nella sezione
della scoria stessa, una qualsiasi alterazione negli elementi ferruginosi della lava.
Anche nei blocchi venuti fuori dalle esplosioni del cratere centrale durante l’eruzione
12
S. Di Franco
[Memoria XII. ]
del 1879, si trovano abbondanti e nitidi cristalli di ferro oligisto, senza la minima traccia
di cloruro di ferro.
Mostrando 1’ osservazione che la roccia vulcanica in vicinanza della ematite non si
impoverisce notevolmente di ferro e che il cloruro di ferro manca, ove si trova l 'ematite,
siamo indotti ad affermare che il cloruro di ferro debba provenire dalle profondità, come
del resto avviene per il cloruro di rame, non trovandosi il rame come componente delle
rocce dell’ Etna.
Magnetite Fe3 04
Sino ad oggi la presenza della Magnetite non è stata notata fra i prodotti delle fu-
marole delle eruzioni etnee.
Si presenta in piccoli granuli neri, delle dimensioni di mezzo millimetro, che si ren-
dono evidenti all’ azione d’ un magnete, assieme al ferro oligisto.
Pirite Fe S2
Anche la Pirite non è stata riscontrata nei prodotti delle fumarole delle eruzioni del-
1’ Etna.
Si trova in piccolissimi granuli cristallini soltanto nelle scorie dei crateri ed è d’ una
rarità estrema sia nelle fumarole sia come minerale dell’ Etna.
Un pezzo di lava venuto fuori per una esplosione dal cratere centrale avvenuta nel
giugno 1899 si presenta addirittura ricoperto di pirite , senza che la lava presenti sensi-
bile traccia di alterazione.
Molto probabilmente la pirite si è formata per azione dell’acido solfìdrico sul cloruro
ferrico.
11 Durocher basandosi su questa reazione ottenne in laboratorio cristallini di pirite.
Secondo lo Zambonini anche la pirite del Vesuvio deve essersi formata nello stesso
modo.
MINERALI DELLE FUMAROLE A CLORURO D’ AMMONIO
(3a Categoria ).
Le fumarole a cloruro d' ammonio si trovarono distribuite e localizzate in alcune
fenditure delle morene laterali della corrente (v. Fig. la della tav.) a misura che la lava
si andava raffreddando e non si manifestarono nei crateri e nelle parti alte delle colate
dell’ eruzione.
L’attività di queste fumarole continuò per moltissimo tempo durante il lentissimo
raffreddamento della parte interna della corrente.
Il Fouqué (1) nell’eruzione dell’Etna del 1865, avendo notato che le fumarole a sale
ammoniaco abbondavano nelle regioni boschive, ne dedusse che questo sale non dovesse
essere di origine profonda.
Però sin dal 1819 il Davv (2) trovò questo prodotto al cratere centrale del Vesuvio.
(1) F. FOUQUÉ, Coniptes rendus 1865, Voi. 60.
(2) H. DAVY, Sur les phénomènes des Volcans, traci, in Bibl. Unii’., Genève, 1828 (dice che in qual-
che campione di sostanze saline da lui raccolte al cratere del Vesuvio trovò « une quantité consideratile du
muriate d’ammoniaque »).
I Minerali delle f umarole dell' eruzione etnea del 1910
13
Anche il Palmieri (1) trovò al Vesuvio prodotti ammoniacali in uno dei crateri del
1861 e del 1867 e sulle scorie di una fumarola della cima del gran cono e il Matteucci (2)
dimostrò l’ esistenza del sale ammoniaco in tutti i prodotti solidi rigettati durante 1’ eru-
zione vesuviana del 1906 e nei lapilli dell’ eruzione esplosiva del cratere avvenuta il 13
maggio 1900.
All’Etna il cloruro di ammonio è stato anche da me riscontrato nelle ceneri e nelle
scorie delle esplosioni parosismali , e 1’ ho trovato ancora , relativamente abbondante , al-
l’ orlo del cratere centrale.
Anche i cristallini di cloruro di sodio esistenti nei blocchi lanciati dal cratere du-
rante 1’ eruzione etnea del 1879 riscaldati in crogiuolo fino al rosso e trattati con calce
pura, danno dei vapori di ammoniaca.
Da ciò si viene alla conclusione che il cloruro di ammonio solamente in piccolis-
sima parte debbasi considerare come prodotto dalla materia organica ricoperta dalla lava,
ma in massima parte sia di origine profonda, proveniente dal focolare vulcanico.
Cloruro (li ammonio NH4C1.
La formazione del Cloruro di ammonio nelle fumarole durante l’eruzione fu copio-
sa, ed è notevole che questo prodotto è più abbondante all’ Etna che al Vesuvio. Esso
è generalmente di colore bianco, con rari cristalli incolori limpidi e trasparenti o colorati
per la presenza di diverse sostanze ; in giallo o rosso di varie gradazioni , per i sali di
ferro o per inclusioni di piccole laminette di ematite ; raramente in verde per effetto dei
sali di rame, qualche volta di colore bruno per inclusioni di prodotti carbonici.
Le inclusioni di ematite, allorché si scioglie il cloruro ammonico nell’acqua e si eva-
pora la soluzione, si depongono al fondo del recipiente, raggruppandosi in piccoli aggre-
gati dentritici, che danno una colorazione rosea a tutto il deposito del sale ammoniacale.
In una stessa fumarola potei osservare cristalli del tutto trasparenti ed altri opachi
in generale quelli della parte interna delle cavità erano limpidi e brillanti.
I cristalli presentano le seguenti forme :
jlioj, ( 211 j , jiooj, j 32 1 j .
Predominano le forme semplici di rombododecaedro j llOj e quelle di trapezoedro 1 2 1 1 1
e nella stessa fumarola i cristalli sono del medesimo tipo (3).
In alcuni campioni si osservano benissimo le combinazioni di cubo e rombodode-
caedro jlOOjjllOj, e di cubo e trapezoedro jlOOj 1 2 1 1 1 , spesso con facce di cubo svilup-
pi L. PALMIERI, Di alcuni prodotti trovati nelle fumarole del cratere del Vesuvio, Rend. Acc. Se. Fis.
Nat. di Napoli 1867, p. 83.
(2) R. V. MATTEUCCI, Sur la production simultanee de dettar sciar azolés dans le cratère du Vestire,
Comptes rendus, t. CXXXI, 1900, p. 962.
(3) D. DOLOMIEU, Mémoire sur les Iles Ponces, et catalogne raisonné des produits de l’ Etna, Paris,
1788, p. 373, accennò alla forma cubica del cloruro di ammonio che aveva attribuito a cloruro di sodio, ma
a lui fatta riconoscere nella sua vera natura da Faujas de Saint-Fond; però Haiiy, Traile de Mineralogie,
Voi. 2, p. 223, Paris, 1821-1823, non volle ammettere per il cloruro di ammonio il cubo come forma di pro-
dotto naturale.
14
S. Di Franco
[Memoria XII.]
patissime; più rare sono quelle di rombododecaedro e trapezoedro jliojjsilj, di rombo-
dodecaedro ed esacisottaedro |ll0||32l|; osservate poche volte le combinazioni di rom-
bododecaedro, trapezoedro con facce ampie ed esacisottaedro j 1 lOj |2l ij |32 1 1 .
Sulle facce dei cristalli si trovano numerose righe da attribuirsi ora a striature, ora
a faccettine oscillatorie (v. Fig. 2, 3, 4) dovute alla rapidità della cristallizzazione.
La forma cristallina della Fig. 2a è rara, essa è stata anche riscontrata poche volte
dallo Scacchi al Vesuvio (Contribuzioni mineralogiche per servire alla storia dell' in-
cendio vesuviano del mese di aprile 1872 , Atti R. Acc. Se. Fis. Mat. di Napoli, Voi 6,
1875, fig. 1 1, tavola la); in questi cristalli compaiono sviluppate gli spigoli di uno degli
angoli triedri del cubo e parallelemente a questi spigoli si è formato un aggregato sche-
letrico con laminette sottili corrispondenti alle facce del cubo stesso.
Un fenomeno interessante si osserva quando sulle facce del rombododecaedro si eser-
cita con uno spillo una leggiera pressione; allora al microscopio si notano delle bande
birifrangenti, le quali diminuiscono sensibilmente tostocchè 1’ ago cessa di agire, precisa-
mente come esperimento il Gaubert (1) sopra i campioni di sale ammoniaco di Saint-
Etienne; fenomeno che egli spiega supponendo che le molecole, senza cambiare la loro
orientazione siano state compresse, e che ritornino poi al primitivo equilibrio avendo i
cristalli di cloruro d' ammonio una certa plasticità, tranne che essendo stato sorpassato il
limite massimo di elasticità la deformazione non rimanga permanente.
La direzione secondo la quale il cristallo si modifica più facilmente, coincide con la
proiezione dell’ asse ternario sopra la faccia del rombododecaedro considerata e la produ-
zione delle bande birifrangenti è conseguenza dell’ineguaglianza dei coefficienti di elasti-
cità secondo gli assi trigonali e tetragonali. Ciò hanno potuto dimostrare in generale
Voigt e Groth per alcuni cristalli cubici di diverse sostanze nei quali i coefficienti di ela-
sticità furono trovati differenti in tali assi e precisamente il coefficiente più debole risultò
nella direzione degli assi ternarii.
Delle forme cristalline eleganti ottenni evaporando in un vetrino porta-oggetti la so-
luzione acquosa di cloruro di ammonio prodotto dalle fumarole (v. Fig. 6).
Evaporando invece la stessa soluzione. in un cristallizzatore si formò sul fondo una
rete di cristalli allungati e normali tra di loro, d’ambo i lati di questi e sempre perpen-
dicolari se ne trovavano impiantati altri e su quest’ ultimi altri ancora, formando un in-
sieme simile ai cristalli descritti da Sommerfeldt (2).
Anche i campioni di sale ammoniaco dell’ Etna, conservati in ambiente umido, dopo
parecchi giorni formano delle efflorescenze cristalline, che al microscopio risultano della
forma precedentemente descritta.
Nelle fumarole il sale ammoniaco oltre in cristalli si trova in ammassi dello spessore
di circa venti centimetri con struttura fibrosa e le fibre sono perpendicolari alla superfìcie
della lava su cui si trovano impiantate.
Non sono rare bellissime forme arborescenti, o strati sottili di questo sale che a guisa
di smalto ricopre la lava.
(1) P. GAUBERT, Sur Ics bandes birèfringentes provoquèes par la pressimi, aver rupi are des faces ,
sur les crìstaux cubiques — Bull. Société Fran?aise de Minéralogie, Voi. XXV, 1902, pag. 154.
(2) E. SOMMERFELDT, /.um Dìmorphismus des Sahniaks — Zeit. f. Kryst. X L V III, pag. 515-
I Minerali delle fumarole deli eruzione etnea del 1910
15
Solfato (li ammonio (NH4)2 S04
(. Mascagnite )
Il Solfato di ammonio fu indicato per la prima volta dal Maravigna (1) quale pro-
dotto delle fumarole e dal cratere centrale dell’ Etna, rinvenuto allo stato di concrezioni o
pulverulento.
Tra i prodotti della eruzione etnea del 1910, la presenza del solfalo d' ammonio, non
si può indicare con sufficiente certezza, si ha soltanto un indizio della sua presenza, perchè
nella soluzione di alcuni campioni di cloruro di ammonio, trattata con nitrato di bario, dà
un leggiero precipitato bianco, insolubile negli acidi.
Lo stesso riscontrò il Silvestri nei prodotti delle fumarole dell’ eruzione del 1865, e
spiegò che l’ acido solforico del solfato ammoniacale proviene da una sopra ossidazione
di minima proporzione delle emanazioni di acido solforoso a contatto dell’ aria.
Il Lacroix riscaldando in un tubo il cloruro di ammonio, trovato assieme ad altri sali
nella lava del Vesuvio 1906, notò che sublimava anche il solfato di ammoniaca; ma lo
Zambonini (2) confermando tale osservazione, non ha creduto di potere dedurre 1’ esistenza
(del resto probabilissima) della mascagnite , come specie mineralogica definita, tra i subli-
mati della lava della eruzione vesuviana del 1906, precisamente come io ho notato, esami-
nando i prodotti delle fumarole della eruzione etnea del 1910.
MINERALI DELLE FUMAROLE SOLFIDRICHE
(4a Cai egoria)
Le fumarole solfidriche corrispondono ad una intensità minima dell’attività eruttiva;
li trovai localizzate esclusivamente nei crateri eruttivi dopo l’ emissione della lava.
Il Fouqué (3) in un rapporto sull’eruzione dell’ Etna del 1865, riferendosi alla classi-
ficazione delle fumarole del Saint Claire Deville scrisse di non avere riscontrato lo zolfo
ed i suoi composti, nè di avere sentito 1’ odore caratteristico dell’ acido solfìdrico e che i
saggi analitici stessi gli erano risultati negativi alla presenza di esso.
Il Saint Claire Deville (4) confutò l’osservazione del Fouqué, facendo rilevare che que-
sti si potè occupare delle fumarole delle lave , mentre le fumarole solfidriche si trovano
nella regione dei crateri e ricordò in proposito che al Vesuvio, un mese dopo 1’ emissione
della lava del 1861, aveano potuto constatare insieme un leggiero deposito di zolfo.
Il Silvestri nella sua classificazione non fa una categoria distinta di queste fumarole
tanto interessanti e caratteristiche con produzioni di cristalli di zolfo e di gesso.
Ora nelle fumarole dei crateri, oltre 1’ odore dell’ idrogeno solforato, in alcuni punti
avvertivo anche quello dell’ anidride solforosa ; però in una medesima fumarola non coe-
(1) C. MARAVIGNA, Materiali per servire alla compilazione della orittognosia etnea — Atti Acc. Gioe-
nia, Ser. ia voi. VI, 1832, pag. 212, e Tavole sinottiche dei prodotti dell' Etna — Parigi, 1830, tav. 6, N. 28.
(2) F. ZAMBONINI, Mineralogia vesuviana, Napoli, 1910, pag. 322.
(3) FOUQUÉ, Comptes rendus, 1865, Voi. 60, pag. 548.
(4) S. Claire Deville, idem pag. 555.
16
S. Di Franco
[Memoria XII].
sistevano entrambi in quantità rilevanti, in quanto si decomponevano reciprocamente de-
ponendo lo zolfo secondo l’equazione:
S02 -f 2H2S — 2HsO -f 3S.
Molto probabilmente in queste fumarole l’anidride solforosa è prodotta dall’acido sol-
fìdrico stesso il quale all’ aria e ad alta temperatura dà la seguente reazione :
H2S -j- 30 = H20 -f- SO2
mentre a bassa temperatura 1’ H2S ossidandosi incompletamente produce acqua e deposita
zolfo.
Zolfo- a
Alcuni giorni dopo cessata la emissione della lava, potei raccogliere agli orli dei coni
eruttivi, delle scorie con abbondanti cristallini di solfo.
11 Silvestri dice che all’Etna lo solfo si presenta nelle fumarole un mese dopo e più
dacché le medesime cominciano a manifestarsi.
Effettivamente i cristallini di solfo si trovano nei crateri nell’ ultima fase del periodo
eruttivo e non appena la temperatura abbassata ne permette la loro formazione.
In generale i cristalli raccolti durante le emanazioni non hanno subito le ultime fasi
del loro sviluppo definitivo e sono visibilissime le intaccature, le solcature degli strati in-
completi, dentellati, ineguali, che dovevano contornare gli strati ultimi di accrescimento.
Si notano però bellissimi gruppi di cristalli iso-orientati della lunghezza di millimetri
otto e più nella direzione dell’asse s , (v. Figure 5 e 7 della tav.) e cristalli isolati nitidi
d’ un colore giallo d’olio puro, con lucentezza adamantina e trasparenza perfetta; sono
■relativamente i più ricchi di faccettine, vi si osservano le seguenti forme :
c jooij, /> jlllj, 5 jll3j, t jl 15 j , m jlioj, n joilj, v joi3).
Le combinazioni da me riscontrate sono le seguenti :
ì) jmj , jooij .
2) jlllj , jll3j , jooij .
3) jlllj, j 1 13 j , jOllJ, jooij.
4) jlllj, j 1 1 3 j , jll5j, jooij.
5) jlllj, j 1 1 3 j , jlioj, jOllj, j 0 1 3 j , jOOlj.
6) jlllj , jl 13} , { 1 1 5 j , jOllj , jo 1 3 j , jOOlj .
La jlllj si presenta in tutti i cristalli, quasi sempre ha facce sviluppatissime.
La jOOlj è piccolissima in confronto alle altre faccettine.
Le forme j 1 1 Oj e jllbj sono rare e quest’ ultima è costantemente meno sviluppata
della j 1 1 3 j .
I Minerali delle fumarole dell’ eruzione etnea del 1910
17
Si osservano cristalli di forma molto appiattita per la maggiore estensione di alcune
facce della piramide jlllj e conseguente riduzione delle rimanenti.
Altre volte invece i cristalli assumono un aspetto prismatico per il maggiore sviluppo
delle facce della zona [010].
Spesso negli spigoli dei cristallini sono accennate piccole faccettine, simili a rigature
brillanti, o faccettine dovute a decrescimenti ; non si tratta di vere facce , ma di pseudo-
faccettine dovute alla influenza dell’ambiente nella fase di accrescimento.
Nella seguente tabella trascrivo i valori angolari da me misurati e quelli calcolati in
base alle note costanti date dal Koscharow.
a: b : c = 813089 : l : 1, 90339
Angoli
Limite
DELLE OSSERVAZIONI
Numero
Media
Calcolati
Differenze
m
m
■=--(110)
(ITO)
78°
10' —
78°
13'
8
78°
12'
78°
14'
—
2'
n
c
-(Oli)
(001)
62
15 -
62
20
5
62
18
62
17
+
l'
P
c
-(111)
(001)
71
39 -
71
40
4
71
391/,
71
39
45"
—
0' 1 5"
c
s
= (001)
(113)
45
9 —
45
11
6
45
10
45
9
45
+
0' 15'
c
t
= (001)
(115)
31
4 —
31
7
4
31
5 7*
31
6
30
—
0’ 45"
n
p
-(Oli)
(IH)
47
24 —
47
26
5
47
25
47
26
—
1'
m
p
= (110)
(IH)
18
19 —
18
22
4
18
21
18
20
15
+
0'45"
m
s
= (110)
(113)
44
49 -
44
52
6
44
51
44
50
51
+
0' 9"
m
t
= (110)
(115)
58
53 —
58
55
5
58
54
58
53
30
+
0'30"
c
V
= (001)
(013)
32
22 —
32
27
7
32
25
32
23
30
o
CO
s
s
= (113)
013)
66
44 -
66
47
5
66
46
66
45
39
.+
0'21"
t
l
= (115)
(115)
47
14 -
47
17
5
47
15 7.
47
15
51
—
0' 6"
V
V
= (013)
(013)
64
45 —
64
48
7
64
47
64
47
15
—
0' 15"
Gli aggruppamenti risultano formati da numerosi cristallini della forma jlllj, inca-
strati fra loro in direzione dell’asse z, come un . cristallo apparentemente unico, interrotto
nel suo completamento (v. Fig. 5 e 7).
Si presentano a guisa di bastoncelli della lunghezza di circa 8 millimetri , riuniti in
gruppi iso-orientati , con esatto parallelismo dei loro elementi omologhi , d’ un colore
giallo-citrino, splendore vitreo, poco trasparenti.
Ad occhio nudo si osserva una minuta seghettatura , corrispondente agli spigoli dei
cristallini.
In alcuni cristalli gli spigoli sono perfetti e le facce formano tremie in modo da sem-
brare scheletri a facce discontinue; altre volte la superfìcie delle facce si presenta arabe-
scata o fortemente incisa.
Lo zolfo si presenta ancora in patine fuse dello spessore di parecchi millimetri , in
forme dendritiche e in aggregati arborescenti, formati da numerosi e piccoli cristallini.
ATT! ACC. SERIE 5*, VOL. IX — Mem. XII. ,
18
S. Di Franco
[Memoria XII.]
Il colore è quasi sempre quello caratteristico il giallo-citrino , raramente si osserva
quello verdastro , tanto comune nei cristalli di solfo che si trovano ai bordi del cratere
centrale, sopra una lava che ha pigliato una tinta biancastra, per la profonda alterazione
subita dalla prolungata esposizione ai vapori acidi, esalanti dalla gola del cratere.
Questi cristallini del cratere centrale, tranne la jllòj, presentano le stesse forme os-
servate nello zolfo prodotto dalle fumarole.
Lo solfo nelle fumarole si presenta associato con i cristallini di gesso, ciò avviene
però più raramente in quello del cratere centrale.
La contemporanea formazione dello zolfo e del gesso nel nostro vulcano, dà luce al-
la ipotesi dello Spezia sulla formazione dello zolfo delle zolfare, basata sulla vulcanicità
Zolfo-fi
I
Lo solfo -fi monoclino, in discreta quantità, si riscontra nelle cavità delle scorie poste
agli orli dei crateri, durante le emanazioni solfidriche. Esso si presenta ora in cristallini ben
sviluppati, ora in laminette, di colore giallo-chiaro, semi-trasparenti e fragilissime ; col raf-
freddamento della scoria, assume le proprietà dello solfo- a rombico, mantenendo inalterata
la forma esterna.
Anche al Vesuvio è stata notata la presenta dello solfo- fi dal Lacroix (l) e dallo
Zambonini (2), mentre il Panichi (3) per quello di Vulcano (Isole Eolie) vi ha recentemente
fatto un accurato studio cristallografico.
Per assicurarmene eseguii alcune misure che mi diedero :
| 1 1 0 | : j l T 0 j = 89° 23'
| 00 1 j : j 1 10 j = 85 51
valori molto vicini a quelli dati dal Mitscherlich.
La forma predominante è la tabulare secondo jlOOj, più raramente secondo jOOlj,
spesso con uno o più spigoli arrotondati ; meno frequente quella prismatica per il mag-
giore sviluppo dell’ asse s.
In pochi cristalli la forma prismatica è data dal maggiore sviluppo dell’ asse x, in due
soltanto mi fu dato osservarla secondo 1’ asse y.
Le forme da me osservate sono :
c | 00 1 j , a | 1 00 | , ni j 1 1 0 j , q j 0 1 l j , o j 1 1 1 j , w j 1 1 1 ( ,
poco apprezzabile la n |210' .
La faccettina jlOOj è sempre molto sviluppata e in alcuni cristalli mostra numerose
(1) A. LACROIX, Les minéraux des fumerolles de l’éritplion du Vestire en avvìi 1906 — Bull, de la
Société frati?, de Minér. Voi. XIX, 1907, pag. 265.
(2) F. ZAMBONINI, Mineralogia vesuviana, Napoli, 1910, pag. 23.
(3) U. PANICHI, Sullo zolfo dì Vulcano — Atti Acc. Gioenia. Ser. 5®, voi. V, 1912, pag. 6 (Memoria XV).
19
1 Minerali delle fumarole dell' eruzione etnea del 1910
stilature, costituite da linee curve partenti da determinati punti da simulare l’aspetto dello
zolfo Ir idillico di Lehmann. (I)
Nei cristallini ben conservati, le faccettine |00l| e jlOOj sono le più facili a ricono-
scersi, avendo al microscopio tra i nicols incrociati una estinzione parallela, mentre le altre
faccettine si estinguono obbliquamente. A luce convergente |00lj e JlOOj mostrano cia-
scuna un asse ottico nel campo del microscopio.
Nella tabella seguente si possono vedere gli angoli misurati, posti a riscontro coi re-
lativi calcoli in funzione del rapporto parametrico dato dal Mitscherlich :
a : b : c = 0, 99575 : 1 : 0, 99983
Angoli
m : m ( 1 1 0) : ( 1 1 0)
m : c = ( 110): (00 1 )
q:q = ( 01 1) : (OTl)
q: c= (01 1) : (001)
a : o = ( 1 00) : (111)
m : o = (110) ; (111)
ni ; q — ( 1 1 0) : (0 1 1 )
m : 0 = (TlO) : (Oli)
a : w = ( 1 00) : ( 1 1 1 )
o :q = (IH) : (011)
« : — (100) : (201)
Limite
DELLE OSSERVAZIONI
89c
i 22' -
- 89°
'25'
85
50 -
- 85
52
89
42 -
- 89
46
44
50 -
- 44
58
51
49 -
- 51
52
33
51
- 33
57
56
48 -
- 56
52
63
49 -
- 63
53
57
15 -
- 57
19
34
5 -
- 34
9
26
23
- 26
27
Numero
Media
9
89° 23'
8
85 51
6
89 44
6
44 54
6
5 1 50 ®/4
7
33 50
5
56 51
5
63 50 72
8
57 18
5
34 7
4
26 25
Calcolati
Differenze
89° 28'
— r
— 0
85 54 30"
3' 30"
89 42
+ 2'
44 51
+ 3'
51 52
1' 15"
33 53 30
- 3' 30"
56 50 30
+ 0' 30"
63 52
— l ' 30"
57 17
+ 1'
34 3
+ 4'
26 21
+ 4'
Siccome alcuni cristallini di forma lamellare presentavano 1’ aspetto caratteristico del-
lo zolfo- y , non potendo con sufficiente esattezza misurare gli angoli, per il poco rifles-
so che davano le faccettine, nè sottoporli all’ osservazione ottica, perchè poco trasparenti,
volli trattarli con 1' essenza di trementina, ma non ottenni alcun risultato da potere avere
l’indizio della presenza di questa modificazione dello zolfo , prodotto dalle fumarole dell’Etna.
Secondo gli studii di Gaubert (2), l’ essenza di trementina offre per i cristalli di zolfo- y
un carattere interessante, formando sul piano di simmetria dei cristalli monoclini, delle fi-
gure di corrosione di forma e orientazione caratteristiche.
Durante le emanazioni solfidriche, in alcune cavità delle scorie posti agli orli dei cra-
teri, potei constatate delle laminette di zolfo perfettamente rombiche di colore biancastro,
(1) O. LEHMANN — Zeitsch. f- Kryst. t. I. 1877, p. 482, tav. XXI, fig. 52.
(2) P. GAUBERT, Sur les élals rristallines du soufre — Bulletin de la Société frangaise de minéralogie,
Voi. 28, 1905, pag. 165.
20
S. Di Franco
[Memoria XIL]
opache e pastose, che potrebbero riferirsi a prima vista allo solfo Ir idillico di Brauns (l)
ma per la loro instabilità, non potei assicurarmene.
È probabile che nelle fumarole dell’ Etna si trovi solfo negli altri suoi stati cristal-
lini, oltre quelli « e p già accertati (2), ma la difficoltà sta nel metterli in evidenza per la
loro instabilità. Però ho dovuto convincermi che prelevando dalle fumarole con opportuni
riguardi i cristallini di solfo durante la loro formazione e facendone subito lo studio ottico
ed anche per alcuni quello cristallografico si potranno forse determinare esattamente queste
altre modificazioni, dipendendo esse dalla temperatura e dalla velocità di raffreddamento ;
condizioni che certamente si verificano differentemente nelle fumarole.
Gesso Ca So4. 2H20
Cristalli di Gesso si formano nelle scorie agli orli dei crateri, durante le emanazioni
solfidriche ; essi sono relativamente meno abbondanti dei cristallini di solfo e disposti in
modo che in ogni scoria nella parte superiore si trovano i gruppi di cristalli di gesso e
nella parte rivolta verso il terreno quelli di solfo.
La presenza dei cristalli di gesso ha un certo interesse non essendo frequenti nelle
eruzioni dell’ Etna, mentre al Vesuvio se ne è constatata la formazione in tutte le eruzio-
ni in quantità più o meno abbondante.
11 Silvestri nel suo studio sull’ eruzione dell’ Etna del 1865, tra le sostanze prodotte
dalle diverse fumarole non indica i cristalli di gesso, certamente per non essersi manife-
stati in quella eruzione.
J diversi autori che si sono occupati dell’ eruzione del 1910 non ne fanno cenno
alcuno.
I cristalli di gesso prodotti dalle fumarole dell’ Etna non sono stati sino ad oggi
studiati : essi si presentano quasi sempre a ciuffi , ma anche frequenti sono gli aggregati
a struttura fibrosa i quali con leggiera pressione si frantumano in moltissime lamelle cri-
stalline sviluppate secondo |010( ; qualche volta anche in forme aciculari.
In generale hanno 1’ aspetto dei cristalli di gesso riscontrati tra i prodotti delle eru-
zioni di Vulcano.
Le forme da me osservate sono :
b jOIOj , ni jlioj , / jlllj, n |lllj .
La faccia }010' e sempre la più estesa.
La combinazione jOIOj , jllOj , jlllj è la più frequente.
I cristalli geminati secondo jlOlj e secondo jiOOj non sono rari.
Si presentano di colore bianco e col caratteristico splendore serie io, qualche volta in
giallo - arancio dovuto ai sali di ferro, più raramente incolori, nitidi e trasparenti.
(1) R. BRAUNS, Beobachtiingen iiber die Krystalìisation des Schwefels aus seinetn Schmelz/luss — Neues
Jahrbuch f. Min. u. geol. Beilage, Bd. XI 1 1 , 1899 — 1900.
(2) Attualmente si conoscono per lo solfo otto stati cristallini con proprietà ottiche ben distinte, di cui
per i primi tre sono stati determinate le costanti cristallografiche.
I Minerali delle fumarole dell' eruzione etnea del 1910
21
CONCLUSIONE
I minerali, principalmente in cristalli, che si sono prodotti nelle fumarole che si ma-
nifestarono, sia lungo il corso della lava, sia nella regione dei crateri, durande 1’ eruzione
etnea dei 1910 sono i seguenti :
1) Nelle fumarole a sali di sodio e di potassio : alite, silvite, aftitalite, natron,
termonatrite, trona, tenorite e atelite.
2) Nelle fumarole acide (con sviluppo di acido cloridrico e anidride solforosa e
formazione di cloruro di ferro) : ematite, magnetite, pirite e rari cristallini di zolfo.
3) Nelle fumarole a cloruro di ammonio : cloruro di ammonio (il più abbondante)
e tracce di solfato di ammonio (mascagnite).
4) Nelle fumarole solfidriche : zolfo- — «, zolfo — |3 e gesso.
II natron, la termonatrite, il trona, la magnetite, la pirite e lo zolfo — p sono nuovi
per i prodotti delle fumarole delle eruzioni dell’ Etna.
Istituto di Mineralogia e Vulcanologia della R. Università di Catania.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
Fig. 1. — Fumarola a cloruro (li ammonio situata alla base della corrente principale dell’ eruzione del
1910, presso il Piano della boi tara ; in alto una intumescenza lavica.
Fig. 2. — Cristalli in associazione parallela di cloruro (li ammonio, con un angolo del cubo più svilup-
pato. Ingr. 8 diam. (forma rara, riscontrata poche volte da A. Scacchi anche al Vesuvio v.
fig. 11 tav. 1, Atti R. Acc. Se. Fis. Mat. di Napoli, Memoria 9 voi. 6, 1875).
Fig. 3 e 4. —Cristalli di cloruro (li ammonio della forma e j2ii| , ricchi di faccettine in combina-
zione oscillatoria.
Fig. 5. — Associazione parallela di cristallini di zolfo della forma in! .
f /
Fig. 6 — Cristalli di cloruro (li ammonio ottenuti evaporando su un vetrino porta - oggetti la soluzione
acquosa del cloruro di ammonio prodotto dalle fumarole. Ingr. 15 diam.
Fig. 7. — Aggruppamento di cristalli di zolfo corrispondente alla figura schematica (fig. 5) visto a luce in-
cidente. Ingr. 18 diam.
■end. Gioenti - Ser, 1/, lol IX.
