SIZE ETRE o sE 5; ATTI) R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORTNO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XXIII, Disp. 1°, 1887-88 Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali TORINO ERMANNO LOESCHER Libraio della R. Accademia delle Scienze Mesh sii w è Pai vr n OI ona spire? dna - # 4 Me * DISTRIBUZIONE: DELLE SEDUTE R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO NELL'ANNO fl 897-888 divise per Classi Classe di Scienze morali, storiche e filologiche Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali 1887 - 20 Novembre 1887 - 27 Novembre » 4 Dicembre » 11 Dicembre » 18. 1d, 1888 - 1 Gennaio 1888 - 8 Gennaio » 15. Id. » d. » 29. Id. » 5 Febbraio » 12 Febbraio » 19 Id. » 26 Id. » “4 Marzo > 11 Marzo » 18. Id. » D1, 00AAO Ko fe » 8 Aprile » 15 Aprile >» SICURI: » 29 Id. » 6 Maggio » 13 Maggio >» 27. . Id. » 10 Giugno » 17 Giugno » 2 Id. » 1 Luglio « 8 Luglio CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 20 Novembre 1887. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ANGELO GENOCCHI PRESIDENTE Sono presenti i Soci: Cossa, SoBRERO, LESSONA, SALVADORI, Bruno, Basso, D’Ovipio, FERRARIS, NaccaRI, Mosso, SPEZIA, GIBELLI, GIACOMINI. Il Presidente apre la prima seduta dell’anno accademico cor- rente col porgere il benvenuto ai Soci, ed avvertendo che ricorre appunto in questo giorno il compleanno di S. M. la Regina, ‘esprime, in nome dell’Accademia, sensi di riverente ossequio e di felicitazione. Si legge l’atto verbale dell'adunanza del 19 giugno p. p. che viene approvato. Fra i libri offerti in omaggio all'Accademia vengono segnalati ì seguenti; 1° « Bullettino di bibliografia e di storia delle Scienze matematiche e fisiche pubblicato dal Principe B. Boncompagni; vol. XX, gennaio-febbraio 1887, presentato dal Presidente: 2° « Applicazioni di geometria descrittiva, del Prof. Va- lentino ARNÒ ; 1 vol. di testo con un atlante, presentati dal Pre- sidente ; 3° « Elenco delle specie di coleotteri trovati in Piemonte, di Vittorio GHILIANI; opera postuma pubblicata dal Dott. Lo- renzo CAMERANO; presentato dal Socio LESSONA. 4° « Comptes rendus des travaua du Comité international chargé des essais electriques; lavoro, a cui, in occasione del- l’Esposizione universale di Anversa nel 1885, prese parte il do- natore, Prof. A. Rolri, Corrispondente della Accademia: pre- sentato dal Socio NACCARI; Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIILL 1 2 GIUSEPPE BASSO 5° Un lavoro del Prof. Giulio MicHEL « Ueber Sehnerven- Degeneration und Sehnerven-Kreuzung », pubblicato per cura della Facoltà Medica dell’Università di Wiirzburg, in occasione del settantesimo anniversario della nascita del Prof. Alberto von - KOLLIKER; mandato in dono dall'Università di Wiirzburg. Le letture e le comunicazioni si succedono nell’ ordine che segue : 1° « Breve Commemorazione del Socio Corrispondente Gustavo Roberto KigcHBorr, morto il 17 ottobre scorso; del Socio Basso; 2° « Alcumi teoremi sui coefficienti di Legendre (Nota 2°), dell'Ing. Ottavio ZanortI-Branco; presentati dal Presidente ; 3° « Sulla origine del gesso micaceo ed anfibolico di Val Cherasca mnell’Ossola; del Socio SPEZIA; 4° « Sulla densità di alcuni metalli allo stato liquido e sulla loro dilatazione termica; dei Dottori G. VICENTINI e D. OmopE1; lavoro presentato dal Socio NACCARI; 5° « La Aegialitis asiatica (PELL.) trovata per la prima volta in Italia; del Socio SALVADORI. î . LETTURE In commemorazione di Gustavo Roberto Kirchhoff, Parole del Prof. GiusePPe Basso Uno dei più eminenti cultori delle discipline fisico-matematiche. il professore Gustavo Roberto Kirchhoff, socio corrispondente della nostra Accademia, cessava di vivere in Berlino il giorno 17 dello scorso ottobre. Già da alcuni anni gravi sofferenze ne- vralgiche lo costringevano spesso a sospendere il suo insegna- mento universitario ; tuttavia la crisi che lo spense nell’età di 63 anni giunse inaspettata anche ai suoi famigliari e per ciò tanto più dolorosa. Siami concesso qui di ricordare in brevi parole i punti più salienti della sua vita operosissima e quelli, fra i molti suoi COMMEMORAZIONE DI G. R. KIRCHHOFF 3 lavori, che si possono annoverare fra le maggiori conquiste della scienza contemporanea. Gustavo Roberto Kirchhoff nacque in Kònisberg il 12 marzo 1824 e, dedicatosi di buon’ora nella sua città nativa agli studi che dovevano poi rendere insigne il suo nome, ebbe la fortuna di avere a maestro e guida Francesco Neumann. Recatosi poscia a Berlino, vi ottenne nel 1848 Vl’abilitazione alla libera docenza per la fisica matematica e, due anni dopo, venne chiamato ad insegnare questa disciplina a Breslavia. Fu appunto in questa città che, incontratosi il Kirchhoff con Roberto Guglielmo Bun- sen, si strinsero fra i due giovani studiosi i primi vincoli di una calda amicizia, mercè la quale sorse e lungamente si mantenne quella loro collaborazione scientifica che fruttò più tardi alla scienza l'invenzione dell’analisi spettroscopica. Allorchè il Bunsen nel 1854 dovette recarsi ad Heidelberg e porvi stabile dimora, il Kirchhoff volle seguirlo e così i lavori già intrapresi in comune proseguirono non interrotti per oltre un ventennio. In questo periodo di tempo si esplicò in tutta la sua pienezza la vita scientifica di Kirchhoff; il nome suo non tardò a salire in alta rinomanza e non è a maravigliare che lusinghieri ed insistenti inviti gli siano stati diretti dall’Ateneo della prima città di Ger- mania allo scopo di trarlo a sè. A tali inviti egli cedette final- mente nel 1875. Nell’ Università di Berlino, della quale fu lustro fino all'ultimo, Kirchhoff inaugurò il suo insegnamento con una serie di lezioni sull’ Ottica geometrica; svolse in seguito argo- menti spettanti ad altri rami di scienza e fortunatamente l’edi- tore B. G. Teubner di Lipsia potè raccogliere tutti questi studi d’origine didattica in un’opera col titolo : Lezioni di fisica ma- tematica e di meccanica. In quanto ai lavori originali del Kirchhoff si può ben dire che non vi ha parte delle dottrine fisiche al cui perfezionamento egli non abbia contribuito con novità di concetti, con acume di analisi e raggiungendo dapertutto risultati importanti e fecondi. Nel campo della elettrologia e dell’ elettromagnetismo Kirchhoff lascia studi preziosi sulla distribuzione delle correnti elettriche nei sistemi di conduttori filiformi, sulla misura delle resistenze elettriche, sulla teoria dei condensatori, sulla determinazione delle costanti dalle quali dipende l'intensità delle correnti d’ induzione, sulla teoria del magnetismo indotto nel ferro dolce ed infine sulla distribuzione dell’elettricità in equilibrio sopra un sistema 4 GIUSEPPE BASSO - COMMEMORAZIONE DI G. R. KIRCHHOFF di due sfere conduttrici; il quale ultimo argomento era già stato prima oggetto di indagini profonde per parte specialmente di Poisson e del nostro Plana. Appartengono all’acustica e ad un tempo alle dottrine re- lative all’elasticità gli studi del Kirchhoff sul movimento vibra- torio nelle lamine e nelle verghe e sulle vibrazioni permanenti nelle masse fluide ; sono contribuzioni alla termologia le sue ri- cerche intorno all’ influenza della conduttività calorifica di un gaz sulla propagazione del suono in esso, quelle intorno alla tensione delle mescolanze di vapori di varie specie ed un lavoro sperimentale sulla capacità termica del ferro. Però gli è nel campo dell’ottica e specialmente della cro- matica che si trovano i titoli di benemerenza scientifica del Kir- chhoff più brillanti e più universalmente conosciuti. Poichè, oltre ad uno studio teorico sulla riflessione e rifrazione della luce alla superficie dei mezzi cristallizzati, oltre ad accurate misure di angoli degli assi ottici per le diverse linee di Frauenhofer ese- guite specialmente sull’aragonite, ognuno sa che devesi in gran parte al genio di Kirchhoff la conoscenza completa della rela- zione fra il potere emissivo ed il potere assorbente rispetto alle varie specie di radiazioni calorifiche e luminose. Assunta questa relazione come guida nell’esame delle luci emanate da sorgenti di varia natura e condizione, ne scaturirono direttamente: la spie- gazione delle linee di Frauenhofer nello spettro solare , la for- mazione delle diverse specie di spettri continui e discontinui, l’in- terpretazione del fenomeno dell’inversione delle linee spettrali e quindi le applicazioni dello spettroscopio all’ analisi chimica ed alle indagini intorno alla costituzione dei corpi celesti. La fecondità del nuovo procedimento analitico che forma come l’incoronamento dei grandi lavori di Kirchhoff e di Bunsen trovasi fin d’ora confermata dalle splendide scoperte ottenute, mercè sua, dalla chimica e dall’astronomia fisica; ed è ben giusto che i nomi dei due autori, indissolubilmente congiunti, vengano ricordati fino alla più tarda posterità con riverente gratitudine dagli studiosi delle scienze naturali. Alcuni teoremi sui coefficienti di Legendre, Nota seconda di Ottavio ZaxotrI Branco Ingegnere. I Per quanto io so i matematici, e fra essi segnatamente LeGENDRE, LapLace ed N. C. ScHMIT, si occuparono unicamente degli integrali delle forme LI srl +1 fer. (2) da, fe. (x) P,(2) 4x3 fe. @)Polada, nelle quali P rappresentano le funzioni d’x armoniche zonali superficiali dell'ordine indicato dal loro indice: è scopo del pre- sente lavoro il determinare il valore degli integrali delle forme seguenti : SI gl fo-nFrme fonairzia du, I. Per seguire le notazioni adottate nella nota precedente su questo argomento, supporrò le P funzioni della variabile u = cos 9 e quindi-du=—sen9d6. Ciò posto ricordo che si ha Pip(@) 4, pH Agi) Peke A, A) - (0) OTTAVIO ZANOTTI BIANCO in questa è n __(4t-1)(4#--3)...(2t+1) \ e CA S(4t MAE 5). 2 (27 2)c2 tù* n 1) (ee) e siti ot SET Si ha del pari Pilu Az A A pl nella quale è (4#+1)(4#-1)...(2#+3) ao BoA...dt VAI id CLES AR CLS) di O ar) ° + cx A i RR Richiamo ora dal calcolo integrale alcune formole di cui do- vremo far continuamente uso in appresso. f ossi can opraszo ; . (1) sia m pari o dispari. 1.3...(2m—1)][1.3...(2n—1)] lo) 2n cs] = [ È i feno Aim 16 (22) fc 6)°"(sen9)?"*+'d6 ° ? (7). A e | 7. 1.3.5...(2m—3)(2m—1) (2m+1)(2m+3)...(2m+2n+1) ALCUNI TEOREMI SUI! COEFFICIENTI DI LEGENDRE 7 Essendo = cos e du=—sen0d9, gli integrali che stanno al primo membro di ciascuna delle tre ultime formole diventano +1 =: fonia ; fora o) du | 1 +1 — I N age (8) fora — n°) d p. o Rammento ancora. che dalla teoria delle armoniche zonali superficiali sì ha in generale n 1 d'(p°—-1)" aq i (E SA LS) 2°.n! du" (9) (9) II. Nella (1) pongo w=cos@? e moltiplico per (sen 0)?"d8, avrò dopo ciò integrando fra 0 e 7: n fr. 5) (sen da dé 4; I (cos 6)?‘ (sen 9)?” d0 | o n o LT Si (LO) 37 SAPOA j (cos 6)?‘7? (sen 6)?" d.6 + DICA (sen srrar\ ; ) n Gli integrali del secondo membro sono tutti della forma data dalla (6), quindi sostituendo ai coefficienti 4, i loro valori dati dalla (2), avremo: (*) Avverto, che per svista, nell’ultima pagina del mio precedente lavoro su questo argomento si scrisse (2*— 1) invece di (22—1;” e (2?—1)”, secondo i casi. 8 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO n = X 2n1—1 fa. (cos 6) (sen 6)" d0=|P..(2)(1-p°) ® dp (o) e eli — I Eli : 1 at(yy°__ 1)?! samni 7 4'(24) JR (1EP9T7 a fi.B.. CSV n o a] 2641)... (46—3)(4t1)] [2. 2t][2,4...2m...(2m+2t)] (1.8. e ese. .(4t—8)] si ma. er nay 2 ][ 208.2 (Fn PON] RRILIE: Qi E 4...2t][2.4...(2m—-2)2m] (11) = IRE e ee Si avrà similmente, tenendo della (7) e delle (2) : | P,,(cos 6) (sen 0)?*+'d0-—= fr. (2) (1- pp)” dp a . le] eil 1 ue” n e (£ eg I m =egli fe ner Ta (1- 1°) dp 2. 4. .-(2m_—2)2m][1.3 .-(2f-1)(24+1)...(4t-1)]- .(4t-1)] E, 201.3. .(Qm+è NI )(22:+1)(2m—3)...(2m+2n+1)] coral [Rd (2a) ava][1° 3 DI c20=3)(2 1.0 2a Mpa: =2))[1:#8. E i Gm42i= i) 2. sd) tuta Cioe linda Siani 4. 3 ici elio 3...(2t—1)] Rent 3 206 = 1) i Ami) @m+D] (12) +...+(-1) Nell'espressione (3) pongo 4 = cos@?, ne moltiplico ambi i membri per (sen 0)"*'d6, ed integro poi fra 0 e 7, avrò: n fre (cos) (sen 0)"*'d0=4,,,, [cosa congedo | i 5 È ; (13) ta fico 9)" "(sen @)"*'d0+...+A frrecin ops) (0) ALCUNI TEOREMI SUI COEFFICIENII DI LEGENDRE 9 Ora in virtù dell'espressione (5) gl’ integrali del secondo membro sono tutti nulli sia # pari o dispari, e sarà: E: 9) (sen tre | oh ...(14) 4(; Jet: m me |; SITI il A (1-p )adu=0 - IV. Nell’equazione (1) pongo u=cos9, ne moltiplico ambi i membri per (cos 4)? (sen 9)?" 49 ed integro fra 0 e x avrò: fr. (cos 6) (cos 6) ** (sen 5)*"d @ o n T È du fo 0)?'+?*(sen6)"d9+A,,_, [cos 9)24+257=(sen0)*"d6+...\ (15) È +4 (cos 6)°* (sen 0)°" d 0 Ù | Gli integrali del secondo membro sono tutti della forma (6), pertanto eseguendo le integrazioni, e sostituendo ai coefficienti A, i loro valori dati dalla (2), avremo: n iI fruo 6) (cos 6)?‘ (sen grras=(P..t) (0)? (1-1?) - dia o IT dai i d*'(p°—1)?! vari e —-——_ STENZA ER 25 Str 5 ] i 44.(24) | d °° (2)**(1- wu") dp (411) (46-83). ICONE ..(2r—1)][1.3...(24+2s—1)] }(16). [2.4...2t][2.4.6...(2#+2s+2r)] | [(4t#—3).. biur .«(2r—1)][1.3...(2#+2s—3)] [2.4...(26—=2)x2][2:4.6.1 (2442542 —2)] pelt3. (2t—8)(2t—1)][1.3...(2r—1)][1.8...(2s—=1)]! to e aan \/ 7 10 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO Con un procedimento affatto analogo al precedente si avrà: n | fe. (cos 6) (cos @)?* (sen @)?"+'d 6 (P.s1) (pu)? (1—-p°Y dp [e] AI he bc ori, d vie I] (a) (1 pd [(4#-1)(4t-3)...(24+1)][1.3...(2#+2s—1)][2.4...(2r-2)2] ) (17) -_ [2.4...2t][1.3...(2r—3)(2r—1)(2r+1)...(2r+2s+2#+1)] [(4#—3)(4#—5)...(24-1)][1.3...(2#+2s—3)][2.4...(2r—2)2r] [2.4...(2#—2)][1.3...(2r—1)(2r+1)..(2r+2s5+2#—1)] ; 1y[1.3--(2#-3)(241)][2.4...(2r-2)2r][1.3...(2s-1)] postata [24..24][1.3..(@r-1)@r+1)(@r4 25500008 Dico ora che si ha: | P,,4.,(005 6) (cos 6)?* (sen 6)"d = i; P,.s. (1) (a (1-2) Fap ti Fr (18) ! CORIO ha Boe et WI OLGAICIESI j ici — (a)(1h°) = dd a | sia r pari o dispari. Infatti moltiplicando la (3) per — (sen?)"(cosî)?"*d46, ed integrando di poi fra 0 e 7, gl’integrali che staranno nel secondo membro dell’equazione che così risulta, saranno della forma (5), donde si deduce immediatamente l’equazione (18). Applicando l’equazione (6) e la (14), si avrà, con un pro- cesso identico a quelli già usati, dall’equazione (3) : ALCUNI TEOREMI SUI COEFFICIENTI DI LEGENDRE n srl 2Fr—1 fron ny ener rt” — n°) * dp dA (L., 0) dp..dg Mi a” (1 >_1)” d'(0°—1) dP(p°—1)? FARE na e mata i «(41 -° NE } Y, (2,0) dp. de + ALCUNI TEOREMI SUI COEFFICIENTI DI LEGENDRE 19 n 2a f free 2,00 2,(cx0. n (cos6)*. Y;(cos9, 6) dI .dg +1 2 h—-1i = P.. (0) P.(R)P,(0)...(1- 1° nm p,0)dp..d | aa n)? TI | (45) s a" (1 1)? d'(u°—-1)' dP (1° dP (pu —1)P AAA = ue dp SE De. m'ilp!. Ù . — IMI" T_ h—-1 «.(1_-p°) ® (2)°Y;(u,e)du.do. VIII. FERRERS a pag. 155 del suo 7rattato sulle Armoniche sfe- riche, ha dato la formola seguente : , 14 sen— (46), 1 1 1 4: 57. (cos 6) #5 P_(cos0) + g 1 3(c0s9)4 ...=log sen — 2 ne moltiplico ambi i membri per ?;(cost)sen7d?, ed integro rispetto a 9 fra 0 e 7, avrò: n n Îi fe (cos 6) #n009+3 (P (cos 6) P{(cos 4) sen0d0+ ..... x Va î 1+sen3 = log —T_ Pi(cos 6) sen 0 d0= sen 3 $ sa Di MH ] bi” + 4 (1) P; (2) dp. + ;fr. (2) P. (2) Apt — 1 — I _ 2 pg E +VIZE Pi(u)dpu, PA Vi-w 20 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO giacchè G VI così_ _Vi=v SeliT=— ie = 2 V 9 V2 Ora si sa dalla teoria dei Cocfficienti di Legendre che gli in- tegrali del secondo membro son tutti nulli, tranne quello pel quale gli ordini delle due funzioni P sono uguali, nel qual caso si ha: +1 : 2 ) fire * ori 3 sarà pertanto 14 sen2 log «a P,(cos 6) sen 946 sen — i 5 à MEI Wa UIL DI 24+V1l—v 1 2 2 fi E Pde= pf} EI) s Richiamo adesso l'equazione (27) 2r [ripe 0 e ne moltiplico ambo i membri per Vip ed integro fra —1 e +1 a” a p., si avrà: hi + sen È - Y; (cos 9, 9) sen? ab de ..+ (48) sen È segue ALCUNI TEOREMI SUI COEFFICIENTI DI LEGENDRE 21 SOLO o e \ -f log EHI —e Y;(u,c)dpdo | i? seguito o a 1a (48) Dr a 47 Ae Piu AI) IX. Se nelle formole (16), (18) e (19) al paragrafo IV pongo r=0, esse divengono: T +! f.co: (cos ai=| P..(11) O Sa Vip? o | 23h ni 1 d°! (1° — DI iareda 4'.(2 4) 1 das BE VI _ — 1 CITE i 1)(&#®3) 04-13-24 1], j (89) 5) [2.4...2t][2.4.6...(2t+23)] ORE et i(1.3. 04M faz 4 2i=2) x 2][2.4...(24+25= 2)] Ali se ax e] 2 e n 1) PARSO. eagì mi T I ] P,;3:(c0s6) (cos6)*d0=| P.,.. (0) (E J (cos 9) (cos 5) il (12) (2) Via | i si (50) cet A 1 d°'4! (y°— 1) LE ] CCA EA "Aeg 1) (1) pae: 22 OFTAVIO ZANOTTI BIANCO n +: du. \ (ZIO d@= fe RESTI CAI (0) pa Po \ (1) ali Sapio 1 d'Mpe-1*1,. lef AL 22443(2%+1)! dr n A VI— p? ___{{4#+1)(4#—1)..:(244-3)][1.3...(2#+2s4+1)] } (65 Gi (2.4. 20][2.4...(25+2#+2)] | ME .(24+1)][1.3...(244+2s—1)] [2.4...(2t-2)][2.4...(2#+25)] ta A 1][1.3...(2s+1)]{ FAI) Se nella formola (21) si fa r=—1 si ha T cli fran 007 40 fe. (ui di 1 e (pe—1 dl)? (at*t'dp __ )! d°*p Vi—L? a A mezzo di queste formole si possono con un procedimento analogo a quello usato nel S V per avere i valori degli inte- grali (22) e (28), ottenere (hi integrali seguenti, che si hanno anche dalle (22) e (23) facendo K1=0: Lo + fe (cos 5) P, (cos 0) 1=(r (1) P;(1) seÉ ci oe) \dp 24517) d'p d'u VI2p° ALCUNI TEOREMI SUI COEFFICIENTI DI LEGENDRE ita) n i tI n 1 | ui dp P,(cos 6) P, (cos 7) (cos6)*d7= | P.(u) P.(1) aa ViI—da 3 # vi \...(54) I d'(p°—1)° d'(0°—1) Lap \ EE AIA ua n d'u VE Sr | Così, si possono senza difficoltà alcuna, ma servendosi di sem- plici sostituzioni successive, giungere ai valori degli integrali seguenti, che si ottengono facendo nelle (24) e (25) X=0. fr.) 2,000) 2,100 DA; î=[ P,(PPHA)P a) va , 1 /1-p° ! 108, 14 (55) 1 ] d'(u° — 1) d'(p° —1)! dP (1° 1)? du CEI È d'() du) de(p) Vi=pò’ i ee: pi O v'dy P,(cos6)P,(cos6)P,(cos0)...(cosé)*d6= i —jyz È, % (56) 1 I di (p?-1)° d'(u°—1) d’(2°-1)P p*du TT, CELLE SnE5: egg VV MONOTTT e è 2 È dari.. dp, Ae LE Vip —— I Nell’equazione (27) faccio #=2f e ne moltiplico ambi i membri per (cos 0)*"d? ed integro poscia fra 0 e x rispetto a 9, ossia fra —1 e +1 rispetto a P. Avrò : Il fteoorer. (cos$, 4) d6de=2 2a) P,.(c0s9) (cos6)?5d9 ; (0) Ma l'integrale del secondo membro è dato dall'espressione (49); di essa rappresento con 149! la parte del secondo membro, che moltiplica 7, avrò: 24 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO f fonorz. (cos @, 0) d6 du (57) | forziere za Così applicando la formola (52) avrò: E (0080, 9) 404% ...(98) Similmente tenendo conto delle espressioni (50) e (51) si avrà: f formi ti nasa EA dp fat (1) ?* Vafun (Pi; (0) -do= 0 ns e 0° Vip. f fromtera. tt.) a0a; I I 2 du 3 = Tp, y male )j51}. In quest’ultima espressione !51! , rappresenta la parentesi q p pai PP p (60) che sta al secondo membro della (51). Osservo ora, che essendo, per quanto precede, noti i valori degli integrali (53), (54), (55) e (56) si potranno mercè essi ALCUNI TEOREMI SUI COEFFICIENTI DI LEGENDRE 25 ottenere quelli rappresentati in generale dalle espressioni se- guenti : JÌ a (cos 6) P, (cos 5) E (cos 6) .....-Y;(cos9, ) d0 do +1 AT =[ Je. (u)P,(p) P, (2)... Y; (1,9) vi n 53 dé; il fr. (cos 6) P, (cos 6) P, (cos 6)... (cos 6)* Y, (cos 8, )d9de ni | Pm (4) P() P, (0)... (1)° Mi 1 — de. Torino, novembre 1887. Sulla origine del gesso micaceo e anfibolico di val Cherasca nell’ Ossola. Nota di GiorGIO SPEZIA Nella valle Cherasca, la quale partendo da Varzo fa capo al pittoresco ripiano dell’alpe di Veglia, furono da tempo os- servati alcuni banchi di gesso, il quale venne talvolta preparato per uso di cemento dagli abitanti della vallata; ed io ne avevo raccolto per i miei studi sui minerali dell’Ossola trovandolo assai interessante sia per la sua giacitura che per la sua associazione con anfibolo e mica. Nel lavoro geologico eseguito nel 1882 dai signori Heim, Lory, Taramelli e Renevier, riguardo un progetto di traforo del Sempione, fu detto gesso non solamente menzionato ma fatto oggetto di discussione a proposito della sua origine, e prevalse fra i detti geologi l'opinione di Heim come appare dal seguente brano della loro relazione che io ritengo conveniente di riprodurre: 2.6 GIORGIO SPEZIA « Au pont de San-Bernardo, près de Gebbo, nous avons constaté un petit lambeau de gypse pulvérulent sur un point, cristallin et micacé sur un autre. La question doit naturelle- ment se poser: Ce gypse forme-t-il une couche constante, au contact du micaschiste et du gneiss d’Antigorio, et par conséquent se rétrouverait-il dans le tunnel? ou n’existe-t-il là que par l’effet d'une cause tout à fait locale? La faiblesse de ce lambeau de gypse, et l’absence dans le voisinage d’autres affleurements sem- blables, pourraient faire pencher pour la seconde alternative. « L’un de nous, M. Heim, est très affirmatif à ce sujet. Dans la petite exploration qu'il a faite seul, sur la rive gauche de la Cherasca, il s'est, dit-il, convaincu que ce lambeau de gypse doit etre le résultat d'une altération locale de la roche. Nous lui laissons la parole pour l’exposé de ses observations individuelles sur la berge Est de la Cherasca, en amont du pont San Bernardo. « Cette paroi de rochers, qui de loin déjà nous avait frappés par sa teinte blanchàtre avec taches de rouille, est formée de gneiss d’Antigorio, assez fortement altéré sur place. Ce gneiss est fendillé dans tous les sens, se brise facilement, et sur quel- ques points il est décomposé en kaolin friable, contenant des grains de quartz. Au pied du talus de ses détritus, on voit sour- dre un certain nombre de sources, qui s'écoulent directement dans la Cherasca. « « Dans le haut de la paroi, en dessous du village de Fon- tana, on voit le gneiss, de plus en plus micacé, passer au m22- caschiste granatifère, entremélé de schistes ampbiboliques. Celui- ci forme un ensemble de couches presque horizontales, de couleur foncée, contrastant avec le gneiss altéré qui le supporte. Ce complexe, qui ne présente aucune trace d’altération, paraît ré- gulièrement interstratifié au milieu du gneiss d’Antigorio. « La partie altérée du gneiss a environ cent mètres de lon- gueur, parallèlement à la Cherasca. Au-delà, en amont, on voit les mèmes bancs de gneiss reprendre petit à petit leur texture normale; ce gneiss partiellement kaolinisé passe graduellement au gneiss solide. Sur la rive droite de la Cherasca, le gneiss reste intact; je n'y ai trouvé aucune trace de cette décomposition, sauf toutefois le lambeau gypseux, tout près du pont. Ce dernier se présente donc comme un nid de gypse à la base d'une masse de gneiss altéré, qui peut atteindre 100 à 200 mètres d’épaisseur à partir du niveau de la Cherasca. Je n'ai aucun doute que ce gypse ORIGINE DEL GESSO MICACEO E ANFIBOLICO DI VAL CHERASCA 27 ne résulte de la mème action de décomposition locale, qui peut étre attribuée a la filtration de l’eau des sources susmentionnées. « Il m’est impossible de prévoir quelles sont les dimensions souterraines de la masse de gneiss en décomposition, ni s'il peut en exister d’autres masses semblables, entièrement cachées sous le sol. En aval du pont San Bernardo, je n’en ai observé au- cune trace (1). » Da tale scritto risulta che Heim attribuisce il gesso ad una decomposizione locale della roccia, ed asserendo che sulla destra della Cherasca non trovò altra traccia di decomposizione del gneiss salvo il lembo di gesso, lascia credere, a mio avviso, che egli voglia ammettere la decomposizione del gneiss, come origine del gesso. Perciò non ritengo privo d'interesse il riferire alcune mie osservazioni, le quali condurrebbero ad indicare altra roccia dalla cui alterazione si avrebbe il gesso, ed in pari tempo di rendere affatto improbabile che possa essere il gneiss, nel caso che l'Heim nel suo scritto abbia voluto realmente attribuire alla decomposi- zione di tal roccia il deposito di gesso. E spero che ai detti geologi non parrà inopportuno che, sullo stesso giacimento gessifero da loro studiato, vi sia un lavoro ba- sato sopra osservazioni mineralogiche e considerazioni chimico-geo- logiche, anche se le conclusioni siano diverse da quelle indicate nella loro relazione. Nella predetta relazione si ammette che il gesso il quale si trova vicino ed a monte del ponte di San Bernardo sulla destra del torrente Cherasca costituisca solamente un nido e che non esi- stano altri affioramenti nelle vicinanze di esso. Invece a circa 130 metri a valle del ponte e sulla sinistra del torrente si trovano altri affioramenti stratiformi di maggiore esten- sione visibili per una lunghezza di circa 100 metri e larghezza di quasi 10 metri. La direzione ed inclinazione di questi strati con- ducono al deposito osservato dall’Heim, e dal lato litologico coin- cidono così perfettamente, che per me è un fatto certo che tali af- fioramenti di gesso appartengono tutti allo stesso strato, il quale, posto allo scoperto dall’erosione, rimane ora coperto di tratto in tratto dai detriti dell’alveo del torrente che lo attraversa e da quelli degli scoscendimenti delle pareti laterali. (1) Etude geologique sur le nouveau projet de tunnel coudé traversant le massif du Simplon. Bull. de la Soc. Vaudoise des Sc. Nat., vol. XIX, n.89. 28 GIORGIO SPEZIA Il gesso di San Bernardo si presenta in grosse lenti inchiuse in uno schisto micaceo anfibolico il quale, sia in straticelli sia coi suoi componenti isolati, inquina la massa gessosa e talvolta in modo tale da essere il gesso non solamente in minore quantità, ma da costituire un graduale passaggio ad una roccia nella quale vi sono appena traccie di gesso e predominano invece la mica, l’anfibolo e il quarzo. Prendendo frammenti di gesso che abbiano l'aspetto di maggior purezza e trattandoli a varie riprese con carbonato ammonico e poi con acido cloroidrico diluito e a freddo, onde decomporre ed elimi- nare il solfato calcico, essi lasciano sempre un abbondante residuo. Detto residuo esaminato al microscopio risulta costituito da granuli cristallini di quarzo, da lamine di mica incolora o leg- germente giallognola, e da frammenti di trasparenti cristalli di anfibolo verde i quali presentano quelle traccie di corrosione come sì osserva sovente nei grani o di pirosseno, o di anfibolo o di ver- nerite disseminati in calcari cristallini. Oltre i detti minerali sono visibili anche piccoli romboedri i quali io ritengo per dolomite perchè insolubili nell’ acido a freddo si sciolgono con effervescenza a caldo. In alcuni frammenti di roccia nella quale la mica ed il quarzo predominavano sul gesso potei constatare la presenza della calcite. La roccia gessosa in sezioni sottili all'osservazione microscopica sì presenta costituita da granuli cristallini e da cristalli bacillari, i quali paiono essere prodotti posteriormente per un precesso di diagenesi. Anche a valle della cappella di Maulone sulla sinistra del tor- rente vi ha traccia di affioramento di roccia gessosa, la quale, se- parato il solfato calcico, lascia un residuo costituito essenzialmente da dolomite, quarzo, e mica bianca o rosea, e qualche grano di anfibolo incoloro. La giacitura ed il modo diassociazione dei minerali in entrambe le masse gessose permettono due ipotesi sulla loro origine; o che il gesso sia originario ossia di formazione coeva al micaschisto an- fibolico che lo accompagna, ovvero sia il prodotto di alterazione di altra roccia, e questa seconda ipotesi è certamente la più proba- bile e perciò nel concetto in massima di prodotto di alterazione sta il parere di Heim. ° Ma per supporre poi che il gesso provenga dalla decomposi- zione del gneiss, bisogna naturalmente premettere che il gneiss con- ORIGINE DEL GESSO MICACEO E ANFIBOLICO DI VAL UuHERASCA 29 tenga anzitutto lo zolfo, e, facendo in favore di tale idea la più probabile combinazione, immaginare un gneiss ricco di un solfuro metallico, p. es. pirite. Riguardo al calcio lo si trova nel gneiss sia per la frequente pre- senza di feldispati plagioclasi e massime poi se qualche silicato ricco di calcio come p. es. l’anfibolo entra a sostituire la mica. Infatti vi ha il gneiss anfibolico di Ober-Ramstadt (1) il quale è così ricco di anfibolo che l’analisi complessiva dà 10,65 °/, di ossido di calcio. Ossia per avere da un gneiss quale prodotto di decomposizione il gesso bisognerebbe anzitutto ammettere un gneiss molto anfibo- lico e piritifero. Ma tale ipotesi sarebbe contraria alla premessa di Heim, il quale ritiene secondo Gerlach per gneiss detto d’Antigorio da questo autore, il gneiss di val Cherasca, nella qual roccia secondo l’analisi di Scheerer (2) vi sarebbe solamente 3, 95 p °/, di ossido di calcio. Si potrebbe supporre che un tale gneiss quando fosse piritifero o attraversato da sorgenti ricche di solfato di ferro o anche di acido solforico libero, come sarebbero acque provenienti da gia- cimento di piriti in decomposizione, potrebbe fornire gesso colla sua piccola quantità di ossido di calcio, impiegando il tempo per la concentrazione. Ma ostacolo a detta ipotesi sarebbe la solubi- lità del solfato calcico, la quale impedirebbe, alla poca quantità che se ne forma, di rimanere, costituendo un deposito di gesso. E ammettendo pure che nella grande estensione che ha il gneiss d’ Antigorio, ve ne sia qualche tratto molto anfibolico e piritifero, bisognerebbe che l’anfibolo si decomponesse per cedere il calcio all’acido solforico proveniente dall’ossidazione della pi— rite in contatto; ma in tal caso non credo si possa spiegare fa- cilmente la presenza dell’anfibolo nel gesso di S. Bernardo. Inoltre ammessa anche tale decomposizione di un gneiss an- fibolico è a ritenersi che più facilmente sarebbesi decomposto an- che l’ortosio del gneiss e quindi: o il gesso dovrebbe contenere del caolino il che non è nel nostro caso, ovvero supponendo anche una decomposizione del caolino, le acque che per detta alterazione si mineralizzassero dovrebbero essere ricche non solo di solfato calcico ma anche di solfato di allumina, e per la presenza di questo sale essere poverissime di carbonati. (1) J. RoruH, Beitrage sur Petrographie, 1879-1883, pag. IV. (2) GERLACH, Die penninischen Alpen, pag. 107. 30 GIORGIO SPEZIA Secondo Heim pare fuori dubbio che il gesso sia dovuto alla decomposizione prodotta dalle sorgenti che egli osservò scaturire ai piedi del al/us formato dai detriti del gneiss alterato, che si trova quasi sovrastante al deposito di gesso da lui esaminato. Dette sorgenti non sono, a mio avviso, da porsi fra le minerali, ma se anche lo fossero, sta sempre per loro il dilemma che: o dette . sorgenti non contengono il solfato calcico e allora siamo alla difficoltà dimostrata di trovare gli elementi del gesso nel gneiss, o ne contengono già in parte gli elementi e allora non credo debba ritenersi necessario il gneiss alla formazione del gesso. P. es. un'acqua ricca di bicarbonato calcico potrebbe sem- pre al contatto di gneiss ricco in pirite in decomposizione, dar luogo a solfato calcico ma in tal caso il gneiss non entrerebbe nella rea- zione; e se anche tale acqua poi contenesse acido carbonico libero che, insieme al solfato calcico formatosi, alterasse contem- poraneamente il gneiss, non potrebbesi mai a questa roccia attri- buirsi l'origine del gesso. Resa così, a mio avviso, molto improbabile l’ipotesi della de- composizione del gneiss come origine del gesso, ricerchiamone qualche altra. Vi sarebbe quella di supporre che il gesso di val Cherasca provenga dall’ idratazione di anidrite, se l’ammettere 1’ anidrite originaria inchiusa nei micaschisti anfibolici delle Alpi non incon- trasse quasi le stesse difficoltà dell’ ammettere il gesso stesso. D'altronde sino ad ora io non ho mai veduta l’anidrite in val Cherasca. Non rimane quindi, a mio parere, che prendere in conside- razione i calcari cristallini, i calceschisti ed i micaschisti anfibolici ricchi di calcare, le quali roccie sono assai diffuse in val Cherasca. Ammettendo un’alterazione di tali roccie si ha già uno dei principali elementi del gesso, il calcio. Riguardo allo solfo lo si trova esaminando alcune di dette roccie. Nella località detta Gebbo a valle della casa del signor Gio- vanni Roggia (1) si trova sulla destra della Cherasca un affio- ramento di calcare cristallino ricchissimo di pirite e pirrotina. Detti solfuri sono diffusi nella roccia talvolta assai visibili ad occhio nudo, talvolta no. (1) Colgo l’occasione per ringraziare il sig, Roggia, maestro comunale a Varzo, per le cortesie usatemi nelle mie escursioni in val Cherasca. ORIGINE DEL GESSO MICACEO E ANFIBOLICO DI VAL CHERASCA 31 Prendendo del calcare nel quale dall’ aspetto non si crede vi siano solfuri e trattandolo con acido cloroidrico diluito a freddo, si sente anzitutto odore di idrogeno solforato e poi si ot- tiene un residuo insolubile costituito da lamine di mica, granuli di quarzo, e per circa la metà in peso di una polvere nero ver- dastra, la quale, esaminata al microscopio, è costituita da cri- stalli di pirite e lamine esagonali di pirrotina che sì lasciano facilmente separare dalla pirite mediante un magnete. Entrambi i solfuri si trovano anche abbondanti come inclusioni nella mica e nei grani di quarzo i quali sono talvolta attratti dal magnete quando hanno inclusioni di pirrotina. E a causa di tali inclusioni mi fu impossibile di fare nel residuo insolubile una separazione esatta mediante liquidi a densità variabile. Un altro esempio di analogo calcare lo trovai all’ alpe di Veglia sopra la sorgente minerale. Tale roccia a struttura cri- stallina sente di idrogeno solforato quando la si rompe e lascia, trattata con acido cloroidrico, un residuo di cristalli corrosi di anfibolo bianco, grani di quarzo, lamine di mica e la polvere cristallina di piriti e pirrotina, i quali solfuri sono anche in ab- bondanza inclusi nell’anfibolo e nella mica. Adiacente allo stesso calcare vi ha un micaschisto calcareo il quale contiene anche pirite e pirrotina. Nello stesso piano di Veglia vicino al torrente Frova in un banco di calcare bianco saccaroide, contenente sottili strati mi- cacei anfibolici con traccie di distene, vi ha uno straticello di calcare ricchissimo di cristalli macroscopici di pirite, ed uno strato di dolomite ricca di mica e piriti. Al colle di Valtendra vi ha pure un micaschisto bianco ric- chissimo di piriti. Insomma l'associazione di solfuri di ferro con carbonato di calcio è comune in val Cherasca. Ora è, a parer mio, ipotesi più probabile che il gesso mi- caceo anfibolico di San Bernardo provenga dall’ossidazione della pirite e della pirrotina inchiuse in dette roccie calcaree Ad appoggio di tale ipotesi sta il processo chimico il quale oltre armonizzare colle reazioni chimiche oggi conosciute, non richiede quella sequela di reazioni che sarebbero necessarie per spiegare la trasformazione dell’ ortosio o dell’ anfibolo in gesso quando si volesse dire che il gesso provenga dall’alterazione di un gneiss anfibolico. dal GIORGIO SPEZIA Inoltre è di aiuto all’ipotesi il confronto dei residui dei vari gessi, cioè il quarzo, la mica e l’anfibolo, minerali che insieme ai solfuri costituiscono il residuo dei calcari esaminati. Infine vi ha altro validissimo appoggio nell'esame delle acque minerali le quali possono sovente fornire importanti nozioni per lo studio delle alterazioni delle roccie. All’alpe di Veglia sulla sponda sinistra del rio Mottissa si trova la sorgente di acqua minerale acidula conosciuta in terapeutica col nome di acqua minerale di Varzo. Di detta acqua il Cossa (1) fece un saggio quantitativo li- mitato solamente ai componenti sotto indicati, escludendo cioè l’acido carbonico perchè non ebbe opportunità di raccogliere egli stesso l’acqua alla sorgente ed escludendo le piccole quan- tità di alcali ed altri elementi, non avendo avuto a sua dispo- sizione la quantità necessaria di acqua. Egli trovò che 1000 parti in peso di acqua contengono : Gioeo. A, TM So OD LIUTO TAG IRE Anidride solforica . . . 0,3405 Ossido di calcio . . . 0,4836 Ossido di magnesio . . 0,0666 Carbonato ferroso . . . 0,0488 Inoltre l’autore dell’analisi constatò la mancanza assoluta di idrogeno solforato e verificò qualitativamente: l’acidità dell’acqua per l'acido carbonico, la presenza di silice, soda, potassa, tracce di allumina, anidride fosforica ed ossido di manganese; e col- l’analisi spettrale, il litio. Ora l'acqua di Veglia è ricca: di acido carbonico ; e dalla cortese comunicazione, per cui rendo grazie, fattami dal D." Dac- como, il quale raccolse l’acqua in posto e ne analizzò la quantità complessiva, risulta che 1000 grammi in peso contengono, alla temperatura di 6° e pressione barometrica di 623 (2) millimetri, grammi 1,4862 di acido carbonico. E sebbene l’analisi del Cossa sia stata fatta nel 1879 ed il saggio quantitativo del Daccomo nel 1885, e in tal lasso di tempo abbia l’acqua potuto variare nella quantità dei compo- nenti, tuttavia credo che si possano riunire per calcolare l’acido (1) Idrologia medica, anno II, 1880, pag. 80 (2) L’alpe di Veglia è a 1753 metri di altitudine dal mare. ORIGINE DEL GESSO MICACEO E ANFIBOLICO DI VAL CHERASCA 53 carbonico libero, massime che il Cossa nella sua relazione ag- giunge che l’acqua datagli ad analizzare sviluppava abbondanti bolle di gas acido carbonico , il che prova la ricchezza in gas libero dell’acqua, anche quando si fece l’analisi delle principali materie fisse. Perciò la quantità di ossido di calcio residua da quella de- voluta all’anidride solforica e tutto l’ossido di magnesio si deb- bono ritenere combinati con acido carbonico, e si può ammet- tere che l’acqua contenga in 1000 parti Cloro MR ANAGIEO e"), SMS E ICE Solfato di calcio ‘“. . 0,5788 Carbonato di calcio . 0,4380 Carbonato di magnesio 0,1398 Carbonato ferroso . . 0,0438 1,20154 ossia della quantità complessiva di acido carbonico: gr. 0,2825 sarebbero legati per formare i carbonati neutrali; altrettanto si potrebbe supporne per ridurli in bicarbonati solubili e rimarrebbe la quantità di 0,9212 di acido carbonico libero. La quantità dei sopraindicati componenti fissi dell’acqua sarebbe di 1,20154 e considerando che secondo Cossa 1000 grammi d’acqua evaporata a secco lasciano gr. 1,4723 di ma- terie fisse, resterebbe una quantità di gr. 0,27076 costituita essenzialmente da acqua del solfato calcico che per l’evapora- zione a 100° non l’avrà perduta tutta, e poi dalla silice, sodio, potassio, ecc. ossia dagli altri elementi la cui presenza fu indicata per saggio qualitativo. Quindi volendo anche ammettere, come dovrebbe essere, che parte dell’anidride solforica data dall’analisi sia combinata col sodio, oltre la quantità di cloro, e col potassio diminuendo in proporzione il solfato di calcio, la quantità di questo composto sarebbe sempre tale da ritenerlo come un componente principale dell’acqua di Veglia. Ora tale acqua sebbene ricca di solfato calcico non è cer- tamente a porsi nè fra le saline per la tenuissima quantità di cloro, nè fra le sulfuree per l'assenza di idrogeno solforato; e neppure fra quelle che si mineralizzano dalla decomposizione di si- licati alluminiferi o calciferi componenti roccie, prodotta dall'azione Atti RR. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII. 3 34 GIORGIO SPEZIA dell’acido solforico proveniente sia dall'ossidazione di acido solfo- roso 0 idrogeno solforato come nei terreni vulcanici, sia dall’ossida- zione di solfuri metallici; perchè in queste acque è caratteristica l'abbondanza di solfato di allumina e la povertà di carbonati. Se poi si considera la quantità di acido carbonico libero si può facilmente essere condotti ad un’ ipotesi assai probabile sull'origine dell’acqua di Veglia, ed in pari tempo rendere dif- ficile la supposizione che si volesse fare che l’acqua acquisti la ricchezza in solfato calcico attraversando un banco di gesso pree- sistente e di formazione coeva agli schisti cristallini. La quantità di gas portata alla superficie dall'acqua, non certo trascurabile se si tiene calcolo che l’efflusso dell’ acqua di 300 litri per ora. Generalmente le acque si arricchiscono di acido carbonico : 1° Nelle regioni vulcaniche e in quelle non vulcaniche nelle quali per litoclasi possono diffondersi sia l’acido carbonico già prodotto nei terreni vulcanici, sia i reagenti chimici, cause della sua formazione, come p. es. acque termali contenenti acidi liberi, le quali decompongono i carbonati che incontrano nel loro percorso. 2° In terreni che contengono resti organici in decomposizione ed in circostanze di continua ossidazione. 3° Per ossidazione dei solfuri metallici in contatto con calcare e massime della pirite, come suppose per îl primo Stein (1) onde spiegare la presenza dell’acido carbonico nelle acque acidule di Pyrmont. Nel caso dell’acqua di Veglia io credo debbansi escludere le due prime condizioni, perchè le roccie di val Cherasca non appartengono all’evidente roccia vulcanica caratterizzata da crateri, e la bassa temperatura dell’acqua non permette di supporre la . provenienza da grandi profondità, causa in generale della ter- micità delle acque; nè fanno parte dell’evidente roccia sedimen- taria caratterizzata da resti organici; ma bensì appartengono al sempre problematico campo geologico che sta nel mezzo degli in- dicati estremi della serie litologica. Non rimane quindi che la terza causa, cioè l’ossidazione di piriti al contatto di calcari. Tale ipotesi sebbene ammessa dal lato chimico, non pare sia tenuta valevole per spiegare in certi casi grandi produzioni De e (1) Neues Jahrbuch fur Min. u. Pal., 1845, pag: 801. ORIGINE DEL GESSO MICACEO E ANFIBOLICO DI VAL CHERASCA 35 di acido carbonico; per esempio Bischof (1) la pone in dubbio basandosi sulla credenza che la pirite si trovi raramente nel cal- care. Tuttavia il fatto seguente riportato da Delesse (2) è una prova della sua possibilità. Nella miniera carbonifera di Rochebelle alla profondità di 345 metri avvenne uno scoppio prodotto da efflusso violento di acido carbonico rinchiuso in vani della roccia; la cagione fu, secondo anche il parere di Dumas, data alla de- composizione di un giacimento piritifero in contatto con calcare e confinante col deposito carbonifero. La quantità di gas ap- prossimativa calcolata dalla cubatura delle gallerie invase fu di 4500 metri cubi, E per l’acqua di Veglia detta ipotesi spiegherebbe a mio avviso, non solamente la presenza dell’ acido carbonico di essa ma quella di tutti i suoi componenti. Infatti si potrebbe supporre che la pirite e la pirrotina os- sidandosi completamente darebbero luogo ad acido solforico libero e solfato ferroso; il primo agendo sul calcare darebbe gesso e acido carbonico libero, parte del quale col calcare in eccesso for - merebbe bicarbonato calcico solubile. Il solfato ferroso non sarebbe decomposto dal calcare, massime per la presenza di acido carbonico libero, e rimarrebbe in solu- zione finchè l’acqua nel suo percorso incontrasse nuovo ossigeno portato da altre infiltrazioni sia di aria che di acque aerate. Allora il solfato ferroso si muterebbe in solfato ferrico e agendo in tale stato sopra altre roccie calcaree darebbe luogo, secondo l’esperienza di Stein, a deposito di ossido idrato di ferro, gesso e sviluppo di acido carbonico, il quale arricchirebbe vieppiù l’acqua di biearbonato calcico e gas libero. E supponendo che una piccola parte di solfato ferroso non sì sia ossidato po- trebbe in soluzione con bicarbonato calcico dar luogo a quella piccola quantità di bicarbonato ferroso, che senza ulteriore de- composizione per favorevoli circostanze, sarebbe trasportato al- l’esterno , dall'acqua. La presenza poi del solfato calcico nel- l’acqua è dimostrata dalla solubilità del gesso. Con tale processo si spiegherebbe anche il trovarsi deposito di gesso sceyro di ossido di ferro come a San Bernardo, ed in pari tempo si avrebbe la spiegazione di ciò che si osserva sulla (1) Lehrbuch der chem., u. phy. Geologie, vol. 4, pag. 725. (2; Comptes rendus, tome 89, pag. 814. 36 GIORGIO SPEZIA sinistra del torrente Ciamperio confluente della Cherasca al piano dell’alpe di Veglia, dove l’erosione ha posto allo scoperto un grosso banco di roccia schistosa la quale presenta una grande alterazione. Essa è friabile, porosa e contiene gran quantità di ocra con quarzo, mica, calcite e dolomite; e trattandola con acqua distillata si può in essa ancora riconoscere la presenza di traccie di solfato di calcio, sebbene l’esperimento sia stato fatto sopra frammenti tolti alla superficie. Il depositarsi poi della maggior quantità di ferro allo stato d’ossido dà la ragione per cui l’acqua minerale contenga così poco ferro, sebbene l'origine della sua mineralizzazione sia dovuta ad un minerale essenzialmente ferrifero. Il carbonato di magnesio nell'acqua troverebbe la sua origine o supponendo un calcare magnesiaco, ipotesi basata sulla osser- vazione che il calcare anfibolico e piritifero di Veglia da me esami- nato contiene 6,89 p. ® di ossido di magnesio; ovvero supponendo che alla mineralizzazione dell’acqua abbia in parte contribuito qualche dolomite piritifera alla cui esistenza io già accennai. Riguardo poi le piccole quantità di silice, soda, potassa, allumina, ecc. possono benissimo considerarsi come prodotti del- l'alterazione di roccie feldispatiche sulle quali agisca nel suo percorso l’acqua minerale; alterazione dovuta sia all’acido car- bonico il quale toglie ai feldispati secondo le esperienze di R. Miiller (1) gli alcali, parte della silice e anche traccie di allu- mina ; sia all’azione decomponente del solfato calcico dimostrata dalle esperienze di Cossa. Le quali cause di alterazione di roccie feldispatiche spiegano l’effetto, che si osserva al ponte di S. Ber- nardo in val Cherasca, dell’essere il gneiss in decomposizione dove havvi il deposito gessifero. Riassumendo ora i fatti che si osservano in val Cherasca si trova : 1° L'esistenza di calcari anfibolici e micacei, e di mica- schisti anfibolici con calcare, ricchi entrambi di pirite e pirrotina. 2° L'esistenza di banchi di gesso contenente anfibolo, mica e quarzo. 3° L'esistenza di un’acqua che per la ricchezza in solfato calcico e acido carbonico ha tutta la probabilità di essere mi- + (1) Tschermak. Min. Mitth., 1874, pug. dI. ORIGINE DEL GESSO MICACEO E ANFIBOLICO DI VAL CHERASCA 37 neralizzata dai prodotti di alterazione di solfuri metallici in contatto con carbonato di calcio. 4. L'esistenza di roccie alterate costituite da ocra, mica, quarzo e calcite. 5° La presenza del carbonato di magnesio nei calcari, nei gessi e nell'acqua minerale prodotta. Perciò a me pare che si possa essere autorizzati di consi- derare tali fatti quali rappresentanti di cause ed effetti di un analogo processo chimico che sarebbe avvenuto in varii punti della val Cherasca e che tutt'oggi continua; e dedurre che se dove si mineralizza ora l’acqua di Veglia si forma del gesso , dove ora vi sono i banchi di gesso e prima che fossero scoperti dall'erosione del torrente, dovevano esistere altre acque con la stessa mineralizzazione di quella di Veglia. Ed in conclusione si possa ritenere che il gesso micaceo e anfibolico che si trova a San Bernardo nella valle Cherasca sia un prodotto dell’altera- zione dei calcari micacei e anfibolici e di micaschisti anfibolici con calcare ricchi in solfuri di ferro. È un'ipotesi la quale ha senza dubbio una spiegazione chi- mica più facile che quella della trasformazione del gneiss in gesso, la quale altra ipotesi può stare solamente nello stesso modo che sta quella del cambiamento del calcare in gneiss, che i sostenitori della metasomatosi delle roccie ammettono per possibile estendendo su larga scala alcune pseudomorfosi singola- rissime che si osservano nei minerali. Infine ammettendo l’ipotesi da me indicata, ne deriva la conseguenza che si possa trovare gesso non solamente alla su- perficie ma anche a profondità ossia fin dove possono giungere, per causa qualunque, gli agenti che servono all’ ossidazione dei solfuri in contatto con carbonato di calcio ; e che si possa tro- vare alterato il gneiss che sia stato attraversato dalle acque mineralizzate dal processo chimico inerente alla formazione del gesso. Tuttavia per tale alterazione di roccia non vi sarebbe, se- condo me, timore alcuno d’incontrare, nell'eseguimento del pro- gettato traforo del Sempione, difficoltà tecniche che non siano per essere facilmente superate, ammesso anche ciò che io non credo, che la formazione gessosa di val Cherasca arrivi in pro- fondità al livello della galleria. 38 G. VICENTINI, E D. OMODEI Sulla densità di alcuni metalli allo stato liquido e sulla loro dilatazione termica, Nota di G. VICENTINI e di D. OMODEI In due note già presentate all'Accademia (1), abbiamo comu- nicato i risultati di nostre ricerche destinate alla misura della variazione di volume subita dai metalli Cd, Pd, Bi, Sn, quando cambiano di stato, nonchè alla misura del coefficiente di dilata- zione degli stessi metalli fusi, Abbiamo allora mostrato il grado buono di approssimazione che si poteva ottenere in quelle misure, ricorrendo all’uso di dilatometri di vetro dei quali si era misurato il coefficiente di dilatazione anche per temperature elevate. L'unico appunto che si può muovere all’attendibilità dei dati comunicati in quello studio, si è che la misura delle temperature fu fatta con termometro a mercurio, del quale non si fece il completo confronto con uno ad aria. Colla deficienza dei mezzi del laboratorio di Fisica della R. Università di Cagliari, ci trovavamo nella impossibilità di fare lo studio desiderato del nostro termometro a mercurio a pres- sione interna di azoto (preparato dal Miiller in Bonn) e temevano di non poterlo fare nel corrente anno. Negli ultimi mesi ci è stato possibile procurarci i mezzi necessari; ed ora diamo i risul- tati delle esperienze sui metalli, già comunicati colle note ante- cedenti, corretti per quello che fu necessario, per le piccole diffe- renze riscontrate fra le indicazioni del termometro a mercurio usato, e quelle del termometro ad aria. (4) Atti dell’Acc. Adunanze 414 novembre 1886, 8 maggio 1887. DENSITÀ DI ALCUNI METALLI ALLO STATO LIQUIDO 39 Il termometro ad aria da noi impiegato è quello del Jolly ; e lo abbiamo adoperato con un catetometro (uscito dall’officina del Miller di Innsbruck) che dà il cinquantesimo di millimetro. Per il confronto dei due termometri alle diverse temperature abbiamo usata, per l'apparecchio riscaldante, la stessa disposizione che servi nello studio dei metalli. È inutile descrivere nei minuti particolari il modo col quale abbiamo condotto le lunghe, numerose esperienze ed i tentativi ed i ripieghi ai quali abbiamo dovuto ricorrere dapprincipio per porci in buone condizioni; tutti conoscono le difficoltà che sì incontrano nell’uso del termometro ad aria, specialmente a tem- perature molto elevate. Diremo solo, che dovendo raggiungere la temperatura di 350”, allo scopo di evitare l’impiego di forti pressioni per mantenere invariato il volume dell’aria del termo- metro, abbiamo avuto l’avvertenza di riempire il bulbo di esso con aria un po’ rarefatta. Il termometro a mercurio da controllare, essendo diviso sem- plicemente in gradi, non permette nelle letture se non l’apprez- zamento dei decimi; e perciò nella misura delle temperature elevate quali si dovettero raggiungere nello studio dei metalli, causa la correzione per la colonna sporgente del termometro e la piccola incertezza che rimane sempre in quella da portarsi per lo spostamento dello zero, abbiamo ritenute incerte le indicazioni del decimo di grado. Nelle attuali determinazioni come risulta in seguito, le indicazioni del termometro a mercurio e quelle del termometro ad aria nelle varie serie di esperienze si possono rite- nere esatte entro il decimo di grado. Prima del confronto, determinammo il coefficiente di dilata- zione dell’aria rinchiusa nel bulbo del termometro, e come media di tre determinazioni che diedero valori molto concordanti, tro- vammo a=0,00836673 numero che impiegammo in seguito nel calcolo delle temperature. Nella seguente tabella diamo i risultati di due serie di misure di confronto dei due termometri. Sotto # sono segnate le tem- perature del termometro ad aria; e sotto #' le indicazioni del ter- mometro a mercurio : nella colonna d sono registrate le differenze fra t'et. 40 G. VICENTINI E D. OMODEI SERIE l° SERIE 2° 2» — i TS cn > TO ————_:iii e Iii a t î d t bi d | 185%7 | 184,5 | —1°,2.|| 18399 |. 182°,7 | — 1°2 238.3 |] 29708. — 068.) 238.2. .037 7 Se PATER 215 ;1 — 0,2 514.6 | BIL. — OI dl 816 Nelle due serie di esperienze si cercò di fare le osservazioni a temperature vicine il più possibile; si può quindi fare la media dei risultati ottenuti per le temperature corrispondenti, e si ha così che alle seguenti temperature # del termometro ad aria le indicazioni di quello a mercurio mostrano le differenze d notate di fronte. t d 184°, 8 : — 1°,2 238,2 —- 0,5 275,8 —0,2 319,6 —- 0,1 348,5 +0, 15 Con questi valori si costruì una curva che servi a dare le correzioni per le temperature intermedie a quelle alle quali si fece il controllo. Come appare dalla tabella, le differenze del termometro a mercurio non sono molto grandi, specialmente alle temperature elevate e fino al disopra di 300° sono negative. Tali differenze vanno diminuendo coll’innalzarsi della temperatura; tantochè a 348° cambiano di segno. I dati che si riferiscono ai metalli e che dobbiamo ora cor- reggere, per rispetto alle indicazioni del termometro ad aria, restano per il fatto delle piccole differenze invariati, ad eccezione di pochi. Nei calcoli relativi alle esperienze ad elevate tempera- ture, alle quali come si è notato, il decimo di grado era incerto, si è talvolta abbandonato, tal’altra aggiunto qualche decimo di grado nelle temperature per esprimerle in gradi interi; così le DENSITÀ DI ALCUNI METALLI ALLO STATO LIQUIDO 4] correzioni delle temperature colle differenze ora riportate non influiscono che pochissimo sui risultati finali già comunicati. Nella tabella che riproduciamo qui presso e che contiene i dati che si riferiscono ai metalli, studiati col termometro ad aria, si hanno poche differenze rispetto a quella già data e cioè: le temperature di fusione del Be dello Sw dall'essere rispettiva- mente di 270°,9 e 226° diventano di 271° e 226°,5; e il coefficiente di dilatazione dello stagno da 0,000113 passa a 0,000114. I simboli adoperati hanno i seguenti significati : D, è la densità dei metalli solidi a 0°, 7 la loro temperatura di fusione; D.D. sono le densità di essi, rispettivamente allo stato solido e allo stato liquido, alla loro temperatura di fusione, A rappresenta la variazione percentuale che subisce la loro den- sità nel passaggio dallo stato liquido al solido, e x rappresenta il medio coefficiente di dilatazione dei singoli me- talli liquidi, fra le temperature di fusione 7 e di #°, segnate vicino ad esse. Metallo] D T D. Dr: A % (e) Pb |11,359 [325 |11,005 |10,645| 3,39] 0,000129| 7 — 357° Cd 8,6681|318 8,3665| 7,989] 4,72| 0,000170|7-- 851 Bi 9,787 [271 9,673 |10,004|— 3,31|0,000120{7— 300 Sn 7,3006|/226,5| 7,1835| 6,988| 2,80 0,000114|7— 342 Conclusioni. È qui utile raccogliere in un solo prospetto i dati che si hanno sulla densità e sulla dilatazione di altri metalli ed altri elementi allo stato liquido, per poter fare qualche considerazione generale su essi. Il Potassio ed il Sodio sono stati studiati da E. B. Hagen (Wied. Ann. XIX, 1883), lo Zolfo ed il Fosforo da G. Pisati e G. De-Franchis (Gazz.* Chimica Italiana 1874). Per densità del Mercurio allo stato solido assumiamo quella. data dal Mallet (1877) e per il suo coefficiente di dilatazione il suo coef- ficiente vero a 0°. (Secondo le recenti esperienze di Ayrton e 42 G. VICENTINI E D. OMODKI Perry [Beiblitter XI, 518, 1887] il mercurio si dilata unifor- memente fra la sua temperatura di fusione e 0°). D, T D, Di A Pb|11,359 325° 11,005 |10,645 3,39[0,000129| 7 — 357. | Ca 8,6681 |318 8,3665 | 7,989 4,72|0,000170| 7 -351 Baj 9.087 [274 9,673 |10,004 |— 3,31[0,000120|7— 300 Sn | 7,3006 |226,5 | 7,1835 | 6,988 2,80/0,000114|7— 342 S | 2,0748 [113 — 1,8114 — |0,000482/126-152 Na | 0,9724 | 97,6 | 0,9519 |0,9287 2,5 |0,000278] K | 0,8624 | 62,1 | 0,8514 | 0,8298 2,6 |0,000299 | Ph\ 1,83676| 44,4 | 1,80654| 1,74529| 3,5 |0,000520| 50-60 Hg|13,5960 |-38 ,85/14,193 |13,6902 3,67/0.000179]| 7-0 1) I valori della tabella mostrano ad evidenza che i'sette metalli studiati, ad eccezione del Bismuto, diminuiscono di den- sità nel passaggio dallo stato solido allo stato liquido; rimane quindi tolto qualunque dubbio si potesse finora ammettere su questo fatto. 2) Dalle esperienze dell’ Hagen sul Potassio e sul Sodio e dalle nostre sullo Stagno, per i quali metalli si è potuto studiare il coefficente di dilatazione per un intervallo di temperatura abba- stanza grande, al disopra del loro punto di fusione, risulta ch’essi possiedono un coefficiente di dilatazione costante. La stessa cosa si ha per il Mercurio fra la sua temperatura di fusione e 0°, come è stato anzi notato. 3) La grandezza dei coefficienti di dilatazione dei vari elementi allo stato liquido, non mostra nessuna relazione colle rispettive temperature di fusione. Il Carnelley (Beiblitter III, 1879) raccogliendo in un pro- spetto il coefficiente di dilatazione degli elementi allo stato solido, ha rilevato che quanto più bassa è la temperatura di fusione di essi tanto più grande è il loro coefficiente di dilatazione. Mo- strano però eccezione a tale regola l’Arsenico, l’Antimonio, il Bismuto e lo Stagno. Il Carnelley non ha portato nel suo pro- spetto i coefficienti di dilatazione del Sodio e del Potassio. DENSITÀ DI ALCUNI METALLI ALLO STATO LIQUIDO 43 Poniamo qui di fronte i coefficienti di dilatazione 4 e 2' dei diversi elementi che ci occupano, allo stato solido ed allo stato liquido, disposti secondo l’ordine decrescente delle loro tempe- rature di fusione; vicine ad essi mettiamo il valore del rap- t x Oro . P 274 0,000129 0,0000884 1,5 0,0000948 | 0,000170 | 1,8 0,0000395 | 0,000120 | 3,0 0,0000689 | 0,000114 | 1,7 0,0003540 | 0,900482 | 1,4 0,0002160 | 0,000278 | 1,3 0,0002500 | 0,000299 | 1,2 0,0003760 | 0,000520 | 1,4 -» - 0,000179 Esaminando i valori dei coefficienti di dilatazione degli ele- menti solidi, si scorge che oltre al Bismuto ed allo Stagno, fanno eccezione alla regola osservata dal Carnelley il Sodio ed il Po- tassio. Per gli elementi allo stato liquido la legge è seguita ancor «meno, perchè oltre il Bismuto, lo Stagno ed i due metalli al- calini, si scostano da essa il Piombo ed il Mercurio. 4) Il coefficiente di dilatazione dei varii elementi allo stato liquido, è molto più grande di quello che spetta ad essi allo stato solido. : Fatta eccezione per il Bismuto, il rapporto fra il coefficiente di dilatazione d’un elemento liquido ed il coefficiente dell’ ele- mento stesso allo stato solido, ha un valore poco diverso da 1, 5. Dal Laboratorio di Fisica della R. Università di Cagliari. Luglio 1887. 44 TOMMASO SALVADORI La AEGIALITIS ASIATICA (PALt.) trovata per la prima volta in Italia. Nota di TOMMASO SALVADORI Un'altra specie di uccello è venuta recentemente ad aggiun- gersi alla Avifauna Italiana. Il sig. Enrico Marchisio di Torino, diligente raccoglitore di uccelli, e già noto per altri interessanti esemplari da lui rinvenuti, trovava il giorno 15 novembre del- l’anno corrente, presso un venditore di uccelli morti in Torino, un individuo in carne della famiglia dei Pivieri, appartenente a specie a lui affatto sconosciuta; egli dubitò che quell’esemplare potesse appartenere all’Aegialitis Geoffroyi (Wagl.), specie re- centemente annoverata fra le Italiane dal Giglioli nella sua Av2- fauna Italica, p. 371, ma che, come ho già fatto notare in altro mio lavoro (Elenco degli uccelli italiani, p. 211), non ha ancora titoli sufficienti alla cittadinanza italiana. Quando poi il sig. Marchisio mi mostrò il detto esemplare, che colla disse- zione apparve essere una femmina, riconobbi immediatamente che era un giovane dell’Aegialitis asiatica (Pall.), specie mai tro- vata prima d’ora in Italia, e della quale si conoscevano tre sole catture in Europa, fuori della regione dalla medesima ordinaria- mente abitata. Colgo quindi l'occasione della cattura di questo primo esemplare italiano per illustrare questa specie, intorno alla quale hanno scritto principalmente lo Harting (1) ed il Dresser (2). Aegialitis asiatica (PALL.) Corriere del Caspio. Charadrius asiaticus, Pall., Reise Russ. Reichs, II, p. 715.(1773). — Lath., Syn. III, p. 207 (1785). — Gm., S. N. II, p. 684 (1788). — Lath., Ind. Orn. II, pag. 746 (1790). — (1) On rare or little-known LimicoLae (Ibis, 1870, pagg. 202-209, pl. V). (2) A History of the Birds of Europe, VII, pagg. 479 481, pl. 522 e 520, £. 1. LA AEGIALITIS ASIATICA (PALL.) 45 Schleg., Rev. Crit. des Ois. d'Eur. p. LXXXII (1844). — Blas. et Bald., in Naum. Vòg. Deutschl. XIII. pt. 2, p. 225, Taf. 386, f. 1, 2 (1860). — Bree, B. of Eur. IV, p. 18 (1862). — Schleg., Mus. P. B. Cursores, p. 38 (1865). — Tristr., Ibis, 1868, p. 328 (Palestina). — Finsch et Hartl., Vog. Ost-Afr. p. 649 (1870). — Dress., P. Z. S. 1875, pi97,; Charadrius caspius, Pall., Zoogr. Rosso-As. II, p. 136, pl. 58 (1811). Charadrius jugularis, Wagl., Syst. Av., gen. Charadrius, sp. 39 (1827). — Nordm., in Demidoff, Voy. Russ. Mérid. III, p. 233 (1840) (Odessa). Eudromias asiaticus, Keys. et Blas., Wirbelth. Eur. pp. LXX, 208 (1840). — Bp., Cat. Met. Ucc. Eur. p. 57 (1842). — G. R. Gr., List B. Brit. Mus. Grallae, p. 68 (1844). — Bp., Rev. Crit. p. 181 (1850). — Blas., Naumannia, 1858, p. 315 (Heligoland). — Heugl., Syst. Uebers. Vòg. N.-0. Afr. p. 57 (1856). — Blas., Ibis, 1862, p. 71. — Harting, Ibis, 1870, p. 202, pl. V. — Cordeaux, Ibis, 1875, p. 185 (Heligoland). — Seebh., Ibis, 1877, p. 165. — Radde, Orn. Caucas. p. 415 (1884). Charadrius damarensis, Strickl., Contr. Orn. 1851, p. 148. — Finsch, Ibis, 1872, p. 146. — Heugl., Vog. N. O. Afr. MEptots. ‘tab. XXXIV, f_ "1, 2 (1870), Eudromias asiatica, C. L. Brehm, Vogelf. p. 281 (1855). Aegialitis gigas, C. L. Brehm, Vogelf. p. 283 (1855). Charadrius gigas, L. Brehm, Naumannia, 1855, p. 289. Morinellus caspius, Bp., Compt. Rend. XLIII, p. 417 (1856). Aegialites ruficollis, Heugl., Syst. Uebers. Vòg. N. 0. Afr. p. 57, n. 586 (1856). Eudromas asiaticus, Blas., List B. of Eur. p. 17 (1862). Morinellus asiaticus, Degl. et Gerbe, Orn. Eur. II, p.132 (1867). Aegialitis asiatica, Dress., B. of Eur. VII, p. 479, pl. 522, 520, f. 1 (1878). — Hume, Str. Feath. VIII, p. 112 (1879). -- Tristr., Faun. and Flora of Palest. p. 129 - (Siria) (1884). 46 TOMMASO SALVADORI Mas. in ptil. aest. Supra griseo-fuscus, seu terricolor ; fronte, superciliis latissimis, genis et gula albis, hac inferius linea subtili fusca limbata; plumis auricularibus griseis; gui- ture et pectore summo rufo-castaneis, hoc inferius fascia nigra marginato; pectore imo, abdomine et subcaudalibus albis; alis dorso corcoloribus, sed remigibus primariis fusco-nigris, scapo remigis primae albo; subalaribus griseis, azxillaribus albis; cauda griseo-fusca, rectricum apicibus albis, rectricis extimae pogonio externo albo marginato, rectricibus omnibus fascia obsoleta subapicali fusca motatis; rostro subtili migricante ; pedibus flavido-ochraceis ; iride brunnea. Foem. Mari similis, sed gutture et pectore summo griseo- fuscis, minime rufescentibus; gula alba, inferius sine limbo fusco, et pectore haud fascia nigra ornato. Juv. Supra grisco-fusca, plumarum marginibus rufo- ochraceis; fronte, superciliis, genis, gula, pectore imo, abdo- mine et subcaudalibus albis; auricularibus griseis; gutture et pectore summo griseo-fuscis, plumis in medio obscurioribus ; remigibus et rectricibus uti in ave adulta pictis. Long. tot. circa 0,200; al. 0", 143; caud. 0", 055; rostri culm. 0",020; tarsi 0", 040. Io ho descritto un maschio in abito perfetto ed una. fem- mina adulta del fiume Lenkoran sul Mar Caspio, avuti dal Radde; la descrizione del giovane è tratta dalla figura del giovane data da Blasius e Baldamus (7. c.), e dal giovane sopra menzionato, il quale ha talune piume delle parti superiori di color rossigno- ocraceo, residuo del primo abito giovanile. Questa specie fu scoperta dal Pallas lungo le spiaggie del Mar Caspio e dei laghi salati dei deserti meridionali della Tar- taria. Essa abita l’Asia occidentale e la parte vicina dell’ Eu- ropa; nidifica, secondo il Severtzoff, nel Turkestan; durante l'inverno trovasi nella Siria (7ristram) ed in gran parte del— l’Affrica, Egitto e Mar Rosso (Heuglin), Abissinia (Blanford), Capo di Buona Speranza (Layard), Damara (Andersson), Fiume Orange (Verreaux), Angola (Barboza), Transwaal (Ayres), ecc. In Asia è stata trovata negli Altai (Mus. Britannico, fide Saun- ders), ma non pare che si estenda nell’Asia orientale e nella Siberia, e sebbene lo Harting asserisca che giunge talora nella Cina set- LA AEGIALITIS ASIATICA (PALL.) 47 tentrionale, tuttavia pare, come fa notare il Dresser, che quella asserzione non sia esatta, ed invero nè lo Swinhoe, nè il padre David, nè altri l’annoverano fra gli uccelli della Cina, ove si trova una specie affine, l’Ae. vereda, Gould, distinta per le di- mensioni un poco maggiori e per le ascellari grigie. Neppure sembra che l’Ae. asiatica si trovi nell’India, e perciò lo Hume l’annovera nella sua lista degli uccelli di quella regione, sol- tanto come specie dubbia. In Europa invece l’ Ae. asiatica è stata osservata più volte ; essa si trova a quel che pare non raramente nella Russia me- ridionale e specialmente lungo le spiaggie del Mar Caspio; lo Harting afferma che esemplari di quella località si conservano nel Museo di S. Pietroburgo. Inoltre tre individui almeno, presi lungi dall’area propria di questa specie, sono stati osservati in Europa e ricordati prima di ora. Il prof. Nordmann nell’opera Voyage dans la ERussie meridionale del Demidoff, vol. III, p. 233, afferma che un esemplare fu preso nelle vicinanze di Odessa nell’aprile del 1836; altri due esemplari sono stati presi nell’ isola di Heligoland, famosa per le sue numerose rarità or- nitologiche, uno di essi, un giovane, il 16 novembre 1850, e l’altro, un adulto in abito estivo, il 19 maggio 1859, ed ambedue si conservano nella collezione del Gaetke. A questi tre esemplari ora si è aggiunto un quarto ed è la femmina giovane trovata , come si è detto, presso un venditore di uccelli in Torino, il 15 novembre di questo anno ; essa fu venduta al sig. Marchisio come catturata sulle sponde del fiume Metauro presso Sinigaglia, ove deve essere stata uccisa pochi giorni prima, fra il 10 ed il 14. Questa specie, come si è detto, nidifica nel Turkestan; il Dresser descrive un uovo raccolto nelle steppe dei Kirghisi; esso è di color fulvo con leggera tinta verdognola e con piccole macchie quasi nere; la sua forma è ovale, ma con una estremità meno rotonda; diametro maggiore poll. ingl. 1,25 (=0", 032); dia- metro minore 1,07 (=0",027). Il Radde scrive di aver trovato questa specie in grande quantità nel mese di aprile dell’anno 1880, presso il fiume Lenkoran sul Caspio; ivi essa era di passaggio in numero straordinario, es- sendo la stagione pessima; si vedeva in comitive di 15 a 20 individui, che frequentavano le spiaggie e le dune; nel loro modo di vivere somigliavano più alle specie del genere Acegialitis, che non ai Pivieri (Charadrius). 48 TOMMASO SALVADORI - LA AEGIALITIS ASIATICA (PALL.) Lo Harting aveva creduto che questa specie dovesse essere annoverata nel genere Eudromias, ma il Dresser, fin da quando ne mostrò l’uovo alla Società Zoologica di Londra (P. Z. $. 1875, p. 98), espresse il dubbio che questo uccello non fosse congenere del Piviere tortolino. Poi lo stesso Dresser (B. 0f Eur. I. c.) ci fa sapere che, avendo fatto esaminare lo sterno del Cor- riere del Caspio dal prof. Newton, questi ha riconosciuto che esso differisce notevolmente dallo sterno dell’Eudromias mori- nellus, e che invece si avvicina molto a quello dell’Aegialitis hiaticula e però conclude che il Charadrius asiaticus Pall. deve essere annoverato nel genere Aegialitis. Delle varie figure pubblicate di questa specie, buona è quella del Pallas, buonissime quelle del Blasius e Baldamus nell’opera del Naumann e quelle del Dresser, meno esatta quella pubbli- cata dallo Harting, essendo in essa il colorito troppo scuro ed il colore delle zampe grigio-plumbeo invece di giallo-ocraceo ! Torino, Museo Zoologico, 20 novembre 1887. Il Direttore della Classe ALFonso Cossa. SOMMARIO — Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. ADUNANZA del 20 Novembre 1887... ......... Pag. Basso — Commemorazione di Gustavo Roberto Kirchhoff... . + ZanoTTI-Branco — Alcuni teoremi sui coefficienti di Legendre - Nota SECONdAs ah n SCARSE SIAT e TR Spezia — Sulla origine del gesso micaceo e anfibolico di Val Che- érasca-mell’Ossola:. i MEN ro une ENO da ViceNTINI e OmopreI — Sulla densità di alcuni metalli allo stato li- quido e sulla loro dilatazione termica . . +... 0.4... SaLvapoRI — La Aegialitis asiatica (PaLL.) trovata per la prima volta toa nta 0° 6 SCA E Ri 25 38 ATEI R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XXIII, Disp. 2", 1887-88 TT __ Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali TORINO ERMANNO LOESCHER Libraio della R. Accademia delle Scienze CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 4 Dicembre 1887. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ANGELO GENOCCHI PRESIDENTE Sono presenti i Soci: Cossa, LEssona, SALvapbORI, Basso, D’'Ovipio, Bizzozero, FERRARIS, NaccarI, Mosso. Si legge l'atto verbale dell'adunanza precedente che viene ap- provato. Fra le pubblicazioni pervenute in dono all’Accademia viene segnalato il Bollettino dei Musci di Zoologia e di Anatomia comparata dell’Università di Torino (dal fasc. n. 27 al 81), contenente lavori biologici dei Dottori L. CAMERANO, A. BORELLI, D. Rosa, e G. GIBELLI. Le comunicazioni e le letture si succedono nell’ ordine se- guente : 1° « Sui calori specifici di alcuni metalli dalla tempe- ratura ordinaria fino a 320°; del Socio NACCARI; 2° « Sul calcolo degli Azimut mediante le coordinate rettilinee; Nota del Prof. Nicodemo JADANZA, presentata dal Socio NACCARI; 3° « Contributo allo studio della circolazione del sangue; lavoro del Prof. E. OrxHL, della R. Università di Pavia, presen- tato dal Socio Mosso ; 4° « Sulle differenze di fase delle correnti elettriche, sul ritardo dell'induzione e sulla dissipazione di energia nei trasformatori; lavoro del Socio FERRARIS, approvato dalla Classe per la pubblicazione nei volumi delle Memorie: Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII, 4 SC FCONOMATAO 50 E. OEHL »0 5 « Sulle varietà cubiche dello spazio a quaitro di- mensioni, e su certi sistemi di rette e certe superficie dello spazio ordinario; Studio del Dott. C. SeGrE, presentato dal Socio D’Ovipio. Questo lavoro, dovendo essere pubblicato nei yo- lumi delle Memorie, viene affidato ad una Commissione perchè lo esamini e ne riferisca in una prossima adunanza. Da ultimo il Socio Basso presenta per la consueta pubbli- cazione nel Bollettino annesso agli Atti le Osservazioni meteo- rologiche dei mesi di Gennaio, Febbraio, Marzo ed Aprile del 1887, eseguite nell’ Osservatorio di Torino per cura dell’Assi- stente Prof. A. CHARRIER: a queste osservazioni vanno uniti i rias- sunti e le medie mensili coi relativi diagrammi. Contribuzione allo studio della circolazione del sangue, del Prof, E. OrHL dell’Università di Pavia In un lavoro, che mi occupa da vario tempo e che spero di pubblicare in seguito, mi sono accorto dell’utilità di osservare in piccoli animali e specialmente nella rana, la circolazione del sangue, con obbiettivi smontati e portanti un debole ingrandi- mento di 5 a 10 d. Si può con esso vedere non solo la corrente sanguigna e la sua direzione nei vasi, ma si possono anche individualizzare i globuli sanguigni, che col massimo degli indicati ingrandimenti, vengono ad acquistare nella rana un massimo diametro di circa due decimi di millimetro, formante un ancor ben percettibile an- golo visivo. Questo metodo ha il vantaggio di poter essere applicato an- che alla osservazione di organi opachi, i quali cadendo coi ri- spettivi vasi sanguigni in varia estensione della loro superficie nel campo visivo, lasciano l'opportunità di osservare le eventuali modificazioni che in essi avvenissero e di determinare gli even- tuali rapporti di causalità, in cui esse si tenessero con modifi- cazioni contemporanee della corrente sanguigna. Il che fino ad STUDIO SULLA CIRCOLAZIONE DEL SANGUE 51 ora vidi verificarsi specialmente per organi contrattili, ma po- trebbe anche aver luogo in genere per altri organi, i quali, come ad esempio, i nervi o le ghiandole, presentassero una modifica- zione della circolazione, per il fatto del loro passaggio dallo stato di riposo a quello di più o meno direttamente rilevabile attività e viceversa. Ha inoltre questo metodo il vantaggio, che potendosi tenere nell’una mano l’obbiettivo e nell’altra il piccolo animale preparato all'osservazione, sì all'uno che all’altro si possono rapidamente impartire tutti quanti gli atteggiamenti più proprii a meglio con- dizionare le diverse visioni ed a riassumere quindi dalle medesime un sommario concetto intuitivo. . Una prima applicazione di questo metodo di osservazione io la feci ai vasi duodenali della rana, previamente paralizzata colla distruzione del midollo spinale, mediante avanzamento di un ago dalla cavità cranica nello speco vertebrale, senza, quasi, emor- ragia esterna. In una rana così predisposta, si pratica, a destra dell'animale, una breve incisione longitudinale delle pareti addo- minali all’altezza del ventricolo, coll’avvertenza di tenersi ad eguale distanza dalla linea mediana e dal prolungamento della linea ascellare, per non produrre soverchia lesione dei grossi vasi cu- tanei, che quivi longitudinalmente decorrono. Dalla così praticata incisione appare e fuor esce anche, in rane turgide e vivaci, la porzione duodenale del ventricolo, di cui si vede la convessità della curva pilorica di passaggio al duodeno, con insorgenza di contrazioni prevalentemente peristaltiche, destate dal contatto dell’aria. Osservando in allora il viscere a debole ingrandimento, se ne vedono i vasi sanguigni scomparire nei paraggi della zona im cui passa la contrazione, per poi riapparire nel rilasciamento. Nè devesi credere che ciò dipenda, come si potrebbe sospettare, da opacamento contrattile del tessuto, perchè si vede distinta- mente e costantemente che i vasellini scompaiono dai rami verso 1 tronchi e ricompaiono invece, nel rilasciamento, dai tronchi verso i rami. Se la scomparsa dei vasi non fosse che apparente per opacamento di tessuto, tronchi e rami dovrebbero invece contemporaneamente scomparire ed apparire nella zona contratta e rilasciata, mentre invece l’indicata costante direzione di eva— nescenza ed apparizione dei vasi, accenna ad una scomparsa e ad un ritorno del sangue nei medesimi, resi impervii dalla contra- zione e ritornati pervii dal rilasciamento. Questi effetti potreb- 52 E. OEHL bero essere indotti tanto da una pressione esercitata sui rami vascolari dal muscolo contratto, quanto anche da uno stiramento e da un conseguente assottigliamento , fino alla impervietà, che questi rami subissero nel seguire il nuovo atteggiamento assunto dalla sostanza contratta. Nell’ uno e nell'altro caso i vasellini terminali, diventando impervii, devono scomparire in quella di- rezione — verso i tronchi — nella quale, per la più complessa struttura e conseguente maggiore resistenza delle pareti dei vasi, e per la minore loro insinuazione fra gli elementi contrattili , sono meno disposti, od anche intieramente si sottraggono alla pressione muscolare, od agli effetti del nuovo atteggiamento as- sunto dal muscolo in contrazione. Nel caso concreto però, meglio che ad una pressione con- trattile del muscolo, puossi determinare, che il ritrarsi del sangue verso i tronchi, è dovuto ad impervietà dei rami, per stiramento ed assottigliamento dei medesimi, indotto dall’allungamento del- l’osservato tratto d’ intestino per contrazione de’ suoi muscoli circolari. E infatti: nella rana preparata, osservando nell’ anzidetto modo la coronaria e i grossi suoi tronchi nella concavità del ventricolo, se questi vasi non sono iperemicamente turgidi, vi si vede la corrente sanguigna, manifestata dai globuli rossi, che a guisa di finissimi granellini si travolgono nel vaso, od isolati, od anche, spesso, agglomerati in più o meno voluminose masse rossastre. E si rileva, che quando un vaso longitudinale deve tener dietro all’allungamento contrattile del ventricolo, il vaso si assottiglia e la corrente si accelera nel medesimo; ma poi con- tinuando, coll’allungarsi del ventricolo, il suo assottigliamento, scompare affatto, e si vedono ingorgarsi i tronchi, dai quali ema- nano e questo e gli altri rami secondarii, fatti temporariamente impervii dal soverchio allungamento. Quando invece rilasciandosi le fibre circolari della corrispondente zona del ventricolo, questa si accorcia, in allora si vedono sgorgarsi i tronchi e riapparire nei rami secondarii la corrente, che sotto le varie modalità di contrazione o di rilasciamento, si accelera, si rallenta od anche regredisce. Quello che in questo caso concreto ho osservato per le ar- terie, ho pur veduto verificarsi per le vene. Sulla convessità della curva formata dalla porzione pilorica del ventricolo, nella rana . così preparata, è abbastanza costante una vena, che da questa STUDIO SULLA CIRCOLAZIONE DEL SANGUE 53 porzione pilorica si riassume nel solco che essa forma alla sua congiunzione col duodeno. La dispersione di questa vena è visi- bile in una estensione relativamente vasta della porzione pilo- rica e si vede la corrente del sangue decorrere verso il tronco nell'indicato solco duodenale. Appena si ecciti leggermente con un ago la porzione pilorica, insorge una tale contrazione cir- colare, per cui essa si allunga verso il duodeno. La vena si allunga pure e si assottiglia, con iniziale acceleramento della corrente, fino a scomparire, per poi ripresentarsi invertita a riempiere tutto il sistema, fino all’iperemia, al sopraggiungere del rilasciamento. Da queste osservazioni, che io ho ripetuto moltissime volte e sempre con identici risultati, è desumibile, che il grado di replezione dei vasi sanguigni e la circolazione del sangue nei medesimi si modifica nei diversi atteggiamenti degli organi con- trattili. E per il caso speciale della contrazione gastro-intestinale, sapendosi come essa possa essere eccitata da oligoemia, in seguito, per esempio, a pressione sull’aorta, o da stasi per ingorgo ve- noso, diventa interessante la dimanda: se mai, sulla ordinata trasmissione, o sulla forma peristaltica di questa contrazione, non potessero avere influenza delle eventuali e parziali anemie ed iperemie, che la precedente zona contratta determinasse nella zona successiva, con conseguente eccitazione della relativa sezione di plesso nervoso mio-enterico. Nè questa dimanda potrebbe pas- sare a priori inavvertita, quando, in relazione colla teoria di Mayer e v. Bosch, sulla eccitazione carbonica del midollo al- lungato, quale causa del ritmo respiratorio, si attribuisca, come già si è attribuito, all’acido carbonico la eccitazione del plesso mio-enterico per ispiegare la insorgenza della contrazione peristal- tica. Pensando infatti, che tanto l’ anemia, quanto l’ iperemia possono indurre carbosi dei tessuti nel corrispondente territorio vascolare, per deficienza relativa di globuli rossi nel primo caso (dissociazione gazosa), per diminuito scambio gazoso da rallen- tamento del circolo nel secondo, facilmente si comprende, come dalle modificazioni che una zona contratta dell’intestino può in- durre nella capacità dei vasi di una zona successiva e nella ve- locità della loro corrente sanguigna, possano derivarsi per quest’ul- tima zona le condizioni opportune per una eccitazione carbonica del suo plesso mio-enterico. Certo che questa non può essere considerata come causa unica della forma peristaltica della con- 54 E. OEHL trazione, che vediamo avverarsi anche indipendentemente dalla circolazione nell'intestino isolato, ed anche in una sola ansa espor- tata del medesimo, ma prescindendo in questi casi dalla grande irregolarità della forma peristaltica, in ogni punto turbata dal- l’antiperistaltica e dalla spastica, è bene inducibile, che anche i nervi ed 1 muscoli dell’ intestino, possano risentire, come risen- tono, a guisa degli altri muscoli e nervi, l’azione di altri stimoli (aria, bile, corrente indotta). Se non che la sussistenza in questi casi, di una tuttochè turbata forma peristaltica, induce a rite- nerla connessa ad una particolarità di struttura, collimante colla peculiarità della eccitazione fisiologica ; precisamente come av- viene, che colla peculiarità della eccitazione fisiologica cerebrale collimi la struttura nei rapporti periferici di date fibre nervose_ con dati gruppi di muscoli volontarii. Applicai pure l’accennato metodo alla osservazione del bulbo aortico della rana, nella quale, scoprendo il cuore e levando il pericardio, si vede dal tronco carotico-linguale destro, in vici- nanza alla sua confluenza col sinistro nel contrattile bulbo, spice - care una piccolissima arteria, che discende a disperdersi sullo stesso bulbo, di cui viene quindi a rappresentare il vaso arte- rioso. L'origine di questo ramo dal tronco carotico è imbutiforme e segna nel punto di sua emergenza da questo tronco una mac: chietta rossigna. Va poi tosto restringendosi in un lungo vaso, che decorrendo pressochè rettilineo e discendendo nel solco di sepa- razione del tronco carotico dal bulbo, riascende quindi da questo solco per disperdersi al medesimo, da cui probabilmente si rias- sume nella così detta vena cardiaca, alla addominale (Hyrtl). La diastole del bulbo si annuncia cen una istantanea proie- zione delle sue pareti al principio della sistole ventricolare, sus- seguita dalla diastole quando è sul finire la diastole del bulbo; motivo per cui vi ha un breve istante, nel quale amendue gli organi sono in diastole , incipiente pel ventricolo , terminale pel balbo. Quest'ultimo, fattosi più globoso nella diastole, si avvi- cina maggiormente al tronco carotico, e tende quindi ad elidere il solco interposto fra esso ed il bulbo, mentre invece assotti- gliandosi ed allungandosi verso il basso nella sistole, si allontana dal itronco carotico e ne amplifica il solco suddetto. È pur de- gno di osservazione il fatto, che in fin di diastole il bulbo è anche risospinto in alto verso i tronchi carotici dalla incipiente diastole dell’allungatosi ventricolo, e che i tronchi carotici allun- STUDIO SULLA CIRCOLAZIONE DEL SANGUE 55 sati, col bulbo, dalla sistole del ventricolo, sono pur stirati in basso dal suo stesso accorciamento sistolico. Dal che risulta un maggior grado di elisione del solco bulbo- carotico nel volgere della diastole bulbare, pel motivo che il bulbo, oltre all’avvicinarsi ai tronchi carotici per il fatto stesso della sua diastole, è anche risospinto verso di essi dalla incipiente diastole del ventricolo, mentre d'altra parte non può essere am- pliato dall’abbassamento del bulbo per opera del ventricolo si- stolico, perchè compensato questo abbassamento dal contempo- raneo allungamento dei tronchi carotici. Dal concorso di queste cause risulta un aumento di differenza fra la maggiore e la minore ampiezza del solco, rispettivamente nella sistole e nella diastole del bulbo. E siccome abbiamo detto che questo solco è attraversato dall'arteria, che potremmo chia- mare bulbare, così ne risulta per essa un corrispondente allun- gamento ed accorciamento. A queste variazioni di lunghezza dell’ arteria corrispondono le modificazioni di: velocità della corrente sanguigna nella me- desima. A vero dire, fino a tanto che sul principio della osser- vazione il cuore pulsa con frequenza normale o maggiore, l’arteria essendo turgida di sangue, non vi si può scorgere la corrente. Ma quando, perdurando l’osservazione, le sistoli ventricolari co- minciano a rarefarsi e l'arteria comincia di conseguenza a re- lativamente vacuarsi, in allora vi si vede distintamente la corrente diretta dal tronco carotico al bulbo non solo, ma si veggono eziandio delle sensibili variazioni di velocità e perfino delle pe- riodiche inversioni di direzione. Si vede, cioè, che la corrente si accelera ed avanza nella sistole del bulbo, si rallenta ed anche retrocede nella diastole del medesimo. E siccome abbiamo veduto che durante la sistole del bulbo si amplifica il solco bulbo-ca- rotico e si allunga quindi l’arteria che lo attraversa, così questo acceleramento della corrente, anzichè all'aumento sistolico della pressione del ventricolo, in allora diastolico, dovrà essere attribuito, come per l’ intestino, e per legge idraulica, alla diminuita sezione dell’arteria per suo allungamento. Questo fatto dell’allungamento dell’arteria nella sistole del bulbo e dell’acceleramento della corrente nella medesima, quando si volesse applicarlo, come per il peristaltico intestinale, alla spiegazione della contrazione ritmica del cuore, dovrebbe essere interpretato in guisa, che il bulbo trovasse lo stimolo determi- 56 E. OEHL nante la contrazione in un’accumulo di CO, durante la sua diastole, per accorciamento dell’arteria e relativo rallentamento della corrente sanguigna nella medesima. E trasferendo questa interpretazione al cuore degli animali superiori, dobbiamo ricor- dare, come pungendo una diramazione della coronaria in animale vivente, il getto sanguigno aumenta sistolicamente per essa, come per tutte le arterie, a prova che nella diastole dei ventricoli dovrebbe aver luogo un relativo rallentamento. Resterebbe a pro- varsi, se a questo relativo rallentamento diastolico della corrente nella coronaria dei ventricoli corrisponda un’acceleramento, assai probabile, nei vasi degli atrii sistolici, e quindi sommariamente nel tempo, in cui i ventricoli sono in diastole. Non ho avuto fino ad ora l'opportunità di ripetere con maggior rigore questa esperienza, che deve essere fatta, con respirazione artificiale, in animali voluminosi, e che supposta indubbiamente affermativa, oltrechè depurata dalla influenza che sul riscontrato accelera- mento potrebbe esercitare la pressione muscolare, dovrebbe pur sempre coordinarsi al fatto della persistenza della contrazione ritmica nel cuore esportato dei batraci. Una terza applicazione dell’indicato metodo di osservazione, io la feci, con risultanze che mi sembrano interessanti, a quella vena della rana, che suolsi dire comunicante, per la comunica- zione che stabilisce fra la crurale o femorale e la vena ischiatica dello stesso animale. rispettivamente corrispondenti nel bacino alla iliaca esterna ed interna dei mammiferi. Più specificati det- tagli su queste risultanze mi riserbo di dare in apposita Memoria, che sto elaborando. Mi sia dato soltanto annunciare per ora : che nel modo già indicato ho potuto osservare la corrente. san- guigna nella femorale, dalla sua apparizione fra il vasto esterno e il retto anteriore, alla foce in essa della vena comunicante : che nell’ aperto bacino ho pur potuto osservarla nel prolunga- mento di questa vena in iliaca esterna, non che nel prolunga- mento iliaco-interno della ischiatica : che meglio e più frequen- temente che in queste due vene, è dessa osservabile nella, fra esse, anastomotica vena comunicante e in pressochè tutti i suoi affluenti. Se non che ho potuto con certezza stabilire, non essere, come infatti non deve essere costante in questa vena la direzione della ‘ corrente, la quale più spesso è diretta dalla femorale alla ischiatica, alcune volte però anche in senso opposto, dalla ischiatica alla STUDIO SULLA CIRCOLAZIONE DEL SANGUE 5% femorale. Queste variazioni dipendono dal diverso grado di re- plezione di un plesso, attraverso il quale, la ischiatica e la sua continuazione in iliaca interna, giungono colla esterna — continua- zione della femorale — alla iliaca — primitiva — di Miiller ; per modo che, vacuo che sia relativamente questo plesso, prestasi a guisa di serbatojo collaterale a ricevere dalla comunicante una parte del sangue della femorale, mentre invece riceve quest’ultima dalla stessa vena una parte del sangue della ischiatica quando ne sia turgido il plesso. Non potendosi poi derivare la replezione di quest’ultima da ostacolato suo sgorgo nella iliaca primitiva, la quale in tal caso, oltrecchè della ischiatica, dovrebbe pur de- terminare un ingorgo dell’altro suo affluente femorale, così bisogna ripeterlo da tali condizioni della corrente in ambo queste vene, per cui, a corrente ordinaria una parte del sangue della femorale si scarichi nell’ampio plessiforme serbatojo della vena ischio-iliaco- interna, mentre invece, a corrente accelerata di questa e della fe- morale, ne venga, per eccessiva affluenza alla iliaca primitiva, colla replezione del plesso, un rigurgito per la comunicante alla femorale. La maggiore frequenza ora, colla quale mi fu dato osservare la corrente della comunicante verso la ischiatica, può dipendere appunto dalla relativa deplezione del plesso ischiatico, tanto per ‘ immobilità dei fissati arti pelvici — come vedremo più innanzi — quanto e più principalmente per emorragia, la quale, benchè varia nel grado, non può però essere naturalmente evitata del tutto. Se però ci facciamo a considerare, che la causa, la quale più frequentemente e più direttamente può agire nel senso di provocare un’acceleramento della corrente nelle vene degli arti pelvici, è la contrazione muscolare, resta giustificato il dubbio, che in condizioni normali debbasi alla variante intensità di questa causa, la variante direzione della corrente sanguigna nella co- municante ; direzione che sarebbe verso la femorale, quando per azione muscolare s’ingorga il plesso della ischiatica; sarebbe invece verso la ischiatica — come generalmente avviene per le rane fissate — quando per mancata azione di muscoli, il depleto plesso della ischiatica presenta allo sgorgo della femorale una resistenza minore in confronto della sua foce nella iliaca. Se ora si pensi alla frequenza del salto e del nuoto, che sono i movimenti più comuni della rana; se si pensi che l’azione degli arti pelvici è contemporanea in questi movimenti, e che non è quindi possibile una laterale compensazione sanguigna, eventualmente ammissibile 58 E. OEHI, nelle azioni alterne, per esempio, dell’incesso ; se si pensi alla contemporaneità colla quale, da tutte le vene dei due arti pelvici affluisce un’accelerata corrente ai loro tronchi, facilmente si com- prende, come debbano bilateralmente ingorgarsi nel bacino i plessi della vena ischio-iliaco-interna, e come debba quindi la corrente rifluire da questa vena alla femorale per la via del più cospicuo ramo intermediario , rappresentato appunto dalla vena comu- nicante. Questa rifluenza però condurrebbe ancora allo stesso effetto d’ingorgare, cioè, la iliacap rimitiva quale affluente comune della ischiatica e della femorale, se non fosse, che prima di tale con- fluenza si spicca dal prolungamento iliaco-esterno di quest’ultima vena un considerevole ramo, che con quello del lato opposto forma la impari vena addominale. Or mentre questa vena, de- componendosi nel fegato colla porta, stabilisce da una parte la comunicazione tra il sistema di essa porta e quello della cava ascendente, tiensi pure d'altra parte in rapporto, per varii rami anastomotici attraverso la musculatura addominale, colla grande cutanea, che versandosi nella cava discendente , .dischiude una comunicazione tra essa e l'ascendente. Tutto quindi il sangue più velocemente refiuo dagli arti pelvici a quest'ultima vena tende ad equilibrarsi: 1° indirettamente nella medesima per la via dell’addominale e dell’epatica, evitando di tal guisa un ingorgo di quel suo tratto che corrisponde all’angioesi renale; 2° diretta» mente nella cava ascendente per la via dell’addominale e della grande cutanea, procurando di tal guisa una più equabile di- stribuzione del sangue nei due grandi sistemi delle cave. Ed alla determinazione di un tale e tanto equilibrio, se non, forse, esclusivamente, si applica però massimamente la vena comuni- cante, la quale doveva essere quindi una vena relativamente cospicua, e talmente protetta per ubicazione sottocutanea nel solco torso-coxale e per abbondante adiposità della propagine della fascia ileo-coccigea che la involge, da non essere ostacolata nella medesima la libera direzione della corrente alla ischiatica, o il suo invertimento alla femorale ogni volta che sieno ingorgati i plessi venosi del bacino. Questa disposizione non è punto estranea alla organizzazione del sistema venoso degli animali superiori e cell’uomo. Se non che, in relazione colla maggiore attività respiratoria e perspi- ratoria della cute della rana e colla maggiore semplicità del suo STUDIO SULLA CIRCOLAZIONE DEL SANGUE 59 sistema venoso, risultò dal corrispondente processo evolutivo una relativa maggiore facilità di comunicazioni ed una prevalenza di compensazione, che ameremmo dire superficiale, in confronto della più profonda degli animali superiori. Anche nell'uomo infatti abbiamo nella circonflessa un mezzo di compensazione fra le iliache secondarie, che la rana riproduce poc'oltre all’esterno nella comunicante fra la ischiatica e la fe- morale. Anche nell'uomo abbiamo un mezzo di compensazione nel sistema della cava inferiore, mediante le anastomosi riscontrate e ritenute normali da Burow, fra la epigastrica inferiore — dalla iliaca — e l’ombelicale (alla porta) o con maggiore verosimiglianza embriogenica, parzialmente — secondo Theile — a questa vena ed alla cava (1). Sarebbe questa una riproduzione, relativamente meno ampia e meno diretta dall’ anastomosi cruro - epatica della rana per la via della grande addominale. Ed anche nell'uomo abbiamo finalmente un mezzo di compensazione fra le due cave per la via dell’azigos, dell’emiazigos e della lombare ascendente, che pei plessi venosi sacro-lombari, comunica colla iliaca pri- mitiva. Questa via di compensazione, con maggiore semplicità e per conseguenza in modo più diretto e con maggiore superficia- lità di vasi, è segnata nella rana dalla vena addominale e dalle sue anastomosi colla grande cutanea. (4) È noto del resto, come al proposito delle comunicazioni fra la porta e la cava inferiore, già Retzius osservasse ed Hyrtl confermasse la costanza dell’anastomosi fra quest’ultima vena e la mesenterica. Lo stesso Hyril con- sidera poi l’anastomosi normale del Burow, come un rattempramento del- l’anomalia osservata da Menière e da Serres, di un’ampia vena anastomotica fra l'iliaca destra e il tronco della porta; interpretazione questa di Hyrtl, la quale è ampiamente giustificata dalla storia dello sviluppo del sistema ve- noso. E come vi hanno analogie morfologiche, così vi hanno anche analogie fisiologiche, poichè anche negli animali superiori e nell’uomo, se non l’or- dinario, il rapido incesso e meglio ancora la corsa, quali movimenti che non lasciano tempo alle compensazioni collaterali dell’ingorgo dei plessi sacro- lombari per accelerata corrente venosa dagli arti pelvici, non solo devono indurre una compensazione per la via dell’azigos, ma anche per quella della epatica, non potendosi altrimenti spiegare, nel generale ravvivamento del circolo, nè la costante iperemia epatica della selvaggina cacciata, nè, come effetto di questa, la iperemia splenica per ostacolato scarico della omonima vena. 60 E. OEHL — STUDIO SULLA CIRCOLAZIONE DEL SANGUE Un ultimo risultato, a mio avviso interessante, cui venni, ap- plicando l’ indicato metodo di osservazione, è quello di aver potuto determinare l’inizio e il decorso della corrente di linfa versata nella vena comunicante ad ogni sistole del cuore linfatico po- steriore. Ritornerò su questo argomento nell'altro più dettagliato lavoro che, come dissi, mi riserbo di comunicare. Mi basti per ora accennare, che osservando nel modo anzidetto, si può vedere la vena comunicante percorsa da una corrente, che si accelera colla sistole del cuore linfatico e che appare come una ondeg- giante striscia bianco-splendente al dissotto della corrente san- guigna. Comunque sia diretta quest’ ultima corrente verso la ischiatica o verso la femorale, io ho sempre veduto la corrente linfatica tenere quest’ultima direzione, lungo la quale ho potuto qualche volta per buon tratto inseguirla, discendente nella stessa femorale. Quando in seguito alla preparazione dell'animale, con incisione della sua cute, si presentano le condizioni opportune alla penetrazione dell’aria nel cuore linfatico dai circostanti seni linfatici, si può anche vedere la corrente linfatica interrotta da bollicine aeree, che pur si possono colpire nel loro passaggio dal cuore linfatico alla vena. Questa osservazione permette quanto fino ad ora, per ciò che mi consta, non si è fatto, di deter- minare, cioè, con esattezza, il punto in cui comincia ad apparire sul decorso della comunicante la corrente linfatica e il punto quindi in cui mette foce a questa vena il dottolino del cuore linfatico. Questo punto corrisponde generalmente al termine del segmento iliaco della prima curva della comunicante, contiguo alla spina iliaca, e prima che la comunicante stessa abbia de- scritta una seconda curva di passaggio su questa spina. 61 Sul calcolo degli azimut mediante le coordinate rettilinee, per NIcopEMO JADANZA Scopo della presente nota è quello di calcolare gli azimut della geodetica che unisce due punti di 4° ordine di cui si co- noscano le coordinate rettilinee rettangolari riferite ad un'origine qualunque, limitandoci al caso in cui i due punti appartengano ad un medesimo foglio della carta d’Italia, cioè sieno compresi entro un trapezio sferoidico limitato da due paralleli distanti per 20 primi di latitudine e da due meridiani che differiscono di 30 primi in longitudine. La risoluzione di tale quistione può essere di grande utilità per il topografo, quando questi debba collegare un lavoro di dettaglio a punti geodetici stabiliti in precedenza. 1. Nel caso che le latitudini © e @' dei due punti A e B sieno al massimo differenti di 10' e le longitudini al massimo di 15° p A (come succede per tutti i punti di un foglio della carta d’Italia al centomila riferiti al loro centro), le formole che servono al 62 NICODEMO JADANZA calcolo delle coordinate geografiche di B e gli azimut della geo- detica A B ai suoi estremi sono quelle di Legendre limitate ai termini del 2° ordine, ossia, come è noto, le seguenti: 9 ta hi S COS 2 (ssenz) 4 3 CAL SRI SL RA, a psenl 2p Nsenl IÎ ssen 2 AG= Soria Nsen1 cosq \ 1 , m=Afsenz(g+0) e=180+24m. Nelle quali formole è Ao=gy—9, A40=6—0, 2=azimut di Bin A, 2'=azimut di A in B, »m è la convergenza dei meridiani tra A e B, s la geodetica A B. Adoperando le formole precedenti non si avrà mai un errore superiore al centesimo di secondo, semprechè s è minore di 20 chilometri (*). 2. Le formole precedenti permettono di risolvere l’altro problema del calcolo della geodetica che unisce due punti di cui si cono- scono le coordinate geografiche, e gli azimut di essa ai suoi estremi. La seconda delle formole (1) dà ssenz== A @ Nsenl'.cosq'. Sostituendo questo valore nella prima sì ottiene S COS Z N Aoe= ——.,—- =—senl'tg0.(A6coso)? o psen 1 2p gd ( ' ) c} (*) Uno dei termini del 3° ordine che si trascura nella prima delle (4), e propriamente il più influente è a ì sen 2 9. cos? tot sen 29.008 3. 21—e#2pNsenl” P * Il quale, nel caso più sfavorevole di = 0°, g= 45°, si riduce a 0",01 per pr=19700 7 SUL CALCOLO DEGLI AZIMUT 63 donde x 1) EI Li (A4cosg)? scosgz= A%g4psen — sen o-—_—_—_—t___|g | f 20 gd Ao Passando ai logaritmi si ottiene, ponendo per brevità , - TN a tg gl(2): di 4) 7 AI. cos 0)? log.scose=log. A .psen1l pa ti Aq log.ssenz=log.A9coso' . Nsen 1° | MO) Dopo aver calcolato i valori di log. s senz, log.s cos: mediante le formole (3) l’azimut 2 sarà dato da log. tg 2 = log. ssen 2 + colog. s cos 2 CER), la geodetica s dall’altra log. s = logs sen 2 + colog. sen 2 MERA (1/5 e l’azimut reciproco 2 dall’ultima delle (1), cioè dalla 2'=180+2+ 40sen-(0+%0) Pur(0)- Le formole precedenti sono forse le più semplici per la risolu- zione del problema del calcolo della distanza tra due punti e degli azimut reciproci della geodetica, quando questa non supera i 20 chilometri. Il calcolo numerico si semplifica ancora di più adoperando la tavola annessa dove si trova il log P di 10'in 10' tra le latitudini 36° e 70°. ESEMPIO Dati A 450 0h le 000° 040 #34 500 b g45 04 49 449 > 0-4 41 07638 DD 449178449 > ABT9 45, 552=409,552 64 NICODEMO logAG=2.2189344 log. coso — 9.8488747 log. Ad coso =2.0678091 log. Nsenl'—1.4909450 log.ssenz =3.5587541 JADANZA log Ag=2.2515142 logosen 1"=1.4894899 3.7410041 810 A Gcosg Au R- log.s cose = 3.7410851 co log P=1.02430 log A fcosg =2.06781 » 2.06781 colog A o0=7.74849 log correz. —2.90841 pAico8? gio log s senz —=3.5587541 colog. scosz=6.2589149 log. tg.2z=9.8176690 = 33° 18 40°, 28 logsenz —=9.739 71 95 logA 9=2. log.ssenz—=3.5587541 colog. senz= 0. 2602805 logs=3.8190346 s=6592".27 2189344 1 log senz (0 +9')=9.8499062 2. =iolo de t40., 0688406 18 18 28 21020037, 46 SUL CALCOLO DEGLI AZIMUT 65 Le formole (3) dànno immediatamente le coordinate rettili- nee dei punti compresi in un foglio della carta d’Italia riferite al centro del medesimo. Indicando con X ed Y codeste coor- dinate si avrà X=A@cosp.Nsenl" | ; Y= Agpsenl' | vige: Le quali sono anch’ esse tanto semplici e facili al calcolo nu- merico specialmente se si osserva che le quantità 2sen1", Nsen1" sono le medesime per tutti i punti di un medesimo foglio. Così p. e. il punto A (vedi Tavole 1*, 2°) appartiene al foglio 56 della carta d'Italia; per calcolare le sue coordinate rettilinee, osservando che le coordinate geografiche del centro sono o=45° 10°, O=—4° 45' sì avrà logosenl'—=1.4895003 log N senl"—1.4909484 logAg=2.6893089n logAG—1.8248415 log Y—=4.1788092w logcoso —9.8492512 log xX= 3, £6504/F1 Y=— 15094,17 X=1462.32 Se sì paragonano le (7) e le (3) si ànno le relazioni seguenti log. X=log.ssene (49c0sy)? log Y= log. s cose — P Aq ovvero, per le (*) log. X=log ssenez M log Y=- log. = ie. 10 0g Og. 8 COS £ (3 N Queste ultime operazioni mostrano che, quando sono date le coor- dinate rettilinee dei punti appartenenti ad un foglio della carta Atti R. Accad, - Parte Fisica — Vol. XXIII, 5 66 NICODEMO JADANZA d’ Italia, la distanza del punto del centro del foglio e l’azimut di codesta geodetica si potranno calcolare mediante le formole seguenti : log. s senz = log. X Mt 3g log. scos z = log. Y+(10.7-5%) 7 ovvero, ponendo M tg —10°—, — Q 2 log. ssenz = log. X la i MAN log. scos e == log. YrtO5 (9) I logaritmi della quantità @ corrispondenti a ciascun centro di sviluppo sono dati nella tavola 1° Ponendo per brevità X tgo=-= DE TO) y (10) l’azimut del punto le cui coordinate sono X, Y si potrà anche avere mediante la relazione QXNtg% 2z=0— o d È (11) dove d" è la differenza tavolare di #g© per 1". La convergenza dei meridiani dovrebbe calcolarsi mediante la terza delle (1); però siccome si ha CAR 0 psen 1 sarà 1 ; 1 NE ) 4 56+#)=3(% +84 pn) = Pt 2 senl' e quindi =; spal V sen — (4 Salon i vasi = ES dI (ig DE end cosg = cosg (1— fgg A -) SUL CALCOLO DEGLI AZIMUT 67 MN — Nsenl'cosg Nsenl'coso (1+097).. de) Sicchè si avrà 22 ii | 1 mas. ) sen © (1 + cot o 5) Nsenl coso 2g Sl i ‘2p ovvero ii A 1 fa; È È Pel calcolo numerico si avrà X logm=log = : ji (99+pY+gaY ea) essendo Mtgq M p= s g==-cot ? 20,00 L’azimut reciproco di VA sarà dato da 2=1804+2+%m sa RUAE 4° Le formole precedenti servono a calcolare gli azimut e le distanze dei punti di cui si conoscono le coordinate rettilinee rispetto al centro di un foglio ; passiamo alla risoluzione dell’al- tro problema. X Date le coordinate rettilinee di due punti A e B, trovare la loro distanza e gli azimut reciproci della geodetica AB. 68 NICODEMO JADANZA Mediante le coordinate rettilinee di A si calcoleranno la geo- detica 0 A=s, e gli azimut 2, 2' di essa. Mediante le coordinate rettilinee di B si calcoleranno la geo- detica 0B=s, e gli azimut reciproci 2,, 2, . La differenza degli azimut 2, e z darà l'angolo in Q del triangolo 0 A B cioè sarà LA] = Gli angoli A e 5 del triangolo ora detto si calcoleranno per mezzo delle note formole Di S.—=# i ig -(A-- Beto -|A5°R 9 5( ) e 4 + B) 1 1 g (AB) 992) L’azimut di B su A sarà = — A e quello di A su B sarà =2,+B . Siccome, per la prima delle (9), indicando con X, ed Y, le coordinate di A e con X, ed Y, le coordinate di B, si ha X, Xi Sa = ’ S= ’ sen 2 senz, sì avrà Sh Sa X,senz— X,senz, S+ 5, X,senz+ X,senz, e quindi, ponendo, igd= = 1 SA (15) sarà definitivamente 1 sE Li tg 5 (A—- B)=tg(45 ab i © Li OS 2) Î 1 1 3(4A+B)=90-;(a,—%) SUL CALCOLO DEGLI AZIMUT 69 ho Quando dalle coordinate rettilinee di un punto si volesse pas- sare alle coordinate geografiche (supposte note le coordinate geo- grafiche del centro del foglio cui il punto appartiene) si proce- derebbe nel seguente modo. Le (7) dànno: Y — psenl' nta XxX — Nsenl'cosg' "o AG ossia pel calcolo numerico logA g =log Y + colog.p sen 1° I \ LA logA9= log. X+ colog. N sen 1' + cologcos q' | i 6° Per risolvere il problema di cui ci siamo occupati al N° 4 sì può procedere anche nel seguente modo. Per mezzo delle coordinate X,, Y, del punto A si calco- leranno mediante le (17) le coordinate geografiche di A. Per mezzo delle coordinate X,, Y, di 5 si calcoleranno le coordinate geografiche di DL. Avute le coordinate geografiche dei due punti A e B, le formole (3), (4), (5), (6) permetteranno di risolvere il problema completamente. Questo metodo è certamente preferibile a quello del N° 4°. Se le formole (3)...(6) non saranno applicabili a qualche caso speciale si ricorrerà a formole più rigorose. ESEMPIO I punti A e B aventi per coordinate Ko 1462”, 32 , X,= 5081”, 456 Fo =>150004"5 E, Yy,=— 9585 , 907 70 NICODEMO JADANZA appartengono al foglio N° 56 della Carta d’Italia. Le coordi- nate geografiche del centro di quel foglio sono (Vedi tavole I e II) o=45° AVE PESTE trovare la geodetica AB e gli azimut reciproci di essa Per calcolare le coordinate geografiche di A e B si adope- reranno le (17). Punto. 4. log Y,= 4.1788092 n log X,=3.1650411 cologpsenl'= 8.5104997 colog Nsen1l "= 8.5090516 log Aw,=2.6893089 n colog cos g'=0.1507488 Aq,=— 489.00 logA9=1.8248415 — —8'09.00 AG=66",81= 0°01'06°.81 g=45 10. 90=- 4 45 i o =45° 01 51°.00 9 4° 4355300008 Punto .. log Yy=3.9816332 x log X,=3.7059882 logosen1'=8.5104997 log N sen 1" — 8.5090516 logAg=2.4921329n colog coso =0.15112583 Ag=— 310".551 log A 9=2. 3661651 Ag=— 0° 05'10".551 AQ= 232.362 = 45 10 A9Q=" 0°03'52". 362 p'= 45°04'49".449 pl 45 G=—4°41'07".638 Conosciute le coordinate geografiche di A e B il calcolo fatto al N° 2. darà la distanza e gli azimut richiesti. |, SUL CALCOLO DEGLI AZIMUT 71 Nota I. Le formole (1) dette di Legendre o di Delambre debbono essere adoperate, come abbiamo detto, per s non maggiore di 20 chilometri, altrimenti si farà sentire l’influenza dei termini del 3° ordine che si trascurano. Nei modelli di calcolo annessi al regolamento per il Catasto Modenese si trova calcolata la posizione geografica di M' Pa- lanzuolo mediante quelle conosciute di Pizzo Menone e Campo di Fiori. Il primo di questi punti dista da Palanzuolo per più di 29 chilometri ; il secondo dista dal medesimo di circa 34 chilometri. In questo caso non dovevano applicarsi le formole di Legendre limitate al 2° termine. Perciò in quell’esempio nume- rico vi è una grave discordanza (5 centesimi di secondi) tra le due latitudini ed anche tra le longitudini (2 centesimi di secondo). Con formole più rigorose si sarebbe avuto il risultamento seguente : Latitudine di Palanzuolo proveniente da Campo dei Fiori = 45° 51' 43", 09 » » Pizzo Menone cri >. » 43 .10 Longitudine di Palanzuolo proveniente da Campo dei Fiori = — 3 15 04, 85 » » Pizzo Menone = >» » 04, 84 Le formole di Delambre che si trovano in quei modelli e che coincidono con quelle che si usavano una volta nell'Istituto Geografico Militare non sono rigorosamente identiche alle (1) che sono esatte. Nora II. Le coordinate rettangolari dei punti trigonometrici, riferite al centro di ciascun foglio, possono essere calcolate o mediante le (7), ovvero mediante tavole ausiliarie che danno in metri i valori dei secondi di latitudine e longitudine. 72 NICODEMO JADANZA Quando le coordinate rettangolari debbono servire a scopo grafico è indifferente calcolarle nell’uno o nell’altro modo. Ma se, come può accadere, debbono essere considerate come elementi da cui poter ricavare o le coordinate geografiche o gli azimut, bisognerà calcolarle mediante le formole (7); giacchè le tavole ausiliarie daranno sempre degli errori che altereranno special- mente le X. Così p. e. le coordinate di Poggio Pallone le cui coordinate geografiche sono : o= 42° 53' 43".02 O=-— 1 33 51.59 riferite al centro del foglio 127 della carta d’Italia (p,=42° 50, G,=-- 1° 45’) sono, calcolate colle tavole ausiliarie X=3+415162". 6), V=P68812,3 mentre calcolate mediante le (7) sono : X=+15163",47; Y=+ 6881", 24. Essendo il calcolo delle (7) facilissimo ed esatto, non vi è ragione di calcolarle in modo meno esatto con tavole ausiliarie, SUL CALCOLO DEGLI AZIMUT TavoLa I. FOGLI | Latitudine della dei Log g sen l' | Log.Nsenl' | Log @ Carta d’Italia centri | 275-276-277 | 36°50'| 1 4888744 | 1. 4907398 |9. 40607 | Me OZ4 | 37 10 3» ‘89899 | fix 7479 | 9 1632) Sa. 270 | 37 30 » 9233 |» 7561 |9. 41655] 256....264 | 37 50 > 47 76043) (0 43577) MERE 255 | 38.10 » 9724| >» 7725 |9.42697| SAN 247 | 38 30 » 9971.|-:-» 7807 | 9. 43215| DRM. 243 | 38 50. | 1. 4890218 |" ». 7889 | 9. 43752] 2.1.0 237 | 39 10 » 0466 s 7972) |09) 442348 na .-230.| 39 30 » 0715 | »' 8055 |.9. 44763 Ra 0222 | 39 50 » 0964 av 8438! |, 45276 204....214 | 40 10 st TOT] dei 21° 8321 (19, 45188 191....208 | 40 30 >» 1464) » 8805 |9. 46300 179....190 | 40 50 so 1715.) È» 8388 |l0. 46810] Wi e178 | 41-10 » 1966 | s° 8472 |9.47320| MoeSi165| 41 30 G° 2218 » 8556 | 9. 47828] Wo. 157 | 41 50 >» 2470 » 8640 | 9. 48336| 142....148 | 42 10 » 2722|. ». 8724 |9. 48843] Sa Sli1 | £9 30 » 2975 » 8808 (9. 49350]; o 134. 42: 50 »° 8228 » 8893 (9. 49856! Mo 125%) £43 10 s S4AST | Tse: 897709, 30362 MERE L18:| 43 30 se STAI » 9061 | 9. 50867] Ma OTIOc| 43.50 >» 3988 sa 9146) d-513721] SOGEZAO1, | 44 10 o 4947 a 9831 ORI sur... 89 | 44 30 » 4495 » 9315 | 9. 52382 o. 77] 44 50 >» 4749 » 9400 |9. 52886 ddr.) 65 | 45 10 >» 5008 » 9484 | 9. 53391 4) 53 | 45 30 | 1. 4895257 » 9599 | 9. 53895 ct 40 | 45 50 >» 5510 >» 9653 | 9. 54400 el: 26 | 46 10 » 5764 » 9738 |9. 54905 du, 14 | 46 30 » 6018 » 9828 | 9. 55410 ue, i 46 50 » 6271 » 9907 |9.55915 NICODEMO JADANZA 74 UNICAOLIONOT Su iS I ++t+t+t+t++t+t+t+t+++ e) 9 S si 5 (O SH TE G G I I 0 00 1I}u9o TOP "199 ‘Fe ‘988 ‘665 ‘123 ‘79T ‘See ‘97e ‘I7e ‘ee ‘868 ‘038 ‘018 ‘OLI ‘899 ‘FSE ‘SHE ‘078 ‘28% ‘61% ‘608 ‘861 "UL ‘PLE “0LG ‘396° ‘898 ‘803 “261 ‘916 ‘EL ‘69% ‘198 ‘TS ‘961 ‘F8I "Gia ‘GL ‘89% ‘09% ‘TS ‘S6I ‘E8T ‘SLI ‘T9I ‘TL6 ‘296 ‘696 ‘088 ‘TLI ‘09° ‘GSI ‘OFI ‘OFI ‘996 ‘898 ‘643 ‘OLI ‘69I ‘ISI ‘SFI ‘681 ‘SI ‘PRI ‘ZII ‘G9G ‘L96 ‘846 ‘8ST ‘OST ‘PFI ‘88I ‘IST ‘881 ‘OTI ‘601 ‘873 ‘188 | FIG | "668 ‘SI ‘808 ‘816 ‘606 ‘061 ‘088 ‘103 ‘681 ‘8SZI ‘TIE ‘006 *881 SLI ‘661 ‘48T ‘SOI ‘LSI ‘08T° SAD BITS SOT ‘GRITTI ‘CUTE ‘BOL III ‘COP EPC NPI SFEL ET (SRL 80 ‘OLI 8908 ‘TOI ‘3968598 VI'IVII IK VLIIVO VTIIUU IIDOL "II YIOAYI, ‘0% ‘FI ‘CI SUL CALCOLO DEGLI AZIMUT Si 9 4 p 6 6 ea G I I 0 0 O RAS e LI}u9O T9p FNICOLIONO"T ‘ 06 62 ‘601 1008 "Tee ‘ec SIE PC CICIO" GLI 1990 ‘#0P 6° 18 690389 Bee neo fee S0Igs e 00081 DI, ‘68 ‘OL 90 ‘PR TESI ee ene race Le 9000 OI SOL pon ‘FEE ‘9086 813 ‘L06. ‘POI ‘G81 ‘691 ‘96 ‘48 ‘82 SRL TL FOLLIA SR (EEE SEL SOT L00 IGEIS8CI GPL ‘900 Roero RP (9809680 To PLL LOT 08880999 (08060 Le PI LEE 3081 CRI STI 80160016 (698% Sp ‘66 ‘09 ‘19 ‘87 ‘67 ‘08 ‘19 "8%: ‘905 ‘PSE "19 SEGG TE. 188 ‘89 ‘99 ‘cr ‘67 BL Aiino ‘97 #68 SI WA AREE A “Ce ‘982 DITE We Ge Stipe ‘88 ‘€68 ‘GI ‘ VITIVILI II € VIIVO VIITHIO IINHDO0OIL ‘II VIOAVI, 2099 76 NICODEMO JADANZA TavoLa III (0) Log P ( Log P () 35°00' | 0. 86951 | 39°00'| 0. 93246 | 43° 00' 10 | 0. 87219 10 | 0. 93503 10 20 | 0. 87486 20 | 0. 93760 20 30 | 0. 877583 30 | 0. 94017 30 40 | 0. 88019 40 | 0. 94273 40 50 | 0. 88284 50 | 0. 94529 50 36 00 | 0.88550 | 40 00 | 0. 94785 | 44 00 10 | 0. 88814 10 | 0. 95041 10 20 | 0. 89078 20 | 0. 95296 20 30 | 0. 89342 30 | 0. 95551 30 40 | 0. 89605 40 | 0. 95806 40 50 | 0. 89868 50 | 0. 96061 50 37 00 | 0.90130 [| 41 00 | 0. 96315 | 45 00 10 | 0. 90392 10 | 0. 96569 10 20 | 0. 90653 20 | 0. 96823 20 30 | 0. 90914 30 | 0. 97077 30 40 | 0. 91175 40 | 0. 97381 40 50 | 0. 91345 50 | 0. 97584 50 38 00 | 0. 91695 | 42 00 | 0. 97838 | 46 00 | 1 03890 10 | 0 91954 10 | 0. 98091 10 | 1. 04142 20 | 0, 92218 20 | 0. 98344 20 | 1. 04394 30 | 0. 92472 30 | 0. 98597 30 | 1. 04646 40 | 0. 92730 40 0. 98849 40 | 1. 04898 50 | 0. 92988 ada 0. 99102 50 | 1. 05150 39 00 | 0. 93246 | 43 00 | 0. 99354 | 47 00 | 1. 05408 48 49 50 51 SUL CALCOLO DEGLI AZIMUT Segue Tavora III. 17 30 Rss enel Ul fees (0) PE fe ped fio nm pm pm nm fon pn n pm fm Log P 05403 . 05655 . 05908 . 06161 . 06414 . 06666 . 06920 . 07178 . 07426 . 07680 . 07934 . 08188 . 08442 . 08696 . 08951 . 09206 . 09461 09716 . 09972 . 10228 . 10484 .- 10740 . 10997 . 11254 n blbbl 52 DO D4 dò 00 fendi ip pn cpm pn nm fd fd da fd fd fa pop pn nm pm nm adi aa HWHJHWuî Log P doll -d1709 . 12027 . 12285 . 12544 . 12803 . 15063 . 13322 . 13582 . 13843 . 14104 . 14365 . 14627 . 14889 . 15152 . 15415 . 15679 . 15948 . 16208 . 16473 . 16738 . 17004 - A 7271 . 17588 . 17806 io 55° 56 57 98 59 00' | 10 20 50 40 50 00 10 20 30 40 50 00 10 20 30 40 50 00 10 20 30 40 50 00 fm pm im nm nm ea Sele cana . 22736 . 28017 . 23298 . 23580 . 23864 . 24148 . 24433 78 NICODEMO JADANZA - SUL CALCOLO DEGLI AZIMUT Segue Tavora II. 1) Log P Log P (A) 99”00*| 1. 244993 | 63*00°-+ L. 351576 | 07%0D 10 -| 1. 24719 10 | 1.31889 10 20 | 1. 25006 20 | 1. 32202 20 30 | 1. 25293 30 -| 1. 32517 30 40 | 1. 25582 40 .| 1. 32834 40 60% 47498441 50 | 1. 33152 50 b0O700 | 1. 26162 1 6400.) 1. 3347% | 68°00 10:| 1. 26458 t9:5h 133791 10 20 | 1. 26746 20% L'SbkI4 20 80 | 1. 27039 30 | 1. 84437 30 40 | 1. 27384 40 | 1. 34763 40 50 | 1. 27630 50 | 1. 85089 50 DE 001 1 27920 I 652001 195418 _q 09908 10 | 1 28224 {04195748 10 20 | 1. 28528 20 | 1.86079 20 30 | 1. 28823 30 | 1. 36413 30 40 | 1 29124 40 | 1. 46748 40 50 | 1 29426 50 | 1. 37084 50 b2. 001 I. 29730 | 06*DO6: 1 37425 1 7000 104. 1.'309034 DO OTTO8 20 | 2 30340 20 | 1.38105 30 | 1. 30647 30 | 1. 38449 40 | 1. 30956 40 | 2. 38795 DO «PL S1265 50 | 1. 39143 1.31576 | 6700 .| 1. 99492 63 00 fl pr pin pn pm pm fp pd pp Hu VU aa . 46160 vg) Sui calori specifici di alcuni metalli dalla temperatura ordinaria fino a 320°, Nota del Socio Prof. A. NACCARI Cominciai queste esperienze destinate a determinare quanto calore sia necessario per riscaldare metalli diversi dalla tempe- ratura ordinaria fino a 320° circa, quando gli studi sperimentali intorno a tale argomento erano solamente quelli del Dulong e del Petit, del Bèede e del Bystròm. Recentemente il Pionchon im- prese uno studio consimile, ma esteso a temperature molto più alte e ne pubblicò una parte. Però l’esperienze del Pionchon sono poco numerose appunto in quell’intervallo di temperatura in cui son comprese le mie. È facile dimostrare che lo stato delle nostre cognizioni rendeva opportuno questo lavoro. 1l Dulong e il Petit (1) die- dero soltanto i valori del calore specifico medio per gl’intervalli 0-100° e 0-300° senza indicare i valori direttamente ottenuti dalle esperienze. Queste vennero eseguite con grandi quantità di sostanza. Le temperature vennero ridotte a quelle che sarebbero state date dal termometro ad aria. Due cause di errore possono aver influito sui valori ottenuti. I metalli venivano immersi di- rettamente nell'acqua, anche quando essi avevano temperatura superiore ai 100°, e nell’atto dell’immersione veniva quindi vapo- rizzata dell’acqua e perduto del calore che non si poteva cal- colare. Per riscaldare i metalli si tenevano immersi in un liquido : quand’essi venivano trasportati nel calorimetro, portavano certa- mente con sè un po’ di quel liquido. Si faceva per ciò una cor- rezione, ma questa doveva sempre essere alquanto incerta. Il Bède (2) pubblicò nel 1856 una memoria sul calore spe- (1) Journal de l’ École Polytecnique, 1820. (2) BèpE, Recherches sur les chaleurs specifiques de quelques metaua è differentes temperatures. Mém. couronnés et Mém, des savants étrangers, pu- bliés par l’Académie R. de Belgique, t. XXVII, 1855-56. 80 ANDREA NACCARI cifico dei metalli a varie temperature, memoria cui tuttora si ricorre per avere indicazioni intorno a questo argomento. In verità l'esperienze furono condotte in modo da far dubitare della esattezza dei valori ottenuti. Per riscaldare il metallo prima della operazione calorime- trica, il Bède lo poneva in un tubo di vetro che stava entro un bagno d’olio riscaldato da una fiamma. Il termometro, che do- veva dare la temperatura del metallo all'atto dell’immersione, non istava dentro il tubo, ma immerso nell’olio circostante, e quindi molto probabilmente segnava una temperatura diversa da quella del metallo. Nel calcolo delle esperienze non si tenne conto delle perdite di calore sofferte dal calorimetro fra l’istante dell’immersione e quello in cui vien raggiunta la temperatura finale, affidandosi all’espediente del Rumford. Le temperature non vennero riferite al termometro ad aria. Si lasciavano cadere i metalli anche se riscaldati sopra 100° nell'acqua e non si fece alcuna correzione per la produzione del vapore. In più casi un punto importante nell’andamento del fenomeno fu determinato con una sola espe- rienza. Così avvenne, per esempio, per lo zinco e per lo stagno a 210°, pel rame a 250°. Il grado di precisione non arriva in qualche caso al 2 °/, Il Bystròm (1) pubblicò nel 1860 uno studio sui calori spe- cifici dei metalli ad alte temperature, ma i valori da lui otte- nuti sembrano ancor meno esatti di quelli del Bède. Parlerò solamente dei calori specifici fra 15° e 300°, tacendo del modo strano ed arrischiatissimo in cui il Bystròm pretese di estendere il suo studio fino a 1000 e più gradi. L’esperienze vennero solamente eseguite con ghisa, acciaio e argento. Nessuna cura fu presa per evitare l'errore prodotto dalla vaporizzazione dell’acqua quando s’immerge in essa un corpo riscaldato al di sopra di 100°. Il termometro dell’apparato ri- scaldante non fu confrontato col termometro ad aria. L'A. as- serisce che era perfettamente calibrato e che lo zero non si spostò durante le operazioni, ma per ridurne le indicazioni a quelle che avrebbe dato un termometro ad aria si applicarono a quel ter- mometro, benchè fosse di tutt’altra provenienza, le correzioni (1) Brsrròm, Ofversigt af kh. Vetenskap-Ahademiens, 1860, v. 17, p.307. Stockholm, 1864. SUI CALORI SPECIFICI 81 date dal Regnault per uno de’ suoi. La correzione per la colonna sporgente era per quel termometro grandissima, perchè, anche quando la temperatura del bagno era 300°, il termometro era immerso in esso solamente fino al punto che corrispondeva a 9°. La correzione calcolata dall’A. in un modo diverso dall'ordinario e molto discutibile era per 250° eguale a 3°,5. Calcolata nel modo ordinario sarebbe stata 7°,7, il che dimostra la grande incertezza che ne deriva ai valori del calore specifico. L'apparato riscaldante non fu tenuto a costante temperatura. Il metallo, su cui si voleva sperimentare, si lasciava cadere nel calorimetro, quando la temperatura del bagno passava per il va- lore fissato, e ciò alternativamente, quando la temperatura ascen- deva e discendeva. Estendendo le sue esperienze fino ad alte temperature nel modo incertissimo a cui ho fatto allusione, il Bystròm trovò che i calori specifici della ghisa e dell’acciaio risultavano eguali alla temperatura di 881°. Egli ne dedusse che a quella temperatura non aveva influenza sul calore specifico di quelle sostanze la diversa quantità di carbonio, e che dovevano essere eguali fra loro a quella temperatura i calori specifici del carbonio e del ferro puro. Ammessa questa conclusione, che del resto esperienze posteriori dimostrarono grandemente erronea, il Bystròm prese per il calore specifico del ferro puro a 881" quello trovato per la ghisa e per l’acciaio, e preso dalle esperienze del Regnault, il calore specifico del ferro puro a 100°, con questi due soli punti costruì una curva, da cui dedusse il calore specifico del ferro puro con cinque cifre decimali da 0° a 1400°. In modo simile fu costruita la tabella che dà il Bystròm per il calore specifico del platino da 0° a 1600°. Descrizione dell’esperienze. L'apparato riscaldante da me adoperato è costituito da un cilindro di ferro con doppia parete. Lo spazio centrale è occu- pato da aria ed è aperto al di sopra; di sotto può chiudersi nel modo che si dirà. Lo spazio anulare è destinato a contenere un liquido bollente; esso non ha che due fori sulla base supe- riore. Un tubo di ferro, che parte da uno di questi fori, s'in- nalza per un certo tratto verticalmente, poi si ripiega ed in Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII, 6 82 ANDREA NACCARI questo secondo tratto è circondato da un refrigerante. Così il liquido bollente, venendo opportunamente regolata l'ebollizione, ricade e la temperatura d'’ebollizione si mantiene costante anche se il liquido non è perfettamente omogeneo. Lo spazio centrale vien chiuso al di sotto da una lamina che scorre lungo due guide. Dando un colpo all’asta che è con- giunta con quella lamina, si fa che venga a trovarsi al di sotto dello spazio centrale un foro praticato nella lamina stessa. Così resta aperta l’estremità inferiore di quello spazio. Al di sopra esso è chiuso mediante un tappo con due fori. Attraverso uno di questi passa un filo metallico che sostiene una cestella di rete metallica. In questa si pone il metallo su cui sì sperimenta ridotto per lo più in bastoncini cilindrici. Attraverso l’altro foro passa il cannello d’un termometro, il cui bulbo sta nel mezzo della cestella, circondato d’ogni parte dai pezzi del metallo. I calorimetri adoperati sono di lamina d’ottone e sul fondo di essi sta una reticella di ottone sostenuta da un telaino dello stesso metallo. Essa impedisce che il corpo immerso nel calori- metro vada a contatto del fondo. L’agitatore è di lamina sot- tile di ottone. Il calorimetro sta al solito entro un vaso maggiore pure di ottone. Questo è posto dentro un vaso ancora più grande, e nel secondo intervallo v'è acqua. Un disco di legno copre i due intervalli e anche parte dello spazio riservato al calorimetro lasciando soltanto l’apertura centrale al passaggio del metallo e del termometro. Il termometro del calorimetro ha il grado di- viso in cinquanta parti. Fu costruito dal Baudin. Il calorimetro è scorrevole lungo una guida di ottone. Esso occupa ordinariamente la parte di mezzo della guida ed è difeso da schermi posti da una parte e d ll’altra. Due apparati riscal- danti eguali stanno alle due estremità del tavolo su cui è fissata la guida. Il calorimetro può venir portato tanto sotto l’uno, quanto sotto l’altro apparato riscaldante purchè si sollevi lo schermo corrispondente. Le cose vennero disposte in questo modo per accelerare il lavoro ed evitare i troppo frequenti cangia- menti del liquido nell’apparecchio riscaldante. Dei due apparecchi l’uno conteneva per lo più acqua, e ciò perchè molto frequen- temente occorrono dei riscontri a 100°. Non potendo portare al di sotto degli apparati riscaldanti il calorimetro col termometro, il quale è lungo circa mezzo metro, SUI CALORI SPECIFICI 83 adottai il partito di sollevare il termometro, opportunamente bi- lanciato da un contrappeso, all'istante in cui il calorimetro va portato sotto l'apparecchio riscaldante, e immergerlo rovamente nel calorimetro appena questo sia ritornato nella posizione nor- male. Esaminai se questo modo di operare portasse errore sensibile e mi accertai di poterlo seguire con sicurezza, perchè nel breve tempo, che il termometro sta sollevato, la sua temperatura varia pochissimo. Gli apparati riscaldanti vengono portati alla temperatura necessaria mediante uno o due anelli di fiamme a gas, che lam- biscono la superficie laterale dei recipienti di ferro. Per difendere il calorimetro dal calore che il recipiente di ferro può inviare ad esso nei brevi istanti in cui gli sta sotto, un disco di legno viene interposto facendolo girare intorno ad un asse eccentrico in piano orizzontale. L'asse è quello stesso che sorregge il recipiente di ferro. Il disco è forato per lasciar passare la sostanza su cui si sperimenta. Lo spazio che la so- stanza deve percorrere nell’aria esterna per passare nel liquido del calorimetro, è brevissimo, sicchè non v'è da temere perdita sensibile di calore. L'operazione poi si fa così rapidamente e il calorimetro è tanto difeso, che è pur trascurabile la quantità di calore che l’apparato riscaldante può inviare al calorimetro sot- toposto. Apposite esperienze confermarono le previsioni fatte. Per abbreviare il tempo durante il quale succede la trasmis- sione di calore, viene agitato in quel periodo anche il corpo immerso. Il liquido del calorimetro viene inoltre mescolato con- tinuamente da apposito agitatore. I termometri adoperati negli apparecchi riscaldanti vennero accuratamente confrontati col termometro ad aria del Jolly. Quelli del calorimetro vennero confrontati fra loro e con un campione del Baudin. Per i primi particolarmente la verificazione del punto 100 venne frequentemente eseguita. Cercai che la correzione per la colonna sporgente fosse sempre quanto più piccola era possi- bile, scegliendo opportunamente quello tra i quattro termometri adoperati che meglio si prestava all’esperienze da farsi. Anche questi termometri erano stati costruiti dal Baudin e, fatta ecce- zione per uno di essi che richiese una correzione particolar- mente accurata, non si scostano molto dal termometro ad aria. 84 ANDREA NACCARI Per evitare l’errore prodotto dall’ immersione nell’acqua di corpi che abbiano temperatura superiore a 100°, dopo aver ten- tato parecchi altri espedienti, adottai il partito di porre nel calorimetro del petrolio che bollisse ad alta temperatura. Non potrebbe servire allo scopo il petrolio di tal genere che si trova in commercio e si adopera come lubrificante. Dovetti per ciò distillare delle quantità considerevoli di petrolio comune sepa- randone la piccola porzione che bolle tra 330° e 380. Simil- mente da petrolii più pesanti estrassi la porzione opportuna, escludendo quella che bolle a temperatura troppo alta ed è troppo viscosa. Con una doppia distillazione necessaria per ot- tenere sufficiente omogeneità potei ottenere il liquido calorime- trico, del quale di tratto in tratto determinai il calore specifico alle temperature opportune valendomi dello zinco. La variazione di calore specifico sofferta da questo petrolio durante una serie di esperienze fu sempre molto piccola. Le correzioni per l'influenza dell'ambiente sul calorimetro furono eseguite sempre così. Dalle osservazioni del termometro fatte per alcuni minuti e ‘di minuto in minuto prima dell’immersione, io deducevo la variazione per minuto della temperatura del calo- rimetro. Questa temperatura si teneva sempre più bassa di quella dell'ambiente e possibilmente di tanto che la temperatura. finale del calorimetro dopo l'immersione fosse poco superiore a quella dell'ambiente. Da quelle osservazioni deducevo altresì la tempe- ratura del calorimetro nell’istante dell'immersione. Mezzo minuto dopo questo istante si riprendevano le osservazioni del termo- metro del calorimetro che si facevano per un certo tratto ogni mezzo minuto, poi di minuto in minuto. Le osservazioni fatte dopo l'istante, in cui la trasmissione del calore entro il calorimetro era finita, davano la variazione per minuto della temperatura del ca- lorimetro in quelle condizioni. Ammettendo la proporzionalità fra queste variazioni e le corrispondenti differenze di temperatura fra il calorimetro e l’ambiente, stabilivo due equazioni, dalle quali deducevo la temperatura dell'ambiente, e la variazione di temperatura del calorimetro per ogni grado di differenza di tem- peratura e per ogni minuto. Questi due valori servivano a cal- colare le correzioni dall’istante dell’immersione a quello cui spettava la temperatura finale. Nella massima parte dei casi le correzioni erano piccole perchè veniva scelta, opportunamente, come s’è detto, la tem- SUI CALORI SPECIFICI 85 peratura iniziale del calorimetro rispetto a quella dell'ambiente e perchè la forte agitazione del liquido rendeva rapida la tras- missione del calore. In queste esperienze, che durarono a lungo per le molte modificazioni del metodo e degli apparecchi, ebbi il valido aiuto del Dott. Guglielmo dapprima, poi del Dott. Battelli. Seguono i valori ottenuti sperimentando sulle varie sostanze. Cadmio puro. Il cadmio adoperato in queste esperienze mi fa procurato cortesemente dal mio collega “Prof. Fileti, che lo fece depurare nel suo Laboratorio. | Nella tabella seguente, come nelle altre che riporterò più in- nanzi, la prima colonna segnata / contiere il peso in grammi del metallo, la seconda quello p della îcestella,-la*terza l’equi- valente in acqua A del calorimetro, del liquido contenuto e degli accessori, la quarta la temperatura 7 dell’apparecchio riscaldante, la quinta quella #, del calorimetro all’atto dell'immersione, la sesta quella finale #, del calorimetro. Tutte queste temperature vennero debitamente corrette. La settima colonna contiene il calore specifico, l’ottava la media dei calori specifici trovati per uno stesso intervallo. 101,65|2,98/435,6| 99,33|14,539|12,598/0,05618 » >» |171,5| 99,5 |23,421|20,787| 5576 » » » » 23,228|20,566 5611 3 ei » -|22,870|20,216| . 5595 101,65|3,01|172,9/179,0 |19,470|13,900|0,05664 È >» | >» |180,0 |19,096|13,470| 5672/0,05685 » dv 20 kBL;3-||L9,11113}370|,- 5/LIS 101,65/2,98|312,1[256,5 |22,904|18,290| 5790 » >|» » |22,236|17,592| 5810|0,05798 » » » » 22,473|17,679 5793 (51,1 |3,45|173,7|295,0 |21,998/16,787| 5882 > | » | » |298,0 |22,158|16,888| 5854 | » || » |295,0 |22,350|17,160| 5832 0,05600 0,05839 86 ANDREA NACCARI Da queste esperienze si deduce che per riscaldare un grammo di cadmio da 21 a 300° occorre una quantità di calore g espressa da q=0,055(£—21)+13,212.10-°(£— 21)? —0,03945.107°(£— 21)3. Col metodo dei minimi quadrati si ha la formola di due termini g=0;055107(#=21)+11,89,103% (#20 che rappresenta bene anch'essa l’esperienze. Di qui il calore specifico vero | y=22— 0,055107+23,78.10-°(#—21). Tai Ne segue sedi == 0,0551, » 50 » » 558, » 100 Di SL toi bD » » 582, >» 200 » >» 594, » 250 » » 606, » 300 >» » 617. Cadmio impuro. Sperimentai anche su cadmio impuro del commercio per met- tere in chiaro se le impurità di questo producessero effetto sulle variazioni dei calori specifici. Le esperienze vennero fatte solamente intorno a 100° e a 290°. Riferisco qui sotto i valori ottenuti. Valgono per questa e per le tabelle simili che seguono le indicazioni date poco fa rispetto ai valori contenuti nelle varie colonne. 94,48| 2,95|171,9! 99,4|25,588/23,197/0,05603 | >» |25,251/22,845| 5608|0,05607 » |26,546|24,181 5610 e |. —T— | _—________ —._—___ —————— —|l _|-_——_—————-=#-<=< 94,48| 2,95| 171,9/286,0|31,580|23,030|0,05822 62,801 » | » |293,3/29,200/23.107| 5871|0,05839 » » » |292,9/29,096|23,025 5808 SUI CALORI SPECIFICI 87 Il secondo valore è eguale a quello trovato per il cadmio puro. La differenza fra il primo e quello corrispondente che spetta al cadmio puro, è dell’1,5 per 1000, e non si può as- serire con sicurezza ch’essa sia maggiore dell’errore probabile. Questo cadmio era molto impuro. Venne dunque confermato ciò che era del resto probabile, che cioè, se anche i metalli non sono rigorosissimamente puri, i calori specifici, anche a tempera- ture elevate, non differiscono notevolmente da quelli spettanti ai metalli purissimi, Tutti i metalli adoperati in queste esperienze, eccetto il caso dove ci sia una speciale indicazione, s'intende che sono dei più puri che si possano acquistare presso le buone fabbriche di prodotti chimici, il che certo non vuol dire che sieno vera- mente puri. Zinco. 89,00] 2,95 390,9) 99,4/20,852|19,118/0,09388| » » » >» |23,208|21,527 9376] 0,09392 » » » » |21,290|/17,565 9411 89,13] 3,52] 179,9/170,6/17,590|13,405|0,09473 » » > » |17,269/183,052 9526] » » » » |18,434|14,266| 9484 eAaho » » » ». |17,139|12,915|_. 9530 89,18] 3,92] 179,9/242,0|22,524|16,098|0,09641 » » » .|241,5|28,465/17,077| 9649 » » » |240,8|22,306|15,900 9651 a » » » |240,2|22,690|16,323 9604 30,20) 3,45| 173,7|320,1|21.396|15,719) 9808 » » » |320,3|21,770|16,121| 9836/0,09843 » » > |320,4|21,169|15,503] 9886 Di qui si deduce che per riscaldare 1 gr. di zinco da 18° alle temperature indicate nella prima colonna della tabella se- guente occorrono le quantità di calore indicate nella seconda colonna. 88 ANDREA NACCARI I 7,60 14,88 21,51 29,66 La formula con due termini scritta qui sotto fu calcolata col metodo dei minimi quadrati. Essa dà i valori 9, contenuti nella 3° colonna della tabella precedente. q=0,0915(#—18)+22,2.107° (£—18). Ne segue 1=37=0,0915+ 44,4.107°(f—18). a Questa formula dà i seguenti valori di ‘/ r 7 18 0,0915 50 929 100 951 150 974 200 996 250 1018 300 1040 | Ferro. 116,67| 3,52 435,6! 99,3 15,282/12,721 0,1114 » UD et) A9158/ 12 70/0, 1110 A » » » | » |15,341|12,763/0,1122| Ciatti » » | » | » (15,177|12 ,602/0,1119 116,67] 3,52 320,9| 174,3 20,191|13,688°0, 1139 (nd sa Va » 173,7,21,116|14,634/0,1144 0,1142 Li data » |172,828,480|17, 138|0, 1144 116,67) 3,00] 320,9 246, 30 23 ,659 (13, 606 0,1186, ua, » » 250,422, 714/16,186/0,1189| 0,1189 i 4 ? 250,4/23, 403/16,874/0,1192) 29, ni ‘345| 173,2) 310198) 711|17, 184/0,1214! >» | »| » |811,4|22,545/15,987/0,1231|0,1224 » | »| » |809,0|22,150|15,702|0,1226 SU] CALORI SPECIFICI 89 Secondo queste esperienze per riscaldare da 15° a T un grammo di ferro occorre la quantità 9 data dalla seguente tabella; La formula seguente con due termini fu calcolata col metodo dei minimi quadrati. Essa dà i valori che per i primi due di» p punti sì scostano un po troppo dai valori sperimentali. q=0,10603 (£—15)+53,726.10=%(#— 15)? Meglio si conforma ai fenomeni la seguente formola di tre termini. q=0,10912(#—15)+29,032.10-°(£t—15)° + +0,048858.10 7 °(#—15). Questa dà i valori g, registrati nella quarta colonna della tabella precedente. Se ne deduce d y==0,10912+58,064.10-*(f— 15) + +0,146574.10-5(£— 15), e quindi aci pt OL001 50 0,1113 100 0,1151 150 0,1196 200 0,1249 250 0,1309 300 0,1376 La formula con tre termini differisce poco da quella del Pionchon che è q=0,11012#+25,533.10-*##4+0,05467.10-9#3, 90 ANDREA NACCARI Argento. 91,35 » 3:98).IvIyal 59970 » » | » | 22,774|20,368/0,05581 23,526|21,122| 5681|0,05618 :23,080|20,659| 5641 91,35| 2,98| 311,5) 177,4|16,366|13,544|0,05666 >| » | » |180,6|18,042|15,185| 5685/0,05654 >| >» |» |176,1[17,182|14;424| -5612 91,35] 2,98| 312,9) 256,8|21,654|17,498|0,05730 a E » |20,693|16,501| 5756/0,05739 » | » |» |256,5|21,796|17,647| ‘5730 46,03] 3,45| 173,7 811,4|20,781|15,766|0,05793 >» | » | » !810,8/21,984|16,910] 5827|0,05812 >» |.» |318,2/22,220|17,077| 5817 » La tabella seguente dà nella seconda colonna la quantità di calore q necessaria a riscaldare 1 gr. di argento da 23° a T. CO TORO I 99 4,271 4,241 178 8,767 8,780 257 | 13,438 | 13,453 313 | 16,857 | 16,846 La seguente formula calcolata col metodo dei minimi qua- drati dà i valori 9g, della tabella precedente. q=0.054984(#—23)+10,706.10-°(— 23)? Di qui d y=7=0,054984+21,412.10—%(1—28) Si ha quindi a &= 128 7 = 0,05498 50 5556 100 5663 150 5770 200 5877 250 5984 300 6091 -SUI CALORI SPECIFICI 91 Rame. 131,7] 2,98| 261,5] 99,4/17,878 13,954/0,09341 » » » 99,3|16,551|12,544 9400)0,09360 » » » » |16,950|12,987 9340 .131,7| 2,98] 320,9| 171,6|20,560|14,609 0093831 i 3 > |170,3|21,830|15,972| 9400|0,09389 “ 3 >» |171,2|21,491|15,593| 9886! 85,1 | 2,98| 312,1| 255,3|22,184|15,740|0,09471 » » » |254,8/22,146|15,691 9509 » » » 254,8 22,933 16,492 9521!) 09514 22,25] 3,45] 173,7] 247,3|19,458/16,242 9559|_? » » » |248,4|19,027|15,809 9494! » >» |» |256,2/20,169|/16,848| 9528 22,25] 3,45| 173,7| 323,9|20,329|16,021 0,09556, » » >» |320,4[21,824|17,579 9580 0,09570 » » +asp918,H271,352/17,121) © 9574 La quantità di calore qg necessaria a riscaldare un grammo di rame da 17° a 7 secondo l’esperienze riferite, è data dai valori registrati nella seconda colonna della tabella seguente cT q q, 99 7,68 7,65 171 14,45 | 14,49 253 22,44 | 22,41 321 29,08 | 29,09 Ì La formula seguente, calcolata col metodo dei minimi qua- drati, dà i valori q, contenuti nella terza colonna della tabella precedente. q=0,092455(£—17)+10,629.10-(#— 17)? Di qui = - 0,092455+21,258.107°(f—17) 92 ANDREA NACCARI Pertanto a 178 y.= 0,09245 50 9316 100 9422 150 9528 200 9634 250 9740 300 9846 Nichel. Questo metallo era in cubetti. Era poroso e nel calorimetro assorbiva del petrolio che bisognava dopo ogni esperienza espel- lere accuratamente mediante forte riscaldamento. 261,5) 99,3] 15,250 12,517] 0,11041 s » |15,843|13,141|0,1101|0,1101 > > | » > |15,745 13,045] 0,1099 74.35] 2,98] 311,5| 176,2] 19,953) 15,600] 0,1130| 3 brr, 176,3] 17,125| 12,653| 0,1137 » » >» |176,2| 18,696) 14,323] 0,1126| 74,45) 2,98 » » 0,1132 49,67 3,01] 172,9 170,6] 19,644) 14,468| 0,1136 É à > 17,930] 13,741] 0,1132f 49,67 dl 172,9| 20 308,8 19,665] 13,123] 0,1147 VATI ; >» |213,5! 20,518| 13,8141 0,1152| 49,67| 3,01| 172,9| 240,0 21,653| 13,987| 0,1165 5 ; » |258,7|20,726| 14,005| 0,1169/0,1171 Pi >» | >» |261,1|21,329|14,370|0,1178 24,80| 3,45] 173,7| 321,9) 23,531|,17,828| 0,1203 » FA 319,9 22,048] 16,339| 0,1206|0,1205 PIE 22,660| 16,904] 0,1205 Da queste esperienze si deduce che occorre una quantità di calore g data dalla seguente tabella per riscaldare da 15 a 7° un grammo di nichel. T | q | I, do prtacnizi: | 99 | 9,25 9,25 9,21 174 17,98 17,96. | 18,00 211 22,91 | 22,46 | 22.08 | 252/L'0 20391) 21,0800 2041 321. (000000 90,9 | 36,9 | SUI CALORI SPECIFICI 93 La curva, a cui spetta l’equazione q=0,10766 (£— 15) +24,816.10-%(#— 15)°+ +0,053498.10-°(£—15)? passa per il primo, per il secondo e per il quinto dei punti dati dalla precedente tabella. Essa passa a così piccola distanza dagli altri due punti, che si può dire che anche questi giac- ciono sopra di essa. Il Pionchon trovò invece che una sola for- mula non poteva rappresentare i valori di 9g da 0 a #, se non per # minore o tutto al più eguale a 230°. Da questo punto in su egli trovò necessario di usare un’altra formula, che però non può essere quella, la quale fu stampata nella sua memoria, e segnata (6). La vera formula ch'egli deve aver calcolato, dà 26,6 a 230”, mentre la formula spettante al tratto inferiore dà 26,1. Vi dovrebb'essere dunque secondo il Pionchon un can- giamento repentino di direzione nella curva che rappresenta il fenomeno, oppure un salto intorno a quella temperatura. Il Pionchon ricorda a tale proposito le anomalie che il nichel pre- senta rispetto ad altre proprietà fisiche a temperatura un po’ alta. Siccome le mie esperienze calorimetriche non davano alcun in- dizio di anomalia, feci dell’esperienze col metodo del raffredda- mento. Introdussi il bulbo di un termometro in apposita cavità praticata in un cilindretto di nichel, scaldai il tutto fino a 320°, indi lasciai raffreddare in un ambiente mantenuto a 170° o a 100°. Costruii la velocità di raffreddamento in funzione delle temperature, ma non potei scoprire alcuna discontinuità. Del resto è molto incerto se sia da attendersi un muta- mento repentino del calore specifico del nichel ad una certa temperatura, perchè a questa temperatura variano repentinamente le proprietà magnetiche e termoelettriche di quel metallo. È noto che il ferro, quando si raffredda dopo esser stato riscaldato fino all’incandescenza, presenta alla temperatura del rosso scuro il fenomeno di un repentino riscaldamento, che fu scoperto dal Barrett (1), ma il nichel, nè alla temperatura, a cui perde le proprietà magnetiche, nè ad altre temperature, non porge alcun fenomeno di tal genere (2). Il nichel non presenta nemmeno il fenomeno del Gore, che si riscontra nel ferro ed ba somiglianza (1) BarrET, Philosophical Magazine (4) XLVI, 472. (2) Banret, |. c. e l'omLinson, Philosophical Magazine (5) XXIV. 266. 94 ANDREA NACCARI con le altre anomalie citate. Infine è da ricordare che in ge- nerale i mutamenti nell’aggregazione molecolare d’un metallo solido hanno poca influenza sul calore specifico , sicchè è pro- babile che questo non muti grandemente in causa di quelle ignote variazioni che il nichel soffre a certe temperature, e che ci ven- gono rivelate dai mutamenti delle sue proprietà magnetiche ed elettriche. I valori g, della precedente tabella spettano alla formula seguente con due termini. q,=0,10569 (£—15)+47,3.10-°(£— 15) Se ne deduce ] = y=0,10569+94,60.10-°(£— 15) e quindi gI0P8 0,1057 50 0,1090 100 0,1137 150 0,1185 200 0,1232 250 0,1279 300 0,1327 Altre esperienze eseguii sopra nichel puro. Esse diedero un risultato consimile e non indicarono traccia di anomalie. Antimonio. 76, 6, 3,52] 435,6| 99,4|13,569/12,742/0,05041 » » » » |15,779/14,089 4976|0,05004 VET ge 260055 >» |14,830/12,689 4994 ze ra pale nie aa ln | 127,1 3,52| 320,9] 172,9/20,260|17,095|0,05003 >» |171,3|18,690]15,050 5045/0,05027 » >» |17,663|14,467 5034 127,1| 2,98! 312,1| 251,9/22,158|17,231[0,05046 » » » |246,6]22,/08]17,750 5081 » » » |248,1/[22,213]|17,224 5068 86,7(3,01| 172,9] 247,2]19,731|13,559 5084 43,5] 3,45] 173,7] 322,8|20,877|16,422|0,05146 » » » |320,0|22,117|17,699 5176/0,05157 » » >» |322,8|19,623/15,155 5148 0,05070 SUI CALORI SPECIFICI 95 La tabella che segue contiene nella seconda colonna le quantità di calore 9g, che secondo l’esperienze testè riferite sono necessarie per riscaldare da 15° a 7 un grammo di antimonio. to q | 99 4,20 | 4,17 172 7,89 7,94 249 11,85 11,90 321 Lai gb 75 La formula calcolata col metodo dei minimi quadrati per l’antimonio è la seguente. q=0,048896(£—15) +8,359.10-°(f—15). Essa dà i valori g, della tabella precedente. d Se ne deduce ,=7 =0,048896+16,718.10—9(#— 15). Pertanto a #— Log y= 0,04890 50 4947 100 5031 150 5414 200 5198 250 5282 300 5966 Piombo. ] 160,2] 3,52| 435,6] 99,3/14,514|13,484'0,03058 » » » » |14,132|13,101 3084/0,03075 103,2] 3,4 | 277,8 » |15,240/14,180) 3082 160,2| 2,98] 320,9] 183,9/18,261|15,507.0,03124 5 » » |173,9/18,982|16,431| 8091|0,03099 » » » |173,3|19,294|16,765| 3081 | 249.( 0 20,954|17 ,058 0 0,08154 252,1|]21,928|18,002 3148/0,03149 247,6 21,354|17,495 3147 71,5] 3,45! 173,7| 296,6|19,938[15,779/0,08194 >» |297,4!/21,045|16,894 5191 » |297,5|21,045|16,916 3170 » > i > |296,6[21,094|16,931 3210 0,03191 96 ANDREA NACCARI La tabella seguente dà i valori della quantità 9 necessaria a riscaldare da 15° a 7 un grammo di piombo. Pai ue 4 99 2,58 2,56 i ei pri; 5,02 509 250 7,99 7,41 297 8,99 8,98 La formula seguente calcolata col metodo de’ minimi qua- drati dà i valori 9, contenuti nella seconda colonna della tabella. q-=20702993(#— Lo)-L.6,7923,10 (#_-dale MEL I Di qui = 3=0:02993+13,5846.10-°(#— 15). d Pertanto a 155 g=0,02993 og 3040 100 3108 150 3176 200 3244 250 3312 300 3380 Alluminio. (37,25 2,98| 435,61 99,3/ 14,869) 12,748] 0,2156 5 " $ » |14,518|12,894|0,2164!) 9164 >» |2,95|171,9) 99,4| 26,268| 22,716] 0,2168| » » » 99,5] 26,249| 22,692] 0,2166 37,25| 3,01) 172,9) 181,4| 21,360| 13,476] 0,2210 » » » 176,6] 19,604| 13,795] 0,2207 » » » |178,2| 19,016) 13,115] 0,2211 » |2,98| 306,7] 180,4] 21,696) 17,285] 0,2207 9,57| 3,45, 178,7) 255,4| 21,065! 17,723| 0,2246 » » >» |249,5| 19,416] 16,128| 0,2248/0,2242 » » » |255,9] 20,296] 16,958! 0,2233 9,57! 3,45 173,7| 314,0 21,160] 16,987| 0,2272 A $ » |322,0|19,454|15,049/0,2287|) 0079 4 è » |323,0| 20,980) 16,629] 0,2272| s 3 » |821,9/ 21,707] 17,363] 0,2284 O 02209 SUI CALORI SPECIFICI 97 La tabella seguente dà i valori della quantità di calore ne- cessaria a riscaldare un grammo di alluminio da 20° a 7. La formola seguente dà i valori g, della tabella precedente. Essa fu calcolata col metodo dei minimi quadrati: q=0,2135(#—20)+47,535.10=9(— 20)? Di qui y=54=0,21235 + 95,07.10=5(#— 20) Pertanto af 120° y=0,2135 50 0,2164 100 0,2211 150 0,2259 200 0,2306 250 0,2353 300 0,2401 Trascrivo qui sotto i valori dei coefficienti delle formule con due termini sopra riferite e ridotte alla forma y=a(1+bt). De) Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII 98 A. CHARRIER Ordino 1 metalli secondo i valori ascendenti di .. 77 b. 109 Rame 0,09205 230,8 Antimonio 0,04864 343,7 Argento 0,05449 392,9 Cadmio 0,05461 483,4 Alluminio 0,2116 449,3 Piombo 0,0297383 456,9 Zinco 0,09070 489,5 Nichel 0,10427 907,0 Ferro 0,10442 1029,1 Dal Laboratorio di Fisica della R. Università di Torino 4 Dicembre 1887. RIASSUNTO delle osservazioni meteorologiche fatte nei mesi di Gennaio, Febbraio, Marzo e Aprile 1887 nell’Osservatorio astro- nomico della R. Università di Torino dall’Assistente Prof. ANGELO CHARRIER Gennaio 1887. La media delle altezze barometriche osservate in questo mese è 39,97. Essa è inferiore di mm. 0,06 alla media di gennaio degli ultimi ventun’anni. Le variazioni non furono numerose; se ne ebbero delle rapide e di ragguardevole ampiezza. Il quadro seguente dà i valori mas- simi e minimi osservati. OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE 99 Giorni del mese. Massimi. Giorni del mese. Minimi. + tO 89,13 dette ve 19,48 1. art PIRO 4375 POE PAN, 36,69 20) Si VE EIA Hi.7S TICS 43,62 7, RAR 53,84 2 Med de 45,81 La temperatura massima -+ 6°,9 si ebbe nel giorno 31, e la minima —10°,3 nel giorno 7. La media —1°,8 è inferiore di 2°,5 alla media di gennaio degli scorsi ventun’anni. — Sette furono i giorni con pioggia o con neve, e l'altezza dell’acqua ca- duta fu di mm. 56,6. Il quadro seguente dà la frequenza dei singoli venti : NONNE NE ENE E RSE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW e nnt I 104 TONINO 401. 1001 LORO. 0 Febbraio 1887. La media delle pressioni barometriche osservate in questo mese è 44,35; superiore di mm. 5,27 alla media di febbraio degli ultimi ventun’anni. -—- I valori massimi e minimi osservati sono i seguenti : Giorni del mese. Massimi. Giorm del mese. Mimi. i». 53,90 ife SO 38,59 330 e “I a 47,21 LOR e 38,99 MEA CISTI! IO io 35,79 A... , 48,14 DO e 42,51 DCR 54,32 La temperatura in questo mese ha per valor medio + 5°,7; supera di 0°,9 la temperatura media di febbraio degli ultimi ventun’anni. Le temperature estreme — 8°,7 e +9°,9 si eb- bero rispettivamente nei giorni 19 e 26. L’acqua caduta raggiunse l’altezza di mm. 22,8 proveniente da neve o da pioggia caduta in quattro giorni. Il quadro seguente dà la frequenza dei venti nelle singole direzioni. NO NNE NE ENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW MET. e LR 1 ST SÙ NO 100 A. CHARRIER Marzo 1887. L'altezza barometrica in questo mese ha per valor medio 36,30. Questa media supera di mm. 0,93 la media delle altezze barometriche di Marzo degli ultimi ventun’anni. Le sue variazioni furono di considerevole ampiezza, come si può rilevare dal seguente quadro, che ne contiene i massimi e minimi valori : Giorni del mese. Minimi. Giorm del mese. Massimi. [O ARS e DERE 86,92 ME PZ E 43,75 e done 21,62 IV Lal 44,14 oo an 30,84 Dibi pete 39,85 2 RSI 31,52 La temperatura ha in questo mese per valor medio + 8°,1: valore che supera di 0°,5 il valor medio della temperatura di marzo degli ultimi ventun'anni. il minimo valore della temperatura — 0°,7 si ebbe nel giorno 19, il massimo + 17°,4 nel giorno 4. Si ebbero sei giorni con pioggia leggiera, e l'altezza del- l’acqua caduta fu di mm. 13,95. La seguente tabella dà il numero delle volte che spirò ciaschedun vento. NO NNE NE RENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW 6 Gis23i 9 12:90 de Bid 11. 260/4006 - 3 Aprile 1887. La pressione media barometrica (35,79) supera la media delle pressioni d’aprile degli ultimi ventun’anni di mm. 1,48, Essa fu alquanto variabile, come si può rilevare dal quadro seguente: Giorni del mese. Massimi. Giorni del mese. Minimi. daelorca 37,95 AR: 24,58 ce gags beso 42,61 LET 29,24 IT 45,87 a a i 30,42 Dn. 43,39 La temperatura media di questo mese è di + 11°,2 inferiore di 1°,6 alla temperatura media di aprile degli ultimi ventun’anni, OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE 101 Le temperature estreme + 0°,6 e +20,2 si ebbero nei giorni 2 la prima, 29 la seconda. Si ebbe pioggia in nove giorni, e l'altezza dell’acqua rac- colta nel pluviometro fu di mm. 98, 6. Il quadro seguente dà il numero delle volte che spirò il vento nelle singole direzioni. NO NNE NE ENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW 00 ET e IV EVE Il Direttore della Classe ALFONSO Cossa. Qui (MORIVA EE NIAUO LI ci ida i DORATO i pf MIRA OFIT. - E PIA suetiti a er? ; idro: fasi at fi a a I A da (1A (2) dà de A i ia) MIO MRO, E RANOTA 1° (131 IRE EURI 4 e Mi silod so "3 VESINI! ati (4, mean si Pe è} È ul SOMMARIO Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. ADUNANZA del':4 Dicembre: 14987 iu tea e ea Pag. OruL — Contribuzione allo studio della circolazione del sangue. . » Japanza — Sul calcolo degli azimut mediante le coordinate rettilinee » NaccarI — Sui calori specifici di aleuni metalli dalla temperatura ordinaria. finda:320* 14 e ee A SO E e a » CHaRRIER — Lavori dell’Osservatorio astronomico di Torino ... . ‘» 49 50 61 79 98 ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI: EOREINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vox. XXIII, Disp. 3', 1887-88 Le Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali TORINO ERMANNO LOESCHER Libraio della R. Aecademia delle Scienze 103 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 18 Dicembre 1887. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ARIODANTE FABRETTI VICEPRESIDENTE Son presenti i Soci: Cossa, LESsonAa, SALVADORI, BRUNO BeRrKUTI, Basso, D’Ovipio, NaccarI, Mosso, SPEZIA, GIACOMINI. Si legge l’ atto verbale dell'adunanza precedente che viene approvato. Il Socio SPEZIA presenta in dono all'Accademia, per incarico dell'Autore, sei lavori pubblicati dal Dott. Federico SAcco sopra argomenti di geologia. Le comunicazioni e le letture si succedono nell'ordine se- guente : 1° Relazione intorno alla Memoria del Dott. C. SEGRE Sulle varietà cubiche dello spazio a quattro dimensioni, e su certi sistemi di rette e certe superficie dello spazio ordi- nario » , del Socio D’Ovipio, condeputato col Socio GENOCCHI. 2° « Su alcune anomalie di sviluppo dell’ Embrione Umano », del Socio GIACOMINI. 3°. « Studio geologico dei dintorni di Guarene d'Alba ». del Dott. Federico Sacco, presentato dal Socio SPEZIA. Da ultimo il Socio Basso presenta per la consueta pubbli. cazione nel Bollettino annesso agli Atti le Osservazioni meteo- rologiche dei mesi di Maggio, Giugno, Luglio ed Agosto 1887, eseguite nell’Osservatorio astronomico della R. Università di To- rino per cura dell’Assistente Prof. Angelo CHARRIER. Sono uniti a dette Osservazioni i riassunti e le medie mensili coi relativi diagrammi. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII 8 4°. as AAÙÙALI ALTA ge 104 RELAZIONE sulla Memoria del Dott. Corrapo SEGRE « Sulle varietà cubiche dello spazio a quattro dimensioni e su certi sistemi di rette e certe superficie dello spazio ordinario ». Scopo principale di questa Memoria si è lo studio, non della varietà cubica generale di uno spazio lineare S,, ma di quelle particolari che hanno punti singolari; facendo così l’analogo della classificazione data dallo Schlifii delle superficie cubiche di S,. — Nè la classificazione è fatta nel senso di stabilire tutti i casi, che sarebbero innumerevoli; ma sono esposti soltanto i principali, dalla cui combinazione si trarrebbe poi una classificazione completa. Sebbene un lavoro di classificazione sovente riesca pesante, pure tale non riuscì questo all’A., grazie alla molteplicità delle questioni che gli si presentarono. Fra le varietà cubiche studiate spiccano quelle generabili da tre reti proiettive di spazî, che nel caso generale hanno 6 punti doppî, ma possono averne 7, 8, 9, 10 (il quale ultimo caso fu già trattato dall’A. in una Nota precedente, che in gran parte rientra nella presente Memoria), e possono anche acquistare linee doppie. Tutti questi casi sono successivamente studiati dall’A., e sono stabilite le condizioni cui devono soddisfare gli elementi singolari perchè sia possibile la detta generazione proiettiva. Sono studiati i casi principali che possono presentarsi circa i punti doppî di specie superiore (ed è anzi data qualche proposizione valida per qualunque dimensione e qualunque ordine di varietà). — Note- voli poi sono le varietà cubiche con linee doppie o con piano doppio: le linee doppie possono essere una o due o tre rette, una 0 due coniche, una quartica. — Una retta od una conica doppia può essere di specie superiore (analogo delle linee cus- pidali delle superficie ordinarie). E quanto alla retta doppia di 2° specie, si ha una distinzione di casi che non ha l’analoga nello spazio ordinario, e che si presenta pure (come nota lA.) per le rette doppie di varietà di ordine e dimensione superiore; essa dipende dalla classificazione dei fasci di coni quadrici trat- tati dall'A. in una Nota anteriore. 105 L’A. applica man mano i risultati che va ottenendo intorno alle varietà cubiche, allo studio di quelle superficie di 4° e di 6° ordine che si ottengono come contorni apparenti di tali va- rietà nello spazio ordinario rispetto a un punto che appartenga o no ad esse. I sistemi di rette contenuti nelle diverse varietà, e che son sempre esaminati dall’A., dànno come proiezioni quei sistemi di rette che hanno le dette superficie come focali. Ed è così che vengono studiati in modo affatto nuovo i sistemi di rette di 2° ordine e di classe 2, 3, 4, 5 e 6 (2* specie) già studiati dal Kummer, nonchè varî nuovi sistemi di rette di 3° or- dine che presentano analogie con quelli; ed altri sistemi di rette d’ordine superiore s'incontrano in questo modo. Alcune delle su- perficie di 4° e 6° ordine dianzi nominate eran già note, p. es. le focali dei suddetti sistemi di rette di 2° ordine, le superficie di 4° ordine a conica doppia o cuspidale, ecc.; di molte altre son date le proprietà per la prima volta in questa Memoria. Sulla fine del lavoro l’A., mediante due proiezioni di varietà cubiche sullo spazio ordinario, ottiene certe notevoli trasforma- zioni doppie o triple di questo spazio, per le quali quelle su- perficie sono doppie. L'argomento della Memoria è dunque molto importante ; i risultati cui l'A. giunse sono nuovi ed interessanti; ed il metodo di ricerca è elegante ed assai fecondo. Questo lavoro aggiunge un nuovo saggio ai molti già dati dall’A., della utilità che offre la teoria degli spazi lineari di più che 3 dimensioni, sia considerata in sè stessa, sia applicata, me- diante la proiezione nello spazio di tre dimensioni, a ricercare le più riposte proprietà dei sistemi di rette e delle superficie appartenenti allo spazio medesimo. E però i sottoscritti volentieri propongonc alla Classe che la presente Memoria venga ammessa alla lettura, per la inserzione nei volumi delle Memorie accademiche. A. GENOCCHI. E. D’OvipIo, relatore. La Classe, accogliendo le conclusioni della Relazione, delibera la lettura di questo lavoro, e poscia ne approva la pubblicazione nei volumi delle Memorie accademiche. PS 106 C. GIACOMINI Su alcune anomalie di sviluppo dell’embrione umano, del Prof. C. GIACOMINI Nota 1°. Lo studio delle deviazioni nello sviluppo dei primissimi stadi della specie nostra si può dire appena iniziato. Mentre noi pos- sediamo descrizioni minute e sotto ogni rapporto esatte delle deformità che può presentare il prodotto del concepimento, quando è già entrato nel periodo fetale, e tutti gli organi sono già ben differenziati, poco sappiamo di quelle che riguardano l’em- brione propriamente detto. His nella sua monumentale opera sull’ anatomia dell’ embrione umano: ( Anatomie menschlicher Embryonen, Fasc. II, pag. 98) riproduce col disegno diverse deformità da lui osservate; ma nel testo si limita ad una de- scrizione sommaria, ad una semplice enumerazione, rimandando ad altra epoca uno studio completo di esse. Non è adunque il materiale che manchi, essendo che oggidì è ben dimostrato che negli aborti dei primi due mesi è relativamente frequente di osservare embrioni deformati: e non pochi degli embrioni umani che io ho potuto esaminare erano infatti patologici. La ragione principale, per cui noi difettiamo di studi sopra questo campo, si è che non è ancora ben conosciuta e stabilita la condizione normale di sviluppo nella specie nostra. Quando si ha la fortuna di avere embrioni umani delle prime settimane e si studiano con accuratezza e diligenza appunto come si merita un materiale così prezioso, riscontrando delle partico- larità le quali si allontanano da quanto noi conosciamo sullo sviluppo degli animali più vicini all'uomo, sorge sempre il dubbio se l'oggetto da noi studiato appartenga o no allo stato normale. Generalmente però si ha la tendenza di considerarlo come tale, ed allora si cerca di interpretare le diverse disposizioni riscontrate, tentando di ricondurle agli schemi più o meno ipotetici ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO 107 che hanno dominio nella scienza, senza riescire sempre e com- pletamente allo scopo. Noi siamo quindi ancor lontani dal poter stabilire le leggi che regolano la produzione di così fatte anomalie, per ora lo scopo nostro deve essere più modesto, limitandoci alla descri- zione esatta e precisa di quanto cade sotto la nostra osserva- zione lasciando ad altra epoca, quando le descrizioni si saranno moltiplicate, il trarre conclusioni che sorgano spontanee dal con- fronto dei diversi casi osservati, e che servano ad interpretare l’origine ed il significato di così frequenti disposizioni. In principio dello scorso Maggio io riceveva dall’amico e col- lega Mo, un ovulo umano che era stato emesso poche ore prima da una donna di anni 30 la quale ebbe già due parti a ter- mine ed un aborto nel primo anno di matrimonio. Messo nel liquido picro-solforico ed esaminato esso si presen- tava sotto la forma di un ovo di piccione, con una grossa estre- mità globosa ed una piccola estremità un po’ assottigliata, la quale probabilmente era quella che corrispondeva al collo del- l'utero. La massima parte della superficie era coperta dalla ca- duca ovulare; un piccolo tratto era completamente libero ed è qui dove esistevano le villosità del corion molto numerose e sviluppate, ed in questo punto le membrane erano già state rotte durante il periodo d’espulsione: circostanza questa che io devo molto deplorare, poichè lascia libero il campo ad interpretazioni diverse. Così galleggiante nel liquido il massimo diametro longitudinale misurava 4 cm., il trasvers. 