GIL 1a$31a5e Cibi PatRt) 3 BHITRISTAZAE "i ii Ro ni 1 ; }; n RE HE att) i MUTATA tri VERO] fi HAtEo) VERDE $IRBSLE ì pi , ti ld UAC i) 1 TRA n è ti i. i i i 3 3 Eton tie I SS sn = x TSE ne Vol, 19 1883/8h REANO, > == SA Kad DVR De Lp” ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DISTTO RENO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI STGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XIX, Disp. 1° ( Novembre - Dicembre 1883) Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. TORINO ERMANNO LOESCHER Libraio della R. Accalemia delle Scienze i (I È Lage e ì Lg) fa) Me. DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO PUBBLICATI DAGLI AGGADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI VOLUME DECIMONONO 1883-84 Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. LIBRARY Riv LS i ::C AL TORINO ERMANNO LOESCHER Libraio della R. Accademia delle Scienze 1888 AL ie) \6\.t9 1853/%4 PROPRIETÀ LETTERARIA STAMPERIA REALE della Ditta G. B. PARAVIA e Comp. di I, ViaLiaRpI. ELENCO DEGLI ACCADEMICI RESIDENTI, NAZIONALI NON RESIDENTI, STRANIERI E CORRISPONDENTI be» al 1° Gennaio 1884 LISP AMY PRESIDENTE FaBRETTI (Ariodante), Professore di Archeologia greco-romana nella Regia Università, Direttore del Museo di Antichità, Socio cor- rispondente dell’ Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere). Socio nazionale della Reale Accademia dei Lincei, Membro corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Let- tere, dell’Accademia di Archeologia, Letteratura e Belle Arti di Napoli, della R. Accademia della Crusca, dell’Accademia Lucchese di Scienze, Lettere ed Arti, e dell'Istituto di Corri- spondenza archeologica, Professore Onorario dell’ Università di Perugia, Presidente della Società di Archeologia e Belle Arti per la Provincia di Torino, Uffiz. +, Comm. e: &, Cav. della Leg. d’O. di Francia, e C. 0. R. del Brasile. VICE - PRESIDENTE RicHELMY (Prospero), Professore emerito di Meccanica ap- plicata nella Scuola d’Applicazione per gl’ Ingegneri in Torino, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino, ecc.: Comm. + e =. TESORIERE Manvo (Barone D. Antonio), Membro e Segretario della Regia Deputazione sovra gli studi di Storia Patria, & e Comm. ®. 4 ELENCO DEGLI ACCADEMICI CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Direttore DELPONTE (Giovanni Battista), Dottore in Medicina e in Chi- rurgia, Professore Onorario di Botanica nella R. Università di Torino, Socio della R. Accademia di Agricoltura di ‘Torino, Uffiz. *, e Comm. ®. Segretario Perpetuo SoBRERO (Ascanio), Dottore in Medicina ed in Chirurgia, Professore emerito di Chimica docimastica nella Scuola d’Applica- zione per gli Ingegneri in Torino, Membro del Collegio di Scienze fisiche e matematiche della Regia Università e Presidente della Reale Accademia di Agricoltura di Torino, Corrispondente del- l'Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna, dell'Ateneo di Venezia, dell'Ateneo di Brescia, della Società di Agricoltura, Storia naturale ed Arti utili di Lione, della Società di Farmacia di Parigi, Socio onorario della Società degl’ Ingegneri ed In- dustriali di Torino, ecc., Comm. &;&, Uffiz. a. Accademici residenti SoBRERO (Ascanio), predetto. RicHELMY (Prospero), predetto. DELPONTE (Giovanni Battista), predetto. ELENCO DEGLI ACCADEMICI la) GenoccnI (Angelo), Professore di Analisi infinitesimale nella R. Università di Torino, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze . Socio nazionale della Reale Accademia dei Lincei, Comm. *, Uffiz. 2; £. Lessona (Michele), Dottore in Medicina e Chirurgia, Professore e Direttore de’ Musei di Zoologia. Anatomia e Fisiologia comparata della R. Università di Torino, Socio delle RR. Accademie di Agricoltura e di Medicina di Torino, Uffiz. #, e Comm. e. Dorna (Alessandro), Professore d'Astronomia nella R. Univer- sità e di Meccanica razionale nella R. Militare Accademia di Torino, Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Let- tere, della R. Accademia dei Lincei, Direttore del R. Osserva- torio astronomico di Torino, &*, Uffiz. . SaLvapori (Conte Tommaso), Dottore in Medicina e Chirurgia, Vice-Direttore del Museo Zoologico della R. Università di Torino, Professore di Storia naturale nel R. Liceo Cavour di Torino, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino, della Società Italiana di Scienze Naturali, dell’Accademia Gioenia di Catania, Membro corrispondente della Società Zoologica di Londra, dell’Ac- cademia delle Scienze di Nuova-York, della Società dei Natu- ralisti in Modena, della Società Reale delle Scienze di Liegi, della Reale Società delle Scienze Naturali delle Indie Neerlandesi, e della British Ornithological Union, Socio Straniero onorario del Nuttall Ornithological Club, Socio Straniero dell’American Ornithologist s Union, e Membro onorario della Società Orni- tologica di Vienna, ©. Cossa (Alfonso), Dottore in Medicina, Professore di Chimica docimastica nella R. Scuola d’Applicazione degli Ingegneri in Torino. e di Chimica minerale presso il R. Museo Industriale Italiano, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze. Corrispondente del R. Isti- tuto Lombardo di Scienze e Lettere, del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, dell’Accademia delle Scienze dell’ Isti- tuto di Bologna, dell’ Istituto d’Incoraggiamento alle Scienze 6 ELENCO DEGLI ACCADEMICI naturali di Napoli, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino e dell’Accademia Gioenia di Catania, Comm. *&, ®, e dell'O. d’I. Catt. di Sp. Bruno (Giuseppe), Dottore aggregato alla Facoltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali, e Professore di Geometria de- scrittiva nella R. Università di Torino, *. BeRRUTI (Giacinto), Direttore del R. Museo Industriale Ita- liano, e dell’Officina governativa delle Carte-Valori, Uffiz. *, e Comm. ®, dell'O. di Francesco Gius. d’Austria. della L. d’O. di Francia, e della Repubblica di S. Marino. -CuRIONI (Giovanni), Professore di Costruzioni e Vice-Direttore della R. Scuola d'Applicazione degli Ingegneri, Dottore aggregato alla Facoltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Uni- versità di Torino, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino , Socio corrispondente della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Lucca. Socio corrispondente della R. Acca- demia di Scienze. Lettere ed Arti di Palermo, *, e Comm. &. SraccI (Francesco), Maggiore nell'’Arma d’Artiglieria, Profes- sore di Meccanica Superiore nella R. Università di Torino, e di Matematiche applicate nella Scuola d’Applicazione delle Armi di Artiglieria e Genio, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze . Socio corrispondente della R. Accademia dei Lincei , del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, e dell’Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna, &, Uffiz. &. BeLLARDI (Luigi), Conservatore delle collezioni paleontologiche ‘ presso il Museo di Geologia della R. Università di Torino, Prof. di Storia naturale al Liceo Gioberti, Uffiz. &, Cav. @, e dell'O. di Cristo del Portogallo, Membro di varii Istituti scientifici, ecc. . Basso (Giuseppe), Dottore aggregato alla Facoltà di Scienze fisiche e matematiche. Prof. di Fisica matematica nella R. Uni- versità di Torino, &. i - D’Ovipio (Dott. Enrico), Professore ordinario d’Algebra e Geometria analitica, incaricato di Geométria superiore, e Rettore della ..Regia Università di Torino . Socio corrispondente della. ELENCO DEGLI ACCADEMICI n R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia delle Scienze di Napoli, del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, e Socio dell’Accademia Pontaniana, ecc., &, Comm. e. Bizzozero (Giulio), Professore e Direttore del Laboratorio di Patologia generale nella IR. Università di ‘Torino, Socio nazio- nale della R. Accad»mia dei Lincei, delle RR. Accademie di Medicina e di Agricoltura di Torino, Socio corrispondente del Regio Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, ecc., *, &. | FeRRARIS (Galileo), Ingegnere, Dottore aggregato alla Facoltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Università di Torino, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino, Profes- sore di Fisica tecnica nel R. Museo Industriale Italiano, e di Fisica nella R. Scuola di Guerra, &. NaccaRI (Andrea), Dottore in Matematica, Socio corrispondente dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Professore di Fisica sperimentale nella R. Università di Torino, a. Mosso (Angelo). Dottore in Medicina e Chirurgia, Professore di Fisiologia nella R. Università di Torino, Socio nazionale della R. Accademia de’ Lincei, della R. Accademia di Medicina di Torino, e Socio Corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, 4, &. Accademici Nazionali non residenti S.E. MEnABREA (Conte Luigi Federigo), Marchese di Val Dora, Senatore del Regno, Professore emerito di Costruzioni nella Regia Università di Torino, Dottore in Leggi nelle Regie Università di Oxford e di Cambridge, Luogotenente Generale, Ambasciatore di S.M. a Parigi, Primo Aiutante di campo Generale Onorario di S. M., Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio nazionale della Reale Accademia dei Lincei, Membro Onorario del Regio Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, ecc. ; C. 0. S. SS. N., Gr. Cord. e Cons. *, Cav. e Cons. &, Gr. Ur. ®, ®, dec. della Med. d’oro ‘al Valor Mi-° 8 ELENCO DEGLI ACCADEMICI litare e della Medaglia d’oro Mauriziana, Gr. Cr. dell'O. Supr. del Serafino di Svezia, dell'O. di Sant'Alessandro Newski di Russia, di Dannebrog di Danim.. Gr. Cr. dell'O. di Torre e Spada di Portogallo, dell'O. del Leone Neerlandese, di Leop. del Belg. (Categ. Militare), della Probità di Sassonia, della Corona di Wurtemberg, e di Carlo III di Sp., Gr. Cr. dell'O. di S. Stefano d'Ungheria, dell'O. di Leopoldo d’Austria, di quelli della Fedeltà e del Leone di Zòhringen di Baden, Gr. Cr. dell’Ord. del Salvatore di Grecia, G. Cr. dell'Ordine di S. Marino, Gr. Cr. degli Ordini del Nisham Ahkid e del Nisham JIftigar di Tunisi, Comm. dell’ Ordine della Leg. d’On. di Francia. di Cristo di Portogallo, del Merito di Sassonia, ecc., ecc. SELLA (Quintino), Membro del Cons. delle Miniere. Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Corrispondente dell’Istituto di Francia (Accademia delle Scienze, Sezione di Mineralogia), Pre- sidente della R. Accademia dei Lincei, Gr. Cord. *+ e @, Cav. e Cons. &=, Gr. Cord. degli 0. di S. Anna di R., di Leop. dik, dell'Aquila Rossa di Prussia, di Carlo HI di Spagna, della Concez. di Port., del Mejidié di Turchia, e di S. Marino, ecc. ccc. BrioscHI (Francesco). Senatore del Regno, Prof. d’ Idraulica, e Direttore del R. Istituto tecnico superiore di Milano, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Corrispondente dell’ Istituto di Francia (Accademia delle Scienze, Sezione di Geometria), e delle Reali Accademie delle Scienze di Berlino, di Gottinga, ecc., Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, delle Società matematiche di Londra e di Parigi, del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, della Reale Accademia delle Scienze di Napoli, del- l'Accademia delle Scienze di Bologna, ecc.. Gr. Uffiz. &, ©; &, Comm. dell'O. di Cr. di Port. Govi (Gilberto), Professore di Fisica sperimentale nella R. Uni- versità di Napoli, Membro del Comitato internazionale dei Pesi e delle Misure, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia delle Scienze e dell'Accademia Pontaniana di Napoli, della R. Ac- ELENCO DEGLI ACCADEMICI 9 cademia d’Agricoltura di Torino. Uffiz. &: . Comm. ®, e della L. d'O. di Francia. MoLescHoTT (Jacopo), Senatore del Regno, Professore di Fisio- logia nella R. Università di Roma, Professore Onorario della Fa- coltà Medico-Chirurgica della R. Università di ‘T'orino, Socio della R. Accademia di Medicina di Torino. Socio corrispondente delle Società per le Scienze mediche e naturali a Hoorn, Utrecht, Am- sterdam, Batavia, Magonza, Lipsia, Cherbourg, degli Istituti di Milano, Modena. Venezia, Bologna. delle Accademie Medico- Chirurgiche in Ferrara e Perugia, Socio Onorario della Med: corum Societas Bohemicorum a Praga. della Societe medicale allemande a Parigi, della Società dei naturalisti in Modena, dell’Accademia Fisio-medico-statistica di Milano, della Patho- logical Society di S. Louis, della Sociedad antropolojica Espafiola a Madrid, Socio dell’Accademia Veterinaria Italiana, del Comi- tato Medico-Veterinario Toscano, della Societe Royale des Sciences Medicales et Naturelles de Bruxelles, Socio Straniero della So- cietà Olandese delle Scienze a Harlem. Socio fondatore della Società Italiana d’Antropologia e di Etnologia in Firenze, Membro ordinario dell’Accademia Medica di Roma, Comm. £* e «. Cannizzaro (Stanislao), Senatore del Regno, Professore di Chimica generale nella R. Università di Roma, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze. Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, Comm. &, Uffiz. ®:£. Berti (Enrico), Professore di Fisica matematica nella R. Uni versità di Pisa. Direttore della Scuola normale superiore, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, Comm. &, Gr. Uftiz. & ; &. ScaccHI (Arcangelo), Senatore del Regno, Professore di Mine- ralogia nella R. Università di Napoli, Presidente della Società Ita- liana delle Scienze detta dei XL. Presidente del Reale Istituto di Incoraggiamento alle Scienze naturali di Napoli, Segretario della R. Accademia delle Scienze Fisiche e Matematiche di Napoli, Socio = nazionale della R. Accademia dei Lincei, Comm. +, Gr. Uffiz. ®; £. 10 ELENCO DEGLI ACCADEMICI BarLapa pi S. RoBERT (Conte Paolo). Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze. Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei. SCHIAPARELLI (Giovanni), Direttore del R. Osservatorio astrono- mico di Milano, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze.. Socio del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, della R. Ac- cademia dei Lincei, dell’Accademia Reale di Napoli e dell'Istituto di Bologna, Socio corrispondente dell'Istituto di Francia (Accademia delle Scienze, Sezione di Astronomia), delle Accademie di Monaco, di Vienna, di Berlino, di Pietroborgo. di Stockolma, di Upsala, della Società de’ Naturalisti di Mosca, e della Società astrono- mica di Londra. Comm. &;@, &, Comm. dell'O. di S. Stanislao di Russia. Accademici Stranieri Dumas (Giovanni Battista), Segretario Perpetuo dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto di Francia. Gr. Cr. della L. d’ 0. di Francia. HeLmHoLrz (Ermanno Luigi Ferdinando), Professore nella Uni- versità di Berlino, Socio corrispondente dell'Istituto di Francia (Accademia delle Scienze, Sezione di Fisica generale). Dana (Giacomo), Professore di Storia naturale a New Haven, Socio corrispondente dell'Istituto di Francia. Hormanx (Guglielmo Augusto), Prof. di Chimica, Membro della R. Accademia delle Scienze di Berlino. della Società Reale di Londra. Corrispondente dell’ Istituto di Francia (Accademia delle Scienze, Sezione di Chimica). CHevREUL (Michele Eugenio), Membro dell’Istituto di Francia. Gr. Cr. della L. d’O. di Francia, ecc. Hermre (Carlo). Membro dell'Istituto di Francia, Uffiz. della L. d°0. di Francia, ecc. | CERANO Jove (James) PrEscort, della Società Reale di Londra: FLENCO DEGLI ACCADEMICI 11 WerIERsTRAss (Carlo). Professore di Matematica nell'Università di Berlino. THomson (Guglielmo), dell’ Istituto di Francia. Professore di Filosofia naturale nell’ Università di Glasgow. GeGeNBAUR (Carlo), della R. Accademia Bavarese delle Scienze, Professore di Anatomia nell’ Università di Heidelberg. CORRISPONDENTI SEZIONE DI MATEMATICA PURA E ASTRONOMIA PLANTAMOUR (Emilio). Professore d' Astronomia Genevra De Gasparis (Annibale), Professore d’Astro- nomia.nellac;R. Università di . ©. sue! A «Napoli TarpyY (Placido). Professore emerito della Regia e a aaa BoxcompaanI (D. Baldassarre), dei Principi di Bimbo 0 af iprerenaPia mo. soirentloct. Roba CrEeMONA (Luigi). Professore di Matematiche superiori.nella R. Università di . . .. . if. in ZFoma Cantor (Maurizio), Professore di Matematica cigUniversità "digcisi ogg) svago) Agted) ceHeddelberg ScHwarz (Ermanno A.). Professore di Mate- maticaerelbeWniversità di); Voncesantga Lil i Gothinga KLEIN (Felice). Professore di Matematica nel- elbiyersttas i get Cineto) [inniaeoro. ab ZLabsia FERGOLA (Emanuele), Professore di Analisi su- perore nella R. Università di. |. 0... 0. Napoh 12 ELENCO DEGLI ACCADEMICI BeLrtRAMI (Eugenio), Professore di Fisica ma- tematica e di Meccanica superiore nella R. Uni- rasi siva ih alteri (cade ea Casorati (Felice), Professore di Calcolo infinite- simale e di Analisi superiore nella R. Università di Pavia Dini (Ulisse), Professore di Analisi superiore nella R. Università di 0. 0g ee; SEZIONE DI MATEMATICA APPLICATA E SCIENZA DELL'INGEGNERE CIVILE E MILITARE CoLLapon (Daniele), Professore di Meccanica . Ginevra LiacRE (J. B.), Segretario Perpetuo della R. Ac- cademia delle Scienze del Belgio: alla Scuola mili- tare, dà la Cambre . . . 0.0...) Irelles (Bruxelles) Turazza (Domenico). Professore di Meccanica razionale nella R. Università di... . Padova Narpucci (Enrico). Bibliotecario della Biblioteca Alessandrina0di-. lo 0.0 0 0 è CA Pisati (Giuseppe), Professore di Fisica tecnica nella Scuola d’Applicazione per gl'Ingegneri in . . Koma Sana (Edoardo), Socio e Segretario della Società di ‘Scienze--ed Arti di 00. | SESIA onora CLausIus (Rodolfo), Professore nell’Iniversità di Bonn CastIGLIANO (Alberto), Ingegnere, "Capo Sezione presso la Società delle Strade Ferrate A. I. . Milano ELENCO DEGLI ACCADEMICI SEZIONE 18 DI FISICA GENERALE E SPERIMENTALE WEBER (Guglielmo), della Società Reale delle Scienze di urta ia: FECHNER (Gustavo Teodoro) BLASERNA (Pietro), Professore di Fisica speri- mentale nella R. Università di . Z'od1) KoHLRAUScH (Federico), Professore nell’ Uni- versità di Netta i JAMIN (Giulio Oelsaditio) dell'Istituto di Francia Cornu (Maria Alfredo), dell’ Istituto di Francia FELICI (Riccardo), Professore di Fisica speri- mentale nella R. Università di . Rossetti (Francesco), Professore di Fisica spe- rimentale nella R. Università di ViILLARI (Emilio), versità di eli: RoIri (Antonio), studi superiori pratici e di perfezionamento di Professore nella R. Uni- Professore nell’ Istituto di SEZIONE Gottinga Lipsia Roma Wiirtzburg Parigi Parigi Pisa Padova Bologna Firenze DI CHIMICA GENERALE ED APPLICATA BONJEAN (Giuseppe) PLANTAMOUR (Filippo), Professore di Chimica WiLL (Enrico), Professore di Chimica . Buxnsen (Roberto Guglielmo), Professore di Chimica . MARIGNAC (Giovanni Carlo). Professore di Chimica Chambery Ginevra (Griessen Heidelberg Ginevra 14 ELENCO DEGLI ACCADEMICI PeLicot (Eugenio Melchiorre). dell’ Istituto di een e era a ee E i e Wurz (Adolfo). dell'Istituto di Francia . BeRrTHELOT (Marcellino). dell'Istituto di Francia Parernò (Emanuele). Professore di Chimica nella R. Università di Me Ké6RNER (Guglielmo). Professore di Chimica or- ganica nella R. Scuola superiore d’Agricoltura in FriepEL (Carlo), dell'Istituto di Francia FreseNIvs (Carlo Remigio), Professore. a SEZIONE Parigi Parigi Parigi Palermo Milano Parigi Wiesbaden DI MINERALOGIA, GEOLOGIA E PALEONTOLOGIA MeneGHINI (Giuseppe). Professore di Geo- logia, ecc. nella R. Università di SruDER (Bernardo), Professore di Geologia . KonIink (Lorenzo Guglielmo Di) : DE Zigno (Achille), Uno dei XL della Società italiana ‘delle ‘Scienze uni ae FavRE (Alfonso), Professore di Geologia KoxscHarow (Nicola D1), dell’Accademia Impe- riale delle Scienze di suini Ramsay (Andrea), della Società Reale di . Srriver (Giovanni), Professore di Mineralogia nella R. Università di LCD. LISA RosenBuscH (Enrico). Professore di Petrografia nell'Università di di Tec 1g ARSRPINIO NoRpENSKI6LD (Adolfo Enrico). della R. Acca- demia delle Scienze di CICOSRANE 00 DauBREE (Gabriele Augusto), dell’Istituto di Francia, Direttore della Scuola Nazionale delle Mi- niere a Pisa Berna Liegi Padova Ginevra Pietroborgo Londra Roma Strasborgo Stoccolma Parigi ELENCO DEGLI ACCADEMICI ZIRKEL (Ferdinando), Professore di Petrografia a Des CLorzeaUXx (Alfredo Luigi Oliviero LEGRAND), dell'Istituto di Francia SR pregi CAPELLINI (Giovanni), Professore nella R. Uni- versità di Sint (ACI gt NS IE SropPANI (Antonio), Professore nell’ Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento in SEZIONE 15 Lipsia Parigi Bologna Firenze DI BOTANICA E FISIOLOGIA VEGETALE TREVISAN DE SAINT-LFEon (Conte Vittore), Cor- rispondente del R. Istituto Lombardo . i CanpoLLe (Alfonso DE), Professore di Botanica. Boissier (Pietro Ed.), Botanico, della Società di Fisica e di Storia naturale di GENNARI (Patrizio), Professore di Botanica nella R. Università di > IURIS | Hun: TuLasne (Luigi Renato), dell'Istituto di Francia CARUEL (Teodoro), Professore di Botanica nel- l’Istituto di studi superiori pratici e di perfezio- namento in . A e GIBELLI! (Giuseppe), Professore di Botanica nella R. Università di 7 Ure ARDISSONE (Francesco), Professore di Botanica nella R. Scuola Superiore d’Agricoltura in . SEZIONE Milano Ginevra (Ginevra Cagliari Parigi Firenze . . Torino Milano DI ZOOLOGIA, ANATOMIA E FISIOLOGIA COMPARATA FRANCESCHI (Giovanni), Professore nella Regia Università di, Bologna 16 ELENCO DEGLI ACCADEMICI RiPpeL (Edoardo), Segretario della Società Senckenbergiana di Scienze naturali in DE SELYs LonGcHAMmPs (Edmondo) BuRMEISTER (Ermanno), Direttore del Museo pubblico di PORZIO TE PHÒÙitippi (Rodolfo Armando) È ScHLEGEL (Ermanno), Direttore del Museo di DE CiGaLLa (Conte Giuseppe), Protomedico onorario, nell’isola di _ TAI Owen (Riccardo), Direttore delle Collezioni di Storia naturale al British Museum 1. KoELLIKER (Alberto), Professore di Anatomia e_ Fisiologia 34 .0ttn 1. ROL De-SieBoLD (Carlo l'eodoro), Professore di Zoologia e Anatomia comparata nell’ Università Mine Epwarps (Henri), dell’ Istituto di Francia 1 ISLPRTORE, 0 9A) GoLci (Camillo), Professore di Istolo- gia, ecc. nella R. Università di HAEcKEL (Ernesto), Professore nell’ Uni- versità di . . Francoforte s/M. . Liegi . Buenos Aires Santiago (Chili) Leida . Santorino . Londra Wiirtzburg . Monaco (Baviera) . Parigi . Pavia . Foemu ELENCO DEGLI ACCADEMICI 17 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Direttore PevRon (Bernardino), Professore di Lettere, Bibliotecario Onorario della Biblioteca Nazionale di Torino, Comm. «. Segretario Perpetuo GoRRESIO (Gaspare), Senatore del Regno, Prefetto della Biblio- teca Nazionale, già Professore di Letteratura orientale nella R. Università di Torino, Membro dell’Istituto di Francia, Socio nazionale della R. Accademia de’Lincei, Socio corrispondente della Reale Accademia della Crusca, e della R. Accademia di Scienze e Lettere di Palermo, ecc., Membro Onorario della Reale Società Asiatica di Londra, Vice-Presidente della Società di Archeologia e Belle Arti per la Provincia di Torino, Comm. :, Gr. Uffiz. ®; &, dell'O. di Guadal. del Mess., e dell’O. della Rosa del Brasile, Uffiz. della L. d’O. di Francia, ecc. Accademici residenti GoRRESIO (Gaspare), predetto. FABRETTI (Ariodante), predetto. PeyRoN (Bernardino), predetto. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol, XIX. 2 18 ELENCO DEGLI ACCADEMICI VALLAURI (Tommaso), Senatore del Regno, Professore di Letteratura latina nella R. Università, Membro del Consiglio Superiore dell’ Istruzione pubblica, Membro della R. Deputa- zione sovra gli studi di Storia patria, Socio corrispondente della R. Accademia della Crusca, del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere. ed. Arti, e dell’Accademia Romana di. Archeologia , Comm. $&, Cav. dell'Ordine di S. Gregorio Magno. FLECHIA (Giovanni), Professore di Storia comparata delle lingue classiche e neolatine e di Sanscrito nella R. Università di Torino, Socio nazionale della R. Accademia de’ Lincei, Uffiz. &, Comm.@;£. CLARETTA (Barone Gaudenzio), Dottore in Leggi, Socio e Segre- tario della R. Deputazione sovra gli studi di Storia Patria, Membro della Società di Archeologia e Belle Arti e della Giunta conserva- trice dei monumenti d’Antichità e Belle Arti per la. Provincia di Torino, Comm. & e «. BiancHI (Nicomede), Senatore del Regno, Soprantendente degli Archivi Piemontesi, Membro della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria delle antiche Provincie e della Lombardia, Membro corrispondente delle Deputazioni di Storia patria delle Provincie Modenesi, delle Provincie della Toscana, dell’ Umbria e delle Marche, Membro Onorario della Società storica Svizzera, della R. Accademia Palermitana di Scienze e Lettere, della Società Ligure di Storia patria, della R. Accademia Petrarca di Scienze. Lettere ed Arti in Arezzo. dell’Accademia Urbinate di Scienze. Lettere ed Arti, del R. Ateneo di Bergamo, e della Regia Acca- demia Paloritana di Messina, Gr. Uffiz. &. Comm. &. e Gr. Uffiz. dell’O. di S. Mar. PRromIs (Vincenzo), Dottore in Leggi, Bibliotecario e Conserva- tore del Medagliere di S. M., Membro della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Membro e Segretario della Società d'Ar- cheologia e Belle Arti per la Provincia di Torino, Ispettore degli scavi e monumenti d’antichità in Torino, *, Uffiz. @, Gr. Uffiz. dell'O. di Francesco Giuseppe d’Austria, Comm. dell'O. di S. Mi- chele di Baviera e della Corona di Rumenia. eiote — ELENCO DEGLI ACCADEMICI 19 Rossi (Francesco), Adiutore al Museo d’Antichità, Professore d’Egittologia nella R. Università di Torino, Membro ordinario dell’Accademia orientale di Firenze, @. Manno (Barone D. Antonio), predetto. BoLLaTtI DI SAINT-PIERRE (Barone Federigo Emanuele), Dot- tore in Leggi, Direttore dell’Archivio di Stato, detto. Camerale, Consigliere d’Amministrazione nel R. Economato generale delle antiche Provincie, Membro della R. Deputazione sopra gli studi di Storia patria per le antiche Provincie e la Lombardia, Socio corrispondente della Società Ligure di Storia Patria, della Società Colombaria Fiorentina, della. R. Deputazione di Storia patria per le Provincie della Romagna, e della Società per la Storia di Sicilia, Uffiz. 4, @. SCHIAPARELLI (Luigi), Dottore aggregato, Professore di Storia antica, e Direttore della Scuola di Magistero della Facoltà di Lettere e Filosofia nella R. Università di Torino, #, Comm. «. Pezzi (Domenico), Dottore aggregato e Professore straordi- nario. nella Facoltà di Lettere e Filosofia della R. Università di Torino, ®. FERRERO (Ermanno), Dottore in Giurisprudenza, Dottore ag- gregato alla Facoltà di Lettere e Filosofia nella R. Università di Torino, Professore di Storia militare nell'Accademia Militare. Membro della Regia Deputazione sovra gli studi di Storia patria per le antiche Provincie e la Lombardia, e della Società d’Ar- cheologia e Belle Arti per la Provincia di Torino, Membro cor- rispondente della R. Deputazione di Storia patria per le Provincie di Romagna, e dell’Imp. Instituto Archeologico Germanico, . CaRLE (Giuseppe), Dottore aggregato alla Facoltà di Leggi, Professore della Filosofia del Diritto nella R. Università di Torino. Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, Comm. &. NanI (Cesare), Dottore aggregato alla Facoltà di Giurispru- denza, Professore di Storia del Diritto nella R. Università di Torino, Membro della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria, ®. 20 ELENCO DEGLI ACCADEMICI Accademici Nazionali non residenti. CARUTTI DI CANTOGNO (Barone Domenico), Consigliere di Stato, Membro della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Socio e Segretario della R. Accademia dei Lincei, Socio Straniero della R. Accademia delle Scienze Neerlandese, Socio corrispondente della R. Accademia delle Scienze di Monaco in Baviera, della R. Ac- cademia Lucchese, della Pontaniana di Napoli, Socio onorario dell'Ateneo di Scienze, Lettere ed Arti di Bergamo, ecc., Membro del Consiglio degli Archivi, Gr. Uffiz. *, Comm. &, Cav. e Cons. £. Gr. Cord. dell'O. del Leone Neerlandese e dell'O. d’Is. la Catt. di Sp. e di S. Mar., Gr. Uffiz. dell'O. di Leop. del B., dell’O. del Sole e del Leone di Persia, e del Mejidié di 2% el. di Turchia, tr. Comm. dell’ Ord. del Salv. di Gr., ecc. AMARI (Michele), Senatore del Regno, Professore emerito del- | Università di Palermo e del R. Istituto di studi superiori di Fi- renze; Dottore in Filosofia e Lettere delle Università di Leida e di Tubinga; Socio nazionale della Reale Accademia dei Linceiin Roma, delle RR. Accademie delle Scienze in Monaco di Baviera e in Co- penhagen; Socio Straniero dell'Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), Socio corrispondente dell’ Accademia delle Scienze in Palermo. della Crusca, dell’ Istituto Veneto, della Società Colombaria in Firenze, della R. Accademia d’Archeologia in Napoli, delle Accademie di Scienze, Lettere ed Arti in Lucca e in Modena, della R. Deputazione di Storia patria per le Provincie Parmensi, di quella per le Provincie Toscane, dell'Umbria e delle Marche, delle Accademie Imperiali di Pietroborgo e di Vienna e dell’Ateneo Veneto: Socio Onorario della R. Società Asiatica di Londra, della Società orientale di Germania, della Società geografica italiana, delle Accademie di Padova e di Gottinga : Presidente Onorario della Società Siciliana di Storia patria e Socio Onorario della Ligure, della Veneta e della Società storica di Utrecht: Gr. Uffiz. *, e Gr. Croce @, Cav. e Cons. $h. ELENCO DEGLI ACCADEMICI 21 Reymonp (Gian Giacomo). già Professore di Economia politica nella R. Università di Torino, +. Ricci (Marchese Matteo). Socio Residente della Reale Acca- demia della Crusca, Uffiz. *. MiIxERVvINI (Giulio), Bibliotecario e Professore Onorario della Regia Università di Napoli, Segretario generale Perpetuo dell’Ac- cademia Pontaniana. Socio Ordinario della Società R. di Napoli, Socio nazionale della KR. Accademia dei Lincei, Corrispondente dell'Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), della R. Accademia delle Scienze di Berlino, ecc. ., Uffiz. #, e Comm. &, Cav. della L. d'O. di Francia, dell'Aquila Rossa di Prussia, di S. Michele del Merito di Baviera. ecc. De Rossi (Comm. Giovanni Battista). Socio Straniero del- l’Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere) . e della R. Accademia delle Scienze di Berlino e di altre Accademie. Presidente della Pontificia Accademia Romana d'Archeologia. Canonico (Tancredi), Senatore del Regno, Professore, Con- sigliere della Corte di Cassazione di Roma e del Consiglio del Contenzioso diplomatico, Uffiz. $, e Comm. e. Cantù (Cesare), Membro effettivo del R. Istituto Lombardo, Direttore dell'Archivio di Stato di Milano, e Soprantendente degli Archivi Lombardi, Socio delle Accademie della Crusca. dei Lincei, di Madrid, di Bruxelles, cce.: Corrispondente dell'Istituto di Fran- cia e d’altri, Gr. Uffiz. & e Comm. &, Cav. e Cons. #, Comm. dell'O. di C. di Port., Gr. Uffiz. dell’O. della Guadalupa, ecc., Officiale della Pubblica Istruzione e della L. d’O. di Francia, ecc. Tosri (D. Luigi), Abate Benedittino Cassinese, Socio Ordinario della Società Reale delle Scienze di Napoli. Berti (Domenico), Ministro d’Agricoltura, Industria e Com- mercio, Deputato al Parlamento nazionale, Professore emerito delle R. Università di Roma e di Bologna, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, Socio corrispondente della R. Accademia della Crusca e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Gr. Uffiz. *&, Gr. Cord. @; &. 22 ELENCO DEGLI ACCADEMICI Accademici Stranieri MomwmsEN (Teodoro), Professore di Archeologia nella Regia Università e Membro della R. Accademia delle Scienze di Berlino , Socio corrispondente dell'Istituto di Francia (Accademia delle Iscri- zioni e Belle Lettere). MiLLER (Massimiliano), Professore di Letteratura straniera nell’ Università di Oxford. Socio Straniero dell'Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere). Miener (Francesco Augusto Alessio), Membro dell’ Istituto di Francia (Accademia Francese) e Segretario Perpetuo dell’Acca- demia delle Scienze morali e politiche, Gr. Uffiz. della L. d’O. di Francia. RENIER (Leone), Membro dell'Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere). Uffiz. della L. d'O. di Francia. EaceR (Emilio), Professore alla Facoltà di Lettere di Parigi. Membro dell'Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), Uffiz. della L. d'O. di Francia. BancRorT (Giorgio), Corrispondente dell'Istituto di Francia (Accademia delle Scienze morali e politiche). DE WITTE (Barone Giovanni Giuseppe Antonio Maria), Membro dell'Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere). GREGOROVIUS (Ferdinando), Membro della R. Accademia Ba- varese delle Scienze in Monaco. RanKE (Leopoldo), Membro della R. Accademia delle Scienze di Berlino, e Membro Straniero dell'Istituto di Francia (Acca- demia delle Scienze morali e politiche). MeyER (Paolo), Professore delle lingue e letterature del- l'Europa meridionale nel Collegio di Francia, Direttore dell’ Ecole des Chartes, Cav. della L. d’'O. di Francia. ELENCO DEGLI ACCADEMICI 29 CORRISPONDENTI I. — SCIENZE FILOSOFICHE. JourpaiN (Carlo) dell’ Istituto di Francia. . Parigi Renpu (Eugenio) . RESI REEF IBRA MPS 27-77) MAMIANI (Terenzio). Senatore del Regno . . Roma BonaTELLI (Francesco), Professore di Filosofia teoretica nella R. Università di. . . . . Padova FeRRI (Luigi), Professore di filosofia teoretica lei Uri versi di e inn nor VOM II. — SCIENZE GIURIDICHE E SOCIALI. LamPERTICO (Fedele), Senatore del Regno . Aoma SERAFINI (Filippo), Professore di Diritto romano Nella .B- Università, di LL... o“. . . . o... .- (elisa SerpA PiMENTEL (Antonio DI). . . . . Madrid Roprieuez DE BerLanGa (Manuel) . . . Madera III. — SCIENZE STORICHE. MieBrb:(Francosco) ©. d. c.d. «bi ii Dordeaue Reumont (Alfredo D1), Corrispondente dell’Isti- | Borrelte tuto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti. . . . \presso Acquisgrana Krone (Giulio) ele 3A Vienna SANGUINETTI (Abate Angelo), della R. Depu- tazione sovra gli studi di Storia patria . . . Genova CHAMPOLLION-FiGEAC (Amato) . . . . . Parigi ADRIANI (P. Giambattista), della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria . . . . . Cherasco ELENCO DEGLI ACCADEMICI . _— DacueT (Alessandro) . PeRRENS (Francesco) . ‘lia Oporici (Federico). Prefetto della Biblioteca nazionale di Campori (Marchese da Presidente della R. Accademia di Scienze, Lettere, Arti in HAULLEVILLE (Prospero DE). ViLLari (Pasquale). Professore nell’ Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento in GreseBRECHT (Guglielmo), dell’Accademia Ba- varese delle Scienze in AU1 I IVERIARE DE Leva (Giuseppe). Professore di Storia mo- derna nella R. Università di SrBEL (Enrico Carlo Ludolfo Di). dell'Archivio di Stato in GacHaRD (Luigi Prospero). Direttore Socio della R. Ac- cademia delle Scienze del Belgio È WaLLon (Alessandro), Segretario perpetuo da l’Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere) TAINE (Ippolito). dell Istituto di Francia RianT (Conte Paolo). dell’ Istituto di Francia IV. — ARCHEOLOGIA. Hexzex (Guglielmo) Boissiev (Alfonso DE) WiIESELER (Federico) . Lepsivs (Riccardo). della R. Scienze di Accademia delle PaLma pi CeEsnoLa (Conte Luigi) GozzapINI (Giovanni). Senatore del Regno RawLINnsoN (Giorgio). Professore nella Univer- sità di Neuchatel (Svizzera) Parigi Milano Modena Brusselle Firenze Monaco Padova Berlino Brusselle Parigi Parigi Parigi Roma Lione (Gottinga Berlino New- York Bologna Oxford ELENCO DEGLI ACCADEMICI GaRrRUCCI (P. Raffaele), della C. d. G. . FIoRELLI (Giuseppe). Senatore del Regno CurrIus (Ernesto), Professore nell'Università di BrrcH (Samuele), Conservatore delle Antichità orientali, ecc., e delle Collezioni etnografiche del Museo Britannico in V. — GEOGRAFIA. NeGRI (Barone Cristoforo), Console generale di I° Classe, Consultore legale del Ministero per gli affari esteri . i RAVE KiePeR! (Enrico), Professore nell'Università di PIGORINI (Luigi), Professore di Paleoetnologia nella Regia Università di bo I Roma Roma Berlino Londra Torino Lipsia Roma VI. — LINGUISTICA E FILOLOGIA ORIENTALE. KREHL (Ludolfo) ata teto RENAN (Ernesto), dell’ Istituto di Francia SourInpRO MoHun TAGORE AA Ascoli (Isaia Graziadio), Professore nella R. Ac- cademia scientifico-letteraria di . i WEBER (Alberto), Professore nell'Università di WirHNEY (Guglielmo). Prof. nel Collegio Yale. KERBAKER (Michele), Professore di Storia com- parata delle lingue classiche e neo-latine nella R. Università di Dresda Parigi Calcutta Milano Berlino New Haven Napoli VII. — FILOLOGIA, STORIA LETTERARIA E BIBLIOGRAFIA. FrancEscHI-FERRUCCI (Catterina). Corrispon- dente della R. Accademia della Crusca SiLoraTA (Pietro Bernabò), Prof.., Comm. Pisa Roma 26 ELENCO DEGLI ACCADEMICI GiuLiani (P. Giambattista), Professore nel R. Istituto di studi superiori pratici e di perfeziona- mento in ie ae ta rata e ReGNIER (Adolfo), dell’Istituto di Francia Linati (Conte Filippo) gllafca: ComPARETTI (Domenico), Professore nell’Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento in . Curtius (Giorgio), Professore di Filologia greca nell’ Università di . Firenze Parigi Parma Firenze Lipsia ELENCO DEGLI ACCADEMICI VATI MUTAZIONI avvenute nel Corpo Accademico dal 1° Gennaio 1883 al 1° Gennaio 1884. ELEZIONI Manno (Barone D. Antonio), eletto Tesoriere il 18 Feb- braio e approvato con Decreto Reale dell’8 Marzo 1883. FABRETTI (Ariodante), eletto Presidente dell’Accademia il 6, e approvato con Decreto Reale del 20 Maggio 1883. PeyRon (Bernardino), eletto Direttore della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche il 17 Giugno. ed approvato con Decreto Reale del 27 Agosto 1883. SOCI. MEYER (Paolo), eletto il 4, Socio Straniero della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche, e approvato con Decreto Reale del 15 Febbraio 1883. KirPERT (Enrico), eletto il 17 Giugno 1883 a Corrispon- dente della Classe di Scienze morali. storiche e filologiche. PicorINI (Luigi), id. id. id. SERPA PimenTEL (Antonio Di), id. id. id. RODRIGUEZ DE BERLANGA (Manuel), id. id. id. FeRRI (Luigi), id. id. id. KERBAKER (Michele) . id. id. id. 28 ELENCO DEGLI ACCADEMICI MORTI. 15 Gennaio 1883. Srannius (Armando Federico), Corrispondente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. 13 Febbraio 1883. Cesari (Barone Vincenzo), Professore di Botanica e Direttore dell’ Orto Botanico della R. Università di Napoli, Corrispon- dente della Classe di Scienze fisiche. matematiche e naturali. 24 Febbraio 1883. Ricorti (Ercole), Senatore del Regno, Presidente della R. Ac- cademia delle Scienze di Torino, e della Regia Deputazione sovra gli studi di Storia patria. ecc. 6 Marzo 1883. Winte (Carlo), Professore nell’ Università di Halle, Corri- spondente della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. 25 Maggio 1883. LapouLayE (Edoardo), dell’ Istituto di Francia, Corrispon- dente della Classe di Scienze morali. storiche e filologiche. 9 Giugno 1883. VanNUCCI (Atto), Senatore del Regno, Corrispondente della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. LI =) ELENCO DEGLI ACCADEMICI. 26 Giugno 1883. SABINE (Edoardo), della Società Reale di Londra, Corr:- spondente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. 6 Novembre 1883. Bruzza (P. Luigi), Barnabita, Corrispondente della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. 15 Novembre 1883. ERcoLANI (G. B.), Segretario della R. Accademia delle Scienze di Bologna, Corrispondente della Classe di Scienze fisiche, ma- tematiche e naturali. 20 Novembre 1883. Barco (G. B.), Preside del R. Liceo G. B. Beccaria in Mondovi, Socio nazionale residente della Classe di Scienze mo- rali, storiche e filologiche. 1883. PoLi (Baldassarre), Socio del Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Corrispondente della Classe di Scienze morali . storiche e filologiche. ha Luna i k # + id e dbtià 31 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Novembre- Dicembra 1888. MULO, . Le 3 ì fi È CMABTDA I BUDITAINO IA a sid agapla - and 48281 MI; i ; l "Te : CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 18 Novembre 1883, PRESIDENZA DEL SIG. COMM. PROF. ARIODANTE FABRETTI Il Socio Cav. Prof. Giulio BizzozeRo presenta e legge il se- guente lavoro del signor Dott. Edoardo BonaRDI, Assistente al Laboratorio di Anatomia e Fisiologia comparata della R. Uni- versità di Pavia: CONTIUBUZIONE ALL'ISTOLOGIA DEL SISTEMA DIGERENTE Db idol A E MAE 4; Gli individui da me adoperati per lo studio presente appar- tenevano alla varietà grandis, Moq. Tand. della specie Helix pomatia, Linn. Per il conveniente induramento delle varie porzioni del sistema digerente ricorsi a diversi metodi, cioè al trattamento successivo con alcool e gomma, con acido picrico e gomma arabica, e soprattutto alle miscele proposte dal Latteux e dal Langerhans. La soluzione del Latteux (1) consta di 100 gr. di acqua, di 50 gr. di glicerina, di 200 gr. di sciroppo di gomma ben denso, di 100 gr. di sciroppo di glucosio, di 1 gr. di acido fenico e di 100 gr. di alcool ordinario. Questo liquido di consistenza sci- ropposa, reso limpido per filtrazione attraverso una flanella, si (1) LartEUX, Manuel de Technique microscopique. Paris 1877. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XIX. 3 34 EDOARDO BONARDI conserva indefinitamente ‘ed-indurisce sufficientemente i pezzi, senza raggrinzarli. Tale pregio lo gode eminentemente il miscuglio proposto dal Langerhans (1) preparato con una soluzione di 5,0 di gomma arabica in 5,0 di acqua, a cui si aggiunge, dopo 12 ore, 5,0 di glicerina, 10,0 di una soluzione di acido fenico al 5 % facendo seguire alla sua azione quella dell’alcool ordinario... Induriti i pezzi ne preparai le sezioni sottili, fissandoli con paraffina o midollo di sambuco, ed operando col microtomo del sig. E. Zeiss di Jena. Il tubo digerente dell’Helix pomatia incomincia con un 0r7- ficio boccale, a figura di Y quando è chiuso, situato alla parte anteriore ed inferiore della testa. È contornato da labbra in nu- mero di due; uno superiore, intero, l’altro inferiore , diviso in due parti (lobi labiali) da una fenditura verticale. ‘* -All’orificio boccale, segue la saccoccia boccale, ampia, scavata nella massa del deldbo faringeo, che è ovale, a pareti grosse e resi- stenti. Nella bocca sono situati due organi che servono principalmente alla masticazione. Uno è impiantato nella parete superiore della ca- vità boccale; è piccolo, duro, di colore bruno intenso, leggermente ricurvo dall’avanti all'indietro, provvisto anteriormente di salienze più o meno parallele fra loro, che sorpassando il margine libero, terminano in salienze dentiformi: vien chiamato impropriamente mascella. L'altro è una placca apparentemente cartilaginea, ela- stica; biancastra, situata sul pavimento. della cavità boccale. i coperta da una membrana chitinosa , tenue, rugosa, munita di eminenze solide, acute, -allineate regolarmente nel senso-trasversale, conosciute sotto il nome di denti. È puntuta in avanti e termina all'indietro in un piccolo cono, corto e smussato, di cui l’estre- mità sporge fuori dalla massa carnosa, sotto l’esofago, al disopra dell’inserzione dei muscoli retrattori della massa boccale (2). Spac- cando, come consiglia il Semper (3), il faringe dal disopra e get- tando i lembi sui lati, si vede appunto la parte anteriore e posteriore della lingua, restando la parte mediana nascosta dal- (1) LanGERBANS, Modification der Farrand'schen Flussigheit. Zool. An- zeiger. 1830, p. 575. (2) Cuvier, Memoire pour servir à l’histoire et à l’anatomie des. Mol- lusques (Memoire sur la Limace et le colimacon, p. 16). Paris, 1817. (3) Semper, Beitrige sur Anatomie und Physiologie der Pulmonaten. — Zeilschrift. fi. wissentschaftliche Zoologie. — Leipzig. 1857, vol. VII, p. 355: CONTRIBUZIONE ALL'ISTOLOGIA DELL'HELIX POMATIA 35 l’esofago che vi si apre sopra. Dirò ora dell’istologia di questa prima porzione del canale digerente. La parete del dulbo faringeo risulterebbe , secondo le mie osservazioni, di cinque strati ben distinti. Il più esterno è di natura connettiva, con una sostanza fondamentale apparentemente fibrillare, finamente granulosa invece ad un forte ingrandimento. Contiene abbondanti nuclei irregolarmente disposti, contornati da residui di protoplasma ; le cellule complete sono rare. I nuclei sono granulosi e le cellule contengono spesso delle concrezioni calcaree che scompaiono nel trattamento coll’acido acetico. Vi si trovano pure delle vescicolette splendenti, che abbruniscono col- l’acido osmico, si sciolgono nell’alcool e nell’etere e che molto probabilmente sono di natura grassa. Il Semper, nell’opera ci- tata (1), non dubita di chiamarle vescicole adipose. Sotto questa tunica connettiva segue un grosso strato muscolare in cui sono evidenti due ordini di fibre, longitudinali, cioè, le più esterne, circolari le più interne. È evidente la continuazione della tonaca muscolare faringea col tubo muscolare della parete del corpo. Le fibre, secondo i vari autori, sono lisce costantemente nei Mol- luschi, derivanti dallo sviluppo di una sola cellula (2), granulose e più opache nella porzione assile, più trasparenti ed omogenee nella porzione periferica. Anch'io ho, in generale, riscontrati questi caratteri nella musculatura dell’Helix pomatia, ma al faringe le fibre offrono spesso una vera apparenza di strie trasversali. Il Leydig (3) ammette addirittura i muscoli striati nel faringe di parecchi Gasteropodi. Per quanto riguarda l Helix pomatia io credo che ciò non sia esatto. Infatti io trattai parecchi elementi primitivi dissociati col bicromato di potassa (10 ‘,); coll’acido cromico al 2000°, coll’idrato di cloralio al 5 °/, (4), mediante il picrocarminato e l’acido osmico (5) ma non ottenni che la colo- razione di un solo nucleo , di forma elittica , piuttosto grande. Perciò venni nella convinzione che la sopraccennata striatura di- pendesse unicamente da una particolare disposizione della sostanza muscolare dentro il sarcolemma. (1) SEMPER, Op. cit., p. 354. (2) Levp:G, Traité d’histologie de l’homme et des animauxa, 1866, p.110. (3) LevypIG, Op. cit., p. 148. (4) LavpowsKky, Zur feineren Anatomie und Physiologie der Speicheldriisen, inbesondere der Orbitaldriise. Arch. fiir mik. Anat. XIII, p. 359. (5) WEBER, Note sur les noyaux des muscles stries chez la grénouille adulte. Arch. de Physiol., 1875, p. 489 e seguenti. 36 EDOARDO BONARDI Procedendo verso l’interno succede alla tonaca muscolare uno straterello di tessuto connettivo sul quale riposa l’epitelio, e che può considerarsi quale una continuazione della tonaca connettiva, molto sviluppata, secondo le mie ricerche, nelle altre parti del canale digerente. Presenta una sostanza fondamentale granulosa, in cui vedonsi poche cellule complete; talune di queste offrono un contorno ben marcato, a guisa di membrana. 1 loro proto- plasmi sono granulosi. Sono copiose le cellule incomplete, costituite cioè del solo nucleo, con avanzi di protoplasma che lo circondano. Col nitrato d’argento a 0,03 restano intatti i nuclei e le fibro- cellule muscolari, mentre i rimasugli di protoplasma si colorano in nero. Ricevono questa tinta, ma in grado più intenso, anche le granulazioni della sostanza fondamentale. Col metodo delle doppie colorazioni, ho potuto metter ben in evidenza questo tessuto connettivo. Così trattando le sezioni, secondo il consiglio di Stir- ling (1), dapprima con acido picrico, poi con picrocarmino , il tessuto connettivo si tinge in rosso, mentre le fibre muscolari as- sumono una colorazione giallo-intensa. I nuclei particolarmente si mostrano tinti dal picrocarmino. Anche adoperando la porporina, come indica il Ranvier (2), si possono mettere egregiamente in evidenza i nuclei i quali, per la tinta marcata che ricevono, ri- saltano sulla sostanza fondamentale rimasta incolora. L’epitelio che fa seguito allo strato connettivo è cilindrico, a cellule molto lunghe, distintamente nucleate, e provvedute di cilia sulla salienza indicata dal Semper (3), che partendo dal fondo della cavità boc- cale, si stende abbastanza in avanti sulla parete superiore della cavità stessa. Il nucleo si tinge assai bene col picrocarmino, e col nero di anilina (4). La forma delle cellule la rilevai facilmente coll’impiego del nitrato d’argento nel modo descritto dal Lat- teux (5). Il protoplasma è ricco di granulazioni abbastanza grosse. La cuticola annessa all’epitelio faringeo è di uno spessore consi- derevole. Presentasi stratificata nel senso longitudinale. Sono però evidenti anche delle grosse strie perpendicolari all’epitelio, che di- (1) StirLING, On double an treble steining of microscopie specimens. Journ. of Anat. und Physiol., vol. XV, p.319 e seg. (2) Ranvier, Des applications de la purpurine à l’histologie. Arch. de Physiologie, 1875, p. 761 e seg. (3) SEMPER, Op. cit., p. 354. (4) Sankevy, On an new solution for steining sections of hardened animal tissues. Quart. Journ. of mic. science, 1876, p. 95 e seg. (5) LATTEUX, Op. cit., p. 172. CONTRIBUZIONE ALL'ISTOLOGIA DELL'HELIX POMATIA 3A vidono la cuticola in tanti prismi più o meno regolari, presentanti diagonalmente un terzo ordine di finissime striature. Probabilmente le strie perpendicolari corrispondono a poricanali. La miscela delle soluzioni di eosina e di verde di metile proposte da Calberla (1) produsse nelle mie sezioni di faringe delle stupende colorazioni. I nuclei delle cellule epiteliari si tingono in rosso-violetto, quelli della sostanza connettiva in bleu-verdastro, la cuticola in verde-erba, le fibro-cellule muscolari in verde, la loro sostanza inter-cellulare in rosso, il protoplasma delle cellule in rosso. L’epitelio e la cu- ticola faringea. derivano da un’introflessione dell'epitelio esterno. La mascella dell’Helix pomatia dovrebbe essere, secondo il parere di Braconnot (2) del muco indurito, contenente una piccola quantità di carbonato di calce. Il Leydig (3) la pone tra le produzioni cuticolari inspessite. Contiene quella particolare sostanza che nomasi chitina. Le sezioni cimentate colla potassa caustica offrono l’aspetto di una sostanza omogenea , priva di elementi , stratificata in vario senso, colorantesi in rosa colla eosina ed in verde-erba colla citata soluzione di Calberla. La lingua può dirsi col Semper (4) formata principalmente da una porzione fonda- mentale muscolare, divisibile in tre muscoli distinti, due dei quali simmetrici, sono disposti in tal maniera da lasciare anteriormente un’ infossatura e posteriormente un divaricamento per ricevere l'estremità anteriore della così detta papilla ; il terzo, impari, giace inferiormente agli altri due, in direzione trasversale, nella porzione mediana e posteriore della lingua, e serve, unitamente al tessuto connettivo che lo avvolge a tener uniti i due primi. 1 quali sono indipendenti l’uno dall'altro essendo separati da tessuto connet- tivo (fig. 11, a), che esiste. anche fra essi, ed il muscolo trasverso. Nel trattamento delle sezioni, con ematoxilina ed acido pi- crico (5), risalta bene la presenza del connettivo attorno ai tre muscoli, per la sua colorazione bruno-rossa, che contrasta con quella gialla delle fibre muscolari. La disposizione delle fibre (1) CaLBERLA, Bettrag 3ur mikroskop. Technik. Morph. Jahrb.,1877, III, p. 625 e seg. (2) Moquin=-TanDoN, Histoire naturelle des Mollusques terrestres et fuvia» tiles de France, 1855, p. 31. (3) LeypIG, Op. cit., p. 378. (4) SEMPER, Op. cit., p. 355. (5) GerLACH, Structur der Geftisshiiute. Sitzungsberichte der phys. med. Socielàl zu Erlangen, 1872, 29 luglio. 38 v EDOARDO BONARDI DI muscolari del muscolo trasverso è, come già dissi, parallela al piano. della lingua. Sono stipate ed uniformi. La sostanza che le. unisce non presenta elementi. Invece i muscoli laterali sono formati da numerosi fascetti, tenuti insieme da una sostanza par- ticolare, che forma altrettante liste, più o meno tortuose, larghe presso a poco quanto i fascetti. La direzione delle fibre è per- pendicolare al piano della lingua (fig. 11, 6, c). La sostanza interposta -ai fascetti è di aspetto gelatinoso , granulosa però a forti ingrandimenti. Offre una reticolazione che la divide in tante aree poligonali (fig. 11, c) più o meno regolari, che il Semper osservò nella lingua di molti Molluschi, e figurò per quella del Vaginulus (1). L'illustre osservatore considera quelle aree poligonali come cellule cartilaginee. Per conto mio, ho osservato che non tutte sono provviste di nucleo, che il loro contorno non è sempre ben definito, che colle sostanze coloranti, e soprattutto colla so- luzione lodata, si colora leggiermente ed uniformemente. I nuclei invece risaltano distintamente colle varie miscele già citate. Si osservano anche delle cellule elittiche, rare, irregolarmerte sparse, a contorno marcato ed a nucleo distinto (fig. 11, d). In vicinanza della radula, la sostanza interposta ai fascetti muscolari dei muscoli laterali, è molto probabilmente connettiva. Contiene qualche cellula a contorno molto spiccato e numerosi nuclei (fig. 5°). Il tessuto connettivo che avvolge i descritti muscoli è ai tuito da sostanza intercellulare granulosa, coi granuli spesso al- lineati, ricca di cellule elittiche e di nuclei contornati da residui di protoplasma. Spesso le cellule hanno un contorno marcatissimo. Talune hanno i poli appuntati a guisa di limoni. Sopra. il con- nettivo sta l’epitelio, a cellule cilindriche, con protoplasma gra- nuloso e nucleo ovale. La cuticola che succede all’epitelio è sviluppata alla lingua più che in qualunque altro punto del tubo digerente. La sua stratificazione è evidentissima, come anche te strie perpendicolari già citate e quelle diagonali, sicchè assume un. aspetto veramente reticolato. La cuticola della lingua. presenta qualche cellula a protoplasma ialino ed anche qualche nucleo.. Probabilmente sono riduzioni di cellule epiteliari. Finalmente dopo la cuticula viene la radula sotto forma di urna membrana ben' (1) SEMPER, sunt pugii en Baue der Molluskensunge. Zoitsch. fin iss. Zool., 1857-58, fig. 5, tav. 12. SEGUI SE O Ra CONTRIBUZIONE ALL'ISTOLOGIA DELL'HELIX POMATIA 39 distintà, che nella sezione verticale presenta due strati: uno in- feriore, rugoso, ed un altro superiore o dentale che offre una struttura strdtzicata: Nell’Helix pomatia la radula copre la placca linguale in tutta la sua estensione. ‘È provveduta di solchi trasversali e di solchi longitudinali che danno luogo a tanti piccoli quadrilateri nel mezzo dei quali si trovano delle papille biancastre irregolarmente piriformi, ottuse in numero di 5,600 secondo Moquin-Tandon (1). La papilla o matrice della lingua, entro cui la radula termina a fondo cieco (fig. 1, 4) presenta esternamente un rivestimento connettivo si- mile a quello che trovasi esternamente alla tonaca muscolare faringea ; gli succede uno strato di fibre muscolari circolari (fig 1,f) a cui fa seguito una tonaca connettiva, ben distinta, non notata nei lavori ch'io conosco, provvista di cellule ovalari, a contorno spiccato, nucleate, cementate dalla solita sostanza granulosa (fi- gura 1, a; fig. 12, a). Questo na connettivo è in contatto coll’epitelio della radula (fig. 12, d: fig. 1, %) cilindrico, nu- cteato, il quale presenta, a Lapo: “della radula. uno strato cu- ticolare (fig. 12, c; fig. 1, e). Colla ih delle soluzioni di carmino ed indigo-carmino al borace, come è proposta da Norris e Shakespeare (2) e da Mer- bel (3) ho ottenuto una netta distinzione del tessuto connettivo posto tra l’epitelio della radula e lo strato muscolare. Si tin- sero egregiamente in bleu la sostanza fondamentale ed i nuclei. - La porzione centrale della papilla si compone di una sostanza translucida , incolora, che nella parte sua periferica, vicino alla radula, presenta una struttura prettamente connettiva, con ele- menti simili a quelli sopradescritti dello strato connettivo esterno di questa membrana (fig. 12, /:; fig. 1. g). Nel resto è fibrillare; le fibrille hanno varie direzioni, e solo verso la parte aperta della figura a ferro di cavallo che si vede nella sezione (fig. 1) si mostrano parallele ed offrono anche , secondo il Semper (4). “(1) Moquin-Tanpon; Op. eit., p. 37. (2) NORRIS e SHAKESPEARE, 4 new method of double slang: ‘American Journal of-Ihe-medital sciences, January, 1877. > (3) MERBEL, Double steining Nith a Sag fluid. gni mic. Jowrn. Nov. and Dec. 1877, p. 242. ; (4) SEMPER, Beit. zur. Anal, und: Phys. Molik:; pi. 1398. 40 EDOARDO BONARDI dei rigonfiamenti in cui sarebbe collocato îl nucleo. Queste fibre andrebbero a costituire le gambe della papilla; che si confondono poi coi muscoli laterali della lingua. Si tratterebbe quindi di elementi muscolari. I metodi di colorazioni già citati mi hanno persuaso della verità di queste vedute del Semper. Devo però aggiungere che quelle fibre muscolari sono aggruppate a fasci, aventi varie direzioni, e tenuti insieme da abbondante tessuto connettivo con nuclei e con elementi cellulari ben definiti, simile a quello con- finante coll’epitelio della radula. Il Kélliker (1), ed il Sicard per lo Zonites algirus (2) hanno ritenuto di natura connettiva questo nocciolo centrale della papilla. L’esofago ha origine dalla parte posteriore-superiore della massa boccale o bulbo faringeo, guardando colla sua apertura la porzione posteriore-superiore della lingua. Passa sopra la pa- pilla, attraversa il cingolo esofago e va a metter capo nello sto- maco dopo un decorso di 15 millim. all'incirca. La sua parete è delicata e striata internamente nel senso longitudinale. Lo sto- maco non si distingue nettamente dall’esofago; è allungato, quasi cilindrico, largo, distensibile assai; termina in un cul di sacco allato del quale si apre il piloro. La parete dello stomaco è pure gracile, semitrasparente, con dei punti più opachi qua e là (3); internamente presenta delle salienze e dei solchi che si continuano con quelli dell’esofago. L'intestino è cilindrico, fles- suoso, presso a poco del medesimo calibro in tutta la sua lun- ghezza, che è di 9 cent. All’esame macroscopico non è divisibile in parti diverse; tuttavia gli anatomici riguardano la prima parte o anteriore, come un duodeno , la seconda, o terminale, come un retto (4). La parte duodenale è provveduta internamente delle salienze e dei solchi, continuantisi pressochè ininterrotti e più o meno evidenti, fino all’estremità faringea dell’esofago. L'’intestino fa una grande piega che si infossa della cavità della conchiglia (1) KòoLLIRER, Miltheilungen sur vergì. Gewebelehre. Wwurib. Verhandl., 1857, 1, Hft. (2) Sicarp, Recherches sur les Zonites olgirus. Annales des Sciences na- turelles. 1874, tomo I, p. 46. (3) Cuvier, Op. cit., p. 18 (4) Moquin-Tanpow, Op. cit., p. 47. . CONTRIBUZIONE ALL'ISTOLOGIA DELL’HELIX POMATIA 41 seguendo la direzione della spirale. È tenuto in posto specialmente dai lobi del fegato ai quali è fissato per mezzo del tessuto con- nettivo e di numerosi vasi, tanto arteriosi che venosi. Ritornando su se stesso, entra nella cavità respiratoria, si mette in rapporto coll’organo renale, il cui canale escretore decorre appunto accol- lato al retto. 'l'ermina all’ano, situato vicino all'apertura respi- ratoria, alla base e sul lato destro del collare. Per quanto riguarda la fina anatomia della parete di queste parti, dall’esofago alla terminazione del duodeno, le mie osservazioni m'hanno condotto ad ammettere un rivestimento connettivo esterno analogo alla sierosa degli animali superiori, una duplice tonaca muscolare che gli fa seguito, un epitelio munito di cuticola, e, fra questo e lo strato muscolare, una seconda tonaca connettiva analoga alla mucosa (fig. 3). Sul rivestimento sieroso e sugli strati muscolari, poco ho da aggiungere a quanto ho già detto pel bulbo faringeo. La sostanza fondamentale del connettivo qui è più manifestamente fibrillare. Le fibro-cellule muscolari non hanno mai l’aspetto striato. Le esterne sono dirette longitudinalmente, le interne trasversalmente, non mancando di quelle a direzione obliqua. I fascetti muscolari sono tenuti insieme da un tessuto con- nettivo amorfo, che, nelle maglie lasciate dall’intreccio di quelli, mostrasi distintamente granuloso. Il connettivo sottoepiteliare (fig. 3, c) costituisce una tonaca separabile colla macerazione nel siero iodato e nell’alcool al terzo, dall'epitelio e dai muscoli. Essa è sottile in corrispondenza delle solcature descritte: è invece molto sviluppata in corrispondenza delle salienze nelle quali penetra, dimodochè, nelle sezioni tras- versali, mostrasi sotto forma di irregolari coni, o di clave, di ampiezza commisurata al volume della salienza. Questo tessuto connettivo è percorso da qualche fibra muscolare: la sua sostanza fondamentale è granulosa, raramente fibrillare; gli elementi com- pleti sono scarsi; abbondano invece i nuclei contornati spesso da rimasugli di protoplasma. Si vede anche qualche sezione di fibra muscolare che si distingue facilmente colle doppie colorazioni. Ciò che sembrami importante in questa specie di mucosa è la presenza di lacune irregolari, ora isolate (fig. 3, d, 7), ora comunicanti fra di loro. Spesso anzi il cono o la clava connettiva succennata offre un vero canale che la percorre nel senso longitudinale. Degli Autori ch'io conosco credo che nessuno, finora, abbia descritto 49 1 ‘EDOARDO BONARDI una cosiffatta tunica connettiva. Il Leydig (1) parla in generale di: una tunica propria negli Invertebrati. ma non si estende ad alruna particolarità. Il Sabatier invece nell’Anatomia del Myt/lus edulis (2) ha descritto un connettivo sottoepiteliare affatto simile a quello chio vidi nell’Helix pomatia, e che egli chiama tes- suto adenoide. Servendomi della già citata soluzione di nitrato d'argento ho potuto metterlo bene in evidenza. Mi giovò assai a questo scopo anche la soluzione di verde di iodio proposta da Griesbach (3). Questa, mentre colora in verde l’epitelio ed i muscoli, tinge ap- pena, o lascia intatto il connettivo. i Anche la comune miscela di carmino e picrocarmino e varie altre citate soluzioni mi servirono per controllare i risultati. Me- diante la macerazione nell’alcool al terzo ho potuto ottenere, dopo allontanato l’epitelio, qualche lembo del tessuto in discorso. Si presenta come è disegnato nella fig. 4. Le lacune sono sprovviste di endotelio ed io non saprei pro- nunciarmi sulla loro natura. Certo che debbono avere una certa importanza fisiologica. L'epitelio è cilindrico, a cellule allungate. distintamente nucleate, e sprovviste di cilia. Colla macerazione nell’alcool al terzo ho distaccato dei magnifici lembi di epitelio. Le. fi. 7 e 9 danno un'idea dei diversi aspetti con cui mi si presentarono al microscopio. Le cellule isolate hanno talora figure singolari (fig: 8 e 10, a, db. c, d). Servendomi della soluzione di metil violetto consigliata dal Ranvier (4), ho potuto accertarmi della mancanza delle cilia nelle. cellule epiteliari. Siebold, la aveva già sostenuta nel noto Ma- nuale di Anatomia comparata (5). Il Sicard (6). non ha veduto cilia nello Zonites algirus. Fa rilevare giustamente la contrad= dizione in cui è caduto il Leydig (7) negando la presenza di (1 LevpIG, Op. cit., p. 576. (2) SaBatIER, Analomie de la Moule commune. Ann. Selene: Nat., 1871; tom, 5, p. 20. i .. (3) Griessaca, Ein neues Tinclions-millel firm menschliche und Ihieriche Gervebe. Zool. Anz., 1882, n. 17. ‘(4) -RanviER, De Vemvioi de l'alcool dilué en histologie. Arch: de Si 1875, p. 734 .e seg. ‘ (5) Siepoup und STANNIUS, Manuel d’ Analomie compare, tom. AI, |, ji 319, nota. 1 ) oto7 au bo (6) SicarD, Op. cit., p+90. y (7) LevpiG, Op. GE p. 376. CONTRIBUZIONE ALL'ISTOLOGIA DELL’ HELIX POMATIA 43 cellule epiteliari ciliate nell’intestino e nello stomaco dell’ Helix hortensis, e poi dando una figura che prova precisamente l’op- posto. Quanto al Semper, egli ammette che l'epitelio sia ciliare in tutti i Polmonati (1). L'epitelio tanto nell’esofago quanto nello stomaco e nell’in- testino riveste e i solcli e le salienze. Rivestendo i primi diventa un epitelio ghiandolare. Infatti, le sezioni trasversali dei sol- chi mostrano delle vere ghiandole (fig 3, 4) e per tali furono ritenute dal Leukart (2), dal Leydig (3), dal Semper (4) e più recentemente dal Sabatier (5) nel Mytilus edulis. L’epitelio disposto attorno ai sopraccennati coni connettivi può dirsi di funzione assorbente: e tali coni rivestiti da epitelio, sca- vati, come ho detto, da canali e da lacune, possono bene con- siderarsi quali villosità, in qualche modo analoghe ai villi degli animali superiori. E forse anche si dovrebbe, nelle analogie da me ricordate, vedere delle vere omo/ogie, considerando la natura palingenetica del tubo digerente in generale , nell'albero della organizzazione animale ‘Tanto l’epitelio ghiandolare quanto il villoso, sono rivestiti da una tonaca intima o cuticola, pressochè uniforme in ispessore nei solchi e sulle salienze. assai meno sviluppata che nel faringe. È noto ch’essa deriva dalla metamorfosi e dalla fusione più o meno completa delle estremità delle cellule epiteliari. È stratificata. Non presenta le altre particolarità che ho de- scritto nel faringe. I diversi strati, che ho passato in rassegna. si trovano, come già. dissi, tanto nell’esofago, quanto nello stomaco, nel cul-di- sacco, e nel duodeno. Esistono solamente differenze di sviluppo. Così nell’esofago la porzione ghiandolare è meno sviluppata che nelle altre parti; è però ben manifesta. Nel cul-di-sacco assume uno spessore ragguardevole il connettivo sottoepiteliare, e conse- guentemente sono sviluppatissime le villosità. i Ricordando ora. che la porzione ghiandolare corrisponde ai solchi e la villosa alle salienze, e ricordando pure che gli uni (1) SEMPRR, loc. cit., p. 363. (2) LEUKART, Zoolomie. (3) LevpIG, Op. cit., p. 381, Ueber Paludina vivipara. Zeilsch. wiss. Zool., vol;{I;.p:-125. i (4) SempER, -Beil. 3ur Anal. und Physiol. der Pulmonaten, p. 361. (5) SABATIER, Op. cit., p. 28. A di i 44 EDOARDO BONARDI e le altre si estendono dall’esofago alla fine del duodeno, sem- brami poco corretta, dal punto di vista anatomo-fisiologico , la distinzione usata di esofago, stomaco e duodeno. Si potrà con- servarla per comodità di descrizione. ma istologicamente e fun- zionalmente è probabile che abbia poco valore. Sembrami quindi ragionevole lo ammettere nel tubo digerente dell’Helix pomata, due porzioni estreme, meccaniche, una di prensione e di tritu- razione, l’altra di espulsione; ed una porzione mediana che com- prende esofago, stomaco, cul-di-sacco e duodeno, in cui una localizzazione di funzioni, che giustifichi queste denominazioni, non è peranco avvenuta. Le ghiandole salivali sono situate lungo i lati dello stomaco, che abbracciano coi loro lobi. Sono corpi appiattiti, biancastri; i condotti escretori accompagnano l’esofago, passano con esso pel cingolo esofageo, perforano la parete superiore del bulbo faringeo e si aprono nel cavo boccale, ai lati della lingua. Leydig (1) le colloca tra le ghiandole monocellulari a membrana chiusa, non prolungantesi in un canale di escrezione. Le chiama ghiandole monocellulari solo perchè ciascuna cellula è contornata di una tunica propria. Il Semper (2) ha meglio osservato che le cellule secretrici sono avviluppate da una tunica connettiva non chiusa, ma continuantesi in un canale di escrezione che mette capo nel canale escretore comune. La membrana connettiva è nucleata. Il condotto escretore consta di tre tonache. La esterna è connettiva, a sostanza fondamentale granulosa e scarsa con cellule ben evi- denti, abbastanza voluminose. Poche sono incomplete. Questo strato connettivo è una continuazione di quello che riunisce i varî lo- buli ghiandolari. La media è muscolare, con fibrocellule circolari incrociantisi con parecchie oblique. La interna è un epitelio a cellule cilindriche, assai piccole in confronto delle secretrici. Io non ho potuto verificarne le cilia ammesse da Siebold (3). Il Semper afferma di non aver mai riscontrato cilia nell'epitelio delle ghiandole salivali dei Polmonati (4). Così pure il Sicard nello Zonites algirus (5). (1) Leypi, Traité d’Hislologie comparée, p. 396. (2) SEMPER, Op. cit., 363. (3) SteBoLD e STANNIUS, Op. cit., p. 320. (4) SemPER, Beil. sur Anat. und Physiol. der Pulmonaten, p. 366. (5) SicarD, Op. cit., p. dl, CONTRIBUZIONE ALL’'ISTOLOGIA DELL’ HELIX POMATIA 45 Le cellule secretrici sono grosse, ovali, con nuclei voluminosi che si tingono egregiamente coi metodi già accennati. Il fegato dell’Helix pomutia è diviso in quattro grandi lobi ciascuno dei quali è decomponibile in un'infinità di lobuli (1). E di un colore bruno intenso. Ciascun lobulo ha il suo vasellino biliare che si riunisce successivamente ai vicini, formandosi così un grosso condotto per ciascun lobo. I quattro condotti si riu- niscono in un tronco solo che sbocca nel cul-di-sacco, in modo da versare porzione della bile nel così detto duodeno, e porzione nello stomaco (2). Gli otricoli che entrano nella costituzione dei lobuli epatici (fig. 2) sono irregolarmente poligonali o rotondeggianti. Constano di pareti connettive molto grosse, con cellule e nuclei, a sostanza fondamentale granulosa al centro della parete, distintamente fi- brillare invece ai margini, laddove il tessuto circoscrive l’otricolo. La fibrillatura del tessuto connettivo del fegato è ancor più evidente di quella ricordata nei muscoli laterali e trasverso della lingua e nel rivestimento sieroso del tubo gastro-enterico. È una di quelle località ammesse in generale dal Brock (3) dove il con- nettivo a sostanza fondamentale granulosa con elementi e nuclei provvisti o meno di resti di protoplasma, passa gradatamente al connettivo fibrillare (fig. 2, e). Sulla parete interna degli otricoli sono applicate delle cellule di varia natura. Alcune (fig. 2, d) uniformemente grosse, con nucleo voluminoso, ripiene di granu- lazioni incolore e rifrangenti, addossate alla parete dell’otricolo, sono indicate dal Barfurth (4) come cellule calcaree. Quelle gra- nulazioni infatti rimangono inalterate all’acido osmico e si sciolgono negli acidi forti. Sono dunque probabilmente del carbonato di calce. Le altre cellule, irregolarmente poliedriche per reciproca pressione, sono di colore giallo-verdognolo, di grossezza variabile, spesso sferiche se libere. Sono le vere cellule epatiche. Il loro protoplasma è ricco di vescicole di adipe e di varie granulazioni ; io non sono riuscito a distinguere, anche coll’impiego dell’acido osmico, le cellule dette del fermento (Fermentenzellen) dal Barfurth (5). (1) Cuvier, Op. cit., p. 19. (2) Cuvier, Op. cit., p. 20. (3) Brock, Ueber homogene und fibrillàire Bindesubstanz bei Mollusken. Zool. Anzeiger, 1852, N. 124, p. 579 e seguenti. (4) BarFURTH, Die Leber der Gasteropoden, ein Hepatopancreas. Zool. An- zciger, 1880, N. 66, p. 409 e seg. (9) BaRFURTH, Mem. cit., p. 500. 46 CONTRIBUZIONE ALL’ISTOLOGIA DELL’HELIX POMATIA. Finalmente accennerò alla presenza di numerose fibro-cellule muscolari (fig. 2, a) aventi direzione diversa, nell’inviluppo pe= ritoneale del fegato. Il Sicard dice di non averle riscontrate nello Zonites algirus (1). Il Leydig le aveva già descritte nella Pa- ludina vivipara (2). Colle miscele coloranti ho conseguito una netta dietimmiohe degli elementi del fegato di cui ho discorso. Dal Laboratorio di Anatomia e Fisiologia comparata del. l’Università di Pavia Luglio 1883. (I)eSicanp, Op. cit, p- 93. (2) LevpIG, Histologie comparee, p. 411. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA. Fia. 1° — Sezione verticale della papilla linguale: a) connettivo — b) epitelio -— e) cuticola — d) radula — e) fibre muscolari parallele del nocciolo della papilla — f) sezioni di fasci muscolari — g) fibre muscolari dello stesso nocciolo, intrecciantisi in vario senso — h) fondo cieco della matrice della radula. Fic. 2a — Sezione trasversale di un lobo del fegato: a) muscoli dell’invoglio peritoneale — b) tessuto connettivo granu- loso — e) cellule ‘epatiche — d)cellule calcaree — e) tessuto con- nettivo fibrillare. Fic. 82 — Sezione lrasversale dello stomaco : a) Connettivo del rivestimento sieroso — h) tonaca o — c) connettivo sottoepiteliare — d, e) lacune del medesimo — f) epi- telio — g) cuticola — h) ghiandola. Fia. 42 — Lembo di connettivo sottoepileliare dello stomaco vedulo di fronte. a) connettivo — b) lacuna. Fia. 52 — Sezione di uno dei muscoli laterali della lingua: a) fibro cellule muscolari — bh) connettivo — €) denti della radula, Fia. 62 — Lembo di conneltivo soltoepileliare dell'intestino, veduto di fronte. a) fibro-cellula muscolare — b) connettivo — €) cellute a Pi) contorno. Fi. 78, 8°, 9°, 10: — Formedi cellule epiteliari dello stomaco e dell’intestino. Fi. 11. — Sezione di un muscolo laterale della lingua : a) connettivo fibrillare — b) fascio muscolare — €) sostanza esistente tra i fasci muscolari — d) cellula connettiva ? FIG. 12. — Porzione della fig. 1 ingrandita : a) connettivo — h) epitelio — ©) cuticola —- d) SO di demarca- zione tra la cuticola e la radula — e) radula — f) suoi denti — h) connettivo della porzione periferica del nocciolo della papilla — g) Strato sottocuticolare simmetrico a quello segnato. con d. Lo stesso Socio BizzozERro presenta ancora e legge il seguente lavoro del signor Romeo FusaRI, studente di Medicina, eseguito nel Laboratorio di Istologia e Patologia generale della R. Uni- versità di Pavia, SULL'ORIGINE DELLE E-l-B-ReE NERVOSE nello strato molecolare DELLE CIRCONVOLUZIONI CEREBELLARI DELL’ UOMO. L'indagine della origine centrale delle fibre nervose forma certo. uno degli argomenti più interessanti delle scienze biologiche, giacchè per tal via si può avere un lume nel rilevare il significato fisiologico delle fibre stesse. Per la qual cosa non sarà mai fatica superflua l’estendere queste ricerche a tutte le singole parti del sistema nervoso, potendo le fibre col variare della regione variare il rapporto loro cogli organi centrali. Giova poi anche per ciascuna ricerca ripetere le prove reiteratamente, perchè la reazione nera del Professore (Golgi, fino ad oggi a mio credere la migliore che si possa usare con vantaggio in tali studi, per cause ancora ignote non è costante nei suoi risultati, onde non è che dopo moltiplicate prove che possono essere gli intrapresi lavori. coronati da soddisfacente esito. Questa variabilità nei risultati della reazione nera però, che a tutta prima sembra debba mettere ostacolo ad un giusto ri- lievo istologico delle parti, viene anzi opportuna per il completo studio d'ogni singolo elemento. Perocchè rimanendo talora bene spiccati solo alcuni elementi a danno di alcuni altri, avviene che .sì possa seguire in dettaglio il contegno di quelli; mentre se tutti gli elementi che si trovano in una data parte riuscissero 48 R. FUSARI colorati, si avrebbe confusione tale di figure e di linee da non potersi rilevare esattamente nè alcun rapporto nè alcuna modalità di struttura. Così da uno di questi parziali risultati della reazione col nitrato d'argento da me ottenuto sul cervelletto dell’uomo , mi venne fatto di poter aggiungere alcune particolarità alle attuali conoscenze sulla fina anatomia delle circonvoluzioni cerebellari. Passando in rassegna i vari elementi dello strato molecolare di queste circonvoluzioni, il Professor Golgi (1) ferma specialmente l’attenzione sopra una grande quantità di piccole cellule nervose sparse in tutto lo strato, e sopra un plesso nervoso occupante pure tutto lo strato, e che nella zona di confine fra lo strato dei granuli e lo strato corticale esterno forma una fitta siepe di fibre; però di questo plesso non gli fu dato poterne determinare con esattezza il modo d’origine. ed è questa lacuna che la felice riuscita della reazione nera mi ha dato l'opportunità di poter colmare. Nelle sezioni trasversali da me fatte sulle circonvoluzioni cerebellari si osservano scarse affatto le cellule di Purkinje, mentre gli elementi che nello strato molecolare si fanno distinti per la colorazione nera, sono le piccole cellule ed il plesso nervoso. Il plesso consta principalmente di un disordinato intreccio di minutissime fibrille, il quale occupa tutto lo strato, e da buon numero di robuste fibre stipate verso il limite più interno della zona di cui seguono tutte le inflessioni. A piccolo ingrandimento si può vedere soltanto che queste fibre sono raccolte in fascio e descrivono tanti archi nelle varie circonvoluzioni, e che tratto tratto ad angolo retto lasciano spiccare dei rami, specialmente verso la zona più interna. Se invece si usa un ingrandimento maggiore, dopo un’ attenta osser- vazione si può rilevare, che queste fibre sono in rapporto per mezzo delle minute divisioni dei loro rami colla rete nervosa diffusa, e che la maggior parte di esse trae origine dalle piccole cellule. Non tutte però le piccole cellule vanno a costituire col loro prolungamento nervoso il fascio delle fibre arcuate, anzi la maggior (1) GoLsr, Sulla fina ana'omia degli organi centrali del sistema nervoso. Memoria premiata dal R. Istituto Lombardo. Rivista di Freniatria e di Me- dicina legale. Reggio Emilia, 1883. SULL'ORIGINE DELLE FIBRE NERVOSE ECC. 49 parte di esse, sparse senz'ordine in tutto lo spessore dello strato danno origine ad un prolungamento nervoso, il quale dopo aver preso le più svariate direzioni viene a scomporsi subito dopo in una serie numerosa di fibrille; oppure il medesimo può conser- varsi individualizzato per un tratto, per poi dividersi e suddivi- dersi complicatamente. Il fascio delle fibre arcuate è invece formato in prevalenza dal prolungamento nervoso delle piccole cellule che si trovano nella parte più profonda dello strato. Queste cellule assumono più frequentemente la forma fusata o l’ovoidea, ed estendono i loro prolungamenti protoplasmatici a curve eleganti per molto spazio all'intorno dirigendosi prevalen- temente verso la periferia, arrivando spesse volte colle ultime suddivisioni fino all’estremo margine delle circonvoluzioni. Il pro- lungamento nervoso che nel maggior numero dei casi si stacca da un polo della cellula in vicinanza di un prolungamento pro- toplasmatico, è dapprima rettilineo e robusto, quindi si assottiglia d’un tratto e descrive una breve linea spezzata od a forti ondu- lazioni. La finezza raggiunta in questo tratto è talora così rag- guardevole che dietro una superficiale osservazione il processo appare troncato e quindi può sfuggire l’ulteriore andamento. In- vece dopo un decorso di 8-16 f. torna ad ingrossare di nuovo e traccia allora quella figura arcuata od a ferro di cavallo che abbiamo ricordato parlando delle fibre. Durante il tragitto continua a dar rami più rari e fini verso la periferia, più numerosi e robusti verso lo strato dei granuli. Da tutti questi rami si spic- cano ad angolo retto fili di secondo e di terzo ordine, in modo che le ultime divisioni finiscono per intrecciarsi come a rete. La lunghezza del prolungamento varia : talora dopo aver mandati due o tre robusti rami allo strato dei granuli, s’arresta subito, talora lo si può seguire per quasi tutta la curva di una circonvoluzione (MftaverLE) (fio: 3, 4,;05,0:6)). Per incidenza noterò un modo insolito di presentarsi del pro- cesso nervoso che ho riscontrato, benchè raramente, nelle piccole cellule che si trovano verso il mezzo dello strato molecolare. In questi casi il decorso del prolungamento è tortuoso assai, ed a brevi tratti di distanza manda dei filamenti sottilissimi che pure si ramificano. Dopo un tratto di varia lunghezza il prolungamento nervoso stesso termina, almeno apparentemente, in una finissima punteggiatura (V. tav. II, fig. 2). Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XIX. 4 50 R. FUSARI Considerato il cospicuo numero delle piccole cellule, facilmente si comprende quale complicata rete debba risultare dall’intreccio di tutti i prolungamenti nervosi delle medesime , e come dalla comune direzione e dal decorso sensibilmente fra loro parallelo dei prolungamenti nervosi dati dalle cellule della zona profonda, debba riuscire il fascio delle fibre arcuate. Ma oltre alle piccole cellule a comporre il plesso nervoso dello strato molecolare concorrono anche le cellule di Purkinje e talune fibre derivanti dai raggi midollari. Le prime contribuiscono alla formazione del plesso per mezzo di alcuni filamenti, che emanati dal prolungamento nervoso delle medesime, passano dallo strato dei granuli allo strato molecolare, e quivi vanno a confondersi colla rete nervosa. Delle fibre che sono derivate dai raggi midollari, alcune sì continuano col processo nervoso delle cellule di Purkinje, altre si diramano nello strato dei granuli, altre infine dopo aver oltre- passato questo strato, entrano nella zona più esterna. Raggiunta l’altezza degli archi formati dai prolungamenti nervosi delle piccole cellule tali fibre seguono la direzione di questi per un tratto più o meno lungo, finchè indebolite per la continua distribuzione di rami finiscono a confondersi colla rete delle fibrille (V. tav. II, fiordo; Ud): Le piccole cellule oltre gli accennati rapporti colle cellule di Purkinje e colle fibre dei raggi midollari, Lanno pure relazione cogli elementi che si trovano nello strato medio. Infatti, tutte le fibrille diramate dalle fibre arcuate verso lo strato dei granuli, entrano in relazione coi prolungamenti nervosi dei granuli stessi e delle altre forme cellulari di questo strato, non che di nuovo colle ramificazioni delle fibre dei raggi midollari e dei prolun- gamenti delle cellule di Purkinje. . Devo qui aggiungere che questo mio contributo all’anatomia microscopica del cervelletto viene per nulla a modificare l’ag- gruppamento in categorie fatto dal Professore Golgi degli elementi di quest'organo; invero anche il prolungamento nervoso delle piccole cellule della zona profonda dello strato molecolare, si comporta come il prolungamento nervoso delle altre piccole cellule dello stesso strato descritte dal Professore Golgi medesimo, cioè dopo una complicata suddivisione, tale processo viene a perdere la pro- pria individualità e prende parte in toto alla formazione della rete nervosa diffusa. Quindi tutte le piccole cellule dello strato Tav. II SULL'ORIGINE DELLE FIBRE NERVOSE 51 molecolare appartengono alla medesima categoria, ed a tutte si può estendere l'ipotesi del Professore Golgi, vale a dire tutte possono verosimilmente essere considerate come organi di attività sensoria. La rete nervosa metterebbe in rapporto questi elementi coi supposti organi di attività motoria, cioè colle cellule di Purkinje. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE. Fic. I. — Figura rappresentante l’insieme delle piccole cellule e delle fibre arcuate nelle circonvoluzioni cerebellari : A. Parte più periferica dello strato molecolare ; B. Zona delle fibre arcuate; C. Strato dei granuli; a, b. Fibre che dai raggi midollari passano nello strato moleco- lare. Fia. 2, 3, 4, 5, 6. — Piccole cellule dello strato molecolare delle circonvo- luzioni cerebellari (HARTNACK, Oc. 2, Ob. 8). NB. I prolungamenli nervosi sono colorati in rosso. 92 TN Socio, signor Maggiore F. SIAccI presenta un’ opera del signor F. CHAPEL colle seguenti parole: Ho l’onore di presentare da parte dell'Autore il sig." F. CHAPEL, dotto Ufficiale dell’Artiglieria francese, un’opera intitolata: Aperegu sur le role des asteroides inferieures. Paris, 1883. È questa, secondo me, un’opera di singolare importanza, in quanto colla scorta di un grandissimo numero di fatti l'Autore indaga il com- pito che hanno nella fisica del mondo gli asteroidi inferiori: così egli cliama i corpi cosmici che urtano continuamente la nostra atmosfera: « Gràce aux énormes vitesses mises en jeu, cet agent >» méconnu, dice l Autore, constitue lune des plus puissantes, >» et, à coup sîùr, la plus dangereuse des forces naturelles, force » de désordre et de perturbation, dont l'action s'étend à toutes » les parties de notre monde, et dans laquelle il faut voir, en > particulier, la cause première des plus grands fléaux qui dé- » solent notre planète ». Il Socio Comm. Prof. E. D’Ovipio presenta due lavori ma- noscritti, uno del signor Dott. Corrado SEGRE, intitolato « Studzo delle quadriche in uno spazio lineare ad un numero qualunque di dimensioni »:; 1 altro del signor Ingegnere Giovanni de BERARDINIS « Sullo scostamento della linea geodetica dalle sezioni normali di una superficie ». Secondo il desiderio degli autori, questi scritti dovendosi stampare ne’ volumi delle Memorie, vengono affidati a due Commissioni incaricate di esaminarli e ri- ferirne in una prossima adunanza. 53 Adunanza del 2 Dicembre 1883 PRESIDENZA DEL SIG. COMM. PROF. ARIODANTE FABRETTI Il Socio GENoccHI, avendo presentato nell’ ultima adunanza un opuscolo del . Principe Baldassarre Boncompagni intitolato « Atti di nascita e di morte di Pietro Simone Marchese di Laplace », aggiunge le seguenti osservazioni : Questo opuscolo è composto di 22 pagine in-4°, delle quali le 21 e 22 contengono gli atti di nascita e di morte del Laplace. Le pagine 5-20 dell’opuscolo suddetto contengono un piccolo scritto su tali documenti, nel quale si dà un catalogo di 65 scritti e articoli di giornali, dizionari, ecc. relativi a Laplace, dei quali 15 non indicano il giorno della nascita di Laplace, 26 indicano esattamente il giorno della nascita (28 marzo 1749) di questo illustre geometra, e 24 indicano erroneamente il giorno della sua nascita. In tali 65 scritti o articoli, 8 non indicano il giorno della morte del Laplace, 38 indicano esattamente tal giorno (5 marzo 1827), 16, e qualche edizione indicata sotto i numeri 25, 40 e 44 indicano erroneamente il giorno della sua morte. Veggansi su tali risultati le note (2) della pagina 17 e (3) della pagina 20. 54 A. DORNA Il Socio Cav. Prof. Alessandro DornA, Direttore dell’ Os- servatorio astronomico di Torino, presenta all’Accademia per gli Atti i seguenti lavori dell’Assistente all'Osservatorio Prof. Angelo CHARRIER: di ° Effemeridi del Sole, della Luna e dei principali Pianeti per l’anno 1884. 2° Osservazioni meteorologiche dei mesi di Giugno, Luglio, Agosto, Settembre, Ottobre e Novembre del 1883. 3° Riassunti delle dette Osservazioni per ciascun mese. 4° Diagrammi di dette Osservazioni pure per ciascun mese. EFFEMERIDI DEL SOLE Gennaio ® TEMPO MEDIO DI ROMA ca sn MEI RITI, ge = Passaggio ni La i sii soa "tare | mezzodì vero h m hm ss h m i] 8 olo 2237 66| 4 45] 230 9 454 Ed) Dr: SIMILI) 23 6-03 4 46| 23 57 0-8 Sell 18% to 23 34-05 | 4 48 | 22 51 29.7 4| 8 0 24 1:67) 4 48| 22 45 313 Biil-181 lo 24.28.86 | 4 49| 22 39 5:9 Gul: 180 <0 924 55:59 | 4 50| 22 32 13-6 Mari 925 21:83 | 4 51| 22 24 54°6 8| 7 59 25 47:58 | 4 52| 22 17 9-1 9| 7 59 Zi 19-70] 4 530922 8 59:44 10| 7 59 26 37:45 | 4 55/22 0 19.7 DO: 7° 58 27 1:53| 4 56| 21 51 16:3 12} 7 58 27 25-00] 4 57| 21 41 47:4 PR RI 27 47 81| 4 59| 21 31 531 i4l 7 57 28 10-10| 4 59| 21 21 33:9 15) 7 57 28 31:69] 5 1|21 10 490 16] 7 56 28 52:62 | 5 220 59 416 74 Dy 56 29 12:87] 5 320 48 92 18] 7 55] 2932-43; 5 5|20 36132 19 | 7 54| 29 51.29 I 5 6|90 23 537 20} 7 53 30 Li SI dig 20! 101° Hit3 21} 7 52 30 26 84 | 5 9| 19 58 555 22 | 7 5I 30 43:50 | 5 10|19 44 37‘6 23 | 7 51 30 59-42] 5 11|19 30 47-7 94| 7 50 3I 14:57 | 5 13| 19 16 36-1 25| 7 49 31 28:94] 5 15/19 2 3-1 26 | 7 49 31 42:52) 5 1618 47 9°3 971) 7 48 31 55:30) 5 17) 18 31 55-0 28 7 47 32 7:27) 5 18| 18 16 206 99 | 7 46 32 18:42} 5 19| 17 02644 30 | 7 45 32 28-74 | 5 21| 17 44 130 | A EAA 32 38-24 | 5 22 17 27 40‘7 DECLINAZIONE | TEMPO SIDERALE DI TORINO a mezzadì medio di Roma 55 56 A. DORNA Febbraio GE TEMPO MEDIO DI ROMA DECLINAZIONE | TEMPO SIDERALE z= Usa pe ei À DI TORINO assa (1) x © = | Nascere 1 Tramon- > agoai a mezzodì uo) meridiano tare mezzodi vero medio di Roma h m hi mnieels h m h m s Il 7 420 32 46-89 5 24 | 17010'50"0A| 20 25 18-51 2 OA 32 54 ‘70 DI25 8016053 IA 20/129% 1507 3 AA so 1:68 5 26 | 16 36 14°8 20) 52 Sl =62 4 ViEs9 SME? dae e 61 20 137 98217 5 7 38 SIMO 51030: || 16}, 030:6 20 41 4°73 6 7 36 5) i la/05te) ISEE ion 1337 20 45 1°38 7] TOS SOND125 5 39/5 294059 20 48 57 ‘84 8 MISA 33 24 ‘05 DIRSA [bi 40259 20 52 54:39 9 Wes, 33 26 ‘08 pi 35% 14 4504865 20 57 50‘95 10 TRS 33 27 ‘30 piè 37e| 14 (2603050 91. 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DORNA — SOLE — Aprile loi TEMPO MEDIO DI ROMA DECLINAZIONE | TEMPO SIDERALE î= Ja d 3 DI AOENAE \(D = | Nascere al Tramon- , a mezzodì Tdi e gina tare mezzodì vero melioaleome 3 m him ts 0 22 46 ‘12 477 4° 48' 18"92B 11 204 34 17.0 DOCS 19 52 qVuidnao LO: (0) (=, DS fer f=r}K-rKer}i<7) «NS D ara ot eeceo':S'e DO] D CSS sa eu) nd uaar or da 2 ro (=) so DD ea D (erilorfierMerMer) (dba d n DD LI-1S5 (>) DS] O) Ss 7” |. ——T__—_—_—_—-|rrr_rr_r"rrrt ll, e] ” " 19 Lo Db (SP) Ne) LL LA © DD 0%0 Inni DSi SÌ >) va 00 Du (de) (00) 1D DIST = — | ————_—_—_—_—__—_—< | ——_ uu gr ut 19 a 0 i d risa ES Ci 19 DO air oro or (co) gior SESTO) uatotaoar ot dd n w ot _ —ù (erMer) - 0 0 ) 19 19 0 0 CS 0) (99) (=) USI st pn dI | I n e I SEI e De SN Rn RE SE RI Seri v I DI 0 dI C < sr Ùi RONN e (e SJ © OMSS) a 90 Dee Neficr) dI LI Au do Ot (=) SO) oe (PONSO) Da 19 19 a aut (eriflo) ao m OX EFFEMERIDI DEL SOLE Maggio TEMPO MEDIO DI ROMA DECLINAZIONE | TEMPO SIDERALE o 1A om GIORNO el Mese palza sa - DI TORINO RR as 1388 PNRA RENI iosa: a mezzodì 3 sictidiio tare mezzodi vero medio di Roma h m hmes h m h m s 1{ 5° 9|0.15 55:00] 7 24 | 15° 16'39"9B| 2 20 8-26 Sulcis «M 15 48:09 | 7 25 | 15 34 312 2 24 481 5 6 15 41:68] 7 27] 15 52 700 2 928 1:37 bl 5 14 15 35:83] 7 28| 16 92711 2 31 57:92 1: fat", 15 30:50| 7 29 | 16 26 31:0 2 35 54:48 Gel 3 15 25-74| 7 3016 43 18°5 2 39 51-03 di ns id 15 21:52) 7 3I | 16 59 49:3 2 43 47:58 8| 4 59 5: b7:87ul Ze 3%] 1% 1660301 2 47 44014 9] 4 58 15 14:79] 7 34| 17 31 59-8 2 5I 40-69 10| 4 57 15 12:28] 7 35 | 17 47 38:9 2 55 37:25 il 4 55 15 10:35] 7 36 | 18 3 00:0 2 59 33-80 12] 4 54 15. 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Accad. - Parte Fisica — Vol. XIX. 66 “GIORNO | =«lasgs4al Ot LO 19 = | A. 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EFFEMERIDI DELLA LUNA #1 Settembre Ottobre | TEMPO MEDIO DI ROMA «| TEMPO MEDIO DI ROMA a Tin EAT cn) SO — rr "TS 2 | ca è ss; : ee E, Nascere | ©; (37| Nascere ! 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Mai se3009 13 5. 18/0: 63 Rs 4 4111 "= 05 | 3. 59] talea: sigillo 3 34|10544| 5 57 3 25|10° 516 ‘83 9 SEUI 15994 74 4° 31 Ole e de gol gg gdo 55 GBHES, 6 45/1 41] 8° 39 1. 29 dI] 61226 qa ape io 991, (871985 8 A psi i i i Dl 954 LETT: 6 DEZ46 5 ‘al: 5460 *) 5 48/i15= 7|5 26 5» 8 [di S:1010 50005 5 54|i11 30| 5 6 60 SDRAIO 5 A 7 38] 0@i9| 5 i 80193 | 040 DS 9 CITA 13 DNS 9726) "1 35 DA 9 20|1 406 6 8 20/0 55/5 32 PI VENERE Passaggio SE Nascere ali € meridiano montare h m| Db Sa E 9 = Sal Si 6 % 48 9 z 99] 9° 311 7 43 Se S 198 0k 9 Sn aigegpo 9. ol I: SS 10 a Pere CRE A 1 4 7a Sprea 11 al 7 SOL 26/11 39 Pi seofiat tisi 1 G i 7 I 29) 8 50 d ilialtenzn) 7 di 4 10| 11 = 99 6 34 o. 40] 9553 5 Ul i 2 iis 4 di 1 Sil 4 2 (SENSE 4 a 2 55|9 23/3 52 4 26| 9 Agia { 4 0Li Spal) 3 6 26/107 1| 2 49 6 40/10 12| 2 45 EFFEMERIDI DEI PIANETI MARTE GIOVE SATURNO > I na E nn A Ign Passaggio Tra- RABERBtA Ta î Passaggio Tra- Mancere, | "TI. (000 montare Nascere tamene | montare Nascere nol montare m h m | h m h mij h m m h m | h m m 3 =18|10=37|| 6 226] 1=56| 9=26|| 2 221] 9 #45 29 22321 9È56|| 5540] 1211 = 42/1240] 92 4 28 : 1541| 9511 4 40 27 = 0 059 [80023 SAI vr=" e) àl'o 41] 818] 3° 58|11 233 8 15| 7. 39 3 5S8|t11% Mi een LO.» 49) 61125 BOTA RO 24 2 = > 19 9 O Z 19 i 1 ì I c- ut ro o 001778 N (e oMo fd) LAU OUMNeN —_ UNE S tSI (=) 9 SS (e e) (ex) vw a bo ro Ma Lo Ot (SLI CS Si (O) (VE) Deo SOS (er) cumeR | LARIO | ina Do SN 34) 10 (ce) ro (0°) © > 000 (er) oO MW Waai nov | (SI da — O) DO HD MWW dai w Ke) LIOG era 1.10. DOO (SL Ra] ES (O) o} (9) os| da È) Sun 9 2) °) ENEA QUE Î v nl (cr) DO) 19) (di (Si a) IO) o DD DS LC 11514 25/10 46 MO reds 48 21 P- dI Urur c) Cì 090 co 0 0 SD Do mir Wear — P_Si (O) Pes i LO N 00 (°LS © ab — 90 peo SLI, 11 227) TUEL 29, 43 (©) 26 CS w x 00 090 w (d°) 0 ISU dat —_ (») DI Gt a I 100 Da DO NO Wa (e ©) DD o) (e e) Ci (-) ie (SS nl 14 a Vo WWW paru aGObS w (Se) Sw dv 105 6 (Sii (59) pes © do) Ce wo WWL a uo Oui 0WwWo Se- = 09 DO O) 0 VOL VOLO VW VWW VOS Sec c-- DO — ww Woo SSL (Li Sì 19 vo ma of eminenti tnt O O NO DO 0 WR 07 0A a orga Dad LL10%0 005 S CSI (ti DI Ra] uugnai meo oo ($14 D WWeagr Dad mwooe (er) Dal (SG ] o} (9) sia 8 Sini 7 54|11©32! 7 10 6 30 11|10 3 49! 76 A. DORNA Anno XVIII 1883 RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI fatte nel mese di Giugno. La media delle pressioni barometriche osservate in questo mese è di 36,22; inferiore di mm. 0,31 alla media degli ultimi diciassette anni. Le variazioni delle pressioni non furono frequenti, e quasi tutte assai lente. — ll seguente quadro ne contiene i massimi e minimi valori. Giorni del mese. Massimi. ! Giorni del mese. Minimi. 11 io 89,05 65. Spa: 26,87 14 41,83 | 99€, SO a 29,45 DIR. pa 39,57 Da SITEPIDE 34,64 ; dal 22 in poi continuò a crescere lentamente ma in modo con- tinuo, ed il giorno 30 raggiungeva il valore 41,55. La temperatura in questo mese non fu molto elevata, a causa delle frequenti pioggie e dei temporali; la media 19°,6 delle temperature osservate è inferiore di 1°,6 alla media di Giugno degli ultimi diciassette anni. — I valori estremi della temperatura furono 10°, 7 e 26°,7 e si ebbero nei giorni 19 e 28. Si ebbe pioggia in quindici giorni, e l'altezza dell’acqua caduta fu di mm. 174,2. Il seguente quadro dà la frequenza dei venti nelle singole direzioni : NONNE NE ENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW 12,19,,:25 (8 .dfl pblld 6 |&. Gill Sa Anno XVIII 1883 RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI fatte nel mese di Luglio. La pressione barometrica in questo mese ha per valor medio 36,27; inferiore di mm. 0,55 alla media di Luglio degli ul- timi diciassette anni. OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE 77 Le variazioni della pressione in questo mese furono quasi tutte piccole. Il quadro seguente racchiude i valori estremi : Giorni del mese. Massimi. Giorni del mese. Minimi. reo n, 42,00 MR cos: 99 a 39.76 pe ngi ci 30,52 Li Lat ee 42,45 AZOOTNSI _VTENTO 80,33 AS MI 38,00 AIN ati Gli estremi della temperatura 29°,3 e 10°,9 si ebbero ri- spettivamente nei giorni 10 e 28, il valor medio della tempe- ratura 22°, 4 è inferiore di 1°,7 alla media di Luglio degli ul- timi diciassette anni. Undici furono i giorni piovosi, e l’acqua caduta misurò l’al- tezza di mm. 73, 3. Il quadro seguente indica la frequenza dei venti: NO NVE NE FNE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NW MSA So e 9 2 Ag Anno XVIII 1883 RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI fatte nel mese d’Agosto. La media delle altezze barometriche osservate in questo mese è 38, 46; superiore di mm. 1,78 alla media di Agosto degli ultimi diciassette anni. Il quadro seguente contiene le altezze massime e minime : Morni del mese. Massimi. | Giorm del mese. Minimi. e ect. 40,32 Mao 32,02 Spal v 39,72 LU nati 33,06 115 MRROO PoRte Satato 48,04 | 1 KS) arno ne 31,79 10 PR 42,41 dal giorno 19 sino al 28 l’altezza barometrica variò pochissimo, mantenendosi sempre vicina a 40,0 ; nel giorno 29 cominciò a diminuire continuamente. 78 A. DORNA La media delle temperature osservate fu di 22°, 5: valore che differisce in meno dalla media di Agosto degli ultimi di- ciassette anni appena di 0°,2. Si ebbe pioggia in quattro giorni, e l’altezza dell’acqua ca- duta fu di mm. 31,2. Il quadro seguente dà il numero delle volte che spirò il vento nelle singole direzioni: NO ONNE ONE EVE OE ESE SE SSE OS SSW SW WSW W WNW NW NNW 2 12. 35 4104. 7 03,00 3 ARA Anno XVIII 1883 RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI fatte nel mese di Settembre. La pressione barometrica in questo mese ha per valor medio 36,06, ed è inferiore di mm. 1,89 alla media di Settembre degli ultimi diciassette anni. Le oscillazioni della pressione non furono numerose, ma con- siderevoli per l'ampiezza. Giorni del mese. Mimi. Giorni del mese. Massimi. Dropy ft. 27,82 ASSIZIA, 99 37,32 pag Sb È 29,97 dui asa, SOR 42,14 CISA 31,94 27 astio 40,68 SO 9 pia 24,17 La temperatura in questo mese ha per valor medio 18°,2, inferiore di solo 0°,7 alla media degli ultimi diciassette anni. — I valori estremi 25°,6 e 10°,4 si ebbero nei giorni 23 e 29. Dieci furono i giorni con pioggia, e si raccolsero nel plu- viometro mm. 23,7 d’acqua. La tabella seguente dà la frequenza dei singoli venti : NO NNE NE ENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW 940.19. g 550 2 2 6 2° 3 VASO, OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE 79 Anno XVIII 1883 RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI fatte nel mese di Ottobre. La pressione barometrica in questo mese variò considerevol- mente nella prima decade, poco nella seconda ed in modo ab- bastanza considerevole nella terza decade. Il suo valor medio 39, 04, supera di mm. 1,70 quello di Ottobre degli ultimi diciassette anni. Il seguente quadro contiene i valori massimi e minimi della pressione : Giorni del mese. Massimi. Giorni del mese. Minimi. Me GIA Alga SR | 27,54 (2 VRRAZIIC. PASO: 50,74 EI. adrona: 35,50 1 ARE 43,45 | Da «sr dd il dal 22 al 31 continuò la pressione a salire continuamente. La media temperatura è di 12°,5; inferiore solo di 0°, 4 alla media di Ottobre degli ultimi diciassette anni. La temperatura minima 3°,8 si ebbe nel giorno 5; la mas- sima 18°,8 nel giorno 13, Si ebbe pioggia in otto giorni, e l'altezza dell’acqua caduta fu di mm. 28,0. Il quadro seguente dà il numero delle volte che spirò il vento nelle diverse direzioni : NONVE NE EVE E ESE SE SSE SSW SW WSW W WNW NW NIW Mie 8 ei [e 2] Anno XVIII 1883 RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI fatte nel mese di Novembre. Le pressioni barometriche osservate in questo mese hanno per media 39,28, la quale supera la media di Novembre degli ultimi diciassette anni di mm. 2,60. 80 A. DORNA In questo mese la pressione variò considerevolmente dal prin- cipio alla fine del mese. Il quadro seguente ne contiene i valori estremi: Giorn del mese. Massimi. Giorni del mese. Mmm. ASS 45,22 DAsmat . 30,33 O 37,18 TSE E 29,61 DORSO. 46,06 PROP SEAER O *N 35,44. FASI ORALE: 49,91 La temperatura media è di 6°,3; superiore solo di 0°, 1 alla media di Novembre degli ultimi diciassette anni. — Le tempe- rature estreme 14°,2 e — 2°,3 si ebbero: la prima nei giorni 9 ed 11, la seconda nel giorno 23. I giorni piovosi furono quattro, e l’acqua raccolta misurò l’altezza di mm. 12,9. Nel giorno 27 cadde neve sulla collina. Il quadro seguente dà la frequenza dei singoli venti: NONNE NE RENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW AA PITT 811000 000 ORARIO OA e Gli altri lavori sopra accennati vedranno la luce nel solito fascicolo annuale che si pubblica per cura dell’Accademia. Il Socio Comm. Prof. É. D'Ovipio, condeputato coi Soci Cav. Prof. G. Bruno e Maggiore Prof. SiAcci ad esaminare lo « Studio sulle quadriche in uno spazio lineare ad un numero qualunque di dimensioni », del signor Dott. Corrado SEGRE, presentato nell'adunanza del 18 corrente, legge la seguente RELAZIONE Se vi fosse ancora fra i cultori delle scienze matematiche chi reputasse illogica o inutile la teoria dei cosidetti spazî di un numero qualunque di dimensioni, questa Memoria del D' SEGRE dovrebbe convincerlo del contrario. Poichè da un lato egli ve- drebbe come la teoria degli spazî, oltre ad avere una grande importanza nel campo dell'analisi, si presti anche ad una trat- tazione sintetica, simile a quella della odierna Geometria proiet- tiva, benchè non si eserciti sempre sopra obbietti sensibili; e dall'altro lato vedrebbe come la teoria trovi immediata e feconda applicazione all’ordinario spazio geometrico, col vantaggio sommo di aggruppare intorno ad un concetto unico e generale svariate teorie particolari, che nella scienza eran venute formandosi len- tamente l’una dopo l’altra. Certamente, la teoria generale degli spazî non sarebbe sorta, se questo lavorìo di lenta formazione di varie teorie particolari ed analoghe non avesse preceduto; ma ciò può aver diminuita la difficoltà di stabilire una teoria generale, e non può detrarre all’utilità di questa. Daremo un rapido cenno della elaborata Memoria del Dott. SEGRE. Dopo aver richiamato alcune nozioni generali sugli spazî a più dimensioni e sugli spazî lineari di diversi ordini in essi con- tenuti, l'A. nella 1° parte sviluppa la Geometria di una qua- drica a n —2 dimensioni, vale a dire le proprietà di un sistema Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XIX. 6 82 RELAZIONE SULLA MEMORIA DEL DOTT. €. SEGRE di punti in uno spazio a n —1 dimensioni, le cui coordinate sod- disfanno a una equazione quadratica. Questo argomento non era stato finora studiato di proposito dai geometri, e l'A. occupan- dosene ha reso loro un vero servigio. Estendendo le proprietà delle ordinarie curve e superficie di 2° ordine, lA. parla degli spazî lineari polari rispetto alla qua- drica, ed esamina le successive specializzazioni della quadrica (analoghe ai conì, cilindri, coppie di piani nelle superficie di 2° or- dine), notando come ogni quadrica specializzata possa ottenersi proiettando da uno spazio lineare una quadrica non specializzata di minor numero di dimensioni. Mediante la considerazione di gruppi di punti mutuamente coniugati rispetto alla quadrica, mostra che due quadriche sono proisttivamente identiche se spe- cializzate lo stesso numero di volte, e però una quadrica ha un solo invariante (il discrimiriante). Passa l'A. ad assegnare i varî spazî lineari contenuti nella quadrica (analoghi alle rette del- l’iperboloide) e le loro mutue relazioni. La dualità domina in queste ricerche, e quindi vi è parlato degli spazî lineari tangenti alla quadrica o inviluppanti la quadrica. Segue l’esposizione della proiezione detta stereografica del KLEIN in uno spazio lineare qualunque, e la sua applicazione a ritrovare dei numeri di spazi lineari, rettificando alcuni dati dal Prof. VERONESE. È notato come siano molto diverse le relazioni fra i due sistemi di spazî lineari a p dimensioni contenuti in una quadrica a 2p dimensioni, se-. condo che p è pari o dispari: ed è dato un nuovo teorema sul numero dei punti comuni a due spazî algebrici qualunque a p dimensioni contenute in quella quadrica, il quale contiene come particolari due teoremi di CHasLes e HaLPHEN. Chiude la 1° parte la generazione delle quadriche con sistemi reciproci. Nella 2° parte l'A. studia i fasci di quadriche e le quar- . tiche basi di essi, estendendo le proprietà proiettive dei fasei di curve e superficie di 2° ordine; e tiene conto delle quadriche specializzate del fascio. Trattando degli spazî lineari di n—-3 dimensioni polari dei punti dello spazio di #—1 dimensioni ri- spetto al fascio di quadriche di #—2 dimensioni, rileva l’ana- logia delle loro proprietà con quelle dell’ ordinario complesso. tetraedrale (n —=4). Indi passa agli spazî quadratici e lineari contenuti in una quartica, e alla genesi di questa mediante tali spazì. i A questo punto l’A. entra nella classificazione de’ fasci di RELAZIONE SULLA MEMORIA DEL DOTT. C. SEGRE. 83 quadriche e delle quartiche. mediante il metodo dei divisori ele- mentari del WEIERSTRASS per la riduzione simultanea di due forme quadratiche a forma canonica. Qui lA. non solo estende ricerche altrui particolari, ma riesce a dare delle regole per riconoscere il significato geometrico di ciascun dato sistema di divisori ele- mentari, applicando le quali ai singoli casi ottiene la classifica- zione, mentre evita di trattar ciascun caso mediante la relativa forma canonica con calcoli lunghi e poco eleganti. Può così di- stinguere le quartiche e i fasci in tante specie. e trovare i rispettivi invarianti assoluti e il loro significato geometrico. Segue l’applicazione alle superficie di 2° ordine e curve gobbe di 4° or- dine. Tratta pure l'A. delle schiere di quadriche e loro svilup- pabili circoscritte, accennando le singolarità di esse. Da ultimo studia le quartiche esistenti su una quadrica fissa, e particolar- mente quei sistemi di quartiche che chiama omofocali. .- La Memoria, di cui abbiamo sommariamente accennato il contenuto, spicca per ampiezza ed originalità di concetto, per si- curezza ed acume d'intuizione, per eleganza di procedimento e per accurata esposizione. Essa reca una utile ed opportuna con- tribuzione agli studi geometrici. E però la Commissione non esita a proporne la lettura alla Classe. G. BRUNO F. Siacci E. D’OvIpro, Relatore. Datasi quindi lettura della Memoria del signor Dott. Cor- rado SEGRE, questa viene approvata con regolare votazione per l' inserzione nei volumi delle Memorze. 84 L. CAMERANO Il Socio Comm. Prof. Michele Lessona presenta e legge la seguente Memoria del signor Dott. Prof. Lorenzo CAMERANO, INTORNO N. EiQots Bed, SVILUPPO DEGLIEANEI:IE In un mio precedente lavoro intorno alla vita branchiale degli Anfibi, presentato a questa R. Accademia il giorno 10 Giugno corrente, e che ebbe l’onore di essere approvato per la stampa nella seduta del 24 Giugno stesso, io parlava a lungo de’ vari singolarissimi fenomeni che si osservano nello sviluppo degli Anfibi durante il loro periodo larvale. Fra questi fenomeni viene in prima linea il perdurare di numerose specie di Anfibi sia anuri, sia urodeli per vari anni allo stato branchiale e il dare opera di alcune alla riproduzione in questo stadio. Dall’epoca sopra menzionata ad oggi sono stati osservati da me stesso e da altri Autori parecchi fatti degni di essere tenuti in conto e di essere discussi, credo utile perciò a complemento della memoria stessa di riferire qui i fatti in questione. Anzitutto, al capitolo bibliografico, debbono essere fatte le aggiunte seguenti : DE FiLippi. — Nota sopra il 7riton alpestris. R. Accad. delle Scienze di Torino. Mem., Ser. 2*, Vol. XXI, pag. Lxv. (Comunicazione dei fatti relativi al 7riton alpestris osser- vati in Formazza). Ciro KocH. — Formen und Wandlungen der Ecaudaten Ba- trachier des Untermain und Lahngietes. Francoforte, 1872. INTORNO ALLA NEOTENIA ECC. 85 F. Leypia. — Die anuren Batrachier der deutschen fauna. Bonn, 1877. C. BRUCcH. — Bestrige zur Naturgeschichte und Classification nackten Amphibien. Wiirzburger naturwissenschaftliche Zeit- sehoift. III, 18962. EBNER. — Ueber einen Triton cristatus Laur. mit bleibenden Kiemen. Mittheilungen des naturwissenschaftlichen Vereine in Gratz, 1877. WIEDERSHEIM. — Anatomie der Gymmophionen. Jena 1879. E. PrLicer. — Das Ueberwintern der Kaulquappen der Kno- blauchkròte. Archiv. f. ges. Physiologie von W. Pfliger Wol'NXXT, “1883. J. KOLLMANN. — Das Ueberwintern von europaischen Frosch- und Triton Larve, und die Umwandlundung des Mexika- nischen Axolotl. Verhandl. d. Naturf. Gesel. in Basel., VII. 1883. WIEDERSHEIM. — Zur anatomie des Amblystoma Weismanni. - Zeitschrift fiir wiss. Zool. Vol. XXXII. Alla tavola degli Anfibi nei quali vennero sino ad ora osser- vati casi di prolungamento del periodo girinale è d’uopo fare le aggiunte seguenti : Località Autori infibi europei in cui si fecero ed OSSERVAZIONI le osservazioni Osservatori rilon alpestris | Ormea - castello | Sig. G. Peracca, -} +[l sig. G. Peracca osservò il Laur. di Quarzina. 7 Settembre 1883 nella località quì di contro segnata, a circa 400 metri sul livello del mare, numerosi individui perfetta- mente adulti per la mole ed | aventi ancora le branchie e- sterne. Idem Antilone, Ander- | Prof. G. Spezia In queste località si osser- matten in Val e varono anche in quest'anno gli Formazza. Capitano G. Bazetta.! stessi fatti già osservati dal De-Filippi e da me stesso negli anni precedenti, e a lungo de- scritti nel mio precedente la- voro Sulla vita branchiale degli Anfibi. 86 .. CAMERANO =_= —=__—-=-«*—-<*(' & *& h\ 0050, OSSERVAZIONI Luogo | Autori Anfibi europei | in cui sì fecero | ed | le osservazioni | Osservatori Triton cristatus | Nella vita libera | Prof. Ebner. Laur. | | | | I Ì Pelobates fuscus | Bonn. E. Pfliiger. | Laur. | | Bombinator igneus! Bonn. | E Pflîiger. | Laur. O | | | | Rana esculenta | Bonu. E. Pfliiger. Linn. | | | | | | [dem | Basilea | 1 Kollmann. | | {Neudorfer}). | | | i | Î [dem | Laboratorio. | Sig. Peracca. | I | ! | | | ! Idem | Reaglie | S.P, Baraldi. | | presso Torino. | | Rana muta Alpe di Veglia | Sig. Roggia | | Laur. (Ossola). | e | Capitano Bazetta. | | | ‘ individuo maschio di ques specie. | nella valle del Reno relati | mente molto fredda, tanto cl Questo Autore osservò 1 specie di 13;centimetri di lu ghezza, sessualmente matur il quale 1’8 Luglio aveva a cora le branchie. Questo Autore osservò, 1883 in una pozzanghera pres Bonn, larve svernate di ques Osservò nell’Ottobre del 188 larve di questa specie di a cora piccole dimensioni. L° state e l’autunno del 1882 | l’uva non giunse a maturiti Osservò nel 1802 girini € questa specie prolunganti periodo larvale sino alla fi di Ottobre. Osservò nel Maggio del 188 ripetutamente larve gigant mente avevano svernato. Trovò a Chivasso (Piemonte girini di questa specie nell’A gosto: li tenne in acquario. osservò prolungarsi il period girinale sino alla fine di Di cembre. Osservò ai 25 Ottobre 1583 due girini coi rudimenti delle zampe posteriori. È Si osservarono girini di [tane muta non aventi ancora le zampe posteriori il giorno è Novembre 1883. Nella località, in discorso, a questa epoca 4 veva già nevicato e gelato. INTORNO ALLA NEOTENIA ECC. 87 Coi”fatti ora menzionati si viene ad aumentare il numero delle specie di Anfibi europei, nei quali si osservò il fenomeno del prolungamento del periodo larvale. Dalla tavola sopra riferita e da quella analoga unita alla Memoria sulla Vita branchiale degli Anfibi, si vede che sopra dodici specie sicure di Anfibi anuri europei, sei presentano più o meno frequentemente il prolungamento della vita girinale. Tra queste, il Zriton alpestris, deve essere soprattutto notato per la frequenza dei casi di questa natura.’ Negli Anfibi anuri, sopra almeno quindici specie ben certe europee, nove presentano fatti di prolungamento del periodo gi- rinale. Fra gli Anuri deve essere menzionata per la frequenza nel presentare questo fenomeno, soprattutto la tana muta Laur. Il Kollmann (1) dà ai fenomeni in discorso il nome di Neo- tenia (vî05 giovane e tei» rimanere). Io credo sia utile dare un nome a questi fatti ora che essi sono già abbastanza numerosi, e il di cui numero andrà certa- mente aumentando in seguito, quando l'osservazione dei natura- listi sarà rivolta ad essi, e sono disposto ad accettare la deno- minazione del Kollmann purchè si stabilisca bene che cosa con essa si vuole indicare. Questa parola neotenia non deve essere presa nel suo signi- ficato letterale assoluto. Il rimanere giovani degli Anfibi, come già dimostrai nella Memoria Sulla vita branchiale degli Anfibi stessi, non è esatto che per qualche carattere e principalmente pel sistema respiratorio, per gli altri caratteri, e soprattutto pel sistema riproduttore, lo sviluppo procede generalmente innanzi e l’animale, e giunge al periodo di animale adulto, cioè atto a riprodursi. Il fenomeno adunque della neofenza, a mio avviso, consiste (1) Op. cit., pag. 391. Mi sì permetta di osservare, che la parola neotenia (essendo reo la seconda parte del composto, dovrebbe aversi piuttosto neotonia, 0 neotasi, 0 neotasia) non può significar altro che tensione recente: perchè il tema neo in greco non ha mai significato oggettivo ma attributivo quando è_nella prima parte di un composto: e perchè 7:&% non volle dir altro mai in greco che stendersi.,. propongo dunque piuttosto emmenoneotesia, che sarebbe il più preciso, 0 ebososia 0 eboteresi, che sarebbero più comodi; di cui il 1° voca- bolo da-èv-pé% in-rimango e vzoeriz:to; giovanile; il 2° e il 3° da #81 gioventù e rispettivamente da z):$» conservo e da tipi mantengo, conservo. R$ î.. CAMERANO nel conservare che fanno non poche specie di Anfibi aleuni caratteri dello stadio giovanile amcehe nello stato perfetto. Intesa in questo senso, e non credo si possa intendere in altro. la neotenia è un fenomeno abbastanza frequente non solo nel gruppo degli Anfibi, ma anche in altri gruppi del regno animale. La neotenia non riguarda. soltanto come è il caso negli Anfibi organi molto importanti come i respiratorî: ma può interessare anche parti meno vitali dell'animale, dando origine negli adulti a caratteri che vengono assunti nelle classificazioni frequentemente, come caratteri specifici e generici. Io ho già avuto occasione, in un mio precedente lavoro (1), di menzionare qualche fatto di questa natura rispetto alla fama esculenta. lo facevo osservare cioè che diverse varietà ben sta- bilite di Rana esculenta si possono ritenere prodotte dal per- durare nello stato adulto di alcuni caratteri proprii in generale dei giovani. Questi caratteri riguardano la colorazione, la mole. e certi tubercoli delle estremità. Anche il Lataste (2) accenna rispetto al Miscoglossus pictus a qualche cosa di analogo. Altri fatti della stessa natura è facile di verificare in altri animali, Ofidi, Sauri, ecc. Il fatto stesso del perdurare frequentissimamente nelle femmine dei caratteri dei giovani, mentre i maschi si differenziano talvolta moltissimo, può considerarsi anch'esso come un caso dî meotenza. Questi fatti sono anche frequenti negli invertebrati e soprat- tutto fra gli insetti. Sono noti fra questi ultimi i relativamente numerosi casi di femmine le quali non raggiungono la forma alata e mantengono per tutta la vita la forma larvale. Negli insetti si verifica pure questo fatto degno di essere tenuto in conto per la spiegazione del fenomeno, vale a dire che le femmine che presentano la neo- tenia appartengono a specie vicinissime di altre, che presentano uno sviluppo normale, ad esempio il gruppo delle Luciole e delle Lampiridi, fra i Coleotteri, quello delle Eterogenis. fra i Lepi- dotteri, ecc. (1) Monogrofia degli Anfihi anuri italiani. Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, Ser, II, Vol. XXXV, 1883. (2) Étude sur le discoglosse. Act, de la Soc. Linn. de Bordeaux, Vol. XXXIII, 1879. INTORNO ALLA NEOTENIA ECC. 89 Delimitato così il concetto della neoteniu. si possono ricer- care le cause di questo fenomeno. Le cause della meoferza sono molteplici e complesse, e siamo ben lungi dall’averne oggi un'idea chiara. Certamente che l’a- dattamento, come io stesso ebbi a dire (1), e come dissero Pfliiger (2) ed altri, vi entra per una gran parte: ma ciò non spiega ancora gran che, poichè anche il meccanismo dell’adat- tamento è oggi molto imperfettamente conosciuto. lo rimando il lettore agli argomenti ed alle conclusioni da me esposte alla fine della Memoria Sulla vita branchiale degli Anfibi, conclusioni che i nuovi fatti sopra esposti confermano. fo non posso essere d’accordo intieramente col Kollmann (8) per quanto riguarda il modo di interpretare il metamorfizzarsi e il non metamorfizzarsi dell’ Axolotl, e ciò soprattutto dopo le osservazioni di Josè M. Velasco sugli Azo/ot/s studiati sul luogo al Messico (4), le quali spargono molta luce sulla natura del fenomeno e fanno vedere come l’adattamento alle condizioni locali ne sia una delle cause determinanti principali. In quanto poi alla questione delle metamorfisi regressive per spiegare i fatti di neofenia in questione relativi agli Anfibi io non posso neppure essere d'accordo col Kollmann, e ciò perchè mi pare difficile poter spiegare altrimenti i numerosi e relativa- mente sviluppati organi rudimentali proprii di uno stadio di svi- luppo terragnolo e quindi più elevato che si trovano anche nelle forme più acquatiche, come il Proteo, ecc. Anche queste metamorfosi regressive hanno tuttavia la loro origine prima nella necessità di adattarsi alle condizioni dell’am- biente, e credo accettabile l'idea del Pfliiger (5). « Wahrsscheinlich wird der Process bei Pel/obates fuscus schliesslich ebenso verlaufen. Milionen von Pelobateslawen gehen jeden Winter in Deutschland zu Grunde, weil der Sommer zu Kurz ist. Nur eine kleine Zahl iiberstehl die Kalte Jahreszeit. Wenn diese Wenigen Individuen spàter durch die zeugung mit (1) Op. cit. (2) Op, cit. (3) Op. cit. (4) Anotaciones y observaciones al trabajo de S. WEISMANN sobre la trans- formacion del Axolots mexicano en Amblistoma — La Naturalezza, V, p. 38, 1882. (5) Op. cit. 90: I. CAMERANO den .wiel zahlreicheren sich vermischen, deren Larvenstadium nur einen Sommer in Auspruch genommen hat, so wird die Aerbe Natur der eesteren sich nur sehr abgeschwàcht reserben. Aber der Process arbeitet stetig und wird schliesslich zum Ziele fùhren. Er lehrt uns, welche unermessliche Zahl von Individuen im Ju- sendzustand zu Grunde gehen muss, um die Aupassung an das Klima zu ermòglichen ». Negli Anfibi, come cercai di dimostrare nella Memoria Sulla vita branchiale degli Anfibi. la neotenia non segna, soprattutto negli Anfibi urodeli, un arresto di sviluppo, poichè gli organi es- senziali e caratteristici dello stato adulto e perfetto, cioè gli organi riproduttori non solamente continuano a svilupparsi, ma impiegano presso a poco lo stesso tempo come negli individui normali, e soprattutto poi entrano come in questi in funzione. La neotenza in questo caso consiste puramente nel conservare che fa l’animale il carattere giovanile delle branchie. Ora ripeto si è l’adatta- mento che determina questo fatto. A misura che la weotenzia si fissa, per dir così, in una specie è evidente che avverranno modificazioni più o meno notevoli anche in altri organi diversi dai meotenici. Così, ad esempio, la vita acquatica prolungata indurrà modificazioni non solo nelle branchie, ma anche negli organi locomotori, nel colore, nella forma ge- nerale del corpo ecc., ed ecco come a poco a poco passando l’animale , dalla forma terragnola, alla forma schiettamente acquatica, rifaccia, per modo di dire. con una metamorfosi re- grediente , gli stadii già percorsi nel suo sviluppo ontegenetico. La neotenia, in altre parole prodottasi per adattamento della specie coll’ambiente, può essere causa in molti casi di metamor- fosì regressive. Anche nei casi di insetti sopra citati si hanno fatti che con- cordano con ciò che ora si è detto. Nelle Eferogenis, ad esempio, fra i lepidotteri la meotenia ha prodotto il perdurare della forma larvale della femmina in molte specie anche allo stato adulto , la metamorfosi regrediente, che ne seguì, indusse l’atrofia degli organi locomotori e la perdita quasi completa del movimento. Negli Anfibi urodeli, ripeto, non mi pare si possa nel feno- meno della seofenia intendere un arresto di sviluppo dell’animale. Negli Anfibi anuri la cosa è un po’ più difficile da spiegarsi, poichè i fatti, che si posseggono ora, non ci concedono ancora conclusioni sicure. Anche qui tuttavia, come risulta dal caso di INTORNO ALLA NEOTENIA ECC. 91 un lungo perdurare di girini Rana muta da me riferito nella Memoria ripetutamente citata, lo sviluppo generale dell’animale procede innanzi e non è impossibile che si possano avere anche individui branchiati di Anfibi anuri sessualmente maturi. In una categoria di fatti meotenici tuttavia mi pare che vi possa racchiudere il concetto di arresto di sviluppo, e questi sono i caratteri sessuali secondari delle femmine di molte specie; i caratteri che, come è noto, sono in gran parte quelle dei giovani di ambo i sessi. La femmina, in questi casi segna, per dir così, uno stadio di sviluppo inferiore a quello dei maschi. E ciò mi pare tanto più sostenibile in quanto che è stato frequentemente osservato il fatto di femmine, le quali, invecchiando, perdono i caratteri dei giovani, e tendono ad acquistare i caratteri dei maschi. Io distribuirei i fenomeni neoterici nel modo seguente, senza dare tuttavia a queste divisioni un valore assoluto. i L’animale sì sviluppa pro- Non si ha un vero arresto di i gressivamente ; giunge allo | sviluppo. Avvengono spesso mo- stato adulto e si riproduce | dificazioni profonde in seguito conservando qualche carattere |‘ a metamorfosi regressive. Ad dello stadio giovanile. Ad e- | esempio, le forme schiettamente sempio gli Anfibi urodeli. acquatiche fra gli Anfibi urodeli attuali. Neotenia / — L’animale giunge normal- / Qui sì può considerare come mente allo stato adulto conser- | un arresto di sviluppo, il quale vando molti caratteri giovanili. } talvolta coll’ invecchiare delle Ad esempio, le differenze ses- ) femmine cessa, e l’animale pro- | suali secondarie delle femmine | gredisce acquistando qualche \ di molte specie. carattere del maschio. TT Ritornando ora al discorso risguardante le cause probabili della neoternia negli Anfibi, io desidero di chiamare l’attenzione del lettore in primo luogo sull'azione della temperatura e soprattutto sull'azione del freddo, come causa determinante dei fenomeni stessi. A quest'uopo giova por mente al fatto sopra menzionato del Triton alpestris adulto e branchiato, il quale venne osser- vato ultimamente dal signor Peracca presso ad Ormea. Il laghetto contenente i Tritoni alpestri adulti e branchiati non è molto grande ed ha la profondità media di una sessan- tina di centimetri: variando questa alquanto, secondo gli anni, esso è poco ricco di piante acquatiche ed ha fondo torboso. La località ove esso si trova è a 400 metri circa sul livello del suolo ed è molto calda. Questo fatto unito a quello già osser- 99 L. CAMERANO vato dal Prof. Gasco e da me riferito nella Memoria Sulla vita branchiale degli Anfibi, ed anche a quelli osservati dal Velasco al Messico intorno agli Axolotl! dimostrano che la meotenia in questi casi non si deve solo alla temperatura fredda e alla pre- cocità della stagione rigida. L'’essiccarsi regolare in una deter- minata stagione degli stagni è pure una causa determinante della neotenia. Un'altra causa determinante la neotenza negli Anfibi, soprat- tutto urodeli ed in particolar luogo nel 7riton alpestris, che è la specie che più frequentemente presenta questo fenomeno fra noi, si deve ricercare nelle condizioni di vita dei luoghi dove essa vive. Spesso, come io ho osservato ripetutamente nei laghetti Al- pini, il Zriton alpestris è il solo abitatore vertebrato dei la- ghetti stessi. Qualche volta vi si trova insieme anche la frane muta: ma questa non costituisce pel 7riton un nemico. In questi laghetti il Yriton «lpestris non trova nemici seri: mentre in- vece ne trova sul terreno asciutto dove vi sono vipere: piccoli mammiferi carnivori, uccelli, ecc., i quali, tutti nella scarsità di cibo che caratterizza l’alta regione alpina, non sdegnano di nu- trirsi anche di Tritoni e di Salamanche; le vipere soprattutto. Questo fatto da una parte e l’abbondanza di cibo nell’acqua, cibo costituito da molti insetti e spesso anche da uova e da girini di Rana muta, dei quali, come ebbi occasione ripetutamente di osservare, i Tritoni in generale sono ghiottissimi, fanno sì che le migliori condizioni di vita pel Triton alpestris si trovano in molti luoghi nell’acqua anzichè sul terreno asciutto. A poco a poco perciò la scelta naturale produce una tendenza a prolun- gare la vita acquatica, la quale va man mano facendosi più spiccata; di qui la meotenia e gli altri fenomeni già menzionati. Una prova di quanto dico sì può avere nella celebre località di Val Formazza, dove il De Filippi osservò per la prima volta il perdurare delle branchie nello stato adulto nel 7riton al- pestris, vale a dire nel lago di Antilone. In questo lago i 7ri- ton alpestris sono nell’acqua straordinariamente abbondanti : mentre sono rarissimi sulle sponde all’asciutto. Intorno al lago sono invece abbondanti varie specie di Ofidi e. fra gli altri, le vipere. Questa località, quantunque alta 1600 metri sul livello del mare, è tuttavia relativamente calda, e la buona stagione vi dura INTORNO ALLA NEOTENIA ECC. 93 per un tempo più che sufficiente, perchè i 7riton alpestris pos- sano svilupparsi normalmente. Inoltre, l’osservarsi la neotenza nei Triton di una località . e non in quelli di una località non molto lontana e nelle stesse condizioni, di abbondanza d’acqua, di temperatura, di clima, è un argomento in favore dell'ipotesi sopra menzionata. 94 RELAZIONE SULLA MEMORIA DI G. DE BERARDINIS Il Socio Cav. Prof. Alessandro DoRNA, condeputato coi Soci signor Maggiore F. Sracci e Comm. Prof. E. D’Ovipio ad esa- minare il lavoro dell'Ing. G. de BERARDINIS, dell'Istituto geografico militare di Firenze, « Sullo scostamento della linea geodetica dalle sezioni normali di una superficie », presentato nell’ adu- nanza del 18 corrente, legge la seguente RELAZIONE Nelle grandi operazioni della Geodesia, il collegamento dei punti di primo ordine sullo sferoide terrestre, si fa con archi di linee geodetiche; mentre coi piani verticali, in cui si collima sul terreno, perpendicolari alla superficie dello sferoide, si de- terminano le sezioni normali reciproche, passanti per quei punti. Gli archi di queste sezioni, compresi fra i punti anzidetti. for- mano sullo sferoide, delle reti di archi di ellisse, ed alle mede- sime si sostituisce la rete geodetica, la quale è unica, perchè ciascuno dei suoi lati è la linea più breve fra le sue estremità, sulla superficie. Ogni arco di geodetica può essere compreso fra i corrispon- denti due archi di ellisse reciproci, può averli entrambi da una stessa parte, e può esserne intersecato. (Questa discussione intorno alle relazioni di lunghezza e di posizione dell’arco geodetico e dei due archi di ellisse delle corrispondenti sezioni normali re- ciproche, può solamente farsi coll’aiuto di formole, le quali sono piuttosto semplici, ma tali, che la loro ricerca richiede molti calcoli; e la mole di questi calcoli varia grandemente, secondo che si segue una via od un’altra, di quelle che possono con- durre allo scopo. Matematici insigni hanno pubblicato molti la- RELAZIONE SULLA MEMORIA DI G. DE BERARDINIS 95 vori, dai quali sì può attingere; segnatamente in Francia, dove Clairaut iniziò lo .studio delle geodetiche e Legendre, Laplace, Poisson, ecc. ne trattarono; ed in (Germania dove gli studi geo- detici sono stati perfezionati ed ampliati da Bessel, Gauss, Bayer, ecc. EI Il procedimento dell'Autore della Memoria, intorno alla quale riferiamo, è generale e molto semplice. Nel primo articolo, egli considera un arco AB di geodetica sopra una superficie qua- lunque, ed esprime le due coordinate cartesiane y e 2, della curva, in serie ordinata secondo le potenze crescenti della terza x. Per semplificare nel miglior modo queste due serie, annullan- done i termini costanti, e quelli di primo grado, sceglie il piano coordinato +; tangente alla superficie nell’estremità A dell’arco geodetico AB, e gli altri due normali alla superficie nello stesso punto, con x tangente, ed y2 perpendicolare ad AB in A. Si serve della proprietà della geodetica, che in ogni punto di essa il suo piano osculatore contiene la normale alla superticie in quel punto, per dedurne l'equazione differenziale di secondo ordine della curva; colla quale e coll’equazione della superficie, trova, con derivazioni successive , le espressioni dei coefticienti delle serie menzionate, che danno y e 2 in funzione di + fino al quinto ordine incluso. Scritto, in seguito, il differenziale do dell'arco di geodetica, coll’integrazione trova o per serie in fun- zione di x: la inverte per avere x in funzione di ©, ed ot- tiene finalmente anche y e 2 in funzione di quest’arco. Le tro- vate espressioni in serie fino al quinto ordine, delle ‘suddette coordinate cartesiane di B rispetto ad A, sono nuove ed assai convenienti per la ricerca. Ò Nel secondo articolo, chiamate N, Y,Z le coordinate di un punto della superficie, dalla equazione in serie che dà Z in fun- zione di X ed Y, e dall’equazione del piano normale alla su- perficie in A e passante per B, che pel sistema di assi adottato è semplicemente — =, deduce il differenziale 7 della sezione MESTA 96 RELAZIONE SULLA MEMORIA DI G. DE BERARDINIS normale, in funzione della sola X, ed integrando per serie, fra 0 ed x, trova la lunghezza o dell'arco di tal sezione in funzione di x, e poi di 7. E la differenza 7— 7 risulta solamente di quinto ordine. Nel terzo articolo. in modo anche estremamente semplice . come è facile immaginare, per la buona scelta degli assi, l’Au- tore deduce fino al terzo ordine incluso, in funzione di e, le espressioni in serie dei piccoli angoli 0 e ‘/, che la tangente alla geodetica in A, fa colle tangenti, nello stesso punto, alle due sezioni normali, ossia alla diretta, il cui piano è normale alla superficie in A e passa per 5, ed alla reciproca il cui piano è normale alla superficie in B e passa per A. Im entrambe le espressioni, 1 primi termini, sono di secondo ordine; e come è noto, se la superficie considerata è quella della terra, il primo dei due angoli, ossia 0, è la differenza degli azimuti, sull’oriz- zonte di A, della geodetica e della sezione normale in A. Qui finisce la parte generale della Memoria. Nel quarto urticolo. l'Autore servendosi come dice in prin- cipio, dei recenti lavori del D’AxpRAE ("), applica i risultamenti ottenuti negli articoli precedenti, all’ellissoide di rotazione intorno all'asse minore. Ed è interessante il modo con cui procede e discute le circostanze, accennate in principio di questa relazione. relative alla lunghezza ed alla posizione dell'arco di geodetica e dei due relativi archi di ellisse delle corrispondenti sezioni nor- mali reciproche. La Memoria potrebbe essere terminata qui convenientemente. Ma l'Autore credette bene di aggiungere ancora due articoli. Nel quinto articolo deduce dalle sue formole quelle trovate, in modo meno semplice, e con una approssimazione minore. da Weingarten (°). Nel sesto ed ultimo articolo VAutore svolge brevemente il metodo con cui Weingarten dedusse le sue formole, ed eseguisce (*) Danese del quale si trovano dei lavori interessanti, anche nelle Astro- nomische Nachrichten, (**) Prussiano, che ha pure dei lavori importanti, presentati da Bayer, e pubblicati nel citato giornale scientifico. RELAZIONE SULLA MEMORIA DI G. DE BERARDINIS. 97 i calcoli laboriosi, che sono necessarit per la ricerca, con quel metodo, del termine di terzo ordine rispetto alla lunghezza dell'arco geodetico, nella su mentovata differenza 0 degli azimuti, della geodetica e della sezione normale diretta. Alcune mende ed alcuni errori, commessi probabilmente tra- scrivendo, si trovano, in verità, nel manoscritto della Memoria. Ma ciò non toglie che i Commissarii ne propongano, d'accordo, la lettura alla Classe, per la stampa nei volumi dell’Accademia. A. DORNA, Relatore F. SIACCI. E. D’OvIpro. Dopo averne udita la lettura, la Classe approva il lavoro del sig. Ingegnere G. de BERARDINIS per la stampa nei volumi delle Memorie. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XIX. 7 98 Il Socio Comm. Prof. Alfonso Cossa presenta in nome del Socio corrispondente Prof. FRIEDEL, una Memoria stampata, col titolo « Sur la reproduction de l’albite par voie aqueuse; par MM. C. FRIEDEL et E. SARASIN ». Il Prof. Cossa fa rilevare l’ importanza delle ricerche del FRIEDEL e del SARASIN, colle quali gli autori sono riusciti ad ottenere per via umida uno dei minerali più importanti e che finora fu ottenuto solamente per via secca. ro oe. i Ke, fe) Adunanza del 16 Dicembre 1883. PRESIDENZA DEL SIG. COMM. PROF. P. RICHELMY VICE-PRESIDENTE Il Socio Cav. Prof. Galileo FERRARIS presenta e legge la seguente Memoria del signor Nicodemo JADANZA, Prof. di Geo- desia nella R. Università di Torino. SUI SISTEMI DIOTTRICI COMPOSTI, ci Lo scopo che ci proponiamo in questa nota è di trovare alcune formole generali relative ai sistemi diottrici composti, dalle quali si dedurranno facilmente alcuni teoremi importantissimi ed in parte nuovi ad essi relativi (*) Indichiamo con i; NO NG i vertici e le ascisse dei vertici delle superficie sferiche rifran- genti che compongono un dato sistema diottrico centrato, e po- niamo, come è d'uso: n=" i REST uz UT Li (= (3 F dia Telo ,U RO NT | T*__ AT (p_1) Dea N_- N DN N Pe N*— N PA Ù 2 ee ss 0 — pare (gar, (n) . » n n y È e . 2» . dove r°, r... sono i raggi delle successive superficie sferiche ed n°... n* gl’indici assoluti di rifrazione dei mezzi successivi. È noto che, ponendo = Ri 0 SCO 0 ] Ar | OC ALO 0 0 I, =I RI) 0 0 da cib, 0 0 noib0 0 Oegtica] 0 0 0 0 sal "ai i (1) La maggior parte di questi teoremi è nota. Scopo nostro è di far vedere che si possono tutti dedurre da una sola formola. 100 NICODEMO JADANZA Si gi ie) 0° % IT =; 9=: = sc du dut du du = duf du le coordinate dei due punti principali e dei due fuochi prin- cipali si esprimono mediante le formole seguenti: i 1-1 NATE r_| F*_ N* né: e se con N** indichiamo il punto oculare (ort des auges di Gauss) e la sua ascissa, si ha pure h N** = N*— 7 n ovvero N ps 2° \ lk |) Se È, &* sono le ascisse di due punti coniugati qualunque, e o Y n n o=—= |) oi T] k sono la prima e la seconda distanza focale del sistema diottrico dato, si ha la relazione (E*-F*)(F_d)=—-=e9* ....: (4). 2° Qualunque sistema diottrico può sempre immaginarsi decom- posto in due; in questo caso daremo l'indice 1 a tutto ciò che si riferisce al primo sistema componente e l'indice 2 a ciò che si riferisce al secondo. SUI SISTEMI DIOTTRICI COMPOSTI 101 Così p. e. indicheremo con N, NEC N 3 PRA Vl PACO Lia i vertici e le ascisse dei vertici delle superficie rifrangenti che compongono il primo sistema, i punti principali, i fuochi prin- cipali, ecc., e con MR ON: E RP. BB. E le quantità analoghe pel secondo sistema. Indicheremo pure con n°, »,* gl’indici assoluti di rifrazione del primo ed ultimo mezzo e con n* quello del mezzo comune ai due sistemi componenti. La ricerca dei punti cardinali di un sistema composto in funzione dei punti cardinali dei sistemi componenti dipende esclu- sivamente dalla relazione che esiste tra il determinante % del sistema composto e i determinanti £,, /, corrispondenti ai due sistemi componenti. Codesta relazione fu da noi data in un’altra nota (*), ed è la seguente: N, — AN \ k=k, t+k,g,4 k,k, donde si deducono le altre ipa N * {= l, DEE h, kt l, aa n i = uv - N, * dh T* h=l,h,+h,9g,+ 1 ME i / Le formole precedenti possono essere semplificate nel seguente modo. Dalle equazioni RC NP n&9 SS Vila ti F, = N. k, A F,=N4n E. s si deduce NICNSP-PF% L, Ii pi PT Rie RE ; (*) Sopra un determinante gobbo, ece.; Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. XVII, 1882. - 102 NICODEMO JADANZA e quindi si avrà k k= sui =F*Y So (6). Analogamente ricordando che Ig—-hjk,=1; I,g—-h,k,=1, sì otterrà into k l'asai n k, su F_F* k, È n E eni CA EF, Lo i l Ia hl 1 ea te (7 Per ottenere le coordinate dei punti cardinali del sistema composto è necessario calcolare i valori delle quantità e questi valori si otterranno facilmente dalle (6) e (7), poichè si ha: 7 e È n Til: k°(E-F,) i e quindi Delli n n° n* Ni N° = ; +qe Si pai ovvero per le DI n° n PF = Pb S13°n pale ae i bk, (FF) iS donde Ep Ol SL, ®, (5) La quale mostra chiaramente, che: l primo fuoco prin- cipale di un sistema diottrico composto di due altri sistemi è il coniugato del primo fuoco principale del secondo sistema, rispetto al primo sistema componente. SUI SISTEMI DIOTTRICI COMPOSTI 103 Analogamente si ottiene : RTF n° bi (E B)l e quindi n'g _ ad n* n, bip E AE) n.“ g nf g n* nf Pia po E lA, ' da k N k, bi (PE e) donde pra F A n* n, pale e +) GEO e *n * (P*—F*)\(F-P*)= i =9.9 DIA (LL): ossia: Il secondo fuoco principale di un sistema composto è il coniugato del secondo fuoco principale del primo sistema, rispetto al secondo sistema componente. Le (1) possono anche essere scritte così: n° n° Es — — j *—_ F* — | F . E*—=F a la prima delle quali, tenendo conto delle (6) e (8), dà pel caso di un sistema composto n° n n° n PO e TT __{ _ gr GWÈ-| i k? (E a) le, AC I) 2) ovvero n° n Ra; lille 2 srt paste S È) 3 k(E,-F*) k,k. o anche k n° n* na EV Aa SARA PI (F, E) (E° E, EG bi Ma si ha k, ER I.Ak, pedi #1 MESE: k4-k, k+ È, po 104 _ NICODEMO JADANZA dunque sarà F,k,+F,% k, n) n° nÈ A == ===? =—-= SaRiL9). (1, E) ( k,+ ; I ke° 2,9, (1 ) Allo stesso modo, poichè E*- pay si otterrà n* n, n*n* *% . FcChTE GE. O donde n* n k4 k * > peli o SR 2 Pa ovvero k n* n* *-_ PX ne AL) > AGI (e) le=R E ed osservando che k PETE Ra * LI —F.