S. DI FRANCO - 1 minerali delle fumarole dell' eruzione etnea del 1910.
ico fot. e dis.
tLIOl CALZOLARI M ►‘hNNAMO'MH.ANO
Memoria XIII
Osservazioni meteorologiche del 1915 fatte nel R. Osservatorio di Catania
Nota di V. BALBI ed M. DI BELLA
Il luogo, gli strumenti meteorici , le ore di osservazione ed il modo di fare le medie
degli elementi osservati, sono quelli adoperati nei ventitré anni precedenti e se ne trova
la descrizione nella nota pubblicata nel 1898 f1), ricordiamo qui soltanto che le cordinate
geografiche dell’ Osservatorio sono :
Latitudine boreale 37° 30' 13"
Longitudine Est da Green wich lh 0m 21s
e che il pozzetto del barometro è elevato 65 m. sul livello medio del mare, e 19 m. sul
suolo ; gli altri strumenti meteorici circa altrettanto.
I quadri N. 1, 2 e 3 contengono i risultati delle osservazioni dell’anno meteorico 1915
(dicembre 1914 al 30 Novembre 1915); nei primi due quadri si aggiungono anche i va-
lori del dicembre successivo, allo scopo di trovare nello stesso quadro i dati di tutto l’anno
civile, e si riportano in basso anche le medie relative a questo intervallo ; come nei pre-
cedenti riassunti in questi quadri la temperatura e la pressione barometrica non sono ri-
dotti al livello del mare, nè queste ultime al valore normale della gravità.
La media della trasparenza dell’ aria, stimata in 6 gradi, (0 a 5), è dedotta dalle os-
servazioni delle ore 8, (2) 9 e 15.
Confrontando i valori delle stagioni e dell’ anno 1915, con i corrispondenti dell’anno
1914, si hanno le differenze che si riportano nel seguente specchietto:
Confronto del 1915 coll’ anno precedente
Temperatura
dell’ aria
Pressione
atmosferica
Tensione
del vapore
Umidità
relativa
Evaporazione
all’ ombra
Pioggia
totale
Nebulosità
0
min
inni
°/o
111 111
min
%
inverno
-0. 5
— 2. 1
+0. 13
-f 0. 3
— 0. 09
-f- 8.1
+ 8. 2
Primavera
— 1. 1
—2. 1
+0. 70
+7- 1
-2. 25
+ 93-7
— 0. 1
Estate
+ 1.4
—0. 1
— 1.45
+4- 7
— 0. 96
— 176. 1
+ 3- 9
Autunno
4-1.0
-j-o. 6
— 0. 02
—2-7
+0. 71
— • 5-4
+4- 1
Anno meteorico
q-o. 3
-0. 9
+0 58
+2. 4
—0.45
- 79-7
+4- 0
(1) A. RICCO e SAIJA. — Risultati delle osservazioni meteorologiche fatte nel quinquennio 1892-6 nel-
l’ Osservatorio di Catania. Atti dell’ Acc. Gioenia Serie 4”, Voi. XI, Catania 1898.
(2) Per nuova disposizione del R. Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica col i° ottobre 1913 in
poi la prima osservazione giornaliera si è fatta alle ore 8, invece delle 7, onde uniformarsi cogli altri Stati
rispetto al servizio dei presagi del tempo.
ATTI ACC. SERIE 5», VOL. IX — Metti. XIII.
1
V. Balbi e M. Di Bella
[Memoria XIII. 1
2
Dall’ esame di questo quadro rispetto alla temperatura appare che 1’ anno 1915 nel
suo complesso è stato più caldo del precedente, ed in particolare che 1' estate e l’autunno
furono leggermente più caldi dei corrispondenti dell’anno 1913.
Così pure in complesso la pressione atmosferica del 1915 fu minore di quella del-
1’ anno precedente, la quale a sua volta fu minore in complesso di quella dell’anno 1913.
La precipitazione del 1915 fu meno copiosa di quella dell’ anno precedente.
Passando poi a paragonare gli stessi valori con quelli normali (1) si ha :
Confronto dei dati meteorologici del 1915 coi loro valori
normali corrrispondenti.
Temperatura
dell’ aria
Pressione
atmosferica
Tensione
del vapore
Umidità
relativa
Evaporazione
all’ ombra
Pioggia
totale
Nebulosità
O
mm
nini
%
mm
nini
%
Inverno
+0. 4
— 1. s
4-0. 24
— 0. 1
4-0. 13
—90. 0
+4- >
Primavera
4- 0. 1
— 0. 2
+0. 90
4' 4 2
—0. 83
4-23.9
— 2. 1
Estate
+ 1. 1
—0.7
-1- 1. 02
+ 3 1
—0. 62
— 3-7
4-5-9
Autunno
— o -, 4
— 1. 1
— 0. 44
— 1. 0
+0. 99
4-63.9
.4-$. 1
Anno
+0. 4
-0. 9
4-o. 44
+ 1. 4
CO
0
6
1
— 6. 1
+2.8
Dall’ esame di questo specchietto risulta che i dati meteorologici riferentesi alle di-
verse stagioni e completamente a tutto 1’ anno non furono molto differenti dagli omologhi
normali.
(1) A. RICCO e L. TAFFARA — Risultati delle osservazioni meteorologiche fatte nel ventennio 1892-1911
nell’ Osservatorio di Catania. Atti dell’ Acc. Gioenia, Serie 5“ Voi. V.
Osservazioni meteorologiche del 1915 fatte nel R. Osservatorio di Catania
Quadro N. 1 — 1015.
Temperatura
media dell’aria
Medie
dei massimi diurni
di temperatura
dei minimi e delle escur.
Pressione
atmosferica
Tensione del
vapore acqueo
Umidità
relativa
Evaporazione
all’ ombra
M.
m.
E.
O
O
0
0
min
min
%
min
Dicembre 19x4 .
12. 1
16. 6
7.6
q. 0
758.4
7-74
67. 5
2.75
Gennaio 1915 ....
io 5
14. 9
6. 4
8.5
750. 7
6. 88
67. 1
2. 91
Febbraio ......
io. 5
14. 5
7- 4
7- 1
7 5 5-8
6.61
66. 2
3- 3i
Marzo
12. 9
16. 9
9.4
7- 5
754- 8
7- 59
66. 1
3- 34
Aprile
14. 3
18. 9
8. 6
io. 3
754- 5
8.68
65. 7
3- 25
Maggio
18.8
23. 3
1 2. 2
1 1 . 1
756. 1
1 1. 24
63.9
3.58
Giugno
23.6
27- 5
19. 2
8.3
75 5- 5
'4- 75
66. 2
4. 82
Luglio
26. 9
31.0
22. 1
8.9
75 5-9
13. 15
48. 3
6. 87
Agosto
26. 8
31.0
22. 2
8. 8
75 5- '
1 3. 88
51.6
6. 95
Settembre
22. 9
26. 8
19. 2
7.6
757-4
13. 06
61. 2
4. 58
Ottobre
19. 2
23.0
16. 1
6.9
75 5-2
11. 79
68. 3
3- 67
Novembre
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19. 5
1 2. 2
7 5
00
8.62
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4. 22
Dicembre
14. 1
17.8
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C-J
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8.46
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2. 90
Inverno
1 1 . 1
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Primavera
15. 4
19. 7
IO. 1
9.6
75 5- 1
9. 18
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3- 39
Estate
26. 0
29.9
2 1. 1
8. 8
75 5- 5
13. 92
5 5- 3
6. 23
Autunno
19. 2
23. 1
15. »
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756. 2
1 1. 16
65. 7
4. 15
Anno meteorico . . .
18. 0
22. 0
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8.4
755- 5
io. 35
62. 8
4. 21
* civile
18. 1
22. 1
13.9
8. 2
75 5- 4
io. 4 1
62. 9
4. 20
4
V. Balbi e M. Di Bella
[Memoria XII I.J
Quadro Jf. » — 1015
•
43
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ESTREMI METEOROLOGICI ANNUI
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Pioggia
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con nebbia . . .
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con brina ....
0
0
0
0
0
con tempoiale.
2
8
0
3
15
Velocità
oraria del vento
36 km.
da WSW
—
e direzione
17 Nov. i6h
con scariche elettriche
2
9
1
4
16
Memoria XIV
\ò
Istituto di Mineralogia e Vulcanologia della R. Università di Catania
La formazione vulcanica sottomarina di Capo Passero
Memoria di G. PONTE
' X"
(Con 2 figure nel testo e 5 tavole).
INTRODUZIONE.
Nei dintorni di Capo Passero si riscontrano le più antiche manifestazioni eruttive
della Sicilia. Non si sa ancora se esse abbiano relazione con la formazione del Val di
Noto o formino un gruppo vulcanico indipendente, come ne è quello della zona vulcanica
subetnea (1).
Sartorius von YValtershausen (2) credette che le prime propagini vulcaniche subetnee
di Paterno e della Motta dovessero collegarsi con quelle del Val di Noto ; egli, guardando
più con occhio di topografo che di geologo, sostenne che le rocce eruttive che limitano
la piana quaternaria di Catania dal lato meridionale, tra Primo Sole e Serravalle, si pro-
tendano verso la base dell’ Etna formando unico gruppo vulcanico.
O. Silvestri (3) esagerò un po’ più l’ ipotesi del Sartorius ammettendo che “ una
grande frattura attraversasse da NNE a SSO le profondità della Sicilia orientale riunendo
1’ antica alla moderna vulcanicità. „ Egli basò questa ipotesi semplicemente sul fatto che
le eruzioni etnee del 1879 e 1883 si succedettero lungo una medesima fenditura la quale,
casualmente, coincideva in direzione con 1’ allineamento delle formazioni vulcaniche del
Val di Noto e di Capo Passero.
Però è stato constatato che le fenditure di alcune delle recenti eruzioni dell’ Etna in-
teressano il vulcano soltanto superficialmente (4) e che una squarciatura profonda nel monte
è soltanto immaginaria ; d’ altra parte non si conoscono quali distacchi potranno esservi
stati tra le manifestazioni eruttive della Sicilia orientale, avvenute in epoche geologiche
diverse, come pure non si ha ancora nemmeno uno studio petrografico completo di que-
ste formazioni vulcaniche col quale si possano stabilire dei confronti.
Le formazioni di Capo Passero e del Val di Noto sono molto estese in superficie, e
per quanto queste aree vulcaniche si siano spostate verso 1’ Etna, probabilmente senza so-
luzione di continuità, non si hanno ancora elementi chiari per ammettere la presenza di
(1) G. DE LORENZO. Il neck subetneo di Motta S. Anastasia — Rend. Acc. Lincei Voi. XVI ser. 5,
20 seni. fase. 1 p. 19.
(2) SARTORIUS VON WALTESH AUSEN. Der Aetna, Voi. Il, p. 52.
(3) O. SILVESTRI. Sulle condizioni attuali dell' Etna — Bull. vulc. ital. di M. S. De Rossi — Roma,
Anno VII, p. 9. — Id., Sulla esplosione etnea del 22 marzo iSSj — Atti Acc. Gioenia di Catania, Sez. Ili,
Tom. XVII. p. 343.
(4) G. PONTE. Meccanismo delle eruzioni etnee — Rivista vulcanologica, Berlino, Gennaio 1914 — Bd. I
Hef. 1 pag. 9.
ATTI ACC. SERIE 5», VOL. IX — Mem. XIV.
1
2
G. Ponte
[Memoria XIV.J
una profonda ed estesa fenditura che, formatasi nel periodo cretaceo, abbia continuato a
dare eruzioni nell’ era terziaria e quaternaria.
Forse sarebbe più logico immaginare che il magma risiedente nel profondo focolare
vulcanico abbia spostato la sua azione eruttiva verso nord, da Capo Passero fino all’Etna:
Una fenditura preesistente, considerevolmente profonda ed estesa, da potere abbrac-
ciare diverse formazioni, dovrebbe presentare una certa corrispondenza nelle manifestazioni
eruttive, almeno dei centri vulcanici più vicini , ma questa non si è ancora riscontrata,
malgrado il Silvestri abbia voluto mettere in relazione i fenomeni sismici di Mineo e le
manifestazioni postvulcaniche del Lago di Naftia (Val di Noto) con quelle dell’ Etna. (1).
Anziché dare troppo peso alla teoria delle fenditure vulcaniche, immaginandone di
ogni estensione ed in ogni direzione, si potrebbe parlare di possibili spostamenti dei fo-
colari vulcanici, ma non è prudente azzardare delle ipotesi quando su tale argomento, an-
cora, si hanno dati ed osservazioni incerti.
Prima di potere venire a delle conclusioni positive occorre studiare completamente
queste due importanti regioni di Capo Passero e del Val di Noto e sopratutto dal punto
di vista litologico.
Gli autori (2) che sin ora si sono occupati della formazione vulcanica di Capo Pas-
sero hanno lasciato delle descrizioni superficiali ed incomplete delle sue rocce e perciò
importa che venga sopratutto completata la parte petrografica.
T OPOGRAFI A.
I terreni vulcanici di Capo Passero comprendono una estensione di circa 25 km.1 2 di
cui buona parte è coperta da terreni sedimentari.
La città di Pachino e la borgata di Porto Palo sono i centri abitati fra i quali si
estende la regione in istudio.
Pachino è edificata su di un promontorio la cui maggiore altitudine sul livello del
mare è di metri 65 ; dal lato orientale dista poco più di due chilometri dal mare e non
mancano sentieri diretti verso la spiaggia ; il più breve è quello della Grotta stalattitica
di Calafarina.
La strada che da Pachino porta a Porto Palo è una buona rotabile lunga 7 km. essa
dalle porte della città si dirigge verso la collina di S. Lucia, che domina tutto il pantano
di Morghella già trasformato in saline.
Da S. Lucia lo stradale, piegando un poco verso sud, attraversa la depressione di
Morghella dal lato occidentale, raggiunge la cresta settentrionale dello altipiano di Torre
di Fano e continua in direzione sud-est fino a Porto Palo.
Torre di Fano è un vecchio rudero che servì prima dell’ invenzione del telegrafo elet-
trico come stazione telegrafica ottica ; trovasi ad una altitudine di 50 m. e dista, dal lato
orientale, circa 250 m. dal mare.
Circa un chilometro a sud di Torre di Fano lo stradale rasenta il Faro di Gozzo
Spadaro, e si prolunga con lieve pendenza fino a Porto Palo.
(1) 1. c.
(2) F. HOFFMANN — Geognostische Beobachtungen gesammelt auf einer Reise durch Italien und Sici-
lien in den Jahren 1830 bis 1832. Berlino 1839 p. 604-612.
A. ROSATI — Le rocce dei dintorni di Pachino — Rend. Acc. dei Lincei Voi. IX, ser. V, pag. 286.
La formazione vulcanica sottomarina di Capo Passero
3
Porto Palo, piccola borgata abitata da soli pescatori, ha una spiaggia aperta, che si
protende ad est verso l’ isoletta di Capo Passero unita alla Sicilia per un istmo che du-
rante la bassa marea è in gran parte guadabile.
L’ isola di Capo Passero, distante dalla costa sicula circa 300 m., è pianeggiante; dal
lato occidentale si eleva appena un metro sul livello del mare, mentre dagli altri lati circa
5 m. ed ha un castello medioevale sul quale da recente è stato innalzato un faro. La ve-
getazione è scarsa; soltanto dal lato occidentale vi crescono folti cespugli di palma nana.
Da Porto Palo, per una carreggiabile diretta verso nord, si arriva alla caserma della
Finanza ed alla Tonnara, stabilimento importante per la pesca e la conserva del tonno.
Dalla Tonnara si biforcano due strade, la rotabile che è una diramazione dello stra-
dale principale di Porto Palo ed il sentiero che, passando per la Punta di Acqua Palomba,
attraversa la spiaggia Vulpiglia e la contrada Maltempo e va a congiungersi con la rota-
bile alle porte di Pachino.
La regione in istudio si estende anche ad occidente di Pachino fino al feudo Maucini
e fino alla contrada Mandrazze, attraversata dallo stradale che si dirigge verso Spaccaforno.
Il promontorio di Pachino e quello di Torre di Fano, separati dalla depressione di
Morghella, segnano i due punti culminanti della regione vulcanica di Capo Passero.
Tra la Spiaggia Vulpiglia e 1’ isola di Capo Passero si osserva la più interessante
ed istruttiva sezione naturale geologica della regione, che sarà oggetto principale del pre-
sente studio.
Dalla collina di S* Lucia si vede il profilo di questa sezione con il promontorio di
Torre di Fano in alto e le balze che scendono a gradinata verso il mare e verso il pan-
tano di Morghella. (Tav. II fìg. 1).
STRATIGRAFIA E TETTONICA
Federico Hoffmann fu il primo geologo che descrisse dettagliatamente i dintorni di
Capo Passero e di Pachino. Egli visitò questa regione nel 1831, ma la descrizione geolo-
gica fu pubblicata nel 1839. (1).
Costant Prévost, venuto nello stesso anno 1831 in Sicilia per vedere l’isola vulcanica
%
chiamata Giulia o Ferdinandea (2), avendo appreso che C. Gemmellaro aveva trovato dei
vulcani con crateri nel Val di Noto e che Daubeny aveva visto a Capo Passero alternarsi
le rocce vulcaniche con i calcari ippuritici e nummulitici, volle visitare i principali affiora-
menti di basalte che si estendono dalla punta di Capo Passero fino alla Piana di Catania.
Egli non potè riconoscere dei veri crateri in tutta questa regione vulcanica della Sicilia
Sud-Orientale, ma asserì che le roccie vulcaniche fossero spesso interstratificate nei terreni
sedimentari e perciò di età variabile. Costant Prévost disegnò nel suo carnet di viaggio
una sezione la quale mostra, secondo quanto afferma il Gosselet, che la sua prima impres-
sione fosse stata quella che la roccia eruttiva attraversasse il calcare ad ippuriti tagliandolo
in diversi sensi, ma egli non manifestò questa prima impressione nei suoi scritti, invece in
una sua lettera inviata da Napoli alla Società Geologica di Francia (3), disse che “ le più
(1) F. HOFFMANN, I. C.
(2) J. GOSSELET, Costant Prévost, Lille 1896 — Annales de la Société Géologiqiie du Nord T. XXV.
(3) Bull. Soc. Geol. Fr. ||. p. 404.
4
G. Ponte
Memoria XIYr.]
antiche rocce vulcaniche di Capo Passero potrebbero essere anteriori al cretaceo o piuttosto
ad una parte del cretaceo. „
Le idee più chiare della geologia di Capo Passero si ricavano dalle osservazioni del-
1’ Hoffmann, fatte realmente con profonda indagine ed esattezza e dalle quali Sartorius
von Waltershausen molto attinse nella sua nota Ueber die submarinen vulkanischen Au-
sbriiche in der Tertiàr-Formation des Val di Noto (1).
Seguendo la descrizione dell’Hoffmann si avrà qualche cosa da aggiungere, ma niente
da modificare nei criteri geologici di questa interessante formazione vulcanica sottomarina.
Poco prima di arrivare a Pachino, venendo da Noto, e tutt’ intorno alla collina su cui
è edificata la città, si rinviene una roccia simile al tufo palagonitico della regione vulca-
nica del Val di Noto, ma d’aspetto più compatto per le abbondanti vene di calcite che
la compenetrano; essa guardata da vicino risulta una dolerite o un basalte molto alterati,
che 1' Hoffmann confuse con il tufo vulcanico. Qua e là , fra questa roccia decomposta ,
compariscono delle teste di basalte nero compatto , ora povero ed ora ricco di augite e
di olivina alterata. Gli edifici della città di Pachino non permettono di seguire f anda-
mento di queste masse, che probabilmente attraversano il terreno vulcanico in forma di
dicchi, come nel resto della regione.
Dal lato orientale della città il terreno vulcanico viene coperto da un cappello di cal-
care marnoso miocenico, con il 90 °/0 circa di Ca C03 , bianco-giallastro, terroso friabile
disposto a strati orizzontali e si estende sulla parte più elevata del promontorio su cui è
edificata la città. L’ Hoffmann vi riscontrò molti pezzi di Gryfaea navicularis, rari echi-
niti e coralli, come presso Sortino, e denti di squalo.
Il Baldacci (2) aveva notato che questi calcari langhieno-elveziani hanno una leggiera
pendenza verso Est e che si riscontrano nella parte Nord-Occidentale del promontorio di
Pachino e nelle contrade di S. Lorenzo, di Cicuta, di Coste di S. Ippolito, di Scibini, etc.
Da Pachino incamminandosi per la rotabile che porta a Marzamemi si attraversa per
buon tratto questo calcare.
La rotabile che da Pachino porta a Porto Palo, fiancheggiando il Pantano di Mor-
ghella dal lato sud-ovest, attraversa un terreno, in gran parte coltivato, sul quale sono
sparsi numerosi ciottoli e qualche blocco di basalte nero compatto. A. Cozzo S. Lucia i
blocchi sono abbondanti ed ivi raggiungono la grossezza di un metro cubo ; molto proba-
bilmente questa piccola collina rappresenta la testa di un grande dicco che si sprofonda
verticalmente nel terreno, come quegli altri numerosi della marina di Capo Passero.
Il promontorio di Torre di Fano presenta dal lato settentrionale ed orientale una ma-
gnifica sezione geologica, la quale lascia distinguere nettamente un banco di calcare della
potenza da tre a sei metri, che poggia quasi orizzontalmente indisturbato sul terreno ba-
saltico. Questo grande cappello calcareo che si estende da Torre di Fano fino alla con-
trada Caitena verso ovest e fino alla Spiaggia Pizzuta verso sud, ricopre circa 6 Km.1 2
di terreno vulcanico, il quale è visibile in sezione sul lato settentrionale ed orientale ove
la delimitazione del banco calcareo con il terreno vulcanico è netta (Tav. II fig. 5), men-
tre dal lato occidentale è mascherata dalle sabbie marine del terreno recente coltivato. Il
(1) GoTTINGEN 1846.
(2) L. BALDACCI, Descrizione geologica dell’ìsola di Sicilia, Roma 1886, p. 308.
La formazione vulcanica sottomarina di Capo Passero
o
calcare di questo banco è bianco o giallastro generalmente compatto, spesso con vena-
ture di calcite.
1 principali e più abbondanti fossili di questa formazione calcarea sono le rudiste ,
esse raggiungono i 40 centimetri di lunghezza , si presentano quasi costantemente in po-
sizione verticale visibili specialmente nelle sezioni del banco calcareo che, come si è det-
to, fa da cappello alla formazione vulcanica. Presso il mare, ove 1’ azione abbrasiva delle
onde ha agito anche sulla parte superficiale del banco, le rudiste, in parte denudate, sono
così numerose che danno al suolo 1’ aspetto rugoso e merlato come di un paesaggio car-
sico (Tav. II fig. 2).
Nel Iato meridionale dell’ Isola di Capo Passero si rinvengono anche delle acteonelle
grosse da 6 a 10 centimetri che, come le rudiste, sono difficilmente isolabili dalla roccia
molto compatta e fragile. Non sono rari corallarii (astreidi o flabelliformi) ed impronte
interne di lamellibranchi, che potrebbero riferirsi a lueine. Anche gasteropodi a spire piut-
tosto lunghe si rinvengono in questo calcare, ma i loro ornamenti non son così chiari da
permetterne la determinazione.
I fossili indicati, specialmente le rudiste e le acteonelle che le accompagnano, non
lasciano dubbio alcuno nell’ assegnare al senoniano questa formazione, la quale, come
dimostra la posizione verticale indisturbata dalle rudiste, non presenta alcuna inclinazione
o spostamento dalla sua posizione normale originaria.
È evidente quindi che le manifestazioni vulcaniche erano completamente cessate quan-
do incominciò il deposito del calcare e che i posteriori movimenti di emersione furono
regolarissimi.
Nella carta geologica d’Italia rilevata nel 1880-81 dall’ Ing. R. Travaglia è segnato
un tratto di eocene inferiore poggiante immediatamente sul cretaceo a rudiste. Il Baldacci
a tal riguardo non è discorde con 1’ Hoffmann e dice che un lembo dell’ eocene inferiore
a grosse nummuliti poggia sull’ ippuritico tanto nell’ altipiano sovrastante a Porto Palo,
quanto nella contrada Cugni e Maltempo ad oriente di Pachino. Sul terreno questo lembo
di eocene, che coprirebbe la formazione cretacea, non è evidente, forse perchè il terreno
coltivato impedisce ora una esatta osservazione.
In questo studio si vuol dare un semplice accenno alla parte stratigrafica la cui co-
noscenza è subordinata allo studio dettagliato degl’ interessantissimi fossili, i quali, del
resto, non lasciano dubbio nella determinazione dell’ età di questa formazione.
Ad est della Torre di Fano sotto la balza che scende a picco sul mare, pochi passi
a nord della sorgente detta Acqua-Scorsone, si riscontra un conglomerato di ciottoli ba-
saltici arrotondati non più grossi della testa di un uomo e tanto più grandi quanto più
vicini alla sottostante massa basaltica globulare alterata su cui poggiauo immediatamente.
Questo conglomerato ha poco cemento calcareo ed è perciò facilmente disgregato dalla
abrasione marina; i ciottoli si presentano ora con grosse augiti, ora sono costituiti da
una roccia d’ aspetto basaltico o anamesitico, molto simile a quella dei numerosi dicchi
che attraversano la massa vulcanica sottostante. Su questo conglomerato, della potenza
di tre metri circa , poggia un altro banco di quattro o cinque metri di arenaria calcarea
con cristallini di augite e con radi frammenti, piuttosto angolosi, di basalte della grossezza
di una noce ed anche di un pugno (Tav. II fig. 4). Gli strati di questo banco sono in
alcuni punti sconcordanti con il conglomerato sottostante pressoché orizzontale ed inclinano
circa 25° verso sud-est, in altri sono quasi orizzontali; essi probabilmente debbono riferirsi
6
G. Ponte
[Memoria XIV.]
ad un deposito litoraneo. Procedendo avanti verso nord, sempre lungo la spiaggia, dopo
circa 500 metri ricomparisce il banco di arenaria calcarea (Tav. II fìg. 8).
Quello che più interessa di far rilevare in questa memoria è che tutti i depositi tanto
del cretaceo quanto delle altre formazioni avvenute direttamente sul terreno vulcanico,
presentano la loro originaria posizione pressoché orizzontale invariata, nè si osserva al-
cuna frattura o spostamento determinato da una spinta dal basso in alto. D’ altro canto
sotto il banco a rudiste, al contatto con il terreno vulcanico, si osserva quasi costante-
mente un conglomerato costituito da detriti vulcanici alterati argilloso-calcarei e da ciot-
toli arrotondati di basalte molto alterato. In alcuni punti come alla grotta di Longoianni,
alla Grotta di Cavallaro e nella parte nord dell’isola di Capo Passero, questo conglome-
rato è più evidente. Esso non risulta costituito da materiali di trasporto ed i ciottoli ar-
rotondati pare si siano formati sul posto per abrasione marina, il che fa ritenere che la
formazione vulcanica se non emerse molto, dovette almeno trovarsi a fior d’ onda.
Il primo deposito di calcare senoniano è posteriore alla formazione vulcanica e dovette
avvenire in un mare poco profondo ma molto tranquillo, e quando ogni manifestazione
eruttiva era completamente cessata.
L’Hoffmann non esitò a sostenere che “ le varie formazioni di questa regione: la
“ marna di Pachino, l’arenaria calcarea, il calcare a nummuliti e ad ippuriti poggino in-
“ variati sul tufo basaltico (l) e sul basalte in modo indubbio. Il basalte preparò nel
“ fondo del mare cretaceo il letto su cui ora si osservano i varii depositi dai più antichi
“ ai più recenti. Il calcare ippuritico e numulitico venne coperto dalla marna di Pachino,
“ che in generale appartiene alla formazione del calcare siracusano, come pure dal cal-
“ care sabbioso della Punta di Calafarina „.
Ed ora che si è dato un accenno alla parte stratigrafica di Capo Passero si passerà
alla descrizione della formazione vulcanica, che fa da letto ai depositi sedimentarli.
Giacché è bene assodato che il calcare a rudiste poggia indisturbato sul terreno vul-
canico, non resta alcun dubbio che le eruzioni avvennero prima del deposito del piano
senoniano che incominciò quando le manifestazioni eruttive ivi cessarono completamente
ed il terreno vulcanico emerso si abbassò permettendo la vita alle rudiste ed ai corollari
in quel mare.
Non è possibile stabilire la profondità del primo letto eruttivo perchè manca una se-
zione che permetta di misurare la potenza del terreno vulcanico , del quale una parte è
rimasta sommersa nel mare attuale. Alla Punta di Acqua Palomba si osserva in sezione
naturale, dal banco calcareo a mare, una potenza della roccia vulcanica di circa 30 me-
tri, ma non si sa quanto essa sia ancora profonda sotto il livello del mare attuale.
Dalle osservazioni che possono farsi sul terreno vulcanico emergente, specialmente
nella sezione naturale del litorale orientale, si ricava che vi furono due grandi periodi di
attività vulcanica sottomarina.
Nel primo si ebbe una vera e propria' eruzione sottomarina : dal fondo del mare pro-
ruppero delle ingenti masse di magma eruttivo le cui espansioni sottomarine si sovrappo-
sero come colate di lava subaerea. Alla Punta di Acqua Palomba si osservano in sezione
queste espansioni sovrapposte.
(i) Avanti è stato detto che I’ Hoffmann ritenne il basalte alterato di questa formazione come tufo vul-
canico, che invece non si riscontra in nessun punto della formazione di Capo Passero.
La formazione vulcanica sottomarina di Capo Passero
7
Questa prima massa eruttiva per effetto deli’ alterazione millenaria, ora, ha a prima
vista l’aspetto di un tufo ricco di concrezioni calcaree (1) per cui è molto diffìcile tro-
vare la delimitazione delle varie espansioni laviche.
Nel secondo periodo si ebbero soltanto delle iniezioni di magma attraverso tutta la
massa vulcanica, che aveva coperto le prime vie eruttive. Queste iniezioni sono rappre-
sentate da numerosi dicchi, per lo più paralleli e vicini. Lungo la spiaggia, da Porto Palo
alla torre di Fano , in un tratto di circa un chilometro e mezzo , se ne osservano 64 di
questi dicchi, i quali corrono in direzione prevalente NE-SW.
Lo stato di alterazione più o meno avanzato di questi dicchi ed il loro aspetto, spesso
diverso, come si vedrà nel seguente studio petrografico, fanno ritenere che la formazione
dei dicchi non avvenne in unico tempo, ma in fasi eruttive diverse.
Le espansioni laviche sottomarine del primo periodo eruttivo opposero una resistenza
alla fuoruscita del magma del secondo periodo che s’ insinuò attraverso le numerose fen-
diture formando dei dicchi la cui direzione e potenza fu, naturalmente, dipendente dalla
posizione e dalla resistenza opposta dalla prima massa consolidata che si fratturò sotto
la spinta del magma della successiva eruzione.
La sezione fìg. 1 e la cartina all’ 1 : 10000 (Tav. I) permettono di vedere chiaramente
1’ andamento di questi dicchi qui appresso descritti.
Sezione di Capo Passero T.re di Fano P. Acqua Scorsone C.8a Fronterè Sp.ia Vulpiglia
Fig. 1. — a) roccia basaltica alterata; b ) dicchi; c) conglomerato; d) calcare senoniano; e) conglomerato vulcanico: f) are-
narea calcarea.
Lungo la spiaggia meridionale di Porto Palo non si riscontrano dicchi , sia perchè ii
terreno vulcanico è coperto fino al mare dal banco calcareo (Tav. II fìg. 2 e 3), sia per-
chè la direzione prevalente dei dicchi è parallela alla spiaggia. Il primo trovasi di fronte
all’ Isola di Capo Passero sulla spiaggia orientale; ne seguono altri che sono qui appresso
descritti in ordine progressivo. Quelli che vanno dal numero 1 al 64 sono compresi in
un tratto di circa un chilometro e mezzo, dallo scalo di Porto Palo alla casetta Fronterè,
ove trovasi il dicco più potente , e sono tutti visibili a fior di< terra nel suolo vulcanico
smantellato dal cappello di calcare senoniano.
