ini IS ARAN / ea Vol. ZL 1885/86 ai Ù= SA GET R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI a VOLUME VIGESIMOPRIMO 1885-86 Classe di Seienze Fisiche, Matematiche e Naturali TORINO ERMANNO LOESCHER Libraio della R. Accademia delle Scienze 1885 SIA DELLE SpA < ECONOMATO — Bo è TORINO" CAVAGERIAO SCCI RITA i “I if LOMEA 0) È qu’ i i IA PUsO4e 180 LOD - RIE PROPRIETÀ LETTERARIA © . Di DE VARO ALIINOT: 07 e badi 97 MEA LITI DRG TIC war al. a ? 14 LI % i i ‘ Di n d Li : I È ARS cato» ablisotali abbiaili dssetit dn 3 Hu de 5 - È PI | A Lori ATTI R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE bISCORINO PUBBLICATI | DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XXI, Disp. 1° (Novembre-Dicembre 1885) Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali TORINO ERMANNO LOESCHER Libraio della R. Accademia delle Scienze ELENCO DEGLI ACCADEMICI RESIDENTI, NAZIONALI NON RESIDENTI, STRAMERI E CORRISPONDENTI Riina (886 i PRESIDENTE GexoccHi (Angelo), Professore di Calcolo infinitesimale nella R. Università di Torino. Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio nazionale della Reale Accademia dei Lincei, Comm. £, Uffiz. e; &. VICE - PRESIDENTE FaBrETTI (Ariodante), Professore di Archeologia greco-romana o nella Regia Università, Direttore del Museo di Antichità, Socio cor- > rispondente dell’ Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e è Belle Lettere), Socio nazionale della Reale Accademia dei Lincei, è» Membro corrispondente» del R. Istituto Lombardo di Scienze e Let- n° tere, del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, dell’Ac- % cademia di Archeologia, Letteratura e Belle Arti di Napoli, Ce della R. Accademia della Crusca, dell’Accademia Lucchese di È Scienze , Lettere ed Arti, e dell’Imp. Istituto Archeologico Ger- + manico, Professore Onorario dell’Università di Perugia, Presidente della Società di Archeologia e Belle Arti per la Provincia di Torino, Uffiz. +, Comm. &; &, Cav. della Leg. d’O. di Francia, è C. 0. R. del Brasile. TESORIERE 167 19 — Manxvo (Barone D. Antonio), Membro e Segretario della Regia < Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Uffiz. +, e Comm. ®, 4 ELENCO DEGLI ACCADEMICI CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Direttore Cossa (Alfonso), Dottore in Medicina, Professore di Chimica docimastica nella R. Scuola d’Applicazione degli Ingegneri in ‘Torino, e di Chimica minerale presso il R. Museo Industriale Italiano, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Corrispondente del R. Isti- tuto Lombardo di Scienze e Lettere, del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, dell’Accademia delle Scienze dell’ Isti- tuto di Bologna, dell’ Istituto d’Incoraggiamento alle Scienze naturali di Napoli, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino e dell’Accademia Gioenia di Catania, Comm. &, ©, e dell'O. d’I. Catt. di Sp. Segretario Perpetuo SoBRERO (Ascanio), Dottore in Medicina ed in Chirurgia, Professore emerito di Chimica docimastica nella Scuola d’Applica- zione per gli Ingegneri in Torino, Membro del Collegio di Scienze fisiche e matematiche della Regia Università, Presidente della Reale Accademia di Agricoltura di Torino, Corrispondente del- l'Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, dell'Ateneo di Venezia, dell'Ateneo di Brescia, della Società di Agricoltura, Storia naturale ed Arti utili di Lione, della Società di Farmacia di Parigi, Socio onorario della Società degl’ Ingegneri ed Iln- dustriali di Torino, ecc., Comm. &;#, Uffiz. e. ELENCO DEGLI ACCADEMICI 5 Accademici residenti. SoBRERO (Ascanio), predetto. GeNoccHI (Angelo), predetto. Lessona (Michele), Dottore in Medicina e Chirurgia, Professore e Direttore de’ Musei di Zoologia, Anatomia e Fisiologia comparata della R. Università di Torino, Socio delle RR. Accademie di Agricoltura e di Medicina di Torino, Comm. £, e &. Dorxa (Alessandro), Professore d’Astronomia nella R. Univer- sità e di Meccanica razionale nella R. Militare Accademia di Torino, Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Let- tere, della R. Accademia dei Lincei, Direttore del R. Osserva- torio astronomico di Torino, &, Uffiz. @. SaLvapoRri (Conte Tommaso), Dottore in Medicina e Chirurgia, Vice-Direttore del Museo Zoologico della R. Università di Torino, Professore di Storia naturale nel R. Liceo Cavour di Torino, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino, della Società Italiana di Scienze Naturali, dell’Accademia Gioenia di Catania, Membro corrispondente della Società Zoologica di Londra, dell’Ac- cademia delle Scienze di Nuova-York, della Società dei Natu- ralisti in Modena, della Società Reale delle Scienze di Liegi, e della Reale Società delle Scienze Naturali delle Indie Neerlandesi, Socio straniero della British Ornithological Union, Socio stra- niero onorario del Nuttal! Ornithological Club, Socio straniero dell'American Ornithologists Union, e Membro onorario della Società Ornitologica di Vienna, @, Cav. dell'O. di S. Giacomo del merito scientifico, letterario ed artistico (Portogallo). Cossa (Alfonso), predetto. Bruno (Giuseppe), Dottore aggregato alla Facoltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali, e Professore di Geometria de- scrittiva nella R. Università di Torino, *. 6 ELENCO DEGLI ACCADEMICI BERRUTI (Giacinto), Direttore del R. Museo Industriale Italiano, e dell’Officina governativa delle Carte-Valori. Comm. &, ®, dell'O. di Francesco Gius. d'Austria, della L. d'O. di Francia, e della Repubblica di S. Marino. CuRIONI (Giovanni), Professore di Costruzioni e Vice-Direttore della R. Scuola d'Applicazione degli Ingegneri, Dottore aggregato alla Facoltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Uni- versità di Torino, Socio della R. Accademia di Agricoltura di To- rino, Socio corrispondente della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Lucca, Socio corrispondente della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Palermo, Comm. &, e Gr. Uffiz. @. Siacci (Francesco), Maggiore nell’Arma d’Artiglieria, Profes- sore di Meccanica superiore nella R. Università di Torino, e di Matematiche applicate nella Scuola d’Applicazione delle Armi di Artiglieria e Genio, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio corrispondente della R. Accademia dei Lincei, del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, e dell’Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna, &, Uffiz. a. BeLLARDI (Luigi), Corrispondente estero della Società geologica di Londra e Socio di parecchi Istituti Scientifici nazionali ed esteri. Basso (Giuseppe), Dottore aggregato alla Facoltà di Scienze fisiche e matematiche, Prof. di Fisica matematica nella R. Uni- versità di Torino, &. D’Ovipio (Dott. Enrico), Professore ordinario d’Algebra e Geometria analitica , incaricato di Geometria superiore , Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze. Socio corrispon- dente della R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia delle Scienze di Napoli, del R. Istituto Lombardo di Scienze e Let- tere, Socio dell’Accademia Pontaniana, ecc., 4, Comm. a. Bizzozero (Giulio), Professore e Direttore del Laboratorio di Patologia generale, e Rettore della R. Università di Torino. Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, delle RR. Accademie di Medicina e di Agricoltura di 'l'orino, Socio corrispondente del Regio Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, ecc.. &, @. ELENCO DEGLI ACCADEMICI 7 FeRRARIS (Galileo), Ingegnere, Dottore aggregato alla Facoltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Università di Torino, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino, Profes- sore di Fisica tecnica nel R. Museo Industriale Italiano, e di Fisica nella R. Scuola di Guerra, Uffiz. & ; @, Comm. dell'O. di Franc. Gius. d’Austria. Naccari (Andrea), Dottore in Matematica, Socio corrispondente dell'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Professore di Fisica sperimentale nella R. Università di Torino, @. Mosso (Angelo), Dottore in Medicina e Chirurgia, Professore di Fisiologia nella R. Università di Torino, Membro del Consiglio Superiore dell’ Istruzione Pubblica, Socio nazionale della R. Ac- cademia de’ Lincei. della R. Accademia di Medicina di Torino, e Socio corrispondente del KR. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, e del R. Istituto Veneto di Scienze. Lettere ed Arti, 4, @. SPEZIA (Giorgio), Ingegnere, Professore di Mineralogia, e Di- rettore del Museo mineralogico della R. Università di Torino, @. GigeLLI (Giuseppe), Dottore in Medicina e Chirurgia, Pro- fessore di Botanica e Direttore dell'Orto botanico della R. Uni- versità di Torino, @. Accademici Nazionali non residenti S. E. MENABREA (Conte Luigi Federigo), Marchese di Val Dora, Senatore del Regno, Professore emerito di Costruzioni nella Regia Università di Torino, Luogotenente Generale, Ambasciatore di S. M. a Parigi, Primo Aiutante di campo Generale Onorario di S. M.. Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio nazionale della Reale Accademia dei Lincei, Membro Onorario del Regio Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, ecc. ; C. 0. S. SS. N., Gr. Cord. e Cons. £, Cav. e Cons. &, Gr. Cr. 8. @, dec. della Med. d’oro al Valor Militare e della Medaglia d’oro Mauriziana, Gr. Cr. dell'O. Supr. del 8 ELENCO DEGLI ACCADEMICI Serafino di Svezia, dell'O. di Sant'Alessandro Newski di Russia, di Dannebrog di Danim., Gr. Cr. dell'O. di Torre e Spada di Portogallo, dell'O. del Leone Neerlandese, di Leop. del Belg. (Categ. Militare), della Probità di Sassonia, della Corona di Wurtemberg, e di Carlo III di Sp., Gr. Cr. dell'O. di S. Stefano d'Ungheria, dell'O. di Leopoldo d’Austria, di quelli della Fedeltà e del Leone di Zéòhringen di Baden, Gr. Cr. dell’Ord. del Salvatore di Grecia, G. Cr. dell'Ordine di S. Marino, Gr. Cr. degli Ordini del Nisham Ahid e del Nisham JIftigar di Tunisi, Comm. dell’ Ordine della Leg. d'On. di Francia, di Cristo di Portogallo, del Merito di Sassonia, di S. Giuseppe di Toscana, Dottore in Leggi, hRomoris causa, delle Università di Cambridge e di Oxford, ecc. ecc. BrioscHI (Francesco), Senatore del Regno, Prof. d’ Idraulica, e Direttore del R. Istituto tecnico superiore di Milano, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Corrispondente dell’ Istituto di Francia (Accademia delle Scienze, Sezione di Geometria), e delle Reali Accademie delle Scienze di Berlino, di Gottinga, ecc., Pre- sidente della R. Accademia dei Lincei, Membro delle Società Mate- matiche di Londra e di Parigi, del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, della Reale Accademia delle Scienze di Napoli, del- l'Accademia delle Scienze di Bologna, ecc., Gr. Uffiz. £&, &; &, Comm. dell’O. di Cr. di Port. Govi (Gilberto), Professore di Fisica sperimentale nella R. Uni- versità di Napoli, Membro del Comitato internazionale dei Pesi e delle Misure, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, della R. Acca- demia delle Scienze e dell’Accademia Pontaniana di Napoli, della R. Accademia d’Agricoltura di Torino, Uftiz. 4; #£, Comm. &, e della L. d'O. di Francia. MoLescHort (Jacopo), Senatore del Regno, Membro del Con- siglio Superiore dell’ Istruzione Pubblica, Professore di Fisio- logia nella R. Università di Roma, Professore Onorario della Fa- coltà Medico-Chirurgica della R. Università di Torino, Socio della R. Accademia di Medicina di Torino, Socio corrispondente delle ELENCO DEGLI ACCADEMICI 9 Società per le Scienze mediche e naturali a Hoorn, Utrecht, Am- sterdam, Batavia, Magonza, Lipsia, Cherbourg, degli Istituti di Milano, Modena, Venezia, Bologna, delle Accademie Medico- Chirurgiche in Ferrara e Perugia, Socio Onorario della Medi- corum Societas Bohemicorum a Praga, della Societe medicale allemande a Parigi, della Società dei Naturalisti in Modena, dell’Accademia Fisio-medico-statistica di Milano, della Patho- logical Society di S. Louis, della Sociedad antropolojica Espafiola a Madrid, Socio dell'Accademia Veterinaria Italiana, del Comi- tato Medico-Veterinario Toscano, della Societe Royale des Sciences Medicales et Naturelles de Bruxelles, Socio straniero della So- cietà Olandese delle Scienze a Harlem, e della R. Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti del Belgio, dell’Academia Caesarea Leopoldino-Carolina Germanica Naturae Curiosorum, Socio fondatore della Società Italiana d’Antropologia e di Etnologia in Firenze, Membro ordinario dell’Accademia Medica di Roma, Comm. # e Grand. Uffiz. @, Comm. dell'Ordine di Casa Meck- lenburg, e Cav. del Leone Neerlandese. 7 CANNIZZARO (Stanislao), Senatore del Regno, Professore di Chimica generale nella R. Università di Roma, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, Comm. *, Uffiz. @; ©. BertI (Enrico), Professore di Fisica matematica nella R. Uni versità di Pisa, Direttore della Scuola Normale Superiore, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, Comm. &, Gr. Uftiz. @; &. ScaccHI (Arcangelo). Senatore del Regno, Professore. di Mine- ralogia nella R. Università di Napoli, Presidente della Società Ita- liana delle Scienze detta dei XL, Presidente del Reale Istituto di Incoraggiamento alle Scienze naturali di Napoli, Segretario della R. Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, Comm. «, Gr. Uffiz. ©; #. Barrapa pI S. RogeRT (Conte Paolo), Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, 10 ELENCO DEGLI ACCADEMICI SCHIAPARELLI (Giovanni), Direttore del R. Osservatorio astrono- mico di Milano, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, della R. Ac- cademia dei Lincei, dell’Accademia Reale di Napoli e dell'Istituto di Bologna, Socio corrispondente dell'Istituto di Francia (Accademia delle Scienze, Sezione di Astronomia), delle Accademie di Monaco, di Vienna, di Berlino, di Pietroborgo, di Stockolma, di Upsala, della Società de’ Naturalisti di Mosca, e della Società Astrono- mica di Londra. Comm. &:@. «, Comm. dell'O. di S. Stanislao di Russia. Accademici Stranieri HeLmHoLTz (Ermanno Luigi Ferdinando), Professore nella Uni- versità di Berlino, Socio corrispondente dell'Istituto di Francia (Accademia delle Scienze, Sezione di Fisica generale). DANA (Giacomo). Professore di Storia naturale a New-Haven, Socio corrispondente dell’ Istituto di Francia (Accademia delle Scienze, Sezione di Anatomia e Zoologia). Hormann (Guglielmo Augusto), Prof. di Chimica, Membro della R Accademia delle Scienze di Berlino, della Società Reale di Londra, Socio corrispondente dell’ Istituto di Francia (Accademia delle Scienze, Sezione di Chimica). CHEVREUL (Michele Eugenio), Membro dell'Istituto di Francia, Gr. C. della L. d’O. di Francia, ecc. HermitE (Carlo), Membro dell'Istituto di Francia, Uftiz. della L. d'0. di Francia, ecc. JouLE (James PrEscort), della Società Reale di Londra. WEIERrsTRASSs (Carlo), Professore di Matematica nell'Università di Berlino. THomsox (Guglielmo), Associe etranger dell'Istituto di Francia, Professore di Filosofia naturale nell’ Università di Glasgow. GEGENBAUR (Carlo), della R. Accademia Bavarese delle Scienze, Professore di Anatomia nell’ Università di Heidelberg. ELENCO DEGLI ACCADEMICI CORRISPONDENTI SEZIONE 11 DI MATEMATICA PURA E ASTRONOMIA De Gasparis (Annibale), Professore d’Astro- nomia nella R. Università di 29 TaRDY (Placido), Professore emerito della Regia Università di Ta i da te" AE Boxcompaex1 (D. Baldassarre), dei Principi di Piombino x ga ch dl Bdteravrali | CrEMONA (Luigi), Professore di Matematiche superiori nella R. Università di POI Cantor (Maurizio), Professore di Matematica nell’ Università di . ScHwarz (Ermanno A.), matica nell’ Università di . > i brk KLEIN (Felice), Professore di Matematica nel- l’Università di . Professore di Mate- FERGOLA (Emanuele), Professore di Analisi su- periore nella R. Università di . MO BeLTRAMI (Eugenio), Professore di Fisica ma- tematica e di Meccanica superiore nella R. Uni- versità di SM Sa MON ppi 20 CTTR IT CASORATI (Felice), Professore di Calcolo infinite- simale e di Analisi superiore nella R. Università di Dini (Ulisse), nella R. Università di Modell); TaccHINI (Pietro), Direttore dell’ Osservatorio del Collegio Romano . ni Professore di Analisi superiore Napoli (renova Roma Roma Heidelberg Gottinga Lipsia Napoli Pavia Pavia Pisa Roma 12 ELENCO DEGLI ACCADEMICI BATTAGLINI (Giuseppe), Professore nella R. Uni- EA gi e e n CataLaN (Eugenio), Professore emerito della Uereratà di RITRATTA SEZIONE DI MATEMATICA APPLICATA E SCIENZA DELL'INGEGNERE CIVILE E MILITARE CoLLapon (Daniele), Professore di Meccanica . Ginevra LiacRE (J. B.), Segretario Perpetuo della R. Ac- cademia delle Scienze del Belgio; alla Scuola mili- tare, "da 'Na''Cambre --. <. . .. -. ;. -. -. . Ivelles{bho Turazza (Domenico), Professore di Meccanica razionale nella R. Università di . . . . . Padova Narpucci (Enrico), Bibliotecario della Biblioteca Allessandena “de ap eta, ME ATEI PisatI (Giuseppe), Professore di Fisica tecnica nella Scuola d’Applicazione per gl’Ingegneri in . . Roma SANG (Edoardo), Socio e Segretario della Società di Scienze ed Arti di . . . . +. + Edimborgo CLausIus (Rodolfo), Professore nell’Wniversità di Bonn FasELLA (Felice), Direttore della Scuola navale Superiore "di +64 rtugrà i pueetioni to |a SEZIONE DI FISICA GENERALE E SPERIMENTALE WEBER (Guglielmo), della Società Reale delle Scienzerdi\. il) Gieazia Nalin duciigio citate Gana FECHNER (Gustavo Teodoro) . . . . . Lipsia WARTMANN (Elia), Prof. nell'Università di . Ginevra BLASERNA (Pietro), Professore di Fisica speri- mentale nella R, Università di . . . . . . Roma ELENCO DEGLI ACCADEMICI KonLrauscH (Federico), Professore nell’ Uni- versità di Sanita Jamin (Giulio Celestino), dell'Istituto di Francia Cornu (Maria Alfredo), dell’ Istituto di Francia FeLIcI (Riccardo), Professore di Fisica speri- mentale nella R. Università di . HAM, VILLARI (Emilio), Professore nella R. Uni- versità di Rorri (Antonio), studi superiori pratici e di perfezionamento di WIEDEMANN (Gustavo), Prof. nella Università di RiGnI (Augusto), Professore di Fisica speri- Professore nell’ Istituto di mentale nella R. Università di salle KircHHorr (Gustavo Roberto), Professore nel- l’Università di . SEZIONE Wiirtzburg Parigi Parigi Pisa Bologna Firenze Lipsia Padova Berlino DI CHIMICA GENERALE ED APPLICATA BoNJEAN (Giuseppe) METRIOR AO: PLanTAMOUR (Filippo), Professore di Chimica . WixL (Enrico), Professore di Chimica . BuxsEN (Roberto Guglielmo). Professore di Chimica . iero sieve MarIGNAC (Giovanni Carlo), Professore di Chimica PeLicor (Eugenio Melchiorre), dell’ Istituto di Francia . rai: Chivito nai BertHELOT (Marcellino); dell'Istituto di Francia PatERNÒ (Emanuele), Professore di Chimica nella R. Università di «Rie BEE KéòrNER (Guglielmo), Professore di Chimica or- ganica nella R. Scuola superiore d’'Agricoltura in FrIEDEL (Carlo), dell'Istituto di Francia Chambéry Ginevra (Griessen Heidelberg Ginevra Parigi Parigi Palermo Milano Parigi 14 ELENCO DEGLI ACCADEMICI FrEsENIUS (Carlo Remigio), Professore a Stas (Giov. Servais), della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti del Belgio BaEYER (Adolfo von) KekuLE (Augusto), Professore di Chimica nel- l’ Università di WILLIAMSON (Alessandro coi da Reale Società di THowmseNn (Giulio), l’ Università di . Professore di Chimica nel- SEZIONE Wiesbaden Brusselle Monaco (Baviera) Bonn Londra Copenaghen DI MINERALOGIA, GEOLOGIA E PALEONTOLOGIA MENEGHINI (Giuseppe), Professore di Geo- logia, ecc. nella R. Università di ; StUDER (Bernardo), Professore di Geologia . KoxInk (Lorenzo Guglielmo di ) . DE Ziexo (Achille), Uno dei XL della Società italiana delle Scienze . i FavRE (Alfonso), Professore di RR KoxscHaRow (Nicola di), periale delle Scienze di . SA ale Ramsay (Andrea), della Società Reale di . StRiveR (Giovanni), Professore di Mineralogia nella R. Università di RoseNnBUScH (Enrico), Professore di ai nell'Università di . raf era NoRrpENSKIOLD (Adolfo nano): della R. Acca- demia delle Scienze -di | DauBREE (Gabriele Ad” dell'Istituto di Direttore della Scuola Nazionale delle dell’Accademia Im- Francia , Miniere . Pisa Berna Liegi Padova Finevra Pietroborgo Londra Roma Strasborgo Stoccolma Parigi ELENCO DEGLI ACCADEMICI ZirkxEL (Ferdinando), Professore di Petro- n uNa gi 0 Des CLoIzEAUX (Alfredo Luigi Oliviero LEGRAND), dell'Istituto di Francia NOTO E CAPELLINI (Giovanni), Professore nella R. Uni- E OE Rio de, alfa StoPPANI (Antonio), Professore nell’ Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento in TscHERMAK (Gustavo), Professore di Minera- logia e Petrografia nell’ Università di . ARZRUNI (Andrea), Professore di Mineralogia nell'Istituto tecnico superiore (tecnische Hochschule) MaLLarD (Ernesto), Professore di Mineralogia alla Scuola nazionale delle Miniere di Francia SEZIONE Lipsia Parigi Bologna Firenze Vienna Aachen | (Aix-la-Chapelle) Parigi DI BOTANICA E FISIOLOGIA VEGETALE TREVISAN DE Sarnt-Léoxn (Conte Vittore). Cor- rispondente del R. Istituto Lombardo CanpoLLE (Alfonso DE), Professore di Botanica . GENNARI (Patrizio), Professore di Botanica nella R. Università di TULASNE (Luigi Renato), dell'Istituto di Francia CARUEL (Teodoro), Professore di Botanica nel- l’Istituto di studi superiori pratici e di perfezio- namento in . SOLITARI EE SIOE Farei ARDISSONE (Francesco), Professore di Botanica nella R. Scuola Superiore d’Agricoltura in ‘. SAccaRDO (Andrea), Professore di Botanica de tniversità i. rosone, HookER (Giuseppe DaLron ), Direttore del Biardino” Heglo "di Mw FEE ana Milano Ginevra Cagliari Parigi Firenze Milano Padova Londra 16 ELENCO DEGLI ACCADEMICI SEZIONE DI ZOOLOGIA, ANATOMIA E FISIOLOGIA COMPARATA DE SeLys LonecHAamPs (Edmondo). . . . Ziege BurmEISTER (Ermanno), Direttore del Museo pubblico:.di 0 facto eri tà dute, BI Pritippi (Rodolfo Armando) . . . . . Santiago (Chilì) DE CigaLLa (Conte Giuseppe), Protomedico onorario, nell’isola di se aa Owen (Riccardo), Direttore delle Collezioni di Storia naturale al British Museum . . . Londra KoELLIKER (Alberto), Professore di Anatomia e Fisiologia . rst . Wiirteburg De-SieBoLp (Carlo Teodoro). Professore di Zoologia e Anatomia comparata nell'Università di . Monaco (Baviera) GoLGI (Camillo). Professore di Istologia, ecc. nella SR, WniyersibS dh 2 0. 0.8 0 (0 , RO HaEckEL (Ernesto), Professore nell'Università de let ScLaTtER (Filippo LurtLEY), Segretario della Società. Zoologica, di. . ...-0.° riu. i ga OA Fatio (Vittore), della Società di Fisica e Storia nalprale dle nre e rata ai KowaLEWSKI (Alessandro), Professore di Zoo- lora. nell'Università. di .. LL, ea Lupwie (Carlo), Professore di Fisiologia nel- igerdtà di: ale n el Me BrickE (Ernesto), Professore di Fisiologia e Anatomia nell'Università di . . . . . . . Vienna ELENCO DEGLI ACCADEMICI 17 CLASSE SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Direttore PeyRon (Bernardino), Professore di Lettere, Bibliotecario Onorario della Biblioteca Nazionale di Torino, Comm. +. Segretario Perpetuo GoRRESIO (Gaspare), Senatore del Regno, Prefetto della Biblio- teca Nazionale, già Professore di Letteratura orientale nella k. Università di Torino, Membro dell’ Istituto di Francia, Socio nazionale della I. Accademia de’ Lincei, Socio corrispondente della Reale Accademia della Crusca, e della R. Accademia di Scienze e Lettere di Palermo, ecc., Membro Onorario della Reale Società Asiatica di Londra, Vice-Presidente della Società di Archeologia e Belle Arti per la Provincia di Torino, Comm. &, Gr. Uffiz. ©; &, Comm. dell'O. di Guadal. del Mess., e dell'O. della Rosa del Brasile, Uffiz. della L. d’O. di Francia, ecc. Accademici residenti GoRRESIO (Gaspare), predetto. FaBRrETTI (Ariodante), predetto. PeYRON (Bernardino), predetto. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXI, to 18 ELENCO DEGLI ACCADEMICI VALLAURI (Tommaso), Senatore del Regno, Professore di Letteratura latina nella R. Università di Torino, Membro del Consiglio Superiore dell'Istruzione pubblica, Membro della R. De- putazione sovra gli studi di Storia patria, Socio corrispondente della R. Accademia della Crusca, del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, e dell’Accademia Romana di Archeo- logia, Comm. &, e @, Cav. dell’ Ordine di S. Gregorio Magno. FLECHIA (Giovanni). Professore di Storia comparata delle lingue classiche e neolatine e di Sanscrito nella R. Università di Torino, Socio nazionale della R. Accademia de’ Lincei. Uffiz. *, Comm. ®; &. CLARETTA (Barone Gaudenzio), Dottore in Leggi, Socio e Segre- tario della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Membro della Società di Archeologia e Belle Arti e della Giunta conserva- trice dei monumenti d'Antichità e Belle Arti per la Provincia di Torino, Comm. £ e a. BiancHI (Nicomede), Senatore del Regno, Soprantendente degli Archivi Piemontesi, Membro della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria delle Antiche Provincie e della Lombardia, Membro corrispondente delle Deputazioni di Storia patria delle Provincie Modenesi. delle Provincie della Toscana, dell’ Umbria e delle Marche, Membro Onorario della Società storica Svizzera, della R. Accademia Palermitana di Scienze e Lettere, della Società Ligure di Storia patria, della R. Accademia Petrarca di Scienze, Lettere ed Arti in Arezzo, dell’Accademia Urbinate di Scienze, Lettere ed Arti, del R. Ateneo di Bergamo, e della Regia Acca- demia Paloritana di Messina, Gr. Uffiz. &, Comm. a; &, e Gr. Uffiz. dell’O. di S. Mar. PromIs (Vincenzo), Dottore in Leggi, Bibliotecario e Conserva- tore del Medagliere di S. M., Membro della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria, R. Ispettore dei monumenti, Membro e Segretario della Società d’Archeologia e Belle Arti di Torino, *, Comm. &, Gr. Uffiz. dell'O. di Francesco Giuseppe d'Austria, Comm. dell'O. di S. Michele di Baviera e della Corona di Rumenia. ELENCO DEGLI ACCADEMICI 19 Rossi (Francesco), Adiutore al Museo d’Antichità, Professore d’Egittologia nella R. Università di Torino, Membro ordinario dell’Accademia orientale di Firenze, @. Manxo (Barone D. Antonio), predetto. BoLLATI pI SAINT-PIERRE (Barone Federigo Emanuele), Dot- tore in Leggi. Direttore dell'Archivio di Stato, detto Camerale, Consigliere d'Amministrazione presso il R. Economato generale delle Antiche Provincie, Membro della R. Deputazione sopra gli studi di Storia patria per le Antiche Provincie e la Lombardia, Socio corrispondente della Società Ligure di Storia Patria, della Società Colombaria Fiorentina, della R. Deputazione di Storia patria per le Provincie della Romagna, e della Società per la Storia di Sicilia, Uffiz. £. @. SCHIAPARELLI (Luigi), Dottore aggregato. Professore di Storia antica, Direttore della Scuola di Magistero e Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia nella R. Università di Torino, Uffiz. %, Comm. a. Pezzi (Domenico), Dottore aggregato e Professore straordi- nario nella Facoltà di Lettere e Filosofia della R. Università di Torino, a. FERRERO (Ermanno), Dottore in Giurisprudenza, Dottore ag- gregato alla Facoltà di Lettere e Filosofia nella R. Università di Torino, Professore nell'Accademia Militare, Membro della Regia Deputazione sovra gli studi di Storia patria per le Antiche Pro- vincie e la Lombardia, e della Società d’Archeologia e Belle Arti per la Provincia di Torino, Membro corrispondente della R. De- putazione di Storia patria per le Provincie di Romagna, e del- l’Imp. Instituto Archeologico Germanico, fregiato della Medaglia del merito civile di 1* cl. della Rep. di S. Marino, @. CarLE (Giuseppe), Dottore aggregato alla Facoltà di Leggi, Professore della Filosofia del Diritto nella R. Università di Torino, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, Comm. . NANI (Cesare), Dottore aggregato alla Facoltà di Giurispru- denza, Professore di Storia del Diritto nella R. Università di Torino, Membro della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria, @. 20 ELENCO DEGLI ACCADEMICI Berti (Domenico), Deputato al Parlamento nazionale, Pro- fessore emerito delle R. Università di Torino, Bologna e di Roma, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, Socio corrispon- dente della R. Accademia della Crusca e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Gr. Uffiz. &, Gr. Cord. &; £, Gr. Cord. della Legion d'O. di Francia, e dell'Ordine di Leo- poldo del Belgio. Accademici Nazionali non residenti CarUTTI DI CAnTOGNO (Barone Domenico), Consigliere di Stato, Presidente della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Socio e Segretario della R.. Accademia dei Lincei, Socio straniero della R. Accademia delle Scienze Neerlandese, Socio corrispondente della R. Accademia delle Scienze di Monaco in Baviera, della R. Accademia Lucchese, del R. Istituto Veneto, della Ponta- niana di Napoli, Socio onorario della R. Società Romana di Storia patria, dell’Ateneo di Scienze, Lettere ed Arti di Ber- gamo, ecc., Membro del Consiglio degli Archivi, Gr. Uftiz. &, Comm. @, Cav. e Cons. &. Gr. Cord. dell'O. del Leone Neer- landese e dell'O. d’Is. la Catt. di Sp. e di S. Mar., Gr. Uffiz. dell'O. di Leop. del B., dell'O. del Sole e del Leone di Persia, e del Mejidié di 2° cl. di Turchia, Gr. Comm. dell’ Ord. del Salv. di Gr., ecc. AMARI (Michele), Senatore del Regno, Professore emerito del- l’ Università di Palermo e del R. Istituto di studi superiori di Fi- renze; Dottore in Filosofia e Lettere delle Università di Leida e di Tubinga; Socio nazionale della Reale Accademia dei Linceiin Roma, Socio ordinario delle RR. Accademie delle Scienze in Monaco di Baviera e in Copenhagen; Socio straniero dell'Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), Socio corrispondente dell’Accademia delle Scienze in Palermo, della Crusca, dell’ Isti- tuto Veneto, della Società Colombaria in Firenze, della R. Acca- demia d’Archeologia in Napoli, delle Accademie di Scienze, Lettere ELENCO DEGLI ACCADEMICI 21 ed Arti in Lucca e in Modena, della R. Deputazione di Storia patria per le Provincie Parmensi, di quella per le Provincie To- scane, dell'Umbria e delle Marche, delle Accademie Imperiali di Pietroborgo e di Vienna, dell'Ateneo Veneto, dell'Ateneo orientale in Parigi e dell'Istituto Egiziano in Alessandria; Socio onorario della i. Società Asiatica di Londra, della Società orientale di Germania, della Società geografica italiana, delle Accademie di Padova e di Gottinga; Presidente onorario della Società Siciliana di Storia patria. Socio della Romana, Socio onorario della Li- gure, della Veneta e della Società storica di Utrecht; Gr. Uffiz. #, e Gr. Croce @, Cav. e Cons. $, Cav. dell’Ord. Bra- siliano della Rosa e dell'Ordine pour le méerite di Prussia. Reymonp (Gian Giacomo). già Professore di Economia politica nella R. Università di Torino, +. Ricci (Marchese Matteo), Socio residente della Reale Acca- demia della Crusca, Uftiz. +. Minervini (Giulio), Bibliotecario e Professore Onorario della Regia Università di Napoli, Segretario generale perpetuo dell’Ac- cademia Pontaniana, Socio ordinario della Società R. di Napoli, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, della Commis- sione dei Testi di Lingua, Corrispondente dell'Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), della R. Accademia delle Scienze di Berlino, ecc. , Uftiz. #, e Comm. a, Cav. della L. d'0. di Francia, dell’Aquila Rossa di Prussia, di S. Michele del Merito di Baviera, ecc. De Rossi (Comm. Giovanni Battista), Socio straniero del- l’Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), e della R. Accademia delle Scienze di Berlino e di altre Accademie, Presidente della Pontificia Accademia Romana d'’Archeologia. Canoxico (Tancredi), Senatore del Regno, Professore, Con- sigliere della Corte. di Cassazione di Roma e del Consiglio del Contenzioso diplomatico, Uftiz. &, e Gr. Uftiz. @. Cantù (Cesare), Membro effettivo del R. Istituto Lombardo, Direttore dell'Archivio di Stato di Milano, e Soprantendente degli 22 ELENCO DEGLI ACCADEMICI Archivi Lombardi, Socio delle Accademie della Crusca, dei Lincei, di Madrid, di Bruxelles, ecc.; Corrispondente dell'Istituto di Fran- cia e d'altri, Gr. Uffiz. & e Comm. &, Cav. e Cons. &, Comm. dell'O. di C. di Port., Gr. Uffiz. dell'O. della Guadalupa, ecc., Officiale della Pubblica Istruzione e della L. d'O. di Francia, ecc. Tosti (D. Luigi), Abate Benedettino Cassinese, Socio ordinario della Società Reale delle Scienze di Napoli, Soprantendente ge- nerale dei monumenti sacri del Regno d’Italia, Vice-Archivista della S. Sede. Accademici Stranieri MoxmseNn (Teodoro), Professore di Archeologia nella Regia Università e Membro della R. Accademia delle Scienze di Berlino , Socio corrispondente dell'Istituto di Francia (Accademia delle Iscri- zioni e Belle Lettere). MiLLeR (Massimiliano), Professore di Letteratura straniera nell’ Università di Oxford. Socio straniero dell'Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere). Bancrort (Giorgio) , Corrispondente dell'Istituto di Francia (Accademia delle Scienze morali e politiche). De WIrte (Barone Giovanni Giuseppe Antonio Maria), Membro dell'Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere). Gregorovius (Ferdinando), Membro della R. Accademia Ba- varese delle Scienze in Monaco. RankE (Leopoldo), Membro della R. Accademia delle Scienze di Berlino, e Membro straniero dell’ Istituto di Francia (Acca- demia delle Scienze morali e politiche). Meyer (Paolo), Professore delle lingue e letterature del- l’ Europa meridionale nel Collegio di Francia, Direttore dell’ Ecole des Chartes, Cav. della L. d'0. di Francia. ReumonT (Alfredo von), Ministro plenipotenziario , Consigliere di S. M. Prussiana. ELENCO DEGLI ACCADEMICI CORRISPONDENTI I. — SCIENZE FILOSOFICHE. JourpAIN (Carlo) dell’ Istituto di Francia ReNnpU (Eugenio) Si TL e | BonatELLI (Francesco). Professore di Filosofia teoretica nella R. Università di N; FeRRI (Luigi), Professore di Filosofia teoretica nella R. Università di Parigi Parigi Padova Roma II. — SCIENZE GIURIDICHE E SOCIALI. LampertIco (Fedele), Senatore del Regno SERAFINI (Filippo), Professore di Diritto romano nella R. Università di SerRpA PimenteL (Antonio di) . RoprIiGuEZ DE BERLANGA (Manuel) III. — SCIENZE STORICHE. MicHeL (Francesco) Krone (Giulio) + bagni: SancuIiNnETTI (Abate Angelo), della R. Depu- tazione sovra gli studi di Storia patria CHAMPOLLION-FIGEAC (Amato) A ADRIANI (P. Giambattista), della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria Roma Pisa Madrid Malaga Bordeaux Vienna Genova Parigi Cherasco 24 ELENCO DEGLI ACCADEMICI e DaGguer*(Alessandro) mt ptt Na 4 -} PERRENS (Francesco) . SOT TRE Campori (Marchese Giuseppe), Presidente della R. Accademia di Scienze, Lettere, Arti in HAULLEVILLE (Prospero DE) . ViLLarI (Pasquale), Professore nell’ Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento in GieseBRECHT (Guglielmo), dell’Accademia ba- varese delle Scienze in via VR ARE DE LEVA (Giuseppe), Professore di Storia mo- derna nella R. Università di ga SYBEL (Enrico Carlo Ludolfo von)., Direttore dell'Archivio di Stato in e, CET, WaLLON (Alessandro), Segretario perpetuo del- l’Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e LI e) DA SITI e eo TainE (Ippolito), dell’ Istituto di Francia RianT (Conte Paolo), dell'Istituto di Francia IV. — ARCHEOLOGIA. HENZEN (Guglielmo) Borssieu (Alfonso DE) WIESELER (Federico) . Parma di CesnoLa (Conte Luigi) Gozzapini (Giovanni), Senatore del Regno RawLINSON (Giorgio), Professore nella Univer- sità di Viti DI o Ra FIoRELLI (Giuseppe), Senatore del Regno Curtius (Ernesto), Professore nell’ Univer- sità di Neuchatel (Svizzera) Parigi Modena Brusselle Firenze Monaco Padova Berlino Parigi Parigi Parigi Roma Lione (rottingu New- York Bologna Oxford Roma Berlino ELENCO DEGLI ACCADEMICI BircH (Samuele), Conservatore delle Antichità orientali, ecc., e delle Collezioni etnografiche del Museo Britannico in Spe SA eri id Maspero (Gastone), dell’Istituto di Francia a V. — GEOGRAFIA. NEGRI (Barone Cristoforo), Console generale di prima Classe, Consultore legale del Ministero per gli affari esteri. A AT KrepeRt (Enrico), Professore nell'Università di PigorINnI (Luigi), Professore di Paleoetnologia nella Regia Università di Londra Parigi Torino Berlino Roma VI. — LINGUISTICA E FILOLOGIA ORIENTALE. KREHL (Ludolfo) sd:4 Reénan (Ernesto), dell’ Istituto di Francia SourinpRo MoHuNn TAGORE AscoLi (Isaia Graziadio), Professore nella R. n. cademia scientifico-letteraria di . WEBER (Alberto), Professore nell’ ARDOA di WirHNEY (Guglielmo), Prof. nel Collegio Yale. KERBAKER (Michele), Professore di Storia com- parata delle lingue classiche e neo-latine nella R. Università di i ml MARRE (Aristide) Membro della Società saliva Dresda Parigi Calcutta Milano Berlino New-Haven Napoli Parigi VII. — FILOLOGIA, STORIA LETTERARIA E BIBLIOGRAFIA. FrancescHi-FeRRUccI (Catterina), Corrispon- dente della R. Accademia della Crusca Pisa 26 ELENCO DEGII ACCADEMICI SiLorata (Pietro Bernabò), Prof., Comm. Linati (Conte Filippo), Senatore del Regno . ComPARETTI (Domenico), Professore nell'Istituto di Studi superiori pratici e di perfezionamento in . BrEaL (Michele) agi NecronI (Carlo), della R. Deputazione sovra gli Studi di Storia patria 3 D'Ancona (Alessandro), Profeasirà A R. Uni- versità di Roma Parma Firenze Parigi Novara Pisa ELENCO DEGLI ACCADEMICI DA MUTAZIONI avvenute nel Corpo Accademico dal 1° Gennaio 1885 al 1° Gennaio 1886 ELEZIONI S:O. GI Sras (Giov. Servais), eletto Corrispondente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali, il 25 Gennaio 1885 (Sezione di Chimica generale ed applicata). BAEYER (Adolfo von), id. id. id. KekuLe (Augusto), id. id. id. WiLuiamson (Alessandro), id. id. id. THomsEN (Giulio), id. id. id. ScLatER (Filippo LurLEY), eletto Corrispondente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali, il 25 Gennaio 1885 (Sezione di Zoologia, Fisiologia e Anatomia comparata). Fario (Vittore). id. id. id. KowaLEWSKI (Alessandro), id. id. id. Lupwie (Carlo), id. id. id. BriickE (Ernesto) , id. id. id. Maspero (Gastone), eletto Corrispondente della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche, il 1° Febbraio 1885 (Sezione di Archeologia) MARRE (Aristide) , id. id. id. (Sezione di Linguistica e Filologia orientale). BREAL (Michele), id. id. id. (Sezione di Filologia, Storia letteraria e Bibliografia), 28 ELENCO DEGLI ACCADEMICI D'Ancona (Alessandro), eletto Corrispondente della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche, il 1° Febbraio 1885 (Se- zione di Filologia, Storia letteraria e Bibliografia). NeGroNI (Carlo), id. id. id. id. TscHERMAK (Gustavo), eletto Corrispondente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali, 1 8 Febbraio 1885 (Sezione di Mineralogia, Geologia e Paleontologia). ARZRUNI (Andrea), id. id. id. MaLLarD (Ernesto), id id. id. SaccaRDO (Andrea), id. id. id. (Sezione di Botanica e Fisiologia vegetale). HookER (Giuseppe DALTON), id. id. id. id. SacHs (Giulio von), eletto Corrispondente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali il 22 Febbraio 1885 (Sezione di Botanica e Fisiologia vegetale). NaGELI (Carlo), id. id. id. DeLPINo (Federico), id. id id. Reumont (Alfredo von), eletto Socio straniero della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche, il 15 Marzo 1885. GeNoccHI (Angelo), eletto Presidente dell’Accademia il 12 e approvato con Decreto Reale del 26 Aprile 1885. Cossa (Alfonso), eletto Direttore della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali il 12 e approvato con Decreto Reale del 26 Aprile 1885. FABRETTI (Ariodante), eletto Vice-Presidente dell’Accademia il 17 Maggio e approvato con Decreto Reale del 6 Giugno 1885. ELENCO DEGLI ACCADEMICI 29 MORTI. 20 Aprile 1885. RossertI (Francesco), Corrispondente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali ( Sezione di Fisica generale e sperimentale). ò Maggio 1885. GaRrRUCCI (P. Raffaele), Corrispondente della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche (Sezione di Archeologia). 21 Maggio 1885. | MAMIANI (Terenzio), Corrispondente della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche (Sezione di Filosofia). ]l Giugno 1885 RENIER (Leone), Socio straniero della Classe di Scienze mo- rali, storiche e filologiche. Agosto 1885. Mine Epwarps (Henri), Corrispondente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali (Sezione di Zoologia , Fisiologia e Anatomia comparata). 30 Agosto 1883. EeGer (Emilio), Socio straniero della Classe di Scienze mo- rali, storiche e filologiche. 25 Settembre 1885. BorssieR (Pietro Edmondo), Corrispondente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali ( Sezione di Botanica e Fisiologia vegetale). 26 Dicembre 1885. Gacgarp (Luigi Prospero), Corrispondente della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche (Sezione di Scienze storiche). -—___eecfgooo——_—_ 2.'d à fi N i Î : fa { I] i #é ve è Li é Va LE I° c DI La f t , RA [001 } fi 1 ’ î APRI Aia TO x il I° LICYE:C1 & 4 #, , nf. - ve, tI 3 "» ha #- Veri io At} ni î ) LS Peb 4 43 Ta LIA i h di Li colt eno att) alli î] ‘ fa è 4 . è LO) alta.) , - . aolonA lost) steli ®: dtt406 ili sent) affole ataoaogrisioii tobactabi oali a asunsati i anvizoi ) ilarità è sloltemalade.; ai ardito gl 85 19) alle nitobuogtmo cf oraton tieni); Ut: e came? ib anvisnt) dn w 00 darvi “o NE LITTLUET CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI — Novembre - Dicembre 1885 (3) ) A2BAII DTASIOTAM Si HHDITAMATAM IHOTAIAE NI gadiìa 10 - sad ueavo A Asi 35 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 15 Novembre 1885. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ANGELO GENOCCHI Sono presenti 1 Soci: (ENOCCHI, Cossa, SOBRERO, LESSONA, DornA, SALvaporI. Bruno, BERRUTI, Siacci, D'Ovipio, BIZzOozERO, Mosso, SPEZIA. Dichiaratasi aperta la seduta, il Socio Basso dà lettura del verbale della seduta tenutasi dalla Classe il 21 giugno scorso , in cui egli tenne le veci del Segretario SoBrERO assente: il ver- bale è approvato. « Il Presidente, a nome del Socio nazionale non residente Gilberto Govi, presenta il volume intitolato L'Otftica di Claudio Tolomeo , avvertendo essere intenzione del medesimo (Govi che fra i diversi Corpi Scientifici il primo a ricevere l'omaggio d’un esemplare di quest'opera sia l'Accademia delle Scienze di Torino, la quale presieduta dall’egregio Conte ScLoris accolse premuro- samente la domanda fatta dal Govi nell'adunanza del 23 aprile 1871 e decise di far copiare e pubblicare il più corretto fra gli esemplari conosciuti dell’Otft/ca di Zotomeo, e al Govi stesso ne affidò la pubblicazione, che ora è condotta a termine ». Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXI, 3 34 ADUNANZA DEL 15 novEMBRE 1885 Il Presidente presenta ancora, a nome del Principe Boxncom- PAGNI, i seguenti lavori: 1° Fascicoli di settembre, ottobre, no- vembre e dicembre 1884, e il fascicolo di gennaio 1885 del Bullettino di bibliografia e di storia delle Scienze matematiche e fisiche; 2° L’Indice delle materie contenute nel vol. XIV dello stesso Bullettino; 3° Un fasc. intitolato: Correspondance de Renée Francois de Stuse, publiée pour la première fois et précedée d'une introduction par M. C. Le Pare (estratto dallo stesso Brllettino); 4° Intorno alla Bibliotheca mathematica del Dott. Gustavo Enesrrom; Rapporto di BD. Boncompagni; 5° Str un theoròme de Goldbach, Lettre de M. Gustave EnEstROM è. M. B. BoncomPaGnI. Il Socio Cossa fa omaggio d'un suo lavoro già pubblicato dall'Accademia dei Lincei Sulla vita e sui lavori scientifici di Quintino Sella. Il Socio Basso presenta in omaggio all'Accademia un libro } 5 intitolato: Manuale di Geografia fisica di Ferdinando FABRETTI, Prof. a Perugia, e loda quest'opera per la sua utilità e per la le) ») buona compilazione. [Il Segretario annunzia la morte dei signori Edmondo BolssiER, (‘orrispondente dell’Accademia nella Sezione di Botanica e Fisio- logia vegetale, e Enrico Mirne Epwarps, Corrispondente nella Sezione di Zoologia, Anatomia e Fisiologia comparata. i Il Socio DorNA presenta per la solita pubblicazione parecchi lavori eseguiti all'Osservatorio astronomico dell’ Università di Torino dall’ Assistente Dott. Angelo CHARRIER; e legge un suo scritto intitolato : Breve Notizia delle Osservazioni astronomiche e geo- detiche state eseguite nel 1885 all’Osservatorio dell’ Università di Torino nel Palazzo Madama per iniziativa cd a spese della Commissione del Grado. ADUNANZA DEL 15 NOVEMBRE 1885 35 Il Socio Sracci leege una Memoria del Prof. Ernesto PADOVA, DO dell’Università di Padova, Sul moto di rotazione di un corpo rigido. Il Socio LEssona, condeputato col Socio SALVADORI, riferisce sul merito scientifico di una Memoria del Prof. B. GRASSI, dell’Università di Catania , intitolata : Morfologia delle Scolo- pendrelle , ecc. , che fu sottoposta al giudizio dell’ Accademia nell'adunanza del 21 giugno u. s. Il Socio SPrEzIA legge una sua Nota Sulla flessibilità del- l Itacolumite. Il Socio Bizzozrro legge una breve Memoria Sulla storia naturale, e sul significato clinico - patologico delle così dette Anguillule intestinali e stercorali, Osservazioni di Camillo GoLGrI, Prof. di Patologia generale nella R. Università di Pavia e di Achille MontI, studente di Medicina. 50 ALESSANDRO DORNA LETTURE BREVE NOTIZIA delle Osservazioni astronomiche e geodetiche eseguite nel 1885 all'Osservatorio della Regia Università di Torîno; nel Palazzo Madama, per iniziativa cd a spese della Com- missione del Grado, del Socio Prof. ALESSANDRO DORNA. Grazie al Generale Ferrero, Presidente della Commissione del Grado, che fornì i fondi e gli strumenti principali; all’astronomo Schiaparelli, che somministrò gli strumenti. mancanti ed il per- sonale necessario (assumendo, d'accordo col Direttore dell’ Os- servatorio di Torino, la direzione delle operazioni), ed al Co- lonnello di Stato Maggiore De Stefanis, Direttore dell’ Ufficio topografico, che ordinò immediatamente il collegamento dell'Os- servatorio di Torino colla nuova gran rete di triangoli, medi&nte i tre punti di 1° ordine: Monte Musinè, Monte Soglio e Monte Vesco, incaricandone labile ingegnere dell’ Ufficio topografico, Dottore De Berardinis, il quale conferimò anche la posizione della mira di Cavoretto; sono lieto di poter dare all’ Accademia la notizia che alle determinazioni di longitudine, latitudine ed azimut, fatte per l'Osservatorio, nei primi anni dopo che venne eretto da Plana a spese del Re Carlo Emanuele I, se ne aggiunsero que- stanno altre, eseguite con tutte le cautele richieste dai metodi e dagli strumenti odierni più precisi. I tre operatori principali furono il Dottore layna, 3° astro- nomo di Milano, il Dottore Porro addetto all’ Osservatorio di Milano, aspirante al posto di astronomo aggiunto all’ Osserva- torio di "f'orino, ed il prelodato Dottore De Berardinis. Questi potè già darmi notizia dei risultamenti da lui ottenuti, e mi Scala:1a 100 Spaccato abc ta-] E Ra Ca n x mi Scala: La40 si Aa BL mendito al piro + pilastro indipendenti dallo sonda è dal parimenti, cosrasli por d'omervalere. 4 ROSSE? ASTRONOMICO DI'TORINO ASAMENTO collocato il 28 gen.1808 per la nuora. deterarimazione di lontjtudine tra a due (Osservatori di Torinu e Milano Pianta d A, Cronegeato, il pile lrali 3, Tilt bligalia Oppiler. 0, Craggo: More, cn oostamt pile Scala: 4a 100 D, Pendolo intermiltive E, Avvisatore elellriso Peloizoninto datto delle Direzione dee lori di restauro del Alizzo Maderna, dietro richiesta del Direltore dell'On? OSSERVAZIONI ASTRONOMICHE E GEODETICHE Di riservo di informarne l'Accademia, allorchè sarò in grado di ag- giungervi anche 1 risultamenti degli altri Osservatori. Intanto ho l'onore di mostrare all’Accademia la forma che dovetti dare ad una parte del locale della specola, per rendere possibile in essa la nuova determinazione , certamente più esatta dell’antica , sottoponendole un disegno stato rilevato dalla Direzione dei re- stauri del Palazzo Madama, ultimata che fu la trasformazione fatta da me eseguire, a spese della Commissione del Grado e d’accordo col Direttore dell’Osservatorio di Milano, che mi informò delle condizioni di stabilità volute per l’esattezza delle osservazioni. Torino, 15 Novembre 1885. 98 È. PADOVA SUL MOTO DI ROTAZIONE DI UN CORPO RIGIDO. Memoria del Prof. ErneSTO PADOVA, presentata dal Socio Maggiore 1. Sraccr. Il problema della determinazione del moto di un corpo ri- gido, che gira attorno ad un punto fisso è stato fino ad ora, per quanto io sappia, completamente risoluto soltanto nel caso in cui le forze attive ammettano una risultante che passi pel punto fisso ed in quello in cui il corpo essendo pesante, la con- siungente il punto fisso col baricentro sia asse principale d’ inerzia ed i momenti relativi agli altri due assi principali siano uguali fra loro: queste ultime condizioni sono certamente soddisfatte se il corpo pesante è omogeneo di rivoluzione e gira ‘attorno ad un punto del suo asse di simmetria. Le equazioni del moto però si possono, con un cangiamento opportuno di variabili, integrare anche nel caso in cui il corpo sia soggetto ad una resistenza, che trasportata al punto fisso dia luogo ad una coppia proporzionale alla coppia di quantità di moto attuale e diretta pel verso opposto a questa: ed anche quando il corpo, trovandosi nelle condizioni indicate pel secendo dei casi già risoluti, subisce una resistenza analoga alla prece- dente, mentre il punto di sospensione scorre con una certa legge sulia retta che lo congiunge al baricentro. È la soluzione di questi due problemi che ora ho l’onore di sottoporre al giudizio di co- desta illustre Accademia. 1. Siano A, B, C i momenti principali di inerzia di un corpo relativamente ad un punto O, origine di un sistema di assi coordinati, ortogonali e fisssi 057, supponiamo il corpo in mo- vimento e con p, 9g, 7 indichiamo le componenti della sua velocità SUL MOTO DI ROTAZIONE DI UN CORPO RIGIDO 39 angolare, valutate attorno agli assi principali corrispondenti ad O e che indicheremo con 0xyz. Se ad un punto qualunque del corpo, ove trovasi la massa dm, è applicata una forza le cui componenti secondo Vx, 0y, 0 sono x x ' , -igdm , —)ydm . — \zdm ove ) è una costante ed 2', y°, 2° sono le derivate rapporto al tempo delle coordinate (e questo caso si presenta per es.: quando il corpo che sì considera è una superficie rigida, omogenea, che si muove in un mezzo la cui resistenza è proporzionale alla velocità del mobile), trasportando nel punto O tutte queste forze avremo una coppia, le cui componenti attorno agli assi 0xy saranno — Ap, —ABq, — XCr, talchè le equazioni del moto in questo caso diverranno 1) x n =(B- C)qr- Ap 1 Ni e, i =(C- A)rp—%Bq ( dy i r C_-=(4-B)pq-)Cr. \ dit Moltiplichiamo queste equazioni ordinatamente per p, 4. 7, sommiamo ed integriamo, avremo | EA Api Bg C'e ove » è una costante arbitraria. Analogamente moltiplicate per Ap, Bg, C+ e sommate. le (1) danno colla integrazione rt... A°p°+ Bi qg4 Cr'= e, ove / è una nuova costante arbitraria. Dai due integrali primi (2) e (3) sì possono dedurre alcune proprietà geometriche del moto che hanno una grande analogia con quelle notissime trovate dal Polnsor pel moto dei corpi non soggetti a forze. Si consideri infatti l’ellissoide rappresentato dalla equazione ic... Ax+By4 Ce=e7h, 40 E. PADOVA i cui assi al crescere del tempo vanno continuamente diminuendo, e che sì mantiene sempre omotetico all’eliissoide d’inerzia ; le coor- dinate del punto in.cui l’asse istantaneo di rotazione incontra l’ellissoide (4), corrispondente a quell’istante e che chiameremo il polo di rotazione, sono p, g, 7, quindi si vede che il raggio polare dà la misura della velocità angolare risultante. Il piano tangente all’ellissoide (4) nel polo ha per equazione (BIEN Li, Apx+Bqy+Cra=het?*, e la sua distanza dal centro è data dalla equazione e A la quale mostra che i piani tangenti nei successivi poli vanno continuamente avvicinandosi al centro: inoltre essi si manten- gono paralleli fra loro, infatti se con 4, {f, y si indicano gli angoli che la normale al piano (5) fa cogli assi fissi 057€, si ha (e) cos « : cos : cosy:1= Apa,+Bbqa,+Cra;: ‘Apf,+ BaP,+ Cr}: Apy+Bqy,+ Cry; ile, ove 4, %,-.. 3 sono i coseni degli angoli che fanno tra loro i due sistemi di assi coordinati, e le quantità 4%, {?, y risultano costanti, poichè si ha l 71 gal / ; O -- = É (Ap 4+Bq2,+ 0r2,)+3(Apz4 Baz, Or0)| =<4-)4 | +; |{(A--B)pq—-} Cr| +Ap(2,r- 234) +Bq(ap—@,7) +Cr(z,4—- 9) +)(Apa+Bqa,+Cra;){=0 : (B— C)gr->Ap| +4,|(C-4)pr—Bq] ed analogamente dceosf deos] 5 diano vt dee Chiameremo piano invariabile quello condotto per O paral- lelamente ai piani tangenti (5). SUL MOTO DI ROTAZIONE DI UN CORPO RIGIDO 4] Se ora risolviamo le (2) e (3) rispetto a p°, »* avremo ._ er (1° Ch)-qB(B--C) pr=s-— CT A(A_C) give dro 0) PIA) (ILE C(A-C) 1 e col porre Pure Bilo) stroistlra bi slioo (17661 Si LAS eaa) -AP3I A(A- 0) CARS BA) pr =_= =—=—0a_m <8ZHZàÀà=«IP,. O x CC) Ammetteremo, come fa JAacoBI. che i sei binomi A-C. B-C, A--B, Ahi (0°, Bh -11°= Ch abbiano lo stesso segno, che cioè si prenda A>B= se è Bh—1°>0 ed invece A Ip\° v+ 4° ( 2) 4 sen cib 24: SUL MOTO DI ROTAZIONE DI UN CORPO RIGIDO e da queste coll’introdurre le nuove variabili p,, 9,. r abbiamo r do d : così dr de Ve ao, MMS CACI PD.) + % 7}. 4 sen S) at, i a AMD AN EIN o Bed (2)+ sen 3(55) ; DL s quindi, col porre per brevità Y= <=, le (9) daranno 3 I A «E ian l do db ' — S Pr n +4 cos dt, (| A LS i) | sen 2( (7 (0) [= Pros 4 hi d Se per brevità sì scrive R=(2APycos3 + Alh)sen3-(Cncosì—1) sì avrà dg nt As fit di, sen di, VER _ 1 dI i: e se vogliamo che sen 3 1; Sa positivo, dovremo prendere (dd È segno inferiore nel secondo membro, talchè sarà A sen 343 de@W="— = VERO dae e sen3y R g Maia) È Cn =1c089 = dt, + da I ul A sen 3 Y R 46 E. PADOVA ed integrando, avremo n(A-C Cn—-lcos$3 pg ( sile di { | -_ LE dI senz yR . Gli integrali che qui si presentano sono quegli stessi che sono stati trasformati dal LotrNER (*) e col porre = (ti t,)m , ove 1 è una costante che dipende da que di del problema, egli ha trovato ds si così — HI, (i( (a,+a, )A.(i( (a, a, 1))0 (1) (2) H'°(ia,)0,(u+:(a,) 0, (u—ia,))+H((a,)0(1+a,)0 (w -ia,) : \Cna,-1 1 dlogO(ia,) 0dlog®,(ia,)| ji ib === ever 7 rd - IRR fe "4 ELI iti (101 da, da, | 1} O(L—-ia)0,(u—] = 5 sci h m hai hm bh m s 1| 7 42|0325051| 5 25 | 170 2" 5"7A4| 20 27 19-78 947 di 32 57:93 | 5 26 | 16 44 47-77 20 31 16-34 a 0 33 4:52| 5 27| 16 27 12-1 20 35 13-89 4| 7 38|° 33 10:30| 5 29|16 9 19:5 20 39 9:45 Guia, 7 33 15:28] 5 30/15 51 10-1 20 43 6-00 A ne RA 33 19:43 | 5 32| 15 32 44-6 20 47 2:55 alli 4T|11 54118 21 30 24:65 | (1-00 [bla o; 5 Piga) 4. 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Sb 4 48 11.6 QIRNAD SITI 9 6 44 29 40). 43 6 6 4 24 455 2929 49 1567 10 6 43 29 2491 (Ga 117) 4 (151652 22 53 12-99 | il 6 4l 29 9-06 6 18 dI Sve40e9 9957 8-77 12 6 39 28 52-87 6 20 3 14,92 23 [ 5:93 E; 60037 28 36 +38 6. 21 > 5043255 23 5 188 14 6 35 28 19:58 6 93 2 196h05c6 23 858.44 15 6 34 28 2-54 6 24 2 SITE STA D3I ME ‘55500 | 16 6 32 97 45:23 6. 25 1 39 326 23 16 5155 17 6130 27 27-69 6 26 i LIDL co SS 20 ASD 18 (7 27 9-96 6 28 015392 23 24 4466 19 6.25 26 52:05 6 29 0 28 27°3 23 28 41221 20 6 24 26 33 :99 6 30 0 4 45:9A| 23 32 3775 21] 6 22 26 15:79] 6 31| 0 18 54:7B| 23 36 34-30 | 992 6 20 95 57:50 6 33 () 42 34-2 23 40 30-85 23 6 18 295 39:13 6 34 0 601355 23 44 27-40 24 6 16 95. 2071 6 36 1 29 48.9 23 48 23:95 25 costo 95 2:26 6 36 ii ‘5323064 953) 2092: S90.51 | 26 6 13 24 43 ‘80 6 38 25. 1605523 23 hr R17206 Cz 6°. 24 25:35 6 39 2 40 245 0 0 13-62 | 28 6 8 24 6:94 6 4l 3 _(3 505 00 LA SOziz | 29 6° 6 23 48-57 6 42 S'I270 1350 0) 248: 67573 | 30 61405 23 30 :27 6 43 3503156 00213 3 ‘28 o 31 6 3 23 12 06 6 44 4 13 46°1 0 15 59‘83 f A. 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Ì EFFEMERIDI DEL GIORNO el Mese La uuuogroig i | DLAIS | uber bb ot O Or _ _ — | — — n Qua W 9 CSS NESS ì S ci a) 19 Go Or e 2° no IS TEMPO MEDIO DI ROMA aa, —r——TtrTrPT_e Passaggio al meridiano ms 0 15 57:65 15 50 ‘55 15 44:00 15 37:99 lo. 32699 . = Parte Fisica — Vol (ni E SENENENI db NENSENRENENI 19 LO 19 LO to (2) (di —_ sia Ut Ut 4l Dolo "Ot oo 19 È TEMPO SIDERALE DI TORINO a mezzodì medio di Roma ‘40 ‘96 Ot | 21 La Oa — dt pegno ot (FOMICTICA SCR CI (09) LIL 439 sa 00 0 © DUto vo Ot 19 19 0 = 10 nt (AR AE 193 Lo Co ww LLdLgdAIA43 abito GI 0 00 WU LALA d4 (e eli SIOCRoe I°) qororo: tu Sì tas. 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Primo quarto il 4 a 1Ib 23"di sera. Luna piena il 13 a 4 13 di matt. Ultimo quarto il 20 a 3 30 di sera. Luna nuova | 27 a 8 3 di matt Settembre Ottobre «| "TEMPO MEDIO DI ROMA | || .| ‘PEMPO MEDIO DI ROMA © 2 è cr DIE È — == “tt A 25 SE fecero Passaggio Tr amon- 35 24 Ra pri] Tramon- 3= "I | meridiano tare 3 de meridiano lare T h m h m |h m | h in li h n h m atollo Sl 8248) 30 747) 8733) 20 =) 354) 9522] 4 || 2-94) 420] 9 14] 6 3 |11 330| 4 46| 9 59. 5 3| 0-23] 5 f2|10 1| 6 Piorsgs 5 asilo asl@‘elll4lles1iel Slo sui 7 eso e volt ra le all d0 8 6| 2 32| 7 19 8| 6G|?2 si MP 40|5 9 io SI 8008 io 9 A 1.8 dl #40] 10 8| 4 518 56) 0258/10] 8| 3 12 | oi fo) Ed] 94 4419 43! 1551|11|| 9| 4 22| 9 54| 2 25/12 t0| 5 19/10 29/ 2 48/12 ‘0 | 4 50|10 36| 3 26|13 iis soll 13)3 46013 gli fr l'ir--19|04 32 14 Rio (Ott Soeli 43/f pi. 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CHARRIER — LUNA — Novembre Dicembre | .| TEMPO MEDIO DI ROMA «|l .| EMPO MEDIO DI ROMA "| = Passaggi bra «Us agree e" che l assaggio] Tramon- | 2 <|| 22] y..,,,, |P25S299!0] Tramon- | 3 = S| Nascere a i. |ex=l|ce| Nascere al o |S2 Fi COTTA tare usi È meridiano lare qs h m h m h m h m h m h me i |t1 3257] 4944| 9£33| 6 I [11 =56| 4 259/10712]| 6 2 0742] 5333/105729] 7] 2] 0726] 55 44|11* 11] 7 3| 1521|).6 20/11 26] 8] 3] 0255! 6 281) — 8 4 Ia 06 gi Al 22/7 10000599108 5.2 2407 50] 0525/10] S| do 48) 3 53/ de 8/00 Gio. 5308 5044/11 6] 2, 150,8, 2601 7|.3 20] :9 15 25 22| 12 2 493/09. 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Soli 84 selfzo.iilaz.iio (37/0 — 2 00 26} 7 51| 0246| 5 40| 1] 26| 8 #28| 1°14| 6 2] 2 97 |. 23) 2740] 6 28/2279 ddl 2° Al 6 50166 28 9 4870 433] 7 20) ell 28 09 530 Sela SaR 29 |10 37) 3 24| 8 16) 4]|[29|10 26/3 38) 8 osllà 30. (Mil. 18/026 13.09 13/54/0300: 564° 22.9 56/06 Si ii 25/5 510 5a Primo quarto il 3a 5h 55" di sera. || Primo quarto il 3 a 3" 15" di sera, Luna piena il tt a 7 56 di sera. || Luna piena il IL a 10 49 di matt, Ultimo quarto il 18 a II 30 di sera. |{ Ultimo quarto il 18 a {1129 di matt, Luna nuova il 25 a 88 di sera. || Luna nuova il 25 a 10 44 di matt, (i : Me io p A pe , ‘ ui o TR ; Ext) ì ; y ki de si ne: ECCLISSI DEL 1886 me Ti BEeGILISSA (1886) bi Dad & STARETE -. 3 RE ; _5 Marzo. Ecelisse annulare di Sole invisibile a Torino. \ DI 29 Agosto. Kcclisse totale di Sole invisibile a Torino. ara u” e È è © La o: È è 28 i SAL ii Tita sè * ov ì AIN 993 bag aa r1o Ja sui Ut RN ' TA 2, ripper isgeentirnetò soi Art ape fo Ri derby; A 1Ì hu cy gs Lal st nia; I FM? 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CHARRIER MERCURIO VENERE n — a_n TO —— r. TEMPO MEDIO DI ROMA i Passaggio Tra- Passaggio | rra_ | LA 3 montare Me al montar meridiano è meridiano h | h m h m h m h m h i Paennaioi 6 z16(10 51] 3 #26]|10 =22| 3928| 823 II A PISTE 6222/10 = 47) 3 3 14|| 9=48| 3512] 8534 21 RR TSRETE ci 6343115 313 25 9 3 8|2 46| 8 ° l'eplio daice 7 3|t1 29) 3 57] è e 11 Se Ao g.. 141: 57] £ 434 7 364 "6 8 21 RE 73 22/:07726] "5 7135]| 6 18|0 4/8 (e°) I i Marzo RR 7) 19) Vi 00 L00006 5000 = 18 43 11 Si MR. Di Cagl Al 3840: Ve 1|105232| 4 È 21 Sa ti 6 5il 1 31|8 23]]| 4 35/105 2/3 36 Ae... 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Si 8g gel 006 EFFEMERIDI DEI PIANETI ETI 83 MARTE | GIOVE SATURNO Passaggio Tra- | Passaggio Ta Passaggio ra “i Mi groniaze pria ini, iii Dari Letta oziare ) m Pa 7 m h m h m | h m h m Dl m h m } h m bdo] 5/11 =36//0= 0| 5 258/11 =56/| 4211/11 252] 7=33 D 3 16) 4539/11 = 2//117722] 5 220/115 18|| 3527/1129 6.251 Do 42] 45. 5|10='28//10 5 43] 4541/10 539] 2 4slio 27] 659 D D ° 9 5 B 58|3222/ 9 “ i Re e e I i MM 9 50 9 17/3. 2146/19 c15| 1, 17).8. 59) 40/4 Mo 0] 833] 8 ell o 371 8° 19| 4 Me 4311 58/02. 0/8. altoc.:5] 7 - 47553. 00 5 DE MPG 6° ist! dell 200110727 8|09 5I | 26/1114 6 2/6 26) 0 32 6 38||10=47|6 30/2 3 p aofio=t9/s 10/5 sijii 2395 47/]105 6G|5 41 3° BR 4319 34/4 25]/4 446/1025615 6/|9 201 512,0 55 e 00 3 4) 4 1/10 13] 4 _ 25). 8 5314 360 0__19 RO 3 DT 3 1809 SI 3° dall 8 7 4 O|I1 243 SIRIA KAT :20 128] 10201/36] (80) 49/03 087 421 3 25/115 8 MSI LI 53]; 1 54/8 9! 2an24l/ 7 8] sili0: -g4 SR: 6 lloL, 13] 860 3A 6 31 | dar i3d De 55 ea a 00 4500 371 6° ‘4611 COSI CORI 1,3 | IS 50] 6 2/0 14]/00 16 10 93]|5 231° 5/8 47 =38/5 41/11 744|\11 227] 5° 36 11 245|{4 51) 0_329/ 8° 13 27/5 2 11 S145.|{ 10 2:54]. 5 i|11= 8 2: TN 0 TIPO VI OIL td] MR TIE pio 2/10" 46/110 3-29] 4° 27/10 32]] 3° 44li1 = 241 7% 8|/ 4. 420 16/19 48/3 s0| 9° 5a]]3° 8'f0 347 6 6 SORDO 25:01, DORIA pren] Pichi 131 51) za 99 03). 38 47] 44 8 dill 2 19 380 5° 16 Dil 3 53/8 56/|8 1612 -90/ 8. all1 so19 ol4. 38 ai 3 Piso 8 337 ani 37) #° o7l|0 47) e raga i MM 427/;8 1/17 gi9b1 è 58.68 51 | 0 It) 7 48| 3: 95 MR 5216, BIO IALIA Lan 40/3 77 34|/6 22) 0___ 2] 5 42/[10359/6 35/2 dti 38| 2 se 7 28/[5 55/t1 =31| 5 | 10 È 21] 50705711633 = | 35] 2 50) 7 Ù 5 24/10 2.57] 4 30/|9 38/5 1400 50 30] 2° 43] 6. 58!| 4. s6lio 3 25/ 3 54// 8 59, 4. 35/0. 11 24| 2 37| GOZO CZ Big) IRR Sigle 3301 af i5| 2 31/6 49]|3 58/9 ail e 44/7 3813 i4li0 50 6| 2 26/6 28//3 2818 49) 2 t0//6 53/2 32/10 9 92) 2,19, 6 48/|.2 581.8 d6/loro 34ll 6 13) 1 501 9° 97 36] 2. 13] 6 51]] 2 26|7 4] o 58 |5 2910 7) 8 45 i Sata) La 84 ALESSANDRO DORNA Anno XX 1885 RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI fatte nel mese di Maggio. La media delle altezze barometriche in questo mese è di 34,59, inferiore di mm. 1,39 alla media delle altezze barometriche os- servate negli ultimi diciannove anni. — Non si ebbero frequenti va- riazioni nell’altezza barometrica; alcune però furono considerevoli. I valori massimi e minimi sono i seguenti: Giorni del mese, Massimi. Giorm del mese. Minimi. 2 32,59 Dico Del LlE 23,10 BO — Ties 40,39 To 19,81 TRRFA Pri Re 36,37 IR 31,78 pe) PSE pe 42,07 Il valor medio della temperatura di questo mese è +16°,3, più bassa del valor medio della temperatura di Maggio degli ultimi diciannove anni di 0°,6. Le temperature estreme +6°,9 e + 28°,2 si ebbero: la prima nel giorno 19, la seconda nei giorni 80 e 31. Si ebbero 6 giorni poco piovosi e l’acqua caduta raggiunse l’altezza di mm. 32,7; un terzo circa dell'altezza media del- l'acqua caduta in Maggio nello scorso diciannovennio. Il quadro seguente dà la frequenza dei venti nelle diverse direzioni. NONE NE ENE E ESE SE SSE S_ SSW SW WSW W WNW NW NW 11 128641 TI7r9I2 6/42 394 86 5° Ue tia Tia pero anna Anno XX 1885 RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI fatte nel mese di Giugno. Il valor medio dell'altezza barometrica, desunto dalle osser- vazioni fatte in questo mese, è 37,15; che supera di mm. 0,72 il valor medio dell’ altezza barometrica di Giugno degli ultimi diciannove anni. OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE 85 Le oscillazioni della colonna barometrica non furono nu- merose, lente bensì e di non grande ampiezza. — Il seguente quadro ne contiene i valori estremi. Giorn del mese. Minimi. Giorn del mese. Massimi. GERA MER. 39,97 OC. 0, Ara, 42,54 Dale 94,02 Borg E SE) 43,33 a. 29,73 Lita VELE SIR 41,11 Air, 32,60 La temperatura variò fra + 18°,0 e + 31,7°; ( minima del 23, e massima del 27). — La temperatura media + 22°, 8 supera di 1°,6 la temperatura media di Giugno degli ultimi diciannove anni. — Si ebbero otto giorni con pioggia e l'altezza: dell’acqua caduta fu di mm. 60,8. La frequenza dei singoli venti è data dalla seguente tabella : NO NNE NE ENE E BSE SE SSE S SSW SW WSW W WIW NW NW ZO CI AG A5 (2143 Reed al Anno XX 1885 RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI fatte nel mese di Luglio. La pressionè barometrica ha in questo mese per media 38,21; superiore di mm. 1,37 alla media di Luglio degli ultimi diciannove anni. — La pressione variò pochissimo in questo mese, tranne nei primi giorni. Il seguente quadro ne contiene i massimi e minimi valori : Giorni del mese. Massimi. Giorni del mese. Minimi, 213 Piga one 43,04 OTO: SIE 86,98 CA 40,183 PT (E 35,29 a. 40,97 Pc: "MR oo 35,05 OT was. 38,89 SELVA 3 (a 34,15 La temperatura ha per valor medio + 24°,7; valore che supera di 2° il valor medio della temperatura di Luglio degli ultimi diciannove anni. La temperatura minima si ebbe nel primo giorno del mese, e fu di + 14°,7; la massima il giorno 21, e'fa di + 32°, 0. 86 ALESSSANDRO DORNA Undici furono i giorni con pioggia, e l’altezza dell’ acqua caduta fu di mm. 102,3. La frequenza dei venti nelle singole direzioni è data dal quadro seguente : NO NNE NE ENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW fi 6 0 12011 0 n 3 66. 6 Re 9_? SS Anno XX 1885 RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI fatte nel mese d’Agosto. La media delle pressioni barometriche osservate in. questo mese è 35,18: inferiore di mm. 1,65 alla pressione barometrica media (di Agosto) degli ultimi diciannove anni. Il quadro seguente contiene i massimi ed i minimi delle pressioni osservate. Giorni del mese. Massimi. Giorm «del mese. Mmm. LO Re dira 38,59 Figlie baec 33,99 LR gio i ale 41,48 lita #70 AMP 30,91 co finge 38,92 DOTE IE 25,99 La temperatura ha per valor medio 22,5, ed è inferiore di solo 0°,2 alla media temperatura di Agosto degli ultimi di- ciannove anni. Le temperature estreme +29°, 1 e ‘+ 13°,8 si ebbero: la prima nel giorno 11, la seconda nei giorni 22 e 23. Otto furono i giorni con pioggia, e l’acqua caduta rag- giunse l'altezza di mm. 43,9. La frequenza dei singoli venti è data dalla tavola seguente: NONNE NE ENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW I Asi 6 di mid 4 A 108.16 OSSERYAZIONI METEOROLOGICHE 87 Anno XX 1885 RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI fatte nel mese di Settembre. In questo mese le altezze barometriche osservate hanno per valor medio 37,45, superato dal valor medio cdi Settembre degli ultimi diciannove anni di mm. 0,73. Le oscillazioni furono ab- bastanza frequenti, e qualcheduna fu di ragguardevole ampiezza. I valori massimi e minimi osservati sono i seguenti : Giorn del mese. Massimi. (norni del mese. Minimi. oi. 41,43 DE, SA 32,92 Tide egli x! [OE Sd 29,21 13173 AA 46,38 CCR ARE. DORIS e, 46,53 Fo las ad pe M 21545 La temperatura ha per valor medio + 18°,9; valore che supera appena di 0,1 il valor medio della temperatura del mese di Settembre degli ultimi diciannove anni. I valori estremi + 269,0 e + 8°,8 si ebbero: il primo nel giorno 23, nel giorno 30 il secondo. Dieci furono i giorni con pioggia, e si raccolsero mm. 62,6 d’acqua. Il quadro seguente dà la frequenza dei venti : NONNE NE ENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW 492 Si badi Test: tediotà 3. cibrn3 B£ i Anno XX 1885 RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI fatte nel mese di Ottobre. La pressione barometrica ha per valor medio 33,74. Esso è inferiore di mm. 3,49 al valor medio della pressione di Ot- tobre degli ultimi diciannove anni, 88 ALESSANDRO DORNA - OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE L’andamento della pressione fu molto saltuario, ed ebbe va- riazioni molto grandi, come si può scorgere dal quadro seguente : Giorni del mese. Massimi. Giorn del mese. Minimi. DUI 43,49 IVLAUGGAL 17,85 ti: AO 39,90 (RFI RR RL 34,88 VU a. 44,35 DOO 25,64 215 90 GIRI RENEE RI 36,15 725 GI CREO 24,83 Siria ha 81,14 200 EL 27,92 AOC. dub 36,90 La temperatura massima del mese fu di + 20°,3, e si ebbe nel giorno 8; la minima + 8°, 5 nel giorno 30. La temperatura media del mese, + 11°,5, è inferiore alla temperatura media di Ottobre degli ultimi diciannove anni di 1°,3. L'altezza dell’acqua caduta fu di mm. 117,4, ed i giorni con pioggia furono tredici. Il quadro seguente dà la frequenza dei venti : NONNE NE EVE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW PIA: 20 6 1A OPE I UR A ADI Gli altri lavori summentovati si pubblicheranno nel solito fascicolo annuale che va unito agli Atti dell’Accademia. - 89 Adunanza del 29 Novembre 1885. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ANGELO GENOCCHI Sono presenti i Soci: GeNoccHI, FABRETTI, Cossa, SOBRERO, LEssona, SALVADORI, BRUNO, BERRUTI, CURIONI, SIACCI, BASSO, D’Ovipio, Bizzozero, FERRARIS, NaccarI, Mosso e SPEZIA. Dichiaratasi aperta la seduta, il Segretario SoBRERO dà lettura del verbale dell'adunanza precedente, il quale viene ap- provato. Il Presidente fa la sequente comunicazione : A nome del nostro Corrispondente Professore H. A. SCHWARZ di Gottinga presento un Volume intitolato: Sopra un problema del Calcolo delle Variazioni risquardante le superficie di mi- nima arca. Esso fu pubblicato (Helsingfors, 1885) in occasione della festa datasi a Berlino per celebrare il natalizio dell’illustre Carlo WEeIERSTRASS, che lo Schwarz chiama il suo altamente onorato maestro, e che noi godiamo di noverare tra i Soci stra- nieri della nostra Accademia, festa tenuta nel giorno 31 dello scorso ottobre. in cui Carlo Weierstrass compiva il suo set- tantesimo anno. Il Collega Schwarz ha desiderato che un esem- plare di quel volume fosse presentato a questa Accademia; e aggiungeva « rivolgermi tale preghiera non solamente per la ra- « gione che la medesima Accademia lo ha riputato degno della « distinzione conferitagli col nominarlo suo Corrispondente, ma « anche perchè un Matematico, il quale appartenne alla nostra « Accademia, ha da più di cento anni primamente proposta, « circa le superficie di area minima, la questione che ora, per « quanto sembra essere in generale possibile, è compiutamente « sciolta. Le molte difficoltà (dice ancora lo Schwarz) che an- 90 « darono sorgendo e che sembravano farsi sempre più grandi, fi- « nalmente furono vinte (dopo tredici anni da che il lavoro era « stato cominciato), e lo scopo, che era di costrurre una com- « piuta catena di dimostrazioni, fu raggiunto ». A Il Socio LEssona fa omaggio, a nome dell'autore, Prof. Ca- millo GoLei, di un volume Sulla Fisica anatomica degli organi centrati del sistema nervoso. L'Accademia ringrazia l’autore. Il Socio Cossa dona all'Accademia, a nome dell’ autore , Prof. Enrico RosenBuscH da Stoccarda, una copia dell'opera sua, col titolo: Fisiografia microscopica dei minerali più importanti. L'Accademia con lettera speciale ringrazia l’autore, che essa an- novera tra i suoi Corrispondenti. Il Socio Segretario legge una lettera a lui diretta dal Cor- rispondente dell’Accademia, Dott. G. De CIGALLA, dall'isola di San- torino, colla quale questi prega si faccia omaggio all'Accademia di un suo manoscritto che va unito alla lettera, e porta per titolo: Dialogo tra il signor BicBHNER e l’autore, circa il libro della forza e della materia, pubblicato dallo stesso BicHNER. L'Accademia ringrazia il signor Dott. DE CiGaLLA del suo dono, che resterà fra gli scritti conservati negli Archivi. 91 Adunanza del 13 Dicembre 1885, PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ANGELO GENOCCHI Sono presenti i Soci GENoccHI, Cossa, SOBRERO, LESSONA, Dorna, SaLvapori, Bruxo, Sracci, Basso, D’Ovipio, BizzozERo, FERRARIS, NAccarI, Mosso, SPEZIA e GIBELLI. Apertasi dal Presidente l’adunanza, il Segretario SoBREKO dà lettura del verbale della seduta tenutasi dalla Classe il 29 no- vembre, che viene approvato. Il Presidente fa omaggio all'Accademia, a nome del Principe Boncompagni, del fascicolo di febbraio 1885 del Bullettino di storia e bibliografia delle Scienze matematiche e fisiche. Il Socio Dorna legge una sua Nota Sulla mira meridiana dell’Osservatorio di Torino a Cavoretto, e formola per dedurne la posizione dalla sua altezza e dalle costanti dello strumento dei passaggi. Il Socio D’'Ovipio legge una Memoria del Dott. CorRADO SEGRE, Sulle varietà normali a tre dimensioni composte di serie semplici razionali di piani. Lo stesso Socio D’OvipIo presenta ancora una Memoria mano- scritta del sig. Ing. Camillo Guipi, Prof. nella R. Scuola d’Ap- plicazione per gl’'Ingegneri in Torino, Sulla curva delle pressioni negli archi e nelle volte. Questo lavoro, per l'indole sua, quando l'Accademia lo approvasse, verrebbe stampato nei volumi delle Memorie. In conseguenza il Presidente ne affida l’esame ad una Commissione accademica, la quale ne riferirà a suo tempo. 92 ALESSANDRO DORNA LETTURE SULLA MIRA MERIDIANA: DELL'OSSERVATORIO DI TORINO A CAVORETTO | E FORMOLA PER DEDURNE LA POSIZIONE DALLA SUA ALTEZZA E DALLE COSTANTI BELLO STRUMENTO DEI PASSAGGI del Socio Prof. ALessanpro DOoRNA. Hi Il collegamento della nostra specola universitaria al Palazzo Madama , colla triangolazione principale, del quale ho fatto cenno nella Nota che presentai alla prima Adunanza, in novembre, permetterà di estendere ai vertici di quella rete di primo ordine, le recenti determinazioni di longitudine e di latitudine dell’Os- servatorio. E siccome con due triangoli aventi un vertice comune al monte Musinè, venne eziandio collegata la nostra mira me- ridiana di Cavoretto col nuovo centro di longitudine e latitudine (centro del cupolino Ovest) e coll’ antico centro di longitudine, latitudine ed azimut (centro del circolo meridiano), si avrà anche l’azimut per l'orientamento dei lati della rete medesima; se la mira sudetta è in meridiano, o si conosce di quanto si scosti angolarmente dal medesimo. Plana nella prefazione al volume di Osservazioni, che pub- blicò nel 1828, assegna alla mira di Cavoretto l’altezza appa- rente di 1°' 16° 26'', 4 e riguardo alla sua posizione rispetto al meridiano, dice: je puis assurer maintenant (après une longue série d’observations) qu'on peut consideérer comme sensiblement nulle la deviation de cette mire du plan du meéridien. La mira è sull'antico muro di cinta del castello di Cayo- retto dalla parte di Torino. Il muro è nella direzione Est-Ovest non molto lontano dal luogo dove dal colle si discende rapida- mente al fiume Po. Se accadesse un minimo scorrimento del muro all’ingiù, la posizione assoluta della mira rispetto al centro del circolo meridiano subirebbe una piccola deviazione, ad Ovest. R R, m, Ta IV SULLA MIRA MERIDIANA DELL’OSSERVATORIO DI TORINO 983 dal meridiano ; indipendentemente dalle mani dell’uomo, che non devo supporre capaci di spostare volontariamènte il masso di pietra in cui è intagliata la cavità circolare costituente la mira, collocata da Plana. In una Memoria del 1869, pubblicata ne’ volumi dell’Ac- cademia, dedussi da confronti che, a quell'epoca, la deviazione della mira di Cavoretto dal meridiano era trascurabile. Quest'anno, invitato dal Direttore dell’Osservatorio di Milano a verificare per qualche eventuale operazione della Commissione del Grado, se la mira ha un azimut chie non sia nullo, ho fatto, con tale scopo, delle osservazioni di passaggi di stelle al meri- diano per dedurne le tre costanti strumentali dello strumento dei passaggi (circolo meridiano), dalle quali e dall’altezza della mira, si può dedurre l’azimut di questa, applicando una formola che ricavai appositamente. Colle costanti strumentali dedotte dalle osservazioni suaccen- nate risulta anche che la deviazione della mira dal meridiano è molto piccola; la qual cosa mi riservo di mostrare in un’altra Nota in cui esporrò i particolari delle osservazioni. Do in questa la dimostrazione della formola summentovata. TE. Formola per dedurre l’azimut d’una mira meridiana dall’altezza della mira e dalle tre costanti dello strumento dei passaggi. a Designo con a|] (costante di azimut) la deviazione angolare orizzon- tale dell’estremità Ovest in cielo dell’asse di rotazione del can- nocchiale dal punto cardinale Ovest verso il Sud; b|] (costante di livello) l'inclinazione di tale estremità all’orizzonte ; c|] (costante di collimazione) l'angolo che al centro dell’ob- biettivo del cannocchiale la visuale individuata dall’incrocicchio del filo di mezzo dei passaggi coi due fili orizzontali del reticolo, fa colla normale all’asse di rotazione del cannocchiale, ad Ovest dell’ osservatore ; h| laltezza angolare apparente della mira sull’ orizzonte del centro dello strumento. Ed avverto che intendo, come ho fatto nelle osservazioni di quest'anno, che il filo di mezzo dei passaggi sia esattamente al 94 ALESSANDRO DORNA — SULLA MIRA MERIDIANA ECC. centro della mira, o se ne deduca (come feci nel 1869) la de- viazione micrometrica dalla mira. Siano (vedi la figura): O il centro dell’obbiettivo; x0y l'orizzonte; x0£ il meridiano; yoz il primo verticale; x ed y i punti Sud ed Ovest e 2 il Zenit; M la mira; I l'estremità Ovest in cielo dell’asse di rotazione del cannocchiale ; NON' (asse di collimazione) la normale ad 0 R nel piano MOR; M'O M la visuale alla mira; hog=a,. BpR-=b,, NOM la, Z MOON x«OM£=A azimuto cercato della mira dal Sud verso Est. Fatti Om. Onde le coordinate di r ed »w saranno i coseni degli angoli che le due rette 0M ed O fanno coi tre assi. Onde le formole: CosMox = cosà cos A.; CosMoy=—cosh sen A ; (osMoz=sen / ; Cos Rox =cosbsena ; Cos Roy=cosb cosa ; Cos Roz =senòd : Ma ROM=90°% c.: e cos ROM= cosMox cos Rox + cosMoy cos Roy+ +cosMozcos hose. Adunque : — senc= cos } cos 4 cos ) sena — cos sen A cosd cosa + + sen / send = -- cos cos sen(A— a) + sen » sen d e finalmente la formola : sen(A—a)=tan% tand + secl sec d sen e , che dà l’azimut della mira in funzione della sua altezza ap- parente e delle tre costanti dello strumento dei passaggi. Torino, 13 Dicembre 1885. 95 SULLE VARIETÀ NORMALI A TRE DIMENSIONI COMPOSTE DI SERIE SEMPLICI RAZIONALI DI PIANI Memoria del Dott. C. SEGRE, presentata dal Socio Prof. E. D’Ovipro Nel presente lavoro, proseguendo le mie ricerche di geome- tria ad » dimensioni e specialmente quelle contenute nella mia Nota Sulle rigate razionali in uno spazio lineare qualunque (*), mi occupo delle S,—;" di S,,,(**). Le rigate razionali nor- mali, queste varietà, e più in generale le Sj— f°",,, di S,,,; erano già comparse nel mio lavoro sui fasci di coni quadrici in uno spazio qualunque (***) come luoghi dei sostegni di un fascio (*) Atti di questa R. Acc., vol. XIX. — Nel citare i n! di quella Nota li farò precedere dalla indicazione . (**) In generale con S,— F”,,, s'intende una varietà d’ordine n ad i + 1 dimensioni composta di co! S,. i dicendo che una varietà qualunque (anche se composta) appartiene ad uno spazio (lineare), intendo che non solo vi è contenuta, ma che non sta in uno spazio a minor numero di dimensioni. Le F”,,, non possono appartenere ad uno spazio di più che n +i dimen- sioni (per un noto teorema che il CLIFFORD dimostrò per #î=0 e che il sig. VERONESE estese ad 7 qualunque); quelle S;— £”,,, che appartengono ad un S,,,; si diranno normali: da esse si ottengono tutte le altre serie sem- plici razionali di S;, mediante proiezioni.’ Supporrò sempre che non siano coni, perchè se fossero tali il loro studio sì ridurrebbe a quello di varietà della stessa specie e non coniche, a minor numero di dimensioni. (***) Atti di quest’Ace., vol. XIX. — Il sig. DeL Pezzo in una recente nota Sulle superficie di ordine n immerse nello spazio di n +) dimensioni (Rendiconti della R. Ace. di Napoli, settembre 1885), ha dimostrato che le sole superficie F," immerse in S,,, (0, come io dico, appartenenti a questo spazio) sono appunto rigate razionali normali, fatta eccezione per una F,° di $s, che fu studiata successivamente dal sig. VERONESE (Atti della R. Ace. dei Lincei, 1884) e da me (in un lavoro Sulla geometria delle coniche. 96 CORRADO SEGRE di tali coni; ed ivi avevo enunciato senza dimostrazione che tutte le varietà nominate. non possono presentare altre particolarità (invarianti assoluti ) che i numeri indicanti gli ordini minimi delle loro curve direttrici. Qui se ne vedrà la dimostrazione (già data per le rigate, cioè per #=1) pel caso di 7=2; essa si estenderebbe immediatamente ad < qualunque. E delle varietà che ci occuperanno si vedranno anche varie altre proprietà, relative sopratutto alla geometria su di esse, le quali possono servire di fondamento per una trattazione completa (*). In ultimo ne darò una serie di rappresentazioni sullo spazio ordinario, dalle quali si deduce una serie notevole assai estesa di trasformazioni uni- voche dello spazio ordinario, in cui i due sistemi omaloidici si compongono di rigate d'ordine qualunque. Sebbene le ricerche che qui esporrò procedano parallelamente a quelle citate sulle rigate razionali, pure esse mi presentarono difficoltà di nuova specie, che mi persuasero dell’utilità di pub- blicare questa Nota. Però rispetto alle S,—7",,, di S,,; 1 ra- gionamenti qui fatti pel caso di 7 —=2 si estenderanno facilmente ad ; qualunque , e l'analogia permetterà di prevederne senz'altro i risultati, sicchè non le farò più oggetto di un nuovo lavoro. Generalità sulle S,—Fs= di S,,,. A. Sia F una tale varietà appartenente ad ,S,,, e che supporremo sempre non composta di altre. Essa sarà tagliata nel vol. XX di questi Att? ). Orbene da quella proposizione sì trae senza dif- ficoltà, che le F‘j,, appartenenti ad S,,; sono appunto le nostre Sj — F pan i fatta solo eccezione pel caso di n=4, in cui esiste inoltre in Si, una Fi, che non è di questa categoria, essendo un cono avente per sostegno un S;_ e per sezione con ogni S;z una F,* della specie suddetta. *) Credo bene avvertire, che in questo, come nella maggior parte dei miei precedenti lavori di geometria a più dimensioni, non è mai una trat- tazione completa dell’argomento che ho avuto di mira, ma bensì il dare soltanto quelle proposizioni fondamentali, dalle quali una tal trattazione si . può poì dedurre senza gravi difficoltà. E penso che per ora in questo campo vastissimo e quasi inesplorato della geometria proiettiva a più dimensioni sia bene far così per potere più presto acquistare una qualche conoscenza dei vari enti che vi sono da studiare e delle questioni che vi sono da risolvere. 2 SULLE VARIETÀ RAZIONALI SEMPLICI DI PIANI 97 da ogni S,,, (di S,,,) in una rigata d'ordine » semplice in generale, ma che potrà anche scincersi; tale rigata apparterrà però sempre all’,5,,,, giacchè, se stesse in un S,, per questo ed un punto di F posto fuori di esso passerebbe un $,,, che taglierebbe questa varietà in una superficie composta d'ordine complessivo >», e quindi la conterrebbe, contro l’ ipotesi. Quindi, siccome le generatrici di una rigata d'ordine » appar- tenente ad un S,,, formano una serie razionale (R. n° 1), così i piani generatori di F formano una serie razionale. È chiaro che, essendo ogni piano di F incontrato da un S,,, in una retta e da un ,, almeno in un punto, un S,4, qua- lunque dovrà sempre contenere di F una rigata semplice (*) e non esclusivamente dei piani generatori; ed un ,S, qualunque dovrà sempre contenere una curva semplice o una rigata semplice, e non esclusivamente dei piani generatori o delle rette di questi. Si noti però che uno spazio qualunque non può contenere due distinte rigate ovvero una rigata ed una curva non posta su questa, altrimenti F si decomporrebbe, e per la stessa ragione se uno spazio contiene di F due distinte curve, contiene anche una ri- gata passante per queste. 2. Estendendo il ragionamento fatto dianzi si prova che ogni rigata F," di ordine m=n situata su F è una rigata ra- zionale normale, cioè appartiene ad un S,4+,} in fatti se stesse in un S,,, per questo ed (nr 4+1—w) punti di F posti fuori di esso su altrettanti piani generatori passerebbe. un $S,,, conte- nente anche questi piani e contenente perciò una rigata com- posta d'ordine >#. — Questo ragionamento vale anche se la 1," sì scinde, cioè essa apparterrà sempre ad un $,,,,: purchè però comprenda sempre una rigata direttrice, vale a dire non si scinda tutta in piani generatori. Vedremo più tari a quale spazio ap- partenga un dato gruppo di piani generatori (v. n" 11). 3. Ogni curva C* d'ordine v =, situata su F e su uno spazio che non contenga nello stesso tempo una rigata di questa varietà, è una curva razionale normale, cioè appartiene ad un S,. Invero un S,,, qualunque passante per quella curva (*) Si avverta che parlando di curve e rigate semplici sottintendo sempre direttrici, cioè incontrate da tutti i piani generatori; quindi p. e. escludo sempre dalle curve che considero quelle segnate su un piano generatore. Inoltre dicendo curve, rigate, piani, ecc. sottintenderò spesso di F. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXI. 7 98 CORRADO SEGRE conterrà una rigata semplice passante pure per questa e d’ or- dine = p., perchè tagliata secondo una C*da uno spazio che non ‘ la contiene: quindi per una proprietà delle rigate razionali normali (R. n° 2) la C* apparterrà ad un S,. Ciò vale anche quando la C* si scinde, purchè non si scinda tutta in rette generatrici. Una curva semplice C* soddisfaciente alle condizioni dette corrisponde coi suoi punti univocamente ai piani generatori, giacchè se ognuno di questi piani la incontrasse in più di un punto ta- glierebbe l’,S, a cui la curva appartiene in una retta, il cui luogo sarebbe una rigata dell’ S,. 4. Un S,., condotto per un piano generatore incontra an- cora F in una rigata /,"-' (semplice o composta) di un &,; ogni S,,, passante per questo incontra ulteriormente F in un piano generatore e viceversa ogni tal piano sta con quell’S, in un $S,,,: vi è così una corrispondenza proiettiva tra la serie dei piani generatori e il fascio degli S,,, passanti per quell’S,. Considerando » tali fasci di ,S,_, essi saranno proiettivi e ge- nereranno F come luogo dei piani d’intersezione degli $,,, corrispondenti. Viceversa » fasci proiettivi di S,_, generano evi- dentemente in generale una $S,— F;" appartenente ad ,S,,,- — Questa generazione è analoga a quella della C" normale di 5, e della rigata normale /,” di S,,, mediante n fasci proiettivi risp. di S,_, e di S, (*). 5. Vi è un’altra generazione di F, più importante per certe questioni che incontreremo, e analoga a quella della rigata nor- male F,° di S,,, mediante due curve normali punteggiate uni- vocamente. Tre curve razionali normali punteggiate proiettivamente generano in fatti coi piani congiungenti i punti corrispondenti una varietà, il cui ordine è in generale la somma degli ordini di quelle curve e che appartiene alla specie delle varietà che an- diamo studiando se gli spazi in cui stanno le curve date sono indipendenti (**). Così pure (il che si può anche considerare * dà a a VT i (*) In generale una S;— F?;_, di Sx; mediante » fasci proiettivi di S,,,;_,- V. VERONESE: Behandlung der proj. Verhdltnisse, ecc. (Math.. Ann., XIX). î (**) Più spazi (i) risp. ad #,, ..., #; dimensioni sono indipendenti quando il loro insieme appartiene ad uno spazio di my+ ...+ mjt = l dimensioni, si può generare in infiniti modi SULLE VARIETÀ RAZIONALI SEMPLICI DI PIANI 99 come conseguenza di ciò) una curva razionale normale ed una rigata razionale normale che non la contenga e le cui generatrici corrispondano univocamente ai punti di quella, generano coi piani congiungenti elementi corrispondenti una varietà avente per or- dine la somma degli ordini della curva e della rigata e appar- tenente alla specie che esaminiamo se queste appartengono a spazi indipendenti. — Vedremo che inversamente la varietà F si può sempre generare in questi modi. Intanto, a proposito di questa generazione, conviene che qui aggiungiamo che due curve razionali normali di F, i cui ordini siano =», stanno sempre su una determinata rigata di F ge- nerata dalle rette congiungenti i punti in cui quelle curve sono incontrate dagli stessi piani generatori. Se le due curve appar- tengono a due spazi indipendenti, la rigata generata ha per ordine la somma dei loro ordini ed è normale. ILL Loro distinzione in specie. Rigate e curve minime. D 6. Un S,,, condotto per I e (cioè il numero intero 9 2 Ms RATE sot Fe : contenuto in Li) piani generatori di F potrà tagliarla ancora in altri tali piani, ma sempre la taglierà inoltre in una rigata , ala n4+2.., 2n razionale normale d’ordine “n — I - 3 cioè =I—-. Dunque ML i 2n l'ordine minimo di una rigata di F non supera zgit * Diciamo n° quell’ordine minimo e consideriamo una rigata 77”” di F. Essa apparterrà (n° 2) ad un S,,,,, e conterrà (R. n° 3) " FE SCIE NALI m i, n una curva (od infinite) d'ordine = / mi quindi anche = 7 a Adunque l'ordine minimo di una curva razionale normale I di F non supera — 3 100 CORRADO SEGRE Diciamo »m' quest'ordine minime. Sarà dunque : n PAZ) (flo):ia ino cdr mZ= m'=—, 3 9, ed inoltre (ARIA A: PACE Pn" 7. Esaminiamo meglio il numero delle curve e rigate minime e le loro relazioni. Anzitutto si osservi che una tal curva 0” ed una tal rigata 7,”' devono stare l’una sull’altra, tranne nel a: : v | 2° 7201 OS ARIA caso limite delle (1), cioè quando m'=> (e quindi nm = Sal ) î in fatti se ciò non fosse esse genererebbero (n° 5) una varietà d'ordine m+wm" al più, cioè d’ordine minore di » in causa delle (1). Ciò posto, partendo anzitutto da una 7,”", vi è su questa (R. n' 4,5) una sola curva d’ordine w' soddisfaciente alla (2), tranne quando di questa si verifica il caso estremo 2m'=wm", nel qual caso vi sono co' curve d’ordine »' formanti una serie lineare. Dunque su F vi è 2» generale una sola curva mi- nima C""; però se m'=2m' ve ne sono co' poste su una rigata minima e formanti una serie lineare (escluso il caso R ; sie cai di più particolare di m=—-). Partiamo ora invece dalla l”' (o da una delle C”' nel caso n—- m'4 1 2 piani generatori (cioè per altrettante coppie di punti di questi) si può far passare un S,,, che taglierà ancora F, oltre che forse in altri piani, in una rigata semplice d'ordine — m'+1 n+ mn SS - La -, ossia =/I TT 2 2 la 0”'. Su una rigata di tal ordine avente questa per curva mi- nima vi sono (R. n° 5) infinite curve razionali normali d’ or- , ’ ; nt m P n_-m fi: dine = Le veri cioè = care Quindi se per la C”°' nt mn! di m'—=2m'). Per essa, cioè pel suo S,', e per I , la quale passerà per passassero due rigate d’ordini = / , scegliendo sull’una SULLÈ VARIETÀ RAZIONALI SEMPLICI DI PIANI 101 una di quelle infinite curve, essa gen>rerebbe coll’altra una va- rietà d'ordine i n_- mn n+m' "AA là Giuli == e quindi <», tranne quando #+wm' essendo pari quelle rigate n+ mi fossero precisamente dell'ordine —, Se si eccettua tal caso ll 5) si vede che per la C”' passa una sola rigata d’ ordine n+m' @ | 1° questa sarà rigata minima di F. Dunque: vd IGT - ABINIO ml! è 7: " è in generale una sola rigata minima F," ; il suo ordine m soddisfa oltre alle (1), (2) la relazione seguente : ipa - SI, n (che comprende anche quello escluso da principio di m'= 3) * ae am'=n+m' . Però se fosse precisamente 2 m'=n+m' vi sarebbe una infinità di tali rigate passanti per la curva minima C""' K 1 ta x Ì . n (0 per ogni curva minima, nel caso più particolare di n=) ) come vedremo meglio ora. 8. Abbiamo già esaminato il caso eccezionale di m'= 2 m'. Esaminiamo ora l’altro di 2n'"=n+7', che ha comune con I | n n_- M quello il caso di m'=—-. Per la 0”' (od una 0”) ed ur ) di piani generatori passa un ,S, e ne passa in tal caso uno solo; poichè se per quelli passasse un S,_, si potrebbe condurre per esso e per un piano generatore diverso da quelli un ,S,_, che uc n_m tra conterrebbe quindi almeno —;— +1 piani generatori e taglie- / I CÒ, n4+m .. rebbe ancora F in una rigata d’ordine Sira mp + —5 7: cioè — Migde -_ quindi vi è contenuta. Concludendo : Nel caso eccezionale di 2m"=n+m' per lunica curva minima C"', 0 per una di si, ; n } ; esse nel caso più particolare Urla passano co' rigate mi- nime F,"", le quali si possono tutte determinare come inter- sezioni di F con un fascio di S,,, e formano quindi una serie lineare sì che per ogni punto di F non posto sulla C"* ne passa una sola. È È n fica 2n 9. Finalmente nel caso di m' — 5 (e quindi "= sa le par- ticolarità si hanno da quelle relative ai due casi eccezionali già esaminati m'—2m e 2w"—=n+wm'. Ma osserviamo pure che ogni rigata minima F?”" sta in tal caso con w' piani generatori fissi in un S,,, e in uno solo; e viceversa ogni ,S,,, per quegli w° piani taglia F in una rigata minima. D'altronde quegli m' piani appartengono ad un $,_, (perchè se stessero in un S,_,, per questo ed un altro piano generatore passerebbe un $,,, tagliante ancora F in una rigata d'ordine —m") e ogni S, passante per questo taglia F in una C””, poichè taglia la 7,” di un S,., che lo contenga in 7° generatrici (degli »m' piani generatori). Dunque: n , 5 RARO AN 5 a Quando m He glmvaisono 00° curve minime C" ed oo* rigate mi- mime Fî"'; esse si possono intendere determinate su F risp. dagli S, e dagli S,., passanti per un S,_,. Quindi per un punto di F passa una sola curva e per due punti non posti sulla stessa curva passa una sola rigata: due curve stanno in una rigata, due rigate si tagliano in una curva; una curva ed una rigata che non la contenga mon hanno punti comuni (*). : (*) L’esempio più semplice di questo caso si ha (per n=3) nella varietà cubica a 3 dimensioni F,° di S,. Questa interessante varietà si compone di ' piani (generatori) e contiene 20 * rette direttrici e ? quadriche ordinarie (di cuì ciascuna ha un sistema di rette appartenente a quelle di- rettrici e l’altro a quei piani generatori). Essa si può intendere generata dai piani congiungenti i punti corrispondenti di 3 rette (scelte comunque tra SULLE: VARIETÀ RAZIONALI SEMPLICI DI PIANI 108 n 40. Riassumendo noi vediamo che le S,— 7? di ,$S,,, pos- sono essere di varie specie. Ogni specie è caratterizzata da due numeri n", 7°, che rappresentano gli ordini delle curve e ri- gate minime, e che devono soddisfare le condizioni (2) e (3), delle quali le (1) sono conseguenze. Vi è in generale una sola curva minima ed una sola rigata minima poste l’una sull’altra ; fanno eccezione il caso in cui w'"— 27, chè allora vi sono co' curve minime sull’unica rigata minima, il caso in cui 2wm"=n+m', perchè allora wi sono oo' rigate minime passanti per l’unica curva minima, e finalmente il caso più particolare comune ai due sas LU - st precedenti di »'—=- nel quale vi sono ec? curve minime e 00? o Di rigate minime. Vedremo poi che quelle varie specie esistono realmente e che le varietà di una stessa specie sono projettivamente identiche. Avendo noi escluso il caso in cui le varietà stesse siano coni (caso che corrisponderebbe ad #'—0), dovrà essere m'Z1 e quindi m'"=2; quelle varietà non contengono dunque altri piani che i piani generatori. III Loro rigate e curve razionali normali. 