— LI I 2° 2 (PF, F, api Le, 2 k+ ke si avrà i E° RAEE nè n E*-FX\(F_- ———_|\=-—-= CIZEALO). ( 2 )( 2 k,+ k, kh DD ( 5) Le equazioni (13) e (15) mostrano chiaramente che :/ punto la cui ascissa è FR ARE o—' = * — 2 DVGOGNIOA GIORIO 16): k,+k, (ter; è ad un tempo il coniugato del primo punto principale del sistema composto rispetto al primo sistema componente, e del secondo punto principale del sistema composto rispetto al se- condo sistema componente. Il punto 0 lo chiameremo cENTRO orTICO del sistema com- posto, ed il piano condotto per esso normalmente all’asse del sistema si chiamerà PIANO CENTRALE. Se nella (16) esprimiamo 7,% ed #,* in funzione di E,* ed E, otterremo AA: Ei KE SUI SISTEMI DIOTTRICI COMPOSTI 105 ovvero fi Lee Al (18); 2°+ 9 e quindi: Il centro ottico di un sistema composto si troverà divi- dendo il segmento compreso tra il secondo punto principale del primo sistema ed il primo punto principale del secondo sistema (ovvero il segmento compreso tra il secondo fuoco prin- eipale del primo sistema ed il primo fuoco principale del se- condo sistema) nel rapporto della seconda distanza focale del primo sistema alla prima distanza focale del secondo sistema. Ro Le formole trovate precedentemente dànno immediatamente le coordinate dei punti cardinali di un sistema composto in fun- zione di quantità note relative ai sistemi componenti. Moltipli- cando primo e secondo membro della (6) prima per — n°, poi per —n,* si ottiene datori Fa Fa jo: * po prercpn kate Dl i Aha \ 074 ' F*-F, le quali dànno le distanze focali principali del sistema composto. La (8) e la (10) danno senz'altro FEF4p#. | [ *__ sl E oa 20) E*— F x* Di, PI adi e le (12) e (14) * cal 24: CONE ESS e et e Po +92 E* F,}- T2 pe E. \ Al denominatore comune #,*— F, nelle formole precedenti si può sostituire la quantità 0,° 42, — A ad esso equivalente, 106 NICODEMO JADANZA A essendo eguale ad E, — E,*, cioè alla distanza tra il secondo punto principale del primo sistema ed il primo punto principale del secondo. Introducendo i punti principali dei sistemi componenti le (20) e (21) diventano rispettivamente ; Da bE=EKi das i Q*+ 0,— A Le (22), A—- 9, F*— E*—9,* - : \ Qi+ g,— A A E =/5. LE I Perrgzil (23) A a PEA Le formole precedenti risolvono completamente il problema della ricerca dei punti cardinali di un sistema composto quando sono dati i punti cardinali dei sistemi componenti. Non ci siamo occupati dei punti nodali; essi si troveranno facilmente mediante le equazioni : QO=F4+p*, O*=— F*— 4° Il punto oculare di un sistema composto vien dato dalla seconda delle (3). È necessario quindi esprimere il prodotto 7% in funzione di elementi noti dei sistemi componenti. A tale scopo ricordiamo che k,k, k= » (FF), F.-F* k {= | 2 LI i 3 (ABI = 7 e quindi Wi= n P.-F*[) fe Si —— —_—_—_ dk, * — l ’ SUI SISTEMI DIOTTRICI COMPOSTI 107 donde n, n* nf SE, m* sn ! (EE, | ra a Sostituendo questo valore nella equazione n N**= EAT 2 e tenendo conto delle (10) si otterrà: N**= F*4 n° n* 1 1 as Hififeto e He f l, k, * ii ] n ovvero - Lk, Lema nÈ n n“ N**_ F o (F ) F,- F/ IRE pae vi o anche z N pa n° n, l k,3 MAL n* (OSTIA TE e poichè Io Lor 43 le ai sì avrà n nf (NIN E = 2 E quindi: Il punto oculare di un sistema composto è èl coniugato del punto oculare del primo sistema rispetto al se- condo sistema componente. L’ascissa del punto oculare del sistema composto sarà data da N**— F.*4 DE Nr fa ovvero da *% Nesta id pla a DIA sog DL (25). 108 NICODEMO JADANZA Nel caso di un sistema telescopico si avrà Y,°-F,=0, e quindi la formola precedente si semplifica e diventa ba it A i (26). + Toe) Nei telescopii ordinarii (a mezzi estremi identici) si avrà N*—F*+1, Si RZ), Di e questa formola è generale; essa serve a dare la posizione del- l'anello oculare tanto nei telescopi aventi l’oculare formato da una semplice lente, quanto da un sistema di lenti. Indicando con A lo spessore dell’obbiettivo ed » l'indice relativo di rifrazione della materia di cui è composto, si avrà: n_-1l A I=lt—-- I n Di dove r è il raggio di curvatura della faccia rivolta all’osserva- tore, quindi ca TIA sa sr STORIE IRE 1+ p, n Va In un telescopio che ha l’oculare convergente (cannocchiale astronomico), il secondo fuoco F,° cade sempre fuori dell’ istru- mento, e quindi anche l’anello oculare sarà fuori dell’istrumento. Se l’oculare del telescopio è divergente, bisognerà distinguere due casi, o l’oculare consta di una semplice lente (cannocchiale di Galilei), o è formato da parecchie lenti (cannocchiale terrestre). Nel primo caso il fuoco F,* dell’oculare giace nell’interno del cannocchiale, e poichè (e \ n: T/ 0, l'anello oculare sarà anch’esso dentro lo strumento. Nel secondo caso in cui l’oculare funziona come un microscopio composto, il secondo fuoco F,* è anche fuori del cannocchiale, e quindi sarà fuori anch'esso l’anello oculare. La distanza dell’anello oculare dal 2° punto principale del- SUI SISTEMI DIOTTRICI COMPOSTI 109 l’oculare, indicandola con p, si troverà sostituendo a F,* la quantità E,*+ o, : si otterrà n_-1l À gp, n io? Ordinariamente il secondo termine del secondo membro della (29) è trascurabile; allora il valore di p diventa più semplice e coincide con quello che comunemente vien dato nei trattati di Fisica. git92) + - + (29). 5° Diconsi punti uniti in un sistema diottrico quei punti del- l’asse del sistema che ànno per immagine se stessi; i piani perpen- dicolari all’asse condotti per quei punti si diranno peami uniti. Un punto del piano unito ha il suo coniugato nello stesso piano. Se nella equazione (&*— x) 7428: — E) =qq9* sì pone E*—&=% sì avrà (a — F*)(F-2)= 9g" ovvero &-(F+F*)x+(go*+ FF*)=0 An (30). E poichè si ha in generale bi=FA94+p%+4 d essendo la distanza tra i punti principali del sistema dato, cioè d=E*T-E. La equazione precedente si trasforma nell’altra (x- F)—(a—F)(0+9*+d)+99*=0 ...(31). Questa equazione di 2° grado determina i punti uniti, 0 meglio le distanze di essi dal fuoco anteriore del sistema diot- trico. La condizione perchè sieno reali è (p+g*+d)—49o*>0 , 110 NICODEMO JADANZA ovvero (9*—qV+d'+2d(9+9*)>0 ..... (32), la quale nel caso dei mezzi estremi identici diventa d+49>0 (*) IP 4(98). La costruzione dei punti uniti quando sono dati i punti cardinali di un sistema diottrico si farà nel seguente modo. Sieno F, E, E*, F*, Q, Q*, il primo fuoco, 1 due punti Fre. 4. li osà ch H _K Sa LZ / Dr \ Ala de All EE gii tu E sl O ao' N principali il secondo fuoco ed i punti nodali di un sistema diot- trico qualunque. A cominciare da / si prenda un segmento FA eguale alla seconda distanza focale v*=E*F*, e si descri- vano quindi due semicirconferenze aventi per diametro rispetti vamente FF*, AE e dal punto F s’innalzi la perpendicolare FH. La retta HKL parallela ad A condotta pel punto H incontrerà la circonferenza FF* nei punti K, L, dai quali condotte le per- pendicolari X.M, LN all’asse del sistema si avranno in M ed N i punti uniti. I piani condotti per M ed N perpendicolarmente all'asse saranno i piani uniti. Per costruire il coniugato di un punto / giacente in uno dei piani uniti basta congiungere esso punto col primo punto nodale O la parallela alla retta DOQ condotta pel secondo punto nodale Q* incontrerà il piano KM nel punto D* che sarà il coniugato richiesto. Per trovare i punti uniti di un sistema diottrico composto, ricordiamo che si ha Besii F F DE ro J U Y Di e 3 n * F*— F e Da T2 “2 n Hi a e (*) I punti uniti considerati nei sistemi diottrici a mezzi estremi identici sono stati chiamati punti sintotici da ListinG. Annali di Poggendorf, 1866. SUI SISTEMI DIOTTRICI COMPOSTI DEI donde 1 * FIP=FIE'4+T [p., — 9, 0,*] s e n Pai Pa Pa l Po CE ci ere +7 pp (FF. p.9.*]. Se si osserva che ZA E (e TOA la (30) diventa Il a (r+ re F*-F (2,9, pet)|s I i =idn- 34004), na E, DCR PF*- PF Uso; DREI Er D, 0," | \ e questa equazione determina i punti uniti di un sistema diot- trico composto in funzione di quantità note dei due sistemi componenti. Se il sistema è telescopico si avrà X,*—Z,=0, e quindi la equazione precedente si riduce al 1° grado, e si ottiene, in- dicando con D il valore di «: e al Pelo. dui. (35). z È o. 0 a TALI are XL Il punto unito dato dalla (35) è il punto confocale del sig. Bravais. Essa mostra chiaramente che: Il PUNTO CONFOCALE 29: r P, 0° divide esternamente il segmento F,F,* nel rapporto + . Da P,. E notevole che il punto D divide nello stesso rapporto (ester- namente) il segmento compreso tra una coppia qualunque di punti coniugati. Per dimostrare ciò prendiamo la formola generale data da - Gauss per due punti coniugati Z, É*, cioè: n°h--g(E-N°) RESIN Han ann 3 Tuzsndin& Es=1 I KEN)" la quale per un sistema telescopico diventa Rn SN nel + Ted, SN agri Jo NICODEMO JADANZA donde, osservando che /g= 1, si deduce i ca zia | dee N) Per un’altra coppia di punti coniugati £,*,£, si avrà Ca E - Mi: SN + aa Vi 3-O De e quindi $ di ae IMM@eEeSeeeSeSoa (36) S “SÙ n° I * & S Se i punti coniugati £, diventano coincidenti, essi si con- fonderanno col punto D. e quindi si avrà dalla (36) E* Dn 4 (37) &-D n Il secondo membro della equazione precedente, quando il sistema telescopico è composto di due, diventa ee , e perciò, PiPa risolvendola rispetto a /D, si otterrà Z* Fer * pi dotta fagyr * K O, di _ PD, 9, la quale dimostra la verità del teorema enunciato. Il caso che si presenta più comunemente è quello di un te- lescopio a mezzi estremi identici. allora la (35) e la (38) di- ventano rispettivamente DISSCA . Efalfanypr % Aalto Ro de eng ie (40) Il punto D si troverà adunque col dividere esternamente il segmento compreso tra il primo fuoco principale del primo sistema ed il secondo fuoco principale del secondo nel rapporto :,. Ne risulta quindi la seguente costruzione geometrica : SUI SISTEMI DIOTTRICI COMPOSTI 113 Sieno F,, E,, E,*, F,* i punti cardinali del primo sistema br, E, ES ENI punti cardinali del secondo sistema com- ponente. Dal punto E, s'innalzi Fic." 2. la perpendicolare £,/ all’asse del sistema sulla quale si prenda - EM=E,F,=©,; congiungendo F, con M il triangolo 7, E, M avrà i due cateti eguali rispettivamente a ©, e ©, e quindi con- ducendo da £, la perpendicolare E, H sulla ipotenusa Y,M si avrà 2 EH _ps0 HM gs Se si prende HN—HM, ed il punto N si unisce col punto F*, la parallela ad N/,* condotta pel punto 7 incontrerà l’asse del sistema telescopico nel punto 2) che sarà il punto confocale richiesto. Ottenuto il punto confocale si potrà determinare il coniu- gato di un punto qualunque nel seguente modo: Si voglia, per esempio, trovare il punto oculare, ossia il coniugato del punto N° vertice della prima superficie del primo sistema componente. Dal punto N° si conduca la retta N° NH parallela alla 7,M, e sieno N, H' i punti d'intersezione della retta ora detta colle H.H', NN' parallele all’asse del sistema; congiunto H' con D, la parallela ad HD condotta per N' in- contrerà l’asse nel punto N** che sarà il punto oculare richiesto. Allo stesso modo si troverà il coniugato di un punto asse- gnato qualunque. La costruzione precedente serve per determi- nare quello di due punti coniugati che è più vicino al punto D, quando è dato il più lontano; sarà facile modificarla per deter- minare il più lontano quando fosse dato il più vicino, giacchè amendue tali casi corrispondono alle due seguenti formole: vw &=D-(D-5) E=D-@-89i,, E Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XIX. 8 114 © ®°% NICODEMO JADANZA le quali si deducono dalla (40) risolvendola una volta Saspetto a È*, un’altra rispetto a &. A Per completare la costruzione grafica dei punti sortingati: in un sistema telescopico, resta a trovare il centro di similitudine di due immagini coniugate. Esso è dato dalla equazione . PISTONI: o - e quindi esso si troverà dividendo nel rapporto — il segmento la 3 E*_ È. La costruzione geometrica sarà adunque facilissima. Vi è un caso in cui il punto confocale D del sistema tele- scopico va a distanza infinita ed è quando si ha SIE , 9° = 920 ot 2) > Ovvero :. > Pi, __D. MATE 12 d, in questo caso la costruzione precedente non è più applicabile. Dalla equazione E*— IN de ql ese Tali pie, si deduce de E*- N**4 E N° : e per un’altra coppia di punti coniugati È,, &,* E*N*LE-N'4 e qnindi sl avrà E &_E,=&* E=NW_N°-F#_F,, ossia : la distanza di due punti coniugati qualunque è costante ed è uguale al segmento Y, F,*:; cosicchè il punto coniugato di un punto dato si otterrà per mezzo della via F,-E= FE (43). Il rapporto di similitudine tra oggetto ed immagine sarà SUI SISTEMI DIOTTRICI COMPOSTI 115 e quindi l'ingrandimento lineare è uguale all’ingrandimento an- golare. Il centro di similitudine sarà dato da ‘oi a 0 (F*— F,) DIP) 71 Da Nel caso particolare dei mezzi estremi identici sarà l o= +, > Tai cioè la immagine sarà della stessa grandezza dell'oggetto e sarà capovolta o diritta secondochè si ha O =2P3 0 Da Nel primo caso il centro di similitudine è il punto medio del segmento È*— È, quindi le due formole che servono alla ricerca del punto coniugato di un punto dato saranno la (483) e la seguente a Onore) nb AegAGfi Nel secondo caso il centro di similitudine va anch'esso a distanza infinita, e quindi, poichè la immagine è diritta ed eguale all'oggetto; i punti coniugati si troveranno sopra rette parallele all’asse del sistema. nr e. Le formole precedenti ci dànno il mezzo di trovare l'errore che si commette quando si misura l’ingrandimento di un cannoc- chiale che non si trova in condizione telescopica. Ordinariamente per misurare l'ingrandimento di un cannocchiale, si guarda con esso un oggetto molto distante, p. e. una stella e, quando la si vede distintamente, sì misura mediante un DINAMETRO il diametro dell'anello oculare, Il quoziente del diametro dell’obbiettivo per quello dell’anello oculare dà l'ingrandimento ricliesto. Questo 116 NICODEMO JADANZA metodo (") non è perfettamente esatto, giacchè il cannocchiale non trovasi in condizione telescopica. È facile però vedere l’errore che si commette. Indicando con » il rapporto di similitudine tra l’immagine e l'oggetto in un sistema diottrico qualunque, è noto che (9) n m=-— ei n°1-k(E-N°) ed esso, come vedesi, varia coll’ascissa del punto che si considera. Quando éÉ=: N°, sì avrà I mn = — e questo è il rapporto tra il diametro dell’anello oculare e quello dell’obbiettivo nel caso che il sistema non sia telescopico. Se con m, ed È, indichiamo ciò che diventano # ed allorchè X =0, sarà ES 30 la quale esprime lo stesso rapporto per un sistema telescopico. Bisogna dunque trovare una relazione tra /, ed /. La prima delle (7), osservando che quando F,* = F, il si- stema è telescopico dà I,k.(F*—F,) I=l,— gg Sr ovvero CE I=1,+l, 3 di , e poichè —- A EA n 14 n 7 sl avrà JE Lug gl: Nea I=14 + sl i (40). i n 7 Il primo membro della precedente eguaglianza rappresenta l'ingrandimento che si misura effettivamente, mentre il primo (*) Per mettere un cannocchiale esattamente in condizione telescopica cfr. MARTIN: Amnales de Chimie et Physique, 1267. SUI SISTEMI DIOTTRICI COMPOSTI. 117 termine del secondo membro rappresenta l'ingrandimento vero. L'errore che si commette è adunque dato da E F*- F, m_-l A° Lei , nr Eccettuato il caso in cui la faccia dell’obbiettivo rivolta verso n_—_1 A i l’oculare sia concava, il fattore | 1+ - è sempre minore r n o al più eguale all’unità. E poichè quando si guarda un oggetto lontano si ha sempre F-F,<%, (in valore assoluto), se ne deduce che l’errore che si commette sarà sempre minore di un’ unità. È chiaro poi, che quando il cannocchiale è astronomico l’in- grandimento misurato è sempre maggiore del vero, mentre esso è minore del vero nel cannocchiale terrestre e nel cannocchiale di Galilei. Torino, Giugno 1883. 118 GG DACCOMO Il Socio Comm. Prof.: Alfonso Cossa presenta e legge il se- guente lavoro del signor Dott. G. Daccomo: CONTRIBUTO ALLO STUDIO GHii si DEL TRICLOROFENOLO. Il triclorofenolo fu scoperto nel 1836 da Laurent, che lo chiamava acido clorofenisico ; l’autore lo preparava i pas- sare una corrente di gas cloro nella porzione dell’olio di catrame bollente tra 170 e 190° (1). Erdmann nel 1841 (2) tra i prodotti dell’azione del cloro sull’indaco trovava il così detto acido clorindoptico, che nello stesso anno fu da Laurent (8) riconosciuto identico coll’acido clo- rofenisico. Piria nel 1845 (4) riusciva ad ottenerlo facendo passare una corrente di cloro in una soluzione concentrata di saligenina. Secondo Hofmann (5) sì forma pure trattando il fenolo con acido cloridrico e clorato potassico, e trovasi anche tra i prodotti dell’azione del cloro sull’ anilina. Vogel (6) ottenne pure del triclorofenolo facendo passare una corrente di cloro nella soluzione di fenolsolfato potassico greg- gio secondo la reazione: OH Cfr px* 3 C'+H*0=0*H*Cl'0H+KHS0'+ 3 HCl, (1) Ann. de Chim. et de Phys., serie 3a, tom. NI, p. 206. (2) Journal fiir praktische Chemie, tom. 19, 22 e 25, (3) Loc.cit , pag. 497. (4) Ann. de Chim. et de Phys., serie 32, tom. XIV, pag. 269. (©) Liebig's Annalen der Chemie, tom, LIII, p.8. (6) Journal filr praltische Chemie, tom. XCIV, p. 449. enni hucennetieeistanit cnc CONTRIBUTO ALLO STUDIO CHIMICO DET. TRICLOROFENOLO 119 Sintenis (1) notò la formazione di triclorofenolo per l’azione del cloro sull’etere fenilbenzilico. . Fu poi ottenuto puro da Faust (2) col metodo di Laurent, però partendo dal fenolo purissimo. Un ultimo processo molto comodo e che fornisce del triclo- rofenolo abbastanza puro è quello indicato recentemente da Dia- nin (3) che si fonda sull’azione dell'ipoclorito di calcio sul fenolo. Anche Clandelon (4), studiando l’azione degli ipocloriti alca- lini sul fenol, ottenne del triclorofenolo; questo autore però dopo aver stabilito un confronto tra il triclorofenolo ottenuto per l’a- zione del cloro sul fenolo e quello preparato per l’azione dell’i- poclorito di sodio, notava una diff:renza nel punto di fusione; poichè mentre il primo fonde a 67°; il secondo fonde solo a 54°. Faceva però osservare che anche i diversi autori sono discordi sul punto di fusione del triclorofenolo; infatti secondo Laurent sarebbe 44°, secondo Piria 58° e finalmente secondo Faust 67°: il punto di fusione indicato da Faust è esatto. Probabilmente però, questa differenza nel punto di fusione del triclorofenolo preparato coll ipoclorito di sodio, è dovuta alla presenza di traccie d'acqua; poichè avendone io preparata una piccola quantità, seguendo esattamente il metodo indicato da Chan- delon, trovai che suda anch'esso a 67°, purchè si abbia cura di purificar bene il prodotto trasformandolo prima in sale d’ammonio, da cui messo in libertà con un acido venga poi fatto sublimare ( 5). . Per le mie esperienze ho preparato del triclorofenolo tanto per l’azione del gas cloro sul fenolo (metodo Laurent-Faust), che per l’azione dell'ipoclorito di calcio (metodo Dianin). 1°. Operando col primo processo feci passare nel fenolo purissimo distillato sul sodio, una corrente di gas cloro ben secco, (1) Ziebig”s Annalen, tom. 16), pag. 338. (2) Zeitschrifl fiir Chemie. (3) St. Petersb. Inaug. disserl., 1882, e Riv di Chim. Med. e Farm., 1883, Giugno. «.(4) Bull. Soc. Chim., 1882, tom. 38, p.116. (5). Non è senza importanza l’ aver dimostrato che anche il triclorofenolo preparato da CÒanpeLon fonde, quando è puro, a.67° perchè.stando al solo punto di fusione (54°) trovato da quest’ultimo pel sùò ‘triclorofenolo; potrebbe far anche supporre che fosse il ca iO agli fusibile a 54-55° di HirscH (Berichte tom. xr, p. 1981 e xt, p. 1907), ottenuto dal tricloroamidofenolo col nitrito digit, PINI setal ya 120 G. DACCOMO continuandola finchè l'aumento di peso subito dal fenolo, mi in- dicasse che tutto era stato trasformato in triclorofenolo. Il pro- dotto greggio così ottenuto veniva poi distillato frazionatamente e purificato facendolo bollire con una soluzione acquosa diluita di ammoniaca; il liquido filtrato deponeva per raffreddamento il triclorofenato d’ammonio cristallizzato, il quale ridisciolto nel- l’acqua pura e trattato con acido cloridrico metteva in libertà il triclorofenolo, che da ultimo era fatto sublimare. 2°. Seguendo il metodo di Dianin, in una soluzione satura di fenolo (5 %), versai adagio adagio una soluzione pure satura d’ipoclorito di calcio. Lasciai a sè il miscuglio parecchi giorni avendo cura di agitarlo di quando in quando, aggiungendovi nuovo ipoclorito affinchè questo fosse sempre in grande eccesso. Il li- quido filtrato, per trattamento con acido cloridrico deponeva un voluminoso precipitato di triclorofenolo ; questo veniva in seguito purificato come il precedente trasformandolo in sale d’ammonio da cui messo in libertà era finalmente fatto sublimare. Riuscii così ad avere una discreta quantità di triclorofenolo purissimo che fondeva anch'esso perfettamente a 67-68°. Il triclorofenolo è pochissimo solubile nell’acqua a freddo, un po più a caldo; il solo dato che si avesse intorno alla sua solubilità nell'acqua è quello fornitoci da Dianin (1); secondo questo autore una parte di triclorofenolo si scioglierebbe in 116 parti d'acqua (non è però indicata la temperatura). Sembrandomi questa cifra molto superiore al vero, ho vo- luto determinarla io stesso a diverse temperature. La prima determinazione fu fatta a 11°,2 seguendo due metodi cioè: 1°. Una parte esattamente pesata della soluzione satura a quella temperatura veniva evaporata a B. M. in una cassula d’argento in presenza di po’ di calce pura, onde evitare che una parte del triclorofenolo stuggisse col vapor d’acqua. Nel residuo determinava poi il cloro, dal cui peso potei calcolare la quan- tità di triclorofenolo. 2°. Un'altra porzione della soluzione satura veniva pre- cipitata con nitrato d’argento; al liquido filtrato aggiungeva po- che goccie di ammoniaca diluita allo scopo di riprecipitare quel (1) Loc. cit. CONTRIBUTO ALLO STUDIO CHIMICO DEI. TRICLOROFENOLO 121 poco triclorofenato d’argento che era stato sciolto dall’acido ni- trico messo in libertà e riuniti i due precipitati in un crogiolo, venivano calcinati in presenza di un eccesso di acido cloridrico per trasformare tutto l’argento in cloruro. Dal peso del cloruro d’argento ottenuto calcolai la quantità di triclorofenolo. Secondo il primo metodo la solubilità del triclorofenolo sa- rebbe di 0,446 per mille, mentre coll’altro sarebbe di 0,510 per mille. I risultati sarebbero abbastanza concordanti, specialmente se si consideri che col primo processo si hanno maggiori perdite per la calce che aderisce fortemente alla cassula e che riesce difficile staccare. Eseguii una seconda determinazione a ‘25,4 ed una terza a 96°; per cui riunendo i dati ottenuti avrei che: 1000 parti d’acqua sciolgono a 11°,2 parti 0,510 di triclorofenolo » S » » A A a 0858 » » » » » 96° » 2) ,430 » Costituzione del triclorofenolo. La formola del triclorofenolo è 0° H° 0750 H, è cioè il fenolo in cui tre atomi d’idrogeno sono sostituiti da tre di cloro ; quello però che non sappiamo di certo è la posizione di questi 3 atomi di cloro. Beilstein (1) ammette come probabile la costituzione 1, 2, 4, 6 e Chandelon (2) partendo dal fatto da lui stesso osservato che gl’ipocloriti alcalini reagendo sul fenolo formano successivamente il mono, bi e triclorofenol, ammette pure una tale costituzione. Io, allo scopo di dimostrare questa supposta costituzione, tentai l’azione del percloruro di fosforo pensando che se avessi potuto ottenere una tetraclorobenzina pura, il problema sarebbe stato risolto. Già Engelhardt e Latschinoff (3) avevano studiata l’azione del percloruro di fosforo sul triclorofenolo, notando la formazione (1) Handbuch der Organ. Chemie, 1883, p. 1010, (2) Berichte, 1883, n° 12, p. 1753. (3) Berichte, 1870, p.6:5. 03 dr G. DACCOMO di un acido ditriclorofenilfosforico e di una tetraclorobenzina fusibile a 35° analoga alla { tetraclorobenzina ottenuta da Jungfleisch, trattando con un eccesso di potassa la soluzione al- coolica di un miscuglio di cloruri della monoclorobenzina (1). Siccome però tutte le tre tetraclorohenzine teoricamente pos- sibili sono note e nessuna di esse fonde a 35°, credetti interes- sante di ripetere l’ esperienza , tanto più che gli studi posteriori di Beilstein avevano dimostrato che la tetraclorobenzina di Jungfleisch era impura. In una storta munita d’apparecchio a ricadere posi grammi 30 di triclorofenolo ben secco e gr. 45 di percloruro di fosforo, scaldando dapprima leggermente. Appena il triclorofenolo comin- ciava a fondere, la reazione si fece molto viva sviluppandosi torrenti d’acido cloridrico; aumentando poi gradatamente la tem- peratura ebbi a notare un leggiero sviluppo di cloro libero che durò circa mezz'ora. Trascorse quasi 6 ore, durante le quali la temperatura salì a 240°, essendo pressochè completamente cessato lo sviluppo d’acido cloridrico, lasciai raffreddare il prodotto che lavai in seguito con molt'acqua; questa avendo reazione acidis- sima vi aggiunsi una soluzione concentrata di soda caustica, sino a reazione nettamente alcalina e sbattuto fortemente il li- quido lo lasciai in riposo. Quasi tutto il prodotto si sciolse nella soda. ed ebbi solo uno scarso residuo costituito da una massa cristallina leggermente colorata in rossastro. Separata questa e lavatala diligentemente con acqua, la sciolsi nell’alcool bollente e la soluzione, scolorata con poco carbone animale, depose per raffreddamento dei bei cristalli aghiformi, perfettamente incolori e fondenti a 50 — 51°. Ripetei l'operazione colla stessa quantità di triclorofenolo e percloruro di fosforo e appena cessato lo sviluppo d’acido clo- ridrico, distillai il prodotto raccogliendo ciò che passava tra 220 e 310°. In questo modo ottenni subito un prodotto perfetta- mente incoloro ed anche in maggior copia, poichè se colla prima operazione il rendimento fu circa del 16 °/, del triclorofenolo impiegato, colla seconda ebbi circa il 23 °/, di La sostanza così ottenuta, sottoposta all’analisi, mi diede i risultati seguenti: (1) Ann. de Chim. et de Phys., serie 42, tom. XV, p. 301) e 302 CONTRIBUTO ALLO STUDIO CHIMICO DEL TRICLOROFENOLO 123 I. Gr. 0,1775 di sostanza fornirono gr. 0,4737 di clo- ruro d’argento : II. Gr. 0.1554 di sostanza diedero gr, 0.4103 di clo- ruro d’argento : II. Gr. 0,2586 di sostanza fornirono gr. 0,0341 d'acqua e gr. 0,3128 d’anidride carbonica Da cui: Trovato Calcolato per I II HI COHIECEG ORE = = 32,98 39,33 H » —_ = 1,46 0,93 Uri 69 05 o 65,74. Si tratta adunque di una tetraclorobenzina e, come lo di- mostra il punto di fusione, precisamente della © tetraclorobenzina la quale ha questa costituzione : CI i Eos si 6, Ora, se noi consideriamo che facendo agire il gas cloro sul fenolo, gli unici monocloroderivati che prima si formano sono l’orto ed il para che hanno questa costituzione: OH OH 124 G., DACCOMO dai quali continuando ancora l’azione del cloro si origina esclu- sivamente l’ortoparabiclorofenolo OH (01) CI e questo alla sua volta per l’azione prolungata del cloro è tras- formato in triclorofenolo, riuscirà evidente che l’unico tricloro- fenolo capace di trasformarsi in {f tetraclorobenzina e che prenda origine dall’ortoparabiclorofenolo, è appunto questo : OH CI Resta così dimostrata la posizione dei tre atomi di cloro nel triclorofenolo ordinario . Derivati del triclorofenolo. Dei derivati a radicale alcolico ed acido del triclorofenolo, erano solo noti l'etere etilico cristallizzato in prismi, che fonde a 43-44 e bolle a 246°, e l’acetiltriclorofenolo, liquido hol- lente a 261— 262°. Io ne ho preparati cinque a radicale acido, e riguardo i due ultimi specialmente esporrò in un’altra comu- nicazione i risultati ottenuti dall’azione dell’acido nitrico. 1. Propioniltriclorofenolo. In un piccolo palloncino munito d’apparecchio a ricadere, posi quantità molecolari. di cloruro di propionile e triclorofenolo CONTRIBUTO ALLO STUDIO CHIMICO DEL TRICLOROFENOLO 125 ben secco, scaldando dapprima leggermente. Si svolgono subito abbondanti fumi d’acido cloridrico secondo la reazione: C°H*.C0 0 H+ C*H*0Ct=C*H*C10.0.0C°H'+ HCI. Continuai l’azione del calore alzando gradatamente la tem- peratura, finchè dopo circa 4 ore lo sviluppo d’acido cloridrico cessò quasi completamente. Allora lasciato raffreddare il prodotto, che era liquido e leggermente colorato in giallognolo, lo lavai suc- cessivamente con acqua distillata, soluzione di soda caustica molto diluita, e di nuovo con acqua. Ottenni così un liquido lattiginoso che messo a contatto con del cloruro di calcio fuso e granu- lato diventò perfettamente limpido. Sottoposto replicatamente a distillazione frazionata, riuscii ad avere un liquido incoloro, pe- sante, molto rifrangente, che bolliva a 262°,5 — 264°,5 (non corr.), costituito appunto da propioniltriclorofenolo. Infatti una determinazione di cloro mi diede questo risultato : Gr. 0,3533 di sostanza fornirono gr. 0,5942 di cloruro d’argento. Da cui: Trovato Calcolato C1%, 41,60 42,01. 2. Butirriltriclorofenolo. Collo stesso processo facendo reagire il cloruro di butirrile col triclorofenolo ottenni il butirriltriclorofenolo 09 HA? 07 0.000) H", liquido anch’esso incoloro, pesante e molto rifrangente che bolle a 272—275° (non corr.). Una determinazione di cloro mi diede: Gr. 0,2572 di sostanza fornirono gr. 0,4109 di cloruro d’argento. Da cui: Trovato Calcolato cu 39,52 39,81. 126 G. DACCOMO 5. Valeriltriclorofenolo. La stessa reazione ha luogo tra il cloruro di valerile ed il triclorofenolo. C° H° C&H0H+C*H°0C1=C° H*Cl'0.COC*H*+ HC1 dando origine al valeriltriclorofenolo, liquido anch’ esso, simile ai due precedenti. Dopo ripetuti frazionamenti ne ottenni una por- zione bollente costantemente a 281—284° (non corr.). Avendo determinato il cloro di tale composto, ebbi questo risultato : Gr. 0,2889 di sostanza fornirono gr. 0,43983 di cloruro d’argento. Da cui: Trovato Calcolato 0x6); 37,61 37,88. 4. Benzoiltriclorofenolo. In un palloncino a lungo collo scaldo per circa 5 ore, au- mentando gralatamente la temperatura, quantità molecolari di cloruro di benzoile e triclorofenolo. Succede la solita reazione : C°H° CROH+ 0° H° C0C01=€° HF ONCOC-HS Sei e finito lo sviluppo d’acido cloridrico lascio raffreddare il pro- dotto che si rapprende in una massa cristallina. Questa dopo esser stata ben lavata successivamente con acqua, liscivia di soda e poi di nuovo con acqua, viene sciolta nell’alcool bollente. La soluzione per raffreddamento depone minutissimi cristalli incolori di benzoiltriclorofenolo, che fondevano a 73°. Determinatone il cloro ebbi per risultato: Gr. 0,1742 di sostanza diedero gr. 0,2483 di cloruro d’ar- sento. Da cui: Trovato Calcolato Gio 35,24 35,82. CONTRIBUTO ALLO STUDIO CHIMICO DIL TRICLOROFENOLO 127 ‘Ottenni anche il benzoiltriclorofenolo dall’azione della ben- zamide sul triclorofenolo, secondo la reazione indicata dal Pro- fessore Guareschi pel fenolo semplice (1). A tal uopo scaldai in un palloncino la benzamide con un grande eccesso di triclorofenolo; dopo circa 9 ore di ebullizione, la rea- zione si può dire compiuta non avendosi quasi più sviluppo di ammoniaca. Îl prodotto lasciato raffreddare è lavato con molta soda diluita allo scopo di togliere l’eccesso del triclorofenolo, indi con acqua e fatto cristallizzare dall’alcool bollente. È perfettamente identico al precedente ottenuto col cloruro di benzoile; infatti fonde anch’esso a 73° e determinatone il cloro ottenni questo risultato: Gr. 0,19483 di sostanza fornirono gr. 0,2772 di cloruro d’ar- gento. Da cui: Trovato Calcolato PIANA 3520 35,32. 5. Ftaliltriclorofenolo. L’ottenni scaldando leggermente per circa 6 ore il cloruro di ftalile col triclorofenolo. Il prodotto lavato diligentemente venne sciolto in un miscuglio d’alcool e di benzina. È molto difficilmente solubile nell’alcool anche bollente; si scioglie poco anche nel- l'etere; è invece solubilissimo nella benzina e nel cloroformio. Fonde a 193 —194° in un liquido incoloro. Una determinazione di cloro mi diede questo risultato : Gr. 0,1869 di sostanza fornirono gr. 0,3026 di cloruro d’argento. Da cui: ‘Trovato Calcolato CL 40,00 40,5 Per quanto riguarda la costituzione di questo composto, iaia tutte le reazioni del cloruro di ftalile parlino a fa- (1) Gaz. Chim., tom, Ill, p. 400. 128 G. DACCOMO vore della formola asimmetrica e quindi sia probabile per lo ftaliltriclorofenolo la formola di struttura : cura _0(0C*H?C1?) 0, pure non è inverosimile che si possa attribuirgli anche quest'altra : iu 00 -00°H"° 01? CH<00.00°H° 01°. Graebe infatti (1) per l’azione dell’ioduro d'etile sul tetra- cloroftalato d'argento e per quella dell’etilato sodico sul cloruro dell’acido tetracloroftalico, ottenne due composti affatto diversi, ma che all’analisi corrispondevano ambidue a questa formola C°Ct*0"(C°H*); il primo era cristallizzato in grossi aghi fon- denti a 60°, il secondo invece cristallizzava in tavole e fondeva a 124°. Quivi, dice Graebe, non è possibile nessun'altra spie- gazione che quella di ammettere che al primo composto appar- tenga la formola: ipa COOH CSAR pesi tt LROOGIT ed al secondo quest'altra: io, SHONOGEH) Ciano Sulla costituzione dello ftaliltriclorofenolo mi propongo quindi di ritornare in seguito. Applicazioni del triclorofenolo. Quantunque questo composto sia da lungo tempo conosciuto, e venga fabbricato in grande in Germania, pure il suo uso data da poco più di 4 anni ed è esclusivamente in Russia che lo vediamo applicato (2). Infatti fu nel 1879 che cominciò ad essere introdotto nella clinica del Prof. Pelechin, però il suo impiego nella pratica chirurgica è dovuto a Dianin il quale fu (1) Berichte, 1883, p. 860. (2) Poporr, Centralblatt fi Chirurgie, 1883, n° 27, p. 425. CONTRIBUTO ALLO STUDIO CHIMICO DEL TRICLOROFENOLO. 129 il primo che abbia dato prove certe del suo potere disinfettante. Infatti, secondo questo autore, il triclorofenolo ha un potere an- tisettico 30 volte maggiore dell’acido fenico ; in soluzione diluitis- sima (0,02 ®/,) impedisce la fermentazione alcoolica; in soluzione di 0,25 °/, arresta la fermentazione alcalina dell’urina. Inoltre in casì di processi gangrenosi estesi anche complicati da gangrena d'ospedale, il triclorofenolo riesce un potente antisettico, superiore al fenolo, timolo, acido salicilico, ecc. e la sua soluzione, non irrita nè cauterizza i tessuti (1). Attualmente è usato in due o tre cliniche dell’Università di Pietroburgo, nell’ ospedale-baracca Alessandro e nell’ ospedale marittimo di Kronstadt, comparto risipole del Dott. Jaschin. Secondo i diversi sperimentatori, i risultati ottenuti col tri- clorofenolo sarebbero più che soddisfacenti; infatti Butschik (2) e Jurinsky (3) affermano d’aver ottenuto brillanti risultati nella cura della risipola e dell’ulcera. È ben vero che le esperienze del Dott. Tomaschefsky non concorderebbero colle precedenti, ma, come osserva Rubetz (4), l'esito negativo del Tomaschetsky sarebbe dovuto alla cattiva qualità del triclorofenolo commerciale, poichè avendo egli ripetute le stesse esperienze con del tricloro- fenolo purissimo fornitogli dallo stesso Dianin ottenne sempre buoni risultati. Intorno al valore antisettico del triclorofenolo è poi mia in- tenzione stabilire in seguito esperienze di confronto. Torino, R. Università 10 Novembre 1883. Laboratorio del Prof. GUARESCHI. (1) Dianin, loc. cit. (2) Centralblatt fur Chirurgie, 1883, n° 19, p. 297. (3) Id. id. ida eaep 304. (4) PoporF, loc. cit. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XIX. 9 130 ADOLFO MONARI Lo stesso Socio Cossa presenta ancora e legge il seguente lavoro del signor Dott. Adolfo MONARI: AZIONE DELL'AMMONACA SULL’ALCOOL ETILICO. Ramsay (1) ottenne la piridina, facendo passare l’acetilene e l’acido cianidrico attraverso un tubo scaldato al rosso; Baeyer invece (2) e più tardi Wurtz (3), partendo dall’aldeide-ammoniaca il primo e dall’aldol-ammoniaca il secondo, ottennero la collidina. Io studiai l'azione dell’ammoniaca sull’alcool etilico a tempe- ratura elevata nello scopo di ottenere basi piridiniche. Feci cadere gr. 1300 di alcool assoluto, perfettamente saturo di gas ammoniaco secco, goccia a goccia, nello spazio di 22 ore circa, lungo una canna di ferro, ripiena di fili dello stesso me- tallo e scaldata al rosso vivo; raccogliendo i prodotti liquidi della distillazione in un ampio pallone comunicante con un secondo, sormontato da un serpentino, l uno e gli altri completamente refrigerati, ed i prodotti gassosi in due soluzioni, potassica e cloridrica, poste in due successivi recipienti, in comunicazione col serpentino. Sfuggiva dall’apparecchio una grande quantità di am- moriaca e un gas, che non precipiteva col nitrito d'argento. Terminata l operazione trovai del liquido solamente nel primo pallone Era denso oleoso e nerastro per alquanta materia car- bonosa frammistavi; di odore fortemente ammoniacale. Alle pa- reti del pallone poi notai una sostanza ben cristallizzata, che si sciolse in seno al liquido. (1) Berichte d. deut. Chem. Geselt., 1877, p. 736. (2) Ann. d. Chem. und Pharm., T CLV, p <0t. (3) Compt. Rendus, T. LXXXVIII, p.4D4 e 1554. AZIONE DELL'AMMONIACA SULL’'ALCOOL ETILICO 131 Lo versai in ampia capsula ed a bagno maria ne scacciai l'eccesso di ammoniaca. Il prodotto pesava gr. 60; era neutro o lievemente alcalino; dava le reazioni generali degli alcaloidi. Acidificato allora con una soluzione acquosa di acido solforico e versato in un cilindro, osservai subito che si separava in due strati ben distinti, l’inferiore acquoso ed il superiore oleoso, che si sciolse avidamente nell’etere. Decantato l'etere e ripetuti due nuovi estratti, distillai que- sti insieme al primo: rimase un liquido denso, oleoso, neutro, che non dava più le reazioni generali degli alcaloidi, ma preci- pitava scaldato con nitrato d’argento e, trattato pure a caldo con potassa solida, dava forte odore ammoniacale. Questo sarà esaminato più innanzi. Per vedere ora se il liquido primitivo conteneva delle basi, alcalinizzai con potassa in eccesso e trattai nuovamente con etere. Estrassi così una piccola quantità di una sostanza fortemente alcalina, di colore paglierino e di odore che si accostava ad al- cune note basi. Si scioglieva perfettamente nell'acqua acidulata, ma non precipitava in soluzione acquosa nè col cloruro di pla- tino nè col cloruro d’oro, sì bene con tutti gli altri reattivi. Tuttavia potei ottenerne il cloroplatinato, impiegando intieramente la sostanza ricavata, precipitandola da una soluzione alcoolico- eterea. Ma il cloroplatinato così ottenuto era assai brutto, bru- niccio. ed anche per la piccola quantità non potei fare alcuna ricerca. In quanto alle basi adunque non ebbi risultati soddisfacenti. La mia attenzione si rivolse allora alla parte oleosa, più sopra accennata, rimasta dall’etere in soluzione acida, che lasciò col tempo deporre de’ bei cristalli aghiformi. Raccolsi questi e li pressai al torchio per liberarli dalla parte oleosa, che eravi ancora frammista. Pesavano gr. 3,5 circa. Ricristallizzati e sotto posti ad analisi, ne riconobbi l'identità, come dirò più innanzi, con l’imidopropionitrile di Erlenmeyer e Passavant. Non avendo avuto soddisfacenti risultati da una prima ope- razione, pensai allora che le condizioni, in cui mi era messo, non erano forse troppo favorevoli, cioè che l’ammoniaca rispetto all'alcool fosse assai scarsa per generare delle basi, anche perchè non tutta entrava in reazione. Disposi allora l’apparecchio in modo che l’ammoniaca e l’alcool penetrassero contemporaneamente nella canna, allo stato 132 ADOLFO MONARI di gas secco e di vapore anidro, avendo così fra i due corpi una maggiore intimità di unione non solo, ma un ambiente emi- nentemente ammoniacale. Il resto dell'apparecchio era disposto come nell’operazione precedente. Impiegai litri tre di alcool e tanta ammoniaca quanta se ne può svolgere da quindici litri li- quida circa. L'operazione fu condotta esattamente come nell’espe- rienza sopra descritta. Il prodotto della distillazione era rosso bruniccio, quasi nero, però non conteneva carbone; era denso, oleoso, aveva forte odore ammoniacale ed il peso greggio era di gr. 500 circa. Tutti gli altri caratteri e proprietà corrispondevano con il prodotto ot- tenuto nella prima operazione. In questa seconda esperienza si produsse una forte quantità di carbonato d’ammonio ; l'acido cloridrico non aveva fissato che l’ammoniaca e niente di metilammine, etilammine, ecc. Procedetti per l’estrazione delle basi similmente come feci nell’ operazione precedente. Con gli estratti eterei acidi, cioè, esportai via dapprima la parte oleosa, che pur vi si contenea e che aveva tutti i caratteri e le proprietà della precedente. Al- calinizzai il residuo con potassa in eccesso ed estrassi parimenti con etere, ottenendo così una discreta quantità (gr. 8 circa) di una sostanza fortemente alcalina e di odore alquanto spiccato di piridina. La distillai: raccolsi una prima porzione bollente verso i 100° (A); una seconda dai 100°—160° (C) ed una terza dai 160°— 190° (B): in queste due ultime però la sostanza subì, imbrunendosi. una forte decomposizione, svolgendo intenso odore ammoniacale e deponendo, lungo la canna dell’apparecchio distil- latorio, cristalli di carbonato d’'ammonio. La porzione (4) evaporata in presenza di acido cloridrico lasciò un piccolo residuo di una cristallizzazione in forma di massa radiata, igroscopica, che richiamava quella del cloridrato di piridina. Colla potassa infatti svolse odore penetrantissimo e tutto proprio della piridina. Al pari di questa precipitò in bei cristalli prismatici appiattiti di un arancio vivo col cloruro di platino, in aghiformi gialli col cloruro d’oro, in aghiformi parimenti col- l’acido picrico e così con tutti gli altri reattivi mostrossi per- fettamente identica con la piridina. La trasformai tutta in clo- roaurato, ma la tenuissima quantità ottenutane non mi permise alcuna analisi. Le porzioni (Cl) e (5) erano liquidi quasi incolori, che imbru- AZIONE DELL'AMMONIACA SULL'ALCOOL ETILICO 133 nivano all’aria, alcalini, di odore fortemente ammoniacali. Molte delle loro proprietà corrispondevano con quelle della collidina di Baeyer e di Wurtz, ma io non l'ho potuta da essi ottenere allo stato di purezza. ! loro cloroplatinati erano cristallizzati e solubilissimi. La parte oleosa, che fu separata innanzi alle basi, con gli estratti eterei acidi, lasciò deporre, come la precedente, de’ bei cristalli bianchi aghiformi. Ne raccolsi circa gr. 18 e li puri- ficai con varie cristallizzazioni dall’etere. La sostanza così ottenuta fonde a 67°— 68°. è solubilissima in tutti i solventi, alcool, etere, cloroformio, benzina, ecc. e un poco meno nell’ acqua e da tutti ricristallizza bene. Trattata a caldo con potassa svolge forte odore di ammoniaca e a caldo parimenti reagisce col nitrato d'argento, formando un precipitato, che si ridiscioglie nell’acido nitrico bollente. All’analisi diede i risultati seguenti: I. gr. 0,1555 di sost. secca fornirono gr. 0,3355 di anidride carbonica ; II. gr. 0,2404 di sost. secca fornirono gr. 0,5200 di anidride carbonica e gr. 0,1730 di acqua; III. gr. 0,1207 di sost. secca fornirono gr. 0,2590 di anidride carbonica e gr. 0,0845 di acqua: IV. gr. 0,2572 di sost. secca, bruciati con cromato di piombo, fornirono gr. 0,5512 di anidride carbonica e gr. 0,1700 di acqua: V. gr. 0,1454 di sost. secca fornirono gr. 0,3513 di P# (col metodo Will e Varrentrapp) : Da cui la composizione centesimale seguente : I II III IV W G—= 58,84; 58,99; 58,52. 58,45; — H= — 7,99: CALI 7,894: — pd 2 sy ut a 34,33. Numeri questi che conducono alla formula C*H°. N° \ 134 ADOLFO MONARI per la quale si calcola : Ci= e Ub6dA H= ee Mo NEO SAI 100,00. La composizione e tutte le proprietà dimostrano che questo corpo è l’imidopropionitrile NH (0H* CH CN), che Erlenmeyer e Passavant (1) ottennero facendo agire l’acido solforico e l’acido cianidrico sull’aldeide-ammoniaca. La materia oleosa rimasta, stando lungo tempo ancora sul- l’acido solforico, cristallizzò in gran parte, deponendo ancora del- l’imidopropionitrile. Solfato d’imidopropiomitrile. — Una porzione della materia oleosa trattata con acido solforico diluito fornisce un magma cristallino, che viene convenientemente purificato per pressione fra carta e quindi con varie cristallizzazioni dall’alcool. È in bei cristalli prismatici splendenti, solubilissimo nell’acqua con par- ziale scomposizione, insolubile nell’etere. solubile a caldo nel- l'alcool, donde cristallizza. La soluzione acquosa non dà reazioni di alcaloidi. Scaldato si scompone verso i 120°. Fu disseccato sull’acido solforico, poi analizzato : Gr. 0,2205 di sost. secca, bruciati con cromato di piombo, fornirono gr. 0,3405 di anidride carbonica e gr. 0,1213 di acqua. Da cui: Trovato Calcolato per (CCHEDNE) H* S 0' C = 41,86 Hi ="00 dI: 9,81. Cloridrato d’imidopropionitrile. — Trattando in egual modo la massa oleosa con acido cloridrico si ottiene un precipitato cristallino, che dopo conveniente purificazione si presenta in la- melle esagonali. È solubilissimo nell'acqua con parziale scompo- sizione, insolubile nell’etere e solubile a caldo nell’alcool, donde (1) Ann. der Chem., t. 199-200, p. 124. AZIONE DELL’AMMONIACA SULL ALCOOL ETILICO 190 cristallizza. Scaldato si scompone verso i 120°. Stando a sè all'aria ed alla luce si decompone. Ha tutte le proprietà ed i caratteri del cloridrato d’imidopropionitrile, che ho anche pre- parato direttamente dall’imidopropionitrile puro, procedendo nel modo indicato da Erlenmeyer e Passavant (1). All’analisi sì comportò come segue: Gr. 0,3128 di sost. secca. bruciati con cromato di piombo, fornirono gr. 0,5200 di anidride carbonica e gr. 0,1890 di acqua. Da cui: Trovato Calcolato per C° H° N° HC1 Oi 45,34 45,14 = 6,71 6,27. Cloroplatinato d’imidopropionitrile. — Nell'ipotesi che nella parte oleosa, che non cristallizza o cristallizza difficilmente, si tro- vasse l’amidopropionitrile, da cui si fosse generato poi l’imidopro- pionitrile, mediante la perdita di una molecola di ammoniaca, ho proceduto alla ricerca di detto composto, operando come è indi- cato da Erlenmeyer e Passavant. cioè sciogliendo l’olio nell’etere, disseccando la soluzione eterea con cloruro di calcio e saturando poi con acido cloridrico. Ebbi così un precipitato cristallino, che raccolsi e sciolsi poi in poc’acqua, vi aggiunsi una soluzione con- centratissima di cloruro di platino e lasciai evaporare sull’acido solforico. Dopo vario tempo raccolsi un precipitato cristallino giallo chiaro, solubilissimo nell’acqua e poco solubile in una soluzione alcoolico-eterea. Seccato convenientemente e sottoposto ad ana- lisi sì comportò come segue: Gr. 0,2480 di sost. secca calcinati fornirono gr. 0,0772 di platino metallico. Da cui: Trovato Calcolato per (C° H°N" HC1)-PtC1' Pi=% 9,12 30,00. Il composto però non fu potuto ottenere in un grande stato di purezza. (1) Loc. cit, 186° ADOLFO MONARI - AZIONE DELL AMMONIACA, ECC. Come si vede nonsi è trovato nei prodotti della reazione l’ami- dopropionitrile, per la cui formula del cloroplatinato (C°7°N*HC1)? PtC1‘ si calcola Pt=35,69. L'imidopropionitrile ottenuta si è formata in condizioni assai diverse da quelle indicate da Erlenmeyer e Passavant. Probabil- mente la reazione ha avuto luogo direttamente fra l’acido cia- nidrico e l’aldeide-ammoniaca. producendosi prima l’amidopropio- nitrile, e quindi l’imidopropionitrile mediante la perdita di una molecola di ammoniaca. C H° CH° CH CH | | CHNH° + CHNH° =“CH-NH-CH+NH° | CN CN CN CN. Per l’azione dell’ammoniaca sull’alcool etilico nelle condi- zioni descritte si producono quindi i composti azotati seguenti : 1° Piridina. 2° Basi piridiniche, tra le quali probabilmente la Gol- lidina di Baeyer e di Wurtz. 3° Imidopropionitrile di Erlenmeyer e Passavant. Altre esperienze con altri alcoli saranno fatte in seguito. Torino, R. Università. Laboratorio del Prof. GuaREScHI Luglio 1883. Il Socio Comm. Prof. E. D’Ovipio presenta due lavori mano- scritti, uno « Sulla Geometria della retta e delle sue serie quadratiche » del signor Dott. Corrado SEGRE: l’altro del signor Dott. Gino LoRIA, intitolato « Ricerche intorno alla Geometria della sfera e loro applicazioni allo studio cd alla classifica- zione delle superficie ». Questi Javori, destinati alla stampa nei volumi delle Memorie, sono consegnati a due Commissioni inca- ricate di esaminarli e riferirne in una prossima adunanza. 158. RELAZIONE SULLA MEMORIA DEL DOTT. CORRADO SEGRE Adunanza del 30 Dicembre 1883. PRESIDENZA DEL SIG. COMM. PROF. ARIODANTE FABRETTI {1 Socio Comm. Prof. E. D’Ovipio, condeputato coi Soci Cav. Prov. Bruno e Maggiore Prof. F. Siacci ad esaminare la Memoria del signor Dott. Corrado SEGRE presentatasi nell’ultima adunanza « Sulla Geometria della retta e delle sue serie qua- dratiche ». legge la seguente RELAZIONE Questa Memoria fa seguito alla precedente dello stesso Dottor SeGRE intitolata « Studio sulle quadriche in uno spazio lincare ad un numero qualunque di dimensioni », della quale fu recente- mente deliberata la stampa nelle Memorie della nostra Accademia. L'A. si propone di trattare la Geometria dello spazio rigato come applicazione della teoria delle quadriche di un numero qua- lunque di dimensioni. Definita la retta come elemento di una quadrica non specializzata a 4 dimensioni, il punto e il piano compaiono come spazi lineari a due dimensioni contenuti nella quadrica; e non essendovi altri di tali spazi oltre co' punti e oc piani, e presentandosi essi in condizioni eguali, la legge di dualità geometrica si trova pienamente spiegata. I complessi dirette, le congruenze e le rigate si presentano come spazi a 3, 2, l dimensione contenuti nella quadrica. Fondandosi su queste definizioni. l’A. espone le proprietà dei complessi e congruenze di J° grado e delle rigate di 2° grado; dà alcuni cenni sulle rigate in generale e in particolare di 3° e 4° grado, che sono di due specie; indi passa alla generazione dei complessi e congruenze di 2° grado e delle rigate di 4° grado RELAZIONE SULLA MEMORIA DEL DOTT. CORRADO SEGRE. 139 e 1° specie, considerando questi tre enti come quartiche a 3, 2, 1 dimensione, ed applicando così la teoria delle quartiche esposte nella Memoria precedente. Ciò posto, l’A. si occupa della polarità nei complessi di 2° grado, delle rette singolari e delle superficie singolari di tali complessi, delle serie di complessi di 2° grado omofocali, degli invarianti assoluti dei singoli complessi di 2° grado. Segue un’ ana- loga ricerca sulla congruenza di 2° grado, in quanto alla polarità, alle rette singolari ed alla superficie focale, nonchè alle serie di congruenze di 2° grado omofocali e loro curva singolare. Indi sono date le proprietà di una rigata di 4° grado e 1° specie, delle sue generatrici singolari e iperboliche, e delle serie omofocali di tali rigate. Nel corso di queste sue ricerche l'A. ha occasione di ritro- vare, ma con nuovo ed uniforme procedimento, i principali risultati già acquisiti alla geometria della retta, aggiungendone parecchi nuovi ed importanti. Merita soprattutto attenzione la classificazione dei complessi di 2° grado, delle congruenze di 2° grado e delle rigate di 4° grado e 1° specie, con cui VA. chiude il suo lavoro, come applicazione della classificazione delle quartiche fatta nella Me- moria precedente in base al metodo de’ divisori elementari del Weierstrass. I complessi di 2° grado vengono divisi in 7 classi, suddivise in 49 specie, di ciascuna delle quali si danno le pro- prietà caratteristiche, e una delle quali comprende il complesso di Battaglini; VA. ha cura di rettificare alcune asserzioni del Weiler, che con lo stesso principio, ma con procedimenti meno eleganti e appropriati, aveva data questa classificazione. La clas- sificazione delle congruenze di 2° grado, che è nuova, conduce a 39 specie. La Commissione è di avviso che questo lavoro sia dotato degli stessi pregi che essa ebbe a rilevare nella precedente Memoria, della quale anzi porge una illustrazione assai interessante e fe- conda; e però ne propone la lettura alla Classe. (G. BRUNO. F. SIaccI. E. D’Ovipio, Relatore. 140 RELAZIONE SULLA MEMORIA DRL DOTT. GINO LORIA Lo stesso Socio D'° Ovipio, condeputato coi Soci BRUNO e Sracci ad esaminare la Memoria del signor Dott. Gino Loria che era stata presentata nell'ultima adunanza, intitolata « Licerche sulla Geometria della sfera, e loro applicazione allo studio ed alla classificazione delle superficie dî 4° ordine aventi per linea doppia il centro immaginario all'infinito » , legge la seguente RELAZIONE L'insieme delle sfere nello spazio ordinario costituisce una varietà o spazio a quattro dimensioni, come l’insieme delle rette : e la connessione fra la Geometria delle sfere e quella delle rette fu già notata e utilizzata dal Lr ed altri. Ciò che il D." LORIA si è proposto in questo lavoro, si è di studiare lo spazio di sfere applicando la teoria generale degli spazi lineari a più dimensioni. Lo spazio di punti e quello de’ piani sono contenuti in quello di sfere, e vi costituiscono il primo una quadrica a tre dimensioni , il secondo uno spazio lineare (un piano); e però la Geometria dello spazio di punti e la Geometria dello spazio di piani si presentano subordinate a quella dello spazio di sfere. La Memoria è divisa in tre parti. Nella prima parte l'A. stabilisce il sistema di coordinate per le sfere e ne assegna il significato geometrico, con che viene ad associare ad un gruppo di cinque sfere fondamentali un secondo gruppo di cinque sfere assai interessante. Nota che, se la quadrica dei punti si sceglie per assoluto, si ha una metrica iperbolica, e l’angolo di due sfere si presenta come distanza fra due elementi della varietà (CREMONA). Nella seconda parte sono studiati i sistemi lineari e quadratici di sfere. — Un sistema o complesso lineare consta delle sfere orto- gonali a una data, la quale proprietà conduce fra le altre con- seguenze ad alcuni teoremi enunciati dal MouTARD. — Un complesso quadratico di sfere contiene oo5 fasci di sfere. La teoria della polarità per un tal complesso conduce agl’invarianti dei sistemi RELAZIONE SULLA MEMORIA DEL DOTT. GINO LORIA 141 lineari di sfere (e della quadrica dei punti). Un complesso qua- dratico ha poi un invariante, il cui annullarsi specializza una o due volte il complesso. — Un fascio di complessi quadratici avendo per base una congruenza di 4° grado, la considerazione dei com- plessi speciali del fascio serve a classificare le congruenze di 4° grado. Fra queste è notevole quella dei punti-sfere di un com- plesso quadratico, che è la superficie detta ciclide dal DARBOUX, della quale VA. dimostra così le principali proprietà, circa la generazione come luogo di punti e come inviluppo di sfere, i piani bitangenti, le rette sulla superficie, le curve focali, i fuochi: e dà l’espressione generale del sistema di ciclidi omofocali già considerato dal REvE. La terza parte della Memoria è dedicata alla classificazione delle ciclidi, non esaurita dalle ricerche del DARBOUX e del Casey. Col metodo dei divisori elementari del WEIERSTRASS, VA. assegna le forme canoniche delle due equazioni della ciclide come con- gruenza; e trova che vi sono 18 specie di ciclidi non trasfor- mabili l'una nell'altra, sia per proiezione sia per raggi vettori reciproci. Espone le singolarità per ogni specie, la disposizione delle rette, le proprietà focali e i modi di generazione. Osser- vando che fra le ciclidi omofocali a una data vi è almeno una superficie di 3° ordine viene a classificare anche le ciclidi di 3° ordine, e per proiezione le superficie tutte di 3° ordine, con sostanziale accordo con lo SCHLAEFLI. Le precedenti indicazioni mostrano come sia importante l’ar- gomento della Memoria del D." LORIA, e come questa contenga risultati interessanti per novità e importanza, ottenuti con pro- cedimento uniforme e fecondo. E però la Commissione propone alla Classe la lettura della Memoria stessa. G. Bruno. F. SIACCI. E. D'Ovpio, Relatore. In questa medesima adunanza si diede lettura dei due lavori sopraccennati, e la Classe con votazione regolare ne approvò la pubblicazione nei volumi delle Memorie. 142 E. ROTONDI Il Socio Comm. Prof. Alfonso Cossa presenta e legge la se- guente Nota del Cav. Ermenegildo RoronpIi, Prof. nel R. Museo industriale italiano : RICERCHE DI CHIMICA ELETTROLITE _— TT _T_—T—6_T Tr ELETTROLISI DELL'OLIO D'ANILINA. L'olio d’anilina (1) non subisce alterazione sensibile allor- quando si assoggetta, mediante elettrodi di platino, all’azione della corrente elettrica fornita da sei elementi Grenet atti a pro- durre 175 centim. cub. di gas idrogeno all'ora, ma se si rende fortemente alcalino il liquido con ammoniaca (50 parti d’ olio d’anilina, 200 di acqua e 5 di soluzione concentrata d’am- moniaca) avviene immediatamente l’elettrolisi; un abbondante svolgimento di idrogeno si osserva al polo negativo, mentre al positivo, ove lo svolgimento di gas è quasi nullo, si forma dap- prima una sostanza rossastra, ed in seguito, dopo tre giorni di continuata elettrolisi si ottiene una sostanza nera d’aspetto ca- tramoso, ed un liquido colorato in rosso avente una leggiera reazione alcalina. Questo fatto, prova che l'ammoniaca è stata per la massima parte decomposta dalla corrente, e che la sostanza che si è formata non può essere un sale di rosanilina. Il residuo catramoso, ottenuto nel modo anzidetto, dopo d’averlo separato dalla parte liquida si trattò con circa sei litri d’acqua bollente. Si ebbe così un residuo insolubile &, ed una so- luzione rossa, che evaporata a piccolo volame a bagno maria diede un liquido « che colora la lana in un bel rosso (campione 1 e 2) ed un residuo 5, di colore brunastro solubile nell’acido cloridrico in rossastro, e che colora la lana in rosso vinoso (campione 3). (1) L’olio d’anilina impiegato in queste esperienze bolliva a 185 gradi centig. “oe La Tavola II va unita alla Memoria del Prof. RoroxpI sull’Elettrolisi dell’olio d’anilina, pag. 142, pubblicata nel fascicolo degli 4/7 di Novembre-Dicembre 1883. L'ELETTROLISI DELL'OLIO D'ANILINA 148 Detta soluzione cloridrica, è probabilmente una miscela della sostanza « con altri principii gialli e bruni di cui vedremo in seguito. Il residuo £& trattato con alcool a 90 gradi Gay-Lussac. lascia un residuo insolubile ,, e fornisce una soluzione e bru- nastra che colora la lana in bruno (campione 4-5-6). Se alla soluzione € si aggiunge ‘/,, del proprio volume di acqua, ed indi si elimina l'alcool col colore, si ha un liquido che tinge la lana in rosso vinoso (campione 7-8), ed un residuo d’aspetto me- tallico solubile in acido cloridrico, che colora la lana in nocciuola (campione 9). Questi fatti provano che la sostanza c è una miscela del principio « con altri gialli o bruni. Colla distillazione secca, il residuo R somministra alcuni prodotti liquidi di color giallognolo, ed altri solidi incolori quasi insolubili nell'acqua, ma che si disciolgono facilmente nell’acido cloridrico diluito formando soluzioni rossastre, oppure nell’acido cloridrico o solforico concentrato, dando origini a soluzioni verdi. le quali però diventano rosse coll’aggiunta di acqua. Il residuo R, lavato ripetutamente con alcool etere e acido cloridrico diluito, lascia un nuovo residuo X, nero, che ha tutti i caratteri del nero elettrolittico ottenuto da Federico Goppelsroeder impiegando sali di anilina. Detto residuo £,, trattato con acido cloridrico concentrato, specialmente in tubi chiusi alla temperatura di 110 gradi si modifica, e collo svaporamento dell’acido fornisce un residuo poco solubile nell’acqua, ma. che. coll’alcool dà un li- quido violaceo f, che colora la lana in nero rossastro (campione 10). La soluzione f consta di più principii coloranti; aggiungendovi infatti ammoniaca e riscaldando, si ottiene un precipitato nerastro ed un liquido che colora la lana in bruno rossastro (campione 11). Il precipitato formatosi, che è solubile nell’alcool,. specialmente acidificato con acido cloridrico, tinge la lana in bleu nerastro (campione 12), o in cinereo, a seconda che la tintura si eseguisce in presenza d’alcali oppure d’acido acetico. L’azione dell’elettrolisi sopra l'olio d'anilina non produce, come si potrebbe supporre rosanilina; infatti le proprietà della materia colorante rossa 4 sono diverse. Essa si scioglie nell'acqua ed è inalterabile dagli acidi ed alcali diluiti; si colora in verde cogli acidi concentrati, specialmente il solforico, per riprendere il color rosso primitivo mediante diluzione con acqua, precipita le soluzioni d’acido picrico, e fornisce una sostanza violacea, che 144 E. ROTONDI probabilmente è fenilsaffranina, allorquando si tratta la soluzione con anilina. Detto prodotto colora la lana in violaceo. Tutte queste proprietà provano in modo evidente la formazione del gruppo delle saffranine, e che quindi, l’azione della corrente elet- trica sull’olio d’anilina in presenza di ammoniaca è quella di dar origine a sostanze azoiche, la cui formazione, prescindendo dalle reazioni secondarie, si può facilmente spiegare, perchè l’am- moniaca, sottomessa all’elettrolisi nelle condizioni in cui si fecero le esperienze, dà origine a composti nitrosi, e quindi alle se- guenti possibili reazioni : 1. Alla formazione di diazocomposti. Per il nitrato di anilina la reazione sarebbe : C;H,.NH,.N0,H+ NO;H=CHNOMOTZ60 nitrato di diazobenzina. 2. Formazione di diazoammido composti provenienti dal- l’azione dell’ammido sull’ acido nitroso o sul nitrato del diazo- composto. Nel caso d'impiego d'anilina pura le reazioni sarebbero : 20,H,.NH,+ NO,H =, H;.N,.NH.0,H-E%Ho diazoammido benzina. C,H;.N,.N0,+C,H,.NH, — CH;.N.NH.C,H ENO 3. Formazione di azocomposti per diretta ossidazione del- l’ammido. Per l’anilina pura si avrebbe : 20,H;:NH;+20=2.H,0-L0IRNOSAI 3] azobenzina. 4. Formazione di ammidoazoderivati per trasformazione molecolare dei diazoammido composti (ciò che come è noto av- viene facilmente per la diazoammido benzina), oppure per ridu- zione dei nitroazocomposti. Nel caso di nitroazobenzina si avrebbe: C,H,N,C;H,.N0,+6H — 0,H,.N,0,H, MA.-2/FR0 ammidoazobenzina. ELETTROLISI DELL'OLIO D’ANILINA. 145 Reazioni analoghe possono avvenire per la toluidina, e quindi i composti ad essa corrispondenti si saranno formati nell’elettrolisi dell’olio d’anilina impiegata nelle fatte esperienze, perchè con- teneva toluidina, come lo indica il suo punto d’ebullizione. È noto che l’anilina in determinate condizioni può dare svol- gimento di ammoniaca; infatti : C,H,NH,+2H=C,H,+NH,. È logico il supporre che tale reazione avvenga allorquando si elettrolizza l’anilina in presenza di idrato potassico; infatti le esperienze eseguite provarono, che sostituendo detta base all’am- moniaca nell'operazione dell’elettrolisi, si ottengono gli identici composti. Premessi questi fatti, si comprende come l’elettrolisi del- l’olio d’anilina in presenza di idrato ammonico o potassico possa dare origine alla formazione di saffranina, e come sia logico il supporre che le materie gialle e brune che unitamente ad essa si formano appartengono al gruppo dei corpi azoici. Esposti per ora sommariamente questi primi risultati, è mio intendimento di tentare la separazione dei principali composti che si ottengono dall’olio d’anilina messo in condizioni diverse, perchè la facilità colla quale si formano le diverse materie coloranti, potrebbero trovare utili applicazioni nella tintoria e nella stampa dei tessuti. Dal Laboratorio di Chimica del R. Museo industriale italiano. l'orino, 1883. Atti R. Accad., - Parte Fisica — Vol. XIX. 10 146 E. ROTONDI Il Socio Comm. Prof. Alfonso Cossa presenta ancora e legge la seguente Nota del Prof. RoTONDI: RICERCHE CHIMICHE SOPRA I SAPONI. L’azione che l’acqua esercita sopra i saponi, e le cause del loro potere detersivo, non furono fino ad ora oggetto di ricerche speciali. — Ordinariamente si ritiene per fondata l'opinione di Berzelius, il quale suppone, che l'impiego dei saponi nel ripuli- mento dei tessuti dipenda dalle seguenti cause: 1. Dalla facilità colla quale i saponi neutri si decompon- gono coll’acqua fredda in saponi acici ed alcali libero. 2. Sulla proprietà emulsionante che hanno i saponi per le sostanze grasse. e La prima di dette ipotesi, dedotta dalle esperienze. di Che- vreul (1), è contraddetta dai fatti. Se essa fosse l'espressione della verità, il lavaggio col sapone non sarebbe che un mezzo molto costoso per procurarsi una liscivia diluita, ed inoltre, le soluzioni bollenti di sapone che non si decomporrebbero, dovrebbero avere un potere detersivo più debole in confronto delle soluzioni fredde, il che è in contrardizione coi fatti forniti dall’esperienza. In risposta a tali obbiezioni, il Persoz (2) ed altri suppongono, che i saponi neutri siano solubili senza decomporsi in acqua calda, e che in presenza cdi acqua fredda, sì scincano in saponi basici ed in saponi acidi. I primi avrebbero la proprietà di saponificare i corpi grassi rendendoli solubili, mentre i secondi invilupperebbero i prodotti che si sono formati per l'azione del sapone basico, ed (1) Etudes sur les corps gras. Annales de Chim et de Phys., vol. II. (2) Traité théorique et pratique de l’impression des tissus, v. I. RICERCHE CHIMICHE SOPRA T SAPONI 147 impedirebbero al sucidume di aderire nuovamente alle fibre. Anche tale ipotesi è difettosa, non spiegando come le soluzioni calde di sapone siano più attive delle fredde, ed è inoltre priva di fon= damento, perchè non venne fino ad ora sperimentalmente provata l’azione saponificante del sapone basico sui corpi grassi, e quella emulsionante dei saponi acidi. Recentemente il sig. Stanley Jevon (1), tentò di spiegare l’azione detersiva dei saponi con un’ ipotesi in fondo identica a quella di Persoz, nella quale però vi introdusse un nuovo concetto, affatto ipotetico, di un movimento oscillatorio fra le particelle di sapone, che avrebbe per effetto di asportare dalle fibre da deter- gere le sostanze grasse che le inquinano. La questione di conoscere le cause del potere detersivo dei saponi mi parve abbastanza importante per farne oggetto di studio. Perciò, si preparò del sapone puro disciogliendo in alcool a 95 gradi Gay-Lussac del sapone di buona qualità (ottenuto precipi- tando con cloruro di sodio una soluzione di sapone di Marsiglia), e trattando per due volte nell'identica maniera il residuo fornito dall’evaporazione della soluzione alcoolica. — Si ebbe così un sapone completamente solubile in acqua bollente, avente reazione alcalina sulla carta di tornasole, ma privo di idrato e carbonato alcalino, del che mi accertai analizzando il liquido ottenuto dalla filtrazione di una soluzione di detto sapone, dopo d’averla trattata con cloruro di sodio. Il sapone preparato nel modo anzidetto aveva la composizione seguente : | i tao | 100 parti di sapone essiccato | Elementi determinati inn AC nen | all’avia sopra ac. solforico AcQUuanries. 0: OLA Lia 29. 41 | == | Acidi grassi (2) fusibili a 41 5 C GaReggioro, 91. 43 Ossido di sodio ......... RE UPRR 11.32 Sostanze minerali diverse ....... 0. 16 0. 3I (1) Scientific American Supplement, 1878. (2) Essiccati nel vuoto in presenza d’acido solforico. T48 E. ROTONDI | Con detto sapone si fecero soluzioni di differente concentra- zione, le quali, messe in condizioni diverse, si sottoposero alla dialisi in apparecchi cliusi di 30 cent. quad. di superficie dia- lizzante. Le esperienze fatte con tale indirizzo furono le seguenti : 1. 100 grammi di sapone ridotto in piccolissimi pezzi, e messi in un litro d’acqua distillata, si dializzarono per 80 giorni alla temperatura di 15 gradi. 2. 100 grammi sapone messi in due litri d’acqua distillata si trattarono come nel caso precedente. 3. 100 grammi di sapone disciolti in due litri di acqua bollente si dializzarono per 30 giorni alla temperatura di 15 gradi. 4. 100 grammi di sapone messi in un mezzo litro d'acqua distillata, si dializzarono per 30 giorni mantenendo per sei ore di ciascun giorno la temperatura a 80 gradi. Alla fine del tempo indicato nelle predette esperienze, sì evaporarono separatamente a bagno maria i liquidi dializzati e non dializzati, ed i residui ottenuti essiccati nel vuoto in presenza di acido solforico diedero all'analisi i seguenti risultati : Ossido di sodio contenuto nel residuo lasciato dal liquido Esperienza | — tr rei z5.1r//r 9 oi dializzato non dializzato i I 15. 06 10. 81 2 lib: 94 10, 74 3 Lf a 9. 56 4 15 58 9a La quantità di sapone dializzato, specialmente nelle esperienze 1— 2, fu assai piccola in confronto di quello non dializzato. I residui dell’evaporazione dei liquidi dializzati sono solubili in acqua calda, ele soluzioni non intorbidano col raffreddamento che dopo d’averle lasciate esposte all’aria per alcuni giorni. I residui invece provenienti dai liquidi non dializzati, sono pure solubili nell'acqua calda ma intorbidano immediatamente col raf- freddamento. Continuando la dialisi per lunglissimo tempo, si arriva ad avere per residuo non dializzabile una sostanza quasi insolubile anche a caldo. RICERCHE CHIMICHE SOPRA 1 SAPONI 149 :' Siccome i liquidi dializzati non contengono alcali libero, le esperienze fatte conducono alle seguenti conclusioni : i 1. I saponi neutri a base alcalina (0, H,,_, M0,), sono decomposti dall’acqua in saponi basici (C,4,,_, MO, OMH), solubili sia a freddo che a caldo nell'acqua, ed in saponi acidi (CH,,--' MO, C,4H,,0,), che sono pochissimo solubili a caldo ed insolubili a freddo. 2. La decomposizione del sapone neutro è più facile in presenza di acqua calda che di acqua fredda, ed avviene in tempo più o meno lungo, a seconda della concentrazione del liquido e delle condizioni di temperatura. 3. I saponi basici dializzano facilmente, mentre i saponi acidi non godono di tale proprietà. 4. La soluzione di sapone basico ottenuta colla dialisi, potendo contenere anche sapone neutro, può decomporsi ulterior- ment: in sapone acido e basico, e ciò fino a tanto che la soluzione resta formata esclusivamente di sapone basico, che si può separare dal sapone acido colla dialisi. 5. I saponi neutri decomponandosi in presenza dell’acqua, non danno nè idrato nè carbonato alcalino, il che si prova pre- cipitando le soluzioni dei saponi basici con cloruro di sodio, ed analizzando il liquido separato colla filtrazione. L'azione che l’acqua esercita sopra i saponi, si studiò anche senza ricorrere alla dialisi. Perciò, preparata a caldo una solu- zione formata con 100 grammi di sapone e un litro d'acqua distillata, si lasciò per 24 ore in matraccio aperto, ed indi si separò colla filtrazione un sapone insolubile @ ed un liquido d. Il sapone a, essiccato nel vuoto in presenza di acido solforico, diede un residuo contenente il 10,17 p. °/, di ossido di sodio. Detto residuo, è completamente solubile nell’acqua bollente, ma col raffreddamento e successiva filtrazione, fornisce un sapone inso- lubile, che contiene il 6,11 p. °/, d’ossido di sodio. La soluzione %, che lascia coll’evaporazione un residuo con- tenente il 14,12 p. ‘/, di ossido di sodio, abbandonata in matraccio aperto diede origine ad una sostanza d’aspetto filamentoso, la quale, separata colla filtrazione dopo quindici giorni, ed essiccata nel vuoto sopra acido solforico, conteneva il 7,84 p. °/, di ossido di sodio. Il liquido da cui si separò la predetta sostanza, e che lasciò nell’evaporazione un residuo contenente il 15.97 p. °/, di alcali, abbandonato per altri quindici giorni in matraccio aperto, 150 È. ROTONDI fornì una nuova quantità di materia insolubile, ed un liquido, che separato a mezzo della filtrazione e lasciato esposto all’aria. non diede più precipitato. — Il residuo dell’evaporazione di detto liquido contiene il 16,21 p. °/, di ossido di sodio; esso è com- pletamente solubile nell’acqua fredda, ha una reazione fortemente alcalina, precipita completamente col cloruro di sodio, e dopo separato colla filtrazione il sapone precipitato, diede un liquido esente d'idrato e carbonato alcalino. Come si vede, i risultati di queste esperienze concordano con quelli forniti dalle soluzioni di sapone dializzato. La proprietà del sapone basico, ossia delle soluzioni di sapone completamente solubili nell'acqua fredda, ed ottenute dalla sepa- razione dei saponi acidi che si formano trattando con acqua i saponi neutri, sono le seguenti : 1. I saponi basici sono completamente solubili nell'acqua fredda, mentre i saponi acidi lo sono pochissimo anche in acqua calda. i 2. I saponi basici precipitano completamente con cloruro di sodio senza che venga messo in libertà dell’alcali. 3. Le soluzioni acquose di sapone basico, specialmente a caldo, danno coll’acido oleico ed altri acidi grassi un liquido limpido, anche dopo il raffreddamento, qualora il sapone basico sia stato impiegato in quantità conveniente. Se la soluzione si lascia a contatto dell’aria, dopo alcuni giorni può intorbidare, e ciò perchè la miscela di sapone basico e neutro formatasi, si scinde per dare sapone acido e sapone basico. 4. I saponi basici sciolgono a caldo i saponi acidi, e le soluzioni che se ne ottengono, intorbidano col raffreddamento in un tempo più o meno lungo, a seconda della quantità di sapone basico impiegato per una data quantità di sapone acido. È per questa ragione che i saponi ordinari sono solubili nell'acqua calda, - quantunque da essa decomposti in saponi basici e acidi, in modo più completo che dall'acqua fredda. 5. Le soluzioni acquose e fredde di sapone basico non si combinano, ma emulsionano i corpi grassi; colla triolina si ottiene una massa bianca che hal’aspetto di panna battuta assai consistente, e che si conserva tale per più mesi senza che in essa si separino particelle oleose. il riscaldamento non produce alcun cambiamento nella massa, ma se si aggiunge alcool a 80 gradi Gay-Lussac, la. materia grassa si porta alla superficie di un liquido limpido, RICERCHE CHIMICHE SOPRA I SAPONI 151 il quale non contenendo glicerina, prova contrariamente a quanto oggidì si ammette, che non ebbe luogo saponificazione, ma soltanto emulsionamento della materia grassa. I saponi neutri ordinari, quantunque in grado minore, godono della stessa proprietà emulsionante specialmente a caldo, e ciò probabilmente perchè si decompongono in saponi basici ed in saponi acidi più facilmente che a freddo. Anche in questo caso non ha però luogo saponificazione, perchè separando con alcool la sostanza grassa nel modo detto precedentemente, non si trova glice- rina nella soluzione alcoolica. —I saponi acidi, anche a caldo, sono privi, o godono solo in grado piccolissimo del potere emulsionante. 6. Se una soluzione acquosa e fredda di sapone basico è ‘attraversata da una corrente di acido carbonico, si forma un liquido lattiginoso, che coll'esposizione all'aria. col calore, o col- l'aggiunta di alcool si rende trasparente. Colla filtrazione si ottiene invece difficilmente un liquido limpido, dal quale però il cloruro di sodio precipita completamente il sapone che tiene in sospen- sione o disciolto, e fornisce un liquido esente d’alcali e carbonato alcalino. L'azione dell'acido carbonico sopra i saponi basici, parmi potersi spiegare ammettendo che essi siano nella soluzione di detto acido meno solubili, oppure che si formi del carbonato sodico, il quale non si renderebbe libero, ma si unirebbe al sapone neutro formatosi per dare origine a un nuovo composto meno solubile e di costituzione analoga a quella dei saponi basici, in cui però l’idrato alcalino sarebbe sostituito dal carbonato. — Siccome si può induttivamente ammettere, che i composti insolubili, forniti dall'azione dell'acido carbonico sopra i saponi basici, siano dotati d’un potere detersivo minore dei saponi basici e neutri, si com- prende il perchè, le acque ricche in acido carbonico (indipenden- temente dai sali terrosi che contengono), non siano le più adatte per l'impiego dei saponi nell'industria. La decomposizione dei saponi neutri in acidi ed alcalini, mi sembra che possa avvenire in modo analogo a quello che si verifica per altri composti della serie grassa, come per esempio per alcuni acetati, che a freddo, ma specialmente a caldo, danno miscele di sali basici e di acido acetico libero. Nel caso dei saponi neutri si avrebbe invece un sapone acido insolubile, non potendo l'acido rendersi libero ed essere eliminato coll’ebollizione, ed un sapone basico solubile, incapace di scomporsi fino al punto di dare ossido 152 E: ROTONDÎ alcalino per la ragione sopra indicata. Trattando però il liquido con - vapore a conveniente temperatura si avrebbe per residuo l’idrato alcalino e distillerebbe l’acido grasso. Le cose dette, oltre insegnarci il perchè le soluzioni calde di sapone sono più attive delle fredde, ci spiegano pure le anomalie che si osservano nelle proprietà e nella potenza detersiva di saponi fatti colle stesse materie prime ed impiegate nelle stesse pro- porzioni; avviene ad esempio, che dall'impiego di saponi aventi la stessa composizione chimica, si ottengono in certe operazioni industriali risultati differenti. — Queste anomalie si spiegano ammettendo, che i saponi, anche esenti d’alcali libero, possono contenere del sapone acido e del sapone basico. Questi fatti provano l'importanza d’alcuni precetti dati dai pratici nella fabbricazione dei saponi, i quali mirano essenzialmente ad ottenere non solo saponi privi d'alcali libero, ma formati possibilmente da solo sapone neutro, perchè anche la presenza di molto sapone basico può essere dannosa in alcune industrie, come ad esempio nella sgommatura della seta. In un recente lavoro, Oscar Scheurer (1), ebbe a rilevare un fatto molto importante e che viene a confermare le cose sopra esposte. Esso provò che il metodo di cottura dei saponi influisce nell'avere un prodotto perfetto, perchè i saponi neutri sarebbero la conseguenza della combinazione di un sapone basico con un sapone acido, i quali si formerebbero come prodotti primi nel processo di fabbricazione dei saponi. Rammentando che i saponi basici sono completamente pre- cipitati dal cloruro di sodio, si comprende facilmente come vi possono essere saponi commerciali privi d'alcali libero, e che contengono una quantità di base maggiore di quella che corrisponde a un sapone neutro, e come saponi preparati con una quantità di base insufficiente per formare un sale neutro, possono essere più attivi dei saponi neutri. Tali fatti, si devono aver presenti nell'analisi dei saponi, allorquando si vuole stabilire se l’impiego chi- un sapone è conveniente per una data operazione industriale. :-. «In appoggio alle esperienze eseguite si può conchiudere che l’azione detersiva dei saponi è una conseguenza dei seguenti fatti : 1. L'acqua, specialmente a caldo, decompone i saponi neutri in saponi basici ed in saponi acidi senza formazione d’alcali libero. ‘‘(1) Bulletin de la Société Industrielle de Mulhouse, V. LII, RICERCHE CHIMICHE SOPRA i SAPONI. 153 2. Le soluzioni dei saponi basici sciolgono i saponi acidi e gli acidi grassi liberi. ed emulsionano i corpi grassi neutri senza saponificarli. 3. I saponi acidi non sciolgono e non emulsionano, nè gli acidi grassi, nè i corpi grassi neutri. 4. L'acido carbonico rende insolubili i saponi basici senza che vi sia formazione d'’alcali libero. Dal Laboratorio di Chimica del Regio Museo Industriale Italiano. — Torino 1883. oe La Tavola III, unita alla Memoria del Prof. Roroxpi sull’Elettrolisi dell'olio d’anilina, pag. 142, uscirà 5 nel prossimo fascicolo degli A##7. 154 SCIPIONE CAPPA Il Socio Comm. Prof. G. Curioni presenta e legge la se- guente Nota del signor Ing. Scipione CAPPA, SUL: LIMITE DELL'ADEREVZA che si può svolgere fra due cilindri ad assi qualunque che si trasmettono il movimento rotatorio. In questa nota mi sono proposto di determinare il limite della forza di aderenza che si può svolgere fra due cilindri aventi gli assi comunque diretti e che si trasmettono il movimento ro- M tatorio. Siano M, N due cilindri a sezione retta circolare, vo- lubili intorno ai loro assi e trasmettertisi il movimento rotatorio per sola aderenza; sia C C' il loro punto di contatto, e l’angolo qualunque fatto dai loro assi AA', A'A, BB, B'B', Ril SUL LIMITE DELL'ADERENZA FRÀ DUE CILINDRI ECC. 155 raggio del cilindro superiore M che supporremo essere il con- dotto, r il raggio del cilindro inferiore N che supporremo essere il conduttore. Potremo anzitutto stabilire la relazione che passa tra le velo- cità angolari dei due sistemi, ricordando che in altra Memoria (*) si è dimostrato come, avendosi due sistemi di forma invariabile rotanti intorno ad assi aventi direzioni qualunque e trasmettentisi il movimento direttamente ovvero per mezzo di un tirante di lun- ghezza invariabile, le velocità angolari dei due sistemi stiano tra loro in ragione inversa dei prodotti delle minime distanze della linea d’azione dagli assi pei seni dei rispettivi angoli fatti da questa linea d’azione cogli assi stessi. E come per conseguenza supposto che i due sistemi rotanti si riducano a due circoli cen- trati sugli assi ed ammesso ancora che l'aderenza faccia per la trasmissione del movimento l’uffizio che farebbe un tirante, il quale passando pel punto di contatto dei due circoli, giacesse nel piano parallelo ai due assi ed avesse la direzione del moto del sistema condotto, la velocità angolare del sistema condotto stia a quella del conduttore come il prodotto del raggio del circolo conduttore pel coseno dell’angolo fatto dai due assi sta al raggio del circolo condotto. Ammettendo quindi pel caso che ora consideriamo la stessa ipotesi, detti © e % gli angoli descritti nel medesimo tempo ri- spettivamente dal cilindro conduttore e dal cilindro condotto, avremo per la relazione che determina il rapporto delle velocità angolari dei due sistemi la seguente : d rcose PA Ciò premesso stabiliamo l'equazione di equilibrio del cilindro conduttore considerato mentre ha luogo la comunicazione del mo- vimento fra i due cilindri. Sia perciò P la potenza applicata al sistema conduttore con direzione normale all’asse dello stesso sistema ed « il suo braccio ; sia Q la mutua pressione dei due cilindri, f il coefficiente di (*) Sulla lrasmissione del movimento fra due assi qualunque. = Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. XVIII, adunanza del 24 Giugno 1883 156 SCIPIONE CAPPA attrito di prima specie ed Y la forza di aderenza che si svolge frà i due cilindri. Se sì immagina che i due cilindri rotino at- torno ai loro assi descrivendo rispettivamente gli angoli © e 4, gli è chiaro che la rotazione che subisce il punto di contatto 0 C' dei due cilindri considerato come appartenente al sistema con- duttore, si può ritenere come risultante di due rotazioni fatte attorno a due assi XX XX, YY Y'Y' posti coll’asse del cilindro conduttore nello stesso piano parallelo all’ asse del ci- lindro condotto, incontrantisi nel piede della perpendicolare calata su questo piano dal punto € 0° e parallelo l'uno all’ asse del cilindro condotto, perpendicolare l’altro allo stesso asse del ci- lindro condotto. In virtù della rotazione attorno all’asse X X X'X' parallelo a quello del cilindro condotto , il punto C' C' descriverà uno spazio che sarà uguale allo spazio descritto dallo stesso punto C'0' con- siderato come appartenente al cilindro condotto mentre questo descrive l’angolo 4, essendochè nella direzione normale all’asse del cilindro condotto non vi deve essere scorrimento di un ci- lindro sull’altro. In virtù invece della rotazione attorno all'asse YY Y'Y' perpendicolare a quello del cilindro condotto, il punto CC considerato come appartenente al sistema conduttore subirà uno scorrimento lungo la generatrice del cilindro condotto che si proietta in C'. In questo scorrimento si svilupperà quindi una resistenza di attrito il cui valore sarà dato da fo . Al movimento del sistema conduttore si oppongono perciò la forza di aderenza che abbiamo indicata con 7 e che è applicata nel punto C'C' in direzione perpendicolare all’asse del cilindro condotto e la resistenza di attrito f@ applicata anch’ essa nel punto CC con direzione parallela all'asse del sistema condotto. Per l'equilibrio del sistema conduttore, astrazione fatta dagli attriti che si sviluppano nei pulvinari che sostengono l’albero su cui sarà calettato il cilindro, dovrà essere nulla la somma dei momenti rispetto al suo asse, delle forze P, FY,f@ che lo sol- lecitano, ossia avvertendo che le proiezioni delle forze F ed f @ sopra un piano perpendicolare all'asse AA A'A' del cilindro con- duttore sono rispettivamente date da: Fcose fQsene SUL LIMITE DELL’ADERENZA FRA DUE CILINDRI Ecc. 157 e quindi i loro momenti rispetto allo stesso asse sono: vr Fcose rfQ@sene dovrà sussistere l’equazione : aP=v Fcose+rf@sene donde si trae: P=(Fcose +7 @5en) e i Evidentemente la forza di aderenza si svolge più o meno intensa a seconda delle maggiori o minori resistenze che si op- pongono al movimento del sistema condotto, il quale si può supporre impiegato, a cagion d’esempio a sollevare un peso più o meno grande, mediante una fune avviluppata attorno al ci- lindro condotto stesso. Se il peso da sollevarsi sarà nullo, fa- cendo qui pure astrazione dagli attriti che si svolgono nei pulvinari del cilindro condotto, anche l’aderenza / sarà nulla, ma a misura che il peso da sollevarsi dal sistema condotto crescerà; crescerà eziandio la forza di aderenza F, e come si vede dalla equazione stabilita, crescerà parimente la potenza P da applicarsi al sistema conduttore. Se però le resistenze che si oppongono al movimento del ci- lindro condotto aumenteranno oltre un certo limite, è facile capire che mentre il cilindro conduttore roterà attorno al suo asse, non avrà più luogo la comunicazione di movimento, ma si farà invece lo scorrimento del cilindro inferiore sotto al cilindro superiore, che resterà immobile. Noi potremo scrivere l’equazione di equilibrio delle forze applicate al cilindro inferiore quando non ha luogo la comuni- cazione di movimento fra i due cilindri, avvertendo che in questo caso in cui il cilindro superiore resta immobile mentre quello inferiore gira attorno al suo asse, al movimento di questo ci- lindro inferiore si oppone l’attrito di prima specie f @ che si sviluppa fra i due cilindri e che ha direzione contraria al moto del sistema conduttore, cioè perpendicolare all'asse del cilindro conduttore stesso. Detta quindi P' la potenza da applicarsi al cilindro inferiore con braccio a per fare equilibrio alla resistenza di attrito, sussisterà l’equazione : CISA: 158 SUL LIMITE DELL ADERENZA FRA DUE CILINDRI FCC. donde : x . P=f@-. da Ricordando ora quanto si è precedentemente osservato: che cioè col crescere delle resistenze che si oppongono al moto del sistema condotto, cresce la forza di aderenza Y necessaria per vincere quelle resistenze stesse e la potenza P da applicarsi al sistema conduttore, è facile lo scorgere che potrà giungere il punto in cui questa potenza P diventerà uguale a P' ossia ad CI r fQ=. a Prima di giungere a questo punto avrà sempre avuto luogo la comunicazione di movimento fra i due cilindri, ed è chiaro che quando la potenza P avrà raggiunto il valore P', potrà succedere indifferentemente la comunicazione o la non comuni- cazione di movimento fra i due cilindri. Sarà allora: ” te PE fe== = (Fcose+f@sene)- ossia: f@=fcose+f@sens donde 1— sene vik== genna, i, COS E Questo pertanto è il valore limite della forza di aderenza che si può svolgere fra i due cilindri, poichè se le resistenze che si oppongono al movimento del sistema condotto aumentas- sero ancora, e quindi divenissero tali da richiedere per essere vinte lo sviluppo di una forza di aderenza ancora maggiore di quella testè trovata, non si farebbe più la comunicazione di mo- vimento fra i due cilindri, ma avverrebbe invece lo scorrimento del cilindro inferiore N sotto il superiore M il quale resterebbe immobile. Oppure quando prevalesse il peso attaccato alla fune avvolta sul cilindro superiore, questo verrebbe a concepire un movimento in senso contrario a quello che il cilindro inferiore tenderebbe a comunicargli. Il Socio Comm. Prof. E. D’OvipIio presenta e legge la se- guente Memoria del signor Dott. Corrado SEGRE, SULLE GEOMETRIE METRICHE DEI COMPLESSI LINEARI E DELLE SFERE E SULLE LORO MUTUE ANALOGIE. In seguito ai lavori di Lie e di KLEIN (*) è noto che la geometria dello spazio ordinario, quando si. prende per gruppo fondamentale di trasformazioni (**) il gruppo delle inversioni (o trasformazioni per raggi reciproci) si può considerare. come identica alla geometria proiettiva di un complesso lineare. Ai punti dello spazio ordinario corrispondono le rette del complesso lineare, alle sfere ed ai circoli di quello le congruenze lineari e le rigate quadriche (Legelschaaren) di questo. Come in un fascio di sfere vi sono due sfere singolari o sfere nulle, così in un fascio di congruenze lineari contenute nel complesso lineare vi sono due congruenze lineari speciali (dalle direttrici coinci- denti). — Se invece di considerare le rette di un complesso lineare si considerano tutte le rette dello spazio, le analogie » (*) V. Lie, Teber Complexe, insbesondere Linien- und Kugel-Complexe, mit Anwendung auf die Theorie partieller Differentialgleichunger, Mathen:a- tische Annalen, Bd. V. pag. 145-256. — KLein, Uedber Liniengeometrie und metrische Geometrie, Math. Ann. Bd. V, pag. 257-277. — KLEIN, Vergleichende Betrachtungen tiber neuere geometrische Forschungen, Erlangen 1v72. (**) Pel concetto importantissimo, e forse non abbastanza noto, del gruppo fondamentale di trasformazioni veggansi i lavori citati di KLEIN ed inoltre la sua seconda Memoria: Ueber die sogenannte Nicht-Euklidische Geometrie, Math. Ann, Bd. VI, pag. 112-145, 160 CORRADO SEGRE facendo astrazione dal numero delle dimensioni degli spazi con- siderati, rimangono ancora perfettamente: la geometria prosettiva dello spazio di rette e dei complessi lineari di queste corrisponde perfettamente alla geometria delle inversioni dello spazio ordinario di punti e delle sfere. La ragione intima di queste analogie sta nel fatto che tanto l’una quanto l’altra geometria equivalgono alla geometria di uno spazio lineare risp. a 5 ed a 4 dimensioni, in cui il gruppo fondamentale di trasformazioni consta delle tras- formazioni lineari che non mutano una quadrica fissa non de- genere risp. a 4 ed a 3 dimensioni, la quale nell’un caso ha per elemento ciò che si suol chiamare retta, nell'altro caso ciò che si suol chiamare punto. In altri termini quelle due geometrie non sono altro che le geometrie metriche di spazi lineari risp. a 5 ed a 4 dimensioni, quando in ciascuno di questi spazi si prenda per assoluto una quadrica non specializzata. In questo modo si vede anche che se si considera l'angolo (0 distanza) di due complessi lineari colla quadrica di rette per assoluto, vale a dire coll’introduzione del rapporto anarmonico determi- nato da due tali complessi coi due complessi speciali del loro fascio, a questo angolo corrisponde appunto l'angolo di due sfere inteso nel senso ordinario, poichè è noto (*) che quest’angolo corrisponde appunto all’assumere per assoluto nello spazio di sfere la quadrica dei punti-sfere. Ma la ricerca di analogie tra le geometrie metriche ordi- narie (euclidee) delle rette e dei punti non pare che finora sia stata fatta: eppure tali analogie esistono e non sono meno no- tevoli che quelle dianzi accennate tra la geometria proiettiva delle rette e la geometria delle inversioni dei punti. Noi ci pro- poniamo appunto di mostrarle in questa nota: vedremo come esse siano tali che la geometria metrica ordinaria dei punti e delle sfere può considerarsi come caso particolare di quella delle rette e dei complessi lineari, quando si scambino tra loro le parole punto e retta, sfera e complesso lineare. EB il fonda- mento di queste analogie verrà da noi trovato nel fatto che entrambe quelle geometrie metriche ammettono, per così dire, due assoluti, dei quali l'uno è la quadrica di rette o la qua- (*) V. CREMONA, Sulla corrispondenza fra la teoria dei sistemi di rette e la teoria delle superficie (Atti della R. Accademia dei Lincei, tomo 3°, serie 22, numero 27). Ì SULLE GEOMETRIE METRICHE BCC. 161 drica dei punti, e l’altro è nella geometria metrica delle rette una quadrica degenere, la quale determina il complesso. delle rette secanti l’assoluto euclideo, e nella geometria metrica dei punti l'insieme di quelle sfere che si riducono a piani. Ora que- sti secondi assoluti . rappresentati risp. da una nuova qua- drica e da un piano, sono tali che questo può considerarsi come caso particolare di quello. Analiticamente poi giungeremo allo stesso risultato in conseguenza del fatto che. usando coordinate lineari generali di sfere e di complessi lineari (e, come casi par- ticolari, di punti e di rette), vedremo che l’espressione del mo- mento di due rette, ovvero del prodotto della distanza di queste per la tangente del loro angolo. si riduce, con uma particola- rizzazione delle funzioni che vi entrano, all'espressione della di- stanza di due punti in coordinate pentasferiche generali. Indi stabiliremo alcuni dei teoremi più noti e più importanti riguar- danti i complessi lineari, i loro assi, i loro parametri, i loro mutui momenti, ecc., mediante l’uso delle coordinate più gene- rali di retta e di complesso lineare, cosa che non crediamo sia stata fatta finora (poichè quei teoremi furono tutti dimostrati 0 sinteticamente, o analiticamente. ma coll’uso di sistemi di coordi- nate assai particolari (#)), e che costituisce pure uno scopo della presente nota. La generalità del sistema di riferimento vedremo accrescere eleganza alle dimostrazioni senza renderle più lunghe: così noi troveremo senza difficoltà le coordinate più generali dell'asse di un complesso lineare dato e ne dedurremo le più importanti proprietà di questo asse. Come casi particolari poi delle proposizioni e delle formule così trovate, avremo delle pro- posizioni e delle formule riguardanti la geometria metrica delle sfere, le quali anzi varranno per uno spazio euclideo ad un nu- mero qualunque di dimensioni. Vedremo ad esempio che all'asse e al parametro di un complesso lineare corrispondono il centro ed il quadrato del raggio di una sfera, e che alla relazione (*) Per dimostrazioni sintetiche di quei teoremi sui complessi lineari v. RevE, Geometrie der Lage (2! Auflage, 2! Abtheilung, pag. 69-77), e D’Ovipio, Nota sulle proprietà fondamentali dei complessi lineari (Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. XVI, 1881). Per dimostrazioni analitiche poi veggasi la Neue Geometrie des Raumes di PLicgeR e la Me- moria di Drac4, Zur Theorie der Raumgeraden und der tinearen Cumpleve (Math. Ann. II, pag. 125-139). Atti R. Accad. - Parte l'isica — Vol. XIX. ll 162 CORRADO SEGRE nota tra l'angolo di due sfere, i loro raggi e la distanza dei loro centri corrisponde una relazione, che crediamo nuova, tra l'angolo di due complessi lineari, i loro parametri e le quantità determinanti la posizione relativa dei loro assi. 8 1 Le sfere dello spazio ordinario formano una varietà lineare a 4 dimensioni, di cui i fasci costituiscono i sistemi lineari sem- plicemente infiniti, le stelle costituiscono i sistemi lineari dop- piamente infiniti, ecc. Esse si possono dunque considerare come rappresentate dai piani (spazi lineari a 3 dimensioni) di uno spazio lineare a 4 dimensioni ,S,. I fasci di sfere saranno rap- presentati dai fasci di piani di questo spazio, e siccome in cia- scuno di essi vi sono due sfere nulle, cioè sfere degenerate in coni, ed una sola sfera di raggio infinito, cioè ridotta ad un pieno (ed al piano all'infinito), così conchiudiamo che in S, i piani rappresentanti le sfere nulle inviluppano una quadrica (a 3 dimensioni) , ed i piani rappresentanti le sfere infinite, cioè rappresentanti i piani dello spazio ordinario, passano per un elemento fisso a. Siccome non esiste una sfera nulla, tale che ogni altra sfera nulla determini con essa un fascio di sfere nulle, così la quadrica £ non può essere degenere, cioè avere un piano doppio (*). Vi sono però delle sfere notevoli in quanto che go- dono della proprietà di essere nello stesso tempo sfere nulle e sfere infinite: le sfere cioè che si compongono, oltre che del piano all’infinito, di un piano tangente all’assoluto euclideo (cerchio imaginario all’infinito). Queste sfere formano co' fasci, ciascuno dei quali corrisponde ad un punto di contatto di questo asso- luto, punto che va riguardato come centro di tutte le sfere di quel fascio; e tutti quei fasci hanno poi comune una sfera, quella che si riduce al piano all’infinito contato doppiamente. Vediamo così come nello spazio ,S, i piani passanti per a e tangenti ad (*) Per la proposizione su cui qui ci basiamo e per altre, di cui dovremo servirci, riguardanti la teoria generale delle quadriche, ci sia permesso rin- viare il lettore alla nostra Memoria: Studio sulle quadriche in uno spazio lineare ad un numero qualunque di dimensioni, che si sta stampando nelle Memorie di quest’Accademia. SULLE GEOMETRIE METRICHF Fcc. 163 E formano un solo sistema di oo' fasci aventi tutti comune un piano @ corrispondente a quella sfera: donde segue immediata- mente che l'elemento a sta su & ed ha questo piano & per piano tangente. — I punti dello spazio ordinario essendo in generale centri di sfere nulle da essi individuate potremo inten- derli rappresentati dai piani tangenti ad che rappresentano queste sfere nulle, o meglio ancora dagli elementi di contatto di quei piani con KR. In questo modo i punti dello spazio or- dinario saranno rappresentati univocamente nello spazio S, da- gli elementi di R, i quali perciò chiameremo anche punti. Però siccome nello spazio ordinario tutti i punti all’infinito sono centri di una stessa sfera nulla, il piano all’infinito doppio, ed inoltre ogni punto il quale oltre ad essere all’infinito stia sull’assoluto euclideo può considerarsi come centro di un fascio di sfere com- poste del piano all’infinito e di piani tangenti all’assoluto nel punto stesso, così l'elemento « di È rappresenterà nello stesso tempo tutti i punti all’infinito dello spazio ordinario, mentre ogni punto all’infinito posto sull’assoluto euclideo sarà rappre- sentato da una oo' di elementi di E formanti un raggio pas- sante per 4 e giacente nell’intersezione di R con 4 (*). — No- tiamo poi che nello spazio ordinario due sfere sono ortogonali quando sono coniugate armoniche rispetto alle due sfere nulle del loro fascio: dunque in S, i piani rappresentanti due sfere sono coniugati rispetto alla quadrica & quando queste sfere sono ortogonali. In particolare, se l’una delle sfere è nulla la condi- zione perchè l’altra ne contenga il centro, sarà che il punto di contatto con E del piano rappresentante la prima sfera stia sul piano rappresentante la seconda. Ne segue immediatamente che i punti dello spazio ordinario i quali stanno su una sfera sono rappresentati in S, dai punti di X posti sul piano rap- presentante quella sfera; cosicchè in questo modo di vedere le sfere dello spazio ordinario, considerate come luoghi di punti, figurano in S, come le sezioni piane della quadrica S a 3 di- mensioni. Quelle tra queste sezioni che hanno un punto doppio, cioè che sono fatte con piani tangenti ad R, costituiscono le (*) Tutti questi risultati sulla rappresentazione dello spazio ordinario di punti in una quadrica a 3 dimensioni furono ottenuti dal KLEIN nei lavori citati mediante una proiezione stereografica; qui abbiamo voluto mostrare un modo diretto di trovarli. 164 CORRADO SEGRE sfere nulle e quei punti doppi sono precisamente i punti doppi o centri di queste sfere. Quelle sezioni invece che passano per “ costituiscono le sfere ridotte a piani. I pian? poi di S, i quali passano per 4 e sono tangenti ad (in punti posti, per con- seguenza, sul piano %), e le sezioni che i piami stessi determi- nano in È, rappresentano quelle sfere dello spazio ordinario le quali si riducono a piani tangenti all’assoluto euclideo (sfere di raggio indeterminato). — Similmente è chiaro che ogni spazio lineare a 2 dimensioni contenuto in ,S, taglierà & secondo gli co! punti di un cerclio, il quale si rilurrà ad una coppia di rette secanti l'assoluto euclideo, cioè di rette nulle, se quello spazio è tangente ad /?, e ad una retta qualunque insieme con una retta all’infinito se quello spazio passa per a. Si vede pure cle gli oo? raggi (spazi lineari ad 1 dimensione) contenuti in È costituiscono nello spazio ordinario il complesso delle rette nulle o secanti dell assoluto. perocchè ciascuno di essi contiene un punto dell intersezione di £ con 2, cioè un punto dell’assoluto. Ciò premesso, assumiamo un sistema qualunque ci 5 coordi- nate lineari omogenee x, , #,, ... , per gli e'ementi dello spazio $,: allora la quadrica avrà una certa equazione quadratica: Rial Gaba! ed il piano « avrà una cert’altra equazione lineare: gio > Day — () e siccome queste due superficie devono essere tangenti, tra i coefficienti R,, ed «, passerà questa (sola) relazione: 0) % | | (* | | | I punti dello spazio ordinario avranno così 5 coordinate omo- genee %;, soddisfacienti però alla condizione f,,=0. Se poniamo o R i Ice IRA a Ro bs" FW x, = Rp ag LI allora la condizione, perchè i due punti x.4° stiano su una stessa retta nulla. sarà che essi siano coniugati rispetto ad £, cioè che SULLE GEOMETRIE METRICHE ECC. 165 R,,,=0. Ogni punto 2 all’infinito sarà poi caratterizzato , per quanto dicemmo, dal soddisfare oltre che l'equazione £.,,= 0 l'equazione lineare &, =0. I punti che stanno su una sfera soddisferanno ad un’equa- zione lineare tra le x,. Se i coefficienti di quest’ equazione si D I o Viole . . .‘ . DI rappresentano con f,,=1— (il che si può sempre fare poichè Gi L il discriminante di / non è nullo), vale a dire se quest’equazione si scrive così : od JR) 3 LI DI Dpr {pi =" dare) Zi —- > daro Cr do — {) È noi diremo che le c, sono le coordinate di quella sfera: in altri termini noi assumeremo come coordinate di una sfera determi- nata dall'intersezione di con un certo piano le coordinate del polo di questo piano rispetto ad È. La sfera € si ridurrà ad una sfera nulla, il cui centro avrà le stesse e; per coordinate, se R..=0, e si ridurrà ad un piano dello spazio ordinario (col piano all'infinito) quando @,= 0. L'angolo sol di due sfere di coordinate c;, c;, nel senso ordi- nario di quella parola, coincide, come già notammo, colla distanza {nel senso di CayLey e KLEIN) delle sfere stesse, quando per assoluto si prenda la quadrica delle sfere nulle (*) ed è quinci dato, per la nota formula di CayLev, dalla formula : A Tide COS ce= RE . VE. È co! Quell’angolo sarà retto se le due sfere sono ortogonali, sicchè in questo caso si avrà: £,,=0, condizione, che si sarebbe pure dedotta dal dover essere i due pian? di .S, rappresentanti quelle sfere coniugati rispetto ad £. (*) Questo, che fu dimostrato analiticamente dal Cremona nella Momoria citata, risulta immediatamente per via sintetica dal fatto che le sfere di un fascio corrispondono proiettivamente ai loro piani tangenti in un punto co- mune, e gli angoli mutui di questi piani, cioò di quelle sfere, si ottengono, coi’ è noto, sceglieudo per assolito in quel fascio di piani i due piani tan- genti al cerchio imaginario all’iufinito, cioè i due piani tangenti nel punto considerato alle due sfere nulle del fascio. 166 CORRADO SEGRE Cerchiamo ora la distanza ## tra due punti x, x di coordi- nate date «;, x, (soddisfacienti alle condizioni R,,=0, Rx =0). Per questo notiamo che i due punti individuano questa distanza a meno del segno, sicchè solo il quadrato della distanza sarà una funzione ad un sol valore delle x,;, x,;. Questa funzione dovrà essere omogenea di grado zero, sia nelle ,, sia nelle x’, poichè non può alterarsi se le x, ovvero le x’, si moltiplicano per un fattore qualunque. oltre scrivendo che la funzione stessa ha un valor dato e supponendo che le 2, siano date si deve avere l’equa- zione nelle x; di una sfera (di centro x), cioè un’equazione la quale. tenendo conto della ,,=0 sia lineare. Dunque quella funzione è espressa da un fratto in cui numeratore e denominatore sono forme lineari nelle #,, e, per la stessa ragione, nelle #,. Ora quella fun- zione deve annullarsi solo quando i due punti #,2° stanno su una retta nulla, cioè quando £,,. —=0, mentre essa deve diventare infinita solo quando l’uno dei due punti stessi sia all’infinito, il che accade solo, come vedemmo, quando «,=0 oppure 2, = 0. Dunque quella funzione non può differire che per un fattor nu- n) Uro! Xe! merico da . E siccome le funzioni £,,, 4, non cessano, ugua- gliate a zero, di rappresentare gli enti visti, se vengono molti- plicate per un fattore numerico qualunque, così noi possiamo supporre che l’una o l’altra delle funzioni stesse venga moltipli- cata per un tale fattore numerico che si abbia precisamente : cx = Plan (*). Xx Cel (*) Benchè la via tenuta per giungere a questo risultato ci sembri pre- feribile, pure indicheremo un altro modo di giungervi, il quale in sostanza differisce poco da quello tenuto dal nostro caro amico Gino Loria nel suo lavoro sulle sfere. Rispetto a tre assi cartesiani ortogonali siano S;=a;(0° +y°+2°)-2lo-2m,y—2n3+p;=0, dove i#=1, 2,...5, le equazioni di 5 sfere qualunque. Ogni altra sfera potrà rappresentarsi con 2x;S;=0 e le x; si potranno perciò assumere come sue coordinate. Il quadrato del suo raggio sarà evidentemente espresso da 2 2 2 (Aman apo a ’ xx sicchè la condizione, perchè la sfera si riduca ad un piano, sarà appunto «,=0, ed il numeratore poi di quel fratto sarà la nostra forma quadra- SULLE GEOMETRIE METRICHE ECC. 167 Ss 2 Procederemo in modo simile per stabilire in coordinate ge- nerali di rette le formule fondamentali di geometria metrica della retta. La retta può considerarsi come l'elemento x di una qua- drica non degenere R a 4 dimensioni in uno spazio lineare a 5 dimensioni S,: le sue coordinate x, soddisfano dunque all’e- quazione di questa quadrica R,, = ZEyx,0=0 Ogni piano di quello spazio taglia da questa quadrica ciò che si suol chiamare un complesso lineare di rette: le coordinate c; del polo di quel piano rispetto alla quadrica stessa sì assu- meranno come coordinate di questo complesso lineare, cosicchè l'equazione lineare a cui soddisfano le rette del complesso lineare coavrà la forma: Raz 0%, e la condizione perchè il complesso lineare e sia speciale sarà ipa i Tuca ANIA cioe È 7 Chiamiamo angolo ee di due complessi lineari e, e quel- l'angolo che corrisponde al prendere per assoluto la serie dei complessi lineari speciali, cioè la distanza degli elementi di /, tica R,,, a meno di un fattor numerico arbitrario che possiamo prendere uguale a —2, sicchè: R rx = Py + Py 2l. la? MM TENZA + Se ora si suppone che 2, «' siano due sfere di raggio nullo, allora notando che Im, x lai Ma My A GND | i Rae x ‘x x gl x (74 x! . : a . Pr Po : saranno le coordinate cartesiane dei loro centri e che —,—— saranno risp. x a! le somme dei quadrati di queste coordinate, si scorge che effettivamente il quadrato della distanza di quei due centri, cioò dei due punti di coordinate Ri pentasferiche ®; 2°; , sarà dato da —* da %gl LOR CORRADO SEGRE aventi le stesse coordinate, quando si prenda per assoluto la quadrica È. Sarà dunque: A , V 2990 GOS.GGRE= = ——— »* D ) VR. Loy Se i due complessi €, c sono in involuzione, segue dalla defi- Sua GI : È LA nizione di questa che £,,,=-0; dunque in tal caso sarà ce = siechè due complessi lineari involutori si potranno anche chia- mare complessi ortogonali. L'angolo di due complessi lineari è evidentemente una fun- zione proiettiva od invariante assoluto del sistema di questi (come l’angolo di due sfere è una funzione di queste che non muta per una trasformazione del gruppo delle inversioni). Ma veniamo a considerare funzioni veramente metriche di due rette o di due complessi lineari, cd a tal fine anzitutto quell’ente geometrico da cui esse hanno origine. Quest’ente è, come si sa, il complesso qua- dratico delle rette secanti il cerchio imaginario all’ infinito. Pos- siamo rappresentare questo complesso con un’equazione quadratica ur Oo Ia 0) il cui discriminante sia nullo insieme coi suoi subdeterminanti di 5° e 4’ ordine: in altri termini quel complesso proviene dal- l’intersezione della quadrica £& con una quadrica Q tre volte specializzata. Questo è conseguenza (*) del fatto che il complesso delle secanti di una conica (complesso di caratteristica [(222)] nella classificazione di WEILER) gode della proprietà caratteristica di avere per rette doppie tutte le rette di un piano, che è il piano della conica stessa. Da questo fatto segue anche che lo spazio lineare a 2 dimensioni degli elementi doppi di quella quadrica £ doppiamente specializzata deve stare su £: i suoi elementi non sono altro che le rette all infinito dello spazio or- dinario. È facile scorg:re che queste singolarità della quadrica O sia considerata da sè, sia per la sua posizione rispetto ad È. vengono tutte espresse dicendo cle tutti i piani polari degli ele- (*) V. le considerazioni sulla classificazione dei complessi quadratici di rette da noi svolte nella nostra Memoria: Sulla geometria della retta e delle sue serie quadratiche, che sì sta pure pubblicando tra le Memorie di quest’Accademia. SULLE GEOMETRIE METRICHE ECC. 169 menti dello spazio S, rispetto ad 2 sono tra loro coniugati ri- spetto ad / (sicchè in particolare ciascuno di essi è tangente ad £), vale a dire che, ponendo in generale i pol (0) «= i Se USE 2 da; si ha: 0 GALE | 3 ) = qualunque siano le quantità c,, c; (coordinate di due elementi dello spazio S; o di due complessi lineari qualunque). Volendo ora determinare le funzioni metriche di due rette x, notiamo che l’angolo i anda degli ele- menti x, 2° dello spazio S, quando in questo si prenda. come assoluto, la quadrica 0: ciò è evidente quando le rette x, #' si tagliano e negli altri casi poi risulta dal fatto che se + è una retta qualunque parallela ad + e tagliante #, Vangolo di x, 4° è uguale a quello di 4, x", ed anche la distanza (colla qua- drica O per assoluto) degli elementi x, 4 di .S, è uguale a quella degli elementi 4, 4° (poichè il parallelismo di x ed x' è espresso. com'è facile vedere, dal trovarsi questi due elementi di ,S. in uno stesso spazio lineare a 3 dimensioni collo spazio a 2 dimen- SII x 4 ratti *: ; N, a sioni degli elementi doppi di ©). Ciò posto l'angolo #2 sarà dato dalle formule : DEN 015, COSTA = - ye ye RA 7) ETNIA ——_———_—m6— ua PIT ABTITOZIO RIE ve i Va Oer Da Ve VO ) | LOR, Per avere poi il momento delle due rette #, ' notiamo che solo il suo quadrato è perfettamente determinato dalle coordinate di queste, e sarà una funzione razionale omogenea di grado zero delle x; e delle x/; questa funzione avrà, com’ è facile vedere. numeratore e denominatore di 2° grado sia nelle x;, sia nelle x;. Ora il momento non si annulla che quando le due rette si ta- gliano, cioè quando F,,,—0: e non diventa infinito, che quando almeno una delle due rette taglia l'assoluto, cioè quando 2,0, 170 CORRADO SEGRE . . I) ‘ oppure Q,,,,—=0. Dunque il quadrato di mom (x,4 ) è dato a meno di un fattore numerico, che si può però rendere uguale ad 1, moltiplicando tutti i coefficienti della forma X, o tutti quelli della forma £ per una quantità con- veniente. Si può dunque assumere : mom (a, ax) = (*). pe: A, Dividendo poi questa formula per quella che dà senga', si avrà la minima distanza di x, x': By VO, O — 2 dist. (3) xe! (*) Questi risultati si potevano anche ottenere per una via meno diretta valendosi delle formule note relative ad assi cartesiani ortogonali. Per un tale sistema di riferimento si sa che, indicando con p;,; p';jx le coordinate di due rette @, 2', il loro angolo ed il loro momento saranno dati ( Vedi SaLmon- FiepLER, Analytische Geometrie des Raumes, 3'° Auflage, 1 Theil, pag. 67) da: GI] / , comi ol Danesi Pontina + Pasini ” 2 2 2 SY PER Ta 7» Via Vai +Pes +Pri nf LI ’ dia AA Pral'si + PsrD'10 + PasPD'a +PrsD'os + Psr D'a + PP ar = nia VI = ===regrnia È V Pi +Po +Ps Das +D'si Ora se si passa ad un sistema di riferimento qualunque mediante una tras- formazione lineare generale delle p,, , p';; , nelle #,, 27, le forme TÀ / ' ;] # Psa P ar + PaaP ant Pz P 34) PaoP34 + PaPan + diverranno risp. 2,,,, e R,,,, € quindi quelle formule diverranno appunto: A O k ' rx! , xa! cos eo = ——__ mom (0, v)= Vas Va vv VO,, VA gi E a questo proposito faremo notare come in vari lavori recenti si legga che il momento di due rette è proporzionale 2 p,1P':4+Pz4 Pi: + -.-..(0,.in coordinate generali, ad R_,,), il che non è esatto, poichè ciò dicendo si trascura un fattore dipendente dalle coordinate di entrambe le rette. D’al- tronde, siccome le coordinate, che si considerano, sono omogenee, occorre, affinchè una funzione delle coordinate di più rette abbia un significato geo- metrico dipendente solo da queste rette, che essa sia omogenea di. grado zero in ciascuna di quelle serie di coordinate. SULLE GEOMETRIE METRICHE ECC. e7AL Dividendola invece per quella che dà cos 7’, si avrà |'e- spressione del prodotto della minima distanza di #,4 per la tan- gente del loro angolo. La radice quadrata di questo prodotto, : pe &È è AR TA vale a dire porremo : #7" = dist.(x.x )x tg eg. Ciò posto si avrà: 3 By ra =—" Q nx' S 3. Noi faremo astrazione, d’or innanzi, dal numero delle dimen- sioni degli spazi considerati. Inoltre intenderemo che i risultati ottenuti nei due paragrafi precedenti si assumano come defini- zioni, vale a dire che per punti s'intendano gli elementi di una quadrica generale 7, per sfere le intersezioni di questa coi pian? dello spazio lineare in cui questa si trova, e che per distanza dei due punti x, x s'intenda la quantità xx' definita da: dove «,=0 è un piano fisso tangente ad A, vale a dire tale che: 0 x | Xx K;x =0 . (È facile vedere che queste definizioni equivalgono a quelle or- dinarie di punti, sfere e distanze per spazi ewclidei non solo a 3, ma ad un numero qualunque di dimensioni). — Similmente con rette intenderemo gli elementi di una quadrica generale £, per complessi lineari di rette le intersezioni di questa coi pian? dello spazio lineare ad » dimensioni in cui questa si trova, per angolo, momento ed intervallo di due rette x, x' le quantità pa, mom (x, x), e 7z' definite dalle formule: P72 CORRADO SEGRE mom (2,2) = ans Ly GI GE S“ x al dove Q,,—-0 è una quadrica avente uno spazio lineare ad miri n— 1 vot dimensioni ( mi = sui di elementi doppi. il quale tocchi la \ quadrica £ lungo uno spazio lineare ad n —wm—1 dimensioni : vale a dire O deve soddisfare alla condizione analitica che, qua- lunque siano le quantità e,, e) si abbia : 0) O | | | O, k k, k == 1) A Ì Ora osserviamo che se il numero considerato #2 diventa uguale ad »— 1, la quadrica Q si riduce ad un piano, contato dop- piamente. tangente in un punto ad A. vale a dire diverrà: Cc i 2 IE: Go: La dove le 2, soddisfano alla condizione : | %y Dit che si può pure dedurre dalla condizione precedente a cui sod- disfaceva 0, notando che Q,; e Q,, diventano 2, a, e a/&,, € quindi il determinante che ivi entra, diventa diisiie per 4,0, . fu stal*easo sarà O == qa VO d,=%4,', ® le formule che definiscono 4%, rà, x), %a' si ridurranno a: N / ù / U e. È cai yy cosgg=Jd., mom) = = nea Ke al La Lal ; A; ' vale a dire l'angolo #4 tra due rette qualunque x, « varrà sempre zero, mentre il quadrato dell’intervallo #%' ed il mo- mento delle rette stesse si riducono entrambi all’ espressione Va; UL punti x, e. Di qui deduciamo la seguente proposizione, che è l'oggetto principale della presente nota : xa! che era quella del quadrato della distanza tra i due SULLE GEOMETRIE METRICHE ECC. 175 La geometria metrica delle rette e dei complessi lineari include come caso particolare la geometria metrica dei punti e-delle sfere (*). Si passa da una proposizione appartenente alla prima geometria ad una proposizione appartenente alla seconda cambiando le parole rette e complessi lineari ‘n punti e sfere. uguagliando sempre a zero l'angolo di due rette e ponendo in luogo della radice quadrata del momento di due rette e in luogo del loro intervallo la distanza tra due punti. Noi ci proponiamo nei seguenti paragrafi di cercare colle nostre coordinate generali di retta varie formule e proprietà me- triche importanti dei complessi lineari; e. applicando ogni volta il principio ora dimostrato, ne trarremo formule e proprietà me- triche delle sfere. 4. V/A Occupiamoci anzitutto della ricerca dell'asse di un complesso lineare e cel centro di una sfera quando siano date le coordi- nate c, del complesso o della sfera. È noto che la retta x'con- iugata di x rispetto al complesso lineare c è definita dal fatto che i complessi lineari speciali aventi per direttrici 7 e x fanno fascio con c; e così pure il punto x coniugato di x rispetto alla sfera c (cioè all inversione rappresentata da questa sfera) è definito dal fatto che le sfere nulle #, x° fanno fascio con e. Di qui si trae immediatamente che per espressioni delle coordinate di #' in fanzione di quelle di x e di e si può prendere : izoerdi: si=2 Ri &—R%;°. Ora la detinizione ordinaria dell’asse # di un complesso lineare c equivale a questa: l'asse x è tale che la sua retta coniugata x rispetto a c è, considerata come complesso lineare speciale, il compl»sso polare di x rispetto ad Q. Riducendo Q ad «È,, cioè considerando punti e sfere, questo asse # diverrà il punto # avente (')I nostri ragionamenti ci mostrano pure che, fatta astrazione del numero delle dimensioni, la geometria metrica euclidea dei punti e delle sfere sarebbe affatto identica alla gzom-tria metrica delle rette e dei complessi lineari dello spazio ordinario quando in quest'ultima geometria la comica costituente l’as- soluto euchdeo si facesse degenerare in una coppia di punti. 74 CORRADO SEGRE per coniugato rispetto alla sfera c l'elemento di contatto del piano a con È, vale a dire ($ 1) tutti i punti all'infinito: siccome questo punto x è, come si sa, il centro della sfera c, così con- chiudiamo che riducendo 0,, ad 2°, passeremo dall'asse del com- plesso lineare al centro della sfera. Supponiamo che si tratti di rette : allora la proprietà detta dell’asse x del complesso lineare c sarà evidentemente espressa dalle equazioni : (2) PRIORE OO ; dove 2 è un fattore indipendente dall’indice %. E siccome x rap- presentando una retta all'infinito sarà un elemento doppio di ©, così dalle equazioni (1) e (2) dovrà seguire: (DNS O =0 Tra queste varie equazioni (1), (2), e (3) elimineremo pf e le x; nel seguente modo. Sostituendo le espressioni (1) delle x; nelle (2) e (3) avremo: (4) Lrd assi IO Ome 20, Rx ’ a I RO. SRO Da queste (4) e (5) risp. moltiplicando per c, e sommando Sia : donde : sicchè sostituendo nelle (4) avremo : R'xc Roc By =2 Ro La »= 9 Opi O, ) ossia, in virtù delle (5): It DB 2 He Ra "vi 33 Rex dx È e, siccome possiamo moltiplicare per uno stesso fattore tutte le «;, potremo anche assumere : RA paro pete Pa SULLE GEOMETRIE METRICHE Ecc. 175 Queste equazioni sono quelle che determinano l’asse # del com- plesso lineare e. Esse sono nelle x, equazioni di 1° grado ad al- trettante incognite ed i coefficienti di queste hanno un determinante |Ex|, che non è nullo: quindi la risoluzione si può sempre fare. Ma conviene tenere le formule (6) senza mutazioni. Esse sono le formule che danno le coordinate dell’asse di un complesso lineare dato, qualunque sia il sistema di riferimento (e più immedia- tamente ancora dànno i coefficienti dell'equazione di quell’ asse, considerato come complesso delle rette che lo secano). Le stesse formule si possono anche ottenere col seguente pro- cedimento. Nello spazio ,S, nel quale la quadrica £ costituisce l’ordinario spazio di rette consideriamo l’elemento e le cui coor- dinate c; sono quelle del complesso lineare considerato. L'asse x di questo complesso è un elemento di / la cui retta coniugata, cioè il secondo elemento x d’intersezione di R col raggio che congiunge e con x, ha per piano tangente ad A il piano polare di x rispetto ad O. Ma il piano polare di x rispetto ad © è, per la natura della quadrica Q, sempre tangente ad £ in un elemento doppio di Q : questo elemento doppio di Q è dunque x’, donde segue (trovandosi e ed « in uno stesso raggio con #') che il piano polare di « rispetto ad £ è lo stesso che il piano polare di e rispetto ad Q. E come gli elementi x, c ed ' sono su uno stesso raggio, così i loro piani polari rispetto ad ‘dovranno formare fascio, cioè dovrà essere : By _ ) Ra ale p Oa Basta dunque determinare ): u in modo che realmente il piano di coordinate £,, sia tangente ad /, cioè che sia : 0 i Rat O igino! Di =d Il determinante del 1° membro si trasforma tosto nei seguenti : —A(Re+bQe) Batti | —MAR+219%) PL VARI Ri a TAST Rx |= Mi Oni ci | 5 | =—- AA Ret 2A) | Rial +e [La Bia 176 CORRADO SEGRE La seconda parte di quest'espressione è nulla, come vedemmo; in causa delle relazioni tra 2 ed A. Dunque rimane, dividendo per — 2.|.R,,|. che non è nullo: 799/7 9 APR Pa kh, + 14) N22 E, IE () Possiamo dunque prendere ) = 20,. u= — &, e sostituendo abbiamo di nuovo le formule (6) prima trovate : (6) CMIO RIOT = 20 he -— Roda Quando dalla geometria dei complessi lineari si passa alla seometria delle sfere, notammo come l’asse di un complesso lineare si muti nel centro di una sfera. Dunque, come caso particolare delle formule (6), abbiamo che le coordinate +; del centro di una sfera di coordinate c, in un sistema di riferimento qualunque sono date dalle formule seguenti : (Ob - = dai Ma Applichiamo ora le formule (6) (che si potranno anche assu- mere come definizioni dell’asse di un complesso lineare e del centro di una sfera in ispazi euclidei a quante si vogliano dimensioni) a trovare le proprietà metriche più notevoli dei complessi lineari e delle sfere, supponendo questi enti definiti come nel $ 3. Anzitutto dalle (6) segue, moltiplicandole per le c, e sommando : hi = Dite ca ce ce cosicchè le equazioni (5) (le quali non mutarono per ettetto della moltiplicazione delle x, per uno stesso fattore, fatta per giungere alle (6)) diverranno: (e GAD, Ciò posto, indicando con ? una retta qualunque del complesso c, sicchè f,, —=0, avremo dalle (6) e (7) moltiplicandole per 2, e sommandole rispettivamente : Ri=*R50,;°,) 90 Sodi ta e quindi dividendo membro a membro : SULLE GEOMETRIE METRICHE ECC. era — E z=|/-: —“ = cost. Conchiudiamo dunque, che: Ad ogni complesso lineare ec corri- sponde una retta notevole x detta asse del complesso, la quale è definita dalle equazioni (6) e gode della proprietà che l’in- tervallo tra essa ed ogni retta del complesso è costante. Il quadrato di questo intervallo, cioè nella geometria ordinaria il prodotto costante della distanza di ogni retta del complesso dall'asse per la tangente del loro angolo, si chiama parametro ossia : ce del complesso, ed è espresso da —1 ce In particolare avremo che: Ad ogni sfera c corrisponde un punto notevole x detto centro della sfera, il quale è definito dalle equazioni (6°) e gode della proprietà che la sua distanza da ogni punto della sfera è costante. Questa distanza costante dicesi raggio della sfera, ed il suo quadrato è espresso da — 1—£. 7) In questo modo vediamo come passando dalla geometria dei complessi lineari a quella delle sfere il parametro di un complesso lineare si muti nel quadrato del raggio di una sfera. c Possiamo trovare proposizioni più generali di quelle ora viste. Consideriamo invece che una retta del complesso lineare e due rette qualunque y, y coniugate rispetto a questo : potremo as- sumere, come già osservammo : (Sar y=2 Ray Ra - Indicando sempre con x l’asse, noi vogliamo calcolare la quantità : Ni dist (x,y). tgzy : sarà (v. $ 2): ptt aOsr= i dist. (ds Y) . tg CY = = ale SI MO Y x O VO nr aa ego n . senza tener conto del segno St Ora, dalle (7) abbiamo : 2 3 _ Or =930%»; Aulo 220707 (*) Parecchie delle quantità che consideriamo sono di tal natura che solo i loro valori assoluti sono determinati: questa è la ragione per cui alcune delle formule che troviamo valgono solo se si fa astrazione dai segni. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XIX. i 178 CORRADO SEGRE ed applicando anche le (8): ae O, = 20,0 = #0) (20,.0,- RODE Qui Qi A O= (4 so cy (0 | Peg 3 RL AUTRE id ce Oy) sì 2 LARIO debora O, o. CA) 2 = 5 2 2 2 2 = o 400 3) = RIA do Q Si) ) V O, Oy (Cai L'ON, Mi i le ViosD, 0; A IO: SV XY a (9) poi, in virtù delle (6), si riduce a: O,, RO sicchè infine sostituendo abbiamo : dist'(7,19) te ny => e PACO Dunque abbiamo il seguente teorema : // prodotto della distanza di una retta qualunque dello spazio dall'asse di un complesso lineare per la tangente dell’angolo che la retta coniugata fa con quest'asse ha un valor assoluto costante ed uguale a quello del parametro del complesso. Perchè questo teorema si possa applicare alle sfere senza ridursi ad un'identità, bisogna trasformarlo nel seguente modo. Essendo AN 5 ’ A x ” dist (2,y) .tg#y e dist (2.7).tg #4 uguali al parametro, il loro prodotto sarà uguale al quadrato di questo. Ma quel prodotto vale dist (x,y) tg Ly x dist (2,9) tg AE ossia 7Y X xy". Dunque: il prodotto degl’intervalli tra due rette coniugate qualunque e l’asse del complesso è costante ed uguale al parametro di questo. — Ed in particolare dunque, passando alla geometria dei punti e sfere: Il prodotto delle distanze di due punti qualunque coniu- gati rispetto ad una sfera dal centro di questa è costante ed uguale al quadrato del raggio (°). (*) Come due punti coniugati rispetto ad una sfera stanno in linea retta col centro di questa, così due rette coniugate rispetto ad un complesso lineare stanno su un paraboloide equilatero in cui l’asse di questo complesso è una generatrice principale (cioò passante pel vertice); sicchè questi paraboloidi SULLE GEOMETRIE METRICHE ECC. 179 Due rette coniugate qualunque y, y rispetto ad un complesso lineare c hanno pure una relazione semplicissima con tutte le rette di questo complesso. Sia in fatti 2 una retta di c: dalle for- mule (8) che legano le due rette coniugate y, y' avremo: R,,= 2 Boy Bor Lo Ros ossia, essendo per ipotesi £,.=0 : LE i kB: ) dunque : mom (2,4) Lys La Nera) Vo, y'. Mor (2,9) VO, y ATO n VOyy | quindi: il rapporto dei momenti di due rette fisse coniugate rispetto ad un complesso lineare con ogni retta del complesso è costante. Passando alla geometria delle sfere avremo come caso parti- colare del teorema precedente il seguente: JI rapporto delle distanze di due punti fissi coniugati rispetto ad una sfera da ogni punto di questa è costante. Quanto al primo rapporto, lo si suol chiamare modulo del complesso rispetto alle due rette coniugate y,y'che si considerarono. VO, | VO l'equazione Sao così : ri VO, Oy Oy ai 4 MIS odi vr VO Oy ossia sen zi, . Senry . ox. Da VO, VO, nella geometria della retta corrispondono in certo modo alle rette punteggiate nella geometria dei punti e delle sfere. Ma senza stare a sviluppare questa corrispondenza ci limiteremo a osservare come anche al teorema noto sulla potenza di un punto rispetto ad una sfera corrisponda un teorema nella geometria della retta, il quale si può enunciare così: dato un complesso lineare c ed una retta qualunque r, questa è generatrice principale per infiniti paraboloidi equilateri, su ciascuno dei quali stanno (nel sistema di generatrici a cui appartiene 7) due rette del complesso c; orbene, il prodotto degl’intervalli tra queste due rette e la r è costante. Questo prodotto non è altro che il parametro del complesso lineare di asse 7 ed involutorio (ortogonale) a c, complesso rispetto al quale quelle due rette di c sono sempre coniugate. Il suo valor assoluto £i,, sì può scrivere in virtù del- 180 CORRADO SEGRE Vediamo dunque che in valor assoluto : Il modulo di un com- plesso lineare rispetto ad una sua coppia di rette coniugate è dato dal rapporto dei seni degli angoli che queste fanno col- l’asse del complesso. 8 5. Consideriamo ora due complessi lineari c, e’, dei quali siano x, x' gli assi. Come vedemmo, nel $ precedente, questi saranno determinati dalle equazioni : (OE R;j;= 20 np nono (1°). SIS ADI li =2 Og Loy Boo Ok . I due complessi e, e' ci dànno luogo a considerare varie funzioni metriche. Anzitutto i loro parametri r°,'? saranno dati, come vedemmo, dalle formule : ,2 ; din È) r cn i Q cc c'e' (Eni rag 0) L'angolo de poi dei due complessi, quale fu definito nel $ 2, sarà dato da : N, Leo 5) PCS cosce = ===. ( VR. VR Inoltre possiamo considerare quelle funzioni che dipendono soltanto - ; SR : 7 VE : - dagli assi x, x dei due complessi. L'angolo #x' di questi assi è dato da : Ma le formule (7) del $ precedente ci dànno, come conseguenze delle (1), (1’): O 2:00, O.i , O_g=2 Oa Q0% ’ donde si trae : EL ) EP Oa 20 Do SULLE GEOMETRIE METRICHE ECC. 181 e quindi : AE SO 0 O JI Inoltre : O, EAT ZIAA ai CIC Dunque sostituendo si ha : A O (3 Sa COSTE — sone LP: VO. VO, O AVO, Questa formula ci dà dunque l’angolo degli assi di due complessi lineari in funzione delle coordinate di questi. Essa si poteva anche ottenere dall’osservazione del fatto, che essa stessa ci mostra, ma che si può anche vedere facilmente per via diretta, cioè che l’an- golo degli assi è uguale alla distanza dei due complessi, quando si prenda per assoluto la serie quadratica dei complessi sod. disfacienti all’equazione Q,, = 0. Cerchiamo anche il i dei due assi x, x. È chiaro che siccome l’angolo ed il momento di x,' bastano a determinare la mutua posizione di queste due rette, e poi i valori dei para- metri r?, r'* dei complessi lineari c, e, di cui esse sono gli assì, bastano a determinare c, ec, l'angolo de di questi complessi dovrà essere determinato dalle 4 duna dette. In altri termini è chiaro che tra le 5 quantità cos c& COS + mom (x, ©), r°,r ® dovrà passare una relazione, che noi ci proponiamo appunto di cercare. Il momento di x, è espresso da : R, x! | GOTZONE Ora, per un risultato avuto dianzi, sarà: mom (x, 2) = 040, RO 105 POLO, - Quanto ad £,, avremo dalle (1): U R,y= Zx i (2 Oo R.;- Rc) U sicchè eliminando le +’, tra quest’equazione e le (1°), le quali si possono scrivere : 182 CORRADO SEGRE Avremo : 0=| Ri 20,:Ri— Rec | _ DUO, Le BR) | R-20(20, RR 99 0 ee | Cio pipa: SI [ R;.+2R0,,0,427 0000 n Ova Ry | = (Ri + 2 Rico Doo +20 Doo — 4 Boi oo Doo) | Bar] + 0 0,.| ©RoRI lola In causa delle relazioni tra £ ed X vedemmo che la seconda parte di quest’ espressione è nulla, qualunque siano le quan- tità c,, c,. Rimane dunque : ORI 2 00 RO e ‘cc! 06 Oo 2 Sostituendo nell’espressione di mom (x,x°) il valore, che di quì . #3 trae, di £,, ed il valore dianzi trovato di [05] O) AVFeMO : r 1 Roo \ Lo Peo mom (2, 2)={-53°—3907 ) SE. Ve soa 0 unooo O c'e’ SQ UONOT Applicando dunque le formule (2), (3), (4) e notando che: Mir 0001 lio . TR, \NaE oso: i ga A avremo la relazione cercata, cioè (scegliendo convenientemente i segni dei radicali): (5)... mom(x, e )=(r +" ) cos de Ro Questa relazione assai notevole, e che crediamo nuova, lega le funzioni metriche del sistema di due complessi lineari. Se in- vece del momento dei due assi x, x si volesse il loro inter- SOSTA. Ta. î An vallo xx, si avrebbe dividendo la (5) per cos xx : N, + NERE TRO ,cos e e (Bloerzt xx =Y+r —2rr COSTA SULLE GEOMETRIE METRICHE ECC. 183 Dati i due assi #,% ed i parametri ,?,r* dei due complessi, toa ATI la formula (5), ovvero la (6), ci darà l'angolo ©e dei complessi. In particolare la condizione perchè i due complessi siano invo- n n 7ASÎ ud Ni : lutori essendo che ce'——, cioè coseec=0, si avrà allora: DO | 2° 12 Ni i Ì (r + )cosxx — mom(x,x)=0. Questa condizione per l’involuzione di due complessi lineari coincide in sostanza con quella data dal KLEIN (*). Il 1° membro (r°+r') COS ee — mom (x, x ) venne da questo scienziato chiamato mo- mento dei due complessi lineari e noi vediamo dalla formula (5) che questo momento è uguale al doppio prodotto delle radici quadrate dei parametri dei due complessi lineari pel coseno del- l'angolo di questi, ed è dato in coordinate generali di complessi lineari dalla formula (2) Redi 5° tono ona col=se_____=ì VO. 00 analoga a quella che dà il momento di due rette (°°). , (*) Die allgemeine lineare Transformation der Liniencoordinaten. Math. Ann. Bd. II, v. pag. 368. (**) Da quella formula poi supponendo che il complesso ce’ sia il com- plesso di riferimento avente per equazione #;=0, cioè sia tale che R,z=0 per &Ziî, si ha che il momento di un complesso qualunque c con questo è Ci c'i dato da —-= —-=, donde si conchiude che le coordinate generali c; di Va: L c'o! i un complesso lineare sono quantità proporzionali ai momenti di questo com- plesso rispetto ai complessi fissi di riferimento moltiplicati rispettivamente per delle costanti fisse. A questo significato geometrico di quelle coordinate, già stato enunciato dal KLEIN nella Memoria dianzi citata si può sostituirne un altro servendosi della nostra espressione 2rr' cos È pel valore del mo- mento di e, c'; si ha cioè che le coordinate c; sono proporzionali ai coseni, moltiplicati per costanti fisse, degli angoli che il complesso c fa coi com- plessi fissi di riferimento. Questa interpretazione (proiettiva, mentre quella era metrica) nel caso particolare, in cui questi complessi di riferimento siano a due a due in involuzione, fu già data dal KoeniGs nella Memoria di cui tra poco parleremo. 184 CORRADO SEGRE Se la forma quadratica Q,, si riduce ad 2*,, vale a dire se passiamo alla geometria delle sfere (in uno spazio euclideo ad » dimensioni), e e e' saranno due sfere aventi per centri i punti x, 2° i È Ag ap ii e per raggi r, r ; la quantità cos #x sì ridurrà ad 1, mentre cc diverrà l’angolo delle due sfere, e la formula (5) ovvero la (6) ci daranno come caso particolare : ' 7 2 13 Ù Mi (04.0: xx = +r.