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ATTI)
R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE
DI TORTNO
PUBBLICATI
DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI
Vor. XXIII, Disp. 1°, 1887-88
Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali
TORINO
ERMANNO LOESCHER
Libraio della R. Accademia delle Scienze
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-
#
4
Me *
DISTRIBUZIONE: DELLE SEDUTE
R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE
DI TORINO
NELL'ANNO fl 897-888
divise per Classi
Classe di Scienze
morali, storiche
e filologiche
Classe di Scienze
fisiche, matematiche
e naturali
1887 - 20 Novembre 1887 - 27 Novembre
» 4 Dicembre » 11 Dicembre
» 18. 1d, 1888 - 1 Gennaio
1888 - 8 Gennaio » 15. Id.
» d. » 29. Id.
» 5 Febbraio » 12 Febbraio
» 19 Id. » 26 Id.
» “4 Marzo > 11 Marzo
» 18. Id. » D1, 00AAO Ko fe
» 8 Aprile » 15 Aprile
>» SICURI: » 29 Id.
» 6 Maggio » 13 Maggio
>» 27. . Id. » 10 Giugno
» 17 Giugno » 2 Id.
» 1 Luglio « 8 Luglio
CLASSE
DI
SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza del 20 Novembre 1887.
PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ANGELO GENOCCHI
PRESIDENTE
Sono presenti i Soci: Cossa, SoBRERO, LESSONA, SALVADORI,
Bruno, Basso, D’Ovipio, FERRARIS, NaccaRI, Mosso, SPEZIA,
GIBELLI, GIACOMINI.
Il Presidente apre la prima seduta dell’anno accademico cor-
rente col porgere il benvenuto ai Soci, ed avvertendo che ricorre
appunto in questo giorno il compleanno di S. M. la Regina,
‘esprime, in nome dell’Accademia, sensi di riverente ossequio e di
felicitazione.
Si legge l’atto verbale dell'adunanza del 19 giugno p. p.
che viene approvato.
Fra i libri offerti in omaggio all'Accademia vengono segnalati
ì seguenti;
1° « Bullettino di bibliografia e di storia delle Scienze
matematiche e fisiche pubblicato dal Principe B. Boncompagni;
vol. XX, gennaio-febbraio 1887, presentato dal Presidente:
2° « Applicazioni di geometria descrittiva, del Prof. Va-
lentino ARNÒ ; 1 vol. di testo con un atlante, presentati dal Pre-
sidente ;
3° « Elenco delle specie di coleotteri trovati in Piemonte,
di Vittorio GHILIANI; opera postuma pubblicata dal Dott. Lo-
renzo CAMERANO; presentato dal Socio LESSONA.
4° « Comptes rendus des travaua du Comité international
chargé des essais electriques; lavoro, a cui, in occasione del-
l’Esposizione universale di Anversa nel 1885, prese parte il do-
natore, Prof. A. Rolri, Corrispondente della Accademia: pre-
sentato dal Socio NACCARI;
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIILL 1
2 GIUSEPPE BASSO
5° Un lavoro del Prof. Giulio MicHEL « Ueber Sehnerven-
Degeneration und Sehnerven-Kreuzung », pubblicato per cura
della Facoltà Medica dell’Università di Wiirzburg, in occasione
del settantesimo anniversario della nascita del Prof. Alberto von -
KOLLIKER; mandato in dono dall'Università di Wiirzburg.
Le letture e le comunicazioni si succedono nell’ ordine che
segue :
1° « Breve Commemorazione del Socio Corrispondente
Gustavo Roberto KigcHBorr, morto il 17 ottobre scorso; del
Socio Basso;
2° « Alcumi teoremi sui coefficienti di Legendre (Nota 2°),
dell'Ing. Ottavio ZanortI-Branco; presentati dal Presidente ;
3° « Sulla origine del gesso micaceo ed anfibolico di
Val Cherasca mnell’Ossola; del Socio SPEZIA;
4° « Sulla densità di alcuni metalli allo stato liquido
e sulla loro dilatazione termica; dei Dottori G. VICENTINI e
D. OmopE1; lavoro presentato dal Socio NACCARI;
5° « La Aegialitis asiatica (PELL.) trovata per la prima
volta in Italia; del Socio SALVADORI. î
.
LETTURE
In commemorazione di Gustavo Roberto Kirchhoff,
Parole del Prof. GiusePPe Basso
Uno dei più eminenti cultori delle discipline fisico-matematiche.
il professore Gustavo Roberto Kirchhoff, socio corrispondente
della nostra Accademia, cessava di vivere in Berlino il giorno
17 dello scorso ottobre. Già da alcuni anni gravi sofferenze ne-
vralgiche lo costringevano spesso a sospendere il suo insegna-
mento universitario ; tuttavia la crisi che lo spense nell’età di
63 anni giunse inaspettata anche ai suoi famigliari e per ciò
tanto più dolorosa.
Siami concesso qui di ricordare in brevi parole i punti più
salienti della sua vita operosissima e quelli, fra i molti suoi
COMMEMORAZIONE DI G. R. KIRCHHOFF 3
lavori, che si possono annoverare fra le maggiori conquiste della
scienza contemporanea.
Gustavo Roberto Kirchhoff nacque in Kònisberg il 12 marzo
1824 e, dedicatosi di buon’ora nella sua città nativa agli studi
che dovevano poi rendere insigne il suo nome, ebbe la fortuna
di avere a maestro e guida Francesco Neumann. Recatosi poscia
a Berlino, vi ottenne nel 1848 Vl’abilitazione alla libera docenza
per la fisica matematica e, due anni dopo, venne chiamato ad
insegnare questa disciplina a Breslavia. Fu appunto in questa
città che, incontratosi il Kirchhoff con Roberto Guglielmo Bun-
sen, si strinsero fra i due giovani studiosi i primi vincoli di una
calda amicizia, mercè la quale sorse e lungamente si mantenne
quella loro collaborazione scientifica che fruttò più tardi alla
scienza l'invenzione dell’analisi spettroscopica. Allorchè il Bunsen
nel 1854 dovette recarsi ad Heidelberg e porvi stabile dimora,
il Kirchhoff volle seguirlo e così i lavori già intrapresi in comune
proseguirono non interrotti per oltre un ventennio. In questo
periodo di tempo si esplicò in tutta la sua pienezza la vita
scientifica di Kirchhoff; il nome suo non tardò a salire in alta
rinomanza e non è a maravigliare che lusinghieri ed insistenti
inviti gli siano stati diretti dall’Ateneo della prima città di Ger-
mania allo scopo di trarlo a sè. A tali inviti egli cedette final-
mente nel 1875. Nell’ Università di Berlino, della quale fu lustro
fino all'ultimo, Kirchhoff inaugurò il suo insegnamento con una
serie di lezioni sull’ Ottica geometrica; svolse in seguito argo-
menti spettanti ad altri rami di scienza e fortunatamente l’edi-
tore B. G. Teubner di Lipsia potè raccogliere tutti questi studi
d’origine didattica in un’opera col titolo : Lezioni di fisica ma-
tematica e di meccanica.
In quanto ai lavori originali del Kirchhoff si può ben dire
che non vi ha parte delle dottrine fisiche al cui perfezionamento
egli non abbia contribuito con novità di concetti, con acume di
analisi e raggiungendo dapertutto risultati importanti e fecondi.
Nel campo della elettrologia e dell’ elettromagnetismo Kirchhoff
lascia studi preziosi sulla distribuzione delle correnti elettriche
nei sistemi di conduttori filiformi, sulla misura delle resistenze
elettriche, sulla teoria dei condensatori, sulla determinazione delle
costanti dalle quali dipende l'intensità delle correnti d’ induzione,
sulla teoria del magnetismo indotto nel ferro dolce ed infine
sulla distribuzione dell’elettricità in equilibrio sopra un sistema
4 GIUSEPPE BASSO - COMMEMORAZIONE DI G. R. KIRCHHOFF
di due sfere conduttrici; il quale ultimo argomento era già stato
prima oggetto di indagini profonde per parte specialmente di
Poisson e del nostro Plana.
Appartengono all’acustica e ad un tempo alle dottrine re-
lative all’elasticità gli studi del Kirchhoff sul movimento vibra-
torio nelle lamine e nelle verghe e sulle vibrazioni permanenti
nelle masse fluide ; sono contribuzioni alla termologia le sue ri-
cerche intorno all’ influenza della conduttività calorifica di un
gaz sulla propagazione del suono in esso, quelle intorno alla
tensione delle mescolanze di vapori di varie specie ed un lavoro
sperimentale sulla capacità termica del ferro.
Però gli è nel campo dell’ottica e specialmente della cro-
matica che si trovano i titoli di benemerenza scientifica del Kir-
chhoff più brillanti e più universalmente conosciuti. Poichè, oltre
ad uno studio teorico sulla riflessione e rifrazione della luce alla
superficie dei mezzi cristallizzati, oltre ad accurate misure di
angoli degli assi ottici per le diverse linee di Frauenhofer ese-
guite specialmente sull’aragonite, ognuno sa che devesi in gran
parte al genio di Kirchhoff la conoscenza completa della rela-
zione fra il potere emissivo ed il potere assorbente rispetto alle
varie specie di radiazioni calorifiche e luminose. Assunta questa
relazione come guida nell’esame delle luci emanate da sorgenti di
varia natura e condizione, ne scaturirono direttamente: la spie-
gazione delle linee di Frauenhofer nello spettro solare , la for-
mazione delle diverse specie di spettri continui e discontinui, l’in-
terpretazione del fenomeno dell’inversione delle linee spettrali e
quindi le applicazioni dello spettroscopio all’ analisi chimica ed
alle indagini intorno alla costituzione dei corpi celesti.
La fecondità del nuovo procedimento analitico che forma
come l’incoronamento dei grandi lavori di Kirchhoff e di Bunsen
trovasi fin d’ora confermata dalle splendide scoperte ottenute,
mercè sua, dalla chimica e dall’astronomia fisica; ed è ben giusto
che i nomi dei due autori, indissolubilmente congiunti, vengano
ricordati fino alla più tarda posterità con riverente gratitudine
dagli studiosi delle scienze naturali.
Alcuni teoremi sui coefficienti di Legendre,
Nota seconda di Ottavio ZaxotrI Branco Ingegnere.
I
Per quanto io so i matematici, e fra essi segnatamente
LeGENDRE, LapLace ed N. C. ScHMIT, si occuparono unicamente
degli integrali delle forme
LI srl +1
fer. (2) da, fe. (x) P,(2) 4x3 fe. @)Polada,
nelle quali P rappresentano le funzioni d’x armoniche zonali
superficiali dell'ordine indicato dal loro indice: è scopo del pre-
sente lavoro il determinare il valore degli integrali delle forme
seguenti :
SI gl
fo-nFrme fonairzia du,
I.
Per seguire le notazioni adottate nella nota precedente su
questo argomento, supporrò le P funzioni della variabile u = cos 9
e quindi-du=—sen9d6. Ciò posto ricordo che si ha
Pip(@) 4, pH Agi) Peke A, A)
-
(0) OTTAVIO ZANOTTI BIANCO
in questa è
n __(4t-1)(4#--3)...(2t+1) \
e CA
S(4t MAE 5).
2 (27 2)c2 tù*
n 1) (ee) e
siti ot SET
Si ha del pari
Pilu Az A A pl
nella quale è
(4#+1)(4#-1)...(2#+3)
ao BoA...dt
VAI id CLES AR CLS)
di O ar) ° + cx
A
i RR
Richiamo ora dal calcolo integrale alcune formole di cui do-
vremo far continuamente uso in appresso.
f ossi can opraszo ; . (1)
sia m pari o dispari.
1.3...(2m—1)][1.3...(2n—1)]
lo) 2n cs] = [ È i
feno Aim 16 (22)
fc 6)°"(sen9)?"*+'d6
° ? (7).
A e |
7. 1.3.5...(2m—3)(2m—1) (2m+1)(2m+3)...(2m+2n+1)
ALCUNI TEOREMI SUI! COEFFICIENTI DI LEGENDRE 7
Essendo = cos e du=—sen0d9, gli integrali che stanno
al primo membro di ciascuna delle tre ultime formole diventano
+1 =:
fonia ; fora o) du |
1 +1 — I N age (8)
fora — n°) d p. o
Rammento ancora. che dalla teoria delle armoniche zonali
superficiali sì ha in generale
n
1 d'(p°—-1)"
aq i (E SA LS)
2°.n! du" (9) (9)
II.
Nella (1) pongo w=cos@? e moltiplico per (sen 0)?"d8,
avrò dopo ciò integrando fra 0 e 7:
n
fr. 5) (sen da dé 4; I (cos 6)?‘ (sen 9)?” d0 |
o n o LT Si (LO)
37 SAPOA j (cos 6)?‘7? (sen 6)?" d.6 + DICA (sen srrar\
; )
n
Gli integrali del secondo membro sono tutti della forma data
dalla (6), quindi sostituendo ai coefficienti 4, i loro valori dati
dalla (2), avremo:
(*) Avverto, che per svista, nell’ultima pagina del mio precedente lavoro
su questo argomento si scrisse (2*— 1) invece di (22—1;” e (2?—1)”, secondo
i casi.
8 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO
n = X
2n1—1
fa. (cos 6) (sen 6)" d0=|P..(2)(1-p°) ® dp
(o)
e eli
— I
Eli :
1 at(yy°__ 1)?! samni
7 4'(24) JR (1EP9T7 a
fi.B.. CSV n o a] 2641)... (46—3)(4t1)]
[2. 2t][2,4...2m...(2m+2t)]
(1.8. e ese. .(4t—8)]
si ma. er nay 2 ][ 208.2 (Fn PON]
RRILIE: Qi
E 4...2t][2.4...(2m—-2)2m]
(11)
=
IRE e ee
Si avrà similmente, tenendo della (7) e delle (2) :
| P,,(cos 6) (sen 0)?*+'d0-—= fr. (2) (1- pp)” dp a
.
le] eil
1 ue”
n e (£ eg I m
=egli fe ner Ta (1- 1°) dp
2. 4. .-(2m_—2)2m][1.3 .-(2f-1)(24+1)...(4t-1)]- .(4t-1)]
E, 201.3. .(Qm+è NI )(22:+1)(2m—3)...(2m+2n+1)] coral
[Rd (2a) ava][1° 3 DI c20=3)(2 1.0 2a
Mpa: =2))[1:#8. E i Gm42i= i)
2. sd) tuta Cioe linda Siani 4. 3 ici elio 3...(2t—1)]
Rent 3 206 = 1) i Ami) @m+D]
(12)
+...+(-1)
Nell'espressione (3) pongo 4 = cos@?, ne moltiplico ambi i
membri per (sen 0)"*'d6, ed integro poi fra 0 e 7, avrò:
n
fre (cos) (sen 0)"*'d0=4,,,, [cosa congedo |
i 5 È ; (13)
ta fico 9)" "(sen @)"*'d0+...+A frrecin ops)
(0)
ALCUNI TEOREMI SUI COEFFICIENII DI LEGENDRE 9
Ora in virtù dell'espressione (5) gl’ integrali del secondo
membro sono tutti nulli sia # pari o dispari, e sarà:
E: 9) (sen tre |
oh ...(14)
4(; Jet: m
me |; SITI il A (1-p )adu=0 -
IV.