1° Dicco, direzione S. 87° W, potenza m. 1,50, pendenza 65° verso NW, visibile in se-
zione naturale sulla spiaggia.
2° Dicco, m. 15 dal 1°, direzione S. 66" W, potenza m. 2,50, verticale, visibile in sezione
naturale sulla spiaggia.
3° Dicco, m. 20 dal prec., direzione non identificabile, potenza m. 0,80, verticale, visibile
in sezione naturale sulla spiaggia.
4° Dicco, m. 3 dal 3°, direzione non identificabile, potenza m. 0, 20, visibile in sezione
naturale sulla spiaggia.
(i) Vedi descrizione petrografia.
8
G. Ponte
[Memoria XIV.]
5" Dicco, m. I dal 4'“, direzione S. 52° W, potenza m. 0,60, visibile in sezione naturale
sulla spiaggia.
6° Dicco, m. 2,50 dal 5", direzione non identificabile, potenza m. 0,70 alla base e m. 2,40
in testa, visibile soltanto in sezione verticale sulla balza che pende a picco sul
mare.
7° Dicco, m. 15 dal 6", direzione S. 74° W, potenza m. 1, pende 70° verso N., visibile
in sezione naturale sulla spiaggia.
8" Dicco, m. 32 dal 7° direzione S. 52° W, potenza m. 0,50, visibile a fior di terra.
9° Dicco, m. 30 dall’ 8°, direzione S. 73° W, potenza m. 1, 10, pende 80° verso NW,
visibile in sezione naturale sulla spiaggia.
IO" Dicco, m. 1 1,70 dal 9" direzione S. 50° YV, potenza m. 0,40, visibile a fior di terra.
Il" Dicco, m. 100 dal 10", direzione S. 50" W, potenza in. 2, visibile a fior di terra
12° Dicco, m. 1 dall’ 11", direzione S. 52° W, potenza m. 2,50, verticale, visibile in se-
zione sulla scarpata; ha varie apofìsi.
13" Dicco, m. 45 dal 12", direzione S. 52° W, potenza m. 0,80, visibile a fior di terra.
14” Dicco, m. 1 10 dal 13", direzione S. 52° W, potenza m. 2, visibile a fior di terra.
15" Dicco, m. 35 dal 14", direzione S. 48" W, potenza m. 0,60, visibile a fior di terra.
16° Dicco, m. 5 dal 15", direzione N. 53° W, potenza m. 0,60, visibile nella piccola inse-
natura in riva al mare.
17° Dicco, in contanto con il 16", direzione S. 52" W, potenza m. 1,80, visibile a fior di
terra.
18" Dicco, apofìsi del 17", direzione S. 52" W, potenza m. 0,80, visibile a fior di
terra.
19" Dicco, m. 13 dal 18", direzione S. 52" YV, potenza m. 1,10, visibile a fior di terra.
20” Dicco, m. 15 dal 19", direzione S. 51° YV, potenza m. 0,60, visibile a fior di terra.
21" Dicco, m. 45 dal 20", direzione S. 52" W, potenza m. 3, visibile in sezione verti-
cale sulla piccola balza che scende a picco sul mare. Per effetto dell’ abrasione
marina una parte del dicco è stata asportata formando un canale che sembra co-
struito artificialmente.
22" Dicco, m. 9 dal 21", direzione S. 52° W, potenza m. 2,20, visibile a fior di terra.
23" Dicco, vicino alla Caserma di Finanze, direzione S. 52" YV, potenza m. 1,20, visibile a
fior di terra, si estende dalla spiaggia fino alla torretta della Caserma di Finanze.
24" Dicco, dietro la Tonnara fra le due casette al principio della strada che porta alla
grotta di Cavallaro, direzione S. 52" W, potenza m. 2,50, visibile a fior di terra.
25° Dicco, m. 5 dal 24", direzione S. 52° W, potenza non indentificabile perchè in parte
nascosto dalla breccia della stradetta.
26" Dicco, m. 2 dal 25", direzione S. 52° YV, potenza non identificabile per la stessa ra-
gione del precedente dicco.
27" Dicco, m. 2 dal 26", direzione S. 52° YV, potenza non identificabile.
28” Dicco, dietro le casette della Tonnara, direzione S. 52° YV, potenza m. 2.
29" Dicco, m. 3 dal 28", direzione S. 52° YV, potenza m. 2,20 visibile in sezione verti-
cale sulla scarpata che in testa ha il banco di calcare ippuritieo.
30" Dicco, addossato al 29", ha la stessa direzione ed una potenza di m. 2,80.
31" Dicco, m. 50 dal 30", direzione S. 52" YV, potenza m. 1,25, estensione visibile sulla
scarpata a sinistra della strada e a destra sulla balza fino al mare.
9
La formazione vulcanica sottomarina di Capo Passero
32" Dicco, incuneato fra il dicco precedente ed il 35", direzione S. 52" W, potenza
m. 0,30 alla base e m. 0,50 in testa.
33" Dicco, in immediato contatto con il precedente, direzione e potenza identica.
34° Dicco, m. 10 dal 33°, direzione S. 52" YV, potenza m. 0,40, in testa termina con varie
apofìsi visibili a fior di terra sulla scarpata , si continua sulla balza fino al mare.
35° Dicco, m. 20 dal 34" dilezione S. 47" YV, potenza m. 0,40, visibile sulla scarpata,
si continua sulla balza fino al mare.
A m. 4 dal dicco prec., in un tratto di m. 5, 40 si seguono , con il distacco di pochi
centimetri, i dicchi 36", 37", 38°, 39", 40" e 41°, con direzione S. 52" W, potenza
m. 1, m. 0,60, m. 0,40, m. 0,30, m. 0,35, visibili per un breve tratto lungo
il sentiero, il resto nascosto sotto il terreno franato.
42” Dicco, m. 9 dal 41°, è molto irregolare, visibile sulla scarpata a sinistra del sen-
tiero ; esso ha due apofìsi le quali presentano in testa un taglio netto dovuto sicu-
ramente all’azione abrasiva del mare, avvenuta prima del deposito della formazione
cretacea; su di esso poggia uno straterello di cent. 25 di calcare argilloso giallastro
misto a detriti, e frammenti di basalte e poi il banco di calcare senoniano.
43" Dicco, m. 30 dal prec., direzione S. 52" W, potenza m. 1,50, visibile a fior di terra
sul sentiero.
A
44" Dicco, m. 42 dal 43”, direzione S. 52" YV, potenza m. 1 visibile a fior di terra sol-
tanto sul sentiero.
45" Dicco, m. 10 dal 44", direzione S. 52° YV, potenza m. 3,20, visibile soltanto sul
sentiero.
46" Dicco, m. 13 dal 45", direzione S. 52° YV, potenza m. 5, visibile sul sentiero.
47° Dicco, m. 6 dal precedente, direzione S. 52” YV, potenza m. 0,30, visibile sul sentiero.
48° Dicco, in. 65 dal 47°, direzione #S. 52° YV, potenza m. 1,40, visibile sul sentiero.
49” Dicco, m. 45 dal precedente, direzione S. 52" YV, potenza m. 6, visibile a fior di terra
sul sentiero e per breve tratto sulla scarpata.
50" Dicco, m. 44 dal precedente, direzione S. 52° YV, potenza m. 1,40, visibile sul sentiero.
51° Dicco, m. 43 dal precedente, direzione S. 52" YV, potenza m. 1,80, sulla spiaggia
sotto la balza (Tav. II fìg. *7), emerge m. 5 circa dal mare.
52" Dicco, m. 4 dal precedente, direzione S. 52° YV, potenza m. 2,20, visibile a fior di
terra sulla spiaggia circa 4 metri a sud della fontana di' Acqua Palomba.
53" Dicco, m. 2 dal precedente, direzione S. 52° YV, potenza m. 0,80, visibile a fior di
terra un paio di metri a sinistra della fontana di Acqua Palomba.
54" Dicco, m. 5 dal precedente, direzione S. 52 W, potenza m. 1,15, visibile a fior di
terra lungo 1’ angusta spiaggia a destra della fontana di Acqua Palomba.
55" Dicco, m. 2 dal precedente, direzione S. 52” W, potenza m. 1, visibile a fior di terra
per breve tratto sulla spiaggia.
56" Dicco, m. 200 circa dal precedente, direzione S. 67” YV, potenza m. 2, visibile a fior
di terra sul sentiero e sotto la balza in riva al mare allato alla fontana di Acqua
Scorsone.
57" Dicco, m. 100 dal precedente, direzione S. 22" YV, potenza m. 1,50, visibile sulla
spiaggia a fior di terra.
58" Dicco, in contatto col precedente, direzione S. 22" YV, potenza m. 1,70, visibile sulla
spiaggia per breve tratto.
ATTI ACC. SERIE 5*, VOL. IX — Meni. XIV.
2
10
G. Ponte
[Memoria XIV.]
59" Dicco, m. 30 circa dal precedente, direzione S. 52° W, potenza m. 3,80, visibile in
riva al mare sulla balza in sezione verticale.
60" Dicco, in contatto col precedente, potenza ni. 3,90.
61", 62° e 63", pochi metri dal precedente, direzioni varie, potenza pochi centimetri, affio-
rano tutti sulla scarpata in riva al mare.
64" Dicco, immediatamente dopo i precedenti , ultimo dicco della spiaggia orientale di
Capo Passero, direzione S. 52" W, potenza in. 50, visibile in sezione verticale circa
m. 30 sulla balza che scende a picco sul mare sotto la casetta di Fronterè.
Procedendo verso nord dopo circa un centinaio di metri dalla casetta Fronterè il terreno
vulcanico viene nascosto dalle sabbie marine e bisogna percorrere circa un chilometro e
mezzo fino alla contrada Maltempo per rinvenire di nuovo il terreno vulcanico. Ivi a nord
delle saline ricompariscono dei dicchi visibili soltanto lungo la strada che, fiancheggiando
il pantano di Morghella dal lato N-E, si dirige verso Pachino.
65" Dicco, all’ angolo Nord del Pantano , direzione S. 7" YV, potenza m. 5 a 6, visibile
sulla strada fino alla sponda del Pantano.
66" Dicco, m. 32 dal precedente, direzione S. 27" W, potenza m. 1,50, visibile in breve
tratto sulla strada, poi si perde fra il terreno coltivato.
67" Dicco, m. 20 dal precedente, direzione S. 17° W, potenza m. 13, visibile soltanto
lungo la strada.
1 dicchi 68°, 69" e 70", che seguono a pochi passi dal precedente, hanno direzione S. 27"
W, potenza non misurabile.
71" Dicco, a pochi metri dal precedente, direzione S. 17" VV, potenza m. Il, visibile ap-
pena a fior di terra sulla strada. Tracce di altri dicchi si rinvengono lungo la strada di
Maltempo, ma non sono ben chiari e non può stabilirsi nemmeno la loro direzione. Sulla
collinetta di S. Lucia si osserva un ammasso di grossi blocchi di roccia vulcanica , pro-
babilmente derivanti dallo smantellamento di un dicco molto potente.
Lungo le vie non lastricate di Pachino si osserva qualche altro dicco, ma non è
nemmeno possibile stabilirne la direzione; come quelli di Via Principe Amedeo, dell’an-
golo delle vie Nino Bixio e Principe Umberto, dell’angolo delle vie 'Pasca e Umberto , e
quello in fondo di Via Roma.
Importanti sono i dicchi che attraversano il sentiero del palmento di Rudinì, in con-
trada Pianetti, un chilometro ad occidente di Pachino; in un tratto di circa otto metri se
ne rinvengono tre con direzione S. 52° E, la cui potenza non è ben identificabile.
Infine in contrada Cozzo Filna si osservano altri affioramenti di dicchi, dei quali,
nemmeno, è possibile rilevarne la direzione.
In contrada Maucini, Mandrasse, Piano della Questione etc. si rinvengono frammenti
di rocce vulcaniche, ma essendo il terreno molto rimaneggiato non è stato possibile rinve-
nire dei dicchi, ma dagli abbondanti blocchi sparsi sul terreno coltivato si arguisce che
possono anche esservene.
Così la zona più importante per lo studio dei dicchi si estende lungo la spiaggia tra
Porto Palo e Torre di Fano. Dalla descrizione dettagliata dei 64 dicchi, che ivi si osservano,
si arguisce che la loro formazione è certamente precedente al deposito pressocchè orizzontale
del calcare senoniano che vi fa da cappello. Un terreno tormentato da sì numerosi dicchi
non avrebbe potuto lasciare indisturbato il soprastante banco calcareo, relativamente di
debole potenza, se questo fosse stato preesistente alla eruzione. Non resta quindi alcun
La formazione vulcanica sottomarina di Capo Passero
11
dubbio che, tanto il primo periodo eruttivo, caratterizzato da eruzioni sottomarine in forma
di grandi espansioni laviche, quanto quello della intrusione dei dicchi, furono anteriori al
deposito del banco senoniano.
Le ricerche litologiche su questi dicchi forniranno altri elementi importanti allo studio
dei fenomeni eruttivi di questi due periodi.
L J T 0 L 0 (il IA
J. Fisiognifiìi generale dei
minerali costituenti le rocce di Capo Passero.
Plagioclase in varie generazioni, in fenocristalli ed in microliti, ma in alcuni dic-
chi questa distinzione non è evidente perchè si osserva un graduale passaggio dai feno-
cristalli ai microliti. Sono interessanti le ricerche fatte sui plagioclasi del dicco 9°; (1) essi
sono di tre generazioni. I fenocristalli della prima generazione appartengono alla serie
bytownitica, quelli della seconda alla serie labradoritica e quelli dell’ ultima generazione
alla serie andesinica.
Gli individui sono per lo più sviluppati secondo M (010) e le laminette in alcuni dicchi
raggiungono la grandezza di un centimetro quadrato.
Rare sono le forme isodiametriche, più frequentemente hanno aspetto tabulare secondo M.
1 microliti sono per lo più prismatici sviluppati secondo lo spigolo P/M.
I fenocristalli, generalmente ipoautomorfì od allotriomorfi, in listine o in tavolette,
hanno la caratteristica geminazione secondo la legge dell’ albite, che nelle sezioni normali
al piano di geminazione permette, seguendo il metodo di Michel-Lévy, di potere determi-
nare con sufficiente esattezza il valore del miscuglio isomorfo del plagioclase. Geminati
secondo la legge di Karlsbad sono anche frequenti, e si rinvengono spesso cristalli gemi-
nati secondo le due leggi dell’abite e di Karlsbad insieme. Un po’ rari sono i geminati
di Karlsbad in cui le due facce P (001) dei due individui formano un angolo di 128° ed
hanno estinzione simmetrica al limite di geminazione; in tal caso non vi è alcun dubbio
che le facce M dei due individui si trovino normali all’ asse del nicol e la misura del
loro angolo di estinzione con le linee di sfaldatura parallele a P dà il valore esatto del
miscuglio isomorfo servendosi della tabella di Max Schuster, nella quale sono dati i valori
(i) Polverizzando la roccia si è potuto procedere alla separazione meccanica dei plagioclasi delle tre ge-
nerazioni, giacché i più grossi frammenti appartengono alla ia generazione, i medi alla ia e 2a, i più sottili
alla ia, alla 2a ed alla 3a. Decantando con acqua si è isolata prima la polvere più grossa, la quale conte-
neva soli feldspati di ia generazione, poi la polvere di inedia grossezza, che conteneva quelli della ia e 2a
generazione ed in fine la polvere sottilissima che conteneva i feldspati di tutte le generazioni. Versando la
polvere più grossa nella soluzione di Thoulet di peso specifico 2,725 sono precipitati soltanto i frammenti di
cristallo che avevano inclusioni di magnetite mentre ne son rimasti in sospensione alcuni limpidissimi ed altri
con magnetite e bolle gassose, deve quindi ammettersi che i secondi sono plagioclasi di ia generazione appar-
tenenti alla serie bytownitica. Versando la polvere di media grossezza nella soluzione di p. 2,705 rimangono
in sospensione dei frammenti di ia generazione turbiti di magnetite e di bolle gassose e dei frammenti lim-
pidissimi che dal p. s. possono considerarsi appartenere alla serie labradoritica. Versando in fine la polvere
più sottile nella soluzione di Thoulet di p. s. 2,680 sono rimasti in sospensione, oltre a quelli torbidi d’ in-
clusioni, dei frammenti limpidissimi che debbono riferirsi alla serie andesinica. S’ intende che in ognuna di
queste tre determinazioni rimanevano sempre dei frammenti galleggianti ricchi d’ inclusioni gassose.
12
G. Ponte
[Memoria XIV.]
degli angoli di estinzione su M e la corrispondente percentuale molecolare Ab: An (1).
I geminati secondo la legge dell’ albite non sono mai ugualmente sviluppati special-
mente nei grossi individui, generalmente è la laminetta centrale la più grande; a destra ed
a sinistra di essa, con varia prevalenza, si addossano le altre laminette più piccole, con
decrescenza ora regolare ora irregolare.
II parallelismo fra le laminette geminate è spesso spostato in varii sensi. Rari sono
gli individui automorfi e semplici.
La maggior parte dei microliti e dei fenocristalli hanno estinzione ondulata, per cui la
misurazione dell’ angolo di estinzione è spesso incerta.
Le linee di sfaldatura secondo P (001) e secondo M (010) sono evidenti in tutti i fe-
nocristalli e specialmente in quelli più alterati.
La struttura zonata è frequente e si osserva meglio nelle sezioni normali a P ed a
M ; la estinzione tra le varie zone oscilla nei limiti di 6° a 8°, tra la labradorite e la by-
towite ; il termine più acido si trova sempre alla parte esterna del cristallo.
Anche la reazione microchimica viene a confermare 1’ osservazione ottica (2), difatti
facendo agire a lungo del HC1 concentrato sulla sezione sottile, dopo averne allontanato il
copri oggetti ed il balsamo che la ricoprono, risultano, in tali plagioclasi, delle figure di
corrosione, le quali seguono il contorno delle varie zone e vanno sempre più approfon-
dendosi verso la parte centrale del cristallo, per il fatto che il miscuglio più basico è più
facilmente disciolto dall’ acido.
Anomalie nella forma cristallina non ne mancano, così si rinvengono individui con
contorni merlati o seghettati; alcuni per effetto della corrosione magmatica sono arroton-
dati fino a perdere completamente il contorno, che è possibile ricostrurre o dalla struttura
zonata o dalla disposizione delle interposizioni. Qualche volta le laminette per effetto di
tale corrosione restano incavate nella loro parte centrale ed allora in lamina sottile, a se-
condo la sezione, hanno 1’ aspetto di fìnestrette o di forchette.
Non raramente, nei plagioclasi di Capo Passero, si riscontrano fratture e spostamenti
come nell’ ortose. Interessanti sono gli spostamenti dei geminati lungo le correnti magma-
tiche. Il Wervecke (3) ha creduto che il movimento del magma, che determina la rottura
e le pieghe delle lamelle del plagioclase, avvenga prima della geminazione; ma il fatto
che i geminati sono stati spostati dalla corrente magmatica fa pensare che questa possa
esercitare la sua azione anche dopo.
Le inclusioni più frequenti che si riscontrano nei plagioclasi sono vetrose o gassose,
meno abbondanti quelle di microliti di augite e di magnetite, quest’ ultimi in granuli o
cristallini spesso disposti in forme dentritiche fra i piani di geminazione. Qualche volta
le inclusioni sodo concentrate nella parte centrale o periferica dei cristalli.
Il peso specifico determinato indirettamente con la soluzione di Thoulet, nella quale
si sono immersi i frammenti più limpidi di plagioclase, ha dato come media 2.715. Con-
frontando questi risultati con la tabella del Wùlfing (4) i plagioclasi di Capo Passero oscil-
(1) H. Rosenbusch, AVilcroskopische Physiographie, Bd II, ia H. p. 348.
(2) G- PONTE, Studi sìdV eruzione etnea del 1910. — Atti Acc. dei Lincei Ser. 5 Voi. Vili, pag. 24-
(3) WERVECKE, N. Jahrbuch 1883 II p. 97-
(4) E. A. Wulfing, Berichtigung 11. Naschtrag sur Michkroskopische Physiographie Cent. f. Min, etc.
1905 N. 24 p. 746-
13
La formazione vulcanica sottomarina di Capo Passero
lano tra il termine Ab00 An40 e Ab?r’ An75; cioè vanno dalla serie andesinica alla bytow-
nitica.
L’ analisi quantitativa del plagioclase del dicco 50° facilmente isolabile dagli altri mi-
nerali costituenti la roccia, ha dato:
SiO, A1203 CaO KgO Na20 MgO Fe20.5 somma Peso specifico
51,23 31,18 13,96 0,19 3,42 tracce- tracce 99,98 2.714
Da questi risultati si ricava il segueute miscuglio isomorfo
Na Al Si3 08 — Ab = 32
Ca Al2 Si„ Os = An =' 68
I prodotti di alterazione dei plagioclasi di Capo Passero rinvenuti sono dei carbonati.
Augite pur essa in varie generazioni; dai fenocristalli del diametro di 2 cm. si scende,
ai microliti, passando per tutte le grandezze intermedie. 1 fenocristalli sono generalmente
automorfi o ipoautomorfì ed è facile isolarli dalla roccia alterata ; essi però non si pre-
stano alla esatta misura goniometrica essendo le loro faccette torbide e rugose. Le forme
più comuni sono le prismatiche coite con le seguenti facce: a =(100), b =(010), ni = (110),
5 = (111); la fig. 2 dà un’idea dello sviluppo di queste facce.
La prima massa eruttiva di Capo Passero, che è la più alterata, contiene delle grosse
augiti alcune delle quali raggiungono due centimetri di grossezza ; esse sono facilmente
isolabili, ma molto friabili.
Geminati secondo a = (100) non sono rari e qualche volta con uno
o più sottili lamelle interposte fra i due individui.
Gli aggruppamenti irregolari sono frequenti e non di raro a croce o a
stella di tre o più individui.
La sfaldatura secondo ò = (010) è molto evidente specialmente negli
individui un po’ alterati (fig. 2). In lamina sottile le numerose linee di sfal-
datura si presentano un po’ sinuose, raramente diritte e spesso si interrom-
pono o si anastomizzano insieme.
I fenocristalli ed i frammenti di cristallo isolati dalla roccia son di color molto oscuro ;
in lamina sottile bruno garofano con pleocroismo non bene apprezzabile.
Frequente è l’ accrescimento a gusci concentrici geometricamente simili, e non di
raro con contorno cristallografico diverso da quello esterno. Gli angoli di estinzione mi-
surati sullo spigolo del prisma sono variabili nei vari gusci ; il loro valore maggiore è
dato sempre dal mantello esterno generalmente più chiaro. Per tali anomalie ottiche le de-
terminazioni dell’ indice di refrazione riescono molto variabili e poco sicure. Non è raro il
caso di riscontrare delle belle forme a tramoggia ed a clessidra.
Non son rari i cristalli rotti e qualche volta i frammenti dispersi nel magma, come nel-
dicco 46°. Le inclusioni più frequenti sono di magnetite e di sostanza vetrosa, spesso deles-
sitizzata, sparse irregolarmente in tutto il cristallo e qualche volta anche in zone periferiche.
Nelle doleriti molto alterate l’ augite è il minerale meno disfatto. Il grado di alterazione
è uguale tanto nella parte interna quanto in quella periferica del cristallo, ma sempre più
Fig.
14
G. Ponte
[Memoria XIV].
pronunziato lungo le linee di sfaldatura. I prodotti di alterazione sono spesso aggregati
verdastri di sostanza cloritica.
Nelle augiti di Capo Passero si riscontra qualche volta il fenomeno della corrosione
magmatica come nelle olivine.
La durezza è identica a quella delle augiti dell’Etna.
11 peso specilìco, determinato con il metodo picnometrico, oscilla tra 3, 2 e 3, 3.
L'analisi chimica quantitativa dei campioni meno alterati, isolati dalla dolerite del dicco
31 ha dato i seguenti risultati:
Na.jO K.,0 A\gO CaO MnO NiO FeO Al203 Cr203 Fe203 Si02 Ti02 P205 H,>0— H204- Somma
0.53 °'l!^ 9.86 21,32 2,82 tracce 3,30 6,47 tracce 2,03 51,64 1,54 tracce 0,26 0,51 =100,26
Peso specifico 3,228.
Olivina in cristalli automorfì ed ipoautomorfì, per lo più arrotondati dalla corrosione
magmatica, che talvolta ha agito profondamento sul cristallo rendendolo a contorni molto
ineguali o con infossature dentro le quali si è insinuata la massa fondamentale della roc-
cia. Tali cristalli, in lamina sottile a secondo le sezioni , si presentano tal volta come se
tenessero inclusa la massa fondamentale.
Non sempre si riscontrano forme cristalline evidenti a causa della più o meno intensa
corrosione magmatica, però spesso si osservano cristalli nei quali la corrosione ha agito
soltanto su alcune facce lasciando le altre intatte.
Frequenti sono gli aggruppamenti di vari individui disposti irregolarmente o avvici-
nati 1’ uno accanto all’ altro restando con gli assi verticali parallelli fra di loro.
Due sono le varietà di olivina che si riscontrano nei basalti di Capo Passero, una
incolore o debolmente verdastra, l’ altra bruna o rossa in lamina sottile.
L’ olivina incolore è molto limpida, ha delle marcate linee di sfaldatura secondo (010),
piuttosto abbondanti inclusioni di magnetite e non di raro si presenta più o meno alterata
in serpentino color bruno-verdastro. L’ alterazione procede dall’ esterno verso 1’ interno, però
spesso ha agito soltanto nell’ interno del cristallo come se la sostanza alterante avesse
penetrato attraverso le linee di sfaldatura.
Non è raro il caso di riscontrare fenomeni di pseudomorfismo : delle olivine comple-
tamente serpentinizzate che conservano intatta la forma cristallina.
Quando 1’ alterazione è molto avanzata il serpentino non si mantiene più pseudomorfo
con 1’ olivina, esso ha 1’ aspetto di concrezioni globulari le quali contengono anche carbo-
nati di calcio e magnesio, come è risultato dalle analisi.
La varietà rossa, spesso pleocroitica, simile a quella riscontrata dal Pinne (1) nei ba-
salti nefelinici di Burgberges, che secondo questo autore è dovuta ad un processo di
alterazione, è molto frequente nei basalti di Capo Passero. Si presenta in grossi cristalli
automortì ed ipoautomorfì e più frequentemente in piccole listarelle allungate secondo l’asse
verticale, spesso in microliti di forma scheletrica per lo più a forchetta ai due poli, come
quelli riscontrati dal Werveke nei basalti dell’isola di Palma (2).
Le olivine meno alterate di Capo Passero si trovano nei blocchi di Cozzo S. Lucia,
che possono isolarsi in frammenti pestando in un mortaio i campioni di dolerite piti ricchi ;
(1) F. PINNE Ueber norddeutsche Basalte etc. Abt. Il p. 83.
(2) L. VAN WERVEKE — Beitrage zur Kentniss der Gesteine der Insel Palma. N. Jah. f. Min. 1879.
pag. 815.
15
La formazione vulcanica sottomarina di Capo Passero
si presentano color verde oliva, sono limpidi e trasparenti ; il loro peso specifico determi-
nato col picnometro è 3.437; l’analisi chimica è riportata al N. 1.
Fra le olivine alterate se ne distinguono due tipi: l’olivina in gran parte trasformata
in carbonati, come quella della dolerite del dicco 56°; essa è di color grigio-verde, tenera
tanto da lasciarsi intaccare con l'unghia, ha l’aspetto lamellare della antigorite; la sua com-
posizione chimica è riportata al N. 2.
L’ altro tipo è 1’ olivina rosso bruna (esempio dico 7°) ha una durezza un po’ mag-
giore dell’ altra, e la sua composizione chimica è riportata al N. 3.
Infine alcune olivine presentano la parte interna serpentinizzata con un orlo rosso
sangue trasparente; ma, essendo difficilmente isolabili dalla roccia, non è stato possibile
analizzarle.
1.
0
3.
Na,0
0. 90
1.66
0. 71
K20
0.61
0. 51
0. 31
MgO
35. 67
1 1. 72
14. 61
CaO
2. 04
20. 65
5. 24
MnO
0. 09
0. 07
0. 21
FeO
19. 14
2. 65
6. 10
NiO
tracce
tracce
tracce
CoO
id.
id.
id.
MA
0. 21
0.31
0. 36
FeA
2. 22
13. 33
34. 75
Ci'A
tracce
tracce
tracce
SiOj
38. 90
20. 26
24. 32
TiO,
0. 02
0. 85
0.45
co.
tracce
18. 42
2. 62
H,0 —
0. 10
6. 05
2. 50
H20+
0. 28
3. 71
7. 76
100. 18
100. 19
99. 94
Apatite molto scarsa nei basalti di Capo Passero, incolora, in aghetti allungati spesso
confusi fra i microliti di plagioclase e di augite.
Magnetite in ottaedri, in granuli od in pagliuzze, molto diffusa nelle rocce vulcaniche
di questa regione. I granuli grossi per lo più sonò costituiti da aggruppamenti di piccoli
ottaedri. Sono anche frequenti aggruppamenti in forme dentritiche.
La magnetite del dicco 21° di cui qui appresso è riportata l’analisi, isolata con un
ago di acciaio dalla roccia polverizzata ha la seguente composizione chimica :
Ca O Mg O MnO Ni O Fe O Al» 03 Cr2 03 Fe2 0;; Si 02 Ti 02 P2 05 S Somma
0,16 0,05 o,6 1 0,04 25.63 o,8S tracce 58,12 1,14 13,26 0,03 tracce = 99,92. (1)
Questi risultati e le analisi qualitative della magnetite di tutti gli altri dicchi, dimo-
(x) La presenza della silice, dell’ allumina, della calce e della magnesia è dovuta in parte alla non
pietà separazione della magnetite dagli altri elementi minerali della roccia.
coni-
16
G. Ponte
[Memoria XIV.]
strano che una parte del (Fe1 2 3 4 5) 0:{, è sostituita da Fe TiO^, come si è riscontrato nella ma-
gnetite dell’Etna (l) e del Val di Noto (2).
Ilmenite in piccolissime lamelle esagonali trasparenti color bruno garofano (ilmenit-
glimmer di Rosenbusch) (3) si ò riscontrata soltanto ed in poca quantità in alcuni dicchi
la cui roccia ha 1’ aspetto afanitico. Questa osservazione e l’altra della presenza del dita-
nio nella magnetite della maggior parte dei dicchi di Capo Passero fanno ritenere che la-
percentuale di TiO* nell’ analisi globale della roccia deve riferirsi più a magnetite tinani-
fera che alla sporadica presenza deli’ ilmenite.
Sostanza vetrosa o base spesso fa parte della massa fondamentale della roccia, essa
quando non è delessitizzata si presenta trasparente incolore o debolmente giallastra, ma
piti spesso intorbidata da magnatile polverulenta, da aghetti di apatite e dai microliti di
plagioclase e di augite.
Minerali secondari. — La delessite è frequente nelle rocce di Capo Passero in cui
la base vetrosa è alterata; essa si presenta in piccolissime sferoidi di color verdastro, con
debole birifrangenza ed estinzione parallela alle fibre radiali; trattata con HC1 in lamina
sottile si discioglie facilmente lasciando un residuo di silice gelatinosa.
Spesso le cavità amigdalari della roccia sono piene di concrezioni in parte di calcite
ed in parte di sostanza delessitica con struttura oolitica, gusci concentrici.