=2rr cosce , relazione ben nota tra l'angolo di due sfere, i loro raggi e la distanza dei loro centri. Ne segue per condizione di ortogonalità delle due sfere : Dalla (7) poi avremo: o ia I /Nî 2 13 î rr cosco=rH4r —se = Ritornando alla formula (6) le si può dare un’apparenza al- quanto diversa. Consideriamo una retta qualunque x" comune ai due complessi e, e. Come vedemmo, le radici quadrate »,»' dei parametri di c, e non saranno altro che gl’intervalli tra 4" e gli assi 7, di questi complessi. Quindi, la (6) si potrà scrivere così : A O ISTE DA CER (55) PRESERO se =2xx +ax —2aax'.x'a —- ; cos da e ci dà una relazione fra tre rette qualunque x 2' #' e l'angolo dei complessi lineari passanti per l’una di esse ed aventi le altre risp. per assi. Essa si può enunciare così: Se gli intervalli fra 3 rette qualunque dello spazio si prendono come lati di un trian- golo rettilineo euclideo, il prodotto del coseno di un angolo qualunque di questo pel coseno dell'angolo delle due rette il cui intervallo costituisce il lato opposto a quello è uguale al coseno dell'angolo dei due complessi lineari aventi risp. queste due rette per assi e passanti per la terza retta. In questo modo un gruppo di 3 rette qualunque può dar luogo ad una specie di trigonometria, in cui la formula (8) e le sue analoghe si possono considerare come fondamentali. SULLE GEOMETRIE METRICHE ECC. 185 Nell'’enunciato ora dato della (8) ci siamo valsi di una formula di trigonometria ordinaria, la quale però si può considerare come una trasformazione della formula dimostrata (6'), o come un caso particolare della stessa (8). Questa ci dà in fatti, indicando con x, x, x" tre punti qualunque e con e, e le sfere di centri x, x e passanti per x" DST, 7? ' a 9 r sn ZAN RIACE SAILIIAIACOSICCRO e conduce così alla trigonometria dei triangoli rettilinei euclidei. la quale viene in questo modo a scaturire come un corollario dalle formule trovate ((5) ovvero (6) ovvero (8)) riguardanti la geometria dei complessi lmeari. Il sig. G. KoENIGS, nella sua pregevole tesi « Sur les pro- prietés infinitesimales de l'espace régle » (la lettura della quale ci fu consigliata dall’egregio Prof. KLEIN), si occupa pure inci- dentalmente delle analogie tra la geometria dello spazio ordinario e delle sfere e quella della retta e dei complessi lineari. Però, malgrado l’apparenza. egli non incontra in questo campo risultati nuovi, non essendosi egli spinto al di là del paragone tra*la geo- metria dei raggi reciproci da una parte e la geometria proiettiva dall'altra: le vere geometrie metriche non vennero da esso confron- tate, sicchè nessuno dei nostri risultati si trova in quel lavoro. Così nel $ VII della 2° parte del suo lavoro il sig. KoENIGS adopera l’equazione del complesso lineare sotto forma analoga all’equazione della sfera in coordinate cartesiane ortogonali; ma il suo metodo non gli dà, come analoghi nel complesso lineare al centro e al quadrato del raggio della sfera, l’asse ed il parametro del com- plesso lineare, ma bensì una retta ed una quantità che dipendono essenzialmente dal sistema di riferimento (il che ha però stretta relazione col nostro enunciato della nota al S 3). Nel $ IV della 1° parte s'incontra per tre rette qualunque infinitamente vicine tra loro A, B, C la relazione mom (Bb, C)=mom(A4, B)+ + mom (0, 4) — 2 mom (4, £).mom(0, 4) cos 4, 186 C. SEGRE - SULLE GEOMETRIE METRICHE ECC. À dove A è un certo angolo, relazione che si potrebbe considerare come un caso particolare della nostra formula (8) dell'ultimo pa- ragrafo, e dalla quale il KoENIGS deduce relazioni tra i momenti mutui di quelle 3 rette e certi 3 angoli analoghe affatto a quelle che passano in un triangolo rettilineo euclideo tra i quadrati dei lati e gli angoli. Ma, senza che entriamo in altri dettagli per provare il nostro asserto, è facile scorgere che quest’analogia tra le formule relative al sistema di 3 rette infinitamente vicine e quelle relative ad un triangolo rettilineo euclideo poteva dedursi dalla semplice osservazione del fatto noto che nell'infinitamente piccolo vale la geometria euclidea, e che l’espressione del mo- mento (o dell'intervallo, quale fu da noi definito) di due rette infinitamente vicine è una forma quadratica dei differenziali delle coordinate, sicchè per distanze infinitesime si possono assumere i momenti delle rette (e si potevano anche assumere i loro intervalli). L'origine invece della formula (8) per rette non infinitamente vicine e dell’analogia che essa presenta colla formula nota di trigono- metria euclidea vediamo essere ben altra: essa è nel fatto da noi stabilito che la geometria metrica dello spazio ordinario e delle sfere può considerarsi come caso particolare della geometria metrica della retta e dei complessi lineari. Torino, 18 Dicembre 1883. [l Socio Cav. Prof. G. Basso presenta e legge la seguente Nota del signor L. MaccHiati, Prof. nel R. Istituto tecnico di Cuneo : AZIONE che esercitano Tip rt lati 0 dI A To UD, SULLE PIANTE. Sono pochi gli argomenti che come questo hanno richiamato la speciale attenzione dei fisiologi, e tuttavia dopo tanti studi, neppure ora siamo in grado di dire, in modo positivo, quale sia l’azione che il ferro eserciti sulle piante. Non ignoriamo che quanto veniamo ad asserire, trovasi in opposizione colle idee dei più eminenti fisiologi, dai quali gene- ralmente si ritiene che « il ferro sia il solo metallo al quale, appoggiandosi sulle esperienze, si è riusciti ad attribuire con certezza un'azione fisiologica positiva». E tutte le esperienze sembrano dar loro ragione; difatti: già Eusebio Gris (1) attribuiva la clorosi delle piante all'assenza dei sali di ferro, e di questo fatto forniva le seguenti prove : 1° Che le piante elorotiehe rinverdiscono in qualche giorno, allorchè assorbono i sali di ferro per le radici; 2° che una porzione qualunque di foglia d’una pianta elorotiea, rinverdisce quando sia lavata all’esterno con una soluzione di sali di ferro. Il principe Salm. Horstmar (2) dimostrò che si può produrre la clorosi allevando le piante in una soluzione esente di sali di (1) De l’action des composes ferrugineux solubles sur la vegetation, 1843, — Nouvelles experiences sur l’emploi des ferrugineux solubles appliques è la végetation, 1844. (2) Versuche und Resultate iber die Nahrung der Pflan. Braunschweig, 188 LUIGI MACCHIATI ferro, e farla cessare aggiungendo qualche sale solubile di questo metallo. Arturo Gris (1), figlio di Eusebio, ripetè le esperienze del padre e ne riconfermò i risultati* Sottopose all'esame microscopico le foglie clorotiche e vide che se le cellule venivano lavate con una soluzione di qualche sale di ferro (cloruro, nitrato o solfato) dopo tre o quattro giorni la porzione bagnata acquistava il color verde. Per l’azione del ferro si formano i granuli di clorofilla a diversi gradi di sviluppo; di cui, gli uni in forma di corpuscoli poligonali, attaccati alle pareti, gli altri arrotondati. Riferendosi ai risultati di dette esperienze, che ripetè su un numero conside- revole di piante, concluse « la clorosi essere cagionata da un arresto di sviluppo, che impedisce l'evoluzione completa dei grani di clorofilla, e che i sali di ferro agiscono rendendo a detta sostanza la facoltà di ricostituirsi ». Presso a poco trassero le stesse conclusioni dalle loro espe- rienze, fatte nel Giardino delle Piante, i signori Brogniard, Decaisne, Payen, Neumann e Pepin. Coi risultati delle esperienze dei due Gris, richiamate da quasi tutti i fisiologi, si è sempre preteso d'aver detto l’ultima parola per quanto concerne l’azione dei sali di ferro. Così J. Sachs (2) provò, con una serie di esperienze, fatte sulla germinazione del Maiîs, che se si escludono i sali di ferro « la clorosi si manifesta allorchè tutte le parti del germe si sono sviluppate, a spese dei materiali contenuti dal seme». Le prime tre o quattro foglie che si formano in dette esperienze sono verdi, le seguenti verdi soltanto verso l’apice e bianche verso la base, e le altre perfettamente bianche. Lo stesso autore, nel 1861, iniziò una serie di esperienze, dai risultati delle quali concluse che, il ferro, non si poteva sostituire col manganese, nel qual senso risposero anche quelle del Risso rapporto al szchel. Il solo Knop (3) osava di sollevare un dubbio sull’azione dei sali di ferro, dubbio, che si rileva dalle seguenti frasi: « La clorosi è dovuta a diverse cause : essa proviene da turbamento generale della nutrizione, e può essere occasionata dalla mancanza assoluta di ferro; ma la parte che si è attribuita a questo metallo nella formazione della clorofilla, e perciò nella colorazione delle (1) Annai. des sciences nat., 1857, VII, p. 201. (2) Die Landw Versuchsstat, 1860. (3) Die Landw Versuchsstat, 1863. AZIONE CHE ESERCITANO I SALI DI FERRO SULLE PIANTE 189 piante, non è sicuramente esatta». Alla quale conclusione del Knop si oppose energicamente J. Sachs (1) che in merito alla questione sì espresse nei seguenti termini: « 0 il Knop conosce i lavori di Gris, ed allora doveva rifiutarli prima di emettere la sua propria opinione, od egli non li conosce, ed allora ha avuto il torto di voler trattare un soggetto del quale non ha studiato la letteratura». È inutile ricordare che al Sachs fecero eco quasi tutti i fisiologi, la maggior parte dei quali ne riportarono le testuali conclusioni. Stohmann (2) fu condotto dalle sue esperienze a dichiarare, che il ferro prenda una parte positiva nella vegetazione, e non serva soltanto ad introdurre nella pianta l’acido fosforico. Gerland (3) dimostrava che, senza l’attività speciale che pos- siede l'atomo di ferro, « non si ha il protoplasma, di cui la clorofilla non è che la manifestazione del lavoro di assimilazione operato dai granelli che la compongono». A poca distanza di quest’ultimo Boussingault (4), all’Acca- demia delle Scienze di Parigi dimostrava che il ferro si trova in eguale proporzione, tanto nel sangue rosso, che nel sangue bianco degli invertebrati, e tanto nei funghi, che nelle piante verdi. De Lanessan (5), nel considerare il ferro come uno degli elementi indispensabili alla formazione della clorofilla interpreta male i risultati di una delle esperienze dell’illustre Sachs (quella che fece nell’anno 1867 col Phaseolus) quando dice : « Però una esperienza del Sachs tenderebbe a far credere che una piccola quantità di clorofilla, potesse formarsi in assenza del ferro ». Di- mentica quest’autore che quella tenue quantità di clorofilla, il sig. Sachs, l’attribuisce alle tracce di ferro contenute dal seme ». Dopo che col metodo ideato dal sig. Gautier (6) si è riusciti a preparare la clorofilla, pura e cristallizzata, già intraveduta da Trécul, e che recentemente venne anche preparata dal sig. Hoppe Seyler (7), e con un nuovo processo da noi (8), se ne fece (1) Handbuch der Experimental Physiologie der Pflanzen. Leipzig 1865. (2) Agronomische Zeitung, 1864, p. 325. (3) Journal of the chemical Society, anno 1873, aprile. (4) Compt. rend., 1873, mai. (0) Manuel d° Histoire Naturelle Medicale, 156, 1879. (6) Bulletin de la Société chimique, 20 juillet 1877; e Comp. rend. 17 no- vembre 1879. (7) Berichte der deutschen chemischen Gesellschaft., 1 sett. 1879. (8) Memoria inedita di prossima pubblicazione , su un nuovo processo di preparazione della clorofilla cristallizzata. 190 LUIGI MACCHIATI più volte l’analisi, dalla quale è risultato che, contrariamente a quanto ritenevasi, non contiene il ferro. Eccone difatti la esatta composizione : Carbonio 73,97, Idrogeno 9,8, Azoto 4,15, Ossi- geno 13,33, Fosfati alcalini e di Magnesio con tracce di Calcio 1,75. I risultati dell’analisi della clorofilla, fatta da Hoppe Seyler, quasi coincidono con quelli di Gautier; e questa identità, che è una prova di più dell’esattezza del processo impiegato, acquista maggior valore dopo gli studi più recenti dell’illustre sig. A. Meyer (1). Anche Giulio Wiesner (2), riferendosi ai risultati di questi ultimi, riconosce che, contrariamente a quanto erasi ritenuto dalla generalità degli autori, le recenti scoperte hanno indubbia- mente dimostrato che la clorofilla non contiene il ferro; e si dimostrano dello stesso parere, nelle loro più recenti pubblicazioni gli illustri Van Tieghem (3), Baillon (4) e Duchartre (5). Ci arreca quindi meraviglia che anche dopo gli splendidi risultati raggiunti da Gautier, il sig. Roberto Grassmann (6), richiamando le analisi di Pfaundler (7), possa tuttavia insistere a considerare il ferro uno degli indispensabili componenti della clorofilla, come sembra anche crederlo il Prof. De Lanessan (8). Dopo quanto abbiamo premesso, ci pare che non si possa più ammettere in tutta la sua integrità, ciò che affermava Sachs (Fisiologia vegetale), che cioè: « Il ferro sia un anello indispen- sabile della catena d’operazioni chimiche, per mezzo del quale la pianta produca i principii immediati; e, malgrado la debole proporzione nella quale pressochè sempre si trova, su di esso riposi tutto l’edifizio della pianta a clorofilla ». La prima parte è indiscutibilmente vera, ma non così la seconda. Abbiamo asserito che la prima parte è vera, non essendovi nessun dubbio che il ferro sia uno degli elementi indispensabili (1) Das Chtorophyllkorn in chemischer, morpholog. und biologis. beziehung. Leipzig, 1883. @) Elemente der Anatomie und Physiologie der Pflanzen, Wien 1881, p. 169. (3) Traité de Botanique. Paris 1882, p. 490. (4) Anatomie et Physiologie Vegetales, etc. Paris, 1882, p. 218. (5) Elements de Botanique, troisiòme édition 1884, p. 19. (6) Das Pflanzenleben oder die Physiologie der Pflanzen. Stettin, 1882, p. 4, 79 6,82. (7) Ann. der chem. und Pharm., XII, 3. (3) La Botanique. Paris 1883, p. 193 e 198. AZIONE CHE ESERCITANO I SALI DI FERRO SULLE PIANTE 191 dell’alimento. della pianta a elorofilla ; anzi i risultati del metodo analitico, iniziato dal Saussure (1) ed impiegato da molti altri, e quelli più concludenti del sintetico, già imperfettamente prati- cato da Knop, Stohmann e Nobbe, coi perfezionamenti che seppero introdurvi Pasteur (2) e Raulin (3) per le piante tallofite inco- lore, Sachs (4) e Boussingault (5) per le piante verdi, tutti stanno a riconfermare che il ferro è un elemento di tutte le piante. Le piante assorbono il ferro sotto diverse forme di combi- nazioni solubili (solfato, nitrato, cloruro), ma è molto probabile che se lo assimilino in forma di ossido. Relativamente alla seconda parte, ci permettiamo di far osser- vare all’illustre Sachs, che il ferro non facendo parte della com- posizione della clorofilla, non si può più ammettere come l’unico elemento a cui si possa attribuire con certezza un'azione fisiologica positiva, e tanto meno che « su di esso riposi tutto l’edifizio della pianta a clorofilla ». Il ferro non ha maggiore importanza di qualunque altro degli elementiindispensabili all’alimento completo della pianta, dappoichè appena che ne viene a mancare uno, le funzioni fisiologiche non procedono più regolari, e si arresta la formazione delle sostanze immediate, non esclusa la clorofilla, che è una delle più complesse e, senza dubbio, la più importante dal punto di vista delle funzioni che in essa e per suo mezzo si compiono. Quindi riteniamo che, se vengono a mancare i sali di potassio, di calcio, di magnesio o l'acido fosforico, dopo che la pianta abbia raggiunto un certo sviluppo. si possa egualmente manife- (1) Tn. de Saussure, Recherches chimiques sur la vegetation, 1804. — Ma- LAGUTI e DuRocHER, Recherches sur la répartition des cléments inorganiques dans les principales familles du règne vegetal (Ann. de Chimie et de Phy- sique, t. LIV, p. 257, 1858). — GaRREAU, Considerations genérales sur les cen- dres (Ann. des sec. nat., 48 ser., t. XIII, p. 163, 1850) — WoLrr, Aschenana- lysen von landwirihschaftlich. Producten, 1871 ecc. (2) Recherches pour servir à V histoire physiologique des Mucedinées, Fer- mentation gallique (Ann. des sc. nat., 5* ser., t. VIII, 1868) e Sur le deve- loppement de quelques Ascomycètes (Aspergillus et Sterigmatocystis) (Bulletin de la Soc. Botaniq. de France, t. XXIX, 1877). (3) Etudes chimiques sur la vegetation (Ann. des se. nat., 5a ser., t. II, 1870. (4) Physiologie vegetale, p. 134 e seguenti, traduz. (5) Ann. de Chimie et de Physique , ser. 3°. — Chimique Agricol. et Phy- siologie, 1860. 9 DT DUE DIL pier Acer stare la clorosi, e questo per la ragione, che, l'assenza di un elemento qualsiasi, nel medio nutritivo, per quanto possa essere richiesto in debole proporzione (se è nel novero degli indispensabili) fa sì che tutti gli altri divengano inefficaci. E se vi ha un composto minerale che meriti sopra agli altri una preferenza, nella forma- zione della clorofilla, questo è indubbiamente l'acido fosforico, che, abbiamo visto esservi contenuto in una proporzione non insi- gnificante. Perchè non si abbia a credere basato tutto questo ragionamento su delle semplicisupposizioni, che potrebbero venire anche smentite, riporteremo i risultati di qualche nostra esperienza, al cui responso ci siamo in tutto riferiti. Immergemmo vari individui di Yropacolum majus, a diversi gradi di sviluppo colle radici in un recipiente pieno d’acqua di- stillata, nella quale avevamo avuto l’avvertenza di fare sciogliere l’aria. Passato qualche giorno, le foglie incominciarono a deco- lorarsi, poi si fecero giallicce ; allora aggiungemmo, inutilmente, in tenue proporzione, come è suggerito in questi casi (Sachs), una soluzione di cloruro di ferro, ma senza nessun vantaggio per le piante, che seguitarono a decolorarsi. Ma hen altro risultato ottenemmo aggiungendo tutti gli elementi richiesti in una giusta proporzione e sotto forma di qualche sale solubile; oppure pre- parando più soluzioni di uno o parecchi sali, tali che al necessario grado di concentrazione aggiungessero la prerogativa di non dare de’ precitati ciò che si ottiene col metodo delle soluzioni fra- zionate descritto dal Sachs : in quest’ultimo caso facevamo vegetare le piante alternativamente nei differenti vasi, la cui acqua stillata conteneva in soluzione, wmifrato di potassio, solfato di magnesio, fosfato di calcio (monobasico), cloruro di ferro e cloruro di manganese. n tali condizioni, se la degenerazione della clorofilla non era molto avanzata, le foglie esistenti rinverdivano e se ne formavano delle nuove di un bel color verde. Ora ci teniamo autorizzati ad asserire che dagli autori si era esagerata l’azione dei sali di ferro. Il credere che il ferro faccia parte della molecola di clorofilla, come riteneva il Verdeil, e come sembrano crederlo Salm Horstmar, Pfaundler, Grassmann e molti altri, è altrettanto errato quanto il ritenere che l’ema- tosina da esso debba ripetere il suo color rosso, dopo che Mudler e Van Gaudoever, dimostrarono che le si poteva togliere tutto il ferro senza decolorarla. AZIONE CHE ESERCITANO I SALI DI FERRO SULLE PIANTE 1983 I grani di clorofilla (xantocloroleuciti) (1) sono formati di protoplasma incolore (leuciti primitivi) (2) e delle due materie coloranti (zantofilla) (3) e (clorofilla) (4), che per svilupparsi, hanno bisogno di principii nutritivi azotati e di fosfati alcalini: e se vengono a mancare queste sostanze, si arresta lo sviluppo del protoplasma, la clorofilla degenera, e tale stato è una vera clorosi. È però indubitato che il ferro deve contribuire cogli altri elementi a dare la forza necessaria al lavoro di collegamento e di distribuzione degli atomi della molecola di clorofilla, senza che faccia parte della sua composizione. Dopo il premesso vediamo ora a quali prove Sachs si era riferito per portare dei valevoli argomenti, onde sostenere che il ferro fosse l'elemento al quale dovrebbesi la formazione della clorofilla: eccole: 1° Che, « le piante elorotiehe rinverdiscono in qualche giorno allorchè assorbono i sali di ferro per le radici »: 2° Che, « una porzione qualunque d’una pianta clorotica, la- vata all’esterno con una soluzione di un sale di ferro, inverdisce rapidamente » ; 3° Che, « le ricerche microscopiche di Gris, hanno mostrato che, in quest'ultimo caso, il protoplasma incolore ed informe si trasforma in clorofilla » : 4° Che, « si può produrre la clorosi, facendo germinare i semi nelle soluzioni esenti di sali di ferro. In questo caso le prime foglie riescono sempre verdi, ma allorchè queste foglie incomin- ciano ad assimilare i principii nutritivi assorbiti, nei quali i sali di ferro non sono compresi, si sviluppano delle foglie di un verde chiaro, a metà verdi a metà bianche in sul principio. e poco dopo tutte bianche » ; 5° Che, « una tal pianta può vivere un certo tempo, ma soc- combe tosto a causa della mancanza di organi assimilatori » : 6° Che, « se la clorosi, artificiale. non ha cagionato una disorganizzazione delle foglie, si può guarire facendo assorbire alla (1) L. MaccHIati, Qualche rettifica sui solventi della clorofilla, 1881. (2) TrEcuL, Des formations vesiculaires dans les cellules végétales ( Ann. des sc. nat., 4° ser., t. 10, p. 20, 1858), (3) ELevinG, Veber eine Beziehung 3wischen Licht und Etiolin (Arbeiten des bot. Instituts in Wiirzburg, II, p. 495, 1880). (4) Mont, Ueber den Bau der Chlorophylls (Botanische Zeitung, 1855). — Kraus, Zur Kentniss der Chlorophyllfarbstoffe und ilirer Verwandten. Stuttgart, 1872, p. 78, e seguenti, ecc. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XIX. 13 194 L. MACCHIATI —- AZIONE CHE ESERCITANO I SALI DI FERRO ECC. pianta dei sali di ferro per le radici o per le stesse foglie. Si è provato dal Risso che in questo caso il manganese ed il michelio non possono rimpiazzare il ferro ». Ora ci pare di poter concludere che, tutte queste prove (le quali non possono essere messe in dubbio) non provino niente in favore della tesi dell’illustre fisiologo (Sachs), perchè si rileva che gli autori ai quali si è riferito, e lui stesso, hanno avuto il torto di essersi limitati a studiare l’azione dei sali di ferro sulla elorost. prodotta artificialmente escludendo dal medio nutritivo questo elemento. Le medesime prove si potrebbero sostenere se si studiasse l’azione dell'acido fosforico o dei sali di potassio ecc. sulla elorosi, che si fosse fatta produrre artificialmente, escludendo dal medio nutritivo le combinazioni che contengono il fosforo od il potassio. Considerando ora il caso del fosforo, si vedrebbe : 1° Che, le piante clorotiche rinverdirebbero in qualche giorno, allorchè assorbissero 1 fosfati solubili per le radici ; 2° Che una porzione qualunque di una pianta clorotica, lavata all’esterno con un fosfato solubile, inverdirebbe rapida- mente ; 3° Che, le ricerche microscopiche dimostrerebbero che: in quest'ultimo caso il protoplasma incolore ed informe si trasfor- merebbe in clorofilla ; 4° Che, si potrebbe produrre la clorosi facendo germinare i semi Sgon soluzioni esenti di sali di fosforo ; ° Che, una pianta ottenuta come nel caso antecedente, era vivere un certo tempo. ma soccomberebbe tosto a causa della mancanza di organi assimilatori ; 6° Che, se la clorosi artificiale non avesse cagionato una disorganizzazione delle foglie, si potrebbe guarire facendo assor- bire alla pianta i sali di ferro per le radici o per le stesse foglie. 195 Il Socio Comm. Prof. E. D’Ovipio presenta un lavoro del- l'Ing. Camillo Guipir « Sugli archi elastici ». Questo lavoro destinato ad essere pubblicato nei volumi delle Memorie. viene consegnato ad una Commissione incaricata di esaminarlo e rife- rire in proposito in una prossima adunanza. L’Accademico Segretario A. SoBRERO. MIPIRINEAe* Ù Ta M sp los: peas ti ui De AT ESTA IRE NA lei 4 > SOR HA VtesMaG } i diret Rat RAS Wi, ALOGENE Giertg d fuagrke Puo CRANIO feci sputa hi e, Lat pri “Lig PISTE Ri dI hf FI n den ili covata 4 i fui ( Wal: A Dpelp è Vado » me La Li SS ar ee os ui spregio LINCEI TIEBLIIIE Lat ti A » } ti , RI r È a [ir - Ss } s = . n” Ù br è» 3 DI È si Ri * CLASSI UNITE CLASSI UNITE Adunanza del 9 Dicembre 1883. PRESIDENZA DEL SIG. COMM. PROF. ARIODANTE FABRETTI In questa adunanza il Segretario della Giunta Accademica per l’aggiudicazione del Premio BRESSA nel quadriennio 1879-82, legge la seguente Relazione : EcreGI COLLEGHI, Il terzo premio Bressa, che la nostra Accademia deve oggi conferire, è destinato a quello scienziato od inventore di qualunque nazione esso sia, il quale, secondo le parole testuali del lascito Bressa, durante il quadriennio 1879-1882, «a giu- » dizio dell’Accademia delle Scienze di Torino, avrà fatto la più » importante scoperta, pubblicato l’opera più ragguardevole. sulle » scienze fisiche e sperimentali, storia naturale, matematiche pure % ed applicate, chimica, fisiologia e patologia, non escluse la x geologia, la storia, la geografia e la statistica ». Conforme a quanto prescrive il Regolamento speciale per il conferimento dei premii Bressa, la nostra Accademia nella 200 RELAZIONE SUL TERZO PREMIO BRESSA seduta del giorno 3 Aprile 1881 nominò una Giunta coll’incarico di esaminare le domande di concorso al premio, di fare delle proposte di propria iniziativa, e di accogliere quelle presentate dai Soci nazionali. Nella adunanza generale dell’Accademia, tenutasi il 15 Aprile di questo anno, ho già avuto l'onore di farvi conoscere il risul- tato dei lavori di quella prima (Giunta, e Voi ricorderete che delle ventitre domande presentate direttamente per il concorso al premio Bressa, una sola fu giudicata meritevole d'essere presa in considerazione e fu quella del nostro Collega socio corrispon- dente Prof. Ernesto HAEcKEL dell’Università di Jena, che si pre- sentò candidato al premio per la sua opera che ha per titolo : Monographie der Medusen: pubblicata a Jena nell’anno 1881. La Giunta non vi ha per il terzo premio Bressa presentato delle proposte di propria iniziativa e vi ha annunciato quelle di un nostro Collega, il quale propose come meritevoli di essere presi in considerazione per il conferimento del premio: il Barone NoRr- DENSKJOLD per la sua prima circumnavigazione completa del- l’Asia e dell'Europa, ed il signor OrMmunz RAssam, Console britan- nico a Bagdad, per le scoperte da lui fatte cogli scavi intrapresi nella Babilonide, per il ritrovamento della città di Sipara e dei tesori letterari in essa contenuti. A queste proposte, nella stessa seduta del 15 aprile 1883, un altro egregio nostro Collega ag- giunse quella relativa al D.' Roberto Kocu di Berlino, per i suoi lavori sui microfiti in generale , e specialmente per quelli sui bacilli della tubercolosi. Chiuso colla seduta già più volte ricordata del 15 Aprile 1883 il periodo concesso alle proposte per il conferimento del premio, RELAZIONE SUL TERZO PREMIO. BRESSA 201 l'Accademia nominò una seconda (Giunta composta, oltrechè del Presidente Prof. Fabretti, dei soci Lessona, Dorna, Cossa, Basso e Mosso per la classe di Scienze fisiehe e matematiche e dei soci Gorresio, Flechia, Manno, Carle e Nani per quella di Scienze morali. L'incarico aftidato dal Regolamento del 7 Dicembre 1876 a questa seconda Giunta era di esaminare e confrontare le pro- poste presentate dalla Giunta precedente, e di presentarvi nella se- duta d'oggi delle proposte definitive per l'aggiudicazione del premio, con una relazione da pubblicarsi negli Atti della Accademia. Nella sua prima riunione la Giunta, che mi volle onorare coll’incarico di suo segretario, dopo avere esaminate le proposte fatte relativamente ai nomi di HAECKEL. OrMmupz Rassam, NoR- DENSKJ6LD, KocH, deliberò ad unanimità di comprenderle in un’u- nica categoria, presentandole tutte come eminentemente meri- tevoli del premio che l'Accademia oggi deve conferire. I meriti dell’illustre viaggiatore e mineralogo NORDENSKJOLD d’avere circumnavigato per il primo l'Asia, sono così conosciuti, che io credo affatto superfluo l’esporveli anche con poche parole. Per quanto concerne l’importanza dei lavori a cui si riferiscono le altre tre proposte, permettetemi che io la richiami alla vostra memoria con brevissimi cenni, che io ho compendiato sulle rela- zioni parziali presentate alla Giunta da alcuni nostri Colleghi. La monografia del Professore Ernesto HAEcKEL sulle Meduse segna un periodo nello studio della fauna marina inferiore. Le meduse costituiscono un esteso gruppo di animali marini somma- mente importanti per le loro forme e per il loro sviluppo. Ma lo studio delle meduse, che è suscettibile di gettar molta luce intorno ad importanti fenomeni biologici, riesce malagevolissimo Z02 RELAZIONE SUL TERZO PREMIO BRESSA per lé difficoltà grandissime che si riscontrano nella ricerca, nel- l'osservazione e nella conservazione di questi animali. Sono tra- scorsi più di cinquant'anni dacchè lo illustre Escholtschz pubbli- cava un lavoro fondamentale intorno alle meduse. Dopo quel tempo, la scienza si arricchì di nuovi fatti inaspettati intorno alla vita degli animali del mare e molto materiale venne accumulato ri- spetto alle meduse. Da venticinque anni il Prof. Haeckel da opera allo studio di questi animali: egli raccolse personalmente un materiale nuovo e copiosissimo . compiendo lunghi viaggi. prima nel Mediterraneo, poi in altri mari, segnatamente nel- l'Oceano indiano. Visitò i Musei ricchi di tal sorta di collezioni ed ebbe numerosissimi invii dai suoi colleghi d'ogni parte del mondo. Così egli potè accingersi all'opera malagevolissima di un grande lavoro intorno alle meduse, e raddoppiò il numero degli ordini conosciuti nella classe e descrisse più di trecento specie nuove, oltre a quelle a. un dipresso in pari numero, che già si conoscevano, e sfoggiò il suo valore di artista, rappresentandole con disegni colorati nella forma naturale e in sezione. Ma la quantità del lavoro, per quanto grande, è poca cosa in compa- razione della qualità. Le forme, i rapporti, lo sviluppo, l’origine di questi animali, sono stati palesati dallo Haeckel con tanto grande evidenza quanto profondo sapere. . L'opera del signor Haeckel è considerata giustamente dai naturalisti come un lavoro capitale, destinato a rimanere impe- rituramente nella scienza. Ormunz Rassam, agente diplomatico inglese prima ad Aden e poscia a Bagdad, è già da molti anni conosciuto per impor- tanti scoperte archeologiche da lui medesimo in più riprese rias- sunte nelle Zransactions of the Society of Biblical Archeology. RELAZIONE SUL TERZO PREMIO BRESSA 203 A lui si devono le scoperte fatte fino dagli anni 1853-54, della biblioteca di Assurbanipal:; delle famose porte metalliche di Ba- lawat, comprendenti iscrizioni e bassorilievi concernenti le spe- dizioni e le gesta di Salmanasarre II (859-825 a. (C.), e del prisma decagono di terra cotta. tratto in luce da un palazzo di Assurbanipal a Ninive, contenente in 1:00 lmee di fina serit- tura cuneiforme, gli annali di quel celebre monarca. Ma’ tutte queste scoperte furono di gran lunga eclissate dalla scoperta re- cente (1880) ch'egli fece della città caldaica di Sipara. già celebre nelle antichissime leggende caldaiche del diluvio, secondo le quali il Noè caldaico avrebbe ivi sepolto le notizie storiche anteriori a quell’avvenimento, per salvarle dalla distruzione. Ora il Rassam scoprì ben 10 mila tavolette scritte in carattere cu- neiforme, che riempivano un sotterraneo del gran tempio di Astarte in quella città. Queste del Rassam vanno certamente col- locate tra le più importanti e grandiose scoperte archeologiche di questi ultimi anni. Il Dottore Roberto KocH, noto già per eccellenti lavori ori- ginali intorno all’eziologia delle malattie infettive, pubblicò l'anno scorso un lavoro sulla eziologia della tubercolosi, il quale, stando all'autorità incontestata dell’egregio nostro collega Prof. Bizzozero, formerà di certo epoca nella Storia della scienza. A doppio ti- tolo questo lavoro ha attirato su di sè l’attenzione generale. In primo luogo in esso è dimostrato che una malattia così diftusa e così grave come la tubercolosi, riconosce la sua origine in funghi microscopici a forma di bacilli che si moltiplicano nei tessuti animali, cagionandone in ultima analisi la distruzione. Questa scoperta, ora universalmente accettata, ha condotto ad una diagnosi assai più facile della malattia, ed ha mostrato la via per potere più facilmente combatterla. 204 RELAZIONE SUL TERZO PREMIO BRESSA In secondo luogo il lavoro del D." Koch è così magistral- mente condotto, e risponde in tal modo a tutte le possibili ob- biezioni, ha introdotto tali metodi rigorosi d’indagini, che esso si può considerare di un valore generale nello studio di tutta quella numerosa ed importante classe di malattie che sono le infettive, e potrà servire di modello per tutti gii studî che su di queste si faranno. Del che si hanno già delle prove, essendo evidentemente da considerarsi come una conseguenza dei lavori di Koch le scoperte fatte da altri sulla risipola e sul moccio. Dopo questa brevissima esposizione relativa ai pregi delle opere e delle scoperte che vi si propongono per il conferimento del premio, Voi troverete certamente non fuor di luogo che il vostro relatore, a nome della Giunta, vi faccia osservare come sia cosa ardua il confrontare i meriti di proposte che si riferi- scono ad argomenti di scienze affatto disparate, come sia difficile il giudicare della preminenza tra scoperte geografiche ed archeo- logiche e lavori di anatomia comparata e di patologia. Tuttavia la vostra Giunta, a cui fu dato l’incarico di presentare alle Vostre deliberazioni delle proposte definitive, dovette, come fu praticato per i due premii precedenti, procedere ad una graduazione delle quattro proposte. Questa graduazione fu dalla Giunta, nella sua ultima adunanza, deliberata a maggioranza di voti nell’ ordine seguente: 1° Ernesto HAECKEL. 2° Ormupz Rassam. 3° NORDENSKYOLD. 4° D." RogERTO KocH. Questa graduazione non vincola però in nessuna maniera le deliberazioni dell’Accademia. RELAZIONE SUL TERZO PREMIO BRESSA 205 Colle proposte che ho avuto l’onore di presentarvi, la Giunta ha esaurito l'onorevole ed arduo incarico affidatole. Essa si terrà altamente soddisfatta se le sue proposte Vi potranno riuscire di qualche utilità nell’importante votazione a cui siete oggi chiamati. Professore ALFONSO (Cossa Segretario relatore. Nella stessa seduta in cui fu letta questa Relazione, l’Ac- cademia deliberò, a maggioranza, di assegnare il premio Bressa per il quadriennio 1879-1882 al signor Ormudz Rassam. Sy Megidra dee ASCANIO SOBRERO (Gli Accademici Segretari GASPARE GORRESIO. RE Ra SSR seni ce! Eristrmonzo ph itd PIERI ir Di goti 5, Suhza da bi iii diri $ T.I9D if: SUONI DEM Su lori > #0 PICS AIA, Tati riot See DI e, la r Ls Si Ls L bi mi ag 3 - 44 dl rai E 4a sai * SIA a i 4, l 1 A ; Ca tas dî DIOISER Li ue care ibi Ag è n * Ni a Mb i L “ * n ni - x È er ta È ni fe 0 - i . . [n SOMMARIO ELeNco degli Accademici ......... Sie TERA sis e e ea «e Pag -3 Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali, . BonarpI — Contribuzione all’ ERIONIA del sistema dgr pt pomatia », . . . E Pag. Ta Fusari — Sull’ origine delle fibre nervose nello strato molecolare delle circonvoluzioni cerebellari dell’uomo; 2789 «n» 47 Siacci — Presentazione di un'opera stampata del sig. F. CaapEL sas aR D’Ovipto - Presentazione di due lavori manoscritti, uno del sig. Dott. Corralo SEGRE, e l’altro dell’ Ing. Giovanni ‘de BeRaRDINIS » 52 GenoccHi — Presentazione di un opuscolo del Principe BoNCOMPAGNI, che ha per titolo: Atti di nascita e di morte di Pietro Simone Marchese di Laplace RAP » 53 Dorna — Effemeridi del Sole, ‘della Luna ‘e dei principali Pianeti i per l'anno 1834, ed aitri lavori dell’Osservatorio . . . . . ». 54 D’Ovipio — Kelazione sulla Memoria del Dott. Corrado SEGRE, in? titolata: Studio sulle quadriche in uno spazio lineare ad un numero qualunque di dimensioni. . ,..... ott | Camerano — Intoruo alla Neotenia ed allo sviluppo degli andà dn Dorna — Relazione sulla Memoria dell’Ing G, de BenarpINIS « Sullo scostamento della linea geodetica dalle sezioni normali di una : . superficie:w 00 ALE Pigi ei av y n. 94 Cossa — Presentazione d’ una Memoria RETE di C. FRiEDEL e PSA eo LO e La ST SRO E To (als 198 Japanza — Sui sistemi diottrici composti e i sia _99 Daccomo — Contributo allo studio chimico del torneo 3 i 416 MonaRI — Azione dell’ammoniaca sull’alcool etilico - » 130 D’Ovipio — Relazione sulla Memoria del Dott. Corrado SEGRE « i Sulla i geometria della retla e delle sue serie quadratiche» ....... » 138 - —— Relazione sulla Memoria del Dott. Gino Loria, che ha per titolo: Ricerche sulla geometria della sfera, e loro epplcanae i allo studio ed alla classificazione delle superficie. » 140 Roroxpi — Ricerche di chimica elettrolitica. — Elettrolisi dell’olio. danilina sc... et, e pe RR » 142 -—— Ricerche chimiche sopra:i saponi. si «00 + a e SL » 146 Cappa — Sul limite dell’aderenza che si può svolgere fra due ci- A lindri ad assi Srasinane ch: si trasmettono il movimento rota- TORI ae e er e ae TI ARTI A REATI » 154 SeGRE — Sulle geo netrie me'riche dei ‘complessi lineari e delle . sfere e sulle loro mutue analogie . .... +. i MA pi, MaccHÙiati — Azione che esercitano i sali «di ferro sulle piante 2 STASI D’Ovipio — Presentazione di un lavoro manvseritto dell'Ing. Camillo Guini « Sugli archi ciastici » nea ea, aL A ATI n 195: Classi Unite. Cossa — Relazione per l’aggindicazione del P.emio Bressa nel ‘ quadriennio IB79 82. MI e » 199 0 e ELI 7 ATTI . R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI. FORENO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XIX, Disp. 2* (Gennaio 1884) —_—_ Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. TORINO ERMANNO LOESCHER Libraio della R. Accademia delle Scienze 207 CLASSE DI - SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Gennaio 1884, Atti R. Accad. - Parte Fisica — \ol. XIX. 14 A pig ” Pra 209 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 13 Gennaio 1884. PRESIDENZA DEL SIG. COMM. PROF. ARIODANTE FABRETTI Il Socio Cav. Prof. NaccaRI presenta e legge il seguente lavoro da lui fatto in collaborazione col sig. Dott. G. GUGLIELMO, SU, RISCALDAMENTO: DEGLI ELETTRODI PRODOTTO DALLA SCINTILLA D'INDUZIONE NELL’ARIA MOLTO RAREFATTA. In una nota sui fenomeni termici prodotti dalla scintilla d'in- duzione (1) vennero descritte da uno di noi alcune esperienze di- rette allo studio del riscaldamento degli elettrodi nell’aria rarefatta, ma la massima rarefazione raggiunta in quelle esperienze fu di 9 mm. per la insufficienza della macchina pneumatica adoperata. Nella Nota presente descriviamo una serie di esperienze fatte nell’aria la cui pressione da 10 mm. circa fu ridotta ad una piccolissima frazione di mm. usando a tal uopo una macchina pneumatica a mercurio di Topler modificata da Bessel-Hagen, costruita dal Miller di Berlino. Il rocchetto adoperato fu quello con cui si fecero le citate esperienze: esso fu costruito da Carpentier di Parigi ed è atto a dare una scintilla di 45 cm. da punta a disco quando la corrente induttrice sia data da 8 grandi coppie Bunsen. Per avere una sola delle due correnti indotte abbiamo interposto nel circuito un intervallo d’aria di 2 mm. fra sfere d’ottone di 10,8 mm. di diametro, essendo stato osservato nella Nota citata che l’intervallo d’aria rarefatta non basta ad impedire il (1) Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. XVII, p. 343 (1882). 210 A. NACCARI E G. GUGLIELMO passaggio della corrente inversa, anzi in qualche caso fa sì ch'essa prevalga sulla diretta. Una bussola reometrica di Wiedemann con le spirali rivestite di guttaperca era inserita nel circuito. Ciascun elettrodo era costituito da un cilindro cavo d’ottone lungo 50 mm. che terminava da una parte con un emisfero, dall’altra con una base piana; la sezione aveva il diametro di mm. 26,5. Gli elettrodi vennero disposti in modo che i loro assi si trovassero sopra la stessa retta orizzontale, e la scintilla scoccasse fra i due emisferi che si trovavano posti l’uno di fronte all’altro. Presso alla base piana del cilindro era saldato un breve tubo di ottone perpendicolare all’asse del cilindro stesso, volto all'insù ed aperto superiormente. Così i due elettrodi costituivano due serbatoi, ai quali mediante un tappo di gomma elastica si applicavano due tubi capillari. Introdotto in essi un liquido adatto, essi facevano l’uffizio di due termometri o piuttosto di due piccoli calorimetri. In queste esperienze abbiamo adoperato alcool come liquido termometrico. I due elettrodi vennero introdotti per gran parte della loro lunghezza in un tubo di vetro il cui diametro interno era poco maggiore di quello degli elettrodi, e si usò ceralacca per empire l'intervallo in modo che fosse tolto assolutamente il passaggio all'aria. Restavano fuori del tubo di vetro le parti degli elet- trodi alle quali era applicato il tubo capillare. La distanza delle due superficie curve poste così l’una di fronte all’altra era di 47 mm. Nel punto di mezzo del tubo di vetro e propriamente nella parte superiore di esso era saldato un tubo pure di vetro e verticale nel quale era introdotto un cilindro massiccio di ottone destinato a far l’ufficio di elettrodo accessorio, come si vedrà più innanzi, e si usò ceralacca per chiudere gl’interstizi. A questo tubo e al disotto dell’estremità dell’elettrodo accessorio era saldato un tubo orizzontale che comunicava colla macchina, con un mano- metro e con un serbatoio d’acido solforico concentrato, destinato a disseccare l’aria rarefatta. L'apparecchio così costruito portava un tubo verticale lungo 85 cm., aperto superiormente, il quale serviva alla congiunzione dell'apparecchio colla macchina. Per fare questa congiunzione non ci siamo serviti del tubo ad U capovolto che accompagna la macchina stessa, ma ne abbiamo usato un altro, uno dei bracci del quale circondava il tubo principale ascen- dente della macchina e l’altro braccio rivestiva il tubo verticale congiunto all’apparecchio descritto. Per separare lo spazio interno dall’esterno nei punti di congiunzione del tubo ad U colla mac- SUL RISCALDAMENTO DEGLI ELETTRODI ZL} china da una parte e con l'apparecchio degli elettrodi dall'altra si adottò l'espediente della vaschetta anulare piena di mercurio già adottato nella macchina per la prima di queste congiunzioni. Abbiamo seguito questo sistema per evitare la rigidità che pre- sentano le congiunzioni mediante superficie smerigliate e le salda- ture di tubi di vetro. Fino alla pressione di tre o quattro mil- limetri ci siamo serviti del manometro, ed abbiamo dedotto il valore delle pressioni inferiori dagli spostamenti del mercurio nel tubo d’eftlusso col metodo descritto nella memoria di Bes- sel-Hagen, non tenendo conto della tensione del vapore di mer- curio. Siccome la macchina ci fu fornita senza alcuna scala, nè indicazione alcuna intorno al volume delle varie parti, così gli elementi necessari per il calcolo anzidetto furono determinati. mediante apposite esperienze a pressioni non molto piccole, va- lendoci del manometro che avevamo congiunto alla macchina. In queste esperienze, come nelle precedenti, si ebbe sempre cura di fare doppie determinazioni, vale a dire dopo aver fatto passare la corrente in un dato senso nell'intervallo fra i due elettrodi, si scambiavano i reofori applicati ad essi per eliminare l'influenza di piccole differenze fra un elettrodo e l’altro. Il senso della polarità del rocchetto si mantenne sempre inalterato. Nella seguente tabella sono indicati i risultati di più serie d’esperienze, parecchie delle quali furono raggruppate per avere una media di maggior precisione. Nella colonna segnata # sono indicate le pressioni dell’aria rarefatta espresse in millimetri di mercurio, nella colonna segnata è? trovansi le intensità della corrente pren- dendo per unità la corrente che produce una deviazione uguale ad una particella della scala; questa corrente ha il valore di 0,0000104 ampère. Nelle colonne n e p sono indicati gli spostamenti della co- lonna d'alcool rispettivamente spettanti all’elettrodo negativo ed al positivo, divisi per il valore di è e per la durata del pas- saggio della corrente. Nel dedurre questi valori si seguirono le solite norme relative ai calcoli calorimetrici tenendo conto delle perdite di calore mediante opportune osservazioni fatte prima n del passaggio della corrente e dopo di esso. Nella colonna — stanno i rapporti dei due riscaldamenti anzidetti; e nella colonna N è indicato il numero delle esperienze da cui ciascun valore della linea corrispondente è dedotto. 212 A. NACCARI E G. GUGLIELMO La corrente induttrice fu in generale prodotta da 3 coppie Bunsen di media grandezza, ma nel caso di grandi rarefazioni si dovette aumentare il numero delle coppie fino a 9 affinchè la corrente indotta attraversasse l’intervallo, e si avesse un ri- scaldamento abbastanza grande da poter venir facilmente misu- rato. In tali casi si osservò che il passaggio della corrente pro- duceva un aumento di pressione relativamente grande, e si do- vette limitare la durata del passaggio, il che veniva in parte compensato dall’uso di pila induttrice più forte. La pressione fu osservata in ciascheduna esperienza prima e dopo il passaggio della corrente e si prese la media dei due valori così ottenuti. La durata si adattò nei singoli casi all’intensità del riscaldamento ‘e variò in generale fra 1 e 2 minuti: nel caso di grandissime rarefazioni, per evitare le variazioni di pressione sopra notate, essa fu ridotta anche fino a 5". In questo caso non si potè os- servare l’intensità della corrente e perciò i valori corrispondenti di » e p dati nella tabella non sono ridotti ad unità di corrente. 2 | 127 = 113,0 34,8 3,25 2 7,5 2a 99,4 22,0 4,52 2 5 2 101,5 20,8 4,88 2 2,87 110 0,355 0,055 6,46 5 9,15 130 0,368 0,050 7,40 4 1,2 113 0,389 0,056 8,55 2 0,65 116 0,474 0,0399 11,9 2 0,53 100 0,486 0,0382 12,7 2 0,45 110 0,530 0,0285 18,6 2 0,274 05 0,615 0,0223 | 275 4 0,21 90 0,645 0,024 26,9 8 0,13 74 0,884 0,087 10,2 2 0,053 37,5 1,55 0,4215 3,68 4 0,03 39,5 1,87 0,657 2,85 2 0,0245 95,5 2,66 0,946 2,49 1 0,022 24 2,65 1,54 1,72 2 0,0095 23.5 2,63 2,01 131 2 0,0025 Ro 21,8 36,9 0,59 2 0,0017 2A 8,0 21,4 0,374 SUL RISCALDAMENTO DEGLI ELETTRODI Dlà Da queste esperienze risulta il fatto notevole che il rapporto n:p, il quale, come è detto nella Nota citata, fra le pressioni di 760 mm. e 10 mm. varia solamente entro limiti ristretti e propriamente fra 2 e 4, per pressioni minori di 9 mm. ed in condizioni non molto diverse varia grandemente e raggiunge un massimo per una pressione prossima a 0,25 mm. Per rendere più chiaro l'andamento di questa variazione abbiamo tracciato la curva segnata A nella tavola, prendendo come ascisse le pres- sioni e come ordinate i valori corrispondenti del rapporto #:p; i millimetri di mercurio sono rappresentati da 1 cm. e le unità del rapporto da 0,5 cm. Da questa curva appare che il rapporto n :p aumenta lenta- mente fino a 5 mm., da questa pressione fino a quella di 1,2 cresce con maggiore rapidità, e cresce rapidissimo da 1,2 fino a 0,27 circa: di poi scende con grandissima rapidità, per piccolissime pressioni raggiunge il valore 1 e per le estreme rarefazioni a cui si potè sperimentare assume dei valori inferiori all’unità, cioè il ri- scaldamento dell’elettrodo positivo prevalse su quello del negativo. Le curve B e C rappresentano l'andamento dei riscalda- menti dell’elettrodo negativo e del positivo rispettivamente, e sono state tracciate prendendo a partire da 0' le pressioni come ascisse, ed i valori corrispondenti di » e p come ordinate. Ogni millimetro di mercurio di pressione è rappresentato da 10 mm., ogni unità di n e p da 50 mm. Appare da queste curve che per l’elettrodo positivo il riscaldamento a partire dalla pressione di 2,87 mm. decresce lentamente fino alla pressione di circa 0,02, indi cresce rapidamente. Il riscaldamento del negativo invece cresce già, sebbene lentamente, al diminuire della pressione dalla pressione di 2,87 e fin verso 0,2, di poi cresce anch'esso rapi- dissimamente. Per le pressioni superiori a 2,87 non s’è potuto avere il riscaldamento per unità di corrente, non essendo nota l’intensità di questa. Altre esperienze eseguite con elettrodi posti a distanza minore e che furono interrotte per un accidente so- pravvenuto, ci hanno mostrato che i riscaldamenti di entrambi gli elettrodi vanno decrescendo al diminuir della pressione da 750 a 9 mm., e che il riscaldamento dell’elettrodo negativo comincia a crescere a partire dalla pressione di 9 mm. Ciò è conforme a quanto risulta dalla Nota citata. Avendo osservato il riscaldamento maggiore dell’ elettrodo positivo nel caso di grandi rarefazioni, mentre in generale, fatta 214 A. NACCARI E G. GUGLIELMO eccezione per l’arco voltaico, si riscalda sempre di più l'elettrodo negativo, e tenendo conto dei noti fenomeni della materia radiante, abbiamo voluto esaminare se l'elettrodo positivo si riscaldasse almeno in parte per effetto della radiazione proveniente dall’e- lettrodo negativo. Ci siamo serviti dell’elettrodo accessorio di cui abbiamo fatto cenno più sopra applicando, ad esso uno dei reo- fori ed applicando l’altro reoforo ad uno dei soliti elettrodi, mentre l’altro di questi rimaneva isolato. Così la corrente doveva percorrere due tratti rettilinei ad angolo retto. Se l'elettrodo accessorio era negativo. dalla parte della superficie del tubo di vetro, che era direttamente opposta al tubo in cui si trovava quell’elettrodo, si vedeva la solita macchia verde dovuta alla fosforescenza del vetro e questa riusciva più o meno brillante a seconda che la rarefazione era più o meno avanzata. Se l’elet- trodo accessorio era positivo, quella radiazione andava a colpire l'elettrodo opposto che era isolato. Anche in questo caso per evitare l’influenza di cause accessorie speciali ai singoli elettrodi, abbiamo fatto sì che ora l’uno ora l’altro dei due elettrodi ca- lorimetrici rimanesse isolato. Nella seguente tabella stanno indi- cati i risultati ottenuti in queste esperienze. Per le quattro prime colonne e per la sesta valgono le indicazioni date di sopra. Nella colonna I stanno i riscaldamenti dell’elettrodo isolato e ; È n SEE 3 nell’ultima colonna i valori del rapporto — quali si sono trovati p in condizioni simili mediante esperienze fatte con i soliti elettrodi calorimetrici. H 1 Ni D, VA 9,87 105 | 0,374 = 0 — » 100 = 0,055 | 0,0025 | 6,8 | 6,46 0,54 105 | 0,539 si 0,003 - - » 63 E 0,0508 | 0,0123 | 10,6 | 12,7 0,12 62 | 1,07 — 0,124 _ —- » 26 — 0,236 | 0,0423 | 4,53 | 10,2 0,034 | 39 | 1,71 _ 0,695 - - » 19 = 0,505 | 0,142° }*3,390 2,85 0,023 | 36 | 2,06 — 0,813 = — » 2 & 0,53 0,081 3,89 | 2,49 pi SHE HEINIE EEE EE TTHZON LETTERARIA TI Di 5 HH HE Li [I = HH SEE HH LIT.SALUSSOLIA, TORINO SUL RISCALDAMENTO DEGLI ELETTRODI 215 Altre esperienze vennero eseguite in condizioni alquanto di- verse, mantenendo un reoforo (ordinariamente il positivo) sempre applicato ad uno degli elettrodi calorimetrici ed applicando l’altro ora al secondo di questi elettrodi, ora all’accessorio. Nella se- guente tabella sono esposti i risultati relativi. Na D, Di | n | p 2,51 - 2,16 - = — LUERi V SAR ED — 1,28 0,143 - - _ = = 2,88 | 2,65 = 2,14 |: 0,10 _ _ A == 2,99 | 3,38 Dalle esperienze, contenute nelle due ultime tabelle, sebbene eseguite in condizioni meno buone, ed in minor numero di quelle della prima tabella, risulta che quando uno dei reofori è applicato all’elettrodo accessorio, l’elettrodo isolato a pressioni non troppo piccole si riscalda sempre pochissimo e che a partire dalla pressione di 0,12 circa, esso si riscalda maggiormente allorchè è opposto all’elettrodo negativo anzichè al positivo, e tanto più quanto mi- nore è la pressione: il rapporto del riscaldamento che avviene nel primo caso a quello del secondo cresce anch’ esso al diminuire della pressione e diventa circa 15 per la pressione di 0,02 mm. Tale effetto pare dovuto alla radiazione proveniente dall’elettrodo op- posto. Questo elettrodo se è negativo si riscalda un po’ più di quel che si riscaldava nelle condizioni ordinarie, ma con uguale anda- mento rispetto alla pressione; se è positivo e specialmente per rarefazioni un po’ grandi, si riscalda di meno. Il valore del rap- porto n:p risulta dunque in questo caso maggiore che nel caso ordinario ; esso diminuisce avvicinandosi all’unità quando la rare- fazione aumenta notevolmente, ed in alcune esperienze parve di- scendere anche in queste condizioni al disotto dell’unità, ma in causa della irregolarità della corrente nel breve tempo in cui essa passava essendo difficile di apprezzarne con sufficiente esattezza il valor medio, non abbiamo potuto chiarire con sicurezza la questione, il che forse ci riescirà con ulteriori esperienze. Dal Laboratorio di Fisica della R. Università, Torino 10 Gennaio 1884, 216 RELAZIONE SULLA MEMORIA DELL’ING. CAMILLO GUIDI. Il Socio Comm. Prof. G. Curioni, condeputato col Socio Comm. Prof. A. GenoccHI ad esaminare la Memoria del signor Ing. Prof. Gumi « Sugli archi *elastici » , presentata nell’adu- nanza del 30 p. p. Dicembre, legge la seguente RELAZIONE Il lavoro, sul quale si riferisce, è il complemento di una me- moria dello stesso Professore Guidi, stata pubblicata negli Atti dell’Accademia dei Lincei (Serie 3°, Vol. IV); e l’autore breve- mente tratta in esso delle determinazioni relative agli archi elastici, giovandosi del metodo grafico dato dal Professore Eddy di Cincinnati nella prima parte « New constructions in Graphical Statics » del suo libro intitolato « Resèarches in Graphical Statics » per determinare la curva delle pressioni in un arco elastico caricato. L'autore, non trovando abbastanza chiara la dimostrazione che l’Eddy stesso dà del suo metodo, incomincia col presentarne un suo; e quindi lo applica al caso di un arco di sezione variabile, di un sol pezzo, incastrato alle estremità e sollecitato da carichi fissi, introducendo del suo nella risoluzione del problema quelle modificazioni che derivano dalla variabilità della sezione dell’arco. Dopo questo, l’autore prende a studiare un arco di un sol pezzo, di sezione costante, incastrato agli estremi e sollecitato da carichi mobili. Incomincia col supporre l’esistenza di un carico unico concentrato passante successivamente in varie posizioni, e, applicando il metodo di Eddy, determina lereazioni degli appoggi ed in conseguenza la linea d’intersezione e l’inviluppo delle reazioni, cioè a dire il luogo dell’intersezione delle reazioni degli appoggi colla linea del carico e le due curve inviluppate dalle reazioni stesse. In conformità dei risultati già ottenuti analiticamente dal Winkler e dal Culmann, il Guidi dimostra: come per un arco RELAZIONE SULLA MEMORIA DELL’ ING. CAMILLO GUIDI. DI parabolico, qualunque la linea d’intersezione possa senza errore apprezzabile, essere sostituita da una determinata orizzontale; e come ne venga la conseguenza di determinate iperboli per le linee inviluppate dalle reazioni degli appoggi. Dopo le costruzioni della linea d’intersezione e dell’inviluppo delle reazioni, l’autore espone un nuovo metodo grafico per la ricerca dei massimi sforzi interni di pressione, ditensione e di taglio prodotti in una sezione qualunque dell’arco da un carico mobile unifor- memente ripartito. Per ultimo passa a considerare l’arco di un sol pezzo articolato a cerniera alle estremità, limitandosi a deter- minare col metodo d’Eddy la spinta orizzontale nell'ipotesi di un carico concentrato in varie posizioni, giacchè l'ulteriore ricerca dei massimi sforzi interni già trovasi esposta nella precedente soyraccennata memoria. Il lavoro del Professore Guidi si riferisce ad un argomento di grande importanza nella scienza dell'ingegnere, ed è svolto abil- mente a seconda dei moderni studi della Statica grafica. Al metodo dell’Eddy ha aperto un più vasto campo di utili applicazioni e per questo la Commissione è lieta di proporre alla Classe la lettura della memoria del Professore Guidi sugli archi elastici. Torino, 13 gennaio 1884. Angelo GENOCCHI. G. CurIonI, Relatore. La conclusione della Commissione è accolta dalla Classe, la quale, udita la lettura del lavoro del Professore GuIDI, con re- golare votazione ne approva la pubblicazione nei volumi delle Memorie. 218 A. DORNA Il Socio Cav. Prof, Alessandro DorNna, Direttore dell’ Os- servatorio astronomico di ‘Torino, presenta all’ Accademia, per l'annessione agli Att? in continuazione delle precedenti, le Osser- vazioni meteorologiche del mese di Dicembre ultimo, coi rispettivi riassunti e diagrammi, dell’Assistente Prof. Angelo CHARRIER. Anno XVIII 1883 RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI fatte nel mese di Dicembre. La media delle altezze barometriche osservate in questo mese è 39,11, ed è superiore di mm. 2,06 alla media di Dicembre degli ultimi diciassette anni. Il quadro seguente dà i massimi e minimi valori delle al- tezze osservate : | Giorni del mese. Mioimi, Gierni del mese. Massimi. ) ACRI Paga 36,20 PANNA 40,16 RIO 18,82 RENI EEN 44,99 IR 29,79 14 SA 39,40 TO e 28,47 190 40,86 ORI 4601 34,86 25 48,62 L'altezza barometrica dal 25 in poi si mantenne sempre sopra 1 740 mm., crescendo ancora negli ultimi giorni in modo da rag- giungere il valore 49,16 alle 9 p. del 31. La temperatura fu molto variabile nella prima e nella se- conda decade, poco nella terza. Nella prima variò fra — 5°,9 e +11°,0; nella seconda fra — 5%,2 e + 10°5; nella terza fra — 3°,4 e +7,°0. Gli estremi della temperatura del mese si ebbero nella prima decade. Il valor medio della temperatura 1°,4 è inferiore di 1°,2 alla media temperatura di Dicembre degli ultimi diciassette anni. Non si ebbero giorni piovosi, ma frequenti con nebbia fitta, e si raccolsero nel pluviometro mm. 2,9 d’acqua. Il quadro seguente dà la frequenza dei venti. NONNE ONE ENG E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW MW 2 6 6 9 8.0. do 0 &G 2 388° 3 PRESENTAZIONE DI UN LAVORO DEL DOTT. L. GRIFFINI. 219 In questa adunanza il Socio Cav. Prof. Giulio BizzozEro presenta un lavoro manoscritto del sig. Dott. L. GRIFFINI, Pro- fessore di Anatomia patologica nella R. Università di Messina, intitolato « Contribuzione alla patologia del tessuto epiteliare cilindrico ». Desiderando l'Autore che questo suo lavoro sia stampato nei vol. delle Memorie, si nomina una Commissione alla quale viene affidato perchè lo esamini e riferisca in proposito in una prossima adunanza. 220 LORENZO CAMERANO Adunanza del 27 Gennaio 1884. PRESIDENZA DEL SOCIO ANZIANO SIG. COMM. PROF. ANGELO GENOCCHI Il Socio Comm. Prof. M. Lessona presenta e legge il se- guente lavoro del sig Dott. Prof. L. CAMERANO : MONOGRAFIA DEGLI IDROFILINI ITALTANI. Il gruppo degli Idrofilini è rappresentato in Europa, secona. ‘ultimo catalogo di Heyden, Reiter e Weise, da tre generi vaie a dire Hydrophilus, Geoffroy, Tropisternus, Solier, Hydrocha- res, Lat. I generi Hydrophilus e Hydrochares fanno parte veramente della fauna europea, il genere 7ropzsternus invece, affine al ge- nere Hydrophilus, è un genere essenzialmente americano. Le sue specie abbondano principalmente nell'America centrale e nel- l'America meridionale. Il Mulsant nel 1855 presentava alla Società Linneana di Lione una nota (1) nella quale annunziava la presenza di questo gen; anche in Europa colle seguenti parole; « Le genre 77r0- « pisternus étahbli par Solier dans la tribu des Palpicornes, pa- « raissait jusqu'à ce jour ne devoir comprendre que des Coléoptères « étrangers à l'Europe; or voici qu'une espèce de ce genre, et « qui plus est une espèce mexicane, vient d'ètre prise dans un PA (1) Additions et observations relatives è la Monographie des palpicornes. Opuscules Entomol. 7, 1856. MONOGRAFIA DEGLI IDROFILINI ITALIANI 221 « ruisseau coulant dans la forét des Maures en Provence, par « M, Robert, l’un de nos entomologistes méridionaux les plus « zélés ». La specie in discorso è, secondo il Mulsant, il Tropesternus apicipalpis, Chevrol , del Messico. Così che la stessa specie abi- terebbe il Messico e la Provenza, dove sarebbe stata trovata in numero di due esemplari dal predetto signor Robert. Non mi consta che questa specie sia stata trovata di nuovo nella stessa località o in altre località d’Europa. Nel catalogo dello Stein, edizione del 1868, il genere e la specie in discorso sono considerate come dubitativamente appar- tenenti alla fauna europea. Nel catalogo dei coleotteri di Gemminger ed Harold per la specie apicipalpis è indicato soltanto l'habitat del Messico quan- tunque si faccia menzione della pubblicazione del Mulsant. Nei moderni lavori riguardanti la fauna coleotterologica fran- cese non si parla del genere Zropisternus. Il Seriziat (1) dice: « Nous avons en France trois espèces d’Hydrophiles, 1'H. piceus, lH. pistaceus e VH. aterrimus. lo credo quindi sia d’uopo ritenere come poco certa la pre- cenza in Europa del genere 7ropisternus. o" Im Italia si trovano i generi Hydrophilus e Hydrochares i quali sono rappresentati da tutte o per meglio dire da quass tutte, poichè una, a mio avviso, merita di essere meglio ricer- cata, le specie europee. Nessuno si è occupato, almeno che io mi sappia, particolar- mente dello studio di questi animali in Italia. Io ho creduto perciò di fare cosa non inutile di riunire le cognizioni che attual- mente si hanno sopra questi animali interessanti non solamente dal punto di vista puramente tassonomico e dal punto di vista della loro distribuzione geografica, ma eziandio pei fenomeni di polimorfismo sessuale che essi presentano. Nel corso del lavoro verrò menzionando i vari Autoiv. a liani che parlano di specie del gruppo di coleotteri che stiamo studiando. (1) Histoire des Coleoptères de France, 1880. N ID DO LORENZO CAMERANO IDROFILINI. Il gruppo degli Idrofilini può essere caratterizzato brevemente nella maniera seguente : Le antenne hanno nove articoli: il primo articolo è largo e compresso e più grande del secondo: il secondo articolo è sub- cilindrico e più lungo dei tre seguenti riuniti insieme: il sesto articolo serve di base alla mazza formata dai tre ultimi articoli. Il settimo e lottavo articolo sono allungati trasversalmente: il nono è di forma irregolare e alquanto compresso. Gli articoli costituenti la mazza sono ricoperti di fitta peluria. Le mandibole e le mascelle sono poco sviluppate: le man- dibole sono bidentate alla estremità: le mascelle hanno interna- mente due lobi quasi membranosi e ricoperti di piccole spine. I palpi mascellari sono più lunghi delle antenne. I palpi labiali sono di tre articoli: l’ultimo è più corto del secondo ed è un po’ rigonfio. Lo scudetto è ben spiccato e triangolare, e con lati presso a che eguali in lunghezza. Il capo è convesso e più o meno carenato longitudinalmente. L'addome presenta cinque segmenti visibili ora tutti carenati longitudinalmente, ora, meno l’ultimo, lisci. Zampe anteriori prive di peli natatorî. Zampe mediane e posteriori coi tarsi compressi e rivestiti di peli natatorî nella loro parte interna. Gli insetti di questo gruppo vivono nelle acque stagnanti o di lento corso. Essi compiono il loro sviluppo verso la metà del- l'autunno, epoca nella quale sono abbondanti nelle pozzanghere. Essi passano generalmente in letargo e nella melma al fondo dell’acqua, od anche nella terra all’asciutto i mesi dell’inverno. Se l’inverno è mite, essi non cessano dal fare vita attiva e non è raro il caso di trovare idrofili in Gennaio ed in Febbraio liberamente moventisi nelle pozzanghere, anche quando queste sono ricoperte da un sottile strato di ghiaccio. MONOGRAFIA DEGLI IDROFILINI ITALIANI 228 Gli Idrofilini amano tuttavia le acque un po’ calde e ricche di vegetazione e soprattutto pantanose. Raramente ho trovato questi insetti nelle acque fredde e limpide. Questi insetti non salgono molto sui monti e non mi consta che essi si trovino oltre ai 1500 o ai 1600 metri sul livello del mare. Il loro regime è misto. Essi si nutrono sia di sostanze ve- getali, sia di sostanze animali. Gli Idrofili amano molto più queste ultime e non la cedono in ferocia ai loro compagni di pozzanghere i Ditiscidi. Il Mulsant e non altri Autori considerano gli Idrofili come erbivori. ]l Mulsant dice (1): « Ils sont herbivores dans leur « dernier état et n’avaient pas besoin de l’agilité indispensable « aux carnassiers aquatiques pour saisir leur proie ». Ciò deve essere modificato così: Gli Idrofilini sono onnivori, ma più carnivori che non erbivori. Essi non pare siano preda- tori, poichè per lo più si nutrono di animali morti o di sostanze animali in decomposizione. In cattività, negli acquari, gli Idrofili sono ghiotti della carne cruda e quando non ne viene data loro per qualche tempo non raramente assalgono i tritoni, li mordono e talvolta riescono ad ucciderli e a divorarli in gran parte. Gli Idrofili sia allo stato di larva sia allo stato perfetto divorano le uova di rane e di Tritoni e non disdegnano i girini. Il Duméril, ed altri Autori dopo di lui, avendo osservato che il canal digerente dell’Idrofilo perfetto era molto più lungo di quello della larva, avevano conchiuso senz'altro che l’Idrofilo per- fetto era schiettamente erbivoro. Ciò, come si è già detto non è, e qui si ha una delle tante eccezioni alla regola generale della corrispondenza della lunghezza del canale digerente colla natura del cibo. Gli Idrofilini sono buoni volatori, e spesso nottetempo viag- giano da pozzanghera a pozzanghera. La luce li attrae. A questo proposito si osservò ultimamente in Alessandria un fatto curioso. All’epoca della commemorazione del compianto Rattazzi essendosi illuminata la piazza principale di quella città con un fanale a luce elettrica, per varie sere un grande numero di ZHydrophilus (1) Coléoptères de France — Palpicornes, p.104. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XIX. Jò 224 LORENZO CAMERANO piceus, attratti dalla luce vennero dalle vicinanze di Alessandria a cadere ai piedi del fanale stesso con grande meraviglia di tutti, come riferì il Dottor A. Torre, presente al fatto. Le femmine costruiscono una sorta di bozzolo o meglio una sorta di ovoteca, nella quale riuniscono le uova, che attaccano ad una foglia sommersa o a qualche fuscello, od anche a qualche pietra. I generi Europei (1) appartenenti al gruppo degli Idrofilini possono venire distinti nella maniera seguente : armato: ‘di Una Epiaa-.e. ae ... Genere Tropisternus [cal è 2 : o Prosterno con una incavatura nella ITA sua parte anteriore. Epistoma pro- — ll . . . * AQ mos | lungantesi a mo’ di dente ai suoi GL 23 / angoli anteriori ed esterni. ..... Genere Hydrophilus Zi IONE — » © | inerme SESTE Prosterno fatto a mo’ di carena e 2) E senza incavatura nella sua parte >, anteriore. Epistoma rettilineo an- teriormente; *., croate ... Genere #ydrochares Il gruppo degli Idrofilini è sparso per tutta Europa, ma è tuttavia più sviluppato nell'Europa media e nell'Europa meri- dionale. In Italia, come già dissi, si trovano i due generi Hydro- philus ed Hydrochares. Genere Hydrophilus (2). Géoffroy, Ins. Par. I, p. 180 (1764). Oltre ai caratteri menzionati nella tavola precedente, il ge- nere Hydrophilus presenta: le mandibole con due denti interni trasversali, depressi e un po’ bifidi alla estremità; il secondo ar- ticolo dei palpi mascellari arcuato e spiccatamente più grande del susseguente: gli occhi grandi e molto sporgenti: il corpo (1) Darò qui anche i caratteri del genere 7ropisternus pel quale valgono le osservazioni sopra riferite. (2) ddp, acqua; gi)2s, amico, MONOGRAFIA DEGLI IDROFILINI ITALIANI 225 grande, ovale, convesso e più o meno carenato longitudinalmente nella parte superiore: il prosterno piccolo e incavato; la sua punta è diretta in alto verso il mento: il mesosterno ore, è piano, ora è più o meno incavato: il metasterno si prolunga in una punta aguzza notevolmente al di là dell’estremità dei trocanterî delle zampe posteriori I maschi lanno i tarsi delle zampe an- teriori allargati e rivestiti di peli ventose. Le fem ine sono generalmente polimorfe. Tre sono le specie che i migliori Autori moderni ammettono in Europa del genere Hydrophilus, esse sono V H. piceus, Linn., l’H. pistaceus, Lap. e V’H. aterrimus, Esclsch. In Italia, la presenza delle due prime è ben sicura, e a mio avviso incerta, per le ragioni che verrò dicendo in seguito la presenza della terza. Le tre specie sopra menzionate si possono distinguere nel modo seguente: Le elitre presentano alla loro estre- D E mità posteriore, all’angolo sutu- 5 irenalo tale ua piccola ma ben evidente FARE ai Ss longitudinalmente J spina cole eee dea. cado . piceus SR ta iseguienti Lr clelitre mon presentano spina alla 1 loro estremità posteriore, all’an- Qui polovsasutalotoz oto sreoena: H. pistaceus esi S addome convesso fn) ma non carenato, Ss che sull’ultimo ...... ate vietate vitale sie CHI QST: Qualche Autore e fra questi Jaquelin Duval e Ph. Lareynie considerano 1 H. pistaceus e VH. piccus come una sola specie (1) pel fatto che essi hanno trovato una volta un maschio dell’/. pistaceus accoppiato con una femmina di H. piceus. Questo fatto isolato non ha alcuna importanza, come facilmente si comprende; trattandosi soprattutto di forme così affini, per legittimare la riu- nione delle due specie. Non è facile nello stato attuale delle nostre cognizioni dire esattamente la distribuzione geografica delle specie del genere Hydrophilus. (1) Quelques observations sur les Colenptòres des environs de Montpellier. Ann. Soc. Ent. Franc. 1852, p. 72!. 220 LORENZO CAMERANO L’H. piceus è la specie più diffusa in Europa. L'H. pistaceus è forma essenzialmente meridionale ed occi- dentale. L’H. aterrimus a quanto pare è forma dell'Europa centrale ed orientale. La presenza di questa ultima specie in Italia merita, a mio avviso, di essere meglio accertata e studiata. Il catalogo dei coleotteri italiani del Bertolini (1) dice: H. aterrimus, Eschs., morio Sturm, — Trentino. — Liguria. Nella collezione del compianto Cav. Eugenio Sella, collezione da lui legata, morendo, al R. Musso Zoologico di Torino, io trovai realmente due Idrofili col nome di MH. aterrimus e coll’indica- zione di Liguria: ma avendoli esaminati diligentemente, riconobbi con tutta facilità e sicurezza trattarsi invece di due H. pista- ceus. Tutti i veri H.aterrimus della collezione del Sella pro- vengono dalla Moravia. Il Cav. Baudi di Selve, noto ed autorevole colleotterologo, da me interpellato intorno a questa questione, gentilmente mi rispose : « In risposta alla domanda fattami nel pregiato suo foglio. le dirò che in collezione posseggo due soli H. aterrimus un Ò di Ungheria ed una 9 di Svizzera, nè mi ricordo averne visto altri, meno poi di Liguria, dacchè son uso, ogniqualvolta mì viene sot- t'occhio qualche specie rinvenuta in Italia, che di tale prove- nienza non abbia, di prenderne nota nel mio catalogo ». Il Dottor Gestro mi scrive da Genova: « Non mi consta che l’Hydrophilus aterrimus sia stato preso in Liguria. Nel Museo abbiamo di specie Liguri il piceus ed il pistaceus. Il signor Dodero, abile raccoglitore non ha mai trovato che queste due specie ». La collezione entomologica del R. Museo Zoologico di To- rino, quella del R. Museo Zoologico di Firenze (2), non hanno H. aterrimus nè di Liguria, nè di altre località italiane. In Francia 1’ H. aterrimus non venne trovato che presso Strasbourg e in altre località del nord-est. Io credo, perciò ripeto, che sia bene di fare nuove ricerche intorno alla presenza di questa specie in Liguria. (1) Firenze, 1872, p.4l. (2) Catalogo della collezione di insetti italiani. Firenze, 1876-1879. MONOGRAFIA DEGLI IDROFILINI ITALIANI 227 Che l’H. aterrimus si trovi nel Trentino è più facile a spie- garsi, poichè sono varie le specie anche in altri gruppi di animali (Batraci, ad esempio) i quali appartengono alla fauna europea centrale ed orientale e che si addentrano più o meno nell’Italia settentrionale nelle vallate dell’Adige, del Po, ecc. La distribuzione delle varie specie di Hydrophilus in Italia, è per quanto se ne sa ora, la seguente : Io seguo qui le divisioni faunistiche dell’Italia già da me discusse e adottate in un mio precedente lavoro (1). Provincia | Provincia | Provineia | Provincia NOME GENERICO E SPECIFICO Continen-| Peninsu- | Corso- Siculo- tale lare Sarda Maltese Hydrophilus piceus.....| 4 (8) | +(6) | +(9) | #+(2) » pistaceus. . . I+(7)|+(4)| +3) » aterrimus ..| + (5) Hydrochares caraboides .| + Nest “ var. intermedia . | + » + var. scrobiculata | 4-(10) Hydrochares flavipes....| + ala na (1) Monografia degli anfibi anuri italiani. Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, Sez. II, vol. XXXV, 1883. (2) CataGnaNO, Escursioni entomologiche al bosco della Ficuzza e nei pros- simi ex feudi di Marraccio e Catagnano fatto da Giacomo Pincitore Marott. Bull. Soc. Ent. Ital., 1873, p.190. (3) Vari autori. Collezione SELLA, coll. Baupi, coll. Museo zoologico di To- rino ; BERTOLINI, op. cit.; Lago Leutini (G. La Rosa LiserTINI, Naturalista siciliano, anno 1, n.12, p. 282). (4) Vari autori. BERTOLINI, op. cit., coll del Museo zoologico di Torino, coll. Museo zoologico di Firenze del cav. Baup1; BargaGLI, Materiali per la fauna di Sardegna, Bull. Soc. Ent. Ital., 3, p. 50. (5) BERTOLINI, Op cit. (6) Vari autori. Museo zoologico di Firenze. (7) Liguria, Coll. SeLLA, R. Museo zoologico di Torino. (8) Molti autori. Il SorpeLLI lo trovò fossile nella torba presso Bernate. (9) Collezione del Museo zoologico di Torino, BarGaGLI, Op. cit., p. 50. (10) BertoLINI, Catal. Coleott. Ital., p.4l. 298 LORENZO CAMERANO Hydrophilus piceus (Linn). Dytiscus piceus, Linn. Faun. suec. 214, 764. - Lyst. nat. 1, 664. Scop. ent. carn. 96 - 293. Hydrophilus ruficornis. De Geer. Mem., vol. 4, 371, tav. 14, fig. 1-2. Hydrophilus piceus, Fabr., Syst. ent. 228-1 - Rossi Faun., Etrur. - Oliv. entom. ‘8-39;. p._94 tav e Schneid. Mag. 364 - Payk. faun. suec. 1-178 - Hllig. Kaef. pr. 248-10. - Iatr. Hist. Mina olaenoao n Herbst Nat. 7-294, tav. 113 - Duftsh. Faun. aust. 1-258. - Gyll. Ins. suec. 1-113. - Schonh. Syn. ins. 2, 1. Miger Ann. du Mus., vol. 14, tav. 88, fig. 1, 2, 8.- Lamarck Anim.s.(v.4-535 — Brullé,: Hist. nat vol. 8274 tav.. 11. - Erichs. Kaef. 1, 206.-- De Castelo His. 2-49, tav. 8 - Heer fauna Helv. 483. - Mulsant Coléopt. de France Palpicornes, pag. 108. - Fairmaire e Laboulbéne Coléopt. de France, pag. 225. — Bargagli. Catalog Coleot. Sard. Bull. Soc. Ent. Ital. v. 3, p. 50. Bertolini, Catal. coleot. Ital. —- Firenze, 1872, pag. 41. A. Bacciforti - Storia naturale degli Stagni, Parma, 1871 — Entomol. degli Stagni, Viadana 1873 (1). — Camerano. - Polimor- fismo nella 9 dell’Hydrophilus, Atti R. Acc. delle Scienze di Torino, vol XII 87%. Hydrous piceus. Leach. Misc. 9-94 - Latr. Hist. nat. 366 — Curtis. — Ent. brit. 239 - Solier - Ann. Soc. Ent. Franc. vol. 3, 304. Oblungo, ovale; convesso, fatto a mo’ di carena supertor- mente e longitudinalmente a cominciare dalla metà posteriore — EtUtri posteriormente con una piccola spina all'angolo su- turale; le elitri sono longitudinalmente striate ed hanno in- tercalatamente alle strie delle file di punti impressi. L’addome è carenato longitudinalmente sopra tutti i segmenti. Il colore è superiormente nero lucente talvolta con riflessi cuprei 0 di (1) L'autore ammette due specie 1°’ 7. piceus, Linxn., e l'’H. minor, LeacA. Quest'ultima non è altro che una varietà più piccola della precedente. MONOGRAFIA DEGLI IDROFILINI ITALIANI 2929 color nero olivastro scuro. Le parti inferiori e le zampe sono nere. Le antenne ed i palpi sono 0 giallastro-scure od anche brune. Maschi col 5 articolo dei tarsi anteriori dilatati e ricoperti di peli-ventose. Femmine di due forme principali, le une col margine laterale delle elitre lisce, e le altre col margine delle elitre provviste di un grosso rialzo careniforme nella parte anteriore, L’epistoma ha lateralmente e parallelamente ai suoi margini una depressione punteggiata Esso presenta inoltre due solchi pun- teggiati che partono dagli angoli anteriori e convergono fra loro verso la parte posteriore senza tuttavia riunirsi. La fronte ha al margine interno di ciascun occhio una depressione intensamente punteggiata. Il protorace è in generale due volte più largo che lungo con due leggere incavazioni punteggiate in alto verso il mezzo. T'al- volta vi hanno quattro infossature, due superiori e due inferiori. Presso ai margini laterali vi sono pure due o più gruppi di punti, più radi, ma ben spiccati. Lo scudetto è grande ed ha quasi la forma di un triangolo equilatero ora è privo di punteggiatura, ora invece ha un punto incavato molto spiccato nella sua parte inferiore. Le elitre sono alla loro base un po’ più larghe della parte posteriore del protorace. La profoncità delle strie longitudinali e delle serie di punti impari varia alquanto. La spina suturale varia pure nello sviluppo, ma essa è tut- tavia sempre riconoscibile. Inferiormente il mesosterno ora, è piano o leggermente incavato, come si osserva nelle femmine; ora invece è profondamente sca- vato come nei maschi. La spina metasternale è aguzza e giunge generalmente fino al due terzi del secondo segmento visibile dell'addome. Dimensioni massime e minime. Lunghezza Larghezza ò m. 0,044 m. 0,022 >» >» 0,034 >» 0,018 O. >» 0.046 » 0,024 x a 04,038 >» 0,020 230 LORENZO CAMERANO Questa specie presenta numerose varietà sia nella punteggia- tura, sia nella colorazione ; le principali che io ho osservato, sono le seguenti: a - Due infossature alla base del protorace, (fig. 5). Questa varietà è frequente; | - Protorace con sei infossature punteggiate, poco frequente; - Scudetto con una impressione puntiforme nel mezzo. Comune. Scudetto con due impressioni puntiformi. Rara. - Elitre con tre linee di punti oltre le consuete, presso la sutura: due cioè che dalla base vanno quasi fino all’apice, ed una che pur cominciando presso alla base si scosta poco oltre l’angolo inferiore dello scudetto. Non comune. f - Elitri punteggiate e granulose. Rara. g - Colore generale del corpo superiormente nero con riflessi rosso h l ® QoS I verdastri. Frequente. - Colore generale nero violaceo intenso. Rara. ' - Elitre col margine esterno rossigno ben evidente. Non rara. m - Antenne cogli ultimi articoli bruno scuri. Non rara. n - Antenne e palpi giallo-chiari. Non rara. Le femmine di questa specie presentano il fatto notevole del polimorfismo sessuale che io descrissi in un precedente lavoro (1), al quale rimando il lettore, che desidera maggiori particolari in proposito. Nelle figure 1 e 5 sono le femmine di una forma quella col rialzo careniforme sul margine delle elitre e nella figura 2 vi è l’altra forma; quella priva di rialzo careniforme. Hydrophilus pistaceus Casteln. Hydrophilus pistaceus, Casteln. Hist. Nat. II, p. 50. - Dahl, Déj. Cat. 5° ediz., pag. 147 — Faimaire e Laboulbéne, Faune entomol. Franc., pag. 225. — Bargagli, Catalogo dei coleotteri di Sardegna. Boll. Soc. Ent. Ital. 3, 50. — Bertolini, Catal. coleotteri italiani. Firenze, 1872, pag. 41. (1) Polimorfismo nella femmina dell’ Hydrophilus piceus. Atti R. Accad. delle Scienze, vol, XII, 1877. MONOGRAFIA DEGLI IDROFILINI ITALIANI DO Hydrophilus inermis , Lucas. Exphe Ale pi 244 Me gAiNt 0, Leprieur, ‘Ann. Soc. Ent. Franc., 1854, pag. 69; t. 3° f. III, 3. — Jacq. Duv. Ann. Soc. Ent., Franc. 1857, pag. 88. La forma generale dell'animale è come nell’ H. piceus, tut- tavia nell’ H. pistaceus la convessità è un po’ maggiore. Le elitri mancano dilla piccola spina all'angolo suturale. Le strie e le serie di punti delle elitri non presentano differenze notevoli da quelle dell’ H. piceus. La carenatura dell'addome è un po’ meno forte che non nell’ H. piceus. Il colore delle parti su- periori è in complesso un po’ più chiaro e più verdastro che non nell’ H. piceus. Le parti inferiori e le zampe sono come nell’ H. piceus per quanto riguarda il colore. Le antenne e i palpi sono di color giallo bruno chiaro, I maschi hanno il 5° articolo dei tarsi anteriori dilatato e coperto cdi peli ventose, la dilatazione è un po’ diversa da quella dei maschi dell’ 7. piceus, poichè è più appuntita ed è legger- mente rivoltata verso l’esterno all’estremità. Le femmine presentano anche in questa specie, come nella precedente due forme principali, vale a dire una col margine la- terale delle elitri liscie e l’altra col margine laterale fortemente carenato nel terzo superiore. Per quanto riguarda la punteggiatura dell’epistoma, del capo, e del protorace le cose vanno come nell’. piceus. La forma dello scudetto è un po’ diversa da quella: dell’H. piceus. Esso è nell’H. pistaceus; meno appuntito (fig. 9°) e non presenta quelle due piccole sinuosità presso all’angolo inferiore che si trovano, e talvolta spiccatissime nella prima specie (fig. 8°). Il mesosterno è come nell’H. piceus, la differenza fra l’in- cavatura nei due sessi è un po’ minore. La spina metasternale e un po più corta e più diritta; essa non presenta quella leggera curvatura in basso che si osserva nella specie precedente. Dimensioni massime e minime, Lunghezza Larghezza Ola 0098 m. 0,029 » > 0,037 >» 0,027 Q » 0,040 » 0,022 » » 0,033 » 0,018 . AA LORENZO CAMERANO Questa specie mi è sembrata meno variabile nella punteg- giatura e nella colorazione della specie precedente. Le femmine di questa specie presentano come quelle dell’H. piceus il fatto notevole del polimorfismo sessuale. Hydrophilus aterrimus, Eschsch. Hydrophilus aterrimus, Eschsch. Entomogr. 1, p. 128. Erichs. Kif. Mark.1, p. 206. — Letzner. Jahrb. Schles. Ges. 2, pag. 211, f. 31-33. — Fairmaire et Laboulbéne, Faun. Ent. Franc., pag. 226. — Mulsant, Palpicornes, pag. 110. — Bertolini, Catal. Coleott. Italiani, pag. 41 (Trent. ?, non Liguria). La forma generale dell'animale è un po’ diversa da quella dell’H. piceus, essa è meno ristretta posteriormente ed è più con- vessa: il contorno del corpo è un ovale meno ristretto. La spina posteriore suturale delle elitre è appena accennata. Le strie e le serie di punti del capo, del protorace e delle elitre sono come nell'H. piceus, esse si presentano tuttavia un po’più spiccate, soprattutto per quanto riguarda le strie longitudinali. L'addome è inferiormente convesso: ma non ha ripiegatura careniforme, mediana, longitudinale, salvo sull'ultimo segmento. 11 colore delle parti superiori è nero intenso e lucente con riflessi rosso cuprei o violetti. Nel rimanente la colorazione è come nell’H. piceus. I maschi hanno il 5° articolo dei tarsi anteriori dilatato e con peli-ventose; la dilatazione è meno sviluppata che nell’ H. piceus e quindi anche notevolmente meno di quella dell’H. pi- staceus. Non ho osservato nelle femmine di questa specie il polimor- fismo sessuale come nelle specie precedenti: ma è probabile che esaminando molti esemplari vi si trovi. Le femmine hanno l’ad- dome spiccatamente più convesso dei maschi. Lo scudetto si avvicina nella forma a quello dell’H. pistaceus. L’incavatura del mesosterno è appena accennata nei maschi, nelle femmine è spiccata, ma non molto profonda. La spina metaster- x nale è corta e leggermente risvoltata in basso, MONOGRAFIA DEGLI IDROFILINI ITALIANI 233 Dimensioni. Lunghezza Larghezza OAlimat 10,036 m. 0,020 Q » 0,038 » 0,021 Gen. Hydrochares (1) Latreille. Fam. nat. p. 366 - 1825. Oltre ai caratteri già menzionati nella tavola dei generi, il genere Hydrobius ha il settimo e l’ottavo articolo delle antenne sprovvisto di ciglia; le mandibole ‘sono arcate e terminate da un dente bifido. Il prosterno è fatto a carena e sì termina in punta posteriormente, il metasterno termina in una spina corta e pic- cola, la quale oltrepassa appena la base dei trocanterì delle zampe posteriori. Il corpo è più largo nella parte posteriore che non nella anteriore. Nei maschi le unghie terminali dei tarsi anteriori sono un po’ più sviluppate di quelle delle femmine e sono ripiegate quasi ad angolo retto, mentre nelle femmine sono semplicemente in- curvate. { in forma di carena spiccata e colla punta po- steriore prolungata a mo’ di spina ..... H. caraboides PROSTERNO < rialzato in forma di carena più sviluppata an- teriormente che posteriormente ; il pro- sterno non si prolunga posteriormerte in UNIFBPI LANE SIT NSISISTI I H. flavipes. Hydrochares caraboides (Linn.). Dytiscus caraboides, Linn. Faun. suec., 214. 765. Syst. nat., I, 664-2. Dytiscus scarabacoides - Schrank. Enum. ins. 198, 371.- Faun. bor. I, 449, 448, Hydrophilus nigricornis. De Geer., Mem. 4, 376, 2. (1) Udap, acqua ; yz'pa, gaudeo, 234 LORENZO CAMERANO Hydrophilus caraboides. Fab. Syst., 228, 2. — Rossi. Faun. Etr. 1, 195, 482. — Mantis. I, p. 65, 158. — Oliv. Ent., vol. 3, 39, p. 11, 2, tav. 2, fig. 8. — Payk. Faun. Suec. 1, 179, 2. — Illig. Kaef. 1, 247, 7. — Herbst. natur,, v. 7, 299, 5, tav. 113. ‘fis. y°90 —Panz/Haun, yer. 67, 10. — Lath. Hist. nat., 10, 62, tav. 81, fig. 7. — Duf. Faun. .austr. 1, 298, 2.2 4GyleMnence. 4114, 2. —: Leach. Miscel. 3, 94. — Curtis. Rritish. ent. 159. — Sturm. Deut. Feum. 9, 111. — Heer. Faun. helv. 1,04837%5: Hydrous caraboides. Brullé, hist. nat., 5 dis, 276, tav. 11, fis. 2. — Casteln. Hist. nat., 2, 52. — Mulsant. Palpi- cornes, pag. 112. — Fairm. et Laboulb. Faun. Franc., p. 226. — Bertolini, ‘Cat. Coleott. Ital.,. pag. 41. — Bargagli, Catal. Colett. Sard., Boll. Soc. Ent., 3, 50. Hydrochares caraboides. Gem. Harold. Cat. Coleopt., 2, p. 478. — Catal. Collez. Inset. Ital. del Museo di Firenze, p. 35. — Heyden. Reitter. Weise. Cat. Coleopt. Europae, 3* ediz. 1883, pag. 34. Il corpo .è ovale, oblungo più largo, posteriormente che non anteriormente. Le elitre sono arrotondate posteriormente e percorse longitudinalmente da strie e da serie di punti: le prime sono generalmente poco spiccate: le seconde sono ben evidenti. Le parti superiori sono di color nero lucente, con talvolta riflessi cuprei: le parti inferiori sono nere: le estre- mità sono nere 0 talvolta più 0 meno bruniccie 0 rossastro chiare. Dimensioni. Lunghezza totale Larghezza oggi 05018 m. 0,009 Sardegna DES A00018 > 0,010 Sardegna Q » (0) 5 015 » 0 ,0 09 Piemonte O > ROLO >» 0,009 Piemonte O ora OO > 0,010 Sardegna var. intermedia. Questa specie è variabile per la forma del corpo e pel co- lore delle estremità ed anche per le striature e le punteggiature. In Italia ho trovato due varietà principali per quanto ri- guarda la forma generale: una nella quale l’allargamento poste- MONOGRAFIA DEGLI IDROFILINI ITALIANI 235 riore è relativamente poco spiccato (fig. 9) e l’altra nella quale esso è spiccatissimo (fig. 8). Quest'ultima forma è più rara della prima. Rispetto alla punteggiatura e alla striatura delle elitre si incontrano varietà riguardanti la loro intensità: le strie sono sempre poco visibili. In qualche individuo di Sardegna di mole relativamente grandi sono un po’ più spiccate. Rispetto al colore due sono le varietà essenziali. Var. A — tipica - parti inferiori nere: zampe intieramente nere. Comune. Var. B - intermedia. Mulsant. (Palpic. pag. 113) nella quale le parti inferiori sono meno scure e le zampe anteriori hanno le coscie e le zampe di color rosso-bruno più 0 meno spiccato. Qualche volta anche il secondo ed il terzo paio di zampe sono di color rossiccio. (Questa varietà è più rara della pre- cedente, e l’ ho osservata di Piemonte, dove si trova insieme alla var. tipica, e di Sardegna. Non ho trovato nessun individuo che corrisponda alla var. scrobiculata, Panz., la quale ha le elitre rugose e ondalate; il Bertolini la menziona di Lombardia. Hydrochares fiavipes (Steven.). Hydrophilus flavipes, Steven. in Schonherr Syn. Ins. vol. 2 pag. 3. Hydrous flavipes. Mulsant. Palpic. p. 114. — Fairm. et Laboulb. Faun. Entomol. Franc. p. 226. — Bertolini, Cat. Coleot. Ital., pag. 41. — Bargagli, Cat. Coleot. Sard. Boll. Soc. Emt. Ital., 3, 50. Hydrochares flavipes. Catal. Coll. Ital. del Mus. di Firenze, pag. 35. — Gem. e Harold. Cat. Coleopt., pag. 478, 2. Heyden, Weise e Reitter. Cat. Coleopt. Europ., pag. 34. Hydrophilus scrobiculatus Déjan. (nome di collezione secondo, il Mulsant. Palpic., pag. 115). Il corpo è ovale, oblungo, un po’ più largo posteriormente, nero tuttaviu che non mell’H. caraboides, Za forma generale ras- somiglia di più alla specie del genere Hydrophilus. La striatura 236 LORENZO CAMERANO x e la punteggiatura è a un dipresso come nell’ H. caraboides. Lo scudetto è in forma di triangolo ad angoli più acuti che non nella specie precedente. Il prosterno non si prolunga po- steriormente in una spina. Le parti superiori sono di color lucente con tendenza all’olivastro. Le parti inferiori sono nere, le zampe sono di color giallo-chiaro 0 bruno-chiaro, salvo lu base e l’apice dei femori e il margine interno delle tibie che sono neri, le spine e i tarsi talvolta sono neri. Dimensioni. Lunghezza Larghezza O nl oi m. 0,008 » » 0,015 » 0,008 © a TREDEO6 » 0,008 » » 0,015 » 030.090 Questa specie è meno variabile della precedente nella forma, nella punteggiatura ed anche nella colorazione. Varia il colore delle zampe, le quali possono essere di un giallo-chiaro o di un bruno-scuro quasi nero. Il carattere del prosterno varrà sempre a far distinguere facilmente questa specie dalla precedente. L’H. caraboides e V_H flavipes si trovano frequentemente insieme e pare abbiano eguali costumi. L’H. flavipes è tuttavia forma più meridionale dell’H. ca- raboides. ge La Tavola VII va unita alla Memoria del Professore L. Camerano: Monografia degli Idrofilini. italiani , pass. 270-287, pubblicata nella dispensa 2° degli Ati (Gennaio 1884). : MONOGRAFIA DEGLI IDROFILINI ITALIANI. 2 (vo) JI SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA 1, 2,3. Hydrophilus piceus. — Fig. 1 9, colla carena late- rale sul terzo anteriore delle elitre. — Fig. 2 9, seconda forma di femmina senza carena laterale. — fig. 3 d. , 6. Hydrophilus pistaceus, — Fig. 4 è - Fig. 6 9. Id. aterrimus Ò. Ul —] da ld. piceus Q della prima forma (Fig. 1) per mostrare la carena laterale delle elitre (a) e la pun- tecgiatura. 8. Hydrophilus piceus per mostrare la punteggiatura del protorace e la forma dello scudetto (a). 11. Hydrophilus pistaceus - (a) scudetto. 12. Estremità posteriori dell’elitre di /ydrophilus piceus - (a) spina suturale. 12 bis. Estremità posteriore dell’elitre di Mydrophilus pista- ceus. 13. Antenna di Hydrophilus piceus. 14. Tarso delle zampe anteriori del 5 di Hydrophilus ater- rimus. lo. Tdk di Hydrophilus piccus. 16. Id. di Hydrophilus pistaceus. 175 Id. Hydrochares caraboides, per mostrare la pun- teggiatura. 9, 10. Hydrochares caraboides. 20. Hydrochares flavipes. 18. Prosterno dell’Hydrochares caraboides. 19. Prosterno dell’Hydrochares flavipes. 238 GIUSEPPE BASSO Il Socio Cav. Prof. G. Basso presenta il seguente suo lavoro SOPRA UN MboDÒO DI MISURARE L'INTENSITÀ DELLE CORRENTI ELETTRICHE. Nell’Adunanza del 14 Maggio 1882 io ebbi l'onore di pre- sentare all'Accademia un mio strumento, che chiamo apparato reometrico a deviazione massima, destinato alla misura dell’in- tensità delle correnti elettriche. Siccome da quel tempo in poi ho sottoposto questo apparato a nuovi esami, collo scopo di riconoscere viemeglio le condizioni in cui se ne possono ottenere migliori risultati, così mi permetto adesso di tenerne ancora parola, incominciando a ricordare il principio teorico su cui esso si fonda e le parti prin- cipali che lo costituiscono. Al disopra del piano orizzontale in cui può muoversi l'ago ca- lamitato d’una bussola ordinaria è disposto un conduttore filiforme giacente nel meridiano magnetico. Esso è principalmente formato di una porzione rettilinea orizzontale, pel punto medio della quale passa l’asse di rotazione dell’ago ; questa stessa porzione si prolunga da una parte e dall'altra in due rami verticali che discendono fino al piano orizzontale dell’ago e pescano ciascuno in un vasetto me- tallico contenente mercurio e comunicante con un serrafilo. Tale filo conduttore si può, mediante una dentiera ed un rocchetto, alzare od abbassare a volontà, in modo da portare la sua porzione orizzontale più o meno vicina all’ago. Quando una corrente elettrica d’intensità costante / attraversa il conduttore, l’ago devia dal meridiano magnetico. Applicando i principii della teoria elettrodinamica di Ampère io dimostrai che MODO DI MISURARE L'INTENSITÀ DELLE CORRENTI ELETTRICHE. 239 esiste, per l'angolo di deviazione, un valore 4 massimo corrispon- dente ad una certa distanza fra la porzione orizzontale della cor- rente e l’ago. Ho anzi trovata a questo riguardo la relazione : I=psen & tang z + g sen’ 2 tang 2 I) nella quale p e g sono due costanti dello strumento facili a deter- minarsi mediante due esperienze preliminari. Quindi, semplicissimo è il modo di procedere alla misura del- l'intensità di una data corrente elettrica. Si inserisca nel circuito di quest’ ultima il conduttore dell’apparato, già disposto preven- tivamente nel meridiano magnetico ; tale conduttore essendo un filo di rame il cui diametro è di circa 3 millimetri e la cui lun- ghezza è all'incirca di mezzo metro, la sua introduzione nel circuito non modifica sensibilmente l'intensità della corrente che si studia. Poscia s’innalzi o si abbassi lentamente il conduttore, tenendo d'occhio l'ago, fino a che questo abbia raggiunta la sua massima deviazione, la quale si potrà leggere subito sopra un cerchio gra- duato sottostante; la formola (a) ci permetterà immediatamente di calcolare l’intensità della corrente. Era necessario che, prima di proporre l’uso dell’apparato reo- metrico a massima deviazione, io mi assicurassi della concordanza fra la legge teorica su cui esso si fonda e la esperienza, facendo agire sull'apparato stesso correnti d'intensità preventivamente cono- sciute. Ciò venne fatto, ed i risultati ottenuti già esposi in un pre- cedente lavoro: qui ricordo soltanto che dalle numerose prove eseguite risultò potersi lo strumento adoperare comodamente e con sufficiente precisione quando le intensità di corrente da misurarsi sono comprese fra la metà di un ampère e dieci ampère circa. Più tardi mi accinsi a nuove verificazioni sperimentali anche più estese delle precedenti; esse furono eseguite nel Laboratorio di fisica del Regio Museo Industriale, colla gentile annuenza del Prof. Galileo Ferraris e colla cooperazione del suo assistente Dottor Paolo Morra. In ciascuna esperienza si inserivano in uno stesso circuito : 1° Una pila di elementi Bunsen, il cui numero poteva variare da 2 a 40; 2° Un voltametro ad acqua acidulata, in cui l’effetto elettrolitico, misurato colle dovute precauzioni, faceva conoscere l’intensità della corrente; 3° l'apparato reometrico a massima deviazione: 4° un altro stromento misuratore di correnti che in molti casi fu l’elettrodinamometro di Werner Siemens ed Atti R. Accad. - Parte Fisica — V\ol. XIX. 16 240 GIUSEPPE BASSO - MODO DI MISURARE L'INTENSITÀ ECC. in alcuni altri fu il galvanometro a spina di pesce, di Marcel Deprez. Quest’ ultimo apparato è destinato alla valutazione di correnti molto intense, anzi così intense che per esse non sarebbe più adatto il mio reometro; perciò non ho potuto fare a questo riguardo numerosi e decisivi confronti. Ma ogniqualvolta mi oc- corse di far agire una medesima corrente sul mio reometro e sul- l’elettrodinamometro Siemens (a filo sottile), ottenni risultati, dai quali l’accordo fra le indicazioni dei due strumenti appariva ab- bastanza soddisfacente. Un altro scopo avevano questi miei nuovi studi. Nella for- mola (a) il termine g sen’ ztangz nasce dalla considerazione del- l’azione esercitata sull’ago dalle due porzioni verticali di corrente. Quest’azione è assai debole a fronte di quella dovuta alla porzione orizzontale. Era però utile il ricercare se, dando a quest’ultima una lunghezza notevole (nel mio apparato essa è di m. 0,52), non sì possa addirittura del tutto trascurare quel termine, in modo che le costanti nello strumento si riducano alla sola p e così siano ridotti alla massima semplicità i calcoli numerici che si debbono eseguire: cosicchè, posto nella formola per « il valore della de- rivazione massima fornito dallo strumento, se ne ricavi subito l'intensità / della corrente. Dal complesso delle mie nuove ricerche risultò appunto che questa semplificazione è legittima: la formola può dunque essere scritta: I=p sen 2 tang & AGSLUMD): nella quale, pel mio apparato, ho trovato per la costante p il valore 6,5. L'unita tavola grafica mi dispensa dal presentare, raccolti in quadri numerici, i risultati delle mie numerose esperienze. Di più la stessa tavola ha il vantaggio di fornire direttamente, per lo stru- mento a cui essa si riferisce, l'intensità di una corrente qualunque che corrisponde ad un dato angolo di massima deviazione. Basterà avvertire che le ordinate della curva (parallele alla 01) rappre- sentano le intensità di corrente, equivalendo l' ampère alla lun- ghezza del doppio centimetro; le ascisse (parallele alla O @) sono le deviazioni massime fornite dall’apparato reometrico ed ogni grado DI di deviazione vi è rappresentato dalla lunghezza di tre millimetri. LA “/“/."““©:°:.èé ti Hi i sl i SEREEESERHERHAN HIGH bEEFEIEa SH HEGER °]‘404Òò0 (uu .. iii il .. ..:.... i i Hi Lil i. ._._ °! IL sl 1 nni Li - i '” Li Gio _ i . ! __ i. ) )}| ‘4. iii ARRE i E. | di . | Hi 1 HERE Fo bessaaestEsFanfazintie î BaESh RR FETTE: Et + IRA ... n E ' di IRGDE HERE n _}y i. ii cl \ i. _. sit EH Se o. sese EI anne sE È n ci È | _ ì . 1 iL: Chi Hu _ . 1GGRG 0 _ °1 d.. Li i. i HREAEOGGAEFEFIGOGSGRRESEGGGZARRSESOGGUENINOCOHTE î SHEREHHE HISUiti CHE Sogsssceragnenzote Si ; ESSOSESNTaNRO Rea eee SORERAGNGGRSeRaRaREnORenEEagagegensegeneesseseanaaaanzanens0eate ol Ss - 0 LE sa: sa ol asonena AIIRIHTÀ FEE passasae: u TERE HH 119 Sponpesgntsssi ss ei 241 Il Socio Cav. Prof. Alessandro DoRNA, Direttore dell’Osser- vatorio astronomico di Torino, presenta all'Accademia, affinchè vengano annesse agli A?#, in continuazione delle precedenti, le Osservazioni barografiche dal 1° Aprile al 31 Dicembre 1883, state ricavate, col registratore automatico dell’Osservatorio , dal- l'Assistente Prof. Donato LEVI. Questi lavori vedranno la luce nel solito fascicolo annuale che si pubblica per cura dell’Accademia. Il lavoro del sig. Dott. Corrado SEGRE « Sulla Geometria della retta e delle sue serie quadratiche » intorno a cui venne letta Relazione favorevole nell'adunanza del 30 Dicembre p. p., dopo essere stato letto alla Classe, fu con regolare votazione approvato per la stampa nei volumi delle Memorze. Aui R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XIX. 16* SOMMARIO sF Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. ‘azione sulla Memoria del sig. Ing. Prof. Guipi « Sugli cori dell’Osservatorio astronomico di Torino... .. » Presentazione di un lavoro manoscritto del Dottore L. GRIFFINI, intitolato « Contribuzione alla Patologia del tessuto epitelsare cilindrico n‘ tI ASINI RE TARE » 0° .0) nto 10, 0» pifi è ‘Taro calo e O 04 CLRITZI I ISAIAI ‘ie quadratiche » nei volumi delle Memorie. . . » nunicazione di una lettera dell’Ayvocato Filippo i «ila d'induzione nell’aria molto rarefatta . « . . Pag. ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XIX, Disp. 3° (Febbraio 1884) ——__—__ Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. TORINO ERMANNO LOESCHER Libraio della -R. Accademia delle Scienze CLASSE SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Febbraio 1884. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XIX. 17 247 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 10 Febbraio 185%, ‘ PRESIDENZA DEL SIG. COMM. PROF. ARIODANTE FABRETTI Il Socio Cav. Prof. L. BELLARDI presenta e legge il seguente lavoro del sig. Federico Sacco, Studente in Scienze naturali, Assistente al Museo di Zoologia ed Anatomia comparata della R. Università di Torino: NUOVE SPECIE FOSSILI DI MOLLUSCHI LACUSTRI E TERRESTRI IN PIEMONTE. Chi intraprende lo studio dei Molluschi fossili terziarii del Piemonte, è naturalmente indotto ad osservare che, mentre sì annoverano in quantità veramente straordinaria 1 fossili marini, scarsissimo invece è il numero di quelli terrestri o d'acqua dolce. Ciò dipende principalmente dal fatto cle nell’èra terziaria il mare, eccetto poche interruzioni, sovente locali, ebbe il predominio su quasi tutto il Piemonte; ma la scarsità sovraccennata è pure in parte cagionata dal cattivissimo stato di conservazione in cui trovansi generalmente i fossili terrestri o lacustri, il che ne rende oltremodo difticile lo studio. Un altro fatto assai importante da notare si è che le prin- cipali formazioni d'acqua dolce che trovansi nei terreni terziarii del Piemonte sono generalmente formazioni di passaggio tra l'uno e l’altro dei tre periodi in cui i geologi Piemontesi usarono fi- 248 FEDERICO SACCO nora suddividere l’èra terziaria (1); ciò che indicherebbe che , sul finire di ciascuno di questi periodi, il moto di sollevamento si faceva sentire con maggiore intensità, facendo arretrare il mare e sostituendovi per sempre, o solo per un tempo più o meno lungo, il regime terrestre o lacustre. Infatti noi vediamo che quasi sul principio del periodo mio- cenico si formarono in diverse località depositi fluvio-lacustri e terrestri talora assai potenti, 1 quali, oltre a Planorbis, Unio, Anodonta ed altri Molluschi d’acqua dolce, racchiudono anche Cheloni, Sauri, Rinoceronti, Antracoteri, nonchè una flora molto ricca e molto importante in commercio, potendo talora essere utilizzata per l'estrazione della lignite, come a Bagnasco e Nu- ceto nella valle del Tanaro. Nei terreni di transizione tra il miocene ed il pliocene riscontriamo nuovi depositi lacustri e d’acqua salmastra, cioè la notissima formazione gessifera racchiudente impronte di vege- tali, ci Insetti e Molluschi lacustri, fuviatili e specialmente d’acqua salmastra, come a Guarene, Agliano ece.; inoltre, poco al disopra di questo orizzonte, e veramente alla base del Plio- cene, sonvi talora altri depositi lacustri, come ad esempio quelli che si riscontrano sulla riva sinistra del Tanaro tra Cherasco e Carrù, e che racchiudono Melanopsis, Melania, Neritina, Paludina ecc. Infine sul termine dell'èra terziaria, nei terreni di passag- gio tra il periodo pliocenico e l'èra quaternaria, possiamo ancora osservare formazioni fluvio-lacustri costituite da una congerie di marne, sabbie e conglomerati disposti in lenti irregolarmente alternate, talora estesissime e di varia potenza, ricoprenti il pliocene marino, e che contengono una faunr assai ricca in Mastodonti, Elefanti, Rinoceronti, Ippopotami ecc., e talora anche conchiglie fluvio-lacustri; il sopraccennato complesso di strati ricevette dal Marchese L. Pareto l'appellativo di Vi/la- franchiano (2), perchè riscontrato dapprima nei contorni di (1) Probabilmente la parte inferiore del miocene, quale venne finora con- siderato in Piemonte, si dovrà in avvenire scindere dal miocene ed ascrivere all’oligocene, che altrove venne già inserito nella serie dei terreni tra l’eo- cene ed il miocene. (2) M. L. Pareto, Note sur les subdivisions que l'on pourraîit établir dans les terrains tertiaires de l’Apennin septentrional. Bulletin de la Soc. Géol. de France, 165. NUOVE SPECIE FOSSILI DI MOLLUSCHI LACUSTRI E TERRESTRI 249 Villafranca d'Asti, e dal Prof. B. Gastaldi quello, assai più usitato dai geologi, di Alluvioni plioceniche, essendo alluvioni che ri- coprono il pliocene marino; bisogna però ben distinguere questa formazione da quella più recente che racchiude resti fossili di Mammouth, di Buoi, di Cervi ecc., ed alla quale il Pareto diede il nome di Areneano. Siccome è alle alluvioni plioceniche che appartengono i Molluschi fossili che formano l'oggetto della presente Memoria, così credo opportuno di dare alcuni brevi cenni intorno alla loro estensione e costituzione nel Piemonte in generale e parti- colarmente nella valle della Stura di Cuneo dove i suddetti fossili si rinvengono piuttosto abbondanti. Finora resti fossili attribuibili alle alluvioni plioceniche non s'erano ancor trovati al Sud del paesello di Sommariva del Bosco, mentre di lì andando verso il Nord non sono rari tali incontri, perchè questa formazione costituisce quasi la superficie della pia - nura padana ad Est di Carmagnola, estendendosi sin presso An- dezeno, come pure il culmine di quasi tutte le colline d’erosione dell’Astigiana, le quali, nell’epoca appunto in cui vivevano i Mastodonti, formavano un’ampia distesa pianeggiante da Poirino ad Alessandria, sicchè gli strati ed i fossili in discorso incontransi ancora a Mazzo, a Felizzano ecc. È notevole che quantunque queste alluvioni plioceniche con- stino di molti sedimenti marnosi d'origine lacustre, raramente si fa accenno di Molluschi d’acqua dolce rinvenuti in tale piano, mentre piuttosto comunemente vi si trovano resti di grossi Mammiferi; però il Prof. E. Sismonda, in una sua Memoria (1) sopra un Mastodonte angustidente rinvenuto presso Villafranca, nota quattro Molluschi d’acqua dolce, fra cui una specie nuova, alla quale diede il nome di Clausilia mastodonphila. Da uno scritto del Marchese L. Pareto (2) rilevo che nella località di Villafranca e di S. Paolo, dove specialmente si ritro- varono resti di Mastodonti, la costituzione del suolo è all'incirca quella che qui riproduco, per poterla poi confrontare con quella (1) E. Sismonpa, Osteografia di un Mastodonte angustidente. Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, Serie II, tomo XIII, 1851 (2) M.L Pareto, Coupes è travers l’Apennin, des bords de la Meéditer- ranée à la vallée du Pò, depuis Livourne jusqu'à Nice. Bulletin de la Soc. Géol. de France, 1861. 950 ° FEDERICO SACCO che si osserva nella valle della Stura di Cuneo presso Fossano; anzi a questo scopo distinguo i varii terreni con numeri romani che corrisponderanno ad altrettanti numeri romani nella sezione che indicherò per Fossano. (VII) Terreno marnoso argilloso rossastro con ciottolini specialmente di Quarzo. (VI) Marne grigio-gialle, argille, marne sabbiose, sabbie. (V) Soventi volte vi è uno strato di sabbie limonitiche. Mastodon ecc. (IV) Marne argillose spesso rossastre. Mastodon ecc. ]l complesso degli strati VI, V e IV ha: lo spessore di circa 10 m. (III) Marne gialle o grigie, talora un po’ verdastre, con concrezioni calcaree biancastre friabili e piccolì banchi e lenti di calcare grigio marnoso e compatto. Clausilia mastodonphila ecc. i (II) Banco potente di sabbie disaggregate quarzose, bianche e grigie, con straterelli irregolari ocracei giallastri. (I) Sabbie e marne del Pliocene marino. Venendo ora particolarmente alla valle della Stura di Cuneo, debbo notare che il Pareto ed il Gastaldi, i quali accennarono di passaggio alla sua costituzione geologica, vi distinsero solo..il terreno pliocenico marino ed il terreno diluviale, che già comin- cierebbe a mostrarsi potentissimo presso’ Fossano, mentre quivi in massima parte si tratta certamente di alluvioni plioceniche ben distinte ‘sia paleontologicamente, sia litologicamente. Debbo però aggiungere che il Prof. L. Bellardi, il quale, oltre a 20 anni or sono, in compagnia del Prof. A. Sismonda, percorse tutta la valle della Stura sino alle sorgenti, aveva già notato, sulla sponda sinistra di questo fiume, nel territorio di Fossano; aleuni Molluschi fossili d’acqua dolce, e: l’anno ‘scorso, sapendo. che io intraprendeva lo studio geologico di detta regione, mivesortò a ricercare quei fossili e determinarne la giacitura e Vetà relativa, ciò che io potei compiere con un successo molto superiore al- l'aspettativa, giacchè, studiando i Molluschi che ho potuto ‘rin- tracciare, conobbi. trattarsi di una fauna quasi completamente nuova .ed abbastanza ricca, il che mi spinse a -scrivere » cla prer sente Memoria. dà NUOVE SPECIE FOSSILI DI MOLLUSCHI LACUSTRI E TERRESTRI 251 Rimontando attentamente la valle della Stura di Cuneo dal suo sbocco nel Tanaro e sempre tenendoci lungo la corrente del fiume, dopo aver percorsi oltre a 15 chilometri, osserviamo che, dapprima sulla sponda sinistra, 1 chilometro circa a monte del rio S. Giacomo, e poco dopo anche sulla sponda destra, i. ter- reni incisi dal fiume cangiano molto di natura, giacchè alle marne ed alle sabbie del pliocene marino si sostituiscono per sovrap- posizione conglomerati, sabbie e marne di natura assai differenti dalle prime, cioè un complesso di strati che, per il loro carat- tere litologico e pei fossili che contengono, debbonsi indubbia- mente ascrivere alla formazione delle cosidette alluvioni plio- ceniche. Tale cangiamento dipende dal fatto semplicissimo che, sollevandosi verso monte poco a poco il letto della Stura per il natural pendìo, gli strati marini pliocenici che non si innal- zano debbono necessariamente insinuarsi sotto il letto stesso del fiume, scomparendo così allo sguardo dell'osservatore, succedendovi invece le sovrapposte alluvioni plioceniche. Ma se dal livello della Stura ci innalzassimo sulle terrazze laterali, potremmo 0s- servare assal bene in diversi punti, e specialmente nei rii di S. Giacomo, della Tagliata e nel torrente Veglia, il reciproco rapporto tra queste diverse formazioni geologiche , il diminuire in potenza di queste alluvioni verso Nord, e vedere che il can- giamento sovraccennato sì compie sempre più a valle del punto sopraindicato man mano che saliamo sulle terrazze più elevate. Proseguendo invece a rimontare la corrente della Stura vediamo che le alluviori plioceniche assumono la straordinaria potenza di 70,80 metri e più, formando quasi intieramente il promontorio collinoso su cui siede la città di Fossano; le possiamo così se- guitare verso monte per 10 e più chilometri sempre ben svi- luppate su ambe le sponde della Stura, finchè anch’esse scom- paiono poco a poco sotto il letto del fiume, venendo a loro volta sostituite dal di/uvium sovrastante che si è fatto man mano più potente, senza che però si possa osservare bene il rapporto tra queste due formazioni geologiche a causa degli scarsi spac- cati naturali esistenti in quella regione. Ora per convincerci che il terreno in discorso si deve ascri- vere veramente alle Alluvioni plioceniche e non già al diluvium, e per prenderci un'idea un po’ esatta della loro costituzione nella valle della Stura, possiamo esaminare alquanto minutamente una località, dove ampi spaccati naturali mettano chiaramente. in 2592 FEDERICO SACCO vista i varii terreni componenti la formazione geologica in di- scorso. Ciò si verifica appunto sulla sponda sinistra del fiume, un chilometro circa a N. E. della città di Fossano, giacchè quivi si osservano alcuni enormi tagli quasi perpendicolari, da cui si può ricavare la seguente costituzione geologica : \ Humus (1 metro di spessore) - 370 m. sul livello (VII) 3; del mare. ì) Q iottoli e terra gialla del di/uvium (16 m. circa). Marna giallo-grigiastra alquanto sabbiosa (4 m.). onglomerati e sabbie (4 m.). arna gialla (5 m.). DES f Sabbie e conglomerati alternati e commisti (10 m.). ‘i Sabbia marnosa - Marne calcaree argillose biancastre - Zanne di Proboscidati (8 m.). (V) - Sabbie argillose giallastre (8 m.). Cesa con ciottoli improntati e screpolati ; lenti sabbiose, legno limonitizzato (5. m.). (IV) \ Sabbie fine e grossolane spesso di color giallo ocra (III) - Marne gialle o grigie, spesso un po’ sabbiose, ta- lora di colore verdastro ed anche calcaree e dure. Clausilia mastodonphila ecc. (20 m.). (II) - Banco potente di marne, sabbie, conglomerati, in strati alternati spesso giallastri (24 m.). (I) - Porzione superiore del Pliocene marino rappresen- tato da sabbie e marne. 275 m. circa sul di- vello del mare. La parte inferiore di questa sezione, quella cioè al disotto di 280 m. sul livello del mare, non si può osservare nelle lo- calità qui indicate, giacchè appunto a tale altezza quivi si trova il livello del fiume; ma fu invece dedotta da ciò che si vede più a valle, per completare la sezione. Debbo ora subito aggiun- gere che, se il rapporto tra le diverse formazioni componenti questo spaccato è in complesso abbastanza costante anche in località lontane fra di loro, questa costanza scompare quando noi vogliamo fare dei riscontri più minuti. giacchè si osservano NUOVE SPECIE FOSSILI DI MOLLUSCHI LACUSTRI E TERRESTRI 258 mutazioni abbastanza grandi sia nella composizione che nella potenza delle alluvioni plioceniche da una località all'altra, nella stessa valle della Stura: ciò dipende dal fatto che qui non si tratta di veri strati, ma bensì di un’alternanza irregolare di lenti più o meno allungate, costituite di marne, di sabbie o di con- glomerati, che ci indicano depositi ora tranquilli ed ora torren- ziali, a seconda delle variazioni nella caduta delle pioggie e delle nevi e specialmente per l'irregolare e frequente spostarsi delle correnti acquee sulla pianura padana in quell'epoca. Però, se confrontiamo l’ultimo spaccato con quello soprade- scritto per la regione di Villafranca d'Asti, possiamo osservare che la corrispondenza è abbastanza manifesta; anzi io ho creduto di poter segnare con cifre romane eguali gli strati o complessi di strati che mi paiono corrispondenti nelle due località; non già ch'io creda che tale correlazione sia dovunque perfetta, ma al- meno molto prossima al vero nel maggior numero dei casi. Infatti alle marne e sabbie del pliocene marino (I) vediamo sovrapporsi, in ambedue le regioni, un banco assai potente (II) generalmente giallastro, costituito però di elementi, in complesso, più grosso- lani a Fossano che non a Villafranca; l'orizzonte (III) è molto ben caratterizzato dalle marne verdastre e dalle marne calcaree, ma soprattutto paleontologicamente da una bellissima specie di Mollusco d’acqua dolce, cioè dalla Clausilia mastodonphila E. Sism., nonchè da Helix, ecc.; la correlazione degli strati (IV) e (V) è pure provata paleontologicamente dai resti di Pro- boscidati, ai quali vanno talora uniti resti di Cheloni, come io potei verificare nelle alluvioni plioceniche di Fossano, aven- dovi rinvenuta una piastra marginale di £mys spec., già men- zionata dal Dottor A. Portis (1); il complesso di banchi segnati col numero (VI) può naturalmente ritenersi come abbastanza concordante nelle due località; infine l'orizzonte (VII), che non ha più nulla che fare colle alluvioni plioceniche, si deve in- dubbiamente attribuire al quaternario, sia a Villafranca che a Fossano. Nel complesso poi si può notare che nel territorio di Fossano le alluvioni plioceniche sono generalmente più potenti e costi- (1) A. Portis, Nuovi Cheloni fossili del Piemonte. Memorie della R. Ac- cademia delle Scienze di Torino, Serie II, tomo XXXV, 1833. 254 FEDERICO SACCO tuite di materiali più grossolani che non altrove in Piemonte , il che si comprende facilmente, essendo questa regione circondata, molto da vicino, da elevate catene montuose, per cui le masse acquee alluviali dovevano quivi possedere ancora tale forza da trasportare spesso materiali assai grossolani ed in grande quan- tità, ciò che non si verificava nella valle padana in Piemonte in regioni poste più al Nord di questa e nelle quali osservinsi le alluvioni plioceniche. Fatta così una rapida descrizione delle alluvioni plioceniche in Piemonte e particolarmente nella valle della Stura di Cuneo, possiamo passare all'esame dei Mollùschi che vi si rinvengono, avvertendo che essi sì trovano quasi esclusivamente nel piano (III) e soltanto negli strati marnosi, giacchè, là soltanto dove si for- mavano depositi tranquilli di lago o di palude, potevano vivere e moltiplicarsi i Molluschi lacustri, oppure esservi trasportati in buon stato di conservazione 1 Molluschi terrestri. Quantunque tutti i Molluschi da me rinvenuti appartengano alle alluvioni plioceniche di Fossano, ho creduto tuttavia di men- zionare eziandio le quattro specie trovate dal Sismonda a S. Paolo presso Villafranca d’Asti, sia per completare il quadro dei Mol- luschi terrestri e lacustri finora conosciuti in Piemonte in questa formazione geologica, sia perchè due di queste specie sono nuove e non ancora descritte come tali. Debbo ora per debito di riconoscenza rendere i dovuti rin- graziamenti al gentilissimo signor Carlo Pollonera, il quale, per le sue profonde cognizioni Malacologiche, mi fu di validissimo aiuto nello studio e nella descrizione dei sopradetti Molluschi fossili (1). (1) Questi Molluschi sì trovano ora nella collezione del R. Museo Geolo- gico di Torino, al quale ne ho fatto dono. NUOVE SPECIE FOSSILI DI MOLLUSCHI LACUSTRI E TERRESTRI 255 LAMELLIBRANCHIATA (1). ASIPHONIDA. Unio ? L'unico Mollusco bivalve che siasi finora rinvenuto nelle. al- luvioni plioceniche del Piemonte, è questa forma trovata nella località di S. Paolo insieme col Mastodonte angustidente. Essa fu riferita dal Prof. E. Sismonda all’ Unio pictorum Ll. prov- visoriamente, ed è figurata nella Memoria sovraccennata (2); siccome di questo fossile si possiede finora un solo esemplare monco e piuttosto in cattivo stato, non possiamo tentare di aprirne le valve per osservarne la cardinatura, temendo di di- struggere tutto il fossile; dobbiamo perciò aspettare che si trovi almeno un altro esemplare di ricambio. È però molto probabile che questa non sia VU. pietorum, ma una specie nuova fossile, come..in generale la fauna che l'accompagna , tanto più che la sua forma molto depressa ed altri caratteri esterni la avvicine- rebbero piuttosto ad una Microcondylaca (Leguminaia) di cui esistono tuttora due” specie in Piemonte. Sì trova in terreno PiPricso giallastro. -__;»°’‘’©&LOSSOPHORA. GASTEROPODA. Vivipara Pollonerae Succ. (F. 1). Testa ventrosa subglobosa, longitudinaliter striata ; striae munutae et uniformes; anfractus quinque vel sex, valde con- veri, «ande suturae profundae; anfractus ultimus, prope aper- turam, dimidia longitudine brevior. Apertura angusta, valde (1) Ho seguito la classificazione adottata dal Prof. KarL A. ZiTtTEL nel ‘suo recente Handbuch der Palaeontologie. (2) E. Stsm., Osteografia di un Mastodonte angustidente. V: ante. 256 FEDERICO SACCO obliqua, ovalis, subangulosa supcrne. Umbilicus angustus } pe- ristoma continuum, gracile, ad basim tantum revolutum; margo columellaris liberus. Alt. 25 muillim. Lat. 16 maillim. Di questa specie si posseggono finora due soli esemplari tro- vati a S. Paolo, e furono attribuiti dal Prof. E. Sismonda alla Paludina lenta Brand., da cui però diversifica per moltissimi caratteri, come sì può vedere nell’opera classica del Prof. Sand- bergher (1); la forma a cui meglio si avvicina, è la V. contecta Millet ora vivente in Europa. Dedico questa specie al gentile quanto valente malacologo Carlo POLLONERA. Cyclostoma fossanense Sacc. (E-.12 0, 0). Testa parva, turgida, umbilicata ; anfractus quinque, valde converi, longitudinaliter et transversim costulati, excepto nu- cleo embrionali laevi; costulae longitudinales inaequales, ma- iores inter se valde distantes, minores, duo vel tres, maioribus interpositae; costulae transversae inaequales, maior et minor alternatae. Alt. 10-12 millim. Lat. 8 millim. Questa specie nella forma generale si avvicina al C. elegans Mill. vivente tuttora in Europa, ma se ne distingue per la mole minore e per l’essere meno slanciata, ma soprattutto per il di- versissimo modo di costulatura. È il fossile più comune nelle alluvioni plioceniche di Fossano, sia nelle marne argillose che in quelle sabbiose. Pomatias spec. Nelle aliuvioni plioceniche di Fossano trovai una forma di Mollusco riferibile a questo genere, senza che lo abbia potuto specificare a causa dei pochi esemplari guasti che posseggo. È di dimensioni piccole, ed ha molta somiglianza, specialmente alla base, col P. septemspiralis Raz, vivente nelle regioni circum- mediterranee, non in Piemonte, eccetto alcuni individui trovati presso Serravalle Scrivia dal Prof. A. Issel. (1) D.FrIpoLIN SanpBERGER, Die Land-und Stisswasser-Conchylien der Vorwelt, 1870-75. NUOVE SPECIE FOSSILI DI MOLLUSCHI LACUSTRI E TERRESTRI 257 Limnaeus plicatus Saicc. (P-7309,, d* Testa maxima in parte laevis, ad suturam supernam minute et crebre longitudinaliter plicata; anfractus quinque, ultimus ?/, totius longitudinis subaequans. Alt. 13 millim. Lat. 5 millim. Questa specie è alquanto simile nella forma al L. pere- ger Drap.; che vive in tutta l'Europa. È rarissimo, e si trovò solo nel territorio di Fossano sinora. Planorbis anceps Sacco. (Fida; d). Testa parum depressa; anfractus quatuor vel quinque, sub- medio carinati; carina acuta, non producta, ad basim proxi- mata. Lat. 16-18 millim. Differisce dal P. Ungheri Reuss per la mole minore, e per essere meno schiacciato. Non è raro nel territorio di Fossano; finora non trovato altrove. Appartiene al gruppo dei Tropidiscus. Siccome questa specie non è ancora ben conosciuta in tutte le sue parti, avendosi solo campioni incompleti, le diedi il nome specifico di anceps. Planorbis spec. Ho pure ritrovato nelle alluvioni plioceniche di Fossano un'altra specie di P/anorbdis, che pare abbia la carena appros- simata all'apice e non alla base come nella specie sopradescritta, ma possedendone un solo esemplare incompleto non posso peri- tarmi a specificarlo. Glandina pseudoalgira Sacc. (BSd5): Distinguunt hane speciem a G. algira Beck sequentes notae: Apertura longior et superne angustior, anfractus magis com- planati. Alt. 40 millim. circiter. Lat. 15 millim. 258 CLERO FEDERICO SACCO Inoltre da quanto si può giudicare dagli ultimi due anfratti, la spira si va svolgendo più lentamente che nella G. «lgira. Non è rara presso Fossano. Siccome la G. algira trovasi nel- la Dalmazia, nell'Italia meridionale, nella Sicilia, nella Grecia, nell’Algeria ecc., cioè nelle regioni circum-Mediterranee, ma non in. Piemonte, così noi possiamo giustamente supporre che questa specie fossile, molto simile alla G. algira, richiedesse pel suo sviluppo un clima simile a quello che ora esiste nelle regioni circum-Mediterranee, e che quindi tale clima esistesse in Piemonte, non essendo ancora tutta la valle Padana sgombra dalle acque marine, quando si depositavano le marne che rac- chiudono i fossili in discorso. Hyalina Faustinae Saicc. (E s6n 00): Testa minuta, nitida, subdepressa; anfractus quinque, re- gulariter involuti, superne vix converi, laeves; ultimus ad basim satis convexus et minutissime radiatim striatus; apertura se- milunata; umbilicus angustissimus. Alt. 1:3/, millim. Lat. 3 maillim. Questa specie è alquanto simile alla H. diaphana Studer per l'aspetto generale, ma ne differisce per molti caratteri, come: forame umbilicale ben visibile quantunque piccolissimo, dimen- sioni minori, forma generale più depressa, quantunque abbia la spira più conica, più fortemente striata, ed infine per avere solo 5 anfratti, mentre la H. diaphana ne ha 5 !/ o 6. Ha pure qualche somiglianza nell’ aspetto generale colla H. narbonensis Cless., anche nel modo di svolgersi della spira, ma se ne distingue pel suo forame strettissimo e per la bocca meno serrata. Appartiene al gruppo della Vytreda. Ì) piuttosto rara, finora ne rinvenni solo due esemplari, ma in pei fetto stato di conservazione, nelle alluvioni plioceniche di Fossano. Dedico questa specie a mia madre. Hyalina spec. Rinvenni pure presso Fossano un’altra specie di Hyalmza , molto differente dalla specie sopradescritta, specialmente per le NUOVE SPECIE FOSSILI DI MOLLUSCHI LACUSTRI E TERRESTRI 259 dimensioni maggiori, avendo questa un diametro. di oltre 14 millim. Si avvicina alquanto alla H. glabra Studer tuttora vi- vente, specialmente per l'ombelico strettissimo, ma però è molto più depressa della H. glabra. Siccome finora non posseggo che campioni incompleti di questa specie, mi limito ad accennarla soltanto, senza tentare di de- terminarla. Helix depressissima Sacco. (Raro): Testa depressissima, acute carinata; carina ad aperturam evanescens; latissime et perspective umbilicata ; anfractus 5 LA celeriter involuti, transversim minutissime striati; apertura depressa, lata, edentula. Peristoma simplex, non deflexum , interruptum. Alt. 7 millim. Lat. 22 millim. Non rara nelle alluvioni plioceniche di Fossano. Probabil- mente vi esiste pure un’altra specie di /el7x molto somigliante a questa, ma non carenata; in mancanza di individui completi debbo per ora astenermi dallo specificarla. Helix Bottinii Saicc. (F. 8). Testa globoso-depressa, striata; anfractus quinque, regu- lariter involuti, subcarinati; ultimus prope aperturam valde converus, non carinatus; apertura parum obliqua; peristoma interruptum, reflerumi; umbilicus subtectus. Alt. 27 millim. Lat. 40 millim. Questa specie appartiene al gruppo della H. vermicularia Bon. (1), ma si distingue facilmente per la mancanza delle increspature e rugosità del guscio, che in essa è regolarmente e finamente striato ; inoltre VM. vermicularia ha dimensioni più piccole, bocca più obliqua e portata molto più al disotto del- l’ultimo anfratto, che giunto in prossimità di essa si piega for- (1) MicaeLotTI, Rivista di alcune specie fossili della fumiglia dei Gaste - ropodi. Annali delle Scienze del R. Lombardo-Veneto, 1840. 260 FEDERICO SACCO temente in basso. Nè si potrà confondere colla specie trovata dal Prof. Issel nelle caverne ossifere della Liguria e da lui at- tribuita all'H. vermicularia Bon. (1), giacchè la sua figura rappresenta una specie assai grande a labbro poco risvoltato infuori, senza traccia di carena e munita delle caratteristiche rugosità, mancanti nella Helix in discorso. A maggior schiarimento delle mie osservazioni, credo utile dare la figura della H. vermicularia Bon. (F. 9 a, db), sia perchè non ancora pubblicata, sia come termine di confronto, notando però che questa specie non appartiene per nulla alla formazione geologica delle alluvioni plioceniche, ma bensì al plio- cene superiore marino, essendosi trovata nella valle Andona, assieme a fossili marini. L’'H. Bottinii è una specie abbastanza comune nelle alluvioni plioceniche di Fossano. Tra i diversi campioni che ho potuto raccogliere, ebbi occasione di osservare alcune differenze spe- cialmente nel peristoma, ma credo che si possano considerare come semplici varietà e non come differenze specifiche. Inoltre noi possiamo spesso osservare in queste Helzx, come pure in generale nelle altre forme di questo orizzonte presso Fossano, grandi deformazioni per schiacciamento , sì che talora una stessa specie prende forme diversissime e molto curiose che potrebbero trarre in errore; ciò è dovuto alla fortissima compressione che esercitano i settanta e più metri di terreni sovrastanti a queste marne argillose fossilifere. Dedico questa specie al Dott. E. BorTINI che colla sua scienza mi salvò la vita. Helix magnilabiata Sicc. (F. 10 a, d). Testa globosa, obtuse carinata, striato-vermiculata; an- fractus quinque, ultimus rotundatus; apertura subovata; peri- stoma latum, revolutum, interruptum; umbilicus obtectus. Alt. 23 millim. Lat. 85 millim. Anche questa ha somiglianza colla H. vermicularia Bon. ; ma ne differisce per le sue dimensioni maggiori, pel guscio molto (1) Il signor NEvILL negò l’identità di questa forma coll’Helix vermicu- laria Bon. e le diede il nome di H. mentonica, NUOVE SPECIE FOSSILI DI MOLLUSCHI LACUSTRI E TERRESTRI 261 meno increspato e più finamente striato, per l’apertura più larga e meno obliqua, ed infine per il labbro esterno molto più pro- tratto in avanti al disopra dell'apertura, cosicchè - di profilo il suo contorno resta molto più obliquo ed alquanto sinuoso, So- miglia pure alquanto all’H. Lottinii Sacc., ma ne differisce ‘in ciò che Vl H. Bottinit è più grande, senza. increspature sul guscio, con forma in generale più depressa, con dimensioni mag- giori, ed inoltre ha il labbro columellare rigonfio (mentre nella H. magnilabiata il labbro è incavato) che non ricopre intera- mente l’ombelico lasciando aperta una piccola fessura. È poi ancora meno rassomigliante all’. lactea Mall. a cui fu riferita dal Prof. E. Sismonda. Trovata finora soltanto a S. Paolo. Helix spec. Rinvenni nelle alluvioni plioceniche di Fossano un’altra specie di Helix del gruppo della H. nautiliformis Porro, tuttora vi- vente in Piemonte e Lombardia; ma non è possibile specificarla, per il cattivo stato di conservazione in cui trovansi i campioni finora ritrovati; solo possiamo dire che essa appartiene al sot- togenere Anchistoma ed alla sezione dei Drepanostoma. Cionella spec. Sempre nella stessa località trovai un Mollusco riferibile al genere Cionella, del gruppo della C. lubrica Mill. vivente in tutta l Europa; per le dimensioni si avvicina molto alla O. esigua Menk., ma avendo solo campioni incompleti non posso darne la descrizione. Caecilianella spec. L'unico esemplare di questo genere finora trovato presso Fossano, si frantumò mentre si tentava di liberarlo dalla marna che lo avvolgeva, quindi non possiamo dir nulla di preciso in- torno ad esso; pare tuttavia che si avvicini alla C. acicula Mull. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XIX. 18 262 FEDERICO SACCO Clausilia (7riptychia) mastodonphila E. Sisw. (E. dla, e, td): Testa sinistrorsa, subfusiformi, postice ventricosa, in lon-- gitudinem striata, striîs confertis, rectis, interstitia subaequan- tibus; anfractus 15, planiusculis, subscalariformibus ; sutura canaliculata; apertura angusta, ovato-pyriformi, fere ringenti; columella triplicata, plica postica oblique-sinuosa, ceterisve maiori; peristomate continuo, soluto, reflexiusculo, postice in canalem producto. È questa la descrizione data dal Prof. E. Sismonda, nella sua già citata Memoria, per la specie trovata a S. Paolo; si può aggiungere che la specie di S. Paolo la le seguenti dimen- sioni: Alt. 35 millim. Lat. 10 millim. (F. a, C). Quantunque già descritta dal Prof. E. Sismonda io ho cre- duto dovere qui accennare questa forma specialmente perchè l'ho ritrovata eziandio abbondantissima nelle alluvioni plioceniche di Fossano, dove raggiunge dimensioni anche maggiori (F. 11, d, e, d) di quelle che ha la specie di S. Paolo, ed inoltre perchè in tutti gli individui che ho esaminato non rinvenni mai il clausilio, per cui questa specie, anche per altri caratteri, si deve riferire al sottogenere 7y/ptychia, istituito dal Sandberger nel 1870 (1). Differisce per molti rispetti sia dalla Clausilia (Triptychia) Terveri Michaud, sia dalla Clausilia (Triptychia) grandis Klein. Questa bella specie rinvenuta a S. Paolo e comunissima a Fossano, serve molto bene ad indicarci l’equivalenza geologica di terreni situati in località abbastanza distanti. Probabilmente nelle alluvioni plioceniche di Fossano esiste pure un’altra specie di Clausilia, di dimensioni più piccole molto di quelle della sopradescritta, ma dubitando che si tratti di una forma giovanile della C. mastodonphila E. Sismond., debbo per ora tralasciare di specificarla. (1) Questo sottogenere fu dal BourgtianaT, nel 1877, appellato anche Milne Edwarsia. NUOVE SPECIE FOSSILI DI MOLLUSCHI LACUSTRI E TERRESTRI 268 Pupa Bellardii Sacc. (Pola e, di). Testa dolioliformis, spira ad apicem subobtusa: anfractus octo, longitudinaliter costulati: costulae tenues subuniformes, obliquae; anfractus ultimus in tertia parte, aperturae contiqua, transversim unisulcatus; suturac axi testae vix obliquae. Aper- tura subtriangularis; labium dexterum sinuosum, submedio externe concavum, interne converum subdentatum. Columella edentula, regio parietalis unidentata: dens compressus, longus ; sinulus profundus. Alt. 4 mill. Lat. 2 1/, millim. In questa specie al posto dell’ ombelico vi è un solco pro- fondo, attorno al quale si aggira l'ultimo anfratto ottusamente carenato nella sua porzione inferiore. Si trova rarissima nelle alluvioni plioceniche di Fossano; l'ho dedicata al Prof. L. Bellardi, sapiente quanto paziente illustra- tore della fauna malacologica fossile del Piemonte, e mio amore- vole maestro in questi studi paleontologici, Sono queste le specie di Molluschi finora ritrovate nelle al- luvioni plioceniche in Piemonte. Naturalmente questa lista è ben lungi dall’essere completa, giacchè per renderla tale per quanto è possibile, si dovranno fare ulteriori studi ovunque si può os- servare questa formazione geologica. Da parte mia continuerò diligentemente le ricerche in proposito, ed in modo speciale nelle alluvioni plioceniche di Fossano che diedero già un tributo così abbondante su questo riguardo. 264 FEDERICO SACCO - NUOVE SPECIE FOSSILI DI MOLLUSCHI ECù. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Vivipara Pollonerae Sacc. (F. 1). Cyclostoma fossanense SAcc. (F. 2 a, d). Limnaeus plicatus Sacco. (F. 3 a, D). Planorbis anceps Sacc. (F. 4 a, d). Glandina pseudoalgira Sacco. (F. 5). Hyalina Faustinae Sacco. (F. 6 a, db, c). Helix depressissima SAcc. (F. 7 a, d, c). Helix Bottinii Sacc. (F. 8 a, bd). Helix vermieularia Box. (F. 9 a, d). Helix magnilabiata Sacc. (F. 10 a, D). Clausilia (Yriptychia) mastodonphila E. Siswp. (F_11a,b,c, de). Pupa Bellardii Sacc. (F. 12 a, bd, c, d). —QUICIS_ Il Socio Comm. Prof. E. D'Ovipio presenta e legge il se- guente lavoro del sig. Dott. Corrado SEGRE, Assistente alla Cattedra di Algebra complementare nella R. Università di Torino, SULLE RIGATE RAZIONALI IN UNO SPAZIO. LINEARE: QUALUNQUE, In alcune ricerche sui fasci di coni quadrici in uno spazio lineare ad un numero qualunque di dimensioni, i cui risultati esporrò prossimamente, mi fu necessario studiare le superficie rigate a 2 dimensioni d'ordine » dello spazio ad 7 4-1 dimensioni. Tali rigate sono sempre razionali e possono esser generate come luogo del'e rette d’intersezione degli ,S, (spazi lineari ad » dimen- sioni) corrispondenti di » fasci proiettivi, e da tal punto di vista esse furono già studiate dal Veronese nel $ 4 della 5° parte di un suo importante lavoro (*). Però pel mio scopo occorreva risolvere quest'altra questione: quante specie di tali rigate vi siano dal punto di vista proiettivo, vale a dire quando è che due tali rigate si possono trasformare proiettivamente l'una nell'altra. Il Veronese dalla generazione accennata dedusse che tutte quelle rigate sono tra loro proiettivamente identiche (**) e perciò diede ad esse il nome di rigate normali: invece, prendendo un altro modo di generazione delle rigate stesse, mi riuscì facile lo scorgere che quella conclu- sione non era rigorosa, poichè al contrario (escludendo il gruppo ian nol Ù) ARE TRRE E dei coni) vi sono 7g oppure > gruppi di tali rigate (secondo che n è impari o pari) in modo che due rigate si possono (*) Behandlung der projectivischen Verhdltnisse der Riume von verschie- denen Dimensionen durch das Princip des Projicirens und Schneidens, Mathematische Annalen, Bd. XIX, p. 161-234. (**) Loc. cit., p. 228: Dahzr miissen alle cigenllichen R, - Fyn! des R, projectivisch gleichberechligl sein. 266 CORRADO SEGRE trasformare proiettivamente l’una nell’altra solo quando appar- tengono allo stesso gruppo. Di questi vari gruppi di rigate poi trovai diverse proprietà, la cui esposizione costituisce l’oggetto di questa nota. Le rigate razionali d'ordine » degli spazi lineari di numero di dimensioni minore di 72.4 1 si possono ottenere mediante proiezioni da quelle considerate appartenenti allo spazio ad n + 1 dimensioni. Perciò anche in quegli spazi le rigate razionali formeranno vari gruppi, le cui proprietà si dedurranno da quelle dei gruppi di rigate di cui sono le proiezioni. In particolare si ottengono così delle pro- prietà delle rigate razionali dello spazio ordinario, rigate che vennero specialmente studiate dal Clebsch (*), il quale ne diede una distin- zione in gruppi, coincidente affatto con quella che io qui ne trovo. Il Clebsch si era occupato specialmente della rappresentazione di quelle rigate su un piano: pensai che questa rappresentazione si potesse pure ottenere proie'tando le rigate dello spazio ad x + 1 dimensioni su un piano ed infatti, resa univoca con un semplice ar- tifizio la proiezione di quelle rigate su un piano, ottenni con quei mezzi semplicissimi, che costituiscono appunto il metodo del proiet- tare, tutte le rappresentazioni piane date dal Clebsch insieme colle loro varie proprietà. Il confronto tra il metodo analitico te- nuto dal Clebsch per giungere ai suoi risultati e quello geometrico semplicissimo qui usato è assai interessante e potrà servire a provare sempre più al lettore l’utilità dell'uso della geometria degli spazi a quante si vogliano dimensioni per lo studio dello spazio ordinario. Per non allungare troppo questa nota ho omesso di approfon- dire ulteriormente la teoria delle rigate razionali ed altre teorie affini a questa; le mie ricerche su questo argomento potranno for- mare oggetto di altri lavori. Proprietà generuli delle F. rigate in unisa.. 4. Consideriamo in uno spazio lineare ad #41 dimensioni una superficie rigata a 2 dimensioni d’ordine », Y,”, la quale suppor- remo non sia contenuta in uno spazio lineare di meno che n 41 di- (*) Ueber die geradlinigen Flichen vom Geschlechte p=o. Math. Ann. V, p. 1-26. SULLE RIGATE RAZIONALI 267 mensioni e che inoltre non si scinda in superficie d’ordine inferiore. Da queste ipotesi segue che un S, qualunque taglierà in generale F," secondo una curva d'ordine x non degenere e non contenuta in ispazi lineari a numero di dimensioni minore di », cioè secondo una curva razionale normale per un S, (*). Quindi la nostra ri- gata, avendo le sue generatrici corrispondenti univocamente ai punti in cui tagliano una tal curva, sarà anch'essa razionale. Nel caso in cui tutte le generatrici passassero per un punto, la rigata sarebbe un cono razionale d’ordine n: noi escluderemo d’or innanzi questo caso, poichè le proprietà di questi coni si trovano immediatamente considerandoli come provenienti dal proiettare una curva normale d'ordine n dello spazio ad » dimensioni da un punto posto fuori di questo. 