44. Prima di passare alla ricerca di curve e rigate contenute in F conviene che ci occupiamo delle relazioni tra piani di questa varietà, questione che avevamo dovuto lasciare sospesa al n° 2. Si vede facilmente che #'+1 piani sono sempre indipen- denti, cioè appartengono ad un ,$S;,,,, - Invero se stessero in un S;w4+,, Questo conterrebbe la (od ogni) CC”, avendo su essa m' +1 punti: onde se vi sono infinite curve minime , cioè quelle c?) punteggiate proiettivamente, ovvero dalle rette congiungenti i punti corrispondenti di due piani (generatori qualunque) punteggiati proiet- tivamente. Per ogni suo punto passano un piano generatore ed una retta di- rettrice; per due suoi punti passa upa quadrica, ece. Ogni S, di S; contiene una retta direttrice ; per ogni punto di S; passa un S; contenente una quadrica. Del resto, per brevità, non starò a dare in questo lavoro altri esempi delle varietà studiate. 104 CORRADO SEGRE m'=2 m', dovrebbe contenere una rigata 7°?" e quindi un insieme d'ordine almeno uguale a 31'+ 1, il che non può essere (n° 2); e se poi non si presenta quel caso, conducendo un S,im'4i per quell’ S;,,,, e per w'—27' punti di una F,”, esso la conterrebbe tutta [tagliando quella rigata secondo la 0” e (m'+1)4(m"-2w)=m"—m'+1 generatrici ], e quindi ta- glierebbe F in una rigata composta d'ordine almeno uguale a m'4m"4+1, il che è ancora impossibile (n° 2). Dunque anche un numero qualunque . =m'+1 di piani di F sono indipen- denti (*). Ma se 1>m'+1, allora p. piani sono dipendenti, poichè per la (od una) €” e n coppie di punti prese su essi passa un S,,;m' che li contiene ed è 2u+m'<31—1. Se inoltre è p=m"—m +1 si vede con un ragionamento affatto identico a quello usato or ora che pei ;. piani non può passare un PORRE Gn sicchè allora i p piani appartengono ad un ,S,,;,r passante per la C”. Questo caso è solo possibile se w'+1m'"), ciò che non può essere (n° 2); quindi in tal caso i p. piani appartengono ad un S,.n'4, passante per la N?" . Se finalmente la 2" condizione posta non è soddisfatta, cioè se p>n—m'", allora evidentemente i 1. piani appartengono solo ad S,4,. Quando vi sono infinite rigate minime, cioè 2m"=n+wm', dalla condizione 1. 2 22"—m'+1 segue appunto u>n—W". Concludendo: Un gruppo di u piani qualunque di F_ può presentare è casi seguenti: 1° se y =m'+1 esso si compone di piani indipendenti, cioè appartiene ad un Sz,-.; 2° se p=m' +1, ma pSm"—m', esso appartiene ad un S,,im CON- tenente la C" (caso che non può presentarsi quando m'=2m') ; 3° se p>m"—m', ma p=zn—m", esso appartiene ad un Suemisr contenente la Fi" (caso che non può presentarsi quando 2m'=n+m'); 4° se pu>n—m", esso appartiene ad Siya (*) In particolare due piani non possono avere un punto comune, senza che la varietà si riduca ad un cono. SULLE VARIETÀ RAZIONALI SEMPLICI DI PIANI 105 12. Ciò premesso, siamo in grado di determinare tutte le ri- gate F? d'ordine m =» (e =w'"), e quindi (n° 2) razionali normali, contenute in F. In fatti ogni tal rigata insieme con un gruppo fissato ad arbitrio di p=%»—m piani apparterrà ad un £,,,- Viceversa un ,$,., passante per quel gruppo di piani, cioè per lo spazio a cui esso appartiene, contiene, se n —mt>m'—wm', cioè mwu!', cioè m2(n—-m") la 7," non avrà più in generale la sua curva minima sulla 7," ciò accadrà solo per certe particolari /,” passanti per un numero conve- 2 i en bi La 1 RE Bi niente (=I.——+m'—m ) di generatrici della F,” . Esclu- dendo il caso in cui ciò sia, è chiaro però che la curva minima della 7,” sarà sempre congiunta alla (o ad una) C”' con una certa rigata razionale normale. E una 7”: passante per la C”” può ta- gliare la 7°," oltre che in quella curva solo in generatrici, le quali dovranno essere tra quelle che passano pegli m +m'—n punti d’intersezione della Y,” colla 0”. Ora se si ire” m, tale che 2m—-n_-M "al essgn + — n, ossia MT m' = - e sì può far passare la 7,” per tutte quelle generatrici della 7” (n° 12), sicchè le due rigate avranno un’ intersezione residua d’ordine (m4+m,—n)—(m+m-n=m—m' ; da Tiiie>h MA m o il valor minimo di quest'ordine si ha per m,=15 — +m' ed è Pi m dep Se invece m,—m'< 5 si può fare passare la 7”: per Ce] ei (2m,—n—m'4+1) generatrici della F? e si ha per ordine della residua curva d’ intersezione (m+m,—n)—(2m_-n—-m +1)=m+m-m,—1, , | Pg: ) mm î m il cui valor minimo si ha per m,=m 4 I o fr ledèò m_—I=, m+ 1 i 5 cioè JI - 9 . Dunque: 7n generale quando m>2(n—m') la . . . ' curva minimo di una F,° (non passante per O") è dell’ or- dine 17 (e solo per particolari F," sarà d’ordine inferiore, facendo parte dell’intersezione di quelle colla rigata minima); quando invece m=2 (n—m") la curva minima della F," fa parte dell’intersezione con una rigata minima, ed è in gene- rale dell’ordine (ma +m"—n). SULLE VARIETÀ RAZIONALI SEMPLICI DI PIANI 107 Da ciò si dedurrebbe facilmente quale varietà formano le curve razionali normali di un dato ordine (soddisfaciente a certe condizioni) su F. 414. Facciamo invece un'applicazione del risultato ottenuto, la quale ci servirà in seguito. Determiniamo cioè quanti elementi di F, punti, piani e rette, può contenere un S,_, senza con- tenere nello stesso tempo una curva od una rigata. Un $,_, sì può far passare per #, piani, #, rette ed (n—2f# —3#,) punti di F, essendo gt ano Però affinchè esso non contenga le O” deve essere Pai / cd = e affinchè della rigata minima Y°', di cui conterrà #, generatrici e t, punti, non contenga ancora una curva dovrà essere (I. n° 8): OSO, Queste tre condizioni sono anche sufficienti, perchè un $S,_, pas- sante per #, piani e #, rette di F_ non la incontri più che in punti isolati. Invero un $,., condotto per quell’.S,_, taglia quella varietà, oltre che nei #, piani, in una rigata d’ordine n—t, (in generale semplice) passante per le #, rette ; e 1°S,_, contenendo #,4#, generatrici di quella rigata la taglierà ancora (R. n° 8) in (n—t)—2(t+t)=n—2t—3t, punti isolati. Perocchè l'ordine minimo di curve di quella rigata d'ordine » — &, essendo, come si è visto al n° precedente, il più piccolo dei n_-t, numeri / , m'—t,. è soddisfatta la condizione che il nu- LI mero #,+#, di quelle generatrici non superi quest'ordine minimo ; in fatti quella condizione darebbe : 2(+t) 2n—-t,(*), t+t3m"-t, relazioni entrambe vere in causa delle precedenti. {") Veramente nel 2° membro di questa relazione si dovrebbe scrivere n_ty 21, caso essa sarebbe ancora soddisfatta, giacchè allora n—2t—3ty sirebbe non solo >0, ma >]l. , che diverrebbe n—t,—1 quando n—t, fosse dispari; ma in tal 108 CORRADO SEGRE IV. Generazione ed equazioni canoniche. 45. Dai risultati del n° 12 si ha in particolare l’esistenza su F di infinite rigate d’ordine n —m' non passanti per la curva minima. In esse le curve d'intersezione colle rigate mi- nime sono in generale dell'ordine 7 — m' e sono quindi curve minime. Su ciascuna di quelle "7" vi sono poi per conse- guenza infinite curve d'ordine:m— m'". Da tutto ciò (e dal n° 5) segue : Si può sempre generare la varietà F di specie (m', m") mediante una C" ed una F°T" rigata (avente la curva mi- nima d'ordine m'"—m') corrispondentisi projettivamente; ovvero mediante una C"7"" ed una F,"" (con curva minima d'ordine m'); ovvero finalmente mediante tre curve normali projettive degli ordini m', m'"- m', n—m". — S'intende che gli spazi a cui appartengono risp. la curva e la rigata, ovvero le tre curve, devono essere indipendenti. affinchè la varietà generata appartenga ad ,S,,,. Viceversa se i numeri 7, m'" soddisfanno le condizioni (2), (3), o ciò che fa lo stesso se w', m"—m', n—m" sono tre numeri in ordine crescente, tre curve razionali normali projettive aventi quei numeri per orlini e appartenenti a tre spazi indipen- denti generano una varietà che è appunto della specie (m', m'), cioè che ha la prima curva per curva minima e la rigata ge- nerata dalle prime due per rigata minima. È dunque provata l’esistenza delle varietà delle diverse specie (*). * = . . Le S . . 5; . ’ 3 . . N a .*) Tra le specie di rigate razionali normali d’ordine » di $,,, la più generale è quella per cui l'ordine della curva minima è (massimo, cioè) 15; le altre specie sì possono dedurre da questa facendo decomporre quella curva in un numero conveniente di generatrici ed una curva semplice. Similmente tra le varie specie (m', nm") a cui F può appartenere la più generale corri- n 2n ; sponde a m'=I,;,m"= I le altre se ne deducono sia abbassando l’or- dine della rigata minima collo scinderla in piani ed una rigata semplice, sia coll’abbassare nel modo detto dianzi l’ordine della curva minima sulla rigata minima. “bea SULLE VARIETÀ RAZIONALI SEMPLICI DI PIANI 109 16. Possiamo ancle trovare equazioni canoniche per quelle varietà. Consideriamo quelle tre curve razionali normali C0”', Ce'-»'. C"-"". Gli spazi a cui esse appartengono essendo in- dipendenti si possono prendere su essi risp. m'+1, m"—m' +1, n—m'+1 punti fondamentali e basterà che su ciascuno di essi i punti presi siano indipendenti perchè tutti gli +3 punti fondamentali presi insieme siano tali. Prendiamo su ciascuno di quei 3 spazi i punti fondamentali in modo che formino un si- stema di riferimento canonico per la curva corrispondente, e stabiliamo la projettività fra le tre curve ponendo che il para- metro variabile # abbia lo stesso valore in punti corrispondenti. Allora le equazioni delle tre curve avranno le forme : = . 0, DIRE] Ln . Cn! lr Quindi per un punto qualunque della varietà F costituita dai piani congiungenti i punti corrispondenti sarà : «= seo a; boia ” m_mn' Cmt+i1 —Y> Cms =YL, 0030 Cm4YL ft m' C+, = È , Im'43= IX . D è 5,9 Ins EL Eliminando i parametri x, y, tra queste equazioni otteniamo per le n—1 equazioni di F le seguenti: Lo z, Fi “eo Una Lm'+, v XV" Cr 4a Clx: Inti A Li La e Ln intro Lam! +3 d m/41 T'143 Ln 44 dia Queste equazioni provano che F non ha altri invarianti assoluti che i numeri 7°, m", che ne determinano la specie; il che risultava pure dalla generazione vista di quella varietà. I = mal SARNO pa CA - ARARAE-E. ZIO AP a+ Erp 20 pt, egg n '_m' ig = 7 ae — de ; —- 22) 2 ar Pi; PEA UE C'e Gra 20; ln! +2 — bia Ln4a 7 L 110 CORRADO SEGRE va Rappresentazioni su S;. 17. Prendansi ad arbitrio su F #, punti P e f, piani P,, in modo che sia: i, ‘Tette, ehe O? I (d)..UosbfprSimog tr hi!" 001 BE LSRES di cui l’ultima sarà conseguenza della seguente (at. +24 +98t=n-1. Per tutti quegli elementi passerà un determinato spazio O,_, da cui proiettando F su uno spazio ordinario X si avrà una rap- presentazione univoca di quella varietà su questo, poichè ogni S,_, passante per 0,_, incontrerà F in generale solo più in un punto (n° 14). Un S,., projettante (cioè passante per 0,_,) taglia F oltre che nei P, in una rigata d’ordine n—#, passante pei P_ e P,: tale rigata corrisponderà ad un piano di Y%. Due di queste rigate si tagliano (n° 12}, oltre che nelle #, P,, in una curva d’ordine n—t —2#,, la quale corrisponderà ad una retta di Y. Una sezione di F fatta con un S,,, sarà incontrata da una tal curva in n—t,—2f, punti, ed avrà quindi per imagine in Y una superficie d’ordine n—# —2#,. Dunque: a? piani di X corrispondono in F_le oo rigate F,"<': d'ordine n—t, pas- santi pei P, e P,; ed alle sezioni di F fatte cogli Su corrispondono in Y oo"*? rigate razionali d'ordine n—t,—2t, formanti una serie lineare. — Diremo quindi che questa rap- presentazione è dell’ordine n—? —2t,. Cerchiamo ora quale è il valor minimo di quest'ordine e come si ottiene la ruppresen- tazione minima corrispondente. 48. Perchè la rappresentazione considerata sia possibile è necessario e sufficiente che siano soddisfatte simultaneamente le tre condizioni (4) dai due numeri #,, #,. Vediamo come ciò si possa ottenere. Scelto anzitutto ad arbitrio #, in modo da soddisfare la 1° di quelle condizioni, la 2° darà: , 2 m" —28,, e siccome allora m'"-— 24, 2 m"—2m'Z0, così m'—2t, non SULLE VARIETÀ RAZIONALI SEMPLICI DI PIANI 111 essendo negativo si potrà prendere # non maggiore di esso, cioè soddisfare anche la 2° Quanto alla 3° essa ci dà: 2 = n—-3t,—1 e questo secondo membro diventerebbe negativo solo quando, essendo n-=3m', si fosse scelto precisamente #,=wm'. Per soddisfare le (4) si può dunque sempre prendere # = m' ad arbitrio, tranne quando F fosse della specie corrispondente ad m'== , nel qual caso si deve prendere # < m'. Con questa condizione per soddisfare simultaneamente la 2° e la 3° delle (4) basterà prendere 27, non maggiore di 2(m'"—2t£,) e di n—- 5t,—1. L'ordine n—t —2t, della rappresentazione si rende minimo rendendo massimo #42 #,:; in causa della 2° delle (4) questa quantità non può superare n°. Se la può rag- giungere, cioè se si può fare # —m"— 2#,, dovrà poi essere in' causa! della; 37: 2m"—-t,Zn—-1, ossia vt, =2mn'"-n+41. Perchè questa relazione sia compatibile colla #, = m' occorre e basta che sia 2w"—n+1=2w', cioè 2m"0 quella curva si decompone nella 0” ed 2—#—3m' — 1 rette. Sup- posto poi #,0 sî ha la particola- rità che in ogni punto di r tutte quelle co"*° rigate hanno comuni n—t,—3m'—1 piani tangenti (variabili da punto a punto). — Nel caso della rappresentazione minima generale, cioè quando t,+-2t,=m", in r coincidono t, generatrici (le t, generatrici R del caso generale) e vi sono t, piani tangenti lungo r fissi per tutte le rigate e per tutti i punti di r; inoltre vi sono t, punti di r (i t, punti Q del caso generale) in ciascuno dei quali vi è ancora un altro piano tangente comune a tutte le rigate. 24. Se si fanno due diverse projezioni di F su due spazi ordinari (distinti o no) Y e X', facendo corrispondere due punti di questi spazi i quali siano imagini di uno stesso punto di F si otterrà una notevole corrispondenza univoca tra Y e S', e si SULLE VARIETÀ RAZIONALI SEMPLICI DI PIANI 115 avranno facilmente dalle cose esposte tutte le sue principali proprietà. Nella corrispondenza tra F e S' vi saranno elementi analoghi a quelli della corrispondenza tra F e X, cioè ai f, P,, t,P,, Meses0. RR e si indichino. risp. con #'P/, tP., k P;, vr, Q', R'. Allora ai piani di SY corrisponderanno in F delle F,7': passanti pei P, e P, e quindi in £' delle rigate ra- zionali d'ordine n— t'— 2t— t, aventi » multipla secondo n_-t'-2t/—t,--1 passanti pei #, punti Q' e per le #, rette R' ed inoltre per altri #, punti C,' e #, rette C'' (proje- zioni su S' risp. dei P, e P,). Similmente ai piani di X' cor- risponderanno in Y delle rigate d’ordine n—t,—2t—t, aventi r per retta multipla secondo n—t,—2t,—t—l1 e #t+t/ punti Q e C, fissi e t,+t# rette Re C, semplici fisse. I due sistemi omaloidici che figurano in questa corrispondenza univoca tra e X' sono, come si vede, assai notevoli. Quanto agli elementi fondamentali si vede facilmente che cosa hanno per corrispon- denti. Così alla retta » di Y corrisponde in F_una FTT pas- sante pei P, e P,, e quindi in S' una rigata razionale d'ordine n—t'—2t'—t,—1 avente r' multipla secondo n—t'—2t'+t—2 e passante pei Q', C/, e per le R', C''; ai piani per r cor- rispondono (oltre a questa rigata) i piani per »' e la corrispon- denza è projettiva. Ad uno dei #, punti fondamentali @ corri- sponde in F il piano per una P, e quindi in X' uno determi- nato dei piani »'C,'; ecc. ecc. — Credo inutile il fermarci di più su questa corrispondenza, il cui studio con questo metodo non potrebbe essere più facile (*). Torino, Novembre 1885. (*) Il metodo del proiettare varietà appartenenti a uno spazio di più di- mensioni su uno spazio a minor numero di dimensioni, oltre ad apparire fin d’ora fecondissimo per lo studio delle varietà sì del primo che di quest’ul- timo spazio, promette di diventare tale anche per la teoria delle trasforma- zioni di uno spazio in se stesso, se queste trasformazioni si considerano (come sopra si è fatto in un caso particolare) come provenienti da due diverse proiezioni su quello di una varietà allo stesso numero di dimensioni. Non sembra improbabile che per questa via si giunga in particolare a completare la teoria delle trasformazioni univoche dello spazio ordinario, 116 Adunanza del 27 Dicembre 1885. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ANGELO GENOCCHI Sono presenti i Soci: GexnoccHI, Cossa. CurIONI, BRUNO, NaAccarI, Spezia, D'Ovipio, Sracci, SALVADORI, Basso, il quale ultimo, in assenza dell’Accademico Segretario SOBRERO, ne tiene le veci. Letto ed approvato l’atto verbale dell’adunanza precedente, il Segretario fa notare alla Classe che, fra i libri pervenuti re- centemente in dono all'Accademia, merita particolare menzione la 2° edizione (1° dispensa) dell’importautissimo Handbueh der Physiologischen Optilk del Socio straniero Ermanno von HEt- mHoLtz. La Classe delibera d'inviare all'autore speciali ringra- ziamenti. Si dà lettura di una lettera del Prof. Pasquale ViLLari al Presidente dell’Accademia, nella quale egli esprime a questa la sua riconoscenza per il premio BRESssa che gli fu recentemente conferito. Il Socio NaccarI legge un lavoro manoscritto del Professore N. JADANZA, intitolato: Nuovo metodo per accorciare i can- nocchiali terrestri. Bob. ADUNANZA DEL 27 DICEMBRE 1885 * At? DI SIA ii ) Socio Cossa presenta e legge un lavoro manoscritto del . I. GuarescHI, intitolato: Nuove ricerche sulla naftalina. 220 Via n PRINT ERARgI AMI) | maga. | Spare BUI. av! a 4 # fr 2 iaia, rutto su » ti (3, ttatoa 118 NICODEMO JADANZA LETTURE NUOVO METODO PER ACCORCIARE I CANNOCCHIALI TERRESTRI. Lavoro del Prof. N. JADANZA, presentato dal Socio Prof. A. NACCARI, È. In qualunque sistema diottrico centrato esistono sull’ asse (retta cardinale) due punti coniugati, e quindi due piani coniugati normali all’asse e passanti per quei due punti, tali che le figure coniugate (oggetto ed immagine) sono eguali ma inversamente poste rispetto all’ asse. In altri termini il rapporto m tra una dimensione della immagine alla corrispondente dimensione dell’og- getto ha per quei due piani coniugati il valore — 1. I due piani coniugati aventi tale proprietà sono stati chiamati dal Casorati (*) piani d’'isometria inversa e punti d'isometria inversa i punti in cui codesti piani incontrano l’asse del sistema diottrico centrato. Indicando con E£;, £;* le coordinate di tali punti e con 7, F* le coordinate dei due fuochi principali, si ha: Es-=P = | E*=F*4.p* ,, | dove 0 e «* sono la prima e la seconda distanza focale del sistema diottrico dato. (*) LE PROPRIETÀ CARDINALI DEI CANNOCCHIALI ANCHE NON CENTRATI esposte da Felice Casorati. Milano, 1872, pag. 68 e seguenti. Cfr. N. Japanza, Teorica dei cannocchiali , pag. 26. NUOVO METODO PER ACCORCIARE I CANNOCCHIALI TERRESTRI 119 Nel caso di un sistema diottrico a mezzi estremi'identici le formole precedenti diventano : | Asp gÈ E*=F*+%0 . | (2) Supposto il sistema diottrico dato composto di due lenti le cui distanze focali sieno ©, e ©,, sono note le formole che danno i punti cardinali e la distanza focale del sistema composto, cioè: do Q,0, i D+ Pa - o, A È , A E=E+- Di ’ E*=-E re === (3 Dito d CA OA BET SEPA I Le igi tg A] Nelle quali formole A rappresenta la distanza delle due lenti, giacchè noi le supponiamo infinitamente sottili, e quindi £, rap- presenta ad un tempo il primo ed il secondo punto principale della prima lente ed £,* il primo ed il secondo punto princi- pale della seconda lente. I punti d'isometria inversa nel caso di un sistema composto di due lenti si otterranno dalle (2) tenendo conto delle (3); avremo cioè : O — 0,0 e a Î E i De A A \ CR all I Dr Proponiamoci ora di formare con due lenti convergenti un sistema composto convergente tale che il segmento compreso tra i punti d'isometria inversa sia minimo e la sua distanza focale sia eguale a quella della prima lente componente. 120 NICODEMO JADANZA Indicando con è il segmento E, E,* sarà 0=-E*-E,, e quindi per le (4) e poichè sì ha sì avrà Il sistema composto di due lenti convergenti sarà conver- gente se sarà soddisfatta la condizione oo, —A>0 sa. (6) in tale ipotesi il segmento è dirai A° A slomnot iau a (7) LI sarà nullo se sì ha Quando la (7) è soddisfatta lo sarà certamente la (6) poichè da essa si ha (mjagr)” DIA, ovvero (rw) 4,9, Pi A Il segmento minimo (nullo) si ottiene adunque ponendo le due lenti ad una distanza data da ALII 0, Leo ec (8) Dovendo inoltre la distanza focale del sistema composto essere eguale a ©,, sarà Pane ga P, de Piena A Au e quindi 28 °° a "ac cei (9) Eguagliando le (8) e (9) si ottiene premo - flo allonp 4 stone (10) NUOVO METODO PER ACCORCIARE 1 CANNOCCHIALI TERRESTRI 121 Le (9) e (10) determinano completamente il sistema com- posto di due lenti. I punti cardinali di un tale sistema composto si otterranno sostituendo nelle (3) i valori Ao, o=40, b, si otterrà bB_E-p40, " ili d, ) ata sg (Lab) P=F,4+4%, Liù ba] K,=EF= E 4-30 3 La fig. 1° rappresenta un sistema composto di due lenti quale ora abbiamo descritto. Fic. 1. Al disotto dell’asse sono segnati î punti cardinali dei due sistemi componenti; al disopra i punti cardinali del sistema composto. I punti d’isometria inversa coincidono col punto medio del segmento /* F e quindi costituiscono un punto doppio. Si noti che in questo caso i due punti doppi, che esistono in qualunque sistema diottrico centrato, sono coincidenti, com'è facile vedere dalla equazione di secondo grado d—(p+g*4+d)ct9e=0, le cui radici sono le distanze dei punti doppi dal primo fuoco del sistema ('). Nel nostro caso il sistema è a mezzi estremi identici, quindi A ai 17 e da =E*—E=-4©,; l'equazione precedente diventa (r+90,)=0 le cui radici sono amendue eguali a —%© (*) Vedi N. Japanza, l. c., pag. 29. cl 192 NICODEMO JADANZA Si comprende facilmente come il sistema composto di due lenti ora studiato possa essere utilizzato con grandissimo van- taggio nel cannocchiale terrestre per raddrizzare la immagine che l'obbiettivo dà di un oggetto esterno. Basta nell'interno del tubo che contiene l'obbiettivo situare il suddetto sistema in modo che il punto dell’asse dove si forma la immagine data dall’obbiettivo coincida col punto segnato colle lettere £,, E,; la immagine non si formerà più, e nel me- desimo sito si troverà la immagine già raddrizzata della stessa grandezza di quella che sarebbe data dall’obbiettivo. La fig. 2° rappresenta il nuovo apparecchio di raddrizza- mento ed il suo modo di funzionare. La retta punteggiata P' Q' rappresenta la immagine quale sarebbe data dall’obbiettivo del cannocchiale; la retta P*@* continua rappresenta la immagine già raddrizzata. In essa figura si vede anche il modo di funzionare di cia- scuna delle due ienti M ed N che compongono l’apparecchio di raddrizzamento. La prima lente M° impedisce la formazione della immagine P'@' e dà invece la immagine P"Q" impiccio- lita e posta a sinistra del primo fuoco Y, della lente N. Questa ultima raddrizza ed ingrandisce la immagine P'@' presentan- dola nell’istesso sito dove si doveva trovare la prima P'@Q'. L'apparecchio di raddrizzamento attualmente adoperato nei NUOVO METODO PER ACCORCIARE I CANNOCCHIALI TERRESTRI 128 cannocchiali terrestri è formato quasi esclusivamente nei due modi seguenti : 1°) Due lenti aventi la medesima distanza focale sono poste ad una distanza eguale a codesta comune distanza focale (*). In tal caso se la immagine data dall’obbiettivo si trova nel primo fuoco della prima lente, il sistema la raddrizza e la immagine raddrizzata si troverà nel secondo fuoco della seconda lente. Cosicchè la distanza tra i due punti d’isometria inversa è uguale a 3 %, (0, essendo la distanza focale comune delle due lenti). Adope- rando una semplice lente quella distanza sarebbe 4, . 2°) Due lenti aventi la medesima distanza focale ©, sono poste ad una distanza uguale a 2,2. In questo caso la distanza E focale del sistema composto è =, + Eri i due fuochi Poi coincidono amendue col punto che divide per metà la distanza delle due lenti: i due punti principali si succedono nell'ordine E*, E e coincidono il 1° col primo fuoco della prima lente, il 2° col secondo fuoco della seconda lente. I punti d’ isometria inversa coincidono coi punti principali e propriamente £,; con £* ed E; con E; sicchè il segmento compreso tra i punti £,, E; è uguale a 24,+V2%,. È adunque di 3 ©, che resta accorciato il cannocchiale ter- restre nel primo caso, e di (242), nel secondo caso, ado- perando il nostro apparecchio di raddrizzamento, ossia: il can- nocchiale terrestre viene ad avere la medesima lunghezza del cannocchiale astronomico che avesse il medesimo obbiettivo. L'intero cannocchiale terrestre è rappresentato dalla figura / della tavola annessa. Il secondo fuoco dell’obbiettivo O trovasi in F,}: quivi si viene a formare la immagine di un oggetto infinitamente lontano. L'apparecchio di raddrizzamento M, formato nel modo an- zidetto. è situato in modo che i suoi punti d' isometria inversa E; E; coincidano col punto F,”. L’oculare di Ramsden N serve ad ingrandire la immagine formata in Y,*, e funziona, com'è noto, da microscopio semplice. Togliendo il sistema M si otterrebbe un cannocchiale astro- nomico. (*) Vedi la nota in fine. 124 NICODEMO JADANZA 4. Il precedente sistema di due lenti si può anche utilizzare come obbiettivo di un cannocchiale astronomico; si viene così 2 formare un istrumento con cui si possono osservare oggetti lon- tani ed oggetti vicinissimi all’obbiettivo del medesimo. Questo istrumento sarà chiamato Plesiotelescopio (*), o (sebbene impro- priamente) cannocchiale microscopio. Ciò si rende manifesto dalla fig. 3° nella quale, allo stesso modo che nella figura prima, abbiamo segnato al disotto dell’asse Fic. 8. del sistema i punti cardinali dei sistemi componenti ed al disopra dell'asse quelli del sistema composto. Poichè il secondo fuoco Y°* coincide col punto in cui la lente N (infinitamente sottile) incontra l’asse ed il secondo punto principale £* coincide col punto in cui l'obbiettivo M incontra l'asse, la immagine di un oggetto situato a distanza infinita si formerà in *, precisamente come se la lente N non esistesse. Vediamo dove si forma la immagine della faccia anteriore della lente M. Quando le due lenti che compongono il sistema composto sono infinitamente sottili ed hanno per distanze focali 9, e @,, indicando con N** l’ascissa del coniugato del punto dell’asse in cui la faccia anteriore dell’obhiettivo incontra il medesimo , questa sarà data dalla espressione (**) 2 Nolo i Pa gig 2 F*-F ì I 2 Di 9 (*) Dalla parola greca r)nziov, presso, vicino. (**) Vedi N. JADANZA, l. c., pag. 37. , \ NUOVO METODO PER ACCORCIARE I CANNOCCHIALI TERRESTRI 125 ovvero, osservando che (hr PS dr (a Nel caso particolare che stiamo considerando , essendo =o,=40, si avrà (12) e quindi la immagine di un oggetto situato al vertice dell’ob- biettivo sarà distante dalla seconda lente della quantità Così p. es. se l'obbiettivo ha la distanza focale di 24 cen- timetri e la seconda lente ha la distanza focale di 6 centimetri, il punto N** sarà distante dalla seconda lente di soli 8 cen- timetri. Adunque facendo in modo che il tubetto che porta l’oculare possa scorrere entro quello che contiene l’obbiettivo di una quantità eguale alla terza parte di &, si otterrà il Plesiotelescopio , il quale sarà molto utile in quelle osservazioni fisiche e geo- detiche in cui occorrerà guardare collo stesso istrumento oggetti lontani ed oggetti vicinissimi. La figura // della tavola annessa rappresenta la forma che dovrebbe avere un cannocchiale cosifatto; essa non ha bisogno di altra spiegazione dopo tutto ciò che si è detto precedente- mente. NOTA A). Un sistema composto di due lenti convergenti avrà la distanza focale eguale a quella della prima lente, cioè a ©, se sì avrà A=%9, 126 NICODEMO JADANZA Qualunque sia la distanza focale della seconda lente, cioè @,, il secondo punto principale, il secondo fuoco ed il secondo punto d’isometria inversa del sistema composto avranno una posizione fissa, il primo in £, , il secondo in £,* ed il terzo coinciderà col secondo punto d’isometria inversa della lente M, come di- cono le formole ee ar PI Poi Bi O, La posizione degli altri punti E, F, E, varia al variare di «,. Si possono dare tre casi: Fic. 4. Il primo punto principale ed il primo fuoco saranno dati dalle formole =.

2 g,, però sempre alla destra di chi guarda la figura. Il caso di ©, = 4 9, esaminato prece- dentemente è un caso particolare di questo. NUOVO METODO PER ACCORCIARE I CANNOCCHIALI TERRESTRI 127 2°) O, È; d, Il primo punto principale ed il primo fuoco saranno dati dalle (a); però essendo in questo caso si avrà (fig. 5°) che il primo fuoco sarà sempre fuori del si- stema delle due lenti e propriamente tra /, e la prima lente M. Il primo punto principale sarà sempre tra le due lenti. 3) g,=9 2 Le formole che dànno £ ed 7 sono E=E,+%, F=F4+9, sicchè il primo fuoco coinciderà con E* ed il primo punto prin- cipale coinciderà col secondo fuoco (fig. 6°). Fic. 6. Quest'ultimo caso che è uno degli attuali sistemi di rad- drizzamento della immagine nel cannocchiale terrestre ha la 128 NICODEMO JADANZA proprietà che il segmento in cui son compresi i punti cardinali è minimo. Se poniamo — =n e A=%, ed osserviamo che si ha D, = E o) Ce SP le formole che danno i punti cardinali del sistema composto si possono scrivere così: ot E=E,t no, E*=E,*-0, F=E+(n—-1)o, PB E=E;+(n-2)o, E*=K+@ Da esse risulta, che quando n>4 i punti d’isometria in- versa si succedono nell’ordine £,*, £,: il primo è fisso, il se- condo cambia posizione secondo i differenti valori che assume n. Per avere una immagine raddrizzata e della stessa grandezza della primitiva. questa si dovrebbe trovare in £,. Se il fuoco F* dell’obbiettivo di un cannocchiale terrestre si fa coincidere col punto £, di un apparecchio di raddrizzamento della forma che abbiamo esaminata (assumendo per » valori maggiori di 4) il cannocchiale terrestre verrebbe ad essere anche più corto del cannocchiale astronomico avente il medesimo obbiettivo. Dunque: è sempre possibile costruire un cannocchiale terrestre più corto del cannocchiale astronomico che avesse il medesimo obbiettivo. La differenza tra le lunghezze dei dne cannocchiali astronomico e terrestre dipende dal valore di ». In pratica bisognerà dare ad n quei valori maggiori di 4 che non facciano diminuire molto il campo. Indicando con ® la distanza focale dell’obbiettivo , e do- vendo il secondo fuoco di esso Y* coincidere con E, dell’ ap- parecchio di raddrizzamento, è chiaro che dovrà essere (n-2)0,<®, e quindi NUOVO METODO PER ACCORCIARE 1 CANNOCCHIALI TERRESTRI 129 Quest'ultima serve per scegliere le lenti dell'apparecchio di rad- drizzamento quando fossero noti ® ed 7. Anche per l’obbiettivo del P/esiotelescopio è vantaggioso dare ad » valori maggiori di 4, poichè l’ istrumento sarà più corto. È Diffatti la formola N**—F e o pi osservando che F,}=E,*+%9, e che A=9,=n9,, dà N** — E*+ foga n Quindi se p. e. n=6 e 9,=25 centimetri si avrà N**—= E,*4+5 centimetri ; vale a dire che il movimento del tubo che porta l’oculare è di soli 5 centimetri. È bene però avvertire, che non bisogna dare ad » valori molto grandi, altrimenti gli oggetti vicinissimi verrebbero ad es- sere impiccoliti. B). Volendo un sistema composto di due lenti la cui di- stanza focale fosse eguale a quella della seconda lente, cioè a 6,, bisognerebbe porre A = g,; in questo caso le formole che danno i punti cardinali del sistema composto diventano PE AR IE = Riolo Ei= ps; pi=po_%: Q, Ca le quali formole fanno vedere che i punti £, 7 rimangono fissi qualunque sia 9,; e propriamente il primo in E,*, il secondo in E,. Degli altri punti E*, Y* il primo, quando si ha DZ Pa è Atti R. Accod. - Parte Fisica — Vol. XXI. 9 130 NICODEMO JADANZA si troverà sempre tra le due lenti, il secondo si troverà sempre fuori alla destra di chi guarda la figura tra £,* ed Y,* (fig. 7°). Fia. ‘7. Se o,= ®,, E* coinciderà con F, FY* con E come nella figura 6°. È però degno di nota il caso in cui si ha 9,>9@, p. e. v,=n0, (fig. 8), dove n>1. In questo caso si avrà E Ey—-no, Pty; e quindi il secondo punto principale E* si troverà fuori del sistema delle due lenti a sinistra di chi guarda la figura. Il secondo fuoco si troverà anch’esso fuori del sistema delle due lenti sempre che sarà n>2. In tal caso i punti E*, F* si Fic. 8. allontaneranno tanto più dalla lente VM, quanto più sarà grande il valore di », ossia quanto più sarà piccola ©, rispetto a ©,. Un sistema cosiffatto potrà servire utilmente come obbiettivo di microscopio composto, rendendolo molto più corto di quel ché dovrebbe. essere se l'obbiettivo fosse una semplice lente della. medesima distanza focale e la immagine si volesse della mede- sima grandezza. NUOVO METODO PER ACCORCIARE I] CANNOCCHIALI TERRESTRI 131 Supponiamo, per esempio: A=gp,=89, Il punto E* si troverà alla sinistra di M della quantità E*E,=7%, ed il fuoco Y* si troverà distante da M della quantità P*E —60,. Se immaginiamo un oggetto posto nel punto Y, distante da E di la immagine si formerà nel punto F,* distante da E* della quantità E*F*=p'=99,, e sarà 8 volte più grande dell’oggetto, come risulta dal rap- porto E ee dg Pd ed 0, Eppure la immagine dista dalla seconda lente N di una quan- tità eguale a o,. Se l’obbiettivo del microscopio fosse composto della sola lente N e l'oggetto si trovasse nel punto F,, la immagine della stessa grandezza si troverebbe ad una distanza da N eguale a 9 %,, e quindi il tubo del microscopio rimane accorciato di 7 $,. Se la lente N non esistesse, la immagine dell'oggetto posto in F, si formerebbe ad una distanza infinita. Un microscopio fatto nel modo ora «detto potrebbe avere parecchie applicazioni. Una fra le altre sarebbe la costruzione di un dinametro (per la misura dell’ingrandimento dei cannocchiali) con cui si potrebbe misurare il diametro dell'anello oculare ad 20 di millimetro. . Codesto dinametro è rappresentato in grandezza naturale della fig. J// dell’annessa tavola. B è un tubo alla cui estremità vi è una lente 2 la cui distanza focale è uguale ad un centimetro; alla distanza da M 132 NICODEMO JADANZA - NUOVO METODO PER ACCORCIARE ECC. di 4 centimetri trovasi la lente convergente N la cui distanza focale è 0",04. Al secondo fuoco di questa 7,* trovasi una laminetta di talco Z divisa in decimi di millimetro. L’oculare O serve a guardare questa laminetta. Se si fa in modo che l’anello oculare si trovi nel punto £° (fuoco anteriore della lente MM) movendo il tubo B entro l’altro C; la immagine di esso si formerà su Z e sarà quadrupla del- l'oggetto, sicchè la lettura si farà in quarantesimi di millimetro. Torino, dicembre 1885. Tav. ZANNÒÒÀ Lit FÉ Doger, Torino Ì _LWLÈOSS | EN n x «PÙ. fai” = 2 -------------- lu Udi i ui é TALINENN&E. Fig@dì | ì A [ITA DI] pal ] Ut] TII.RaAT TDI | ess ne roc ce ton NUOVE RICERCHE Shia Lara N Agi Lavoro del Prof. I. GUARESCHI, presentato dal Socio Prof. ALronso Cossa LI Questa Memoria è il seguito dell'altra mia Memoria: £i- cerche sui derivati della naftalina, pubblicata nel 1883. Molti altri lavori io ho fatto su quest’argomento e spero di poterli pubblicare fra non molto tempo. Dividerò questa mia Memoria in 4 capitoli. I. Sui tetrabromuri di bibromonaftalina fusibile 81-82°, Si sa che Laurent (1) e poi Glaser (2) trattando col bromo la naftalina o la bibromonaftalina grezza, proveniente dall'azione del bromo sulla naftalina, ottennero un composto 0° H° Br° Br' che ora si considera come tetrabromuro di bibromonaftalina. Il composto ottenuto da Laurent per cristallizzazione dall’etere era in piccoli cristalli in forma di tavole romboidali; Glaser, facen- dolo cristallizzare dal solfuro di carbonio e dalla benzina, l’ottenne in prismi rombici. » * (1) Gueuin, Hand. d. org. Chem., VIT Tp. 34, dalla Revue Scient., XIII, pag. 94. (2) Ann. d. Chem. u. Pharm., T. 135, pag. 47. 134 ICILIO GUARESCHI I Ma sapendosi che per l’azione del bromo sulla naftalina si formano delle bibromonaftaline isomere, è chiaro che nasca il dubbio essere il composto descritto da Laurent e da Glaser una mescolanza e non un unico corpo. Nella mia Memoria Ricerche sui derivati della naftalina, pag. 10 (1), ho fatto cenno di questo composto ed osservai che esso corrisponde alla bibromonaftalina fusibile 81-82" e non a quella fusibile a 131°. Avendo, come esporrò più particolareg- giatamente in una prossima Memoria, trovato il modo di separare abbastanza facilmente le due bibromonaftaline fusibili a 81-82° e a 181° basandomi appunto sulla formazione di questo tetra- bromuro, di necessità ho dovuto occuparmi in particolar modo di questo corpo e vedere se in realtà si aveva fino ad ora per le mani un unico composto od una miscela. Dalle ricerche che esporrò in questa Memoria si vedrà che anche partendo dalla bibromonaftalina fusibile 81-82°, pura, si hanno due tetrabro- muri isomeri: uno fusibile verso 100° e che è predominante, ‘l'altro fusibile 173-174° e che si forma in minore quantità. È solamente dopo numerosi tentativi che sono riuscito a separare questi due composti. Ottenni il tetrabromuro fusibile 173.174" allo stato di purezza, ma l’altro, fusibile verso 100°, non mi fu possibile separarlo completamente dal suo isomero. Tetrabromuro A di bibromonaftalina C! HSBr°.Br!. — Si trattano 30 gr. di bibromonaftalina fusibile a 81-82° con 25° di bromo, e raffreddata la miscela con ghiaccio, si agita. Dopo circa un quarto d’ora la massa liquida e rossa si è quasi total- mente solidificata. Allora si tratta la, massa con etere e raccolto il precipitato (A) su un filtro si lava bene con etere..S1 ha così una soluzione eterea rossa (£). Prima di aggiungere l’ etere si può anche scacciare rapidamente l'eccesso di bromo, a freddo, con una corrente d'aria. Altre volte scioglievo direttamente il proCotto nel cloroformio, decoloravo con potassa, distillavo il cloroformio e trattavo il re- siduo con etere, ma ho riconosciuto più conveniente operare come ho detto più sopra, benchè si abbia qualche prodotto secondario proveniente dall'azione del bromo sull’etere. (1) Memorie della R. Accad. delle Scienze di Torino, Serie II, T. XXXV, e Ann, der Chem., T. 222, NUOVE RICERCHE SULLA NAFTALINA 1595 Raccolto l’etere (£) di lavaggio e scolorito mediante potassa diluita, si distilla sino a metà volume circa. Per raffreddamento si separa una polvere bianchissima cristallina che fonde 155-170°, poi concentrando di nuovo l'etere madre si ottengono altri pro- dotti fusibili a 135-155°: 135-145°;.145-170°. Dalle ultime porzioni di etere si ha un prodotto un po colorato ed una por- zione bianca e cristallina fusibile 80-81° che è un poco di bi- bromonaftalina inalterata. In altre operazioni ottenni dei prodotti fusibili 134-140°; 122-124°; 122-160°. Tutte le porzioni fusibili sopra 125° cristallizzate fraziona - tamente dal cloroformio forniscono un poco di. materia oleosa e dei bei cristalli fusibili costantemente a 173-174°, colorandosi in roseo anche un po’ prima. Il precipitato (4) più abbondante, allo stato grezzo fonde a 110-120° e cristallizzato dal cloroformio si ha in grossi prismi romboidali brillanti, molti dei quali sono lunghi quasi due cen- timetri e che fondono a 118-120°. anche le ultime porzioni cri- stallizzate dal cloroformio danno un prodotto bello, fusibile 118-120°. Ma il composto così ottenuto, il quale assai probabilmente è quello avuto per le mani da Glaser, non è una sostanza unica ma è una miscela. In una esperienza, 34 grammi di questi bei cristalli trattati ripetutamente con molto etere, nel quale sono poco solubili, fornirono una serie di frazioni che fondevano man mano a temperatura più bassa. Col primo trattamento etereo ebbi prodotti fusibili a 114°; 114-116°; 120-125°; 135-139”. Dal secondo trattamento successivo ebbi:.115-117°: 112-115°; T14-123°; dal terzo: 106-107°; 106-L109° e 125-182°: dal «quarto: 98-103° e 110-113°. Ma non sono sino ad ora riuscito ad ottenere un prodotto a punto di fusione costante. Lo stesso tetrabromuro fusibile 173-174° io ho ottenuto nelle medesime condizioni esperimentando colla bibromonaftalina grezza, miscela di quella fusibile 81-82° e 131°. Il tetrabromuro A si ottiene in bei cristalli incolori pri- smatici, corti; fonde a 173-174° in un liquido rosso, scompo- nendosi con sviluppo di bromo e d’acido bromidrico. È insolu- bile nell'acqua, poco solubile nell’alcol, solubile poco nell’etere anche a caldo, solubile nella benzina specialmente a caldo, e così LI pure nel cloroformio. Bollito con potassa. alcolica è attaccato e (e) 136 ICILIO GUARESCHI trasformato in tetrabromonaftalina; il liquido resta quasi inco- loro. Sciolto nella benzina e trattato con soluzione di sodio nel- l’alcol assoluto si scompone prontamente con separazione di bro- muro di sodio e formazione di tetrabromonaftalina fusibile 175°. Il tetrabromuro A analizzato diede i risultati seguenti: I. 0,7125 di sostanza secca diedero 0,5135 di C0° e 0,0750 di HO! II. 0,1705 di sostanza diedero 0,3182 di bromuro d’argento. III. 0,2621 diedero 0,4903 di Ag br. IV. 0,257 di sostanza diedero 0,4814 di Ag Br. Da cui: E LI: HI. IV. CO—"*19760 — - — ale lo — — — Br= — 78190 :79,50.(1) Lo 0a Per C!° HS Br° Br' si calcola: (OE H = 0.99 Br=: 79.21 Questo tetrabromuro deve contenere quattro atomi di bromo in un medesimo nucleo, cioè : Br BrH Br H Br H BrH (1) Era un prodotto fusibile 165-170°. NUOVE RICERCHE SULLA NAFTALINA kad Tetrabromuro fusibile verso 100°. — Frazionando dal clo- roformio il tetrabromuro che fonde da 110-120° e 120-130° riuscii a separare una porzione fusibile a 97-100° la quale cri- stallizza in grossi cristalli rombici incolori trasparenti e che per l’azione dell’etilato sodico nella benzina fornisce due tetrabromo- naftaline, l’una fusibile a 175° identica con quella che si ottiene dal tetrabromuro A, l’altra fusibile a 119-120°, identica con quella che si ottiene dalla porzione di tetrabromuro fusibile verso 120°. Da tutte le porzioni che fondono sotto 170° non sono riu- scito a separare un tetrabromuro a punto di fusione costante ed è la porzione maggiore. La porzione di tetrabromuro fusibile verso 120° è più facil- cilmente alterabile alla luce che non il tetrabromuro fusibile a 174°. Questo tetrabromuro si scompone facilmente anche per l’a- zione del calore sviluppando bromo ed acido bromidrico: non ho però voluto esaminare i prodotti che si formano perchè certa- mente si devono ottenere diversi composti isomeri, in parte do- vuti alla miscela dei due tetrabromuri. La porzione fusibile a 97-100° diede all’analisi i risultati seguenti: I. Gr. 0,670 di sostanza fornirono 0,4805 di 00? e 0,0550 di acqua. II. Gr. 0,3010 di sostanza fornirono 0,560 di Ag Br. Da cui: 3 | ani \D DI | Vo e 79.07 Per 0° HS Br®.Br4 si calcola: C 19.80 Hi 0.99 Dies 138 ICILIO GUARESCHI Questo tetrabromuro è più facilmente alterabile dalla potassa alcolica ed il liquido è colorato. Il tetrabromuro fusibile a 174" si scioglie nell’acido acetico bollente, dal quale cristallizza, senza colorarsi, mentre l’altro te- trabromuro fusibile a 110-120" sì scioglie nell’acido acetico co- lorando il liquido in rosso e scomponendosi. Anche basandomi su questa osservazione, non sono riuscito a separare i due tetra- bromuri. Tetrabromuro di tetrabromonaftalina. - Im una esperienza di preparazione del tetrabromuro da 25 gr. di bibromonaftalina fusibile a 81° ottenni, dopo distillato l'etere, diverse porzioni che fondevano 122-124"; 132-140°; 122-160". Queste porzioni furono fatte bollire a ricadere in molto etere. Evaporato l’etere s'ebbe un olio che poi solidificò. Lavata la massa solida con cloro- formio e cristallizzata dal cloroformio fornì un prodotto cristallino bianchissimo, fusibile a 172-174° con sviluppo di bromo ed acido bromidrico. Questo prodotto in due dosamenti di bromo' diede : k, IRE Bromo °/, 83.90 83.35 e corrisponderebbe a C!°H B,4 B,! pel quale si calcola : climiest Beds Bromo ‘/ ZI: Tetrabromonaftaline 0 H' Bri. Laurent, nella Memoria citata, fa solamente un brevissimo cenno della tetrabromonaftalina che si forma decomponendo il tetrabromuro. Glaser ottiene una tetrabromonaftalina scaldando a 60° la bibromonaftalina (pura?) col bromo, ma non dà notizie precise su questa tetrabromonaftalina, non ne indica il punto di fusione, e dubita che il prodotto così ottenuto sia una miscela di due isomerI, 4 Partendo dai due tetrabromuri sopradescritti io ho ottenuto due tetrabromonaftaline. NUOVE RICERCHE SULLA NAFTALINA 139 Ft 20) x Tetrabromonaftalina fasibile 175°. — Il tetrabromuro fusibile 173-174° fatto bollire a lungo con potassa o soda al- coliche fornisce la tetrabromonaftalina, però dopo vari tentativi ho riconosciuto più conveniente di far agire l’etilato sodico sulla soluzione benzinica del tetrabromuro, operando nel modo seguente: si scioglie il tetrabromuro in benzima a bagnomaria ; d’altra parte si scioglie poco più della quantità teorica di sodio nel- l'alcol assoluto (ad esempio: gr. 0,7 di sodio in 30 gr. d’alcol per 5 gr. di tetrabromuro in 100 gr. di benzina). Mescolate le du soluzioni ancora calde si osserva una viva reazione; si con- tinua a scaldare, a bagnomaria, per circa una mezz'ora. Tutto il bromuro di sodio si precipita (nel caso indicato, gr. 1,6). Separata la benzina dal bromuro di sodio, lavata bene con acqua sino a che questa non ha più reazione alcalina, si di- stilla. Il residuo cristallino quasi bianco , lavato con etere, si ricristallizza dall'alcol bollente. Tutto il prodotto fonde a 174- 175°. Dai lavaggi eterei si ottiene una piccola quantità di pro- dotto fusibile a 174-175°, ma nulla che fonda ad una tempe- ratura più bassa. Il composto ottenuto , frazionato varie volte dall’alcol, mantiene il punto di fusione costante e sublimato man- tiene pure lo stesso punto di fusione. La quantità di prodotto è teorica. Nel caso precedente da 5 grammi di tetrabromuro si ottennero gr. 3,4 di tetrabromonaftalina. Si forma secondo l'equazione seguente: C° H% Br°.Brt4+2 Na 0C* H° = = BiNa)Br4te CH Br 4-2\0%H7.0H: Questa tetrabromonaftalina, ma insieme all’ isomero fusibile 118-120°, si ottiene anche partendo dal tetrabromuro grezzo fusibile 118-120° preparato colla bibromonaftalina grezza o colla bibromonaftalina fusibile a 81-82°. Senonchè in questo caso bi- sogna, dopo ottenuto il residuo per distillazione della benzina, lavarlo ripetutamente con etere, e a caldo, che toglie la tetra- bromonaftalina fusibile 119-120° e lascia insolubile la maggior parte della tetrabromonaftalina fusibile a 175°, la quale si ri- cristallizza dall’alcol bollente, scolorando con carbone se occorre. La tetrabromonaftalina così ottenuta cristallizza dall’alcol bollente in lunghi aghi setacei, splendenti. È poco solubile nel- l’alcol freddo, più solubile nell’alcol bollente (1 p. di tetrabro- LAI ICILIO GUARESCHI monaftalina in circa 200 p. di alcol a 95 p. 100, bollente); è pochissimo solubile nell’etere, si scioglie nella benzina e nel cloroformio. Fonde a 175° in un liquido incoloro; sublima in lamelle madreperlacee. In soluzione acetica ossidata con acido cromico fornisce un tetrabromonaftochinone C!° H° Br! O? fusibile 224-225° ed un composto C° H* Br° 0°, cristallino, fusibile 188-189° identico col composto ottenuto da me nelle stesse condizioni ossidando la bibromonaftalina fusibile 82° e che io denominai bibromoftalide. Non ho ricercato l'acido bibromoftalico nelle acque madri. Questa tetrabromonaftalina esiste in una modici fisica diversa. Quando si cristallizza dall'alcol si deposita in aghi anche se il raffreddamento è rapido, però sulle pareti del vaso e sul fondo si deposita una polvere cristallina formata di prismi corti, brillanti, duri, pesanti che fondono anch’essi a 175° e che hanno la stessa composizione del composto cristallizato in aghi. Ricri- stallizzando questa polvere dall’alcol si ha nuovamente in aghi. Il composto ottenuto in polvere cristallina sembra ancle meno solubile nell’etere che non il composto cristallizzato in aghi. Varie preparazioni diedero all’analisi i risultati seguenti : I. Gr. 0,2515 di sostanza secca diedero 0,2578 di C 0° e 0,0275 di H?0. Questo prodotto fondeva 170-172°. II. Gr. 0,2594 di sostanza diedero 0,4376 di bromuro d’ar- gento. i ATI, Gr. 0,4295 di sostanza fornirono 0,4258 di C'O* e 0,045 di H90. IV. Gr. 0,3449 dielero 0,5853 di 4g Br. cita I. II La gn Cosi i,00 -- 27.03 DO. Hina Mb: - He1.6 _ Br Ob Late — | 72.24 Per C' H' Br4 si calcola: Ong 702 dee" DO Br 0 NUOVE RICERCHE SULLA NAFTALINA ig: Questa tetrabromonaftalina dando per ossidazione bibromofta- lide, che contiene i due atomi di bromo in posizione para , e tetrabromonaftochinone, deve essere, con molta probabilità : A ss: Tetrabromonaftalina fusibile 119-120°. — La porzione di tetrabromuro C!° H° Br°. Br! che fonde 118-120° ed anche quella fusibile 97-100° furono trattate nello stesso modo indicato pel tetrabromuro fusibile a 173-174°, cioè sciolti in benzina furono mescolati con etilato sodico sciolto in alcol assoluto. Si completa la reazione a bagnomaria. Si filtra e si lava il precipitato di bromuro di sodio con benzina. La benzina che è appena gial- lastra si lava bene con acqua sino a che non abbia più reazione alcalina, poi si distilla. Il residuo dalla benzina si riprende con etere che lascia in- disciolta la tetrabromonaftalina fusibile a 175° e scioglie il suo isomero. La soluzione eterea evaporata lascia un residuo che si ripiglia di nuovo con meno etere per lasciare indisciolto un poco di tetrabromonaftalina fusibile 175”; il nuovo residuo che si ha dall’etere si fa cristallizzare varie volte dall’alcol bollente e si ha così un prodotto che fonde a 119-120° in un liquido incoloro. Questo prodotto diede: I. Gr. 0,3152 di sostanza fornirono 0,5338 di Ag Br. II. Gr. 0,2846 di sostanza fornirono 0,2871 di C O? e 0,0275 di H°O0. Da cui: IE II (Gi — arto H. = = 107 Br' = 206 “a 149. ICILIO GUARESCHI Per C?° H4 Br! si calcola: C = 27.02 H = 0.90 Bre= 5230 Questa tetrabromonaftalina cristallizza dall’alcol in piccoli aghi incolori; si scioglie nell’ etere e nella benzina. Fonde a 119-120°. III. Tetrabromonaftochinoni C*° H? Br' 0°, Sono conosciuti due tetrabromonaftochinoni, e sono: l’uno il tetrabromonaftochinone di Flessa (1), ottenuto ossidando con acido nitrico il pentabromofnaftol fusibile a 237°, fonde a 164° e per ossidazione con acido nitrico fornisce acido tribromoftalico fusibile a 191°; l’altro è il tetrabromoznaftochinone ottenuto da Blimlein (2) ossidando il pentabromoznaftol fusibile a 238- 239°, fonde a 265° ed ossidato fornisce acido bibromoftalico fusibile a 208°. Un terzo tetrabromonaftochinone io ho ottenuto ossidando con acido cromico la tetrabromonaftalina fusibile a 175". È bene operare su piccole quantità ogni volta. Si scioglie 1 gr. di tetra- bromonaftalina fusibile a 175° in circa 120 gr. di acido acetico glaciale e d’altra parte 5 gr. di acide cromico in circa 90 gr. di acido acetico glaciale. Mescolate le due soluzioni si riscalda a bagnomaria per circa un'ora e mezzo, sino a che il liquido è diventato di un bel verde smeraldo. Con acqua si precipita il chinone ed il prodotto giallo ottenuto si ricristallizza dall’alcol. Dalle acque acetiche poi si ricava la bibromoftalide come dirò più innanzi. Operando su quantità maggiore è facile avere delle miscele gialle che fondono a 180-200’ e contenenti ancora della tetra- 1) Berichte d. deut. Chem. Gesell., XVII, pag. 1481. (2) Berichle, XVII, pag. 2489. NUOVE RICERCHE SULLA NAFTALINA 143 bromonaftalina non ossidata; se si eccede nell’acido cromico per ossidare questa, si distrugge il chinone formato. Questo tetrabromonaftochinone cristallizza dall’alcol bollente in begli aghi prismatici, d'un giallo ranciato, poco solubili nell’alcol freddo. Concentrando le soluzioni alcoliche il prodotto si altera. Fonde a 224-225° e sublima in aghi gialli. All’analisi diede i risultati seguenti : I. Gr. 0,4493 di sostanza secca fornirono 0,4214 di C 0° e 00272, di Ho. II. Gr. 0,2042 di sostanza diedero 0,3245 di Ag Br. Da cui: Li II. CAI _ Hei) dg - bBr=onea 67.6. Per la formola 0 H? Br! O? si calcola: [OA MITA His== 042 Brr=| 67:50 Le acque madri acetiche verdi dalle quali si separò il tetra- bromonaftochinone, furono evaporate a secco ed il residuo ripreso con poca acqua lasciò una parte cristallina poco solubile, rieva- porato il liquido sino a secchezza e ripreso il residuo con poca acqua si ebbe un’altra porzione di sostanza cristallina. Questa sostanza cristallina, verdastra, fn sciolta a caldo nella soda e la soluzione filtrata, fu precipitata con acido cloridrico. Il precipi- tato fu sciolto in alcol e dalla soluzione scolorita con carbone si ottennero delle magnifiche tavole splendenti, fusibili a 188- 189° e che sublimate fondevano a 187°,5-188". All’analisi diedero: I. Gr. 0,3560 di sostanza fornirono 0,4322 di CO? e 0,0474 0, Il. Gr. 0,2445 di sostanza diedero 0,3163 di Ag Br. 144 ICILIO GUARESCHI Da cui: L IL. C.= 33.10 “= Hess (47 _ Vil ai — see ® 55.09 La composizione e tutti i caratteri di questa sostanza ne di- mostrano la identità colla sostanza alla quale diedi il nome di bibromoftalide e che ottenni insieme al bibromonaftochinone per ossidazione della bibromonaftalina fusibile 81-82’ (1). Per C* H! Br° 0° si calcola: 0. =>3287 Ho = 0.37 ‘Bo ==h4380 Questo tetrabromonaftochinone contiene due atomi di bromo in un nucleo e due nell’altro nucleo; si può rappresentare, con molta probabilità, nel modo seguente: rà TAR | “ DI Do Br 4 S Br (O Br (00) IV.) | Bicloronaftaline (2). Ho studiato l’azione dell’acido cromico su tre bicloronafta- line, come già ho fatto per la bibromonaftalina: quella fusibile 38-40° (che dubito sia una miscela di due), quella fusibile 68° e l’altra fusibile a 107° (io trovo 107-107°,5) di Atterberg. (1) Vedi mia Memoria, loc. cit , pag. 16. (2) Ho fatto cenno di queste ricerche nella Rivista di Chimica e Farma- cologia, vol. II, pag. 383. NUOVE RICERCHE SULLA NAFTALINA 145 Dalla bicloronaftalina fusibile 38-40° preparata per l’azione della potassa alcolica sul tetracloraro di naftalina , ottenni un nuovo bicloronaftochinone fusibile a 178-178°,5 e cristallizzato in begli aghi gialli, sublimabili. Insieme a questo chinone ottenni un composto fusibile 118°,5, giallo, ben cristallizzato e un pro- dotto che fonde scomponendosi sopra 240°, Dalla bicloronaftalina fusibile a 68° ottenni un altro biclo- ronaftochinone fusibile a 171-174°, assai bene cristallizzato e sublimabile in aghi gialli. Insieme a questo si forma un altro prodotto di ossidazione che pare simile alla bibromoftalide. Dalla bicloronaftalina fusibile 107-107°,5, di Atterberg , preparata trattando ripetutamente con percloruro di fosforo la binitronaftalina fusibile a 214-216°, non ho potuto ottenere un bicloronaftochinone (nelle condizioni in cui ho operato) ma un nuovo acido monocloroftalico, ben cristallizzato . fusibile 184°. L'anidride di questo nuovo acido monocloroftalico fonde a 121- 122°. Un composto giallo che pare un chinone si forma, ma resta distrutto dall’acido cromico. Mi riserbo lo studio dei prodotti qui appena accennati. Avevo intenzione di estendere queste ricerche ad altre bicloro- naftaline, ma alcuni chimici hanno già intrapreso lo studio del- l’azione dell’acido cromico sulla ebicloronaftalina. Lo studente signor Biginelli sta studiando nel mio labora- torio le monocloromonobromonaftaline che si formano per l’azione .del cloro sulla zmonobromonaftalina : una monocloromonebromo- naftalina, separata allo stato di purezza, cristallizza bene e fonde a 119-119°,5. Si vedrà se lo stesso composto sì forma per l’azione del bromo sulla «monocloronaftalina; in questo caso fu separata sino ad ora una seconda monocloromonobromonaftalina che fonde a 65-66°. Pare che questi due isomeri si formino insieme nei due casi. È dallo studio dei prodotti di ossidazione dei derivati di so- stituzione della naftalina che si potrà forse trarre qualche con- clusione importante sulle condizioni per le quali un nucleo della naftalina è più stabile dell’altro. Perchè si formi direttamente coll’acido cromico un naftochi- none bisostituito stabile sembra che debbano essere liberi due posti para di un medesimo nucleo. Torino, R. Università - Istituto Chimico-Farmaceutico. Novembre 1885. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXI. 10 146 GIOVANNI CURIONI RELAZIONE del Socio CuRrIONI, condeputato coi Soci D’Ovipio e FERRARIS ad esaminare il lavoro del sig. Ing. Prof. CamiLLo Gui Sulle curve delle pressioni negli archi e nelle volte. L'ingegnere Camillo Guidi, professore di Statica grafica nella R. Scuola d'applicazione degli Ingegneri in Torino, facendo quasi seguito ad un altro suo lavoro col titolo « Sugli archi elastici » inserito nella Serie II, Tom. XXXVI dei volumi delle Memorie di questa R. Accademia, ha presentato un altro lavoro « Sulla curva delle pressioni negli archi e nelle volte ». Nel metodo di Eddy ed in quello di Culmann, per la co- struzione grafica della curva delle pressioni in un arco metallico, s'incomincia col trascurare le deformazioni prodotte dallo sforzo. diretto secondo l’asse dell’arco stesso, e si tiene poi conto del suo effetto studiandolo insieme a quello prodotto da una va- riazione di temperatura, da un difetto di posa, ecc. E il pro- fessore Guidi mostra nel suo nuovo lavoro come, nell’applicare il metodo grafico di Eddy, si possa tener conto simultaneamente delle deformazioni prodotte dal momento flettente, dallo sforzo diretto secondo l’asse dell’arco e da cause indipendenti dai ca- richi (variazioni di temperatura, difetto di posa, ecc.); cosicchè con un’unica costruzione grafica giunge ad applicare il metodo stesso alla determinazione della vera curva delle pressioni. L'autore incomincia col ricordare le tre equazioni di elasti- cità per un arco elastico simmetrico, di un sol pezzo, incastrato alla estremità; e, dopo apportate alle equazioni stesse alcune semplificazioni accettabili quando il raggio di curvatura dell’arco è assai grande a fronte della sua altezza nel senso del raggio RELAZIONE SULLA MEMORIA DEL PROF. C. GUIDI 147 (come succede quasi sempre nei casi pratici delle arcate dei ponti e delle centine delle tettoie), passa a trattare separa- tamente : il caso di un arco la cui sezione varia secondo una legge qualunque; il caso di un arco la cui sezione varia in modo da es- sere costante il prodotto del suo momento d'inerzia rispetto alla orizzontale determinata dal suo baricentro pel coseno dell’angolo che la tangente all'asse dell’arco nel baricentro stesso fa col- l’asse orizzontale delle ascisse; il caso di un arco la cui sezione è costante. Dopo aver spiegato il metodo grafico pel primo caso, lo applica alla vòlta del ponte Mosca sulla Dora presso Torino, facendo le due ipotesi: che il carico accidentale si trovi solo sulla metà della lunghezza del ponte; e che quindi il carico stesso si estenda al ponte intiero. Confronta la spinta orizzon- tale ottenuta nella seconda ipotesi con quella stata trovata dal- l'ingegnere Castigliano per la stessa vòlta seguendo un altro metodo, e rileva come la differenza dei due risultati sia minima per non giungere al 2, 5 per 1000. L'autore vien dopo alla trattazione del secondo caso: e, supponendo che la sezione delia vòlta del detto ponte vari colla legge pel caso stesso formulata, vi applica il metodo grafico per la determinazione della relativa curva delle pressioni. I risultati ottenuti, come è ben naturale, non sono che approssimati, perehè dedotti con dati non corrispondenti alla realtà; ma tuttavia non sono affatto destituiti d'interesse in quanto dànno un'idea del grado di approssimazione che si può ottenere coll’ipotesi ammessa nel secondo caso notevolmente semplificante la costru- zione grafica. Finalmente l’autore passa alla costruzione grafica relativa al terzo caso, che è il più semplice e che non manca di presentarsi nella pratica delle costruzioni. La Commissione ritiene commendevole la Nota del profes- sore Guidi, sia perchè si riferisce ad uno dei più importanti argomenti relativi alla scienza delle costruzioni, intorno al quale 148 GIOVANNI CURIONI - RELAZIONE SULLA MEMORIA ECC. da qualche tempo e ancora al giorno d’oggi molto si studia e si lavora, sia per il modo con cui è condotta nelle varie sue parti, tanto dal lato scientifico, quanto dal lato tecnico; e pro- pone che si passi alla lettura della Nota stessa onde poter votare per la sua inserzione nei volumi delle Memorie. Torino, 27 dicembre 1885. G. CuRrIONI, Relatore. E. D’'Ovipro. G. FERRARIS. In seguito a lettura del lavoro del sig. Prof. Camillo Guni, la Classe ne approva la stampa nei volumi delle Memorie del- l'Accademia. L’Accademico Segretario A. SOBRERO. © AU a > ea i i Mono : # 0000 A ; Miglalia (533... ; mere. GIASSI. UNITE. Peio. È | "Pichias MREdO, dd 1: sb » n) Libto, î cal Sos S ai mWbanir si Tie Bonnor Corazon Bifocartso Sue qisalio Giunta. di ni N perno Ma ic i Soa! La n i Vai lesa y È n * i \ A È n, ud gi o “ DTI: sa st: na cr au wird 4 CINE PA ARENA, LAB RIOVANRI CUBIONI < bAbaging ». 158 Adunanza del 20 Dicembre 1885 Sono presenti i Soci: della Classe di Scienze fisiche, mate- matiche e naturali, GEeNOccHI, Presidente, SoBRERO, LESSONA, SALVADORI, Cossa, Bruno, BERRUTI, Siacci, Basso, D’OvibIO, Bizzozero, FERRARIS, NaccarI, Mosso e GIBELLI; Della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche, Fa- BRETTI, Vicepresidente, GoRrRESIO, PEYRON, VALLAURI, FLECHIA, Promis, Rossi, MANNO, BOLLATI, SCHIAPARELLI, PEZZI, FERRERO, CARLE e NANI. Assiste all’adunanza il Socio nazionale non residente, Com- mendatore Francesco BRIOSCHI. Prende quindi la parola il Presidente per invitare i Soci presenti al compimento degli atti annunziati nell’ordine del giorno, che sono: 1° la votazione definitiva pel conferimento del IV premio BrEssA pel quadriennio 1881-1884, a cui sono chiamati i soli ita- liani; — 2° la votazione per la composizione della 1° Commissione e pel V premio Bressa, che abbraccia il quadriennio 1883= 1886, a cui possono prendere parte gli scienziati di tutti i paesi. In seguito a regolare votazione, vien conferito il IV premio Bressa al Prof. Pasquale VILLARI« dell'Istituto di studi su- periori pratici e di perfezionamento in Firenze, e Corrispon- dente dell’Accademia. Ed a comporre la 1° Commissione pel V premio BRESSsA sono eletti con regolare votazione, della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali, i Soci LEssona, Cossa, D’'Ovipio e Nac CARI; — della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche, i Soci GorRESIO, Pezzi, FERRERO e CARLE. L’Accademico Segretario A. SoBRERO. — P8E8S564-_ incà Bel 20. Dicenibre.. 165a si) : ob ni ® ita * a 4 re cl (CRI I . vaso Td % ni } i NOTE ' ” La ) v K î Ti -& da \i LI 8. É rao - Ed iena fico * ipatt bh: toh . azioni “d ita Came da e ssona Losa DA i O ha h} lella seed di Selen inorali, stociché: Puro © CARD. Ni È DR n) DART. SOMMARIO ELentco. degli. Acendemiri i: » Gennaio 1886 u 4 n 4 AO tti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXI. CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 10 Gennaio 1886. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ANGELO GENOCCHI Sono presenti i Soci: GENOoccHI, Cossa, LESSONA, SALVADORI, Bruno, Berruti, CurIoNnI, Siacci, D’Ovipio, Bizzozero, FER- RARIS, NaccarI e Basso, il quale, in assenza dell’Accademico Segretario SoBRERO, ne fa le veci. Letto ed approvato l'atto verbale dell'adunanza precedente, il Presidente presenta, a nome del Principe B. BONCOMPAGNI, il fascicolo di marzo 1885 del Bbullettino di Bibliografia e di Storia delle Scienze matematiche e fisiche; ed a nome del Socio straniero Carlo HERMITE presenta pure un libro col titolo: Sr quelques applications des fonetions elliptiques. D'incarico del S. C. Principe Boncompagni il Socio Siacci presenta un fascicolo intitolato : Bibliotheca Mathematica, com- pilato e pubblicato in Stoccolma dal Dott. Gustavo ENESTROM. L'Autore fa omaggio di questo esemplare all'Accademia. Il Socio Siacci aggiunge ancora le seguenti parole : « La Bibliotheca Mathematica è una appendice agli Acta Mathematica del signor Mittag-Leftler, ed ha per iscopo la Bi- bliografia e la Storia delle Matematiche pure. Questo fascicolo 162 ADUNANZA DEL 10 GENNAIO 1886 ‘è il secondo della Bibliotheca; si riferisce al 1885 e fu pub- blicato in quattro numeri, contenenti elenchi di opere, di memorie, di note, di resoconti ed analisi recentemente pubblicate, ed anche brevi notizie relative alla Storia e alla Bibliografia. Gli elenchi contenuti in questo fascicolo portano i titoli di più di 1800 recenti pubblicazioni. Gli articoli originali sono i seguenti: ExnEstROM, Sur l'origine du symbole x employé comme signe d’une quantité inconnue, Favaro, Notice sur les manuscrits de Mathematiques de la. collection Libri - Ashburnam. ENESTROM, Notice sur les cerits mathematiques d’auteurs étran- gers publiés en Suède ou traduits en suedois. — Notice bibliographique sur un traité de perspective publié par Desargues en 1636. VaLEnTIN, Vorlaufige Notiz iiber eine allgemeine mathematische Bibliographie. GintHER, Die Erfindung des « Baculus Geometricus ». De Marcni, Di tre manoscritti del Maurolico che si trovano nella Biblioteca Vittorio Emanuele di Roma. ExestROM, Notice bibliographique sur un écrit de Condorcet, intitulé « Essais d’ Analyse ». Cantor, Ludwig Scheeffer (1859-1885). Necrolog. « La Bibliotheca Mathematica contiene finalmente unarubrica di quesiti, Questions, che, per l'Europa, mi sembra nuova, e che meriterebbe, mi pare, di essere imitata da tutti i giornali che si occupano di ricerche scientifiche, specialmente matematiche. Quando nella mente di chi studia si sveglia nn problema o un teo- rema, li accompagna immancabilmente anche il quesito: « Questo problema fu già risolto? questo teorema è già conosciuto? ». Se il quesito fosse rivolto a tutti i lettori di un giornale, non man- cherebbe, spesso, una cortese risposta affermativa, la quale da una parte risparmierebbe ricerche, fatiche, pubblicazioni inutili, sorprese e disillusioni certo non piacevoli, e dall’ altra sarebbe occasione di comunicazioni sia pubbliche sia private, profittevoli sempre alla Scienza ». ADUNANZA DEL 10 GENNAIO 1886 163 Lo stesso Socio SlAccI presenta anche per l'inserzione negli Atti una sua Memoria Sulla rotazione di un corpo intorno ad un punto, colla quale pubblica alcune proposizioni che trasfor- mano in infiniti modi il notissimo teorema del Pornsor. A nome del Socio Dorna il Socio NACCARI presenta, per l'annessione agli At##, i lavori seguenti del Dott. Angelo CHARRIER, Assistente al R. Osservatorio di Torino : Rilievi di Osservazioni dei Registratori : a) Barografo — gennaio, febbraio e marzo 1885: 5) Termografo — gennaio, febbraio e marzo 1885. _ Il Socio SPEZIA, anche a nome dei Soci condelegati BERRUTI e BELLAKDI, relatore, assente, così riferisce intorno ad una Memoria del signor Marchese De GREGORIO : Il signor Marchese De GrEGoRIO nella Memoria che ]’Ac- cademia ha incaricato la sottoscritta Commissione di esaminare e che porta per titolo: Fossili di M' Erice di Sicilia del piano Alpiniano DE GrEG. (Sott'orizzonte ad Ammonites bifrons), premessa una breve Nota sulla giacitura del deposito da cui furono estratti i fossili illustrati, descrive di quella provenienza ventitre specie di Molluschi, delle quali undici sono ,.a parere dell'Autore, nuove per la scienza, tre sono varietà nuove di specie già note, e nove sono riferibili a specie già descritte da altri paleontologi. Tutti questi fossili furono dall’Autore raccolti in un lembo di sottile strato calcareo-silicico, finora risparmiato dagli agenti atmosferici, dai quali per la sua posizione non tarderà ad es- sere interamente corroso. Questo strato, come dimostra la natura della fauna che vi fu trovata, appartiene al piano geologico, cui il De Gregorio stesso, in una Memoria precedente su Fossili coevi già accettata dall’Accademia, ha dato il nome di Piano Alpiniano. La fauna di questo Piano geologico ovunque poco ricca, il numero delle forme nuove descritte relativamente ragguardevole e la conosciuta competenza dell'Autore nella materia, danno al presente scritto una notevole importanza: ond’è che la Com- missione crede che la Memoria del sig. Marchese De Gregorio sia meritevole di essere ammessa alla lettura dall'Accademia, e pro- posta per la stampa nelle sue Memorie. 164 ADUNANZA DEL 10 GENNAIO 1886 Il Socio LEssona legge una sua commemorazione del celebre viaggiatore naturalista Edoardo RiòPreLL di Francoforte sul Meno, che apparteneva all'Accademia fino dal 1839 in qualità di Socio Corrispondente, e che morì nonagenario l'11 dicembre 1884. Infine il Socio Bruxo dà lettura di un suo lavoro Sopra un punto della teoria delle frazioni continue. | | (N LETTURE SULLA ROTAZIONE DI UN CORPO INTORNO A UN. PUNTO del Socio Prof. F. Sracci 1. Quando un corpo gira comunque intorno a un punto fisso, ed una superficie tracciata in esso si mantiene a con- tatto con un'altra superficie fissa: 1° Trasformando le due superficie mediante la sosti- tuzione d'ogni raggio vettore con una funzione di esso (fun- zione che non dia lunghezze eguali per lunghezze disuguali della variabile, nè lunghezze disuguali per lunghezze eguali di essa), la nuova superficie mobile resterà costantemente a con- tatto colla nuova superficie fissa; e se tra le prime non vi era strisciamento, non vi sarà tra le seconde. 2° Trasformando le due superficie mediante la sosti- tuzione di ogni normale abbassata dal punto fisso su ogni piano tangente con un raggio vettore la cui lunghezza sia il reciproco della normale, la nuova superficie mobile resterà co- stantemente a contatto colla nuova superficie fissa; e se tra le prime non vi era rotolamento, 0 strisciamento, tra le se- conde non vi sarà strisciamento, 0 rotolamento. Queste proposizioni non credo siano state ancora enunciate. Esse sono intuitive, salvo .forse, nella seconda trasformazione, lo scambio reciproco fra rotolamento e strisciamento. Per vedere questo scambio basta notare, che trasformando per raggi vettori reciproci la superficie podaria di una superficie data, i piani tan- genti della nuova superficie sono perpendicolari ai raggi vettori della superficie data; onde messa in disparte la podaria, tra le 166 F. SIACCI superficie che restano esiste questa notevole relazione: che él raggio vettore e la normale di un punto dell'una sono rispetti vamente paralleli alla normale e al raggio vettore del punto cor- rispondente dell’altra: teorema probabilmente noto, e in ogni caso, si dimostra facilmente. Ora fra due superficie aventi un punto variabile di contatto, si dice che non v'ha strisciamento o non v’'ha rotolamento, secondochè l’asse istantaneo coincide col raggio vettore o colla normale comune. Conviene inoltre notare, che le due su- perficie trasformate oltre al toccarsi si taglieranno in altri punti, se avranno più d’un piano tangente comune. Applicate al notissimo teorema del Poinsot sulla rotazione spontanea dei corpi, queste proposizioni danno luogo ad infinite trasformazioni di esso, e conducono immediatamente ai bei teoremi del sig. Gebbia pubblicati recentemente nelle Memorie della Reale Accademia dei Lincei (*), teoremi che generalizzano due trasfor- mazioni conosciute, una delle quali dovuta al Clebsch (**). 2. Sia s un raggio vettore di una delle superficie date, ed s'=©(s) (onde s=%w(s')) il raggio vettore corrispondente della superficie trasformata secondo la prima proposizione. Siano « ed « le proiezioni di s ed s' sopra una retta qualunque. Sarà U,. o d(8 li = Ù) S 9(S) — s' Ora se S=W(s) è funzione, che non dia lunghezze eguali per lunghezze disuguali di s', e non dia lunghezze disuguali per lun- ghezze eguali di s'; considerando s' come funzione di s, s' avrà rispetto ad s le medesime proprietà, cioè le proprietà enunciate nella 1° proposizione. La reciproca è evidente. Posto ciò, le superficie mobili e le fisse si riferiscano rispet- tivamente a due sistemi d’assi ortogonali, l’uno (0 &7$) mobile colf corpo, l’altro (0xy2) fisso, coll’origine comune nel punto fisso. Siano fl E, $ |==0: céd fia icpiriaje® le due superficie date, che sono in continuo contatto. (*) Su due proprietà della rotazione spontanea dei corpi, Memorie dell cdi di Scienze Fisiche, ecc., serie 4°, vol. I, pag. 326. (**) Crelle, 1860, Band 57, pag. 75. SULLA ROTAZIONE DI UN CORPO INTORNO A UN PUNTO 167 Indicando con 4 una funzione che goda le proprietà indi- cate, le nuove superficie | CEE i: IO IEO DR (0, 0 n È (ove 0° = 64x46, r-=x*+y° + 2°) resteranno in continuo contatto. Nel teorema di Poinsot, la superficie mobile è l’ellissoide A+ Ba +C5=Gh, e la superficie fissa, su cui esso rotola, è il piano = 7 Bea Vo di le due superficie sì trasformano in (A-))8&+(B-)4°+(C—A))5=GA, 2(G-h))—Nh)(a°+y°)= Gh. Ponendo Sono le omocicliche del sig. Gebbia, che rotolano sopra altre omocicliche. Se invece sì pone le due superficie si trasformano in Ae 4 Bai 4+ COS=GN(E+ ++)", a=h(0+y +2 +4). È una superficie di quart'ordine che rotola sopra una sfera. Fatto ).=0, si ha una trasformazione enunciata senza dimostrazione nella Meccanica del Prof. Battaglini (*). (*) Napoli 1873, pag. 392 del vol. II. 168 F. SIACCI 8. La trasformazione secondo la 2° proposizione si ottiene ponendo: do. do do de)tida(+) 46] 40 deo de ———r_ = Se= 4 ’ i gp Aeg EA TA e Upg dI La DI prenie e derilge 4 fegsgge 1 E Sogn ciataanida ade ica risolvendo le sei equazioni rispetto a È, x, È, x, y, #, e met- tendo le espressioni trovate in o=0 ed f=0. Applicando questa trasformazione all’equazione (1), si ha ._ Ghe' __ Ga _Gho' Sorgiangie. (Prg Wigete=. MLA hoy (At Ga ia di Ra DI dee AE e le superficie divengono I gt” ri 1 3 x IM 1 ip Die 3 + A-) B—\X C-X Gh G-—k) hi Gh Queste sono le omofocali del sig. Gebbia che strisciano sopra altre omofocali. Nel caso di )=0, si ha e'=y'=0. he'==1: l’ellissoide reciproco dell’ellissoide centrale d’inerzia striscia su due punti fissi. Questo è il teorema di Clebsch. 4. Le due proposizioni enunciate in principio potrebbero essere generalizzate in una, facendo corrispondere ad ogni punto P delle superficie date un nuovo punto 7', la cui posizione dipendesse dalle posizioni e dai valori del raggio vettore e della normale di P. Non sarebbe difficile scrivere le relazioni fra le coordinate di P e di P', ma sarebbe forse difficile stabilire a priori le con- dizioni generali a cui le relazioni dovrebbero soddisfare, affinchè le nuove superficie riuscissero tangenti in un punto, come le prime. Qui esamineremo un caso particolare. Supporremo messo al posto di ogni raggio vettore s delle superficie date un nuovo SULLA ROTAZIONE DI UN CORPO INTORNO A UN PUNTO 169 raggio vettore s, che sia funzione di s e della perpendicolare 9 abbassata dal punto fisso sul piano tangente; porremo cioè: si = (srt). Dicendo in particolare p e 7 le perpendicolari corrispondenti ai raggi vettori r e delle superficie, sarà necessario che l’equa- zione v(p,7=t(1, p) non possa essere verificata che per p=r e 7=p. Poichè se vi fossero sulle due superficie date punti in cui l’equazione si ve- rificasse senza la coincidenza di f con r, e di 7 con p, quando questi punti venissero a trovarsi in linea retta col punto fisso i punti delle superficie trasformate coinciderebbero. Ove, come nelle superficie di Poinsot, si abbia sempre p<, se si pone per % una funzione tale, che risulti sempre oppure gi DSi: dipaizazza delle p)co [i l'equazione non si verificherà altrimenti che per r= e per p=q. Ciò posto, riferendoci alle superficie di Poinsot, poniamo s (9° de hp)? a DE (9° srt h?)? Si = 3 (q ne h?)? e e (qg° PH h?)° ove ) è una funzione qualunque di s e g. Siccome per tutti i punti del piano fisso si ha g=/, così pel piano si ha s'=s. Onde il piano non cambia. Per l’ellissoide invece si avrà sempre $ sarà — un intermediaria qualunque della frazione continua x, , ap out ga Baia compresa fra le due frazioni principali —', — Q:; Qita di dimostrare che se A e B sono due interi tali che la fra- . E si tratta dan 3 ; ; zione — sia più prossima ad x, della frazione —-, e non sia B Y A Capo . . . . . . . B uan , 1 numeri A e B sono rispettivamente maggiori di Î+1 R ed S, TEORIA DELLE FRAZIONI CONTINUE ‘179 Come dicemmo, se FP si scosta da x, nello stesso senso, 1) Ù —. la proposizione fu dimostrata da La- Si ti } A in cui se ne scosta grange nelle succitate sue addizioni all’algebra d’Eulero: anzi , 1 . ky ivi è anche dimostrato che, se il valore di D è compreso fra D) Î-+1 k | quello di 3° quello di , è ancora A>R.e B>S, co- i+: sicchè la proposizione è pure dimostrata nel caso in cui la D differisce da 4, in senso contrario a quello in cui ne differisce la Ch purchè sia, più di + . -, prossima ad 7. Va; = Pertanto resta solo a provare la verità della proposizione nel îi+1 caso, in cui il valore della sia compreso fra quello di %, LESS e quello di Per fare questa dimostrazione osservo che la quantità , che sì scosta da x, di una quantità uguale e di segno contrario a n RE R quella, di cui si scosta la — dalla stessa x,, è 2a, — Li e che A 09 : 5 A perciò, la frazione B differendo (in senso contrario) da %, meno ; R A di quanto ne differisca FE la frazione E è compresa fra x, € E fi CA g A 1 È A È La diff Pe 7 2 ui a a differenza B Do ai fra P e 2% g sarà dunque positiva, o negativa, secondochè ; è pari, od impari: cioè si avrà IA i Di METTI i ( ‘|7 (22. 3 |>o Ma si ha pure ( 1) 19} 2 a È )>o ( 3 Q i i+1 180 GIUSEPPÉ BRUNO epperciò, sommando, membro a membro, queste due inegua- glianze, ni e bat i vg ni(f4t_ele)to, (E Te) Qi ossia DE) Les: ssa Il primo termine del primo membro di quest’ultima inegua- . . . A . i glianza, per le ipotesi fatte che P non sia uguale a ; Ve i i+1 che inoltre —"' sia compreso fra x, ed —, è negativo e non i+ b nullo: e quindi, rappresentando con I un intero positivo, uguale — I 0; B L’ineguaglianza precedente può dunque scriversi così: 1 I i IE S Qi B o superiore all'unità, esso primo termine varrà 0, e trarsene quest'altra : B>L%,; ed, in conseguenza, anche be, come si voleva dimostrare. Operando, in modo analogo, sulle frazioni reciproche di €, Fink d _M e di FÉ si troverebbe similmente AB Fu, nell’enunciato della proposizione , fatta eccezione pel pP. ; 4 PE caso, in cui sia — = —; ed invero la frazione - ‘21, sebbene b (0) i+1 Qi Xi abbia i suoi termini più semplici di quelli della frazione gl può approssimarsi, più di questa ‘ntermediaria , alla x,, perchè, onde ciò avvenga, basta che si abbia (—1) (5- t,) = (1 (72) TEORIA DELLE FRAZIONI CONTINUE 181 > Pi... K+P tata (- pete Ego Qi, K+ (0) (UPPRE a 1 QiriLigit@i (A fa, Liga EL 4 1 Qi, K+4@; Qi Fi ta Qi 9 Migloni.i alla quale esistono valori di X che soddisfano, sempre quando SALE. . a . Bia d,,, uguale o superiore a 5, e talvolta anche quando sia + «ee > _- i ei sb 182 ADUNANZA DEL 24 GENNAIO 1886 Adunanza del 24 Gennaio 1886. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ARIODANTE FABRETTI VICEPRESIDENTE Sono presenti i Soci: FABRETTI, Cossa, LESSONA, SALVADORI, Bruxo, SIacci, D’Ovipio, Bizzozero, FERRARIS, NaccaRrI, Mosso, SPEZIA e Basso, che, in assenza del Socio SoBRERO, fa le veci di Segretario. Il Socio Siacci, per incarico del Presidente Prof. Angelo GE- NoccHI ed a nome dell’autore, presenta in dono all'Accademia due Memorie del Socio straniero C. HERMITE, intitolate, l'una: Remarques sur les formes quadratiques de determinant negatif ; e l’altra: Sur une application de la théorie des fonctions dou- blement périodiques de seconde espèce. Il Socio Cossa presenta una Nota del Prof. Icilio GUARESCHI Sulla y dicloronaftalina e l'acido ortomonocloroftalico sil quale lavoro è la continuazione di altri importanti studi dall’ autore precedentemente eseguiti sullo stesso argomento. Il Socio LESssoNnA presenta una sua Nota Intorno al valore specifico della Rana agilis Thomas. Il Socio SPEZIA presenta un lavoro del Dott. F. VIRGILIO, Assistente al Museo di Geologia dell’Università di Torino, inti- tolato: Di un antico lago glaciale presso Cogne in Valle d'Aosta. ADUNANZA DEL 24 GENNAIO 1886 1.83 Per incarico del Socio DorNA il Socio NAccARI presenta per la pubblicazione negli Atti: 1° Nozioni intorno all’equatoriale con refrattore Merz di trenta centimetri d’apertura e quattro metri e mezzo di di- stanza focale; Nota dello stesso Socio DoRrNnA , Direttore del- l'Osservatorio. 2° Osservazioni meteorologiche del mese di novembre 1885 eseguite nel E. Osservatorio di Torino. 3° Riassunti delle Osservazioni dei mesi di novembre e dicembre 1885. 4° Diagrammi delle Osservazioni meteorologiche del mese di dicembre 1885. Il Socio BizzozeRo presenta una Nota del Prof. Piero Gia- cosa, intitolata: Un ricettario del secolo x1 nell'Archivio ca- pitolare d'Ivrea. Questo lavoro viene affidato ad una Commissione perchè lo esamini e ne riferisca in una prossima adunanza. 184 ICILIO GUARESCHI LETTURE SULLA Y DICLORONAFTALINA E L’ACIDO ORTOMONOCLOROFTALICO ©, Nota del Prof. IciLto GUARESCHI, presentata dal Socio A. Cossa Considerando i diversi modi di formazione della dicloro- naftalina ne consegue che essa deve contenere i due atomi di cloro in due nuclei diversi ed assai probabilmente in posizione «a. Potrà essere gi Ed invero si forma: dalla x dinitronaftalina fusibile a 214-217° per l’azione del percloruro di fosforo (1): dalla % mononitronaftalina per l’azione del cloro (2): dall’ acido cloronaftalinsolforico col percloruro di fosforo (3). Armstrong l’ottenne trattando con per- (*) Una brevissima Nota su questo acido ho pubblicato nei Berichte der deut. Chem. Gesell., 1886, t. XIX, pag. 134. (1) ATTERBERG, Berichte, 1876, pag. 1187 e 1730. (2) Ibid., pag. 316 e 726. (3) Bull. Soc. Chim., t. XXVI, pag. 540. mbe SULLA Y DICLORONAFTALINA ECC. 185 / cloruro di fosforo il cloruro naftalinbisolforico 0! H°GS0O*C1)? fu- ‘sibile a 183° (1). Cleve (2) e poi Ekstrand (3) vanno più innanzi e credono assai probabile che la bicloronaftalina fusibile a 107° sia rap- presentata dalla formola II, mentre la formola I spetterebbe alla bicloronaftalina fusibile a 88° ossia $ dicloronaftalina. Atterberg ossidando la bicloronaftalina con acido nitrico bollente osservò la formazione di un acido nitrocloroftalico, ma non potè ottenere un acido monocloroftalico, per cui rimase in dubbio sulla costituzione di questa bicloronaftalina (4). Io invece ho ottenuto risultati decisivi impiegando, quale ossi- dante, l'acido cromico in soluzione acetica, come già adoperai per la bibromonaftalina fusibile a 82° e per le altre bicloronaftaline, come dirò in successivi lavori. Risultati questi importanti spe- cialmente per la formazione del nuovo acido ortocloroftalico. La y bicloronaftalina adoperata fu preparata col metodo in- dicato da Atterberg (5), cioè si trattò ripetutamente la « bini- tronaftalina fusibile a 214-217° con percloruro di fosforo. Ricri- stallizzata varie volte all’alcool dimostrò costantemente il punto di fusione 107-107°,5. Atterberg trovò 107°. Aveva tutti i caratteri della dicloronaftalina pura. Una parte di y bicloronaftalina fu sciolta in 40 a 50 volte il suo peso di acido acetico glaciale e la soluzione mescolata con 3 a 3,5 parti di acido cromico sciolto in 15 a 20 volte il suo peso d’acido acetico glaciale. In generale impiegavo 1 gr. di bicloronaftalina in ogni operazione. Se si mette meno acido eromico resta della bicloronaftalina inalterata insieme ad un pro- dotto giallo che sembra un derivato chinonico. Si compie la rea- zione scaldando a bagnomaria sino a che il liquido sia di un bel verde smeraldo. Trattato il liquido con molt’'acqua non si precipita quasi nulla, oppure un poco di bicloronaftalina inal- terata. Il liquido verde filtrato, si evapora a bagnomaria, poi il residuo sciolto in acqua si evapora nuovamente sino a scacciare quasi tutto l’acido acetico libero ; il che però non è necessario. Il residuo verde sciolto in acqua e filtrato , si alcalinizza con (1) Berichte, 1882, pag. 205 (2) Ibid., 1876, IX, pag. 1735. (3) Ibid., 1885, XVIII, pag. 2886. (4) Ibid., 1877; pag. 547. (5) Ibid., 1876, pag. 1188. 186 ICILIO GUARESCHI carbonato sodico e soda caustica, si fa bollire, si filtra per se- parare l’idrato cromico, poi si acidula con acido solforico e si’ estrae replicate volte con etere. Il liquido acquoso contiene del cloro, che fu dosato. In due dosamenti ottenni : I. Gr. 0,910 di bicloronaftalina, ossidata, fornirono 0,655 di cloruro d’argento. II. Gr. 1,124 di bicloronaftalina fornirono 0,864 di AgC1, ossia 0,213 di cloro. Da cui: id II CS 17,85 18,85. Per la metà del cloro della bicloronaftalina si dovrebbe avere: Ci= 18,02. Distillato l’etere ottenni un residuo cristallino, un poco co- lorato in rossastro che trattato con acqua si sciolse quasi tutto lasciando un piccolo residuo rosso fusibile verso 150°, del quale non mi sono occupato. La soluzione acquosa acida fu scolorata con carbone ed evaporata. Il nuovo acido cristallizza benissimo dall’acqua bollente nella quale è molto solubile, mentre è poco solubile a freddo. Analizzato diede i risultati seguenti: I. Gr. 0,2325 di sostanza disseccata a 100° diedero 0, 1652 di Ag CI. | II. Gr. 0,3248 di sostanza disseccata a 100° fornirono 0 5710 di CO°%e ‘010750 di H°0! Da cui: sE RES Ae — 47,92 la pr lg ae 2,96 O =17704 — Per C°H*C1(COOH)? si calcola: C = 47,88 HE Sdi CI=221T74570. SULLA Y DICLORONAFTALINA ECC, 187 Stante il suo modo di formazione ed il suo punto di fu- sione quest’ acido deve essere senza dubbio l'acido « od orto- monocloroftalico : CI COOH COOH L'acido ortomonocloroftalico cristallizza dall'acqua in lunghi aghi setacei, incolori; fonde a 184° in un liquido incoloro svi- luppando bollicine e trasformandosi in anidride (1). Si scioglie facilmente nell'acqua bollente ed assai meno nell’acqua fredda. Gr. 5,340 di soluzione acquosa satura a 14° lasciarono un residuo che disseccato a 100° pesava 0,1130, cioè: 100 p. d’acqua a 14° sciolgono 2,16 p. di acido, oppure 1 p. di acido si scioglie in 46 a 47 p. d'acqua a 14°. È più solubile dunque che non l'acido ftalico. Si scioglie bene nell’alcool e nell’etere. Scaldato con fenolo ed acido solforico concentrato fornisce una ftaleina che si scioglie nella potassa con bellissima colora- zione violetta. La soluzione del sale ammonico non precipita col cloruro di bario, a freddo; precipita col nitrato d’argento. Scaldando però la soluzione si precipita il sale di bario cristallizzato. Il sale d’argento C$ H*C1(C00 Ag)? si ottiene precipi- tando la soluzione ammoniacale dell'acido con nitrato d’argento. Analizzato, diede il risultato seguente: Gr. 0,4368 di sostanza secca a 100° fornirono gr. 0,3055 di Ag Cl cioè 0,2290 di Ag. Da cui: Ag Sf MR ZA: Per la formola 05H*C1(C00 Ag)? si calcola: Ag %ly + 52,13, (1) I punti di fusione indicati in questo lavoro, pei corpi da me ottenuti, furono determinati con un buon termometro di Baudin, 188 ICILIO' GUARESCHI È un precipitato microcristallino pochissimo solubile nell’acqua fredda, solubile nell'acqua bollente dalla quale cristallizza iu piccoli aghi. È solubile nell’ammoniaca e nell’acido nitrico. Si altera difficilmente alla luce. Scaldato, fornisce un sublimato cri- stallino che si scioglie nell'acqua bollente con reazione acida e | dalla quale cristallizza in aghi duri incolori. L'anidride ortocloroftalica sublima in aghi incolori che fon- dono a 124°,5-125°,5. Non fu analizzata. La formazione di un acido monocloroftalico dimostra. in modo diretto che questa bicloronaftalina contiene i due atomi di cloro | separatamente ne’ due nuclei ed inoltre che quest’acido è l’acido monocloroftalico 2; contiene cioè il cloro in posizione orto ri- | spetto ai carbossili; è l’acido ortocloroftalico, non ancora bene conosciuto, cioè: . CI COOH 4 COOH Un acido monocloroftalico fusibile a 148° e la cui anidride fonde a 95° fu ottenuto da Alén (1) ossidando la d e la e dicloronaftalina fusibile a 135° e poi da Claus e Dehne (2) anclie dal cloro fnaftol Quest’ acido deve essere senza dubbio il fi, cioè Loro oftalico : a, COOH Ù COOH vv essendo la e dicloronaftalina stata preparata dall’acido 0.0 2 (SO? H)? col percloruro di fosforo. Un acido cloroftalico la cui anidride fondeva a 89° fu ot- tenuto da Cléve (3) ossidando con acido nitrico la % diclor- (1) Berichte, NIV, pag. 2830, e Bull. Soc. Chim., t. 36, pag. 453. (?) Berichte, XV, pag. 319. 3) Bull. Soc. Chim., t. 29, pag. 499. SI LLA * DICLORONAFTALINA ECC. 189 naftalina fusibile a 48°. Quest’acido però era impuro ci acido nitroftalico e stante il punto di fusione della sua anidride deve essere identico a quello di Alén. L'acido cloroftalico di Auerbach ottenuto clorurando l’acido ftalico (1) fonde a 149-150° e la sua anidride fonde a 140-143°, ed è considerato, anche nei trattati, come il secondo isomero. Dopo le mie ricerche riesce chiaro il comprendere che l’acido di Auerbach non deve essere un composto puro, ma una miscela dei due isomeri, quando non si voglia ammettere l’esistenza di più di due acidi monocloroftalici isomeri. Bisogna quindi che sia studiato più accuratamente l’acido di Auerbach. A. Kriiger (2) ottenne, ossidando gli acidi cloroortotoluici C6H*C1.CH*® COOH, due acidi monocloroftalici, uno fusibile a 130-134° e l’anidride a 95°, l’altro fusibile a 179°-181° e l’anidride a 122°. Questo secondo è, assai probabilmente, identico col mio, cioè l’acido orto, ma per l'acido meta trova il punto di fusione 130-134°, mentre: tutti i precedenti esperimentatori hanno trovato 148°; anche A. Rée (3) trovò per l’acido ff il punto di fusione 148° e l'anidride a 96° ed egli l’ottenne con un metodo diverso, partendo dall’acido solfoftalico. La que- stione dell'acido { sarebbe dunque ancora indecisa. Ora ho ripreso lo studio della bibromonaftalina fusibile a 130-131° ed ho ottenuto, per ossidazione con acido cromico, nelle identiche condizioni della diclornaftalina, un acido mo- nobromoftalico fusibile a 176-178° e la cui anidride fonde a 1533-134°. Quest’acido è senza dubbio identico con quello già da me ottenuto ossidando la bromonitronaftalina fusibile a 122°,5 ; allora trovai per quest’'acido il punto di fusione 174-176° e per l'anidride 132°, Questo acido deve essere l'acido « e resta così confermato il mio dubbio che l’acido monobromoftalico di Faust e Pechmann non fosse l’acido orto, ma bensì il meta (4). Sul- l'acido x bromoftalico darò tra poco maggiori notizie. Intanto mi piace di far osservare che in seguito all’aver io scoperto i due acidi 7 monocloro ed z monobromoftalico resta ben definita la costituzione dei derivati monosostituiti dell’acido ftalico. (1) Firrica’s, Jahresb. f. Chem., 1880, pag. 862. @) Berichte d. deut. Chem. Gesell., 1885, pag. 1759. (3) Ibid., 1885, pag. 3359. (4) Mia Memoria del 1883, pag. 24. 190 ICILIO GUARESCHI Eccone la tabella: Punto di fusione. Autori. Acido ortocloroftalico 184° Guareschi Anidride 124-1125605 Id. Acido metacloroftalico 148° (1) Alén Anidride 95° Id. Acido ortobromoftalico —176-178° Guareschi Anidride 1383-1340 Id. Acido metabromoftalico 138-140°(?) Faust e Pechmann Anidride 60-65° Id. Acido ortonitroftalico 212° Laurent Anidride ? Acido metanitroftalico 161° Miller Anidride 114° Id. Benchè io abbia de’ dubbi sulla purezza dell'acido bromo- ftalico di Pechmann (l'anidride avendo un intervallo di punto di fusione troppo notevole per corpi di questa natura) pure si scorge da questa tabella una certa relazione tra i derivati orto e meta , tra gli acidi e le corrispondenti anidridi, il che non era possibile osservare coi dati imperfetti od erronei che si ave- vano prima di queste mie ricerche. Resta forse da ottenersi ancora l'acido { bromoftalico allo stato di vera purezza. Ad ogni modo non vi ha più dubbio, l’acido fusibile a 176-178" è l'acido 4 ossia orto e bisogna quindi correggere le formole dei derivati della naftalina che furono dedotte considerando, come si è fatto sino ad ora da tutti. l'acido bromoftalico di Faust e Pechmann come l’acido z, mentre invece l’acido di Faust e Pechmann deve essere il 6% od una miscela dei due. Ad esempio la bibromoamidonaftalina fusibile a 105° di R. Meldola (Journ. of the Chem. Soc., 1885, pag. 511) deve NH* oppure 6 a he NH* uit ved be; Br Br Br (1) A 130-134° secondo Krilger. Stante però la differenza dei punti di fusione tra l’acido e l’anidride, sembra più probabile il punto di fusione 148". Br SULLA 7 DICLORONAFTALINA ECC. 191 La mia bromonitronaftalina fusibile a 122°,5 deve quindi contenere l’atomo di bremo in posizione x e quindi : Br NO? NO? % 7 ( x | oppure | | Ì ha > 04 AI w Vf Così dicasi della bromoamidonaftalina che ne deriva. Ora mi riserbo lo studio comparativo degli acidi bromoftalici e specialmente cell’acido z bromoftalico ottenuto da me partendo dalla nitrobromonaftalina fusibile a 122°,5 (1), dalla amidobro- monaftalina fusibile a 63-64° (2) e dalla 7 dibromonaftalina (e dalla 4 monobromonaftalina se riuscirò ad ottenerlo), coll’acido bromoftalico ottenuto poi da R. Meldola (acido e anidride che hanno il medesimo punto di fusione del mio acido e della mia anidride) e quello che si forma dal tetrabromofnaftolo. Era importante conoscere bene questi acidi per stabilire la costituzione di molti derivati « e { della naftalina. Torino, R. Università, gennaio 1886. (1) Mia Memoria, loc. cit., pag. 22. imac. cit. pag. 27. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXI, 13 192 MICHELE LESSONA NOTA INTORNO AL VALORE SPECIFICO DELLA RANA/ AGILTS: Ta0K665 del Socio Prof. MicneLE Lessona. Lo studio delle Rane rosse di Europa venne fatto in questi ultimi anni con molta diligenza da parecchi naturalisti, fra i quali vogliono principalmente essere menzionati il Fatio, il Leydig. il Boulanger, il Camerano. Questi autori, mercè ricerche accuratissime e minuziose fatte sopra un materiale copioso e proveniente da luoghi diversi, ven- nero nella conclusione clie la specie antica linneana di Rana rossa, la Rana temporaria Lin. sì deve scindere in parecchie specie, che sono le seguenti: 1° fana fusca RoEsEL (muta LAuR.) (Rana temporaria part. Lin. e alt.). 2° Rana arvalis Nas. 3° Rana sylvatica Leconte. 4° Rana iberica Bour. 5° Rana latastei Bout. (1). 