Nell’equazione (1) pongo u=cos9, ne moltiplico ambi i
membri per (cos 4)? (sen 9)?" 49 ed integro fra 0 e x avrò:
fr. (cos 6) (cos 6) ** (sen 5)*"d @
o n T
È du fo 0)?'+?*(sen6)"d9+A,,_, [cos 9)24+257=(sen0)*"d6+...\ (15)
È +4 (cos 6)°* (sen 0)°" d 0
Ù |
Gli integrali del secondo membro sono tutti della forma (6),
pertanto eseguendo le integrazioni, e sostituendo ai coefficienti A,
i loro valori dati dalla (2), avremo:
n iI
fruo 6) (cos 6)?‘ (sen grras=(P..t) (0)? (1-1?) - dia
o IT dai
i d*'(p°—1)?! vari
e —-——_ STENZA ER 25 Str 5 ] i
44.(24) | d °° (2)**(1- wu") dp
(411) (46-83). ICONE ..(2r—1)][1.3...(24+2s—1)] }(16).
[2.4...2t][2.4.6...(2#+2s+2r)] |
[(4t#—3).. biur .«(2r—1)][1.3...(2#+2s—3)]
[2.4...(26—=2)x2][2:4.6.1 (2442542 —2)]
pelt3. (2t—8)(2t—1)][1.3...(2r—1)][1.8...(2s—=1)]!
to e aan \/
7
10 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO
Con un procedimento affatto analogo al precedente si avrà:
n |
fe. (cos 6) (cos @)?* (sen @)?"+'d 6 (P.s1) (pu)? (1—-p°Y dp
[e] AI
he
bc ori, d vie
I] (a) (1 pd
[(4#-1)(4t-3)...(24+1)][1.3...(2#+2s—1)][2.4...(2r-2)2] ) (17)
-_ [2.4...2t][1.3...(2r—3)(2r—1)(2r+1)...(2r+2s+2#+1)]
[(4#—3)(4#—5)...(24-1)][1.3...(2#+2s—3)][2.4...(2r—2)2r]
[2.4...(2#—2)][1.3...(2r—1)(2r+1)..(2r+2s5+2#—1)]
; 1y[1.3--(2#-3)(241)][2.4...(2r-2)2r][1.3...(2s-1)]
postata [24..24][1.3..(@r-1)@r+1)(@r4 25500008
Dico ora che si ha:
| P,,4.,(005 6) (cos 6)?* (sen 6)"d = i; P,.s. (1) (a (1-2) Fap
ti Fr (18)
! CORIO ha Boe et
WI OLGAICIESI j ici — (a)(1h°) = dd
a |
sia r pari o dispari.
Infatti moltiplicando la (3) per — (sen?)"(cosî)?"*d46, ed
integrando di poi fra 0 e 7, gl’integrali che staranno nel secondo
membro dell’equazione che così risulta, saranno della forma (5),
donde si deduce immediatamente l’equazione (18).
Applicando l’equazione (6) e la (14), si avrà, con un pro-
cesso identico a quelli già usati, dall’equazione (3) :
ALCUNI TEOREMI SUI COEFFICIENTI DI LEGENDRE
n srl
2Fr—1
fron ny ener rt” — n°) * dp
dA (L., 0) dp..dg
Mi a” (1 >_1)” d'(0°—1) dP(p°—1)?
FARE na e
mata i
«(41 -° NE } Y, (2,0) dp. de +
ALCUNI TEOREMI SUI COEFFICIENTI DI LEGENDRE 19
n 2a
f free 2,00 2,(cx0. n (cos6)*. Y;(cos9, 6) dI .dg
+1 2
h—-1i
= P.. (0) P.(R)P,(0)...(1- 1° nm p,0)dp..d |
aa n)? TI | (45)
s a" (1 1)? d'(u°—-1)' dP (1° dP (pu —1)P
AAA = ue dp SE
De. m'ilp!. Ù
.
— IMI" T_
h—-1
«.(1_-p°) ® (2)°Y;(u,e)du.do.
VIII.
FERRERS a pag. 155 del suo 7rattato sulle Armoniche sfe-
riche, ha dato la formola seguente :
,
14 sen—
(46),
1 1 1
4: 57. (cos 6) #5 P_(cos0) + g 1 3(c0s9)4 ...=log
sen —
2
ne moltiplico ambi i membri per ?;(cost)sen7d?, ed integro
rispetto a 9 fra 0 e 7, avrò:
n n
Îi
fe (cos 6) #n009+3 (P (cos 6) P{(cos 4) sen0d0+ .....
x Va î
1+sen3
= log —T_ Pi(cos 6) sen 0 d0=
sen 3
$ sa Di MH
]
bi” + 4 (1) P; (2) dp. + ;fr. (2) P. (2) Apt
— 1 — I _ 2
pg E +VIZE
Pi(u)dpu,
PA Vi-w
20 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO
giacchè
G VI così_ _Vi=v
SeliT=— ie =
2 V 9 V2
Ora si sa dalla teoria dei Cocfficienti di Legendre che gli in-
tegrali del secondo membro son tutti nulli, tranne quello pel quale
gli ordini delle due funzioni P sono uguali, nel qual caso si ha:
+1
: 2
)
fire * ori 3
sarà pertanto
14 sen2
log «a P,(cos 6) sen 946
sen — i
5 à MEI
Wa UIL DI
24+V1l—v 1 2 2
fi E Pde= pf} EI) s
Richiamo adesso l'equazione (27)
2r
[ripe
0
e ne moltiplico ambo i membri per
Vip
ed integro fra —1 e +1 a” a p., si avrà:
hi + sen È -
Y; (cos 9, 9) sen? ab de ..+ (48)
sen È segue
ALCUNI TEOREMI SUI COEFFICIENTI DI LEGENDRE 21
SOLO o e \
-f log EHI —e Y;(u,c)dpdo |
i? seguito
o a 1a (48)
Dr a 47
Ae Piu AI)
IX.
Se nelle formole (16), (18) e (19) al paragrafo IV pongo
r=0, esse divengono:
T +!
f.co: (cos ai=| P..(11) O Sa
Vip?
o |
23h
ni 1 d°! (1° — DI iareda
4'.(2 4) 1 das BE VI _
— 1
CITE i 1)(®3) 04-13-24 1], j (89)
5) [2.4...2t][2.4.6...(2t+23)]
ORE et i(1.3. 04M
faz 4 2i=2) x 2][2.4...(24+25= 2)]
Ali se ax e] 2 e
n 1) PARSO. eagì mi
T I ]
P,;3:(c0s6) (cos6)*d0=| P.,.. (0) (E
J (cos 9) (cos 5) il (12) (2) Via |
i si (50)
cet
A 1 d°'4! (y°— 1) LE ]
CCA EA "Aeg 1) (1) pae:
22 OFTAVIO ZANOTTI BIANCO
n +:
du. \
(ZIO d@= fe RESTI CAI (0) pa Po \
(1) ali
Sapio
1 d'Mpe-1*1,. lef AL
22443(2%+1)! dr n A VI— p?
___{{4#+1)(4#—1)..:(244-3)][1.3...(2#+2s4+1)] } (65
Gi (2.4. 20][2.4...(25+2#+2)] |
ME .(24+1)][1.3...(244+2s—1)]
[2.4...(2t-2)][2.4...(2#+25)]
ta A 1][1.3...(2s+1)]{
FAI)
Se nella formola (21) si fa r=—1 si ha
T cli
fran 007 40 fe. (ui di
1 e (pe—1 dl)? (at*t'dp __
)! d°*p Vi—L?
a
A mezzo di queste formole si possono con un procedimento
analogo a quello usato nel S V per avere i valori degli inte-
grali (22) e (28), ottenere (hi integrali seguenti, che si hanno
anche dalle (22) e (23) facendo K1=0:
Lo +
fe (cos 5) P, (cos 0) 1=(r (1) P;(1) seÉ
ci oe) \dp
24517) d'p d'u VI2p°
ALCUNI TEOREMI SUI COEFFICIENTI DI LEGENDRE ita)
n i tI
n
1
| ui dp
P,(cos 6) P, (cos 7) (cos6)*d7= | P.(u) P.(1) aa
ViI—da
3 # vi \...(54)
I d'(p°—1)° d'(0°—1) Lap \
EE AIA ua n d'u VE Sr |
Così, si possono senza difficoltà alcuna, ma servendosi di sem-
plici sostituzioni successive, giungere ai valori degli integrali
seguenti, che si ottengono facendo nelle (24) e (25) X=0.
fr.) 2,000) 2,100 DA; î=[ P,(PPHA)P a) va
, 1 /1-p°
! 108, 14 (55)
1 ] d'(u° — 1) d'(p° —1)! dP (1° 1)? du
CEI È d'() du) de(p) Vi=pò’
i ee: pi O v'dy
P,(cos6)P,(cos6)P,(cos0)...(cosé)*d6= i
—jyz
È, % (56)
1 I di (p?-1)° d'(u°—1) d’(2°-1)P p*du
TT, CELLE SnE5: egg VV MONOTTT e è
2 È dari.. dp, Ae LE Vip
—— I
Nell’equazione (27) faccio #=2f e ne moltiplico ambi i
membri per (cos 0)*"d? ed integro poscia fra 0 e x rispetto a 9,
ossia fra —1 e +1 rispetto a P. Avrò :
Il fteoorer. (cos$, 4) d6de=2 2a) P,.(c0s9) (cos6)?5d9 ;
(0)
Ma l'integrale del secondo membro è dato dall'espressione (49);
di essa rappresento con 149! la parte del secondo membro, che
moltiplica 7, avrò:
24 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO
f fonorz. (cos @, 0) d6 du
(57)
| forziere za
Così applicando la formola (52) avrò:
E (0080, 9) 404%
...(98)
Similmente tenendo conto delle espressioni (50) e (51) si avrà:
f formi ti nasa
EA dp
fat (1) ?* Vafun (Pi; (0) -do= 0 ns
e 0° Vip.
f fromtera. tt.) a0a; I
I 2 du 3
= Tp, y male )j51}.
In quest’ultima espressione !51! , rappresenta la parentesi
q p pai PP p
(60)
che sta al secondo membro della (51).
Osservo ora, che essendo, per quanto precede, noti i valori
degli integrali (53), (54), (55) e (56) si potranno mercè essi
ALCUNI TEOREMI SUI COEFFICIENTI DI LEGENDRE 25
ottenere quelli rappresentati in generale dalle espressioni se-
guenti :
JÌ a (cos 6) P, (cos 5) E (cos 6) .....-Y;(cos9, ) d0 do
+1 AT
=[ Je. (u)P,(p) P, (2)... Y; (1,9) vi n 53 dé;
il fr. (cos 6) P, (cos 6) P, (cos 6)... (cos 6)* Y, (cos 8, )d9de
ni | Pm (4) P() P, (0)... (1)° Mi 1 — de.
Torino, novembre 1887.
Sulla origine del gesso micaceo e anfibolico
di val Cherasca nell’ Ossola.
Nota di GiorGIO SPEZIA
Nella valle Cherasca, la quale partendo da Varzo fa capo
al pittoresco ripiano dell’alpe di Veglia, furono da tempo os-
servati alcuni banchi di gesso, il quale venne talvolta preparato
per uso di cemento dagli abitanti della vallata; ed io ne avevo
raccolto per i miei studi sui minerali dell’Ossola trovandolo assai
interessante sia per la sua giacitura che per la sua associazione
con anfibolo e mica.
Nel lavoro geologico eseguito nel 1882 dai signori Heim,
Lory, Taramelli e Renevier, riguardo un progetto di traforo del
Sempione, fu detto gesso non solamente menzionato ma fatto
oggetto di discussione a proposito della sua origine, e prevalse fra
i detti geologi l'opinione di Heim come appare dal seguente brano
della loro relazione che io ritengo conveniente di riprodurre:
2.6 GIORGIO SPEZIA
« Au pont de San-Bernardo, près de Gebbo, nous avons
constaté un petit lambeau de gypse pulvérulent sur un point,
cristallin et micacé sur un autre. La question doit naturelle-
ment se poser: Ce gypse forme-t-il une couche constante, au
contact du micaschiste et du gneiss d’Antigorio, et par conséquent
se rétrouverait-il dans le tunnel? ou n’existe-t-il là que par l’effet
d'une cause tout à fait locale? La faiblesse de ce lambeau de
gypse, et l’absence dans le voisinage d’autres affleurements sem-
blables, pourraient faire pencher pour la seconde alternative.
« L’un de nous, M. Heim, est très affirmatif à ce sujet. Dans
la petite exploration qu'il a faite seul, sur la rive gauche de la
Cherasca, il s'est, dit-il, convaincu que ce lambeau de gypse doit
etre le résultat d'une altération locale de la roche. Nous lui
laissons la parole pour l’exposé de ses observations individuelles
sur la berge Est de la Cherasca, en amont du pont San Bernardo.
« Cette paroi de rochers, qui de loin déjà nous avait frappés
par sa teinte blanchàtre avec taches de rouille, est formée de
gneiss d’Antigorio, assez fortement altéré sur place. Ce gneiss
est fendillé dans tous les sens, se brise facilement, et sur quel-
ques points il est décomposé en kaolin friable, contenant des
grains de quartz. Au pied du talus de ses détritus, on voit sour-
dre un certain nombre de sources, qui s'écoulent directement
dans la Cherasca.
« « Dans le haut de la paroi, en dessous du village de Fon-
tana, on voit le gneiss, de plus en plus micacé, passer au m22-
caschiste granatifère, entremélé de schistes ampbiboliques. Celui-
ci forme un ensemble de couches presque horizontales, de couleur
foncée, contrastant avec le gneiss altéré qui le supporte. Ce
complexe, qui ne présente aucune trace d’altération, paraît ré-
gulièrement interstratifié au milieu du gneiss d’Antigorio.