2. Ogni S, taglia la 7,“ in una curva normale d'ordine #, 0p- pure in una curva d’ordine % < » incontrata da tuite le generatrici ed in w»—% generatrici; ma non può la curva d intersezione scin- dersi in due o più curve propriamente dette, altrimenti la rigata si scinderebbe in altre rigate, le cui generatrici taglierebbero rispet- tivamente quelle varie curve. Possiamo aggiungere che ogni curva di ordine 7. =» contenuta nella superficie è una curva normale dello spazio ad m dimensioni, vale a dire, non sta in uno spazio di minor numero p. di dimensioni: infatti se stesse in un tale spazio, siccome tutte le seneratrici dovrebbero tagliare quella curva si potrebbe per lo spazio stesso e per 7» — p. punti della superficie posti fuori di esso e su generatrici diverse far passare un S,, il quale conterrebbe le n— p. generatrici passanti per quei punti ed inoltre la curva d’ordine im e quindi taglierebbe la superficie in una curva composta d’ordine n4+m_—-pu>n, il che non può essere se quell’ S,, non contiene tutta la superficie. — La stessa dimostrazione prova che anche quando la curva d'ordine n. sì scinde in più generatrici ed una curva semplice direttrice, essa non può appartenere ad uno spazio di meno che 72 dimensioni. Come applicazione di quest’ultima proposizione abbiamo che ogni curva semplice d'ordine = » contenuta nella superficie, taglia ciascuna generatrice in un punto solo. (*) V. CLurrorp, On the classification of Loci (Philosoph. Trans., 1873, p.663-681, od anche Mathematical Papers, p. 305-329), e VERONESE, Loc. cit., n.35 e seg. 368 CORRADO SEGRE 3. Imaginiamo condotto un .S, per un certo numero di gene- ratrici della /°,”: esso taglierà ancora questa superficiein una curva, la quale potrà decomporsi in altre generatrici ed una curva d'or- dine inferiore, ma certamente conterrà sempre una curva semplice direttrice, vale a dire incontrata da tutte le generatrici della rigata, perocchè ciascuna generatrice incontra quell’ S,. Siccome per un S, la condizione di passare per una data generatrice equivale alle due condizioni di passare per due punti di questa, così possiamo assog- n4- 1 gettare un $,, alla condizione di passare per generatrici, se 4 ; n _i ? 5 na ; 3 è impari, e per 5; generatrici se n» è pari. Allora l'intersezione di quell’S, colla nostra rigata conterrà oltre ad un certo numero di generatrici una curva semplice normale, il cui ordine sarà al più n_-1 uguale ad { gna ; i , ovvero ad 2; Concludiamo dunque che : Ogni 1," rigata dello spazio lineare ad n+1 dimensioni contiene almeno n_- 1 n una curva normale, il cui ordine non supera Tia ovvero d; se- condochè n è dispari 0 pari. Il. | -Distinzione delle rigate considerate in qruppi. 4. Al risultato ora ottenuto aggiungiamo che la 7," non può ; : 3. Ò ie . ‘att to DA ”- . contenere due curve semplici direttrici, i cui ordini # , # siano tali che nm -+m" <<», poichè altrimenti ogni generatrice dovendo încontrarle entrambe, la rigata sarebbe contenuta in un Sym 4. condotto per gli 8, 9, contenenti quelle curve. Di qui segue che O su 4 act 2 Meri se una /," contiene una direttrice il cui ordine # sia = pia 1) n è impari, ovvero < ; Se nè pari, essa non contiene altra direttrice semplice il cui ordine sia inferiore ad »—m e quindi in particolare i 3 Ang 3 È dei nessun’ altra direttrice il cui ordine sia pure = i ovvero n . i < Di Se poi, per n pari, la £', n contiene una direttrice il cui or- SULLE RIGATE RAZIONALI 269 È . n : î F si DELI dine sia — 5 essa non conterrà alcuna curva direttrice d’ordine inferiore, ma potrà però contenere (e contiene effettivamente, come vedremo) altre curve dello stesso ordine. Queste osservazioni ci mostrano dunque che: dn ogni spazio ad n+1 dimensioni, le rigate di ordine n sono di diverse specie, ben distinte tra loro, a seconda dell'ordine della direttrice minima (vale a dire d’or- dine minimo) che esse contengono, quest'ordine potendo variare ‘n—-1 n daeleadi => -\0vwvero-ad.= 2 2 Chiameremo una rigata dell’ 1 esimo gruppo quando la sua direttrice minima è dell'ordine #. Quindi le rigate del 1° gruppo hanno per direttrice minima una retta, quelle del 2° gruppo una conica, quelle del 3° sruppo una cubica e così via. Nello spazio a Basie Bilo ai ; e nl i numero pari di dimensioni, cioè per 7% impari, vi sono —— gruppi: n_—-1 l’ultimo ha per direttrice minima una curva normale d'ordine c z CARE REEAit n TAR Nello spazio a numero impari di dimensioni vi sono 5 gruppi: il Noia. x ernia è . n gruppo ($ )esimo ha per direttrici minime delle curve d’ordine 3: A questi gruppi di rigate si potrebbe aggiungere il gruppo dei coni, che noi abbiamo escluso dai nostri ragionamenti e pel quale l'ordine della curya minima è 0, poichè tutte le generatrici passano per un punto. 5. Consideriamo una 1," del gruppo 2 °° e diciamone 7” la direttrice minima, d'ordine 7. Se si conduce un ,S, per un numero di sue generatrici superiore ad 7, esso taglierà 7” in più di punti e quindi conterrà quella curva e non potrà perciò tagliare la superficie che in altre generatrici: ciò s'accorda col fatto già di- mostrato che la /," non può contenere curye semplici (direttrici) d'ordine inferiore ad #n—w all'infuori di 7”. Ma se invece si conduce un S, per sole # generatrici, allora la parte rima- nente della sua intersezione colla rigata non si decomporrà più in generale: sì può assoggettare quell’ 9, a passare oltre che per quelle generatrici per (n 27 +1) punti della rigata posti su altrettante nuove generatrici e fuori della 4”, ed allora si sarà certi che l'intersezione non si decomporrà più ulterior- 270 CORRADO SEGRE mente, perchè se si decomponesse dovrebbe contenere ancora vece ar (221) generatrici, cioè un insieme d’or- dine x + 1, il che non può essere. Dunque l'intersezione dell’ S,, così determinato colla rigata comprende oltre alle # generatrici una curva semplice d'ordine »—:7 passante per gli (n—- 27241) punti scelti ad arbitrio sulla rigata. D'altronde tenendo fisse quelle » generatrici e facendo variare quegli (n—2w+1) punti, vale a dire quell’ ,S, passante per le mm generatrici stesse, si otterranno come residui delle intersezioni della rigata con tali S, tutte le C"-" (curve normali d’ordine n-—m) contenute nella su- perficie; perocchè ogni C”7” di questa tagliando ciascuna delle #2 generatrici considerate starà sempre in un S, con esse. Quindi la proposizione dimostrata che la F",” rigata del gruppo ww ‘**° non con- tiene curve d’ordine inferiore ad n —m viene completata aggiun- gendo che: ogni rigata del gruppo m contiene però oo"T°""+! curve d'ordine n--m, una qualunque delle quali è individuata dalla condizione di passare per (n—- 2m+ 1) punti arbitrari della superficie. Due qualunque di tali curve d’ordine n — w si tagliano in #27 punti, poichè conlucendo per l’una di esse un $,, questo taglierà ancora la rigata in ww generatrici e taglierà l’altra curva in n—m punti, dei quali #m staranno rispettivamente su queste e gli altri n — 2 in conseguenza sulla prima curva (*). esimo È . COSTI x In particolare per x pari ed Co vediamo che su una : - i 3 n i 3 rigata d’ordine pari e del gruppo 9 | caino va sono: ag na sola, ; n ERE ; FAR . , ma oo! direttrici (minime) d’ ordine 3 come già avevamo asserito : per ogni punto della superficie ne passa una sola, e due qualunque di tali curve non hanno alcun punto comune. Esse si possono tutte ottenere come intersezione della rigata con un fascio di S',, il cui le sostegno è un S MI LU Hex : ; condotto per 5; generatrici arbitrarie. ld (*) Cogli stessi ragionamenti si dimostrano le seguenti proposizioni: Su < ogni rigala d'ordine n del gruppo mesimo esistono, per o SS my, on-2k+1 direttrici d’ ordine n—k in modo che per (n—-2kh+1) punti arbitrari della superficie ne passa una delerminata: lutte queste curve si possono ottenere come residuo dell’ intersezione della rigata cogli Sn passanti per h sue generatrici fissate ad arbitrio. -- Due direttrici degli ordini n — hi, n—- kh" del'a superficie si lagliano in n — h'— kY” punti. — Queste proposi- zioni possono servire di fondamento per una geometria sulla superficie, SULLE RIGATE RAZIONALI 271 DEC Costruzione delle rigate e loro equazioni canoniche. 6. Ora siamo in grado di provare l’esistenza effettiva delle superficie dei vari gruppi, ossia di costruirle. Considerando in fatti la F," del gruppo mesimo, si vede che |’ ,S,,_,, contenente una qualunque delle sue C'"7” non può avere una posizione particolare rispetto all’ S,, contenente la direttrice minima %?, vale a dire non può avere punti comuni con esso, perocchè altrimenti per quel S,,_,,, e questo S,, si potrebbe far passare uno spazio ad un numero di dimensioni < n +1 il quale conterrebbe necessariamente la superficie, il che non è, per ipotesi. Inoltre osserviamo che due curve semplici qualunque d'ordine =» della superficie, ed in particolare la direttrice minima d'ordine # e ciascuna delle di- rettrici d'ordine n» — m, sono punteggiate proiettivamente dalle ge- neratrici, perocchè per ciascun punto di ogni curva passa sempre, come vedremo tra poco (v. alla fine del n. 9) una sola genera- trice, ed ogni generatrice taglia in un punto solo ciascuna curva (come osserrammo alla fine del n° 2). Inversamente abbiansi su due spazi lineari ad # ed » — #1 dimensioni indipendenti tra loro, cioè non aventi punti comuni, due curve normali C?, C£7" pun- teggiate proiettivamente: le congiungenti dei punti corrispondenti avranno per luogo, com'è facile vedere, una rigata d’ordine # (*). E semZ=%»—m, sarà la C” la (od una) curva minima di quella rigata, laonde questa sarà una 7,” rigata, non contenuta in ispazi di meno che »+1 dimensioni, e del gruppo wesimo. (*) In fatti nello spazio ad n+f dimensioni che congiunge quell’ Sy e quell’ Sn-m per avere i punti d’intersezione di un suo Sn—1 con quella rigata si può procedere come segue: ad un punto P della C» corri- sponde un punto della C#—» il quale è congiunto all’ Sn-1 da un Sy tagliante la C® in m punti P', e ciascuno di questi punti P' è con- giunto all’ Se—1 da un Sn tagliante la Carme in n-#m punti, a cui corrispondono altrettanti punti P_ della Cm; sicchè tra i punti P, P' di questa vi è una corrispondenza (nm, n — m) i cui m+(n—m)=n punti uniti sono quelli pei quali partono generatrici della rigata secanti l'Sa—1, sicchè n saranno quelle generatrici, ossia quella rigata è realmente d’or- dine n. 2192 CORRADO SEGRE In questo modo noi vediamo come si possano costruire le rigate d'ordine n dei vari gruppi dello spazio ad x + 1 dimensioni. Inoltre se si tien conto del fatto che le C* (e le C 7") normali si pos- sono tutte trasformare proiettivamente tra loro, risulta quasi im- mediatamente da quella costruzione che tutte le rigate di uno stesso gruppo sono protettivamente identiche tra loro, vale a dire che date in due spazi ad n+ 1 dimensioni due rigate d’ordine n appartenenti allo stesso gruppo, si può (in infiniti modi) determi- nare un’omografia tra quegli spazi nella quale quelle rigate si corrispondano. 7. Possiamo anche trovare una rappresentazione camonica e caratteristica di ciascun gruppo di superficie mediante equazioni. ‘alpi Lap ii Cms Ener È TR nate di un punto nello spazio ad x +1 dimensioni considerato ; potremo evidentemente supporre che la direttrice minima 7” di una superficie del gruppo mm esimo sia rappresentata dalle equazioni : Ln41 = su 0 2 LIMO ORE,T) xa e che una C”” sia rappresentata da : te cs ga Piz inoltre possiamo supporre che la corrispondenza proiettiva tra i punti delle due curve sia espressa dall’avere il parametro ) lo stesso valore per due punti corrispondenti di queste curve. Allora le coor- dinate di un punto qualunque della rigata, cioè di un punto posto su una congiungente di due punti corrispondenti saranno: a, g,=%, dai Do gn =” / —_ X n_m Lm4 = : La 5) È E aghi DIRLA nti = p. n Tenendo fisso ) in queste formule e facendo variare p. si hanno tutti i punti di una generatrice, e variando anche % si hanno tutti i punti della superficie. Dalle formule stesse poi si traggono SULLE RIGATE RAZIONALI 273 le n—1 equazioni della superficie eliminando Xe p: queste equa- zioni sì possono scrivere come segue: o di _%a__ A mp E pa Une a e _ Se aa 0, rr È} Li La L3 Xm Lmta LC m43 Znti od anche: Lo La Ly € Lm_a Lm-1 Tmti Lm+a 3 Ln 1) L, Ly X E X m_1I 9 m L m+2 CV m+3 . XL n+1i Questo sistema di equazioni si può riguardare come caratteristico per le superficie rigate /,” del gruppo m esimo ; esso ci mostra im- mediatamente ciò che avevamo già concluso dalla generazione geo- metrica, cicè che tutte queste superficie sono proiettivamente iden- tiche fra loro. EVS Proprietà diverse. 8. Una C” la quale sia secata da un S, (r<») in più di r + 1 punti o appartiene ad uno spazio a meno di » dimen- sioni, oppure si scinde in curve d'ordine inferiore; poichè per quell’ S. e per altri n —r—1 punti della C” posti fuori di esso si può in tal caso far passare un S,,_,, il quale taglia questa in più di (r+1)+(n—-r—1)=% punti e quindi la contiene o totalmente od in parte (*). Se ne deduce facilmente che se un S.(rm, al- lora l’.S,_, contiene più di »m punti della direttrice minima 7" (*) V. VERONEsE, Loc. cit., n. 49. 274 CORRADO SEGRE (cioè i punti di questa posti sulle 7% generatrici considerate) e quindi contiene questa stessa curva e per conseguenza non seca più la rigata in punti isolati, ma potrà secarla in altre generatrici. Se invece X = m, allora l’ S,_, non conterrà in generale y" : ma un S, passante per esso conterrà oltre alle % generatrici consi- derate una curva d'ordine n—% della rigata e questa curva ta- glierà quell’ S,_, in n—% punti di cui % posti su quelle stesse generatrici ed » — 2% fuori di esse. Dunque per % = wm possiamo dire che ogni S,_, contenente % generatrici della rigata la taglia ancora in n—-2% punti. 9. Di qui si può anche dedurre una proposizione più gene- rale. Posto rZ#— 1 si può sempre per % generatrici ed y — 2k+ 1 punti della rigata far passare un S,: orbene se % = w non esiste un S, il quale contenga oltre a % generatrici della rigata più dir-2%4+ 1 punti di essa posti fuori di queste (a meno che esso contenga inoltre una curva passante per questi punti). In fatti se esistesse un tale S, si potrebbe far passare per esso e per altri w—-xr—1 punti della rigata un S,,_; 11 quale verrebbe così a contenere, oltre alle / generatrici, più di (r— 2%4+1)+(m—r-1) =n_-2k punti, il che vedemmo non poter accadere. — Se poi fosse 4>wm si vedrebbe come per gli ,S,_, che un S, passante per % generatrici conterrebbe necessariamente ‘/” e quindi non potrebbe più tagliare la rigata che in altre generatrici. Si può assoggettare un S, passante per /”* a contenere altri r — we punti della rigata e quindi a tagliarla ancora nelle »—wm generatrici passanti per questi punti. Ed »—wm è anche il numero massimo delle generatrici contenute in un S, passante per y”, poichè un S,non può (n° 1) tagliare la rigata in una curva (semplice o composta) d'ordine superiore ad r. Dunque indicando ancora con r il numero delle dimensioni di uno spazio lineare contenente % generatrici, noi vediamo che per X>m si har Zk+ m, sicchè 4 generatrici in tal caso stanno in un S,,,,. Ora % rette stanno sempre in un $S,,_,; quindi noi vediamo che, se X>m+1, % generatrici qualunque della rigata sono legate tra loro giacendo in uno stesso S,,,; ma per #4=m-+1 (e per ogni valor di % minore di questo) esse sono indipendenti tra di loro. In particolare: 2 generatrici qualunque non stanno mai in un piano e quindi non passano mai per uno stesso punto (proposi- SULLE RIGATE RAZIONALI DIO zione di cui già dovemmo far uso al n° 6); 3 generatrici stanno in un &, per le rigate del 1° gruppo (cioè per m=1) ma sono tra loro indipendenti per le rigate degli altri gruppi; 4 genera- trici stanno in un S, per le rigate del 1° gruppo, in un S; per quelle del 2° gruppo, e sono indipendenti tra loro per quelle degli altri gruppi; e così via. V. Rigate razionali in ispazi qualunque e loro diverse rappresentazioni piane. 10. Ogni F” rigata dello spazio, ad n+1 dimensioni sì può proiettare univocamente da un punto su.un $S,, da un S, su un S,,,,in generale da un S,suun$,_, (essendo r lolyg=S; ki, 5a sonendonor CT, il Tiara “a sì ui l’altro I di moltiplicazione 9,d,d,d,d. : si ottenne bd,= @,— @, e quindi in virtù della (1) si ricava ci d. bh, Ù 2 Determinato %, si costruì nella fig. 2 la retta delle forze pren- dendo bk,=%@; ; Zi iS yo = ky k,= S, e assunto un dolo 0, d arbitrio sulla verticale per b, sì iragoiò il poligono funicolare b,c,6,0,c, facendo passare il primo lato per la cerniera »,. L'ultimo lato non passando per l’altra cer- niera b,', lo si prolungò fino ad intersecare in 4 la verticale per DELL'AZIONE DEL VENTO CONTRO GLI ARCHI DELLE TETTOIE 287 b,, congiunto # con 2, si ottenne l'ultimo lato del poligono funicolare che risolve il problema: condotto dal punto %, il raggio parallelo si determinò il polo corrispondente 0 e dopo ciò si potè costruire il poligono funicolare risolvente d, €, 6, 040,8, Costruito questo poligono funicolare si hanno, come è noto, tutti gli elementi per determinare gli sforzi interni in una sezione qualunque dell’arco. Il momento flettente in un punto qualunque dell’asse dell’arco viene dato dalla corda orizzontale intercetta fra quel punto ed il poligono funicolare, moltiplicata per o ossia per la reazione verticale degli appoggi, cosicchè la figura racchiusa fra l’asse dell’arco ed il poligono funicolare rappresenta colle sue corde orizzontali il diagramma del momento flettente. Questo risultato è del tutto analogo a quello che si ottiene per un arco sollecitato da forze verticali, pel quale il momento flet- tente vien dato dall’ordinata verticale intercetta fra il dato punto dell’asse dell’arco e la curva delle pressioni, moltiplicata per la spinta orizzontale, di modo che la figura racchiusa fra l’asse del- l'arco e la curva delle pressioni rappresenta colle sue ordinate verticali il diagramma del momento flettente. Supponiamo ora che l'arco sia incastrato alle estremità: in tal caso le linee delle reazioni degli appoggi ossia i lati estremi del poligono funicolare che si deve costruire non passano più per i punti bb, (fig. 4). Il diagramma del momento flettente in causa dell’invariabilità della lunghezza della corda e della posi- zione degli elementi estremi dell’arco, oltre all’equazione (4) deve notoriamente soddisfare anche alle altre due QUMAs Q'MAs (dla —— = 0 n o indicando con # la distanza del centro dell'elemento As dalla verticale di uno degli appoggi e intendendo le sommatorie estese a tutto l’arco. Supposto ancora il momento d’inerzia / costante e considerando i momenti MM dei punti medî di altrettanti ele- menti As tutti eguali, le (7) si riducono a (1) SS MSM=0 SM =0 t : ;à treni 3 a i ù 2) ? ci : Supponiamo già costruito il poligono funicolare e,, 0%; 04% 0 (fig. 4) che risolve il problema. Il momento flettente per. il 288 CAMILLO GUIDI punto a; qualunque dell’asse dell'arco è positivo ed è misurato dalla corda 4,6,=4;4; +4; e, ed il momento pel punto simmetrico a; è ancora positivo e misurato da a; e, =4,@ +a; e. Ora essendo evidentemente LL LU " S a;0; 4 Za, = si dovrà anche avere per la prima delle (8) Siae date 5 ciò vuol dire che se dell’ultimo lato del poligono funicolare si prende la retta simmetrica rispetto alla da , la somma algebrica delle corde intercette fra questa retta ed il poligono funicolare e passanti per i punti medî dei vari As, deve risultare nulla. Di qui ricaviamo la costruzione di una figura affine a quella racchiusa fra il poligono funicolare risolvente e la verticale da. Determinata, come si è detto per l'arco con cerniere alle estre- mità, la reazione orizzontale @, dell'appoggio di sinistra , co- struiamo la retta delle forze k,%, < .. &, (fig. 2) e assunto un polo o, sulla verticale per % costruiamo il poligono funicolare e10%9 ++» €10 (fig. 8). In seguito, condotta una verticale d'a' di tentativo e tracciata la retta c'e simmetrica dell’ultimo lato del poligono funicolare rispetto alla d'a’ facciamo la somma algebrica delle corde che passano pei punti medî dei varî elementi As tutti eguali in cui è stato diviso l’arco ed intercette fra la c'c' ed il poligono funicolare: portiamo tale somma in d'# ; dipoi condotta un’altra verticale di tentativo d'a ripetiamo la stessa operazione e portiamo in d'» la somma algebrica delle corde, al disotto perchè risulta di senso opposto alla dm. La curva di errore di cui fanno parte i punti 72,7 può essere sostituita senza errore sensibile, fra i detti punti della retta mm , la quale interseca la e,,e,, nel punto 8, e la verticale d, a, soddisfa al problema, ossia è tale che la figura racchiusa fra essa ed il po- ligono funicolare, figura che indicheremo colla lettera D' è affine alla figura D racchiusa fra la verticale da ed il poligono fu- nicolare nella fig. 4. Rimane ora a risolvere l’ultima parte del problema, cioè de- terminare per quale rapporto devono moltiplicarsi le corde della figura D' per ottenere quelle della figura D. A ciò serve la DELL'AZIONE DEL VENTO CONTRO GLI ARCHI DELLE TETTOIE 289 seconda delle equazioni (8), essa fornisce (secondo le indicazioni della fig. 4) DI ” x URI LE o LU p U dra Maa, c+NagettXZa, a; + Za; egda=0 od anche cei, e FSa a, = ea, a +de, a; Intendendo per x le distanze dei varî punti medî degli elementi A s dalla verticale dell'appoggio di destra (fig. 3), prendiamo sulla 1 1 LÌ È . de È ULI (9) AT I ERA I verticale per Db, D1= SONE 12= TACCIEZZZE SI qu e assumendo il polo in , costruiamo il poligono di moltiplica- 1 . Ti {* . Ss U "I ee , I ce zione d, f. Siccome poi cane aisi — q% (ALII J Li 1! 49%; proseguendo il poligono di moltiplicazione sì otter- rebbe sulla verticale per 4, un’ordinata doppia di 8 di modo che si avrà: 4 # sì Naga LIZ UÈ ii = 4bb, ovvero si s; SARI, db 2d4;04; XK42Z20;d; .X —— Ter babi . . U . . U ” In seguito, sulla verticale per d, si porti bh 1=636,, ULI - I . . . ‘ tI n Zog por in sensorinverso 34 = ese, ui_ici2stefpoidifmuoyo; verso l'alto: 56 =.epe,, 070 —=@,6,5 S; " = ”I - - I: + ” c RI 11 122 1 9 È : "I . . P Ù ”I i 0, io — ce gietpoleversopil basso 3 l4A=ene, asa I . . . 176, =6,50, : e assunto il punto 5, come polo, si costruisca il io di moltiplicazione dg. risulta 2 II ” LU tI s DEAR NA Se la figura D i eguale a D dovrebbe risultare in grazia della (9) 4b5f=,g: ciò non essendo si dedurrà la figura D dalla n = A le corde di quest’ultima pel rapporto 4bf db, I 290 CAMILLO GUIDI - DELL'AZIONE DEL. VENTO ECC. Nella fig. 4 si è rappresentato il poligono funicolare così dedotto: come pure la retta delle forze ed il polo o di proie- zione. La figura racchiusa fra l’asse dell’arco ed il poligono fu- nicolare così costruito rappresenta il diagramma del momento flettente. Per un punto qualunque 4, il momento flettente è dato da 0b.a,0, dove ob rappresenta ancora la reazione verticale degli appoggi. DI IRON. sai ” DA Il Socio Cav. Prof. Giulio Bizzozero, condeputato col Socio Cav. Prof. Angelo Mosso ad esaminare un lavoro del sig. Prof. L. GRIFFINI, dell'Università di Messina, intitolato « Contribuzione alla Patologia dell’epitelio cilindrico » legge la seguente RELAZIONE. Il lavoro del Prof. GrIeFINI è frutto di lunghe e pazienti ricerche, e di numerosi esperimenti. Esso si può dividere in due parti: nell’una si considera la riproduzione dell'epitelio, nell’altra la sua <“nfiammazione. —— In un argomento di tanto interesse per la patologia, l’autore riuscì a scoprire buon numero di fatti nuovi; dei quali citeremo, come esempio, l’iniziarsi della riproduzione dell'epitelio vibratile colla produzione di cellule epiteliche pavi- mentose, l'origine delle cosidette sfere cigliate, il rapporto fra l'intensità dell’ irritazione e la natura catarrale o cruposa degli essudati, e così via. Per ciò crediamo sia utile che il lavoro del Prof. Griffini sia portato a conoscenza del pubblico; e a questo scopo proponiamo che, a norma dei regolamenti, se ne dia let- tura all'Accademia. BizzozerRo, Lelatore. A. Mosso. La Classe accoglie la proposta della Commissione, e, udita la lettura del lavoro del Professore GRIFFINI, ne approva la pubblicazione nei volumi delle Memorze. DO ©) [iso] LUIGI BRUGNATELLI ]l Socio Comm. Prof. Alfonso Cossa presenta e legge il se- guente lavoro del sig. Dott. Luigi BRUGNATELLI, SULLA COMPOSIZIONE DI UNA ROGGIA PIROSSENIGA DEI DINTORNI DI CERTEEDE La roccia che forma argomento di questa mia breve comu- nicazione, appartiene ad una piccola massa che affiora in fondo ad un torrente, essendo tutta all'ingiro ricoperta da conglome- rati quaternarii. Essa trovasi verso il lembo orientale del bacino di Rieti, in prossimità del villaggio di Coppaeli di Sotto (fra- zione di S.* Rufina, circondario di Città Ducale), e viene sca- vata e trasportata a Rieti, dove è adoperata come materiale ci costruzione. Diversi campioni di questa roccia, furono verso la fine del- l'anno 1882, inviati dall’ Ingegnere Zesi, Segretario del Comi- tato Geologico Italiano, al Professore A. Cossa, il quale me ne affidò lo studio. Questa roccia però, che ha le apparenze di una lava, venne per la prima volta scoperta nell’ interno del Subapennino, e precisamente nella sinclinale reatina presso Coppaeli, nell’anno 1879, dal Capitano Antonio Verri, il quale dopo averne. fatto breve cenno alla Società di Scienze Naturali di Milano, nella sua pregevolissima Memoria che ha per titolo: Studi Geologici sulle Conche di Terni e di Îtieti (1), ne descrisse le condizioni = —_— «————— “ — (1) Memoria presentata alla R. Accademia dei Lincei nella seduta del 6 Maggio 1883. SULLA COMPOSIZIONE: DI UNA ROCCIA PIROSSENICA 293 di giacitura con queste parole: « La lava non ha correnti. nè scorie; apparisce come un masso isolato nel recinto della Conca, alla quota di 722 metri; tende a decomporsi con clivaggio sfe- roidale. Il detrito del monte impedisce di vederne il. piano di contatto colle formazioni mesozoiche; dalla parte dove è a con- tatto coi sedimenti vallini pliocenici, non appare in questi segno di metamorfismo. È probabile che questa roccia appartenga ad un periodo vul- canico intermedio tra l’eocene ed il miocene, al pari dei basalti delle Alpi Venete e del Trentino ». Per quanto concerne la composizione mineralogica di questa roccia, il Capitano Verri, nella stessa memoria ora citata, rife- risce che il Professore d’Acchiardi, che ne aveva mandato un campione da esaminare all’ illustre Professore Zirkel, n’ ebbe per risposta che essa risultava formata da melilite, pirosseno e pe- rowskite. A questo riguardo devo però avvertire che già verso la fine del 1882, prima che fossero noti i risultati dell’osser- vazione del petrografo di Lipsia, il Professore Cossa, mi aveva già insegnato a distinguere nelle sezioni sottili di questa lava, il pirosseno, la melilite e la perowskite, e che questa diagnosi venne riconosciuta esatta dal Professore Rosenbusch. Quantunque la composizione mineralogica di tale roccia molto interessante, sia già stata riconosciuta da diversi petrografi, tut - tavia non ne fu ancora studiata la composizione chimica, e per- tanto ho accolto di buon grado la proposta fattami dal Profes- sore Cossa di farne l'analisi. Alla relazione dei risultati delle ricerche chimiche faccio pre- cedere quella dell’osservazione microscopica che ho eseguito sotto la direzione del Professore Cossa, al quale mi è grato di pre- sentare i mîei più vivi ringraziamenti, per il valido aiuto pre- statomi in questo mio primo lavoro di chimica mineralogica. La roccia pirossenica dei dintorni di Rieti ha un colore grigio verdognolo; solamente in alcuni campioni l'uniformità di questa tinta è interrotta da piccole chiazze bianche formate da zeoliti. Essa è molto compatta, presenta una frattura scagliosa a super- ficie irregolare, e contiene in numero scarsissimo delle piccolis- sime cavità di forme varie ed irregolari, tappezzate da un minerale bianco cristallino costituito da una zeolite, la quale presenta le reazioni caratteristiche del mesotipo. Osservando con una lente la superficie di frattura della roccia, si rileva che essa non ha Atti R. Accad. » Parte Fisica — Vol. XIX. 20 294 LUIGI BRUGNATELLI una composizione omogenea, ma vi si notano disseminati in una pasta apparentemente afanitica, dei minuti cristalli prismatici, dotati di lucentezza vetrosa e che vennero poi riconosciuti per pirosseno. L'osservazione microscopica, eseguita sopra le sezioni sottili, diede i risultati seguenti. — La roccia appare formata da una massa microcristallina di colore verde giallognolo, in cui sono disseminati porfiricamente dei cristalli relativamente molto grandi di pirosseno. Il pirosseno è in cristalli di prima consolidazione a contorni ben distinti; esso è affatto incoloro, e non presenta traccie sensibili di pleocroismo e d’assorbimento. 1 suoi cristalli sono prevalentemente allungati secondo l’asse del prisma, e sono quasi sempre geminati. Anzi alcuni cristalli di pirosseno si pre- sentano attraversati da due ed anche da più laminette emitro- piche. Nei cristalli di pirosseno non ho potuto notare ben distinte inclusioni, all’ infuori di scarse e minutissime granulazioni vetrose. Ta massa microcristallina della roccia. nella quale trovansi racchiusi i cristalli di pirosseno, è per la massima parte formata da melilite. Questo minerale si trova in gristalli allungati secondo l’asse principale, a sezioni quadrate o rettangolari e non sono modellati sugli altri componenti della roccia come si verifica a cagion d’esempio nella lava leucitica di Capo di Bove. Ha un colore giallo verdognolo molto sbiadito; è dotato d’una doppia rifrazione assai debole, e coi nicol incrociati si presenta colorata in azzurro chiaro che è quasi uguale per intensità di tinta a quello che ordinariamente si osserva nel serpentino. L’estinzione però avviene sempre completamente nelle direzioni parallele agli spi-: goli dei piccoli cristalli. In molti cristallini di melilite ed in una direzione quasi normale a quella del loro maggiore sviluppo si osservano delle striature finissime, non continue e che si iri- terrompono per lo più verso la parte mediana della sezione dei cristalli. Alcuni cristalli di melilite, offrono traccie di avanzata decomposizione, che si rende manifesta specialmente quando si esaminano le sezioni della roccia coi nicol ad angolo retto. Sparse fra i cristallini di melilite, si notano delle granulazioni cristal- line, che hanno un colore di feccia di vino; sono affatto iso- trope, e presentano qualche volta ben distinte le forme dell’ot- taedro. Questi caratteri fanno supporre che queste granulazioni siano formate da perowskite, minerale che si trova frequente- mente associato alla melilite. Per accertarmene ho decomposto SULLA COMPOSIZIONE DI UNA ROCCIA ‘PIROSSENICA 295 una certa quantità della roccia ridotta in polvere, con dell’acido cloridrico ; trattando prima cou acqua e poi con soluzione di carbonato sodico la roccia decomposta, ho eliminata la massima parte dei componenti intaccati dall'acido. Nella polvere residua poi, ho potuto, con ripetute levigazioni, concentrare in pochis- sima quantità di materia le granulazioni in discorso, le quali cimentate al cannello, e trattate anche col bisolfato di potassio, diedero ben distinte le reazioni del titanio. Oltre alla melilite ed alla perowskite, nella massa fondamen- tale della roccia, trovansi delle granulazioni amorfe, che sem- brano costituite da particelle di materia fusa. Come minerale accidentale poi, nelle sezioni sottili, si os- servano degli agglomeramenti sferoidolitici di zeoliti, formati da sottilissimi cristalli spismatici addossati intorno ad un centro co- mune. Queste zeoliti, che, come ho già accennato, si manifestano anche coll’esame macroscopico della roccia, derivano molto pro- babilmente dalla alterazione della melilite. Per lo studio della composizione della roccia di Rieti, scelsi tra i campioni inviati dall’ Ingegnere Zesi, quello clie presentava la maggiore omogeneità di composizione e che dall’esame ma- croscopico risultava contenere minor quantità di zeoliti. La determinazione del peso specifico, eseguita col pienometro con quantità differenti di roccia, diede i risultati seguenti: he geo a|ul49fc; De 9 , 67 » » Media dg, 09 La roccia in schegge sottili si fonde facilmente, formando un vetro di colore verde bottiglia a superficie liscia, non attirabile dalla calamita. La roccia polverizzata e trattata con acido cloridrico si de- compone quasi totalmente (eccettuati il pirosseno e la perowskite) colla massima facilità con separazione di silice gelatinosa. La polvere della roccia, inumidita e messa in contatto con una carta rossa di tornasole, manifesta una reazione alcalina ben distinta. Coll’analisi qualitativa ho riscontrato nella roccia le seguenti sostanze: acqua, anidride silicica con piccolissime quantità di 296 L. BRUGNATELLI - SULLA COMPOSIZIONE DI UNA ROCCIA ECC. anidride titanica, traccie minime di anidride fosforica , allumina, ferro per la massima parte allo stato di sesquiossido, calce, ma- gnesia, soda e potassa. I Coll’analisi spettrale, mi fu dato di riscontrare indizio si- curo della presenza nella roccia di piccolissime quantità di litina. Da più analisi, che mi diedero risultati sufficientemente con- cordi, si deduce, che la roccia di Rieti nel campione esaminato, ha la composizione centesimale seguente : Acqua Mo Anidride silicica con piccolissime quan- tità di anidride titanica . . . . 43,36 Anidride fosforica . . . . . . . traccie Allumina..-.L 0A Ossido. ferrico ci. 0 uu iI Calce, .- . RARE a 98,77 . Torino — Laboratorio Chimico della R. Scuola d’ Applica- zione per gli Ingegneri, 1884, 297 Il Socio Cav. Prof. A. NAccARI presenta e legge la seguente Nota del sig. Angelo BATTELLI, SUI SISTEMI CATOTTRICI CEN:TRIA-DI ._ Ci proponiamo in questa nota di dare la teoria completa della riflessione sopra un numero qualunque di superficie sferiche nell’ipotesi che queste abbiano i loro centri sopra una stessa linea retta e che gli angoli che i raggi incidenti formano con questa retta siano piccolissimi. Questa trattazione è una conseguenza della teoria degli istrumenti diottrici fondata rigorosamente da Gauss e perfezionata successivamente da Listing e da altri. Il MartIN ne ha fatto un cenno nella sua Memoria: /nter- prétation geometrique et continuation de la theorie de lentilles de Gauss (*); e il CROULLEBOIS, con metodo geometrico, ha stu- diata la riflessione sopra due specchi sferici, ma non in modo completo (**). Noi, per avere risultati applicabili ad ogni caso particolare, abbiam ricorso al metodo analitico, giudicandolo il più conveniente. Diremo sistema centrato di mezzi riflettenti, o sistema ca- tottrico centrato una serie di superficie sferiche riflettenti, che hanno tutte il centro sulla medesima retta, chiamata asse centrale, o semplicemente asse del sistema. (*) N. Martin, Annales de Chim. et de Phys., 48 S., T. X. Yy (**) CrouLLEBo1s, Annales de Chim. et de Phys., 5° S., T. XIX. 908 ‘ ANGELO BATTELLI Sceglieremo l’asse medesimo del sistema per asse delle 4, e conteremo le ascisse positive nel senso in cui si propaga la luce. Diremo prima superficie riflettente, quella che prima viene incontrata dal raggio incidente: «l#ma superficie, quella da cui esce l’ultimo raggio riflesso. Chiameremo vertici le intersezioni delle superficie. coll’asse. Ciò posto, sappiamo dalla teoria di Gauss, che nel caso di soli due mezzi, i cui indici assoluti di rifrazione siano » ed n', se la retta d'incidenza è rappresentata da Y _É (€ -N)+% essendo N l’ascissa del vertice della superficie dividente i due mezzi, il raggio rifratto sarà dato ‘da e=L( ESSA La Tw (0) ko} I punti Y ed F* li diremo fuochi principali, e i piani condotti per essi normalmente all'asse piani focali principali. . Se poi si vogliono riferire le due rette d’incidenza e di ri- flessione a due punti Q ed Q*, in modo che ad una retta in- cidente passante pel primo, corrisponda una retta di riflessione parallela passante pel secondo, basta osservare che per la ri- frazione si è trovato nel caso analogo ani «n° i SI di Vi k : = ngn | O=N*—- 4, È dg 304 “ — ANGELO BATTELLI le quali nel nostro caso diventano == O=N°x=-- SII (10). O*—N*+ sui I punti O e Q* li chiameremo punti nodali; e possiamo subito stabilire che i punti nodali coincideranno, o non, coi punti principali, secondochè il numero delle superficie è pari o dispari. Ora le ascisse dei punti principali si possono scrivere nella seguente maniera : 1 E pl pa ko k e quindi Chiameremo 9 e 4* rispettivamente prima e seconda distanza focale principale. E si deduce subito che nel caso della riflessione le distanze focali principali saranno sempre uguali, e del medesimo segno o di segno contrario, secondochè il numero delle superficie riflettenti è pari o dispari. Ad ogni modo si ha sempre i = a OFHE-—q d EQ=F*0%=o*-o, EE*=Q0*. Se ora nelle coordinate del punto coniugato al punto (€ n È) si sostituiscono ad N° ed N* i loro valori espressi in funzione di E ed E* ricavati dalle (8), si ha 2 \ +, 00) gere. SUI SISTEMI CATOTTRICI CENTRATI 305 ‘E se ad £ ed FE* si sostituiscono i loro valori in funzione di Fuved E*, 1 E" F*A i A o 1 (13). lA ua, SU= k(F_ E) ° k(F-È) La prima delle (12) si può anche scrivere Il 1 —— —— t--.=—- k pi laldi È SU, (14). e la prima delle (13) \ ($*—F)(F_&)=py* IV. Riflessione sopra una superficie. Applichiamo le regole generali trovate ad alcuni casi speciali, e prima al caso di un solo specchio. Vediamo anzitutto come sono collocati fra loro due punti coniugati. Qui evidentemente = (== OR hie='0% = Onde l’ultima delle (7) ci dà: E*-N=— — 1T—--(EÈ—-N (EN) e facendo, per semplicità, SN pii; S*_N=q sì ha > ag IZ) L'caig £ si da cui ez ae e A aaa (15). iti :306 SE FE7VANGELO BATTELLI Questo ci-diee che la distunza di due piinti.comiugati è divisa armonicamente dallo specchio e dal suo centro di curvatura. Onde, per avere il coniugato d'un punto qualunque M, basta condurre | \ - la retta 01M, che congiunge M col %% centro, e per M una retta arbitraria \ su cui sì prendono due segmenti | a ne Pa _MA', MC' uguali; poi si condu- Fig. Il cono A.A4% CCA alloro fin contro O si tira la parallela alla DÀ C'A'; il punto M' sarà il coniu- cato (di ae Vediamo quali siano i punti cardinali nello stesso caso d’un solo specchio. Siccome = i punti principali coincideranno col vertice dello specchio, e i fuochi saranno dati da oral n Sai EN AEZO PN Nr U U ossia NP= NP*— 4. Gi S Avremo il segno (+) per uno specchio convesso e il segno (—) per uno specchio concavo. E si deduce quindi che i due fuochi coincidono nel punto medio del raggio dello specchio. I punti nodali, trattandosi di una sola superficie, non coincide- ranno coi punti principali, ed applicando le formole (10) al nostro caso otterremo O=05=Ne Ossia, / due punti nodali coincidono sempre col centro della superficie riflettente. bus Fio. 2 Di qui un altro mezzo semplice di " trovare il coniugato di un punto. qua- lunque JI. Si conduca per esso il ‘raggio parallelo all'asse; questo si ri- fletterà passando per /"; si conduca un altro raggio incidente che passi perl: tal punto coincidendo i due punti nodali, l’immagine di M, dovrà trovarsi sul prolungamento di OM, ossia sarà in M°. SUI SISTEMI CATOTTRICI. CENTRATI :307 Le costruzioni si son fatte per lo specchio concavo, ma le stesse regole valendo per lo specchio convesso, è evidente che nell’identica maniera si tro- verà l’immagine di un punto M nel caso dello specchio 52 convesso, tanto colla prima ae = quanto colla seconda costru- i” zione (fig. 3). Se lo specchio fosse piano, allora sarebbe x = 00, e la formola (15) ci dà im- mediatamente p=—-1d; ossia, le due immagini sono simmetriche rispetto allo specchio. Per trovare la relazione fra l'oggetto e l’immagine avuta dalla riflessione sopra uno specchio, si osservi che dalle formole (7), | Sa € immediatamente risulta essere i rapporti —, e —, uguali ad una medesima costante. È chiaro inoltre che questo rapporto rap- ‘ presenta appunto il rapporto fr& l'oggetto e l’immagine. Ora dalle (13) avremo n &-F 0) E RO) MI: Ponendo per brevità E-&=p, sì ottiene E i; lui p di Se il tratto è positivo, l’immagine sarà diritta; se è t] negativo, sarà capovolta. & i di Sostituendo a il suo valore «57 , avremo r7e2p SA - r 308 ANGELO BATTELII Ne Riflessione sopra due superficie. Passiamo ad un sistema catottrico centrato composto di due sole superficie riflettenti. Possiamo senz altro stabilire le leggi seguenti : 1° Le distanze focali sono uguali e dello stesso segno. 2” I punti nodali coincidono coi principali, e quindi i punti cardinali si riducono a quattro. Per trovare questi punti cardinali formiamo il determinante / relativo al presente caso: Vimi 0 | k=| 1 200 0) 1 “ | Sviluppando, sì ottiene kt—-uat+u bu. E 1 determinanti derivati risultano I=ut +1, g=u°t+1 h=% Chiamando A la distanza fra i due vertici AIN sì otterrà 4 2 2 D li == AH4-—-== (rr, —- 24) Ts SOR PE; SUI SISTEMI CATOTTRICI CENTRATI 309 Perciò la distanza focale sarà data da at Ar, TAI ZIA I Ar, kr, -r-2A AT E=N°— o r, rt, 2A | \ rr AE) ig oo p psp r,r-24 Ar NOTE: ul 20) Re i TATO alii ZSOPA Le formole trovate si riferiscono al caso generale di due superficie sferiche coi centri sul medesimo asse, ma disposte co- munque. Ora veniamo a trattare i varii casi in particolare. 1° Supponiamo che i due specchi si rivolgano la faccia concava. È chiaro che i raggi delle superficie sferiche dovranno essere contati sempre positivamente nella direzione della luce incidente. Onde, nel nostro caso, il raggio della prima superficie è negativo, quello della seconda è positivo, e quindi otterremo le formole relative al presente caso cangiando il segno ad r, , ossia avremo : rara | ar dA) Five S(IBI Atti R. Accad. -» Purte Fisica — Vol, XIX. 21 #0 — 310 ANGELO BATTELLI A epr Mera r+r, 24 ) ione (22) pepe 3 a d x Prg \ Diremo pertanto, che un sistema centrato di due specchi sferici sarà convergente o divergente, secondochè la distanza focale è positiva 0 negativa. Perciò il presente sistema funzionerà come convergente o di- vergente, secondochè la somma dei due raggi è maggiore o minore di 24. Nel piimo caso risulta senz'altro dalle formole (22) che i punti principali sono sempre esterni al sistema (fig. 4). Fig. 4. Nel secondo caso (fig. 5), le formole (22) ci dicono che il primo punto principale sarà esterno od interno al sistema o coinciderà col vertice, secondochè Fig. 5. ri 3 I r,+r,- 24 od uguale ad 1, ovvero, secon- è maggiore, minore dochè r, è minore, maggiore od uguale a 2A ; e parimente il se- condo punto principale sarà e- sterno od interno, o coincidente col vertice , secondochè » è mi- nore, maggiore od uguale a 24 . Nel caso più particolare ancora che le due superficie sferiche appartengano ad una medesima sfera, si avrà Ad e allora r | i 08). N°E=E*N*=-r| SUI SISTEMI -GATOTTRICH--CENTRATI LE Ossia, i due punti principali coincideranno col centro comune alle due superficie, e i due fuochi. ‘saranno “pure interni ad una distanza dal centro mede- simo uguale--alla -quarta parte del de si vede nella fig. 6.. ui Possiamo poi supporre che uno: dei due -specchi _. sia piano, e sì avranno evi- dentemente due casi: le formole relative si otterranno dalle (21) e (22) ponendo una volta r,=c0., un’altra r,=0dì. i Fig.70 i 1° Caso, %=00, si N°E=A;-:E*N*=0d: 9° Caso, Vago si ha (fig. 8) | | = a - = cor . x n NY na I -& (SE) 10:99 ii 0) N°E=0, EN S= \ Adunque, se siha'an-sistema di dwe-speechi uno piano e l’altro sferico colla concavità rivolta verso il-prime, tale sistema gode delle seguenti proprietà : 1° Esso è sempre convergente. _—-_ 2° Uno dei. punti. principali coincide sempre col.vertice della” ‘superficie sferica, l'altro è interno al sistema dalla parte della superficie piana e distante dalla medesima d'una lunghezza uguale a 4. 2° dupsoniamo: 0A fa avere io specchi run ‘che. sì. rivolgano le facce convesse. Allora il raggio r, della seconda Si sarà negativo: a” perciò le formole (18) e (20) ci daranno: r Gioetague: RU 312 ANGELO BATTELLI Bert CR | "_ 2ntr +20) STE E rr+r, +24 r,+r, +24 Adunque, se due specchi centrati si volgono la convessità, il sistema è divergente; i due punti principali come pure i due fuochi sono esterni al sistema medesimo, come appare in figura Fig. 9. Supponiamo anche qui che una delle due superficie diventi piana. Avremo allora due casi: 1° Caso, r,=00, darà (fig. 10) Si conclude: 1° Che un sistema di due specchi, uno piano e l’altro sfe- rico, che volga al primo la sua convessità, è sempre divergente. 2° Che in tal sistema uno dei punti principali coincide col vertice della superficie sferica, l'altro è esterno a una distanza 4 dalla superficie piana. SUI SISTEMI CATOTTRICI CENTRATI 313 3° Supponiamo infine che i due specchi volgano la ‘concavità verso la medesima parte, ovvero uno sia concavo e l’altro con- vesso. Si avranno evidentemente due casi: o ‘ambedue i’raggi saranno positivi, o ambedue negativi. 1° Caso, r,, v, positivi —— Per il presente caso valgono evidentemente le formole (18) e (20), le quali possono anche scriversi f,Y 2(r—r,424) dl AF; E*N*—_ A93 r,Tt, +24. rr, +24 2 O (27). N°E —TP i — Si vede immediatamente che la distanza focale sarà positiva, quando si avrà 4 r>r,+24. Cioè, il sistema sarà convergente quando il raggio di curvatura della prima superficie è maggiore della differenza fra il raggio della seconda e la quantità 24 . E allora il primo punto principale sarà sempre esterno al sistema ; il secondo sarà esterno, od interno o coincidente col vertice della superficie convessa, secondochè la frazione Y, rr —r,+24 è maggiore, o minore, o uguale all’unità; ovvero, secondechè r, è minore o maggiore, o uguale a 2(r,— À); come si scorge dalle (fig. 12), (fig. 13) e (fig. 14) Fig. 12 Fig. 13 314 TTT MANGELO BATTELLI È 2° Caso; +, 1, negativi — Ch Allora le formole (27) diventano AAT, ogonla» osss almusialtE=" 3 Spe odo! danlaoo © sz 2A si i Va “dn NE (28). NEI e So r, tr, +24 rv, —Y, +24 (XV Si avrà ® positiva. quando sarà ere e .avi0nde,il sistema sarà convergente quando il raggio di curvatura della seconda superficie è maggiore della ‘differenza fra quello della prima e la quantità 24 . E allora il secondo punto prin- cipàle sarà sempre esterno, il primo punto principale sarà esterno og interno 20: coincidente col vertice della superficie convessa, secondochè », è minore, o maggiore od uguale a 2(r,—A), come ‘is scorge dalle figure (15), (16) e (17) è nil spie. 15. "a Eig, dor Di qui concluderemo, che se due specchi sferici centrati sono disposti in modo che sian di fronte la faccia concava dell'uno alla faccia convessa dell’altro, il sistema sarà convergente, se il raggio dello specchio convesso è maggiore dell’eccesso del raggio dello specchio concavo sulla doppia distanza fra i due specchi medesimi. In tal caso un punto principale sarà sempre esterno dalla parte della faccia convessa, l’altro sarà esterno dalla medesima parte, se il raggio dello specchio. convesso è minore della doppia SUI SISTEMI CATOTTRICI CENTRATI STO distanza fra il vertice dello specchio medesimo al centro dello specchio concavo ; se è uguale, il punto principale coincide col ver- tice dello specchio convesso ; se è maggiore, sarà interno al#istema. In particolare, se le due superficie avessero il medesimo centro, sì avrebbe, pei raggi positivi, e pei raggi negativi, quindi in ogni caso gq=— mae a(29E E nel caso dei raggi positivi (fig. 18) NE="0F r,- 24 . Questa è appunto la condizione che noi abbiamo trovata, affinchè il sistema di due specchi colla concavità rivolta dalla stessa parte sia convergente. È adunque dimostrato che il telescopio di Cas- segrain è convergente. E ag SUI SISTEMI CATOTTRICI CENTRATI. 319 I punti cardinali ci saranno dati dalle formole (28), e sa- ranno situati come nella fig. 24. Dalla formola (16) si ottiene immediatamente 9 ' o=(1- I vga (32). DET rappresentando con 2 la quantità »,—#,4+2A, che è positiva. Essendo l'oggetto lontanissimo, risulta che il telescopio di Cassegrain rovescia l’immagine. Torino, Febbraio 1884. 320 A. DORNA —- PRESENTAZIONE DI LAVORI METEOROLOGICI. e - = -——_ = T= — Il Socio Cav. Prof. Alessandro DorNA, Direttore dell’ Os- servatorio astronomico di Torino , presenta all'Accademia; per l'annessione agli Atti, in continuazione delle precedenti, le tem- pecature (dal 1° Aprile) dell’anno passato, di ora in ora, ed i tempi delle temperature massima e minima in tutto l’anno; che l'Assistente Prof. Donato Levi ha dedotto dalle registrazioni automatiche dell’Osservatorio. Questi lavori saranno pubblicati nel solito fascicolo annuale che va unito agli Att. F. SIACCI - PRESENTAZIONE DI UN OPUSCOLO DI E. NARDUCCI 321 Adunanza del 24 Febbraio 1884. PRESIDENZA DEL SIG. COMM. PROF. ARIODANTE FABRETTI Il Socio Maggiore Prof. F. SIAccI presenta un opuscolo da parte del sig. E. Narpucci, Corrispondente dell’Accademia, colle seguenti parole : Presento all’ Accademia da parte del Socio corrispondente Enrico Narpucci una sua lettera al sig. Aristide MARRE Sur un Manuscrit du Vatican du XIV siècle contenant un traite de Calcul emprunté à la Methode « gobari » (Extrait du Bulletin, des Sciences Mathematiques, 2° série, t. VII, 1883). Questa lettera, che contiene un'accurata descrizione del Codice Vati-. cano n° 1285 della Regina di Svezia, ha per oggetto speciale l’analisi di un trattato contenuto in questo Codice ed intitolato Introductorius liber qui et pulveris dicitur in mathematicam disciplinam. Escluso che si tratti di una traduzione latina di qualche trattato arabo sul gobar o polvere, il Narducci avvisa trattarsi invece di un lavoro originale compilato in occidente, che offre una transizione fra l’abaco e l'algoritmo e fa conoscere. il metodo gébar indipendentemente dagli antichi sistemi d'abaco. Suppone il Narducci che in questo metodo fosse una spiegazione dell’Abaco degli antichi ad uso degli orientali, e conclude che il trattato medesimo serve di anello tra i lavori storici dell’illustre: Chasles inseriti nei Comptes Rendus e quello del Woepeke Sur l’introduction de l Arithmetique indienne en Occident. SIG isccuzi:: > 15 030AR50, POLKONERA: = 72aa Il Socio Comm. Prof. Michele Lessona presenta e legge il seguente lavoro -del sig. Carlo POLLONERA : MONOGRAFIA Genere VITRINA. In seguito alle interessanti pubblicazioni della signora Mar- chesa PavLUccI sulle specie di questo genere viventi nella parte peninsulare dell’Italia, una revisione delle forme piemontesi credo possa riuscire di qualche utilità; tanto più che dopo la pubbli- cazione del lavoro di Mario LEssona, mio fratello, sui Molluschi del Piemonte, altre forme vennero trovate in questa regione, ed: una tra esse essenzialmente diversa dalle altre specie europee conosciute finora. Alle due sezioni Semilimaur e Phenacolimar nelle quali Stabile divise questo genere, una terza venne aggiunta dal Fi- scher (Olgolimax Fisch. in Paulucci Mater. etc. 1878) per le specie a conchiglia subumbilicata e striata e ad animale senza mezzo-cappuccio visibile che finora erano collocate coi Phena- colimax. ‘Le osservazioni anatomiche sulle. Vitrina sono abbastanza: abbondanti, ma non sempre concordi; ecco quelle che mi sono note. Moqguin-Tanpoxn, 1855, Moll. de France, II, p. 48 dà qual-, che parola di descrizione della radula della V. diaphana; de- scrive e figura l’apparato riproduttore della V. maior (p. 51, tav. VI, fig. 26). A. ScampT, 1855, Geschlechtsapp. d. Stylomm. p. 49 : ta- vola XIV, f. 105, 106, 107, descrive e figura gli organi genitali delle V. brevis, draparnaldi e pellucida. MONOGRAFIA DEL GENERE VITRINA DA STABILE, 1864, Moll. du Piém., p. 117 parla abbastanza diffusamente della radula delle V. charpentieri, brevis, diaphana, maior e pellucida, ma non dà nessuna figura. LenAMANN, 1873, Leb. Schneck. Pommern, descrive e figura (p 48, t, IX, f. 12) l'apparato genitale, la mandibola e la ra- dula della V. pell'ucida. W. G. BinnEy, 1878, Terr. Moll. Unit. States (vol. V, p. 135) figura la radula della V. limpida che è assai simile a quella della V. pellucida data da Lehmann. Fischer, 1878, in Paulucci, Matériaux pour servir, etc.. pag. 24, descrive la radula delle V. paulucciae e brevis. Non sempre i risultati di questi varii autori concordano tra loro; infatti mentre Stabile non trova nessuna notevole diffe- renza nella radula tra le V. maior, charpentieri e pellucida, quest'ultima nella figura di Lehmann mostra l’aculeo delle serie marginali munito di un forte dente supplementare verso l’infuori che non si osserva nelle specie dei gruppi delle V. mazor e charpentieri. Anche la descrizione di Stabile della radula della V. brevis non sembra concordare perfettamente con quella data da Fischer. Ad ogni modo però la radula del genere Vitrina è dello stesso tipo di quella dell’Agriol#nar (vedi Lessona e Pollonera, monogr. Limac. ital.), cioè il dente centrale ha tre aculei, i campi mediani ne hanno due, ed i latero-marginali ne hanno un solo, molto allungato, liscio o con una addentellatura sul margine esterno. Però nei denti maggiori la base è sempre più piccola e la cuspide principale è molto più allungata. La mandibola è sempre liscia, arcuata e munita di una forte sporgenza rostriforme nel mezzo del suo margine libero. L'apparato genitale per lo più è semplice, cioè ha una guaina della verga corta, a canale deferente inserito lateralmente, ma il flagellum non è separato da essa da alcun restringimento co- sicchè forse non si può neppure considerare questa parte quale un vero flagellumn, come spiegherò meglio tra poco: borsa co- pulatrice a collo non molto lungo e senza ramo accessorio ; sacco del dardo e vescicole mucose, nulle; tuttavia parecchie notevoli differenze si osservano nelle varie specie. A proposito del flagellum farò osservare che Moquin-Tandon cliama con questo nome tutta la parte della guaina della verga 924 CARLO POLLONERA che sì trova posteriormente al punto da cui parte il canale de- ferente senza tener conto della posizione del muscolo retrattore, cosicchè in. certe specie (come nelle Vitr:na) nessuna differenza di forma o d'aspetto distingue queste due parti. Ma se noi os- serviamo l'apparato riproduttore delle specie provviste di un vero flagellum bene sviluppato (moltissime Helix) vedremo che esso è sempre libero dal muscolo retrattore della guaina della verga il quale si inserisce un po’ sotto o sopra allo sbocco del canal deferente, ma giammai alla punta del /lagellum. Nelle Vitrina invece il muscolo retrattore è alla estremità del cosidetto /la- gellum o piuttosto della guaina della verga, la quale somiglia perfettamente a quella di alcuni Agriolimar, differendone sol- tanto per lo sbocco del canale deferente che è laterale invece di essere terminale come in quelli. Infine io credo non bastare che il canale deferente sbocchi lateralmente nella guaina della verga per dover considerare come /lagellum la parte posteriore di essa, ma che si possa far ciò soltanto allorchè questa parte non è legata alla sua estremità dal muscolo retrattore, perciò secondo me le Vitrina si dovrebbero considerare come prive di Hagellum. Nella V. maior Moquin-Tandon (pl. IV, f. 26) osservò al principio del dilatamento della vagina o collo della matrice due rigonfiamenti glandulari che rappresenterebbero le vescicole mu- cose, e sotto di esse il collo assai lungo della borsa copulatrice sboccare nella vagina. Una identica disposizione trovai nella V. sta- bilei di Valfroide (vedi fig. 46): invece lo Schmidt (pag. 49, fig. 106) nella V. draparnaldi di Bonn (= V. maior) trovò la borsa copulatrice quasi priva di collo e non seppe distinguere le ghiandole che però dovevano esserci e cagionare l’ingrossamento che egli notò in questo punto. Nelle altre specie del genere os- servate finora non si trova traccia alcuna di queste ghiandole. Nella V. pegorarii la borsa copulatrice è a collo breve e. grosso e shocca al principio dell’ingrossamento della vagina come nelle V. mazor e stabilei, ma non ho potuto scorgervi le ghian- dole o prostate vaginali come in quelle. Nella V. pellucida la vagina non presenta i ristringimenti e gli ingrossamenti notati nelle specie sopracitate, e la borsa copulatrice sbocca assai più presso alla guaina della verga, come si può vedere dalle figure di Schmidt (fig. 107) e di Lehmann (tav. IX, f. 12), sebbene poi queste non concordino tra loro MONOGRAFIA DEL GENERE VITRINA 325 nella forma della borsa copulatrice e nelle sue dimensioni ri- spetto alla guaina della verga. Una disposizione affatto anormale osservò lo Schmidt nella V. brevis (p. 49, fig. 105), cioè la borsa copulatrice che sbocca nella guaina della verga, invece che nella borsa comune o nella vagina; inoltre presso allo sbocco della guaina della verga nel ca- nale comune un grosso ed abbastanza lungo braccio supplemen- tare, che ricorda la parte inferiore del /lagellum laterale dei Buliminus obscurus e detritus, eccettochè in queste specie esso sbocca verso l’estremità della guaina della verga, mentre nella V. Vrevis esso sbocca nel canale comune. Questa somiglianza è ancora più marcata nella V. goeotiformis (fig. 41) poichè que- st'organo acquista in essa uno sviluppo molto maggiore, e pre- senta come nei citati Bu/mnus due parti ben distinte, cioè la inferiore grossa che passa in un’altra strettissima la quale si va allargando in forma di clava. Nella V. gocotiformis quest’or- gano è assal più lange della guaina della verga, ed ha nel ca- nale comune uno sbocco assolutamente indipendente da questa, per cui mi sembra non si possa considerare come un /lagellum. Le mandibole non presentano che differenze trascurabili, fuor- chè nella V. drevis che secondo Stabile (p. 118) avrebbe una mandibola molto larga, poco alta ed a sporgenza rostriforme po- chissimo pronunciata. . Come accennai più sopra le descrizioni della radula delle varie specie di Vtri»na europee non mancano, ma finora non venne figurata che quella della V. pellucida da Lehmann ed ancora abbastanza grossolanamente. Le descrizioni date da Sta- bile riescono di poco aiuto perchè mi sembrano il risultato di un esame troppo incompleto, forse conseguenza dell’aver egli os- servato queste radule con un ingrandimento troppo debole, cosic- clhè non potè apprezzarne al loro giusto valore i caratteri. To osservai quest’ organo nelle V. stabilei pegorarii, dia- phana e gocotiformis; in tutte queste specie trovai un numero di denti assai superiore a quello osservato nelle altre specie, in- fatti mentre Fischer ne trovò in ogni fila trasversale nella V. paulucciae 47, nella V. drevis 51, Binney nella V. lim- pida 51, Lehmann nella V. pellucida 75, io ne osservai in cia- scuna di quelle specie da 85 a 87. L'insieme della radula è come dissi più sopra identico a quello degli Agriolimax e come in questi il passaggio dai campi mediani Atti R. Accad. =» Parte Fisica — Vol, XIX. na 326 CARLO POLLONERA ai laterali si effettua quasi improvvisamente, cosicchè tra essi si può segnare un limite sicuro, mentre tra i laterali ed i marginali il passaggio è talmente insensibile che non si può segnare nessuna divisione neppure approssimativa. Generalmente il numero dei denti dei campi mediani è meno della metà di quello dei latero-margi- nali; finora non fa eccezione a questa regola che la V. paulucciae che ne ha 9 in ciascun campo mediano e 14 in ciascun campo latero-marginale, mentre nelle V. brevis e limpida la proporzione è di 7 per 18, nelle V. pegorariî e diaphana 12 per 81 nella V. gocotiformis 12 per 30. Il dente centrale è sempre a cuspide principale molto lunga e stretta, sormontata da un aculeo aguzzo che seguita e completa la curva della cuspide, le lamine laterali appena sensibili: cuspidi la- terali meciocremente accennate, sormontate da aculei conici assai forti; base riflessa piccola che non giunge alla metà della base di inserzione. In questo solo carattere differisce dagli Agriolimax nei quali la base riflessa è sempre superiore alla metà della base di inserzione. Nei denti dei campi mediani la cuspide principale è sempre assai alta ma meno sottile, ad aculeo più forte ed a lamina in- terna sviluppatissima; la cuspice interna è rudimentale e priva di aculeo, mentre l’esterna è più pronunciata che nel dente cen- trale. Nelle V. gocotiformis e stabileci la cuspide principale pre- senta nel suo lato interno una intaccatura in forma di gradino nel punto da cui comincia la parte inferiore e più larga della lamina interna; questa intaccatura nella V. pegorarii e diaphana è assai meno pronunciata e scompare prima della fine dei campi mediani, mentre nella V. goeotiformis essa sussiste in tutti i denti di questi campi. Nei campi latero-marginali delle quattro specie sopra citate l’aculeo principale (l'unico che sussiste) è molto allungato, in forma di coltello un po’ ricurvo e perfettamente liscio sui suoi due margini; esso allontanandosi dal centro, e di mano in mano che i denti diminuiscono di mole, si fa più corto e si arrotonda in punta. Però nelle V. gocotiformis e stabilei la base si fa più obliqua verso i denti marginali, e conserva fin quasi agli ultimi una forma allungata, mentre nelle V. pegorarii e dia- phana essa si va facendo più perpendicolare ed assume una forma più subquadrangolare. Nella figura della V. pellucida data da Lehmann ed in quella della V. limpida (specie affine alla pre- 2 MONOGRAFIA DEL GENERE VITRINA 327- cedente che vive negli Stati Uniti d’America) data da Binney, l’aculeo dei campi latero-marginali presenta sul lato esterno un dentino supplementare sviluppatissimo come si osserva in parecchi Agriolimax (A. tenellus, A. lacustris). Questo forte dentino sup- plementare lo osservai io pure nella var. dellardii della V. pel- lucida della Valle d'Aosta, ma in questa inoltre notai che al di sotto (1) del dentino supplementare il margine esterno del dente è dentellato o seghettato come nella Lelhmannia mongianensis (Less. e Poll. Monogr. Limac., t. III, f. III), e questa dentel- latura invece di scomparire negli ultimi denti marginali si fa più forte, cosicchè questi appaiono quadridentati. Non avendo potuto osservare io stesso la radula della forma tipica della V. pellucida non posso esser certo che manchi in essa questa particolare seghettatura: ma se in essa mancasse veramente, io sarei di parere che la var. bellardi? dovrebbe esser considerata come specie distinta, venendo i caratteri distintivi anatomici ad avvalorare quelli non molto accentuati della conchiglia (2). L'animale delle V#r:na che vivono in Francia fu descritto accuratamente da Moquin-Tandon, per cui credo inutile tornarvi sopra, parlerò soltanto di quello delle V. goeotiformis e pego- rariù che non sono ancora conosciuti. Passo ora all’elenco delle specie piemontesi ripartite nelle tre sezioni sopra citate. Sez. I — SEMILIMAX Stabile. Animale incapace di ritirarsi nella conchiglia. Semi-cappuccio molto sviluppato. Conchiglia levigata e brillante di forma ovale allungata ed a spira depressissima. (1) Dico al di sotto considerando la radula nella posizione in cui è figu- rata nella tavola, perchè in realtà si dovrebbe dire anteriormente essendo gli aculei rivolti verso l'indietro sulla liagua dell’animale. © (2) Nelle fig. 49, 50, 6I, 52. della tavola annessa a questo lavoro ho ri- prodotte le figure date da LeHManN dell’anatomia della V. pellucida tipica, onde riesca più facile il confronto colla radula della mia var. dellardii rap- presentata nella fig. 39. 328 CARLO POLLONERA Vitrina goeotiformis n. sp. Fig. 1,2,3,4. Testa depressa, elliptico-auriformis, supra converiuscula, subtus planulata; anfr. 2 celeriter crescentes; apertura sub- horizontalis, ovalis, antice subtruncata, margine dextero ar- cuato, margine columellari membranaceo, lato, valide arcuato, spiram perspectivam non obtegente. Longit. max. 4 * o/e mall. Nell'autunno dell’82 il Prof. PEGORARI mi mandava insieme a molti Zimacidi vivi della Valle d’Aosta alcune Vitrina pure vive, tra le quali un solo esemplare di questa specie che non potendo studiare sul momento immersi nell’alcool, dopo averne fatta una figura a colore e scritte poche righe di descrizione dell'animale per serbare memoria dei suoi caratteri. Dopo la pub- blicazione dell’interessante lavoro sui molluschi della Valle d'Aosta del sullodato Professore, essendomi accinto a ristudiare le Vi- trina della mia collezione, distaccai la conchiglia dall’ animale, e mi avvidi allora soltanto che essa era una specie nuova e per nulla somigliante alle altre specie europee. Questa conchiglia è interamente depressa, fragilissima, vitrea, trasparentissima, quasi incolore, leggermente ed appena verdognola, a due soli giri di spira; la bocca è allungata subovale, a margine membranoso arcuato, largo e che forma da sè solo quasi interamente la base della concliglia. Ma il carattere che distacca nettamente questa da tutte le sue congeneri europee è appunto la bocca che è così ampia ed il labbro columellare è così arcuato che lascia scor- gere l'interno di tutta la spira. Questo carattere la fa somigliare a parecchie forme esotiche dal Reeve considerate come Vitrina ed ora collocate nei generi Mel/carion, Mariaella e (Geotis, ma i caratteri anatomici di cui ho parlato più sopra dimostrano chia- ramente che essa è una Vifrina sebbene alquanto aberrante. L'animale ha una coda aguzza, breve, carenata, nerissima; il semi-cappuccio pure nerissimo sì allunga poco all’innanzi, è solcato trasversalmente da poche rughe larghe ed arrotondate, ed il suo bilanciere in forma di lingua aguzza ricopre il vertice della spira; il collo è lungo, nerastro verso il cappuccio diventa nerissimo alla testa ed ai tentacoli; la suola nerastro azzurro- gnola nel mezzo è nera nelle zone laterali. MONOGRAFIA DEL GENERE VITRINA 329 Questo animale è notevole per la brevità del semi-cappuccio che non è in rapporto colla forma così incompleta della con- chiglia; infatti le altre specie di questa sezione, sebbene tutte possiedano una conchiglia meno aperta, hanno tutte un semi-cap- puccio molto più sviluppato e che si allunga di più all’innanzi ricoprendo il collo. L'unico esemplare conosciuto finora fu trovato presso Aosta sulla destra della Dora a circa 2000" d’altitudine. Vitrina brevis. Helicolimax brevis, Fèr. 1821, Tabl. Syst. pl. IX, f. 2. Vitrina brevis, Pfr. Monogr. Helic. IV, p. 790. » » Kobelt, Iconogr. 1877, fig. 1402. Un solo esemplare di questa specie, anch'essa nuova pel Pie- monte, trovò il Prof. CamERANO presso il Lago della Veggia alla estremità superiore della Valle del Cervo. L'animale di questa specie già figurato dal Férussac fu poi descritto dal Dott. Pini (Moll. Esino in Bullett. Soc. malac. Ital. 1876, p. 109). Sebbene molto diffusa in Lombardia sembra rarissima in Piemonte, non avendola Camerano trovata in nes- suna delle varie località da lui esplorate nelle Valli della Toce e della Sesia. Vitrina diaphana. Fig. 14, 15, 16. Vitrina diaphana, Drap. 1805, Hist. moll., p. 120, pl. 8, fig. 38-39. Rossm. Iconogr. 1835, fig. 27, Kobelt, 1877, Iconogr., fig. 1398. Helicolimax vitrea, Fér. 1821, Tabl. Syst., p. 25, pl. IX, f. 4. È questa la forma più sparsa e meglio conosciuta di un piccolo gruppo di specie che formano il passaggio dai Semi- limax ai Phenacolimax; infatti mentre le V. diaphana, gla- cialis ed altre hanno una conchiglia allungata, ad ultimo an- fratto molto sviluppato ed a bocca quasi orizzontale, nelle specie più prossime alla V. nivalis per mezzo di parecchie forme, molto affini l’aspetto della conchiglia si modifica insensibilmente nel senso 330 CARLO POLLONERA dei Phenacolimax cosicchè nella V. pegorarii le affinità colle specie del gruppo della V. maior sono già molto accentuate. Il signor Kobelt attenendosi alle conclusioni di Koch ha net- tamente distinta la V. glaucialis Forbes dalla V. diaphana, ed il modo in cui egli intende queste due specie mi sembra giu- sto; per contro mostra di non conoscere affatto la V. nivalis Charp. (V. Charpentieri Stab.) poichè la figura che esso dà di questa specie è affatto erronea e non concorda punto colla de- scrizione che egli copiò letteralmente da Stabile. La conchiglia della V. diaphana è depressa, appena con- vessa, fragilissima, brillante, appena striata, d’un giallo verdastro pallidissimo. Gli anfratti sono 2 14 che crescono rapidamente; l’ultimo è molto grande, cosicchè la sua larghezza presso l’a- pertura è maggiore di metà del diametro massimo della con- chiglia. Apertura quasi orizzontale, molto ampia, a margine co- lumellare fortemente arcuato; margine membranoso su tutto il margine inferiore dell’apertura, assai sviluppato, e che nella sua maggiore larghezza Oegupa % della faccia inferiore dell’ultimo anfratto. Lunghezza 5 74-6 mill.: larghezza 3-44 mill. È questo il mollusco che in Europa sì ro, alla maggiore altezza, infatti esso fu trovato sulla vetta del Corno del Camo- | scio sopra l’Albergo del Col d’Ollen, cioè a più di 3000 metri, ed io non conosco nessuna altra specie che sia stata finora tro- vata in una stazione così elevata nelle nostre Alpi. Del resto il signor Fischer (Manuel de Conchyl. 1881, fasc. 3, pag, 281) segna lo zero della vita dei molluschi in Europa a circa 2500 metri di altitudine. In Piemonte fu pure trovata all’Ospizio del Sempione, 2020" (Stabile), e nella Valle della Dora Baltea al- l’Allée Blanche 2000 (Dumont) ed a Courmayeur 1218" (Bellardi). Vitrina glacialis. Fig. 20, 21, 22. Vitrina glacialis Forbes, 1837, Magas. Zool. Bot. — Wiegm. Archiv. 1838, II, p. 2783. — Pfr. Mon. Helic. II, p. 496. — Koch, 1871, Nachr. BI. Mal. Ges. III, p.39,:t, 1, f. 6. — Kobelt, 1877, Iconogr., fig. 1401. Come sinonimo o come varietà della V. diaphana fu dalla massima parte dei malacologi considerata la V. glacialis Forbes, vrTa MONOGRAFIA DEL GENERE VITRINA 3831 specie ora nettamente distinta da quella mercè i lavori di Koch e di Kobelt. Questa finora fu trovata in Piemonte soltanto a Courmayeur nella Valle d’Aosta (1212") dal Cav. Ippolito Blanc. È una forma assai vicina alla V. diaphana dalla quale differisce es- senzialmente per il margine membranoso assai più largo, cosicchè esso occupa quasi la metà della faccia inferiore dell'ultimo an- fratto, ed anche più breve perchè cessa un po’ prima di giun- gere alla estremità anteriore della bocca, mentre nella V. dia- phana esso si estende su tutto il margine inferiore dell’apertura. In questi caratteri del margine membranoso la V. glacialis Forbes concorda perfettamente con una piccola Vitrina di Lom- bardia (spedita dai signori Villa col nome di V. nivalis Charp.), ma questa è meno depressa, più convessa superiormente ed in- feriormente, ad ultimo giro meno ampio e quindi a conchiglia meno allungata, a bocca più obliqua, più alta e meno lunga. L'unico esemplare che ne possiedo è di dimensioni alquanto mi- nori delle V. diaphana e glacialis misurando mill. 4} di lun- ghezza per 3 }4 di larghezza. Questa forma io la chiamerò: Vitrina villae. Fig. 17, 18, 19. V. nivalis Villa in schedis, non V. nivalis Charpentier. Essa si distinguerà al primo colpo d’occhio dalla V. nivalis Charp. per la sua forma meno allungata e più rotonda, ma sopra tutto pel suo margine membranoso larghissimo e breve, mentre nella V. nivalis esso è strettissimo e lungo. Vitrina nivalis. Fig. Da 13. Vitrina mivalis, Charpentier in Dumont et Mortill. 1852 Hist. moll. Savoie, p. 299, n° 2. — 1857, Catal. crit. et malac. Savoie, p. 16. » charpentieri, Stabile, 1859, Descript. Coq. nom. in Rev. et Mag. Zool., p. 419 (non Kobelt). Grazie alla gentilezza del Dott. Pini di Milano ho potuto osservare un esemplare tipico di Charpentier di Bex in Svizzera (fig. 5, 6, 7) ed uno pure tipico di Stabile dell’Ospizio del Sem- pione (fig. 8, 9, 10). Ecco la descrizione della V. nivalis tipica. 392 CARLO POLLONERA Testa elongata, depressa, subplanulata; supra vix :con- veriuscula, subtus subglobosa; hyalina lutescenti-viridula ; spira brevissima, apice prominula. Anfractus 2 % convexiu- sculis, rapidissime crescentes, sutura filo-marginata separati ; ultimus magnus, depressus, elongatulus. Apertura obliqua, ovato- elongata, margine supero arcuato-subangulato , infero medio- criter incurvato, limbo membranaceo angusto. Longit. 4 % mill. Hab. Le Alpi di Bex in Svizzera. Questa conchiglia non è tra le Vitrina più trasparenti, l'in- terno della bocca è alquanto bianchiccio madreperlaceo, le strie sono poco marcate ed arrotondate; il margine superiore della bocca è leggermente concavo presso il suo punto di partenza, si fa poi convesso e rivolto bruscamente all’indietro tanto da sembrare quasi ottusamente angoloso. L’esemplare tipico di Stabile (fig. 8, 9, 10), cioè la forma del Sempione, non è perfettamente identico a quello di Bex, infatti esso è di forma generale meno allungata, è alquanto più ccnvesso superiormente cosicchè anche la bocca resta un po’ più obliqua all'asse della conchiglia, il margine superiore della bocca si inarca regolarmente, e quello inferiore essendo più arcuato, la bocca resta assai più larga in rapporto alla sua lunghezza ; inoltre il margine membranoso è ancora più stretto che nel tipo di Bex. Per quest’ultimo carattere concordano colla forma del Sempione gli individui del Monte Codeno in Lombardia e quelli della cascata detta Frua in Piemonte che sono nella mia col- lezione, ma per la forma dell’apertura concordano meglio colla forma tipica di Bex. Tutte queste piccole differenze però mi sembrano puramente locali od individuali, e soprattutto troppo leggere per poter loro dare il valore di caratteri differenziali ; io credo quindi che queste varie forme debbano restare unite sotto lo stesso nome di V. nivalis Charp.; tutto al più si po- trebbe considerare la V. charpentieri Stabile come una sem- plice mutazione a margine membranoso più stretto. Ormai non è più possibile confondere la V. mivalis colla V. diaphana o colle forme affini a questa, per la notevole di- versità di ampiezza del margine membranoso, e per la obliquità della bocca nel gruppo della prima mentre nelle altre essa è quasi orizzontale. Dalle forme del sruppo della V. maior si di- MONOGRAFIA DEL GENERE VITRINA 333 stinguerà sempre pel grande sviluppo del suo ultimo anfratto e per conseguenza dell’ampiezza dell'apertura. Della V. charpentieri Stabile vi sono due figure, ma en- trambe erronee. Quella di Kobelt (Iconogr. f. 1408) rappresenta una forma assai meno allungata ed a margine membranoso largo come nella V. diaphana, cosicchè è impossibile riferirla alla specie in questione. Quella di Stabile (1. c. tav. 15, f. 1-5) esagera assai l'ampiezza dell’ultimo anfratto nel suo rapporto coi primi e quindi anche quella dell’apertura; infatti egli dà come lunghezza della bocca 3 o 314 mill. per 5 o 6 di lunghezza to- tale della conchiglia, mentre la sua figura rappresenta una con- chiglia lunga 6 mill. con un'apertura di 4%. Il signor Clessin descrisse una V. alpestris (Malakozool. Blatt, 1881, p. 185) che si distinguerebbe dalla V. nivalis pel margine membranoso un po’ più largo e per la spira più depressa, ma il signor Boettger (Malakozool. n. Palaeont. Mit- theil. 1883, p. 159) crede che essa non sia altro che la forma perfettamente adulta della V. mivalis. In Piemonte la V. nivalis fa-trovata finora all'Ospizio del Sempiono, 2050" (Stabile); al Piccolo San Bernardo, 2000" (Dumont); Valle della Stura di Lanzo 1900" (Stabile); Gran San Bernardo 2400", fra Pollein e Chervensod 2000", e val- lone di Gressan, 1000" nella Valle d'Aosta (Pegorari); Cascata della Frua in Val della Toce, 1694" (Camerano); Monte Ce- nisio, 2000" (Boettger). Un'altra forma di questo gruppo si trova a Castel See in Val della Toce, e sebbene offra notevoli differenze, non essen- done stato finora raccolto che un solo esemplare non oso di- chiararla quale specie nuova, temendo che essa possa essere soltanto una varietà molto più globosa della V. nivalis; la chiamerò : Var. piniana Piet 42 13: Testa striata, supra convexa; anfractus 2% rapidissime crescentes, ultimus amplus; apertura obliqua, regulariter ovato- oblonga, margine membranaceo angusto. Longit. 4} mill. 334 CARLO POLLONERA Questa forma differisce dalla tipica per essere assai più glo- bulosa, più convessa superiormente, a spira più prominente, a bocca ancora più obliqua, meno allungata e più ovale; a mar- gine membranaceo stretto come nella forma di Stabile, il colore, la poca trasparenza e l'interno della bocca madreperlaceo sono simili alla V. mivalis della Cascata della Frua. Vitrina pegorarii, n. sp. Fig. 23, 24, 25, 26. È questa una forma intermedia tra la V. nivalis e le forme depresse del gruppo della V. mazor. Ne ricevetti 2 individui vivi dal Prof. PeGoRARI che li raccolse sulla riva destra della Dora presso Aosta a circa 2000" di altitudine, e che io confusi finora colla specie precedente. Eccone la descrizione. Testa depressa, rotundata, supra subplanulata, subtus con- vera, hyalina, vitrea, pallidissime lutescenti-viridula, spira via prominula. Anfractus 2% rapide crescentes, sutura filo-mar- ginata separati ; ultimus amplus gradatim crescens. Apertura subobliqua, ampla, margine supero regulariter arcuato, infero incurvato, limbo membranaceo angustissimo. Longit. 6 mill. Questa specie si distingue dalla V. mivalis per la sua forma assai meno allungata che le viene da ciò che l’ultimo anfratto cresce gradatamente, e non prende mai uno sviluppo tanto pre- ponderante sul resto della spira come accade in quella. Infatti misurando queste due specie si osserverà che nella V. mivalis la larghezza dell’ultimo anfratto presso l'apertura supera assai la metà della lunghezza totale della conchiglia, mentre nella V. pegorarii essa è inferiore alla metà. oltre in questa il lembo membranoso è ancora più ristretto che in quella, ed anche per questo carattere si avvicina alle forme estreme del gruppo della V. maior; la spira è alquanto più depressa ed il margine columellare più arcuato che nella V. mivalis. L'animale mentre cammina è lungo circa 18 mill., ha la testa ed i tentacoli neri; il semi-cappuccio molto sviluppato che si allunga e si restringe all’innanzi, è trasversalmente solcato da numerose rughe non. molto larghe, esso è di color nerastro & MONOGRAFIA DEL GENERE VITRINA 835 macchie ocraceo-chiaro; ha un bilanciere breve, largo, arroton- dato in punta e che non ricopre l'apice della conchiglia. La coda poco aguzza, nerastra, e longitudinalmente traversata da un profondo solco mediano di color chiaro dal quale partono molti solchi trasversali obliqui dall’innanzi all’indietro. La suola bianchiccia nel mezzo, è nera nelle zone laterali. Sez. HI. — PHENACOLIMAX Stabile. Animale che può ritirarsi nella sua conchiglia e chiudervisi con un epifragma. Semi-cappuccio ben sviluppato. Conchiglia di forma ovale, non umbilicata. Vitrina stabilei Fig. 33, 34, 35. Vitrina maior, Stabile, 1864, Moll. Piem., p. 24. » » var. sfabilei Lessona, 1880, Moll. viv. Pie- mont, pi24, te IV, £. (5%. Testa depressa-globosa, tenuis, laevigata, nitidissima, pel- lucida, hyalina, pallide lutescente; spira brevissima, apice vix prominula. Anfractus 3 celeriter crescentes, sutura filo-mar- ginata separati, ultimus depressus, antrorsum elongatus, basi subplanus, margine membranaceo breviusculo, semilumare ; aper- tura subhorizontalis subovato-elongata. Longit. 614}— 8% mill Questa specie è affine alla V. maior Fér. e la sostituisce nelle nostre Alpi occidentali eccetto le marittime. Ho creduto di dover separare specificamente dalle francesi queste forme pie- ‘montesi perchè tutte concordano tra loro su parecchi caratteri differenziali abbastanza notevoli, quantunque variino tra loro assai per l’altezza della spira e per le dimensioni. Queste forme pie- montesi sono sempre più depresse che le francesi; la bocca è assai meno obliqua, anzi è quasi orizzontale, perchè l’ultimo an- fratto è più schiacciato tanto sotto quanto sopra, e non discende a guisa di tetto come nella V. maior ma è quasi pianeggiante; inoltre, la spira svolgendosi assai più rapidamente, esso è anche assai più grande rispetto al resto della spira che è composta da 3836 © CARLO POLLONERA soli 3 giri invece di 3 4 come nella V. maior di Francia (Vedi fig. 33, 34, 35 e 36, 37, 38). Il signor Locard di Lione al quale comunicai varie di queste forme piemontesi, crede la V. stabilei del Lago di Fiorenza identica alla var. depressiuscula Moq. della V. maior; ma es- sendo questa forma distinta dal tipo soltanto colle seguenti pa- role: « coquille de méme taille, un peu plus deépriméee » Vi- dentità non mi sembra potersi stabilire con sufficiente certezza per adottare il nome di Moquin-Tandon, tanto più che questi cita come patria della sua varietà i Pirenei. A questo proposito converrà osservare che l’area in cui vivono le forme che io rac- colgo sotto il nome di V. stabile non confina forse in nessun punto con quella della V. maior; infatti Dumont e Mortillet (Catal. crit. moll. Savoie, p. 18) osservarono che questa specie, assai abbondante in quella regione, manca a tutta la parte alta della Savoia, cioè verso il confine italiano, come pure manca alla Valle d’Aosta la V. stabilei che si trova nelle parti elevate delle Valli della Sesia, del Cervo, della Stura di Lanzo, della Dora Riparia e del Po; in quest’ultima località soltanto essa si trova forse a breve distanza dai luoghi abitati dalla V. mazor. Come dissi più sopra la V. stabilei è assai variabile tanto nella forma, quanto nella grandezza. Considero dunque come tipica la forma figurata da M. Lessona (loc. cit.), cioè quella del Lago di Fiorenza e del Piano del Re ai piedi del M. Viso (oltre i 2000"); essa è quella che presenta le maggiori dimensioni raggiungendo qual- che volta fino 8 }4 mill. È di forma ancora un poco più appiattita superiormente e più piccola (5-6 }4"") nel vallone di Valfroide sopra Bardonecchia (Piolti), al Monte Cenisio 2000" (Pollonera) ed al Col d’Ollen in Val Sesia (Camerano). Gli individui di Valfroide sono inoltre alquanto più rigonfi inferiormente, e tra essi ne trovai uno subopaco e color bianco latteo. Una forma più notevole è quella che presenta un esemplare di Balme nella Valle di Lanzo determinato da Stabile col nome di V. maior, essa è la Var. locardi Fig. 27, 28, 29. Testa supra et subtus depressior, spira fere ommino pla- nulata, limbo membranaceo fere nullo. Longit. 6 4 mill. MONOGRAFIA DEL GENERE VITRINA 337 DI Questa forma è ancora più schiacciata delle precedenti, la bocca è ancor meno obliqua, e soprattutto il margine membra- noso è talmente stretto che quasi non esiste più. Il sig. Locard al quale la comunicai, la ritiene per una specie nuova; ma io non possedendone che un solo esemplare, ed ignorando quindi se il carattere del margine membranoso sia costante negli altri individui della stessa località, mi limito a notarla come varietà distinta. Oltre le località sopra citate, Stabile nota ancora per la V. maior, il Santuario d’Oropa 1250”, e sopra Rochemolles nella Valle della Dora Riparia a 1900", Vitrina major Eig...30,..477.38. Vitrina pellucida Drap. 1801, Tabl. Moll. p. 89. — Hist. p. 119 pl. VIII, f. 34-37 (non Gaertner). Helicolimax maior Fér. 1807, Ess. meth. Conch., p. 43. Vitrina maior C. Pfr. 1821, Deutsch. Moll. I, p. 47. — Moq. Tand. 1855, Hist. moll., p. 49, pl. VI, f. 14-32. _ La forma tipica francese, che ho rappresentato nelle citate fi- gure, non vive in Piemonte, le forme citate con questo nome da Stabile e da Lessona essendo tutte comprese nella V. stabile: ; tuttavia credo di dover ascrivere alla V. maior, quale nuova va- rietà, due esemplari raccolti dal Cav. J. Blanc a Limone nelle Alpi Marittime, chiamerò questa forma : Var. blanci Fig. 47, 48. Testa subdepressa, nitida, hyalina, anfr. 3Î4 regulariter erescentes; apertura subobliqua, margine supero declivi, mem- branaceo angustissimo, columellari refleco umbilicum parvulum simulante, Questa forma pel suo aspetto generale e pel modo in cui si svolge la spira è bene la V. maior, ma se ne distingue pel suo colore vitreo invece di verdognolo, per i suoi anfratti meno globosi che si approssimano a quelli della V. stabileé: ma il carattere più spiccato è il simulacro di umbilico che è in essa, formato dal mar- 338 CARLO POLLONERA gine columellare alquanto dilatato e risvoltato, e per un tratto non aderente alla conchiglia, ciò che non accade mai nella forma tipica di questa specie. Debbo però far notare che in un esemplare di V. maior di Montpellier in Francia ho pure osservato questo pseudo-umbilico sebbene molto meno visibile che in questa forma di Limone. Uno dei due esemplari raccolti dal Cav. Blanc misura nel suo diametro massimo quasi 10 mill., l’altro 7 34. Vitrina pellucida Fig. 30. Helix pellucida, Miller. 1774, Verm. hist. II, p. 15. Vitrina pellucida, Gaertn. 1813, Conch. Wett. p. 34 (non Drap.). Questa ben nota specie è del Genere Vitrina quella che si trova più comunemente in tutte le nostre Alpi, ed è l’unica che finora sia stata trovata nell’Apennino ligure-piemontese, e che discenda fino alla pianura. Essa è generalmente poco trasparente, di un colore che tira sul giallognolo, e nell’interno della bocca è qualche volta di un bianchiccio un po’ opaco: gli esemplari piemontesi sono quasi tutti più fortemente striati che non quelli lombardi che vivono a Legnano; del resto sono poco variabili e solo in qualche località se ne trova qualcuno a spira un po’ più depressa. Una forma molto notevole però è quella che vive nei con- torni d'Aosta, donde me ne mandò parecchi esemplari il Pro- fessore Pegorari, e che io chiamerò: Var. bellardii Fig. 31. Differt a forma typica, testa mitidissima, hyalina, viri- dula, supra depressiore, subtus globosiore, laevissima, ad su- turam minute et crebre striatula. Longit. 4-5 mill. Più sopra parlando dei caratteri anatomici delle varie specie feci notare le importanti particolarità della radula che trovai in questa forma; ora se un accurato esame della radula della MONOGRAFIA DEL GENERE VITRINA 339 V. pellucida tipica non la dimostrerà uguale a questa della var. bellardiî, 10 credo che questi caratteri anatomici differenti, con- cordanti con differenze abbastanza notevoli nella forma della conchiglia, dovranno far considerare come specie distinta questa forma che per ora considero come semplice varietà, ed allora essa dovrà prendere il nome di Vitrina bellardii. Questa conchiglia è trasparentissima, liscia, pochissimo e fi- nissimamente striata, eccettochè presso la sutura dove le strie son molto fitte e più profonde. La spira è assai più depressa che nella V. pellucida, mentre al di sotto la conchiglia è molto più globosa, e la bocca è assai meno larga e più alta. Per ap- prezzare questi caratteri basta dare uno sguardo alle figure 30 e 51 che rappresentano la figura tipica e la var. bdellardi:. Il colore di questa varietà mi sembra debba essere simile a quella della var. deryllina Pfr., la quale però sembra distin- guersi dal tipo soltanto per la sua colorazione, e che appare piuttosto una mutazione individuale, trovandosi qua e là fram- mista cogli individui tipici, non però in Piemonte dove non credo sia mai stata trovata finora. La V. pellucidu si trova in tutte le valli delle nostre Alpi a cominciare da quella della Toce fino a quella del Po; negli Apen- nini; nelle colline di Valmadonna presso Alessandria e sulle rive boscose del Ticino. Dalla pianura si eleva sino oltre i 2500 metri. Sez. III. — OLIGOLIMAX Fischer. Animale che può ritirarsi nella sua conchiglia e chiudervisi con un epifragma. Senza semi-cappuccio visibile. Conchiglia striata, orbicolare, umbilicata. Vitrina annularis Fig. 32. Hyalina annularis, Venetz, 1820 in Studer Kurz. Ver- zeichn. p. 86. Helicolimax annularis, Fér. 1821, Tabl. Syst. p. 25, Hist. pied, de Vitrina annularis, Gray 1825, in Ann. phil. IX, p. 409. » subglobosa, Michaud 1831, Compl. hist. moll. I, p. 10, pl. XV, f. 18-20. 340 CARLO POLLONERA Questa conchiglia assai facile a distinguere dalle altre specie dello stesso genere per: il suo aspetto più eliciforme e per la molto più pronunciata striatura, fu assai bene descritta ma pes- simamente figurata da Moquin-Tandon (Hist. moll. tav. VI, f. 37-40). La figura di Férussac quantunque meno cattiva, non basta a darne una esatta idea perchè anch'essa esagera assai la larghezza della bocca e le dà una posizione troppo orizzontale, inoltre non segna neppure la perforazione umbilicale che tuttavia è ben visibile in questa specie. Le figure che Kobelt dà di questa specie e della V. servainiana (Iconogr. f. 1406-1407), che io dubito assai sia la stessa specie, sono di poca utilità perchè non avendo egli data la figura della conchigiia veduta di fronte non si può avere un'idea della forma dell’apertura e delle sue propor- zioni rispetto al resto della conchiglia. Gli esemplari piemontesi concordano assai più colla descrizione che egli dà della V. ser- vainiana Saint-Simon che con quella della V. amnularis, so- prattutto per le proporzioni della larghezza per l'altezza della con- chiglia; quanto allo svolgersi della spira esso è più rapido che in quest’ultima ed un po° meno che nella prima. Del resto lo stesso Saint-Simon dubita ora della validità della sua specie (1), ed io credo che si verrà alla fusione di questa colla V. annularis. Negli esemplari piemontesi osservai in individui della stessa lo- calità variazioni abbastanza notevoli non solo nell’ elevazione e nello svolgersi della spira più o meno rapido, ma anche nella striatura che in alcuni è pronunciatissima a costoline arrotondate, regolari e serrate le une contro le altre; in altri esse sono più di- stanti e disuguali; in altri infine la conchiglia è assai liscia e di poco più striata che la V. pellucida. In Piemonte finora fu trovata al Sempione 2100" (Stabile); a Morasco in Val Formazza (Camerano); in tutto il bacino di Aosta da 550 a 1600" (Pegorari); sopra Balme nella Valle della Stura di Lanzo, 2000". (Stabile): nella Valle della Dora Riparia sopra Ferrere, 600" (Camerano) ed al Monte Tabor 2000" (Piolti); Ronches al Mon Cenisio (Blanc); nella Valle del Po, pascoli alpini sopra Crissolo, 1600-1800" (Stabile). ll signor Westerlund descrisse una V. bicolor ( Ofvers. Kgl. Vetensk. Forh. 1881, p. 51) delle Alpi e dei Pirenei, ma non (1) Vedi Locarp Cutal. Moll. France, 1882, p. 24 in nota, MONOGRAFIA DEL GENERE VITRINA 341 avendo ancora potuto aver sott'occhio la sua descrizione non so se questa specie si debba riferire a qualcuna delle forme sopra descritte. Quanto alla V. membranacea e V.hiemalis di Koch (Zeitsch. A. Deutsch-Oesterr. Alpenver. VII, p. 217 e 218) delle Alpi Retiche non sembrano trovarsi nelle Alpi occidentali. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XIX, 29 (9) 4 bo CARLO POLLONERA - MONOGRAFIA DEL GENERE VITRINA. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA SX Fic. 1, 2, 8, 4, V. goeotiformis Pollonera. 5, 6, 7, V. nivalis Charp. di Bex. D)) 8,9 1 14, iu 20, , 10, V. charpentieri Stab. del Sempione. 12, 13, V. nivalis var. piniana Poll. di Castel See. 15, 16, V. diaphana Drap. del Col d’Ollen. 18, 19, V. villae Poll. di Lombardia. 21, 22, V. glacialis Forbes del Cantone di Vaud 24, 25, 26, V. pegorarii Poll. di Aosta. 28, 29, V. stabilei var. locardi Poll. di Balme. V. pellucida Mill. di Vallestretta. V. pellucida var. bellardii Poll. di Aosta. V. annularis Venetz di Morasco. 84, 85, V. stabilei Lessona del Pian del Re. 87, 38, V. maior Drap. del Delfinato. V. pellucida var. bellardii Poll., radula. 41, 42, V. goeotiformis Poll., mandibola, organi genitali, radula.. 44, 45, V. pegorarii Poll., mandibola, radula, organi genitali. V. stabilei Less., organi genitali. 48, V. maior var. blanci, Poll. di Limone. 50, 51, 52, V. pellucida, tipica, organi genitali, radula e mandibola ; figure riprodotte da Lehmann, leb. Schneck, Pommern, tav. IX, f. 12. 343 Il Socio Conte Prof. T. SaLvapori legge il seguente suo lavoro INTORNO AD UNA Si bebiEbiebAlat0 NUOVA PER LA FAUNA ITALIANA. Il Dott. Martorelli, già Professore di Storia Naturale nel Liceo di Sassari in Sardegna, mi mostrava, non ha guari, un bel- lissimo disegno fatto da lui, di un Falcone femmina, che era stato ucciso nelle vicinanze di Sassari, su alcune roccie a picco sul mare, nel Giugno del 1882, e che ora si conserva nel Museo di quella Università. Dalla figura di quell’esemplare io non potei farmi un’ idea’ certa della specie cui esso fosse da riferire, per cui scrissi al Pro- fessore Fanzago, direttore del Museo di Sassari, di volerinelo in- viare, per poterlo studiare con diligenza. Il Prof. Fanzago aderiva di buon grado al mio desiderio, della quale cortesia gli sono gra- tissimo; ma anche coll’esame dell'esemplare, non riuscii a determi- narlo, sembrandomi differente da tutti quelli a me noti, per cui ri- solsi d'inviarlo in Inghilterra al Gurney, conoscitore sovra tutti degli uccelli di Rapina, e creatore del Museo di Norwich, ove si trova adunata la più bella e la più ricca collezione di Rapaci che esista. Il Gurney, esaminato il Falcone, mi scriveva quanto segue: « Io considero il Falcone come un giovane del Falco puricus di Levail - lant jun., l'adulto del quale è figurato nell'opera £xploration de lAlgerie, pl. 1, e che secondo me è la razza settentrionale o subspecies del F. minor. L’esemplare inviatomi è un poco più piccolo, rispetto alle dimensioni dell’ala e del tarso, delle fem- Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XIX. 23* 344 TOMMASO SALVADORI mine ch’io ho prima d’ora esaminate, ma ciò è da attribuire all’essere quell’esemplare molto giovane ». Lo stesso Gurney (Ibis, 1882, p. 309-321) discorre a lungo del 7. punicus, il quale abita il Marocco, l'Algeria e la Tunisia, è stato trovato in Spagna e nelle isole Baleari, è stazionario nell’Asia minore e si estende anche in Persia, dove dal De Filippi è stato raccolto un esemplare che si conserva nel Museo di Torino; questo fu attribuito dal De Filippi ( Viaggio in Persia, p. 345) al Falco peregrinus, mentre il Blanford (Eastern Persia, II, p. 102) lo ha riferito dubitamente al Falco dbarbarus ed il Gurney (Ibis, 1882, n. 310) ha sospettato invece che appartenesse al F. punicus, e secondo me giustamente, giacchè esso somiglia moltissimo all'esem- plare di Sardegna sovra menzionato, differendone soltanto per le parti superiori più chiare, meno nereggianti, per le parti inferiori meno rossigne e con macchie nere meno cospicue, pel mustacchio nero meno largo e per le piume del sottocoda con macchie nericcie a V, e non con tre o quattro fascie nere trasversali alquanto appuntate sul mezzo del margine inferiore. Non è improbabile che questa non sia la prima volta che questo Falcone è stato osservato in Italia, giacchè il Vian (Leo. et Mag. de Zool. 1867, p. 174) scrive di avere un Falco che egli chiama peregrinoides (Falco communis minor, Schleg.), e che il Dresser riferisce al . minor (=. punicus in parte), uc- “ ciso nelle vicinanze di Milano nell'Aprile del 1867. Nella Fauna d'Italia, p. 310, io feci notare come il Vian non dicesse da chi aveva ricevuto quel Falcone, e come perciò mi sembrasse prudente di attendere ulteriori prove prima di am- mettere quella specie fra le italiane. Anche il Gurney (/bes, 1882, p. 310, nota) fa osservare che la identificazione di quell’esem- plare è cosa incerta. Tuttavia avendo ora riletto attentamente la descrizione dell'esemplare del Vian, mi pare che esso appar- tenga veramente al N. punicus, la quale cosa viene avvalorata dalla considerazione che il Vian dice di riferire quell’esemplare di Lombardia alla stessa specie cui appartengono certi Falconi di Algeria che egli aveva ricevuti dal Loche col nome di Y. dar- barus, e noi sappiamo che con questo nome il Loche chiamava appunto il /a/co punicus. Resta a sapersi soltanto se la prove- nienza di quel Falcone sia esatta. Il Giglioli nell’Avifauna Italiana annovera (Sp. 25%) anche il F. minor, ma più recentemente nell’E/enco delle specie di w INTORNO AD UNA SPECIE DI FALCO 345 Uccelli che trovansi in Italia, p. 107 dice: « Havvi una certa confusione fra questa specie (Malco barbarus) ed il così detto Falco minor, specie che non saprei distinguere fra i Falconi eu- ropei e che ebbe più volte per base individui maschi e piccoli del Falco communis ». Dopo ciò ora soltanto, dopo la cattura dell'esemplare di Sar- degna sopra menzionato, possiamo dire con certezza che il alco punicus fa parte dell’Avifauna italiana. Questa specie somiglia più che a qualunque altra al . minor, Bp. dell’Africa meridionale, ma somiglia anche al . barbarus, Linn. ed al /. peregrinus, Tunst. Disgraziatamente i materiali che esistono nel Museo di Torino, sono molto scarsi, mancandovi affatto il Y. minor, ed essendoci un solo esemplare adulto del N. bardarus ed un solo esemplare in abito imperfetto del N. punicus, quindi io non sono in grado di indicare con precisione i caratteri che distinguono il /. punicus dalle altre tre specie menzionate. Da quanto ho potuto raccogliere sembra che il /. punicus si distingua dal /. minor adulto pel colore generalmente rossigno della cervice, per le parti inferiori rossigne con fascie trasversali scure meno regolarmente disposte e per le dimensioni alquanto maggiori; dal Y. barbarus pel co- lorito più scuro, pei mustacchi molto più larghi, per le fascie trasversali scure delle parti inferiori più distinte, per le dimen- sioni pure maggiori, e finalmente dal /. peregrinus per la cervice generalmente rossigna per le parti inferiori più rossigne e per le dimensioni minori. Tuttavia si noti che, secondo quanto mi scrive recentemente il Gurney, il maschio del F. punicus somiglia tanto alla femmina del F. barbarus da poterlo distin- guere soltanto mediante la dissezione che ne faccia constatare il sesso, e che la femmina del F. punicus somiglia tanto al maschio del F. peregrinus da poterla distinguere soltanto collo stesso mezzo. L’esemplare figurato da Levaillant (fig. cit.) ha le parti supe- riori grigio-brune, compresa la nuca, ove non si osserva traccia di color rossigno; in esso le parti inferiori sono rossigne con poche macchie lineari lungo lo stelo delle piume del petto, e con macchie nericcie disposte a fascie -sull’addome, sulle tibie e sul sottocoda. Secondo il Gurney il Y. punicus avrebbe le seguenti di- mensioni: 346 TOMMASO SALVADORI e poll. ingl. 11,25-11,60 (= 0",286-0",296) Maschi ‘ tarso 1,50- 1,80 (= 0",038-0",045) dito medio s7ne ungue 1,80- 2,00 (= 9",045-0",051) \ ala 13,00-13,30 (= 0",330-0",337) Femm. < tarso 1,80- 2.00 (= 0%,045-0%,051) dito medio s7ne ungue 2,00- 2,10 (= 0",051-0",054) La femmina giovane uccisa presso Sassari può essere de- scritta nel modo seguente: Parti superiori nere colle piume del dorso, del groppone, del sopraccoda e delle cuopritrici delle ali marginate di bruno-rossigno ; le penne del sopraccoda hanno i mar- sini più larghi e più chiari; cervice variegata di rossigno-ocraceo, il quale colore forma una fascia semilunare sul margine poste- riore del pileo, e sulla cervice due fascie laterali, variegate di nero. limitanti un'area nera mediana; lati della testa e mustacchi molto larghi neri: gola e parte posteriore delle gote bianchiccie con strie nere: petto ed addome di colore rossigno-ocraceo con grandi macchie nere che occupano la maggior parte della piuma ; sui fianchi le macchie prendono forma di fascie trasversali: parte inferiore dell’addome e sottocoda bianco-fulviccio, l'addome con macchie longitudinali nere ed il sottocoda con tre o quattro fascie nerastre trasversali, alquanto appuntate lungo lo stelo dalla part: verso l'apice; remiganti con macchie trasversali rossigne sul vessillo interno: cuopritrici inferiori delle ali rossigno - ocracee con macchie nere; timoniere nero-grigiastre con l'apice bian- chiccio e con sei serie di macchie rossigne circondate di grigio, su ambedue i vessilli, tranne la prima timoniera che ha sette macchie trasversali rossigne soltanto sul vessillo interno; becco nero azzurrognolo, cera e palpebre azzurrognole: piedi giallo- verdastri. Lungh. tot. 0",430: al 0".,315: coda 0",150; becco 0",023; tarso 0".0453: dito mediano senza l'unghia 0",050. Aggiungo alcune citazioni che sono riferibili a questa specie: Falco punicus. LeEvAILL. Falco punicus, Levaill. jun., Expl. Algér. Ois. pl. 1 (1850) ad. — Gurney, Ibis, 1882, p. 309-321, 437, INTORNO AD UNA SPECIE DI FALCO. 34° Falco peregrinus, De Fil. (nec Tunst.), Viaggio in Persia, p. 345 (1865). Gennaia barbara, part., Loche, Expl. Algér. Ois. p. 55 (1867). Falco peregrinoides, Vian (nec Temm.), Rev. et Mag. Zool. 1867, p. 174 (Lombardie). — Salvad., Fauna d’Italia, Ucec., paro 10, (1872). Falco barbarus, Blanf. (nec Linn.), Geol. and Zool. of Abyss. p. 288 (1870) (Abissinia). — Sharpe, Cat. B. I, p. 386 (1874) partim. — Blanf. (nec Linn.), East. Pers. II, p. 102 (1876) (Persia). Falco minor, part., Dresser, B. of Eur. VI, p. 43 (1876). Chiudo questa mia breve nota invitando gli Ornitologi ita- liani a voler studiare attentamente le varie specie di Falconi, che si trovano nella penisola, ma per fare ciò utilmente è ne- cessario raccoglierne il maggior numero possibile di esemplari, specialmente nelle Isole di Sardegna e di Sicilia, ove è probabile che s'incontrino più frequentemente di quello che non si creda il f. punicus ed il F. barbarus. L’Accademico Segretario A. SOBRERO. di Wai i TPREEE EROTICA RE r La ta , dI } SR to abi dei afidi aaa DI Pant i Ls ttipgrazioal/ | SAI 5) VELA sa pen MISSUZI Un CRON ata lui ner pa senti Lear rd Ù hit ei Sa gt Patata I n l” Ip Lai ET, "I DIM ga A I pretlie Lr ne Pra LA si si ti toi) i PAROLE uti LI va A 3 Ù Nr dATTAE 7 to Miei: si todfatigai ae vebinazeni- tap danadizli MD ade Dase 0 aeei Di | aa + ERIN IS TESTI «0 , IN ey} lella: ne ae SORA 0 Nea RIT A vato La Siad AM TV ica A A LAZIO ia s\LiekPai vw osa hug a M è ì Ù Uiranti É L CLASSI UNITE dd ELEZIONE. 351 CLASSI UNITE Adunanza del 3 Febbraio 1884, PRESIDENZA DEL SIG. COMM. PROF. ARIODANTE FABRETTI In questa adunanza l'Accademia elegge a suo rappresentante nel Consiglio amministrativo del Consorzio Universitario il Comm. Prof. Michele Lessona, Socio della Classe di Scienze fisiche e matematiche. CARTA o... | ASCANIO SOBRERO Gli Accademici Segretari 4 } Gaspare GORRESIO. Pale: WIVAL 122A due aleieant g° î LC IVA RA FIA AUOTRA ENI di MO ) SP ULI UR ‘4 II) aisi I 4 rt4 sed tw] utia Ì ATEO | lai) st; urta i bang. ANA Mt. i remoti 6 i è ERO Ni SOMMARIO Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. Sacco — Nuove specie fossili di Molluschi lacustri e terrestri in Pie- monte: ii Ra Re e A I at Pag: 247 SeGrE — Sulle rigate razionali in uno spazio lineare qualunque . . Guipi — Dell’azione del vento contro gli archi delle tettoie . . . . » Bizzozero — Relazione di un lavoro del Prof, L. GriFFINìi intitolato: « Contribuzione alla patologia dell'epitelio cilindrico n. . . . . » BruenaTELLI — Sulla composizione di una roccia pirossenica dei dintorni ‘di «Rieti 230 e te AS A vera BATTELLI — Sui sistemi catottrici centrati. . .... +... » Dorna — Lavori dell’Osservatorio astronomico di Torino AEROSVI AI: Siacci — Presentazione di un opuscolo del sig. E. NaRDUCCI . . . » PoLLoneRA — Monografia del Genere Vitrina . ..... 4... » SaLvapori — lutorno ad una specie di Falco nuova per la fauna — itallana ui to la air a i DIST R » u Classi Unite. ELezione del Comm. Prof. Michele Lessona a rappresentante nel Consiglio amministrativo del Consorzio Universitario . . .. . » 265 283 291 292 297 320 321 322 343 301 see Se = SEA AGLI _R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XIX, Disp. 4* (Marzo 1884) Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. TORINO ERMANNO LOESCHER Libraio della R. Accademia delle Scienze È | . CLASSI UNITE ì Mei Ati R. Accad. - Parte Fisica — Vol XIX. 24 CLASSI UNITE Adunanza solenne tenuta il 9 Marzo 1884. PRESIDENZA DEL SIG. COMM. PROF. ARIODANTE FABRETTI —_—& L'Accademia riunitasi in solenne adunanza per com- memorare il primo centenario dalla sua istituzione, il Presidente Comm. Prof. Ariodante FagreTTI apre la se- duta col seguente Discorso: Onorandi Colleghi, Se nelle città nostre si succedono frequenti le commemora- zioni di uomini illustri o si celebrano i ricordi di grandi avve- nimenti, ai detrattori o ai dimentichi del passato si fa manifesto, che la storia italiana è ricca di gloriose memorie: nè solo di memorie di prosperi casi e di fortunose vicende, che mutano la vita dei popoli, o di condottieri che nelle armi spiegarono ar- dimento e valore, ma eziandio dei portati della scienza e della vita di quelle istituzioni, che per lunga serie di anni furono centro di operosità scientifica. Non meno delle clamorose pruove, che spesso abbagliano i volghi e conferiscono allori caduchi , valgono i quieti esperimenti del chimico e del fisiologo e le si- lenziose speculazioni del pensiero, che alle società civili recano alleviamento e conforto. Del resto anche la scienza ha combat- tuto le sue battaglie, che furono alla umanità benefiche e soc- corritrici, non disastrose nè lamentabili; ebbe i suoi martiri la scienza, ma, vincitrice sempre, non indietreggiò mai, e nelle so- ste, talvolta prudenti, si preparò e fortificò per aprire le vie che adducono alla conquista del vero. 350 ARIODANTE FABRETTI E qui, o Colleghi, in questa nobile sede, uomini infervorati nel bene e nell’onesto coltivarono con onore gli studii, e delle loro ricerche e scoperte e disquisizioni molteplici e svariate fe- cero partecipi, per via di non interrotte pubblicazioni, quanti si affaticano nella conoscenza delle leggi che governano la materia nelle sue trasformazioni, o ricercano le ragioni a spiegare il pro- gredire dei popoli nella civiltà e come sorgono o s' inabissano gl’imperi per non risorgere mai più. Al compiersi dell’anno 1883 la Reale Accademia delle Scienze ha compiuto l’anno centesimo della sua esistenza. Ricordare la origine di questo scientifico Istituto e dire delle sue vicende, del suo accrescimento e del suo splendore è dovere in que’ che si trovano depositari del patri- monio scientifico accumulato dai nostri predecessori. Qui, come altrove, in Italia e fuori, per opera dei cultori delle scienze matematiche, fisiche e naturali, le menti raddiriz- zate dalle nuove dottrine filosofiche accennavano e volgevansi agli studii sperimentali: essere opportuno provare e riprovare , anzichè rimaner fermi nella cieca venerazione di un passato lon- tano e sottostare a dommi e a teorie non discussi nè sofferenti la discussione. La parola sapiente di Ruggero Bacone, mal com- presa nel medio evo, aveva finalmente consigliato metodi nuovi allo studio dei fenomeni della natura : sine exrperientia mil sufficienter sciri potest. Sì, come a Roma, pochi uomini, cui sor- rideva la libertà del pensiero, fin dal principiare del xviI secolo convenivano appo il principe Federico Cesi e fondavano l’Acca- demia dei Lincei, e poco dopo (1657) altri egregi, continuatori delle dottrine del Galilei, si raccoglievano a Firenze nell’Acca- demia del Cimento, così in questa città di Torino Luigi De la Grange e Giovanni Francesco Cigna si davano convegno nella casa di Giuseppe Angelo Saluzzo di Monesiglio, cui i militari uffici non impedivano di salire a meritata fama nelle scienze po- sitive. Correva l’anno 1757; ed a questi valentuomini torinesi, pieni di giovanile entusiasmo e di fermo volere, altri si asso- ciavano nel comune intento di cooperare ai progressi dell’umano sapere con la discussione dottrinale e con le disquisizioni scien- tifiche, separando la ragione dalla fede, con la prudenza di chi sa quali contrasti s'incontrano nel combattere gli errori, che il prestigio del tempo faceva rispettabili. DISCORSO PER IL PRIMO CENTENARIO DELLA R. ACCADEMIA 357 Ed ecco entrare nell’arringo, l'an dopo l’altro e in così no- bile compagnia, Giovanni Battista Gaber, Ambrogio Bertrandi, Lodovico Richeri, Carlo Allioni, Francesco Daviet de Foncenex, nel 1759 uscire il primo volume delle Miscellanea philosophico- mathematica Societatis privatae Taurinensis. Siffatta pubblica- zione trova sollecitamente un protettore nel principe ereditario Vittorio Amedeo; e la società privata, divenuta società regia , continua l’opera sua, mettendo in luce altri quattro volumi col titolo di Melanges de philosophie et de mathematiques de la Societe royale de Turin, dall'anno 1759 al 1783; nel qual tempo essendosi accresciuta di numero e fortificata dell’opera di altri dotti subalpini, a cui si consociavano alcuni scienziati stra- nieri, quali l'Eulero, il Dalembert, il Laplace, il Condorcet, salse sollecitamente a tanta e meritata fama, che nell’anno 1783 da Vittorio Amedeo II, fatto re e non dimentico dei consigli del- l'abate Gerdil, ottenne il titolo di Reale Accademia delle Scienze e acquistò insiememente il carattere di una istituzione dello Stato. Era tale atto un luminoso trionfo della scienza; la quale, per quantunque male apprezzata dagl’ignavi, combattuta da coloro, che temono la diffusione del vero, e messa in dubbio da non be- nevole insimuazioni di sospettosi sodalizi, sospingeva gli Accade- micia percorrere un più ampio e spedito cammino ed a pubblicare altri cinque volumi di memorie, dall’anno 1784 al 1791, ossia nel tempo in cui sì andavano preparando quei portentosi avve- nimenti, che dovevano mutare le condizioni politiche di Europa. Le nuove dottrine sociali avevano rallentati i vincoli, che i po- poli tenevano uniti ai principati; gli apostolati diversi e con- trarii provocavano per ogni dove sollevamenti e repressioni; e la rapidità degli eventi rendeva gli animi concitati, tra le speranze e 1 timori, certo non accomodati alle scienze speculative e spe- rimentali. Attraverso alle quali vicissitudini la nostra Accademia, giovane ancora, stette illesa; ma se non andò travolta nel tur- binìo delle passioni politiche, sospese per altro dal 1792 al 1800 le sue pubblicazioni. Sotto la bandiera della Repubblica francese, nell’anno 1801, l'Accademia torinese iniziava un periodo novello, e vedeva al- largato il campo alla sua attività; imperocchè alla classe delle 358 ARIODANTE FABRETTI scienze matematiche, fisiche e naturali si aggiungeva quella di letteratura e belle arti. Raddoppiato il numero , i soci furono portati a quaranta. Le ricerche archeologiche e storiche, le indagini intorno agli antichi linguaggi e le controversie degli economisti preoccupavano le menti: erano scomparsi od obliati quei convegni di letterati, che per modestia o a dileggio di se medesimi, ambivano chia- marsi neghittosi, insensati, sonnolenti: le lettere ripigliavano la loro missione civile, ringagliardite dal Muratori e dal Maffei, dal Parini e dall’Alfieri: nella stessa Arcadia romana, beata della sua impotenza, si faceva udire la maschia poesia di Vincenzo Monti. Gli uomini egregi, che si accoglievano in questo stesso edificio, in cui noi siamo, conceduto all'Accademia e mantenutole succes- sivamente, non era impari all’altezza, cui ascendeva la scienza nel- l'Europa civile. Essi pubblicarono nel 1803 due volumi, col titolo di Memoires de lAcademie des sciences, de Littérature et Beaua Arts de Turin; e queste pubblicazioni continuarono di anno in anno insino al 18153. Nel qual tempo, oltre il conte di Saluzzo, primamente ricordato, aveva presieduto alle adunanze accade- miche Carlo Lodovico Morozzo, e quindi di sei in sei mesi (un presidente per ciascuna classe) Benedetto Bonvicino, Anton Maria Vassalli Eandi, Michele Spirito Giorna, Tommaso Valperga di Caluso, Emanuele Bava di S. Paolo, Gian Francesco Napione, Vincenzo Tarino, finchè (il 25 febbraio 1804) a presidente per- petuo fu acclamato Napoleone Bonaparte, allora primo console della Repubblica francese; il quale, coperto della clamide impe- riale, e soggiornando un anno dopo a Stupinigi (aprile 1805) e memore della onoranza ricevuta, al marchese Ottavio di Barolo, che”a nome dell’Accademia facevagli ossequio, diede addirittura il titolo di vice-presidente « imperocchè, egli disse, credo d’esser io il presidente nominato dall'Accademia ». A doppio titolo l'Accademia riceveva il battesimo #mperzate. Ad essa erano aggregati in tra gli altri Cesare Saluzzo, Carlo Botta, Carlo Denina, Jacopo Durandi, Giuseppe Vernazza di Freney, Vit- torio Michelotti, Prospero Balbo, Giacinto Carena e Giovanni Plana, cui la città di Voghera, memore del valore di lui, spiegato soprattutto nella Z'eoria del movimento della luna, ha testè so- le1nemente commemorato, ritraendone in marmo la imagine. Erano soci nazionali Lazzaro Spallanzani e Alessandro Volta, Melchiorre DISCORSO PER IL PRIMO CENTENARIO DELLA R. ACCADEMIA 359 Cesarotti, Luigi Lanzi e Ippolito Pindemonte; e de’ soci stra- nieri giova ricordare Otto Federico Miiller, Beniamino Franklin, Roggero Giuseppe Boscovich, Orazio Benedetto di Saussure, Giu- seppe de Lalande, Federico Guglielmo Herschel, Giacomo Edoardo Smith, Giovanni Antonio Chaptal, Bernardo de la Ville de La- cepède, Maria Giuseppe Degerando, Giorgio Cuvier, Pietro Luigi Ginguené, Augusto Decandolle, Antonio Silvestre de Sacy. Nè questi erano i soli, che l’Accademia aveva scelto tra i più re- putati e famosi, che nel principiare del nostro secolo onoravano la scienza. Caduta nel 1814 la fortuna imperiale, e fatta invisibile an- che all’astrologia politica la stella Napoleonica, il nostro Istituto salvavasi nei mutati ordinamenti, e non turbato dalle ristaura- zioni demolitrici, in virtù della acquistata rinomanza, di cui fa- cevano fede sicura e testimonianza durevole i venti e più volumi fino allora pubblicati. Dopo un anno di lavori sospesi, l'Acca- demia fu ricostituita (7 agosto 1815), e autorizzata a riprendere nella stessa sede l’esercizio delle sue funzioni in armonia ai re- golamenti del 1783; ma ne rimanevano esclusi quei soci, che fossero stati eletti dopo il 1800. Nel numero dei reietti sarebbe incorso il nome di Vittorio Alfieri, se questi nel 1801 non avesse rifiutata la nomina di socio nazionale. In questa ricosti- tuzione le due classi furono mantenute, ciascuna di venti mem- bri, l’una di scienze matematiche, fisiche e naturali, l’altra di scienze morali, storiche e filologiche; e così nel 1816 venne alla luce il ventesimo secondo volume delle Memorze della Leale Accademia delle Scienze di Torino per gli anni 1813 e 1814. D’allora in poi i dotti del Piemonte trovarono nell'Accademia torinese il modo di spiegare la loro attività scientifica, comu- nicando le risultanze di esperimenti nuovi e dissertando sopra argomenti che rientrano nell’ordine degli studi filosofici, storici e letterari. A nessuna parte della scienza mancarono cultori esimî. Nell’Accademia era concentrato in gran parte il lavorìo intellettuale degli uomini di questa regione; e qui, non essendo pubbliche le sedute, era lecito per avventura pronunciare pa- role, che all'aperto avrebber preso sembianza di colpa, in tempi ad ogni pensamento generoso inadequati. Io non so, se per la indole conservatrice degli istituti accademici, ch’ebbero avversari in ogni età e non sempre senza ragione, abbia mai il nostro fatto mal viso a nuovi trovati dell'ingegno, che talvolta suscitano A 360 ARIODANTE FABRETTI invidie o che si annunziano spesso molesti a coloro che imme- desimati nel passato nulla veggono oltre il presente o paventano che l'avvenire sì avanzi gravido di sociali perturbazioni. Certo però si può dire che l’entrare nell’onorato consesso era facilmente consentito anche ai giovani, che educati ad insegnamenti rin- novellati si preparavano con severo indirizzo a percorrere il cam- mino delle scienze e delle lettere. Ned è men vero, che per esso la fiamma del sapere fu mantenuta vivissima, diffondendosene la luce nelle città d’Italia ed oltre i suoi naturali confini. Nel 1838 erano quaranta i volumi pubblicati dall’Accademia. Alle quali pubblicazioni e ad ogni altra occorrenza dell’Ac- cademia sopperiva l’erario dello Stato: gli assegni per decreti regi, dapprincipio non larghi, furono duplicati e triplicati nel 1801, ricondotti a più modesta misura nel 1815, ed aumentati otto anni più tardi dal Re Carlo Felice. I consigli d’ammini- strazione, saggiamente economi, trovavan modo di provvedere così all’accrescimento (del patrimonio accademico, come all’ac- quisto di materiali scientifici, e d’invitare e incoraggire gli stu- diosi a discorrere sopra argomenti, che le due Classi credevano alia loro volta meritevoli di essere ricondotti a discussione. E qui cade in acconcio ricordare, non a voi, onorevoli Collegli, ma ai cittadini torinesi il nobile esempio dato dal Medico Ce- sare Alessandro Bressa, che morendo istituiva erede delle sue sostanze la reale Accademia delle Scienze, destinate a conferire un premio biennale di dodicimila lire a colui, che, italiano o straniero, avesse di recente pubblicata l’opera più importante in determinati rami dello scibile o promulgata la più interessante scoperta. Cotesto premio conseguirono nell’ultimo sessennio due stranieri e un italiano, Carlo Darwin, Luigi Maria D'Albertis, Hormuz Rassam. | Dinanzi a voi, o Colleghi, non mi è permesso indagare in quale e quanta misura abbiano profittato alle scienze i volumi pubblicati dalla nostra Accademia; chè i volumi degli ultimi trent'anni son cosa vostra. Sì dirò, che in questo periodo di tempo, segnato dalla presidenza di quegli illustri, che furono Giovanni Plana, Federico Sclopis ed Ercole Ricotti, la operosità scientifica del nostro Istituto fu raddoppiata; attalchè i volumi, che uscivano annualmente alla luce, non erano più capaci a con- DISCORSO PER IL PRIMO CENTENARIO DELLA R. ACCADEMIA 361 tenere la mole degli scritti presentati dai soci in nome proprio e di altrui. Ond'è che nel 1865 si pose mano alla pubblica zione di un’altra serie di volumi col titolo di Atti dell’Acca- demia, ne quali trovano acconcia sede le meno ampie memorie e note e comunicazioni d’ogni maniera, insofferenti d’ indugio. È in gran parte merito vostro, di voi preposti agl'insegnamenti universitari, se elette schiere di giovani bene avviati nelle scienze sperimentali, ci partecipano, con frequente e lodevolissimo esem- pio, il frutto dei loro studi e delle loro investigazioni. Onoranci Collegli, la storia di questo Istituto è parte della storia nazionale: appartengono alla nazione, tra 1 molti, i nomi venerati di Giuseppe Genè, di Giovanni Antonio Giobert, di Giu- seppe Moris, di Giorgio Bidone, di Giovanni Cavalli, di Barto- lomeo Gastaldi, di Diodata Saluzzo, di Cesare Balbo, di Alberto Ferrero della Marmora, di Amedeo Peyron, di Luigi Cibrario, di Giuseppe Manno, di Carlo Baudi di Vesme, di Carlo Promis, di Carlo Bon-Compagni, di Giovanni Maria Bertini. Tenete mente agli anni che corsero Cal 1815 al 1848; pensate a quegli egregi subalpini, di alcuni de® quali sono qui scolpite le imagini, a quegli uomini che in questa sala e in tempi men propizi al progresso civile si affratellavano nel culto della scienza e nell’aspettazione di una età migliore; ad uomini che, molti o pochi che fossero, nella generale remissione degli animi non ristavano neghittosi, ma con- fidenti nella ragione dei popoli meglio che nella ragione di Stato, con calcolata prudenza e mantenendo intatti cinanzi al potere i conseguiti diritti, provvedevano, cdettando e scrivendo, alla indi- pendenza della patria comune. Nell'anno 1843, in questa sede, il socio Luigi Provana del Sabbione faceva rivivere, illustran- done i tempi e le vicende, il nome di Arduino marchese d'Ivrea e re d Italia. Bene auspicato ricordo, che precorse la vagheggiata unità politica della nazione, affermata dal senno popolare, dal va- lore delle milizie e dal previdente principato Sabaudo. Taluni dei nostri predecessori vissero vita non lunga, tratti innanzi tempo al sepolcro; ma se breve fu la vita loro consumata nell’aggiungere il vero, lunga sarà la vita nella memoria degli uomini. Tutta la storia della torinese Accademia non è racchiusa nelle mie parole, ma nel volume che vi sta sott’occhi, con l’opera di Colleghi. ammannito per questa adunanza commemorativa, In esso 362 ARIODANTE FABRETTI troverete preziosi ricordi, congiunti ai nomi di coloro, che, ita- liani e stranieri, contribuirono a rendere più splendida la gloria di questo scientifico Istituto; troverete eziandio agevolato il modo a trarre profitto, per interesse scientifico e letterario, delle mol- teplici opere sparse nei cento volumi delle Memorie e degli Atti accademici. A Poichè tutte le umane istituzioni si conformano ai tempi, e poichè nella età nostra in miglior maniera si cerca diffondere il vero e snebbiare le menti e distruggere errori perniciosi, così voi provvedeste a rendere pubbliche le nostre adunanze e portare una riforma nello statuto fondamentale dell’Accademia, che, san- cito nel 17883, non era più in armonia con le mutate consue- ‘tudini e con le esigenze della scienza. Ma un altro provvedimento si attende da voi, suggerito dalla importanza della nostra biblioteca, oggi ordinata meglio che per lo innanzi non fosse. Molti tesori vi giacciono quasi infruttuosi : rarità di opere commendevoli, manoscritti preziosi e una ric- chissima suppellettile di atti e memorie di Accademie di ogni paese, che nelle altre biblioteche sono talvolta invano desiderate e richieste. Non sarebbe egli opportuno aprire in più larga misura l’adito a coloro che si accingono a lavori speciali, che restano taluna fiata interrotti per deficienza di opere necessarie, indispen- sabili? I giovani studiosi, soccorsi nei modi che rendono le ri- cerche meno difficili, fatti securi di oltrepassare la metà del cammino in cui sono entrati, trarranno profitto di tanto patri- monio, che l Accademia ha saputo, per virtù sua e per gene- rosità di alcuni, ammassare in un secolo di vita. Le ricche col- lezioni, con paziente cura formate, di Carlo Caissotti di Ver- duno, di Carlo Vidua, di Giacinto Carena, di Costanzo Gazzera, di Giovanni Plana e di Federico Sclopis qui si conservano avi- damente ricercate. A noi, rispettabili Colleghi, è giunto lieto il giorno di chiu- dere il centesimo anno di vita di questa Reale Accademia; @ voi, che perdurate con fermezza di volontà negli studi, spetta l’onore di aprire il secolo novello, continuatori di lavoro fe- condo. Grazie alla libertà vivificatrice delle nazioni, grazie alla libertà conquistata alla scienza, voi potete fiduciosi proclamare la verità senza il rammarico di dover dire un giorno a voi stessi: DISCORSO PER IL PRIMO CENTENARIO DELLA R. ACCADEMIA. 3683 « io mi son fatto del male, perchè volli alla umanità procac- ciare il bene ». Con rapida progressione le scoperte moltiplicano le scoperte ; sì disvelano i secreti della natura, sprigionandone le forze mi- steriose e latenti; e nel nome della scienza si affratellano i po- poli disseminati sulla terra. Ciò che oggi parrebbe insania lo escogitare sarà vero la dimane. Non era delirio di mente in- ferma la parola di quel frate inglese, ricordato più sopra, che prima del 1300, fidente nella quasi onnipotenza dell’uomo, di- ceva essere possibile alle leggi della fisica e della meccanica, che vascelli guidati da un sol uomo solcassero i mari con maggiore velocità, che se fossero bastimenti pieni di numeroso equipaggio : ut naves marime fluviales et maritimae, ferantur, unico homine regente, maiori velocitate quam si essent plenae hominibus na- vigantibus; e che potrebbersi costruire veicoli che senza aiuto di cavalli divorassero la via con incredibile celerità: currus etiam possent fieri ut sine animali moveantur cum impetu inaesti- mabili. Sconfinato è il campo aperto alla diritta osservazione e allo studio perseverante dei savi. Ai quali, se arrestati per via da ostacoli imprevisti, se turbati dai malvagi, se negletti dai molti, sovverranno le parole di Silio Italico : Explorant adversa viros, perque aspera duro Nititur ad laudem virtus interrita clivo. 364 GIOVANNI CURIONI Il Socio Comm. Prof. G. CurIoNI legge il seguente suo lavoro SULLA POTENZA CONGIENTIVA LONGITUDINALE NELLE TRAVI SOLLECITATE DA FORZ& PERPENDICOLARI AI LORO ASSI, 4. Assunto di questo lavoro. — Scopo di questa nota è di stabilire le formole mediante le quali, nelle travi di altezza costante o variabile e sollecitate da forze perpendicolari ai loro assi, si possa giungere alla determinazione di quella resistenza allo scor- rimento che la materia deve presentare in corrispondenza di de- terminate superficie longitudinali, affinchè lungh’ esse non avven- gano spaccature; o altrimente, quando sulle dette superficie vi ha interruzione di continuità, quale e quanta resistenza devono pre- sentare i mezzi di congiungimento delle due parti della trave, affinchè le cose si passino come se l’interruzione di continuità non esistesse. La determinazione dell’accennata resistenza o potenza con- giuntiva e della massima importanza nello studio delle travi com- poste, e segnatamente nell'esecuzione delle chiodature per le travi in ferro; e, a motivo dell’indiscatibile sua utilità pratica, s’insegnerà a fare tale determinazione, non con formole soltanto, ma colla costruzione dei relativi diagrammi. 2. Richiamo della formola che dà la resistenza longitu- dinale, riferita all'unità di superficie, in un punto qualsiasi della sezione retta di un solido elastico sollecitato da forze perpendicolari al suo asse. — Ritenendo che il piano di solleci- tazione tagli tutte le sezioni rette del solido secondo un asse SULLA POTENZA CONGIUNTIVA LONGITUDINALE NELLE TRAVI 365 principale centrale d'inerzia, essendo DEI G (Fig. 1) la sezione retta che vuolsi considerare, C il suo centro di superficie, x Ca ed yCy i suoi due assi principali centrali d'inerzia assunti come assi coordinati e 202° il terzo asse coordinato loro compagno diretto secondo l’asse del solido, e coincidendo coll’asse yy la traccia sulla sezione DEZXG del piano di sollecitazione, se chliamansi : y la distanza mp di un punto qualunque # della sezione considerata dall’asse x Ca'; I, il momento d'inerzia della stessa sezione rispetto al- l’ultimo accennato asse ; p. il momento inflettente o risultante delle coppie prodotte da tutte le forze estrinseche applicate al solido dalla parte della sezione DEFG verso la quale trovasi l’asse positivo delle 2, ed S, la resistenza longitudinale riferita all'unità di superficie, o resistenza normale al piano della sezione DE FG, nel punto w, si ha la formola Ù Y pl s' == a A l ia Nell’applicazione di questa formola (*) conviene aver riguardo ai segni delle quantità in essa contenute. Il momento o coppia sì deve ritenere: come positivo quando tende produrre, intorno all'asse 2C', una rotazione da 2 verso y; come negativo quando tende produrre una rotazione in senso contrario, ossia da 2 verso y'. I valori di y appartenenti a punti posti nella parte di sezione retta, la quale è attraversata dalla parte positiva C y dell’ asse yCy', sì assumono come positivi; e come negativi i valori di y per punti dell'altra parte della sezione stessa. Tenendo poi conto nel modo indicato dei segni di 1. e di y,i valori di ,S, possono risultare positivi o negativi; è provocata la resistenza alla pressione nei punti il cui valore di ,S, è positivo; la resistenza alla tra- zione nei punti per cui questo valore risulta negativo. (*) La ragione di questa formola si può trovare in quasi tutti i trattati sulla resistenza dei materiali pei bisogni dell’ingegneria, e segnatamente nel volume I dell’appendice alla mia Arle di fabbricare, semprequando si abbia il voluto riguardo all’ influenza dei cangiamenti di notazioni e di convenzioni dei segni sui risultamenti finali. 366 GIOVANNI CURIONI 3. Resistenza allo scorrimento longitudinale. — Essendo DEFG (Fig. 2) la sezione retta di un solido rettilineo sollecitato come precedentemente si è detto, se si conservano alle lettere y, I, e p.i significati che loro furono attribuiti nel precedente nu- mero e se considerasi un elemento superficiale © nel punto distante dall'asse 2 C2' della quantità pm=y, si ha che la re- sistenza longitudinale nel detto elemento di superficie è data dal valore di ,S, (già stato riportato) moltiplicato per @, ossia da Yy 1 . IC; Se ora immaginasi condotta la retta ZL parallela all’ asse neutro x Cx' e se si indicano, con y' la distanza CK, con y, la distanza CF del punto del perimetro 1 Y L, il quale maggiormente dista dall'asse 4 02’, con Va X una somma estesa a tutti gli elementi superficiali ® con- y' tenuti nel segmento [IK LF, si ha che la resistenza longitudinale sul detto segmento, osser- vando che 4 ed /, sono quantità costanti per tutti i punti della sezione retta DEFG, ammette l’espressione VA N VU Ela e y Considerando ora la sezione retta D'Y' vicina alla sezione retta DYF e indicando, con Az la distanza CC' dei centri di superficie delle sezioni stesse, con Y la forza tagliante relativa alla sezione DF, st vede come il momento inflettente relativo alla sezione D'I' sia DAY Az e come per conseguenza la resistenza longitudinale sulla parte Tee SULLA POTENZA CONGIUNTIVA LONGITUDINALE NELLE TRAVI 3867 della sezione retta D'Y' corrispondente alla parte JKL della sezione retta DZ debba essere data da rie p+YAz ° —_—_—YL 0y. Jie , Y Segue dal sin qui detto : che il sesmento di corpo KLEIN K'L'F' (Fig. 3), compreso fra le due sezioni vicinissime DY e D'I' (Fig. 2), si può considerare come sollecitato, sulla faccia JK LF dalla forza UA (A) = — - D,9 Y > «RU 4 sulla faccia D'A'L'F' dalla forza r Yi pt+YAzy ATO = gear . (7 sla U TO 2,01 b) e che per conseguenza il suo equilibrio non può aver luogo senza che sulla faccia JILL'I' siavi una resistenza AQ, la quale si ottiene col dire che deve essere nulla la somma algebrica di tutte le forze sollecitanti il detto segmento parallelamente all’ asse 2C2', cosicchè risulta l’equazione u UL DEE YA: Yi DIA TIZZIE Ga y hu y' dalla quale si deduce TA IATA JE Y tÀ Chiamando poi & la resistenza longitudinale riferita all’unità di lunghezza dell’asse del solido in corrispondenza della sezione retta qualunque DYF, risulta VDR SI. 968 GIOVANNI CURIONI Tenendo conto dei segni di y nel modo già stato indicato nel numero 2, e ritenendo che i valori di Y si debbano conside- rare come positivi o come negativi secondo che sono rivolti verso Cy verso Cy' (Fig. 2), i valori di X dati dalla formola (1) ri- sultano positivi o negativi, secondo che questa resistenza agisce nel senso delle 2 positive o nel senso delle 2 negative, ossia nel senso di Cz o di Cz. Se poi la linea L KI si confonde coll’asse 2 02’, la somma Va Sy acquista per ciascuna sezione retta il suo valore massimo, y ed il valore di £*, acquista pure il suo valor massimo è, dato da XY DA y # IIRaia TE } art (2). La formola (1) sussiste non solo pel caso in cui nella se- zione retta qualunque DEF G (Fig. 2 e 8) si considera un seg- mento SAL separato dalla sezione intiera mediante la retta IL parallela all'asse neutro; ma anche quando si considera una parte della stessa sezione stralciata mediante una linea qualsiasi IMKNL (Fig. 4) simmetrica rispetto l’asse yy. In questo secondo caso la somma £X%y deve essere estesa alla figura IMKNLF; e il punto d’applicazione della resistenza È per l’intiera linea JM ANL, atteso la simmetria della linea ultima accennata e delle resistenze elementari componenti la £? per rap- porto al piano longitudinale di traccia yy, deve cadere su questa traccia stessa. — Nei casi pratici, la resistenza £ quasi sempre deve essere concentrata su due piccole superficie in punti dati 37 ed N posti su una stessa perpendicolare all’asse y Cy', e quindi si può dire che essa è applicata nel punto d’imcontro O della retta IM N coll’asse medesimo. A. Diagramma delle forze R. — Abbiasi un solido avente per asse la retta 2 C,2 (Fig. 5), posto nelle condizioni già am- messe nei precedenti numeri per rapporto alle sue sezioni rette ed alle forze sollecitanti, e vogliasi venire alla costruzione della curva, le cui ordinate rappresentino rispettivamente i valori di £è per le diverse sezioni rette del solido stesso in corrispondenza di una curva K_ KS. SULLA POTENZA CONGIUNTIVA-LONGITUDINALE NELLE TRAVI 869 Per ottenere lo scopo, basta considerare nel solido diverse segionie rette, vicine D.F,, DE, D.F.,, D;Fi, Sa4% , non dimenticando quelle in cui hanno luogo cangiamenti bruschi di forma e di dimensioni; fare per tutte queste sezioni i valori TE AMOR RETTA delle forze taglianti Y; calcolare i loro@fmomenti d'imerzia Z,;, Lo dass daza ae 8, determi- nare le somme DA Yi, iN n } ey 3 voy Mino , Viva Rag eso to Y Ù r 3 y O) Yy I Y 2 per le parti di sezioni rette rappresentate in K,F, KF,KF,, K;F3, ..... Avute queste quantità, si applica la formola (1) del numero precedente per dedurre i valori &,, l,, £,, R, .-«.. di R. Sopra una retta C,2(Fig. 6) si portano le di- SAM DE. delle sezioni considerate; pei punti C,, C,, C,, C;, ... s'innalzano altrettanti perpendicolari alla retta stessa; e, assunta una determinata scala per la rap- presentazione delle forze, si portano le lunghezze C, £,, C, È, COC rappresentanti brovatk.valori be, de pori Do -...., della forza KR. La linea che passa per le estremità di queste perpendicolari a 0,2 è il diagramma delle forze £. CA Avviene talvolta che le quantità Y, I, e 2 #y, si possono facilmente esprimere in funzione di 2, e che quindi si possono trovare le equazioni degli accennati diagrammi come risulta dagli esempli svolti nel numero che segue. 5. Esempli di determinazione analitica del diagramma delle forze R. — Mi propongo di considerare alcuni esempli di travi orizzontalmente collocate su due appoggi, caricate di pesi e con sezioni rette simmetriche rispetto ai loro assi verticali. I. Diagramma delle forze R,, in corrispondenza della su- perficie determinata dagli assi orizzontali delle diverse sezioni rette di una trave con sezione rettangolare costante, posta sotto l’azione di un peso applicato in un dato punto della sua lunghezza. Essendo fatta la trave, come in elevazione ed in sezione tras- versale, si vede nella figura 8, si dicano : Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XIX, 25 370 GIOVANNI CURIONI Z la distanza fra le sezioni rette corrispondenti ai due ap- poggi A e 5, a il lato orizzontale e b il lato verticale determinante la sua sezione retta, p la distanza C, 0 del punto d’applicazione del peso solle- citante dall’appoggio di sinistra, P l'intensità del detto peso. La retta, in corrispondenza della quale si vogliono i valori di /,,, è lo stesso asse delle 2; cosicchè, per essere un rettan- golo di lati « e 6 la sezione trasversale della trave, si ha Ni=0 il =—b Y, 9 = ady Yi \ 1 dY = geo yY 1 3 pr 12 ab Chiamando poi: R' ed R" le reazioni verticali dei due appoggi A e B, Y, ed Y, le forze taglianti per una sezione retta qual- siasi D,F, della parte C, 0 e per una sezione retta qualsiasi D,F, della parte OC, della trave, L,m © R,mi valori di £ì, in corrispondenza dei centri C, e C, delle stesse sezioni rette, si ha: che i valori assoluti delle due reazioni 2' ed RR” sono dati dalle formole pi = P che, per ottenersi la forza tagliante relativa ad una sezione retta qualunque della trave col considerare tutte le forze poste da una SULLA POTENZA CONGIUNTIVA LONGITUDINALE NELLE TRAVI .371 stessa parte della sezione stessa e col prendere la loro somma algebrica, risulta n pi AE Pp i l r ’ p pe (ap x 2 l ? e finalmente che le forze ì,,, e Zè,,,, le quali si deducono dalla formola (2) del numero 8 col porre in essa i valori ora trovati Va . di 2wy, di Z,, di Y, e di Y,, sono date da ' Y 3 —p Ha sot A | (CR. 3 p | Lom 3 gl I valori di R,,, e di R,,, sono costanti; il primo è negativo, il secondo positivo; e si ottiene come segue il diagramma delle forze R,,. Condotta la orizzontale C, (Fig. 8) e stabilita la scala delle distanze orizzontali, si prendono C,0=p e C0,=1; fissata la scala delle forze /?,, perpendicolarmente a ©, si por- tano le lunghezze C, C ed 00,' rappresentanti i valori assoluti della forza 7,, e le lunghezze 00," e 0,0," rappresentanti la forza 7,,,; e nelle due rette C, 0, ed 0," C,, parallele all’asse C,2 della trave, si ha di diagramma delle forze £è,,. Le aree dei due rettangoli C, 00,0) ed 00,"C,'C, sono le rappresentazioni grafiche delle totali resistenze £t,, e £,, pro- vocate dal peso P nelle due parti 0C, ed 00, (Fig. 7) dello strato delle fibre invariabili, o, più chiaramente, sono le resistenze che si oppongono a che la parte di trave inferiore al detto strato delle fibre invariabili si distacchi dalla parte superiore mentre dura l’azione dello stesso peso P. Evidentemente i valori di /t,, e di È,, si deducono moltiplicando rispettivamente per p e per T—p quelli di R,,, edi R,,,, ed è nulla la loro somma algebrica. im zm II. Diagramma delle forze R in corrispondenza dell'unione delle tavole ai ferri d'angolo per una trave in ferro di altezza costante con sezione a doppio T simmetrico, sotto l’azione di 072 GIOVANNI CURIONI due pesi operanti in dati punti della sua lunghezza e com- posta di due tavole unite ad una parete verticale con chiodi e con due coppie di ferri d'angolo. Essendo la trave costruita come in modo schematico si vede in elevazione ed in sezione trasversale nella figura 9,si dicano: Z la distanza fra le sezioni rette corrispondenti ai due ap- poggi A e 5, a, a', a" ed a'" le dimensioni orizzontali e b, b', bd e V" le dimensioni verticali determinanti la sua sezione retta, p, e p, le distanze C,0, e 0,0, dei punti d'applicazione dei due pesi sollecitanti dall’appoggio di sinistra, P, e P, le intensità dei detti pesi, Y,, Y, ed Y,; le forze taglianti per una sezione retta qua- 2 lunque D,F,, D,F, e D;F; di ciascuna delle tre parti C0,, 2 0,0, ed 0,C, della trave, L T,, T, e Ty i valori di 7 in corrispondenza dei punti 2 K,, K, e K, delle stesse sezioni rette. La retta, in corrispondenza della quale si vogliono i valori di E, è la RS parallela all’asse della trave. Si ha; che y=3b' y,=10 = ady 1 MS x (ab—a'b''— ab"? — a" b!"