Il serpentino, di color verdastro, giallastro o bruno, passa spesso dallo stato di pseu-
domorfosi dell’olivina a forme concrezionate spesso globulari con gusci concentrici, qual-
che volta alternati con zone fibroso radiali del tipo crisotilico.
La calcite abbonda nei piccoli spazi amigdalari delle rocce più alterate (dicco 12°)
in forma di aggregati granulari allotriomorfi; evidenti vi sono le linee di sfaldatura e vi
si riscontrano spesso inclusioni di sostanza cloritica.
Trattando questi aggregati in lamina sottile con HCl diluito ed assorbendone con
tubo capillare la soluzione formatasi si è proceduto all’ eliminazione del calcio precipi-
tando con ossalato ammonico, si sono eliminati i sali volatili arroventando su lamina di
platino la soluzione, e gli ossidi ottenuti lidisciolti e trattati con fosfato ammonico sul
copri oggetti, hanno dato, dietro lenta evaporazione, un buon numero di cristallini di stru-
vite caratteristici per le loro forme a bara eminorfìche.
Questo metodo ha permesso di svelare le piccole traccie di magnesio contenuto nella
calcite che non sarebbe stato possibile di riconoscere con il metodo di Linck (4), ottimo
per riconoscere un contenuto di MgC03 non inferiore a 8 %•
Il carbonato di calce si riscontra ancora abbondantemente in concrezioni laminari,
che raggiungono lo spessore di qualche centimetro, fra i piani di clivaggio dei dicchi più
alterati. Nella parte interna di queste concrezioni si riscontrano frequentemente degli ag-
gregati cristallini di aragonite riconoscibile con il noto metodo di Meigen (5). ,
(1) G. PONTE, Sludi sull’ eruzione Etnea del 1910, Sei'. 5a, Voi. Vili 1911, p. 25.
(2) Klein, Su di uno speciale tipo di basalte. — Atti Acc. Gioenia di Scienze nat. Catania, Ser. 5*, Vo-
lume I, Memoria V.
(3) H. ROSENBUSCH, Mikroscopisc.he Physiographie der Min. u. Gesteine, 40 Auf., I 2. 1905, p. 81.
(4) G. LINCK, Geognostisch-pctrographische beschereibung des Grauwachengebetes von JFeiler , Stra-
sburg i. EIs. 1884, p. 17.
(5) W. MEIGEN, Cenlralblalt , /'. Min. 1901, p. 577.
La formazione vulcanica sottomarina di Capo Passero
17
La parte superficiale delle espansioni di Capo Passero è molto alterata e bollosa ; le
bolle son piene di concrezioni calcaree grosse quanto le uova di caviale e i piselli e danno
alla l'occia l’aspetto di una oolite o di una pisolite (Tav. illa, fig. la); non è raro trovare
nella roccia delle cavità tapezzate da romboedri di calcite alcuni grossi quanto un chicco
di grano per lo più torbidi, con facce un po’ incurvate e perciò non adatte alla misura
goniometrica ; dall’ analisi chimica i più limpidi risultano esenti di magnesia , ma conten-
gono tracce di S,. .
Per quante attente ricerche si siano finora fatte nelle rocce vulcaniche di Capo Pas-
sero non si sono rinvenute zeoliti; ciò non accade nel Val di Noto ove invece sono spesso
abbondantissime.
La presenza delle zeoliti nel Val di Noto, più che alla composizione chimica delle
rocce, che non è molto rilevante in confronto a quella delle rocce di Capo Passero, è do-
vuta, probabilmente, alle condizioni idrotermali a cui le rocce furono sottoposte dopo la
loro consolidazione. Vero è che Pirsson (1), Pelikan (2), Lindgren (3) e Washington (4),
hanno voluto sostenere l’esistenza dell’ analcime primaria nelle rocce vulcaniche, ma an-
cora questa ipotesi non è confermata; difatti Doelter (5) fa ben osservare che al disopra
di 400° fino a 500° 1’ analcime non può formarsi, e a questa temperatura non si conosce
alcun magma fluido in via di cristallizzazione.
Le zeoliti del Val di Noto e della zona subetnea si rinvengono non solo nei basalti,
ma anche nei tufi e fra le marne, spesso in forma di geodi ; la loro natura quindi non
può essere che secondaria.
II. FISI 0(4 RAFIA DELLE ROCCE DI CAPO PASSERO.
Per potere distinguere e mettere in l'affronto fra di loro i caratteri petrografici delle
rocce che costituiscono i numerosi dicchi di Capo Passero, occorre una descrizione siste-
matica , e perciò verranno adottati , in gran parte , i criterii seguiti dai petrografi ame-
ricani (6).
Ricavando poi i principali tipi di roccia sarà facile procedere all’analisi chimica quan-
titativa di ciascuno di essi.
Così soltanto è possibile ridurre razionalmente il lavoro delle analisi chimiche che
sarebbe riuscito molto lungo.
Ecco l’ordine che si terrà nella descrizione fisiografìca delle rocce di Capo Passero :
I. Fisiocrati a megascopica.
1. Colore.
2. Compattezza (compatta o bollosa).
3. Tenacità (tenace, fragile o friabile).
(x) L. V. PIRSSON, Iota. Geol., IV, 1896, p. 686.
(2) PEI.IKAN, Sitzungsb?-. d. Wien. Akad. ni, 1901, p- 34 1 •
(3) W. LINDGREN, Proc. Cai. Acad. Se. Ili, 1890, pag. 51.
(4) H. s. Washington, Boli. Soc. Geol. Hai., Voi. xxxm, 1914, p. 147.
(5) c. DOELTER, Physik. chem. Miner., p. 222.
(6) WHITMAN CROSS, I. P. IDD1NGS, I. V. PIRSSON , H. S. WASHINGTON, The lexture of igneous
rocks. Jour. of Geology , Voi. XIV N. 8 p. 694.
ATTI ACC. SERIE 5®, VOL. IX — Meni. XIV. 3
18
G. Ponte
[Memoria XIV.]
4. Durezza (dura o tenera).
5. Rottura (piana, concoide, scheggiosa, irregolare).
6. .Separazione (laminare, cubica o poliedrica).
7. Aspetto (doleritico, anamesitico, basaltico).
8. Alterazione (incipiente, avanzata o completa).
II. Fisiografiu microscopica.
1. Minerali costituenti la roccia.
2. Cristallinità :
Olocristallina — completamente cristallina.
percristallina,
cristalli
>
vetro
cristalli
<
docristallina,
vetro
cristalli
vetro
cristalli
Ipocristallina — ialocristallina,
<
<
doialina ,
vetro
cristalli
pedalina ,
>
vetro
Oloialina — completamente
vetrosa.
-4- , estremamente cristallina.
i
7 5
• — • 7> — — , dominantemente cristallina,
i 3
— — > cristalli e vetro in parti eguali o quasi.
) .. I
—7- - — , dominantemente vetrosa.
I
— - , estremamente vetrosa.
7
3. Grandezza dei fenocristalli (in millìmetri o decimi di mm.)
4. Grandezza dei microliti della massa fondamentale (in decimi, centesimi e mil-
lesimi di mm.)
5. Quantità relativa tra massa fondamentale e fenocristalli:
Perpatica,
Dopatica ,
Sempatica,
massa fondamentale
fenocristalli
massa fondamentale
fenocristalli
massa fondamentale
fenocristalli
, estremamente ricca di massa fondamentale.
1
<
.'>T
5
massa fondamentale dominante.
7> -4— . massa fondamentale e fenocr. in eguale porzione 0 quasi.
3 S
Dosemica,
Persemica,
massa fondamentale
fenocristalli
massa fondamentale
fenocristalli
1 I
<7” -4— fenocristalli dominanti.
5 7
, estremamente ricca di fenocristalli.
6. Distribuzione degli individui minerali (irregolare, cumulofirica, planofirica e li-
nofìrica).
7. Descrizione dei singoli minerali.
8. Minerali secondari.
9. Analisi chimica qualitativa e microchimica.
10. Classificazione della roccia.
Espansioni sottomarine di Capo Passero.
L’ avanzata alterazione della roccia di cui son costituite le espansioni laviche che
formano la prima compagine vulcanica di Capo Passero, spesso non permette un completo
La formazione vulcanica sottomarina di Capo Cassero
19
esame dei caratteri petrografìci; ciò non pertanto non è difficile riconoscere gli elementi
minerali di cui la roccia è costituita.
Due sono i tipi di roccia che formano le espansioni di Capo Passero. lipo A: Dole-
rite olivinica a grossi fenocristalli di plagioclase; tipo B: dolerite olivinica a grossi feno-
cristalli di augite. Questi due tipi non sono costanti giacché si riscontrano molte varia'
zioni nella grandezza dei fenocristalli spesso così piccoli da passare al tipo anamesitico
o al basaltico. Alcune rocce sono molto bollose e ricche di concrezioni calcaree, così ab-
bondanti da assumere 1’ aspetto oolitico, pisolitico o amigdaloide.
Espansione tipo A. (Punta di Acqua Palomba).
Fisiografìa megascopica : Colore grigio, ora biancastro ora rossigno a seconda 1’ al-
terazione dei minerali; poco compatta; friabilissima tanto da sfarinarsi con le dita; tenera
specialmente quando è umida-; rottura regolare o piana; separazione laminare; aspetto
doleritico; alterazione quasi completa.
Fisiografìa microscopica : 1. Minerali costituenti la roccia: Fenocristalli di plagio-
clase e di olivina sparsi in una massa fondamentale di microliti di plagioclase, di olivina,
di augite e di magnetite, spesso appena riconoscibili perchè intorbidati da prodotti di al-
terazione.
2. ^ ? » probabilmente percristallina in origine.
3. Fenocristalli: Plagioclase in individui tabulari grandi fino a 2 cm. ; olivina nini. 2
a 0.5. •
4. Microliti: plagioclase in listarelle lunghe mm. 0.4 a 0.2; olivina mm. 0. 1 ; augite
mm. 0.05; magnetite in pagliuzze lunghe mm. 0.2 o in granuli di mm. 0.05.
plagioclase, augite, olivina, magnetite vetro
Massa fondamentale 2,0 o, 5 1,0 o, 5 ? 5
5.
< — > “
3 5
sempatica.
Fenocristalli 3, 5 — o, 5 — —
6. I fenocristalli di plagioclase hanno disposizione planofirica, che determina la rot-
tura piana laminare della roccia.
7. Fenocristalli di plagioclase generalmente allotriomorfi o ipoautomorfi, sempre ge-
minati secondo la legge dell’ albite, ma le lamelle associate hanno dimensioni diverse e
spesso sono spostate dal piano di geminazione; aggruppamenti e compenetrazioni di più
serie di geminati frequenti; piani di clivaggio abbondanti ripieni di prodotti di alterazione
che rendono i cristalli torbidi e perciò difficilmente misurabili con i mezzi ottici ; il peso
specifico delle schegge più limpide, 2,714, li fa riferire agli ultimi termini della labra-
dorite. Microliti plagiogiasici per lo più in listarelle bigeminate, anch’ essi intorbidati dal-
1’ alterazione, spesso incurvate e con estinzione ondulata.
Fenocristalli di olivina isodiametrici arrotondati dalla corrosione magmatica; color rosso
sangue, nelle parti meno alterate, o bruno opache. Microliti oli vinici in granuli o listarelle
allungate color rosso sangue o opachi.
Augite quasi completamente cloritizzata.
Magnetite in ischeggette allungate ed in granuli spesso aggruppati fra di loro.
Sostanza vetrosa non riconoscibile.
8. Minerali secondarii : Concrezioni calcaree in proporzioni variabili dall’ 1 al 10 %;
sostanze cloritiche e delessitiche ; geodi di calcite frequenti.
20
G. Ponte
[Memoria XIV.]
9. Nell’HCl tutti i minerali sono più o meno solubili; dietro lunga digestione si ri-
cava una polvere insolubile costituita da scheggette di plagioclase e di augite; nella solu-
zione ferrica si riscontra il Ti 02.
10. La roccia è una dolerite olivini c a per cri stallina sempatica a grossi feno-
cristalli di plagioclase molto alterata.
«
Espansione tipo B. (Punta di Acqua Palomba).
Fisiografia megascopica — Colore grigio oscuro; compatta; poco tenace; poco du-
ra ; rottura irregolare ; separazione poco evidente, forse sferoidale ; aspetto doleritico.
Fisiografia microscopica — Minerali costituenti la roccia : Fenocristalli di plagio-
clase, di augite e di olivina sparsi fra una massa fondamentale di plagioclase , di augite,
di olivina, di magnetite e di base vetrosa.
Cristalli 7 . . ...
2. — > — -, percnstallina.
Vetro i ’ r
3. Fenocristalli : Plagioclase in listarelle lunghe mm. 3 a mm. 0.2; augite mm. 3 a
0.3; olivina mm. 2.5 a mm. 0.5.
4. Microliti: Plagioclase lunghezza mm. 0.2 a mm. 0. 1 ; augite mm. 0.1; olivina
mm. 0.1 a mm. 0.05; magnetite mm. 0.1 a mm. 0.01.
5.
Massa fondamentale
plagioclase, augite, olivina, magnetite, vetro
2 i o, 2 1,5 o, 5
- ->
<2 — , sempatica.
Fenocristalli 2 c, 50, 5 — — 5 5
ó. Non si osserva alcuna speciale disposizione degli elementi minerali.
7. Fenocristalli di plagioclase ipoautomorfi o alliotriomorfi in geminati polisintetici
secondo la legge dell’ albite, raramente secondo la legge di Karlsbad ; dalla media degli
angoli di estinzione misurati i plagioclasi risultano delle labradoriti; frequente struttura zo-
nata; inclusioni di magnatite spesso abbondanti tanto fra i piani di geminazione, spesso
in forma dentistica, quanto nella parte centrale dei cristalli ove prevalgono prodotti di al-
terazione del cristallo.
Microliti plagioclasici in listarelle alliotromorfe con estinzione ondulata.
Fenocristalli di augite ipoautomorfi spesso con contorni arrotondati dalla corrosione
magmatica; aggruppamenti irregolari frequenti; geminati polisintetici in lamelle interposte;
frequenti compenetrazioni; linee di sfaldatura marcate; colore bruno garofano; pleocroismo
non apprezzabile; poche inclusioni di magnatite.
Fenocristalli e microliti di olivina completamente trasformati in serpentino color ver-
dastro, giallastro o rosso-sangue; si riconosce in parte la forma del primitivo cristallo che
dovette esser molto provato dalla corrosione magmatica.
Magnetite in ottaetri spesso raggruppati.
Sostanza vetrosa del tutto delessitizzata.
8. Minerali secondarii : serpentino delle olivine e traccie di calcite e delessite.
9. Nell’ HC1 solubili completamente : il serpentino, la delessite e la magnetite, questa
ultima contiene del Ti O2.
10. La roccia è una dolerite olivinica percristalliua seni pativa in gran parte
alterata.
La formazione vulcanica sottomarina di Capo Passero
21
Dicchi che attraversano le espansioni di Capo Passero.
DICCO 1°
Fisiografia megascopica — Colore grigio-oscuro; discretamente compatta; poco te-
nace; poco dura; rottura scheggiosa; separazione poliedrica ed in alcuni punti del dicco
laminare; aspetto anamesitico; alterazione avanzata e più evidente nella parte esterna.
Fisiografìa microscopica — Minerali costituenti la roccia : Fenocristalli di augite e
di magnetite molto radi sparsi in una massa fondamentale di microliti, di plagioclase, di
olivina, di augite, di magnetite e di base vetrosa.
2. —7— — > — , percristallina.
Vetro 1 ’ v
3. Fenoscristalli : Augite millimetri 1 a mm. 3; magnetite isometrica min. 0.5 a
mrn, 0. 8.
4. Microliti: Plagioclase in listarelle lunghe mm. 0. 4 a mm. 0.2; olivina mm. 0.3
a mm. 0. 1; augite mm. 2 a mm. 0. 1; magnetite mm. 0. 2 a mm. 0,001.
plagioclase, augite, olivina, magnetite, vetro
Massa fondamentale 2.0 t,o 1,0 1,5 1,5
o.
7> - — - , perpatica.
Fenocristalli — o, 5 — 0, 5 — " 1
6. I microliti plagioclasici sono disordinatamente sparsi, ma non di raro aggruppati
a fascetti con evidente struttura linofirica o fluidale. I microliti di olivina sono spesso con-
centrati in alcuni punti della sezione ed hanno spesso tutt’ intorno delle chiazze rosso-
bruno di idrossido di ferro.
7. Fenocristalli di augite automorfi poco sviluppati secondo 1’ asse verticale e con
facce di prisma larghe, semplici o geminati secondo (100); sfaldatura molto marcata se-
condo il prisma; struttura zonata a gusci geometricamente simili al contorno del cristallo ;
forme a clessidra frequenti ; pleocroismo non apprezzabile; colore in lamina sottile bruno
garofano chiaro, tendente al rosa; inclusioni di magnetite in granuli anche grossi, ma non
abbondanti; alterazione incipiente specialmente lungo le linee di sfaldatura, ove spesso è
addensata della sostanza cloritica ricca di carbonato di calce amorfa.
L’ augite di seconda generazione in microliti per lo più allotriomorfi o ipoautomorfi
allungati, ha colore come i fenocristalli.
Fenocristalli di magnetite in ottaedri isometrici ; i piccoli individui in ottaedri, in gra-
nuli e in aggregati.
Plagioclasi microlitici in listarelle allotriomorfe, spesso affusolate mai limpide e con
estinzione ondulata. Olivina in microliti listiformi, allungati spesso terminati a forchetta
ai due poli, simili alle forme scheletriche che si osservano nei basalti dell’ isola di Palma;
sfaldatura normale all’ allungamento molto marcata ; colore dal rosso-sangue al giallo
miele; pleocroismo inapprezzabile; inclusioni di vetro e di magnetite poche. Sostanza
vetrosa incolora o giallastra, ingloba i microliti di plagioclase e qualche aciculo di apatite;
nei punti più alterati della roccia essa è devetrificata ed allora tra i nicol -f- mostra degli
elementi sub-microscopici.
8. Minerali secondari : Calcite e ctonie inclusi nei fenocristalli di augite.
9. Facendo agire dell’ HC1 sulla lamina sottile 1’ olivina viene lentamente disciolta e
lascia uno scheletro di silice isotropa ; alla fiamma ossidante 1’ olivina diviene color rosso
cupo e pleocroitica ; i’HCl discioglie tutta la magnetite, è quindi da escludere la presenza
G. Ponte
[Memoria XIV.]
9')
dell’ ilmenite, quantunque la soluzione cloridrica contenga del Ti 0,. La sostanza cloritica
delle augiti, dalla reazione microchimica, risulta contenere molto carbonato di calce.
10. La roccia è una nnamesite olivinica percristallina per patica.
DICCO 2°
Fisiografia megascopica. 1. Colore grigiastro; compattezza, tenacità e durezza
media; rottura irregolare; separazione poliedrica; aspetto doleritico, vi campeggiano, spe-
cialmente nella parte più chiara, grossi cristalli nero lucenti di augite e di olivina oscura;
alterazione un poco avanzata.
Fisiografia microscopica. 1. Minerali costituenti la roccia: Fenocristalli di plagio-
clase , di augite, di olivina e di magnetite sparsi in una massa fondamentale di micro-
liti plagioclasici, di granuli di olivina, di magnetite, di augite e di sostanza vetrosa.
7
Cristalli
Vetro ^
, percristallina.
3. Fenocristalli: Plagioclase min. 0. 1 a mm. 1.5; augite mm. 0. 3 a mm. 10; oli-
vina min. 0. 3 a mm. 3; magnetite mm. 0. 2 a mm. 0.7.
4. Microliti: Plagioclase mm. 0.02 a mm. 0. 1; augite mm. 0.05; olivina mm. 0.05
a mm. 0. 1; magnetite mm. 0.002 a mm. 0.015.
plagioclase, augite, olivina, magnetite, vetro
D.
Massa fondamentale 1.8 0,4 0,4
Fenocristalli 1,4 1,6 0,8
o, 4
o, 2
< -i- > ±
3 5
sempatica.
6. La disposizione dei fenocristalli è irregolare, in alcuni punti essi sono avvicinati
in altri radi tanto che in un mm2. di sezione, spesso, non se ne osserva alcuno ; i mi-
croliti formano una pasta piuttosto regolare essendo tutti gli elementi uniformemente di-
stribuiti.
7. Fenocristalli di plagioclase generalmente ipoautomorfi tabulari secondo M (010)
in geminati polisintetici secondo la legge dell’ albite o geminati semplici di Karlsbad,
sfaldatura evidente secondo (001), poco accentuata secondo (010); struttura zonata nei
cristalli più grandi; estinzione ondulata con angoli che misurati sulla faccia (010) oscillano
tra — 21° e — 33° cioè nei limiti Ab 40 An 60 e Ab 15 An 85; inclusioni gassose, di
vetro e di magnetite frequenti e per lo più sparpagliate o accumulate senza ordine alla
periferia del cristallo , qualche volta anche distribuite sui piani di sfaldatura in forme
dentritiche. I microliti sono allotriomorfì o ipoautomorfi, sviluppati secondo (010) in lista-
relle sottili o in laminette semplici o poligeminate; inclusioni vetrose e di magnatile ab-
bondanti.
Fenocristalli di augite ipoautomorfi, non raramente automorfì od allotriomorfì; per lo
più individui semplici, qualche- volta bigeminati secondo (100); sfaldatura secondo il pris-
ma; pleocroismo non bene apprezzabile; struttura zonata frequente nei cristalli più grossi ;
compenetrazioni con la magnetite non rare ; inclusioni poche di magnetite in granuli o
in ottaedri ; alterazione in clorite incipiente, in alcuni cristalli si estende fino all’ interno
attraverso le linee di sfaldatura. L’ augite di seconda generazione è per lo più in granuli
ed è ricca di inclusioni di magnetite.
Fenocristalli di olivina automorfì ed ipoautomorfi; qualche volta allotriomorfì con la
magnetite; associazioni frequenti con disposizione parallela all’asse verticale; color rosso
La formazione vulcanica sottomarina di Capo Passero
23
sangue con pleocroismo appena apprezzabile; sfaldatura secondo (010) e (001); inclusioni
di magnetite in piccoli granuli; alterazione in serpentino frequente specialmente nei grossi
cristalli ove è completa; i cristalli più alterati contengono carbonato di calcio e magnesio
concrezionato.
I granuli di olivina di seconda generazione sono pur essi color rosso sangue con
marcata sfaldatura e con poche inclusioni di magnetite.
Magnetite in ottaedri isometrici ed in granuli spesso associati tra di loro.
Sostanza vetrosa del tutto delessitizzata e non è raro il caso di riconoscere in
essa qualche aciculo di apatite.
8. Minerali secondari: Delessite, dorile e serpentino con tracce di carbonati di
calcio e di magnesio.
9. L’ HC1 scioglie lentamente l’olivina lasciando uno scheletro di silice giallastra iso-
tropa; la magnetite è completamente disciolta e nella soluzione si riscontra il Ti 0,; l’o-
livina rossa riscaldata diviene opaca d’ aspetto terroso.
10. La roccia è una dolerite olivinica per cri stallina sempatica molto alterata.
DICCO 3”, 4°, 5° e 6°
La roccia di questi dicchi è molto alterata, facilmente friabile. In lamina sottile vi si
osservano tracce di plagioclase, di augite e di magnetite fra una massa di sostanze alte-
rate opache. Alcuni dicchi sono attraversati longitudinalmente da molte venature di cal-
care e son quelle che fanno spiccare il dicco, che diversamente si confonderebbe con la
roccia alterata circostante. Spesso è avvenuto che le concrezioni calcaree, accumulandosi
lungo i piani di separazione della roccia primitiva, hanno sostituito completamente i mi-
nerali trasformati.
DICCO 7°
Fisiografia megascopica — Colore grigio cenere tendente al bruno; poco compatta;
poco tenace; poco dura; rottura irregolare scabrosa; separazione in lastre da uno a tre
centimetri di spessore rivestite da una sottile crosta d’idrossido di ferro color bruno; aspetto
doleritico, vi campeggiano grossi cristalli di augite e di olivina alterata di color bruno;
alterazione un po’ avanzata.
Fisiografia microscopica — 1. Minerali costituenti la roccia: Fenocristalli di au-
gite e di ‘olivina sparsi fra una massa fondamentale di plagioclase, di olivina, di augite,
di magnetite e di base vetrosa. Nella massa fondamentale abbondano delle sferoliti di so-
stanza delessitica color bruno miele del diametro di mm. 0.25 a 0.1.
2. °ris--— )> — - percristallina.
.Vetro ^ i ’ h
3. Fenocristalli : Augite mm. 5 a mm. 0.4; olivina mm. 3 a 0.2.
4. Microliti: Plagioclase mm. 0.4 a mm. 0.1; augite mm. 0.3 a 0.02; olivina mm. 0.2
a 0.03; magnetite mm. 0.04 a mm. 0.2. .
plagioclase, augite, olivina, magnetite, vetro
i,6 o,8 o,8 0,4 o,4
Massa fondamentale
3 5
sempatica.
Fenocristalli
2
24
G. Ponte
[Memoria XIV. ]
6. Non si osserva alcuna disposizione speciale degli elementi minerali.
7. Fenocristalli di cingile automorfi ed ipoautomorfi poco sviluppati secondo 1’ asse
verticale; per lo più in individui semplici, sfaldatura marcata secondo le facce del prisma;
pleocroismo non apprezzabile; colore in lamina sottile verde giallastro chiaro; struttura zo-
nata frequente; inclusioni abbondanti di sostanza vetrosa, di bolle gassose e di magne-
tite in ottaedri. Microliti di augite ipoautomorfi ed allotriomorfi per lo più limpidi.
Fenocristalli di olivina automorfi, spesso a contorni corrosi; alcuni completamente tra-
sformati in serpentino nella parte interna, mentre alla periferia hanno un orlo oscuro ros-
sastro; altri meno abbondanti sono color rosso sangue trasparenti e non pleocroitici o bru-
no giallastro opachi.
Microliti olivinici in granuli color rosso sangue come i fenocristalli.
Microliti plagioclasici in listarelle allotriomorfe poligeminate secondo la legge dell’al-
bite, molto torbidi e con estinzione ondulata.
Magnetite in ischeggette spesso allungate, meno frequenti in granuli ed ottaedri.
Sostanza vetrosa in gran parte alterata.
8. Minerali secondari: Sferoidi di sostanza delessilica color giallo miele; a nicol -{-
presentano la croce d’interferenza; birifrangenza debole; estinzione parallela all’asse delle
fibre radiali. Serpentino delle olivine color bruno.
9. La roccia polverizzata e trattata con HC1 è in gran parte disciolta, resta soltanto
un residuo di plagioclase e di augite; nella soluzione si rinviene il Ti 02.
Le sferoidi delessitiche trattate con gli acidi gelatinizzano e possono colorarsi con le
aniline. Riscaldate con la fiamma diventano bruno oscuro ed opache.
10. La roccia è una dolerite olivinica per cri stallina sempatica molto alterata.
DICCO 8°
La roccia di questo dicco è identica a quella del dicco precedente, però le augiti e
le olivine sono molto più alterate.
DICCO 9°
Fisiografia megascopica — Colore bluastro oscuro; compatta, tenace e dura abba-
stanza; rottura irregolare e scabrosa; separazione irregolare; aspetto doleritico, vi campeg-
giano abbondanti e grossi fenocristalli di plagioclase ed in minor quantità di olivina; al-
terazione evidente nelle olivine e nel plagioclase intorbidato dall’ idrossido di ferro.
Fisiografia microscopica — 1. Minerali costituenti la roccia: Fenocristalli di pla-
gioclase e di olivina sparsi fra una massa fondamentale di plagioclase, di olivina, di au-
gite, di magnetite e di base vetrosa. Vi si riscontrano delle sferoliti di delessite come nel
dicco 7°.
„ Cristalli ..
Vetro ^
-, percristallina.
3. Fenocristalli: Plagioclase min. 3 a min. I; olivina min. I a inni. 0,8.
4. Microliti : Plagioclase mm. 0,6 a min. 0,05; olivina min. 0,2 a min. 0,05 ; augite
min. 0,25 a min. 0,05; magnetite mm. 0,30 a mm. 0,05.
plagioclase, augite, olivina, magnetite, vetro
b.
Massa fondamentale __ i , 8
Fenocristalli i,8
». 4
4
o, 8 o, 6
O, 2
< — > — , dopatica.
1 >
La formazione vulcanica sottomarina di Capo Passero
25
6. La disposizione dei fenocristalli di plagioclase è in parte planofìrica.
7. Fenocristalli di plagioclase automorfì tabulari, per lo più in geminati polisintetici
secondo la legge deli’ albite e questi alla loro volta secondo la legge di Karlsbad; gli an-
goli di estinzione misurati sulla faccia M (010) oscillano tra — 28° e — 31°, il plagioclase
è quindi una Bytownite acida tra i termini Ab 25 An 75 e Ab 20 An80; sfaldatura evi-
dente secondo (001) e (010); mai vi si riscontra la struttura zonata; frequenti rotture e spo-
stamenti anche di alcuni millimetri; inclusioni vetrose e di magnetite in sottili scheggette,
spesso ordinate in linee ortogonali e accumulate nei piani di sfaldatura, mentre il resto del
cristallo è generalmente limpido ; alcuni cristalli sono intorbidati di idrossido di ferro che
investe il plagioclase anche attraverso le sfaldature. Dai fenocristalli si passa ad una se-
conda generazione di plagioclasi ipoautomorfì e poi ad una terza costituita da microliti
ipoautomorfi ed allotriomorfi (vedi p. 11).
Fenocristalli di olivina allotriomorfi color rosso sangue; sfaldatura secondo (010) e
(001); inclusioni di magnetite rare; alterazione in serpentino frequente. Microliti di olivina
non alterati ; ipoautomorfì ed allotriomorfi; color rosso sangue trasparenti.
Microliti di augite color giallo bruno ; ipoautomorfi ed allotriomorfi.
Magnetite in granuli irregolari, in iscagliette allungate ed in ottaedri spesso aggrup-
pati in direzione degli assi cristallografici.
Sostanza vetrosa quasi completamente delessitizzata con rarissimi aciculi di apatite.
8. Minerali secondarii : Sferoidi di sostanza delessitica color giallastro ; a nicol -f-
presentano la croce d’ interferenza; le fibre non si presentano chiare e distinte.
9. Dietro digestione in HC1 rimane soltanto un residuo di plagioclasi e di augiti ; nella
soluzione cloridrica si riscontra il TiO, . Le sferoidi trattate con 1’ HC1 gelatinizzano e
possono colorarsi con le aniline; riscaldate alla fiamma diventano opache e di color bruno
oscuro.
10. La roccia è una dolerite olivinica percr istallino sempatica a grossi fenocri-
stalli di plagioclase.
DICCO 10°
Pisiografia megascopica. — Colore grigio bluastro con venature brune, compattezza,
tenacità e durezza deboli; rottura irregolare scabrosa; separazione irregolare; aspetto afa-
nitico; alterazione non evidente.
Fisiografia microscopica. 1. Minerali costituenti la roccia: Fenocristalli di plagio-
clase di augite e di olivina assai rari ; massa fondamentale costituita da plagioclase in varie
generazioni, da olivina, da augite, da magnetite e' da sostanza vetrosa.
Cristalli 7 .
2. — — — > — , percristalhna.