6° Rana japonica Bour. 7° Rana agilis TH. 8° Rana pensylvanica Kart. 9° Rana macrocnemis Bout. (2). In un suo recentissimo lavoro (3) il signor De Betta nega tutte queste divisioni, cercando di dimostrare che una sola sia la Rana rossa, e questa appunto la lana temporaria di Linneo. Egli tratta principalmente delle specie italiane, frana muta Laur., Rana agilis THomas, Rana latastiù BouL. (1) O più grammaticalmente Rana Latastii. (2) Proceedings of Zool. Soc., 1885, tav. III. (3) Sulle diverse forme della Rana temporaria in Europa e più parti- colarmente nell’ Italia. Atti dell’Istituto veneto, Scienze, Lett., sez. VI, vol. IV, 1885, VALORE SPECIFICO DELLA RANA AGILIS THOMAS 193 Quella minutezza di analisi che condusse gli autori sopra menzionati alle divisioni specifiche fatte, non fu in tutto di guida al signor De Betta in questo suo lavoro, nel quale i caratteri più importanti su cui si fondano le divisioni specifiche non ven- nero tenuti nel conto voluto. Il carattere invocato dal sig. De Betta della presenza o della mancanza dei sacchi vocali interni nei maschi non venne da lui esattamente osservato. Questo carattere, colla sua mancanza nella Rana agilis, e nella Rana latastit, come hanno giustamente osservato il Boulanger, il Leydig, e il Camerano, segna una se- parazione sicura fra la lana muta Laur. e le altre due. Quando io faceva un lavoro sugli Anfibi anuri del Piemonte (1), ebbi campo ad esaminare molti individui di Rana muta LAUR., e di Rana agilis THomas in tutti gli abiti e provenienti da molte località. Molti altri individui ho esaminato dal 1877 ad oggi. Nel laboratorio del Museo zoologico di Torino, per ricerche anatomiche e zoologiche, vennero esaminati moltissimi altri indi- vidui di queste due specie, e non si venne mai a capo di rico- noscere quella grande variabilità dei caratteri della frana agilis di cui parla il sig De Betta nel suo lavoro. (Questa specie è sempre stata facilmente e sicuramente determinabile coi caratteri che le assegnano gli autori. Per la qual cosa io non posso a meno di confermare la distinzione specifica della Rana agilis dalla Rana muta, distinzione che io aveva già ritenuta giusta nel lavoro sopra menzionato sugli Anfibi anuri del Piemonte. Il sig. De Betta lamenta in me il difetto di troppa minu- ziosità nella esposizione dei caratteri. Invero, di questo difetto non mi so pentire, nè correggere. Parmi che oggi nei lavori della sistematica, e sovratutto negli studi di faune locali, non sì richieda soltanto l'esposizione concisa dei caratteri principali di una specie in una buona diagnosi; parmi che l'indirizzo mo- derno della sistematica richieda pure l'esame minuto e la minuta esposizione dei caratteri sopra un grande numero di esemplari. Parmi che solo per tal modo si possa realmente progredire nella conoscenza delle variazioni delle forme. La Rana latastii è pure, secondo il mio parere, caratterizzata în modo sufficiente, perchè possa prendere posto come specie (1) Studi sugli Anfibi anuri del Piemonte. Atti della R. Accademia dei Lincei. Mem., sez. III, vol. 1°, 1877. 194 MICHELE LESSONA - VALORE SPECIFICO DELLA RANA AGILIS equipollente alla Rana muta e alla Rana agilis, e anche per essa devo dire che non ho osservato la grande variabilità di ca- ratteri di cui parla il sig. De Betta. In Piemonte la Rana muta è comunissima nelle regioni al- pine, mentre la Rana agilis è comunissima nelle pianure. È meno nota in Piemonte la distribuzione della Rama la- tastii, la quale tuttavia vi si trova, secondo ciò che ha fatto conoscere recentemente il sig. Peracca (1). Concludo ripetendo una cosa ben nota, cioè che se per un verso il moltiplicare soverchiamente il numero delle specie in- senera confusione, per un altro verso nuoce il riunire insieme forme diverse, ingenerando confusione non minore. (1) Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. XX, pag. 827, 1885. fAymaville Limiti degli antichi ghiacciai ofurlin o Zuinuti degli altuali ghiacciai Ù === locate di ghuacewo : 1 —— Morene Me DA Scala di la 200,000 7 G, Pan I w 3 di x RAS $ 238 da ( ® n be af Î lì imm, * f E Yw Co pis tr io l/s or 2 ven e dee “i t pe 170 Le 4 TENVETTTRTT Îe e i asa i Y 2 J a a pull diri po DET (i ud rino setta, bo ipibblina pc SH Pf RL NSA Pi RE” o | ADUNANZA del 249 Gennaio 1986; et: sue RIE Vai È Lu j Variariage _ Di i un Guai STA glaciale presso Cognei in valle dA A | Donsa _ ‘Nogioni intorno all’equatoriale con refrattore Merz, SR o. | 30 centimetri Ara e metri 4 di di distanza focale sa > b "ERRATA-CORRIGE . LL. ALTI R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DE -STO:R ENO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUR CLASSI Vor. XXI, Disp. 3° (Lebbraio 1886) Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali TORINO ERMANNO LOESCHER “Libraio della R. Accademia delle Scienzo CLASSE DI le SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Febbraio 1886 a } È: È è j + bor Ta i r i i | Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXI. ac .9 : 186 arena ni / ATI VI ii ONORI tl 7 IRA per. A dal È = nia ver at) cala vw # -- ht + Gr Lit 221 CLASSE SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 7 Febbraio 1886. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ANGELO GENOCCHI Sono presenti i Soci: GeNoccHI, Cossa, LESssonAa, DORNA, SALVADORI, BERRUTI, CurIONI, D’Ovipio, BizzozERo, FERRARIS, NaccarI, Mosso, SPEZIA e Basso, che, in assenza dell’Accademico Segretario SoBRERO, ne fa le veci. Letto ed approvato l’atto verbale della seduta precedente, il Presidente pronunzia parole di rammarico per la morte testè avvenuta del Socio Nazionale residente Nicomede BIANCHI, e fa dar lettura di una lettera del Prof. Cav. Pietro VAarRA, colla quale la triste notizia è comunicata all'Accademia a nome della famiglia dell’ illustre estinto. Vengono in seguito presentate in dono all'Accademia da parte dei rispettivi autori le opere seguenti : dal Presidente , il fascicolo di aprile 1885 del Bul/ettino di bibliografia e di storia delle Scienze matematiche e fisiche, pubblicato dal Principe B. BoNcOMPAGNI; dal Socio Cossa, la 15° edizione della Anleitung zur qua- litativen chemischen Analyse fiir Anfaiiger und Geibtere del Socio Corrispondente Remigio FRESENIUS; 222 ADUNANZA DEL 7 FEBBRAIO 1886 dal- Socio SaLvaporI, gli Annali del Museo civico di storia naturale di Genova, 1885, pubblicati per cura di G. DORIA e R. GeESsTRO. Accogliendo le conclusioni della Relazione fatta nell’adunanza del 10 gennaio p. p. dalla Commissione composta dei Soci BEL- LAKDI, BERRUTI e SPEZIA, la Classe ammette alla lettura, e quindi approva per la pubblicazione nelle Memorie, un lavoro del Marchese Antonio DE GrEGoRIO di Palermo Intorno a taluni fossili di Monte Erice di Sicilia, ecc. Il Socio Dorna legge una sua Nota, che fa seguito ad altra precedente, intitolata: Nozioni intorno all’equatoriale con re- frattore Merz di trenta centimetri d’apertura e quattro metri e mezzo di distanza focale. Lo stesso Socio DoRNA presenta pure per la consueta pub- blicazione i seguenti lavori eseguiti nel R. Osservatorio dell’Uni- versità di Torino dall’Assistente Prof. Angelo CHARRIER: 1° Osservazioni meteorologiche dei mesi di novembre e dicembre 1885; 2° Diagrammi di dette Osservazioni ; 3° Osservazione meteorologica fatta all’una pomeridiana, tempo medio di Roma, nel 2° semestre 1884 e nell’anno successivo 1885; 4° Riassunto delle Osservazioni meteorologiche dell’anno 1885; 5° Osservazioni meteorologiche rilevate dai registratori; a) Barografo — Secondo trimestre (aprile, maggio , giugno) 1885: b) Termografo — Secondo trimestre (aprile, maggio, giugno) 1885. ; Infine il Socio BizzozeRo, anche a nome del Socio conde- legato Lessona, così riferisce alla Classe intorno alla Nota del RELAZIONE SULLA MEMORIA DEL DOTT. PIERO GIACOSA ‘223 Prof. Piero Giacosa Su di un ricettario del secolo XI esistente nell'Archivio capitolare d'Ivrea, presentata nell’ adunanza del 24 gennaio p. p. « Il manoscritto copiato e commentato dal Dott. Giacosa con- tiene un numero considerevole di ricette, colle relative indicazioni morbose, e ci rivela assai bene lo stato della medicina in Italia verso la fine del 900; quanto alla data esso è il 8° documento auten- tico di medicina medioevale, e ‘rischiara un’epoca in cui mancano assolutamente tutti gli altri indizii di coltura scientifica. « L'importanza di questo documento, che non era sfuggita ai pochissimi che per altre cause avevano sfogliati i codici Epore- diesi, i quali però non lo avevano copiato, è dimostrata dalle se- guenti considerazioni : « I. La massima parte dei rimedii e delle indicazioni risulta desunta da Plinio e da Dioscoride, il che prova la continuità della tradizione classica in Italia, trasmessasi direttamente senza che fosse d’uopo che essa venisse importata di nuovo dagli Arabi; questo smentisce l'opinione di coloro che ammettono che il risor- gere della medicina in Italia colla scuola Salernitana sia dovuto agli Arabi. « II. Alcuni rimedi non conosciuti agli antichi (la can- fora p. e.) si trovano citati per la prima volta nel ricettario eporediese, e ci provano l’estensione presa dal commercio col Le- vante. « III. Sotto il punto di vista linguistico il manoscritto è utile, perchè ci fa assistere a certe forme affatto popolari, trat- tandosi di documento per sua natura destinato ad essere divulgato e comprensibile a tutti. « IV. Per ciò che riguarda la storia dell’Italia del Nord, questo documento contribuisce a darci un'idea della coltura délla seconda città del reame (Ivrea) nell’epoca più splendida della sua storia politica, cioè ai tempi del re Arduino, quando il seggio episcopale era occupato dal vescovo Wormondo, della cui dottrina ed amore per le arti fanno fede i codici ed i ristauri del Duomo d'Ivrea. Questo fiorire della coltura durante quest’epoca di for- tunose vicende spiega la persistenza della tradizione Arduinica in tutto il Canavese moderno. 9924 RELAZIONE SULLA MEMORIA DEL DOTT. PIERO GIACOSA « Il manoscritto, che per la prima volta si stampa, è ac- compagnato da una notizia esplicativa del Dott. Piero Giacosa, e da una copia di un frammento assai più antico (VIII sec.), esso pure relativo ai rimedii. « Per queste considerazioni i relatori vi propongono che il lavoro del Dott. Giacosa venga letto all'Accademia per essere inserito nelle Memorie ». La Classe accoglie la conclusione dei Commissarii, e approva il lavoro del sig. Dott. P. Giacosa per la stampa nei volumi delle Memorie dell’Accademia. 225 LETTURE —__ NOZIONI INTORNO ita Lio /T 1 Bric DE CON REFRATTORE MERZ di 30 centimetri d'apertura e metri 4 1/, di distanza focale del Socio ALESSANDRO DoRNA NOTA SECONDA. Il 1° maggio 1885 dalle 10 alle 11 34 di sera osservai Giove ed i suoi quattro satelliti. Questi erano tutti da una stessa parte del pianeta ed uno vicinissimo al medesimo. Guardai cogli ingran- dimenti 144, 207, 311, 472 e 656. Coi due primi il pianeta, le sue fascie ed i suoi satelliti si vedevafto stupendamente. Cogli altri tre notai delle nebulosità e deformazioni crescenti coll’in- grandimento. Ma l'atmosfera era poco tranquilla ed il cielo alquanto velato, sebbene azzurrognolo ad occhio nudo. Nel pomeriggio del giorno successivo, per sperimentare il moto di orologieria osservai il Sole durante dieci minuti consecutivi, ricevendone l’immagine sopra un foglio bianco che applicai all’'o- culare. Il moto dell'orologio è regolare e dalla proiezione immobile del Sole sopra il foglio dedussi che l’astro, durante l'osservazione, non cambiò sensibilmente di posto nel campo del refrattore. Il tubo di questo non ha un coperchio fornito di diverse aperture per l’osservazione diretta del Sole con elioscopi; essendo il costruttore persuaso che si possa osservare direttamente anche il Sole con tutto l’obbiettivo (cosa non contradetta da un illustre osservatore, alludendo forse alle osservazioni spettroscopiche). Mi avventurai ad applicare all’oculare un vetro nero, che dovetti subito levare, sentendo un leggiero cricc’ indizio di rottura. Ho 226 ALESSANDRO DORNA messo al suo posto la- mano e dovetti ritirarla per ‘1’ eccessivo calore. Ordinai immediatamente cinque coperchi di cartone colle aperture circolari del diametro di 5, 10, 15, 20 e 25 centi- metri; non essendo il caso di far fare un coperchio metallico con diverse aperture chiudibili a cerniera, come quello del circolo me- ridiano, perchè per le dimensioni che dovrebbe avere per l’equa- toriale, riescirebbe troppo pesante. Nel mattino del giorno seguente cominciai a leggere i circoli graduati dall’oculare e dal piede dello strumento per farmi un criterio della precisione delle letture, dipendente dal grado di perfezione con cui sono state incise le divisioni, e dal modo con cui sono illuminate (mediante specchi e prismi) dalla lampada a petrolio che il costruttore collocò, per l'illuminazione dei cerchi graduati e del campo, alla estremità dell’asse di declinazione op- posta a quella dove è attaccato il" cannocchiale. — Di questo studio, lungo e noioso, renderò conto in un’altra Nota. Nella sera dello stesso giorno, quantunque il cielo fosse poco propizio perchè non perfettamente sereno e l’aria alquanto agitata, rivolsi il refrattore alla Polare; successivamente cogl’ingrandi- menti 96, 144, 207, 311, 472 e 656. Con 96 rimarcai una piccola stelletta vicinissima che mi parve di grandezza inferiore all’11° e con luce planetaria molto viva; la vidi ad est in alto (immag. rovesc.). Con 144 la medesima apparenza di luce plane- taria, meno intensa, in essa più lontana nella direzione primitiva. Con 207 la vidi vieppiù lontana, dalla stessa parte, in forma di un piccolo dischetto, nettamente contornato e con luce tran- quilla. Queste apparenze mi sono anche state confermate dallo studente C. B. a cui le mostrai. X A me che guardavo per la prima volta una stella con un obbiettivo Merz di trenta centimetri, la Polare sembrava essere di prima grandezza tanto era il suo splendore, come se ayessi rivolto il cannocchiale ad una delle stelle più lucenti. — Fui sorpreso non meno della volta che, avvicinandomi all'equatore nel 1874, vidi ad occhio nudo la splendida Canopo, dove, ri- spetto al zenit, non mi era mai occorso di vedere stella così lucente. — (Con 311 ho veduto meno bene, le deformazioni crebbero con 472 e diventarono così grandi con 656 che se l'atmosfera fosse stata più tranquilla avrei senz’ altro conchiuso che questo oculare di maggior ingrandimento è cattivo. Col pe- nultimo potei ancora vedere a stento il compagno della Polare, NOZIONI INTORNO ALL'EQUATORIALE CON REFRATITORE MERZ 227 ma coll’ultimo non lo vidi più e la Polare aveva l'apparenza di una ruota di raggi. Il cannocchiale cercatore è fornito di un reticolo quadrato fatto con dei fili metallici eccessivamente grossi che converrà cambiare. Nella sera del 4, puntando a Regolo coll’oculare con due anelli micrometrici, di ingrandimento 106, vidi che avendo la stella al centro del reticolo del cercatore essa non era nel grande cannocchiale. Ho corretto la direzione del primo, in modo che la stella essendo nel mezzo del campo cel refrattore, col l'orologio in moto si manteneva anche quasi centrata nel cerca- tore, ossia in vicinanza del lato superiore del piccolo quadrato del suo reticolo. Non cercai di ottenere subito il perfetto con- centramento, avuto riguardo che anche la più sottile delle punte di ferro fornite dal costruttore è troppo grossa per imperniarvi bene i buchi delle teste di vite di rettifica del cercatore. Ma per avere nel gran cannocchiale un astro visibile nel quadrato del reticolo del cercatore, questo è adesso abbastanza rettificato. Osservando Regolo avevo messo lo strumento nelle posizione di circolo precede, ed ho fatto le seguenti letture sui circoli graduati: Dall’oculare. Dal piede. Circolo orario Lai? ioni e Lat 24010 38 29, 10. | nata 348° Dl nl | Circolo di declinazione 168 1 | 168° 1' | Il tempo siderale, nell'istante dell’osservazione, era 1° 31" 505 all'incirca. — Per avere il tempo esatto nel gran cupolo dell’e- quatoriale siamo ancora in condizioni sfavorevoli. Ma col sussidio largitoci dal Consorzio Universitario nel bilancio del 1886, avremo, prima che scada tale anno, un pendolo siderale apposito. Nel frattempo ci conviene dedurre il tempo dal pendolo siderale Dent della sala meridiana, mediante confronti col medesimo di un orologio trasportabile che ci dia l’ora per l’equatoriale. Non avendo nulla di meglio dal 1° al 19 maggio 1885, tempo in cui feci coll’equatoriale alcune osservazioni, procedetti nella seguente maniera : Accelerando per parecchi giorni consecutivi il mio orologio ‘tascabile ordinario Ricard, ne ridussi per comodità l'andamento 228 ALESSANDRO DORNAÀ a quello del Dent sudetto, di cui si determina giornalmente la correzione con osservazioni meridiane. Il tempo siderale summentovato dell’osservazione di Regolo è stato da me dedotto dal seguente confronto fatto prima del- l’osservazione : Dent Sr2° Sp" Tar Correz. e 15° Ricard (12) 23 0 D-R! ‘- ‘(2 49 — 2 47 Correz. R_— 2"32° Dopo non avendo potuto fare un secondo confronto, ritenni che la correzione di X nell'istante dell’osservazione fosse questa trovata prima. L'ora E dell’osservazione è stata de 34 Correz. È — 2 32 Tempo siderale = Big ii Dal N A ascensione retta a=10a Cala Angolo orario vero r= 15,:29,94 Se tiensi anche conto della lettura fatta dal piede dello stru- mento, facendone la media colla corrispondente dello stesso nonio letto dall’oculare, la lettura del circolo orario in numeri interi è mediamente 15° 29" 9°, inferiore di 25° all’angolo orario vero. Si vedrà meglio più innanzi che, colla posizione di cireclo precede dell’equatoriale di cui parlo, una delle letture dell’altro circolo corrisponde al supplemento della declinazione, il cui va- lore vero dato dal NA è d=12° 32. La media delle letture. del circolo di declinazione, riferita più sopra, è 168° 1’. Adunque, essendo 180—d=167° 28' la lettura superò di 33' il supplemento della declinazione vera. Nel pomeriggio del 5 ho diretto il cannocchiale al Sole. Dentro lo strato d’aria che il Sole illuminava, nel cupolo, dalla finestra si vedeva sospeso un pulviscolo che se accadrà di frequente, ci metterà in fastidio per tenere puliti i vetri ed altre parti dello strumento. Ordinai un pennello finissimo per l’obbiettivo. Il tubo oculare del cannocchiale non può scorrere fuori ab- bastanza per l’oculare di minore ingrandimento 65. È una prova NOZIONI INTORNO ALL’EQUATORIALE CON REFRATTORE MERZ 229 che l’Officina, la quale si fece mandare tutta la parte ottica per adattarvi il tubo, non se ne curò abbastanza. Con tutto l'obbiettivo e coll’oculare di ingrandimento 96 (pel quale bisogna già tirar fuori quasi interamente la parte che può uscire del tubo oculare) vidi assai distintamente disseminate sulla superficie del Sole una grande quantità di macchie e di fori, sebbene il pulviscolo depositatosi sull’obbiettivo necessitasse già di spolverarlo ed abbia usato il vetro nero menzionato più sopra, la cui minima frattura non impedisce ancora di adoperarlo. Pel Sole notai un inconveniente relativo alle lettura dei cerchi, ed è che col cannocchiale rivolto al Sole penetra della luce solare nel tubo in cui si fanno le letture dall’oculare, per modo che è difficilissimo distinguere bene le divisioni dei cerchi e dei nonii. Ed anche dal piede dello strumento le letture sono difficili. Essendo stati portati i coperchi ordinati con diverse aperture rivolsi di nuovo, il 9 maggio, il cannocchiale al Sole coll’apertura di 5 centimetri e con circolo precede. Constatai la stesso difetto d’illuminazione confusa dei cerchi graduati, per la luce solare su alcuni punti, la quale non potei togliere, nemmeno ponendo un ostacolo fra il Sole ed il tubo in cui si legge. Nè si attenua il difetto aprendo e chiudendo la finestrina con cui si regola la luce nel campo del cannocchiale. Nel giorno 9, osservando il Sole, potei fare a stento una lettura di cerchi, che per lo studio dello strumento non è inutile che io riferisca, quantunque poco precisa. L’ oculare adoperato non avendo reticolo mi servii di quello del cercatore per cen- trare il Sole nel grande cannocchiale. Pel tempo avevo fatto qualche ora prima la seguente determinazione della correzione dell'orologio : 45 19° Correzione SO de L48. 0 — 2 47 — 2" 47 Correz. di BR .— 2” al° L'ora di È in cui osservai è 4° 58 20 Onde il tempo siderale 0 = 455 49 Dal NA l’ascen. retta vera è "= 3046023 Epperciò l'angolo orario vero t = 1 49 26 230 ALESSANDRO DORNA Le letture del circolo orario furono: dall’oculare dal piede Vario 10% pgniogg go Il valore di una delle parti minime del nonio del circolo orario essendo di 5° havvi fra le due letture la differenza di tre delle medesime; in parte dovuta anche certamente al difetto di illu- minazione suaccennato. Confrontando queste osservazioni del Sole con quella di Regolo della sera del 4, fatta 30° circa più ad | ovest, la lettura del circolo orario non è molto scorretta rispetto all’angolo orario vero. Non mi è stato possibile leggere il circolo di declinazione dall’oculare. Dal piede ho letto 163°4'. Nel | N Ala declinazione vera èd =17° 30°. Onde 180° — 0=162° 30°. | La lettura del circolo di declinazione supera adunque di 34' il _ supplemento della declinazione vera, differenza quasi identica a quella trovata con Regolo il giorno 4. Nella sera del 9 maggio osservai Giove, Regolo e la Spica. Per il tempo ho fatto i seguenti confronti: Prima delle osservazioni Dopo le osservazioni D 10° 38" 31° 18° 36" 36° BRA10541 000 13090 D-E — 2 29 — 2 24 La correzione di D sul tempo siderale a mezzodì del 9 è stata ...... + 16° 3 » d4: PSI +17 9 fidano an 24 dn. n. L'‘b Dal primo mezzodi all'ora media dei due confronti trascorsero 9 ore ed in tal tempo D ritardò di 0°,3; si può quindi pren- | dere 16°,6 per correzione costante di D durante le osservazioni. Dai due confronti risulta che in 2" 58" di R, D-R aumentò di 5°, si ha quindi ad y ore di R dopo le 11" 41" di R che la h sua correzione pel tempo siderale è — 2"29°+16%,6 + 5° Slggn: di è ossia al tempo 10"41"4y" di X la correzione di R è — 2"125,44+ 15,7 y. NOZIONI INTORNO ALL’EQUATORIALE CON REFRATTORE MERZ 231 s Da questa formola dedussi il tempo a meno di 7 come nel confronti, e basta poichè, come già dissi, l'indicazione minima del nonio del circolo orario è di 5°. In quanto alle letture dei cerchi, nello schema seguente delle osservazioni, avverto che dal piede dello strumento ve ne ha una sola per circolo e che ora si legge uno dei due nonii di cui è fornito ciascun circolo ora si legge l’altro; mentre dall’oculare si possono leggere entrambi i nonii dei due circoli. In modo che uno dei nonii si legge due volte, una dall’oculare e l’altra dal piede, e l’altro nonio una volta sola dall’oculare. Il disaccordo che si vede di una, due e perfino di tre unità del nonio nelle letture di uno stesso nonio, può (come si vedrà nella Nota in cui parlo dei circoli graduati) attribuirsi in gran parte al grado d’illumi- nazione molto differente da una lettura ad un’altra. 232 ALESSANDRO DORNA Schema delle osservazioni. ASTRO R CIRCOLO PRECEDE R CIRCOLO SEGUR x 0 LETTURE 9 LETTURE s q Tr — Tetto Porta oculare | piede oculare piede [ | Giove {11h {7m20s] {h]09m 0»/13019» 0s iinggnigel 1h 159508] 16450558] gh 55m 52 Modo 9019 19 I1 4237 113 46 0 | 30 507 ( 11917 | 346945" | 166° 41° | 1 4645 | 130.49" 13°47 9 ri [a] __| 166 44 __la]). | 19347 | RegoLo |11b24m gs| 1h[9m20s 11h53m27s| {him Bel {h48m Gs) — {Oh 92m 16» 11 21 57 |13 19 20 |13hb19220s]11 51 17 [13.48 10 190315 119 Rf 741690 20067) (168° 72° ASTRI TV # ; [2] 348 3 [b,] 1228 12°27|| 3 Spica | 0b580255 111360 05|11h360/05| 0629 75|1{h 6m35» {9h 19m {0 12.55 5A 23 36 10 12 26 58 (23 6 25. [23h 6m30s 10° 33 8 23 90 44 | 191° TI 191° UV |23 7 48°) 160200 sr [c] FRE [cy] 349 3° III Spica fh 30[fs 11h4{m{()s|{{h{jm[s| 0h39m245]11b{60555 ii 1 (2. 37015 [23 16 50 |23h[6m55s 2341 53 491° dI | 191° 0" 12318 5 160% [c'] Hi 2 [ei 349 30 | 349° 31° h QQm (js hj6m ()s h46n |)s ana è s s 5) n : 118462 0*| _. Ascensione retta vera. [e] 23 46 42 | 191° 0 191° 0" | è Declinazione — id. il 20 | R Ora-dell’orslonin SpPica {b{{"{5s11h49m[55|{{h49m{Cs] g ider 13 9 7 (2349 15 Tempo si A [c"] 23 49 57 | 11°3' © Angolo orario. 191 1 191° 6'_| [a], ece. Notazioni di riscontro Spica | th17m30» 23h35m3s|[1h55m30.| -—Peri calcoli da eseguirsi. [cv] 33 56 È BETA si NB. In queste osservazioni i 191 2 1910 4» | ed in altre fatte nelle sere del . — i | 16 e 19, delle quali pazione SPICA {h920" 45:35 29h58m4()s una terza Nota, adoperai l’o- 13 18 38 [ff 58 40 !{{h5gm4(s| culare con due anelli miero- [cv] 23 59 28 | {91° 2’ | {9{° 1' | metrici, d’ingrandimento 106, | N‘ mettendo ad occhio le stelle —=-|-—_{i—___| osservate al contro ftcomaae SPICA 1h230485 12h 0m50/12 1m50*| delle periferie degli anelli, 13.2! 40/0 1 50 cosa che può ottenersi in una [cwi] 0 230. pu” 1" | 191° i" | maniera abbastanza precisa. WI Dal confronto delle letture dei circoli colle ascensioni rette | e colle declinazioni degli astri osservati risulta che uno dei nonii del circolo orario corrisponde sempre all’angolo orario dell’astro | e che uno dei nonii del circolo di declinazione corrisponde al init i dal NOZIONI INTORNO ALL’EQUATORIALE CON REFRATTORE MERZ 233 supplemento della declinazione quando circolo precede, ed alla declinazione aumentata di 180° quando circolo segue. Nelle note equazioni approssimate dell’equatoriale si dovrà quindi per quello di cui parlo (se è già abbastanza ben collocato da poterle ap- plicare al medesimo) mettere al primo membro 180° — d e 7 quando il circolo di declinazione precede il cannocchiale, e 180°+ 0 e 7 allorchè tal circolo lo segue. Ammesso che non si verifichi il caso improbabile in cui essendo le costanti strumentali considerevoli, si abbia tuttavia, coll’eli- dersi dei loro effetti, un discreto accordo fra le coordinate ap- parenti e le letture dei cerchi dello strumento in diverse posizioni, siecome le coordinate vere non possono differire molto dalle appa- renti, è lecito farsi una idea sommaria del grado di precisione con cui lo strumento è collocato, confrontando le letture istru- mentali colle corrispondenti coordinate vere degli astri osservati ; e se le differenze sono piccole, arguire che le costanti strumentali non sono grandi, ed in una prima ricerca delle medesime, dedurle applicando le equazioni approssimate dell’equatoriale. Trascrivo qui sotto le differenze che ottenni tenendo solamente conto delle letture dall’oculare. Differenze fra le coordinate vere e le letture dei cerchi. CIRCOLO PRECEDE CIRCOLO SEGUE Se i > m_—_m_— rt rt. t,—t' |(180+ò) —à/ 4 Maggio Regolo + 251 — 33" 9 Idem Sole +16 — 34 » Giove ZAN 134,5 + 505 + 2,0 » Regolo +21 — 34,0 + 53 +3,5 » Spica + 39 —- 27,2 + 78 +6,3 » » + 43 — 27,2 + 72,9 +3,2 » » + 42 — 27,2 » » +42 — 28,2 » » +42 — 28,2 » » + 48 — 28,7 » » + 40) — 28,2 Torino, 7 febbraio 1886, 234 ADUNANZA DEL 21 reBBRAIO 1886 Adunanza del 21 Febbraio 1886 PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ARIODANTE FABRETTI VICEPRESIDENTE Sono presenti i Soci: FABRETTI, Cossa, LEssona, DORNA, SALVADORI, BERRUTI, CurIONI, Siacci, D’Ovipio, Bizzozero, FER- RARIS, NaccarI, Mosso e Basso, che, in assenza del Socio So- BRERO, fa le veci di Segretario. Vien letto ed approvato l’atto verbale dell'adunanza prece- dente. Il Socio BerRruTI fa dono all’ Accademia del Manuel du galvanisme del Prof. Giuseppe IzARN, edito a Parigi nel 1805, nel quale, oltre molte altre notizie interessanti per la storia della fisica, si trova pure un cenno sulle prime osservazioni fatte in Italia dal Romagnosi sulla deviazione dell'ago magnetico, e dal Prof. Moyon di Genova sulla magnetizzazione dell’acciaio prodotta dalla corrente elettrica. Il Socio Basso legge una sua breve Commemorazione in morte dell’eminente fisico Giulio JAMIN, Professore alla Scuola politecnica ed alla Facoltà di Scienze di Parigi, Segretario perpetuo del- l'Accademia delle Scienze dell'Istituto di Francia, e Socio Cor- rispondente dell’Accademia di Torino. Il Socio Cossa presenta: 1° una Nota del Dott. G. MAZZARA, intitolata: Ficerche sulla trasformazione del timol in carvacrol; ADUNANZA DEL 21 reBBrA10 1886 235 2° un’altra Nota dei Dottori G. Mazzara e G. Discazo, inti- tolata: Bromoderivati del timol, del timochinone, dell’ 0ssì- timol. Il Socio Dorna legge una sua Nota, che fa seguito a due altre già lette in sedute precedenti, Intorno all’equatoriale con refrattore Merz di trenta centimetri d'apertura e quattro metri e mezzo di distanza focale. Infine il Socio LESssona presenta, a nome del Socio SPEZIA assente, un lavoro manoscritto del Dott. Federico Sacco, inti- lato: I terreni quaternari della collina di Torino. Desiderando l’autore che il suo lavoro sia accolto nei volumi delle Memorze, viene affidato ad una Commissione coll’incarico di esaminarlo e riferirne in una prossima seduta. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXI, 16 236 G. BASSO LETTURE COMMEMORAZIONE Se Sr. del: Socio Prof. Giuseppe Basso Il giorno 14 febbraio 1886 moriva in Parigi nell'età di 63 anni l’insigne fisico Giulio Jamin, il quale apparteneva anche alla . nostra Accademia in qualità di Socio corrispondente. Nato a Termes nelle Ardenne, Giulio Jamin entrò a 25 anni nella Scuola Normale di Parigi ed in questa, tre anni dopo, fu accolto aggregato per la Fisica. L’indole della sua mente, acuta, immaginosa e precisa ad un tempo, lo trasse fin dalla prima giovinezza a coltivare con ardore quegli studi che non abbandonò . neppure in questi ultimi anni, quando ripetute sventure dome- stiche e la malattia cardiaca, della quale fu alla fine vittima, avevano incominciato a fiaccarne la operosità instancabile e ma- ravigliosa. Le ricerche di laboratorio, i lavori originali dei quali si occupò in ogni tempo egli seppe felicemente associare alle fatiche dello insegnamento. Dopo di aver professato, nei primi anni della sua carriera, nel collegio Borbone, ora liceo Condorcet, il Jamin fu. ben presto chiamato alla cattedra di fisica nella Scuola Poli- tecnica, poscia, nel 1863, anche alla cattedra di fisica presso la Facoltà di Scienze di Parigi. Le sue eminenti qualità di docente ebbero campo di risplendere, non solo negli insegnamenti regolari a cui dava opera indefessa, ma anche in frequenti Conferenze b- COMMEMORAZIONE DI GIULIO JAMIN TT popolari nelle quali le difficoltà dei gravi argomenti trattati ve- nivano attenuate dalla forma chiarissima, spigliata, elegante della esposizione. Nel 1868 il Jamin fu nominato socio dell’ Accademia delle Scienze di Parigi in sostituzione di Pouillet per la sezione di Fisica e due anni or sono succedette a G. B. Dumas nell’emi- nente ufficio di Segretario perpetuo dell’ Accademia stessa. Il parlare degnamente dello Jamin come scienziato, lo esa- minare i molti suoi lavori originali che sparsero viva luce sopra diverse questioni di fisica generale ed applicata, sarebbe opera che di gran lunga sorpasserebbe i confini del modesto còmpito che ora mi sono assunto. Accenno soltanto di volo alle ricerche da lui eseguite nel campo dell’elettrologia e specialmente a quelle che riguardano il magnetismo e la conduttività magnetica dei corpi atti ad essere calamitati: agli ampi suoi studi di Ottica fisica e segnatamente a quelli sulle interferenze luminose che lo condussero all'invenzione del r/frattometro interferenziale : ai suoi lavori di termologia colle applicazioni speciali alla meteorologia : infine al prezioso suo Cours de Physique de l Ecole Polytechnique che il compianto autore andò man mano completando e perfezio- nando nelle edizioni successive. La perdita d’un tanto uomo è certamente gravissima sciagura; però ad alleviarne il dolore deve contribuire il pensiero che i servigi da lui resi alla scienza ed ai buoni studi non si arrestano completamente collo spegnersi di Lui. Oltre ai suoi scritti, che saranno sempre consultati ed ammirati come modelli di mono- grafie scientifiche, rimane, monumento durevole della sua sapiente operosità, una istituzione importante, al cui ordinamento egli consacrò le ultime sue cure; rimangono cioè i laboratorii della Ecole pratique des hautes études, che sono un vero semenzaio di giovani fisici, dei quali parecchi seguono già con passo sicuro le orme del loro venerato maestro. 238 G, MAZZARA RICERCHE SULLA TRASFORMAZIONE DEL TIMOL IN CARVACROL del Dott. G. MAZzaARA, presentate dal Socio Prof. ALronso Cossa La trasformazione del nitrotimol e del nitrocarvacrol nello stesso timochinone ha indotto i chimici ad ammettere tanto nel primo che nel secondo non solamente l'identità del gruppo CyH,, ma anche la posizione para del gruppo NO, rispetto all’ossidrile. A confermare questa opinione, che lascia taluni chimici dubi- tare della sua esattezza, malgrado che sia avvalorata da altre reazioni, ho tentato passare dal nitrotimol al cloro o bromocar- vacrol, sostituendo 10 al Cl o Br e trasformando il gruppo NO,, che si trova al posto orto rispetto al metile, in ossidrile ; e viceversa, dal nitrocarvacrol che ha il gruppo NO, al posto orto rispetto al C,H,, per identiche trasformazioni, al cloro o bromotimol. ‘Per preparare i corrispondenti cloronitrocimeni ho fatto agire il percloruro di fosforo sul nitrotimol e sul nitrocarvacrol; la clo- rurazione però con questo metodo, malgrado che l’operassi in diverse condizioni e seguissi esattamente le norme prescritte da Ladenburg ed Engelbrecht a proposito della preparazione del di- nitroclorocimene, mi diede dei prodotti in così piccole quantità da non poter venire utilizzate in ulteriori ricerche. È noto, che nella nitrazione degli idrocarburi il nitrile va d’ordinario a prendere l’identica posizione rispetto ai gruppi sosti- tuenti, tanto che essi siano l’ossidrile od un alogeno. Siccome questa legge vale non solo per la benzina, ma anche pel toluene, credo che si possa considerare come generale ed estenderla quindi al cimene. In base a ciò ho preparato i nitrobromocimeni nitrando SULLA TRASFORMAZIONE DEL TIMOL IN CARVACROL 239 direttamente i corrispondenti bromocimeni, sperando: così di poter passare dal timol al carvacrol, o almeno da un derivato del primo ad uno del secondo e viceversa. Pel momento non posso assicurare se queste trasformazioni siansi effettuate, ma riserbandomi di con- tinuare nelle mie esperienze, credo opportuno di descrivere sin da ora alcuni nuovi corpi ottenuti. AZIONE DELL'ACIDO NITRICO SUL BROMOCIMENE Dinitrobromocimene. Il bromocimene adoperato in queste ricerche è stato ottenuto col metodo di Gerichten, riscaldando cioè quattro molecole di timol con una di pentabromuro di fosforo. Il prodotto della reazione, trat- tato con potassa diluita, si distillò in una corrente di vapor d’acqua, la quale trasportò un olio che venne rettificato per distillazione. Il bromocimene così preparato venne versato a poco per volta nel- l'acido nitrico fumante (miscuglio fatto a parti uguali di acido nitrico della densità 1,48 e di acido 1,52). Si osserva che appena il bromocimene viene in contatto dell’ acido si colora in rosso ed agitando il miscuglio vi si scioglie. Per non fare elevare di troppo la temperatura si raffredda il pallone in cui si fa la reazione, immergendolo nell'acqua. — Il prodotto della reazione coll'aggiunta di acqua precipita come olio, che dopo un certo tempo si rapprende in una poltiglia ricca di cristalli. Per separare questi dalla parte liquida, il miscuglio, ben lavato con potassa diluita, si tratta con benzina di petrolio o con etere, nei quali solventi la parte cristallizzata non si scioglie; oppure si distilla in una corrente di vapor d’acqua che trasporta solo la parte oleosa. I cristalli se- parati così dalla parte liquida si asciugano fra carta, e si cristal - lizzano dall'alcool bollente, dal quale per raffreddamento si se- parano sotto forma di piccoli aghi gialli, fusibili a 94° e dotati di odore di muschio. All’analisi hanno dato i seguenti risultati : Gr. 0,5206 fornirono gr. 0,3240 di Ag Br. 240 G. MAZZARA Bromo per cento: calcolato per trovato CH(NÒ.), CH,C,H, Br 26,08 26,40. Questo dinitrobromocimene è isomero con quello ottenuto da Gerichten facendo agire il bromocimene, ottenuto bromurando il cimene sopra un miscuglio di ac. solforico ed ac. nitrico. Esso si riduce facilmente sciogliendolo in alcool e trattando la soluzione con ac. cloridrico e polvere di zinco. Il cloridrato è solubilissimo in alcool con colorazione rossa: è poco solubile nell’acqua; ossidato con cloruro ferrico e distillato in una corrente di vapor d’acqua lascia passare una sostanza rosso arancio che cristallizza dall’alcool in pagliette giallo d’oro fusibili parte a 140° e parte a temp. più elevata. Esse si sciolgono negli idrati alcalini con colorazione violetta. LA ‘All’analisi mi hanno dato una perdita considerevole di bromo. Dall’insieme dal loro comportamento ho potuto dedurre che esse risultano da un miscuglio di dromoossitimochinone e di diossiti- mochinone; vale a dire che il diamidobromocimene si comporta agli ossidanti come il diamidoclorocimene che fornisce diossitimo- chinone e cloroossitimochinone. ridi Nitrobromocimene. Precedentemente ho accennato che dall’azione dell’acido ni- trico sul bromocimene, a lato del dinitrobromocimene si forma una sostanza oleosa che è volatile col vapor d’acqua. Questa sostanza lasciata anehe per molto tempo a bassa temperatura non sì solidifica; essa si presenta sotto l’aspetto di un olio giallo più pesante dell’acqua avente forte odore di muschio. Solubile nella benzina e. nell’etere, è poco solubile nell’alcool specialmente. se diluito. Separata dall'acqua ed asciugata lasciandola parecchi giorni nel vuoto sull’acido solforico, diede all’analisi i seguenti risultati : grammi 0,4694 di sostanza fornirono grammi 0,3467 di Ag Br SULLA TRASFORMAZIONE DEL TIMOL IN CARVACROL 241 e Br per cento: calcolato per trovato Gi H, CH, C, HE NO, Br 31,40. 31,00. . Questo composto è isomero a quello ottenuto da (Gerichten facendo agire il bromocimene sull’ac. nitrico. Amidobromocimene. La bromocimidina venne preparata riducendo con stagno ed acido cloridrico il bromonitrocimene. In ogni operazione s’impie- garono da 10 a 15 gr. di nitroderivato che si versavano a poco a poco in un palloncino in cui reagiva stagno con acido clori- drico. Scaldando per un certo tempo a bagnomaria ed agitando, la parte oleosa, dopo raffreddamento, si rapprese in un ammasso pastoso, formato da laminette madreperlacee, che lavate con acqua vennero cristallizzate dall’alcool diluito. Esse sono pochissimo solubili nell'acqua, e la soluzione acquista una colorazione vio- letta; esposte alla luce si colorano pure in violetto, più facilmente quando sono secche. Decomposte con soluzione di carbonato sodico od'idrato sepa- rano un olio che è volatile con vapor d’acqua. Distillata di recente con vapor d’acqua, la base fia un color rosso che dopo un certo tempo diventa bruno violétto. Ha odore di cimidina. Sospesa nell'acqua e trattata con acido solforico si rapprende in una poltiglia di cristalli bianco-violetti. La base, come anche il clo- ridrato ed il solfato, sono poco solubili nell’ acqua, e la soluzione acquosa diventa facilmente violetta. L’amidoderivato, separato dall’ acqua ed asciugato nel vuoto sull’acido solforico, diede all’analisi i seguenti risultati : grammi 0,6488 di sostanza diedero grammi 0,5395 di Ag Br e di Br per cento: calcolato per trovato (04 H, NH,CH,C, H, Br 35,38 35,08. G. MAZZARA DO? CS DO: Bromoossicimene. Per avere il corrispondente bromofenol dalla bromocimidina ho operato nel seguente modo. Il cloridrato di bromocimidina si scioglie in alcool, e la soluzione si tratta colla quantità equiva- lente di nitrito potassico sciolto in poca acqua, e diluito con molto alcool. Mescolando le due soluzioni si osserva la separazione di una sostanza gialla che è il sale di diazobromocimene. Si tratta il tutto con acido solforico diluito, si aggiunge molta acqua, e si distilla in una corrente di vapor d’acqua che trasporta il bromoossicimene. Il bromofenol così ottenuto si pre- senta sotto l’aspetto di una sostanza liquida rosso-bruna. Per purificarlo l’ho sciolto nella potassa concentrata, filtrata la solu- zione l’ho decomposta con H(C/ ed ho distillato in corrente di vapor d’acqua. Si ottiene così sotto forma di un olio giallo, di odore aggradevole, molto più pesante dell'acqua. Asciugato nel vuoto sull’acido solforico all’ analisi diede i seguenti risultati : 1° grammi 0,2762 di sostanza fornirono grammi 0,2237 di Ag Br; 2° grammi 0,4290 di sostanza fornirono grammi 0,1163 di acqua e grammi 0,8206 di CO,._ calcolato per Trovato per cento C, HB, OH CH, C, H. Br... Carbonio 52,54 52,40 Idrogeno 5,6 5,6 Bromo 34,46 34,75. Sottoposto alla distillazione si decompone con sviluppo di acido bromidrico. Si constatò che la sostanza non conteneva azoto. Raffreddando anche fortemente non si solidificò. i Escludendo nel nitrotimol e nel nitrocarvacrol la posizione meta del nitrile rispetto all’ossidrile, poichè tanto il primo che il secondo non potrebbero trasformarsi nello stesso timochinone, ed SULLA TRASFORMAZIONE DEL TIMOL IN CARVACROL 243 ammettendo che l’acido nitrico agendo sul bromocimene deve dare prodotti di costituzione analoga a quelli che si ottengono col timol, il bromoossicimene sopradesceritto non potrebbe avere che le due seguenti formole: CH, OH Br CH, CH. In ambedue i casi esso sarebbe bromoderivato del carvacrol. Questo bromoossicimene deve, se la legge sopra accennata è esatta, trasformarsi in carvacrol: a tale intento vi feci agire per parecchi giorni l’amalgama di sodio, ma senza alcun risultato. Fallita questa via, tentai l'inversa. vale a dire di ottenere dal carvacrol un bromoderivato identico a quello sopradescritto. Ho fatto agire quindi sopra una molecola di carvacrol una molecola di bromo sciolti in acido acetico, raffreddando forte- mente le soluzioni. Trattando con acqua il prodotto della reazione, si ottiene un olio denso volatile con vapor d’acqua. Analizzando porzioni provenienti da due diverse preparazioni ottenni in una 40,5% di bromo, nell’altra 42 %, numeri che indicano il pro- dotto essere un miscuglio di monobromo che richiede 34,9 C di bromo, e di bibromo che ne richiede 51,9. Io sono attualmente occupato a determinare la posizione del gruppo 07 dell’ ossibromocimene sopradescritto, per riconoscere se realmente s'è effettuata la trasformazione del timol in un deri- vato dal carvacrol. Torino, febbraio 1886. 244 MAZZARA E DISCALZO BROMODERIVATI del Timol, del Timochinone e dell’Ossitimol Nota dei Dottori G. Mazzara e G. Discarzo presentata dal Socio Prof. ALronso Cossa Carstanjen per l’azione dell’acqua di bromo sul timochinone | ottenne insieme a dibromotimochinone un timochinone solido. Anche Andresen facendo agire l'acido bromidrico sul cloroimido- timochinone trovò che insieme allo stesso dibromotimochinone, si forma un altro bromotimochinone liquido. Per chiarire la natura di questi monobromoderivati abbiamo creduto conveniente di tentare di ottenerli per altra via, vale a dire partendo dal bromonitrosotimol per riduzione e successiva ossidazione. SI In questa Nota ci proponiamo di descrivere i derivati del timol naturale, e ci riserviamo fra breve di rendere di pubblica ragione quelli del carvacrol. Bromonitrosotimol. Questo composto fu preparato facendo agire una molecola di bromo sopra una molecola di nitrosotimol sciolti in acido.acetico e raffreddando le soluzioni. Coll’aggiunta di acqua si separò una sostanza solida che si purificò cristallizzandola dall’alcool diluito. Si ottiene così sotto forma di lunghi aghi splendenti, di color giallo d’oro; questi aghi riscaldati verso i 135° si decoMmponz a All’ sl diede i seguenti risultati: grammi 0,6608 di sostanza diedero grammi 0,4840 di bromuro d'argento e Br per cento: calcolato per trovato C,H.CH,.C,H,.0H .Br.N0 31,16 81,01. BROMODERIVATI DEL TIMOL, DEL TIMOCHINONE ECC. 245 ‘ Bromonitrotimol. Sul nitrotimol, ottenuto dall’ossidazione del nitroso con fer- ricianuro di potassa, si fece agire il bromo nelle condizioni de- scritte nella preparazione del bromonitroso. Trattando la soluzione acetica con acqua si precipitò una sostanza solida che venne purificata cristallizzandola dall’ alcool diluito. Cristallizza in aghi, gialli, fusibili a 100°-101°. All’analisi diede i seguenti risultati : grammi 0,5541 di sostanza diedero grammi 0,3766 di bromuro d’argento e Br pet cento: calcolato per trovato C,H.CH,;.C,H,.0H.Br.NO, ‘28,92 29,19. Bromoamidotimol. Fu preparato riducendo il bromonitrosotimol in soluzione al- coolica con polvere di zinco ed acido cloridrico, e decomponendo quindi con carbonato sodico il cloridrato così ottenuto. ‘. Questa base cristallizza dall’ alcool diluito in iscaglie rosee ‘che si colorano rapidamente alla luce. Fonde verso i 90°. All’analisi: srammi 0,4551 di sostanza diedero grammi 0,3614 di bromuro d’argento e Br per cent A calcolato per trovato .. i. C,H.,.NH;:0H.Br 32,74 32,78. Questa base probabilmente sarà identica a quella ottenuta da Andresen per l’azione dell’acido bromidrico sull’imidotimo- chinone. Il cloridrato si presenta sotto forma di aghi prismatici color carne, solubili nell’alcool, poco solubili nell’acqua. 246 MAZZARAÀ E DISCALZO - BROMODERIVATI DEL TIMOL, ECC. Bromotimochinone. Sopra dieci grammi di cloridrato di bromoamidotimol sospesi in due litri d’acqua sì fecero agire quattro grammi di nitrito potassico, ed indi acido solforico diluito sino a reazione acida. Distillando quindi in una corrente di vapor d’acqua passò un olio giallo, più pesante dell’acqua che si rapprese in pagliette fusibili a 48°. Cristallizzato dall’alcool diluito diede all’analisi: grammi 0,6677 di sostanza diedero grammi 0,5144 di bromuro d’argento e Br per cento calcolato per trovato C; Hi CH, . C,H..Br. 0, 32,75 32,92. Questo bromotimochinone sembra corrispondere a quello otte- nuto da Carstanjen per l’azione dell’acqua di bromo sul timo- chinone. Bromoîdrotimochinone. Sul bromotimochinone sospeso nell’acqua si fece passare sino a saturazione una corrente di anidride solforosa. Si osservò che i cristalli gialli si sciolsero formando un liquido bruno che dopo alcuni giorni si rapprese in una massa di cri- stalli bianchi fusibili a 52°-53°. Detti cristalli dopo un certo tempo diventano rossi e fondono a 37°. Sembra che questa tra- sformazione avvenga difficilmente, quando i cristalli non sono in presenza dell’acqua. Ossitimochinone. Facendo bollire il bromotimochinone con idrato potassico, dopo l’aggiunta di acido cloridrico, si formò un precipitato rosso di ossitimochinone. Sulle proprietà di questo composto torneremo quando avremo studiato l’azione dell’idrato potassico sul bromo- timochinone ottenuto dall’amidocarvacrol. Torino, febbraio 1886. 247 N:04-P0: Nal INTORNO Wei Ero VO ASTORIA L'E CON REFRATTORE MERZ di trenta centimetri d'apertura e metri 4 1/, di distanza focale del Socio Prof. ALessanpRo DORNA NOTA TERZA. I. La sera del 16 maggio 1885 osservai Arturo nelle due po- sizioni dello strumento. Prima e dopo ho fatto i seguenti confronti del mio orologio Ricard col pendolo siderale Dent: Prima delle osservazioni. Dopo le osservazioni. D'12,895 D45,h 14° 160% 57h R(12) 44 0 (io de 5a RI Celi SSROR RE A mezzodì del 16 correz. di D: 2 ora di D':‘3% 33% 849 9 » » » 1 Ù » È, A?) Lea To 2,8 Ritardo in un giorno: 1,0. Risulta da questi numeri che la correzione di D nell’istante medio fra i due confronti è di 22,2 e si può considerare come costante. Onde a 12° 44" di la correzione di quest’orologio sul tempo siderale è — 3" 435,3. Fra i due confronti, ossia in 1", 6 la quantità DR aumentò di 3° Adunque al tempo 12" 44" 4 y° di R la correzione di questo è data dalla formola: 248 ALESSANDRO DORNA — 3" 43,3 + 1°,9y, di cui mi servii per dedurre il tempo si- derale delle osservazioni che qui trascrivo: Osservazioni fatte nella sera del 16 maggio 1885. ASTRO | CIRCOLO PRECEDE Ri «| R CIRCOLO SEGUE Tod 0 LETTURE LETTURE 3 pie “pren | ea oculare | piede oculare | piede Arturo |13h23m978 | {{h 9m40*|{fhQ9m{5:| 13h53m 15 1{h38m29* 14b10»275 13 20 15 123 9 45 13 49.20] 23 38 29 |23h38m29= 19°46',,9 | 23. 9.48 | 340° 44’ 23 38.53 |-19° 50’ [19 49 [a] 160 41| {600 40| [da] |199 50 Arturo |13h34® 2s 2319045 {14h 3m29*|23h48m50*|23h48m50* 13 30 20,5 | ff 19 40|1fh19m45:|13 59 48/11 48 50 23 19 53,5 | 340° 44 23 49. 211 199° 506 [4] | 160 41 | 160040| [ay] | 19 50 | 19° 49 a Ascensione retta vera. è Declinazione, » 8 Tempo siderale. © Angolo orario vero. R Ora dell’orologio Ricard. |d], ecc. Notazioni di riscontro: iper i calcoli da eseguirsi. La sera del 19 maggio, in compagnia di alcune persone , osservai la Luna coll’ingrandimento 96, tenendo in azione il mo- vimento di orologieria per aver ferme nel campo del cannocchiale le parti del disco che guardavamo. È mirabile la chiarezza con cui si vedono le gradazioni di luce e di ombra dei crateri, dei coni che sporgono da alcuni di essi e delle montagne, segnata- mente ai corni e nelle vicine parti oscure, Oa SA del lembo. Rimasto solo collo studente C. 3. osservai {? ed « della Grand’Orsa col cannocchiale nella posizione di circolo precede D e la Polare nelle due posizioni dello strumento. Mentre facevo girare il cupulo per ispostarne la fessura di quanto mi occorreva per osservare le altre due stelle con circolo segue , movendomi all'oscuro nel cupolo, caddi nella bottola della scala d’accesso in pietra, la qual bottola, discese le persone venute a guardare la Luna, per inavvertenza non venne richiusa; Nell’impossibilità di osservare, potei ancora, sorretto dallo studente e dal custode, NOZIONI INIORNO ALL'EQUATORIALE CON REFRATTORE MERZ 249 dare la posizione di riposo allo strumento che solamente io sa- pevo adoperare alla Specola. Ma con cinque contusioni, di cui due alla testa, fui assalito da violentissima febbre, foriera di una congestione cerebrale, che mi tenne parecchi giorni in pericolo di vita, e nell’inazione per molto tempo. Nella sera di cui parlo confrontai, prima delle osservazioni, col pendolo siderale Dent, il mio Ricard, e per maggior garanzia anche il cronometro a tempo medio Frodsham della Specola. Dopo le osservazioni venne fatto un secondo confronto dallo studente. Ecco i numeri che abbiamo scritto : Prima delle osservazioni. Dopo le osservazioni. DERISO VAART He(k2) 47 0 14 40 44 D-h-- 546,5 — Db 44 DESIO ASTOGL® PE 040? be 97 1] 0 RT 0A 3-32 84 3 82 58 A mezzodì del 19 correz. di D: 25,1, ora di D: 83" 45" 1°,4 VI » » 20 » Di i 26,9 Ritardo in un giorno: 1,2. Dal mezzodì del 19 all’istante medio fra i confronti avendo D ritardato solamente di 0°,5, la sua correzione per quest’istante è 25°,6 e, nell’intervallo di tempo trascorso dal primo confronto all’ultimo, si può considerare come costante. Il cronometro /, il quale segna regolarmente il tempo medio, avendo mostrato durante le osservazioni che £ camminava abba- stanza bene, seguitai a servirmi di questo per registrare i tempi. A 12" 47" di R la sua correzione era — 5" 20,9, e siccome fra i due confronti, ossia in 1"9 del medesimo la quantità D-R aumentò di 2°,5 la correzione di R a 12° 47" 4 y° di esso è data dalla formola: — 5” 20°,9 + 1°,3y che mi servì a dedurre il tempo siderale delle osservazioni contenute nella seguente ta- bella. In essa l'indicazione di Sottopolo che applicai alla Polare è per mettere in avvertenza che, per la posizione in cui l’osservai, 250 ALESSANDRO DORNA bisogna, nelle differenze (180° — d) — 0, e (180° +d)—d,’, di cui ho parlato nella Nota precedente, sostituire a d il suo supple- | mento (Vedi Chauvenet, vol. II, pagine 375 e 376). | Osservazioni fatte nella sera del 19 maggio 1885. ASTRO x ò a Grand’Orsa| 10054255" 57° 0° a Grand'Orsa 10b5(6m38* 600.29 Polare (Sottopolo) 1h{6226* | 88° 46,6 R Ù) 131261 9a 13 20 49 225 54 [e] 13135 [6 13 29 56 2 33 18 IA [3h52m]3: (13/46 53,5 1123027,5 [9] CIRCOLO PRECEDE R 19 LETTURE 8 I en 7} | oculare | piede | 262,408 14 25 40 | 14b25045* 303° 36' 123 36 | 1230 36 2032055" 1432/55 | 1453350» 298° 15° LS" 1ORi8 1157 ggu4 {m40* {4b5m42* 1141 40 |11b4jm50*| 14 0 23 990 45° | 89” 15' |12 43,57. | 264 16 [9,] CIRCOLO SEGUE - LETTURE piede oculare | | (99h47m45:|29h47m40 | 114745 91° 18" | 91° 18 271 19 Confrontando , come per le osservazioni date nella seconda Nota, le coordinate vere colle letture corrispondenti dei cerchi graduati si 1885. | 16 magg. | » » 19 magg.| f x ha: ASTRO Arturo » G. Orsa ” » Polare (Sottopolo) CIRCOLO PRECEDE tt! + 5,9 +11,0 +14,0 +23, 0 +180475,5 | CIRCOLO SEGUE rad >! «—Tl_—_ nn —# | re ERI eee (180°— è)—d'| 7,7) |(180°+3)—3) — 29,4. | + 24,0 RI ott 90 — 36,0 — 37,0 — 33,9 | +5601240 — 0,1 NOZIONI INTORNO ALL'EQUATORIALE CON REFRATTORE MERZ 251 Queste differenze e quelle delle osservazioni, in maggior nu- mero, della Nota che precede, quantunque considerevoli, non sono tanto grandi da non potersi applicare le formole approssimate dell’equatoriale alla prima ricerca delle costanti per rettificare lo strumento. Non mi è stato possibile di confermare con una nuova osservazione della Polare, nell'identica posizione in cui la osservai il 19 maggio, le letture dell’angolo orario che mi diedero le due grosse differenze scritte nella tabella. Però la tangente e la se- cante di 0, che moltiplicano alcune delle suddette costanti nella formola dell’angolo orario, essendo per la Polare uguali a 44,06 e 44,65, la grandezza di quelle differenze non prova che le co- stanti strumentali sieno anche molto grandi. NI. Il mattino del 3 maggio 1885 cominciai, come dissi nella Nota precedente, a leggere i circoli dal piede dello strumento e dall’oculare dando al cannocchiale varie posizioni, collo scopo di farmi un giusto criterio della precisione delle graduazioni e del modo con cui sono illuminate. Il circolo orario è diviso in ventiquattro ore, colle rispettive indicazioni. Le ore sono divise in dodici parti di cinque minuti, colla indicazione dei minuti in tutte le divisioni. Ogni intervallo di cinque minuti è diviso in cinque parti di un minuto e ciascun minuto in due parti di trenta secondi. Sei divisioni del nonio corrispondono a cinque delle più piccole del circolo in modo che la lettura minima è di cinque secondi di tempo. Il circolo di declinazione è diviso in trecentosessanta gradi colle. rispettive indicazioni. Ogni grado è diviso in due parti di trenta primi, e ciascuna di queste in tre di dieci primi. Dieci divisioni del nonio corrispondono a nove delle più piccole del circolo; cosicchè la lettura minima è di un primo d’arco. Nel leggere i circoli graduati nutai degli inconvenienti, che qui indico, affinchè sieno possibilmente evitati dall’abile meccanico costruttore. Secondochè si legge un circolo o l’altro, occorre, se- gnatamente dal piede dello strumento, una diversa disposizione dell'apparato ottico con cui si legge ; la qual cosa è incomoda per l'osservatore. L'illuminazione che i cerchi graduati ricevono dalla lampada per mezzo degli specchi e dei prismi nascosti all’os- servatore, in certe letture è troppo debole, segnatamente per il Atti R. Accod. - Parte Fisica — Vol. XXI. 17 252 ALESSANDRO DORNA circolo orario letto dal piede dello strumento, in altre invece è eccessiva, segnatamente per il circolo di declinazione letto dall’ocu- lare. Dal piede, girando un poco il manico con cui si passa dalla lettura di un circolo a quella dell’altro, qualche volta (dico qualche volta, però accade certe fiate di non poter nemmeno leggere) si può regolare la luce in modo soddisfacente; ma dall’oculare, dal quale si fanno le letture più importanti essendovi due nonii op- posti per ciascun cerchio, l'osservatore non ha modo per regolare la luce, e questa è talvolta così viva che abbaglia e non si può legger bene, e talvolta è così scarsa che leggesi a stento o non si può leggere. Notai leggendo i cerchi ed i nonii nelle varie loro parti; che i nonii, invece di abbracciare una parte costante dei cerchi, vi sono delle discrepanze piuttosto .gravi. Per esempio: sul cerchio di declinazione a 292° dieci parti del nonio corrispondono bene ‘a nove parti del cerchio, ed al punto opposto di questo quattordici ‘parti del nonio corrispondono a dodici del circolo. A 280° dodici parti del nonio corrispondono ad undici del cerchio. Siccome il meccanico costruttore è indubitatamente molto abile, ritengo che la macchina con cui ha diviso i circoli non sia abbastanza precisa. Eccettuati i mezzi poco sicuri per i piccoli moti e per le letture dall’oculare, la solidità e la precisione con cui sono la- vorati i vari congegni della montatura, per cui in tutte le posi- zioni si ha sempre un attrito dolce e costante, sono una prova indubbia che qui in Italia la meccanica di precisione sta bene nelle mani del Cavignato, meccanico capo dell’ officina dell’Os- servatorio astronomico della Società Veneta in Padova. Le incisioni delle divisioni si vedono ora grosse, ora. fine e talvolta troppo larghe e malfatte. False immagini inerenti al si- stema di illuminazione per via di specchi e prismi a riflessione totale, nella quasi impossibilità di un perfetto collocamento di questi, danno alle parti visibili dei cerchi graduati e dei nonii una chiarezza ed uno splendore differenti; in modo che talvolta è ‘come se il cerchio od il nonio fosse in ombra. Fra cerchio e nonio si forma una striscia oscura, in certe posizioni molto grande, la quale nuoce assai alle letture, forse prodotta in parte da asperità e discontinuità delle superficie su cui sono incise le divisioni ed in parte da un qualche fenomeno di polarizzazione della luce riflessa da specchio. In conseguenza degli inconvenienti che accennai è difficile e NOZIONI INTORNO ALL'EQUATORIALE CON REFRATTORE MERZ 258 molte volte impossibile, leggendo, distinguere quale delle divisioni dei nonii è in coincidenza con una delle divisioni dei circoli, sem- brando che possa esser anche l’una o l’altra delle laterali od entrambe. Dirò adesso della lettura dei cerchi: Circolo orario. — Ho diretto l'obbiettivo verso il polo Nord colla lettura 90° 0' del circolo di declinazione e diedi al cannoc- chiale , leggendo dal piede dello strumento, per prima posizione 18" 0" 0° del circolo orario, nella qual posizione il cannocchiale sta sopra l’asse polare. Ho mosso di cinque in cinque minuti, prima pel verso Ovest, pel quale la lettura del cerchio orario è crescente, manovrando dal piede col manubrio volante. L’ordine che seguii nella lettura è il seguente: Lessi, 1° il circolo orario dal piede; 2° il circolo di declinazione dal piede; 3° dall’oculare alternativa- mente i due nonii dei due circoli, come si presentano manovrando la corda senza fine. Ho trovato che col cannocchiale parallelo al- l’asse polare bisogna, girando ad Ovest in angolo orario, fermarsi alla lettura 2% 25" (al di là di 24") per evitare, movendo di qualche minuto di più, un urto possibile e dannoso del tubo del cannocchiale contro il basamento dell’equatoriale. Dalla posizione 18" 0” 05, girando invece ad Est, anche col cannocchiale paral- lelo all'asse polare, bisogna fermarsi alla lettura 9" 15" perchè, movendo ancora di qualche minuto, un contrappeso urterebbe contro il basamento suddetto. I moti possibili in angolo orario col cannocchiale parallelo all’asse polare sono adunque di 8° 25" ad Ovest ed 8°" 45” ad Est, ossia in complesso di un po’ meno dei tre quarti dell'intero giro attorno all'asse polare. Per continuare ad Est le letture del circolo orario rivolsi l'obbiettivo all’equatore colla lettura 180° 0' 0° del circolo di declinazione (fatta dal piede dello strumento); con tale lettura potei diminuire ancora quella . del circolo orario fino a 6" 0". Per finir di leggere il circolo orario inclinai diversamente il cannocchiale portando la lettura del circolo di declinazione (sempre dal piede dello strumento) da 180° a 135. Circolo di declinazione. — Ho mosso il cannocchiale in de- clinazione dall’oculare, di grado in grado cominciando ad Est dalla posizione che è determinata dalle letture 12" 0" 0° e 180° 0' fatte dal piede, ed abbassando gradatamente di 45° l'obbiettivo, ossia dall'equatore al punto Sud dell’orizzonte. Dopo rivolsi di 254 ALESSANDRO DORNA nuovo l’obbiettivo all'equatore nella primitiva posizione e lo girai gradatamente a Nord, attraverso allo zenith ed al polo per 115°, lettura a cui mi arrestai, nella impossibilità, per motivi di salute, di continuare questo studio. Non trovai opportuno di ultimarlo più tardi, perchè, avendo nel frattempo gli specchi e prismi riflet- tori perduto della loro pulitezza e forse anche cambiato un tantino di posizione, adesso le letture sono difficili e non abbastanza pre- cise. Cosicchè è necessaria una pulitura e forse anche un aggiu- stamento dal meccanico, non avendoli, come dissi, l’osservatore a disposizione perchè nascosti. Le letture, di cui rendo conto, sono state fatte in più volte nel 1885. Alla fine di ciascuna operazione ho sempre rimesso lo stru- mento nella sua posizione di riposo. Distinguo le letture fatte di seguito con delle righe trasversali. Le lineette al posto di letture significano che mi è stato impossibile di leggere essendo troppo debole l’illuminazione delle divisioni. 21 febbraio 1886. Letture dei circoli sraduati movendo in angolo orario DAL PIEDE DALL'OCULARE gorigio dgRrgm:i 081-902 9127000906 1088 >» 0 DI SISDITIB >» 0 » OR: 5, 0199 EU sE PUNT cs VOI sai tr yi, el 0 » 10 0 perogo» 30 pra 3 Mi 0030110 Ot DINO » UL5 "5 » 0 » 20 >» s 0 Oto AT 207 59 » 20 0 BI 100 Ria Ba i MOIO O d' Zoe UO CSRE IL » 0°» 380 >» a MONT 39 LET iO (00 » 30 0 yo ol 'agagi ni 00.03 "0 è 0035008 » 85 0 sriopiot si d0ontg SII 5 GETTO » 40 0 » 0 > 45 >» » 0 >» SIpare, cgbario $ L91015 » 0 » 5 0 » » 0 » 9 » 5 0 0 » 5 0 0 >il > e >» 0 p SANI I n Pn | d'a AREE Tana Ea > 200° > 0,7 "DO > Paddie 1) » 0 e. i e pe! e SCE TE UAC ve Se 1° Bette » TOTO o | SR Li: FINN ». 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Cas sc1% sa vali Di ” TRE AI - Classe La Scienze Fisiche, Matematiche è “seconda YA : eo AT R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DISPO RENO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XXI, Disp. 4° (Marzo 1886) Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali TORINO ERMANNO LOESCHER Libraio della R. Accademia delle Scienze CLASSE DI + | SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI «dh 271 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 7 Marzo 1886. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ARIODANTE FABRETTI VICEPRESIDENTE Sono presenti i Soci: FABRETTI, Vicepresidente, LESSONA, Dorna, Bruxo, GipeLLi e Basso, che, in assenza del Socio So- BRERO, fa le veci di Segretario. ll Presidente scusa l'assenza del Socio Cossa, Direttore delia Classe, che dovette recarsi fuori di Torino. Vien letto l’atto verbale dell'adunanza precedente, che è ap- provato. ‘ Viene in seguito comunicata alla Classe una lettera del Dot- tore C. WinkLER ci Freiberg (Sassonia) in data del 21 scorso febbraio , nella quale lo scrivente annunzia in poche parole la scoperta da lui fatta di un nuovo corpo elementare analogo al- l’arsenico ed all’antimonio. Questo corpo, a cui lo scrivente im- pone il nome di germanium, sarebbe stato trovato in una specie minerale, detta argyradis, per la prima volta studiata da WEIS- BACH, la quale consterebbe di rame, di zolfo, e di germanzum. La Classe prende atto della comunicazione, e delibera che se ne ringrazi l'autore. 272 ADUNANZA DEL 21 rEBBRAIO 1886 Viene accolto per la pubblicazione negli Attt un lavoro del Dott. 0. MarTIROLO, presentato dal Socio GiBELLI: Sullo svi- luppo di due nuovi Hypocreacei e sulle spore bulbilli degli Ascomiceti. Il Socio DoRNA presenta, come seguito di un’altra precedente sullo stesso argomento, una sua Nota che ha per titolo: Iticerche per riconoscere se la deviazione della mira meridiana del- l'Osservatorio di Torino a Cavoretto dal piano del meridiano è sensibilmente nulla come nel 1828. Il Socio LEssona presenta una Memoria del signor Carlo PoLLONERA, col titolo: Molluschi fossili post-pliocenici del con- torno di Torino. Desiderando l'autore che questo suo lavoro sia accolto nei volumi delle Memorie, viene nominata una Commis- sione, cui si dà l'incarico di ‘esaminarla e riferirne in una pros- sima adunanza. n LETTURE SULLO SVILUPPO DI DUE NUOVI HYPOCREACEI E SULLE SPORE-BULBILLI DEGLI ASCOMICETI del sig. Dott. O MaTtTIROLO presentato dal Socio Prof. G. GIBELLI Studiando unitamente al chiarissimo Prof. G. Gibelli i funghi parassiti delle castagne (1) in rapporto specialmente alla ezio- logia della malattia dell’Inchiostro e alla presenza sulle Cupulifere delle ora così dette Mycorrhizae, tra. le molteplici forme che rinvenni, ho notato comune lo Stysanus Stemonitis CORDA accom- 1) Oltre ai qui descritti furono sinora trovati sulle castagne (buccie dei semi) dal Prof. GigeLLi, dal Dott. MoRIxI e dal sottoscritto le specie seguenti: Heliscus lugdunensis Sacc. et TH. ...... (GiBeLLI e MORINI). Mucor racemosus FRIES .........5..0.. » » Trichothecium roseum FRIC. ........... (GiseLLI e MATTIROLO). Uichederma viride PERS! .-..,. . xe, » » Micrococcus prodigiosus FEAR. .......... » » Verticillum epimyces Ber. BR. ......... » » Ithizopus nigricans De Br. ............ » » Wolrytis eulgaris PERS. Lu. eil cengne » » Melanospora stysanophora MattIROLO nov. sp. » » Melanospora Gibelliana MatTIROLO nov. sp. » » Volutella ciliata Frmes........... 00001 » » Echinobotryum atrum CorDa .........,. » » Eurotium aspergillus glaucus De By ... » » Penicillum glaucum Link ........00... » » Stysanus stemonitis Corpa (nel ciclo della MOolanoapoFa)" iene 30: RE » » 274 DOTT. 0. MATTIROLO pagnato da minutissimi Peritecii, appartenenti a due nuove forme di Hypocreacei. La frequenza di questi funghi mi decise a studiarne la storia di sviluppo per sorprendere, le relazioni che eventualmente potes- sero esistere fra di essi; tanto più che conoscevo numerosi i ten- tativi già fatti, ma non riusciti (Reinke, Berthold) per scoprire la forma ascofora dello Stysanus. I risultati di questo studio, che durò ad intervalli oltre a tre anni consecutivi, furono soddisfacentissimi, tanto che mi indu- cono ora a farli sommariamente di pubblica ragione, prima di svilupparli in un lavoro speciale illustrato da tavole adatte. Le forme studiate non erano ancora note nella scienza, come, oltre ai confronti ed agli studii, mi autorizzano a ritenere 1 pareri dei due sommi micologi Saccardo e Passerini — e furono raggruppate nel gen. Melanospora fra le Hypocreaceae- Phacosporeae considerandolo nel più ampio significato che gli si può oggi attribuire. Le colture vennero tentate in liquidi e mezzi diversissimi. La decozione di fimo, convenientemente preparata e sterilizzata, sì dimostrò adattatissima. — Le colture furono seguite in parte nella camera umida (De-Bary) e in parte in goccia libera dove riescono meglio; esse furono apparecchiate con ben diretto metodo di fra- zionamento. Alle due Melanospore pleomorfe, di cui riassumerò breve- mente il ‘ciclo di sviluppo, vennero rispettivamente dati i nomi di MeLANOSPORA sTYsANoPHORA Mattirolo e di MELANOSPORA GI- BELLIANA Mattirolo. Il primo nome specifico ricorda la. forma conidiale più impcrtante; il secondo vorrei valesse in certo qual modo ad esprimere al chiarissimo Prof. G. Gibelli, col. quale Quindi specie non ancora determinate dei generi : Melanospora Corpa (GiBeLLI e MaATTIROLO). Fusarium Link ... » » Stilbum TopE ... , » » Sepedonium Lixk.. » » Acladium LinK.... » » Pestalozzia De Nor. ( GiseLLi e Morini). Verticillum LINK .. » » Heliscus Sacc. +... »- » Fusarium Link ... » » Coremium Link... » » SULLO SVILUPPO DI DUE NUOVI HYFOCREACEI 275 furono anzi fino alla formazione degli Stfysanus condotti queste ricerche, la mia riconoscenza per l'incoraggiamento, i consigli e gli aiuti da lui così amorevolmente concessimi nel lungo corso di questi studil. Melanospora stysanophora WNoBis. I. Forma compie (Acladium LiNck). -- Se si prendono le spore mature provenienti dal peritecio della M. stysanophora e sì portano in una goccia di decozione di fimo, dopo un periodo di tempo che può variare dalle 12 alle 24 ore, a seconda delle circostanze, si osservano già i primi stadii di germinazione. Il micelio ialino a contenuto granulare che ne risulta va quindi rapidamente sviluppandosi, presentando frequenti ramifica- zioni, all'apice delle quali si formano i conidii, La produzione della prima forma appartenente al ciclo di questa specie, si fa secondo il tipo simpodiale, cioè, formato un conidio, lateralmente al suo punto di inserzione, il ramuscolo si allunga per un tratto brevissimo; il conidio già formato viene portato da un lato, ed uno nuovo viene ad occupare l’apice del rametto prolungato. — Successivamente in questo modo si formano nuovi conidii. Gli internodii possono essere quivi più © meno sviluppati e dànno perciò ragione degli aspetti differenti secondo cui si manifesta detta forma conidifera. Quando le col- ture sono mantenute in un ambiente eccessivamente umido, allora per capillarità si ha deposito di una goccia di acqua all’apice del rametto; e in essa rimangono inglobati i conidietti. In alcuni casi alcuni filamenti micelici conidiferi escono dal liquido di coltura, sì riuniscono assieme, dando luogo a produzioni che per alcuni riguardi si possono paragonare alla forma Stfysanus. I conidii hanno circa 9-12 micromill. diam. long., e circa 6 microm. diam. bas., sono cuneiformi, ialini, glaucescenti, capaci di germinare e si possono qualificare nel gen. Acladium Lixk di cui formerebbero una specie assolutamente nuova. II. FORMA CONIDIALE (.Stysanus CorDA). — Questa forma fa- sciata ha origine sui rami micelici provenienti direttamente dalle spore della Melanospora, o sui rami che già portarono gli Acladium. — Un rametto laterale che si erige perpendicolarmente al sud- 276 DOTT. 0. MATTIROLO stratum e che in breve acquista un diametro molto maggiore di quello da cui trasse origine, forma il punto di partenza di questa nuova formazione conidifera, assai più abbondante della prima. — Il ramo o asse primitivo si setta per siparii trasversali in tanti arti- coli dai quali hanno origine i rami corticanti. Questi assieme riuniti, adpressi all'asse, formano poi lo stipite cella nuova produzione, e sono capaci di allungarsi per una specie di apice vegetativo, for- mato dall’apice dei rami corticanti, e dalla terminazione dell’asse centrale che a poco a poco allungandosi non è più differenziabile. — L’allungamento dello stipite ha luogo così, prima secondo il tipo intercalare, poi si fa limitato all’apice nel modo sommaria- mente indicato. I filamenti corticanti cle si volgono verso la base raggiano sul substratum e servono come rizoidi a rendere fisso e a nutrire l'individuo, il quale può giungere alla lunghezza anche di alcuni millimetri, e dal quale si sviluppano poi così numerosi i conidii. I conidii limoniformi glaucescenti, trasparenti, si sviluppano sulla parte apicale dello stipite in vario modo conformata (capi- tata o cilindrica), misurano circa 9 micromill. in lunghezza, mentre la loro maggior larghezza è di 6 micromill. circa. Essi possono staccarsi appena formati, o rimanere riuniti a mo’ di coroncine. Lo Stysanus formato da uno stipite risultante dalla fascia- zione di molti filamenti, può variamente ramificarsi come si 0s- serva abbastanza frequentemente nelle colture. In alcuni casi la sua formazione si arresta allo stato rudi- mentale, e allora i conidii vengono portati direttamente dall'asse principale che può essere settato, o presentare alcune ramificazioni laterali terminanti pure con catene di conidii, Lo Stysanus appartenente al ciclo di sviluppo della Mela- nospora stysanophora NoB. si può identificare collo Stysanus Stemonitis Corna; le forme capitate o ramose si possono rispet- tivamente riportare alle varietà capitatus REINKE e BERTHOLD, ramosus EICHELBAUM. Macroconidit. — I signori Reinke e Berthold descrissero ancora come appartenente al ciclo di sviluppo dello Stysanus Stemonitis Corna l’Echinobotryum atrum Corna. Questa specie, frequente sopra i più disparati substrati, vive parassita sugli stipiti degli Stysanus, ma non risultò avere con esso alcuna relazione. di sviluppo. SULLO SVILUPPO DI DUE NUOVI HYPOCREACEI 277 III. FORMA ASCOFORA 0 PERITECIALE (Melanospora). — Il Peri- tecio può avere origine sui filamenti che partono dalle spore, o mediatamente può svilupparsi sopra filamenti micelici che porta- rono già altre forme conidiali. L’ascogono estremamente minuto si sviluppa da un’ifa sola in una spirale a due o tre giri. — I filamenti corticanti o polli- nodici hanno origine dal pedicello che porta le spire. Non si ha indizio di una fusione di plasma consecutiva ad una perforazione delle pareti dell’ascogono e del pollinodio (?) e quindi, secondo gli attuali criterii, la forma periteciale in questa Melanospora rap- presenterebbe un apparato apogamo apandrico. La corticazione da cui procede la parete periteciale si fa per divisione delle ife corticanti; divisione che ba luogo dapprima in senso perpendicolare all’ascogono, poi in direzioni diverse. — Dalla parete così formata si svolgono numerosi filamenti rizoidali, parafisi e perifisi, le quali ultime sporgono da un collo relati- vamente breve, Le ife ascogene si dividono prima in articoli poco numerosi per mezzo di sepimenti trasversali all'asse; e da questi, per nuovi siparii, si forma un gomztolo pseudoparenchimatoso centrale dal quale poi in ultimo hanno origine gli aschi. La parete periteciale, a maturanza, ha colore fosco-subferru- gineo. Il diametro maggiore longitudinale del peritecio uguaglia circa 180 a 200 microm., mentre il diametro trasversale non arriva ai 150 microm., -- Gli aschi sono ovato-elittici, le spore vi sono contenute in numero di 8. Hanno, colore giallo, sono elittiche, trasparenti, un po’ più convesse da uno dei lati. Riassumendo abbiamo nel ciclo di sviluppo della Melanospora stysanophora No. lè seguenti forme : .... | 1° Acladium Lixcx. Forme conidiali x 2° Stysanus CORDA. Forma ascofora.... Melanospora CORDA. I. Gli Acladium coltivati riprodussero Acladium e Stysanus. Il. Gli Stysanus si riprodussero per un numero indeterminato di volte sempre sviluppando Acladium e Stysanus. III. Dalle spore della Melanospora si ottennero invece le tre forme metagenetiche. 278 DOTT.. 0. MATTIROLO La frase diagnostica si potrebbe stabilire nel seguente modo: Melanospora stysanophora MairmIROLO. Huius specici cyclo hace formae pertinent : Forma coxIpiopHoORA I. (Acladium Linck.). — Filamenta ramosa septata hyalina, ramulis conidiferis raro iterum rami- ficatis, irregulariter ab illis nascentibus. Conidia numerosa cu- neiformia ad typum simpodiale, vario numero 1 ad 8, se sc erolventia, a ramulorum vertice nascuntur. Non raro si în abre humidissimo coluntur, guitula aquea inclusa. Max. diam. 9-12 microm. circa. Min. diam. 6 » Forma conipiopHora II. (Stysanus Corna). — St/pites simplices vel ramificati, fusci-atri fibrosi super iam memorata filamenta insidentes — Conidia in capitulum ceylindricum vel obconicum abeuntes, limoniformia, catenulata vel simplicia, glauceseentia diaphana. Max. diam. 8-9 microm. Min. diam. 6 » III. Forma ascorHorA (Melanospora Corna). — Perithecium gregarium minutum membranaceum superficiale, simplex non bissisedum, sine vitro visumon facile, collo brevi apice penicillato, subhyalinum dein fuscum-ferruginemn — Asci ovato-clliptici , 8 sporas continentes, tenerrimi, poene fluentes — Sporac oehraceae fere cllipticae, in unum latus clatiores, ec collo Perithecii emit- tuntur. . Sporae Max. diam. 9-10 microm. » Min. diam. 5-6 » | Melanospora Gibelliana Martiroro. (Questo nuovo hypocreaceo (1), che trovai pure abbondante sulle buccie delle castagne guaste, ripetutamente coltivato non (1) Per i suoi caratteri sta vicino alla Melanospora Zamiae, descritta e figurata dal Corpa, Icones Fungorum, tom. I, pag. 24, tav. VII, fig. 297 A. SULLO SVILUPPO DI DUE NUOVI HYPOCREACEI 279 | diede i risultati che ottenni dallo studio della prima specie. Quantunque io non abbia potuto osservare completa la sua evo- luzione, pure dal suo sviluppo giunsi alla conoscenza ci fatti particolarmente interessanti nel presente stadio evolutivo della scienza. Spore-bulbilli. — Fatte germinare le spore di questa Melano- spora in decozione di fimo, dopo 18 a 24 ore in media si osser- vano i primi stadii di germinazione, Cai quali ha origine un micelio rigogliosamente ramificato su cui dopo alcuni giorni si nota la presenza di produzioni curiose, che incontravo in natura frequen- tissime sulle castagne e di cui, per quanto avessi ricercato, non sapevo spiegare il valore; produzioni che Karsten (1865) ed Eidam (1883) ritenevano rappresentanti di generi speciali. La produzione di queste forme ha luogo sopra i filamenti mi- celici provenienti dalle spore e generalmente in vicinanza a queste. Dopo un periodo di tempo variabile (in media tre o quattro giorni dalla semina) si sviluppano sui filamenti micelici delle bozze, dei rigonfiamenti . perfettamente paragonabili agli inizi degli Ascogoni. — Queste bozze si svolgono in modi svariatissimi, — dapprima limitate ad uno o più rigonfiamenti successivi, si svolgono poi in rametti sui quali si formano a verticilli o in ordine sparso nuovi rigonfiamenti, o direttamente’ dai primi ne hanno origine dei nuovi in grande quantità. Le bozze secondarie grado grado avvolgono le prime, cosicchè per risultato si hanno tanti piccoli grumi, tanti gomitoli bernoccoluti irregolarmente conformati, aventi dimensioni differentissime. Dentro a questi gomitoli si differenziano presto una o più cellule, che fattesi ricche in plasma si attorniano di membrana ‘e restano così avvolte dal complesso delle bozze esterne, le quali per mezzo di sepimenti sottili perpendicolari. o tangenziali agli elementi interni formano loro una parete parenchimatosa a cellule ‘poligonali. Le cellule esterne gradatamente si colorano in giallastro ‘(ocraceo), si vuotano di plasma e costituiscono nell'insieme un involucro paragonabile a quello dei periteci normali giovani. Salve le dimensioni, il numero degli elementi, il pedicello che le porta, si possono in questo stadio assomigliare alle spore delle 7uberaceae (7. Borchii, magnatum, ece., ecc.) 0 a quelli ammassi di spore che sono caratteristici di alcune Ust/agineae (Sorosporium- Tuburcinia Urocystis, ece., ecc.). 280 DOTT. 0. MATTIROLO Quando la corticazione è formata, così come è stato accen- nato, i gomitoli si arrestano nello sviluppo, nè per quanto si faccia, si sorprendono ulteriori modificazioni. Conidii. — Mentre ha luogo la formazione di questi apparecchi apogami, si nota pure sugli stessi filamenti, o sopra filamenti vicini, lo sviluppo simultaneo di speciali abbondanti sterigmi, un po’ turgidi alla base, dai quali si svolgono numerosissimi conidietti catenulati. Tali conidietti si osservano per un periodo di alcuni giorni solamente, hanno dimensioni estremamente minute (2 microm. circa) e si trovano pure in vicinanza ai gomitoli; però non ne accompagnano sempre la formazione, la quale pure ottenni com- pleta senza che si potesse in alcun modo notare la loro presenza. Pensai che i conidii in discorso dovessero essere riguardati come elementi fecondatori analoghi agli spermazii o a forme già osservate e descritte in altri ascomiceti; ma per quanto intensa- mente ne seguissi il loro sviluppo, non riuscii a sorprendere una relazione qualunque tra le due forme. I conidii cadono nel liquido di coltura, nè pure coltivati sono capaci di germinare (1) o di modificarsi. Rappresentano forse apparati rudimentali analoghi a forme già note in altri ascomiceti (Peziza, Chactomium, ecc., ecc.). I gomitoli che, por- tati in nuovo liquido di coltura, sono capaci di germinare ripro- ducendo le forme descritte, si formano adunque senza che sia pos- sibile sorprendere un atto sessuale, quale i criteri di omologia farebbero supporre. Essi rappresentano nel campo della micologia apparecchi apo- gami speciali, paragonabili a quelli da tempo conosciuti nelle crittogame superiori e nelle fanerogame, sotto il nome di Bulbilli. Questi du/bilZi (EipAM) o spore-bulbilli, come li chiameremo, simili a periteci giovani (periteci rudimentali, abortiti?) pren- dono il posto di periteci e servono così a propagare la specie (2). Le spore-bulbilli della nostra Melanospora Gibelliana si pos- sono identificare colle forme descritte da Karsten e Preuss il- lustrate diligentemente dall’Eidam nei generi Helicosporangium e Papulaspora. (1) Forse non ho trovato il mezzo o il tempo adatti al loro sviluppo. (2) In condizioni speciali possono forse sviluppare la forma ascofora. SULLO SVILUPPO DI DUE NUOVI HYPOCREACEI 281 I bulbilli che caratterizzano questi generi rappresentano perciò forme secondarie appartenenti al ciclo di sviluppo di speciali ascomiceti non ancora conosciuti. L'Helicosporangium e la Papulaspora che il De-Bary ancora nel 1884 classificava fra gli « 2weifelhaften Ascomyceten » sono adunque oggi da ritenersi non più come forme autonome, cui, secondo Eidam, dovesse essere riservata una particolare posi- zione nella classificazione, ma come forme evolutive di veri e tipici ascomiceti forniti di peritecio e di spore assolutamente normali. Clamidospore. — Nelle sue ricerche il signor Eidam descrive come appartenente alla Papulaspora speciali Clamidospore. — Nelle mie colture, non rare volte mi avvenne di incontrare tali forme che ho coltivato e riprodotto, ma per quanto mi adoperassi non ho potuto indiscutibilmente stabilire l’origine loro e la rela- zione che gli studii dell’Eidam mi indurrebbero a credere debbano essi avere colla Melanospora. Finalmente devo qui ancora avvertire, che sopra le castagne incontrai ancora un’altra forma di spora-bulbillo appartenente forse ad un Hypocreaceo che trovai in pochi esemplari, e che oltre alle citate Clamidospore, ne rinvenni altre tre forme che saranno diligentemente descritte. Le forme osservate si possono adunque riassumere nelle seguenti frasì diagnostiche. Melanospora Gibelliana MarrRroLo. Perithecium graegarium minutum, oculis poene visibile, colore ochraceo-ferrugineo parietibus translucidis collo oblun- gato — Asci elliptici 8 sporas continentes Sporae maiores olivaceae fuscae utrinque leviter apiculatae. Sporae Maxim. diam. 21 a 25 microm. » Minim. » 15 » Huius speciei cyclo hae formae pertinent : SPORAE-BULBILLI. — Hae sporac formantur cx una aut plu- ribus cellulis plasmate abundantibus, quae ab aliis cellulis ochraceis, plasmate carentibus, quasi involucro continentur. Hae sporae germinandi vim habent et possunt similes reddere formas, 282 DOTT. 0. MATTIROLO - SULLO SVILUPPO ECC. Conipia. — Minima (2 microm. diam.) catenulata in ra- mulis exillissimis ad basem turgidulis nascentia. Ramuli aut verticillati aut utcumque in filamento insident. i CLamiposporE. — Hanec formam, jam ab Eidam in simili specie observatam, inveni; sed huic specici attineat aut minus iudicare non ausim. Dal Laboratorio di Botanica della R. Università. Torino, 6 febbraio 1886. RICERCHE per riconoscere se la deviazione della mira meridiana dell'Os- servatorio di Torino a Cavoretto dal piano del meridiano è sensibilmente nulla come nel 1828 del Socio Prof. ALessanpRo DorNA NOTA SECONDA. In una Nota Sulla mira di Cavoretto, presentata il 13 di- cembre, ho dato la formola esatta per dedurre l’Azimuth della mira dalla sua altezza e dalle costanti dello strumento dei pas- saggi: avvertendo essere necessario nell’applicarla, che il filo di cui si ha la costante di collimazione, sia al centro della immagine della mira, oppure devii da quel centro di un angolo conosciuto. Nella Nota che presento oggi applico alla ricerca di quell’Azimuth alcune osservazioni da me fatte, il 5 agosto dell’anno passato, col filo di mezzo del reticolo al centro dell'immagine della mira. Nel mattino del 5 agosto 1885, colla vite di richiamo con cui si muove ad Est in Azimuth l'asse di rotazione del cannoc- chiale del circolo meridiano, condussi il filo di mezzo del reticolo di nove fili al centro dell'immagine della mira, e nella sera dello stesso giorno osservai otto stelle, facendomi registrare i tempi dei passaggi dallo studente C. B. col pendolo siderale Dent. Le osservazioni sono contenute nella seguente tabella (Pag. 284). La ricerca delle tre costanti strumentali 4, d. e contenute nella formola della mira richiede: 1° che si applichi ad « la correzione per la aberrazione diurna: 05,021 cos g seed «Pe [0] in cui 9 è la latitudine dell'Osservatorio; 2° che si deduca dal medio 7, il tempo del passaggio al filo di mezzo: T=T.+ Aiseco 4-2] ALESSANDRO DORNA 284 18°} [3 + |88°83 Sa + 93°0I 61 + |90°3 1 — {166839 — L3°G4 E LLF4 E 84° 1 25%k 4 r6‘444 } HISPE LE 03 (CO ‘CH HI 03 (683 S 03 [ip SCI Sh GI [6° 63 6I HS" 1w9£403 |88%8tw01103 (9240 103 |16L%mEFa61 |E0%1Lu83U61 8‘0 LE 4 ‘69 e ‘or è ‘86 GE 63 è ‘6% 8406 6 ‘18 ‘61 649 £ ‘6£ ceh G'3 pal 19 1 ‘63 0 ‘9 ELI 8% 4 6 ‘8g 361 6 ‘83 ‘04 ‘85 0‘ 689€ c‘13 v‘6 0°1S c‘e3 8 ‘89 SVI 0 ‘99 ver y ‘GI 0 ‘8% G‘9 01 ISIS, 0 ‘9g 69 8% E. 96m6E403 | 1616 403 | VAOFME 103 | 612wSFA0E | E 8GMLTUGI judo Si pesare) 6h 48 08 19 al — el=+3 elet eò"el ele 1u3£9 © |rusodowideg 2] eermby g oejmby 2 | urejpidez xy ce ‘0£ 9% — 389 | 00°Gy 61 61 89'.62w8 1961 8 ‘69 6°0S 0‘%7 G'9€ 6 ‘63 ato 0 Go 8‘ 8I 6:60! 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Ciò posto, nell'ipotesi, applicabile al nostro circolo meridiano, che queste tre costanti sieno abbastanza piccole, e tacendo: AE =75° Fa 2 n [I affinchè pei valori di z— 7’, risulti anche piccolo #, si possono dedurre le quattro incognite x, y(=@), 2(=0), «(=c) col metodo dei minimi quadrati, applicando a ciascuna delle otto stelle l'equazione di condizione: sen (9 — 0) cos (£ — 0) Ubi o BH cos d cos d così utn=0 ren ut I GN | in cui: n=75°-(2—T,)+(4i—0,021cos4)seco+(7—7,)07...[6] e si può, senza errore sensibile, porre 7, invece di 7 nell’espres- sione (3]. Ho eseguito questi calcoli e ne trascrivo quanto mi pare che basti a dimostrare i risultamenti ottenuti. Il pendolo Dent dal mezzodì vero del 5 al mezzodì successivo avendo ritardato regolarmente di 0°,62, ho fatto 07=0%,0258, ed in riguardo ali tempi in cui sono state osservate le otto stelle posi: 7 =19"45". La latitudine dell’Osservatorio essendo di 45° 48" risulta: 0°,021cosg—=0°,015. Dedussi A7 dalle otto stelle e mi risultò: 0°%,110, un po’ maggiore di quello trovato alla Specola con molte stelle, ma che deriva dalle stesse osservazioni da cui deduco l’Azimuth, la qual cosa, ripetuta in altre deter- — minazioni, darà 47 affetto da errori accidentali che si elideranno nel risultamento generale, Riunisco nel seguente quadro i calcoli fatti per A; colla nota formola: Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXI. 19 Medie 14 (50 9;98511 30%,6 1,48572 1,35984 1,354495 15°,0 1,17609 0,85126 0,83637 65,861 e e n0,84510 n0,83021 — 65,764 — 14,5 n 1,1613837 n1,14648 — 145,011 — 216,9 n1,34044 n1,32555 — 215,162 n1,48572 n1,47083 — 29°,569 ; 1,47083 | 295,569 223,9 22°, 129 1,16120 | 14°,494 TA l 29°, 54304 ALESSANDRO DORNA 13 41 | 9,98746 285,9 1,46090 1,44836 285,078 215,8 1,33846 1,32592 215,180 145,7 1,16732 1,15478 | 145,282 1°,9 0,86332 0,85078 75,092 n 0,82607 n 0,81353 | — 6°,509 — 14°,4 n 1,1583606 | n 1,14582 — 156,990 — 225,1 n 1,34439 n1,33185 vara 04 71 BO SIE — 305,0 n1,47712 n 1,46458 : 21°,887 | [i] = 725,850 — 71,860 = 0,9 — 29°,146 92°-585 | 9,9990945 303,0 1,47712 1,47657 299.963 2274: 1,94439 1,34384 23012 1475 1,16137 1,16082 14°,482 dini! 0,84510 0,84455 6°,991 — 65,6 n 0,81954 n0,81899 — 6°.592 LHFART n1,14922 n 1,14867 — 14°,082 — 21°,0 n 1,32222 n 1,32167 — 20%,973 _ 295,9 n 1,47567 n 14,7512 — 295,862 ; 3 14°,387 __—————————_ n —rrrrrr—t crt ——————_—_—_————___—————m6T—_———_——— ————————_—___—_—————____—_—_.—_—____—___—_—_— i | i i RICERCHE SULLA DEVIAZIONE DELLA MIRA MERIDIANA 287 | ONCE de [0] è To] colla mosiaf noi i || Mes°-33 e CR Mea 931 44° 52’ 9,99513 9,99991 9,98890 9,85049 | fi 30% 295,8 295,8 4259 | 1,48287 1,47422 1,47422 1,63246 Ù1,47800 1,47418 1,46312 1,48295 305,061 295,794 295,048 305,405 Mi 2213 215,9 DAI 315,2 Wi ,34830 1,34044 1,35025 1,49415 1,34343 1,3403! 1,33915 1,34464 225,051 215,895 21,835 Agi it: Co 103 145,7 205,4 W,17319 1,15229 1,16732 1,30963 I 116832 1,15220 1,15622 1,16012 148,734 145,197 145,324 145,458 Mi 7:33 67,8 73,4 LOST fp.86332 0.83251 0,86923 1,01284 ),85845 0,83242 0,85813 0,86333 7,219 65,799 75,213 75,800 fc; et SSR] 3 59 w0.81291 n 0,85126 n0,85126 n 0,99564 ),80804 n 0,85117 n 0,84016 n 0,84613 _ 6.428 _ 75,099 do i, 1 POLI È 145,1 >, 463 — 14,6 i_ 208,1 1, 4922 n 1,1595534 n 1,16435 n 1,350320 1,14435 n 1,15525 n 1,15325 n 1,1583869 13°,943 L0445,207 10 145,333 —=-P4S46 g—-215,2 2150 2a 8050 1,32634 n1,33646 |. n1,34044 n 1,47712 R1,32147 n'1,33637 | n 1,5293934 n 1,32761 I d 20964 see e 29,9 | £30°,L & [stesa =4j",6%° 1,47567 n1,47857 | n 1,48430 n 1,61909 1,47080 n-1,47848 |... n1,47320 n1,46958 291,567 — 305,094 2 99',730 295 484 Pa Ù, I i o | 65,810 = 14%,127 (|-00— 214,814 — 29,609 | ha ein Molo. i e 288 ALESSANDRO DORNA I calcoli relativi alle [5] e [6] sono contenuti in quest'altro qi | | Aaa | | \ 108 3600 | ) 485532 | | | log.(T- 7,)! | m3,49252 n3,44162 n 3,200} Tr GENIN I "Ara ; log (T-T.)OT | n8,34784 | n 8,29694 n 8,05 n 02044 + 0°,128 — 0° ioss-(a—T1)'G0) — 05,28 | + 05,05 @É (B17,)07 — 0,022 — 0,020 - 0 (Aî— 0,021 costs) secd 0,098 0,098 D, 8,97772 8.99261 8,99026 8,97 log sec d 0,01489 0,01254 0,00 1 | PA 1,035 1.029 i COSO l DI 30° 9 31° 22 * 49° log cos(p— è) 9,93687 9,93138 9,86 E i 9,95176 9,94388 9,87 cos 0 | cos (9 — 0) 7 | “2. re 0,895 0,879 0 (G[0}SR0) | ] | d log sen (9 — 0) 9,70093 9,71643 9,8£ pi lt 9,71582 9,72893 9,850 cos Ò 0 rst 0,520 0,536 0 cos 0 i AA RICERCHE SULLA DEVIAZIONE DELLA MIRA MERIDIANA [ga 1,7928681 i n6,648183 SR 374 — 0,47 — 0.000 0,096 8,98259 0,00487 1,011 36° 30' 9,90518 9,9100535 0,813 9,77439 9,77924 0,602 | | | 3,06081 7,91613 — 0°,027 3208113 + 0,008 0,095 8,97781 0.00009 1,000 AGN03: 9,84006 9,84015 0,692 9,85851 9,85858 0,722 | 3,18438 + 05,338. | + 0°,23 4 dot 0,097 898882 0,01110 1,026 3,48838 | | + 0,022 0,134 | 9,12723 | 0,14951 | 4,411 57° 58 9,72461 08K12° 0,00000 0,14951 290 ALESSANDRO DORNA Le equazioni di condizione a cui devono soddisfare nel miglior modo le quattro incognite della [5] sono adunque queste: X + 0,520 y + 0,895 2 + 1,035 « — 0,204 = 0 = 0 x + 0,586 y + 0,879 2+ 1,029 + 0,128 x + 0,672y + 0,7422+ 1,001 — 0,236 = 0 o x + 1,039 y + 0,3742 + 1,105 + 0,158 = 0 x + 0,602 y + 0,813 2 + 1,011 %— 0,374 = 0 2 x,+4 0,722 y + 0,692 2 + 1,000 « — 0;027 = 0 > x + 0,870 y + 0,544 2 + 1,026 « + 0,338 — 0 | x + 0,005y + 1,4112+41,411« — 0,114 =0 perciò ne dedussi (abbreviando le operazioni colla tavola dei pro- dotti di Crelle) le seguenti equazioni normali del metodo dei minimi quadrati: 8 x + 4,966 y + 6,350 2 + 8,618 « — 0,381 = 0 4,966 x + 3,731 y + 8,293 2 + 5,137 «+ 0,017 = 0. _ 6,350 x + 8,293 y + 5,688 e + 7,051 — 0,486.= 0 8,618 x + 5,1379 + 7,05124 9,401 — 0,360 = 0} e ricavai da queste le quattro incognite separatamente col pro- cedimento di Gauss, servendomi delle tavole. di logaritmi di Wittstein per le addizioni e sottrazioni. Trascrivo qui sotto i lo- garitmi delle espressioni simboliche ed i rispettivi elementi che ne derivano: MERIDIANA MIRA TIAZIONE DELLA RICERCHE SULLA DEI 9TCL ul =oZV 1038088 G PP utStu61 è HO] a[eIopis ofopuad pop euorzaTIo)) | r6r90.0=.9L—07v=%) 9gI1'c—- = epe'‘o0— = qmurze Ip azuezsoo = li SUO 0 TOO OT[OAI] Ip 03uezS00 = 2 L31i0 — = F80050 — = QUOEI][[oo Ip azue;soo = 2 Kzook'gu3 — È ieL0ga'dus «e! cocoliou. 7 | ozors'6 -.d ‘8600000, |easrto e So TSI ERASMO [e ‘pÌ | 988788 Ia cup] |6ppes'zu [1'%p] | ogoce'6u — 09860 — =[up] 9991660 Le 'pp] | 80860 la :PP] | g8036‘0 [t'bP] | L1826°0 10%‘6 = [pp] 001zg'9% FALZINEZESZALI [1%] | 3998960 9850 — = [2] eILLe'zu [a:02] | 01eze'6 1:22] | e88F8%0 reo: = [p9] 8828940 [3:22] | 69689‘0 70] | 06FEL‘0 939'9 = [99] SSL [19] | FOES*8 z10‘0 = [ua] L18864 [1:29] | 1201260 cette === [na] 60218* Gu [1:29] | 69Lt16°0 cev'e = [29] I8II8'6 [1:99] | estzs‘0 Tele " =i[ael eg61s'6u 1880 —=[wo] 1572e6°0 819‘8 =[pv] L23080 oce‘g = [0] 10969'0 9965 = [22] 60806°0 00048 = [vr] 299 ALESSANDRO DORNA - RICERCHE SULLA DEVIAZIONE ECC. Il pendolo, nell'istante del passaggio dal centro del Sole al medio dei fili in tal giorno, segnava 9"1"11°,85 e la sua cor- rezione, per tale istante, preso dall’Assistente per mezzodì vero, ri- sultò dall’osservazione del passaggio del Sole, nel giorno medesimo, di 1" 14,82. Avuto riguardo che nelle 10° 43" 48515 —=10°,75 fra il mezzodì e l'istante per cui calcolai A 7, , il pendolo ri- tardò di 10,75 x0°,0258 —= 0,28, la vera correzione pel mezzodì vero risultante dalle otto stelle è 1" 145,98; maggiore di 0°,16 della precedente, abbastanza precisa per dare l'ora alla città. La costante di livello essendo come nulla e la costante di collimazione inferiore a due decimi di secondo, la formola del- l’Azimuth della mira in funzione delle tre costanti a, 6, c e della sua altezza 4 = 1°16'26° si riduce ad A—a=c. Adunque dalle otto stelle osservate risulta che la mira devia dal meridiano, verso Ovest; di ZA=D", 31. Torino, 7 marzo 1886. Adunanza del 21 Marzo 1886 PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ANGELO GENOCCHI Sono presenti i Soci: GenoccHI, Cossa, LEssona, DOoRNA, SaLvapori, Bruno, BERRUTI, Siacci, D'Ovipio, FERRARIS, NaccarI, Mosso, Spezia, GIBELLI e Basso, incaricato dell’ufticio di Segretario. Letto ed approvato l’atto verbale dell’adunanza precedente, la Classe accoglie con sensi di riconoscenza il dono fatto all’Ac- cademia. dal Socio Barone F. E. BoLLati pi SaInt- PIERRE di parecchi volumi di scienze fisiche e naturali. Il Presidente presenta pure in dono all’ Accademia tre fascicoli del Bullettino di bibliografia e di storia. delle Scienze matematiche e fisiche pubblicato dal Principe B. Box- COMPAGNI. Il Socio Bizzozero, a nome del Socio Manno, presenta in dono all'Accademia un volume intitolato: Studi di clinica me- dica del Dott. Salvatore SaLomonE-MARINO, già primo Assistente nella CInica medica della R. Università di Palermo. 204 ADUNANZA DEI 21 marzo 1896 Si dà quindi lettura: 1° di una lettera del Socio Professore Comm. SOBRERO, Segretario della Classe, che scusa la sua assenza dovuta a ra- gioni di salute; 2° di una circolare del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere risguardante i temi da trattarsi per il concorso al premio della Fondazione scientifica Cagnola e le condizioni da soddisfarsi per concorrervi. Il Socio Cossa presenta una Nota del Prof. M. FiLetI Sul- l’ortoisopropilfenol. Il Socio NaccarI presenta un lavoro del Prof. N. JADANZA Sul calcolo della distanza fra due punti le cui posizioni geogra- fiche sono note. Il Socio DoRNA presenta: 1° Una Nota che fa seguito a due altre precedenti, in- titolata: Ricerche per riconoscere se la deviazione della mira meridiana dell’Osservatorio di Torino a Cavoretto dal piano del meridiano è sensibilmente nulla come nel 1828. 