2 x Sulla superficie del Corion le villosità erano ben sviluppate ma non uniformemente disposte, l'altezza nella parte libera della caduca era in media di 5 mm. Esse si presentavano ben rami- ficate e con conformazione normale. Sulla faccia opposta al punto dove esisteva l'apertura dell’ovulo, le villosità mancavano affatto ed il Corion si presentava liscio e strettamente applicato alla caduca. Per questi caratteri l’ovulo poteva corrispondere alla fine del 1° mese di gravidanza o tutto al più al principio del 2° mese, ed all’interno si doveva trovare un embrione della lunghezza almeno di 10 a 12 mm. Allargando l’apertura con una incisione delle membrane in alto ed in basso si mise allo scoperto tutta la ca- 108 C. GIACOMINI vità dell’ovulo. Ma essa era completamente vuota. Sul principio ho creduto che l'embrione fosse sbucciato fuori appena fu aperta la cavità, ed attesa la sua piccolezza ed il suo stato gelatinoso e trasparente fosse andato perduto. Ma per quanto cercassi il punto d’inserzione del funicolo, non mi venne dato di trovarlo. La superficie si presentava perfettamente liscia e regolare, in tutta l'estensione, senza traccia di violenza subita. Portando più in special modo la mia attenzione verso il fondo della cavità, notai l'esistenza di due piccole vescichette ben distese da liquido, con pareti molto sottili e regolari e perfettamente trasparenti. Erano poste l’una accanto all'altra senza aderire fra loro. Una più piccola, l’altra un po’ maggiore e' questa è quella rappresentata nella fig. 1. Essa misurava un diametro da 5 a 6 mm. .Erano libere in quasi tutta la loro estensione, solo per un piccolo tratto aderivano alla superficie che limitava la cavità, vale a dire al Corion. Non erano però peduncolate, ma sembravano come appic- cicate per un tratto della loro superficie. Per il loro piccolo volume queste vescicole non occupavano che una minima parte della ca- vità circoscritta dal Corion. Questo è quanto si poteva notare ad un semplice esame di- retto, coadiuvato anche dalle lenti d’ingrandimento. Volendo meglio conoscere i rapporti di queste formazioni con il Corion, del quale sembravano una dipendenza, e studiare la loro intima costitu- zione, l’una e l’altra vennero separatamente isolate insieme ad un tratto più esteso del Corion sul quale sorgevano, colorate col carmino-borace, incluse in paraffina, e divise col microtomo in un numero indefinito di sottili sezioni che vennero tutte con- servate nella gomma Damar nell’ordine col quale venivano fatte. In questi preparati non solo si può studiare la struttura delle vescicole, ma ancora del Corion e delle villosità che sorgevano numerose dalla superficie esterna di esso. Nel trasportare l’ovulo dal liquido picro-solforico nell’alcool a diversi gradi di concentrazione, le vescicole divennero meno trasparenti, e nel liquido entro contenuto si formò un leggero pre- cipitato. L’inclusione in paraffina produsse naturalmente un raggrin- zamento delle vescicole per cui nelle sezioni le pareti si presen- tavano sotto forma di un nastricino o meglio di un sottilissimo filo, irregolarmente disposto, ma la cui continuità poteva essere facilmente seguita. Questa disposizione irregolare della parete delle vescicole ca- ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO 109 gionò un altro fatto che merita d’essere tosto notato. In molte sezioni accanto al preparato principale si incontrano dei cerchi completamente chiusi, i quali farebbero credere alla esistenza di vescicole secondarie indipendenti, disposte attorno alla vescicola maggiore. Ma ciò non è che effetto del diverso ripiegarsi della parete della vescicola, la quale venendo dalla sezione colpita in una di queste ripiegature, dà l’idea di una cavità secondaria; ma esaminando le sezioni successive si vede come la parete di questa si continui con quella della vescicola principale. La costituzione delle due vescicole ed il loro modo di com- portarsi con il Corion è perfettamente identico. Solo nella vesci- cola minore le pareti sono un po’ più robuste in rapporto evidentemente al diverso grado di distensione che esse hanno su- bito. Questo effetto meccanico si fece sentire pure sui. diversi punti delle pareti della stessa vescicola. Esse infatti non pre- sentano egual spessore, raggiungono la massima sottigliezza nella parte più lontana dal punto d’impianto sul Corion e vanno gra- datamente aumentando quanto più ci portiamo verso il pedun- colo d’inserzione (vedi Fig. 2° e 3°). In qualunque punto però si esamini la parete risulta costituita da due strati, uno interno epiteliare e l’altro esterno connettivo. Lo strato epiteliare conserva in tutta l'estensione la medesima apparenza, esso è formato da un unico strato di cellule fortemente appiattite. Il nucleo in sezione è ovalare e un po’ sporgente nella cavità, visto di fronte invece è sferico con granulazioni variamente sparse qua e là. La sola circostanza a notarsi si è che i nuclei di questo strato ci appaiono più avvicinati là dove la parete ha un certo spessore e quindi in corrispondenza del punto d’inser- zione della vescicola sul Corion; più distanti invece nei tratti più sottili della parete (vedi Fig. 4°). Lo strato esterno è quello in dipendenza del quale risulta in principal modo il diverso spessore della parete delle vescicole. Esso è una continuazione del tessuto stesso del Corion, risulta quindi costituito da un tessuto connettivo lasso con cellule fu- siformi. Queste sarebbero disposte in diversi ordini nella parte più robusta della parete; nella porzione sottile questo strato è ri- dotto ad un semplice velamento che serve di sostegno all’epitelio sottostante. Ciò si osserva in principal modo nella parte più eccentrica della vescicola maggiore, dove la parete ad un su- perficiale esame sembra risultare dal solo strato epiteliare interno. 110 C. GIACOMINI Non esiste una stretta connessione fra questi due strati, per cui facilmente si possono allontanare l'uno dall’altro, come av- venne in diversi punti sotto l’azione dei reagenti cui fu sotto- posto il preparato. In questi tratti la loro costituzione ed indi- pendenza è resa meglio evidente. Il Corion non presentava nulla di notevole. Ha spessore non uniforme e questo è un po° maggiore nei punti dove sorgono le vescichette. I due strati risultano costituiti nel modo conosciuto. Dalla superficie esterna del Corion e principalmente nel punto corrispondente alle vescichette sì originano numerose villosità , le quali vennero colpite dalla sezione nel modo più svariato. Non ho potuto rilevare in esse la presenza di vasi sanguigni. Sono tutte limitate da un doppio ordine ben evidente di cellule epiteliari, regolarmente disposte e fuse insieme. La parte essen- ziale del villo è formato da tessuto connettivo lasso con mag- giore o minore abbondanza di elementi cellulari. Questo riempie completamente lo spazio circoscritto dallo strato epiteliare; però in alcune villosità lo stroma appariva come raggrinzato o rac- colto alla parte centrale del villo, lasciando così uno spazio manifesto tra esso ed il rivestimento epiteliare. In questi casi gli elementi dell'epitelio si dimostravano molto ben distinti ed indipendenti dal sottoposto stroma. L’aderenza delle due cisti alla faccia interna del Corion si operava nello stesso modo. Le sezioni fatte in corrispondenza di questo punto dimostravano come il tessuto connettivo fosse più robusto, e come esso si continuasse, senza nessuna linea di con- fine sulla superficie stessa delle vescicole formando così lo strato esterno delle pareti di queste. Questo strato conserva meglio i caratteri del tessuto con- nettivo del Corion e come abbiamo già detto si presenta più ro- busto in vicinanza del punto d’inserzione; invece sul punto op- posto delle vescicole si fa più sottile, e si modifica d’alquanto per effetto del distendimento. Il tratto d'inserzione della piccola vescicola è più ristretto, per cui essa ci appare quasi peduncolata; nella vescicola mag- giore invece l'aderenza è più estesa. Da quanto siamo venuti discorrendo appare evidente come le due vescicole osservate nel nostro aborto siano una vera di- pendenza del Corion. Ma per completare la descrizione occorre di notare una cir- ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO UPLSI costanza, la quale secondo me ha grande importanza per spie- gare il modo di origine di siffatte produzioni. Nello spessore del tessuto connettivo che serve a congiungere la superficie in- terna del Corion con le vescicole, si osservano degli spazi ben circoscritti; limitato e circolarmente disposto è quello che si trova nel peduncolo della piccola vescicola; più ampio e più irregolare è nella maggiore. Questi spazi sono rivestiti alla lor faccia interna da uno strato di cellule ben evidenti con nucleo rotondeggiante e proto- plasma leggermente granuloso. Le cellule sono molto avvicinate fra loro e quasi fuse insieme. Esse sono sostenute all’esterno dal connettivo del Corion, col quale però si trovano molto lassa- mente unite, occorrendo di osservare in molte sezioni un alion- tanamento dello strato cellulare dal connettivo del Corion. Non vi ha alcun dubbio, che queste cavità sono in stretta con- nessione colle vescicole studiate, costituendo uno dei primi stadi del loro sviluppo. Se le cellule che formano il rivestimento interno ci appaiono con caratteri un po’ diversi da quelli che presentano le cellule epiteliari delle due vescicole, ciò dipende non da altro che dal diverso grado di sviluppo che hanno avuto questi spazi. Questi elementi possono essere ben studiati nella fig. 3 dove es- sendo allontanati dallo strato connettivo, ed essendo colpiti dalla sezione in piani diversi, essi si presentano colla massima evidenza dimostrando il loro carattere epiteliare. Descritti così i caratteri anatomici ed istologici delle due vescicole rimane a stabilire quale significato esse abbiano, ed in quali rapporti esse fossero col nuovo individuo che stava svilup- pandosi in quest’'ovo. La prima idea che viene alla mente, si è che fossero il rap- presentante dell'embrione, o meglio che esse procedessero da un deviato sviluppo degli elementi che dovevano produrre l’embrione o le sue parti annesse. Questa idea avrebbe maggior fondamento se noi potessimo essere certi della mancanza dell’ embrione , escludendo in modo assoluto il dubbio che esso non fosse sfug- gito per l'apertura che si produsse nelle membrane, prima di essere da noi esaminate. E noi troveremmo in allora un facile appoggio al nostro concetto, consultando gli autori, essendochè non è troppo raro di vedere descritte vescicole di forma sferica od ovale alla faccia interna del Corion, e considerate come l’em- brione nelle primissime fasi di sviluppo. 113172 C. GIACOMINI E mi basta qui accennare che His nel fascicolo II, pagg. 32 e 87-88 descrive e figura (36 e 47) uno dei suoi più giovani embrioni (XLIV), che egli considera come normale, il quale si presenta un po’ diversamente dagli altri risultando esso di due produzioni applicate alla faccia interna del Corion per mezzo di uno stelo molto corto, l'una elissoidale non trasparente, e l’altra produzione consistente di una vescica trasparente ad esso unita. La prima egli considera come la vescicola ombellicale, insieme ai rudimenti embrionali, la seconda come amnios. L'esame mi- croscopico non essendo stato fatto, l’His dà questa interpretazione come provvisoria, rimandando ad un esame più accurato un giudizio definitivo. Però le apparenze macroscopiche, sono tutte favorevoli per una stretta affinità col caso da me soprade- scritto. Più recentemente il Chiarugi (Di un uovo umano del prin- cipio della seconda settimana, Siena, 1887) ha descritto un ovulo umano al principio della seconda settimana, nella cavità del quale si trovava una vescichetta bilobata che per un’ampia su- perficie aderiva alla faccia interna del Corion. Essa fu sezionata in tutta la sua estensione, e l’esame microscopico dimostrò quanto segue: « Essa era costituita da varii strati di cellule mal delimi- tabili nel loro contorno, assai fittamente riunite, provviste di nucleo rotondo o ovale. Nel tratto assai esteso col quale la vescichetta prendeva inserzione sulla parete interna dell’uovo gli elementi connettivi dello strato mesodermale del Corion si con- fondevano e si continuavano gradatamente con quelli delle pareti della vescichetta e tanto da poter ritenere che identica fosse la natura degli uni e degli altri, come del resto era rivelata dal loro aspetto e particolarmente dall’apparenza dei nuclei cellulari. Variava solo alquanto la disposizione degli elementi, che nelle pareti della veschichetta erano più strettamente avvicinati. Le cellule che tappezzavano la cavità della vescichetta erano dispo- ste, con maggiore regolarità ed apparivano come elementi appiat- titi formanti uno strato continuo. Il Corion era in quel punto costituito come nel rimanente della faccia uterina e mediale dell’uovo, ed era anche quivi provvisto di villosità acute e ramificate » (pag. 14). Ho voluto riprodurre testualmente la descrizione del Chia- rugi, per dimostrare come essa sia perfettamente identica a quella ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO 1153 che io ho dato più sopra della costituzione delle pareti delle due vescichette e del modo loro di connessione col Corion. Il Chiarugi avendo raccolto l’ovulo intero, ed avendolo aperto con tutte le precauzioni volute, non trovò nell’interno della cavità che un liquido mucilaginoso e la vescichetta sopra descritta, come unico rappresentante dell'embrione. Questo fatto può venire in appoggio dell'idea che anche nel nostro caso le cose stessero in questi termini, vale a dire che le due vescichette fossero le sole parti contenute nella cavità del Corion, e che non esistesse traccia del nuovo individuo che doveva svilupparsi. Ammesso adunque che l’embrione mancasse non per essere uscito dalla apertura delle membrane, ma per un difetto nello sviluppo, si tratta di vedere se le due produzioni riscontrate alla faccia interna del Corion possono essere considerate come dipendenze del medesimo, ed abbiano avuto origine dagli elementi stessi embrionali deviati dalla loro normale evoluzione. Dalla descrizione che abbiamo fatto, appare evidente che queste vescichette sono di provenienza embrionaria, esse hanno troppo intimi rapporti, e stretti legami con il Corion blastoder- mico, per poterli considerare diversamente. Ma nello stesso tempo crediamo pure ad una perfetta indipendenza di esse dagli elementi propri dell'embrione, vale a dire che non possiamo considerarle come rappresentanti dell'embrione, ma semplicemente come pro- duzioni del Corion. L'arresto o la scomparsa dell'embrione può avere avuto una influenza sullo sviluppo di queste produzioni, ma esse certamente si sono originate dagli elementi del Corion e non da quelli propri dell'embrione. È qui d’uopo che accenni ad una particolarità che presen- tava il Corion in corrispondenza del punto dove aderivano le vescichette, particolarità la quale può dar fondamento ad una ipotesi, che valga a spiegare l’origine loro. Se si esamina la su- perficie esterna del Corion nelle sezioni della vescicola maggiore, sì scorge come essa, non si presenti regolare siccome osserviamo in tutti gli altri punti, ma presenti invece un affondamento verso la superficie interna, il quale si va dividendo, per modo da assumere l'aspetto di una ghiandola rudimentale a grappolo, con due o tre acini e con un condotto escretore breve. La superficie tanto degli uni quanto dell'altro sono rivestite dall’ epitelio del Corion, il quale non presenta nessuna modificazione da quello che si dispone su tutto il resto della superficie coriale. Questa disposizione che 114 C. GIACOMINI io ho riscontrato, solamente in questo punto, si mantiene per una certa estensione della superficie sulla quale aderisce la ve- scicola (vedi fig. 3° £). Ora riesce facile il comprendere che se uno dei fondi ciechi esageri la sua forma globosa, e nello stesso tempo il connettivo coriale proliferi in corrispondenza della parte più ristretta, per mezzo della quale esso è ancora riunito alla superficie del Corion, può avvenire una separazione completa di esso e così aversi in mezzo al connettivo del Corion un follicolo chiuso, rivestito alla sua faccia interna da uno strato epiteliare. Ora supponendo che nell’interno di questo follicolo chiuso si vada producendo del li- quido, esso andrà aumentando in volume e così si avranno tutti gli stadi che abbiamo osservato nel nostro caso. E diffatti nel pedunculo della vescicola minore abbiamo notato l’esistenza di una cavità rivestita di epitelio che potrebbe rappresentare uno dei primi stadi; nel peduncolo della vescicola maggiore, si trova una cavità più ampia rivestita pure essa da epitelio, il quale però va già modificandosi nei suoi caratteri, e che potrebbe con- siderarsi come uno stadio ulteriore di sviluppo, finchè continuando l'accrescimento in volume si avrebbe un ultimo stadio rappresen- tato dalle due vescicole che facevano sporgenza nell’interno della cavità del Corion. Nè a questo punto si sarebbe arrestato il processo, se l’ovulo avesse continuato a rimanere nella cavità uterina, altre vesci- cole probabilmente si sarebbero di nuovo prodotte, le già esi- stenti avrebbero aumentato in volume, dando origine così ad un’ alterazione del Corion, la quale, non so, se sia già stata de- scritta a questo periodo di sviluppo. Sono molto scarse infatti le notizie che noi abbiamo intorno alla patologia del Corion nelle prime settimane della vita endouterina, e queste riguardano quasi esclusivamente le villosità, attesa la loro grande importanza funzionale. Non è d’uopo che io ripeta che il modo con cui ho cercato di rendermi ragione della formazione delle particolarità osservate nell’ovulo è una pura ipotesi, la sola però che si presenti la più razionale. Ed io l’ho accolta tanto più volentieri in quanto che essa è indipendente dalle condizioni di esistenza o no dell’em- brione. ]l caso descritto dal Chiarugi, io reputo della stessa natura di quello che siamo venuti ora studiando. GIACOMINI- Anomalie di sviluppo dell'Embrione Umano. AC CAPITOLI 6 ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO DIS SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Fig. 1° Cavità dell’ ovulo aperta. Sulla superficie interna del p I Corion si osserva la vescicola maggiore V. La vescicola minore era già stata esportata per essere studiata. Fig. 2° Una sezione della vescicola minore in corrispondenza del punto dove si inseriva al Corion. P peduncolo nello spessore del quale si nota uno spazio circolare rive- stito da epitelio F. Fig. 3° Una sezione della vescicola maggiore nella parte media della sua aderenza al Corion. Anche qui si trova nello spessore del Corion una cavità Y abbastanza ampia ri- vestita da epitelio: in £ si osserva un affondamento dell’epitelio del Corion verso il tessuto mesodermale. — © Corion — H sezioni di villosità — XX pareti della vescicola. Fig. 4° Dimostra la costituzione dei due strati che formano le pareti delle vescicole (Ocul. 3 obiettivo 9) Microscopico Koristka). — A epitelio — B strato connettivo. 116 FEDERICO SACCO Studio geologico dei dintorni di Guarene d’Alba del Dott. FEDERICO SACcco CONSIDERAZIONI GENERALI SULLA PALEOFITOLOGIA TERZIARIA DEL PIEMONTE. Mentre numerosissime sono, nel bacino terziario del Piemonte, le località che divennero famose per la loro ricchezza in resti di animali fossili, pochissime invece sono quelle che fornirono, in qualche abbondanza, resti di vegetali, ed anzi esse possonsi rag- gruppare in tre principali, cioè: pel miocene inferiore le vici- nanze di S. (Giustina nell'Appennino settentrionale; pel miocene medio alcune poche località dei colli torinesi e pel miocene su- periore le vicinanze di Guarene d’Alba. ° I banchi fillitiferi del Tongriano interiore di S. Giustina, i cui stupendi fossili furono accuratamente raccolti da Don Per- rando, vennero già descritti dall’Issel (1) ed i terreni che li com- prendono già segnati in una recente carta geologica (2). Delle marne dure fillitifere dei colli torinesi ebbi già ad in- dicare in altro lavoro lo sviluppo e la precisa posizione geologica costituendo esse, quasi da sole, il piano Langhiano (3). Invece della regione fillitifera di Guarene d’Alba, quantunque già abbia avuto a trattare (4) in un esame generale del Mes- (1) A. IsseL, Note intorno al rilevamento del territorio compreso nei fogli di Cairo Montenotte e Varazze. Boll. R. Com. geol. ital. , serie II, vol. VI, 1885. (2) A. IsseL, L. MazzuoLi e D. Zaccagna, Carta geologica delle Riviere Liguri e delle Alpi Marittime. Genova, 1887. (2) F. Sacco, / Colli torinesi. Carta geologica alla scala di 4/00, Torino, 1887. (4) F. Sacco, Il piano Messiniano nel Piemonte (due parti, Mondovì- Guaréne e Guarene-Tortona) Boll. Soc. geol. ital., vol. V e VI, 1886 e 1887. STUDIO GEOLOGICO DEI DINTORNI DI GUARENE D'ALBA 117 siniano in Piemonte, tuttavia non venne finora fatto alcun la—- voro particolare, nè pubblicata alcuna carta geologica dettagliata, per cui in considerazione non solo dell'importanza paleontologica ma anche geologica della regione ultimamente accennata, creco opportuno di presentarne uno studio particolare, unendovi la carta geologica in grande scala, ma tralasciando però di farne l'esame paleontologico che venne già maestralmente eseguito spe- cialmente da Eugenio Sismonda (1) e riassunto nei miei preac- cennati lavori. Debbo però notare prima d'’entrare in argomento, come la indicata scarsità di resti fossili vegetali nei terreni terziari del Piemonte è piuttosto apparente che reale, e dipende essenzial- mente dal non essersi eseguite in proposito accurate ricerche se non che in pochissime località; prova evidente di ciò è il fatto, che le ricchezze paleofitologiche di S. Giustina sono dovute quasi uni- camente all'opera di un sol uomo che consacrò in tali ricerche parte notevole della sua vita, trascorsa appunto in tale regione, e quelle dei colli di Torino e di Guarene debbonsi agli studi del Sismonda che, avendo trascorso gran parte della sua vita in Torino ed in Conegliano d’ Alba, suo luogo di nascita e di villeggiatura estiva, ebbe campo per una lunga serie di anni di fare accurate ricerche nei terreni terziari di queste due regioni. Ma in verità nello studio che feci in questi ultimi anni del- l’intiero bacino terziario del Piemonte, ebbi a constatare in lo- calità numerosissime, ed in quasi tutti gli orizzonti geologici che lo costituiscono una quantità più o meno grande di resti vege- tali; credo anzi opportuno di dare un rapido cenno in proposito, colla speranza di poter incoraggiare qualche paleofitologo in queste ricerche. Nei terreni bartoniani delle colline Torino-Valenza sono ab- bondantissime le filliti, i rami d’albero, i frutti, le impronte di Zoophycos, ed i resti calcarei di Lithothamnium. Trattasi di una flora interessantissima, di cui il Cav. Roasenda possiede una ricca raccolta, finora però affatto vergine di studi speciali. (1) E. Sismonpa, Prodrome d’une flore tertiaire du Piemont, Mem. R, Ace. Se. di Torino, serie II, tomo XVIII, 1859. — Materiaux pour servir à la paléontologie du terrain tertiaire du Piemont, Mem. R. Acc. Sc. di Torino, serie II, tom. XXII, 1865 118 FEDERICO SACCO Sulle lastre arenacee e su quelle calcaree del Liguriano rinvengonsi comunissimamente impronte di alghe d’ogni forma e dimensione e finora ancora ben poco studiate. Molto sovente s'incontrano rami, filliti, fiori e frutti nel Tongriano inferiore subalpino e subappennino, specialmente nei banchi arenacei o arenaceo-marnosi alquanto fogliettati; questa ricchissima e lussureggiante flora tropicale del 7ongriano, di cui posseggono abbondantissimi e ben conservati resti i Musei di Genova e di Torino, servirà certamente di prezioso mate- riale per uno stupendo lavoro monografico a quel paleofitologo che vorrà occuparsene. Pure assai comuni sono i resti vegetali, quantunque gene- ralmente non molto ben conservati, fra i depositi arenacei aqui- taniani sia lungo le falde appenniniche settentrionali che nelle colline Torino-Valenza; talora i Lithothamnium costituiscono dei veri orizzonti calcarei. Gli strati marnosi duri del Langhiano, così riccamente fil- litiferi nei colli torinesi, come ho dianzi indicato, continuano a presentare tale prezioso carattere paleontologico nella restante parte dei colli Torino-Valenza, come pure, quantunque meno comunemente, anche nella parte meridionale del bacino terziario del Piemonte. Quanto all’Elveziano, se i banchi che lo costituiscono sono specialmente famosi per i fossili animali, non vi sono però rari, in alcune località, anche resti vegetali specialmente frammenti di legname ed alghe calcaree, fra cui particolarmente abbondan- tissimi in certe località i Lithothamnium. Se le marne del Tortoniano racchiudono raramente fossili vegetali, tuttavia in certi straterelli arenaceo-marnosi che in alcune regioni rappresentano la parte superiore di questo oriz- zonte, con facies sarmatiana, (ad esempio nelle colline della Morra presso il Castello della Volta, nelle colline presso Nizza Monferrato ecc.), abbondano straordirariamente le filliti. Quanto al Messiniano, l'abbondanza in filliti delle marne sabbioso-marnose o marnoso-gessifere di Guarene, unica regione esaminata un po’accuratamente a questo riguardo, ci dà già un'idea della ricchezza paleofitologica di questo orizzonte geologico nel Piemonte; infatti quasi ovunque, specialmente nella parte meri- dionale del bacino terziario piemontese, ebbi a constatare im- pronte di foglie nelle marne sabbiose straterellate, assai carat- STUDIO GEOLOGICO DEI DINTORNI DI GUARENE D'ALBA 119 teristiche del Messiniano, ed altri resti vegetali rinvenni persino fra le arenarie ed i conglomerati di questo piano, come ad esempio nella parte alta delle colline della Morra; così pure là dove si dovettero fare degli ampi scavi in terreni messiniani, ad esempio sotto S. Vittoria d'Alba per la strada ferrata, si rinvennero sovente bellissime filliti che però generalmente andarono disperse, eccetto che nel caso suaccennato in cui vennero raccolte e custo- dite dal prof. Craveri di Bra. Nei terreni marnosi del Piacentino non sono rari i resti di tronchi vegetali, di strobili di conifere ed anche di foglie, special- mente in certi strati particolari. Abbondantissimi sono poi i rami, gli strobili e le filliti nel- l’Astiano sia superiore che inferiore, specialmente negli strati fogliettati. Gran numero di filliti difatti ebbe occasione di ot- tenere delle marne fogliettate dell’ Astiano inferiore il predetto Prof. Craveri durante gli scavi fatti presso Bra per la ferrovia, e ne potei io pure raccogliere moltissime in diversi punti del bacino terziario piemontese. Tanto nei terreni pliocenici come in quelli miocenici riscon- transi a certi livelli dei veri banchi a Lithothamnium, i quali però specificamente sono difficili a distinguersi. Noterò infine come numerosi resti vegetali, fra cui belle fil- liti, si possono anche raccogliere sia nei depositi di littorale e d'acqua salmastra del Fossaniano, sia nelle marne grigiastre o grigio-verdastre, di origine filuvio-lacustre, del Vi/lafranchiano persino al piede meridionale delle Alpi occidentali, come osservai in diversi punti sotto i terreni sahariani del cono di deiezione della Stura di Lanzo. Dopo questa rapida rassegna della ricchezza paleofitologica del bacino terziario del Piemonte, non mi resta più che espri- mere la speranza che presto sorga chi si occupi della ricerca e dello studio di questi tesori paleontologici, rimasti finora in gran parte ignorati e sepolti. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII 9 120 FEDERICO SACCO II: ESAME PARTICOLARE DEI DINTORNI DI GUARENE. Passando ora all’esame geologico della famosa regione filli- tifera di Guarene d’Alba, osserviamo anzitutto come sieno i suoi strati diretti da nord-est a sud-ovest con leggiera inclinazione a nord-ovest, e senza notevoli disturbi stratigrafici, per modo che, dirigendoci dalla grande valle del Tanaro verso nord-ovest, si passa gradatamente dai terreni più ‘antichi ai più recenti, cioè dal Miocene superiore al Pliocene superiore. Seguendo la classificazione del Mayer si possono distinguere nella regione che intendiamo studiare, quattro diversi piani geologici, che passeremo brevemente in esame a cominciare dal più antico. Tortoniano. Il Tortoniano delle colline di Guarene, come d’altronde di quasi tutto il Piemonte, è essenzialmente costituito da marne ar- gillose grigio-bleuastre, talora alternate con strati sabbiosi od arenacei, talora invece piuttosto omogenee a stratificazione non nettamente visibile, facili ad essere disaggregate ed esportate. Questa natura litologica del Zortoniano ci spiega perchè le colline che ne sono costituite si presentino, proporzionatamente a quelle circostanti, poco elevate, rotondeggianti, ed a morbidi pendii, oppure, là dove esse vennero profondamente incise da piccole o da grandi correnti acquee, come in alcune vallette e specialmente nella valle del Tanaro, queste colline tortoniane presentino profondi burroni e spaccati continuamente cangianti di forma, non potendosi quivi i banchi marnosi sostenere a lungo senza appoggio laterale; da ciò derivano i pendii ripidi, franosi, rovinosi di borgate Scaparone, di C. La Torre, di C. Coscia e specialmente del paese di Guarene sulla sinistra di Val Tanaro, nonchè quelli di C. Ghersi, di C. Rocca, di Barbaresco ecc., sulla sua sponda destra. Di più la natura marnosa del Zortoniano ci spiega chiara- mente come la valle del Tanaro, della larghezza di poco più di un chilometro tra le colline di Verduno e quelle di S. Vittoria, STUDIO GEOLOGICO DEI DINTORNI DI GUARENE D'ALBA 121 dove è incisa nei terreni messiniani abbastanza resistenti, come vedremo, si allarghi notevolmente ad est, raggiungendo ed oltrepas- sando anche la larghezza di 3 chilometri come tra le colline di Guarene e quelle di Alba, avendo potuto il Tanaro facilmente esportare le marne argillose fortonzane, in cui è quivi incisa la vallata. Infine la sovraccennata natura del Tortoniano di queste re- gioni ci spiega ancora perchè siano continuamente in riparazione le gallerie ferroviarie di C. Ghersi e di C. Rocca ad est di Alba, opere che sono uno dei tanti errori commessi nella costru- zione delle linee ferroviarie che attraversano le regioni collinose del Piemonte, per non essersi tenuto conto della natura dei ter- reni che si doveano incontrare in tali lavori. Abbiamo già sopra accennato come la direzione generale degli strati della regione in esame sia da nord-est a sud-ovest; quanto all’inclinazione, verso nord-ovest, è di circa 10° nella parte meridionale cioè nelle colline d'Alba dove il Z'ortoniano passa inferiormente all’Elveziano, ma è invece di solo più 4° o 5° nelle colline di Guarene e di Scaparone dove i suoi banchi vengono ricoperti dai terreni messiniani. La potenza della serie fortonzana di queste regioni, tenuto conto della piccola inclinazione degli strati, si può calcolare a solo 400 metri circa, per quanto molto ampia sia la regione occupata da questi terreni. Se nelle colline delle vicinanze d’Alba, sulla destra del Ta- naro, si esamina attentamente il Zortoniano inferiore e si cerca di separarlo dall’Elveziano superiore, si nota tosto come tale distinzione mentre è abbastanza facile e naturale nel complesso, riesce invece difficile ed arbitraria quando si cerca di segnare i limiti precisi tra un piano geologico e l’altro, a causa del fatto che tra essi esiste un passaggio graduatissimo per mezzo di ripe- tute alternanze di strati marnosi, sabbiosi ed arenacei che col- legano le marne argillose del Torfoniano alle sabbie marnose dell’Elveziano. Questo fatto d’altronde, quantunque sia d’imbarazzo a chi fa il rilevamento geologico, non trovandosi uno stabile punto di appoggio per fissare nettamente il limite tra i due orizzonti in questione, è però assai naturale e ci indica che tra il periodo lelveziano e quello tortoniano non vi fu, nella regione in esame, lalcun salto, ma invece un lento e graduale abbassarsi del fondo 122 FEDERICO SACCO marino per modo che i depositi quivi formatisi cangiarono poco a poco di faczes, presentando dapprima facies di basso fondo ed in seguito di alto fondo. Qualche cosa di simile si deve pur dire rispetto al passaggio tra il Tortoniano superiore ed il Messiniano inferiore, che av- viene pure senza salti, solo che in questo caso essendo la natura e la resistenza dei terreni dei due orizzonti molto diversa, ne viene abbastanza facile la separazione, talora anche di lontano, a causa di una specie di gradino che formano i banchi sabbioso- gessiferi del Messiniano sulle marne argillose del Zortoniano costituenti colline a dolcissimo pendio. Però esaminando accuratamente i banchi che costituiscono l’ora indicato passaggio, si vede che anche in questo caso un limite netto fra i due orizzonti geologici non si può generalmente stabilire per l’irregolare apparire delle inferiori lenti gessifere fra le marne tortoniane ed anche per frequenti alternanze di strati sabbiosi e arenacei, con strati marnosi. I fossili racchiusi nei banchi fortoniani della regione collinosa in esame sono piuttosto rari e per lo più sparsi qua e là per modo che se ne trova bensì talora qualcuno eseguendo degli scavi un po ampi, ma quasi mai è possibile farne una discreta raccolta, tanto più che essi sono generalmente alquanto difficili ad estrarsi e conservarsi; si trovarono anche in questi terreni alcuni resti ve- getali, come ad esempio qualche esemplare di frutto drupaceo (completamente trasformato in calcite) di Juglans-nux taurinensis Brogn. presso la C. Torre. Possiamo infine accennare pel lato industriale che il terreno tortoniano viene qua e là utilizzato per fabbrica di laterizi, mentre dal lato agricolo esso costituisce un’eccellente regione vi- ticola sia per la natura litologica che per la forma delle sue colline: vi scarseggiano però le sorgenti acquee. Messiniano. 1 terreni messiniani che costituiscono una specie di nastro irregolare, il quale taglia da nord-est a sud-ovest la regione in esame, sono essenzialmente rappresentati da banchi sabbioso-, marnosi gessiferi e da banchi sabbioso-marnosi racchiudenti talora | arenarie e conglomerati abbastanza potenti; i primi trovansi spe-_ STUDIO GEOLOGICO DEI DINTORNI DI GUARENE D'ALBA 1283 cialmente nella parte inferiore, i secondi in quella superiore del- l'orizzonte geologico in istudio; ma verso ovest i primi, poten- temente sviluppati, vengono a costituire quasi da soli l’intiero piano Messiniano. Assieme ai banchi marnoso-sabbioso-gessiferi di color grigio giallastro o bleuastro incontransi pure non di rado strati o lenti marnoso-calcaree od anche quasi unicamente calcaree, di color giallo biancastro, come per esempio presso C. Gomba, nella parte alta del Bric Paradiso, presso C. Lora, ecc. Le marne calcaree sono di color grigio-verdastro come al Bric Paradiso, oppure di color giallo-biancastro, dove il calcare è più abbondante, e gradatamente si passa ai veri calcari concre- zionati biancastri inglobati in marne grigio-verdastre come presso C. Roncaglia, dove la presenza del calcare è indicata anche di lontano dal color rossastro che il terreno assume superficialmente per alterazione chimica. Nella carta geologica unita a questo lavoro ho indicato con tinta speciale l'orizzonte gessifero, ma devo far notare come la zona indicata come gessifera è pure in gran parte rappresentata da terreni marnoso-sabbiosi fra cui sono compresi i banchi e le lenti gessose. Le lenti ciottolose talvolta sono fortemente cementate da marne sabbioso-calcaree, costituendo dei conglomerati resistentis- simi come presso la C. Gerbole; ma più comunemente si pre- sentano mescolate a sabbie ed arenarie poco cementate e quindi facilmente franabili come presso Guarene, presso la fontana del Borbore, ecc. Gli elementi ciottolosi sono in generale piuttosto piccoli e solo veggonsi alquanto voluminosi, per breve tratto e con poco spessore, nelle immediate vicinanze del paese di Guarene, quivi appoggiandosi direttamente ai banchi gessiferi e venendo ricoperti da arenarie, sabbie e marne straterellate assai potenti. I banchi sabbioso-arenacei veggonsi specialmente sviluppati poco sopra l’orizzonte gessifero; si possono esaminare assai bene nelle ripide balze delle colline dei Sioneri, di C. Signetti e di C. Gonella, lungo la dirupata sponda sinistra dell'alta valle Bor- bore ed a diversi livelli sui fianchi del Bric Monte e del Bric San Lucero. Alternate coi suddetti banchi arenacei, ma per lo più supe- riormente ad essi, notansi marne sabbiose straterellate grigio- 124 FEDERICO SACCO giallastre o grigio-bleuastre, sovente fillitifere, coperte alla lor volta da marne argillose grigio-verdastre od anche brunastre su cui finalmente si stendono le marne argillose grigio-bleuastre ric- camente fossilifere del Piacentino. In ragione della resistenza abbastanza notevole che presentano i terreni messiniani, specialmente i banchi gessiferi e quelli are- nacei, le colline che ne sono costituite si riconoscono anche di lontano per i loro pendii piuttosto ripidi, per le loro creste ele - vate, per il luccichio che talora mostrano sui fianchi a causa dei cristalli di gesso, ed infine per la vegetazione arbustacea assai più sviluppata che nelle colline fortoniane: ne sono esempi le colline di C. Roncaglia, di C. Ciappella, di Bric del Paradiso, dei Sioneri, di Bric Monte, di Bric S. Lucero, ecc. Si è già accennato a questo riguardo come sia dovuto all’o- rizzonte messiniano, attraversante la valle del Tanaro tra Ver- duno e Santa Vittoria, il notevole restringimento che quivi pre- senta tale vallata, generalmente invece molto ampia. L’inclinazione generale del Messiniano è verso il nord-ovest, con una pendenza di solo 4° o 5° in media, ciò che ci spiega perchè anche là dove questo orizzonte è assai sottile, come tra la borgata Sioneri e la val Tanaro, esso si sviluppi tuttavia per quasi due chilometri di larghezza tra il fondo delle vallette e l’alto delle colline. La potenza del Messiniano, che è appena di una trentina di metri presso Piobesi d’Alba, si accresce rapidamente verso ovest, tanto che nelle colline di Guarene può essere valutata a circa 150 metri in causa dei depositi sabbioso-ghiaiosi che quindi ven- gono a giorno. Si è già accennato come pur essendo abbastanza facile la distinzione tra Messiniano e Tortoniano, tuttavia esista fra questi due orizzonti un graduale passaggio ; così ad esempio nelle colline di C. Roncaglia si osserva che colle marne grigio-azzurrastre del Tortoniano si alternano ripetutamente strati marnoso-calcarei, duri, che più in alto vengono sostituiti dai caratteristici banchi gessosi del Messiniano. Nella parte superiore del terreno in questione, là dove esso viene coperto dal Pracentino, pare che esista talvolta una certa trasgressione stratigrafica, specialmente verso ovest, sovrapponendosi direttamente le marne argillose grigio-bleuastre piacentine alle marne sabbiose grigio-giallastre gessifere, per modo che parrebbe STUDIO GEOLOGICO DEI DINTORNI DI GUARENE D'ALBA 125 esser quivi rimasta nascosta la parte superiore del Messiniano ; tuttavia là dove si possono vedere spaccati che mettono a nudo questi terreni di passaggio, ad esempio dal piano di Monticello di- scendendo la valle Mellea, non si osserva alcun salto nella serie stra- tigrafica, ed anzi paiono le lenti gessifere essere inglobate in banchi marnosi di passaggio tra quelli piacentini e quelli fortoniani. Verso est sviluppandosi ampiamente i terreni messiniani supe- riori, il passaggio al Piacentino diventa più regolare, ma per quanto sia spesso difficile delimitare un terreno dall’ altro trat- tandosi in ambi i casi di marne grigiastre, tuttavia pare sempre che ci sia tra i due orizzonti geologici un distacco abbastanza netto, proveniente specialmente dalle condizioni d’ambiente assai diverse in cui essi si formarono, rappresentando il Messiniano un depo- sito essenzialmente maremmoso o littoraneo, ed il Piacentino invece un deposito di mare abbastanza profondo. In complesso si può dire che le marne del Messiniano supe- riore sono alquanto dure, spesso straterellate, di color grigio- verdastro e talora anzi nerastro, talvolta con interstraterelli sab- biosi e con abbondanti grumuli biancastri, e qua e là con fossili d’acqua salmastra; invece le marne del Piacentino inferiore sono meno resistenti, di color grigio bleuastro e spesso biancastro, e ricchissime ovunque in fossili marini, fra cui più facili a rinve- nirsi, anche dall’osservatore superficiale, i frammenti di Ostraea cochlear, Poli. Talora poi, almeno nella parte alta delle colline, il passaggio tra Messiniano e Piacentino si può conoscere anche di lontano in causa dei piccoli rilievi biancheggianti che i banchi piacen- tini inferiori costituiscono sopra alle regioni grigio-brunastre che rappresentano i banchi superiori del Messiniano. Quanto ai resti fossili di questo terreno dobbiamo anzitutto far notare come sia in esso precisamente che già si raccolsero quelle numerose filliti le quali resero famose le colline di Gua- rene; tali impronte rinvengonsi specialmente nelle marne sabbiose fogliettate giallastre o grigiastre, sia nella parte superiore della zona gessifera, e quindi alternate con straterelli gessosi, sia nella parte inferiore e media dell’orizzonte superiore, e talvolta infine anche frammezzo agli stessi strati di gesso per modo che le brune e bellissime impronte di foglie stanno direttamente sui cristalli gessosi, fatto importante a notarsi rispetto al modo di origine del gesso. 126 FEDERICO SACCO Le località in cui trovansi più abbondanti le filliti, almeno nella regione in esame, è la parte meridionale della collinetta di Bric Monte a diversi livelli, dalla sommità sin quasi presso i terreni tortoniani. D'altronde però questi straterelli fillitiferi si estendono molto ampiamente ed è solo la maggiore o minore facilità e continuità di escavazione e di ricerca che ne indicano apparentemente la ric- chezza paleofitologica; così per esempio trovansi per lungo tratto a nudo queste marne fogliettate fillitifere nell'alta valle di Borbore, specialmente al suo lato sinistro, come pure nelle colline di Ca- stagnito, di Magliano (1), ecc. ma finora non furono ancora sog- gette ad accurate ricerche. La raccolta delle filliti è in questi terreni abbastanza facile, giacchè basta sfogliare, direi, le marne straterellate per rinve- nirvi le impronte sulla superficie di sfaldatura. Abbondanti sono in certi strati le noci calcarizzate. Quanto ai resti fossili animali sono a notarsi alcune impronte di pesci di acqua dolce e salmastra (2) e di larve di Libellula Doris che trovansi nelle marne fillitifere sovraccennate, nonchè la Testudo Craveri Portis (3), trovata fra gli stessi strati gessosi delle colline di Santa Vittoria d'Alba; ma molto più abbondanti sono i molluschi d’acqua salmastra (Neritina, Melania, Melanopsis, Hydrobia, Dreissena, Cardium, ecc.), che rinvengonsi talora fra le marne argillose del Messiniano superiore, così ad esempio nella valletta ad est della borgata Socco (4). Dal lato industriale il Messiniano è molto importante come quello che racchiude i depositi gessosi escavati su vasta scala in diverse località, specialmente presso Monticello d’Alba e presso (14) F. Sacco, Carta geologica di Canale e Monteu Roero Est - Scala di '/35000» Torino, 1887. F. Sacco, Carta geologica di Costigliole d'Asti — Scala di 4/2;000, Torino 1887. (2) O. G. Costa, Sui pesci fossili di Bra in Piemonte, Napoli, 1865-67. (3) A. PortIs, Di alcuni fossili terziari del Piemonte e della Liguria, ap- partenenti all’ordine dei Cheloni, Mem. R. Acc. Sc. di Torino, serie II, vol. XXXII, 1879. (4) F. Sacco, Rivista della fauna malacologica fossile terrestre, lacustre e salmastra del Piemonte, Boll. soc. malac. ital., vol. XII, 1887. F. Sacco, Nuove specie terziarie di Molluschi terrestri, d'acqua dolce e salmastra del Piemonte, Atti Soc. it. Se. Nat., vol. XXIX, 1886. STUDIO GEOLOGICO DEI DINTORNI DI GUARENE D'ALBA 127 Guarene, ma ancor più estesamente, a nord di questo paese, nelle colline di S. Giuseppe (Castagnito). Trovansi pure talora inter- stratificate coi gessi sottilissime lenti solfifere, però di nessuna importanza industriale. Potrebbero pure essere utilizzate le formazioni calcaree che ho detto talora accompagnare i depositi gessiferi, ma esse non hanno molto importanza trattandosi solo di lenti poco estese e che darebbero soltanto della calce dolce. Si utilizzano sovente le sabbie ed i ciottoli del Messiniano medio come materiale da costruzione e come pietrisco. Notevole è il fatto che questi potenti depositi sabbioso-are- nacei messiniani assorbono nei periodi di pioggia una gran quan- tità d’acqua che si approfondisce poco a poco finchè incontra strati fogliettati argillosi, impermeabili, sui quali si arresta costi- tuendo così un vero velo acqueo costante che dà origine a nu- merose, limpide ed abbondanti sorgenti acquee, fra le quali più notevole quella da cui s’inizia il torrente Borbore. Tale fenomeno di idrografia sotterranea ebbe certamente una grande influenza sulla orografia di queste regioni collinose. Anche i banchi gessiferi danno luogo talora a veli acquei e quindi a copiose sorgenti; ma in tal caso l’acqua rimane quasi sempre più o meno gessata e quindi inadatta a molti usi ed anzi dannosa alla salute. Quanto ai rapporti tra il terreno messiniano e l’agricoltura, essi consistono specialmente nel fatto che le colline messinzane per la loro natura arenacea o gessosa e quindi per la loro forma spesso irregolare ed aspra, sono sovente poco adatte alla coltivazione, il che ci spiega come vi sia tuttora molto sviluppata la vegeta- zione arbustacea che anticamente doveva ricoprire tutte queste colline, ma che venne ora a poco a poco distrutta e sostituita dalla viticoltura. Però nelle località ove le colline messiniane presentano un pendio dolce, anche la vite può allignare assai bene ed i suoi prodotti presentano in complesso, nell’aroma e nel grado di alcoo- lismo, qualche differenza da quelli che danno le viti impiantate nelle colline tortoniane e piacentine, il che è in stretto rapporto colla costituzione dei diversi terreni. 128 FEDERICO SACCO Piacentino. Il piano Piacentino o pliocene inferiore è costituito nella regione in esame, come d'altronde in quasi tutta l’Italia, di marne argillose grigio-azzurrastre piuttosto compatte ma non molto resi- stenti ed anzi facilmente esportabili dagli agenti acquei, motivo per cui vediamo che lungo la zona piacentina esistono solo basse colline, grigio-biancastre, rotondeggianti, a dolcissimo pendio, oppure ampie vallate; a causa della piccolissima inclinazione degli strati piacentini si osserva in generale come il fondo delle valli verso nord-ovest è costituito appunto di questi terreni il che ci spiega pure la relativa ampiezza di tali vallate. Sempre per la loro facile erodibilità vediamo essersi formati nella zona piacentina i colli più bassi per cui passano le prin- cipali arterie stradali della regione in istudio; così il colle di C. Soria, quello di Madonna del Castellero, il colle dei Sio- neri, ecc. Lo spessore della serie piacentina è assai piccolo, per quanto questo terreno affiori molto estesamente; infatti tenuto calcolo della piccola inclinazione stratigrafica, credo se ne possa valutare la potenza in circa 80 metri al più. La direzione degli strati piacentini è, come quella dei terreni sottostanti, abbastanza regolare da nord-est a sud-ovest; riguardo all’inclinazione invece, mentre nella parte meridionale gli strati in questione pendono di 3° o 4° circa verso il nord-ovest, con- cordantemente ai banchi messiniani su cui si appoggiano, nella parte settentrionale ed occidentale invece (specialmente ciò è visi- bile poco all'infuori della regione in esame) le marne piacentine sì rialzano poco a poco per modo che l’inclinazione, per quanto dolcissima, diventa quasi contraria a quella prima accennata. Si è già trattato del modo di sovrapposizione del Piacen- tino al Messiniano, non ci resta quindi che ad accennare come il passaggio tra Piacentino ed Astiano si compia gradatissima - mente per mezzo di una ripetuta alternanza di strati marnoso- sabbiosi grigio-bleuastri con strati sabbioso-marnosi giallastri, tanto che anche in questo caso, come in altri precedentemente nominati, non esiste affatto una netta linea di delimitazione fra questi due terreni per quanto essi siano nell’assieme tanto diversi di natura e di faczes. STUDIO GEOLOGICO DEI DINTORNI DI GUARENE D'ALBA 129 In complesso però la distinzione tra Piacentino ed Astiano non riesce molto difficile a causa del costituire i banchi preva- lentemente sabbiosi e relativamente resistenti di quest’ultimo piano geologico una specie di rialzo sopra le marne piacentine formanti per lo più regioni pianeggianti o quasi; ma nell’esame minuto di questo passaggio è certo che risulta alquanto arbitraria la linea di delimitazione che il geologo è obbligato a segnare sulle carte. Per quanto sia poco potente il terreno piacentino e per quanto poco profondi siano generalmente i tagli che lo mettono a nudo, tuttavia esso è talmente ricco in resti fossili marini ab- bastanza ben conservati che ovunque se ne può fare un’abbon- dantissima raccolta ; tuttavia possiamo notare che per questo scopo è particolarmente utile di esplorare gli strati superiori del P7a- centino , là dove esso passa all’Astiano, essendo quivi i fossili radunati in maggior quantità. Anzi è ad osservarsi come le più ab- bondanti raccolte di fossili pliocenici che si possono fare nelle colline in esame , come d'altronde anche in tutto il resto del Piemonte ed in gran parte d’Italia, si ricavino precisamente da questi strati di passaggio tra Piacentino ed Astiano, e quindi hanno i caratteri in parte d’un piano ed in parte dell’altro, ciò che diede già luogo a lunghe discussioni paleontologiche che si sarebbero potute evitare coll’esame sul terreno. L'argillosità e quindi l’impermeabilità dei terreni piacentini ci spiega il velo acqueo abbastanza regolare e costante che esiste tra essi ed i sovrastanti depositi ast:ani, i quali agiscono, direi. a guisa di spugna assorbendo l’acqua di pioggia che poscia di- scende gradatamente sino ai primi strati piacentini soprai quali è obbligata a scorrere, sinchè sbocca all'aperto formando quella caratteristica serie di sorgenti che osservasi spesso alla base delle colline. La relativa umidità delle regioni, per lo più pianeggianti , costituite da terreno piacentino, influisce eziandio sull’agricoltura, ed infatti possiamo osservare come la zona piacentina sia spe- cialmente la regione dei prati, per quanto le colline piacentine ci presentino pure una ricca vegetazione viticola Dal lato industriale devesi solo notare come nella regione in esame le marne argillose del Piacentino vengano solo usate talora per laterizi, quantunque potrebbero pure utilizzarsi per fabbrica di maioliche grossolane. 130 FEDERICO SACCO Astiano. L'orizzonte geologico superiore che costituisce la massima parte delle colline situate nella parte nord - ovest della regione in esame, è l’Astiano o pliocene superiore rappresentato essenzial- mente da strati marnoso-sabbiosi di color giallastro, talora in- terrotti, nella parte inferiore, da strati pure marnoso - sabbiosi od anche solo marnosi, grigiastri o grigio-bleuastri, molto simili a quelli del Piacentino. Queste colline astiane che iniziano la immensa serie di col- line, della stessa natura ed età, dell’Astigiana e del Monferrato, si riconoscono anche di lontano per il loro color giallastro e per la loro forma abbastanza speciale a pendii piuttosto ripidi, talora con dei profondi spaccati e numerosi burroni dovuti alla facile disaggregazione dei banchi sabbiosi. La facile erodibilità dei terreni astiani rispetto agli agenti acquei ci spiega come , in un periodo di tempo relativamente corto, le sole acque di pioggia, raccogliendosi in allineamenti speciali, abbiano potuto incidere vallate piuttosto ampie di 150, 200 metri di profondità, quali sono quelle che possonsi osser- vare talora nella regione in esame. Riguardo alla tettonica, semplicissima, dell'orizzonte Astiano devesi solo osservare come i suoi strati siano nella parte meri- dionale, leggermente inclinati verso nord - ovest, e nella parte settentrionale invece diventino quasi orizzontali, rialzandosi anzi poscia poco a poco verso nord-ovest per modo cioè da accom- pagnare abbastanza regolarmente nello assieme l’andamento stra- tigrafico già prima accennato per il Piacentino. Si è già esaminato nel precedente capitolo il modo graduale di transizione tra l’ Astiano ed il Piacentino ; riguardo all’Astiano superiore, costituendo esso l'orizzonte supremo della pila dei terreni che affiorano nella regione in esame, abbiamo solo ad accennare come negli strati superiori di questo piano le sabbie divengono spesso alquanto grossolane, inglobando talora persino lenti ghiaiose, come ad esempio nella parte alta di Bric Montaldo, accennandoci già ad un passaggio ai depositi littoranei del Fos- saniano che sviluppasi infatti ampiamente poco lungi, verso nord-ovest. STUDIO GEOLOGICO DEI DINTORNI DI GUARENE D'ALBA 181 La potenza dell’Astiano è assai superiore a quella del Pia- centino e si può calcolare di oltre 160 metri come si può ve- dere specialmente nelle colline di Bric Montaldo (403 m.). I resti fossili marini, generalmente a faczes littoranea , si trovano per lo più nella parte inferiore del terreno in esame oppure accumulati in lenti qua e là a vari livelli, ma nel primo caso essi sono abbastanza ben conservati e determinabili, mentre nel secondo invece sono spesso infranti ed erosi e quindi di dif- ficile determinazione. Dal lato agricolo notiamo che le colline costituite di terreno astiano, come in generale quelle dell’ Astigiana , si prestano assai bene alla coltivazione della vite, almeno nei versanti rivolti più o meno direttamente al sud, poichè verso nord essi sono tuttora in gran parte coperti da vegetazione arbustacea. Le sorgenti acquee mancano quasi affatto nelle colline astiane per i motivi già sovraccennati. Terreni quaternari. Lungo i pendii dolci delle colline, in diverse località della regione esaminata, osservansi depositi terrosi, giallastri, inglobanti resti di Molluschi terrestri tuttora viventi; essi ci rappresentano il Zoess formatosi a spese delle colline stesse per mezzo delle correnti d’acqua che nell’epoca quaternaria, incidendo ed erodendo i terreni terziari, lo trasportarono e lo depositarono a vari livelli sui fianchi delle colline, per modo che ora troviamo tale for- mazione ad elevazioni anche molto notevoli sopra l’attuale fondo delle vallate. Una parte di questo /oess si è dovuta depositare verso la fine dell’epoca sahariana, ma in parte anche si formò in seguito come si forma anche oggidì per mezzo sia delle acque di pioggia, che convertono i terreni terziari (affioranti alla superficie delle colline e quivi decomposti) in melma sdrucciolante lentamente lungo i fianchi delle colline stesse, sia della decomposizione e disaggrega- zione superficiale che si verifica, specialmente nella stagione estiva, nei terreni superficiali i quali per tal modo disaggregati, possono facilmente discendere in basso o per semplice gravità o per azione del vento o, specialmente, dell’acqua, come sopra dicemmo, e quindi depositarsi dove i pendii collinosi sono più dolci. 132 FEDERICO SACCO DI Ma la parte più importante dei terreni quaternari è rap- presentata dall’ a//uvium cioè dai depositi alluvionali depostisi nel periodo terrazziano; queste alluvioni variano notevolissima- mente di potenza e di natura secondo le valli in cui si osser- vano, ciò in corrispondenza diretta, naturalmente, del terreno dal cui sfacelo derivano; così le vediamo sabbioso - marnose in val Cumignano ed in valle Oscura essendo quivi formate alle spese dei terreni piacentini ed astiani, invece anche ghiaiose in val Ridone ed in val Mellea, concorrendo nella loro costituzione anche l'orizzonte Fossaniano che incontrasi nella parte alta di queste vallate. Nell’ampia valle del Tanaro l’alluvium, della potenza di 3 a 4 metri in media, è specialmente ciottoloso, quantunque con strati o lenti marnoso-sabbiose intercluse ; generalmente poi, tanto nelle vallette sovraccennate come in val Tanaro, al disopra dei depositi ghiaiosi stendesi quasi sempre un velo piuttosto sottile, raramente dello spessore di oltre 1 metro, di terreno giallastro, molto simile al /oess che appoggiasi sui pendii collinosi ; la parte superiore di questo /oess delle pianure è trasformata in Aumus. CONCLUSIONE. Riassumendo le osservazioni fatte sulla regione esaminata nel presente lavoro, noi possiamo dunque dire che essa sì presenta geologicamente così costituita : Formazione marnoso-sabbiosa (l0ess) o ghia- ioso-ciottolosa (alluvium) depostasi discordante- mente sui diversi orizzonti terziari ed inglobante talora conchiglie di Molluschi terrestri. Terrazziano e Sahariano superiore | | Marne e sabbie gialle con fossili di basso fondo Astiano . marino. . — Marne argillose bleuastre con fossili di alto Piacentino e fondo marino. _— Tav. I. Astiano Zzz, Piacentino _ Messiniano Tortoniano Danohu gessiferi Mare sabbies ghiaie Lenti calcarea [ttt 50 SACCO — STUDIO GEOLOGICO DEI DINTORNI DI GUARENE D'ALBA Lit Doyon Tonino A. CHARRIER 133 inglobanti Molluschi d’acqua salmastra. Arenarie, sabbie e marne fogliettate grigie o giallastre, fillitifere. Lenti arenaceo-ciottolose giallastre. Marne fogliettate giallastre gessifere con filliti ed altri fossili. Marne grigio-giallastre con lenti calcaree e i banchi gessosi, talora fillitiferi. | Marne argillose grigio-verdastre o brunastre ( Messiniano . . Tortoniano | Marne grigio - bleuastre con pochi fossili di i ‘’ | mare abbastanza profondo. iocsiano \ Strati marnosi, sabbiosi ed arenacei grigio- i } giallastri con fossili di basso fondo marino. RIASSUNTO delle osservazioni meteorologiche fatte nei mesi di Maggio, Giugno, Luglio ed Agosto 1887 nell’Osservatorio astro- nomico della ER. Università di Torino dall’Assistente Prof. ANGELO CHARRIER Maggio 1887. L'altezza barometrica in questo mese ha per valor medio 35,67; valore inferiore di mm. 0,32 al valor medio dell’al- tezza barometrica di Maggio degli ultimi ventun anni. — I valori estremi osservati sono i seguenti : Giorni del mese, Hinimi. { Giorni del mese. Massimi. 4 30,88 È Reppi Gteio 39 38.52 11.2 SANARE 28,17 LO te dala 89,77 > ARCI: 28,91 Go Ah. dh 39,36 28 33.46 Spie, ti 39,56 134 A. CHARRIER La temperatura ha per valor medio +15°,2, e per valori estremi + 5°,3 e + 25",1. Il primo dà la minima temperatura del giorno 23, il secondo la massima temperatura del giorno 31. Si ebbero 14 giorni con pioggia, e l’altezza dell’acqua ca- duta fu di mm. 120,9. Il quadro seguente dà la frequenza dei singoli venti. NO NNE NE ENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW MW 9 416 28 12'1308 ‘240 506 “io ‘(6 ‘42. SR Giugno 1887. La media delle pressioni barometriche osservate nel mese di Giugno è 38,51. Essa supera la media delle pressioni barome- triche di Giugno degli ultimi ventun anni di mm. 1,93. — Si ebbero poche variazioni di quest’elemento. Il quadro seguente ne contiene i valori estremi osservati. Giorni del mese. Minimi. Giorni del mese. Massimi. di orale 32,72 SPERO I 41,91 TE RT A 35,94 Di Ru 44,70 TN SRE LAI 81,80 DO: = sca VERE 41,58 È) PRIERSORE PI 36,42 BO sie 41,59 La temperatura in questo mese ha per valor medio + 22°,4; superiore di 1°,1 del valor medio della temperatura di Giugno degli ultimi ventun anni. — La minima temperatura +12°,2 si ebbe nei giorni 4 e 30; la massima + 30°,4 nel giorno 17. In sette giorni si ebbe pioggia, e l’acqua caduta misurò l’al- | tezza di mm. 79,3. Il quadro seguente dà la frequenza dei venti. NO NNE NE ENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW 10045» 9: 17 11 2 %e3 11/5, Wa, 360 4° 00 OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE 135 Luglio 1887. La media delle altezze barometriche osservate in questo mese è 38,63; superiore di mm. 1,71 dalla media delle altezze ba- rometriche di Luglio degli ultimi ventun’anni. Il quadro seguente dà i valori massimi e minimi dell'altezza barometrica. Giorni del mese. Minimi, Giorni del mese. Massimi. bl. SRURE I 13 MRI PINOIS 42,84 Ml... 84,95 PL, RSI RETTO 41,45 e Vo. dol Dana 41,64 La temperatura massima + 31°,9 si ebbe nel giorno 14; la minima + 15°,9 nel giorno 1. La media + 24°,5 supera di 0°,5 la media temperatura di Luglio degli ultimi ventun anni. Si ebbe pioggia in nove giorni e l’acqua raccolta nel plu- viometro raggiunse l’altezza di mm. 112. Nel seguente quadro è data la frequenza dei venti. SSE OS OSSW SW WSW W WNW NW NNW NO ONVE NE RENE E ESE SK @ gni e Caro da SEO AR e 213 11° 40 Agosto 1887. In questo mese la media delle pressioni barometriche è 36,76, uguale alla media delle pressioni barometriche di Agosto degli ultimi ventun anni. La tabella seguente contiene i valori massimi e minimi os- servati. Giorni del mese. Minimi. Giorni del mese. Massimi. dario fr 36,82 73 E 44,56 +4 AI: 29,92 PI. rata 36,82 -18 28,09 Sour da 39,71 Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII 10 136 OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE - A. CHARRIER La temperatura ha per valor medio + 23°,3; valore supe- riore di 0°,6 del valor medio della temperatura di Agosto degli ultimi ventun’anni. — La temperatura massima +32°3 si ebbe nel giorno 10; la minima +12°,5 nel giorno 23. Si ebbero 6 giorni piovosi, e l’altezza dell’acqua caduta fu di: mm.id7,9. La frequenza dei venti è data dal seguente quadro. NO NNE NE ENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW 23 4900/80/ 41 B de bb ik (3 9 (65607 1a Il Direttore della Classe ALFonso Cossa. 137 CLASSI UNITE Adunanza del 18 Dicembre 1887. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ARIODANTE FABRETTI VICEPRESIDENTE RELAZIONE del Segretario della 5° Giunta per il premio Bressa (quadriennio 1883-86), letta alle Classi unite del- lVAccademia nella seduta del giorno 18 dicembre 1887. EGREGI COLLEGHI , Il quinto premio Bressa, che la nostra Accademia deve con- ferire nella seduta del giorno 8 gennaio del prossimo anno 1888, è destinato a quello scienziato od inventore di qualunque nazione esso sia, il quale secondo le tavole di fondazione del lascito Bressa, durante il quadriennio 1883-1886 «a giudizio dell’Ac- « cademia delle Scienze di Torino avrà fatto la più importante « scoperta, pubblicato l’opera più ragguardevole sulle scienze « fisiche e sperimentali, storia naturale, matematiche pure ed « applicate, chimica, fisiologia e patologia, non escluse la geo- « logia la storia, la geografia e la statistica. » Di conformità a quanto prescrive il Regolamento speciale per il conferimento dei premii Bressa (Regolamento approvato dall’Ac- cademia il 25 maggio 1884), la nostra Accademia nella seduta del giorno 20 dicembre 1886 nominò una prima Giunta affi- dandole il triplice incarico di esaminare le domande di concorso al premio, di fare delle proposte di propria iniziativa e di acco- gliere quelle presentate da soci nazionali. Nell'adunanza generale dell’Accademia tenutasi nel 1887 ho già avuto l'onore di farvi conoscere i risultati dei lavori di quella 138 A. COSSA prima Giunta, e voi ricorderete che delle ventisette domande pre- sentate direttamente per il Concorso al premio Bressa due sole furono giudicate meritevoli di essere prese in considerazione per il conferimento del premio e queste sono quelle del prof. Burgme- ster del Politecnico di Monaco per i primi due fascicoli di un’o- pera che ha per titolo Trattato di Cinematica e quella del prof. Sappey della Scuola di medicina di Parigi per la sua mo- nografia sui vasi linfatici. La Giunta di sua iniziativa propose per il premio il profes- sore Pasteur socio dell'Istituto di Francia per le sue ricerche sul virus rabbico, ed un nostro collega chiamò l’attenzione dell’Acca- demia sopra i titoli di merito dei fratelli Paolo e Prospero Henry dell’Osservatorio di Parigi per i grandi ed importanti perfezio- namenti da loro apportati alla fotografia astronomica Chiuso colla seduta già ricordata del 17 aprile 1887 il pe- riodo di tempo stabilito per il conferimento del premio, l’Acca- demia nell’adunanza successiva del 24 aprile 1887 nominò una seconda Giunta composta, oltrechè del presidente prof. Genocchi, dei soci Lessona, Cossa, D’Ovidio, Naccari, Giacomini per la classe di scienze fisiche e matematiche, e dei soci Gorresio, Flechia, Peyron, Carle e Pezzi per quella di scienze morali. Questa Giunta doveva esaminare e confrontare le proposte fatte dalla Giunta precedente, e presentarvi nella seduta d’oggi le proposte definitive per l’aggiudicazione del premio con una relazione da pubblicarsi negli Atti dell’Accademia. La Giunta, che mi volle onorare dell’incarico di suo segre- tario, dopo avere singolarmente esaminato e discusse le proposte fatte relativamente ai nomi di Burgmester, Sappey, Pasteur e dei fratelli Paolo e Prospero Henry, ha ritenuto che l’opera del prof. Burgmester che ha per titolo Yrattato di cinematica, quan- tunque sia fornita di pregi riguardevoli, tuttavia essa, così perchè non è ancora terminata, come anche per l'indole stessa dell’opera non ha un'importanza tale da stare in pari linea coi lavori ai quali si riferiscono le altre proposte. La Giunta poi considerando che anche l’opera del Sappey sui vasi linfatici non è ancora completa, ad onta che abbia rico- nosciuto in essa riguardevoli pregi, ha unanimemente deliberato di non comprenderla nelle proposte definitive per il conferimento del premio Bressa. Pertanto le proposte che oggi unanimemente la Giunta vi RELAZIONE SUL PREMIO BRESSA 139 presenta per il conferimento del quinto premio Bressa, si riducono ai nomi di Pasteur e dei fratelli Paolo e Prospero Henry. Le ricerche sperimentali del Pasteur sul v2rus della rabbia sono così conosciute, che credo affatto superfluo di esporvele anche bre- vemente. È importante però dichiarare che la Giunta col proporre le ricerche del Pasteur come meritevoli del premio Bressa, non intende di pronunciarsi in alcun modo sulla questione che ancora si dibatte intorno la reale efficacia dell’inoculazione del virus rabbico convenientemente attuata, a prevenire lo sviluppo della rabbia negli uomini morsicati da cani idrofobi. La Giunta ritiene che l'illustre scienziato francese si è acquistato titoli di merito sufficienti per conseguire il premio che l'Accademia deve conferire, per avere, animato da un sentimento eminentemente filantropico, cercato e trovato, con una lunga serie di esperienze pericolose e razionalmente eseguite, la sede del vivus rabbico nei centri nervosi, e per avere applicata la scoperta fatta nell'attuazione del primo metodo razionale, che la scienza abbia suggerito contro lo svi- luppo dell’idrofobia. Si può giudicare il valore dei perfezionamenti apportati dai fratelli Paolo e Prospero Henry nella fotografia del cielo stellato, dai vantaggi che l’astronomia da essi può ripromettersi. Di questi vantaggi i principali sono i seguenti: Alla percezione fuggevole della vista si surrogano impressioni durature e capaci di essere riprodotte in numero indefinito di copie esatte, per modo che una stessa osservazione potrà essere discussa da un gran numero di investigatori in tutti i luoghi ed in tutti i tempi. Nell’osservazione si sopprime l'elemento soggettivo, e con esso una infinità di cause d’errore. Ad una percezione la cui intensità non può oltrepassare un dato limite si surroga un altro genere di percezione la cui intensità si accresce e si somma col tempo. Mentre una piccola stella non potrà mai nell’occhio umano produrre una sensazione superiore ad una certa intensità, l’effetto di questa stella sulla lastra fotografica insensibile da principio, può sommarsi col tempo e diventare manifesto col prolungarlo sufficientemente. Tale integrazione delle impressioni ha per effetto di rendere visibili sulle negative fotografiche astri che sfuggono alla vista diretta armata anche di telescopi molto maggiori di quello usato per la fotografia. È evidente che mercè la fotografia si potranno scoprire quei corpi celesti che emettono solo od in parte luce di altissima refrangibilità. 140 A. COSSA - RELAZIONE SUL PREMIO BRESSA Giustizia vuole che si dica che ai signori fratelli Henry non spetta tutto il merito di questa grande innovazione, ma essi, giudizio di uno dei nostri più illustri astronomi il prof. Schia- parelli, hanno superato tutti gli altri che li precedettero in queste ricerche, e da una semplice curiosità che era la fotografia astro- nomica, l’hanno portata al punto da farne il più potente sussidio dell’astronomia pratica. Il Regolamento per il conferimento del premio Bressa impone. alla Giunta l'obbligo di presentarvi delle proposte graduate. Questa graduazione fu dalla Giunta deliberata unanimemente nel- l’ordine seguente : 1° PASTEUR; 2° PAOLO x PROSPERO HENRY. Questa graduazione non vincola in nessun modo le delibera- zioni dell’Accademia. La Giunta ha esaurito con queste proposte l’onorevole ed arduo incarico affidatole dall’Accademia. Prof. ALFoNSo Cossa Segretario Relatore. MIU Torino Tip. REALE-PARAVIA. a Le) SSR LI (ELA, Lr AL bs a P, { tri i pe I SOM MAR 10 Si . Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e | ADUNANZA del 18 Dicembre 1887. D’Ovipio — Relazione sulla Memoria del Dott. Golgi SEGR | varietà cubiche dello spazio a quattro dimensioni e sù di dota e certe spade: dello Fare ordinario ». | Cossa — Relazione sul Premio BressA. . LL AA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE BETORENO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Von. XXIII, Disp. 4°, 1887-88 - —PT Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali TORINO ERMANNO LOESCHER Libraio della R. Accademia delle Scienze a ; GL Pia 4 49% 141 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza dell’ 8 Gennaio 1888. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ARIODANTE FABRETTI VICEPRESIDENTE Sono presenti i Soci: Cossa, LESsona, SALVADORI, BRUNO, BerRUTI, Basso, D’Ovipio, FERRARIS, NACCARI, GIBELLI, GIA- COMINI. Vien letto l’atto verbale dell'adunanza precedente che è ap- provato. Tra le pubblicazioni pervenute in dono all’Accademia vengono segnalate le seguenti: « Bullettino di bibliografia e di storia delle Scienze ma- tematiche e fisiche pubblicato da B. BoxncomPaGNI »; fascicolo di Marzo 1887, presentato dal Socio Basso per incarico del Presidente, assente per ragione di salute ; « Annali del Museo Civico di Storia naturale di Genova, pubblicati per cura di G. DorIA e R. GESTRO; serie 2°, vol. IV, presentato dal Socio SALVADORI, Le comunicazioni e le letture si succedono nell'ordine che segue : 1° « Datolite e Calcite di Montecatini (Val di Cecina); Nota del Prof. F. Sansoni, dell’Università di Pavia, presentata dal Socio Cossa. 2° « Su alcune anomalie di sviluppo nell’embrione umano ; Nota 2° del Socio GIACOMINI. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII 11 142 FRANCESCO SANSONI LETTURE Note di mincralogia italiana del Dott. FRANCESCO SANSONI DATOLITE E CALCITE DI MONTECATINI (Val di Cecina) (Con una tavola) 1° DATOLITE. Notizie assai precise riguardanti la Datolite di Montecatini, si possono leggere nella pregevole opera del Prof. A. D'’Achiardi , Mineralogia della Toscana p. 217 vol. II. Egli ricorda due maniere di giacitura del nostro minerale : 1° associata alla Calcopirite, ed anzi i cristalli stanno dentro ai noccioli di questo minerale, 2° nelle geodi e fessure del Gabbro rosso, associata a Calcite, Laumonite, Thomsonite, Picroanalcime ecc. — Il sullodato autore descrive minu- tamente la Datolite di Montecatini, notandovi le seguenti forme (*) (011)P,c0, (211)+2P,2, (511) +5P,5, (111)P, (001)0 P, (110)coP, (310)coP,3, (100)coPoo. Dal contesto del discorso parrebbe per altro, che queste deter- minazioni, e le relative misure, sì riferissero piuttosto alla Datolite del primo giacimento, che non a quella del secondo. Comunque sia, essendo io pervenuto mercè la graziosa liberalità del Prof. Bombicci, ad ottenere a scopo di studio un esemplare di Gabbro di Montecatini, ove sta appunto una drusa costituita essenzialmente da cristalli di Datolite, ho stimato opportuno sottoporre a nuove indagini alcuni dei cristalli distaccati, che a tutta prima dimo- straronsi assai ricchi di faccette. Trattasi per lo più di piccoli _ (*) Avvertenza. — Seguendo il metodo di recente proposto da un egregio mineralogista italiano, ai P dela notazione di Naumann segnati con orto e clino , sostituiamo rispettivamente P,, P.. DATOLITE E CALCITE DI MONTECATINI 143 cristalli, confusamente impiantati sulla roccia : sono incompleta- mente trasparenti; predominano le faccette appartenenti alla zona dei prismi verticali (orientazione di Dauber); il massimo sviluppo è presentato ordinariamente dalla faccetta (100) oo P, co: non vi si riscontra grande uniformità di superficie, per cui si ottengono al goniometro delle immagini riflesse multiple. Meglio conformate appariscono invece le faccette piramidali. Si osservarono le seguenti forme; (1) b=(010)c0P,00; c=(100)coP,00; @=(001) OP; n=(111)—P; t=(310)c0P.3; \g=(210)coP. 2; m=(110) 00 P; M (011) P,00; ME (ST) IRIS \=(811)+3P,3; «=(211)+2P,2; x=(101)+P,o0 YFE-(221):_12 Pl) c0=(213)e7, 25 Tutte queste forme si osservarono riunite in un solo individuo (fig. 1): gli altri cristalli sebbene abbiano lo stesso abito si mo- strano meno ricchi di faccette : riporto alcuni valori angolari, che pongo in confronto con altri corrispondenti ricavati dalle tabelle date dal Dana (2) ue 100001 89.° 38' (misur.) 89.° 54'(calcol.) c:t =100:310 29.19 22. 52 c:g =100:210 32. 39 32. 19 cin =100:111 66. 20 66. 56 M:a=011:211 40. 46 40. 28 M:) =011:311 52. 13 51. 54 c:yx =100:511 ISME8 SRELO a:M=001:011 32, 29 32. 28 a:m =001:101 26. 20 26. 43 a:g =001:213 21...58 21. 38 m:Y=110:221 31. 39 31. 38 Stante la poca concordanza dei valori ottenuti, non credei conveniente calcolare un rapporto parametrico particolare. (1) Si adottò l’orientazione di DauBER « Untersuchungen der Min. d. Saml. d. H. Krantz, ecc. Pogg. Ann. 103, p. 116. — Per indicare le faccie si scel- sero le lettere usate da GoLpscHMiDT. « Index der Krystallformen der Mi- neralien, 1.485, Berlino, 1886. (2) E Dana, On the Datolite From Bergen Hill. N.Jm.A.Jour. 1872, 4.16. 144 FRANCESCO SANSONI Caratteri ottici. — Piano degli assi ottici (010) -- Prima bisettrice quasi normale a (001). — Due lamine tagliate nor- malmente alle 2 bisettrici, dettero nell’olio i seguenti valori 2 Hog =384%8.0 2Ho=124°,38° da cui si ricava 2 V—74°.13.. 2. CALCITE. Anche di questo minerale del giacimento toscano discorre a lungo il Prof. D’Achiardi (loc. cit. Vol. I, pag. 150). Vi nota le seguenti forme: (0001) = OR, (4047)4R, (1011)R (0112) Bg (0778) -XR, (0332) —-%R, (1010)ooR, (2134)}R3, (2131) -Ri8s. (8251) R&0,/(1841)=2R2,. (8584) lina Tanto il Prof. D’Achiardi, come il Prof. Bombicci assicurano di avere osservato cristalli, nei quali predomina il così detto cuboide (0 332) —% ER: ed altri, in cui ha il massimo sviluppo il comune equiasse (0112) —}4E: nè l'una nè l’altra cosa, a me venne fatto di osservare negli esemplari esaminati. Nota infine il pro- fessore D’Achiardi una terza maniera di abito dei cristalli di questo giacimento: essi resultano da scalenoedri, in varia guisa sviluppati, ma sempre predominanti sulle faccette romboedriche ; di questo tipo di cristalli egli dà la fig. 4. Fino dal 1882 io ebbi agio di studiare alcuni esemplari di Calcite di questa località, nel Museo di Kensington a Londra : varii altri esemplari appartenenti al Museo mineralogico dell’Uni- versità di Bologna ebbi in prestito a scopo di studio dall’ama- tissimo mio maestro e collega Comm. L. Bombicci: un ultimo ed inte- ressante esemplare io debbo alla. gentilezza del giovane sig. Piero Capellini. Credo opportuno descrivere alcuni di questi esemplari che si fanno rimarcare per la singolarità dei loro cristalli. N. 1 — Museo mineralogico dell’Università di Bologna. Cristalli bianchi smaltoidi, semi-trasparenti, di varia dimen- sione profondamente impiantati sopra il Gabbro compatto rosso | DATOLITE E CALCITE DI MONTECATINI 145 verdastro variegato. Hanno abito romboedrico, non costituito dalla prevalenza di un'unica forma, ma sibbene da due che alterna- tivamente offrono variabile sviluppo, e questi sono i due — 2 È (0221), — R(0111). Hanno ordinariamente minore estensione le rimanenti 0R(0001), R3(2131) (1011). È senza dubbio degna di nota la presenza del Romboedro — R(0111), il quale è piut- tosto raro nella Calcite, specialmente con facce estese lucenti ed uniformi di superficie, e tali da fornire come nel caso nostro im- magini semplicissime. Comb: 9=—2R(0221); «=—R.(0111); K:=8(2131) p=E(1011); 0=0R(0001) fig.2. (1) Tutte le faccie hanno apparenza di superficie pressochè identica, salvo una leggera striatura sopra le facce della zona principale ; la quale striatura come d’ordinario avviene, va parallelamente agli spigoli laterali del Romboedro di sfaldatura. Valori angolari. p:9=1011:0221 71.956’ (misurato) 72.°26' (calcolato) c:g=0111:0221 18.52 18.31 x:0 =0111:0001 44. 38 ‘44,37 g:x =0111: 1011 74. 56 74. 55 K:K:=2131:2311 75.28 75632 N. 2. Museo mineralogico dell’Università di Bologna. Cristalli limpidi vitrei adamantini con facce nettissime: sono riuniti a gruppo sul gabbro rosso; oppure stanno su di esso profondamente impiantati, emergendo soltanto per un terzo della loro altezza: non sono molto voluminosi, di rado oltrepassano i 8 centimetri sull’asse principale: mantengono una certa costanza (4) Si usarono anche per le forme della Calcite, le stesse lettere proposte da GoLpscaMipT, loc. cit. pag. 371. Limiti Media Calcolato Nl:g =0881:0221 10390 20° 19°. 44' 19° 39 H:m=0881:4041 2059 — 21:80: 120 M:7'=0881:8081 118. 12 a eee x=19:11°30:8: Spig.-X (1) 10738 />'78,80; 7390000 » » » i 40.20— 41 40.40 40.31: > » sa 97.58 — 88-11 38 VO x:p=1911308:1011 83 14 — 33.37, 33, 200000 x:m=19 11 30 8: 4041 20. 47 DE 20. 3% x:g=19 11308: 0221 36. 52 2 È BRE x:II1—19 11 30 8:0881 146 FRANCESCO SANSONI di sviluppo nelle relative forme. Furono misurati 6 individui di varia grossezza. Forme osservate ; g=—2 (0221); m=4 R(4041); p=R(1011); I.=—8 (0881); è=—YE(0112); O0—W#(0004): <= (1911308) ea Sono bene sviluppate e predominanti le faccette — 2 R(0221); 4R(4041); un po’ meno le R(1011) le quali mostrano delle incavature triangolari perfettamente orientate fra di loro: la forma R*(19 11 308) non fu peranco osservata nella Calcite, e pre- sentasi con faccette ben distinte, e decisamente in zona con gli spigoli laterali del romboedro di sfaldatura. Questo nuovo sca- lenoedro è compreso fra i 2 già cogniti R!}4(74 113) e R4 (5382), appartenenti alla stessa zona principale. Valori angolari. 32. 15 —_ 32. Fu inoltre constatata ripetutamente la pertinenza delle fac- cette di questa forma alla zona principale degli spigoli laterali del romboedro di sfaldatura. Furono pure constatate le zone che collegano le forme rom- boedriche suindicate. (1) S'indicano con X, Y, Z le 3 qualità di spigoli di uno scalenoedro ; e rispettivamente i culminanti acuti, i culminanti ottusi ei laterali a zig zag. DATOLITE E CALCITE DI MONTECATINI 147 N. 3. Collezione privata del Sig. Piero Capellini. Piccoli cristalli di abito scalenoedrico impiantati sopra Calco- cite, e Calcopirite compatta. Sono questi cristalli limpidi traspa- renti, assai piccoli di rado oltrepassando i 4!" sull’asse principale. = 20221) Forme osservate; X: — R3(2131) = b:=—!/,R4 (85/84); pi R(L001) E: RiL(le4) fig. 4. Valori angolare. k:g=2131:0221 87°52' (misur) . 87°. 41'(calcol.) b: —3584 Y 37.25 37.28 » » X 64.48 64.43 » dI Z 47.36 47.1 E::p=5164:1011 IN MRRE li, 42 Sono ben distinte con immagini semplici le faccette —'/, 4; (3584); —2(0221); (1011): appaiono invece striate le rimanenti. La forma È (5164) giace sull’ incontro delle due zone (2131: 1011] ed [35 84:85 3 4]: attesa l’imperfezione delle faccette di questa forma, queste zone furono ripetutamente esaminate, ottenendo quasi sempre deviazioni notevoli: tuttavia le misurazioni ottenute non autorizzano a calcolare un nuovo simbolo. N. 4. — Museo di Kensington — Londra. Piccoli cristalli oltremodo splendenti, vitrei, trasparentissimi cresciuti sopra la Bornite: non sono profondamente impiantati , tanto che emergono quasi completamente. Forme osservate g=—2R(0221); K:=R3(2131); p=R(1011), P:=R5(32 51); m=4R(4041); =R(7186) g:= R4(5 279); o=—-R(01 b=c0 R(1 010); o0=0E(0001) fig. è, 12); 148 FRANCESCO SANSONI Sono predominanti le faccette =—2 R (0221); in qualche in- dividuo prevalgono invece le £&3(2131): subordinate sono le ri- manenti, le quali tutte forniscono immagini semplici, ad eccezione delle faccette dello scalenoedro 4% , (5279) ed R4,(7186 le quali per essere un poco striate, fornirono valori un poco oscil- lanti (1). Valori angolari. =4041:1011 831°. 12'(misur.) 31° 10' (calcol.) Mm ip p :0 =1011:0001 44. 44 44.47 O :0 =0112:0001 26.11 26.15 pg :d =0221:0112 36.38 36:58 K::P: =2181:3251 8.53 8.53 K::p =2181:1011 28.59 29.2 c::p =7186:1011 7.50 8.6 gi:p =5279:1011 16.9 16. 32 N. 5. Museo mineralogico dell’Università di Bologna. Cristalli vitrei splendentissimi, di rado completamente impian- tati, su Gabbro rosso, insieme alla Datolite: per lo più la parte sporgente, corrisponde ad un sestante positivo, così come fu effigiato nella fig. 6. Sono questi cristalli rimarchevoli per la ricchezza delle faccette che presentano : e certamente a questi splendidi cristalli volle allu- dere il Prof. d'’Achiardi quando nella citata opera scrisse a pag. 156 « finalmente in taluni piccoli cristalli a tutte queste forme che sono sempre predominanti, se ne aggiungono tante e tante, che ne riesce impossibile la determinazione, contandosi talora non meno di 4, 6 e più romboedri, 8, 10 e più scalenoedri. » Infatti pochi altri giacimenti possono gareggiare col nostro per copia di facce, per cui questi cristalli possono indubbiamente stare a paro (1) Queste determinazioni furono eseguite nel Laboratorio del Museo di Kensington a Londra: mi è grato di esternare qui la mia gratitudine al- l’egregio D. Fletcher, che mi permise tale studio. LI Note di Mineralogia italiana - Vatolite e Calcite di Montecatini DATOLITE E CALCITE DI MONTECATINI 149 coi celebri già studiati del Lago superiore, Agaete (Gran Canaria ecc). Quello che poi vi ha di più notevole, si è il meraviglioso concate- namento zonale esistente fra tutte queste forme. Forme osservate g=-—2R(0221, K:=R38(2181), p:=—2R2(1341), p=R(1011), o=0R(0001), e=%R(5052), m=4R(4041), II.=—8£(0881), A.=—%R(0772), è=—R(0112)F:=R*/,(4153), G'—=—%R3(48125), b:=——-R4(3584) e:=X4R/,(4156) (fig. 6) Predominano le faccette — 2 R(0 221) , seguono in medio svi- luppo le —2R2(1341), R3(2131), (1011); subordinate sono le rimanenti. Valori angolari. I1.:9 =0881:0221 19°.40'(misur.) 19°.39' (calcol.) Fi::p =4153:1011 14.55 14.28 K::e =2131:5052 17.42 A vaneg K::P:—-2131:1841 26.7 26.9 PD: —=1341 ZIA 44. 43 Pi:o =1841:0221 17.5 Lai pg :p =0221:1011 50.34 50. 34 mie =4041:5052 7.51 7.51 g :G: =0221: 48125 16. 54 rt di k::G:=2181:4153 14.88 14. 38 b: — 8584 Y. 37.25 37.29 b: — 3584 X 65.11 64. 