Vetro i r
3. Fenocristalli : Plagioclasi mm. I a min. 0,6; augite isometrica mm. 0. 8 a mm. 0. 5.
4. Microliti: Plagioclasi in tre grandezze prevalenti : mm. 0.4, mm. 0.3 e mm. 0. 1:
olivina mm. 0. 3 a mm. 0.08; augite mm. 0. Oó ; magnetite mm. 0. 15, isometrica o in
pagliuzze lunghe mm. 0. 15.
plagioclase, augite, olivina, magnetite, vetro
Massa fondamentale
5, S
0, 3
i, 4
U4
°> 4 ^ 7
, perpatica
Fenocristalli
0, 2
0, 5
—
- > T-
6. I microliti della massa fondamentale, specialmente i plagioclasi, hanno disposizione
linofirica o planofìrica a secondo la sezione.
ATTI ACC. SERIE 5», VOL. IX — Metri. XIV.
4
26
G. Ponte
[Memoria XIV].
7. Fenocristalli di plagioclase automorfi tabulari, geminati secondo la legge dell* al-
bite; sfaldatura secondo (001) e (010); poche inclusioni vetrose e gassose spesso allungate.
Microliti automorfi e più spesso ipoautomorfi ; per lo più bigeminati, raramente poli-
geminati secondo la legge dell’ albite con estinzione ondulata; non vi mancano inclusioni
gassose, vetrose e di magnetite.
Fenocristalli e microliti di augite allotriomorfì con sfaldatura poco marcata e con
poche inclusioni di magnetite; colore giallo pallido: pleocroismo non apprezzabile.
Olivina in forme scheletriche come quelle del dicco 1° completamente alterata in ser-
pentino spesso pseudomorfo.
Magnetite in ottaedri aggruppati irregolarmente, ed in pagliuzze.
Sostanza vetrosa in parte delessitizzata con qualche aciculo di apatite.
8. Minerali secondari : Venature d’ idrossido di ferro ; delessile e serpentino color
giallo verdastro.
9. I minerali secondari e la magnetite sono completamente disciolti nell’ HC1 nella
cui soluzione si riscontra il TiOs.
10. La roccia è una anamesite olivinica per cristallina perpatica.
DICCO 11°
Fisiografia rnegascopica. — - Colore grigio bluastro con venature e chiazze bruno,
esternamente rivestita da una esile patina calcarea bianca; compattezza, tenacità e durezza
debole; rottura piana ed in alcuni sensi concoide scabrosa; separazione in lastre; aspetto
anamesitico, vi si distinguono appena i numerosi cristallini laminari splendenti di plagio-
clase; alterazione non evidente.
Fisiografia microscopica. 1. Rarissimamente si riscontra qualche fenocristallo di
olivina; in quattro sezioni fatte se ne è trovato uno soltanto. La massa fondamentale al
microscopio si risolve in una trama di microliti di plagioclase, di olivina , di augite , di
magnetite e di vetro.
Cristalli
percristallina.
Vetro
3. Fenocristalli : Olivina mm. 1 a mm. 2.
4. Microliti: Plagioclase in laminette di mm. 0.5; olivina mm. 0. 2 a mm. 0.02; au-
gite mm. 0.2; magnetite mm. 0. 2 a mm. 0.001.
plagioclase, augite, olivina, magnetite, vetro
3 no 1,5 US
Massa fondamentale
O.
o, 5 \ 7
— - , perpatica.
Fenocristalli — — o, 5 —
6. I microliti hanno per lo più struttura planofirica fiuidale e sono spesso aggruppati
in fascetti a ventaglio.
7. Fenocristalli di olivina automorfi, completamente trasformati in serpentino. Micro-
liti in granuli color rosso sangue in parte serpentinizzati ed intorbidati da idrossido di ferro.
Microliti di plagioclase allotriomorfì in lamelle allungate con geminazione polisintetica
e con estinzione ondulata; inclusioni di magnetite e di bolle vetrose frequenti; alterazione
in sostanza terrosa, caolinica specialmente fra i piani di geminazione.
Microliti di augite allotriomorfì di color bruno chiaro o verdastri senza pleocroismo
apprezzabile con inclusioni vetrose e di magnetite.
Magnetite in forme scheletriche svariate, raramente in ottaedri.
La formazione vulcanica sottomarina di Capo Passero
27
Sostanza vetrosa in gran parte delessitizzata con qualche raro aciculo di apatite.
8. Minerali secondari: Frequenti intorbidamenti d’ idrossido di ferro ; serpentino color
giallastro e più spesso rossastro ; delessite anch’ essa molto intorbidata.
9. I minerali secondari e la magnetite sono completamente disciolti nell’ HC1. Nella
soluzione cloridrica della magnetite si riscontra sempre il Ti02.
10. La roccia è una anamesite olivinicci per cristallina per pai ic ci.
DICCO 12°
Fisiografìa megascopica. — Colore grigio bluastro piuttosto chiaro, alla parte esterna
e sui piani di separazione ricca di concrezioni calcaree; abbastanza compatta; poco tenace
e poco dura; rottura piana e concoide; separazione in parallelopipedi non molto regolari;
aspetto doleritico; alterazione non evidente; molte concrezioni che gli danno l’aspetto amig-
daloide.
Fisiografìa microscopica. 1. Minerali costituenti la roccia : Una trama di microliti
di plagioclase, di augite, di olivina e di magnetite con sostanza vetrosa intersertale.
2
Cristalli
< 4- >
docristallina.
vetro ' i
3. Mancano i fenocristalli.
4. Microliti: Plagioclase in listarelle lunghe rum. 0.5; augite in granuli di mm. 0.02
ed in aghetti sottilissimi; olivina in listarelle lunghe mm. 0.08 a mm. 0.05; magnetite
in granuli di mm. 0, 1 e molto più piccoli.
plagioclase, augite, olivina, magnetite, vetro
5. Massa fondamentale = 3 0,2 1,0 1,2 2,6.
6. Le listarelle di plagioclase son disposte a fascetti di 2 a 5 individui.
7. Plagioclasi ipoautomorfi ed allotriomorfì in listarelle poligeminate secondo la legge
dell' albite ; estinzione ondulata; alcuni individui sono piegati od inarcati; non vi mancano
inclusioni di magnetite e di bolle vetrose o gassose.
Augii i in piccolissimi granuli ed in aghetti bruno chiari non pleocroitici.
Olivine in listarelle ipoautomorfe ed allotriomorfe di color rosso bruno raramente com-
pletamente trasparenti giacché l’ idrossido di ferro le intorbida tanto da renderle quasi opa-
che; frequenti forme scheletriche a forchetta ed a gabiette come nel dicco 1°; geminati a
croce di S. Andrea frequenti.
Magnetite in ottaedri ed in granuli, gl’ individui più grossi in forme scheletriche che
spesso hanno 1’ aspètto di un A-
Sostanza vetrosa color giallo miele o bruna , tra i nicol incrociati interferisce la
luce essendo in gran parte devetrificata; essa ingloba dei cristallini di augite e più rara-
mente di apatite aghiformi e cementa tutti gli altri elementi cristallini.
8. Minerali secondari : Amigdale di circa mm. I frequenti, con sottile guscio di so-
stanza amorfa calcarea giallastra e con parte centrale di calcite in cristallini allotriomorfì
di varia grandezza.
9. La roccia polverizzata e trattata con HC1 fa un po’ di effervescenza; resta un re-
siduo di pagliuzze di plagioclase e. di granuli di augite , il resto è tutto disciolto e nella
soluzione si rinviene il TiOa.
10. La roccia e un basai te olivi nico docr istallino microamigdaloide.
28
G. Ponte
[Memoria XIV].
Come il dicco 3®.
DICCO 13°
DICCO 14"
Fisiografia megascopica. Colore grigiastro ; molto compatta ; abbastanza tenace e
dura; rottura un po’ scabrosa; separazione irregolare; aspetto doleritico, vi si distinguono
facilmente i radi cristalli di olivina e di augite e le listarei le chiare di plagioclase; alte-
razione debole.
Fisiografia microscopica. 1. Minerali costituenti la roccia: Fenocristalli di plagio-
clase, di augite, di olivina e di magnetite sparsi fra una massa fondamentale di microliti
di plagioclase, di olivina, di augite di magnetite e di sostanza vetrosa intersecale.
2. -rrr — > - — , percnstallina.
3. Fenocristalli: Plagioclase in laminette lunghe mm. 1 a mm.O, 5; augite mm. 0,6;
olivina mm. 4 a mm. 0,5; magnetite mm. 0, 6 a mm. 0,3.
4. Microliti: Plagioclase in listarelle di mm.O, 2; augite mm.O, 2; olivina mm. 0, 07 ;
magnetite mm. 0, 1.
Atassa fondamentale
Fenocristalli
plagioclase, augite, olivina, magnetite, vetro
2, 6 o, 6 2, o o. 8 1. 0
3
■>
o, 2
O, 2
>
, perpatica.
6. I fenocristalli di plagioclase qualche volta in aggruppamenti irregolari ; i microliti
spesso con disposizione linofirica.
7. Fenocristalli di plagioclase ipoautomorfì tabulari sempre in geminati polisintetici
secondo la legge dell’albite e di Karlsbad; estinzione misurata su M (010) dà — 23° a — 25°;
inclusioni vetrose di color giallo miele spesso tanto abbondanti che invadono tutto il cri-
stallo, di magnetite frequenti specialmente fra i piani di geminazione; i piani di sfaldatura
sono spesso attraversati da un esilissimo straterello di idrossido di ferro; si riscontrano
dei cristalli debolmente incurvati con estinzione ondulata. I plagioclasi microlitici sono per
lo più allotriomorfì raramente ipoautomorfì in prismetti affusolati qualche volta contorti ed
inarcati; generalmente bigeminati o poligeminati; inclusioni vetrose e di magnetite abbon-
danti : come i fenocristalli intorbidati da idrossido di ferro.
Fenocristalli di augite ipoautomorfì in prismetti allungati, color cannella con pleocroi-
smo non nettamente apprezzabile e con inclusioni vetrose e di magnetite. I microliti hanno
gli stessi caratteri dei fenocristalli, essi trovatisi per lo più aggruppati a stella.
Fenocristalli di olivina per lo più automorfi o ipoautomorfì : colore rosso sangue, con
contorni più o meno corrosi; linee di sfaldatura secondo (010) e (001); rade inclusioni di
magnetite. I microliti di olivina generalmente equimetrali automorfi, ma con contorni molto
corrosi ; rari sono i cristallini prismatici allungati spesso in forme scheletriche a forchetta
o a gabietta ; come i fenoscristalli sono color rosso sangue trasparenti e senza pleocroismo
apprezzabile.
Fenoscristalli di magnetite generalmente in forme scheletriche qualche volta associati
con l’olivina. 1 piccoli cristalli in ottaedri, in granuli ed in pagliuzze.
Sostanza vetrosa trasparente, ma in qualche punto un po’ delessitizzata ed intor-
bidata dall’ idrossido di ferro ; vi si riscontra qualche raro aciculo di apatite.
8. Minerali secondari : Delessite del vetro di color bruno.
29
La formazione vulcanica sottomarina di Capo Passero
9. La roccia polverizzata dietro digestione in HC1 lascia un residuo di plagioclasi e
di augiti e la soluzione contiene del TiO,.
10. La roccia è una dolerite olivinica per cri stali ina perpatica.
DICCO 15°
Fisiografìa megascopica. Colore nero bluastro; molto compatta, tenace e dura; rot-
tura piano-concoide scheggiosa ; separazione irregolare ; aspetto afanitico, se non si con-
siderano le rade olivine spesso grosse un centimetro. Alterazione visibile soltanto alla parte
esterna del dicco.
Fisiografìa microscopica. I. Minerali costituenti la roccia: Una trama di microliti
di plagioclase, di augite, di olivina e di magnetite cementati da sostanza vetrosa spesso
intersertaie; molto raramente si riscontra qualche grosso cristallo di olivina.
Cristalli ^ 1 ^ 5
<
>
docristallina.
Vetro i 3
3. Fenocristalli di olivina isometrici da mm. 5 a un centimetro rarissimi.
4. Microliti: Plagioclase mm. 0, 1; augite mm. 0,3 a 0, 1 ; olivina mm. 0,2 a 0,5
di magnetite mm. 0, 07.
plagioclase, augite, olivina, magnetite, vetro
5. Massa fondamentale —1,2 1,2 2,6 0,6 1,4.
6. Non si riscontra alcuna speciale disposizione degli elementi minerali.
7. Fenoscristalli di olivina automorfi, ma con forte corrosione magmatica, di color
rosso sangue o incolori, con marcate linee di sfaldatura fra le quali è incominciata 1’ al-
terazione in serpentino di color giallo miele che si estende verso la parte interna dei cri-
stalli; inclusioni rade di magnetite, più frequenti verso la periferia dei cristalli. I microliti
di olivina sono pur essi incolori o rosso sangue ed hanno spesso tutt’ intorno un orlo
rosso bruno di idrossido di ferro.
Plagioclasi allotriomorfi per lo più bigeminati o poligeminati secondo la legge del-
l’albite; generalmente limpidi; spesso incurvati e con estinzione ondulata; inclusioni rare
di vetro e di magnetite.
Augile allotriomorfa spesso in aggregati di tre o più individui; color cannella ten-
dente al giallo; pleocroismo non apprezzabile; sfaldatura prismatica molto evidente nelle
sezioni pinacoidali; inclusioni di magnetite non abbondanti.
Magnetite per lo più in ottoedri, in granuli, in ischegge ed anche in forme schele-
triche.
Sostanza vetrosa colorata in verde bottiglia devetrificata e trasformata in delessite.
8. Minerali secondari. Serpentino color giallo miele; delessile spesso in sferoliti.
9. L‘ HO discioglie tutti i minerali della roccia tranne le augiti ed in parte i plagio-
clasi; nella soluzione si riscontra il TiO,.
10. La roccia è un basa/te olivinico docr istallino.
DICCO 16°
Fisiografìa megascopica. Colore grigio cenere chiaro; ricca di bollicine appiattite ed
allungate verso una direzione che riesce di facile rottura e che è parallela alla testa del
dicco; poco tenace e poco dura: rottura piano-scabrosa; separazione laminare irregolare:
30
. G. Ponte
| Memoria XIV.]
aspetto doleritico, ma si distinguono appena i cristallini di olivina trasformati; alterazione
molto avanzata; le bollicine sono rivestite da una sostanza amorfa biancastra.
Fisiograjia microscopica. 1. Minerali costituenti la roccia : Fenocristalli di olivina
completamente trasformati sparsi fra una massa fondamentale molto alterata di microliti
di plagioclase, di olivina con una considerevole quantità di piccolissimi granuli di magnetite.
2. Cristal1' > — , percristallina.
3. Fenocristalli di olivina alterata mm. 1.
4. Microliti : plagioclase mm. 0, 25 ; olivina mm. 0, l ; magnetite mm. 0, 05 a
mm. 0,001.
5.
Massa fondamentale
plagioclase, augite, olivina, magnetite, vetro
2 — o, 6 o. 4 i
sempatica.
Fenocristalli — —
6. 1 microliti sono qualche volta allineati ed aggruppati a fascetti.
7. Fenocristalli di olivina completamente trasformati in una sostanza amorfa terrosa
color grigio giallastro che non ha più l’aspetto del serpentino; si vede ancora il contorno
dei primitivi cristalli di olivina che dovevano essere automorfì ed intaccati dalla corrosione
magmatica.
Microliti di plagioclase spesso a contorno indefinibile anche tra i nicol -j-; sono
molto alterati e raramente può riconoscersi qualche geminato con estinzione ondulata.
Microliti di olivina ipoautomorfì o allotriomorfi in granuli ed in prisrnetti con termi-
nazioni scheletriche; color rosso sangue; intorbidamenti per alterazione o per abbondanti
inclusioni di- magnetite.
Magnetite in ottaedri ed in granuli raramente associati.
Sostanza vetrosa devetrifìcata di aspetto terroso.
8. Minerali secondari : Sostanze amorfe derivate dalla doppia alterazione dell' olivina
e del serpentino ; anche la sostanza vetrosa ha subito questa doppia decomposizione prima
in delissite e poi in sostanza terrosa amorfa.
9. Nell’ HC1 la roccia viene facilmente disgregata, rimangono soltanto pochi cristallini
di plagioclase; nella soluzione si rinviene il Ti02.
10. La roccia è una dolerite olivinica percristallina sempatica.
DICCO 17°
Fisiografia megascopica. Colore nero bluastro ; molto compatta, discretamente te-
nace e dura ; rottura facile piana, specialmente secondo la separazione che è laminare ;
aspetto anamesitico, vi si riscontra qualche raro cristallino di augite e di olivina; alterazione
molto evidente sui piani di separazione.
Fisiografìa microscopica. 1 . Minerali costituenti la roccia : Cristallini di augite e
di olivina radi disseminati in una massa fondamentale di microliti di plagioclase, di oli-
vine, di magnetite e di sostanza vetrosa.
2. < > — , docnstallina.
Vetro i 3 ’
3. Fenocristalli: Augite da mm. 0,5 a mm. 1,5; olivina da mm. 0,5 a mm. 1,5;
raramente più grossi.
La formazione vulcanica sottomarina di Capo Passero
31
4. Microliti : Plagioclase in listarelle lunghe mm. 0, 15; augite min. 0,3; olivina
min. 0, 15; magnetite mm. 0,50 a mm. 0,05.
plagioclase, augite, olivina, magnetite, vetro
Massa fondamentale
2, 6
o, 8
o, 8
i,4
! . 4 . 7 ...
Fenocristalli
—
o, 5
o, 5
—
— ì
6. I microliti plagioclasici in alcuni punti sono a fascetti paralleli o radiali e spesso
allineati.
7. Fenocristalli di augite ipoautomorfì, raramente automorfi; qualche cristallo con
contorno a gradinata; colore rosa secco spesso tendente al verde con pleocroismo non
apprezzabile; forme a clessidra molte ; struttura zonata frequente nei grossi individui; non
rari geminati secondo (100); frequenti aggruppamenti di due o più individui; linee di
sfaldatura secondo (110), meno evidenti secondo (100) e (010); [si è riscontrato qualche
individuo automorfo che tra i nicol incrociati mostra quattro colori diversi di polarizzazione
e siccome il limite delle quattro zone colorate è fortemente marcato da linee di frattura
può pensarsi che il cristallo si sia rotto e le sue parti abbiano subito un lieve spostamento,
uno scorrimento sui piani di rottura che naturalmente in lamina sottile, per lo spostamento
di orientazione, mostrano colori di polarizzazione diversi ; fra le linee di sfaldatura e di
rottura si riscontra sempre dell’ ossido di ferro idrato; le inclusioni di vetro e di magne-
tite vi sono frequenti ed in qualche cristallo abbondanti. I microliti hanno lo stesso colore
dei fenocristalli, sono ipoautomorfì ed allotriomorfi, raramente automorfi, pur essi con in-
clusioni.
Fenocristalli di olivina automorfi ed ipoautomorfì con contorni corrosi, completamente
serpentinizzati, ma mantengono ancora la forma e le linee di sfaldatura del primo cristallo.
Microliti in granuli o in listarelle di color rossastro, spesso opachi o al pili con un esile
contorno trasparente color rosso sangue.
Plagioclasi in prismetti affusolati poligeminati con estinzione ondulata ; generalmente
limpidi o con sostanza vetrosa interposta fra le lamelle geminate; qualcuno debolmente
incurvato.
Magnetite in ottaedri semplici o associati; forme scheletriche frequenti.
Massa vetrosa delessitizzata intersecale fra il plagioclase; racchiude anche qualche
aciculo di apatite.
8. Minerali secondari: Serpentino rossastro o verdastro; delessile giallastra o ver-
dastra.
9. La roccia polverizzata e dietro digestione in HC1 lascia soltanto un residuo di au-
gite e di piccoli plagioclasi; nella soluzione si riscontra il TiO,.
10. La roccia è una ana/n esile olivinica docri stallina perpatica.
DICCO 18°
Questo dicco è un’ apofìsi del dicco precedente e la roccia ne è identica.
DICCO 19° '
Fisiografia megascopica. Colore grigio cenere; compatta; poco tenace; piuttosto
tenera; rottura facile scabrosa; separazione irregolare: aspetto doleritico, vi campeggiano
piccoli, ma visibilissimi cristalli di plagioclase; alterazione molto avanzata.
32
G. Ponte
| Memoria XIV.]
Fisiografia microscopica. 1. Minerali costituenti la roccia: Fenocristalli di plagioclase,
di olivina e di augite sparsi in una massa fondamentale di microliti di plagioclase, di oli-
vina, di augite, di magnetite, e di base vetrosa intersertale.
2. > — , percnstallina.
3. Fenocristalli: Plagioclase in laminette di nini. 1,5; olivina in due grandezze pre-
valenti di nini. 0, 4 e di min. 2; augite di mm, 2.
4. Microliti: Plagioclase, olivina, augite e magnetite di mm. 0, 1.
3.
Massa fondamentale
plagioclase, augite, olivina, magnetite, vetro
i.4 o, 4 o, 4 o, 8 i,o
f j
<7 — ]> — , sempatica.
5 5
Fenocristalli 3,0 0,2 0,8 — —
6. 1 fenocristalli di plagioclase sono spesso aggruppati a stella e compenetrati a croce
di S. Andrea.
7. Fenocristalli di plagioclase ipoautomorlì sempre geminati secondo la legge del-
1’ albite e non di raro secondo quella di Karlsbad; spesso le lamelle geminate sono disposte
fra di loro come un mazzo di carte da giuoco rovesciato ; dalla media delle misurazioni
fatte dell’ angolo di estinzione su M (010) si è avuto — 28°, il plagioclase è quindi una
labradorite basica ; frequenti sono le pieghe e le fratture che si osservano nei prismetti
poligeminati, determinate spesso dalla spinta esercitata da un altro cristallo durante il 1°
periodo di cristallizzazione; la sfaldatura è marcata secondo le facce P e M; le numerose
linee di sfaldatura e di frattura sono cariche d’ idrossido di ferro e di prodotti d’ alterazione
del plagioclase ; inclusioni vetrose abbondanti, poche di magnetite. Microliti di plagioclase
allotriomorfi ed in geminati polisintetici, molto alterati e riconoscibili solo a luce polarizzata.
Fenocristalli di olivina automortì ed ipoautomorfì , spesso con profonda corrosione
magmatica ; i cristalli più grossi sono quasi completamente trasformati in serpentino, sol-
tanto vi è rimasta non alterata la parte più esterna; alcuni cristalli si presentano tra-
sparenti color rosso sangue; non sono rare le associazioni di due o più individui; sfal-
datura marcata secondo (010) e (00 1 ) ; inclusioni di magnetite rare; frequente il contatto
della magnetite con il lato più corroso del cristallo. Microliti in granuli o in prismetti
molto alterati spesso opachi o di color rosso sangue.
Fenocristalli di augite allotriomorfi color rosa pallido o quasi incolori; marcate linee
di sfaldatura secondo il prisma; pleocroismo non apprezzabile; fratture e spostamenti fre-
quenti ; intorbidamenti d’ idrossido di ferro lungo le linee di sfaldatura e le rotture; in-
clusioni di vetro e di magnetite rare. Microliti in granuli di color rosa o verde pallido.
Magnetite in ottaedri ipoautomorfì semplici o associati in più individui, non di raro
in lamelle allungate.
Massa vetrosa intersertale fra i plagioclasi, in gran parte delessitizzata inglobante
rari aciculi di apatite.
8. Minerali secondari: Serpentino color bruno e delessile.
9. Dietro digestione in HC1 si ha un residuo di plagioclasi e di augiti e nella soluzione
si riscontra il TiO-2.
10. La roccia è una dolerite olivinica per cristallina sempatica.
DICCO 20"
La roccia di questo dicco è simile a quella del dicco 3°, ma molto più alterata ed
La formazione vulcanica sottomarina di Capo Passero
33
appena vi si distinguono gli elementi che la costituiscono; è molto ricca di concrezioni
calcaree.
DICCO 21°
Fisiografìa megascopica. Colore nero bluastro; molto compatta e tenace; rottura
piana un poco scabrosa; separazione in parallelopipedi appiattiti; aspetto anamesitico, vi si
distinguono appena le olivine e le augiti ; alterazione non visibile.
Fisiografìa microscopica. 1. Minerali costituenti la roccia : Piccoli e rari fenocristalli
di olivina e di augite disseminati in una massa fondamentale di plagioclase, di augite, di
olivina, di magnetite e di base vetrosa.
fj Cristalli ^
>
docristallina.
Vetro
3. e 4. I cristalli di olivina di mm. 0, 5 e di augite di mm. 1 passano gradualmente
ai microliti di mm. 0, 1 ; plagioclase mm. 0, 1 ; magnetite mm. 0, 05.
plagioclase, augite, olivina, magnetite, vetro
Massa fondamentale 2,0 0,8 2,0 1,4 o, 8 ^ 7
1
5.
>
perpatica.
Fenocristalli — o, 8 o, 2
6. I cristallini di augite sono spesso aggruppati a stella ed i plagioclasi a fascetti ed
a stella.
7. Olivina ipoautomorfa, spesso con corrosione magmatica ; color rosso sangue; sfal-
datura secondo (010) e (001) evidente anche nei cristalli molto alterati; i cristalli i più
grossi sono più alterati ed hanno un orlo rosso sangue trasparente; le inclusioni di ma-
gnetite vi sono frequenti ed abbondanti.
Augite ipoautomorfa per lo più in aggruppamenti stellati di più individui o a croce
di S. Andrea ; alcuni cristalli in prismetti allungati presentano spostamenti lungo i piani
di sfaldatura; colore cannella pallido; pleocroismo non apprezzabile; struttura zonata nei
cristalli di media grandezza; sfaldatura marcata secondo il prisma; inclusioni di magnetite
e di vetro non rare.
Plagioclase in listarelle affusolate poligeminate, spesso rotte, spostate o incurvate
con estinzione ondulata.
Magnetite in ottaedri spesso aggruppati.
Sostanza vetrosa color giallo-verdastro un po’ delessitizzata.
8. Minerali secondari : Serpentino delle olivine e delessile del vetro.
9. Le olivine meno alterate e di colore rosso sangue trattate in lamina sottile con HCl
sbiadiscono e poi si dissolvono completamente ; la- magnetite è tutta disciolta e nella so-
luzione si riscontra il TiOa.
10. La roccia è una anamesite olivinica docristallina perpatica.
DICCO 22° e 23°
Come il dicco 3° la roccia è molto alterata e ricca di concrezioni calcaree per lo più
in venature dello spessore da 2 a 3 centimetri.
DICCO 24°
Fisiografìa megascopica. Colore nero bluastro; compatta, tenace e dura; rottura
ATTI ACC. SERIE 5», VOL. IX — Meni. XIV. c
34
G. Ponte
[Memoria XIV.]
scheggiosa e scabrosa ; separazione irregolare ; aspetto afanitico, però, sebbene molto radi,
si riscontrano cristalli di olivina di uno o più millimetri; alterazione non evidente.
Fisiografìa microscopica. 1. Minerali costituenti la roccia: Cristallini di olivina, di
augite e di magnetite fra una massa di seconda generazione costituita da plagiociase, oli-
vina, augite, magnetite e base vetrosa.
2. — — — > -s— , percristallma.
Vetro i ’ v
3. e 4. 1 cristallini di olivina e di augite mm. 1 e la magnetite di nini. 0, 5 passano
gradualmente ai microliti di seconda generazione, con il plagiociase in aciculi di mm. 0,15,
1’ augite di mm. 0, l, l’olivina di mm. 0,05 e la magnetite di mm. 0,005.
plagiociase, augite, olivina, magnetite, vetro
Massa fondamentale = 1,4 2 3 0,8 0,8
6. Si scorge appena un certo allineamento nei microliti plagioclasici.
7. Augite allotriomorfa o ipoautomorfa, di color verde giallastro chiaro, spesso con
una zona color cannella alla periferia; pleocroismo non apprezzabile; sfaldatura secondo
il prisma ; associata spesso con la magnetite. Microliti spesso aggruppati a stella.
Olivina automorfa, ma con contorni arrotondati dalla corrosione magmatica ; i cri-
stalli limpidi ed incolori presentano perifericamente una zona colorata in rosso bruno dal-
l’ idrossido di ferro; anche nelle marcate linee di sfaldatura secondo (010) e (001) si ri-
scontra dell’ idrossido di ferro ; inclusioni poche di bolle gassose e di cristallini di magne-
tite ; alcuni dei piccoli granuli sono completamente trasformati in serpentino.
Plagiociase in prismetti aciculari ipoautomorfi ed allotriomorfì per lo più bigeminati
e con estinzione ondulata.
Magnetite in ottaedri automorfi ed in aggruppamenti.
Sostanza vetrosa in gran parte delessitizzata e con qualche raro aciculo di apatite.
8. Minerali secondari: Serpentino delle olivine di colore verdastro e delessite del vetro.
9. Dietro digestione in HCl si ha un residuo di plagioclasi e di augite; nella soluzione
si riscontra il Ti02.
10. La roccia è una anarnesite olivinica per cristallina perpatica.
DICCO 25° e 26°
La roccia di questi due dicchi è identica a quella del dicco precedente.
DICCO 27°
Fisiografìa rnegascopica. Colore nero bluastro ; molto compatta, tenace e dura ; rot-
tura scheggiosa ; separazione irregolare, aspetto in alcuni punti afanitico come la roccia
del dicco 24° in altri decisamente doleritica con grossi ed abbondanti olivine; alterazione
evidente soltanto nei cristalli di olivina.
Fisiografìa microscopica. 1. Minerali costituenti la roccia: Fenocristalli di olivina
sparsi fra una massa fondamentale di plagioclasi, di augite di olivina, di magnetite e di
sostanza vetrosa.
„ Cristalli ^
‘ "Vetro- ^
- , percristallina.
3. Fenocristalli : Olivina di mm. 5 a 0, 5.
4. Microliti: Plagiociase in listarelle di mm. 0, 1; augite di mm. 0, 1; olivina da
mm. 0, 5 a mm. 0, 1 ; magnetite mm. 0, 2 a mm. 0, 05.
La formazione vulcanica sottomarina di Capo Cassero
35
Massa fondamentale
plagioclase, augite, olivina, magnetite, vetro
1,2 o,8 2,6 o,6
Oj8 <
>
dopatica.
Fenocristalli — — 2 —
6. Nessuna speciale disposizione degli elementi minerali.
7. Fenocristalli di olivina come nel dicco 24"; i più grossi completamente trasformati
in serpentino. Microliti colorati in rosso bruno non sempre alterati.
Microliti di plagioclase in listarelle per lo più bigeninate e con estenzione ondulata.
Microliti di augite in granuli color verde giallastro chiaro.
Magnetite in ottaedri e granuli.
Sostanza vetrosa in parte delessitizzata.
8. Minerali secondari : Serpentino delle olivine color bruno verdastro ; delessi/e del
vetro color verdastro.
9. Come il dicco 24°
10. La roccia è una dolerite olivinica percristallina dopatica.
DICCO 28°
Fisiog rafia megascopica. Colore grigio bluastro punteggiato da grosse olivine co-
lor oro; molto compatta, poco tenace; molto dura; rottura e separazione irregolare; aspetto
doleritico con abbondanti e grossi cristalli di augite e di olivina; alterazione soltanto alla
parte esterna.
Fisiografia microscopica. 1. Minerali costituenti la roccia: Fenocristalli di augite
e di olivina abbondanti, rari di plagioclase, in una massa fondamentale crittomera di pla-
gioclase, di magnetite e di base vetrosa, nella quale qua e la si riscontrano delle concre-
zioni di mm. 0,4 a 0, 1.
„ Cristalli .. 7 ...
2. — — — > — , percristallina.
Vetro i ’ r
3. Fenocristalli : Plagioclase laminette lunghe mm. 3 a 1 ; augite da ’cm.
olivina mm. 0, 2 ; di magnetite mm. 0, 1 a mm. 0, 05.