« La partie altérée du gneiss a environ cent mètres de lon-
gueur, parallèlement à la Cherasca. Au-delà, en amont, on voit
les mèmes bancs de gneiss reprendre petit à petit leur texture
normale; ce gneiss partiellement kaolinisé passe graduellement au
gneiss solide. Sur la rive droite de la Cherasca, le gneiss reste
intact; je n'y ai trouvé aucune trace de cette décomposition, sauf
toutefois le lambeau gypseux, tout près du pont. Ce dernier se
présente donc comme un nid de gypse à la base d'une masse de
gneiss altéré, qui peut atteindre 100 à 200 mètres d’épaisseur à
partir du niveau de la Cherasca. Je n'ai aucun doute que ce gypse
ORIGINE DEL GESSO MICACEO E ANFIBOLICO DI VAL CHERASCA 27
ne résulte de la mème action de décomposition locale, qui peut
étre attribuée a la filtration de l’eau des sources susmentionnées.
« Il m’est impossible de prévoir quelles sont les dimensions
souterraines de la masse de gneiss en décomposition, ni s'il peut
en exister d’autres masses semblables, entièrement cachées sous
le sol. En aval du pont San Bernardo, je n’en ai observé au-
cune trace (1). »
Da tale scritto risulta che Heim attribuisce il gesso ad una
decomposizione locale della roccia, ed asserendo che sulla destra
della Cherasca non trovò altra traccia di decomposizione del gneiss
salvo il lembo di gesso, lascia credere, a mio avviso, che egli voglia
ammettere la decomposizione del gneiss, come origine del gesso.
Perciò non ritengo privo d'interesse il riferire alcune mie
osservazioni, le quali condurrebbero ad indicare altra roccia dalla
cui alterazione si avrebbe il gesso, ed in pari tempo di rendere
affatto improbabile che possa essere il gneiss, nel caso che l'Heim
nel suo scritto abbia voluto realmente attribuire alla decomposi-
zione di tal roccia il deposito di gesso.
E spero che ai detti geologi non parrà inopportuno che, sullo
stesso giacimento gessifero da loro studiato, vi sia un lavoro ba-
sato sopra osservazioni mineralogiche e considerazioni chimico-geo-
logiche, anche se le conclusioni siano diverse da quelle indicate
nella loro relazione.
Nella predetta relazione si ammette che il gesso il quale si
trova vicino ed a monte del ponte di San Bernardo sulla destra
del torrente Cherasca costituisca solamente un nido e che non esi-
stano altri affioramenti nelle vicinanze di esso.
Invece a circa 130 metri a valle del ponte e sulla sinistra del
torrente si trovano altri affioramenti stratiformi di maggiore esten-
sione visibili per una lunghezza di circa 100 metri e larghezza di
quasi 10 metri. La direzione ed inclinazione di questi strati con-
ducono al deposito osservato dall’Heim, e dal lato litologico coin-
cidono così perfettamente, che per me è un fatto certo che tali af-
fioramenti di gesso appartengono tutti allo stesso strato, il quale,
posto allo scoperto dall’erosione, rimane ora coperto di tratto in
tratto dai detriti dell’alveo del torrente che lo attraversa e da
quelli degli scoscendimenti delle pareti laterali.
(1) Etude geologique sur le nouveau projet de tunnel coudé traversant le
massif du Simplon. Bull. de la Soc. Vaudoise des Sc. Nat., vol. XIX, n.89.
28 GIORGIO SPEZIA
Il gesso di San Bernardo si presenta in grosse lenti inchiuse
in uno schisto micaceo anfibolico il quale, sia in straticelli sia coi
suoi componenti isolati, inquina la massa gessosa e talvolta in modo
tale da essere il gesso non solamente in minore quantità, ma da
costituire un graduale passaggio ad una roccia nella quale vi sono
appena traccie di gesso e predominano invece la mica, l’anfibolo e
il quarzo.
Prendendo frammenti di gesso che abbiano l'aspetto di maggior
purezza e trattandoli a varie riprese con carbonato ammonico e poi
con acido cloroidrico diluito e a freddo, onde decomporre ed elimi-
nare il solfato calcico, essi lasciano sempre un abbondante residuo.
Detto residuo esaminato al microscopio risulta costituito da
granuli cristallini di quarzo, da lamine di mica incolora o leg-
germente giallognola, e da frammenti di trasparenti cristalli di
anfibolo verde i quali presentano quelle traccie di corrosione come
sì osserva sovente nei grani o di pirosseno, o di anfibolo o di ver-
nerite disseminati in calcari cristallini.
Oltre i detti minerali sono visibili anche piccoli romboedri i
quali io ritengo per dolomite perchè insolubili nell’ acido a freddo
si sciolgono con effervescenza a caldo.
In alcuni frammenti di roccia nella quale la mica ed il quarzo
predominavano sul gesso potei constatare la presenza della calcite.
La roccia gessosa in sezioni sottili all'osservazione microscopica
sì presenta costituita da granuli cristallini e da cristalli bacillari,
i quali paiono essere prodotti posteriormente per un precesso di
diagenesi.
Anche a valle della cappella di Maulone sulla sinistra del tor-
rente vi ha traccia di affioramento di roccia gessosa, la quale, se-
parato il solfato calcico, lascia un residuo costituito essenzialmente
da dolomite, quarzo, e mica bianca o rosea, e qualche grano di
anfibolo incoloro.
La giacitura ed il modo diassociazione dei minerali in entrambe
le masse gessose permettono due ipotesi sulla loro origine; o che
il gesso sia originario ossia di formazione coeva al micaschisto an-
fibolico che lo accompagna, ovvero sia il prodotto di alterazione di
altra roccia, e questa seconda ipotesi è certamente la più proba-
bile e perciò nel concetto in massima di prodotto di alterazione
sta il parere di Heim.
° Ma per supporre poi che il gesso provenga dalla decomposi-
zione del gneiss, bisogna naturalmente premettere che il gneiss con-
ORIGINE DEL GESSO MICACEO E ANFIBOLICO DI VAL UuHERASCA 29
tenga anzitutto lo zolfo, e, facendo in favore di tale idea la più
probabile combinazione, immaginare un gneiss ricco di un solfuro
metallico, p. es. pirite.
Riguardo al calcio lo si trova nel gneiss sia per la frequente pre-
senza di feldispati plagioclasi e massime poi se qualche silicato ricco
di calcio come p. es. l’anfibolo entra a sostituire la mica. Infatti vi
ha il gneiss anfibolico di Ober-Ramstadt (1) il quale è così ricco di
anfibolo che l’analisi complessiva dà 10,65 °/, di ossido di calcio.
Ossia per avere da un gneiss quale prodotto di decomposizione
il gesso bisognerebbe anzitutto ammettere un gneiss molto anfibo-
lico e piritifero.
Ma tale ipotesi sarebbe contraria alla premessa di Heim, il
quale ritiene secondo Gerlach per gneiss detto d’Antigorio da questo
autore, il gneiss di val Cherasca, nella qual roccia secondo l’analisi
di Scheerer (2) vi sarebbe solamente 3, 95 p °/, di ossido di calcio.
Si potrebbe supporre che un tale gneiss quando fosse piritifero
o attraversato da sorgenti ricche di solfato di ferro o anche di
acido solforico libero, come sarebbero acque provenienti da gia-
cimento di piriti in decomposizione, potrebbe fornire gesso colla
sua piccola quantità di ossido di calcio, impiegando il tempo per
la concentrazione. Ma ostacolo a detta ipotesi sarebbe la solubi-
lità del solfato calcico, la quale impedirebbe, alla poca quantità
che se ne forma, di rimanere, costituendo un deposito di gesso.
E ammettendo pure che nella grande estensione che ha il
gneiss d’ Antigorio, ve ne sia qualche tratto molto anfibolico e
piritifero, bisognerebbe che l’anfibolo si decomponesse per cedere
il calcio all’acido solforico proveniente dall’ossidazione della pi—
rite in contatto; ma in tal caso non credo si possa spiegare fa-
cilmente la presenza dell’anfibolo nel gesso di S. Bernardo.
Inoltre ammessa anche tale decomposizione di un gneiss an-
fibolico è a ritenersi che più facilmente sarebbesi decomposto an-
che l’ortosio del gneiss e quindi: o il gesso dovrebbe contenere
del caolino il che non è nel nostro caso, ovvero supponendo anche
una decomposizione del caolino, le acque che per detta alterazione
si mineralizzassero dovrebbero essere ricche non solo di solfato
calcico ma anche di solfato di allumina, e per la presenza di
questo sale essere poverissime di carbonati.
(1) J. RoruH, Beitrage sur Petrographie, 1879-1883, pag. IV.
(2) GERLACH, Die penninischen Alpen, pag. 107.
30 GIORGIO SPEZIA
Secondo Heim pare fuori dubbio che il gesso sia dovuto alla
decomposizione prodotta dalle sorgenti che egli osservò scaturire
ai piedi del al/us formato dai detriti del gneiss alterato, che si
trova quasi sovrastante al deposito di gesso da lui esaminato.
Dette sorgenti non sono, a mio avviso, da porsi fra le minerali,
ma se anche lo fossero, sta sempre per loro il dilemma che: o dette .
sorgenti non contengono il solfato calcico e allora siamo alla
difficoltà dimostrata di trovare gli elementi del gesso nel gneiss, o
ne contengono già in parte gli elementi e allora non credo debba
ritenersi necessario il gneiss alla formazione del gesso.
P. es. un'acqua ricca di bicarbonato calcico potrebbe sem-
pre al contatto di gneiss ricco in pirite in decomposizione, dar luogo
a solfato calcico ma in tal caso il gneiss non entrerebbe nella rea-
zione; e se anche tale acqua poi contenesse acido carbonico
libero che, insieme al solfato calcico formatosi, alterasse contem-
poraneamente il gneiss, non potrebbesi mai a questa roccia attri-
buirsi l'origine del gesso.
Resa così, a mio avviso, molto improbabile l’ipotesi della de-
composizione del gneiss come origine del gesso, ricerchiamone
qualche altra.
Vi sarebbe quella di supporre che il gesso di val Cherasca
provenga dall’ idratazione di anidrite, se l’ammettere 1’ anidrite
originaria inchiusa nei micaschisti anfibolici delle Alpi non incon-
trasse quasi le stesse difficoltà dell’ ammettere il gesso stesso.
D'altronde sino ad ora io non ho mai veduta l’anidrite in val
Cherasca.
Non rimane quindi, a mio parere, che prendere in conside-
razione i calcari cristallini, i calceschisti ed i micaschisti anfibolici
ricchi di calcare, le quali roccie sono assai diffuse in val Cherasca.
Ammettendo un’alterazione di tali roccie si ha già uno dei
principali elementi del gesso, il calcio. Riguardo allo solfo lo si
trova esaminando alcune di dette roccie.
Nella località detta Gebbo a valle della casa del signor Gio-
vanni Roggia (1) si trova sulla destra della Cherasca un affio-
ramento di calcare cristallino ricchissimo di pirite e pirrotina.
Detti solfuri sono diffusi nella roccia talvolta assai visibili ad
occhio nudo, talvolta no.
(1) Colgo l’occasione per ringraziare il sig, Roggia, maestro comunale a
Varzo, per le cortesie usatemi nelle mie escursioni in val Cherasca.
ORIGINE DEL GESSO MICACEO E ANFIBOLICO DI VAL CHERASCA 31
Prendendo del calcare nel quale dall’ aspetto non si crede
vi siano solfuri e trattandolo con acido cloroidrico diluito a
freddo, si sente anzitutto odore di idrogeno solforato e poi si ot-
tiene un residuo insolubile costituito da lamine di mica, granuli
di quarzo, e per circa la metà in peso di una polvere nero ver-
dastra, la quale, esaminata al microscopio, è costituita da cri-
stalli di pirite e lamine esagonali di pirrotina che sì lasciano
facilmente separare dalla pirite mediante un magnete.
Entrambi i solfuri si trovano anche abbondanti come inclusioni
nella mica e nei grani di quarzo i quali sono talvolta attratti
dal magnete quando hanno inclusioni di pirrotina. E a causa
di tali inclusioni mi fu impossibile di fare nel residuo insolubile
una separazione esatta mediante liquidi a densità variabile.
Un altro esempio di analogo calcare lo trovai all’ alpe di
Veglia sopra la sorgente minerale. Tale roccia a struttura cri-
stallina sente di idrogeno solforato quando la si rompe e lascia,
trattata con acido cloroidrico, un residuo di cristalli corrosi di
anfibolo bianco, grani di quarzo, lamine di mica e la polvere
cristallina di piriti e pirrotina, i quali solfuri sono anche in ab-
bondanza inclusi nell’anfibolo e nella mica.
Adiacente allo stesso calcare vi ha un micaschisto calcareo il
quale contiene anche pirite e pirrotina.
Nello stesso piano di Veglia vicino al torrente Frova in un
banco di calcare bianco saccaroide, contenente sottili strati mi-
cacei anfibolici con traccie di distene, vi ha uno straticello di
calcare ricchissimo di cristalli macroscopici di pirite, ed uno strato
di dolomite ricca di mica e piriti.
Al colle di Valtendra vi ha pure un micaschisto bianco ric-
chissimo di piriti.
Insomma l'associazione di solfuri di ferro con carbonato di
calcio è comune in val Cherasca.
Ora è, a parer mio, ipotesi più probabile che il gesso mi-
caceo anfibolico di San Bernardo provenga dall’ossidazione della
pirite e della pirrotina inchiuse in dette roccie calcaree
Ad appoggio di tale ipotesi sta il processo chimico il quale
oltre armonizzare colle reazioni chimiche oggi conosciute, non
richiede quella sequela di reazioni che sarebbero necessarie per
spiegare la trasformazione dell’ ortosio o dell’ anfibolo in gesso
quando si volesse dire che il gesso provenga dall’alterazione di un
gneiss anfibolico.
dal GIORGIO SPEZIA
Inoltre è di aiuto all’ipotesi il confronto dei residui dei vari
gessi, cioè il quarzo, la mica e l’anfibolo, minerali che insieme
ai solfuri costituiscono il residuo dei calcari esaminati.
Infine vi ha altro validissimo appoggio nell'esame delle acque
minerali le quali possono sovente fornire importanti nozioni per lo
studio delle alterazioni delle roccie.
All’alpe di Veglia sulla sponda sinistra del rio Mottissa si trova
la sorgente di acqua minerale acidula conosciuta in terapeutica
col nome di acqua minerale di Varzo.
Di detta acqua il Cossa (1) fece un saggio quantitativo li-
mitato solamente ai componenti sotto indicati, escludendo cioè
l’acido carbonico perchè non ebbe opportunità di raccogliere
egli stesso l’acqua alla sorgente ed escludendo le piccole quan-
tità di alcali ed altri elementi, non avendo avuto a sua dispo-
sizione la quantità necessaria di acqua.