43 e: : p =4156: 1011 9.49 10.26 Dal Gabinetto di Mineralogia della R. Università Pavia, Dicembre 1887. 150 C. GIACOMINI Su alcune anomalie di sviluppo dell'embrione umano, del Prof. C. GIACOMINI Nota 2°. In questa seconda nota è descritto un embrione umano ar- restato ai primissimi stadi del suo sviluppo, e vien studiata la sua intima costituzione paragonandola con quella di embrioni di coniglio e di pollo pure arrestati nella loro evoluzione. In un mattino dello scorso luglio il Dott. Anglesio mi por- tava all'Istituto una vescicola di forma perfettamente ovale, della lunghezza di 3 ‘/, cent. e della larghezza massima di 2 ! ", cent., completamente distesa da liquido limpido. La parete era traspa- rentissima, e si notavano sulla superficie esterna di essa delle striature nerastre, formate da depositi sanguigni. Questa vescicola era stata emessa pochi momenti prima da una donna d’anni 24, la quale in 5 anni ebbe quattro parti a termine. Essa era ricoverata all'ospedale, presentava antifles- sione dell'utero con metrite granulosa del collo, e si trovava in uno stato di anemia assai pronunciata. La gravidanza, secondo la donna, datava da circa 2 mesi. I dati clinici e principalmente quelli ginecologici non devono mai essere trascurati in casi di aborto, anzi devono esser rac- colti con somma cura, potendo essi portar luce nell’argomento. Nel caso nostro abbiamo elementi più che sufficienti per ren- derci ragione non solo dell’aborto, ma ancora dell’arrestato svi- luppo dell’embrione. Per convenientemente conservarla fu messa la vescicola nel liquido picro-solforico e quindi nell’alcool secondo il metodo ordinario. La perfetta trasparenza del liquido e della parete permet- ANOMALIE DI SVILUPPO DELL’EMBRIONE UMANO Fold teva un esame accurato di tutte le parti della vescicola. In un punto della parete che corrispondeva alla zona della piccola estremità, e applicato alla superficie interna di essa si notava un piccolo corpicciolo d'aspetto gelatinoso, prima trasparente, che si fece poi sotto l’azione dei reagenti biancastro, come lattigi- noso, leggermente incurvato colla concavità verso il centro, e colla convessità rivolta alla parete (vedi fig. 5). Questo corpicciuolo presentava una grossa estremità intera- mente libera diretta all’interno. La piccola estremità si confondeva invece colla parete della vescicola. Nel complesso rassomigliava ad una virgola, non andava però regolarmente diminuendo dalla grossa alla piccola estremità, ma prima di raggiungere questa presentava un legger rilievo a destra ed a sinistra della linea mediana simulando quasi due estremità rudimentali, e da qui partiva un cordone biancastro, che era quello che lo teneva unito alla parete della vescicola. La grossa estremità nell’incurvarsi si assottigliava d'alquanto, notandosi una leggera depressione al lato sinistro di essa. A poca distanza (3 mm.) dell’estremità libera, che chiameremo cefalica (essendo che questo corpo ci rappresenta evidentemente un embrione arrestato nel suo sviluppo) si osserva nello spessore della parete un punto biancastro ed opaco, dovuto ad un in- spessimento di essa. La superficie esterna della parete è liscia e regolare in tutta l'estensione, tranne nella località ove essa aderiva alla estremità caudale del rudimento embrionario, nel qual punto si scorgeva un filamento sottile e frastagliato come se fosse lacerato che rappresentava i legami vascolari col Corion. L'azione dell’ alcool provocò un precipitato nel liquido, la vescicola si fece meno trasparente e divenne floscia. Qui adunque si trattava di un sacco amniotico molto disteso avuto riguardo alla piccolezza dell'embrione che conteneva, questo non aveva sviluppo normale, ma era fortemente deformato , ed era già entrato in periodo di regresso. La grande sproporzione tra la cavità amniotica e l'embrione è sempre sicuro indizio di un deviato sviluppo. Secondo His ancora negli embrioni di 15 mm. l’amnios si trova quasi applicato alla superficie dell’ embrione. Nel nostro caso invece si aveva un embrione di appena 3 mm, e l’amnios era 10 volte maggiore. Quindi nè dal volume dell’amnios, che era troppo grande, nè da quello dell'embrione che era troppo 152 C. GIACOMINI piccolo, potè essere dedotta l’età dell’ovolo. Probabilmente essa corrispondeva al principio del 2° mese. Così caratterizzato quest’'aborto, manifestai il desiderio di avere anche le membrane quando esse venissero emesse. Nella sera dello stesso giorno ho ricevuto infatti un corpo piriforme lungo 6 cm. su 5 di larghezza, che per il suo colore e consi- stenza aveva l’aspetto di un grumo. Esaminato dopo 24 ore d’immersione nell’alcool diluito si trovò che esso risultava dalle membrane fetali e materne. Al centro esisteva una cavità piena di sangue rappreso, limitata da una sottile membrana che era il Corion, il quale presentava alla sua superficie esterna villosità ben pronunciate che si confon- devano con gli involucri materni, i quali per altro non erano ben distinguibili per la grande infiltrazione di sangue. Non fu possibile distinguere altre particolarità. L'esame praticato è però sufficiente -per ammettere che il distacco del sacco amniotico fu evidentemente provocato dal ver- samento sanguigno operatosi tra la faccia profonda del vero Corion e la esterna dell’amnios; e ciò è ancora confermato dalla striature sanguigne che si osservarono alla superficie dell’amnios. Questo fatto mi rende ragione di diversi altri aborti nei primi mesi da me osservati, nei quali non mi fu possibile di scoprire nell’interno del grumo traccia alcuna di embrione. Nel nostro caso fortunatamente la vescicola amniotica non si ruppe e fu raccolta subito dopo che essa fu emessa. Ma se essa scop- piava durante l’espulsione, anche colle più accurate ricerche sa rebbe stato difticile il distinguerla, e sarebbe andata perduta insieme all’embrione atteso la sua picciolezza e la sua estrema delicatezza. In allora emesse le membrane non si sarebbe riscon-. trato nulla che ricordi l’embrione. Però se le cose fossero av-. .venute in questi termini vi ha il Corion d'origine embrionaria, il quale è sempre facile a riconoscersi, ed esso, data la circo- stanza, potrà sempre risolvere la questione se si tratti o no di. vera gravidanza. Ritornando ora all’embrione dobbiamo avvertire che l’amnios malgrado il suo forte distendimento si presentava di costituzioni normale. Larghi lembi coloriti convenientemente e sottoposti al- l'esame microscopico non presentarono nulla di speciale. L’epi telio era continuo e regolarmente disposto in un solo strato, nuclei ben evidenti facevano sporgenza nell’interno della cavità ANOMALIE DI SVILUPPO DELL’EMBRIONE UMANO 155 e ciò si scorgeva meglio nelle sezioni perpendicolari alle faccie. All’infuori lo strato epiteliare era sostenuto dalla lamina di con- nettivo, e si è su questa che si trovano disposte le striature sanguigne che abbiamo notato esistere alla superficie esterna del- l’amnios. L'embrione malgrado il suo forte grado di deformazione , conservava con l’amnios quei rapporti che si osservano nelle con- dizioni normali. Ed erano precisamente questi rapporti che ci facevano distinguere nel rudimento embrionario una estremità cefalica ed una caudale, distinzione che non sarebbe stata pos- sibile se noi avessimo avuto sotto occhio solamente l'embrione. Esso infatti non ci presenta distinzione di parti, il processo di atrofia e per l'epoca in cui ha incominciato e per lo stadio a cui è giunto e per l’estensione sua ha ridotto il prodotto ad un informe tubercolo, che non lascia trasparire nulla della sua primitiva origine (vedi fig. 6). His, a pag. 18 del fascicolo II della sua Anatomie menscehli- cher Embryonen, riporta in una tabella tutte le deformità da lui osservate, che possono essere comprese in tre gruppi. Le forme noduluri, le forme atrofiche e le cilindriformi. Le forme nodulari rappresentano il massimo grado di ridu- zione, esse risultano di piccoli tubercoli più o meno regolarmente sferici unici o molteplici applicati alla superficie del Corion e compresi in un sacco amniotico molto ampio. Il loro diametro può variare da 1 a 5 mm. Sotto il nome di forme atrofiche V’His ha radunato quelle deformità, le quali malgrado presentino differenze fra di loro , sono però d’accordo in ciò che l'embrione secondo la sua forma generale è ben riconoscibile, ma anormalmente deformato e sempre inferiore al diametro delle membrane, dalle quali si trova cir- condato. Il diametro di queste forme oscilla fra 2,3 ad 8 mm. Nel gruppo delle forme cilindriche sono compresi 4 embrioni di un diametro maggiore dei precedenti (11,3 a 13,7 mm.), i quali furono colpiti principalmente all'estremità cefalica, mentre il tronco relativamente si avvicina alla condizione normale. Volendo riferire a qualcuno dei gruppi stabiliti da His, la deformità da me descritta si potrebbe dire che essa appartenga alle forme atrofiche, o meglio stia fra queste e le forme nodu- lari, essendo che il gruppo delle forme atrofiche comprende em- brioni, i quali malgrado siano colpiti da un processo di arresto 154 C. GIACOMINI nel loro sviluppo, nella grande maggioranza di essi sono ancora ben distinguibili le principali particolarità della loro conformazione esterna, mentre nel nostro esse sono completamente scomparse. La distinzione stabilita da His, fu fatta, io penso, solo a scopo di portar un po’ d'ordine nel ricco materiale che egli aveva a sua disposizione, ed essendo fondata sulla semplice apparenza esterna, nulla ci dice riguardo all’epoca in cuî si iniziò il pro- cesso morboso, come pure riguardo alla sua localizzazione e diffusione sulle parti circostanti. Ciò evidentemente non potrà ottenersi che coll’esame attento e minuto dell'embrione deformato con quei medesimi procedimenti coi quali si studia un embrione normale. In molti casi però anche così operando non si otterranno | risultati troppo favorevoli, essendo che i prodotti così profonda- mente colpiti cessano generalmente di vivere nella cavità del- l'utero in un’epoca più o meno lontana dalla loro espulsione , ed allora entrano in periodo di involuzione, conseguenza del quale sarà una maggiore deformazione dell'embrione od anche la sua | totale scomparsa. E noi non saremo sempre in grado di poter | esattamente precisare se una data alterazione dipenda dal pro- cesso primitivo che ha disturbato od arrestato lo sviluppo del . tutto o di una parte, ovvero se essa non sia piuttosto la con- segnenza ultima di essa. Ad ogni modo l’esame microscopico non solo dell'embrione ma ancora de’ suoi annessi è il solo che possa somministrarci gli elementi per poter giudicare queste forme anormali e convenientemente classificarle. L’embrione che ho descritto trovandosi nelle migliori condi- zioni di conservazione e d’indurimento, dopo averlo colorito in massa col carminio-borace, e dopo l’inclusione in paraffina, fu sezionato col microtomo perpendicolarmente all’asse principale. Le sezioni cominciarono sull’amnios, là dove abbiamo notato quel- l’inspessimento biancastro, e terminarono nel punto ove esiste- vano quei filamenti sulla superficie esterna di esso. Furono così | fatte 800 sezioni, L’embrione che aveva la lunghezza di 3 mm. venne compreso in 150 sezioni. I È d’uopo che qui aggiunga un’altra circostanza per dimo- strare come le mie aspettazioni riguardo a questo studio non fossero molto grandi. Fin dal maggio 1879, io aveva studiato un embrione umano anomalo che mi fu dato dal prof. Cuzzi. Esso si presentava sotto forma di un tubercolo conico. La grossa estremità rappresentava la parte cefalica , nella quale non era ANOMALIE DI SVILUPPO DELL’EMBRIONE UMANO 155 possibile distinguere alcuna particolarità. Verso la piccola estre- mità che era la caudale si notavano due leggerissime elevazioni a destra ed a sinistra della linea mediana, un po’ maggiori le inferiori, che non erano altro che i primi rudimenti delle estre- mità. L’indurimento fatto nell’alcool non riuscì troppo perfetto, di più la tecnica microscopica in quell’epoca non era così pro- gredita come oggidì, per cui le sezioni non si ottennero così numerose e regolari; esse però erano sufficienti a dimostrare le principali particolarità di struttura. L'unica parte che fosse ancora ben distinguibile in tutta l’e- stensione dell'embrione, in mezzo ad elementi rotondeggianti uni- formemente sparsi, sì era quella che riguardava il sistema nervoso centrale, principalmente nella sua parte cefalica ; ma esso era ridotto ad un ammasso di piccole cellule rotonde che più non i ricordavano la loro provenienza epiteliale. Nella maggioranza delle sezioni questi elementi occupavano tutto lo spazio destinato al canale midollare: in poche della parte cefalica ed in alcuni punti si disponevano per piccoli tratti sotto forma di un nastro flessuoso. Non esisteva traccia del canale centrale nè delle ve- scicole oculari primitive. E questo fatto al quale in allora non i diedi grande importanza, fermò meglio la mia attenzione in seguito quando lo vidi ripetuto in embrioni anomali di pollo e di coniglio siccome si vedrà più avanti (1). Ma per quanto io sperassi di ottener scarso materiale dallo studio dei preparati del nostro embrione, la realtà fu ancora al disotto della aspettativa. Ben poco in essi si distingueva, che potesse riferirsi a qualche organo embrionario, le sezioni si pre- sentavano più intensamente e più uniformemente colorite col car- (1) L’embrione descritto recentemente (lunghezza 3,78 mm.) da Franz von PreuscHEN nel suo lavoro Die Allantois des Menschen, eine entwicke- lunsgeschichtliche Studie auf Grund eigener Beobachtung, Wiesbaden , 1887, che io ho potuto consultare solo dopo aver fatto questa comunicazione al- l'Accademia, per il modo di presentarsi del sistema nervoso centrale non mi sembra normale. Le sezioni ricordano perfettamente quelle dell’ embrione umano sopra descritto. Manca completamente il canale centrale e tutto lo spazio, a giudicare dai disegni, sembra occupato da piccoli elementi identici a quelli che io ho trovato nel mio embrione. L’autore si limita a descrivere la conformazione interna del sistema nervoso centrale, e non dice nulla ri- guardo la sua struttura; forse non poteva ciò fare atteso il grande spessore delle sue sezioni, 156 C. GIACOMINI minio che non nelle condizioni normali. Non si osservavano quelle variazioni di colorazione, dipendenti dal diverso modo di rispon- dere al reagente degli elementi dei tre foglietti blastodermici e delle loro provenienze che rendono così eleganti e dimostrativi i preparati di embrioni normali, ma qui tutto appariva disposto nel medesimo modo, e se qualche punto spiccava maggiormente per la sua colorazione, ciò era dipendente non da una proprietà degli elementi, ma da ciò, che quivi essi si trovavano più stipati, e più abbondanti. Questo fatto della colorazione, è un primo ca- rattere che serve a dimostrarci una alterazione avvenuta nella evoluzione degli elementi embrionari. Io l’ho notato in tutti gli embrioni di coniglio o di pulcino che avevano subìto un arresto nel loro sviluppo, ed esso si accentua maggiormente quanto più avanzato è il processo di alterazione, come era appunto il caso nel nostro embrione. Una seconda disposizione che colpisce nell’esaminare col mi- croscopio questi preparati si è che non esiste nessuna differenza negli elementi che formano il rudimento embrionario. Essi per la forma, per la costituzione e per il modo con cui sono disposti somigliano a cellule linfoidi; per cui a primo aspetto e non essendo avvertiti del fatto sembra d’avere sott’acchio un follicolo linfa- tico. Questa apparenza può essere generale per tutta l’estensione della sezione e per tutta la lunghezza dell'embrione, oppure può essere parziale, vale a dire che le piccole cellule, rotondeggianti, con nucleo voluminoso e fortemente colorito possono essere uni- formemente sparse, oppure esse possono formare degli aggruppa- menti ben distinti e separati fra loro. Succede il primo caso quando il processo morboso ha colpito l'embrione nelle primis- sime fasi del suo sviluppo, oppure quando esso data da lungo tempo ; il secondo caso invece si riscontra quando l'embrione fu arrestato nella sua evoluzione in un’epoca più tardiva nella quale era già avvenuta la comparsa di organi embrionari, in allora gli elementi che costituiscono questi organi, così caratteristici nelle condizioni normali, arrestati o disturbati nel loro sviluppo subi- scono una alterazione, e sembrano trasformarsi in quelli elementi piccoli e rotondeggianti; ma intanto finchè il processo non sia. molto avanzato essi restano ben distinti gli uni dagli altri, e quindi l'apparenza di gruppi cellulari indipendenti, che finiranno più tardi per fondersi insieme, quando il processo perduri più. lungamente. Questi due modi di presentarsi dell'embrione defor- ANOMALIE DI SVILUPPO DELL EMBRIONE UMANO E5S7 mato non sarebbero che due stadi del medesimo processo. Tutto ciò io ho dedotto non solo dallo studio dell’embrione umano che sto descrivendo, ma ancora dall'esame comparativo di diversi embrioni animali di animali arrestati a diverso stadio del loro sviluppo. Ciò premesso, volendo ora brevemente indicare le particolarità osservate nelle sezioni del nostro embrione, dirò come in esse non fosse possibile distinguere traccia di organo alcuno, se si fa astra- zione della parte più anteriore del sistema nervoso centrale. Per maggiore intelligenza e per non di troppo prolungare la nostra descrizione, mi limito a riportare il disegno di una sezione corri- spondente all’estremità cefalica, dove sono visibili alcune parti- colarità di struttura. Inutile sarebbe per lo scopo nostro di ri- produrre altre figure (vedi fig. 7). Esaminando queste sezioni si trova innanzi tutto che il rudi- mento embrionario è rivestito alla sua superficie esterna da un doppio strato di cellule, le quali ci rappresentano la lamina cornea dell’epiblasta, e che conservano ancora molto ben evi- dente la disposizione epiteliare, malgrado esse siano profondamente modificate. Si presentano di figura cubica, con un nucleo piccolo ‘e come rattrappito al centro. Il nucleo è la sola parte delle cellule ‘che abbia risentito l’azione del carminio, il resto delle cellule è completamente incoloro e trasparente, come se avesse subito la degenerazione mucosa. Per cui nel suo complesso questo strato ‘assume l'aspetto di un orlo chiaro intorno alla parte da esso circoscritta intensamente colorita. I limiti delle cellule sono ben marcati. Lo strato profondo è quello che è meglio conservato, e si riscontra su tutta l’esten- sione dell'embrione. Il superficiale invece presenta le cellule più basse ed in alcuni punti fortemente appiattite ed esse hanno ten- denza a staccarsi e cadere nel liquido amniotico; per ciò alcuni tratti della superficie presentano il solo rivestimento interno. Là dove l’embrione contrae delle aderenze con l’amnios, e queste aderenze cominciano già alla ragione cefalica, come si scorge nella fisura, le cellule epiteliari ridotte ad un unico strato, e modifi- cate tanto nella loro costituzione quanto nelle loro forme, si continuano senza linea d'interruzione cogli elementi che abbiamo veduto rivestire tutta la superficie interna dell’amnios, se non che le cellule epiteliari dell’ amnios ci appaiono normali ed in piena attività di funzione, mentre quelle dell’ embrione hanno cessato di vivere e sono entrate in un periodo di regresso. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol, XXIII, 12 158 C. GIACOMINI La parte compresa dallo strato epiteliare, e sulla quale esso trova applicata senza però avere aderenze troppo strette, è costitui nella massima sua estensione da quegli elementi piccoli, forte mente coloriti ed abbastanza uniformemente sparsi, dei qua abbiamo già avuto occasione di parlare. Due punti però’ meritan qui la nostra attenzione. Essi si trovano situati ai due estre della sezione. L'estremo anteriore più piccolo corrisponde a quel l’assottigliamento della parte cefalica, che abbiamo veduto avve: nire nel mentre essa si incurva in basso ed all’interno, e preci samente nel punto dove abbiamo notato quella leggera depression che appare sotto la forma di un punto più oscuro. Quivi si notan due spazi circolari ben circoscritti, l’uno situato più superficial mente ed è il più ampio, l’altro posto al centro e più piccolo Tutti e due si distinguono per la forma e la disposizione deg elementi che limitano la loro cavità, e che grandemente si diffe renziano da quelli che formano il resto del rudimento embrio nario, ricordando i primordi di sviluppo del sistema nervoso cen trale o delle sue dipendenze. Questi elementi infatti si presentano molto allungati perfet tamente cilindrici con un nucleo ovolare situato al centro; son più alti e meglio distinti quelli che circoscrivono lo spazio pi piccolo. Alla superficie esterna sembrano sostenuti da sottile mem- branella che appare sotto forma di una linea più intensament colorita (membrana prima di Hensen, membrana basale), e ch serve sempre maggiormente a limitare queste parti dalle circo- stanti. La cavità circoscritta da questi elementi e ripiena di cellul piccole eguali a quelle che si trovano in tutto il resto dell’em- brione e che probabilmente provengono dalla loro trasformazione. Poichè è d’uopo avvertire che è solamente nel punto rappre- sentato nella figura, che la parte di questi spazi si trova completa in tutta l’estensione. Ma se si esaminano le sezioni che prece - dono e susseguono, si trova che una parte della parete è com- pletamente rovinata e confusa con il resto dell'embrione; e pro- cedendo nel nostro esame si arriva ad un punto in cui tutta la parete è distrutta e sostituita dai soliti elementi, i quali però si trovano in questo punto più abbondanti e più stipati, formando un cumulo ben distinto che può essere seguito per tratti ab- bastanza estesi, e possono essere riconosciute le sue connessioni o la sua terminazione. I In tal modo si può scorgere che lo spazio situato più super-| ANOMALIE DI SVILUPPO DELL’EMBRIONE UMANO 159 ficialmente ha origine e fine in questo punto, scomparendo affatto nelle sezioni inferiori e superiori. Mentre lo spazio centrale cessa nelle sezioni inferiori perchè qui finisce pure l’estremità cefalica incurvata, esaminando le sezioni situate più in alto, esso va aumentando in estensione prolungandosi verso la grossa estremità della sezione, dove si continua con un cumulo di cellule, del quale dobbiamo dire poche parole (vedi fig. 7 ©). La grossa estremità della sezione rappresenterebbe la faccia dorsale del rudimento embrionario. Quivi subito sotto il rivesti- mento epiteliare già descritto, si trova un ammasso di piccole cellule (C) ben circoscritto di figura circolare il quale con poche variazioni si osserva per tutta la lunghezza dell’embrione. Esso rap- presenterebbe il canale midollare in completa disorganizzazione. La alterazione degli elementi sarebbe quivi più avanzata essen- dochè in mezzo ad essi si trovano delle isole di sostanza granu- lare, la quale deve essere considerata come l’ultimo stadio del processo che li ha invasi. La comunicazione tra questa parte e quella più superiormente descritta avveniva per un tratto ristretto, ben limitato e legger- mente curvo, ripieno dei soliti elementi. Alcune sezioni al dissotto dal punto in cui succedeva questa congiunzione, si notava un cordone cellulare avente la stessa di- rezione e compreso in tutta la sua estensione in cinque sezioni, il quale simulava l’estremità superiore della corda dorsale. Queste sono le poche particolarità che erano ben distinte nel nostro embrione e suscettive di una interpretazione. Nel resto nulla poteva essere notato che avesse rapporti con qualche altro organo embrionario. Non esistevano traccie di vasi sanguigni nè nel rudimento embrionario, nè nel cordone che lo teneva unito all’amnios. In quest’ultimo punto fatta astrazione del rivestimento amniotico, non poteva distinguersi struttura alcuna. Si aveva sot- t'occhio infatti una specie di tessuto areolare più o meno irrego- larmente disposto con areole ristrette la cui rete si dimostrava completamente amorfa. Solo in diverse sezioni che interessavano la parte terminale del cordone, comparivano degli spazi o com- pletamente ripieni di elementi epiteliari ovvero solo rivestiti da un unico strato di essi, che limitavano quindi una piccola cavità. Essi si presentavano di forma cubica, con nucleo centrale ed avevano presso a poco i medesimi caratteri di quelli che abbiamo veduto formare il rivestimento epiteliare del rudimento embrio- Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII 142 160 C. GIACOMINI nario. La provenienza era però diversa, essendochè questi spazi ci rappresentavano residui del canale omfalomesenterico o canale vitellino e quindi il rivestimento epiteliare era dipendenza dell’i- poblasta. Questi spazi come ho già detto si notavano solo in un gruppo di sezioni, e non potevano essere seguiti nè verso V’em- brione, nè verso la terminazione del cordone ombellicale. Era quindi un solo piccolo tratto del canale vitellino che persisteva, ed esso non era disposto in linea regolare, ma descriveva delle flessuosità, comparendo in alcune sezioni duplice, duplicità che scompariva nelle sezioni successive, osservandosi la fusione dei due canali in un solo. Quei filamenti che si notavano alla superficie esterna dell’amnios in corrispondenza della inserzione dell’ em- brione, non erano che resti di vasi interamente otturati. Da quanto siamo venuti dicendo appare evidente che la no- stra deformità rappresenta uno degli stadi più avanzati dell’al- terato processo di evoluzione; per poco che esso avesse ancora soggiornato nella cavità uterina ogni traccia di organo embrionario sarebbe stata distrutta e tutto l’embrione sarebbe stato ridotto ad un ammasso informe di piccoli elementi cellulari in via di regresso, i quali più tardi anch’essi avrebbero finito per scom- parire. Ed accettando la distinzione fatta da His de’ suoi em- brioni deformati, ma volendo nello stesso tempo dare ad. essa una solida base fondata sulla intima costituzione; si potrebbero chiamare forme nodulari quelle nelle quali l’esame microscopico non dimostra più alcuna traccia di organi embrionari; forme atrofiche invece quelle altre nelle quali questi organi malgrado siano profondamente alterati nella costituzione, nella forma e nei rapporti sono sempre tuttavia ben distinguibili. Sono queste le forme più numerose, le più svariate e quelle che devono essere quindi più attentamente studiate siccome le più istruttive, po- tendo esse somministrarci elementi preziosi per rischiarare la questione della natura del processo che ha colpito l’embrione, l'estensione sua, il modo suo di comportarsi colle diverse parti, e via dicendo. È questo un campo ancora vergine e che -bhen coltivato può dare ampia messe di fatti non solo morfologici ma anche fisiologici. E la semplice apparenza esterna non è sufficiente per carat- terizzare la forma di una deformità embrionaria. In una coniglia al 13° giorno di gravidanza io ho trovato 6 embrioni, cinque dei quali erano deformi a diverso grado. Quello che aveva subìto ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO 161 il maggiore arresto sì presentava sotto la forma di piccolo ba- stoncino, esso avrebbe potuto essere classificato fra le forme no- dulari; l’esame microscopico invece dimostrò che il processo non era relativamente molto avanzato , distinguendosi tutte le parti embrionarie e fra queste spiccava in principale modo il sistema nervoso centrale, malgrado esso fosse profondamente alterato. Così intesa la distinzione di His, il nostro embrione appar- tiene alle forme atrofiche le più infime, proprio in vicinanza del punto di passaggio tra queste e le nodulari. La seconda distinzione che dovrebbe essere sempre fatta nel- l'esame di embrioni arrestati nella loro evoluzione è quella che riguarda l’ epoca in cui è avvenuta la morte. Vale a dire che convien cercare di ben stabilire se la morte è avvenuta qualche giorno prima oppure in epoca più o meno vicina al momento dell’espulsione. Si comprende facilmente tutto l’interesse che può avere una simile determinazione. Un embrione deviato nel suo sviluppo avendo cessato di vivere qualche tempo prima dell’aborto, oltre le alterazioni prodotte dal fatto primitivo, noi dovremo riscontrare anche quelle occasionate dalla morte avvenuta, e ta- lora queste possono essere tali da mascherare le prime. Che anzi io credo che molte deformità che si osservano nelle prime epoche della vita embrionaria, siano dipendenti unicamente da ciò che il prodotto ha cessato di vivere ed è entrato in una fase regres- siva. È inutile ch’io aggiunga che questa distinzione riguarda solamente le forme atrofiche essendo che nelle nodulari la vita è cessata da un’epoca più o meno lontana. Ma non voglio maggiormente insistere per ora sopra questo punto, che presenta difficoltà nè poche, nè lievi, mi limiterò solo a dire che nel caso nostro la morte doveva essere avvenuta da parecchi giorni. Ciò che sorprende nello studio che abbiam fatto, si è il vedere la completa indipendenza dell’embrione dai suoi annessi d'origine fetale. Mentre esso va distruggendosi e scomparendo, il corion e l’amnios non solo si dimostrano di costituzione normale, ma essi continuano a svilupparsi, e sembra che quella somma di attività che era destinata allo sviluppo ed accrescimento del- l'embrione, vada invece interamente a loro giovamento. È questo un fatto avvertito da tutti gli autori e considerato come causa della vera mola. Su di un ultimo punto desidero fermarmi prima di porre 162 C. GIACOMINI termine a questa descrizione. Abbiamo veduto che l’unico organo che fosse riconoscibile nel nostro caso era la porzione anteriore del sistema nervoso centrale; e ciò si comprende facilmente. Il canale midollare è una delle parti che prima compaiono, è co- stituito da elementi che sono caratteristici nella loro disposizione e nella loro forma, assume tosto ampio sviluppo, e si rende in certo modo indipendente; per cui colpito l’embrione da un pro- cesso di arresto più facilmente resiste e più lentamente avviene la sua disorganizzazione. Nel nostro caso poi esso è l’unico segno che indichi approssimativamente l’epoca in cui lo sviluppo fu disturbato; il canale midollare doveva essere perfettamente chiuso e già formate le vescicole oculari primitive, il che corrisponde- rebbe alla 3* settimana. E non è meno caratteristico il modo di comportarsi del si- stema nervoso centrale quando esso è disturbato in un periodo più inoltrato del suo sviluppo e quando in esso si è prodotta una maggiore distinzione delle sue parti, In allora mentre tutto il resto si mostra stazionario, gli elementi del canal midollare perdono il loro aspetto caratteristico ed i loro mutui rapporti, non sono più disposti regolarmente in serie da formare le così dette catene di proliferazione, ma si presentano come cellule piccole, indifferenti, non più legate da prolungamenti protoplasma- tici, e sembra che esse vadano aumentando in numero, per modo che non potendo più capire nello spazio ad esso destinato avvengono nelle parti delle inflessioni le più svariate, delle quali però in principio può essere sempre ben riconosciuta la continuità; poi il nastro così disposto si spezza in diversi punti, gli elementi si diffondono irregolarmente e tutto lo spazio occupato dal sistema nervoso è ridotto ad ammasso di quelle cellule delle quali ab- biamo più volte avuto a discorrere. ‘Questo fatto avviene anche nelle dipendenze del sistema ner- voso centrale, ad es. nella retina. E non posso trattenermi di qui riportare il disegno del globo oculare di un embrione di pollo al 5° giorno di incubazione, nel quale il sistema nervoso si trovava nel 1° stadio della descritta alterazione. Nella fig. 8 si scorge che mentre la parte prossimale della vescicola oculare secondaria P è abbastanza regolarmente disposta se non normale nella sua costituzione ed in essa comincia a depositarsi il pig- mento, la parte distale della vescicola , quella che dà origine alle parti nervose della retina, oltre ad essere formata da ele- ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO 163 menti molto diversi dalle condizioni normali presenta una grande quantità di circonvoluzioni che sono veramente caratteristiche (1). Ora, supponendo che la causa che ha prodotto il disturbato sviluppo, cessi in un periodo nel quale l’embrione sia ancora vivo, esso continuerà a svolgersi, potrà giungere a termine, sarà anche vitale, ma con tali imperfezioni nella organizzazione di alcune parti, le quali se non compromettono la vita, alterano però sempre il normale andamento di diverse funzioni. Quanto sono venuto dicendo lo credo sufficiente per dimo- strare tutto l’interesse che noi possiamo ottenere da questi studi. E mentre attendiamo dalla Teratologia sperimentale i tanto pro- messi risultati che valgano a spiegarci la ragione recondita del così grande numero di deformità che si osservano nei primi stadi di sviluppo tanto nell'uomo come negli animali, noi dobbiamo dal lato anatomico studiare accuratamente tutte queste forme irregolari, preparando così il terreno ad una vera patologia del- l'embrione. Ed il nostro còmpito sarà reso più facile se i nostri colleghi e principalmente gli ostetrici e ginecologi vorranno unirsi a noi somministrandoci il materiale di studio, che non potremmo procurarci altrimenti, accompagnandolo con tutte quelle indica- zioni cliniche che sono di così prezioso aiuto per farci ricercare le cause che hanno perturbato l’ evoluzione di nuovo individuo, da impedire che esso raggiunga il suo scopo. Breve nota tecnica. Io praticava le sezioni dei preparati che furono oggetto di questo studio nell'epoca più calda della scorsa estate ed in una località che per la sua esposizione risentiva molto l'aumento di temperatura. In queste condizioni, si sa che la paraffina che si (4) In questi giorni ho avuto l’opportunità di studiare un nuovo embrione umano della lunghezza di 8 mm., il quale si presentava nella conformazione esterna perfettamente normale. La conservazione e l’indurimento fatto in alcool non troppo forte senza previa apertura delle membrane fu imperfetto, ciò nondimeno io ho potuto dividerlo in 742 sezioni. La particolarità che presentava quest’ embrione descriverò in altra occasione, ma intanto mi preme di notare che il sistema nervoso centrale, unitamente alla vescicola oculare mostrava in tutta la sua estensione l’alterazione sopradescritta, mentre gli altri organi erano disposti come d'ordinario, malgrado gli ele- menti costitutivi fossero profondamente modificati, atteso il cattivo processo di conservazione. 164 C. GIACOMINI usa ordinariamente e che fonde a 40, 45, 50 centigradi, di- viene meno adatta per fare sottili sezioni. È d’uopo adoperare paraffina con un grado di fusibilità superiore ai 60 gradi. Non sempre si è in grado di poter usare di questo espe- diente, o perchè non si dispone al momento di questa qualità di paraffina, o perchè il preparato è già incluso in paraffina più molle. Ma ben soventi anche potendo, non è conveniente di usare siffatta paraffina perchè l’alta temperatura alla quale è d’uopo portarla per renderla liquida, può far sentire la sua azione sugli - elementi, specialmente se questi sono delicati e facili ad alterarsi, | come sono appunto quelli che costituiscono un embrione. Un mezzo semplice, che può essere applicato da tutti ed in | ogni circostanza, mi tornò di grande utilità. Basta disporre di _ un sottile tubo di gomma della lunghezza di un metro e di un recipiente capace a contenere 3 o 4 litri. Col tubo di gomma sì fanno giri molteplici attorno alla morsa che fissa il preparato ed anche attorno al preparato stesso per modo che essi non disturbino il movimento della slitta del microtomo. Una estremità del tubo pesca nel recipiente contenente acqua, nella quale vien immerso un pezzo di ghiaccio; all’ altra estremità vien adattato un tubetto di vetro con punta affilata onde il getto sia reso molto esile. Il tubo funziona da sifone; l’acqua a bassa temperatura circola attorno alla morsa, questa vien raffreddata, ed il raffreddamento si estende ben presto al preparato. Dopo 10 o 15 minuti che l'apparecchio funziona e quando cominciano a comparire piccole goccie di rugiada sulle pareti del tubo , si può incominciare @ lavorare, ed allora si trova che le sezioni riescono bene anche con paraffina fusibile a bassa temperatura. L'apparecchio può continuare a funzionare per tutta la gior- nata senza altra cura, che quella di aggiungere nuovo ghiaccio, quando quello che si è messo da principio si è sciolto. Questo sistema può essere adoperato i in condizioni affatto op- poste, vale a dire per rendere più molle la paraffina nella sta- gione invernale. Basta far. passare. per il sifone una corrente d’acqua calda alla temperatura che ‘noi vogliamo, per ottenere un riscaldamento di tutta la parte del microtomo che contiene e fissa il preparato. Aumentando o diminuendo la quantità di acqua che passa nel sifone o la velocità della corrente noi pos-. siamo avere effetti diversi di riscaldamento e raffreddamento: cor, ( rispondenti allo scopo che noi desideriamo ottenere. LÀ piede LOI 14972 AI AI ICRI RR . GIACOMINI- Anomalie di sviluppo dell'Embrione Umano ANOMALIE DI SVILUPPO DELL’ EMBRIONE UMANO 165 La semplicità dell’apparecchio, la sua facile applicazione, la prontezza e sicurezza nei risultati sono le circostanze che mi fanno raccomandare questa specie di Zermo-sifone, a preferenza di tutti gli altri artifici proposti per evitare piccoli inconvenienti, i quali ta- lora però possono impedire lo studio di preparati molto interessanti. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Tav 01° Fig. 5. Vescicola amniotica distesa, grandezza naturale. Si scorge all’interno il rudimento embrionale R. » 6. Embrione visto dalla faccia interna dell’amnios ed in- grandito 15 volte coll’Embrioscopio di His. A inspes- simento dell’amnios a poca distanza dall’estremità ce- falica dell'embrione. Y° cordone che legava il rudimento embrionario all’amnios V. Residui di vasi che si di- stribuivano al corion. » 7. Sezione (N. 291) dell’estremità cefalica del rudimento em- brionario, vista a piccolo ingrandimento. A, amnios €. residuo del canale midollare costituito interamente da piccoli elementi e senza cavità centrale — M. canale midollare nella sua parte anteriore corrispondente alla vescicola cerebrale anteriore. Le pareti sono ancora ben costituite in questo punto. La cavità è distinta ma piena di piccoli elementi. » 8. Sezione di una vescicola oculare di un embrione di pul- cino al 5° giorno d’incubazione arrestato nel suo svi- luppo — P. parte prossimale della vescicola oculare secondaria — D. parte distale cle presenta caratte- ristiche inflessioni identiche a quelle che si riscontrano nel sistema nervoso centrale e costituita da piccoli ele- menti uniformemente sparsi — ZL. lente cristallina. Il Direttore della Classe ALFronso Cossa: CLASSI UNITE Adunanza dell'8 Gennaio 1888. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ARIODANTE FABRETTI VICEPRESIDENTE In questa adunanza vien conferito il Premio BRESSA al sig. Prof. LUIGI PASTEUR, dell’ Istituto di Francia. Il Segretario pel Premio Bressa ALFonso Cossa. SOMMARIO e Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. ADUNANZA dell’ 8 ‘Gerinaio 1888 1.0. 0, a IA Pag. 144 Sansoni — Note di mineralogia italiana — Datolite e Calcite di Montecatini (Valle di Cecina) (con una tavola). . . ...... » 142 Giacomini — Su alcune anomalie di sviluppo dell'embrione umano . » 450 Classi Unite. CONFERIMENTO: del; Premio BRESSA: e LR LI TE ». 166 rilzie: ATTI R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI-:--FORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XXIII, Disp. 5", 1887-88 s—_—_T— Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali TORINO ERMANNO LOESCHER Libraio della R. Accademia delle Scienze 167 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 22 Gennaio 1888. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ARIODANTE FABRETTI VICEPRESIDENTE Sono presenti i Soci: Lessona, BERRUTI, SIacci, Basso, D'O- vipio, BizzozERo, FERRARIS, NACCARI, SPEZIA. Il Socio Cossa, Direttore della Classe, fa scusare la sua assenza cagionata da obblighi di ufficio che lo trattengono a Roma. Letto ed approvato l’atto verbale dell’adunanza precedente, il ff. di Segretario dà lettura di una lettera di ringraziamento che il signor Luigi PAasrEUR invia da Parigi al Presidente dell’Acca- demia, la quale gli aveva conferito il V Premio Bressa nell'ultima sua adunanza a Classi Unite. Comunica in seguito la morte di Lorenzo Guglielmo di Ko- NINCK, Prof. emerito della Facoltà di Scienze nella Università di Liegi, il quale era Socio corrispondente per la Sezione di Mi- neralogia, Geologia e Paleontologia. Fra le pubblicazioni pervenute in dono all'Accademia vengono segnalati parecchi lavori pubblicati a Wiesbaden in occasione del 60° Congresso dei Naturalisti e Medici tedeschi colà tenutosi nel settembre scorso, e segnatamente il volume intitolato: 7a- geblatt der 60 Versammlung deutscher Naturforscher und Aerzte in Wiesbaden, redatto dai Dottori G. FRESENIUS e E. PFEIFFER. - Il Socio Succi, incaricato dal Presidente, presenta il fascicolo di Aprile 1887 del Bullettino di bibliografia e di Storia delle Scienze matematiche e fisiche, pubblicato da B. BoxcomPagnI e Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol, XXIII. 13 ero 168 dallo stesso offerto in omaggio all'Accademia. Indi prosegue : « Nel tomo XIX del bullettino diretto dal benemerito Principe Bon- comPaGNnI, un altro Socio corrispondente della nostra Accademia, Enrico NARDUCCI, ha testè pubblicato quelle delle Vite dei Ma- tematici scritte già da Bernardino BALDI, che, riguardando Ita- liani, erano rimaste tuttavia inedite. Il NARDUCCI fa omaggio all'Accademia di una tiratura a parte di questa pubblicazione, che contiene per ordine di tempi 28 Vite, da Ameristo a Giu- seppe Zarlino. Rimarchevoli per la copia di notizie e di scien- tifiche osservazioni sono quelle di Archita, Archimede, Vitruvio, Boezio e Gioviano Pontano. Il NARDUCCI coll’usata sua diligenza ha corredato il lavoro con una erudita prefazione, nella quale insieme ad una tavola di tutte le vite edite ed inedite dal BALDI, colla indicazione dei codici che le contengono, ha enumerato i principali scrittori che parlarono di essa opera e descritte le fonti per procedere a una sicura edizione delle Vite rimaste inedite, le quali ascendono a non meno di centocinquanta ». Le letture e le comunicazioni si succedono nell’ ordine se- guente : 1° « I Molluschi dei terreni terziari del Piemonte e della Liguria (Mitridi); » quinta ed ultima parte di un lavoro del Socio Prof. L. BELLARDI, presentata dal Socio Basso per incarico dell’autore assente per ragione di salute, ed approvata con voti unanimi dalla Classe per le pubblicazioni nei volumi delle Memorie. 2° « Sulla struttura dell’ Hormogaster Rediî mihi; » Studio del Dott. Daniele Rosa, Assistente al Museo Zoologico della R. Università di Torino, presentato dal Socio LESSONA. Questo lavoro, dovendo essere pubblicato nei volumi delle Me- morie, viene affidato ad una Commissione perchè lo esamini e ne riferisca in una prossima adunanza. 3° « Ricerche sperimentali sulle variazioni della resi- stenza elettrica e del potere termoelettrico del Nichel al variare della temperatura; Nota del Dott. A. BATTELLI, presentata dal Socio NACCARI. LETTURE Sulle variazioni della resistenza elettrica e del potere termo- elettrico del nichel al variare della temperatura; ricerche sperimentali di Angelo BATTELLI _— 2 1) Nel presente lavoro ho cercato di scoprire se la resistenza elettrica del nichel variasse irregolarmente al mutare della tem- peratura; e se tali variazioni irregolari avessero alcuna relazione con i cambiamenti improvvisi che si osservano nelle proprietà termoelettriche di questo metallo. È noto che nel ferro avvengono alla temperatura del rosso scuro diversi fenomeni che hanno attirata l’attenzione dei fisici. Il Gore (*) nel 1869 trovò che alla temperatura sopraddetta i fili di ferro subiscono improvvisamente cangiamenti di lunghezza; il Prof. Barrett (**) nel 1873, seguitando le esperienze di Gore, ha mostrato che tale subitaneo cangiamento avviene non soltanto durante il raffreddamento, ma anche durante il riscaldamento ; e che inoltre simultaneamente a questo fenomeno, se i fili vanno raffreddandosi, succede in essi un repentino innalzamento di tem- peratura (reglow). È noto per di più, che, alla stessa temperatura all'incirca, il ferro perde le sue proprietà magnetiche, e dalle esperienze del Prof. Tait (***) risulta, che pure a quella tempe- ratura avviene un mutamento improvviso nelle proprietà termo- elettriche. Poco dopo i sigg. C. M. Smith, C. G. Knott, e A. Mac- farlane (****) hanno dimostrato che il diagramma termoelettrico del ferro si piega quasi esattamente alla temperatura, a cui av- viene in esso un cangiamento subitaneo nella resistenza elettrica. Siccome anche nel nichel avvengono alcuni dei fenomeni, che furono osservati nel ferro, cioè, cangiamento improvviso delle pro- (*) Proc. of. the Roy. Soc. for., 1869. (**) Phil. Mag., Ser. 4, Vol. XCVI, p. 472. (***) Proc. of the Roy. Soc. of Edinb., Vol. VIII, p. 32. (****) Ibidem, Vol. VIII, p. 629. 170 ANGELO BATTELLI prietà termoelettriche alle temperature di circa 175° e dicirca 340° come è stato mostrato dal Prof. Tait (*) e da me (**), e perdita delle proprietà magnetiche a circa 320° come hatrovato Berson (***), oppure di circa 350°, come ha trovato Tomlinson (****); non era illogico il pensare che forse corrispondentemente ai fenomeni so- praddetti avvenisse nel nichel anche un mutamento improvviso nella resistenza elettrica, quantunque il T'omlinson (****) abbia tro- vato che non hanno luogo nel nichel nè il fenomeno di (Gore, nè il repentino innalzamento di temperatura scoperto da Barrett nol. ferro {***#%), 2) Per fare le esperienze sulla resistenza, ho usato del filo del diametro di 0,48 millimetri. Mi era molto utile il poter collocare una lunghezza considerevole di questo filo in un piccolo spazio ; e siccome disponendolo liberamente in qualunque maniera nell’ambiente che doveva essere riscaldato, si correva poi sempre il pericolo che alcune parti del filo si venissero a toccare per i cangiamenti che in esso cagionavano le variazioni di temperatura, mi è stato necessario di avvolgerlo a spirale, e fissarlo sopra una sostanza che non conducesse la corrente elettrica. Non potevo per questo usare nè il vetro, nè il legno, perchè dovevo sperimen- tare fino a temperature superiori ai 400°. Ho scelto l’amianto, e mi sono assicurato che a 480° non conducesse la corrente elettrica, ponendone una striscia dentro l’apparecchio riscaldante, dopo averne legato strettamente le due estremità con due fili di rame; e inserendo poi nel circuito una coppia e un galvanometro.. Il galvanometro non diede il menomo segno di corrente elettrica. Ho scelto adunque due di queste striscie di amianto, e ne ho ricoperto il bulbo e parte del cannello di un termometro, che era diviso in gradi e che arrivava fino a 460°; poi ho av- volto fortemente a spirale sull’amianto il filo di nichel, facendone uscire le due estremità per due fori praticati nel sovero che so- (*) Proc. of the Roy. Soc. of Edinb., Vol. VIII, p. (**) Rend. della R. Acc. dei Lincei, Vol. Ill, fas. 4°, 2° semestre, p. 105. (***) Ann. de Chim. e di Phys. (1886) 2, p. 497. (****) Phil. Mag. S. V., Vol. 24, Settembre 1887, p. 256. (*****) Secondo Proncuon (Ann. de Chim. et de Phys., Serie 6*, Vol. XI, p. 33), alla temperatura di 230° vi sarebbe anche un salto nella variazione del calore specifico del nichel; però le esperienze recentissime del Prof. Nac- CARI, (Atti dell'Acc. delle Sc. di Torino, Vol. XXIII, Dic. 1887), alle quali ho avuto la fortuna di assistere, non confermano il fenomeno. VARIAZIONI DELLA RESISTENZA ELETTRICA DEL NICHEL Ecc. 171 steneva il termometro, avendo avuto cura di coprire con amianto i due tratti di filo che sarebbero stati a contatto col sovero stesso. Questo poi chiudeva esattamente la bocca dell’apparec- chio riscaldante. L'apparecchio riscaldante era costituito da un cilindro di ferro del diametro di circa 15 centimetri e a pareti molto grosse : dentro questo cilindro ne era collocato un altro del dia- metro di circa 5 centimetri. La base inferiore dei due cilindri e superiormente tutto lo spazio anulare era chiuso da grosse pareti di ferro; non era aperta che la base superiore del cilin- dro interno in cui si adattava il sovero che portava il termo- metro e il filo. Dentro il medesimo cilindro interno fu messa un po’ di paraftina; perchè, quando s'innalzava la temperatura del - l'apparecchio, i vapori che da essa sì sviluppavano a poco a poco, cacciavano l’aria, e così il filo rimaneva avvolto da un’ atmo- sfera di vapori alle temperature più elevate. Le due estremità del filo uscivano dal tappo per una lun- ghezza esatta di 30 centimetri, ed erano saldate a due grossi fili di rame. Le saldature poi erano immerse in un largo reci- piente di olio, difeso per mezzo di schermi di latta e cartone dall’apparecchio riscaldante. Uno di questi fili era avvitato ad un estremo di un buon reocordo, l’altro ad un torchietto di un ponte di Wheatstone in modo che il filo di nichel, i fili di rame e il reocordo erano inseriti in un lato del ponte stesso. Nel se- condo lato era inserita una resistenza che si manteneva sempre costante. La pila che serviva in queste esperienze era una coppia Daniell ordinaria; e il galvanometro inserito nella diagonale del ponte era molto sensibile. Per misurare le variazioni della resistenza al cangiare della temperatura, non facevo scorrere il tasto lungo il filo del ponte; ma tenevo invece il tasto fisso sul mezzo del filo, e movevo il corsoio del reocordo in modo che nel galvanometro non passasse mai la corrente. Per eseguire le esperienze si procedeva nel seguente modo; sì riscaldava il cilindro di ferro con fiamme sottoposte e late- rali, finchè il termometro segnava circa 430°; indi si spegnevano due fiamme, e allora io cercava sul ponte la condizione, perchè il galvanometro rimanesse nella posizione d’ equilibrio; e poi di minuto in minuto leggevo la posizione del corsoio sul reocordo, avendo cura che alla fine d’ogni minuto l'ago del galvanometro V2 ANGELO BATTELLI fosse in riposo. Nell’istesso tempo alla fine d'ogni minuto una persona leggeva il termometro : esso scendeva abbastanza lentamente, essendo molto grande la massa che si andava raffreddando. Più tardi spegnevo le altre fiamme e continuavo le esperienze fino alla temperatura di 80°. Per le temperature più basse fino alla temperatura ordinaria, facevo una nuova serie di esperienze con un secondo termometro, che arrivava fino a 100°. Il primo di questi termometri era stato confrontato col termometro ad aria, e ad ogni tanto se ne determinava il punto 100°; per il secondo venivano stabiliti al principio ed alla fine d'ogni serie di esperienze i punti fondamentali. Oltre tutte queste esperienze durante il raffreddamento, ne ho fatto anche due serie durante il riscaldamento. Ho dedotte le medie di tutte le singole determinazioni fatte alle varie tem- perature; e coi risultati ho costruita la curva, che nella tavola annessa è segnata col N. I. Siccome da prove antecedenti io sapevo che il filo del reocordo era omogeneo; siccome il recipiente di olio mi difendeva dalle correnti termoelettriche che avreb- bero potuto prodursi per una differenza di temperatura fra le due saldature; e siccome con queste prime esperienze non avevo | altro scopo che di accertarmi se vi fossero irregolarità nell’an- damento della resistenza; io ho preso senz’ altro come ordinate per costruire le curve, le letture fatte sul reocordo, mentre le ascisse erano date dalle temperature. Quindi è chiaro che nella curva nel senso delle ordinate crescenti, i valori delle resistenze sarebbero decrescenti, e viceversa. La curva stessa mostra che da circa 364° in giù la ragione secondo cui varia la resistenza al variare della temperatura au- menta spiccatamente, e poi da circa 226° in giù, quantunque con meno evidenza di prima, cambia ancora, ossia prende a diminuire. Per mettere maggiormente in chiaro che in questo secondo punto la curva realmente si piega, ho calcolato i coefficienti di varia- zione nel tratto da 360° a 230°, e nel tratto da 220° a 20°. Per ambedue i tratti ho usata la formola: v=at + bt? dove v è il valore della variazione in divisioni del reocordo, de- dotto dalla curva costruita in scala molto più grande, # pel primo tratto è la differenza fra 360° e la temperatura a cui TOA ORE O TIT SATO I ATE 9 ITA ca VARIAZIONI DELLA RESISTENZA ELETTRICA DEL NICHEL Ecc. 173 corrisponde la determinazione, e pel secondo tratto è la differenza fra 220° e la temperatura della determinazione stessa; a e d sono i due coefficienti da determinare. Per il primo tratto sono risultati a = 4,950 PST Per mostrare come la formola rappresenti bene l'andamento della curva in quel tratto, riferisco la seguente tabella, in cui accanto ad alcuni valori delle variazioni risultanti direttamente dalla curva, si trovano i valori corrispondenti calcolati colla for- mola. Ricordo che come origine delle coordinate si prende il punto della curva che corrisponde a 360°. Temperature | v osservata | v calcolata 390 146,2 146,6 810 242,3 242,2 280 379,6 3891 260 473,2 474,0 | 240 564,8 563,7 Per il secondo tratto sono risultati ai==' 4,481 b=—0,0014 Anche qui per mostrare l'accordo fra i valori dati diretta- mente dalla curva, e quelli dati dal calcolo, riporterò una ta- bella analoga alla precedente, ricordando che pei valori in essa riferiti è preso come origine delle coordinate il punto che cor- risponde alla temperatura di 220°. Temperature | v osservata | v calcolata 180° 175,5 176,9 150 306,2 | 306,7 120 435,4 | 434,0 100 519,2 | 517,5 80 598,9 | 599,7 50 723,0 | 721,1 20 841,2 840,0 174 ANGELO BATTELLI Ora, per far vedere come i coefficienti appartenenti al primo tratto della curva non servano a calcolare i punti che apparten- gono al secondo tratto, e viceversa i coefficienti del secondo tratto non servano a calcolare i punti del primo, metterò in evidenza nella seguente tabella alcuni valori dedotti da un ramo della curva e di fronte ad essi i valori che si calcolerebbero per le stesse temperature con i coefficienti appartenenti all’altro ramo. 0) v Tem- v calcolata coil] Tem- v calcolata coi perature | osservata | coefficienti || perature | osservata | coefficienti del 2° ramo del 1° ramo 330° 146,2 L'AS 150° 306,2 333,7 310 242,9 206,5 120 435,4 474,0 280 379,6 340,5 100 919,2 563,7 260 473.2 434,0 80 598,9 652,8 240 564,8 517,5 Si noti che nella carta, divisa in millimetri, in cui io ho de- scritta la curva in grande scala, ogni millimetro corrispondeva a una divisione del reocordo, e che i punti che erano più dis- costi dalla curva, distavano da essa di 9 millimetri nella dire- zione delle ordinate; e si noti inoltre che lo spostamento di una divisione del reocordo produceva nelle esperienze un piccolo mo- vimento nell’ago del galvanometro. Quindi la tabella mostra molto chiaramente che i coefficienti spettanti ad uno di questi due rami della curva non servono per calcolare i coefficienti dell'altro ramo ; e che le differenze superano sensibilmente i limiti degli errori d'osservazione. i Come prova ulteriore che a circa 226° si ha veramente una piega della curva farò osservare che neppure un’ equazione a tre coefficienti i pen gar de Rag] serve a rappresentare con sufficiente esattezza tutta quanta la curva. medesima da 360° fino a 20°. Finalmente per il ramo compreso fra 364° e 420° il quale fa un angolo più acuto col ramo medio della curva, risultano i seguenti coefficienti : Syosa cp EN i b=0,0009. VARIAZIONI DELLA RESISTENZA ELETTRICA DEL NICHEL Ecc. 175 : Nel quadro che segue sono riportati alcuni valori di v de- dotti dalla curva prendendo per origine il punto corrispondente a 410° e di fronte ad essi i valori ricavati col calcolo. | Temperature | v osservata | v calcolata 390° 68,2 68,2 380 101,2 101,5 370 134,4 135,0 Come si vede, i valori dati dalla curva e dal calcolo con- cordano abbastanza fra di loro. 3) Stabilito così che la resistenza del nichel da 20° fino a circa 226° varia in modo regolare e che da 226° in su co- mincia a variare più rapidamente fino a circa 364°, dalla quale temperatura in poi riprende a variare più lentamente, ho creduto utile lo stabilire i coefficienti di variazione per i tre diversi in- tervalli di temperatura. A tal uopo mi era necessario di conoscere con esattezza quale fosse la lunghezza del filo esterno e di conoscere inoltre quali temperature assumesse successivamente nelle diverse deter- minazioni lo stesso filo esterno. — La lunghezza dell'intero filo era di 4 metri, e come ho detto sopra, i due capi sporgenti erano lunghi esattamente 30 centimetri ciascuno : cosicchè i primi due dati si avevano senz’altro. Per avere poi in qualunque istante la temperatura della porzione di filo esterno, ho collo- cato vicino all’apparecchio riscaldante un grande pallone di vetro il quale, oltre la tubulatura superiore, aveva una brevissima tu- bulatura laterale. Quest'ultima sporgeva precisamente sopra la bocca dell'apparecchio riscaldante; e attraverso al tappo che la chiudeva passavano due stretti tubi di vetro, i quali si ripie- gavano nell'interno del pallone e andavano ad uscire dalla tu- bulatura superiore. Dentro a questi due tubetti si facevano pas- sare i due capi del filo; il pallone era così grande, che i due capi colle saldature rimanevano interamente contenuti dentro il pallone medesimo, ad eccezione dei due tratti, lunghi un centi- metro ciascuno, che erano fra la bocca dell’apparecchio riscal- dante e le estremità inferiori dei tubetti. Queste estremità infe- riori dopo fatta l’introduzione dei fili, venivano ben chiuse con un tappo formato di gesso e ovatta; poi si riempivano i tubetti 176 ANGELO BATTELLI con petrolio, mentre il pallone veniva riempito con acqua. At- traverso il sovero che chiudeva la tubulatura superiore del pal- lone, passavano un agitatore e un termometro. Inoltre doppi schermi di latta e cartone difendevano da tutte le parti il pal- lone dall'influenza diretta dell’apparecchio riscaldante. Per ottenere ancora maggiore precisione non ho più fatte in questo secondo caso le determinazioni di minuto in minuto, lasciando lentamente raffreddare il cilindro di ferro; perchè in questo metodo, oltre a qualche piccola inesattezza proveniente dalla difficoltà di poter mantenere in riposo l’ago del galvano- . metro alla fine d'ogni minuto, v'era anche l'inconveniente, che doveva esistere sempre un po’ di ritardo nella temperatura presa dal termometro rispetto a quella presa dal filo. E sebbene que- st'ultimo difetto si fosse in gran parte evitato coll’aver fatte le determinazioni non solo per raffreddamento ma anche per ri- scaldamento: tuttavia m'è sembrato che detto metodo, molto adatto certamente per poter descrivere una curva continua delle variazioni della resistenza, non fosse però il più preferibile per determinare con esattezza i valori dei coefficienti di variazione. — Quindi ho fatte le nuove esperienze col metodo ordinario del ponte di Wheatstone a diverse temperature mantenute costanti. Quando da circa un quarto d’ora il termometro dell’apparecchio riscaldante rimaneva quasi fermo, facevo una prima determina- zione, e poi ne facevo successivamente altre quattro ogni due minuti, curando sempre di mantenere, per quanto era possibile, costante la temperatura. Di tutte queste determinazioni prendevo la media, come la prendevo pure delle temperature a cui erano state fatte. — Siccome poi una qualunque differenza di tempe- ratura fra le due saldature del filo di nichel coi fili di rame, avrebbe dato luogo ad una corrente termoelettrica, che, a seconda della sua direzione, avrebbe fatto l’effetto come di accrescere o di diminuire la resistenza del filo, avevo disposto un commuta- tore che servisse a invertire la corrente nel filo stesso ; per modo che, appena fatta una determinazione con la corrente che andava dall’estremo A del filo all’estremo B, ne facevo subito un’altra con la corrente che da B andava verso A. La media di queste due determinazioni, quando riuscivano un poco diverse, dava il valore più conveniente della resistenza misurata. i Ad elevate temperature ho fatta la correzione per l’errore che portava l’allungamento subìto dal filo, quantunque tale cor-. VARIAZIONI DELLA RESISTENZA ELETTRICA DEL NICHEL Ecc. 177 rezione non portasse nel primo coefficiente che una piccola al- terazione sulla terza cifra decimale. Per coefficiente di dilatazione lineare del nichel ho preso quello determinato da Fizeau (*) fra 0° e 50°, cioè: 0,00001286. Ho fatto prima due determinazioni a 0°, riempiendo di ghiaccio lo spazio anulare dell'apparato riscaldante, facendolo penetrare per un foro praticato nella parete superiore, che si chiudeva poi con un tappo di ferro. Superiormente l’apparato si copriva con ghiaccio, come pure si riempiva di ghiaccio tutto il pallone. Dopo circa un’ ora e mezza il termometro dell'apparato riscaldante aveva presa la temperatura del ghiaccio, e allora potevo esser sicuro che anche le porzioni dei fili contenute nei tubetti fossero già a 0°. Ho fatto poi due determinazioni alla temperatura dell’ am- biente; e nelle altre determinazioni a temperature più elevate, nelle quali il filo interno si trovava a temperatura diversa dal filo esterno, si faceva sempre la lettura contemporanea del ter- mometro dell'apparato riscaldante e del termometro del pallone. Per rappresentare la resistenza misurata alle diverse tempe- rature ho usata la formola: R=r,|!(1+at+b)+l(1+at+bt)], dove E è la resistenza misurata, r, la resistenza dell'unità di lunghezza del filo a 0°, 2 è la lunghezza della porzione di filo interna all'apparato riscaldante, e ?' quella della porzione esterna, t è la temperatura segnata dal termometro dell’apparato riscal- dante, e # quella segnata dal termometro del pallone, finalmente a e b sono due coefficienti valevoli per la temperatura #, e a' e d' due coefficienti valevoli per la temperatura #'. La quantità x, l'ho ricavata direttamente dalla determina- zione fatta a 0°; la resistenza totale a 0° risultò uguale a 2,312 U.S.; quindi, essendo l’intero filo lungo 4 m., si ha r-=-0;5:78-U:&; Quanto alle lunghezze / ed 7’ bisogna osservare che di cia- scuna porzione di filo esterno, soltanto 29 centimetri erano im- mersi nel pallone; e siccome quel centimetro di filo che rimaneva fuori del pallone e dell'apparato riscaldante, era ricoperto d’a- (*) Comp. rendus 68, p. 1125. 178 ANGELO BATTELLI mianto, ho ammesso, senza commettere errore sensibile, che esso si trovasse alla temperatura del filo interno all’apparato stesso. Perciò nella formola di sopra ho ammesso 1= 99,42, = 0%,58. Fino alla temperatura di 226° ho fatto a=a’, b=\b'; perchè le precedenti esperienze mostrano che fino a quella tem- peratura valgono sempre gli stessi coefficienti. Per le temperature superiori, dove a e d prendevano altri valori, ho conservato però, come è naturale, per a' e d' gli stessi valori di prima. Nella seguente tabella sono riferiti i risultati delle esperienze fra 0° e 220°: in essa la colonna E contiene il valore della re- sistenza totale, la colonna # la temperatura segnata dal termo- . metro dell’apparato riscaldante, e la colonna #? la temperatura segnata dal termometro del pallone. R t t 2474 14°,3 14°,3 2,730 51,6 15,,9 3,058 96,4 nego. 3.327 134 ,8 LO 3,506 166,4 20,3 3,802 gi gt) 21,4 Da cui si ricava a = 0,0053981 b= — 0,0000022 I risultati ottenuti fra 230° e 360° sono i seguenti: VARIAZIONI DELLA RESISTENZA ELETTRICA DEL NICHEL Ecc. 179 D’onde a = 0,0043532 b= — 0,0000018 Finalmente i risultati fra 380° e 410° sono : R t t 5,060 381°,9 DOEF 5221 401,2 972 5,320 PIO 4 | 981 D’onde a=0,003322 b= — 0,0000012 Se coi valori contenuti nelle precedenti tabelle si descrive una curva, incontriamo in essa la prima piega a 222°, e la se- conda a 368°; abbastanza concordemente con quello che fu tro- vato col primo metodo. 4) Riusciva molto interessante lo stabilire se questi due mu- tamenti nei coefficienti di variazione della resistenza elettrica, corrispondessero ai due cambiamenti che si hanno anche nell’an- damento termoelettrico di questo metallo. Perciò ho studiato anche le proprietà termoelettriche dello stesso filo di nichel. A tal uopo ne ho saldate le due estremità a due fili di piombo; e una saldatura l'ho immersa nell’appa- recchio riscaldante, legandola al bulbo del termometro, l’altra saldatura l'ho immersa in un recipiente pieno di ghiaccio. Per misurare le forze termoelettriche ho inserito nel circuito della coppia termoelettrica così formata un reostato ed un sen- sibile galvanometro a riflessione, il quale era stato in antecedenza accuratamente graduato. Cosicchè dalla lettura del reostato e del galvanometro (conoscendo già la resistenza opposta dalla coppia), io potevo calcolare direttamente la forza elettromotrice. L'apparecchio riscaldante fu portato a diverse temperature, dalla temperatura ordinaria fino a 420°. I risultati sono nella seguente tabella, dove la colonna 7 contiene le temperature della saldatura più calda, e le altre due colonne i valori E delle forze elettromotrici risultanti dalle osservazioni, e dal calcolo fatto secondo la formola di Tait. 180 ANGELO BATTELLI I valori delle forze elettromotrici sono espresse in microvolta. È: 14°,6 49,3 87,4 124,8 173,6 202 ,5 216 ,6 224,2 236 ,4 259 ,8 277,8 294,5 316,4 341 ,8 352,2 364 ,8 376,5 389,2 397 4 406 ,8 415 ,8 421 ,8 E osservata 380,22 1350,14 2479,89 3698,24 5426,33 6495,38 7022,42 7258,16 7581,44 8155,56 8569,78 8866,74 9149,47 9373,15 9399,19 9424,62 9597,18 9899.38 10102,32 10338,19 10589,96 10753,02 calcolata 383,74 1351,69 2493,78 3705,75 5415,71 6498,15 8165,41 8564,12 8864,89 9158,42 9380,64 9391,71 —_ 9904,45 10107,16 10343,41 10561,06 10729,95 I valori di E osservati nelle diverse esperienze dalla tem- peratura dell’ambiente fino a 202,5, li ho sostituiti nella for- mola di Tait: dove E rappresenta la forza elettromotrice, 7, e 7, le tempe- rature delle due saldature, A e 7, due costanti. — In quell'in- tervallo (fra 0° e 202°,5) risultano per A e 7, i valori A=—0,0618 T=-418°,00. VARIAZIONI DELLA. RESISTENZA ELETTRICA DEL NICHEL Ecc. 181 Sostituendoli poi nella formola (1), ho calcolati i valori di E alle diverse temperature, e li ho collocati nella 3° colonna della tabella, di fronte ai valori osservati, per mostrare l'accordo fra i dati dell’esperienza e del calcolo. Le forze elettromotrici ottenute a 216°,6 e a 224°,2 non sono sostituibili nella formola (1) ammettendo per A e 7, i valori sopra riferiti; nè poste insieme colle forze elettromotrici otte- nute alle temperature seguenti, possono essere rappresentate da un’ altra espressione della forma della (1). Invece i valori delle forze elettromotrici ottenuti da 236°,4 a 352°,2 si prestano molto bene ad una tale rappresentazione. — Per calcolare in questo intervallo i valori di A e 7, bo posto nella formola (1) al luogo di £ le differenze fra le forze elettromotrici corrispon- denti alle diverse temperature e la forza elettromotrice corris- pondente a 236°,4; al luogo di 7,, 236°,4; e al luogo di 7, le successive temperature. Ho ottenuto così A=+ 0,2387 Finalmente , il valore della forza elettromotrice ottenuto a 364°,8 non è sostituibile nella formola appartenente alle tem- perature precedenti, nè in quella delle seguenti. Da 376°,5 in poi, i valori di A e 7, calcolati come per l’intervallo prece- dente, sono risultati uguali ad A=_- 0,0504 CORI Per mezzo dei medesimi dati, ho calcolato poi i valori dei poteri termocelettrici alle diverse temperature. Siccome il valore della forza elettro- motrice a 215°,6 non è sostituibile nella formola che vale per le temperature precedenti; onde calcolare il potere termoelettrico in vicinanza di quella temperatura, ho diviso la differenza fra la forza elettromotrice a 216°,6 e quella a 202°,5, per l’inter- vallo fra le due temperature; e il quoziente l’ho assegnato quale potere termoelettrico della temperatura intermedia, 182 ANGELO BATTELLI Così ho fatto fra 224°,2 e 216°,6; fra 236°,4 e 224°,2; e così pure fra 364°,8 e 352°, 2; e fra 376°,5 e 364°,8. Pren- dendo questi poteri termoelettrici come ordinate, e le tempera- ture corrispondenti come ascisse, ho costruito il diagramma del nichel rispetto al piombo: esso trovasi indicato col n° II nella tavola annessa. Uno sguardo su tale diagramma ci mostra subito, che la prima variazione dell’andamento termoelettrico è compresa fra 210° e 240° e la seconda fra 360° e 385°; quindi si può stabilire che le variazioni nell’andamento termoelettrico del nichel, avven- gono prossimamente alle stesse temperature che le variazioni nel- l'andamento della resistenza elettrica. Faccio notare infine che secondo le mie esperienze i cangia- menti irregolari del potere termoelettrico del nichel non avven- gono alle medesime temperature, a cui li ha trovati il Prof. Tait; ma ciò dipende certamente dalla diversa impurità dei metalli usati; poichè quello di Tait era quasi nichel puro; io invece ho dovuto usare del filo del commercio. CONCLUSIONI. 1) La resistenza elettrica del nichel cresce colla temperatura lentamente da 0° fino a 225° circa; da quella temperatura in su comincia a crescere più rapidamente fino a 365° circa; do- podichè riprende a crescere più lentamente. 2) Le temperature alle quali avvengono i mutamenti irrego- lari della resistenza elettrica, sono prossimamente le stesse alle quali avvengono i mutamenti irregolari del potere termoelettrico. Grazie alla gentilezza del Prof. Naccari, queste ricerche ven- nero eseguite nel laboratorio di Fisica dell’Università di ‘Torino. APPENDICE. — Quando questo lavoro era già al suo termine, (circa quindici giorni fa) è uscita negli Annali di Wiedemann una memoria di W. Kohlrausch (*), nella quale egli descrive alcune (*) Wied. Ann. 33, p. 42. n n 79 0R0P* VARIAZIONI DELLA RESISTENZA ELETTRICA DEL NICHEL Ecc. 183 esperienze eseguite per esaminare la relazione esistente fra la re- sistenza elettrica del ferro e del nichel e la attitudine di questi ad assumere magnetismo. Dalla curva che rappresenta le espe- rienze sul nichel, si vede che al crescere della temperatura la resistenza di questo metallo aumenta dapprima regolarmente, poi a un certo punto subisce un mutamento repentino, e infine seguita ad aumentare regolarmente, ma con maggiore lentezza. Quindi egli non sarebbe giunto esattamente al risultato ottenuto da me, non avendo osservata che una sola delle due variazioni irregolari della resistenza elettrica. Inoltre dalle esperienze di Kohlrausch non si può stabilire a quale temperatura avvenga questo muta- mento irregolare, poichè per riscaldare il filo egli usava la cor- rente elettrica, e quindi, non potendo computare le temperature delle diverse determinazioni, adoperò come ascisse per descrivere le curve, le intensità della corrente medesima. Nell’istesso tempo il Kohlrausch ha studiato l'andamento delle proprietà magnetiche del nichel; ed ha trovato che al punto stesso in cui si ha la piega della curva rappresentante le resistenze elettriche, si ha pure una caduta rapidissima della magnetizzazione. Alla fine della stessa memoria di W. Kohlrausch, si trova una nota, nella quale l’autore narra d’essere stato avvertito da G. Wiedemann che recentemente era uscita una memoria del Knott sulla resistenza del nichel ad alta temperatura. Non ho potuto sinora procacciarmi la memoria di Knott. Però dall’an- notazione sopra riportata, pare che pure il Knott abbia trovato in un solo punto un mutamento irregolare nella resistenza elettrica del nichel. Mi propongo poi di studiare in seguito anche le variazioni delle proprietà magnetiche del nichel adoperato in quest’espe- rienza al variare della temperatura, con un metodo piu preciso di quello usato da W. Kohlrausch. Torino, 21 Gennaio 1888. Il Direttore della Classe ALFronso Cossa. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol, XXIII. 14 QI Pusiri PRA 27 vt È arte ra de asa 9 i- DI LINO SET MST: PRETE RISE dea ag ANY . PI SONA ARI Rey. f . € 3 MISI : tseup ib octhrilita ££ a. Bloo Pa sortie tt? alan pe 9 SIA La i 4 i$r* Fal! ssede edo oa i PIPA LO PE DI È; 4 PE Bf : Da. binosaalous RISE RICLIA S4RRE RELArÀ è meio GALLIA i {SCET 07} Citta Il i "i È... r c. A MIA, BINSHEI WICISY POV MU: I vr f + Combi tea 9 ai 3 I pg ars srt dai ZOnE ola ia li bi De 3 {Ti logvui SUCHERETSSE SIX QUI La Fat 57 dai crasiclagi..ib_* LI RETI. a (has 1tatt ata | LEI l 4 +1355t PILE Î = Spb ij io sbicgii- Ig Vai Has roTEMIBTALIA el). MAR LITI OI tI FRSIVIESI : È î È NET TALE E GLI TERI CIAO 0 LI e 9 retzrcapio £ ispel (=D milita Pa ‘ p 6 x icid ita tia risenli tari iso t483 DIEI0G Civile IAS Musa quos Iszi stes hasntdiamzzoa: sllifn. Atrannnia - regre” x P ” , $ nl Sua ter pr sad bai] PA Segn) Poe, dg” uri iti400 Det LD DI 3 d cos (2450 )c0s (2-52)[1tsvie(2+50 )[[1-tevt(2-52)] ° Se si tien conto della (1) si ottiene Sp cosg|1 +09] . er (+32)] |ieevi(e-3a )| | ovvero, trascurando i termini che contengono tg°w e le potenze superiori. —- D' S ar sen? & D i l i Ti cos («+54 )es (2-50) Osservando che D'—=D+ MN e che H essendo l’altezza del punto P sul piano orizzontale che passa per B, la formola precedente diventa S'= HS Fi 20 “a (547 ui 1+tgy i 7, i cos(2+5- 2)cos (2-30) 2 ossia ì dA Ssen 2a i n [+ sen © Sl o anche E eu“ « I Hsenw + Ssen2a | ...(2) COS died; U 1 ( 5 )cos( 3° 2906 N. JADANZA - SULLO SPOSTAMENTO DELLA LENTE ECC. Colla medesima approssimazione la precedente si trasforma nella seguente : S— S= 184 [04 ssn2e] sia (3) I cos” a Se si ha H=o0 sarà S-S=28 tedio SMESSO (4) e per a=0 5' 04th it) | | (5) . EseMPIO NUMERICO. A RR E si avrà per 3 S o 1 | 2°, | Ba S'—S= 0,013 0,026 0,038 Coi medesimi dati e L=0° 30' si ottiene: S = que qui Qu S'S = 0,0065 0,013 0.005 I quali risultamenti mostrano ad evidenza la necessità di porre la stadia per quanto più è possibile nella posizione ver- ticale. Torino, Febbraio 1888 RIASSUNTO delle osservazioni meteorologiche fatte, nei mesi di Settembre Ottobre, Novembre e Dicembre 1887 nell’ Osservatorio astro- nomico della R. Università di Torino dall’Assistente Prof. ANGELO CHARRIER Settembre 1887. La media delle pressioni barometriche osservate. in questo mese è 36,37 inferiore di mm, 1,67 alla media di Settembre degli ultimi ventun anni. -- I valori massimi e minimi osservati sono i seguenti: Giorni del mese. Minimi. Giorni del mese. Massimi. 5 QRS 34,70 LO Ai RO 40,67 e... sd, 6l Lio Ri AZIO tt. Sl AS rt 510112 MN... 23,60 La temperatura media di questo mese è di + 19°,0; ed i valori estremi +27°,4 e +10°,3 si ebbero nei giorni 1, 28 e 30. — Si ebbero otto giorni con pioggia, e l'altezza dell’acqua caduta fu di mm. 23,4. Il quadro seguente dà la frequenza dei venti nelle singole direzioni. NO NNE NE ENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NW ae i A: 7 LI 0) o e RE Ottobre 1887. In questo mese la media delle altezze barometriche osservate è 37,17, superiore di mm. 0,06 alla media delle altezze ba- 208 A. CHARRIER rometriche osservate in Ottobre negli ultimi ventun anni. — Le variazioni in questo mese furono ragguardevoli. Il seguente quadro contiene le massime e minime altezze barometriche : Giorni del mese. Massimi. Giorni del mese. Minimi. DO: bias A90 Hot: inog 24,16 ibgtariet 93,09 ta retraszol 24,74 SL MECAE I I PIRO 49,02 DARI dt 31,54 Ie, 43,29 La temperatura variò fra + 19°,2 e +1°,0; la massima sì ebbe nel giorno 3, la minima nel giorno 26. — Il valor medio della temperatura + 10°,3 è inferiore di 2°,4 alla media tem- peratura di Ottobre negli ultimi ventun anni. Sette furono i giorni con pioggia e l’altezza dell’acqua rac- colta nel pluviometro fu di mm. 38,0. Il quadro seguente dà la frequenza dei singoli venti. NONNE NE EVE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW 11 28,20 12 40,6, i 1,078 0, 20.3 2 Novembre 1887. La media delle altezze barometriche osservate in questo mese è 38, 43; inferiore di mm. 83,62 alla media di Novembre degli ultimi ventun anni. — Le variazioni dell’altezza barometrica non furono numerose, ma di considerevole ampiezza. Nel seguente quadro sono registrati i valori estremi osservati : Giorni del mese. Minimi. Giorni del mese. Massimi. be dla 27,08 dia dp 86,87 108 AIENSG.O. 80,00 VS ne E 38,59 io co 27,69 i: e 44,40 TI E Se 19,12 IC BRM TT 38,88 31 RTAS 81,89 È RO 42,13 Le temperature estreme +13°,1 e +0°,3 si ebbero: la prima nel giorno 3, la seconda nel giorno 18. OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE 209 Venti furono i giorni piovosi, e l’acqua caduta raggiunse l'altezza di mm. 103,2. La temperatura media del mese è + 6° 1. Il quadro seguente dà la frequenza dei singoli venti: NONVE NE RENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW e I 0 19600 7 65 ST, "LZ Dicembre 1887. In questo mese la pressione barometrica ha per valor medio 34,91; valore inferiore di mm. 2,32 al valor medio della pres- sione barometrica osservata in Dicembre negli ultimi ventun anni. I valori estremi della pressione sono i seguenti : Giorni del mese. Massimi. Giorni del mese. Minimi. 2) * Ga RAPE 50,66 CR 30,77 Molle. 44,54 LO e: 25,20 de 82,82 Doge te 2 A 24,90 ae... 80,63 Le temperature estreme si ebbero nei giorni 7 e 31. La prima fu di +9°,3, la seconda di —10°, 2. — La media tempera- tura fu di |P 0°,5. Frequenti furono i giorni con nebbia; undici con pioggia e l’acqua caduta raggiunse l’altezza di mm. 18,2. Nella tabella seguente è registrata la frequenza dei venti. NONNE NE ENER E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW AIROLA 4 Il Direttore della Classe ALronso Cossa. 106) * MHOFDO MOTORIA AMO YANERO sotrtsivae stiano steps dop isti Hindi de does Lat mibsatto Rudd: "cn fck uva cotat î : i È ( e Im iù chitioe topi: inf punto al tb dira gia Mib Mg pie n iz Wa. ns Rev? N70 1° 0 i) bt Pa BARE Ord a LP ISF. adinttontt - atbigoi abi Pr at Hhbacd nitotzntt gi band 1 -IPÙ] FS *ottintt toler Diventa print n n simstatt& inte PINO” ritiri io ilgot sv cata K sterrato pure pi : Hntsttoa È Osta Wiv eni) pi [anta ; È pina Lidi pet ci esset al er lab: si 11, lin cgendì ELA Lidi AI È UEFA LU soliti Ne so di i ROAL NO NO. pa hi ì o ep say po 89.08 nttiato MELE dot ionoia pai sia ae tie i È A LI Fi eioteno?: sifistt st GOL ib Borso Me # sipgoig ato Sip” BRIUSO ROS itato i i one iHro Bf .eteon: if sit vwotfa”1 pasti rt } nia (pre, (nf ISTAT al _ AS Ne tteigon 5 STAB: No Ap tf it Me tr, we uAR cd; 9% pura dI finanche A Rn e logie hl PO, fl nirà F4*a 1 1 Tittof i Pal Ù nia Hth Ù 5 mi: 0 4 sedi nio CARI ZINTIAI LA y 3 ego netto A Lat! *usttioprattaitii P®., ELIO #19 die 4 oa peg pon B; Ma pais: e gcoo Miri i ; Classe d i Scienze Fisiche : Matemati che 5A A ì PRE NE ATE ss” : ROY SNA TADANZA — Sullo spostamento della lente anallat ca SIE RA della adi e a | Cnarmiea — Lavori dell’ Osservatorio astronom ATTI R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE cv PORENO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI ic Vor. XXIII, Disp. 8", 1887-88 s—_—__ | Classe di Seienze Fisiche, Matematiche e Naturali. TORINO ERMANNO LOESCHER Libraio della R. Accademia delle Scienze Ù casa 211 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 4 Marzo 1888. PRESIDENZA DEI SOCIO SENATORE ANGELO GENOCCHI PRESIDENTE Sono presenti i Soci: Cossa, Lessona , BERRUTI , Basso , D’Ovipio, Bizzozero, FERRARIS, NAccaRI, Mosso, GIBELI, GIA- COMINI. Letto ed approvato l’atto verbale dell'adunanza precedente, vengono comunicate alla Classe due lettere d’invito all'Accademia perchè si faccia rappresentare al Congresso Chirurgico che si tiene a Parigi fino al giorno 17 del corrente mese, ed al Congresso per lo studio della tubercolosi che si terrà pure a Parigi nel prossimo mese di luglio. Le comunicazioni e le letture si succedono nell’ ordine che segue : 1° « Sulle cellule epiteliali nella regione olfattiva degli embrioni; » lavoro del Dott. Alessandro LustIG, presentato dal Socio BIZZOZERO: 2° « Nuovi gasteropodi continentali fossili del Piemonte »; lavoro del Dott. F. Sacco, presentato dal Socio Basso a nome del Socio BELLARDI assente. Questo lavoro, dovendosi pubblicare nei volumi delle Memorie, viene affidato ad una Commissione perchè lo esamini e ne riferisca alla Classe in una prossima adunanza. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII. 17 "E 2 ALESSANDRO LUSTIG LETTURE Sulle cellule epiteliali nella regione olfattiva degli embrioni, del Dott. ALESSANDRO LUSTIG. Il nervo olfattorio si ramifica, ciò è noto, nella parte supe- riore del setto nasale, nel cornetto superiore ed in una parte del cornetto medio; da ciò il nome di questa regione di olfattiva. Mentre nessuno mette in dubbio che gli elementi specifici dell’ organo dell’olfatto abbiano sede soltanto nella mucosa di questa regione, non è ancor riconosciuta la dignità fisiologica di tutti gli elementi epiteliali che la rivestono ; e quasi generalmente si ammette, che soltanto una specie di cellule della mucosa olfat- tiva, sieno unite alle fibrille del nervo olfattorio. Le prime ri- cerche sugli epitelii della mucosa nasale fatte da Eckhardt (4) e da Ecker ©), l'uno indipendentemente dall’ altro, diedero origine al ben noto lavoro di M. Schultze (8) il quale distinse nella regione olfattoria due specie di cellule. Le cellule epiteliali e le cellule olfattive. Le prime, cilindri- che, diritte, lunghe e prive di ciglia portano a varia altezza del loro corpo un nucleo ovale, al di sotto del quale la cellula si fa più stretta, formando un prolungamento centrale — di spessore ancor facilmente misurabile — che talvolta si divide in due o più rami. Le seconde, le olfattive, sono fusiformi, hanno un corpo ovale, occupato quasi per intero da un nucleo rotondo e trasparente e da due appendici, l’una centrifuga l’altra centripeta; la prima, più grossa, a forma di bastoncello e cigliata, va alla periferia difesa dal corpo delle cellule epiteliali; la seconda più lunga, estremamente sottile, presenta alcune varicosità somiglianti a quelle delle fibrille nervose e discende verso il tessuto (connettivo) che sta immediatamente sotto lo strato epiteliale. (1) Beitrdige zur Anatomie und Physiologie. Heft I, 1855. (2) Zeitschrift fiir wiss. Zoologie. Bd. 8, 1856. (3) Abhandlungen der Naturforsch. Gesellschaft su Halle. 1863, VII. Bd., pag. 1-100. SULLE CELLULE EPITELIALI DEGLI EMBRIONI 213 M. Schultze osservò inoltre, che le fibre sottili del nervo olfattorio si dividono a mo’ di pennello in fibrille sottilissime che sono di struttura identica al processo terminale centrale delle cellule olfattive; e venne alla conclusione che soltanto questi ele- menti hanno un valore fisiologico per l’organo dell'olfatto, mentre le cellule epiteliali non servirebbero che di sostegno ( Stitzor- gane) agli elementi specifici. Allo Schultze si oppose l’Exner (4), il quale, dopo lunghe e dettagliate ricerche che durarono parecchi anni e con metodi d'indagine moderni applicati allo studio di regioni olfattorie di uno o più rappresentanti di quasi ogni classe di animali, dimostrò che i criteri morfologici differenziali che indussero Schultze alla suesposta distinzione in cellule epiteliali -e cellule olfattive non sono validi. Il nucleo delle cellule olfattive non è sempre rotondo nè sempre trasparente ; il processo periferico di queste cellule è spesso grosso quanto il corpo di una cellula epiteliale, il processo cen- trale poi non è sempre tanto sottile che non possa esser misu- rato, ha dimensioni varie, e può diramarsi come quello delle cellule epiteliali. L'Exner ammette adunque che oltre le cellule olfattive ed epi- teliali di Schultze esistano forme multiple di transizione ( Ueder- gangsformen) che hanno caratteri morfologici comuni all'una e all'altra specie. L’Exner osservò inoltre che il nervo olfattorio penetra nel- l'impalcatura reticolare (composta da grandi nuclei rotondi, cir- condati da sostanza protoplasmatica reticolare — secondo Schultze tessuto connettivo — e dai processi centrali delle soprastanti cel- lule), che costituisce lo strato sottoepiteliale della mucosa, dove si divide in fibrille esili, che corrono verso i processi centripeti delle cellule epiteliali. I filamenti sottili e varicosi delle cellule olfattive si piantano con ringonfiamenti conici nel reticolo sottoepiteliale. L’Exner negando l’esistenza di due distinte e differenti specie di cellule, attribuisce a tutti gli epitelii della regione olfattiva un’ uguale funzione specifica, (1) Sitzungsberichte der Math.- Naturwiss. Classe der K. Akad. der Wiss. 1871-72-77, Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII. 17* 214 ALESSANDRO LUSTIG A M. Schultze si associano i seguenti Autori, ammettendo con lui due sole specie di cellule del tutto differenti: Paschutin (1), Martin ®), Laugerhans 8), V. Brunn ®), Cisoff (9), Colasanti (6), Pe- reyaslewzeff (7), Sidky (8), Lowe(9), Felisch (10), Retzius (14), Krause (12), Invece Grimm (13), Lustig (14) e Pereyaslewzeff (15) dimostrarono l’esistenza delle forme di transizione descritte da Exner. Paschutin (16) Pereyaslewzeff (1?) danno allo strato epiteliale descritto dall’Exner un carattere nervoso, mentre Lòwe (18) Ci- soff (19) Colasanti (20) V. Brunn (4) e Retzius (2) lo credono costi- tuito da tessuto connettivo. Grimm e Cisoff, osservarono un’unione fra le cellule olfattive e le fibrille del nervo olfattorio, Kaufmann ammette che tutte e due le forme di cellule descritte da M. Schultze abbiano un eguale valore funzionale, però senza aver osservato le termina- zioni nervose. La causa di tale divergenza, mi sembra debba esser cercata almeno in parte, nei metodi usati dalla maggior parte degli Au- (1) Ueber den Bau der Schleimhaut der Regio olfactoria des Frosches. Leipziger physiolog. Arbeiten., 1873. (2) Ueber die Structur der Riechschleimhaut. Journ. of Anat. and Phys., VII. 1873. (3) Untersuchungen ber Petromyzon Planeri. Bericht. d. naturf. Gesell. zu Freiburg. Bd. VI, 1873. (4) Die membrana limitans olfactoria. Centralblatt. f. d. med, Wiss., 1874. Untersuchungen iiber das Riechepithel. Arch. f. mikrosk. Anatomie XI, 3, 1875. (5) Zur Kenntniss d. Reg. olfactoria. Med. Centralblatt., XII. N. 44. 1874. (6) Untersuchungen ‘diber die Durchschneidung d. nervi Olfactori bei Frò- schen. Arch. f. Anat. u. Physiol., 1875. (7) Ueber d. Structur u. Form des Geruchsorganes bei den Fischen. Ar- beiten aus den St. Petersburger Gesellsch. d. Naturf., IX. 1878. (8) Recherches anat. microscop. sur la muqueuse olfactive. 1877. (9) Beitrige zur Anat. der Nase u. Mundhòhle. Berlin. 1878. (10) Beitrag zur Histol. der Schleimhaut in den Lufthòhlen des Pferde- kopfes. Diss., 1878. (14) Das Riechepithel d. Cyclostomen. Archiv. f. Anat. und Physiol., 1880. (12) Die Regio olfactoria des Schafes. Diss. Rostock, 1881. (13) Ueber das Geruchsorgan der Store. Gòttingen Nachrichten, 1872. (14) Sitzungsb. der Nat.-Math. Classe d. K. Akad. d. Wiss. Wien, 1884. (15) 1. ce. — (16) 1 c. — (17) L. c. — (18) l. c. (19) Beitrag zur Frage nach der Endigungsweise der Geruchsnerven bei Frosch. Kasau, 1879. (20) 1. c. — (21) l. c. — (22) Dl. c. SULLE CELLULE EPITELIALI DEGLI EMBRIONI Zlò tori che si occuparono della regione olfattoria, i quali seguirono il sistema d'indagine indicato da M. Schultze, studiando gli ele- menti morfologici per lo più su sezioni di tessuto, dove è im- possibile, almeno per quanto concerne la mucosa olfattiva, di osservare con sicurezza il rapporto tra cellula e cellula ed il nesso di queste ultime colle terminazioni nervose. All’incontro l'osservazione costante, prolungata, paziente, degli elementi morfologici ben isolati e trattati con sostanze che non alterino i loro caratteri di struttura e che fissino le particolarità morfologiche, può condurre con maggior sicurezza a risultati meno confutabili. Giustifico questa mia asserzione citando un fatto: alcuni Autori, come il Paschutin ed il Cisoff negano l’esistenza di ciglia nel processo periferico delle cellule epiteliali ; ora, su prepa- rati non alterati, ognuno si potrà convincere del contrario. Un'altra causa di tale divergenza può trovarsi nell’avere l' Exner asserito che il nervo olfattorio si divide in fibrille che si dira- mano nell’impalcatura sottoepiteliale dirigendosi verso il processo centrale delle cellale epiteliali senza che risulti chiaramente dai suoi lavori se gli sia riuscito di vedere l’appendice centrale di una cellula epiteliale in unione ad una fibrilla che indubita- tamente sì staccasse da una grossa fibra nervosa. Ora, ciò soltanto può dare un criterio esatto e sicuro dell'unione di una fibrilla nervosa cogli elementi periferici. Nelle mie ricerche sugli epitelii della regione olfattoria di alcuni animali adulti e dell’uomo, e nei miei studi sulla degenerazione di questa regione in seguito a distruzione del lobo olfattorio, ot- tenni il pieno convincimento che le cellule olfattive e quelle epi- teliali di M. Schultze costituiscano i due estremi di una serie continua di innumerevoli forme di transizione: non mi riuscì però mai di osservare al microscopio una evidente continuità tra i pro- lungamenti centrali degli epitelii e le fibre nervose dell’olfattorio. Studiai perciò la mucosa olfattoria embrionale — che a quanto lo mi sappia, non venne mai a questo scopo esaminata, ecce- zion fatta per quella dei Batrachidi studiata incidentalmente dal- l’Exner — nella speranza di trovarvi favorevole campo allo studio dello sviluppo delle cellule epiteliali ed al rapporto di queste col nervo olfattorio. La regione olfattoria degli embrioni (coniglio, cavia) dei quali non posso indicare l’età ma solo la grandezza (misurata dall’oc- cipite all’osso sacro) veniva preparata sott'acqua — coll’aiuto 216 ALESSANDRO LUSTIG degli occhiali di dissezione di Briicke — dalla cavità cerebrale, seguendo il decorso ed il territorio di ramificazione del nervo olfattorio. Bisogna procedere così per maggior sicurezza, poichè soltanto negli embrioni di sviluppo avanzatissimo e nei neonati la regione olfattoria è caratterizzata dal /ocus luteus, dallo spes- sore e dalla succulenza della mucosa. La quale ultima assieme al tessuto cartilagineo sottostante veniva immersa per 15-20 minuti in una soluzione di acido os- mico all’un e mezzo per cento, e posta poi per 24 ore nell’acqua distillata. Dopo questo periodo di tempo era possibile di dila- cerare facilmente nella solita soluzione sodica, parti della mucosa senza danneggiarne gli elementi morfologici. Negli embrioni più piccoli da me esaminati (cavie di 2 a 3 cent.) si scorgevano elementi morfologici composti da grandi nuclei rotondi od ovali muniti di un nucleolo e circondati da uno strato limitato di sostanza protoplasmatica granulare, che formava un corto filamento centrale sottilissimo (fig. 1, 2). Talvolta in un gruppo di cellule isolate si vedeva quest’ultimo (fig. 3) unirsi con un leggero rigonfiamento a mo’ di bottoncino ai delicati fili granulari che formano il reticolo protoplasmatico sottoepiteliale racchiudente in sè nuclei rotondi, più grandi degli or descritti, con superficie perfettamente liscia e che si coloravano coll’acido osmico in grigio bruno. Nella regione olfattoria di questi embrioni prevalgono le cel- lule rappresentate nelle figure 3, 4, 6; esse variano di grandezza, il loro corpo è fusiforme, il nucleo, più o meno ovale, liscio e trasparente, di color giallo-bruno, rare volte munito di nucleoli; l’appendice superiore ha metà di spessore del rispettivo nucleo, è trasparente con strie longitudinali privo di ciglia; il processo inferiore, che nasce direttamente dal polo inferiore del nucleo cellulare, è tanto più sottile quanto maggiormente s’allontana dal corpo della cellula. Cellule simili a quelle segnate con 5, 7, si trovano assai di rado, e queste appunto si avvicinano per i loro caratteri di struttura alle cellule epiteliali di M. Schultze. Il pro- lungamento centrale sottile e varicoso della cellula (fig. 8) si pianta con leggero rigonfiamento conico nel reticolo sottostante e precisamente allo stesso modo delle cellule olfattive descritte da M. Schultze. La cellula fig. 7 ha un nucleo rotondo ed un’ap- pendice superiore larga tanto quanto il diametro del nucleo, e il suo prolungamento inferiore si fa nel terzo inferiore assai sottile e pre- SULLE CELLULE EPITELIALI DEGLI EMBRIONI 217 senta un leggero rigonfiamento triangolare. Nelle cellule della mu- cosa olfattoria di questi embrioni non osservai mai nè ramificazioni del processo centrale, nè appendice periferica munita di vere ciglia. Nell’ulteriore sviluppo (embrioni da 6 fino 8 cent.) oltre alle cellule olfattive di Schultze se ne scorgono altre, che per alcuni caratteri atipici si allontanano da quelle, dando luogo ad una serie di « forme di transizione »; questi sono gli elementi morfologici che in queste mucose prevalgono per numero. Le vere cellule epiteliali sono all’incontro scarse. La fig. 9 rappre- senta il tipo delle cellule più comuni in questi preparati: cellule fusiformi, con nucleo ovale fornito di nucleolo; qui scorgiamo il processo periferico munito di vere ciglia lunghe ed il prolunga- mento inferiore grosso quanto il superiore, terminante però in un filamento sottile varicoso simile all’appendice inferiore delle cellule olfattive. In alcune di queste cellule osservai per la prima volta la biforcazione del processo centrale (fig. 9). La fig. 10 dimostra una cellula olfattiva isolata : il processo centrale tipico di questi elementi, sottile e varicoso, va a pian- tarsi nel mezzo d’un nucleo rotondo protoplasmatico granulare dello strato sottoepiteliale. In tutti i preparati si possono scor- gere gruppi delle cellule della forma or descritta, in cui i sin- goli elementi sono in unione, mediante i rispettivi prolungamenti centrali lunghi, esili e varicosi, alle fibrille del reticolo od ai nuclei dello strato sottoepiteliale. Nella fig. 11 è riprodotta una cellula epiteliale con nu- cleolo rotondo, col processo periferico provveduto di fimbrie ; e qui vediamo come di solito in questi elementi embrionali, che il prolungamento centripeto sottilissimo e varicoso ha aspetto iden- tico a quello delle cellule olfattive. Il tipo classico ma assai più raro delle cellule epiteliali è riprodotto nella fig. 12. Le ciglia sono lunghe, il processo inferiore è più grosso di quelli descritti dianzi. È inutile ch'io dica, che ebbi occasione di osservare innu- merevoli volte codeste differenze di forma e di struttura della mucosa olfattoria di questi embrioni. In ogni preparato mi fu dato di osservare differenti cellule aggruppate assieme ancora unite allo strato nucleare sottoepite- liale, nel quale poi mi è sembrato di scorgere una o più fibre nervose piuttosto grosse (colorate dall’acido osmico); esse si dira- 218 ALESSANDRO LUSTIG mavano successivamente in fibrille esilissime, che si univano a loro volta con i processi centrali delle soprastanti cellule. Quantunque questa unione potesse sembrare abbastanza evidente inquantochè neppure il continuo movimento dell'oggetto (prodotto dalla pres- sione di un ago sul vetrino coprioggetto) rese possibile il distacco dei processi centrali delle cellule dalle fibre sottostanti, tuttavia non ne acquistai la piena convinzione, e diressi perciò vieppiù la mia attenzione alle singole cellule isolate. E mi venne dato os- servare infatti pid volte figure consimili a quella segnata al n° 13. Qui si scorge una cellula epiteliale provveduta di un pro- lungamento centripeto sottile assai, varicoso in più punti e lungo almeno 5 volte quanto tutto l’asse longitudinale del corpo della cellula, che va ad unirsi ad una fibra grossa, o meglio da essa nasce. La natura di questa fibra non può essere che nervosa, ed essa corre, come lo dimostrano gli elementi ancora intatti, nel- l’impalcatura reticolare sottoepiteliale. E inutile ripetere che l’osservazione di questi elementi, venne fatta lungamente, cercando che l’oggetto si presentasse nel campo | visivo in differenti posizioni, così da assicurarmi che questa unione tra fibra e cellula esistesse di fatto e non fosse solo apparente. In embrioni di maggior sviluppo (10-15 cent.) la struttura delle cellule della mucosa olfattiva è simile a quella or descritta; soltanto lo strato sottoepiteliale è ricco di grandi nuclei rotondi, lisci, muniti di nucleoli che si colorano coll’acido osmico, al- l’istesso modo dei nuclei delle cellule epiteliali. Questi nuclei sono circondati da un finissimo intreccio reti- colare di fibrille protoplasmatiche granulare, il quale ha gli stessi caratteri microscopici del protoplasma che circonda e rinchiude i nuclei grossi, rotondi, trasparenti, con superficie liscia, che com- pongono la sostanza del lobo olfattorio degli embrioni e neonati. Nei neonati (coniglio, cavia, uomo) si scoprono nello strato su- perficiale della mucosa olfattiva tutte le varie forme cellulari; prevalgono però sempre le « forme transitorie » descritte ante- cedentemente. Non mancano però le cellule epiteliali: anzi la fig. 14 ne rappresenta una con un prolungamento centrale più lungo ed esile quasi come quello d'una cellula olfattiva (fig. 15). Altre volte si scorgono cellule epiteliali con prolungamenti centripeti un po’ più grossi, ai quali si appoggiano i nuclei sot- toepiteliali (fig. 16). SULLE CELLULE EPITELIALI DEGLI EMBRIONI 219 Anche nella mucosa olfattiva dei neonati ho potuto osservare, alcune volte, cellule che secondo M. Schultze non si potrebbero per i loro caratteri chiamare « olfattive », il di cui processo centrale si univa evidentemente con una fibra indubbiamente di natura nervosa. Fra i diversi disegni fatti dalla natura ne scelgo uno rap- presentato nella fig. 17. È questa una cellula fimbriata con nucleo ovale, con un processo superiore cilindrico e di diametro eguale a quello del corpo cellulare; il prolungamento inferiore fusiforme e relati - vamente grosso termina in una fibrilla esile, che cominciando dal punto « (ove il rigonfiamento unico segna il sito di congiunzione di una fibrilla che parte dal sottostante protoplasma perinucleare) va sempre più ingrossando per acquistare il carattere di una fibra nervosa che alla sua estremità si ramifica. Tratto da questi miei studi vengo alla conclusione: a) che nel primo stadio di sviluppo della mucosa olfattoria prevalgono gli elementi nucleari, ovali rotondi e le cellule olfattive di M. Schultze, le forme transitorie sono rare, rarissime poi le cel- lule epiteliali; L) che i prolungamenti periferici delle cellule sono in questo periodo di sviluppo ancor prive di ciglia; i prolungamenti centrali non si ramificano e si trovano piantati nel reticolo sotto- epiteliale; c) che nell’ulteriore sviluppo prevalgono le cellule a forma di transizione, i prolungamenti periferici sono cigliati, i prolungamenti centrali sono esili al pari di quelli delle cellule olfattive e si uniscono alle fibrille del sottostante reticolo che rinserra i nuclei grandi e rotondi. Non mancano però alcune forme tipiche di cellule epiteliali. Verso la fine della vita embrionale e nei neonati si rinviene nella mucosa olfattiva un grande numero di cellule epiteliali, e di forma transitoria, nonchè in numero minore le olfattive. Dalle mie osservazioni risulta inoltre che le ramificazioni delle fibre del nervo olfattivo che corrono nell’ impalcatura sottoepiteliale si trovano umite tanto con « le cellule epiteliali » quanto con le « cellule olfattive ». È stabilito adunque, che tutte le cellule fino ad ora de- scritte nella mucosa olfattiva, perchè unite al rispettivo nervo, devono avere un eguale valore funzionale. 290 ALESSANDRO LUSTIG —- SULLE CELLULE EPITELIALI ECC. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE La maggior parte dei disegni vennero eseguiti usando dell’ocu- lare II o III e dell’oggettivo ad immersione X Hartnack. Il trat- tamento degli elementi morfologici fu sempre colle soluzioni di acido osmico al 2 %. Fig. 1-8. Cellule epiteliali della regione olfattiva di embrioni di 2-6 cent. » 9-14. Cellule della regione olfattiva di embrioni in un ulte- riore grado di sviluppo. >» 14-17. Cellule epiteliali della regione olfattiva di neonati. Il Direttore della Classe ALFonso Cossa. frig/ Fg® no mail i Ì r A U fig 19. | | | | t3, Ù] Là # i ; > O; nati TESE apre 7 Dn LP.a ue e » ii SOMMARIO Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. ADUNANZA del'‘&-Marzo 18981 Uri. 00 a ie ia dana Pag. 211 Lusria — Sulle cellule epiteliali nella regione olfattiva degli em- DILODI do EDI CRETE RR a I » 212 oe- NB. La tavola relativa alla Memoria inserta in questo fascicolo verrà pubblicata in una prossima Dispensa. ATTI R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XXIII, Disp. 9", 1887-88 i Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. TORINO ERMANNO LOESOHER Libraio della R. Aecademia delle Scienze ID DO ri CLASSE SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 18 Marzo 1888. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ANGELO GENOCCHI PRESIDENTE Sono presenti i Soci: Cossa, LESSONA, SALVADORI, BRUNO, Berruti, Basso, D’Ovipio, BizzozERo, FERRARIS, NACCARI, Mosso, SPEZIA GIACONINI. Si legge l'atto verbale dell'adunanza precedente che è ap- provato. Fra le pubblicazioni pervenute in dono all'Accademia viene segnalato : 1° Il Bollettino dei Musci di Zoologia e di Anatomia com- parata dell’Università di Torino, dal fascicolo N. 34 (vol. II) al fascicolo n. 39 (vol. III). Esso contiene lavori biologici dei signori C. PoLLonERA, Dott. D. Rosa e Prof. L. CAMERANO ; 2° Bullettino di Bibliografia e di Storia delle Scienze ma- tematiche e fisiche pubblicato da B. Boncompagni (Maggio e Giugno 1887, tomo XX), presentato dal Presidente ; 3°. Pressione atmosferica bi-oraria del 1887 tratto dai ri- lievi del barometro registratore Richard; Considerazioni sulle ore tropiche e sulle medie oscillazioni diurne barometriche ; del Prof. Domenico Ragona, Direttore del Reale Osservatorio di Mo- dena : presentate dal Socio G. Basso. Le comunicazioni e le letture si succedono nell’ordine che segue : « Rotazioni elettrodinamiche prodotte per mezzo di correnti alternate; del Socio Galileo FERRARIS ; « Relazione del Socio Prof. L. BeLLARDI, letta dal Socio condeputato Prof. G. Srezia intorno alla Memoria del Dottore Federico Sacco, intitolata « Aggiunte alla fauna malacologica estramarina fossile del Piemonte e della Liguria » . Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII. 18 MELLE I) ADEN Mi SOR <"Ernnamato 922 GALILEO FERRARIS LETTURE Rotazioni elettrodinamiche prodotte per mezzo di correnti alternate Nota del Prof. GALILEO FERRARIS. 1.— Sia O un punto di uno spazio nel quale si sovrappon- gono i campi magnetici prodotti da due correnti elettriche; le. direzioni OX ed OY che hanno i due campi magnetici nel punto O sieno diverse, sieno per esempio perpendicolari l’una all'altra. Fig. 1. Se si rappresentano con lunghezze VA ed OB portate su OX ed OY le intensità dei due campi, la diagonale OR del paral- lelogrammo VAREB dà colla propria lunghezza e colla propria direzione l’intensità e la direzione del campo magnetico risul- tante. Se le intensità dei campi magnetici componenti variano col tempo, il punto £ si muove, e percorre una linea, la forma della ROTAZIONE ELETTRODINAMICHE 223 quale è determinata dalla legge con cui variano VA ed VOB; ma in ogni istante il raggio vettore OZ rappresenta colla sua lunghezza e colla sua direzione l’intensità che nello stesso istante il campo magnetico risultante ha nel punto 0. Se le due correnti sono alternate e sinusoidali col medesimo periodo, anche le intensità OA ed OB dei due campi magnetici componenti sono tali; se si rappresentano rispettivamente con 4 e con y, esse si possono esprimere in funzione del tempo # colle uguaglianze In 2 n s=4sen 7 > y=Bsen (046), ove si indichino con A e con B i valori massimi di esse, con 7° Ci la durata del periodo e con 2 la differenza di fase fra le due correnti. Eliminando £ fra queste due equazioni, si ottiene una relazione fra x ed y, che è l'equazione della linea percorsa dal punto riferita alle rette OX, OY prese come assi di coor- dinate. Quando la differenza di fase tra le due correnti è uguale a zero, oppure corrisponde ad un numero intiero di semiperiodi, la linea percorsa dal punto I è una retta passante per 0, e su questa retta il punto £ percorre spazi proporzionali a quelli per- corsi nel medesimo tempo dai punti Ae 5 su OX ed OY. Al- lora il campo magnetico risultante ha una direzione costante ed una intensità variabile colla legge sinusoidale come i campi ma - gnetici componenti. In tutti gli altri casi, quando cioè le due correnti non si invertono simultaneamente, la linea percorsa dal punto & è una ellisse di centro O. Allora il raggio vettore OR che rappresenta l’intensità e la direzione del campo magnetico risultante, si man- tiene costantemente diversa da zero, e ruota nel piano XO Y at- torno al punto O; in altri termini si ha allora un campo ma- gnetico che non si annulla mai e che gira attorno ad O. Il campo magnetico girante compie la propria rivoluzione nella du- rata 7 di un periodo delle correnti. Il senso della rotazione si inverte se la fase di una delle correnti si fa variare di un mezzo periodo o di un numero intero di mezzi periodi. Se in particolare le direzioni O.X ed OY dei campi magne- tici componenti sono perpendicolari l’una all’altra, se le intensità 224 GALILEO FERRARIS massime A e B dei due campi sono uguali tra di loro, e se la 1 differenza di fase La è uguale ad np si ha 21 2 s=AsenTé x y=Acost; quindi sa 2n UR=-A ed AOR=—-#6 Allora la traiettoria del punto R è una circonferenza di rag- gio A, ed il punto X la percorre colla velocità angolare co- Da CONI stante ; in altri termini, si ha allora un campo magnetico di F, intensità costante, il quale gira attorno ad O con velocità uni- forme. Gli effetti sovra descritti si possono produrre per mezzo di una sola corrente alternativa, È infatti sempre possibile, ed în più modi, per mezzo di una corrente alternativa data ottenere le due correnti necessarie per produrre le forze magnetiche com- ponenti OA ed OB, e far variare, fra certi limiti, la differenza di fase fra le medesime. Un modo per fare ciò consiste nel far passare la corrente data nella spirale primaria di un trasforma - tore. Allora si hanno a disposizione la corrente data e la cor- rente secondaria da essa prodotta nel trasformatore. Facendo pas- sare le due correnti in due spirali aventi gli assi sulle rette OX ed OY, si può far servire la prima a produrre la forza magne- tica VA, e la seconda a produrre la forza magnetica OB. Ac- ciocchè le due correnti presentino la voluta differenza di fase basta inserire una conveniente resistenza nel circuito secondario ; la differenza di fase che così si ottiene, tende verso un quarto di periodo se la resistenza del circuito secondario si fa crescere fino all'infinito. Col crescere della resistenza, il rapporto tra la intensità media della corrente secondaria e quella della primaria diminuisce; ma calcolando convenientemente il numero delle spire nelle due spirali destinate a produrre le forze magnetiche OA ed OB, è possibile far sì che risulti A = 5, e realizzare ap- prossimativamente le condizioni nelle quali il campo magnetico risultante mantiene una intensità quasi costante e ruota con ve- locità quasi uniforme. ROTAZIONI ELETTRODINAMICHE 225 Un altro modo per ottenere il medesimo risultato consiste nel far servire alla produzione dei due campi magnetici oscilla- torii componenti le due correnti secondarie prodotte in due tras- formatori od in due porzioni d’un trasformatore ove la corrente alternativa data funzioni come corrente primaria. Si possono finalmente adoperare per produrre le forze ma- gnetiche 0A ed OB due correnti derivate. Se nel circuito di una di tali correnti si inseriscono resistenze esenti da induzione propria, e nel circuito dell’altra si inserisce invece una spirale con piccola resistenza e con grande coefticiente di autoinduzione, si può fare sì che mentre le medie intensità delle due correnti sono uguali, oppure hanno tra di loro un rapporto prefisso, le fasi delle correnti medesime differiscano notevolmente l’una dal- l’altra. Dunque per mezzo di una semplice corrente alternativa, ope- rante in spirali immobili, è possibile produrre un campo ma- gnetico rotante ed ottenere con questo tutti gli effetti che si potrebbero ottenere per mezzo della rotazione di una calamita. Si possono fra gli altri, riprodurre per mezzo di una sem- plice corrente alternata i fenomeni di induzione che si hanno quando si fa rotare una calamita in vicinanza di una massa con- duttrice; e per tal modo si possono ripetere sotto una forma nuova le antiche esperienze sul magnetismo di rotazione. Se nello spazio ove sì sovrappongono i. campi magnetici alternativi si ha un corpo conduttore, la rotazione del campo magnetico risultante produce in tale corpo correnti indotte, che per la legge di Lenz si oppongono alla rotazione del campo magnetico, e sulle quali il campo magnetico reagisce con forze che tendono a trascinare il conduttore nella propria rotazione. Se il conduttore è mobile attorno all'asse O (fig. 1°) esso si mette in movimento e prende a rotare come farebbe quando esso si trovasse frai poli di una calamita rotante attorno all'asse O medesimo. 2. — Descrivo alcuni degli esperimenti coi quali ho verificato ed utilizzato questo fatto (*). La fig. 2 rappresenta schematicamente in prospettiva la dispo- sizione di una prima esperienza. Con 1AAA1' e con 2BBB2,, (*) Le esperienze, delle quali si fa cenno, furono eseguite nell’ autunno del 1885 226 GALILEO FERRARIS sono rappresentate due spirali piatte, delle quali la prima è for- mata con poche spire di grosso filo, e la seconda contiene un numero più grande di spire fatte con un filo più sottile. Per Fig. 2. rendere semplice la figura si è rappresentata una sola spira per ciascuna spirale, e si sono indicati in 1, 1' ed in 2, 2'i reofori ai quali le due spirali sono collegate. I piani delle spire delle due spirali sono verticali e perpendicolari tra di loro; essi si tagliano secondo la verticale 00' che rappresenta l’asse dell’ap- parecchio. La spirale 1 AAA 1' di filo grosso è inserita nel cir- cuito primario di un trasformatore di Gaulard e Gibbs; la spi- rale 2 BBB2' di filo sottile è inserita nel circuito secondario del trasformatore medesimo. Nello stesso circuito secondario è in- serita una resistenza variabile priva di induzione propria, per mezzo della quale si può far variare il rapporto tra le intensità medie della corrente primaria e della secondaria, e con esso la differenza di fase tra le due correnti. Il trasformatore è disposto per un rapporto di trasformazione uguale ad «0, ossia ha un medesimo numero di spire nelle due eliche primaria e secondaria: ma siccome per produrre una grande ROTAZIONI ELETTRODINAMICHE A differenza di fase fra le due correnti conviene inserire nel cir- cuito secondario una resistenza alquanto grande, così l'intensità della corrente secondaria risulta notevolmente minore di quella della primaria. Il maggior numero di spire esistente nella spirale 2 BBB2' compensa questa differenza. Determinando conveniente- mente la resistenza inserita nel circuito secondario si può far sì che, pur avendo una notevole differenza di fase, le intensità me- die dei campi magnetici prodotti dalle due correnti nel centro comune © delle due spirali sieno sensibilmente uguali. Questa condizione si può verificare facilmente per tentativi. Quando essa è verificata, si ha nello spazio compreso nelle due spirali un campo magnetico di intensità approssimativamente costante, il quale gira uniformemente attorno all’asse 00' compiendo un giro intiero per ogni periodo della corrente alternativa. In tale spazio è sospeso un piccolo cilindro C di rame, vuoto e chiuso, soste- nuto da un filo O. Se si fa passare la corrente soltanto in una delle spirali, il cilindretto rimane immobile, ma se si fanno passare le correnti in entrambe le spirali, nel modo suddetto, il piccolo cilindro in- comincia subito a rotare attorno al proprio asse, torcendo il filo di sospensione per molte decine di giri. Se per mezzo di un com- mutatore inserito nel circuito secondario si invertono le congiun- zioni delle estremità 2 e 2° della spirale BB coi capi dell'elica secondaria del trasformatore, colla qual cosa si fa variare di un mezzo periodo la fase della corrente in BB, la rotazione del cilindretto C' si inverte. Se l’inversione del commutatore si opera mentre il cilindretto sta girando in un certo verso, si vede la rotazione rallentarsi rapidamente ed estinguersi quasi subito per ricominciare nel verso opposto. I medesimi effetti sì ottengono se si inseriscono le due spi- rali AAA e BBB in due circuiti derivati, uno dei quali con- tenga una resistenza ma sia esente da induzione propria, mentre l’altro presenti soltanto una piccola resistenza, ma contenga una spirale con nucleo di ferro e con un notevole coefficiente di in- duzione propria. Le esperienze furono ripetute coi medesimi risultati sosti- tuendo al cilindretto di rame un uguale cilindretto di ferro. Se il cilindro adoperato è piccolo ed occupa solamente una piccola parte dello spazio che si ha nell'interno delle spirali, l’esperienza riesce facilmente tanto col ferro quanto col rame. Quando invece 228 GALILEO FERRARIS si adoperano cilindri grandi riempienti per una grande parte l’in- terno delle spirali, l’esperienza riesce meno facilmente col ferro che col rame. Ciò in causa dei grandi coefficienti di induzione propria che allora acquistano le spirali. Quando infatti le spirali AAA e BBB dell'apparecchio presentano grandi coefficienti di induzione, non si può provocare nelle due correnti la differenza di fase di cui si ha bisogno, se non alla condizione di inserire nei circuiti esterni resistenze considerevoli, le quali consumano inutilmente una notevole parte dell'energia di cui si dispone. In una esperienza ho adoperato un cilindretto di ferro for- mato con tanti dischi uguali di lastra sottile separati ed isolati per mezzo di dischetti di carta frapposti. In un tale cilindretto non si possono produrre le correnti indotte per mezzo delle quali si spiegano i risultati ottenuti col rame; tuttavia l’esperienza riuscì come prima. In questo caso la rotazione è dovuta al ritardo col quale la magnetizzazione dei dischetti di ferro segue la rotazione del campo magnetico a cui è dovuta. Le esperienze sovradescritte, ad eseguire le quali bastano ap- parecchi grossolani ed improvvisati, possono servire nei corsi non solo come ‘modificazione delle antiche e classiche esperienze di Arago e di Babbage ed Herschel, ma sovratutto come mezzo per porre in evidenza l’esistenza delle differenze di fase fra le cor- renti primaria e secondaria di un trasformatore, o quella delle differenze di fase che si hanno tra le correnti derivate alternative, o quelle che possono esistere fra due correnti alternative qua- lunque di ugual periodo. È anzi facile disporre le esperienze in modo tale che esse valgano a porre in chiaro il modo di variare delle differenze di fase col variare delle resistenze dei circuiti e dei coefficienti di induzione esistenti nei medesimi. Se poi si adopera un leggiero cilindretto di rame riempiente quasi completamente l’interno di due moltiplicatori incrociati, portato da una lunga sospensione bifilare e munito di uno spec- chietto per le letture col cannocchiale e colla scala, si può for- mare uno strumento molto sensibile, atto ad attestare, anche con correnti di debole intensità, piccolissime differenze di fase. 5. — Invece di appendere il cilindro conduttore mobile ad un filo o ad una sospensione bifilare, lo si può far portare da un albero metallico appoggiato su cuscinetti; ed allora, dando all'apparecchio maggiori dimensioni, se ne può formare un mo- ROTAZIONI ELETTRODINAMICHE 229 tore elettrico per correnti alternative. È evidente a priori, e ri- sulterà anche dalle considerazioni che farò più sotto, che un mo- tore così fatto non potrebbe avere importanza come mezzo di trasformazione industriale di energia, ma per la sua semplicità e per le sue proprietà esso potrebbe tuttavia servire ad utili ap- plicazioni. Io ho combinato un modello provvisorio di motore, ed ho eseguito su di esso alcuni esperimenti. La fig. 3 è una sezione del motore fatta con un piano per- pendicolare all’asse di rotazione; essa può servire a dare un'idea della disposizione delle parti principali dell’ apparecchio. La parte mobile della macchina consiste in un cilindro di rame 0, centrato su di un albero di ferro O, col quale è soli- ||esessosts COLZZZZZZZZZZZZA dario. Il cilindro di rame è vuoto, ma è chiuso, con fondi pure di rame, alle due estremità; ha il diametro esterno di 8, 9 cen- timetri e la lunghezza di 18 centim.;- pesa 4,9 chilogrammi. L'albero O ha il diametro di un centimetro, è orizzontale e si appoggia sopra due cuscinetti. La parte fissa della macchina è costituita semplicemente da due coppie di spirali, che nella figura si vedono sezionate in 44, A'A' ed in BB, B'B'. Una di queste coppie di spirali, la 44, AA’, è disposta colle sue spire in piani verticali, e quando è percorsa da una corrente produce nel proprio interno, nello spazio ove si trova il cilindro di rame, un campo magnetico di direzione 230 GALILEO FERRARIS media orizzontale. L'altra coppia, la BB, B'B' invece ha le sue spire in piani orizzontali, e quando è percorsa da una corrente produce nello spazio occupato dal cilindro di rame un campo magnetico, del quale la direzione media è verticale. Le spirali sono contenute in telarini di legno di forma rettangolare. Due di questi telarini, quelli delle spirali orizzontali BB, B'B' hanno le dimensioni appena sufficienti per lasciare al cilindro C il giuoco necessario pel movimento, la larghezza e la lunghezza del loro vano superano soltanto di un centimetro il diametro e la lun- ghezza del cilindro di rame. Gli altri due telarini, quelli delle spirali verticali AA, 4°4' hanno la medesima larghezza ed una lunghezza maggiore, in modo che essi abbracciano i due telarimi BB, B'B' e li contengono esattamente. Quando i quattro telarini sono in posto essi chiudono uno spazio parallelepipedo d e f 9, che, a meno del piccolo giuoco necessario per la libertà del mo- vimento è circoscritto al cilindro C. La fessura lasciata tra le spirali A ed A'e quella lasciata tra B e B' hanno la larghezza strettamente necessaria per lasciar passare l’albero 0. Le spirali AA, A'A' sono fatte con filo di rame del diametro di millimetri 1,92; ciascuna di esse contiene 96 spire; esse sono collegate tra di loro in serie in modo da formare una spirale unica di 192 spire; la resistenza totale delle due spirali collegate in serie è di 0,844 ohm. Le spirali BB, B'B' sono fatte con filo di rame del dia- metro di 0,97 millimetri, e ciascuna di esse contiene 504 spire. Le due spirali sono collegate in circuiti paralleli, in modo da equivalere ad una spirale unica di 504 spire fatta con filo di sezione doppia. Le resistenze delle singole spirali sono uguali a 7,12 ohmed a 6,63 ohm; la resistenza delle due spirali riunite è di 3,43 ohm. Per mettere in azione il piccolo motore che ho descritto mi servii di un generatore: secondario di Gaulard e Gibbs. Inserii le spirali di filo grosso AA, A'A' nel circuito primario e le spi- rali di filo sottile BB, B'B' nel circuito secondario. Nello stesso circuito secondario era pure inserito un reostato industriale a filo di pakfong, esente da induzione propria, per mezzo del quale si potevano far variare l’intensità e la fase della corrente secondaria. La resistenza alla quale corrispondeva il migliore funzionamento del piccolo motore si poteva così determinare praticamente per tentativi. Tale resistenza dipende naturalmente dai coefficienti di ROTAZIONI ELETTRODINAMICHE 231 induzione del trasformatore e dalla durata del periodo della cor- rente adoperata. Nelle mie esperienze la spirale secondaria del trasformatore era uguale alla primaria, e quindi praticamente il coefficiente di autoinduzione della spirale secondaria era uguale a quello mutuo tra la spirale medesima e la primaria. Le inversioni della corrente erano circa 80 per minuto se- condo; ed in base a questi dati risultava da esperienze anterior- mente eseguite sul trasformatore, che la resistenza apparente dovuta all’ induzione della spirale secondaria su se stessa era di circa 8 ohm. In queste condizioni l’esperienza dimostrò che il migliore funzionamento del piccolo motore si aveva quando col reostato si introduceva nel circuito secondario una resistenza di 15 a 18 ohm. Coi dati numerici sovrariferiti si può calcolare che ap- punto fra tali limiti è compresa la resistenza necessaria per fare sì che l’intensità media del campo magnetico prodotto dalle spirali BB, B'B' percorse dalla corrente secondaria sia uguale a quella del campo magnetico prodotto dalle spirali AA, A'A' percorse dalla corrente primaria. Si può poi calcolare che coi sovraindicati valori della resistenza inserita nel circuito secondario, la diffe- renza di fase tra la corrente secondaria e la primaria doveva corrispondere a poco meno di un quinto di periodo. Colle cose disposte nel modo descritto, il cilindro di rame del piccolo motore cominciava a mettersi in movimento sponta- neamente quando la corrente nel circuito primario raggiungeva una intensità media di circa 5 ampere. Con correnti di intensità superiore a questo limite il cilindro di rame prendeva una velocità, la quale poteva crescere fino a 900 giri per minuto. Al di là di questo limite l’imperfetto centramento del cilindro sul suo asse dava luogo a scosse troppo violenti per poter continuare l’esperimento. Nel circuito secondario era inserito un commutatore, col quale si potevano invertire le congiunzioni delle spirali B 5, B'B' colle estremità della spirale secondaria del trasformatore. Invertendo le congiunzioni si invertiva il senso della rotazione; operando l'inversione del commutatore mentre il cilindro girava con grande velocità in un verso, lo si vedeva arrestarsi rapidamente come se fosse stato stretto in un freno, e poi mettersi in rotazione nel verso opposto. i Fu applicato all'albero dell’apparecchio un piccolo freno di- namometrico equilibrato, collegato con una bilancia e sospensione inferiore, il quale servi a dare un'idea dell’ordine di grandezza 232 GALILEO FERRARIS del lavoro meccanico ottenibile e del modo di variare del me- desimo. Qui sotto sono registrati i valori ottenuti. Nella prima co- lonna sono indicati i numeri di giri per minuto primo che l’albero compieva nelle successive esperienze; nella seconda colonna sono indicati i corrispondenti lavori meccanici misurati col freno ed espressi in watt. Giri inl'| Watt. Giri in l'| Watt. 262 1,32 722 2,55 400 2,12 770 2,40 546 2,65 772 2,04 653 2,77 900 0 L'intensità media della corrente primaria era di circa 9 am- pere; le inversioni di essa erano 80 per 1". Vedesi che il lavoro cresce col crescere della velocità finchè questa non ha raggiunto il valore corrispondente a circa 650 giri al minuto; per tale velocità il lavoro è massimo; per velocità maggiori esso diminuisce con rapidità crescente, finchè per una velocità di 900 giri al minuto il lavoro utilizzabile si riduce a zero. Questa rapida decrescenza del lavoro utilizzabile è dovuta in gran parte all’imperfetto centramento della parte rotante: gli urti dovuti a questa causa dànno luogo a perdite di energia cre- scenti, al crescere della velocità, con progressione rapidissima. Portando in un disegno come ascisse i numeri di giri per minuto, e come ordinate i valori del lavoro misurato, e congiungendo con una linea i punti così ottenuti, si trova una linea, la quale da principio, e fino al punto corrispondente ad una velocità di circa 500 giri per minuto, si confonde sensibilmente con una retta passante per l’origine, ma in seguito si ripiega verso l’asse delle ascisse, verso il quale discende rapidissimamente. Questa forma. della linea giustifica la spiegazione precedente. Senza gli effetti degli urti, dei quali abbiamo parlato, la linea dei lavori ottenuti andrebbe innalzandosi fino al punto corrispondente all’ ascissa 1200 circa e discenderebbe poscia regolarmente per incontrare l’asse delle ascisse in vicinanza dell’ascissa 2400, che corrisponde alla velocità di ‘rotazione del campo magnetico. ROTAZIONI ELETTRODINAMICHE 239 4. — Le relazioni esistenti tra il momento della coppia che fa rotare il tamburo, il lavoro meccanico utilizzabile, l'energia che si trasforma in calore nel cilindro di rame e le velocità di rotazione del campo magnetico e del tamburo si possono stabilire facil- mente se si suppone la macchina nelle condizioni ideali migliori, se cioè si suppone che i campi magnetici sinusoidali prodotti dalle due correnti alternative abbiano uguali intensità massime e pre- sentino una differenza di fase corrispondente ad un quarto di periodo. In questo caso il campo magnetico risultante ha una inten- sità invariabile e ruota attorno all’asse dell'apparecchio con una velocità angolare uniforme. Noi rappresenteremo questa velocità angolare del campo magnetico colla lettera 0, e rappresenteremo invece con & la velocità angolare del tamburo di rame; la velo- cità angolare del moto relativo del campo magnetico rispetto al tamburo sarà allora Q—-%. Se diciamo -M il momento della coppia, colla quale il campo magnetico rotante agisce sulle correnti indotte nel tamburo di rame e tende a trascinare questo nella propria rotazione, possiamo esprimere subito il valore del lavoro meccanico prodotto dal mo- tore, e quello della energia che viene trasformata in calore nel tamburo in causa delle correnti in esso indotte. Rappresentando con W il lavoro meccanico prodotto dal motore in una unità di tempo, e intendendo che in esso sia compresa quella parte che è consumata dalle resistenze passive, abbiamo W=Mo. a) Rappresentando invece con P l’energia che in ogni unità di tempo si trasforma in calore dentro al tamburo in causa delle correnti che vi sono prodotte per induzione dal campo magnetico rotante, abbiamo : P=M(0-0). non (8) Quest'ultima relazione si dimostra osservando che l'energia tra- sformata in calore in causa delle correnti esistenti nel tamburo è uguale a quella che si spende per produrre le correnti mede- sime, e questa è uguale al lavoro necessario per mantenere il moto relativo, colla velocità Q— &, tra l’indotto ed il campo magnetico induttore, 234 GALILEO FERRARIS Dalle formole (1) e (2) si ha per divisione ; ii 4) PIMOal) i od anche W A) Wyp70 Md l'energia W, che si ottiene come lavoro meccanico o come forza viva, sta alla totale energia W4 P, che si manifesta in. parte come energia meccanica ed in parte come calore, come la velocità di rotazione del cilindro sta alla velocità di rotazione del campo magnetico. Se, come abbiamo supposto nel calcolo precedente, il campo magnetico ha una intensità costante e gira con velocità uniforme, vi ha nel cilindro conduttore un sistema di correnti indotte, che conserva costantemente la stessa configurazione; questo sistema di correnti si sposta girando attorno all’asse dell’apparecchio, ma ‘i fenomeni che in un elemento di tempo qualunque avvengono in un elemento qualunque del volume del cilindro, in un ele- mento di tempo successivo si riproducono esattamente in un altro elemento di volume. Il calore svolto dalle correnti nel cilindro è adunque lo stesso che si svolgerebbe se le correnti fossero costanti ed immobili. Ora in ogni elemento di volume la corrente è pro- Oto ù porzionale ad — , ove si rappresenti con p la resistenza #) specifica del metallo; quindi il calore svolto è proporzionale a O -0\ (0-6) _. p ) ossia a —__ . Dicendo adunque % una costante, "lt le possiamo porre 1 isa = O w)° Ù Portando questo valore nelle formole (1) e (2), otteniamo k i tag “esi 3180008) ed ROTAZIONI ELETTRODINAMICHE 235 Data la durata del periodo della corrente alternativa adoperata, Q ha un valore determinato e costante.. Allora la (1°) fa vedere che l'energia W, che si manifesta come lavoro meccanico, ha un valore massimo quando mentre la (2°) dà per M un valore massimo quando E Quando l'energia meccanica W è massima, ossia quando è =, la (3) dà ti Wes Pi l’energia che si manifesta come lavoro meccanico è allora uguale a quella che si manifesta come calore nel cilindro rotante. 5. — Queste relazioni ed i risultati delle esperienze riferite più sopra confermano, ciò che era evidente « priorî, che un appa- recchio fondato sul principio di quello da noi studiato non po- trebbe avere alcuna importanza industriale come motore; e quan- tunque sia possibile studiare le dimensioni di esso in modo da aumentarne notevolmente la potenza e migliorarne moltissimo il rendimento, sarebbe inutile entrare qui in alcuna considerazione su tale problema. Io credo tuttavia che le esperienze che ho descritto possano presentare qualche interesse. In primo luogo un piccolo apparecchio come il descritto può servire utilmente per esperienze nei corsi. Adoperato a tale uso, esso presenta il vantaggio di funzionare per mezzo di una coppia diretta sempre nel medesimo verso, per modo che anche con le sole forze elettrodinamiche, sempre assai deboli, si possono con esso accumulare in una grande massa, come è quella del cilindro di rame da noi adoperato, notevoli quantità di energia cinetica. In secondo luogo, e ciò è più importante, un apparecchio analogo al descritto potrebbe servire come misuratore della elet- tricità somministrata in una distribuzione di energia elettrica fatta con correnti alternative. Bisognerebbe a quest’ uopo disporre le cose in modo, che al movimento del tamburo si opponesse una 256 GALILEO FERRARIS resistenza proporzionale al quadrato della velocità. Siccome il momento della coppia motrice è proporzionale al quadrato della intensità media della corrente, così la velocità di regime dell’ap- parecchio risulterebbe proporzionale alla intensità media della corrente; ed il numero di giri compiuto dal tamburo in un dato tempo, numero che può essere indicato da un contatore, risul- terebbe proporzionale alla quantità di elettricità trasmessa nel tempo medesimo. Naturalmente converrebbe allora disporre verti- calmente l’asse dello strumento onde ridurre al minimo le resi- stenze passive perturbatrici ed attenuare gli effetti delle imper- fezioni del centramento. 6. — Come già avevo fatto nelle esperienze col cilindretto so- speso, ho cercato di ripetere gli esperimenti, sostituendo al cilindro di rame un cilindro di ferro di uguali dimensioni e di peso poco diverso. Il risultato fu quasi completamente negativo: riuscii a stento a produrre una lentissima rotazione. La ragione di questo risultato sta nel fatto che col cilindro di ferro le spirali B 5, B'B' assumono un grande coefficiente di induzione propria, che rende necessario introdurre nel circuito secondario del trasforma- tore una grande resistenza onde ottenere la voluta differenza di fase tra le correnti. Ma con questa grande resistenza in circuito la intensità della corrente secondaria riesce piccolissima. Nè la debolezza della corrente si può compensare aumentando il numero delle spire nelle eliche BB, B'B', perchè col numero delle spire cresce il coefficiente di induzione propria delle spirali medesime. Provai pure, come già avevo fatto nelle esperienze col cilin- dretto di ferro massiccio, un cilindro formato con dischi situati in piani perpendicolari all’asse ed isolati con fogli di carta frap- posti. Il risultato, in questo caso, fu assolutamente negativo. Sperimentai ancora con un altro modello di motore, ‘ove il tamburo girava su di un asse verticale ed occupava lo spazio esistente fra i poli, scavati a superficie cilindrica, di quattro elet- tromagneti affacciati due a due. Due di questi elettromagneti, affacciati l’uno all’altro, erano eccitati dalla corrente primaria e facevano le veci delle spirali AA4, A4'4'; gli altri due, anch'essi affacciati l’uno all’altro, erano attivati dalla corrente secondaria, e facevano le veci delle spirali BB, B'B'. L'apparecchio funzionò, in questo caso, meglio col cilindro di ferro che con quello di rame; ma gli effetti furono con esso molto minori di quelli otte- ROTAZIONI ELETTRODINAMICHE DIT nuti coll’ apparecchio precedente. La ragione del fatto è quella stessa di cui abbiamo parlato testè. Provai finalmente a sostituire al tamburo solido un conduttore liquido, una massa di mercurio. Per fare l'esperimento bastò la disposizione semplicissima seguente. Le spirali 44, AA e BB, B'B', tolte dal motore che aveva servito alle esperienze sovra- descritte, vennero collocate in piani verticali, due a due paralleli tra di loro e perpendicolari agli altri due, in modo da costituire le quattro faccie di un prisma a base quadrata. Nella fig. 4 le quattro spirali sono vedute in proiezione orizzontale e sono se- gnate colle lettere A, A', B, B'. Le spirali furono collegate tra Fig. 4. A | x di loro e col generatore secondario come lo erano nel motore; le A ed A' furono inserite nel circuito primario, le B, B' nel secondario insieme col reostato e col commutatore. Nello spazio circondato dalle quattro spirali si collocò un bicchiere M pieno di mercurio e si constatarono nel liquido le rotazioni prevedute. In causa della maggiore resistenza specifica le velocità aquistate dal mercurio furono, a parità delle altre circostanze, molto mi- nori di quelle acquistate dal rame. La massima velocità ottenuta nel mercurio fu, con una corrente di 10 ampere, di circa 18 giri per minuto primo. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII. 19 238 RELAZIONE sulla Memoria del sig. Prof. F. SAcco, intitolata: Aggiunte alla Fauna malacologica estramarina fossile del Piemonte e della Liguria. Il manoscritto che il sig. Prof. F. SAcco ha presentato all’Ac- cademia nella sua seduta delli 4 corrente e che i sottoscritti ebbero l'onorevole incarico di esaminare per esprimere il loro giudizio sulla sua ammessibilità nei volumi delle Memorie, è il frutto delle ultime ed attivissime ricerche geologiche e paleontologiche che l’au- tore continua indefessamente nel suolo del Piemonte e della Liguria. Come risulta dal titolo: Aggiunte alla fauna malacologica estramarina fossile del Piemonte e della Liguria, il sig. Pro- fessore Sacco in questo suo scritto si limita allo studio di parec- chie forme, non comprese finora nelle sue precedenti Memorie sullo stesso argomento, o perchè nuove per la scienza o perchè meritevoli di essere notate per la loro provenienza da località recentemente scoperte dall’Autore. x Il materiale scientifico dello scritto del sig. Prof. Sacco si può distinguere in tre parti: 1° La descrizione di parecchie nuove specie e di alcune varietà di specie già note; 2° Una speciale Monografia delle, Melunopsis trovate finora in Piemonte ed in Liguria corredata da un gran numero di buone figure rappresentanti tutte le specie distinte, le varietà di specie note e le variazioni intermedie, dalle quali figure. nel mentre si deducono gli stretti legami che collegano fra loro le specie del genere e ne rendono perciò difficilissima la distinzione, valgono per altro lato a porgere allo studioso un criterio sui caratteri del guscio che suggerirono all’autore la classificazione adottata e che molto difficilmente si sarebbero potuti esprimere in modo suffi- ciente con tali parole; 239 3° Il catalogo generale di tutti i Molluschi estramarini trovati fino adesso in Piemonte ed in Liguria, tanto nei terreni terziarii, quanto nel quaternario, il quale catalogo riassume i lavori publicati anteriormente dall’autore sullo stesso argomento, coll’aggiunta delle forme descritte nell’ attuale sua Memoria, e coll’indicazione delle nuove località che egli ha scoperte in questi ultimi tempi. Il Prof. Sacco è benemerito della Paleontologia estramarina del Piemonte e della Liguria; infatti i Molluschi terrestri, e d’acqua dolce o salmastra fossili di queste regioni prima delle sue ricerche non sommavano che a circa una ventina di specie sparse qua e là nelle opere di Paleontologia locale, mentre ora nel catalogo annesso alla presente Memoria, il quale è il riassunto delle sue ricerche, ascendono tra specie e varietà a circa trecento; inoltre i precedenti lavori paleontologici del Sacco sono una prova della sua competenza nella materia, epperciò la Commissione dopo alcune leggere modificazioni proposte nel titolo e nella esposizione dei caratteri delle forme descritte che l’autore ha accettate, pur lasciando allo stesso la responsabilità delle fatte denominazioni e delle sinonimie riferite, non esita a proporre lo scritto del signor Prof. Sacco per la lettura alla classe nella fiducia che l’Acca- demia voglia approvarne la stampa nei volumi delle Memorie. L'estensione del testo ed il numero delle tavole (2) sono nei limiti assegnati dai regolamenti accademici per l’inserzione nelle Memorie. Torino, 15 marzo. L. BELLARDI, Stelatore GIORGIO SPEZIA. La Classe accoglie la proposta dei Commissari, e, udita la lettura del lavoro del Dott. Sacco, ne approva la pubblicazione nei volumi delle Memorie dell’Accademia. Il Direttore della Classe ALronso Cossa. - riot leree_ restera lors Toti i iffgi ib olc19n98 pre 19î jo odtioi aio ME Jo atanutasi tti osa5ha ‘( duri apalatan als Bb, vicamatavp San ot otiociuia ogaga oflie srotita Sii; otooitmoinatin. 198 è nile MM eo pla osdar Marea t aly'So0-161 tft i ie: ni aprodobe aileido orta ffibvot qvogii lana ‘ Li portibin ent; 26 3 signtotroo! ei alfeb adorano 6 nIIs? E si ittercioi. infoenffo 16: i idtatat «gtupil Af{sb o iudioliob. pmiag itoigoi 9tenup it oso? artenortaa 071 ani gigoga ibranijasy ov n019) a ufo snavamiozi retiotit élasoî sigolognosfst sh umoqo farti «sto gironsali \atitgega; ‘alloro depuaia she di, è colanp HT Meno agio sg Ataticr n nice re) Ofobiadet ito pos opari ggoni ‘abinigoloteoc! spiga! nf ETTI sh anvizziondializa tdi meo ntrstà ci pilauressoi ET TETRICGA Na allag aguofoti) ian stai ta e, uc ojattonoa pil'eion i dò tto nariot PR s Luojranimonoh, atte! i{nfy &iilidaanogr9t kl casate | ila connialoh oliima of artegotg e agian i oiti i indie è AT do gioghi sito ostelo alla atttàl est) sicontalii ‘Gllob Hyulo iomitgtanta vali ade ing ocog,£),alovat alato vaitian lisfio Adestelab allor astoiminani L.go. into: bada inocislonnio sad Avene nen aqotplafiu 10014 tania] © o AL gori) i lt ” 044 424 1038 é nfeatilie gii iol etvoxporng af nifnosma: Ra magna br avete MRO ad 'IRACIOLO MELIA ite lia Soi imma, dif 121 E : î doni. LLeorite . °C Li fa L Ha co_M È: avesti nia insito Va: ra doro Ma Rpg agiliamizo = 10° dini Agi à Loro Mad, rILOTI Classe di Scienzo Fisiche, FERRARIS _ ‘Rotazioni elettrodinamiche prodot CORR mezzo renti alternate | x ola. pone ALI R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XXIII, Disp. 10°, 1887-88 «Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. TORINO ERMANNO LOESOHER Libraio della R. Accademia delle Scienze 241 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza dell’ 8 Aprile 1888. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ARIODANTE FABRETTI VICEPRESIDENTE Sono presenti i Soci: Cossa, LESSONA, SALVADORI, BRUNO, Basso, D’Ovipio, FERRARIS, Mosso, SPEZIA, GIBELLI, GIACOMINI. Si legge l'atto verbale dell'adunanza precedente che è ap- provato. Viene comunicata una lettera del Presidente della Società delle Scienze di Finlandia che annunzia la festa che colà avrà luogo il 29 del mese corrente in commemorazione del cinquan- tesimo anniversario della fondazione di quella Società. Il Direttore della Classe dà lettura di una lettera esponente il progetto del Padre ToxpIinIi dei QUARENGHI, che si propone l'esame e la preparazione dei mezzi per raggiungere l’adozione generale del Calendario Gregoriano. Dopo alcune osservazioni del Presidente e del Socio Mosso, la Classe delibera di nominare ana Commissione perchè studi la questione e ne riferisca il risultato. Le letture e le comunicazioni si succedono nell’ordine se- guente: 1° « Sul calcolo delle deformazioni dei sistemi articolati » ; lavoro dell’Ingegnere Elia Ovazza, presentato dal Socio Cossa ; 2° « Sul problema della corda vibrante »; Memoria del Dott. Giacinto MoRERA, Prof. nella R. Università di Genova, presentata ‘dal Socio D'OvipIo. Tra i libri presentati sono segnalati i seguenti: 1° « Sopra il sistema linfatico dei rettili; Ricerche zootomiche di Bartolomeo PANIZZA il quale fu insigne Professore di Anatomia umana nell’ Università di Pavia; opera offerta in dono all'Accademia dal Socio Alfonso Cossa ; Atti R. Accod. - Parte Fisica — Vol. XXIII 20 g\A DELLE dd pat CA TL ST n 242 ELIA OVAZZA 2° « Il termometro registratore Richard ; Considerazioni & sulle proprietà delle temperature massime e minime, del Prof. Domenico RagoNA, Direttore del R. Osservatorio di Modena, presentate dal Socio Basso. LETTURE Sul calcolo delle deformazioni dei sistemi articolati, Nota dell’ Ingegnere ELIA Ovazza. 1. Il Professore MoHnR di Dresda trattando recentemente del moto d’una figura piana sul suo piano con legge qualunque (*), accennò all’opportunità di studiare l’argomento della deformazione dei sistemi elastici partendo dalle teorie cinematiche del moto composto. Nello stato attuale della scienza delle costruzioni il bi- sogno di semplificarne le teorie e di trovare metodi semplici di calcolo: per la pratica è così sentito, che non si deve lasciare intentata alcuna via che miri a soddisfarlo. Questo scritto si occupa appunto di un tale studio, limitato al caso dei sistemi articolati caricati ai nodi. 2. Si consideri (fig. 1°) un sistema piano qualunque di punti V.,, V., V;3... mobili nel piano del sistema con legge qualunque, e per un punto p scelto ad arbitrio si conducano dei segmenti pv, , Pv, , Pv... equipollenti alle velocità dei punti V,, V,, V;... in un dato istante alla fine del tempo # contato a partire da un’o- rigine arbitraria dei tempi. La figura pv, v, v;... si dirà il dia- gramma delle velocità dei punti del sistema per la fine del tempo #. Il segmento , v, collegante due punti qualunque di questo dia- gramma è la velocità relativa del punto V, rispetto al punto V. nell'istante considerato, e le proiezioni v,v, e v, v, di 7, v; sulla di- rezione della retta V, V, nella sua posizione alla fine del tempo # (*) Monr, Ueber Geschwindigheitpline und Beschleunigungpline-Civilin- genieur. Jahrgang, 1887, seite 631. CALCOLO DELLE DEFORMAZIONI DEI SISTEMI ARTICOLATI 243 e sopra la direzione perpendicolare a questa sono le velocità del punto V, alla fine del tempo # nei due moti elementari in cui può .scomporsi il moto di V, relativo a V,: uno di traslazione nella direzione V,.V, e l’altro rotatorio attorno a Y,. Per brevità la ve- locità v,v', diremo la velocità di dilatazione della retta V,YV,; il puri la velocità di dilatazione unitaria della retta Lis s V.V,, supposto che questa sia una retta materiale che si dilati uniformemente per tutta la sua lunghezza. ll rapporto Vv UA AR nente rotatorio attorno a V, . rapporto è la velocità angolare della retta V, V, nel moto compo- 3. Se V, VW, V.... è un sistema rigido, è nulla la velocità di dilatazione per ogni retta congiungente due punti del sistema, e quindi la velocità «,v, d'un punto qualunque Y, rispetto ad un altro punto Y, riducesi alla velocità di rotazione v', v,. Il sistema V,V.,V,;... nella sua posizione alla fine del tempo t ed il dia- gramma delle velocità v, ©, v;... per lo stesso istante costituiscono adunque due figure simili aventi le rette omologhe rispettiva- mente perpendicolari. Il punto P della prima figura omologo al polo p della seconda è il centro d’istantanea rotazione per l'istante DI considerato. Il rapporto di similitudine delle due figure —— pes È la velocità angolare della rotazione elementare. Se, come caso speciale, due punti v.v, del diagramma delle velocità coincidono in un punto , coincidono con v tutti i punti del diagramma, ridotto così al polo p ed al punto v, e quindi il VU rapporto di similitudine è nullo. Deve perciò essere P al- LI 2 l’infinito sulla direzione normale a pv, e quindi il moto elementare del sistema è progressivo con velocità pv. 4. Se il sistema VW, V, V,... nel muoversi si deforma conser- vandosi simile ad una data figura, sono eguali le velocità di dilatazione per tutte le rette del sistema. Peraltro siccome per due posizioni qualunque del sistema sono egaali gli angoli fatti da tutte le coppie di rette omologhe, sono pure uguali in un dato istante le velocità angolari per tutte le rette del sistema. 244 ELIA OVAZZA Segue che le figure V, V, V;... e ©, ©, v3... corrispondenti ad uno stesso istante sono ancora simili, e le rette omologhe fanno fra loro un angolo 0 la cui tangente è uguale al rapporto fra la velocità angolare (costante per tutte le rette del sistema) e /a velocità di dilatazione unitaria comune a tutte le rette del sistema (*). 5. Il sistema VV, V;... sia tale che la posizione d'ogni suo punto dipenda direttamente da quella di almeno due altri punti. Se per un dato istante sé conoscono le velocità di dilatazione per tutte le rette congiungenti due a due i punti direttamente dipendenti fra loro, il diagramma delle velocità per quell’istante è determinato quando sieno ancora note la velocità assoluta di un punto V, e la direzione della velocità d'un altro punto V, relativa al punto V,. Invero (fig. 2°) condotto pel polo pil seg- mento pv, rappresentante la velocità assoluta di V,, conducasi per v, una retta indefinita V,p nella direzione data della velocità di V,, si tiri v, 0, parallela a V, V, ed eguale alla nota velocità di di- latazione della retta V, V,: la perpendicolare per v', a ®, ©‘, in- contra la V,p. nel punto 2,, ed è , v, la velocità di V, relativa a V,. 11 punto v; corrispondente ad un punto V; vincolato di- rettamente coi punti V, e V, è determinato da ciò che %, 03 e v, %; devono proiettarsi rispettivamente sulle direzioni di V, V3 e V, W3 secondo le note velocità di dilatazione v,v, e v,v'3 delle rette V,V, e V., V;. In generale ogni nuovo punto ®, del diagramma delle velocità corrispondente ad un punto V, direttamente vinco- lato a 2 punti V,_,e V,_, è determinato da ciò che le pro- iezioni 0,_, 0, @ v._,', dei segmenti v,_, ©, € v,_, v, sopra le direzioni V._,YV, e Y._,YV, devono essere le note velocità di dilatazione per le rette V,_,V.,e V._.,V.. Se il punto V, è fisso ed è invariabile la direzione Vi V,, ì punti v, e p coincidono, come pure le rette v, v, e 0, 0. 6. Considerisi ora un sistema piano comunque variabile V,V,V;... e si immagini una coppia invariabile di assi carte- siani z ed y avente l’origine in un punto qualunque V, e l’asse x passante costantemente per un altro punto Y, del sistema. Qua- LS (*) Come caso speciale, se è nulla la velocità di dilatazione unitaria, cioè il sistema è rigido, è = 90°, secondo che fu detto al numero 3. CALCOLO DELLE DEFORMAZIONI DEI SISTEMI ARTICOLATI 245 lunque sia il movimento del sistema, esso può sempre conside- rarsi composto del moto della coppia invariabile di assi x ed y e del moto del sistema V, V, V;... relativo a questi assi. Pel primo movimento — moto d'insieme — le velocità dei singoli punti com- portansi come se il sistema fosse rigido, quindi il corrispondente diagramma pz,7,%;... delle velocità per un dato istante è simile alla figura Y, V, V; nella posizione che ha in quell’istante, ed anzi gli elementi omologhi delle due figure sono fra loro ad an- golo retto. Pel moto relativo 0 di deformazione, il diagramma delle velocità pf}, {2,;... per un dato istante, dietro quanto si disse al numero 3, è determinato quando sieno note le velocità di dilatazione delle rette unenti i punti direttamente fra di loro vincolati. Descritti i due diagrammi per uno stesso istante (fig. 3), con lo stesso polo p, i segmenti di retta %,},, 2, {?,, 4323; ... sono le velocità effettive dei corrispondenti punti V,, V., V}, ... del sistema per quell’istante. Nel moto di deformazione considerandosi V, fisso ed invaria- bile la direzione V, V,, i punti p e {}, coincidono e così pure le rette 6," e f,p.. Se il moto degli assi x ed Yy è progressivo con velocità p 2,, il diagramma 2, %,%3... riducesi al punto z, e quindi 7 d;agramma delle velocità effettive del sistema è la figura f},(3,(?3... quando scelgasi per polo «, . “. Prendiamo ora a considerare un sistema articolato piano formato con aste prismatiche unite a cerniera e non deformabi!e che in seguito a deformazioni delle aste. Sotto l’azione di forze applicate ai punti di concorso di più aste — mod: del sistema —, se si trascurano le resistenze d’attrito nelle cerniere, le varie aste sono sollecitate da sforzi diretti secondo i proprii assi e quindi se le sezioni delle aste che risultano compresse sono capaci d’im- pedire in queste il fenomeno della flessione laterale, le aste si allungano od accorciano senza inflettersi. Supposto che le dila- tazioni positive o negative, As, sofferte dalle lunghezze s delle aste siano sì piccole da potersi ritenere con sufficiente approssi- mazione invariate le direzioni delle aste in seguito alla deforma- zione, le dilatazioni As si possono ritenere proporzionali alle ve- locità di dilatazione per le singole aste ed il diagramma delle velocità pel sistema formato dai punti di concorso degli assi delle aste, costrutto servendosi di quelle dilatazioni come se fossero 246 ELIA OVAZZA velocità di dilatazione, dà nelle velocità dei singoli punti del si- stema in grandezza, direzione e verso gli spostamenti subìti dai nodi corrispondenti in seguito alla deformazione, e può quindi chiamarsi il diagramma degli spostamenti dei nodi del sistema. 8. Volendosi adunque determinare gli spostamenti dei singoli nodi V,, V,, V;,... d’un sistema articolato piano caricato ai nodi Sil delle cunicidunadioni precedenti, si calcolino mediante un diagramma reciproco od altrimenti gli sforzi agenti secondo gli assi delle singole aste, e se ne deducano le dilatazioni As me- diante la formola ST AST.TP ;(d- tuta ove s ed F indicano la lunghezza e l’area della sezione trasver- sale d'un’ asta qualunque, £ il modulo d’elasticità del materiale ond’è fatta l’asta e 7 lo sforzo totale agente secondo l’asse, da considerarsi positivo o negativo secondochè è una tensione od una compressione. Considerato un nodo V, come fisso e fissa la dire- zione d'un’ asta V, V, uscente da V,, si disegni il diagramma PE.f.:... delle velocità pel moto di deformazione pel sistema di punti formato dai nodi V,, V,, V;,... considerando le dila- tazioni As delle aste come velocità di dilatazione dei loro assi. Queste velocità si considereranno come positive o negative, cioè come velocità di dilatazione nel senso proprio della parola o come velocità di compressione, secondochè As risulta positivo o negativo, cioè un allungamento od un accorciamento. Considerando poscia il sistema come rigido, si costruisca il diagramma pa, %, &; ... delle velocità corrispondenti ad un moto capace di portare l’asta V, 7, nella posizione voluta dalla natura dei vincoli della travatura con gli appoggi. I segmenti «, f,, 4... 83. -.. misurano gli sposta- menti effettivi dei singoli nodi V, V, V;... prodotti dal supposto sistema di carichi applicati ài nodi (*). Se dalle condizioni di appoggio e di carico si può a priori (*) Cfr. WiLLior, Notions pratiques sur la statique graphique. Génie civil. Octobre et Décembre 1877, KRo8N, Der Satz von der Gegenseitigheit der Verschiebungen, und An- vendung desselben zur Berechnung statischunbestimmter Fachwerktriger. Zeit- schrift des Architekten-und-Ingenieur Vereins zu Hannover, 1884. CALCOLO DELLE DEFORMAZIONI DEI SISTEMI ARTICOLATI 247 riconoscere che la direzione di un’ asta non varia durante la de- formazione, converrà scegliere quest’asta come fissa per la costru- zione del diagramma pel moto di deformazione, chè per tale scelta il moto d’insieme del sistema considerato come rigido, ri- ducesi ad un moto progressivo, e quindi il diagramma f, ?, f;..., per quanto fu detto in fine del numero 6, dà immediatamente gli spostamenti effettivi dei nodi. Se le condizioni d’appoggio e di carico non permettono tale semplificazione, vanno effettivamente disegnati i due diagrammi @, 4,3... € {}, (8. {3... Così nel caso di un sistema avente un nodo Bio Y; ed un altro V, scorrevole in direzione determinata V,s, si incominci a supporre fisso oltrechè il punto V, anche la dire- zione d’un’asta VV, passante per V, e si idastroféea il dna PB. pz... pel it di deformazione (6, coincide con p e {};{}, con B,6,). Il moto d'insieme si riduce ad un moto rotatorio attorno a V,e quindi il diagramma corrispondente delle velocità ha il punto <, coincidente con {, (fig. 4). Per altro siccome il punto La non può muoversi che nella direzione V,s, la velocità effettiva Ù, (33 del punto V, deve essere parallela a 04 s. Tirisi adunque per ti la parallela V, FP a V,s e costruiscasi il diagramma &, 2,43... simile alla figura V, V, V,..., avente i lati rispettivamente nor- mali agli omologhi ed il punto 2, sulla V,U. Restano in tal modo determinati gli spostamenti 2, {f., «,?,, <{}3,... dei singoli nodi del sistema. Se invece il sistema ha due nodi fissi V, e V,, la retta V, Vg considerata appartenente al sistema va ritenuta rigida. Allora supposta fissa un’ asta V,V, passante per V,, e costrutto il diagramma (?,{},8;... pel moto di deformazione (8, coincide col polo), deve riuscire f,, normale a V, Vz. Costruiscasi (fig. 5) il diagramma <, 2, 4; ... pel moto d’insieme (rotatorio attorno ad A) per modo che il segmento %,%z corrispondente a V,W% riesca coincidente con (3,(3z. I segmenti «, fi. @,(8,, 43{;,... misurano gli spostamenti dei singoli nodi V,, V,, V;,... del sistema. 9. Volendo tener conto delle deformazioni prodotte da va- riazioni di temperatura nei sistemi articolati, conviene distin- guere questi sistemi secondochè in essi le dilatazioni termiche possono avere o non avere luogo senza che perciò sieno provo- cate delle tensioni nelle aste. Nei sistemi della prima specie le varie aste soffrono in seguito alle variazioni di temperatura delle 248 ELIA OVAZZA dilatazioni proporzionali alle loro lunghezze s, e queste dilatazioni sono determinate quando conoscasi la variazione di temperatura per ogni asta ed il coefficiente di dilatazione termica. Anzi. nell’ipotesi che la temperatura varii uniformemente per tutto il sistema e che il coefficiente di dilatazione termica sia lo stesso per tutte le aste, il sistema varia conservandosi simile a se stesso e quindi gli spostamenti dei nodi per la sola variazione di tem- peratura si trovano mediante le considerazioni fatte al numero 4. Pei sistemi della 2° specie devonsi dapprima determinare gli sforzi _ prodotti dalle variazioni di temperatura nelle singole aste per aggiungerli a quelli provocati dai carichi applicati ai nodi. La ricerca degli sforzi provocati da cambiamenti di tempe- ratura può essere facilitata applicando le considerazioni prece- denti. Trattisi per esempio di una travatura reticolare caricata di pesi e fissa in due punti situati di livello, la cui temperatura varii in modo uniforme per tutto il sistema. Per effetto del cam- biamento di temperatura si provocano sugli appoggi delle reazioni o spinte orizzontali non staticamente determinabili. Suppongasi per un momento (fig. 6) fisso un appoggio A e l’altro appoggio B scorrevole orizzontalmente e si determini lo spostamento che in tali condizioni subirebbe l'appoggio B: si calcoli il valore della forza capace d’impedire tale spostamento; se ne potranno in se- guito dedurre gli sforzi prodotti da essa, e quindi dal supposto cambiamento di temperatura, in tutte le aste (*). Gli spostamenti prodotti dalle variazioni di temperatura vanno composti come velocità cogli spostamenti prodotti dalle forze ap- plicate ai nodi per dedurne gli spostamenti totali effettivi. 10. La costruzione grafica che risulta dalle considerazioni pre- — cedenti e che fu prima esposta dal WiLLIoT nell’anno 1877 (**), dà modo di determinare gli spostamenti effettivi di tutti i nodi del sistema; essa però, meno in casi specialissimi, obbliga alla ricerca simultanea di tutti quanti questi spostamenti. Nelle ap- plicazioni pratiche importano in generale soltanto le proiezioni in direzione determinata degli spostamenti di certi nodi: riesce quindi opportuno di saper calcolare tali proiezioni in modo diretto. In un sistema elastico articolato consideriamo due aste (*) KRroHn, l. c. (**) WitLtor, l. c. CALCOLO DELLE DEFORMAZIONI DEI SISTEMI ARTICOLATI 249 Va-1Vn € Va Vn+i Concorrenti in uno stesso nodo V,,. Po- m Nur Eito (fig. 7): B=V..Vn E) Sn = Va Va be è, b) Cm ® Cm4+1 = proiezioni verticali di s,, ed 8, Im ® dm = proiezioni orizzontali di s,, ed $,,,: ed s m e V moi uni angolidi s Sn4+ Colle orizzontali per Et. contati positivamente a par- tire dalle aste girando nel senso opposto a quello delle lancette dell’orologio, geransolo sperare m— I m miti d m— 1) O, Om4i = proiezioni verticali degli spostamenti dei nodi V, Vi Vus considerati positivi se m—_—i1)? moi rappresentano abbassamenti. Sieno inoltre As, Ae, 47, Ay, 47 le variazioni delle quantità s, €, ), y, 9. Se per un istante qualunque della durata del moto del sistema indichiamo con 7,, ed @,, le componenti della velocità relativa di V,, rispetto a V,,_, nella direzione V,,_, V» e nella direzione normale a V,,_,V,,, e con «, la proiezione di tale ve- locità sulla verticale, si ha U rm — Tm SED Ym -£ Gn, COS Ym Onde sostituendo alle velocità %,,, t1; @m gli spazi piccolis- Simi A€m, ASm, Sn Am, Cui possono considerarsi proporzionali per le considerazioni fatte al numero 7, risulta: A Cm Cai A Sm SEN Im dk Sn Ym COS Ym È) od anche, poichè 5,,C057m=m A Cm As JROÌ == 157 + 47Ym rese. * (2) ’ Ed analogamente i fa) Cm I AS m I Po ne RELA da mt+i Sm+ti Da queste due ultime eguaglianze, poichè si ha: N % n LIZA .. Ora Om 1 Alm 9 AV SJm = Ad DO UT 2° ELIA OVAZZA % N N n . . On dn_1i i 7" n ricavasi : —-— TT =u%,y corpo RE Aa As 4 m mt I se sì pone w%,,= tI Im 49Ymp Dm ti m miti Questo risultato ha un significato notevole (*). Considerisi in un sistema articolato una successione di aste formanti una linea spez- x È Nt zatàa VV. Vi...Vn_ Via mac no°0 86, DÒ prOsCiat NI m tici su di nn orizzontale in.C., Milos Ca iriOar CE Sieno (fig. 8) ),,4,,,,... le lunghezze C, C,, C, C,, C, C;,... Calco - lati i numeri %,, %0,, w3..., W,_, Che si hanno dall’espressione di W,m ponendovi successivamente m = 1, 2, 3..., si applichino in C,, C,, C;..., dei pesi misurati da %w,,w%,,%, ..., rispettivamente, e si colleghino questi pesi mediante un poligono funicolare D, D, D,...D, con una distanza polare qualunque H. Sieno %,,%3:%iz;--. Mn_ le ordinate di tale poligono in corrispondenza delle verticali per C,, C,, C3,... Cn, contate da un’orizzontale qualunque 00. Dalle due coppie di triangoli simili D,,_,X,D, ed m_—1qP, Pit Day dg P ssi. ha Imi Im __ mq Ma Mat 0 7 Fa < == , A” "ee. de del HH i H H (tn -% H(n n Onde ( m sta DR ( mt 1 ui, “a , (5) in LIMA: - Paragonando le relazioni (3) e (5) deducesi che le ordinate del poligono funicolare collegante le forze w, nella scala di 1 ad H, misurano a meno di una costante arbitraria gli abbassamenti è dei vertici della spezzata considerata. Se uno dei vertici V, è fisso, quelle ordinate lette a partire dall’orizzontale per D, misurano nella scala di 1 ad 7 gli effettivi abbassamenti dei nodi. Se sono fissi i vertici estremi V,, V,, e questi sono di livello, il diagramma degli abbassamenti dei vertici V,, V,... V,_, coincide col dia- gramma dei momenti flettenti per una trave C, C, appoggiata sem- plicemente agli estremi e sollecitata da pesi proporzionali ai nu- meri 4W,, W,,...U ;) n_ 1° (*) Cfr. MiLLerR-BresLau, Die neueren Methoden der Festigheitlehre. Leipzig, 1886, PA # CALCOLO DELLE DEFORMAZIONI DEI SISTEMI ARTICOLATI 251 11. — I numeri w,, sono determinati se oltre alle dilata- ST zioni unitarie (che si determinano partendo dagli sforzi sol- m lecitanti le aste, come si è ricordato al numero 8) ed oltre alle inclinazioni #9 Y,, (che in ogni caso sono date), si conoscono le ‘variazioni angolari A9,,. Pel calcolo di queste variazioni angolari supponiamo che la spezzata V, V, V,... V, considerata sia tale che ogni suo angolo possa considerarsi come somma di angoli & di triangoli aventi nodi ai vertici e non lungo i lati (*). In tale ipotesi la variazione cercata A %,, sarà quindi la somma delle va- riazioni Ae degli angoli : che hanno vertice in V,, e sarà nota quando sieno note queste variazioni As. Per calcolare tali variazioni consideriamo (Fig. 9) un trian- golo qualunque YV,, V, V, formato da 3 aste s,=V,V,, Si VoVn » = Va, Sieno e; €: €, gli angoli di questo triangolo , è calcoliamo A e,, nell'ipotesi s,,, s,, s, si dilatino rispettivamente di 4s,,, 4s,, As,. Senza nuocere alla generalità del problema potremo supporre fisso il vertice V,, ed invariabile la direzione di V,,V,,; sarà Ae,, l'angolo di cui rota s, attorno BV. Diciamo tm, 7, 7, le velocità di dilatazione pei singoli lati del triangolo e costruiamo il diagramma della velocità pel sistema dei 3 punti V,, V, V, nelle condizioni esposte. Preso perciò un punto ad arbitrio come polo, in esso coincide il punto f?,, del diagramma delle velocità che corrisponde al punto fisso V,,. Tirisi Pm è. equipollente a 7, , cioè parallelo a Y,, V,, ed eguale a 7,; {£, è il punto del diagramma delle velocità corrispondente a V,. Si tiri ora £,,(?, parallelo ad s, edeguale a 7, e fnfp parallelo ad s,, ed eguale a 7,,: le perpendicolari nei punti 8, fp ® tm @ © si incontrano nel punto {,, che è il punto del diagramma della velocità corrispondente al vertice V,. Il segmento {?, {, misura la velocità @ del punto V, nel suo moto rotatorio attorno a YV,,. Ciò posto dalla figura, se {, è è per- a bi n endicolare a £,,° si ha: pp — cpr "0 ; la ra 5 : PB; B,=tp500E,n— Tm SONE; m+ Ppid .C0tg im ---(6), Ta PCOS.E34 + Ta 60987 1 + [9 d Mr" 4) (‘) Non sarà difficile in seguito estendere le considerazioni presenti ai casi che nòn rispondono a tale ipotesi. 