4. Microliti : Plagioclase mm. 0, 2 ; magnetite mm. 0, l a mm. 0, 05.
plagioclase, augite, olivina, magnetite vetro
Massa fondamentale 1.5 0,4 0.4 0,8 0,4 ^,5
3
1 a mm. 1 ;
5.
< -f >
sempatica.
Fenocristalli o, 5 2, 5 1 —
6. Nessuna speciale disposizione degli elementi minerali.
7. Fenocristalli di plagioclase in listarelle ipoautomorfe ed allotriomorfe ; geminati
polisintetici con estinzione ondulata; inclusioni abbondanti di magnetite e di sostanza ve-
trosa concentrate nella parte interna di ogni cristallo. Microliti in listarelle ed in laminette
irregolari, torbide e confuse fra la sostanza vetrosa e la magnetite.
Fenocristalli di augite automorfi con forte corrosione magmatica ; colore giallo ver-
dastro; marcate linee di sfaldatura secondo il prisma; struttura zonata frequente; inclu-
sioni di bolle di magnetite e di vetro piccolissime disposte a bande periferiche; spesso
la sostanza vetrosa inclusa è delessitizzata e concrezionata. Microliti in granuli arrotondati.
Fenocristalli di olivina automorfi con forte corrosione magmatica, la quale però ha
agito su alcune parti lasciandone il resto coi sui netti contorni cristallini; spesso in com-
penetrazione con il plagioclase; alterazione lungo le linee di sfaldatura ed alla parte esterna
del cristallo; inclusioni rare di magnetite e di sostanza vetrosa. Microliti in granuli di color
bruno miele un po’ alterati.
36
G. Ponte
[Memoria XIV.]
Magnetite in granuli ed in ottaedri spesso aggruppati.
Sostanza vetrosa in gran parte delessitizzata.
8. Minerali secondari: Serpentino delle olivine; delissite del vetro spesso concre-
zionata in forme sferolitiche a gusci concentrici con orlo chiaro e parte interna fibrosa
radiale.
9. Come il dicco 24°
10. La roccia è una dolerite olivinica perori stallina , sempatica.
Fisiografia megascopica. La roccia di questo dicco ha due aspetti diversi. Nella
parte laterale è di colore grigio oscuro tendente al bruno, compatta, ma poco tenace e
poco dura; rottura scabrosa ; separazione non evidente ; aspetto anamesitico ed alterazione
incipiente. Nella parte interna è di color nero bluastro, compatta, tenace, dura, con rottura
concoide scabrosa, con separazione irregolare, d’aspetto doleritico, giacché vi si distinguono
gli abbondanti e grossi cristalli di augite e di olivina ; 1’ alterazione è incipiente soltanto
nelle olivine.
Fisiografia microscopica. 1. Minerali costituenti la roccia: Nella parte esterna del
dicco si riscontrano piccoli elementi cristallini di plagioclase, augite, olivina, magnetite con
vetro intersertale ; nella parte interna abbondanti e grossi fenocristalli di augite ed olivina
sparsi in una massa fondamentale di plagioclase di augite, di olivina, di magnetite e di
base vetrosa.
3 e 4. Parte laterale del dicco: Plagioclase da mm. 1 a mm. 0,5; augite nini 1 a
mm. 0, 1 ; olivina mm. 1 a mm. 0, 2 ; magnetite mm. 0, 2 a mm. 0,002.
Parte interna del dicco: Fenocristalli di augite da cm. 1 gradualmente fino a confon-
dersi con i microliti di mm. 0,05; olivina da mm. 2 a mm. 1; plagioclase in listarelle
di mm. 1 a mm. 0, 1; magnetite mm. 0, 1 a mm. 0,001.
6. Nessuna speciale disposizione degli elementi minerali.
7. Fenocristalli di augite (parte interna del dicco) automorfi, ipoautomorfi ed allotrio-
morfi ; semplici, in prismi corti, geminati secondo (100) ed aggruppati a croce e a stella
con compenetrazioni; colore giallo-verdastro con orlo periferico garofano; pleocroismo non
apprezzabile; struttura zonata a tramoggia molto bella e regolare nei grossi cristalli; forme
a clessidra frequenti specialmente nei cristalli di media grandezza; sfaldatura molto evi-
dente secondo (110) e (100); inclusioni di vetro, di bolle gassose e di magnetite distri-
buite spesso in zone centrali e periferiche; in alcuni grossi cristalli la parte cloritizzata ha
formato delle concrezioni sferolitiche. Augiti microlitiche di colore garofano o verdastro ipoau-
tomorfì.
DICCO 29°
Come il dicco 3"
DICCO 30
2
Cristalli
.ristaili 7 . . ...
— - — > — , percristallina.
Vetro i ’ r
plagioclase, augite, olivina, magnetite, vetro
5. Parte laterale :
Massa fondam.
Fenocristalli
tracce
Parte interna :
Massa fondam.
Fenocristalli
La formazione vulcanica sottomarina di Capo Passero
37
Olivina (parte interna del dicco) ipoautomorfa ; limpida nella parte centrale e serpen-
tinizzata nella parte periferica e lungo le linee di sfaldatura. Olivina (parte laterale del
dicco) color rosso sangue con forte corrosione magmatica; alcuni cristalli sono compieta-
mente alterati nell' interno e del tutto opachi, mentre alla periferia presentano un orlo rosso
sangue; frequenti sono le forme scheletriche a forchetta specialmente nei cristallini allun-
gati, come nel dicco 1°.
PI agi odasi per lo più in listarelle polisintetiche; estinzione ondulata; linee di frattura
più evidenti delle linee di sfaldatura ; rare inclusioni.
Magnetite in ottaedri spesso associati ed in granuli.
Sostanza vetrosa intersecale di color verde oliva o giallastro trasparente; nella parte
laterale del dicco è delessitizzata.
8. Minerali secondari: Serpentino delle olivine di colore verdastro di aspetto fibroso
e corrisponde per la struttura parallela delle fibre al così detto serpentino crisotilico.
Sostanza delessitica spesso in aggregati a struttura fibroso-divergente.
9. Come il dicco 24°.
10. La roccia della parte esterna del dicco è una anamesite olivini ca percristal-
hna\ quella della parte interna è una dolerite olivinica percristallina sempatica.
DICCO 31°
Fisiografia megascopica. Colore nero bluastro; compatta, tenace e molto dura;
rottura scheggiosa scabrosa; separazione irregolare; aspetto doleritico, si distinguono gli
abbondanti e grossi cristallini di plagioclase, di augite e di olivina; alterazione evidente
nelle olivine.
Fisiogafia microscopica 1. Minerali costituenti la roccia: Fenocristalli di augite, di
olivina ed in maggior quantità di plagioclase sparsi in una massa fondamentale di pla-
gioclase, di augite, di magnetite e di base vetrosa.
, Cristalli 7 . . ...
1. —r— — > — -, percristallina.
Vetro i ’ r
3. Fenocristalli: Plagioclase mm. 2 a mm. 0,2; augite cm. 1 a inm. 1; olivina mm. 5
a mm. 0, 5.
4. Microliti: Plagioclase mm. 0, 1; augite mm. 0,02; magnetite mm. 0,05.
plagioclase, augite, olivina, magnetite, vetro
Massa fondamentale 1,7 0,8 — 1,2 0,3
5.
Fenocristalli
o, 8 o, 8
o, 4
— , sempatica.
3 5
6. Non si riscontra alcuna speciale disposizione degli elementi minerali.
7. Fenocristalli di plagioclase ipoautomorfi in geminati polisintetici secondo la legge
dell’ albite e non di raro secondo quella di Karlsbad ; struttura zonata frequente con angoli
d’ estinzione nelle varie zone oscillanti dentro 5° dal termine più acido della zona esterna
al basico della interna; in alcune lamelle parallele ad M (010) sono stati misurati valori
oscillanti da — 28° a — 33°, cioè tra il limite bytownite — labradorite a quello bytownite —
anortite. Microliti allotriomorfì in prismetti bigeminati un po’ allungati, torbidi e con estin-
zione ondulata.
Fenocristalli di augite automorfi, ipoautomorfi ed allotriomorfì ; color garofano non
pleocroitici ; struttura zonata frequente; sfaldatura evidende secondo (110), (100) e 010);
spesso in compenetrazione con il plagioclase 0 la magnetite; inclusioni di vetro, di bolle
38
G. Ponte
[Memoria XIV.]
gassose e di magnetite non abbondanti ed irregolarmente distribuite. Microliti in granuli
pur essi color garofano.
Olivina automorfa spesso con corrosione magmatica; rari sono i cristalli non alterati
generalmente la parte serpentinizzata è opaca , alcuni individui alterati internamente con
orlo rosso sangue, viceversa altri hanno soltanto una zona esterna di alterazione.
Magnetite in granuli ed in ottaedri spesso in aggruppamenti.
Sostanza vetrosa color verde bottiglia in gran parte trasformata in delessite.
8- Minerali secondari : Serpentino delle olivine e delessite della sostanza vetrosa
spesso in piccoli aggregati sferolitici.
9. Come il dicco precedente.
10. La roccia è una dolerite olivinica perori s tal lina seni pativa.
DICCO 32°
Fisiografìa megascopica. Colore nero bluastro ; molto compatta, tenace e dura; rot-
tura piana scheggiosa ; clivaggio irregolare ; aspetto doleritico, vi si distinguono i cristalli
di olivina, e grosse augiti molto rade ; alterazione evidente soltanto nelle olivine.
Fisiografìa microscopica. 1. Minerali costituenti la roccia: Fenocristalli di olivina e
di augite radissimi, sparsi in una massa fondamentale di plagioclase, di olivina, di augite,
di magnetite di sostanza vetrosa e di sferoliti secondarie.
2. —— — > — , percnstallina.
3. Fenocristalli: Augite cm. 1, olivina nini. 3 a mm. 0,2.
4. Microliti: Plagioclase in listarelle di mm. 0, 2 a mm. 0,05; augiti mm. 0, 4 a
mm. 0,05; olivina mm. 0,2 a mm. 0.05; magnetite mm. 0,02; sferoliti mm. 0, 4 a
mm. 0, 05.
plagioclase, augite, olivina, magnetite, vetro, sferoliti
_ Massa fondai». 1,2 0,4 1,8 0,6 0,8 1,8 7 5
5. ■ ■ : ■ — = < — > — , dopatica.
Fenocristalli — 1 2 — — — 13
6. Non si riscontra alcuna speciale disposizione degli elementi minerali.
7. Fenoscristalli di augite automorfi, isometrici con marcata sfaldatura secondo ( 1 10),
meno evidente secondo (100) e (010); pleocroismo non apprezzabile; inclusioni di olivina
in parte serpentinizzata, di vetro, di magnetite e di bolle gassose. Microliti in granuli ar-
rotondati color garofano spesso aggruppati a stella ed a croce.
Fenocristalli di olivina generalmente automorfi con forte corrosione magmatica in
gran parte serpentinizzati e colorati dall’ idrossido di ferro; si riscontrano delle forme pri-
smatiche molto allungate con linee di sfaldatura normali all’allungamento e lungo le quali
frequenti sono gli spostamenti. Microliti in granuli arrotondati.
Plagioclasi microlitici in listarelle allotriomorfe per lo più bigeminate, spesso incur-
vate e con estinzione ondulata; aggruppamenti a stella ed a croce frequenti. Magnetite in
ottaedri spesso aggruppati.
Sostanza vetrosa grigiastra intersertale un po’ delessitizzata ; contiene qualche raro
aciculo di apatite.
8. Minerali secondari : Sferoliti di sostanza delessitica con zona esterna a gusci
concentrici, mentre la parte interna è fibroso radiale.
Serpentino delle olivine generalmente colorato dall’ idrossido di ferro.
La formazione vulcanica sottomarina di Capo Passero
39
9. Le sferoliti e gli altri minerali, esclusi 1’ augite ed il plagioclase, vengono disciolti
dall’HCl; nel residuo si riscontra il TiO*.
10. La roccia è una dolerite olivinica pecristallina dopatica.
DICCO 33°
Come il dicco 31° la roccia è una dolerite olivinica percristallina sempatica.
DICCO 34°, 35°, 36°, 37°, 38°, 39", 40° e 41°
Questi dicchi sono costituiti da una roccia molto alterata come il dicco 20" e ricchis-
sima di concrezioni calcaree.
DICCO 42"
Fisiografìa megascopica. — Colore nero bruno; molto compatta, tenace e dura;
rottura scheggiosa e scabrosa; clivaggio irregolare; aspetto doleritico, vi campeggiano fe-
nocristalli di olivina e di augite; alterazione evidente nelle olivine.
Fisiografìa microscopica. — 1. Minerali costituenti la roccia: Fenocristalli di oli-
vina e di augite sparsi in una massa fondamentale di plagioclase, di augite, di magnetite
e di vetro intersertale.
2. — > — , percristallina.
3. Fenocristalli: Augite mm. 5 a min. 1; olivina mm. 5 a mm. 0,5.
4. Microliti: Plagioclase in listarelle di mm. 0,2; augite mm. 0, 15; magnetite mm. 0,2.
plagioclase, augite, olivina, magnetite, vetro
_ Massa fondamentale i 1,5 0,5 0,4 o, 6 5 ^ 3
0. . , = — — ; — , sempatica.
Fenocristalli — 1,5 2, 5 — ~ 3 5
6. Non si osserva alcuna speciale disposizione degli elementi minerali.
7. Fenocristalli di augite automorfì e ipoautomorfi; gli individui più grandi per lo più
isometrici di color giallo-roseo e senza pleocroismo apprezzabile in lamina sottile; vi abbon-
dano le inclusioni di magnetite e di vetro; i fenocristalli più piccoli sono per lo più asso-
ciati a stella ed hanno colore giallastro nella parte interna con una zona periferica garo-
fano. I microliti sono in granuli.
Fenocristalli di olivina automorfì ed ipoautomorfi, limpidi, incolori, raramente rosso
sangue ; profonda corrosione magmatica, spesso limitata alla zona periferica ; quasi tutti
con esile orlo bruno rossastro di idrossido di ferro; sfaldatura secondo (010) e (001) resa
più evidente dall’ idrossido di ferro ; inclusioni scarse, per lo più di magnetite. I microliti
in granuli.
Plagioclase microlitico in listarelle affusolate spesso bigeminate e con estinzione
ondulata.
Magnetite in ottaedri spesso aggruppati.
Sostanza vetrosa torbida di magnetite di color giallastro, spesso delessitizzata.
8. Minerali secondari : Delessite della base vetrosa.
9. Come il dicco 31".
10. La roccia è una dolerite olivinica percristallina sempatica.
40
G. Ponte
[Memoria XIV.]
Molto alterati come il 20°.
DICCO 43° e 44°
DICCO 45°
Fisiografia niegascopica. — Colore grigio-bruno; compatta; poco tenace; poco dura;
rottura piuttosto laminare ; clivaggio in lastre irregolari ; aspetto doleritico non evidente,
essendo le olivine porfiriche molto alterate.
Fisiografia microscopica. — 1 . Minerali costituenti la roccia: Fenocristalli di olivi-
na sparsi in una massa fondamentale di microliti plagioclasici, di augite, di olivina, di
magnetite e di base vetrosa intersertale.
7
, percristallina.
3. Fenocristalli di olivina mm. 1 a nini. 0,5.
4. Microliti : Plagioclase in listarelle di mm. 0,3; augite mm. 0,2; olivina in listarelle
di mm. 0,2; magnetite mm. 0,1 a mm. 0,1.
plagioclase, augite, olivina, magnetite, vetro
i.4 ^ 7
^ Cristalli ^
"* VetnC ^ i
o.
Massa fondamentale
o, 8
o. 8
>
perpatica.
Fenocristalli — — i — • — ' i
6. Vicino ai lati del dicco si osserva una struttura planofìrica ed i microliti plagio-
clasici presentano un andamento fluidale.
7. Fenocristalli di olivina completamente serpentinizzati.
Olivine microlitiche in listarelle spesso con forme scheletriche a forchetta o a gabietta,
di color rosso sangue con marcate linee di sfaldatura normali all’allungamento del cristallo.
Microliti di plagioclase in listarelle affusolate e con estinzione ondulata.
Augite in prismetti esili allungati, spesso rotti e piegati, di color garofano.
Magnetite in ottaedri, spesso in aggruppamenti.
Sostanza vetrosa di colore giallastro trasparente carica di aciculi di augite ed in
minor quantità di apatite.
8. Minerali secondari : Serpertino delle olivine di colore giallastro molto alterato e
trasformato in concrezioni sferolitiche molto intorbidate dall’ idrossido di ferro.
9. Le concrezioni sono disciolte dall’ HC1 lasciando un residuo denso di silice, la ma-
gnetite è pure completamente disciolta e nella soluzione si rinviene il Ti02.
10. La roccia è una dolerite olivinica , percristallina , perpatica.
DICCO 46°
Fisiografia niegascopica. — Colore grigio-oscuro ; compatta e tenace abbastanza ;
molto dura; rottura piana scabrosa ; separazione in lastre un po’ irregolari ; aspetto dole-
ritico, vi campeggiano cristalli di augite e di olivina ben visibili specialmente nella parte
esterna della roccia che è molto alterata.
Fisiografia microscopica. — 1. Minerali costituenti la roccia: Fenocristalli di pla-
gioclase, di augite, di olivina e di magnetite sparsi fra una massa fondamentale di pla-
gioclase, di augite, di olivina, di magnetite e di vetro.
„ Cristalli x 7
Vetro
— j— , percristallina.
La formazione vulcanica sottomarina di Capo Passero
41
3. Fenocristalli : Plagioclase mm. 1 ; augite min. 1,5; olivina mm, 1,5 ; magnetite
mm. 1.
4. Microliti : Plagioclase in listarelle di mm. 0,2; augite mm. 0,15; olivina in 1 istarel le
di mm. 0,2 e in granuli di mm. 0,05 ; magnetite in ottaedri di mm. 0,02 ed in aggregati
di mm. 0.1.
5.
Massa fondamentale
plagioclase, augite, olivina, magnetite, vetro
2 1,2 o,8 i i
7 S
— , dopatica.
i
Fenocristalli o, 3 1 o, 5 o, 2 — 1 >
6. I microliti presentano spesso una disposizione linofìrica fluidale.
7. Fenocristalli di plagioclase ipoautomorfi ed allotriomorfi in geminati di karlsbad ;
l’angolo di estinzione misurato sulla faccia M è risultato — 28° 5' che corrisponde all’estre-
mo termine della labradorite, tra Ab 30 An 70 e Ab 25 An 75. Inclusioni di sostanza ve-
trosa, di magnetite e di augite per Io più concentrate nella parte centrale dei cristalli o di-
stribuite uniformemente in tutto 1’ individuo. Microliti aciculari, spesso incurvati, per lo più
bigeminati con estinzione ondulata ; non rari si riscontrano forme scheletriche a forchetta.
Fenocristalli di augite automorfì ed ipoautomorfi spesso rotti ed i frammenti sparsi
nel magma; colore garofano giallastro; pleocroismo non bene apprezzabile; aggruppamenti
irregolari spesso con olivina e magnetite; sfaldatura secondo (1 10) e (100); inclusioni irre-
golari di magnetite, di bolle gassose e di sostanza vetrosa. Microliti per lo più in baston-
celli pur essi color cannella.
Fenocristalli di olivina automorfi, ma sempre con qualche lato corroso dall’azione
magmatica ; alcuni individui sono limpidi incolori ed hanno soltanto un esile bordo di
serpentino tutt’ intorno o lungo le linee di sfaldatura, altri hanno anche la parte interna
serpentinizzata di colore verdastro; non è raro il caso di riscontrare fenocristalli dei quali
una parte è trasformata in serpentino verdastro, mentre I’ altra è trasparente ed attiva tra
i nicol -j- , ma di colore rosso sangue. Microliti per lo più molto alterati.
Fenocristalli di magnetite associati con 1’ augite o 1’ olivina. Microliti di magnetite in
ottaedri spesso aggruppati irregolarmente.
Sostanza vetrosa color giallo verdastro ; contiene sottilissimi aciculi di plagioclase,
di augite e di rara apatite.
8. Minerali secondari : Serpentino delle olivine.
9. Dietro digestione in HCl si ha un residuo di plagioclasi e di augiti e nella solu-
zione si riscontra il Ti02.
10. La roccia è una dolerite olivinica per cristallina dopatica.
DICCO 47”
La roccia di questo dicco è molto alterata come quella del dicco 20°.
DICCO 48”
Fisiografia Megascopica — Colore grigio cenere; poco compatta e poco tenace piut-
tosto friabile; rottura irregolare; separazione irregolare ; aspetto doleritico, vi campeggiano
grosse augite ed olivine e piccolissimi cristalli di plagioclase; alterazione molto avanzata.
Fisiografia Microscopica. 1. Minerali costituenti la roccia: Fenocristalli di plagio-
ATTI ACC. SERIE 5*, VOL. IX — Metti. XIV.
6
42
G. Ponte
[Memoria XIV.J
clase, di augite e di olivina sparse in una massa fondamentale di plagioclasi, di olivina,
di augite, di magnetite e di base vetrosa.
2. > -z-, percnstallina.
Vetro ^ i ’ h
3. Fenocristalli : Plagioclase mm. 1,5; olivina mm. 1 a mm. 5; augite mm. 5 a cm. 1.
4. Microliti : Plagioclase in aciculi lunghi mm. 0,3; augite mm. 0,03; olivina in gra-
nuli di mm. 0,5; magnetite mm. 0,05.
Massa fondamentale
Fenocristalli
plagioclase, augite, olivina, magnetite, vetro
2 o, 2 o, 8 o, 5 o, s
3 » °< 5
sempatica.
0. In qualche punto i microliti hanno disposizione linofirica fluidale.
7. Fenocristalli di plagioclase automorfi ed ipoautomorfi con forme tabulari ; per lo
più geminati secondo la legge dell’ albite e di Karlsbad ; la parte centrale dei cristalli è,
spesso carica d’inclusioni e di prodotti d’alterazione opachi; dagli angoli di estinzione
misurati risultano delle labradoriti basiche. Microliti per lo più, bigeminati ed aggruppati
a fascetti.
Fenocristalli di augite in gran parte trasformati in sostanza cloritica di color verde
giallastro. Microliti in granuli anch’ essi alterati.
Fenocristalli di olivina automorfi e con contorni corrosi, raramente limpidi, per lo
più di colore oscuro e resi opachi dal serpentino intorbidato dall’ idrossido di ferro. Mi-
croliti trasparenti, ma di color rosso sangue.
Magnetite in granuli, in scagliette ed in ottaedri, spesso aggruppati irregolarmente.
Sostanza vetrosa intersecale fra i plagioclasi microlitici; in gran parte delessitizzata.
8. Minerali secondari : Serpentino delle olivine per lo più torbido ; delessite del ve-
tro color bruno-giallastro chiaro.
9. Come il dicco 46°.
10. La roccia è una dolerite olivinica per cristallina sempatica.
DICCO 49°
Fisiografia Megascopica — Colore nero grigiastro; molto compatta, tenace e dura;
rottura scheggiosa; separazione laminare; aspetto doleritico, ma gli elementi minerali visi-
bili (olivine ed augite) sono molto radamente disseminati; alterazione appena evidente alla
parte esterna del dicco.
Fisiografia microscopica — 1. Minerali costituenti la roccia: Fenocristalli di au-
gite, di olivina e di magnetite radamente sparsi in massa fondamentale di plagioclase, di
augite, di olivina e di base vetrosa.
o Cristalli ^7 . , ...
2. — — — > — , percnstalhna.
Vetro i ’ r
3. Fenocristalli: Augite mm. 1 ; olivina mm. 2; magnetite mm. 0,5.
4. Microliti: Plagioclase in listarelle di mm. 0.25 ; augite mm. 0.1; olivina mm. 0.15;
magnetite mm. 0.05, spesso in aggruppamenti granulari di mm. 0.1.
plagioclase, augite, olivina, magnetite, vetro
5.
6.
2. 5
I, o
O, S
L 5
o, s
Massa fondamentale
Fenocristalli — o, 8 i,o 0,2
Gli elementi minerali non presentano alcuna speciale disposizione.
dopatica.
43
La formazione vulcanica sottomarina di Capo Passero
7. Fenocristalli di augite automorfi, ed ipoautomorfì con la magnetite; color garofano
o verdastro con pleocroismo non apprezzabile; linee di sfaldatura secondo (110) e (100);
inclusioni di magnetite frequenti ed irregolarmente disseminati. Microliti in granuli incolori
o garofano.
Fenocristalli di olivina abbastanza arrotondati dalla corrosione magmatica; per lo più
incolori e con poche inclusioni di magnetite ; serpentinizzazione più frequente lungo le
linee di sfaldatura; rari sono i cristalli completamente alterati.
Microliti in granuli arrotondati color rosso bruno raramente trasparenti.
Fenocristalli di magnetite ipoautomorfì con sfaldatura secondo (111) evidente a luce
incidente; microliti in ottaedri semplici o in aggruppamenti granulari.
Microliti di plagioclase in listarelle bigeminate spesso incurvate, per lo più intorbidati
dai prodotti d’ alterazione.
Sostanza vetrosa in gran parte delessitizzata, spesso ingloba microliti submicro-
scopici.
8/ Minerali secondari: Serpentino delle olivine di colore bruno verdastro spesso in
straterelli paralleli che rammentano il serpentino crisotilico. Delessile verde giallastra.
9. Come pel dicco 46°.
10. La roccia è una dolerite olivinica per cristallina dopatica.
DICCO 50°
Fisiografia megascopica — Colore grigio rossigno; poco compatta e tenace; ab-
bastanza dura; rottura irregolare scabrosa; separazione in lastre uniformi; aspetto doleriti-
co, vi campeggiano grossi cristalli di plagioclase disposti parallelamente ai due lati mag-
giori delle lastre ; alterazione molto avanzata.
Fisiografia microscopica — 1. Minerali costituenti la roccia: Fenocristalli di plagio-
clase e di olivina sparsi in una massa fondamentale di microliti di plagioclase, di olivina,
di augite, di magnetite e di sostanza vetrosa. Nella roccia si osservano frequenti cripto-
clasi riempite di idrossido di ferro.
2. — > — , percristallina.
Vetro i ’ r
3. Fenocristalli: Plagioclase in laminette da 1/2 a 1 cm.; olivina mm. 0,5.
4„ Microliti : Plagioclase in listarelle lunghe mm. 0,2; olivina mm. 0,05; augite mm. 0,05;
magnetite in pagliuzze lunghe mm. 0,2.
D.
Massa fondamentale
plagioclase, augite, olivina, magnetite, vetro
i,8 o, 4 o, 8 o. 6 o. 4
<^— 0>-y-, sempatica.
Fenocristalli 3 — i —
6. I fenocristalli di plagioclase hanno disposizione planofìrica.
7. Fenocristalli di plagioclase ipoautomorfì, geminati secondo la legge dell’ albite, le
lamelle hanno diversa dimensione e spesso sono spostate dalla posizione normale di ge-
minazione; dagli angoli di estinzione misurati il plagioclase risulta tra il termine labrado-
ritico ed il bytownitico in corrispondenza ai risultati analitici riportati a pag. 13; frequenti
sono gli aggruppamenti e le compenetrazioni di due o più individui; inclusioni di bolle
gassose, di sostanza vetrosa e di magnetite non molto abbondanti ; fra le linee di sfalda-
tura e di rottura si presentano i primi prodotti d' alterazione. Microliti in listarelle bigemi-
nate per Io più torbide d’ inclusioni, spesso incurvati e con estinzione ondulata.
44
G. Ponte
[Memoria XIV.]
Fenocristalli di olivina completamente arrotondati dalla corrosione magmatica , color
rosso sangue nei punti meno alterati, opachi e di color bruno nella parte serpentinizzata.
Microliti in granuli opachi rosso sangue.
Augite in piccoli granuli frammisti alla sostanza vetrosa.
Magnetite in scheggette allungate irregolari.
Sostanza vetrosa per lo più delessitizzata.
8. Minerali secondarii : serpentino delle olivine intorbidato dall’ idrossido di ferro; de-
lessite spesso in piccole concrezioni irregolari.
9. Come pel dicco precedente.
10. La roccia è una dolerite olivinica perori stallina sempaiica.
DICCO 51“
Fisiograjìa megascopica — Colore grigio-bluastro; compatta; poco tenace; poco
dura; rottura irregolare; separazione in prismi pentagonali e quadrangolari disposti orizzon-
talmente; aspetto afanitico; alterazione avanzata.
Fisiograjìa microscopica. 1. Minerali costituenti la roccia ; Si osserva una filza di
microliti di plagioclase, di augite, di olivina, di magnetite e di base vetrosa ; in qualche
punto più interno del dicco abbondano delle concrezioni dovute a trasformazione del ser-
pentino derivante, probabilmente, da fenocristalli di olivina preesistenti.
Cristalli
<-f >
docristallina.
Vetro ' i
3. Mancano i fenocristalli.
4. Microliti : Plagioclase in listarelle di mm. 0,15; augite rnm. 0,15; olivina mm. 0,2;
magnetite mm. 0, 2 a mm. 0, 08.
plagioclase, augite, olivina, magnetite, vetro
5. Sola massa fondamentale = 2,5 1 1,5 1,5 1,5
6. Non si osserva alcuna speciale disposizione degli elementi minerali.
7. Plagioclase in laminette per lo più bigeminate, allotriomorfe con estinzione ondu-
lata.
Augite color garofano in prismetti ipoidiomorfi.
Olivina in listarelle con forme scheletriche a forchetta, completamente alterata in
serpentino.
Magnetite in granuli ed in ottaedri spesso in aggruppamenti granulosi.
Sostanza vetrosa in gran parte delessitizzata.
8. Minerali secondari : Serpentino delle olivine microlitiche color verdastro ; il ser-
pentino concrezionato, probabilmente derivato da fenocristalli di olivina, è di color bruno
spesso a gusci concentrici alternati con zone fibroso radiali tipo crisotilico.
9. Nell’ HCl la magnetite, la delessite, il serpentino vengono disciolti ; rimangono inal-
terati in parte i plagioclasi e del tutto le augiti.
10. La roccia è un basali e olivinico percr istallino.
DICCO 52“
La roccia di questo dicco ha colore nero verdastro ; è meno tenace e dura di quella
del dicco precedente, ma ha tutti gli altri caratteri identici, è molto alterata e non vi man-
cano concrezioni di serpentino; è un basalte olivinico percristallino.
La formazione vulcanica sottomarina di Capo Passero
45
DICCO 53°
Come il dicco 51” la roccia è un basai te olivi nico per cristallino.
DICCO 54°
Fisiografia rnegascopica. Colore nero bluastro ; molto compatta , tenace e dura ;
rottura scheggiosa ; separazione irregolare ; aspetto doleritico, vi campeggiano grossi cri-
stalli di augite nera lucente e di olivina alterata color verde bruno.
Fisiografia microscopica. 1. Minerali costituenti la roccia: Fenocristalli di augite
e di olivina sparsi in una massa fondamentale di plagioclasi, di augite, di olivina, di ma-
gnetite e di base vetrosa intersertale.
1. — -T — > , percristallina.
Vetro : r
3. Fenocristalli : Augite nini 3 a mni, 0, 5 ; olivina mm. 5 a mm. 0, 5.
4. Microliti : Plagioclase in listarelle lunghe mm. 0,3; augite mm. 0, 15; olivina
mm. 0,1 ; magnetite mm. 0,05.
Massa fondamentale
Fenocristalli
plagioclase, augite, olivina, magnetite, vetro
1,8 1,2 0, 6 1,6 o, 8
— 0,5 1,5 -
<
7
1
-4— , dopatica.