2° Le Osservazioni meteorologiche del I. Osservatorio di Torino, rilevate dagli strumenti registratori Hipp per cura dell’ Assistente Dott. Angelo CHARRIER, cioè: a) Barografo: Pressione atmosferica per ciascuna ora del giorno pei mesi di luglio, agosto e settembre (3° tri- mestre). b) 7ermografo: Temperatura per ogni ora del giorno pei mesi di luglio, agosto e settembre (3° trimestre 1885). Il Socio Bruno presenta un lavoro del Dott. Corrado SEGRE col titolo: Le coppie di elementi immaginari nella geometria ricettina ADUNANZA DEL 21 marzo 1886 295 protettiva sintetica. Anche questo lavoro è affidato ad una Com- missione incaricata di esaminarlo e riferirne in una prossima adu- nanza, essendo desiderio dell'autore che sia pubblicato nei volumi delle Memorie. Il Socio Lessona, anche a nome del condelegato Socio SPEZIA, lesse la seguente Relazione sopra uno studio del signor Carlo PorLoNERA, intitolato: Molluschi fossili post-pliocenici del con- torno di Torino: « In una breve prefazione l’autore nota essere questo il primo lavoro in cui siano studiati i molluschi fossili quaternarii del Piemonte, mentre sono numerosi gli studi fatti sui fossili della medesima epoca che si trovano nelle regioni limitrofe, la Lom- bardia e la valle del Rodano. Accenna inoltre l’autore alle ra- gioni per le quali deliberò di accettare in questo suo lavoro lo smembramento del genere Helix proposto da alcuni malacologi. « Viene in seguito la enumerazione delle specie delle colline di Torino e la descrizione delle forme nuove. L'autore confronta questa fauna fossile con quelle viventi oggidì in Piemonte e la dimostra analoga alla fauna che si trova presentemente nelle vallate alpine tra i 750 e i 1000 metri di altitudine. Le specie fossili enumerate sono 50, delle quali tre sole fluviatili, le altre 47 terrestri: di queste, 12 specie e 3 varietà sono estinte, e, tranne una, tutte nuove: 2 specie, tuttora viventi, non si tro- vano sulle nostre Alpi: tutte le altre 32 specie terrestri e le 3 fluviatili fanno parte della fauna alpestre attuale del Piemonte. « Nella seconda parte del suo lavoro l’autore enumera le specie trovate nelle torbiere e in un deposito sabbioso presso Trana: esse sono 80, delle quali 6 terrestri e 24 lacustri, e 4 soltanto di queste specie furono trovate fossili sulle colline torinesi. « Chiudono questo lavoro due brevi note. Nella prima è di- mostrato dai caratteri anatomici dell'animale che la Helix stri- 296 ADUNANZA DEL 21 marzo 1886 gella DRar. vuol essere collocata nel genere o sottogenere Frw- ticicola e non in quello Eulota, come sogliono fare oggidì molti malacologi. Nella seconda si esaminano le specie del genere Xero- phila viventi attualmente nelle Alpi piemontesi, affine di rendere meglio evidente il valore delle forme di questo genere trovate fossili sulle colline di Torino. i « Questo lavoro è accompagnato da una tavola di disegni fatti dallo stesso autore. « I Commissari ne propongono alla Classe la lettura » 297 LETTURE RICERCHE SULL'ORTOISOPROPILEENOL del Prof. M. FiLETI presentate dal Socio Prof. ALronso Cossa Or sono alcuni anni, in una nota preliminare sopra il cu- mofenol (isopropilfenol) ottenuto per l’azione dell’acido nitroso sulla cumidina dall’acido amidocuminico, descrissi questo corpo come un liquido che bolle alla temperatura di 213°,5-214°,5 (H,=753"") e si solidifica in un miscuglio di sale e neve in cristalli fusibili a 8°-10°: erano allora conosciuti due isopropil- fenoli, quello cioè di Paternò e Spica fusibile a 61° e bollente a 226°-227°,5, e quello descritto da Spica (1) come un liquido che bolle a 218°,5 (H,= 756""), non si solidifica in un mi- scuglio di sale e neve, ed il cui etere etilico distilla alla tem- peratura non corretta di 215°. Io fondandomi sulle differenze tra i punti di ebollizione e di fusione dei fenoli, e tra le temperature di ebollizione degli eteri etilici corrispondenti (il mio bolle a 208°,6-209°,6), fui indotto a ritenere il corpo da me preparato diverso da quello di Spica. Però contemporaneamente alla mia nota preliminare questi (2) pubblicò una nuova memoria nella quale corresse il punto di ebollizione del suo fenol fissandolo a 213'-215° che coincide con quello da me dato; ciò mi fece sospettare della identità tra i due corpi la quale ora, conosciuta la costituzione della cumi- dina dall’acido amidocuminico, è messa fuori dubbio malgrado la differenza ancora esistente tra i punti di ebollizione degli eteri (1° Gazz. chim., IX, 442. (2) Ib., X, 246. s; 298 M. FILETI etilici dovuta certamente al fatto che Spica, lavorando su pic- cole quantità, non aveva per le mani un prodotto puro, e mal- grado che egli non abbia potuto solidificare il suo fenol, poicl.è, come mostrerò in seguito, questa solidificazione presenta spesso gravi difficoltà. La cumidina (1,2) adoperata nelle seguenti esperienze è stata ottenuta distillando l’amidocuminato baritico (dall’acido amidocu- minico puro p. f. 129°) col doppio peso di idrato baritico secco per porzioni di 50-100 grammi alla volta. Per preparare l’ortoisopropilfenol si mettono gr. 10 di cu- midina in sospensione in 120° di acqua, si aggiungono 35° di acido solforico (D = 1,30) e si riscalda sino a completa solu- zione del solfato ; si raffredda poi in neve, con che solo una piccola parte del sale si deposita, e si fa passare una corrente di anidride nitrosa agitando continuamente e mantenendo il li- quido immerso nella neve in modo che la sua temperatura si trovi sempre abbastanza al disotto di 10°: quando quasi tutto il solfato è scomparso e ne resta soltanto una piccola quantità, di colore rosso bruno, si sospende l’azione dell’anidride nitrosa e si agita fortemente sino a resinificazione di quel po’ di sale. Si aggiungono allora 200° circa di acqua e si abbandona il li- quido alla temperatura dell’ambiente: tosto comincia lo sviluppo Cell’azoto e va separandosi l’ortoisopropilfenol che, dopo alcune ore, si estrae con etere (1), si dissecca su cloruro di calcio la so- luzione eterea, si scaccia il solvente e sì distilla il residuo rac- cogliendo ciò clie passa sino a 280°. Se l’operazione è andata bene resta al disopra di questa temperatura solo una piccola quantità di resina insolubile nella potassa; invece se l'operazione non è proceduta regolarmente la resina è in maggior quantità e già prima di 230” si decompone rigonfiandosi e svolgendo vapori nitrosi, impedendo così l'andamento regolare della distillazione. Il liquido che passa al disotto di 230” è dell’ ortoisopro- pilfenol greggio, e dopo alcune distillazioni frazionate si raccoglie quasi tutto attorno alla temperatura non corretta di 210°. Esso rappresenta il 60-65 ‘4 della quantità teorica, ma se non si {1) Dopo l’estrazione del fenol, può ricavarsi dal liquido acquoso un po’ di cumidina restata inalterata, rendendolo alcalino con idrato potassico e agitandolo con etere. } RICERCHE SULL'ORTOISOPROPILFENOL 299 seguono nella sua preparazione le prescrizioni sopra» date, si ha un rendimento minore che può arrivare sino al 30%. Un risultato egualmente buono si ottiene, e più comodamente, impiegando il nitrito potassico invece dell’acido nitroso. Si so- spende gr. 10 di cumidina in 100° di acqua, si acidifica for- temente con acido cloridrico diluito, si raffredda con neve e si fa gocciolare nel liquido una soluzione della quantità equimole- colare di nitrito potassico in gr. 30 di acqua; indi si aggiunge ancora un eccesso di acido cloridrico, si lascia decomporre il diazocomposto alla temperatura ordinaria e si continua l'opera- zione come nel metodo precedente. L'ortoisopropilfenol di fresco preparato è un liquido senza co- lore, molto refrangente, di odore fenico; per l’azione della luce si colora rapidamente in giallo e poi in rosso. È volatile col vapor d'acqua. Bolle alla temperatura corretta di 212°-212°,5 (termometro N.10785 di Baudin, colonna nel vapore) sotto la pres - sione ridotta a zero di 732"",4. La sua densità riferita all'acqua a 4° è 1.01243 a 0° e 0,92765 a 100’; il suo coefficiente di dilatazione medio tra 0° e 100° è uguale a 0,0009138. Accennai nella nota preliminare che raffreddando l’'ortoiso- propilfenol in un miscuglio di sale e neve, si solidifica in cri- stalli fusibili a 8-10°; dopo la pubblicazione di quella nota avendo preparato una maggior quantità del fenol puro, potei sottoporlo ad una serie di successive solidificazioni e fusioni se- parando ogni volta la parte più difficilmente solidificabile, e lo ottenni così in cristalli fusibili a 15-16°; ed in quella occasione osservai anche che, se la solidificazione tarda a manifestarsi, si può produrla subito introducendo nel liquido raffreddato un cri- stallino precedentemente ottenuto. Ora, abbenchè abbia avuto a mia disposizione quantità molto maggiori di prodotto purificato per distillazione con tutte le cure, e bollente a temperatura co- stante, non sono più riuscito a solidificarlo nemmeno raffred- dandolo a — 35°; certo, si sarebbe immediatamente solidificato in presenza di un cristallino precedentemente ottenuto da quella porzione che si consolidava colla massima facilità, ma non ne possedevo più un campione. Ciò nonostante credo possa àffer- marsi che l’ortoisopropilfenol raffreddato in un miscuglio di sale e neve è capace di rapprendersi in una massa di cristalli fusibili a 15-16°, ma che per cause sconosciute (probabilmente per la presenza di tracce di sostanze estranee difficili a separare e che = Le 300 M. FILETI non hanno influenza sui risultati dell'analisi) non sempre si riesce a solidificarlo per il solo raffreddamento anche a — 35°. Le due combustioni seguenti sono state fatte sopra prodotti provenienti da preparazioni diverse ; anzi l’isopropilfenol adope- rato nell'analisi I si solidificava facilmente nel miscuglio di neve e sale, mentre quello sul quale fu eseguita l’analisi II non volle solidificarsi nemmeno a — 35°. I. Gr. 0,1726 di sostanza diedero gr. 0,4997 di anidride car- bonica e gr. 0,1445 di acqua; II. Gr. 0,2036 di sostanza diedero gr. 0,5904 di anidride car- bonica e gr. 0,1688 di acqua. Cioè su cento parti : Trovato Calcolato per E BE C; Hs 0 Carbonio 78,95 79,08 79,41 Idrogeno 9,30 9,21 8,82. L'ortoisopropilfenol puro si scioglie facilmente e completa- mente nella soluzione di idrato potassico dalla quale poi è par- zialmente trasportato dall’etere. Dà con acido solforico e nitrito potassico la reazione di Liebermann; con anidride fosforica a 200° non reagisce visibilmente. La sua soluzione acquosa è co- lorata in violetto dal cloruro ferrico diluito aggiunto in piccola quantità; questa colorazione però è fugacissima e passa subito al .verde, indi il liquido s’intorbida e finalmente diventa ros- sastro o grigio. Derivato acetilico C,H Cada — Si ottiene riscal- o 0. C, Hd, dando in apparecchio a ricadere 1 ortoisopropilfenol. con egual peso di cloruro di acetile: distillando il prodotto della reazione passa dapprima l’ eccesso di cloruro di acetile, poscia la tem- peratura monta rapidamente e a 225-228° distilla il derivato acetilico. È un liquido senza colore, molto refrangente, di odore grato; bolle alla temperatura corretta di 228”,7 alla pressione ridotta a zero di 761"",8. La sua densità riferita all’ acqua a 4° è 1,02714 a 0° e 0,93818 a 100°, quindi 0,0009471 rappre- senta il suo coefficiente medio di dilatazione tra 0° e. 100°, | RICERCHE SULL’ORTOISOPROPILFENOL 301 L'acqua non lo decompone alla temperatura ordinaria è al- l'ebollizione, per lo, meno nel caso che questa non sia troppo prolungata. La soluzione acquosa di idrato potassico non lo al- tera visibilmente a freddo neanche per lungo contatto; dopo con- tinuata ebollizione lo discioglie e dal liquido, per aggiunta di acido cloridrico, si separa l'isopropilfenol. Etere metilico C,H gn Si prepara scaldando per ont 0.GHip alcune ore in apparecchio a ricadere le quantità equivalenti del fenol e idrato potassico con alcool metilico ed eccesso di ioduro di metile, precipitando con acqua e sottoponendo a distillazione il prodotto disseccato su cloruro di calcio : passa dapprima l’ec- cesso di ioduro di metile e poi a 196-197" quasi tutto il ri- manente del liquido. È un liquido senza colore; bolle alla temperatura corretta di 198-199° alla pressione ridotta a 0° di 751"". Gr. 0,2097 di sostanza diedero gr. 0,6125 di anidride carbo- nica e gr. 0,1825 di acqua; cioè su cento parti : Trovato Calcolato per CH, 0 Carbonio 79,65 80,00 Idrogeno 9,66 9,59. Y Etere etilico C, H, per: — $i ottiene in modo analogo al precedente. Da gr. 12 del fenol ebbi gr. 11 dell’etere pas- sante alla distillazione a 205-208° (non corretta). È un liquido senza colore, molto mobile e refrangente, di odore aromatico grato, bollente alla temperatura corretta di _‘208°,6-209°,6 alla pressione ridotta a zero di 762"",2. La sua densità riferita all'acqua a 4° è 0,94438 a 0° e 0,8591353 a 100°; il suo coefficiente di dilatazione medio tra 0° e 100° è quindi 0,0009923, La temperatura di ebollizione trovata da Spica (1) a 218° (non corretta) è troppo elevata, probabilmente per la presenza dell’etere etilico del paraisopropilfenol. Come è noto gli eteri etilici dei fenoli bollono a temperatura più bassa dei fenoli corrispondenti. (1) Gazz. chim., IX, 443 Atti RR. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXI, 20 302 M. FILETI Monobromoortoisopropilfenol. O, H, (6) OLO, 3 Br (4) Si sciolgono gr. 10 dell'ortoisopropilfenol perfettamente puro in gr. 30 di acido acetico glaciale, si raffredda con neve e si aggiunge goccia a goccia per mezzo di imbuto a robinetto la quantità equivalente di bromo (gr. 12) sciolta nel doppio peso di acido acetico; la soluzione, che resta sempre colorata in rosso, si precipita con acqua, si lava la sostanza oleosa che si separa e si distilla in una corrente di vapor d’acqua dal quale viene completamente e facilmente trasportata. Si ottiene in questo modo un liquido più pesante dell’acqua, senza colore, che disseccato nel vuoto sopra acido solforico e raffreddato lungamente in un miscuglio a parti uguali di acido cloridrico e ghiaccio, si rap- prende in una massa cristallina compatta che si spreme tra carte. Se l’ isopropilfenol adoperato nella preparazione è puro, il prodotto così avuto si solidifica completamente e le carte tra le quali si spreme assorbono appena tracce di una sostanza liquida; se al contrario il fenol adoperato non è puro, il prodotto del- l’azione del bromo si solidifica solo parzialmente, e le carte tra le quali si spreme si imbevono di un liquido: questo, estratto con etere e distillato frazionatamente con vapor d’acqua, dà varie porzioni delle quali le ultime sono del bromoderivato solido e difatti si solidificano per l’ aggiunta di un cristallino di esso, mentre le prime restano sempre liquide e, dietro le analisi fatte, sembrano miscugli di un monobromo- con bibromoisopropilfenol. Il monobromoortoisopropilfenol si presenta in aghi sottili, bianchi, fusibili a 47-49°, di odore fenico. È quasi insolubile nell'acqua; si scioglie molto nei solventi ordinari dai quali però difficilmente si separa allo stato solido ; dall'alcool o acido ace- tico diluiti lo si ha per raffreddamento delle soluzioni tiepide allo stato liquido, e se si aggiunge un po’ del solido anche esso sì liquefà; dall’ etere per svaporamento alla temperatura ordinaria si separa in aghi intrecciati. Bolle verso 250° decomponendosi più o meno profondamente a seconda la sua purezza ed il modo RICERCHE SULL’ ORTOISOPROPILFENOL 803 nel quale è scaldato. Si scioglie nell’ idrato potassico diluito e l'acido cloridrico lo riprecipita allo stato liquido ; si scioglie pure un po’ nella soluzione concentrata di carbonato sodico ma è in- solubile nell’ ammoniaca. Non dà nessuna colorazione con per- cloruro di ferro. Per nitrazione fornisce il bromonitroderivato fusibile a 33°. I. Gr. 0,3758 di sostanza diedero gr. 0,6850 di anidride car- bonica e gr. 0,1857 di acqua; II. Gr. 0,4706 di sostanza diedero gr. 0,8655 di anidride car- bonica e gr. 0,2257 di acqua. Cioè su cento parti : Trovato Calcolato per I. IL CA Br Carbonio 49,72 50,15 50,23 Idrogeno 5,49 5,92 SI. L'etere metilico del bromoortoisopropilfenol, ottenuto scal- dando in tubi chiusi verso 110° il bromoortoisopropilfenol con la quantità equivalente di idrato potassico e piccolo eccesso di ioduro di metile in presenza di alcool metilico, è un liquido senza colore, più pesante dell’acqua, di odore grato, bollente alla. en: corretta di 250”,4-251°,4 alla pressione ridotta sNzero cal 740" 1. Gr..0,3040 di sostanza diedero. gr. 0,2514 di bromuro di ar- gento ; cioè su cento parti: Trovato Calcolato per CH, 0 Br Bromo 35,16 34,93. Onde stabilire in modo diretto la posizione del bromo nel bromoortoisopropilfenol, fu ossidato con ‘acido nitrico (D=1,30) il suo etere metilico perfettamente puro; però i risultati otte- nuti non sono così semplici come era da prevedersi, poichè tra i prodotti dell’ossidazione si ba un acido bibromurato. Su queste esperienze , che sono ora incomplete, sarà riferito in seguito ; ciò nonostante avuto riguardo alle condizioni di preparazione del 304 M. FILETI bromoortoisopropilfenol ed alle analogie , credo si possa sin da ora ammettere che il bromo sia nella posizione para relativa- mente all’ossidrile. Bibromoortoisopropilfenol. Cs Hi (6) Coen04.i-M) Br (2) Br (4) Si prepara mescolando le soluzioni acetiche del monobromo- derivato e della quantità equimolecolare di bromo, riscaldando leggermente , precipitando con acqua e distillando in una cor- rente di vapore; ovvero aggiungendo all’isopropilfenol raffreddato in ghiaccio un po’ più della quantità teorica di bromo, lavando con acqua e distillando in una corrente di vapore: in tutti e due i casi, specialmente nel secondo, resta nel pallone un po’ di resina, e passa facilmente col vapor d’acqua il bibromofenol. È un liquido più pesante dell’acqua, senza colore, ma alla luce diventa giallo; non si solidifica nemmeno a — 30° e non può esser distillato poichè si decompone profondamente. Si scioglie negl’idrati e carbonati alcalini ed è riprecipitato calle soluzioni per mezzo degli acidi. Con percloruro di ferro non dà nessuna colorazione. Per l’azione dell’acido nitrico o di un miscuglio di esso o di nitro con acido solforico, un atomo di bromo (para) è sostituito dal gruppo NO, e si forma il bromonitroisopropilfenol fusibile a 87-88°. I. Gr. 0,4250 di sostanza disseccata nel vuoto sopra acido sol- forico, diedero gr. 0,5774 di anidride carbonica e gr. 0,1440 di acqua; II. Gr. 0,4051 di sostanza disseccata come sopra, diedero gr. 0,5492 di anidride carbonica e gr. 0,1412 di acqua. Cioè su cento parti : Trovato Calcolato per i: ni CH, 0 Br, Carbonio 837,05 36,97 36,66 Idrogeno 3,76 3,87 3,40. RICERCHE SULL ORTOISOPROPILFENOL 305 L'etere metilico del bibromoortoisopropilfenol è un liquido vischioso, più pesante dell’acqua, senza colore e di odore etereo appena sensibile; bolle indecomposto alla temperatura non cor- retta di 278°-280°. Gr. 0,4898 di sostanza diedero gr. 0,5968 di bromuro di argento ; cioè su cento parti : Calcolato per Trovato Cos Hi, O Br, Bromo 51,83 139 PELO. GE Le esperienze di ossidazione con acido nitrico non sono an- cora complete e saranno pubblicate più tardi; stando però alle analogie, se il monobromoortoisopropilfenol dal quale deriva ha la costituzione avanti indicata, è cioè un paraderivato, il bibromo- composto sarà con molta probabilità : CH, OH Br Br Questa formola del resto trova una qualche conferma nel bromonitroisopropilfenol fusibile a 87-88° che si ottiene sia per l’azione del bromo sul paranitroisopropilfenol, sia, come lho ac- cennato, per l’azione dell’ acido nitrico sopra questo bibromo- derivato. Nitrosoortoisopropilfenol. Colo iO) CSH:0H3, (E) NO (4) Si sospende nell’acqua l’ortoisopropilfenol (gr. 4) e si tratta con idrato potassico in soluzione diluita sino a che il fenol si scioglie ed il liquido ha reazione leggermente alcalina: indi si aggiunge una soluzione di nitrito potassico (gr. 4) in acqua (litri 2%) e acido solforico diluito (3 : 100) sino a reazione 806 i M. FILETI acida: il liquido diventa bruno e l’indomani contiene pochi fiocchi bianchi che aumentano notevolmente agitando e che sono costi- tuiti dal nitrosoderivato. Esso è pochissimo stabile, si annerisce e tende a resinificarsi e quindi non potè essere analizzato, ma fu lavato per decantazione, raccolto rapidamente su filtro , spremuto tra carte, asciugato nel vuoto sopra acido solforico. e ossidato con ferricianuro potassico in soluzione alcalina : diede il para- nitroortoisopropilfenol fusibile a 80°. Nitroortoisopropilfenoli. C, H 7 CN NO, Nitrando l’ortoisopropilfenol sembra che si formino i due iso- meri para- e ortoderivati: il. primo è solido, non volatile col vapor d’acqua, il secondo invece è trasportato dal vapore ed è probabilmente liquido. Si sciolgono l’isopropilfenol e la quantità equimolecolare di acido nitrico, ciascuno nel triplo peso di acido acetico glaciale e si mescolano poco a poco le soluzioni raffreddate con ghiaccio, si precipita con acqua e si distilla l’olio che si separa in una corrente di vapore: passa una sostanza oleosa, e dalla soluzione acquosa gialla rimanente nel pallone si deposita pel raffredda- mento il nitroisopropilfenol solido che si purifica per ripetute cristallizzazioni dall'acqua bollente e che è identico con quello ot- tenuto dal nitrosoderivato. Il nitroortoisopropilfenol solido si presenta in aghi corti in- colori o di un bianco sporco fusibili a 86° e che al microscopio si mostrano costituiti da cristalli tabulari molto allungati. Non è volatile col vapor d’acqua; è molto solubile nei solventi or- dinari, pochissimo nell’acqua fredda, ma si scioglie meglio nella bollente ; la soluzione acquosa gialla diventa perfettamente in- colora per l'aggiunta di una goccia di acido cloridrico. Si scioglie negli idrati e carbonati alcalini dando liquidi rossi dai quali per svaporamento si depositano cristallizzati i sali cor- rispondenti. Non dà nessuna colorazione con percloruro di ferro. Per l’azione del bromo dà il bromonitroderivato fusibile a 87-88°. RICERCHE SULL'ORTOISOPROPILFENOL 307 Gr. 0,3198 di sostanza diedero gr. 0,6980 di anidride carbo- nica e gr. 0,1925 di acqua; cioè su cento parti: Trovato Calcolato per Co H, NO, Carbonio 59,52 59,66 Idrogeno (6,68 6,08. Il prodotto liquido che si forma in quantità non trascura- bile contemporaneamente al solido e che passa alla distillazione col vapor d’acqua, non sembra un corpo puro (1), ciò nonostante la sua composizione è molto vicina a quella di un mononitro- isopropilfenol; difatti: Gr. 0,4902 del liquido disseccato nel vuoto sopra acido solfo- rico diedero gr. 1,0840 di anidride carbonica e gr. 0,2872 di acqua; Gr. 0,3542 del liquido disseccato come sopra diedero 22° di azoto (713°, H,="/36""80). 0 gr. 0,0255144. Cioè su cento parti : Trovato + Calcolato per C, Hi NO, Carbonio 60,30 59,66 Idrogeno 6,50 6,08 Azoto G14 do b) __ Il liquido analizzato, che conterrà probabilmente 1’ ortoni- troisopropilfenol, è più pesante dell’acqua, di color giallo, ma di- venta bruno alla luce; non si solidifica per forte raffreddamento. È facilmente volatile col vapor d'acqua: si scioglie nelle soluzioni dei carbonati alcalini colorandole in rosso e da esse è riprecipi- ‘tato per mezzo degli acidi allo stato liquido. Col percloruro di ferro non dà nessuna colorazione. (1) Distillando frazionatamente con vapor d’acqua la parte liquida ottenuta da una preparazione si ebbero, assieme ad alcune porzioni che dalle loro soluzioni in carbonato sodico riprecipitavano allo stato liquido per mezzo dell’acido cloridrico, altre porzioni che egualmente trattate, si separavano in aghi finissimi fusibili a 61-65°, i quali, a causa della piccola quantità, non poterono essere pù oltre esaminati. 308 M. FILETI Il nitroortoisopropilfenol solido fusibile a 86° ya considerato come un paraderivato : C;H, NO, Esso difatti è incoloro, non volatile col vapor d'acqua e cor- risponde al nitroso composto dal quale si ottiene per ossidazione e che, secondo le analogie, deve essere un paraderivato. Il liquido volatile col vapor d'acqua conterrà con molta pro- babilità l’ortonitroortoisopropilfenol : CH, C,H, (6) 0,H,0H (1) NO, (2) Br (4) Sciogliendo il parabromoortoisopropilfenol puro in dieci volumi di acido acetico glaciale, aggiungendo poco a poco il liquido ad una soluzione raffreddata con acqua della quantità equimoleco - lare di acido nitrico concentrato in dieci volumi di acido acetico e precipitando con acqua, si separa un olio pesante, giallo-bruno che l'indomani si trova rappreso in una massa gialla cristallina e che si cristallizza dall’acido acetico diluito. Il bromonitroiso- propilfenol così ottenuto è puro. Gr. 0,4057 di sostanza diedero gr. 0,6186 di anidride carbo- nica e gr, 0,1616 di acqua; Gr. 0,5274 di sostanza diedero 26° di azoto (7 = 17°, Ho = 734" 88) o gr. 0,02941205. RICERCHE SULL’'ORTOISOPROPILFENOL . 309 Cioè su cento parti : Trovato Calcolato per Coi DY 0, Carbonio 41,56 41,54 Idrogeno 4,42 3,84 Azoto 5,57 5:38. Cristallizza in aghi sottili e molto lunghi di un colore giallo vivo, fusibili a 33”. È molto solubile nei solventi ordinari; le migliori cristallizzazioni si ottengono dalla soluzione satura verso 40° in acido acetico diluito, avendo cura, onde impedire che si separi allo stato oleoso, di aggiungere un cristallino della sostanza appena il liquido s'intorbida. La formula di costituzione 6,4; OH non è direttamente dimostrata dall'esperienza, ma corrisponde a quella del bromonitrofenol fusibile a 88° preparato da Hiibner e Brenken nelle identiche condizioni. . Ortobromoparanitroortoisopropilfenol. COHISD) CHx OH (1) Br (2) NO, (4) Alla soluzione di paranitroortoisopropilfenol puro (p. f. 86°) nel triplo peso di acido acetico glaciale, si aggiunge la quantità equimolecolare di bromo sciolta in quattro parti di acido ace- tico, si precipita con acqua e si cristallizza call’ alcool diluito la polvere bianca che si separa. 310 i M. FILETI Gr. 0,3710 di sostanza diedero gr. 0,5635 di anidride carbo- nica e gr. 0,1373 di acqua; cioè su cento parti: Trovato Calcolato per CREDO Be N05 Carbonio 41,42 41,54 Idrogeno 4,11 3,84. L’ortobromoparanitroortoisopropilfenol è in laminette bianche, madreperlacee, fusibili a 87-88". È volatile col vapor d’acqua, quasi insolubile nell'acqua fredda, ma si scioglie abbastanza per colorarla in giallo: la colorazione sparisce per l'aggiunta di acido cloridrico. Anche la soluzione nell’alcool diluito è gialla e si com- porta verso l’acido cloridrico come la soluzione acquosa. Conservando l’ ortobromoparanitroisopropilfenol in una boc- cettina di vetro, le particelle di esso che sono in contatto colle pareti del recipiente si colorano. poco a poco in giallo a causa probabilmente dell’umidità che il vetro condensa; difatti nel vuoto sopra acido solforico questa colorazione sparisce per ritornare len- tamente in presenza dell’aria. La formola di struttura NO, x Br sembra giustificata dalle analogie; ed invero bromurando il pa- ranitrofenol il bromo va al posto orto relativamente all’ossidrile ed il prodotto che si ottiene è incoloro come quello da me ot- tenuto dal paranitroisopropilfenol. Essa è confermata inoltre dal fatto che lo stesso composto si ha per l’azione dell’acido nitrico sul bibromoisopropilfenol Br Br RICERCHE SULL ORTOISOPROPILFENOL 311 nel qual caso uno degli atomi di bromo viene sostituito dal gruppo NO,. | La reazione va nel modo migliore sciogliendo il bibromoor- toisopropilfenol in dieci volumi di acido acetico ed aggiungendo il liquido poco a poco ad una soluzione raffreddata con ghiaccio della quantità equimolecolare di acido nitrico in dieci volumi di acido acetico: l’acqua precipita un olio rosso, pesante, che tosto si rapprende in massa solida e che si distilla col vapor d’acqua: passa dapprima una piccola quantità di un liquido rosso che non si solidifica e poscia il bromonitroisopropilfenol in laminette leg- germente giallognole; spremuto tra carte e cristallizzato dall’al- cool diluito si fonde a 87-88°. Gr. 0,2860 di sostanza diedero gr. 0,4392 di anidride carbo- nica. e gr. 0,1173 di acqua; Gr. 0,3359 di sostanza diedero gr. 0,2418 di bromuro di ar- gento ; Gr. 0,3193 di sostanza diedero 17° di azoto. (7 = 24°, di MOR) 0 gr. 0,018%1:379. Cioè su cento parti: Trovato Calcolato per CoHy:BroNO, Carbonio » 41,88 41,54 Idrogeno 4,59 3;84 Bromo 30,63 DOT Azoto 5,86 5,38. Il bromonitroisopropilfenol così preparato è identico per le sue proprietà con quello ottenuto per bromurazione del parani- troisopropilfenol malgrado che non lo si possa mai avere perfet- tamente bianco conservando sempre una leggerissima tinta gial- lognola. Da un esame cristallografico superficiale dei due prodotti di diversa provenienza viene sempre più confermata la loro iden- tità; difatti al microscopio tutti e due si presentano come lamine composte da tante tavolette di aspetto rombico aventi la stessa sfaldatura e appartenenti al sistema monoclino o triclino, ma più probabilmente al primo; l'angolo maggiore del rombo è in tutti e due i casi di 134, Identico è anche il comportamento ottico; 312 M. FILETI il lato più sviluppato delle laminette rombiche presenta in am- bedue i preparati lo stesso angolo di estinzione di 40° circa. Come dunque sì vede il gruppo NO, andò a sostituire l’a- tomo di bromo che trovavasi al posto para, analogamente come nel tribromofeno! per l’azione dell’acido nitrico avviene prima la sostituzione di NO, all’atomo di bromo che occupa la posizione para e si forma il dibromoparanitrofenol fusibile a 141° (Armstrong e Harrow) e soltanto in seguito sì sostituiscono uno ad uno gli altri due atomi di bromo che sono nella posizione orto forman- dosi ‘ortobromodinitrofenol (p. f. 118°) e acido picrico. Del resto se nell’azione dell'acido nitrico sul dibromoortoisopropilfenol fosse avvenuta la sostituzione del bromo che trovasi al posto orto, avrebbe dovuto ottenersi l'isomero giallo, fusibile a 33°: Cs, Cz H, Cz Il, OH OH OH Br Br NO, Br Br NO, dibromoisopro- bromonitroiso- bromonitroiso- pilfenol propilfenol propilfenol fusibile a 87-88°, fusibile a 33°, Acidi mono- e dioortoisopropilfenolcarbonici. Si scalda l’ortoisopropilfenol verso 150° per otto ore in una corrente di anidride carbonica umida aggiungendo mano man9 dei pezzettini di sodio, si tratta la massa con acqua, si precipita con acido cloridrico, si fa digerire con carbonato ammonico, si agita con etere per estrarre il fenol inalterato e si riprecipita il liquido acquoso con acido cloridrico: si ottiene una sostanza oleosa che tosto si solidifica ed è costituita da un miscuglio del mono- e bicarboacido. Disseccata e trattata con cloroformio ab- bandona al solvente il primo e resta indisciolto il secondo. Da gr. 15 di ortoisopropilfenol ebbi gr. 8 di acido mono- carbonico, gr. 0,25 di acido bicarbonico e gr. 7 del fenol inal- terato; in un’altra operazione nella quale operai a 180° ottenni gr. 7 del primo e gr. 0,7 del secondo. RICERCHE SULL'ORTOISOPROPILFENOL + 513 CH, (6) Acido ortoisopropilfenolmonocarbonico . C, H, OH (1) COOH (2). — $icristallizza dall'acqua bollente lasciando raffreddare lenta- mente la soluzione in modo che non si depositi allo stato liquido. I. Gr. 0,3039 di sostanza diedero gr. 0,7445 di anidride car- bonica e gr. 0,1989 di acqua; II. Gr. 0,2407 di sostanza fornirono gr. 0,5872 di anidride car- bonica e gr. 0,1518 di acqua. Cioè su cento parti : Trovato Calcolato per Ù r II. CHOO Carbonio 66,81 66,53 66,66 Idrogeno 7,08 7,00 6,66. Cristallizzato dall'acqua si presenta in aghi lunghi, incolori, fusibili a 71-72° che si colorano alla luce in violaceo. Di- stilla inalterato ed è anche volatile col vapor d’acqua. Si scioglie molto nei solventi ordinari compreso il cloroformio, pochissimo nell’ acqua fredda. La soluzione acquosa si colora alla luce in violaceo; coi sali ferrici dà colorazione violetto-azzurra molto in- tensa e persistente. Tutti questi caratteri non lasciano alcun dubbio sulla po- sizione orto del carbossile relativamente all’ossidrile: C, Ha Tanto l’ acido libero che il sale sodico reagiscono col pen- tacloruro di fosforo, ma trattando con acqua il prodotto della reazione si ricostituisce l'acido primitivo. Il sale baritico, ottenuto col carbonato di bario, è molto solubile nell’ acqua e si deposita per svaporamento sotto forma di pellicola rossiccia che vista al microscopio risulta composta da piccoli ammassi sferoidali senza apparenza cristallina. 814 : M. FILETI Il sale di piombo, ottenuto per precipitazione dal sale ba- ritico, è amorfo e si fonde sotto l’acqua per l’azione del calore. Il sale di argento, preparato dal sale di bario, è poco so- lubile nell'acqua e cristallizza dalla bollente in aghi microsco- pici bianchi; si altera facilmente alla luce. I. Gr. 0,4538 di sale disseccato all’aria fornirono gr. 0,1728 di argento: II. Gr. 0,3263 di sale disseccato come sopra diedero gr. 0,1240 di argento. Cioè su cento parti : pa roraare Calcolato per I. ri II. Cily 40 Argento 38,07 3397 37,63. CH, (6) Acido ortorsopropilfenolbicarbonico C, H, pei È, COOH — Dopo averlo fatto bollire con cloroformio si cristallizza dal- l'acido acetico diluito. A causa della piccola quantità di sostanza della quale potei disporre per l'analisi ottenni numeri non molto concordanti con quelli richiesti dalla teoria, ma che non lasciano dubbio sulla composizione del corpo in esame. Gr. 0,0894 di sostanza diedero gr. 0,1872 di anidride carbo- nica e gr. 0,0430 di acqua; cioè su cento parti : Trovato Calcolato per Cu Hs 0, Carbonio 57,10 56,41 Idrogeno 5,48 0,18. Dall’acido acetico diluito si separa in fiocchi leggermente ros- sicci che al microscopio si mostrano formati da cristalli tabulari o anche aghiformi. Si fonde verso 295° annerendosi; è insolu- bile in eteri di petrolio, benzina, cloroformio, pochissimo solu- bile nell'acqua e molto in etere, acido acetico el alcool. Il per- cloruro di ferro colora la sua soluzione acquosa in rosso ciliegia. RICERCHE SULL’ORTOISOPROPILFENOL Soli Acido ortoisopropilfenolglicolico. CyHL (2) SH 0. CH,C00H (1) Gr. 12 di ortoisopropilfenol furono scaldati a bagnomaria con gr. 20 di acido monocloracetico sino a fusione aggiungendo in seguito poco a poco gr. 50 di soluzione di idrato sodico (D=1,53): si ottenne un liquido bruno che si diluì con acqua, si precipitò con acido cloridrico e si fece digerire con carbonato ammonico. L’ etere estrasse dal liquido gr. 3 del fenol inalte- rato, e con l’acido cloridrico si precipitarono gr, 12 dell'acido ortoisopropilfeno]lglicolico il quale , cristallizzato dall’ acqua, fu sottoposto all’analisi: si ottenne un po’ di carbonio in meno, ma il risultato dell'analisi del sale d’argento è molto soddi- sfacente. I. Gr. 0,3480 di sostanza diedero gr. 0,8472 di anidride car- bonica e gr. 0,2330 di acqua; II. Gr. 0,3823 di sostanza fornirono gr. 0,9453 di anidride car- bonica e gr. 0,2576 di acqua, Cioè su cento parti : Trovato è ii e Calcolato per E LE, CHO. Carbonio 67,36 67,43 68,04 Idrogeno 7,99 7,48 1,22. L’acido ortoisopropilfenolglicolico si deposita dall’acqua bol- lente in aghi lunghi e splendenti fusibili a 130-131°. Il sale baritico, preparato col carbonato di bario, è molto solubile nell’ acqua calla quale si separa sotto forma di croste costituite da squame microscopiche. Il sale di argento, ottenuto per precipitazione dal sale di bario, è abbastanza solubile nell'acqua fredda, molto nella calda dalla quale lo si ha in piccoli aghi bianchi e splendenti, 316 M. FILETI * Gr. 0,3554 del sale disseccato all'aria diedero gr. 0,1273 di argento ; cioè su cento parti : Trovato Calcolato per O, H,3 0 Ag Argento 35,82 35,88. I sali di piombo e di rame si ottennero dal sale baritico come precipitati amorfi, il primo bianco, il secondo verde chiaro. Eteri fosforici dell’ ortoisopropilfenol. L’'etere neutro fu ottenuto come prodotto secondario nella preparazione del bromocumene più sotto descritto facendo agire quattro molecole dell’ isopropilfenol sopra una di pentabromuro di fosforo. La reazione comincia già a freddo, la si completa scaldando, si distilla con vapor d’acqua (che trasporta il bromocumene), il residuo si lava con potassa, sì estrae con etere e si distilla nel vuoto. L’etere fosforico neutro PO(0.C,H,.C,H,), è un liquido vischioso, leggermente giallognolo, ma diventa bruno; non si so- lidifica per raffreddamento. Bolle inalterato alla temperatura di . 375-380° alla pressione di 28°". È insolubile nell’acqua, si scioglie molto nell’etere e nell’alcool, dai quali solventi si separa sempre allo stato oleoso. i Gr. 0,3481 di sostanza bruciati con cromato di piombo die- dero gr. 0,9130 di anidride carbonica e gr. 0,2410 di acqua; cioè su cento parti : Trovato Calcolato per Oy Hy, PÒ, Carbonio 71,53 71,68 Idrogeno 7,69 7,30. Facendo bollire in apparecchio a ricadere per mezz'ora l’etere fosforico neutro con soluzione alcoolica di idrato potassico, ag- giungendo acqua ed acido cloridrico e distillando in una corrente di vapore, passa dell’isopropilfenol rigeneratosi e resta nel pal- } Ti "d i RICERCHE SULL'ORTOISOPROPILFENOL SET lone una sostanza resinosa: si scioglie questa in potassa acquosa diluita, si fa bollire la soluzione con che si separano delle re- sine brune, si aggiunge cloruro di bario e si concentra : per raf- freddamento lento si deposita una massa cristallina bianca che si ricristallizza dall’acqua ed è il: is (0GHx 0 ), \Po]o 3 i Sale baritico dell'etere fosfo-) «Ba +6H,0. PICDIMONOACIAO <-... i... \0 2 Ipo POKCSEA: CO IE), — Cristallizza in aghi sottilissimi, lunghi e leggeri aggruppati attorno ad un punto. È molto solubile nell’acqua, nella quale però si scioglie con una certa difficoltà se è stato scaldato al disopra di 120°. A 120-130° perde tutta l’acqua di cristalliz- zazione ed il sale anidro la riassorbe in parte per esposizione all’aria. Gr. 1,2733 di sale disseccato all'aria perdette a 130° gr. 0,1446 di acqua e fornì inoltre gr. 0,3280 di solfato baritico, cioè su cento parti : Trovato Calcolato per CH, 0,P,Ba + 6H, 0 Acqua 11,35 11,85 Bario 15,07 15,05 Non tentai di isolare l’ acido corrispondente a questo sale di bario. Ortobromocumene. CH, (1) CH, Br (2) Il liquido ottenuto come è avanti detto nell'azione del pen- tabromuro di fosforo sull'ortoisopropilfenol e trasportato dal vapor d'acqua, fu lavato con soluzione di potassa e sottoposto a di- stillazione: passò quasi tutto a 201-203° (non corretta), restando una porzione bollente a più elevata temperatura e che non fu esaminata. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXI, 21 8318 M. FILETI - RICERCHE SULL’'ORTOISOPROPILFENOL Gr. 0,2952 di sostanza diedero gr. 0,2792 di bromuro di ar- gento; cioè su cento parti: Trovato Calcolato per Colla BI Bromo 40,24 40,20. L’ortobromocumene è un liquido senza colore, più pesante dell’acqua; bolle alla temperatura corretta di 205-207° alla pressione ridotta a zero di 740"",6. Il signor Peratoner, assistente in questo laboratorio, che mi fu di valido aiuto nel portare a compimento questo lavoro, termi- nate alcune ricerche in corso riprenderà lo studio di quei pro- dotti di ossidazione ai quali appena accennai nella presente me- moria, e che presentano un qualche interesse non tanto per le indicazioni che forniscono intorno alla costituzione, quanto per le trasposizioni molecolari che hanno luogo durante l'ossidazione, Torino, Laboratorio di Chimica della R. Università. Marzo 1886. 319 SUL CALCOLO DELLA DISTANZA DI DUE PUNEI LE CUI POSIZIONI GEOGRAFICHE SONO NOTE del Prof. NicopEMoO JADANZA presentato dal Socio Prof. A. NACCARI Lo scopo che ci proponiamo in questa Nota è quello di semplificare alcune formole date da noi in un’altra Nota prece- dente, avendo di mira specialmente il calcolo della distanza di due punti di note posizioni geografiche compresi in un foglio della carta d’Italia, ossia dentro un trapezio sferoidico i cui paralleli estremi differiscono per 20' in latitudine, ed i cui meridiani estremi differiscono per 30' in longitudine. Premettiamo il seguente problema: I. Calcolare un triangolo rettilineo di cui son dati due lati e l'angolo tra essi compreso nella ipotesi che quell'angolo sia di poco differente da 90°. Sia A BC il triangolo date i 0) e l'angolo A sia eguale a 90° + cha ( sì avrà, se i lati d e c sono noti: peppe 2b4 008 (90° +5) ossia a&=b'+0+2besenz 320 NICODEMO JADANZA o anche 2be (5) 2 — HE 2 1 ES 3 È b° 2be a=€ (1 +2)(142% sen 5) (1) Ponendo ippant : 7 ed osservando che sì ha be senò così = - 3 I Ù] b° 4 c* sì otterrà 2 URP: cos 2 (4) (! +2 send cos ysen 3 ) 3 dalla quale, trascurando le terze potenze del 2° termine dentro la parentesi, si deduce A) A) sale / il P 2, 2 2_ log a =logc+ colog cosg+M sen L cos senz —M sen? Leos* d sen 5° Poichè l’angolo 5 è piccolo, la formola precedente, colla me- desima approssimazione, può essere scritta così: \ M " loga=log e + colog cosy + sen 1 . sendcosù.w — Î ) M i — ge sen” cos. w° \ Per calcolare l'angolo B si avrà db G) senB—-cos- ; a 2 ovvero donde log sen B=logd — loga Inte i Dici) dt v SUL CALCOLO DELLA DISTANZA DI DUE PUNTI 521 Se nella precedente sostituiamo a log a il valore (2) ot- terremo: lo sen B=logsent — — sen Î". w sen Wcosù + le) (e) i (9) ì ì — M 23 e 2 DA: 2,} T 2A “otra 1 .60° sen + cost) — -— sen La \ cei i 6 Le formole (2) e (3) sono esatte fino a che l'angolo 5 sia tale che i termini trascurati non abbiano influenza sulla settima : È or 0) 7 cifra decimale. Ciò succede quando 5 Don sorpassa 30. I logaritmi delle quantità + VO 1 È 2 senl', ——senzl, —sen’1 2 4 2 espressi in unità della settima cifra decimale sono rispettivamente 1,02232; 5.40676.--10, 5.10683—10. Cosicchè le formole pel calcolo numerico del triangolo con- s 6) : 7 " siderato, nel caso che 3 pon superi 30, sono le seguenti: log tg d =logb — loge sa (4) loga=loge + colog cosd+[1.02232]send cost. w — | ' ' LI led = VBA (12) — [5.407 —- 10]sen® dv cos L. 6° | (5) logsenB=logsend—|[1.02232]senyg cos).w + | +|[5.407—10]sen'Wcosdo—[5.107 —10]0? \ tei Nelle formole precedenti + dev’ essere espresso in secondi. Se l'angolo A del triangolo ABC fosse uguale a 90° — 5» le formole (5) e (6) diventerebbero rispettivamente : log a = log e + colog cos y — UE 02232]sengcosd. w— — [5.407 — 10]sen® d cos d. 4° (4. log sen B=logseng+[1.02232]sengcosd. w + sula (8) +|[5.407 — 10]sen°& costd.4w° —[5.107 —10]c 3292 NICODEMO JADANZA ESEMPIO. Dati b= 12000 (metri) logd = 4. 0791812 co 15000 Cologe= 5. 8239087 NA logtg gd = 9. 9030899 o= 1° — 3600" L= 3893935", 29 Calcolo del 1° termine î | log 5) nasa! 55630 Calcolo del 20 term. log sen g= 9. 79567 3. 244 logsenv=9. 7956680 log cosp=9. 89258 3.245 [ J=1. 02232. log 2°t.°=1. 896 log 1°t.°— 4. 26687 79 Calcolo del 3° termine log e= 4. 1760913 logo = 3.556 cologcosp=0. 1074219 logo = 3.556 Correz.—+ 18408 ì ]= St 1° termine 18487 — 2° termine — 79 Correz. = + 18408 log a = 4. 2852540 log 3°t.—2.219 3° ti 006 logsend = 9. 7956680 Correz. = — 18574 logsenB=9. 7938106.;...B.= 38° 27 .52-..044 Calcolando gli elementi del triangolo colle note formole di trigonometria rettilinea si ottiene : logia 42853541 11) B.=88%,27/.52) Ma II. Le formole precedenti si applicano facilmente al calcolo della distanza tra due punti dell’ellissoide terrestre, quando di questi punti sono note le posizioni geografiche. SUL CALCOLO DELLA DISTANZA DI DUE PUNTI 323 Sieno A, B due punti le cui latitudini sieno %, ©' e la loro . . . bi '’ differenza di longitudine sia 9. Sul meridiano di A pren- diamo il punto B la cui lati- tudine sia 9' e sia B B' la geo- detica che unisce i due punti B, B' aventi la medesima la- titudine. Indicando con S l’arco di meridiano AB’, e con V l'arco di geodetica BB' è noto che, nei limiti indicati dal problema precedente, si ha: Fig. log V=log9. N'sen 1". cosy'— si sen 1"6*sen*g' (*) ii LU ” log S=log(9 — 9) 0,,senl , n dove N' è la gran normale nel punto 5 e 2,, il raggio di cur- +9 vatura del meridiano nel punto la cui latitudine è <,, = ni LI A n È ; L'angolo ABB=90°+ I: essendo nm la convergenza dei meridiani tra B' e B, cioè: m =Iseng:. »1- (8) se RE i O) Però l’angolo corrispondente ad > del problema precedente DI mn . . Li . . . . non è perchè l’angolo AB B è angolo del triangolo sferoidico. Se mm è la convergenza dei meridiani tra i punti A e 5, cioè m=6 path fngg cos; (P — v) o più semplicemente m=5sen9,m , TL) (*) Cfr. N. Japanza: Sulla misura di un arco di parallelo terrestre (Atti della R. Accaden:ia delle Scienze di Torino, vol. XIX). 324 NICODEMO JADANZA è noto che, indicando con 3: l’eccesso sferoidico del triangolo AB'B, si ha , sem -M. Si avrà quindi o mM De ossia ; m=MEEZE ovvero 2 n i ai PA asa vie Zi it i Le formole date nel numero precedente diventano adunque nel nostro caso, osservando che si ha M è log sen] .107=4.62871—-10: log V=log N'sen 1". Gcoso —[4. 629 — 10]6° sen @... (11) log S=log(9 — €). 0, senl' si: (ESP log tg 6 = log V+- colog S 0 E logs= log S+colog cos. 0 +|[1. 02232]send cosd.w— Î —[5. 407--10]sen* dos w. 4° \ ds. log sen A=logsentg—|[1. 02232]send cos). + (15) +[5. 407 — 10]sen°d cos°d.4°—|5. 107 — 10]0°. L'angolo A non è l’azimut di B su A; indicando con Z codesto azimut si avrà pino Z=A+5(m_m). Mai i Se Z' è l’azimut di A su B, questo sarà dato da Z=180°+Z+m. .<+ (9 Nel calcolo numerico le quantità m, »m' hbisognerà conside- rarle come quantità algebriche : esse sono positive o negative secondochè la differenza di longitudine 9 tra i punti A e B è positiva o negativa, ossia secondo che il punto B è ad oriente o ad occidente di A. Le quantità N'sen1", o,, senl' sono date da apposite tavole. nu SUL CALCOLO DELLA DISTANZA DI DUE PUNTI .925 ESEMPIO. Dati Latitudine di dp DI 4 240682 Latitudine di Po 92 25 07.13838 Differenza di longitudine 9 = — 0°11'29°.6708=_— 689". 6708 On = 52° 19' 45". 601 o—-9= Ao= 0°10' 483". 0656=+ 643". 0656 log6=2. 8386418 n log = 2. 8386418 n log sen 9' = 9. 8989928 logseng,,=9. 8984709 logm =2. 7376346 n logm=2. 7371127 n i m =—546”.556 m= —545".900 “SANTO x el _219 w== — 546. 118 logw= 2.73729 n im Sen 1"=1.4900398 logNsenl =1.4911305 ——log6=5.677 # ______m__ logcosyg =9.7852496 logsen’9'—9.978 i log5—=4.2982951 Verra na | 4.1150219 0.104 ogcos L= 0.0776658 Correz. — —1 Corre. = +2634 log V=4.1150218» colog S—= 5.7017049 v log tg =9.8167267 n logy=4. 1150218» Sa 10° — 33°15 ‘14".967 SA DeL 7300609» 9.7387975n log cosg= 9.9223342 8° termine — — 4 logo= 2.63729n logs= 4,3762243 4 Lo _ 39768 2.398 LIVE RI log 1° termino=3. 342100 326° 46 07°. 165 1° termine —= 2636 3° term, =<# ec=0,219 ug — 326° 46’ 06". 946 Correa. = 2694 180+Z=146° 46' 06. 946 loga*=5. Taa i m:= — 09 05. 900 iii 0. 582 Z'=146° 37' 01".046 3° termine= 4 logAg=2. 8082553 log6—2.8386418 n 4.629 326 NICODEMO JADANZA Il medesimo calcolo fatto da BòrscH con altro metodo (*) ha dato i risultamenti seguenti logs= 4. 3762248 Z=326° 46’ 06°, 951; Z/—146° 87 01”. 05. Nell'esempio precedente il calcolo di log sen A si è fatto colla formola logsen A=log Y-+cologs—|[5.107—10]o® ...(16) che è identica alla (15), la quale è da adoperarsi di preferenza quando non si voglia calcolare che i soli azimut della geode- tica A B ai suoi estremi. III. Quando la differenza di longitudine e la differenza tra le latitudini dei due punti sono minori di 10', se riteniamo come trascurabili gli errori che provengono da due o tre unità nella ur er settima cifra del logaritmo di s, e da quattro o cinque unità | nel logaritmo sen, le formole precedenti si semplificano giacchè si annulleranno tutti i termini in ° In questo caso si può anche fare a meno della correzione dovuta all'eccesso sferoidico del triangolo, poichè (almeno per l’Italia) questo non raggiunge mai il secondo. In tale ipotesi l'angolo © si riterrà eguale a G sen g', quindi se si pone M ; 3 suli sen , le formole precedenti si riducono alle seguenti semplicissime: log V=log N'sen 1". Gcosu' AO log S=log 40. senl' sset bo logtg dt = log V + colog S - = (19)0 logs=logS+cologcosp+Psenycost.? ...(19) (*) Cfr. Bòrsca Dr. Orto: Anleitung zur Berechnung geoddtischer coor- dinaten ; Cassel 1885, pag. 82. SUL CALCOLO DELLA DISTANZA DI DUE PUNTI 527 BORE (20) } od (0g è la differenza tavolare di sen & per 1’) Z'=180+Z+0seno,,. Me pn Si noti che la quantità 24, cioè la differenza tavolare di senv per 1' dev'essere considerata come una quantità algebrica, ” FUOTI n »|* Lv (6) O (0) o quindi essa è positiva nel 1° e 3° quadrante, negativa nel 2° e 4°. ESEMPIO. Dati Latitudine di A=%g =44° 01' 08", 98 G—-4' 49". 13 Latitudine di B=e'—43 57 55.81 21028913 Ag=— 3'08",67=— 188". 67 p,= 43° 59" 29", 64 log6é=2. 4610932 logAs=2. 2757028 n log N’senl'=1.4909180 logo, senl'=1. 4894108 log cosy = 9. 8571874 log S=3. 7651136 n log V=3. 8091986 colog cosd=0. 1736744 » cologS—=6. 2348864 » 3. 9387880 logtg = 0. 0440850 — 1051 cea ala dè: 54' 10". 99 log s—=3. 9386829 W=132°. 06 49°. 01 w=132° 05° 49". 01 log cosp=9. 8263256 n — 55, 51 logsend= 9. 8704107 A=132° 04 53°. 70 logP—=0, 86384 T80%4 3.20.82 log@=2. 46109 Z"_ 31208 14.52 3. 02166 n log 9 = 2. 4610932 — 1051 i —_—_ =55 8 È log sen o,, =9. 8417051 — 19 | 2 3027983 m= 200°. 82 +=3'20.,82 328 NICODEMO JADANZA Se coi dati n= 44°0103. 98 si calcolano 0°, Z', 6 per mezzo delle formole di Legendre, si ottengono identicamente i valori dati di 2°, 2 e quello calcolato di Z.. Per maggiore comodità nella tavola annessa si trovano i valori di log P per tutti i valori di v' compresi da g'= 36° (0) Ù - a =, IV. Le formole precedenti, come vedesi, sono facilissime e comode al calcolo numerico, specialmente se si riflette che le quantità ?m Sen 1°, N sen 1° sono date da una tavola che trovasi in pa- recchie raccolte di tavole geodetiche. Nasce quindi spontanea la domanda: S% può prendere una distanza tra due punti così calcolata come base di una pic- cola triangolazione topografica ? Per rispondere a tale domanda bisogna prima risolvere la seguente questione : Quale sarà l'errore relativo sulla ipotenusa di un trian- golo rettangolo in conseguenza di errori relativi noti sui lati? Essendo pe VARI +e, differenziando logaritmicamente sì ottiene: da _bdb+ede — db st de È (i hè 2 air = 2 Vi de 2 " ssp (145) c(145) ) C 3 NO . *ale: Se l'errore relativo 3 è maggiore di —, si avrà ) c da... Ab lai 1 Sent Hi 3 ’ a d e” b* SUL CALCOLO DELLA DISTANZA DI DUE PUNTI 329 ossia da db a D e quindi: L'errore relativo della ipotenusa di un triangolo rettangolo è minore del maggiore degli errori relativi sui due cateti. Questo risultamento ci fa conoscere in quali condizioni pos- siamo calcolare la distanza tra due punti di cui sono note le posizioni geografiche perchè essa non abbia un errore relativo | 1 superiore ad E Ordinariamente le latitudini e le longitudini dei diversi punti di una rete trigonometrica sono date fino ai centesimi di se- condo, e si può ammettere che sulle differenze A e @ l’errore non superi due centesimi di secondo. Quindi se si vuole che i Tha 0. 1 l'errore sulla distanza tra i due punti sia inferiore ad =. essendo x il numero dei secondi contenuti nel più piccolo dei numeri Ao, G sarà 0.02 1 o x n donde e 2n al# stile (23 o “100 (22) Volendo p. e. che la distanza tra i due punti abbia un lativo inferi d Dihe dovrà n 3 5 "e errore relativo inferiore ad 3g, dovrà essere n=400" ossia i due punti debbono differire di circa 7' in latitudine e longitudine. Sulla distanza di due punti che differiscono di x' in Jati- tudine e longitudine si avrà un errore relativo SAMO si (290 330 NICODEMO JADANZA Tavola ausiliaria. | Y | log P | of. | D.P: —jh—__—_—- veg ie 36° 00° 0.'79135 || ju 170 ( i Lan 0. 79328 pi 1 \eo 20 0 79501 di 284.0 2 Pe? 171 3 + ch 0e90 i gr 170 4 "1 BO 40 | 0. 79842 DI, gl e | 6 2 € (06 0. 80011 6.102. 0 Fi inca 168 7 |119.0 è Ti 167 STO 10 0. 80346 9 | 153.0 167 20 0 80513 165 160 30 0. 80678 I att 164 1|/1610 i 163. | 232.0. 50 0. 81005 | 8 | 48,0 162 | 4 TA 38 00 0. 81167 | e ; 161 5 |-ua020 10 0. 81328 miei ele. 20 0. 81489 {e godi 7 | 1120 | IS 30 | 0. 81648 | 8 [128.0 158. | 9 | 144.0 40 0. 81806 |, Bo ima 0109) s1goà Si HE odi 150 | 156 39 00 0. 82120 n pio 1:1|:/1550 10 o:sa9r6 | | LL 2 RE Masi TrABePn iO AE 3 | 45.0 fd n | 154 4 60. 0) 30. | 0. 82584 sig 5 Rose 40 0. 82737 | Gi 90,0 Di RILSRSANO 152 7 TOSO 40 00 0. 83040 9 | 135.0 M " P=10.0 senl. seno. 41 42 48 44 SUL CALCOLO DELLA DISTANZA DI DUE PUNTI 'l'avola ausiliaria. log P 0. 83040 0. 83190 0. 83559 0. 0. 85487 3635 . 83782 . 89927 . 84072 0. 84216 0. 84359 . 84502 . 84645 . 84784 . 84924 . 85063 . 85201 . 85359 . 85475 . 85611 . 85746 . 85881 . 86014 . 86147 0. 86279 0. 86410 M " P=101. Sg senl . sen 2. diff. 150 149 148 148 147 145 145 144 143 143 141 141 140 139 138 138 136 136 135 135 133 133 132 151 p.p. Sì, Ot a 00 0. (Je) _ > CD IMSIH O 00 I Sio x IRIS TRSESE —PSoTtouKtodgre'iùÙ 351 (>) > Ur 332 NICODEMO JADANZA Tavola ausiliaria. 0) log P diff. p.p. 44° 00' 0. 86410 4 130 10 0. 86541 a .] V3350 20 0. 86670 à 2| 26.0 Ric 129 3 | 89.0 30 . 86799 128 4 592. 0 40 0. 86927 sa 5 | SG 50 0. 87055 6 | 78.0 : 126 7 | (91/0 10 0. 87307 9 |117.0 126 20 0. 87433 o 124 125 30 0. 87557 “MA 124 i |a 40 0. 8768 PE 51 50 0. 87804 3 1068756 122 4500 46 00 0. 87926 122 5 | (6255 10 0. 88048 pa | 20 0. 88169 a 7 |'87.5 30 0. 88289 i co 120 o l'Era 40 0. 88409 119 50 0. 88528 o. 120 47 00 0 88646 Hi 1| 12.0 10 0. 88763 | 2 | 24.0 ; 116 3 | 96.0 20 0. 88870 a 1 l'e 30 0. 88996 sa 5 | ‘60.0 40 0. 89112 6 (GESSO 1 le 114 7| 840 48 00 0. 89340 9 | 108.0 TL “ P=107.3 . sen l. seno. SUL CALCOLO DELLA DISTANZA DI DUE PUNTI Tavola ausiliaria. O log P diff. pr 48° 00° 0. 89340 I 110 10 0. 89454 i i IOFRA 20 0. 89567 2| 22.0 Lo E 112 3: | sso | 3 z SINO Li di | 440 40 0. 89790 pi: 5 | 055.0 50 0. 89901] 6 | 66.0 | i 110 Ti 77,0 | 4900 0. 90011 pe è (06 pA 10 0. 90120 9 | 99.0 109 20 0. 90229 Ù 109 105 30 0. 90338 Da Li 107 DR LA 3 107 2 | 21.0 | 50 0. 90552 de 37 Magi 5 | 50 00 0. 90658 | 4 | 042.0 ! Vi. 106 5395 10 0. 90764 ie 6 63.0 | 20 0. 90869 ie i (SEA 30 0. 90974 È 8 | 84.0 103 9 | 94.5 40 0. 91077 104 50 0. 91181 100 1 102 pri 51 00 0. 91283 pri i |Uto®d 10 0. 91385 E 2|020.0 A ATA 102 3 | 90.0 3 ( . 100 4| 40.0 30 0: 91587 3: 5 [080.0 40 0. 91688 6 | 60.0 x 99 Ù | 7080 52 00 0. 91886 9 | 90 6 Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXI. M : P=107.-.senl.seno. (7 i dI4 NICODEMO JADANZA Tavola ausiliaria. log P diff, 0. 91886 99 0. 91985 i 97 0. 92082 98 0. 92180 | 96 0. 92276 96 0. 82372 96 0. 92468 O 95 0. 92563 94 0. 92657 94 0. 92751 93 0. 92844 93 0. 92937 92 0. 93029 91 0. 93120 91 0. 93211 91 0. 93302 89 0. 93391 90 0. 93481 88 0. 93569 89 0. 93658 87 0. 93745 87 0. 93832 87 0. 93919 ; 86 0. 94005 85 0. 94090 M 3 P=107. >.senl 7 sen 9 . (O 00 ST Sì Uva > Mi UD i O 00 SI Sì) Ut a fi -Mi-.l © Me-M=-W=) Ttottocdgcteodrdgee or Ttocgctoiocrtioduio DI 94) (ba i SUL CALCOLO DELLA: DISTANZA DI DUE PUNTI Tavola ausiliaria. 9 log P. dif. 56° 00’ 0. 94090 si | ) 10 0. 94175 (I 1 .0 20 0. 94260 I 2 |pg16.0 84 3 | 24.0 30 0. 94344 o 4 08595 40 0. 94427 5 pa4z0. 0 83 6 ‘lis. 70 Seo Do 3 (RA 10 0. 94674 si 9 | 72.0 20 0. 94755 81 75 30 0. 94836 80 RI di 40 0. 94916 ol 5 DELA 50 0. 94996 dh 3 | 22.5 i 58 00 0. 95075 £ |030,0 dia: 79 > lar 10 0. 95154 ne GP 20 0. 95232 ae 7| 52.5 { 30 0. 95310 E 8 peod. 0 Piaf 9 Ue 40 0. 95387 È { 50 0. 95463 3} 70 59 00 0. 95540 DE: 1 [PO 720 | (09) | 10 0. 95615 t 2| 14.0 > 185) 5) 21.0 20 0. 95690 75 4 28.0 30 0. 95765 si 5| 35.0 { ; 40 0 95839 DE p pe { ( È > 5 50 0. 959153 73 8 56.0 60 00 0. 95986 9 | 63.0 50 0. 94510 si 57.00 0. 94592 n M A P=101.7: senl.seng. 3906 NICODEMO JADANZA Tavola ausiliaria. (o log P diff. pipa 60° 00 0. 95986 e 68 10 0. 96059 »i 1 6. 8 20 0. 96131 si 2 Hero P "0 72 3 | 20.4 30 0. 96203 di 4 Piaada 40 0. 96274 se 5 | 34.0 50 0. 96345 6 |. 40.8 i 70 7.1 Ca7Ie 61 00 0. 96415 he e logan, 10 0. 96485 ki 9: lb#6159 20 OR9us54 | 69 65 30 0. 96623 68 1 6.5 40 0. 96691 i 3! gdo 50 0. 96759 de 3. |\R100g 62 00 0 96826 £ |,46:0 67 FR 10 0. 96893 Ri 6 Pia 90 0. 96960 gi 7. 64585 30 0. 97026 8 | 52.0 65 9. | S5885 40 0. 97091 si 50 0. 97156 gi 63 63 00 0. 97221 g° 1 6.3 10 0. 97285 212.6 64 3||'2i8do 20 0. 97349 so 4° )2a206 30 0. 97412 PE 5hésgne 40 0. 97475 0 | 37.8 62 71 SRI 50 0. 97537 E s Paseo 64 00 0. 97599 9 | 56.7 M " P=107.7. sen1l ‘sen. al -e 64° 00° 66 67 68 SUL CALCOLO DELLA DISTANZA ‘DI DUE PUNTI Tavola ausiliaria. M " P=107.7 senl . log P D.P 0. 97599 60 | 0. 97660 pere, 0. 97721 212.0 ASA 3 | 18.0 0. 97842 FR I, 0.97901 6 | 36.0 N 7 ASSO 0. 98019 { 9 | 54.0 0. 98078 » 57 55 0. 98135 58 1 AE 0. 98250 5; GUIA 0. 98306 i; I sandy 56 5I | 0785 0. 98362 È pineta 0. 98418 " A 305 0. 98473 FT 8 | 44.0 5 gl'll 4955 0. 98527 0. 98582 53 0. 98636 1 5.8 0. 98689 2 10.6 "d1 &F-1529 0. 98795 5 | 26.5 0. 98847 6 | 31.8 7| 387.1 0. 98950 SA NATLT sen Cd. 338 NICODEMO JADANZA - SUL CALCOLO ‘DELLA DISTANZA ECC. -e 68° 00° 10 69 00 70 00 Tavola ausiliaria. log P diff. 0. 98950 50 0. 99000 5 0. 99051 Mm 0. 99101 Y 49 0. 99150 49 0. 99199 49 0. 99248 48 0. 99296 48 0, 99344 48 0. 99392 47 0. 99439 46 0. 99485 47 0. 99532 M A 10.7. senl . sen ©. da tap IOINEH co 90 ‘O 00 1 Di Ut DIN 47 (mi Mel'o Mo K> ehe: dI Sì (O ID Uv.00 Ha po I —r_e—YW_T_T.||. F—W xY_rr_rrr a oiF“iifEE4A©©&È Xèr——6—_m__@ABME RICERCHE Per riconoscere se la deviazione della mira meridiana dell’Os- servatorio di Torino, a Cavoretto, dal piano del meridiano è sensibilmente nulla come nel 1828 del Socio Prof. ALESSANDRO DornA NOTA TERZA I. Nella sera dell’8 agosto 1885 osservai altri passaggi di stelle al circolo meridiano, anche col filo di mezzo del reticolo del cannocchiale al centro dell'immagine della mira di Cavoretto, per applicarli eziandio alla ricerca dell’Azimuth di questa mira, come quelli del giorno 5 nella Nota precedente del 7 marzo. Continuai a farmi registrare i tempi dei passaggi ai nove fili col pendolo siderale Dent, dallo studente C. B.; e lo strumento era ancora col circolo ad Ovest. Il pendolo dal mezzodì del giorno 8 al successivo avendo tardato di 1°,08 e questo ritardo potendosi considerare nelle ore successive come costante, perchè nel giorno seguente fu ancora di 0°,97, presi 07 —0%,045. In riguardo ai tempi delle osservazioni ho fatto 7,=19"10", e come nella Nota precedente, da cui, per maggior chiarezza, trascrivo le due formole: sen (9 — 0) cos (9 — 0) —— —— — — 2 N e DI V= 0 9 cos 0 cos d cos 0 n=|75°— (cu T,,)| 4 (A7— 0°,021cose)secd+(T-7)07, posi, senza errore sensibile nell'espressione (7 —7 )07, 7, al posto di 7. Inoltre stabilii la relazione AT, =76°4 x. Disponendo in seguito i calcoli come ho fatto per le osservazioni del giorno 5 nella Nota citata, formai le tabelle di numeri e le equazioni seguenti, da cui dedussi la correzione A 77, del pendolo per 19"10" e le tre costanti strumentali y(=a), 2(=0), w(==c), con cui finalmente ricavai l’azimuth —— A della mira di Cavoretto come è spiegato nelle due Note che precedono. 340 Stelle Grandezze Declinazioni è Tempi del pendolo siderale Dent negl istanti dei passaggi ai nove fili Media Tm Ascensioni rette & a—- Tm Tm — 19510" cos 3 w Herculis Za 4a 27° 48° 17640" 105,3 I 15,89 — 1h29" [6,07 ALESSANDRO DORNA - x Draconis | 72 Ophinchii Da _3A 3: 42 Blo 3l' | 9° 33 A8h 0"105,4 52,750 48,3 19,5 26,0 31,3 33,4 42,9 40,3 33,7 | 47,4 53 5,4 d4,9 46,3 STI) 40,3 17b527 421,46 48 A 56,54 17 53 58,40 I 15,9 I 16,21 —Ab17""173,54) — 1:9"19%,67 | 9,79399 9,99394 4751 294,9 1,67852. | 1,47367 1,47251 146961 29,683 29,486 1,34176 | 1,33636 215,966. | 21*,695 A8a 0"404,33 | | | | Vega s Aquilae Je 4 38° 41’ 14° 55" 13h31"/456 | 18052"40*,7 21,4 48,3 31,3 56,2 40,3 538 +39 49,4 411,2 58,3 18.1 MPT, 26,0 46,7 33,3 27,1 41,6 18h31"49* 36 | 18153" [1,06 18 33 5,31 | 18 54 26,99 45,95 1 to,93 — 0138" 102,64 | — 0hA6"48x,94 ———___—_&6 9,89241 9,98511 371,8 305,5 1,57749 1,48430 4,16993 4,46941 29,307 295,472 285,0) 22,7 A,4AT7I6 | . 4,35603 1,33900 1,34144 211,857 21:,935 |> % Aquil 3: 430 4 18h38""24 18h58"5455 i x 19 0 40; I 164 — 0411"5%, 9,98746 303,2 1,48001 1,46747 294,341 22: 2 4,34635 1,33381 21*,568 è Aquilae 3a 4a 2° 54 19h 17""3594,4 nici 19h18"28%,98 19 19 44,99 4 16,01 + 0h 8'"284,98 215,9 1,3404% 1,33988 215,872 . y Aquilae 3a 10° 20' 19h 39" 45,5 42,3 0) 19h39"34:,58 19 40. 50,57 { 13,99 I 15,90 + 0629"349,58 | +0033"37551 9,99290 9,99513 309,1 294,3 1,47857 116687 147447 146200 29,612 28,973 224 3 215,3 1,31830 1 32838 1,34120 1,32351 21*,938 215,063 Altair fa 2a 80 34' 19h43M28:,2 36,2 Apa 30,3 97,0 44 44 11,9 19,5 DICA 19h43"575 51 19 45. 13,41 6 Aquilae Za 2001 20h 3"40,2 48,1 20 5 25,40 I 15,93 + 054!" 947 9,99991 296 | | 1,46389 1,16380 1,32634 1,32625 215,196 20h 4" 96,47 RICERCHE SULLA DEVIAZIONE DELLA MIRA MERIDIANA « Delphini 4a 10° 55 20626" 04,0 7,9 16,2 232 { 15,91 29752 9935 4 1,35025 1,34232 214,995 + Ih16""364,32 | 341 « Cigni Da |a 44 53! 20135!"36%,4 475 + 1626" [83,14 985037 415,9 1,62221 1,47258 29,088 213,823 ALESSANDRO DORNA log log log log log log Medie 1,16138 143,507 Prg € 13,9) (,89763 6 n 0,88649 n 0,83323 — 63,811 ;9 — 165,2 n 1.26951 n 1,15625 — 145,330 — Ba n 1,38382 n 1,33056 i 29* 498 93» 4 23%,4 4,36922 1,16321 14562 113,6 1,064 16 0,85845 — 105,8 n 1,03342 n 0,82741 — 65,721 E 995 421,9 n 1,35218 n A,14617 — 145,001 — 3351 n 1,52375 n 1,67486 n 1,46885 145,3 1,13,34 1,14928 111,102 | 659 0,93885 0,83279 65,804 n 0,85426 n (1,84020 — 75,002 | — 145,6 i nl,16435 n 1,15829 — 145,393 2 n 1,33646 n 1,33040 — 215,399 n 1,47106 — 29*,584 îz 143,346 185,1 1,23768 1,15012 11,129 971 0,93904 083148 72,101 — 859 n 0,94939 n 0,84183 — 6,948 — 183,1 n 1,25768 n 1,15012 — 143,129 — 275,3 n 1,13616 n 1,32860 — 215311 — 38,3 n 1,58320 n A,47561 — 29,898 Ù 7,003 155,0 1,17609 1,16120 145,194 7,3 0,86332 0,84843 73,054 — (59 n 0,83885 n 0,8253596 — 65,668 — 143,8 n 1,17026 n 1,34439 n 1,32950 — 214,355 — 303,1 n 1,48287 n 1,46798 — 295,375 = 215,9 V 1,14922 1,14866 143,082 n 0,83251 n 0,83195 — 64,791 — 145,4 nm 1,15836 n 1,15780 — 143,381 — 214,5 n 1,33244 n 1,33188 — 214,472 — 295,9 n A,47567 n AN4TSII — 294,861 i — 295,721 145,8 1,17026 116316 143,560 64,9 0,83885 0,83175 65,788 — 649 n 0,8388585 n 0,83175 na |________—_| —-—_______________ y[|[.__.rrr_— n 1,16732 mn 1,16022 — 145,162 — 215,7 n 1,3306046 n 1,3293936 — 21,348 — 305,6 n 1,17862 — 30%,104 15,3 1,18469 0,85733 0,85246 73,120 — 649 n 0,83885 n 0,83398 — 63,823 n 1,15836 n 1,15349 — 145,239 — 220 n 1,34242 n 1,33755 — 21,735 — 299 n 1,47567 n 1,47080 — 29,507 Lil 1,15336 1,15827 145,397 6,9 0,83883 0,83876 n 0,85126 n 0,85117 — 75,099 — 1445 n 1,16137 n 1,16128 n 1,33244 mn 1,33235 _—_2Is 490 213,490 721,600 — 72,263 = 0,337 -_—__————Tm6€È6€mÈm——____yF— _rrrce—ctakz2à=—%‘1‘( LISA, 114922 1,14129 133,845 75,1 0,85126 0,81333 63,972 — 731 n 0,85126 n 0,84333 n 1,16435 n 1,1356412 — 145,336 INI n 1,3141635 n 1,33842 — 215,798 — 35,2 n 1,18001 n A,47208 — 295,654 191,9 1,29885 1,14922 149,100 1055 1,02119 0,87156 73,440 — 95,3 n (0,96848 n 0,81885 — (5,589 n 1,30320 n 1,13557 3082 n 1,18001 n 1,33038 — 215,398 IO, 125,1 n 1,62428 nm 1,47465 — 295,830 344 ALESSANDRO DORNA T log son 5,09691 log (T— 7,)5 log (TT) ST n "0 -(a- Tm) OSE PIA (Aî--0,021 cos e) sec è log (Ai— 0,021 cos 9) 8,30173 lo sec è log cos (gp — È) cos lo — 8) log cos Ì cos(e — d) cos È log sen (9 — 8) PP prati do cos è sen'g — d) cos n 3,7172885 n 3,1606629 n 8,82576 n 8,76320 + (5069 + 09,039 + 65,11 + (3,06 — 0,067 — 0,038 0,026 0,037 8,11499 8,5060771 0,03326 0,20601 1,131 1,607 17° 16' — 62.27! 9,97997 999724 0,03323 0,20325 947249 n _9,05052 9,52975 n 9,25653 0,336 — 0,181 ——________ |, _______ n 3,61906 n 3,35996 n 8,71397 n 8,15687 — (0,239 + (5,050 — (821 + (9,05 —.0,052 ‘- 0,029 0,023 0,029 8,36779 8,16929 0,%0606 0,10756 1,014 1,981 35° 31! 60234 9,91060 9,99730 9,91666 0,10186 0,825 1,273 9,76113 9,04603 9,77019 9,13339 0,589 0,142 == HR _—_—_=———= |. ——— 4,85757 6,93148 + 05,034 + 05,01 0,001 0,023 8,37038 0,00863 1,020 33° 40° 9,92027 9,92892 RICERCHE SULLA DEVIAZIONE DELLA MIRA MERIDIANA 345 2,70670 3,24910 7,80361 8,3 1001 + (3,019 + (3,055 — 0501 + (5,01 0,006 0,022 si 0,023 0,023 8,36229 8,36883 0,00036 0,00710 1,001 1,016 42° 10 34° 44' 9,86983 9,91477 9,87039 9,92187 0,742 0,825 9,82691 9,75569 9,827 47 9,76279 0,672 0,579 3,30910 8,10601 | + (4,148 8,36660 0,00487 1,011 36° 30° 9,90518 9,91003 351181 8,60872 366183 \ 8,75876 | ail + 05,134 | + 05,07 0,041 0,023 8,36182 0,00009 46° 13! 9, 4006 9,84013 0,692 0,85851 9,85958 0,722 + (08,140 + (5,06 0,057 0,023 8,36966 i 0,00793 34° 9! | 9,957S1 0,572 —__—_-—_—_——- | 881108 + (3,127 + (3,03 0,065 0,032 8,31136 0,14963 DATI (ZI 0,00000 0,14963 7,50512 7,65475 0,005 340 ALESSANDRO DORNA Equazioni di condizione. x 40,336 y'+ 1,080%2 + 1,131 « + 0,069 "=0., x — 0,181 y + 1,597 2 + 1,607 « + 0,039. ='0 x + 0,589 y + 0,825 2 + 1,014 u — 0,239 = 0 x 40,142 y + 1,273 2 + 1,281 « + 0,050 = Q x + 0,520 y + 0,895 2 + 1,035 « + 0,081 = 0 x + 0,536 y + 0,879 2 + 1,029 « + 0,016 = 0 x + 0,566 y + 0,849 2 + 1,020 « + 0,034 = 0 x + 0,672 y + 0,742 2 + 1,001 « + 0,019 = 0 x + 0,579 y + 0,835 2 + 1,016 « + 0,055 = 0 x + 0,602 y + 0,813 2 + 1,011 « + 0,148 = 0 x + 0,722 y + 0,692 2 + 1,000 « + 0,134 = 0 x + 0,572 y + 0,843 2 + 1,018 « + 0,140 = 0 x +4 0,005 y + 1,411 2 + 1,411 « + 0,127 = 0 Equazioni normali. 13 x + 5,682 y + 12,734 2 + 14,573u + 0,673 =0 5,682 x + 3,389 y+ 4,7182+ ‘5,716. + 0,341°= 0 12,734 x + 4,7184 + 13,402 2 + 13,807. + 0,583,=.0 14,573 x + 5,716 y + 13,807 2 + 16,782 + 0,778= 0 MERIDIANA MIRA SULLA DEVIAZIONE DELLA RICERCHE 65 99186 « [e l’ho usato dapprima esattamente come insegna il Golgi, poi con alcune modificazioni. i 370 GIUSEPPINA CATTANI La prima è stata quella di far subire alle fibre nervose già argentate e ben disidratate l’azione dell’essenza di trementima per alcuni giorni, al fine di privarle della mielina ; l’altra di passare le fibre nervose dal bagno di argento in una debole soluzione di iposolfito di sodio, per togliere l’eccesso dell’argento ed otte- nere preparati oltrecchè più nitidi anche più duraturi di quelli che si hanno in generale dal metodo Golgi, anche montandoli nel modo consigliato dal Mondino. In quanto alla nitidezza essa mi venne interamente conseguita; non così la stabilità, poichè, forse pel continuarsi dell’azione dell'iposolfito, nonostante che le fibre fossero state poi lungamente lavate, quasi tutti i preparati così ottenuti si sono più o meno scoloriti. Perciò ho pensato di valermi di un altro artificio, cioè di passare le fibre nervose dopo l’azione dell’iposolfito di sodio in una soluzione allungata di clo- ruro d’oro, a somiglianza di quanto usano fare i fotografi, e ciò anche per la speranza che l'oro avesse a colorare non solo le spirali, ma anche il restante apparecchio di sostegno della mielina. Il che infatti è accaduto, in modo che anche col metodo Golgi, mercè l’azion successiva sia dell’essenza di trementina, sia del - l’oro, ho potuto sopra uno stesso preparato vedere le varie parti che compongono lo stroma della guaina midollare nelle fibre nervose periferiche. In quanto a quella parte di esso stroma che per primo il Golgi ha dimostrata, essa nelle fibre trattate con liquido di Flemming apparisce come una nitidissima ed evidentissima striatura trasversa data da tante linee sottili parallele e vicine le une alle altre, le quali in ogni incisura di Schmidt e di Lanterman, partendo dalla superficie interna dell’estremo più largo di un segmento cilindroconico, passano sopra all'estremo più stretto dell'altro segmento midollare, e così vengono a costituire una specie di elegante imbuto in forma di cono tronco (fig. 5, 7). Nelle fibre nervose dilacerate, quando siano esaminate nel loro piano massimo invece che in superficie, come pure in alcune sezioni longitudinali, la suddescritta striatura apparisce solo attraverso l’incisura sotto forma di sottili sepimenti che a guisa di ponti uniscono fra di loro le superficie corrispondenti degli estremi dei segmenti, e manca invece nelle parti assili della fibra (fig. 6). Gli imbuti striati che ho sopra descritti di solito sono sepa- rati gli uni dagli altri da intervalli variamente lunghi (fig. 5), solo di raro sono in un certo numero così vicini da toccarsi pei SULL'’APPARECCHIO DI SOSTEGNO DELLA MIELINA US loro estremi (fig. 7); più di raro ancora entrano l’uno nell’altro per un breve tratto. Ma qualunque sia la loro vicinanza è sempre possibile di stabilire che ogni imbuto corrisponde esclusivamente ad un’incisara di Schmidt e di Lanterman, e ciò perchè nelle fibre nervose trattate con liquido di Flemming le incisure sono sempre ben manifeste (anzi, alcuna volta un pochetto esagerate), ed i fili che costituiscono gli imbuti appaiono assai sottili, quali del resto sono anche a fresco, come ha osservato il Golgi. Nelle fibre nervose trattate con bicromato ed acido osmico, non è possibile di scorgere ben chiaramente le spirali altro che nelle sezioni trasverse. In queste (e solo in un certo numero, corrispondentemente al fatto che esse non esistono per tutta la lunghezza delle fibre nervose) appaiono sotto forma di una sottile linea circolare, ora accosta al cilindrasse (fig. 11 5B), ora situata verso la guaina di Schwann (fig. 11 C), ora a metà circa della guaina midollare (fig. 11 D). Sempre nell'ultimo caso, spesso anche negli altri, quando si muova il fuoco del microscopio alzan- dolo ed abbassandolo alternativamente, si vede questa linea ora allargarsi, ora restringersi, ora allontanarsi, ora ‘avvicinarsi al cilindrasse, a seconda che si mettono in fuoco gli altri giri spirali più larghi o più stretti compresi nello spessore della sezione. Solo quando una fibra è tagliata un poco obbliquamente si possono vedere, in modo più o meno completo, in uno stesso piano focale più giri successivi della spirale. Allato alla sottile linea circolare esiste ordinariamente uno spazio chiaro (fig. 11 5, C, D), il quale rappresenta quella parte dell’incisura che non è occupata dal filo spirale. Questo spazio che qualche volta manca (fig. 11 £), è molto sottile e nei movimenti del piano focale si sposta insieme colla linea circo- lare a cui sta allato, alcune volte apparendo, ora all’interno, ora all’esterno di essa secondo l'altezza del piano focale. Col metodo del Golgi e colle varie modificazioni da me por- tatevi, gli imbuti appaiono nel modo già descritto dall’illustre istologo e che io pertanto non istarò qui a ripetere. Solo mi fermerò un poco sopra un punto nel quale dissento dal chiaris- simo osservatore. Ciò è che mentre il Golgi, sebbene in generale descriva gli imbuti come limitati agli estremi dei segmenti cilindroconici , tuttavia ammette altresì che qua e là si trovino alcuni giri di spirale anche nel corpo dei segmenti cilindroconici, fuori quindi Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXI, 25 372 GIUSEPPINA CATTANI di ogni rapporto colle incisure; io invece sono costretta di rite- nere che nel corpo dei segmenti cilindroconici non si abbia mai nessun giro di spirale e che questi siano sempre assolutamente limitati alle incisure di Schmidt e di Lanterman. Peraltro aggiungo subito che se in fibre trattate con liquido di Flemming è, come ho detto di sopra, facilissimo di rilevare che ogni imbuto corrisponde ad un’ incisura, al contrario nelle fibre nervose trattate col metodo Golgi ciò è assai difticile. Perchè mentre da un lato nelle fibre nervose fissate colla miscela osmio- bicromica le incisure sono ordinariamente assai strette, dall’altro i fili che costituiscono gli imbuti del Golgi, per la riduzione dell'argento su di loro acquistano una grossezza tale che alcune volte occupano completamente l’incisura e la mascherano (fig. 1, 2). Per questo non di rado a livello di certi imbuti non può accertarsi l’esistenza dell’incisura altro che con una buona obbiet- tiva ad immersione omogenea; e nei preparati coll’iposolfito di sodio quando vanno scolorandosi si vedono farsi manifestissime alcune incisure prima affatto nascoste. E per lo stesso motivo, quando la riduzione dell’argento non è estesa a tutti i giri di un imbuto, ma è limitata soltanto ad un certo numero di questi, l’incisura può non esser visibile altro che in corrispondenza della parte di imbuto rimasta incolora (fig. 1), sebbene anche in questa parte a volte non sia rilevabile altro che a fortissimi ingrandi- menti, in modo che non essendo premuniti, per antecedenti osser- vazioni fatte con altri metodi, sulla costante corrispondenza delle spirali colle incisure, nulla è più facile che considerare tali im- magini, o quali manifestazioni di manichetti cilindrici, come fa il Ceci, o quali anelli situati nel corpo dei segmenti cilindro- conici, come fanno il Golgi ed il Mondino. Facile, ma non giusto, perchè certamente i fili spirali sono sempre disposti ad imbuto e corrispondono sempre ad un’inci- sura, sia che essi la determinino da sè soli, sia che la incisura dipenda anche da altre particolarità di struttura e gli imbuti abbiano l’ufticio di rinforzarla od altro. La quale corrispondenza fra incisure ed imbuti striati non manca nemmeno quando questi in un certo numero o si seguono immediatamente od entrano per breve tratto l'uno nell’altro. Solo la maggior vicinanza degli imbuti e la loro parziale invaginazione è in rapporto colla esistenza di segmenti cilindroconici brevissimi (fig. 3) o aventi quella speciale disposizione segnalata per primo SULL’APPARECCHIO DI SOSTEGNO DELLA MIELINA 373 dal Boll (1) e consistente in ciò che gli estremi dei segmenti midollari, invece di essere foggiati e disposti al solito modo, sono invece, l'uno fornito di una scanalatura circolare, e l’altro appun- tito in modo che si ingranano insieme, ed in sezione ottica la relativa incisura apparisce come una V. Ad ogni modo l’esistenza di un certo numero di imbuti vicini gli uni agli altri è quasi limitata in corrispondenza de’ nuclei proprii della fibra nervosa (fig. 3), di raro si riscontra in altri punti (fig. 7), ed in generale è assai più rara di quella di im- buti più o meno lontani gli uni dagli altri. Il quale fatto se non si può accertarlo coi soli preparati all’argento, perchè attesa la nota instabilità delle reazioni di questo metallo, là dove gli imbuti sono separati da intervalli più o meno lunghi è permesso di dubitare che altri ne esistano non visibili perchè rimasti incolori, è invece manifestissimo ed indubitabile nei preparati ottenuti col liquido del Flemming, il quale nelle fibre nervose opportunamente fissate, mettendo in evidenza tutti gli imbuti che vi esistono e nello stesso tempo rendendo ben manifeste le incisure di Schmidt e Lanterman permette di asserire in modo reciso che vi ha una stretta corrispondenza fra la vicinanza e la forma delle incisure, la vicinanza e i reciproci rapporti degli imbuti. Rispetto al restante apparecchio di sostegno della mielina, esso nelle fibre nervose trattate col liquido del Flemming non apparisce facilmente altro che in quelle fibre che hanno assunto un colore solo leggiermente bruno: nelle altre o non apparisce affatto o non si può rilevarlo altro che valendosi di buone ob- biettive ad immersione, Ad ogni modo in un certo numero di fibre nervose, sia dilacerate, sia meglio ancora vedute in sezione longitudinale, il liquido del Flemming rende appariscente insieme colle spirali anche un’altra disposizione dello stroma della guaina midollare, corrispondente a quella da me già descritta in sezioni trasverse di fibre fissate con bicromato di ammoniaca. La disposizione di cui discorro è data da tanti fili o baston- cini un poco più grossi dei fili spirali, omogenei e splendenti, che dalla periferia della fibra vanno con una leggiera obbliquità sino al cilindrasse, disposti in modo gli uni rispetto agli altri ‘da costituire coi loro incrociamenti una trama a maglie polie- driche regolarissime (fig. 7). (1) F. Bock, R Accad. dei Lincei 1875. 374 GIUSEPPINA CATTANI DI Questa trama è visibile in tutta la lunghezza dei singoli segmenti cilindroconici, così nel corpo come negli estremi (dei quali segue l’assottigliamento senza nulla mutare della sua strut- tura e regolarità), dove si accompagna agli imbuti striati (fig. 7). Immagini eguali a quelle ora descritte ho ottenute in fibre nervose trattate col metodo del (rolgi, poi per alcuni giorni la- sciate in essenza di trementina: potendo così vedere, nel modo più chiaro, insieme cogli imbuti limitati alle incisure, la restante trama di sostegno della mielina estesa per tutta la lunghezza dei singoli segmenti cilindroconici (fig. 4). Di più in fibre nervose trattate prima col metodo del Golgi, poi coll’iposolfito di sodio ed il cloruro d’oro, ho ottenuta non di rado una bella colorazione della trama più volte ricordata, la quale allora non solo era evidente allato. al cilindrasse colla solita disposizione, ma nelle fibre nervose osservate in superficie appariva spiccatissima anche nelle parti assili, sotto forma di una regolare punteggiatura corrispondente alla sezione ottica dei suoi fili colorati dall’oro. Per ultimo anche nelle fibre nervose trattate prima con bi- cromato ed acido osmico poi con trementina, ho avuta una con- ferma della disposizione da me sopra descritta nella trama di sostegno della mielina. E ciò tanto in dilacerazioni quanto in sezioni longitudinali e trasverse. Nelle quali ultime si hanno immagini del tutto corrispondenti a quelle che si hanno nei tagli trasversi di fibre nervose trattate con bicromato d’am- moniaca.. Cioè tanto nelle une quanto nelle altre sezioni trasverse si vede che i fili i quali costituiscono la trama della guaina mi- dollare per un estremo sono attaccati ad una membranella sot- tilissima che sta subito all’indentro della guaina di Schwann (perimielinica), e per l’altro estremo ad un’altra membranella, parimente sottile che riveste il cilindrasse (periassile) (fig. 10, 11 A). Si vede inoltre che questi fili, assai vicini gli uni agli altri, un poco obliqui alla superficie e alla direzione del cilin- drasse, ma nell’insieme quelli di uno stesso piano, paralleli gli uni agli altri, sono disposti in modo da formare tanti cerchi successivi, ognuno dei quali consta di fili che hanno, rispetto alla superficie e alla direzione del cilindrasse, un’obbliquità op- posta a quella dei fili del cerchio sovra e sottoposto (fig. 10, 11 A). Il che apparisce dal fatto che mentre in un deter- SULL'’APPARECCHIO DI SOSTEGNO DELLA MIELINA 975 minato piano focale si vede tutto quanto un cerchio di raggi attorno al cilindrasse, del cerchio vicino non se ne vedono altro che gli estremi, o poco più (fig. 10, 11), incrociati con quelli dei fili del cerchio bene in fuoco, e quando si muova il piano focale i fili dei varii cerchii vicini, messi alternativamente in fuoco, danno l'apparenza come dei raggi di una ruota che girino in senso opposto. I fatti che ho adesso descritto si rinvengono in tutte le sezioni di fibre ben conservate, comprese quelle in cui esistono oltre alla trama a bastoncini anche le linee circolari rappresen- tanti le spirali del Golgi (fig. 10 B, C; 11 5, C, D, E). Solo che in queste ultime sezioni, quando allato al filo spirale esiste un sottile spazio chiaro, la trama a bastoncini apparisce inter- rotta in corrispondenza di questo (fig. 11 5, C, D), da un lato finendo al filo spirale, dall'altro al confine dello spazio chiaro con un contorno abbastanza netto. Tenendo conto della costante regolarità e perfetta corrispon- denza delle immagini su descritte, e considerando che esse non possono rilevarsi altro che dopo l’uso di sostanze generalmente riconosciute come ottimi mezzi di fissazione, e solo nelle fibre che sono meglio fissate (cioè in quelle degli strati più superficiali di ogni fascio nervoso), e che di più tali immagini coesistono sempre con quelle degli imbuti striati, indubbiamente preformati perchè visibili anche a fresco, si deve concludere che nelle fibre nervose periferiche oltre agli imbuti limitati in corrispondenza delle in- cisure, esiste per tutta la lunghezza dei singoli segmenti midol- lari una trama costituita da tanti fili, i quali dalla guaina perimielinica vanno alla guaina periassile, diretti obbliquamente alla superficie e all’asse longitudinale del cilinder-axis ed incro- ciantisi gli uni cogli altri. E questa trama evidentemente corrisponde al reticolo descritto dal Tizzoni, salvo le differenze di forma relative al metodo adoperato dal suddetto autore, col quale, come del resto col massimo numero degli ordinari reattivi, le maglie della trama di sostegno della mielina si allungano, si allargano, ed in parte vengono ad essere distrutte, sia per alterazioni proprie dei fili che la compongono, sia per deformazioni del cilindrasse e della mielina. ]l che avviene anche coi migliori mezzi di fissazione in quelle fibre nervose che essendo meno superficiali non sono ab- bastanza presto compenetrate dal liquido fissatore. 376 GIUSEPPINA CATTANI Rispetto alle due guaine periassile e perimielinica, alle quali si fissano gli imbuti striati e la trama a bastoncini, poco posso aggiungere con queste mie ultime ricerche a quanto su tal pro- posito ho già esposto in due miei antecedenti lavori (1). Infatti coi vari metodi più volte ricordati. ho veduto queste due guaine ora incolore, ora colorate (argento, oro), tanto in sezione ottica quanto in sezioni trasverse e longitudinali, e così ho potuto confermare pienamente la loro esistenza ed il fatto, ammesso già dal Mondino (2) e da me, che mentre la periassile è continua per tutta la lunghezza del cilindrasse, invece la peri- mielinica è interrotta in corrispondenza degli strozzamenti del Ranvier. Di più tanto in dilacerazioni dopo il trattamento doppio coll’argento e coll’oro, quanto col bicromato e l'acido osmico in sezioni longitudinali bene orientate rispetto alla direzione delle fibre nervose e comprendenti il piano massimo di queste, ho potuto vedere con tutta chiarezza che il cilindrasse, il quale negli estremi dei segmenti interanulari è compresso e ristretto dalla guaina midollare che vi si addossa, in corrispondenza proprio dello strozzamento della fibra nervosa presenta un leggiero rigonfia- mento rivestito dalla guaina periassile (fig. 8), la quale arriva sino a toccare l’anello della guaina di Schwann e manifestamente vi si fissa. Questo attacco della guaina periassile alla guaina di Schwann (il quale per altro deve essere molto debole poichè tanto spesso viene ad esser rotto) può vedersi nello stesso modo anche quando la fibra nervosa è osservata, o in sezione ottica o in sezione lon- gitudinale, non nel suo piano massimo, ma in un piano super- ficiale in modo che il rigonfiamento del cilindrasse non appare (fig. 9). E deve essere stato appunto il fatto dell’attacco della guaina periassile all’anello della guaina di Schwann che ha indotto il Boveri (come risulta da recente comunicazione del Kupffer (3) ), ad ammettere che la guaina di Schwann negli strozzamenti del Ranvier si rifletta sul cilindrasse e vada a rivestirlo, compor- tandosi per ogni segmento interanulare come un sacco sieroso. La diversa grossezza delle due guaine e l’essere i loro con- torni nell'anello del Ranvier accosti sì, ma non fusi, avrebbe (Mala. o. (2), e. (3) Sttzungberichte der Gesell. f. Physich. Morpho. in Munchen. SULL’APPARECCHIO DI SOSTEGNO DELLA MIELINA 977 potuto ritrarre il suddetto osservatore da simile interpretazione. Per parte mia debbo completamente rigettarla, anche tenendo conto del fatto che la guaina di Schwann e la guaina periassile probabilmente hanno una costituzione chimica diversa, poichè questa riduce l’argento con molta facilità e quella o mai o quasi mai. Accennerò qui di passaggio (come conferma all’opinione di moltissimi istologi) che negli stessi preparati nei quali ho rilevato l'attacco della guaina periassile all’anello della guaina di Schwann, come pure col liquido del Flemming e qualche volta colla mi- scela osmio-bicromica più il nitrato d’argento, ho potuto vedere distintissimamente la struttura fibrillare del cilindrasse, tanto in sezione ottica (in quella parte del cilindrasse che resta allo sco- perto dalla guaina midollare negli strozzamenti del Ranvier), quanto in sezioni longitudinali e trasverse. Nelle sezioni longitudinali si vede assai bene che le fibrille componenti il cilindrasse si avvicinano e si allontanano fra di loro, a seconda che il cilindrasse è ristretto negli estremi dei segmenti interanulari, od è espanso in corrispondenza dell'anello del Ranvier, nel quale ultimo punto la sostanza che sta fra le varie fibrille spesso si colora coll’argento e coll’oro in modo più o meno intenso ed esteso, dando luogo a varie immagini che non starò qui a descrivere. Un ultimo punto che molto mi premeva di rischiarare era il modo di comportarsi delle guaine periassile e perimielinica @ livello delle incisure di Schmidt e Lanterman. Ma a tale riguardo non ho potuto stabilire nulla di preciso. Perchè se da una parte mi par certo che la guaina periassile non mandi nessun sepimento attraverso le incisure (quando non si voglia considerare come rappresentanti di questi sepimenti gli imbuti striati del Golgi), rispetto invece alla perimielinica non posso pronunciare un giudizio assoluto. Giacchè nei preparati coll’oro qualche volta mi è parso di vedere che questa mem- brana rivesta tutta la superficie esterna degli estremi sottili dei segmenti midollari, mentre la superficie interna degli estremi larghi sarebbe ricoperta dalla spirale del Golgi, ma con nessuno degli altri metodi non ho potuto avere una conferma abbastanza valida a questa apparenza. Infatti tanto nelle dilacerazioni, quanto nelle sezioni e longitudinali e trasverse, ho sempre veduti gli estremi dei segmenti midollari con un contorno netto anche 378 GIUSEPPINA CATTANI dal lato dell’incisura, ma non ho mai potuto stabilire che questo contorno sia dato da una vera e propria membrana, nè che questa membrana sia un’emanazione della perimielinica. Perciò debbo concludere che nelle incisure non è dimostrata l'esistenza altro che delle spirali del Golgi, pur ritenendo come probabile che oltre di queste qualche altra cosa vi si trovi. E ciò perchè anche ammettendo che normalmente solo i fili spirali esistano nelle incisure e che non vi si abbia una corrispondente interruzione della trama a bastoncini (il che potrebbe benissimo verificarsi stante la disposizione di questa trama), tuttavia mal si comprende perchè questi bastoncini appaiano invece di regola interrotti nelle incisure, e perchè gli imbuti striati rimangano sempre all'esterno di questa interruzione, come se avessero validi attacchi cogli estremi larghi dei segmenti midollari, e nessun rapporto di continuità con gli estremi stretti. Pertanto le conclusioni che scaturiscono dalle ricerche sud- descritte sono le seguenti : 1° L'apparecchio di sostegno della mielina è molto com- plesso: esso consta di due guaine, di imbuti spirali e di una trama a rete. 2° Le due guaine, scoperte dall’ Ewald e dal Kiihne, sono l’una interna che riveste il cilindrasse, l’altra esterna che tappezza la guaina di Schwann. La esterna è interrotta in corrispondenza degli strozzamenti del Ranvier: l’interna è con- tinua per tutta la lunghezza della fibra nervosa e negli stroz- zamenti del Ranvier si attacca all’anello della guaina di Schwann. 3° Gli imbuti spirali, per primo dimostrati e descritti dal Golgi, sono situati in corrispondenza delle incisure di Schmidt e di Lanterman: colla base si inseriscono alla guaina perimielinica, coll’apice a quella periassile. 4° La trama a rete, per primo messa in evidenza dal Tizzoni, è fatta da tanti fili sottili che vanno dalla guaina pe- rimielinica a quella periassile, disposti in modo, sia rispetto alla superficie e alla direzione del cilindrasse, sia rispetto gli uni agli altri, da incrociarsi in vari punti. Questa trama, questa specie di spugna adattatissima ad essere imbevuta dalla mielina, esiste per’ tutta la lunghezza della fibra nervosa, essendo solo interrotta in corrispondenza delle normali interruzioni della guaina midol- lare, cioè negli strozzamenti del Ranvier e nelle incisure di Schmidt e Lanterman. SULL’ APPARECCHIO DI SOSTEGNO DELLA MIELINA 379 Tutte le figure di questa Tavola sono state disegnate col- l’aiuto della camera lucida: le fig. 10 ed 11 coll’ Oc. 4 e coll’im. ad acqua, lettera H di Zeiss: le restanti figure collo stesso oculare e coll’ob. E pure di Zeiss. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Fic. 4. Fibra nervosa trattata colla miscela osmio-bicromica ed » » » » » il nitrato d’argento. Mostra una incompleta colorazione degli imbuti. Le incisure appariscono bene solo dove gli imbuti sono rimasti incolori. 2. Fibra nervosa trattata come la fig. 1, poi con una leg- giera soluzione d’iposolfito di sodio. La colorazione degli imbuti è completa: le incisure non appariscono. 9. Fibra nervosa trattata come la fig. 2. Mostra un certo numero di imbuti, parte seguentisi gli uni agli altri, parte rientranti, in corrispondenza del nucleo della fibra nervosa. Sono visibili le corrispondenti incisure. A. Fibra nervosa trattata come la fig. 1, poi tenuta per alcuni giorni in essenza di trementina. Mostra, in cor- rispondenza delle incisure, gli imbuti parte completa- mente, parte incompletamente coloriti dall’argento, e in tutta la lunghezza dei segmenti cilindroconici la trama di sostegno della mielina. In questa fibra è colorata dall’argento anche la guaina periassile. 5. Sezione longitudinale di fibra nervosa trattata con liquido del Flemming, osservata in glicerina con acqua. Mostra gli imbuti striati in corrispondenza delle incisure un poco allargate. 1 6. Sezione longitudinale come sopra. La striatura trasversa è visibile solo nell’incisura e manca nelle parti assili della fibra. 7. Sezione longitudinale come sopra. Mostra gli imbuti striati in corrispondenza delle incisure, e la trama di sostegno della mielina in tutta la lunghezza dei sin- goli segmenti midollari. 380 GIUSEPPINA CATTANI - SULL’APPARECCHIO DI SOSTEGNO ECC. Fic. 8. Sezione longitudinale di fibra nervosa trattata colla mi- scela osmio-bicromica. Mostra la struttura fibrillare del cilindrasse, il suo rigonfiamento in corrispondenza dello strozzamento della fibra nervosa e l’attacco della guaina periassile all’anello della guaina di Schwann. » 9. Sezione longitudinale come sopra. Mostra gli stessi fatti della figura precedente meno il rigonfiamento del ci- lindrasse in corrispondenza dello strozzamento del Ranvier. » 10. Sezioni trasverse di fibre nervose trattate con bicromato di ammoniaca. A. Mostra la trama di sostegno della mielina, la guaina periassile e la perimielinica alla quale si attaccano i fili che costituiscono essa trama. B. Mostra gli stessi fatti della fig. A, più un giro di spirale. C. Mostra gli stessi fatti della fig. A, più due giri di spirale, l’uno completo e l’altro incompleto. » 44. Sezioni trasverse di fibre nervose trattate colla miscela osmio-bicromica, poi lasciate per alcuni giorni in es- senza di trementina. A. Mostra la trama di sostegno della mielina. B. Mostra la trama di sostegno della mielina ed un giro di spirale situato vicino al cilindrasse ed avente attorno un sottile spazio chiaro. C. Mostra la trama di sostegno della mielina ed un giro di spirale situato alla periferia della fibra. D. Mostra la trama di sostegno della mielina ed un giro di spirale situato a metà circa della guaina mi- dollare. E. Mostra la trama di sostegno della mielina ed un giro di spirale senza spazio chiaro. Tav.VII ssa [11 57 | e. pos pe TE eee LI (> NOAA 381 e —__——_—r—reete—e”E I SULLA AZIONE DELLE SOSTANZE CHE PER MEZZO DEL SISTEMA NERVOSO AUMENTANO 0 DIMINUISCONO LA TEMPERATURA ANIMALE del Dott. UcoLINno Mosso Nel mese di marzo 1885 (Ch. Richet (1) pubblicava nei Comptes Rendus che facendo ad un coniglio una lesione nelle parti anteriori del cervello, succedeva un aumento della tempera- tura dell’animale. In quell’epoca io mi occupava egualmente di ricerche intorno all'influenza che il sistema nervoso esercita sulla temperatura dei muscoli nella contrazione: e studiava l'aumento di calore che si produce nelle emozioni, e sotto l'influenza di alcuni veleni I risultati delle mie ricerche li presentai nel luglio dell’anno scorso per la mia tesi di laurea (2). In questo primo lavoro ho esposto alcuni nuovi fatti che rendono evidente l'influenza del sistema nervoso sulla temperatura animale. Nell'ottobre scorso due altri studenti di medicina dell’Uni- versità di Berlino, Aronsohn e Sachs (3), pubblicarono un lavoro intorno ai rapporti del cervello colla temperatura del corpo e (1) CuarLes Ricaer, Comptes Rendus, 1885, 51 marzo. (2) UcoLino Mosso, Giornale della R. Accademia di Medicina, fascicolo ottobre-novembre-dicembre 1885. (3) Ep. AronsHon und J. Sacus, Archiv fiir die gesammte Physiologie , 1885, pag. 232. 382 UGOLINO MOSSO colla febbre. Essi confermarono i risultati di Richet e sono giunti a dimostrare che l'aumento della temperatura dipende dall’ecci- tamento di elementi nervosi prodotto dalla puntura del cervello. Questi recenti lavori segnano un nuovo indirizzo nello studio dei fenomeni termici dell’organismo; con essi si tenta un'analisi più minuta delle cause da cui dipende il calore animale e questi studi condurranno certo a dei risultati che avranno un'influenza sulla dottrina della febbre. Le mie precedenti ricerche avendo dimostrato che la contra- zione dei muscoli non basta per produrre l’aumento di tempera- tura che si osserva in molte condizioni fisiologiche del nostro organismo, credo di esser riuscito a scemare il valore della dot- trina emessa da Réohrig e Zuntz, secondo la quale (1) la più gran parte del ricambio materiale si compie nei muscoli, e questi sarebbero essenzialmente l'apparato che riscalda il nostro organismo. Non sappiamo ancora in che modo i nervi riescano a produrre una distruzione più attiva delle sostanze che compongono i nostri tessuti; ma è certo che i processi chimici i quali generano del calore sono sotto la loro influenza. I fisiologi che si occupano di questi studi sulla temperatura, cercano, con ragione, di tener bene distinti i fenomeni che sono prodotti da una vera e reale produzione di calore per maggiore attività chimica, dai fenomeni vaso-motori, i quali producono delle variazioni nella temperatura solo perchè aumentano o diminuiscono le perdite di calore che subisce l'organismo. Nelle ricerche di Richet, nelle mie ed in quelle di Aronhson Sachs non trattasi di fenomeni vaso-motori, ma di una reale produzione di calore dovuta all’eccitamento dei nervi. Nelle presenti ricerche mi sono servito dei veleni come mezzo di analisi, invece della vivisezione dei centri nervosi; ed ho cer- cato se per mezzo dei veleni, potevo aumentare o diminuire l’at- tività di quei centri, dai quali dipendono molto prohabilmente i fenomeni termici dell’organismo. | Dopo aver stabilito nel mio precedente lavoro che la stricnina fa aumentare la temperatura del corpo, anche quando l’animale (1) RoeHRIG und Zuntz, P/liiger's Archiv, vol. IV, pag. 90. AZIONE DI VARIE SOSTANZE SUL CALORE ANIMALE 888 è reso immobile per mezzo del curaro, ho voluto analizzare meglio questo fatto. Per spiegare che il curaro permette alla stricnina di elevare la temperatura, senza che vi sia una contrazione dei muscoli, dob- biamo supporre che si verifichi nell'organismo intero, il fatto che ho già osservato nei muscoli staccati delle rane: cioè: che quando noi eccitiamo un nervo, si producono due cose distinte: la contra- zione muscolare e l'aumento di attività dei processi chimici, il quale ultimo continua anche dopo che è cessata da parecchi minuti la contrazione muscolare. Il curaro sarebbe una sostanza che paralizza l’azione motrice dei nervi, ma non l’azione termica, e vedremo che in antago- nismo al curaro vi sono altri veleni che diminui- scono l’azione termica del sistema nervoso, ma non paralizzano l'azione motrice. Quando si amministra l’idrato di cloralio a dosi elevate, non è più possibile produrre un aumento della temperatura con nessuna delle sostanze che l’aumentano nello stato normale; i muscoli possono ancora contrarsi, la respirazione continuare, ma la tempe- ratura si abbassa continuamente. Il Azione delle sostanze che aumentano la temperatura dell'organismo. Fra i rimedi che possono considerarsi come eccitanti dei ‘centri termici deve mettersi primo il cloridrato di cocaina (1). Ad un cane del peso di 9400 gr. preparo la vena safena per iniettare il cloridrato di cocaina, quindi lo cloroformizzo; gli faccio la trapanazione del cranio sulla regione temporale e poi introduco nella breccia a traverso l’emi- sfero cerebrale un termometro Paudin sottile diviso in cinquantesimi di grado. Dopo 6 minuti faccio le seguenti osservazioni sulla temperatura del retto e del cervello, (1) Vedi a questo riguardo i lavori pubblicati da DumkriL, DemaRQuaY, LecointE e i lavori di FaLk e di RicHer ed altri che si occuparono di questo argomento. 