252 ELIA OVAZZA Eliminando {8, 6 fra le (6) e (7) e posto fi, P,=%, risulta m Gt SR, — Tn SEL pi die (pCOSpr to OS ca )COtg 8,m- Detta Q la velocità angolare di V, nel moto rotatorio at- torno a V,,, ossia della retta V,, Y,, essendo 1) 4 Liga: QO=—-, dalla precedente relazione si ricava: (*) m 7 E sen € O=Lcotg5,m + mi ht 0 La Sp ri SED &, miSCM rm Se /,, è l'altezza del triangolo abbassata da V,, SU Sm, è s sen £ dute — — eZ, e quindi hi SEN Ep SD Enm T ‘4 6 Subs) 2 n È mm O=teotg i dg Denen of a Sn Sm (e) % Se ora, come al numero 7, supponiamo gli spostamenti sì piccoli da potersi considerare proporzionali alle a , possiamo in questa formola alle velocità 7,,, t,, 7, £ sostituire le varia- zioni Asm, As,, As,, Aen delle quantità s,, Sn) Sp 1 €m* Onde mi As, As, A Em" e 2 cotg sil: isa cotg Ca — — n #P n m * n : . peo È Pi s fì (*) Invero, essendo s,,, :5,:5, == S@N?,,:S@Ns,m:SeNemp, Si ha: (0) 2, Sen =, sen e T_, Sen € sen e % DE LU ew pu nm __m nm pr mi -" cotg È _ _—__—_—_ (Sen €, Enm + 08 Enm COtg Em) ;, ed 1 send, €pn) ='— (088, > SON ing + COSE COTB inn = CALCOLO DELLE DEFORMAZIONI DEI SISTEMI ARTICOLATI 259 $s E poichè ra) = COLE En) 1: COLE Soon a m A As A As A Em — (2 ud e) cotg (5 AI Li (= = =) cotg En ..-(8). Sp Um n m Questa formola determina Ae,,, note, come. sempre si è supposto, le dilatazioni As,, 4s,, As, dei lati del triangolo VV, V,(*). 12. — I risultati ottenuti ai numeri 10 ed 11 concordano perfettamente con quelli trovati per altre vie dal MiLLER-BRESLAU e dal WINKLER nelle opere citate a piè di pagina Intorno ad essi dobbiamo però fare un’ osservazione importante. I ragionamenti esposti ai numeri 10 ed 11 sono indipendenti assolutamente dal- l'orizzonte fisico, ond’essi stanno ancora quando all’ orizzontale C,C, sì sostituisca una retta qualunque F,F,, con 0 si indi- chino le proiezioni degli spostamenti dei nodi sulla normale ad F,Fn, gli angoli y si misurino colla retta XF, invece che con l'orizzonte, e le forze w,, si applichino normalmente ad 7,7, . Segue che gli spostamenti effettivi dei nodi oltrechè diret- tamente mediante le considerazioni di cui ai numeri 8 e 9 si potrebbero ottenere mediante le considerazioni ai numeri 10 ed 11, determinandone le proiezioni sopra due direzioni qualunque. È d’uopo però di non dimenticare che fin qui abbiamo supposto le velocità dei nodi proporzionali agli spostamenti : ora se questa ipotesi in generale equivale a trascurare quantità piccolissime di 2° ordine, essa può in casì speciali essere causa di errori di grandezza piccolissima di 1° ordine e quindi paragonabili ai va- lori degli spostamenti. Per rendere evidente la cosa consideriamo il caso (Fig. 10°) in cui la spezzata si riduca ad una successione di aste in linea retta e per tutte queste aste sia costante la dilatazione unitaria s È ] —" , e supposto fisso il punto Y, cerchiamo lo spostamento di s m (*) Cfr. MòLLER-BBESsLAU, Die neueren Methoden etc., l..c. WinkcLER, Vortrage ùber Briickenbau - Theorie der Briicken. Wien, 1881. W. RITTER, Die secunddaren Spannungen in Fachwerken. Schweizerische Bauzeitung, Marz, 1885. un'altra v facente con la normale a VV, l'angolo vw. Le forze W,, da applicarsi ai nodi nelle due direzioni v e « sono in tal caso eguali, e riduconsi alle variazioni — 40,,. Quindi i due po- ligoni funicolari che dànno gli spostamenti nelle direzioni « e ®, 204 ELIA OVAZZA un nodo qualunque V,, nella direzione © normale a_V, VW, ed in costruiti con la stessa distanza polare H, risultano simili nel rapporto di cos g, sicchè detti f ed f,, gli spostamenti di uno qualunque dei nodi V, V,... YV, nella direzione v e nella « sarebbe fi=fcos 9 ; dalla quale si deduce che lo spostamento effettivo di ogni singolo nodo sarebbe normale alla retta V, V,, ciò che è impossibile. Basta infatti supporre che V, V, . . . V,, sia il contorno inferiore di una trave reticolare fissa in V, e scorrevole in V, nella di- rezione V, V, e sia costituito da un numero dispari di aste di lunghezza eguale. Pel punto V, essendo nullo lo spostamento ver- ticale dovrebbe essere nullo lo spostamento effettivo; ciò che non può essere, perchè in tale caso almeno una delle aste deve riu- scire dopo la deformazione inclinata all’orizzonte diversamente . dalle altre. 135. — Per trovare in quali condizioni l’errore è d’ impor- tanza notevole ritorniamo sull'argomento del numero 110 e spin- giamoci nella ricerca fino alle quantità piccolissime di 2° ordine. Consideriamo l’asta s,, fra i nodi V V.:3 e conserviamo le Mt 9 mo denominazioni di cui al numero 10. Sia V,,., V,, la posizione dell'asta s,, dopo la deformazione, ed f lo spostamento effettivo di V,, (Fig. 11°). Si ha evidentemente A Cm = — SmSCDYm + (Sm + AS) SED (n +A7m) » {m 1 e sviluppando e ponendo sen Ayn= Am, 006 A47n=1—3(4%m": AdS, Ben Va dA. 009 Ya Am TT Rd MISA) de Sm . COS Im E; Ym se: Sm . sen Im a “eg 4 e poichè do = Sm COS Ym : Alm ASm AS m n) A” m (A- DE cn at "DE Segn tg va Sas tg Yin + Aypf m m “Um j | i CALCOLO DELLE DEFORMAZIONI DEI SISTEMI ARTICOLATI 255 Se ora vogliamo limitarci ai termini piccolissimi di 1° ordine , il 3° termine del 2° membro è trascurabile, e può porsi (A _ m ASm = VE 18m SE AYm si ‘mm m 18 Ym dat (1905 la quale equazione differisce dalla (2) per l’ultimo termine ala 3 tg Im Li Se facciamo crescere 7, da 0° a 90°, questo termine, nullo per Ym=0, è quantità piccolissima di 2° ordine per Sn 45°, ma per valori prossimi a 90° diventa una quantità piccolissima di 1° ordine e quindi non trascurabile ri- A spetto alle quantità se tIYm € AYm- Segue che i risultati de- Sm dotti ai numeri 10 ed 11 stanno per una successione di aste in linea retta e per spostamenti dei nodi in direzione normale a questa retta, sono entro i limiti dell’approssimazione per valori di y minori di 45° o di poco maggiori, sono assurdi per va- lori di ‘) eguali o di poco minori di 90°. Possiamo quindi in generale applicare tali risultati al calcolo degli spostamenti ver- ticali dei nodi dei contorni delle travi reticolari da ponte, ove generalmente le aste sono inclinate all'orizzonte di meno che 45° nel caso però che qualche asta riuscisse inclinata all’orizzonte d’un angolo compreso fra 45° e 90°, converrà paragonare i va- (Am) 2 lori dei termini — tg). ai valori dei termini A7,, € As —* tg Ym Per riconoscere se quelli sieno trascurabili oppure non Sn rispetto a questi. 14. — Trattandosi di una spezzata ridotta ad una successione di aste in linea retta (Fig. 12°), gli spostamenti dei nodi in di- rezione normale a questa retta si determinano a meno di quantità piccolissime di 2° ordine applicando le considerazioni svolte ai numeri 10 ed 11; con la stessa approssimazione determinansi gli spostamenti dei nodi nella direzione della retta stessa come 256 ELIA OVAZZA segue. Sia V,..V, un'asta s,, che dopo la deformazione sia diventata magri i een; PEoS 148 Z Sm + ASm - Poniamo Nm St Vm Vu. Pm i È Sm ul ACm = (Sm + ASm) pit AYm É Ossia spingendo l’ approssimazione ai termini piccolissimi di 2° ordine Aces ni m Sm : 2 Ea (4%/m) Se quindi d,, e 0; sono gli spostamenti di due nodi qual V.. e V; della serie di aste considerata, m m 1 Ò,, = Ò; + »> ASm er - 9 Î8,n z (AYm)" E limitandoci ai termini piccolissimi di 1° ordine (*) m O = 0; Zip itnosn(10)i i 15. — Se indichiamo in generale con c,, la tensione unitaria che ha luogo in un'asta qualunque s,, e con E,, il modulo di elasticità del materiale ond’è costituita l’asta, si ha ASm ‘6 ‘m m m Onde le (4), (8) e (10) diventano: o, CARA Cm = tm 47m Am (1) T (0) o Ae == di Tel t =) LATINE ") INA «= (FE) cet + (E - £7) co 2NA On =d +25, sE Da queste eguaglianze deducesi che, se ci limitiamo ai ter- mini piccolissimi del 1° ordine, lo spostamento è,, di un nodo | (*) Cfr. WInKLER, 1. c., pag. 352. IT WVWr__————_—r—_———————_eo CALCOLO DELLE DEFORMAZIONI DEI SISTEMI ARTICOLATI 257 ualunque V,, in una direzione qualunque è funzione lineare delle q n tensioni unitarie 7 e quindi degli sforzi totali 7° agenti. secondo gli assi delle aste del sistema. Ma le tensioni 7" a meno di quan- tità piccolissime di 2° ordine sono funzioni lineari delle forze ap- plicate ai nodi del sistema (*); onde segue che indicando con P; una qualunque di tali forze applicata al nodo YV,, lo spo- stamento è, va riguardato come funzione lineare delle forze P,. Siccome per altro per valori nulli di tutte queste forze deve essere nullo d,,, potremo porre og =, Prep,P.4.. pi P, SAT): essendo f,, {2,:.. +, coefficienti indipendenti dalle forze P,. L'eguaglianza (14) esprime il principio della sovrapposizione degli effetti. ge E — | — po 0 prat po) ae Pd. si ha: Og . Onde uno qualunque dei coefficienti p, si può interpretare come lo spostamento del nodo V,, nella data direzione in seguito ad una forza 1 applicata al vertice. V, nella direzione di P,. 16. — Sovente in pratica piuttosto che la deformazione di tutta una catena di aste consecutive si considera uno o più punti speciali del sistema e se ne cercano gli spostamenti in una di- rezione determinata per diverse ipotesi di carico. Così p. es. se si tratta d'una trave reticolare da ponte appoggiata semplicemente alle estremità, suolsi considerare il punto intermedio d'uno dei correnti e se ne cercano gli spostamenti nel senso verticale — freccia d’incurvamento — per varie ipotesi di carico, ed anzi ha importanza la ricerca della posizione d’ un dato sistema di carichi che produce la massima freccia. È evidente che in tali termini il problema sarà risolto nel modo più comodo se si sa- pranno determinare i coefficienti 1, che compaiono nell’eguaglianza (14) e che possiamo chiamare i numeri d'influenza dei rispet- tivi carichi P, sullo spostamento 3, . (*) Cfr. CasrigLIaNo, Thevrie de l'équilibre des systèmes elastiques, Turin. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII DI 258 ELIA OVAZZA Una forza 1 sia applicata al nodo V, nella direzione V;P,: essa provoca nelle varie aste degli sforzi 7}; e quindi degli al- lungamenti As, Pier La produce uno spostamento 0,,; del i E Pi nodo Y,, in una data direzione V,,P,,. Suppongasi ora che sul sistema agisca una sola forza 1 direttamente applicata al nodo v,, nella direzione V,, P,,: essa provoca nelle varie aste delle diga Sk E, FK, e produce uno spostamento 0; ,, del nodo V; nella direzione V; P;. Supponiamo gli appoggi tali che le loro reazioni non possano fare alcun lavoro durante la deformazione del sistema e scriviamo la condizione d’equilibrio delle forze 7,; e della forza 1 applicata in V,, esprimendo che il loro layoro totale è nullo quando il si- stema di punti formato dai nodi si deforma per modo che le aste s, si allungano delle quantità piccolissime As,,, ed il nodo V, si sposta di è,,; poscia scriviamo la condizione di equilibrio delle forze 7,,, e della forza 1 applicata in V,, esprimendo che il loro lavoro totale è nullo quando lo stesso sistema di punti deformasi di guisa che le aste sx si allunghino delle quantità piccolissime As, ; ed il nodo V,, si sposti di d,. Abbiamo: tensioni totali 7,,, e quindi degli allungamenti As,,m = O;.m kr, idSkm E, F, | ge Sd dell'Asia pd pa pa E,F, Onde dra = 5 ao (15) Li Questa eguaglianza esprime la legge che va sotto il nome di Principio di Maxwell o di Legge della reciprocità degli spo- stamenti: Se un sistema articolato si appoggia su sistemi rigidi e su di un suo nodo qualunque Y, agisce in una data direzione V,P; una forza 1, un altro nodo V,, soffre in una data dire- zione V,, P,, uno spostamento che è eguale allo spostamento del nodo YV; nella direzione V, P; quando su V,, agisca una forza 1 nella direzione V; P, (*). (*) Cfr. KRouHN, l.c. CALCOLO DELLE DEFORMAZIONI del sistemi articolati Iugi &lia Ovarzza (23) Lit: FED ager torino CALCOLO DELLE DEFORMAZIONI DEI SISTEMI ARTICOLATI 259 Questo teorema, che è caso particolare di uno più generale valido per ogni corpo o sistema elastico (*), genera una grande semplificazione del problema proposto. Invero si applichi al nodo V,, una forza 1 in una direzione W,, P,, e si determinino con uno dei metodi esposti gli spostamenti che in tale condizione semplice di carico subiscono i nodi VW, V,, V;;...V, del sistema. Questi spostamenti sono misurati dai numeri d ‘influenza Losa Pz een: P_.P..P,,...P-'applicate ai nodi V,, V., Vi,..- VW. nella direzione degli spostamenti calcolati, sopra lo spostamento d,, del nodo V,,. L’autore riservasi in un prossimo suo scritto di indicare in qual modo si possa utilizzare il Principio di Maxwell per la de- terminazione delle freccie statiche e delle freccie dinamiche delle travi reticolari da ponte, e di dilucidare con esempi numerici le considerazioni teoriche esposte in questa nota. Torin>, 8 Aprile 1888. (*) Cfr. MiùLLerR-BrEsLau, Die neueren Methoden etc. , l.c. CastiGLIANo, Intorno ad una proprietà dei sistemi elastici. Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. XVII. 260 G. MORERA Sul problema della corda vibrante , Memoria di G. MORERA. La soluzione del problema della corda vibrante fu data come è noto sotto due forme. Nell’una, dovuta a D’ALEMBERT, figu- rano due funzioni che si determinano facilmente coi dati della questione , nell'altra invece, dovuta a DANIEL BERNOULLI, figura una serie trigonometrica. Per certe applicazioni la soluzione di Bernoulli è di particolare importanza. Tuttavia contro questa soluzione parecchi matematici sollevarono, e giustamente, delle ob- biezioni. Invero, la sua deduzione si basa sulla derivazione ter- mine a termine di una serie trigonometrica, operazione che ge- neralmente parlando conduce a serie non convergenti. Inoltre le formule trovate furono applicate a vibrazioni della corda, nelle quali durante il movimento le derivate prime della funzione incognita presentano delle discontinuità, mentre nella deduzione della ben nota equazione alle derivate parziali quelle derivate erano supposte essenzialmente continue (*). Il sig. CaRIstorFEL ha stabilito le condizioni a cui debbono soddisfare quelle discontinuità affinchè esse sieno compatibili colla validità in generale dell’equazione a derivate parziali. Mi piace di qui riferire testualmente le parole del sig. Christoffel. « Die Formeln, welche sich fiir die Transversalbewegung einer « Saite unter der Voraussetzung ergeben, dass die Saite allen- « thalben stetig gebogen ist, werden unbedenklich auf den Fall « angewandt, wo die Saite Ecken darbietet; wenn man sich <« iberhaupt auf Griinde hierfiir einlisst , werden dieselben in A (*) Vedi Poisson, Mécanique, seconde édition, t. II, pag.305. Non ostante l’avvertimento di Porsson le formolè furono applicate da Lame al problema della corda pizzicata nel suo punto di mezzo (ZAeorie math. de l’élasticité , pag. 105) e da HeLmHoLTZ in larga misura a problemi analoghi (Die Lehre von den Tonempfindungen. Beilage, IIl, V e VI, SUL PROBLEMA DELLA CORDA VIBRANTE 261 den Figenschaften der Fourier schen Reihen gefunden. Und doch hat diese Frage mit den Fourier’ schen Reihen gar nichts zu thun, indem sie vielmehr von zwei neuen Bedingungen ab- hingt, einer mechanischen fiir den Stoss, welchen ein von der Ecke iiberschrittenes Element der Saite erleidet, und einer phoronomischen, welche beim Stosse eintretenden Unstetigkeiten so beschrinkt dass sie den Zusammenbang der Saite nicht « aufheben. Mit Hiilfe dieser Bedingungen kann man wie ich es « seit einer Reihe von Jahren in meinen Vorlesungen zu thun pflege beweisen, dass allerdings das Vorhandensein von Ecken auf die « Schlussformeln fiir die Transversalbewegung keinen Einfluss hat, « aber dies beruht nicht auf den Eigenschaften der Fourier'schen « Reihen, sondern darauf, dass die erwihnten Unstetigkeiten solche ‘« sind, welche mit dem Fortbestehen der seit Euler so oft behan- « « RIRE RIO RI RESI delten linearen partiellen Differentialgleichung vertragen. » (Annali di matematica, Serie II, tomo VIII, 1877, pag. 82). Il sig. LINDEMANN nella memoria « Die Schwingungsformen gezupfter und gestrichener Saiten » (Berichte der naturfor. (Ge- sellschaft zu Freiburg i. B., B. VIII, 1879, pag. 500-532) dopo aver opportunamente posto in rilievo che nei casi da lui esaminati la soluzione di Bernoulli non era senz'altro applicabile, giacchè la doppia derivazione termine a termine della serie tri- gonometrica avrebbe condotto a serie non convergenti, ha discusso accuratamente il moto della corda in base alla soluzione di D’Alembert, facendo osservare che le condizioni per l’ammissibi- lità delle discontinuità secondo Christoffel erano verificate. In seguito ha trovato la rappresentazione della soluzione in serie trigonometrica (*). Ultimamente il sig. Axel Harnal: in un'elegante Memoria in- serita nel volume XXIX dei « Math. Annalen » (1887) a pa- gine 486-499 ha ripreso in esame la questione dal punto di vista generale ed ha concluso che le condizioni del sig. Christoffel essendo soddisfatte la soluzione del problema è rappresentabile colla serie trigonometrica di Bernoulli. Ora parmi che la questione puramente meccanica di ricercare quali equazioni nei vertici hanno luogo invece della solita equa- _ (*) Il bel lavoro del sig. LINDEMANN si trova tradotto in inglese nel Phi- losophical Magazine (fifth series, n. 55, 1880, pag. 197-221), sotto il titolo; On the forms of vibrations of twitched and stroked strings. I 262 G. MORERA zione alle derivate parziali, sia affatto indipendente da quella puramente analitica della rappresentabilità in serie trigonometrica del risultato e che perciò le due questioni sieno da trattarsi se- paratamente. Nel passo citato il sig. Christoffel ha esplicitamente dichiarato che, anche tenuto debitamente conto delle equazioni relative. ai punti di discontinuità le formule finali non restano modificate, asserzione che è assai facile di provare, come qui mi permetterò di fare brevemente. Quanto alla questione analitica mi sembra che la ricerca del sig. Harnack lasci qualche dubbio, per ciò mi propongo in questo scritto di esporre una mia dimostrazione che spero verrà trovata pienamente rigorosa. Infine, come applicazione della serie di Ber- noulli, dimostrerò un teorema sulla composizione delle forze vive dei singoli suoni semplici, che, per quanto è a mia cognizione, non è stato fin qui dimostrato in modo rigoroso. Consideriamo un filo elastico, fissato a due punti, e che ef- fettua delle vibrazioni trasversali, estremamente piccole, in un piano. + Diciamo: il tempo; x la distanza di un punto qualunque della corda equilibrata da un suo estremo ; L la lunghezza della corda equilibrata; p il suo peso; P. la sua tensione nella posizione di equilibrio ; f(x) la funzione che al tempo #=0 dà lo spostamento trasversale ; F(x)la funzione che al tempo #=0 dà la velocità dei singoli punti della corda ; m=(t,x) lo spostamento trasversale del punto di ascissa x al tempo #. Allora il problema analitico da risolversi è il seguente. Determinare una funzione finita e continua delle due varia- bili # e x (o =x=L) la quale soddisfi generalmente all’equa- zione alle derivate parziali : d*Y din J5iP Y 20%% (2-0 = dt? da° p CI N e e I lee "on SUL PROBLEMA DELLA CORDA VIBRANTE 263 ed alle condizioni : uv L)=0; v(0,%)=f(2) ;. —=F(2) peri=0, abbia le derivate prime generalmente continue (*) e nei punti di discontinuità di queste soddisfi all’una od all’altra delle con- dizioni : DET i dr, du a d% ae == dior. TE De dove colla applicazione degli indici +0 e — 0 si vogliono indicare i limiti dei valori a destra ed a sinistra del punto di disconti- nuità x della funzione scritta in parentesi. L'equazione alle derivate parziali è la traduzione analitica della proposizione fondamentale della dinamica: forza=massa x accelerazione , applicata ad un elemento di corda. La condizione relativa alle discontinuità invece trae origine dalla proposizione fondamentale della dinamica : acquisto di quantità di moto = impulsione della forza, relativa alle forze cosidette istantanee, applicata all’elemento di corda che oltrepassa un vertice. Quanto a quest’ultima equazione sarà bene aggiungere qualche breve considerazione. " Se il vertice avanza con velocità e stimata secondo l’asse delle x, il principio di meccanica or ora rammentato, applicato all’elemento cd di corda, che al tempo # è a destra (c>0) del vertice e al tempo #+d# viene a trovarsi alla sinistra del ver- : A L i dx” 10% tice, acquistando così la velocità finita : (S -(55) sa dà \ d t (e) O È t 0 ovviamente l’equazione : dn d% dn dr, 4 a = Lo FT [9] Dit %3 TJ+o0 (*) Colla dicitura generalmente continua intendiamo dire, che ad ogni istante il numero della discontinuità è limitato, e queste sono tutte quante di prima specie. i À 264 G. MORERA D'altra parte, dovendo il filo rimanere sempre connesso nel vertice, si ha : d% dn 0% 0% î: — +e — =|_-+ceT—- È SEI I De I 0) e moltiplicando questa equazione per c e sottraendola membro a membro dalla precedente, si conclude ovviamente: e° =? ossia : =. Portando questi valori di c nelle due equazioni scritte esse divengono fra loro coincidenti e dànno quell’equazione di con- dizione relativa alla discontinuità, che noi abbiamo scritta nel- l’enunciato del problema analitico. Orbene, in quell’enunciato noi dicevamo che la 4 dev'essere continua e però l’ultima delle equazioni dianzi scritte è implicita in tale condizione, sicchè la traduzione analitica della proposizione colla quale nella mecca- nica si valutano gli effetti delle forze istantanee è precisamente |. l’ultima condizione del nostro enunciato (**). Affinchè il nostro problema analitico ammetta la soluzione, oltre alla continuità di f(x) ed alle proprietà: f(0)=f(L)= = F(0)=F(L)=0, è necessario introdurre delle restrizioni sulle funzioni : F(x) e f (e) =G(2), cioè, ritenere come dato che esse siano generalmente continue ed ammettano le derivate prime pure generalmente continue. Allora la soluzione del problema è data sotto forma finita dalla formula di D'Alembert, la quale sbarazzata dalle funzioni ausiliarie assume la forma seguente: eden + Eta) 4 7, È COR A Vee 7A n (4,2) 2 LIZA , (*) Questa equazione e la precedente sono quelle di cui parla il sig. CHRI- sTOFFEL nel passo sopra riferito. Esse si trovano in una nota della ricor- data Memoria del sig. CaRrISTOFFEL. Cfr. anche HARNACK, l.c. (**) Allorquando due vertici si riuniscono, la condizione si deve intendere applicata separatamente all'uno ed all’altro; allora nel punto d'incontro com- paiono tre valori limiti dellè due derivate prime. Pe tei We zg — ug Ve SUL PROBLEMA DELLA CORDA VIBRANTE 265 dove la funzione £(x), data originariamente solo nell'intervallo (0,L), va intesa continuata fuori di questo în guisa che essa riesca periodica e dispari, con periodo 2L e la funzione g (x) è definita nell'intervallo (0,L) dalla formula g(2)=|F(7) da (e) e fuori di questo dalla condizione che essa riesca periodica e pari, con periodo 2 L. In simboli la legge con cui si debbono intendere continuate le funzioni f(x) e 9(x) è espressa dalle equazioni : f(a)=-—f(—2) : PE 2265).=7 (9 g(@)=9(-2) ; g(et2L)=g(z) . Le funzioni f(x) e 9 (x) troverebbero la loro naturale rap- presentazione analitica in due serie di Fourier, e cioè, la 1° in ; 1 È MRI i . 3 î una serie del tipo: SX A,sen — e l’altra in una serie del tipo : L 1 a ORE ra bian È : Pot Z B_ cos A cui coefficienti risulterebbero immedia- tamente espressi coi dati del problema per mezzo delle formule notissime : Me L 2 nTX 2 na — __ ta . — __ 1 A,=7 f (x) sen TW: B,=7 9 (x) cos x de Coll’espressione della funzione % si verifica con tutta facilità che se vi sono vertici questi avanzano o retrocedond con velocità % stimata secondo l’asse delle x; questo basta per assicurarci che l'equazione dinamica relativa ai vertici è soddisfatta, giac- chè la % essendo continua senza eccezioni la seconda condizione del sig. Christoffel è certamente soddisfatta. Adunque la presenza dei vertici non ha alcuna influenza suila formula di D’Alembert. Se F(x) o G(x) sono discontinue per 2 ==), da questa di- scontinuità iniziale nascono in generale due vertici. Infatti: le derivate prime della % sono discontinue per i valori di x e # determinate dalle equazioni : s—-at=À cq+at=i 266 G. MORERA e si hanno quindi nei primi istanti del movimento due vertici, che procedono per versi opposti con velocità x. Quando l’uno o. l’altro di essi raggiunge un estremo della corda ne subentra su- bito un .altro determinato rispettivamente dalle formule : ska, alal che si diparte dall’estremo stesso. I due vertici vengono per così dire riflessi dagli estremi. Essi si riuniscono di nuovo al tempo : I È $ minaai cioè, dopo un mezzo periodo nel punto di ascissa’ 7) x=L—), ossia nel punto simmetrico rapporto al centro della corda equilibrata di quello da cui inizialmente si sono di- partiti. L'ulteriore discussione è superflua, giacchè trovate le forme che la corda va assumendo nel 1° mezzo periodo, quelle del 2° mezzo periodo si deducono immediatamente dalle prime ricorrendo al teorema seguente. Dopo un mezzo periodo la forma di una corda che vibra trasversalmente è la simmetrica della primitiva per rapporto al centro della corda equilibrata, ossia ha luogo la relazione : v Questa relazione si deduce facilmente dalla soluzione di D’Alem- | bert, tenendo presenti le proprietà delle funzioni f(x) e 9(@), debitamente continuate (*). Per studiare comodamente la legge con cui muovono appa- rentemente i vertici che traggono origine da una discontinuità iniziale, giova figurare coi punti di un piano riferito a due assi ortogonali # ed % i valori simultanei, di queste due variabili. 2L | Allora segnato il rettangolo di lati T=-— ed L e sul lato #=0. x i il punto di discontinuità %, le linee di discontinuità si ottengono — {*) Ho stimato conveniente di fermare l’attenzione del lettore su questo teorema, giacchè mi consta non essere stato a cognizione di tutti gli Autori, che hanno scritto sull'argomento. Per esempio nelle Partielle Differential- gleichungen di RieMANN, pubblicate dal sig. HATTENDORF, a questo riguardo si trova enunciata una proposizione erronea (Cfr. pag. 201 della 3° ediz.). SUL PROBLEMA DELLA CORDA VIBRANTE 267 conducendo da ) le parallele alle congiungenti i vertici (0,0), sh 14 (0, L) rispettivamente con (F L) 2: 0), e completando la (0,0) LI (0, L) figura come se quelle due rette uscenti da % fossero raggi lu- minosi, che vengono riflessi dal contorno del nostro rettangolo. In particolare si vede subito che havvi un solo caso in cui da una discontinuità iniziale nasce un vertice solo, e cioè, il caso di \=0. Le traiettorie apparenti dei due vertici, che nascono dalla discontinuità di ascissa iniziale ), sono ovviamente composte ciascuna di due curve, le cui equazioni si ottengono eliminando dall’ espressione di 4 la # per mezzo delle equazioni delle linee di discontinuità nel piano #, x. Così operando, in corrispondenza dei numeri romani , che figurano sulle linee di discontinuità nel nostro diagramma, si trova facilmente : _f@r-2) 410), 9(22-2)--90) Metizpi #0pg sla Farren | n _f(224+))-f0)_9(22+2)-90) Yr= 5 - > \ us f(Bd Ag) g:0) Ja 9 DÒ I 20+))- f( DL Ng gi pit Gai Pirri Qi | ni 9()) | Le curve Je ZI hanno in comune il punto (e =), y=f()), ed i due punti fissi, le curve J' ed 7I' hanno in comune il punto 268 G. MORERA - | (=L-),x=— f()) ed i punti fissi. Inoltre si riconosce fa- cilmente che : yu(L_a=—yn(2) ; vi(L-2)=—Ym(2) , cioè, le curve I e II' sono rispettivamente le simmetriche di | e JI per rapporto al centro della corda equilibrata. ; Nel caso in cui inizialmente la corda abbandona la configu- | razione y=f(x) senza velocità preconcepita, si ha: g(x)=0, e. le traiettorie dei due vertici sono costituite dalle stesse due curve, delle quali l’una è la simmetrica dell’altra per rapporto al centro della corda equilibrata. Se invece la corda parte dalla posizione di equilibrio si ha: f(a)=0, e le 4 curve divengono due a due simmetriche per rap-. porto alla corda equilibrata ed alla perpendicolare nel suo centro. Nel caso di ) = o si presenta un sol vertice, che percorre apparentemente la traiettoria costituita dalle due curve: i fa) 9024) fd 99) | FE | cr Te. 2 LO 2 ZO poste simmetricamente per rapporto al centro della corda equi- librata. | Se inoltre f (x) = 0, la traiettoria è composta delle due curve: __9(22) i____9(22) i pi 2a 2a L'una di queste due curve è la AmnetiicA dell'altra per rap- | porto alla corda equilibrata e ciascuna di esse ammette per asse di simmetria la perpendicolare alla corda equilibrata nel suo centro, come avviene per esempio secondo le ricerche del si- gnor Helmholtz per la corda del violino. I Occupiamoci ora della rappresentazione della nostra soluzione con una serie trigonometrica. Sieno F (x) e G(x) due funzioni finite, date nell’intervallo (0, L), le quali hanno solo discontinuità ordinarie e delle quali la seconda soddisfa alla condizione: [G&au=o . 9 SUL PROBLEMA DELLA CORDA VIBRANTE 269 Supponiamo inoltre che le due serie di Fourier: L { Ta nq 2 na F (x) =\ b,, sen CI, b==\F(a a)sen— 2 da; ) y L L 1 GI L a (e te(a).= \ A, COS ei di a,==|G (x) cos 2" da l L L sieno sempre convergenti. Questo caso si presenterebbe, per esempio, quando Y (x) e G (x) fossero generalmente continue e con un numero finito di massimi e minimi, oppure avessero le derivate destre e sinistre sempre finite e determinate (*). D’or innanzi coi simboli (x) e G (x) intenderemo le somme delle precedenti serie trigonometriche : e però Za funzione F (2) è una funzione periodica impari, di periodo 2L ela G(x) è una funzione periodica pari, di periodo 2L . Queste funzioni possono presentare delle discontinuità in nu- mero qualunque, però tutte di prima specie, ed anche non am- mettere mai le derivate. Consideriamo le tre serie trigonome- triche : (Le) na nno na = A,cos——t+b, sen en — % ; ( =) ( L > L ): x L I a RIT ù AGI nno, na Tae mi se d. cos - sen— 2% _; L amcued f in T 2) 1 b n A n na na na DE n A, COS t+ B,sen — i) cos— Xx Vl il L a. L 1 delle quali le due ultime si formano derivando termine a ter- mine la prima rispettivamente rapporto a # ed a %. Immagi- niamo che i coefficienti A,, B, di queste tre serie sieno deter- minati in guisa che per #-0 le due ultime serie coincidano (*) Cfr. Dini, Serie di Fourier, pag. 100 e seguenti, 270 G. MORERA rispettivamente con quelle che definiscono F'(#) e G(x), e cioè, che si abbia : L 2 I vidi al Ai o na nq o L 2 at nn bi bi =-— VE (x) sen x Mati na na a L In altri termini, esaminiamo le tre serie LI ali LEA n5 n'Zl e) sen Ta; “=— —{a, cos - — x; e A 1 Ea E L N sla nau, À SENI = er n cos — t)sen— x ; 2% 2a, Se I È I IZ ? Di naa 44-00 nie nT %,= ) a, COS —— = senesi OST X . io ( L 5 VE Dimostreremo in quanto segue: che queste tre serie sono sempre convergenti; che le due ultime rappresentano rispetti— vamente le derivate parziali (destre e sinistre) della prima rap- porto at ed a x; infine che la somma della prima serie ha Vi- stessa forma della funzione x, nella soluzione di D’ Alembert. Da formule notissime si ha: ut Nelo dr i nq ; Viti i Fa io= 3 |costZle- #0) cos (4-20) cos 1%, sin led più +at) + t) SIE Rai Lo AISETE la HAS x sen ( LT ) i» A SE, stia; Paro: na ; ni ; FARA pag | cos (e 20) + 0087 (ata ) son 2%; Di b ARE Uergter, nq P Dese 7 at)—sen (rat) SUL PROBLEMA DELLA CORDA VIBRANTE DI Sostituendo queste espressioni nelle due ultime serie e con- frontando colle serie 7 (x) e G (x) si conclude immediatamente: _F@a+2t)+F(x—at)+a|G(r+at)- G(—at n : , 2 F(r+ at) —F(a—at)\+G(cx+ct)+G(c—at) . = A Dee 2 La serie 7',, pensata come una serie di Fourier nella x, è certamente integrabile termine a termine, e però integrandola fra 0 ed x si conclude: 2a Ora posto: (x) =(6 (dota gd) == i) Flo) da _ si ha ovviamente: [Fe+ed de=g(a+2t)—g9(at) ; (Pe) da=g9(e— Cd) --9(-24) (G (+2) de=f(2+24) uf (4) x {G&-20) de =f(a—-at)—f(—at) ; ed essendo le serie di Fourier sempre convergenti integrabili ter- mine a termine, sarà: (e) e TS na VE g(x visi MESS prati] * A DI nr aaa a ' Dupd G. MORERA e però: g(-ct)=g(et); f(-at)=-f(ct). Sostituendo nell’espressione di 7 si ha subito: Rie "cel e si verifica immediatamente che: fa. dt=f (2)+% Dunque: la serie 7 è convergente e le sue derivate parziali sono le serie convergenti x’, 4°, per quei valori di # e x per i quali queste sono continue, oppure più generalmente le derivate parziali destre e sinistre della % sono i limiti dei valori a destra ed a sinistra delle serie %,, 7', rispettivamente (*). Con ciò il no- stro teorema è pienamente dimostrato. Osserviamo ora che se nell’intervallo (0, L) fosse data una funzione finita e continua f(x), soddisfacente alle condizioni : f(0)=f(L)=0, e la quale ammettesse una derivata prima f (@)=G(x) sviluppabile in serie di Fourier; questo sviluppo si potrebbe ottenere, in base ad un noto teorema, derivando ter- mine a termine lo sviluppo in serie di seni della funzione f (2) (**). Sicchè i coefficienti An della nostra serie x resterebbero gli stessi sia identificando 4°, per t=0 collo sviluppo di /'(x) = G(£), sia identificando per t= 0 la serie % collo sviluppo in serie di seni delle f(x). Se adunque le funzioni 7° (x) e G(x)=f (x) hanno proprietà compatibili col loro ufficio nel problema della corda vibrante, pos- siamo concludere che la serie di Bernoulli (4) è non solo con- vergente e derivabile termine a termine una prima volta tanto rapporto a # che ad x, ma ancora chesessa è pienamente. equi- valente alla soluzione di D'’Alembert. 1 (*) Trattandosi di funzioni di più variabili le diciture: derivate e valori a destra ed a sinistra, divengono imprecise. È per ciò bene notare, che per valori e per derivate parziali a destra si intendono quelli rispondenti ad ac- crescimenti positivi della relativa variabile indipendente. La cosa analoga dicasi per i valori e le derivate parziali a sinistra. (**) Cfr. la Memoria del sig. Din: Sopra la serie di Fourier. Pisa, Nistri, 1882, pag. 6, osserv, 84. SUL PROBLEMA DELLA CORDA VIBRANTE 279 Se noi avessimo avuto di mira soltanto di dimostrare la con- vergenza della serie 7, operando direttamente su queste trasfor- mazioni analoghe a quelle fatte sulle serie 7',, 4°, avremmo con- cluso facilmente che se nax n=) An pui 3 UMISEA ela y B,(1- cos z ) ' sono le somme di due serie sempre convergenti; la serie è pure convergente e la sua somma è rappresentata dalla for- mula (I). Cioè, per la convergenza della serie di Bernoulli basta - che sieno convergenti le due serie f(x) e g(x); ma in tal caso ci i) non si potrebbe più parlare di differenziabilità della x. Reciprocamente, ammesso che la serie 7 sia sempre conver- gente, lo è pure la serie f(x), che si ottiene dalla 7 ponendovi t=0, ed è presto visto che è anche convergente la serie 9 (x). Infatti, scritto nella serie % invece di x e di # rispettivamente : de cr 2° 2a n dit / USA VITI nTT ari Te L, A,,C08 molle +) b,sen° I , sì ha: AD MI& MI i 1 fat! g(&) . L: 2 Dunque : quando la serie di Bernoulli è convergente la sua somma ha la forma (I) (*). Allorquando la serie % rappresenta la soluzione del problema della corda vibrante è, come vedemmo, differenziabile termine a termine una prima volta per rapporto alla variabile #, cioè posto per brevità: n DR n C.=— za uanle “po , 0087 t 2 DE n cn a dm svn Vo La ppi dee nega fa (*) HARNACK, l.c., pag. 493 Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII st ha: do (AS) 274 G. MORERA Pensando questa serie come una serie di Fourier nella sola x, essa è integrabile termine a termine, anzi la serie degli integrali è convergente assolutamente ed in ugual grado, giacchè per teo- remi noti 2 swo? coefficienti al crescere indefinito di n divengono 2 e it- infinitesimi almeno dell'ordine di — (*). n Se si ammette inoltre che le funzioni (x) e G(x) non ab- SA o led dr MIRI. > biano infiniti massimi e minimi, la funzione rta 7, è costituita a dalla somma di 4 funzioni, le quali pure non hanno infiniti massimi e minimi; e però moltiplicando tutti i termini della serie prece- Pa | dente per sì avrà una serie ancora integrabile termine a ter- Tae. mine (**). Notando che qui si ha: L 2 (9 n 2 si conclude : SE: SS "È 2 dn\? di 2 0g RE 2 2 _|dx= O,Xx7 |z7sen_a.de=— Cn» \(59) iO A D'altra parte la forza viva £ della corda è: e la forza viva della corda se essa effettuasse solo la n” vibra- zione semplice sarebbe: p be n gIL? n (*) Cfr. Dini, Memoria citata. (**) Cfr.: La teoria delle funzioni di variabili reali dello stesso autore, a pag. 392. $ 284, dove propriamente il teorema invocato è provato per il prodotto di una serie con una funzione che non fa infinite oscillazioni, ma l'estensione al caso nostro non presenta alcuna difficoltà SUL PROBLEMA DELLA CORDA VIBRANTE 275 e pero: a RESSE E, ossia ha luogo il teorema seguente. La forza viva posseduta da una corda che vibra trasversalmente è ad ogni istante la somma delle forze vive, che nello stesso istunte essa possederebbe al- lorquando effettuasse separatamente ciascuna delle vibrazioni semplici componenti. Noi definiremo per intensità del suono la forza viva media du- rante una vibrazione completa, cioè, detta I l’intensità del suono, porremo: È 1 P= Vi VR 8 A Tn 144 1 1 =— VE di==\ .E,dt p si +48 n d Y ps n ( È) essendo 7°, il periodo della n°” vibrazione semplice, periodo che è uguale ad » volte quello del suono fondamentale. Allora, te- (7.2) . = N . nuto presente che la serie 4. C,° è convergente in ugual grado, LI giacchè 1 suoi termini al crescere indefinito di » impiccoliscono 1 almeno come —-, coll’integrazione termine a termine della serie n delle forze vive si ha subito: c'e \ vd rca Resta così provato rigorosamente che, colle limitazioni poste alle funzioni F (x) e G(2), #1 suono di una corda, che vibra tras- versalmente, è qualitativamente e quantitativamente la somma di tanti suoni semplici; e se questi sono in numero infinito, l'intensità dell'n"° suono semplice componente al crescere inde- 1 finito di n è al più dell'ordine di grandezza di pi Il Direttore della Classe ALFonso Cossa. CLASSI UNITE Adunanza dell'8 Aprile 1888. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ARIODANTE FABRETTI VICEPRESIDENTE In questa adunanza l’Accademia rielegge a suo Presidente per un altro triennio il Socio Comm. ANGELO GeENoccHI, Sena- tore del Regno. L’Accademico Segretario GASPARE GORRESIO. meo — gir —; de) | ADUNANZA dell’8 Aprile 1888... Morera — Sul problema della corda vibrante Classi Unite. ADUNANZA dell’8 Aprile 1888 in ma prossima dispensa. | ATTI DELLA h. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vox. XXIII, Disp. 11°, 1887-88 Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. TORINO ERMANNO LOESOHER Libraio della R. Accademia delle Scienze RISALE ALINA dal UAZA LEA Du î “ali Am Od gr 277 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 22 Aprile 1888. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ANGELO GENOCCHI PRESIDENTE Sono presenti i Soci: Cossa, LESSONA, SALVADORI, BRUNO, Basso, D’Ovipio, FERRARIS, NACCARI. Vien letto l'atto verbale dell’adunanza precedente che è ap- provato. Tra i libri presentati in omaggio all'Accademia vien segnalato il vol. V, serie 2°, degli Annali del Museo Civico di Storia naturale di Genova pubblicato per cura di G. DoRrIA e R. GESTRO, presentato dal Socio SALVADORI. Le letture e le comunicazioni si succedono nell’ordine se- guente : 1° « Sulla compensazione delle poligonali che servono di base ai rilievi topografici; Nota del Socio SIAccI, assente per ragioni di officio, presentata dal Presidente ; 2° « Gli azimut reciproci di un arco di geodetica » ; la- voro del Prof. P. PizzettI, dell’Università di Genova, presentato dal Socio D’'OvIDIO ; 3° « Sugli eteri nitrobenziletilici »; Nota del Dott. GiorGIo ERRERA, presentata dal Socio Cossa. Atti R, Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII 23 DI NI (0 0) F. SIACCI Sulla compensazione delle poligonali che servono di base ai rilievi topografici. Nota di F. Stracci Quando un rilievo topografico dev'essere collegato coi punti di una rete geodetica, questi vengono dapprima riuniti con una linea spezzata o poligonale, appoggiata ai punti più salienti del terreno della quale si misurano gli angoli e i lati; questi ser- vono poi di base al rilievo. Ma per gli errori inevitabili delle misure accade che le proiezioni della poligonale sugli assi coor- dinati risultano alquanto differenti dalle proiezioni della retta che ne riunisce gli estremi geodetici. Da ciò la necessità di una correzione. I topografi la fanno consistere nell’aggiungere o to- gliere alla proiezione di ogni lato una aliquota dell'errore della proiezione totale. Alcuni prendono quest’aliquota comune a tutte le proiezioni parziali, altri la prendono proporzionale a queste. Il metodo ha il vantaggio della speditezza, e corrisponderebbe anche alla combinazione più probabile degli errori, se gli errori stimati secondo i due assi si potessero ritenere indipendenti gli uni dagli altri. Il chiarissimo ingegnere Vincenzo Soldati in una sua Memoria (*) osserva che coi metodi in uso mutano non solo le lunghezze dei lati, ma anche le loro orientazioni e assai più che non comporti il massimo errore temibile dagli strumenti goniometrici. D'altra parte la misura delle lunghezze si fa con attrezzi diversi, onde nasce l'indipendenza degli errori dei lati dagli errori degli angoli. L'ingegnere Soldati propone di compensare i primi indipendente - mente dai secondi, e presenta a tale oggetto alcuni metodi grafico - numerici: ma essi per quanto ingegnosi sono arbitrari, inquantochè non corrispondono alla combinazione più probabile degli errori. (*) Sulla composizione degli errori di misura dei lati nelle poligonali che servgno di base ai rilevamenti topografici. Torino, tipografia Salesiana, 1888, SULLA COMPENSAZIONE DELLE POLIGONALI 279 Il metodo che segue soddisfa a tale condizione e non mi pare riesca più complicato di quelli. Da esso poi emerge un teorema, che anche indipendentemente dalle applicazioni mi par degno di nota, ed è il seguente: Gli errori più probabili dei lati di una poligonale, sono le proiezioni su essi di un segmento fisso, divise per i rispet- tivi pesi. Sia L uno dei lati misurati della poligonale, ZL +0 il suo vero valore, e quindi d l’errore commesso nella sua misura, © la sua inclinazione (supposta esatta) sull’asse delle x. Siano « e d le proiezioni sugli assi coordinati della retta che congiunge gli estremi geodetici della poligonale. Dovrà verificarsi Z(L+0)cosg=a, Z(L+0)seno=5 ossia (1) . x Zdcosp=a — X Lcoso= | 5dseng=3—XLsno=f. Si tratta ora di determinare gli errori d in modo che si ve- rifichi la combinazione più probabile di essi. La condizione che la rappresenta è (2).-... Zpò*=minimo, vossia Xpddd=0, p essendo il peso corrispondente al lato L. Differenziando le (1) rispetto a 0 e dicendo ) e 1 due mol- tiplicatori da determinare, avremo da esse e dalla (2) Z(pò—)cose—psen g)dd=0. Ne risulta Mn. PI =) cosg + p.sen 9 . i spiato COS @ I Per trovare ) e p si moltiplichi (3) per ——, e si sommino Pp tutte le analoghe, e si otterrà cos' @ ua sen Q COS @ pr xd cosp=)L p P 4 280 F. SIACCI —- SULLA COMPENSAZIONE DELLE POLIGONALI sen © si moltiplichi poi la stessa (3) per np i e sommando si avrà aa Ponendo mente alle (1) e scrivendo per brevità Zoseng=}X yo SSL, prete] senecg o P p p dalle due ultime equazioni si ottiene Ba— Cf AB_ Ca flo = A agio) wo si Apro Se si considerano À e {. come proiezioni sugli assi coordi- nati di un segmento A inclinato di e sull’asse delle 7, se poniamo cioè : (PRE A=VXR+p? , tge=l avremo dalla (3) CI PA ge Arlen p equazione che dimostra il teorema enunciato in principio. Pertanto colle equazioni (4-7) si potrà calcolare la corre- zione 0 che dee subire ogni lato L della diagonale. Il minimo di Xpò° è A@+pf, e risulta dalla (3). PALE Gli azimut reciproci di un arco di geodetica. Nota di P. PIZZETTI. Il ch."° prof. E. Pucci (*) nel suo recente trattato di Geo- desia ha dimostrato il seguente teorema, del quale l’importanza non può sfuggire ai Geodeti, specialmente in vista dell’applica- zione che il trattatista stesso ne fa alla risoluzione del così detto problema inverso delle posizioni geografiche. a) La differenza di due azimut geodetici reciproci contati da 0° a 360° nel senso Nord-Est-Sud-Ovest, differisce dal suo limite sferico di una quantità del 4° ordine. b) 11 valor prossimo di questa quantità del 4° ordine è, per l’ellissoide, dato da e sìsena,.sen2 0, (2)... Lr LI .a°.sen 1 dove «,, ©, sono l’azimut e la latitudine in uno degli estremi dell’arco di geodetica che si considera, s la lunghezza di questo, ed a, e sono, al solito il semigrand’asse e l’eccentricità dell’el- lissoide. Per limite sferico della differenza d’azimut, di cui è parola in questo enunciato, s'intende ciò che diventa questa quantità, quando, tenute costanti le coordinate geografiche degli estremi dell’arco, si ponga uguale a zero l’eccentricità e. Si considerano poi come quantità piccole di 1° ordine, secondo le convenzioni in uso nella Geodesia, il quadrato dell’eccentricità ed il rap- s , ; porto -, che la lunghezza dell'arco ha al semigrand’asse @, a o ad una linea dello stesso ordine. (*) Pucci, Fondamenti di geodesia, cap. VIII, $ 25. L’enunciato del teorema è qui un poco diverso, soltanto in causa di un diverso modo di contare gli azimut. 282 P. PIZZETTI La dimostrazione che il ch.®° Professore dà di questo teo- rema benchè non offra veruna difficoltà, pure può considerarsi come un po’ complessa pel fatto che essa si appoggia sia al Teorema di Dalby, relativo agli azimut reciproci delle sezioni normali, sia alla formola che esprime (a meno di termini del quinto ordine) la differenza fra l’azimut di una sezione normale e quello della geodetica che ne collega gli estremi. Mi permetto di dare qui una dimostrazione, a mio parere, alquanto più semplice, del teorema enunciato; questa dimostra- zione si appoggerà soltanto all’equazione differenziale delle geo- detiche in coordinate astronomiche: da=d%w.seng , equazione, che, pel caso particolare, di una superficie di rivolu- zione, si ottiene, senza difficoltà alcuna, differenziando la formola che esprime il notissimo teorema di Clairaut. In pari tempo, io estenderò la dimostrazione della 1% paîte del teorema al caso in cui la superficie, sulla quale è tracciata la geodetica, sia affatto qualunque, purchè poco diversa dalla sfera, ammettendo, in tal caso, che si debbano considerare come È : 2 AE Ss î quantità piccole di 1° ordine, oltrechè il rapporto n anche certi numeri che dipendono dagli scostamenti fra la superficie considerata e la sfera, numeri che possono sempre considerarsi come quantità dello stesso ordine del quadrato e? dell’ellissoide Besseliano. $ 1. — Riferiti i punti di una superficie qualunque ad un sistema di coordinate astronomiche, diremo al solito, latitudine astronomica il complemento dell’angolo che la normale alla su- perficie (direzione esterna) fa con una determinata direzione dell’asse polare, longitudine l’angolo che -il piano (meridiano astronomico), condotto per la normale parallelamente all’asse polare, fa con un piano fisso passante per l’asse polare, azimut in un punto di una linea tracciata sulla superficie l’angolo che la tangente a questa linea in tal punto fa colla linea cardinale Nord del punto stesso, intendendo per linea cardinale Nord in un punto l’intersezione del piano tangente alla superficie col piano del meridiano astronomico, e ammettendo di contare po- sitivamente gli azimut da 0° a 360° partendo da Nord nel senso Nord-Est-Sud-Ovest. è reni IA tit 4 GLI AZIMUT RECIPROCI DI UN ARCO DI GEODETICA 283 In queste ipotesi, detta © la latitudine, © la longitudine, x l’azimut in un punto di una geodetica qualsiasi tracciata sulla superficie, si ha per la geodetica stessa l'equazione differenziale di Bessel (*) da =d@.seno Se M., (9, ,), 14,(2,,) sono gli estremi di un arco di geodetica tracciata sulla superficie, detti «,, x, gli azimut geo- detici reciproci agli estremi dell’arco stesso si ha y nilo do, di. 2,-a,=180°+fdx=180°+ fseng. do. M, WI Lungo l’arco di geodetica M, M,, consideriamo % come funzione di © e sviluppiamo sen in serie, collo sviluppo di Taylor, secondo le potenze ascendenti di © —,. Ponendo dsen v d° sen @ di senw ( rs )=d ; (Fri) sr : (Fat)=sc ecc. ecc. dove le derivate totali vanno prese lungo l’arco di geodetica considerato, e l’indice 1 indica che delle derivate stesse si con- siderano i valori corrispondenti al punto M,, si avrà (2)... senv—seng,=A(o—0)+B(0-0)}+C(0—-0,)+... Consideriamo ora una sfera di raggio arbitrario e su questa un diametro qualunque che assumeremo come asse polare di un | sistema di coordinate polari sferiche. Detti M',M°, i punti della sfera, aventi per latitudine sferica ©,, 0, rispettivamente e per longitudini sferiche ©,, ©, rispettivamente, chiameremo &,, 2, i due azimut reciproci agli estremi dell’arco di cerchio massimo M',M',. — Saranno appunto 2, ,, i limiti sferici, dei quali è parola in principio di questo lavoro, vale a dire i limiti a cui si riducono gli azimut %,, , della geodetica sulla superficie data (*) Vedi BesseL, Ueber Einfluss der Unregelmdssigheiten der figur der Erde etc. Bessels Abhandlungen herausgegeben von R Engelmann. Abb. 130. — Una dimostrazione geometrica elementare di questa equazione venne data da me nel Giornale della Soc. di Lett. e Conv. scient. di Genova. Agosto- Settembre 1887. 284 P. PIZZETTI quando si trascurano gli scostamenti di questa dalla sfera. E sì avrà, analogamente alle (1) (2), queste relazioni: ():3E a, — a, =180° + fseng'. do 1A po seno'— seno, =A (0-0) +B' (0-0) + +C'(0- 0) +... dove o è la latitudine sferica corrispondente alla longitudine © sull’ arco di cerchio massimo M',M',. Sottraendo le (1) (3) fra loro, la differenza fra le quantità corrispondenti %,— «,, -< , ' dd, %, risulta espressa da x Ù o Cas po e=(a,—@)--(4,- @,) i (sen o — sen 9') da Di D'altra parte le (2) (4) sottratte dànno (6)... seng—seng =(A4—A4)(0—0)+(B-B)(0—-@)+ +(C—C')(a-@)+... E poichè per @=%, si ha g=9' =, dovrà aversi, posto -WVW= Add: 0—-A-4'4+(B—B).40+(C-C") A+... Ricavando di qui A—A' e sostituendo nella (6) abbiamo finalmente seng—seng =(B—B')(n-%)-(B—-B)(0-0,). A+ Pelo Le 00) a Sostituendo questa espressione nell’ultimo membro della (5) ed | eseguendo l’ integrazione termine a termine la (5) diverrà pertanto n 0 nAw' rist alt rai \ Ammetteremo, come praticamente si verifica, che l’arco di geodetica che si considera sia tanto breve, vale a dire, la diffe - renza Ao tanto piccola, che lo sviluppo (6) risulti convergente in egual grado e che nel 2° membro della (7) i termini a partire GLI AZIMUT RECIPROCI DI UN ARCO DI GEODETICA 285 dal secondo siano affatto trascurabili di fronte al primo. Abbiamo allora nella quantità (70)... (B'— B) A wi un'espressione approssimata della differenza, della quale è parola nell’enunciato del teorema, fra la differenza dei due azimut reciproci z,, «, e quella dei loro limiti sferici 2',, 2',. — È facile vedere che la quantità B'—B è una quantità piccola dello stesso ordine degli scostamenti fra la superficie e la sfera. Resta pertanto dimostrato che la differenza e è una quantità piccola di 4° ordine per qualsivoglia superficie poco diversa dalla sfera. Troveremo fra poco l’espressione di B'— B per una superficie qualunque: per ora limitiamo le nostre considerazioni al caso dell’ellissoide di rotazione pel quale dimostreremo che alla quantità e può darsi, a meno di termini del 5° ordine, l’espres- sione (x) contenuta nell’enunciato del teorema. $ 2. — Se la superficie è di rivoluzione, detto © il raggio di curvatura del meridiano, r il raggio del parallelo, si ha, in virtù delle notissime formole dr È n do SEE DIR: da psp, pi mpoea. Es no do Fade (delle quali l’ultima vale soltanto per un arco di geodetica) (£ sen :) r cos g, cotg a TA == == CS IRSA do ), 0 [i d’sen 3 i 2B=( Y Y =—-sen29,.cotg°a, — — da |. an p,.cotg° 2, Di cosg sen 9, i 3 tr, dp — —cotg°a,seng, —— coso .cotg* a, { — P dp), D'altra parte per un arco di azimut iniziale «, e di coor- dinate estreme (9, ®,) (©, @,) si ha con uno sviluppo in serie, posto 9,9, =49, w—@=4A%: do Aw° (d°v Ao-Aw.{— ssa picat ii i (7) n 3) (2)+ i Ao? i d% = ht. cotga, +13 ) + 2 \da 286 P., PIZZETTI Ao donde — 1! cotg a, = +4, dove A, è una quantità piccola di ‘og i rispetto a 4% -— Sostituendo questa espressione di di cotg a, nella (8), questa diventa di 9? cotg p, (dp 0). 2B=-seng,(2°) 270089 +14 Gol Ao / r — — coso, seno, + È. 4% Lf: dove R Aw è una quantità piccola dello stesso ordine di A. La quantità E può immaginarsi sviluppata in serie secondo le potenze crescenti di e*® e quindi posto sotto la forma M4+ e N dove M indica il termine indipendente da e, ed e° N tutti i rimanenti termini nello sviluppo di £. Osserveremo di più che, a meno di termini dell’ordine di e', si ha per l’ellissoide : 1d ; 7 7 ag = 30 song. cos? È 3 == 0089 (1+e'c08°g) o_1_-ec08°p SRO, COS E quindi la (9) a meno di termini in ef può scriversi 2 — cos° 9,. Seng, — bis AR, o) (eh — seng,(<° — e cos'@,seng, +(M+e" N) Aw 3 +e? cos° 0, Ponendo nel 2° membro di questa e=0, si ottiene il coef- ficiente 2 B' relativo alla sfera, Si ha quindi 2(B'— B)=e*seno,cos' 0, Ao j 2 2 (35) + cos r.|+e N.A0. GLI AZIMUT RECIPROCI DI UN ARCO DI GEODETICA 287 E poichè a meno di quantità dell’ordine di A si può porre come abbiamo visto , Ap\ "#, to? LE 2 to? termini i 2 "> = — cotg'a,= cos o,.cotg' a, + termini mm e I si avrà finalmente, a meno di termini in e‘, e in e 4% ; e? .Sen%, COS 2 Lp B-_B=-—_TP- Ko) 2 sen 2, Così l’espressione (7%) della differenza e, che pel caso del- l’ellissoide indicheremo con e,, diventa a meno di termini del 5° ordine: e’ seno . cos”. (sich e A Chiamando s la lunghezza dell'arco di geodetica considerato, si ha, a meno di termini di secondo ordine 12.sen'a s A .C08S%, a) sen 2, Epperò la (() può, colla stessa approssimazione del 4° ordine inclusivo, essere scritta (73 WERSRE i + i | LI ili E, RE dove si è posto il divisore sen 1° per ottenere e espresso in secondi. Una tale espressione di e altro non è che la (4) che si voleva dimostrare. $ 3. — Vediamo più generalmente quale espressione assuma la quantità Aw (B'-B) + per una superficie qualunque poco diversa dalla sfera. — Per una tale superficie le coordinate Cartesiane di un punto qua- lunque 2 possono essere date dalle formole r=(a+h)cosl.cos) , ARR y=(a+h)cosl.sen) , | z=(a+/)senl , 288 P. PIZZETTI dove 1 è l'angolo. che il raggio vettore OM fa coll’asse delle Z, ) è l’angolo che il piano OZM passante per l’asse 0Z e pel punto M fa col piano ZOx, a è una costante, 4% è una quantità piccolissima di fronte ad a, e che può considerarsi come funzione di / e ). (È chiaro che 4 è la distanza, contata lungo il raggio vettore, fra la superficie e la sfera di raggio a). Dette @, © le coordinate astronomiche del punto (xy) rispetto all’asse 0Z come asse polare, e al piano Zox come primo meridiano sì potrà porre (12). 2% q=14+$ À o=X Kr dove £, # saranno, in generale quantità piccole dello stesso ordine h sai di —. I coseni di direzione della normale alla superficie nel 1) punto (©, ©) saranno COS. COS , coso .Sen % , sen? , e soddisferanno alle relazioni : dx dY dz COS d. COS a dote AR ag a 57 30 n) (13) siate 0 Y | COS £ . COS® 33 + cosg Sen © I 4 song or— ; da dx dove le derivate parziali Ti Do ©» debbono essere dedotte dalle (11) considerandovi 7, ) come variabili indipendenti, ed % come funzione di /, ). Se nelle (13) si sostituiscono, al posto delle derivate, le loro espressioni ottenute nel modo ora detto, e al posto di ®, © le espressioni (12), trascurando le quantità di ordine superiore al È À dh di primo rispetto a $, %, ’, Po = si ottiene senza veruna dif- do do 10% vi agibaco Loi dh a dl” ‘— acospdÀ. ficoltà e e quindi, colla stessa approssimazione : GLI AZIMUT RECIPROCI DI UN ARCO DI GEODETICA 289 Sostituendo nelle (11) si ottengono espresse le (x y 2) in funzione delle coordinate astronomiche 0, & nel seguente modo 0h sen 0 x=(1+4)coso.cosm— — seno. cosm— — — Ù © i cos © d4 14 ‘ +1) se oli fem 'wisenia; i E ca x =(4+4))coso.senn— — E ea Der. y e: ; d9 i cos € da) dh A rr cos % dove % deve ora considerarsi come funzione di ©, %. Sia ds un elemento lineare della superficie compreso fra i punti (9, @) (0 +do, 0+dw). — Sia « l’azimut dell’elemento stesso e diciamo A, B, C gli angoli che la tangente ad esso fa cogli assi coordinati. Si avrà con semplici considerazioni di trigonometria sferica (*) cos = — sen 9. Cosw. Cos4 — seno) . sen & cosB=— seng.sen.cos + coso. sen cosC = cosqp.cosa . E quindi dx % — dy+—do=— senv.coso. cosa. ds — seno. sen 2 ds dg RIA) + dY dY (Bo)... x dg+= do=— seng.senw.cos 7. ds + cosw. sen ds 0 d% dz dz î —do+— do= coso.cosu. ds . dp f d% ? Ora dalla (14) posto 0° h Oh 0h CIRO ri È FE raggi a SP Rancio, (a + ARL E ARTE Pere (*) Veggasi p. es. Pucci, Fondamenti di geodesia, cap. XI1, } 1°. Le nostre formole (18) possono poi dedursi come casi: particolari dalle formole (23) dello stesso capitolo dei Fondamenti di Puccer. 290 P. PIZZETTI si ottiene senza Cifficoltà : Ò e n) i CSI a EN co © __ Pseno — Nsengcos do 1 cos © d9) dY coso dy i (16) = =— Mseneseno+ N — = Psenw—Nsenp sen = dp i cos 9 PIA) dz dz ; —=M.cosg ria È 09 Moltiplichiamo le (15) rispettivamente per — sen 0 cos ®, — seng sen@, coso e sommiamo. Tenuto conto delle (16) si otterrà ds.coov=Mdo+ Nd. E similmente moltiplicando la prima delle (15) per — sen w la seconda per cos w e sommando : ds.sena=Nsecp.do + Pdo . Risolvendo queste due ultime equazioni rispetto a dg, do otteniamo : 17) d __Pcosa Nsona I a Ncosa.seco ( <.° fi MP-— N°secv ; n) = MP — N? sec g Sostituendo per M, N, P le loro espressioni, si ottiene, a meno di quantità di 2° ordine rispetto ad % e alle sue derivate 1 Pal \, a pgpaata ch 1, 0°. aa MP N?seco a coso | a a do acospd ade | o 10% a cosp.dy=a 0089 (1 ao )cosa.ds a n Oh dh — (tango — + sen a ds 0 d0dg; h tango 0 lp) 0% a a’cosydo=al1—— — — ———— —|sena ds a a d9 acosgdo S arsizio dh \2ra — n = a ST 0 d0 / coso p GLI AZIMUT RECIPROCI DI UN ARCO DI GEODETICA 29% Dividendo fra loro queste due equazioni, e tenendo sempre, nella divisione dei secondi membri, l’approssimazione del 1° or- d dine rispetto ad %, otteniamo l’espressione della derivata i relativa ad un elemento lineare di azimut «: d (19)... 7° = cosg cotga (142) ( dove abbiamo posto 109°h tangqgol h)x40%k a do acosgda 2cotg 2 a | Jie 94h eu Fo. co = = | a cos RIA) 000 Si avrà allora d.seng (1)... — =cos'v.cotga.(14- 2) E, per un arco di geodetica pel quale vale la relazione (22)... 7509 1 sarà d° i 5 ea (23) 5 AgaE PIATA Q.seng.cotga(142) Da rici angie da” sen? a ° casi A da costo .cotga — , : 5 do deo 4: dove = indica la derivata di x rispetto ad © lungo l’elemento di geodetica che si considera, ossia da dado drda dr do dodo dado d6 da da de. de d Ti -PLr si dedurranno dalla (20), e i, = dalle (19) (22). Eseguendo le operazioni, riducendo, e ponendo Le c=cotga , (26), 292 P. PIZZETTI si ottiene “da c_ 0h 0h ci-4c-1 Se: | a—-=—-———+—0@-14 —_ tang'g\— dw cos p dp 00 e \ SALE i °h ci'-5e—1 — —, + tango. —— c sen ?55 ge dp .d0 = tango 024 3 e— 1 dh (24) ic SPO ai cosip e cosp da cc dp } di” 1 dh 2ce-1 +e stata te 00°dw —cospdg.dw c 1. 2% \ cos 9 di La (23) può scriversi, trascurando i termini in 4°, e ponendo 1° seno È come nel $ 1, 2 B in luogo di (a do 4 2B=— cos°9,seng, — 3 cos° 9, sen g, cotg* @, — — x coso, seno (5 cotg°a +1 (25)... , 608° 9, sen g, (5 cotg ta da + cos° 9, . cotg a, (7) dw!, Dette Ao, Aw le differenze fra le coordinate degli estremi dell’arco che si considera, si potrà, analogamente a quanto si è fatto nel caso dell’ ellissoide esprimere cotg 4, in funzione di queste differenze, per mezzo della relazione : A L= 0089, cotg a, (1+x) +5, dove B, è una piccola quantità dello stesso ordine di Av. Ricavando di qui cotg , e sostituendo nel 2° termine del 2° membro della (25) questa potrà scriversi, a meno di ter- mini in 2°: Ao\ 2B=— cos°®,. —3 —_ i | COS ©, .Sen@, sen e. (35) + > 1 3 14 #cos*0,sen , (cote*a — 1) + cos’, . cotga, DE; +(M+Na)Aw | i p p FE: GLI AZIMUT RECIPROCI DI UN ARCO DI GEODETICA 293 dove M.A@w, N.A% sono quantità «indipendenti da x, e pic- cole entrambe dello stesso ordine di A. | Per la sfera e per un arco di cerchio massimo del quale gli estremi abbiano le coordinate astronomiche (%,,) (0,+ 49, + A), si ottiene l’espressione particolare 2.B' della quantità 2 B, col porre nel 2° membro della (26)zx = 0. Si ha così ’ Ap\? (27)... 2bB=—cos°9,seno,—3seng, (T) +M.4% espressione identica, com’era da aspettarsi, a quella che si ottiene ponendo e°—=0 nella (9%): Sottraendo la (26) dalle (27), e moltiplicando il risultato per 2 A na abbiamo finalmente l’espressione della differenza e pel caso di una superficie qualunque poco diversa dalla sfera: a A 605 eice=(B pila RI 1) + + cos° ©, coto a (7) cei pad do lia ale a meno di termini dell’ordine di x°. Aw', ecc. e di x. Aw' e ordini superiori. I Nella (28) x, e (7) indicano i valori speciali che assu- ©) 19 mono il secondo membro delle (20) e quello delle (24) diviso per a, quando al posto di 9, ©, 4 si pongano @,, ®,, «,. Ese- guendo le sostituzioni nelle (28) per mezzo delle (21) (24), ridu- cendo, e ponendo : cotga,= €, sì ottiene: | Aw'.cos° 9 397 i Ì | a te ha SE gii (3142 tang* DEN segue 10% 1 g @ , 0h 0h | TIRRIO n D SA i pi a TE + sen © 5a € Cc, ) tango pece (2 €, Ze) Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII 24 Rita 294 P. PIZZETTI tango d°% 05” Dr tt 2. COSO — COS do: | & (RO IL dg sequito 3} PT 0° h de? — "h (29) dc; IRE RA ed) ELMA ‘rie Fed cosp dp. dw° c, 0% cos” @ dw° Nel 2° membro di questa si è posto il divisore sen 1' per ottenere e espresso in secondi d’arco. $ 4. — Come esempio, calcoliamo l’espressione che assume & pel caso di un ellissoide a tre assi, poco diverso dalla sfera. Siano a, aVi—f?, alt—e? i tre semiassi, dei quali l’ultimo assumeremo come asse polare del sistema di coordinate astrono- miche, prendendo poi come primo meridiano la sezione principale i cui semiassi sono a, ai —e. Introducendo nella equazione y PRI 1- ai dell’ellissoide le espressioni (11) delle x y 2, si ottiene facilmente a meno di quantità di 2° ordine rispetto ad e?, f?: La BI a h= — 3 e” sen? 7 + e° cos? sen? L) e, colla stessa approssimazione : (47 LES) «i 2 2 2 Ct 2 lar e° sen° 0 + e°cos° g sen % Eseguendo le derivazioni parziali occorrenti, ed introducendo i risultati nel 2° membro della (29), si ottiene, senza @&lcuna difficoltà : Ao così Y, e- 4; eseng — f* seno, (seno, seno, + c, 080 ave 1°) Li (RP (c°+1) ovvero, restituendo a c, il suo valore SOI REL Sg Aw cosî (0) 3 o e seno, —_ f ? sen G), (sen, sen + COSO), cotg 4) — 12.sen°2,.senl GLI AZIMUT RECIPROCI DI UN ARCO DI GEODETICA 295 Se in questa si pone f=-0 si ritrova nuovamente l’espres- sione (3) della quantità e, trovata al $ 2 e relativa all’ellissoide di rivoluzione. Alla (31) può darsi una forma più semplice. Se infatti si chiama ® la latitudine del punto nel quale la geodetica che si considera incontra il meridiano di 90° di longitudine, ossia la sezione principale che ha per semiassi aV 1—f?, aVi1—@, si ha, da un triangolo sferico ; tang ®. cosg, = sen g, seno + cotg 2, cos w, + termini in e'È, fi) Quindi la (31) colla stessa approssimazione può scriversi : Ao'.cos'p,. seno, tang ® ee—_— e -f*.seno —— | . 12.sen°x,.senl tang 9, — od anche con uguale approssimazione: s° sen 2 9, sen tang® | 32)... = {e —f°senw do) 24.a°sen1 ‘tango, | Posto e'=0,0064, f?=0,0005 (quali sono pressapoco i valori delle due eccentricità nell’ellissoide terrestre a tre assi di Clarke), e considerato un arco di geodetica pel quale s=1,000,000”, a,=9,=@,= 45°, si ha nel 2° membro della (32) il termine in e = 0,212, il termine in f° = — 0",029. E in totale e= 00,183. Per l’ellissoide di Bessel (e'=0,0067 circa) si avrebbe cogli stessi dati e= 0,223. Se l’arco s è di soli 100,000" di lunghezza, questi e di- ventano : per l’ellissoide di Clarke e=0",000212—0",000029—=0",000183 id di Bessel e — 0",000223 $ 5. — Crediamo inutile di applicare la formola (29) ad altri esempi. La formola stessa, insieme coll’esempio del precedente paragrafo, ci sembrano sufficienti a dimostrare come, anche per Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol, XXIII, 24% 296 P. PIZZETTI - GLI AZIMUT RECIPROCI ECC. archi di geodetica estremamente lunghi, e, ogni qualvolta il Geoide_ si supponga poco diverso da una sfera, la quantità e possa sempre” considerarsi come trascurabile, almeno di fronte agli errori pro- venienti dall’osservazione e che affettano gli azimut. calcolati geodeticamente. Ne segue che « date le coordinate astronomiche degli estremi di un arco di geodetica, la differenza fra gli azimut reciproci estremi di un arco può considerarsi come una quantità nota indipendentemente da qualunque ipotesi sulla forma e sulle dimensioni, della superficie fisica terrestre, purchè soltanto si ammetta che gli scostamenti fra questa superficie e una sfera siano dello stesso ordine di quelli che l’ellissoide Besseliano pre- senta rispetto alla sfera ». Questa quantità nota altro non è che il limite sferico della detta differenza d’azimut. Se si chiamano ©,, 9, le latitudini astronomiche agli estremi dell'arco di geo- detica che si considera, A la differenza di longitudine fra gli estremi stessi e @, , gli azimut reciproci dell’arco stesso, si ha dunque, a meno di quantità in ogni caso trascurabili : O4+ 9. sen cotan pù PR LE Ò tan De vas Sar 7 dp PER Ri i BI cos "a Il teorema ora enunciato può riescire molto utile nella com- pensazione di una triangolazione geodetica, agli estremi della quale si siano determinate astronomicamente le latitudini e le differenze di longitudine. Infatti per una tale compensazione il nostro teorema fornisce un’equazione di condizione indipendente da qualsiasi ipotesi sulla forma e sulle dimensioni del Geoide. Ma sopra quest’argomento che ci trarrebbe affatto fuori dell’ordine di idee svolto in questa Nota, intendiamo occuparci in unsaltro nostro lavoro. Genova, aprile 1888. e rr 297 Sugli eteri mitrobenziletilici (*) del Dott. GIiorGio ERRERA. Etere paranitrobenziletilico. NO, (4) &H< cH..0.C,H, (1). Il metodo generale di preparazione degli eteri benziletilici sostituiti, l’azione cioè della potassa alcoolica sui derivati cor- rispondenti del cloruro di benzile, non si può applicare all’etere paranitrobenziletilico. È noto infatti come la potassa alcoolica tra- sformi il cloruro di paranitrobenzile in paradinitrostilbene. Per ottenere l'etere sopra accennato si deve riscaldare per parecchi giorni a bagno d’acqua salata in un pallone chiuso alla lampada, il cloruro di paranitrobenzile insieme ad un grande eccesso d'alcool ordinario; non si può operare a temperatura più elevata perchè la sostanza allora si carbonizza. Siccome, anche rinnovando l’alcool, e prolungando di molto il riscaldamento, la reazione è difficilmente completa, e siccome d’altronde l’etere paranitrobenziletilico non si può distillare e si purifica male per cristallizzazione in causa del punto di fusione molto basso, per liberare il prodotto dal cloruro di nitrobenzile inalterato si può, dopo aver scacciato a bagno maria il cloruro di etile formatosi, aggiungere al liquido ancora caldo, qualche goccia di potassa alcoolica. Il cloruro di nitrobenzile si trasforma im- mediatamente in dinitrostilbene, il quale, essendo quasi insolubile nell’alcool, si precipita per la massima parte, e volendo si può separare per filtrazione. (*) La presente nota fa seguito ad una Memoria pubblicata l’anno scorso negli Atti di questa Accademia (vol. XXIl) Intorno all'azione del calore e dell'acido nitrico sugli eteri. 298 GIORGIO ERRERA Del resto si può senz'altro aggiungere un po’d’acido clori- drico per neutralizzare la potassa, e sottoporre tutto a distilla- zione in una corrente di vapor d’acqua; il dinitrostilbene rimane nel pallone, e non passa che l’etere paranitrobenziletilico il quale, se la temperatura è sufficientemente bassa, cristallizza già lungo il refrigerante. Nell’aggiungere la, potassa alcoolica è necessario andar cauti, poichè, se questa è concentrata e in eccesso con- siderevole, può decomporre anche l’etere. L’etere paranitrobenziletilico è una sostanza solida, fusibile da 24° a 24°,5 di color giallo chiaro, insolubile nell’acqua, solu- bilissima nell’alcool e nell’etere, poco solubile negli eteri di pe- trolio (punto di ebollizione 35°— 50°) specialmente a freddo; una soluzione nell’etere di petrolio satura a temperatura ordinaria lascia depositare per raffreddamento a qualche grado sotto lo zero, cristalli aghiformi. Per fusione si ottengono cristalli pri- smatici che molto probabilmente appartengono al sistema trime- trico. All’analisi si ebbero i risultati seguenti : Da grammi 0,4500 di sostanza si ottennero grammi 0,2574 d’acqua e grammi 0,9838 di anidride carbonica. Da grammi 0,2414 risultarono 16 cme. di azoto alla tempe- ratura di 13° e alla pressione di 735,5 mm. ridotta a zero. E in cento parti: trovato calcolato per C, H,; NO, C 59,62 59,67 H 6,35 6,08 N 7,62 7,73 O 26,41 26,52 100,00 100,00 Sottoposto a distillazione l’etere paranitrobenziletilico si decom- pone parzialmente mentre una parte passa inalterata. Coll’acido nitrico fumante si comporta come gli altri eteri analoghi, si decompone cioè dando aldeide paranitrobenzoica. SUGLI ETERI NITROBENZILETILICI 299 Etere metanitrobenziletilico, NO, (8) Ca < CH,.0 C,H, (1). Mentre il cloruro di paranitrobenzile trattato con potassa alcoolica dà paradinitrostilbene, il cloruro di metanitrobenzile dà nelle medesime condizioni l’etere metanitrobenziletilico. Perciò ad una soluzione alcoolica diluita di cloruro di metanitrobenzile (ottenuto dall'alcool con pentacloruro di fosforo) si aggiunge un leggiero eccesso di potassa alcoolica e si riscalda a bagno maria. La reazione avviene tosto completamente e si separa cloruro potas- sico ; senza neppur scacciare l’alcool per non lasciare troppo tempo l’etere formatosi sotto l’azione .della potassa alcoolica, si allunga con acqua, si acidifica leggermente e si distilla con vapor d'acqua. L’etere metanitrobenziletilico passa sotto forma di un liquido insolubile nell’acqua, solubilissimo nell’alcool e nell’etere, di color giallo quando è di fresco preparato, ma che volge al bruno coll’andar del tempo. In un miscuglio di neve ed acido clori- drico solidifica in una massa cristallina, ma ridiventa liquido appena estratto dal miscuglio frigorifero. L'analisi diede i risul- tati seguenti : Da grammi 0,4410 di sostanza si ebbero grammi 0,2472 d’acqua e grammi 0,9602 d’anidride carbonica. Da grammi 0,3218 di sostanza risultarono 21,5 cme. d’a- zoto alla temperatura di 15° e alla pressione di 730,7 mm. ridotta a zero. E per cento trovato calcolato per C, H,j NO, C 59,38 59,67 H 6,23 6,08 N 7,56 iaia O 26,83 26,52 100,00 100,00 Coll’acido nitrico si decompone anch’ esso e dà aldeide me- tanitrobenzoica. 300 GIORGIO ERRERA Etere ortonitrobenziletilico. NO, @) CH |A - : hi ì , ‘é i } 1 ì V1) YISOVMISTA . AGI i) ll fe este ì : . \ li 1) ADUNANZA del 6 Maggio 1888. a ds ; Fri. CM _ Sulla lita oaiziono di alcune roccie: della riv STE iaia DR RI RE BR a IF he sui fi % L À FI ì (E x dI ci. ui * Taonia diminuta Run. ATTI DEILA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DE TORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI (SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XXIII, Disp. 13* € 14', 1887-88 2 ——__—— Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali TORINO ERMANNO LOESOHER Libraio della R. Accademia delle Scienze 325 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 27 Maggio 1888. PRESIDENZA DEL PROF. MICHELE LESSONA SOCIO ANZIANO Sono presenti i Soci: Bruno, Basso, Bizzozero, FERRARIS, NAccARI, SPEZIA, GIBELLI, GIACOMINI. Si legge l'atto verbale dell’ adunanza precedente che viene approvato. Il Presidente dà il doloroso annunzio della morte del Pro- fessore Ascanio SoBRERO, il quale era Socio dell’Accademia fino dall'anno 1844, e dal 1863 copriva l’ufficio di Segretario della Classe. Commemora con parole di vivo rimpianto le virtù civili . e l'alta benemerenza scientifica dell’illustre collega perduto; ed in segno di lutto, annuente la Classe, scioglie l’adunanza. Adunanza del 17 Giugno 1888. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ARIODANTE FABRETTI VICEPRESIDENTE Sono presenti i Soci: Cossa, LEssona, SALvapoRI, BRUNO, BERRUTI, Basso, D’Ovipio, Bizzozero, FERRARIS, NACCARI, Mosso, SPEZIA, GIBELLI, GIACOMINI. Vien letto l’atto verbale dell'adunanza precedente che è approvato. Tra le pubblicazioni mandate in omaggio all'Accademia ven- gono segnalate le seguenti : « Ficerche intorno alla anatomia ed istologia dei Gordî », del Dott. Lorenzo CaMERANO; presentate dal Socio LESSONA. « Contribution à la Meteorologie eleéctrique », del profes- sore Giovanni LuvinIi, presentata dal Socio Basso; Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII (AN) = 326 « Bollettino dei Musei di Zoologia e di Anatomia com- parata dell’Università di Torino »; vol. III, dal n. 40 al n. 46. Esso contiene lavori biologici dei signori L. CAMERANO, D. Rosa, C. PoLLonERA e M. G. PERACCA. Le letture e le comunicazioni si succedono nell’ordine seguente: « Sugli uccelli raccolti nell’Asia orientale e sulle coste della Cina durante il viaggio della Vettor Pisani negli anni 1879, 1880 e 1881, essendo comandante della nave S. A. R. il principe Tommaso duca di Genova Studio del Socio SAL- vaDORI in collaborazione col Prof. E. GiGLioLI. » La Classe, con votazione unanime, approva la pubblicazione di questo lavoro nei volumi delle Memorie accademiche. « Sugli ofidii italiani (parte 1°, Viperidi); Monografia del Dott. L. CAMmERANO. » Questo lavoro essendo destinato, quando la Classe lo approvi, ai volumi delle Memorie, viene affidato ad una Commissione incaricata di esaminarlo e riferirne in una prossima adunanza. « Sopra alcuni movimenti igroscopici nelle Epatiche Mar- chantee; Ricerche del Dott. Oreste MatmtIROLO, presentate dal Socio GIBELLI; « Illustrazione di due Agaricini italiani »; Studio del Dott. P. VocLino, presentato dal Socio BIZzozERO; « Sugli elementi nervosi dei muscoli di chiusura dei bi- valvi »; Ricerche dello Studente Riccardo GALEAZZI, eseguite nel laboratorio di patologia dell'Ospedale Umberto I di Torino, diretto dal Dott. A. LustIia, presentate dal Socio BizzozERo; « Derivati degli alcoli parabromo e paraclorobenzilico »; Studio del Dott. Giorgio ERRERA, Assistente di chimica nella R. Università di Torino, presentato dal Socio Cossa, « Una nuova forma di cannocchiale »; Nota del profes- sore Nicodemo JADANZA, presentata dal Socio NACCARI; « Influenza della tempera sulle proprietà termoelettriche del bismuto » ; Ricerche del Dott. G. P. GrimaLpI, libero docente di Fisica nella R. Università di Palermo ; presentate dal Socio NACCARI. « Sulle variazioni del calore specifico del mercurio al crescere della temperatura »; Nota del Socio NACCARI. In quest’adunanza il Socio Comm. Alfonso Cossa è rieletto per un altro triennio a Direttore della Classe. nn e ee —_ - 327 LETTURE Sopra alcuni movimenti igroscopici nelle Epatiche Marchantieae, Ricerche del Dott. 0. MATTIROLO Le osservazioni esposte in questa nota, e che verranno poi sviluppate in un lavoro speciale illustrato da disegni, hanno ri- guardo allo studio di un fenomeno singolare, che si riscontra in alcuni generi di Epatiche Marchantieae. Il fenomeno in discorso è intimamente legato alle proprietà igroscopiche inerenti ai tes- suti vegetativi di queste Bryophytae; per cui esse chiudono colla secchezza e riaprono colla umidità dell’ atmosfera il loro tallo, sospendendo in relazione a questi movimenti le funzioni fisiolo- giche anche per periodi assai lunghi. Le osservazioni vennero fatte sopra numerosi esemplari di Grimaldia dichotoma Raddi, provenienti dal Monte di S. Maffeo (Rodero — Provincia di Como), estese quindi e controllate sopra materiali viventi ed essiccati dei generi compresi da Gottsche, Lin- denberg e Neess nella loro classica Synopsis Hepaticarum fra le Marchantieae. Il tallo della Grimaldia dichotoma Raddi non presenta dal punto di vista anatomico notevoli particolarità di struttura. La Grimaldia, come tutte le Marchantieae in genere, così uni- formi nel complesso dei loro caratteri vegetativi, è dotata di un tallo sdraiato orizzontalmente sul terreno, protetto da scaglie di color violaceo scuro nella parte ventrale, la quale pure è prov- vista delle due sorta di rizoidi; fornito invece nello spessore dei tessuti della parte dorsale di cavità aerifere comunicanti coll’aria ambiente per numerosi stomi semplici, che attraversano l’epider- mide superiore. Nello stato normale di vegetazione, quando l’ambiente è suf- ficientemente umido, il tallo rimane sdraiato sul suolo, a cui è legato dai rizoidi, e le scaglie brune sono rivolte verso il ter- reno. Nello stato di secchezza atmosferica invece le parti laterali 328 O. MATTIROLO del tallo si elevano e si ripiegano, i margini liberi di esso ven- gono a toccarsi ed a coprirsi in. parte verso la linea assile del tallo, e allora le scaglie vengono a coprire e valgono a proteg- gere tutta quanta la superficie esterna del tallo. Nello stato normale di vegetazione la superficie epidermoidale munita di stomi e tutto il sistema assimilatore si trovano di- rettamente esposti all’azione della luce, e le funzioni quindi si compiono normalmente, come normalmente hanno luogo i movi- menti dei granuli clorofillini, gli scambi dei gaz, la formazione di elementi nuovi. .... i fenomeni tutti infine di ricambio mate- riale proprii al vegetale vivente. Nella posizione di secchezza invece i sistemi assimilatori e la parete epidermoidale rimangono assolutamente fuori dell’ azione dei raggi luminosi, i quali vanno invece a cadere sulla super- ficie bruna delle scaglie, e quindi rimangono così sospese le fun- zioni fisiologiche normali. Colla umidità si ha quindi normale vegetazione, formazione di elementi nuovi, immagazzinamento di materiali nutrizii.....; colla secchezza invece si ha relativa sospensione di vita, e con- seguente sospensione di attività formativa e nutritiva, come lo provano numerosi esperimenti eseguiti con materiale appositamente conservato negli essiccatori. La sospensione di vita finora sperimentalmente provata di 13 mesi (1), durante i quali rimasero nell’essiccatore le Grimaldie coi talli assolutamente chiusi, sta a prova del valore dei mo- vimenti igroscopici per la economia funzionale di questi individui, sottoposti per le normali condizioni di loro stazione a lunghe alternative di secchezza e di umidità. I movimenti in discorso sono fenomeni, la cui origine devesi naturalmente ricercare in un progressivo adattamento alle condi- zioni dei loro abituali luoghi di stazione. Le forme delle Marchantieae viventi nei luoghi montuosi, nei climi tropicali, sottoposte alle alternative di secchezza e di umi- dità, hanno i movimenti igroscopici tipici, che fanno invece asso- lutamente difetto in quei rappresentanti di specie, che vivono e prosperano in condizioni affatto diverse, sviluppando un tallo al- largato fra i muschi in luoghi perennemente umidi. (1) La continuazione di queste esperienze dirà in quali limiti di tempo sì — conservi la sospensione vitale. ii i MOVIMENTI IGROSCOPICI NELLE EPATICHE MARCHANTIEAE 329 Lo stesso modo di comportarsi della Grimaldia dichotoma, mantenuta artificialmente in atmosfera continuamente umida, dà ampia ragione delle proposizioni sopra enunciate. I movimenti delle Marchantieae, oltre al rendere la pianta atta a sopportare le alternative di secco e di umido, oltre ad impedire gli effetti di una troppo rapida perdita di acqua e fa- vorire la durata vitale, servono ancora a fare sì che nello stato di secchezza, a tallo rinchiuso, possano resistere alle varie in- fluenze nocive degli agenti esterni, e specialmente possano resi- stere ai rapidi aumenti di temperatura, come viene pure speri- mentalmente provato. Ho mantenuto per circa mezz'ora in un recipiente di vetro asciutto a sua volta immerso nell’acqua bollente alcune zolle di Grimaldia con talli essiccati già da molti mesi. Riportati poi in camera umida e bagnati, si riapersero, ripresero a vegetare, e pochi giorni dopo diedero origine a nuove fronde; e notisi che la temperatura nell’interno del recipiente (nella parte assile) rag- giunse 94° ! Di quanta utilità sia questa facoltà di resistenza ai repen- tini sbalzi di temperatura e a temperature elevate nelle Mar- chanticae appare evidente, se si ricercano i luoghi di stazione proprii alle specie igrometriche appartenenti ai generi P/agio- chasma, Reboulia, Grimaldia, Fimbriaria e Targionia che ho potuto sperimentare, servendomi di un ricchissimo materiale do- vuto alla cortesia di insigni botanici. In questi generi si contano 49 specie, e di queste 9 sole sono proprie all'Europa centrale, 5 sono caratteristiche del Sud- Europa — 35 invece abitano i paesi caldi (Africa 7 — Ame- rica 16 — Asia 10 — Australia 2). Fra le 16 specie Americane 13 appartengono all'America del Sud, e specialmente vivono nel Chili, nel Perù, nel Messico, regioni caratterizzate da lunghi pe- riodi di siccità e dalle massime temperature. Quanto poi alle intime cause, che motivano questa sospen- sione temporanea dei processi vitali, poco oggi di assoluto si può dire al riguardo. La vera causa deve ricercarsi nelle proprietà inerenti al Plasma, come ho potuto sperimentalmente dimostrare. La sede e la causa meccanica del movimento, il quale si ri- scontra anche negli individui assolutamente morti e conservati alcuni sino dal 1795!, dobbiamo invece ricercarla colla guida delle osservazioni anatomiche, che abbiamo estese a tutti i ge- 3830 O. MATTIROLO neri compresi fra le Marchantieae, dopo di averle intimamente studiate nella Grimaldia dichotoma Raddi, sola specie di cui avevamo a disposizione numerosi talli viventi. Nel tallo della Grimaldia possiamo distinguere tre strati prin- cipali, che indicheremo coi nomi di : Strato epidermoidale » assimilatore » meccanico. 