!3); 12 che i valori assoluti delle due reazioni R' ed 2" sono l —D,) Sap ale ([—p,) IPG TÀ p'_P: — Ha ; Ri! SULLA POTENZA CONGIUNTIVA LONGITUDINALE NELLE TRAVI 373 che le forze taglianti Y,, Y, ed Y, risultano 2 pipi pr (E PI pi srl ara" ra l e, BO e Chi e DIL SEI a 1 Ù Ve Ei edi e A E 3 ° e che le forze R,, R, e R,, le quali si deducono dalla formola (1) Va del numero 3 col porvi i trovati valori di XY 0@y, di Z,, di Y,, YyY Y, e Y;, valgono ye 3 A (0— b'*) (1—p,) P+ (l—p,) pi \ oa au 7 a } se b'? CREO P ea P R,=-3 3 Ala 3 2) 2 i e (1). 2ab-ab’-a b'-a db’ l mec (0) p.P.+p.P, E RS 0 TT I valori di R, È, e R, sono costanti; il primo è negativo; il secondo è negativo o positivo, secondo che si ha p, P, minore o maggiore di (Z—p,) P,; il terzo è positivo ; e, supponendo che il valore di A, sia negativo, il diagramma delle forze ‘t (Fig. 10) è dato dalle tre rette 0,"0, 0,"0/ ed 0," C/ parallele all’asse C,z della trave, costrutte col portare perpendicolarmente alla Cz stessa le lunghezze 0, C0,", 0,0," ed 0,0, rappresentanti i valori assoluti delle forze ./t,, ‘i, e è, Le aree dei tre rettangoli 0,0,0/C0/, 0,0,0,/0," ed 0,0,0,0," rappresentano rispettivamente le totali resistenze R,, R,,e R,, provocate dai pesi P,, P, e P; nello strato ES per le tre porzioni di trave corrispondenti alle parti C,0,, 0,0, ed 0,C, (Fig. 9) del suo asse. I valori delle stesse resistenze si deducono moltiplicando ri= spettivamente per p,, per p,—p, e per —p, quelli di £,, di R, e di R,, e risulta eguale a zero la somma R,,+ £,, + Ly. 374 GIOVANNI CURIONI Nel caso particolare in cui i due pesi P, e P, sono eguali ed in cui si trovano simmetricamente disposti rispetto alla sezione di mezzo della trave, cosicchè DP,t p, = indicando con P ciascuno dei due pesi e con p la loro distanza dall’appoggio vicino, si ha to) a(b°—b*) P | R — lit, enrico pi Wa da dia dii | (2). o 0 Quando l'altezza della trave è molto grande in confronto della grossezza delle tavole, e quando, considerando la parete verticale ed i ferri d'angolo come unicamente destinati a mantenere le tavole alla voluta distanza, si crede di poter ritenere per sezione retta della trave quella delle sole tavole costituita da due rettangoli col lato maggiore parallelo all’asse neutro e col lato minore assai piccolo in confronto della. distanza dei centri di gravità dei ret- tangoli stessi dall’asse neutro predetto, dicendo 1 s la grossezza delle tavole data da 9 (0-0), si ha Y, Zasr Das(b+s) e, O 1 MERA I,=305(0+5) I valori di £,, £, e £;, dati dalle formole (1), notevolmente si semplificano e si riducono a 1 (l-»p,)P.-(1-p,)P, R=—-- Db4s l IME(c==s nai ERO pP.+(!-p.) P. 3): b4s l L= d P, P.,4+p, PI SULLA POTENZA CONGIUNTIVA LONGITUDINALE NELLE TRAVI 375 e, nel caso dell’eguaglianza dei due pesi P, e P, e della sim- metria dei loro punti d'applicazione per rapporto al mezzo della trave, risulta ! i ur 3.5 (4). Se, invece di considerare lo strato £,S (Fig. 9) inferiore a quello delle fibre invariabili, si considera lo strato £'S' supe- riore, ma simmetrico di £,S, non cangiano i valori delle quan- tità che entrano nella formola determinatrice delle forze R ad Y, eccezione di quello della somma £ ©, il quale diventa x: 1 cari (-b?); cosicchè i valori di X,, X, e /*} pel detto strato sono quelli dati dalle formole (1), (2), (3) e (4) coi segni cangiati. III. Diagramma delle forze R in corrispondenza dell’ u- nione delle tavole ai ferri d’angolo per una trave in ferro simmetrica rispetto al suo asse verticale, colla sua sezione retta a doppio T simmetrico, ma di altezza variabile secondo le ordinate di rette, posta sotto l’azione di un peso uniforme- mente distribuito sul suo asse e formata di due tavole unite ad una parete verticale con chiodi e con due coppie di ferri d’ angolo. Essendo fatta la trave come in modo schematico appare in elevazione dalla figura 11, si ritengano le stesse lettere state usate nel precedente problema per indicare le distanze dei due appoggi, le dimensioni orizzontali e verticali della sezione retta ; e si dicano: s la grossezza dî una tavola, s' la grossezza di un ferro, l'angolo nel braccio posto contro la tavola ed s" la lunghezza del suo lato posto contro la parete ver- ticale, misurata nella sezione retta del ferro d'angolo stesso ; a gli angoli acuti che le rette X,H, X,H, K'H' e KH, in corrispondenza delle quali si vogliono i valori di £, fanno coll’asse C. 2, 376 GIOVANNI CURIONI c le lunghezze delle ordinate C, K,, CK, CK, e CK, e le lunghezze delle ordinate OH ed 0'H q il peso riferito all'unità di lunghezza dell’asse della trave, R' la reazione di ciascuno dei due appoggi A e B, Y la forza tagliante per la sezione retta qualunque D £. Per l’accennata sezione retta qualunque DY, al cui centro C corrisponde l’ascissa C°U=2, si ha: che l'equazione della retta K°H, le cui coordinate correnti sono 2 e ®, è v—=0 +44 tang 45 tor che per #:=/ si ha v=e, cosicchè l'angolo « è dato da ee tang.a=2 7 INI) che i valori di y' e di y,, rappresentati per la sezione retta qualunque DI dalle lunghezze CK e CF, sono rispettivamente y=c-4z tang. a Ss vi +c+%tang.a; cos % che, essendo o=ady, risulta YU 14 PR SAS E ES i Moy= i + ec +2 tang. a) : È cosa \ 2 cosa Y che, per essere nella sezione retta qualunque DI 2 COS x b =2y=2( Db =2y=2(c+ztanga) , . 7 b'=2y—2 > =2(- > +04 2 ang 2) ; cos 4 cos « i / sl ui Ss b == 9 —- 2 n (9) 9 COS & ( COS al CHE 2) ; SULLA POTENZA CONGIUNTIVA LONGITUDINALE NELLE TRAVI 377 si trova 3 s a +c+ztang a) —a' (c+ tang 2)? 9 cos % I,== È Di s' 3 GE 3 "I I < — a {— +c+ztanga)—a {— +c+4+2ztanga COS % cos % che Pe Bal di 2 e finalmente che il valore di £, che si deduce dalla formola (1) . . . . . Gs . del numero 3, col porre in essa i trovati valori di 2 ©0y, di I, He e di Y, è dato da 0 AZ] SRO CAMP MIO (3° = ztanca){-=Z—z ESSI Faggi Se 2 3 2 a) x " a ( È +ete tanga) —i@ (c+etang 2 ) (2). COS & Uzzi Ù 3 It Ss ur S — a (- +c+2ztang VANTI (- —+c+z tang 2) (GOISZA cosa Se in tutte le sezioni rette della trave la distanza delle ta- vole e molto grande in confronto della loro grossezza e se yo- glionsi considerare la parete verticale ed i ferri d’angolo come aventi unicamentè per iscopo di mantenere le tavole alla valuta distanza, per approssimazione si può ritenere nello stabilire la formola determinatrice di /è che il momento d'inerzia /, sia data da CS (o E \ 2 cosa 2 o =2 +e4etange) x cos a ed il valore di £, che notevolmente si semplifica, diventa 1 1(31-*) e i i 2 È a te4stanga) 2 cosa 378 GIOVANNI CURIONI Il valore di X varia col variare dell’ascissa 2, ed è nullo per 2=!1. Dando poi a 2 diversi valori compresi fra 0 e 3, si ottengono altrettanti valori negativi di &; e, portando sulla retta C, (Fig. 12) i prestabiliti valori di 4 come ascisse ed i corri- spondenti valori di come ordinate, riesce facile costruire per la metà 0,0 dell'asse della trave il diagramma £,C0,0 delle forze k. Per l’altra metà della trave si potrebbero fare i valori di £ scrivendo l'equazione della retta 7 XK, (Fig. 11), considerando una sezione retta qualunque D'I"' e procedendo in tutto collo stesso metodo stato seguito per la deduzione della formola (2) o (3). Siccome i valori delle ascisse 2 devono variare da ;/ ad /, il binomio !/—- sarà negativo, come pure sarà negativo il fattore tang. x per essere ottuso l'angolo che la retta H K, fa coll’asse delle ascisse, e risulteranno positivi i valori di . Se però osser- vasi che, essendo la trave simmetrica rispetto al suo asse ver- ticale ed essendo simmetricamente sollecitata, le forze /? nel punto K', appartenente alla sezione D'F' simmetrica di D/, ha lo stesso valore assoluto delle forze £ nel punto X, immediatamente si deduce che, prendendo per ogni punto © (Fig. 12) della prima metà dell’asse della trave, a cui corrisponde il valore di ‘ dato dalla ordinata CR, il punto l' sulla seconda metà col portare la distanza 0C=0C e Vordinata 0° R' eguale a CIRO tiene nella linea O R, il diagramma delle forze & in corri- spondenza della retta H K. L’area del triangolo mistilineo C, 0, rappresenta la totale resistenza £, provocata nello strato X, H dal peso uniformemente distribuito sull’asse della trave; l’area dell’altro triangolo misti - lineo 0,0 R, rappresenta l’analoga resistenza nello strato HX,; e, essendo queste resistenze eguali e di segno contrario, si deduce essere nulla la loro somma algebrica. Occorre appena di accennare che sono eguali e di segno con- trario i valori di nei punti X ed L posti nella stessa sezione retta DY, uno sullo strato XK, H X, e l’altro sullo strato KH'K, simmetrico al primo per rapporto allo strato delle fibre invariabili. 6. Componenti della forza R. — La resistenza È, essendo perpendicolare alla sezione retta del solido a cui si riferisce, è parallela all'asse 2C02' (Fig. 2); e quindi, supponendo che sia Tav.MI i o } d Da 0; F16 Fig. 10 EM ve. (‘e 0; 0; i ni =" I 0, 0, Cu Ra Ri Ri, Ri. poi tese er asti DL Ca Torino, Lit. Salussolia. Tav..A o s' IIIZAA Tali JK Ss F; tTI B Torino, Lit. Salussolia SULLA POTENZA CONGIUNTIVA LONGITUDINALE NELLE TRAVI 379 IR. KS la curva secondo la quale il piano determinato dagli assi yCy' e 2C2' taglia la superficie cilindrica avente per direttrice la curva stessa e le sue generatrici parallele all'asse 4 Ca, si può scomporre tale resistenza in due componenti, una 7’ secondo la tangente, l’altra N secondo la normale in X alla citata curva. Nei problemi pratici è sufficientemente esatto e conviene quasi sempre determinare graficamente le componenti predette. Però anche la loro determinazione numerica non presenta alcuna dif- ficoltà, giacchè, assumendo sull’asse 20" un punto A come ori- gine delle coordinate onde riferire la curva ai due assi ortogonali Az ed Av contenuti del suo piano, indicando con 2 e con v le coordinate correnti della curva stessa e con s l'arco, servono allo scopo le semplicissime formole tz puerto ge 4 15 dv N=- LR ds Le resistenze 7 ed N, date da queste formole, possono ri- sultare positive o negative; sono positive, se dirette da K verso 7° o verso N; sono negative, se rivolte da X verso 7" o verso N'. EER RT 380 A. NACCARI E G. GUGLIELMO. * Il Socio Cav. Prof. A. NaccarI legge il seguente lavoro da lui fatto in collaborazione del sig. Dott. G. GUGLIELMO, suo Assistente alla Cattedra di Fisica sperimentale nella R. Univer- sità di Torino, SUL RISCALDAMENTO DEGLI ELETTRODI PRODOTTO DALLA SCINTILLA ELETTRICA. A. Le esperienze descritte in questa Nota sono state fatte per continuare uno studio pubblicato alcuni anni or sono da uno di noi, nel quale venne considerato il fenomeno del riscalda- mento di elettrodi sferici prodotto da scintille d’induzione (1). Nelle esperienze che ora descriveremo si è esaminato il caso di forme diverse, cioè di punte di diversa acutezza, di superficie sferiche e di superficie piane circolari, usando parimente il roc- chetto d'induzione. Faremo seguire la descrizione di alcune espe- rienze eseguite con la macchina di Holtz. Il PoGGENDORFF aveva già trovato, ponendo un termometro nel tragitto delle scintille, che usando piccoli coni di diversa acutezza, il riscaldamento è minore che nelle sfere e tanto mi- nore quanto più acuto è il cono (2). Recentemente il Mugna usando elettrodi cavi che costituivano le due bolle di un termo- metro differenziale ed adattando ad uno di essi una punta molto lunga e sottile, trovò che il riscaldamento dell’elettrodo munito di punta era sempre minore di quello dell’altro anche quando questo era positivo (3). Però in tali condizioni il calore gene- (1) A. Naccari, Atti del R. Istiluto Veneto, (5) VII (1880-81), 1363. (2) PoageNDORFF, Annalen der Physik und Chemie, CKXXII, 117 (1867). (3) Muana, Rivista scientifico-industriale, XIV, 1882, 242. SUL RISCALDAMENTO DEGLI ELETTRODI ECC. 381 rato all'estremità della punta, si disperde in massima parte nel- l’aria e solo una piccolissima porzione può propagarsi per con- ducibilità fimo al termometro. Nelle nostre esperienze gli elettrodi erano costituiti da ci- lindri cavi di rame nichelato di 30"" di diametro e 30 di lunghezza disposti orizzontalmente e terminati ad una estremità da una faccia piana, all'altra da un cono cavo, il cui angolo al vertice era di 91°, 1 per alcuni elettrodi, di 46°,5 per gli altri. Le pareti erano tutte di lamina sottile. Alla parte superiore del cilindro era saldato un breve tubo in cui s'adattava un tappo di somma elastica portante un tubo capillare aperto ai due capi e terminato all’estremità superiore da un piccolo imbuto. Essendo gli elettrodi ripieni d'alcool, essi costituivano due termoscopi e nel tempo stesso due calorimetri molto sensibili. Ciascun di essi era sostenuto da una colonnina di vetro rivestita con ceralacca. Le scintille erano prodotte, come nelle esperienze precedenti, da un grande rocchetto di Rubmkorff costruito dal Carpentier. L'intensità della corrente era misurata da una bussola reometrica di Wiedemann colle spirali di grosso filo di rame ricoperto di suttaperca; si prese per unità quella che produceva nella bus- sola una deviazione di una divisione e che aveva il valore di 0,0000104 Ampère. L’ago della bussola sotto l’azione delle cor- renti indotte oscillava abbastanza regolarmente intorno ad una posizione media, che si poteva ordinariamente apprezzare con un errore non superiore ad una divisione della scala. La durata del passaggio della corrente fu in generale di 2; quando il riscaldamento era molto piccolo, fu prolungato fino a 4'e 5’; i risultati però furono ridotti alla durata di 2°. I tubi capillari adoperati avevano tutti all’incirca lo stesso diametro in- terno; le piccole differenze erano trascurabili per il grado di preci- sione di queste esperienze. La capacità di una divisione era 0,1 cai la lunghezza 1"". Nelle tabelle che seguono i riscaldamenti dei termoscopi sono espressi dagli spostamenti in millimetri delle co- lonnette d’alcool; essi vennero ridotti ad unità di corrente, am- mettendo anche in questo caso che il riscaldamento fosse pro- porzionale all'intensità della corrente. 2. Influenza della forma d’un elettrodo sul suo riscal- damento. — Nella seguente tabella sono esposti i risultati di alcune esperienze nelle quali le scintille scoccavano fra i vertici 382 A. NACCARI E G. GUGLIELMO dei coni di 46°, 5 che erano alla distanza di circa 20%" . Nella colonna 7 trovansi le intensità della corrente, nelle colonne #, p, n: p rispettivamente gli spostamenti della colonna d’alcool del- l'elettrodo negativo e del positivo ed il quoziente del primo pel secondo. TABELLA I. Ù | n | p n:p 73 | 0,88 | 0,20 | 4,5 » 0,82 0,15 5,6 » 0,84 0,16 54 Medie | 0,85 | 0,17 5,2 Di qui si vede come anche nel caso di elettrodi conici l’e- lettrodo negativo si scalda più del positivo. Per elettrodi sferici il rapporto » : p sarebbe stato eguale a 3 circa: con elettrodi conici esso risulta più grande. Altre esperienze furono fatte con scintille fra le estremità di un cono di 46°,5 ed uno di 91°. Con » e p sono indicati i riscaldamenti del primo, con n, e p, quelli del secondo. In causa della diversa forma degli elettrodi, l’intensità della cor- rente era diversa a seconda della sua direzione. TABELLA II. î n p n, Pi 52 0,16 1,76 E no 4 = 8 , n ) 63 0,83 = =! 0,54 5 = 5,23 52 de 0,12 1,55 dl 63 0,84 po SZ. 0,66 | — 6,62 52 na 0,12 1,90 ia LC. Pi 63 0,90 di. da 0,85 Medie | 0,86 | 0,13 1,74 0,68 SUL RISCALDAMENTO DEGLI ELETTRODI ECC. 383 Risulta da queste esperienze che il riscaldamento del cono più acuto è minore di quello del meno acuto e che il rapporto del secondo al primo è maggiore quando sono entrambi positivi; ne segue che il rapporto » : p è maggiore per il cono più acuto come risulta dalla tabella. Altre esperienze furono fatte con una scintilla fra l'estremità d'un cono di 91° ed una superficie piana circolare. Con » e p sono indicati nella seguente tabella i riscaldamenti del cono, con n, e p, quelli della superficie piana ridotti come sempre ad unità di corrente. La distanza era di 21"", TABELLA BEI, | 1) n p n, Pi 75 0,27 — 1 0,61 57 ai 0,050 | 4,25 Pa 2 541 64 0,24 de. E] 0,61 D=196 59 23 0,042 1,42 — 75 0,26 = Pai 0,67 iii 55 3 0,047 1,42 i lE -216 Pa 64 0,25 de ve 0,66 55 = 0,049 | 1,42 di Medie | 0,255 | 0,047 1,38 0,64 Anche da queste esperienze risultano conclusioni simili alle precedenti: il riscaldamento della superficie piana è maggiore di quello del cono ed il rapporto del primo al secondo quando sono entrambi positivi è maggiore di quando entrambi sono negativi; il rapporto n :p è maggiore per la punta che pel disco. In queste condizioni per confrontare i riscaldamenti dei due elettrodi di forma diversa che siano entrambi positivi o entrambi negativi, bisogna confrontare due esperienze in_ cui, oltre alla di- versa intensità di corrente, possono esercitarsi influenze differenti. 3584 A. NACCARI E G. GUGLIELMO Per evitare ciò furono fatte delle esperienze interponendo nello stesso circuito due intervalli d’aria di egual lunghezza, nei quali i due elettrodi che si voleva paragonare erano tutti due positivi o tutti due negativi. In tal modo l’intensità della corrente è la stessa. nei due intervalli e si ha maggior probabilità che le cause che agiscono su uno degli elettrodi agiscano anche sull’altro. Le condizioni però diventano meno favorevoli alla determinazione di n :p. Per evitare che qualche piccola differenza nelle lun- ghezze dei due intervalli d’aria potesse influire sui risultati, si fecero delle esperienze variando una di queste lunghezze in modo da renderla ora un po’ maggiore ora un po’ minore dell'altra, ma i risultati rimasero sensibilmente gli stessi. Nella seguente tabella trovansi i risultati di una serie di esperienze fatte con due scintille, una fra coni di 46°,5, l’altra fra coni di 91°. Con n e p sono indicati i riscaldamenti del cono di 46°,5, con #, e p, quelli del cono di 91°; con d è indicata la distanza in millimetri. TABELLA VW. d Ù | n | n, p p, |M. PEDRERA: 10. |_41065 | — |. |-0/6/[ 032 (AR | | 7a8: 09 “ea | 5 d255 -- _ 0,24 0,30 - 1,43 _ —_ | » [asso do la Rae Risulta anche da queste esperienze che il cono più acuto si riscalda meno di quello meno acuto. Il rapporto del riscalda- mento del secondo a quello del primo è maggiore quando essi sono entrambi positivi e quando la lunghezza della scintilla è maggiore. Apparirebbe anche che il rapporto » : p diminuisce col- l'aumentare della distanza, ciò che in altri casi però non s°’ è verificato. Nelle seguenti esperienze una scintilla scoccava fra i vertici di due coni di 46°,5 ed una fra due sfere cave di rame di 5°" di diametro. I riscaldamenti del cono sono indicati con n e p, quelli della sfera con n, e p, SUL RISCALDAMENTO DEGLI ELETTRODI ECC. 385 TABELLA \Wk n, PEA Ger in Pip Mip MED, 1,5 —_ | — | RS E — _ — 0,17| 0,40 bea 2,39 6,94 | 3,9 PNT 10 0 a SN e — - — 045% 079 _ 5,0 8,33 | 3,64 39 | — A N 8) ne | a TI BUE, MeSet K05 52 | I | tl Da queste esperienze risulta che essendo la sfera e il cono entrambi positivi o entrambi negativi, il riscaldamento della sfera è maggiore di quello del cono. Il rapporto del primo al secondo è maggiore quahdo entrambi questi elettrodi sono positivi; esso par- rebbe inoltre crescere all'aumentare della distanza. A tal proposito conviene osservare che per piccole distanze l'estremità del cono si trova tutta avvolta dall’aureola della scintilla d'induzione, e quindi esso si riscalda più di quello che avverrebbe senza un tale fatto. I risultati della seguente tabella furono ottenuti con una scintilla fra due coni, uno di 91° e l’altro di 46°”, 5 ed una scintilla fra una superficie piana ed un cono di 46°,5; con n e p sono indicati i riscaldamenti del cono di 91°, con », e p, quelli della superficie piana. In tali condizioni non havvi nelle due scintille altra differenza fuorchè quella proveniente dalla diversità dei due elettrodi da confrontare. In queste esperienze non fu determinata la distanza che doveva essere da 2 a 5"" e che era però la stessa nei due intervalli. TABELLA WE. i n n, p Pi 76 se zé 0,14 0,52 i _ 1,3 n 66 0,60 0,82 ni 2 3 —'38 71 = sa 0,14 0,55 64 0,64 0,75 _ — {JE 41 Mt | BIN 17. Medie | 0,6? 0,78 0,14 0,53 {7 —1,5 Pi Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XIX, 26 386 A. NACCARI E G. GUGLIELMO Da tutte le esperienze fatte con due scintille o con una sola risulta indubitatamente che il riscaldamento d'un elettrodo è tanto minore quanto minore è la curvatura, o maggiore l’acutezza della superficie dell’elettrodo nel punto ove scocca la scintilla; che inoltre il riscaldamento è piccolo specialmente allora che l’elet- trodo che si considera sia positivo. Dati due elettrodi, se dimi- nuisce il raggio di curvatura di uno di essi, può avvenire se questo è negativo, che il suo riscaldamento si faccia molto minore di quello dell’altro elettrodo. Siccome nell'arco voltaico, ove il riscaldamento è maggiore all’elettrodo positivo che al negativo, questo ha appunto una forma appuntita e l’altro è cavo, abbiamo voluto vedere se per caso il maggiore riscaldamento di questo non dipendesse dalla diversità della forma, sebbene Gassiot avesse osservato con una pila di grande forza elettromotrice che fra due fili come elettrodi si arroventava il negativo se il passaggio dell’ elettricità avveniva per scintille, e invece il positivo se fra essi si produceva un arco voltaico, per cui il diverso riscaldamento parrebbe dovuto alla na- tura diversa dei due fenomeni (1). Abbiamo usato come elettrodi due sfere, ora di rame, ora di zinco di 11" di diametro, congiunte ad astine di rame collegate con una pila di 30 elementi di Bunsen. Producevamo fra le due sfere un arco voltaico di 1 a 2"”" per 10" e quindi, interrotta. la corrente, si tuffavano le due sfere con le astine in due calo- rimetri, sensibilmente uguali e contenenti ciascuno 100°"? di acqua, un termometro diviso in quinti di grado ed un agitatore. Facendo le correzioni solite delle determinazioni calorimetriche , si ottenne da sei esperienze abbastanza concordanti un riscalda- mento medio di 1°,89 nel calorimetro ove si tuffò l'elettrodo positivo, di 1°,28 per l’altro ed il rapporto p:% risultò uguale a 1,48. Rimane quindi fuor di dubbio che nel caso dell’arco voltaico si ottengono risultati opposti a quelli che in generale si ottengono per le scintille. 3. Influenza della forma d’un elettrodo sul riscaldamento dell’elettrodo opposto. — La forma d’un elettrodo avendo in- fluenza sulla scintilla è probabile che essa abbia pure influenza (1) Gassior, Proc. of Roy. Soc., XI, p.329 (1861). SUL RISCALDAMENTO DEGLI ELETTRODI ECC. 387 sul riscaldamento dell’elettrodo opposto. Ciò risulta anche da alcune delle esperienze già indicate, ma non si potrebbe con molta sicurezza confrontare serie diverse di esperienze. Per verificare la cosa abbiamo fatto delle apposite esperienze con due scintille di ugual lunghezza nello stesso circuito, dispo- nendo due elettrodi entrambi positivi, o entrambi negativi iden- tici di fronte ad elettrodi di forma molto diversa, e osservando i riscaldamenti dei primi due. Facemmo prima delle esperienze in cui gli elettrodi identici erano coni di 46°,5, opposti l'uno ad un cono di 91°, l’altro ad una superficie piana. Con » e p sono indicati i riscalda- menti del secondo, con », e p, quelli del primo. TABELLA VEL, | d î n n, p Pi ORE eo e 2600107 AD » | 0,76 0,87 | — _ DRISEREDIA00 Rn 000 | = i o;143.| orse » 120 | 0,975] 1,396] — _ » 92 (0,914 | 4,51 — - È RARO ERI GRECA SS Altre esperienze furono fatte con due superficie piane opposte l’una ad una sfera di rame e l’altra ad un cono di 46°,5; con n e p sono indicati i riscalldamenti della prima, con n, e p, quelli della seconda; d = 6,5"". TABELLA VELI. a i U n, p Pi CR RS one ATTO Bat |a0;BRMOI9GI ile pena ie elia dorico? ba Sierojosi Nolagi mano | 588 A. NACCARI E G. GUGLIELMO Queste esperienze furono eseguite parecchie volte; per evitare anche in questo caso che una piccola differenza delle due lun- ghezze degli intervalli d’aria potesse avere influenza sui risultati, si aumentò e diminuì una delle lunghezze in modo da renderla alquanto maggiore o minore dell’altra. Si ottenne però sempre lo stesso risultato, cioè che la forma d’un elettrodo influisce sul riscaldamento dell’altro e precisamente nel senso che allorchè è maggiore il riscaldamento del primo diminuisce quello del secondo. Esaminando tutte le esperienze eseguite intorno all'influenza della forma degli elettrodi sul loro riscaldamento si può conchiu- dere che ogni qual volta si agevola l’efflusso dell’elettricità da un elettrodo diminuisce il suo riscaldamento. A questa proposi- zione si conformerebbero non solo le esperienze fatte per istudiare l'influenza della forma d'un elettrodo sul suo proprio riscalda- mento, ma anche quelle fatte per studiare l’influenza della forma dell'elettrodo opposto, qualora fosse sicuramente provato che la scintilla scocca più facilmente tra una punta e un disco o fra una punta e una sfera che non fra due punte. 4A. Influenza della distanza. Valore assoluto dei riscalda- menti. — Abbiamo fatto di poi delle esperienze per riconoscere l'influenza della distanza sia sul riscaldamento di ciascun elet- trodo, sia sul rapporto fra i riscaldamenti dei due elettrodi. Le esperienze furono numerose e vennero eseguite in due di- verse epoche a intervallo di parecchi mesi, con una sola scintilla fra coni di 46°,5, ma sia per un'alterazione delle estremità del cono dopo il lungo uso come elettrodo, sia per altre cause sco- nosciute, i risultati delle due serie discordano, benchè quelli spettanti a ciascuna serie sian concordanti fra loro. Nelle prime esperienze si osservò una diminuzione abbastanza 7) notevole del rapporto — al crescere della distanza, nelle ultime p tale diminuzione non apparve o almeno fu inferiore alle diffe- renze fra i risultati di esperienze fatte a distanze uguali. Dobbiamo in generale osservare che non si può attendere dalle esperienze sulle scintille e specialmente da quelle fatte con elettrodi conici una gran precisione, sia per le molte cause che possono influire sull’andamento delle correnti indotte, sia «anche per la piccolezza del riscaldamento di questi elettrodi allorchè sono positivi. Non è improbabile ancora che sotto l’azione della SUL RISCALDAMENTO DEGLI ELETTRODI ECC. 389 scintilla si alteri alquanto la estremità del cono e si formino piccole punte, o cavità che influiscano sull’efflusso dell’elettricità e quindi sul riscaldamento. Per evitare almeno alcune delle cause d’errore abbiamo fatto anche in questo caso delle esperienze con due scintille nello stesso circuito, entrambe fra un cono di 46°,5 ed uno di 91°, ma di diversa lunghezza, ed osservammo i riscaldamenti dei coni di 46°,5 che erano entrambi positivi o entrambi negativi. I ri- sultati esposti sono, come sempre, le medie di molte esperienze. In alcune di queste furono scambiate le distanze in modo che ciascuna delle due scintille di diversa lunghezza avvenisse or presso ad uno, or presso all’altro degli elettrodi considerati. TABELLA EX, + d Ù n pol Mai:p zi 68 tati dAS78 10 A E OA (i 200|.55 | A,44, 0.45 96 Il 20 » | 0,97) 0,13| 7 (ASI ZA e O] 40 ) 089% LOT 604 10 30 ETRE O AIAE8:6 | 40 » ONORIO ee | Ong aZ O 02003 8 5 » | 1,52| 0,15| 10,0 Da queste esperienze risulta che il riscaldamento d’un elet- trodo per piccole distanze cresce all'aumentare della distanza, poscia diminuisce; le variazioni paiono maggiori per 1’ elettrodo negativo che pel positivo, e perciò il rapporto » :p prima cresce, indi decresce all’aumentar della distanza. La distanza alla quale si ha il massimo, parrebbe in questo caso essere compresa fra 2 e 5°". Ciò risulta anche dalle tabelle IV, V, VII. Riguardo al valore assoluto dei riscaldamenti ottenuti nelle varie condizioni delle nostre esperienze, conviene osservare che 390 A. NACCARI E G. GUGLIELMO esso dipende da molte cause che non è facile determinare; fra queste possiamo notare l’andamento della intensità della corrente indotta rispetto al tempo. Tuttavia, per avere un valore medio di questo riscaldamento per elettrodi conici di 46°,5 di apertura, prendendo la media di parecchie delle nostre esperienze senza tener conto delle diverse condizioni in cui furono eseguite, troviamo che per unità di cor- rente si ha in 2' una dilatazione di una divisione ossia di 0,158""-* se l'elettrodo è negativo, e di 0,18 ossia 0,028""? se esso è positivo. Tenendo conto del peso della parte metallica dell’elet- trodo (368), del volume dell’alcool contenuto (36°"*), del coef- ficiente di dilatazione dell'alcool, ecc. si trova che gli aumenti di temperatura sono di 0°,0055 e 0°,001 e le quantità di calore sviluppate 0,088 e 0,016 piccole calorie, ossia per 1 Ampère an 1 423000 08 5. Riscaldamento dell’acqua usata come elettrodo. — Ab- biamo voluto esaminare se, quando uno degli elettrodi fosse co- stituito da una sostanza liquida, sussistesse la prevalenza del ri- scaldamento nel caso in cui essa fosse negativa anzichè positiva. Si faceva scoccare la scintilla fra l'estremità arrotondata di un filo di rame di 2"" di diametro e la superficie piana di una certa quantità d’acqua (50° °) che si trovava in un vaso di 3,50” di altezza e 5 di diametro. L'acqua veniva agitata prima e dopo il passaggio delle scariche ; un termometro diviso in quinti dava la temperatura. Allorchè la distanza dell’ astina di rame dall'acqua era di circa 3"" questa, essendo negativa, si riscaldò per unità di cor- rente di 0°,0084, essendo positiva di 0,0041; quando la distanza era di 3” , si riscaldò, essendo positiva, di 0°,0109, essendo po- sitiva, di 0°,0084. Vedesi che anche in questo caso il riscalda- mento è maggiore quando l’acqua fa l’ufticio di elettrodo negativo : il rapporto è 2 per la distanza di 3"" ed 1,3 per la distanza di 9®" . valori che non differiscono molto da quelli trovati pel ri- scaldamento d’una superficie piana metallica opposta ad una punta. Riguardo alla quantità di calore essa non si può avere esat- tamente da quest'esperienza giacchè non fu determinata che al- l’ingrosso la quantità d’acqua: inoltre il vaso di vetro aveva pareti molto grosse. Trascurando questa correzione, e conside- rando i due ultimi valori, si ha che la quantità di calore svi- SUL RISCALDAMENTO DEGLI ELETTRODI ECC. 591 luppato per Ampère in 2' fu di 52400 piccole calorie quando l’acqua era positiva, di 40400 quando era negativa. Altre esperienze furono fatte con due scintille simultanee di lunghezza prossimamente uguale, una fra l'estremità arrotondata di un’astina di rame di 3°" di diametro e la superficie del-: l’acqua contenuta in un bicchierino di vetro sottile di 30"" di diametro, l’altra scintilla fra un’astina di rame uguale alla pre- cedente e la superficie piana di uno degli elettrodi calorimetrici usati precedentemente, e come al solito ripieni di alcool. Le scintille erano entrambe verticali, le due superficie piane, di cui si voleva paragonare il riscaldamento, erano entrambe positive o entrambe negative; un termometro diviso in quinti di grado dava la temperatura dell’acqua che veniva resa uniforme agitando prima e dopo il passaggio della scarica ed anche per breve tempo durante questo passaggio. La quantità dell’acqua era di 50°"9. Fu determinata direttamente, cioè ponendo in un bagno Velet- trodo calorimetrico ed un termometro, la variazione di tempera- tura che produceva lo spostamento di una divisione nella colonna d’alcool ed essa risultò di 0°,0198. Nella seguente tabella sono esposti i risultati di queste espe- rienze. Con » e p sono indicati i riscaldamenti del metallo, con n, e p, quelli dell’acqua, tutti ridotti ad unità di corrente e alla durata di 2. TapeLLa X. ni fe bra lap | 55 OTT A Ei Rap, ea i ale 0 00855 pate ; 0:996. | 0,0155.| = pi ; dial = 0,613 | 0,00864 pati 60 1,085 | 0,0093| — Di 61 = dai 0,692 | 0,00811 62 | 1,210 | 0,010 ua sa 62 Sa A 0,712 | 0,00647 Medie | 1,035 | 0,0112| 0,630 | 0,00794 392 A. NACCARI E G. GUGLIELMO Risulta da queste esperienze come da quelle con una scin- tilla, che il rapporto dei riscaldamenti dell’elettrodo negativo e del positivo è presso a poco lo stesso per l’acqua e pel metallo, per cui pare che questa quantità non abbia alcuna relazione notevole colla costituzione molecolare dell’elettrodo. Riguardo ai valori assoluti dei riscaldamenti, essendo la quan- tità d’acqua di 50‘"?, se non si tien conto del calore acquistato dal vetro, si ha che la quantità di calore acquistata dall’acqua in 2° e per unità di corrente fu di 0,56 calorie quando l’acqua era negativa, di 0,597 quando era positiva. Nell’elettrodo me- tallico il peso del rame era 26,9, quello dell’alcool 188", l’e- quivalente in acqua era quindi prossimamente di 14,4. La quantità di calore occorrente per produrre la dilatazione dell’al- cool di una divisione del cannello era di 0,285 calorie. Dalla esperienza risultò che la quantità di calore generata sulla su- perficie metallica fu di 0,295 calorie quando essa era negativa, di 0,22 quando era positiva, per cui il riscaldamento dell’acqua come elettrodo risulta maggiore che non quello del metallo, ri- sultato tanto più singolare inquantochè lo strato superficiale del- l’acqua deve venir portato a temperatura piuttosto elevata, e quindi deve avvenire evaporazione ed assorbimento di calore. La quantità di calore prodotto sull’acqua risulta per Ampère e per minuto primo di 26900 piccole calorie quando era ne- gativa e di 19100 quando era positiva; la quantità di calore prodotto sulla superficie piana metallica risulta di 14200 e 10600. Abbiamo fatto anche delle esperienze per paragonare il ri- scaldamento dell’acqua con quello del mercurio, sostituendo al- l’elettrodo solido dell’esperienza precedente un bicchierino di vetro sottile (pressa poco uguale a quello che conteneva l’acqua) con- tenente 25°? di mercurio, un termometro diviso in quinti di grado ed una astina di vetro per agitare. Nelle seguenti tabelle sono esposti i risultati di queste espe- rienze; con x e p sono indicati i riscaldamenti del mercurio ri- dotti come sempre ad unità di corrente colla durata di 2°, con n, e p; quelli dell’acqua. SUL RISCALDAMENTO DEGLI ELETTRODI ECC. 3983 TABELLA WI. “i n n, p P, || | | = 65 09,0158| 090171] — Pes 10: | | — = 1,46 | 65 Shure 0°,0145| 0°,0107 | | n8 0°,0197 | 09,0193| — -- n, È — = 1,74 Pi 58 I na nigz|, COSNIRI 62 0°,0197| 09,0229| — —_ Medie 0°,0184| 0°,0198| 0°,0126| 0°,0114 Come vedesi il rapporto dei riscaldamenti dell’elettrodo nega- tivo e del positivo è all’incirca lo stesso per l’acqua che per il mer- curio o per il rame. Riguardo alla quantità di calore svilàppata trascurando la porzione assorbita dal vetro si ha che essa fu pel mercurio di 0,208 e 0,142 e per l’acqua di 0,495 e 0,285, ossia per Ampère e per minuto primo di 10000 e 6830 piccole calorie per il mercurio, e di 23800 e 13700 piccole calorie per l’acqua, valori che non differiscono molto (avuto riguardo alla poca regolarità del fenomeno, ed alle condizioni diverse) da quelli trovati rispettivamente per l'elettrodo metallico e per l’acqua nelle serie antecedenti. Altre esperienze si fecero pure con una scintilla che scoccava dalla estremità dell’astina d’ottone e la superficie dell’acqua, ed indi ponendo a galla sulla superficie dell’acqua una sottil lami- netta d’ottone con fori pel passaggio del termometro e dell’a- gitatore; ed anche in questo caso si ottenne il riscaldamento maggiore per scintille che scoccavano fra l'acqua che non per quelle che scoccavano sulla laminetta. 6. Esperienze con la scintilla di disgiunzione. — Abbiamo fatto anche delle esperienze per vedere quale fosse il riscal- damento degli elettrodi nel caso speciale della scintilla chiamata da Edlund di disgiunzione (1). Perciò i due poli del rocchetto (1) EpLunD, Pogg. Ann., t. CKXXXIV, 337; CXXXIX, 353. 394 A. NACCARI E G. GUGLIELMO erano in comunicazione colle armature interne dei due conden- satori, le cui armature esterne comunicavano fra loro e col suolo. Nel circuito si trovava oltre all'intervallo d’aria di 2°" fra gli elettrodi considerati (sfere di rame di 5° di diametro) un in- tervallo d’aria di 28"" presso ad un polo del rocchetto. I due elettrodi comunicavano fra loro mediante una resistenza metal- lica di 0,5 U. S. In tali condizioni la corrente del rocchetto at- traversava l'intervallo d’aria di 28"" , si biforcava passando per la resistenza metallica anzidetta e per l'intervallo d’aria fra le due sfere. Anche in questo caso si riscaldò maggiormente l’e- lettrodo in comunicazione col polo negativo del rocchetto ed il rapporto n :p risultò come media di cinque esperienze abba- stanza concordanti, uguale a 1,2, valore presso a poco uguale a quello trovato coll'uso dei condensatori (1). 7. Esperienze colla macchina di Holte. — 11 Poggendorff sperimentando nel modo indicato, trovò con molte esperienze che all'opposto di ciò che avviene colla scintilla del rocchetto d’in- duzione, il termometro in questo caso si riscalda più accanto al- l'elettrodo positivo che al negativo (2). Il Mugna col metodo pure accennato trovò che anche colle scintille della macchina d’Holtz si riscalda sempre più l’elettrodo negativo. Abbiamo eseguito delle esperienze col metodo solito e con sfere di rame di 5° di diametro. L'intensità della corrente in generale non potè essere apprezzata a causa della sua piccolezza e della sua variabilità. Però invertendo la corrente si potevano eliminare le piccole differenze che dipendessero da accidentale diversità dei due elettrodi. I riscaldamenti, come era stato os- servato dal Poggendorff, sono molto maggiori a parità di corrente, che non col rocchetto, cosicchè si ottennero abbastanza grandi sebbene l’intensità della corrente fosse piccolissima, ‘e la durata del passaggio della medesima spesso non potesse esser prolungata oltre ad. 1° a causa delle condizioni poco propizie dell’ atmo- sfera. Ecco i riscallamenti osservati allorchè la distanza delle sfere era di 9%" (1) Naccari, Atti della R. Acc. delle Sc. di Torino, XVII, 343. (2) PoggeNnpoRFF, Memoria citata. SUL RISCALDAMENTO DEGLI ELETTRODI ECC. 395 n p n:p 160 | 6,9 2,3 19,7 7,4 2,7 28,3 Hi, 2,55 21,3 8,0 2,7 20,0 8,3 2,4 29,6 13,0 2,3 11,0 5,8 2,4 In media n»: = 2.5. In altre esperienze essendo la distanza 1 Il delle sfere di 5"" si ottennero i seguenti risultati: | n p n:p IT, 13,1 1,3 10,3 8,5 102 8,5 6,0 1,4 11,9 71 1,7 | 21,5 38 | 160 In media n:p = 1,45. In tali condizioni scintille più lunghe non si poterono otte- nere sia a causa della grandezza delle sfere, sia per lo stato poco propizio dell’atmosfera, e per lo sviluppo del circuito che comprendeva il galvanometro. Per sperimentare a distanze maggiori usammo per elettrodi dei cilindri di lamina sottile d’ottone di 25"" di diametro ter- minati ad un lato da una calotta emisferica pure d’ottone ed aperti dall’altro lato ove s’introduceva un tappo di gomma por- tante il tubo capillare. Questi elettrodi si posero direttamente a contatto coi poli della macchina, si escluse -il galvanometro le cui indicazioni erano troppo incerte, e si fecero le esperienze in un luogo riscaldato. Inoltre si tenne presso alla macchina una lampada a petrolio collocata dietro il disco fisso: gli elettrodi erano difesi dalle radiazioni della lampada. Così si potè ottenere con sicurezza una scintilla di 27"" di lunghezza, e si ebbero i risultati esposti nella seguente tabella : 396 A. NACCARI E G. GUGLIELMO - SUL RISCALDAMENTO ECC. d n p nip 20 33,4 25,3 1,94 » 29,6 21,2 1,4 23 32,7 24,0 1,36 » 28,6 23,3 1,23 20 31,3 27,9 1,12 » 31,4 21,8 1,44 27 41,9 Zio 19 » 36,4 1922 1,9 » 37,2 13,5 2,8 » 44,6 POI? 1,64 Finalmente, con altri elettrodi di uguali dimensioni, in condi- zioni atmosferiche migliori, si ottennero scintille di 40%" , ed i riscaldamenti osservati sono i seguenti : Risulta da tutte queste esperienze accertato che, anche colla macchina di Holtz, almeno per scintille non maggiori di 40 mill., l'elettrodo negativo si riscalda più del positivo: solo il rap- porto »-:p risulterebbe minore che colle scintille d’induzione. Riguardo all'influenza della distanza sul valore di questo rapporto le esperienze furono fatte in condizioni troppo diverse, per poterne dedurre una conclusione. Dal Laboratorio di Fisica della R. Università di Torino, 9 Marzo 1884. 397 Il Socio Barone Antonio MANNO legge un suo scritto inti- tolato : LA PRIMA PAGINA DI STORTA DELLA R. AGGADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO. Vengo a recarvi un lieto annuncio. Una vostra recente delibe- razione ed il caso, prepararono una bella sorpresa per questa nostra modesta solennità. Facendo sgomberare, per decreto vostro, certi scaffali dalla se- conda sala della libreria, si rinvenne dietro a fitta siepe di enormi volumi poco consultati, un fascio di carte sul quale i sedimenti di indotta polvere rivelavano un'epoca remota di oblio. Datavi una rapida e curiosa scorsa, mi rallegrai trovandovi or- dinatamente disposte in ragion di data le lettere scritte all’Acca- demia dall’anno di sua fondazione a quello della caduta della Mo- narchia. Carteggio di tre lustri che si deplorava perduto. Qui lettere di parecchi fra gli illustri che ci precedettero; dei tre fondatori, dei due presidenti, degli operosissimi fra i segretari Tomaso Valperga di Caluso e Prospero Balbo. Compaiono i riveriti nomi del botanico Allione, dei matematici Foncenex e Gianella, del filosofo cardinale Gerdil, di Gardini elettricista, del chimico Giobert, del polistore Vernazza, del Robilant mineralogista, dell’economista Vasco, e di Vassalli Eandi fisico; nipote, zio e prozio di accade- mici (1). Giovanni Aldini scrive da Bologna, carteggiano da Milano (1) Nipote di Giuseppe Antonio Eanpi saluzzese, Socio nostro (21 Di- cembre 1788); zio di Giovanni Eanpi (eletto il 15 Maggio 1840); zio di Secondo BERRUTI (Accademico dal 12 Dicembre 1847) il quale gli fu nipote di sorella 398 ANTONIO MANNO Carlo Amoretti, Antonio Landriani ed Ambrogio Fusinieri ; i due Ardoino da Padova ; da Verona il colonnello Lorgna, fondatore della Società dei XL: lettere da Pavia dello Scopoli e di Lazzaro Spallan- zani che vi discute a lungo sul non intermesso tema della natura dei pipistrelli. La nobile schiera s'abbellisce coi nomi di Sénebier, Bo- scovich, d’Alembert, Scheele, Bossut, Monnet, Macquer, Spielmann, de Condorcet, Lalande, Laplace e Monge. Infine lettere preziose di quella triade illustre di nostri comprovinciali che cercarono in terre straniere maggior benignità di sussidi, se non di cielo; ho citato Berthollet, Denina e Lagrange. Dalle più antiche di queste lettere traspariscono due nobili sen- timenti; di gratitudine verso Giuseppe Angelo Saluzzo per cui opera sorse l'Accademia, e di ammirazione per il grande Lagrange primo fondatore della Società privata torinese. Il Conte Fontana di Cravanzana, ministro del Re a Berlino è lieto di partecipare al Lagrange la sua elezione a presidente onorario del- l'Accademia perchè conosce « que de toutes les preuves d’appro- » bation et de bonté que S. M. pourrait lui destiner, c’est assuré- >» ment celle qui sera plus propre à entretenir les sentiments de » dévouement que je lui ai toujours vu pour son Souverain et sa » patrie (1) ». Il Landriani si rallegra per la giustizia resa dal Re a quest'uomo straordinario che era stato un po’ troppo trascurato dalla Corte di Torino (2). « C'est une chose honorable pour » lui (scrive da Parigi il Condorcet), agréable pour ses amis et qui » fera honneur au Roi dans l’esprit de tous les hommes éclairés (3) ».. Anton Maria Lorgna, va più in là: « chi sa che non lo possiamo e prozio de) collega Giacinto BeRRUTI (nominato il 25 Giugno 1871) che è figlio di un fratello di Secondo. Questo, a mio credere, rappresenta nella nostra Accademia il più singolare esempio di relazioni di vicinissima paren- tela fra soci e la sola dove si vegga rifiorire la elezione nella terza, quan- tunque indiretta, generazione. Furono Accademici, tanto il padre quanto il figlio, Prospero e Cesare BaLBo; Ottavio e Tancredi pi BaroLo; Giuseppe Enrico e Leone Costa pi BrauREGARD ; Carlo e Carl’Ignazio Giulio ; Giuseppe ed Antonio Manno; il padre e due figli nei MicHELOTTI; Domenico e Vincenzo Promis, con Carlo fratello del primo; Ignazio e Giambattista Somis. Zio e nipote nei BaruccHi, CareNA, PeyRoN, ScHIAPPARELLI; due fratelli nei MénaBrÈA, NAPIONE, PROVANA DEL SABBIONE e SIsMonDa; tre fratelli ed una sorella nei SALUZZO. (1) Lettera al Co. SaLuzzo, 29 Luglio 1783. (2) Lettera al Co. SaLuzzo, Agosto 1783. (3) Lettera al Co. SaLuzzo, 29 Luglio 1783. LA PRIMA PAGINA DI STORIA DELLA R. ACCADEMIA 399 » riavere per questa nobile e luminosa via. L'espediente è degno del » Sovrano che l’ha preso (1) ». Il Denina poi c’informa dei sensi provati dallo stesso Lagrange « Vi posso assicurare (scrive all'Avyo- » cato Chionio) quello che ve ne ho toccato nella precedente. S. M. - » ed il Ministro che lo consigliò, non potevano far la cosa più ge- » nerosamente. Non solo il signor Marchese (Luechesini) e M. De- » Lagrange, ma il signor Mérian Direttore della classe delle belle » lettere e versatissimo nella letteratura italiana e l'ottimo nostro » collega M. De Castillon, nato ed allevato in Toscana, trovano il » diploma (della fondazione dell’Accademia) dettato con dignità » e il S. De Lagrange mi parve sommamente contento, non tanto » del titolo di presidente onorario che gli è conferito, quanto della » maniera con cui si parla nelle Patenti dei principii di questa > oramai reale e pubblica Società di scienze. Egli ha ragione di » compiacersene perchè ne fu veramente il primo autore e quasi » che io pure partecipo di questa sua compiacenza, per l’antica » amicizia contratta e nell'Università, quando ancor non potea so- » gnare di divenire, come poi sì presto divenne, sommo e sublime » geometra (2) ». Come finale di questo bel concerto credo udrete con soddisfa- zione le stesse lettere che allora il Lagrange scriveva al Saluzzo. « Monsieur, « Il est bien flatteur pour vous, mon illustre Confrère, d'avoir » fait réussir le projet que nous avions formé, il y a vingt-cinq » ans, d'une Académie des Sciences, et dont l’exécution paroissoit » sujette a des difficultés insurmontables. Vous avez en cela bien » mérité de vos amis, de la patrie, et des sciences; et je ne puis » à cet égard que joindre mes remercîmens à ceux de mes » Confrères. Mais je vous en dois de particuliers pour l’honneur » que votre amitié m’a attiré, et dont je suis d’autant plus (1) Lettera al Co. SaLuzzo, 15 Aprile 1783. (2) Lettera dell’Agosto 1783. In essa con transizione oggettiva si compiaceva di avere già « pre- nunziato questa formale istituzione », in quel suo panegirico primo al buon Re VirtorIo, che non fece scordare l’antico frizzo del Professore torinese sulla pretesa predilezione del suo Sovrano per i tamburini sopra gli scienziati. 400 ANTONIO MANNO » » touché que j'avais moins droit de m'y attendre. Cependant si je ne croignois qu'il n'y eut encore plus d’amour propre a m’y refuser qu' l’accepter, je n’hésiterois pas à prendre le pre- mier parti comme plus conforme à ma fagon de penser; mais cette crainte jointe à celle de paroître ingrat me retient, et je regois la distinetion qu'il plait au Roi de m'’accorder, avec le respect dù aux faveurs de Sa Majesté. Je vous sup- plie donc de vouloir bien étre auprès d’Elle l’organe de ma vive reconnoissance, et de m’acquitter aussi envers le Ministre par les mains duquel cette gràce a passée, et qui daigne avoir de moi une opinion que je ne mérite pas. » Je vous suis infiniment obligé de la bonté que vous avez eue de me faire passer la patente et les Statuts de 1’ Aca- démie; j'ai lu cette pièce avec une grande satisfaction, et le souvenir de tout ce qui s'était passé dans ma jeunesse relativement è cet objet me l'a rendue plus intéressante en- core. La constitution actuelle de ce corps me paraît aussi bonne qu'on pouvoit le désirer et très propre à le faire prospérer de toutes manières. Je vous en félicite, et je m’en réjouis avec vous de tout mon coeur. >» Je n'ai pu étre d'aucune utilité a M. Boarelli qui m'a re- mis votre lettre, et qui n'a fait ici qu'une apparition, étant pressé de continuer son voyage pour éviter les grandes chaleurs dans la route. J'espère qu'il trouvera à se placer avantageusement à Pétersbourg par son mérite, par les recommandations dont il est muni, et surtout par la nature de sa profession que les circonstances actuelles doivent y rendre très importante. > Je serois bien flatté de pouvoir vous ètre bon à quelque chose dans ce pays; et votre nouvelle confraternité me devien- droit bien plus précieuse si elle servoit a m'’attirer l’honneur de vos ordres. Il ne tiendra pas à moi de la mériter par mon zèle è les remplir. » Recevez de rechef mes très sincères complimens, et les as- surances des sentimens remplis d’estime de respect et de re- connoissance avec lesquels j'ai l’honneur d'’ètre » Monsieur » Votre très humble » et très obeissant Serviteur » DE LA GRANGE » «3 ‘Berlm ce 25: Aoît 178305% » M LA PRIMA PAGINA DI STORIA DELLA R. ACCADEMIA 401 « à Berlin ce 28 Juin 1785. » » Puisque vous voulez absolument, mon cher Comte, que je vous envoie quelque chose pour le nouveau volume, j'adresse par ce mèéme ordinaire à M. Boccardi un paquet contenant deux Mémoires, un d’analyse pure, l’autre sur la théorie des fluides, lesquels y occuperont peut ètre plus de place qu'ils ne méritent. Ce manuscrit est très correct par rapport aux formules d’algè- bre; et je prie l'imprimeur de s’y conformer le mieux qu'il pourra. Je suis très aise que la climie, la physiologie et l’his- toire naturelle forment la partie dominante de ce volume; il n'en sera que plus intéressant méème pour moi, et à coup sùr plus utile. » J'ai lu à V’Abbé Denina Varticle de votre lettre qui le re- garde, il a été fort sensible à votre souvenir, et m’a chargé de vous en remercier. Je vous prie de vouloir bien m'’acquitter envers ceux qui m’honorent du leur, et de faire quelque fois commémoration de moi avec nos anciens et communs amis ; pour leur écrire rarement je ne leur suis pas moins sincèrement et constamment attaché, et l’éloignement n'a en aucune manière diminué la vivacité de mes sentiments. Vous connoissez ceux que je vous ai voués depuis longtems: ils n'ont fait qu'aug- menter par les bontés que vous avez eues en dernier lieu pour moi, et les nouveaux témoignages d'intérét dont vous m'honorez dans votre lettre y ajoutent encore. Je prends la part la plus vive à votre rétablissement ainsi qu'a celui de notre ami Ci- gna. Je serois au désespoir de devoir renoncer à la consolation de vous rembrasser tous les deux. J'ai appris que M. Favrat était devenu sénateur à Turin; oserois-je vous prier de lui en faire mon compliment, et de lui demander en méme tems s'il a recu la réponse que je lui adressai à Chambéry. » Recevez mon très illustre Confrère les assurances de la tendre estime et du respectueux attachement avec lequel j'ai l’honneur d'ètre « Monsieur » Votre très humble » et très obcissant serviteur » DE LA GRANGE ». Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XIX, Pi | 402 ANTONIO MANNO La riconoscenza al Saluzzo non era nè di convenzione, nè so- verchia. Il caso, come dissi, mi servì maravigliosamente per sin- cerarvene. Dando ordine e classazione ai numerosi manoscritti posseduti dall'Accademia per descriverveli, più volte m'’era venuta fra le mani una filza voluminosa sulla quale stava scritto che erano Carte di contabilità. Come usa nelle cose fastidiose sempre ne procrasti- nava la rassegna ; finchè, ora fanno pochi giorni, vinta la ritrosia, mi posi ad esaminarle. Tra la bellezza di quaderni di conti, di ricevute, di fatture, di tutto il ciarpame d'ufficio ; con vero stupore vi trovai un prezioso fascicolo tutto di documenti sulla trasfor- mazione della Società antica nella nuova Accademia Reale. Questo cambiamento era stato tentato, senza successo, da un gentiluomo filosofo; dal Marchese di Fleury, che fu aio del Prin- cipe di Piemonte. Sempre avevalo desiderato il Saluzzo che sosteneva coll’opera e colla borsa la pubblicazione dei Melanges. Dolevagli somma- mente che la Società torinese di Reale non avesse che un titolo, per così dire di cortesia; e non fosse regolata nè da ordini, nè da ufficiali; non fosse sussidiata; non fosse alloggiata; non vi- vesse insomma di vita civile. Ripetutamente lagnavasi che la So- cietà non avesse mezzi per corrispondere agli inviti, ai quesiti, alle premure delle altre ; cose necessarie alle Accademie che fanno studi di scienza a differenza di quelle che « unicamente si oc- » cupano (secondo la frase del Saluzzo) della misura, dell’ordine, » dell'armonia delle parole ». Ond’è che venutogli il destro, si valse di tre piccole cause per ottenere un grande effetto. Giusti lamenti mandava da Verona il Lorgna, cui, per defi- cienza di denaro, da circa tre anni si ritardava la stampa di due Memorie spedite alla Società. L’'Accaderia Teodoro-Palatina di Manheim sollecitava perchè si stabilissero apparecchi meteorologici ed una rete di osservazioni, a vantaggio, come dicevasi nella lettera di richiesta, del genere umano. Infine l’astronomo Lalande richiedeva istantemente il Saluzzo di notizie sull’organamento e sui sussidi della Società per par- larne in una nuova edizione del suo Viaggio in Italia; nella quale avrebbe dovuto togliere a Milano la meraviglia del palmizio che fruttava datteri nel cortile dell’Ambrosiana. Il Saluzzo con ripetuti memoriali metteva in rilievo la poco buona figura che si farebbe lasciando indovinare la impotenza e TA PRIMA PAGINA DI STORIA DELLA R. ACCADEMIA 408 la vita precaria di una Società che tutti credevano Reale di nome e di fatti. Sarebbe lungo narrare le vicende, le difficoltà, i dis- gusti, gli sforzi, che durarono tre anni; e come si dovette lot- tare per vincere le ritrosie, i pregiudizi, le cattive intenzioni e le ostilità contro alla fondazione di una vera istituzione scientifica nazionale. Opposizioni che partivano specialmente da un Ministro avverso alla impresa. Dicevano al Re che spenderebbe troppo e pericolosamente. Ed allora il Saluzzo ed i suoi fautori. proporre per la dote della futura Accademia o la rivendicazione di un lascito dell’an- tiquario Conte Bagnolo, od il privilegio di una pubblica annuale lotteria; oppure la privativa su tutti gli almanacchi. Ripieghi presto e con migliore consiglio cambiati in un di- screto e decente assegnamento. Ma più che collo spavento della spesa cercavasi di intimorire il Re collo spettro del filosofismo e che la propagazione delle cognizioni riuscirebbe fatale allo spirito di sommessione. Cosicchè, per tranquillare l’animo regio, il Saluzzo continuava a limitare gli studi dell’Accademia a quelli di scienze esatte e naturali os- servando accortamente che oltre ai rilevanti vantaggi materiali « il en est un très-important pour l’état, savoir celui de n'avoir » rien à craindre des conséquences que les lumières qui se ré- » pandraient pourraient apporter à sa tranquillité; on ne pour- » rait rien tenter au préjudice des liens sacrés de la société, » dans le traitement de la géométrie et de la physique ». Infine fu accomodamento ‘necessario per piegare quell’ ostile Ministro, più pratico di foro che di portico, e che ambiva di essere Presidente della nuova Accademia; di accogliervi il figlio che pizzicava di scienziato. . Oggi, giorno di festa, non voglio nominare il ritroso Ministro ; per contro addito alla vostra riconoscenza i generosi che aiutarono il Saluzzo. Informavano e premunivano e consigliavano il Re, il suo medico, Ignazio Somis, che fu accademico; e Benedetto Pios- sasco Cavaliere di None poi Grande Ciambellano e quel Conte di Lagnasco, nonno di Massimo d’Azeglio nei cui /t;cord? tutti abbiamo letto com’egli per medicare le caustiche spruzzaglie del- l’acquasantino di Corte avesse fatto scrivere nel suo gabinetto AI FA PA NEN; non importa (1)! Ma il più autorevole fra (1) Ricordi, I, 22. 404 ANTONIO MANNO — LA PRIMA PAGINA DI STORIA ECC. i nostri Dei tutelari fu il Ministro per l’estero che scaltramente seppe deludere i maneggi del suo innominabile collega. Sia lode e gratitudine a Carlo Francesco Baldassarre Perrone San-Mar- tino, avolo dell'eroe morto a Novara e conserviamo gelosamente fra i nostri manoscritti, un suo libro a penna sul fifiorimento del commercio. Come ho taciuto nòmi, così non rivolto la medaglia dei trionfi del Saluzzo. Sul rovescio vi leggeremmo disgusti, dissapori, disil- lusioni. Perchè aveva fatto tutto presero ad infastidirlo col com- plimento che abbrucia:; vuol fare tutto! Cosicchè egli ispirandosi a quella filosofia pratica che contenta gli animi miti, lasciò che altri facesse. La sua presidenza che doveva essere perpetua non durò che cinque anni. Da queste carte e carteggi avrei desiderato trascrivere il meglio per servire alla storia dell’Accademia e degli Accademici. Il tempo fu troppo breve e non potei. Ma ciò che venne differito, forse non sarà abbandonato. A. COSSA — IDOCRASIA DELLA VALLE DI SUSA. 405 Il Socio Professore Alfonso Cossa fa la seguente comunica- zione intorno ad un’Idocrasia della Valle di Susa: Tra i differenti campioni di minerali metallici, che i nostri Alpigiani infaticabili cercatori di miniere, portano frequentemente al laboratorio di chimica docimastica della Scuola degli Inge- gneri di Torino, merita di essere ricordato un campione di bor- nite compatta nella quale trovavansi disseminati copiosi e ben sviluppati cristalli di idocrasia. Relativamente alla località da cui proveniva questo minerale, mi fu solamente indicato che esso fu raccolto ad una grande altezza sui monti che sovrastanno ad Almese e Condove nella Valle di Susa. Non essendo a mia cognizione che finora siasi trovata l’ido- crasia nella località sovracitata, ho creduto importante di farne l’analisi, che comunico all'Accademia solo quale piccolissimo con- tributo alla parte chimica della mineralogia delle Alpi Occidentali. L’idocrasia liberata coll’acido nitrico diluito da ogni traccia di bornite presentava nessuna traccia di introsione del minerale metallico; ed i saggi quantitativi più volte ripetuti non fecero scoprire in essa alcuna traccia di rame. Il peso specifico di questa idocrasia, che ha un colore va- riabile nei differenti individui tra il verde chiaro ed il giallo bruno, fu trovato eguale a 3,39 a + 15° C. L'analisi quantitativa diede i risultati seguenti : Silice con traccie d'acido titanico 37.46 Allumina 7 < : : 15. 51 Ossido ferrico . x : - 5-39 Calce .. : ì ì » 35. 98 Magnesia 5 - = x 1597 Acqua . : - z : 3. 40 S9edk, 406 LETTERA DI GIAN CARLO LEONARDO SIMONDO DEI SISMONDI Il Socio Barone Gaudenzio CLARETTA comunica all'Accademia, facendole dono dell’autografo, la seguente lettera che l’ illustre Storico Gian Carlo Leonardo Simoxpo dei SIismonpI indirizzava al Conte Alessandro di SaLuzzo, Presidente dell’Accademia, in ringraziamento della sua elezione a Socio Straniero della Classe. di Scienze morali, storiche e filologiche: Monsicur le Comte , Je viens de recevoir, avec une bien vive reconnoissance la lettre que vous m’avez fait l’honneur de m’adresser, par laquelle vous m'’annoncez que l’Académie Royale des Sciences a daigné m'admettre à une place d’'Académicien étranger, et que S. M. le Roi a bien voulu approuver cette nomination. Je tiens à grand honneur, Monsieur, d’ètre associé à un corps aussi illustre et de pouvoir desormais me dire votre Collégue. Je suis touché en méme tems de tout ce qui resserre mes liens avec mon pays de prédilection, ma chère Italie. Daignez exprimer toute ma reconnoissance à l’ Académie Royale des Sciences de Turin, et me croire, avec les sentimens de la plus haute considération , Monsieur le Comte, Chéne près Genève, 8 Décembre 1838. Votre très-humble et très-obéissant Serviteur I. C..L. de: Sismonpi. 407 Il Socio Maggiore Prof. F. SraccIi comunica all'Accademia il seguente suo scritto: ALCUNI TEOREMI SULLA RESISTENZA INCONTRATA DA UNA SUPERFICIE IN MOTO DENTRO UN FLUIDO. Della resistenza incontrata da una superficie dotata di moto di traslazione entro un fluido, non conosco, all'infuori degli studi sperimentali, che le formole stabilite molti anni fa dal Conte di S. Robert riguardanti una superficie di rivoluzione, e ripro- dotte in seguito da altri autori (*). Egli, considerando un proietto oblungo che muovesi obliquamente al suo asse, e supponendo la resistenza proporzionale al quadrato della velocità, stabilisce gl'integrali che determinano le componenti ortogonali, una delle quali secondo l’asse, ed il punto d'applicazione della resistenza totale. Nel teorema seguente, io considero una superficie qualunque, di rivoluzione o no, continua o discontinua, limitata da un ci- lindro le cui generatrici sono parallele alla direzione del moto. Suppongo la resistenza elementare proporzionale ad una potenza qualunque » della velocità, e chiamo forza ritardatrice la com- ponente della resistenza totale secondo la velocità, e forza devia- trice la componente perpendicolare. Ciò posto ecco il teorema: (*) Saint-RoBERT, Mémoires scientifiques réunis et mis en ordre. Tome |. Balistique, Turin 1882, pag. 251-278, 408 F. SIACCI Proicttando la forza deviatrice sopra un piano qualunque parallelo alla velocità, il prodotto di questa proiezione per n+1 è eguale alla derivata della forza ritardatrice rispetto all'angolo fatto dalla velocità con una retta qualunque posta sul piano stesso. Da questo teorema generale, segue facilmente questo corollario. In un proietto oblungo la forza deviatrice spingerà il pro- ‘etto verso la parte accennata dalla punta o dalla parte cpposta, secondochè la ritardatrice cresce o decresce coll’aumentare del- l’obliquità. Riguardo ad una superficie di rivoluzione limitata da un piano perpendicolare all’asse, si può dimostrare facilmente anche questo teorema : Supposta la resistenza elementare proporzionale alla velo- cità o al quadrato della velocità, fintantochè la superficie è esposta interamente alla resistenza, il centro di resistenza non muta col mutar dell’obliquità del moto. 0 La determinazione della resistenza sopra un emisfero che muo- vesi obliquamente al suo asse, anche supponendo la resistenza proporzionale al quadrato della velocità, importa delle operazioni di calcolo non indifferenti (*). Avvi una formola per mezzo della quale, determinata la re- sistenza sopra un emisfero, proporzionale alla potenza » della velocità, si ottiene per mezzo di una semplice differenziazione la resistenza sullo stesso emisfero proporzionale alla potenza n +2 della velocità. Ora, siccome per n=0 e per n=—1 la resistenza si può determinare senza integrazione, si potrà avere anche senza integrazioni la resistenza UrOROrzionzio ad una potenza qualsiasi intera della velocità. La formola è la seguente : S’indichi con è l’angolo fatto dalla velocità coll’asse dell’e- misfero, e con C, v" F, (0) (*) Veggasi per esempio Mavewskt, Zraité de Balistique. Paris 1872, pagina 20-26. ALCUNI TEOREMI SULLA RESISTENZA ECC. 409 la forza ritardatrice: si ha 1 0 F,(d a (0)= Ei [0 +2) (0) — se sen 0 cos Ò Per n=0 e per n=—1 si ha senza calcolo: F,()=5- (1+ cosò) , F_=2r(n-d), r è il raggio dell'emisfero. 410 ALESSANDKO DORNA Il Socio Cav. Prof. Alessandro DorNA, Direttore dell’Osser- vatorio astronomico, presenta il seguente suo lavoro : NUOVO MATERIALE SCIENTIFICO E PRIME OSSERVAZIONI CON ANELLI MICROMETRICI ALL’OSSERVATORIO DI TORINO. L'Osservatorio che fu per tanti anni amministrato dall’Ac- cademia, e diretto da uno de’ suoi soci più illustri, pieno di riconoscenza verso di Lei, che seguita a proteggerlo stampan- done i lavori, in questa solenne adunanza la ringrazia. Contento che per la sua nobile origine in seno dell’Accademia, sia stato annoverato fra gli istituti dell’Università, la quale ne assicura e rinvigorisce l’esistenza, procurandogli locali e strumenti im- portanti, ed insistendo perchè gli sia aumentata la dotazione ed accresciuto e migliorato il personale. L'Osservatorio, l’anno venturo, possederà, sulla torre sud ovest del Palazzo Madama, in apposito cupulo girante di otto metri e mezzo di diametro e cinque metri e mezzo di altezza, che venne congiunto con un corridoio coperto agli altri locali della specola, un grande equatoriale, avente trenta centimetri di apertura e quattro metri e mezzo di distanza focale. La montatura col tubo è costruita in Padova, all’officina Osservatorio astronomico della Società Veneta, che la presenterà all'Esposizione generale di Torino, prima di collocarla nel Pa- lazzo Madama. La rinomata casa Merz di Monaco in Baviera, lavorò l’ob- biettivo, un micrometro filare con circolo di posizione e parec- chi oculari, due dei quali con anelli micrometrici, NUOVO MATERIALE SCIENTIFICO. 411 Fu inoltre, prima, acquistato uno spettroscopio solare ed uno stellare di Zòlluer, costruiti a Lipsia da Tauber. Per i riscontri necessari ad ultimare l’ equatoriale, tutto questo materiale scientifico fu mandato da Torino a Padova; eccettuati i due oculari con anelli micrometrici, per provarli, non avendone mai «avuti alla specola. Si fecero qui delle madreviti con cui sì applicano a due cannocchiali, molto più piccoli del precedente, ma buoni di Fraunhofer, ed anche con montatura equatoriale; che se non è necessaria è anche utile cogli oculari con anelli micrometrici. Fu preparato inoltre qui, per osservare il Sole coi medesimi, un elioscopio di Parigi, che dà una immagine bianca, legger- mente colorata di violetto. Nella seconda settimana di Dicembre si cominciò a provare i due - oculari col cannocchiale minore cercatore di comete, che ha l'apertura di 96 millimetri e la distanza focale di 83 centimetri. Gl’ingrandimenti dei due oculari con questo cannocchiale sono ri- spettivamente 31 e 20; ed il primo oculare ha un anello ed il secondo due. Si osservò per determinare col Sole e con stelle i raggi degli anelli micrometrici nel cannocchiale adoperato, come si farà l’anno venturo per il refrattore Merz dell’equatoriale; e per seguire la cometa Pons, riferendola a stelle per lo più di grandezza non inferiore alla settima, la maggior parte delle quali è contenuta nel BAC della Società di Londra. Lo scopo principale dell’Osservatorio per l’Università essendo l'astronomia che insegna, non basta che presenti all'Accademia, per l’annessione agli Atti, come fa per le osservazioni meteorolo- giche, i risultamenti astronomici ottenuti, ma deve esporre i proce- dimenti con cui questi derivano dalle osservazioni. Senza però svi- luppare teorie e dimostrare le formole adoperate ; eccettuate le cose differenti dalle pubblicate, che pare abbiano qualche utilità. Con queste norme, comincia a presentare una Nota col ti- tolo: « Sulla determinazione dei raggi degli anelli micrometrici col Sole ». Una seconda sarà « Sulla determinazione dei raggi degli anelli micrometrici con stelle » ; ed una terza « Sopra alcune osservazioni con anelli micrometrici della cometa Pons, in Dicembre e Gennaio ». 412 ALESSANDRO DORNA - NUOVO MATERIALE SCIENTIFICO, ECC. Quando l’Osservatorio avrà l’aiuto e l’astronomo aggiunto, domandati per la scuola d’Astronomia e per la specola, sarà in grado di presentare all'Accademia frequentemente delle osserva- zioni astronomiche, le quali se vogliono tempo e fatica a farle, molto maggior tempo e fatica richiedono, inoltre, per le riduzioni, 9 Marzo 1884 ALESSANDRO DORNA. 413 NO I° A>-PIRIEMIA SULLA: DETERMINAZIONE DEI RAGGI DEGLI ANELLI MICROMETRICI COL SOLE _—r_r-rrrrT_—--r—— JE Oculare con un anello. Osservai il Sole in vicinanza del meridiano il 15 ed il 24 Dicembre, facendo nel giorno 15 registrare i tempi dei contatti al pendolo siderale Dent, e servendomi nel giorno 24 di un contatore a secondi, che confrontai col pendolo suddetto, prima e dopo delle osservazioni, mediante un mezzo cronometro Dubois. Nel modo con cui vennero registrati i contatti al 15, vi è stato un piccolo ritardo in tutti, ma probabilmente costante e di nessuna influenza sui valori dei raggi. Anche i piccoli errori commessi al 24 nei confronti del mezzo cronometro col pendolo siderale e col contatore possono considerarsi come compensati nei valori dei raggi. Osservazioni del 15 Dicembre tempi dei contatti del Sole colle due periferie dell'anello. A 1a Osservazione 2° {75 300 45, 9|470 320285, A 30 19,2 32 41,8 32 37,5 34 58,7 32 50,3 35 412,5 4:72 24 345, 2/47 26" 55°, 8 24 k7,3 CAL PARTI MET, 27 4,8 29.:27,8 1° Te lembo del Sole | 2° lembo del sole || del Sole | 2° lembo del Sole 1° Iembo del Sole | 2° lembo del Sole 27 418,9 29 40,9 414 ALESSANDRO DORNA Andamento del pendolo siderale a mezzodì vero. Del 14 Dicembre 18° 24” 46°, 82 correzione — 58" 515, 37 > ilo » IS 20 060026 » — 58.55, 39 Ritardo in un giorno — 4, 02 Osservazione del 24 Dicembre. Osservazione 1* Osservazione 2a Ci «i——16m@m@@oe+_u_@rttt-_-.m cqcqqji ‘ 1° lembo del Sole | 2° lembo del Sole [o lembo del Sole | 2° lembo del Sole gom 45 0| 32m 24 30 414,8) 32 36 32 32,0) 34 55 32 45,2) 35 8, 0 Lim 215,0 43% 445,0 0 bi 83,0 ao 3 9 43 52,0] 46 45,4 44 5,8| 46 29,2 | Confronti del mezzo cronometro d, col contatore c e col pendolo siderale p. d Oli ra i98 d 4401 ‘81305 d {AR 30” 305 p 16 26 52 c (a e) c 0 37 25 d 12 44 30 d (270200 d 18. 1370 c 4148 15 p 18 36 419 p DEA :929 Andamento di p a mezzodì vero. Del 23 Dicembre 18% 6» 12°, 00 correzione — 205, 94 » 24 » 18 10 42,05 » — 24, 34 Ritardo in un giorno — 3, 40 NB. L’avanzo del pendolo sul tempo siderale, essendo già quasi di un’ora, venne corretto il 17 del mese in modo che se- gnava 17° 23" 56° a mezzodì medio di Roma, : DEI RAGGI DEGLI ANELLI MICROMETRICI COL SOLE 415 Chiamerò C, D, E, Fi tempi dei contatti successivi del 1° lembo del Sole colle due periferie dell'anello, e 0”, D', E', F' i tempi corrispondenti ai medesimi del 2° lembo. Risulta dalle osservazioni che il tempo dal primo contatto all'ultimo, ossia Y' — G, supera di poco cinque minuti, e che il ritardo del pendolo in tal tempo non arriva in valor nume- rico ad un centesimo e mezzo di secondo, quantità trascurabile in questa ricerca dei raggi. Basta quindi per le osservazioni del 15 ridurre gli intervalli di tempo trascorso, tali e quali furono segnati dal pendolo si- derale, in equivalenti intervalli di tempo solare vero, mediante la variazione diurna dell’ascensione retta del Sole, data dal- l’Almanacco nautico per ogni mezzodì vero di Greenwich ; e pelle osservazioni del 24 basterà anche applicare la stessa correzione, dopo di avere ridotti in secondi del tempo siderale gli intervalli di tempo espressi in secondi del contatore. Ora risulta, dai con- fronti, che la correzione p — e per un secondo è prossimamente uguale a 0°, 006. Si devono adunque aggiungere, agli intervalli suddetti del contatore, sei millesimi del loro valore; operazione che si può fare a memoria. Ciò posto, sia per le osservazioni del 15, sia per quelle del 24 colla piccola aggiunta testè indicata, designando con 7 Vin- tervallo fra i due contatti esterni, e con 7° quello fra i due in- ternì, si avrà, in tempo siderale, per la periferia esterna dell’anello: SAS FC ce per quella;iniernas MW D° SU Per ridurre questi intervalli in tempo solare vero , bisogna moltiplicarli tutti per il fattore 1 — 2 q variazione diurna dell’ ascensione retta del Sole in secondi e qg=86636° (durata media del giorno solare in secondi). Siano : s il semidiametro orizzontale apparente del Sole in se- condi di arco ; o la declinazione apparente del Sole; r il valore cercato, in secondi d'arco, del raggio dell’anello; per entrambe le periferie di questo si ha: . . . ' tin (cui sia Atala (15 cos)? ta RIA ite Tfi.ix = (147) _ ; [1] pe) a) 416 ALESSANDRO DORNA Poniamo (*) [2]... log Q=log +1,14806-— 0,0000142, e risulta dalla formola che precede la seguente: faje: r=@Q(t+7)(t—-7) pel calcolo logaritmico di +, con cinque decimali, sufficienti alla ricerca del medesimo, il cui valore non arriva ad un terzo di grado. Per le osservazioni fatte in uno stesso giorno si può prendere invece di s il semidiametro dato dall’Almanacco nautico pel mezzodì di quel giorno, avuto riguardo che è trascurabile l’au- mento del semidiametro del Sole e che si può evitare il piccolo errore relativo alla contrazione del suo lembo, osservando i con- tatti colle periferie dell'anello, vicino alle estremità del semidia- metro orizzontale del Sole, la qual cosa è facile ad aversi in vicinanza del meridiano. Si può inoltre considerare @ come co- stante per tutte le osservazioni fatte così in un medesimo giorno, calcolandolo per l’istante medio dei tempi osservati dopo di avere applicato alla declinazione data dall’Almanacco nautico per mez- zodì vero, le correzioni: 1° pel tempo compreso fra tale istante a Greenwich e l'ora media delle osservazioni; 2° per la paral- lasse; 3° per la rifrazione. Ai tempi t e T' non è necessaria una correzione per la parallasse e per la rifrazione, le quali, in vicinanza del meridiano, affettando prossimamente in egual modo, e di pochissimo, i tempi dei due contatti, sì esterni, che interni, non alterano sensibilmente le differenze t e 7° di questi tempi. Non ostante queste minute correzioni è impossibile dedurre con precisione » da una sola osservazione, poichè l’errore di un solo secondo nei tempi può rendere sbagliati di due secondi gli intervalli 7 e 7° e produrre nel valore di » un errore superiore ad un quarto di primo in arco, ben maggiore dell’errore che (*) La correzione — 0,00001 Ax è analoga alla seguente — 0,00001 (4) del CaauveneT (Vol. II, pag. 443), ma in questa (4«) è la variazione del- l’ascensione retta in 48 ore espressa in minuti primi d’arco , mentre nella precedente della mia formola [2] Aw' è la variazione diurna dell’ascensione retta espressa in secondi di tempo. DEI RAGGI DEGLI ANELLI MICROMETRICI COL SOLE 417 nasce trascurando le correzioni suddette, Infatti differenziando la [3] rispetto ai tempi si ottiene: Ù dr=2@ (d:- td: ) e_ se de ==—de 2° risulta (È e dr=4Q(7+4+7). Dalla Osservazione 1° del 15 Dicembre si hanno : Et AA SRI onde PERSISTE In quel giorno la declinazione, il semidiametro e la varia- zione diurna dell’ascensione retta del Sole erano rispettivamente i loan 2000 per cui prossimamente ORI epperciò MS Il bisogno di dedurre » da varie osservazioni si fa anche sentire per un’altra circostanza, sia col Sole che con stelle. A rigore di termini il raggio » dell'anello è una quantità variabile dipendente dalla distanza che separa quest'ultimo dall’obbiettivo del cannocchiale. Si dà all’anello la sua posizione attuale per le osservazioni ponendo prima l'anello alla vista distinta senza cambiarne la distanza dall’obbiettivo, e dopo cambiando questa di- stanza fino ad avere anche la vista distinta dell’astro che si osserva, mediante uno spostamento, comune all’anello ed all’oculare, ri- spetto all’obbiettivo; e si procura di mantenere in identica posi- zione il micrometro in tutte le osservazioni, segnando una marca sul collarino del tubetto a cui si applica l’oculare micrometrico, scorrevole nel tubo del cannocchiale. Ma ciò non ostante è im- possibile avere sempre esattamente la medesima distanza dal- l’obbiettivo, e inclino a credere che ciò nemmeno convenga alla precisione delle osservazioni, trattandosi di quantità minime, se con sacrificio della vista distinta pella quale bisogna spostare alcun poco il micrometro , rispetto alle lenti dell’ oculare, col variare le circostanze in cui si osserva. Dell’oculare con un solo Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XIX, 28 418 ALESSANDRO DORNA anello, di cui parlo, non mi risultò nelle varie osservazioni che ho fatto sinora, una sensibile deviazione dalla sumentovata marca, tanto pel Sole che per le stelle. Coll’altro oculare con doppio anello, di cui parlerò nell’articolo seguente, dalla vista distinta delle stelle e della cometa a quella del Sole la deviazione dalla marca fu sensibile ed in aumento della distanza del micrometro dall’obbiettivo del cannocchiale; ma al più di un millimetro e tre quarti, corrispondente, col cannocchiale adoperato, ad una dif- ferenza di sei secondi in arco nel valore del raggio maggiore, che è di poco inferiore a 48; mentre, come si vedrà, l’errore che può generarsi in questo raggio dallo sbaglio di un secondo nei tempi dei contatti, è possibile raggiunga due terzi di primo in arco. Per queste considerazioni mi sembra che le differenze pro- venienti nei valori dei raggi dalla variabilità della distanza del micrometro dall’obbiettivo del cannocchiale, osservando sempre colla vista distinta del micrometro stesso e degli astri, possano considerarsi come accidentali insieme a quelli, assai maggiori, che nascono da errori nei tempi dei contatti; ed è ciò che faccio in questo articolo per l’oculare con un anello, e nel successivo per l’altro che ne ha due. Nel dedurre i raggi dell’ anello semplice dalle osservazioni del 15 e del 24 Dicembre trascritte più sopra, ommisi la cor- rezione per la parallasse e mi limitai ad usare per la rifrazione il coefficiente medio 57°. Da un esempio, in cui sono fatte tutte le correzioni con esattezza, nell'articolo seguente, si vedrà che le differenze che nascono procedendo come in questo articolo, si possono trascurare. Così mi risultarono pei raggi delle periferie nell’oculare con un anello i valori della seguente tabella: Valori angolari dei raggi delle due periferie nell’oculare con un anello. Dicembre Osservaz. 1° 18' 59", 2 15' 49”, 8 giorno 15 » d° 18 56, 4 15 43,0 » 24 Osservaz. 1° 18 54, LO MEEOOSA » ge 18, 597.370 15 54,0 Medie 18 54,2 15 47,5 DEI RAGGI DEGLI ANELLI MICROMETRICI COL SOLE 419 Confrontando i valori trovati pei due raggi, col semidiametro del Sole, si vede che l’oculare con un anello, nel cannocchiale a cui l’applicai, comprende il lembo del Sole fra le sue peri- ferie, circostanza che rende guardingo pei contatti interni colla periferia minore; ed ho fatte molte prove prima di osservare l'intero passaggio. Le due osservazioni del 24 riescirono più concordanti delle due del 15, ma è superfluo tenere conto di questa circostanza nel dedurre i valori finali da così poche osservazioni. Conside- randole tutte e quattro come ugualmente erronee, si trova col metodo dei minimi quadrati, che per entrambi i raggi l’errore pro- babile delle singole osservazioni rispettive è di 2°, 4 (2°, 40 per le osservazioni del raggio maggiore, e 2°, 36 per quelle del minore) : e che dalle medesime risultano i seguenti valori dei due raggi 18’ 54", 2 tdi " entrambi coll’errore probabile di 1°,2 (ossia 1,20, 1",18 rispettivamente). Le osservazioni della cometa sono soggette ad errori più grandi, provenienti dalla difficoltà, che si incontra per la sua chioma e la sua coda, a ben precisare gli istanti in cui il centro del nucleo è in contatto colle periferie dell’anello micrometrico. IN Oculare con due anelli. Visto che l'errore che può nascere nei valori dei raggi per sbaglio nei tempi dei contatti è maggiore in quest’oculare che nel precedente, ho fatto venti osservazioni; e tengo conto di tutte, sebbene qualcuna mi spiaccia, non avendo motivo di rigettarle a preferenza delle altre. Osservai il Sole col doppio anello mi- crometrico nei giorni 14, 15, 18, 19,24 Dicembre e 10, 20 Gennaio. Tranne il 24 Dicembre, che notai i tempi col conta- tore nel modo spiegato, gli altri giorni feci registrare, come al 15 Dicembre, i tempi al pendolo siderale Dent; pel quale dedussi, come precedentemente, il ritardo diurno, dalle osserva- zioni dei passaggi del Sole, eseguite giornalmente all'Osservatorio dall’Assistente. Le venti osservazioni, che ho fatte, sono queste : 420 ALESSANDRO DORNA Osservazione del 14 Dicembre. Tempi dei contatti del Sole colle UTO RA AA periferie dei due anelli. 1° lembo del Sole 2° lembo = 20. laniho SdEG Gol Sole E SIRO) (7 BIS VOS 339,00 2 29,9 4A 53 2 (48302 5 VISSE i) 1,9 8 27,3 020. SC MOTI SARI TA) DICASI LU raro Osservazione del 15 Dicembre. I° lembo del Sole 2° lembo del Sole 17% 42% 335,5 17h 44» 575.5 42 50,3 o cho 44 a par 46. 30,5 44 22,5 "ASTOBRES VESTI ba 20 499978 bT 52,5 50 46,4 19 4,2 5I 29,4 FIRST O i alii: LOR) Osservazioni del 18 Dicembre. Osservazione 41° Osservazione 2° 1° lembo del Sole | 2° lembo del Sole I 1° lembo del Sole | 2° lembo del $ Sole 16. 21% 16,316. 23% 39, IG® 321 45%, 0| 168 35" 9,2 oo BO RS SIE TAGE SI OT SITO DI 23 14,3 SL MG 36 43, & 23 6,3 25 34,8 30 B009 sT 4a 26 7,9 28 42,8 37 45,2 40 45,4 26 35,51 299 1,6 38 [ape 10 32,5 2 it 0A: 39 19,8 4I 45,3 2800000) IDRO 39 390 9 438 DEI RAGGI DEGLI ANELLI MICROMETRICI COL SOLE 421 Osservazione del 19 Dicembre. | 1° lembo del Sole | 2° lembo del Sole HO b5m 4g, | 16h 58m 4° 3 don /8 9820 2.6 DIRO DI ZO DAIRS: 9 59267040 Bi ORI Mea LA Ras 3 (24,7 IEAITA 4 38,2 2 32,8 k 58.07 Osservazioni del 24 Dicembre. Osservazione 1* Osservazione 2? 1° lembo del Sole Î 4° lembo del Sole | 2° lembo del Sole 2° lembo del Sole | | 1° lembo del Sole | 2° lembo del Sole 16” 5 SA {gu 245,1 27% 26,7] 29" 58,1 17 LOI 2098 SOI RI 18 26, vo 20 52,0 28 56,0] 34 21,2 438 44, 21 9,6 23 PRI, 1) RS] 3103800 o MEPSRs T.E Cul A De SCCRISI] Sk BI 22 44,0 Shia 3h. 32 40,9 35 dd dae SE 50 5 SORDO S6re 24,4 | 23 42,0) 26 3,4 34 42,9 TORO Osservazioni del 10 Gennaio Osservazione 1° Osservazione 2° | 1° lembo del Sole | 2° lembo del Sole I° lembo del Sole | 2° lembo del Sole 20% 56m 42° |20% Bg 34° GA 3 VA RICO 56 28 58. _bI 6. 20 8 4i | 5 40 21 0 4 Mar92 9G56 97+ 59 0839 Ag 9A 10 45 21 AA SE 690 11 4 130087 {031 dio fa (30 0E] Ta 40 5 4 12432 14 56 | au | 521 12 52 {415 45 429 ALESSANDRO DORNA Osservazione 3° Osservazione 4° | 1° lembo del Sole | 2° lembo del Sole 1° lembo del Sole | 2° lembo del Sole 73 e pt n A La LIS) O 079: 17 46 19 40 27 DA 30 16 18 29 20 52 29 6 SATAR9 18 47 21 414 29425 3A 49 22, 0 DADA 32° 98 Spr T2 Q9 49 24 I 32: CDI 35 49 DI 99 95 53 ARAEIOTI 30.31 23 48 2.60.40 34 26 36 48 Osservazione 5° Osservazione 6° 1° lembo del Sole | 2° lembo del Sole 1° Jembo del Sole | 2° lembo del Sole QI 4im 40° |21% 43m 34 (gl Bim 425 | 24% 53m 375 44927 43 50 DI 29 SIND, 4239 59 3 52 42 5 Hi ROSE, 1) 42 58 45 22 53 A DO 2A 46 40 58 35 DO. 413 58.38 46 30 ESCO SOS 58 DL LT 40 50 3 DICA 92 0 N EI 50021 ts}: NE 0 °24 Osservazione 7° Osservazione 8° 1° lembo del Sole | 2° lembo del Sole 1° lembo del Sole _2° lembo del Sole: 22 am 43° [qa 5m 7 (22% 42m 47° | 20% 45m 43: 3 ) DNS 13 5 15 29 4 AK 6 38 14 49 16 42 Lp 6 56 A SES 17 1 (ig LUO | (7 49 20 14 gua 10 26 i 189 20 3I QUAL 44-38 I 19 20 24 43 | | DD Ta ww Si è; SS 19038 21059 DEI RAGGI DEGLI ANELLI MICROMETRICI COL SOLE 423 Osservazioni del 20 Gennaio. Osservazione 1* Osservazione 2° 1° lembo del Sole | 2° lembo del Sole | 1° lembo del Sole | 2° lembo del Sole {82 54m 46° USIOZOTOLAT RISE On 595 (On 35098 E 53 52 | I 44,5 3035 902 44 DO: 3 DT ks AT dd 3, d dd 24 2 146 Ss. 070 56 13 58 34 SMS STORI 06 33 Ta RIA, 6 415 8 34 D7 82 9 de £ da, 9 45 58 4 0 19 | 7 42 10 3 Osservazione 3* Osservazione 4° 1° lembo del Sole | 2° lembo del Sole | 1° lembo del Sole | 2° lembo del Sole LS ai CAI ER LO a igRto {im 59° {gh 4a 94s 12 20 14 40 22 16 dk 37,5 13 34 15 dI | DI 27,5 25 49 13 50,5 16 410,5 23 EI 2008 1659 19 20 26 bb 29 417 (7 19 191385 27 15 29 34,9 18 28 20 50 928025 30 46 RSI BASS 28 43,5 31 3 Osservazione 5° | 1° lembo del Sole 2° lembo del Sole | Ign gm 525,3 19% 44m 423, 8 42 8,7 bk 28,9 13 49,6 45 42,5 13 39,9 46 0,8 16 47,4 49 9,3 kg sei 19 26,8 48 16,3 50 38,3 458 35,5 50 55,9 424 ALESSANDRO DORNA Andamento del pendolo siderale a mezzodì vero. Del 13 Dicembre 18° 20% 17°, 69 correzione — 58» 475, 37 > ali » ligi ORARI » — diet, 37 Ritardo in un giorno — 4, 00 SURI 17, » 17 39. 11,36 correzione + 1,09 Saito » Ji 43% 091 » — 1,75 Ritardo in un giorno — 2, 84 > Sis » 17 48 40,81 correzione eo Sa E) » lr a A460 010128 » — 5, 45 Ritardo in un giorno — 3, 68 Del 10 Gennaio 19 26 46,03 correzione -- 1" 27°, 93 » Il » 19 5) 8 , 29 » = 1 Ss] , 49 Ritardo in un giorno — 8, 56 Vi aL9 » 20.5. 59, 06. correzione e_Miavo8 > 20 » 2:04 40 47019 DIS AZIZ, 197 Ritardo in un giorno — 3, 39 Chiamerò A, B, C, D, E, F, G, H i tempi dei contatti successivi del 1° lembo del Sole colle quattro periferie dei due anelli, e colle stesse lettere, con un accento, i tempi corrispon- denti ai medesimi del 2° lembo. Risulta dalle osservazioni che il tempo dal primo contatto all'ultimo, ossia H'— A, eccede di poco nove minuti, e che il ritardo del pendolo in tal tempo ha appena il valor numerico di due centesimi e mezzo di secondo, quantità anche trascurabile nell’attuale ricerca. Ponendo adunque successivamente t=H'—A; t=H_— A' —G'-—B,; = G°—"B ZIONE =-F-C' =—E'-D; i VI) si potranno calcolare i raggi delle quattro periferie degli anelli nel modo stesso che si è fatto per l'anello semplice, colle for- mole [2] e |3] dell'articolo che precede. Trascrivo qui, nella sua integrità , il calcolo che ho fatto coll’osservazione del 14 Dicembre. DEI RAGGI DEGLI ANELLI MICROMETRICI COL SOLE 425 leolo dei raggi del doppio anello micrometrico colle osservazioni del 14 Dicembre Ricerca della declinazione e dell’angolo orario del Sole per l’istante medio dell’osservazione a mezzodì vero di Torino, Tempo dell’ultimo contatto 17:10"|4s, 5 \ a mezzodì vero di Torino| 18n24% 46,82 » primo » 17 0 57 , 9 ritardo in 24h _ 4 ’ 00 Istante medio 117 «513632 » 1,39. =002 7 Correzione del pendolo TOI, A orrezione a e oi Tempo siderale 82 16 645 ,05| mezzodì — 58 51,37|- 1.19 10,62 Longitudine da Gr. — 30 48 | = = rn 733 RE DICE:M = DEDE e 4R©O a mezzodì vero di Gr. 1726 1 ,12 |sua variazione orario 11, 053 po siderale a trascorrere di Gr. per arrivare a mezzodì 150 4,47 Id. solare » Pont 4940 (44 Var. dell'A R® in tal tempo DEsz2 ARO al tempo 0, a= {7 25 40,90 golo orario del Sole a Torino nell’istante dell’osservazione 0 — «=t=— 1 18 55 , 85 = —19°43'57”, 75 sl. © a mezzodì vero di Gr. —23 13 19, 9 |sua variazione orario 8”, 98 e. della decl. © nel tempo 7, 16,43 Decl. © corrispondente a # ORARI Correzioni di è e t per la parallasse. UÙ | SPARE g'=9 — 690", 65 sen 209 +1”, 16 sen49 COS è 2 fi, nt 10 + loge=9,9992747 + 0,0007271 cos 24 — 0,0000018 cos 49 ppersene seni), _gso4ige n=8,9. sen 7 LE ssa ui * isen 29 = logcos8’16” 9,9999987 log sen 49 = — log sen 16' 32" 7,6820849 n «cos 29 = — log sen 8' 16” 7,3310561 n | log cos 49 = — log cos 16" 32” 9,9999950 n pg= 45° 4' gB” 30:65 gi= 4452 37,35 | logtanp' 9,99814 log sen g* 9,84855 log cos g'9,85041 o=- —23 13 3, 5| logcost 9,97372| —logsenyz 0,13865 log sent 9,52844w y= 463636 |logtanz= 0,02442 log n= 0,95376 log x = 0,95376 u= — 69 49 39, 5 logo 9,99927 logpe 9,99927 3 AREAS logsen(î—g) 9,97251n| —logcosè 0,03668 i — v - s9C0Sì, Cost, k ù rr A ae — è) — 0,91274 ] t, — t)-= 0,36856 sseng 9,85001 log cosg 9,84896 log (È, x A 2 = SR n: a gn se senò, 959578 ) 9,96332 “RR ir n” SA a pag gg = — 19944 0,08 — 0,27913 h E | = — 12 {53m 56% + 0,61095 9,73600 | aa cos, =0,33182 ; log cos 2, 9,52090 di IR Ro; t,= 10 419 matt, dè, = k'tan 2, cos dt,=k 426 ALESSANDRO DORNA Correzioni di È, e t, per la rifrazione. Tempo solare vero. Ì nd 3 A' | 9 mattina mezzodì 10h 41" matt. h=@'(BD) 3 Barometro -| 739°", 74 | 739%" 82) B—=739" 78 | log B= — 0,00683 Term. attacc.. — 19 ,0 102È T= (6,35 | log7=—0,00002 Term.esterno| — 0, SPARSI y= 15,62 | dog =5100.55 = 200 A10636 Al 4 da log (BT) = — 0,00685 Ea "pa? tan N = cotg così log 7” = 0,01204 È ——& tan 2, cosg=cot(è,+N) log k” sen N tan f, tan <, seng= sen (î, + N) cos È, log BT =— 0,00 , tan 2, sen log cot @ 9,99896 è = 23900 log cos È, 9,97372 Ne 53° 4157 log k 24 1,76155 log tan N 9,97268 NS go log tan # cosg= 0,43943 log sen N 9,83540 ù, = 213858 log dè, = 2,20098 log tan /, 9,05473 n o = — 230 10’ 32", 8 log tan 7, seng 9,505! n — log sen (î,+N) 0,46638 log tan 2, cos q = 0,43943 log tan 7, seng 9,85651 n log tan 9q 9.41708 # log k 1,7614155 RR VER n i 9 40274 x — log così, 0,03669 ona di ISCR e] ———-. dt,.= — 45, 16 log cos qg 9,98566 log dt, =1,65485 n = = — 119% 44” 4524 log tan 2, ==10)453717 x = — 14° 38! 2 l — pensi I — 6 ; [2] og Q= log 7 + 114806 — 0,00001 . A « 2, =. 70 379 SAATO AZIONA + Aa' = 260" si log cos è —9,96346 log cos? è 992692 —logs’ 7,00993 1,14806 — 0,00265 (3] Q= 0,01209 10 + log Q—=8,08226 r=Q(1+7)(cB H' | 109244, 5| H | 752%, 5| G' | 9"57:,3| G | 7©32x,7| FI | 84357 F_| 69230] E'| 827,3) E | 6") 4|_0 57,9) 4'| 3 22,3) B | 4 46,7) B8'|3 39,51C |2 29,3) |453,2/0|2 48/2/0|5 13 y 16,6 433042 840,0 TT 6 16,4; (298 5 39,1 Vr: =56, 0) 7=270,2 =520),,6| > =233,2] | =3764| “= 00 33 270,2 556, 6 233,2 520 , 6 89,8 376,4 48,3 | T+3'= 826 ,8|—7=286 ,4 753,8 287,4 466 , 2 286 , 6 387, 6 290 2,91740 2,87726 2,66857 258838 2,45697 2,45849 2,45728 2,46330 8,08226 8,08226 8,08226 8,08226 logr—3,45663 344801 3,20811 3,13394 r=47 447 43! 38! 2 26’ 34 8 22 41" 3 DEI RAGGI DEGLI ANELLI MICROMETRICI COL SOLE 427 Come accennai nell’articolo precedente il maggiore dei quattro raggi è di poco inferiore a 48'; e che sia possibile nel medesimo un errore di due terzi di primo, per lo sbaglio di un secondo nei tempi dei contatti, si può adesso vedere; poichè, essendo qui t+t —826,8 e Q=0,01209, dalle [4] si ha dr=39. 98, ossia assai prossimamente due terzi di primo. La possibilità di un errore così grande per lo sbaglio di un solo secondo nei tempi dei contatti induce a studiare l'influenza che può avere su 7, un piccolo cambiamento nella declinazione, per vedere se non sia il caso di sostituire ai calcoli prolissi, di cui ho dato un esempio, operazioni più brevi ed abbastanza precise. Dalle [2] e [3] si ricava, pel calcolo della variazione dr, proveniente da un cambiamento dd, fatto nella declinazione la- sciando invariati i tempi, la formola Er]: dr=—2rsenl'tand.dd Cerchiamo il valore che ne risulta trascurando la parallasse. Abbiamo pel maggiore dei quattro raggi: dèò=d —-d0=—8",2 0,91274n tan(0=——23°10'38",8) 9,63154w sen 1" 4,68557 r (maggiore) 3,4560653 —_2 0,3010838» dr=—0',097 , 8,98751n. L'errore non arriva adunque ad un decimo di secondo; in modo che, tenendo conto solamente dei decimi come faccio, è inutile applicare la parallasse. E si ha dal coefficiente 57,7 della rifrazione, trovato nello stato atmosferico attuale, che s0- stituendovi il medio 57, si commette un errore ancora più pic- colo in r. Dalla [7] risulta che gli errori costanti che si commettono trascurando la parallasse e facendo uso del coefficiente medio della rifrazione, saranno più piccoli per gli altri raggi, ed « fortiori per quelli dell'anello dell’altro oculare; perchè propor- zionali al valore di questi raggi, tutti minori del raggio che ho considerato per applicare la formola |7]. Sta quindi il metodo che dissi, nel precedente articolo, di avere seguito pei raggi del - l’oculare con un solo anello; ed è anche così che ho proceduto 4928 ALESSANDRO DORNA al calcolo dei raggi dell’oculare micrometrico, di cui parlo adesso. Prima di dare i risultamenti ottenuti per questi raggi, ripeterò il calcolo colle osservazioni del 14 Dicembre, nella maniera molto più breve ed abbastanza precisa che ho detto : A mezzodì vero di Torino 18° 24m 465, 82 Istante medio dell’osservazione l.; 096, 2 Tempo siderale a trascorrere per arrivare a mezzodì 1 19 10%, 6 » solare » L'SI8ET7et-6 Angolo « orario n 44 24 longitudine — 30 48, 4 Tempo solare a trascorrere prima del mez- zodì di Gr. Ma IRAOTLO? Decl. © a mezzodì vero di Gr. = IAA Variaz. id. nel tempo 7, 16,4 tan N= cotucost logcoto 9,99896 dòo= 57’cot(0+N) logcost 9,97370 N RARI 521 logtan N 9,97266 d=— 23 13 3 È ; log 57" = 1,75587 LN 1NOTR0E log cot (0, + N) = 0,43940 dò = ‘36,8 log dè = 2,19527 d-4+ dò =0 = — 23° 10 No 7 La differenza fra questo d' approssimato e l’esatto, essendo di 6°, 1, inferiore alla parallasse 8", 2, risulta dal calcolo fatto colla [7] che, procedendo innanzi nelle operazioni, si avranno esattamente i medesimi valori di r già stati calcolati. Ed infatti il logaritmo del coseno del d' approssimato è 9,96346, come pel 0’ esatto con cui si sono calcolati i raggi. Applicando a tutte le osservazioni, trascritte in principio di questo articolo, il calcolo che applicai in ultimo a quelle del 14 Dicembre risultano dalle formole [2] e [3]. pei raggi delle quattro periferie dell’oculare con due ell! micrometrici, i valori seguenti : 429 DEI RAGGI DEGLI ANELLI MICROMETRICI DEL SOLE 10 MM MI 19 G2 = > _Mn 10 So °° 2 e _ Mud a (fe) 2 - CI Ge Sì GY GY CO CO Us —_ e, (el. Sì O QQ _ mi 00 e CO CO O Sì Ciò mt O) Dèi ma «i G2 ‘o a 2 mi (<>) (ol) [nil 2 te (me) (0) _ inli Gea 2 Cette e) O 0 <# M — 10 0 SD <# 10 -- — Mai. a 5° Cd i + GIRO 10 S = =" 19 M — Nt 6a ” © S 0 <' 5 Sb st o _ # 0 » Di :08 — 10 » O;:91 — 20 l’alcool 128 0 » 6.6 — 10 » Isao — 20 l’etere solforico 183 3 0 » Lib. 9egi9 — 10 » Gago — 20. Per liquidi più volatili, come sarebbero, ad esempio, l’acido solforoso, l’etere metilitico, l’acido carbonico, il protossido d’a- 462 GIOVANNI LUVINI zoto, ecc, le temperature ottenibili collo stato sferoidale sareb- bero grandemente più basse. Per darne un'idea pigliamo le mosse dalla sperienza di Despretz descritta alla fine del n. 3. Egli aveva il protossido d’azoto allo stato sferoidale sotto la pressione di 20""- Quale doveva essere la temperatura di questo corpo? Il protossido d’azoto bolle a — 88°, alla quale temperatura la tensione del suo vapore è di 760"". Se la legge proposta da Dalton, per cui le tensioni dei vapori dei diversi liquidi sono eguali a temperature egualmente distanti dai loro punti rispet- tivi di ebollizione, fosse vera, confrontando il protossido d’azoto coll’acqua, si troverebbe pel primo, a 20"" di pressione, la tem- peratura di — 165°. Il confronto coll’alcool e coll’etere darebbe invece la temperatura inferiore a — 180° pel primo e a — 200 pel secondo. 48. Congelazione di un liquido sferoidale. — L'acqua allo stato sferoidale sotto la pressione di uno a due millimetri ha, come si è visto, la temperatura di 10 a 20 gradi sotto lo zero, e può gelare, anzi, può dirsi, gela, poichè è poco probabile che rimanga liquida a quella temperatura e coll’agi- tazione a cui è soggetta in quello stato. A questo modo, pro- babilmente, congelossi il protossido d’azoto nella sperienza di Despretz, e si congelerebbe qualunque liquido sotto una pressione eguale o minore della tensione che hanno i suoi vapori alla tem- peratura della sua congelazione. In mancanza di adatte macchine non potei tentare, come avrei voluto, la congelazione dell’acqua allo stato sferoidale; occorre, per questo scopo, una rarefazione di uno a due milli- metri di mercurio. 49. Congelazione dell’acqua nell’alcool e mell’etere allo stato sferoidale. — Facilmente si riesce a far congelare l’acqua nell’etere allo stato sferoidale; ecco in qual modo io ottenni questo risultato. Collocai la capsula di platino, riscaldata nel- l’acqua bollente, entro un’apposita cavità di un mattone ad al- tissima temperatura, e dentro alla capsula versai 12 a 15 centim. cubici di etere. L'acqua chiusa in una bolla di vetro, si mette nell’etere. Si copre il tutto colla campana e si fa il vuoto. In questa spe- rienza, colla mia vecchia macchina, non ha mai potuto ottenere più che 100 a 120"" di rarefazione. Ciò non di meno in un minuto circa l’acqua si congela. Lasciata penetrare l’aria e tolta SULLO STATO SFEROIDALE 463 la campana, trovo nel vetro il ghiaccio. La sperienza riesce anche bene con l’acqua in un tubo di vetro. Con una macchina che dia il vuoto a sei o sette millimetri si otterrebhe lo stesso fenomeno nell’alcool. 20. Congelazione del mercurio nell’etere sferoidale. — Coi mezzi, che io aveva a mia disposizione, non ho potuto tentare la congelazione del mercurio. Tuttavia ben si comprende che con un vuoto di 8 a 10"" il mercurio nell’etere allo stato sferoidale deve solidificarsi. Ognuno ben vede che questi risultati sono di un ordine ben differente da quelli analoghi ottenuti da Boutigny e da Faraday. 21. Congelazione nel vuoto in liquidi non allo stato sfe- roidale. — Gli agghiacciamenti ottenibili in liquidi allo stato sferoidale si ottengono assai più comodamente negli stessi liquidi non allo stato sferoidale e sotto la medesima pressione. Così l’acqua gela nell’alcool alla pressione di 10 a 12 millimetri, e nell’etere a quella di 175 a 180; egualmente il mercurio gela nell’etere alla pressione di 8 a 10"" e questi fenomeni avven- gono senza che l’etere o l’alcool siano allo stato sferoidale. Su questo principio sono fondati differenti metodi di fabbricazione del ghiaccio. Ma la congelazione dell’acqua e del mercurio nel- l’acido solforoso e nell’acido carbonico allo stato sferoidale, quale fu ottenuta da Boutigny e da Faraday rispettivamente, e del- l’acqua nell’etere, come la ottenni io stesso, presenta qualche cosa di sorprendente, perchè fatta, per così dire, nel fuoco. 22. Passaggio dei liquidi dallo stato sferoidale allo stato naturale. — Abbassandosi la temperatura del vaso al di sotto di un certo limite, il liquido cessa di essere nella condizione sfe- roidale. Se esso è in piccola quantità, una goccia, ad esempio, si evapora ad un tratto e scomparisce, ma se è in quantità con- siderevole, l’evaporazione, da prima rapida, va rallentandosi per la diminuita temperatura del vaso, ed il liquido non iscompa- risce che lentamente. Il passaggio da una condizione all'altra non si fa d'un salto, ma vi ha continuazione, come avviene in tutti i fenomeni naturali. Accade bene spesso che questo passaggio, per masse considerevoli, nell'aria, e più ancora nel vuoto, si faccia quasi tacitamente e senza che l'operatore se ne avvegga. Quindi allorchè si fa congelare l’acqua od il mercurio, ad esempio, nell’etere allo stato sferoidale, non bisogna credere di 464 GIOVANNI LUVINI aver riuscito la sperienza per ciò che i due liquidi passarono allo stato di solidità. Potrebbe l’etere, durante l'operazione, per- dere lo stato sferoidale, ed il congelamento sarebbe ottenuto nel senso spiegato al n. 21, e non in quello dei n. 19 e 20. Del resto è facile, alla fine dell’operazione, di riconoscere il senso dell'avvenuto congelamento: se il vaso è ancora caldo, lo stato sferoidale continuò fino alla fine, in caso contrario, no. 23. Quistione di priorità. — Qui termina la parte speri- mentale del mio lavoro. Prima di passare a considerazioni leoricle intorno ai fenomeni osservati, piacemi far notare che nessuno avanti di me, per quanto io mi sappia, salvo Avogadro, non ha mai dichiarato esplicitamente che la temperatura dei liquidi allo stato sferoidale debba variare colla pressione, e nessuno ha mai fatto sperienze per verificare questa proposizione, Il signor Bou- tigny, soltanto, vi si è aggirato intorno, e si propose di fare po; in proposito sperienze, che, almeno fino alla pubblicazione del - l’ultimo suo volume (1883) non ha mai fatto. Egli ha traveduto che la temperatura di un liquido allo stato sferoidale varia colle condizioni in cui esso trovasi, ma tra queste condizioni non ha mai annoverato la pressione. Così a proposito della sperienza di Belli e Kramer, che ho citato nel n. 13, egli dice che essendo la capsula coperta colla lamina di mica, « le condizioni nelle quali si sperimenta non sono più le stesse. Al fondo delle miniere l’acqua non bolle alla stessa temperatura cha sul Monte Bianco; essa è solida ai poli, e sempre liquida al- l’equatore (vol. citato, p. 18) ». E più giù nella stessa pagina aggiunge: « Allorchè io ripeterò queste differenti sperienze nel vuoto con un apparecchio adatto, mi aspetto di trovare altre tem- perature, e la ragione ne è ben semplice: i corpi sottoposti alla sperimentazione mon saranno più nel medesimo mezzo ». E non soddisfatto di queste ragioni, accagiona ancora delle differenze osservate, le difficoltà quasi invincibili che presenta la termometria, dappoichè Bellani dimostrò lo spostamento dello zero. Il signor Boutigny ritornò sulla questione nell'ultimo alinea della pag. 264 della sua opera, ove dice: Il reste par exemple toute la série d'experiences à fivire dans le vide... Mais quelle est la temperature des corps à l’eétat spheroidal dans le vide? quelle est celle de leur vapeur? et vingt autres questions comme celles-là restent à resoudre. Anche qui non si trova cenno del- l'influenza della pressione, SULLO STATO SFEROIDALE 465 24. Due errori da evitare. — La massima parte di coloro che scrissero dello stato sferoidale attribuiscono la bassa tempe- ratura del liquido relativamente a quella dell'ambiente, nel vaso caldo, alla evaporazione superficiale. Ma costoro, senza avvedersi, cadono nell’errore di Volta, che spiegava il raffreddamento delle nubi temporalesche colla loro evaporazione nelle parti superiori, generata dai raggi solari, o di coloro che credono che il ghiaccio si conservi meglio al sole, che in luogo chiuso, per ragione con- simile. I vapori che nascono alla superficie dei liquidi allo stato sferoidale ricevono, per irradiazione, dal vaso il calore necessario alla loro formazione, e non dalla massa del liquido, alla quale piuttosto che sottrarre, somministrano calore, come vedremo. Un altro errore sovente ripetuto è quello che riguarda l’equi- librio di temperatura, il quale alcuni dicono non verificarsi se- condo le note leggi della fisica. Costoro ritengono che vi sia un salto deciso di temperatura tra il liquido e l’ambiente, mentre, come si vedrà, il cambiamento si fa per gradi, rapidi sì, ma continui. Tenendo conto di tutte le circostanze del fenomeno, io credo possibile, nello stato attuale della scienza, di determi- nare la funzione che esprime l'andamento della temperatura, o le variazioni di potenziale calorifico, procedendo dal liquido al- l’ambiente. Tale funzione non è discontinua; offro ai fisici ma- tematici un campo d'esercizio nella sua ricerca. 25. Equilibrio di temperatura dal liquido alle pareti del vaso. — La pressione che sopporta il liquido allo stato sferoi- dale in un vaso aperto è quella dell’aria esterna; quindi se non intervengono circostanze straordinarie, la temperatura dello strato liquido superficiale, che si evapora, è uguale alla temperatura minima d’ebollizione del liquido stesso sotto la pressione attuale. Il vapore, a misura che si va formando, si allontana dal liquido per far luogo ai vapori che gli succedono, e si porta verso le pareti del vaso e verso l'apertura di esso. In questo suo cam- mino egli incontra sempre nuovo calore irraggiato dal vaso, e acquista man mano maggior temperatura, diradandosi, e per così dire, assottigliandosi. In conseguenza la temperatura nel vaso va crescendo in modo continuo dalla superficie del liquido, ove il suo valore è uguale alla minima di ebollizione, fino alla parete del vaso, ove essa è quella della parete medesima. 26. Temperatura del liquido. — La massa liquida riceve calore in due modi: per irradiazione e per contatto. Una parte Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol XIX. 31 466 GIOVANNI LUVINI del calor raggiante l’attraversa senza scaldarla; l’altra parte viene assorbita, e concorre ad elevarne la temperatura. Il calore che il liquido riceve per contatto è quello che mantiene lo strato su- perficiale di esso alla temperatura minima di ebollizione, e si propaga nell'interno della massa per conduttività e per conve- zione. La parte dovuta alla conduttività è minima, se non nulla, e possiamo conchiudere che la massima parte del calore che ri- ceve l’interna massa del liquido è d’irradiamento e di convezione. Ora il liquido perde calore in due modi: per irradiazione e per sua propria evaporazione, e l’equilibrio della temperatura di esso avrà luogo quando la somma dei calori perduti eguaglierà la somma dei ricevuti. Notisi che ho detto la sua propria evaporazione, e non la superficiale, la quale come già avverti, non si fa a spese del calore interno. Ora io dico che la temperatura del liquido, sempre stando nelle condizioni ordinarie, non può eccedere la minima di sua ebollizione. Infatti, se ciò avvenisse, il liquido bollirebbe, e non avremmo lo stato sferoidale. Feco dunque che noi possiamo con- chiudere a priori cle la temperatura di un liquido allo stato sferoidale non è mai superiore a quella della sua ebollizione. 27. Surriscaldamento dei liquidi sferoidali. — Uscendo dalle condizioni normali, possono i liquidi surriscaldarsi, cioè acquistare una temperatura maggiore della minima di ebollizione, sieno essi allo stato sferoidale, o no, e ciò in due modi: per riscaldamento e per diminuzione di pressione. Riscaldate un liquido tranquillo e fuori del contatto di sostanze che ne faci- litino l’ebollizione; la sua temperatura può salire anche di molti sradi sopra quella minima della sua ebollizione, e di ciò possiamo avvederci sia coll’osservazione termometrica, sia da un subitaneo sbalzo e quasi esplosione che succede nel liquido al cessare delle cause che lo mantengono nella condizione di sur- riscaldamento. Questo fatto osservai io più volte misurando la temperatura dell’acqua, dell'alcool e dell'etere allo stato sferoi- dale sotto la campana della macchina pneumatica senza operare il vuoto. La campana si riscalda, la temperatura indicata dal termometro va crescendo, e poi tutto ad un tratto succede uno sbalzo del liquido, e la temperatura ricade all’altezza ordinaria. Più facilmente e più frequentemente avviene il surriscalda- mento per diminuita pressione. Rarefacendo l’aria col liquido allo SULLO STATO SFEROIDALE 467 stato sferoidale sotto la campana, avviene spesso che il mercurio cessa momentaneamente di discendere nel termometro, per ripi- gliare il suo corso discendente dopo uno sbalzo del liquido. 28. Causa per cui il termometro col bulbo non intiera- mente immerso nel liquido sferoidale, oppure circondato da bolle, continua a segnare la temperatura del liquido. — Ciò nasce da una causa semplicissima. Il liquido che bagna il vetro, per capillarità, sale e riveste ancora l’intiero bulbo anche allorchè questo è già parzialmente fuori della massa liquida. La lamina liquida, che sale intorno al vetro, o che chiude le bolle, si evapora continuamente e continuamente si rifornisce di nuovo liquido che sale per capillarità, nel primo caso, e per una specie di soluzione nel secondo. Dico per una specie di so- luzione, nè saprei come esprimere diversamente la cosa. Nelle mie sperienze del 1881, citate nel n° 7, io vedeva distintamente nell'immagine delle lamine liquide, a misura che queste si as- sottigliavano, partire dalle gocce liquide, che stavano in con- tatto, delle correnti continue che andavano ad alimentarle. In- torno alla goccia, che pende da una bolla di sapone, e da tutti i punti del filo di ferro che chiude una lamina orizzontale, si osserva un'eruzione incessante di filetti fluidi, che scorrono verso le parti più sottili della lamina, e giunti alla distanza di al- cuni millimetri dal punto di partenza, si rallentano, s'incurvano e paiono retrocedere dopo aver formato una piccola testa grossa come quella di un ago, che scomparisce tosto, rappresentando a chi li osserva, l’aspetto di migliaia di razzi accesi e rapidamente succedentisi in ristretto spazio. È un fenomeno di diffusione re- ciproca, che in molti liquidi si manifesta allorchè essi sono a mutuo contatto, e differiscono anche di pochissimo l'uno dal- l’altro. 468 1. Scopordella, Nota; 3:01 SE Lie PRA: 2. Denominazione \del. fenomeno ...ì RZ » 3. ‘Un:po*ditstoria si. si. ai cgil » 4. Unaprima Sperienza; i. Leu e Reeee » o. Materiale per le sperienze . ..... +... I rea .,» 6. Bolle soffiate sui liquidi sferoidali. . +... . the » 7. Tentativo di studio dei movimenti interni delle gocce e delle bollo; ..3 ‘3a e fobie: cdlivave chose ap EE » 8. Temperatura dei liquidi sferoidali nell’aria libera . . . . » 9. Durata degli abbassamenti e delle elevazioni di temperatura » 10. Influenza del calor raggiante sulla temperatura... . . .. » 11. Temperatura delle bolle sui liquidi sferoidali ....... » 12. Temperatura dell’alcool e dell’etere: infiammati allo stato sfe- Todalese. nto ne è (ai alia iaia i e ESCRNO » 13. Temperatura dell’acqua sferoidale in vasi chiusi . . . . .. » 14. Stato sferoidale ‘nel vuoto .-.. re eee » 15. Temperatura dei liquidi sferoidali sotto il recipiente della macchina pneumatica! .0 + 2 0 cate PS a) 16. Osservazione;importante +... » 17. Temperature bassissime ottenibili coi liquidi sferoidali nel VILOLO FS 0 SR ec EEE SC aaa nilo oo è.» 18. Congelazione di un liquido sferoidale . . ......-.... » 19. Congelazione dell’acqua nell’alcool e nell’etere allo stato sfe- roidale. —... i Lr. Re » 20. Congelazione del mercurio nell’etere sferoidale . . . ....» 2]. Congelazione nel vuoto in liquidi non allo stato sferoidale . » 22. Passaggio dei liquidi dallo stato sferoidale allo stato naturale » 23, Quistione di priorità », presentato nell'adunanza del 9 Marzo 1884, legge la seguente RELAZIONE Lo studio dei colori dei viventi ha acquistato una reale importanza dopo che i lavori classici del Darwin e del Wallace hanno dimostrato come i colori non siano fatti accidentali, ma legati a condizioni determinate di esistenza. Questo argomento non è ancora stato trattato con quella larghezza che la sua impor- tanza richiede: il Dott. L. CamerANO ha voluto rivolgere i suoi studi anche intorno al medesimo, colla memoria che ha per ti- tolo: Ricerche intorno alla distribuzione dei colori nel regno animale. Nella prima parte della memoria, l'Autore tratta dei colori degli animali per sè e delle classificazioni che se ne diedero, e discute le teorie del Magnus, dell’Allen, del Wallace e di altri intorno all'origine ed allo svolgimento dei colori nel regno animale. La classificazione dei colori degli animali seguita dall’Autore è quella delWallace con qualche modificazione. Egli divide i colori degli animali in esterni ed interni, e si occupa particolarmente dei primi. I colori esterni vengono divisi in ipodermici ed epi- dermici e possono essere prodotti da pigmento o da interferenze luminose. — I colori esterni si dividono, secondo 1’ interpreta- zione loro, in colori ut:li, indifferenti, rudimentali e accidentali. Fra i colori utili si hanno i colori protettori, attrattivi, con- servatori, deviatori, ecc.: l’ultima categoria di colori è quella ì 478 TOMMASO SALVADORI dei colori sessuali. L'Autore discute queste varie categorie di co - lori riferendo esempi presi nei vari gruppi di animali. Egli si erma a lungo intorno alle colorazioni delle parti che sono meno” in vista negli animali, e dimostra come in molte .specie, apparte- nenti a quasi tutte le divisioni zoologiche, le parti sopradette siano spesso vivacemente colorite, quantanque il resto dell’animale abbia colorazioni oscure e poco spiccate. La tavola 1, unita a questo lavoro, mostra vari esempi di tal sorta di colorazioni. L'Autore studia pure le colorazioni sessuali e fa vedere come si trovino spesso differenze sessuali di colore anche in animali molto semplici, come ad esempio nei celenterati e come sia poco sostenibile, nella massima parte dei casi, l'ipotesi darwiniana di una scelta sessuale produttrice di speciali colorazioni. Nella seconda parte della memoria l’Autore passa in ras- segna, rispetto alla colorazione, i protozoi, i celenterati, gli echinodermi, i vermi, i crostacei, gli aracnidi, i miriapodi, gli ortotteri, i neurotteri, 1 rincoti, 1 ditteri, i lepidotteri, i co- leotteri, gli imenotteri, i molluschi, i tumicati, i pesci, gli an- fibi, i rettili, gli uccelli e i mammiferi. L'Autore mostra nella tavola II l'andamento dei vari colori nelle diverse classi animali. I dati numerici che servono alla co- struzione delle curve sono calcolati in rapporto a 20 specie di ciascun gruppo di animali, per cui questa tavola dà il tanto per 20 in ciascuno di essi. Lo studio della distribuzione dei colori nel regno animale mostra che vi si trovano per ordine di frequenza i colori se- guenti: 1° bruno, 2° nero, 3° giallo, grigio, bianco, 4° rosso, 5° verde, 6' azzurro, 7° violetto. Il nero, il bruno ed il grigio sono più abbondanti nei vertebrati e negli artropodi ; il rosso ed il giallo sono più abbondanti negli animali inferiori ; il verde è frequentissimo negli animali inferiori, lo è meno nei mol- luschi, ma torna ad essere frequente nei vertebrati. L’ azzurro ed il violetto sono i colori più scarsi, soprattutto il secondo, quantunque si trovino in quasi tutti i gruppi di animali; il bianco è sparso poco regolarmente e abbonda soprattutto nelle forme acquaiuole. L'Autore riferisce in ultimo le conclusioni alle quali egli è giunto studiando la colorazione rispetto al mezzo, nel quale gli animali vivono, rispetto alla quantità di luce, al clima ed alla distribuzione geografica, RELAZIONE SULLA MEMORIA L. CAMERANO. 479 Nel lavoro del Dott. L. Camerano sono ordinatamente rac- colti e studiati molti fatti, i quali anch’essi sono elementi del grande problema che è la vita, giacchè lo studio dei colori del regno animale cerca di dimostrare le cause che li producono e gli effetti c'e ne derivano, cause ed effetti che, studiati accu- ratamente, ci debbono guidare allo scoprimento delle origini. I vostri Commissari sono lieti di proporre alla Classe la let- tura della memoria del Dott. Camerano. Luigi BELLARDI. T. SALVADORI, Relatore. La Classe approva la conclusione dei Commissari, e udita la lettura del lavoro del sig. Dott. L. CAMERANO, con regolare votazione, ne approva la pubblicazione nei volumi delle Memorie. 480 LETTERE DI CONDOGLIANZA PER LA MORTE DI QUINTINO SELLA. In quest’adunanza si dà comunicazione di parecchie lettere di Soci nazionali ed esteri che partecipano al lutto comune per la deplorata morte dell’illustre Quintino SELLA, che era aggre- gato all'Accademia di Torino dal 7 Dicembre 1856. Hanno in- viato direttamente lettere di condoglianza all'Accademia, il Socio nazionale non residente Cesare CantÙ, ed i Soci corrispondenti, Senatore Conte Giovanni Gozzapini, Alberto de KoELLIKER Pro- fessore all’Università di Wurzbourg, Bernardo Stuper Professore all’Università di Berna, Giorgio CurtIus Professore all’Università di Lipsia, Augusto DAauBREE Direttore della Scuola delle Miniere e Membro dell'Istituto di Francia. Imoltre il Socio GENOCCHI comunica la lettera di condoglianza del Socio straniero Carlo HermitE, ed il Socio Cossa legge quelle de’ Soci corrispondenti Carlo FrIEDEL e Alfredo de CLoIzEAUX, membri dell'Istituto di Francia. L’Accademico Segretario A. SOBRERO. CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Aprile 1884. Ati R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XIX, 32 SS DI . 1 i Uro (i SN040] n I Î ò Fav. CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 6 Aprile 1884. PRESIDENZA DEL SIG. COMM. PROF. ARIODANTE FABRETTI —T—— Il Socio Cav. Prof. Andrea NAccaARI presenta e legge il se- guente lavoro del signor Professore Antonio RoItI, Socio Corri- spondente dell'Accademia : DETERMINAZIONE DELLA RESISTENZA ELETTRICA DI UN FILO PNE MESURA «ASSOLUTA Assecondando le raccomandazioni della Conferenza internazionale di elettricità, il nostro Governo mi ha fornito i mezzi necessari per determinare in misura assoluta la resistenza elettrica di un dato con- duttore; ed io mi vi sono applicato indefessamente per sedici mesi. Ad onta della miglior volontà mia e dello zelo illuminato con cui sono stato assistito continuamente dal Dott. Annibale Stefanini pel primo anno, ed in seguito dal signor Adolfo Heydweille; non che ad intervalli dal Dott. Luigi Pasqualini, non sono ancora giunto al termine del lavoro che mi era prefisso. Tuttavia sento il dovere di pubblicare subito una relazione sommaria di quanto s’è fatto fino ad ora; perchè il 28 d’aprile si deve adunare per la seconda volta la Conferenza a Parigi. Il metodo da me seguito è quello che ho indicato or son due anni(1). Si può considerare come una modificazione del metodo di Kirchhoff, (1) Attî della R. Accademia delle Scienze di Torino, Vol. XVII, Adunanza del 30 Aprile 1882, 484 ANTONIO RÒITI in quanto che si fonda sull’induzione voltaica. Si tratta cioè di con- frontare fra loro l’ intensità d’una corrente, e la quantità di elettri- cità ch’essa può far circolare in un conduttore prossimo, avendo mi- surato il coefficiente d’induzione mutua dei due circuiti. Kirchhoff provocava l'induzione spostando i due circuiti, Fr. Weber interrompendo il circuito primario, Rowland prima e Glaze- brook poi, invertendovi la corrente. Altre applicazioni di questo me- todo io non conosco. Lia determinazione di Kirchhoff non aspirava certamente al grado di esattezza che ora si pretende. Rowland misurava l’inducente e l’indotta con due reometri di- stinti; talehè gli occorreva determinare le costanti dei due strumenti, oltre che il coefficiente d’induzione neutra di due rocchetti: e di più doveva fare una determinazione speciale per ridurre le due bussole ad uno stesso campo magnetico. Fr. Weber, quantunque facesse agire alternativamente sopra uno stesso ago tanto l’inducente quanto l’indotta, e così si risparmiasse di tener conto del magnetismo terrestre, doveva pure misurare le di- mensioni di due reometri. Glazebrook si liberava da siffatta misura; perchè nello stesso gal- vanometro, che gli serviva per l’indotta, mandava una debolissima derivazione dell’inducente. Ma in cambio doveva sottostare all’ope- razione delicatissima di confrontare fra loro due resistenze molto, ma molto, diverse, in tempi diversi ed a diverse temperature. Tutti osservavano la deviazione definitiva dell’inducente e la im- pulsiva dell’indotta: e però tutti avevano bisogno d’una scala divisa esattamente ed esattamente collocata di fronte allo specchietto del galvanometro: e dovevano studiare lo smorzamento delle oscillazioni, che segue leggi non ancora bene stabilite con tutto il rigore deside- rabile: e tutti erano esposti agli errori, non assegnabili rigorosamente, derivanti dalle proprietà magnetiche dei metalli onde son composte le bussole. — Per tutti la determinazione del tempo, che figura nel denominatore dell’espressione d’una resistenza assoluta, si riduceva a contare le oscillazioni dell’ago, il che riesce lungo e non può es- sere concomitante colle osservazioni; cosicchè il campo magnetico terrestre doveva essere sorvegliato per un tempo molto rilevante. — Tutti prendevano la misura assoluta dell’intero circuito indotto, ne- DETERMINAZIONE DELLA RESISTENZA ELETTRICA DI UN FILO, ECC. 485 cessariamente di rame, e quindi molto impressionabile ai cambia- menti di temperatura: e più tardi dovevano confrontare questa re- sistenza, sempre grande, col filo campione, uguale all’unità Siemens od all’unità dell’Associazione Britannica. — Tutti hanno preso per sistema inducente e per sistema indotto due rocchetti cilindrici, com- posti di più strati di filo, ed affacciati a qualche distanza, cogli assi sopra una stessa retta: ed è ben nota la difficoltà di dedurre da mi- sure geometriche coll’approssimazione di //000 (che tale dovrà essere almeno, se sì vorrà lasciar margine agli altri errori possibili, per poter contare sul millesimo nel risultato finale) il coefficiente d’indu- zione di un sistema così fatto. Da questa rapida enumerazione apparirà manifestamente quanto sia diversa la via da me battuta. Uno stesso galvanometro serve per l’inducente e per l’indotta. Per osservare l’inducente (fig. 1), la pila P è chiusa dal filo inducente I ZZZ 047, A Fic. 1. Fia 2. ed al campione x da misurare, oltre che dai necessari fili di congiunzione e da una cassetta di resistenza R. Dalle estremità A, B del campione parte un ramo derivato che comprende il filo indotto II, il galva- nometro G, una cassetta di resistenza S ed i fili di congiunzione. 486 ANTONIO RÒITI Quando s’osserva Vindotta (fig. 2), il circuito secondario è costi- tuito dai medesimi conduttori che dianzi formavano i due rami di de- rivazione fra A e B: e cioè del campione x, e dal galvanometro G col filo indotto II e cogli accessori S. — Basta sostituire a questo fascio un conduttore y equivalente fino ad 1/,;, perchè la resistenza del circuito primario, mentre esercita l’induzione, sia uguale a meno di 0,0001 a quella che presentava all’atto della misura dell’ indu- cente. Un interruttore acconcio 0, 0, permette di mandare nel galvano- metro, in rapida successione, una serie di correnti indotte tutte di chiusura, oppure tutte d’apertura ; cosicchè l’ago assuma la medesima posizione che aveva quando circolava nel galvanometro la deriva- zione della corrente inducente. Si conta il numero esatto delle in- terruzioni che devono effettuarsi al secondo per raggiungere questo intento: ed un tal numero, moltiplicato pel coefficiente d’induzione mutua dei due sistemi inducente ed indotto, esprime senz’altro in misura assoluta ia resistenza del campione sottoposto ad esame. Invece dei due soliti rocchetti, io vagheggiava l’idea di adoperare un solenoide neutro, col quale fosse concatenato un certo numero di volte il circuito indotto; perchè l’espressione del potenziale mutuo sarebbe riuscita quanto mai semplice, e le lunghezze da misurare sa- rebbero state tre sole. Ma mi sono lasciato spaventare da chi rite- neva insormontabili le difficoltà meccaniche per costruire un anello di sufficiente grandezza colla precisione voluta: ed ho avuto ricorso ad un grande cilindro, sul quale è avvolto uniformemente un solo strato di filo di rame sottile e senza veruna rivestitura. Questo è il mio sistema inducente, del quale posso determinare le dimensioni con tutta l’esattezza desiderabile. Il sistema indotto è un rocchetto in bronzo, che abbraccia il cilindro, e sul quale ho avvolto del filo di rame rivestito di seta, non mancando di prendere le più minute precauzioni, sebbene, nel caso mio, un errore commesso nella misura di questo sistema indotto abbia un’influenza affatto secondaria sul risultato finale. Se il cilindro fosse di lunghezza infinita, il suo potenziale sul rocchetto che lo circuisce sarebbe, come si sa: M=xn2D2n N, DETERMINAZIONE DELLA RESISTENZA ELETTRICA DI UN FILO, ECC. 487 ove D è il diametro del cilindro, » il numero delle spire che ne ri- coprono l’unità di lunghezza ed N il numero totale delle spire sul rocchetto indotto. Pel caso della lunghezza finita, il potenziale è più complicato; ma l’ho ricavato espresso in funzioni sferiche dalle formole contenute nel trattato di Maxwell: e d’altro canto ne ho potuto ottenere facilmente l’espressione per integrali ellittici, mercè la squisita gentilezza colla quale il Professore Kirchhoff mi ha fa- vorito un manoscritto che faceva parte della sua Memoria sulla de- terminazione della costante di Neumann; ma che non è stato pub- blicato insieme col resto negli Annali di Poggendorff. I calcoli nu- merici, condotti da me e dal sig. Heydweiller, sull’una e sull’altra formola, hanno dato risultati identici. Riservo ad un’ulteriore comunicazione le formole, i disegni degli apparati e tutti i minuti particolari delle mie determinazioni, senza di cui nessuno potrebbe assegnare il grado di fiducia che meritano. Ora, nella ristrettezza del tempo, devo accontentarmi d’un cenno alla sfuggita. Comincierò dagli apparati. Il cilindro inducente è del miglior marmo di Carrara, ha la lun- ghezza complessiva di circa 127°; ma è coperto di filo solamente per un tratto di 116,7: ha il diametro medio di 80°,9588. È stato tornito sotto i miei occhi, e colla cooperazione attivissima del Dott. Stefanini, superando difficoltà non lievi per ottenere, a forza di tentativi e di misurazioni, che in tutta la lunghezza la differenza fra il diametro massimo ed il diametro minimo non superasse 0m,06. Si è dovuto pensare poi a congegni adatti per trasportare ed orientare opportunamente questa mole di 260%s senza toccarla punto sulla superficie tornita, la quale si era inzuppata con una soluzione limpida di paraffina nell’essenza di trementina. Ho stimato indispensabile indagare le proprietà magnetiche del cilindro di marmo, tanto più che è qua e là leggermente macchiato. A tal fine mi sono costruito una bilancia d’induzione, composta di due paia di rocchetti fra loro uguali. Ciascun paio consta d’una ciambella esterna (diametri 890,48 e 850,79) con 140 giri di filo di 488 ANTONIO RÒITI rame grosso 1,9, ed una interna (diametri 84°,55 e 832,28) con 442 giri di filo di 0nm,5. L'altezza comune è di 8°. Una stessa corrente (di circa !/, ampère) passava dall’una all’altra ciambella interna per una bussola. Le due ciambelle esterne erano inserite nel circuito d’un galvanometro sensibilissimo e prontissimo, per modo che le forze elettromotrici in esse indotte fossero contrarie. Ma, affinchè si bilanciassero destando nel galvanometro la più pic- cola deviazione possibile, è stato mestieri aggiungere altri 8 giri ad una delle ciambelle interne, cosicchè essa risultò di 450 giri, mentre l’altra rimase di 442. L'aggiunta o la sottrazione d’un giro solo produceva una variazione di 186” nella deviazione del galvanometro, in guisa che 1mm della scala corrispondeva ad una variazione della forza elettromotrice minore di 1/60000° Un paio restava sempre fisso; mentre l’altro, infilato nel cilindro, veniva portato nei vari punti della lunghezza di questo, o rimosso lontano. Furono 89 i punti esplorati: e le variazioni della deviazione rimasero fra i valori estremi — 1"",2 e + 0mm,9, essendo negative in 20 casi, positive in 17 casi, nulle in 2 casi. La somma algebrica di tutte queste variazioni fu 7,7 — 9,1 = — 11,4, indicando che, se mai, il cilindro è paramagnetico; ma non per questo può produrre sul potenziale elettromagnetico un aumento maggiore di 1,4: 60000 = 0,000024. Il filo inducente è di rame di !/ di millimetro, tutto d’un pezzo per quasi 2 chilometri: ed affinchè avesse per tutto la medesima se- zione, abbiamo dovuto farlo passare, qui in gabinetto, attraverso una trafila di rubino; la quale al microscopio non s’ è mostrata pro- priamente circolare, ma si è mantenuta costante. Questo filo è stato avvolto sul marmo, e nello stesso tempo misurato con ogni scrupolo immaginabile, da me medesimo aiutato dal Dott. Stefanini. Da un grande cilindro di legno, dov'era stato raccolto uniforme- mente, fu passato poi al cilindro di marmo, sotto tensione costante. Fra i due cilindri rimaneva teso verticalmente un tratto di 9® , da- vanti a tre microscopi muniti di micrometro oculare e fissati ad un muro maestro dell’edificio. Con apposita macchinetta si tracciavano DETERMINAZIONE DELLA RESISTENZA ELETTRICA DI UN FILO, Ecc. 489 sul filo dei segni finissimi, che si facevano via via collimare coi re- ticoli dei microscopi: e che nell’avvolgimento venivano a distribuirsi lungo delle eliche, la cui regolarità faceva fede della regolare distri- buzione del filo: e servivano di riprova al numero delle spire, de- terminato con un contatore applicato all’asse del cilindro. Il filo di rame, come ho detto, era scoperto : e per isolarne le spire vi si avvolgeva contemporaneamente frammezzo del filo di co- tone, perfetto, il quale si dipannava da un rocchetto immerso conti- nuamente nell’essenza di trementina satura di paraffina. La distanza fra i reticoli dei due microscopi si è misurata esat- tissimamente, col mezzo d’un metro campione della Società. Ginevrina, confrontato dal Prof. Pisati col metro campione di Roma. Ed a questo metro sono state riferite tutte le lunghezze. A correzioni fatte, il diametro del solenoide, quale si deduce dalla lunghezza del filo di rame, è. ... ... .. 80°,99884; mentre il diametro medio del marmo, osservato diret- tamente col catetometro, era di dizioni SE (008,9988 WR ORO A ea n a en dati OR Me) e 0°, 03454 coincide colla grossezza media del filo, la quale fu tro- vata al microscopio di O AI RI SIT UVE Quindi, assumendo pel diametro del solenoide il valore: D=80c, 9988, l’errore sarebbe inferiore a 4/-r0000: ad ogni modo sempre trascura- bilissimo, quantunque il diametro comparisca al quadrato nell’espres- sione del potenziale. La lunghezza del solenoide, che comparisce nel denominatore di quell’ espressione, non si è potuta finora misurare con un’ esattezza maggiore di 0°,01, ed è risultata di 116”, 700. Conto però, se non mi mancherà il tempo, di arrivare ad ottenerne l’espressione con una cifra di più. Il numero totale delle spire è 1871 e così: 187 Coe 490 ANTONIO RÒITI Il rocchetto indotto è, come ho detto, di bronzo : e fu ottenuto nell’ Officina Galileo dalla fusione di rame galvanico e di stagno Branca. È formato da due parti uguali separate da uno strato d’e- banite: ed è in tutto simile a quei rocchetti che hanno servito a lord Rayleigh per ripetere la determinazione fatta dall’ Associazione Britannica. È verniciato colla sommalacca, ed ha la sponda solcata da una fenditura foderata di ebanite, per la quale passano i capi del filo. Finora vi sono avvolti due fili soli, rivestiti di seta bianca, entrambi grossi 1©m, Il più interno è coperto di seta una sola volta, ed è stato inzuppato con essenza di trementina satura di paraffina: vi forma sei strati alternativamente di 77 e di 78 giri, così che in tutto ha 465 spire. Il suo diametro medio fu dedotto, come pel so- lenoide inducente, sì dalla lunghezza del filo, come anche mediante il catetometro, ed è di 40°,540, con un’esattezza esuberante, perchè entra nella formola come termine di correzione. L'altezza media di questo rocchetto, ossia la distanza media fra gli assi dei fili estremi, è di 8°,883. Il secondo filo non è stato inzuppato di paraffina, ma è doppiamente coperto di seta bianca: occupa altri sei strati, for- mando un secondo rocchetto di 482 spire, alto 8e, 428, col diametro medio di 41©,759. I quattro capi di questi due conduttori sono assicurati ad acconci serrafili, talchè si possono adoperare o separatamente od in congiun- zione. All’ atto dell’ avvolgimento non si è mancato di esaminare se la resistenza si manteneva quale era richiesta da un buon isolamento. Il cilindro riposa sopra un tripode di legno ed ottone, con robuste viti di livello per metterlo in posizione verticale. Il rocchetto indotto vi è infilato, e può venir fissato a varie altezze, allivellato ed orien- tato da apposite viti a scrupolo. Tutto il sistema è racchiuso in una vetrina, nel costruire la quale si è evitato tutto ciò che potesse eser- citare un’azione magnetica. Il potenziale del cilindro sul primo rocchetto, posto a metà altezza si è calcolato, nel modo indicato dianzi, di 669153 x 102 CLAS: DETERMINAZIONE DELLA RESISTENZA ELETTRICA DI UN FILO, Ecc. 491 Quello del cilindro medesimo sul secondo rocchetto , collocato come sopra, di 619666 x 102 Ce GioS. E l'errore relativo di questi numeri credo che non superi gli 0,00008. Dei cordoni a sette capi di filo di rame con grosso involucro di guttaperca congiungono i vari apparati, sono per ogni dove accop- piati e ritorti, così che non esercitino veruna azione elettrodinamica ; e sono sospesi per mezzo di fili di guttaperca. I commutatori sono tutti di rame e mercurio sull’ ebanite, tirata a pulimento speculare; meno uno, che ha i pozzetti di porcellana ben lavata ed asciutta, ed appoggiata sulla paraffina. Il galvanometro è del modello di Magnus, costruito da O. Plath di Berlino; ma i suoi rocchetti sono stati avvolti qui di nuovo : in tutto constano di 804 spire e presentano la resistenza di circa 11 ohm. Il sistema astatico dei due aghi è stato qui pure modificato, ed impiega 17 secondi a fare un’oscillazione completa. Lo smorza- tore di rame agisce mediocremente. La scala col cannocchiale è distante dallo specchietto 60: e nulla di meno vi si possono apprezzare bene i decimi di millimetro. Le deviazioni utilizzate non sono mai state inferiori a 74° ; e venivano moderate mediante la cassetta di resistenza $, inserita nel ramo del galvanometro. La pila era composta di elementi Daniell (da 1 a 20, secondo i casi), colle due soluzioni della densità 1,15, rinnovate ogni giorno, e collo zinco ogni giorno rimalgamato. Il solfato di zinco era stato bollito col carbonato e ne teneva sempre in sospensione. La corrente che circolava nel solenoide inducente (di circa 852 ohm), ha avuto intensità diverse: da 0,001 a 0,1 di ampòère. Talvolta la pila veniva chiusa da un filo metallico, così che si mandava nel solenoide una corrente derivata. Più spesso vi si man- 492 ANTONIO RÒITI dava la corrente totale, indebolita o no da una resistenza & aggiunta alla pila. Un commutatore è applicato alla pila, uno al galvanometro, uno al rocchetto indotto : e si adoperano colla vicenda più acconcia per eliminare, se mai vi fosse, l’effetto di qualsiasi dissimmetria. L’interruttore si trova in un’altra stanza, lontano dal galvano- metro sul quale non esercita azione di sorta. È infitto in un bloc- chetto di pietra, murato nel suolo. È formato da due robuste leve di rame: una €, pel circuito inducente, l’altra ©: per l’indotto : en- trambe hanno ad un estremo un martelletto di rame amalgamato, che è premuto fortemente da tre molle contro un piano sottostante, pure di rame amalgamato. Sotto al fulero le leve hanno un’ appen- dice che pesca continuamente in un pozzetto di rame contenente mercurio. Ai loro estremi liberi agiscono due eccentrici fissati sopra un asse comune e che operano due (talvolta quattro) interruzioni ad ogni rivoluzione. Spostando i due eccentrici, si possono rac- cogliere le correnti di chiusura ed escludere quelle d’ apertura, o Viceversa. La resistenza di questo apparato si può dire propriamente nulla. In sulle prime dei pozzetti a mercurio, sostituiti poi da forti morsette m,, m, di rame amalgamato (perchè il mercurio spruzzava spesso per effetto del tremore), servono a mantener chiusi, all’occor- renza, i due circuiti, nel mentre che i martelletti picchiano furio- samente sulle loro incudini. Un idromotore Schmid, a due cilindri, fa ruotare, mediante una corda tenuta in tensione costante, l’albero degli eccentrici : ed affinchè il moto sia abbastanza regolare ho dovuto munire quest’ albero di due volani del peso complessivo di 58% e del diametro di 80° : ed inoltre di una ruota a grandi ali. Un freno, applicato direttamente alla ruota dell’idromotore, serve a graduare la velocità, la quale è accusata approssimativamente da un tachimetro di Schiffer e Budenberg. DETERMINAZIONE DELLA RESISTENZA ELETTRICA DI UN FILO, Ecc. 493 M’era prefisso di mantener costante la velocità coll’artificio usato da lord Rayleigh, o mercè la ruota fonica di Poul La Cour, che posseggo ; ma finora, preoccupato di continuo dalla ristrettezza del tempo, non vi sono riuscito; E tale malaugurata preoccupazione m'ha sempre fatto procedere per via di compensi e di spedienti, ren- dendo doppiamente faticoso ed incerto il mio lavoro. Per determinare il numero delle correnti indotte, che dovevano passare al secondo nel galvanometro, a fine di produrvi una data de- viazione, mi sono valso finora di un cronografo Hipp con tre elettro- calamite. Una è comandata da un interruttore apposito, applicato all’asse degli eccentrici, ed isolato da tutto il resto. La seconda funziona sotto l’azione diretta dell’orologio astronomico n.