Egli trovò che 1000 parti in peso di acqua contengono :
Gioeo. A, TM So OD LIUTO TAG IRE
Anidride solforica . . . 0,3405
Ossido di calcio . . . 0,4836
Ossido di magnesio . . 0,0666
Carbonato ferroso . . . 0,0488
Inoltre l’autore dell’analisi constatò la mancanza assoluta di
idrogeno solforato e verificò qualitativamente: l’acidità dell’acqua
per l'acido carbonico, la presenza di silice, soda, potassa, tracce
di allumina, anidride fosforica ed ossido di manganese; e col-
l’analisi spettrale, il litio.
Ora l'acqua di Veglia è ricca: di acido carbonico ; e dalla
cortese comunicazione, per cui rendo grazie, fattami dal D." Dac-
como, il quale raccolse l’acqua in posto e ne analizzò la quantità
complessiva, risulta che 1000 grammi in peso contengono, alla
temperatura di 6° e pressione barometrica di 623 (2) millimetri,
grammi 1,4862 di acido carbonico.
E sebbene l’analisi del Cossa sia stata fatta nel 1879 ed
il saggio quantitativo del Daccomo nel 1885, e in tal lasso di
tempo abbia l’acqua potuto variare nella quantità dei compo-
nenti, tuttavia credo che si possano riunire per calcolare l’acido
(1) Idrologia medica, anno II, 1880, pag. 80
(2) L’alpe di Veglia è a 1753 metri di altitudine dal mare.
ORIGINE DEL GESSO MICACEO E ANFIBOLICO DI VAL CHERASCA 53
carbonico libero, massime che il Cossa nella sua relazione ag-
giunge che l’acqua datagli ad analizzare sviluppava abbondanti
bolle di gas acido carbonico , il che prova la ricchezza in gas
libero dell’acqua, anche quando si fece l’analisi delle principali
materie fisse.
Perciò la quantità di ossido di calcio residua da quella de-
voluta all’anidride solforica e tutto l’ossido di magnesio si deb-
bono ritenere combinati con acido carbonico, e si può ammet-
tere che l’acqua contenga in 1000 parti
Cloro MR ANAGIEO e"), SMS E ICE
Solfato di calcio ‘“. . 0,5788
Carbonato di calcio . 0,4380
Carbonato di magnesio 0,1398
Carbonato ferroso . . 0,0438
1,20154
ossia della quantità complessiva di acido carbonico: gr. 0,2825
sarebbero legati per formare i carbonati neutrali; altrettanto si
potrebbe supporne per ridurli in bicarbonati solubili e rimarrebbe
la quantità di 0,9212 di acido carbonico libero.
La quantità dei sopraindicati componenti fissi dell’acqua
sarebbe di 1,20154 e considerando che secondo Cossa 1000
grammi d’acqua evaporata a secco lasciano gr. 1,4723 di ma-
terie fisse, resterebbe una quantità di gr. 0,27076 costituita
essenzialmente da acqua del solfato calcico che per l’evapora-
zione a 100° non l’avrà perduta tutta, e poi dalla silice, sodio,
potassio, ecc. ossia dagli altri elementi la cui presenza fu indicata
per saggio qualitativo.
Quindi volendo anche ammettere, come dovrebbe essere, che
parte dell’anidride solforica data dall’analisi sia combinata col
sodio, oltre la quantità di cloro, e col potassio diminuendo in
proporzione il solfato di calcio, la quantità di questo composto
sarebbe sempre tale da ritenerlo come un componente principale
dell’acqua di Veglia.
Ora tale acqua sebbene ricca di solfato calcico non è cer-
tamente a porsi nè fra le saline per la tenuissima quantità di
cloro, nè fra le sulfuree per l'assenza di idrogeno solforato; e
neppure fra quelle che si mineralizzano dalla decomposizione di si-
licati alluminiferi o calciferi componenti roccie, prodotta dall'azione
Atti RR. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII. 3
34 GIORGIO SPEZIA
dell’acido solforico proveniente sia dall'ossidazione di acido solfo-
roso 0 idrogeno solforato come nei terreni vulcanici, sia dall’ossida-
zione di solfuri metallici; perchè in queste acque è caratteristica
l'abbondanza di solfato di allumina e la povertà di carbonati.
Se poi si considera la quantità di acido carbonico libero si
può facilmente essere condotti ad un’ ipotesi assai probabile
sull'origine dell’acqua di Veglia, ed in pari tempo rendere dif-
ficile la supposizione che si volesse fare che l’acqua acquisti la
ricchezza in solfato calcico attraversando un banco di gesso pree-
sistente e di formazione coeva agli schisti cristallini.
La quantità di gas portata alla superficie dall'acqua, non
certo trascurabile se si tiene calcolo che l’efflusso dell’ acqua
di 300 litri per ora.
Generalmente le acque si arricchiscono di acido carbonico :
1° Nelle regioni vulcaniche e in quelle non vulcaniche nelle
quali per litoclasi possono diffondersi sia l’acido carbonico già
prodotto nei terreni vulcanici, sia i reagenti chimici, cause della
sua formazione, come p. es. acque termali contenenti acidi liberi,
le quali decompongono i carbonati che incontrano nel loro percorso.
2° In terreni che contengono resti organici in decomposizione
ed in circostanze di continua ossidazione.
3° Per ossidazione dei solfuri metallici in contatto con
calcare e massime della pirite, come suppose per îl primo Stein (1)
onde spiegare la presenza dell’acido carbonico nelle acque acidule
di Pyrmont.
Nel caso dell’acqua di Veglia io credo debbansi escludere
le due prime condizioni, perchè le roccie di val Cherasca non
appartengono all’evidente roccia vulcanica caratterizzata da crateri,
e la bassa temperatura dell’acqua non permette di supporre la .
provenienza da grandi profondità, causa in generale della ter-
micità delle acque; nè fanno parte dell’evidente roccia sedimen-
taria caratterizzata da resti organici; ma bensì appartengono al
sempre problematico campo geologico che sta nel mezzo degli in-
dicati estremi della serie litologica.
Non rimane quindi che la terza causa, cioè l’ossidazione di
piriti al contatto di calcari.
Tale ipotesi sebbene ammessa dal lato chimico, non pare
sia tenuta valevole per spiegare in certi casi grandi produzioni
De e
(1) Neues Jahrbuch fur Min. u. Pal., 1845, pag: 801.
ORIGINE DEL GESSO MICACEO E ANFIBOLICO DI VAL CHERASCA 35
di acido carbonico; per esempio Bischof (1) la pone in dubbio
basandosi sulla credenza che la pirite si trovi raramente nel cal-
care. Tuttavia il fatto seguente riportato da Delesse (2) è una
prova della sua possibilità. Nella miniera carbonifera di Rochebelle
alla profondità di 345 metri avvenne uno scoppio prodotto da
efflusso violento di acido carbonico rinchiuso in vani della roccia;
la cagione fu, secondo anche il parere di Dumas, data alla de-
composizione di un giacimento piritifero in contatto con calcare
e confinante col deposito carbonifero. La quantità di gas ap-
prossimativa calcolata dalla cubatura delle gallerie invase fu di
4500 metri cubi,
E per l’acqua di Veglia detta ipotesi spiegherebbe a mio
avviso, non solamente la presenza dell’ acido carbonico di essa
ma quella di tutti i suoi componenti.
Infatti si potrebbe supporre che la pirite e la pirrotina os-
sidandosi completamente darebbero luogo ad acido solforico libero
e solfato ferroso; il primo agendo sul calcare darebbe gesso e
acido carbonico libero, parte del quale col calcare in eccesso for -
merebbe bicarbonato calcico solubile.
Il solfato ferroso non sarebbe decomposto dal calcare, massime
per la presenza di acido carbonico libero, e rimarrebbe in solu-
zione finchè l’acqua nel suo percorso incontrasse nuovo ossigeno
portato da altre infiltrazioni sia di aria che di acque aerate.
Allora il solfato ferroso si muterebbe in solfato ferrico e
agendo in tale stato sopra altre roccie calcaree darebbe luogo,
secondo l’esperienza di Stein, a deposito di ossido idrato di
ferro, gesso e sviluppo di acido carbonico, il quale arricchirebbe
vieppiù l’acqua di biearbonato calcico e gas libero. E supponendo
che una piccola parte di solfato ferroso non sì sia ossidato po-
trebbe in soluzione con bicarbonato calcico dar luogo a quella
piccola quantità di bicarbonato ferroso, che senza ulteriore de-
composizione per favorevoli circostanze, sarebbe trasportato al-
l’esterno , dall'acqua. La presenza poi del solfato calcico nel-
l’acqua è dimostrata dalla solubilità del gesso.
Con tale processo si spiegherebbe anche il trovarsi deposito
di gesso sceyro di ossido di ferro come a San Bernardo, ed in
pari tempo si avrebbe la spiegazione di ciò che si osserva sulla
(1) Lehrbuch der chem., u. phy. Geologie, vol. 4, pag. 725.
(2; Comptes rendus, tome 89, pag. 814.
36 GIORGIO SPEZIA
sinistra del torrente Ciamperio confluente della Cherasca al piano
dell’alpe di Veglia, dove l’erosione ha posto allo scoperto un
grosso banco di roccia schistosa la quale presenta una grande
alterazione. Essa è friabile, porosa e contiene gran quantità di
ocra con quarzo, mica, calcite e dolomite; e trattandola con acqua
distillata si può in essa ancora riconoscere la presenza di traccie
di solfato di calcio, sebbene l’esperimento sia stato fatto sopra
frammenti tolti alla superficie.
Il depositarsi poi della maggior quantità di ferro allo stato
d’ossido dà la ragione per cui l’acqua minerale contenga così
poco ferro, sebbene l'origine della sua mineralizzazione sia dovuta
ad un minerale essenzialmente ferrifero.
Il carbonato di magnesio nell'acqua troverebbe la sua origine
o supponendo un calcare magnesiaco, ipotesi basata sulla osser-
vazione che il calcare anfibolico e piritifero di Veglia da me esami-
nato contiene 6,89 p. ® di ossido di magnesio; ovvero supponendo
che alla mineralizzazione dell’acqua abbia in parte contribuito
qualche dolomite piritifera alla cui esistenza io già accennai.
Riguardo poi le piccole quantità di silice, soda, potassa,
allumina, ecc. possono benissimo considerarsi come prodotti del-
l'alterazione di roccie feldispatiche sulle quali agisca nel suo
percorso l’acqua minerale; alterazione dovuta sia all’acido car-
bonico il quale toglie ai feldispati secondo le esperienze di R.
Miiller (1) gli alcali, parte della silice e anche traccie di allu-
mina ; sia all’azione decomponente del solfato calcico dimostrata
dalle esperienze di Cossa. Le quali cause di alterazione di roccie
feldispatiche spiegano l’effetto, che si osserva al ponte di S. Ber-
nardo in val Cherasca, dell’essere il gneiss in decomposizione dove
havvi il deposito gessifero.
Riassumendo ora i fatti che si osservano in val Cherasca
si trova :
1° L'esistenza di calcari anfibolici e micacei, e di mica-
schisti anfibolici con calcare, ricchi entrambi di pirite e pirrotina.
2° L'esistenza di banchi di gesso contenente anfibolo, mica
e quarzo.
3° L'esistenza di un’acqua che per la ricchezza in solfato
calcico e acido carbonico ha tutta la probabilità di essere mi-
+
(1) Tschermak. Min. Mitth., 1874, pug. dI.
ORIGINE DEL GESSO MICACEO E ANFIBOLICO DI VAL CHERASCA 37
neralizzata dai prodotti di alterazione di solfuri metallici in
contatto con carbonato di calcio.
4. L'esistenza di roccie alterate costituite da ocra, mica,
quarzo e calcite.
5° La presenza del carbonato di magnesio nei calcari, nei
gessi e nell'acqua minerale prodotta.
Perciò a me pare che si possa essere autorizzati di consi-
derare tali fatti quali rappresentanti di cause ed effetti di un
analogo processo chimico che sarebbe avvenuto in varii punti
della val Cherasca e che tutt'oggi continua; e dedurre che se
dove si mineralizza ora l’acqua di Veglia si forma del gesso ,
dove ora vi sono i banchi di gesso e prima che fossero scoperti
dall'erosione del torrente, dovevano esistere altre acque con la
stessa mineralizzazione di quella di Veglia. Ed in conclusione si
possa ritenere che il gesso micaceo e anfibolico che si trova a
San Bernardo nella valle Cherasca sia un prodotto dell’altera-
zione dei calcari micacei e anfibolici e di micaschisti anfibolici
con calcare ricchi in solfuri di ferro.
È un'ipotesi la quale ha senza dubbio una spiegazione chi-
mica più facile che quella della trasformazione del gneiss in
gesso, la quale altra ipotesi può stare solamente nello stesso
modo che sta quella del cambiamento del calcare in gneiss,
che i sostenitori della metasomatosi delle roccie ammettono per
possibile estendendo su larga scala alcune pseudomorfosi singola-
rissime che si osservano nei minerali.
Infine ammettendo l’ipotesi da me indicata, ne deriva la
conseguenza che si possa trovare gesso non solamente alla su-
perficie ma anche a profondità ossia fin dove possono giungere,
per causa qualunque, gli agenti che servono all’ ossidazione dei
solfuri in contatto con carbonato di calcio ; e che si possa tro-
vare alterato il gneiss che sia stato attraversato dalle acque
mineralizzate dal processo chimico inerente alla formazione del
gesso. Tuttavia per tale alterazione di roccia non vi sarebbe, se-
condo me, timore alcuno d’incontrare, nell'eseguimento del pro-
gettato traforo del Sempione, difficoltà tecniche che non siano
per essere facilmente superate, ammesso anche ciò che io non
credo, che la formazione gessosa di val Cherasca arrivi in pro-
fondità al livello della galleria.
38 G. VICENTINI, E D. OMODEI
Sulla densità di alcuni metalli allo stato liquido
e sulla loro dilatazione termica,
Nota di G. VICENTINI e di D. OMODEI
In due note già presentate all'Accademia (1), abbiamo comu-
nicato i risultati di nostre ricerche destinate alla misura della
variazione di volume subita dai metalli Cd, Pd, Bi, Sn, quando
cambiano di stato, nonchè alla misura del coefficiente di dilata-
zione degli stessi metalli fusi,
Abbiamo allora mostrato il grado buono di approssimazione
che si poteva ottenere in quelle misure, ricorrendo all’uso di
dilatometri di vetro dei quali si era misurato il coefficiente di
dilatazione anche per temperature elevate.