384 a UGOLINO MOSSO Ore | Cervello | Retto | Ore ' Cervello | Retto 10.10 | 370, 12 | 11.13 | 360. 78 | 360.58 > 16| » 12 | 360.70| »15 |] » #8] » 62 » 19 SII >» 72 » 19 » 88 > #0 ni21 bri 44 .©IM0N 321 | »96|'» ‘78 » 23.| 370. a | >» 70] >» 22 | 370.10 | >» 90 » 25 | 360.96 | » 70 0,08 gr. cocaina. > 24! » 24 | » 96 | Si agita > 28 | » 86 >» 64 | 0,04 gr. cocaina. > 30 >» 64 | 370.30 » 31] » 84! >» 64 | 0,04 gr. cocaina. » 35 | 370.40 | 380,— » 35 » 82 » 62 | 0.04 gr. cocaina. » 37 >» 70 » 22 >» 40) >» 82| » 62 | Pupilla dilatata — sa-|| » 39 | 390.02 | » 50 | livazione abbondante. ||, 40 sg di > 43 >» 82 » 62 | 0,08 gr. cocaina; dopo | | cominciano le con- | | È 5 vulsioni. » 46 | 400.04 » 65 | Il cuore batte cele- remente. Continue convulsioni. » 80 > 61. 0,04 gr. cocaina. Cessano le convulsioni. » 80 » 59 | Contrazioni. | > ib obo 478 >:59. | mar lelrord » 59 » DG > 24 > 96 | Salivazione abbon- | dante e respirazione 1 >» 78 » 59 | Immobile. | affannosa. > 3| » 78| > 60|Soloadintervalliqual-[12:— | > 90 | 410.12 | che contrazione. > 6 > 30 3' 2A » 51 » 78] » 58 |0,04 gr. cocaina. |a 10 |> 24» 24 r IRON MO > dD4 | Contrazioni. >» 14 >» 22 >» 24 > doi > 52 Grida. > 20 >, da > 16 >] 78 he |» 28 | 400.98 | 40. 98 | La temperatura andò in | ° . | seguito successivamente diminuendo. Per brevità non riferisco altre esperienze sul cloridrato di co- caina perchè l’azione fisiologica di questa sostanza la tratterò in un lavoro speciale. Basti questo esempio per dimostrare quanto sia considere- vole l’azione termica della cocaina data ad alte dosi (gr. 0,36). In un’ora e sei minuti vi fu un aumento di 4°. 72 pel retto; ed in soli quarantacinque minuti un aumento di 4°. 52 nella temperatura del cervello. Non si può supporre che quest’aumento sia dovuto alla le- sione del cervello, perchè in altre esperienze l'introduzione del termometro nel cervello dopo la trapanazione del cranio pro- dusse sempre un abbassamento della temperatura. Del resto anche qui si vede che prima della cocaina la temperatura era in diminuzione costante, benchè il termometro fosse già messo nel cervello. In questa come in altre esperienze la temperatura mb nn AZIONE DI VARIE SOSTANZE SUL CALORE ANIMALE 385 cominciò ad aumentare dopo mezz’ ora dalla somministrazione della cocaina, e vediamo quanto la sua azione sia fugace perchè dopo 40 minuti l’animale incominciò a raffreddarsi. L'aumento considerevole della temperatura di questa espe- rienza deve esclusivamente attribuirsi all’azione della cocaina. Ho pure fatto delle esperienze colla stricmina, colla tebaina e colla picrotossina le quali diedero dei risultati analoghi; non le riferisco per brevità, bastandomi di essermi con esse convinto di un fatto che era sfuggito agli altri osservatori che fecero delle osservazioni analoghe, questo cioè che l'aumento della tempera- tura non è in rapporto intimo ed in stretta dipendenza colle contrazioni muscolari e le convulsioni. Le convulsioni non sono sempre seguite da un aumento di temperatura. Prima di negare ai muscoli la grande importanza che loro si dà come focolai della temperatura animale, ho voluto assi- curarmi se le misure della temperatura fatte nel retto erano suf- ficienti per conoscere la temperatura dell'organismo. A tale scopo” in quasi tutte le mie esperienze misuravo la temperatura del sangue in vicinanza del cuore e nel retto ed in alcuni cani feci la trapanazione del cranio per prendere anche la temperatura del cervello. I miei termometri Baudin erano paragonati fra di loro e ca- paci di dare l’esattezza nei centesimi di grado. Le osservazioni fatte contemporaneamente nel cervello, nel retto e nell’ orec- chietta destra dimostrarono che il sangue il quale veniva dalle estremità non era punto più caldo del cervello e del retto; anzi durante le contrazioni dei muscoli e le convulsioni prolungate constatai sempre una diminuzione della temperatura del sangue nell’orecchietta destra. Questo fatto ripetutosi costantemente nelle mie osservazioni basterebbe già ad infirmare la dottrina che l'aumento della tem- peratura sia dovuto alla contrazione dei muscoli. Nelle osservazioni che ho fatte colle sostanze convulsivanti 386 UGOLINO MOSSO misurando la temperatura del sangue nella vena giugulare, ho veduto molte volte: 1° Che l’ aumento della temperatura si manifestava già prima delle convulsioni. 2° Che durante le convulsioni la temperatura del sangue nell’orecchietta destra può abbassarsi. 5° Che quando esiste un aumento questo continua anche dopo che le convulsioni sono cessate da lungo tempo. Riferisco alcuni esempi come prova di queste affermazioni. Ad un cane del peso di 4760 gr, introduco un termometro nella giugu- lare fin presso il cuore e gli amministro 2 grammi di laudano nella safena alle ore 5.5. Temp. | Temp. Ore giugulare Ore giugulare 5. 15 | 360.— | 5. 42 850.05 » 20! 350,98 >» 45 | 340.95 | Forti convulsioni. >» 26 | > 45 0,04 gr. cocaina. >» 47 > 90 > 28] >» 40| Fortissimo tetano con scosse > 48 | >» 90 | Sempre forti convulsioni. , 99 Et violona. | > 52] » 80] 0,04 gr. cocaina. I N | » 55 | » $0| Convulsioni tetaniche. >» 34| » 22 | Convalsioni tetaniche. || cia 2998; tax» 190 » 36) » 150,04 gr. cocaina. » 38 > 2410 Da questa esperienza si vede che vi fu un abbassamento di 0°.70, in soli 30' dopo che cominciarono le convulsioni. , p Probabilmente il laudano come il cloralio agisce paralizzando l’azione termica del sistema nervoso senza agire con eguale in- tensità sull’azione motrice. Io non saprei spiegare in altro modo il risultato di questa esperienza, dove si vede cle la cocaima produce ancora delle convulsioni, ma non più l'aumento di tem- peratura che certo essa avrebbe prodotto se non fosse preceduta l'iniezione del laudano. Un cane col midollo tagliato sopra l’ atlante ed a cui si praticava la respirazione artificiale, dopo la somministrazione di piccole dosi di stricnina ha avuto dei fortissimi accessi tetanici con opistotono e pleurostotono durante i quali si osservò una notevole diminuzione della temperatura; ecco un esempio: Ad un cane del peso di 10350 grammi preparo la vena safena e la giu- gulare e dalle 9 ant. alle 2 pomeridiane inietto 54 centimetri cubici di lau- ii a AZIONE DI VARIE SOSTANZE SUL CALORE ANIMALE 387 dano. La temperatura del cane in questo frattempo diminuì da 389.80 a 350.60. Lasciato libero esso va ad accovacciarsi in un angolo della stanza. Ripresa l’esperienza alle 3.23, la temperatura è di 309.50. Taglio il midollo sopra l’atlante e faccio la respirazione artificiale. Ecco come si comportò in seguito la temperatura: Temperatura giugulare 4. 28 350, 65 >» 37 » 42 >» 41 » 25 » 42 » 5 0,005 gr. di solfato di stricnina per iniezione sottocutanea. >» 43 350, — > 44 340, 95 >» 41 » 8S0 Toccato sulla schiena succede un tetano prolungato. > 49 >» 68 Ha delle contrazioni così forti che lo incurvano sul lato sinistro e sul destro. » 50 » 65 Tetano fortissimo dei muscoli del dorso. Continue contrazioni. » 052 » 60 0,005 gr. stricnina. »' ‘(53 >» 60 Sono così esagerati i riflessi che appena toccato per tastare il polso subito si agita convulsivamente. 5. — » 45 » » 35 L'’eccitabilità si esaurisce subito. Questa esperienza ci obbliga a fare alcune considerazioni: Noi vediamo che dopo il taglio del midollo allungato la tem- peratura si abbassa di 0°. 85 in venti minuti, mentre l’animale è immobile; e dopo nei venti minuti successivi sotto l'influenza della stricnina, benchè vi esistano delle forti contrazioni tetaniche persistenti, la temperatura si abbassa solo di 0°. 60. Dunque non sono le contrazioni che bastino ad aumentare la temperatura del corpo. Si potrebbe credere che il taglio del midollo abbia sottratto una grande parte del corpo all'influenza dei centri termici: ed inferirne che questi si trovino solamente nel cervello e non nel midollo. Vedremo però nell’ultimo paragrafo che anche col mi- dollo tagliato si può in un cane per mezzo della stricnina otte- nere un aumento della temperatura. Probabilmente la dose al- tissima di laudano (54 cc.) iniettato nel sangue di questo animale aveva paralizzati i centri termici del midollo. Atti R. Accad, - Parte Fisica — Vol. XXI. 26 388 UGOLINO MOSSO IV. Esperienze intorno alle sostanze che diminuiscono la temperatura. Intorno a quest’argomento dopo le prime ricerche di Dumèril, Demarquay e Lecointe ne vennero pubblicate altre recentemente, fra cui ricorderò quelle di Mayer che dimostrarono come il pla- tino, il mercurio, il ferro, l’antimonio producono una diminuzione della temperatura: e così pure Griitzner dimostrò che la po- tassa, il zinco, il manganese ed il tallio hanno una simile azione. Fra i rimedi che possono considerarsi come paralizzanti dei centri termici tiene il primo posto il cloralio, come lo dimostra il seguente esempio: Ad un cane di media grandezza scopro la trachea ed introduco nella vena giugulare un termometro Baudin fino in vicinanza del cuore. Alle 2.20 inietto nella vena safena ? grammi di idrato di cloralio ; e cessa il respiro, per cui sono obbligato a fare la respirazione artificiale col soffietto. La pu- pilla è molto ristretta e l’animale insensibile. Solo dopo mezz’ora, alle 2.50, incomincia a far da sè qualche movimento respiratorio. Il cane dopo un’ora si era rimesso e respirava spontaneamente. Temperatura | Temperatura no vena Dre vena giugulare giugulare 2. 20 370. 60 2. 42 360. 20 » 24 » 45 » 4 >» 10 » 26 » 35 >» 50 ” 350. 90 > 28 > 20 >» 58 » 70 >» 30 > nuo » 56 » 50 » 33 360. 90 > 590 » 40 » 36 » 70 » 59 » 35 > 98 >» 65 . . . . In questa esperienza si vede quanto sia potente l’azione del cloralio perchè quantunque il cuore e la circolazione fossero in condizioni discrete, si ebbe una diminuzione della temperatura di 2°. 10 in 36 minuti. Evidentemente questo rapido raffredda- mento è dovuto ad un arresto del potere termico perchè non si tratta qui di una dose mortale. Un cane per due grammi di AZIONE DI VARIE SOSTANZE SUL CALORE ANIMALE 389 idrato di cloralio nelle vene si rimette completamente, e noi abbiamo avuto dei cani che resistettero senza morire a delle dosi molto maggiori. Una dose analoga di curaro, cioè tale da permettere che l’animale si salvi per mezzo della respirazione artificiale, non produce certo una simile diminuzione della temperatura. Anche il laudano ha la proprietà caratteristica di abbassare notevolmente la temperatura quando sia dato a dosi convenienti. V. Differente azione del cloralio e del curaro sulla temperatura animale. Le esperienze dei precedenti paragrafi avevano per scopo di mostrare che fra le varie sostanze che rendono immobile un animale vi è una differenza profondissima per gli effetti che esse producono sulla temperatura dell’organismo. Il curaro che agisce paralizzando i muscoli ha una debole azione sulla temperatura. Ho già osservato che a piccole dosi anzi può aumentarla, e nel mio primo lavoro ho già pubblicato un'osservazione (1) dalla quale si vede che malgrado l’immobilità e la respirazione artifi- ciale la temperatura del retto aumenta. Il cloralio, benchè non agisca sui muscoli, diminuisce molto più fortemente la temperatura del curaro. L'interpretazione più plausibile di questi due fatti è quella di abbandonare l’opinione fino ad ora generalmente seguita che siano i muscoli quelli che essenzialmente producono le variazioni della temperatura nel nostro organismo ed ammettere invece che vi sono delle sostanze le quali, come il cloralio, paralizzano l'azione termica, ed altre, come il curaro a piccole dosi, ché lasciano persistere l’azione termica. Le seguenti esperienze di- mostrano l’attendibilità di questa supposizione. Quando si somministra l’idrato di cloralio a qualunque dose che non sia minima, non è più possibile produrre un aumento (1) Loco citato, pag. 874. 390 UGOLINO MOSSO di temperatura con quelle sostanze che abbiamo veduto prece- dentemente essere capaci di aumentare la temperatura. Ad un cane del peso di 6630 gr. si prepara la giugulare e la safena. Temperatura Temperatura del sangue del sangue de nella De nella giugulare giugulare 10. 25 Spa 1 gr. di cloralio. 12. 8 35°. 40 >» 22 rosa Introduco il termometro >» 14 > 80 Reagisce al dolore. dada Euenlaro dell'on.) >. iall'‘ se 90 Siae 396 380.40 | 0,5 gr. cloralio. > 24 » 14 Grida continuamente. » 30 g80, — > 30 >. 10 Sensibilissimo. » 35] 370.70 |0,5 gr. cloralio. di >» 99 > 55 > 40 950, — Si agita. SR 1) 50 > 44 340, 90 1 gr. cloralio. >» 47 » 20 >». Db 350° — » 53| 360.95 |0,5 gr. cloralio. 16 998 A di 4-5 » 12| 340.95 ; STLC Se 34322 » 83 0,12 gr. cocaina. >» 12 » 32 1 gr. cloralio. » 35 »_70 ST >» 40 >» 483 » 50 » 23 » 30 3 2. IbI » 50 > ‘80 » 20 » 58 » 42 0,08 gr. cocaina. > 42 350. 85 0,1 gr. cocaina. 204 Pr 0 Grida. » 43 » 90 » 10 » 40 1 gr. cloralio. >» 45 See > 12 » 50 Addormentato profonda- et > 80 OT n; mente. 3 52 » 70 » 42 » 05 0,12 gr. cocaina. > 56 2 id >» 45 340, — Respiro superficiale. Cessa 5 il respiro ed il battito 12. — >» 55 | cardiaco è debolissimo. | In questa esperienza si vede che la cocaina anche per gr. 0.42, a dosi refratte, non è stata capace di produrre un aumento o di arrestare l’abbassamento della temperatura dopo circa 5 grammi di cloralio: invece si è prodotto un continuo abbassamento, mal- grado che l’animale fosse completamente sveglio, eccitabilissimo e si agitasse. Per brevità tralascio altri esempi che dimostrano come la tebaina e la picrotossina agiscano analogamente alla cocaina e alla stricnina. Non solo la cocaina, ma anche la stricnina non esercita più alcuna influenza sulla temperatura dopo l’amministrazione di forti dosi di cloralio, quantunque la eccitabilità riflessa sia con- servata e l’animale continui a muoversi. Pe n AZIONE DI VARIE SOSTANZE SUL CALORE ANIMALE 391 Ad un cane del peso di 8370 gr. faccio la tracheotomia, preparo la giu- gulare e la safena. Ore |Giugulare| Retto | Ore |Giugulare| Retto 2.45 dl tt | dgr: scloralio: 2.23 | 350.45 | 360.55 3.03 | 370.40 | in: 1 gr. cloralio. >» 29) 3» 20] » 35| 0,002 gr. stricnina. FAT » 23 380.25 | 1gr.cloralio. Immo- || » 30 > 20) > 95 | bile, insensibile. »32| >» 20 > 30 » 12 » 15 | (A | . "143 . te » 35 | » 10| » 15 | Eccitabilità riflessa » 15) 360.95 | » 15 | 0,10 gr. cocaina. Re- | aumentata. | spiro più frequente. || , 37 a5gl dl: Tag » 42| 340,90 | 850.95 | 0,005 er. stricnina. 5 1 gr. cloralio. | » 48 » 80| >» 90 | Eccitabilità riflessa » 27| 360.95 | 370.95 aumentata. Appena | | toccato entra in »,81 Mati 0080 . tetano. Il sangue » 35 >» 70) » 70) 0,10gr. cocaina. Du- cola dalle ferite. | rante la sommini- DOO st 78 > 82 | | strazione si arresta » 53 » 78 » 80 il respiro momen- i taneamente. » 57 n (1) » 70 | 0,002 gr. stricnina, » 39 SUE SENI sensibile al dolore. dol 3 20 io is >» 45 ME >» 30 5.03 >» 60.1 > 65 È n e) » 6 cea » 60 | Provocno delle con- è 52 >» 15 3a bo | Insensibile. PORRO RS ARR A) > 10] » 10] ma la temperatura diminuisce. » 58 | 860. — | 370.04 > 12 >» 50 JMLE 2 2) 350.85 | 360.95 | 0,10 gr. cocaina. 6 o ili it a » 20 » DD >» 40 | Ha delle contrazioni >» 8 nRard0! |» £ (82 spontanee. > 12 >» 65] » 75 | 1 gr. cloralio. » 26 >» 45| » 30 >» 15 PRG 70 >» 49 | 330.95 | 340.99 Ho già dimostrato nel mio primo lavoro che la stricnina fa aumentare la temperatura dell’organismo negli animali a sangue freddo ed a sangue caldo, quando questi sono incapaci a muoversi per la precedente azione del curaro. Per questo riguardo rimando il lettore alla mia prima memoria. Debbo però aggiungere per coloro che ripetessero simili esperienze, che non sempre per azione della stricnina si osserva un aumento della temperatura dopo il curaro. Due sono le cause che possono rendere negativi i risultati dell’esperienza, cioè: se si dà una dose troppo grande di curaro si paralizzano pure i centri termici: e se si dà una dose troppo grande di stricnina si ottiene il medesimo effetto. Si sapeva già del resto per le ricerche di Paul Bongers (1) che la stricnina ha un’azione paralizzante come il curaro. (1) Paur Boncers, Archiv fur Physiologie, Du Bois Revmonp, 1884, p. 336. 392 UGOLINO MOSSO Nelle rane riesce assai più facilmente questa esperienza: Ne paralizzavo tre o quattro per mezzo del curaro e le mettevo sotto una piccola campana in modo che col loro corpo coprissero il bulbo di un termometro calorimetrico diviso in cinquantesimi di grado (1). Veduta l’azione del curaro sulla temperatura delle rane, iniettavo circa 0,00018 di solfato di stricnina nell’addome di ciascuna rana con un lungo ago dello schizzetto di Pravaz; poco dopo si produceva un aumento di temperatura senza che vi esistesse una contrazione dei muscoli. Nei cani riesce meno facilmente questa esperienza; perchè è difficile amministrare la stricnina nelle dosi volute per ottenere un aumento di temperatura nell’animale sano; ma mì è spesso riu- scito in una lunga serie di esperienze di ottenere quel giusto grado di immobilità per curaro che paralizza i muscoli senza ledere i centri termici; ed iniettando dopo la stricnina a piccole dosi, potei osservare considerevoli aumenti di temperatura, senza che l’animale facesse il più piccolo movimento, come lo prova il se- guente esempio : Ad un cane del peso di 13400 gr. faccio la tracheotomia, preparo la vena giugulare e la safena. ge GE Temper. | RL SE Temper. ella della sf giugulare robiala a giugulare rettale 2.58 | 880. 70 3 58 | 380.65 | 390, 40 Bo eo 60 4 02 » 75 » 50 | Sempre immobile. » 10 >» 50 » 04 > 80 DEDE > 4 | >» (45 » 06 | » 85| » 56 | Polso 16621 minuto. >» 25 | » 80] ....| 0,006 gr. curaro. » 09 | >» 90 » 58 ? » 30 »._ 15 0,006 gr. curaro. » 12 » 85 >» 60 | Polso 160 al minuto. Forti contrazioni. || , 16 | » 85| » 65.| 0,005strienina. Polso » 32 » 20 | 390,10 irregolare e lento. » 396 » 20 > 15 | Respirazione artifi- » 18 » 80 » 50 ciale. Non reagisce dI 3 più al dolore. » 20 ‘ia 89 » » i) > 42| » 10| » 10 | 0,005 gr. stricnina. si De # sulti, la tempera- > 45 » 35 > 20 tura diminuisce. » 26 » 60] » 20 > 48 > 45 » 20 | 0,005 gr. stricnina. (1) Loco citato, pag. 870. > 24 65 » 20 | L'animale ha dei sus- Pr Pe ì AZIONE DI VARIE SOSTANZE SUI CALORE ANIMALE 393 VE Sull’aumento di temperatura che in alcuni avvelenamenti precede la morte. Nelle mie ricerche sull'azione dei veleni ho veduto spesso un fatto che dimostra in modo evidente l’azione del sistema ner- voso sulla temperatura. Si tratta di animali avvelenati colla tebaina, colla picrotossina e coll’acido lattico, nei quali subito dopo l’azione del veleno la temperatura rettale presentò una forte diminuzione e trascorso un certo periodo cominciò ad au- mentare senza causa nota. L'animale non presentò delle convul- sioni e delle contrazioni muscolari esagerate , e ciò nullameno la temperatura crebbe rapidamente e dopo l’animale moriva. Prima di riferire alcune esperienze in proposito che feci sui colombi, accennerò un fatto che dimostra in altro modo egual- mente sicuro l’influenza del sistema nervoso sulla temperatura animale. Ho già fatto conoscere nel mio precedente lavoro il forte au- mento che presenta la temperatura rettale dei cani quando questi si trovano sotto l'influenza di una emozione (1); ho voluto yve- dere se potevo confermare il medesimo fatto per i piccioni. A tale scopo mi bastava di sorprendere questi animali nella piccionaia e fare in modo da misurare quanto più presto mi era possibile la loro temperatura, senza dar tempo all’emozione prodotta dalla mia presenza di aumentare la temperatura del loro corpo. Le osservazioni fatte a questo modo mi diedero le tempe- rature più basse che io abbia osservato in questi uccelli: nei mesi di marzo ed aprile esse oscillavano fra i 40° ed i 40°,50. Dopo avere sorpreso un colombo nello stato di profonda tran- quillità basta tenerlo fra le mani per vedere che la sua tem- peratura aumenta in circa 15 minuti di oltre mezzo grado, e questo succede anche se l’animale è tenuto in modo che non possa agitare le ali. (1) Loco citato, pag. 877. 394 UGOLINO MOSSO Picrotossina. Alle ore 3.30 prendo nella piccionaia un colombo trigono bigio, subito dopo la temperatura rettale = 40°.40. Portato a basso dopo 17 minuti temperatura = 41°. Quindi senza causa nota la temperatura diminuisce: durante questo periodo ho iniet- tato nei muscoli pettorali per mezzo di uno schizzetto Pravaz in due volte 0,002 di picrotossina. La seguente tabella indica come variò la temperatura. Alle 4.29 incominciò a manîfestarsi un aumento di temperatura senza causa nota e senza che vi esistano convulsioni. L'animale fa alcuni movimenti come se volesse vomitare, sembra più sofferente di prima e vomita. La temperatura in 12 minuti aumentò di 1°.25. Temp. Temp. Ore rettale Ore rettale 3. 30 | 400.40 | Nella piccionaia. | 4 22 | 400.35 > 34 »> 65 | Portato in laboratorio. | > 25 » 30 » 38 » 70 | Lo tengo in mano. il > 27 » 30 > 40 » 80 Id. > 29 » 20 | 0,001 gr. di picrotossina. > 41| >» 90 | Sempre immobile. (a 300 >» 45 > 95 Id. || > 81 >» 45 > 47 | 410.— | Aumentodi 00.60 per emozione. || » 34 » 50 | Fa dei movimenti colla testa. > 55 | 400.90 | Sempre immobile. Î î ai 4 00 >» 90 | > 35 » 75 Tom RE » 90 | 0,001 gr. pierotossina per » 37 | 410.15 | Respirazione affannosa. iniezione intramuscolare. Ml 38 » 30 > 08 » 80 il » 39 » 50 | Muore in un repentino ac- cesso di convulsioni, men- SD Palo tre prima era stato calmo > 14 » 80 || ma in uno stato di males- gti TRE: || sere spiccato. » 20] » 55 | Vomita. PA latta > 21 »...50 ss: Al 4 Tebaina. Su quattro esperienze fatte sui piccioni colla tebaina, os- servai due volte un aumento premortale della temperatura. Ri- ferisco una di queste esperienze. Un colombo monaro aveva alle 2,45 una temperatura di 42°.10, dopo 25 minuti la temperatura rettale era discesa a 400.90; alle 3.10 inietto sotto la AZIONE DI VARIE SOSTANZE SUL CALORE ANIMALE 395 pelle 0,005 gr. di tebaina; le variazioni successive della temperatura sono date nella seguente tabella. LL ree+eéZzÎe=.éem‘+‘àaàeee+eèà..:-<:::*:*<î““&@««««-&“<““=&““<“““‘““““*“ “*““------** ‘————tr[_{{:-;iiiiÙ:‘©6i,GG)G)]A: A A iti 5 0YXyH —-—_-----.--- Temp. Temp. Ore rettale Ore rettale 3. 10 | 400.90 | 0,005 gr. tebaina. 3. 38 | 400.50 | 102 pulsaz. >» ll >» 90 » 39 » 60 >» 12 > 95 | 108 pulsaz. al 1’. >» 40 » 70 2 clb » 85 >» 41 » 95 | Ha unaccesso di convulsioni, ala AR boccheggia, è sofferente. - 18| + 70 ni aa Rn » 20 >» 60 | 90 pulsaz. al 1’. le convulsioni. >» 24 >» 40 » 44 >» 10 SISI » 70 >» 45 >. +20 Ses =" 80 > 46| >» 35 | Muore. >» 31 >» 85 | 132 pulsaz. al 1. » 47 » 42 >» 35 » 80 | 112 pulsaz. al 1’. > 48 » 45 » 36 >» 65 | 0,005 gr. tebaina. > 49 > 50 ST >» 55 | 108 pulsaz. al 1. >» 04 » 50 | È già incominciata la rigi- dità. In questa esperienza l'aumento di temperatura prima di mo- rire è stato di 0°.95 in 22 minuti e l'aumento totale di 1°.10 in 29 minuti. Acido lattico. Ad un cane di media grandezza si iniettano quattro grammi di acido lattico sciolto in 50 grammi di acqua nella cavità addominale: in tutto .il giorno non presenta alcun fenomeno no- tevole tranne le orine rosse contenenti metaemoglobina, vomito, inappetenza. Nel giorno successivo l’animale è abbattuto. Tem- peratura rettale = 35°.3. Polso = 120, Resp. 20 al 1'. L'ani- male è però abbastanza in forza da reggersi sulle gambe e pas- seggia pel Laboratorio: ore 1,25 pom. temperatura = 33.35, Polso 106, Respiro 14: pupilla normale, estremità insensibili alla pressione. Alle ore 2,35 dopo che esso è rimasto da circa un’ ora completamente immobile disteso sul pavimento trovo con sor- presa che la temperatura è cresciuta a 37°.50, polso 120, re- spiro 8. Vi fu dunque un aumento di più di 4 gradi in quasi un'ora; e questo grande sviluppo di calore ebbe luogo sotto i miei occhi mentre l’animale era perfettamente immobile. Il ter- mometro era ancora nel retto quando l’animale ebbe un accesso 396 UGOLINO MOSSO di convulsioni; i muscoli delle estremità si contrassero così forte che le zampe divennero rigide e si conservarono in tale stato per quasi un minuto , la testa si piegò fortemente all'indietro , ed il respiro cessò per alcuni momenti, poi riprese ed i muscoli si rilasciarono. Vi furono due altri accessi e dopo il respiro cessò completamente. Alle ore 2.42 latemperatura = 37°.90 ed il cuore cessava di battere. Negli ultimi minuti che visse osservai una forte differenza nella dilatazione delle due pupille; una rimase quasi normale e l'altra si dilatò ampiamente. Questo fatto accenna ad un di- sturbo nelle funzioni dei centri nervosi. L'aumento di 0°.4 che si osservò durante le convulsioni non devesi mettere unicamente a carico della contrazione muscolare perchè una parte notevole di quest'aumento dipende pure dall’asfissia. In un altro cane del peso di 20 chilog. avvelenato coll’acido lattico nei 7 minuti che precedettero la morte vi fu un aumento di mezzo grado da 41°2 a 41°.7. . L'elevazione della temperatura che precede la. morte è così grande in queste esperienze che dobbiamo escludere si ‘tratti semplicemente di una diminuzione della perdita periferica di calore per la circolazione meno attiva alla superficie del corpo. È probabile che a quest’aumento premortale della tempera- tura non sia del tutto estraneo il rallentamento del respiro, che per mezzo dell'acido carbonico eccita i centri nervosi; ma anche ammessa questa spiegazione resterebbe dalle mie esperienze egual- mente dimostrato che i centri nervosi possono indipendentemente dalle contrazioni dei muscoli produrre un forte aumento della temperatura prima della morte. VII. Sull’azione dei veleni negli animali che hanno il midollo tagliato. Dopo di essermi convinto, per le precedenti esperienze, che vi sono delle sostanze le quali agiscono sul potere termico del sistema nervoso, ed altre che non hanno eguale influenza, ho voluto ricer- care se i centri di questa attività si trovano esclusivamente nel cervello, o se pure siano sparsi anche nella sostanza nervosa del mi- AZIONE DI VARIE SOSTANZE SUL CALORE ANIMALE 397 dollo spinale. A tale scopo bastava tagliare il midollo spinale dopo aver scoperto la membrana atlanto- occipitale e vedere come si comportava la temperatura dopo la somministrazione della stricnina. Temperatura Esperienze Ore retto |giugulare TI. 19 330.35 | 320. 60 » 20 >» 30 » 50 Convulsione spontanea. » 25 » 20 » 40 Forte tetano. » 28 » 05 » 45 Eccitabilità riflessa aumentata. » 32 ph LAS » 20 Tetano spontaneo generale. » 33 310. 80 » 34 >» 50 » 87 ito » 60 Cessate le convulsioni generali, la temperatura aumenta. » 898 32. 25 70 » 40 920, — > 43 CEISRL > 15 Alcune contrazioni isolate. Toccandolo si provocano contrazioni tetaniche. > 44 32. — » 25 » 50 320.80 | 310. 80 In questa esperienza si osserva che durante il tetano e le convulsioni la temperatura della giugulare di un cane col midollo tagliato sopra l’ atlante, diminuisce di 1°.10 nello spazio di 15 minuti; e che quando sono cessate le contrazioni generali la temperatura aumentò di 0°.65 in 10 minuti. In base a questa ed altre esperienze si può ammettere che esistano dei centri termici anche nel midollo spinale. 898 GIUSEPPE BASSO SULLA LEGGE DI RIPARTIZIONE DELL'INTENSITÀ LUMINOSA FRA I RAGGI BIRIERATTI DA LAMINE CRISTALLINE del Socio Prof. G. Basso Nel capitolo terzo della celebre sua Memoria Sulla teoria della doppia rifrazione (*) Malus presentò la nota legge del coseno quadrato, la quale può enunciarsi nel modo seguente. Quando un raggio di luce naturale cade normalmente sopra una faccia di un cristallo di calcite e ne esce da una seconda faccia parallela alla prima, i due raggi emergenti, l’ordinario e lo straor- dinario, hanno la medesima intensità; ma se il raggio incidente è totalmente polarizzato in un piano facente l’angolo & colla sezione principale dalla lamina cristallina, le intensità dei due raggi uscenti stanno fra di loro nel rapporto di cos°6 a sen*0. Non pare che a questa legge Malus sia stato condotto da considerazioni teoriche; è invece probabile che egli l'abbia accolta per vera, per la ragione che essa interpreta nel modo più sem- plice i fatti da lui osservati direttamente per il caso in cui 0 è nullo, o retto, o semiretto, e soddisfa ad un tempo la condizione che la somma delle intensità dei due raggi birifratti è sempre eguale all'intensità della luce penetrata nel cristallo. Verso il 1830 F. Arago (**) intraprese una serie di accurate (*) Théorie de la double réfraction, par M. MaLus; Mémoire couronné dans la séance publique de l’Institut du 2 Janvier 1810. (**) Euvres complètes de F. ARAGO (Mémoires scientifiques), tom, 1. - SULLA LEGGE DI RIPARTIZIONE DELL'INTENSITÀ LUMINOSA 399 esperienze per sottoporre alla verificazione sperimentale la legge di Malus. Applicando un procedimento fotometrico indipendente dai fenomeni di polarizzazione, egli incominciò a costruire una tavola delle intensità della luce riflessa sotto varie incidenze da una lamina di vetro; poscia paragenò queste intensità con quelle che, ammessa la legge di Malus, gli erano fornite da luce attra- versante un prisma birifrangente di calcite. Da questo confronto Arago credè di poter inferire che la legge in discorso si trova in pieno accordo coll’esperienza. Per ciò che riguarda l'eguaglianza d’intensità dei due raggi birifratti, provenienti da luce incidente naturale, Laugier e Petit eseguirono, per incarico dello stesso Arago, altri studi adoperando lamine di cristallo di rocca, e trovarono che il rapporto di quelle intensità differiva dall’ unità per meno di un cinquantesimo. Dopo tutte queste ricerche l'esattezza della legge di Malus non fu più per lungo tempo messa in discussione. Arago l’assunse come principio fondamentale del suo noto fotometro, cui egli stesso ed altri applicarono a varie sorta di investigazioni; p. e. allo studio del potere riflettente dei metalli, alia misura dell'intensità luminosa delle stelle, del sole e delle varie regioni del disco so- lare, alla graduazione dei polarimetri, ecc. Più recentemente la stessa legge fu applicata da A. Beer e da 0. Hagen (*) nei loro lavori sull’assorbimento della luce nei cristalli e da Provostaye e Desains (**) nella determinazione del potere emissivo dei corpi incandescenti. Però la questione dell’attendibilità della legge in Ciscorso fu ravvivata dal sig. H. Wild (***) in un lavoro pubblicato nel 1863 sopra delicate ricerche fotometriche da lui eseguite. Facendo uso del fotometro che porta il suo nome il sig. Wild sperimentò sulla luce completamente polarizzata , cui egli faceva, con incidenza normale, attraversare una lamina di spato calcare a facce paral- lele e cercò quale era l'angolo 0 del piano di polarizzazione del raggio incidente colla sezione principale, quando, all’uscita dalla lamina, i due raggi, ordinario e straordinario, presentavano la stessa intensità. Trovò, come valore medio delle sue osservazioni : (*) Annalen der Physik und Chemie; B. 84 and 106. (**) Compt. rend. de l’Acad. de Paris, t. 38. (***) Photometrische Untersuchungen; Annalen der Physik und Chemie; B. 118. 400 GIUSEPPE BASSO 9=44° 36' e non 45°, come dovrebbe essere se la legge di Malus fosse esatta. Questa discrepanza di 24' apparisce abbastanza im- portante, quando si consideri che la delicatezza del procedimento fotometrico adoperato consentiva la determinazione dell’angolo & con un errore non eccedente il mezzo minuto primo. i Inoltre, ricorrendo a luce incidente naturale, mentre secondo: la legge di Malus i due raggi emergenti avrebbero dovuto appa- rire sempre di eguale intensità, ciò non si verificò esattamente; il dott. Simmler, aiuto del prof. Wild, riconobbe che il raggio straordinario è sempre un po’ più intenso dell’ordinario, la qual cosa d’altronde era già stata affermata prima da Haidinger. Lo stesso sig. Wild ha in seguito dimostrato che i risultati sperimentali da lui ottenuti si accordano meglio colla nota teoria di F.-E. Neumann (*). Però questa teoria si fonda essenzialmente sopra due ipotesi che non sono dal maggior numero dei fisici ammesse, perchè in contraddizione coi postulati fondamentali dell’ordinaria teoria meccanica della luce; cioè essa suppone che il piano di polarizzazione per un raggio polarizzato rettilineamerte passi per la direzione del raggio, e contenga le linee di vibrazione, e che l’etere sia egualmente denso in tutti i mezzi, e diversa- mente elastico secondo la varia natura di questi. Io mi propongo nelle pagine seguenti di esaminare teorica- mente la questione del modo con cui si riparte la intensità lumi- nosa fra i due raggi birifratti che attraversano od escono da una lamina di cristallo uniasse; però intendo di battere un’altra via, partendo dal concetto della intensità luminosa, quale scaturisce dalla teoria elettromagnetica della luce. ie Quando si assume, per l’interpretazione dei fenomeni ottici, la ordinaria teoria meccanica elaborata specialmente da Fresnel, l'intensità di un dato fascetto luminoso è rappresentata dalla somma delle forze vive animanti, in un istante qualunque, le par- ticelle eteree contenute in una porzione prismatica del fascetto, la quale abbia per altezza la lunghezza d’onda. Invece nella (*) Theoretische Untersuchung der Gesetze, nach welchen das Licht an der Grenze 2weier wollkommen durchsichtigen Medien reflectirt und gebrochen, wird; Abhandlungen der Akademie der Wissenschaften zu Berlin, 1835, tatti di SULLA LEGGE DI RIPARTIZIONE DELL'INTENSITÀ LUMINOSA 401 teoria elettromagnetica della luce si considera l’energia potenziale elettrodinamica posseduta dal sistema di correnti elettriche che occupa il volume del detto prisma e si deve calcolare il poten- ziale elettrodinamico di tale sistema su se stesso, ricorrendo alla sua espressione generale : —_ If de dy dz (1u+ Gv+ Hu) . Quivi dx, dy, dz sono le proiezioni, secondo gli assi coordi- nati rettangolari, di una corrente elementare qualunque di posi- zione (x, y, 2) per la quale le componenti del flusso elettrico sono %, v, w. (Si sa che il flusso elettrico nella teoria elettro- magnetica della luce corrisponde alla velocità vibratoria o ampli tudine di vibrazione eterea nella teoria fresnelliana). Le Y, G, H sono tre note funzioni così designate da Maxwell (*) dalla cui conoscenza dipende la ceterminazione delle azioni esercitate dal sistema dei flussi elettrici che costituiscono lo stato periodicamente variabile di polarizzazione in un mezzo coibente. Un raggio luminoso, dopo di aver attraversato un mezzo iso- tropo com'è l’aria, cada coll’angolo 7 d'incidenza sopra una faccia di un cristallo birifrangente uniasse e generi così un raggio riflesso e due raggi rifratti, l’ordinario e lo straordinario. Sulla faccia rifrangente prendasi una porzione d’area c piccolissima e la si consideri come base comune di quattro fascetti luminosi, aventi le direzioni dei quattro raggi, incidente, riflesso e due rifratti. Limitando le lunghezze dei fascetti in modo che esse rappresentino le rispettive lunghezze d’onda L, L, L,, L,; ne risultano quattro prismi, per ciascuno dei quali si deve esprimere il potenziale elettrodinamico corrispondente. Si indichino questi potenziali con P, P', P,, P,. In un mio precedente lavoro (**) ho dimostrato che designando con 7’ la durata di ogni perturbazione od oscil- lazione elettrica e ponendo : (aasen (7: — iype=:29n (0) (*) A treatise on electricity and magnetism, by J. CLERK MAxWELL, vol. 2, Chapter XX. (**) Fenomeni di riflessione cristallina interpretati secondo la teoria elettro- magmetica della luce; Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. XX, 1885. 402 GIUSEPPE BASSO le espresssioni dei detti potenziali elettrodinamici si possono pre- sentare sotto la forma: T*ccosì pn Q 4nL T? così pepe ai (o 4AnL i: TP" 008#I05 Psp gee Mar PRE cos di Pal i s 4nL,coso * V, u,. u, sono i flussi elettrici proprii della luce riflessa e della luce ordinaria e della straordinaria rifratte , assumendo come unità il flusso elettrico del raggio incidente; » è V’angolo di ri- frazione ordinaria, % l’angolo che il raggio rifratto straordinario fa colla normale al suo elemento d’onda, e ) è l'angolo che l'onda elementare straordinaria fa colla faccia rifrangente. Il principio della conservazione dell’ energia luminosa sì traduce nella equazione : P=P'+P,+P, , REI ca la quale dice, in altri termini, che la quantità di luce che co- stituisce il raggio incidente si suddivide integralmente nel raggio riflesso e nei due rifratti. Perciò nel caso attuale si ha: cosî cosi Vv? 4 CONTI eee Met GR X CORI utt us E L ee RO GORE) eli l od ancora: giteZieosns. porndsn* osd 1-V°=— —uP+ — —T_°. «af ), 008 ? L, cos? cosw * Di guisa che, essendo eguale all'unità l'intensità del raggio incidente, l’intensità del raggio riflesso sarà V? e le intensità Ar —_—_—_— SULLA LEGGE DI RIPARTIZIONE DELL'INTENSITÀ LUMINOSA 4053 Hg 1; dei due raggi birifratti, ordinario e straordinario, sa- ranno : Jricognallg Ki cosà y ni 6 Jr” Us" TIE x == ire) SI I L,cosicosw * La determinazione delle quantità da cui dipendono i cercati valori di I, e I, esige che si tenga ancora conto del così detto principio di continuità. Nel mio lavoro citato precedentemente (pag. 19 e seg.) ho dimostrato che, quando il piano d'incidenza coincide colla sezione principale del cristallo, questo principio conduce alle tre equa- zioni seguenti: cosi(sené + Vsend)=u,sena | i i fi. 118) tang 2 cos? + Vcosp = — = così— Vceospg=—, tangr dove 4 è l’angolo che la direzione del flusso elettrico pel raggio rifratto straordinario fa colla normale alla faccia rifrangente e d è l'angolo che il piano di polarizzazione del raggio riflesso fa col piano d'incidenza. Hi. Per applicare le nozioni precedenti al problema di cui qui si tratta dobbiamo discendere alle condizioni speciali in cui la legge di Malus venne proposta dal suo autore. Perciò abbiasi un cristallo birifrangente uniasse i cui indici di rifrazione ordinaria e straordinaria siane rispettivamente a - e sì prenda come superficie rifrangente una faccia del cristallo facente l’angolo e coll’asse ottico. Se un raggio d’intensità «no cade normalmente sopra questa faccia, esso penetra nel cristallo dando luogo ad un raggio rifratto ordinario d'intensità Z, pure normale alla faccia stessa e ad un raggio straordinario d’intensità /, che fa colla normale alla faccia un certo angolo . S'intenda costruita nella sezione principale del cristallo e nell'interno di questo l’ellissi che ha per centro il punto d’incidenza e per semiassi @ e d, essendo il primo di questi semiassi diretto secondo l’asse ottico. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXI. 27 404 GIUSEPPE BASSO Condotta parallelamente alla faccia rifrangente la tangente al- V’ellissi, la retta che congiunge il punto di contatto col punto d'incidenza rappresenta, conformemente alla notissima costruzione di Huyghens, il raggio rifratto straordinario. Se ne deduce fa- cilmente la relazione: (0° — a°)tange tango = 5 E G = PT & tang? c + 2° Inoltre, trattandosi qui d'incidenza normale, sarà : Ke ZI, perchè l’elemento d'onda straordinaria è parallelo alla faccia ri- frangente. Chiaminsi a', d' i due semidiametri coniugati dell’ellissi, dei quali il primo giace sulla faccia rifrangente e fa per conseguenza l’angolo s coll’asse ottico ; sia e' l’angolo che collo stesso asse ottico fa il secondo diametro coniugato. Si ricordino le rela- zioni note: Serata Too a? b° n: at h° OI LO TZONA O — Corso UE a°sen*: + b° così: a sen” e' + b° cosìe sen7 ; Il rapporto + è uguale a —— e vale 4 per qualunque in- , sen 7 L. i cidenza: il rapporto —* per qualunque incidenza è uguale a ba 4 sen ) sen è’ e siccome la costruzione: di Huyghens dà: b'senz sen ) —— rr, V14 (0° — a'*) sen? 7 si avrà per l’incidenza normale : SULLA LEGGE DI RIPARTIZIONE DELL'INTENSITÀ LUMINOSA 405 Sostituendo questi valori nell'equazione (2) essa diventa: 7 Us? e e i Za) La direzione del flusso elettrico pel raggio rifratto straordinario forma l'angolo p colla faccia rifrangente; perciò introducendo nella terna di equazioni (3) le condizioni: i=0; UE, se ne ottiene: send + Vsend=%, cosp cos 9 + Vcosy= — U, “ così — Veosg=—+, a ovvero più comodamente: sen 0 + V send = %, Cos f 2a così U, I —T__—_— l 1+a 1 (5) nt Ycosù =— cos È L'equazione (4) e le tre (5) servono ad eliminare la V e la 4 ed a fornirci i valori di «, e di «,. Si ottiene così: 20 cos p u=e|— . POSISEO così Ricorrendo ora alle espressioni generali già ottenute per /, e I, e ponendo anche in esse: i=r=X\=0., O=ZP, Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol XXI, Zio 406 GIUSEPPE BASSO se ne ricava: Rete cos° @ (1+a) dove si è messo per brevità : AM La quantità c sarebbe eguale ad « se fosse: e=_, cioè se la DIA faccia rifrangente fosse normale all'asse ottico; essa va crescendo col diminuire di : e diventa eguale a d per e=0. i I Da ciò che precede vedesi che il rapporto a non è eguale a 2 cos° 9 ro che perciò, per i due raggi birifratti, considerati nel- sen ì' interno del mezzo indefinito, la legge di Malus non è dalla teoria esattamente verificata. Lo sarebbe soltanto nel caso in cui, a motivo del debole potere birifrangente del mezzo , si potesse assumere c come sensibilmente eguale ad «. Vedesi inoltre che l'eguaglianza d'intensità pei due raggi ri- fratti non ha luogo per 9= 45°, bensì si ha quando l’angolo 6, del piano di polarizzazione della luce incidente colla sezione prin- cipale è tale da verifirare la condizione : l4+ec a tango, = ES |/2 z Scendendo al un esempio numerico , prendasi come mezzo birifrangente la calcite, per la quale le migliori determinazioni sperimentali dànno: a=0,6045 , b=0,6742 . La superficie rifrangente sia una delle facce naturali della forma romboedrica fondamentale, per cui si ha: e=45° 2820", SULLA LEGGE DI RIPARTIZIONE DELL'INTENSITÀ LUMINOSA: 407 Dalle formole precedenti si ottiene : o=6°12", d'=0,6486, e quindi 2 fa ,93d9% (4a) Dr ie pese pà (1+0) Si scorge che, per 9—=45°, l'intensità del raggio straordinario supera di circa un centesimo del suo valore quella del raggio ordinario. Per avere l'eguaglianza rigorosa d'’intensità fra i due raggi bisogna che l’azimut 9, di polarizzazione del raggio inci- dente, sia: l g,= 44° 50' 55”. IV. Affinchè i risultati teorici siano meglio suscettibili di con- fronti sperimentali, conviene studiare ancora il fenomeno del- l'uscita dei due raggi birifratti da una seconda faccia del cristallo parallela a quella d’entrata su cui ha luogo l’incidenza normale. I raggi emergenti sono entrambi normali alle facce del cri- stallo; però,. mentre il raggio ordinario trovasi sul prolungamento del raggio incidente, lo straordinario se ne scosta della quantità stango, essendo s lo spessore della lamina cristallina. Il raggio ordinario interno, pel quale si trovò il flusso elet- 2a l4+a un raggio riflesso di flusso v, ed un solo raggio rifratto (l’emer- gente ordinario) di flusso U,. Le direzioni dei tre flussi essendo normali alla sezione principale, il principio di continuità dà luogo all’unica condizione: così, genera alla faccia d'uscita trico v, espresso da: — 1 utvi= 0 > SERA (1), Per altra parte il potenziale elettrodinamico P,, che rap- presenta l'intensità del raggio ordinario interno , si è trovato 408 GIUSEPPE BASSO essere eguale a T°acosi ——_—__ del", 2 Q e trovasi, in modo analogo, che i potenziali elettrodinamici È e E per il raggio riflesso ed il raggio emergente sono rispetti vamente : 2 R È o COS? i 4nL, : T*cos? E= DG: Q 4nL 1 Essendo nel nostro caso : Lp —r=0,. 2 i=Y Fà a l'equazione che esprime la conservazione dell'energia, cioè: PRE qui diventa : u'—v=aU). De (9) Combinando la (6) e la (7) e ricordando l’espressione di «, si ottiene: ila eran asl) ing] Pe Lessa con Fterigigre U __. 4acosì i oo a) Essendo sempre «no l'intensità del primo raggio incidente, indi- chiamo con R,, €, rispettivamente le intensità del raggio rifl esso interno di flusso v, e del raggio ordinario emergente di flusso U, . Si avrà immediatamente : 3 2 RSA SRSEIROIRE 1—- a\° 4a(1— a) R ela sell e) EEE 2 Fia coliaglate Io (1+ a) ca E 4a 16 a E cea 2 — È o Li rai (apatia G SULLA LEGGE DI RIPARTIZIONE DELL'INTENSITÀ LUMINOSA 409 Vedesi che, nello attraversare normalmente una faccia cristallina, tanto nel caso di entrata, come in quello di uscita, un raggio polarizzato nella sezione principale diminuisce d’ intensità in modo che il rapporto fra la sua intensità dopo l’attraversamento e l'intensità che prima aveva trovasi espresso da 4a (1+a)? Risulta pure che, in ogni riflessione interna di un raggio pola- rizzato nella sezione principale, l’intensità del raggio riflesso sta pe 2 a quella del raggio incidente nel rapporto di (; 2) ad uno. + a Il raggio straordinario interno I, giungendo alla faccia di uscita genera un raggio riflesso sotto l'angolo d'incidenza e di riflessione ed un raggio rifratto emergente normale alla faccia. I flussi elettrici, che chiamo %,, v,. U, rispettivamente per il raggio incidente, il riflesso e l'emergente, hanno direzioni giacenti nella sezione principale e si è già trovato: 2 = Boo 2 sen? . ° 14d'cos'o Ù Le proiezioni dei tre flussi sulla faccia di emergenza essendo U, COS fp , Vv COS f ; U, - il principio di continuità si esprime colla semplice relazione: cos p (+ v,)=Ug . ? PIAMB) Chiamando rispettivamente P,, R', E' i potenziali elettrodina- mici relativi ai tre raggi, ricordiamo che si è già ottenuto: dt nen P,= se = cos 0 ? / otteniamo egualmente : a E; agiel die= è Q 4r L, coso sì I : E Laga 410 GIUSEPPE BASSO Quindi il principio della conservazione dell’energia che qui dice : dà luogo alla relazione: 1 DI DI LI og fo db Us: Solar (9) Risolvendo le due equazioni (8) e (9) rispetto a v, e w, e ri- cordando il valore già trovato di x, si ottiene: 20' cos (1— d'cos pre COS feat cos” f) È (14 d' così p)° sen @ 4b' così appalti eg “((14-D°608° 0)° Infine, essendo sempre assunta come unità l'intensità del primitivo raggio incidente e ricordando che: 4c I,= —;sen?0, c=b'cosìp, (14-.0)° si ha per le intensità £,, £, del raggio straordinario riflesso internamente alla faccia d’uscita e del raggio straordinario emer- gente : via Vo; 1 c\? 4e(l—-c) be = eda SETE 20 "ot Pbilcidieosp (175) i (1+ e) i: E' 4 16° E=kx= Veri 3 Spi srl sen" 0 . P (+e) 1+0) Da queste espressioni si scorge che: 1° Un raggio polarizzato normalmente alla sezione prin- cipale si indebolisce nello uscire dalla seconda faccia della lamina cristallina di tanto come si è indebolito nello entrare attraver- sando la prima faccia; cioè, nello attraversare tanto l’una faccia come l’altra, la nuova intensità che assume sta all’intensità che : 4c prima aveva, come -——- sta ad uno ; (14 ce)? 2° Un raggio polarizzato normalmente alla sezione prin- cipale nel riflettersi internamente sopra una delle facce della wr SULLA LEGGE DI RIPARTIZIONE DELL'INTENSITÀ LUMINOSA 411 lamina genera un raggio riflesso, la cui intensità sta a quella - € 2 ) sta ad uno. c Se la lamina cristallina è di calcite ed ha le facce parallele a quelle della forma principale romboedrica, nelle espressioni ora trovate: 1- del rispettivo raggio incidente come 6 basterà sostituire i dati numerici già indicati. Si ottiene a questo modo l’intensità 0,8822 cos° 9 per il raggio ordinario emergente e l’intensità 0,9010sen°& per l’emergente raggio straordinario. L'angolo 9, che il piano di polarizzazione del primo raggio in- cidente deve fare colla sezione principale affinchè i due raggi emergenti abbiano la stessa intensità, è: O=44° 41' 49° - W. L'esame delle intensità dei raggi emergenti da una lamina a facce parallele si può compiere in modo più esatto tenendo conto deli’ influenza esercitata su di esse dai fenomeni di rifles- sione interna. Ed invero, ciascuno dei due raggi emergenti non contiene soltanto la quantità di luce ora calcolata; si deve anche tener conto della luce che, dopo di aver attraversata la lamina, viene internamente riflessa alla faccia d’uscita, poi attraversa la lamina una seconda volta, si riflette alla faccia d’entrata, attra- versa di nuovo la lamina e finalmente , escendo da questa , si aggiunge al raggio emergente. Si ha così un raggio parziale o secondario che ha subìto due riflessioni interne. Allo stesso modo sì aggiungono ancora a ciascun raggio emergente altri raggi par- ziali che hanno subìte nell’interno della lamina 4, 6,.... ri- flessioni. Per ciò, ponendo per brevità : TRE 1— aX} “a i per avere la quantità totale ©, di luce che costituisce il raggio 412 GIUSEPPE BASSO emergente ordinario, bisognerà scrivere : 3 16a° cos'@ 2a & T— E 1 2 A CRI E o ———___—_—_—_— T_—rr—_€< € —— 2 . ò, o(14+m°+ m' + ) (bafi=m i D) Ragionando analogamente per il raggio straordinario e ponendo : si ha per tutta la quantità &, di luce del raggio emergente straordinario : &,=E,(14-n 4+n'+ DE STCA ) 2a —_,=0,8955, 1+a° Sta rap as l+e° L'angolo $, del piano di polarizzazione del raggio incidente colla sezione principale del cristallo , quando i due raggi emergenti sono egualmente intensi, è | G,== 449 42' 38°. Qui non è inutile avvertire che il problema ora risolto , ove venisse trattato colla guida della teoria di Neumann, darebbe luogo ai seguenti risultati. L'intensità della luce emergente ordi- naria sarebbe ancora: Ma l'intensità della luce straordinaria avrebbe invece per espres- sione : ’ 2c L ———- sen è l+ec essendo : e ig sen’ e + d* cos' £ . SULLA LEGGE DI RIPARTIZIONE DELL'INTENSITÀ LUMINCSA 415 Questa quantità c' rappresenta la velocità con cui si trasmette l’onda straordinaria quando la propagazione sì fa in direzione normale alla superficie formante l’angolo = coll’asse ottico. Per la calcite si avrebbe: ci 0.0326 e quindi: D ld ==#09 == ,9976 È LEE Per conseguenza la teoria di Neumann darebbe come angolo 4, dell’azimut di polarizzazione della luce incidente che corrisponde ad intensità eguali dei due raggi emergenti: G,= 44° 48' 19°. Il procedimento seguito in questo lavoro ha condotto al valore 4 che, essendo un po’ minore di 9,, si allontana alquanto più di questo dalla legge di Malus; però questo @, si avvicina più del 6, al valore che risulta dalle determinazioni fotometriche di W ST. z 73 Per ultimo si consideri il caso in cui la luce cadente sulla lamina cristallina non è affatto polarizzata. Se la legge di Malus fosse esatta, i due raggi emergenti dovrebbero contenere sempre eguali quantità di luce; ma questo rigorosamente non è. Per studiare razionalmente ciò che qui avviene, si può, come gene- ralmente si usa, sostituire al raggio incidente naturale un sistema di due raggi eguali polarizzati ad angolo retto. Lo stesso raggio incidente si può pur considerare come costituito da infiniti raggi uguali, riuniti fra loro, d'intensità infinitesima e polarizzati in tutti i piani distribuiti uniformemente intorno alla linea che rappresenta la sua direzione. Conformemente a quest’ultimo corcetto, sia sempre no l’in- tensità del raggio incidente naturale; l'angolo é per uno qua- lunque dei raggi elementari che lo costituiscono, d'intensità dx, può essere espresso Ca 27x, dovendo x assumere poi tutti i valori compresi fra zero ed uno; si indichino con de,, de, le intensità dei due raggi elementari emergenti che derivano dal 414 GIUSEPPE BASSO — SULLA LEGGE DI RIPARTIZIONE ECC. raggio elementare incidente dx. Si avrà: 2 de, = A. dx cos° 2rx 1+ a -daxsen' 2a. DI de,= Quindi, essendo e, , e, le intensità dei due raggi emergenti , si ottiene : 2a . 7) ES - l dx cos 2rx= 1+ 14 (1) 0) 9 PAT 5 e es=— | desen Q2ra= SE +c° 14 e (e) Applicando questi risultati alla lamina di calcite già più volte scelta ad esempio, si trova che, dei due raggi escenti dalla me- desima, l'ordinario ha un'intensità, riferita a quella della luce incidente, espressa dal numero 0,4427, mentre l’intensità del raggio straordinario vale 0,4518, cioè supera quella del primo di circa un cinquantesimo del loro valore. La differenza fra la loro somma e l’intensità del raggio incidente vale 0,1055; questa differenza rappresenta la quantità di luce riflessa alla faccia d’en- trata, sommata con tutte quelle che escono dalla stessa faccia dopo di aver subite riflessioni interne. L’Accademico Segretario A. SOBRERO. Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e. ti "0 tiva sintetica EA ‘Mosso - Sull’azione delle SII che per mezzo del sistema CIBI \voso aumentano O) diminuiscono la temperatura animale ef — Sulla legge di fipiridione dell’ intensità luminosa raggi birifratti pi lamine Tiago) DRS lg ca, ATTI R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE D:F- VI ada n ECONOMATO DÉ) i Tonino?” TL) e Ia Ji y fina. Alea VE IMI RATA 417 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 9 Maggio 1886. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ANGELO GENOCCHI Sono presenti i Soci: GeNoccHI, LEssona, DoRNA, BRUNO, BerRUTI, CurIONI, SiaccI, D’OvipIio, BizzozerRo, FERRARIS, NAc- CARI e Basso, il quale, per incarico del Presidente, tiene le veci del Segretario Accademico SoBRERO , assente per malattia. Vien letto l’atto verbale dell’ adunanza precedente, che è approvato. Il Presidente presenta in dono all'Accademia, in nome dell’au- tore, unitamente al fascicolo del mese di luglio 1885, tomo XVIII del Bollettino di storia e di bibliografia delle Scienze matema- tiche e fisiche, anche un opuscolo del Principe B. BONCOMPAGNI, col titolo: Sur l’Ristoire des Sciences mathematiques et physiques de M. Maximilien MARIE. Il Socio Basso segnala il dono fatto all’ Accademia dal signor Pietro LazERGE, già Presidente della Società di Scienze fisiche e naturali di Tolosa (Francia), di due suoi lavori, uno dei quali intitolato: Du réle de l'eau dans V’univers — Trem- blements de terre; e l’altro: Un meémoire sur quelques points de metereologie. 418 Il Socio BERRUTI presenta a nome del Socio BELLARDI, assente per ragioni di salute, un lavoro di quest’ultimo col ti- tolo : I Molluschi dei terreni terziarii del Piemonte e della Liguria, Parte V — Monografia delle Mitridi. La Classe con voto unanime approva l'inserzione di questo lavoro nei volumi delle Memorie dell’ Accademia. Il Socio DorNA presenta per la consueta pubblicazione un lavoro del Dott. Angelo CHARRIER, Assistente all’Osservatorio di Torino, col titolo: Tavola indicante l’ora delle temperature estreme dell’anno 1885, dedotte dalla linea termografica. Il Socio D’ Ovipio presenta una Memoria del Dott. Gino LoRIA, col titolo: Rappresentazione su un piano delle con- gruenze (2,6), e (2,7). Infine la Classe, sulla proposta del Presidente, delibera di non tener seduta il 23 del corrente mese, nel quale giorno deb- bono aver luogo le elezioni politiche generali. 419 LETTURE RAPPRESENTAZIONE SU UN PIANO DELLE CONGRUENZE [2,6]: E [2,7] del Dott. Gino LoRIA In un lavoro precedente (*) esposi la rappresentazione su i punti di una superficie di 2° ordine delle congruenze di 2° classe contenute in un complesso tetraedrale. Siccome questa superficie è rappresentabile univocamente su un piano, così da esso potevasi trarre la rappresentazione piana delle congruenze (**) (6, 2),, (5, 2), (4, 2), (3, 2), (2, 2), e quindi delle correlative (2, 6),, (2, 5), (2, 4), (2, 8), (2, 2). Laonde di due sole fra le con- gruenze scoperte da Kummer (cioè delle congruenze (2, 6), e (2, 7)) restava da trovarsi la rappresentazione ; a complemento dello studio da me precedentemente fatto credo opportuno esporre questa rap- presentazione, con qualche particolare, nella presente breve Nota. Il procedimento di cui mi servo per ottenere la rappresentazione è in sostanza una proiezione centrale su un piano delle congruenze suddette (***); esso può servire anche a rappresentare tutte le congruenze di Kummer tranne la (2, 6), (****); gli è perciò (*) Intorno alla Geometria su un complesso tetraedrale. Atti della R. Ac- cademia delle Scienze di Torino, Vol. XIX (Seduta del 25 maggio 1884). (**) Indico in generale con (w#, n) una congruenza di ordine m e classe x, in particolare con (?, 6), e (2,6), le due congruenze di 2° ordine e 6° classe. (***) Questo stesso procedimento servì al Prof. Caporali nella rappresen- tazione su un piano della congruenza quadratica. V. Sui complessi e sulle congruenze di 2° grado. Atti della R. Acc. dei Lincei, Serie III, V. 2. (****) Un fatto degno di nota è che, tenendo conto unicamente della pro- prietà, di cui gode ognuna delle congruenze di Kummer tranne la (2,6),, di 420 GINO LORIA che credo che esso coincida con quello a cui alludeva il Pro- fessore Bertini nella sua importante Nota: Sulla congruenza di 2° ordine, 6° classe e 1° specie dotata soltanto di superficie focale (*). 4. La congruenza di 2° ordine, 6° classe e 2° specie — che, come già avvertii, indico col simbolo (2, 6), — ha un punto sin- solare C con un cono di raggi di 5° ordine. Questo cono ha sei generatrici doppie r, (f = 1,...,6) su ognuna delle quali sì trova un punto singolare C, con un cono di raggi di 3° ordine avente 7, per generatrice doppia. La stessa congruenza possiede ancora un punto singolare F con fascio di raggi e quattro punti singolari D, (j=1,...,4) con conidi raggi di 2° ordine (**). I punti F, C, D; stanno sulla conica di contatto del piano 9 del fascio di raggi di centro Y con la superficie focale della congruenza. Le 4 rette che uniscono C ai punti D; sono gene- ratrici del cono di 5° ordine di vertice C, perchè, ove non lo fossero, ogni piano per la retta C D, conterrebbe almeno sette rette della congruenza, il che non può accadere se, come sup- poniamo, questa non degenera. 2. Un piano qualunque 0° condotto per C' contiene sei raggi della congruenza; cinque di essi si trovano sul cono di raggi di vertice C, il sesto non vi appartiene; dunque 4 ogni piano per © corrisponde una retta della congruenza non passante per C. Viceversa qualunque retta r della congruenza determina con C un piano p' il quale non contiene evidentemente altra retta della congruenza non uscente da C. Dunque fra le rette r della congruenza e i piani p' della stella di centro C esiste cor- rispondenza univoca. Secando la stella con un piano qualunque non contenente C si otterrà un sistema rigato i cui elementi r' possedere un cono di raggi di ordine inferiore di un’unità alla sua classe e applicando il procedimento tenuto nel testo, si perviene a una loro rappre- sentazione univoca su un piano, dalla quale si possono dedurre le principali proposizioni relative ad esse. {*) R. Accademia dei Lincei. Transunti. Novembre 1879. (**) Kummer. Ueber die algebraischen Strahlensysteme u. s. w. Mathema- tische Abhandlungen d. k. Ak. d. Wiss. zu Berlin, 1860, $ 12. Teorema XLVII. RAPPRESENTAZIONE DELLE CONGRUENZE |2,6], E [2,7] 421 corrispondono univocamente ai piani p' e però alle rette r della congruenza. Nella rappresentazione su un piano della congruenza (2, 6), che resta così stabilita, è eccezionale la traccia /' del piano %, giacchè essa è imagine di ogni raggio del fascio singolare. 3. Consideriamo una retta / dello spazio; le rette della con- gruenza incontranti / formano una rigata A, il cui grado «x è eguale all’ordine di molteplicità di / per questa, aumentato del numero delle rette della congruenza situate in un piano passante per /. Ora, il primo numero è 2 perchè da ogni punto di / escono due rette della congruenza (di 2° ordine), il secondo è 6 per la de- finizione di congruenza di 6° classe ; dunque il grado x di A, è 8 (*). Ma quando / passa per ©, dalla rigata A, si separa il cono di 5° ordine avente il vertice in C e rimane una rigata di 8° grado O, avente / per direttrice doppia e le cui generatrici corrispondono univocamente ai raggi del fascio posto nel piano rappresentativo e avente per centro la traccia 0' di /. Due fasci 0', 0' del piano di rappresentazione hanno comune una retta che è l’imagine della retta della congruenza posta nel piano C 0' 0' ma non uscente da C. 4. La rigata A,, costituita dalle rette della congruenza ap- poggiate a una retta data /, ha 5 generatrici passanti per ©, tre passanti per ciascuno dei punti C,, due passanti per ciascuno dei punti D, e finalmente una passante per F. Essa sarà rap- presentata da una curva /', di cui vogliamo determinare la classe x. Siccome questa è eguale al numero delle tangenti di 7", che escono da un punto qualunque 0' del piano di rappresentazione, così essa è anche eguale al numero dei piani passanti per una retta uscente da C' e contenenti ciascuno una generatrice di A, non uscente da Cl; ora essendo la rigata di 8° grado e avendo essa 5 generatrici uscenti da C tale numero è 3. Dunque l’ima- gine della rigata A, è una curva \', di 3° classe. Questa curva tocca £, perchè A, ha una generatrice nel piano o. 5. Quando la retta / considerata nel n. precedente appartiene al cono singolare di vertice C, la corrispondente rigata Q, ha due (*) Questo stesso ragionamento serve a dimostrare che le rette di una congruenza (m,n) appoggiate a una retta fissa formano una rigata di grado m+ n, avente quella retta per direttrice m— pla; se la retta è (m—1)—pla x per la congruenza, tale rigata è razionale. 422 GINO LORIA direttrici infinitamente vicine; il piano tangente alla superficie lungo /, è un piano focale di / perchè contiene una generatrice della superficie infinitamente vicina ad / ma non passante per C'; questo piano seca il piano rappresentativo in una retta che è imagine della retta infinitamente vicina ad / e quindi di / stessa. Ve- diamo quindi che nel piano rappresentativo e da ogni punto P della traccia del cono singolare di 5° ordine, esce una retta determinata la quale è imagine della generatrice del cono stesso passante per P. Facendo prendere a P tutte le posizioni di cui è capace si ottengono infinite rette del piano rappresentativo : quale ne è l’inviluppo? Questo è la traccia sul suddetto piano del cono inviluppato da’ piani tangenti alle rigate cubiche cor- .. rispondenti alle varie generatrici dei cono singolare di 5° ordine lungo le generatrici stesse; ognuno di questi piani è quindi uno de’ piani tangenti in C alla superficie focale della congruenza, onde il loro inviluppo non differisce dal cono osculatore in Ca questa superficie. Concludiamo pertanto: I punti della traccia sul piano rappresentativo del cono di raggi di 5° ordine, corrispondono univocamente alle tangenti di una conica Q, la quale è inviluppo delle imagini delle tracce di quel cono e traccia del cono osculatore alla superficie focale nel centro di quel cono; essa tocca la retta f°. 6. Le curve di 3* classe analoghe a /', (n. 5) debbono for- mare — come le rette dello spazio a cui in un certo senso corrispondono — un sistema quadratico quadruplicamente infi- nito. Per vedere che ciò accade realmente basta dimostrare che vi sono due e solo due di esse tangenti a quattro rette a‘, dD', e, d' del piano rappresentativo. Ora se a, d, c, d sono le rette della congruenza di cui a', d', c', d' sono le imagini, e se 7, ? sono le due rette che le secano, chiamiamo À, e A, le rigate corri- spondenti a 2", 7” rispettivamente. Queste sono rappresentate da due curve 7',, 7°, appartenenti al sistema e tangenti ad a', 8‘, c', d'. Che poi l, e } g siano le uniche curve del sistema soddisfacenti a questa condizione, risulta dal modo stesso con cui esse vennero determinate; infatti se vi fosse una terza curva analoga ad las ;à : essa corrisponderebbe a una rigata costituita da rette della con- gruenza appoggiate a una retta incontrante a, d, c, d, e diversa da 7, 7; ma l’esistenza di una tale retta è impossibile se a', d', c', d' vennero scelte in modo affatto arbitrario, dunque ecc. RAPPRESENTAZIONE DELLE CONGRUENZE [2,6], E [2,7] 423 Le quattro condizioni comuni — oltre al toccare f' — a cui sono sottoposte tutte le curve del sistema ora considerato, won possono essere di dover esse toccare altre rette fisse. Infatti due rette qualunque dello spazio /, 1 sono incontrate da otto rette della congruenza (perchè una di esse incontra in otto punti la rigata corrispondente all’altra); onde le curve del sistema devono avere a due a due otto tangenti mobili comuni e però non ne possono avere più di una, f', fissa. Le predette condizioni non sembrano suscettibili di un enun- ciato semplice, ma un'idea della specie del predetto sistema può dedursi dall’osservazione che d7 esso fanno parte le o* curve (di 3° classe) formate ciascuna dalla conica fissa Q e da un fascio di raggi del piano di rappresentazione; ciò è conseguenza di quanto già osserrammo (n. 4) che la rigata A, corrispondente a una retta dello spazio si scinde nel cono di raggi di centro C' (avente per imagine @) e in una rigata cubica (rappresentata da un fascio di raggi). Osserviamo finalmente che il sistema lineare a cinque dimen- sioni, il quale, in grazia di un teorema noto, deve contenere il sistema quadratico di curve di cui trattiamo, è costituito dalle curve imagini delle rigate della congruenza contenute negli co? com- plessi lineari dello spazio (cf. n. 11). 7. Da ogni punto M dello spazio escono due rette p, 9 della congruenza, le quali sono rappresentate da due rette p', 9' uscenti dalla traccia O' della retta CM= 0. Facendo variare il punto M sulla retta 0,le rette p,g formeranno un’involuzione di raggi ; infatti ogni retta p' uscente da 0' è imagine di una retta della congruenza incontrante o in un punto M, da questo esce una seconda retta 9 della congruenza, la quale è proiettata nella retta g uscente da 0'; viceversa partendo da g' si trova p'; quindi — poichè la corrispondenza fra p' e 9 è evidente- mente algebrica — possiamo concludere: Ogni punto 0' del piano rappresentativo è centro di un’in- voluzione di raggi le cui singole coppie corrispondono univo- camente ai punti del raggio proiettante 0' da C. In generale le curve di 3° classe del sistema quadratico quadruplicamente infinito dianzi considerato tangenti a due rette fisse », r', del piano di rappresentazione formano un sistema quadratico doppiamente infinito; ma se queste due rette fisse sono coniugate nell’involuzione che spetta al loro punto comune 424 GINO LORIA (se cioè le rette 7, 7, s incontrano) le curve che le toccano for- mano due distinti sistemi lineari doppiamente infiniti. Uno di questi comprende le curve corrispondenti alle rette (*) che escono dal punto P d’intersezione delle rette 7, 7; tutte le curve che fanno parte di esso hanno solo 3 tangenti comuni, cioè f' e r} ry. L'altro comprende le curve corrispondenti alle rette che si trovano nel piano x delle due rette 7, r,; tutte le curve che fanno parte di esso hanno 7 tangenti comuni, cioè f' e le imagini delle rette della congruenza che stanno in 7. La conica Q ha una parte importante anche nello studio di queste involuzioni; per riconoscerlo basta osservare che /e due tan- genti condotte ad essa da un punto qualunque P' del piano rap- presentativo si corrispondono nell’ involuzione che spetta al punto P' perchè le rette di cui esse sono imagini s'incontrano. I raggi doppi dell’involuzione formata dalle rette uscenti da P' sono le proiezioni delle due rette della congruenza uscenti dai 2 punti d’intersezione (diversi da C) di C P' con la superficie focale; quindi quelle due rette della congruenza sono coniugate rispetto al cono osculatore della superficie avente il suo centro ei. 0 (#8): 8. L’intimo legame delle involuzioni suddette col sistema già considerato di curve di 3° classe, spicca assai chiaramente da quanto segue. Consideriamo una retta x del piano di rappresentazione. A ogni suo punto spetta una determinata involuzione, in ciascuna di queste r ha per coniugata una retta determinata; 7’inviluppo delle co rette corrispondenti a r' in quelle o involuzioni è la curva di 3° classe che è imagine della rigata costituita dalle (*) La curva corrispondente a una retta / è l’inviluppo delle imagini delle rette della congruenza appoggiate a L. (**) Il Dott. Corrado Segre, mio amico carissimo, fecemi osservare come dalle proprietà esposte (qui e al n. 15) segua facilmente che ogni con- gruenza [6, 2], duale a quella che stiamo studiando si può sempre, con una conveniente trasformazione proiettiva, ridurre ad avere la proprietà seguente: sui varii piani aventi una stessa giacitura arbitraria le coppie di rette della congruenza hanno direzioni simmetriche rispetto a due direzioni determinate, che sono quelle delle due rette della congruenza poste nei due piani (al finito) aventi quella stessa giacitura e tangenti alla superficie focale, sicchè le dire- zioni di queste due rette sono fra di loro ortogonali. RAPPRESENTAZIONE DELLE CONGRUENZE [2,6], E [2,7]. 425 rette della congruenza che incontrano la retta r della congruenza che è rappresentata da r'; siccome r è incontrata da due rette della congruenza infinitamente vicine ad essa, così r' è tangente doppia di quella curva di 3° classe. Ogni retta del piano di rappresentazione è dunque retta doppia di due fra le involuzioni che corrispondono a’ suoi punti. Due curve /', TR del sistema più volte considerato hanno co- muni, come già notammo, otto tangenti mobili r',. .. #°,, le quali rappresentano le rette r,...+, appartenenti alla congruenza e ap- poggiate alle due rette 7, / corrispondenti rispettivamente a /",, 7.,. Se due (7°,,, 7) di quelle tangenti si corrispondono nell'involuzione che spetta al loro punto comune, le corrispondenti rette 7,,, 7, avranno un punto comune JM e un piano comune 1. Allora o anche 1,1 s'incontreranno, oppure 7 passerà per M e / starà in p. Nel primo caso le otto rette » si distribuiranno in due gruppi, l'uno di due, l’altro di sez rette, il primo dei quali comprende le rette uscenti da _M, il secondo le rette poste in . Corrispon- dentemente le rette +’ si distribuiranno in due gruppi, l'uno di due, l’altro di sei rette; le due rette del primo si corrispondono nell’involuzione che spetta al loro punto comune e della stessa proprietà godono due qualunque rette del secondo gruppo; due rette qualunque appartenenti a gruppi diversi non si corrispondono nell’involuzione corrispondente al loro punto d’intersezione. Nell’altro caso le sole rette ,',, , si corrisponderanno nel- l’involuzione corrispondente alla loro intersezione. 9. Un piano qualunque dello spazio si può considerare come de- terminato dalle imagini delle sei rette della congruenza giacentiin esso. Due qualunque sestuple di rette di tale specie sono dodici tangenti d’una curva di 3° classe del sistema già studiato, cioè di quella che corrisponde all’intersezione dei due piani rappre- sentati da quelle due sestuple. Tre sestuple rappresentano tre piani di un fascio solo quando i loro elementi toccano una stessa curva di 3° classe. Date tre sestuple quali si vogliano, esiste nel piano di rap- presentazione una sola coppia di rette che si corrispondano nella involuzione che spetta al loro punto comune e che tocchino le tre curve di 8° classe determinate dalle date sestuple prese a due a due; essa rappresenta l'intersezione dei tre piani di cui queste sestuple sono imagini. 426 GINO LORIA 40. Consideriamo nella congruenza una rigata qualunque di grado g di cui z generatrici passino per C e &» per / e chiamiamo x la curva di classe x che la rappresenta. Preso un punto qua- lunque 0' del piano rappresentativo, la retta C 0' sarà incontrata da g— cc rette della rigata non uscenti da C; ne viene che per O passeranno 9 — &c tangenti di c',, dunque x =g9— ze. Le &p generatrici della rigata uscenti da Y' sono tutte proiettate in f', onde questa è tangente 2, — pla di C,_, . Concludiamo pertanto : c L’imagine di una rigata di grado g di cui ac generatrici passano per C e up per F è una curva di classe g — pon: avente f' per tangente ap — pla. P. e: la rigata costituita dalle rette della congruenza che appartengono a un complesso di grado n ha per imagine una curva di classe 3n di cui f' è tangente n— pla, perchè essa rigata è di grado 8» ed ha 5» generatrici uscenti da C e % uscenti da Y. 44. Viceversa, una curva c', di classe % avente f' per tan- gente » pla è imagine di una rigata T, di grado x; alle rette della rigata che incontrano una retta qualunque / dello spazio corrispondono le tangenti comuni a c', e alla curva 7°, corrispon- dente ad 7 che non cadono in f. Queste sono REG 3%k-r, dunque ax=3%-—. — Inoltre, siccome per ogni punto del piano di rappresentazione passano soltanto % tangenti della curva e,, così la rigata T;,_, è incontrata da ogni retta uscente da € in soli % punti diversi da C e però 2 % — r sue generatrici passano per Cl. Possiamo dunque dire: A una curva di classe k del piano di proiezione avente f' per tangente r— pla corrisponde una rigata di grado 3k—r di cui 2k—r generatrici passano pem C e r per F. 12. Da questo teorema discende che nella congruenza (2, 6), non si trova altro fascio di raggi oltre quello di centro F. Per trovare le rigate della congruenza indicheremo con g il grado di una di queste e cercheremo le soluzioni intere non negative dell'equazione indeterminata : (6 fi Shkt_r. Distingueremo perciò i tre casi seguenti: g=3y-1, g=34, 9g=34+1; RAPPRESENTAZIONE DELLE CONGRUENZE [2,6], E [2,7] 427 x tale distinzione è utile perchè, tenendo conto della condizione che per una curva propria l’ordine di molteplicità, », di una tangente dev’esser minore della classe, %, della curva (tranne nel caso in cui la curva riducasi a un punto), si trova che le so- luzioni generali di quella equazione indeterminata sono ordina- tamente: g=3y—1, r=3m+1, %k=y-+m essendo m un intero sog- getto alla limitazione 0 =wm =1(y— 1). g=3Yy, r=3m, k=y+m essendo m un intero soggetto alla limitazione 0 = mm =iy. g=3y+1, r=3m—-1, k=%y4wm essendo w un intero sog- getto alla limitazione 0 = wm =3(y+1). Supponendo ad esempio y= 1 si ottengono i risultati seguenti : Mn = in=0, 1,1, col Nella congruenza [2, 6], si trovano oo rigate quadriche ; una qualunque di esse è rappresentata da un fascio di raggi avente il centro in un punto di f'. È facile rendersi ragione di questo teorema; infatti, una retta qualunque uscente da C è incontrata da col rette della congruenza costituenti una rigata di 3° grado (n. 4), ma se quella retta sta nel piano 9 questa rigata si scinde nel fascio di centro Y e in una quadrica che è appunto rappresentata dal fascio che ha per centro la traccia di quella retta sul piano rappresentativo. eran 0, ele Nella congruenza (2, 6), non esistono altre rigate di , 3° grado che quelle formate dalle rette della congruenza ap- poggiate a rette uscenti da ©. 3 ASS Qi Nella congruenza (2, 6), non esistono rigate di 4° grado, “- eccetto quelle degenerate in coppie di quadriche. 428 GINO LORIA Supponendo invece y=2 si traggono le seguenti conclusioni: eil he, a=0 Ren=hasi=% cad 4 Nella congruenza (2, 6), esistono oc° rigate (razionali) di 5° grado; esse sono rappresentate dalle coniche tangenti ad f'. dee gqg=09 m—=0r=0 = 20 2 Nella congruenza (2, 6), esistono oo? rigate (razionali) di 6° grado; esse corrispondono univocamente alle coniche del piano di rappresentazione. #)) istat dagli m_15 ra” ac ac=4. Nella congruenza (2, 6), esistono oo rigate. (razionali) di 7° grado; esse sono rappresentate dalle curve di 3° classe aventi f' per tangente doppia. Ecc., ecc. HE 13. La congruenza di 2° ordine e 7° classe ha un punto singolare C da cui esce un cono di raggi di 6° ordine avente dieci generatrici doppie 7; (i=1, 2..., 10); su ognuna di queste si trova il centro C; di un cono di raggi di 3° ordine avente per generatrice doppia la retta r, su cui esso si trova (*). Essa può rappresentarsi in modo analogo a quello tenuto per la congruenza (2, 6),. Si può, cioè, far corrispondere a una retta qualunque r della congruenza non uscente da C la sua proiezione r° da C su un piano fisso” arbitrario non passante per C; e tale corrispondenza è univoca perchè ogni piano per C' contiene una e una sola retta della congruenza non passante ° per C. A4. Tutte le rette della congruenza appoggiate a una retta arbitraria 1 dello spazio formano una rigata di cui 1 è direttrice doppia; ogni piano per / contiene altre sette rette della rigata, dunque questa è di 9° grado e s’indicherà quindi con A,. (*) KumMER, l. c., $ 13, Teorema XLVIII. RAPPRESENTAZIONE DELLE CONGRUENZE [2,6], E [2,7] 429 Se però la retta Z passa per C, questa rigata si scinde nel cono singolare di vertice C e in una rigata di 3° grado O, avente quella retta per direttrice doppia. La rigata ©, è rappresentata dal fascio di raggi del piano rappresentativo il cui centro coincide con la traccia della direttrice doppia di essa. 45. Con ragionamenti analoghi a quelli fatti nei n. 4, 5, 6, 7 si dimostrano i seguenti teoremi: La rigata A, formata dalle rette della congruenza appog- giate a una retta qualunque 1, hu sei generatrici passanti per C e tre passanti per ognuno de’ punti C,. Essa è rap- presentata da una curva 1, di 3* classe. Le curve l', formano un sistema quadratico quadruplicamente infinito (tale cioè che vi sono due curve del sistema tangenti a quattro rette fissate ad arbitrio nel piano di proiezione); le cinque condizioni comuni a cui tutte soddisfano non possono consistere nell’avere tan- genti comuni, perchè due qualunque di esse devono avere nove tangenti mobili comuni essendo due rette dello spazio incontrate da nove rette variabili della congruenza. Le proprietà esposte nel n.8 e in principio del n. 9 valgono anche per la rappresentazione della congruenza (2, 7); il sistema d’involuzioni di raggi che si ha in questo caso ha pure una connessione strettissima col predetto sistema di curve di 3° classe: le proposizioni corrispondenti si ottengono come le analoghe per la congruenza (n. 9 e 10), onde ci dispensiamo dall’esporle. 416. Finalmente, ripetendo con lievissime modificazioni i ra- gionamenti fatti nei n. 10, 11 si conclude: L’imagine di una rigata di grado g di cui ac generatrici passano per C è una curva della classe g — &c. Una curva di classe k del piano di proiezione rappresenta una rigata di grado 3k di cui 2k generatrici passano per C. Quest'ultimo teorema ci mostra che lu congruenza (2, 7) mon contiene alcuna rigata quadrica; essa è l’unica fra le con- gruenze di Kummer che goda tale proprietà. Le altre rigate che essa contiene sono tutte di gradi mul- tipli di 3 e però si assegnano immediatamente. 17. La congruenza (2, 7) può considerarsi come la più ge- nerale fra quelle di 2° ordine, perchè, come osservò Kummer (*), (1) L. e., $ 14, 430 G.LORIA - RAPPRESENTAZIONE DELLE CONGRUENZE [2,6], [2,7] tutte le altre congruenze di 2° ordine, esclusa solo la (2, 6),, possono riguardarsi come casi particolari di essa. Ne viene che i risultati ottenuti per essa sussistono per tutte le congruenze di Kummer, tranne la (2, 6),; in particolare le proposizioni accennate nel n. 7, nonchè quella contenuta nella relativa nota, valgono per tutte queste, e la rappresentazione testè indicata conduce a delle rappresentazioni piane delle congruenze (2, 2) (2, 3) (2, 4) (2, 5) differenti da quelle di cui feci cenno nelle prime linee dell’introduzione al presente scritto e delle quali è facile trovare le proprietà essenziali. Torino, 5 maggio 1886. Il Direttore della Classe ALFONSO Cossa. CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI TI Giugno 1886 atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXI, 438 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 20 Giugno 1886 PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ANGELO GENOCCHI Sono presenti i Soci: GeNoccHI, Cossa, LESSONA, DORNA, SALVADORI, D’Ovipio, BizzozerRo, FERRARIS, NaccarI, Mosso, SPEZIA e Basso, il quale, per incarico del Presidente, tiene le veci del Segretario SoBRERO, assente per ragioni di salute. Letto ed approvato l’atto verbale della seduta precedente, il Direttore della Classe, Socio Cossa, rivolge, a nome di tutti i Colleghi, parole di felicitazione al Presidente per la nomina recentemente conferitagli a Senatore del Regno. Il Socio Basso, ricordando che il 31 agosto prossimo avrà luogo il centesimo anniversario della nascita del Socio Straniero Michele CHEvREUL, propone che venga inviato, in quella occa- sione, al venerando collega un indirizzo di felicitazione e di augurii. La Classe approva la proposta, ed il Presidente incarica il Socio Cossa della redazione dell’indirizzo. Dal Socio LEssona viene, a nome dell’autore, presentato in dono all’ Accademia un pregevole volume del signor Arnaldo Locarp, intitolato: Catalogue general des mollusques vivants de France. 434 ADUNANZA DEL 20 ciuono 1886 Il signor Dott. CoRRADI invia pure in omaggio all’ Accademia, per mezzo del Socio BizzozerRo, una sua monografia: Sw è do- cumenti storici spettanti alla Medicina, Chirurgia e Tarma- ceutica conservati nell’ Archivio di Stato in Modena; ed in particolare su la malattia di Lucrezia Borgia, e la Farmacia nel secolo XV. Lo stesso Socio BizzozeRo legge e propone -poi s’ inserisca negli A/# una Nota del signor Dott. Eugenio DI MATTEI, in- | titolata: Contributo allo studio della patologia del rene. Sono in seguitto accolti per la pubblicazione negli Att i seguenti lavori : Presentati dal Presidente, 1° Sull’integrabilità delle equazioni differenziali di primo ordine, del Dott. Giuseppe PEANO; 2° Sull’esagramma di Pascal (Nota storica), dell’Ing. Ot- tavio ZANOTTI BIANCO. Presentati dal Socio DORNA, 1° Nozioni intorno all’equatoriale con refrattore Merz di trenta centimetri di apertura e metri quattro e mezzo di di- stanza focale, dello stesso Socio DORNA; 2° Effemeridi del Sole, della Luna e de’ principali pianeti calcolate per Torino in tempo medio civile di Roma per l’anno 1887, del Prof. Angelo CHARRIER; 8° Osservazioni delle comete Fabry, Barnard e Brooks (1° 1886) fatte all'equatoriale di Merz dell’ Osservatorio di Torino, del Dott. Francesco PoRRo. Presentati dal Socio NACCARI, 1° Sulle forze elettromotrici di contatto fra liquidi, del. Prof. S. PAGLIANI ; ADUNANZA DEL 20 Giuono 1886 435 2° Intorno all'influenza della magnetizzazione sopra la conducibilità termica del ferro, del Dott. Angelo BATTELLI; 3° Sul fenomeno Peltier nei liquidi (Nota 3°), del Socio A. Naccari e del Dott. A. BATTELLI. Presentati dal Socio Cossa , 1° Azione degli acidi bibasici organici e delle loro anidridi sui senfole e sulla tiosinnamina, del Dott. F. MoINE; 2° Sulla Natrolite di Montecatini (Val di Cecina), del- l’ Ing. Ettore MATTIROLO ; 3° Sull’invertimento spontaneo del saccaroso e sull’ analisi dei prodotti industriali preparati con zucchero di canna e di fecola, del Prof. Ermenegildo RotoxDI; 4° Sulle monocloropropilbenzine e sul metilbenzilcarbinol, del Dott. Giorgio ERKERA. Presentati dal Socio D'OvipIo , 1° Ricerche sulle rigate ellittiche di qualunque ordine, del Dott. Corrado SEGRE; 2° Sulla rappresentazione delle funzioni di una variabile complessa per mezzo di espressioni analitiche infinite, del Dott. G. MORERA; 3° Di una analogia fra la teorica delle velocità e la teorica delle forze, del Dott. Enrico NOVARESE. Presentati dal Socio SPEZIA, 1° Sull’influenza della pressione sulla formazione dell’ani- dride, dello stesso Socio SPEZIA; 2° Sopra una pseudomorfosi , del Dottore Giuseppe PIOLTI. 436 ADUNANZA DEL 20 GIueno 1886 Presentato dal Socio Basso a nome del Socio BELLARDI, Intorno ad alcune impronte organiche di terreni terziari del Piemonte, del Dott. Federico SAcco. Infine il Socio NaccarI legge un lavoro del Socio Corri- spondente Prof. Antonio Roiri, intitolato : Misure assolute di alcuni condensatori. La Classe delibera con voto unanime la pubblicazione di questo lavoro nei volumi delle Memorie acca- demiche. 437 LETTURE SULL’ INTEGRABILITÀ DELLE BOUAZIONI DIFFERENZIALI DI PRIMO ORDINI del Dott. Giuseppe PEANO Le dimostrazioni finora date dell’ esistenza degli integrali delle equazioni differenziali lasciano a desiderare sotto l’aspetto della semplicità. Lo scopo di questa Nota è di dimostrare ele- ss ; ea mentarmente l’esistenza degli integrali dell’ equazione = “fi, 4: Ax supposta solamente la continuità della funzione f(x, y). TEOREMA. Se f(x, y) è funzione continua di x ed y per tutti i valori delle variabili che considereremo, e se a e d sono due valori arbitrarii di x ed y, allora si può determinare il valore A>@ in guisa che: 1° Si possano formare infinite funzioni y, di x, deter- minate in tutto l'intervallo (a, A), che per #=@ assumono il valore d, e che soddisfano alla disuguaglianza dy Ta (0%) 2° Si possano formare infinite funzioni y, di x, che per x=a assumono il valore d e che soddisfano alla diseguaglianza d e < Key) 438 GIUSEPPE PEANO 3° Le funzioni y, hanno un limite inferiore Y,, che è una funzione di , definita nell’intervallo (a, A), che per x=@ assume il valore d e che soddisfa all’equazione ati af t). 4° Il limite superiore delle funzioni y, è una funzione Y, di x, definita nell’intervallo (a, 4), che per x=@ assume il valore 6 e che soddisfa all’equazione db. Da srt 5° Ogni funzione y di x, che per x = a assume il va- lore 6, e che soddisfa all’equazione da —=f(%,y), da è, nell’intervallo (a, A), compresa fra Y, ed Y, o da fi gigp 6° Se f(x,y) ha la derivata parziale rispetto y minore d’una quantità assegnabile per tutti i valori considerati delle variabili, tutte le funzioni y di x, che per a =@ assumono il d valore d e che soddisfano all’equazione differenziale nf (2,4) sono identiche fra loro. DIMOSTRAZIONE. Sia p una quantità >f(a, 0) e si consideri la funzione lineare y=b+p(c—a): questa, per =a, assume il valore 0, e la differenza dy Tx — f(2,9') ibi. me e w EQUAZIONI DIFFERENZIALI DI PRIMO ORDINE 439 è una funzione continua di x, che per «= assume il valore p—f(a,0)>0; quindi si potrà determinare un valore a >@, in modo che per ogni valore di x nell’intervallo (a, @') si abbia 1 ' ancora co — f(x,y)>0, ossia dy' f(x). da Sia d' il valore di y per 2#=a' (cioè b'=b+p (r—a)): sia p' una quantità >f(a', d'), e si consideri la funzione y=b'+p' (a — Gil; la quale per x=a' assume il valore d'; la differenza s; —f (2. Y ) è funzione continua di #, che per «= assume il valore p — f(a,0)>0; quindi essa sarà ancora positiva per tutti i valori di x compresi fra a' e un certo valore a'> @'; ossia nell'intervallo (a', a") si ha Sia d' il valore di y° per #x=a': detta p" una quantità > f(a',b), la funzione Mpa (x sa a') assume per z=a' il valore d', e in un intervallo (a', a") sod- disferà all’equazione di dy X —— >f(%,4 ). da (19 ) Così si continui, e si ripeta quest’ operazione # volte. Si avrà una serie di intervalli successivi " " Uli ' — ud eun: sa, sd ge) ed altrettante funzioni ' " MI Uli valenti. dh tali che il valore della prima per «= è b, ed il valore di ciascuna al termine del proprio intervallo è eguale al valore 440 GIUSEPPE PEANO della successiva all’origine dell’intervallo successivo; ciascheduna di queste funzioni soddisfa, nel proprio intervallo, alla disegua- glianza da > f(£,4) . Sia y,. la funzione di x (formata da una successione di funzioni lineari), che nei successivi intervalli considerati coincide rispettivamente colle funzioni yy ...y. Posto a'® = A,, si conchiude che y, è una funzione continua di x, definita nell’in- tervallo (a, A,), che per = assume il valore d, e che sod- disfa alla diseguaglianza dy 1 Ù -—>f(2,4;) . da ( ’ Y,) Con ragionamento analogo, scambiando i segni > in <, si dimostra che si può formare una funzione y,, definita in un intervallo (a, A,) che per x=% assume il valore 6 e che sod- disfa alla diseguaglianza dY, Fr, < f(x, Y») È Quindi, detto A il più piccolo dei valori A, e A,, nell’in- tervallo (a, A) si sono formate le funzioni y, e y, che sod- disfano a tutte le condizioni della 1° e 2* parte del teorema, e siccome si possono scegliere in infiniti modi le quantità Pi, p',-..0,0",...e le loro analoghe per Ys, si-conchiude che le funzioni y, e y, sono in numero infinito. Prima di passare alle altre parti del teorema, converrà premettere queste proposizioni : I. Se due funzioni y, e %, soddisfano rispettivamente alle diseguaglianze dhe dY, — Tn 10%) ' Ta = (0198) ovvero alle dll; dYs da = 109); Te = l(0%)» n'iù abiti EQUAZIONI DIFFERENZIALI DI PRIMO ORDINE 441 e se per un valore speciale #, di x esse sono eguali, la diffe- renza Y;-Ys; col passare di < da valori minori a valori mag- giori di x,, passa dal campo negativo al positivo. Infatti, per questo valore di x si ha evidentemente TÀ I 9 ° I o SA Sla , ossia d 95) Yo) PL0 da da da perciò la differenza y,—y, è crescente per 7 =%,, e siccome si annulla per #=%,, essa passerà dal campo negativo al positivo. II. Se due funzioni y, e y, soddisfano alle condizioni precedenti, e se per «=%, si ha y, = %, per ogni valore di X>&I, SITÀ Y>Yg: Infatti, lo si neghi; allora la differenza y,—%, sarà per qualche valore di #>, nulla o negativa. Suppongasi che essa sia nulla, e sia x, il più piccolo valore di x per cui essa si annulla. Allora la differenza y, — y, che non si annulla più nell’in- tervallo (x,, #,) conserverà il segno costante positivo, perchè essa è positiva per #=%,, S© y)>%, Ovvero, se è nulla per #=%,, allora essa diventa positiva per < >,; per la proposizione pre- cedente. Ora questo è assurdo, perchè se per x =, le funzioni ye, sono eguali, per «<%,, la differenza y,-y, deve essere negativa, in virtù della proposizione precedente. Dunque la dif- ferenza y,—y, non potrà annullarsi per alcun valore di 2> %,, e quindi nemmeno cambiare segno e diventare negativa. Ciò premesso, le funzioni y, e Y,, che soddisfano alle con- dizioni 1° e 2° del teorema, cioè che per 7 =@ assumono lo stesso valore d, e che soddisfano alle diseguaglianze dYs — >f(2, Y,) 9 E z,. Ora ogni funzione y,, che soddisfa alle condizioni della prima parte del teorema, ha per «=, un valore maggiore di 7 (x) =0(%), perchè (x) è il limite inferiore dei valori delle funzioni y,: inoltre essa soddisfa alla diseguaglianza DI, (2,y,); quindi, per una proposizione dimostrata, sarà, per ogni valore di x nel- l’intervallo (x. %,)) y;>@(); perciò F (x), cioè il limite infe- riore dei valori di y, non sarà minore di ©(x), Y(2) (2), ovvero, sostituendo a @(x) la sua espressione, F()=F(e)+(e-x)(m—-), che si può scrivere F(a)—-F(2) Tm_e. LT 0 D'altra parte, fissato ad arbitrio «> 0, la quantità H=m+eT— f|a, F(e,)+%+(m+ e) (a — 20)| è funzione continua di x ed x, che per a—=0 e a=z, Sì ri- duce ad e, quantità positiva. Quindi si possono determinare p>0 e x,>%,, in modo che per ogni valore di «