° 96 di F. Gutkaes in Dresda, collocato nella specula del KR. Istituto geografico militare, e comunicante col mio Laboratorio per mezzo d’una linea telegrafica di 210. La terza obbedisce ad un tasto prossimo al cannocchiale d’osservazione, e segna un punto allorchè la deviazione del galvano- metro è quella desiderata. L'intervallo corrispondente ad un secondo ha variato sulla zona dai 7 agli 8°. Si misurano due tratti: uno di 105, l’altro di 20%, che comprendano nel mezzo il punto impresso dalla terza elettreca- lamita: e si prende il valor medio delle due letture, la cui differenza non arriva mai ad '/,;;)o. Talchè si può ritenere che l’errore di questa determinazione non oltrepassi per ciascun numero i 0,0005: e viene poi notevolmente attenuato col ripetere le osservazioni e col prenderne le medie. L’orologio ha un buon andamento, avanza di circa mezzo secondo al giorno sidereo: quindi per passare al tempo medio solare basta senz’altro accrescere il risultato finale di 0,0027838. Il lato debole è la maniera in cui vien chiusa la corrente; perchè il contatto si stabi- lisce fra un filino di platino portato dal pendolo ed una gocciolina di mercurio. In generale, non sono ancora pienamente contento nè di questo modo di contare le correnti indotte, che è troppo lungo e tedioso; nè del motore Schmid, che non ha l'andamento regolare che vorrei: e, se 494 ANTONIO RÒITI sarà il caso d’insistere in queste ricerche, migliorerò questi due punti. Ma ad ogni modo credo che, anche così come stanno ora gli apparati, sul mezzo millesimo ci si possa contare con piena fiducia. Un'altra circostanza, per me ben dolorosa, ha reso incerte delle lunghe serie d’esperienze. La mia stanza da lavoro è spaziosa, a pian terreno, molto stabile, esposta a tramontana; ma è contigua col la- boratorio di chimica: cosicchè ho la disgrazia d’avere per vicino il Prof. Ugo Schiff. Il quale (pare incredibile!) è andato portando qua e là dei lunghi pezzi di ferro, sebbene m’avesse promesso formal- mente di astenersene. Ed ora che, con questa denunzia pubblica, ho inflitto allo Schiff la pena che merita, passo a dire succintamente come si fanno le osservazioni. Ogni giorno, prima di principiare, si riamalgamano i martelletti dell’interruttore, si prova se i contatti sono perfetti e, mediante il cronografo, si prende il tracciato delle aperture e chiusure operate dai martelletti dell’inducente e dell’indotto, per verificare se la posizione relativa degli eccentrici è la migliore. Fatto ciò, si dà all’interruttore, guardando il tachimetro, una velocità che poco si scosti dalla normale. Poi si mettono le mor- sette mi, m: (fig. 1) affinchè il circuito resti chiuso costantemente in ogni punto: e si legge la deviazione definitiva dovuta alla deriva- zione dell’inducente. In seguito si levano le morsette, si effettua la commutazione atta a mandare nel salvanometro le correnti indotte : e con appropriati segnali si dànno gli ordini al meccanico che rallenti o stringa il freno, che dia la via alla carta del cronografo, ecc. ecc. Quando la velocità dell’interruttore, e perciò la posizione del galva- nometro, variano lentamente, si fanno tre letture alla distanza di circa 8 mm della scala, scegliendole in guisa che la seconda coincida colla deviazione prodotta in precedenza dalla corrente inducente. In fine si rimettono le morsette e si ripete la lettura dell’inducente. Così è compiuto un gruppo d’osservazioni: e per ciascun gruppo si legge il termometro a decimi di grado (apprezzando i centesimi), che si trova infilato nel campione di resistenza, il quale è in un grande bagno d’acqua, fasciato di feltro. Dopo aver misurato il tracciato del cronografo in corrispondenza DETERMINAZIONE DELLA RESISTENZA ELETTRICA DI UN FILO, Ecc. 995 ai tre punti, si fa il calcolo ammettendo che Ie intensità delle cor- renti siano proporzionali alle deviazioni, il che è permesso fra limiti così ristretti: e dei tre numeri ricavati, si prende la media. Sei di queste medie (tre per velocità crescenti e tre per velocità decrescenti) costituiscono di solito una serie d’osservazioni, che si può fare in un’ora e mezzo, quando tutto va bene. Ma è difficile compiere più di due serie al giorno, se si vogliono eseguire i computi sul nastrino del cronografo e condurre a termine anche i calcoli relativi. Le medie finali delle singole serie dovrebbero coincidere a meno del decimillesimo. E pure m’è forza confessare che ciò s’è verificato ben di rado. Nel primo mese d’osservazioni la cosa era giustificabile ; perchè non conosceva ancora a pieno l’importanza delle varie cause perturbatrici. Ma in seguito le divergenze, sebbene minori, mi hanno dato molto da pensare. E qui sarà opportuno enumerare le cause d’errore. Prescindendo da un errore costante nella determinazione del coefficiente d’induzione mutua, che è molto improbabile, citerò prima le varie cause che tendono ad assegnare un valore troppo piccolo alla resistenza del campione, e poi quelle che agiscono in verso opposto. Si tenga presente la formola dove x è la resistenza assoluta che avrebbe a 0° il campione, ct è la correzione per la temperatura, M il coefficiente d’induzione quale è dato dal calcolo, a la deviazione del galvanometro per effetto del- l’inducente, 8 quella, pochissimo diversa, determinata da % correnti indotte al secondo. — E si vedrà che tendono a dare un numero troppo piccolo: 1° Il paramagnetismo del solenoide, per cui il coefficiente reale d’induzione sarebbe maggiore di M; 2° La polarizzazione della pila, la quale sarebbe più intensa nella chiusura permanente che dà «, che non quando viene perio- dicamente aperta per determinare 8; 496 ANTONIO RÒITI 8° Il calore svolto nel solenoide, che del pari tende ad inde- bolire la corrente primaria più quando vien misurata, che quando esercita l’induzione; 4° Lo smorzamento delle oscillazioni durante il moto ritardato che allora tende a mantenere 6 più grande del dovere; 5° Il magnetismo indotto negli aghi del galvanometro, se è il più debole che si trova fra le spire; perchè questo, deviando, verrà più rinforzato dell’altro: e più rinforzato dalle correnti d’induzione che dalla corrente costante ; 6° Il paramagnetismo della materia compresa fra le spire e l’ago del galvanometro, il quale, crescendo meno rapidamente della intensità della corrente, eserciterà la sua azione protettrice più per l’inducente che per l’indotta, rimpiccolendo « rispetto a £. Tendono a dare un numero troppo grande: 7° Le sostanze paramagnetiche comprese fra il solenoide ed il rocchetto secondario; perchè funzionerebbero come schermo, e però il coefficiente M sarebbe maggiore del vero; 8° Il calore svolto dalla corrente nella derivazione della pila, nei casi che non si utilizza tutta la corrente: maggiore quando l’inducente vien misurata, che quando esercita l’induzione ; per cui a viene ad aumentare ; 9° Il calore Joule svolto nel campione senza che abbia agio di trasmettersi al termometro; perchè aumenta « e fa scemare 8. E così pure il calore Peltier, tendente a destare una corrente termoelet- trica che si somma colla derivazione dell’inducente, e si sottrae dal- l’indotta ; 10° Lo smorzamento delle oscillazioni quando la velocità va crescendo ; 11° Il magnetismo indotto negli aghi del galvanometro, se quello compreso fra le spire comanda sull’altro ; 12° Il difetto d’isolamento, come bene accentua Lord Rayleigh. La causa 1° temo che non sia stata considerata abbastanza dai miei predecessori; talchè mi sorge il dubbio che i loro numeri pos- sano essere, per ciò, alquanto al di sotto del vero. Nel caso mio ho DETERMINAZIONE DELLA RESISTENZA ELETTRICA DI UN FILO, ECC. 497 mostrato come non debba esercitare influenza sensibile. -- Così pure ritengo che sia della causa 7°, non tanto perchè ho impiegato rame elettrolitico nella fusione del rocchetto, quanto perchè col circuito indotto più esterno non ho ottenuto numeri maggiori che coll’interno, quantunque, come si sa, tutto il filo di rame contenga del ferro. Ma, per acquistare la piena fiducia su questo punto, mi riservo a fare la riprova suggerita da F. Kohlrausch, determinando per mezzo d’una bussola delle tangenti il potenziale magnetico dell’inducente e del- l’indotto, e confrontandolo col potenziale calcolato. La mancanza di tempo me l’ha impedito finora. L'effetto prodotto dalla polarizzazione della pila (2°), o del con- duttore troppo sottile che la chiude (8°), ho avuto campo di con- statarlo, e me ne sono schermito in seguito. Il calore svolto nel solenoide, come quello svolto nel campione, (5% e 9*) non può esercitare influenza dannosa ; perchè, avendo io adoperato ordinariamente delle correnti di !/jyg d’ampòère, esso è ir- rilevante: e sarebbe pure trascurabile nei pochi casi in cui ho spinto l’intensità della corrente fino ad !/,) d’ampòre. Quando la velocità varia lentamente, non si riscontra nessuna differenza fra i risultati delle osservazioni fatte durante il moto ac- celerato o ritardato, cosicchè cessa qualsiasi preoccupazione sul punto 4° e 10°. Non ho potuto nemmeno constatare differenza alcuna, sia orien- tando il galvanometro in modo che l’ago fosse parallelo alle spire a circuito aperto, sia che vi venisse condotto dalla corrente. Dunque nemmeno il magnetismo indotto negli aghi, contemplato sotto i nu- meri 5° e 11°, non produce errore nel mio caso. Per verificare se lo smorzatore di rame ed il filo stesso del gal- vanometro influiscano veramente (6°) in maniera sensibile, sto pre- parando un secondo galvanometro collo smorzatore ad aria. Ma, se questa causa d’errore può essere molto influente osservando le devia- zioni impulsive, nel caso mio ha importanza di gran lunga minore : ed anzi ritengo che sia perfettamente trascurabile se penso all’estrema debolezza delle correnti che passavano pel mio galvanometro (da 0,0001 a 0,00001 di ampère), per le quali il magnetismo indotto è probabil- mente proporzionale all’intensità delle correnti stesse. Atti R. Accad. » Parte Fisica — Vol, XIX. 33 498 ANTONIO RÒITI L’isolamento imperfetto (12°), quale può derivare, per esempio, da un poco di polvere sull’ebanite, ecc., mi ha dato sempre numeri troppo grandi: e non è mai esagerato lo scrupolo col quale si bada a questo particolare. Ciò non di meno non mi pare che gli si debba dare una importanza esclusiva, preferendo senz’altro i numeri mi- nori ai maggiori. Ho fatto le esperienze prendendo via via pel ramo x (fig. 1) quattro diversi campioni di resistenza. a) Una copia dell’unità britannica, costruita da Elliott Bro- thers, e procuratami gentilmente da Lord Rayleigh col certificato del laboratorio di Cambridge dal quale appare che « addì 21 novem- bre 1883 il n. 95 di Elliott alla temperatura di 150,8 C., aveva il valore di 0,99977 B.A.: ed alla temperatura di 10°,1 C. il valore di 0,99813 B.A.: e quindi, fra questi limiti di temperatura, il coef- ficiente 0,00031 per 1° C. ». b) Una unità Siemens, cedutami ultimamente da Siemens e Halske coi seguenti dati del Dott. O. Fròlich: « Il valore del rocchetto normale 1'.. è, a 20° Celsio, di 1,00014 unità Siemens; col coeffi- ciente 0,00036 per 1° C. -- Berlino, 2 novembre 1883 ». c) Un rocchetto Strecker, portante il n. 20 ed equivalente a 1m,00180 di mercurio, quand’è alla temperatura di 10°,0 C. Coeffi- ciente medio 0,000655 per 1° C. d) Un rocchetto n. 22 della resistenza, a 109,0 C., di 0m,48026 di mercurio. Coefficiente medio 0,000655 per 1° C. Questi due rocchetti, colle relative indicazioni, mi sono stati fa- voriti dal Dott. K. Strecker, assistente del Prof. F. Kohlrausch, il quale li ha confrontati direttamente colle sue colonne di mercurio, a Wiurzburgo dal 13 al 16 dicembre 1883. Nel laboratorio di Firenze i rocchetti 4, d, c sono stati confron- tati fra di loro dal sig. Heydweiller col mezzo del ponte che ha ser- vito a Siemens per la riproduzione della sua unità: ed ecco i rap- porti fra l’unità dell’Associazione Britannica e la colonna di mer- curio, a 0°, lunga 1" e della sezione di 1mm2 (a, Db) Siemens ) 1m di mercurio = 0,9583683 B. A. ’ | 1 Unità B. A. — 1,04862 Unità Siemens. DETERMINAZIONE DELLA RESISTENZA ELETTRICA DI UN FILO, ECC. 499 vato 1m di mercurio = 0,95366 B. A. a, €) Strecker (4; 1 Unità B. A. — 1,04859 di mercurio. Mi sono valso di questi rapporti per rendere fra loro paragona- bili le determinazioni fatte mettendo al posto di x (fig. 1°) successi vamente i rocchetti a, d, Cc, d. Or bene, senza contare le prove preparatorie: dal 12 gennaio al 80 marzo ho potuto fare delle determinazioni in 50 giorni; perchè gli altri sono andati impiegati a sistemare od a migliorare gli appa- rati. In questi 50 giorni ho eseguito non meno di 880 gruppi, da tre osservazioni l’uno, distribuiti in 74 serie, ricorrendo a diverse forze elettromotrici, ad intensità diverse di corrente, a velocità diverse del- l’interruttore, adoperando come rocchetto indotto ora l’interno, ora l'esterno, ora entrambi riuniti insieme; ora valendomi dell’induzione alla chiusura, ora all’apertura. Se, senza preoccuparmi del numero che dànno, elimino quei gruppi i quali evidentemente sono stati influenzati da qualcuna delle cause perturbatrici sopra citate, e quelle serie che (per l’instabilità del gal- vanometro, procuratami dal Prof. Schiff) sono riuscite irregolari, ri- mangono pur sempre 197 gruppi appartenenti a 35 serie distinte, a quali non saprei davvero attribuire pesi differenti. Tutte le medie di queste 35 serie, spingendo pure la modestia molto più in là del dovere, prevedevo che concordassero fra loro al- meno sino al mezzo millesimo: ed invece presentano delle differenze che salgono ai quattro millesimi! — Talchè ricaverei tanti valori distinti partendomi da Wild e arrivando fino ad H. Weber di Braunschweig, dopo essermi incontrato in Rowland, in Kohlrausch e, per una volta sola, anche in Lord Rayleigh, quand’egli lavorava con Schuster. E, per quanto io abbia fatto e riflettuto, non mi è riuscito di trovarne la cagione. Numeri ottenuti in condizioni dispa- ratissime coincidono spesso; numeri derivanti da. condizioni, che mi parevano perfettamente identiche, presentano spesso le discrepanze maggiori. È tale lo studio da me posto in questa questione, che, se non temessi di peccare d’irriverenza, sarei tentato a pensare che anche 500 ANTONIO RÒITI gli altri sperimentatori si sarebbero forse imbattuti in disaccordi ana- loghi, qualora avessero esagerato, come me, il numero delle loro osservazioni. Fra tanta incertezza mi pare d’intravedere una cosa sola: ed è che i numeri, esprimenti la resistenza assoluta d’un campione, va- dano via via diminuendo da un giorno all’altro, se nulla si cambia nel circuito secondario: e che riescano invece maggiori, allorchè entri a far parte di quel circuito un conduttore che non abbia ser- vito in precedenza, oppure che da molti giorni sia rimasto inoperoso. Direi quasi che i fili di rame hanno bisogno d’abituarsi a condurre una successione rapida di correnti indotte. — Ma, per quanto un tal fatto possa armonizzare con altri fatti già noti, sento la necessità, prima di darlo come certo, d’intraprendere una lunga serie di espe- rienze opportunamente coordinate, e rivolte a questa mira. Oggi, per finire la presente relazione preliminare, riferisco il valor medio ricavato dalle 591 osservazioni tenute per buone, come se le discrepanze (cosa inverosimile) fossero meramente fortuite. Con le precedenti riserve, troverei: 1 B.A— 0,99024 Ohm oppure: 1 Unità Siemens = 0,94482 Ohm ossia: 1 Ohm—=1",05896 di mercurio. Il così detto errore probabile di questo risultato finale sarebbe di 0,000076; il quale, sommato coll’errore costante possibile 0,000 08 (da cui è ancora affetto, come dissi, il coefficiente d’induzione mu- tua), diverrebbe : = 0,00016. Firenze, 4 Aprile 1884. 501 Il Socio Maggiore Professore F. SrAccI presenta il seguente lavoro del sig. Dott. Enrico NovarESE, Assistente alla Cattedra di Meccanica razionale nella R. Università di Torino, SULLE ACCELKIAZIONI NEMO TO TDIEUNA RIGURA TANA NEL PROPRIO PIANO. Data una retta mobile in un piano, è noto che le direzioni delle velocità de’ suoi punti, per una posizione qualunque di essa, inviluppano una parabola (*). Tale proprietà si può esten- dere alle accelerazioni, cioè si può stabilire un teorema per le accelerazioni di ordine qualsivoglia, del quale la proposizione ricordata sia caso particolare quando si consideri la velocità come accelerazione di ordine zero. Il teorema poggia sul fatto che, ad un medesimo istante, è uguale per tutti i punti di una fisura piana mobile nel proprio piano l'angolo dell'accelera- zione (*#*), designando con tal nome l'angolo che la direzione dell’accelerazione (per un dato istante) di un punto qualsiasi fa con il raggio che lo unisce al centro delle accelerazioni (relativo a quell’istante). Enuncio senz’ altro il teorema in discorso: Le direzioni delle accelerazioni dei punti di una retta mobile in un piano inviluppano una parabola che ha per fuoco il centro istantaneo delle accelerazioni e per tangente nel ver- tice la direzione dell’accelerazione del punto della retta, pel (*) V. ScHeLL, Theorie der Bewegung und der Kréfte, 21e Aufl., I. Bd., pag. 222. (**) Accelerationsvinkel (DAHLANDER); Beschleunigungswinkel (RITTERSHAUS, BURMESTER). Qui ed in seguito « accelerazione » sta sempre per «accelerazione di ordine n ». 502 ENRICO NOVARESE quale quest'accelerazione è minima. La parabola tocca la retta in quello de’ suoi punti, del quale l'accelerazione è disposta lungo la retta stessa. Se, in particolare, si considerano le accelerazioni di ordine zero, cioè le velocità, l'angolo dell’accelerazione riesce retto, il centro delle accelerazioni diviene il centro istantaneo delle velocità (o di rotazione), ecc., e si trova la proposizione conosciuta su mentovata. Il teorema esposto conduce ad alcune conseguenze che, seh- bene affatto ovvie, mi paiono meritevoli d'esser notate. Abbiasi una figura piana di forma invariabile mobile nel proprio piano: se si considerano le oo! parabole corrispondenti alle rette della fisura che passano per un punto, si ha quest’ altra proposizione : Quando un fascio di rette st muove nel proprio piano, le direzioni delle accelerazioni dei punti de suoi raggi invilup- pano una schiera di parabole omofocali nel centro C delle accelerazioni ed aventi per tangente comune la direzione della accelerazione del centro del fascio. E si dimostra assai facilmente che: I vertici di queste parabole stanno sopra la circonferenza di un cerchio costrutto sulla distanza di C da quella tan- gente comune come diametro. Gli assi di tutte le parabole della schiera, le tangenti nei loro vertici, e le direzioni delle accelerazioni de’ vertici stessi (*) formano tre fasci di rette, ognuno dei quali è congruente al fascio mobile considerato ed ha il centro sulla detta circonferenza. Si vede così che ogni retta della figura mobile dà luogo ad una parabola avente il fuoco in C, e che ogni punto dà luogo ad un circolo passante per C. Considerando il sistema mobile come piano rigato e come piano punteggiato, ne segue che: Le direzioni delle accelerazioni dei punti di una figura piana mobile comunque nel proprio piano individuano un tes- suto di parabole aventi il fuoco nel centro delle accelerazioni, ed una rete di circoli passanti per questo centro. (*) È manifesto che « le direzioni delle accelerazioni dei punti di un si- stema piano, i quali giacciano sopra un circolo passante pel centro delle accelerazioni, concorrono in un punto di questo circolo ». BurMEsTER, Veber den Beschleunigungszustand dhnlich verdinderlicher und starrer ebener Systeme (HarriG’s Civilingenieur, Bd. XXIV, p. 153). de) SULLE ACCELERAZIONI 508 v Nel tessuto sono contenute co* schiere di parabole corri- spondenti agli oo° fasci di rette esistenti nel piano. Due schiere qualunque hanno una parabola comune, che è quella relativa alla congiungente i centri dei due fasci corrispondenti: e questa parabola medesima appartiene ad oo! schiere. Nella rete sono contenuti oo? fasci di cerchi corrispondenti alle oc* punteggiate esistenti nel piano. Due fasci qualunque hanno un cerchio comune; che è quello relativo al punto d’intersezione delle due punteggiate corrispondenti: questo circolo stesso appartiene ad co! fasci. In ogni schiera esiste una parabola che degenera in una coppia di punti, ed è quella relativa al raggio del fascio corrispondente passante per ©: essa si riduce al punto C ed al punto all’in- finito comune alle direzioni delle accelerazioni di tutti i punti di quel raggio. In ogni fascio di cerchi ne esiste uno che de- genera in una coppia di rette, ed è quello relativo al punto all'infinito della punteggiata corrispondente: esso si riduce all’asse radicale del fascio ed alla retta all’ infinito. Ogni circolo della rete è il luogo dei vertici delle parabole di una schiera; e, dualmente, ogni parabola del tessuto è l’inviluppo delle tangenti ai circoli di un fascio nel punto diametralmente opposto al punto ©. Quanto precede è detto nell'ipotesi che la figura mobile sia di forma invariabile; ma esige soltanto l’esistenza del centro delle accelerazioni e l'uguaglianza pei varî punti della figura dell'angolo dell’ accelerazione. Per conseguenza, siccome queste condizioni sono soddisfatte anche quando la forma del sistema mobile varii mantenendosi simile a sè stessa (*), i risultati sta- biliti sussistono in questo caso più generale. Torino, Febbraio 1884. (*) ScHELL, op. cit., I. Bd., p. 574. 504 A. GENOCCHI —- PRESENTAZIONE DI ALCUNE OPERE. Il Socio Comm. Prof. Angelo GENoccHI presenta, a nome del Principe Baldassarre BoxcomPaGNI, un opuscolo estratto dal Bullettino di bibliografia e di storia delle Scienze matema- tiche e fisiche, dal medesimo pubblicato, col titolo seguente : Des methodes d’approximation pour les equations differentielles lorsqu’on connatt une première valeur approchée : Memoire inédit de J.-A.-N.-CarITAT, Marquis de Conporcet, publié avec une Notice sur sa vie et ses ccrits mathematiques par M. Charles HENRY. A nome dell’Autore sig. Carlo Le-PA1GE, Professore di Ges- metria superiore nell'Università di Liegi, presenta ancora i se- guenti opuscoli stampati : 1° Sur les involutions cubiques ; 2° Sur les involutions biquadratiques ; 3° Sur les courbes du quatriòme ordre. Ut [© Ut Adunanza del 27 Aprile 1884 PRESIDENZA DEL SIG. COMM. PROF. P. RICHELMY VICE-PRESIDENTE Il Socio Cav. Prof. Andrea NAccarI presenta e legge la seguente Nota del sig. Dottore G. GuaLiELMO, Assistente alla Cattedra di Fisica sperimentale nella R. Università di Torino, INTORNO AD ALCUNE MODIFICAZIONI DELLE POMPE PNEUMATICHE A MERGURIO. Fino a qualche anno fa la produzione di rarefazioni alcun poco superiori a quella di 1"" di mercurio era cosa che non si poteva ottenere se non con mezzi speciali, che potevano essere a disposizione di pochissimi, e con grandissime cure. Grazie alla pompa a mercurio di Téòpler ed alle sue modi- ficazioni, e specialmente nella forma datale dal Bessel-Hagen riesce invece facile di ottenere oggidì, anche senza molte cure, rarefazioni grandissime, che hanno solo per limite la tensione del vapore di mercurio. Un inconveniente di queste pompe sta nella loro fragilità, diminuita ma non eliminata nella pompa citata del Bessel-Hagen, per cui un momento di distrazione in chi fa il vuoto, un’ irre- golarità nel movimento del corsoio che sostiene il recipiente mo- bile, potrebbe esser causa della rottura dell’apparecchio, non facile ad accomodare: ne consegue inoltre una grande lentezza nell’operazione. Sono riuscito ad ottenere, senza il menomo pericolo di rot- ture e con molta prontezza e facilità, le rarefazioni occorrenti 506 GIOVANNI GUGLIELMO per la produzione dei noti fenomeni di Hittorf e Crookes nel passaggio delle scariche elettriche nei gas rarefattissimi, e tali anche da impedire il passaggio della scarica con una comune pompa di Geissler ad una chiavetta, costruita da me. Anzitutto invece delle solite chiavette a tre vie ho usato la chiavetta che vedesi rappresentata in C (pag. 5). Essa trovasi al punto di congiunzione dei tre rami di un tubo a 7; una scanalatura nella superficie del maschio, o meglio un foro nell'interno di esso serve a porre il tubo inferiore in comunicazione con quello. a destra o con quello a sinistra, ossia il recipiente fisso della pompa con quelio in cui si vuol fare il vuoto o coll’atmosfera. Questa chiavetta ha il vantaggio non piccolo che l’interstizio fra le due superficie smerigliate non mette nell’atmosfera che da un lato, e l’entrata dell’aria pel medesimo si impedisce facil- mente adattando alla parte superiore della chiavetta un tubo un po’ largo di gomma elastica o di yetro in cui si versa del mercurio. In tal modo potei ottenere abbastanza rapidamente le rarefazioni alle quali si producono i fenomeni suddetti. Un ulteriore vantaggio si ha usando un recipiente mobile uguale all'incirca a quello fisso e facendo comunicare il primo col tubo d’efflusso del secondo mediante un tubo di gomma elastica a pareti un po’ spesse e a foro sottile. In tali condizioni, supponiamo la rarefazione giunta ad un certo grado p. es. di qualche millimetro di mercurio, ed il re- cipiente mobile al basso della sua corsa e quindi pieno di mer- curio; sollevando questo recipiente il mercurio in esso si abbassa generandovi un vuoto più o meno perfetto e la piccola quantità d’aria che si trova nel recipiente fisso, e che viene scacciata dal mercurio, viene ad espandersi in questo vuoto, conservando una pressione sempre assai piccola. Così se un po’ d’aria rimanesse aderente alle pareti del recipiente fisso, essa si troverebbe ad una pressione assai piccola ed essendo il suo volume minimo riesce trascurabile. Come vedesi, non è altro che il principio della chiavetta di Babinet applicata alla pompa di Geissler, ciò che si effettua molto facilmente, giacchè la chiavetta a tre vie in quest’ultima pompa serve allo scopo per cui fu introdotta nelle macchine pneu- matiche a stantuffo la chiavetta di Babinet. Per quanto abbia cercato, non ho trovato che alcuno abbia proposto questa mo- dificazione nè l’abbia applicata, anzi le pompe a mercurio che MODIFICAZIONI DELLE POMPE PNEUMATICHE A MERCURIO 507 m'è stato dato vedere avevano il recipiente molto maggiore di quello fisso, cosicchè era impossibile di applicare con facilità la modificazione che propongo. Per maggior chiarezza vedesi nella figura rappresentata sche- maticamente detta pompa. Contro un’ asse (omessa nella figura), trovasi fissato il recipiente fisso A cui è saldato, secondo il solito, al disotto un tubo di vetro di 80°® circa, che in fondo è ripiegato all'insù e congiunto con un largo tubo di gomma elastica a pareti spesse che termina dall’altro capo col recipiente mobile. Questo è sostenuto da una fune piatta che si avvolge o si svolge intorno una manovella collocata in cima dell’asse. Al disopra del recipiente fisso trovasi saldato il tubo a 7 che ha nel punto di congiunzione dei tre rami la chiavetta C che permette di stabilire la comunicazione di A col tubo a destra, ossia col recipiente in cui si fa il vuoto, oppure col tubo a si- nistra, per cui si fa effluire l’aria che si scaccia. Questo tubo comunica, come si è detto, mediante un tubo di gomma @ con Bb. Aftinchè al sollevare di B vi si formi un vuoto possibilmente 508 GIOVANNI GUGLIELMO perfetto, questo tubo di gomma è lungo circa 1 metro e porta a 20° dalla sommità di B una chiavetta di scaricamento D, che può porre A e B in comunicazione fra loro o ciascuno di essi separatamente coll’atmosfera. Per fare il vuoto in un recipiente si procede nel modo solito; però è da osservare che nel sollevare B si pone la chiavetta D in modo che A e B possano comunicare fra loro, e si solleva 5 sintantochè il mercurio riempia A ed il tubo di somma sino alla chiavetta D (ciò è possibile giacchè D, a causa della flessibilità del tubo di gomma, trovasi al disotto del reci- piente B), che allora si gira di 45°, e si gira ec di 90° in modo da chiudere il recipiente A. Si abbassa allora B ed allorchè si crede che in esso la pressione dell’aria che è compressa dal mercurio che vi penetra sia poco diversa dall’atmosferica, si gira d di altri 45° in modo che l’aria di £ viene scacciata nell’atmo- sfera; si continua ad abbassare 5 finchè il mercurio giunga alla chiavetta D ed allora questa si dispone nuovamente in modo che A e B possano comunicare. Si gira la chiavetta C in modo da porre il recipiente in cui si vuol fare il vuoto in comuni- cazione col vuoto barometrico di A, e quindi si richiude colla chiavetta e si ripete di nuovo l’operazione. In tal modo dunque l’aria che trovasi in A viene scacciata al di là della chiavetta D nel vuoto che si è formato in B, senza che venga compressa, da B poi viene scacciata total- mente nell’atmosfera (salvo il sottile strato che può rimanere aderente alle pareti), cosicchè al sollevare di B vi si forma quasi un vuoto perfetto. In questa operazione del fare il vuoto sono opportune alcune avvertenze. Allorchè la rarefazione è molto spinta, la pressione dell’aria in A è così piccola, che anche diminuendo il suo volume ad un terzo od un quarto, la sua pressione sarebbe sempre mi- ‘ nore di quella che si trova in 5, ed è quindi opportuno di non stabilire la comunicazione di A con B finchè non si crede che la pressione in A sia pressa poco uguale o maggiore di quella di B. — Inoltre il tubo d trovandosi pieno di mercurio questo si opporrebbe all'uscita dell’aria da A, quindi è indispensabile a circa metà della corsa di arrestare e sollevare il tubo in modo che il mercurio ne cada in -B, ciò che avviene assai facilmente non essendovi l’ostacolo dell’aria. Si potrebbe rimediare a ciò usando un tubo largo in modo che il mercurio non vi si trat- MODIFICAZIONI DELLE POMPE PNEUMATICHE A MERCURIO 509 tenesse, ma allora converrebbe avere cura che il mercurio esca da A con continuità in modo da non produrre delle bolle, ciò che non è facile. Allorchè la rarefazione è un po’ spinta non è necessario scacciare da B la piccolissima bolla d’aria ad ogni colpo di pompa, giacchè la sua presenza non fa variare sensibilmente la pressione che si ha in 5 allorchè esso è in alto; si può lasciare quindi per parecchi colpi la chiavetta D in modo da permettere la comunicazione di A con 5 e si ha così il vantaggio che la corsa del recipiente mobile è molto limitata riducendosi nel mio caso a circa 20°. Come è noto, il tubo al disotto di A sifa per 76° o più di vetro o ferro invece che di gomma elastica, affinchè i gas che potrebbero sviluppare da questa non vadano in A, ed anch’ io ho usato un tubo di tal lunghezza: però un tal tubo potrebbe essere con grande vantaggio della semplicità e della trasporta- bilità della pompa di soli 35°”, ripiegato un poco all’insù nel- l'estremità inferiore ed il tubo di gomma di circa 50 o più cm., in tal modo i gas provenienti dalla gomma elastica non potrebbero mai giungere in A neppure quando £ si trovasse al disotto della ripiegatura. In questo caso il recipiente A coll’unito tubo potrebbe esser fissato su una tavoletta separata dal sostegno di B e da fissarsi facilmente volta per volta con viti o in altro modo ove fa d’uopo. L'aggiunta del tubo di gomma elastica fra il recipiente mo- bile ed il pozzetto in cui termina il tubo d’eftlusso riuscirebbe utile non poco anche nelle pompe nel sistema Tòpler special- mente nel caso in cui si vogliano ottenere grandi rarefazioni. Infatti in tal caso la bolla d’aria che si vuole espellere, che è già piccola allorchè si trova alla sommità del tubo d’eftlusso ove si trova ad una pressione di pochi millimetri, diventa sempre più piccola a misura che s'abbassa in detto tubo e la sua pres- sione aumenta fino a divenire uguale ed alcun poco superiore all’atmosferica. Avviene quindi che le due colonne di mercurio fra le quali essa è compresa si ricongiungono ed essa non viene più trascinata che difficilmente (a causa anche del suo piccolo peso specifico) dal mercurio che eftluisce e facilmente invece ri- torna indietro allorchè si abbassa il recipiente mobile. Invece coll’aggiunta indicata, la pressione sul livello esterno del mer- curio nel tubo d'’efflusso sarebbe di pochi millimetri, il volume della bolla d’aria rimarrebbe sempre notevolmente più grande 510 GIOVANNI GUGLIELMO e sarebbe espulso più facilmente ed inoltre sarebbe minore la pressione dell’aria che potrebbe rimanere aderente alle pareti. Di più sarebbe ridotta la lunghezza della corsa del recipiente mobile, poichè la pressione dell’aria, che si vuol scacciare e che bisogna vincere, rimane assai piccola. In questo caso sarebbe inutile che nel recipiente mobile si formasse un vuoto possibilmente perfetto; non occorre quindi far giungere il mercurio nel tubo di gomma aggiunto donde come s'è visto occorre scacciarlo: l'operazione del far il vuoto quindi non sarebbe cambiato per l'aggiunta di questo tubo. Credo non inutile osservare a vantaggio di coloro che aves- sero scarsi mezzi a propria disposizione, che ho costruito la mac- china anzidetta con pezzi di poco costo che facilmente si possono trovare. Come serbatoi A e 5 ha preso due palloni di 250°"9 circa con tubulatura opposta al collo; ad uno di essi ho congiunto al disotto nelle prime prove con buona ceralacca, indi saldando il tubo di vetro di 80°”, al disopra prima mediante un buon tappo di sovero coperto di ceralacca e poi saldando il tubo a 7° colla chiavetta descritta innanzi che si trova al n° 302 del catalogo di Zambelli di Torino e nel n° 449 del catalogo di Desaga di Heidelberg. Il masehio di questa chiavetta ha ordinariamente anche un foro normale all’asse, che sarebbe affatto dannoso nel nostro caso, ed io l'ho turato con un tubetto pieno di vetro e con cera- lacca che riempiva bene gl’ interstizi. A questo proposito è d’uopo notare che se si scalda direttamente il maschio per applicare la ce- ralacca, è facilissimo che esso, per quanta cura si usi, tutt’ attorno al foro trasversale si fenda. È meglio quindi porlo dentro ad una stufa ad aria o scaldarlo con aria calda in modo che la sua temperatura salga lentamente e non oltre i 100°, Nel caso che questo tubo si congiunga al pallone con un tappo, questo deve essere coperto di uno strato di ceralacca di circa mezzo centimetro (il tappo quindi non serve che di so- stegno) e bisogna badare che il tubo non sporga dalla ceralacca altrimenti rimarrebbe uno spazio nocivo di volume abbastanza grande: bisogna quindi, quando la ceralacea è ancora fusa, tirare indietro detto tubo in modo da compensare anche la contrazione della medesima nella solidificazione. La chiavetta D è una delle comuni chiavette di scaricamento. Le congiunzioni colla ceralacca hanno il vantaggio di potere esser fatte e rinnovate, se occorre, facilmente, e tengono per- MODIFICAZIONI DELLE POMPE PNEUMATICHE A MERCURIO 511 fettamente; ma dato che subito o col tempo l’apparecchio non tenga il vuoto si rimane incerti se e quali delle congiunzioni siano difettose. Riguardo alla rarefazione che potei ottenere con questa pompa osserverò anzitutto che la chiavetta, non essendo destinata allo scopo pel quale la usavo, non chiudeva molto bene, giacchè era visibile che le due superficie smerigliate non combaciavano per- fettamente in ispecie nella metà inferiore, ed allorchè la pompa era costruita bastava sollevare il recipiente mobile in modo che la rarefazione in A diminuisse perchè i fenomeni luminosi pro- dotti dal passaggio delle scariche elettriche in un tubo di Geissler variassero notevolmente in modo da indicare un aumento non piccolo di pressione anche quando le comunicazioni erano state interrotte mediante la chiavetta. Conviene osservare che in generale, ma specialmente nel nostro caso, il maschio con scanalatura laterale è per sè difettoso in quanto diminuisce la superficie smerigliata che separa due spazi in cui l'aria può trovarsi a pressioni più o meno diverse e di- minuisce anche la distanza fra questi due spazi. Sarebbe quindi preferibile un maschio con canale centrale che a metà altezza si piegasse lateralmente in modo che la su- perficie smerigliata rimanesse intatta. Ciononostante ho potuto ottenere in recipienti di 65 e 325°"? un vuoto tale da ottenere una vivissima fosforescenza nel vetro colle apparenze delle ombre, ecc. Per ottenere queste rarefazioni occorsero circa otto colpi di pompa pel primo recipiente, venti per l’altro, nonostante che nell’eseguire le congiunzioni di questi tubi colla pompa mediante ceralacca un poco dell'umidità della fiamma che serviva a scaldare i pezzi da congiungere fosse pene- trata nei tubi. Ora il numero di colpi che occorre teoricamente per produrre tale rarefazione, essendo il volume del pallone A di 250°", è lo stesso o poco minore di quello che è stato ne- cessario nel fatto. Con qualche altro colpo di pompa la scarica che si ottiene da una piccola macchina elettrica di Voss che dava nell'aria 2° di scintilla non passava affatto. Si ottiene quest’ ultima rarefazione, nonostante la poca perfezione della chiavetta, avendo cura di scacciar bene l’aria da A in B e poi da questo nell'atmosfera. Non ho fatto finora misure molto precise mancando la scala per misurare le pressioni, ma dal risultato in complesso m’ è 512 GIOVANNI GUGLIELMO parso chiaramente che la rarefazione si ottenesse con un numero di colpi assai minore di quello che si richiede colla pompa di Topler nella quale la presenza di un po’ d'umidità che si con- densa alla sommità del recipiente fisso e non può essere scacciata impedisce affatto di ottenere una rarefazione anche solo mediocre fintantochè il vapore non è assorbito dalla sostanza -disseccante, ciò che richiede varie ore. Per misurare la pressione si potrebbe mediante una scala in millimetri misurare, essendo B in comunicazione coll’atmosfera, la differenza di livello del mercurio in A e in B: 1° quando B è in basso e l’aria ha per volume la capacità di 4; 2° quando B è sollevato e la stessa aria ha assunto un volume noto molto piccolo nel tubo al disopra di A. Naturalmente la chiavetta Cl deve essere chiusa. Sarebbe conveniente di dividere questo tubo in varie parti di uguale capacità per ottenere vari valori di questa pressione e prender la media: così si potrebbe tener conto del vapore che per caso esistesse in detta aria. — Si potrebbe anche, tenendo A e B mediante la chiavetta D separati fra loro e dall'atmosfera vedere come varia detta differenza di livello quando il mercurio passa da una all’altra delle suddette divisioni. Un’ altra modificazione della pompa a mercurio è suggerita dal fatto della maggior rarefazione ottenibile colla pompa di Tépler, che non con quella di Geissler. Si attribuisce ciò all’as- senza nella prima di valvole e chiavette; pure alla pompa di Bessel-Hagen è unito un tubo di congiunzione con parecchie chiavette e superficie smerigliate che tengono a perfezione e non impediscono quindi di ottenere grandissime rarefazioni. Mi pare invece che la ragione di tal fatto stia in ciò che la colonna di mercurio che trovasi nel tubo d’efilusso tende ad aumentare notevolmente il volume dell’aria che si vuole scacciare contro- bilanciando quasi totalmente la pressione atmosferica, per cui la quantità d’aria che potrebbe rimanere sotto forma di bolle o di strato aderente alle pareti è piccolissima. È bensì vero che a misura che quest’aria scende nel tubo la sua pressione cresce fino a divenire alcun poco superiore all’atmosferica, ma ciò av- viene in luoghi che poi sono ricoperti da una colonna di mercurio tanto più alta quanto più essi sono in basso. Così per es. se alla metà del tubo rimanesse una parte dell’aria che si scaccia e che ivi ha la pressione all'incirca di }4 atmosfera, quest’ aria rimasta si troverà poi ricoperta da una colonna di mercurio MODIFICAZIONI DELLE POMPE PNEUMATICHE A MERCURIO, 918 appunto di 4 atmosfera che le impedirà di espandersi e svi- lupparsi, come avverrebbe se essa si trovasse invece nell’interno del recipiente fisso. Ho provato perciò nella pompa descritta a togliere il tubo @ ed adattare invece al tubo a sinistra della chiavetta, mediante una buona congiunzione con tubo di gomma elastica un tubo di vetro, verticale, diretto all’ingiù di circa 80°" di lunghezza, 1a2"" di diametro interno coll’estremità inferiore pescante nel mercurio o foggiata a modo di pozzetto di barometro a sifone. Per fare il vuoto operavo come colla pompa di Geissler o con quella di Tòpler, solo che mentre in questa occorre per scac- ciare la bolla far eftluire una certa quantità di mercurio, che poi nel ritornare indietro trascina in tutto o in parte la bolla scacciata (ciò che si potrebbe anche impedire con una chiavetta posta dopo il pozzetto), nel mio caso ciò era impedito chiudendo la chiavetta D quando era eftluita una certa quantità di mer- curio e prima di abbassare il recipiente B. L’eccesso di mercurio effluito dopo un certo numero di colpi di pompa veniva river- sato in B. Ottenni così con questa disposizione che si può adattare senza difficoltà alle comuni pompe di Geissler, le stesse rarefazioni come colla disposizione precedente; mi parve che occorresse un numero di colpi di pompa un po’ maggiore, ma la differenza potrebbe essere accidentale. — S’avrebbe vantaggio, come ho detto, po- nendo il recipiente B in comunicazione col pozzetto che termina il tubo d’efflusso. Pericolo di rottura, per poca precauzione, in chi fa il vuoto, qui non esiste; se il mercurio salisse con tropp® violenza potrebbe solo far saltare il maschio della chiavetta. Per evitare la presenza di vapori .grassi, usai talora per ungere le chiavette una poltiglia di acido solforico concentrato e grafite, che si comportò assai bene. Dal Laboratorio di Fisica dell’Università di Torino. Attîì R. Accad. » Parte Fisica — Vol. XIX. 34 514 L. PALAZZO E A. BATTELLI Lo stesso Socio NAccARI presenta ancora e legge il seguente lavoro dei signori L. PAaLAZzzo e A. BATTELLI, INTORNO ALLA FUSIONE DEI MISCUGLI DI ALCUNE SOSTANZE NON METALLICHE, 4. W. Heintz, in una sua memoria (Ueder Wallrath (*)), aveva notato che mescolando ad un acido grasso una piccola quan- tità di un altro, il punto di fusione del primo si abbassa, sia che l’ultimo si fonda a temperatura superiore od inferiore. Seguitando ad aumentare la quantità del secondo acido, il punto di fusione raggiunge un minimo, ed aumentandola ancora, il punto di fusione s'innalza sino a raggiungere quello dell’ultimo acido. D'altra parte J. Gottlieb aveva trovato (**) che le mescolanze di due acidi grassi posseggono un punto di fusione inferiore a quello di ambidue gli acidi componenti, come le leghe metalliche. In se- guito a queste osservazioni ci venne in pensiero che le mescolanze di corpi grassi, ed in generale di sostanze non metalliche avessero a possedere non un punto unico, ma due punti di fusione distinti, che anzi avessero generalmente a seguire per intero nella fusione la legge già trovata nel 1830 da F. Rudberg (#**) per le leghe metal- liche: Le leghe metalliche binarie presentano due punti di fusione diversi, uno per tutte le leghe della medesima specie (cioè com- poste dei medesimi metalli in proporzioni differenti) rimane sempre lo stesso e l’altro muta a seconda delle proporzioni dei compo- nenti. — Secondo il Rudberg il punto fisso sarebbe dovuto alla (*) W.Hrintz, Pogg. Ann., XIII, 429, 588 (1854). (**) J. GortLIEB, Untersuchung des Ginsefettes und der Oelsaùire. Ann. der Chem. und Pharm., LVII, 37 (1846). (***) F. RupBerG, Ueber eine allgemeine Eigenschaft der Metallegirungen. Pogg. Ann., XVIII, 240 (1830). INTORNO ALLA FUSIONE DEI MISCUGLI, ECC. 515 solidificazione di una vera lega chimica formatasi tra i due metalli, secondo rapporti semplici atomici; mentre l’altro punto, variabile, sarebbe dovuto alla solidificazione di quello fra i due metalli che è rimasto in eccesso e meccanicamente mescolato nella lega. Di questo argomento si è pure occupato recentemente E. Wie- demann (*), il quale per altro interpreta alquanto diversamente il fenomeno, ammettendo cioè che il suddetto punto variabile di fusione delle leghe non sia un vero punto di fusione, ma corrisponda piuttosto al principio di una separazione cristallina del metallo ec- cedente dalla lega chimica fusa, in cui esso si trovava dapprima disciolto. Allo scopo di verificare se la legge scoperta dal Rudberg fosse anche seguita dai miscugli di sostanze non metalliche, noi abbiamo intrapreso il presente lavoro sperimentale, facendo ricerche su mescolanze binarie di paraffina, naftalina, nitronaftalina, spermaceti e stearina. 2. Il procedimento da noi seguìto nelle esperienze, era il se- guente: La mescolanza si faceva fondere in un tubo da saggio di circa 10° di lunghezza e 2°" di diametro, immergendo il tubo stesso in un bagno d’acqua, che si riscaldava gradatamente, affine di evitare ogni possibile alterazione della mescolanza, per un eccessivo o troppo rapido riscaldamento. Il tubo era tappato con un sovero a due fori, attraverso uno dei quali passava un termo- metro col bulbo del tutto immerso nella mescolanza liquida, ed at- traverso l’altro si poteva fare scorrere un piccolo agitatore d’ottone. _ Quando il miscuglio aveva raggiunto una temperatura alquanto superiore a quella della sua fusione, si toglieva il tubo dal bagno, e si chiudeva in una bottiglia vuota a largo collo, la quale stava immersa sino all’orlo in un gran vaso pieno d’acqua a temperatura ordinaria. Allora, di mezzo minuto in mezzo minuto, si leggevano a di- stanza con un cannocchiale le temperature segnate dal termometro durante il raffreddamento e la solidificazione della sostanza. Il ter- mometro, che già era stato confrontato con un Campione, era diviso semplicemente in gradi; ma coll’aiuto del cannocchiale si potevano benissimo valutare i decimi di grado. (*) E. WirepbeMmanN, Veber einige Eigenschaften der Metallegirungen. Wiedemann's Annalen. II, 237 (1878). 516 L. PALAZZO E A. BATTELLI Nello stesso tempo in cui si facevano le letture, la mescolanza veniva continuamente agitata, sia per mantenere uniforme la tem- peratura in tutta la massa, sia per evitare possibilmente il fenomeno della soprafusione. Come ben appare, il nostro apparecchio ha una qualche ana- logia con quelli adoperati nei metodi calorimetrici; presenta poi anche il vantaggio, per noi importantissimo, di poter osservare at- traverso le pareti di vetro gli aspetti diversi che prende il miscuglio nel solidificarsi. Un altro vantaggio, per la regolarità nell’andamento del feno- meuo, si ha nella quantità d’acqua che riempie il recipiente esterno, la quale essendo molto grande rispetto al volume della bottiglia, vi mantiene l’aria dentro rinchiusa ad una temperatura prossima- mente costante, ad onta del calore somministrato dalla sostanza fusa contenuta nel tubo. 3. I risultati delle nostre esperienze furono poi espressi grafi- camente, portando sull’asse delle ascisse i tempi successivi, e su quello delle ordinate le corrispondenti temperature osservate. In tal modo si hanno curve (che chiameremo di raffreddamento), le quali manifestando subito all'occhio l’intero andamento del feno- meno, si prestano assai bene alle discussioni da farsi su ciascuna specie di miscugli in particolare, per potere poi dedurre qualche conseguenza d’indole più generale. 4. Anzitutto abbiamo determinato, col metodo ora esposto, il punto di fusione di ciascuna delle sostanze che facemmo entrare nella composizione dei nostri miscugli, assumendo per tale punto quello in cui la curva di raffreddamento, dopo essere rapidamente discesa, ad un tratto s'inflette per dar luogo ad un ramo rettilineo quasi parallelo all’asse dei tempi. Così abbiamo trovato : Sostanze Punti di fusione Naftalima o ine Nitronaftalina! ivi nie Stearmna st, © Cene 5 Parafinai i i. E Spermaceti >... (CX) Det Aoi08 INTORNO ALLA FUSIONE DEI MISCUGLI, ECC. 517 Abbiamo poi anche determinati i punti di fusione delle stesse sostanze, spalmandone d’uno strato sottile il bulbo del termometro ed immergendo questo in un bagno d’acqua che veniva lentamente riscaldato. Nell’istante preciso in cui lo strato si liquefaceva ren- dendosi trasparente, si notava la temperatura segnata dal termo- metro. I numeri così ottenuti risultarono sensibilmente concordi a quelli sopra indicati. Miscugli di naftalina e paraffina. 5. Abbiamo formato con queste due sostanze sette miscugli nelle seguenti proporzioni in peso : 1° Miscuglio 2 naftalina a 1 paraffina 2° » 1 » » 1 » 3 o » 1 » » I » 4° » 2 » » 5 » 5 Ò » 1 » » 3 » 6 o » z » » 7 » 7 o » 1 » » 4 » Per rendere i risultati delle varie esperienze meglio comparabili fra di loro, abbiamo creduto opportuno di introdurre nel nostro tubo da saggio sempre uno stesso peso (= 15 gr.) di ognuno di questi miscugli. Le loro curve di raffreddamento sono disegnate, nella tavola annessa. Su ciascuna abbiamo tirato due tratti rettilinei orizzontali: il superiore dà la temperatura di fusione della naftalina (= 79°,3), l’inferiore dà la temperatura di fusione della paraffina (= 52°,4). Per origine delle temperature si è preso 41°; l’origine dei tempi sì è invece lasciata arbitraria per ciascuna curva. Come esempio offriamo qui la tabella numerica che ci ha servito alla costruzione della curva del miscuglio 3°, 518 L. PALAZZO È A. BATTELLI 3° MiscueLio: 1 p. naft., 2 p. paraff. (*). Tempi | Temper. || Tempi | Temper. Tempi | Temper. || Tempi | Temper. 0% 0177°,60 || 8% [522,90 | —_—__—_____€Z< _________-|___ 0,5|75,60 | 8,5/52,35 || 16,5/45,00 || 24,5|44,55 1 |73,30 |) 9 |51,40 || 17 [45,00 | 25 [44,50 1,5/70,90 || 9,5/50,75 || 17,5|45,00 || 25,5/44,50 2,5 166,75 || 10,5|49,40 64,90 || 11 |48,70 3,5 [63,00 || 11,5|48,00 L61830 12|47050 4,5 |59,80 || 12,5|46 ,80 5 |58,00 || 13. 146,15 5,5 |56,60 || 13,5|45,70 6 |55,35 | 14 |45,40 LI 2 68,80 | 10 |50,00 6,5 [54 ,20 14,5 (45,20 29,5 1447605 NS PMMEZITE #: |53 15 || 15... 45,20, 2354/445650 DIRO | 7,5 (53,40 || 15,5 fa ,10 | 23,5/44,60 || 1° 2°[37 .50 1° Punto di fusione 539,4 2° Punto di fusione 45°,2. Dall'esame delle curve di raffreddamento e dal confronto colla tabella precedente che ci dà le proporzioni delle sostanze compo- nenti ciascun miscuglio, si rileva facilmente che : (*) Per questo miscuglio, come anche pel 4° e pel 5°, nonostante la con- tinua agitazione in cui si manteneva il liquido fuso, sì ebbe da osservare un po’ di soprafusione; ed in tali casi abbiamo scelto per punto di fusione quello dato dall’ordinata massima corrispondente al vertice del ripiegamento che fa la curva nel rialzarsi. INTORNO ALLA FUSIONE DEI MISCUGLI, ECC. 519 I miscugli 1°, 2° e 5° hanno due punti di fusione ben distinti, indicati entrambi da una vera sosta più o meno lunga del termo- metro: il primo è variabile colla composizione del miscuglio, e precisa- mente tanto più elevato quanto più grande è la quantità di naftalina rispetto a quella della paraffina; il secondo invece è lo stesso per tutti e tre (45°,2). Poichè per questi tre miscugli avviene che di- minuendo la proporzione di naftalina, il primo punto va abbassan- dosi, mentre il secondo sta fermo, era naturale pensare che qualora si fosse seguitato a diminuire la quantità di naftalina, il primo punto avrebbe finito per raggiungere il secondo. Ed è ciò precisa- mente che abbiamo trovato verificarsi pel 4° e pel 5° miscuglio, i quali presentano un punto unico di fusione (ancora a 45°,2), che può risguardarsi come risultante dalla coincidenza del punto varia- bile col punto fisso. Per altro è ragionevole ammettere che ci sia un solo miscuglio al quale spetti veramente un unico punto di fu- sione; molto probabilmente esso è compreso fra i due miscugli 4° e 5°, i quali del resto differiscono pochissimo l’uno dall’altro per la loro composizione. In seguito, diminuendo ancor più la quantità di naftalina, il primo punto torna a separarsi dal secondo; però quest’ultimo non si serba più assolutamente fisso come nei miscugli precedenti, ed inoltre qui il primo punto non corrisponde propriamente ad una sosta del termometro, come avveniva dapprima, ma piuttosto al principio di una discesa del termometro meno rapida, prodotta dalla precipitazione di cristalli di naftalina in seno al liquido fuso. Oltre a questi fatti è da notarsi il generale abbassamento del punto di fusione delle sostanze componenti, cioè: per tutti quanti i miscugli il primo punto è più basso del punto di fusione della naftalina (che è quella che fonde a temperatura più alta), ed il secondo punto è più basso ancora di quello della paraffina (la so- stanza più facilmente fusibile); anzi pei miscugli 6° e 7° entrambi i punti giacciono al disotto delle temperature di fusione di tutte e due le sostanze componenti. Se poi si ha riguardo al tempo, apparisce che il termometro si arresta nel punto mobile di fusione per un brevissimo tratto di tempo (quando si verifichi effettivamente una sosta); mentre invece il tempo per cui il termometro sta fermo nel secondo punto è molto più lungo (anche perchè la temperatura è più bassa), ed è in generale tanto maggiore quanto più cresce la proporzione della paraffina e diminuisce quella della naftalina. 520 A. PALAZZO E A. BATTELLI Questi risultati si vedono compendiati nella seguente tabella, dove nello scrivere le proporzioni delle sostanze componenti si è fatta eguale ad 1 la quantità di naftalina : NAFTALINA f. a 799,3 PARAFFINA f. a 52°,4 | COMPOSIZIONE PUNTI DI FUSIONE MiscueLIo || 7 Naftalina Paraffina 5 1 2° sÌ 3° al 4° il 5° Il 6° 1 de 1 Miscugli di naftalina e spermaceti. (. I risultati relativi a questi miscugli si contengono nella ta- bella che segue (*): NAFTALINA £. a 799,3 — SPERMACETI f. a 430,9 «ia Composizione ___| __ Punripi susione | rose ___] \aftalina Spermaceti _ ii 2o ih 1 0,25 ID 36°,6 | 9° 1 0,5 70,4 gesg i 3° 1 1 62,8 36 ,8 4° 1 9 49,2 36,9 5° 1 3 39 ,8 36,7 6° 1 3,5 369,6 7° 1 5 38,4 34,8 8° 1 6 39 ,3 33,4 (*) Per ristrettezza di spazio non possiamo dare di queste mescolanze e delle seguenti le curve di raffreddamento. INTORNO ALLA FUSIONE DEI MISCUGLI, ECC. Dl Anche per questi miscugli si vedono verificate le leggi già tro- vate precedentemente per quelli di naftalina e paraffina, cioè: Si hanno due punti di fusione distinti, uno mobile e l’altro sensibilmente fisso (medio 36°,1); il primo va abbassandosi man mano che diminuisce la proporzione di naftalina, finchè, giunti ad un certo limite, viene a coincidere col secondo. Al di là di quel limite, seguitando a far decrescere la quantità di nafta- lina, i due punti si disgiungono ed avviene per gli ultimi mi- scugli (7° e 8°) ciò che già abbiamo notato avvenire per i due ultimi miscugli (6° e 7°) della serie precedente, vale a dire nè il secondo punto si mantiene più assolutamente costante, nè il primo corrisponde ad una vera sosta del termometro. Il secondo punto è in ogni caso inferiore a quelli d’entrambe le sostanze componenti; il primo è pure sempre inferiore a quello della naftalina, e pei miscugli più ricchi di spermaceti, è anche più basso del punto di fusione di quest’ ultimo. Miscugli di naftalina e stearina. 7. I cinque miscugli che di queste sostanze abbiamo studiati, seguono anch'essi, e molto bene, le leggi precedenti, come lo dimo- stra la seguente tabella: NAFTALINA f. a 79°,3 STEARINA f. a 540,8 Naftalina Stearina Je 4a 1 0,5 18 46°,2 di 1 64,3 46 ,2 1 2 50 ,9 46,3 1 3 469,3 1 4 48,2 45,0 522 L. PALAZZO E A. BATTELLI Miscugli di naftalina e nitronaftalina. $. Per questi miscugli si ebbero i risultati seguenti : NAFTALINA f. a 79°,3 NITRONAFTALINA f. a 55°,1 lil e ea Pesi pusione | _ ||__Naftalina _ | Nitronaftalina 10 | PULA Je 1 0,5 639,5 339,0 2° 1 il 52.4 34 ,0 3° 1 165 43,2 34 ,1 4° 1 2 39:59 35,1 5° il 2,5 359,6 6° 1 3,5 39 ,3 35 ,0 Per tutti questi miscugli si ebbe nel secondo punto una note- vole soprafusione, ed è a questa che noi attribuiamo il fatto, che qui, il secondo punto, non rimane più costante se non fra limiti molto meno ristretti che pei miscugli studiati precedentemente, cioè fra i limiti 35°,6 e 33°,0. Infatti, essendo molto bassa la temperatura a cui ha potuto giungere la sostanza liquida per la soprafusione, è probabile che quando poi essa prese a solidificarsi, il calore pro- dotto non sia più bastato a riscaldarla fino al punto di fusione, ma l'abbia semplicemente portata a temperatura alquanto inferiore. Perciò la vera temperatura da prendersi per il secondo punto di fusione, sarebbe la massima fra quelle osservate, cioè 35°,6, o fors'anche alquanto maggiore di questa. Interpretata in tal modo la cosa, le leggi che i miscugli di naftalina e di nitronaftalina seguono nel solidificarsi, coincidereb- bero nelle parti più essenziali con quelle giò stabilite sopra, cioè : Dei due punti di fusione il secondo è fisso, ed il primo s’abbassa diminuendo la proporzione di naftalina fino a raggiungere il se- condo; dopo di che i due punti tornano a disgiungersi, e mentre il secondo continua a rimaner fisso, il primo prende a rialzarsi di nuovo. INTORNO ALLA FUSIONE DEI MISCUGLI, ECC. 523 Miscugli di stearina e paraffina. 9. I risultati furono questi : STEARINA f. a 54°,8 PARAFFINA f. a 520,4 ((OMPOSIZIONE PUNTI DI FUSIONE | MiscuGLIO ishcrg Pa) = si | p° 1 0,25 92°,1 45°,1 | 9° 1 0,33 51,8 47,0) ll 3° 1 0,5 50,0 46,0 4° 1 1 46°,7 9° 1 2 49 ,5 Dad 6° 1 2,5 50,0 5,4 da 1 3 50,4 5,6 TASSE AI 4 5h; 44,8 Anche questi miscugli posseggono due punti distinti di fusione. Pei tre primi miscugli in cui si trova in eccesso la stearina, il primo punto va abbassandosi man mano che si diminuisce la pro- porzione di questa; poi si ha il punto unico precisamente pel miscuglio a parti eguali di stearina e di paraffina; dopo ciò il primo punto torna a rialzarsi, e si innalza tanto più, quanto più grande è l’eccesso della paraffina. I due punti, primo e secondo, sono poi sempre più bassi dei punti di fusione d’entrambe le sostanze componenti. Ut DO PG L. PALAZZO E A. BATTELLI Miscugli di paraffina e spermaceti. 40. Per questi si ebbe : PARAFFINA f. a 520,4 SPERMACETI f. a 439,9 COMPOSIZIONE ==" DI FUSIONE MiscuGLIO rm CS -»@ ___||_ Paraffina Spermaceti ia | 2° Ji il 0,99 50°,6 2° 1 0,5 49,2 DO ] 1 415 397,2 40 1 2 44 ,1 39,9 BO 1 3 42 ,5 Questi miscugli si comportano in modo un po’ diverso dai pre- cedenti. Di essi non abbiamo che due soli, cioè il 8° ed il 4°, che posseggano due distinti punti di fusione, uno mobile e l’altro fisso; i miscugli precedenti ed i miscugli seguenti a questi hanno invece un punto unico, il quale s’'abbassa col diminuire la quantità della sostanza meno fusibile, la paraffina. D'altronde quel primo punto mobile anzichè essere un vero punto di fusione, sembra piut- tosto essere il principio di una separazione di una sostanza solida dalla parte del miscuglio che rimane liquido. Infatti, non abbiamo qui un vero arrestarsi del termometro; soltanto la curva s’inflette per discendere meno rapidamente. Il che è anche apertamente indicato dalle tabelle numeriche; diamo qui per es. quella del miscuglio 4°, tralasciando però, per brevità, le osser- vazioni fatte ai mezzi minuti. INTORNO ALLA FUSIONE DEI MISCUGLI, ECC. 525 4° MESCOLANZA: 1 p. paraf., 2 p. spermac. || Tempi | Temper. || Tempi | Temper. || Tempi | Temper. || Tempi | Temper. € ef | —T—__ |. —t [—____ |__| o» om |70°,80 || 13% |42°,50 || 261 |39°,40 || 39% |36°,95 1 [66,35 || 14 |42,10| 27 |39,30.| 40 [36,70 2 |62,50 | 15 |41,80 || 28 [39,10 | 41 [36,50 3 |58,90 || 16 |41,45 || 29 |39,00 || 42 [36,35 4 |55,95 || 17 |42,20 || 80 [38,80 || 48 [36,20 5 |58,00 || 18 |41,00 || 81 |38,60 | 44 |36,00 6 |50,30 | 19 [40,60 || 32 [38,50 || 45 |35,90 7.147,95 || 20. |40,30 | 33 |38,25.|| 46. [35,60 8 |46,00 | 21 [40,10 | 34 [88,10 || 47 |35,35 9 |44,10 | 22 |40,00 || 35 |37,85 || 48 |35,20 10 (43,65 || 23 [40,00] s6 [37,50 || 49 [35,051 11 [43,20 || 24 {39,80 | 37 {37,30 || 51 [34,90 12 [42,85 || 25 [39,60 38 {37,10 | 57 |33,00 44. Cercando ora di dedurre qualche legge generale dallo studio precedentemente fatto intorno alle temperature di fusione di una quarantina circa di miscugli, ci pare di poter legittimamente conchiudere, che : 1° I miscugli binari dei corpi organici studiati (naftalina, nitronaftalina, paraffina, spermaceti, stearina) posseggono general mente due distinte temperature di fusione, una variabile colla com- posizione del miscuglio, e l'altra costante (in alcuni casi rigorosa- mente, ed in altri casi con sufficiente approssimazione) per tutti i miscugli della medesima specie. — La legge di Rudberg sulle leghe metalliche, che noi abbiamo riportata in principio, vale dunque in generale anche per le mescolanze dei corpi organici su cui abbiamo sperimentato. 526 L. PALAZZO E A. BATTELLI 2° Il punto variabile si abbassa col diminuire la quantità di quella sostanza che fonde a temperatura più alta, e scende fino a raggiungere la temperatura fissa, dopo di che i due punti di nuovo si separano. 3° Il primo punto è sempre più basso del punto di fusione della sostanza meno fusibile, e molte volte è più basso dei punti di fusione d’'entrambe le sostanze. Il secondo punto poi è costante- mente inferiore a quelli di tutte e due le sostanze componenti. È poi da notarsi che queste leggi sono tanto più esattamente seguite quanto più ben definita è la costituzione chimica delle sostanze componenti il miscuglio. Infatti, per miscugli della mede- sima specie, esse leggi, riguardo alla sostanza del 2° punto di fu- sione, sono meglio verificate quando nel miscuglio prevale quella sostanza che ha costituzione meglio determinata, ad es. la naftalina, e quindi (come mostrano le tabelle suesposte), pei miscugli che si hanno prima, d’arrivare al punto unico. E le specie di miscugli che ci diedero migliori risultati, sono quelle in cui entra la naftalina (Co) Hy); mentre invece la specie che se ne scosta di più è precisa- mente quella formata da paraffina e spermaceti. Ora la prima è appunto una mescolanza di vari idrocarburi della formola generale CO, H,ns,, @ Valtro è, secondo l’Heintz, costituito dagli acidi stearico, palmitico, miristico e laurostearico. 42. Il fatto dell’avere due punti di fusione nelle mescolanze dei corpi organici si può spiegare in modo analogo a quello che ha fatto il Rudberg per le leghe metalliche. Se le due sostanze vengono fuse insieme in proporzioni qua- lunque, possiamo ritenere che tra una sostanza ed una parte del- l’altra si formi una combinazione molecolare, una specie di lega; cosicchè la massa fusa viene ad essere una mescolanza meccanica di questa combinazione molecolare e della sostanza che rimane in eccesso. Quando le due sostanze si trovano nella proporzione in cui si forma quel miscuglio, per così dire, chimico, questo si raffredda regolarmente fino al punto che corrisponde alla temperatura fissa. Ma se una sostanza è contenuta in eccesso, questo eccesso passa durante il raffreddamento allo stato solido; e da ciò segue l’arre- starsi del termometro sopra un punto che giace al di sopra del punto di fusione del miscuglio chimico. Questo passaggio allo stato solido avviene ad una temperatura tanto più alta, quanto più grande è l’eccesso di una sostanza nel INTORNO ALLA FUSIONE DEI MISCUGLI, ECC. 527 miscuglio. La sostanza solidificata (in cristallini nel caso della nafta- lina, ovvero sotto forma di fiocchi o di precipitato polverulento nel caso della stearina e della paraffina) rimane allora meccanicamente diffusa nel miscuglio chimico ancora liquido, finchè anche questo, assumendo ad un tratto aspetto pastoso, si consolida e cede il suo calore di fusione, con che viene prodotto l’arrestarsi del termometro nel punto fisso; questa sosta dura tanto più a lungo quanto mag- giore è la quantità di lega che si è formata. Questa spiegazione s'adatta abbastanza bene per quei miscugli (che sono la maggior parte), nei quali vi ha nel primo punto di fusione un vero arrestarsi, ancorchè assai breve, del termometro ; ma anzitutto per accettarla è necessario ammettere che la sostanza eccedente, uniformemente distribuita nel miscuglio chimico, abbia il suo punto di solidificazione abbassato; e di più è da osservarsi che, conforme a quanto avviene nelle leghe metalliche, anche qui, se pure il termometro si arresta un certo tempo nel cosidetto primo punto di fusione, la temperatura va poi abbassandosi fra il primo ed il secondo punto in modo da indicare che anche in questo pe- riodo avviene un continuo svolgimento di calore, e quindi una par- ziale e graduata solidificazione della sostanza eccedente. Per quei miscugli poi, in cui non abbiamo più nel cosidetto primo punto una sosta effettiva, ma solo il principio di una discesa più lenta di temperatura, parrebbe più probabile addirittura quella stessa spiegazione che è stata proposta da E. Wiedemann per le leghe metalliche, e di cui si è fatto menzione in principio. Vale a dire la sostanza in eccesso non sarebbe meccanicamente mescolata col miscuglio chimico, ma propriamente disciolta, e quel cambia- mento repentino nella curva di raffreddamento sarebbe dovuto al principio di una precipitazione della sostanza in eccesso in seno al miscuglio chimico avente un punto fisso di fusione, e che ancor rimane allo stato liquido. Questa separazione continuerebbe ad ef- fettuarsi fino a che la temperatura non abbia raggiunto il punto fisso, precisamente come avviene nella soluzione di un sale, la cui solubilità si abbassi colla temperatura, quando venga raffreddato in un ambiente al di sotto di 0%. Anche una tale soluzione si raf- fredda dapprima con rapidità, sino a che avviene la separazione del sale, la quale, pel calore che vien posto in libertà, ritarda al- quanto il raffreddamento; e ciò si fa in modo continuo finchè non si solidifichi anche il solvente, ed allora la temperatura rimane lungamente costante in un punto fisso. 528 L. PALAZZO E A. BATTELLI - INTORNO ALLA FUSIONE ECC. 43. Finalmente, ad imitazione del Rudberg che studiò anche qualche lega ternaria di metalli, abbiamo pure voluto fare delle prove su alcuni pochi miscugli formati di tre sostanze; ed i risultati furono i seguenti : NAFTALINA f. a 79°,3 - PARAFFINA f. a 52°,4 - SPERMACETI f.a 483°,9 CoMPOSIZIONE PUNTI DI FUSIONE MiscuGLIO! || #7 r n — | —_ Naftalina Paraffina Spermaceti IERI nr o de 1 1 1 51°,8/40°,2|]33°,0 2° 1 2 2. |[40°,5138%,5|33%,0 3° 1 1 2 ||40°,0|37°,8|349,0 Qui, com’era da aspettarsi, abbiamo non più due, ma tre punti distinti di fusione, l’ultimo dei quali accenna a rimaner fisso. Chiudiamo questa nota ringraziando vivamente il Ch.®° Pro- fessore A. NAccARI che in tutto il corso del lavoro ci fu largo di suggerimenti e di aiuti. Dal Laboratorio di Fisica dell’Università di Torino, Aprile 1884. Ù BRIBSTLioa «n d, Bei... | mn LI #71, ‘ sf fast { Li e A e a] ato € srt; Sant® Pit Tagli Li MOLLA (141 a riuto! t 5) Paraffina Naftalina- n =; Ò v E O v ° + A » E a ® o v L pra bag a E o v > L È) (°) Il Socio Cav. Prof. Alessandro DorNA, Direttore dell’Osser- vatorio astronomico di Torino, facendo seguito a lavori dell’ Os- servatorio presentati all'Accademia precedentemente, presenta la seguente sua Nota: PRIME OSSERVAZIONI CON ANELLI MICROMETRICI ALL’ OSSERVATORIO DI TORINO NOTA sulla determinazione dei raggi degli anelli micrometrici con stelle. Cogli oculari con anelli, applicati nell’occasione della cometa Pons al cercatore di comete, avendo, come dissi nella Nota precedente, osservate alcune coppie di stelle che pure determi- nano i raggi degli anelli, trascrivo in questa seconda Nota le osservazioni ed i risultamenti che ne derivano, ed alcune traccie dei calcoli fatti per trovarli, con qualche ricerca che mi sembra interessante. I Anello micrometrico semplice. Nella sera del 13 Gennaio osservai due volte le stelle 8169 BACGr. 5% 8170 BAC Gr. 6 del catalogo della Società di Londra. Alla prima di queste 8 e 9 della costellazione dei Pesci, nell’opera di Heis è pure as- Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XIX. 35 5530 ALESSANDRO DORNA segnata la grandezza 5, 6, e la seconda non è menzionata. Il cielo essendo purissimo mi parvero di 5° e 6°, 5° grandezza. Osservazioni. OSSERVAZIONE 1° OSSERVAZIONE 2° O ®îv'Toùhtm o —————_——__—_—€—YTTm___mess- TTT Pr—P——cCcnmreeee rt 8169 8170 8169 8170 (nord centro) (sud centro) || (nord centro)| (sud centro) gh gin 4g* | otoan ati Rea a 21 50 22 14 25 16 25 36 23 59 24 17 Sa 19 27 39 24 10 24 50 Ova 27 5l Medie 2 22 56,75] 2 23 15,75|| 2 26 17,50|2 26 37,25 Andamento del pendolo siderale a mezzodì vero. 13 Gennaio 19° 39" 55°, 32 correzione . . . — 1" 38°, 92 dd Gi Asa Pa allo 14 Ritardo in un giorno — 3,42 Gli elementi per la riduzione della posizione media delle stelle nel catalogo alla loro posizione apparente nell’ora del- l'osservazione sono questi: 551 STELLE MICROMETRICI CON ANELLI DEI RAGGI DEGLI PeEe6°0 68860 ( 30] CR AZALO U 1176 6 jp 50] 18866 61886 30] U FEGGI U ESGGI RAI GOLGI q 50] U 860L°L U GEL8°L u €890°8 “ 9120°8 q 30] “ 002860 \% LTS8°60 y 30] U 78896 | 88£9°6 TLI8°8 0218°8 si GI ni OIBUUO) ZI OVOUCZZIN 040620 07 6 E do 018 DE: 0-+ 620 0-7 dI 6077 9988,69 DTT o1e]jod ‘9StI(] 800-.0-+#10600-0=|-690: 8 llPzoSs61ss “ -04L8 01050 +|18000—| 690° 697 Iw6I18G|OVA 6918 ortdo1d Q1V]000S enuug VFZAI oT10a8 CONTONA\I QUOIZELIB A |dUOISSO0OIT| QUOISURISY 532 ALESSANDRO DORNA Per la riduzione della posizione media al principio del 1884 usai la formola del BAC Y ES (+e+s% 3) in cui p è la precessione, p il moto proprio, s la variazione secolare di p, ed y il numero di anni trascorsi. Per la riduzione della posizione media in principio dell’anno all’apparente nella sera del 13 Gennaio, adoperai le formole dello stesso BAC: [2])... Ada+Bb+Cc+Dd. per l’ascensione retta Aa'+Bb+Cc+Dd' per la distanza polare. Ho così trovato le coordinate apparenti: Stelle Ascensione retta Declinazione 8169 BAC 201209108 PORRO | 8170 »> 23° 21 180415 PF0 29056 59 | Dalle medie dei tempi dei contatti, trascritte più sopra, corrette del ritardo del pendolo, risultano, sottraendone le ascen- sioni rette delle stelle, gli angoli orari del centro del micro- metro nelle due osservazioni: | Stelle Osservazione 1° Osservazione 2° 8169 BAC 3h -QuET765 3° 83m 886, 40 SUTTON E RI III Re 21) 9.999,99 Medie co gi line MI 3 3. 38,86 i 45% Ad 20° 44° 54', 48" (1) DEI RAGGI DEGLI ANELLI MICROMETRICI CON STELLE 5383 Con questi e colla latitudine = 45°4'8" ricavai dalla formola forca. tan N=cotqcost, i numeri N=35°9"53" e. 84%45' 52": e dedussi, usando il coefficiente %' —=57" della rifrazione, dalla formola — k' sen (0 — d) [4] SORIA e (£ 23) di per entrambe le osservazioni, la correzione 0",4 da farsi alla differenza della declinazione, 0'—0; in modo che tal differenza, tenendo conto della rifrazione, è (0'—d)—=—8'9,7. Trovata N colla [3], è facilissimo avere le correzioni a d e d' per la rifrazione colle formole PILE __ Woot(d +); odio k'cot (d'+ N). Queste correzioni nell'esempio attuale sono rispettivamente uguali ad 1'19°,1 ed 1'19",5, la cui differenza è appunto 0,4 data dalla [4], che è una espressione approssimata della formola più esatta fia h.. R' cot(0°4+ N) — k'cot(0 + N). L'uso della [4"], ossia della [4] e [4°], invece di fare ricorso alla [4], è inoltre conveniente per la circostanza, sic- come non è difficile dimostrare, che è più esatto (tanto con os- servazioni ad est che ad ovest) il calcolo delle quantità 1 e p' delle formole seguenti, applicando alle declinazioni 0 e 0' le rispettive correzioni [4'] e [4°] per la rifrazione. Cercai inoltre le correzioni per la curvatura delle traiettorie delle due stelle nell’anello, espresse dalla formola 1 vene i dA pf: B..1 + 3 5en 1 (p—p)(+p)tan 3 (+0) , 15 ta fog, p= = 700sì pat cos Ò 534 ALESSANDRO DORNA essendo 7 e 7 gli intervalli di tempo siderale trascorso fra i contatti di ciascuna stella con ciascuna periferia dell’anello. In entrambe le osservazioni, essendo t=147°, 7 =148°, la corre- zione è la stessa, ed insensibile perchè =0",0004. Nel Briinnow e nel Chauvenet, per calcolare il valore nu- merico r dei raggi dell’anello micrometrico con stelle, sono ri- cavate le formole - p'+p pp a_d Li tan A=T—- B=- ig n aa [7] "n d—-d Pi d_-d fa cos A cos B in cui d' —d è la differenza (0°—0) più la correzione [5]. Ivi, per dedurre le formole [7], si suppongono le stelle a nord e sud del centro dell’anello (circostanza favorevole per la pre- cisione di x); senza dichiarare che le formole trovate sono ge- nerali, dopo averle dedotte dalle fondamentali p=rseny d=rcos] A SRe p'=rseny' d'=rcosy inesattamente, ponendo fhjaiazio! d'-d=r(cosy4cos7) . Che le [7] siano generali è manifesto per le seguenti ope- razioni fatte sulla [a] (senza alterarne il significato scrivendo la [5]) p'+p.=r(seny'+ sen 7) u'—p=r (seny — sen 7) d'—d=r(cosy — c087) A'+B'=y°; A-B'=y p'4 p.=2r sen A' cos B' p'— p.=2rcos A' sen B' d'-—d=-—2rsen A'sen B* ) id ) ti, died RES lan fi ip Ste r=- ia pes p+p 2 sen A sen B A'—=—-90°+ B B'—=90°+ A. - Le formole generali [7'] sono precisamente le [7], e fanno vedere che osservando a nord e sud del centro stelle, le cui declinazioni differiscano di quantità sempre meno diverse dal dia- metro dell’anello cresce la precisione del valore di » dato dalle formole, perchè p' e 1. tendono entrambi verso zero e, per con- DEI RAGGI DEGLI ANELLI MICROMETRICI CON STELLE 5935 seguenza, il valore numerico del denominatore di », verso il suo massimo valore. Colle formole [6] e [7] facendo d'—d=— 8'9",7=— 489,7 ho trovato i seguenti valori pei raggi dell’anello: Osservazione 1 dei 53.1 1A 58P71 » 2 TE 1 6 Nella sera delli 23 Gennaio osservai una volta le stelle della Balena: S3OMTCBrA Cor. 7 eZ Gr 0, Mi parvero di 6°, e 4°, 5° grandezza. Nell'opera di Heis alla seconda è assegnata la grandezza 5, 4 e la prima non è considerata. Osservazione. 8327 BAC (sud centro)| 21 BAC (nord centro) 2 44% 565,5 De 45 15 08 12 460 45 59 42 fp) cal 59 59 Medie 2 45 59,375 DSi od 29 Andamento del pendolo siderale a mezzodì. 23 Gennaio 20° 23" 6', 94 correzione ...... LUO AT 25 » 203 421 DOO sala ZI 20,48 Ritardo in due giorni — 791 ALESSANDRO DORNA | ieoio. IS6g 6. 6131 617600.) 3888°6| 69831 gq 50] O S0] q 30] FO6L'8 | “ZZOS'I| 62.776 “60198 | “6IOS'T| 9LS7°6 jp so] P 30] Q 30] v96888| P9I8F0| GIFO‘L 30088) S687°0 | USESF'L p so] 2 SO] q 0] wOFIOT L300°I UA uGPTI6 “9096 LIP8°8 Cep88 v SO] n Se ‘2])92S 2))9p Quorznpra 0) 49° quia) « (ra « OTBUUOt) Gg 9FJOUEZZo | Rie 0 LOTO = LO 0. 8105 000 #00 0 — |S800- 0 P90° 8 eIL0:0 #1 [9600012280558 orrdo1d | 180008 QUOISSODII] 03ON | QUOIZELIBA PILE LI 0a “TE PFS,07090I|O7 A 4688 o1e]jod ‘9stq C9°2E e 0 SETT GF7'18eu098C|/O7VAT 2388 VOI MR ISIIR:S QUOISUOOSY | DEI RAGGI DEGLI ANELLI MICROMETRICI CON STELLE DOT Colle [1] e [2] trovai le coordinate apparenti : Stelle Ascensione retta Declinazione 823% BAC 94 oso 8 (9h 10 (O 291 >» 0%. 5 e2l. bi = 0 0a 2 Media È —42° 50! 36°. Con questo, dedotto dalla [3] N=36° 11/4", ricavai dalla [4] la correzione — 3',34 da farsi alla differenza delle declinazioni per la rifrazione; in modo che tale differenza corretta è: — 23 08 Colle [4"] si ha pure 155°,93 — 159,27 =—3°,34. La correzione alla differenza delle declinazioni, per la cur- vatura , che ho calcolato colle [5] e [6] è =0",01; in modo che per il calcolo dei raggi colle [7] feci d'= 1 Ratio; 14,5 23 Gennaio 41... 12,8 4 Febbr. Osservaz. 1 TERE VAS | » 2 14 5 14,4 » 3 145 14,3 | » 4 C4A°TT 14,4 Colle sette osservazioni risulta meglio determinato il raggio maggiore dal minore. Il primo avrebbe il valore numerico 18'55",6 coll’errore probabile 1",4 ed il secondo il valore 16'4",0 coll’errore probabile 2", 8. I residui delle osservazioni relative al maggior raggio sono —2%,5; —2",5; —4,3; — 60,8; +3",5; +3",5; +8",8 e l’errore probabile è 3°, 7. I residui delle osservazioni relative al raggio minore sono — 5',9; — 77,4; -—‘12"72 P490,7, €55; — 0,0. eee aa babile è 7°, 4. Ma ho detto, che credo di dover tenere solamente conto della terza delle quattro osservazioni del 4 Febbraio (pel tempo poco favorevole e per le irregolarità dei contorni dell’anello micro- metrico in quella sera, cagionate da materie depositatesi acci- DEI RAGGI DEGLI ANELLI MICROMETRICI CON STELLE 545 dentalmente sul vetro che lo porta). Da quell’osservazione e dalle tre dei giorni precedenti mi risultarono, pei raggi, i valori: 18' 54", 2 coll’errore probabile 1", 1 TGR , 100. E le rispettive osservazioni hanno i residui — 1°,1; — 1,1; — 25,9; +4',9 coll’errore probabile 2",3; e +2%,0; +0",5; — 4°,3; + 1,9 coll’errore probabile 2°, 0. II. Doppio anello micrometrico. Nella sera del 12 Gennaio, in cui la cometa Pons era vi- cino alle stelle f e y della costellazione dei Pesci, ossia alle 8031 BAC Gr. 5 8105 BAC Gr. 4} (che Heis giudicò di Gr. 5,4 e Gr. 4) la riferii a queste col doppio anello micrometrico; e da due osservazioni posso anche de- durre i valori angolari dei raggi delle quattro periferie, come segue. Osservazioni. OSSERVAZIONE 1* OSSERVAZIONE 2° 8081 BAC 8105 BAC || 8031 BAC| 8105BAC (nord centro) (sud centro) || (nord centro) | (sud centro) da: 30 323 3°40"42s LA NAV Sa | 27 48 40 57 2 21 15 23 396188 42 16 3 45 16 40 29 28 42 37 49 16 59 81 31 44 44 o 49 19 23 S1 53 45 5 6 13 19 42 55 10 46 22 7 36 20 56 33 26 46 38 7 58 21 12 Medio 3 30 29,50 |3 43 40,125||4 4 58,75|]4 18 10,375, Andamento del pendolo siderale a mezzodì vero. É2 Gennaio. . ....1.... Pda 0982005 — 1” 356, 15 ole tiena 1.) SAMI SMR ME —1 38,92 Ritardo in un giorno — 3,77 Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XIX. 36 ALESSANDRO DORNA 546 6886°0 69L3‘1|%LT9S8°0 SL LLOGL * P7E6‘0 q 801 008361 |%8888°0| oreuuop TI 9330UVZZe]{ T 801 F 30] O Oa o) e AE 00°0 Gel 0- 860 |, PI 70098 OPE 808 uG0IFE‘6| USIGZI | V8T69°8 | UFIF79'6 TIT | “180281 UTIS96 u L88796 PS] 2 SI 30] D SO] Q1e]od ‘3SI(] 68 Sa 6 sg, » 23 36 42,39 | —15 11 0,2 8288 » 23 44 34, 63 | —15 2 57,7 829%» 23 46 32,37 | — 14 53 59,0 L’angolo orario del centro del micrometro mi risultò : ©] Dalla 8232 BAC O » 8246 » di dii 4 » 8288 » 90120 LAY24 » 8297 » di l2i dlE69 Medio SOZOLAIT AS t,=45°33'37°,2. Combinando due a due le quattro stelle, si possono cal- colare i quattro raggi delle periferie degli anelli in sei maniere. In quattro delle combinazioni le stelle attraversarono il campo del cannocchiale a nord e sud del centro, e sono queste: Coppie I. 8232; 8246 differenza delle declinazioni — 19' 11", 2 Mi 8288: 8297 » na INIL - 8232; 8288 » 2 ol AS INS ‘8246: 8297 » EI 20% Nelle due altre combinazioni le stelle attraversarono il campo dalla stessa parte del centro e di queste passò al sud la coppia : V. 8246; 8288 differenza delle declinazioni + 8" 2°,5 ed al nord la coppia VI .1 323258204 » =—-2:10.,5 554 ALESSANDRO DORNA Per ciò che dissi nell’articolo precedente le prime quattro coppie di stelle sono preferibili alle due ultime per la ricerca dei raggi; tuttavia non mi parve superfluo trovare colle formole [6] e [7], che dimostrai essere generali, anche i valori dei raggi colle coppie V e VI. Col #, scritto più sopra trovai N=34°56'2",0 colla [3], e dalla [4] dedussi le seguenti correzioni per la rifrazione: Coppia I II III IV V NE TAR O rd * le declinazioni avendo prossimamente il valore numerico di 15 gradi, nell’ordine di approssimazione di 0",1 non è trascu- rabile la correzione per la curvatura, la quale colla [5] è spe- ciale a ciascuna delle quattro periferie. Ho fatto questi calcoli per le sei coppie di stelle e trovai le seguenti correzioni (scritte in ordine procedendo dalla periferia maggiore alla minore). Coppie | IC Correzioni per la curvatura qui pog'ilgl sip 7426 gt e einen) II QI 8 INI 4.01. +08. See Ti MORA bona 100) 09 e V — 0,6], — 04 SR eo. VI LO OLI0 0,0 gh Fatte queste correzioni alle differenze delle declinazioni dopo averle corrette per la rifrazione, risultano i seguenti valori di d'-d per calcolare i raggi, applicando le formole [6] e [7]. DEI RAGGI DEGLI ANELLI MICROMETRICI CON STELLE Coppie di stelle ut Ur UU Valori di d'— d. ANELLO MAGGIORE ANELLO MINORE RR ge Gi AT SI periferia | periferia | periferia | periferia esterna interna esterna interna —————+ -5-=z=z-r-—-.—_—_-| —1147',9)—1147°,8}/-—1147°,8)-—1147°,8 + 536 ,7/+ 536 ,6|+ 536 ,7|4 536 ,7 — 667 ,0|— 666 ,8|[— 666 ,9|— 666 ,9 +1017 ,6|4+1017 ,6|+1017 ,6/41017 ,6 + 480 ,7/+ 480 ,9/+ 480 ,8|/+ 480 ,8 — 130 ,3|— 130 ,2|— 130 ,2|— 150 ,2 Con queste differenze ricavai dalle [6] e [7] i valori della seguente tabella contenente tutti i raggi calcolati: 12 Genn. oss. 1? », 2° Medie 47'14",8 | 43'34",2 | 26'29",8 | 22'36",2 47 32,4|4343,6|2681,1|22 39,5 47 14,2| 43 45,3 | 26 36,4| 22 32,7 47 0,8|4356,5|2640,4|2227,9 47 21,1|43 54,6|26 38,2|22 35,5 47 4,6|44 1,1|26 40,6] 22 31,5 4727,9|4343,7|2638,2|2235,3 47 29,9|4243,7|2649,4|2220,3 48 0,243 59,9|26 88,4|2237,9 47 22,8 | 43 42,5 | 26 38,1 | 22 33,0 556 ALESSANDRO DORNA A queste medie dei raggi corrispondono i residui : 12 Genn.oss. 18|:— \8",5.4 8 RR » 24 19,6] L44005 TIA — 8,6/+42,8|— 1,7) 0,3 22 >» coppial|—22,0/+14,0|+2,8|T— 5,1 I—- 1,7]/+12,1|40,1/+2,5 III l.-—18,,2|/+4+18;, 6/02 eee IV|4+ (5; L1|[#+.1., 3/50 TIM V|+7,1|-58,8|4+11,3|/-12,7 VI|+37,4|+17,4|+0,8]|/+ 4,9 Onde i seguenti errori probabili delle singole osservazioni e delle loro medie, ossia dei valori più probabili dei raggi ala: TOO Moe SENTE 4", 0 delle osservazioni delle medie stag sona n) 1,3 I raggi dedotti dalla coppia IV differendo poco dalle medie di tutti, ho scelto gli elementi di tal coppia per calcolare colla [8] il massimo errore che può essere cagionato nei raggi per lo sbaglio di un secondo in ciascuno dei tempi osservati, ed ho tro- vato pei quattro raggi (procedendo dal maggiore al minore) i numeri 15",3; 14",8; 14",8 e 15',1. Per le due periferie dell'anello più piccolo nessuno dei residui è inferiore a questi limiti; ma per l’altro anello, eccedono tai limiti tre residui relativi alla periferia esterna e tre relativi all’interna. Questa circostanza mi indusse a calcolare i limiti suddetti anche cogli elementi delle altre osservazioni, in riguardo all’ influenza che hanno su tali limiti la posizione delle stelle nel micrometro e le loro declinazioni; persuaso che avrei trovato dei limiti d’errore più grandi; ottenni infatti colla (8] i risultamenti che seguono : DEI RAGGI DEGLI ANELLI MICROMETRICI CON STELLE BOU Errori possibili nei raggi per lo sbaglio di un secondo nei tempi. 12 Genn. oss. 1*| 14,1 139 PICSS 1075:3 » 2° kia dl 19 DI MES 10,4 ISORAE, 14,6 IL E T470 EDGAA Ta PA AC UST OVE E e To LEPORE godo i LOL La e III 14,4 16,8 14,4 14,2 IV bbs9 T4 +8 14,8 De gl WE lsskodiiiolris@ 5a Aoc — 38602 MESEELS 50,0 14,9 32,8 17 Aprile 1884. 558 ALESSANDRO DORNA Lo stesso Socio DoRNA presenta inoltre all'Accademia, per l'annessione agli Atti, le Effemeridi del Sole, della Luna e dei principali Pianeti, calcolate per Torino in tempo civile di Roma per l’anno 1885, redatte dall’ Assistente Dott. Angelo CHARRIER. EFFEMERIDI DEL SOLE 55 Gennaio TEMPO MEDIO DI ROMA DECLINAZIONE | TEMPO SIDERALE ® CRI = mere ir) a DI TORINO © È Nascere Gi Tramon- a dì x ù RezEaO = sneridiano tare mezzodi vero medio di Roma h m bifoes h m h m s 1 8° 0) |t0 22) 59:70 4 46 | 220 58'16"5A| 18 26 4-19 2 BOO 23 27 -64 ANTA, 99° 59205210 18 30 0-76 dI SUO 23 55 :21 4 48| 22 47 03 1899731 4 8 no 24 292. 41 4 49 | 22 40 414 1810705387 H) 8.0 24, 49:19 4.50 | 22 33 555 18 41 50:42 6 SARO 925 15-51 40510) L22MO6N4A2E:8 18 45 46:98 7] 820 25 41 ‘38 4 52 | 22 19 3‘6 18 49 43-54 8 59 26 6-77 ARSA 22 1 OND7:9 18 53 40:09 9 Ho9 26 3163 NO Dal 1808573665 10 o9 26 55 ‘96 4 56] 21 53-28-5 191932 il TE R19IL7O era 21 440513 19529176 12 TDI 27 42-89 4Q00SR| CITIES EG 19) 9. 12632 13 7 07) 98 5:45 AURON 20 ARS C0 19 13 22-87 14 57 28 27-38 ATO Met] 190 447M9r43, 15 VIMIDIT 28 48 ‘64 ASA N20 108 19} 421 A1'5:99 16 7 56 99021 5° 3% 20) 505459 1025254 17 ADD 29 29-08 DINA 0NSIANA:83 19009299110 18 7 54 29 48:22 5 6] 20 26 40‘1 19 33 5:65 19 Ta) 30 6:62 DIA R20D149128 199700002594 20 Yo? 30 24 ‘26 9A |20NR1012:9 19,40 58°77 21] 7 51] 3041-12] 5 10|19 47505 | 19 44 55:32 22 7 50 90157621 FIRMO R34NMN5,0 19 48 5188 23 I 50 S1 12-48 5A LIMO N59r9 19 52 48:43 24 7 49 ZI 26-94 DIE N4N| 1953256 19 56 44:99 25 n 48 31 40-59 5 15 | 18 50 44°3 20 0 41:55 26 048, 31 53 ‘43 o 16 | 18 35,95c5 20068838 R10, 27 TAC t7] 32 5:43 5 18 | 18 20 6°5 2018 34:66 28 UEGAO 32 16 ‘60 DAR? 0, STATO? 92040123121 29 i 45 32 26 ‘94 521704895 20516274957 30 1 44 32 36 ‘45 5 N99 01703104214 20 20 24:32 31 7043 32 45-14 d 24 | 17 24 566 20 24 2088 60 A. CHARRIER Febbraio rT———T_m_—_———_— Passaggio al DI TORINO a mezzodì medio di Roma a Nascere GIORNO. | del Mese Se: ì Y RESA mezzodì vero 160 57'52"6A 17-43 13-98 10-54 7:09 365 Gta 151) 0-20 56 -76 53931 49-86 46 ‘42 4 1997 TEMPO MEDIO DI ROMA DECLINAZIONE | TEMPO SIDERALE Ei er "he 49 | 11 27 48 21 35 18-84 19| 7 16 sa: A°SI 51 | if. 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CHARRIER — SOLE — Agosto SE TEMPO MEDIO DI ROMA DECLINAZIONE | TEMPO SIDBRALE = eine e o DI TORINO i p & 5 î x © ® | Nascere PA 5° | rramon- ao a mmpizodi DS enicianO tare mezzodi vero medio di Roma RL A ee lia) h m s 1 DID. 0 1250 2135 [7 45) 75 6/5 | MRI o 0 REGNO NIRO 24 58:28) 7 43 | 17 40 394 8 25 50132 SOUR 7 24 53-64 | 7 (42 | 17 2000072 8 29 46‘88 DO 2474849 7 407 CO 8994343 Ao 10 DAVE 630 7039 652008 oi o SEE) 6 511 924 '36%370| "7 138.1696424 8 4l 36:54 7 DES? 94° 99°39 | 7 136 | (16 M19Sot7 8 45 33:09 I E 94 31°82%) 7 #35 |M 8 49 29:65 ORMONI. 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CHARRIER — LUNA — GIORNO del Mese Do IOTAaLIe 10 Luglio TEMPO MEDIO DI ROMA 3 assa((]l dI EATER Pas 3) 0) Tramon 22 SE tare È meridiano no) h m h m h m 10 e 20 SMS =24| 19 107 49| 3247] 9224/20 TA 232) MORS24 0 WIR 1261 099 ——|6 2] 0230|23 0316| 6 50| 1535|24 DE=t50) MZ MOZZA 005 197 SN) 352596 STOUT LOrce3.|o DO 5) SI ONNSSING 8| 28 4 DA ez 8| 29 5 d9 10298 8 6 22 pags, reo SETA RD 00 SAA9) BS MMSOIRIO Dc 10 IRR) MONES5I MO (OI BRIGA ia LI) LEI ld DES oo) i SI GRRAZIZ 8 9 ia0 pi alito) Ha SM 120) NONE MO 4 14| 9 7 2000 5 64M 509 0| 12 3 IIa 44018) 6837409] MS SS: BE MM 6 ARS ao ri SL MO sii Se SH SS 1 MIGONE) 17 Soi isso] 774 08 GA) Mes SMS M9 Oglio VISSE Si Zo Ultimo quarto il 5 a 1h 15" di sera. Luna nuova Primo quarto il 19 a 1 9 di matt Luna piena ii e A MALE il27/0a 3042 dNimatt Agosto v| TEMPO MEDIO DI ROMA Di 9 Hi i e E 3| SR Passaggio! 7 £° | Nascere 31) (RL, = d meridiano tare va) h m h m h m 1 [10219] 48 0|10=21|21 2|10551| 4=47|11224| 22 3 [11 26 |P5S85 00 00035 DO 6096101897024 5| 0 sd 7 20] 234195 6 05 SZ 7) 137460946 (0%) toi) MEC MORTO 2 Cso 7 (il cal9 6 36| 29 10] 5 9| 0218 7 17/30 VA ROSA EI e ez 19M ISS OS 22 13/849! 3 i 9 AS 14 || 09) 581559 e a 15 (11 6 aio e 16] 05 9| 5 28|10 43) 6 17; EMO NO ME ei 207 18. 2 ANDA SIL MES Log Ozio IRE 9 20] 3 50| 8 38| 0Z41|10 21] 4 35] 9 25] 1529/11 993 I 190) MMS O 93.5 5211058) RSI D4 60 29 EA A O RIE 259] 6 56 5 10) 15 26| 7 26| 0229] 6 10|16 977 54 ee oe 98. 8 0459) SIA US 99.08 55 2 459/09 IZ 200 NT De SM 23120. 31 |10 IZ ARA 21 Ultimo quarto il 3 Luna nuova il 10 Primo quarto il 17 Luna piena il 25 toh 45" di sera 2 6 3 36 15 di sera. di sera, di sera EFFEMERIDI DELLA LUNA Bi Settembre v| TEMPO MEDIO DI ROMA | n ce . 2 ASSa(]( ‘ n Pi 57 Mandare Pas aITiO Tramon =È È meridiano tare | usi h m h m | h m 1|10747| 5514) 0233|22 27 [AES GIS 9| 153823 8) ione: N28 24 4| 0 = 35 | 8 ASD H) eaSzA|TE 4| 4 26] 26 6| 2346|10 Die La 97 7) 3. 5910 59| 5 50) 28 Si I5AN68 9729 SIM 695: Ori 1 Il reze 2601397 3452 LO Za |) 0 6| 3 LORO 52 SS 40. 4 13|10 55| 4 FONT io I4|11_56| 4 56| 9 55| 6 Ion. 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Ottobre | TEMPO MEDIO DI ROMA Ca 9 = y*To ==> S gi SÉ dass: | s E 3=| Nascere hg a1gi0] Tramon- csi SI meridiano tare usi h m h m h m 1A IMEZIO 8) 558 | te30)|125 2 6 56| 2° 21| 24 3| 0 2 SARO) 03 6|25 4| 1242] 8 48| 3 46|26| Deliioto 546904349407 614 410 35) 4 57| 28] “o di R2.6, DI 301129 SUR A2A MONZA 3 1 ONA7A88 este N60036182 103288883 MESS LIO NNO A 25617494 10 MORN40| 335830) LORIS ZERO MOIRLICIO 14 0524 STINO OI 15 INS 0) MONS 16 1A 7646) L15000 rr Orzo 9 10 18] .2 56/8. d7| 0:=47 It 1993 27.59 2| 1246/12 20 3 56] 9 48] 2347] 13 21] 4 26|10 32| 3 49|14| O RIO SAS) DIE ORTO 26 5 59] 16 24 | 6 4| 0 = 7 6110107] | 23 LO AI ea A4|8 19 2607 30013589 22/019 7 NS 23: 2955: LOT 1261/8208 ORIO alt 0632) 299/10 26| 4 51] 0 £220| 22! 2.033 5 8| 15 6|23| si 6 44| 1 48|24 4 [ Ultimo quarto PA a 0h 18" di sera. Luna nuova l 8a 8 21 di matt. Primo quarto il 16 a 2 10 di matt. Luna piena il 23 a 10 12 di sera, Ultimo quarto il 30 a 6 47 di sera. ) 76 Novembre | TEMPO MEDIO DI ROMA |55 ssaggio] A (Z| Nascere Pa di ; Tramon © menti tare h m h m h m 1|0=52| 7=37| 2225 2 1252| 8=29| 2 = 59 lesa 0 sN Sio Slo 5145 17110 581%£*33 ele 21 47/5 7 5.9 6|0=-3715 43 8| 8 17|1132926| 6 24 9]%9 Sio << gl: 4g Fo140. 147/53 3: «4 ur Sila sie l12|11_45| 4 40| 9 39 |13| 0222| 5 26|10 35 14| 0256| 6 11|t1 32 sli 27/6 55 16| 1 56| 7 39| 03 17| 2 24| 8 24| 123 tig |/2t.54j1 9 11/93% l1o| 3 24| 9 59| 3 3 !o99| 3 58|10 51| 4 4 21] 4 S6li1 45] 5-5 129| 5 20 7 |231 6 12| 0542| 8 1 (2407 10/1529 4 {ia5| 8 14| 2542/10 1 ‘96|9 23/3 42/11 (27|10 33|4 39/11 _5 loglit 43| 5 35| 022 | 29 6 az = \30 0353777 41745 3 | | Luna nuova il 6 a Primo quarto il 14 a 10 | Luna piena il 22 a 10 | Ultimo quarto il 29 a _2 49) 29 HM OL O) 0 i 0 AVRO Salto GIORNO della Luna gh 52" di sera. di sera. di matt. 46 di matt. GIORNO del Mese © DI Ot 19 — Luna nuova i) A. CHARRIER Dicembre TEMPO MEDIO DI ROMA Cosi ———on o Se ___—-, a Passaggi ; Nascere | © LE Tramon meridiano tare h m | h m h m 25 0| 8 6| 235 35 7| 8 54| 2235 4 © f'L.°9) 490 38 5 16/010 3 ae43 6 I7i1 190450830 "16100720960 8 10| 0358[| 5 47 8 It “6.06 056 9. 43999 10: _ 22057 208084 10: Cage 6| 9 5) li 2976 Ab0MOdo If 98/05 400005 0=26| 6 17 0554| 7 2| 0£15 i 930708 05450 194 | OSS: 265 979299 98 esi 3 9/10 24| 4 39 3 5611 023 SS 4 TS 6 56 5 54| 0Z24| 7 59 7 4| 1=26| 8 .56 8. 17) to'stog et 44 9 (2915352640025) 10 ALI TASSA 5 11: DL LE ASSS 6 4| 0210 0=59| 6 53| 0240 os'4lt Solo: do 8 2705 GIORNO della Luna 6a 2h 6" di sera. Primo quarto il 14 a 7 Al di sera. Luna piena il 21 a 9 48 di sera. Ultimo quarto il 28 a 4 41 di sera. ECCLISSI. 577 ECCLISSI (1885) 16 Marzo. Ecclisse annulare di Sole invisibile a Torino. 30 » Ecclisse parziale di Luna in parte visibile a Torino. Uscita dall’ombra . . .. .. 6° 59" pom. Ultimo contatto coll’ombra a 104° dal punto più boreale del disco lunare verso ovest (im- magine diritta). 8 Settembre. Ecclisse totale di Sole invisibile a Torino. 24 » Ecclisse parziale di Luna invisibile a Torino. Atti R. Accad. » Parte Fisica — Vol. XIX, DI DO 578 A. CHARRIER Ì MERCURIO VENERE TEMPO MEDIO DI ROMA | «=== -P-T—___ Passaggio Traz Passaggio Tre Nascere n montare MECEOI ni montar meridiano Pi meridiano b m | h m | h m h m h m h Genna eee 8 = 9] 0 246) 65,249 Mi] 2 11 Ap Paga a ds 6 243/11 2°20|-3 976007 | (2 21 Di NO Dogon 65 17|10° 47| 3 17 6 5 20 10 = 42| 3 o 2: iWFebbraiog et 6 26|10 E 52/3 20 6 GRIN 5803 il E Rao IAC (e Se LASA 6° 35/0 di 9 21 Dirt otte 6 4411 UA DI 62 83: | ilMarz0o i DR. ere 60465 5 8 6 OT SA 11 DIR Ea ca 6 41 VOL 24| 6 8 60 ri Mie e39: 5 21 miei e 6 049 P0N=T50 ZI 6 ALA 65 iNAprilett cai 6311 Oa 28 5 47401 535 EI DPI RI RE, TATA 6 10| 1 27| 8 46 5 26 | 11 59| 6 21 Sh SERIO POSE 5 L36053 ASIETO. 5 239| 0% 6| 6 _ = 1 Maggio —.......00% 4 57|11=55| 6 50 BE 2A Lr il Man i Pa sadao0 4°797| 11 = 404002053 5 608092317 21 IR Mr SI RRE5TA MO E 492) Mor29, 5 SU 0434 | 8 iUGiusnof ge. 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' pa c9 Pò fot Î II l'al fat 4 tn RA I ras; CT Ca fi + : LI vg O 434 ‘ dt, ur I i DI, de 1 00 > o PA Ia tate t60b- 9 si Ire — nn ee (na pg = e dg sur" Md ibrh EAT e calo IVES è ant iinn- I ' . { TELA piuynn ih et 1018 Da à SOMMARIO Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. Roìrr — Determinazione della resistenza elettrica di un filo in mi- sura assoluta... DERE E ATO ORA NE INTE DE Pag. Novarese — Sulle accelerazioni nel moto di una figura piana nel proprio. piano... ;% i. ia: n alal» dia a oprte RI ANE gt, GenoccHI — Presentazione di alcuni opuscoli . . .. +... GucLieLMo — Intorno ad alcune modificazioni delle pompe pneuma- fiche ‘8’ mercurio fs, 12/240 pe Na I e RAI IE PaLAzzo e BaTtTELLI — Intorno alla fusione dei miscugli di alcune sostanze; non' metalliche... iti e pre AI RI e O s DornA — Prime osservazioni con anelli micrometrici all'Osservatorio di Torino — Nota sulla determinazione dei raggi: degli anelli micrometrici con stelle .. ....... RO RI Ri CHÙarrieR — Effemeridi del Sole, della Luna e dei principali Pianeti per l’anno ‘18803. ata A e I ; i TR] MIL ATTI R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE Db bOreFNO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XIX, Disp. 6° (Maggio 1884) Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. TORINO ERMANNO LOESCHER Libraio della R., Accademia delle Scienze 581 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Maggio . 1884. Ati R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XIX. 39 I LI 583 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza dell’ 11 Maggio 1884. PRESIDENZA DEL SIG. COMM. PROF. ARIODANTE FABRETTI —__ Il Socio Cav. Prof. G. Basso presenta e legge la seguente Nota del signor N. JADANZA: CANNOGCHIALI RIDOTTI. Nelle scienze sperimentali si presenta spesso il caso di avere strumenti forniti di cannocchiali che abbiano un forte ingrandi- mento senza essere molto lunghi. Nella Topografia e nella Cele- rimensura dove le distanze si misurano alla stadia questo bisogno diventa maggiore, giacchè la eccessiva lunghezza dei cannocchiali mal si comporta col facile maneggio degli strumenti. I moderni costruttori di strumenti Geodetici e l'opografici son giunti ad avere ingrandimenti considerevoli accoppiando ad obbiet- tivi di moderate distanze focali oculari di distanze focali picco- lissime. Codesto metodo non è il migliore, e mentre in tal modo l'occhio si affatica, non si raggiunge lo scopo delle misure microme- triche poichè vengono ad essere ingranditi anche i fili del reticolo. Non si potrebbe avere un cannocchiale con obbiettivo com- posto, tale da avere una grande distanza focale obbiettiva e nello stesso tempo ottenere che esso cannocchiale sia corto? (*). (*) Il problema così formulato ci fu proposto dal chiarissimo Professore G. B. Dappi, Professore di Geometria pratica nella R. Scuola degli Ingegnerì in Torino. 584 N. JADANZA La soluzione di tale problema presentiamo in questa nota, e ad un cannocchiale cosiffatto abbiamo dato il nome di cannoc- chiale ridotto (*). Le formole che dànno la distanza focale ed i punti cardi- nali di un sistema composto di due lenti le cui distanze focali sieno 9, € %, sono le seguenti: e Da P g+gg— A TN À = E+o E*= E 1): ae 119, gd i fep+g,— A 0) INDI A ‘) F=Et+t% - E ap L i dn È Pg +e,— A dove @, E, E*, F, F*, sono la distanza focale, il primo ed il secondo punto principale, il primo ed il secondo fuoco del sistema composto’, e' ‘9 UE IS Lane NOT, E}, F,, F,} sono le stesse quantità relative alla prima ed alla seconda lente. A rappresenta la differenza E,—- E, ossia la distanza tra il primo punto principale della seconda lente ed il secondo punto principale della prima, ed è una quantità positiva. La prima lente, cioè quella che riceve prima la luce sia con- vergente; vediamo come dovrà essere la seconda lente affinchè sieno soddisfatte le condizioni richieste dal problema. È chiaro che la distanza focale del sistema composto dovrà essere maggiore di ©,. Inoltre, perchè la lunghezza del can- nocchiale sia minore di quella che converrebbe alla distanza focale ©, il secondo punto principale dovrà trovarsi fuori il sistema (innanzi la prima lente), ed il secondo fuoco dovrà anch'esso essere fuori il sistema; ma dalla parte opposta (dopo la seconda lente). (*) Avevamo scritto la presente nota e costruito un cannocchiale ridotto, quando ci venne dato di leggere una Memoria del Prof. Galileo FERRARIS sullo stesso argomento. L’iliustre Professore ha risoluto il medesimo problema; però le nostre formole sono molto più semplici e pratiche. Chi voglia con- sultare quel pregevole lavoro lo troverà nel Vol. 16 degli Atti della R. Acca- demia delle Scienze di Torino (1880-81), pag. 45. CANNOCCHIALI RIDOTTI 585 Quest'ultima condizione e la prima 9 >, si esprimono me- diante le disuguaglianze seguenti: pito ra Po il 0 Giara A>%9, Finchè ©, è positiva non è possibile soddisfare alla seconda delle condizioni precedenti, e quindi al problema proposto. Dunque, perchè il problema sia possibile, l'obbiettivo dovrà essere com- posto di due lenti, la prima convergente, la seconda divergente. Se nelle formole (1) mutiamo il segno ‘a ©, otterremo le seguenti che convengono al nostro caso. 0, 2a Wa A+%9._9, nta i Fip vtr (2) Aibos— Qi di A+o,— 9, { Pig SP 69) perda dele a) i A+o,— 9, si A+9,— p, Poniamo 0, =%©,, % essendo una indeterminata; le formole precedenti diventeranno : Da: ky IR IF=i0, kAo, Ap \ voi ES = I A-(k-1)g, cen hog(A-499) ; paopr dalA ko) CRA (EA AE 19 586 N. JADANZA e se, m essendo una nuova indeterminata, poniamo Q=MO,; possiamo determinare A in funzione di % ed n mediante l’equazione : kg AT Dk =3|= k-1 |o,. 3 Rt IC Introducendo questo valore di A ed osservando che si ha: =M9g 3 donde si deduce T 0, m— k A—ko,= È Po na Va mt-1 D+ fl a le formole (3) si trasformeranno nelle seguenti: Q= My m E=E mA; BM — k > (4); F=E-k(m+1)0; F*= H+ Pa k A =; + k— 1 Jos La lunghezza L del cannocchiale, trascurando lo spessore delle due lenti, sarà evidentemente data da: m— k IA 7 o ovvero da CANNOCCHIALI RIDOTTI 587 Si può scegliere % in modo che L sia un minimo; basterà orre: 4 db so dea: ossia RE È cel i donde vi lir=ezia bl. pie 6 Vm+1 (9) Sostituendo questo valore di % le espressioni di A ed L di- ventano: AMaki—- Mo a. (DG L=2 [Vm+ imille. ovvero DE EMP gd li delete catia nio (je E quindi: La lunghezza del cannocchiale (qui trascuriamo l’oculare che è variabile secondo la natura del cannocchiale, ed intendiamo per lunghezza del cannocchiale la lunghezza del tubo compresa tra la prima lente obbiettiva ed il secondo fuoco prin- cipale del sistema composto) è doppia della distanza delle due lenti che compongono l'obbiettivo. La lunghezza L, quando l’obbiettivo fosse una semplice lente di. distanza focale m9,, dovrebbe essere evidentemente eguale a m®,; quindi il vantaggio nella lunghezza del cannocchiale è dato da: Pimp, V=[m42-2Ym +1]pgo Dorotea (9). ossia da: Colla eliminazione di % le formole (4) diventano : p_-MDg E= E-m[Ym+1—1]9;; E*-E*-Vm+1 [Vm+ 1--1]9, (10). = E —mYm+1%9,; la E#4+[Vm+1-1]% N [Vm+1—1]9, n. 588 N. JADANZA Qualunque sia il valore (positivo) di m,i punti cardinali di un obbiettivo composto nel modo innanzi detto, si succedono sempre nell’ordine EB EEE e sono tutti fuori il sistema delle due lenti, i primi tre dalla parte della lente convergente, l’ultimo dalla parte della lente divergente. EI: Le equazioni che debbono essere soddisfatte per la determi- nazione di un obbiettivo di cannocchiale ridotto sono adunque le seguenti: UL UR Vn+1 Pa | gente (11), DE MO0g A= [Vm+1 -1]o, e siccome le quantità da determinarsi sono le cinque seguenti: P13 Pos M, 0, d, si vede che il problema è possibile in infiniti modi. Ecco alcuni casi notevoli : 1° Si voglia p. e. che la lunghezza del cannocchiale sia la metà di quella che avrebbe un obbiettivo semplice ; 0 In questo caso dovrà essere À cn ovvero mn (Vw+1-1]=7; CANNOCCHIALI RIDOTTI donde m= 8 e quindi Le equazioni (11) diventano: 30, Pu 9 g=8%, AT=2%, Data una qualunque delle quantità ORA il problema sarà sempre determinato. Così, ponendo g, = — 0”, 10 sì avrà: GO E20/07 Ne) 20 pi=0227 80 da 40 589 Lo specchio seguente, calcolato colle formole (12), mostra ad evidenza l’utilità di questa nuova specie di cannocchiali e nello stesso tempo dà gli elementi per costruirne l’obbiettivo. Volendo obbiettivi le cui distanze: focali non fossero comprese in esso, ba- sterà sempre una semplice interpolazione per ottenerli. 590 N. JADANZA Oo sa D 0.010 0.037 0. 080 0. 020 0. 0.020 0.053 0. 160 0.040 0. 0.030 0. 080 0. 240 0. 060 0. 0. 040 0.107 0.320 0.080 0 0. 050 0. 233 0.400 0.100 0. 04075 0.200 0.600 050 0. 0.100 0. 267 0. 800 0.200 0. 0.125 0355 1.000 0.250 0. 0.150 0. 400 1502010 0.300 0. VARE 0. 467 1.400 0.350 Di 0.200 053 1.600 0. 400 DI 02:12:50 0. 666 2.000 0.500 di; 0.300 0.800 2.400 0. 600 E 0.350 0. 983 2.800 0.700 - 0.400 10.67: 3. 200 0. 800 de 0. 450 T-200 8. 600 0.900 "E 0.500 1388 4.000 1.000 2. 2° Si voglia la lunghezza del cannocchiale eguale ai due terzi di quella che avrebbe con obbiettivo semplice; dovrà essere mM o A=T?, e quindi Vm+ —_i= 3 donde m=3. Le equazioni (11) diventano : 3 ‘i =D SRWR. 13), o =3%, Gal AT e quindi, data una qualunque delle quantità 9,, 9, 4, 9, il problema sarà perfettamente determinato. CANNOCCHIALI RIDOTTI 591 Lo specchio seguente calcolato colle equazioni (13), mostra tutti gli elementi relativi ad un cannocchiale corrispondente ad m= 3. Pa Pi Q A=V L 0.05 OLO7Z5 05 TL 0.05 0.10 0.10 feto 0.30 (OO (LO) 0.20 Ge L5 0. 225 0045 Qi 0530 0.20 0.300 0.60 0:20 0.40 0.25 0a ONT 0. 25 0.50 0.30 0. 450 0.90 0.30 0.60 Uro 0 '5Z5 0 0535 020 0.40 0. 600 =. 20 0.40 0.80 0.45 04675 9a 0.45 0.90 0.50 0.750 1.50 0.50 1-00 OTO 0.825 PR ‘65 06:55 1.10 0. 60 0. 900 1. 80 0. 60 1.20 65 OI de 95 0.65 10930 O 7z0 1.050 Drek0 OENZO, 1,40 Potrebbe sembrare a primo aspetto essere preferibile dare ad m quei valori che rendono cortissimo il cannocchiale. L’ac- corciamento, come si vede, si ottiene per mezzo di una lente divergente la quale potrebbe chiamarsi lente di allontanamento. A grandi valori di »m corrispondono piccoli valori di 9,; le lenti troppo divergenti farebbero perdere molto in chiarezza. In pra- tica quindi conviene contentarsi di quei valori di m che ad una piccola diminuzione nella chiarezza accoppiano una conveniente diminuzione nella lunghezza (*). Il caso che può presentarsi sovente è quando, date le distanze focali ©, e , delle due lenti (la prima convergente, l’altra di- vergente), si voglia costruire un obbiettivo per cannocchiale ridotto. La prima delle (11) dà do ___M do Ym+1 (*) La lente di allontanamento è chiamata dal Professore G. FERRARIS lente d'ingrandimento. N. JADANZA :592 e quindi m sarà dato dalla equazione di secondo grado: ven oO L mrim—rl ac (14) Po fa La radice positiva della precedente equazione sarà il chiesto valore di 72, cioè: pito o |a (15). Me 2 2%, Conosciuto m, le equazioni (11) determinano © e A. Esempio: Sia pi=00",160.08=9, = 0005 Si avrà (0,16) +0,16/(0,16)?+4(0,054)? m= - 2(0, 054) ovvero miiz=:9, 169 e quindi g= 0". 523 AO V.=I5 29 Questo cannocchiale è stato costruito effettivamente e coll’ocu- lare che dà un ingrandimento eguale a 13 non lascia nulla a desiderare. II. Supponiamo ©, = ©, (in valore assoluto). Il problema è determinato; il valore di m sarà dato dalla equazione m ZI +1 2 CANNOCCHIALI RIDOTTI 5953 e quindi esso sarà eguale alla radice positiva della equazione di 2° grado: pren —0) donde Ovvero mil. 6180 Vm+1-1=0. 6180. Le equazioni (11) diventano in questo caso Pda qs. 61800; ù a) A—T0. 01800, Bo: 382009, Si vede da queste che il vantaggio nella lunghezza non è grande, tuttavia non è da rigettarsi, specialmente se sì osserva che si guadagna in chiarezza. Eccone alcuni esempi: 1° Con due lenti (una convergente, l’altra divergente ) la cui distanza focale è di 34 centimetri, si fa un cannocchiale il cui obbiettivo ha la distanza focale v = 55 centimetri e la cui lunghezza è di 42 centimetri. Si guadagnano quindi soltanto 13 centimetri. 2° Un cannocchiale il cui obbiettivo abbia la distanza focale di 34 centimetri sarà formato con due lenti ognuna delle quali abbia la distanza focale di centimetri 21. La lunghezza sarà di centimetri 26 e quindi si guadagneranno 8 centimetri. Queste misure corrispondono presso a poco alla maggior parte dei cannocchiali di cui sono muniti gli strumenti geodetici e topo- grafici. Potendoli diminuire di 13 centimetri o anche di 8 sì potrà ottenere l’altro vantaggio che è quello degli strumenti a cannocchiale concentrico. 594 N. JADANZA Lo specchio annesso, calcolato colle formole (17), mostra gli elementi relativi al caso di q, =%©,, ossia di m = 1. 618. Quito d À L id | 010 0. 1618 0. 0618 0. 1236 0. 038 | 05 0. 2428 0. 0927 sot D-057 0220 0.03 237 0. 1236 0. 2472 0.076 0.25 0. 4046 Oftilo4o 0. 3090 0.096 | 0.30 0. 4855 0, 1854 0. 3708 OSSLE5 0.535 0. 5665 072.65 0. 4326 0. 134 0.40 0. 6474 0. 2472 0. 4944 0. 158 0. 45 0. 7283 0- 2754 0. 5562 0. 172 050. 0. 8092 0. 3090 0. 6180 02491 055 0. 8902 0. 3399 0. 6798 0. 210 | 0. 60 0. 9711 0. 3708 0. 7416 0. 229 DE65 110523 0.4017 0. 8034 0. 249 deo I. 1929 0. 4326 0. 8652 0. 268 075 1. 2139 0. 4635 0. 9270 0. 287 0.80 1. 2948 0. 49044 0. 9888 0.506 0. 85 IPS, 0.152.090 1. 0506 0 SZ5 0.90 gf: SLOT 055602 ds 1ali24: 0. 344 0. 95 15976 0:57 did 742 0. 363 1.00 1. 6180 0. 6180 1. 2860 0. 382 Il caso di g,<%€, (in valore assoluto) dà anche vantaggi minori che il precedente, poichè in questo caso sarà sempre m<1. 618. Nella costruzione di un obbiettivo per cannocchiale ri- dotto si prenderà per lente convergente una lente acromatica. Queste lenti, come è noto, sono formate di due, una divergente l’altra convergente, e la distanza focale della lente divergente è maggiore della distanza focale della lente convergente. I punti principali di una lente acromatica così formata sono per lo più fuori la lente; quindi il vantaggio è anche maggiore, poichè il tubo che contiene le due lenti che formano l’obbiettivo del can- nocchiale ridotto sarà anche minore del calcolato, CANNOCCHIALI RIDOTTI 595 Il calcolo esatto richiede la conoscenza dei raggi di curvatura delle facce delle due lenti di flint e di crown, nonchè gl'’indici di rifrazione di quelle sostanze. La fig. 1°, qui annessa, rappresenta un obbiettivo composto per cannocchiali ridotti. La lente M è la lente convergente i cui punti cardinali sono Y,, E,, E,%, F*; la lente N è diver- gente ed i suoi punti cardinali sono Y,*, E,, E}, Ply: fig. 1°. Nella figura è indicata la costruzione che serve alla ricerca dei punti cardinali del sistema composto. Come vedesi il secondo punto principale E* del sistema composto si è allontanato dalla lente M, e quindi mentre la distanza focale obbiettiva è £* £*, il cannocchiale è lungo soltanto quanto il segmento E, F*. Il primo punto principale ed il primo fuoco del sistema composto non sono segnati sulla figura, perchè essi sono troppo lontani dalla lente M. Siccome alla semplice lente N potrebbe sostituirsi un altro sistema divergente, sarà bene passare in rassegna i diversi sistemi divergenti che si possono fare con due lenti. va Le formole (1), quando le due lenti sono amendue divergenti, diventano : pi ci fifea_ gt go +A A A = n ice, T= 9 de A+ # A+9 IPO SESIA F*= E,*— A Atti pt td 596 N. JADANZA la prima delle quali fa vedere che: un sistema composto di due lenti divergenti è sempre divergente. Dividendo numeratore e denominatore della frazione che rap-. presenta 9 una volta per 9,, un'altra per %,, si vede subito che la distanza focale del sistema è sempre (in valore assoluto) mi- nore di ciascuna delle distanze focali delle lenti componenti. Sicchè un sistema così formato serve ad aumentare la divergenza adoperando lenti poco divergenti. I punti principali del sistema sono sempre compresi nel seg- mento E, E,* e si succedono nell'ordine E, E* poichè si ha: CI - PSE d'a AE vanno e questa differenza è sempre una quantità positiva se d, e d, che rappresentano rispettivamente E,*— E,; E,*—£,, sono an- ch’esse positive; ciò che succede sempre che non si adoperano menischi divergenti. Si ha pure: DI AMO ©4999 +4 EZIO dA quindi i fuochi si succederanno nell'ordine /, Y* oppure nell’or- dine F*, F secondo che la differenza precedente sarà positiva o negativa. Se le due lenti si possono considerare come infinzta- mente sottili sarà d = d,=0; in questo caso i fuochi si suc- cederanno nell’ordine F, F*, ovvero nell’ordine £*, F secondo che si avrà 2> AZ 29 Ya - Adunque i punti cardinali del sistema composto nel. caso di die2000 sì succederanno nell'ordine EE 2 Et E se sì ha e nell'ordine quando è CANNOCCHIALI RIDOTTI 597 Delle due distanze focali 9, © g, sia (in valore assoluto) ; Ly Pa e poniamo COMES RARE ded enti te (20), si avrà allora: dai ko, PT A+(k+1)q; kA v. A q. T—- E 12 E*— E* 2 E IA E k+1 0, 7 2 AE Tea s 12 Pa = F EA pelle ga(A +49) a ? A4(k+1)gg° e se si determina A mediante la equazione Da TRAdO (k+ Jai m ° dove mal; sl avrà A=[mk=-{(k-F1)g, bo Ta (200); e quindi : DIA Pa ‘DL AZ0Ir A ; È A DEA bre EE — (22). m AE 0; A (VA I L A k Da “ER o La pipe" Mm < m k Un sistema divergente della forma ora descritta può sostituire la semplice lente divergente in un obbiettivo di cannocchiale ri- dotto. In pratica bisognerà scegliere quelli, per cui si ha: ovvero giacchè sono più corti ed i punti cardinali si succedono, come in una semplice lente divergente. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XIX. 40 598 N. JADANZA Così, p. e., con due lenti divergenti, le cui distanze focali sieno 0, = —0", 08 e pg, = — 0", 04 poste alla distanza di 0",02 si formerà un sistema divergente la cui distanza focale è = — 0", 02286. fig. 2.* La figura annessa mostra un sistema divergente composto di due lenti divergenti. In essa si vede la costruzione geometrica (*) che serve alla ricerca dei punti cardinali di un sistema composto quando sono dati i punti cardinali dei due sistemi componenti. VI: Un sistema divergente si può anche ottenere con due lenti convergenti. Le formole (1) possono essere scritte così: g=— Pi Pa A_(9,+ gs) o, A (o) Eh Li . (E*=MBO2E = Sa) A-(9,+9s) 35) La prima di queste formole mostra che il sistema sarà diver- gente, sempre che sarà soddisfatta la condizione A>oiFo NI (25), (*) Vedi G. FeRRARIS. — Le proprietà cardinali degli strumenti diottrici. CANNOCCHIALI RIDOTTI 599 e le altre fanno vedere che i punti cardinali si succedono nel- l'ordine VOI SOCI Dead Tie e sono tutti fuori il sistema delle due lenti, i primi due nella parte anteriore, gli altri due nella parte posteriore. Sia ©, = ko, e determiniamo A in modo che si abbia in va- lore assoluto ‘di si otterrà: ZA TA VII) T Cei le E=ZE-|RFtm(EF1)]g:; (26). = EX4=[k4m (Ae) to ELablurb)o;: = en gg=ho,. Poniamo, come è d’uso, d = E*— E; di e VE =4E;; slavtà: 2 kr ; di di+4+| È +74 k42(m+4+k+ 1) | Qui (2) La indeterminata % può essere determinata in modo che d sia minimo, allora dovrà essere: dd È. dipa 4° OVvero : 1 mM —-tm42=0, mM k° donde si deduce: Pavsee SERI CLI E 600 N. JADANZA le (26) diventario allora: A=2%, RIS, E — ERRORE A F= KiMog; F*—= E £(n dk 299; (29). m PS ae Le formole (29) sono convenienti alla costruzione di un ocu- lare per cannocchiali terrestri, essendo il segmento che comprende i punti cardinali il più corto possibile. Gli oculari così fatti sono chiamati oculari terrestri perchè fanno vedere diritti gli oggetti. Essendo il fuoco anteriore fuori il sistema delle due lenti, questa specie di oculari agiscono come l’oculare di Ramsden, permettendo di collocare il reticolo fuori il sistema. Lo specchio seguente calcolato col dare ad m i valori 1, 2, 3, SE - , dà immediatamente i valori di ©,, À , 9 corrispondenti ad un dato valore di %,. Esso può essere utile per la costruzione di un oculare della forma ora considerata. telo Tae O 045 (0566702 Ù 10 2019383144: 11 51. 5| 8 |2..000|] 6 |2 [20] 44266000313 9.D db lo..098 10. 3 23:06: (AT00|L204 SZ 4664 A: 408 P 388/16 |6. Volendo il secondo fuoco Y°* più vicino possibile alla seconda lente bisognerà rendere minima la distanza A + £,* F* (supposto d, trascurabile). CANNOCCHIALI RIDOTTI 601 Ora dalle (26), ponendo d = A + E,*F*, si ha: CA NL: pipa O Ù =| m AAT j Pa e quindi l’equazione dò de 1 Da LIO 0 dk m k, determina il valore di % corrispondente al minimo richiesto. Si ottiene: m n Vm + 1 e quindi le (26) diventano in questo caso : A=[Ym+1+1]9, k m 2. Lr Treni + Ta F=E,—1.41429, F*=E,"+2.4142p, \ E=E,—m[Ym41+1]9; lo E*=E}*4 o,[ 1 +Vm+ 1) m+ 1 F=E-m Vm+1 Pa> F*= E} (V/m +1) Pa Pesa st? Dando ad # il valore 1 si ha: e=2.41429, i Vip, | E=E—2.4142p, E*—E,*+3.4142 9, b. SR ceient (1 Vis) dl i ES) 2 - Gli oculari terrestri costituiti colle formole (31) o, per maggiore generalità, colle fermole (30) sono preferibili a quelli dati dalle formole (29) poichè l’anello oculare è più vicino all’ul- tima lente del cannocchiale. 602 N. JADANZA La fig. 3° mostra un sistema divergente composto di due lenti convergenti M ed N, insieme alla costruzione dei punti car- dinali del sistema composto. fig. 9.3 VII. Le formole (1), quando la seconda lente è divergente, si pos- sono scrivere come segue: STRA Dito ca PA 9 Po E = 1 : E*= EF 39 SI der i E i A+, SL PA F=E4+p —P®. perso e e Ptr RA PEA, Se la distanza focale g, della prima lente è maggiore di P,-+ A il sistema sarà divergente, e la distanza focale di esso (in valore assoluto) sarà sempre maggiore della distanza focale della seconda lente. Si vede facilmente che i punti principali, specialmente quando le due lenti sono infinitamente sottili, si succedono nell’ordine E* E e che i punti cardinali i quali si succedono nell’ordine FI E) F sono tutti fuori il sistema ad eccezione del primo, cioè del se- condo fuoco. CANNOCCHIALI RIDOTTI 603 Essendo gp, (in valore assoluto ) sempre minore di g,, poniamo Pi Do, i , sè. . .(38), e determiniamo 4 in modo che si abbia: P1 Pa RI Gp (P+4) m dove %X ed »m sono due indeterminata. Si ottiene : A=<[|k-(m+1)] k sat) toa k k--(m+1) a si k-(m41) E= E, sù nn P,; E E, Era 11 (34) ktm mE 3 3 = = F=E+ pa P1; E, REI Ag dd: dea Mm Le formole (34) mostrano chiaramente che dovrà essere sempre f >m + 1. La figura qui annessa mostra chiaramente la costruzione dei punti cardinali del sistema composto delle due lenti M,M', la 604 N. JADANZA - CANNOCCHIALI RIDOTTI prima convergente, la seconda divergente. Dei quattro punti car- dinali il secondo fuoco F* cade tra le due lenti, gli altri tre sono fuori il sistema delle due lenti dalla parte della lente di- vergente, ed il primo fuoco Y è il più lontano. Così sono situati i punti cardinali in un cannocchiale di Galilei. Torino, Aprile 1884. Lo stesso Socio Basso presenta e legge la seguente nota storica del signor Ingegnere Ottavio ZAnoTTI-BIANCO, SOPRA UNA VECCITA E POCO NOTA MISURA DEL SEMIDIAMETRO TERRESTRE. Giovan Francesco Maurolico nella sua opera intitolata : « Cosmographia Francisci Maurolyci Messanensis siculi, in tres dialogos distineta, in quibus de forma situ numerog. tam coe- lorum q. elementorum, aliisg. rebus ad astronomica rudimenta spectantibus satis disseritur, pubblicata in Venezia l’anno 1543, al dialogo terzo, dopo un succoso esame storico critico dei metodi tenuti fino ai suoi giorni per misurare il raggio terrestre, ne pro- pone uno scrivendo: « Adjiciam tamen modum alium metiendi orbis ambitum, a nullo, quem ego sciam datum, ac meherele, ingeniosissimum quem priusqua exponam, praefabor instrumenti ad comperam seu fastigiora spatia mensurada opportuni fabri- cam, paucis tamen expediam ». Premessi quindi alcuni principii di geometria pratica basati sull'uso dell’ accennato istrumento, che è il quadrato geometrico, passa a descrivere il modo da lui proposto per misurare la periferia del meridiano terrestre. Questo in sostanza consiste nel determinare l’altezza di un punto alquanto elevato sulla superficie del mare, dal quale si possa condurre una tangente alla superficie medesima, nel misurare (col mezzo che Maurolico indica col nome di cupadoperpia, hoc est pavimenti mensurationem, fondato sull’uso del quadrato geometrico) la lun- ghezza di questa tangente, e nel dedurne poi il valore del diametro terrestre col noto teorema, che la tangente è media proporzionale fra tutta la secante, che passa pel centro della Terra, e la sua 606 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO parte esterna. Questo metodo di Maurolico, con chiara ed espli- cita mensione del suo inventore, fu riprodotto da Silvio Belli nel suo Libro del misurar con la vista, Venezia 1565, pagg. 104 e 106 e da Francesco Giuntini nella sua Sphaera I, de Sacro Bosco emendata, Lugduni MDLXXVII, 1578, pag. 124 (1). Il Libri a pag. 103 del volume 3° della sua Histoire des Mathema- tiques (2) dice, che Giovanni Picard rammentò il metodo di Mau- rolico quando si occupò della misura del meridiano. I più recenti storici dell'astronomia Wolf e Marie non hanno neppure un cenno di questo metodo del Maurolico. L’esimio Prof. P. Riccardi a pag. 91 della pregiata sua Memoria citata in nota scrive: « Per quanto mi è noto, questo metodo non è mai stato adoperato; e credo che, attesa la difficoltà di determinare la lunghezza e la direzione di quella tangente, non possa fornire risultati abbastanza esatti >. i Ora a pag. 1 della Geodesy dell’illustre geodeta inglese Generale CLARKE, troviamo scritto: « Ammettendo che la Terra sia sferica, una sola osservazione di una più precisa natura presa sulla punta di uno scoglio darebbe un valore del raggio della sfera. L'osservazione richiesta è la profondità o l’angolo di de- pressione dell’orizzonte: questa combinata con una misura lineare, cioè, l'altezza dello scoglio, basterebbe ad una grossolana appros- simazione. Questo è un esperimento che fu fatto sul monte Edge- cumbe più di due secoli fa, e può darsi che sia stato tentato in altri luoghi ». Il Clarke riporta quindi un’applicazione di ciò alla cima del Ben Nevis, in cui si tien conto anche della rifrazione terrestre, ed ottiene per valore del raggio terrestre 6372887," e soggiunge: « Ora ciò è veramente assai vicino al vero; ma, ove non si prenda la precauzione di fare le osserva- zioni ad un’ora conveniente del giorno, l’errore avrebbe potuto essere di parecchie migliaia di metri; infatti il metodo, quantun- que serva ad arrivare alle dimensioni della Terra in numeri rotondi, è affatto inadequato a scopi scientifici. — Desideroso di (1) Riccarpi, Cenni sulla storia della Geodesia in Italia, parte 1°, pag. 91 in nota, oppure pag. 519 del volume X, serie III delle Memorie dell’Accade= mia delle Scienze dell'Istituto di Bologna dal quale è estratta questa memoria. (2) Vedi Picarp. Mesure de la Terre. Mémoires de l’Académie des Sciences, Vol. VII, parte 1, pag. 186. La data della pubblicazione è 1729. Il Libri non dà alcuna indicazione bibliografica circa il passo accennato. SOPRA UNA VECCHIA E POCO NOTA MISURA ECC. 607 conoscere da chi fosse stata fatta quella prima applicazione del metodo di Maurolico, mi diressi al Generale Clarke stesso, il quale, con squisitissima cortesia, pari al suo altissimo valore scien- tifico, e della quale, è mio grato dovere il rendergli pubbliche grazie, mi favorì al riguardo le informazioni che formano oggetto di questa nota. Questa determinazione è dovuta ad Edoardo Wright, la sua descrizione occupa le pagine 224-28 del libro intitolato Certains Errors n Navigation Detected and Corrected By Edu® Wright with many additions that were not in the former edi- tion as appeareth in the noxt page Printed by Felix Hingsto at London 1610. In esse Wright dopo aver accennato all’incertezza che regnava ai suoi giorni, fra i valori del raggio terrestre dati dagli antichi e dai moderni, passa a descrivere l’istrumento di cui si servi. Era questo in forma di un triangolo rettangolo, i cui cateti erano lunghi circa sei piedi inglesi (1,”80) ed uno dei quali era diviso in un certo numero di parti eguali. Per ottenere l'altezza del monte egli misurò una linea di base e trovò per quella 375 piedi inglesi; la depressione dell’orizzonte del mare fu osservata di 22 minuti; ed ebbe con quei dati per il raggio terrestre « 18,312,621 foots » piedi inglesi. Prendendo per il piede il valore in metri dato dall’ Annuaire du Bureau des Longi- tudes pel corrente anno 0,"3047 si ha in metri, per il valore trovato da Wright 5581687" (in numeri rotondi). Wright non dà la data del giorno nel quale fece le osserva- zioni, ma il Generale Clarke osserva che questa seconda edizione del libro è del 1610, mentre la prima è del 1599 e che molte delle 608 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO - SOPRA UNA VECCHIA MISURA ECC. altre osservazioni riferite in esse furono eseguite fra il 1594 e il 1597. Non è quindi improbabile che anche le riferite osservazioni per la determinazione del raggio terrestre siano state fatte in tal epoca; esse furono istituite sul monte Edgecumbe nel Cornewall in Inghilterra. A proposito di Edoardo Wright, al quale spetta il merito di aver stabilito su basi esatte il metodo della proiezione di Mercator, giova avvertire l'errore in cui è incorso Midler a pag. 520 del 2° volume della sua Geschichte der Himmelskunde ove fissa l’anno 1599, come quello di sua nascita, mentre invece Wright nacque nel 1560 a Gravestone nel Norfolkshire. Il Socio Comm. Prof. Michele LEssona, incaricato dal Socio Cav. Prof. L. BELLARDI assente, presenta e legge il seguente lavoro del signor Federico Sacco, Assistente al Museo di Zoologia e Anatomia comparata della R. Università di Torino: L'ALTA VALLE PADANA DURANTE PERO: CA}D E LoL: TER RrbirsZiZ4E in relazione COL CONTEMPORANEO SOLLEVAMENTO DELLA CIRCOSTANTE CATENA ALPINO-APPENNINICA. Mentre vennero molto accuratamente studiati e descritti i feno- meni riferentisi all’epoca diluvio-glaciale in Piemonte, si può dire che nessuno studio, un po’ minuto, venne ancora fatto riguardo ai fenomeni che quivi ebbero luogo nella seguente ed importan- tissima epoca, vale a dire nell’epoca delle terrazze. Ciò dipende in parte forse dall'opinione dominante in alcuni geologi, che cioè in Piemonte manchino o siano poco importanti le terrazze; mentre al contrario vi esistono numerose vallate le quali presentano ter- razzi così belli e numerosi, che poco o nulla hanno da invidiare alle famose valli terrazzate di altre regioni. Nell'anno scorso percorrendo le valli della Stura di Cuneo, del Pesio, dell’Ellero e del Tanaro per studi geologici, io rimasi colpito dall’osservare certi altipiani isolati ben netti e definiti , certe terrazze lontanissime da ogni attuale corso d’acqua ed altri consimili fenomeni che non sapevo come spiegare. Volli natural- mente rendermi ragione di tutto ciò; quindi mi Ciedi a percorrere queste regioni in ogni senso, studiandone, oltre la geologia, la distribuzione dei ciottoli, la forma degli altipiani, l’altezza e direzione delle terrazze, ecc., finchè poco a poco riuscii a com- prendere la serie delle mutazioni a cui andarono soggetti i corsi d’acqua di tutta l’alta valle Padana dalla fine dell’epoca diluvio- 610 FEDERICO SACCO glaciale sino al presente; e siccome alcune di queste mutazioni sono molto importanti ed istruttive, specialmente per essere in intimo rapporto con fenomeni endogeni, credo opportuno di render noto il risultato di questi miei studi. Nello stretto senso idrografico la valle Padana attualmente si estenderebbe soltanto sino al torrente Grana, giacchè le cor- renti acquee che trovansi a S. E. di questo torrente non sboccano più direttamente nel Po, ma confluiscono nel Tanaro che si unisce al Po solo molto più tardi, a valle di Alessandria; l’oro- grafia invece estende la valle Padana sino al piede delle Alpi marittime e degli Appennini, e tale concetto orografico è vali- damente confermato dallo studio geologico che ci indica come sino ad un'epoca abbastanza recente anche tutte le fiumane situate a S. E. del torrente Grana, unendosi al Tanaro, confluissero nel Po sulla pianura a Sud di Torino. Premetterò necessariamente alcune brevi considerazioni sui diversi corsi d’acqua che percorrono la regione in discorso e che ebbero tanta importanza riguardo ai fenomeni che vogliamo esaminare, giacchè potremo così in seguito procedere più spe- ditamente nel tessere la storia di queste fiumane durante l’epoca delle terrazze. Percorrendo l’alveo attuale del fiume Tanaro troviamo una quantità grandissima di ciottoli, raramente oltrepassanti 10 centim. di diametro, costituiti di una specie di pasta color ros- sastro o violaceo od anche verdastro, nella quale spiccano belle macchie bianche o rosee o verdastre di forma per lo più ret- tangolare; già il Prof. B. Gastaldi li aveva osservati minutamente per le ragioni che esporrò fra poco; credo anzi opportuno di riferirne la sua stessa descrizione (1): « Tra le arenarie meta- morfiche sovraccennate (del Mongioie, donde scendono Pesio, Ellero e Tanaro) ve ne sono di quelle, nelle quali il Felspato si sostituisce in parte al Quarzo e comincia a farsi vedere una sostanza verde forse cloritica, forse anche in molti casi felspa- tica. Questa arenaria felspatico-quarzosa assume sovente l’aspetto del Porfido. In questo caso scompare quasi affatto il Quarzo, e la struttura del Felspato che ha allora il sopravvento, da arenacea si fa compatta, omogenea, con tinte vive ora di rosso (1) GastaLpI, Sulla riescavazione dei bacini lacustri per opera degli antichi ghiacciai. — Soc, italiana di Scienze naturali, vol. I, tomo I, Milano, 1865. L'ALTA VALLE PADANA DURANTE L'EPOCA DELLE TERRAZZE Ecc. 611 cupo, ora di violaceo, or anche di verdastro, ed in questa pasta spiccano moltissimi cristalli di Felspato bianco, roseo o rosso, che paiono appartenere al sesto sistema. È insomma un vero Porfidu ». Rimontando la valle del Tanaro si incontra questa roccia porfirica, appartenente probabilmente all’epoca permiana, in molte località, come presso Ormea, il ponte di Nava, Viozene nella vallata del rio Borgo-Sozzo, ecc.; anzi per la sua bellezza è lavorata in alcuni luoghi. Ma l’importanza di questa roccia caratteristica è poi grandissima nello studio della distribuzione dei ciottoli sulla pianura, giacchè noi troviamo tali ciottoli porfirici qua e là sparsi, presso monte a 450 e più metri, come sotto il Frocco, ecc., ed a valle sulla porzione Est delle regioni Banale (400 m.), Piambosco (380 m.), (V. Tav.) e poi abbondantissimi sia presso monte su diversi altipiani residui, sia a valle sull’altipiano di Carrù, di Piozzo, di Lequio, di Cherasco, ecc., ma anche al di là della Stura tra Cervere e Bra, a Sommariva, Caramagna, Car- magnola, Moncalieri, ecc., dove però tali ciottoli porfirici sono già ridotti a dimensioni molto piccole. È specialmente in seguito all’essersi rinvenuti nel 1864 molti ciottoli porfirici presso Bra, facendosi delle trincee per la ferrovia Bra-Alba, che il Prof. Gastaldi giustamente suppose che il Tanaro prima di scavarsi l’attuale suo alveo scorresse per Bra, Carmagnola, ecc. Studi accurati, oltre che sulla distribuzione dei ciottoli, anche sulle terrazze, mi permettono di confermare con certezza la supposizione del Gastaldi ed anche di descrivere abbastanza minutamente il restrin- gersi ed il variare dell’alveo del Tanaro dall’epoca glaciale in poi. A maggiormente provare l’antico passaggio del Tanaro per Bra, Caramagna, ecc., si potrebbero pure accennare, oltre a varie terrazze, il corso di certi canali, alcuni progetti fatti sul principio di questo secolo per portare le acque del Tanaro nel Po presso Torino con canali navigabili pel trasporto, progetti che non furono messi in atto a causa dell’ingente spesa e del rapido sviluppo delle strade ferrate, ecc., ma ciò ci porterebbe troppo in lungo, per cui dobbiamo passar oltre. Debbo però aggiungere che il Gastaldi nella sua sovraccennata Memoria, parlando dei ciottoli trovati sotto la città di Bra, volle concluderne che i ciottoli del diluvium si dovettero deporre con un certo ordine, secondo le fiumane che li trasportarono, e non già in un confuso rime- scolamento in seno ad una massa d’acqua solcata da violenti correnti o persino rotta dalle onde, come volevano certi geologi 612 3 FEDERICO SACCO d'allora; ma quantunque io sia della stessa opinione riguardo alla conclusione, debbo avvertire che i ciottoli porfirici di Bra non possono per se stessi confermarla affatto, giacchè non ap- partengono ad antichi coni di deiezione, ma sono ciottoli del- l’alluvium de-»siisi verso la metà dell’epoca delle terrazze, essendo già s :! intaccati dalle potenti fiumane d'allora i de- positi quateras i ed il Pliocene superiore, per cui i ciottoli in questione gi cciono sulle argille azzurre che rappresentano il Pliocene inferiore. L’Ellero presenta pure nel suo attuale alveo gli stessi ciot- toli porfirici che abbiamo menzionati pel Tanaro; sono poi molto istruttive, riguardo al corso di questo torrente nell’ epoca dei terrazzi, le belle terrazze che osservansi presso monte sulla sua sponda sinistra da Villanuova Mondovi verso il Nord. Per il Pesio dobbiamo notare sempre. gli stessi ciottoli por- firici caratteristici, ciottoli che troviamo poi anche sulla sua sponda sinistra, molto in alto, tra Carleveri, Magliano e Carrù; inoltre sono molto importanti le sue alte terrazze di destra presso monte e di sinistra più a valle. Per il torrente Josina (Brobbio) ed il torrente Colla non abbiamo ora a menzionare altro che la terrazza di destra tra Beinette e Santa Maria Rocca, mancando già i ciottoli porfirici, mentre abbondano specialmente le Quarziti. Quanto al torrente (esso troviamo pure che mancano i ciottoli porfirici, mentre sono specialmente abbondanti i ciottoli costituiti di una Quarzite micacea biancastra che si decompone facilmente. Ma ciò che è di grande importanza riguardo all’antico corso del Gesso si è che, mentre ora questo torrente si getta nella Stura sotto Cuneo, io credo poter asserire che, sino alla metà dell’epoca delle terrazze, esso, uscendo dalla valle montana, proseguiva diret- tamente verso l’E. N. E., scavandosi così il profondo alveo esi- stente tra le regioni Banale e Piambosco, per gettarsi nel Tanaro là dove oggi si trova la città di Bene-Vagienna. A tutta prima tale opinione può parere abbastanza azzardata, per cui accemmerò ora brevemente alle principali considerazioni che mi indussero ad adottarla. 1°) Dobbiamo anzitutto osservare che l’alveo ac- cennato (V. Tav.) ha un'ampiezza ed una profondità tale che non potè essere certamente scavato da un corso d’acqua di poca impor- tanza; orbene nelle vicinanze non esistono altre grandi correnti acquee che il Gesso od il Pesio; ma lo studio della distribuzione L’ALTA VALLE PADANA DURANTE L'EPOCA DELLE TERRAZZE Ecc. 613 dei ciottoli mi dimostrò non trattarsi del Pesio, giacchè i ciottoli porfirici, che esistono abbondantissimi a Sud dell’altipiano Banale, mancano invece tra le regioni Banale e Piambosco sino a Bene- Vagienna. 2°) Inoltre se il Gesso, durante la:prima metà del- l’epoca delle terrazze , fosse già stato confluénéò >della Stura , questa, per ciò che si può dedurre dagli antich?.:'vei dei vicini corsi d’acqua, avrebbe dovuto scavarsi tra la regso.ue Piambosco e la regione Famolasco un alveo molto più-ampio vasfciò che non abbia fatto. 3°) Varie considerazioni ci portano -a.credere che sul principio dell’epoca delle terrazze tutte le fiumane di questa regione, dal Po al Pesio, avessero un percorso molto più a S. S. E. che ora non sia. 4°) L’apice S. O. dell’altipiano Banale si pro- lunga notevolmente più ad Ovest che non quello dell’altipiano Piambosco, ciò che in parte trova la sua causa nel fatto che il primo venendo abbandonato dalle acque del Pesio da una parte e del Gesso dall’altra, potè conservarsi assai più integral- mente del secondo, il quale fu eroso più potentemente dalle acque Gesso-Stura che già allora tendevano ad avvicinarsi. 5°) Pos- siamo anche notare che la valle montana del Gesso al suo sbocco nella pianura Padana ha precisamente una direzione tale che le acque che ne escono pare dovrebbero appunto dirigersi verso E. N. E., cioè verso Bene-Vagienna. 6°) È un fatto notissimo che l'alveo del torrente Gesso è molto spesso completamente asciutto (una delle cause principali per cui sulle rive del Gesso sono molte più rare le febbri malariche che non sulle rive della Stura), il che credo debba attribuirsi in gran parte all’ infil- trazione dell’acqua attraverso il terreno diluviale nella direzione antica, cioè verso E. N. E.; tanto è vero ciò che numerosissimi si annoverano i fontanili ed i siti. paludosi tra la destra del torrente Gesso e l’aprirsi dell'alveo tra Trinità e Carleveri. 7°) Nella questione in discorso ha pure una certa importanza l'osservazione dell'origine e direzione dei canali e dei torrentelli che ora scorrono nel grande alveo di Bene; orbene noi vediamo che il canale di Bene e di Cherasco partono dalla destra del torrente Gesso alla sua confluenza colla Stura; i canali S. Dal- mazzo, del Bosco, del Boschetto, la bealera Ceresana, e lo stesso torrente Moldalavia che è incassato nell’alveo in discorso, hanno la loro origine da numerose sorgenti che trovansi a qualche chilometro dalla destra sponda del torrente Gesso, e specialmente nella regione Prato Folchetto; diversi canali che escono dalla Aui R. Accad. - Parte Fisica — Vol NIX. 4| 614 FEDERICO SACCO valle del Gesso, come pure il cosidetto Naviglio che scende dalla montagna tra il torrente Gesso ed il torrente Colla, si dirigono anche verso E. N. E., imboccando poi più o meno direttamente l’alveo esistente tra le regioni Banale e Piambosco; lo stesso dicasi di altri canali minori. 