L'unico appunto che si può muovere all’attendibilità dei dati
comunicati in quello studio, si è che la misura delle temperature
fu fatta con termometro a mercurio, del quale non si fece il
completo confronto con uno ad aria.
Colla deficienza dei mezzi del laboratorio di Fisica della
R. Università di Cagliari, ci trovavamo nella impossibilità di fare
lo studio desiderato del nostro termometro a mercurio a pres-
sione interna di azoto (preparato dal Miiller in Bonn) e temevano
di non poterlo fare nel corrente anno. Negli ultimi mesi ci è
stato possibile procurarci i mezzi necessari; ed ora diamo i risul-
tati delle esperienze sui metalli, già comunicati colle note ante-
cedenti, corretti per quello che fu necessario, per le piccole diffe-
renze riscontrate fra le indicazioni del termometro a mercurio
usato, e quelle del termometro ad aria.
(4) Atti dell’Acc. Adunanze 414 novembre 1886, 8 maggio 1887.
DENSITÀ DI ALCUNI METALLI ALLO STATO LIQUIDO 39
Il termometro ad aria da noi impiegato è quello del Jolly ;
e lo abbiamo adoperato con un catetometro (uscito dall’officina
del Miller di Innsbruck) che dà il cinquantesimo di millimetro.
Per il confronto dei due termometri alle diverse temperature
abbiamo usata, per l'apparecchio riscaldante, la stessa disposizione
che servi nello studio dei metalli.
È inutile descrivere nei minuti particolari il modo col quale
abbiamo condotto le lunghe, numerose esperienze ed i tentativi
ed i ripieghi ai quali abbiamo dovuto ricorrere dapprincipio per
porci in buone condizioni; tutti conoscono le difficoltà che sì
incontrano nell’uso del termometro ad aria, specialmente a tem-
perature molto elevate. Diremo solo, che dovendo raggiungere
la temperatura di 350”, allo scopo di evitare l’impiego di forti
pressioni per mantenere invariato il volume dell’aria del termo-
metro, abbiamo avuto l’avvertenza di riempire il bulbo di esso
con aria un po’ rarefatta.
Il termometro a mercurio da controllare, essendo diviso sem-
plicemente in gradi, non permette nelle letture se non l’apprez-
zamento dei decimi; e perciò nella misura delle temperature
elevate quali si dovettero raggiungere nello studio dei metalli,
causa la correzione per la colonna sporgente del termometro e
la piccola incertezza che rimane sempre in quella da portarsi per
lo spostamento dello zero, abbiamo ritenute incerte le indicazioni
del decimo di grado. Nelle attuali determinazioni come risulta
in seguito, le indicazioni del termometro a mercurio e quelle del
termometro ad aria nelle varie serie di esperienze si possono rite-
nere esatte entro il decimo di grado.
Prima del confronto, determinammo il coefficiente di dilata-
zione dell’aria rinchiusa nel bulbo del termometro, e come media
di tre determinazioni che diedero valori molto concordanti, tro-
vammo
a=0,00836673
numero che impiegammo in seguito nel calcolo delle temperature.
Nella seguente tabella diamo i risultati di due serie di misure
di confronto dei due termometri. Sotto # sono segnate le tem-
perature del termometro ad aria; e sotto #' le indicazioni del ter-
mometro a mercurio : nella colonna d sono registrate le differenze
fra t'et.
40 G. VICENTINI E D. OMODEI
SERIE l° SERIE 2°
2» — i TS cn > TO ————_:iii e Iii a
t î d t bi d
|
185%7 | 184,5 | —1°,2.|| 18399 |. 182°,7 | — 1°2
238.3 |] 29708. — 068.) 238.2. .037 7 Se
PATER 215 ;1 — 0,2
514.6 | BIL. — OI dl 816
Nelle due serie di esperienze si cercò di fare le osservazioni
a temperature vicine il più possibile; si può quindi fare la media
dei risultati ottenuti per le temperature corrispondenti, e si ha
così che alle seguenti temperature # del termometro ad aria le
indicazioni di quello a mercurio mostrano le differenze d notate
di fronte.
t d
184°, 8 : — 1°,2
238,2 —- 0,5
275,8 —0,2
319,6 —- 0,1
348,5 +0, 15
Con questi valori si costruì una curva che servi a dare le
correzioni per le temperature intermedie a quelle alle quali si
fece il controllo.
Come appare dalla tabella, le differenze del termometro a
mercurio non sono molto grandi, specialmente alle temperature
elevate e fino al disopra di 300° sono negative. Tali differenze
vanno diminuendo coll’innalzarsi della temperatura; tantochè a
348° cambiano di segno.
I dati che si riferiscono ai metalli e che dobbiamo ora cor-
reggere, per rispetto alle indicazioni del termometro ad aria,
restano per il fatto delle piccole differenze invariati, ad eccezione
di pochi. Nei calcoli relativi alle esperienze ad elevate tempera-
ture, alle quali come si è notato, il decimo di grado era incerto,
si è talvolta abbandonato, tal’altra aggiunto qualche decimo di
grado nelle temperature per esprimerle in gradi interi; così le
DENSITÀ DI ALCUNI METALLI ALLO STATO LIQUIDO 4]
correzioni delle temperature colle differenze ora riportate non
influiscono che pochissimo sui risultati finali già comunicati.
Nella tabella che riproduciamo qui presso e che contiene i
dati che si riferiscono ai metalli, studiati col termometro ad aria,
si hanno poche differenze rispetto a quella già data e cioè: le
temperature di fusione del Be dello Sw dall'essere rispettiva-
mente di 270°,9 e 226° diventano di 271° e 226°,5; e il
coefficiente di dilatazione dello stagno da 0,000113 passa a
0,000114.
I simboli adoperati hanno i seguenti significati :
D, è la densità dei metalli solidi a 0°,
7 la loro temperatura di fusione;
D.D. sono le densità di essi, rispettivamente allo stato solido e
allo stato liquido, alla loro temperatura di fusione,
A rappresenta la variazione percentuale che subisce la loro den-
sità nel passaggio dallo stato liquido al solido, e
x rappresenta il medio coefficiente di dilatazione dei singoli me-
talli liquidi, fra le temperature di fusione 7 e di #°, segnate
vicino ad esse.
Metallo] D T D. Dr: A %
(e)
Pb |11,359 [325 |11,005 |10,645| 3,39] 0,000129| 7 — 357°
Cd 8,6681|318 8,3665| 7,989] 4,72| 0,000170|7-- 851
Bi 9,787 [271 9,673 |10,004|— 3,31|0,000120{7— 300
Sn 7,3006|/226,5| 7,1835| 6,988| 2,80 0,000114|7— 342
Conclusioni.
È qui utile raccogliere in un solo prospetto i dati che si
hanno sulla densità e sulla dilatazione di altri metalli ed altri
elementi allo stato liquido, per poter fare qualche considerazione
generale su essi. Il Potassio ed il Sodio sono stati studiati da
E. B. Hagen (Wied. Ann. XIX, 1883), lo Zolfo ed il Fosforo da
G. Pisati e G. De-Franchis (Gazz.* Chimica Italiana 1874). Per
densità del Mercurio allo stato solido assumiamo quella. data dal
Mallet (1877) e per il suo coefficiente di dilatazione il suo coef-
ficiente vero a 0°. (Secondo le recenti esperienze di Ayrton e
42 G. VICENTINI E D. OMODKI
Perry [Beiblitter XI, 518, 1887] il mercurio si dilata unifor-
memente fra la sua temperatura di fusione e 0°).
D, T D, Di A
Pb|11,359 325° 11,005 |10,645 3,39[0,000129| 7 — 357.
| Ca 8,6681 |318 8,3665 | 7,989 4,72|0,000170| 7 -351
Baj 9.087 [274 9,673 |10,004 |— 3,31[0,000120|7— 300
Sn | 7,3006 |226,5 | 7,1835 | 6,988 2,80/0,000114|7— 342
S | 2,0748 [113 — 1,8114 — |0,000482/126-152
Na | 0,9724 | 97,6 | 0,9519 |0,9287 2,5 |0,000278]
K | 0,8624 | 62,1 | 0,8514 | 0,8298 2,6 |0,000299 |
Ph\ 1,83676| 44,4 | 1,80654| 1,74529| 3,5 |0,000520| 50-60
Hg|13,5960 |-38 ,85/14,193 |13,6902 3,67/0.000179]| 7-0
1) I valori della tabella mostrano ad evidenza che i'sette
metalli studiati, ad eccezione del Bismuto, diminuiscono di den-
sità nel passaggio dallo stato solido allo stato liquido; rimane
quindi tolto qualunque dubbio si potesse finora ammettere su
questo fatto.
2) Dalle esperienze dell’ Hagen sul Potassio e sul Sodio e dalle
nostre sullo Stagno, per i quali metalli si è potuto studiare il
coefficente di dilatazione per un intervallo di temperatura abba-
stanza grande, al disopra del loro punto di fusione, risulta ch’essi
possiedono un coefficiente di dilatazione costante. La stessa cosa
si ha per il Mercurio fra la sua temperatura di fusione e 0°,
come è stato anzi notato.
3) La grandezza dei coefficienti di dilatazione dei vari elementi
allo stato liquido, non mostra nessuna relazione colle rispettive
temperature di fusione.
Il Carnelley (Beiblitter III, 1879) raccogliendo in un pro-
spetto il coefficiente di dilatazione degli elementi allo stato solido,
ha rilevato che quanto più bassa è la temperatura di fusione di
essi tanto più grande è il loro coefficiente di dilatazione. Mo-
strano però eccezione a tale regola l’Arsenico, l’Antimonio, il
Bismuto e lo Stagno. Il Carnelley non ha portato nel suo pro-
spetto i coefficienti di dilatazione del Sodio e del Potassio.
DENSITÀ DI ALCUNI METALLI ALLO STATO LIQUIDO 43
Poniamo qui di fronte i coefficienti di dilatazione 4 e 2' dei
diversi elementi che ci occupano, allo stato solido ed allo stato
liquido, disposti secondo l’ordine decrescente delle loro tempe-
rature di fusione; vicine ad essi mettiamo il valore del rap-
t x
Oro .
P 274
0,000129
0,0000884 1,5
0,0000948 | 0,000170 | 1,8
0,0000395 | 0,000120 | 3,0
0,0000689 | 0,000114 | 1,7
0,0003540 | 0,900482 | 1,4
0,0002160 | 0,000278 | 1,3
0,0002500 | 0,000299 | 1,2
0,0003760 | 0,000520 | 1,4
-»
- 0,000179
Esaminando i valori dei coefficienti di dilatazione degli ele-
menti solidi, si scorge che oltre al Bismuto ed allo Stagno, fanno
eccezione alla regola osservata dal Carnelley il Sodio ed il Po-
tassio.
Per gli elementi allo stato liquido la legge è seguita ancor
«meno, perchè oltre il Bismuto, lo Stagno ed i due metalli al-
calini, si scostano da essa il Piombo ed il Mercurio.
4) Il coefficiente di dilatazione dei varii elementi allo stato
liquido, è molto più grande di quello che spetta ad essi allo
stato solido. :
Fatta eccezione per il Bismuto, il rapporto fra il coefficiente
di dilatazione d’un elemento liquido ed il coefficiente dell’ ele-
mento stesso allo stato solido, ha un valore poco diverso da 1, 5.
Dal Laboratorio di Fisica della R. Università di Cagliari.
Luglio 1887.
44 TOMMASO SALVADORI
La AEGIALITIS ASIATICA (PALt.)
trovata per la prima volta in Italia.
Nota di TOMMASO SALVADORI
Un'altra specie di uccello è venuta recentemente ad aggiun-
gersi alla Avifauna Italiana. Il sig. Enrico Marchisio di Torino,
diligente raccoglitore di uccelli, e già noto per altri interessanti
esemplari da lui rinvenuti, trovava il giorno 15 novembre del-
l’anno corrente, presso un venditore di uccelli morti in Torino,
un individuo in carne della famiglia dei Pivieri, appartenente a
specie a lui affatto sconosciuta; egli dubitò che quell’esemplare
potesse appartenere all’Aegialitis Geoffroyi (Wagl.), specie re-
centemente annoverata fra le Italiane dal Giglioli nella sua Av2-
fauna Italica, p. 371, ma che, come ho già fatto notare in
altro mio lavoro (Elenco degli uccelli italiani, p. 211), non
ha ancora titoli sufficienti alla cittadinanza italiana. Quando poi
il sig. Marchisio mi mostrò il detto esemplare, che colla disse-
zione apparve essere una femmina, riconobbi immediatamente che
era un giovane dell’Aegialitis asiatica (Pall.), specie mai tro-
vata prima d’ora in Italia, e della quale si conoscevano tre sole
catture in Europa, fuori della regione dalla medesima ordinaria-
mente abitata. Colgo quindi l'occasione della cattura di questo
primo esemplare italiano per illustrare questa specie, intorno alla
quale hanno scritto principalmente lo Harting (1) ed il Dresser (2).
Aegialitis asiatica (PALL.)
Corriere del Caspio.
Charadrius asiaticus, Pall., Reise Russ. Reichs, II, p. 715.(1773).
— Lath., Syn. III, p. 207 (1785). — Gm., S. N. II, p. 684
(1788). — Lath., Ind. Orn. II, pag. 746 (1790). —
(1) On rare or little-known LimicoLae (Ibis, 1870, pagg. 202-209, pl. V).
(2) A History of the Birds of Europe, VII, pagg. 479 481, pl. 522 e 520, £. 1.
LA AEGIALITIS ASIATICA (PALL.) 45
Schleg., Rev. Crit. des Ois. d'Eur. p. LXXXII (1844). —
Blas. et Bald., in Naum. Vòg. Deutschl. XIII. pt. 2, p. 225,
Taf. 386, f. 1, 2 (1860). — Bree, B. of Eur. IV, p. 18
(1862). — Schleg., Mus. P. B. Cursores, p. 38 (1865). —
Tristr., Ibis, 1868, p. 328 (Palestina). — Finsch et Hartl.,
Vog. Ost-Afr. p. 649 (1870). — Dress., P. Z. S. 1875,
pi97,;
Charadrius caspius, Pall., Zoogr. Rosso-As. II, p. 136, pl. 58
(1811).
Charadrius jugularis, Wagl., Syst. Av., gen. Charadrius, sp.
39 (1827). — Nordm., in Demidoff, Voy. Russ. Mérid. III,
p. 233 (1840) (Odessa).