1° Lo strato epidermoidale è formato da un solo strato di cellule ricoperto da un tenue velo cuticulare. Gli elementi epidermoidali hanno figura poliedrica e presentano agli angoli inspessimenti particolari, che danno al tessuto dell’ epidermide l'apparenza come di un collenchima, e che concedono loro il doppio vantaggio di possedere così una grande rigidità degli spigoli, con- giunta ad una grande capacità di pieghettatura, essendo normali e non inspessite le pareti superiori ed inferiori. Nelle cellule epidermoidali sono riconoscibili un nucleo, granulazioni di plasma, corpi clorofillini, granuli di amido, e non infrequenti i corpi oleosi caratteristici delle Epatiche. Le reazioni chimiche dimostrano, che tanto la membrana quanto gli inspessimenti sono nelle cellule epidermiche formate da cellulosa mucificabile. 2° Lo strato assimilatore è compreso fra l’epidermide da cui nettamente si distingue e lo strato meccanico, col quale in- sensibilmente si continua. Mancano in questo strato le camere d’aria libere, proprie ad altri generi vicini. Il tessuto assimilatore appare invece come irregolarmente attraversato da un sistema di concamerazioni di varia ampiezza; perocchè dalle pareti stesse delle camere, ancora riconoscibili nei primi stadii di sviluppo; si originano delle serie lineari di cellule, che le dividono senza regola in numerosissimi scompartimenti incompleti. Le membrane delle colonne assimilatrici sono formate da cellulosa mucificabile come quelle degli elementi epidermoidali. 8° Lo strato meccanico è caratterizzato dalla forma dei suoi elementi leggermente poliedrici, strettamente uniti fra di loro e quindi privi di meati intercellulari. Nuclei, plasma, granuli clorofillini poco numerosi, granuli di amido e corpi oleosi sì in- contrano normalmente nel lume cellulare. Va notata una diffe- renza essenziale fra gli elementi esterni o corticali e gli elementi —rrr MOVIMENTI IGROSCOPICI NELLE EPATICHE MARCHANTIEAE 331 interni o meccanici propriamente detti. Mentre i primi, dai quali hanno origine le scaglie brune, sono fortemente cuticularizzati, quindi poco o nulla fisicamente e chimicamente modificabili, gli altri si mostrano invece formati da materiale cellulosico, squi- sitamente mucificabile. In questi elementi non sono infrequenti colonie parassite di MNostochineae. Conosciuta così per sommi capi la struttura anatomica del tallo della Grimaldia vegetante, importa studiare la sede ed il meccanismo del movimento. A questo scopo, operando appropriate eliminazioni degli ele- menti costitutivi del tallo in esemplari che venivano quindi tra- sportati in un essiccatore, trovai che la sede del movimento del tallo nella Grimaldia risiedeva negli elementi dello strato mec- canico ; il quale, anche se libero dagli altri strati, operava sempre il tipico movimento di chiusura. La causa del movimento non è legata ad alcuna delle pro- prietà vitali dell’individuo. Essenzialmente, le differenze di tur- gescenza attiva, le quali sono funzioni dei tessuti vivi, non en- trano a spiegare la ragione di questo movimento, che si manifesta tanto negli individui viveuti quanto in quelli morti ed essiccati. Il fenomeno dipende esclusivamente dalla proprietà delle mem- brane cellulari mucificabili, capaci cioè di rigonfiarsi esagerata- mente in contatto dell’acqua, come lo mettono fuori dubbio le seguenti osservazioni : Il movimento ha luogo indifferentemente alla luce come al- l'oscurità; Il movimento ha luogo in presenza dei liquidi acquosi che sì adoperano più comunemente per arrestare le funzioni vitali. (Alcohol acquoso — Soluzioni iodiche — Soluzioni dilungate di su- blimato corrosivo). Lo studio interessantissimo delle modificazioni che subiscono gli elementi, quando dallo stato di secchezza passano a quello di umidità ; i calcoli, e le percentuali di allungamento, le cu- riose disposizioni, le variazioni di volume, ecc. ecc. che con me- todi adatti si possono sorprendere e studiare e che verranno discusse e registrate, concorrono a dimostrare, che la ragione mec- canica del movimento dipende assolutamente dalle proprietà del tessuto meccanico accertate da molteplici reazioni chimiche. Il movimento del tessuto meccanico composto di due strati 392 0. MATTIROLO di cui l’uno, l’interno, di gran lunga più sviluppato e più rigon- fiabile dell'altro, esterno, poco o punto mucificabile, si può sino ad un certo punto paragonare a ciò che avviene, considerando due lamine metalliche saldate per una loro superficie comune, fatte di sostanze diverse, e curvate in modo da rassomigliare nel loro contorno a quello della sezione del nostro tallo allo stato secco. Supponiamo che queste due lamine abbiano uno spessore ini- ziale abbastanza piccolo relativamente alla loro lunghezza e sia la lamina interna molto più dilatabile della lamina esterna. Nel riscaldare il sistema (1), le lamine dilatandosi, e quella interna più dell’altra, invariabilmente unite come sono, si disten- deranno, si apriranno e prenderanno a poco a poco la forma allargata di coppa. Il tradurre tale legge in linguaggio assolutamente preciso, quale sarebbe il matematico, esigerebbe la conoscenza più com- pleta di quello che non si possa avere delle forze collegate alle modificazioni di forma, che entrano in funzione nell’atto in cui si svolge il fenomeno, e delle quali si dovrebbe tener conto per riuscire ad una spiegazione matematica soddisfacente. CONCLUSIONE. Dalle osservazioni sommariamente ora esposte risulta adunque che nelle Epatiche Marchantieae e più precisamente nei generi: Plagiochasma L. e Ldbg. Reboulia N. ab. KE. Grimaldia Raddi Fimbriaria N. ab. E. Targionia Micheli si notano nel loro tallo movimenti dipendenti assolutamente dalle proprietà igroscopiche dei tessuti, che lo compongono. La causa del movimento (analogamente a quanto si osserva in alcuni mo- vimenti delle Muscineae, delle Graminaceae delle Compositae, Ge- raniaceae, ecc. ecc.) si riferisce essenzialmente alle proprietà igro- (1) Perocchè il riscaldamento si può lontanamente paragonare nel caso at- tuale all’operazione di bagnare. Beez MOVIMENTI IGROSCOPICI NELLE EPATICHE MARCHANTIEAE 3383 scopiche di quegli elementi, che rappresentano il tessuto cosidetto meccanico dei vegetali superiori. Il tallo in relazione alla secchezza dell'atmosfera si ripiega rialzando i bordi liberi, ricoperti alla superficie ventrale da scaglie brune, verso la linea assile, in modo che i margini liberi si riu- niscono e si ricoprono, sottraendo così completamente il tessuto assimilatore all’influenza dei raggi luminosi, e mantenendo l’in- dividuo in uno stato di sospensione funzionale, che può durare periodi assai lunghi. In questa posizione il tallo acquista nuove proprietà e si rivela atto a sopportare variazioni notevoli e repentine di tem- peratura senza risentirne danno, continuando poi a vegetare ap- pena si ritrovi in condizioni convenienti di umidità. Il fenomeno dei movimenti igroscopici nelle Marchantieae è motivato da un progressivo adattamento alle condizioni naturali di stazione in cui si svolge la vita dell’individuo. Torino, R. Orto Botanico, 1888. Illustrazione di due Agaricini italiani ; Studio del Dott. P. VoGLino Quantunque già molto si sia scritto intorno alla sistematica degli Imenomiceti, tuttavia da nuove ricerche in diverse località italiane ebbi a convincermi come molto resti ancora da fare. In- fatti conviene prima di tutto stabilire, quali e quante sieno le specie da noi possedute; poi quali sieno i loro caratteri esteriori, imperfetta sembrandomi la descrizione stata fatta finora di ta- lune di esse; per assorgere da ultimo alle ricerche intorno alla biologia dei medesimi, campo vastissimo ed appena ancora tentato. Ma per raggiungere il primo scopo mi sarebbe indispensabile l’aiuto degli intelligenti di tutte le parti d’Italia (naturalisti , medici, agricoltori), i quali mi comunicassero quegli esemplari e quei fatti, che loro potessero parere più utili all’uopo. 334 P. VOGLINO Per intanto presento al giudizio dei micologi una specie af- fatto nuova d’Agaricino, e ne esamino una seconda non stata fino ad oggi trovata in Italia. Ai chiarissimi micologi Prof. M. C. Cooke ed Ab. G. Bre- sadola, ai quali comunicai la specie nuova qui descritta, e che me ne agevolarono lo studio, al Prof. G. Gibelli, che mi fu prodigo di consigli, rendo qui pubbliche grazie per l’appoggio concessomi. PSILOCYBE FrIESs Systema micologicum, I, p. 289, Hymenomycetes europaei , p. 297. Velum manifestum nullum, saltem haud contextum. Stipes subcartilagineus, rigidus vel tenax, tubulosus, tubo cavo faretove, saepe radicans. Pileus plus minus carnosus, glaber, margine primo incurvo. Lamellae fuscescentes vel purpurascentes. Psilocybe ferrugineo-lateritia VoGL. sp. nov. (Tav. I, fig. 1-2: Tav. II, fig. 1-3). Pileus carnosulus in ipso ortu convexus, rarius campanu- latus, demum convexo-expansus, in centro leniter umbilicatus, ad marginem inacqualiter parumque striatulus , ferrugineo- lateritius, glaber, aliquanto hygrophanus, 2 — 234 cm. latus. Lamellae 3-4 mm. latae, leniter ventricosae, subconfertae, adnato-subdecurrentes, purpureo-atrae. Stipes cylindraceus, subcartilagineus, ad basim et ad ver- ticem paullo incrassatus, glaber, subferrugineo-lateritius, intus pallidior, subcavus 3,4-4,5 cm. altus, 134 mm. latus, albus ad basim. Caro pallida, odore farinae praedita. Sporae fusco-purpureae, ellipticae, rarius ovato-ellipticae ; 7—-9v4, saepius 8 v 4. Basidia clavata, 4-sterigmica, rarius 2-sterigmica, media in parte quandoque constricta, 20-24 rarius 26 v 4 — 5. Sterigmata acicularia 4v 0,5 in basidia 4- -STAAOORAE 4xv1-1% in basidia 2-sterigmica. ILLUSTRAZIONE DI DUE AGARICINI ITALIANI cod Inter plurima basidia sterigmatibus instructa nonnulla ca- rent tisdem. Cystidia phialaeformia, collo elongato, ad basim attenuata, 84 — 36 v 9, 21 in collo. Basidia et cystidia nascuntur ex stratu subhymeniali, con- stanti ex brevibus hyphis celluliformiis, irregulariter bullosis in corcuitu, quaeque interius paullatim fiunt cylindrico-oblonga. Ad terram muscosam in pinetis prope « S. Giuseppe » (Mas- sae), mense martii, leg. P. Pellegrini rei botanicae cultor. DESCRIZIONE. La Psilocybe ferrugineo-lateritia è un Agaricino, che varia in lunghezza dai 3 e mezzo ai 4 cm. e mezzo. Il cappello si presenta lungo da 2 a 2 cm. e mezzo e costituito di una so- stanza carnosetta, pochissimo sviluppata verso il margine, tantochè allo stato umido il fungo vi appare leggermente striato: ha una forma di solito convessa, un po’ incavata nel mezzo allo stato adulto: non notai che pochissimi esemplari, i quali allo stato giovanile comparissero a cappello leggermente campanulato ; l’epi- dermide esterna ha colore mattone-ferruginoso quando il fungo si raccoglie in tempo secco, bruniccio se in tempo umido; è quindi leggermente igrofano. Nella parte inferiore del cappello si trovano le lamelle abba- stanza numerose di un color porporino-scuro, alcune volte porporino ferruginoso, non perfettamente lineari, un po’ ventricose, aderenti allo stipite ed anche leggermente decorrenti, con uno sviluppo in altezza non superiore ai 8 o 4 mm. Lo stipite è cilindrico, alquanto cartilaginoso, non perfetta- mente eguale ma nel maggior numero dei casi ingrossato verso l’apice e la base; quasi sempre eretto, raramente un po’ sinuoso, esternamente di un color bianco-mattone non continuo ma a tratti più chiari, bianchiccio alla base; internamente si presenta fisto- loso o cavo e colorito in ocraceo-pallido, raramente in bianco - ocraceo, e raggiunge una lunghezza che varia dai 3 ai 4 cm. e mezzo ed una larghezza di 1 mm. e mezzo o 2. Le spore hanno una forma elittica, alcune volte ovale-elittica, un color porpo- rino, misurano una lunghezza che varia dai 7 ai 91 comunemente 8p. ed una larghezza di 4p. 336 P. VOGLINO I basidi sono clavati un po’ ristretti nel mezzo e se ne in- contrano di 3 sorta, a 4, a 2 e senza sterigmi; quelli a 4 solamente portano le spore, quindi si potrebbero chiamare fer- tili. Sugli altri a 2, per quante sezioni abbia fatto, non potei mai vedere attaccata alcuna spora, sono quindi sterili; quelli senza sterigmi non sono altro che basidi a 2 o 4 sterigmi in via di formazione (*); i fertili hanno gli sterigmi più lunghi degli sterili ma però molto meno larghi. I cistidi si trovano abbastanza frequenti lungo tutto il de- corso delle lamelle, e si presentano a forma di fiala, colla por- zione superiore cilindrico- allungata, coll’inferiore acuta, e sono lunghi dai 34 ai 86 p. e larghi 9p nella parte ingrossata, 2 p. nella parte ristretta. Lo strato sotto-imeniale è formato nella parte mediana delle lamelle da ife cilindriche, un po’ sinuose, che s'intrecciano in di- versi modi, larghe 12-14p: verso il margine queste ife si fanno brevi, celluliformi, a contorno irregolare, bolloso, e da queste na- scono i basidi ed i cistidi. La Psilocybe ferrugineo-lateritia presenta delle affinità colla Psilocybe physaloides di Bulliard ; ma però ne è diversa, in quanto non ha mai il cappello viscido, in via eccezionale campanulato, lo stipite non fibrilloso e le lamelle non ferruginee, ma bensì porporine. Il complesso poi si presenta ben differente dalla de- scrizione e dalla figura data dal Bulliard (Champ. de la France, t. 336, f. 1), ed anche da quella del Cooke (IWustrations of british fungi, t. 609) della P. physaloides. Colla Psilocybe foemiseciù di Persoon si potrebbe pure dire che ha qualche carattere affine; ma anche da questa si distingue chiaramente e per il colore specialmente del cappello, per la forma ed inserzione delle lamelle, e per la grandezza e forma delle spore che nella specie di Persoon sono granuloso-asperulate e misurano 12-17 v 6-8 (test. Bresadola in litt.). Un'altra specie colla quale la P. ferrugineo-lateritia potrebbe avere qualche parentela, sarebbe la P. sericaca pure di Persoon, (*#) Il Dott. J. StHEINHaUS nel suo Analytische Agaricineen-Studien sì me- raviglia come io non abbia mai ricordato tali organi, ai quali egli dà il nome di parafisi; ma non essendo essi che basidi in via di formazione, come ebbi occasione di convincermi in diversi casi, è a mio avviso perfettamente inutile il tener conto. ILLUSTRAZIONE DI DUE AGARICINI ITALIANI 337 dalla quale però si deve senz'altro distinguere in quanto allo svi- luppo complessivo. Non potendola quindi riferire ad alcune delle forme finora descritte ho creduto di proporla come una nuova specie. Mi spinse a far ciò soprattutto una comunicazione del chia- rissimo Prof. M. C. Cooke, il quale appunto ebbe a scrivermi, che Berkeley gli disse spesso esservi due specie, le quali hanno preso il nome di Agaricus physaloides Bull., che la vera specie era quella figurata dal Cooke (IWustr. brit. fungi, t. 609) e l’altra quindi potrebbe essere molto probabilmente, anche se- condo lo stesso Cooke, la P. ferrugineo-lateritia. Questa specie fu riscontrata abbastanza comunemente nelle pinete presso S. Giuseppe lungo la marina di Massa (Carrara) dallo studiosissimo sig. P. Pellegrini, il quale mi ha già comu- nicate un buon numero di specie anche abbastanza rare. Eccilia griseo-rubella LaAscH. (Tav. I, fig. 13-18 — Tav. IV, fig. 4-5). Pileus membranaceus, convexus, profunde umbilicatus, hy- grophanus, ferruginco-umbrinus, siccus pallidus, lucidus, 2-5 em. latus, 2-3 mm. altus . Lamellae subdistantes, lincares, subdecurrentes, pallido-car- neae, 4-5 mm. altae. Stipes cylindricus, interdum in senectute compressus, paulum fistulosus, pileo concolor vel pallidior, glaber, 4-6 cm. longus, 3-5 mm.crassus atque etiam 2 cm. }, longus, 1/, mm. latus. Caro pallida, odore farinae recentis praedita. Sporae globoso—-irregulares, 4-5 rar. 6-angulatae, 1-gut- tulatae, roseolae, 8-9 v 6-8. Basidia clavata, 4 rar. 2 sterigmica, 29-32 v 6-8, nonnulla sterigmatibus carent. Stratus subhymenialis constans, media in parte lamellarum, hyphis cylindricis, quae in marginibus carumdem perstringuntur, passimque tumescunt, atque hinc emittunt verticaliter basidia. Ex terra in populetis aestuariis fluminis Tanari ad Albam et Polentium, mense aprilis et maii 1888, frequentissima. 338 P. VOGLINO DESCRIZIONE. L’Eccilia grisco-rubella di Lasch si presenta con un cap- pello convesso, profondamente ombilicato, a margine leggermente ripiegato, di un color ferrugineo-grigio allo stato umido, ferru- gineo-chiaro e lucido allo stato secco, raggiunge una larghezza di 5, raramente 6 cm., mentre si trovano anche abbastanza fre- quenti degli esemplari in cui il cappello non è mai più largo di 2 centim. Le lamelle sono quasi lineari, leggermente decorrenti, arcuate, di un bel color carnicino-roseo ed alte in media 40 5 mm. Lo stipite, cilindrico dapprincipio e perfettamente eguale, negli esemplari molto sviluppati si presenta alcune volte compresso e scanalato nel mezzo: esternamente è dello stesso colore del cap- pello, alcune volte un po’ più pallido, bianchiccio alla base; inter- namente fistoloso-cavo, bianchiccio ; è sempre glabro, raggiunge in certi esemplari una lunghezza di 4 o 6 cm. ed una larghezza di 4 a 5 mm, mentre in certi altri non si eleva più di 2 cm. e mezzo con uno spessore di 1 mm. e mezzo; appena rotto emette un odore simile a quello della farina da poco macinata. Le spore sono tondeggianti, raramente un po’ allungate, con 4 a 6 angoli, carnicino-rosee ed hanno costantemente nell’interno una gocciolina oleosa, jalina; misurano da 8 a 91 in lunghezza, e da 7 ad 8w in larghezza. I basidi sono clavati, terminati superiormente in 4 rar. in 2 sterigmi, variano in lunghezza dai 29 ai 32, ed in larghezza dai 6 agli 8L: gli sterigmi, quasi acicolari, leggermente ingros- sati alla base, terminano in punta acuta e si prolungano 4 o 6/2 nei basidi a 4 sterigmi, in quelli a 2 misurano una lunghezza di 21. e non terminano in punta acuta. Tra questi basidî già completamente sviluppati se ne trovano abbondantemente in via di sviluppo. Lo strato sotto-imeniale è formato nella parte mediana delle lamelle da ife cilindriche, allungate, jaline, larghe 10 o 15p: verso i due margini queste ife si raccorciano, si restringono in modo da non misurare che una larghezza di 3 o 5, si rigon- fiano qua e là e da questi rigonfiamenti nascono i hasidi. Trovai i primi esemplari in un boschetto di pioppi lungo la riva sinistra del Tanaro ai 28 di aprile; dopo 4 giorni si mo- Tav. MI Torino-Lit.Salussolia i Tisana li papa» © ILLUSTRAZIONE DI DUE AGARICINI ITALIANI 339 strava in.abbastanza grande quantità lungo le due rive del Ta- naro: ai 6 e 7 di maggio la riscontravo comunissima nei piop- peti lungo le due rive del Tanaro presso Alba, presso Pollenzo e nei boschetti lungo le rive di quasi tutti i torrenti circostanti ad Alba. Si mantenne nel suo pieno sviluppo per 4 o 5 giorni tantochè ai 12 incominciò di nuovo a rendersi meno frequente, dai 15 ai 17 non ne trovavo più che rarissimi esemplari, che scomparvero del tutto verso il 22 dello stesso mese. Mi si dirà che di questa specie esistono già alcune figure, ma in nessuna di esse trovai bene rappresentati i molti esem- plari che potei raccogliere ed è perciò che credei utile, in seguito anche all’averla riscontrata comunissima in Italia, di riportare qui una descrizione ed una figura quanto più potei completa. Dal Laboratorio del R. Orto Botanico, Torino, giugno 1888. SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE. TavoLra I. Psilocybe ferrugineo-lateritia Voc. Fig. 1-10. Aspetto generale della specie. Grandezza naturale. » 11 Sezione longitudinale. Grandezza naturale. » 12 Spore. Ingr. circa 400 diam. Eccilia grisco-rubella LASCH. » 13-16. Aspetto generale della specie. Grandezza naturale. BI 47 Sezione longitudinale. Grandezza naturale. » 18 Spore. Ingr. circa 400 diam. TavoLa II. Psilocybe ferrugineo-lateritia VoaL. Fig. 1. Aspetto generale dell’imenio. Ingr. circa 400 diametri. > 2 Basidi. » » » » 8 Cistidi. » » » Eccilia griseo-rubella LaAsca. » 4. Aspetto generale dell’imenio. Ingr. circa 400 diametri, » 5. Basidi. » » » 340 RICCARDO GALEAZZI Sugli elementi nervosi dei muscoli di chiusura dei bivalvi, Ricerche dello Studente RiccarRDo GALEAZZI. - Gli elementi nervosi e le rispettive terminazioni nelle fibre muscolari furono oggetto di ripetute indagini per l’interesse fisio- logico che presentano. Si conoscono, se anche non in tutti i dettagli, quelle dei muscoli striati e lisci, come pure di quei muscoli, che nella strut- tura morfologica rivelano il loro successivo sviluppo dalle fibre liscie alle striate. Ci sono invece sconosciuti gli elementi nervosi dei muscoli degli invertebrati, i quali per la loro struttura devonsi chiamare forme muscolari di transizione, come sarebbero quelle delle bivalvi, inquantochè non posseggono nè la struttura delle fibre striate, nè quella delle fibro-cellule contrattili. Margo (1) che si occupò dello studio dei muscoli di chiusura delle bivalvi, usando di forti ingrandimenti dimostrò, che queste fibre ritenute general- mente per liscie, presentano tuttavia una striatura trasversale. Compito prefissomi fu l indagine degli elementi nervosi di queste fibre muscolari, per contribuire così alla conoscenza fisio= logica di questi elementi, la cui eccitazione nervosa si ritenne venisse comunicata da cellula a cellula col mezzo del proto— plasma, senza l'intervento del conduttore nervoso. Tale teoria sostenne l’Engelmann (2) per la muscolatura liscia, appoggiandosi alle sue ricerche istologiche sugli ureteri e sulla vescica urinaria. Per materiale delle mie ricerche ho scelto il « mytilus edu- lis, » e Il’ « ostrea. » Come è noto, il Mytilus edulis (mollusco lamellibranchiato del gruppo degli asifonidi) possiede un legamento interno e due po- tenti muscoli, l’adduttore anteriore e l’adduttore posteriore, i quali sono diretti trasversalmente per rapporto al corpo del mollusco e s’attaccano per le due estremità alla faccia interna della conchiglia. (4) Marco. — Ueber die Endigung der Nerven in der quergestreiften Mu- skelsubstanz — 1862. (2) Ta. W. EnGELMANN. — Archiv. f. d. gesammte Physiologie von Pflùger, 1869. II Jahrg. LT RT A REMI LOTTI SUGLI ELEMENTI NERVOSI 341 Le fibre di questi muscoli esaminate a fresco ci appaiono sottili, lunghe, giallo-pallide, riunite in fasci divisi da tessuto connettivo, ed a forti ingrandimenti ci mostrano una finissima striatura longitudinale. Per i miei studi usai il seguente metodo di esame: Aperte le bivalvi, recisi colle forbici i muscoli ed il legamento, che misi interi in un recipiente con un terzo di acido formico e due terzi di acqua, allo scopo di rendere più molle il con- nettivo che circonda i fasci muscolari. Li lasciai in questa soluzione per dieci minuti, e lavatili nel- l’acqua distillata, li tagliai in parti sottili lungo l’asse longitu- dinale delle fibre muscolari, li immersi in una soluzione di clo- ruro d’oro all’ 1% nella quale rimasero finchè il tessuto ebbe acquistato un colore giallo citrino. Di qui li passai nell’acqua distillata, cui si era aggiunto circa un terzo di acido formico, e li tenni per la riduzione in un ambiente scuro: dopo 24-36 ore erano divenute di color violetto cupo. Questi muscoli così trattati e posti in seguito in una miscela di acqua, glicerina ed acido nitrico, dopo 24-36 ore si pote- rono isolare nella glicerina con grande facilità, permettendomi così di procedere all’esame microscopico. Questo metodo di ricerca è più vantaggioso che non lo studio in sezioni del tessuto, perchè in queste non si può con certezza vedere una reale unione tra elementi muscolari ed elementi nervosi. Con questo trattamento le fibre muscolari si presentano quali elementi distinti, lunghi, nel loro decorso quasi sempre di egual diametro, di color rosso, con nuclei grandi, ovali, forniti di nu- cleolo, i quali generalmente sono situati nel mezzo della fibra. Alle due estremità del nucleo lungo l’asse della fibra si tro- vano dei prolungamenti formati da sostanza protoplasmatica gra- nulosa. Le striature si distinguono più facilmente usando lenti di immersione. Tra i fasci muscolari si trova un ricco tessuto connettivo, nel quale corre un numero rilevante di fasci nervosi di varia grossezza , colorati dal cloruro d’oro in nero intenso. Le fibre nervose più grosse ed isolate si vedono dividersi e suddividersi, correre tra le fibre muscolari parallele a queste, mandare rami- ficazioni laterali e terminali in gran numero, per cui un solo tronco nervoso provvede a parecchie fibrocellule muscolari. Le ramificazioni laterali si staccano o perpendicolarmente, o Atti R. Accad, - Parte Fisica — Vol. XXIII 28 842 RICCARDO GALEAZZI più o meno obliquamente dalla branca da cui partono: esse sono più o meno sinuose, tutte dànno origine a dette branche secon- darie, di cui la forma, la lunghezza ed il tragitto sono assai varî, Sottili fibre nervose che partono da differenti tronchi si ana- stomizzano spesso le une colle altre. Orbene, se cade sott'occhio al microscopio un fascio di fibre muscolari, una legata all’altra, si vede distintamente come ogni fibra abbia nel suo decorso un nervo munito di nuclei nervosi che le corre parallelo, e come questo mandi dei sottili filamenti in direzione del nucleo della fibrocellula; ed anzi dalle punteg- giature nerastre che partono da qualche fibra nervosa e si diri- gono ai prolungamenti protoplasmatici del nucleo delle fibrocel- lule muscolari, bisogna concludere esista una unione tra nucleo e fibra nervosa. Nei nostri preparati ci fu possibile una sola volta (come lo presenta la Fig. 2) nel « mytilus edulis » di scorgere delle sottilissime terminazioni di carattere indiscutibilmente nervoso, che si staccavano da un grosso nervo, dirigevansi direttamente al nucleo ed erano in unione con questo. Osservai ancora come da un nucleo all’altro della fibrocellula vi fossero dei filamenti sottilissimi punteggiati che li univano. Nei fasci connettivali che uniscono quelli muscolari troviamo poi una grande quantità di cellule gangliari nervose di cui al- cune unipolari, altre bipolari (Fig. 3, 4, 5). La loro grossezza varia assai, come pure la loro forma; alcune si presentano fusi- formi, altre ovoidiformi o piriformi. Il corpo cellulare ci presenta dei contorni netti, pressochè regolari: il protoplasma ci appare col nostro metodo di colora- zione finamente granuloso; i granuli non sono uniformemente distribuiti nella massa protoplasmatica, ma presentano delle zone in cui sono più abbondanti, in modo «da formare delle isole più scure, che risaltano dal rimanente protoplasma. In alcune di esse è ben visibile un nucleo trasparente, per lo più di forma ovale, talora situato al centro del corpo cellulare , talora eccentrico; non ho potuto riscontrare l’esistenza di un nucleolo ; uno o più vacuoli si riscontrano in ogni cellula nervosa. I prolungamenti si staccano dalla cellula con una base ora più larga ed ora più stretta, talora procedono mantenendo sempre lo stesso diametro in tutto il loro decorso, tal altra van man mano assottigliandosi fino a divenire finissimi, e ci presentano SUGLI ELEMENTI NERVOSI 343 spesso delle biforcazioni, come lo dimostra la Fig. 3. Alcune di queste cellule gangliari si scorgono incluse tra i fasci muscolari. In nessuno dei miei preparati trattati col metodo d’isolamento, dove le cellule gangliari sono per lo più isolate, mi fu possibile osservare dove questi prolungamenti andassero a finire. Le terminazioni nervose nei muscoli che furono oggetto del nostro studio, anche per la presenza delle cellule gangliari, si avvicinano di più a quelle descritte nella muscolatura liscia, che a quelle della striata, ed appunto per questo mi fermerò breve- mente a considerare queste terminazioni e le varie osservazioni degli autori su questo riguardo: Kélliker (1) che esaminò la vescica urinaria e l’esofago delle rane, è dell’opinione che i cilindri nervosi si dividono in sotti- lissime fibrille che alla lor volta si ramificano e terminano libere. Il Klebs (2) ha distinto nella vescica della rana un plesso fondamentale munito di cellule gangliari risiedente alla base di quest'organo, un plesso intermediario formato di fibre che par- tono dal plesso fondamentale e coprono colle loro ramificazioni anastomotiche la vescica tutta intera, ed un plesso intramusco- lare di cui le fibre estremamente fine, provenienti dal plesso intermediario, sono situate tra le fibrocellule medesime; ma non potè seguire oltre ii decorso di queste fibrille. Egli però crede che vi sia una unione tra fibra nervosa e fibrocellula muscolare. Il Lòwit (3) avrebbe dimostrato che in questo stesso plesso intramuscolare le trabecole sono alquanto più fitte ed aderenti agli elementi muscolari in vicinanza al nucleo, e che esiste vera- mente una unione intima tra nervo e cellula contrattile. Frankenheuser (4), Arnold (5) si occuparono dell’argomento; non esaminarono i muscoli freschi, ma induriti nell’ acido cro- (1) KoLuiKER. — Ueber die letzte Endig. d. Nerven in den Muskeln des Frosches. Wirzburger Naturwiss. Zeitschr. Bd. II. 1862. (è) KLEBs. — Die Nerven der organischen Muskelfasern. Virchow”s Archiv. Bd. XXXII. 1865. (3) Lòwir. — Die nerven der glatten Muskulatur. Sitzungsbericht d. k. Akad. d. Wissenschaften in Wien. 1875. (4) FRANKENHEUSER. — Die Nerven der Gebàrmutter und ihre Endigung in der glatten Muskelfasern. Iena 1867. (5). ArNoLD. — Die Gewebe der organischen Muskeln. Handbuch der Lehre von den Geweben herausgegeben von Stricker. Leipzig. 344 RICCARDO GALEAZZI ‘ mico, e descrissero nella vescica urinaria della rana un reticolo nervoso intramuscolare, videro fibrille penetrare nel nucleo della fibrocellula per uscire dalla parte opposta e ritornare nel reticolo intramuscolare. Krause (1) studiò il muscolo rettococcigeo dei conigli e ri- tiene che il reticolo dell’Arnold noù sia altro che tessuto elastico. Henocque (2) avendo studiato col metodo del cloruro d’oro i muscoli lisci dei diversi organi in differenti animali è arrivato alla conclusione che le terminazioni dei nervi nella sostanza con- trattile sono libere in forma di ingrossamenti a bottone. Da ultimo Lustig (3) esaminò la vescica urinaria del maiale, del cavallo, della cavia e la muscolatura intestinale di diversi animali e venne alla conclusione che esiste una unione tra fibra muscolare e nervo e tra fibra nervosa ed appendici protoplas- matiche. Egli toccò inoltre la questione se una fibra nervosa provveda a più fibre muscolari, e sul rapporto quantitativo tra fibra muscolare e terminazione nervosa. Anche Wolf (4) esaminò le terminazioni nervose nella vescica della rana, e dice che le fibre nervose non corrispondono per numero a quello delle fibre muscolari; e trovò ganglii del sim- patico che mandavano prolungamenti ai muscoli. | Dalle nostre ricerche noi dobbiamo concludere : 1° Che i muscoli i quali per la loro struttura si chiamano forme di passaggio, come sarebbero i muscoli di chiusura delle bivalvi, sono estremamente ricchi di fibre nervose e cellule gangliari. Le prime formano nel muscolo un intreccio -minutissimo, ed una fibra nervosa provvede con le sue ramificazioni a più fibre muscolari : le fibrille terminali nervose sono poi in unione col nucleo della fibrocellula, oppure coi rispettivi prolungamenti protoplasmatici nucleari. 2° Dalla quantità straordinaria di fibre nervose trovate col no- stro metodo di ricerca tanto tra la muscolatura, che nei fasci — (1) Krause. — Die Nervenendigung in den glatten Muskeln. Archiv, f. Anatomie und Phisiologie. 1870. (2) Henocque. — Du mode de distribution et de terminaison des nerfs dans les muscles lisses. Archiv. d. Phisiolog. et Patholog. T. II. 1870. (3) A. Lustia. — Ueber die Nervenendigung in den glatten Muskelfasern. Sitz d. k. Akademie der Wiss. Wien. 1881. (4) WoLr. — Die Innervation der glatten Muskulatur. Archiv. f. mikro- scop. Anatom. XX. Tav XI A.L. dis. Torino-Lib. Salussolia SUGLI ELEMENTI NERVOSI 345 di connettivo, dobbiamo venire alla conclusione che tutte le fibre muscolari possono avere una fibra nervosa. Non posso adunque esser d’accordo con quelli che ritengono assolutamente impossi- bile che ogni fibra muscolare abbia un nervo, tanto più che osservai più di una volta una fibra nervosa decorrere verso una cellula contrattile, dare a questa ed al rispettivo nucleo alcune fibrille, e proseguire la sua via distribuendo altre fibrille ed altre fibrocellule. 3° Il numero considerevole di cellule gangliari nel connettivo tra i fasci muscolari ci fa pensare a centri nervei. automatici nel muscolo stesso, con che si potrebbe anche spiegare la potenza considerevole di chiusura dei muscoli adduttori delle bivalvi. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE. Fig. 1. Rappresenta un gruppo di fibre muscolari del muscolo di chiusura del « mytilus edulis. » La grossa fibra.ner- vosa a va in direzione del gruppo muscolare e corre parallela a questo. La fibra nervosa d corre pure tra due fibrocellule contrattili e manda in ec un ramo alle fibre muscolari vicine. Il disegno venne eseguito usando dell’oculare II e l’oggettivo V Seibert. >» 2. Gruppo di fibre muscolari con un reticolo nervoso. In 4 si vede l’unione del nucleo muscolare colle fibre termi - nali d’un sottile nervo. Disegnato usando dell’oculare II 1 e dell’ oggettivo ad immersione omogenea Di Selbert, e dell’apparato Abbé. » 3. 4. 5. Cellule gangliari che si trovano tra i fasci mu- scolari. Nella fig. 3. si vede la biforcazione di uno dei prolungamenti. Il disegno venne eseguito coll’oculare II, 1 l'oggettivo ad immersione omogenea a Seibert. Apparato Abbeé. 346 GIORGIO ERRERA Derivati degli alcoli parabromo e paraclorobenzilico, Nota del Dott. Giorio ERRERA Come risulta da una memoria pubblicata l’anno scorso negli Atti di questa Accademia (Vol. XXII), non riuscii a preparare il cloruro di parabromobenzile Br (1) CA, Scr, CI (4) nè bromurando il cloruro di benzile a freddo, nè sottoponendo all’azione del cloro il parabromotoluene bollente. Tali metodi che servono benissimo alla preparazione del cloruro di paracloroben- zile e dei bromuri di parabromo e paraclorobenzile non diedero in questo caso risultati soddisfacenti, ottenni sempre il composto desiderato allo stato di miscuglio isomorfo col bromuro di pa- rabromobenzile senza riuscire a separare l’uno dall’altro. Sono arrivato allo scopo partendo invece dall'alcool para- bromobenzilico, e oggetto della presente memoria è appunto la preparazione del cloruro di parabromobenzile e lo studio di al- cuni altri composti che ad esso si riannodano. Cloruro di parabromobenzile. (1) (4) La preparazione dell’ alcool parabromobenzilico per azione diretta del bromo sull’alcool non riesce, non perchè, come uni- versalmente si ritiene, l’alcool si ossidi, ma perchè l’acido bro- midrico che si forma, anzichè mettersi in libertà reagisce sul- l’ossidrile. Infatti durante la reazione, fatta in presenza di iodio e a freddo, non si vede svilupparsi acido bromidrico, e il pro- dotto consta in piccola parte di aldeide benzoica, per lo più di Br CH, 0a C1 0 DERIVATI DEGLI ALCOLI PARABROMO E PARACLOROBENZILICO 347 un miscuglio di bromuro di orto e parabromobenzile facili a ca- ratterizzarsi trasformandoli nelle aldeidi e quindi negli acidi cor- rispondenti. L'’alcool parabromobenzilico fu preparato da Jackson e Lowery (*) facendo bollire lungamente con acqua il bromuro di parabromo- benzile, o passando per l’acetato corrispondente, ed è al primo metodo che mi sono appigliato. Affinchè la reazione sia completa è necessario far bollire a ricadere per parecchie ore e precisa- mente sinchè'1 vapori del liquido caldo non cagionino più bruciore agli occhi; è bene operare su piccole porzioni, di quattro a cinque grammi per volta, con un mezzo litro d’acqua circa, poichè i palloni danno spesso sussulti violenti e talvolta si rompono. Jackson e Lowery non accennano che in questa reazione oltre all'alcool si formino altri prodotti, io però ho sempre ottenuto insieme ad esso anche l'etere corrispondente, e la quantità di quest’ultima sostanza aumenta allorquando si sostituisca all’acqua una soluzione diluita di idrato sodico la quale decompone il bro- muro di parabromobenzile più rapidamente che l’acqua pura. Per evitare l’uso dei palloni di vetro che facilmente si rom- pono, tentai sostituire ad essi recipienti di ferro, ma operando in tal modo non riuscii ad ottenere che piccolissime quantità del- l'alcool, e insieme ad esso dell’etere e delle sostanze quasi in- solubili nell’alcool anche caldo, e che non tentai neppure di cristallizzare da altri solventi. L’ottenere tali prodotti è dovuto probabilmente alla azione delle pareti metalliche del recipiente, e tale ipotesi trova una conferma nel fatto che facendo bollire con polvere di zinco ed acqua in pallone di vetro il bromuro di parabromobenzile, non si forma più affatto nè l’ alcool nè l’etere, ma soltanto del parabibromodibenzile p. f. 114° (1) CH,. C,H,.Br (4) | (1) CH,. C,H,.Br (4) come risulta dalla analisi seguente; Da grammi 0,1809 di sostanza si ebbero grammi 0,1984 di bromuro d’argento, e su 100 parti trovato calcolato per C,,H,, Br, Br 46,65 47,05. (*) Ber. der deutschen chem. Gesellschaft, X, 1209. È 348 GIORGIO ERRERA Ho poi sperimentato che il cloruro di benzile bollito nelle medesime condizioni con polvere di zinco si trasforma in di- benzile. L’ alcool parabromobenzilico si separa facilmente dall’ etere che contemporaneamente si forma, poichè mentre questo è inso- lubile nell’acqua anche all’ ebollizione, quello vi si discioglie abbastanza e cristallizza per raffreddamento; quindi lo si può avere quasi puro decantando il liquido acquoso caldo dalla so- stanza oleosa che rimane al fondo del pallone e.che contiene tutto l’etere parabromobenzilico. Da questo residuo che si soli- difica per raffreddamento si può estrarre l’alcool che vi è ancora contenuto, facendo bollire con acqua ovvero cristallizzando dal- l’alcool ordinario ; l’etere molto meno solubile si separa per primo mentre l’ alcool solubilissimo rimane nelle ultime acque madri. L’alcool parabromobenzilico da me ottenuto presenta tutti i caratteri assegnatigli da Jackson e Lowery, salvo il punto di fusione un po’ più basso, 75° invece che 77°, il che può dipen- dere, o da differenza nei termometri, o dalla presenza nell’alcool di Jackson e Lowery di un: po’ dell’ etere corrispondente che fonde a temperatura più elevata. Cristallizza dall’acqua in lunghi aghi appiattiti, dall'alcool acquoso in aghi più piccoli, o in la- minette, nell’alcool puro è così solubile che, a meno di averne quantità considerevoli, non conviene cristallizzarlo da questo sol- vente. All’analisi diede i seguenti risultati : Da grammi 0,3162 di sostanza si ottennero grammi 0,3179 di bromuro d’argento, e in 100 parti trovato calcolato per Br. C, H,. CH, 0H Br 42,78 42,79. La trasformazione dell’ alcool nel cloruro corrispondente sì può eseguire mediante il pentacloruro di fosforo che agisce a freddo e con molta energia. Però in causa della sua azione di- sidratante, insieme al cloruro si forma anche dell’etere bromo- benzilico, e accanto a questi, altri prodotti secondarii che è poi difficile allontanare per cristallizzazione. La preparazione del clo- ruro riesce molto meglio riscaldando l’alcool in tubi chiusi per tre o quattro ore verso i 150° con acido cloridrico fumante. La trasformazione è completa e per raffreddamento il cloruro si so- lidifica in una massa bianca cristallina che poi si cristallizza dal- l’alcool. DERIVATI DEGLI ALCOLI PARABROMO E PARACLOROBENZILICO 349 Si ottiene così il cloruro sotto forma di aghi bianchi splen- denti, solubilissimi nell’alcool caldo, meno nel freddo, fondenti alla temperatura di 38°-39°. All’ analisi si ebbero i risultati seguenti : Grammi 0,3803 di sostanza diedero grammi 0,5934 di clo- ruro e bromuro d’argento, e grammi 0,0120 d’argento. La per- dita di peso avuta nel trasformare in cloruro il miscuglio dei sali d’argento fu di gr. 0,0802. E in 100 parti trovat lcolat C,H LAM a ca e a rovato colato per C, H, CH, CI Br 39,04 38,92 CI 17,09 17,28 Il cloruro di parabromobenzile si presenta sotto un aspetto identico a quello del cloruro di paraclorobenzile e dei bromuri di paracloro e parabromobenzile, ed è con essi perfettamente iso- morfo, tanto è vero che le sue soluzioni soprasature cristalliz- zano immediatamente per aggiunta d’un cristallo d’una qualunque delle suddette sostanze. Ciò spiega la coesistenza del bromuro e del cloruro di parabromobenzile nello stesso cristallo, fatto del quale mi occupai nella memoria già citata. I vapori di cloruro di parabromobenzile irritano gli occhi, molto meno però del bro- muro; tra queste sostanze posseggono un'azione molto più irri- tante quelle che contengono il bromo nella catena laterale, di quelle che lo hanno nel nucleo. Etere parabromobenzilico. Br (1) Cee a e >O RA a) ly (1) L’etere parabromobenzilico accompagna l’alcool ottenuto per ebollizione con acqua, o con soda diluita del bromuro corrispon- dente. La formazione dell’etere deve avvenire contemporaneamente e non posteriormente a quella dell’alcool, poichè l’alcool bollito 350 GIORGIO ERRERA a lungo con acqua, o con soda non si trasforma nell’etere. Questo si trova nel liquido oleoso che rimane in fondo al pallone nel quale si fece bollire il bromuro, liquido che solidifica per raf- freddamento. Lo si purifica mediante ripetute cristallizzazioni dall'alcool nel quale esso è assai meno solubile dell’alcool cor- rispondente; la sua solubilità in questo liquido decresce anzi rapidamente col crescere della purezza. L’etere si può anche ottenere per azione dei disidratanti (pic- cole quantità d’acido solforico, di anidride borica, di cloruro di zinco fuso) sull’alcool. L'acido solforico non agisce che concen- trato e caldo e in tal caso la reazione è molto violenta, e si forma poco etere insieme ad altri prodotti semisolidi che non ho studiati; per l’anidride borica è necessario far bollire troppo lungamente e allora 1’ etere formatosi va man mano decompo- nendosi; il cloruro di zinco invece agisce a temperatura inferiore a quella dell’alcool, raggiunta una certa temperatura incomincia la reazione che prosegue senza bisogno di ulteriore riscaldamento ed è accompagnata da abbondante sviluppo di vapor d’ acqua che va a condensarsi salle pareti del palloncino. Con quest’ ul- timo metodo il rendimento è quasi teorico. L’etere parabromobenzilico si presenta come l’alcool in lunghi aghi appiattiti, è insolubile nell’acqua, poco solubile nell’alcool caldo, pochissimo nel freddo, fonde a 85°-86°, diede all’analisi i risultati seguenti: I. Grammi 0,4280 di sostanza diedero grammi 0,4508 di bromuro d’argento. II. Grammi 0,2945 di sostanza diedero grammi 0,3115 di bromuro d’argento. III. Grammi 0,5160 di sostanza diedero grammi 0,5457 di bromuro d’argento. IV. Grammi 0,3850 di sostanza diedero grammi 0,1276 d'acqua e grammi 0,6688 di anidride carbonica. E in 100 parti trovato calcolato per (Br. CH, CT I II IlI IV Br 44,82 45,01 45,00 44,94 C 47,37 47,19 H i 3,68 3,97 DERIVATI DEGLI ALCOLI PARABROMO E PARACLOROBENZILICO 351 Anche su quest’ etere volli confermare il modo generale di decomposizione sotto l'influenza del calore nell’aldeide e nell’idro- carburo corrispondente, e trovai infatti che facendolo bollire per qualche tempo si scinde in parabromotoluene ed aldeide para- bromobenzoica secondo l’equazione Br GAS CH|H Br CH, sd AR | CH, La decomposizione avviene rapidamente, e i due prodotti si separano con facilità distillando le prime porzioni costituite da parabromotoluene il quale cristallizza già lungo il tubo del- l'apparecchio distillatore, e trattando il residuo con bisolfito so- dico il quale si combina all’aldeide. Sarebbe stato pure interessante lo studio completo dei pro- dotti di nitrazione dell’ etere parabromobenzilico trovandoci in presenza di un caso alquanto diverso da quelli precedentemente studiati (loco citato). Nel nitrare gli eteri benzilisoamilico e ben- zilisobutilico potei constatare accanto alla formazione di aldeide benzoica quella dei nitrati di isoamile e di isobutile, nè v' ha ragione alcuna per non ammettere che anche quando il radicale alcoolico grasso è l’etile non si formi l'analogo nitrato etilico. Ma qui trattandosi di un etere contenente ambedue i radicali appartenenti alla serie aromatica, e di più identici, era interes- sante il vedere se si formasse aldeide parabromobenzoica soltanto, comportandosi i due radicali ugualmente di fronte all’acido ni- trico, ovvero si ottenesse il nitrato dell’alcool corrispondente, o la reazione infine procedesse in modo diverso. E il dubbio che non si formi il nitrato di parabromobenzile è reso naturale dal fatto che i nitrati corrispondenti ad alcoli aromatici presentano serie difficoltà di preparazione, tanto è vero che quello di ben- zile si conosce solo imperfettamente e il nitrato di paranitro- benzile, ottenuto per nitrazione con acido nitrico concentratissimo dell'alcool corrispondente, si decompone già per ebollizione con acqua. 352 GIORGIO ERRERA Disgraziatamente la poca quantità di etere parabromobenzi- lico che aveva a mia disposizione non mi permise di fare in modo completo lo studio desiderato. Che accanto all’'aldeide pa- rabromobenzoica si formino prodotti nitrati è certo, ma di qual natura essi sieno non potrei dire con sicurezza. Allorquando si sottopone a distillazione con vapor d’acqua il prodotto greggio della nitrazione, passa aldeide parabromobenzoica con alcuni pro- dotti contenenti azoto, rimane nel pallone una sostanza di color giallo chiaro, solubile nell’acqua bollente, poco nella fredda, dalla quale si deposita cristallizzata in aghi sottili, facilmente solubile nell’alcool e che fonde a 168°-164°. Una determinazione di azoto ed una di bromo mi diedero numeri concordanti con quelli richiesti dal nitrato di parabro- mobenzile (N 5,90 % invece di 6,03; Br 34,54 % invece di 34,48), però i risultati ottenuti meritano una fiducia relativa in causa delle quantità troppo piccole di sostanza sulle quali dovetti operare. Ciò che poi mi fa dubitare si tratti veramente del nitrato di parabromobenzile è la stabilità della suddetta so- stanza che non si decompone neppure bollita con carbonato so- dico abbastanza concentrato. Etere paraclorobenzilico. CI (1) CH,< CHL. (4) c RA o (E), gd. (Da La formazione dell’etere parabromobenzilico per ebollizione con acqua o con soda del bromuro corrispondente è affatto. ec- cezionale, poichè in generale i composti simili in condizioni ana- loghe danno l’ alcool e non l’etere. Nemmeno il cloruro di pa- raclorobenzile, composto tanto analogo al bromuro, si comporta com’esso ; facendolo bollire con acqua o con idrato sodico diluito sì trasformò completamente in alcool (*) p. f. 71° senza ch'io abbia riscontrato traccia dell’etere corrispondente. *) C. L. Jackson e A. W. FieLp, American chemical Journal, 2, 88. innata anni DERIVATI DEGLI ALCOLI PARABROMO E PARACLOROBENZILICO 353 Ho preparato poi l’etere per azione del cloruro di zinco fuso sull’alcool; la reazione procede come nel caso precedente e il rendimento è quasi teorico. L’etere paraclorobenzilico è solido e cristallizza dall’alcool in aghi o laminette, è molto meno solubile nell’alcool dell’alcool paraclorobenzilico, fonde da 54°-55° a tem- peratura inferiore a quella di fusione dell’alcool corrispondente 71°, mentre avviene l'opposto per l’etere parabromobenzilico che fonde a temperatura più elevata dell’alcool da cui deriva. All’analisi diede i seguenti risultati : I. Da grammi 0,3291 di sostanza si ottennero gr. 0,3576 di cloruro d’argento. II. Da grammi 0,2810 di sostanza risultarono gr. 0,1212 d’acqua e grammi 0,6525 di anidride carbonica. E in 100 parti trovato calcolato I II per (CZ.C.H,.CH,),, 0 CI 26,88 i 26,59 0. 63,22 62,92 H 4,79 4,50 L'’etere paraclorobenzilico bollito a ricadere si decompone ra- ‘pidamente in aldeide paraclorobenzoica e paraclorotoluene. Torino — Laboratorio di Chimica della R. Università. Giugno 1888. 354 N.: JADANZA Una nuova forma di cannocchiale, Nota del Prof. N. JADANZA Quando il comune cannocchiale astronomico si adopera a guar- dare oggetti situati a piccola distanza (sempre maggiore del doppio della distanza focale dell’obbiettivo) le immagini sono sempre mi- nori degli oggetti guardati; e quindi non è possibile ottenere forti ingrandimenti. Lo scopo della presente nota è quello di dare il mezzo di costruire un cannocchiale astronomico avente l’obbiettivo composto di due lenti tale che possa dare immagini eguali od anche mag - giori degli oggetti guardati quando questi si trovino ad una di- stanza (dall’obbiettivo) superiore al doppio della distanza focale. Indicheremo con @, e 9, le distanze focali delle due lenti di cui si comporrà l’obbiettivo composto. Dovendo esso avere la stessa distanza focale dell’ obbiettivo semplice, la formola dà A=p, 05 8 cioè: la seconda lente dev'essere posta nel secondo fuoco prin- cipale dell’obbiettivo semplice (della lente che riceve prima la luce). Perchè le immagini degli oggetti situati ad una distanza mag- giore del doppio della distanza focale 9, possano essere eguali o maggiore degli oggetti, il primo fuoco principale del sistema dovrà allontanarsi dall’obbiettivo semplice, cioè dovrà avvicinarsi al- l'oggetto. Sicchè se nella nota formola Da Pelagie ag n Pt o A atti NUOVA FORMA DI CANNOCCHIALE DOD che dà l’ascissa del primo fuoco di un sistema composto in fun- zione degli elementi delle due lenti che lo RETI poniamo A = 0; ed osserviamo che il secondo torimine sl dev'essere ne- n, gativo, se ne dedurrà che ©, dev'essere negativa e quindi la se- conda lente dovrà essere divergente. Le formole che danno i punti cardinali di un tale obbiettivo sono le seguenti, che si deducono dalle note formole fondamen- tali ponendo A =%, e supponendo ©, negativa. I punti d’isometria inversa (*) saranno dati da E=F—-6, 9 Ie 31 DPL 1 ossia dalle altre p_cp_® FA dae fa e, CA ssRDa SO Essi dunque sono situati come nella qui unita figura, nella quale F* i Di VE (*) Piani d’isometria inversa sono quei piani coniugati tali che il rap- porto tra oggetto ed immagine m—=—1. Essi incontrano l’asse nei punti d’isometria inversa. 356 N. JADANZA M indica la lente convergente, N la lente divergente. Nella parte superiore dell'asse sono segnati i punti cardinali delle lente M, e nella parte inferiore i punti cardinali del sistema composto. I punti E*, Y*, E,* sono fissi ed indipendenti dal valore numerico di %,; gli altri E, F, E; si allontaneranno più o meno dalla lente M (dalla parte d’onde viene la luce) secondo che il rapporto Î1 sarà più o meno grande. p 2 Ponendo 9, = 9, le (2) e (3) diventano: odi F=F,-np,=E-(n+1)p,, FEE | E=E,-no,=E- nq, ; E* E 20000 E=LE,no,=E- (n+2)0, ’ E*= Lot Per potere avere l’immagine della stessa grandezza dell’og- getto guardato, questo dovrà trovarsi nel primo punto d’isometria inversa. Se adunque si indica con D la distanza dell’oggetto dal- l'obbiettivo del cannocchiale si avrà (n + 2) ®, =D d’onde (5). n = D Pa Questa equazione determinerà » e quindi la distanza focale della lente divergente sarà data da o,= È cop. Così p. e. volendo guardare ad una distanza di 2 metri una scala divisa e volendo che la immagine data dall’obbiettivo sia eguale all’oggetto, se l’obbiettivo del cannocchiale è di 30 cen- timetri si avrà 2 alna E Resana vai TT CETO NUOVA FORMA DI CANNOCCHIALE 357 e quindi la distanza focale della lente divergente dovrà essere di circa 6,4 centimetri. Il tubo del cannocchiale si farà doppio della distanza focale della lente obbiettiva, perchè la immagine verrà a formarsi nel secondo punto d’isometria inversa. La figura annessa mostra la disposizione che dovrebbe avere un cannocchiale come quello ora descritto; costruendolo in modo che la lente divergente possa essere tolta esso potrà servire come un ordinario cannocchiale astronomico. Se al posto della lente divergente si mette una lente convergente di distanza focale eguale e v) z $ ? a 3 3 1 (dove n> 4) si avrà un Plessotelescopio, ossia un cannocchiale n che può servire a guardare oggetti lontani e vicini (*). Sarà sempre utile che la parte anteriore del tubo possa scorrere nella poste- riore specialmente quando il cannocchiale sarà adoperato a guar- dare oggetti lontani. Torino, maggio 1888. (*) Cfr. N. Japanza, Nuovo metodo per accorciare i cannocchiali terrestri {Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. XXI). Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII 29 358 GIO. PIETRO GRIMALDI Influenza della tempera sulle proprietà termoelettriche del Bismuto Ricerche del Dott. Gio. PIETRO GRIMALDI, Libero Docente di Fisica nella R. Università di Palermo (41) 1. In un interessante lavoro sulla resistenza elettrica del bismuto (2) il Righi viene alla conclusione seguente: « Dall’in- sieme dei fenomeni che produce l’aggiunta dello stagno al bismuto sembrami risultare fondata una certa analogia fra il bismuto puro e quello contenente piccole quantità di stagno da una parte, ed il ferro e l'acciaio dall’altra. Il bismuto puro come il ferro puro non è suscettibile di tempera, mentre lo sono tanto l’acciaio che il dismuto-acciaio, ossia bismuto con traccie di stagno. La tempra del bismuto-acciaio ne aumenta la resistenza elettrica specifica. La tempera del ferro-acciaio ne aumenta di }4 circa la resistenza, come constatò Mousson. » Alcuni però dei fatti spe- rimentali ottenuti dal Righi nel detto studio non sono stati con- fermati dalle ricerche posteriori di altri sperimentatori. Così, ad esempio, il Righi trovò che nel bismuto commerciale non tem- perato la resistenza elettrica fra certi limiti di temperatura di- minuisce con l’aumentare della medesima, mentre aumenta nel bismuto puro come negli altri metalli, e dimostrò con molte ed accurate esperienze, che questo diverso comportamento fra il pro- dotto commerciale e puro era dovuto alle traccie di stagno che il metallo commerciale da lui cimentato conteneva. Ettingshausen e Nernst (3) hanno invece trovato che la resistenza del bismuto (1) Queste ricerche furono fatte nel laboratorio di Fisica della IR. Uni- versità di Palermo, diretto dal Prof. D. Macaluso, che mi fu largo di mezzi e di consigli per poterle eseguire. (2) Mem, Ace. Lincei, serie 3%, vol. XIX, 1884. (3) Wired. Ann., 1888, Band XXXIII, Hef, 3 PROPRIETÀ TERMOELETTRICHE DEL BISMUTO 359 puro diminuisce con la temperatura, mentre aumenta quella del bismuto contenente stagno in diverse proporzioni; e ciò avviene fra gli stessi limiti di temperatura fra i quali il Righi trovò una diminuzione. Infine, secondo Van Aubel (1), che ha cimentato bismuto di diverse provenienze, la resistenza elettrica aumenta o diminuisce con la temperatura, passando da un campione all’altro, senza regola alcuna, sia che vi si aggiunga o no dello stagno. Questi risultati contraddittorii mi hanno spinto ad esaminare con lo studio di altre proprietà fisiche l'analogia sopra accennata fra il dDismuto-acciaio e l’acciaio, analogia che a mio credere sarebbe interessante sia dal lato fisico, che dal chimico. Ho voluto perciò ricorrere allo esame delle proprietà termoelettriche del metallo in parola. 2. Per quel che riguarda il variare di queste proprietà colla variazione della struttura molecolare dei corpi si sa dalle espe- rienze del Magnus (2) (eseguite sull’ ottone, argento, acciaio, cadmio, rame, platino, argentano, zinco, stagno e ferro) che lo stesso metallo, incrudito alla filiera 0 ricotto, occupa una diversa posizione nella scala termoelettrica. Al contrario, dalle esperienze di E. Becquerel, si deduce che una lega di 10 parti di bismuto ed una parte di antimonio non presenta alcuna variazione nel comportamento termoelettrico quando viene ricotta. Ma, come han dimostrato le ricerche del Barus (3), risultati più rimarchevoli si hanno per la tempra dell’acciaio. Questo sperimentatore in una estesa serie di esperienze cimentò sia delle verghe cilindriche tem- perate col metodo che comunemente impiegano i meccanici, sia dei fili che venivano tesi dentro un tubo di vetro, arroventati dal passaggio di una corrente elettrica, e poscia raffreddati per mezzo di una corrente di acqua fredda. Ottenne sempre, nelle diverse misure, una corrente termoelettrica che andava dal me- tallo temperato al non temperato attraverso alla saldatura calda, mentre nelle esperienze del Magnus la corrente andava attra- verso alla stessa saldatura dal filo d’acciaio non incrudito all’in- erudito. Ciò prova che la tempra incrudisce l’acciaio in modo diverso della filiera, malgrado che le proprietà meccaniche dei fili incruditi alla filiera o con la tempera abbiano molta analogia. (1) Philos. Mag. March., 1888. (2) Wied. Elek., Baad II, s. 278. (3) Wied. Ann., Band VII, s. 383 (1879). 360 GIO. PIETRO GRIMALDI Dalle ricerche di Barus risulta inoltre che diversi fili di una stessa qualità di acciaio, temprati allo stesso modo (a tutta tem- pera) sono collocati molto vicini nella serie termoelettrica, e rimangono tali anche dopo una seconda tempera. Se le aste sono temperate in diverso grado la corrente va attraverso il caldo dal filo più temperato al meno temperato. . me dE Il Barus chiama tempera termoelettrica il rapporto “i per è tendente a zero, E essendo la forza elettromotrice della coppia acciaio temperato — acciaio ricotto e # la differenza di temperatura delle saldature; questa quantità può essere presa come misura della tempera dell’acciaio, e la sua variazione per i diversi gradi di questa ha un andamento simile alle variazioni di volume (stu- diate dal Fromme) che l’acciaio subisce con la tempera. Il Barus ritiene nel suo lavoro che nella tempera, oltre al fenomeno fisico, avvenga anche un processo chimico , confermando così la teoria di Karsten, il quale ammise che, riscaldando l’acciaio, si formi un composto chimico che diviene stabile pel raffreddamento re- pentino. 3. Volendo fare per il bismuto una ricerca simile a quella di Barus per l'acciaio, cominciai dal procurarmi del bismuto il più possibilmente puro ed assolutamente esente da stagno. Ebbi dal Trommsdorff un prodotto che sottoposto ad analisi chimica (1) dimostrò contenere piccolissime traccie di ferro e di piombo, ma essere completamente privo di stagno: credetti dovermene con- tentare attesa la grande difficoltà che si ha ad ottenere del bis- muto perfettamente puro e visto che, volendo procedere per diffe- renza, quello che a me maggiormente interessava era la mancanza assoluta dello stagno. 4. Misurai, rispetto al rame, il potere termoelettrico di questo bismuto, ricotto o temperato, sia puro,*sia quando conteneva di- verse quantità di stagno. Per ciò fare ne costruiva delle spranghette cilindriche di 7a 9 centimetri di lunghezza e di 4"" circa di diametro, a due per volta, versando il metallo fuso dentro un tubo di vetro ad U preventivamente riscaldato in un bagno di paraffina ad una tem- (1) Quest’analisi, come pure altre che accennerò in seguito, vennero ese- guite nel laboratorio di Chimica della R. U. di Palermo dal Dott. Alberto Peratoner, al quale esterno qui i miei ringraziamenti. PKOPRIETÀ TERMOELETTRICHE DEL BISMUTO 361 peratura superiore a quella di fusione del bismuto e facendo raf- freddare il bagno molto lentamente. Ad ogni cilindretto tagliava le estremità, la inferiore perchè ricurva, la superiore perchè conteneva un po’ di ossido e col ri- manente ne faceva una coppia della quale determinavo il potere termoelettrico prima e dopo averla temprata. La fig. 1 rappresenta la detta coppia. AB è il cilindro di bismuto le cui estremità, limate in un piano parallelo alle gene- ratrici, sono riunite mediante due morsetti « e % (uno dei quali è disegnato separatamente nella fig. 2) alle estremità piatte di due fili di rame mm ed nn. Questi fili sono collocati dentro due tubi verticali M ed N di 60° di lunghezza e 3°° di diametro circa, situati l'uno sull’altro a 4°" di distanza: l'estremità infe- riore del tubo N è chiusa per mezzo di un turacciolo di sughero # attraverso il quale passa il cilindretto di bismuto che rimane per un centimetro od un centimetro e mezzo dentro il tubo. L’estre- mità 5 penetra altrettanto dentro il tubo M. In esso circola entrando dal tubo rr l’acqua di un grande recipiente (non disegnato nella figura) riempito circa 12 ore prima di cominciare le esperienze; l’acqua poi eftluisce dal tubo ss la cui estremità superiore si regola in modo che il bismuto rimanga sempre un centimetro sopra il morsetto B. Un termometro Baudin, diviso in quinti di grado serve a determinarne la temperatura. Attra- versano il turacciolo #, oltre il bismuto, due tubi di vetro p e q il primo dei quali conduce ad un matraccio E pieno di acqua che al momento dell’esperienza si fa bollire, il secondo pesca in un bicchiere d’acqua e si può sollevare per scacciare quella che sì condensa nel tubo al principio dell’esperienza. Il vapor acqueo che si svolge da £, dopo esser passato per tutto il tubo N usciva dal tubo / del turacciolo 7. Il filo » pure attraversava questo turacciolo e poteva scorrere senza troppa difficoltà; similmente il filo m poteva scorrere nel turacciolo V (1). (4) Avevo dapprima ideato di piegare ad U l’asta di bismuto e di collecare i due tubi M ed N uno allato all’altro; in tal caso i fili di rame venivano introdotti dentro dei buchi scavati all'estremità del bismuto el una goccia di mercurio serviva a stabilire il contatto. Con questo apparecchio eseguii molte misure che mi diedero l’idea generale del fenomeno, e delle quali alcune sono appresso riportate: ma mi accorsi che nelle serie molto prolungate di esperienze il mercurio si diffondeva nell'interno del bismuto, ciò che ne po- teva probabilmente alterare la natura chimica. s 362 GIO. PIETRO GRIMALDI 5. Il metodo sperimentale seguito nella misura delle f. e. m. era un metodo di compensazione, quasi identico a quello adope- rato in un precedente lavoro, e che ricorderò qui brevemente. La fig. 3 rappresenta schematicamente la disposizione sperimen- tale. AA, indica la coppia termoelettrica da cimentare, nel cui circuito, fatto di un grosso filo di rame, era inserita una resi- stenza conosciuta r, che nelle diverse ricerche variò da 2°" a 5% circa, rispetto alla quale era perfettamente trascurabile quella interna della coppia e quella dei reofori del circuito LIM N. P è la pila compensatrice; C una cassetta di resistenza. In G è segnato il galvanoscopio, che era la solita bussola di Wiede- mann che ho adoperato nelle altre ricerche elettriche: era asta- tizzata. Un doppio interruttore, non disegnato nella fig. 3, per- metteva di chiudere simultaneamente i due circuiti NP L ed NA, AL: con un commutatore I si poteva sostituire ad MA, AI, M B, BI dove B, B è una coppia termoelettrica campione rame- ferro la cui resistenza interna, non che quella dei fili MB, e BI era anche trascurabile rispetto ad r. Una delle due saldature di questa coppia campione era im- mersa nel vapor acqueo dentro un pallone con acqua bollente, il collo lungo del quale era circondato esternamente da un tubo dove circolava anche il vapore per un'altezza di 25°" circa. Attorno all'altra saldatura effluiva continuamente dell’acqua del reci- piente È. Questa coppia era di una costanza perfetta durante una serie di esperienze, e si poteva facilmente tener conto delle sue varia- zioni da una serie all'altra leggendo un termometro di Golaz diviso in quinti di grado collocato presso la saldatura fredda, ed un barometro -che permetteva di determinare la temperatura di ebollizione dell’acqua. Si indichi: con £ la f. e. m. della Daniell ; con per i poteri termoelettrici delle coppie bismuto rame e rame ferro medii fra 100° e la temperatura ambiente; con t e $ le differenze fra le temperature delle saldature delle coppie bismuto-rame e rame-ferro ; . con È ed R, le resistenze della cassetta C' rispettivamente necessarie a portare a zero il galvanometro, quando vien chiuso o il circuito MA, 41, o quello M B, BI; con f e p, i valori di » nei due casi anzidetti. ve Cee PROPRIETÀ TERMOELETTRICHE DEL BISMUTO 363 Avremo, come è noto, le due equazioni : dro E Riv: 79 pi MiB e quindi Lainate da; tm prat Î p — è la quantità da determinare. si 0 Generalmente 7 era uguale ad 1, ciò che semplificava no- tevolmente i calcoli. La resistenza interna della Daniell era trascurabile rispetto ad E, E; la sua forza elettromotrice non entrava nei calcoli: solo si richiedeva fosse costante nell’intervallo di tempo fra le due determinazioni, che venivano fatte quasi contemporaneamente. Riporto come esempio i particolari di una esperienza scelta a caso dal registro Misura n° 56. Coppia rame-ferro Coppia n° 6 posiz. I Term® Golaz corr° 18°. 4 Term° Baudin corr° 18°,2 ROSSE VIE R—19409% DIG KH VITOTS Pressione 757"",0 a 18°,0, Temperatura di ebollizione del vapore acqueo 99°, 8 Q=81°9,4 te=B 130 È — 0,99755 R p 5 — =1,70175 L—-_ R k Lod E Soy gp n 6. Prima di cominciare le ricerche definitive volli esaminare se smontando il cilindretto di bismuto e rimettendolo a posto si avesse una differenza notevole. 364 GIO. PIETRO GRIMALDI Nella tavola seguente sono riportate sei misure fatte conì una coppia contenente l’uno per cento di stagno. Fra una misura e l’altra essa veniva spostata e poscia nuovamente rimessa a posto : qualche volta anche veniva smontato completamente l’apparecchio della fig. 1 e poscia rimontato da capo. 3) 1° misura P> 1,562 TE; it SENT) n bro Bce TT "ion DA NO TT p#.106, Eiel1,591 n 6° » > ladilà. n In queste misure la differenza massima è un po’ minore del 4 % del valore medio: credetti conveniente l’esaminare a che cosa dovesse attribuirsi, quantunque lo studio del fenomeno in parola non richiedesse una grandissima precisione. La bontà dei contatti del bismuto col rame era assicurata dalla superficie piuttosto grande dei fili di rame, che veniva volta per volta levigata e ripulita e si adattava perfettamente sulla superficie del pari piana, levigata e pulita delle estremità del bismuto, mediante le viti di pressione che venivano fortemente strette. La resistenza del circuito termoelettrico non era mai in- feriore a 2°", e rispetto ad essa doveva essere trascurabile quella di centatti così bene stabiliti. | Esclusa quindi tale causa di errore le differenze sopra notate mi pare si debbano attribuire alla mancanza di omogeneità nella composizione chimica (1) o nella struttura molecolare delle di- (4) Un’ analisi chimica, fatta sopra due pezzi di una stessa asticina di bismuto, dimostrò che uno conteneva un terzo di stagno di più dell’altro. alata PROPRIETÀ TERMOELETTRICHE DEL BISMUTO 365 verse parti del cilindretto. Se questo è eterogeneo nelle diverse sezioni e nel rimetterlo a posto, dopo averlo rimosso, vien col- locato in posizione alquanto differente, rispetto a quello del tu- racciolo # od al livello dell’acqua nel tubo M, può darsi che la caduta di calore avvenga nel suo interno in modo diverso nei due casi, e quindi si abbia una variazione nell’intensità della corrente termoelettrica. Alcune osservazioni da me fatte confermano tale spiegazione; per esempio capovolgendo il cilindretto, e rimetten- dolo a. posto la forza elettromotrice varia quasi sempre e spesse volte in modo assai rilevante: tale variazione deve molto proba- bilmente attribuirsi alla ragione sopra accennata. Ed osservai inoltre che le differenze fra le diverse misure erano tanto più notevoli, quanto maggiore era la variazione di potere termoelettrico del bismuto pel capovolgimento della coppia. Per queste ragioni cercai di ottenere delle leghe omogenee, agitando lungamente il metallo liquido prima di versarlo dentro il tubo ad U, e curai che nelle diverse misure il cilindretto di bismuto occupasse sempre la stessa posizione relativamente al tu- racciolo del tubo N ed al livello dell’acqua nel tubo M. Con queste precauzioni ottenni dei risultati più concordanti : per esempio ebbi per la coppia N. 2 p 1° misura — =1,980 n 29» È 1,989 n { le'Halec a con la differenza di 300 crea Per la coppia N. 3 ottenni: 1° misura P= 1,329 n 2 |» È = .qr895 n con una differenza ancora più piccola; e per la stessa coppia, capovolgendo il bismuto 1° misura D <= 1,300 n Sur he tic 366 GIO. PIETRO GRIMALDI Tale limite di approssimazione è più che sufficiente nel nostro caso, anzi in molti casi sarebbero bastate misure assai meno ap- prossimate. “. Regolato bene l’apparecchio ed accertatomi del suo limite di esattezza cominciai con l’eseguire alcune esperienze sopra il hi- smuto puro, determinando il potere termoelettrico di diversi cilin- dretti, ottenuti col metallo del Trommsdorff, prima e dopo la tempera (1). Tale operazione veniva eseguita riscaldando il cilindro dentro un bagno di paraffina ad una temperatura che oscillava da 230° a 255° ed immergendolo poscia rapidamente, qualche volta in un bicchiere pieno di acqua alla temperatura ambiente, per lo più in un recipiente pieno di un miscuglio frigorifero di neve e sale che rendevo liquido con l’aggiunta di un po’ di acqua fredda. Nella tempera cercai sempre di procedere allo stesso modo, ma non oso affermare che il calore sia stato sottratto dal metallo, nelle esperienze simili, sempre con la stessa rapidità. E questa è forse una delle ragioni del fatto che i fenomeni variavano quan- titativamente da una coppia all’altra. 8. Riporto qui sotto i risultati di tre serie di esperienze eseguite sulle coppie A, B, C, fatte di bismuto puro; è bene avvertire che le tre coppie vennero fuse separatamente in tubi diversi e che la coppia B venne cimentata con la primitiva disposizione sperimen- tale, nella quale i contatti fra il bismuto e rame erano a mercurio. Credetti bene fare le misure sia nell’una che nell’altra posi- zione dei cilindretti di bismuto, il potere termoelettrico essendo generalmente diverso da una posizione all'altra. Per distinguere le due posizioni le indicherò coi segni I e II. (1) Per temperare il bismuto, il Righi faceva fondere in un bagno ad olio i cilindretti di metallo dentro una scanalatura praticata in una lastra di rame; un po’ per la poca scorrevolezza del metallo, un po’ per la forma della lastra essi non si deformavano, poi venivano raffreddati più o meno rapidamente, o immergendo la lastra nell’acqua fredda, o nell'etere, o lasciandola raffred- dare lentamente nell’olio. Però si può obbiettare in questo caso, che la va- riazione di resistenza elettrica avvenuta sia dovuta a variazione della distri- buzione dello stagno nelle diverse parti del cilindretto, o a variazione nella disposizione dei cristalli, o ad alterazioni chimiche, che può subire il metallo fuso a contatto dell’olio o dell’aria. Quantunque per la regolarità dei risul- tati trovati dal Righi sembra siano da escludersi tali obbiezioni, pure ho cre- duto nella tempera dover riscaldare il metallo ad una temperatura inferiore a quella di fusione dello stesso. netntie ttt PROPRIETÀ TERMOELETTRICHE DEL BISMUTO 367 Chiamerò P il valore di a della coppia che dopo la fusione era stata raffreddata lentissimamente, P, il valore di A dopo che la n PERA coppia era stata temperata e farò P— P, =ff e p Ò. Coppia A. tempera a 250° e nell’acqua alla temperatura ambiente Posizione I. Posizione II. ee seed 1390 SAMP 1818 ud Pd 509 (= E — 40652 del è—=-0,032 - G=0,1664 ‘022 0ady Coppia B. tempera a 250° e nell’acqua alla temperatura ambiente Posizione I. Posizione II. io ,913/P 3.500 dog ARCER — 8 O] © Pd 95 Pani. P'_530 B=0,05 ò— 0,01 BES019 d= 0.02, Coppia C. tempera a 250° e nel miscuglio frigorifero Posizione I. Posizione II. t=169,9 P=4,350 t=16°,8 P=4,450 t=17°9,0 P,=4,2950 t=17°,7 P,=4311 B-0,055 è=0,012 B=0,139 èd=0,08L. Come si è visto, i valori di P e /, ci danno i valori del potere termoelettrico medio fra 100° e # delle coppie prima e dopo la tempera, riferito a quello medio fra 100° e # dalla coppia rame-ferro, che secondo il Tait è eguale ad 11,43 microvolta; dà il valore del coefficiente che Barus chiamò tempera termo- elettrica riferito sempre alla stessa unità di misura, 0 il rapporto 368 i GIO. PIETRO GRIMALDI fra questo coefficiente ed il potere termoelettrico prima della tem- pera. Dai valori sopra riportati si vede che ff, abbastanza pic- colo in valore assoluto, è piccolissimo e trascurabile rispetto a P, i valori di 0 sono molto vicini a zero. Si può quindi concludere che la tempera influisce in grado piuttosto piccolo sul comportamento termoelettrico del bismuto esente da stagno (1). 9. Passando quindi ai risultati avuti col bismuto contenente stagno, esporrò prima le esperienze fatte con le coppie N. 1, N_2, N. 3. — Le coppie N. 1 e N. 2, vennero preparate contem- poraneamente dalla fusione di gr. 50 di bismuto e gr. 0,50 di stagno; la coppia N. 3 fu fusa a parte, impiegando i metalli nelle stesse proporzioni. Tutte e tre le coppie contenevano quindi in media per cento 99,01 di bismuto e 0,99 di stagno; fon- devano a 2483°,5 CopPiA N° 1. tempera a 215° e nell’acqua a temperatura ambiente Posizione I. t=.1359.. Padgb60&(2) bi== 139,8" P.=21,0604 B=0,199, è=)0p128 CoPPIA N° 2. tempera a 220° © nell'acqua a temperatura ambiente Posizione I. Posizione II. è =42°5 PESTO (I) t—+P9978 © PB Se DAI Pi D807 i(=T2%0, Pig EMIITO, 00,059 RISO, T71, 9 (4) Se tale piccola influenza sia dovuta ad alterazione di struttura mo- lecolare del metallo, od alle traccie di piombo o di ferro che esso conteneva, potrà forse essere deciso in avvenire, quando avrò a mia disposizione del bismuto perfettamente puro, ciò che è molto difficile ad ottenersi. (2) Media di 6 determinazioni. (3) Media di 2 determinazioni. PROPRIETÀ TERMOELETTRICHE DEL BISMUTO 369 CopPPIia n° 3. tempera a 240° e nel miscuglio frigorifero Posizione I. . Posizione II. odo; 68, (P31,382(1) t==158,8. iP =14,3005.(2) = 153] 50 1P,=20, 706 b=1594 + P:=0, 716 B_-0, 626,1 010, 470 B=0,989" oO 74518 Come si vede, i valori di {8 sono notevolmente maggiori di quelli avuti col bismuto puro, e quelli di d assai più grandi nella coppia N. 3 per esempio, che fu sottoposta ad un’energica tempera, il potere termoelettrico si ridusse circa alla metà dopo che venne temperata; mentre per la coppia l di bismuto puro, temperata a un dipresso nello stesso modo la variazione del potere termo- elettrico fu solo del 3 per cento. 10. È interessante l’osservare che nelle successive misure il potere termoelettrico della coppia, che prima della tempera era costante, dopo la tempera va continuamente crescendo fino a rag- giungere all’incirca il valore primitivo. Così per esempio per la coppia N. 1 si ebbero successiva- mente i valori di P, che riporto qui in seguito. Fra la prima e la seconda misura trascorse un intervallo di tempo di mezz'ora, fra la seconda e la terza di 16 ore circa. CoPPIA N° 1 TEMPERATA. Posizione I. 1° determinazione #—13°,8. P,=1,364 2° » v="b4053 © Pot 465 3° » iii: P__ Lod. Per la coppia N. 2 facendo le misure con l’intervallo di tempo di mezz'ora (eccetto per la 6° la quale fu fatta 16 ore dopo la 5°) si ebbe (1) Media di 2 determinazioni. (2) Media di 2 determinazioni. 370 GIO. PIETRO GRIMALDI COPPIA N° 2 TEMPERATA. Posizione I. 1° determinazione #=12°9 P,=1,807 2° » - #13, 121,888 sa » t=1392 ,0B-4t.355 ve » t=-Lof 0 081, 9A Posizione II. 4° » t=120%. Pi=1,102 5° » i==1129 9! (Riga 6° » i-="10°8. PT, 0%0 11. Questo successivo variare di potere termoelettrico poteva essere dovuto o ad una modificazione di struttura o di compo- sizione chimica che avveniva spontaneamente ed in modo piuttosto rapido, oppure al ricuocimento che subiva la sbarra di bismuto quando, per eseguire le misure, un estremo veniva portato a 100° circa. Per vedere a quale delle due cause dovesse attribuirsi la variazione in parola, dopo fatta per la coppia N. 3 temperata una prima determinazione, e lasciatala in riposo per 24 ore, ne eseguii una seconda, quindi ricuocei il bismuto nella paraffina fino a 232° facendolo raffreddare nello stesso liquido, e senza far tra- scorrere molto tempo feci una nuova determinazione. Qui sotto sono esposti i risultati ottenuti : Coppia N° 3 TEMPERATA. Posizione I. Posizione II 1° deteim? #=159,5% P-= 0,706 t=15°,4 Pia lasciata in riposo per 24 ore 2° » ito bad 0444 t—15°,8 PP, 200008 ricotta nella paraffina 3° » {=:145),8.. P.=4;2b6 t=16%2 Pim 254 : PROPRIETÀ TERMOELETTRICHE DEL BISMUTO 371 Si vede nettamente da questi risultati che poco o nulla è alterato il potere termoelettrico delle coppie temperate se ven- gono lasciate in riposo anche per un tempo abbastanza lungo (1) mentre invece se si riscaldano e si fanno raffreddare lentamente esso ritorna quasi al valore che aveva prima della tempera. In sostanza il bismuto contenente stagno rispetto alla tempera, per le proprietà termoelettriche si comporta come l’acciaio. Basta a ricuocerlo una temperatura di molto inferiore a quella della tempera, e questa si conserva inalterata se il metallo non viene riscaldato. 12. Riguardo al senso della variazione del potere termoelettrico del bismuto contenente stagno, bisogna osservare che esso riferito al rame, diminuisce con la tempera: tale bismuto temprato si trova dunque nella serie termoelettrica fra il non temperato e il rame. Quindi in una coppia formata di metallo non temperato e temperato la corrente andrebbe dal primo al secondo attraverso la saldatura calda, mentre per una coppia acciaio non temperato e temperato abbiamo visto che la corrente va in senso inverso. Però si ha d’altra parte che in una coppia acciaio non tem- perato — ferro la corrente attraverso il caldo va dal primo al se- condo. Possiamo dunque scrivere la seguente serie termoelettrica : Bismuto puro, Bismuto contenente stagno, Bismuto contenente stagno temperato, Acciaio temperato, Acciaio non temperato, Ferro. dalla quale si ricava che l’aggiunta del carbonio produce nel ferro uno spostamento nella serie termoelettrica in senso in- verso a quello che fa subire lo stagno al bismuto puro. Si ha quindi che sì nell’acciaio che nel bismuto contenente stagno il metallo non temperato sta nella serie termoelettrica fra il me- (1) In queste esperienze la differenza fra i valori di P, della 1° e 2* mi- sura è forse quasi interamente dovuta al riscaldamento subìto dal bismuto nella 1° determinazione. Per diminuirlo avrei voluto fare le esperienze ad una temperatura più bassa, immergendo uno degli estremi del bismuto nel vapor d’etere anzichè in quello d’acqua. Però la corrente termoelettrica in questo caso era troppo piccola per potere eseguire delle misure precise delle sue variazioni, per cui dovetti ritornare alla disposizione primitiva. 372 GIO. PIETRO GRIMALDI tallo temperato ed il puro, e che la tempera produce in entrambi l’identico effetto che ha prodotto in essi l’aggiunta della sostanza estranea. Ed è da questo lato, parmi, che si debba intendere l’a- nalogia fra il bismuto contenente stagno e l'acciaio riguardo alla tempera. Analogo è il comportamento della resistenza elettrica: si ha per il ferro, che mentre la resistenza specifica del metallo puro è secondo il Matthiessen di 0,0986 U. S., quella dell’acciaio ri- cotto oscillò nelle ricerche di Barus da 0,136 a 0,430 U.S; e quella dell’acciaio temperato da 0,144 a 0,724 U. S, mentre dalle esperienze del Righi risulta che la resistenza elettrica spe- cifica del bismuto puro è 1,1534 U.S. e quella del bismuto commerciale contenente piccole quantità di stagno è 2,4122 U. S. per il metallo raffreddato lentamente e 3,5095 U.S. per il me- tallo temprato. 