8°) Ma ciò che credo sia di gran- dissima importanza a questo proposito, si è il fatto che, mentre il cono di deiezione delle correnti fluviali ha generalmente la sua massima inclinazione nella direzione in cui ora scorre il fiume che lo ha originato, per il Gesso si verifica invece che il suo cono di deiezione, partendo dallo spigolo superiore della sponda destra, ha la sua massima inclinazione verso E. o E. N. E., cioè verso Bene-Vagienna, il che dipende in gran parte dalla vici- nanza del potente cono di deiezione della Stura e ci indica chia- ramente l'antica direzione del Gesso durante l’epoca diluvio- glaciale; da questo fatto derivano le numerose sorgenti già. ac- cennate, la direzione dei canali ecc., non che probabilmente anche in parte la formazione delle sorgenti e lago di Beinette, a causa dell’incontro del cono di deiezione del Gesso con quello del Pesio. Sono queste le considerazioni principali che mi hanno indotto ad abbracciare l’opinione dianzi enunciata, e credo sieno sufficienti a sostenerla. Per la Stura di Cuneo abbiamo poco a dire; i suoi ciottoli sono per lo più costituiti di una Quarzite più o meno micacea ed abbastanza facilmente decomponibile, roccia che in posto trovasi specialmente sviluppata nel vallone dell’ Arma sino al confine francese; sono rarissimi i ciottoli porfirici, giacchè tale roccia, appartenente probabilmente all’epoca permiana secondo gli studi del Dott. Piolti (1), venne dal Dott. Portis trovata in posto solo nel vallone Roburent (2). Ci spiegheremo fra poco come si for- marono le due grandi terrazze Piambosco e Famolasco che da Trinità e Fossano dirigonsi verso il N. E. lateralmente all’attuale corso della Stura su cui sollevansi di oltre 100 metri. Come prova di ciò che diremo sull’antico corso della Stura, possiamo ad esempio menzionare il canale di Bra che escendo dalla sponda sinistra della Stura di fronte a Castelletto, dopo diversi rigiri (1) G. ProLri, Il porfido del vallone di Roburent. — Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino, Vol. XIX, 1884. (2) A. Portis, Sui terreni stratificati di Argentera. — Memorie della R, Acc. delle Scienze di Torino, Serie II, Tomo XXXIV, 1881, L'ALTA VALLE PADANA DURANTE L'EPOCA DELLE TERRAZZE Ecc. 615 passa per Bra e quindi gettasi nel torrente Melletta che sbocca nel Po a monte di Carignano. Quanto al torrente Grara, che dopo Centallo prende il nome di Mellea, per il suo mescolarsi con acque provenienti dalla regione Sagnassi sulla sponda sinistra, esso ha una notevole importanza per lo studio che ora facciamo, giacchè gli si deve la formazione della terrazza Ovest dell’altipiano Famolasco , il che viene comprovato sia dall’essersi trovati dall’Avv. C. Ca- landra ciottoli del torrente Grana nelle vicinanze di Marene , sia dal fatto che anche i vicini corsi d’acqua trovavansi, sul principio dell’epoca delle terrazze, molto più a Sud che non pre- sentemente, sia dall’osservare che nei giorni di piena le acque di Grana tendono a portarsi verso Est, cioè verso Stura, per cui si dovettero costrurre potenti dighe ad impedire questo fatto ; quindi si potrebbe abbastanza facilmente far deviare le acque di Grana, Maira e forse anche Varaita nell'alveo della Stura. Inoltre ci conferma nell'opinione già enunciata l’osservazione dei canali che escono dal torrente Grana; giacchè vediamo le bealere Tavolera e Mellea, che escono dal torrente Mellea circa 2 km. e % a valle di Centallo, dirigersi verso N. E., finchè si uniscono alla bealera di Bra poco a monte di Fossano; il canale Giovo che ha le sue origini da diversi fontanili in territorio di Genola, poco lungi dal torrente Mellea, viene poi quasi a costeggiare l’altipiano Famolasco sin oltre il Motturone; altri canali come la bealera del Marchese, il canale del Molino, ecc., escendo dal torrente Mellea a valle di Savigliano si dirigono verso L'E. N. E., cioè verso Sommariva Bosco, riunendosi poi, poco lungi dalla terrazza Sanfrè- Sommariva ecc., coi torrenti che scendono dalla collina Braidese. I ciottoli della Maira o Macra non sono molto caratteri- stici; constano in gran parte di Quarzo e di Gneiss con lamelle di Mica nera, roccia che in posto trovasi specialmente allo sbocco della valle montana; possiamo menzionare anche in questo caso varii canali, come il canale Brunetta, il canale del Molino del Principe, il canale di Streppe, ecc., i quali uscendo dalla destra della Maira si dirigono verso N. E. sino a congiungersi coi torrenti che discendono dalle colline Braidesi. Per il torrente Varaita sono abbastanza caratteristici certi ciottoli serpentinosi molto resistenti e di color nerastro ; a nostro riguardo è importantissimo il fatto che in un rivo a S. 0. di Caramagna si rinvengono comunemente questi ciottoli neri, che 616 FEDERICO SACCO vengono quivi usati per disegni ed ornamentazione nelle selcia- ture; a confermarci nell’opinione dell’antico passaggio della Va- raita per Caramagna, ciò che sarebbe già provato dal fatto enunciato, possiamo pure osservare come diversi canali e bealere uscendo dalla destra di questo torrente, dirigonsi verso E. N. E. Riguardo al Po si può supporre naturalmente che il suo corso abbia subito mutamenti analoghi a quelli dei corsi d’acqua che gli stanno a destra. Per le ultime quattro correnti acquee menzionate si può eziandio notare come: le numerose infiltrazioni a cui esse vanno soggette, per cui spesso il loro alveo resta per- fettamente all’ asciutto per certi tratti poco lungi da monte; i non rari trabocchi di queste correnti verso E., durante le piene, nonchè le numerose paludi, per esempio di Priglia, Sagnassi, Sanfrè, ecc. (in gran parte però già asciugate per opera spe- cialmente dei monaci di Staffarda sul principio del secolo scorso), ci indicano essere avvenuti mutamenti notevoli nel corso dei fiumi dell’alta valle Padana. Debbo ora accennare a certi caratteristici agglomerati di color nero e di aspetto scoriaceo che servono molto bene per riferire ad uno stesso unico altipiano preesistente i diversi altipiani isolati che riscontransi ora nell’alta valle Padana. Già da qualche tempo avevo notato nella parte superiore degli altipiani Famolasco e Piambosco, sotto uno strato più o meno potente di argilla giallo- rossiccia, certi pseudociottoli bruni di dimensioni svariatissime , del diametro talora di oltre 80 centim., composti di una specie di pasta nera talora un po’ iridescente, costituita per oltre Para di ossido di Manganese, a struttura pseudosferolitica per modo. da lasciar numerosi interstizi vuoti oppure riempiti da limonite | giallastra o da argilla sabbiosa biancastra; inoltre spesso in mezzo a questa sostanza osservavo dei ciottoli più o meno grossi forte- mente cementati dalla pasta sopra descritta. Sciogliendo un pezzo di questa sostanza nell’acido cloridrico, si forma un deposito in- solubile biancastro di sabbia ed argilla, ed inoltre il Prof. G. Spezia vi potè verificare una certa quantità d’acido fosforico , assai caratteristico delle formazioni torbose, ciò che ci fa presumere che la sostanza in questione siasi formata in ristagni d’acqua dolce dove verificavasi anche una vegetazione palustre; per tal modo si comprende come questa sostanza nella sua formazione abbia potuto inglobare altresì ciottoli di varia dimensione, e, questo fatto compiendosi generalmente per accentramenti, come L'ALTA VALLE PADANA DURANTE L'EPOCA DELLE TERRAZZE Ecc. ‘617 siensi potuti costituire questi blocclii più o meno voluminosi e quasi isolati dal terreno circostante; d'altronde accentramenti di simil genere, quantunque quasi sempre più piccolo e meno resistenti, vediamo formarsi tuttora per depositi di ossidi special- mente di Manganese e di Ferro in mezzo a conglomerati ecc. Ma ciò che è per noi molto importante si è che questi pseudociottoli, i quali nella regione Famolasco ricevettero dai contadini il nome di gret, gret cisi o ghérle e nella regione Piambosco di ghérle o ghérloun, trovansi pure abbondanti sulla parte più alta del- l'altipiano Banale, dove appellansi pure gher/oun o terra d'ombra, perchè si usa talora di triturarli, mescolarli, con acqua ed ado- perarne il deposito melmoso giallastro o nerastro, che così si forma, come colore per usi grossolani; infine noi troviamo lo stesso materiale con identico nome ed uso più a Sud, presso monte, sull’altipiano di Roracco, S. Grato, Madonna del Pasco, ecc. ; se invece ci portiamo a Nord della Stura e precisamente su quel- l’altipiano che dalle colline Braidesi si estende verso Nord, essendo limitato ad ovest dalla terrazza Sanfrè-Sommariva- Crocetta ecc., non chè in diverse località nelle stesse colline Braidesi, troviamo nuovamente il materiale in discorso, che quivi appellasi mrs dai contadini, e che per la sua resistenza ed abbondanza viene spesso ridotto in frammenti ed usato come materiale da costru- zione. Da ciò che ho detto si può di leggieri comprendere come questo materiale caratteristico, mentre è dannoso all'agricoltura nei pochi luoghi dove non è coperto da uno strato di argilla giallo-rossa, rendendo quasi inutile l’opera del concime, è invece utilissimo per lo studio che vogliamo fare, dimostrandoci chia- ramente come le regioni che lo presentano alla loro superficie formarono parte di un antico altipiano unico, separato in seguito per azione delle acque erodenti: dobbiamo però notare che anche sugli altipiani delle più antiche terrazze secondarie trovansi talora questi grossi ciottoli che vi furono trasportati dalle acque erodenti dell’epoca delle terrazze, ma più spesso trovansi su tali terrazze minute sfericciole composte del materiale esaminato, e che risul- tano probabilmente dalla decomposizione dei grossi blocchi tolti al distrutto altipiano, benchè possano altresì essersi formate per minori accentramenti di ossidi, specialmente di Manganese e di Ferro, di cui sono tanto ricchi i terreni di queste regioni. Dopo questi brevi cenni credo opportuno di passare senz’ altro a tessere brevemente la storia delle fiumane di questa regione 618 FEDERICO SACCO durante l'epoca dei terrazzi, giacchè il descriverne le numerose e belle terrazze, ciò che sarebbe molto interessante, ci porte- rebbe troppo in lungo, obbligandoci poi a fare inutili ripetizioni, poichè dove passarono le correnti acquee di quell'epoca ivi ge- neralmente scavarono il terreno terrazzandolo, eccetto là ove rasen- tavano regioni collinose. Debbo ancora avvertire che in questa regione, come d'altronde credo in nessun altro luogo, non si può assolutamente distinguere l’epoca delle terrazze da quella antro- pozoica, osservandosi spesso terrazze sino al livello attuale delle correnti acquee ; credo quindi che dell’epoca antropozoica si debba fare soltanto una suddivisione, un periodo dell’epoca delle terrazze, e non già un'epoca distinta e posteriore alla prima come vorrebbero alcuni geologi, tanto più che probabilmente esse sono del tutto contemporanee. Sul finire dell’Epoca pPLiocENICA sulla terra, a causa di un generale abbassamento dei continenti (fatte naturalmente le debite eccezioni locali), le acque, sia marine che lacustri, avevano preso un notevole sopravvento sulle superficie emerse, per cui, essendosi di molto accresciuta la superficie evaporante sul nostro globo, aumentò enormemente la quantità dei vapori atmosferici; ciò produsse la straordinaria caduta di pioggie e di nevi, e conseguen- temente lo straordinario sviluppo dei ghiacciai che caratterizzarono appunto l'epoca detta. perciò DILUVIO-GLACIALE. È in quest'epoca che i ghiacciai del Tanaro, Ellero e Pesio spingevansi molto in basso, come ce lo provano gli enormi ciottoli, di la 2 metri di diametro (1), che trovansi sparsi allo sbocco di queste valli sui diversi piani delle terrazze e che sono probabil- mente i resti delle cosidette alluvioni moreniche, resti che per la loro mole non poterono venir trasportati più a valle ma rimasero mescolati colle alluvioni delle terrazze e recenti, benchè trovinsi poi ancora ciottoli di 50, 80 centim. di diametro più a Nord sugli altipiani Banale, Piambosco, ecc.; nella valle del Gesso il (1) Notisi che alcuni di questi ciottoli provengono dallo sfacelo di con- ‘ glomerati miocenici. L'ALTA VALLE PADANA DURANTE L'EPOCA DELLE TERRAZZE Ecc. 619 ghiacciaio si avanzava sin quasi a Roccavione (1); quello della Stura sin presso alla Beguda, avendo una lunghezza di 46 km. circa ; quello di Grana sin oltre il paese di Valgrana; in val Maira il ghiacciaio oltrepassava Dronero; in val Varaita si spin- geva sin presso a Venasca, mentre in val Po non giungeva a Sanfront; e così via via per le valli più a Nord, talora veri- ficandosi il fatto che il ghiacciaio esciva dalla valle montana costruendo sulla pianura un grande anfiteatro morenico, come avvenne per le due Dore. In quell'epoca la pianura dell'alta valle Padana non si presentava così bizzarramente solcata come attual- mente, ma costituiva invece un altipiano solo, più o meno ondulato, che discendendo gradatamente dalle pendici degli Appennini si protendeva sino al piede delle Alpi; del quale altipiano unico troviamo tuttora i resti nei singoli altipiani di Roracco e $S. Grato, Banale, Piambosco, Famolasco, Sanfrè sup., Sommariva Bosco sup., Ceresole, ecc. Su questo altipiano unico si allargavano le enormi fiumane che sboccavano dalle varie valli alpine confondendo spesso le loro sponde, ma conservardo però una direzione abbastanza indipendente per qualche tempo; costruiva così ognuna un proprio cono di deiezione più o meno esteso e potente, modificando per tal modo notevolmente la pianura preesistente. Ma sul finire di quest'epoca diluvio-glaciale, al generale ab- . bassamento dei continenti sulla nostra terra succedette poco a poco un movimento in senso inverso, cioè un sollevamento ge- nerale, per cui gradatamente le acque oceaniche e lacustri si ritirarono negli attuali limiti; essendosi per tal modo notevolmente ristrette le superficie acquee, scemò pure grandemente l’evapo- razione, tanto più che la temperatura terrestre aveva continuato a lentamente abbassarsi; per essere molto minore la quantità di vapori contenuti nell'atmosfera, pure assai minore divenne la caduta di pioggie e di nevi, per cui, mancando d’alimento, i ghiacciai cominciarono a ritirarsi verso i loro attuali limiti e le grandi fiumane (arche per il contemporaneo sollevamento) a dise- gnare meglio il loro corso scavandosi nello stesso tempo un alveo più o meno ampio; incominciò cioè l’EPOCA DELLE TERRAZZE. (1) Naturalmente tutti i nomi di paesi, cascine ecc. sono soltanto usati come punto, direi, di ritrovo per far comprendere meglio i fenomeni che si verifica- rono nell’epoca delle terrazze; sarebbe quindi utilissimo al lettore d’aver sott'occhi le ultime carte topografiche dello Stato Maggiore Italiano, donde vennero tolti i nomi ed i dati ipsometrici che verrò menzionando, 620 FEDERICO SACCO Sul principio di quest’ epoca (1° PERIODO DI TERRAZZAMENTO) il Tanaro sboccando dalla valle montana si allargava enorme- mente, rasentando colla sponda destra la base delle colline delle Langhe sino alle colline Braidesi (1) continuando poi verso N. N. 0. per modo da cominciare a disegnare la terrazza Sanfrè- Sommariva, ecc., mentre che colla sponda sinistra, dopo aver rasentato le colline di Vicoforte ed aver ricevuto il tributo di Ellero e Pesio, si estendeva sino a S. Bernardo sopra Magliano, Pilone bianco (421 m.), Bricco d’Isola (415 m.), dopochè, unen- dosi alle acque del Gesso, continuava per Burey (406 m.), Mellani (392 m.) e Salmour (391 m.), costruendo così una terrazza di 15 a 20 m. di altezza, ma ora poco spiccata a causa della sua relativa antichità; dopo Salmour il Tanaro unito alla Stura rasentava per poco l’altipiano di Famolasco unendosi, presso la C. S. Anna (360 m.) circa, colle acque di Grana e poco dopo con Maira e Varaita, continuando in seguito verso Nord sino a raggiungere il Po probabilmente a Sud di Car- magnola; in quel periodo il Tanaro aveva sulla pianura una larghezza di 5 a 10 km., e scorreva sopra un letto di cui con- servansi solo più alcuni lembi staccati, come ad esempio la por- zione E. degli altipiani delle regioni Banale e Piambosco, dove sono i Massimini (415 m.), Gorra (397 m.), regione Bosco (400 m.), $. Bernardo (385 m.), Eremo di Cherasco (374 m.), ecc. Contemporaneamente l’EZ/ero uscendo dalla valle natia rasentava colla sponda destra le colline di Monastero di Vasco e di Mon- dovì sino al suo sbocco nel Tanaro, mentre colla sponda sinistra rasentava l’altipiano di Roracco, ecc., passando per Villanuova Mondovi sup. (613 m.), Madonna del Pasco (550 m.), Castellino (525 m.), finchè dopo La Torre (508 m.) si univa colle acque del Pesio volgendo tosto verso Est, avendo così una larghezza di circa 4 o 5 km. Intanto il Peszo giunto alla pianura si costi- tuiva pure in fiumana di 4 o 5 km. di larghezza; rasentava sulla destra l’altipiano di regione Roracco, ecc., passando presso C. Do- menici (556 m.), Roracco (545 m.), ecc., poi, volgendo ad Est, presso C. Giugia,(510 m.), ecc., finchè dopo La Torre (508 m.) (1) Si noti che nella Tavola sono alquanto esagerate in dislivello le ter- razze più importanti pel nostro studio, e che inoltre le linee colorite non vogliono sempre indicare la linea mediana delle correnti dell’epoca in que- stione, ma piuttosto la loro direzione più notevole rispetto a questo lavoro. L'ALTA VALLE PADANA DURANTE L'EPOCA DELLE TERRAZZE Ecc. 621 si univa colle acque dell’Ellero ; invece sulla sinistra non lasciò traccie molto notevoli di terrazze presso monte, ma, dopo essersi unito alle acque di Colla e Iosina, volgendo ad Est, incominciò a scavarsi un alveo nella pianura, passando per C. La Torre (410 m.), S. Rocco, C. Rovere (421 m.), finchè presso S. Ber- nardo si gettava nelle acque del Tanaro. In quell'epoca le acque dei torrenti Josina e Colla escendo dalla loro valle si ripiega- vano ad E. N. E. unendosi presto colle acque del Pesio. Nello stesso periodo le acque del Gesso, siccome il suo cono di deiezione inclinava ad E. N. E., si dirigevano verso VE. N. E. passando tra Morozzo e Montanera e scavandosi poco dopo un alveo, di cui vediamo ora le sponde (benchè incompiute, special- mente a sinistra), a destra nell’altipiano Banale tra C. La Torre (410 m.), C. La Tous (411 m.), il Casino (416 m.) e Bricco d'Isola (415 m.), eda sinistra nell’altipiano Famolasco tra Tri- nità alta (400 m.), C. Racchio (397 m.), il Palazzo (404 m.), e Burey (406 m.); quivi il Gesso sboccando nel Tanaro, dopo oltre 30 km. di percorso sulla pianura con un alveo ampio da 2 a 4 e più km. Allora la Stura aveva ad un dipresso la direzione che ha presentemente, solo che portavasi alquanto più a destra e dopo Montanera incominciava ad incassarsi in un alveo, la cui parete destra è ora conservata solo partendo dalla Trinità sup. (400 m.), e quella sinistra partendo da Fossano (380 m.); per cui possiamo dire che la Stura di quell’ epoca, dopo aver rasentato colla sponda destra, dopo la Trinità, C. Bric (403 m.), Madonna di Loreto (399 m.), C. Lombarda (395 m.), ecc., situate sull’altipiano Piambosco, e colla sponda sinistra, dopo Fos- sano, C. Sacerdote (375 m.), Cappella S. Michele (368 m.), C. Maiotti (370 m.), C. Ariè (365 m.), ecc., situate sull’alti- piano Famolasco, si gettava nel Tanaro tra il paese di Salmour (391 m.) e la C. S. Anna (360 m.) circa, dopo oltre 35 km. di lunghezza, raggiungendo la larghezza persino di 5 km. in alcuni punti. Le acque di Grana in quell’epoca escendo dalla valle mon- tana invece di volgere tosto a Nord come fanno ora, seguendo l'inclinazione del proprio cono di deiezione, si dirigevano verso lE. N. E., cioè verso Fossano, costruendo colla sponda destra una terrazza (lato Ovest dell’altipiano Famolasco) che vediamo ora con- servata cominciando da Fossano (380 m.); e dopo aver rasentato a destra C. Alamandri (365 m.), C. Celebrini (360 m.), C. Sacco 622 FEDERICO SACCO (367 m.), pilone S. Bartolomeo (365 m.), C. Gastaldi (365 m.), C. Famolasco (360 m.), C. S. Anna (360 m.), gettavansi nelle acque del Tanaro; invece dalla parte sinistra le acque di Grana si confondevano quasi con quelle di Mara, che correva paral- lelamente a Grana e gettavasi nel Tanaro poco a Nord del punto di sbocco delle acque di Grana. Anche le acque di Varaita get- tavansi nel Tanaro a Sud di Caramagna; notiamo però natural- mente che quivi la pianura era alquanto più rialzata che ora non sia, essendo essa allora una continuazione dell’altipiano Famolasco e Ceresole, Il Po, come le correnti che trovavansi alla sua destra, sì dirigeva pure verso N. E. mescendosi colle acque del Tanaro nelle vicinanze di Carmagnola e continuando quindi verso il Nord. Notiamo tuttavia a questo proposito, che dirigendosi verso il Nord le acque Po-Tanaro dovevano probabilmente stagnare alquanto od almeno rallentare la loro corsa, incontrando le falde dei coni di deiezione costrutti dalle fiumane di sinistra del Po, specialmente il cono di deiezione della Dora Riparia che si protende sino al piede della collina di Torino; tanto è vero ciò che, specialmente nel territorio di Carignano , il diluvium è coperto da uno strato di finissima sabbia melmosa della potenza persino di 15 a 20 m., strato che fu deposto appunto dalle acque Po-Tanaro durante la prima metà dell’epoca delle terrazze, e che fu eroso in se- guito dalle acque del Po, che vi scavarono il loro alveo attuale ; dobbiamo notare anche, a questo riguardo, come assai grande era la quantità di sabbia ed argilla che verso Carignano già allora trasportavano i numerosi torrenti che scendevano dalle colline Braidesi, non ultima delle cause per cui l’alveo del Tanaro, così ben marcato sin oltre Sommariva del Bosco, va man mano scom- parendo verso Nord, venendo tuttora riempito dai depositi di questi torrenti; come pure in parte alla stessa causa devesi at- tmbuire la deviazione del Tanaro verso Est, come vedremo. Riassumendo, possiamo adunque dire, che durante questo primo periodo di terrazzamento cominciarono a rimanere allo asciutto, presso monte l’altipiano più o meno continuo di Ro- racco (545 m.), S. Grato (510 m.), ecc.; e nella pianura la porzione Ovest degli altipiani Banale (420 m.) e Piambosco (400 m.), la porzione Sud dello stretto altipiano Famolasco (280-260 m.) sino a C. S. Anna circa, e presso la collina Brai- dese l’altipiano di Accate (359 m.), Paolorio (333 m.), Ceresole d'Alba (300 m.), Contarelli (280 m.), Cappei (273 m.), ecc. L'ALTA VALLE PADANA DURANTE L'EPOCA DELLE TERRAZZE Ecc. 628 In questo periodo le acque uscenti dalle valli alpine si allar- gavano ancora molto sulla pianura per modo che spesso confonde- vansi le loro sponde, conservando essi tuttavia una direzione piuttosto indipendente ; inoltre le correnti acquee che scendevano dalle Alpi, come abbiamo notato specialmente per Grana, Stura e Gesso, non scavavansi un letto profondo verso monte, ma solo verso valle, determinando gli isolati altipiani già menzionati; il quale fatto di- pende essenzialmente dalla notevole inclinazione verso N. 0. della porzione Est dell’alta valle Padana, e si comprende facilmente os- servando ciò che verificasi comunemente oggidì sia per le grandi fiumane che peri più umili rigagnoli, ovunque una corrente acquea allargata comincia a restringersi e ad erodere il piano su cui scorre. Frattanto le ultime falde collinose degli Appennini cominciavano @ venire intersecate da varii torrentelli che poco a poco escavando le ridussero a quello stato, direi, labirintoideo che le caratterizza at- tualmente. Sul finire di questo primo periodo di terrazzamento, essendo eradatamente scemata la quantità d’acqua delle fiumane, per un accentuarsi del moto sollevante le correnti acquee deviarono alquanto dalla loro direzione primitiva (2° PERIODO DI TERRAZ- ZAMENTO). Il Tanaro costeggiava sempre colla sua sponda destra le colline delle Langhe e dopo Bra continuava ad approfondire la terrazza Tartapini (366 m.)- Bricco Cerlino - (332 m.) - Sanfrè sup. (316 m.)- Sommariva del Bosco sup. (298 m.) - pilone Montà vecchia (291 m.) - pilone S. Andrea (281 m.) - Ricciardo - Crocetta - C. Bricchetto dell'Ospedale (263 m.), ecc.; invece la sua sponda sinistra si era notevolmente ritirata ad Est, per modò che il Tanaro, con un letto sempre. meno largo tra le colline delle Langhe e quelle di Vicoforte, dopo aver rice- vuto le acque di Ellero e Pesio, rasentava a sinistra Madonna dei Ronchi (401 m.), Rossini (400 m.), C. Calandri (404 m.), C. Ferrua (401 m.), C. Gazera (394 m.), ecc., finchè alla C. Ca- rassi (394 m.) riceveva il tributo del Gesso; dopo ciò continuava per C. Aragno (384 m.) sopra Podio, C. Borgna (383 m.), C. Bi- cocca (380 m.), Eremo di Cherasco (374 m.) e Castello Galateri (367 m.), dove si univa colle acque della Stura; in seguito "confluiva probabilmente ancora per qualche tempo colle acque di Grana presso la Cappella Tarletta (352 m.) e Costa Lamberti ‘(343 m.); ma essendosi gradatamente portata verso Nord tale confluenza, il Tanaro (dopo lo sbocco della Stura) passava per 624 FEDERICO SACCO C. Bastian (332 m.), C. Montemaggiore (321 m.), Valle di sopra (313 m.), Valle di sotto (310 m.), C. Gatti (305 m.), C. Regina (303 m.), Madonna del Pilone (290 m.), ecc., finchè al Motturone (290 m.) riceveva le acque di Grana e poco dopo di Maira e di Varaita, unendosi alle acque del Po nel territorio di Carmagnola circa; siccome il Tanaro, come quasi tutte le correnti acquee, ter- razzò profondamente in questo periodo, così noi troviamo ora molto in basso il suo letto d’allora; di questo letto al piede delle Langhe sono resti, per esempio, il piccolo altipiano dei Pejron e C. Stagna (401 m.), quello tra Case sulla Rocca e C. Cit- tadella (373 m.), quello della C. il Piano (380 m.), ecc.; ed al piede della collina di Vicoforte la Regione delle Prata (420 m.), Regione Campolungo (405 m.), altipiano di Codevilla (413 m.), Roata soprana (397 m.), Bernolfi (401 m), Basini (404 m.), ecc., parte Est delle Regioni Rifreddo (380 m.) e Gratteria (380 m.); e nella pianura la porzione Ovest della Regione Preosa (370 m.), il piano di Carrà (363 m.), delle Regioni Pettarella (370 m.), Le Mollie (360 m.), Rianasso (355 m.), Prata (350 m.), Ca- stelletto e Gombe (345 m.) ecc., il piano di Pra (353 m.), Roncaglia (340 m.), Lucchi (336 m.), Ghidone (327 m.), Cer- vere (301 m.), Colombé (293 m.), Cappellassa (313 m.), Veglia (295 m.), Caramagna (255 m.), ecc.; aveva allora il Tanaro un'ampiezza persino di 7 km., notando però, a questo proposito, che verso la metà circa di questo 2° periodo, le acque del Tanaro alla confluenza del Gesso si ritirarono alquanto verso Est, pas- sando allora la loro sponda sinistra per C. Fornaseri, C. Gallo (369 m.), C. Sardot, C. Aragno (361 m.), C. Raspone (350 m.), La Morra, ecc., ma continuando in seguito le acque di Tanaro la loro strada di prima, per modo da costituire per tale de- viazione uno stretto altipiano (370-355 m.), che in parte ri- cevette il nome di Regione Viamarenca, il quale ha una certa importanza come uno dei pochi resti dell’antico letto del Tanaro durante il 1° sottoperiodo del 2° periodo di terrazzamento. Frattanto l’Eero, sempre rasentando a destra le colline di Mondovì, a sinistra si allontanava dall’altipiano di Roracco pas- sando invece per Villanuova bassa (530), San Luigi (511 m.), Merlo (480 m.), ecc., riunendosi poco dopo colle acque del Pesio; ma dopo qualche tempo si ritirava più ad Est e dopo Vil- lanuova Mondovì passava allora per Bongiovanni (493 m.), Villa Brichetto (462 m.), Avagnina (450 m.), ecc., dove si univa col L'ALTA VALLE PADANA DURANTE L'EPOCA DELLE TERRAZZE Ecc. 625 Pesio e quindi poco dopo col Tanaro, avendo così una larghezza persino di 4 km., e scorrendo su di un letto, di cui sono resti, per il 1° sottoperiodo l’altipiano di Mazzucco (450 m.), Ava- gnina (450 m.), ecc., e per il 2° l’altipiano di Mondovì Breo (410 m.), di Carassone (408 m.), del Cimitero di Mondovì (413 m ), e parte delle Regioni Rifreddo (380 m.), Gratteria (380 m.) e piano di S. Quintino (380 m.). Il Pesio, dopo aver rasentato ancora per qualche tempo colla sponda destra l’altipiano di Roracco ed averne approfondito la terrazza, per piegarsi poi ad Est per 0. Turta (470 m.), ecc. (riunendosi all’Ellero presso C. Zucchi (452 m.) circa), si ritirò alquanto più ad Ovest passando per €. Marenco (530 m.), Ardité (515 m), Ambrogi (509 m.), Pianfei (503 m.), Bongiovanni (498 m.), C. Revelli (490 m.), ecc., e dopo essersi ripiegato ad Est per C. Mogna (489 m.), Blangetti (480 m.) ecc., si riuniva all’Ellero presso Avagnina (450 m.); mentre che colla sponda sinistra passava per C. Massa (537 m.), Le Combe (536 m.), S. Maria Rocca (504 m.), Simonin (500 m.), dove riceveva le acque di Iosina e Colla; dopo di che piegando ad Est costeggiava l’altipiano di Regione Banale passando per La Torre, S. Bernardo, C. Torre (410 m.), C. S. Luigi (404 m.) ecc., gettandosi poi nel Tanaro alla Madonna dei Ronchi (401 m.); nel qual tempo aveva un letto ampio oltre 6 km. in molti punti; resti del letto del Pesio in questo 2° periodo di potente ter- razzamento sono: per il 1° sottoperiodo l’altipiano di Mussi (523 m.), Pianfei (503), Blangetti (480 m.), ecc., e per il 2° sottoperiodo a monte si può quasi dire l’attuale piano del Pesio, ed a valle il piano di Margarita (450 m.), Morozzo (430 m.), Crava (410 m.), Roccadebaldi (415 m.), Zucchi (400 m.), Ma- gliano (390 m.), ecc. Il torrente Zosina, dopo aver rasen- tato colla sponda destra C. Benelli (530 m.), C. Ciambotta (525 m.), ecc., volgeva ad Est passando per Beinette, C. Brobbio (502 m.), ecc., riunendosi colle acque col Pesio ai Simonin (500 m.). Così pure il torrente Colla, poco dopo essere sboccato dalla valle montana piegando ad Est, passava per C. Cavallera (565 m.), C. Verde (550 m.), S. Lorenzo (545 m.), ecc., unen- dosi poi colle acque di Iosina e quindi col Pesio. Il Gesso in quell'epoca continuava a dirigersi verso VE. N. E. sempre più incavando il suo letto verso valle e rasentando, nel 1° sottoperiodo, sulla destra La Torre, Bricco d'Isola, C. Borra (405 m.), Gorra (397 m.), pilone S. Luigi (400 m.), pilone S. Stefano 626 FEDERICO SACCO (396 m.), ecc., gettandosi nel Tanaro alla C. Carassi (394 m.), mentre che nel 2° sottoperiodo si univa col Tanaro presso la C. Ribadella (356 m.) circa; invece colla sua sponda sinistra nel 1° sottoperiodo il Gesso rasentava Trinità, Burey, C. Cristino (391 m.), S. Bernardo (387 m.), C. Renaldi (386 m.), gettandosi poco dopo nel Tanaro, mentre che nel 2° sottoperiodo tale con- fluenza era portata poco a Sud della C. Raspone (350 m.); l'alveo del Gesso era allora ampio da 2 a 4 km. circa; il letto del Gesso alla fine di questo periodo era, verso valle, il piano dei Dalmazzi (390 m.), di S. Giovanni (385 m.), ecc., sino a Bene-Vagienna (350 m.). La Stura frattanto mentre verso monte non era ben di- stinta a destra dalle acque del Gesso, verso valle se ne allon- tanava presso Trinità, continuando poi per Salmour, C. Mar- ghera (373 m.), ecc., finchè si gettava nel Tanaro al Castello Galateri (367 m.); colla sponda sinistra, siccome la fiumana escendo dalla valle montana si espandeva lateralmente, rasentava dapprima C. Spazzafornei, Ruata Rivetta (577 m.), ecc., e nel 2° sottoperiodo passava per C. Moni (600 m.), C. Anfosso (594 m.), S. Croce (586 m.), C. Baronpozzo (562 m.), Con- freria, ecc. , confondendo alquanto la sua sponda sinistra con quella destra di Grana, da cui però si separava nettamente a Fossano rasentando allora l’altipiano Famolasco sino a Cappella Tarletta e Costa Lamberti (343 m.) circa, dove si gettava nel Tanaro ; il suo letto misurava allora in certi punti oltre 4 km. di larghezza, ed è quello su cui stanno ora S. Albano (380 m.), Trinità bassa (375 m.), Chiaramelli (318 m.), Grinzano (320 m.), Cervere (301 m.), Montarossa (315 m.), Cappellassa (313 m.), ecc. Le acque di Grana continuavano a costeggiare a destra la Re- gione Famolasco, unendosi colle acque del Tanaro, dapprima nelle vicinanze di Costa Lamberti (343 m.), e resto di questo passaggio è il rio Grione che, raccogliendo le acque discendenti dal lato Ovest dell’altipiano Famolasco, passa per Castello Salsa, Trucchi e Famolasco volgendo a N. E., finchè raggiunge il tor- rente Melletta e quindi il Po a monte di Carignano; ma poco a poco le acque di Grana si portarono più a Nord costeggiando a destra Tetti Boita (333 m.), S. Bernardo (315 m.), Marene, C. dei Franca (294 m.), sinchè riunivansi alle acque del Tanaro presso il Motturone (290 m.). Le acque di Maira si gettavano allora nel Tanaro poco a Nord della confluenza di L'ALTA VALLE PADANA DURANTE L'EPOCA DELLE TERRAZZE ECC. 627 quelle di Grana. Le acque di Varazta mescevansi con quelle del Tanaro nel territorio di Caramagna circa. Le acque del Po confluendo nel territorio di Carmagnola all'incirca colle acque del Tanaro, continuavano poi verso Nord, certamente con una lar- ghezza considerevole. Il letto di queste ultime correnti fluviali, al termine del periodo in discorso era ad un dipresso l’attuale pianura padana. Alla fine di questo 2° periodo di potentissimo terrazzamento erano rimasti all’asciutto sulla pianura, oltre quelli preesistenti, gli altipiani di S. Maria Rocca, di Pianfei, di San Luigi e Branzola, di Avagnina, la parte Est delle regioni Banale e Piambosco, e la parte Nord della regione Famolasco, di cui erasi allargata lateralmente la porzione Sud. Frattanto, siccome le correnti acquee non avevano cessato di diminuire di volume, in seguito ad un più potente impulso della forza sollevante, nuovi e notevoli cangiamenti si verificarono nelle fiumane (3° PERIODO DI TERRAZZAMENTO ). Il Tanaro con una larghezza di solo più 2 o 3 km., si portò sempre più ad Est, rasentando a destra le Langhe e, dopo Bra, la preesistente ter- razza Sanfrè-Sommariva, ecc. ; la sua sponda sinistra passava per Canton (400 m.), Camigliasca (390 m.), S. Marco (394 m.), C. Zanoni (386 m.) (ricevendo poco dopo il tributo dell’Ellero), i Govoni (370 m.) (mescendosi quindi colle acque del Pesio), C. Rinada (363 m.), Carrà (363 m.), C. Verame (355 m.), Mirra presso Piozzo (345 m.), Lequio (333 m.), Narzole (323 m.), Priosa (325 m.), C. Vallarà (322 m.), C. Costa (314 m.), Castel Varolfo (305 m.), quindi, dopo la confluenza della Stura, continuando sempre verso Nord per Roreto (290 m.), C. Mala- baila (289 m.), Tetti alti (283 m.), Case del Bosco (274 m.), Molino della Motta (269 m.), ecc., finchè il Tanaro si univa col Po non lungi da Carignano. Di questo antico letto del Tanaro abbiamo resti sulla destra negli altipiani di regione Carpenera (350 m.), C. Gay (347 m.), S. Nicola (337 m.), ecc., S. Carlo (316 m.), Monchiero (312 m.), ecc. ; sulla sinistra troviamo ana- loghi residui negli altipiani dei Dalmazzoni (376 m.), Niella Tanaro (378 m.), Fornello (372 m.), C. Scarpito (356 m.), i Minetti (358 m.), la punta Est degli altipiani di S. Quintino, di regione Rifreddo e di regione Preosa, nei piani di S. Pietro (340 m.), di Roatta (337 m.), di C. del Soldato (336 m.), di Piozzo (327 m.), nella punta della regione Grillero (316 m.), nei piani di C. Cava- liera (309 m.), Corno (297 m.), Cherasco (288 m.), Bra (280 m.), 6028 FEDERICO SACCO Sanfrè (275 m.). ecc. Durante questo periodo, d'altronde piut- tosto breve, le acque di EZlero, Pesio, Iosina e Colla, comin- ciarono a delineare l’attuale loro alveo; poche erano allora le varianti che esse presentavano dall'attuale corso, così per esempio il Pesio non faceva a Morozzo un angolo tanto marcato come attualmente, ma bensì una curva, ecc.; ma in complesso non presentavano fatti importanti. Il Gesso invece, cessando di pas- sare per Bene, confluiva colla Stura; confluenza questa che in poco tempo si trasportò verso monte sino a Cuneo. La Stura continuò a scavarsi l'alveo che vediamo attualmente così pro- fondo, gettandosi nel Tanaro tra Castel Varolfo e Roreto. Le acque di Grana, Maira, Varaita e Po si portarono sempre più a Nord nel loro corso, e probabilmente Grana e Maira comincia- rono a fondersi meglio verso valle, continuando forse a gettarsi nel Tanaro. La confluenza del Po col Tanaro avveniva probabilmente nelle vicinanze di Carignano. Infine un più intenso sollevamento fece sì che tutte le cor- renti acquee di questa regione pigliassero poco a poco l’attuale direzione (4° PERIODO DI TERRAZZAMENTO). Il Tanaro si ritirò sempre più ad Est, quindi, anche per trovarsi vieppiù ostacolato a Nord dalle alluvioni dei torrenti che scendevano dalle colline Braidesi, approfittando di una depressione che probabilmente già esisteva tra le Langhe e le colline Braidesi, si volse ad Est de- finitivamente per modo da raggiungere il Po a valle di Alessandria dopo oltre 276 km. di percorso; notiamo però che, sino ad un tempo molto recente, esso battè in breccia contro le colline Braidesi, escavandole potentemente in arco tra Bra e S.° Vittoria. Ellero, Pesio, Iosina, Colla e Gesso continuarono a scavarsi più o meno profondamente l’attuale loro alveo, sempre diminuendo sia in volume che nell'ampiezza delle loro curve, per modo da terrazzare molto bene l’alveo che così si scavarono ; lo stesso dicasi della Stura, la quale per lungo tempo passò sotto Bra, per modo che, sia per la confluenza quivi di Stura con Tanaro, sia per il punto morto che doveva necessariamente trovarsi all’interno della curva che faceva la Stura in quella località, alla distanza di quasi 1 km. dall'antica sponda sinistra, restò quel piccolo rialzo di terreno, allungato nel senso N. $S., che prese il nome di Monte Capriolo (254 m.). Le altre fiumane, portandosi poco a poco a Nord, raggiunsero l'attuale loro posizione senza però incassare molto il loro alveo, quantunque scorressero su terreno alluvionale e quindi facilmente erodibile, L'ALTA VALLE PADANA DURANTE L'EPOCA DELLE TERRAZZE Ecc. 629 È inutile l’aggiungere come in tutti i periodi di terrazza- mento ora menzionati, tanto antichi che recenti, le correnti acquee deponessero sempre, là dove scorrevano, alluvioni più o meno potenti, che io appellerei alluvium delle terrazze. Fatta così sommariamente la storia delle correnti fluviali dell’epoca delle terrazze nell’alta valle padana, possiamo ancora dire poche parole su ciò che contemporaneamente si verificò nelle principali fiumane della valle Padana più a Nord. La Dora Riparia prima di scavarsi l’attuale alveo, per qualche tempo si costituì in lago nell'interno del suo anfiteatro morenico, e le acque che traboccavano dirigevansi specialmente verso N. E. È notevole per la Stura di Lanzo specialmente la sua grande terrazza di sinistra che da Balangero per Novero (410 m.) e Teppa (325 m.) si prolunga sino a Volpiano, che dista circa 10 km. dall'attuale corso del fiume, indicandoci per tal modo come l’antica direzione della Stura, anche tenendo conto della maggior ampiezza del fiume d'allora, doveva essere molto più ad Est che non attualmente. Quasi lo stesso si può dire per l’Orco che costruì sulla sinistra la terrazza Agliè (330 m.) - S. Giorgio Canavese - Foglizzo - Montanaro, dalla quale ora è notevolmente distante, mentre il torrente Malone rasenta quasi la terrazza di destra, Barbania (360 m.) - Rivarossa (286 m.) - Volpiano, che costruì in unione coll’Orco. Possiamo ancora accennare alla Dora Baltea, che prima di incassarsi nell’attuale suo alveo, avendo il suo bacino morenico converso in lago, per lungo tempo sboc- cava presso Cavaglià, dove evvi ora la regione Dora morta, co- struendo la terrazza che da S. Quirico (239 m.) si avanza sino alle C. Chiappine presso Carisio (205 m.), cioè con direzione spic- catissima verso l'Est, mentre oggigiorno corre direttamente a Sud, per cui le C. Chiappine distano ora una ventina di km. circa dall'attuale corso della Dora. Moltissime ed assai interessanti sarebbero le osservazioni sulle varie terrazze, altipiani, ecc. anche in questa parte della valle Padana, nonchè più ad Est nella Lombardia; ma per non di- lungarmi troppo, porrò fine a questo lavoro (per l'indole sua già molto minuto) accennando alle principali conclusioni, che credo possansi dedurre dall'esame dei fenomeni sovraccennati: I° Le più antiche ed importanti terrazze dell’alta valle Padana non possonsi spiegare semplicemente per fenomeni di Atti R. Accad. = Parte Fisica — Vol. XIX. 42 630 FEDERICO SACCO - L’ALTA VALLE PADANA ECC. idraulica fluviale, cioè per oscillazione ed approfondamento delle correnti erodenti o per sola azione di cernita e di lavaggio (come si verifica per molte altre terrazze, anche di questa regione); ma la loro formazione, oltre che al diminuire di volume delle fiumane durante l’epoca delle terrazze, devesi indubbiamente at- tribuire a fenomeni endogeni, cioè a sollevamenti; tanto più che molte delle correnti acquee esaminate intaccarono non solo i terreni diluviali, ma anche quelli pliocenici e persino le compatte marne mioceniche. © II° Durante l'epoca delle terrazze la valle Padana e quindi naturalmente le catene montuose che la circondano subirono un notevole sollevamento ; sollevamento che continua probabilmente tuttora. III° Il sollevamento indicato fu massimo per le catene mon- tuose che fanno il passaggio tra le Alpi e gli Appennini, medio per le Alpi Pennine e Lepontine, minimo per la parte Nord delle Alpi Marittime e per le Alpi Cozie; o più semplicemente la forza sollevante si accentuò in particolar modo per le catene montuose dirette E.-0., e specialmente per quelle situate più a Sud. IV° Per l’alta valle Padana tale sollevamento, che sul fi- nire dell’epoca pliocenica era diretto da S. E. verso N. 0. (come risulta dalla inclinazione degli strati pliocenici), sul principio dell’epoca delle terrazze si compiè da Sud verso Nord (trasporto dei corsi d’acqua da Sud a Nord), finchè verso la fine dell’epoca delle terrazze si verificò con direzione alquanto verso il N. N. E. (deviazione del Tanaro ad Est), facendo così una curva di quasi 45°. V° Il moto sollevante si verificò con maggiore intensità nella prima metà dell’epoca delle terrazze. VI° Il sollevamento si accentuò specialmente di tratto in tratto durante certi periodi che io distinsi in quattro principali nell'alta valle Padana, in considerazione dei fenomeni importanti che li caratterizzarono, mentre che in verità essi furono in nu- mero molto maggiore. VII° Nell’alta valle Padana l’intensità del sollevamento fu molto maggiore, come pure i diversi periodi di sollevamento fu- rono più distinti a Sud presso monte che non più a valle. Sezione A-R (NO-SE.) Scala per de alfezze 1:7500, per le lunghezze 1: 75000 . ico Letto deVT.Grana (Mellea) R.Famolusco R. Piambosco R. Banale And ? : ; F. Stura T.Veglia [ Ù Antico letto Aa tBesso Me ue i . H I - Altipiano di Carrù Ì i ° 2A (Antico letto del F.Tanaro ) = ; EI, di pa 9poziod,g] oponiad;y 1 raueunp BUEped ae egge eu pod, Tperang anboe affap oss09Iod [ap Moagzou nuoZIIIU ISUONDIZDIDA UOU D40P 0 oguowponzzmo MP | OZZIHIOS 000063 LP ereos PELLA 2]9p vI0do, 1 NN N PÒ sò % ra VWtrmynssss<271) pw Na 3 Il Socio Comm. Prof. (. CuRrIoNI presenta e legge il seguente lavoro del sig. Ingegnere Scipione Carpa, Prof. nella Scuola d’Applicazione per gl’Ingegneri in Torino, SUL MOVIMENTO DI ROTAZIONE MASSA LIQUIDA INTORNO AD UN ASSE. Una massa liquida si può immaginare dotata di un movi- mento di rotazione intorno ad un asse per modo che tutti i punti di ciascuna circonferenza avente il centro sopra il medesimo asse, abbiano nello stesso istante la stessa velocità angolare, la quale può variare col tempo per una stessa circonferenza fluida e può in uno stesso istante essere diversa da circonferenza a circonfe- renza fluida perchè le molecole liquide sono sciolte le une dalle altre. Evidentemente questo movimento di cui possiamo immagi- nare dotata una massa liquida, soddisfa alla condizione neces- saria della continuità. Applichiamo a questo movimento le equazioni generali del moto di un punto materiale e perciò incominciamo dal farne l'applicazione più generale ad un punto di una massa fluida che si muova comunque. Riferita la massa liquida ad un sistema di tre assi coordinati ortogonali, indichiamo con X, Y, Z le componenti parallele ai tre assi della forza applicata al liquido nel punto di coordinate X, Y, £ per ogni unità di massa; rappresentiamo poi con d'a d°y d°z dii ddt 632 SCIPIONE CAPPA le accelerazioni dello stesso punto parallele al tre assi, dp con eh dy, FRA gli accrescimenti della pressione corrispondenti ai rispettivi incre- menti dx, dy, dz delle coordinate del punto che si considera. Sia G il peso specifico del liquido, g l'accelerazione della yY gravità, epperò — la densità del liquido. le) ’ Ig Le equazioni del moto di un elemento della massa liquida avente la forma di un parallelepipedo rettangolo di lati da, dy, dz, saranno le seguenti: G DD) G Ra — da dy d:X— È da dy de=—-dx dy da£ g dx Ig dt G I G I — dx dy dea ps; da de=k avremo quindi ack 4.) RIPA d= (-1)°(m—- a);_.D"*p,. aZ0I (9) Da qui si vede che i coefficienti g, nella (3) sono pure fun- zioni olomorfe nell'intorno del punto a, eccetto per =, e non contengono parimente potenze negative di x — a che in numero finito. Se chiamiamo À, il numero 7 corrispondente a q,, è chiaro per la (4) che A, sarà il più grande dei numeri 7, +%— «, mentre x va da 0 a È, ossia \+m—k sarà il più grande dei numeri mi Rbm_1, n,4m-2, ..... mrep+m—k, 652 P. TARDY e perciò, se 4 =’, sarà ),+tm_-k=n,+m—-h , per cui CI MM L’indice caratteristico della (2) è dunque uguale a quello della (1). Segue da ciò che la sua equazione fondamentale determi- nante, sarà, sam—h 2)... Me(e—1)-..(p—m+h+5+1)[g, X*]=0. STO Poniamo nella (4) X=/7%+s, ed osserviamo che per essere De X"a Par ? si à Dp'+5-@ REES 1 h+s-a pai 1 PI Pa=(— ) Ta(mt ) (att 801) rigato ove i termini che seguono nel 2° membro contengono ne’ loro de- nominatori potenze di X con esponenti minori di 7,+%+S—%, e che dovendo moltiplicare g,,, per X"#**, e poi fare 7=a, spariranno tutti i termini corrispondenti ad a<% , perchè 7,+s è più grande di nr+th+s-—1, q7,4h+s5-2, ..... Tm, +S41 e spariranno ugualmente tutti i termini della derivata D'**p, eccetto il primo, per ogni valore di «>, perchè 7,45 è mag- giore od uguale ai numeri ROIO I 9 Roi chis 9 <> amet ae Tn +S-MH4 L) ’ e quindi si otterrà, ponendo %X-+p invece di «, pes [oggetti =M(- 1) (mR paia (Mt 1) uo ; (7 ta a are pl. Cai 1 ) [Pia | X "a A a RELAZIONI TRA LE RADICI DI ALCUNE EQUAZIONI 653 Ora, siccome Th, 35 fl. = Th+y È) la quantità [E A A sarà nulla o diversa da zero, secondo che si à Ride = Rapa), ONVCIO, Tel cno: perciò nella precedente espressione possiamo invece di 7,,, mettere 7,4, ossia G-m+h4p, essendo G=rn,+m_—-h , e otterremo così, mutando i segni dei fattori contenenti (G , [Qn4s X # es] = p=s DC 1) **(m-h-p.);_,(m-h-tu-G)(m-h-p-G-1)...(m-h-G-s+1); = [Pie X "a *] Lg Sostituendo nella (2)' essa diverrà sem_—h u=s D).... Si x 1)(m_-R_-U);,f (a Dica (p_m +445+1); S=oy a=0 (m—h—u—G)(m-h—p—G-1)...(m-h-G-s+1)[p,,,X"],=0; a e rappresentando con @,,, il coefficiente di | p,,,X"*"], nello sviluppo di questa equazione, può mettersi sotto la forma s«—m_—h (6) DELE x (TAR (900 ore 8 RESA T—0 Per avere il valore di @,,. bisognerà nella (5) della se- conda sommatoria prendere il solo termine corrispondente a y=7, 654 P. TARDY ed estendere la prima sommatoria da s=7 ad s=m—, e fatto poscia s=7+y sarà qam_—h- x = > (1) (m_—-h_t),p(p — 1) ARES) {=0 (m-h-t-G)(m-h-z—G-1)...(m-h-t-G—-y+1). Ma per una formola nota (*) si à (=c (K) Di (eLu(u—1)...(u—c+t+1).0(0--1)...(o-t#+1)= tei=0 (u+0)(u+0—1)...(u+o—c+1), quindi risulta (ARS Css 9a ire CO SIE a-o—-1)(G-p—2)...(G--p-m4h+t), e la (6) finalmente si cambia nella «—m—h (7)... Si (G-p-1)(G-p-2)...(G-o-m+h+z) [puo T=-0 che è la cercata equazione fondamentale determinante (2)' della (2). Paragonandola con quella della (1) cioè con la (1)' si vede che risulta da questa cambiando r in G—p—1; si à dunque (**): Teorema I°. Se indichiamo con r,, 7, , Ym_, le radici del- l'equazione fondamentale determinante (1)' della (1) A(g)=0, quelle dell'equazione fondamentale determinante (2)' della sua aggiunta (2) A4,(2M)=0, sono p= GEAR 0A 22808 Di SR AZIO essendo G il più grande de’ numeri appartenenti ai coeffi- cienti p. (*) Caucay, Analyse algebrique, p. 100, (**) Giornale di Crelle, t. 76, p. 284. Di Ud uv RELAZIONI TRA LE RADICI DI ALCUNE EQUAZIONI Richiamiamo ora alcune nozioni fondamentali. Conoscendo un integrale particolare M, della equazione dif- ferenziale aggiunta Pi... A,(M)=0 la Mei)... A(y)=0 sì riduce, e diviene oi (Meri Cm fo. di pad y=3r : ove €,, è una costante, e si à la relazione fi. . Pa= D' "+ Dp 4p° DlogM,, (a=byjfag 02. Li )aa intendendo che sia i DIO ; L'equazione a=m—=1 (10)... vp Deey=o, à tutti i suoi integrali comuni con la (1), e la (8) è un in- tegrale primo della (1). La (2) ponendo MU xx: (% die si riduce alla M.;. i (EI ao Se supponiamo noti % integrali della (2) Me | MO (Ma M, } M, a dx 5 ax, fat (#7 da , MO) Mur ar,=2t (4:37 als Sa 5 656 P. TARDY e operiamo successivamente col metodo di riduzione impiegato per passare dalla (2) alla (11), perverremo alla equazione gam_—k (ONE e) » (1) Dm (pl0 MM)=0. =0 D'altra parte partendo dall’equazione del 1° ordine, cui sod- disfa M&7! DS ge } per cui ge») —D log M (&=”) 4 e servendosi delle relazioni (9), in cui si faccia M, — M&-2) i pî° ce gira | D.= go si consegue l’equazione del 2° ordine D? SE) Sp) (ola Sie ig Sea = , che à per integrali I DA M&-2) ( 2 dik. n) e così proseguendo si arriverà all'equazione p=k (18) SCENDONO E g=0 > la quale avrà per integrali M, , M., ... M,. Le relazioni (9) divengono in generale GE) E PI = pl Dpl4" + pl" DlogM®0 ; (e ZIO GU, RU, NESTA {el 23 culi MR) intendendo che sia M°9=M, pics i piro RELAZIONI TRA LE RADICI DI ALCUNE EQUAZIONI 657 Analoghe relazioni si ànno per i coefficienti 9g. Intanto la (1) per mezzo di quei % fattori integranti si ri- duce alla qam_k Ml... IR pi a y=0 Mc fare en (MS (MO Me lily aa) * ge) Me bot rg ii M, da , che per brevità scriveremo MRO)... .. By)=w . Questa equazione è un integrale (/)"° della (1), e, per la nota reciprocità tra gl’integrali di un’equazione e quelli del- l'equazione de’ suoi fattori integranti (*), il secondo membro w è l'integrale completo dell’aggiunta dell'equazione (18), cioè della B=R Me... MiB 00, p=0 mentre il primo uguagliato a zero am—k (4) m_k=y)j}— AT Meo) ..... VIE D tab =03 T=0 che è l'aggiunta della (12), à tutti gl’integrali comuni con la (1). Adesso importa esprimere i coefficienti p per mezzo dei pl 6 dei g. Servendosi delle relazioni (14) il Thomé à trovato per in- duzione la formola, che poi à dimostrato rigorosamente col so- lito metodo di conchiudere da un indice al successivo. Però vi si può pervenire molto più semplicemente con altre considerazioni. È chiaro che l'equazione a—=k am_—k c(EM)=ZaD( Malprty)=o. (*) TaomÉ, Zur Theorie ete,, Giorn. de Crelle, t.76, p. 277, 658 P. TARDY è un’ equazione differenziale lineare di ordine m, la quale è soddisfatta da tutti gl’integrali della (1). Infatti per quelli che sono comuni alla (1) e alla CORTE Bly,=0x si à evidentemente C(0)=0 e tutti gli altri della (OTT Bi(y)=w, che verificano parimenti la (1), dànno C(w)=0 perchè w è l'integrale generale della (17). Pertanto l’equazione C(B(y)=0 deve coincidere con la A9)=0 , avremo dunque amm yam—k » DI? (°° D mala) a —=0 p=o = l) Mm è gR S I SS ] Mi 5 =k am_—k $=k—g Ma 3, Mi 0-fD eci | è=o0 g—=0 ved Il coefficiente di D"7 y nel 2° membro si otterrà prendendo della sommatoria rispetto a il solo termine corrispondente a y= X—_- ì) — 4 onde sarà B=% d=k—p dee #) RAR 93 cHxd (X#—B) Deo g=0 d=0 De : (& er 7 ove s'intenda che sia p° "= 1.e pl con indice negativo o con indice superiore a m22--% uguale a zero, e questo è appunto il valore dato con altra notazione dal Thomé (*). I coefficienti p © | (*) Giornale di Crelle, t. 76, p. 281. RELAZIONI TRA LE RADICI DI ALCUNE EQUAZIONI 659 e g sono come i p funzioni olomorfe nell'intorno del punto a, e per x=a divengono infiniti di ordine finito. Siano 7° e per essi gli esponenti analoghi a° 7: i numeri appartenenti ai coefficienti p, saranno ntm_a, (eat 00, quelli dei coefficienti n° (4) He 31 Lg: n, +m_kT—y, (TANO ia e e quelli dei coefticienti 4, ot4k-, (== ERE Se ®' è l'indice caratteristico delle equazioni (17) e (18) e R° quello delle equazioni (18) e (12) risulta dalla formola (19), come à mostrato il Thomé, che l'indice caratteristico delle equa- zioni (1) e (2) è h=h 4h, e di più se rappresentiamo con G, x, 9, i più grandi dei nu- meri appartenenti ai coefficienti p, g, pl si à G_nHk0 e per conseguenza Ty ni, ne 0 hi L'equazione fondamentale determinante della (17) \=k— h! 1/4 ’ I © pr tà (17)... Di r@-1).. (60-74-0441) [gunX" ].=0, ted) e quella della (18) paem—k—hi! i È 8)... 33 r'('-1)...(r—m+k+h spero ateo Prendendo dalla (19) il valore di p,,, , moltiplicando i due membri per X"A +8 Soa rta 600 P. TARDY e poi facendo «=a è chiaro che spariranno nel 2° membro tutti i termini contenenti g con indice minore di %' , giacchè essendo Op > @-Lh—b% Se (04 (k) — es Tha _ybEh'-h4+B40, sì à Ou+ 7, +5>% a a ada LE —R per cui ponendo lo) N44) avremo RO pg Di a=k-h'" $=k-h' (k) dI+4 (k) Ti SEMI di Dr TE h cre I) [9w RYI Xx! IO in si N'I4S_Î o a Ponendo per la derivata il suo sviluppo ed osservando che n°) = Tn + s —) = Tp'4s-8 + O) . resterà (4) ; GET = [Dy1 p h X |. 4s-)-Îd (k) AR 5_(%) (k) (k) N (4) ni +s_i pr iù 1) LE, (î h'I4+sT)—d rai Uto un 1 Pre Xi e siccome questa espressione si annulla o è diversa da zero se- condo che si è LI, cos) mo +sA—-0> 0d =? Gnsivi La dl nel sostituire nella (20) possiamo invece di Ti, mettere n'+s rd nds) d ossia 9Lm4&k4h° sN ed allora la (20) si cambierà nella \-k-h Sk h' 1% n (0) s+3 Des 5 L DI. kW [gn È -% RAR n (m—-k—l'-54)—-9+d—1)..... h) | ..(m_k_h —8S+À -041)|o SR da a RELAZIONI TRA LE RADICI DI ALCUNE EQUAZIONI 661 L'equazione (1)' perciò diverrà sam_h \=kT—-h $2k-h' È, >, > PO 21). MERES1) [40 xa so xo èò=o X (FL) (m_d-h —s+)—-09+0)(m—k—h'—s+)-9+0—1)... i) (4) i (M_-kR-h-S+i-041) | si si ai 0A. ) 1 KI +s—X-8 . . k Pie) tw Per avere la parte che contiene il fattore (Dia, xo AP d dovremo prendere dalla sommatoria rispetto ad s il solo ter- mine corrispondente a s=p+3+0, e perchè nei limiti delle somme è sempre k+h =h+X+ò; questa parte potrà scriversi così: Di . 1 4 k h' 1 (K) gut r(r-1l)...(r-m4k+h+p+1) DA è \=k_h! Sk —- h!-% 7 0) LI I) x [son ni (-kR-))z; (rm4l4h"+p)(r-m4T+h'4p-1)...(r-m4h4pt4)3+0+1), (m-k-hn'—u-09(m-Ik-h'—u-0—1)...(m-k-h'—p—-0—0+41), e applicando qui di nuovo la nota formola (X) e avuto riguardo che i valori estremi di 1. sono 0 e m—-%—h'", l'equazione (1) sarà finalmente trasformata nella uaem—k-h" [Lo IN a | (k ATA RI r(r- 1)...(hr-m4t4k+h'+p +1[00,,* b'! | u— 0 Mr" | > (r-6)(r-0—1)...(r-0-Xk+h'+2+1) Pesa = \=o la quale ci mostra che la (1)' è il prodotto delle due equa- zioni (18) e (17) quando sinsi posto nella (18): » invece di r", e nella (17) r—@ invece di r°. Dunque Atti R. Accad, » Parte Fisica — Vol. XIX. 44 662 P. TARDY - RELAZIONI TRA LE RADICI DI ALCUNE EQUAZIONI. Teorema 2°. Le radici della (1) sono le radici della (18) invariate, e quelle della (17) aumentate del più grande dei numeri appartenenti ai coefficienti p. Indicando con r," , , , Si. rx 4° le radici della (18) e con aa quelle della (17), le radici dell'equazione fondamentale determinante della (1) saranno rozzo TA Se ora consideriamo le equazioni fondamentali determinanti delle aggiunte della (1), della (17) e della (18) cioè delle equa- zioni differenziali (2), (13) e (12), che diremo (2), (13) e (12), sappiamo pel Teorema 1° che le radici della (2) sono G-1,=1,;, G-=-r, TT Se i Gerealì, ossia pel Teorema 2°: Nr7 y 2 RU, G_— r, 2g 1 GT_r,- 1, ES IGO G-r' xp 1, CASSA e e CJ quelle della (13) e RI n. n-riypol, e quelle della (12) 0-r" 21, -:0+r,>l,.... EA ossia, poichè G=U CE SONO : G-9—-r/-1, G-9+-r,-1, 00 \G=0-rppel, per la (13), e G-n-r,+1,-:G-a-r,+1, ... G-a2°r664=_1 per la (12), onde: Teorema 83°. Le radici dell’equazione fondamentale determi- nante (2) sono quelle della (13)' invariate, e quelle della (12), aumentate del più grande dei numeri appartenenti ai coeffi- cienti 9g (*). (*) Tuomé, Giornale di Crelle, t. 76, p. 285. 663 ——_____ Il Socio Comm. Prof. E. D'Ovipio presenta e legge il seguente lavoro del sig. Dott. Gino LORIA, INTORNO ALLA GEOMETRIA SU UN COMPLESSO TETRAEDRALE. Scopo del presente scritto è di indicare una via per istudiare la geometria su un complesso tetraedrale e di mostrare alcuni. risultati che per essa si possono ottenere. La base del metodo seguito sta in una rappresentazione del complesso tetraedrale sull’ordinario spazio punteggiato, rappresentazione che è già stata indicata da altri sotto forma più o meno diversa (*), ma di cui non credo sia ancora stata posta in evidenza la grande fecondità. Le applicazioni che espongo mi sembrano sufficienti a provocare un giudizio favorevole a tale metodo: tuttavia, colla rappresenta- zione indicata è così semplice il modo di passare da una figura obbiettiva alla sua imagine, che è ragionevole supporre che altre conseguenze più importanti possano venir tratte col suo mezzo. Debbo avvertire che, dopochè le presenti ricerche erano state istituite e avevano raggiunto un certo grado di sviluppo, mi venne fatto di vedere che Klein e Lie avevano indicato (**) un metodo analogo a quello da me usato come opportunissimo per lo studio della geometria su un complesso tetraedrale e che il Lie aveva enunciati alcuni teoremi (#**) che a me pure si presentarono e che si trovano in parte anche nel citato lavoro del Weiler. (*) Cfr. specialmente: Reve, Die Geometrie der Lage, II. Bd., p.145, 1880. WeILER, Fine Abbildung des tetraedralen Complexes auf den Punktraum. Zeitschrift fur Mathematik und Physik.Bd. XXII, p. 261, 1877. BerTINI, Sulla congruenza di 2° ordine, 2° classe e 1* specie dotata soltanto di superficie foca'e. Transunti della R. Ace. dei Lincei, Novembre, 1879. (**) Comptes rendus de l’ Academia des Sciences de Paris, t.1L,XX,p. 1222 e 1275, 1870. (***) V.la memoria: Uedber die Reciprocitit-Verhilmisse des RevE-schen Complexes. Gòtt. Nachrichten, 1870, p. 53. 664 GINO LORIA $ 1. Generazione e rappresentazione di un complesso tetraedrale. 1. Fra i punti d'uno spazio S e quelli d’uno spazio 8° si supponga esistere una corrispondenza proiettiva qualunque de- terminata da cinque coppie P, P. (4= 1,...5) di elementi omo- loghi. Le rette p' che uniscono le coppie P, P' di punti cor- rispondenti dei due spazii formano una varietà a tre dimensioni, che, com'è noto (*), è un complesso di secondo grado C', avente la superficie singolare costituita, come luogo, dai piani, e, come inviluppo, dai punti uniti della data corrispondenza proiettiva, e che può anche definirsi quale luogo delle rette di S'° che se- cano le loro corrispondenti in 8": esso si suol chiamare com- plesso tetraedrale (**). 2. Ad ogni punto P di $S corrisponde in generale una de- terminata retta p' del complesso, che è la congiungente del - punto P col suo omologo P' in S'°. Viceversa ad ogni retta p' del complesso (4, corrisponde un determinato punto di S, il quale non è che il punto d’intersezione di p' colla retta che questa, considerata in S', ha per omologa in S'. Per conseguenza si può dire che il complesso tetraedrale 0,' è rappresentato univocamente sui punti di S: ogni punto di S è imagine della retta del complesso uscente da esso, ogni retta p' del complesso ©,’ ha per imagine quel punto di p' il cui omologo in 8° sta su p°. È utile considerare separato lo spazio S (spazio rappresentativo) dallo spazio S' (spazio del complesso) perchè una stessa figura si comporta diversamente secondochè vien considerata in S o in S°. (*) (CirRiave, Pe, 'p. 1,50. (09) È bene avvertire fin d’ora che, affinchè il complesso tetraedrale non degeneri in due lineari, basta (cfr. una nota dell’A. Sulle corrispondenze proiettive fra due piani e fra due spazii inserita nel vol. 22, p. 1, del Giornale di matematiche) che gli elementi uniti della corrispondenza siano in numero finito, 6 non è necessario di supporli distinti. Spesso accadrà nel discorso di parlare di 4 punti o di 4 piani uniti: notiamo espressamente che con ciò non escludiamo che due o più di essi possano venire a coincidere in direzioni determinate. INTORNO ALLA GEOMETRIA ECC. 665 Ss 2 Elementi eccezionali della rappresentazione. 5. Siccome su una varietà lineare non si possono rappre- sentare proiettivamente che varietà lineari, e siccome lo spazio punteggiato S è una varietà lineare mentre non è tale il com- plesso C,', così la corrispondenza ora stabilita deve avere degli elementi eccezionali. Quali essi siano, scaturisce dalle considera- zioni seguenti: a) Siccome un punto «d'uno de’ piani uniti della corri- spondenza considerato in S° ha per omologo in Sun punto del piano stesso, così un punto d'un tal piano è imagine d’una retta di ©," posta in esso piano; fra i punti d'un piano unito e le rette corrispondenti esiste una corrispondenza quadratica. 6) A un punto dell’intersezione di due piani umiti corri- sponde in €, questa intersezione (che è una retta doppia dC). c) A un punto unito della corrispondenza corrisponde una retta qualunque uscente da esso. Viceversa : a') Una retta qualunque d’un piano unito è rappresen- tata da un punto del piano stesso; fra le rette d'un piano unito e le loro imagini esiste una corrispondenza quadratica. b) A una retta doppia di C,' corrisponde un punto qua- lunque di essa. c') Una retta uscente, da punto unito della corrispon- denza ha per imagine il punto stesso. Così resta stabilito, che i punti uniti della corrispondenza proiettiva, e le loro congiungenti a due a due, sono gli unici elementi eccezionali della rappresentazione. Imprendiamo ora lo studio di questa, cioè stabiliamo la connessione fra le congruenze e le rigate di C,, e le superficie e le curve che le rappresentano. 666 GINO LORIA 3. (VIA) Rappresentazione degli enti geometrici posti nello spazio del complesso. 4. Osserviamo anzitutto, che se il punto P descrive una pun- teggiata sulla retta », il corrispondente P' descriverà una pun - teggiata proiettiva, e quindi la retta (PP'=)p' corrispondente descriverà un sistema Da di generatrici d'una quadrica. Ciò posto, sia C*, un complesso di grado p dello spazio S" esso seca (€, in una congruenza di grado 2p che chiameremo I',, op, le cui rette saranno rappresentate dai punti d'una su- perficie Y; l’ordine di questa è uguale al numero de’ suoi punti posti su una retta arbitraria r di S: ora i punti di r sono imagini delle generatrici di un sistema d’una quadrica ,, le 2p rette, che LS) ha comuni con Cc; sono le imagini dei punti in cui y è secata da r; dunque questi sono in numero di 2p, cioè y è una superficie d’ ordine 2p che indicheremo con 7,,: Ogni punto unito della corrispondenza proiettiva è centro d'un cono d'ordine p le cui generatrici appartengono al complesso C°, e quindi alla congruenza 1",,,,: tutte queste generatrici hanno per imagini quel punto unito, quindi y,, contiene questo punto. Per trovare l'ordine di molteplicità di tal punto per ‘,, con- sidereremo una retta 7 uscente da esso; se un punto P per- corre r, l’omologo descriverà una retta ,' avente comune con quella il punto unito considerato e quindi la retta p' genererà un fascio di raggi; siccome in questo esistono p rette del complesso, così r seca *%,, in p punti esterni a quel punto unito, epperò questo è un punto p- plo della superficie. Concludiamo pertanto : La congruenza di grado 2p in cui il complesso tetraedrale è secato da um complesso di grado p è rappresentata da una superficie d'ordine 2p avente un punto p-plo in ogni punto unito della corrispondenza protettiva. 5. In particolare: Alle congruenze di secondo grado, in cui il complesso te- tracdrale è secato dui complessi lineari del suo spazio, cor- rispondono le quadriche passanti pei punti uniti. Siccome poi le congruenze di 2° grado di 0% corrispondono univocamente ai complessi lineari di 8", così potremo anche dire INTORNO ALLA GEOMETRIA ECC. 667 che agli oo° complessi lineari di ,S' corrispondono (in un certo senso) univocamente le oo° quadriche passanti pei punti uniti (*). Vedremo più avanti (n. 8) come siano, in particolare, rappresen- tate le congruenze determinate su Cl", dai complessi lineari speciali di S' (cioè quali siano le quadriche che corrispondono, in quel senso, alle rette di 8°), ma intanto notiamo, come conseguenza dell'ultimo teorema, che: Alla rigata di quarto grado o alle quattro rette in cwi il complesso tetraedrale è secato da due o tre complessi li- neari corrispondono risp. una quartica gobba di 1° specie passante pei punti uniti della corrispondenza 0 una quaterna di punti formanti con questi un’ottupla di punti associati. 6. Se il punto P descrive in S un piano 7, il punto P' descriverà in S' una superficie 7' pure piana, epperò la retta p' corrispondente a P genererà una congruenza di 1° classe e 3° ordine (**) che indicheremo con Il',, . Sia ora o un piano qualunque dello spazio ,8°; le rette di C", poste in o' inviluppano una conica le cui tangenti corri- spondono univocamente ai punti d’una certa curva di ,S: qual è l'ordine di questa curva? Esso è uguale al numero dei punti in cui essa è secata da un piano qualunque 7 di ,S, epperò è anche uguale al numero delle rette della congruenza Il',, che toccano la conica di Cl, posta in o cioè (giacchè quella con- gruenza sta in C,) al numero delle rette di Il',, poste in 0’, vale a dire 1. Dunque /e coniche di C', sono rappresentate da rette di S. Siccome poi le coniche di C', corrispondono univo- camente ai piani di .S' così si può anche dire che gli oo piani di S' sono rappresentati da altrettante rette di S. 7. La conclusione ottenuta al n° prec. si può trarre con un altro ragionamento che permette di trovare qual sia il luogo delle oo* rette di .S° corrispondenti ai piani di S°. A una retta v di S corrisponde in generale il sistema di generatrici d'una quadrica (n. 4) avente per direttrici » e la sua retta omologa r'; soltanto quando r' seca » si ottiene invece il sistema delle tangenti di una conica di (C",, sistema i cui elementi sono rap- presentati univocamente sui punti di r. Segue da ciò che af- (*) E evidente che una sostituzione analoga non si può fare (almeno in generale) per le congruenze di grado superiore al secondo, (®*) Revx, l.c., p.94, 95. 668 GINO LORIA finchè r rappresenti coi suoi punti le tangenti d’una conica di C',, essa deve uvere per omologa in S' una retta che la seca; per conseguenza le rette r di S che corrispondono alle coniche di C,, costituiscono pure un complesso tetraedrale C, avente la stessa superficie singolare di C",. Il complesso €, è rappre- sentato univocamente sui piani dello spazio ', in modo corre- lativo a quello in cui C', è rappresentato sui punti di ,S; epperò tutto quello che si disse e si dirà sulla rappresentazione del complesso C', varrà per quella di C,, purchè si scambiino le veci di S, S' e si muti la parola punto nella parola piano (*). 8. Sia »' una retta qualunque di 5’ non appartenente a C',. Un piano x' per essa contiene infinite rette della congruenza di 2° grado in cui (0, è secato dal complesso lineare speciale di asse r': ne viene che la quadrica imagine di questa congruenza (n. 5) conterrà tutta la retta del complesso C, che corrisponde a 7 (n. 6 e 7). Facendo ruotare 7' attorno ad r si conclude che la quadrica suddetta contiene co! rette del complesso ©,, cioè è una quadrica « contenuta » in C, (**). Dunque: Alle congruenze di 2° grado in cui il dato complesso C, è secato dai complessi lineari speciali del suo spazio, cor- rispondono le quadriche contenute in C,. 9. Siano a', d' due rette di ,S' aventi comune un punto P' e un piano 7. La rigata che hanno comune €°, e i due com- plessi lineari speciali di assi 4’, ha per imagine (n. 5) una quartica di 1° specie comune a due quadriche contenute in ©; ma come quella rigata si spezza nella conica di C°, posta in x e nel cono di C, uscente da P', così questa quartica si scinde nella retta p del complesso (i, che corrisponde al piano 7 (n. 7) e in una cubica gobba rappresentante il punto ?' (con- siderato come centro d'un cono del complesso C',). Siccome la retta p in generale non passa per alcuno dei punti uniti della corrispondenza, così la cubica gobba deve contenere tutti questi. Ora un piano o’ condotto in S° per P' contiene due rette del complesso l*, uscenti da P°, quindi la retta di 0, che (*) Conviene avvertire che, ove si supponessero coincidenti gli spazii S, $‘, i complessi ©, (y, verrebbero a sovrapporsi: ma appunto perchè si ottiene maggior chiarezza distinguendo €, da l', fissammo sin da principio (n. 2) che S e S' fossero distinti, (**) RevE, Lc., p. 138, ÎNTORNO ALLA GEOMETRIA ECC. 669 corrisponde a e' conterrà due punti di quella cubica, epperò la congruenza di 1° ordine e 8* classe di cui questa cubica è curva fo- cale è contenuta (cfr. n. 8) nel complesso (,. Conchiudiamo dunque: Ai coni del complesso dato C°, corrispondono le cubiche gobbe che sono curve focali di congruenze di 1° ordine e 3° classe contenute in C,. Siccome le congruenze, di cui si parlò al n. prec., corrispon- dono univocamente alle rette di S' e i coni di C, corrispondono univocamente ai punti di S', così è lecito, per brevità di enun- ciare le due ultime proposizioni nel seguente modo (cfr. n. 6): Alle rette di S° corrispondono le quadriche contenute in. (,; ai punti di S' le cubiche gobbe dette dal ReyE (L c., p. 136) Ordnungscurven di ©. (V/A) 4. Congruenze contenute in un complesso tetraedrale ; alcune loro figure covarianti. 10. Da queste proprietà della rappresentazione, che sono le più essenziali riflettenti il passaggio dallo spazio $S' allo spazio rappresentativo, altre si possono ottenere che riguardano il pas- saggio inverso, come ora mostreremo. Supponiamo che il punto P di ,S percorra una superficie Ym d'ordine #2, che supporremo anzitutto non contenere alcun punto unito della corrispondenza ; le oo? rette che corrispondono alle posizioni di 7 costituiscono una congruenza 1 di cui vo- gliamo trovare l’ordine e la classe. Seguendo Kummer (*), per ordine di I s'intende il numero delle sue rette che escono da un punto arbitrario M' di S'; quindi esso è uguale al numero delle intersezioni dell’ imagine Ym di P' colla cubica gobba corrispondente (n. 9) ad M'; dun- que l'ordine cercato è 3m. Invece la classe di I° è data dal numero delle sue rette che stanno in un piano arbitrario 7° di S'; quindi essa è uguale al numero delle intersezioni della ima- (*) Ueber die algebraischen Strahlensysteme u. s. w. Mathematische Abhand- lungen d, k, Ak, d, Wiss, zu Berlin, 1866, $ 1. 670 GINO LORIA gine 7, di D' colla retta che (n. 6 e 7) corrisponde in Sa 7'; dunque la classe cercata è wm. 11. La superficie *,, seca in w punti ogni retta doppia di C',; siccome ognuno di questi punti è imagine di questa retta (n. 8, 5), così la congruenza I' ora ottenuta ha per rette wr - ple le rette doppie del complesso tetraedrale in cui è contenuta. Oltre a queste rette multiple, I° ne può avere delle altre se m ha dei punti singolari; infatti, se ‘9, ha un punto r-p/o K, il cono del complesso 0, uscente da X consta di rette ognuna delle quali contiene » punti della superficie coincidente in K; per conseguenza ognuno degli co! piani di $° corrispondenti alle generatrici di quel cono, cioè ognuno dei piani del fascio avente per asse la retta %' corrispondente a X, conterrà » rette da V' coincidenti in 7", epperò %' è una retta r-pla di 1°. Osserviamo anche che alle 2, rette d'intersezione del cono del complesso C, uscente da X col cono osculatore di ,, in K corrispondono in S° altrettanti piani passanti per %', ognuno dei quali contiene (non solo r ma) x + 1 rette della congruenza T' coincidenti in %'. 12. Possiamo anche determinare i piani di ,S° che contengono (invece di m) co! rette della congruenza. Anzitutto sono di questa specie i piani uniti della corrispondenza proiettiva; infatti uno qualunque di essi seca ,, in una curva e, d'ordine wm che, con- siderata in S, ha per omologa in S' una curva €',, dello stesso ordine e posta nel medesimo piano; le oo! congiungenti i punti omologhi di e,, e c',, inviluppano una curva di classe 2, avente per tangenti m-ple le rette doppie di C'‘, poste in quel piano (*); tutte le tangenti di tal curva appartengono a 1, epperò il piano considerato gode della proprietà enunciata. Dico ora che in generale non godranno di tale proprietà che i piani uniti: infatti se nello spazio ,S' esistesse un piano x' di tal fatta, la congruenza |" dovrebbe (eccettuato un caso che più tardi incontreremo) contenere tutte le rette del complesso C', poste in 7, epperò y, dovrebbe contenere tutti i punti della retta p di 0, corrispondente a 7; ora, in generale, ciò non è possibile, perchè, generalmente parlando, Me non contiene alcuna retta, se ne contiene un numero finito nessuna di esse apparterrà in generale a C,, se finalmente ne contiene in- finite (cioè se essa è rigata) si ha un caso particolare di cui ci (*, Se c_, non ha punti singolari, la curva inviluppo non ha altre tan- genti singolari. INTORNO ALLA GEOMETRIA ECC. 671 occuperemo fra poco. Escludendolo per ora o chiamando #r2/2uppo piano d’una congruenza una linea piana, di cui tutte le tangenti appartengono alla congruenza, potremo riassumere le proprietà dimostrate in questi ultimi tre numeri nel teorema seguente: Una superficie *Ym non rigata d'ordine m dello spazio $, non passante per alcun punto umito della corrispondenza pro- iettiva, rappresenta una congruenza V,,,,m d'ordine Bm e classe m avente per rette m-ple le rette doppie del complesso, per retta k-pla ogni retta avente per imagine un punto k-plo di Ym © avente infine un inviluppo piano di classe 2m con tre timgenti m-ple in ogni piano umito della corrispondenza. 13. Rimoviamo ora l'ipotesi fatta in principio del n. 10 intorno alla posizione di ‘,, rispetto agli elementi uniti della corrispondenza, cioè supponiamo che %,, abbia per punto w7,-plo l'4”° punto unito. Allora V',,,,, sì spezzerà in quattro congruenze di ordine 1 classe 0 (cioè nelle stelle aventi i centri nei punti uniti 7/7, della corrispondenza) contate ordinatamente M,; My, My, M, (4 4 4 volte e in una congruenza d'ordine a =3m— Xm, e di classe LI mo m avente la congiungente dei punti uniti «”°, e {?"° per retta multipla di grado m —(m,4 ,) e nel piano congiungente i punti uniti 2”, (57°, y”"° un inviluppo piano di classe 22 — (2,4 2, +,). In seguito non terremo conto delle congruenze di ordine 1 e classe 0, cioè riterremo come corrispondente a ‘/,, unicamente la 4 congruenza d'ordine 35m — Sw, e classe m. 1 Consideriamo i punti della superficie infinitamente vicini al punto ©,; le rette che li congiungono ad U, costituiscono un cono d'ordine #7,: quindi si vede che le rette della congruenza che corrispondono ai punti infinitamente vicini a UV, formano pure un cono d’ordine 77,. In altre parole VU, è centro d’un cono di raggi (*) d'ordine w, della congruenza. (*) KumMER, l.c. Non sarà fuor di proposito il notare qui, che le congruenze T‘'3m,m non possono contenere in generale dei coni di raggi. E invero affinchè da un punto P' di S” esca un cono di raggi della congruenza (cono necessariamente di secondo grado se /' non coincide con alcun punto unito) deve la cubica gobba corrispondente (n. 9) a /' essere contenuta nella superficie ym rappre- sentatrice di l'3mm il che non può accadere, perchè quella cubica passa per tutti i punti uniti della corrispondenza proiettiva, mentre ym non passa per alcuno di essi. 672 GINO LORIA Le cose dette in questo numero si possono riassumere nel seguente enunciato: Una superficie non rigata Ym di S passante m, volte per 4 U, rappresenta una congruenza di ordine 3m —Xm,e classe m avente per retta multipla di grado m —(m,+m;) la retta U,U,, avente U, per centro d'un cono di raggi d'ordine m,, avente un inviluppo piano di classe 2m—(m,+m;j+m,) nel piano U, U; U, e finalmente una retta k-pla per ogni punto k-plo di ‘nm. 14. Occupiamoci finalmente del caso in cui ,, sia una ri- gata (di 7”° grado). Siccome questa rigata e il complesso C, hanno comuni 27 rette (*) ognuna delle quali corrisponde a un piano di S' contenente infinite rette della congruenza rappre- sentata da ‘,,, così vi saranno 272 piani di cui ciascuno con- tiene un inviluppo piano di 2° classe della congruenza. Se però vi sono m, generatrici della rigata che passano per l'a” punto fondamentale, fra le 27 rette di S di cui ora si è parlato #, coincidono in quelle generatrici e non sono imagini di piani di inviluppi della congruenza. Laonde potremo dire più generalmente: La congruenza la cui imagine è una rigata di m"° grado avente m, generatrici uscenti dall’a"° punto unito 4 della corrispondenza contiene 2 m — X m, inviluppi piani di seconda classe. ; 3 4 È però notevole che ai X #2, inviluppi piani che scompaiono ' quando la rigata passa pei punti uniti sì vengono in certo modo a sostituire altrettanti fasci di raggi. Per riconoscerlo conside - riamo una generatrice 9 di ‘),, uscente da un punto unito; tutti i punti di g hanno per omologhi i punti di una retta g' uscenti pure da quel punto; le punteggiate determinanti dai punti omo- loghi su g, g sono evidentemente prospettive, onde le congiungenti di tali punti omologhi passano per uno stesso punto e costi- tuiscono un fascio contenuto nella congruenza. Siccome le tracce di ge g sul piano unito della corrispondenza opposto al punto unito da cui escono g e g sono punti omologhi di queste pun- teggiate, così il centro di quel fascio di raggi sta nel piano unito predetto. Concludiamo pertanto che /a congruenza corri- (*) HaLpHEN, Comptes rendus, t. LXXIII, 1871, p.144f. INTORNO ALLA GEOMETRIA ECC. 673 mo spondente a una rigata di m"° grado avente Va"? punto unito [ per punto multiplo d'ordine m, contiene X m, fasci di raggi i cui centri stanno nei piani uniti e i cui piani passano pet punti uniti della corrispondenza. Considerazioni analoghe a quelle testè fatte valgono per una superficie anche non rigata, ma avente delle rette uscenti dai punti fondamentali; notiamo però che se una retta d’una superficie passa per due punti uniti della corrispondenza essa risulta multipla per la congruenza, ma non porge alcun fascio di raggi. 15. Continuando le considerazioni del numero precedente fa- remo notare che il caso m = 2 merita una menzione speciale. In tal caso la superficie ),, (quadrica) è doppiamente rigata onde la considerazione precedentemente fatta può ripetersi due volte e guida a concludere l’esistenza nella congruenza T°;,, (non solo di quattro, ma) di otto inviluppi piani di 2° classe. In questo caso particolare si può osservare che, siccome le otto rette rappresentanti in S questi inviluppi sono tali che ognuna incontra quattro delle rimanenti, così ognuno di tali in- viluppi ha quattro tangenti di cui ciascuna appartiene a un altro degli inviluppi stessi. Una proprietà dei piani di questi inviluppi si ha considerando tre complessi lineari 0,1, 0,9, 0,9 aventi comune uno dei sistemi di generatrici della quadrica %,. In virtù dell’osservazione fatta in fine del n. 7 e dell’ ultimo teorema del n. 5, a questi tre complessi corrisponderanno in ,S° tre quadriche tangenti ai piani uniti della corrispondenza, le quali hanno ancora comuni i piani di quattro degli inviluppi di se- conda classe della congruenza T',,. Dunque: I piani degli inviluppi di seconda classe della congruenza Do Sé distribuiscono in due quaterne, ognuna delle quali forma coi piani uniti della corrispondenza un’ottupla di piani as- sociati (*). 16. Riprendiamo la considerazione della superficie %,, (non rigata) d'ordine 72. Siccome esistono oo° tangenti di 7, appar- tenenti al complesso €, e siccome vi sono co' fra queste tan- genti che soddisfano a una condizione e un numero finito che soldisfa a due, così vi saranno co° piani di ,5° che contengono (*) Reve, Ueber das Strahlensystem aweiter Classe sechster Ordnung von der ersten Art. Journal f. d. r, u. a. Mathematik. Bd. 93, 1882, p. 85. 674 GINO LORIA due rette coincidenti della congruenza (piani focali della con- gruenza), fra questi formeranno una sviluppabile quelli soddisfa- centi ad una nuova condizione e saranno in un numero finito quelli soddisfacenti ad altre due. Meritano speciale menzione la sviluppabile dei piani caratterizzati dalla proprietà di contenere ciascuno due coppie di rette coincidenti della congruenza (piani che possono chiamarsi difocali) e quella dei piani ognuno dei quali contiene tre rette coincidenti della congruenza (e che in- dicheremo col nome di piani osculatori). Le classi della super- ficie focale e di queste due sviluppabili si determinano nel se- guente modo. 17. A un piano focale o' della congruenza corrisponde in S una retta appartenente al complesso C, e tangente a ,: ora ai piani dello spazio ,S' passanti per una retta »' corrispondono le rette del complesso ©, che sono generatrici della quadrica 7, corrispondente a »' (n. 8), onde ai piani focali passanti per + corrisponderanno le rette di ©, poste in 7, e tangenti a ‘/,. Ma queste sono in generale 2, se r è il rango (*) di Y,,, dunque la classe della superficie focale è in generale 2r. Siccome poi Ps ha una generatrice in ogni piano unito, così se n ha per piano tangente singolare l’x”° piano unito, fra quelle 2y tangenti è da annoverarsi questa generatrice di , contata due volte, e questa non è imagine d’un piano focale passante per »'. Ep- però potremo enunciare il seguente teorema generale: La superficie focale d'una congruenza corrispondente a una superficie di rango r avente nei piani uniti q piami tan- genti singolari è di classe 2 (r—q). Questo teorema è dovuto a Klein (**); un altro teorema dovuto allo stesso geometra (***) ci permette di calcolare l’'or- dine # della superficie focale: ritenendo infatti le notazioni pre- cedentemente usate avremo: a-2(r—q)=2 Moi Sip I | (*) Per rango intendiamo, come d’uso, il numero delle tangenti alla su- perficie che appartengono a un qualunque fascio di raggi. (**) Esso trovasi enunciato alla fine della citata memoria di Lie. (***) La differenza fra l’ordine e la classe d’una congruenza è la metà della differenza fra l'ordine e la classe della sua superficie focale (Cfr. Lie | c., @ ScHuBeRT, Kalkul der Absahlenden Geometrie, p.64, 1879). INTORNO ALLA GEOMETRIA ECC. 675 donde ricaviamo o)9 s | u=dii\aM_- a Mtr_-qi: | \ Nel caso in cui la superficie *,, sia generale e in posizione qualunque rispetto agli elementi uniti della corrispondenza, l’or- dine della superficie focale è 2 7 (22 + 1) mentre la sua classe è 2m(m— 1). 18. A un piano bifocale {8° passante per un punto P' di |; corrisponde una retta bitangente a y,, e bisecante la cubica gobba corrispondente a P'. Ora la congruenza delle bitangenti d’una superficie generale d'ordine #m è di ordine 1) m(m—-1)(m-2)(m—-3) Dir e classe mm (mn e 2) (mì — 9) (4) DO] mentre la congruenza delle bisecanti d'una cubica gobba è di ordine 1 e classe 3; servendoci dunque d’un noto teorema di Halphen (**) potremo dire che vi sono 1 3 Da 3 m(m-1)}(m-2)(m—-3) + 3" (m_-2)(m°— 9) =2m(m—3) (m°-— 4) rette di 0, che sono imagini di piani bifocali passanti per P'; o, in altre parole, che: La sviluppabile bifocale d'una congruenza U3mm è in ge- nerale di classe 2m(m_—-3)(m°— 4). 19. Analogamente: siccome le rette osculatrici d'una su- perficie generale d'ordine 7». formano una congruenza d'ordine m(m_—1)(m—2)(***) e classe 3m(m— 2), (****) così: (*) V. le due prime note alla pag. seg. (**) Comptes rendus, t LXVIII, p. 142. (***) Cremona, Grundzùge einer allg. Theorie der Oberflcchen, p. 64, 1870. (****) Come risulta da una delle formole di PLUCKER. 676 GINO LORIA La sviluppabile dei piani osculatori. d’ una congruenza l'imm è 22 generale di classe m(m_—-2)(m+ 8). 20. Riguardo al numero dei piani focali soddisfacenti due condizioni, noteremo che, siccome le tangenti quadripunte d’una superficie generale d’ordine mm, le rette aventi con essa un con- tatto bipunto e un contatto tripunto e le rette aventi con essa tre contatti bipunti, formano tre rigate degli ordini rispettivi 2m(m_—-3)(Im—- 2), m(m_—-3) (m--4)(m°+6m— 4), 1 3m(m_—-3)(m — 4) (m—5)(m°+3m—-2) (*) ) e siccome il complesso €, contiene (in virtà del primo dei citati teoremi di Halphen) rispettivamente 4m(m_—-3)(3m_- 2), 2m(m—3)(m—4) (mM +6m— 4), m(m-3)(m—-4)(m— 5) (m4+3m_—-2) I DI generatrici di queste rigate, così: Vi sono 4m (m—3) (3m—2) piani ognuno dei quali con- tiene quattro rette coincidenti della congruenza VU3m.m Vi sono 2m(m—3)(m—4) (m° +6m— 4) piani ognuno dei quali contiene una coppia e una terna di rette coincidenti della congruenza V di 2 Vi sono 3 m (m 3m,m°® 3) (m-4)(m—5)(m° +3m—2) piani ognuno dei quali contiene tre coppie di rette coincidenti della congruenza Uzmm (piani trifocali). 21. Oltrechè render possibile la determinazione di queste singolarità della congruenza, la rappresentazione indicata può servire a tradurre molte altre proprietà delle superficie in al- trettante delle congruenze l' p. es. essa dà la generazione 3nm,m * (*) Cfr. Sarmox-FrepLER, Analytische Geom. d. Raumes, Bd. II, p. 635, 636, 638; 1880. INTORNO ALLA GEOMETRIA ECC. 677 delle suddette congruenze mediante stelle proiettive di congruenze d’ordini inferiori. Di più, i teoremi precedenti possono servire di base a uno studio completo della geometria su un complesso tetraedrale. Infatti il problema fondamentale di un tale studio è la deter- minazione di tutte le congruenze d’una classe assegnata (ma ar- bitraria) esistenti nel complesso e delle loro mutue relazioni. Ora la proposizione esposta alla fine del n. 13 ci fa vedere che per assegnare tutte le congruenze di classe mm basta determinare i numeri interi positivi soddisfacenti la condizione & n= 33m — XM, I e cercare il sistema delle superficie y,, d'ordine wm aventi 1° a”° punto unito per m,pl0: se esiste un sistema di superficie dotate di queste singolarità, esso è imagine d’un sistema di congruenze D',.m- Facendo poi tutte le ipotesi possibili sulle singolarità, non situate in elementi eccezionali della corrispondenza, che può acqui- stare y,, si otterranno anche tutte le specie particolari di con- gruenze l",,,. Daremo più avanti alcuni esempii di tali ricerche. $S 5. Rigate contenute in un complesso tetraedrale. 22. Proseguendo ora nello studio cominciato al n. 10 fac- ciamo l'ipotesi che il punto P dello spazio S' percorra una curva cx d'ordine % non passante per alcuno dei punti uniti della cor- rispondenza. La retta p genererà allora una rigata il cui grado è uguale al numero delle sue rette che incontrano una retta ar- bitraria »' di S', epperò è anche uguale al numero delle inter- sezioni di e, colla quadrica che corrisponde (n. 8) ad »' in Ss, cioè è uguale a 2%. Se invece rimoviamo l'ipotesi fatta in prin- cipio, se, cioè, supponiamo che la data curva passi 7, volte per l'a" punto unito della corrispondenza, /, delle intersezioni, di cui si è parlato cadono in quel punto unito, e quindi il grado della rigata diminuisce di %, unità. Abbiamo dunque il teorema: A una curva d'ordine k passante k, volte per Va punti uniti della corrispondenza, corrisponde una rigata di mo dei Atti R. Accad. = Parte Fisica — Vol. XIX. 45 678 GINO LORIA grado DARA dello stesso genere della curva, avente una ' generatrice r—pla per ogni punto r—plo della curva e di cui kT— (k, +k, + k,) generatrici stanno nel piano in cui si tro- vano, i punti umiti ao, mo, quo, 23. Questo teorema si può considerare come fondamentale per la ricerca delle rigate contenute nel complesso tetraedrale , perchè esso porge la soluzione del problema: Trovare tutte le ri- gate d’un grado assegnato (ma arbitrario) g contenute nel complesso. E invero a ogni tale rigata corrispondono cinque numeri &, &,,..., &, soddisfacenti le condizioni: g=2k-—%%, Eps e viceversa trovati cinque tali numeri e riconosciuta la possi- bilità che una curva d'ordine % abbia le singolarità indicate dai numeri %,,..., %,, si otterrà una rigata o una schiera di rigate contenute nel complesso (*). Facendo p. es g=1 si deve prendere X=1, uno dei X,= 1 e gli altri tre nulli; allora si conclude : Nel complesso tetraedrale esistono in generale quattro schiere doppiamente infinite di fasci di raggi ; esse sono rappresentate dalle stelle di raggi aventi i loro centri nei punti uniti della corrispondenza proicttiva. Un ragionamento fatto al n, 14 mostra che i centri di questi fasci stanno nei piani uniti e che i loro piani passano pei punti uniti della corrispondenza. Facendo invece g=2 si hanno le tre soluzioni lee k=lo=l=k90 k=2 (ko kl ,AlenE=0 k=9. © k=KEk=l0 I tre sistemi di quadriche dati da queste tre soluzioni sono effettivamente fra loro distinti, perchè le quadriche del primo toccano tutti i piani uniti della corrispondenza, quelle del se- (*) Dalle condizioni assegnate seguono le seguenti : Qh=zg Reg che legano soltanto % e 9g; ed inoltre (per ) =1,..., 4): k\=k—g. INTORNO ALLA GEOMETRIA ECC, 679 condo passano per due punti uniti e toccano due piani uniti, quelle del terzo infine passano per tutti i punti uniti. Il secondo sistema comprende sei schiere distinte triplicemente infinite, mentre gli altri ne comprendono una sola, ma pure triplicemente infinita. 24. La considerazione di queste schiere di quadriche ci fa vedere che per una retta qualunque del complesso dato si può far passare un numero determinato o fisso (cioè indipendente dalla retta scelta) di quadriche tali che due generatrici d’una di esse appartenenti allo stesso sistema di cui fa parte quella retta stiano sulla rigata avente per imagine la curva c,. Questo numero è uguale alla somma dei tre seguenti (v. n. prec.): 4) numero h dei punti doppi apparenti della data curva; 5) numero delle coniche passanti per un punto qualunque, per due punti uniti e appoggiate in due punti alla curva data; c) numero delle cubiche gobbe passanti per un punto qualunque, pei punti uniti e ap- poggiate in due punti alla curva data. Invece le rette caratterizzate dalla proprietà di far parte d’un sistema di generatrici d’una ‘quadrica al quale appartengono tre o quattro generatrici della rigata formano una congruenza o una rigata. Intorno alle rigate contenute nel complesso tetraedrale si può notare la seguente proprietà resa evidente dalla rappresentazione : Se una rigata contenuta in un complesso tetraedrale ha per imagine una curva d’ordine k e contiene k+1 rette ap- partenenti ad una congruenza di 3° ordine e 1° classe, essa è contenuta in questa congruenza. 25. Da ogni punto unito della corrispondenza parte un nu- mero determinato % di corde della data curva c,; le due rette della rigata corrispondente ai due punti della curva posti su una assegnata e di quelle corde concorrono in un punto del piano unito opposto (cfr. n. 14), punto che appartiene quindi alla curva doppia della rigata. Se, in particolare, da un punto unito della corrispondenza parte un cono di s- secanti di c,, sul piano unito opposto si avrà una curva piana s- pla il cui or- dine è uguale all’ordine di quel cono. Ciò accade per tutti i punti uniti se la curva c, è l'intersezione di due superficie simmetriche rispetto al tetraedro degli elementi uniti (*). (*) Una superficie dicesi tetraedralmente simmetrica se esiste un tetraedro (detto telraedro di simmetria) tale che rispetto ad esso la superficie abbia un’ equazione della forma Skia,m=o0, ove m è un numero razionale (Cfr. LA GouRNERIE, Recherches sur les surfaces réglée:s tetracdrales symetriques, 1807, p. 220). 680 GINO LORIA Consideriamo in particolare il caso in cui la data curva sia l'intersezione e, di due quadriche proprio-coniugate rispetto al tetraedro formato dagli elementi uniti. Si ha allora una rigata (tetraedralmente simmetrica ) di ottavo grado avente su ogni faccia del tetraedro di simmetria quattro generatrici e una co- nica doppia. 1l genere di tale rigata è 1, quindi la curva (di ottavo ordine) sezione di essa con un piano qualunque deve con- tenere venti punti doppii (o cuspidi), cioè dodici, oltre agli otto derivanti dalle quattro coniche doppie; dunque, oltre a queste, la rigata ha una curva doppia di 12° ordine. Questa notevole superficie è la quadrispinale di La Gournerie: le cose ora dette possono servire di base a una trattazione geometrica di tale superficie (*). 26. Una questione analoga a quella di cui si tenne parola al n. 23 è la seguente : Determinare tutte le rigate contenute in una congruenza corrispondente a una data superficie dello spazio rappresentativo ; questa segue, in un certo senso, quella, perchè dopo aver de- terminate in generale le varie specie di rigate contenute in un complesso tetraedrale sorge naturale la domanda di quali fra esse esistano in un’assegnata congruenza del complesso stesso. Ebbene, a questa si risponde col teorema seguente : La congruenza rappresentata da una superficie qualunque Ym d'ordine m contiene tante rigate di grado g quante sono le curve d'ordine k contenute in quella superficie e passanti k, volte per UV," punto unito, essendo k,k, numeri interi non ne- gativi soddisfacenti le equazioni g=2k-Xk,, h+k4k, =. Se quindi la superficie non passa per alcun punto unito, lo studio della geometria della corrispondente congruenza coincide con quello della geometria sulla superficie data; se essa passa un numero qualsivoglia di volte per uno o più punti uniti, l« geometria della congruenza coincide con quella della superficie in cui siano fissati uno 0 più punti. Si vede adunque come dallo studio già fatto della geometria su varie superficie si possano (** Le proprietà di questa superficie ora ottenute si trovano dimostrate analiticamente a pp. 5, 9, 10 e 21 della citata opera di LA GOURNERIE. INTORNO ALLA GEOMETRIA ECC. 681 trarre delle congruenze relative alle corrispondenti congruenze: è però chiaro che l’uso più importante di tali considerazioni si avrà per quelle congruenze, ottenute nel modo indicato, che si possono dimostrare essere le più generali dei loro ordini o delle loro classi, in particolare per le congruenze di 2° classe e or- dini 6 (1° specie), 5, 4, 3, 2; gli è perciò che di queste terremo parola estesamente più innanzi. Vogliamo finalmente notare che dall’immediata rappresenta- zione della congruenza sulla superficie che serve a generarla, se ne possono ottenere altre infinite, rappresentando univocamente questa superficie su di un’altra; in particolare dalla rappresen- tazione della congruenza di 2° grado su una quadrica si può ot- tenere la rappresentazione della stessa su un piano (Caporali), su una superficie di 3° ordine o su una di 4° avente nna conica doppia (Cremona). $S 6. Congruenze di 1° e 2° elasse contenute in un complesso tetraedrale (*). 27. Applichiamo ora le considerazioni generali esposte al n. 21 alla ricerca delle congruenze di prima e seconda classe contenute nel complesso tetraedrale. Servendosi del teorema esposto al n. 153 si vede che per ot- tenere delle congruenze di prima classe è necessario supporre che l'ordine # della superficie rappresentativa sia = 1: allora l’equa- zione del n. 2 diviene 4 n=3-Zm, , e questa ammette le quattro soluzioni: misi, == mi ae ee Nea _2 mromedlt,m, mi 0, n=14 mi_m. mbe —0n=0 (*) In questo $ bisogna supporre, ove non si avvertirà il contrario, che gli elementi uniti della corrispondenza formino un vero tetraedro. 682 GINO LORIA Queste relazioni ci fanno vedere che in un complesso te- traedrale, di congruenze di prima classe, esistono solo quelle degli ordini 0, 1, 2, 3 (*); e precisamente sì hanno: a) Quattro congruenze di classe 1 e ordine 0, formate dalle rette poste nei piani uniti della corrispondenza e rappre- sentate dai piani stessi. 6) Sei schiere semplicemente infinite di congruenze di 1° ordine e 1° classe (lineari) rappresentate dai sei fasci di piani aventi per assi le congiungenti dei punti uniti; p.es. un piano condotto pei punti uniti U,, U, rappresenta una congruenza li- neare avente per direttrici una retta pel punto %, nel piano U,U,U; e una retta pel punto U, nel piano UU, Us (**). Le sei schiere si distribuiscono in tre coppie di schiere associate ; due congruenze si diranno appartenere a schiere associate se sa- ranno rappresentate da 2 piani passanti per due spigoli opposti del tetraedro degli elementi uniti; due congruenze di schiere associate hanno comune un sistema di generatrici d’uma quadrica, due di schiere non associate un fascio di raggi del complesso. Una retta del complesso determina in generale una e una sola congruenza di ogni schiera. c) Quattro schiere doppiamente infinite di congruenze di 1° classe e 2° ordine rappresentate dai piani delle quattro stelle aventi i centri nei punti uniti, ogni schiera è coordinata a uno di questi, le coniche focali delle congruenze d'una di esse sono le oo* coniche inscritte nel triangolo avente per vertici i punti uniti della corrispondenza diversi da quello a cui la schiera è coordinata. Due congruenze hanno comune un fascio di raggi se appartengono alla stessa schiera, una quadrica del primo dei sistemi considerati al n. 23 se appartengono a sistemi diversi; viceversa ognuna di tali quadriche determina una congruenza di ogni schiera. d) Una schiera triplicemente infinita di congruenze di 3° ordine e 1° classe; una di queste congruenze ha una conica in ogni piano unito della corrispondenza; due congruenze della schiera hanno comune una rigata del primo dei sistemi del n. 23. (*) Più generalmente: siccome è n(=3m —®wma)<3wm così: Il massimo ordine di una congruenza di classe, m contenutain un complesso tetraedrale, è Im. (**) Cfr. Reve, Die Geometrie der Lage, Bd. II, p. 139, INTORNO ALLA GEOMETRIA FCC. 683 28. Passiamo ora alle congruenze di seconda classe. Biso- gnerà supporre m==2 e trovare le soluzioni intere non negative dell'equazione ' n=60—-I3m, 4 Tali soluzioni assieme agli ordini . delle corrispondenti su- perficie focali (la cui classe è sempre 4) ottenuti colla formola del n. 17 sono raccolte nel seguente prospetto : MS, RISATE — ei i 12 Mesi; mimi 20. mi 10,4, a: M0 ®n=4°, mo — Me 0, — me = 8 EM TNA = n=" LIAN = Dei casi in cui una delle #, è uguale a 2 diremo più in- nanzi; ora studiamo partitamente queste soluzioni. 29. La prima combinata coi teoremi generali dei n. 12 e 15 ci dice: In qualunque complesso tetraedrale esistono OR? congruenze di 2° classe e 6° ordine; ognuna ha 6 rette doppie nelle rette doppie del complesso, e 4 inviluppi piani di 4° classe (ciascuno con tre tangenti doppie): la superficie focale d'una tale con- gruenza è di 4*% classe e di 12° ordine; questa congruenza è per conseguenza di 1° specie (Kummer, 1. c. $ 6. Teor. 33, S 11. Teor. 44). Lo Schur dimostrò (*) che le congruenze che così si otten- gono sono le più generali di 2* classe, 6° ordine e 1° specie, con un ragionamento atto a sostituire la numerazione di co- stanti indicata dal Reye (**). Un’osservazione analoga va fatta sulle congruenze di cui parleremo ora. Se la quadrica che rappresenta la congruenza I°, è un cono, questa acquista una settima retta doppia e i suoi otto inviluppi di seconda classe coincidono a coppie. (*) Journal fiir die reine und angewandte Mathematik. Bd. 95, p. 210. (**) Ibid. Bd. 93, p. 83. 684 GINO LORIA Le altre soluzioni trovate al n. 28 combinate coi teoremi dei numeri 18, 14 ci danno i risultati seguenti : 30. In qualunque complesso tetracdrale esistono (quattro schiere composte ciascuna di) co° congruenze di 2° classe € 5° ordine. Ognuna ha tre rette doppie poste nello stesso piano, un inviluppo piano di 4° classe (con tre tangenti doppie), tre di 3* classe (con una tangente doppia ciascuno), sei di se- conda e finalmente tre fasci di raggi; la sua superficie fo- cale è di 4% classe e di 10° ordine (Kummer, l. c. $ 10. Teor. 42). Se la quadrica rappresentatrice d'una di queste congruenze è un cono, la congruenza acquista una nuova retta doppia; i sei inviluppi di 2° classe coincidono a coppie e lo stesso accade per due dei fasci di raggi. 51. In qualunque complesso tetraedrale esistono (sei schiere composte ciascuna di) R' congruenze di 2° classe e 4° ordine. Ognuna di esse ha una retta doppia, due inviluppi piani di 3* classe (con una tangente doppia ciascuno), (242.2=) sei di seconda classe, (24+2.2=) sei fasci di raggi; la sua su- perficie focale è di 4° classe e 8° ordine (Kummer, 1, c. $ 9. Teor. 40), Della congruenza di 4° ordine e 2° classe si possono con- siderare i due.seguenti casi particolari : a) Se la quadrica rappresentativa è un cono, la congruenza acquista una retta doppia, quattro degli inviluppi piani di se- conda classe vengono a coincidere a coppie e lo stesso accade di quattro dei fasci di raggi. 5) Se la quadrica rappresentativa, non solo passa per due punti uniti, ma contiene la loro congiungente, la congruenza acquista pure una retta doppia, due dei fasci di raggi vengono assorbiti dalla retta doppia (cfr. n. 14, in fine) e ai due di 3° classe vengono a sostituirsi due di seconda. 32. In qualunque complesso tetraedrale esistono (quattro schiere composte ciascuna di) ° congruenze di 2* elasse e 3° ordine. Ognuna di esse contiene (14-3.3=) dieci fasci di raggi e (3+2-—) cinque inviluppi piani di seconda classe e ha una superficie focale di 4° classe e 6° ordine (Kummer, 1. c. $ 8. Teor. 38). Si possono citare i seguenti casi speciali : a) Se la quadrica rappresentatrice è un cono, la congruenza acquista una retta doppia, sei dei fasci di raggi vengono a coin- INTORNO ALLA GEOMETRIA ECC. 685 cidere a coppie e lo stesso accade di due degli inviluppi piani di seconda classe. b) Se la quadrica rappresentatrice, non solo passa per due punti uniti della corrispondenza, ma contiene tutta la loro con- giungente, a due degli inviluppi piani di seconda classe vengono sostituiti due fasci di raggi e due fasci di raggi vengono assor- biti dalla retta doppia. c) Finalmente, se la quadrica rappresentatrice contiene le due rette che uniscono uno dei punti uniti ad altri due, uno degli inviluppi piani di seconda classe scompare, cioè viene as- sorbito dalle due rette doppie acquistate dalla congruenza, altri due sono sostituiti da fasci di raggi, quattro fasci di raggi ven- gono assorbiti dalle rette doppie, un quinto è il fascio deter- minato dal punto e dal piano comune alle due rette doppie; vi sono poi ancora due inviluppi piani di 2° classe. e cinque fasci di raggi. 33. In qualunque complesso tetraedrale esistono oo’ con- gruenze di 2° classe e di 2° ordine (di 2° grado 0 quadra- tiche). Ognuna contiene (4444 2.4=) sedici fasci di raggi ed ha una superficie focale di 4° ordine e 4° classe (*). (Kummer, $ 7. Teor. 36). Passiamo all'esame di alcuni casi particolari che può pre- sentare una congruenza quadratica (**). a) La quadrica rappresentativa sia un cono. Il suo centro è imagine d'una retta doppia della congruenza, i 4 fasci di raggi provenienti dai piani tangenti al cono nei punti uniti passano per la retta doppia (***) e gli otto derivanti dalle rette della quadrica uscenti dai punti uniti coincidono a coppie in quelli, mentre gli altri 4 non mutano. La superficie focale (su- (*) La disposizione dei centri o dei piani dei fasci di raggi della con- gruenza quadratica dà la notissima configurazione dei punti e piani singo- lari della superficie di KumwMER. (**) Questi si trovano nell’Inaugural- Dissertation dello ScHUR (Geometrische Untersuchungen tiber Strahlencomplexe 1 und 2 Grades. Berlin, 1879). Il me- todo seguito da questo ben noto geometra differisce da quello da noi adottato, per ciò, che egli studia la congruenza di secondo grado inquanto essa giace su un complesso lineare, mentre noi la consideriamo come una delle figure esistenti su un complesso tetraedrale. (***) Un’osservazione analoga poteva farsi per le congruenze di classi superiori rappresentate da coni. 686 GINO LORIA LI perficie di 4° ordine e 4° classe con una retta doppia) è una superficie del complesso di Plicker relativa a una retta del complesso. a') La quadrica contenga la congiungente di due punti uniti. La congruenza ha allora questa per retta doppia e con- tiene 4 fasci di raggi passanti per essa (di cui due corrispon- dono alle generatrici della quadrica poste nei piani uniti passanti per la retta doppia e diverse da questa, e gli altri due ai piani tangenti alla quadrica nei punti uniti appartenenti alla retta doppia) ed altri 8 fasci di raggi. La sua superficie focale è (a differenza del caso precedente) una superficie del complesso affatto generale (Krummer, l. c. $ 7. Schur, l. c., p. 25, 26). b) Se la quadrica rappresentativa contiene le congiungenti di due coppie di punti uniti, la congruenza quadratica avrà due rette doppie e due quaterne di fasci di raggi passanti risp. per esse; la sua superficie focale, essendo di 4° ordine e 4 classe con due generatrici doppie non secantisi, è una rigata di 4° grado della specie XI di Cremona (*)-(Kummer, 1 ce. $_7. Schur, 1. c. p. 27-28). c) Se la quadrica contiene i lati d'un quadrilatero gobbo avente per vertici i punti uniti della corrispondenza, la super- ficie focale si scinde in due quadriche contenenti il medesimo quadrilatero, epperò la congruenza si può definire come luogo delle tangenti comuni a queste due superficie (Schur, 1 c. p. 29). d) Se la quadrica contiene le rette che uniscono uno dei punti uniti della corrispondenza ad altri due, la congruenza acquista due rette doppie che si secano e conserva soltanto quattro fasci di raggi non passanti per esse. La sua superficie focale è una superficie di 4° ordine e 4° classe con due rette doppie che si secano, cioè è una superficie del complesso di Pliicker relativa a una tangente della superficie singolare (Schur, 1. c. PD. 260,.20) e) Se finalmente la quadrica rappresentativa contiene tre delle congiungenti i punti uniti, di cui una seca le altre due che non s'incontrano, la congruenza ha pure tre rette doppie una delle quali incontra le altre che sono gobbe, ma non contiene più alcun fascio di raggi (non passante per rette doppie). La (*) V.la memoria: Sulle superficie gobbe di 4° grado, n. 12 (Mem. dell’Ac- cademia di Bologna, 1863). INTORNO ALLA GEOMETRIA ECC. 687 sua superficie focale è una rigata di 4° grado con due direttrici e una generatrice doppia, onde è una rigata della specie V di Cremona (*) - (Schur, L c. p. 28). 84. Le altre soluzioni dell’equazione del n. 28 di cui an- cora non facemmo cenno sono: =, mem, n=4 per cui si ha 7=8 dio mel, ml 8 » o miei mo 1 uanze=Onpo—% 95 so (= e e Me00, nei» = le corrispondenti congruenze sono rappresentate da coni col centro in un punto unito e passanti ordinatamente per 0, 1, 2 o 83 degli altri punti uniti; non è difficile discutere le singolarità di queste congruenze, ma, per brevità, noi non faremo questa discussione. Con ciò si può ritenere compiuta l'indicazione sommaria dello studio delle congruenze di 2° classe contenute in un com- plesso di 2° grado avente per superficie singolare un tetraedro non degenerato. Ma, volendo studiare tutte le specializzazioni d'una congruenza di 2° classe, bisognerà considerare ciò che si ottiene nei seguenti modi: 1. Facendo l'ipotesi che il complesso tetraedrale si specializzi in uno dei (quattro) modi possibili, pel che bisogna far venire opportunamente a coincidere i punti uniti della corrispondenza proiettiva (**). 2. Facendo l'ipotesi che il complesso (,, che serve a rappresentare colle sue rette i piani di S' (n. 6, 7), contenga, invece di otto rette della quadrica rap- presentativa (n. 15), un numero minore. 5. Facendo finalmente l’ipotesi che la quadrica rappresentativa sia contenuta nel com- plesso C,, cioè supponendo che la congruenza data sia conte- nuta in un complesso lineare speciale (n. 8). Non faremo per ora questo esame che pure sarebbe interessante: ci basti avere indicato il metodo per poterlo eseguire. (*) Ibid. n. 6. (**) Cfr. il lavoro citato nella nota alla fine del n. f. 688 GINO LORIA (V/A) 7. Geometria su una congruenza di 2° classe. ligate in essa contenute. 35. Come esempio del modo di procedere nella soluzione del problema enunciato al n. 25, col metodo ivi indicato pro- poniamoci di studiare la geometria su una congruenza di 2° classe. I teoremi dei numeri 29-35 ci dicono già che una tale contiene 0, 3, 6, 10 o 16 fasci di raggi (rigate di primo grado) secondochè il suo ordine è rispettivamente 6 (1° specie), 5, 4, 3 o 2; cerchiamo ora le rigate di 2° e 3° grado che si trovano in una di esse. Premettiamo le seguenti osservazioni generali. 36. È noto (*) che su una quadrica esistono tante schiere di curve d'ordine %X per quanto sono gli spezzamenti del numero % in due numeri interi e positivi p, 9 cioè (ritenendo diversi due spezzamenti come p, q e 4, P) E-1 e che la schiera corrispon- dente allo spezzamento p, q è Pp+9+p q volte infinita. Le curve non degeneri di questa schiera che passano rispettivamente ls k,kz,k, (essendo %, =0) volte per 4 punti fissi formano una 13: ) fl E varietà a pd +pPp+q De Zl, (f+ 1) dimensioni e sono di ge- 4 nere (p—1)(g9-1)— = l.(k,-1). Supponendo ora che quei punti fissi siano i punti uniti della corrispondenza proiettiva esi- stente fra i due spazii S, S', potremo dedurre da ciò il teorema seguente, che si può dire compendii tutta la geometria su una congruenza di 2° classe. Se con €, (edo 2,3,4) sé indica uno dei mumeri 0, 1 e cong un numero arbitrario dato, e si determinano le solu- zioni intere non negative dell'equazione 4 g=2k-ZKk, (*) PLuckeRr, Die analytische Geometrie der Curven auf den Flichen 2er Ordnung.G.di Crelle. Vol. 31, pp. 341 e 360. CayLEy, On the Curves situated on a Surface of the second Order. Phil. Magazine, Vol. 22, Serie 42, 1861. CÒastLes, Comptes rendus, Vol. LIII, pp.985, 1077, 1123. INTORNO ALLA GEOMETRIA ECC. 689 colla condizione di prendere sempre k,=0 se e,=0, allora per ognuna delle k—1 soluzioni intere positive dell'equazione k=p+q si ottiene una schiera Il p+9+p9a— 55%, (8,41) le] volte infinita di rigate di grado g e genere Zk(k,=1) DI hi (adele) contenute in una congruenza di classe 2 e ordine 6 — - c a * - b> 37. Ciò posto, la determinazione delle quadriche della con- gruenza di 2° classe poggia sul fatto che l'equazione A 2—2k-Xk, non ammette che le soluzioni seguenti (n. 25) RR ACIIZI AIA) es Delli sl asl sii) t-onik_k_k_4, 38. In generale è ammissibile solo la prima, perchè le altre richiedono che la quadrica rappresentatrice della congruenza passi per due o per tutti i punti uniti; quindi concludiamo: Le congruenze di classe 2 e ordine 6 (1° specie) 0 5 con- tengono due schiere semplicemente infinite di quadriche; due quadriche dello stesso sistema non hanno alcuna retta comune, due di sistemi diversi ne hanno una. Se la congruenza ha una retta doppia le due schiere coin- cidono in una costituita da quadriche contenenti la retta doppia. 359. La seconda delle soluzioni precedenti può applicarsi se la congruenza è di 4* classe e ci porge, assieme alla prima, la proposizione : Ogni congruenza di 4° ordine e 2° classe contiene tre schiere semplicemente «infinite di rigate quadriche; due rigate qualunque hanno comune nessuna 0 una retta secondochè ap- partengono allo stesso sistema 0a sistemi diversi. 690 | GINO LORIA In entrambi i casi particolari considerati al n. 51 due di queste schiere coincidono. 40. Supponendo la congruenza di 3° ordine, si ha: In una congruenza di 3° ordine e 2° classe si trovano cinque schiere semplicemente infinite di rigate quadriche, due rigate qualisivogliano hanno nessuna 0 una retta comune secondochè esse appartengono alla stessa schiera o a schiere differenti. Nei primi due casi speciali indicati al n. 532, due di queste schiere vengono a coincidere, nel terzo ciò avviene due volte, epperò non si hanno che tre schiere di quadriche. 41. Veniamo finalmente alle congruenze di 2° ordine e 2° classe. Su una di queste esistono due schiere semplicemente infinite di quadriche (che indicheremo con D, G) provenienti dai due sistemi di rette della quadrica rappresentatrice; poi sei schiere semplicemente infinite (che indicheremo con S,,) provenienti dalle coniche sezioni della superficie data con piani passanti per le congiungenti le coppie (U; U,) di punti uniti; finalmente le due schiere semplicemente infinite .S,, S, provenienti dalle due schiere di cubiche gobbe passanti pei punti uniti e aventi per bisecanti le rette d’uno dei sistemi della quadrica data e per unisecanti quelle dell'altro. Mediante la rappresentazione si vede subito che due quadriche della stessa schiera non hanno alcuna retta comune e che due quadriche di schiere diverse hanno una o due rette comuni secondochè le due schiere sono scelte ad arbitrio oppure formano una delle coppie seguenti: È Vide il Ù . al A Ù DS 85 ’ Go S, n Si 83, ’ 9a ’ Di 4 DIE, S,5 . Per conseguenza abbiamo il teorema: Una qualunque congruenza di secondo grado contiene dieci schiere semplicemente infinite di quadriche distribuite in cinque coppie di associate; due quadriche qualunque della congruenza hanno due, una, 0 nessuna retta comune, secondochè esse ap- partengono a schiere associate, a schiere non associate 0 alla stessa schiera (*). (*) Cremona, Sulla corrispondenza fra la teoria dei sistemi di rette e la teoria delle superficie, n.22 (Atti della R. Accademia dei Lincei, serie II, t. 3). CaporaLi, Sui complessi e sulle congruenze di secondo grado, n. 10 (lb. serie III, vol. 2). ScHur, l.c., p. 18, INTORNO ALLA GEOMETRIA ECC. 691 Questo teorema si modifica nei casi particolari indicati al n. 33; per brevità non esporremo per disteso queste modifica- zioni che si ottengono immediatamente coll’aiuto della rappre- sentazione, tanto più ch'esse trovansi indicate nel precitato la- voro dello Schur. 42. Finalmente, per trovare tutte le rigate di 3° grado con- tenute nel complesso, osserveremo che l'equazione afasia ha le seguenti soluzioni le=3, si 9 II k=£ 2 dA kg= = ky kE kr, kg=ky=ks=1; nessuna di esse è applicabile se la congruenza è di 6° ordine la prima è applicabile se la congruenza è di 5° o 4° ordine, la prima e la seconda sono applicabili alle congruenze di 3° ordine, infine tutte sono applicabili alle congruenze di 2° grado. Da ciò si trae, coll’aiuto delle osservazioni fatte al n. 36, il seguente teorema : In una congruenza di seconda classe esistono 0, 1, 2, 4, 0 16 sistemi doppiamente infiniti di rigate di 3° grado secondochè il suo ordine è rispettivamente 6 (1° specie), Dee di 3002. Pavia, 5 Maggio 1881. 692 CORRADO SEGRE Lo stesso Socio D'Ovipio presenta ancora e legge il seguente lavoro del sig. Dott. Corrado SEGRE : RICERCHE SUI FASCI DI CONI QUADRICI IN UNO. SPAZIO. LINEARE. QUALUNQUE. In un lavoro pubblicato tra le Memorie di quest’ illustre Accademia (*) abbiamo mostrato quali siano le proprietà gene- rali dei fasci di quadriche in uno spazio lineare ad un numero qualunque di dimensioni, e basandoci su un teorema analitico del signor Weierstrass intorno ad un fascio di forme qua- dratiche il cui determinante non sia identicamente nullo (**) ne abbiamo dedotto il modo di classificare completamente per cia- scuno spazio tali fasci di quadriche, nella ipotesi che questi non si compongano esclusivamente di quadriche degeneri o conz. Ci proponiamo ora di studiare brevemente appunto quel caso prima escluso, mostrando alcune proprietà notevoli dei fasci di coni quadrici, specialmente quelle che possono servire a distinguere tra loro cioè a classificare i fasci di coni quadrici, in uno spazio lineare ad un numero qualunque di dimensioni. Seguiremo un procedimento sintetico, ma per essere più completi mostreremo (*) Studio sulle quadriche in uno spazio lineare ad un numero qualunque di dimensioni. Memorie della R. Accad delle Scienze di Torino, serie II, tomo XXXVI, 1884. — Alcune proposizioni che enuncieremo senza dimostra- zione, specialmente sul principio di questa nota, si troveranno dimostrate in quella memoria. (** Zur T'heorie der bilinearen und quadratischen Formen. Monatsberichte der kòn. Akademie der Wissenschaften zu Berlin, Mai 1808 (pag.310-338) RICERCHE SUI FASCI DI CONI QUADRICI ECC. 695 anche come i nostri risultati si possano trovare analiticamente basandosi su una trasformazione particolare data dal signor Kronecker di un fascio di forme quadratiche di determinante nullo (*), e ne dedurremo che la classificazione dei fasci di coni quadrici si riduce in sostanza alla classificazione già studiata dei fasci di quadriche non degeneri. Proprietà generali. 1. In uno spazio lineare ad » dimensioni ,, diciamo cono quadrico (**) di specie r una quadrica (ad n—1 dimensioni) avente un S._, doppio, vale a dire ottenuta proiettando da quel- l’S._, una quadrica generale ad n —r —1 dimensioni (intersezione del cono con un $,_, qualunque); quell’,S,_, diremo sostegno del cono (od anche vertice quando si riduca ad un punto, cioè pei coni di 1* specie). Un tal cono ha dunque i suoi punti di- sposti su 00”! ,S. passanti pel sostegno: in tutti i punti di un tale S. esso ha uno stesso ,S,_, tangente. Il cono contiene inoltre degli ,S, passanti pel sostegno e m 5 È ras; Tek : n+r—1 tali che il loro numero di dimensioni m stia tra r e o pedi n+r-2 spot, n ; i od n—r. 3. Nello studio che intendiamo fare dei fasci di coni qua- drici è chiaro che possiamo escludere subito il caso in cui il fascio si compone di coni i cui sostegni abbiano un punto (od uno spazio) comune, poichè un tal fascio (e quindi anche la sua base) si ottiene proiettando da quel punto (o da quello spazio) un fascio di quadriche, generali o degeneri, di uno spazio a meno cli 7 dimensioni. Le proprietà di questo secondo fascio RICERCHE SUI FASCI DI CONI QUADRICI ECC. 695 darebbero dunque immediatamente quelle del primo fascio di coni; e in particolare gl’invarianti assoluti dei due fasci sarebbero gli stessi. Ad esempio un fascio di coni di specie » aventi lo stesso sostegno S._, ha proprietà, particolarizzazioni ed invarianti asso- luti che sono dati da quelli del fascio di quadriche generali in cui esso è tagliato da un S,_, qualunque. Basta adunque stu- diare quei fasci di coni quadrici in cui i sostegni di questi non hanno alcun punto comune; e noi ci occuperemo in fatti esclu- sivamente di questi. Da ciò deduciamo una limitazione per la specie » dei coni del fascio. Poichè i sostegni ,S,_, di due qualunque di essi non Li: L) devono aver punti comuni (chè altrimenti tutti i sostegni avrebbero È 2 - A E » quei punti comuni) dovrà essere 2 (r—1)2(r—1), donde 3(r—1)<», deve essere m > 2(r—1). Ma m = +r-1 un S m 9’ , oppure ; n m2=z ———— . Dunque . n n_—1 2: FA VITI INNO CIOÈ 1 < 3 +1; oppure + < ig + 1. Laonde pei fasci di coni quadrici non ottenibili proiettando da un punto o da uno spazio fasci di quadriche a minor numero di dimensioni avremo che: La specie dei coni di un fascio non può superare quello ni n n4+41. fra i tre numeri — , (3) È poi facile vedere, applicando la proposizione del n° 11, che esistono effettivamente fasci di coni (non ottenibili con pro- iezioni) di specie data non superiore al detto limite. =, che è intero. (D) (tal - 14. Lungo tutti i punti della F#?-"*' luogo dei sostegni dei coni del fascio questi si toccano mutuamente, sicchè quella è una varietà doppia per la base del fascio. Gli S,_, tangenti ai coni nei suoi punti formano dunque una serie » volte infinita di classe m—r composta di co' serie lineari r—1 volte infinite di $,_,; come risulta dalla polarità rispetto ad uno qua- lunque dei coni osservando che quella 7777"*' ne contiene il sostegno. 15. Si sarebbe potuto giungere ai risultati ottenuti, o al- meno ad una parte di essi, con quest'altro ragionamento. Se un fascio di quadriche si compone di coni di specie r, gli $S,_, p9- lari di ogni punto dello spazio rispetto ai coni stessi passano rispettivamente pei loro sostegni. Prendendo adunque nello spazio RICERCHE SUI FASCI DI CONI QUADRICI ECC. 701 n, polari rispetto ad uno di quei conì si tagliano precisamente nel suo sostegno; e siccome gli S,_, polari di quei punti rispetto a tutti i coni del fascio formano altrettanti fasci proiettivi tra loro e col fascio di coni, così il luogo dei sostegni dei coni del fascio sarà il luogo degli S,-, d’intersezione degli ,_, corrispondenti di mn—r+1 fasci proiettivi. Parrebbe dunque che quel luogo fosse dell'ordine n—r+1; ma siccome nel fascio vi sono in generale dei coni di specie superiore ad r, essi producono un abbassamento nell’ordine. n—-r+1 punti arbitrari, i loro S I coni di specie superiore del fascio. 26. Consideriamo di nuovo un fascio di coni di 1° specie, la cui curva dei vertici sia d’ordine #, sicchè vi sia un S,_w tangente a tutto il fascio lungo 1°, contenente quella curva. Quell’,S,,,, taglierà ciascun cono del fascio secondo un cono ad n—m—1 dimensioni avente quell’S,, per sostegno, cioè di specie m4- 1; e quindi tutto il fascio primitivo sarà tagliato secondo un fascio di tali coni aventi lo stesso ,S,, per sostegno. Secando questo secondo fascio con un S,_.m_, dell’Snm (con che si ottiene un fascio di quadriche generali nel quale vi sa- ranno generalmente n—2m coni di 1° specie) si scorge che esso contiene in generale n—2m coni di specie m+2, i cui sostegni sono degli $,,,, passanti per 1’ $,, e formanti un gruppo di spazi coniugati rispetto a tutti i coni del fascio. Lungo questi n-2m Spy, VS,.m sarà dunque toccato da n—2m coni del fascio primitivo, i quali per conseguenza, toccando lungo degli vi AT: 1 saranno di 2° specie; vediamo inoltre che essi avranno per sostegni degli S, posti su quegli S,,., e taglianti in conseguenza l’S,, (in punti della curva dei vertici). Viceversa ogni cono del fascio di specie superiore alla prima sarà toccato dall’ S,_,, non più soltanto lungo 1°S,,, ma lungo uno spazio a maggior numero di dimensioni passante per 1°S,,. Dunque: In generale in un fascio di coni di 1° specie in cui il luogo dei vertici di questi sia una curva d'ordine m vi sono n-2m coni di 2° specie. I sostegni S, di questi si appoggiano su quella curva (senza stare nello spazio Sn che la contiene). —m 3 702 CORRADO SEGRE 17. Consideriamo più in generale un fascio di coni di specie y i cui sostegni siano gli S._, di una certa F""*' sita su un S,,. Lungo questo S,, ogni cono del fascio è toccato, come vedemmo, da un S,.r-m-, fisso, il quale in conseguenza taglia il dato fascio secondo un fascio di coni aventi 1’,S,, per sostegno. E come in questo secondo fascio vi sono in generale n+r—2m—1 coni di specie m-+2, cioè aventi per sostegni degli ,S,,, passanti per quell’S,,, così conchiudiamo : In generale in un fascio di conì di specie r în cui il luogo dei sostegni appartenga ad un S, (e sia quindi una FT!) vi sono n+r--2m—1 coni di specie r+1. I loro so- stegni passano per degli S,-; del luogo detto (ma non stanno nell'S,) (*). 18. Lo stesso si può dimostrare considerando un S,_, qua- lunque dello spazio: taglierà il dato fascio in un fascio di qua- driche generali, in cui vi sarebbero generalmente n—r+1 coni (di 1° specie). Ma la FP”""*' taglia quell’S,_, in m--r+1 punti posti sull’intersezione coll’ S,, : questi punti sono dunque vertici di altrettanti di quei coni, ma ciascuno di essi conta due volte, poichè ciascuno di quei vertici sta sul fascio di quadriche. Dunque non vi sono più che n—r+!—2 (m—r+1) = n4+r—2m—-1 coni in quel fascio e quindi altrettanti coni di specie +1 nel dato fascio. 19. Se il fascio di coni di specie 7 non è generale, po- tranno alcuni dei coni di specie +1 venire a coincidere o in un tal cono o in un cono di specie superiore ad r+1. Ma al- lora nel fascio di coni di specie m-+1 d’intersezione del dato coll’S,.--m_., tangente lungo 1’S,, coincideranno pure altrettanti coni di specie 2742 in un cono di specie m+2 o superiore; e viceversa. Di qui appare che le particolarità che può presen- (*) Questo passaggio dei sostegni dei coni di specie superiore del fascio per degli $,_ della F,/"-r+4, passaggio che non si presenta solo nel caso generale, ma anche nei casi particolari, si spiega facilmente riflettendo che, nel fascio essendovi continuità, ad un cono di specie superiore è infinita= mente vicino un cono di specie r, e quindi sul sostegno del primo cono vi sarà un S, infinitamente vicino al sostegno S, di questo, cioè un S, ap- partenente alla F,m-r+!, RICERCHE SUI FASCI DI CONI QUADRICI ECC. 703 tare il fascio di coni di specie r sono date dalle particolarità di quel fascio di coni di specie +1 dell’S,,,_,,_, aventi 1 S,, per sostegno comune, ossia dalle particolarità del fascio di qua- driche generali in cui il fascio di coni di specie r è tagliato da un S,4rim_. contenuto nell’S,,,,_m_,. Ma le particolarità che può presentare un fascio di quadriche generali ci sono note: quindi potremo dedurne le particolarità del nostro fascio di coni. Rappresentazione analitica dei fasci di coni di A° specie. 20. Il signor Kronecker ha dato, come dicemmo in prin- cipio, una forma canonica per un fascio di forme quadratiche aventi determinante nullo, dalla quale avremmo pure potuto ot- tenere i nostri risultati. Segue in fatti dalle ricerche di quello scienziato che un fascio di coni (di 1° specie) si può sempre rappresentare, dicendo x, %,,-.., le coordinate omogenee di punti in S,, coll’equazione k=m_-i k=m—ei ni)... (" Di LrWregt d > Ka tunsa YH (+0) =0, ko k=0 dove x: è il parametro variando il quale si ottiene ogni cono del fascio, ® e Y sono forme quadratiche contenenti solo più le Fariabili X.n4r3 Tam4a 3 - < +9 4, Cd #m è un certo numero in* tero che può variare da uno ad un altro fascio. Ora il vertice di quello tra quei coni che corrisponde ad un valor qualunque di w:v si ha derivando quell’equazione (1): le sue coordinate soddisfano dunque alle equazioni : uri—0,| urpoe_0, usz4ovx=0, ue toz=0, MO UV La Catia» Tad SII ARIE CLI, DARA VIAN LADEN dD DI e... Spano, SI ((=2m+1, 24 2,....-,). da; da, 704 CORRADO SEGRE Ma le (2) danno: %, = Ua= de ll usa, 0; ug ve, Deda ee 0 donde eliminando «:v e notando che per un valore qualunque di questa le equazioni (3) non sono soddisfatte che annullando tutte le variabili che vi entrano: a IE ama = > Tamti amy n = 9 (er Xam — 2 e 0 | Gao SI Queste equazioni determinano sull’,$,, che unisce i punti di riferimento 0 2 4 6... (2) una curva normale d’ordine 7, la quale sarà dunque il luogo dei vertici dei coni del fascio. Quello spazio S,, appartiene a tutti i coni del fascio, poichè l'equazione (1) è evidentemente soddisfatta per x,=%3=%;= == di Cartier iena in un punto qualunque di esso ad un cono qualunque del fascio ha l’equazione della forma k-m=—1 DI (7: Lak+1 = 0 È) k=z0 sicchè lo spazio .x,==x;=%;=". 00 =%,,="0Ntoccanlungo) quel l’S, tutti i coni. Dunque ritroviamo in questo modo che il luogo dei vertici dei coni di 1% specie di un fascio è una curva nor- male di uno spazio generatore comune a questi coni e che lungo questo spazio i coni hanno uno stesso spazio tangente. 21. Pei valori di «:v che annullano il determinante di u®+vY le equazioni (3) non sono più soddisfatte soltanto an- nullando le coordinate che vi entrano, e quindi il sistema delle equazioni (2), (3) diventa indeterminato, e non determina pi un solo punto doppio, cioè un vertice, del cono (1), ma bens una retta doppia, od un piano doppio, ecce., come sostegno di RICERCHE SUI FASCI DI CONI QUADRICI ECC. 705 quel cono, che ora viene ad essere di specie superiore alla 1°. Nel caso più generale i valori di «:v per cui il determinante di u®D+vY si annulla sono tanti quante le variabili contenute in questa forma, cioè #—-2m. Dunque, in generale, in un fascio di coni di 1* specie i cui vertici formino una ©” vi sono n—-2wm coni di 2° specie (V. n. 16). 22. Lo spazio tangente x, =x;=%;=...=%,,_,==0comune al fascio di coni taglia questo fascio (1) secondo quadriche la cui equazione è appunto uP+vY=0, cioè secondo un fascio di coni di specie m+1 aventi per so- stegno comune l°S,, congiungente i punti 0246... (2m). Le particolarità che può avere questo fascio (od il fascio di qua- driche non degeneri in cui esso è tagliato da un $,_m_,) ed in particolare i suoi invarianti assoluti dànno precisamente tutte le particolarità e gl'invarianti assoluti del fascio di coni di 1° specie considerato, come mostra l’equazione (1). Rappresentazione analitica dei fasci di coni di 2° specie e di specie superiori. 23. Dall’equazione canonica (1) del fascio di coni di 1° specie si deduce facilmente l'equazione canonica di un fascio di coni di specie superiore. In fatti supponiamo che nella (1) anche la forma «uD+4vY abbia il determinante identicamente nullo, qua- lunque siano «, v: allora anche ad «D+ Y si potrà dare una forma analoga al 1° membro della (1), sicchè l’equazione (1) del nostro fascio di coni “prenderà la forma: k=m—1 k=m—i (1 | Tak Taksi +, v | TVak4a da) ki=zo k=o0 o. E Ha AJ Eh (1 i TVak41 LVak+2 33 v ) i Lak+2 ts) k=m km +(uD+oY)=0,- 706 CORRADO SEGRE dove ®', Y' sono forme quadratiche di %,,,,, 4433 -*-3%n- In questo caso le equazioni (2), (3) ci mostrano che il nostro fascio si compone non più di coni di 1° specie, ma di coni di 2* specie e per ciascun valore di w:v esse ci determinano la retta che è sostegno del corrispondente cono. Quelle equazioni ci danno ora in luogo delle (4): TAR PARE dn GORAN (| ME Conai Lap+2 = Lay 43 Sail 0 Lo da O Lam_=4 Lm—2 Tam+i Xam+3 ha Lana ZA) Q, ZL, dea eo XVam+43 Cam 45 e Copri M ; e ci mostrano quindi che il luogo delle rette costituenti il so- stegno dei coni di 2° specie del fascio è una rigata razionale (a 2 dimensioni) d’ordine p. contenente curve direttrici normali degli ordini m e {.-—-m (*), e appartenente all’S,,, che con- giunge i punti di riferimento 0 2 4... (2) (2+1) (2m+-3) ... (22+1), che è uno spazio generatore comune a tutti i coni. 24. L’S,_, tangente in un punto qualunque di quell’S,,, a uno dei coni ha l’equazione della forma k=m—1 k=p—i > Oz Varo de SÌ bi DE = km ov quindi 1’S},_, tangente lungo quell’6,,, ad ogni cono del fascio è uno stesso, ossia è per tutti lo spazio XX Lam Campa Lam LI (*) V.la nostra nota Sulle rigate razionali in uno spazio lineare qualunque (Atti della R. Accad. di Torino, vol. XIX, Febbraio 1834). In essa abbiamo mostrato come in uno spazio lineare a 2 +4 dimensioni le rigate razionali d’ordine » formino varie specie (ciascuna delle quali non ha invarianti as- soluti) distinte tra loro per l’ordine minimo delle curve direttrici in esse contenute. Questi risultati si estendono con ragionamenti affatto analoghi a quelli ivi usati alle superficie ad » dimensioni composte di o' Sr-!: in un S, tali superficie di ordine »—r+1 non si distinguono tra loro che per gli ordini minimi di curve direttrici in esse contenute. Abbiamo mostrato ciò”7pellcaso di » = 2 nella nota citata : ci occuperemo del caso di 7 = 3 pros- simamente in una nuova nota, RICERCHE SUI FASCI DI CONI QUADRICI ECC. 707 Questo taglia il fascio (1') dei coni di 2° specie in un fascio di coni ad n—u—1 dimensioni di specie 1.42 aventi per so- stegno comune quell’S,,, e per equazione uD+oP =0. Ai valori di «:v che annullano il determinante di uD'+vY' corrispondono nel fascio coni di 3° specie o di specie superiore. Nel caso più generale quella forma contenendo n —2f.—1 variabili vi sono altrettanti coni di 3° specie nel fascio. Ma in casi particolari alcuni di questi potranno coimcidere in un cono di 3* specie od anche di specie superiore: ciò dipenderà dal determinante di «®'+vY e dai suoi subdeterminanti e si potrà quindi giudicare considerando quel fascio di coni di specie +2 in cui il dato fascio è tagliato dall’S,_, tangente lungo 1°S,4, 25. Potrebbe la forma «D+ %Y' avere ancora il determi- nante identicamente nullo; allora il fascio si comporrà di coni di 3* specie e ponendo uD' +vY' sotto forma analoga alla (1) e poi sostituendo nella (1°) si avrà una rappresentazione canonica dei fasci di coni di 3° specie. E così continuando vediamo in questo modo quale sia l’equazione canonica di un fascio di coni di specie qualunque , e quell’equazione ci conduce a ritrovare i risultati prima ottenuti sinteticamente. Ma inoltre noi veniamo così a giustificare pienamente quanto ave- vamo detto sulla fine del n° 19 ed otteniamo la seguente im- portante proposizione, che con quelle prima trovate permette di fare una classificazione completa dei fasci di coni quadrici per ogni dato spazio, riducendola in definitiva ad una classificazione di fasci di quadriche generali : In un fascio di coni quadrici di specie r vi sono due di- stinte particolarità da considerare: 1° il luogo degli S,_, che sono sostegni di quei coni; tale luogo è una varietà ad r di- mensioni (di cui vedemmo alcune proprietà), il cui ordine può variare da un fascio ad un altro e che non presenta altri invarianti che gli ordini delle curve (direttrici) d’ordini minimi in essa contenute. 2° Il fascio di conì in cui il dato fascio è tagliato dallo spazio tangente a tutti i coni di questo luogo quel loro spazio generatore comune che è lo spazio (di dimen- sioni minime) contenente la varietà suddetta: questi nuovi coni 708 CORRADO SEGRE hanno per sostegno comune quest’ultimo spazio e tutte le par- ticolarità del loro fascio (come gl’invarianti assoluti) danno luogo alle varie particolarità (tra cui gl'invarianti assoluti) del fascio dato) (*). Fasci di coni quadrici negli spazi a 2, 3, 4 e 5 dimensioni. —_ 26. Come applicazione dei risultati generali ottenuti vediamo quali siano i vari fasci di coni negli spazi lineari a numero di dimensioni = 5. Avremo solo da applicare quelli relativi ai fasci di coni di 1° specie, tranne che per lo spazio a 5 dimensioni; perocchè solo in questo si presenta un fascio di coni di 2° specie in cui i sostegni non passano per uno stesso punto e che quindi non si può ottenere proiettando un fascio di coni di 1° specie a minor numero di dimensioni (n. 18). Per gli spazi ad 1 e a 2 dimensioni vi è poco da dire. Nel primo il fascio di coni è costituito da un’involuzione in cui tutte le coppie di punti coincidono in un punto doppio. Nel secondo i fasci di (con?) coniche degenerate in coppie di rette o sì com- pongono di coppie di rette aventi comune il punto doppio (invo- luzione quadratica) oppure hanno per luogo dei punti doppi di quelle una retta comune a tutte le coppie (n. 6) e quindi si compongono di quella e rispettivamente delle rette di un fascio. — Non esiste, propriamente parlando, il fascio di rette doppie (coni di 2° specie), poichè affinchè due rette doppie determinino un fascio di tali coniche esse devono coincidere (n. 11). Nello spazio a 3 dimensioni vi sono anzitutto i fasci di coni aventi comune il vertice (od un punto doppio): sono coni di 1° specie se proiettano da questo punto un fascio ordinario di coniche, mentre sono coni di 2° specie, cioè coppie di piani, se (*) Così si potrà distinguere i fasci di coni quadrici di specie r in varie classi a seconda dei caratteri del luogo dei sostegni e della caratteristica del fascio di coni d’intersezione collo spazio tangente considerato: allora per ogni data classe di fasci i soli invarianti saranno quelli del gruppo formato da quei conì del fascio che sono di specie superiore ad r (V. il $ 3 della 2° Parte della nostra memoria citata in principio). RICERCHE SUI FASCI DI CONI QUADRICI ECC. 709 proiettano una delle due sorta di fasci di coppie di rette viste dianzi. Si hanno così tutti i fasci di coppie di piani. Quanto ai fasci di coni di 1° specie (coni quadrici ordinari) vi sono ancora quelli per cui non vi è un vertice comune, ma i vertici hanno per luogo una retta: allora tutti quei coni saranno toccati lungo questa retta da uno stesso piano (n. 6) e quindi si taglieranno ancora secondo una conica. Viceversa, due coni ordinari che si tocchino, lungo una generatrice comune, determinano un tal fascio di coni. 27. Nello spazio a 4 dimensioni abbiamo anzitutto i fasci di coni aventi comune un punto doppio, cioè ottenuti proiettando da questo i fasci di quadriche generali ed i fasci di coni (con- siderati al n. precedente) dello spazio a tre dimensioni. Otteniamo dunque: il fascio di coni di 2° specie aventi comune la retta di sostegno (e in particolare il fascio di coppie di spazi ordinari); il fascio di coni di 2° specie, le cui rette di sostegno formano un fascio nel cui piano (piano generatore comune a tutti quei coni) tutti i coni hanno comune lo spazio (ordinario) tangente ; il fascio di coni di 1° specie aventi comune il vertice (fascio di quadriche determinato da due coni qualunque di 1° specie, i quali abbiano comune il vertice). Ma oltre a queste qualità di coni di 1° specie ve ne sono altre due corrispondenti al supporre che il luogo dei vertici sia una linea di 1° o di 2° ordine. Se quel luogo è una retta, allora essa appartiene a tutti i coni, i quali saranno toccati lungo essa da uno stesso spazio. Se invece il luogo dei vertici è una conica, il piano di essa apparterrà a tutti i coni e un tal fascio sarà appunto determinato da due coni di 1° specie arbitrari aventi comune un piano (*). (*) In un lavoro sulle superficie di quarto ordine (dello spazio ordinario) che verrà presto pubblicato nei Mathematische Annalen abbiamo discusso verso la fine le superficie basi dei fasci di coni di prima specie dello spazio a 4 dimensioni; superficie di cui una soprattutto è notevole, come quella che è di quarto ordine dotata di una retta doppia (e di nessun’ altra retta) e di «°° coniche poste negli spazi passanti per questa: la proiezione di quella superficie su uno spazio ordinario è (come mostrammo in quel lavoro) la superficie di STEINER di quarto ordine e terza classe, oppure qualcuno dei suoi casì particolari. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XIX. 47 710 CORRADO SEGRE - RICERCHE SUI FASCI DI CONI QUADRICI ECC. 28. Nello spazio a 5 dimensioni vi sono i seguenti fasci di coni (applicando quanto si è trovato or ora pei fasci di coni dello spazio a 4 dimensioni ed inoltre i soliti teoremi generali) : Il fascio di coni di 3° specie aventi comune il piano di so- stegno. Il fascio di coni di 3° specie i cui piani di sostegno formano un fascio e che si compone di coni toccati lungo uno spazio a 3 dimensioni comune (lo spazio contenente quel fascio di piani) da uno stesso /S,. Il fascio di coni di 2° specie aventi comune la retta di sostegno. Il fascio di coni di 2° specie le cui rette di sostegno formano un fascio, cioè composto di coni toccati lungo un piano Saneratore comune (contenente quel fascio) da uno stesso /S/. Il fascio di coni di 2° specie aventi comune un ,S;: le rette costituenti i sostegni di quei coni sono in questo spazio ordinario generatrici di una quadrica ordinaria (n. 12), o, come caso par- ticolare, di un cono quadrico ordinario. Il fascio di coni di 1° specie aventi il vertice comune. Il fascio di coni di 1° specie i cui vertici formano una ge- neratrice comune a tutti e lungo cui essi sono toccati da uno stesso S,. Il fascio di coni di 1° specie i cui vertici hanno per luogo una conica: quei coni contengono il piano di questa conica e sono toccati lungo esso da uno stesso 3. Torino, 18 Maggio 1884. Ja: Il Socio Cav. Professore A. NAccarI, condeputato col Socio Cav. Prof. G. Basso ad esaminare il lavoro del sig. Dott. G. Vi- CENTINI « Sulla conducibilità elettrica delle soluzioni alcooliche di alcuni cloruri », presentata nella precedente adunanza, legge la seguente RELAZIONE. _ Finora le soluzioni dei sali nell’alcool sono state pochissimo studiate rispetto alla loro conducibilità elettrica. Non sono a nostra conoscenza che lo studio della resistenza elettrica delle solu- zioni di KOH in alcool assoluto, fatto dal Guglielmo, e quello fatto dal Lenz sulle soluzioni di vari sali in miscugli di acqua ed alcool. Per tal motivo l’autore si è proposto di determinare la conducibilità delle soluzioni di vari sali nell’alcool assoluto. Il metodo seguito nelle esperienze è quello già usato dal Kohlrausch per le soluzioni acquose, vale a dire consiste nel- l’impiego di correnti indotte alternate e della solita disposizione del ponte di Wheatstone. Però in luogo dell’elettrodinamometro di Weber l’autore ha impiegato quello che il Professore Bel- lati ha suggerito per le correnti alternate molto deboli. Le prove fatte dimostrano che l’elettrodinamometro impiegato, il quale in queste esperienze serve solo a far conoscere se una delle diago- nali del quadrilatero di Wheatstone è percorsa da corrente e a dare un’indicazione sulla sua grandezza, soddisfa alle condizioni di sensibilità e di esattezza richieste da questo genere d'indagini. I corpi studiati, sette cloruri puri ed anidri, furono tutti disciolti nell’alcool assoluto. La concentrazione della prima soluzione di ogni sale venne determinata mediante analisi volumetrica. Dalle numerose esperienze, i risultati delle quali sono rac- colti in apposite tabelle e dei quali viene data una rappresenta- zione grafica, l’autore ha dedotto le seguenti conclusioni: 1) Le soluzioni dei sali nell’alcool etilico sono molto più resistenti delle corrispondenti soluzioni acquose. 