Eudromias asiaticus, Keys. et Blas., Wirbelth. Eur. pp. LXX,
208 (1840). — Bp., Cat. Met. Ucc. Eur. p. 57 (1842).
— G. R. Gr., List B. Brit. Mus. Grallae, p. 68 (1844). —
Bp., Rev. Crit. p. 181 (1850). — Blas., Naumannia, 1858,
p. 315 (Heligoland). — Heugl., Syst. Uebers. Vòg. N.-0.
Afr. p. 57 (1856). — Blas., Ibis, 1862, p. 71. — Harting,
Ibis, 1870, p. 202, pl. V. — Cordeaux, Ibis, 1875, p. 185
(Heligoland). — Seebh., Ibis, 1877, p. 165. — Radde, Orn.
Caucas. p. 415 (1884).
Charadrius damarensis, Strickl., Contr. Orn. 1851, p. 148. —
Finsch, Ibis, 1872, p. 146. — Heugl., Vog. N. O. Afr.
MEptots. ‘tab. XXXIV, f_ "1, 2 (1870),
Eudromias asiatica, C. L. Brehm, Vogelf. p. 281 (1855).
Aegialitis gigas, C. L. Brehm, Vogelf. p. 283 (1855).
Charadrius gigas, L. Brehm, Naumannia, 1855, p. 289.
Morinellus caspius, Bp., Compt. Rend. XLIII, p. 417 (1856).
Aegialites ruficollis, Heugl., Syst. Uebers. Vòg. N. 0. Afr. p. 57,
n. 586 (1856).
Eudromas asiaticus, Blas., List B. of Eur. p. 17 (1862).
Morinellus asiaticus, Degl. et Gerbe, Orn. Eur. II, p.132 (1867).
Aegialitis asiatica, Dress., B. of Eur. VII, p. 479, pl. 522,
520, f. 1 (1878). — Hume, Str. Feath. VIII, p. 112
(1879). -- Tristr., Faun. and Flora of Palest. p. 129
- (Siria) (1884).
46 TOMMASO SALVADORI
Mas. in ptil. aest. Supra griseo-fuscus, seu terricolor ;
fronte, superciliis latissimis, genis et gula albis, hac inferius
linea subtili fusca limbata; plumis auricularibus griseis; gui-
ture et pectore summo rufo-castaneis, hoc inferius fascia nigra
marginato; pectore imo, abdomine et subcaudalibus albis; alis
dorso corcoloribus, sed remigibus primariis fusco-nigris, scapo
remigis primae albo; subalaribus griseis, azxillaribus albis;
cauda griseo-fusca, rectricum apicibus albis, rectricis extimae
pogonio externo albo marginato, rectricibus omnibus fascia
obsoleta subapicali fusca motatis; rostro subtili migricante ;
pedibus flavido-ochraceis ; iride brunnea.
Foem. Mari similis, sed gutture et pectore summo griseo-
fuscis, minime rufescentibus; gula alba, inferius sine limbo
fusco, et pectore haud fascia nigra ornato.
Juv. Supra grisco-fusca, plumarum marginibus rufo-
ochraceis; fronte, superciliis, genis, gula, pectore imo, abdo-
mine et subcaudalibus albis; auricularibus griseis; gutture et
pectore summo griseo-fuscis, plumis in medio obscurioribus ;
remigibus et rectricibus uti in ave adulta pictis.
Long. tot. circa 0,200; al. 0", 143; caud. 0", 055; rostri
culm. 0",020; tarsi 0", 040.
Io ho descritto un maschio in abito perfetto ed una. fem-
mina adulta del fiume Lenkoran sul Mar Caspio, avuti dal Radde;
la descrizione del giovane è tratta dalla figura del giovane data
da Blasius e Baldamus (7. c.), e dal giovane sopra menzionato,
il quale ha talune piume delle parti superiori di color rossigno-
ocraceo, residuo del primo abito giovanile.
Questa specie fu scoperta dal Pallas lungo le spiaggie del
Mar Caspio e dei laghi salati dei deserti meridionali della Tar-
taria. Essa abita l’Asia occidentale e la parte vicina dell’ Eu-
ropa; nidifica, secondo il Severtzoff, nel Turkestan; durante
l'inverno trovasi nella Siria (7ristram) ed in gran parte del—
l’Affrica, Egitto e Mar Rosso (Heuglin), Abissinia (Blanford),
Capo di Buona Speranza (Layard), Damara (Andersson), Fiume
Orange (Verreaux), Angola (Barboza), Transwaal (Ayres), ecc.
In Asia è stata trovata negli Altai (Mus. Britannico, fide Saun-
ders), ma non pare che si estenda nell’Asia orientale e nella Siberia,
e sebbene lo Harting asserisca che giunge talora nella Cina set-
LA AEGIALITIS ASIATICA (PALL.) 47
tentrionale, tuttavia pare, come fa notare il Dresser, che quella
asserzione non sia esatta, ed invero nè lo Swinhoe, nè il padre
David, nè altri l’annoverano fra gli uccelli della Cina, ove si
trova una specie affine, l’Ae. vereda, Gould, distinta per le di-
mensioni un poco maggiori e per le ascellari grigie. Neppure
sembra che l’Ae. asiatica si trovi nell’India, e perciò lo Hume
l’annovera nella sua lista degli uccelli di quella regione, sol-
tanto come specie dubbia.
In Europa invece l’ Ae. asiatica è stata osservata più volte ;
essa si trova a quel che pare non raramente nella Russia me-
ridionale e specialmente lungo le spiaggie del Mar Caspio; lo
Harting afferma che esemplari di quella località si conservano
nel Museo di S. Pietroburgo. Inoltre tre individui almeno, presi
lungi dall’area propria di questa specie, sono stati osservati in
Europa e ricordati prima di ora. Il prof. Nordmann nell’opera
Voyage dans la ERussie meridionale del Demidoff, vol. III,
p. 233, afferma che un esemplare fu preso nelle vicinanze di
Odessa nell’aprile del 1836; altri due esemplari sono stati presi
nell’ isola di Heligoland, famosa per le sue numerose rarità or-
nitologiche, uno di essi, un giovane, il 16 novembre 1850, e
l’altro, un adulto in abito estivo, il 19 maggio 1859, ed ambedue
si conservano nella collezione del Gaetke. A questi tre esemplari
ora si è aggiunto un quarto ed è la femmina giovane trovata ,
come si è detto, presso un venditore di uccelli in Torino, il 15
novembre di questo anno ; essa fu venduta al sig. Marchisio come
catturata sulle sponde del fiume Metauro presso Sinigaglia, ove
deve essere stata uccisa pochi giorni prima, fra il 10 ed il 14.
Questa specie, come si è detto, nidifica nel Turkestan; il
Dresser descrive un uovo raccolto nelle steppe dei Kirghisi; esso
è di color fulvo con leggera tinta verdognola e con piccole macchie
quasi nere; la sua forma è ovale, ma con una estremità meno
rotonda; diametro maggiore poll. ingl. 1,25 (=0", 032); dia-
metro minore 1,07 (=0",027).
Il Radde scrive di aver trovato questa specie in grande quantità
nel mese di aprile dell’anno 1880, presso il fiume Lenkoran sul
Caspio; ivi essa era di passaggio in numero straordinario, es-
sendo la stagione pessima; si vedeva in comitive di 15 a 20
individui, che frequentavano le spiaggie e le dune; nel loro modo
di vivere somigliavano più alle specie del genere Acegialitis, che
non ai Pivieri (Charadrius).
48 TOMMASO SALVADORI - LA AEGIALITIS ASIATICA (PALL.)
Lo Harting aveva creduto che questa specie dovesse essere
annoverata nel genere Eudromias, ma il Dresser, fin da quando
ne mostrò l’uovo alla Società Zoologica di Londra (P. Z. $.
1875, p. 98), espresse il dubbio che questo uccello non fosse
congenere del Piviere tortolino. Poi lo stesso Dresser (B. 0f Eur.
I. c.) ci fa sapere che, avendo fatto esaminare lo sterno del Cor-
riere del Caspio dal prof. Newton, questi ha riconosciuto che
esso differisce notevolmente dallo sterno dell’Eudromias mori-
nellus, e che invece si avvicina molto a quello dell’Aegialitis
hiaticula e però conclude che il Charadrius asiaticus Pall. deve
essere annoverato nel genere Aegialitis.
Delle varie figure pubblicate di questa specie, buona è quella
del Pallas, buonissime quelle del Blasius e Baldamus nell’opera
del Naumann e quelle del Dresser, meno esatta quella pubbli-
cata dallo Harting, essendo in essa il colorito troppo scuro ed il
colore delle zampe grigio-plumbeo invece di giallo-ocraceo !
Torino, Museo Zoologico, 20 novembre 1887.
Il Direttore della Classe
ALFonso Cossa.
SOMMARIO
—
Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali.
ADUNANZA del 20 Novembre 1887... ......... Pag.
Basso — Commemorazione di Gustavo Roberto Kirchhoff... . +
ZanoTTI-Branco — Alcuni teoremi sui coefficienti di Legendre - Nota
SECONdAs ah n SCARSE SIAT e TR
Spezia — Sulla origine del gesso micaceo e anfibolico di Val Che-
érasca-mell’Ossola:. i MEN ro une ENO da
ViceNTINI e OmopreI — Sulla densità di alcuni metalli allo stato li-
quido e sulla loro dilatazione termica . . +... 0.4...
SaLvapoRI — La Aegialitis asiatica (PaLL.) trovata per la prima volta
toa nta 0° 6 SCA E Ri
25
38
ATEI
R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE
DI TORINO
PUBBLICATI
DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI
Vor. XXIII, Disp. 2", 1887-88
TT __
Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali
TORINO
ERMANNO LOESCHER
Libraio della R. Accademia delle Scienze
CLASSE
DI
SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza del 4 Dicembre 1887.
PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ANGELO GENOCCHI
PRESIDENTE
Sono presenti i Soci: Cossa, LEssona, SALvapbORI, Basso,
D’'Ovipio, Bizzozero, FERRARIS, NaccarI, Mosso.
Si legge l'atto verbale dell'adunanza precedente che viene ap-
provato.
Fra le pubblicazioni pervenute in dono all’Accademia viene
segnalato il Bollettino dei Musci di Zoologia e di Anatomia
comparata dell’Università di Torino (dal fasc. n. 27 al 81),
contenente lavori biologici dei Dottori L. CAMERANO, A. BORELLI,
D. Rosa, e G. GIBELLI.
Le comunicazioni e le letture si succedono nell’ ordine se-
guente :
1° « Sui calori specifici di alcuni metalli dalla tempe-
ratura ordinaria fino a 320°; del Socio NACCARI;
2° « Sul calcolo degli Azimut mediante le coordinate
rettilinee; Nota del Prof. Nicodemo JADANZA, presentata dal Socio
NACCARI;
3° « Contributo allo studio della circolazione del sangue;
lavoro del Prof. E. OrxHL, della R. Università di Pavia, presen-
tato dal Socio Mosso ;
4° « Sulle differenze di fase delle correnti elettriche,
sul ritardo dell'induzione e sulla dissipazione di energia nei
trasformatori; lavoro del Socio FERRARIS, approvato dalla Classe
per la pubblicazione nei volumi delle Memorie:
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII, 4
SC FCONOMATAO
50 E. OEHL
»0
5 « Sulle varietà cubiche dello spazio a quaitro di-
mensioni, e su certi sistemi di rette e certe superficie dello
spazio ordinario; Studio del Dott. C. SeGrE, presentato dal
Socio D’Ovipio. Questo lavoro, dovendo essere pubblicato nei yo-
lumi delle Memorie, viene affidato ad una Commissione perchè lo
esamini e ne riferisca in una prossima adunanza.
Da ultimo il Socio Basso presenta per la consueta pubbli-
cazione nel Bollettino annesso agli Atti le Osservazioni meteo-
rologiche dei mesi di Gennaio, Febbraio, Marzo ed Aprile del
1887, eseguite nell’ Osservatorio di Torino per cura dell’Assi-
stente Prof. A. CHARRIER: a queste osservazioni vanno uniti i rias-
sunti e le medie mensili coi relativi diagrammi.
Contribuzione allo studio della circolazione del sangue,
del Prof, E. OrHL dell’Università di Pavia
In un lavoro, che mi occupa da vario tempo e che spero
di pubblicare in seguito, mi sono accorto dell’utilità di osservare
in piccoli animali e specialmente nella rana, la circolazione del
sangue, con obbiettivi smontati e portanti un debole ingrandi-
mento di 5 a 10 d.
Si può con esso vedere non solo la corrente sanguigna e la
sua direzione nei vasi, ma si possono anche individualizzare i
globuli sanguigni, che col massimo degli indicati ingrandimenti,
vengono ad acquistare nella rana un massimo diametro di circa
due decimi di millimetro, formante un ancor ben percettibile an-
golo visivo.
Questo metodo ha il vantaggio di poter essere applicato an-
che alla osservazione di organi opachi, i quali cadendo coi ri-
spettivi vasi sanguigni in varia estensione della loro superficie
nel campo visivo, lasciano l'opportunità di osservare le eventuali
modificazioni che in essi avvenissero e di determinare gli even-
tuali rapporti di causalità, in cui esse si tenessero con modifi-
cazioni contemporanee della corrente sanguigna. Il che fino ad
STUDIO SULLA CIRCOLAZIONE DEL SANGUE 51
ora vidi verificarsi specialmente per organi contrattili, ma po-
trebbe anche aver luogo in genere per altri organi, i quali, come
ad esempio, i nervi o le ghiandole, presentassero una modifica-
zione della circolazione, per il fatto del loro passaggio dallo
stato di riposo a quello di più o meno direttamente rilevabile
attività e viceversa.
Ha inoltre questo metodo il vantaggio, che potendosi tenere
nell’una mano l’obbiettivo e nell’altra il piccolo animale preparato
all'osservazione, sì all'uno che all’altro si possono rapidamente
impartire tutti quanti gli atteggiamenti più proprii a meglio con-
dizionare le diverse visioni ed a riassumere quindi dalle medesime
un sommario concetto intuitivo.