0. Ora, poichè Y (x,) è il limite inferiore dei valori che assumono, per x=%,, le funzioni y,, si potrà determinare una di queste fun- EQUAZIONI DIFFERENZIALI DI PRIMO ORDINE 443, zioni che assuma, per 7=%,, un valore F(2,) +, ove a<7. Si consideri ora la funzione &(x) che nell’intervallo (4,%,) coin- cide colla funzione y, or ora considerata, e che nell’intervallo (2%) valga d(a)=F(2,)+2+(m+e)(r-%,). di Sarà ua” f(x, 9)=H>0; quindi, nell'intervallo (x, , ,) sarà da HI (7, 4). Adunque la funzione 4(x) soddisfa a tutte le con- x dizioni del num. 1 del teorema; ma Y (x) è il limite inferiore delle funzioni che soddisfano a quelle condizioni, perciò nel- l'intervallo (x,; x) sarà Y (2) ,; ma, a causa della loro simmetria in 2 ed 2, , si può far astrazione da questa ipotesi. Esse dicono appunto che F'(a)=m, ossia, sostituendo ad m il suo valore, che l’ equazione differenziale P'()=f[e, Fa] è soddisfatta per ogni valore x, di x appartenente all'intervallo (a, A). 444 GIUSEPPE PEANO In modo analogo si dimostra che Y, soddisfa alla stessa equazione differenziale. (Del resto, ponendo g=—2, le funzioni Y» Y,: Ys» Y, sì scambiano rispettivamente in y,, Y3; y, V) Così sono dimostrate la terza e la quarta parte del teorema. Siano ora Y;; Y, @ y tre funzioni di %, che pera= a as- sumono il valore è, e che soddisfano alle condizioni dy, dy, dy Ta 10M) ; Fa (0%) ) da 1 (0:9) ; Per una proposizione dimostrata sarà nell’intervallo (a, A) YDYTY > quindi Y,, limite inferiore delle funzioni y,, e Y,, limite supe- riore delle y,, soddisfano alle condizioni Iegpe Vox che è la quinta parte del teorema. Ammessa puramente la continuità di 7 (x,y) non è possibile il dedurre altre conseguenze oltre all'esistenza delle due funzioni Y, e Y, che per ax=a assumono il valore d, che soddisfano I all’ equazione =f (x, y), e le quali comprendono fra loro 2 tutte le funzioni che soddisfano alla stessa equazione, e che per x=-a assumono il valore 5. Ma se si fa l'ipotesi del num. 6, tutte queste funzioni coincidono. Invero, dalle equazioni dY. j i aL, ; Fa I® e) ’ 1a 0 Y), sì ricava d(Y\- Y,) o 2 af, Y)-f(e,Y,), ossia d(Y- Y,) n * — ga ta) 40,9) ove y è un valore medio fra Y, e Y,. Suppongasi ora che per tutti i valori di x compresi fra a e A, e per tutti i valori di y EQUAZIONI DIFFERENZIALI DI PRIMO ORDINE 445 compresi fra Y, e Y, si abbia f, (x,y) cos g (cos 7,+ cos e) \ +, IO NI DITO rl STAT ” ” article eee aa _ vi rei A 0) = — « =) ig = }' — « = ‘e — « A = 4 = c° I € — ma ES 0=8°8I—22 O=E,8L 92 -—- 24 _NONONNE * FLI'OSLOI « « « N00N00 GLI ‘68€ «< « «< « 0000008 988 ‘06% N00N004 8L6 ‘L68 N00N001 PLS "663 (2 +3) « «< < - Le lol (>) = 23) A DN A À « «< « « « < « « (2 32) + (042) +. (940) FPIP4FPFP+4+++tt + +++ + + 0000001 Opp‘oLn9 « «< < 0000001 808°3S « « « 000000 4 96423 1000007 018°g 000000 +reL'se ke è 169°0 2108°0 9 168°0 d 3680 d 8680 9 'Eg9°0 9 36860 è 868°0 2 668°0 ‘9 668°0 d 3680 9 888°0 98680 9 88860 d 3680 2 86860 93680 9 88860 23680 20960 9 TES'0 U G90L°0 + 2986°00+ U.0IT0 +22 0005 d 810 +90 606508 è also 88008 U GGI‘O +3 98640 — WES Sg 0 AVA LO Pepe 51h € U-B60°0. +3 06.06 Wa Lod: trae LAO0 È 6600. 00 ILE IT e L-8TT%9 #3 DE60= RT +9 48606 WET ao UEPIO i UR % 08L°0 + 206640 — ug To +2 986/05 BRIO a 0 poro #2 08600 — Rel 070 = 2 RT6 0 LF 2 Li60i— CI een oIe]Od i 0.IM}TY e er [Ly] enea 468 Dalle [5']. Giove a , Regolo Sh Spica, € , » CA » pra » e, » psi » e. » da: » o » e, » wo; » a » 69; » d, » cv, Arturo d_, » di, » d' ; Fadl, Polare e , e l ALESSANDRO DORNA C. Ar-—0,097E4 0,2261+0,287e+0,017:— 8',4= 00 Ar-—0,089Z+ 0,2072+0,290e+0,017:— 9,3=0 Az-0,080E— ‘0,1847— 0,116e40,007e— 14,08 At— 0,0268— ‘0,181m— 0,1014000 13,928 At—0,028E— 0,184m—0,1096+0,008e — 15,1=0 Ar-0,024È-- 0,1857— 0,094e+0,0106— 14,4=0 At-0,0262— 0,184x—0,1026+0,0086— 15,0=0 At-—0,024£— 0,18371—0,098e+0,011e— 14,8=1 Ar-0,025éÉ— 0,1847—0,095e+0,0096— 15,0=0 At-0,0215— 0,1887—0,081e+0,006=— 14,3=1 Ar—0,023E5— 0,1844—0,087e+-0,009e— 15,0=0 Ar-—0,018È— 0,1854—0,072e+0,0065— 14,3= È Az 0,043E— 0,184n—0,164640,009e— 15,7=0@ At=0,084éL ‘0,1857—0,1326+0,;00662 15,190 At-0,0408— 0,184x—0,1542+0,0096— 14,7=i Ar—0,032È— 0,1857—-0,123e40,0066— 14,1=% At4+0,054È4 ‘0,355—0/1416— 0,0076287 A7+0,047E4 0,8557—0,125e—0,008e— 4,6=1 At+0,0485+ 0,3567—0,126e—0,0046— 4,4=0 AT+0,0405+ 0,857mn—0,104e—0,0056— 5,8 A74 7,088 5— 48,244n— 5,003e— 0,0035— 787 ,4=0 469 NOZIONI INTORNO ALL'EQUATORIALE CON REFRATTORE MERZ (ee, TI Maggie I gue iI Giu= yi: ee I br ri o GI Ida O 20 O O = o e ego Udi < ” PS ”- ” O dim «di mm ” 00.29 00 15 00.5 rd D ri Mm NI ” ” © ” CO rd GINO GI (ap) 2 8I8'EF +? 1F8°8F + 2 890°1 « « «< < « « «< « « « 2 LIO°I + ?2098°0 « « +++++++t++++++ « + 298100 + + + H+ 3 3 ei 3) 3 3 “ “ tere — #e60 — 8960 — 19640 — ° 06600 — 3-96 0 NT gl a 8F0°0 + 918004+% 9.890°0+ % a 1S0°0+% 26900 — > pIe'o — a 88040 — 2 3 3 2 3 bj RON n poco — RS a FISCO — La 3 F9S'0 — 2) 3 3 3 3 3 È) 2 3 LOes0 LOLA 99560 — SOR 9960 — B9G:0.E I PES el 180 ts 8660 —:D 000° Lerthii98a06 Asia d790°00 — & 218040 — 2 o 69000 — a GL00 — 4 2 1900 — % 2900 —% 2 7F0°0 — 2 20900 — 4 2 L60°40 — 2 a gS00- ?66007% 20500 -% ogr00t% 207000 + % Td 9030 + 800°0 + z00°0 + #00°0 + 7000 + 100°0 + z00°0 + c00°0 + RO. 0A7 z00°0 + c00°0 + LO0.0 E BODIO 100°0 + c00°0 + 100°0 + LO 0e 100°0 + z00°0 + 900°0 — 9000 — LP MU UP IUS IP UP UP IU IUNPIUNP UP IAU UP UP UP UPUP UP UpAUp IL3IT+ "9 eco — ,P cIo0‘0 — ‘D 0800 — ,'? 7e0‘0— ‘P 8I0°0 — ,°9 ccoto — °? 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Bilo ss0 GINioes atta FILO‘O — ‘8 did: ia È: QIV[OA « « « 0INYIY « « [,9) erea ALESSANDRO DORNA 470 ‘ossoxdde ur osuod eyo TuUeWIE,ustIi I 0Fep ouugi tu ‘Ipempend ruturur top 0pogow [09 07egta) ‘op cuorzipuoo rp ruorzenbo 6g Ip q 0ddn13 oquondos JI 1809 0UOI}}O IG ‘9 8 2 UL QUIpIo 0puooas Ip TUIULIOY I OpugmoseI) ‘9 pa 4.43 Ip _0]09 [eo Tr 10d g ole IssoSunISSe ep ruorzenbo 01g7enD 0u0Su9}0 IS /7 e][eu oso]ea ozsonb opuoonporzu] ‘591 — ® ogenso opuewewisso1d 9 ezuons -asuoo od o[enb e] ‘0 y rp contenu @Toqea ep 000d Ip odittogip osop ‘tuorzenbo agsonb ur 1301 rutuo7 Op oIpeur JI 049 IS e ‘FP egou ‘gv tp ogonb è oqggadsia è ‘% ‘5 Ip 1Quorogzeoo top ezzojooord è] 0=2*9—26917—20161—?0881+2gp60+1seT+3est0—sv ÎM......... esi) ‘D 7 nt 00N0NI0k _ ij NnnonaE _ Po " ‘ tt a O tat) a ASI 0000 RASO | ide? 0791-30 DT LILLO ARES IT TROVI 5; 000000] 000000} ; i A 1 eso ‘Db gl 988 2 Ta) ra TT ARORO ER 080 O O=0'Fer 2670 L71807 098°04-2.0E8%0 Dos 04 ero e NNNNN0I MNNNNNI 9198 0=,78 +92 Feeoe (OT!) gega 2 S8FOTA097'0+3898'0+0v | 0=9'9—2#30°1—-? 380 — è 88560 +28250+%9810+239L1'0—2V NIANOOI 000001 2° ***‘01836N # 0[080Y = tr 7 MT) ego TANGI OA L:0 1 FOLI VA EN a ‘le] è [1] emea NOZIONI INTORNO ALL’EQUATORIALE CON REFRATTORE MERZ 471 B' EQUAZIONI DI CONDIZIONE. — 0,917 È — 0,394, SIA È — 0,401 0985 £ L 0,104 0989 È 1 0,142 2,986 E +£.0,152 E0:990: E 4 0.130 986 E 4 0442 SEGGI 4 0,130 oggi E LE 0.135 PRrOgInE L 0;118 gs aL 0.121, SERIE + 0.099 Sas EL 0114) CAMIGDEL 0,092 SoS 0,107 0,992 È + 0,085 MOSG EL 0155 SAIL 0,132 22,990 £ -£. 0,183 9 £ O:110 + 0,986 € + 0,162 SSSMR6A104 E + 03792 + 0,858 È + 0,460 + 0,804 È + 0,555 + 0,785 È + 0,620 EQUAZIONI NORMALI. 9 SES SESSI Sr STR Assai la ITET e GE +04 MA GB. -L. 2a Gar 0g E. — 0,550 _ 0,822 MD _ 0,822 D-40)825 — 0,822 — 0,828 _— 0,823 — 0,823 _ 0,822 210,828 — 0,822 — 0,823 _— 0,822 _x (0,829 — 0,293 — 0,292 291 — 0,301 0,691 0,596 0,485 0,092 0,163 INS SS AIN IS SISTER EST IST TESTE ST Si Sit ST ++++ | 18',3 18,8 10,5 Let 10,5 i” 10,5 Ig 11,0 12,2 LLho 10,2 pe 12,5 10 10,2 13,2 13,2 — 13,2 132 16,9 16,6 17.6 19,6 20 ,6 ,468 4 + 13,426 e + 280,83 0:72.15 è +, 80,72 gii. NbOTI- 18878 Il - I] Vis bd (©) e dere w© > Mo Teyerel>sjeìlere cs Me M=eW= DISTESO = 472 ALESSANDRO DORNA Seque B'. LOGARITMI DELLE ESPRESSIONI SIMBOLICHE. [aa] 1,35445 [ab] 9,67025 [ac] 4-1,12799 [an] 2,44844 [bb] 0,33546 (Db, 1] 0,33851 [D c] n 9,85431 [be, 1] n 9,98587 [bun] 1,48742 [bn, 1] 1,39636 [cc] 1,06096 [cc, 1] 0,54865 [cc, 2] 0,48882 [cn] 2,27596 [cn,1] 1,34400 [cn, 2] 1,52540 B' 9,66236; A'n8,31580, A"n9,78040. INCOGNITE. e 40:59 a=—16,6 po — 5% Ponendo questi valori nelle C ed omettendo nelle medesime il termine in e, il cui coefficiente è molto piccolo in tutte, ri- cavasi dal medio dei termini noti che risultano il valore ap- prossimato : Sostituendo questo valore nelle £ si ottengono quattro equa- zioni del tipo delle D, aggiunte alle quali ed introdotti i precedenti valori di é&,z ed e, nasce il gruppo D' che segue di 25 equazioni in 5,7 e e dal quale dedussi. col metodo dei minimi quadrati i risultamenti messi dopo. NOZIONI INTORNO ALL'EQUATORIALE CON REFRATTORE MERZ 473 D. EQUAZIONI DI CONDIZIONE. Meo: cas, 1090c/- 40,=0 CR oO e ML (0,1864 + 1017 ci_-12B412-® — 0,566 e — » + » PIERI 168 PET 0) EDO RO 0 d0E | » + » o ruggorzz 0 DS 1a seur,te d} | 9s08s2.0 i 500989 E pai i ISEE RS ENO LSO 7 cenc Suda RETI, — 0,564 e — » CL » LATI = 0,567 E — » H+ » —_ 3,2 = 0 MEGA SEME i PA oto: do geSMUT 206708) — CENCRT al [dans 0 si 0,564 e — » + » eni ARTI = (0 = 0,567 — » Hd- > -—— 2,9 = 0 BGA e — pini Si de ni 0,567 E — » + » SI 0 AVE RIST € 2,8 = 0 0,951 + » + » Se I ae > + » SL RO » + » 90 Me gie del 56,30 io) LIMA 16 sio (I et 110 6950 it 640di$ A183670|/ 201458 0 + 1,850 — 1,910 è 2,153 ei-nil9;2 =0 EQUAZIONI NORMALI. 22,899 e — 112,848i— 128,385 c+ 121;66 =0 — 112,848 # + 1928,799 + 1929,415 e — 2405,88 =0 — 128,385 e + 1929,415 è + 1954,962 ce — 2469,80 = 0 474 ALESSANDRO DORNAÀ Segue D'. LOGARITMI DELLE ESPRESSIONI SIMBOLICHE. [aa] 1,35023 [a b] n 2,05249 [ac] n 2,10851 [an] 2,08515 [Db] 3,28528 [b ] 3,28542 [bn] n 3,98127 [cc] 3,29114 [c n] n 3,39266 B'n0,00019; [bb, 1] 3,13362 [bc,1] 3,13381 [bn,1]n 3,25358 [ce, 1] 3,08592 [en, 1] n 3,24854 A'0,70226; INCOGNITE. e=+ 1,3 ego Sa ec+4+ 0.28 [ce, 2] n 2,15436 [cn,2] 1,33187 A 9,84140. Il valore definitivo di A0 si ricava dalle A ed £, tenendo conto dei termini in &É, y, e ed è AO0=— 16,6. Quello di At si ricava dalle C ed E, tenendo conto di tutti i termini ed è At=+13/,9. Dalla piccolezza di e ed è risulta che non ho commesso un errore sensibile trascurando i termini di secondo ordine nelle B ed E, ed il piccolo errore di 0',2 nei termini costanti delle quattro ultime B', proveniente dal valore approssimato di A intro- dotto nelle £, ha una influenza insignificante sui valori trovati di È Mede NOZIONI INTORNO ALL’EQUATORIALE CON REFRATTORE MERZ 475 I valori definitivi di :, i, c devono ricavarsi dalle D' ag- giungendo 1',3 ai termini costanti delle ultime quattro e questa variazione non altera sensibilmente i risultamenti ottenuti. Le costanti che mi risultarono per l’equatoriale da tutte le osservazioni che ho fatto sono adunque : - In M606 È) » Adò=— 16',6; Ar=+55 ,6: 7 ——-5 SN bj 6 = SERBO SERRE essendo 1’ l'indicazione minima dei due nonii del circolo di declinazione e 5° l’ indicazione minima dei due nonii del circolo .® orario. Torino, 8 Giugno 1886. 476 E. ROTONDI SULLO INVERTIMENTO SPONTANEO DEL SACCAROSO E SULLA ANALISI DEI PRODOTTI INDUSTRIALI PREPARATI CON ZUCCHERO DI CANNA E DI FECOLA del Prof. ErmeneGILDO ROTONDI Richiesto in diverse occasioni d’analisi di prodotti che si esportano all’estero, ed ammessi alla restituzione della tassa sullo zucchero, ebbi a riconoscere le difficoltà che si incontrano in simili ricerche, specialmente quando si tratta di determinare la quantità di saccaroso in una sostanza preparata con zucchero di canna e di fecola, dovendosi in questi casi valutare non soltanto il saccaroso esistente all’epoca dell’analisi, ma anche quello cor- rispondente allo zucchero che subì l’invertimento spontaneo. Sem- brandomi di qualche interesse la conoscenza di alcuni dati pra- tici relativi all’invertimento dello zucchero, mi decisi a completare alcune esperienze già intraprese da qualche anno. È noto, che la quantità di destroso e levuloso contenuto nello zucchero invertito, può variare a seconda del metodo se- guito per la sua preparazione, e che l’analisi delle sostanze zuccherine ammesse alla concessione del Drawback, si eseguisce ordinariamente mediante i processi di saccarimetria ottica e chimica, ammettendosi nei calcoli che lo zucchero invertito ri- sulti di quantità eguali di destroso e levuloso, e che il destroso che si trova in più del levuloso, provenga dall’aggiunta di zuc- chero di fecola. Uno degli scopi delle esperienze fatte, fu quello di stabilire il rapporto fra la quantità di destroso e levuloso contenuto nello SULLO INVERTIMENTO SPONTANEO DEL SACCAROSO 477 zucchero invertito, preparato con acidi minerali nelle condizioni qui in seguito indicate. Con zucchero di canna al titolo del 99,65 p. be si fecero soluzioni acquose di concentrazione variabile dall’8 al 18 p. % circa, e si trattarono con DAR del loro volume di acido cloridrico della densità di 1,12, oppure con l’1 p.% di acido solforico monoidrato. Nel primo caso si riscaldarono le dette soluzioni per dieci minuti alla temperatura di 60-65 gradi centigradi, e nel secondo si elevò a 70-75. Subito dopo l’invertimento si analizzarono le soluzioni ottenute a mezzo di un polarimetro a penombra di Laurent (1), e del liquido cupro-potassico di Fehling. I risultati avuti furono i seguenti : | Zuccheri | Gradi | Destroso | Levuloso | FapPorto LIQUIDO ANALIZZATO BRE | Lanrent ccp E | rantità | e pene 100 ce. | 100 ce. (è loruloso Zucchero invertito con SO,H, | 17.24 | — 7.4) 8.85 | 8.35 | 1.05 ; » IE SIG] — 3 BC 40450 1 A160 0) 14-07 » » >» | 10.191 4.1| 05.321 4.87( 1.09 » » n ZONE | — 7 100896 | 8.28 | 1.08 e 5 RE TT ESE o ia 104 : e e II L00516 16.09] (02 Dai risultati esposti in questa tabella si rileva, che il rap- porto fra la quantità di destroso e levuloso contenuto nello zucchero invertito cogli acidi solforico o cloridrico alle indicate temperature varia da 1,02 a 1,09. Siccome il levuloso può fornire destroso in presenza degli acidi, è evidente che i detti rapporti sono soltanto ammissibili per il saccaroso invertito nel modo con cui si eseguirono le esperienze, e che le stesse, non appoggiano nè impugnano quelle di coloro che ritengono lo zucchero invertito formato di parti eguali di destroso e levuloso. (1) Tutti i dati relativi al polarimetro Laurent di cui è cenno nella pre- sente nota sono riferiti ad uno strato liquido di 200 millimetri e nei calcoli sì adottò per il potere rotatorio specifico del saccaroso []a = 66,50, per quello del destroso [2]a = 52,85 e per il levuloso [2] a = — 100 alla tempe- ratura di 15° gradi centigradi. 478 E. ROTONDI Di quest’avviso sono il Bourquelot (1) e Ed. Lippmann (2), il quale recentemente studiò lo zucchero invertito preparato con acido carbonico. Altre esperienze ebbero per scopo di determinare il rapporto fra i zuccheri riduttori esistenti nello zucchero invertito, ottenuto dall'azione degli acidi fatti agire nel modo superiormente indi- cato, sopra zucchero di canna che aveva subìto un parziale in- vertimento spontaneo. È questo il caso che ordinariamente si presenta nella pratica, quando si deve determinare la quantità di saccaroso impiegato unitamente a zucchero di fecola nella preparazione industriale delle sostanze zuccherine. Per tali ricerche feci uso di pesche sciroppate inviatemi per analisi dal Ministero d’Agricoltura, state confezionate con zucchero di canna dalla Ditta F. Cirio, e conservate in scatole di latta chiuse con oppor- tuna saldatura. Un tale prodotto lo ritenni opportuno per le mie ricerche attesa la piccolissima acidità del medesimo, e l’assenza di fermenti per il modo speciale di loro preparazione. L'analisi eseguita l’ otto dicembre del 1883 diede i seguenti risultati : Saccaroso Destroso | Levuloso a SOSTANZA ANALIZZATA | des 0 0 | 0 Dego ev POLAT e levuloso SECONDO LE i eiasii 7.99 6.78 Inti Pesche sgocciolate . ... . .| 27.92 7.15 6.73 1.06 Una scatola di dette pesche si analizzò ai primi di febbraio del 1886, dopo d’averla lasciata per ventisei mesi in un cortile esposta agli agenti atmosferici. I risultati ottenuti furono i seguenti : Saccaroso Destroso | Levuloso pr SOSTANZA ANALIZZATA | destroso P- °/o DA gle Rae e levuloso | Stiroppo n Gagggnoli ii [ign 19. 51 17.03 14.33 Pesche sgocciolate . . ., .| 14.79 14.45 12.98 Da questi risultati si rileva che il saccaroso ha subìto un parziale invertimento spontaneo, e che fornisce, mediante l’in- (1) Comptes rendus, T. 101, p. 69. (2) Berichte der deutsch. chemis. gesellsch., T. 13, p. 1822. SULLO INVERTIMENTO SPONTANEO DEL SACCAROSO 479 vertimento acido applicato nel modo precedentemente indicato una quantità di destroso di poco superiore a quella che si trova nello zucchero di canna direttamente invertito cogli acidi. Questo fatto trova spiegazione in alcune esperienze di Maumené (1), il quale è d’avviso che il levuloso può in alcune condizioni essere trasformato in destroso anche per la semplice azione del tempo. Relativamente alle cose dette, può avere qualche interesse la conoscenza delle seguenti analisi eseguite sopra alcuni cam- pioni di cedri e scorze di limone candite: CAMPIONE ANALIZZATO | rage | a pi ne Del/o | Pio P- °/o ARICVRIOSA Cedri canditi (a). . . . .| 40.07 | 9.71 10.57 0.92 AE a 0 ov, 0-16 db20s21 12.06 1.56 MEEBS al. -—. --t1 Gb) 290, | gl2ad9 rho he ò iaia 9.47 8.54 7:81 1.09 mec (159 7.56 7.34 1.03 i i el cd. cp LOSE? Plrtage 9.70 114 Ù DIRO PALE TRITATA i n Logo: 141,06 tti Scorze di limone candite . . | 38.61 12.08 10.74 Ice 3 ; dik da 08 9.70 9.03 1.07 » » » atei 18. 5I 10. 28 8. 84 1.16 Nel complesso queste analisi provano che il destroso si trova nello zucchero invertito, proveniente da saccaroso che ha subìto un parziale invertimento spontaneo, in quantità più grande del levuloso. Il campione (0), si deve ritenere preparato con zucchero di canna e di fecola, e la maggiore quantità di levuloso in con- fronto del destroso contenuto nel campione (a), si deve attribuire ad una quantità predominante di levuloso naturalmente esistente nel frutto prima di condirlo, e non eliminato nelle operazioni preparatorie. Questa deduzione trova appoggio nei fenomeni re- lativi all’appassimento dell’uva, di cui diremo in seguito, e negli (1) Comptes rendus, T. 101, p. 695. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol, XXI, 32 480 E. ROTONDI studi di Berthelot e Buignet (1) relativi alla formazione dello zucchero nei frutti. Altre ricerche ebbero per scopo di determinare il tempo ri- chiesto per l’invertimento spontaneo del saccaroso, e il rapporto fra la quantità di destroso e levuloso contenuto nello zucchero invertito, preparato con zucchero di canna che ha subito un parziale invertimento spontaneo in una soluzione alcoolica avente la composizione: Zucchero di canna 15 Por Alcool in volume Late Acido tartarico 5a Detto liquido si conservò in vaso di vetro bianco, e le analisi eseguite sopra il medesimo in epoche diverse, dopo trattato conve- nientemente con acetato basico di piombo, diedero i seguenti risultati: Gradi Laurent Znccheri riduttori S g Ki Ro # guido ss|esl ség Ss 58 EPOCA DELL'ANALISI | 2° | se8|/ 3 |3s #8 #8) BOE 3546 jt| St i | {8|Î2|43|#7 22 CA e | &] [2068 3" 00 Mbit O, MITI 0 PS, . | |a 19 Marzo ....1885 |+14.5/...... tracciej*15:-21) —_.|r — — |14.62 15 Aprile.... » 19722 | 12 Maggio... » 15.9 | 15 Giugno ... » 14.7 21 Settembre. » 8.3 29 Ottobre ... » So 16 Novembre. » desi 10 Dicembre . » VE2 5 Gennaio .. 1886 0.0/(— 7.2] 11.41| 15.23, 5. 74] 5.67| 1.01| 3.96 1 Marzo ....-» |— 0.2|— 6.4] 11.76] 15. 6.13) 5.63] 1.09 | 3245 26»... » | 1.0/— 5.9 11290] 14,95} 6.26) 5. 64/1 de 15 Aprile.... » _.j— 1 0|— 6.0 11..95] 14:87! 6.27] 5.68) 1-100-2460 10 Maggio... » |— 1.7/— 5.7) 12..60| 15.04) 6.70) 5.90), 1:43] 2225 1 Giugno ... » |— 2.-|— 5.2 12.54 ERO 6.76] 5. 78) xt64 1.80 Questi risultati ci insegnano quali sono le trasformazioni che subisce il saccaroso aggiunto ai liquidi alcoolici, come ad esempio (1) Comptes rendus, T. 51, p. 1094. SULLO INVERTIMENTO SPONTANEO DEL SACCAROSO 481 nei vermouth, conciati con zucchero di canna, e provano come lo zucchero invertito che si ottiene in questi casi contiene destroso e levuloso in un rapporto di circa 1,10, numero non molto diverso da quello trovato per lo zucchero invertito direttamente e per le pesche sciroppate. Analoghe esperienze si fecero fino dal 1877 sopra mosto d’uve opportunamente concentrato e conservato per 18 mesi. In questo caso il rapporto fra destroso e levuloso, determinato in epoche diverse, dopo il trattamento con H CI variò fra 1,07 e 1,14. Dalle cose dette risulta che lo zucchero invertito, preparato mediante l’azione degli acidi minerali fatti agire sopra saccarosio che ha subìto un parziale invertimento spontaneo, contiene destroso e levuloso in un rapporto che varia da 1,10 a 1,15 circa. Un tale fatto si deve avere presente nell’analisi dei prodotti zuc- cherini ammessi agli effetti della concessione del Drawback, onde dare un giudizio attendibile relativo alla quantità di saccaroso e zucchero di fecola usati nella preparazione di un prodotto industriale. È però necessario l’osservare come i soli processi saccarime- trici possono in certi casi condurre il chimico a giudizi inesatti e pregiudizievoli all’amministrazione finanziaria. È infatti noto che i liquidi alcoolici preparati con uve secche, contengono un principio levogiro speciale (1), e che per conse- guenza detti liquidi possono contenere dello zucchero di fecola senza che sia svelato dall’analisi saccarimetrica, poichè i prin- cipii destrogiri e levogiri potrebbero trovarsi in un rapporto cor- rispondente a quello dello zucchero invertito. Lo stesso dicasi del mosto d’uva appassita, poichè nei fenomeni dell’appassimento dell'uva, che come è noto sono accompagnati da diminuzione di zuccheri riduttori e dalla formazione d’acidi speciali (2), è il destroso che si decompone a preferenza, del levuloso. Infatti da analisi eseguite nel corrente anno sopra uve conservate fino alla metà di aprile e di maggio, si trovò che la sostanza levogira rappresentava circa il doppio della destrogira. Alle cause di errore nel valutare la quantità di saccarosio (1) Girarp, Documents sur les falsifications. (2) Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. V. 4, Pavesi e RoTonpI. 482 E ROTONDI stato aggiunto ad un liquido contenente zucchero di fecola, ap- partengono quelle provenienti dai fenomeni della fermentazione elettiva, osservata dapprima da Dubrunfaut (1) e Neubauer (2), e più recentemente con risultati diversi da Leplay (3), Mau- mené (4) e Bourquelot (5). Per istudiare quanto ha rapporto coi fenomeni della fermen- tazione elettiva dello zucchero invertito, feci la seguente espe- rienza. Invertii completamente con acido solforico dello zucchero di canna al titolo del 99,65 p. %, ed il liquido ottenuto, dopo saturato con carbonato di bario e filtrato, lo feci fermentare mediante aggiunta di lievito di birra, solfato di ammonio e fo- sfato di potassio. Detto liquido analizzato in periodi diversi diede la seguente composizione: Gradi Zuccheri IDISLIORO io Rapporto > AN : Laurent riduttori fra destroso EPOCA DELL’ ANALISI È - Temp.— 15 | in 100:cc. in 100 ce. | in 100 ce. olorulasa = 24 Maggio 1886| — 7.4 17.24 8.85 8.39 1.05 CE da È ne eZ 14223 ala da 7.28 0.95 SE /260000n0 carpe 8 |oer49188.] 16,461] 77420 feOR8T 5928» pfbfenid poornvgon] sio | Gozo ig | ZE] 1 Giugno » | — 5.5 5.76 | 1.95 3. 81 0. 51 | 15 » » — 0.1 traccie = — _ La fermentazione elettiva dello zucchero invertito risulta evi- dente da questa tabella, e trova anche conferma nelle analisi eseguite dai professori Comboni e Carpené (6) sopra vermouth conciati con zucchero di canna. Per valutare quindi la quantità di saccaroso impiegato con zucchero di fecola nella preparazione dei vermouth ed altri con- simili prodotti industriali, le sole ricerche saccarimetriche non bastano, ed in alcuni casi è necessario ricorrere ad altre inda- gini chimiche. (1) Compltes rendus, T. 25. (2) Zeitsch. fur analyt. Chem., T. 16. (3) Comptes rendus, T. 101, p. 479. (4) » » » 100, p. 1505, T. 101, p. 695. (5) » » » 100, p. 1404, T. 101, p. 68 e 958. (6) Rivista di Vilicoltura ed Enologia italiana, anno 1885, p. 427. SULLO INVERTIMENTO SPONTANEO DEL SACCAROSO 483 Ricordo come il Neubauer (1), alcuni anni or sono, e recen- temente C. Schmitt e Cobenzl (2) provarono che nei prodotti della fermentazione dello zucchero di fecola esiste sempre una sostanza, detta gallisina, che ha la proprietà di ridurre il liquido di Fehling, di deviare a destra il piano di polarizzazione della luce polarizzata, e che non precipita coll’acetato basico di piombo. La ricerca della gallisina non si deve quindi trascurare nel- l’analisi delle sostanze zuccherine aventi scopo fiscale ed igienico. Tale ricerca si eseguisce direttamente sulla sostanza, o dopo fatta fermentare con acqua e lievito di birra, col metodo indicato nella citata memoria di Schmitt e Cobenzl. Non devesi però dimenticare che la gallisina, quantunque non fermenti in presenza del lievito, pur tuttavia in soluzioni diluite, ed in conseguenza dello svolgimento di mucedine . può essere trasformata in glucoso fermentescibile. È forse questa la ragione per cui in alcuni casi non potei riconoscere, anche facendone la ricerca col metodo di Neubauer (3), la gallisina in liquidi provenienti dalla fermen- tazione alcoolica, ai quali era stato aggiunto zucchero di fecola, mentre in altri casi potei riconoscerla assai facilmente. La ri- cerca della gallisina nei liquidi merita quindi d'essere oggetto di nuovi studi. Dai risultati delle esperienze eseguite si possono trarre le seguenti conclusioni: 1. Mediante i metodi saccarimetrici si può determinare la quantità dei. zuccheri di canna e di fecola, impiegati nella preparazione dei prodotti industriali. ammettendo che nell’inver- timento acido del saccaroso che ha subito un parziale inverti- mento spontaneo, sì ottiene un prodotto più ricco in destroso che levuloso, e che il rapporto fra i due zuccheri riduttori sia BERISLO- o tutto. al più di 1,15. 2. Nel caso di liquidi zuccherini parzialmente fermentati, o mescolati con mosto d’uve appassite o ad estratti d’uve secche, i metodi saccarimetrici non sempre bastano a far conoscere la presenza dello zucchero di fecola, a causa della grande quan- tità di levulosio che i medesimi possono contenere. (!) Zeitsch. fur analyt Chem., T. 16, p. 201 e T. 17, p. 321. (2) Berichte der deutsch. chem. gesellsch. T. 17, p. 1000. (3) Bulletin de la Soc. Chim., T. 32, p. 381. 484 E. ROTONDI - SULLO INVERTIMENTO SPONTANEO DEL SACCAROSO 5. Nell’analisi dei liquidi zuccherini ammessi agli effetti della concessione del Drawback, non si dovrà mai trascurare la ricerca della gallisina, poichè la presenza di una tale sostanza ci prova che nella preparazione dei medesimi si fece uso di zuc- chero di fecola. Torino. Laboratorio di Chimica Industriale del R. Museo Industriale Italiano. Giugno 1886. 485 EFFEMERIDI DEL SOLE, DELLA LUNA E DEI PRINCIPALI PIANETI CALCOLATE PER TORINO IN TEMPO MEDIO CIVILE DI ROMA PER L'ANNO 1887 del Prof. AncELO CHARRIER. db: ,; vocolta II IRE IENTOSCON TN 50 Let I ee ani nes Bagni Alenlerigni: asroesgizt 3f. Mii Uli ci Soncersutos dei Drawrbgra, 08 ai dovrà. mes tree OLO rPCE rl SA 2Ai 19 RZ 354 DOtONa ‘ l'A rA di TUA tell tina $ 3 DI ; ei î pi ì 4 re 4 DICDALAZISR Lt Lo RS (10005 birevo di fa l "Tabù a i ava i dr 4 une Lord tape puo +55 } IOIRAMEbTTH la È > AAUI AHI ,4102 d » g { Dis "00 ATRMANI IIAITONIAI 1008 ti Von dont! in Raltìa otogm OIMat dr Gvtor 981 NTAIOOI Pot. F88l'OMRA I ASI Lo P. = RFEIIATO 0 LRORA of lab x EFFEMERIDI DEL SOLE 487 — SOLE — Gennaio | È TEMPO MEDIO DI ROMA DECLINAZIONE | TEMPO SIDERALE v È — = Mei ia È % DI TORINO £ assaggio ) ere si EFiare | mezzodì vero SIR = dritinio tare / medio di Roma h m b mes h m h m s 1] 8 0|0 22 46:08 | 4 46] 230 0'44"1A| 18 24 8-90 2 d'‘oed 23° 1429 ARVTATA| 227500831 1/8} 128 5645 3 BIO 23 42:12 4 48 | 22 49 547 15192250) na 4 8_0 24 9-56 4 48 | 22 43 49‘0 1555 So Del 49! i 24 36-55] 4. 4901 22 3714618 18° 395512 6 91.0 2943609) 4. 50,1 22 30.167 18) (43. 51:68 | 7 8U AO 29 2914 40D 22922250206 18 47 48:24 8 Vo) 25 54 ‘67 405: 914579 18 51 44:80 9 459 205 19:68 4 DA 22ONSIRA L'EROE ESITI iO 59 26 44:15] 4. 55 | 21 57 54-4 18) Ka9.1:37198 diaj 7 58 27 8-03 40 564 21 48/4359 19449 12 70 DS 27 3134 4 (DS Zi SSIS LORA 104 E) O og 27 54:04 4% 59/0 217290670 19 2769 14 ZO DI 28 16-11 bf Og] 2140 191024015 lag 9 DI 2837 509x506 (ij 21° 17450,4 19%) 1190 120070 1007 56 28 5934, av || 2015649555 19} 233717328 17 °° DA 29 18:45 De 461 20 4405627 19) (97. 1383 18 i" DI 29 37 ‘87 De (ui 20324 19051 OM 0536 19 i 54 29 56:59 os Yi 2012082812 1 ONR70 6098 Su Lo 53), 30 14:59] ai 8200 175392] 19. 39 © 3-48 31:85 54 27:7 22 I 30 48 +33 11 | 19 40 54°1 19 46 56:60 23 1 31 13599 5. 12 | 19 26 583 197902016 24 0 3i 19-00 5,1 138 19) -12RALE0 19! 154. 49072 9 3164] (è : € —_ |__|: _—_____. 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Primo quarto il 24 a 3 53 di matt. || Primo quarto il 23 a 6 35 di sera. Luna piena il 31 a 40 20 di sera. 04 | Novembre E. TEMPO MEDIO DI ROMA i = assa 101 x gi S Di 4! Masenel PE SaJJt0| Tramon SE si esi tare | sc) h m h ni h m 1| 5£56| 0212] 75 8|16 Da 6 AR 67 DIL 3|1542| 95 7|18 4| 7 45| 2 30 | 10 6|19 Dà de 01 1) 20 O.i:9, S2Bijl 4. 412 filo. ‘53 21 7|10 28|5 4| 03922 Dalila — 44.) 5 57 1521|923 9 6 50| 1 59| 24 10] 0=44| 7 43) 2 34|95 ia] t 150,48, 136163 6| 26 12.11.30 hi 9 29/1 3 _38| 27 13| 4 28/10 23] 4 10) 98 14 5 46/11 19|] 4 45] 929 104] 077 43 0 x 16 be Di 1 Mob 19|i:= 10; 6 ‘(952 1995 SONA 6 583 18140, ‘(S2/695 2: DANA LOCI 29704 8| 8_54| 5 20| 012/58: | 9° 56 6 \(21| 0550] 5 sito 58) 7 Datlil' OB 6, 37 8 23} 1 51| 7 2%| 08 0| 9 PA401382 (MAS 4|Vl,=t | 40 25) 2 .42| 8 451 25 0/11 26} 3 Oil 19... 9785) 10/112 BT e DIO 943: (59043 28.13. 58/10 53| 4- 59/14 29/40 29/11. 39/5. 59/15 30.||9 4 7 0| 16 Ullimo quarto? 8 a 5h 51" di sera. Luna nuova il I5 a 8 58 di matt Primo quarto il 22 a Il 32 Luna piena il 30a 4 9 di sera. di matt —————__——__e_—=—_—__—_——_«È—___—..E+——+=_a2a2===«—= —————— ii —_ ——É——ÉÉ—ÉÉ_-&€ A. CHARRIER Dicembre | | TEMPO MEDIO Di ROMA al S Ei —T7Ty__ymP—T_}-=- > 3 55 assaggio] Tr: Sa s3| Nascere a 5) Trama, se i meridiano tare w h m|h m h m 1| 5243| 0297] 7259/17 2| 6729) 1217] 8 =57] 18; 3| 7 21] 23 8| 9051] 19] Uil: (26 1/10 3) 1920 5[ 9 2513 s4/ii 23/21] 6|10 32) 4 47| 02 1|22! 7|11 42| 5 38] 0536/23|f 8 6 30) 1 8| 24 9] 0353] 7 21] 1 38/25 10] 2= 7| 8 12| 2 10|26 11/35321| 9 5-2 42697 1044; ‘37/10 0.1} (3 —EZ/6SS 13:]1-:5 52/10: 57 |1/9t 267 (0998 14 7 Side 55; 4 “43/8301 150} & ‘130 054 5 6/0 16| 9 13] 1552] 6 35| 2 17|10 4: 148107 7; 18.{\10: ‘47/3 «41/81 004 19} fd: ‘22/4. 30.09 65/6 20 [file 53,57 16] 10° 48/06 21] 0521] 6 O| iL. 50037 29] 02 46] 6, 42 8; 23| 1 9| 7 23| 0850) 9! 4 [fl 394.8 5| 1=48| 10° Sbei A2 0| 8_ 58| 23-48|11 926° 25 309. 33/035 dae 97:13 9:10; (20) 4; 49155 2811531 339 Ltà 10 hf 43/08 29:14) % Gì° 47465 3u| 5 14| 08 1| 7 44|16 31| 6 12| 0=55| 8 36|17 iui _ i. rr e Ultimo quarto l'_ $ a 45 0" di matt. Luna nuova il 44 a 8 dl di salle) Primo quarto il 22a 7 541 di mall Luna piena il 30a 9 4 di matti | ECCLISSI DEL 1887 505 ECCLISSI (1687) 8 Febbraio. Ecclisse parziale di Luna invisibile a Torino. 22 » Ecclisse annulare di Sole invisibile a Torino. 3 Agosto. Ecclisse parziale di Luna visibile a Torino. Entrata nell'ombra ... 8% 25", 4 pom Mietà;.dell’Eechase ..- > .- 9 38 soa Wacita,-dall'ombra: 7-7 LO 51 70 a Primo contatto coll’ombra a 130° dal punto più boreale del disco lunare verso est. Ultimo contatto coll'’ombra a 151° dal punto più boreale del disco lunare verso ovest (immagine diritta). Grandezza dell’Ecclisse 0,42 preso per unità il diametro lunare. 19 » Ecclisse totale di Sole parzialmente visibile a Torino. Il Sole si leva parzialmente ecclissato Bla Ro Ri e i nà O Fime: "dell'Ecelisse . . .-.;. uu: bi 000% Ultimo contatto a 124° dal punto più bo- reale del disco solare verso est (immagine diritta). Non TERE rage icanibort ‘ n b4 po PI (La È pes ni l panta è dpi sn H0h vee grin she TRE dp: NPT. 1088 suino fund asp Alti at deo Lia GA, le, n) Y TY , 31 si i % irta d gg Mie A RE i Bri. ; Rio e OS, VEIL. LI RR I ILE 6} | aBabi[soh Hob fg M ia PRESE | gii pete Gu hi [ ò GA via 3 RITO {fab pat Mb mi = satin [PASCRPTSI FATLOrInÀ tab NATA ud); “hi he " i i Ata: ogtati ariniti cosdth St dtostod? dat: ST: C i Login far at o sido Hera Ostgti6a surf 3° MA, ; , N hi I i Sed 0 (09) diga PSFITTA CAI nolo [ai è o toe tia n v [= 25 tota TRATTI o. SAD] Ri. Piffin PR OIVITNEL, Lol ‘il DRARCITÀ ‘pastore 20 A à ; . carina voro Pra st 9 n : i du P sta È Std stdoti uit 62 i DIESI N Geral oil 3 i "E © CRU RIOT (3 logitalii & dala Sa A dpi 4: E {Bivio adramiaistogi: WIE: 3)" MRI PRATI dì ta di Gi Au 13 DIE î ati si H ‘dà iron 5 DI Mlrde ivo) scola se ; Gar DIST di PERE I E "eleioai I {fot ‘6 Rig34) | + DE CD DIRO" bn fre batt prati } P, i 154 £ ui iù fa ay Rre w- A Sia ” ol r PESTO: MER Lia nai % sf EE, (pbertt ) ved pda n marte - pia ui tree l f % $ Ti si K-L9 dba . A È # È “ n i "LP } È % Aran. Ì | ion coprirà, & ofisipivni “stu ‘p. Aha NEP ada ION "TOA e] Mia” DIA” las PESTE bttahrio vitto se PA ati) den ORA INFINIS COLORI CARO Poisdi vati be gf UL de Si veg! L urina sid F lasagne: % so #8 sti bardi. pica > Di 3 SAI "i da 507 RFFEMERIDI Mercurio, Venere, Marte, Giove e Naturno SS. 508 A. CHARRIER TEMPO MEDIO DI ROMA Il Il 1 Febbraio 1 1 » 21 » t Marzo il » 21 » 1 Aprile il » 21 » 1 Maggio _ dn 21 » i Giugno il » 21 » 1 Luglio i » 21 » i Agosto Il » 21 » Sellembre ii il — — Il ”» 21 » 1 Novembre 10) » 21 » { Dicembre if » 21 » 3I » 2,0000080 PRE ORSROO I ola = 0. e (2 /e\mi0 ale fe (ole a siate 090° 009680 pennino va pie alare ln's a dae PRICE E IA PORTICI RCALICO RR RIE RICIORI I ROOM 09.00 0 00 0 CE RI ZO 0000001 000800. 000 CRCRORCECRORESCECRO MERCURIO LA nn Passaggio Tra- Nascere al montare meriiliano h m | h m h m 6 232/10 256 3922 72 ofit 19] 3 7 38 7326/11 47 4 10 [©] 7 42| 0720| 5 0 7 50 0 3 dI 5 5 ii 45|0A 19|.6. 57 MRS 0] 54| 7 40 6 58| 1 22| 7 46 6 Mo 25: 68640 5. 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FrancESco Porro I. Prima di intraprendere uno studio regolare del nuovo equa- toriale di Merz e del micrometro filare annesso, ho creduto op- portuno di fare alcune osservazioni ai micrometri circolari, i quali, com'è noto, non esigono che l’istrumento sia perfettamente ret- tificato, potendo essere applicati a qualunque cannocchiale, colla sola condizione che questo resti immobile durante ogni passaggio degli astri che si vogliono fra loro confrontare. Il signor Diret- tore dell’Osservatorio presentò già a codesta Accademia due Note relative a questi micrometri (1), uno dei quali è ad anello sem- plice, l’altro ad anello doppio; ma i valori. dei raggi, essendo stati da lui determinati, prima dell'arrivo dell’equatoriale, al cer- catore di comete, collocato nella piccola cupola di Est, sopra la torre meridiana, dovevano essere nuovamente dedotti da osser- vazioni all'equatoriale di Merz, come è accennato nella prima di dette Note. Ho quindi eseguito una nuova serie di misure nelle notti del 24 aprile e del 4 maggio, osservando i passaggi di singole stelle lungo un diametro dell'anello. Questo metodo, che manifestamente è il più semplice possibile, dà immediatamente il diametro cercato, mediante la formula d=15 t così, dove # è il tempo occupato dalla stella nel percorrere l’anello (1) Volume XIX. COMETE FABRY, BARNARD E BROOKS 511 e 0 la declinazione della stella. Al valore che si ricava non oc- corre applicare altra correzione che quella dovuta alla rifrazione, d — 3600’ serva una stella vicina al meridiano, e non più lontana di 20° dallo zenit, perchè in questo caso si può ritenere che le grandezze la quale si può rendere costante, ed eguale a se sì 0s- 1 3600 del loro valore, così nel senso verticale come nell’orizzontale (1). Non è il caso di applicare la correzione dovuta alla curva- tura del parallelo, perchè questa incomincia a diventare sensi- bile sulla quinta cifra decimale del logaritmo solo per declina- zioni maggiori di quelle delle stelle da me adoperate. Per assicurarmi che i passaggi fossero veramente centrali, ho cercato di leggere il circolo di declinazione nella posizione esat- tamente intermedia fra quelle che corrispondono ai due paralleli tangenti all’anello superiormente ed inferiormente ; ma ho dovuto riconoscere che, per l’imperfezione delle letture e per la compli- cata e difettosa trasmissione dei movimenti attraverso a ruote dentate, ciò mi riusciva men sicuro che colla semplice stima del- l’occhio. E per quanto codesta possa sembrare grossolana, non è difficile dimostrare che 1’ errore da essa prodotto è trascurabile di fronte a quelli che si commet- tono nell’ osservare gli appulsi. Sia infatti A B (fig.1) il dia- metro vero dell’anello, E F la cor- da descritta dalla stella, per ine- satta collocazione dell’istrumento. Conducendo la ED, perpendico- lare comune ad AB e ad EF, è chiaro che AD è la quantità di cui viene ad essere diminuito il raggio per un errore di puntata uguale a DE. Ora, se chia- angolari degli oggetti osservati si contraggano appunto di B (1) La legge di contrazione degli archi celesti verticali per rifrazione può essere rappresentata abbastanza bene dalla formola 0,000%8 (1+tg®%), dove & indica la distanza zenitale. Il coefficiente numerico dà la misura della contrazione orizzontale, che si può ritenere sensibilmente costante sino verso i sessanta gradi dallo zenit, mentre l’effetto di % sulla contrazione verticale incomincia a mostrarsi verso i 20°. Attì R. Accad. - Parte Fisica — Vol XXI, 34 512 FRANCESCO PORRO miamo « l'angolo AC £, sarà DE=sinx, AD=1— cosa. Po- 1 200 6) errore insignificante, rispetto a quelli che si commettono apprez- zando i secondi, ancorchè si sia a bella posta esagerato nell’as- sumere un valore di DE, che è di molto superiore a quello che praticamente si può aspettare in una puntata. I risultati da me ottenuti sono riassunti nei due quadri se- guenti : 3 1 niamo ad esempio DES del raggio: avremo AD= Anello doppio — Aprile 24. Declinazione S 2 È Raggio Raggio NOME DELLA STELLA E E 3 dell’ anello | dell’ anello Boreale È zo x Si grande piccolo S pregnante 21°:879 1 2-8 4 8'36”,3 | 4"367,3 {7 H. Gan. Ven. + 1,37 4550.|5-0| \4/| 833,01) 0008 I SLI III: RC VAPORE VORO OSE 37 45,0 9 801 835,2 Adone Anonima: Li rini 32 45,0 m 4 |836,4|436,0 Anonima). oh 32 42,0| 7-8 4 | 836,8 | 408,0 Anello semplice — Maggio 4. Fi o Declinazione| S 3 È © È NOME DELLA STELLA È 58 Raggio dell' anello Boreale A zi 9 = 9 È a Ursae Majoris be 22 2 8 ide Anonima Ron 109 62 16 7 1 i pra s:Wrsaenmajii prisin 59 31 2 4 g° PG (= Pi) AMoniMarigizion. sli 55 30 9 4 a ite, COMETE FABRY, BARNARD E BROOKS 513 Di qui dedussi, previa l’ accennata correzione per la rifra- zione, i seguenti valori definitivi dei raggi : | Anello maggiore »=8' 35", 46. Errore pro- babile==- 0,157. Micrometro doppio < Anello minore r = 4 36,31. Errore proba- babile == 0,083. Micrometro semplice r = 3 14,90. Errore probabile = + 0,046. IN Le osservazioni di comete delle quali rendo conto nella pre- sente Nota abbracciano il periodo di tempo dal 30 marzo al 4 maggio 1886, durante il quale le condizioni atmosferiche singo- larmente avverse, e le difficoltà riscontrate nell’uso dell’equato - riale non mi permisero di determinare oltre a 14 posizioni, quattro della cometa di Barnard, sei di quella di Fabry e quattro della prima di Brooks. Le misure si fecero nel modo ordinario, osservando ad orecchio i passaggi della cometa e di una stella opportunamente scelta, e prendendo i tempi sopra un cronometro siderale di Kohlschitter, confrontato prima e dopo le osservazioni col pendolo normale Dent dell’ Osservatorio (1). Ebbi cura di fare sempre due serie di osservazioni, nelle quali le corde de- scritte dai paralleli della cometa e della stella occupassero po- sizioni simmetriche rispetto al centro, respingendo le osservazioni che per una causa qualsiasi non rispondessero a questa condi- zione; e non tralasciai alcuna di quelle precauzioni che sono consigliate per assicurare il miglior esito delle misure. Quanto alla scelta delle stelle di comparazione, essa fu af- fatto arbitraria, non avendo io a mia disposizione al momento delle osservazioni la Durehmusterung di Argelander, che avrebbe potuto indicarmi le stelle meglio determinate. Mi sono unica- mente lasciato guidare da due criterii: primo, che la stella fosse (1) Le osservazioni di maggio furono fatte con vu cronometro tascabile di FropsHam a tempo medio, 514 FRANCESCO PORRO il meno possibile lontana dalla cometa, specialmente in declina- zione; secondo, che fosse piuttosto brillante e facile a ricono- scersi in ogni futura ricerca, sia sulle carte sia sul cielo. Ciò rese necessario un lavoro abbastanza lungo di identifi- cazione delle stelle, che fu eseguito con somma cortesia e pre- mura dal professore Millosevich, astronomo all’ Osservatorio del Collegio Romano. Le distanze zenitali quasi sempre molto grandi delle comete durante le osservazioni (60-70 gradi per la Fabry, 75-80 per la Barnard) mi imposero di calcolare con tutta l’esattezza le correzioni dovute alla rifrazione atmosferica; delle quali è già tenuto conto nelle differenze di ascensione retta e di declinazione qui sotto riferite. Le coordinate della cometa si sono calcolate, e scritte nelle relative colonne, dove si potè verificare l’esistenza in qualche ca- talogo della stella di comparazione: ma in alcuni casi mi sono limitato a indicare il luogo della stella nella Durchmusterung, giusta l’uso comune, quando trattasi di stelle non osservate. Ciò rende possibile per l'avvenire la determinazione diretta di queste stelle, od il loro riferimento ad altre stelle vicine, mediante il micrometro filare. L'ultima stella, che servì il 4 maggio per la cometa di Brooks, è assai piccola, e quindi non trovasi in Ar- gelander. RISULTATI DELLE OSSERVAZIONI —__ Cometa Fabry. nni SI s I DE * 298 325 s2. o. TEMPO eo Ban | | 829 E£88 « appar. O | 78. | È appar ‘ARS 1886 medio © 0= E I «SE T SÈ * no. ce — |é SSA SE di Torino % ia E AC as <] ae | \@} ini Su |__|. [—t—_____ [| [|_—_______ | | Marzo 30| 160 25m 53s|4-14m 158, 38| —5’ 77,2] 3 |23h 17m 495,48| 9,7239n |+38012"38",5| 0,7164 | 1 31) 16 42 22|+ 0 33,81| —4 1,01 8 |23 18 13,84|9,7268n|+38 27 58 ,1| 0,6856 | 2 Aprile 2] 15 48 34|—1 2,38| -059,51 8 I — 2- 24 pr 10| 15 39 3]|]—2 6,30] —020,8| 8 — = SA RIE 13| 14 44 17|+ 0 14,52| —0 7,5] 8|23 41 37,57|9,7048n|4+40 16 48 ,5| 0,7976 | 5 8 6 14| 15 41 16|-4 1 14,91] +0 56,6 Ù LI COMETE FABRY, BARNARD E BROOKS Slo Cometa Barnard. IO ZA D 8 $ 7) TEMPO p î = Li hi 555], 1886 medio e = OSE CAPRA: I 235 dntanio SÈ |» di Torino ui ar E SS BEE | A (@) C fù Aprile 1| Sh 16m 325|- 0m50s,81]+0747",1| 7 at hd AI ca Psi 42) | 00/5186] —3- 56.718 — _ = iS 24| 17 48 53 [+4 44,71] —5 4,2] 6 1 40m 375, 30 9,4761n |+39042"53",0| 0,8241 Maggio 4| 14 55 52 [+0 11,19] —9 16,5] 8| 1 39 42,53|9,4830n|+40 15 19 ,2| 0,8236 Prima Cometa Brooks. Maggio 1 11ì 94m 385 + 2m 285, 49] +12" 9",2 al ol 52m 185,00 9,9174n |+60017'56”,2] 0,9172 |11 1| 13 30 23/+3 LE 9 24 ,4| 8° 0 52 58,79] 9,7536n|4+-60 15 I1 ,4| 0,8224 [11 2) 12 54 43|+1 4,24/+ 181,7 [1 0 9,41|9,8239n [+59 43 21 ,7| 0,8643 [12 Bo eb 1 datto na (2 il = uvina Posizioni medie delle Stelle di comparazione. Riduzione | | Riduzione * a 1886,0 al luogo d 1886,0 al luogo AUTORITÀ apparente apparente 1 | 23h3m 345,69 | — 05,59 | +38017’52",1| — 6”,4 Radcliffe I (1845, 0) No 5973. 2 | 23 17 40 ,62 | -— 0,59 /+3832 5 Ris, | CIA: Weisse, Catalogus ex Zonis Regiomon- I | | tanis, II, (1825) Hora XXIII, 330. 9 i | -_ | ss | _ Durchmusterung + 380,4998 (9m,4). Î Ì | 4 — pa alt = = D M + 400, 5125 (9m,4). | | 5| 28 4123 sig t= 20), 8Bhhet40 17 23,1, 7001 Weisse II Hora XXIII, 857 6 -- | — —_ _ D M + 400, 5159 (9,5). 7 —. — — _ DM + 800, 308 (8m,9), 8 —_ — — —_ DM + 810, 342 (8,9). 9 | 18552,99; — 0,40/+3948 5,5| — 8 ,3 | Radcliffe I, 508. 10 1 39 81,74 ba 0,49) |/+40 2445 0! — 9 ,3 Weisse II, Hora I, 863. ll 049 49,96! — 0,45 +60 556 ,1 — 9 ,l x Cassiopejae, Berliner Astronomisches | Jahrbuch. 12 0:159;, 5465. —.0.,,48 A 459 41.59 ,6° — 9 ,6 Krtiger, Astr. Gesell. Zon. 130, 131, 663. 13 —_ _ | — | - La stella non è in D M. Grandezza in- feriore alla Decima. 516 FRANCESCO PORRO Note sull’aspetto fisico delle Comete. Cometa Fabry. Marzo 30. Sereno splendido. Cometa bella, splendente, con nucleo fusiforme, aureola larga e densa, coda aperta a ventaglio. Appulsi sicuri. Marzo 31. Nel crepuscolo del mattino la cometa sembra al- quanto più debole e più diffusa di ieri. Nucleo di forma più rotonda. Aprile 2. La Cometa ha un nucleo grosso, ben definito, cir- condato da densa chioma; la coda si protende nel campo del refrattore per un tratto superiore al diametro dell’anello piccolo (4 minuti e mezzo), e sembra divisa in due da una striscia nera, disposta secondo l’asse. Traccia di un getto luminoso dal nucleo. La parte anteriore della coda è molto più luminosa e meglio definita della posteriore. Aprile 10. La Cometa ha un nucleo grosso come una stella di terza grandezza, circondato da una densa chioma che si in- curva convessamente all’attacco anteriore della coda. Questa, os- servata coll’oculare di minimo ingrandimento, è magnifica, la parte precedente più lunga e ben definita, la seguente più rara, aperta a ventaglio, e breve. Non vedo traccie di getto luminoso dal nucleo. Linea nera marcatissima nell’asse della coda. Aprile 18. L'aspetto della Cometa è assai mutato. Nucleo ancora come prima, rotondo, con folta chioma e senza getto: coda lunghissima, uniforme, ben definita da ambo le parti, in forma di una parabola, della quale il nucleo è prossimamente il fuoco. Non vedo più traccie della linea nera nell’asse della coda, ma la luminosità è costante in ogni sezione normale al- l’asse stesso, degradando insensibilmente coll’allontanarsi dal nucleo. Aprile 14. L’aspetto della Cometa mi sembra a un dipresso uguale a quello di ieri; non oso descriverlo, perchè il cielo è brutto assai. Nucleo troppo diffuso; appulsi mal sicuri. COMETE FABRY, BARNARD E BROOKS 517 Cometa Barnard. Aprile 2. La Cometa è molto debole, e quasi si perde nelle nebbie dell’orizzonte; nucleo stellare, che io stimo di 7"® ad 8" grandezza. Intorno al nucleo un’aureola densa, rotonda, di un minuto e mezzo di diametro; traccie di coda verso il Nord, non abbastanza sicure, perchè si possa determinarne la direzione. Aprile 24. Cometa piccola e brutta per luce lunare prima, poi per il crepuscolo. Osservazione cattiva. Maggio 4. Cometa splendida. Coda lunga circa un grado, sottile, diretta, con due codette laterali assai più brevi, divise dalla principale mediante intervalli oscuri marcatissimi. Nucleo stellare. Cometa Brooks I. Maggio 1. Appulsi malsicuri. Non vedo concentrazione da poter considerare come nucleo. Maggio 2. Appulsi cattivi. Massa nebulare senza nucleo. Maggio 4. Campo pieno di stelline piccolissime. A_9% 25" circa (tempo medio di "'forino) una di queste, di grandezza infe- riore alla decima, è occultata dalla Cometa, che sembra una ne- bulosità informe, attraverso alla quale la stella si discerne per- fettamente. 518 STEFANO PAGLIANI SULLE FORZE ELETTROMOTRICI DI CONTATTO FRA LIQUIDI del Prof. SterANO PAGLIANI Scopo della presente Nota si è di esporre la prima parte di una serie di ricerche intorno alle forze elettromotrici, che si sviluppano al contatto dei liquidi. È questo un problema stato cimentato da parecchi sperimentatori sotto speciali punti di vista, ma le determinazioni che si hanno al riguardo, non molto nu- merose, non permettono ancora di risolvere talune questioni che sì presentano in questo fenomeno, in apparenza molto semplice, ma la cui indagine offre parecchie difficoltà. Esiste veramente una forza elettromotrice al contatto di due liquidi, come al contatto di due metalli, o non si deve piuttosto attribuire lo sviluppo di elettricità in queste coppie, così sem- plici, al contatto dei metalli, che servono di elettrodi, coi li- quidi stessi? E se esiste, come si ammette ormai in modo non dubbio, questa forza elettromotrice al contatto dei liquidi, quale ne è la sua origine? Si deve considerarla come dovuta ad una differenza di potenziale che si produca mei due liquidi per, il semplice contatto, oppure non la si deve attribuire a processi chimici, o a processi fisici di diffusione? È in questi processi o altrove che deve ricercarsi l’equivalente del lavoro della corrente prodotta da queste coppie, e richiesto dalla legge della conser- vazione dell'energia? Tutte queste questioni si sono presentate a volta a volta ai fisici che si sono occupati di questo interessante problema. Fu il Nobili (Arm. Chim. Phys. 1825, XXXVIII, 240) il primo a dimostrare sperimentalmente l’esistenza di una forza FORZE ELETTROMOTRICI DI CONTATTO FRA LIQUIDI 519 elettromotrice al contatto dei liquidi, dando all'elemento Becquerel una disposizione tale, da far vedere come si potesse ottenere una corrente anche soltanto fra acido nitrico e potassa, evitando il contatto del platino coll’acido e coll’alcali, al qual contatto Davy attribuiva la produzione di elettricità. Il Nobili emise allora l'opinione che le correnti prodotte in queste coppie abbiano una origine analoga a quella delle correnti termoelettriche, e che il lavoro della corrente trovi il suo equivalente nel calore assor- bito dallo esterno. (Questa supposizione mi sembra trovare una affermazione nelle sperienze di Peltier (Institut, V, 159), il quale avendo misurato contemporaneamente le variazioni di tempera- tura e le correnti che si producono nell’azione dell’acqua sulle diverse soluzioni saline trovò che la corrente, quantunque più debole, non era mai affatto nulla, anche quando si osservava abbassamento di temperatura. A tale proposito credo utile citare anche delle recenti esperienze di E. Doumerc (Etude sur l’os- mose des liquides, Bordeaux, 1881). In esse, come dice l’autore stesso, non si trattò di misure; si osservò soltanto lo spostamento prodotto nel mercurio di un elettrometro capillare di Debrun per il passaggio di una corrente dovuta al contatto di una so- luzione salina coll’acqua. Egli trovò che sempre si ha produ- zione di elettricità nel fenomeno della diffusione, e l’attribuisce appunto ad un effetto termico dovuto alla diluizione della solu- zione, la quale avviene ora con sviluppo, ora con assorbimento di calore. Paragonando il senso della corrente coll’effetto ter- mico prodotto dalla diluizione di un sale arrivò al risultato che il senso della corrente cambia coll’effetto termico. Così le so- stanze, che sviluppano calore sciogliendosi, danno una corrente in senso contrario a quello della corrente data dai sali che as- sorbono calore. È vero che nei suoi confronti si servì del calore di soluzione e non di quello di diluizione, ma egli lo giustifica in parte con ciò che le soluzioni da lui adoperate essendo con- centratissime, il sale non aveva ancora prodotto tutto l’effetto termico che può produrre nello sciogliersi in 200 p. d’acqua. L'opinione del Nobili è stata appoggiata anche da Paalzow (Pogg. Ann. Jubelband, 1874). Ammettendo tale modo di vedere, la forza elettromotrice al contatto dei liquidi potrebbe essere dovuta ad una differenza di potenziale, che si produrrebbe in due liquidi per il semplice fatto del contatto, e non sarebbe necessaria per ciò la possibilità di una azione chimica fra i due liquidi stessi, 520 STEFANO PAGLIANI I fisici, i quali per primi proseguirono le ricerche del No- bili si proposero di verificare se era necessaria un'azione chimica per la produzione di elettricità al contatto di due liquidi, o se questa poteva avvenire anche senza quella. Becquerel considerava la forza elettromotrice del suo elemento come esclusivamente dovuta all’azione chimica fra acido nitrico e potassa, e ammet- teva senz'altro che le forze elettromotrici del platino, dell’oro e in generale delle sostanze non attaccabili siano nulle o per lo meno uguali nella maggior parte dei liquidi. In realtà egli non l’ha dimostrato rigorosamente. Anzi adoperando nella sua coppia degli elettrodi di platino, d’oro, di carbone ha trovato dei va- lori differenti per la forza elettromotrice. Però questo nemmeno proverebbe il contrario, poichè se l’acido nitrico non era perfet- tamente puro, ma conteneva traccie di acido cloridrico, il platino poteva esserne intaccato, così l’oro, come pure questo se non era perfettamente puro; e d’altra parte il carbone poroso te- nendo in sè assorbita una certa quantità di ossigeno dell’aria dà facilmente luogo a processi d’ossidazione nell’acido nitrico, i quali poi si producono anche facilmente in questo, quando è concentrato, come era il caso delle sperienze di Becquerel, ed esposto all’azione della luce. Quindi a contatto di questi elet- trodi potevano prodursi dei processi chimici, sede di forza elet- tromotrice, senza che perciò non si possa concludere che nel con- tatto dei liquidi con sostanze inattaccabili non si abbia forza elettromotrice. A questo proposito noterò che Nobili (loc. cit.) nella sua Memoria sull’elemento Becquerel dice che l’esperienza gli aveva insegnato ad evitare l’uso degli acidi forti at- torno a piccole lamine di platino, perchè è molto più difficile conservarle omogenee, che nelle soluzioni saline. Becquerel trovò poi che nel suo elemento si produce una corrente intensa dalla potassa attraverso la parete porosa verso l'acido nitrico, e che se a questo si sostituisce acido solforico si ottiene una corrente più debole, e più debole ancora, ma diretta in senso contrario, se si sostituisce la potassa o l’acido nitrico coll’acqua. Questi fatti sembrerebbero dimostrare che la sorgente di elettricità ri- siedesse nell’azione chimica dei due liquidi, ma non escludono l’azione degli elettrodi. Fechner (Pogg. Ann. XLII, 509, 1839, XLVIII, 259) ha istituito invece delle esperienze per dimostrare che la forza elet- tromotrice al contatto dei metalli coi liquidi è molto più con- FORZE ELETTROMOTRICI DI CONTATTO FRA LIQUIDI 521 siderevole di quella dovuta al contatto dei liquidi. Egli ha ot- tenuto per Y. E. dei seguenti elementi i valori: # | KNO*+KNO? | KOH+-KOH | HNO'+HNO* | KNO*+KNO' | Po= 0.140 Pi | KOH+KOH | EKENO°+KNO* | HNO°+HNO* | KNO'+KNO" | HNO*+ HNO' | Pt i = 8. 644 « e ne dedusse che la 7. £. della coppia KNO? | HNO? è 60 volte minore di quella dell'elemento P? | KOH | HNO' | Pt. Ora questa deduzione non è per nulla rigorosa. Volendo tener conto tanto dei contatti fra metalli e liquidi, quanto di quelli fra i liquidi, il secondo valore rappresenterebbe la Y. £. dell’ele- mento Pt| XKOH+ KOH | KNO*+ KNO°| HNO?+ HNO? | Pt e non di Pt| KOH | HNO'|Pt. Dalle successive esperienze del Fechner stesso e da quelle di Worm-Miiller risulta non es- sere ammessibile che al contatto fra la soluzione di un alcali e quella del sale corrispondente; e fra quella di un acido e quella del sale corrispondente non esista forza elettromotrice. Ed anche volendo ammettere questo, tuttavia le condizioni del contatto fra | platino e liquidi nel secondo elemento sono assai diverse da quelle del primo. Mentre in questo si può supporre che il pla- tino rimanga affatto inattaccato dalla soluzione di salnitro, lo | stesso non si può dire per l’acido nitrico, del quale Fechner «non ci dice se lo abbia adoperato chimicamente puro. Se poi si vuol considerare come nulla la forza elettromotrice nel con- tatto del platino coi liquidi nei due elementi, o uguale ed op- posta in ciascun elemento, il primo elemento sarebbe rappresen- tato da KNO* | KOH+ KOH | HNO*+ HNO? | KN0°= KOH | HNO°— (KOH | KNO*+KNO® | HNO?)=0,140 ed il secondo da KOH | KNO*+ KNO® | HNO*=8,644; quindi potremo scrivere : KOH| HNO®=0,140+8,644—=8,780 , ciò che non inchiude alcuna contraddizione, 522 STEFANO PAGLIANI Nè maggior valore per dimostrare essere le forze elettro- motrici fra metalli e liquidi notevolmente più grandi che quelle fra liquidi hanno le altre sperienze del Fechner, il quale avrebbe trovato che in una coppia formata da lamine d’uno stesso me- tallo, acqua e solfuro di potassio le forze elettromotrici vanno diminuendo coi diversi metalli seguenti, ordinati nel seguente modo: Platino, Rame, Bismuto, Antimonio, Stagno, Piombo, Zinco. All’infuori del Platino, gli altri metalli di tale serie hanno tutti tendenza a formare dei solfuri in contatto dei solfuri al- calini, e quindi si avrebbero qui dei processi chimici, che po- trebbero essere origine di forza elettromotrice. Anche il Poggendorff (Pogg. Ann. 1841, LIV, 358) in uno studio fatto sull’elemento Becquerel ha cercato di dimostrare che si ha forza elettromotrice nel contatto fra liquidi e metalli, supposti non attaccati da quelli. Egli trovò che un elemento Ferro, potassa, acido nitrico, Platino ha una forza elettromo- trice almeno doppia di quella d’un elemento Platino, potassa, acido nitrico, Platino, quantunque, come egli afferma, la liscivia di potassa non eserciti alcuna azione chimica tanto sul ferro che sul platino. Ora se ciò si può dire del platino, non si può dire con ugual sicurezza del ferro. Il Poggendorff stesso indica nella sua Memoria la formazione visibile e rapida di un ferrato potassico in quella coppia quando si adoperi ghisa invece di ferro battuto, come è quello da lui adoperato per le sue de- terminazioni. Coll’acciaio si osserva soltanto una colorazione rossa, e col ferro questa colorazione si formava solo dopo lunghissimo tempo, e assai leggera. In tutti i casi poi si sviluppa sempre ossigeno, tanto col ferro, che col platino, che con altri metalli. Ora si sa che il ferro perfettamente puro è quasi sconosciuto, specialmente in forma di lamine. Quindi mi sembra non senza fondamento il dubbio che la maggior forza elettromotrice cotte - nuta col ferro nell'elemento Becquerel si possa attribuire ad un'azione chimica della potassa sul ferro. D’altra parte altre esperienze del Fechner stesso lo condus- sero ad opinare non essere necessaria per la produzione della corrente un'azione chimica fra i liquidi a contatto, poichè egli ottenne forze elettromotrici in coppie di liquidi, fra i quali non è supponibile azione chimica. Quindi egli conchiudeva che tanto al contatto dei liquidi fra di loro, che in quello di essi coi metalli si produce una differenza di potenziale, come nel con- FORZE ELETTROMOTRICI DI CONTATTO FRA LIQUIDI 523 tatto di due metalli; che se si vuole considerarla come dovuta al semplice contatto, allora conviene ammettere che in queste coppie, formate da liquidi e metalli, si stabilisca soltanto uno stato di equilibrio, ma che in grazia di questa differenza di po- tenziale al contatto dei due liquidi si producano degli effetti secondari (azioni chimiche o analoghe alle chimiche) fra i me- talli ed i liquidi, per cui questo stato di equilibrio verrebbe tolto, e determinato e mantenuto l’efflusso di elettricità. L'esistenza di una forza elettromotrice al contatto dei li- quidi veniva poi anche confermata dalle ricerche successive di Buff (Pogg. Ann. 1848, LXXIII, 510), di Matteucci (C. È. 1851, XXXII, 145), dalle misure elettroscopiche di Kohlrausch (Pogg. Ann. 1850, LXXIX, 200), il quale però non le dava molta importanza, poichè aveva trovato nello studio della coppia Daniell che la forza elettromotrice fra solfato di Rame e solfato di Zinco o era nulla, o arrivava appena ad )4, della forza elet- tromotrice totale di una Daniell, conclusione al certo non rigo- rosamente giustificata, potendo dipendere dai limiti di sensibilità delle misure elettroscopiche. Le determinazioni di Kittler e le mie conducono ad un valore di quella forza elettromotrice di circa %,, di Daniell, come vedremo in seguito. Stabilito ad ogni modo il fatto che nel contatto di due li- quidi può prodursi una differenza di potenziale, i fisici si pro- posero un altro problema importante, quello di verificare se anche nei liquidi si verificasse la legge del Volta relativa alle forze elettromotrici di contatto nei metalli. Fechner aveva trovato a questo riguardo dei risultati gene- ralmente negativi, ma Wild (Pogg. Ann. 1858, CIII, 3583) formando degli elementi di tre liquidi disposti per ordine di densità e a diretto contatto fra loro trovò che anche fra gli elettroliti si possono trovare dei gruppi, i cui termini obbedi- scono alla legge del Volta. Questi si ritrovano nella classe dei solfati neutri della formola M.S0' con eccezione del solfato di ammonio, e Wild ordina i metalli di questi solfati sotto quel riguardo secondo la seguente serie: X, Na, Mg, Mn, Fe, Ni, Co, Zn, Cu, Ag. I termini di tali gruppi seguirebbero la legge del Volta qualunque sia la concentrazione delle soluzioni, uguale o non, quantunque le forze elettromotrici variino col variare della concentrazione delle soluzioni. Non seguirebbero invece detta legge le soluzioni di altri solfati, degli acidi in generale e quindi 524 STEFANO PAGLIANI anche dei sali neutri di uno stesso metallo con acidi diversi, ad eccezione dei sali aloidi del potassio. Le ricerche proseguite collo stesso metodo dallo Schmidt (Pogg. Ann. 1860, CIX, 106) hanno confermato per i solfati la serie del Wild e per i nitrati hanno dato invece la serie: Cu, Sr, Na, K, Mg, Co, Pb, Ba, Ca, Ag, Zn, e per i clo- ruri la serie: Ba, Cu, Ca, Mg, Fe, Na, K, Hg, Zn, Sr. La seconda parte dei risultati dello Schmidt è infirmata della ine- sattezza del metodo indiretto, da lui adoperato per determinare la forza elettromotrice fra due liquidi. Difatti egli ammette che se tre soluzioni saline S, $S,, 5, seguono la legge del Volta, allora interponendo fra S, e 8; un acido, la forza elettromo- trice dell'elemento, che ne risulta, misura quella di contatto fra S, e 8; cioè se S| S,+5, | S+S | S=0 allora deve essere: S| S.+8; | A+4A | S4-8,|S= 8.| 8: Ora ciò non è esatto. Sarà la forza elettromotrice di questo elemento uguale a quella dell'elemento $, | A+4 | S+5 | 8; e non di S, | oa Le determinazioni di Du Bois-Reymond (Reichert's u. E. Du Bois-Reymonds Archiv. 1867, 453) e quelle di Worm- Miller (Pogg. Ann. 1870, CXL, 114 e 380) hanno portato | anch'esse un importante contributo allo studio delle coppie di liquidi ed hanno anch'esse dimostrato chiaramente che un'azione elettromotrice fra liquidi esiste, ed anche fra liquidi, che non sembrano poter agire chimicamente fra loro. Però da queste ri- cerche non ne veniva vantaggiata la questione della verifica della legge del Volta, come neppure da quelle anteriori, pure assai importanti, del Willner (Pogg. Ann. 1859, CVI, 454), nelle esperienze del quale parve si generassero correnti nella soluzione dei sali, ma probabilmente erano solo dovute al contatto d’una soluzione più diluita con una più concentrata dello stesso sale, e quelle posteriori di Bleekrode (Pogg. Ann. 1871, CXLII, 611), di Moser (Wied. Ann. 1878. III, 216), di Eccher (N. Cimento 1879 (3), V, 5), di I. v. Hipperger ( Wien. Anz. 1880, n. 10, 148), di Alder Whrigt e C. Thompson (Phil. Mag. 1884 (5), XVII, 202, 377), .i quali tutti in generale studiarono coppie di soluzioni, diversamente concentrate, a contatto fra loro e con uno stesso metallo, che non ne è intaccato. Per provare se tre liquidi Z, L, L, seguono la legge del FORZE ELETTROMOTRICI DI CONTATTO FRA LIQUIDI 925 Volta, bisogna determinare le forze elettromotrici dei tre se- guenti elementi: M|L+L|L,+L,|M=e M|LHL, | L4AL,|M=c M|-E+Ly| Ley | Me" se e=e+e'", oppure c-e=e'", allora i tre liquidi seguono la legge del Volta e si avrà: L, | L+ L, | L,=L,|L;}, oppure L, | Li L,| SITA L. Se quelle eguaglianze non sussistono, il gruppo di quei tre liquidi non soddisfa alla legge del Volta. Il primo che abbia fatto una verifica di questo genere è il Kittler (Wied. Ann. 1881, XII, 572 e 1882, XV, 391). Dei risultati, a cui è giunto il Kittler, citerò qui soltanto quelli che si riferiscono all’argomento in questione. Egli essenzialmente si occupò di verificare se le soluzioni dei cloruri di diversi me- talli, o di uno stesso cloruro a diverse concentrazioni poste a contatto con un altro liquido, una soluzione di Cw SO, acqua distillata, o una soluzione di H7*.S04, presentavano la relazione ora indicata. E trovò difatti che la legge del Volta era veri- ficata per molti cloruri colla soluzione di solfato di rame, e con l’acqua distillata, non colla soluzione di acido solforico. Se cioè nella 2° delle equazioni ultime ora indicate ZL, e ZL, sono due soluzioni di due cloruri diversi, oppure due soluzioni diversa- mente concentrate di uno stesso cloruro, e L, è una soluzione di solfato di rame, o acqua distillata, detta equazione è sod- disfatta. Nelle mie ricerche mi sono proposto di verificare la legge del Volta per le forze elettromotrici di contatto fra le soluzioni di tre serie di sali principali, solfati, cloruri e nitrati dei di- versi metalli. Nella presente Nota esporrò i risultati da me ot- tenuti nelle determinazioni fatte colle soluzioni dei solfati fra loro, e con soluzioni di acido solforico. Metodo di misura. — Nella misura delle forze elettromo- trici di contatto è necessario adottare un metodo, nel quale sia impedita la polarizzazione degli elettrodi e tale da permettere di fare la determinazione rapidamente, e, come si vedrà in se- 526 STEFANO PAGLIANI guito, nei primi istanti in cui i liquidi vengono a contatto. Due sono i metodi specialmente adoperati dai fisici, il metodo di compensazione e il metodo dell’elettrometro. Ho scelto il primo che è anche quello adottato dalla maggior parte degli speri- mentatori che si occuparono di queste misure. i Il metodo di compensazione venne da me applicato nel se- guente modo: Sia in D (fig. 1) la Y. E. compensante, in X quella da misurarsi, in & un reostato, in G un galvanometro, posti in circuito, come lo vuole il metodo di Poggendorff. Sic- come si trattava di misurare delle forze elettromotrici assai pic- cole, ho introdotta una resistenza r,nel tratto ZN; perchè al- lora si doveva, per ottenere la compensazione, introdurre nel tratto PN una resistenza maggiore, e quindi si poteva rag- giungere una maggior approssimazione nelle misure. In tal modo detta R' questa ultima resistenza, detta ,; la resistenza in- terna della coppia, ottenuta la compensazione si potrà scrivere: / PRE liti , in cui D è la F. E. compensante data da due R'4+r,+r, coppie Daniell. Esse venivano, prima e dopo ogni serie di deter- minazioni di una F. E. incognita, comparate con una coppia normale Kittler; ottenuta la compensazione, detta X la 7. E. della Kittler e la resistenza introdotta, si ba D=X aaa ne HE 804 7,5%:d=1,05030 186 Temperatura 17°, 1. Dopo 15° di contatto si trovò e=-0,176; dopo 1", e—= 0,381; dopo 5° 15°, e= 0,370; dopo 7° 30’, e = 0,364. Soluzione di Zn S0' 18,2% :d=1,2127 a 14° 6 0 III. I » » HH? S011/2%:04=1,0818 Ae Temperatura 18° 5. Dopo 12' di contatto e= 0,101; dopo 25’, e= 0,119; dopo 1° 30’, e= 0,199; dopo 1° 50, e= 0,199. Da queste esperienze si può vedere come se si fanno venire a contatto due liquidi sopra una larga superficie, la Y. E. che sì produce nell'istante del contatto non è la stessa che quella che si misura dopo un certo tempo da che è avvenuto il con- tatto. Difatti è chiaro che appena i due liquidi si troveranno a contatto, si avranno due strati di due diversi liquidi in pre- senza, e si produrrà una forza elettromotrice, dovuta realmente FORZE ELETTROMOTRICI DI CONTATTO FRA LIQUIDI 530 al contatto di due sostanze eterogenee, ma tosto succederà la diffusione dell’un liquido nell'altro, la mescolanza dell'uno col- l’altro, ed allora si troveranno a contatto strati di liquidi la cui composizione non sarà più quella di prima, entreranno in campo delle azioni molecolari, dovute alla diffusione e alla so- luzione, delle azioni chimiche dovute a scambio d’acqua che avverrà fra le due soluzioni, o diversamente concentrate, o con- tenenti sali o acidi diversi, e quindi le variazioni molto grandi, che si osservano nella forza elettromotrice sul principio. In se- guito finirà per stabilirsi un nuovo stato d’equilibrio, per cui si formerà uno strato di liquido di composizione intermedia, interposto fra i due liquidi diversi, e quindi quelle azioni, di cui si è parlato sopra, non si manifesteranno più colla stessa energia di prima, e quindi noi vediamo che la forza elettromo- trice finisce per acquistare un valore, che varia in seguito assai poco. Allora, se anche si agita il liquido, o si scuote il reci- piente, non cambia sensibilmente la forza elettromotrice, come fu osservato da Paalzow e da me. Questo modo di concepire l'andamento dei fenomeni che av- vengono al contatto di due liquidi è anche confermato dalle determinazioni di Worm-Miiller. Egli notò che in tre coppie: A|B costituita di un alcali (A) con un acido (B), A | © dello stesso alcali col sale (C) da essi formato, © | B del sale col- l’acido, la corrente va normalmente dal primo al secondo corpo, e si ha nel primo caso una forza elettromotrice doppia, anche tripla che negli altri due. Invece, se si costituisce un elemento C|A+A4|B+B]|C, allora la forza elettromotrice è picco- lissima, e dipendente più che altro dalla concentrazione diversa delle soluzioni. Il Worm-Miiller spiega appunto questo fatto ammettendo che dopo i primi istanti di contatto fra la solu- zione dell’alcali (A) e quella dell'acido (58) si formi uno strato di soluzione del sale (C), cosicchè quell’elemento si potrebbe anche rappresentare collo schema C|A+A4|C0+C]|B+ B | C ed allora si comprende come la forza elettromotrice di un tal elemento riesca piccolissima o pressochè nulla. Ma se una tale ammissione vale per un caso, deve valere anche per tutti gli analoghi. Prendo a considerare tre elementi scelti fra quelli stu- diati dal Worm-Miiller e per i quali sono date le forze elettro- motrici. 934 0) STEFANO PAGLIANI I. H?°0+H?0 | Na HO+ Na HO | H* S0'+ H® SO' | H®?0+ H°0 — 0°, 482. II. H°0+ H°0| Na HO+ Na HO | Na? SO*4 Na? S04 | H*0°+4!H°0 C'IS4, INI. 27°04+ H?0 | Na® SO*4 Na? S0*| H® SO*4-H? SO* | H®0 + H?0 = Ammessa la formazione di uno strato di soluzione salina fra l’alcali e l'acido, il primo elemento potrà anche essere rappre- sentato dallo schema: H°0+H?0 | Na HO+ Na HO |. Na® SO, + Na? SO! | OE VOTO een a FAST a | He Aeo. Ora un elemento uguale si otterrebbe addizionando, il II e il III elemento, quindi la somma delle due forze elettromotrici di questi dovrebbe essere uguale alla XY. £. del primo. Ora se ciò non si verifica si è perchè oltre all’azione dell’alcali e del- l’acido, abbiamo anche l’azione dell’acqua sulle soluzioni del- l’alcali, dell'acido e del sale, azione che il Worm-Miiller cre- deva trascurabile. Quello che succede nella disposizione sopra descritta, deve succedere anche nella disposizione a sifoni, e in tutte le altre nelle quali si pongono direttamente a contatto i due liquidi. Siccome non si potevano sempre stabilire le stesse condizioni di contatto, ma per l’agitazione, per quanto piccola, inevitabile tuttavia, del liquido superiore, si aveva uno strato dovuto ad una mescolanza più o meno progredita dei due liquidi, così non poteva ottenere risultati concordanti colla disposizione sopra de- scritta, in serie diverse di determinazioni. Tentai allora una disposizione nella quale fosse specialmente evitata la detta agitazione, e diminuita la superficie di contatto. Il liquido di minor densità era introdotto in un imbuto cilin- drico a tubo tagliato alla sua estremità inferiore nettamente secondo un piano perpendicolare all'asse del tubo, il cui orlo veniva spalmato di paraffina perchè si potesse avere una super- ficie liquida ben piana. L’imbuto era chiuso con un tappo por- ‘tante un tubo a chiavetta ed il filo di Platino: la chiavetta chiusa impediva l’efflusso del liquido. Disposto l'imbuto verti- FORZE ELETTROMOTRICI DI CONTATTO FRA LIQUIDI 53‘ calmente nel tappo del compartimento superiore del recipiente sopra descritto, lo si abbassava lentamente in modo che la su- perficie estrema del liquido superiore venisse appena appena @ contatto colla superficie libera del liquido inferiore. Le forze elettromotrici che si ottenevano in questo modo colle stesse coppie di liquidi erano più piccole di quelle misurate col primo appa- ‘ recchio, e non andavano più variando rapidamente come prima. Citerò qualche esempio. Stesse soluzioni della coppia III, sopra indicata. Temperatura 18° 6. Coppia n. 1. — Dopo 6° di contatto, e= 0,067 Kittler; dopo 20', e=0,069; dopo 45’, e=0,071; dopo 1° 10', e= 0,071; dopo 3", e—= 0,071; dopo 6°, e—=0,067. Coppia n. 2.— Dopo 7’ di contatto, e= 0,080; dopo 4 ora, sg iU70, dopo 1°, e_0,068: dopo. L1',, e-0,007. Coppia n. 3. — Dopo 6' di contatto, e = 0,057. Coppia n. 4. — Dopo 8° » e= 0,091. Se dopo di aver determinato una forza elettromotrice si ab- bassava l’imbuto a tubo in modo che se ne immergesse l’estre- mità nel liquido inferiore, allora la Y. E. aumentava, perchè si favoriva la mescolanza dei due liquidi. Come si vede, quantunque questa disposizione desse dei risul- tati, secondo me, più probabili, tuttavia questi non erano ancora sufficientemente concordanti. A mio parere la ragione ne stava ancora sempre nel non potere, mettendo direttamente a contatto i due liquidi, sempre realizzare le stesse condizioni di contatto. Tralasciando di parlare di altri tentativi passo a parlare subito della disposizione da me definitivamente adottata, nella quale mi proposi di abbandonare il contatto diretto dei liquidi, di diminuire maggiormente la superficie di diffusione e di to- gliere anche una delle cause, che favoriscono la diffusione, quale è quella dipendente dal peso della colonna liquida soprastante. Secondo me, due condizioni principali sì devono soddisfare in queste misure, e sono che il contatto avvenga nel modo più lento possibile, e che si possa fare la determinazione della Y. £. nei primi istanti, in cui esso avviene. Mi sembra aver raggiunto questi due scopi nel modo seguente. Da uno stesso cannello di 538 STEFANO PAGLIANI vetro a pareti molto spesse e a diametro interno assai piccolo si tagliano due pezzi, dei quali uno, A (fig. 4), viene piegato due volte a sifone, e l’altro, B. una volta sola in modo da formare un tubo a U a branche di ugual lunghezza. Nel tubo A si mette il liquido di minor peso specifico. Per la forma sua a sifone, il liquido si porta nella branca A all'altezza della estremità « del tubo stesso, e rimane così in equilibrio in modo ‘ da presentare una superficie libera verso il basso, superficie che si può rendere piana spalmando di paraffina il taglio terminale del tubo reso ben piano mediante smeriglio finissimo. Il liquido di peso specifico maggiore vien posto nel tubo 2, in modo da riempirlo : anche qui si spalma la estremità % del tubo con paraffina, in modo che il liquido venga a formarvi una superficie ben piana, e si rende ben piano il taglio estremo d, cosicchè possa combaciare esattamente col taglio a. Nelle due branche A e B si introducono due fili di Platino, preparati nel modo sopra detto, e si spingono fin presso la curvatura inferiore dei due tubi. Siccome a questi si può dare la minor lunghezza possibile, così si soddisfa anche ad un’altra condizione utile, che è quella di diminuire la resistenza, già grandissima, della coppia. Per portare a contatto i due liquidi si innalza lenta- mente, mediante un sostegno a dentiera, il tubo B. in modo da portare una branca di esso verticalmente ed esattamente al di sotto della branca corrispondente del tubo A. Siccome alcune determinazioni fatte portando a diretto con- tatto i due liquidi non mi diedero risultati abbastanza concor- danti, sempre per la ragione sopra indicata, adottai l’uso di un setto formato da un pezzetto di carta pergamena, interposto fra le due superficie dei liquidi. In tal modo il contatto non poteva che avvenire lentamente, specialmente con soluzioni molto concentrate, come sono in generale quelle da me adoperate, e sovrapposte per ordine di densità, ciò che rende l’ osmosi più lenta. Con una stessa coppia di soluzioni, senza carta pergamena ebbi in qualche caso valori appena maggiori di quelli ottenuti colla carta, in altri casi nessuna differenza. Si vede semplice- mente l’influenza delle condizioni di contatto. Ed ecco finalmente come procedeva ad una serie di deter- minazioni. Dopo aver preparate le due Daniell e la Kittler, disponeva i due liquidi nei tubi, compensava la Kittler; quindi poneva sopra la superficie terminale del tubo £ il pezzetto di FORZE ELETTROMOTRICI DI CONTATTO FRA LIQUIDI 539 carta pergamena ed innalzava il tubo fino a contatto dell’altro. Il movimento dei due liquidi attraverso il setto non era così rapido da aversi subito la corrente, ma generalmente dopo mezzo minuto si aveva, e si procedeva tosto alla compensazione. La prima misura di una /. £. non poteva farsi rapidamente , perchè non si conosceva ancora il valore da darsi approssimati- vamente a R', ma fatta la prima, le altre si potevano fare speditamente. Generalmente quella si rigettava perchè dava ri- sultato un po’ diverso dalle altre, pel maggior tempo richiesto. I risultati, che ottenni in tal modo, furono molto soddisfacenti, come si vedrà in seguito, e mi indussero ad adottare definiti- vamente tale metodo. Per una data coppia di soluzioni le determinazioni si fecero successivamente l’una dopo l’altra, rinnovando per ciascuna i liquidi. Siccome si facevano in una camera grande, la tempera- tura, misurata da un termometro posto accanto all’apparecchio dei liquidi, non indicava variazioni sensibili durante una stessa serie di determinazioni, nè molto grandi durante tutte le serie. Del resto vedremo in seguito come l’influenza della temperatura sì possa considerare come insensibile entro ristretti limiti. Le soluzioni saline adoperate sono quasi tutte molto con- centrate, prossime alla saturazione. Esse sono state preparate con sali, provenienti come puri dalla rinomata fabbrica del Trommsdorff. Per prepararle il sale veniva pesato e l’acqua distillata, nella quale si doveva sciogliere, misurata in volume. Il peso specifico delle soluzioni si determinò con una buona bilancia di Mohr e riferito all'acqua alla temperatura di 15°. Aggiungo qui subito come la soluzione di solfato ferroso fu pre- parata con acqua disaerata e subito adoperata per impedire la ossidazione del sale. Difatti essa si è conservata perfettamente limpida per più mesi. Risultati. — Ed ora vengo ai risultati numerici. Per non dover ripetere troppe volte la composizione e la densità delle soluzioni che costituiscono le coppie, enumerate in seguito, darò qui subito un elenco delle soluzioni stesse contrassegnandole con un numero d'ordine, che citerò in seguito accanto al nome del sale o dell'acido : (a) 1. Acido solforico.... (H° 80! 35. 2 %) d=1.2516 a 17° 2. Acido solforico.... (H*.S0' 21.5 %) d=1.1502 a 14°: Se . Acido solforico... . Acido solforico... . Acido solforico... 3 4 5. Acido solforico... 6 7. Acido solforico... 8 . Solf. di potassio STEFANO PAGLIANI (H* S0' (H? SO' . (H? SO* (H? SO! (H? SO! (K® SO 9. Solfato di sodio (Na?,S0* 10. Solfato di litio... 11. Solf. di magnesio 12. Solfato di cadmio 13. Solfato di zinco 14. Solfato di zinco 15. Solfato di zinco 16. Solfato di zinco 17. Solfato di rame 18. Solfato di rame 19. Solfato di rame 20. Solfato di ferro (Li? SO* (Mg SO' (Cd SO! (Zn SO' (Zn SO' (Zn SO* (Zn SO! (Cu SO* (Cu SO* (Cu SO* (Fe SO* 21. Solf. di manganese (Mw 80! 22. Solfato di nickel (N SO! 23. Solfato di cobalto (Co SO* 24. Solf. di alluminio (A7*(804)3 30. .0601 a 17° 2 . 107031652 .0773 a 14°8 . 0511 15°0 .0352 a 16°7 076% è .0995 a 14°2 .2082 a 16° 9 . 2860. a, 16° 7 5656 a 14° 6 - 40107208 . 1563. a 1000 . 1870 a 15°0 . 0990 a 15°7 .1800 a 16° 2 . 1225 14° 8 . 0940 a 16° 7 .2200 a 17°4 . 4580 18° 7 . 27095 a 1377 .2859 a 16° 7 - 3116 a 14°7 In seguito le serie di determinazioni non sono riportate mel- l'ordine in cui furono eseguite. I singoli valori delle forze elettro- motrici ottenuti in ciascuna determinazione sono espressi prendendo per unità la Kittler, e così per loro medio e. Da questo ho cal- colato la XY. E. espressa in volts, servendomi del valore 1.177 sopra accennato per la Kittler. I nomi delle due soluzioni di ciascuna coppia sono posti nel- l’ordine, che corrisponde al senso in cui va la corrente nell'interno della coppia. La temperatura a cui si fecero le misure è data da #. FORZE ELETTROMOTRICI DI CONTATTO FRA LIQUIDI 541 Per ristrettezza di spazio non si sono potuti riportare i dati delle determinazioni. 4. Solfato di potassio (n. 8) e A. solforico (n. 1). t=17° 9. Valori di e: 0. 062; 0. 067; 0. 067; 0. 067. Medio e = 0. 065. F. E.=0. 076 volts. 2. Solfato di sodio (n. 9) e A. solforico (n. 1). t—=18°5. Nalori di e :40-+104 ;0.:104;p,0109;. 0,:11,1:;0-108. Medio. e= 0. 107. .F. E.=0.,126 volts. 3. Solfato di potassio (n. 8) e di sodio (n. 9). t—=18°4. Valori di e: 0. 084; 0.074; 0.076; 0. 079; 0. 082. Medio e—= 0. 079, F. E.=0. 093 volts. A. Solfato di litio (n. 10) e A. solforico (n° 1). t=17° 1. Valoriddi è::0)5108 3 10.01LD1.; 100104; 05106. Medio e=0. 107. F. E.=0. 126 volts. 5. Solfato di potassio (n. 8) e di litio (n° 10). #—18°4. Valori di e:0. 068; 0.073; 0. 079; 0. 068; 0. 072. Medio eWP071E E. —-0.. 083% volts. 6. Solfato di sodio (n. 9) e di litio (n. 10). t=18° 5. Maloniogi ex 0 1077.009500, 0952 0. 0995 0010. Medio e=0. 099. F. E.=0.116 volts. 7. Solfato di magnesio (n. 11) e A. solforico (n. 1). t=18°3. Valori di e: 0.092; 0. 086; 0. 083; 0. 092. Medio e= 0. 088. F. E. = 0. 104 volts. 8. Solfato di magnesio (n. 11) e A. solforico (n. 2). #=18°8. Malon!die: 304120; OULPI;: 01 27;-041205(07 120. Medio e= 0. 120. F. E.=0. 141 volts. 9. Solfato di potassio (n. 8) e di magnesio (n. 11). t= 18°8. Walori di e;0. 075° 0.087 "070857 0° SLI: Medio e—0. 083. F. E.—=0. 098. 10. Solfato di sodio (n. 9) e di magnesio (n. 11). t—18°3. Nalori-di ':.0..006:; .0..006.- .0..0.07 è 02007, Medio e=0. 0065... E.=0. 008, volts, 44. Solfato di litio (n. 10) e di magnesio (n. 11). t=18°1. Valori di e: 0. 062; 0. 055; 0. 050; 0. 047. Medio e=0. 053. F. E. =0. 062 volts. 542 12. 13. 14. 15. 16. dale 18. 19. 20. 21. 22. 23. STEFANO PAGLIANI Solfato di cadmio (n. 12) e A. solforico (n. 1). t= 15° 6. Valori di e: 0.007; 0. 008; 0. 008; 0.008; 0. 007. Medio e==0. 008; F. E. =0. 009 volts. Solfato di cadmio (n. 12) e A. solforico (n. 2). t—=15°8. Valori di e: 0. 050; 0. 053; 0. 051; 0. 058; 0. 053. Mediofe=0, 002%. E. =:0. 061. volts, Solfato di potassio (n. 8) e di cadmio (n. 12). #—=16° 3. Valori *diVe;"0-*L10 30 *TI4 901147 D'IOSA Medio e=0. 115. F. E. =0. 135 volts. Solfato di sodio (n. 9) e di cadmio (n. 12). #= 16° 3. Valori di e: 0. 082; 0. 084; 0.082; 0. 082; 0. 082. Medio e= 0. 082. F. E.=0. 097 volts. Solfato di litio (n. 10) e di cadmio (n. 12). f=16°3. Valori dive : 10.10.67 ; 10.067: 00 0.65; 0.057 Medio e=0. 064; F. E. =0. 075 volts. Solfato di magnesio (n. 11) e di cadmio (n. 12). #=15°6. Valori di e: 0. 047; 0.045; 0.045; 0. 047. Medio e = 0. 046. F. E. = 0.054 volts. A. solforico (n. 1) e solfato di zinco (n. 13). t=19° 5. Valori di e: 0. 104; 0. 095; 0.104; 0. 095. Medio e= 0. 100. F. E. =0..118. volts. A. solforico (n. 8) e solfato di zinco (n. 13). t=18° 1. Valori di e: 0 048; 0.053; 0.052; 0. 048; 0. 052; 0. 052. Medio e=0. 051. F. E. =0. 060 volts. A. solforico (n. 3) e solfato di zinco (n. 14). #=18° 5. Valori di e: 0.017; 0.018; 0.018; 0. 016; 0. 016;. 0. 016. Medio e— 0_ 017. FE. E.=0. 0202 volts. Solfato di potassio (n. 8) e di zinco (n. 18). t= 17° 5. Valori di e: 0.080; 0.081; 0.083; 0.080; 0. 081. Medio e= 0. 081. F. E. =0. 095 volts. Solfato di potassio (n. 8) e di zinco (n. 15). #== 18° 3. Valori di e: 0. 063; 0. 067; U. 069; 0. 072; 0. 070. Medio e=0. 068. F. E. =0 080 volts. Solfato di potassio (n. 8) e di zinco (n. 16). t=17°1. Valori di e: 0.027; 0.029; :0, 030; 0.030; 0. 029. Medio e= 0, 029. F. E.=0. 084 volts. 24. 26. 27. 28. 29 30 Sd. 32 39. 54 35 FORZE ELETTROMOTRICI DI CONTATTO FRA LIQUIDI 543 Solfato di sodio (n. 9) e di zinco (n. 18). t= 18° 8. Valori di e: 0.140; 0.142; 0. 146; 0. 148; 0. 143. Medio e =0/ 144. F. E-='0. 169. . Solfato di litio (n 10) e di zinco (n 18). #=16° 3. Walon die! 051 28101357 0130703 1277 00129. Medio e—0.130. F. E. —0. 153 volts. Solfato di magnesio (n. 11) e di zinco (n. 18). #t=15° 1. Walorigu e: OLI 0 LL: 0011501 15. Medio e— 0.113. F. E.=0.183 volts. Solfato di cadmio (n. 12) e di zinco (n. 18). t= 1506. Non si ottenne corrente da questa coppia. A. solforico (n. 1) e solfato di rame (n. 17). t= 17°5. Valori di e: 0.099; 0.106; 0.101; 0. 098. Medio e=0. 101. F. E. =0.119 volts. A. solforico (n. 2) e solfato di rame (n. 17). t=17° 5. Nalori di er 0 J£E: 0,137; 0041; 0, Taz, 0, 132 Medtore=0*107, F. E 0:1601 volts. A. solforico (n. 4) e solfato di rame (n. 17). t=17° 5. Valori di e: 0. 091; 0.090; 0. 089; 0. 091. Medio e—= 0. 090. F. E. =0. 106 volts. A. solforico (n. 5) e di rame (n. 17), t=17°5. Valori di e: 0, 056; 0.054; 0. 056; 0. 057. Medio e—= 0. 056. Y. E. =0. 066 volts. A. solforico (n. 3) e solfato di rame (n. 17). t=17° 5. Nalori di e; 0..062:.0. 067: 0,069: 0.071: _0. 066, Medio e —=0. 067. F. E. =0. 079 volts. A. solforico (n. 6) e solfato di rame (n. 17). t=17° 5. Valori di e: 0.060; 0.059; 0. 056; 0.056; 0. 057. Medio e=0. 058; F. E. =0. 068 volts. A. solforico (n. 7) e solfato di rame (n. 17). t=17° 5. Valori di e: 0.065; 0.062; 0. 065; 0. 064. Medio e= 0. 064. F. E. =0.075 volts. A. solforico (n. 6) e solfato di rame (n. 18). #=18° 7. Valori di e: 0.031; 0. 032; 0. 029; 0. 028. Medio e=0 030. F. E. = 0. 035 volts. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXI, 36 544 36. 37. 38. 39. 40. MA. 42. 43. 44. 45. 46. STEFANO PAGLIANI Solfato di potassio (n. 8) e di rame (n. 17). #=17° 5. Valori di e: 0.078; 0.086; 0.079; 0.076; 0. 084; 0. 081. Medio e=0. 081. F. E. =0. 095 volts. Solfato di potassio (n. 8) e di rame (n. 19). t. = 17°9. Valori di e: 0. 060; 0.062; 0. 062; 0. 059 ; 0. 065. Medio e—=0. 062. F. E. =0. 073 volts. Solfato di sodio (n. 9) e di rame (n. 17). t= 18° 8. Valori di e: 0. 185; 0. 190; 0,189; 0,187, Medio e—= 0. 188. F. E.= 0. 221 volts. Solfato di litio (n.10) e di rame (n. 17). #t=17°3. Valori di’ e::00. 141; 0/143; 0.132; 0.131. Medio e= 0,137. F. E. =0. 161 volts. Solfato di magnesio (n. 11) e di rame (n. 17). t=18°2. Valori di e: 0.192; 0.195; 0.180; 0.186; 0. 181. Medio e = 0. 187. F. E. =0. 220 volts. Solfato di cadmio (n. 12) e di rame (n. 17). t= 15° 35. Valori di e: 0.102; 0.090; 0.090; 0.103; 0,095; 0. 090. Medio e== 0. 095. F. E. = 0.112 volts. Solfato di zinco (n. 13) e di rame (n. 17). t=15°8. Valori di e: 0. 045; 0.045; 0.045; 0.047; 0.045; 0. 046. Medio e=0. 045. F. E.= 0. 053 volts. Solfato di zinco (n. 15) e di rame (n. 17). #=16°0. Valori di e: 0.031; 0.032; 0.031; 0.029; 0,030; 0. 031. Medio e= 0. 031. F. E. =0,036 volts. Solfato di potassio (n. 8) e di ferro:(n. 20). t= 15° 1. Valori di e: 0.112; 0.109; 0.103; 0.100; 0. 106; 0. 105. Medio e= 0. 106. F. E. =0. 125 volts. Solfato di sodio (n. 9) e di ferro (n. 20). t=15° 1. Valori di e: 0. 073; 0. 074; 0. 066; 0. 065. Medio e== 0.070; F. E. =0. 082 volts. Solfato di litio (n. 10) e di ferro (n. 20). t=15 1. Valori di e: 0 055; 0. 056; 0. 053; 0. 052; 0. 053. Medio e=0. 054. F. E. =0. 063 volts. 4T. 48. 49. 50. 59. FORZE ELETTROMOTRICI DI CONTATTO FRA LIQUIDI 545 Solfato di magnesio (n. 11) e di ferro (n. 20). t=15° 6. Wales dite: 0.15: 0. TL6: 0,115: 0,116. Medio e=0. 115. F. E. = 0. 135. volts. Solfato di ferro (n. 20) e di cadmio (n. 12). t= 15° 1. Valori di e: 0. 060; 0.062; Q. 063; 0. 063; 0. 066. Medio e=0. 063. F. E.= 0. 074 volts. Solfato di ferro (n. 20) e di zinco (n. 18). #t= 15° 1. Nadoern'di/'e: 00797. 0. 079; ‘0,0763707, 073700738 Medio e= 0. 076. F. E. =0. 089 volts. Solfato di ferro (n. 20) e di rame (n. 17). t=15°1. Valori di e: 0.100; 0.103; 0.102; 0.103; 0. 104. Medio e = 0. 102. F. E. = 0. 120 volts. . Solfato di potassio (n. 8) e di manganese (n. 21). t= 15° 1. Walbors dite): 0. b54 0. 150% 0)152:50 15005147 Medio e=0. 151. F. E. =0. 178 volts. . Solfato di sodio (n. 9) e di manganese (n. 21). t= 15° 1. Valori di e: 0. 090; 0. 082; 0. 093; 0. 090; 0. 085. Medio e= 0. 088. F. E. =0. 103 volts. . Solfato di litio (n. 10) e di manganese (n. 21). t= 15° 2. Malori cui : il valore di: ——= ‘è quindi essendo x, —x,=7°", noi ‘tra= 56V2 gr Ho: Ù scureremo quantità inferiore al quadrato di so Va e questo “\56V2 tanto nel numeratore quanto nel denominatore. Accontentandoci dunque di tale approssimazione e innalzando a quadrato ambi i membri si ottiene (34) ko \tis..03° 9 Ma E. i 00 iL 3 O. H> 09 a DD HH ni. 0 Medie b Sg in gradi 18°,7220 18, 7095 18, 8000 18, 9360 18, 7260 18, 5025 18, 8000 18, 7545 18, 6835 18, 8960 18, 4080 18, 8045 18, 9465 18, 8305 18, 5920 18, 8160 18, 4460 18, 7930 18, 6985 18, 5910 18, 5539 k' k 0,99769 0,99798 0,99742 0,99829 0,99774 0,99825 0,99815 0,99770 0,99774 0,99857 0,99795 0,99742 0,99829 0,99771 0,99773 0,99857 0,99737 0,99742 0,99798 275, i D+ò TABELLA IV. dae balzi T6' 116547490 14 | 18, 7284 18 | 18, 8243 iQ 11:8,.9522 Lo e LOssg472 12 | 18, 5187 Fo Sesto Ibi dB 7601 15.| 18,7047 10 | 18, 9095 14 | 18, 4269 18 | 18, 8288 12018790217 TO, «ke Soa 15 | 18, 6132 LO*.li 18/8295 18 | 18,4703 18 | 18, 8173 LPN CDS: 77 Ly 0,99753 0,997875 0,00231 0,00202 0,00258 0,00171 0.00226 0,00175 0,00185 0,00230 0,00226 0,00143 0,00205 0,00258 0,00171 0,00229 0,00227 0,00143 0,0026383 0,00258 0,00202 0,00247 0,002125 INTORNO ALL'INFLUENZA DELLA MAGNETIZZAZIONE 575 Se si ripete l’esperienza senza il rocchetto, la durata d’una oscillazione è Fid to = d . Dalle due equazioni si ha, sostituendo a D e è i loro valori, I a 6° T, da cui T_t-t} Elio In tal modo ho determinato l’intensità del campo magnetico, ed ho ottenuto El 4900 I 1 essendo 7, l'intensità orizzontale del magnetismo terrestre a To- rino; e perciò in unità assolute (C G ,$) AA O EV Per assicurarmi ancor meglio dell’esistenza del fenomeno, € per conoscere qual grado di esattezza fosse da attribuirsi ai ri- sultati ottenuti, ho ripetuto le prove, magnetizzando l’asta per mezzo di una potente elettrocalamita a ferro di cavallo. Ho dovuto quindi modificare l'apparecchio in questo modo. In una scanalatura praticata in un grosso dado di noce ben stagionato si faceva entrare forzatamente l’asta di ferro dolce. La scana- latura, tranne alle due estremità, era tutto all’ingiro scavata per modo, che l’aria potesse liberamente circolare intorno al- l’asta di ferro; ed aveva tale lunghezza, che mentre l’asta da una parte ne toccava il fondo, dall’altra parte ov’era la vite sporgeva di circa 2°; e ciò perchè l'asta di ferro attraversando la cassetta, ov’era posto il dado, potesse essere avvitata al cubo, ove si faceva arrivare il vapore dell’acqua bollente. Dentro allo stesso cubo era posto un altro dado di noce, con una breve scanalatura, nella quale entrava esattamente sino al fondo la madrevite che era pure di ferro dolce. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXL 38 576 ANGELO BATTELLI Nell’uno e nell’altro dado, alla distanza di 2°” dalle estre- mità dell’asta erano praticati due incavi, in cui potevano pene- trare a forza i due poli dell’elettrocalamita. Questa era costi- tuita di due elettrocalamite rettilinee che venivano disposte verticalmente, e di cui i poli contrari, che si trovavano al di sopra, erano congiunti per mezzo di una grossa asta di ferro dolce, e i rocchetti erano posti in comunicazione per via di un grosso filo di rame. La corrente che attraversava i rocchetti era data da 4 Bunsen. Ho constatato dapprima, che passando la corrente per 25 minuti primi, non se ne risentiva nell’asta di ferro dolce alcuna influenza calorifica, e quindi ho cominciato senz’altro le espe- rienze col riscaldamento. Nella tabella che segue sono esposti i risultati di dieci esperienze. TABELLA V. Numero | tt, ” tt li kl esperienze in gradi in gradi ke k 1 189645120 18.5207 | 0,99829 0,00171 2 18°,8310 9 18,8431 | 0,99872 | 0,00128 3 18°,6640 | 15 18,6842 | 0,99784 | 0,00216 4 18°,9100 8 18,9208 | 0,99886 | 0,00114 5) 19°,1205 7 19,1300 | 0,99901 | 0,00099 6 18°,6430 8 | 18,6538 | 0,99884 | 0,00116 7 19°9,2000 | 10 | 19,21835 | 0,99859 | 0,00141 8 18°,5875 | 12 | 18,6037 | 0,99826 | 0,00174 9 18°,4630 | 11 18,4778 | 0,99844 | 0,00156 10 19°,3145 | 12 19,3307 | 0,99833 | 0,00167 Medie —_ _ — 0,998518 | 0,001482 L'intensità del campo magnetico fu determinata facendo oscil - lare la stessa asticella calamitata usata innanzi, sospesa entro la scanalatura del dado, prima durante il passaggio della cor- rente nei rocchetti dell’elettrocalamita, e poi quando la corrente INTORNO ALL'INFLUENZA DELLA MAGNETIZZAZIONE DI non passava; e confrontando le durate d’oscillazione nel modo sopra indicato. In questo caso però l’asta di ottone fu unita rigidamente all’asticella di ferro dal di sopra. Si ebbe così per l’intensità del campo magnetico il valore T=6802,00 7,, rappresentando sempre con 7) l’intensità oriz- zontale del magnetismo terrestre a Torino; e perciò in unità assolute (C. G. S.) E= 1428. Come vedesi, quantunque l’intensità differisca di poco da quella che si aveva nel caso precedente, tuttavia la media dei risultati ottenuti in questa seconda serie di esperienze differisce piuttosto notevolmente dalla media dovuta alla prima serie. Ma tale differenza piuttosto che attribuirla alla diversità nel grado di magnetizzazione, sembrami doversi attribuire alle differenti condizioni, in cui trovasi l'asta nel secondo caso. hi Infine ho creduto anche utile di studiare quale variazione producesse la magnetizzazione trasversale sulla conducibilità ter- mica del ferro. A tale scopo ho introdotto l’asta, che aveva servito alle esperienze antecedenti, nella scanalatura che era praticata, nel più grande dei due dadi di noce adoperati pre- cedentemente, per modo che essa vi sporgeva di 2° dalla parte della vite, per poter attraversare la cassetta in cui era chiusa ed essere avvitata al cubo riscaldante. Alla distanza di 2 °*dal- l’asta da una parte e dall’altra, scorrevano due altre scanala- ture parallele alla prima, e della stessa lunghezza, nelle quali pene- travano a forza due lamine di ferro dolce dello spessore di 1°”. In due incavi situati a metà di ognuna di queste due sca- nalature, e dalle parti opposte rispetto all’asta in istudio, en- travano i poli dell’elettrocalamita adoperata nelle ultime espe- rienze, in modo che essi erano fissati a contatto delle lamine di ferro. Come corrente magnetizzante usai quella data da 4 Bunsen. Ho fatto delle esperienze preliminari a freddo, per vedere se il calore radiato dai rocchetti avesse effetto sull’asta di ferro; ma lasciando passare la corrente magnetizzante per 25 minuti primi, non si scorgeva nel galvanometro alcun segno di deviazione. 578 ANGELO BATTELLI Allora ho proceduto alle prove col riscaldamento e quan- tunque gli effetti fossero molto meno sensibili che nel caso pre- cedente, tuttavia ho creduto che 20 esperienze potessero dare un’idea abbastanza esatta dell’intensità del fenomeno. I risultati sono raccolti nel seguente quadro: TABELLA VI. Numero delle esperienze O 0 I DO Uta Nr it in gradi 18°,9460 19, 3230 19, 6200 19, 7450 18, 7465 19, 2060 18, 8455 18, 6785 19, 4200 19, 3465 19, 0045 18, 9625 19, 3540 19, 7425 19, 5200 18, 7425 18, 8210 18, 7615 19, 2410 19, 0025 D 09 H> 09 LI DI DID Uta DD N ID Da -_LE NE DVNUIIN 18°,9487 19, 3297 19, 6227 19, 7490 18, 7479 19, 2087 18, 8469 18, 6839 19, 4240 19, 3492 19, 0072 18, 9652 19, 3594 19, 7492 19, 5227 18, 7452 18, 8250 18, 7655 19, 2464 19, 0065 0,99972 0,99931 0,99973 0,99960 0,99985 0,99972 0,99985 0,99959 0,99972 0,99971 0,99971 0,69944 0,99932 0,99974 0,99971 0,99957 0,99957 0,99944 0,99958 0,99961 | 0,00015 0,99942 0,000385 0,00028 0,00069 0,00027 0,00040 0,00015 0,00028 0,00058 0,00041 0,00028 0,00029 0,00029 0,00056 0,00068 0,00026 0,00029 0,00043 0,00048 0,00056 0,00042 La tabella ci mostra che i risultati delle singole esperienze sono fra loro molto discosti, il che deve attribuirsi evidentemente all'influenza degli errori d'osservazione sopra effetti tanto piccoli. L'intensità del campo magnetico era T=1392 in unità assolute del sistema (C. G.S.). INTORNO ALL'INFLUENZA DELLA MAGNETIZZAZIONE 579 CONCLUSIONI. Da queste esperienze risulta: 1° Rimane verificato che la magnetizzazione altera la conducibilità termica del ferro, e precisamente la magnetizza- zione longitudinale produce un aumento nella conducibilità e la magnetizzazione trasversale un decremento. 2° Questa alterazione è però grandemente più piccola di quella che enunciò il Maggi, e di quella che in seguito fu tro- vata dal Tomlinson. 8° Si può ritenere che in un’asta uguale alla mia situata in un campo magnetico d’intensità compresa fra 1430 e 1500 unità del sistema (Cl. G. S.) se la magnetizzazione è longitudi- nale, la variazione della conducibilità termica sia all’incirca 0,002 della conducibilità normale. Se invece la magnetizza- zione è trasversale, essendo l’intensità del campo di circa 1400 unità del sistema (C. G. S.) la variazione può ritenersi 0,0004 circa della conducibilità normale. E qui mi si permetta di aggiungere poche righe per giusti- ficare i valori che io ho ottenuti affatto discordanti dagli altri sperimentatori sulla grandezza di questo fenomeno. Non parlerò del risultato ottenuto dal Maggi, perchè non mi sembra, dopo tante esperienze che l’hanno contraddetto, di poter ammettere che esso fosse dovuto a una vera alterazione della conducibilità, an- zichè a una pura combinazione. Non parlerò neppure dei lavori dei professori Naccari e Bellati e dei signori Trowbridge e Penrose, poichè non contrad- dicono in modo assoluto i miei, vedendosi senz'altro dall’esposi- zione che ho fatta delle loro ricerche al principio della Memoria, che essi non erano in condizioni di tanta sensibilità da poter notare un effetto così tenue. Quanto al risultato del Tomlinson però debbo far notare primieramente che io ho ripetute le sue esperienze nelle stesse condizioni espresse nella sua Memoria; e oltre all’aver trovato in alcuni di questi generi di esperienze, il fenomeno talmente coperto dagli errori di osservazioni da non poterlo distinguere, ho pure notato che nel caso in cui egli usò il rocchetto per maguetizzare l’asta di ferro in istudio, i risultati da lui otte- 580 ANGELO - BATTELLI — INTORNO ALL'INFLUENZA ECC. nuti facilmente erano dovuti al calore radiato dal medesimo rocchetto. Se poi si considera il metodo da lui seguito per de- durre dalle osservazioni la variazione della conducibilità lo si trova inesatto; giacchè egli adopera pei calcoli sul ferro dolce le esperienze fatte col 2° metodo, mentre il passaggio del calore è ancora allo stato variabile; ed ammette che le variazioni del flusso di calore nell’asta di ferro, siano proporzionali alle va- riazioni di temperatura segnate dalla punta della coppia termo- elettrica addossata all'asta di rame CD; il che non è rigoroso. Questo studio venne eseguito nel Laboratorio di Fisica del- l’Università di Torino, diretto dal prof. Naccari; e non posso trattenermi dall’ esprimerne al mio Maestro la più viva rico- noscenza. Torino, 20 giugno 1886. 