13. Poichè le misure termoelettriche confermano l'analogia fra il bismuto-acciaio e l'acciaio, riusciva interessante il ricercare se l’azoto o gli altri gas esistenti nell’ atmosfera hanno influenza nella formazione del bismuto-acciaio. Per l'acciaio vero l’influenza dei gas in parola e dell’ammoniaca che si sviluppa nella de- composizione delle materie organiche aggiunte nel processo di ce- mentazione è stato oggetto di discussioni molto lunghe e com- plesse fra Caron e Fremy. Per il bismuto ho tentato la seguente esperienza. Un tubetto cilindrico ben disseccato veniva riempito di pezzetti di stagno e di bismuto nella proporzione di uno di stagno per 100 di bismuto ed attaccato ad una pompetta a mercurio. Si faceva il vuoto spingendo la rarefazione quanto più era possibile, poi si chiudeva ermeticamente l’estremità del tubicino e si fon- devano i due metalli nel vuoto agitando la lega in modo da avere un prodotto il più possibilmente omogeneo. Infine mentre il bis- muto era fuso si immergeva il tubo dentro un bagno di paraffina scaldato a 270" e si lasciava lentamente raffreddare. Ottenuto così il cilindro si rompeva il tubo sott’acqua per constatare che non vi fosse penetrata dell’aria durante l’opera- zione e si eseguivano col solito metodo le misure termoelettriche prima e dopo aver temperato il cilindretto. Riporto qui appresso i risultati ottenuti con la coppia N. 9, costruita nel modo anzidetto ed impiegando i metalli nelle stesse proporzioni delle coppie N. 1, N. 2, N. 3. PROPRIETÀ TERMOELETTRICHE DEL BISMUTO 8753 Coppia N. 9. tempera a 230° e nel miscuglio frigorifero. Posizione I. Posizione II. Se 350 OR o mr = o 2 Al pe= — () ; p="1/,2 SR ELMO A: ,199 t= 177;4.P 4,088 (== 0 = 0,308 o = 0321 &= 0,2abD.. d'=:0,811 È da osservare anzitutto nella superiore tabella la grandis- sima differenza fra il potere termoelettrico della coppia nelle po- sizioni I e II, e la differenza piuttosto notevole fra due successive determinazioni fatte con la stessa coppia. Poichè fondendo i due metalli nel tubetto, che era piuttosto sottile, per quanto lo si scuo- tesse era molto difficile che la lega risultasse perfettamente omo- genea, questi due fatti confermano le spiegazioni da me date nel S 6 sulle divergenze fra le diverse misure fatte con la medesima coppia. Riguardo poi alla variazione del potere termoelettrico con la temperatura è da osservare che i valori di 0 per la coppia N. 9 sono dello stesso ordine di grandezza di quelli avuti con la coppia N. 3 che venne temperata all’incirca nelle stesse condizioni. Quindi sebbene le divergenze fra i risultati ottenuti con diversi campioni non permettano di venire ad una conclusione rigorosa, sembra , dietro l’esperienza fatta, sia da escludersi una grande influenza dei gas esistenti nell’atmosfera nella formazione del bismuto-ac- ciaio (1). 14. Credetti opportuno anche di esaminare leghe fatte con proporzioni diverse da quelle sin qui studiate. Riporto anzitutto (1) Siccome oltre il carbonio, anche altre sostanze possono, come è noto, conferire al ferro le proprietà dell’acciaio, restava a vedere se accadesse lo stesso per il bismuto: era interessante specialmente studiare l’azione del ti- tanio, che ha con lo stagno molta analogia chimica. Però, operando sia in un’atmosfera di idrogeno, sia nell’aria atmosferica non riuscii ad ottenere aleuna lega di bismuto e titanio. Nell’idrogeno, riscaldando fino al rosso, il titanio rimaneva galleggiante alla superficie del bismuto fuso senza unirsi affatto allo stesso; nell’aria atmosferica si formava una sostanza pulverulenta grigia, contenente forse rilevanti quantità di azoto, e che non aveva alcun aspetto metallico. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII 30 374 GIO. PIETRO GRIMALDI i risultati delle determinazioni eseguite su due cilindretti prepa- rati e fusi contemporaneamente in un tubo ad V con 50 grammi di bismuto e grammi 0,25 di stagno, e che quindi contenevano in media per cento 99,50 di bismuto e 0,50 di stagno. CoPPIA N° 4. tempera a 240° e nel miscuglio frigorifero. Posizione I. Posizione II. = 10,6 LA a t="17,670,P o = 18°01,.P,=15908 t=187,2 P=1,900 BIZ 307 0d—= 0,189 b= 0,298 dò = 0,136 Coppia N° 5. tempera a 250° e nel miscuglio frigorifero. Posizione I. Posizione II cat let Le di ini fa Li t — 18.000 Peo «= 18th Pr2602 =.182 «Pi 2600 f=0,499 d= 0,161 pr=0476|, 00184 Come si vede i valori di { e più specialmente i valori di d sono notevolmente più piccoli di quelli avuti con la coppia N. 3 che era stata temperata allo stesso modo. 15. Risultati ancora più piccoli ebbi con le coppie N. 6 e N. 7 preparate contemporaneamente con 50 gr. di bismuto e gr. 0,05 di stagno e che quindi contenevano in media 99,90 di bismuto e 0,10 di stagno. COPPIA N° 6. tempera a 250° e nel miscuglio frigorifero. Posizione I. Posizione II. i 2018, 21510P 4244 = 84: Ap 4) iesd Stade: PB. 4,055 t=183600P dl B=0,189 d=0,045 G=0,209 d = 0,048 Dopo aver determinato P, la coppia suddetta venne ricotta nella paraffina a 235° e lasciata lentamente raffreddare. PROPRIETÀ TERMOELETTRICHE DEL BISMUTO s79 Si ebbe allora: CoPPIA N° 6 RICOTTA. Posizione I. Posizione II. EP ='4,398 ECROZIORE — AI Per la coppia N. 7 si ebbero i seguenti risultati: Coppia N° 7. Posizione I. Posizione II. io 1 — 4,062 =h8-60 CE — de dla ASSE — dl 30 —3:S01 Bi-p,287 dè =0,071 B=.0,294.,.,d.= 05072 I valori di f e di 0 vanno decrescendo col diminuire della quantità di stagno contenuta nel bismuto, ma pur non di meno rimangono, anche per bismuto contenente piccolissime quantità di stagno notevolmente superiori a quelli avuti col bismuto puro. 16. Ho anche sperimentato con bismuto contenente stagno in quantità superiore all’1 °/,. Riporto qui sotto i tisultati avuti con la coppia N. 8 contenente per cento 95,00 di bismuto e 5,00 di stagno, e preparata nel solito modo. CoPPia N° 8. tempera a 220° e nel miscuglio frigorifero. Posizione I. Posizione II. uo —- 2,981 i = 1V8-,4 Pi, t==48°,2 P=— 3,283 i-=18°,2. P==,3:293 f=0,302 d=-— 0,092 B= 0,282 d=— 0,086 In questo caso i valori di P e di P, hanno il segno — per indicare che con questa coppia la corrente termoelettrica aveva una direzione opposta alle altre; andava cioè dal rame alla lega bismuto stagno, attraverso la saldatura calda: fu quindi necessario scambiare tra loro le estremità del circuito MA, AI. In queste misure i valori di P, risultarono più grandi in valore assoluto di quelli di P, e quindi i valori di {£ dello stesso segno di prima: vale a dire che anche in questo caso il bismuto temperato ri- Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII. 30% 376 GIO. PIETRO GRIMALDI spetto a quello temperato occupava la stessa posizione nella scala termoelettrica che nelle altre esperienze. I valori di {} e più specialmente quelli di Ò, a prescindere dal segno sono più piccoli di quelli avuti con la coppia N. 3 contenente l’uno per cento di stagno, e temperata come la cop- pia N. 8; pare adunque che l'aggiunta di nuova quantità di stagno diminuisca l’effetto della tempera; precisamente come av- viene per il carbone aggiunto al ferro. 17. Per fare meglio vedere la variazione di {? e di 0 con la proporzione dello stagno contenuto nel bismuto, riporto nella se- guente tabella i valori medii di questi due coefficienti presi fra le coppie della stessa composizione, temperate nel miscuglio frigorifero, Composizione centesimale DR aaa NO 3 Bismuto Stagno 100 —» 0,097 0,022 99,90 | 0,10 |. 0,245 0,059 9950 | 0,50 | 0,395 0,147 99,01 0,99 | 0,607 0,461 95,00 | 5,00 | 0,292 | — 0,089 18. L’analogia dell’acciaio col bismuto-acciaio viene adunque confermata dalle presenti misure termoelettriche in modo piuttosto soddisfacente: ove si ammetta come rigorosamente stabilita, essa potrà servire a studiare con maggiori particolari il processo della tempera in questo caso molto più semplice di quello dell’acciaio, Riguardo alla spiegazione dei fatti ottenuti parmi che quella data da Karsten per la tempera dell’acciaio si possa applicar bene al nostro caso; non è inverosimile che riscaldando il bismuto fin presso alla temperatura di fusione si possa formare un com- posto che possieda proprietà fisiche notevolmente diverse da quelle dei componenti, e che questo composto si dissocii di nuovo se il metallo ritorna lentamente alla temperatura primitiva, mentre possa invece persistere in tutto o in parte quando il metallo vien raffreddato bruscamente. Il fatto che i valori di P, per le coppie N. 1 e N. 2 ($ 10) andavano successivamente aumentando con i diversi riscaldamenti confermerebbe, parmi, tale spiegazione, che però è assai difficile dimostrare con esperienze dirette. NIV TAV 2 RK Lr = N SS AS n = IT KH È < [KI ] ito TE Guia “= a R >| TM n «a Lit .Doyen, Torino PROPRIETÀ TERMOELETTRICHE DEL BISMUTO 377 19. Per concludere, riassumerò brevemente i risultati ottenuti. a) Il potere termoelettrico del bismuto esente da stagno, riferito al rame, viene poco alterato dalla tempera: questa non fa variare il potere termoelettrico della coppia bismuto puro rame di più del 3 °/, del valore primitivo. b) Se viceversa il bismuto contiene quantità anche piccole di stagno, la tempera altera molto più notevolmente il valore del potere termoelettrico. Il p. t. e. della coppia bismuto-rame di- minuisce se la corrente termoelettrica prodottasi ha la stessa di- rezione di quella che si ha col bismuto puro accoppiato al rame, aumenta in caso diverso. Tale variazione è piccola quando la quantità di stagno aggiunta al bismuto, è piccolissima, cresce con l'aumentare della quantità di stagno fino ad un certo limite, poi diminuisce di nuovo. Con una coppia contenente l’uno per cento di stagno il potere termoelettrico diminuì del 47 Pet c) La differenza fra il potere termoelettrico del bismuto contenente stagno non temperato e temperato si conserva inal- terata se il metallo rimane abbandonato a se stesso, ma dimi- nuisce se viene riscaldato a temperatura anche di molto inferiore a quella della tempera; con i successivi riscaldamenti il potere termoelettrico va continuamente aumentando fino a raggiungere quelle che aveva prima della tempera. d) I fatti sopracennati confermano l’analogia trovata dal Righi fra il bismuto contenente stagno e il bismuto puro da una parte. e l’acciaio e il ferro dall'altra. Tanto per il bismuto-ac- ciaio che per il ferro-acciaio si ha che il metallo non temperato sta nella serie termoelettrica fra quello temperato e quello puro, analogamente a quello che avviene per la resistenza elettrica. e) Sembra che la formazione del bismuto-acciaio sia indi- pendente dalla presenza dell’azoto, o degli altri gas contenuti nell'atmosfera, l'influenza dei quali, nel processo di acciaiazione del ferro non è ancora stabilita con precisione. f) I fatti sopraccennati si possono spiegare ammettendo che nel riscaldare il bismuto contenente stagno, si formi un composto poco stabile, il quale possa almeno in parte sussistere, ove il metallo venga rapidamente raffreddato. Dall’Istituto di Fisica della R. Università di Palermo,. Maggio 1888. 378 A. NACCARI Sulla variazione del calore specifico del mercurio al crescere della temperatura , Nota di A. NACCARI Il Dulong e il Petit compresero anche il mercurio nella serie de’ metalli, di cui determinarono il calore specifico medio fra 0 e 100° e fra 0 e 300° (1). Trovarono nel primo caso il va- lore 0,0330, nel secondo 0,0350. Un aumento relativamente considerevole del calore specifico del mercurio avverrebbe dunque secondo questi sperimentatori, al crescere della temperatura. 1l Regnault eseguì delle esperienze sul mercurio col metodo del raffreddamento e per gl’intervalli da 20 a 15°, da 15 a 10, da 10 a 5 trovò rispettivamente i valori 0,0290, 0,(1283, 0,0282 (2). Egli stesso riconosce che questi numeri sono tutti troppo piccoli. Se si ammette però che la variazione da essi indicata sia esatta, anche queste esperienze mostrerebbero che il calore specifico del mer- curio cresce rapidamente con la temperatura. Nel 1876 il Winkelmann, studiando la trasmissione del calore attraverso i gas, fu condotto a fare come determinazione acces- soria la misura delle variazioni del calore specifico del mercurio al variare della temperatura (3). Egli trovò che fra 50° e 18° il medio calore specifico è maggiore che non fra 144° e 20°. Il Pettersson nel 1879 si occupò di tale argomento, volendo esaminare le proprietà del mercurio come sostanza calorimetrica (4). Dalle sue accurate esperienze egli concluse che fra 0 e 5°, fra 0 e 16, fra 0 e 36 il calore specifico avea valori così poco di- versi, da potersi ritenere costante entro quell’intervallo di tem- peratura. (1) DuLona. et PeriT, Journ. de l’École Polytechnique, 1820. (2) ReGNAULT, Annales de Chimie et de Physique [3], IX, 1843. (3) WinKELMANN, Pogg. Annalen, CLIX, 152. (4) Pertersson, Ofversigt af kh. Vetenshaps-Ahademiens Fòrhandligar , 1878. Stockholm, n° 9 p. 3. SULLA VARIAZIONE DEL CALORE SPECIFICO DEL MERCURIO 379 Le conclusioni contraddittorie, che ho riferito, fanno sì che nulla si può asserire con sicurezza intorno a questo argomento. Cercai di decidere la questione con nuove esperienze. Il metodo e l’apparecchio vennero già descritti in una nota precedente relativa ai calori specifici di metalli solidi. Indico so- lamente alcune particolarità relative al caso presente. Lascio da parte buon numero di esperienze fatte con cilindri di vetro contenenti mercurio. ()ueste esperienze indicarono una piccola diminuzione del calore specifico al crescere della tempera- tura, ma appunto perchè tale variazione era piccolissima, stimai che convenisse operare diversamente per ottenere maggior precisione. Quantunque avessi determinato con ogni cura il calore specifico de’ pezzi di vetro appartenenti allo stesso tubo da cui era stato tratto il vetro adoperato per costruire il cilindro, pure mi rimaneva sempre il sospetto che il calore specifico dei due pezzi di vetro fosse diverso o variasse diversamente al crescere della temperatura. Occorre inoltre adoperare una massa considerevole di vetro per costruire il cilindro che deve contenere il mercurio, e le condizioni delle esperienze sono anche tali che occorre molto tempo perchè il mer- curio del cilindro, quando immerso nel calorimetro, raggiunga tem- peratura eguale a quella del liquido calorimetrico. Per ciò eseguii una seconda serie di esperienze in condizioni molto migliori. Il recipiente destinato a contenere il mercurio era di lamina di ferro, ed era aperto al di sopra. Quando il cilindro col mercurio in esso contenuto stava entro l’apparecchio riscaldante, il bulbo del termometro si trovava immerso nel mercurio stesso. Quando il cilindro si faceva scendere nel calorimetro, il petrolio conte- nuto in questo, entrava nel cilindro, sicchè bisognava cambiare ad ogni esperienza il mercurio. Questo, ch'era stato prima ac- curatamente depurato, veniva preso da una bottiglia che ne con- teneva una quantità considerevole. Per far le correzioni relative al calore ceduto al calorimetro dal cilindro di ferro, mi giovai dello studio fatto dapprima sul calore specifico del ferro. Però per pormi al sicuro da ogni causa di errore feci anche apposite esperienze di verificazione col detto cilindro, nel quale posi la quantità di mercurio appena neces- saria perchè il cilindro si aftondasse nel petrolio. Bastavano a ciò circa 15 gr. Queste esperienze diedero per il calore specifico del ferro del cilindro fra 15 e 100 e fra 15 e 180° dei valori concordanti con quelli trovati già per il ferro nello studio pre- cedente. Il cilindro pesava gr. 20,8. 380 A. NACCARI Le tabelle seguenti contengono i valori ottenuti per il mer- curio. Nella prima colonna sta il peso del mercurio in grammi. Nella seconda l’equivalente in acqua A del calorimetro col li- quido contenuto e gli accessorî: la terza colonna contiene la tem- peratura 7 del mercurio entro l’apparecchio riscaldante nell’i- stante che immediatamente precede l'immersione, la quarta la temperatura #, del calorimetro nello stesso istante, la quinta la temperatura finale corretta t, del calorimetro, la sesta il calore specifico C dedotto dalle singole esperienze, la settima il valore medio c del calore specifico spettante a’ singoli intervalli. Come nello studio precedente questi calori specifici sono riferiti a quello dell’acqua interno a 15°. Le esperienze vennero fatte con l'ordine seguente. Si confrontò anzi tutto il calore specifico fra la tem- peratura ordinaria e 170° circa con quello fra la temperatura ordinaria e 100°. Poi un simile confronto si fece per i limiti superiori 220 e 100°. Infine si confrontarono gl’intervalli, i cui limiti superiori erano 183° e 100°, I numeri relativi a queste tre serie stanno nelle tre tabelle seguenti. In ogni serie disponendo di due apparati riscaldanti s'ebbe cura di alternare le esperienze spettanti ai due intervalli da confrontarsi. Le temperature vennero corrette mediante confronto dei ter- mometri adoperati con quello ad aria. Il calore specifico del pe- trolio venne accuratamente determinato più volte, tenendo conto della influenza della temperatura. - TABELLA T. 238, 8|170, 8|99,0|13,362|18,196|0,03304 223, 6|171,2|99,1|12,860|17,502 3315 230, 5|170, 5) >». (|18,372|18,110 3316 212, 8|169,8| » |18,403|17,867 3298 250, 1298, 6| 99,5] 12,916 | 15, 883 3307 256,7) » |99,6|13,050|16,078 3307 e i e TOR RDZ 1 ': ‘ Re‘2111e@ÎiÉiVVO©ÒO]Y} 146, 9|171, 2|160, 1| 12, 922 | 18, 857 |0, 03283 138, 4| » |171,38|18,041]|19,163 3285 144,0] » |172,0| 18,125 | 19,417 3294| 0, 03284 152, 8| » |1783,9| 12, 764] 19, 566 3273 156, 1[/298, 6|]175, 7| 12, 780 | 16, 751 3285 0, 03308 SULLA VARIAZIONE DEL CALORE SPECIFICO DEL MERCURIO 381 208, 4|292, 7 99,7 |13,230 TARELDA LI. 99, 4| 13,320 | 15,959 3297|0, 03300 99, 4|13,910 | 16, 520 3305 159, 8|/293, 1|228, 0| 18, 161 | 18; 646 |0, 08269 161, 1298, 2224, 3| 13, 446 | 18, 867 3280] 0, 03274 162, 3|293, 3|226, 3| 13, 412|18,898| 3268 TABELLA III. P A T t, i, C c 191, 7|298, 2| 98, 7 | 13, 886 | 16, 317 |0, 03297 duo >. 198 8/15,.003./17.416 3321 ID > >» |16,058|18,502 3319 182.3) » |99,1|14,086|16,437 3294| 0, 03309 188,4) >» sui AS 497 3305 194,6] » |98,9|183,239|15,724 3303 196,9) >» > 190823 16,312 3308 180, 7|293, 2183, 0| 13,431| 18,137 |0, 03308 182,5] >» |188,7| 14,007 | 18,719 9277 184,0)» |182,9| 14,445. [19,151 SORI Ot e fear, «183, 214,520. |:19,194 3283] La quantità 9g di calore necessaria per riscaldare un gramma di mercurio da 17 a # è data nella tabella seguente. 9 1 du 3 | t q 99 CI Tia 5,258 226 6,843 382 A. NACCARI - SULLA VARIAZIONE DEL CALORE ECC. Da questi valori si deduce la formula q=0,033277 (£-—17)—2,6716 . 107°(£— 17)°+ + 0, 0005559 . 10-°(£— 17). Di qui si hanno i valori seguenti del calore specifico medio c fra 0 e # e del calore specifico vero dq:dt. Per calcolarli la formola venne estesa anche a 0 e 250, vale a dire un po’al di là dei limiti delle esperienze eseguite. del, 0,0 0,0333537 50 0,03223 3310 100 3310 3284 150 3297 3259 200 3285 3235 250 3273 3212 Le esperienze del Winkelmann danno una variazione un po’ maggiore. Quelle eseguite nelle condizioni migliori cioè col vasetto di platino possono venir rappresentate con la formula, q=0, 083223 (£— 20) — 3, 4717 .10-5(£—20), che non differisce molto dalla mia. Per gli intervalli 0 —5 e 0 —36 la mia formula dà rispet- tivamente i valori 0, 03336 0, 03327 del calore specifico medio, e si può quindi ammettere che le mie esperienze s’accordino con quelle del Pettersson che non trovò entro quei limiti variazione sensibile. 15 Maggio 1888. Il Direttore della Classe ALFronso Cossa. = > + 383 CLASSI UNITE Adunanza del 17 Giugno 1888. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ARIODANTE FABRETTI VICEPRESIDENTE In questa adunanza il Socio Prof. Ariodante FABRETTI è rieletto per un altro triennio a Vice-Presidente dell’Accademia. L’Accademico Segretario (GASPARE GORRESIO. “SEPPARATERA IO coat i i Ver Py È 7 dr Ù 7 conteso E isa autiba go de STT valo » Foo dh | ded degni Da "Top sissi A VIRATA T: TTMRAUOENA ORLO a JR posti] STABTIZBRARII I i i ty ri Lr bs Uro } ò 11128844 afenbarA ‘3034 009 ti asnenghé * a a ì 3 i nai, nf {fab ANGDIeRT-d9L7 si Gingot vil x RA RO” Foto Una CATE si; . servi tra si i è si: a NazAort 10610 e: VINTO, ot pork sint san da forno Mm rissa iù Ù o Atto) Sira ie TR ; BS sì dv ; g* _ Pa iS 2 nil 1, noe n i ua i Di viti» "Sr ti OST Hei torte sot ie à 2 tb 7/4 A A 1 FA RELA Vterttgà: ts. Met e POricaze & Dr Buitro “qndi Vimigic SOMMARIO ——_—_-- Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. ADUNANZE del 27 Maggio e del 17 Giugno 1888. . . . Pag. 325 MatTIROLO — Sopra alcuni movimenti igroscopici nelle Fpatiche Mar- ChANTIGRO‘ 13% O n RARO Ta PRIORA IE O Aa VocLinò — lilustrazione di due Agaricini italiani . ....,... GaLEAZZI — Sugli elementi nervosi dei muscoli di chiusura dei bi- valdi Si AE A e O LAO e E ErrerA — Derivati degli alcoli Parabromo e Paraclorobenzilico . . » 346 Japanza — Una nuova forma di cannocchiale .. .. ...... a RIO: Grimaupi — Influenza della tempera sulle proprietà termoelettriche de]: BIBI RI RO E AIR DN » 358 NaccarI — Sulla variazione del calore specifico del Mercurio al cre- seero della: temparatura: 20 GL DIR A IA » Classi Unite. ADUNANZA del 17 Giugno 18881... 0. Pay. 383. De- NB. A questa dispensa va unita la Tavola XI relativa alla Memoria del Dott. B. Grassi sulla Taenia, RIU, 5 blicata nella 12° Dispensa, pag. 314. v * Torino - Tip. Reale-Paravia. Fr ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XXIII, Disr. 15°, 1887-88 Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. TORINO ERMANNO LOESOHER Libraio della R. Accademia delle Scienze 385 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 1° Luglio 1888. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ANGELO GENOCCHI PRESIDENTE Sono presenti i Soci: LEssona, SALVADORI, BERRUTI, BASSO, D’Ovipio, Bizzozero, NACCARI, SPEZIA, GIBELLI, GIACOMINI. Si legge l’atto verbale dell’ adunanza precedente che viene approvato. - Tra le pubblicazioni presentate in. omaggio all’ Accademia vengono segnalate le seguenti : «Il Sirratte in Italia nella primavera del 1888; > e « Le date della pubblicazione della « Iconografia della Fauna ita- lica del Bonaparte, ed Indice delle specie illustrate in detta opera ; >» Note del Socio SaLvapori, estratte dal Bollettino dei Musei di Zoologia ed Anatomia comparata della R. Univer- sità di Torino, n. 47, 48. « Schiarimenti e considerazioni sul Rilievo d’ Italia a su- perficie curva, alla scala unica di 1 milionesimo; » del Cav. Cesare PomBA, presentati dal Socio Basso. Le letture e le comunicazioni si succedono nel modo seguente : 1° « Relazione intorno alla Memoria del Prof. Lorenzo CamerANO « Sugli Ofidi italiani » (parte 1°, Viperidi); del Socio SALvaDORI, condeputato col Socio LESSONA. Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol, XXIII 31 386 T. SALVADORI 2° « Rivista critica e descrittiva delle specie Trifolium comprese nella sezione Lagopus di Koch: » del Socio GIBELLI in collaborazione col Dott. Saverio BELLI; approvata dalla Classe per la pubblicazione nelle Memorie dell’Accademia. 3° « Sul calcolo delle freccie elastiche delle travi reti- colari; » Nota dell'ing. Elia Ovazza, Assistente nella R. Scuola d’Applicazione per gl’ Ingegneri in Torino, presentata dal Socio D'OviIpIO. 4° « Sulla neoproduzione del tessuto muscolare liscio :; Esperimenti e ricerche » del Dott. Tommaso BusacHi, presen- tati dal Socio Bizzozero. 5° « Intorno al valore specifico della Pleospora Sarci- nulae e della Pleospora Alternariae di Gibelli e Griffini; » Ricerche sperimentali del Dott. Oreste MaTTIROLO, presentate dal Socio GIBELLI. LETTURE RELAZIONE sulla Memoria del Dott. Lorenzo CAMERANO, inti- tolata : « Monografia degli Ofidi italiani - Parte 1° - Viperidi ». L’Autore continua in questo lavoro lo studio dell’Erpetologia italiana già da lui intrapreso colle monografie degli Anfibi anuri, degli Anfibi urodeli e dei Sauri, le quali ebbero l’onore di essere stampate nelle Memorie di questa R. Accademia. La presente monografia è stata condotta rispetto alla nomen- clatura ed al modo di intendere le divisioni tassonomiche colle stesse norme osservate nelle monografie precedenti. L'Autore ebbe a sua disposizione per fare questo studio, un materiale molto abbondante, proveniente dalle raccolte del Museo Zoologico di Torino, del Museo Zoologico della R. Uni- RELAZIONE SULLA MEMORIA DEL DOTT. L. CAMERANO 387 versità di Pavia. del Museo dell’Istituto tecnico pure di Pavia e del Museo della Fondazione Galletti di Domodossola. Oltre a duecento esemplari di vipere, appartenenti a molte località italiane, vennero esaminati dall’Autore. Nei Viperidi italiani si ha un esempio bellissimo del variare delle forme animali coll’estendersi della loro area di distribu- zione e dell'importanza dell’applicazione delle moderne teorie evoluzionistiche per la distinzione delle forme animali. Le questioni principali che si presentavano all’Autore nello studio dei Viperidi erano : 1° Se le Vipere europee si dovessero considerare come appartenenti a due generi, o ad un solo. 2° Se le Vipere europee fossero da considerarsi divisibili in tre sole specie: V. aspis, V. berus, V. ammodytes, oppure in cinque specie: V. aspis, V. berus, V. ammodytes, V. Seoanei, V. Latastei. 3° Quali specie di vipere si trovino in Italia e quale sia la loro distribuzione tanto verticale, quanto orizzontale. L'Autore è giunto alle seguenti conclusioni notevolmente di- verse da quelle alle quali erano giunti gli Autori precedenti. 1° Le Vipere europee appartengono ad un solo genere: il gen. Vipera LAUR. 2° Il genere Vipera LAUR. comprende in Europa due specie : V. ammodytes (LINN.) V. berus (LinN.) 3° La Vipera berus (LINN.) presenta una sottospecie aspis predominante nelle regioni meridionali d'Europa. 4° La Vipera Latastei (Boscà) deve essere riferita alla Vipera berus, subspec aspis e non alla Vipera ammodytes. 5° La Vipera Latastei Boscà e la Vipera Seoanci LATASTE non sono da cousiderare nè come specie distinte, nè come sotto- specie, ma bensì come semplici variazioni della V. derus, o della V. berus. subspec. aspis, non sufficientemente stabili per poter essere designate con nomi distinti. 6° In Italia si trovano le seguenti forme di Viperidi : Vipera ammodytes (LINN.) » berus (LINN.) » hberus, subspec. Uspis. 388 T. SALVADORI - RELAZIONE SULLA MEMORIA ECC. La Vipera ammodytes non venne fino ad ora trovata in modo sicuro altrochè in alcune località del Friuli e del Tirolo. La Vipera berus è stata trovata, in modo da non lasciar dubbio, in Piemonte, nel Pavese, nel Veronese, nel Ferrarese e al Gran Sasso d’Italia. La Vipera berus subspec. aspis è la più comune e manca, per quanto se ne sa ora, in poche località italiane (fra queste sono la Sardegna, la Corsica e le isole minori, esclusione fatta dell'Isola d’Elba e dell’Isola di Montecristo); essa è comunissima sulle Alpi, dove si spinge fin quasi ai 3000 metri sul livello del mare; si trova anche nelle regioni paludose del piano, in tutta la parte peninsulare, e non è rara in Sicilia. Due tavole di disegni, rappresentanti i caratteri diagnostici più importanti e le loro variazioni, accompagnano questo lavoro. La diligenza grandissima colla quale esso è stato condotto, e le importanti conclusioni cui l'Autore è giunto, rendono de- gnissimo il lavoro del D" Camerano di essere accolto nelle Me- morie della nostra Accademia. MicHELE LESSONA T. SaLvapori, Relatore. La Classe approva le conclusioni dei Commissari, e, udita la lettura della Memoria del Prof. Camerano, ne approva la stampa nei volumi delle Memorie dell’Accademia. stri nti rit nat Sul calcolo delle freccie elastiche delle travi reticolari, dell’ Ingegnere ELIA OvAZza Assistente nella R. Scuola di Applicazione per gli Ingegneri di Torino 1. A complemento delle teorie svolte in altra mia nota (*), esporrò in questo scritto alcuni metodi di calcolo delle freccie elastiche delle travi reticolari caricate ai nodi, aggiungendo esempi numerici per guida nell’applicazione pratica di tali metodi. È noto che, non bastando l'ispezione oculare per giudicare della bontà delle costruzioni metalliche, queste, prima di abban- donarle all’uso cui sono destinate , si assoggettano a prove di resistenza , consistenti nella misura delle deformazioni che tali costruzioni subiscono sotto l’azione di determinati sopraccarichi , fissi e mobili: paragonando i risultati dell’esperienza con quelli dedotti dalla teoria si ha un criterio razionale per giudicare della stabilità della costruzione. Nell’atto delle prove possono misurarsi gli spostamenti di determinati punti nello spazio, oppure, più razionalmente, le deformazioni delle singole parti della co- struzione. Per le travature reticolari caricate ai nodi il calcolo delle deformazioni delle singole aste, supposti i collegamenti a cerniera senz’attrito, è semplicissimo quando per ogni asta sia noto lo sforzo provocatovi; il calcolo degli spostamenti dei nodi può invece riuscire alquanto faticoso , onde l'opportunità della presente nota. 2. Carichi fissi. — Stabilita una speciale condizione di carico. per una trave reticolare, per determinarne gli spostamenti cor- rispondenti dei varî nodi, si calcoli per ogni asta lo sforzo 7 che vi è provocato e se ne deduca la variazione di lunghezza As mediante la nota formola As — Vere si (*) ELia Ovazza. Sul calcolo delle deformazioni dei sistemi articolati. Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, 1888. 390 ELIA OVAZZA ove s ed indicano la lunghezza e l’area della sezione tra- sversale ed £ il coefficiente di elasticità del materiale ond’ è l'asta. Quando gli sforzi 7° si ottengano per via grafica, può essere conveniente di dedurre pure in via grafica le variazioni As; basta perciò costrurre graficamente la quarta proporzionale dopo le forze EF e 7 e la lunghezza s per ciascun’asta. (Sup- posto di rappresentare le forze E e 7 rispettivamente nelle scale di » ed x' metri per chilogramma e le lunghezze s nella scala di ' " i TONE : ‘Gu nn n':1, le variazioni As risultano nella scala di n" = — : 1). n Determinati i As, si considerino, avendo riguardo al segno, come velocità di dilatazione, e supposto fisso un nodo e fissa la direzione d’un’asta uscente da esso, descrivasi il diagramma {8 delle velocità pel moto di deformazione che ne risulta ; poscia descrivasi il dia- gramma % delle velocità pel moto d’insieme che devesi imprimere al sistema per portarlo nella posizione voluta dai vincoli: i segmenti che collegano i punti dei due diagrammi corrispondenti ad uno stesso nodo del sistema misurano in direzione, verso e grandezza (nella scala dei As) gli spostamenti effettivi dei nodi. Ordinariamente in pratica un nodo è fisso e bene spesso la direzione d’un’asta speciale non varia in seguito alla deformazione, quindi sono applicabili le semplificazioni di cui al numero 8 della nota succitata (*). È notevole che potendosi supporre fisso qualsiasi nodo del sistema, la deformazione può determinarsi con diversi diagrammi; onde si possono avere buonissimi controlli, oltre a quelli che nei (*) Il moto d’insieme è di norma indeterminato quando i vincoli riduconsi a due superficie d’appoggio ovvero a più superficie di appoggio tendenti a far scorrere altrettanti nodi in una stessa direzione. Se i vincoli riduconsi a tre superficie di appoggio tendenti a far scorrere tre nodi in diverse dire- zioni, la determinazione del moto d'insieme è problema determinato, ridu- cendosi a quello di costrurre un triangolo omotetico ad un altro ed avente i vertici su tre rette date non parallele, problema che risolvesi facilmente col metodo di falsa posizione. Se i vincoli consistono in un punto fisso F ed in una superficie di appoggio di un altro nodo S scorrevole in una direzione ST, e per punto fisso nel moto di deformazione sì sceglie un terzo punto C, il dia- gramma del moto d’insieme è determinato da ciò che il punto «7 dì questo. diagramma corrispondente al nodo F deve coincidere col punto fp del dia- gramma di deformazione corrispondente allo stesso nodo, ed inoltre che il punto «g deve giacere sulla parallela ad ST per fis. SUL CALCOLO DELLE FRECCIE ELASTICHE 391 casi speciali dipendono dalla particolare conformazione del sistema (simmetria p. es.). Esempio — La figura 1° rappresenta lo schema d’una trave reticolare da ponte sorreggente l’impalcato mediante travi tra- sversali attaccate in corrispondenza dei singoli nodi del contorno inferiore, rettilineo: i carichi si considerano trasmessi alle travi trasversali mediante travi secondarie disposte nel senso longitu- dinale, ciascuna delle quali appoggia semplicemente su due travi trasversali consecutive. Lungo le aste sono indicate nella metà destra della figura le sezioni trasversali in cm°, nella metà sinistra le lunghezze in cm delle singole aste. Le figure 32 e 4 sono i diagrammi degli spostamenti dei nodi per tale trave rispetti- vamente nella ipotesi di carichi eguali ad 1 Cyg applicati ai sin- goli nodi del contorno inferiore e nell'ipotesi di un solo carico eguale ad 1 Cg applicato al nodo intermedio 10 dello stesso contorno, supponendo per semplicità £ == 1g per cm° per tutte le aste. Gli sforzi nelle aste, 7° e 7", corrispondenti alle due ipotesi si determinarono graficamente mediante diagrammi re- ciproci (fig. 2°) (*); i loro valori furono controllati in via analitica ed esposti nella tabella in fondo alla nota, insieme ai corrispondenti valori delle variazioni di lunghezza A's e A"s per le varie aste. Per ragione di simmetria in ambe le ipotesi di carico rimane invariata la direzione dell’asta 9,11; supposto dunque fisso uno dei due nodi 9 ed 11 e ritenuta fissa la di- rezione 9,11, il diagramma pel moto di deformazione dà im- mediatamente gli spostamenti effettivi dei nodi. La figura 3° è limitata alla metà sinistra, la figura 4* alla metà destra della trave; le dilatazioni delle aste sono rappresentate con linee piene sottili, con linee piene più sentite si collegarono per chiarezza in ambo i diagrammi i punti corrispondenti ai nodi direttamente collegati con un’asta nella travatura. Sulle verticali uu e vv si proiettarono orizzontalmente i punti dei diagrammi relativi ai nodi di contorno inferiore, onde dedurre nella scala indicata in disegno le proiezioni verticali degli spostamenti dei nodi medesimi : a fianco di dette rette sono scritti fra parentesi i valori degli ab- bassamenti dei nodi di contorno inferiore rispetto ai nodi 0 e 20. Volendosi supporre P_ed E diversi dall’unità, gli spostamenti (*) Le linee piene si riferiscono alla prima ipotesi, le linee a tratti e punti alla seconda ipotesi. 392 ELIA OVAZZA gui jiéa. Pod i trovati vanno moltiplicati pel rapporto + . Così p. es. supposto E P=C92250 ed E=Cg2000000 per cm° e volendosi avere le proiezioni verticali degli spostamenti dei nodi in vera grandezza, poichè gli spostamenti A's in figura 3° sono in iscala di 1:100, si proietti la punteggiata «v da un polo P a distanza di cm. 20 sopra una parallela ad ww posta a distanza di cm. 2,25 dal polo: i segmenti 0'1',0'2',0'3',....1"2°,1"3%,....rappresentano - le proiezioni cercate (*). Portate le distanze 0'1',0'2',0'3',.... al disotto del contorno rettilineo dello schema (fig. 1°) in cor- rispondenza dei nodi 1',2,3', ..., nella spezzata 0 III IIl.... si ottiene il cosidetto poligono di flessione (fig. 1} ) pel contorno inferiore nell’ ipotesi di carichi eguali a Cg 2250 applicati ai singoli nodi di detto contorno e di E=2000000 Cyg per cm. Analogamente portate a partire dall’orizzontale per il nodo 1 i segmenti 1"3",1"5",....in corrispondenza delle verticali pei nodi 3,5, ...., si ottiene il poligono di flessione I III V.... pel contorno superiore (**). La punteggiata vv (fig. 4°) dà nella scala di 1:10 gli ab- bassamenti dei nodi di contorno inferiore per E£=1 e nell'ipotesi di un carico P=1 9g applicato al nodo 10, od anche, com'è ovvio, dà gli abbassamenti degli stessi nodi nella scala di 200: 1 nell’ipotesi di E—=2000000 Cy per cm° e P= Cg 1000. Ri- dotta questa punteggiata nel rapporto di 1:5 mediante proiezione ' ' LI . LU . 1 da un polo P su una parallela v v distante da P di E della distanza di P da vv, si ottengono gli stessi spostamenti nella scala di 40:1. In figura 5* la spezzata ACB è appunto il po- ligono di flessione pel contorno inferiore nella ipotesi fatta, ottenuto portando i segmenti costrutti su vv come ordinate a partire dalla fondamentale A B in corrispondenza dei nodi rispettivi. 3. Quando, com’è di frequente, importi solo costrurre il po- ligono di flessione per un contorno di una trave, e questa sia un sistema triangolare, conviene operare come segue: (*) Per chiarezza i punti della punteggiata uu corrispondenti ai nodi di contorno inferiore e quelli corrispondenti ai nodi di contorno superiore si proiettarono su due rette diverse ww ed uu”, che distano entrambe da P di cm. 2,25. (**) In figura è quotato il poligono di flessione del contorno inferiore per facilitare i confronti coi risultati degli ulteriori calcoli. SUL CALCOLO DELLE FRECCIE ELASTICHE 399 Per ogni angolo e,, compreso fra due aste s, ed s,, con- correnti in un nodo m del contorno e formanti triangolo con una terza asta s,,, si calcoli la quantità Ae,,, di cui esso varia in seguito alla deformazione, mediante la formola Beata Ent Ard Sra gi 15 siantaZa Im ) cot 3 = n= (7 E 5 “pm (7 Bil 5 ‘nm OVE Gm; 02, 9, indicano le tensioni unitarie, E,,, E,, Epi moduli di elasticità rispettivamente per le aste s spinte Epm> €pn rappresentano gli angoli compresi rispettivamente fra le aste s, ed s,,, 5, ed s,. Se ne deduca la variazione A0,, subita in seguito alla deformazione di ogni angolo 6,, formato da due aste successive di contorno concorrenti in un nodo mm di esso, e quindi per ogni nodo si calcoli la quantità w,, data dalla formola $ ù mo’ n° = ‘m+a Tn Wo = tg Im > m E m t8Ymi 40 4 mit 1 OVe %» © Ym+ misurano le inclinazioni all'orizzonte delle aste Sm @d Sm4. di contorno concorrenti in m. Si applichino ai varî nodi dei pesi misurati dai numeri w e si colleghino questi pesi con un poligono funicolare di tensione orizzontale 7; questo è il poligono di flessione pel contorno considerato e le ordinate suè misurano gli abbassamenti dei nodi nel rapporto di 1:MH. Quando il contorno sia rettilineo ed orizzontale i numeri w riduconsi ai A%,,, misuranti le variazioni degli angoli di contorno. Esempio. — Consideriamo ancora la travatura di cui al nu- mero 3, e costruiamo il poligono di flessione pel contorno inferiore rettilineo, nell’ipotesi di carichi eguali P applicati ai singoli nodi dello stesso contorno. Supposto per semplicità P— 1g, le ten- sioni unitarie c' corrispondono agli sforzi 7°’ già calcolati, ed hanno i valori esposti nella tabella in fondo alla nota. Supposto inoltre ÉE=1 ed avuto riguardo ai valori delle cotangenti dei varî angoli, scritti fra parentesi nella metà sinistra della fig. 1°, si ha : a=%,g= — 0,1762 w,=wo=+0,0284 w,=Ww,3= — 0,3037 a=wg=+0,0653 w=Ww,5= —0,3091 wy= w,,=+ 0,0323 3=w,,= — 0,2799 w=w,= +0,0407 w=w,=— 0,3723 wo + 0,0544 394 ELIA OVAZZA Applicate ai nodi 1',2,3', ecc..... dei pesi misurati rispet- tivamente da w,, w,, 43}, ...., collegati questi pesi con un po- ligono funicolare di tensione orizzontale = 1, le ordinate di questo poligono riferite alla fondamentale pei punti giacenti sulle verticali pei nodi 0 e 20, (che non si abbassano durante la deformazione) hanno i seguenti valori, calcolati in via analitica e paragonabili, avuto riguardo alla differenza di metodo, ai numeri ottenuti in da via grafica dalla fig. 5°. 0 ini AT 346,13 Yy,=Yie= —1265,33 Yy,=Y;3= — 1888,49 ui — iii" 0000, 4d Y5=Y5= — 1530,80 Ys=Y = — 1982,38 v=y,=— 1008,38 w=y,=—1703,54. y,=y,=— 2085,86) y,=— 2077,70 Di modo che per P-= 2250 Cg ed E= 2000000 Cg. per cmî, gli abbassamenti risultano rispettivamente pei nodi DE 2 9! 4 5° 6 ‘i 8 9' IG IEIRe 16 Sisti data 10406 di millimetri 9,0. 7,50 11,4, 14;2;. 17,2 19,2. 2142 228/2000 Questi valori vanno d’accordo con quelli trovati a numero 2 E anni aa la 4 4. Allorquando non occorra di conoscere la deformazione di tutto un contorno, ma basti calcolare l'abbassamento di un dato nodo della travatura, riesce molto conveniente l’applicazione del teorema degli spostamenti virtuali. È noto che se un sistema ma- teriale qualunque è in equilibrio sotto l’azione di un dato si- stema di forze ed al sistema materiale si immagina impartito uno spostamento infinitesimo qualunque compatibile con la na- tura dei suoi vincoli, è nulla la somma dei prodotti delle forze per le proiezioni nelle direzioni delle forze degli spazî virtuali dei loro punti di applicazione. Trattandosi di calcolare lo spo- stamento d di un nodo N d’una travatura in una determinata direzione d prodotto da un dato sistema di forze P°, si calcolino le tensioni 7' e le corrispondenti variazioni A's delle lunghezze SUL CALCOLO DELLE FRE£CCIE ELASTICHE 395 s delle varie aste ; poscia, applicata al nodo N nella direzione duna forza 1, si calcolino le tensioni 7°" provocate nelle aste del sistema da quest'unica forza. Supposti rigidi gli appoggi e trattandosi di deformazioni elastiche, a meno di quantità pic- colissime di 2° ordine, si ha O —L T'As estendendo la sommatoria a tutte le aste del sistema; e per la (1) è0:8 e al age Sa ta EF ( ) Come Esempio calcoliamo l'abbassamento del nodo 10 della trave di cui a fig. 1° — freccia d’incurvamento del contorno inferiore — nell’ipotesi di carichi uguali P applicati ai sin- goli nodi del contorno inferiore. Supposto P = 1 ed E= 1, i valori di 7' e 7" sono quelli già calcolati ed esposti nella ta- bella in fondo alla nota. Dedotti i valori delle quantità s ida EF pure raccolti in detta tabella, risulta 02107148 E per P—= 2250 Cg. ed E= 2000000 Cg. per cm. di= mm. 297°. 5. Carichi mobili. — Nelle considerazioni che seguono noi sup- porremo che, come nell’esempio fin qui preso a considerare, i carichi mobili agiscano indirettamente sulla trave con l’intermezzo di travi secondarie appoggiate su travi trasversali attaccate in corrispondenza dei nodi di un contorno della trave reticolare che considerasi, per modo che ogni carico agente fra due nodi M ed N produca lo stesso effetto, per quanto riguarda la deforma- zione della trave, che le sue componenti secondo le verticali pei nodi M ed N. Inoltre considereremo il solo effetto statico dei carichi, prescindendo dalle oscillazioni del sistema per forza viva acquistata. Questa seconda ipotesi deve ritenersi approssimata (*) Cfr. MiLLeR-BRESLAU, Die neueren Methoden der Festigkeitlehre , Leipzig 1886. 396 ELIA OVAZZA pel caso di carichi mobili a piccola velocità: la considerazione degli effetti dinamici del resto non è ancora entrata negli usi della pratica. In tali condizioni il problema della determinazione delle de- formazioni delle travature reticolari è grandemente semplificato mercè l'applicazione del principio di Maxwell o della recipro- cità degli spostamenti. Dato un sistema di carichi mobili, trattisi di determinare la legge con cui varia lo spostamento d’un nodo -N del sistema in una determinata direzione D. Applicata in N in questa di- rezione D una forza 1, si determinino gli spostamenti dei nodi ©, , >, -... in cui possono venire ad agire i carichi mobili nelle direzioni d,, d,,... di questi carichi; pel principio di Muzwell, questi spostamenti sono eguali a quelli che il nodo N nella di- rezione D soffre quando un carico 1 viene successivamente ad agire sui nodi N, .%, -.-.. nelle direzioni di, d;..., essi s0n0 quindi i inerti d influenza sullo E pkiaanto del lia N nella direzione D pei carichi sollecitanti i nodi ,, n,,.... Se trat- tasi di carichi verticali e vuolsi la legge di variazione dello spo- stamento di un nodo N nel senso verticale pel muoversi dei carichi, si applichi in N un peso eguale ad 1 e costruiscasi il po- ligono di flessione per il contorno sopraccaricato : questo poligono è la linea d'influenza sull’abbassamento del nodo N per un ca- rico mobile eguale ad 1, per modo che ad una posizione qua- lunque dei carichi P,, P,,... corrisponde un abbassamento del nodo N eguale alla somma algebrica £ P, y,, indicando generi- camente con y; l’ordinata di detto poligono misurata in corrispon- denza d’un carico generico P,. Invero (fig. 7°) sieno d,, e my, 16 ordinate in corrispondenza dei due nodi successivi m ed m+1 : O, € Ò,,,, misurano gli spostamenti di N per un carico 1 ap- plicato successivamente in m ed m +1. Se ora supponiamo un carico 1 agente fra i nodi stessi a distanze x ed x' da essi, questo carico, in virtù dell'ipotesi fatta circa la trasmissione dei carichi alla trave, produce lo stesso effetto che le sue componenti Ù x c+a° x+x provoca del punto N un totale abbassamento eguale a , secondo le verticali per 2 ed wm+1, e quindi x x UG IN e pat ie asi Ddr SUL CALCOLO DELLE FRECCIE ELASTICHE 397 che evidentemente è misurato dall’ordinata del poligono letta sulla verticale del carico 1 considerato. Nota la linea d’influenza, coi metodi della statica grafica si può risolvere il problema proposto per qualunque condizione di carico. 6. Carico uniformemente ripartito mobile. — Se la tra- vatura è sollecitata da un carico equabilmente ripartito, descritta la linea d'influenza sull’abbassamento di un nodo N per un peso concentrato = 1, il prodotto dell’ intensità p del carico per l’area della figura compresa fra la detta linea d'influenza, la fondamentale e le verticali limitanti il carico, misura l’abbassamento che il nodo N soffre in conseguenza di tale carico, come risulta considerando questo come una successione di pesi concentrati infinitesimi. Se quindi si costruisce il diagramma affine alla linea d'influenza con rapporto di affinità =p, e si descrive il diagramma integrale di questo, il nuovo diagramma definisce la legge con cui varia l'abbassamento del nodo N per l’avanzarsi di un carico unifor- memente ripartito d’intensità p e di lunghezza non minore di quella della trave: per ogni posizione del carico l'abbassamento corrispondente del nodo N è data dall’ordinata letta sulla ver- ticale di testa del carico. Suppongasi per Esempio che sulla trave rappresentata sche- maticamente in fig. 1° scorra un carico uniformemente ripartito in ragione di Cg. 750 per metro lineare, di lunghezza non mi- nore di quella della trave, e si voglia la legge di variazione della freccia elastica misurata in corrispondenza del nodo 10 supposto E=2000000 Cg. per cm°. Per quanto si disse al numero 3, la spezzata A C Bb, fig. 8°, è la linea d'influenza sull’abbassa- mento del nodo 10° pel muoversi d’un carico di 1000 Cg.: le ascisse sono in iscala di 1:400, le ordinate nella scala di 40 : 1. In- tegrando l’area ACB con base di riduzione = 40 metri (nella scala delle ascisse), le ordinate della linea integrale misurereb- bero nella scala al vero le freccie prodotte da un carico unifor- memente ripartito mobile d’intensità eguale a Cg. 1000 per metro; 00 Il 750 (sempre nella scala della ascisse), la curva integrale AD dà la legge cercata di variazione della freccia. Nell’esempio trattato la linea d’ in- fluenza ACB avendo tutte le ordinate dello stesso segno, la freccia massima avviene a carico completo; essa risulta di mm. 23,7. Il carico equabilmente ripartito di Cg. 750 per metro lineare presa invece base di riduzione di metri 40 x< 398 ELIA OVAZZA equivarrebbe ad un sistema di carichi P = 2250 Cs. applicati ai singoli nodi del contorno inferiore, quando anche le sbarre estreme 01° e 19’, 20 del contorno inferiore fossero lunghe cm. 300 come le aste intermedie; si comprende quindi la concordanza del va- lore ora trovato dalla freccia con quelli trovati precedentemente per carichi concentrati ai nodi. 7. Carichi concentrati mobili. — Suppongasi ora la trave percorsa da un sistema di carichi concentrati P,, P,,.., a distanze invariabili fra di loro; dalla linea d’ alano sull’ abbas- samento d’un nodo N per un carico =1, si ottengono le linee d'influenza pei carichi P,, P,, ... moltiplicando le ordinate di quella rispettivamente per P,, P,,..., quindi con le regole che la statica grafica insegna si può determinare la legge di variazione dall’abbassamento del nodo N pel passaggio del sistema consi- derato di carichi. Se per es. i carichi percorrono la trave da destra a sinistra, si disegnino le linee d’influenza corrispondenti ai carichi P,. P,,... per modo che i loro estremi omologhi, p. es. quelli di destra, sieno fra di loro alle distanze che cor- rono fra i carichi P, ma disposti in senso inverso, da sinistra a destra; quindi si sommino graficamente i diagrammi così di- sposti; la linea che ne risulta definisce con le sue ordinate la legge di variazione dell’abbassamento del nodo N per il moto del sistema di carichi nella direzione considerata. Riferendoci ancora alla trave presa a studiare come Esempio, suppongasi che essa venga percorsa da destra verso sinistra dal sistema di carichi concentrati schematicamente indicato in fig. 6*, e si voglia determinare la massima freccia in corrispondenza del nodo 10. Siccome le ordinate della linea AC vanno continua- mente decrescendo dalla mezzeria verso le estremità, il massimo cercato non può avvenire che per una posizione dei carichi in- termedia a quelle corrispondenti rispettivamente alle coincidenze delle verticali del primo carico 1 e dell’ultimo carico 8 con la mez- zeria della trave. Costrutte le linee d'influenza AC0yB, AC,B pei due tipi di carichi di tonnellate 2 e 0,2 (*), si disegnino le è; n ; 1 (*) Il rapporto d’affinità fra i diagrammi ACyB ed ACB essendo "TA 4 1 quello fra A4C,B e ACB 10° i diagrammi 4C,B, 4C,B dànno gli spostamenti del nodo 40 nella scala di 1031. SUL CALCOLO DELLE FRECCIE ELASTICHE 399 linee d’influenza pei carichi 1,2,...,8 per modo che le loro mezzerie C,1,, 0,2,,..., 48, formino un fascio simmetrico al fascio delle linee d’azione dei carichi concentrati che si conside- rano, limitandole alle verticali C, 8,, C, 1,. La massima ordinata Y della linea YH7G, che si ottiene sommando le ordinate dei diagrammi parziali lette su ciascuna verticale, dà la freccia mas- sima cercata. La posizione dei carichi producente questa freccia rispetto alla trave supposta proiettata in AB, si ha disponendo l’ultimo carico 8 sulla verticale dell’ ordinata Y (*). La lun- ghezza di questa ordinata si può pure ottenere sommando le or- dinate Y,, %, --- 9g delle linee d'influenza AC, B, AC, B sulle verticali dei carichi nella posizione trovata che dà la freccia massima. Supposte poi applicate nella direzione di 45 ai punti d'incontro 2,, %,,... delle stesse verticali con la linea di influenza ACB delle forze proporzionali ai corrispondenti carichi, si misuri con un poligono funicolare O I ZI... IX (fig. 5°) il momento statico di questo sistema di forze rispetto alla 45; per la proprietà della linea d'influenza ACB questo momento statico è pur anco proporzionale alla freccia Y cercata (**). In figura avendosi rap- presentate le forze (sull’orizzontale LL) nella scala di millimetri 4 per tonnellata ed essendosi presa distanza polare Ao di cm. 4, il segmento JI, /X misura la massima freccia cercata nella scala di 4: 1. Questa freccia Y risulta di circa mm. 3,95 (***). (*) Anche Y risulta nella scala di 1021. (**) Cfr. Monr, Beilrag zur Theorie des Fachwerks. Zeitschrift des Arch- und Ingenieur - Vereins zu Hannover 41875. {***) I valori ottenuti per questa massima freccia e per la freccia a carico fisso del contorno inferiore in corrispondenza del nodo 10 vanno d’accordo coi risultati d’un’esperienza istituita dall’Autore per la prova d’un ponte per strada carreggiabile, sorretto da due travi eguali a quella studiata come caso speciale nella presente nota, fatto costrurre dal Comune di Melazzo (Acqui). La freccia elastica per carico mobile risultò di millimetri 4, quella a carico totale fisso di millimetri 24 per una delle travi e di mm. 25 per l’altra. Que- st’accordo è tanto più degno di nota in quanto che i collegamenti delle aste non erano a cerniera ma a chiodature, 400 Aste Montanti Contorno inferiore Contorno superiore PT, ie Traliccio I) ‘| 0 Nota — Gli sforzi positivi indicano tensioni. i negativi compressioni. Le va- riazioni As positive indicano allungamenti, le negative accorciamenti delle aste. | TT = dine lf e —T_ e — nn” — ager CIA = | dl Sl & a ELIA OVAZZA - SUL CALCOLO DELLE FRECCIE ELASTICHE Lunghezze | _ |] _—___ {1 | —— | | ee |-——__k > vide ole 600,0 603,1, 601,6 ‘600,5 600,1 600:0 ‘277,5 300.0) 300,0 ‘300,0 5372 548,9 601,4 639,7 ‘639,7 663,0 ‘663,0 670,8 670,8 300,0! 300,0| ‘601,4! bros Sforzi cm | Cg cg 17,92|+ 4,000) 0 17,92/+ 1,000) 0 17,92 + 1,000) 0 17,92 + 1,000) 0 17,02/4- 1,000) 0 134,5 |— 10,628|— 0,592 174,5 |— 17,881|— 1,087 2145 |— 21,444|— 1,539 214,5 |— 23,822|— 1,996 245 |— 24,644|— 2,481 124,0 |+ 5,731|+ 0,302 124,0 (+ 57344 0,302 124,0 (+ 14,267|4- 0,842 164,0 + 19,533| + 1,307 204,0 {+ 22,727|+ 1,757 204,0 + 24,394] + 2,231 129,4 |— 11,095|— 0,584 76,4 |+ 8,864] + 0,526 834 /.7,405|—- 0,507 55,5 |+ 6,046|+ 0,486 71,6 | 4,796|— 0,476 51,5 |+ 4,098/+ 0,490 63,5.|— 2,873|— 0,485 424 (+ 2410|+ 0,528 515 !— 1,288/— 0,526 424 |+ 0,559/+ 0,559 0,086 Tensioni Variazioni unitarie: area ol A' s A” s Cs. per cm? cm, cm. + 0,056|+ 25,67 + 0,056 + 0,056] + 31,53 + 0,056 + 0,056] + 33,48 — 0,079|— 47,64 — 0,099 — 59,74 — 0,100|— 60,05 — 0,111|— 66,67 — 0,115| — 68,88 + 0,046] + 42,83 + 0,046] + 13,86 + 0,115] + 34,53 + 0,119] + 35,73 + 0,114|+ 33,42 + 0,120] + 35,88 — 46,04 + 63,67 — 53,40 + 65,49 — 42,86 + 50,15 + 0,116 — 0,089 + 0,109 — 0,067 + 0,078 — 0,045) — 29,97 + 0,057|+ 37,79 — 0,025|— 16,77 4- 0,013) + 8,85 La tabella è limitata ad una sola metà della travatura. Torino, 1° Luglio 1888, — 2,65|+ — 3,75|+ — 481|+ — 5,58|+ 133,089 || ' — 6,94|+ 170,905 + 0,66] + — 0.75] + + 2,04| + + 2,39] + +2,58|+ + 3,28|+ — 2,42|4+ + 3,78|+ — 3,66 + + 5,26|+ è — 4,25/+ + 6,09) + + 8,20) + — 6,86) + + 8,84|+ Prodotti || ru $ E ad P 58,719 24,595 || _ 5,06|+ Tisazil 28,191|| 64,936 || 92 ,399|| 3,713]|. 4,316|| 29,067 || 46,747 || 20,414 19,942 8,828 | 4,950 Tav XV. ni Ha) i io rigato ; ! | (Scala di 118 (in) Fig: 5: ! Ì A x 3e (Scala di de100 ! I | delle ascisse 11409 cre See += NE E Sa A È Beal J delle ordinate parla linea ACB 40:1 S VI | Fig! t L > (pos) Sca \ n + perle linee AC B.AC,B, FHG i0:1. î = ; (Scala lai 1:00) i del diagramma AD fit | Aa | 3165 3.004 3g I20. » begla dale: crdinale {:1) ulcalcolo delle freccre elastiche ser lo TRAVI RETICOLARI | Jug: bla Vvarta. pel diagramma a linee piene S5mm=10g. cala delle fore i . li atratti e punti sem=4Cg 401 Sulla neoproduzione del tessuto muscolare liscio. Esperimenti e ricerche del Dott. Tommaso BusacHl 1. Il risultato delle mie ricerche su questo argomento e che ora esporrò, è già parzialmente noto per tre note preventive, nella prima delle quali (Giornale della R. Accademia di medicina, Torino Aprile 1886) comunicavo che dopo le ferite dell’intestino del cane si verifica aumento numerico delle fibre liscie per cario- cinesi: nella seconda (Centralblatt f. d. med., Wissensch, 1887 n. 7) esponevo che lo stesso fatto accade nelle ferite della pro- stata e vescica (cane), intestino ed utero (coniglio, porcellino d’In- dia) ed intorno ai zaffi di un cancro nel prepuzio dell’ uomo: infine nella terza (Gazzetta medica di Torino, Aprile 1887) constatavo che nelle ipertrofie compensatorie dell’intestino, oltre l’ipertrofia si ba pure aumento numerico delle fibre liscie. Poco dopo me anche altri osservatori si occuparono dell’ar- gomento: così per le ferite STILLING e PrimzneR (Arch. f. milr. Anat. Vol. XXVIII) nello stomaco del tritone osservarono rige- nerazione del tessuto per scissione indiretta delle fibre muscolari preesistenti: RIrscHL ( Arch. di Virchow, Vol. 109) studiò le ferite nello stomaco, intestino ed utero del coniglio. ottenendo risultati simili a quelli da me prima enunciati, cioè nei margini della ferita scissione indiretta di fibre muscolari, che dura per un certo tempo e guarigione della ferita per cicatrizzazione con- nettiva. Dell’ ipertrofia, già prima di me, si occupò HERCZEL (Zeitsch. f. Klin. Medic., Vol. XI) concludendo che non si fa iperplasia, ma solo aumento di volume delle fibre liscie, nel che più tardi si accordò pure RITScHL (0p. cit.). Per vero già prima di noi l'argomento era pure stato stu- diato da altri, ma da una parte questi osservatori erano in dis- accordo fra di loro e dall’altra l’idea che ciascuno di essi soste- neva non poteva ritenersi sufficientemente dimostrata : talchè i più Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII, 32 402 TOMMASO BUSACHI recenti autori confessavano ch’ erano necessari nuovi studii su questo argomento (FrEv, Das Mikroskop. — Recklinghausen , Handbuch der allg. Path. etc.). Ad ogni modo tre opinioni si contendevano il campo, cioè quella di K6LLIKER, che ammetteva neoproduzione di fibre liscie da elementi connettivi embrionali, quella di MorescHort e Piso-Borme dalle cellule preesistenti e la terza di ABy ed ARNOID, secondo cui nuovi elementi musco- lari potrebbero derivare da elementi connettivi già in completo sviluppo. %. Gli esperimenti sull’ipertrofia furono da me eseguiti prin- cipalmente nel coniglio, in cui seguendo le regole antisettiche feci delle stenosi intestinali non complete: uccisi poi gli animali 2, 3, 4!/,, 5 giorni dopo l'operazione e trovai sempre che oltre le conseguenze dirette della stenosi, non era avvenuta alcun’ altra complicazione sia nel cavo peritoneale, che nella ferita stessa: i pezzi vennero trattati sia col metodo del prof. Bizzozero, che con quello di FLEMMING. Nel tratto superiore alla stenosi, fino alla distanza di 6 cm., ho dimostrato esistere ipertrofia ed iperplasia delle fibre muscolari. L’ipertrofia risulta da ciò che mentre normalmente (ARNOID nel manuale di StRICKER) i nuclei delle fibre liscie sono lunghi 15-22 {1 e larghi 2-3, dopo cinque giorni dalla stenosi sono assai nu- merosi i nuclei lunghi 27-31 e larghi 7-11p.: fra gli altri un nucleo misurava 29. in lunghezza e 13 in larghezza. L’ au- mento in lunghezza è proporzionalmente minore di quello nel senso della larghezza, perciò il nucleo perde la forma a bastoncino e diventa ovale. Anche il corpo cellulare s’ipertrofizza: poichè mentre la lun- ghezza normale delle fibre muscolari (ARNOLD op. cit.) oscilla fra gli estremi di 45-230p, ho soventi osservato delle fibre lunghe 590 p. Il protoplasma intorno al nucleo perde soventi la struttura omogenea e diventa granuloso. L'aumento numerico delle fibre lo si osserva già due giorni dopo la stenosi e più tardi si fa notevole sicchè, come si vede dalla fig. 1°, nel campo microscopico si hanno contemporanea- mente molte forme nucleari di scissione indiretta. Di più siccome la scissione avviene in elementi ipertrofici così ne sono assai evi- denti i diversi stadii (Vedi fig. 2-13): infine la si può osservare pure nelle sezioni trasversali alla direzione delle fibre (fig. 14). NEOPRODUZIONE DEL TESSUTO MUSCOLARE LISCIO 403 Ho pure constatato lo stesso fatto nel porcellino d'India, invece quando nel cane si produce la stenosi con un’ansa di filo, questo incide la parte stenosata e mano mano si saldano fra di loro, per cicatrice connettiva, le due labbra della ferita, sicchè infine si ristabilisce completamente il lume intestinale. Perciò in que- st’animale provocai la stenosi completa con la resezione intesti- nale ed anche in esso osservai gli stessi fatti, già precedentemente constatati nel coniglio. 8. Per lo studio della rigenerazione feci delle ferite, con piccola perdita di sostanza e senza alcuna sutura consecutiva, nell'intestino, vescica, utero, prostata, uretere del cane: le espe- rienze furono venti e con durata di tempo da 8 ore a 203 giorni. Riassumendo in breve il risultato dei miei esperimenti dirò che già dopo tre giorni dalla ferita avviene nella sua vicinanza ipertrofia e scissione indiretta in elementi connettivi ed in musco- lari: il numero degli elementi in scissione aumenta fino al quinto giorno e poi comincia a diminuire l’attività di moltiplicazione, sicchè al 22"° giorno nelle fibre muscolari non si hanno più segni di scissione e la perdita di sostanza è colmata da tessuto con- nettivo. Anche nelle ferite che datavano da lungo tempo, cioè da 60-87-203 giorni, ho sempre riscontrato il tessuto connet- tivo cicatriziale, il che esclude che possa venir sostituito da fibre muscolari, come avrebbero osservato STILLING e PrFITZNER nel tritone. 4. Mi parve interessante controllare il risultato di questi esperimenti con pezzi patologici tolti dall’ «0mo e conveniente- mente fissati. Così in un caso d’ernia cangrenata, guarita colla resezione intestinale, sul pezzo afferente dell’ansa intestinale verificai esistere elementi muscolari in scissione indiretta: le ferite, come dagli esperimenti sugli animali, guariscono pure per cicatrice con- nettiva, se ciò si può dedurre da un caso, da me esaminato. 5. Le meoplasie furono da me studiate in due fibro-miomi uterini: in ambedue ho constatato esistere degli elementi musco- lari in scissione indiretta : ma il loro numero è assai scarso, sicchè in molte sezioni non se ne riscontra affatto, mentre se ne possono osservare parecchie in una sola sezione. 6. Concludendo adunque dalle mie ricerche risulta : a) Nell’ipertrofia compensatoria del tessuto muscolare liscio oltre l’ipertrofia si ha pure aumento numerico delle fibre mu- scolari ; 404 TOMMASO BUSACHI 5) Le fibre muscolari neoformate derivano dalle preesistenti per scissione indiretta; c) Le ferite del tessuto muscolare liscio guariscono per cicatrice connettiva: però nei primi giorni dopo le ferite si ha pure aumento numerico di fibre liscie ; d) I fibro-miomi crescono per moltiplicazione delle fibre muscolari preesistenti. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE. Tutte queste figure furono disegnate colla camera lucida. Fic. 1. Stenosi intestinale del coniglio, che data da quattro giorni e mezzo: sezione parallela alla direzione delle fibre circolari. In mezzo a nuclei ipertrofici se ne vedono altri in mitosi: a tre forme di gomitolo: d doppio astro : e tre forme di gomitoli figli, distanti più o meno fra di loro. (Koristka oc. 3, ob. 8). » 2. Stenosi coniglio precedente: forma di gomitolo (lungo 22 p.. e largo 11) in una sezione a 3 cm. dalla stenosi. (Koristka oc. 3, imm. om. di Zeiss },). » 3. Id. id. altra forma di gomitolo (lungo 29p): sezione a a 3 cm. dalla stenosi. (Koristka oc. 3, ‘ed imm. om. }, di Zeiss). » 4. Id. id. Gomitolo in cui è evidente la disposizione peri- ferica dei filamenti e la loro direzione perpendicolare all’asse longitudinale del nucleo (Koristka oc. 3, imm. om. }4,). » 5. Id. id. Piastra equatoriale col fuso acromatico e col pro- toplasma granuloso (Zeiss oc. 3 : imm. om. }K,). » 6. Id. id. Corona (Koristka oc. 3 : imm. om. Zeiss !/,,). xv “J . Id. id. Diastro, in cui le due parti sono poco distanti. » 8. Id. id. Diastro, in cui le due parti si sono già allonta- nate e nel quale il protoplasma è granuloso. Tav. XVI PEDALI] iì PORATII Soy A # > > RATA J Fig. 3 Fig. Kg? CR) Fig.4 fa G (24 ò Mina) -d Pago È GIO: Nas ge a 8 EEA TEn sca] = e Torino, Lit.Salussolia Fio. 9. » 10. Li: 12. 15. 14. NEOPRODUZIONE DEL TESSUTO MUSCOLARE LISCIO 405 Intestino di coniglio stenosato da due giorni. Forma di diaster, protoplasma granuloso, principio di strozza- mento del corpo cellulare. (Zeiss oc. 2, imm. om. ‘/,,). Ferita del tenue nel cane, fatta tre giorni prima. Diaster, protoplasma granuloso (Zeiss oc. 2: imm. om. ’/,,}. Stenosi intestinale nel coniglio, che data da quattro giorni e mezzo. Gomitoli figli, protoplasma leggermente granuloso, strozzamento del corpo cellulare, più mar- cato che nei casi precedenti. (Koristka oc. 3: imm. om. Zeiss !/,,). Id. id. Divisione completa del corpo cellulare. (Zeiss oc. 3: imm. om. !/,,). Stenosi intestinale del coniglio, che data da due giorni. Gomitoli figli più distanti che nella forma precedente, Strozzamento del protoplasma quasi completo. (Ko- ristka oc. 3: imm. om. Zeiss !/,3). Sezione delle fibre muscolari in direzione trasversa al loro nucleo. In a una fibra muscolare col nucleo in mitosi ed in cui è evidente l’ingrossamento del corpo cellu- lare, per rispetto alle fibre circostanti. 406 QRESTE MATTIROLO Intorno al valore specifico della Pleospora sarcinulae e della Pleospora alternariae di Gibelli e Griffini. Ricerche sperimentali del Dott. Oreste MATTIROLO. Le ricerche sperimentali, i cui risultati riassumo brevemente in questa nota preventiva, avevano per scopo di riuscire alla decisione di una importante questione micologica controversa (1). Trattavasi di verificare con nuove serie di coltivazioni quale realmente fosse la causa delle notevolissime differenze ottenute successivamente dagli autori nello studio del ciclo evolutivo della Pleospora herbarum Tut. Coi bellissimi lavori dei fratelli TuLASNE (2) colle favolose concezioni di HAlLIER (3), colle affermazioni molte volte gratuite di FuckEL (4) e sopratutto colle ricerche sperimentali di GIBELLI e GRIFFINI (5), di BaukE (6), DE BaARY (7), KoHL (8), ci tro- vavamo in possesso di lavori per molti riguardi importantissimi ma che non erano assolutamente concordanti fra loro. La questione controversa dipendeva in fondo da ciò, che mentre alcuni autori ammettevano nel ciclo evolutivo della (1) Il lavoro completo si pubblicherà nei prossimi numeri della Malpighia (Messina). (2) L. R. TuLasne e C. TuLasne, Selecta Fungorum Carpologia, tom. II, pag. 260 e seg. Parigi 1863. (3) HaLLier, Unt. der pflanz. Org. welche die unter d. namen Gattine bek. Krank. der Seit. erz. Postdam 1868. — Die Muscardine des Kieferspin- ners. (Zeit. fur die Parasitenkunde). Vol. I, pag. 18. (4) L. FuckeL, Symbolae Mycologycae, pag. 130. Wiesbaden 1869. (5) GiseLLi e GRIFFINI, Sul Pleomorfismo della Pleospora herba- rum. Archivio trien. del laboratorio di Botanica crittogamica della Università di Pavia. Milano 1874, pag. 53 e seg. (6) Bauge, Beitrige zur Kenntniss der Pycniden. Dresden 1876. Nov. Act. der K. Leop. Car. AK. vol. XXXVIII, N. 5. — Zur Entwickelungsgesch. der Ascomyceten. Bot. Zeit. 1877. N. 20. (7) A. De Bary, Vergleichende Morph. und Biologie der Pilze. Leipzig 1884. (8) F. G. Konc, Ueber den Polymorphismus von Pleospora herba- rum. Tur. Botanisches Centrallblatt. Vol. XVI, N. 1. 1883, pag. 26. VALORE SPECIFICO DELLA PLEOSPORA SARCINULAE 407 Pleospora herbarum Tur. un numero più o meno grande di forme secondarie, attribuendole tutte alla evoluzione di una sola specie; altri invece, consideravano comprese e confuse nella Pleospora herbarum TuL. due forme specifiche distinte e carat- teristiche, alle quali si dovevano attribuire le forme evolutive osservate. Come si scorge di leggieri la questione che doveva rimanere in un campo prettamente sperimentale, venne portata anche nel campo teorico e quindi ne venne, per questo riguardo, aumentata l’importanza e differita la soluzione, che era riservata alle sole ricerche sperimentali di coltivazione. Le osservazioni da me fatte ebbero specialmente riguardo: 1° A stabilire se nei materiali infettati dal fungo in questione si trovasse sempre una unica specie di P/eospora, 0 se invece non si fosse posto sufficiente attenzione a forme ana- loghe concomitanti, come osservarono GIBELLI e GRIFFINI e come sospettarono senza incontrarle De Bary e KouL. 2° A stabilire l'identità e la sinonimia di queste forme. 3° A coltivare le forme osservate per verificare il valore e la posizione naturale delle forme secondarie evolutive descritte dagli autori. Per gentile compiacenza dell’egregio prof. G. GiBELLI dispo- neva per queste ricerche di un materiale abbondantissimo e classico. i. L'osservazione diretta rispose egregiamente al primo quesito. Sopra 12 esemplari di P/eospora herbarum TuL. determi- nati dai più valenti micologi, mi accadde dopo pazienti ricerche, di trovare che in otto di essi tutti i pezzi del materiale erano invasi dalla sola P/eospora herbarum tipica (PI. sarcinulae GIBELLI et GRIFFINI (1)); ma che per lo contrario in quattro differenti esemplari questa forma tipica era accompagnata da un’altra forma periteciale analoga, corrispondente a quella de- scritta, figurata ed indicata dai signori GIBELLI e GRIFFIN! col nome di Pleospora alternariae. La Pleospora alternariae, mentre (1) Pleospora herbarum. TuL. (grosse Form - De BaRr, loc. cit. 102. 408 ORESTE MATTIROLO è differentissima dalla Pleospora herbarum per la somma dei caratteri principali desunti dall’apparato ascoforo e dalle spore, è facilmente con essa confondibile per le caratteristiche morfo- logiche esterne. Risulta adunque che queste due specie distinte si incontrano realmente concomitanti, e che, come vedremo, si deve alla pre- senza delle loro spore nelle colture la confusione che malgrado le coscienziose e giuste ricerche di GIBELLI e GRIFFINI, seguì e segue tuttora a questo riguardo nella scienza. II. < Le due forme caratterizzate dagli Autori italiani, e delle quali pubblicheremo ampia e dettagliata descrizione, non sono forme nuove nel senso della parola, ma corrispondono a forme già conosciute. Noi crediamo però utile conservare i nomi loro imposti dal GiseLLI e dal GRIFFINI perchè ufficialmente adottati dal De Bary e perchè danno al micologo un concetto chiaro ed esatto della principale forma secondaria che caratterizza il loro ciclo evolutivo. Come principali sinonimie dei nomi proposti possiamo anno- verare le seguenti: Pleospora Sarcinulae. — GiseLLi e GRIFFINI (1874). Pleospora herbarum (Pers., RaB., D.NTRS., TUL., COOKE, SACCARDO... .). Pleospora Alternariae. — GiBELLI e GRIFFINI (1874). Pleospora herbarum. TuLas. et Aut. ex parte. » infectoria. FuckEL (1869). » vulgaris. NiessL (1876) (1). (1) Vedi più ampio quadro di sinonimia nella Monografia dei Generi Pleospora, Clathrospora e Pyrenophora di A. N. BeRLESE. Nuovo giornale botanico italiano, Firenze 1888, N. 1 e 2. — NB. Il Berlese in questo suo lavoro non si occupò menomamente di questa importante questione di mi- cologia sperimentale. VALORE SPECIFICO DELLA PLEOSPORA SARCINULAE 409 HI. Riconosciuta così la presenza di queste due specie distinte e confuse assieme sopra uno stesso substratum, trattavasi ora di osservarne le forme evolutive secondarie e a questo scopo stabilii alcune serie di culture, fatte servendomi di spore appartenenti alle due specie e ricavate da esemplari classici. Le spore di Pleospora sarcinulae le ottenni da materiale determinato dall'illustre prof, PASSERINI. Le spore della Pleospora infectoria dall’esemplare n. 856 Mycotheca universalis, del De THimEN raccolto nel 1873 dal sig. CH. B. PLOWRIGHT. Le semine fatte con materiale d’erbario furono inattive per più serie di colture, ma poi finalmente nuovo semine in pochi giorni mi condussero a risultati che superarono le mie aspettative e che mi lasciano credere di avere così risolto definitivamente ‘ la questione, e la causa per cui tanto tempo si ritardò a ren- dere piena giustizia all’eccellente lavoro di GIBELLI e GRIFFINI. I risultati delle mie colture furono assolutamente identici a quelli di questi autori. I materiali adoperati, riconosciuti come specie distintissime da tutti i micologi, non permettono quindi di porre in dubbio le osservazioni dei botanici italiani. Dalle spore di Pleospora herbarum tipica, ottenni conidii a Sarcinula, identici a quelli descritti da tutti gli autori che si occuparono dell'argomento. Dalle spore di Pleospora infectoria ottenni invece abbondantissimi i conidii a tipo di Alternaria identici a quelli descritti dagli autori e riguardati come forme proprie della P/leospora herbarum (meno GIBELLI e GRIFFINI). Oltre a conidii ottenni pure una numerosa produzione di forme picnidifere. CONCLUSIONE. Risulta dalle osservazioni sopra riferite concordanti esatta- mente con quelle di GrgeLLI e GRIFFINI, che nella Pleospora herbarum, quale era descritta anticamente dagli autori, si con- fondevano due forme specifiche distinte e che per conseguenza le forme evolutive osservate finora non appartengono tutte ad 410 ORESTR MATTIROLO - VALORE SPECIFICO ECC. una sola specie. Il ciclo evolutivo delle due specie si può rias- sumere nel quadro seguente, nel quale noteremo a lato di cia- scuna forma metagenetica osservata, i nomi di quegli autori, che nelle loro coltivazioni dimostrarono sperimentalmente il nesso evolutivo derivato dalla forma ascofora principale. Alle due specie già assieme confuse, appartengono adunque e sono finora rico- nosciute le forme seguenti : PLEOSPORA SARCINULAE GIBELLI E GRIFFINI. Pleospora herbarum. Tulasne et Autorum. FORMA ASCOFORA. Macrosporium sarcinula (Co- nidia didyma, Tulasne. Tu- lasne, Gibelli e Griffini, Bauke, De Bary, Kohl, Mattirolo. FORMA CONIDIALE. È FORMA PICNIDIFERA (Tulasne, Gi- belli e Grìffini, Bauke). FoRMA AscoFroRra (Gibelli e Griffini, Bauke, Kohl). | FoRME MICROCONIDICHE (Bauke). FORME DI MICELII SCLEROZIATI (Bauke). Torino, R. Orto Botanico, 6 Giugno 1888 PLEOSPORA ALTERNARIAE GIBELLI e GRIFFINI. Pleospora infectoria, Fuckel. Pleospora vulgaris, Niessl. FORMA ASCOFORA. FORMA CONIDIALE — Alternaria tenuis, Neess (Gibelli e Griffini, Mattirolo ). FoRMA PICNIDIFERA - (Mattirolo). Forma Ascorora (Gibelli e Grif- fini ). Il Direttore della Classe ALronso Cossa. 411 INDICE DEL VOLUME XXIKII ADUNANZE della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali . . Pag. 49, 103, 141, 167, 185, 197, 211, 221, 241, 277, 303, 325, 385. NUNANZARO Classi Uapitet (e toe avant ae deu IMECRE e » 166, 276, 383. ConFERIMENTO del V premio BRESSA ......,.....,000. eee » Basso (Giuseppe) — Commemorazioni di Gustavo Roberto Kirchhoff Pag. BaTTELLI (Angelo) — Sulle variazioni della resistenza elettrica e del potere termoelettrico del nichel al variare della temperatura; Ernie spor eni e RO a » BELLARDI (LUIGI) — Relazione sulla Memoria del Prof. F. Sacco inti- tolata « Aggiunta alla Fauna malacologica estramarina fossile deliPiomanielezdella Lignano gig cio » BusacHi (Tommaso) — Sulla neoproduzione del tessuto muscolare liscio ; WARSERREROL E FICOLCHO: Lo narnia nn e » CHARRIER (Angelo) — Lavori eseguiti all'Osservatorio astronomico di IR AREA A AT Ia pi IRSA Bi tia PP » 133, 207. Cossa (Alfonso) — Relazione della 5° Giunta per il premio BRESSA (quadriennio 1883-86) .......... 2. itecar conce RISE, —— Rieletto a Direttore per un altro triennio ..................- » D’Ovipio (Enrico) — Relazione intorno alla Memoria del Dottore C. SeGRE « Sulle varietà cubiche dello spazio a quattro di- mensioni e su certi sistemi di rette e certe superficie dello spazio. ordinario ..:.....:0.20 100000 renre eee ne ene ni oe » ERRERA (Giorgio) — Sugli eteri nitrobenziletilici ................». » — Derivati degli alcoli. Parabromo e Paraclorobenzilico ...... suit» 169 238 401 98 137 276 104 297 346 412 INDICE DEL VOL. XXIII FERRARIS (Galileo) — Rotazioni elettrodinamiche prodotte per mezzo dr eolrenti alternate... 20 seg apaeaca pope eo ET Pag. GaLEAZZI (Riccardo) — Sugli elementi nervosi dei muscoli di chiu- “e e LA Lee een pd dc egtre * Giacomini (Carlo) — Su alcune anomalie di sviluppo dell'embrione Grassi (B.) — Taenia flavopunctata WE1N, Taenia leptocephala CREPLIN, Terza: diminalà ‘Rup'2:4. RIA . GriMaLpI (Gio. Pietro) — Influenza della tempera sulle proprietà ter- ripolettriche-delsbasngato < . ...:3 <.<: SORRISO et SIG JADANZA (Nicodemo) — Sul calcolo degli azimuti mediante le coordi- nate seetulinenii inietta our vegan -—— Una nuova forma di cannocchiale ........- RR e I — Sullo spostamento della lente anallatica e sulla verticalità della SAGA e RO ae Ie VO So Lusrie (Alessandro) — Sulle cellule epiteliali nella regione olfattiva deghzembrionif: soa Ma ine ana ap MartiROLO (Oreste) — Sopra alcuni movimenti igroscopici nelle Epa- nepe, Marcin Se da eg ana I —— Intorno al valore specifico della Pleospora Sarcinulac e della Pleospora Alternariae di Gibelli e Griffini; — Ricerche speri- mentali. ra bo po ia MONTEMARTINI (Clemente) — Sulla composizione di alcune roccie della mie di; Dizapas Nola uciorinzi -soeRi° tte sissie serbe MoRERA (G.) — Sul problema della corda vibrante; Memoria ....... NaccarI (Andrea) — Sui calori specifici di alcuni metalli dalla tem- peratura ordinaria fino a 320°; Nota .......... Api doge fa Naccari (Andrea) — Sulla variazione del calore specifico del mercurio al crescere della temperatura; Nota ........... _a1a4 SOS A OEHL (E) — Contribuzione allo studio della circolazione del sangue. OmopeI (D.) — V. VICENTINI (G.) Ovazza (Elia) — Sul calcolo delle deformazioni dei Sistemi artico- Fat Mot). SIIGIDI. AME, DEIPIDI VIII. vi ARIE] li -— Sul calcolo delle freccie elastiche delle travi reticolari; Nota. PioLTI (Giuseppe) — Sulla Cossaite del colle di Bousson (alta valle di Susa); Osservazioni .inibjstznsdastir ani Hadid di hei PizzETTI (P.) — Gli azimut reciproci di un arco di geodetica; Nota . » » 222 340 106 314 358 61 198 354 212 327 187 281 INDICE DEL VOL. XXIII 413 Porro (Francesco) — Intorno all’ecclisse totale di Luna del 28 gen- MAO SSRO ER E iis Pag. 192 Sacco (Federico) — Studio geologico dei dintorni di Guarene d’Alba » 116 SALVADORI (Tommaso) — La Aegialitis asiatica (PALL) trovata per la prima” volta indialia .-.-.-.-.+.--.. iene ennio » 44 —— Relazioni intorno alla Memoria del Dott. Daniele Rosa « Sulla struttura dell’Hormogaster Redii. .............0.00.000.... » 186 I —- Relazione sulla Monografia degli Ofidi italiani (parte 1°, Viperidi) del Prof. L. CAMERANO.......... SIR RR I 5 I O ALA » 386 SansonI (Franceseo) — Note di mineralogia italiana — Datolite e Cal- cite di Montecatini (valle di Cecina) .....................0- » 1492 Sracci (F.) — Sulla compensazione delle poligonali che servono di base EAT ie TT RA A RT ARRE TA A ST » 278 Spezia (Giorgio) — Sulla origine del gesso micaceo e anfibolico di val Cherasca nell’Ossola ...-........-. LANE CORSA La da Nar »i. da VICENTINI (G.) e OmopEI (D.) — Sulla densità di alcuni metalli allo stato liquido e sulla loro dilatazione termica. ............. VIS VogLINo (P.) — Illustrazione di due Agaricini italiani ............. » 308 ZANOTTI Bianco (Ottavio) — Alcuni teoremi sui coefficienti di Legendre; ORTO RA PRA ORE PESTE tr Ari » 5 ee eZ Torino Tir. REALB-PARAVIA. i: FAPR RATA I di | Lo se Mprer visioni qureala perde pae #%° hu Pte, sti "O er or dia rega dato: ghescsaggin tori Rat % i too eRt pall'* VE to ULI Phat dristonò is Tarso eroi olo fi ar i pin srt id + — de a sn * anni sisinp Mod 1465 nfiotmalt sIls tia Gui + Rust (Ta Pettini ta TRICIA Ta i o ri RAT PRONTID Had, PEA {ibinogi CALI per trailati ibUOMHgnb siergomott aliue si AE pes si AT abito indi iaaltat stualcinnioi. ih Af0A — (0 1 T SRI nia e sata ib AMap) icilagtogl se i ibiadiovana sda Usgogiteg. allob snolansasqunoo slint.ret di. ATE rari ina a ti dr io 1 19 ROOI ivoilin 8 da i ati f ali Sri o LATENTE ESITO i olla gag. iacoteth AN cio dani ppiiticne * cotarioi pren nn do FAN TESRE POT7 ingil ati i toi 4 400 ib acisotnitt =; DI rd a CLIO La }) i; TARDE: LEROREIE n DITE dà: lapii9o jua inzazont imola -- (ofesttà). coma è FARI RI ENI le "Eine: lividi Gi vretore “pocttico po Ma Più po re har roniat. 94 Pig soru sfllutapurtne ui Hiveilt è Grifipi; - Bioerofe 4 LITTRAI (Vi na 6 . + . od MiA fe TAC Wei ima Lips ul — Sulig compenzitoe di 110706 shocié PIVA. (I siasi.‘ sete PAL Lia AI Piazzi (G,):— Sub protlina delie gegio rif. Mania: i Masci 1A00704 VAT GIIUft apc siti DI 2 bili mie sab dale «di pesrpini ti «ts gratia Gao li 190 n; Mia o, uni Nacgani (Andros) — Sulla mpriagione dei saturo spastica dot sac Po S | Pei più Ac delta Apa F pri 4A Musta E rave +e i : mei. Ott 13] Contibusoue #15 thodie vella Rene. dal 47 È: —{ catena i VV Vetri 6} Guatri Pla! — sai Agicoio dubie deformazioni oi Sist aria è fata traba v'adie è è 0, 0° Voed #% PISA ei po SAGRE MA e delle travi dai. pai Piptnt (Giuseppa) — Soilo Cossiita dol cole di Beast {aly va VI NEI ud; Mi AIA, SOMMARIO Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. ADUNANZA del 1° Luglio 1888... 0.4 Pag. 385 SaLvapori — Relazione sulla Memoria del Dott. Lorenzo CaMERANO, intitolata: « Monografia degli Ofidi italiani - Parte 1% + Vi- VIT, g 1 (38° DIR OE a TU nia TT N a RTRT » 386 Ovazza — Sul calcolo delle freccie elastiche delle travi reticolari. ., » 389 BusacHi — Sulla neoproduzione del tessuto muscolare liscio... . » 404 MatTIROLo — Intorno al valore specifico della Pleospora sarcinulae e della Pleospora alternariae di Gibelli e Griffini, ...,... » 406 Inujor:del: Volume: XLI erica enne Sa e IT » All ow- NB. A questa dispensa va unita la Tavola XII relativa alla Memoria del Dott. P. VogLino su Due Agaricini italiani, pubblicata nella dispensa 13 e 14, pag. 338. Torino - Tip. Reale-Faravia. LITILUICI 3 5185 00297 4820 ut LASA APE VIAGA 33 SITI t a 6] a Cal ce ie Coe TT