. Una prima applicazione di questo metodo di osservazione io
la feci ai vasi duodenali della rana, previamente paralizzata colla
distruzione del midollo spinale, mediante avanzamento di un ago
dalla cavità cranica nello speco vertebrale, senza, quasi, emor-
ragia esterna. In una rana così predisposta, si pratica, a destra
dell'animale, una breve incisione longitudinale delle pareti addo-
minali all’altezza del ventricolo, coll’avvertenza di tenersi ad eguale
distanza dalla linea mediana e dal prolungamento della linea
ascellare, per non produrre soverchia lesione dei grossi vasi cu-
tanei, che quivi longitudinalmente decorrono. Dalla così praticata
incisione appare e fuor esce anche, in rane turgide e vivaci, la
porzione duodenale del ventricolo, di cui si vede la convessità
della curva pilorica di passaggio al duodeno, con insorgenza di
contrazioni prevalentemente peristaltiche, destate dal contatto
dell’aria. Osservando in allora il viscere a debole ingrandimento,
se ne vedono i vasi sanguigni scomparire nei paraggi della zona
im cui passa la contrazione, per poi riapparire nel rilasciamento.
Nè devesi credere che ciò dipenda, come si potrebbe sospettare,
da opacamento contrattile del tessuto, perchè si vede distinta-
mente e costantemente che i vasellini scompaiono dai rami verso
1 tronchi e ricompaiono invece, nel rilasciamento, dai tronchi
verso i rami. Se la scomparsa dei vasi non fosse che apparente
per opacamento di tessuto, tronchi e rami dovrebbero invece
contemporaneamente scomparire ed apparire nella zona contratta
e rilasciata, mentre invece l’indicata costante direzione di eva—
nescenza ed apparizione dei vasi, accenna ad una scomparsa e ad
un ritorno del sangue nei medesimi, resi impervii dalla contra-
zione e ritornati pervii dal rilasciamento. Questi effetti potreb-
52 E. OEHL
bero essere indotti tanto da una pressione esercitata sui rami
vascolari dal muscolo contratto, quanto anche da uno stiramento
e da un conseguente assottigliamento , fino alla impervietà, che
questi rami subissero nel seguire il nuovo atteggiamento assunto
dalla sostanza contratta. Nell’ uno e nell'altro caso i vasellini
terminali, diventando impervii, devono scomparire in quella di-
rezione — verso i tronchi — nella quale, per la più complessa
struttura e conseguente maggiore resistenza delle pareti dei vasi,
e per la minore loro insinuazione fra gli elementi contrattili ,
sono meno disposti, od anche intieramente si sottraggono alla
pressione muscolare, od agli effetti del nuovo atteggiamento as-
sunto dal muscolo in contrazione.
Nel caso concreto però, meglio che ad una pressione con-
trattile del muscolo, puossi determinare, che il ritrarsi del sangue
verso i tronchi, è dovuto ad impervietà dei rami, per stiramento
ed assottigliamento dei medesimi, indotto dall’allungamento del-
l’osservato tratto d’ intestino per contrazione de’ suoi muscoli
circolari.
E infatti: nella rana preparata, osservando nell’ anzidetto
modo la coronaria e i grossi suoi tronchi nella concavità del
ventricolo, se questi vasi non sono iperemicamente turgidi, vi si
vede la corrente sanguigna, manifestata dai globuli rossi, che a
guisa di finissimi granellini si travolgono nel vaso, od isolati,
od anche, spesso, agglomerati in più o meno voluminose masse
rossastre. E si rileva, che quando un vaso longitudinale deve
tener dietro all’allungamento contrattile del ventricolo, il vaso si
assottiglia e la corrente si accelera nel medesimo; ma poi con-
tinuando, coll’allungarsi del ventricolo, il suo assottigliamento,
scompare affatto, e si vedono ingorgarsi i tronchi, dai quali ema-
nano e questo e gli altri rami secondarii, fatti temporariamente
impervii dal soverchio allungamento. Quando invece rilasciandosi
le fibre circolari della corrispondente zona del ventricolo, questa
si accorcia, in allora si vedono sgorgarsi i tronchi e riapparire
nei rami secondarii la corrente, che sotto le varie modalità di
contrazione o di rilasciamento, si accelera, si rallenta od anche
regredisce.
Quello che in questo caso concreto ho osservato per le ar-
terie, ho pur veduto verificarsi per le vene. Sulla convessità della
curva formata dalla porzione pilorica del ventricolo, nella rana
.
così preparata, è abbastanza costante una vena, che da questa
STUDIO SULLA CIRCOLAZIONE DEL SANGUE 53
porzione pilorica si riassume nel solco che essa forma alla sua
congiunzione col duodeno. La dispersione di questa vena è visi-
bile in una estensione relativamente vasta della porzione pilo-
rica e si vede la corrente del sangue decorrere verso il tronco
nell'indicato solco duodenale. Appena si ecciti leggermente con
un ago la porzione pilorica, insorge una tale contrazione cir-
colare, per cui essa si allunga verso il duodeno. La vena si
allunga pure e si assottiglia, con iniziale acceleramento della
corrente, fino a scomparire, per poi ripresentarsi invertita a
riempiere tutto il sistema, fino all’iperemia, al sopraggiungere del
rilasciamento.
Da queste osservazioni, che io ho ripetuto moltissime volte
e sempre con identici risultati, è desumibile, che il grado di
replezione dei vasi sanguigni e la circolazione del sangue nei
medesimi si modifica nei diversi atteggiamenti degli organi con-
trattili. E per il caso speciale della contrazione gastro-intestinale,
sapendosi come essa possa essere eccitata da oligoemia, in seguito,
per esempio, a pressione sull’aorta, o da stasi per ingorgo ve-
noso, diventa interessante la dimanda: se mai, sulla ordinata
trasmissione, o sulla forma peristaltica di questa contrazione, non
potessero avere influenza delle eventuali e parziali anemie ed
iperemie, che la precedente zona contratta determinasse nella
zona successiva, con conseguente eccitazione della relativa sezione
di plesso nervoso mio-enterico. Nè questa dimanda potrebbe pas-
sare a priori inavvertita, quando, in relazione colla teoria di
Mayer e v. Bosch, sulla eccitazione carbonica del midollo al-
lungato, quale causa del ritmo respiratorio, si attribuisca, come
già si è attribuito, all’acido carbonico la eccitazione del plesso
mio-enterico per ispiegare la insorgenza della contrazione peristal-
tica. Pensando infatti, che tanto l’ anemia, quanto l’ iperemia
possono indurre carbosi dei tessuti nel corrispondente territorio
vascolare, per deficienza relativa di globuli rossi nel primo caso
(dissociazione gazosa), per diminuito scambio gazoso da rallen-
tamento del circolo nel secondo, facilmente si comprende, come
dalle modificazioni che una zona contratta dell’intestino può in-
durre nella capacità dei vasi di una zona successiva e nella ve-
locità della loro corrente sanguigna, possano derivarsi per quest’ul-
tima zona le condizioni opportune per una eccitazione carbonica
del suo plesso mio-enterico. Certo che questa non può essere
considerata come causa unica della forma peristaltica della con-
54 E. OEHL
trazione, che vediamo avverarsi anche indipendentemente dalla
circolazione nell'intestino isolato, ed anche in una sola ansa espor-
tata del medesimo, ma prescindendo in questi casi dalla grande
irregolarità della forma peristaltica, in ogni punto turbata dal-
l’antiperistaltica e dalla spastica, è bene inducibile, che anche i
nervi ed 1 muscoli dell’ intestino, possano risentire, come risen-
tono, a guisa degli altri muscoli e nervi, l’azione di altri stimoli
(aria, bile, corrente indotta). Se non che la sussistenza in questi
casi, di una tuttochè turbata forma peristaltica, induce a rite-
nerla connessa ad una particolarità di struttura, collimante colla
peculiarità della eccitazione fisiologica ; precisamente come av-
viene, che colla peculiarità della eccitazione fisiologica cerebrale
collimi la struttura nei rapporti periferici di date fibre nervose_
con dati gruppi di muscoli volontarii.
Applicai pure l’accennato metodo alla osservazione del bulbo
aortico della rana, nella quale, scoprendo il cuore e levando il
pericardio, si vede dal tronco carotico-linguale destro, in vici-
nanza alla sua confluenza col sinistro nel contrattile bulbo, spice -
care una piccolissima arteria, che discende a disperdersi sullo
stesso bulbo, di cui viene quindi a rappresentare il vaso arte-
rioso. L'origine di questo ramo dal tronco carotico è imbutiforme
e segna nel punto di sua emergenza da questo tronco una mac:
chietta rossigna. Va poi tosto restringendosi in un lungo vaso, che
decorrendo pressochè rettilineo e discendendo nel solco di sepa-
razione del tronco carotico dal bulbo, riascende quindi da questo
solco per disperdersi al medesimo, da cui probabilmente si rias-
sume nella così detta vena cardiaca, alla addominale (Hyrtl).
La diastole del bulbo si annuncia cen una istantanea proie-
zione delle sue pareti al principio della sistole ventricolare, sus-
seguita dalla diastole quando è sul finire la diastole del bulbo;
motivo per cui vi ha un breve istante, nel quale amendue gli
organi sono in diastole , incipiente pel ventricolo , terminale pel
balbo. Quest'ultimo, fattosi più globoso nella diastole, si avvi-
cina maggiormente al tronco carotico, e tende quindi ad elidere
il solco interposto fra esso ed il bulbo, mentre invece assotti-
gliandosi ed allungandosi verso il basso nella sistole, si allontana
dal itronco carotico e ne amplifica il solco suddetto. È pur de-
gno di osservazione il fatto, che in fin di diastole il bulbo è
anche risospinto in alto verso i tronchi carotici dalla incipiente
diastole dell’allungatosi ventricolo, e che i tronchi carotici allun-
STUDIO SULLA CIRCOLAZIONE DEL SANGUE 55
sati, col bulbo, dalla sistole del ventricolo, sono pur stirati in
basso dal suo stesso accorciamento sistolico.
Dal che risulta un maggior grado di elisione del solco bulbo-
carotico nel volgere della diastole bulbare, pel motivo che il bulbo,
oltre all’avvicinarsi ai tronchi carotici per il fatto stesso della
sua diastole, è anche risospinto verso di essi dalla incipiente
diastole del ventricolo, mentre d'altra parte non può essere am-
pliato dall’abbassamento del bulbo per opera del ventricolo si-
stolico, perchè compensato questo abbassamento dal contempo-
raneo allungamento dei tronchi carotici.
Dal concorso di queste cause risulta un aumento di differenza
fra la maggiore e la minore ampiezza del solco, rispettivamente
nella sistole e nella diastole del bulbo. E siccome abbiamo detto
che questo solco è attraversato dall'arteria, che potremmo chia-
mare bulbare, così ne risulta per essa un corrispondente allun-
gamento ed accorciamento.
A queste variazioni di lunghezza dell’ arteria corrispondono
le modificazioni di: velocità della corrente sanguigna nella me-
desima. A vero dire, fino a tanto che sul principio della osser-
vazione il cuore pulsa con frequenza normale o maggiore, l’arteria
essendo turgida di sangue, non vi si può scorgere la corrente.
Ma quando, perdurando l’osservazione, le sistoli ventricolari co-
minciano a rarefarsi e l'arteria comincia di conseguenza a re-
lativamente vacuarsi, in allora vi si vede distintamente la corrente
diretta dal tronco carotico al bulbo non solo, ma si veggono
eziandio delle sensibili variazioni di velocità e perfino delle pe-
riodiche inversioni di direzione. Si vede, cioè, che la corrente
si accelera ed avanza nella sistole del bulbo, si rallenta ed anche
retrocede nella diastole del medesimo. E siccome abbiamo veduto
che durante la sistole del bulbo si amplifica il solco bulbo-ca-
rotico e si allunga quindi l’arteria che lo attraversa, così questo
acceleramento della corrente, anzichè all'aumento sistolico della
pressione del ventricolo, in allora diastolico, dovrà essere attribuito,
come per l’ intestino, e per legge idraulica, alla diminuita sezione
dell’arteria per suo allungamento.
Questo fatto dell’allungamento dell’arteria nella sistole del
bulbo e dell’acceleramento della corrente nella medesima, quando
si volesse applicarlo, come per il peristaltico intestinale, alla
spiegazione della contrazione ritmica del cuore, dovrebbe essere
interpretato in guisa, che il bulbo trovasse lo stimolo determi-
56 E. OEHL
nante la contrazione in un’accumulo di CO, durante la sua
diastole, per accorciamento dell’arteria e relativo rallentamento
della corrente sanguigna nella medesima. E trasferendo questa
interpretazione al cuore degli animali superiori, dobbiamo ricor-
dare, come pungendo una diramazione della coronaria in animale
vivente, il getto sanguigno aumenta sistolicamente per essa, come
per tutte le arterie, a prova che nella diastole dei ventricoli
dovrebbe aver luogo un relativo rallentamento. Resterebbe a pro-
varsi, se a questo relativo rallentamento diastolico della corrente
nella coronaria dei ventricoli corrisponda un’acceleramento, assai
probabile, nei vasi degli atrii sistolici, e quindi sommariamente
nel tempo, in cui i ventricoli sono in diastole. Non ho avuto
fino ad ora l'opportunità di ripetere con maggior rigore questa
esperienza, che deve essere fatta, con respirazione artificiale, in
animali voluminosi, e che supposta indubbiamente affermativa,
oltrechè depurata dalla influenza che sul riscontrato accelera-
mento potrebbe esercitare la pressione muscolare, dovrebbe pur
sempre coordinarsi al fatto della persistenza della contrazione
ritmica nel cuore esportato dei batraci.
Una terza applicazione dell’indicato metodo di osservazione,
io la feci, con risultanze che mi sembrano interessanti, a quella
vena della rana, che suolsi dire comunicante, per la comunica-
zione che stabilisce fra la crurale o femorale e la vena ischiatica
dello stesso animale. rispettivamente corrispondenti nel bacino
alla iliaca esterna ed interna dei mammiferi. Più specificati det-
tagli su queste risultanze mi riserbo di dare in apposita Memoria,
che sto elaborando. Mi sia dato soltanto annunciare per ora :
che nel modo già indicato ho potuto osservare la corrente. san-
guigna nella femorale, dalla sua apparizione fra il vasto esterno
e il retto anteriore, alla foce in essa della vena comunicante :
che nell’ aperto bacino ho pur potuto osservarla nel prolunga-
mento di questa vena in iliaca esterna, non che nel prolunga-
mento iliaco-interno della ischiatica : che meglio e più frequen-
temente che in queste due vene, è dessa osservabile nella, fra
esse, anastomotica vena comunicante e in pressochè tutti i suoi
affluenti.