581 SUL FENOMENO PELTIER ET ELOTWED E NOTA TERZA del Socio Prof. A. Naccari e del Dott. A. BATTELLI In questa Nota diamo conto di alcune esperienze che ten- gono dietro a quelle relative allo stesso argomento, che furono inserite l’anno scorso negli Atti di questa Accademia. Nella prima parte stanno i valori trovati ponendo a contatto solfati e cloruri di uno stesso metallo. L’anno scorso in due serie di esperienze avevamo invece posto a contatto solfati di metalli diversi fra loro a due a due e cloruri pur di metalli diversi. La seconda parte contiene le esperienze eseguite ponendo sempre a contatto una soluzione di una data sostanza con altra soluzione molto diluita della sostanza stessa. Sperimentando l’anno scorso in questo modo sopra solfati e sopra cloruri ave- vamo notato che le soluzioni concentrate in generale si trova- vano a potenziale più alto delle diluite, ma l’acido solforico e l'acido cloridrico facevano eccezione. Abbiamo voluto esaminare in alcune altre serie se l’acido si comportasse sempre in modo diverso dai sali corrispondenti. La terza parte infine si riferisce alla verificazione dell’espe- rienza dell’Hoorweg, della quale ci occupammo già nella prima Nota. Rispetto al modo d’operare, alle lettere usate, alle ta- belle, vale tutto ciò che s'è detto nelle Note sopra citate. E Ogniqualvolta fu possibile, le. densità furono scelte per modo che vi fosse egual numero di molecole elettro-chimiche in vo- lumi eguali delle varie soluzioni usate in queste esperienze. 582 A. NACCARI E A. BATTELLI Come termine di confronto si prese la soluzione di acido clo- ridrico cui si diede la densità di 1,1. Quando la poca solubi- lità di alcune sostanze non permetteva di raggiungere quella condizione, si cercava di avvicinarvisi quant’era possibile. Nelle esperienze segnate con asterisco la corrente andava dal cloruro al solfato. L’effetto Peltier fu considerato come positivo in tutti i casi, in cui il cloruro risultava a potenziale più alto del solfato. Cu elba Cu CI, . 34 76,7 | * 46 78, 6 i ie age Liv Fagiro oa sio * 46 78, 6 sò 44 75,0 99 E. 47 73,9 Medio . . . 25 Na, So, NaCl. * 44 87,2 sa 89, 4 di fr 58, 8 17 2004 enel Set re +, 29 88,4 A Sings ig pena + 98 88,6 Gi 26 90,9 Medio | 69 SUL FENOMENO PELTIER NEI LIQUIDI H,S0,- HCI. 107,1 104,9 101,5 100,9 103, $ K,S0,-- KCI. 89,1 91,9 soi 87,9 90,1 89, 5 93,0 94, 6 Medio —_———_——_—_—_—_—_—_—_—_—_—__—___-_—_-—_ _- - + +t »! (I | | | | | | i i DI | — si Ì Li e ——e——_—_s; Pu da © 102 99 584 A. NACCARI E A. BATTELLI Mg SO,— My CI,. — 44 Da queste esperienze risulta che i valori dell’effetto Peltier sono in esse dello stesso ordine di grandezza di quelli riscon- trati nelle serie consimili già eseguite. Il grado di precisione è molto piccolo, come nelle esperienze precedenti, perchè il metodo è lo stesso, I tentativi fatti per migliorarlo non hanno avuto buon esito. Nelle varie coppie studiate il cloruro risulta sempre positivo, eccettuata soltanto l’ultima. II, Nelle tabelle che seguono venne applicato un asterisco a quella esperienza di ciascuna coppia, nella quale la corrente andava dalla soluzione concentrata alla diluita. L'effetto Peltier fu considerato come positivo quando la soluzione concentrata risultava a potenziale più alto. Per ciascuna sostanza è indicata la densità della soluzione più concentrata; l’altra soluzione era diluitissima. UU SUL FENOMENO PELTIER NEI LIQUIDI 58 NITRATI. NITRATO DI RAME densità 1,10. 5106 14,2 | | 40 100 193 100 TOSÙ 175 abbi 11.59 PE pal08 | 76, 8 | 75 Og i 10505 | 146 95,2 | | 3935 Cig 94,2 Medio ... | 129 NiTRATO DI PoTassio densità 1,08. 24 89, 4 69 Sia 88,2 40 84,1 6 * 39 84,3 | * 140 83.4 18 i 84,3 38 89.1 23 TAR 82, 6 Medio 29 580 A. NACCARI E A. BATTELLI NITRATO DI SODIO densità 1,08. EIA 68, 6 54 35 70,0 ur Medio . . . 61 NITRATO DI CALCIO densità 1,08. 76 gs. | 58 * 678 SARE 24 69,0 80 # 036 68, 8 | e er SETE e I 28 72,0 96 * bl FALUIRIT. PIL 85,8 209 50 88,8 43 88, 1 100 SUL FENOMENO PELTIER NEI LIQUIDI 587 Acipo NITRICO densità 1,10. * 49 118, 5 SSIEB6 70 119,9 sali A | 119, 4 II 45 120,0 colgo a) 1:22, 6 — 70) 95 29.5 78 l'20,%5 SANZIO * 48 121,0 Medio... AZ AGCGETATI. ACETATO DI POTASSIO densità 1,08. 18 64,2 37 PEDRO 66, 6 67 106, 2 47 snai Ti 106, 8 65 106, 5 34 WERTA] 105; 5 157 90, 6 63 47 91,9 #T6l 89, 6 41 55 90, 6 Medio ... 44 988 A. NACCARI E A. BATTELLI 87 cado 94 Ma di he 51 40 * 47 41 AceTATO DI SODIO densità 1,08. 85, 7 88,0 85,3 84,2 61,4 60, 4 EI a 61,6 Medio... ACETATO DI CALCIO densità 1,07. 89, 0 84,1 84, 8 89, 3 86,8 49 62 SUL FENOMENO PELTIER NEI LIQUIDI 589 AcIiDo ACETICO densità 1,02, Medio ... Ta 60 | 19,5 | == ts\:, o 19,5 cadenti 10, 18,9 2:56 65 18,3 ro ar) TA _54 61 1842 È 55 16,2 24190 cavi; — GU Lia 5 Ta — 120 *_47 16,9 FTT59 29,4 | — 303 189 50, 2 | slo ccnl cd: Medio . .. N 7: OSSALATI. OssaLaTO DI PoTAssIo densità 1,08 152 69 42 29 590 A. NACCARI E A. BATTELLI OSSALATO DI SODIO densità 1,02. 35 * 130 7A, * 120 76,9 58 LI 76, 8 100 FRAME 69 # 109 72,4 101 70,9 91 * 104 10.4 Medio ... 44 OssaLaTO DI CALCIO densità 1,02. 64 15% 7 24 * 66 13,.9 +91 18,4 81 88 18,4 9 411 59, 6 830 * 437 39,8 Medio ... 21 SUL FENOMENO PELTIER NEI LIQUIDI 591 AcIipo OSSALICO densità },03. .El * 107 Ln 113, 6 __ 39 121 1L1Vel * » 96 119,3 35 102: | La 110 112,6 19 Fas: 1.19, 2 9 lord 10 112% 7 ‘56 | = 99 114,2 Medio . CI JODURI. JonpuRO DI POTASSIO densità 1,08. 159 98, 4 51 169 98,1 198 103,9 15 195 103, 2 193 102, 4 1% 202 102,9 202 108, 4 49 192 102,9 Medio ... 40 Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXI, 39 592 A. NACCARI E A. BATTELLI JODURO DI SODIO densità 1,05. 143 89, 1 so 152 QIIA ul | cd | stu 122 90, 4 126 90,1 CUR: LI 90, 5 122 90, 6 als 129 89, 7 161 90, 1 n. 158 89,8 Medio 59 JODURO DI CALCIO densità 1,03. 96 86, 2 saldo 87,0 là 104 86,7 Gr 405 87,1 i 99 87, 6 Tae: 110 86, 7 5° * 106 85,4 Medio . . . 39 SUL FENOMENO PELTIER NFI LIQUIDI 593 AcIDO JODIDRICO densità 1,03. BROMURI. BromuRo DI PoTASssio densità 1,08. 594 A. NACCARI E A. BATTELLI BromuRro DI SoDnIo densità 1,08. 76 78, * 92 CD, 88° 82 7,4 “ds 5:94 40, 1 86 77,2 ta $-:96 160, 17 via "90 76,7 LA * 96 76,7 su Medio TA BromuRro DI CALCIO densità 1,05. *_98 83,0 84 80,3 > + 87 82, 8 SE 82 80, 6 *_ 84 81,2 ef 77 81, 6 cu * 86 81,4 te | 71 81,4 SUL FENOMENO PELTIER NEI LIQUIDI 595 Acipo BROMIDRICO densità 1,03. * 48 94, 5 49 92,7 vasi * 40 95,2 me 46 i 93,0 SA * 41 | 94,7 i a 44 | 92,9 vu Medio . .. — 21 _ Diamo pure i valori ottenuti sperimentando sull’acido iodico e bromico, quantunque non abbiamo studiato le serie consimili alle precedenti e spettanti a questi acidi. È notevole in ogni modo che per essi le esperienze risultano conformi a quelle fatte sopra altri acidi. Acipo JoDIco densità 1,06. ("SR © i AGIO) | — 44 00. 99, 6 PAIGRT ORTI 93, 4 | SIE ppi 95, 4 * 66 89,4 uia9 81 92, 6 o TA 89,5 Aut: ME | 79 91,5 Medio . .. — 32 596 A. NACCARI E A. BATTELLI Acinpo Bromico densità 1,03. * 61 93,2 66 96,7 Fa * 60 93,9 De 70 91,3 IT 93,9 tu * 69 961 . | TI Medio | a Da queste esperienze congiunte con quelle già pubblicate deducesi che se si pongono a contatto due soluzioni dello stesso sale, diversamente concentrate, la più concentrata assume, ri- spetto alla termoelettricità, il potenziale più alto; il contrario avviene invece per gli acidi diluiti. La sostituzione dell’idrogeno ad un metallo in un composto farebbe cambiar di segno lo stato elettrico della soluzione di quel composto rispetto all’acqua. Le esperienze comprendono 9 solfati, 2 cloruri, 5 nitrati, 4 ace- tati, 4 ossalati, 4 ioduri e 4 bromuri. III. A compimento di quanto abbiamo riferito nella prima Nota sopra la verificazione di una esperienza. dell’ Hoorweg fatta con una coppia termoelettrica CuS0,—-H, SO,, abbiamo cercato di metterci in condizioni migliori usando un galvanometro di maggiore sensibilità. Uno dei contatti della coppia venne man- tenuto alla temperatura della stanza, che era circa 15°. L’altro contatto venne portato a 35° e bastò ciò per produrre una deviazione di 10 parti nel galvanometro in senso tale da mo- strare che la corrente andava nel contatto più caldo dal Cu SO, all’H,S0,. Per togliere ogni dubbio si mantenne in un’altra esperienza uno dei contatti alla temperatura della stanza, l’altro SUL FENOMENO PELTIER NEI LIQUIDI 597 si portò a 0°. La deviazione avvenne in senso tale da confer- mare ciò che è detto sopra intorno all'andamento della corrente. L'esperienza dell'’Hoorweg è dunque pienamente verificata, ma poco prudente è fondare sopra di essa dei ragionamenti teorici eguali a quelli che valgono per i fenomeni termoelettrici nei corpi solidi. È probabile che in causa del variare della tempe- ratura nei contatti e delle alterazioni che ne conseguono inter- vengano nel fenomeno delle forze elettromotrici non termoelet- triche, alla cui influenza prevalente può esser dovuta la corrente che viene osservata. Dal Laboratorio di Fisica della R. Università. Torino, 17 giugno 1886. 598 F. MOINE AZIONE DEGLI ACIDI BIBASICI ORGANICI E DELLE LORO ANIDRIDI SUI SENFOLE ©’ E SULLA TIOSINNAMINA del Dott. F. MoIinE È, Azione degli acidi organici bibasici sui senfole. A. W. Hofmann, nelle sue ricerche sugli eteri isosolfocianici, ha studiata l’azione dell’ acido solforico diluito e concentrato sull’etilsenfòl, e quella dell’acido acetico sul fenilsenfol. Nelle sue esperienze sull’etilsenfòl con acido solforico diluito e con- centrato ebbe nei due casi formazione di etilamina e sviluppo di ossisolfuro di carbonio (2). Dall’azione dell’acido acetico sul fenilsenfòl ottenne la diace- tanilide, acido solfidrico e anidride carbonica secondo l’equazione seguente : CSNC,H,+2C,H,0,=(C,H,0)° N.C,H,+C0,+H,S. Secondo Claus e Voltskon (1882) si forma pure in questa reazione dell’acetanilide. (1) Per brevità ho conservato il nome tedesco senfé/e. Sinonimi di senfole sono: eteri tiocarbamidici, essenze di senape, eteri isosolfocianici, solfocarbimidi. Alcuni preferiscono tradurre in italiano la parola senfòle con senapoli. (2) Bull. Soc. Chimique, 1869, vol. XII, pag. 364. AZIONE DEGLI ACIDI BIBASICI ORGANICI ECC. 599 Era interessante di vedere in qual modo si comportano gli acidi organici bibasici. Dalle esperienze che verrò esponendo risulta che l’azione da essi manifestata sui senfòl ha luogo secordo l'equazione se- guente: crm COOH os. vr= "4° vR'4 0084+-H,0 SAVA gie + An e formasi cioè un’imide sostituita ; in alcuni casi insieme con altri prodotti. Molto probabilmente la reazione succede in due fasi che si possono rappresentare nel seguente modo : COOH CONH . R' Wa C°H" CSNR'= 0°" H" COS cood COOH: acido ammico sostituito in cui formasi l’acido ammico sostituito. ; CONH.R' COR i fi c" H" — CH" “> NR'+ H,0 COOH CO z imide sostituita in cui l'acido ammico si scompone in acqua ed imide sostituita. Le mie esperienze furono fatte cogli acidi ftalico, succinico, malonico e canforico sull’allilsenfol e sul fenilsenfòl. Azione dell'acido ftalico sull’ allilsenfol. — Misi a reagire una miscela di acido ftalico e di allilsenfòl, in proporzioni mo - lecolari, a bagno d’olio in piccolo palloncino con tubo di sviluppo per gaz; acido ftalico grammi 15,50, allilsenfol grammi 9,25. Verso 145" il miscuglio comincia a reagire e così continua man mano che l’acido si fonde svolgendo bolle di COS. A completo sviluppo di gaz (circa 900°) che segna il fine della reazione, sospendo l’azione del calore, e sottopongo la massa, rappresasi col raffreddamento, alla distillazione col vapor d’acqua. Depositasi dal liquido distillato (le ultime porzioni col raffred- damento) una sostanza bianca cristallina fusibile a 71-72°. Il prodotto ottenuto pesa grammi 8,30. Questa sostanza ridistillata 600 F. MOINE col vapor d’acqua, seccata all’aria e in istufa (a 50°) diede all’analisi i seguenti risultati : I. Gr. 0,2136 di sostanza fornirono gr. 0,5576 di CO, e 0,096 di H,0. II. Gr. 0,2838 di sostanza diedero 18°,8 di N a 21°,4 e TOS rg. Da cui si ha: I; II. U= 71,19 —_ H= 4,97 _ N= —— 7,00 Questi numeri conducono alla formola dell’a//;/ftalimide C ei H, CH, O per la quale si calcola: co/ C= 70,50 ABI Mi 448, L'allilftalimide ottenuta è ben cristallizzata in lamine splen- denti fusibili a 71-72”, identica a quella ottenuta da Wallach e Kamenski dall’azione diretta dell’acido ftalico sull’allilamina (1). Sciolta nel solfuro di carbonio, assorbe già a freddo il bromo, trasformandosi in una sostanza cristallizzata, che purificata per cristallizzazione dell’alcool fonde a 108-109°. Un dosamento di bromo diede il seguente risultato: Gr. 0,3298 di sostanza diedero gr. 0,3598 di bromuro di argento. Da cui: Br. p. 100= 46,42 corrispondente alla quantità p. c. di Br. contenuta nel Bromuro C IN C, H. 5° Br° di allilftalimide C,H, pri O per il quale si calcola: co/ Biyità; IDO sedi (1) WaLLacH e KAMEeNSKI, Ber. d. deut. chem. Gesell., 1882, vol. 14, piilt: AZIONE DEGLI ACIDI BIBASICI ORGANICI ECC. 601 Azione dell'anidride ftalica sull’ allilsenfol. — Nelle stesse condizioni sopraindicate, anidride ftalica e allilsenfòl non reagi- scono. Azione dell'acido succinico sull’allilsenfol. — Misi a reagire una miscela di acido succinico e allilsenfòl pure in proporzioni molecolari in piccolo palloncino con apparecchio a ricadere; acido succinico gr. 10,72, allilsenfol gr. 9,00. La miscela reagisce già poco al disopra di 100° e prosegue bene fino a completa fusione dell’acido, sviluppando circa 1500° di gas. La massa che rimane finita la reazione, anche dopo 24 ore, si mantiene sotto forma di un liquido denso, oleoso, di odore un po’ analogo a quello della essenza di senapa. Getto quella massa su filtro e lavo con etere per esportare la parte oleosa e separare l’acido succinico rimasto inalterato, e siccome la parte oleosa rimasta dopo evaporazione dell'etere ha tuttavia reazione acida per traccie di acido succinico, tratto con latte di carbonato baritico fino a saturazione dell’acido libèro. Aggiungo quindi un egual volume di alcool assoluto per la pre- cipitazione completa del succinato neutro di bario del carbonato eccedente, e filtro lavando sul filtro coll’alcool. Raccolto il fil- trato in capsula e scacciati a B. M. l’alcool e l’acqua, rimane un liquido denso, che distillo raccogliendo ciò che passa a 244- 245°, temperatura a cui il liquido bolle costantemente. Ottengo un prodotto quasi incoloro del peso di circa 5 grammi. Con maggior quantità di sostanze, cioè con gr. 30 di allilsenfol e gr. 35,75 di acido succinico ottengo circa gr. 22 di prodotto bollente pure costantemente a 244-245". Questo liquido perfettamente disseccato lasciandolo molti giorni sull’acido solforico, diede all’analisi i seguenti risultati : I. Gr. 0,3705 di sostanza fornirono gr. 0,8232 di CO, e gr. 0,226 di 7,0. II. Gr. 0,4419 di sostanza diedero 39° di N a 15,5° e 741°" 65. Da cui: I IL. (Cii.== 60,59 pra His 6,74 pasa o a Cas 10,08. 602 F. MOINE Questi numeri conducono alla formola dell’allil{succinnimide 1 O CH; co >N.C,H, per la quale si calcola: C= 60,43 n È il 7 N=4001, L’allilsuccinnimide ottenuta si presenta sotto l’aspetto di un liquido incoloro o appena giallastro, mobile, oleoso, di odore speciale non sgradevole, bollente a 244-245° sotto 730", I suo peso specifico è relativamente all'acqua a + 4°: a rea ia . 1,1543 » li dii: 1,1452 » ade ht 1,1112 saro eteri 1,0677. .L'allilsuccinnimide è poco solubile in acqua, solubile in alcool ed etere. Ha reazione neutra, però quando si distilla subisce una lieve scomposizione verso il fine della distillazione , sviluppando un po’ di NH,. Si può purificare agitandola con acqua acidulata con acido solforico neutralizzando con carbonato baritico ed estraendo con etere. Assorbe il bromo trasformandosi in una sostanza semisolida attaccaticcia di odore particolare; questa sostanza non fu studiata. Azione dell'acido succinico sul fenilsenfil. — Feci una miscela di acido succinico e fenilsenfòl in proporzioni molecolari: acido succinico gr. 4,50, fenilsenfol gr. 5,15; e misi a reagire nel solito apparecchio. Verso 140° comincia lo sviluppo di gas che procede rego- larmente fino a completa reazione. Cessata l’azione del calore, la massa prima liquida cristallizza rapidamente in aghi raggiati. Tratto con acqua bollente, lascio raffreddare e filtro per espor- tare l’acido succinico che non ha reagito , essendo questo assai bene solubile in acqua, mentre la sostanza ottenuta, solubile un poco a caldo, si depone quasi tutta col raffreddamento. Ripiglio la parte rimasta sul filtro con molta acqua bollente, in cui, salvo una piccola porzione, si scioglie completamente e filtro a caldo la soluzione acquosa, lavando ripetutamente con AZIONE DEGLI ACIDI BIBASICI ORGANICI ECC. 6053 acqua bollente. Sciolgo poi con poco alcool bollente la piccola porzione rimasta sul filtro. Dalla soluzione acquosa col raffred- damento depositasi una sostanza cristallizzata in aghi fusibili a 253-255°, che l’aspetto, le proprietà, il punto di fusione di- mostrano essere la feni/succinnimide C, H, co >NC;H,. Dalla soluzione alcoolica deponesi una tenue quantità di sostanza bianca cristallina fusibile a 226-227°, il cui punto di fusione e la proprietà di essere insolubile in acqua bollente e solubile in ; l 08 CONH .C; H, alcool dimostrano essere suecinanilide C, H, ; COCO BIO er: Questo prodotto secondario formasi pure in piccola quantità insieme alla fenilsuccinnimide nell’azione dell’acido succinico sul- l’anilina. Azione dell'acido malonico sul fenilsenfol. — Nello stesso modo ho fatto reagire acido malonico gr. 5, fenilsenfòl gr. 6,50. Non reagiscono che dopo completa fusione dell’acido svilup- pando circa 900° di gas. Ricavo, finita la reazione, una sostanza liquida densa con forte odore di acido acetico prodottosi senza dubbio per scomposizione dell'acido malonico. Saturo con carbonato baritico l’acido libero ed estraggo con etere. L'’etere evaporato lascia un residuo cristallino che sciolto in acqua bollente e filtrato fornisce col raffreddamento una sostanza bianca cristal- lizzata in lamine splendenti fusibili a 108-110°. Seccata in istufa e sottoposta all’analisi diede i seguenti risultati: Grammi 0,2406 di sostanza fornirono gr. 0,6269 di CO, e gr. 0,1456 di H,0. Da cui: OSIO “He 6,73 » numeri corrispondenti a quelli dell’acetanilide COUS ONILE,H per la quale si calcola: Ra ti VA Heap: Sed Rimane una piccola quantità di sostanza insolubile in acqua bollente, solubile in alcool, dal quale cristallizza in aghi fusibili 604 F. MOINE a 220-225°; questa sostanza è probabilmente identica colla CONHC,H. malondiamilide C H. Pi ? CONHC,H, di Freund (1) la quale fonde a 223°. COOH a Azione dell'acido canforico C,H,, A sull’ allilsenfol. — Operai nell'identico modo già descritto, con acido canforico gr. 10, allilsenfél gr. 5 e ottenni 700° di gas. Sottoposta la massa densa, semisolida, alla distillazione col vapor d’acqua, ottenni una sostanza la quale dopo raffredda- mento e sfregamento del liquido contro le pareti del vaso, cri- stallizza in lamelle poco colorate fusibili sotto 50°. Filtrata ed esaurita l’acqua madre con etere, questo dopo evaporazione in presenza di poca acqua ben raffreddata .mi diede una nuova quantità dello stesso prodotto meno puro, fusibile sotto 50°. Purificati questi prodotti dall’alcool diluito, ottenni cristalli bianchi fusibili a 48-49°, che seccati prima all’aria e quindi sull’acido solforico diedero alla analisi i seguenti risultati: Grammi 0,2641 di sostanza fornirono gr. 0,6763 di CO, e DE 2044 dl, Li51). Da cui: C = 69,82 HI 87P0 numeri che conducono alla formola dell’ a/lilcanforimide CO Cad = co” NC,H,, per la quale si calcola: C=(70358 ‘H'—=8:59% L'allilcanforimide fonde a 48-49", è quasi insolubile in acqua, perfettamente solubile in alcool, solubilissima in etere, da cui per evaporazione si separa sotto forma di goccioline oleose che fregate in presenza di acqua fredda si solidificano. (1) Ber., XVII, p. 136. AZIONE DEGLI ACIDI BIBASICI ORGANICI ECC. 605 DE Azione delle anidridi di alcuni acidi organici bibasici sulla tiosinnamina. Azione dell’ anidride ftalica sulla liosinnamina — Feci una miscela di anidride ftalica, fusibile a 127°, preparata per di- stillazione e successiva sublimazione dell’acido ftalico, con tio- sinnamina, in proporzioni molecolari, cioè tiosinnamina gr. 5, anidride ftalica gr. 6,38, e scaldai a bagno d’olio in piccolo palloncino. La miscela reagisce già verso 155°; a completo svi- luppo di gaz sospendo, lascio raffreddare e tratto la massa se- lidificatasi col vapor acqueo. Il liquido distillato lascia deporre una sostanza cristallizzata bianca fusibile a 71-72". Ml prodotto ottenuto pesa gr. 2,55; esso è affatto identico coll’ alllftalimide ottenuta dall’azione dell’acido ftalico sopra l’allilsenfòl. Concentro il liquido esaurito col vapor d’acqua, decoloro e filtro a caldo. Col raffreddamento depongonsi dei cristalli setacei, giallicci, che purificati dall’al- cool, si hanno incolori, sublimabili, fusibili a 231-232°. Un dosamento di azoto diede il seguente risultato: Gr. 0,3181 di sostanza fornirono 27°,20 di N, a 24°8 e 0, Da cui: N= 9,482 % corrispondente alla quantità di azoto della ftalimide per la quale si calcola : N—=9,65. La ftalimide ottenuta è identica a quella ricavata dallo ftalato ammonico. Molto probabilmente succedono le due reazioni seguenti : f CO NU, CEE C.H O4- 08 ni: \ 6 4 C07 E < NH, Re. < C.=N.CyH:4 CS0+ NH, MIA) DI CO allilftalimide 606 F. MOINE IL.. CH, gg 0+NH;=GH,< co: N\CO ftalimide. Azione dell’anidride canforica sulla tiosinnamina. — L’ ani- dride canforica impiegata fu ottenuta per distillazione del- l’acido canforico, e successiva purificazione, mediante solu- zione in alcool a 95° a caldo, decolorazione e cristallizzazione. Gr. 60 di acido fornirono gr. 53 di anidride canforica in cri- stalli perfettamente bianchi fusibili a 220°. Opero nel modo indicato per l'anidride ftalica con gr. 12,55 di anidride canforica e gr. 8 di tiosinnamina, mantenendo la temperatura a 170° ove reagiscono le due sostanze, fino a completo sviluppo di gaz (circa 400°). Tratto quindi la massa che rimane col vapor d’acqua che lascia deporre una sostanza dall’apparenza oleosa, la quale raffreddata e fregata con baston- cino di vetro cristallizza. Questo prodotto purificato dall'alcool fonde a 48-49°, ed è perfettamente identico all’allilcanforimide ottenuta dall’azione dell’acido canforico sull’ allilsenfòl. Concentro il liquido esaurito col vapor d’acqua, e purifico i cristalli ottenuti per ricristalliz> zazioni dall’alcool. Ottengo così dei cristalli bianchi fusibili a 242-244° che all'analisi diedero i seguenti risultati: I. Grammi 0,3225 di sostanza diedero gr. 0,7770 di CO, e gr. 0,249 di 7,0. II. Gr. 0,2682 di sostanza fornirono 18,6 di N a 16°,5 e 13005280, III. Gr. 0,2827 di sostanza fornirono 20°,9 di Na 21° e TATTO. 30; IV. Gr. 0,2333 di sostanza diedero gr. 0,558 di C0, e gr. 0,1677 di H,0. Da cui: E II HT IV (i =d5,bi ne = 65,2 VERRI DSP, — 7,97 AZIONE DEGLI ACIDI BIBASICI ORGANICI ECC. 607 corrispondenti alla canforimide per la quale si calcola: N =)6059 iHi= 29:28 Nile Il prodotto ottenuto è identico a quello ricavato dal can- forato d’ammonio. Anche in questo caso è probabile che succedano le due reazioni : moon 3 =< fi È \ S 14 COT =b, NH, Y CO = Hypo? H+ 0504 NH, allilcanforimide CO 0 2°... 0,07 Ot NH= Hy< 07 VE+H 0 canforimide. La canforimide ottenuta in questa reazione ha tutte le pro- prietà della canforimide che il Prof. Guareschi ha ottenuto trattando l’urea, la solfurea, il solfocianato d’ammonio, ecc. con acido canforico e scaldando l’urea con anidride canforica. Torino, R. Università. Aprile 1886. Dal Laboratorio del Prof. GuARESCHI. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXI, 40 608 E. MATTIROLO ——_—____—_<. e e CV“ SULLA NATROLITE DI MONTECATINI (VAL DI CECINA) dell’ Ingegnere Errore MATTIROLO Nel suo discorso su la vita ed i lavori scientifici di Quintino Sella letto nell’adunanza solenne della R. Accademia dei Lincei li 11 giugno 1885, il professore A. Cossa trattando delle ricerche del Sella sulla così detta savite (1), riassunse la storia di questo minerale colle seguenti parole: « Un venerato nostro collega, il prof. Meneghini dell’ Uni- versità di Pisa, scopriva nel 1852 nelle roccie serpentinose di monte Caporciano in Toscana un minerale che egli, basan- « dosi sui risultati dell’analisi eseguita dal prof. Bechi, descrisse come una specie nuova assegnandogli il nome di savite (2). Questo minerale fu da principio ritenuto come dimetrico; ma Sella avendo avuto l'occasione di misurare dei cristalli di savite della Toscana fece conoscere che questa sostanza è tri- metrica ed affatto isomorfa colla natrolite. L'opinione del Sella fu generalmente accettata dai mineralisti (3), e confortata anche dal risultato di nuove determinazioni di alcune proprietà fisiche di questo minerale eseguite dal prof. D'Achiardi (4). (1) Nuovo Cimento, vol. 7° (1858), pag. 225-228. — Lettera al cav. Sismonpa letta all’Accademia delle Scienze di Torino il 2 marzo 1856. (2) Mineralogical Notices. A lettre lo J. D. Dana (New Haven). — Sur.- 1.IMan, American Journ. of Science. Serie 2?, vol. 14°, pag. 64. (3) Dana, System of Mineralogy, 5* ediz. (1864), pag. 426. (4) Mineralogia della Toscana (Pisa, 1873), vol. 2°, pag. 141. SULLA NATROLITE DI MONTECATINI 609 « Se si confronta però la composizione della savite, tale « quale risulta dall’analisi del Bechi, con quella della natrolite, « vi si nota una differenza relativamente considerevole inquan- « tochè nel minerale della Toscana gran parte della soda sarebbe « sostituita dalla magnesia. « Per spiegare questo divario di composizione, Sella riteneva « che la savite fosse una natrolite magnesiaca, oppure che la « magnesia derivasse da serpentina contaminante il campione del « minerale analizzato da Bechi. Il prof. D’Achiardi (1) non « ammette questa seconda ipotesi, che per me è la più probabile, perchè una nuova analisi della savite eseguita dal dott. Fran- « cesco Stagi sopra cristalli puri, condusse a risultati che con- « fermarono l’analisi precedente. Senza voler punto infirmare « l’esattezza delle indagini analitiche finora eseguite, credo che « lo studio chimico della savite merita di essere nuovamente « intrapreso, giacchè finora la scienza non possiede alcun « fatto ben accertato che provi che un metallo bivalente come « il magnesio possa sostituire il sodio in composti isomorfi ». Coll’intento di dissipare l’incertezza intorno alla composizione della savite, ho eseguito alcune indagini chimiche interessando pel materiale necessario la cortesia degli ingegneri A. Schneider direttore delle miniere di Montecatini, e B. Lotti del R. Corpo delle miniere, che mi facevano dono di alcuni esemplari di quel minerale. La savite donatami si presentava in prismi sottili ed assai allungati impiantati irregolarmente nelle cavità d’una roccia de- composta, friabile, rossigna macchiata di verde, che al microscopio riconobbi per una diabase molto alterata (gabbro-rosso). Era ac- compagnata da cristallini di calcite e di analcime e possedeva tutti i caratteri fisici della natrolite, caratteri che credo inutile qui ricordare. Dei prismetti pochissimi raggiungevano in lunghezza quasi due centimetri, colla larghezza di un millimetro circa. I più grandi però, come generalmente avviene nei minerali cristal- lizzati, non erano così ben definiti come i minori; si mostravano molto solcati dalle striature nel senso della lunghezza e princi- palmente verso la estremità impiantata nella roccia, erano più o meno lattiginosi e tendenti talora leggermente al roseo per (UE; e, 610 E. MATTIROLO inclusioni di particelle della roccia stessa. Solo i prismetti più piccoli si presentavano limpidi ed incolori ed è su questi che ho instituito le mie ricerche. Anche in tali cristallini tuttavia e per lo più alle estremità, che perciò non sempre si presentavano ben terminate, si notavano inclusioni della sostanza della roccia ed al microscopio sì vedevano qua e là aderenti al cristallo e come inclusioni, piccolissimi granelli rossastri. Scelsi dapprima colla lente di tali cristallini per un peso di circa un decigrammo; li lavai agitandoli con acqua onde espor- tare meccanicamente quel po’ di pulviscolo della roccia che loro aderiva, ed eseguii su di essi un’analisi qualitativa. Rinvenni i componenti proprii e costanti della natrolite con quantità mi- nime e non ponderabilmente valutabili di ferro, calce e ma- gnesia dovute per certo ad un po’ di sostanza inquinante il mi- nerale. Anche allo spettroscopio non ebbi indizio della presenza di potassa. Dopo ciò, usando della maggior diligenza eseguii una seconda cernita di materiale al microscopio, ed operando su gr. 0,076 di cristallini ben puri, ho ripetuto le ricerche qualitative nelle quali non incontrai più le traccie di ferro e magnesia ed appena accennata la presenza della calce; la quale è dovuta probabilmente a ciò che essendo il minerale accompagnato da calcare cristallizzato, che per essere pure incoloro è difficile separare perfettamente, una quantità minima di questo rimase aderente a qualche prismetto. Infine, servendomi sempre del microscopio, ho scelto cristal- lini ben puri per un peso di gr. 0,2846 che impiegai per l’a- nalisi quantitativa nella quale ottenni i risultati seguenti: Silieona felca piani nia di Aumiriàiz! ‘affiora kE Bi 96 Calesnigsst totepitvot Tagtertinactie STR I SE RATIO PISO SLOT PV TIC: Papera) Palio tea enalo M: 101, 30 Pertanto ritengo esser attendibile l'opinione che fa dipen- dere il divario fra la composizione del minerale risultante dalla analisi del Bechi e quella propria della natrolite, da sostanze contaminanti il materiale analizzato dal Bechi. SULLA NATROLITE DI MONTECATINI 611 Qualora però venisse dimostrato che realmente esiste un mi- nerale la di cui composizione risponde all’analisi del Bechi, in tal caso le mie ricerche varranno a far constatare la presenza della natrolite propriamente detta fra i minerali di Montecatini. Questa natrolite risponde assai bene alla formola Na? A/? 87° 0!°+ 2 H?0, secondo la quale la composizione teorica del minerale sarebbe così espressa: DINO" a SURI n EE 0 Allaminaze: sr esfl ad 0 Soda STA IRA 32 reno restio clorecampstti di pe dati 100, 00 (1). Torino — Laboratorio Chimico della R. Scuola d’Applicazione per gl’ Ingegneri Giugno 1886. (1) Per calcolare la composizione teorica del minerale mi sono valso dei valori dei pesi atomici proposti da MEYER e SEUBERT. 612 GIORGIO ERRERA SULLE MONOCLOROPROPILBENZINE METILBENZILGARBINOLg del Dottor GiorcIo ERRERA In una Memoria pubblicata negli Atti di quest’Accademia (volume XX) notai come per l’azione del cloro sulla propilbenzina bollente si formi un cloruro CH, : CH, C1 di costituzione sconosciuta, il quale trattato con potassa alcoolica, o sottoposto a prolungata ebollizione, si decompone completamente in acido cloridrico ed « - fenilpropilene C, H, : CH: CH: CH Studiando il comportamento del cimene con cloro selle me- desime condizioni (1), avea già precedentemente trovato che si formava invece un miscuglio di tre monocloroderivati, l’uno per sostituzione di idrogeno nel metile, gli altri due per sostituzione di idrogeno nel propile, ma di questi l’uno perdeva facilmente acido cloridrico trasformandosi nell’ idrocarburo non saturo pei CH: CH, (2), Scr, l’altro molto più stabile resisteva all’azione della potassa alcoolica* Accennai allora alle ragioni che mi indussero a ritenere anche in questo caso che l'idrogeno sostituito dal cloro appar- tenesse alle catene laterali, non al nucleo benzinico. (1) Gazzetta Chimica Italiana, XIV, 278. (2) Ibidem, XIV, 504. SULLE MONOCLOROPROPILBENZINE ECC. 613 Scopo del presente lavoro è lo studio dei tre monoclorode- rivati isomeri che si possono considerare come risultanti dalla propilbenzina per sostituzione dell'idrogeno del propile col cloro, studio diretto da una parte a stabilire la struttura del cloruro risultante per azione del cloro sull'idrocarburo, dall'altra a spe- rimentare la loro stabilità relativa e ad avere quindi una qualche luce sul caso più complesso del cimene. Come si vedrà da ciò che segue, mentre si potè dimostrare che al cloroderivato ottenuto direttamente dalla propilbenzina compete la formula 0, H, : CH, : CHCI:CH,,il secondo scopo non venne raggiunto. Per preparare questi clorocomposti di costituzione conosciuta ho dovuto partire dagli alcoli corrispondenti e sostituire 1’ ossi- drile mediante l’alogeno. Alcool fenilpropilico od idrocinnamico OSH OH: CH) CHy OH: Quest’alcool già descritto da Miller (1) e da Righeimer (2) sì trova nello stirace, come etere dell'acido cinnamico, e si può ottenere artificialmente per riduzione dell'alcool cinnamico, quando questa si faccia in presenza di molta acqua. Per prepararlo sono partito dalla stiracina greggia conte- nente cioè ancora l'etere cinnamico dell’alcool fenilpropilico, l'ho saponificata, facendola ricadere per pochi minuti con potassa acquosa concentratissima (60 parti di potassa, 40 d’acqua) ed ho ridotto direttamente, senza prima rettificarlo, il liquido oleoso ottenuto per distillazione con vapor d’acqua e costituito dal miscuglio dei due alcoli cinnamico ed idrocinnamico. Secondo le indicazioni di Riigheimer, ho sospeso il liquido da ridurre in una quantità d’acqua piuttosto considerevole, due litri di questa per cento grammi di quello, e vi ho fatto agire l’amalgama di sodio al 5 ©, tenendo il pallone sempre immerso (1) Ann. Ch. Pharm., CLXXXVIII, 202. (2) Ann. Ch. Pharm., CLXXII, 123. 614 GIORGIO ERRERA nell’acqua bollente. Durante la riduzione dovetti sostituire talvolta con nuova acqua la soluzione di idrato sodico che andava for- mandosi, e che troppo concentrata reagiva male sull’amalgama di sodio. Trascorse due settimane, dopo le quali giudicai che la ridu- zione dell’alcool cinnamico potesse essere completa, sottoposi a distillazione frazionata il prodotto, evitando l’uso del cloruro di calcio per asciugarlo, temendo che questo, come avviene talora in casi analoghi, ne determinasse la decomposizione, eliminandosi acqua. Accanto ad una quantità considerevole di -fenilpropilene (allilbenzina) ottenni un liquido bollente da 237°-239" (colonna immersa nel vapore) il quale mi diede all’analisi numeri concor- danti con quelli richiesti dall’alcool fenilpropilico. Da gr. 0,2750 di sostanza risultarono gr. 0,7975 di CO, e gr. 0,2324 di H,0 e in 100 parti calcolato trovato per C,H,- CH,: CH,: CH, OH C 79, 09 79, 41 H 9, 39 8, 82 O 11.98 VI. =i% 100, 00 100, 00 Riigheimer asserisce che nella riduzione dell’alcool cinnamico, accanto al fenilpropilico risultano solo piccole quantità di allil- benzina. Io ne ottenni invece in quantità ragguardevole; tale differenza nei risultati dipende probabilmente da qualche leg- giera diversità nel modo di operare, sapendosi quanto influi- scano le condizioni dell’esperienza nel modo di agire dell’idrogeno nascente sull’alcool cinnamico (1). (1) Harron, Hopekinson, Journ. of the Chemical Society, 39, 319. SULLE MONOCLOROPROPILBENZINE ECC. 615 Cloruro di idrocinnamile OH. CHL CH g1. L’acido cloridrico gazoso non reagisce sull’alcool fenilpropilico, nè alla temperatura ordinaria, nè a quella di 100°, anche se in presenza di sostanze disidratanti come i cloruri di calcio e di zinco fusi. L’alcool discioglie una certa quantità di gaz con svi- luppo di calore, ma non si vede eliminarsi acqua. Operai allora la trasformazione in cloruro riscaldando a 130° per tre ore l’alcool in tubo chiuso insieme ad una soluzione acquosa d’acido cloridrico satura a zero; estrassi con etere e dopo scacciato il solvente, sottoposi a distillazione evitando di disseccare su cloruro di calcio. Il liquido passò quasi tutto verso i 220° sviluppando un po’ d’acido cloridrico; bollito a ricadere per qualche ora lo svolgimento d’acido cloridrico, sensibile in principio, andò scemando poco a poco per poi cessare affatto. Distillato di nuovo il composto passò alla stessa temperatura di prima lasciando nel pallone un piccolo residuo denso, oscuro, bollente a temperatura molto elevata. Analizzato diede i numeri richiesti dal cloruro di idrocinnamile. Gr. 0,3033 di sostanza diedero gr. 0,2811 di AgCI. Gr. 0,3564 di sostanza diedero gr. 0,9087 di CO, e gr. 0, 2428 di H,0 e in 100 parti: calcolato trovato per Cene. CH, CHO AN CI 22, 93 22, 98 C 69, 58 69, 90 H 7, 56 di 100, 02 100, 00 Il cloruro di idrocinnamile è un liquido di odore aggrade- vole che ricorda il cimene, di colore leggermente giallognolo, più denso dell’acqua, bollente da 219°-220° (colonna nel vapore). È molto stabile, quando è puro non si decompone affatto per 616 GIORGIO ERRERA ebollizione, anzi, come si è visto, si può trar profitto di questa proprietà per liberarlo da altri prodotti clorurati più facilmente decomponibili; resiste anche bollito con cloruro di zinco fuso. Questa stabilità è tanto più rimarchevole inquantochè gli altri due cloruri isomeri, dei quali parlerò in seguito, si decom- pongono per l’azione del calore ed anche la cloroetilbenzina C,H,: CH, CH, CI, descritta da Fittig (1) e che possiede costituzione analoga, non si può distillare impunemente. Il cloruro di idrocinnamile allungato con acido acetico non reagisce sull’acetato d’argento neppure alla temperatura di ebol- lizione. Etere idrocinnamiletilico e Ce Ai > EROI dai Il cloruro di idrocinnamile bollito per una o due ore con potassa alcoolica concentrata perde tutto il cloro, ma invece di formarsi l’idrocarburo non saturo, la vera allilbenzina bl Co; "0 (7 pg CORE C413S risulta l’etere misto idrocinnamiletilico. All’analisi si ebbero i seguenti risultati : Da gr. 0,2684 di sostanza si ottennero gr. 0,7924 di C0, e gr. 0,2446 di H,0 e su 100 parti calcolato I a è delega 602 Pag Sa CE trovato C, H. 608 C 80, ol 80, 48 H sal ne 3, LO O Sti dar@ 100, 00 100, 00 L'’etere idrocinnamiletilico è un liquido bollente alla temperatura di 220°-222° (colonna nel vapore), incoloro, di odore aggrade- 1) Ann. Ch. Pharm., CLVI, 240. SULLE MONOCLOROPROPILBENZINE ECC. 617 vole di frutta, insolubile nell'acqua. La sua formazione è ana- loga a quella degli eteri benziletilico (1) C,H,-: CH, :-0-C0,H. e cumile tilico (2) C, H, CH, Hit k:Gg ‘110.4: dai cloruri di benzile e di cumile con potassa alcoolica. Questo fatto di essersi formato l’etere invece dell’idrocarburo non saturo è in relazione colla grande stabilità del cloruro. Sarebbe interessante il poter passare dall’alcool fenilpropilico o dal cloruro corrispondente alla vera allilbenzina (isoallilbenzina di Chojnackj (3)) ottenuta in piccolissima quantità per via sintetica e non studiata; mi propongo di fare qualche tentativo in proposito. II. Metilbenzilcarbinol (livigno du Per avere quest’alcool incominciai col preparare il metilben- zilchetone (fenilacetone), seguendo il metodo di IRadzizewski (4), distillando cioè un miscuglio a parti uguali di acetato e fenil- acetato di calcio. L’ operazione si fece in storta di rame su 100 grammi di miscuglio per volta; insieme al fenilacetone ri- sultò una quantità abbastanza considerevole del dibenzilchetone (CH. CH.), CO il quale fu dapprima isolato per distillazione frazionata, poi cristallizzato dagli eteri del petrolio bollenti da 30°-40°. Il fenilacetone fu ridotto con amalgama di sodio al 5 % per porzioni di 25 grammi sciolti in 250 grammi d’alcool e 250 di acqua. Siccome dopo qualche tempo, diventando la soluzione troppo alcalina, si rallentava assai lo sviluppo di idrogeno, fu —_——_— _ __ (1) Nuovo Cimento, III, 397. (2) Gazzetta Chimica Italiana, XIV, 278. (3) Comptes rendus, LXXVI, 1413 (4) Berichte der deutschen chem. Gesellschaft, III, 198. 618 GIORGIO ERRERA necessario eliminare l’idrato sodico formatosi. Perciò si scacciò l'alcool a bagno-maria, si separò lo strato oleoso formatosi alla superficie della soluzione sodica, si aggiunse ad esso di nuovo l'alcool distillato e dopo aver diluito con acqua fino ad intor- bidamento leggerissimo si continuò la riduzione. Si dovette ri- petere questo trattamento , il quale durò circa due settimane, finchè la sostanza non si combinò più col bisolfito sodico, indizio questo che l’acetone era scomparso e quindi la riduzione completa. Il prodotto, divenuto intensamente bruno, venne asciugato su cloruro di calcio e sottoposto a distillazione frazionata. Dopo ripetute rettificazioni, si ottenne un liquido bollente da 214°,5- 215°,5 (colonna nel vapore) il quale diede all’ analisi numeri concordanti con quelli richiesti dal metilbenzilcarbinol. Da gr. 0,4651 di sostanza risultarono gr. 1,3478 di CO, e gr. 0,3752 di H,0 e in 100 parti calcolato trovato per C,H.- CH,: CHOH: CH, € 79, 07 79, 41 H 8, 96 8, 82 O li. 07 (RIO 100, 00 100, 00 Il metilbenzilcarbinol è un liquido appena colorato in giallo, di odore gradevole, più leggiero dell’acqua, non elimina acqua nè alla distillazione nè portato in tubo chiuso a 300°, Non è l’alcool il prodotto principale della riduzione del chetone, accanto ad esso si formano in quantità considerevole delle sostanze bollenti a temperatura molto elevata, da 280° a 400° fra le quali vi sarà probabilmente il pinacone corrispon- dente al metilbenzilchetone. Ogni tentativo di isolarlo andò però a vuoto, i liquidi bollenti ad alta temperatura vennero distil- lati più volte frazionatamente, ma, anzichè ottenere un prodotto passante a temperatura costante, si ebbe a notare una continua e lenta decomposizione per la quale si andavano formando sostanze gazose, liquide e solide. Si dispose l’apparecchio in modo da poter raccogliere i gaz sul mercurio. Tra questi si potè constatare la presenza dell'ani- SULLE MONOCLOROPROPILBENZINE ECC, 619 dride carbonica assorbibile dalla potassa, dell’ossido di carbonio assorbibile dal cloruro ramoso in soluzione acida, e finalmente d’un idrocarburo che rimaneva, dopo aver eliminati gli altri due gaz coi suddetti reattivi, saturo perchè non veniva assorbito dal bromo, capace di bruciare con fiamma poco luminosa. La quan- tità troppo piccola di questo idrocarburo non mi permise di poterlo caratterizzare più esattamente. I prodotti liquidi di decomposizione si riconobbero essere acqua ed «-fenilpropilene (allilbenzina), questo constatato me- diante il suo bibromuro caratteristico Finalmente la sostanza solida la quale passava verso i 300° e che si rapprendeva già lungo il tubo dell'apparecchio distilla- tore in una massa bianca cristallina, venne spremuta alla pompa e compressa tra carta bibula per liberarla dall’olio che la im- pregnava, quindi cristallizzata dall'alcool nel quale era molto più solubile a caldo che a freddo. L'analisi diede i seguenti risultati : Da gr. 6,3292 di sostanza risultarono gr. 1,1229 di CO, e gr. 0,2029 di H,0 e su 100 parti calcolato CH, CH trovato pina H.: sE 65 C 93, 08 93, 38 H 6, 85 6, 67 99, 88 100, 00. Da una determinazione di densità di vapore fatta col me- todo di Meyer nei vapori di antrachinone (p. e. 368°) si ebbe: —‘gr. ‘00947 b- CIR t.— 140 Bia Ie Trovato Di" bat GgHie CH Calcolato per Il D= 6522 C H, 3 CH 620 GIORGIO ERRERA I dati forniti dall'analisi e dalla determinazione di densità di vapore, il punto di fusione 121°-1283°, il presentarsi dello idrocarburo da me ottenuto in laminette bianche, la sua poca solubilità nell'alcool freddo, non lasciano alcun dubbio sulla sua identità collo stilbene. Anche il corrispondente bibromuro pre- parato secondo le indicazioni di Limpricht e Schwanert (1) e cristallizzato dallo xilene, fonde alla temperatura richiesta di 237°. Riassumendo, come prodotti di decomposizione dei liquidi bollenti al disopra di 280° e provenienti dalla riduzione del metilbenzilchetone si formano, un idrocarburo saturo gazoso, ossido di carbonio, anidride carbonica, acqua, «-fenilpropilene, stilbene. Supponendo che la sostanza la quale va decomponendosi sia il pinacone e che l’idrocarburo gazoso sia metano, non è diffi- cile trovare una equazione la quale interpreti approssimativamente la detta decomposizione. Siccome però essa riesce troppo com- plicata, non credo abbia una qualche probabilità di rispondere al vero e stimo opportuno tralasciarla. Cloruro di metilbenzilcarbinile €. #0x-(CH-CHCI OH, Come per l’alcool fenilpropilico, l’acido cloridrico gazoso non reagisce sul metilbenzilcarbinol, vi si discioglie soltanto con svi- luppo di calore senza che si veda separarsi acqua. Ricorsi allora all'azione del pentacloruro di fosforo, e perciò ad una molecola d'alcool aggiunsi poco a poco una molecola di pentacloruro di fosforo tenendo ben raffreddato per evitare un innalzamento troppo forte di temperatura. Versai rapidamente nell’acqua il prodotto della reazione, per decomporre l’ossicloruro di fosforo, e distillai quindi in corrente di vapore; nel pallone non rimase alcun residuo, indizio questo dell’assenza di eteri dell’acido fosforico. L'analisi ed il potere decolorante rispetto all'acqua di bromo dimostrarono però che il cloruro distillato col vapor d’acqua non era puro, ma conteneva una certa quantità (1) Ann. Ch. Pharm., CXLV, 336. SULLE MONOCLOROPROPILBENZINE ECC. 621 di idrocarburo non saturo proveniente dall'azione disidratante sull’alcool dell’ossicloruro o dello stesso pentacloruro di fosforo. Adoperando l’alcool ed il pentacloruro nelle proporzioni di quattro molecole del primo per una del secondo sì ottennero risultati peggiori: la formazione dell’idrocarburo non saturo viene favorita dal riscaldamento necessario a completare la reazione. Dopo vari tentativi infruttuosi per separare il cloruro dal- l’x-fenilpropilene, separazione resa difficile dal fatto che il clo- ruro si decompone lentamente alla distillazione, il che rende impossibile un frazionamento molto ripetuto, e con apparecchi alti, pensai di ricorrere alla rettificazione nel vuoto. In questo modo, essendo resa minima la decomposizione, riuscii a separare nettamente il miscuglio in due parti, l’una bollente a più bassa temperatura e costituita da -fenilpropilene, l’altra a tempera- tura più elevata che non decolorava quasi più l’acqua di bromo e che mi diede all’analisi una quantità di cloro vicina a quella richiesta dal cloruro. Da gr. 0,3749 di sostanza risaltarono gr. 0,3428 di Ag CI. e su 100 parti calcolato trovato per CCHe Sere GEO CH, CI 22, 602 22, 98. Questo cloruro, come me né sono accorto più tardi, si può ottenere più facilmente collo stesso metodo adoperato per l’alcool fenilpropilico, vale a dire riscaldando il metilbenzilcarbinol in tubo chiuso per tre ore a 135° col doppio volume di soluzione acquosa d’acido cloridrico satura a 0°. Questo metodo dà un rendimento molto migliore che quello col pentacloruro di fosforo. Il cloruro di metilbenzilcarbinile è un liquido leggermente giallo, di odore analogo a quello del cimene, più pesante del- l’acqua e in essa insolubile, distilla da 204"-207° (non corretto) decomponendosi parzialmente in acido cloridrico ed «-fenilpropilene. Questa decomposizione avviene molto rapidamente in presenza di cloruro di zinco od anche di zinco metallico. Bollito con potassa alcoolica dà «-fenilpropilene. Come avviene pel cloruro di idrocinnamile, la sua soluzione nell’acido acetico, anche se fatta bollire, non reagisce sull’acetato di argento. 622 GIORGIO ERRERA III. Etilfenilcarbinol C,H,: CHOH : CH, CH, . Il chetone necessario ad ottenere l'alcool fu preparato col metodo di Barry (1) distillando per porzioni di 100 grammi per volta un miscuglio di propionato e benzoato di bario (per ogni 2 parti del primo circa 3 del secondo). Il distillato si lavò con carbonato sodico e si frazionò; risultarono tre porzioni principali, la prima bollente a bassa temperatura e costituita probabilmente da dietilchetone, la seconda intermedia la quale era il chetone richiesto, la terza finalmente passante a temperatura assai elevata e costituita con ogni probabilità da difenilchetone. La parte intermedia dopo varie rettificazioni passò da 213°- 214° (colonna nel vapore) e diede all'analisi i seguenti numeri abbastanza vicini a quelli richiesti dalla teoria. Gr. 0,4006 di sostanza dettero gr. 1,1902 di CO, e gr. 0,2771 di H,0 e per 100 calcolato trovato per CH, CO: CH,: CH, C 80, 96 80, 60 H 1IG%0 7 7, 46 O Ti Sd 11, 94 100, 00 100, 00 La trasformazione del chetone in alcool sì fece coll’ amalgama di sodio seguendo lo stesso metodo impiegato pel metilbenzilcar- binol. La riduzione però si prolungò per un tempo assai mag- giore, circa un mese, non avendo in questo caso la reazione col bisolfito sodico ad indicarci la scomparsa totale del chetone. Il prodotto estratto con etere, asciugato su cloruro di calcio e distillato, insieme ad un forte residuo denso e bruno costituito (1) Berichte der deutschen chem. Ges., VI, 1007., SULLE MONOCLOROPROPILBENZINE ECC. 623 forse dal pinacone, diede un liquido bollente dopo molte rettifi- cazioni da 215°-217° (colonna nel vapore). I risultati dell'analisi sono quelli richiesti dalla teoria per l’etilfenilcarbinol. I. Gr. 0,3121 di sostanza diedero gr. 0,9099 di CO, e gr. 0,2522 di H7,0. II. Gr. 0,3676 di sostanza diedero gr. 1,0660 di CO, e gr. 0,2949 di HO. III. Gr. 0,3384 di sostanza diedero gr. 0,9814 di CO, e gr. 0,2751 di H,O e su 100 parti trovato calcolato I II II per C,H,: CHOH:' CH, CH, C. 79,51. 79,09. 79, 09 IGEA H BIV9T 8, 91 ST0O 8, 82 Mrs 12, 00 “Il, 88 1 RA, 100, 00 100, 00 100, 00 100, 00, Quest'alcool, già descritto dal Barry (1), è un liquido quasi incoloro, di odore gradevole, più leggiero dell’acqua. Cloruro di etilfenilcarbinile C;H,: CHCI - CH; + CH,. A differenza di ciò che avviene per i due alcoli preceden- temente descritti, l'acido cloridrico gazoso reagisce sull’etilfenil- carbinol a temperatura ordinaria. Il liquido si riscalda molto e dopo pochi minuti si intorbida per separazione d'acqua la quale va poi a raccogliersi al fondo del recipiente. Dopo il raffredda- mento si sospende la corrente d’acido cloridrico, si lava con acqua contenente un po’ di carbonato sodico, poi con acqua pura, sì estrae quindi con etere e si distilla, evitando, come sempre, l’uso del cloruro di calcio per disseccare il composto. (1) Loco citato. Aui R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXI 41 624 GIORGIO ERRERA La maggior parte del prodotto passa da 200°-205° (non corretto), ma avviene mentre si distilla una forte decomposizione con sviluppo di acido cloridrico e formazione di z-fenilpropilene. Il liquido ottenuto non è quindi il cloruro puro, ma un miscuglio di questo con «-fenilpropilene, come lo dimostra il potere deco- lorante rispetto all'acqua di bromo e la analisi seguente: Gr. 0,3480 di sostanza diedero gr. 0,9068 di CO, e gr. 0,2398 di #0, Gr. 0,4106 di sostanza diedero gr. 0,3602 di Ag C7 e su 100 parti: C 71, 06 H 7, 65 CI 21, 70 100, 41. Un miscuglio di cinque parti di idrocarburo non saturo CH; CH:CH-CH, e 95 di cloruro CH, CHCt- CH,: CH, richiede per cento: C 70, 98 H 7,049 CI 921, 83 100, 00. Vista la facilità colla quale questo cloruro si decompone, ri- nunziai ad averlo allo stato di purezza. Così com'è, costituisce un liquido giallastro, più denso dell’acqua, di odore affatto ana- logo a quello dei cloruri corrispondenti all’alcool fenilpropilico € al metilbenzilcarbinol. Bollito con cloruro di zinco, o con un pez- zetto di zinco, si decompone molto rapidamente, scaldato a ri- cadere con potassa alcoolica dà «-fenilpropilene. Acetato di etilfenilcarbinile C,H,< CH - CH, CH, CH, * CO, A differenza degli altri due, il cloruro di etilfenilcarbinile reagisce vivamente in soluzione acetica, all’ebollizione, coll’acetato di argento. SULLE MONOCLOROPROPILBENZINE ECC. 625 Aggiunsi la quantità calcolata -di acetato d’argento ad una soluzione del cloruro in tre volumi d’acido acetico, e scaldai a ricadere per una mezz'ora; separai alla pompa il cloruro d’ar- gento formatosi, lo lavai ripetutamente con acido acetico, aggiunsi al prodotto tutti i liquidi di lavatura, precipitai con acqua ed estrassi con etere. Distillai frazionatamente la soluzione eterea lavata prima con carbonato sodico, el accanto a poco z-fenilpropilene, preesistente nel cloruro impuro, che caratterizzai trasformandolo in bibromuro, ottenni l’acetato. Dall'analisi ebbi i risultati seguenti: Gr. 0,3376 di sostanza diedero gr. 0,9152 di CO, e gr. 0,2445 MICA e su 100 parti: calcolato trovato n per C ll H, 14 O, C 73, 983 74, 16 H 8, 05 7, 86 O 18, 02 17, 98 100, 00 100, 00 L'acetato di etilfenilcarbinile è un liquido colorato legger- mente in giallo, di odore di frutta, insolubile nell’acqua, bol- lente da 227°-228° (colonna nel vapore) senza decomporsi. CONCLUSIONE. Come dissi. nel principio di questa Memoria, uno degli scopi del presente lavoro è stabilire la costituzione del cloruro otte- nuto facendo agire direttamente il cloro sulla propilbenzina bol- lente, e da me descritto in una precedente Nota (1). Siccome questo cloruro dà -fenilpropilene tanto da solo per prolungata ebollizione, quanto per azione della potassa alcoolica, resta escluso che esso possa essere identico al cloruro di idro- (1) Sull'a- fenilpropilene e sull’ - paratolilpropilene. Atti della R. Acc. Vol. XX. 626 GIORGIO ERRERA cinnamile C, H, - CH, : CH, : CH, CI il quale non viene decom- posto affatto dal calore e dà con potassa alcoolica l’etere idro- cinnamiletilico C, H.- CH, CH,: CH,:0:C,H,. Rimane il dubbio tra gli altri due. Lasciando da parte la piccola differenza nei punti di ebol- lizione, differenza della quale non si può tener conto trattan- dosi di corpi che distillati si decompongono, rimane a distinguerli una proprietà bene spiccata, vale a dire il diverso modo di com- portarsi coll’acetato d’argento. Il cloruro di etilfenilcarbinile C,H,: CHCI- CH, : CH,, come già fu detto, sciolto in acido sn e bollito con acbtrita di argento si trasforma in acetato ; il cloruro di metilbenzilcarbinile CH, CH, : CHCI - CH, nelle stesse condizioni non reagisce MEitioS Ora neppure il clogina ot- tenuto per sostituzione diretta dell’ idrogeno della propilbenzina, sciolto in acido acetico reagisce all’ebollizione coll’acetato d’ar- gento, è dunque identico al cloruro di metilbenzilcarbinile e pos- siede quindi la formula C, H. : CH, : CHCI - CH,. L'altro scopo del so lavoro era il vedere De se tra questi prodotti qui descritti, ve ne fosse uno, il quale, trattato con potassa alcoolica, non perdesse il cloro, come avviene pel cimene (1). L'esperienza diede risultati negativi, tutti e tre i clo- ruri da me esaminati si decompongono colla potassa alcoolica abbandonando tutto il loro cloro. Tale diversità di comportamento nei cloroderivati del cimene e della propilbenzina non deve però meravigliarci perchè si os- serva in altri casi di idrocarburi omologhi. Infatti, ad esempio, se noi consideriamo i due cloroderivati della etilbenzina C,H,: CH, CH,Cl e C,H,: CHC: CH, descritti l’uno da Fittig (2), l’altro da Engler e Bethge (3), vediamo che ambedue si decompongono fortemente alla distilla- zione; nel caso invece della propilbenzina i due cloruri C,H;: CH,-« CHCI- CH, e C,H,: CHC- CHy- CH 3 (1) Gazzetta Chimica Italiana, XIV, 278. (2) Ann. Ch, Pharm., CLVI, 240. (3) Berichte der deutschen chem. Gesellschaft, VII, 1127. SULLE MONOCLOROPROPILBENZINE ECC. 627 non distillano inalterati, il terzo C, H,: CH, : CH, : CH,C1 che corrisponde per costituzione alla o cetilbenzina di Fittig non si decompone neppure bollito con cloruro di zinco. Ne viene che ciò che vale per un idrocarburo non può dirsi con sicurezza dell’altro, e che quindi non è da stupirsi che nel cimene vi sia un cloroderivato il quale si comporti in modo di- verso del corrispondente della propilbenzina, nella stessa maniera che uno dei derivati di questa differisce nel comportamento. dal corrispondente nella etilbenzina. Torino, Laboratorio di Chimica della R. Università. Giugno, 1888. 628 CORRADO SEGRE RICERCHE SULLE RIGATE ELLITTICHE DI QUALUNQUE ORDINE del Dott. Corrapo SEGRE Le rigate razionali d’ordine » di uno spazio qualunque si possono tutte ottenere come proiezioni di quelle appartenenti ad S,,,: da questa proposizione, che si dimostra facilmente, io de- dussi in altro lavoro (*) una teoria di quelle rigate ed in par- ticolare, per quelle appartenenti allo spazio ordinario , alcuni risultati del CLeBscH relativi alla loro classificazione ed alla loro rappresentazione piana. Ora nasce la questione se un metodo analogo si possa usare per le rigate di genere p qualunque. Nella 1% parte di questo scritto dimostro che ciò accade infatti per le rigate di genere p=1 e 2, le quali si possono tutte ottenere come proiezioni di quelle appartenenti risp. ad $S,_, @ S,-, (e non già di quelle appartenenti ad ,S, e $S,_,, come l’analogia potrebbe far credere: poichè queste ultime sono coni); mentre per p>2 (e = 5) non solo le rigate appartenenti ad Sh-p+: S0N0 coni, ma neppure quelle appartenenti ad S,_, (0d Sn-p-13 +-+) non possono dare come proiezioni tutte le rigate d’ordine » e genere p degli spazi inferiori. Passo poi ad applicare il risultato ottenuto sulle rigate ellit- tiche allo studio di esse come proiezioni di quelle appartenenti ad S,-,. Ne trovo così una distinzione in specie a seconda dell’or- (*) Sulle rigate razionali in uno spazio lineare qualunque (Atti di questa R. Acc., vol. XIX}. RICERCHE SULLE RIGATE ELLITTICHE 629 dine minimo delle curve (semplici) in esse contenute, ordine che : n+ 1 ; : SR : è sempre = —_ , @ dimostro varie proprietà di ciascuna specie 2 relative sovratutto alle curve dei vari ordini = » contenute nelle rigate. Mediante una proiezione conveniente di una rigata di S,, sullo spazio ordinario quella si trasforma in un cono cubico e così ottengo varie rappresentazioni di tutte le rigate ellittiche sul cono cubico ordinario (che è la superficie d’ordine minimo su cui esse sì possano rappresentare univocamente). Tutti i risultati sulle rigate ottenuti in questo lavoro sem - brano nuovi; per brevità non mi fermerò nè ad applicarli a ri- gate d’ordini particolari, nè a dedurre da quelli relativi alle ri- gate ellittiche altre proposizioni che si presenterebbero facilmente come conseguenze di essi. Generalità sulle rigate di genere qualunque e specialmente su quelle ellittiche. 4. Cominciamo con qualche osservazione assai semplice, ma che ci occorrerà in seguito, relativa alla generazione delle su- perficie rigate mediante curve punteggiate univocamente. Abbiasi in uno spazio ,S, una rigata qualunque d'ordine » (*). Conducendo spazi ,S._, per delle generatrici (in numero = 0) si possono ottenere sulla rigata delle curve (**) semplici d’ordine = n. Considerando due curve y*, y° di ordini p, y così ottenute, è chiaro che esse si tagliano in u+v—» punti, poichè 1°S,_, con cui si ottenne 7" e che contiene inoltre n—gp. generatrici taglia y in v punti di cui n—p. stanno su quelle e i rimanenti saranno precisamente i punti comuni a %Y*, y°. Le generatrici della rigata punteggiano univocamente queste due curve, in modo . che quei punti comuni corrispondono a se stessi, cioè sono punti uniti. (*) Intorno alle rigate che considero in questo lavoro supporrò sempre che non si scindano in altre rigate e di più (quando non dirò il contrario) che non siano coni. (**) Per curva di una rigata intenderò sempre una curva che non sia composta di sole generatrici, ma sia incontrata da tutte le generatrici ( di- rettrice). i 630 CORRADO SEGRE Viceversa due curve 7“, y° di .S,, le quali siano punteggiate univocamente ed abbiano 4+v—»n punti uniti (*), generano una rigata del loro stesso genere e d'ordine ». Di qui segue in par- ticolare che su una rigata d’ordine n non possono esservi due curve semplici incontrate da ogni generatrice in un punto solo ed i cui ordini diano una somma minore di ». 2. Consideriamo una rigata d’ordine » e di genere p= 1 e < (89), la quale appartenga ad un S,. Un S,_, di questo la taglierà in una curva d'ordine » e genere p appartenente ad esso: sarà quindi, per una ben nota proposizione, x—1 =n—p. Dunque il massimo numero di dimensioni di uno spazio a cui appartenga una rigata d'ordine » e genere pè n—p+ 1. Orbene dico che se una rigata d’ordine n e genere p appar- tiene ad un Sn-r41, e88a sarà un cono. Invero in tal caso, se la rigata non fosse un cono, un S,_, condotto: conveniente- mente per una sua generatrice taglierebbe ancora la rigata in una curva C”7' corrispondente univocamente alla serie delle ge- neratrici e quindi anch'essa di genere p. Quella curva starebbe perciò, in virtù d’una proposizione dianzi ricordata, in un S,_p_15 e quindi o gli S,_, passanti per questo taglierebbero ancora la rigata in una generatrice variabile, sicchè la rigata sarebbe ra- zionale, oppure uno di quegli ,S,_, la conterrebbe tutta, sicchè SF essa non apparterrebbe all’S,_, pr: assurdo in ambi i casi. Le rigate d’ordine » e genere p appartenenti ad S,_,,, SOno dunque i coni che proiettano le ©" di genere p normali, cioè appartenenti ad S, ,, da punti esterni a questi. Il loro studio riducendosi perciò (almeno per certe proprietà) allo studio di quelle curve, una vera teoria delle rigate d'ordine » e genere p potrà cominciarsi con quelle appartenenti ad S,_, . 8. Dal risultato ora ottenuto si trae' una proposizione ‘no- tevole intorno alle curve normali. Supponiamo che tra due curve normali A” e B” d’ordine » e genere p appartenenti risp. a due (*) Quando genereremo una rigata mediante due curve punteggiate univocamente, supporrò sempre che gli spazi cui queste appartengono non abbiano comune uno spazio di maggior numero di dimensioni che quello risultante dalle condizioni esplicitamente imposte alle curve. (**) Supporrò sempre nel seguito che il numero p considerato soddisfi a queste due condizioni, RICERCHE SULLE RIGATE ELLITTICHE 631 spazi U,-, € Vu, Vi sia una corrispondenza univoca tale che esistano due gruppi corrispondenti di » punti di esse i quali stiano in due S,_,_, ® siano proiettivi. Si potrà allora con un’omo- grafia trasformare V,_,, e quindi B", in modo che gli » punti considerati di B” vadano a coincidere coi corrispondenti di A”, e V,_, vada a stare in uno stesso S,_,+, con U,-, Senza però coincidere con questo. A” e la 5” trasformata verranno ad essere in corrispondenza univoca con » punti uniti (nell’S,_,_. d'intersezione dei loro spazi U,_,, V,_.,): le rette congiungenti i punti corrispondenti genereranno perciò (n. 1) una rigata d’or- dine » e genere p appartenente all’.S,_,,,, la quale sarà quindi (n. 2) un cono. La corrispondenza tra A” e B" era dunque proiettiva, vale a dire: La condizione necessaria e sufficiente perchè una corrispondenza univoca tra due curve normali è n 3 ; Rina: î d’ordine n e genere p < 5 di due S sia protettiva è che n—-p esistano risp. în esse due gruppi corrispondenti di n punti situati in due S,-,_, @ protettivi. In particolare ponendo p=1 e notando che due gruppi di n punti situati in due .S,_, sono sempre (in generale) proiettivi, abbiamo che se due curve normali ellittiche d'ordine n sono in tale corrispondenza univoca che vi siano due gruppi cor- rispondenti di n punti appartenenti rispettivamente a due S,_,; quella corrispondenza sarà protettiva (*). 4. Proponiamoci ora di dimostrare che tutte le rigate el- littiche d’ordine n, le quali non siano coni e quindi (n. 2) appartengano a spazi di meno che n dimensioni, sono proie- zioni di rigate d'ordine n appartenenti ad S,_,. A tal fine stabiliremo anzitutto la seguente proposizione : In8,_, i cono ad n—r dimensioni che proietta da un S,_;-, una curva ellittica qualunque y"—' d'ordine n—1 appartenente ad (*) Alla fine della mia Nota Remarques sur les transformations unifor= mes des courbes elliptiques en elles-mémes (Math. Ann. XXVII, p. 296-314), procedendo in ordine inverso a quello ora tenuto, stabilii direttamente questa proposizione relativa alle curve ellittiche (mediante la loro rappresentazione parametrica) e ne trassi l’altra che le rigate ellittiche d’ordine » appartenenti ad Sx sono coni. — Rimanderò a quel lavoro per alcuni risultati sulle curve ellittiche di cui ci serviremo e per le citazioni relative (alle quali citazioni sono però da aggiungere, per quanto riguarda le trasformazioni univoche delle curve ellittiche normali di 3° e 4° ordine in se stesse, quelle dei noti lavori del sig. ScHur pubblicati nei Math. Ann., vol. XVII p. 1, e vol. XX P. 204). 632 CORRADO SEGRE un S._, (che non incontra VS,_;-,) contiene col") (=t=4) curve ellittiche normali d'ordine n—1, sè che per n—-1 punti del cono posti su altrettanti S,_,_, generatori diversi e non situati in uno stesso S,_3 ne passa una determinata. Per questo supporrò solo noto che la 7"7' considerata di S,_, è la proiezione di una certa curva normale A"7' di un R,_, (passante per quello) fatta da un O,_,_, (non incontrante S,_,), ossia è sezione di un secondo cono il quale proietta da 0,_,_, la A"7. Ora se nel primo cono vi è realmente una curva ellittica normale C,_, e facciamo corrispondere in A4”7 e C°7 due punti che siano proiettati nello stesso punto di y"7', agli» —1 punti di A"7' posti in un S,_; passante per 0, _,_; corrisponderanno evi- dentemente in C"7' n» —1 punti posti in un S,_; passante per 1°S,_,_,; il che prova (n. 3, alla fine) che la corrispondenza con- siderata tra. A" e C"7—' farà parte di un’omografia tra P,., ed S,_,, da essa ‘individuata, e in cut O,_,_, e1S,_;_. Saranno corrispondenti e sostegni di forme in cui sì corrispondono due S,r_, proiettanti uno stesso punto qualunque di S,_,. Viceversa P_i un'omografia tra f,_, ed $S,_, ncu 0 e VS sì cor- n_p_-2 rispondano in quel modo farà corrispondere ad A" una C"7' del primo cono. Ma un’omografia qualunque tra £,_, ed S,_, è de- terminata da » (n —2) condizioni: dal corrispondersi degli 0, _,._,, S,-r-, @ delle forme che li hanno per sostegni se ne hanno già r(n—-rT—1)+(r+1)(r—1), sicchè l’omografia considerata resta determinata da (n—1)(n—r—1) nuove condizioni; ed altrettante appunto si avranno se per 2-1 punti di A"”7' si fissano i corri- spondenti ad arbitrio sugli S,_,_, del primo cono corrispondenti a quelli del secondo che passano per quei punti. E si vede anche facilmente che tutte quelle condizioni che così si hanno sono indipendenti, cioè che esiste una determinata omografia soddisfa- ciente a tutte, purchè gli n—1 punti scelti in ciascun cono non’ stiano in un S,_3. Da ciò segue pel primo cono la proposizione enunciata. i 5. Abbiasi ora una rigata ellittica qualunque d’ordine #° appartenente ad un S., dove r2 il ragionamento dei n. 4, 5 non si può più estendere si spiega con ciò che appunto allora le rigate d'ordine » e genere p m0n sono più tutte proiezioni di quelle appartenenti ad ,S,_,; anzi possiamo dimostrare più in generale, "n_-p è) estendendo il ragionamento fatto al n. 2, che: le rigate d’or- n dine. n e genere p, >2 e <53' appartenenti ad S dove n—p—ri È) i è =0 e minore di un certo numero (che risulterà dal ragio- namento), non danno come proiezioni le rigate più generali d’or- 634 CORRADO SEGRE dine n e genere p. Invero, se una tal rigata appartiene ad S,_p_i» n—-p—l sì potrà, supposto 2(£1+2) ="—p—:, cioè ici ion i per 7+2 sue generatrici condurre un S,_,_;_,; il quale taglierà ancora la rigata in generale secondo una curva d’ordine n — è — 2 e genere p, che sarà semplice nel caso più generale (oppure se % è minore di un nuovo limite dipendente dalle particolarità della rigata), e starà, se n--é#—2=2p, cio i Staranno in un S,,,_,; € gli apparterranno (giacchè se stes- sero in un $,,,_3; per questo e la C” passerebbe un S,,m_, contenente una curva composta d'ordine 27, il che è impossi- (*) In modo affatto analogo si giunge al risultato seguente: ogni rigata d'ordine n e genere 2 (di uno spazio qualunque) contiene almeno una curva il cui ordine è ?"7' gruppi di n—2m generatrici che con la curva minima costituiscono le curve degeneri della serie di curve d'ordine n—m. ; ‘ ; n— 1 In particolare nel caso estremo notevole in cui m = avremo : Su una rigata ellittica d’ ordine impari n dotata di una NA , £ 15x GI curva minima d'ordine vi sono co' curve d'ordine Sl i 9 9 di medn—2m punti della C*7" che qui compaiono come residuali l’una del- l’altra. Ed anche per la corrispondenza univoca tra la C°” ela C”7" otteniamo la proposizione che ai gruppi associati della €” corrispondono nella C"7"%i gruppi di una serie lineare residuale di un’altra; ecc. Si ha qui nella con- siderazione delle rigate generate da curve punteggiate univocamente un metodo fecondo per trovare con procedimento affatto sintetico le proposizioni rela- tive alla geometria sulle curve ellittiche (e probabilmente anche sulle curve di qualunque genere). 642 CORRADO SEGRE le quali hanno comune un punto fisso; per ogni altro punto della rigata ne passa una sola, che però se esso sta sulla ge- neratrice uscente dal punto fisso degenera nella generatrice stessa e nella curva minima. Nella corrispondenza tra la curva nai ia 1 minima ed una qualunque delle curve d'ordine ai gruppi associati di punti della prima corrispondono mella se- conda i gruppi residuali del punto fisso. 15. m=3 Cerchiamo se su Y in tal caso oltre alla O” supposta, che dirò A”, ve ne può essere un’altra. Perciò sì osservi che quanto dicevamo al principio del n. 13 intorno ad una C*7? vale ancora, cioè per 7 generatrici fisse incontranti 4” in # punti associati arbitrari di questa si può condurre un $,_, conte- nente anche quell’altra 0”. Ora nel caso presente quelle m gene- ratrici non possono stare in un S,_, (altrimenti per esse ed A” pas- serebbe un S,_z contenente una curva composta d'ordine n di F); quindi o per esse passa un solo ,S,_, 0 ne passa un fascio. Ogni tale S,_, taglia Z' oltre che nelle m generatrici fisse in una Cl”, la quale però potrebbe in particolare coincidere con A”. Dunque n 5 Lo EER Bia F ha in generale due curve minime Cl”, distinte o coincidenti; e può anche avere una serie lineare di co' Cl” sì che per ogni punto (senz’eccezione) ne passa una sola. Nel primo caso le due C’ non sono punteggiate proiettivamente ; nel secondo invece due qualunque delle C”° sono punteggiate proiettivamente e le generatrici formano gruppi di # situate in $S,_3 e incon- tranti tutte le C” in gruppi di punti associati. Da questo risultato segue subito l’esistenza e la costruzione di Y quando ha due C” distinte e quando ne ha infinite. Per vederne la costruzione nel caso in cui abbia una sola curva minima A” ricordiamo che allora deve accadere che per mm generatrici di F incontranti A” in m punti associati passi un solo S,_, € che questo contenga anche A”. Ora si vede subito (conducendo S,_, per m — 1 generatrici) che in questo caso Y conterrà infinite C"+': una di queste ha comune con A” un punto ed è ta- gliata dall’S,_, considerato passante per 4" in altri m punti associati con quello ed ai quali corrispondono 7» punti associati RICERCHE SULLE RIGATE ELLITTICHE 645 «di A”. Orbene viceversa prendansi una Cl” ed una ©"*' aventi un punto comune ed in corrispondenza univoca tale che quel punto sia unito e che ad un gruppo di m punti della C"*' re- siduale di questo corrisponda sulla €" un gruppo di punti associati: la rigata d’ordine » generata dalle due curve sarà appunto della specie voluta, cioè avrà per unica curva minima la C”. F avrà due invarianti se ha due sole curve minime distinte o coincidenti, cioè il suo modulo e l’invariante della corrispon- denza tra queste curve; mentre ha unicamente per invariante il proprio modulo se contiene infinite curve minime. In uno spazio qualunque avremo: Una rigata ellittica d'or- gi e dine pari n con curva minima d'ordine gpiò presentare due casi: 1° avere due sole tali curve, distinte od infinitamente vicine. ed allora la corrispondenza univoca tra queste non è speciale (è questa la specie più generale di rigate ellittiche d’ ordine pari n); 2° contenere infinite tali curve sì che per ogni punto senz’eccezione ne passi una sola ed allora la corrispondenza univoca tra due qualunque di esse è speciale. A. seconda adunque che per generare la rigata si prenderanno due curve Re i : Ri RA : ; ellittiche d'ordine n) in corrispondenza univoca generale 0 spe- ciale, si presenterà il 1° od il 2° caso. Per generare poi la rigata nel 1° caso sì che abbia le due cuwve minime infinita- mente vicine si può far uso di due curve ellittiche di ordini Dpr — 6 3 +1 punteggiate univocamente con un punto unito e in 2 modo che ai gruppi associati di punti della prima cor- ICI =. rispondano mella seconda i gruppi residuali del punto unito. 1 1 416. mat . In questo caso 2 =m —1. generatrici qualunque di Y appartengono ad un S,_,, poichè se stessero in un S,,_;, questo taglierebbe ancora le €” intersezioni residue di F cogli S,_, passanti per quello in un punto fisso e 1’S,_, congiungente quell’,S,_; alla generatrice passante per questo punto taglierebbe ancora Y in una C”*7'. Ogni S,_, che così viene individuato da uno qualunque degli co ”7' sruppi di m — 1 generatrici determina su Z come intersezione residua una C”; 644 CORRADO SEGRE viceversa gli co” 7* S,_, passanti per una C” di Y determi nano su questa una serie lineare co "7? di gruppi di m—1 generatrici. Ne segue che nel caso presente ° avrà o0' curve minime l’: vedremo poi, come caso particolare di un’altra pro- posizione (n. 18), che per ogni punto di /' ne passano in generale due. Notiamo inoltre che la corrispondenza tra due qualunque C'£ di F non può essere proiettiva, poichè altrimenti si vedrebbe subito l’esistenza di un S,_3 contenente m —1 generatrici e quindi, come dianzi s'è visto, di una C"7' su F; viceversa la rigata generata da due ©” in corrispondenza univoca non proiettiva aventi un punto unito non può contenere una C”7', e quindi appartiene alla specie che ora esaminiamo. Da ciò si può dedurre che Y ha in questo caso un solo in- variante, cioè il modulo. Proiettando avremo : Una rigata ellittica qualunque d’ordine impari n, appar- tenente alla specie più generale, cioè a quella per cui le curve 1 . , contiene co" tali curve sì che per minime sono d' ordine fd ogni punto della rigata ne passano due. Ad ognuna di esse n—_3 ni corrisponde una serie lineare o * di gruppi di gene- ratrici, sì che ogni altra è incontrata da quella curva e da mp uno qualunque di, questi gruppi in punti associati; in x particolare la prima curva è incontrata da quei gruppi di ge- neratrici nei gruppi di punti residuali al suo punto di contatto colla curva inviluppata da tutte le curve minime. La corrispondenza tra due qualunque di queste non è speciale, e la rigata si genera appunto mediante due curve ellittiche d'ordine in corrispondenza univoca non speciale con un punto unito (*). (*) Dalle rigate corrispondenti ad m= 31 e m=3 si potrebbero dedurre come casì particolari quelle corrispondenti a valori inferiori di #; ma mi parve preferibile l’esaminare anche queste direttamente. — Si osservi inoltre che dalle costruzioni date delle rigate delle varie specie in qualunque spazio sì trae immediatamente il numero dei parametri da cui esse dipendono. RICERCHE SULLE RIGATE ELLITTICHE 6045 Alcune proprietà. 17. È importante veder bene, qualunque sia la specie di YF, a quali condizioni deve soddisfare un numero % affinchè % generatrici di / siano indipendenti, cioè appartengano ad un S,i-.-. Indicando sempre con m l’ordine delle curve minime, 1 n e supponendolo anzitutto = è chiaro che la 0” e % ge- neratrici appartengono ad un S,,,x_,Se& wm le % generatrici non sono indipendenti; esse ap- parterranno allora appunto ad un $,,,,_, contenente la (l°. Se k=m e le m generatrici incontrano la Cl” in m punti associati, esse non saranno indipendenti, ma apparterranno ad un Sn. (V.n. 15). Se poi X = #m e, ove fosse precisamente %=wm, se i punti d'incontro delle % generatrici con la ©” non sono associati, le % generatrici sono indipendenti. poichè se stessero in un S,;_,, siccome i % punti comuni a questo ed alla C” sarebbero indipendenti, vi sarebbe un $,,,;-, contenente la C” e le % generatrici, il che è impossibile (n. 10). — Nel caso - n E De = dara : di mg (v. n. 15) » generatrici qualunque sono indipendenti, tranne se incontrano una Cl” in punti associati, chè allora, secondo che si ha la 1% o la 2° delle due specie di Y considerate in quel caso, quelle generatrici appartengono ad un $,_, o ad un $,_3; quindi, per #Xm le k genera- trici non sono più indipendenti ed appartengono ad uno spazio contenente ogni curva minima. 646 CORRADO SEGRE Da ciò segue quest'altra proposizione: Un S,_3 passante per k generatrici di F incontra ancora questa in generale in n—-2k punti isolati, se k2, e indichiamo con p. un numero qualunque minore di » ma maggiore di n--m. Una C* di F apparte- nendo ad un S,_, starà con n—u—1 generatrici fisse in un S,-, determinato, il quale taglierà ancora Y in una certa ge- neratrice. Adunque per avere tutte le C* di Y basta condurre tutti gli S,_. passanti per quelle n—p— 1 generatrici fisse ed una variabile. Siccome n—p generatrici sono indipendenti e ogni S,_, condotto per esse non contiene più in generale altre generatrici , tranne quando lo spazio a cui quelle appar- tengono contiene ancora un’altra generatrice, il che si verifica RT i i solo per mm = 3” 2° specie, se //=.+1, così escludendo questo caso, ogni gruppo costituito dalle n —p-— 1 generatrici fisse e da un’altra generatrice ci dà realmente c0?*7"7' C* e quindi in totale vediamo che, se {. soddisfa alle dette condizioni, vi sono Spi cose (Ca Per 2u—n punti qualunque di / passano in generale due C*, le quali si costruiscono così. Conducasi un S,_3z per le m-—p.—1 generatrici fisse e per quei punti: esso taglierà an- cora F (n. 17) in 2 punti; i due S,_, passanti per quel- l’S,_3 e rispettivamente per le generatrici uscenti da questi 2 punti taglieranno ancora Y secondo le due C'* cercate. — Con- siderando anche le curve d’ordine » sezioni di Y cogli S,_, €@ proiettando abbiamo : RICERCHE SULLE RIGATE ELLITTICHE 647 Una rigata ellittica qualunque d'ordine n dotata di curve minime d'ordine m contiene, oltre alle curve già considerate nei n' 14, 15, 16, una serie quadratica di co?*7" curve ellittiche d'ordine p per ogni valore di fp minore di n e maggiore di n—m, escludendo però nel caso delle rigate Mi i sg sig De n aventi infinite curve minime d'ordine 3 il valore p.= 5% DR rel In tal modo si hanno tutte le curve d'ordine n—2; ma esso contiene A”7"—* e le % generatrici g, e do- vrebbe inoltre contenere le generatrici passanti pei due punti con- siderati di /": dunque questi staranno su una stessa generatrice, giacente nell’ ,S,_, ed incontrante perciò ArTE=5 in unopaipi di O,_5, vale a dire in uno dei punti P. Dunque effettivamente la proiezione che così si ottiene di Y su R', è univoca, fatta solo eccezione per le n — 2%- 3 generatrici p di / passanti pei punti P, ciascuna delle quali è proiettata in un sol punto P'. Ora un S,_; condotto ad arbitrio per 0,_; taglia Y oltre che nelle % generatrici g in n—- 2% punti (purchè % soddisfi ad una certa condizione; v. n. 17): di questi n—2%—3 sono nei punti fissi P, e solo i rimanenti 3 sono variabili. Di più le generatrici di Y incontrando tutte 4"7"=', e quindi È,_,, sono tutte proiettate su '; secondo rette passanti pel punto A’ intersezione di R', con R,_,. Dunque la rigata F viene così proiettata univocamente su un cono cubico, al cui vertice A' corrisponde sulla rigata la curva A"T"7*. Le condizioni a cui deve soddisfare % (cioè di non superare un certo limite, dipendente dalla specie di-/) risulterebbero subito da questo ragionamento, valendosi dei risultati del n. 17 ; così per la specie più generale di Y corrispondente ad » dispari, cioè n+4 1 per in; il massimo valore che possa raggiungere % è e Us , mentre per la specie più generale corrispondente ad » | Shi n, PART. es: pari e quindi #m = 3 il massimo di % è > 24. Considerando ogni rigata ellittica d’ordine n di qualunque spazio come proiezione di XY", noi ne abbiamo in tal modo varie RICERCHE SULLE RIGATE ELLITTICHE 651 rappresentazioni univoche sul cono cubico ordinario, e possiamo trovare immediatamente le loro proprietà. Così: Sulla rigata vi sono (come su FP) n—2k-—-3 punti fondamentali P_a cui corrispondono sul cono cubico altrettante generatrici p', mentre su queste vi sonon—2k—3 punti fondamentali P' del cono ai quali corrispondono sulla rigata le generatrici p passanti pei punti P; inoltre è fondumentale per la rappresentazione il vertice del cono poichè gli corrisponde sulla rigata una curva d'ordine n—-k-3. La rappresentazione è d'ordine n—k. Più precisamente: alle cubiche sezioni piane del cono corrispondono in F le C*7* in- tersezioni residue cogli ,S,_, passanti per 0,_; e quindi più in generale in qualunque rigata ellittica d'ordine n delle curve d'ordine » — / passanti pegli #—-2%—3 punti fondamentali P. Alle c0”-' curve d’ordine » della rigata incontranti ogni gene- ratrice una volta sola (cioè alle sezioni di Y' con $,_,) corri- spondono nel cono curve d’ordine n — % passanti pegli n — 2 & —3 punti fondamentali P' ed aventi nel vertice del cono un punto multiplo secondo n—%— 3: queste curve ellittiche formano un sistema tale che per n—1 altri punti del cono ne passa in ge- nerale una sola. In particolare, se si considera la rappresenta- zione di una rigata ellittica dello spazio ordinario, le sue sezioni piane saranno rappresentate da un sistema lineare co° di quelle curve d’ordine »—% del cono cubico. Si scorge poi subito come si rappresentano le curve d’ordine e 000. Se inoltre, facendo variare a piacimento la z nel campo 1 si possono ancora trovare dei numeri fissi N,, No. .... che godono della proprietà indicata per ogni valore della z, allora si dice che l’espressione ® (n,, D3,.....; 2) è unifor- memente convergente in T. 1° Ciò premesso, coll’uso del teorema inverso di quello di Cauchy si dimostra facilmente il seguente teorema generale : Se le espressioni % (n, ny, ....;z) restano monodrome, continue e finite in un campo T, almeno per tutti i valori delle n, al di là di certi numeri finiti, e se inoltre in T l’espres- sione © (n,, n,,....;Z) converge uniformemente, allora w=lim.@ (aid, pori) naz x rappresenta una funzione monodroma, continua e finita della z mell’interno di T. Si vede molto facilmente che nelle condizioni indicate la va- riabile complessa w varia con continuità al variare della 2. Infatti, scelti per N,, N, N, ..... numeri opportunamente grandi, si potrà avere: w(2)=@0(N, N, PISO ;2)+w, N, (4) (1), dove |9x,.0,..(0) Sg b] qualunque sia 2 nel campo 7 e comunque piccolo siasi as- sunto £. (*) Cfr. P. Du Bors-Rermonp, Die allgemeine Functionentheorie (Tiibingen, 1882), a pag. 6 e 258. FUNZIONI DI UNA VARIABILE COMPLESSA 655 Mora vessendo! 9 (IN; Not : 2) una funzione continua si può sempre assegnare un limite superiore r al modulo del- l’accrescimento % della 2, in guisa che per |X| = risulti: |0(W Ng; .-:2+0)—9(N; N, 19) e così per |f| = avrà sempre luogo la disuguaglianza w(+h— w(2)|<. E con questo la continuità di w resta provata. Se s designa la lunghezza del contorno di una porzione qual- siasi di 7, che supponiamo finita, integrando lungo tutto questo contorno dalla (1) si ha ovviamente: |wde «/ d#19, 0 basta a legittimare l’as- serzione qui fatta, ma non è lecito di concluderne che, quando la 2 si accosta al contorno, debba essere: lim. w (2° = w (x). Invero i valori di una funzione [e 4 di variabile complessa al contorno di T non possono essere assunti arbitra- riamente. FUNZIONI DI UNA VARIABILE COMPLESSA 657 e tutte queste espressioni sono uniformemente convergenti nel - l'interno di T a distanza comunque piccola dal contorno. Di qui segue in particolare che qualunque serze di funzioni tutte monodrome, continue e finite in un campo 7’, sul contorno del quale la serie converge uniformemente, rappresenta una fun- zione monodroma, continua e finita nell'interno di 7 e che quanto alla differenziazione ed all'integrazione la serie può essere trattata come le somme di un numero finito di termini (*). Del pari per un prodotto infinito, i cui fattori elementari sono funzioni monodrome, continue e finite dovunque in 7 ed il quale converge uniformemente sul contorno di T, si può con- cludere che: nell'interno dello stesso campo T il prodotto in- finito converge uniformemente e rappresenta una funzione mo- nodroma, continua e finita. Sia un prodotto infinito nelle condizioni testè definite; allora appli- cando il teorema generale espresso dalla formula (2) abbiamo: CALA) CAVIE f'(2) [ Pa po a (2) dt: () | soridepagpi = GF) sempre quando w e le f (2) siano tutte diverse da zero: e però (e) la serie X — dovrà certamente convergere uniformemente (**). q=00/; (*) Cfr. VoLTERRA, Sopra alcune condizioni caratteristiche delle funzioni di una variabile complessa. Annali di matematica, S.II, t. XI, al $ XIX. (**) Si noti che per la nostra definizione di convergenza può essere: w=0, quand’anche tutti i fattori elementari siano diversi da zero. Ma pei prodotti infiniti conviene restringere la definizione in modo da evitare il limite zero, il che può farsi molto agevolmente per un’espressione infinita qualunque, definendo la convergenza per mezzo della condizione: pla, + Net Par «> #3) lim. = n=% CART ERE oli 37) (Cfr. Du Bors- ReyvMoxp, l.c., a pag. 264). 658 G. MORERA Infine, la considerazione della convergenza uniforme delle successive ridotte per una frazione continua ci condurrà ad enun- ciare anche per queste espressioni un teorema analogo. Il nostro processo di dimostrazione del teorema generale non richiede in fondo che l’integrabilità dell'espressione limite sul con- torno del campo 7, cioè che resti valida la formula: {uo (x)da RE ina: _=-—t—'—====== a—-2 n= LT 2 Orbene, si riconosce agevolmente che il teorema può essere esteso; per esempio, a tutti quei casi ;n_ cui la convergenza uniforme della 0 venga a mancare in un gruppo di punti di 1° specie (*) del contorno. Ma se nel campo 7 le © (#,; #,, ...; 2) anche per va- lori grandissimi delle »,, #,.. .mnon sono tutte finite, non si possono più trarre le conclusioni precedenti ed allora il limite può mancare, oppure rappresentare una funzione discontinua. Per esempio: la ben nota serie tà 2 nz ea di (1+%2)(14+(i—1)2) mie == converge uniformemente lungo qualsivoglia contorno sul quale non. n cade il punto == 0, ma il polo dell'espressione a al cre- nz scere indefinito di » si accosta indefinitamente al punto 2= 0. Sicchè la serie dianzi ricordata rappresenta certamente una fun- zione monodroma, continua e finita in qualunque campo in cui non cada il punto z=0. E questo è notissimo, giacchè w è sempre eguale ad 1 al di fuori del punto z=0, ma in questo punto essa è discontinua ed assume il valore 0. Differenziando termine a termine la serie precedente, se ne ottiene un’altra dovunque convergente tranne il punto 2=0, dov’essa diverge. Può ancora presentarsi il caso che la @(#,, #5,..-..; 2) ammetta parecchi campi di convergenza uniforme senza alcuna (*) Cfr. Dini, Fondamenti per la teorica delle funzioni di variabili reali (Pisa, 1878), sovratutto a proposito dell’integrazione per serie (p. 384 e seg.). FUNZIONI DI UNA VARIABILE COMPLESSA 659 connessione fra loro. In tal caso w(2)=lim. @ (n,, n, (..; 2) n_ao rappresenta in ciascuno dei detti campi una funzione monodroma, continua e finita della 2, ma le funzioni così rappresentate sa- ranno, generalmente parlando, affatto distinte le une dalle altre, cioè non saranno rami di una stessa funzione (*). Pavia, 8 giugno 1886. (*) Cfr. la già citata memoria del sig. WelerstRASs, Zur Functionenlehre, 660 E. NOVARESE DI UNA ANALOGIA FRA LA TEORICA DELLE VELOCITÀ E LA TEORICA DELLE FORZE del Dott. Enrico NovARESE Die Geometrie der Streckensysteme ... als eines der kràftigsten Hiilfsmittel der Mechanik angesehen werden muss. SCHELL. Il presente lavoro trae origine da un passo del Cours de Mecanique et Machines del BrESSE uscito in luce l’anno scorso (Paris, Gauthier-Villars, 2 vol.). Il passo, a cui alludo, è il seguente (Tome I, p. 389): « Il est impossible de ne pas re- marquer la complète analogie qui existe entre les théorèmes.... sur la composition des forces et des couples, et ceux qu’on a établis dans la Cinématique, sur la composition des mouvements d’un solide invariable. A chaque propriété des forces répond une propriété analogue des axes représentatifs des rotations, et chaque propriété des axes représentatifs des couples répond de méème à une propriété semblable des translations. Ainsi, par exemple, les rotations représentées par des axes concourants ou parallèles se composent suivant les mémes règles que les forces concou- rantes ou parallèles; les translations se composent comme les axes des couples; un système quelconque de forces et de couples est réductible à deux forces non situées dans un mème plan, comme un système quelconque de mouvements se ramène à deux rota- tions n’ayant pas leurs axes dans un méme plan; l’axe central des moments est l’analogue de l'axe central du mouvement, etc., etc. TEORICA DELLE VELOCITÀ E TEORICA DELLE FORZE 661 Il ne semble pas d’ailleurs qu'on puisse etablir cette analogie directement, au moyen de quelque raison philosophique, par laquelle on serait dispensé de faire une des deux théories après avoir fait l’autre ». Ora a me sembra che quest’analogia si possa benissimo stabilire a priori e spiegare in modo soddi- sfacente, col far vedere che le due teorie, onde si tratta, non sono già due teorie essenzialmente distinte, ma sibbene il ri- sultato dell’ applicazione a due diverse questioni meccaniche di una medesima teoria geometrica. Sicchè mi pare che non si do- vrebbe già esporre una delle due teoriche, ed esimersi dal fare l’altra, deducendola dalla prima, ma piuttosto si dovrebbero ri- cavare entrambe dalla teoria geometrica accennata. È questa una parte di quella dottrina recente, che i Tedeschi chiamano Geometrie der Streckensysteme, e che io dirò la Geometria dei sistemi di segmenti (rettilinei); più precisamente è quel ca- pitolo di essa, il quale studia 1’ Equivalenza dei sistemi di segmenti. La maggior parte di questo scritto è dedicata appunto a svolgere il concetto che ho enunciato: l’ultimo paragrafo poi contiene una ricerca cinematica, che si collega intimamente con quanto precede, ed il cui risultato, d'altronde, può servir di base allo studio di un importante problema cinetico. $S 1 Anzitutto, mi sia concesso di stabilire alcune denominazioni e di riassumere i teoremi principali che appartengono alla teoria geometrica summentovata. Di un segmento di retta (*) dato nello spazio considero la lunghezza, la direzione, il verso e la posizione di uno degli estremi, p. es. del punto iniziale. La retta indefinita, sulla quale giace il segmento, chiamo linea di posizione di esso. Dico caratteristiche del segmento rispetto a tre assi coordinati le sue tre proiezioni sugli assi, ed i suoi tre momenti rispetto agli assi medesimi; queste sei caratteristiche sono legate fra di loro da una ben nota relazione. Chiamo sistema di segmenti l insieme , (*) D'ora innanzi dirò segmento senz’altro, sottintendendo sempre che sì tratta di un segmento di retta. 