3
6. I microliti plagioclasici hanno per lo più disposizione linofirica lluidale.
7. Fenocristalli di cingile automorfi ed ipoautomorfi spesso in aggruppamenti 0 in
compenetrazioni, hanno color garofano giallastro chiaro con pleocroismo non chiaramente
apprezzabile; linee di sfaldatura marcate secondo ( 1 10), meno evidenti secondo (100) e
(010); inclusioni di bolle gassose e di granuli di magnetite spesso concentrate nella parte
centrale dei cristalli ; struttura zonata rara, in alcuni individui ha l’ andamento delle fibre
legnose di un tronco di dicotiledone tagliato longitudinalmente. Microliti per lo più in gra-
nuli color garofano pallido come nei fenocristalli.
Fenocristalli di olivina automorfi per lo più arrotondati dalla corrosione magmatica,
in gran parte trasformati in serpentino; il contorno dei cristalli, anche di quelli comple-
tamente alterati è color bruno oscuro. Microliti in granuli per lo più molto alterati.
Plagioclase in listarelle allotriomorfe per lo più bigeminate con inclusioni di bolle
gassose e di magnetite specialmente nei piani di geminazione ; alcuni individui sono pie-
gati o rotti, altri compenetrati a croce ; 1’ estinzione è sempre ondulata.
Magnetite in ottaedri spesso in aggruppamenti granulari.
Sostanza vetrosa del tutto delessitizzata.
8. Minerali secondari : Serpentino delle olivine color verdastro 0 bruno ; delessite
color verde smeraldo.
9. Dietro digestione in HC1 resta un residuo di silice gelatinosa, di plagioclase in
parte intaccato e di augite isolata, nella soluzione si riscontra il Ti 02-
10. La roccia è una dolerite olivina percri stallina dopatica.
DICCO 55°
Fisiografia rnegascopica. -- Colore grigio oscuro; compatta; poco tenace; poco
dura ; frattura laminare scabrosa ; separazione in lastre irregolari ; aspetto afanitico ; alte-
razione poco evidente.
46
G. Ponte
[Memoria XIV. J
Fisiografia microscopica. 1. Minerali costituenti la roccia: Microliti di plagioclase,
di augite, di olivina, di magnetite e di base vetrosa in unica pasta di unico tempo.
2. docristallina.
Vetro i 3
3. Mancano i fenocristalli.
4. Microliti : Plagioclase in listarelle lunghe mm. 0, 25 ; olivina pure in listarelle lun-
ghe mm. 0,5; augite in granuli di mm. 0,05, magnetite mm. 0,2 a mm. 0,01.
plagioclase. augite, olivina magnetite, vetro
5. Massa fondamentale — 3,5 0,5 0,8 1,6 1,6
6. In qualche punto del dicco i plagioclasi hanno disposizione linofìrica fluidale.
7. Plagioclase in listarelle ipoautomorfe bigeminate o poligeminate spesso incurvate
e con estinzione ondulata. Augite in granuli di colore giallastro molto torbidi, appena ri-
conoscibili fra la sostanza vetrosa che li ingloba.
Olivina in listarelle allungate o in cristallini isometrici automorfì ; alcuni individui
hanno la forma di clave la cui parte interna è serpentinizzata, mentre la parte esterna è
inalterata, trasparente e con marcate linee di sfaldatura normali al maggiore allungamento
con clivaggi e spostamenti simili a quelli che si osservano nell’ apatite.
Spesso del cristallo non è rimasto che un esile contorno, una gabbia scheletrica ;
inclusioni soltanto di magnetite.
Magnetite in ottaedri spesso in aggruppamenti granulari.
Sostanza vetrosa in gran parte delessitizzata.
8. Minerali secondari : Serpentino delle olivine ; delessile del vetro.
9. Come il dicco precedente.
10. La roccia è un basa/te olivinico docr istallino.
DICCO 56°
Fisiografia megascopica. — Colore bluastro , compatta abbastanza ; tenace ; dura ;
rottura scheggiosa piana ; separazione prismatica irregolare ; aspetto doleritico, vi si distin-
guono cristalli di olivina e di augite che nella parte più interna del dicco sono più abbon-
danti e più grossi ; alterazione evidente nelle olivine.
Fisiograjìa microscopica. 1. Minerali costituenti la roccia: Fenocristalli di plagio-
clase, di augite, di olivina e di magnetite sparsi in una massa fondamentale di plagiocla-
se, di augite, di olivina, di magnetite e di sostanza vetrosa ; vi si riscontrano pure delle
concrezioni sferolitiche. Nella parte interna del dicco abbondano i fenocristalli mentre nella
parte esterna la roccia ne è povera.
2. — > — , percristaluna.
Vetro 1 ’ r
3. Fenocristalli : Plagioclase in laminette da mm. 2 a mm. 0, 5 ; augiti mm. 8 a
mm. 0, 5 ; olivina mm. 5 a mm. 0, 5 ; magnetite mm. I a mm. 0, 3.
4. Microliti : Plagioclase in listarelle lunghe mm. 0, 3 a mm. 0. 1 ; augite in prismetti
lunghi mm. 0, 2 ; olivina mm. 0, 3 a mm. 0, 1 ; magnetite mm. 0, 1 a mm. 0,005.
Parte esterna _ Atassa fondam.
del dicco " Fenocristalli
Parte interna Massa fondam.
del dicco ' Fenocristalli
plagioclase,
augite,
olivina,
magnetite,
vetro
2, 5
1,0
1,0
0, 6
0,4
0. 2
1,0
0, 8
—
i, 0
0, 2
0.6
0, 4
0, 3
1
2, S
C 5
0. 5
—
<7— 7> — , dopatica
■ 3
. ? ^ 1
, dosemica
La formazione vulcanica sottomarina di Capo Passero
47
6. Non si osserva alcuna speciale disposizione degli elementi minerali.
7. Fenocristalli di plagioclase ipoautomorfi in tavolette geminate secondo le legge
dell’ albite e di Karlsbad appartengono alla serie labradoritica, gli angoli di estinzione mi-
surati sulle faccie P non oltrepassano il valore — 15° e su M — 28°; sfaldatura evidente
secondo (001) e (010); inclusioni gassose e vetrose abbondanti e per lo più disposte pa-
rallelamente alle zone di accrescimento.
Microliti in listarei le semplici o bigeminate con estinzione ondulata.
Fenocristalli di augite automorfì ed ipoautomorfi color giallo-rosa con pleocroismo
non apprezzabile ; debolissime linee di sfaldatura, ma marcate rotture ; inclusioni spesso
di una sostanza giallastra amorfa spesso concrezionata ; alcuni individui sono associati con
fenocristalli di magnetite. Microliti in granuli arrotondati.
Fenocristalli di olivina completamente trasformati in una sostanza serpentinosa che non
conserva alcuna forma del cristallo originario. Microliti in granuli pur essi molto alterati.
Fenocristalli di magnetite con contorni arrotondati spesso con incavature che sem-
brano dovute a corrosione magmatica e racchiudono dei granuli di olivina serpentinizzata.
Microliti per lo più in aggregati granulari o in granuli arrotondati.
Sostanza vetrosa completamente delessitizzata.
8. Minerali secondari : Serpentino delle olivine di color giallo-verdastro o bruno,
spesso in concrezioni globulari fra le quali si rinviene frequentemente dell’ aragonite ; de-
lessile della sostanza vetrosa color giallo-verdastro ; concrezioni di calcite abbondanti.
9. Come per il dicco 54°.
10. La roccia è una dolerite per cristallina, nella parte esterna del dicco dopatica ,
nella parte interna sempatica.
DICCO 57
Fisiografia megascopica. Colore grigio oscuro- verdastro ; compatta ; tenace ; dura ;
rottura scheggiosa ; separazione laminare irregolare ; aspetto doleritico, vi campeggiano
grossi cristalli di augite e di olivina completamente alterati.
Fisiografia microscopica. 1. Minerali costituenti la roccia; Fenocristalli di plagio-
clase, di olivina e di magnetite sparsi porfiricamente in una massa fondamentale di pla-
gioclase, di augite, di magnetite, e di base vetrosa.
r. Cristalli 7 . , ...
2. r — > -L- , percnstallina.
vetro i ’ r
3. Fenocristalli: Plagioclase in tavolette di mm. 1 a min. 0,5; augite mm. 2 a mm. 0,5;
olivina mm. 1 a mm. 0, 5 ; magnetite mm. 0, 4.
4. Microliti: Plagioclase in listarelle lunghe fino a mm. 0,3; augite mm. 0,1; olivina
mm. 0,2; magnetite mm. 0,10 a mm. 0,005.
5.
Massa fondamentale
Fenocristalli
plagioclase, augite, olivina, magnetite, vetro
2 o, 5 o, 2 o, 8 o, 5
I, 2
i, 8
o.8
O, 2
<
>T
sempatica.
ó. Non si osserva alcuna speciale disposizione degli elementi minerali.
Fenocristalli di plagioclase per lo più ipoautomorfi ; geminati polisintetici secondo la
legge dell’ albite, struttura zonata frequentissima , specialmente visibile nelle laminette se-
condo M, estinzione ondulata con valori molto oscillanti. Microliti in listarelle spesso ag-
gruppati a fascetti.
48
G. Ponte
[Memoria XIV.]
7. Fenocristalli di cingile automorfi ed ipoautomorfi color garofano chiaro con pleo-
croismo non bene apprezzabile ; inclusioni di magnetite frequenti ; qualche volta periferi-
che ; struttura zonata ed a clessidra in qualche cristallo automorfo ; aggruppamenti di più
individui frequenti. Microliti in granuli.
Fenocristalli di olivina automorfi ed ipoautomorfi , alcuni a contorni netti, altri arro-
tondati : alterazione completa in serpentino ; inclusioni di magnetite. I microliti anch’ essi
serpentinizzati.
Fenocristalli di magnetite arrotondati dalla corrosione magmatica specialmente ove
sono in contatto con l’ olivina e 1’ augite. Microliti in granuli ed in ottaedri.
Sosta usa vetrosa delessitizzata.
8. Minerali secondari: Serpentino delle olivine fibroso, tipo crisotilico, di colore gial-
lastro o verdastro ; delessite di colore giallo- verdastro.
9. Come per il dicco 54°.
10. La roccia è una dolerite olivinica pere ristallina sempatica.
DICCO 58°
Fisiografia megascopica. Colore nero bluastro ; molto compatta ; discretamente te-
nace e dura ; rottura in scheggie laminari ; separazione in lastre piuttosto piane ; aspetto
anamesitico , vi si distinguono appena i cristallini di plagioclase e di olivina ; alterazione
non evidente.
Fisiografia microscopica. 1. Minerali costituenti la roccia: Fenocristalli di augite e
di olivina sparsi in una massa fondamentale di plagioclase , di augite, di olivina , di ma-
gnetite e di sostanza vetrosa.
2- > ~T ’ Percristallina.
3. Fenocristalli : Augite mm. 1 a mm. 0,5 ; olivina mm. 1 a ìnm. 0,5.
4. Microliti : Plagioclase in listarelle lunghe mm. 0,5 a mm. 0,1; augite da millimetri 0,5
a mm. 0,1 ; olivina in listarelle da mm. 0,5 a mm. 0,1 ; magnetite da mm. 0,5 amili. 0,005.
0.
Massa fondamentale
plagioclase, augite, olivina, magnetite, vetro
2. 5 i 2 i o, $
• — - , perpatica.
Fenocristalli — o, 5 o, 5 —
6. Non si osserva alcuna speciale disposizione degli elementi minerali.
7. Fenocristalli di augite ipoautomorfi color giallo-roseo non pleocroitici ; per lo più
in aggregati irregolari a stella; marcate linee di sfaldatura secondo il prisma. Microliti in
listarelle dello stesso colore dei fenocristalli.
Fenocristalli di olivina con contorno arrotondato completamente trasformati in ser-
pentino.
Microliti in listarelle spesso scheletriformi anch’ essi serpentinizzati. Plagioclasi in
listarelle spesso affusolate, per , lo più bigeminate e con estinzione ondulata.
Magnetite in ottaedri ed in granuli.
Sostansa vetrosa incolora e in gran parte delessitizzata.
8. Minerali secondari : Serpentino delle olivine fibroso tipo crisotilico di color giallo
miele; delessile giallo- verdastra.
9. Come per il dicco 54°.
10. La roccia è una anamesite olivinica percristallina perpatica.
La formazione vulcanica sottomarina di Capo Passero
49
DICCO 59"
Fisiografia megascopica. Colore nero grigiastro; compatta, tenace, dura; rottura
piana scabrosa; separazione in lastre romboidali; aspetto afanitico ; alterazione incipiente
alla parte esterna del dicco.
Fisiografia microscopica. 1 . Minerali costituenti la roccia : Massa fondamentale
uniforme costituita da plagioclase , da augite, da olivina, da magnetite con sostanza ve-
trosa intersecale.
,y Cristalli . 7 .
w' Vetro ^ i ^
, docristallina.
3. Mancano i fenocristalli ad eccezione di qualche rado cristallo di augite e di magne-
tite di mm, 0,5.
4. Plagioclase in listarelle di mm. 0,2; augite in prismetti da mm. 0,2 a 0,1; magne-
tite mm. 0,01 ed in aggregati di mm. 0,2.
plagioclase, augite, olivina, magnetite, vetro
5. Massa fondamentale = 4 0, 5 0, 5 2 l
6. I microliti di plagioclase in qualche punto hanno disposizione linofìrica.
7. Plagioclase in listarelle affusolate semplici o bigeminate con estinzione ondulata.
Augite automorfa o ipoautomorfa, color giallo-garofano chiaro con pleocroismo non
bene apprezzabile ; lamelle geminate secondo (100) frequenti; agglomeramenti di più indi-
vidui con compenetrazioni abbondanti. Microliti listiformi color garofano chiaro.
Olivina in listarelle spesso con terminazioni a forchetta, molto alterata, di color miele.
Magnetite isometrica in ottaedri ed in granuli agglomerati.
Sostanza vetrosa alterata.
8. Minerali secondari: Serpentino delle olivine, delessite del vetro.
9. Come per il dicco 54°.
10. La roccia è un basalte olivinico docr istallino.
DICCO 60°
Fisiografia megascopica. Colore nero tendente al bruno ; molto compatta ; tenace e
dura abbastanza ; rottura irregolare scheggiosa ; separazione irregolare ; aspetto doleritico,
vi campeggiano grossi cristalli di augite nero lucenti e di olivina alterata color bruno ver-
dastro ; alterazione evidente soltanto nelle olivine.
Fisiografia microscopica. I. Minerali costituenti la roccia: Fenocristalli di plagio-
clase, di augite, di olivina e di magnetite sparsi in una massa fondamentale di plagiocla-
se, di augite, di olivina, di magnetite e di sostanza vetrosa.
Cristalli
Vetro
> -4-, percristallina.
3- Fenocristali : Plagioclase mm. 2 a mm. 0,5; augite centim. I a mm. 0,5; olivina
mm. 5 a mm. 0,5; magnetite mm. 0,5.
4. Microliti: Plagioclase in listarelle lunghe mm. 0,2 a mm. 0,05; augite mm. 0,15;
olivina mm. 0,2 ; magnetite mm. 0,15 a mm. 0,005.
plagioclase, augite, olivina, magnetite, vetro
Massa fondamentale i,4 o» 5 °» 5 !> 2 o> 4 / _3_ ^ 5
5.
Fenocristalli
1,0
o, 6
0,4
5 ^ 5
sempatica.
ATTI ACC. SERIE V. VOL. IX — Meni. XIV.
7
50
G. Ponte
[Memoria XIV.]
6. I microliti di plàgioclase hanno in qualche punto del dicco disposizione linofìrica.
7. Fenocristalli di plcigioclase in laminette ipoautomorfe ed allotriomorfe geminate se-
condo la legge dell’albite e di Karlsbad con frequenti spostamenti lungo il piano di gemina-
zione; generalmente le lamelle geminate centrali sono sempre le più grandi ; alcuni individui
sono incurvati e con estinzione ondulata; dagli angoli di estinzione misurati risultano delle
labradoriti basiche; le linee di sfaldatura e di rottura sono per lo più piene d’ idrossido di
ferro ; inclusioni di bolle gassose, di sostanza vetrosa e di magnetite spesso abbondanti
ed irregolarmente distribuite o concentrate nella parte centrale del cristallo ; struttura zo-
nata frequente. Microliti in 1 istarel le affusolate con estinzione ondulata.
Fenocristalli di cingile automorfì ed ipoautomorfi color rosa-garofano, o rosa-giallastro
con pleocroismo poco apprezzabile; struttura zonata in qualche cristallo; frequenti aggrup-
pamenti di più individui; inclusioni di magnetite e di bolle gassose; intorbidamenti d’idros-
sido di ferro, specialmente fra le fratture e le linee di sfaldatura. Microliti in prismetti con
gli stessi caratteri dei fenocristalli.
Fenocristalli di olivina arrotondati dalla corrosione magmatica, completamente ser-
pentinizzati e con un orlo bruno-oscuro. I microliti pur essi arrotondati ed alterati color
bruno.
Fenocristalli di magnetite in ottaedri qualcuno isometrico. Microliti in ottaedri spesso
aggruppati.
Sostanza vetrosa in parte delessitizzata inglobante i vari microliti e qualche raro aci-
culo di apatite.
8. Minerali secondarii: Serpentino delle olivine, fibroso del tipo crisotilico e color ver-
dastro; delessile color verde smeraldo o bruno chiaro.
9. Come per il dicco 54°.
La roccia è una dolerite olivinica per cri stali ina senipatica.
DICCO 61°, 62° e 63°.
Questi dicchi sono ricchi di concrezioni calcaree ed alterati al punto da riconoscervi
appena gli elementi minerali di cui erano costituiti, come il dicco 3°.
DICCO 64°
Fisiograjìa megascopica.. Colore nero bluastro; molto compatta e tenace; rottura
scheggiosa concoide ; separazione irregolare ; aspetto anamesitico, vi si distinguono appena
i cristallini di olivina, alcuni dei quali sono evidenti e grossi uno o due millimetri; alcune
rade bolle della roccia, dalla grossezza di un grano di miglio a quella di una mandorla,
sono riempite di concrezioni di calcite; alterazione non evidente.
Fisiografia microscopica. 1. Minerali costituenti la roccia: Radi e piccoli fenocri-
stalli di augite e di olivina sparsi fra una massa fondamentale di augite, olivina, plagio-
clase, magnetite e sostanza vetrosa.
2.
3.
4.
Cristalli ^ 7 .
— > — , percnstallma.
Vetro ^ i ’ r
Fenocristalli: Augite mm. 0,5 a min. 0,2; olivina mm. 2 a mm. 0,2.
Microliti: plagioclase in listarelle lunghe da mm. 0,2 a mm. 0,05; augite mm. 0.2
La formazione vulcanica sottomarina di Capo Passero
51
a mm. 0,05; olivina da mm. 0,2 a min. 0, 1; magnetite da mm. 0,2 a mm. 0,05.
* plagioclase, augite, olivina, magnetite, vetro
Massa fondamentale 2 2,$ i,o 0,5 o, 5 ^ 7
5.
Fenocristalli _ 0, 5
6. Non si osserva alcuna speciale disposizione degli elementi minerali.
7. Plagioclase in listarelle poligeminate con estinzione ondulata.
perpatica.
Augite ipoautomorfa ed allotriomorfa color garofano chiaro non pleocroitica, con mar-
cate linee di sfaldatura e poche inclusioni di magnetite. Microliti in granuli irregolari pur
essi color garofano.
Olivina automorfa ed ipoautomorfa spesso con corrosione magmatica; incolora e con
marcate linee di sfaldatura lungo le quali procede, verso l’ interno del cristallo, il processo
di serpentinizzazione, che in alcuni individui è molto avanzato.
Magnetite in piccoli ottaedri per lo più aggruppati fra di loro.
Sostanza vetrosa di colore giallastro pallido.
8. Minerali secondarii : Serpentino delle olivine color verdastro ; concrezioni di calcite
in forma di amigdale a gusci concentrici, nel mezzo in granuli allotriomorfi.
9. Come il dicco 54°.
.10. La roccia è una anamesile olivinica per cri stali ina perpatica.
DICCO 65°
Fisiografia niegascopica. Colore nero bluastro; molto compatta e tenace; rottura
scheggiosa; separazione in prismi romboidali; aspetto doleritico, però i fenocristalli sono
molto radi ; alterazione evidente soltanto vicino ai piani di separazione.
Fisiografia microscopica. — 1. Minerali costituenti la roccia: Fenocristalli di pla-
gioclase, di augite, di olivina e di magnetite sparsi fra una massa fondamentale di pla-
gioclase, di augite, di olivina, di magnetite e di base vetrosa.
2. —— — fi — , percnstallina.
Vetro i ’ r
3. Fenocristalli : Plagioclase in listarelle lunghe mm. 2 a mm. 0,3 ; augite mm. 3 a
mm. 4; olivina mm. 3,5 a mm. 0,5; magnetite mm. 1 a mm. Ò,6.
4. Microliti: Plagioclase in listarelle lunghe mm. 0, 3 a mm. 0,05; augite mm. 0, 1;
olivina mm. 0,4 a mm. 0,1 ; magnetite mm. 0,1 a mm. 0,01.
5.
Massa fondamentale
plagioclase, augite, olivina, magnetite, vetro
3 o, 1 o, 4 o, 5 1
, perpatica.
Fenocristalli o, 4 0, 3 o, 2 0,1 — 1
6. I microliti di plagioclase in qualche punto hanno disposizione linofìrica fluidale.
7. Fenocristalli di plagioclase ipoautomorfi in listarelle poligeminate secondo la legge
dell’ albite ed in laminette semplici; forme scheletriche frequenti costituite da esili impal-
cature; estinzione ondulata; struttura zonata in pochi individui; inclusioni di sostanza ve-
trosa delessitizzata e di magnetite frequenti. Microliti in listarelle spesso incurvate bigemi-
nate e con estinzione ondulata.
Fenocristalli di augite ipoautomorfi ed allotriomorfì ; color verde giallastro chiaro sen-
za pleocroismo ; sfaldatura secondo il prisma evidente ; rottura frequente; struttura zonata
in molti individui; inclusioni di magnetite e di sostanza vetrosa. I microliti hanno gli stes-
si caratteri dei fenocristalli e sono quasi incolori e limpidissimi.
F'enocristalli di olivina automorfi con forte arrotondamento dovuto alla corrosione
magmatica ; alcuni individui color rosso sangue oscuro, quasi opachi, altri color giallo miele
con un contorno opaco. I microliti in granuli e listarelle spesso biforcate da un lato ed in
gran parte serpentinizzati.
Magnetite in ottaedri ed in granuli.
La formazione vulcanica sottomarina di Capo I dissero
53
Sostanza vetrosa delessitizzata.
8. Minerali secondari : Serpentino delle olivine giallastro ; delessite del vetro di color
verde giallastro.
9. Come per il dicco 54°.
10. La roccia è una ariani esile olivinica per cristallina perpatica.
DICCO 69°
Fisiografia megascopica. Colore bluastro; molto compatta e tenace; rottura scheg-
giosa; separazione irregolare; aspetto doleritico, vi campeggiano più o meno abbondan-
temente dei fenocristalli di olivina color verde bottiglia ; alterazione non evidente.
Fisiografia microscopica. 1. Minerali costituenti la roccia: Fenocristalli di olivina
e di augite sparsi fra una massa fondamentale di plagioclasi, di augite, di olivina, di ma-
gnetite e di sostanza vetrosa.
„ .Cristalli >.7 . ,
2. — > percnstallina.
Vetro 1 ’ r
3. Fenocristalli: Olivina mm. 2 a mm. 0,5; augite mm. 1,0 a mm. 0,5.
4. Microliti: Plagioclase in listarelle di mm. 0,4 a mm. 0,1; augite mm. 0,2; olivina
mm. 0,2; magnetite mm. 0,5 a mm. 0,005.
_ Massa fondamentale
D.
plagioclase, augite, olivina, magnetite, vetro
2 0,5 0,5 1, 5 o, 5
7 5
— , docnstallina.
3. Mancano i fenocristalli.
4. Microliti: Plagioclase in listareile di min, 0. 2 a 0.05; augite in prismetti di mil-
limetri 0. 2 ed in granuli di mm. 0,05 ; olivina in listareile di mm. 0,2 a min, 0,05 ; ma-
gnetite mm. 0,05.
plagioclase, augite, olivina, magnetite, vetro
5. Massa fondamentale — 2,5 1,5 0,5 1,5 2
6. Non si osserva alcuna speciale disposizione degli elementi minerali.
7. Il plagioclase in listareile ed in laminette bigeminate spesso incurvate con estin-
zione ondulata.
L 'augite in prismetti automorfi ed ipoautomorfi ed in granuli color rosa-garofano;
frequenti forme a clessidra; inclusioni soltanto di magnetite.
L’ olivina in listareile spesso in forme scheletriche con tutti i caratteri dei microliti
del dicco 1°.
La magnatile in ottaedri ed in granuli.
La sostanza vetrosa trasparente debolmente giallognola.
8. Minerali secondari : Concrezioni di sostanza amorfa circondata da una zona ester-
na di serpentino crisotilico.
9. Come il dicco 69°.
10. La roccia e un basalte olivi nico docr istallino.
Blocchi della collina Santa Lucia.
Fisiografia megascopica. Colore nero bluastro ; molto compatta, tenace e dura ;
rottura scheggiosa; separazione in blocchi da V2 metro cubo alla grossezza d' una testa
d’ uomo ; aspetto doleritico, vi campeggiano delle olivine più o meno abbondanti; i blocchi
più ricchi di olivina sono abbastanza alterati.
Fisiografia microscopica. 1. Minerali costituenti la roccia: Fenocristalli di plagio-
clase, di olivina e di augite sparse in una massa fondamentale di plagioclase, di augite,
di olivina, di magnetite e di sostanza vetrosa.
2. Cy 1 ' ^ percristallina, in alcuni punti quasi completamente cristallina.
3. Fenocristalli : Plagioclase, mm. 1,5 a mm. 0,5; augite mm. 5 a mm. 0,4; olivina
mm. 4 a mm. 0,4.
4. Microliti: Plagioclase in listareile lunghe mm. 0.4 a mm. 0.1, di augite mm. 0. 3
a mm. 0.05; di olivina mm. 0.3 a mm. 0. 5; di magnetite mm. 0. 1 a mm. 0.005.
o.
Massa fondamentale
plagioclase, augite, olivina, magnetite vetro
2 o, 3 o, 5 2 0,2
T >
dopatica.
Fenocristalli o, 5 2ai ia2 — —
6. 1 microliti di magnetite hanno disposizione cumulofirica, sono spesso addensati in
alcuni punti e formano nella massa fondamentale delle chiazze oscure di forma irregolare.
La formazione vulcanica sottomarina di Capo Cassero
OD
7. Fenocristalli di plagioclase in listarelle ipoautomorfe geminate secondo la legge
dell’ albite e di Karlsbad, con estinzione sempre ondulata e spesso con struttura zonata ;
inclusioni di magnetite e di bolle gassose discretamente abbondanti. I microliti in listarelle
come i fenocristalli.
Fenocristalli di angite ipoautomorfi spesso con contorni arrotondati dalla corrosione
magmatica; colore verde giallastro; marcate linee di sfaldatura secondo il prisma; inclu-
sioni vetrose e di magnetite frequenti ; geminazioni ed aggruppamenti di più individui non
rari.
Microliti in granuli pur essi giallo-verdastro.
Fenocristalli di olivina per lo più automorfi, ma generalmente arrotondati o intac-
cati dalla corrosione magmatica; marcate linee di sfaldatura, lungo le quali è più evidente
la serpentinizzazione ; inclusioni di magnetite e di bolle gassose non abbondanti. Microliti
in granuli color giallo miele.
Magnetite in ottaedri e per lo più in aggruppamenti.
Sostanza vetrosa delessitizzata.
8. Minerali secondari : Serpentino delie olivine di color giallo verdastro, spesso co-
lorato in bruno dall’ idrossjdo di ferro ; non son rare concrezioni di sostanza serpentinosa
con struttura a zone concentriche.
9. Come per il dicco 59°.
10. La roccia è una dolerite olivinica percristallina dopatica.
Dicchi della contrada Pianetti.
Cistografìa megascopica. Colore nero bluastro; compatta; tenace; dura; rottura
scheggiosa; separazione in lastre un po’ irregolari; aspetto afanitico; alterazione non evi-
dente.
Cistografìa microscopica. 1. Minerali costituenti la roccia: Cristallini di plagioclase,
di augite , di olivina e di magnetite cementati da sostanza vetrosa. Raramente in qualche
lamina sottile si rinvengono gruppi di fenocristalli di augite e magnetite.
2. — — — — > percristallina.
3. Mancano i fenocristalli.
4. Microliti: Plagioclasi mm. 0, 2 a mm. 0, 1; augite min. 0,2 a inni. 0,05; olivina
in listarelle lunghe mm. 0, 4 a 0,1; magnetite narri. 0,1 a miri. 0,005.
plagioclase, augite, olivina, magnetite, vetro
5. Massa fondamentale = 2, 5 2 1 2 0. 5
6. Non si osserva alcuna speciale disposizione degli elementi minerali.
7. Plagioclase in listarelle ipoautomorfe ed allotriomorfe, spesso affusolate alle estre-
mità; estinzione ondulata; poche inclusioni di magnetite.
Angite in prismetti ipoautomorfi ed in granuli; colore garofano; sfaldatura poco mar-
cata ; inclusioni di magnetite poche.
Olivina in listarelle automorfe con la parte interna serpentinizzata; forme scheletriche
frequenti.
Magnetite in ottaedri e pagliuzze, spesso in aggruppamenti granulari.
56
G. Ponte
[Memoria XIV.]
Sostanza vetrosa debolmente giallastra la quale ingloba dei plagioclasi non netta-
mente definibili.
8. Minerali secondari: Serpentino delle olivine di colore giallastro.
9. Dietro digestione in HC1 le olivine si disciolgono e gelatinizzano ; la magnetite è
completamente disciolta ed è titanifera.
10. La roccia è un basalte olivinico percr istallino.
II
CLASSIFICAZIONE El) ANALISI DELLE ROCCE
Lo studio fisiografico dei dicchi di Capo Passero permette ora di riunire le varie rocce
nei tipi principali e cosi di poter limitare a questi il lavoro delle analisi chimiche quantitative.
Trattandosi di rocce molto alterate i risultati delle analisi avranno un valore relativo giac-
ché non è il caso di poterle usare per una classificazione chimica e tanto meno secondo
il sistema americano. Difatti nel caso delle olivine e delle augiti più o meno profonda-
mente alterate, che predominano nelle rocce di Capo Passero, se si dovessero ricavare
dalle analisi le molecole minerali femiche ed alferriche, ne risulterebbero dei minerali
tipo standards non rispondenti a quelli della roccia e si incorrerebbe in maggiori errori
di quanto se si usasse il modo , cioè la composizione mineralogica attuale e quantitativa
della roccia, che nel caso speciale di queste ricerche, modificata come si è fatto, riesce di
grande utilità permettendo importanti raffronti ed un raggruppamento razionale delle diver-
se rocce basaltiche di questa singolare formazione vulcanica.
Prospetto delle rocce vulcaniche di Capo Passero.
tipo I'» : Dicco i4° e 450.
,, II0 : Dicco 270, 320, 46°, 490, 54°, 56'' (p. laterale), 65°, 69°,
700, blocchi di S. Lucia.
,, III" : Dicco 20, 7°, 8°, 90, 160, 190, 28°, 300 (parte interna),
31°, 330, 42°, 48°, 50°, 56° (p. interna), 570, 6o°,
espansione A e B.
,, IV": Dicco i°, io0, ii°, 240, 250, 26°, 300 (p. laterale), 58°,
64°. 68°.
,, V° : Dicco 170, 180 e 210.