712 A. NACCARI — RELAZ. SULLA MEMORIA DEL DOTT. G. VICENTINI. 2) Anche per soluzioni diluitissime la conducibilità cresce più lentamente della concentrazione. 3) Per i sali molto solubili nell’alcool, la conducibilità raggiunge un massimo per un determinato grado di concentra- zione. 4) Dei cloruri studiati sono più conduttori gli alcalini; vengono poscia con conducibilità molto inferiore i cloruri delle terre alcaline ed infine i cloruri dei metalli pesanti. 5) Per soluzioni diluitissime contenenti egual numero di molecole di sali, i cloruri di Li e di N H, hanno pressochè eguale conducibilità. 6) La conducibilità dei sali in soluzioni alcooliche non è legata da alcuna relazione semplice con quella delle corrispondenti soluzioni acquose. 7) I coefficienti di variazione della resistenza al variare della temperatura sono alquanto più piccoli di quelli che spet- tano alle soluzioni acquose ; tendono a limiti alquanto diversi, comuni però ad alcuni gruppi. 8) Analogamente alle soluzioni acquose i detti coefficienti che dapprima diminuiscono colla concentrazione delle soluzioni, per grandi diluizioni tornano ad aumentare alquanto. 9) Non esiste alcun rapporto semplice fra la solubilità dei sali nell’alcool e la loro conducibilità elettrica. Tanto per l’importanza dell'argomento, quanto per l'abilità e la diligenza, con cui furono condotte le esperienze, i sottoscritti propongono la lettura alla Classe di questa memoria. G. Basso. A. NACCARI relatore. La Classe approva la conclusione dei Commissari, e, dopo averne udita la lettura, approva la pubblicazione del lavoro del sig. Dott. G. VIcENTINI nei volumi delle Memorze. Il Socio Cav. Prof. Giulio BizzozerRo presenta e legge il seguente lavoro del sig. Dott. G. D'AsuroLo, Assistente al Labo- ratorio di Anatomia patologica nella R. Università di Bologna, INTORNO AD UN ESEMPLARE DI CAPSULA SOPRARENALE ACCESSORIA SUL CORPO PAMPINIFORME DI UN FETO. Se lo studio delle capsule soprarenali accessorie può dirsi abbastanza ricco di osservazioni e di lavori pregevoli, esso però è ancor lungi dall’essere esaurito, non solo per la possibile sco- perta di nuove sedi, in cui tali organi potranno rinvenirsi, ma altresì. per la soluzione di qualche quesito concernente la loro origine e la loro struttura. Ora avendone potuto osservare un caso, che può giovare all'incremento di tale studio, credo di far cosa non inutile, rendendolo di pubblica ragione. Il giorno 2 Settembre 1883 nel sezionare un feto a termine, morto d’apoplessia, con grande mio stupore vidi sul corpo pam- piniforme sinistro un corpuscolo (Fig. I ©), di color rosso-scuro e della grandezza di un buon fagiuolo , il quale era collocato dappresso all’ orificio interno del canale inguinale, mentre il testicolo corrispondente era già disceso nello scroto. Il cor- picciuolo aveva forma elissoidale un po’ schiacciata dall’ avanti all'indietro, e col maggior diametro diretto dal basso all'alto e un po’ dall'interno all’esterno. Esso inoltre aveva, dietro a sè, il plesso pampiniforme, a destra il dotto deferente (D), a sini- stra alcune glandulette linfatiche, e veniva fissato in quel sito, 714 GIOVANNI D’AJUTOLO oltrechè da’ vasi (turgidi di sangue), anche dal peritoneo, il quale gli costituiva una specie di mesentere. Misuratolo, trovossi lungo mm. 22, largo 6, spesso 4 }4. Quel corpicciuolo possedeva un’arteria e due vene (Fig. II). La prima (A), di provenienza dalla spermatica interna, si di- stribuiva alla superficie esterna di esso ; le altre erano distinte in una vena interna (V!) e in una inferiore (V?), entrambe in rapporto col plesso pampiniforme (1). Questi vasi presentavano un decorso affatto diverso da quello dei vasi spermatici, perchè l'arteria si portava in fuori e in alto, dovechè le vene per la massima parte dall'alto al basso. Tagliato il corpicciuolo suddetto trasversalmente al suo asse longitudinale, la superficie di sezione (Fig. III ,5#) tosto si mo- strò di colorito rosso-bruno; ma poscia, quando un po’ di sangue fu scolato, si distinse in due zone, di cui la più esterna, o cor- ticale, di color gialliccio, e la più interna, o midollare, di color bruno-scuro, con una cavità nel centro a forma di canale, che era posta lungo il maggior asse dell'organo. Questa cavità , del diametro di circa !/, mm. era evidentemente in comunicazione di- retta colla vena posta al lato interno del medesimo mediante un vaso che lo attraversava lungo il diametro minore, e che era rimasto longitudinalmente inciso e così convertito in un solco (8) molto ben visibile. Al microscopio si osservò una capsula fibrosa (Fig. IV, I) all’esterno dell’organo, abbastanza grossa, nella cui spessezza si riconoscevano frequenti vasi arteriosi molto dilatati dal sangue e perciò molto ben visibili; alcuni uno de’ quali (A) scorrevano parallelamente alla sua faccia interna, inviando con una certa simmetria rami verso il centro dell'organo, i quali, insieme colle fibre che partivano dalla capsula suddetta, costituivano altret- tanti sepimenti longitudinali (£) a breve distanza fra loro. Questi sepimenti nella porzione corticale (C) limitavano il contenuto in tante logge quasi uniformi, arcuate esternamente, dirette verso il centro e lunghe circa i tre quinti del raggio : e poscia formavano nella parte più interna le pareti di tanti (1) Gli altri rami venosi V?, V* e V5 per brevità non sono stati descritti nel testo; ma basta dare un’occhiata alla figura per rilevarne facilmente il loro decorso. INTORNO AD UN ESEMPLARE DI CAPSULA SOPRARENALE 715 alveoli che avevano forma e grandezza varia (H), costituendo così la trama della porzione midollare (47) dell’organo. Il contenuto , tanto delle logge corticali (G) quanto degli alveoli midollari (4), era costituito da cellule più o meno grandi con grosso nucleo granuloso , le quali offrivano il protoplasma infiltrato di granuli e non di rado avvolto da membrana. Esse non avevano una forma costante, variando dalla ellittica alla po- ligonale, ed offrivano la differenza di colorarsi, col bicromato di potassa, bene nella parte midollare e pochissimo nella parte corti- cale , ove poi apparivano più piccole e stipate che nella sostanza midollare. Tanto però nell’una quanto nell’altra sostanza in nu- mero diverso, da una a più, venivan comprese da un fino reticolo. il quale divideva le logge e le areole suddette in tanti spazi più piccoli, ed appariva manifesto , specialmente con ingrandimenti più forti, in tutti quei punti ove le cellule si eran staccate. Oltre a ciò, tanto sui setti quanto nelle areole, si vedevano dei granuli di diversa grandezza (L), i quali, molto numerosi nella sostanza midollare, andavan scemando nella parte corticale. Di essi la maggior parte era costituita da gocciole di grasso e da granuli albuminoidi, come risultò alla reazione coll’ etere e coll’acido acetico, e la parte rimanente rappresentata da globuli bianchi e rossi del sangue, i quali ultimi talora si mostravano in tanta copia nella sostanza corticale da formare veri focolai emorragici. Sì gli uni poi come gli altri, egualmente che la di- latazione vascolare, derivavano indubitatamente dalla forte stasi, che notavasi in questo e negli altri organi del feto. Finalmente nel centro si osservava, che la cavità già no- tata (Fig. III C' ) per la costituzione delle sue pareti era da ritenersi una gran vena (Fig. IV D), a cui mettevan capo le altre vene minori (V), e da cui prendeva origine quel vaso tras- versale (Fig. III ,S), che si continuava nella vena interna ac- cennata superiormente. Ora, che quest’ organo fosse una capsula soprarenale acces- soria, io credo che non vi sia alcun dubbio. Primieramente, perchè le cellule, oltre all’esser fornite di grande nucleo e protoplasma granuloso, avevano la caratteristica di colorarsi bene nella sostanza midollare col bicromato di potassa e pochissimo nella corticale, come si osserva nelle capsule soprarenali normali. In secondo luogo, perchè nella sostanza corticale le cellule stesse eran disposte a cordoni e tenute in sito da un fino reticolo, che era mani- 716 GIOVANNI D'AJUTOLO festissimo anche nella parte midollare. Finalmente, perchè (come fu dimostrato dal Prof. Taruffi (1) nelle capsule normali) la circolazione arteriosa si faceva dalla periferia verso il centro, ove trovavasi una gran vena, a cui mettevano foce ad angolo retto le vene minori dell'organo. Ciò premesso, se si paragona quest'esemplare con tutti quelli di capsule soprarenali accessorie noti finora, si trova subito una differenza molto notevole nella sede da esso occupata sul corpo pampiniforme e da niun altro mai rinvenuta. Difatti, le mede- sime furono trovate: sulla superficie o dentro alle capsule nor- mali da molti; nel plesso solare, renale, ecc. dal Kokitanski (1) e dal Brigidi (2); sulla vena capsulare dal Duvernoi (3); sul- l’arteria capsulare media destra dal Morgagni (4), e nel lega- mento largo dell'utero dal Marchand (5). Volendo poi spiegare come la capsula da me descritta si trovasse in quel sito, egli è da ammettere che essa, nel periodo embrionale, avendo prese aderenze col plesso venoso spermatico (che allora è molto in alto nell’addome), siasi staccata dal bla- stema delle capsule soprarenali normali e sia stata successiva- mente portata in basso dal testicolo che discendeva e dalla vena spermatica che si allungava. Simile spiegazione venne data dal Marchand pei casi suoi, e che nel mio vien resa anche più verosimile dalla speciale direzione dei vasi dell’organo, come ho avvertito di sopra. Una seconda differenza, sebbene meno notevole della prece- dente, è data dalla grandezza di quest’ esemplare in confronto con quella degli altri; perocchè eccettuato il caso del Morgagni (1) TaruFFI, Sulla struttura delle capsule soprarenali. Bollettino delle Sc. med. di Bologna. Anno 1866, vol. II, pag. 404. Le figure sono riportate dallo stesso Bollettino. Anno 1873, serie V, vol. 16, pag. 70. (1) KogiransK1, Lehrbuch der path. Anatomie. 1861, Bd. III, s. 381. (2) BriGIDI, Delle capsule soprarenali accessorie. Lo Sperimentale (Gior- nale medico). Firenze 1882, fase. 12. (3) DuveRNoI, De capsulis renalibus Eustachii in Commentarii Acad. Sc. Imp. Petropolitanae. 1751, t. XIII, pag. 361, e t. XIV, pag. 205. (4) Morgagni, Epist. anat. duodeviginti, ece. Pars altera. Venetiis 1740. Epist. XX, c. 43. (5) MarcHanD, Veber accessorische Nebennieren im Ligamentum latum. Virchow's Arch., Bd. LXXXXII. Berlin, 1883, s. 11. INTORNO AD UN ESEMPLARE DI CAPSULA SOPRARENALE 717 (che era uguale al quarto della capsula normale destra), tutti gli altri oscillarono tra le dimensioni di un acino di miglio a quella di un pisello, e quindi inferiori al mio. Finalmente quest’ organo differisce dagli altri pel colorito, inquantochè, mentre le capsule accessorie presentaronsi esterna- mente di color gialliccio (meno due casi del Marchand, nei quali fu rossastro-vivo) qui il colorito fu rosso-scuro, di fegato. Questa differenza però è da ritenersi puramente accidentale, perchè do- vuta alle stato apopletico del neonato ; il quale stato, come ho fatto notare più su, spiega altresì la dilatazione dei vasi e la presenza delle emorragie nella sostanza corticale dell'organo, come pure la gran copia dei granuli e dei corpuscoli già descritti. Venendo ora a qualche considerazione rispetto alla origine di questo mio esemplare, io noto come a questo proposito sì faccia il quesito : se le capsule accessorie sieno un effetto di ecces- sivo aumento della sostanza delle capsule soprarenali, o il risultato di una semplice scissione. Mekel dice, che è difficile decidere (1), Brigidi (2) invece, tenendo presente il fatto che le capsule nor- mali erano bene sviluppate nel caso suo, ritiene piuttosto la prima che la seconda ipotesi. Ora io osservo, che anche nel caso mio le capsule normali trovaronsi bene sviluppate ; per cui non può accader dubbio, che anche qui si sia trattato di un aumento di sviluppo della sostanza delle capsule soprarenali, piuttostochè di una semplice scissione. Noto poi, in quanto alla struttura, che nelle descrizioni ana- tomiche delle capsule accessorie non di rado si è parlato di cavità riscontrata nell’interno delle stesse ( Duvernoi (3), Hartmann (4)) : cavità, che pel Kiihn (5) sarebbe effetto di putrefazione o di manipolazioni, e pel Brigidi invece un fatto fisiologico (6). Ora, (1) MeckEeL, Manuale di Anat. gen. descr. e patol. Versione italiana di Caimi. Milano 1825, t. IV, pag. 440. (2) BriGIpi, Op. cit. (3) DuveRNOI, Op. cit. (4) HARTMANN, Analome renum et partium adjac. non recte se habentium in Miscellanea curiosa seu Ephem. med. phys. etc. Norimbergae, 1689. Deec., II, an. VII, obs. XXII. (5) Kilun, Ueber das Vorkommen von accessorische Nebennieren. Zeitsch, ;à rat. Med. Leipzig et Heidelberg, 1866. Bd. XXVIII, s. 146. (6) BriGiIDI, Op, cit. 718 GIOVANNI D’AJUTOLO - INTORNO AD UN ESEMPLARE. ECC. avendola trovata anch'io e con tutti i caratteri di una vena cen- trale molto ingrandita, reputo che altrettanto debba pensarsi anche delie altre, salva qualche eventuale eccezione, che, come tale, non può infirmare il mio giudizio. Bologna, 18 Aprile 1884. Dlare ae ge RR STI i Ci RI\o ad une FR io gi Maccaferri Tall REA PMT nr VI° Prg Lo stesso Socio BizzozERo presenta ancora e legge il seguente lavoro del sig. G. PIsENTI, Studente di medicina neila R. Uni- versità di Bologna, SULLA CICATRIZZAZIONE DELLE FERITE DEL RENE RIGENERAZIONE PARZIALE DI QUEST ORGANO. Gli studi compiuti in questi ultimi anni intorno alle rige- nerazioni e neoformazioni di organi e di tessuti, hanno condotto alla conclusione che la perdita di sostanza di un organo o di un tessuto può venire in parte compensata da altra di neofor- mazione. Così le ricerche sulle asportazioni parziali del fegato e della milza, mostrarono che la soluzione di continuo, oltre di essere riempita da connettivo cicatriziale, conteneva degli ele- menti parenchimali neoformati, identici per caratteri istologici ai vecchi elementi dell'organo. Pel rene, nessuno studio speri- mentale venne di recente, per quanto è a mia conoscenza, a di- lucidare il modo con cui avviene la cicatrizzazione delle sue ferite, a sè in esse si riscontrino i fatti di neoformazione, ana- loghi e quelli della milza e del fegato: solo il Tillmanns (1) alcuni anni fa studiando il modo di cicatrizzazione delle ferite di vari organi, quali il fegato, la milza, i reni, in questi ul- timi non rinvenne alcun processo neoformativo di tubuli e di glomeruli oltre il semplice connettivo cicatriziale. (1) TriLmanns, Erperimentelle und anatomische Untersuchungen uber Wunden, der Leber und Nieze. Wirchow's Arch., Bd., LXXVIII, 1879, 720 GUSTAVO PISENTI Nè le ricerche anatomo-patologiche furono più numerose e più concludenti. Abbastanza recentemente il Petrone (1) studiando quello che avveniva nei reni in seguito a processi distruttivi da infarti, gomme, cancro, tubercolo, ecc.. credette di trovare neo- formazione di tubuli e di glomeruli derivante da proliferazione dei vecchi elementi. Colle presenti ricerche sperimentali cercai per quanto mi fu possibile di risolvere la questione: ed a tal fine operai parecchi conigli, asportando un pezzetto cuneiforme di parenchima re- nale, con affilato rasoio, dal rene lussato fuori della cavità addominale per ferita lombare, senza lesione od apertura del peritoneo. Per vecchi studi, è noto chele ferite d'arme da taglio negli organi, a meno che non siano stati lesi grossi vasi, non sono mai mortali, essendo l'emorragia parenchimale sempre di lieve importanza: da ciò il buon successo de’ miei sperimenti. La ferita esterna, guarì la massima parte delle volte, per prima intenzione ; altre poche volte per seconda, avendosi in tal caso abbondante suppurazione estendentesi sino al rene, il quale ve- niva in tal modo a partecipare al processo suppurativo. Gli ani- mali vennero uccisi a varie epoche dalla praticata operazione, avendo le esperienze raggiunto una durata massima di 75 giorni ed una minima di 8. 1 reni vennero induriti coi soliti mezzi, e tagliati al microtomo di Thoma. Alcuni vennero iniettati colla massa del Ranvier. Esaminando le sezioni di un rene in prossimità della ferita, di un esperimento durato 3-4 giorni, si vede: la capsula propria considerevolmente ispessita nel punto ove venne tagliata; un grosso coagulo che riempie quasi totalmente la ferita, più una proliferazione del connettivo della capsula e di quello che cir- conda i tubuli. In una fase più avanzata — 7 giorni — si nota che il coagulo venne quasi tutto sostituito da un connettivo di aspetto embrio- nale; dopo 9 giorni circa, scompare ogni traccia di coagulo ed il connettivo che riempie la ferita, comincia ad apparire diverso a seconda del punto che si esamina. Osservando a piccolo ingran- (1) PerRONE, La rigenerazione del fegato e del rene per neoformazione dei loro dutti escretori. Comunicazione preventiva. Morgagni, 1881, fase. 11-12. SULLA CICATRIZZAZIONE DELLE FERITE DEL RENE, Ecc. 721 dimento si nota che il connettivo della porzione esterna si mostra fibroso, compatto, a grossi fasci che decorrono paralleli fra loro in direzione trasversa alla ferita e di diretta dipendenza del con- nettivo capsulare (Fig. 1. A), mentre quello del centro e del fondo della ferita appare lasso, molle, mucoso, alcune volte re- ticolato, come quello di una glandula linfatica con nuclei for- temente colorati, e discreta quantità di protoplasma, e dipendente dalla proliferazione del connettivo pericanaliculare (Fig. 1. 5). Il connettivo di un lato di genesi capsulare si fonde con quello del lato opposto, camminando verso il fondo della ferita senza però raggiungerlo venendo arrestato dal processo di neofor- mazione connettiva che si svolge dal fondo e dai bordi della ferita e nella quale si notano i fatti di neoformazione tubulare e glomerulare che andrò a descrivere. La neoformazione di elementi renali appare in primo tempo identica tanto pei tubuli che pei glomeruli: nei punti cioè dove avviene, il connettivo si mostra dapprima più lasso più areolare, con nuclei più grossi del comune, circondato tutto intorno da con- nettivo un po’ più spesso. La genesi dei glomeruli è più semplice di quella dei tubuli. Nel connettivo lasso si vede un accumulo di varia grandezza di elementi ovali, uniti alle fibre di connettivo formato dei suoi nuclei oblunghi; questi ultimi un po’ per volta scompaiono dal centro portandosi alla periferia, ciò che accade quando l’accu- mulo nucleare assume una forma rotonda. Progredendo la dif- ferenziazione di questi elementi, si nota negli stessi una disposi- zione speciale, nel mentre che una sottile ansa vascolare penetra fra essi, e ravvolgendosi più e più volte costituisce il gomitolo vascolare del glomerulo (Fig. 3. 4). In fase più avanzata, dal connettivo che circonda il glo- merulo si differenzia la capsula di Bowmann per smagliamento dello stesso, in ultimo si notano i nuclei endoteliali della capsula. Ciò riguardo al processo istologico di sviluppo; che sul luogo di formazione e pel cammino che tiene, la neoformazione glomerulare predilige i bordi ed il fondo della ferita, come i punti nei quali il connettivo si mostra di aspetto embrionale più che in altri. La neoformazione tubulare si appalesa nelle sezioni longitu- dinali sotto forma di cordoni cellulari in prossimità di qualche vaso (Fig. 4. F.F)o di accumuli cellulari se la sezione cadde 122 GUSTAVO PISENTI traversalmente. Im queste ultime è più facile a studiarsi il mec- canismo di formazione tubulare, la quale si inizia con un’ ag- sruppamento di elementi rotondi, con grosso nucleo e poco pro- toplasma finamente granuloso, disposti senz’ordine; in una fase un po’ avanzata si vede che questi elementi si allontanano fra loro, il connettivo si fa ancor più lasso; quelli assumono l’aspetto di elementi epiteliali, si. dispongono circolarmente in modo da andar a costituire il rivestimento epiteliale del nuovo tubulo, mentre una sottile striscia di connettivo all’esterno si fa com- patto per servire di sostegno alla parete del tubulo (Fig. 5, 6, 7). Il nuovo tubulino però non potrebbe ancor funzionare se un processo di distruzione di alcuni elementi epiteliali neoformati occupanti il centro del tubulo non entrasse in campo, trasfor- mandoli in una sostanza omogenea simulante i noti cilindri ja- lini del rene; ed infatti in alcune sezioni trasverse di tubuli neoformati, si vede il loro centro ancor impervio per la presenza di una specie di cilindro jalino, assai colorato dal carminio, il quale evidentemente è destinato ad essere eliminato, come corpo estraneo, appena le parti neoformate possono cominciare l’eser- cizio delle loro funzioni, se pure non venga distrutto in loco, e quindi assorbito. Anche la neoformazione dei tubuli uriniferi, al pari di quella dei glomeruli, si mostra più accentuata ai bordi e nel fondo della ferita, che non al centro, essendo anche la prima più abbondante della seconda di queste neoformazioni. Accennata così la genesi dei nuovi elementi, non sarà inutile il dare uno sguardo alla sorte che tocca ai vecchi tubuli limitanti la ferita. Essi vennero sottoposti ad un accurato ed attento esame onde osservare se presentavano fatti di moltiplicazione cellulare, avendo usato per queste ricerche i metodi di fissazione e di colorazione indicati dal Flemming, ma senza verun risultato ; anzi piuttosto trovai che parecchie volte" presentavano il proto- plasma degli elementi assai granuloso, che era scomparso il li- mite fra le singole cellule epiteliali, e che dei cilindri jalini ne occupavano il lume; in una parola in queste ricerche non trovai che dei fenomeni regressivi caratterizzati da un disfacimento gra- nulare, senza verun accenno nei vecchi elementi del parenchima renale a prender parte al processo di riparazione con una esa- gerazione della loro attività formativa. Varie cause possono turbare e talora anche sospendere i pro- cessi di neoformazioni; delle quali mi basterà accennare la for- e. PARI pra SULLA CICATRIZZAZIONE DELLE FERITE DEL RENE, Ecc. 72: mazione di ascessolini microscopici lungo 1 bordi, e la presenza di cisti. I primi sono sempre in relazione con processi suppura- tivi della ferita esterna, nei casi di guarigione per seconda in- tenzione, le seconde dipendono sia da dilatazioni di tubuli vecchi, sia da dilatazioni della capsula di Bowmann di alcuni glumeruli tagliati nelle loro comunicazioni colle porzioni di tubuli che ser- vono agli atti escretivi; tanto le une che le altre Anno la si- gnificazione di cisti da ritenzione (Fig. 8 e 10). Ad un’altra cosa mi è duopo accennare onde toglier di mezzo dubbi che dall'esame di alcuni preparati potrebbero in- sorgere. Questa si riferisce al fatto che alcuni vecchi tubuli della parete dal progredire del connettivo pericanaliculare sono spinti in direzione centrale alla ferita. Però non c'è modo di confon- dere questi vecchi tubuli con quelli di nuova formazione, per evidentissimi caratteri differenziali dei quali mi basterà l’accen- nare come in essi si noti un ispessimento notevole della mem- brana basale e della parete, così che l’epitelio sembra sollevato e staccato dall’amista, mentre in quelli di nuova formazione gli elementi ancora poco protoplasmatici sono intimamente uniti alla membrana di sostegno, e su quella posano, che i vecchi hanno l’epitelio in stadi vari di distruzione, che può arrivare sino al punto da ridursi ad un semplice detrito granulare con resti di nucleo, ed in ultimo a scomparire qualsiasi traccia di resti epiteliali, osservandosi in tali avanzati stadi solo la parete del tubulo circoscrivente un ristretto vano (Fig. 9). Da ciò l'aspetto che assume il connettivo in qualche punto di presentare degli spazi vuotti di varia forma, circuiti da uno strato di connettivo ispessito. Da ultimo noterò che la neoformazione vasale della cicatrice è in diretto rapporto sia coi vasi della rete capillare intertubu- lare, sia con quelli di discreto calibro che corrono fra i tubuli retti; i gradi tutti in prossimità alla ferita si mostrano ampi e dilatati. Da tutte queste osservazioni risulta chiaro il modo di cica- trizzazione delle ferite del rene, ed il processo di neoformazione degli elementi parenchimali, non avendo però potuto completare queste mie ricerche rischiarando un punto importantissimo, il modo cioè col quale i tubuli e i glomeruli neoformati entrano nell’eser- 124 GUSTAVO PISENTI cizio delle loro funzioni sia indipendentemente da vecchi ele- menti del rene, sia contraendo stretti rapporti con questi ultimi; ciò che forse avrei potuto fare se circostanze speciali di luogo e di tempo m’avessero consentito una maggior durata ed un maggior numero di sperimenti. Bologna. Dal Laboratorio di Patologia generale. SULLA CICATRIZZAZIONE DELLE FERITE DEL RENE, Ecc. 725 SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Fic. 4. Esp. 8. Iniezione al bleu di Prussia. Sezione longitu- dinale all’asse della ferita. Neoformazione di tubuli e di glomeruli nel mezzo della ferita. A. Connettivo fibroso di genesi capsulare. B. Connettivo lasso di genesi pericanaliculare. C. Accumulo di elementi rotondi accennanti alla formazione di un tubulo. D. Glome- rulino in via di formazione. £. Grossa ciste occupante il centro della soluzione di continuo, derivante da dilatazione della capsula di Bowmann. Il glomerulo deformato è cacciato rasente alla parete di destra. IF. Tubuli neoformati in sezione trasversa. Zeiss. Ob. A Aloe. «I: Fic. 2. Neoformazione di tubuli A, A. Bordi della ferita. B. Lungo tubulo neoformato in sezione longitudinale nel centro della ferita. C. Tubuli retti nel fondo della ferita. Si vede nettamente, al pari che nella fig. 1, che la neoformazione si arresta al punto ove il con- nettivo più compatto corre trasversalmente alla solu- zione di continuo. Zeiss. Ob. AA. Oc. 1. Fic. 5. Esp. 8. Glomerulo neoformato. A. Ansa vascolare iniet- tata penetrante nell’accumulo di elementi rotondi. B.Ammasso di elementi con grosso nucleo rotondo e poco protoplasma. C. Connettivo compatto che cir- conda i detti elementi, e nel quale ancora non vi è differenziata la capsula. D. Grosso vaso che sale dal fondo della ferita. Zeiss. Ob. C. Oc. 3. Fia. 4. A A. Cordoni in sezione longitudinale, formati da ele- menti con nucleo grosso e poco protoplasma, che danno origine a tubuli. B. Uno di questi cordoni in sezione trasversa. C. Parete di una ciste. D. Connettivo lasso. E. E'. Vasi sanguigni decorrenti in prossimità dei cordoni cellulari. Zeiss. Ob. C. oc. 3. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol XIX 48 726 Fic. Fic. Fic. Fic. 5. GUSTAVO PISENTI - SULLA CICATRIZZAZIONE ECC. Tubulo in sezione trasversa nei primi accenni di neo- formazione. Accumulo di elementi parte rotondi parte ovali, disposti senz'ordine in mezzo al connettivo lasso. Non c'è traccia di parete. Nel connettivo qualche raro globulo bianco. B sinistra un vaso sanguigno. Zeiss. Ob. Hi 0c:-3. Tubulo in sezione trasversa in stadio più avanzato di neoformazione. Gli elementi cominciano a prendere una disposizione regolare e circolare; comincia pure a differenziarsi la parete, Zeiss. Ob. F. Oc. 3. Tubulo in sezione trasversa in fase ancor più avanzata di sviluppo. Gli elementi sono disposti circolarmente, sono più protoplasmatici e delimitano abbastanza bene il lume. La parete è completamente formata. Zeiss. Ob. EF U9etS. Ciste in prossimità dei bordi della ferita e verso il centro prodotta da dilatazione della capsula di Bowmann di glomeruli vecchi. A A'°. Cordoni cellulari che ac- cennano alla formazione di tubuli. Zeiss. Ob. A. Oc. 2. Tubuli spostati verso il centro della ferita ed in varie fasi di distruzione. Ciste prodotta da dilatazione della parete di un tubulo in prossimità dei bordi della ferita. L’epitelio nella ciste è in fasi di distruzione. Zeiss. Ob. AA. Oc. 1. Tav. XVII Fig. 2 deo, ‘999 GA È A: IE pro Sg Sa ZIA =l a ld Torino Lit. Salussolia \ Il Socio Comm. Prof. Alfonso Cossa annuncia la morte del Socio corrispondente Adolfo WuRTZ con queste parole: Alla perdita gravissima da cui fu recentemente colpita la nostra Accademia per la morte dell’illustre nostro Socio Straniero DumASs, dobbiamo pur troppo aggiungerne un’altra non meno grave per la morte immatura avvenuta il 12 Maggio 1884 del Socio cor- rispondente Adolfo WuRTz. Non è mio intento di fare oggi un elogio dell’illustre chi- mico francese; solo desidero richiamare alla vostra memoria i principali lavori pei quali il WuRTZ era giustamente considerato tra i più grandi chimici dell’epoca nostra. Le più importanti scoperte del Wurtz furono quelle delle ammoniache composte, dei radicali alcoolici misti, degli alcool biatomici (glicoli) e dell’ossido di etilene, della sintesi della neo- rina, dell’idrato d’amilene e dell’aldol. Il Wurrz nella cattedra di chimica che tenne per quasi trentacinque anni, fu insegnante zelantissimo, eloquente ed efti- cace. Nemico delle polemiche personali non si peritò mai di sostenere dignitosamente le teorie che egli credeva vere. Amato e venerato da tutti i suoi allievi, alcuni dei quali sono oggi annoverati tra i chimici più riputati, il suo nome vivrà indis- solubilmente legato alla storia dei progressi delle scienze chi- miche. =J (9) (Co) In questa adunanza il Socio Cav. Prof. Andrea NaAccarI presenta un lavoro manoscritto del signor Dott. Angelo BATTELLI, intitolato « Sulle proprietà termoelettriche delle leghe » Studio sperimentale; e il Socio Comm. Prof. Michele LESSONA ne pre- senta un altro pure manoscritto del Dott. Lorenzo CAMERANO, intitolato « Monografia degli anfibi urodeli italiani ». Questi lavori essendo destinati, secondo il desiderio degli autori, ad essere inserti nel volume delle Memorie, sono consegnati a due Commissioni accademiche incaricate di esaminarli e riferirne in una prossima adunanza. L’Accademico Segretario A. SOBRERO. SOMMARIO Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. I JapaNZaA — Cannocchiali ridotti... i... e Re IRR ZaNnoTTI=#Branco — Sopra una vecch:a e poco nota misura del semi-. diametro :LerVeStre Sat A TT SRI A I na re Sa Sacco - L’alta valle Padana durante l’epoca delle terrazze in rela- zione col contemporaneo sollevamento della circostante catena Alpino:Appenmmnicaz a aL e RSI! ae Cappa — Sul movimento di rotazione di una massa liquida intorno ET SS Ra e. BETTE RIT MarTIROoLo e Mowaco — Sulla composizione di un SAFARI Coe: niente dal distretto di Syssert (monti Urali) . .. . . . i Dorna — Lavori dell’Osservatorio astronomico di Torino . PRESENTAZIONE di due lavori manoscritti: uno del sig. Dott. Ales- sandro Por®tis, e l’altro del sig. Dott. Giuseppe VICENTINI. + SaLvapoRi — Relazione sulla Memoria del sig. Dott. Alessandro Portis, intitolata « Contribuzione alla Ornitolitologia italiana » Tarpy — Relazioni tra le radici di alcune equazioni fondamentali. . determinanti wi i4 0% 000 pei Ve ROS Ss N Te Loria —- Intorno alla geometria su un complesso tetraedrale . -. Segre — Ricerche sui fasci di coni QUARa: in uno spazio lineare QUualuagque:: zi a De DE PRROSNTI, TESIIRE . Naccari — Re'azione sulla Memoria del sig. Dot. 6 VICENTINI, che ha per titolo: « Sulla conducibilità elettrica delle soluzioni al- cooliche’ di-salcumni clomugti:, 5 PERO AN NORRENA D’AsuroLo -- Intorno ad un esemplare di capsula soprarenale ac- cessoria sul corpo pampinifo»rme di un feto . . . .. + pri PisenTi — Sulla cicatrizzazione delle ferite del rene e sulla rigene- razione parziale di quest’organo . } Cossa — Annunzio della morte del Socio Corrispordente Adolfo NUBIZ (a aree 0006 7a LOIERO ARIAS A FRODE NaccarI — Presentazione di un lavoro manoscritto del sig. Angelo . BauTELLI « Sulle IORIiA lermo-elettriche delle leglie. Studio sperimentale » . . .. + Ri ia «Pat Sionda Lessona — Presentazione di un lavoro manoscritto del Dott. Lorenzo CAMERANO, intitolato « Monografia degli anfibi urodeli italiani » » » 583 605 609 631 640 644 646 647 649 663 692 711 713 719 727 ATF) I DELLA | OR. ACCADEMIA DELLE SCIENZE Dies bo RENO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XIX, Disp. 7" (Giugno 1884) _r—— Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. TORINO ERMANNO LOESCHER Libraio della R, Accademia delle Scienzè CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Giugno 1884. Atti R. Accad, »- Parte Fisica — Vol. XIX. 49 751 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza «del 15 Giugno 1884. PRESIDENZA DEL SIG. COMM. PROF. ARIODANTE FABRETTI a Il Socio Conte Prof. T. SALvaporI, condeputato col Socio Comm. Prof. Michele Lessona ad esaminare la « Monografia degli anfibi urodeli italiani » del sig. Dott. L. CAMERANO, presentata nell'adunanza del 25 Maggio p. p., legge la seguente RELAZIONE. Due anni or sono il Dott. CAMERANO presentò a quest’Ac- cademia la sua « Monografia degli Anfibi anuri italiani «. Col presente lavoro, nel quale si discorre degli Anfibi urodeli, l'Autore dà termine allo studio monografico degli Anfibi italiani. Questa monografia è fatta secondo il piano e colle stesse norme, rispetto ai confini faunistici dell’Italia e #ispetto al modo d'intendere i gruppi tassonomici, che l'Autore seguì nella prece- dente Monografia. Nel primo capitolo del suo lavoro egli parla delle cause modificatrici degli Anfibi urodeli, insistendo partico- larmente sulle modificazioni che si osservano in questi animali per l’adattamento alle condizioni locali. A questo proposito l’Au- tore fa osservare l’importanza dello studio degli urodeli come di quegli animali che presentano , si può dire, una maggiore plasticità. Il Camerano discorre pure degli importanti fatti di prolun- gamento della vita branchiale, e di quelli di correlazione di 732 T. SALVADORI - RELAZ. SULLA MEMORIA DEL DOTT. L. CAMERANO sviluppo che frequentemente si osservano negli Anfibi urodeli, e di cui egli trattò di già a lungo in una Memoria sulla vita branchiale degli Anfibi, che ebbe l’onore di essere stampata nelle Memorie di questa R. Accademia. L’Autore passa quindi a discutere i caratteri che servono a definire i diversi gruppi tassonomici degli Anfibi urodeli. A ciò fa seguire la distribuzione geografica delle specie italiane, con- frontandola con quella delle specie delle altre regioni circum- Mediterranee. Finalmente , premessi alcuni cenni bibliografici , l'Autore passa a descrivere minutamente gli Anfibi urodeli ita- liani, che dai suoi studi risultano essere i seguenti : Spelerpes fuseus (BoNAP). Salamandrina perspicillata (SAVI). Euproctus montanus (SAVI). . Euproctus rusconii (GENÈ). Triton vulgaris (LINN.). subsp. meridionalis (BOULANG.). 6. Triton alpestris (LAUR.). 7. Triton cristatus (LAUR.). a. subsp. karelini (STRAUCH). b. subsp. longipes (STRAUCH). 8. Salamandra maculosa (LAURENTI). 9. Salamandra atra (LAURENTI). uv L'autore si è servito pel suo lavoro di un ricco materiale composto di oltre ottocento esemplari, provenienti da moltissime località italiane; e così pure si è valso di molti esemplari non italiani, necessari per la esatta identificazione delle specie. Tanto gli uni, quanto gli altri sono depositati nel Museo di Zoologia di questa nostra Università. Il lavoro del Dott. Camerano è accompagnato da due tavole nelle quali sono numerose figure rappresentanti le specie descritte e le cose più notevoli relative ai loro caratteri. I vostri commissari riconoscono nel lavoro del Dott. Ca- merano le qualità che debbono distinguere le Monografie , cioè compiutezza, ordine e chiarezza ; inoltre essi sono lieti di con- statare come il medesimo sia un’ importante contribuzione alla T. SALVADORI - RELAZ. SULLA MEMORIA DEL DOTT. L. CAMERANO. 7838 conoscenza della fauna del nostro paese. In questi tempi in cui per un esclusivismo antiscientifico si affetta da non pochi un irragionevole disprezzo pei lavori sistematici descrittivi, la Mo- nografia del Dott. Camerano è venuta in buon punto a dimo- strare come anche in Italia la zoologia sistematica abbia degni cultori, i quali coi loro studi contribuiscono fatti importantissimi per la conoscenza della distribuzione geografica delle specie, la quale si fonda appunto sulla esatta determinazione delle me- desime. I vostri commissari propongono plaudenti alla Classe la let- tura del lavoro del Dott. Camerano. Michele LESSONA. T. SALVADORI, £elatore. 734 A. NACCARI - RELAZ. SULLA MEMORIA DEL SIG. A. BATTELLI Il Socio Cav. Prof. A. NAccaRI, condeputato col Socio Cav. Prof. G. Basso ad esaminare il lavoro del sig. Angelo BATTELLI « Sulle proprietà termoelettriche delle leghe >, presentato nel- l'adunanza del 25 Maggio p. p., legge la seguente RELAZIONE. Nella Memoria intitolata « Sulle proprietà termoelettriche delle leghe », il sig. BATTELLI si propose di determinare quale sia l'influenza che la temperatura e le proporzioni dei metalli, di cui è composta una lega, esercitano sulle proprietà termo- elettriche di essa. A tal uopo, in ciascuna delle serie di espe- rienze da lui eseguite, presi due metalli, egli compose con essi un certo numero di leghe, facendo sì che dall’ una all'altra le proporzioni dei metalli componenti variassero per opportuni in- tervalli e fossero in relazione semplice con i pesi atomici dei metalli stessi. Per studiare poi le proprietà termoelettriche delle singole leghe l'Autore formò con ciascuna di esse e con due fili di pakfong una coppia termoelettrica, e la collocò in un adatto apparecchio, col mezzo del quale una delle saldature poteva mantenersi a temperatura costante prossima a quella dell’aria , e l’altra poteva venir riscaldata e mantenuta a temperatura co- stante. La intensità della corrente veniva misurata da un gal- vanometro, ed essendo nota la resistenza della coppia, si calcolava la forza elettromotrice. Per ciascuna coppia l’ Autore eseguì da sei a sette determinazioni a temperature diverse comprese fra i limiti 15 e 160°. In questo modo il Battelli studiò 11 leghe di Bi e Sb, 12 di Cd e In, 10 di In e Pb 606004, e costruì graficamente i risultati sperimentali seguendo il metodo del Thomson. Dall’esame di queste quattro serie di esperienze il Battelli fu condotto ad osservare che le leghe composte di due dati me- A. NACCARI — RELAZ. SULLA MEMORIA DEL SIG. A. BATTELLI. 735 talli, considerate rispetto alle loro proprietà termoelettriche, non prendono fra i due metalli dei posti corrispondenti alla loro composizione, ma mostrano sempre tendenza ad accostarsi più all’uno che all’altro. Suppongasi che per due metalli e per le leghe relative si traccino le curve che danno le forze elettro- motrici in funzione delle temperature. Le curve relative alle leghe non si distribuiscono nello spazio interposto fra le curve spet- tanti al due metalli in modo conforme alla composizione delle leghe stesse, ma s’accostano di preferenza ed in modo notevole alla curva d'uno di quei metalli, e per certe proporzioni escono da quello spazio passando al di là della curva spettante a quel metallo. Per qualche lega e per certe condizioni di temperatura questo fatto era stato osservato, ma l’esperienze del Battelli indicano in quali condizioni e in qual misura esso si presenta. Vedendo poi che esso si verificava per tutte e quattro le serie studiate, il Battelli eseguì altre esperienze per indagare se anche le leghe di ,S6 Pd e di SD Sn presentassero l’accennata particolarità , il che non abbastanza chiaro appariva dall’ espe- rienze già fatte da altri su quelle leghe. Egli trovò confermata la sua previsione, e, siccome per quanto si sa delle leghe di Zn Sb, anch'esse devono comportarsi in egual modo , così egli concluse che le sette combinazioni binarie dei metalli qui enu- merate, cioè tutte quelle finora esaminate, presentano il fatto accennato. Noi crediamo che lo studio del Battelli contribuisca util- mente allo studio dei fenomeni termoelettrici e ne proponiamo la lettura alla Classe. Basso. A. NACCARI, Relatore. La Classe accoglie la conclusione dei Commissari, e udita la lettura dei lavori dei signori Dottor L. CAMERANO e A. BATTELLI, con regolare votazione ne approva la stampa nei volumi delle Memorie. 7136 N. JADANZA 11 Socio Cav. Prof. Alessandro DoRNA presenta e legge il seguente lavoro del sig Dott. Nicodemo JADANZA, Professore di Geodesia nella R. Università di Torino, S'OLTCA VO NSOE DI UN ARCO DI PARALLELO TERRESTRE. La misura di un arco di parallelo terrestre mediante gli elementi d’una rete geodetica tracciata lungo il medesimo ci sembra non sia esposta nei trattati di Geodesia con tutto il rigore necessario a tal genere di ricerche. Ci è parso non inutile dare una nuova soluzione ad una quistione così importante per la Geodesia, ora che la differenza di longitudine tra due punti della terra si determina colla massima esattezza. Jk Esporremo prima il metodo adoperato da Puissant e seguìto da quasi tutti i geodeti posteriori. Sia (fig. 1) ACDE...HB la rete trigonometrica trac- ciata lungo il parallelo che passa pel punto A. I lati e gli angoli di essa rete si possono considerare come noti, e se in A è stata fatta la determinazione della latitudine e la misura di un azimut (p. es. quello del lato AC) si potranno calcolare le latitudini e gli azimut dei diffe- renti vertici di essa rete. Le note formole di Legendre mo- strano che la differenza di longitudine tra i due vertici A, C della rete trigonometrica si può calcolare (a meno dei termini di quart’ordine) considerando la terra come una sfera di raggio N (N essendo la normale in A). Fig. 1. SULLA MISURA DI UN ARCO DI PARALLELO TERRESTRE 737 Quindi se @, g' sono le latitudini di A e C, « l’azimut di AC in A, e @ la differenza di longitudine si avrà, indicando con s il lato AC, s ? sen @ : Sen = Sena . C08000 a donde 8 sen — . sen 4 N seng—=—— PT, COS Y Essendo gli archi 9, ed — piccolissimi, possiamo porre 63 send —-09——, S 3; sen—-=— — Noi M., “6N*!° quindi s_sena sì senz sì senì 4 Ge tioo — cern ———_ da E 19° N cosg 6N° cosg * GN cos 9 (1) Immaginiamo condotti i meridiani PC, PE,..... essi incontreranno il parallelo di A nei punti a, 8, c..... Gli archi di parallelo Aa, ab,..... che indicheremo con P,, E... si calcoleranno nel seguente modo: Evidentemente si ha P._WNC089, e quindi per la (1) cos @ | Gi sì sen? x ST a [ssaa pese 4 rr | spa) Se ' è la latitudine del vertice E, ©, l’azimut di E in C ed s, il lato CE, si avrà (indicando con P,' l'arco di pa- rallelo C'{?) | L 3a 7 7 3 e 3A pi__089 ra ili ice È 6N 6N cos 9 ed osservando che tra P, e Pii esiste la relazione Py: Ps= Noosg vAc089%1, 738 N. JADANZA sì avrà N cos i ep ’ N coso e quindi Ncoso SÙ s,° sen & (en, ele s'sena — — = sen deal melo). 2 N cos @ I I 6N' 1 6N'*cos'g' ( ) Analogamente si calcoleranno P;, P,...e quindi tutto l’arco Ad. Si avrà una verifica calcolando l’istesso arco di parallelo A d mediante i lati AD, DE... della rete trigonometrica. Il metodo precedente non è perfettamente rigoroso, poichè per ottenere le latitudini e gli azimut dei differenti punti della rete trigonometrica è necessario conoscere gli elementi dell’ ellis- soide terrestre che si tratta appunto di determinare (*). Il. Il metodo che noi proponiamo è il seguente: Sia AC0D.....B una triangolazione geodetica lungo il pa- rallelo A-B' di cui si vuol conoscere la lunghezza, e nei punti A e B estremi di essa sì sieno fatte osservazioni di latitudine e d’azimut. Cosicchè dell’estremo A si conosce la latitudine, e si conosce pure l’azimut del vertice C sul- l'orizzonte di A. Analogamente la latitudine del punto 5 è anche nota, come pure l’azimut del vertice X sull’ orizzonte di B. Immaginiamo la geode- tica AL perpendicolare nel punto A al meridiano PA, e sieno a, Db, c, ...L i punti d’intersezione di questa geodetica (*) Cfr. Francarur, Geodesie (Sixiòme édition, pag. 229): Fare, Cours d’Astronomie ( Première partie, pag. 319): Mesure d’un arc du paralléle moyen (Tome seconà, pag. 402). SULLA MISURA DI UN ARCO DI PARALLELO TERRESTRE 739 coi differenti lati della rete trigonometrica e col meridiano P B prolungato. L’azimut della geodetica A Z nel punto A sarà 90°, quindi l’angolo C Aa del triangolo AC sarà noto perchè com- plemento dell’azimut di C sull’orizzonte di A che è noto. Quel triangolo adunque è perfettamente determinato giacchè sono noti il lato AC e l'angolo in C, e quindi si potranno determinare il primo segmento Aa della geodetica AL ; il lato Ca e l’an- golo a. Il triangolo a Dd farà conoscere l’altro segmento a d ece. e finalmente il triangolo 9 B L farà conoscere l’ultimo segmento g L della geodetica AL. Se @ indica la latitudine di A e o, la latitudine di ZL, quest’ ultima sarà data dalla relazione SÈ jo =—; RITOGIIA 20 Nsenl (4), dove s è la geodetica AL e p ed N i raggi principali di cur- vatura dell’ellissoide al punto A . Se indichiamo con # il valore in metri di un secondo di arco DA tal di meridiano alla latitudine -(g+%,), l'arco di meridiano BEE bl che indicheremo con .S' sarà dato da S=(0—-9,).m Lira e questo valore di ,S sarà sempre piccolissimo rispetto ad s . Del triangolo B'Z A si conoscono adunque due lati e l’an- golo L compreso tra essi; quindi, risolvendolo, si otterrà il terzo lato A .B'=%c che non è altro se non che la geodetica che unisce gli estremi A e B' dell'arco del parallelo da misurare che in- dicheremo con X. Sarà pure noto l’angolo in A formato dalle seodetiche A B', AL e quindi l’azimut in A della geodetica A B' che indicheremo con <. Poichè il lato S nel triangolo A B'L è piccolissimo rispetto ad s, la geodetica © = B' potrà essere calcolata mediante la nota formola di Legendre S SÈ A 3 > logo =logs—M— cos L,— M 30 2L.,t UT cos3 L, ...(6), s s 9 in cui M è il modulo dei logaritmi ed L, è uguale all'angolo L del triangolo B'L.A diminuito del terzo dell’eccesso sferoidico. 740 N. JADANZA L’angolo in A di questo stesso triangolo ossia l’angolo 90°— 4 sarà dato dalla nota serie di Delambre 2 "Ng Rao I 405 90—-ax=£ (FsenL,+5-Ssn22,43. cen8Z,...)(7) Per la completa soluzione della quistione resta a trovare la differenza £— tra l'arco di parallelo A B' e la linea geodetica avente gli stessi estremi; ciò che si ottiene nel seguente modo. RO La geodetica A B' (fig. 2) può considerarsi eguale in lunghezza alla sezione normale condotta per la normale di A e pel punto B'. Se indichiamo con X la corda A B', è noto che tra l’arco © di una sezione normale e la corda corrispondente esiste la relazione CE SK? 16% a: — fia 2 paia (3 o=K+ tao € TG pico a sen 2 9 (8), 24 R° dove ER è il raggio di curvatura della sezione normale il cui azimut è «. Se, come si è detto innanzi indichiamo con £ l’arco di parallelo A B' ed osserviamo che il suo raggio è Ncosp (N è la gran normale corrispondente al punto A la cui latitudine è ©) dalla (8) si otterrà, ponendo e°= 0 = ue 9: s—=Kp+pL E YZ AI, T34N° cos p 640 N° costo (9) e quindi e DL 1 nad N°cosp R° ; pra(10): 3 1 1 00 K* LI iui Pe: gi CARI 640 | N"costg R' i 16 Ria FA Dalla nota relazione di Eulero I feos'a senta Rai Db A N ’ SULLA MISURA DI UN ARCO DI PARALLELO TERRESTRE 741 osservando che si ha prossimamente , i NO TRI A Dai : si deduce 1 142e’cos’4cosx +2 e'cos cos 4 + e'cos'4 cosa i “loca cit a sciiti Ie inPIOLIE Pa PAST DL deli fi Ig e quindi 1 1 tang@ 2e’cos'acos'g(1+e°)+e'cos'zcos'g (11) MWicospol UR, JN° N° i Per ottenere la stessa approssimazione delle (8) e (9) sarà lecito porre btue 1 E ASSI e se osserviamo che la (10) diventerà hi” K — __tango- —— 24) ' 24N de i eg e, 40 vil 16 Ni È e? cos° 4 cos” 9 (1-+- e*) + e'cos'@cos' i | cos z sen 2 V. Per eliminare la corda X nel secondo membro, osserviamo che si ha È o) A donde L'ARIA == 742 N. JADANZA quindi si avrà oì sad i lota ope e dr 2 o] — rr L 2 2 2% il 2 A) «A 4 scr e* COS? x COS $ ( +e)+e cos' x Cos ] SI —_— t o tal - cosasen 2 L___ + + 0° 320 N4 SnSSp 640 G40 Ni ne 9 x 6N° Lap. ovvero bo “e a tang” el+ Cal — tang* 9 2006 3 HS mr cosgsen2 9 — e dra (12) cos'% cos? @ [2a + e°) +2008 2008 9| che è la formola che dà la differenza tra l’arco di parallelo e quello della geodetica che ha gli stessi estremi. I termini del secondo membro rappresentano tutti quantità piccole, ed il loro calcolo numerico non richiede la conoscenza esatta degli elementi dell’ellissoide terrestre, ma solo valori ap- prossimati di essi. Per valori di o anche maggiori di mille chilometri, i termini che contengono e’ possono essere trascurati, sicchè la formola (12) può essere sostituita dalla seguente 3 Mo gi I La ; re = tang° 9 STORIE wa ang' 9 e 2 +, s fbla c Ponendo per brevità a o? U= 141 (143 tang? e). SULLA MISURA DI UN ARCO DI PARALLELO TERRESTRE 743 dalla (18) si deduce, trascurando i termini che contengono e?, log 2Slog arie Mea a tang'@. U - (A 24 N° la quale può essere adoperata anche per valori di o eguali a cinquecento chilometri. A rendere più spedito il calcolo delle formole precedenti diamo qui una tavola in cui sono registrati i logaritmi di U corrispon- denti ai valori di o compresi tra 100 e 1000 chilometri e per i valori di 9 compresi tra 30° e 70°. Quando l’arco di parallelo, la cui lunghezza si tratta di determinare fosse molto esteso, sarà più conveniente dividerlo in diverse parti e calcolare separata- mente ciascuna di esse. JADANZA N. 744 GL600°0 796000 696000 €7600°0 766000 96600°0 816000 0Ic00°0 60600°0 L61000 06100°0 G8100°0 62100°0 7LI00"0 691000 S9T00°0 191000 46100°0 64100°0 0SI00°0 971000 0001 =? €6600°0 7IG00°0 GOGOO"0 L61000 0610000 G8100°0 951000 0ZLI00°0 S9T00"0 64100°0 7SI00 0 0ST00°0 G7I00°0 1710000 861000 761000 0610000 2610000 761000 IGI00°0 6II00°0 | 9210000 69100°0 G9100°0 99100°0 0ST000 77I0O0°0 66100°0 S6L00°0 05100°0 96100°0 ceL00°0 SII00°0 STITO00 TIIT00°0 60L00°0 90100°0 €0100°0 001000 86000°0 96000°0 760000 Usen*g' ...(16). Il lato AB'—=%$S verrà dato dalla nota formola (*) log S=log(9—c)p,, sen erro of 0) Per ottenere l’angolo B B'A del triangolo A B'B, si cal- coleranno # ed n° mediante le formole BEE | senz(e+9) tang gn tang = È, Sao ; cos (P — 9) cen t 1g i ang —m =tang—0 sen g 9 g 9 i 9 e quindi sì avrà: , 1 Ù e 2 , È " Angolo AB B=180.-—2=90+ gt 544 5en9 cos'e sen*1. (18). (*) Cfr. una Memoria di N. JAbaNZA intitolata: Alcuni problemi di Geo- desia, nel Tomo XXXV, Serie II, delle Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino. 748 N. JADANZA L’eccesso sferoidico 3: dello stesso triangolo AB'B verrà dato dalla formola seguente: Ze=m_—-m= - (p_ 5). Gsengcos'gsen. 1° ...(19); sicchè calcolando quel triangolo di cui si conoscono due lati, l’an- golo compreso e l’eccesso sferoidico si avrà la geodetica AB=s. Calcolato l’angolo A del triangolo sferoidico A B'B esso sarà l’azimut Z di B sull’orizzonte di A; l’azimut di A sull’orizzonte di B sarà poi data da: Z'=1804+Z4+m +alle- 4) +%°00s°g | sen 9 cos'g sen'1'...(20). È chiaro poi che in tutte le formole precedenti tanto v'— % quanto 9 debbono essere espressi in secondi. Applichiamo le formole precedenti al calcolo della distanza tra Berlino e Konisberga le cui posizioni geografiche sono date da Helmert (*) a pag. 256 del suo Trattato di Geodesia. Berlino ... g'=52° 30% 16°%..7 Konisberga o= 54 42 50°. 6 0=-+7°06. Applicando le formole precedenti si trova logV= 5.390 71 36 log,S=5.660 23 18. Angolo B—=92° 53° 56.552 Se — ‘09.04 dio Calcolando quindi il triangolo rettilineo A, B, B, corri- spondente al triangolo sferoidico AB'B si troverà: Distanza Berlino-Konisberga . .. s==529979".3 Azimut di Konisberga su Berlino Z=59° 33' 00". 62 Id. di Berlino su Konisberga Z'=245 16 09 . 29. (*) Die Mathematischen und Physikalischen Theorien der Hoheren Geo- désie, von Dr.-F. R. HeLMeRrT, Leipzig, 1880. SULLA MISURA DI UN ARCO DI PARALLELO TERRESTRE. 749 Gli stessi elementi calcolati da Helmert, con altro metodo più rigoroso ma più lungo, sono : s=D29979%, 54 AIR e AVIO AMO E Vista la facilità del calcolo, non esitiamo a dire, che per differenze di latitudini e longitudini di circa 6°, le nostre formole sono preferibili. Torino, Giugno 1884. ban | 50 DORNA -— OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE. Il Socio Cav. Prof. Alessandro Dorna, Direttore dell’ Os- servatorio astronomico di Torino, presenta all’Accademia, per l'annessione agli Atti, le Osservazioni meteorologiche ordinarie del mese di Maggio di questo anno, coi rispettivi Riassunti e Diagrammi, dell’Assistente Prof. Angelo CHARRIER. Anno XIX 1884 RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI fatte nel mese di Maggio. La pressione barometrica ha in questo mese per valor medio 38,02; essa supera di mm. 8,25 la media degli ultimi diciotto anni. Il quadro seguente contiene 1 valori minimi e massimi os- servati : Giorni del mese, Minimi. Giorni del mese. Massimi. 6 ZII | QTA 45,54 IE O 36,91 x: ELA 42,20 esce 36,74 Pt rt. 45,29 2 aa AA AAT e 27 40,68 La temperatura ha per valor medio gr : valore che supera la media degli ultimi diciotto anni di 2°. Le temperature estreme che si ebbero, furono SORA Re 27°,9; la prima nel primo giorno del mese, nel tredicesimo la seconda. Si ebbe pioggia in nove giorni, e l’acqua caduta raggiunse l'altezza di mm. 100, 7. Il seguente quadro dà la frequenza dei venti nelle singole direzioni : NONVE NE ENE E RSE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW 5 412 29 18 30 5 5. 4-7 6, 9 Queste Osservazioni verranno stampate nel solito fascicolo an- nuale che si pubblica per cura dell’Accademia, e che va annesso agli Atti. Lo stesso Socio Dorna legge ancora la seguente sua Nota SULLA POSSIBILITÀ CHE IL VULCANO DI KRAKATOA POSSA AVERE PROIETTATE MATERIE FUORI DELL'ATMOSFERA. Nei due ultimi numeri 219 e 220 (8 e 15 Giugno 1884, dell’Association scientifique de France, fu riprodotto col con- senso dell'Autore, un articolo interessantissimo dell’illustre Felice JAMIN (pubblicato nel Cahier du 1° Mars 1884 della Pevue des Deux-Mondes), sulla teoria fisica della luce crepuscolare , osservata, in molte parti del Mondo, dopo l’eruzione del vulcano di Krakatoa nell’Agosto dell’anno passato. L'articolo di forma splendidissima, è ricco di argomenti, che dimostrano essere la luce suddetta stata appunto cagionata da materie proiettate dal vulcano di Krakatoa. Fra gli argomenti ve ne ha però uno che, non emendato potrebbe, secondo me, attenuare l’evidenza della conclusione. L'Autore ammette che per forza di impulsione del vulcano sieno state lanciate dal medesimo materie fuori dell’ atmosfera terrestre, e sulla possibilità di questo fenomeno dice le parole che trascrivo : « Si j'ai tant insisté sur ce phénomène, c'est pour en mon- trer la puissance, pour faire voir que l’éruption du Krakatoa a eté l’un des plus gigantesques événements qui aient épouvanté le Monde et pour préparer le lecteur à ce qui va suivre. En voyant ces vagues immenses se promener sur toutes les mers et ces ondes aériennes faire plusieurs fois le tour de la Terre, il comprendra que la force intérieure capable de disloquer une île entière, de la jeter è la mer et de la remplacer par d'autres To2 ALESSANDRO DORNA - IL VULCANO DI KRAKATOA. qui ont surgi à còté, ait suffi à la besogne plus facile de lancer verticalement une faible masse de cendres et de vapeur à une hauteur comparable à celle de l’atmosphère. « Pour avoir l’idée de cette hauteur, imaginons qu’un canon rayé, de gros calibre et fort chargé, ait lancé verticalement un obus de bas en haut avec une vitesse de 500", ce qui est une vitesse ordinaire, cet obus monterait jusqu'è 13". Si la vitesse initiale était simplement doublée et égale à 1000" par seconde il s'éleverait jusqu'è 51%, dix fois plus haut que le Mont Blanc, et il atteindrait une couche où la pression de l’air n'est pas égale à la millioniéme partie d’une atmos- phère. Or il n°y a aucune exagération à admettre que la co- lonne de cendres sortie du cratère a eu au moins cette vitesse, et comme la vapeur et les gaz continuaient de se détendre par leur expansion après la sortie, c'était une force qui prolongeait son effet comme celle d’une fusée et qui devait encore augmenter la grandeur du trajet. Il est donc certain que le volcan lan- cait au 26 Aoùt un panache formé de cendres et de vapeur d'eau partiellement condensée, faisait dans l’air une trouée ver- ticale, dépassait l’atmosphére , formait une sorte de protubé- rance dans laquelle il réunissait un amoncellement de matériaux très divisés ». Ora io credo invece, che la resistenza dell’aria crescente col crescere della velocità di proiezione, presenti un ostacolo di cui non si sia tenuto conto abbastanza bene nell’articolo. Infatti colla funzione Au°-| Bu? della velocità «, adottata da Piobert e Di- dion per rappresentare la resistenza dell’aria ai proietti di ar- tiglieria, il nostro accademico Conte di San Robert, trovò (*) tenendo conto del decrescimento della densità e della gravità , che con una velocità di proiezione infinita l’altezza massima a cui salirebbe un proietto sferico di 12% è appena di 5812 me- tri, altezza minore di quella delle montagne più elevate del globo e di quelle alle quali si sono innalzati molti areonauti. 15 Giugno 1884. (*) Tomo XVI, II? Serie delle Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, 1855. PauL DE SaintE-RoBERT, Memoires Scientifiques. Turin, 1872. Il Socio Maggiore F. Sracci presenta e legge il seguente lavoro del sig. Prof. Ernesto PADOVA, SULLA ROTAZIONE DI UN CORPO DI RIVOLUZIONE PESANTE CHE GIRA ATTORNO AD UN PUNTO DEL SUO ASSE DI SIMMETRIA. Nel secondo volume delle opere complete di C. G. JAcOBI, edite a cura dell’Accademia di Berlino, sono state pubblicate due Memorie, lasciate interrotte dall’illustre matematico, relative al problema del moto di un corpo di rivoluzione pesante, che gira attorno ad un punto fisso del suo asse. La prima di esse contiene l’'enunciato del teorema: La rotazione di un corpo di rivoluzione pesante atiorno ad un punto qualunque del suo asse può essere rimpiazzata dal moto relativo di due corpi non sottoposti a forze acceleratrici, giranti attorno ad uno stesso punto ed aventi, nei loro moti di rotazione, il medesimo piano invariabile e lo stesso moto oscillatorio medio; e nella seconda son date alcune trasformazioni delle formole integrali , dalle quali il sig. LorTxER ha potuto dedurre una dimostrazione del teorema stesso. Mi è sembrato opportuno dare del teorema Jacobiano una dimostrazione semplice, fondata sulle stesse for- mule di JAcoBI, la quale ponesse in rilievo le relazioni che pas- sano fra le varie costanti dei movimenti considerati ed in pari tempo mostrasse la necessità di tutte le condizioni espresse nell’e- nunciato. Ritengo inoltre, che la via da me tenuta in questa dimostrazione, sia la più diretta, quando si vogliano confrontare fra loro più movimenti che avvengono tutti attorno ad uno stesso punto. Da un punto O, come origine, partano quattro terne di assì ortogonali ; contrassegnamoli colle lettere #,, x,, #3: 2,1, 2, %3;; 154 ERNESTO PADOVA E, E, E; %;; 3, e supponiamo:che *gli assi Oa; 0x; coincidano. Sul piano 0 x,, si proiettino ortogonalmente gli assì_ 6, 6,3 633 01, Na, #3 e Si indichino cong 0 angoli che le proiezioni delle prime tre rette fanno coll’asse ,, con ®,, ©, , ©; gli angoli che le proiezioni delle seconde fanno con x, . Per note relazioni trovate da EuLERO si sa che la posizione degli assi E rispetto agli assi x è determinata dai tre angoli 1 e parimente gli assi 7 avranno una determinata posi- zione rispetto agli assi #, quando gli angoli v abbiano dati valori. I 18 coseni degli angoli, che gli assi &, n fanno cogli assi x, x rispettivamente, siano indicati dalle seguenti tabelle : Facciansi ora ruotare i sistemi y ed x', tenendoli invaria- bilmente collegati fra loro, fino a che gli assi % vengano a coincidere cogli assi È; gli assi #' verranno allora in certe po- sizioni che indicheremo con x,°, x,, #3 ed i coseni degli angoli che gli assi x°, x fanno tra loro, siano indicati dalla tabella: Uc UT: SULLA ROTAZIONE DI UN CORPO DI RIVOLUZIONE ECC. PASS È chiaro che avremo A=a2,+b,0,+C,% > B,=a,2,+0b,B,+€.Y,, Ù C,=a30a,+b;B,+63y; ee ao A BILI OPA IA C,=a30,+6;38,+63Y.; Az=a,43+b5,B3+c,%3 B,=a,0,+b,0:+c.7; > Ci=a303+b3B3+ 639; ; e che gli angoli g, , 2;, che le proiezioni degli assi 2°. sul IO) [9 piano 0 x, x, fanno coll’asse 0 x,, sono dati dalle equazioni A, b, C, ta 3 ee ; Pia 5 I I I Ciò posto, la terna È sia quella degli assi principali d’inerzia di un corpo che gira attorno ad O per effetto d’un impulso ri- cevuto, ed 0, x, sia il piano invariabile in questo movimento. Gli assi x,, x, siano quelle rette del piano invariabile che, nella teoria di JAcoRI del moto di un corpo non soggetto a forze ac- celeratrici, girano nel piano invariabile stesso colla velocità an- golare costante , E 07) dlogH(ia) 401080 (1a) 3 Vite da da ) ove A, B, C rappresentano i momenti principali d’ inerzia del corpo, n è data id n (BE) 7) (B_C)(Ah-g°) OO) i h è la forza viva, 9 la coppia di quantità di moto ed il modulo delle funzioni H, e 0 è dato da o A—- B Vide Ag deli OT ammesso che sia A>B>C, se Bh>g° ed A O 00 SI Sì Ct f&a GIONI i Vv fd STEFANO PAGLIANI E LUIGI PALAZZO k=0. 0000394. digit 178% I2NUST80 To 895 ILE NALO RO TWONBULONÌ Lee d9to ELOS i==19°.05 k=:0. 0000409. 18 45°.7 19 45. 6 20 45. 6 21 45. 6 22 LAST 23 45.7 24 45. 8 25 45. 8 26 45. 8 27 45.9 = 400 SERIE I. 84. Pressione a mill. atm. 3976.914443: 05 00008480007 3390.4 4. 461 848 3984.9 4 454 848 3403.9 4.479 847 3390.4 4. 461 848 3402.4 4.478 848 3389.9 4. 460 868 SAglad ari ni 57 847 996340 rA 24420 846 SO 100 A 439 849 SERIE II. 9199 VASTA 93859445 823 3395.9 4. 468 822 33760.4 4. 442 _821 3386. 4 4.456 822 95417.2 4.496 821 SLI, 4° AT489 821 SeRIE III. 3998.9 4.472 3422.6 4.503 800 Shi IPA RALABT 800 San STO a ANA 805 O, PIAZZA, 497 802 5 3396.9 4. 469 799 ESS PRE: IDO. ON: 87) 805 337.810 ANZA6 800 3392.9 4. 464 808 3390.4 4. 461 805 pi 0000464 464 464 463 464 464 464 4603 462 465 p. medio = 0. 0000464 0. 0000823 0. 0000429 49 42 42 42 42 42 2 8 ( 8 Ù U p. medio = 0. 0000428 0. 0000802 0. 0000398 391 591 396 399 390 396 391 394 396 p. medio = 0. 0000393 k= 0. 0000414. 28 550.4 3560. 29 » 35377. 30 » 3382. S1 50. 45 3388. 32 d5. 5 3974, 33 50. 6 3384, t= 50. 45 k= 0. 0000418. 34 641 3375. 35 64.15 3373. 36 64.15 3881. 37 » 3384. 38 » 3378. 39 » 3377. 40 » 3373. 41 » 3373. t=64.15 k=0.0000422. 42 Dh-@ 3379. 43 0 3370. 44 » 3509. 45 » 3387. 46 70.95 3364. 47 » 3359, 48 70.9 3377. el 0 COMPRESSIBILITÀ DEI MISCUGLI DI ALCOOL ETILICO ECC. 760 JININ IN AI fed pi D bt Sì Sì fl DIVE _ Nu SERIE IV. 4.421 0.0000802 0, 0000388 4. 443 803 389 4.450 798 384 4. 458 800 386 4. 445 800 386 4. 458 800 386 p. medio = 0. 0000386 SERIE V. 4.438 0,0000801 0. 0000383 4. 438 799 381 4, 449 799 381 4. 458 802 384 4, 444 802 384 4. 443 803 385 4, 488 797 Sg 4. 438 799 881 p. medio = 0. 0000382 SERIE VI. 4.447 0.0000810 0. 0000388 4. 434 809 387 4. 420 810 388 4. 456 811 389 4. 426 812 390 4.420 808 386 4. 443 808 386 Riassumendo i risultati medi guenti valori dei coefficienti di compressibilità del miscuglio al- coolico contenente 6.69 °/ in peso di alcool, alle seguenti temperature : p. medio =0. 0000386 così ottenuti abbiamo i se- 1 =I (o) STEFANO PAGLIANI E LUIGI PALAZZO La 10) 0° 0. 0000464 19.05 0. 0000428 DOO 0. 00003983 59 .45 0. 0000386 64.15 0.0000382 7A IO) 0.0000386 Se si costruiscono graficamente questi valori portando sul- l’asse delle ascisse le temperature e su quello delle ordinate i valori dei coefticienti di compressibilità si ottiene una curva rap-. presentata in B nella fig. 1. Si vede da essa che, per questo miscuglio alcoolico, come per l’acqua, il coefficiente di compres- sibilità va diminuendo a partire da 0° col crescere della tem- peratura, ma solo fino ad un certo limite, oltre il quale si comporta come gli altri liquidi in generale. La temperatura del minimo di compressibilità si trova per questo miscuglio a 61°.5 ed allora il suo coefticiente ha il valore 0. 0000383. Miscuglio alcoolico n° 2. La sua densità a 0° si trovò uguale a 0,98371. Contiene quindi 11,38 p. di alcool in 100 di soluzione. SERIE I. k=0. 0000384, N° t Pressione a ID mill. atm. 49 0° 8990. 4 4.461 0. 0000815 0. 0000431 50 » 9980. 4 4, 454 814 430 51 » 8984. 4 4,458 814 430 52 » 9987.-9 4,458 815 431 56) » 3407. 4 4, 488 814 4830 54 » IT. | 4. 444 816 432 55 » 3390, 4 4.461 815 431 56 » 3995. 4 4. 468 815 431 DI » 3984, 9 4. 458 815 431 58 » BONA 4, 446 815 431 t=0° p. medio=0. 0000431 k=0.0000395. 59 60 61 62 65 64 65 66 67 68 k=0. 0000409. 69 45.7 70 46. 6 1a » 72 » 53 » 74 » 75 » t=46. 6 k= 0. 0000414. 76 04°.6 Tate 50. 2 78 00. 20 79 95.3 80 55. 4 81 95. 4 =: COMPRESSIBILITÀ DEI MISCUGLI DI ALCOOL ETILICO ECC. 771 20°.0 » 3570. 3372. ‘ 3570. 3565. 3422. 3577. DITA. 3584. 3985. 3384. 35360. 3567, 3399. 2666. 2691. 2687. 2659. 3411. 3570, 35397. 35370. 3594. 3379. ‘O 00 19 00 it pr >> (O 0 SERIE II. SERIE III. SERIE IV. 29 29 09 AA a pprpppaass Peprpas . 435 458 454 428 503 444 440 454 452 453 . 428 450 473 509 541 936 . 473 . 488 4535 471 434 466 446 0. 0000802 0,0000407 800 405 799 404 799 404 801 406 797 402 800 405 800 405 801 406 801 406 p. medio=0. 0000405 0. 0000795 0. 0000886 792 383 792 383 794 385 792 383 796 387 792 383 up. medio = 0. 0000384 0.0000795 0. 0000381 797 389 795 8381 796 382 795 381 800 386 p. medio=0. 0000382 772 STEFANO PAGLIANI E LUIGI PALAZZO k=0. 0000420 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 66. 8 » 66. 75 66.7 66. 75 66.7 66. 6 66. 55 66. 5 4 3368. 3373. 3360. 3373. 3369. 3379. 3363. 3381. 3900. 3575, 3575. 0000 H> do 00 dI CI 00 13 00 DI SERIE V. pPeEApapapasr . 432 439 428 439 433 446 426 449 415 442 442 0. 0000 806 805 808 809 806 809 808 807 807 805 807 0. 0000386 385 388 389 386 389 388 387 387 385 387 pu medio=0. 0000387 Abbiamo quindi i seguenti valori per il coefficiente di com- pressibilità del miscuglio a 11.38 °/, di alcool alle seguenti temperature: LÀ (DE 20-15 46. 6 95. 5 66. 6 e,Leresrsre p. . 00004581 . 0000405 . 00003884 . 0000382 . 0000387 . La curva che lega questi risultati è rappresentata in € nella fig. 1. Si vede che anche per questo miscuglio alcoolico il coef- ficiente di compressibilità presenta valori più piccoli. di quello dell’acqua alle stesse temperature e che vanno diminuendo col- l'aumentare di questa fino a 55°,5 alla qual temperatura p.=0. 0000382. Miscuglio alcoolico n° 3. La determinazione della densità a 0° diede d —=0,98160, donde si deduce la ricchezza alcoolica 13,29 va di alcool. COMPRESSIBILITÀ DEI MISCUGLI DI ALCOOL ETILICO Ecc. 773 SERIE I. k=0. 00000384. N° t Pressione a Dl mill. atm. 93 0° 3393.1 4.465 0. 0000798 0. 0000414 94 » 3991.1 4. 462 803 419 95 » degl (4, £65 801 417 96 » 3996.6060 4.470 801 AA 97 » 3390.1 4. 461 801 417 i=0° pu medio = 0. 0000417 SERIE II. k:=0. 0000392. 98 PAD 3394.8 4.467 0.0000795 0. 0000403 99 VICINI. 3386. 8 4.456 794 402 100 14. 4 d0s19 4450 797 405 101 14.4 d985.3 4 454 797 405 102 VANS AZIZ 794 402 103 143.0133983, 8 4452 796 404 104 14. 3388.8 4. 458 797 405 105 V4. 359884804, 4:53 797 405 106 14. 4 33.607. Sh AA: 798 406 107 DA--45,, 193888. 4.458 797 405 il4 4 u medio=0. 0000404 SERIE III. k=0. 0000396. 108 21°.85 3363.4 4.425 0.0000790 0. 0000394 109 PL PAINT; 3304.4 4.426 790 394 110 Die 39994, 434657 789 393 bl 21,9 3408.3 4.485 788 392 112 21.9 3403-93 4478 792 396 ES 21-8S 3396.8 4. 469 789 393 114 21. #50 18394..3, 4.466 794 598 ES Al. 00424. 2 43505 7983 397 116 21.8 9990.3 4.461 790 394 (213 p. medio = 0. 0000394 174 STEFANO k:=-0. 0000400. Jet 30°0 118 29.9 119 29.9 120 » 121 » 122 » 123 29. 95 124 IO 400 125 » t = 29. 95 k=0. 0000406. 126 39°.8 27 » 128 » 129 39. 6 180 39. 55 9 89.9 132 » 199 » 134 » b'=/39.8 k=0,0000410. 139 AOLO 136 47.65 137 A 138 » 139 » 140 47.6 141 47.6 142 » 143 47.55 t=47) 6 3372. 3389. 5407. 54053. 3409. 3393. 39380. 3405. 5406, 3389. 3400. 3886. 3390. 9384. 3399: 9386. 9384. 3997. 3590, 9984, SI. 9411. 3400. 3367. 3406. 3379. 9946. PAGLIANI E LUIGI PALAZZO SERIE IV. 4 4.487 0.0000792 0. 0000392 9 4.461 789 389 DO AES 790 390 SOM IS 789 389 S. Mid30 791 391 Si oa 788 388 BASED 785 385 8 4.478 785 385 S 4,483 789 389 up. medio 0. 0000389 SERIE V. 8 4.461 0.0000795 0. 0000389 SO4erRIO 792 885 STERZO 795 389 8 4.462 794 388 SORIA 793 387 SIA 794 388 Si Ao 796 390 SZ) 795 389 S ‘456 796 390 u medio = 0. 0000883 SERIE VI. b' 4,462 0. 000079785:04 300005887 5 ade4b59 796 386 DOASREE4S 796 386 On 46488 796 386 O ZIEZE 800 390 0. 4.430 799 389 O 4.482 798 388 0 4. 446 1797 387 0 4.408 798 388 pi medio = 0. 0000887 COMPRESSIBILITÀ DEI MISCUGLI DI ALCOOL ETILICO ECC. #79 SerIE VII. k=0. 0000420 144 67°.8 3381,0 4.448 0,0000814 0. 0000394 145 6:17 99047.7 4.405 813 593 146 67.4 I0C4L 20004 440 815 395 147 67.6 BITT 174444 813 3983 148 » 39872,2 (4.438 815 395 149 Giu SOC 97104 440 815 395 150 6705 3378. 7 4.445 815 395 i-0%0 p. medio 0,0000394 Riassumendo abbiamo t pl 0° 0. 0000417 VASCA 0. 0000404. 21.8 0. 0000394 29. 95 0. 0000389 39. 8 0. 0000388 CAPRIE 0. 0000387 67.6 0. 0000394 . Se si costruiscono graficamente questi valori, si ottiene la curva rappresentata in D nella fig. I. Si scorge come anche per questo miscuglio il coefficiente di compressibilità va diminuendo colla temperatura sino a 44°.5 (u=0. 0000387) oltre il qual limite cresce col crescere di questa. Si vede inoltre come i va- lori di quel coefficiente si mantengano minori di quello del- l’acqua solo fin verso 59°, oltre questo punto sono maggiori. Risulta poi in generale dai numeri sopra riferiti che il va- lore del coefficiente di compressibilità dei miscugli alcoolici va diminuendo per la stessa temperatura coll’aumentare della quan- tità di alcool, come avevano già trovato prima Duprè e Page e poi Drecker. Però i risultati di questi sperimentatori non vanno molto d’accordo. Duprè e Page operando a temperature che variavano fra 8° e 11°,5 hanno trovato che il coefticiente di compressibilità dei miscugli va diminuendo coll’aumentare della quantità di alcool fino ad una ricchezza alcoolica del 40 °/, per la quale trovarono u=0. 0000344; per un miscuglio al 45 %, trovano già 0. 0000461, ed in seguito il coefticiente 776 STEFANO PAGLIANI E LUIGI PALAZZO va crescendo coll’aumentare della quantità di alcool. Drecker invece, alla temperatura di 25°, trovò per un miscuglio alcoolico a 23,91 °, L= 0. 0000411, mentre per un altro a 34,61 dA trovò p=0. 0000448, per cui la ricchezza alcoolica del mi- scuglio a cui corrisponde il minor coefficiente di compressibilità sarebbe compresa fra 25 e 35 °/,, non fra 40 e 45 °/, , come risulterebbe dalle misure di Duprè e Page. Abbiamo creduto non senza interesse il risolvere ia que- stione, tanto più che l’esperienza dimostra d'altra parte che l’ag- giunta di piccole quantità di alcool all'acqua (fino al 35 °,) ne aumenta il calore specifico. Abbiamo perciò determinato il coefficiente di compressibilità a 0° ed alla temperatura ordinaria di altri miscugli. Miscuglio alcoolico n° 4. Densità a 0° uguale a 0. 97599. Ricchezza alcoolica 19. 67 °/,: SERIE I. k=0. 0000384. N° t Pressione a p. mill. atm. 151 0° 3396. 9 4.470 0. 0000768 0. 0000884 152 » 3941. 0 4.396 770 386 1583 » SISI 4. 391 767 583 154 » Sori. + 4.440 768 384 T55 » 309955 4.420 712 388 156 » 3359. 5 4 420 770 386 057 » 9900. dI PIAZZÒ T70 386 158 » 39109 4. 443 767 883 159 » FOIS 4.425 769 385 t—=-0° p. medio =0. 0000385 ce | Den | NI COMPRESSIBILITÀ DEI MISCUGLI DI ALCOOL ETILICO ECC. SERIE II. .k=0.0000395. 160 Dt 4 3311.2 4.843 0.0000784 0. 0000389 161 Dil. 950f 0937604 - 4,443 780 885 162 FIS RRIITA 4A 4440 783 388 1689 » palo | 4/0 781 386 164 » Ss 449006 786 391 165 » 996.9 4:443 782 387 u=21.:9 pi medio = 0. 0000388 Per questo miscuglio i valori del coefficiente di compressi- bilità sono ancora minori di quello dei miscugli meno ricchi di alcool, ma abbiamo a 21°83 già un valore maggiore che a 0°. Sembra quindi che la temperatura del minimo di compressibilità sia inferiore a 0°. Miscugiio alcoolico n° 5. Densità a 0° uguale a 0. 9715. Ricchezza alcoolica 23,98 °/, di alcool. SERIE I. k=0. 0000384. N° t ‘ Pressione a pi mill. atm. 166 0° 3395. 0 4 A60 0.0000767 0. 0000383 167 » 3388. 5 4 458 7608 384 168 » 3928. 5 4. 458 767 383 169 » 3398. 5 4.472 762 378 170 » 3886. 5 4. 456 766 382 Level » 8391. 0 4. 462 767 383 172 » 9386. 0 4456 769 379 145 » 3390, 5 4.462 762 . 378 i=0° pu. medio = 0000381 Per questo miscuglio il valore del coefficiente di compressi- bilità è ancora minore di quello dei precedenti alla stessa tem- peratura di 0°. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XIX. 52 778 STEFANO PAGLIANI FE LUIGI PALAZZO SERIE II. k—=0. 0000397. 174 24°.6 3347.6 4.304 0.0000795 0. 0000398 175 » 36751 480 791 394 176 » S3860I0 MASSOST 793 396 171 DUM ISI0 1 ART 790 393 178 24.7 SITA VASO 792 395 179 DAT SITA 6° VASIAZO 792 395 180 DATO 9999 AZ 792 395 t=24°.65 p. medio = 0. 0000395 Anche qui, alla temperatura di 24°.7, si ha un valore mag- giore che a 0°, cioè il coefficiente aumenta colla temperatura. Miscuglio alcoolico n° 6. Densità a 0° uguale a 0,96633. Ricchezza alcoolica 29.19 °/ di alcool. SERIE I. k=0, 0000384. N° t Pressione a pl mill. atm. 181 0° 3438. 8 4° 524 0. 0000775 0. 0000391 182 » SIR 4 4. 452 776 392 183 » 3978. 9 4. 446 774 390 184 » 3395. 9 4, 469 776 392 185 » ‘3889. 4 4. 460 TO 391 186 » 3394. 9 4, 468 776 392 187 » IBID 4, 469 775 391 188 » 9989. 4 4. 460 776 392 i= 0° p. medio = 0. 0000391 COMPRESSIBILITÀ DEI MISCUGLI DI ALCOOL ETILICO ECC. 779 SERIE II. k=0. 0000394. 189 LIS 440448 0 00007938 "0" 0000999 190 19. 6 STIVA A (0)8 796 402 191 L96005 “3379: 9 40447 194 400 192 L9e7 DICO RASZIO 794 400 193 A IZ e DI 793 399 t= 19°.65 p. medio == 0. 0000400 Questo miscuglio alcoolico presenta già alla temperatura di 0° un coefficiente di compressibilità maggiore di quello del miscuglio precedente. Miscuglio alcoolico n° 7. Densità a 0° uguale a 0. 95231. Ricchezza alcoolica 38. 28 °/, di alcool. SERIE I. k—=0. 0000384. NP 5006 Pressione a D) mill. atm. 194 0° 3398, 0 AAT 0.0000816 0. 0000432 195 » 9390. 5 4.470 821 437 196 » 3390. 5 4. 462 818 434 o =) p. medio = 0. 0000434 SERIE II. k== 0. 0000394. 197 18°.85 33855 4.455 0.0000839 0. 0000445 198 ESSO 3399. 0 4, 473 844 450 RIO 18.95 3399.0. 4. 473 842 448 5 4.442 844 450 200 19.0 SISITAS = RREO u medio = 0. 0000448 780 STEFANO PAGLIANI E LUIGI PALAZZO Questi risultati confermano l’aumento nel coefficiente di com- pressibilità per una stessa temperatura coll’aumentare della ric- chezza alcoolica, e per ciascun miscuglio col crescere della tem- peratura a partire già da 0°. Miscuglio alcoolico n° 8. Densità a 0° uguale a 0,92760. Ricchezza alcoolica: 50,88 °/, k=0. 0000384 N° t Pressione a DI mill. atm. 201 DE SDA: 3 4, 440 0.0000880 0. 0000496 202 » 5980. 1 4. 447 883 499 203» 38695 4.438 883 499 204 » 3369. 5 4.408 883 499 205 » 39609. 5 4. 438 887 503 0. 0000499 (Questo miscuglio presenta a 0° un coefficiente di compres- sibilità quasi coincidente con quello dell’acqua alla stessa tem- peratura. Alcool °/, u 0 0,0000503 6. 69 0,0000464 LIL ato, 0,0000431 13. 29 0,0000417 19.607 0,0000885 23. 98 0,0000881 29.409 0,0060391 58. 28 0,0000434 50. 88 0,0000499 100 0,0000970 Se si costruiscono graficamente questi valori portando sul- l’asse delle ascisse il numero di parti in peso di alcool conte- ci COMPRESSIBILITÀ DEI MISCUGLI DI ALCOOL ETILICO ECC. 781 nute in 100 di miscuglio e su quello delle ordinate, i coefficienti di compressibilità a 0° si ottiene la curva rappresentata nella fis. II. Da essa si deduce che il miscuglio alcoolico, che presenta il minor coefficiente di compressibilità contiene 23 °/, di alcool. Non abbiamo portato sulla curva il punto corrispondente alla ricchezza alcoolica 50.88 °/, per ristrettezza di spazio. CONCLUSIONI. I risultamenti delle nostre esperienze conducono alle seguenti conclusioni : 1° L'aggiunta di piccole quantità di alcool etilico all'acqua ha per effetto di abbassarne il coefficiente di compressibilità. I miscugli alcoolici che contengono meno del 38 °/, di alcool hanno alla temperatura di circa 20° e quelli che ne contengono meno del 50 °/, hanno a 0° un coetticiente di compressibilità minore di quello dell’acqua. 2° Il coefficiente di compressibilità dei miscugli alcoolici va diminuendo coll’aumentare del contenuto in alcool fino alla proporzione del 23 °/, di alcool. Quando la ricchezza in alcool raggiunge 50 °/, allora il coefficiente di compressibilità a 0° è quasi coincidente con quello dell’acqua. 3° Come per l’acqua, anche per i miscugli alcoolici che contengono meno del 19 °/, di alcool il coefficiente di com- pressibilità va diminuendo di valore collo aumentare della tem- peratura a partire da 0°, ma esiste per ciascun miscuglio una temperatura, alla quale quel coefficiente assume un valore mi- nimo, per crescere al di là di tal limite colla temperatura stessa. 4° La temperatura del minimo di compressibilità dei mi- LI scugli alcoolici è sempre inferiore a quella dell’acqua, ed è 782 STEFANO PAGLIANI E LUIGI PALAZZO - COMPRESSIBILITÀ ECC. tanto più bassa quanto maggiore è la ricchezza alcoolica del miscuglio. Per un miscuglio contenente 19,67 °/, di alcool essa è già inferiore a 0°. Non sembra esistere una relazione sem- plice fra i valori delle temperature del massimo di densità e del minimo di compressibilità per l’acqua ed i miscugli alcoolici. Laboratorio di Fisica del R. Istituto tecnico di Torino. Giugno 1884. 01/Bnossu 1p:d Q0j 4! |009]Y 1p osad ui! 131eY isa IRRRRNOnA E È tie | Hi [pJPFFEE] CI N TETTE Sassi ili IN È EìS FEspsnsà pets si . satnsi _ Gesusseeni ana SREgae FH [DI HH FEESEEISET Ùi i LEE A a saga D] sana LELLI i LI Pai ina FICO LIZICLI nu na CLI CI na ra sw pasa CERI it i sì SESSHEEÌ \ N HBS DI7IGISSILIUOI IP YUII7II//90I = dlONP. 0yBnosnu 1p'd gQ0jU! |009]Y 1p osed ur URLA] DI 93 01 ; i È : SEGHE CTER E ULI È i ana PRESRO : abnene: st ssi someneGnesti î papsteabi HE sit PHP TT ose +4 HILL I FORSETA GORER H + si KE n He HH È i ; HH EE Sens SRISTRSIESSERIAE Tfi]oon È si FERIRERSE i 7 massi sE + ov SitEE IFFFIIETOR innpi siti stai di iEt2 É PHRA - ì sSsì i î tr FEE HAT > sani È ssonnea paaeabenile i ur HH: Ei HE it HH S ns a t- : È I È s Li i Oer $ È Hi saadrati HE AGCUEO GORSGAGARA anabasttae DI 1 DE PEEEL pesi S È nonsne È i È HET zi i È i o i” È = 1 a pres stetatet AES toni Spenguasnanzan Gna i” EH i org : 068 006 or 00F 06 ((k:3 OL 009 004 n 0% 00£ o 08 001 00 1) ea LI o. 9) - E 3 I |O8E i o î an A i L asenmani FE Ù MH 41961 1902/Y sun i } i i O6E % 6165 /902/y sgttiit | i RA î sti Cl È Hi È EE FEE Rena î î 7 T ni ta s î 3 1 i 00% TT . T i 53 i : 0% Di ns È | + + 1 re na na TH HET SERSRESEstenenane EEE i muensasa di % 68 CI 1909/y ; ni i 1 . SErpiessasnasiozzi rI î 1 T i 1 DI Ù Ì I ai 9 i aaa Paseo E ini i ++ EE %9EU /909/Y È } È T pes Hi mn HH } } a I ERE 1909] i HE i hi i sl 084 } masbeni dEi a 2 1 pani sui 7 FEE pt P + HE To aunpasgni i FER: L 00 HH 1 a E Rataet: 1 3: a Hi ini : ERE ì i È î ara penssaatt EE CEEEELE 9 Tai È HH î asegasassati pressne FEE DETTE afsanine sasnssandenisseneaane Bani AREE ii LEE} i IRE da 2699 /902/Y HE i 3 (HE E lagsesenezzzian È i Hi È È a EEE nt È ; muesz [172] + ; puis n TE È e quues na nane Î î H H i HE HGREEHO FEE dini REC Lea pestssaneandsaenenze Hi H FER È HH i - PRA HHH t; n LETRE — ; i 085 i FEFRIFINIisizionsi pini i: - È teri soos dA + È siara RsESt pispessasoise H i FEEECEEEE CERERE 5 È + n LI 4 x È È d EE VA | EEE - 5 EEE = DIES 57 F eri Il Socio Comm. Prof. Michele Lessona legge la seguente sua COMMEMORAZIONE DI GIOVANNI BATTISTA BERCOLANI, La famiglia nella quale nacque GIiovanxI BATTISTA ERCOLANI è nobile e antica. Essa venne già in Bologna da Bagnacavallo, castello degli Estensi, ed ebbe parecchi uomini insigni, fra cui il conte Cesare Ercolani, generale di Carlo V. Giovanni Battista Ercolani nacque in Bologna nell’anno 1819, e mostrò negli anni giovanili una vivacità di mente e una schiet- tezza di carattere che non tralasciarono dallo impensierire i suoi genitori. La vivacità e la schiettezza, in quei tempi e in quei luoghi, erano pregi pericolosi. Un giudice illustre apprezzò le qua- lità dello Ercolani fanciullo e ne predisse bene, e questo giudice illustre fu Giovanni Tommasini. Ma un altro uomo dotto e buono, un grande scienziato, non solo aveva scorto la tempra dello ingegno e del carattere dello Ercolani fin dagli anni della sua prima gioventù, ma in quegli anni appunto s'era applicato con tutte le sue forze a guidarne la educazione scientifica e morale, a sorreggerlo e confortarlo cogli ammaestramenti preziosi, coi preziosi consigli e coi preziosissimi esempi. Quel grande scienziato era Antonio Alessandrini. Lo Ercolani era per verità uno di quegli uomini che, in qua- lunque condizione, riescono sempre e sanno sempre cercare e tro- vare i buoni ammaestramenti. Ma ognuno intende come anche a quegli uomini sia grande ventura e renda incomparabilmente più breve e sicuro il cammino una guida sapiente, amorevole e buona, che incontrino in sul principio della vita intellettuale. Antonio Alessandrini fu uomo veramente grande, e se in Italia il suo nome non è tanto universalmente noto quanto meriterebbe, 784 MICHELE LESSONA se non sono molti i cultori delle scienze biologiche che lo sap- piano apprezzare, ciò deriva dalle condizioni infelici della nostra patria, nel passato, e per certi rispetti anche nel presente. Ma di lui avverrà come degli uomini veramente degni, che avrà giustizia dal tempo. Lo Alessandrini fu valente in pari modo nella anatomia umana e nella anatomia comparata; ciò ora è la regola in Germania, ma allora anche in Germania era una eccezione, e in Italia poi una eccezione al tutto rara. Più raro merito ancora per lo Ales- sandrini fu questo, che egli iniziò e proseguì con tutte le pode- rose sue forze un grande studio di patologia comparata, di cui dimostrava la. somma importanza sia per se stesso sia in rapporto colla patologia umana. Egli fu paleontologo e zoologo e nella zoo- logia osservatore minuto e profondo. Un maestro di tal fatta, che vedeva le cose da un punto di vista tanto elevato e raccomandava lo studio diligente dei par- ticolari come scala al grande conoscimento delle leggi vitali, non poteva a meno di avere una grande azione sopra una mente tanto vasta e tanto forte quanto era quella dello Ercolani. Lo impulso che il grande maestro dava agli studi del valoroso giovane aveva un effetto tanto durevole che lo Ercolani trattò maestrevolmente argomenti disparatissimi nello studio della anatomia, della fisio- logia, della patologia degli animali e dell’uomo, cercando i più difficili, e ostinandosi a superare le difficoltà con animo meravi- gliosamente tenace. Egli seppe impadronirsi per tempo del ma- neggio del microscopio, quando questo stromento, che venne ad allargare tanto smisuratamente il campo della scienza, era ancora adoperato da pochi e trascurato o avversato da molti. Sebbene nel corso degli studi medico-chirurgici lo Ercolani si occupasse di tutti i rami, per modo che riusciva abilissimo nelle manualità chirurgiche e prima ancora di laurearsi compiva con ot- timo effetto una operazione di cistotomia, pure fin dagli ultimi anni del corso egli si era già deliberato a lasciare in disparte lo esercizio pratico e a darsi tutto alle ricerche della scienza. Si laureò in età di venti anni e poco dopo veniva fuori colla pubblicazione di un caso di trasmissione di moccio dal cavallo all'uomo. Quello fu il primo lavoro dello Ercolani, pubblicato nell’anno 1842. Il caso riferito era il primo riconosciuto in Italia, uno fra i primi in tutto il mondo, solo da cinque anni avendo parlato di tal sorta di fatti il Rayer in Parigi. Il dotto autore della B70- COMMEMORAZIONE DI GIOVANNI BATTISTA ERCOLANI 185 grafia medica piemontese, il Bonino, il quale, come altri in Piemonte. non credeva alla comunicabilità della morva del cavallo all'uomo, impugnò quel fatto, lo Ercolani rispose, e quando, pa- recchi anni dopo, lo Ercolani venne in Piemonte, il Bonino lo andò a visitare per dirgli che egli riconosceva di aver avuto torto, della qual cosa lo Ercolani lodò poi il Bonino pubblicamente nella Accademia di Medicina di Torino. La carriera scientifica dello Ercolani e quella dello Alessandrini erano la prima all’aurora e la seconda al tramonto; una aurora brillante cui tenne dietro uno splendido meriggio, un tramonto luminoso di cui la luce raggia ancora sul campo della scienza. Il maestro e lo scolaro lavoravano con indicibile alacrità di- videndo il loro tempo fra la ricerca scientifica, l’ordinamento e l'aumento delle collezioni. Il catalogo del museo di Bologna segna i preparati fatti in quel tempo dallo Ercolani. Ma per quanto gli occhi dei due scienziati si compiacessero nel raggio della scienza, un altro lume tuttavia si attirava pure il loro sguardo, il lume incerto e fioco che incominciava a penetrare nell’orrendo buio del Governo di allora. Massimo d’Azeglio, che pur si dichiarava nemico delle cospi- razioni, cospirava a modo suo, e governava gli animi dei libe- rali delle Romagne. Il Cornero, che più tardi fu Prefetto di Bologna, aveva por- tato in quella città una medaglia in gesso col HY E & 7, pegno di speranza che passava nascostamente di mano in mano. Qui tuttavia eravi un dissenso fra lo Ercolani e lo Alessandrini. Tutti e due erano ardentemente liberali, tutti e due abborrivano dalla tirannia mostruosa che opprimeva la loro contrada, tutti e due anelavano a un rivolgimento. Ma lo Alessandrini non vedeva altra via che la repubblica, mentre lo Ercolani poneva ogni speranza nella Casa di Savoia. Questa dissidenza portava con sè lo sfogo di lunghi discorsi fra i due patrioti, discorsi sommessi, mormorati all’orecchio, e che se fossero stati uditi avrebbero potuto forse costar loro la vita, certamente la carcere e il bando. Ma era vicino il giorno in cui ciò che lo Ercolani sommes- samente diceva negli intimi colloquii al suo caro maestro, lo doveva gridare in piena assemblea, all'Italia tutta, da Roma. La provincia di Bologna, partito da Roma Pio IX, elesse lo Ercolani a deputato della Costituente Romana, ed egli ebbe il coraggio di votare apertamente contro la proclamazione della 786 MICHELE LESSONA repubblica e di motivare il suo voto. Fu poi concorde colla as- semblea contro l'intervento francese e in breve, caduta la repub- blica romana. dovette esulare e con alcuni suoi concittadini si ritirò in Toscana. Ma erano passati i giorni in cui la Toscana dava asilo ospi- tale ai liberali italiani. Gli fu imposto lo sfratto nelle venti- quattro ore ed egli venne in Piemonte. . Nissuno saprà mai quanti sacrifizi siano stati fatti, quante privazioni sopportate, quanti dolori sofferti allora da uomini che per amor della patria dovettero fuggire dalle loro provincie native, raccogliendosi qui in emigrazione. Lo Ercolani sopportò con invitta costanza durissime prove nei primi tempi in cui fu il Piemonte, e dagli ozi forzati trasse un degno partito scrivendo e pubblicando due suoi volumi sulla storia della veterinaria. Il De Filippi, il Tommasi che allora era qui pure in emigrazione, il Farini cui lo legava una intima ami- cizia precedente, e altri uomini dotti e dabbene lo apprezzarono; in breve ebbe la cittadinanza e fu fatto Professore nella scuola veterinaria, con uno stipendio per verità scarsissimo, perchè fu per più anni di sole lire mille e dugento all’ anno. Eppure in quel tempo pubblicò un gran numero di lavori, parecchi dei quali furono tradotti in francese, e anche nel giornale veteri- nario di Berlino, in quello di Vienna, nel Repertorium dello Hering. Il giornale veterinario di Vienna, parlando delle pub- blicazioni dello Ercolani, lo proclamò lavoratore infaticabile e quella lode gli tornò cara. Si fu in quel tempo che egli pub- blicò un volume sui parassiti, del quale, siccome incontentabile di ciò che faceva pel desiderio di far sempre meglio, egli si rallegrava che fosse scomparsa la edizione, della qual cos» invece gli studiosi si dovevano dolere. La condizione dello Ercolani nella scuola veterinaria di To- rino si venne a migliorare repentinamente, perchè ne fu fatto di- rettore; avrebbe potuto essere anche migliore se egli avesse voluto, vale a dire se avesse accettato senza mutamenti le cose quali le aveva trovate. Il suo predecessore aveva settemila lire all’anno e non ci sarebbe stato ragione perchè egli ne avesse meno. Ma a lui piacque che fosse alquanto migliorata la condizione dei col- leghi e si contentò dello stipendio annuo di cinquemila lire. La direzione di una scuola veterinaria è molto malagevole ; lo Ercolani seppe vincere le malagevolezze e dare alla scuola uno COMMEMORAZIONE DI GIOVANNI BATTISTA ERCOLANI 787 impulso poderoso nella via dei buoni insegnamenti e dei buoni studi. Tutto procedeva ottimamente e lo Ercolani si trovava alla perfine in grado di consacrarsi al suo còmpito senza preoccupa- zioni esteriori, quando una immensa sventura lo venne a colpire, sotto la quale la forte sua tempra poco mancò che non venisse al tutto a spezzarsi. Marito e padre, nei travagli più duri della vita passata aveva trovato conforto e sostegno nel coraggio della compagna della sua vita e nello amore della sua figliuoletta. Questa, venuta coi genitori bambina in Piemonte, era qui cresciuta e in sui vent'anni si era sposata, continuando a vivere collo sposo nella casa paterna. Nel primo puerperio, dove tutto s'era passato regolarmente e non si pensava ad ombra di pericolo, repentinamente la povera Cesarina morì. Il disperato dolore dello Ercolani spaventò i suoi amici. Egli voleva lasciare l'insegnamento, rinunciare alla vita pubblica, riti rarsi dal mondo. Fu consigliato caldamente a lasciare Torino e ritornare a Bologna ed egli si arrese a questo consiglio e si ritrovò colà dove aveva compiuto i suoi primi studi e i suoi primi lavori, affranto dal peso della sua sventura personale, confortato dal mutamento avvenuto nelle cose della sua città e dal modo am- mirabile con cui essa si mostrava degna della nuova libera vita. Raccolte tutte le sue forze, lo Ercolani ricominciò in Bologna la sua vita di grande cultore della scienza, e i miglioramenti introdotti negli insegnamenti e nelle collezioni di quella scuola di veterinaria, e le nuove importantissime pubblicazioni che venne facendo, mostrano in qual degno modo egli riuscisse a consolarsi. L’istologia normale e patologica, la medicina veterinaria e la medicina umana, l'anatomia patologica, l’elmintologia, la terato- logia comparata, la zoologia, ebbero da lui culto e progresso, scegliendo egli dappertutto gli argomenti più difticili ed eserci- tando in essi con pertinacia invitta la sua mirabile attitudine alle scoperte scientifiche. È cosa singolare questa che mentre lo Ercolani era così strenuo investigatore e tanto si compiaceva di ricerche originali e nuove, avesse pure in pari modo un culto ardente per le cose spettanti alla erudizione. Di ciò egli diede splendido segno quasi in sul principio della sua carriera scientifica colla pubblicazione delle ricerche sugli scrittori di veterinaria, lavoro mirabile per la eru- 788 MICHELE LESSONA dizione e pel senno che a ogni pagina vi si rivelano, e che egli proseguì poi colla pubblicazione della bibliografia veterinaria. Parec- chie altre sue pubblicazioni trattano di argomenti di erudizione. e basti menzionare gli studi intorno a Maestro Mauro e a Carlo Ruini. Il suo amore per la storia della scienza si venne a mani- festare pure in altro modo: conoscitore maestro dei libri antichi più pregevoli, egli li cercò tutta la sua vita e riuscì a procu- rarsene per modo da avere una biblioteca di volumi di medicina umana e di medicina veterinaria dei primi secoli della stampa, di cui egli giustamente si compiaceva come di un caro tesoro. Questa fu la più grande sorgente di spesa per lui, che in tutto il resto ebbe una vita per ogni rispetto misurata. Fra le varie numerose pubblicazioni dello Ercolani quelle che più fecero parlare di lui negli ultimi anni della sua vita e di cui più si compiacque, avendoci lavorato intorno per ben quin- dici anni, si riferiscono alle sue ricerche intorno alla placenta nei pesci cartilaginosi e nei mammiferi, con applicazioni alla tas- sonomia zoologica e alla antropogenia.. Nella più importante di queste pubblicazioni alcune tavole fanno vedere il modo in cui nei mammiferi avvengono i rapporti dell’ovo coll’utero. Parecchi naturalisti valentissimi si adoperarono ad applicare la embriologia alla tassonomia zoologica. Lo Ercolani segna in questa via un passo oltre i suoi predecessori, e prende per tal modo un posto elevato nella scienza. Ciò compresero bene i dotti contemporanei e da ogni parte gli diedero segni non dubbi del conto in cui lo tenevano. Il Turner dice: « Il signor Ercolani di Bologna, di cui la memoria sulla struttura della placenta in vari animali agguaglia in importanza e interessamento il classico studio del Baer e dello Eschricht, ha dato un aspetto molto preciso a questa quistione » (Lectures on the Comparative Anatomy of the Placenta 1876). Il Winkler e lo Henning, in Germania, scrissero « il lavoro dello Ercolani sulla placenta è il migliore che sia stato fatto da lungo tempo (Studien iiber der Bau den Menschlichen Placenta. Leipzig, 1872). Il Dottor Marey di Boston. nell’anno 1880, tradusse due delle memorie dello Ercolani sulla placenta, dando questo giudizio: « La evidente imparzialità dell’ autore, quale si vede nelle sue numerose osservazioni, la molteplicità dei fatti addotti, la modesta e coscienziosa esposizione della sua opinione e le belle COMMEMORAZIONE DI GIOVANNI BATTISTA ERCOLANI 789 illustrazioni dei suoi studi nelle tavole che accompagnano il vo- lume, colpiscono il lettore che non abbia idee preconcette, e por- tano il convincimento che le deduzioni presentate sono i risulta- menti del meditato lavoro, e non teorie preconcette che egli si sia sforzato di dimostrare. Tutto ciò fa sì che il nome dello Ercolani deve esser posto con quelli dei grandi benefattori della scienza e deve essere trasmesso alle generazioni avvenire, e ono- rato insieme con quelli di Eustachio, Malpighi, Morgagni e altri segnalati anatomici della primitiva scuola italiana ». I dotti più celebri ebbero parole di grande lode per lo Ercolani, Owen, Darwin, Haeckel, Huxley, Milne Edwards; e Bischoff, il glorioso vecchio, gli scriveva: « Ho molto materiale di studio, ma sono vecchio, e sarei ben contento di cederlo a voi, che lo sapreste così bene illustrare... » Queste parole valgono più di ogni massima onorificenza. Durante la sua malattia, che fu penosa e lunga ed ebbe fine colla morte addì 16 Novembre 1883, lo Ercolani ripetutamente espresse il desiderio che i suoi funerali fossero al tutto modesti. Ma non si può impelire a una città, non si può impedire a una nazione, che manifestino il loro dolore quando segue una perdita tanto dolorosa, e questo dolore fu manifestato in modo commo- vente e solenne. Invero, lo Ercolani fu uomo eccezionale per la potenza dello ingegno, la devozione alla scienza e alla patria, al compimento d'ogni suo dovere, la coltura letteraria, l'affetto alla gioventù, il sentimento dell’amicizia, la operosità costante, l’altezza dell’a- nimo, l’austerità della vita. 0 (@r) ba | 10. MICHELE LESSONA PUBBLICAZIONI 1842. Della trasmissione del cimurro dai bruti all'uomo. Bologna. 18438. Alcune considerazioni sulla grandine dei porci. Bologna. 1851-54. Ricerche storico-analitiche sugli scrittori di Veterinaria, vol. 2. Torino. 1852. Osservazioni sulla Spiroptera megastoma del cavallo, con figure. Torino. Della tubercolosi nei carnivori e di un deposito di ma- teria tubercolare nei bronchi di un cavallo. Torino. Ordinamento ed indicazione succinta delle principali pre- parazioni di Anatomia patologica venute in dono alla hR. Scuola Veterinaria di Torino. Torino. Brevi considerazioni sulla torsione del collo dell’ utero. Torino. Storia genetica e metamorfosi dello strongilo del cavallo, con tavole. Torino. Preambolo ai documenti che servir debbono allo studio dell’innesto della peripneumonia epizootica col metodo del Dr. Willems. Torino. Ricerche comparative sull’ innesto dei morbi contagiosi : La peripneumonia bovina ed il vaiuolo arabo dell’uomo. Torino. COMMEMORAZIONE DI GIOVANNI BATTISTA ERCOLANI 791 1853. 11. Ricerche comparative sull’ innesto dei morbi contagiosi. Articolo secondo: La peripneumonia bovina, il vaiuolo pecorino e la sifilide dell’uomo. Articolo terzo: La pe- ripneumonia bovina, il tifo bovino e la rabbia canina. Articolo quarto e ultimo: Il vaccino 0 cowpox, il vai- uolo pecorino, il cimurro 0 gourme dei Francesi, il moccio o morva, la rogna, le affezioni carbonchiose e generali conclusioni relative alla peripneumonia. Torino. 12. Sopra alcuni punti relativi all'innesto della pleuropneu- monia essudativa dei bovini col metodo Willems. Torino. 15. Telengecctasia, ossia tumore sanguigno mella cavità in- terna del ventricolo sinistro del cuore di un cavallo. Torino. 14. Genesi verminosa frequente nei tubercoli polmonari della pecora. Torino. 15. Sopra un calcolo gastrico di un cavallo (in collabora- zione col Prof. Chiappero). Torino. 1854. Sul preteso verme o tendine della lingua dei cani. Torino. (n) 17. Osservazioni anatomico-fisiologiche sopra le ghiandole cu- tanee degli animali domestici, con tavole. Torino. 18. Considerazioni pratiche sopra le recenti osservazioni di metamorfosi degli eltminti. 'l'orino. 19. Osservazioni teorico-pratiche sopra i polipi delle narici. Torino. 20. Osservazioni teorico-pratiche sopra le esostosi. Torino. 21. Nuovo metodo di cura per tentare di sanare i cavalli mocciosi. Torino. 22. Resoconto delle prime esperienze sulla inspirazione del ni- trato d’argento in polvere contro il moccio. Torino. 23. Sur l’embryogenie et la propagation des vers intestinaua (Compte rendu, ete.). Torino. 792 24. 28. 29. (35) (n) 38. MICHELE LESSONA Ricerche sperimentali sulla produzione del calore animale (in collaborazione col Prof. Vella). Torino. Osservazioni medico-zoologiche sull’echinococeo. Torino. Lettere sull’insegnamento della Veterinaria. Milano. Osservazioni comparate sullo Strongylus trigonocephalus Run. e l’Anchylostoma duodenale DuBini. Milano. Nouvelles observations sur le développement et la vie des néematodes (Compte rendu, ete., in collaborazione col Prof. Vella). Torino. » 1855. Nuove ricerche sulle vecchie cagioni che impediscono il vomito nel cavallo (in collaborazione col Prof. Vella). Torino. Del canero. Torino. Storia della castrazione di una vacca col metodo vaginale del signor Charlier. Torino. Ricerche patologiche sulla cachessia purulenta 0 pioemia nel cavallo. Torino. Ricerche fisiologiche e patologiche sopra i parti gemel- lari. Torino. Sviluppo del distoma endolobo. Torino. Due parole sulla Memoria del Dottore Tonini: « Della causa efficiente della po!lmonea nei bovini. » Torino. 1856. Gestazione di sedici mesi di una vacca per torsione del corpo dell’utero e chiusura completa della parte infe- riore del corno dell’utero gestante. Torino. Sopra un caso di lacerazione del fegato osservato în un cavallo. Torino. Ricerche storiche sull’antichità dei moderni metodi ope- ratorii per castrare i cavalli a proposito di un codice inedito di Veterinaria del 1600, del Capitano Asinari piemontese, Torino. 39. COMMEMORAZIONE DI GIOVANNI BATTISTA ERCOLANI 793 Tubercolosi nasale del porco (in collaborazione col Prof. Vella). Torino. 40. Aneurisma passivo del cuore in un cavallo bolso , con 41. 44. 48. 49. 50. 51. alcune considerazioni sulle malattie del cuore degli ani- mali domestici, nonchè sulla bolsedine. Torino. Nota sulla cauterizzazione. Fino dove giunge, e in quale proporzione il calorico trapassa i tessuti sui quali viene applicato (in collaborazione col Prof. Vella). Torino. Catarro nasale 0 corizza acuta dei bovini. Torino. Classificazione dei mostri negli animali domestici del Prof. Gurlt, coll’aggiunta delle nuove osservazioni sullo stesso argomento del Prof. Antonio Alessandrini, e la nuova proposta di classificazione del Prof. Leyh. Torino. Ricerche anatomiche e fisiologiche sulla struttura e fun- zione della vescichetta seminale mediana di Bourgelat, utero maschile di Weber. Torino. Nota in aggiunta alla predetta Memoria. Torino, 1857. Ricerche storiche intorno alla malattia dei cavalli chia- mato Limosporo dai Greci e da Polibio. Torino. Sopra un Nanosomus laticeps Gurlt, raccolto da una pe- 1 cora, con alcune considerazioni intorno al Nanismo degli animali domestici. Torino. Cicalata sopra un argomento serio di Veterinaria. Torino. Cicalata intorno ad una lettera del signor G. B. Maz- zini. Torino. Bibliografia veterinaria, dai primi tempi dell’éra nostra a tutto il secolo xvi, in aggiunta alla parte biblio- grafica delle ricerche storiche sugli scrittori di Vete- rinaria. Torino. Prelazione al corso di Anatomia patologica. Torino. 1857. Intorno alla coagulazione del sangue entro i vasi e loro conseguente completa obliterazione nei polmoni dei bo- vini affetti da peripneumonia epizootica. Torino. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol, XIX, DI 794 MICHELE LESSONA 02. Sopra l’innesto delle afte. Torino. 59. Sopra l'estrazione per le vie naturali di un feto mum- mificato nell’utero di una vacca. Torino. 54. Lettere due ad alcuni veterinari morti. Torino. 5. Lisposta alle osservazioni critiche del Prof. Reviglio sul- l'innesto della pleuropneumonia epizootica. Torino. 1859. 56. Dei parassiti e dei morbi parassitari degli animali do- mestici, vol. I. Bologna. Ut | Prolusione al corso di Anatomia patologica veterinaria. Torino. 1860. 58. Brevi considerazioni intorno ai metodi operatorii proposti per la cura del prolasso del retto, specialmente nel ca- vallo. Torino. 59. Determinazione di un’ azione terapeutica poco nota ed importante dell’assa fetida (in collaborazione del Prof. Bassi). Torino. 60. Intorno al modo di prodursi nel maggior numero dei casi dell’enfisema sottocutaneo. Torino. 61. Delle anchilosi in generale e di quelle delle vertebre dor- sali e lombari in particolare. Torino. 62. Quali sono le cagioni per cui l’enfisema polmonare pro- duce in alcuni casi il pneumoderma e in altri non lo produce. Torino. 63. Delle lesioni organiche comuni al moccio, al farcino ed alla così detta peripneumonia gangrenosa, comprovanti l’identica natura di queste credute forme morbose di- verse (in collaborazione del Prof. Bassî). Torino. 64. Dei residui del corpo di Wolf nel testicolo dei solipedi osservati e descritti per la prima volta. Torino. 65. Cura del moccio cogli arseniti di stricnina (in collabo- razione col Prof. Bassi). Torino. 66. 67. 70. FA 78. COMMEMORAZIONE DI GIOVANNI BATTISTA ERCOLANI 795 Delle malattie degli uccelli domestici. Articolo primo : Morbi sporadici. Torino. Sul periodo d''incubazione della rabbia megli animali che furono morsicati da altri animali rabbiosi, e pro- posta di riforme alle vigenti leggi di polizia sanitaria. Torino. Brevi considerazioni intorno alla proposta di affidare le Scuole Veterinarie al Ministero di Agricoltura e Com- mercio. Torino. Dei casi narrati di sudore sanguigno negli animali. Torino. 1861. Osservazioni anatonico-fisiologiche intorno all'organo che- ratogeno o generatore delle produzioni cornee cutanee del corpo dei mammiferi domestici, con tavole. Torino. Delle malattie degli uccelli domestici. Articolo secondo ed ultimo; Morbiî epizootici. Torino. Intorno ad una dilatazione della porzione toracica del- l’esofago osservata in una pecora. Torino. Fungo 0 cancro ematode delle ossa osservato in un ca- vallo. Torino. Moccio acuto in una capra. Torino. Le dottrine del Prof. Bouley intorno al moccio (in col- laborazione del Prof. Bassi). Torino. Discorso inaugurale per l attuazione del nuovo regola- mento per le E. Scuole superiori di Medicina Veteri- naria. Torino. Brevi considerazioni sulla dottrina di Virchow intorno alla leucocitosi e all’embolismo, a proposito di una Me- moria sulla pioemia del veterinario Frank. Torino. E il metodo Grimelli che si adopera alla Scuola di To- rino per curare i cavalli mocciosi? No (in collabora- zione col Prof. Bassi). Torino. 796 19; 80. 81. 83. 84. Sid 88. MICHELE LESSONA 1862. Cura del moccio cogli arseniti di stricnina. Stato della questione in Europa nel 1861 (in collaborazione col Prof. Bassi). Torino. Sulla possibile guarigione spontanea negli animali delle invaginazioni intestinali strozzate. Torino. Ricerche storiche intorno a Maestro Mauro, veterinario del xiv secolo. Torino. Sulla necessità di ordinare sopra basi uniformi U inse- gnamento veterinario in Italia. Torino. 1863. Discorso inaugurale per l’apertura del corso degli studi nella R. Scuola Veterinaria di Torino per l anno 1862-63. Torino. 1864. Dichiarazione intorno al rapporto della Commissione no- minata dal Governo per ordinare l'insegnamento vete- rinario in Italia. Sulla importanza della Veterinaria e sulla necessità di ordinarne Vinsegnamento. Bologna. Intorno all’efficacia della salicina nella cura delle affe- zioni tifoidee negli animali domestici. Torino. Osservazioni sulle giovani larve appena sbucciate dall’uovo dell’oestrus equi L. Gastrus equi Meigen, con tavole. Bologna. 1865. Sulla trasformazione degli elementi istologici nell’orga- nismo animale e più specialmente delle cellule midollari in corpuscoli ossei e dei corpuscoli del tessuto connet- tivo in cellule epiteliali, con tavole. Bologna. | j I 89. 90. 91. 92. 93. 94. 95. 96. 9 98. 99. COMMEMORAZIONE DI GIOVANNI BATTISTA ERCOLANI 797 1866. Delle concrezioni calcari nel fegato dei cavalli, con 2 tavole. Bologna. Osservazioni sulla struttura normale e sulle alterazioni patologiche del tessuto fibroso, con 5 tavole. Bologna. Sulla introduzione e diffusione del tifo bovino in Isvizzera. Bologna. 1867. Delle glandule otricolari dell'utero e dell'organo glandu- lare di nuova formazione che nella gravidanza si svi- luppa nell’ utero delle femmine dei mammiferi e nella specie umana, con 10 tavole. Bologna. Descrizione metodica del Musco di Anatomia patologica comparata della ER. Umiversità di Bologna. Memoria prima: Delle fratture negli animali, con 5 tavole. Bo- logna. Descrizione metodica dei preparati esistenti nel Musco di Anatomia patologica comparata della It. Università di Bologna. Memoria seconda: Delle concrezioni calcari nel fegato dei cavalli, con 2 tavole. Bologna. Bibliografia veterinaria italiana dal 1846 a tutto il 1866, con un'appendice. ‘l'orino. 1868. Dei tessuti e degli organi erettili, con 10 tavole. Bologna. 1869. Sulla placenta e sulla nutrizione dei feti nell’utero, con 1 tavola. Bologna. Sul processo formativo della porzione glandolare e ma- terna della placenta, con 6 tavole. Bologna. 1870. Delle malattie della placenta, con 7 tavole. Bologna. 798 MICHELE LESSONA 1871. 100. Del perfetto ermafrodismo delle anguille, con 1 tavola. Bologna. 1872. 101. Intorno all’opuscolo di Holmbaum - Hornsckuck, de An- quillarum sexu ac generatione. Modena. 102. Descrizione metodica dei preparati esistenti nel Museo di Anatomia patologica comparata della R. Università di Bologna. Memoria terza: Osservazioni di Anatomia patologica comparata sulla vescica urinaria e sulle ar- terie ombelicali, con 6 tavole. Bologna. 1873. 103. Discorso inaugurale per Vinaugurazione degli studi nella I R. Università di Bologna. Bologna. I 104. Sulla parte che hanno le glandole otricolari dell’ utero nella formazione della porzione materna della placenta e nella nutrizione dei feti nell’alvo materno, con 4 ta- vole. Bologna. 105. Sulla fabbricazione artificiale del panello per fertiliz- zare la terra con muffe. Bologna. 106. Carlo Ruini. Curiosità storiche e bibliografiche intorno alla scoperta della circolazione del sangue. Bologna. 1874. 107. Sulla dimorfobiosi, 0 diverso modo di vivere e ripro- dursi sotto duplice forma di una stessa specie di ani- mali, con 2 tavole. Bologna. 108. Della struttura anatomica della caduca uterina nei casi di gravidanza exrtra-uterina nella donna, con 1 tavola. Bologna. 1875. 109. Osservazioni elmintologiche sulla dimorfobiosi dei nema- todi, sulla filuria immitis e sopra una nuova specie di distoma dei cani. Bologna. NLO. LEE 11 DO 113. 114. bilo. LEO. JERZS 118. COMMEMORAZIONE DI GIOVANNI BATTISTA ERCOLANI 799 Della placenta nei mostri per inclusione e nei casi di gravidanza extra-uterina nella donna e in alcuni ani- mali. Bologna. Note anatomiche sull’orecchio esterno e sul timpano negli uccelli, con 1 tavola, Modena). Sulla struttura intima del tessuto tendinoso, con 1 ta- vola. Bologna. 1876. In commemorazione del xv anniversario della morte del Professore Antonio Alessandrini. — Osservazioni tera- tologiche sopra un Pseudocornus aprosopus. ERc., con 2 tavole. Bologna. Dell’onychomykosis dell’uomo e dei solipedi, con 1 ta- vola Bologna. 1877. Sull’unità del tipo anatomico della placenta nei mam- miferi e nell'umana specie e sull’unità fisiologica della nutrizione dei feti in tutti i vertebrati, con 5 tavole. Bologna. Sulle errate apparenze macroscopiche che hanno impedito fino ad ora di conoscere l’intima struttura della pla- centa umana e sull'unità di tipo anatomico della pla- centa nei mammiferi e nella donna. Torino e Bologna. 1878. Metamorfosi delle piante. Prime ricerche sulla trasfor- mazione di una crittogama del genere Momyces in una pianta Fanerogama Dicotiledonale, e ritorno alla forma primitiva crittomatica dui rami e dai semi della detta specie di Cuscuta: Cuscuta e Orobanca. Bologna. Sull’attecchimento delle pianticelle di cuscuta volgare, nata da semi sulle giovani piante d'erba medica. Bo- logna. 800 d19- 125. 126. Le MICHELE LESSONA Intorno alle prime fasi di sviluppo e sulla duplice co- stituzione anatomica della Phelipaea ramosa MEY. Bo- logna. Sul processo formativo del callo osseo nelle diverse fratture delle ossa nell'uomo e negli animali. Bologna. Sulla malattia dominante mel bestiame, peripneumonia epizootica. Milano. Sulla filosofia zoologica a proposito del libro di Pietro Siciliani. Roma. 1879. Osservazioni sopra alcuni costumi del Vespertilio muri- nus L. e ricerche comparate sulla pelvi e sul parto in questo animale, e le assimetrie pelviche, che nella donna richieggono l’operazione cesarea 0 la sinfisiotomia, con 2 tavole. Bologna. Discorso sull’ ordinamento degli Istituti scientifici in Italia. Bologna. 1880. Studi isto-fisio-anatomo-patologici e clinici sull’ano pre- ternaturale accidentale (La memoria è del Prof. Riz- zoli, ma il Prof. Ercolani vi collaborò per la parte istologica e anatomo-patologica). Bologna. Della placenta mei pesci cartilaginei e nei mammiferi e delle sue applicazioni alla Tassononiia e all’ Antro- pogmia (un vol. di 380 pag. in-4° con atlante. Bologna. Francesco Rizzoli. Bologna. 1881. Sulla ovulazione dei distomi epatico e lanceolato delle pecore e dei buoi. Bologna. Dell’adattamento della specie all'ambiente, nuove ricerche sulla storia genetica dei trematodi, con 3 tavole. Bologna. Sul parto pretermesso o mancato nelle femmine dei myoxus glis e mella specie umana. Bologna. 136. COMMEMORAZIONE DI GIOVANNI BATTISTA ERCOLANI. 801 . Francesco Selmi, commemorazione. Bologna. . Sulla cachessia ittero-verminosa delle pecore e dei buoi. Bologna. 1882. . Della polidactylia e della polimelia nell'uomo e nei ver- tebrati, con 4 tavole. Bologna. . Dell’adattamento della specie all'ambiente, nuove ricer- che sulla storia genetica dei trematodi. Memoria seconda, 3) con 3 tavole.$ Bologna. 1883. . Nuove ricerche di Anatomia normale e patologica sulla placenta dei mammiferi e della donna, lettere tre di- rette al chiarissimo signor Prof. Alberto Kòlliker, con 3 tavole. Bologna. Sulle alterazioni patologiche portate dalla sifilide nella placenta umana. Bologna. Questo elenco dei lavori pubblicati dal Prof. G. B. ERCOLANI p fu compilato dal Dottore Alessandro LANZILLOTTI-BUONSANTI, € stampato nel numero 11 (30 Novembre 1883) della Rivista mensile di Milano La CLINICA VETERINARIA). 202 CARLO EÉMERY Il Socio Cav. Prof. Angelo Mosso presenta e legge il se- guente lavoro del sig. Dott. C. ÉméRY, intitolato: UN FOSFENO ELETTRICO SPONTANEO. Già da parecchi anni vado analizzando quei fenomeni i quali si manifestano all’occhio, nei primi istanti che seguono il de- starsi dal riposo prolungato della notte, cioè in un momento in cui l'occhio possiede ancora il massimo della sua eccitabilità alla luce, e, se l'ipotesi fotochimica della percezione ottica è vera, serba ancora una grande provvista delle sostanze sensibili ai raggi luminosi. Il fenomeno che sono per descrivere mi è già noto da lungo tempo, e l’ho osservato centinaia di volte; non l’ho pubblicato finora, perchè non sapeva trovarne una spiegazione plausibile. Oggi credo di potere far seguire alla descrizione del fatto una interpretazione fisiologica di esso. Dirò anzitutto che soglio tenere aperte le imposte di legno della finestra nella mia camera da letto, per cui, al mattino, quella finestra è fortemente illuminata; quando mi desto, gli occhi restano chiusi finchè io li apra volontariamente. Così mi è possibile dirigere il primo sguardo dove voglio e sottoporre la retina a quegli stimoli che desidero adoperare. Ma, già fin da quel momento del risveglio, la retina, benchè protetta dal velo delle palpebre, non è rimasta immune dall’influenza della luce. Un chiarore rosso penetra attraverso le palpebre nella pupilla, e, se aprendo gli occhi guardo una superficie bianca, o molto chiara, essa mi apparisce da prima verde; però questa tinta sbiadisce prestissimo e l’immagine dello oggetto assume la sua colorazione naturale. UN FOSFENO ELETTRICO SPONTANEO 808 Il verde era dovuto al contrasto successivo, determinato dalla luce rossa trasmessa dalle palpebre. A prova di ciò, basta uno sperimento semplicissimo: coprire gli occhi, anche per poco, con un oggetto opaco, prima di aprirli: ad esempio, porre il capo sotto le coltri del letto. La retina non essendo più stimolata da luce colorata, percepirà le prime immagini col loro colore normale. Fin qui nulla che non si possa assai facilmente spiegare ed intendere. Il fenomeno di cui voglio occuparmi è di tutt'altra natura. Ho riferito quello, soltanto per mostrare come la re- tina possa trovarsi modificata più o meno fortemente dalla luce, ad occhi chiusi: se questa azione della luce è stata troppo in- tensa, il fenomeno di cui ora verrò a dire è affievolito, e può anche non essere più percettibile. Se, destatomi in una camera non troppo intensamente illu- minata, io apro gli occhi volgendoli alla finestra, dalla quale si vede il cielo, o un muro bianco, o altro oggetto molto chiaro, e se, dopo un breve istante, torno a chiuderli, l’immagine se- condaria della finestra mi apparisce, per una frazione di secondo, splendidissima e di un bel colore azzurro-violaceo; passato questo primo momento, la colorazione s’indebolisce rapidamente e spa- risce; rimane soltanto la solita immagine secondaria positiva, più o meno intensa e durevole. La stessa osservazione può essere ripetuta più volte, avendo cura di far riposare alquanto gli occhi fra uno sperimento e l’altro. Ottengo ancora lo stesso fenomeno, facendo agire l’immagine della finestra sopra una regione qual- siasi della periferia della retina, se non che l'intensità del colore violetto diviene molto minore. Aggiungerò che un collega, di cui richiamai l’attenzione sul fatto, mi dice di averlo osservato anche lui. Volendo trovare una spiegazione del fatto, sarà d’uopo con- frontarlo con altri fatti analoghi e di natura meno oscura. Parmi che siano tali certi fenomeni che seguono all’eccitamento elettrico della retina. Helmholtz ha descritto accuratamente questi fenomeni, ed ha notato la eccitabilità molto diversa dei singoli osservatori. Egli stesso (1) ha sperimentato con correnti piuttosto forti (12—24 Daniell), a tal segno che, per mitigare le sensazioni cutanee (1) Physiologische Optik, p. 204, 804 CARLO ÉMEÉRY dolorose, consiglia di applicare elettrodi a larga superficie. Le osservazioni dell’illustre fisiologo sono in gran parte simili alle mie, per cui, senza riferirle per esteso, passerò a descrivere le esperienze che ho istituite nel laboratorio del mio amico Pro- fessore Mosso. Ho adoperato una pila di 8 elementi Daniell di piccolo sesto uniti in tensione. Il circuito era chiuso da un reostato. Un circuito derivato partiva dai due estremi del reostato e con- duceva ai due elettrodi, rappresentati da piccole spugne bagnate in una soluzione di cloruro di sodio; una chiave di Du Bois- Reymond, collocata come ponte su questo circuito, permetteva di abolire con la sua chiusura o lasciar libero con la sua aper- tura il passaggio della corrente agli elettrodi. Introducendo delle resistenze nel reostato, era agevole regolare l'intensità della cor- rente derivata. Dopo diversi tentativi, ho trovato che il modo più conve- niente di applicare gli elettrodi è di poggiare il polo che deve agire sulla retina sul margine osseo superiore o inferiore. del- l’orbita, in modo che tocchi leggermente la palpebra corrispon- dente; l’altro polo si applica al zigoma o alla fronte. L'effetto che si ottiene è lo stesso quando il polo indifferente si poggia in altra parte del corpo più lontana dall’occhio, se non che è d’uopo allora adoprare correnti più forti che irritano la pelle. Operando come ho detto, mi bastava introdurre nel reostato una resistenza di 100 a 400 unità Siemens, per dare alla corrente derivata una intensità sufficiente. Le esperienze si facevano in una camera quasi buia e avente le pareti dipinte in nero. Poggiando l’elettrode positivo al margine soprorbitale, ottengo alla chiusura un forte lampo, e tutta la retina rimane rischiarata da debole luce violetta, durante il passaggio della corrente. Alla apertura, vedo un lampo più debole, ma nella periferia inferiore del campo visuale mi si manifesta una fascia semilunare rischia- rata da luce azzurro-violacea, che persiste per breve tempo (almeno %' — 1°), indebolendosi rapidamente; è difficile determinare la durata di questo fenomeno, che alla sua fine è appena sensibile e si confonde con la luce propria della retina. Invertendo i poli, ho alla chiusura un lampo molto debole, e il campo visuale si oscura, per abolizione della luce propria, ma nella parte inferiore del campo visuale stesso, vedo durante il passaggio della corrente una fascia semilunare azzurro-violacea, UN FOSFENO ELETTRICO SPONTANEO 805 simile a quella determinata dall'apertura della corrente ascen- dente. All'apertura, vedo un forte lampo, la fascia sparisce e la luce propria si ridesta. Ponendo gli elettrodi al margine orbitale inferiore e sulla fronte, ottengo gli stessi fenomeni, se non che la fascia violacea apparisce nella periferia superiore del campo visuale. Spostando lungo il margine orbitale il punto d’applicazione dell’elettrode, si ottiene uno spostamento corrispondente del luogo del fosfeno semilunare. Ho osservato questi fatti sui miei due occhi, ma più distin- tamente sull'occhio destro. Anche il signor Aducco, Assistente del Laboratorio, ha veduto il fosfeno semilunare all'apertura della corrente ascendente e durante il passaggio della corrente di- scendente. Voglio notare espressamente che questo fosfeno semilunare (il quale, per quanto io sappia, non è stato finora segnalato da altri) ha precisamente il medesimo colore della immagine se- condaria violacea che segue all’azione intensa dei raggi lumi- nosi, dopo il riposo prolungato. Esso si manifesta in quella regione della retina che, essendo più vicina all’elettrode, è stata più direttamente stimolata dalla corrente, come l’altro fenomeno insorge nelle parti della retina che ebbero a risentire più vi- vace l’azione della luce. : Il fosfeno ora descritto a me sembra un fenomeno indipen- dente dall’azione generale della corrente sulla retina. Volendo pure ammettere con Helmholtz che l’azione della corrente elet- trica sulla retina sia dovuta allo stato elettrotonico in cui en- trano le fibre del nervo ottico, per cui quelli stimoli che pro- ‘ ducono la sensazione normale della luce propria della retina, hanno poi azione maggiore o minore del solito, bisogna trovare pel fosfeno semilunare una spiegazione diversa. Io ritengo che si tratti di un’eccitazione degli elementi proprii della retina in quella parte che trovasi molto vicina ad uno degli elettrodi. La retina è eccitata quando la corrente l’attraversa dall’interno all’esterno, o quando è cessata l’azione di una corrente diretta dall'esterno all’interno. Ora gli sperimenti di Holmgren (1) e specialmente quelli (1) Ueber die Retinastrime. — Untersuch. Physiol. Instit. Heidelberg, 1880, III. 806 CARLO EMÉRY di Kiihne e Steiner (1) hanno dimostrato che, nella retina, evvi realmente, allo stato normale, una corrente che va dalla superficie esterna all’interna e che questa corrente si modifica in seguito all’azione della luce. Secondo Kiihne e Steiner, si avrebbe, durante l’azione della luce, una oscillazione negativa della corrente fisiologica. — Tale deve essere ancora la modi- ficazione della corrente, che si determina nella retina dopo l’ap- plicazione del polo negativo in vicinanza dell'occhio. Avremo del pari una oscillazione negativa, nel momento in cui s'interrompe una corrente, quando l’elettrode positivo era applicato vicino all'occhio. È notevole in questo caso che l'impressione luminosa . destata dalla interruzione della corrente dura per un tempo relativamente lungo, il che vorrebbe dire che la modificazione indotta nella corrente propria della retina (forse per un effetto di polarizzazione) non cessa immediatamente, ma si prolunga indebolendosi a gradi. Dopo queste considerazioni, partendo dalla grande rassomi- glianza che parmi di riconoscere fra il fenomeno che insorge dopo l’azione della luce e quello che è dovuto alla corrente elettrica, cerco ora di trovare una spiegazione del primo. E mi si affaccia alla mente la supposizione che, cessata l’azione di una luce viva e di breve durata in una retina riposata, possa determinarsi in essa una nuova oscillazione negativa della cor- rente fisiologica; questa modificazione negativa sarebbe capace di eccitare la retina e di produrre una impressione luminosa subiettiva. — È vero che siffatte modificazioni negative, dopo cessata l’azione della luce non sono state finora osservate da quei fisiologi i quali hanno studiato le correnti della retina; però essi non hanno potuto operare sopra occhi così completamente riposati come quelli di chi si desta al mattino; forse in tali condizioni i fenomeni elettrici dovuti all’azione luminosa acqui- stano alcune particolarità che più tardi non si rinnovano. Si potrà chiedere perchè l'impressione luminosa dovuta alla variazione elettrica negativa è violetta; molti fatti nella fisiologia della retina tendono a provare che una delle terminazioni ner- vose più sensibili e più diffuse, fino nelle regioni periferiche, sia precisamente quella che serve alla percezione dei raggi azzurri (1) Ueber das clectromotrische Verhalten der Netshaut; ibid. UN FOSFENO ELETTRICO SPONTANEO. 807 DI o violetti. Questa è una considerazione molto importante per la teoria della visione dei colori. Ma non è questo il luogo di discuterne le conseguenze: constatiamo solo il fatto che questi stessi elementi sono eccitati, prima degli altri, dalla corrente elettrica. Se l’interpretazione che ho cercato di dare del fenomeno è giusta, avremmo qui un caso interessante per la fisiologia generale, cioè quello di elementi nervosi eccitati da una varia- zione fisiologica della propria corrente elettrica. Comprendo be- nissimo che questa interpretazione ha un fondamento assai debole, che è la rassomiglianza fra il fenomeno ottico dovuto alla luce e quello dipendente dall’applicazione della corrente elettrica. Finora non ho saputo trovare altra spiegazione che fosse più soddisfacente. Torino, Giugno 1884. 808 ELEZIONI DI SOCI. In questa adunanza vennero eletti a Soci nazionali residenti i signori Cav. Giorgio Spezia, Prof. di Mineralogia, e Giuseppe GiseLLI, Professore di Botanica nella R. Università di Torino, ed a Socio Corrispondente per la Sezione di Fisica il signor Gustavo WIEDEMANN, Professore nell’ Università di Lipsia. L’Accademico Segretario A. SOBRERO. INDICE DEL VOLUME XIX ELeNco degli Accademici .. ELEZIONE del Comm. Prof. MicÒeLe Lessona a rappresentante nel Consiglio Amministrativo del Consorzio Universitario ........ ELEZIONI di Soci Nazionali e Corrispondenti... ./...........0...: Basso (Giuseppe) — Sopra un modo di misurare l'intensità delle CORRENCIORORETTCHE tI I TRN NA IR BarrELLI (Angelo) — Sui sistemi catottrici centrati.............. Bizzozero (Giulio) — Presentazione di un lavoro manoscritto del Dot- tore L. GRIFFINI, intitolato : Contribuzione alla Patologia del LORSUIOROCDUE LIGNE CUMANICO NI SISI SAI — — Relazione di un lavoro del Prof. L. Grirrini: Contribuzione alla Patologia del tessuto epiteliare cilindrico ............... BonarpI (Edoardo) — Contribuzione all’istologia del sistema digerente GELATERIA ANAS BRUGNATELLI (Luigi) — Sulla composizione di una roccia pirossenica delia iorniidi RIG. 0a CamerANO (Lorenzo) — Intorno alla Neotenia ed allo sviluppo degli — Monografia degli idrofilini italiani. ........ RE o Cappa (Scipione) — Sul limite dell’aderenza che si può svolgere fra due cilindri ad assi qualunque che si trasmettono il movi- IHENLOLFOAIIONIO. 110 I LR pr dicnodenbe* — Sul movimento di rotazione di una massa liquida intorno ad UNfasse pan car PRIORA SONICA RO CHÙiarriER (Angelo) — Effemeridi del Sole, della Luna e dei principali Pianeti per l’anno 1883 .........-0 0000 E CLarETTA (Gaudenzio) — Comunicazione di una lettera dell’ illustre Storico Gian Leonardo Sismondo dei Sismondi ............ Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XIX. 238 297 219 291 631 558 406 D4 810 INDICE DEL VOL. XIX Cossa (Alfonso) — Presentazione di una Memoria stampata di C. FRIEDEL ed E. SaRaSIN...... SA oa s'a'0005 sro /de ala TE —— Relazione per l'aggiudicazione del premio Bressa nel qua- driennio 1879-82... Ji .}.t.L£E.F7 BRE ee i —— Comunicazione intorno ad un’Idrocrasia della valle di Susa . . » —— Annunzio della morte del socio corrispondente Adolfo VURTZ . » CurionI (Giovanni) — Relazione sulla Memoria del signor Ingegnere Prot. Gui: Suglitarchi elastici... lE Seti) Sulla potenza congiuntiva longitudinale nelle travi sollecitate da forze perpendicolari ai loro assi. ...-0 0 et n Riario) Daccomo (G.) — Contributo allo studio chimico del triclorofenolo... » D’AruroLo (Giovanni) — Intorno ad un esemplare di capsula sopra- renale accessoria sul corpo pampiniforme di un feto..... vi Dorna (Alessandro) — Effemeridi del Sole, delia Luna e dei princi- pali Pianeli per l’anno 1884 ed altri lavori dell’Osservatorio » -—— Relazione sulla memoria dell’ Ing. G. De BerarpINIS: Sullo scostamento della linea geodetica dalle sezioni normali di una SUPErfeene 0. te Visti DIA nea era e sia o E TT REA -— Nuovo materiale scientifico e prime osservazioni con anelli mi- crometrici all'Osservatorio di Torino. ........-.- 0... SED —— Prime osservazioni con anelli micrometrici all’ Osservatorio di Torino -- Nota sulla determinazione dei raggi degli anelli IMICrOMEricI (CONUStellen, e e RR ASA) -— Sulla possibilità che il vulcano di Krakatoa possa avere proiet- tate materie fuori dell’atmosfera ........ ee » -—— Lavori dell’Osservatorio astronomico di Torino ......... e 241, 320, 431, 644, 750. D’Ovipio (Enrico) — Presentazione di due lavori manoscritti, uno del Dottor Corrado SEGRE, e l’altro dell'Ing. Gio. DE BERARDINIS ) -—— Relazione sulla Memoria del Dott. Corrado SEGRE, intitolata : Studio sulle quadriche in uno spazio lineare ad un numero qualunque ‘di “dimensioni! Si. SRO 10. RE RIRRRISRI, ANI —— Relazione sulla Memoria del Dott. Corrado Segre: Sulla geometria della retta e delle sue serie quadratiche .......... MIRO], MRI -— Relazione sulla Memoria del Dott. Gino Lorra che ha per titolo : Ricerche sulla geometria della sfera e loro applicazione allo studio ed alla classificazione delle superficie. ..... 134 ilangi 0 —— Presentazione di un lavoro manoscritto dell’Ing. Camiilo Guipi: Sugli archi elastici .......... ORE, DATA AVRO gota » 98 199 405 727 216 364 118 713 54 94 410 52 81 138 - N, E INDICE DEL VoL. XIX EmeRY (Carlo) — Un fosfeno elettrico spontaneo ... ../.......... Pag. FABRETTI (Ariodante) — Discorso per la commemorazione del primo centenario della R. Accademia delle scienze di Torino. ..... » —— Presentazione di alcuni oggetti mandati in dono all'Accademia CALLE UTAH ST eo RR ONESTA NINE » FeRRARIS (Galileo) — Comunicazione di una lettera dell'Avvocato EiliPROLCANTAMESSARA: obi ii tniibesai iti ie » Fusari (Romeo) — Sull’origine delle fibre nervose nello strato mole- colare delle circonvoluzioni cerebellari dell’unmo........... » GeNnoccHI (Angelo) — Presentazione di un opuscolo ilel Principe Box- comPagni che ha per titolo : Atti di nascita e di morte di Pietro Simone Marchese di Laplace ................ LOssi ea dara: » ra presontazione ditaleunitopuseoliti. uu 08, ptt e. » GuGLieLMO (Giovanni) — Intorno ad alcune modificazioni delle pompe pneumatiche a mercurio ............ SE EI RLII RIE ISRORNNE Dda Set » —— V. Naccari (Andrea). Guipi (Camillo) — Dell’azione del vento contro gli archi delle tettoie » Japanza (Nicodemo) — Sui sistemi diottrici composti ........ PT ERIAIT AI CCHITATI FIGOELIn. rete neo ine nnt te; = #Salla misura dilun arco di parallelo terrestre. ..........-..- » Lessona (Michele) — Eletto rappresentante dell’Accademia nel Con- siglio Amministrativo del Consorzio Universitario .......... » —— Presentazione di un lavoro manoscritto del Dott. L. CAMER4NO, intitolato: Ricerche intorno alla distribuzione dei colori nel Femocammale rc i SPRECO sed -—— Presenta uniavoro manoscritto del Dott. L. CAmeRANO, intitolato : Monografia deg!i anfibi urodeli italiani. ............. SE — Commemorazione di Giovanni Battista ERCOLANI....... PASTO), LETTERE di condoglianza per la morte dell'illustre Quintino SELLA. » Loria (Gino) — Intorno alla geometria su un complesso tetraedrale » Luvini (Giovanni) — Sullo stato sferoidale... ................... RCD. MaccUÙiaTI (L.) — Azioni che esercitano i sali di ferro sulle piante . » Manno (Antonio) — La prima pagina di storia della R. Accademia delle Scienze di Torino ......... PISTA, rt ANSE Mot MarttIROLO (Emilio) e Monaco (Ernesto) — Sulla composizione di un Diallagio proveniente dal distretto di Syssert(Monti Urali)... » 505 640 812 INDICE DEL VOL. XIX Monaco (Ernesto) — V. MattiRoto (Emilio). Monari (Adolfo) — Azione dell’ammoniaca sull’alcool etilico. ...... Pag. Monpino (C.) — Sulla struttura delle fibre nervose midollate peri- feriehie: n: 1%. vali leali i Lt IO Naccari (Andrea) e GueLiELMO (G.) — Sul riscaldamento degli elettrodi prodotto dalla scintilla d’induzione nell’aria molto rarefatta. . —— Sal riscaldamento degli elettrodi prodotto dalla scintilla elettrica NaccaRI (Andrea) — Relazione sulla Memoria del signor Dott. G. Vi- CENTINI, che ha per titolo : Sulla conducibilità elettrica delle soluzioni alcooliche di alcuni cloruri.... +............... ua — Presentazione di un lavoro manoscritto del sig. Angelo BATTELLI, avente per titolo: Sulle proprietà termo-elettriche delle leghe. Studio sperimentale .....:...,...-+0.0\000r0r edile delete — Relazione sulla Memoria del sig. Angelo BatTELLI, che ha per titolo: Sulle proprietà termo-elettriche delle leghe............. Novarese (Enrico) — Sulle accelerazioni nel moto di una figura piana nel proprio piano ..........00.00000 eeereecezice La Papova (Ernesto) — Sulla rotazione di un corpo di rivoluzione pesante che gira attorno ad un punto del suo asse di simmetria..... PAGLIANI (Stefano) e PaLazzo (Luigi) — Sulla compressibilità dei miscugli di alcool etilico ed acqua... .................. Sr PaLazzo (Luigi) e BartELLI (Angelo) — Intorno alla fusione dei mi- scugli di alcune sostanze non metalliche ............... LIST — V. PagLIANI (Stefano). ProLTI (Giuseppe) — Il porfido del vallone di Roburent ........... PisentI (Gaetano) — Sulla cicatrizzazione delie ferite del rene e sulla rigenerazione parziale di quest’organo.......... ....... “Aa PoLLoneRa (Carlo) — Monografia del genere Z'itrina............ la Presentazione di due lavori manoscritti, uno del sig Dott. Alessandro Portis, col titolo: Contribuzione alla Ornitolitologia italiana, e l’altro del Dott. Giuseppe VICENTINI, intitolato : Sulla con- ducibilità elettrica delle soluzioni alcooliche di alcuni cloruri. RoiTi (Antonio) — Determinazione della resistenza elettrica di un filo in misura ‘assoluta... .-e sine none RO TE 5 Roronpi (Ermenegildo) — Ricerche di chimica elettrolitica — Elettro- lisi dell’olio di anilina ......... di ceri ene ee i RARE): —— Ricerche chimiche sopra i saponi. .........0.00 000 : = 130 734 501 753 763 514 322 646 483 142 146 INDICE DEL VOL. XIX. Sacco (Federico) — Nuove specie fossili di molluschi lacustri e terrestri in Piemonte ..... -—— L'alta valle Padana durante l'epoca delle terrazze in rela- I zione col contemporaneo sollevamento della circostante catena Alpina-Appenninica ... SALVADORI (Tommaso) — Intorno al una specie di Falco nuova per la fauna italiana ...... —— Relazione sulla Memoria del Dott. L. CamERAanO, intitolata: Ri- cerche intorno alla distribuzione dei colori nel regno animale. ——. Relazione sulla Memoria del sig. Dott. Alessandro Portis, inli- tolata: Contribuzione all’Ornitolitologia italiana —— Relazione sulla Memoria del Dott. Prof. L. CAMERANO, intitolata : Monografia degli anfibi urodeli italiani ............. Segre Corrado) — Sulle geometrie metriche dei complessi lineari e delle sfere e sulle loro mutue analogie —— Approvazione della Memoria : Sul/a geometria della retta e delle sue serie quadratiche, nei volumi delle Memorie .. —— Sulle rigate razionali in uno spazio lineare qualunque... —— Ricerche sui fasci di coni quadrici in uno spazio lineare qua- unguento Siacci (Francesco) — Presentazione di un’opera stampata del signor EAGHAPELSETS tette —— Presentazione di un opuscolo del sig. E. NARDUCCI ..... —— Alcuni teoremi sulla resistenza incontrata da una superficie in moto dentro un fluido ........ ZE Tarbpy (Placido) — Relazioni tra le radici di alcune equazioni fonda- mentali determinanti..... RO 0000 FICA IO IO ORI DICI ONOR CON IO O OIORICIO ZaNnoTTI-BlaNco (Ottavio) — Sopra una vecchia e poco nota misura del semidiametro terrestre ............ ——* E3EDARR8 8 eee saune eil RISTetO Lot stalle ale lea Ge xs )} » » 813 247 + 04 9 ea ret avanti — {ad SE tacita ‘fina sushe aller . Mirano tr: ind lella La fond pesta” asc a i; arte oa i x oc DIM, ogrotatzal 3 L Ti da mae ron 42 se taip a; RA: i 1A pr citati ANOR 9 } AGRLE ‘tteniittea Tati rip nente si 1 alegi ad ultav dda (nissna 09900) 33) crvalb@à itato ria ev y 100sgitri rn È #0 e MENTRE, ] È î LA 4 ; #, x v LI { i, } d; I) % ‘ TA Li at TEL sa oe x FRA n 9,