662 E. NOVARESE di quanti si vogliano segmenti comunque disposti nello spazio; e chiamo caratteristiche di un dato sistema le somme algebriche delle caratteristiche omologhe di tutti i segmenti che lo costi- tuiscono. Dico equivalenti due sistemi tali che le caratteristiche dell’ uno siano rispettivamente uguali alle caratteristiche omo- loghe dell’altro; e dico ridurre un sistema dato ad un altro il sostituire a quello un sistema equivalente composto di un nu- mero minore di segmenti, — Ciò premesso, ricordo che si di- mostrano le seguenti proposizioni : Due segmenti, i quali abbiano la stessa linea di posizione, la stessa lunghezza e lo stesso verso, sono equivalenti. Un sistema di segmenti, le cui linee di posizione concor- rano in un medesimo punto, è equivalente ad un segmento, la cui linea di posizione passi per quel punto, ed il quale sia equipollente alla somma geometrica de’ segmenti proposti. E questo è vero anche se quel punto di concorso sia all’infinito, fatta eccezione però pel caso contemplato nel capoverso seguente: Un sistema di due segmenti uguali, paralleli e di versi op- posti, cioè una coppia di segmenti, è irreducibile ad un segmento non nullo; esso si può per altro trasformare in infiniti modi in un’altra coppia (equivalente alla prima), purchè rimanga inva- riato in grandezza, direzione e verso il segmento rappresentativo (axe representatif, Axenmoment) della coppia. Un sistema qualunque di segmenti è riducibile in un numero infinito di modi ad un segmento (principale) e ad una coppia (principale). Si può prendere ad arbitrio o un punto della linea di posizione del segmento principale, ovvero la giacitura del piano della coppia principale. Comunque si effettui questa ridu- zione, è costante il prodotto geometrico del segmento principale pel segmento rappresentativo della coppia principale. Questo pro- dotto costante denomino invariante del sistema. Un sistema. qualunque di segmenti è riducibile in un'infinità di maniere a due segmenti, le cui linee di posizione non giac- ciano in un medesimo piano. Si può scegliere ad arbitrio una di queste due rette, purchè non. si prenda per essa un raggio del complesso. lineare, di cui sarà. fatto cenno più innanzi. Co- munque si compia tale riduzione, è. costante il volume del te- traedro avente per due spigoli opposti quei due segmenti; e il sestuplo di tal volume costante è misurato dall’ invariante del sistema. TEORICA DELLE VELOCITÀ E TEORICA DELLE FORZE 665 LI In particolare, se l’invariante è nullo, il sistema è riduci- bile o ad un segmento unico, o ad una coppia, o ad un segmento di lunghezza zero e ad una coppia di momento zero (sistema equivalente a zero, equivalent Null). In ognuno di questi casi dico che il sistema è speczale. Ogni sistema di segmenti individua un complesso lineare di rette. La linea di posizione del segmento principale è un dia- metro del complesso, il piano della coppia principale è uno dei piani diametrali coniugati a tal diametro. Le linee di posizione dei due segmenti, ai quali può ridursi il sistema, sono rette coniugate rispetto al complesso. L'invariante del sistema rappre- senta l’invariante del complesso: quando il sistema è speciale, il complesso è speciale, e viceversa. Ho creduto bene di dare un riassunto generale della teorica dell’equivalenza dei sistemi di segmenti, invece di limitarmi ad un semplice accenno, non tanto perchè intenda di servirmi, in ciò che segue, di tutte queste proposizioni, quanto perchè, una volta dimostrata l'applicabilità di tale teorica alla Dinamica ed alla Cinematica, risulti più luminosamente che ne conseguono subito ed in tutte le loro parti le due teorie meccaniche, alle quali si riferiscono le riflessioni del Bresse. Vediamo dunque di stabilire tale applicabilità. (V/A) DI Per ciò che riguarda la teorica delle forze, la cosa è affatto ovvia. Invero, un sistema di forze applicate ai punti di un corpo qualsiasi, come le consideriamo in Meccanica razionale, non è altro che un sistema di segmenti. Abbiamo quindi il diritto di applicare senz’altro alle forze tutto quanto abbiamo detto in- torno ai segmenti; non c'è che da fare qualche lieve cambiamento di linguaggio: dire forza invece di segmento, punto d’ applica- zione in luogo di punto iniziale, linea d'azione invece di linea di posizione, ecc., ecc. Nasce così una teoria dell’equivalenza dei sistemi di forze, intendendo per equivalenti due sistemi di forze i quali abbiano uguali le caratteristiche omologhe. Che se poi supponiamo che il corpo, sul quale operano le forze, sia rigido, codesta equivalenza acquista un cospicuo significato meccanico, che è ciò che ne forma l’importanza. Per convincersene, basta 664 E. NOVARESE osservare che tanto l'equilibrio quanto il movimento di un corpo rigido dipendono, non già dagli elementi che individuano le singole forze sollecitanti il corpo, ma dalle caratteristiche di esse; epperò non si alterano, comunque al sistema di quelle forze se ne sostituisca un altro equivalente (*). E allora la dottrina riassunta nel $ precedente fornisce immediatamente tutti i teoremi noti sulla composizione delle forze concorrenti o parallele, sulla trasformazione e sulla composizione delle coppie, sulla riduzione di un sistema qualunque di forze, come si sogliono esporre nella Statica dei sistemi rigidi. Invece, l’applicabilità alla Cinematica della Geometria dei sistemi di segmenti non è manifesta a prima giunta: per met- terla in luce, fa d’uopo addivenire ad alcune investigazioni. Consideriamo un corpo (sistema di punti invariabilmente con- nessi) avente un moto rotatorio intorno ad un asse; e consideriamo il segmento rappresentativo di questa rotazione per la fine del tempo #, cioè un segmento dell’asse di rotazione, la cui lun- ghezza rappresenti il valore della velocità angolare (alla fine del tempo #) ed il cui verso, scelto giusta opportuna convenzione, definisca il verso del moto (alla fine del tempo #). Denotiamo con a, bd, ce, I, m, n le caratteristiche rispetto a tre assi di questo segmento, con wx, %,, %w, le proiezioni sugli assi della velocità che, alla fine del tempo #, ha il punto (x, y, ) del corpo. Per formole note, avremo w,=l +bz--cy , w,=mt+cea—-az ; w,=n +ay— ba , dove a, d, c, I, m, » non sono indipendenti fra di loro, ma legate dalla relazione al+bm+cn=0 . Immaginiamo ora che il corpo abbia un moto composto di l: rotazioni R,, ..., R,; e supponiamo date le caratteristiche a, bd, ... del segmento rappresentativo di ognuna di queste rotazioni per (05) È quasi superfluo l'avvertire che, trattandosi del moto, il sistema pri- mitivo di forze e quello che gli si sostituisce debbono essere equivalenti ad ogni istante. TEORICA DELLE VELOCITÀ E TEORICA DELLE FORZE 665 la fine di un medesimo tempo #. Sia dippiù W la velocità cor- rispondente nel moto composto del punto (x, y, 2). In virtù di un teorema che suppongo dimostrato, sarà W.=Zw,=Z01 4+23b—yXc Î W=Iw=ImtaZit-eZa-b cea) Ma, d'altra parte, qualunque sia il movimento del corpo, è noto che le proiezioni sugli assi della velocità v di un punto (4, y, 4) si possono, senza introdurre nessuna idea di composi- zione di moti, esprimere nel modo seguente v=L+Bz—-Cy ) DIA O aa DS, (2), v=N+Ay—- Bbx dove A, B, C, L, M, N sono sei funzioni del tempo indipen- denti fra di loro, e indipendenti dalle coordinate x, y, 2. Ora, queste espressioni di v,, v,, v. hanno precisamente la forma delle espressioni (1) di W,, W,, W., e coincidono con quelle quando le % rotazioni £,,..., £, siano tali che le sei somme £Y a, X d,... risultino rispettivamente uguali ad A, 5.... Vediamo così che la velocità di ogni punto di un corpo, mobile comunque, si può considerare come dipendente dalle caratteristiche di un certo sistema di segmenti. E se, per brevità di linguaggio, conveniamo di chiamare caratteristiche (alla fine del tempo t) del sistema delle rotazioni R le sei somme Xa, Xb, ecc., possiamo con- cludere il teorema seguente : Qualunque sia il movimento di un corpo, ad un istante qualunque, la velocità di ogni suo punto è la stessa (in gran- dezza, direzione e verso) come se il corpo avesse un moto composto di k rotazioni, il sistema delle quali, nell'istante considerato, avesse per caratteristiche le sei quantità A,B, C, L, M, N, che a quel movimento, in quell’istante, competono. Ovvero, in termini meno precisi ma più conformi al lin- guaggio consueto : Ogni spostamento elementare di un corpo si può conside- rare come composto di k rotazioni, il sistema delle quali abbia per caratteristiche A, B, C, L, M, N, 666 E. NOVARESE Da questa proposizione segue immediatamente quest'altra : Comunque al sistema delle k rotazioni R se ne sostituisca un altro avente le stesse caratteristiche, la velocità v rimane la stessa. DI Giunti a questo punto, è evidente che basta applicare al sistema dei segmenti rappresentativi delle rotazioni £ la teoria riassunta nel $ 1 per ottenere l’intiera teoria della com- posizione delle rotazioni, di quella delle traslazioni, della ridu- zione di uno spostamento elementare a due rotazioni, ovvero ad una rotazione e ad una traslazione, ecc. Occorre però avvertire che, per aver diritto di parlare di traslazioni, si richiede ancora una dimostrazione: è necessario provare che la velocità di ogni punto di un corpo, il cui moto consista in una coppia di ro- tazioni, è la stessa come se il corpo avesse un moto progres- sivo nella direzione e pel verso dell’asse della coppia, con ve- locità uguale al momento della coppia. Infatti, a questo riguardo, la geometria dei sistemi di segmenti dice soltanto che una coppia è equivalente ad un segmento di lunghezza zero, posto all'infinito. Vi è un altro punto della teoria dello spostamento elemen- tare di un corpo, che esige un’ investigazione ulteriore; ed è l’esistenza del complesso di CmasLes delle normali alle traiet- torie. È noto infatti che il complesso lineare individuato da un sistema di segmenti si suol definire come l’insieme delle rette dello spazio, rispetto alle quali è nullo il momento del sistema (somma de’ momenti dei segmenti del sistema); e così appunto si definisce, nella Statica, il complesso lineare individuato. da un sistema di forze. Quindi, in Cinematica, dovremmo considerare il complesso formato dalle rette, rispetto a cui è nullo il mo- mento del sistema 6 dei segmenti rappresentativi delle rota- zioni R. Ora bisogna far vedere che questo complesso e quello suaccennato di Chasles coincidono, cioè, bisogna dimostrare che: Ogni retta, rispetto alla quale è nullo il momento del sistema ©, è normale alla traiettoria di qualche punto del corpo nella po- sizione che esso punto occupa alla fine del tempo #; e, inver- samente, ogni normale a questa traiettoria, nella posizione me- desima, è una retta, rispetto a cui è nullo il momento del si- stema 6. A tale intento, diciamo %,, Y, 2, le coordinate di un punto qualunque di uno dei raggi del complesso individuato dal sistema 6; <, {, 7 gli angoli che esso fa coi tre assi. Per espri- TEORICA DELLE VELOCITÀ E TEORICA DELLE FORZE 667 mere che è zero il momento del sistema © rispetto a questo raggio, avremo l’equazione (ZI—y Zc+2z Zb)cosa+(Xm—z Za+x,£c)cos f Î +(Zn-x,2b+y Za)=0 santi Ora, in virtù delle (1), i trinomii tra parentesi sono propor- zionali ai coseni di direzione della tangente nel punto (x;; Yo» #0) alla traiettoria del punto del corpo che, alla fine del tempo #, ha la posizione (2,. %: #,); dunque il raggio considerato è nor- male in (x,.%: 2.) alla traiettoria medesima. Reciprocamente, ogni altra normale in (%,, 4: 2,) soddisferà all’equazione (3); dunque, ecc. A. questo medesimo risultato si può giungere per un’altra via che mi pare degna di menzione. Essa si appoggia al teorema seguente, facilissimo a stabilirsi, ma che non credo notorio: Nel moto rotatorio intorno cd un asse, la proiezione della velocità di un punto, sopra una retta condotta per questo, è espressa dal prodotto della velocità angolare pel momento Cayleyano della retta»e dell'asse di rotazione. Sia r un raggio del complesso individuato dal sistema 6; e sia M (£, r) il momento rispetto ad r del segmento rappre- sentativo di una delle rotazioni RR. Per definizione, avremo xM(R,r) 20, ossia, designando con la velocità angolare della rotazione e con M (E, 7) il momento Cayleyano dell’asse di essa e del raggio r, ZwM(E,r)=0 Ma, in forza del teorema citato, #M (A. 7) è uguale alla proie- zione 2w, sulla retta » della velocità che un suo punto qua- lunque ha in virtù del moto rotatorio £; dunque Dr 3/00 ossia Cioè: La velocità di ogni punto di un raggio del complesso è normale a questo raggio. Quindi, ecc. 6680 E. NOVARESE Aggiungerò un'osservazione relativa all’invariante / del si- stema 6. ll teorema, che ho riferito, intorno al moto rotatorio permette di dedurre colla massima facilità, dalle diverse definizioni geometriche dell’invariante di un sistema di segmenti, varii si- gnificati cinematici che si possono attribuire ad /. Così, per esempio, se l’invariante di un sistema di segmenti si definisce come il sestuplo volume del tetraedro avente per due spigoli opposti i due segmenti ai quali può ridursi il sistema, si ottiene tosto vp 1 essendo Q la velocità angolare di una delle due rotazioni, a cui può ridursi uno spostamento elementare, e UV la proiezione sull’asse di essa della velocità di uno qualunque dei punti di quest’ asse (*). Più generalmente, se l’invariante di un sistema di segmenti si considera come la somma algebrica dei sestupli volumi di tutti i tetraedri aventi per due spigoli opposti due segmenti qualunque del sistema, si trova 1 RSI essendo « la proiezione sull’ asse della rotazione X della ve- locità di un suo punto qualunque, ed estendendosi la somma alle % rotazioni considerate (**). Ecc. S 3. La teorica, che ho esposto per le velocità, si può estendere alle accelerazioni in un caso particolare, cioè per quegli istanti in cui le velocità de’ singoli punti del corpo mobile sono nulle. Supponiamo dapprima che il corpo abbia un moto rotatorio intorno ad un asse; e supponiamo che, per #t= #,, la velocità an- solare @ sia zero. Denotiamo con a', d', c', l, m',m le caratte- ristiche del segmento rappresentativo della rotazione per la fine del tempo #,, intendendo ora per segmento rappresentativo un (* Cfr. CaasLes, Proprietés géom. relatives au mouvement inf. petit d’un corps solide libre dans l'espace, Comptes rendus, T. XVI (1843), p. 1427. (**) Cfr. Somorr, Theoretische Mechanik, I Th., p. 317, eq. (35). TEORICA DELLE VELOCITÀ E TEORICA DELLE FORZE 669 segmento dell’asse, la cui lunghezza rappresenti il valore del- i $; do Lite ni l’accelerazione angolare (che si riduce a wr ) ed. il cui, ‘verso d definisca il verso del moto. Allora le proiezioni sugli assi coor- dinati dell’accelerazione & del punto (x, y, 2) del corpo saranno : h,=l'+b'e—c'y, h,=m+cx—a'z , h,=n'+ay-Va Supponiamo ora che il corpo abbia un moto composto di % rotazioni R,,..., R,, delle quali ognuna, alla fine del tempo &,, abbia velocità angolare nulla. Anche la velocità W del punto (2, y, 2) nel moto composto sarà nulla. Dippiù, operando la composizione delle % rotazioni & mediante % — 1 successive com- posizioni di due moti, è facile vedere che le accelerazioni com- plementari saranno tutte zero; e che, per conseguenza, l’acce- lerazione H del punto (x, y, 2) nel moto composto sarà la somma geometrica delle accelerazioni %. Avremo quindi H,=3W +23b' —ySZe | Re I Zn +y5a'—aXb' Ma, d’altra parte, se consideriamo un movimento qualunque del corpo alla fine di un tempo #, alla fin del quale la ve- locità v di ogni suo punto sia zero, l'accelerazione J del punto (2, y, 2) sarà data da equazioni della forma (V. eq. (2)) spie Ai J,=M'4 C'a—-Ae , NANI Ora queste coincidono colle (4) quando si scelgano le % rota- zioni R in modo che Za'= A’, Xb'= B, ecc.; dunque possiamo dire che l’accelerazione J è la stessa come se il moto del corpo fosse composto di % rotazioni (aventi ognuna velocità angolare = 0) tali che il sistema dei segmenti rappresentativi di esse avesse per caratteristiche A', B', ecc. È anche lo stesso il valore della 670 E. NOVARESE velocità di ogni punto, poichè tanto v quanto W sono zero. E anche la stessa la direzione del moto per ogni punto, poichè (essendov= W=0) le accelerazioni J ed H sono tangenziali. Dunque : | i pgrrasoi Un movimento qualunque di un corpo, in un istante in cui le velocità de’ singoli suoi punti sono zero, coincide, fino alle accelerazioni di 1° ordine inclusive, con un moto com- posto di k rotazioni aventi ognuna velocità angolare nulla, e tali che il sistema dei segmenti rappresentativi di esse per l istante considerato abbia per caratteristiche le quantità A', B', C', L'' M', N' che a quel movimento, in quell’istante, competono. Mercè questa proposizione, applicando al sistema 6' dei seg- menti rappresentativi (per la fine del tempo #,) delle rotazioni È i teoremi geometrici sull’equivalenza dei sistemi di segmenti, avremo altrettanti teoremi cinematici. Nel fare la quale applicazione, importa avvertire che, se -due delle % rotazioni considerate for- mano coppia, esse si riducono ad un moto progressivo nella di- rezione e pel verso dell’asse della coppia, con velocità eguale a zero, con accelerazione uguale al momento della coppia (*). Per #=#,, possiamo pure estendere alle accelerazioni ciò che (*) Dimostrerò la verità di questa asserzione, sebbene la perfetta ana- logia che corre fra le accelerazioni per t= # e le velocità per £ 3 # potrebbe quasi dispensarmene: i Siano R,, R, le due rotazioni formanti coppia, e sia # il segmento rap- presentativo di questa; siano inoltre a',, d',, ecc. le caratteristiche del seg- mento rappresentativo di ,, a',, d’,, ecc. quelle del segmento rappresen- tativo di R,. Avremo: a',+a',g=0, bi +b'°=0, cile U4bo=ny73 mimi = by n',+n,= pe e le equazioni (4) diverranno Ho =E; +EV4+35W—ySc° H =uy +Im+a%c'—25a' PA H.=p,+3n' 4+yZa'—«3b', intendendo adesso che le somme £ si estendano alle rimanenti & — 2 rota- zioni. Ora queste formole dicono che # è la somma geometrica di x e del- l'accelerazione del punto (@, y, #) nel moto composto delle rimanenti h—-?2 rotazioni; dunque, ecc. TEORICA DELLE VELOCITÀ E TEORICA DELLE FORZE 671 si è detto delle velocità relativamente al complesso delle nor- mali alle traiettorie. Poichè le accelerazioni + dei varii punti del corpo sono tutte tangenziali, è manifesto che l’insieme delle nor- mali condotte ad esse (nei rispettivi punti iniziali) sarà il com- plesso mentovato. Ed è facile provare che questo complesso coincide col complesso delle rette, rispetto a cui è nullo il mo- mento del sistema ©'. Atti R. Accad, - Parte Fisica — Vol. XXI 44 672 GIORGIO SPEZIA SULL' INFLUENZA DELLA PRESSIONE NELLA FORMAZIONE DELL’ ANIDRITE del Socio Prof. GrorGIo SPEZIA Fra le varie ipotesi probabili emesse per spiegare la forma- zione dell’anidrite di origine marina vi è quella che la pressione sia sufficiente perchè il solfato di calcio sì costituisca anidro in- vece di idrato, ed anzi fu indicata la quantità di pressione necessaria perchè il solfato di calcio delle acque marine si depositi come anidrite e non come gesso. Infatti nel primo volume della recentissima opera Unser Wissen von der Erde (1) compilato da F. Hann e A. Pokorny si legge che la formazione dell’anidrite si spiega dal fatto che una pressione di 10 atmosfere, come si può avere in mare alla profondità di 107 metri, basta perchè il solfato calcico cristal- lizzi anidro. Anche nella classica sua opera I. Roth (2) riporta che secondo Heidenhain l’anidrite si formi da una soluzione di solfato di calcio sotto una pressione di dieci atmosfere. Ma il Roth, con quella diligenza che tanto lo distingue nell’analizzare i lavori altrui, aggiunge, alla postilla di citazione dello scritto di Hei- denhain, non essere indicato chi ha fatto l’esperienza. Infatti il detto autore nel suo lavoro intitolato Chemisch- geologische Betrachtung der Gypsvorkommmisse in der Zechstein- formation, parlando dell’origine marina dell’anidrite così si esprime : Die wasserfreie Ausbildung spricht nicht dagegen, das die neue- (1) Pag. 466. (2) Allgemeine und chemische Geologie, 1879, vol. I, pag. 692. FORMAZIONE DELL’'ANIDRITE 673 ren Forschungen dargethan haben, dass, wenn die Abscheidung von schwefelsaurem Kallk aus ciner Losung unter cinem Drucke von zehn Atmosphciren geschieht, sich dieses Salz nicht was- serhaltig, sondern wasserfrei zeigt. Es geniigt daher cin nur 320 Luss tiefes Meer den Bedingungen der Anhydritbil- dung (1). Io per quante ricerche abbia fatto non potei ritrovare chi abbia eseguito tale esperimento, e temo che sia un’ asserzione proveniente da un equivoco. Lo Zirkel (2) parlando delle circostanze nelle quali può prodursi gesso o anidrite dice: Diese Umstinde dirften nach Bischof in grosseren oder geringeren Druck zu suchen sei. Wiirde 2. B. cin Druck von 10 Atmosphiren hinreichen , das wasserfreie Salz zu erzeugen, so wirde auf dem Boden eines 320 Fuss tiefen Sces der schwefelsaure Kalk als Anhydrit Krystallisiren. A me pare evidente che lo Zirkel abbia voluto solamente portare un esempio per meglio spiegare al lettore il concetto di Bischof, perchè sarebbe stato fuori posto il 2um LDeispiel se veramente un'esperienza avesse dimostrato giuste le cifre indicate. D'altronde ho cercato nella Geologia chimica del Bischof e non rinvenni nessun numero che indicasse la quantità di pres- sione citata dal Heidenbain dopo la pubblicazione dello Zirkel. Perciò credo che la non esatta interpretazione data allo scritto di Zirkel abbia originato l’ equivoco che io suppongo; e sarei fortunato se qualcuno, con ricerche bibliografiche più ac- curate delle mie, potesse stabilire l’autore di tale esperienza onde annullare la mia supposizione. Del resto, fatta anche astrazione della dubbiosa esperienza, la quale fisserebbe la quantità di pressione sufficiente per avere l’anidrite, risulta da altre osservazioni bibliografiche che l'ipotesi della pressione sia fra le prevalenti. E d'altronde essa non è contraria alle osservazioni geologiche ed anzi è suggerita. Ora io da alcuni anni faccio esperienze sugli effetti della pres- sione a temperatura ordinaria nelle reazioni chimiche le quali possono interessare la mineralogia e la geologia. E siccome in tali esperienze ebbi occasione di ottenere la formazione del solfato di (1) Zeitschrift der deutschen geol. Gesellschaft, vol. XXVI, 1874, pag. 278. - (2) Zehrbuch der Petrographie, vol. I, pag. 271. 674 GIORGIO SPEZIA calcio ad alta pressione, così credo opportuno di stralciare dalle mie osservazioni quei risultati i quali paiono dimostrare che non si possa ritenere la sola pressione come causa sufficiente della formazione dell’anidrite non solo a 10 ma neanco a 500 at- mosfere. Le esperienze le quali mi fornirono solfato calcico si basano sulla mutua azione di composti chimici sia per contatto imme- diato sia per lenta diffusione. Non credo sia necessario che io faccia una dettagliata de- scrizione, con relativo disegno, dell’apparecchio da me ideato, perchè il buonsenso meccanico basta per immaginarne uno ana- logo quando si sappia che esso si fonda sulla pressione idraulica. Esso è costituito da un resistente vaso cilindrico di ferro nel quale si introduce il recipiente in cui avvengono le reazioni; poi viene chiusa l’apertura con una grande vite serrando la quale si può già ottenere una certa pressione; quindi con una seconda vite di minor diametro, la quale obbliga un cilindro di acciaio a penetrare nel liquido, si aumenta di molto la pressione. Questa viene trasmessa nell'interno del recipiente di vetro delle reazioni per mezzo di una membrana di gomma che lo copre e impe- disce che il liquido esterno comunichi coll’interno delle reazioni. Nel recipiente delle reazioni si possono disporre altri piccoli congegni onde esperimentare in vari modi, p. es. con diffusione, con sviluppo di gas, ecc. Per liquido di pressione uso la glicerina onde impedire l’ossidazione del ferro dell’apparecchio quando rimane in azione per lungo tempo. Naturalmente un manometro metallico unito all’ apparecchio segna la pressione. Fra le molte esperienze da me già fatte, quelle che diedero per risultato la formazione del solfato di calcio sono le seguenti : 1° Nel cercare l’azione del solfato di allumina sull’apo- fillite io lasciai alcuni cristalli di questo minerale della varietà incolora in una soluzione dell’indicato sale sotto la pressione di 300 atmosfere per tre mesi. L'azione meccanica fu di suddividere i cristalli di apofillite in lamelle parallele alla faccia di sfaldatura, le quali però ri- manevano unite dando al cristallo una deformazione quasi ana- loga al rigonfiamento che prende la vermiculite quando viene riscaldata. E per l’azione chimica i cristalli perdettero la tra- sparenza e divennero bianchi-opachi, e fra le lamine ed este- FORMAZIONE DELL’ANIDRITE 675 riormente si formarono minuti cristalli di solfato calcico idrato ossia gesso. 2° In una esperienza dove i composti chimici contenenti calcio e acido solforico erano pezzi di calcite e solfato di allumina constatai pure che alla pressione di 95 atmosfere per due mesi si erano depositati sulla calcite cristalli di gesso. 3° Un pezzo di calcite tenuto in una soluzione di solfato di rame alla pressione di 95 atmosfere per tre mesi fu pure coperto da cristalli di gesso. 4° In una esperienza nella quale il solfato di magnesio e biborato sodico dovevano reagire lentamente con cloruro cal- cico per diffusione attraverso una soluzione satura di cloruro di sodio, ottenni dopo un mese, alla pressione di 100 atmosfere, cristalli di gesso geminati secondo 010. 5° Altra esperienza nella quale il solfato di magnesio da una parte e borato calcico e cloruro di magnesio dall’altra andavano a contatto per diffusione attraverso soluzione satura di cloruro di sodio, constatai pure dopo 45 giorni di pressione a 100 atmosfere cristalli di gesso. In tali esperienze il gesso era un prodotto secondario ri- guardo lo scopo da me prefisso, perciò variavano le condizioni e realmente si potrebbe dire che non servono per stabilire che la pressione da sola non produca anidrite. Perciò ultimamente ho sperimentato a solo scopo di ottenere solfato calcico. Ho fatto reagire per diffusione solfato di magnesio con ni- trato calcico; in una esperienza il mezzo di diffusione era acqua distillata, in un’altra era una soluzione satura di cloruro di sodio. Ciascuna esperienza poi fu contemporaneamente eseguita a pressione atmosferica ed, avendo due apparecchi, alla pressione di 100 e 500 atmosfere. In tal modo le tre prove erano alla stessa temperatura dell'ambiente dove si trovavano. Ora in tutte le esperienze trovai sempre formazione di soli cristalli di gesso. Il mezzo di diffusione influì solamente sullo sviluppo dei cristalli. Nell’acqua distillata si formarono aggruppamenti sferoidali di minutissimi cristalli aciculari sempre però facilmente riconoscibili al microscopio per gesso. Nella soluzione di cloruro di sodio invece i cristalli erano più distinti, più separati gli uni dagli 676 GIORGIO SPEZIA - FORMAZIONE DELL’ANIDRITE altri e della grossezza taluni di due millimetri. E la causa na- turalmente era che la diffusione attraverso la soluzione satura di cloruro di sodio avveniva con maggior lentezza, condizione necessaria per avere cristalli più distinti e sviluppati. Dalle esperienze indicate mi sembra di potere asserire che la pressione, anche se arriva a 500 atmosfere, sia da sola in- sufficiente a produrre l’anidrite, e sieno invece necessarie altre cause concomitanti. Ed io spero che questo mio scritto togliendo il fondamento di un'ipotesi facilmente ammessa forse in base di un’esperienza creduta fatta, quale quella della formazione a 10 atmosfere, servirà ad attivare sulla genesi dell’anidrite dei depositi marini altre ricerche, le quali s'intende possano accordarsi colle osserva- zioni geologiche e non sieno cioè di quelle che riesce assai difficile ammetterle come sono i modi di genesi dell’anidrite fondati sulla fusione ad alta temperatura indicati da Mitscherlich, Manross, Simmler e Gorgeu. E forse sarà opportuno di prendere in maggior considerazione l’ipotesi di Reichardt (1) che l’anidrite provenga dalla disidra- tazione del gesso ritenendo per causa non l’azione esclusiva di altri sali, come voleva lo stesso autore, ma piuttosto l’influenza di una temperatura non superiore ai 100° unita ad una pres- sione di 40 o 50 atmosfere come suppose Bischof (2) nel suo lavoro sulle Saline di Stassfurt. Massime che tale ipotesi è resa valida in parte dalle espe- rienze di Hoppe-Seyler (3) e da quelle di G. Rose (4), i quali constatarono che il gesso in una soluzione satura di cloruro di sodio alla temperatura da 120° a 130° si cambia in anidrite e che a temperatura più bassa succede la reazione inversa. (1) Verhandlungen der kh. Leop. Carol. deutschen Akademie der Natur- forscher, 1860, vol. 27, pag. 653. (2) Die Steinsalzwerke bei Stassfurt. Halle, 1875. (3) Poggendorffs Ann., 1866, vol. 127, pag. 161. (4) Monatsberichte der kh. preussischen Ah. der Wiss. zu Berlin, 1871, pag. 378. SOPRA UNA PSEUDOMORFOSI del Dott. GrusePPE PIOLTI Nell'estate dello scorso anno, in un’escursione alla punta del Grand Roc (3115 m. s. 1. d. m.), montagna situata nella valle del Thures, affluente della Ripa (che a sua volta va ad unirsi colla Dora del M. Ginevra a Cesana, per formare la Dora Riparia), a circa 300 m. dalla cima, mi venne fatto d’incontrare qualche frammento di un calcare profondamente alterato, presen- tante alla sua superficie e nell'interno parecchi minuti cristalli di colore nerastro, aventi l'aspetto di romboedri, con un dia- metro maggiore oscillante fra 1 e 2 millimetri. Sarebbe stata mia intenzione il cercare dove si trovava 2 situ la roccia cristallifera, ma per la grande quantità di detriti fra i quali io ed il mio portatore ci trovavamo, mi fu impos- sibile di scoprire dove s' annidasse la roccia in posto, poichè essendo noi sopra un pendio abbastanza ripido, tolti pochi de- triti, altri dall'alto scendevano giù precipitosamente: sarebbe stato un vero lavoro di Sisifo l’ostinarsi a scavare fra quella congerie, epperciò vi rinunziai. Il calcare inglobante i cristalli è assai magnesifero, si scioglie facilmente nell’ acido cloridrico, lasciando un residuo insolubile costituito dai cristalli summentovati e da una polvere nerastra di sostanza carboniosa , nella quale un saggio qualitativo mi dimostrò la presenza della silice. Nel filtrato cloridrico ho constatato la presenza dell’allumina, del sesquiossido di ferro e dell’acido solforico. I cristalli rigano il vetro, non il quarzo: la polvere è grigio- scura ed imbiancasi quando sia portata ad alta temperatura col cannello a gas; con acido fluoridrico scompare quasi tutta, lasciando per residuo un deposito nero. 678 GIUSEPPE PIOLTI Varii preparati microscopici si comportano alla luce pola- rizzata come una sostanza anisotropa ed i vivi colori d’interfe- renza mi avevano fatto in sul principio supporre si trattasse non d’altro che di romboedri di quarzo. Però tutti questi caratteri presi insieme non avendo un sufficiente valore per provarmi che i cristalli fossero. costituiti da silice cristallizzata, risolsi di farne l’analisi che eseguii coa- diuvato dai consigli del prof. Spezia (cui godo di esternare qui la mia riconoscenza) che mi fornì il suo prezioso appoggio nel- l’opera difficile, per la scarsa quantità di materiale (gr. 0,1834). St0° = 88,23 APO%=. 2:23 Ve et Cao => 132 SOTTO Perdita per calcinazione = 3,16 98,72 L’analisi, come vedesi, distrugge 1’ ipotesi che si tratti di quarzo, in causa della troppo piccola quantità di silice; perciò sono costretto a ravvisare nei cristalli da me esaminati una pseudomorfosi. Nulla di strano che l’allumina, il sesquiossido di ferro e l’acido solforico si trovino nei cristalli, dal momento che verificai la presenza di tali sostanze nel calcare. Se poi riflettiamo che il calcare del Grand Koc trovasi a contatto coi schistes lustrés eminentemente alluminiferi, nei quali è scavata tutta la parte superiore della valle di Thures fino al colle di Turras (1), che inferiormente al Grand Roc havvi un enorme banco di gesso e poco distante da Ruilles (il cui nome probabilmente deriva da rowi/le) incontrasi una sorgente ferrugi- nosa che piglia origine al disotto del Grand Roc, che sulla sponda destra del Thures ossia sul fianco occidentale della detta montagna, incontransi frequentemente frammenti d’ematite deri- vante da qualche filone finora inesplorato, riesce facile a capirsi la presenza dell’allumina, del sesquiossido di ferro e dell’acido (1) GastaLpi, Deux mots sur la géologie des Alpes Cottiennes. Comptes rendus de l’Acad. des Sciences de Turin. Vol. VII, 28 avril 1872, p. 15. SOPRA UNA PSEUDOMORFOSI 679 solforico nel calcare del Grand Roc, tanto più che la calce nei cristalli deve trovarvisi allo stato di solfato, poichè teorica- mente ad 1,32 © di Ca0 dovrebbero corrispondere 1,88 di SO?, cifra poco dissimile da quella data dalla mia analisi, cioè di 1,96. Nella quota di 3,16 data dalla perdita per calcinazione , 0,84 % sarebbero devoluti all’acqua di cristallizzazione del gesso e 2,32 % ad acqua igroscopica e sostanza carboniosa prese insieme. Credo di non emettere un'ipotesi assurda nel supporre che i cristalli debbano considerarsi come romboedri di silice pseudo- morfa di calcite. Una misura goniometrica avrebbe risolto ogni dubbio, ma per quanti tentativi io abbia fatto col microscopio-goniometro di Hirschwald onde determinare gli angoli dei cristalli, ciò mi riuscì sempre impossibile in causa della loro superficie straordi- nariamente rugosa, piena di incavi e di sporgenze, come puossi meglio vedere dalla qui unita figura, gli spigoli poi avendo addirittura l’aspetto d’una sega, per la loro profonda corrosione. Questa ipotesi sarebbe avvalorata dal fatto che nel Fichtel- gebirge furono gia incontrati dal prof. Sandberger romboedri di silice pseudomorfa di calcite (1). Io spero che ulteriori ricerche, che mi propongo di fare nel corrente anno, mi permetteranno di trovare altri cristalli, che, presentandosi meno alterati, si possano misurare: allora si potrà stabilire con sicurezza di quale sostanza essi fossero costituiti prima della loro pseudomorfosi. (1) Neues Jahrbuch fiir Mineralogie, Geologie und Palaeontologie, Jahr- gang 1885, I Band, Zweites Heft. SAanpBERGER, Pseudomorpliosen von Quarz und Albit nach Kalkspath, p. 185. 680 GIUSEPPE PIOLTI - SOPRA UNA PSEUDOMORFOSI SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Una faccia d’un romboedro: ingrandimento di 55 diametri. Tav. IX Torino, Lit. Doyen CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLA PATOLOGIA DEL RENE del Dott. EuceNIO DI MATTEI Pochi osservatori hanno rivolto ie loro ricerche sull'argomento della rigenerazione parziale del Rene in seguito a ferite od asportazioni del suo parenchima, e tutti gli studî in proposito sì limitano in via sperimentale a quelli del Tillmanns e a quelli del Pisenti. Tillmanns veniva alla conclusione che nelle ferite degli or- gani, le cellule epiteliali specifiche di essi non prendono parte alcuna alla formazione della cicatrice, come non prendono parte molto attiva nè alla formazione dei vasi nè alla formazione della detta cicatrice le cellule fisse dello stroma di essì visceri, e che il processo di cicatrizzazione dei medesimi è quasi intera- mente devoluto ai globuli bianchi del sangue. Pisenti però ha trovato che in seguito a ferite o asporta- zioni gli elementi costitutivi del parenchima renale non ri- spondono in modo evidente allo stimolo meccanico della ferita : che nel connettivo cicatriziale di genesi pericanaliculare si os- servano secondariamente fatti di neoformazione tubulare e glo- merulare, e che tale neoformazione degli elementi proprî del rene ha origine da una trasformazione degli elementi del con- nettivo reticolare. Queste conclusioni del Pisenti venivano a convalidare le conclusioni di altra serie di ricerche, fatte da lui stesso insieme al Prof. Tizzoni, relative all’ipertrofia compensatoria, in seguito alla nefrectomia unilaterale, nel quale studio gli autori stabili- 682 DI MATTEI vano che nell’ipertrofico rene rimasto avvengono dei processi di neoformazione nei quali gli epitelî dei tubuli vecchi si compor- tano passivamente e che i canalicoli di nuova formazione hanno origine da una trasformazione degli elementi del connettivo reticolare interstiziale. Si veniva così ad identificare la genesi neoformativa dei due processi. Però consecutivamente le ricerche del Golgi dimostravano che nella ipertrofia compensatoria per nefrectomia unilaterale gli epitelî dei canalicoli uriniferi dell’ipertrofico rene rimasto, lungi dal comportarsi in modo affatto passivo, hanno una parte attiva, vale a dire in essi ha luogo un processo di proliferazione per scissione nucleare indiretta. Dopo questi risultati, era allorà importante di vedere come doveva definirsi la questione anche per il primo studio della rigenerazione dell’organo in seguito all’ asportazione parziale del suo parenchima: e quindi ho voluto ritornare su tale argomento istituendo une serie di ricerche sperimentali. Le mie esperienze vennero istituite sovra un numero rilevante di conigli. Nell’operazione ho badato alle cautele antisettiche. Mettevo fuori il rene dalla regione lombare, e sulla super- ficie convessa dell'organo con un rasoio ben tagliente si praticava ora una semplice incisione ed ora se ne asportava un pezzo cuneiforme. Gli animali sopportavano bene l’atto operativo e si tenevano in vita “sino a varia epoca a cominciare da 3, 5, 8, 10, 15, 30, 40, 60, 90, 120, 210 giorni. Ucciso l’animale si riandava col bistorì sulla ferita, si cercava di liberare il rene dagli attacchi fisiologici e dalle lievi aderenze consecutivamente alle operazioni contratte, ed indi con un rasoio molto bene affilato veniva tagliato per metà secondo il suo asse trasversale interessando così la lesione primitiva nel suo mezzo. Una metà dell'organo per studiare la cariocinesi veniva messa direttamente nell’alcool assoluto e dopo conveniente indu- rimento al punto della lesione si facevano al microtomo delle sottili sezioni che venivano trattate col metodo iodo-cromico del Prof. Bizzozero. L'altra metà per lo studio della lesione si metteva per pa- recchi giorni nel liquido del Miiller e poi nell’alcool a concen- trazione sempre crescente e infine in alcool assoluto. PATOLOGIA DEL RENE 683 Le sezioni di questi pezzi chiusi in paraffina si facevano al microtomo di Thoma, e venivano colorate parte al picro-carmino di Schròn, parte al carmino-allume e chiuse infine parte in glice- rina, parte in balsamo del Canadà. Per lo studio dei vasi sanguigni si spingeva nell’arteria del- l’organo, appena estratto dall’animale, un'iniezione di bleu di Prussia. Adesso io qui senza riportare il protocollo minuto di tutte le esperienze fatte nei diversi periodi con il relativo reperto macroscopico e microscopico, ho solo l’intendimento di far cono- scere in complesso i miei risultati nei periodi più importanti del processo. Nei primi giorni della praticata lesione gli epitelî dei tubuli in immediata vicinanza del punto emorragico tracciato dalla ferita erano in massima parte in evidente risveglio, dimostrando essi le varie forme della scissione nucleare indiretta. Negli epitelî dei tubuli della sostanza midollare prossimi alla lesione e negli epitelî di alcuni tubuli della sostanza corticale anche discreta- mente lontani dalla ferita si poterono notare fatti di mitosi. In ur caso di rene a 15 giorni ho notato ipertrofia della capsula e sclerosi degli strati esterni della sostanza corticale, e in corrispondenza della cicatrice, sclerosi del parenchima circo- stante e neoformazione aberrante di canalicoli che penetravano nella cicatrice istessa e fino nella capsula. Molto numerosi gli elementi in cariocinesi nei tubuli contorti e nei tubuli aberranti. Nei reni di più lunga durata, 30, 60, 90 giorni, si nota la perdita di sostanza riempita dal connettivo pericanaliculare dei margini della ferita e dalle fibre del connettivo capsulare. Disposti ai margini della ferita, isolati dal resto del parenchima normale dal connettivo pericanaliculare il quale colla sua prolife- razione li spinge avanti nella massa cicatriziale, si trovano dei glomeruli che restando compressi fra questo connettivo e quello della capsula appaiono molto più piccoli di quelli normali, essi non hanno continuità nè coi tubuli, nè con le anse vascolari ed hanno l’aspetto di accumuli di elementi circoscritti da una robusta capsula fibrosa. Nel loro interno non è possibile scorgere integro un gomitolo vascolare, e gli elementi contenuti sono scarsi, poco colorati, piuttosto trasparenti e in via di degenerazione e fra essi una sostanza pallida, amorfa disseminata di finissime granu- lazioni. Mano mano che ci allontaniamo dai margini della ferita 684 DI MATTEI per venire verso il tessuto glandulare normale questi glomeruli appaiono più grossi, meno strozzati dal cingolo di connettivo, e sebbene non abbiano tuttavia continuità colle anse e coi tubuli, pure mostrano una minore atrofia degli elementi del gomitolo, fino a che andando ancora più avanti si arriva al punto in cui si presentano solo un po’ compressi e non mostrano più i fatti della degenerazione accennata. Oltre a ciò nulla di notevole tranne dei soliti fatti d’atrofia di quei tubuli che sono spinti verso il connettivo cicatriziale , dalle cui fibre possono restar compressi Non si notano forme aberranti di canalicoli neoformati. Col metodo iodo-cromico abbiamo potuto notare, sebbene molto rara, qualche forma cariocinetica negli elementi dei tubuli limi- tanti la lesione. A 120, 150, 210 giorni, i preparati presentano un minore interesse, mostrano solo più marcati i fatti di atrofia dei tubuli e glomeruli, limitrofi all’asportazione. Studiando i vasi, nei reni iniettati si nota il loro nettamente arrestarsi all'apice del cono cicatriziale, qualcuno di essi ripiega in basso e si anastomizza con gli altri della rete midollare; a volte qualche ramo penetra fin nella massa di neoformazione senza intro- dursi in mezzo a speciali accumuli di elementi. I fatti principali che derivano dalle esposte osservazioni si ri- ducono ai seguenti: ad una neoformazione di tessuto cicatriziale che riempie la perdita di sostanza proveniente da una prolifera- zione del connettivo capsulare e pericanaliculare; ad una serie di fatti di regressione e d’atrofia dei tubuli e glomeruli in vici- nanza ai margini dell’asportazione ; ad un risveglio attivissimo per scissione nucleare indiretta e ad un’aberrante proliferazione ati- pica degli epitelî dei tubuli in vicinanza all'avvenuta asportazione. Non si notarono mai nuovi tubuli provenienti dalla trasfor- mazione delle cellule connettive in epiteliali: si notò invece che gli epitelì dei canalicoli scampati alla distruzione non si com- portano passivamente, ma rispondono allo stimolo e si moltipli- cano dando luogo ad una rigenerazione elementare di quegli epitelì che sono andati distrutti. Non si può quindi parlare in questi casi di una vera e propria rigenerazione di parti fun- zionanti costituenti l'organo. PATOLOGIA DEL RENE 685 Ho voluto intorno al rene estendere le mie ricerche per de- terminare il modo di comportarsi degli epitelî dei tubuli in seguito alle alterazioni che desta nel parenchima renale la le- gatura dell’uretere. Legando l’uretere a cani e conigli e tenendoli in vita fino a vario periodo (7, 15, 30 giorni) ho potuto notare che nei reni di 15, 30 giorni, accanto ad epitelî alterati e in via di disaggregazione se ne osservano degli altri in scissione cariocine- tica, specialmente nei tubuli contorti ed anse ascendenti di Henle; mentre non se ne constatarono mai nei reni di breve durata. Ho voluto eziandio sotto questo punto di vista della mitosi studiare il comportarsi degli epitelî in talune nefriti destate negli animali sperimentalmente. A tal uopo ho scelto la cantaridina, l’aloina, l’emoglobina. Iniettando sottocute (cantaridina, aloina) e nelle vene (emoglobina) di animali le dette sostanze in soluzione più o meno concentrata, a seconda che volevo ottenere un avvelenamento più o meno ra- pido, ho potuto in tutti casi constatare che nel 1° periodo (poche ore-giorni) dell’infiammazione, destata dalle sostanze sugli epitelî, questi pur mostrandosi più o meno alterati non fecero notare fatti di mitosi; mentre che in un 2° periodo di più lunga durata, oltre a constatarsi degli epiteli alterati se ne osservavano accanto a questi-molti altri in scissione cariocinetica. Queste esperienze confermano i fatti anatomo-patologici os- servati dal Golgi in taluni stadî del morbo di Bright e si viene così a stabilire che la neoformazione epiteliale non deve consi- derarsi in questi casi come un fatto dipendente dallo stimolo infiammatorio, ma come una vera rigenerazione di elementi epi- teliali per proliferazione di quegli altri elementi scampati alla distruzione e costretti ad iperfunzionare. no y___——_- 686 DI MATTEI - PATOLOGIA DEL RENE SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fic. 4° — Asportazione cuneiforme — Durata 15 giorni — ga 3° Suppurazione della ferita fino al tessuto pericapsulare — AB capsula molto inspessita — CDEFMN cordoni epiteliali aberranti tagliati variamente e decorrenti in vario senso nel connettivo di neoformazione che riempie il vuoto della perdita di sostanza e nel connettivo cap- sulare iperplastico. Alcuni di essi (MN) partono dai tubuli epiteliali preesistenti in vicinanza dei margini del- l'asportazione (Hart. Ob. 4. Oc. 3). — Asportazione cuneiforme — Durata 30 giorni, A. Glo- merulo di Malpighi stretto dal connettivo iperplastico: l’epitelio della capsula è distaccato, il gomitolo è piut- tosto atrofico — BCDE tubuli dei margini della ferita variamente lesi, compresi fra il connettivo pericanalicu- lare proliferato e quello della neoformazione cicatriziale ; essi sono assottigliati e il loro epitelio è depauperato nel protoplasma — FG tubuli contorti con epitelio in disaggregazione — G'H tubuli con epitelio normale e con qualche elemento in cariocinesi (Hart. Ob. 8, Oc. 3). — Asportazione cuneiforme — Durata 90 giorni — AB glomeruli atrofici sclerosati col gomitolo e suoi componenti in disaggregazione spinti nella massa cica- triziale — C altro glomerulo in vicinanza ai limiti nella ferita anch’esso aggrinzato e con gomitolo atrofico — E tubulo dei margini assottigliato con epitelio degenerato spinto verso la massa cicatriziale. 687 INTORNO AD ALCUNE IMPRONTE ORGANICHE DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE del Dott. FeDERICO Sacco Nell'autunno dello scorso anno 1885 ebbi occasione di per- lustrare un po’ diligentemente, per scopo geologico, gran parte di quella serie di colline che ricevettero in generale il nome di Langhe: in queste escursioni, specialmente lungo i rii che profondissimamente incidono tali regioni collinose, mi venne fatto di incontrare ripetutamente delle curiosissime impronte, di cui se alcune potevansi attribuire a traccie lasciate da Molluschi, Crostacei e specialmente Vermi, cioè alle così dette Nemertzliti, altre invece, che ricordano di lontano la reticolatura delle stimme della Sigillaria Durnaisii Bran. oppure la superficie erosa di certi polipai a struttura esagonale, non potevansi assolutamente porre in tale categoria di impronte. È quindi naturale che appena reduce dalle escursioni tentassi di interpretare tali problematiche impronte e di cercare se altri ne avesse già tenuto parola; tali ricerche mi condussero alla conclusione : (1°) che le traccie sovrac- cennate e che andrò descrivendo in seguito, quantunque di origine ancora alquanto incerta, vennero già rinvenute in alcune località fuori del Piemonte, ma sempre in terreni assai più antichi di quelli in cui ebbi occasione di trovarle in Piemonte ; (2°) che tali impronte presentano differenze abbastanza notevoli da quelle sinora descritte. Credetti perciò utile di descrivere e figurare i fossili in que- stione rinvenuti in Piemonte, precisandone il luogo di ritrova- mento e l’orizzonte geologico: ed ora passo senz'altro al loro esame. Avi R. Accad. - Purte Fisica — Vol, X.XI > ut 688 FEDERICO SACCO PALEODICTYON MexrcH. Nel 1851 il chiarissimo Prof. G. Meneghini in appendice alla traduzione di un lavoro del Murchison indica che « fra i varii oggetti di origine certamente organica, ma di misteriosa natura, di cui vedonsi i resti sulla pietra a lastre di Nemertilite, non possiamo a meno di accennarne uno veramente singolare ed al quale osiamo dare un nome, senza osare decidere con pre- cisione se realmente appartenga, come ci sembra, alla classe dei Fucoidi » (1). Questo nome, proposto dal Meneghini, è Paleodictyon, genere nuovo di cui egli dà la seguente diagnosi: « frons reticulata, areis pentagonis », indicando come unica specie il P. Strozzé. A dir il vero nel fossile indicato dal Meneghini le aree non sono pentagone, come egli scrisse nella diagnosi e nella descri- zione che fece della specie, ma bensì esagone, come risulta da; disegni fatti in seguito dal Peruzzi nel lavoro che osserveremo fra breve; ma ad ogni modo è certo che fu il Meneghini îl primo che si occupò e diede un nome a questi curiosi fossili retiformi e quindi è giusto resti loro il nome che egli diede. Il Massalongo in un prodromo sulla flora fossile della Sini- gaglia (2), a pag. 9, accenna ad impronte reticolari alquanto simili a quelle indicate dal Meneghini ma differenziantisi spe- cialmente per avere le maglie più irregolari e molto più sottili e non rilevate, indicandole col nome di Hydrodictyon, genere tuttora vivente nelle acque lacustri e d’estuario. Però nel suo magnifico studio su tale flora (3) a pag. 93 è costretto a distinguere tali impronte (di cui indica tre specie) con un nome diverso da quello delle specie ora viventi e dà loro il nome di Hydrodietyopsis di cui fa la seguente diagnosi: « Fila tenwissima gelatinoso- mucosa reticulatim conjuneta, maculis regularibus irregularibusque efformantia ». (1) R. MurcHIison, Memoria sulla struttura geologica delle Alpi, degli Apennini e dei Carpazi. Traduzione ed appendice sulla Toscana dei Prof, Cav. P. Savi e G. MenEGHINI. Firenze ,1851. (2) A. B. MassaLonco, Sulla flora fossile di Sinigaglia. Lettera a G. Sca- RABELLI. Verona, 1857. (3) A. B. MassaLongo e (i. ScARABELLI, Studi sulla flora fossile e geologia stratigrafica del Senegallese. Imola, 1859, IMPRONTE ORGANICHE DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE 689 Tanto da questa diagnosi che dalle figure annesse al lavoro risulta quindi che tali fossili del terreno terziario del Senegal- liese quantunque presentino qualche analogia col Paleodictyon di Meneghini, se ne distinguono genericamente senza dubbio per la piccolezza loro, per la tenuità dei fili, per il loro irregolare anastomizzarsi a formar solo qualche volta e senza ordine aree quadrangolari e pentagonali, e per non essere rilevati. Nel 1865 il Prof. Heer in un suo lavoro sulla geologia della Svizzera (1), certamente non conoscendo il sovraccennato lavoro di Meneghini, a pag. 245 diede il nome di Paleodictyon ad impronte irregolari del Flysch che figura a tav. X, fig. 10, e che sono invece ben distinte da quelle indicate con tal nome dal Meneghini. In seguito nel 1877 lo stesso Heer nel suo classico studio sulla flora fossile della Svizzera (2) meglio descrive queste im. pronte irregolari di cui indica diverse specie che esso attribuisce a qualche Dictiotacea , impronte trovate su lastre di terreni liassici, giurassici ed eocenici, sempre però controssegnandoli col nome di Paleodictyorn, di cui a pag. 118 dà la seguente dia- gnosi: « Fasciolae vel fila membranacea, in rete coadunata, creolis polymorphis, valde inacqualibus ». Sia dalla diagnosi che dalle figure risulta nettamente che i fossili indicati dall’Heer col nome di Paleodictyon sono ben dliversi da quelli già molti anni prima controssegnati con tal nome dal Meneghini, ciò che obbligò in seguito il Peruzzi (3) a cangiare in Eterodictyon il nome generico indicante le im- pronte, che si trovano pure nei terreni eocenici italiani, corri- spondenti alla ora accennata diagnosi data dall'Heer. Nè nel trattato di Paleontologia vegetale dello Schimper (4), nè nella parte paleofitologica del trattato di Paleontologia dello Zittel (5) non troviamo alcun accenno alle impronte retiformi descritte dal Meneghini e dal Massalongo. (1) O. HeER, Die Urwell der Schweiz. Zòrich, 1865. (2) O. HeER, Die Vorweltliche Flora der Schweiz - Dritte Lieferung - Die Pflanzen der Jura, der Kreide und des Eocene. Ziùrich, 1877. (3) G. Peruzzi, Osservazioni sui generi Paleodictyon e Paleomeandron dei terreni cretacei ed eocenici dell’ Apennino settentrionale e centrale. Atti Soc. Tose di Se. Nat., vol. V, fase. 1°, 1881. (4) Pu. ScHIMPER, Traité de Paleontologie vegetale. Paris, 1869-1874. (5) K. A. ZirreL, Handbuch der Paleontologie. W. Pu. ScHIMPER, ll Band, I Lieferung. Minchen, 1879. 690 FEDERICO SACCO Il Peruzzi nel 1881 col lavoro sopracitato ritornò all’esame delle impronte indicate dal Meneghini col nome di Paleodictyon e vi distinse tre specie, cioè il P. Strozzi MENEGH. del Cre- taceo superiore e dell’Eocene, il P. majus MENEGH. dell’Eocene superiore e medio, ed il P. giganteum del Cretaceo superiore od _Eocene inferiore, sempre dell’Apennino centrale; dalle figure unite al lavoro si vede assai bene come tali impronte sono molto somiglianti a quelle che rinvenni nei terreni terziari del Piemonte e che passerò ora a descrivere. Infine possiamo notare come resti di Paleodictyon si trova- rono pure non di rado in altre località italiane, specialmente nel Friuli, ma sempre solo in terreni eocenici. Paleodictyon regulare Sacc. (Fic. 3). Fila subcrassa, valde erecta, reticulatim conjuneta; ma- culae eragonae; eragona plerumque regularissima. Fila recta, altitudine 1-2 millim., plerumque 1} millim., latitudine 1 }4- 2 millim., longitudine 4-5 millim., plerumque aequalia. Frons ad marginem gradatim evanescens vel abrupte interrupta. Macu- larum latitudo inter fila parallela 6-7 millim., maxima 9 mil- lim. Maculae praeter 40 numero. Nell’esemplare in esame è notevole che la parte di fronda che è quasi di tratto interrotta alla periferia, per modo che le maglie restano quivi incomplete, è volta verso la parte evane- scente della vicina fronda, ciò che probabilmente si spiega col modo di origine di queste impronte, come vedremo tra breve, supponendo cioè che la fronda minore sia una colonia figlia della fronda maggiore. Questo fossile venne trovato nel Tortonese e precisamente lungo la strada mulattiera che dal paesello di Molo di Borbora conduce a quello di Dernice. Quantunque io non abbia fatto uno studio geologico un po’ dettagliato di tale regione, credo tuttavia che le descritte impronte derivino da terreni tongriani e più probabilmente dal Tongriano medio quivi assai sviluppato. Fra le specie già descritte finora di questo genere la forma in esame si avvicina specialmente al Paleodictyon majus MENEGR., IMPRONTE ORGANICHE DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE 691 da cui si distingue per la quasi perfetta regolarità della sua reticolatura, per avere le aree esagonali generalmente alquanto più strette ed invece i rilievi proporzionatamente più larghi e più alti, ma non nettamente rilevati dal piano sottostante come si verifica generalmente sia nel P. majus come per lo più nei Palcodietyon sovraccennati dei terreni eocenici del Friuli, almeno riguardo ai campioni che ho potuto osservare. La regolarità grande di questa fronda forse dipende anche in gran parte dalla regolarità del piano su cui si depositò, giac- ‘chè vediamo anche nelle altre specie che la regolarità od irre- golarità di reticolatura è spesso in stretto rapporto coi rilievi del fondo su cui esse basano. Paleodictyon miocenicum Sace. Fila subcrassa, erecta, reticulatim conjuneta; maculae in- terdum pseudo-pentagonae, plerumque eragonae; eragona re- gularia vel irregularia. Fila plerumque recta, altitudine 34 - 1 millim., latitudine 1-1}, millim., longitudine 2-4 millim., plerumque inaequalia. Macularum latitudo inter fila parallela 3-6 millim., maxima 7 millim. Maculae praeter 20 numero. Le reticolature seguono assai bene il fondo su cui basano, adattandovisi variamente; le numerose deformazioni che si os- servano in questa fronda si vede che non dipendono affatto da schiacciamento, pressioni laterali od altri fenomeni posteriori alla loro deposizione, ma solo dal modo stesso di deposizione sul fondo irregolare, ciò che d'altronde si deve dire general- mente anche per le altre forme. Alcune aree, esagonali come di solito, per deformazione simulano quasi aree pentagonali che però con attenta osservazione si possono ricondurre al tipo co- mune: soventi poi nell’esemplare in esame le aree si presentano allungate assai più in certe direzioni che non in altre. Questa specie ricorda alquanto di lontano il Paleodictyon Strozzii MeNEGH. del Cretaceo superiore e dell’Eocene, distin- guendosene però facilmente anche solo per le aree notevolmente più larghe che nella specie di Toscana. Finora rinvenni un solo esemplare di questa specie caratte- ristica in certi schisti arenacei messi a nudo dalla profonda 692 FEDERICO SACCO erosione di un torrentello che dalla borgata di Pasco discende verso nord per sboccare sulla sinistra del fiume Tanaro poco a valle del paese di Bastia-Mondovi. Questi strati arenacei più volte ripetuti ed alternati con banchi marnosi grigio-bleuastri sono quelli che, secondo i miei recenti studi, costituiscono il passaggio dal Tortoniano inferiore all’E/veziano superiore, il quale appare poi nettamente lungo il corso del fiume Tanaro poco a monte della confluenza del sovraccennato torrentello del Pasco. Ecco dunque ben stabilito che il genere Paleodictyon finora creduto iniziarsi nel periodo cretaceo e terminare coll'Eocene, ha in verità, almeno in Piemonte, prolungato di molto la sua esistenza, cioè sino al Miocene superiore. Questo fatto d’altronde non si basa solo sull’esemplare unico delle specie ora descritte, ma eziandio sopra un grandissimo numero di esemplari costituenti le specie che descriverò in seguito. La specie esaminata è quella che presenta le aree più pic- cole fra tutte le specie di Palcodictyon dei terreni miocenici del Piemonte. Paleodictyon tectiforme Sacc. (Fia. 5, 6, 7, 8). Fila crassissima, valde erecta, reticulatim conjuneta; ma- culae eragonae interdum pseudo-pentagonae; eragona plerumque regularia. Fila recta vel, in unaquaque macula, duo proxima aliquantulum arcuata, interdum fere unicum filum recurvum filo recto prorimo erectius constituentia; hine interdum facies tecti- formis frondis; altitudine 2-5 millim., latitudine 2-5 millim., plerumque 3 millim. Macularum latitudo inter fila parallela 16 millim. circiter, interdum praeter 20 millim., maxima 24 mil- lim. Maculae praeter 100 numero. L’aspetto pseudo-pentagonale di certe aree è dato dall’ac- cennato incurvarsi di alcuni rilievi e ciò generalmente sempre in una stessa direzione, per modo che siccome il rilievo diritto che viene ad attaccarsi perpendicolarmente alla parte esterna di tale curva è quasi sempre più basso del rilievo incurvato, l’as- sieme della fronda prende l’aspetto del sovrapporsi delle tegole IMPRONTE ORGANICHE DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE 693 di un tetto, donde il suo nome specifico; ma ciò non è un fatto generale e d’altronde in altre specie si può in qualche raro caso osservare un lievissimo accenno a questa disposizione. Nel caso soyraccennato le aree si presentano molto più profonde da un lato che dall’altro, ed anche questo secondo nna certa direzione. Il numero delle aree è spesso immenso, giacchè potei osservare fronde di oltre mezzo metro di diametro che contavano quindi oltre a cento maglie. Questa specie si avvicina al Palcodictyon giganteum PER. del Cretaceo superiore od Eocene della Toscana; se ne distingue però specialmente per la mole, giacchè la forma descritta rag- giunge non solo dimensioni e profondità maggiori nelle singole aree e maggior altezza dei fili, ma anche molto maggior svi- luppo dell’intiera fronda, giacchè mentre il Peruzzi accenna ad essere le forme del suo genere composte di 15 o 16 aree, io ebbi a riscontrare frondi costituite di oltre un centinaio di tali maglie; ed inoltre è caratteristica la specie ora descritta per l’accennato incurvamento assai comune di due lati dell’esagono e ciò in linee regolari, il che dà l’aspetto quasi di una scali- nata (fig. 6, 7, 8) o meglio di un adagiarsi o succedersi d’una maglia all’altra; fatto che parmi serva a spiegare il modo di accrescimento e di espansione della fronda del genere Paleo- dictyon; infine vediamo che il P. tectiforme quantunque abbia spesso i fili potentissimamente rilevati, spesso li ha accasciati e spesso pure li presenta allargantisi alla base per modo da con- fondersi poco a poco col fondo, mentre nel P. giganteum le maglie per lo più si distaccano assai bene dal fondo. Sono assai comuni le aree deformate, come nelle altre specie. Gli esemplari che ebbi a rinvenire di queste specie sono numerosissimi e tutti provengono dagli strati inferiori del T'or- toniano passanti all’Elveziano superiore o da strati dell’ Elve- ziano vero. Dove mi si presentarono più comuni si è nel rio Garino (e nei suoi confluenti, specialmente nel rio Piano Bosco) che originandosi dalle colline di Belvedere delle Langhe viene a sboccare sulla destra del Tanaro, un chilometro circa a valle del paesello di Clavesana: anzi lungo questo rio, profondissima- mente incassato nella regione collinosa. è comunissimo l’osservare, oltre agli abbondantissimi resti dei fossili in questione, anche bel- lissime Nemertiliti ed altre impronte più o meno decifrabili che ta- lora parrebbero persino attribuibili ad impronte di piedi di Uccelli. 694 FEDERICO SACCO Oltre a questa località dobbiamo menzionare come pure ric- chissimi di questi Paleodictyon i dintorni dei paeselli di Cigliè, e Rocca Cigliè, il rio del Bandito, il rio di Brillada ed altri profondi rii che dopo aver solcato le colline di queste regioni vengono poi a sboccare più o meno direttamente sulla destra del Tanaro. Ne rinvenni pure alcuni resti negli strati arenacei che, al fondo delle cosidette Rocche perticali di Clavesana, costituiscono il Tortoniano inferiore, già iniziandosi l'alternanza più volte ripetuta di strati sabbiosi e marnosi che fanno poi il passaggio all’Elveziano inferiore. Accennerò ancora all’aver trovato non poche di tali impronte lungo il torrente Rea che da Belvedere delle Langhe discende al paese di Dogliani per poi sboccare sulla destra del fiume Tanaro ed anche qui sia nell’E?xeziano vero che nel T'ortoniano inferiore. Infine traccie del fossile descritto incontransi pure altrove nelle Langhe, ma sempre quasi allo stesso orizzonte geologico, almeno per ciò che finora mi risulta dagli studi fatti, cioè presso Alba, Mango, Castiglione Tinella, S. Stefano Belbo, Canelli, Calamandrana, ecc. 1 Paleodictyon maximum Saco. Fic. 9). Fila subcrassa, mediocriter erecta, reticulum maculis la- tissimis constituentia; maculae parum numerosac, saepissime irregulares, plerumque eragonae, perrare pentagonae seu tetra- gonae. Fila recta, interdum tamen irregulariter recurva, alti- tudine a, - 1 DA millim., latitudine 2-4 millim., longitudine 20-25 millim., macularum latitudo inter fila parallela mil- lim. 33, maxima millim. 35. La fronda di questa specie non consta generalmente di molte maglie; la sua irregolarità dipende specialmente dalla straordi- naria grandezza di queste maglie, per cui, quantunque la forma loro tipica sia l’esagonale, talora per cause diverse dispongonsi in pentagoni od in tetragoni. Di tutte le specie finora descritte di Paleodictyon è certamente questa quella che presenta le aree più grandi, donde il nome specifico che le ho attribuito. IMPRONTE ORGANICHE DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE 695 I rilievi delle aree più larghe si vanno talora abbassando per modo da scomparire per qualche tratto per di nuovo com- parire poco dopo. Pochi esemplari di questa bella specie rinvenni finora negli strati arenacei costituenti la parte superiore dell’Elveziano nelle colline delle Langhe e specialmente nei dintorni di Calaman- drana, Castiglione Tinella, ecc., assieme ad abbondanti resti di Paleodictyon tectiforme. Paleodictyon sp. Il Mayer nella sua Nota : Sur la carte geologique de la Ligurie centrale, Bull. Soc. Géol. de France, 1871, 3° Série, Tome V, parlando dei terreni aquitaniani, scrive: « dans la partie moyenne se trouvent, formant une espèce d’horizon per- sistant d'un bout à l’autre du bassin, ces singulières concrétions rétiformes, dues à la rupture en losanges d'une couche de vase mise à sec et au remplissage de ces fissures par du sable ap- porté par une nouvelle marée ». Quantunque il fenomeno citato del Mayer per spiegare tali singolari impronte retiformi possa in alcuni casi aver luogo, tuttavia io credo, senza però aver potuto osservare le concre- zioni osservate dal Mayer, che si tratti invece di impronte di qualche forma di Paleodietyon che serve appunto a collegare, almeno nel tempo, le forme fortoniane ed elveziane con quelle tongriane ed coceniche. Quanto al formare tali impronte un orizzonte persistente, ciò non ha importanza stratigrafica, ma ci indica soltanto che gli organismi che le hanno originate per il loro sviluppo dovettero trovarsi in condizioni speciali, condizioni che si sono prodotte di tanto in tanto durante l'epoca terziaria a diversi periodi, e credo che tali condizioni consistessero nel fatto che, per alter- nanze di sollevamenti ed abbassamenti, avveniva talvolta che il gran golfo marino della valle padana si presentava pochissimo profondo specialmente verso l’Apennino settentrionale, e formando così una specie di estesa spiaggia sommersa di soli pochi metri ed adatta allo sviluppo degli organismi producenti le maglie studiate. 696 FEDERICO SACCO Qui cadrebbe precisamente in acconcio di ricercare quale sia veramente l’origine di queste impronte, ma a dir il vero essa ci si presenta ancora alquanto dubbia. Il Meneghini quando nel lavoro precitato istituì il suo ge- nere Palcodictyon fece notare esservi tra queste impronte e l’Hydrodictyon pentagonum una grande analogia, così pure questa esistere con qualche Ceramiea (Halodictyon); il Massa- longo nella sovraccennata sua opera dice esser molto simile il Paleodictyon alla Dictyosphaceria favulosa DecAI1S ed avvicina il suo genere Hydrodictyopsis, che credo abbia una certa affinità coi Palcodictyon, agli Hydrodictyon ed ai Dictyonema, ma pone questi resti come prova della deposizione dei terreni che li in- cludono in bacini lacustri, mentre io son certo invece, per i dati paleontologici, che le impronte di Puleodictyon si formarono sopra un basso fondo marino, leggermente rialzantesi verso una spiaggia più o meno vicina. Dopo le indicate supposizioni di sì eminenti scienziati non credo sia il caso di fare ulteriori osservazioni, e quindi sino a prova contraria io credo che si possa ammettere derivare le im- pronte di Paleodicetyon da Alghe marine della famiglia delle Idrodictiee. Infatti noi osserviamo come negli 4Hydrodictyon, nei Pediastrum e generi affini le spore mobili o zoospore prodotte o direttamente da una cellula madre o da uova pure origi- nate dalla cellula madre, dopo essersi fissate in punti vicini, aver perdute le ciglia ed essersi rivestite ciascuna di una membrana di cellulosa, prendono spesso la forma di un poliedro le cui estremità talora si prolungano in corna; frattanto questi talli unicellulari vanno ingrandendosi finchè si toccano e per associazione omogenea e giustaposizione unendo le loro mem- brane, per modo che lungo le faccie di contatto ogni linea di separazione diviene irriconoscibile (quantunque lascino talora spazi intercellulari riempiti d’aria e di liquido), formano un tessuto solo, un tallo membranoso o corpo vegetativo reticolare, costi- tuito di numerose maglie più o meno larghe, più o meno re- golarmente esagonali o pentagonali, spesso terminando di tratto alla periferia in corna libere, molto simili a quelle che osser- vansi in molti esemplari di Paleodictyon, così nel P. regu- lare Sacc. figurato in questo lavoro. In un esemplare ho eziandio potuto osservare che due ri- lievi corrono paralleli e vicini senza unirsi, ciò che proverebbe IMPRONTE ORGANICHE DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE 697 che forse i rilievi unici derivano dalla riunione ci due fili che in casi eccezionali possono anche rimaner distaccati, come si vede in uno degli esemplari che ho disegnati. Lo straordinario allargamento delle reti del Paleodictyon, nonchè la notevole estensione di questo fossile in certi strati e piani speciali, si spiega poi abbastanza facilmente notando come ciascuna delle cellule costituenti il tallo complesso ora indicato per divisione totale del protoplasma produce un grandissimo numero o di uova che danno luogo poi a zoospore o diretta- mente di zoospore che danno luogo ciascuna ad un tallo uni- cellulare nel modo sopra descritto; e siccome queste cellule figlie oltre a saldarsi poi fra di loro, spesso formano la loro colonia presso alla cellula madre, così la fronda reticolare pri - mitiva può enormemente allargarsi con o senza spazi interme- diari per accrescimento direi centrifugo; fatto che sembrami di aver potuto constatare eziandio in alcuni esemplari di Paleo- dictyon. Così vediamo nell’esemplare figurato di Paleodzetyon regulare che la parte esterna della fronda più grande terminante di tratto in specie di corna, fronteggia appunto un’altra colonia minore poco lontana, che forse è una colonia figlia le cui z00- spore originarie furono probabilmente prodotte dalle vicine aree incomplete. Notiamo infine come questa forma di Alghe Cenobiee oltre che il fenomeno di associazione di talli distinti presenta sovente il fatto di disassociazioni e riassociazioni successive: quindi, date le condizioni favorevoli, queste forme, per i fenomeni sovraccen - nati, dovettero propagarsi abbondantissimamente ed estesissima- mente e perciò non ci deve stupire l'enorme sviluppo loro in certi piani geologici. Ad ogni modo saranno sempre necessari studi speciali sulle forme di Alghe viventi affini a questi fossili sia per meglio con- statare le indicate osservazioni, sia per spiegare il modo di formazione dei rilievi costituenti le maglie, rilievi costituiti della stessa sostanza arenacea di cui è costituito lo strato su cui stanno le impronte, ed aventi pure lo stesso colore del fondo, giacchè è solo in rari casi che queste maglie presentano un color giallo brunastro di ossido di ferro, ciò che forse deriva da materiale di natura organica. Risulterebbe quindi dalle ricerche che ho finora eseguite in Piemonte, come il genere Paleodietyon invece di essere limitato 698 FEDERICO SACCO al periodo cretaceo ed eocenico, come si suppose sinora, ha continuato a svilupparsi sino al Miocene superiore e quindi la sua estensione cronologica sarebbe la seguente: Tortoniano | i Paleodictyon miocenicum SAcc. Peio) tectiforme SAcc ; . » Ki , all’ Elveziano Î » tectiforme SACC. Flveziano . . .. | f ì I » maximum SACC. Aquitaniano , . » Sp. Tongriano. . . . » regulare Sacc. » Stroezii MENEGH. » majus MENEGH. Eocene. .... » giganteum PER. » sp. (Eocene del Friuli). . Cretaceo sup. ? » giganteum PER. Cretaceo sup. . » Strozzii MENEGH. HELMINTHOPSIS Herr. L’'Heer nella classica sua opera sulla flora fossile della Svizzera (1) istituì il genere Helminthopsis per impronte trovate nei terreni giurassici e che diagnosticò in questo modo: « Frons simplex, valde elongata, fistulosa, cylindrica, gyrosa », deseri- vendone tre specie molto differenti fra di loro. In diversi orizzonti dei terreni miocenici superiori delle col- line delle Langhe ebbi occasione nell’estate scorsa di osservare, assieme alle specie sopradescritte, alcune impronte affatto simili, genericamente, a quelle descritte e figurate dall’Heer sotto il nome di Helminthopsis, quantunque specificamente ben distin- guibili; siccome inoltre tali impronte, che probabilmente con altri nomi vennero pure indicate nei terreni eocenici, non vennero sinora riscontrate, per quanto io sappia, nei terreni miocenici, così credetti opportuno di accennarle in questa Nota. (1) O. HeER, Die Vorweltliche Flora der Schweiz - Dritte Lieferung, Zurich, 1877. IMPRONTE ORGANICHE DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE 699 Elminthopsis pedemontana Sacc. (Fia. 1). Irons fistulosa, canaliculata, 25-35 millim. lata, longa, flexuosa, in canale mediano interdum filo paurum erecto, ro- tundato, arcuato, interrupta. Canalis latitudo 15 millim. cir- citer; fila lateralia 3-5 millim. altitudine, superne fere plani. Questa specie, che per la sua enorme dimensione differisce assai da quelle descritte dall’Heer, s’avvicina però per la forma all’Helminthopsis magna HEER dei terreni giurassici di Ganei, quantunque non abbia potuto finora riscontrare in questa specie i forti contorcimenti a ferro di cavallo che presenta invece co- munemente la forma giurassica. Questa forma venne da me rinvenuta in numerosi esemplari specialmente lungo il sopraccennato rio di Garino, cioè in quelle arenarie a Palcodictyon che ripetutamente alternandosi colle marne fanno il passaggio tra il Tortoniano inferiore e l’Elveziano superiore; d’altronde accompagna quasi sempre il Paleodictyon tectiforme. Riguardo alla natura degli organismi che diedero origine alle varie forme del genere Helminthopsis, la questione è forse an- cora più ardua che riguardo ai Palcodictyon; Heer che istituì il genere lo pose fra le Alghe, ma altri contrastano molto tale classificazione. Dobbiamo tuttavia menzionare come alcune Alghe marine specialmente della famiglia delle Sifonee hanno un tallo che può presentarsi allargato, tubulare, cilindrico, talora incur- vato ad S, ed inoltre che questo tubo cilindrico, membranoso ed anche ricco di incrostazioni calcaree, talora allungato oltre un metro, poggiato sulla sabbia del fondo marino, può benis- simo lasciare delle impronte simili a quelle che furono appellate Helminthopsis; osserviamo infine che talora questo tallo allun- gato, come ad esempio nella Vaucheria, per la formazione delle zoospore talora dà luogo a dei tramezzi, come residui dei quali potrebbero forse interpretarsi quei leggeri rilievi arcuati che osservansi talora nel canale dell’ Melminthopsis pedemontana SAcc., come si vede nell’esemplare che ho figurato. 700 FEDERICO SACCO Ad ogni modo io credo che questa spiegazione possa ancora presentare campo a dubbi, potendo forse tali impronte esser pro- dotte dallo strisciare di qualche animale marino sul fondo sab- bioso, quantunque questa ipotesi mi sembri meno probabile della prima. ELMINTHOIDA ScHarH. Questo genere venne istituito dal Schaphautl (1) per im- pronte costituite da rilievi cilindrici, sottili, più volte ricurvati, che trovansi nei terreni eocenici e specialmente nel Flysch di molte regioni d'Europa; la diagnosi del genere è: « Corpuscula funiculiformia, praelonga, cylindrica vel depressa, simplicia, multoties recurvatim inflera, gyris parallelis, approximatis ». Oltre alla specie descritta dal Schaphàutl, l’Heer ne indicò altre due (2) pure comunissime, specialmente l'Elminthoida labyrin- thica, in quasi tutti i giacimenti di Flysch eocenico d’Europa. La specie che rinvenni nei terreni terziari del Piemonte oltre ad essere diversa da quelle finora descritte appartiene al Mio- cene medio e credo quindi opportuno pubblicarla. Helminthoida miocenica Saicc. (Fia. 2). Corpuscula funiculiformia , cylindrica , praclonga, % - 1 mill. lata, regulariter flexuosa, simplicia, multoties recurva- tim. Flexiones 15-20 millim. latitudine; inter flexiones spa- tium 1-5 mill. latum; fila 4-% mill. erecta. Ne rinvenni pochi esemplari nel rio Garino assieme ai Pa- leodictyon ed alle specie sopra descritte, come di solito nelle lastre arenacee passanti dall’Elveziano superiore al Tortoniano inferiore. (1) ScHapHAUTL, Geognostiche Untersuchungen des sidbayerischen Alpen- gibirges. (2) O. HeERr, Die Urwelt der Schweiz. Zurich, 1865. — Die Worweltliche Flora der Schweiz - Dritte Lieferung. Zùrich, 1877. IMPRONTE ORGANICHE DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE 701 Fra le specie di He/minthoida finora descritte questa pre- senta maggior somiglianza colla H. erassa ScHAPH. da cui si distingue sia per la mole generale molto minore, che per la maggior sottigliezza e minor elevazione dei funicoli che presen- tano delle circonvoluzioni assai meno ampie. Per certi caratteri la specie ora descritta si collega ad alcune forme di ZHelmin- thopsis, specialmente alla H. /abyrinthica HekR, da cui si di- stingue, oltre che per la molto maggior gracilità dei funicoli, specialmente per le ineurvature regolari, quasi parallele fra loro e molto approssimate. Helminthoida labyrinthica Her. Trattando delle impronte del genere Helminthoida finora rinvenute in Piemonte, non posso tralasciare di accennare come numerosissimi esemplari della Hel/minthoida labyrinthica HEER siansi rinvenuti dal Dott. A. Portis (1), da me (2) e da altri, specialmente negli strati argillo-schistosi che, alternandosi con strati arenacei, costituiscono in massima parte il //ysch ed in piccola parte il Macigno (cioè specialmente l’Eocene superiore), dove esso si presenta sviluppato sia nelle Alpi Marittime che nel- l'Appennino Settentrionale, ciò che serve vieppiù a provare l’im- mensa estensione di questa bellissima forma caratteristica del- l’Eocene. Per ciò che riguarda l’origine delle impronte di questo ge- nere non posso far altro che rimandare sia alle osservazioni fatte in proposito dall’Heer, che li credette dapprima resti di Vermi e pui di Alghe, sia a quelle sopra indicate per 1’ Hel- minthopsis, giacchè tra alcune forme di questi due generi sonvi analogie evidentissime. (1) A. PortIs, 1 terreni stratificati di Argentera. Mem. R. Ace. delle Scienze di Torino. Serie II, Vol. XXXIV, 1881. (2) F. Sacco, Massima elevazione dell’ Eocene nelle Alpi occidentali italiane. Boll. del Club Alpino Italiano, n° 2, 1885. 702 FEDERICO SACCO ZOOPHYCOS Massar. Nel 1851 (1) il Massalongo istituiva il nome di Zoophycos, e poco dopo confermava tal nome (2) per certe impronte grandi spiralate che dapprima erano state attribuite al genere Zonarites e Pterocarpus dal Massalongo stesso, al genere Fucoides da Villa ed Unger, ed al genere Gorgonia dal Meneghini. Solo però nel 1855 il Massalongo (8) descriveva e figurava quattro specie di tale genere che diagnosticò in questi termini: « Frondes simplices vel ramosae, lineares, fistulosue, creberrimae, radiantes vel spiraliter convolutae, segregatae seu liberae, vel coalitae, basi in stipitem crassum, cylindricum vel conicum vel subrotundum clevatum inaequale saepe infundibuliformem, congestae ». Parrebbe che dopo un tale lavoro monografico il genere Zoophycos avrebbe dovuto rimanere ben costituito, ma proba- bilmente per non esser giunti a conoscere le accennate memorie, lo Schimper istituisce per forme simili il nome di PAysophycus ed Alectorurus, il Fischer-Ooster di Taonurus, l’Hall di Spz- rophiton, il Saporta di Cancellophycus, il Ludwig di Buthro- trepis, altri di Doedalus, di Caulerpites, ecc.; l'Heer ed ulti- mamente lo Schimper, nell’Handbuch der Paleontologie (Minch 1879), adottano il nome di T'uonurus, mentre il Gastaldi, trat- tando di simili forme, loro conserva il nome di Zoophycos ed il Thiollière ed il Dumortier le pongono nel genere Chondrztes. Ora, pur ammettendo che le diverse forme descritte da tali autori appartengano a generi diversi, per il che fare talora bi- sogna basarsi piuttosto sulle differenze di età che di forma, tuttavia è certo che di esse molte, specialmente quelle forme che furono incluse nei 7aonurus, spettano assolutamente al genere Zoophycos e quindi tal nome, ben costituito e con diagnosi e con disegni sin dal 1855, deve avere senza dubbio la prevalenza sopra ogni altro pubblicato in seguito. (1) A. MassaLonco, Osservazioni sulle piante fossili dei terreni terziari del Vicentino. Pavia, 1851. (2) Id., Conspectus Florae tertiariae primeae, 1852. (3) Id., Zoophycos - Novum genus plantarum fossilium. Verona, 1855. IMPRONTE ORGANICHE DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE 703 Zoophycos Gastaldii Sacc, (Miocene). Zoophycos sp. - B. GastALDI - Intorno ad alcuni fossili del Piemonte e della Toscana, Mem. R. Acc. Sc. di Torino, Serie II, Tomo XXIV, Tav. VI, fig. 8, 1866. Frons expansa, flabelliformis, aliquantulum spiraliter con- torta, infundibuliformis. Costae subrotundatae, crassae, ra- diantes, arcuatim convolutae, ad peripheriam praecipue, inter se profundo canale disjunetae. Frondis peripheria costarum margines subrotundati, inter costis praeminentibus saepe qua- tuor minores. Lat. praeter 80 centim. Questa grandissima specie, che si presenta nel suo assieme avvolta sopra se stessa come un cartoccio, è molto comune in certe località delle colline di Torino, specialmente in Val Ceppi presso Tetti Toni, in marne grigiastre che molto probabilmente fanno il passaggio tra il Tortoniano e l’Elveziano, per quanto almeno ho potuto osservare in una breve escursione. Il Gastaldi parla inoltre di esemplari di Zoophycos trovati nel territorio di Brozolo, nelle colline Torino-Valenza, pure in marne mioceniche. Noto che la figura data dal Gastaldi nel suo lavoro farebbe apparire il Zoophycos in questione come molto appiattito, mentre in realtà si presenta generalmente imbutiforme con un'altezza di 30 e più centimetri. Dedico questa specie al compianto geologo e paleontologo Bartolomeo Gastaldi che pel primo attirò l’attenzione sui Z00- phycos del Piemonte. Zoophycos Gastaldii Sacc. var. pliocenica Sacc. (Pliocene). Distinguunt hane varietatem a specie tipica sequentes notae : Frons depressior; costae numero minores, magis crassae. In recenti escursioni presso il paese di Govone d’Alba e precisamente alla base di enormi spaccati naturali, detti rocche Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXI, 46 704 FEDERICO SACCO dei Perosini, sulla sinistra del fiume Tanaro, incontrai diversi esemplari abbastanza ben conservati di Zoophycos che per l’as- sieme dei caratteri credo si possano ancora includere nella specie ora descritta facendone solo una varietà per ciò che è indicato nella diagnosi. Come di solito gli esemplari trovavansi quasi sempre riuniti molti assieme, ciò che ci prova come questi organismi, dove trovavano condizioni adatte alla loro vita, formavano quasi direi delle foreste sul fondo marino. Negli esemplari meglio conservati, che raggiungono. persino 80 centim. di diametro, le coste assai lunghe, leggermente convesse, che sembrano quasi sovrapporsi l'una all’altra, in numero di 27 o 28 per giro (mentre in quello miocenico figurato dal Ga- staldi se ne contano circa 50), si presentano ora quasi diritte, ora, e più sovente, leggermente incurvate nel loro percorso e tutte nella stessa direzione, ed ora invece dopo una leggera curva in un senso, verso la periferia si rivolgono alquanto in senso op- posto. Tutte le coste nel loro percorso presentano nettamente una specie di nervatura costituita di numerosissime costicine più o meno regolari, fra loro quasi parallele e che partendo da un lato della costa si dirigono, leggermente incurvandosi, verso ‘il lato opposto, e ciò sempre con egual direzione per tutte le coste dell’intiera fronda; queste nervature divengono sempre più for- temente incurvate verso la periferia, finchè vengono a costituire il giro marginale di ciascuna costa. Il solco intercostale, della larghezza di 3 a 4 mill., si con- serva quasi inalterato di forma sino al margine della fronda. Varia molto la forma e la larghezza di ciascuna costa, alcune oltrepassando persino i 6 centim. di diametro nella parte loro terminale. i Mentre la parte maggiore della fronda è piuttosto schiacciata, lo stipite si presenta assai elevato; per l’accartocciarsi del fos- sile s’osserva, presso il margine, una distanza di circa 6 centim. tra un giro e l’altro della fronda. In conclusione le due forme di Zoophycos ora esaminate appartengono perfettamente allo stesso tipo, giacchè non dob- biamo dare troppa importanza a differenze secondarie che pre- sentano i vari esemplari e che spesso dipendono solo dall’età, dal modo di fossilizzazione, dal giro di fronda che si studia, dall’osservare l’impronta interna od esterna del fossile, ecc. IMPRONTE ORGANICHE DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE 705 Il fatto importante per la varietà ora descritta si è che la trovai in terreni pliocenici, e precisamente negli strati marno- sabbiosi bleuastri che costituiscono il passaggio tra il Piacentino e l’Astiano, mentre finora questo genere si credeva estinto col Miocene medio, ciò che mi fa supporre, pensando che la famiglia dei Zoophycos si è già iniziata coll’ Alectorurus sin dal Stilu- riano ed ha quindi resistito a tante vicende, che forse sì tro- veranno ancora nei mari attuali i rappresentanti delle ora stu- diate forme fossili, quando meglio si conoscerà 1’ Algologia delle regioni tropicali. Zoophycos sp. (Miocene). Nello studio delle Langhe soventissimo mi imbattei in oriz- zonti marnosi a Zoophycos, rappresentati da forme molto grandi, talora di 1 metro di diametro, a fronda spiralata, simili al- quanto allo Zooplhycos Gastaldi. Le località dove queste impronte trovansi più comunemente sono la base degli stupendi spaccati naturali di Cigliè e spe- cialmente di Rocca Cigliè presso il Tanaro, le Rocche Zampone, la valle del rio Bandito che sbocca sulla destra del Tanaro, il rio di Brillada ed altre località più a Nord-Est della regione collinosa delle Langhe. L'orizzonte geologico in cui si trovano tali Zoophycos non è sempre identico, ma per lo più essi sono comuni nelle marne che, alternandosi con banchi arenacei, costituiscono il passaggio dal Tortoniano inferiore all’ Elveziano e nell’ Elveziano superiore. Per mancanza di esemplari completi non posso specificare queste forme, d’altronde abbastanza simili a quelle sovraccen- nate del Miocene della collina torinese: solo possiamo notare che i Zoophycos delle Langhe concordano abbastanza bene, oltre che per la forma, anche per l’orizzonte geologico, con quelli dei colli torinesi; ciò mi fa supporre che sulla fine del periodo elveziano siansi verificate nel mare occupante la valle padana condizioni tali, probabilissimamente di poca profondità , che poterono dar luogo ad un grande sviluppo di Zoophyeos, alghe viventi con tutta probabilità nei bassi fondi marini a non grande distanza dalla spiaggia. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXI, 46% 706 FEDERICO SACCO Zoophycos funiculatus Sacc. (Oligocene). Zoophycos sp. - B. GASTALDI - Intorno ad alcuni fossili del Pie- monte e della Toscana, Mem. R. Acc. Sc. di Torino, Serie II, Tomo XXIV, Tav. VI, fig. 9, 1866. Frons expansa, flabelliformis, spiraliter contorta, striolata, infundibuliformis. Costae subrotundatae crassissimae, radiantes et arcuatim convolutae, superficie laeviter ondulato-striolatae. Inter costis funiculum eminens, ad stipitem incrassatum, mar- ginem versus evanescens. Lat. praeter 30 centim. Questa bella specie ventagliforme venne trovata in marne grigio-giallastre dei dintorni di Dego, nell'Appennino settentrionale, probabilmente in terreni tongriani; è notevole oltre che per la forma generale, per la grossezza delle coste assai rigonfie, spe- cialmente ad una certa distanza dallo stipite centrale, e divise le une dalle altre da un solco abbastanza profondo (più pro- fondo a qualche distanza dallo stipite), in cui corre un fu- nicolo assai rilevato che si va poco a poco impicciolendo ed ab- bassando man mano che dal centro si porta verso la periferia della fronda; inoltre le coste, che sembrano quasi accasciarsi l’una sull’altra, presentano delle ondulature abbastanza regolari in una certa direzione, similmente cioè alle impronte che lascie- rebbe una metà di qualche foglia penninervia, ciò che d’altronde già si è accennato pel Z. Gastaldi. Noto infine che il fossile in esame, di cui esistono finora solo due esemplari conservati nella collezione paleontologica di Torino, si presenta sotto forma di una specie di incamiciatura marnosa della potenza di circa 3 mill. avvolgente un corpo di- scoidale leggermente imbutiforme costituito dell’identica marna e che porta anch’esso la controimpronta dell’intiero fossile, IMPRONTE ORGANICHE DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE 707 Zoophycos sp. (Eocene). In alcune escursioni fatte per visitare i calcari di Gassino nella collina torinese ebbi occasione di rinvenire nelle marne grigio-giallastre, alternate coi calcari, sia nelle vicinanze delle cave che presso Villa Donaudi coll’orizzonte a Terebratule, nu- merose impronte di Zoophycos della grandezza talora di oltre 60 centim. largamente e profondamente imbutiformi, a fronda spiralata, ondulata, irregolarmente costulata. Gli esemplari osservati non presentano caratteri sufficienti per una determinazione specifica e quindi mi limito per ora a constatare la presenza di questo genere nelle marne eoceniche di Gassino, marne che già indicate come nummulitiche dal Col- legno vennero poi poste nel Miocene inferiore dal Fuchs e nel Tongriano superiore dal Mayer, mentre che le varie specie di Nummuliti, la Serpula spirulaca ed altri fossili che vi si tro- vano indicano piuttosto doversi porre questi terreni marnoso- calcarei di Gassino nel piano Bartoniano, cioe nel vero Eocene. Da quello che venne esposto finora risulterebbe quindi che il gruppo delle Alghe a cui appartenne il Zoophycos, gruppo appellato delle A/ectoruridee ed ora spento, se pure ulteriori ricerche in regioni inesplorate non smentiranno questa asserzione, avrebbe, secondo i recenti studi, il seguentesviluppo nelle varie epoche geologiche : 708 FEDERICO SACCO Zoophycos Gastaldii Sacc. var. pliocenica Sacc. SEIOCENE (Piacentino sup. presso Govone d'Alba). » Gastaldii Sacc. (Val Ceppi, colli torinesi) \ » >» Sp. (Zortoniano inferiore ed. MI0CENE Elveziano delle Langhe). » » (Brozolo , colli torinesi ). » Scarabelliù MAssaL. (Bologna). OLIGOCENE » funiculatus Sacc. (Dego). { Zoophycos Caput Medusae Massar. (Monte Bolca). » Sp. (Macigno schistoso di Prac- chia). » Sp. (Marne grigio-giallastre di Gassino - Bartoniano ). EOCENE . . < » cf. Villae Massat. (Calcare alberese di Grigliano, alta valle del Tevere). » cf. Villae MassaL. (Calcare schistoso- argilloso di S. Anna presso Pistoia). » flabelliformis FiscHER-OosTER (Flysch. \ della Svizzera). » Targionii SAvi e MENEGH. (Pietraforte di Toscana). Batagiioo » Villae Massar. (Brianza). » Brianteus Massat. (Brianza). » tenuestriatus HEER (Cretaceo superiore della Svizzera). Giura... Cancellophycus SAP. Cancellophycus SAP. si Physophycus Scx. CARBONIFERO Lophoctenium RIcHT. Spirophyton HALL DEVONIANO } Lophoctenium RicHT. SILURIANO. Alectorurus ScH. Forse alcuna delle specie qui poste nei Zoophyeos dovranno esserne tolte con uno studio più dettagliato di esse, come pure l’orizzonte geologico di alcune è ancora alquanto incerto; ma IMPRONTE ORGANICHE DEI TERRENI TERZIARI DEL PIEMONTE 709 ad ogni modo è importante l’osservare il grande sviluppo di questa curiosa famiglia le cui forme paiono generalmente abba- stanza caratteristiche degli orizzonti a facies littorale o di mare poco profondo che sovente fanno il passaggio tra due piani geo- logici diversi. Notiamo infine che molti paleontologi, come il Nathorst ed altri, sono contrari al collocamento dei Zoophycos fra le Alghe; tuttavia l’osservare come diverse alghe marine presentano un tallo allargato, semplice o con nervature. assai resistente, eretto sopra uno stipite centrale, talvolta contorto od anche ac- cartocciato, mi indurrebbe invece ad abbracciare l'ipotesi prima emessa riguardo alla origine vegetale di queste forme. Oltre alle impronte descritte in questa Nota, trovansi nei terreni eocenici piemontesi, sia delle Alpi Marittime, che del- l'Appennino settentrionale e dei colli Casalborgone-Valenza, nu- merose impronte assai svariate di Fucoides, Chondrites, Cylin- drites, ecc., già menzionate da altri autori e che quindi, non offrendo più interesse, tralascio di indicare. Noto per ultimo come assieme alle impronte di Paleodictyon nei terreni elveziani superiori delle Langhe abbia soventissimo incontrato delle lastre d’arenaria che presentavano sparsi rego- larmente alla loro superficie dei rialzi della grossezza di 6 o 7 millim., per un'altezza di 5 o 6 millim., regolarmente roton- deggianti, che credetti dapprima controimpronte delle lastre a Paleodictyon, ma che per non avere distinta forma esagonale, sembranmi doversi attribuire ad altre cause. Ad ogni modo pre- sento il disegno di una di queste lastre, che aveva la larghezza di oltre 40 centim., sperando che nuove ricerche portino luce in riguardo o che altri, più di me competente in questi difficili studi, possa sciogliere il problema della loro origine. 710 FEDERICO SACCO - IMPRONTE ORGANICHE ECC. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fic. A. — Helminthopsis pedemontana Sacc. (Elveziano delle Langhe). » 2. — Helminthoida miocenica SaAcc. (Elveziano “delle Langhe). » 3. — Paleodictyon regulare Sacc. (Tongriano del Tor- tonese). » 4. — » miocenicum Sacc. (Tortoniano pas- sante ad Elveziano nelle Langhe). » 5. — » tectiforme SAcc. ( Elveziano delle Langhe). » 6. re > » » » » 7. — » » » » » 8. --_ » » » » stra » marimum Sacc. (Elveziano delle Langhe). >» 410. — Lastra arenacea a rialzi (Elveziano delle Langhe). Il Direttore della Classe ALronso Cossa. Lit Doyen.Tomno INDICE DEL VOLUME XxXxL DI ALIENE ZI OI RR Re er ai Pag. LIUTO EC REISER SSSRUEA » Sunti degli Atti verbali delle adunanze tenute dalla Classe li Scienze fisielie, matematiche e maturali.... i. . 00 cca » 89, 91, 116, 161, 182, 221, 234, 271, 293, 357, 361, 417, 433. Basso (Giuseppe) — Relazione pel IV Premio BRESSA............... -—— Commemorazione di Giulio JAMIN.............-.00.0 000 —— Sulla legge di ripartizione dell’intensità luminosa fra i raggi bururatitida:lamine.veristalline oca ila se e BarTELLI (Angelo) — Intorno all'influenza della magnetizzazione sopra lakconducibilità-termica del ferro ...............:.ce,e ba —— V. NACCARI. BELLARDI (Luigi) — Relazione sulla Memoria del signor Marchese A. DE-GREGORIO, intitolata: Fossili di Monte Erice di Sicilia del MAGROCA ATA GO DE GREG: op eine Bizzozero (Giulio) — Relazione sulla Memoria del Dott. Piero Gia- cosa: Su di un ricettario del secolo xi esistente nell’ Archivio ene a iridato a Bruno (Giuseppe) — Sopra un punto della teoria delle frazioni continue —— Relazione sopra un lavoro del Dott. Corrado SEGRE, intitolato: Le coppie di elementi imaginari della geometria proiettiva SULL 7 RORORRARORO RR SA e CATTANI (Giuseppina) — Sull’apparecchio di sostegno della mielina nelle fibre nervose midollari periferiche ..............-.... CHARRIER (Angelo) — Effemeridi del Sole, della Luna e dei prin- cipali Pianeti, calcolate per Torino in tempo medio civile di Rontatper L'anno:1887:, +4. exeo n eni MERE CARATTE CurIONI (G.) -- Relazione sulla Memoria del sig. Ing. Camillo Guipr: Sulle curve delle pressioni negli archi e nelle volte... ....... » (qui 217 163 485 146 712 INDICE DEL VOL. XXI DI MATTEI (Eugenio) — Contributo alio studio della patologia del rene. — Ricerche sperimentali ....... Posate E nn . Pag. DiscaLzo (G.) — V. MAZZara (G.) Dorna (Alessandro) — Breve notizia delle Osservazioni astronomiche e geodetiche eseguite nel 1885 all'Osservatorio della R. Uni- versità di Torino, nel Palazzo Madama, per iniziativa ed a spese della Commissione del Grado..................0....% —— Lavori dell’Osservatorio astronomico di Torino ........... » 60, -—— Sulla mira meridiana dell’Osservatorio di Torino a Cavoretto e formola per dedurne la posizione dalla sua altezza e dalle costanti dello strumento dei passaggi ..................... 283, 339. —— Nozioni intorno all’equatoriale con refrattore Merz di 30 centi- metri di apertura e metri 4 !/, di distanza focale ........... 225, 247, 458. ERRERA (Giorgio) — Sulle monocloropropilbenzine e sul metilbenzil- ATI) RSA N O a 5 FiLETI (M.) — Ricerche sull’ortoisopropilfenol..................... GENOCCHI (Angelo) — Breve commemorazione dell’Ingegnere Savino RBALISE:. È 3 RETRO IT | pniaspualanii. silos n A ina a) ni sati sto, it Linnisaitallabomiacigma:sggIe nin? 26; nti RAI 4 siii adottitàas indire we rit Opa - Vas ratio abiti Ri: ate tahviasarinsp odo siro s Marano Hp? — ‘otfitegli Anesatiiagnità shaorivata signo Memndogmn DR0TNO0, hi8 od a A a « fe x “ ’ Ù po ga sthisgiiino. satila rano mori; jas (Msg ad 54 ala vi ; ” RI «Rao! pink, FC ncidivotor: bilob ron) cl st -sizolaus. nare kb I}; b , ded x l i xi apt dt GIU gli nl : . a Lapo sigpo9 - Sab IE: Sy Toga 09 pipe: (ie ca |piag s ii km aslaton ih. isintomettatò Sx70] È isiangoftit inalkanps abati 19 FR PERENTT ATA E | sei , +45 sgttitko vei- TE Mi ‘ (AR [ralinbussg: fa 1-8 ee — {9 ; M” - H n u pari vini adi mt08 GITAr- Tibia Tao TI: DPAOIS VIDE A ipité (bè 000° : dp ti* IITAR OT veri 1 BU 6.) 33 Gia DOrp1t 99 ALTE via " la ‘ e Biani. maso Reit Ritorni irrclvticy fdidali LI ” v D

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