,, VI" : Dicco 510. 52°. 530, 66, 67°, Pianetti.
,, VII": Dicco i2°, 150, 550, 59° e 71.
Raggruppati in questi sette tipi principali le rocce vulcaniche di Capo Passero (escluse
quelle completamente alterate) si è proceduto all’analisi chimica quantitativa servendosi dei
metodi analitici più moderni (1); i risultati ottenuti sono riportati nella seguente tabella ove
è indicato anche il peso specifico determinato con il picnometro (2).
Dolerite — percristallina
perpatica —
dopatica —
sempatica —
Anamesite
Basalte
\
percristallina — perpatica
id.
' docristallina —
^ percristallino —
\ docristallino —
(1) Hillebrand-Wilke-DòRFURT — Analyse der silikat — und Karbonatgesteine, Leipzig 1910.
(2) Negli atti dell’Acc. Gioenia Ser. 3* Voi. XV p. 248 sono riportate delle analisi quantitative delle rocce
vulcaniche dei dintorni di Pachino eseguite da Speciale e Ricciardi, ma non sono indicate chiaramente le lo-
calità ove i singoli campioni furono prelevati.
La formazione vulcanica sottomarina di Capo Passero
57
Composizione chimica dei vari tipi di roccia.
1
TIPO 1"
TIPO
11"
TIPO III0
TIPO IV°
TIPO V"
TIPO VI0
TIPO VII0
Dicco 14"
Dicco 27"
Blocchi
di $. Lucia
Dicco 60"
Dicco 9°
Espansione
Tipo A.
Espansione
Tipo B.
Espansione
Tipo B'.
Dicco 64°
Dicco 21°
Dicco 51"
Dicco 59°
SiO.>
4 3-55
45-79
A 5 • 5v
45.98
48.18
46.95
44-75
42.44
43.01
4 5 • 1 5
48.48
46.54
AI-.Oa
14.15
14.83
15.58
14.16
16.48
14.46
14 48
14.68
14.16
15.25
1 6.64
16.07
Fe,03
5.22
5-95
4-7'
1 1.02
7.88
12 89
5. 41
8.75
5-45
6.36
8.36
7.05
FeO
6.96
6.82
7.25
2.24
2.6 1
2.13
6.85
1 .84
5.68
5 56
2. 1 2
5.21
MgO
S.15
5.86
1 1. 14
6.05
4.85
'•95
6.04
2.38
10.03
5.08
5.06
5-33
CaO
1 1 .8 1
15.25
10.48
10.68
9.51
9.52
12.07
1 3. 82
12.59
10.45
942
9-8>
NaoO . •
5.48
5.07
5.89
4.60
2-96
4.21
3.62
3.81
2.7 1
5 49
2.68
4. 96
K..O
1 .62
1.40
0.77
2.01
2.15
1.87
1. 88
1.25
1. 62
1 .46
1.58
HaO -r
1 .22
'•51
:.i8
1.19
2.21
i-97
I .2 I
3 43
T.23
2.45
2.86
2.63
H«0 —
0.82
0.78
0.48
0.46
1 .68
0.98
O.5O
1.91
0.54
0 98
i-45
0.86
Ti02
2.69
2.46
2-59
5.24
0.96
2.60
5. 21
2.60
2 70
3.42
0.83
1.86
P2Or>
0.09
0.15
0.03
0. 1 1
0.22
0.06
O.OI
0.03
0.03
0.06
0.26
0.14
0.04
0.02
—
tracce
0. 1 1
0.02
OO3
0.2 1
0.04
—
0.13
tracce
cot
0.03
tracce
—
tracce
0.04
0.T3
0.05
1.24
tracce
—
0.06
tracce
MnO
0.41
0.34
0.38
0.32
0.26
0. 74
0.62
0.88
0.43
0.09
0.4 1
0.19
NiO. ......
tracce
tracce
tracce
tracce
tracce
tracce
tracce
tracce
0.02
tracce
tracce
tracce
Somma. . .
100.22
100.19
99.85
1 00. 1 2
IOO. IO
100 28
100.18
99.88
99.87
99.96
100.22
100.25
Peso specifico •
2.986
5 -° 5 7
3.008
5.017
2-759
2.805
00
c^.
co
ci
2.712
3.02 1
2.961
2.690
'*+
O
O
rr\
Raffrontando fra di loro queste analisi si notano delle rimarchevoli differenze, anche
nelle rocce di uno stesso tipo, le quali variano a secondo la più o meno avanzata altera-
zione, come per esempio nell’ espansione B' che è più alterata della B.
La percentuale di titanio è minore nelle rocce di aspetto basaltico, come quelle dei
dicchi 51° e 59°, e nelle doleriti a fenocristalli di plagioclase, come quelle del dicco 9°;
queste hanno circa lj., di Ti02 meno di quanto le doleriti a fenocristalli di augite e di oli-
vina , nei quali, dietro accurate ricerche microscopiche e chimiche , non risultano esservi
tracce d’ ilmenite.
Onesti risultati sono in perfetta antitesi con quelli ottenuti dallo Schvvantke per le
doleriti ilmenitiche di Hohenberg, nelle quali è stato riscontrato un meno elevato tenore
in Ti02 allato ad una diminuizione di MgO e di CaO (1).
(i) A. SCHWANTKE , Die Rasalte der Gegend vou Homberg a. d. Ohm. insbesondere der Dolerli des
I/o h e ii Berges bei Ojieiden. Neues Jahr. f. Min. Geo. etc. XVIII Beilage-Band 1914, p. 466.
ATTI ACC. SERIE V. VOL. IX — Meni. XIV.
8
58
G. Ponte
[Memoria XIV.]
RIASSUNTO
Le osservazioni geologiche fatte nei dintorni di Capo Passero non lasciano dubbio
nel far ritenere indisturbato il banco del calcare senoniano , che ammanta la formazione
vulcanica sottostante. Quando incominciarono i depositi della formazione senoniana le ma-
nifestazioni vulcaniche erano da un pezzo cessate.
Le rocce vulcaniche di Capo Passero sono di origine sottomarina; l’aspetto bolloso delle
più superficiali, come la mancanza di materiali clasmatici, ne sono le prove piu evidenti.
In seno al mare cretaceo proruppero e si espansero le prime masse laviche con su-
perficie bollosa. Immediatamente ne seguì una fase eruttiva in cui le espansioni laviche,
che avevano coperto le bocche eruttive, vennero squarciate ed attraversate da numerosi
dicchi la cui direzione prevalente NESW, probabilmente, sarà in istretto rapporto con
l’ allineamento delle dette bocche emissive apertesi nel fondo di quel mare.
Cessate le eruzioni sottomarine la parte più superficiale delle espansioni fu intaccata
dall’azione abrasiva di un mare poco profondo. Inseguito l’abbassamento del fondo ma-
rino permise la formazione dei depositi del calcare senoniano, i quali si adagiarono rego-
larmente sul letto quasi orizzontale della formazione vulcanica. Ora, nei posti ove è avve-
nuto lo smantellamento del banco calcareo, comparisce il limite tra la formazione vulcanica
e la sedimentaria ed ivi si vedono le teste dei dicchi levigati dall’ azione abrasiva con
qualche ciottolo arrotondato a testimoniare il fenomeno dell’ erosione marina avvenuto
prima delia sedimentazione del calcare senoniano.
Alla Punta di Acqua Palomba si osserva una espansione lavica non attraversata da
dicchi, della potenza di circa 8 metri e con una fronte verso il mare di circa 200 metri,
la quale ne ricopre un’ altra attraversata da dicchi. Questa espansione potrebbe essere la
testa di un dicco, ma non avendo una sezione che lo mostri chiaramente non può am-
mettersi che con le dovute riserve. E da supporre che questi dicchi dovettero terminare
con un travaso di magma lavico formando una testa più o meno espansa o che piuttosto,
prima di arrivare alla superficie, si assottigliassero in forma di cuneo, come le apofìsi dei
dicchi presso la Grotta di Cavallaro, e si fermassero fra il materiale bolloso superficiale ;
in seguito l’abrasione marina livellò queste rocce come mostra la sezione che ora si vede
sotto il calcare senoniano.
L’ analisi petrografica dettagliata di tutte le rocce vulcaniche di Capo Passero, così
come è stata fatta, giova ora ad una serie di considerazioni e di raffronti che sarebbero
riusciti difficili se non si fosse ricorso ad una descrizione sistematica dei numerosi dicchi
che si trovano in un tratto di terreno relativamente ristretto.
Le rocce vulcaniche di Capo Passero appartengono al tipo- basaltico ed hanno una
percentuale di silice che non supera il 48,5 °/0; esse hanno aspetto ora doleritico, ora ana-
mesitico, ora basaltico propriamente detto e sono tutte oliviniche con preponderanza di
fenocristalli di plagioclase o di augite ; 1’ olivina qualche volta trovasi in poca quantità e
quando è molto alterata vi si riconosce appena, ma non si è riscontrata una roccia ove
essa manchi completamente (1).
Parecchi petrografì tedeschi della scuola di Max Bauer non credono sia ancora adat-
(i) A. ROSATI, 1. c. ha trovato nei dintorni di Pachino delle rocce non oliviniche.
59
La formazione vulcanica sottomarina di Capo Cassero
tabile 1’ antica nomenclatura delle rocce basaltiche basata sulla grandezza dei componenti
minerali e specificata in basalti propriamente detti, cioè d’ aspetto compatto, doleriti d’ a-
spetto granulare porfirico ed anamesiti d’ aspetto intermedio.
A. Schwantke (1) ha voluto sostenere che questa nomenclatura è comoda per la di-
visione apparente di queste rocce, ma per la sistematica petrografìca essa non riesce utile,
giacché non mostra il significato mineralogico e chimico della natura. essenziale della roccia.
Il primo ad accendere questa discussione, mirante a dare un significato puramente
petrografìco alle rocce basaltiche, fu il Sandberger nel 1 870 (2). Questo litologo mostrò
che un gran numero di doleriti, nel senso antico, erano caratterizzate dalla presenza di
ilmenite, mentre i basalti propriamente detti contenevano esclusivamente magnetite; le ana-
lisi chimiche ne diedero la conferma essendovi nei primi una quantità più rilevante di Ti02.
A. Streng (3), che prese parte alla discussione nel 1890, aggiunse alle osservazioni
del Sandberger che nelle doleriti tipiche la cristallizzazione dei feldspati precede quella
delle augiti, mentre nei basalti propriamente detti avviene al rovescio.
A. Schwantke, dietro una serie di analisi quantitative dei basalti dei dintorni Homberg
e di Hohen Berg (4), ha potuto confermare il criterio Sandberger-Streng inquantochè alla
composizione chimica delle doleriti corrispondono i caratteri mineralogici cennati.
Altre più recenti ricerche dello Schwantke sui basalti dei dintorni di Marburg (5)
hanno dato gli stessi risultati e la scuola di Max Bauer ha oramai generalizzato il si-
gnificato petrografìco Sandberger-Streng nella classificazione delle rocce basaltiche.
Le osservazioni e le ricerche fatte sulle rocce basaltiche di Capo Passero urtano con-
tro i capisaldi di questa discussione che si agita da 45 anni. 1 fatti che si oppongono al
criterio Sandberger-Streng sono i seguenti :
1. Le doleriti di Capo Passero, considerate nel senso dell’ antica nomenclatura, non
contengono affatto ilmenite, ma la loro magnetite è eminentemente titanifera; la percentuale
del TiOa nell’ analisi globale di queste rocce supera il 3 °/0 , mentre le doleriti di Hohen
Berg (6) ne contengono il 2, 08 % e le bombe doleritiche del tufo di Stempel (7) il 2,62 %,
pur contenendo ilmenite in prevalenza sulla magnetite.
2. Del criterio di Streng, basato sulla distinzione, pur essa petrografìca, tra rocce
basaltiche e doleritiche, le prime con miscuglio finamente granulare di olivina, augite,
plagioclase e magnetite (augite in prevalenza), le altre con un miscuglio di olivina, plagio-
clase, augite ed ilmenite (plagioclase in prevalenza), ne è pure sostenitore l’ Apel, il quale
recentemente (8) ha descritto i basalti e le doleriti del Reinhardswald. Questo autore però
(1) A. SCHWANTKE — Die ne nere Untersuchungen de)- hessischen liasalte — Sitzungb. Nat. Verein d.
preuss. Rheinlande u. Westfalens 1907 II Half. D. 41.
(2) F. SANDBERGER — Neues Jahrb. f. Min. etc. 1870 p. 206 e 1878 p. 22.
(3) A. STRENG — Uebersicht neber die ernptiven Ges teine der Sektion G tesse ti — Notizbl. d. Ver f.
Erdk. zu Darmstadt u. d. mittelrhein geol. Vereins, Darmstadt 1890 p. 18.
(4) A. SCHWANTKE — Die Basalto der Gegend z’ou Homberg an der Ohm, insbesondere der dolerti
des Hohen Bergs bei tìfleiden— Neues Jah. f. Min. Beil. Bd. 18 1904 p. 460.
(5) Idem — Die Basalte der Gegend von Marburg. Neues Jah. f. Min. etc. XXXIX Beil. Bd. Festschrif
1914 p. 532.
(6) A. SCHWANTKE, I. C. p. 467.
(7) Id. 1. c. p. 565.
(8) K. APEL — Die Basalle der Reinhardswaldes u. seiner umgebung — Neues Jah. f. Min. Geol. n.
Pai. XXXVIII Beilage Bd. 2“ H. 1914 P- 532.
60
G. Potile
| Memoria XIV.]
pare non segua il criterio del Sandberger, giacché riporta un’ analisi del basalte di Bram-
burg in cui vi è il 2.23 0 0 di TÌO2, ed altra di una dolerite enstatitica di Sababurg che
ne ha 1’ 1,26%.
I dicchi di Capo Passero mostrano delle rocce con grossi fenocristalli di augite e di
olivina senza ilmenite ricchi di TiO,, come per esempio il dicco 60", e rocce con grossi
fenocristalli di plagioclase e di olivina senza tracce di ilmenite e con bassa percentuale di
TiO,, come il dicco 9".
Queste rocce sono dunque in perfetta antitesi con il criterio del Streng poiché, pre-
scindendo dal fatto che manca l’ ilmenite, la dolerite a fenocristalli di plagioclase dovrebbe
contenere TiO, quanto l’altra a fenocristalli di augite.
Per tali ragioni nella classificazione delle rocce basaltiche di Capo Passero si è con-
tinuato ad adottare l’antica nomenclatura distinguendole, a secondo la grana, in doleriti,
anamesiti e basalti propriamente detti e suddividendoli in sottotipi secondo il sistema di-
cotomo adottato dai petrografì americani.
Nella formazione vulcanica di Capo Passero non si riscontrano rocce clasmatiche
caratteristiche dei vulcani subaerei.
F. Hoffmann (1) nello affermare la presenza di tuli in questa regione dovette esser
guidato dalla prima impressione, che non poteva esser facilmente modificata senza altre
osservazioni sul terreno o senza una completa indagine microscopica. Gran parte delle
rocce di Capo Passero, specialmente quelle delle espansioni, hanno subito un profondo pro-
cesso di alterazione, che spesso richiede un attento esame in lamina sottile per riconoscervi
gli elementi minerali che le costituivano.
D’ altro canto non bisogna trascurare di tenere presente che la caratteristica dei vulcani
sottomarini è appunto quella di non potere dare eruzioni di materiali detritici coevi. P. Scro-
pe (2) sin dal 1825 fece osservare che le eruzioni vulcaniche sottomarine sono simili alle
terrestri, ma in esse i gas magmatici esalano in minore quantità per la maggiore pressione
esercitata dalle acque del mare.
Anche lo Stoppani, nella sua geologia, accenna al fatto evidentissimo che il magma
sotto la pressione dell’ acqua del mare non può polverizzarsi e formare dei detriti.
Le lave sottomarine, per effetto della pressione dell’ acqua trattengono in soluzione
una considerevole quantità di gas, che determina un grado di fluidità maggiore di quelle
subaeree ed un più facile espandimento.
II De Stefani (3) ha fatto osservare che la parte della lava in contatto con 1’ acqua
assume l’aspetto scoriaceo e bolloso, ma ciò non vuol dire che la parte immediatamente
sottostante alla crosta scoriacea non sia compatta. Di fatti alla punta di Acqua Palomba
si osserva che la parte superiore della espansione è molto bollosa e le bolle son piene di
concrezioni calcaree (Tav. IV fìg. la), mentre, pochi metri sotto, la roccia ha un aspetto
compatto, per quanto ora sia molto alterata.
Merita una speciale attenzione il fatto che in una zona cosi ristretta di terreno, attra-
versata, per così dire, palmo a palmo da dicchi, questi presentino rocce di aspetto diverso.
Nella parte tettonica si é accennato a due periodi eruttivi: il primo della effusione lavica
(1) F. HOFFMANN, I. C.
(2) P. SCROPE, l 'olcanos, p. 37.
(3) DE STEFANI, Boll. soc. geol. ital. 14 1 (1895).
La formazione vulcanica sottomarina di Capo Lasserò
61
sottomarina e l’altro della intrusione del magma attraverso questa prima espansione effusiva.
Su questa distinzione non può aversi alcun dubbio perchè una massa eruttiva che è attra-
versata da dicchi deve necessariamente esserne anteriore.
Le rocce di questi dicchi pur variando considerevolmente nella loro composizione chi-
mica e mineralogica hanno ora aspetto afanitico ora doleritico con predominanza di feno-
cristalli di plagioclase, di olivina, o di augite ed un grado di alterazione molto diverso
anche tra dicchi vicini, come se una differenziazione magmatica fosse avvenuta ad ogni
intrusione. In una serie di colate di lava di un vulcano subaereo, forse, non si riscontrano
tante variazioni nell’ aspetto quante ne presentano i dicchi di Capo Passero. La spiega-
zione di questo interessante fenomeno deve ricercarsi nelle condizioni fìsiche a cui fu sot-
toposto il magma durante la sua intrusione attraverso la prima espansione lavica sotto-
marina. La temperatura del magma al primo contatto con 1’ acqua si abbassa, ma la crosta
coibente che si forma impedisce l’ulteriore rapido raffreddamento, mentre i gas che non
possono sfuggire attraverso la massa superficiale consolidata e sotto la pressione dell’acqua
mantengono più lungamente fluido il magma cristallizzante. È così che a Capo Passero si
son formate rocce con la parte esterna bollosa o con piccoli elementi cristallini, mentre
la parte interna è compatta e con grossi fenocristalli.
La intrusione dei dicchi attraverso la prima massa effusiva consolidata essendo avve-
nuta in tempi diversi, sia appena essa si consolidò ed era ancora caldissima, sia più tardi
quando il raffreddamento fu completo, dovette subire in parte 1’ influenza esterna delle va-
riazioni di temperatura e di pressione che determinò tutti quei diversi aspetti nella roccia
dei dicchi descritti in questa memoria.
Naturalmente i basalti d’ aspetto afanitico derivano da un magma che si freddò e
consolidò più rapidamente di quello delle doleriti a grossi fenocristalli. Esempi bellissimi di
questo fenomeno si trovano nel dicco 30° e nel 56° ove la parte laterale è formata di
piccoli cristallini, mentre quella interna ha grossi fenocristalli (Tav. IV fìg. 3 e 4).
Frequenti sono i fenomeni di corrosione magmatica nei minerali costituenti le rocce
di Capo Passero. In alcune olivine ed augiti la corrosione ha agito profondamente su al-
cune facce del cristallo, mentre le altre non sono state affatto intaccate (Tav. Ili fìg. 3) ;
ciò pare sia dovuto al movimento del magma durante la cristallizzazione; Zirkel (1), a tal
riguardo giustamente sostiene che nell’ assorbimanto dei cristalli per azione del magma vi
influisca anche l’azione meccanica caso per caso, per esempio si ha l'arrotondamento
in quelle parti dell’ individuo dirette contro la corrente del magma in movimento : a questo
si aggiunga il fatto che durante lo spostamento avvengono delle screpolature nel cristallo
attraverso le quali il magma penetra, agendo facilmente anche nello interno.
Le variazioni di pressione e di temperatura come pure le differenziazioni chimiche,
durante la cristallizzazione, hanno grande influenza sulla corrosione magmatica. Dopo la
secrezione dei primi individui cristallini il magma residuale non si fredda, ma invece di-
venta più fluido, per il calore di cristallizzazione che si libera, e più acido, quindi più adatto
alla corrosione magmatica (2).
(1) F. ZIRKEL — Lehrbuch der Petrograpliic , Leipzig 1893 Bd. I p. 151-157.
(2) VOGT — Silikatschmelzen 2, p. 157.
G. Ponte
[Memoria XIV.]
Secondo il Doelter (1) una diminuizione di pressione può determinare un abbassa-
mento del punto di fusione del magma, che in tal caso acquista un potere dissolvente
tanto più grande quanto più forte ne è stata la variazione.
Questo fenomeno deve essere stato frequentissimo durante i fenomeni eruttivi di Capo
Passero, come lo dimostrano le rocce dei vari dicchi, alcune delle quali hanno forte cor-
rosione magmatica, mentre altre non ne presentano affatto.
Probabilmente queste variazioni di pressione nel magma eruttivo dovettero essere in
relazione con le speciali condizioni delle eruzioni sottomarine.
Le pieghe, rese evidenti dalla estinzione ondulata frequentissima nei plagioclasi, come
pure le rotture e gli spostamenti che si osservano nei minerali di molti dicchi di Capo
Passero dimostrano che intervennero dei movimenti nel magma durante la sua cristal-
lizzazione e specialmente quando avveniva la intrusione dei dicchi ove la parte laterale
subì i maggiori effetti meccanici, avendo la corrente trascinato ed orientato secondo il
suo movimento i cristallini già formati. Il dicco 45° mostra all’ evidenza questo fenome-
no, giacché soltanto i microliti della parte laterale del dicco hanno disposizione planofìrica.
Nelle rocce vulcaniche di Capo Passero non si riscontrano delle notevoli differenzia-
zioni magmatiche; la composizione chimica dei vari tipi di rocce è quasi uguale e se pic-
cole differenze si notano esse son dovute alla più o meno avanzata alterazione degli ele-
menti minerali che le costituiscono.
In molti dicchi si riscontrano rocce che hanno aspetto, composizione mineralogica e
chimica identica a quelle delle prime espansioni ; questa è una prova che tra la prima e
la seconda fase eruttiva non avvennero rimarchevoli differenziazioni magmatiche e che tra
le due fasi non si ebbe un lungo distacco.
In quanto alla più o meno avanzata alterazione delle rocce di Capo Passero non può
darsi una esauriente spiegazione perchè, trattandosi di una eruzione sottomarina dell’era se-
condaria, non si può stabilire esattamente il complesso dei fenomeni che hanno contribuito
a determinarla ; è certo però che il mare ricco di acidi e di sali vulcanici dovette, durante e
dopo la eruzione, avere una azione predominante sul processo di alterazione di quelle rocce.
Dallo andamento dei numerosi dicchi di Capo Passero, vicini fra di loro e quasi tutti
paralleli con direzione prelevante NE-SW, potrebbe dedursi la posizione della fenditura attra-
verso la quale proruppe il magma lavico di questa interessante formazione vulcanica, ma
si dovrebbe venire a delle ipotesi.
La formazione senoniana di Capo Passero merita ancora uno studio particolareggiato
in quanto riguarda i fossili, specialmente le acteonelle, delle quali per la prima volta se
ne fa menzione in questa memoria.
Catania Maggio 1916.
(i) C. DOELTER, Petrogenis, Braunschweig 1906, p. 114.
TAVOLA I.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA 1.
Rilievo topografico di Capo Passero nella scala di i: xoooo: Le barrette numerate indicano la posizione
la direzione dei dicchi.
AW Acc ■ Gi°enia Ser ■ 5" VoL IX Mem ■ Xìv ■ G- PONTE - La formazione vulcanica sottomarina di Capo Passero. Tav. J
TAVOLA II.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA IL
Fig. Ia — Pantano di Morghella, promontorio di Torre di Fano ed isola di Capo Passero visti da Nord, dalla
Collina di S. Lucia.
Fig. 2a — Spiaggia Pizzuta vista da sud : Banco di calcare con superficie merlata per la denudazione delle
rudiste tutte in posizione verticale.
Fig, 3a — Spiaggia Pizzuta vista da nord : Terreno vulcanico coperto dal banco di calcare senoniano.
Fig. 4a — Punta di acqua Scorsone vista da SE : Conglomerato a grossi ciottoli basaltici sul terreno vulca-
nico e banco di arenarea calcarea che lo ricopre.
Fig. 5a — Promontorio di Torre di Fano visto da Nord : Banco di calcare senoniano che ammanta la forma-
zione vulcanica.
Fig. 6rf — Spiaggia di Porto Palo con Caserma di Finanza e Tonnara ; in fondo banco di calcare senoniano
poggiante orizzontalmente ed indisturbato sul terreno vulcanico.
Fig. 7* — Dicco 510 a SE della fontana di Acqua Palombe: emerge dal mare e presenta la separazione in
prismi orizzontali.
Fig. 8a — Spiaggia Volpiglia vista da SE: Banco di arenarea calcarea.
Vii Acc. Girellici di Se, Nat. 5 Ser. Vo/./X Mnn.Xil.
G. PONTE, La formazione vulcanica «otte marina di Cc po Passero. Tav, Il
eu ->T. rA.JCLAHi LA\
TAVOLA III.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA HI.
Fig. Ia — Roccia tipo I : Dolerite sempatica del dicco 310 con fenocristalli di plagioclase, di augite, di olivina
e di magnetite. Ingr. d. 20.
Fig. 2a — Roccia tipo I : Dolerite sempatica del dicco 500 con fenoscristalli di plagioclase e di olivina; di-
sposizione planotirica. Ingr. d. 20.
Fig. 3a — Roccia tipo II : Dolerite dopatica del dicco 490 con fenocristalli di augite. di olivina e di magne-
tite : corrosione magmatica nei fenoscristalli, dei quali il centrale mostra la corrosione soltanto da
un lato. Ingr. d. 20.
Fig. 4a - Roccia tipo III : Dolerite perpatica del dicco 14° con fenoscristalli di plagioclase, di augite, di oli-
vina e di magnetite. Ingr. d. 20.
Fig. 5a — Roccia tipo IV: Anamesite percristallina del dicco io0 con rari e piccoli fenocristalli di plagio-
clase e di augite: disposizione li nof'irica dei microliti. Ingr. d. 20.
Fig. 6a — Roccia tipo V : Anamesite docristallina del dicco 21" con vari e piccoli fenocristalli di augite e di
olivina. Ingr. d. 20.
Fig. T — Roccia tipo VI : Basalte percristallino del dicco 51°. Ingr. d. 20.
Fig. 8a — Roccia tipo VII: Basalte docristallino del dicco 550 con disposizione li nofirica fluidale dei micro-
liti. Ingr. d. 20.
Atti Acc. Gioenti di Se. Nel. 5 Ser, lol.lX Meni. XIV.
G.
PONTE,
La formazione vuloanica sottomarina di Capo Passero.
Tav. Ili
■* T.
UAN -*
ELI
tavola IV.
SPIEGAZIONI': DELLA TAVOLA IV.
Fig.
Fig.
Fig.
Fig.
Fig.
Fig.
Fig.
Fig.
Fig.
Ia — Basalte dell’ espansione di Acqua Palombe con bolle riempite di concrezioni oolitiche calcaree
Grand, nat.
2a — Dolerite bucherata dall’ erosione che ha agito sulle olivine alterate. Riduzione ‘/io della gr. nat.
3a — Dolerite dell’espansione di Acqua Palombe a grossi fenocristalli di plagioclase con disposizione
planotirica. Grand, nat.
4a — Parte laterale del dicco 30° : Anamesite percristallina. Ingr. 20 d.
5a — Parte interna del dicco 30° : Dolerite sempatica. Ingr. d. 20.
6a — Rotture e spostamenti nell' augite a nikol + ‘> dicco 170 Ingr. d. 15.
7a — Plagioclase piegato con estinzione ondulata del dicco 19°. Ingr. d. 20.
8a — Dolerite del dicco 70 con olivine ad orlo oscuro e con sferoliti. Ingr. d. 20.
9‘ — Basalte docristallino micro-amigdaloide, cioè con bollicine della roccia riempite di calcite granulare:
dicco i2°. Ingr. d. 20.
iti Acc. Gioenti rii Se. /Vai. 5 Ser. Vo/.IX Meni. XIV.
Tav IV.
PONTE, La formazione
vulcanica sottomarina di Capo Passero
LAN .•>
tavola V.
SPIEGAZIONE
DELLA TAVOLA V.
Fig. I* — Dolerite dopatica con abbondanti vene di calcite e con chiazze di sostanza amorfa opaca della
espansione tipo A. Ingr. d. io.
Fig. 2'' — Fenocristalli di plagioclase rotti e spostati del dicco 60”. Ingr. d. 20.
Fig. 3a — Augite con struttura interna a clessidra. Ingr. d. 10.
Fig. 4a — Augite con struttura zonata del dicco 30°. Ingr. d. io.
Fig. 5a — Aggruppamento di fenocristalli di plagioclase, di augite, di olivina e di magnetite del dicco 31°.
Fig. 6a — Listarelle di olivina bruna con terminazioni a forchetta del dicco i°. Ingr. d. 20.
* ....
Fig. 7* — Olivina completamente serpentinizzata dell’espansione tipo B di Punta Acqua Palombe. Ingr. d. 15.
Fig. 8a — Olivina con corrosione magmatica del dicco 15°. Ingr. d. 13.
Alti Acc. Gioente di Se, Nat. 5 Ser, loUX Mem.XtV.
G. PONTE, La formazione vulcanica sottomarina di Cc-pe Passero. Tav, V.
INDICE
Memoria
A. RUSSO II prodotto della Pesca a Catania nel quinquennio 1910-1914 e su alcune quislioni biolo-
giche e pratiche che vi. si riferiscono , (con 5 grafici e 5 alligati) I
* E. Fodera — Ricerche sulla funzione di secrezione dell’ epitelio ghiandolare della vescicola di
Swammerdam di Doris verrucosa L. ed ipotesi sul significato fisiologico di detto organo
(con due Tavole) II
R. Abbia — Le trasformazioni cremoniane piane di terza classe non involutorie con curva unita . Ili
G. Cutore — Granuli intracellulari di grassi neutri e di cheratojalina dell’ epitelio di rivestimento
della lingua (con una figura) IV
V. Pola ra — Sulla determinazione dell' intensità nello' spettro prodotto dai reticoli di diffrazione e
sulla distribuzione dei massimi principali e dei massimi e minimi secondari (con una figura). V
Eu. Di Mattel — L’ episodio di Peste dell’ autunno del 1914 in Catania (con una tavola) .... VI
G. D’Abundo — Alterazioni nel. sistema nervoso centi-ale consecutive a particolari commozioni
traumatiche (con quindici figure) VII
Em. Di Mattei — Influenza dell’ essiccamento e della luce solare sulla resistenza morfologica del
gonococco Vili
G. Marletta — Delle varietà algebriche con infinite V2 IX
A. Capparelli — Sulla emolisina splenica X
S. Citelli — // mio metodo di auto-vaccinazione oncogena nella cura dei tumori maligni dell’uomo,
e i risultati in parte favorevoli da me finora avuti — 2a Nota preventiva (con presenta-
zione di malati) XI
» S. Di Franco — / minerali delle fumarole dell’eruzione etnea del 1910 (con una tavola). . . . XII
V. Balbi ed M. Di Bella — Osservazioni meteorologiche del 1915 falle nel R. Osservatorio di
Catania XIII
, G. Ponte — La formazione vulcanica sottomarina di Capo Passero (con 2 figure nel testo , e
5 tavole) XIV