Se non che ho potuto con certezza stabilire, non essere, come
infatti non deve essere costante in questa vena la direzione della ‘
corrente, la quale più spesso è diretta dalla femorale alla ischiatica,
alcune volte però anche in senso opposto, dalla ischiatica alla
STUDIO SULLA CIRCOLAZIONE DEL SANGUE 5%
femorale. Queste variazioni dipendono dal diverso grado di re-
plezione di un plesso, attraverso il quale, la ischiatica e la sua
continuazione in iliaca interna, giungono colla esterna — continua-
zione della femorale — alla iliaca — primitiva — di Miiller ; per modo
che, vacuo che sia relativamente questo plesso, prestasi a guisa
di serbatojo collaterale a ricevere dalla comunicante una parte
del sangue della femorale, mentre invece riceve quest’ultima dalla
stessa vena una parte del sangue della ischiatica quando ne sia
turgido il plesso. Non potendosi poi derivare la replezione di
quest’ultima da ostacolato suo sgorgo nella iliaca primitiva, la
quale in tal caso, oltrecchè della ischiatica, dovrebbe pur de-
terminare un ingorgo dell’altro suo affluente femorale, così bisogna
ripeterlo da tali condizioni della corrente in ambo queste vene,
per cui, a corrente ordinaria una parte del sangue della femorale
si scarichi nell’ampio plessiforme serbatojo della vena ischio-iliaco-
interna, mentre invece, a corrente accelerata di questa e della fe-
morale, ne venga, per eccessiva affluenza alla iliaca primitiva, colla
replezione del plesso, un rigurgito per la comunicante alla femorale.
La maggiore frequenza ora, colla quale mi fu dato osservare
la corrente della comunicante verso la ischiatica, può dipendere
appunto dalla relativa deplezione del plesso ischiatico, tanto per
‘ immobilità dei fissati arti pelvici — come vedremo più innanzi —
quanto e più principalmente per emorragia, la quale, benchè
varia nel grado, non può però essere naturalmente evitata del
tutto. Se però ci facciamo a considerare, che la causa, la quale
più frequentemente e più direttamente può agire nel senso di
provocare un’acceleramento della corrente nelle vene degli arti
pelvici, è la contrazione muscolare, resta giustificato il dubbio,
che in condizioni normali debbasi alla variante intensità di questa
causa, la variante direzione della corrente sanguigna nella co-
municante ; direzione che sarebbe verso la femorale, quando per
azione muscolare s’ingorga il plesso della ischiatica; sarebbe
invece verso la ischiatica — come generalmente avviene per le rane
fissate — quando per mancata azione di muscoli, il depleto plesso
della ischiatica presenta allo sgorgo della femorale una resistenza
minore in confronto della sua foce nella iliaca. Se ora si pensi
alla frequenza del salto e del nuoto, che sono i movimenti più
comuni della rana; se si pensi che l’azione degli arti pelvici è
contemporanea in questi movimenti, e che non è quindi possibile
una laterale compensazione sanguigna, eventualmente ammissibile
58 E. OEHI,
nelle azioni alterne, per esempio, dell’incesso ; se si pensi alla
contemporaneità colla quale, da tutte le vene dei due arti pelvici
affluisce un’accelerata corrente ai loro tronchi, facilmente si com-
prende, come debbano bilateralmente ingorgarsi nel bacino i plessi
della vena ischio-iliaco-interna, e come debba quindi la corrente
rifluire da questa vena alla femorale per la via del più cospicuo
ramo intermediario , rappresentato appunto dalla vena comu-
nicante.
Questa rifluenza però condurrebbe ancora allo stesso effetto
d’ingorgare, cioè, la iliacap rimitiva quale affluente comune della
ischiatica e della femorale, se non fosse, che prima di tale con-
fluenza si spicca dal prolungamento iliaco-esterno di quest’ultima
vena un considerevole ramo, che con quello del lato opposto
forma la impari vena addominale. Or mentre questa vena, de-
componendosi nel fegato colla porta, stabilisce da una parte
la comunicazione tra il sistema di essa porta e quello della cava
ascendente, tiensi pure d'altra parte in rapporto, per varii rami
anastomotici attraverso la musculatura addominale, colla grande
cutanea, che versandosi nella cava discendente , .dischiude una
comunicazione tra essa e l'ascendente. Tutto quindi il sangue
più velocemente refiuo dagli arti pelvici a quest'ultima vena tende
ad equilibrarsi: 1° indirettamente nella medesima per la via
dell’addominale e dell’epatica, evitando di tal guisa un ingorgo
di quel suo tratto che corrisponde all’angioesi renale; 2° diretta»
mente nella cava ascendente per la via dell’addominale e della
grande cutanea, procurando di tal guisa una più equabile di-
stribuzione del sangue nei due grandi sistemi delle cave. Ed
alla determinazione di un tale e tanto equilibrio, se non, forse,
esclusivamente, si applica però massimamente la vena comuni-
cante, la quale doveva essere quindi una vena relativamente
cospicua, e talmente protetta per ubicazione sottocutanea nel solco
torso-coxale e per abbondante adiposità della propagine della
fascia ileo-coccigea che la involge, da non essere ostacolata nella
medesima la libera direzione della corrente alla ischiatica, o il
suo invertimento alla femorale ogni volta che sieno ingorgati i
plessi venosi del bacino.
Questa disposizione non è punto estranea alla organizzazione
del sistema venoso degli animali superiori e cell’uomo. Se non
che, in relazione colla maggiore attività respiratoria e perspi-
ratoria della cute della rana e colla maggiore semplicità del suo
STUDIO SULLA CIRCOLAZIONE DEL SANGUE 59
sistema venoso, risultò dal corrispondente processo evolutivo una
relativa maggiore facilità di comunicazioni ed una prevalenza di
compensazione, che ameremmo dire superficiale, in confronto della
più profonda degli animali superiori.
Anche nell'uomo infatti abbiamo nella circonflessa un mezzo
di compensazione fra le iliache secondarie, che la rana riproduce
poc'oltre all’esterno nella comunicante fra la ischiatica e la fe-
morale. Anche nell'uomo abbiamo un mezzo di compensazione
nel sistema della cava inferiore, mediante le anastomosi riscontrate
e ritenute normali da Burow, fra la epigastrica inferiore — dalla
iliaca — e l’ombelicale (alla porta) o con maggiore verosimiglianza
embriogenica, parzialmente — secondo Theile — a questa vena ed
alla cava (1). Sarebbe questa una riproduzione, relativamente
meno ampia e meno diretta dall’ anastomosi cruro - epatica della
rana per la via della grande addominale. Ed anche nell'uomo
abbiamo finalmente un mezzo di compensazione fra le due cave
per la via dell’azigos, dell’emiazigos e della lombare ascendente,
che pei plessi venosi sacro-lombari, comunica colla iliaca pri-
mitiva. Questa via di compensazione, con maggiore semplicità e
per conseguenza in modo più diretto e con maggiore superficia-
lità di vasi, è segnata nella rana dalla vena addominale e dalle
sue anastomosi colla grande cutanea.
(4) È noto del resto, come al proposito delle comunicazioni fra la porta
e la cava inferiore, già Retzius osservasse ed Hyrtl confermasse la costanza
dell’anastomosi fra quest’ultima vena e la mesenterica. Lo stesso Hyril con-
sidera poi l’anastomosi normale del Burow, come un rattempramento del-
l’anomalia osservata da Menière e da Serres, di un’ampia vena anastomotica
fra l'iliaca destra e il tronco della porta; interpretazione questa di Hyrtl, la
quale è ampiamente giustificata dalla storia dello sviluppo del sistema ve-
noso.
E come vi hanno analogie morfologiche, così vi hanno anche analogie
fisiologiche, poichè anche negli animali superiori e nell’uomo, se non l’or-
dinario, il rapido incesso e meglio ancora la corsa, quali movimenti che non
lasciano tempo alle compensazioni collaterali dell’ingorgo dei plessi sacro-
lombari per accelerata corrente venosa dagli arti pelvici, non solo devono
indurre una compensazione per la via dell’azigos, ma anche per quella della
epatica, non potendosi altrimenti spiegare, nel generale ravvivamento del
circolo, nè la costante iperemia epatica della selvaggina cacciata, nè, come
effetto di questa, la iperemia splenica per ostacolato scarico della omonima
vena.
60 E. OEHL — STUDIO SULLA CIRCOLAZIONE DEL SANGUE
Un ultimo risultato, a mio avviso interessante, cui venni, ap-
plicando l’ indicato metodo di osservazione, è quello di aver potuto
determinare l’inizio e il decorso della corrente di linfa versata
nella vena comunicante ad ogni sistole del cuore linfatico po-
steriore. Ritornerò su questo argomento nell'altro più dettagliato
lavoro che, come dissi, mi riserbo di comunicare. Mi basti per
ora accennare, che osservando nel modo anzidetto, si può vedere
la vena comunicante percorsa da una corrente, che si accelera
colla sistole del cuore linfatico e che appare come una ondeg-
giante striscia bianco-splendente al dissotto della corrente san-
guigna. Comunque sia diretta quest’ ultima corrente verso la
ischiatica o verso la femorale, io ho sempre veduto la corrente
linfatica tenere quest’ultima direzione, lungo la quale ho potuto
qualche volta per buon tratto inseguirla, discendente nella stessa
femorale. Quando in seguito alla preparazione dell'animale, con
incisione della sua cute, si presentano le condizioni opportune
alla penetrazione dell’aria nel cuore linfatico dai circostanti seni
linfatici, si può anche vedere la corrente linfatica interrotta da
bollicine aeree, che pur si possono colpire nel loro passaggio dal
cuore linfatico alla vena. Questa osservazione permette quanto
fino ad ora, per ciò che mi consta, non si è fatto, di deter-
minare, cioè, con esattezza, il punto in cui comincia ad apparire
sul decorso della comunicante la corrente linfatica e il punto
quindi in cui mette foce a questa vena il dottolino del cuore
linfatico. Questo punto corrisponde generalmente al termine del
segmento iliaco della prima curva della comunicante, contiguo
alla spina iliaca, e prima che la comunicante stessa abbia de-
scritta una seconda curva di passaggio su questa spina.
61
Sul calcolo degli azimut mediante le coordinate rettilinee,
per NIcopEMO JADANZA
Scopo della presente nota è quello di calcolare gli azimut
della geodetica che unisce due punti di 4° ordine di cui si co-
noscano le coordinate rettilinee rettangolari riferite ad un'origine
qualunque, limitandoci al caso in cui i due punti appartengano
ad un medesimo foglio della carta d’Italia, cioè sieno compresi
entro un trapezio sferoidico limitato da due paralleli distanti per
20 primi di latitudine e da due meridiani che differiscono di
30 primi in longitudine.
La risoluzione di tale quistione può essere di grande utilità
per il topografo, quando questi debba collegare un lavoro di
dettaglio a punti geodetici stabiliti in precedenza.
1.
Nel caso che le latitudini © e @' dei due punti A e B sieno
al massimo differenti di 10' e le longitudini al massimo di 15°
p
A
(come succede per tutti i punti di un foglio della carta d’Italia
al centomila riferiti al loro centro), le formole che servono al
62 NICODEMO JADANZA
calcolo delle coordinate geografiche di B e gli azimut della geo-
detica A B ai suoi estremi sono quelle di Legendre limitate ai
termini del 2° ordine, ossia, come è noto, le seguenti:
9
ta
hi S COS 2 (ssenz) 4
3 CAL SRI SL RA,
a psenl 2p Nsenl IÎ
ssen 2
AG= Soria
Nsen1 cosq \
1 ,
m=Afsenz(g+0)
e=180+24m.
Nelle quali formole è Ao=gy—9, A40=6—0, 2=azimut
di Bin A, 2'=azimut di A in B, »m è la convergenza dei
meridiani tra A e B, s la geodetica A B.
Adoperando le formole precedenti non si avrà mai un errore
superiore al centesimo di secondo, semprechè s è minore di 20
chilometri (*).
2.
Le formole precedenti permettono di risolvere l’altro problema
del calcolo della geodetica che unisce due punti di cui si cono-
scono le coordinate geografiche, e gli azimut di essa ai suoi
estremi.
La seconda delle formole (1) dà
ssenz== A @ Nsenl'.cosq'.
Sostituendo questo valore nella prima sì ottiene
S COS Z N
Aoe= ——.,—- =—senl'tg0.(A6coso)?
o psen 1 2p gd ( ' ) c}
(*) Uno dei termini del 3° ordine che si trascura nella prima delle (4),
e propriamente il più influente è
a ì sen 2 9. cos?
tot sen 29.008 3.
21—e#2pNsenl” P *
Il quale, nel caso più sfavorevole di = 0°, g= 45°, si riduce a 0",01 per
pr=19700 7
SUL CALCOLO DEGLI AZIMUT 63
donde
x 1) EI Li (A4cosg)?
scosgz= A%g4psen — sen o-—_—_—_—t___|g
| f 20 gd Ao
Passando ai logaritmi si ottiene, ponendo per brevità ,
-
TN
a tg gl(2):
di 4)
7 AI. cos 0)?
log.scose=log. A .psen1l pa
ti Aq
log.ssenz=log.A9coso' . Nsen 1° |
MO)
Dopo aver calcolato i valori di log. s senz, log.s cos: mediante
le formole (3) l’azimut 2 sarà dato da
log. tg 2 = log. ssen 2 + colog. s cos 2 CER),
la geodetica s dall’altra
log. s = logs sen 2 + colog. sen 2 MERA (1/5
e l’azimut reciproco 2 dall’ultima delle (1), cioè dalla
2'=180+2+ 40sen-(0+%0) Pur(0)-
Le formole precedenti sono forse le più semplici per la risolu-
zione del problema del calcolo della distanza tra due punti e
degli azimut reciproci della geodetica, quando questa non supera
i 20 chilometri.
Il calcolo numerico si semplifica ancora di più adoperando
la tavola annessa dove si trova il log P di 10'in 10' tra le
latitudini 36° e 70°.
ESEMPIO
Dati
A 450 0h le 000° 040 #34 500
b g45 04 49 449 > 0-4 41 07638
DD 449178449 > ABT9 45, 552=409,552
64 NICODEMO
logAG=2.2189344
log. coso — 9.8488747
log. Ad coso =2.0678091
log. Nsenl'—1.4909450
log.ssenz =3.5587541
JADANZA
log Ag=2.2515142
logosen 1"=1.4894899
3.7410041
810
A Gcosg
Au R-
log.s cose = 3.7410851
co
log P=1.02430
log A fcosg =2.06781
» 2.06781
colog A o0=7.74849
log correz. —2.90841
pAico8? gio
log s senz —=3.5587541
colog. scosz=6.2589149
log. tg.2z=9.8176690
= 33° 18 40°, 28
logsenz —=9.739 71 95
logA 9=2.
log.ssenz—=3.5587541
colog. senz= 0. 2602805
logs=3.8190346
s=6592".27
2189344
1
log senz (0 +9')=9.8499062
2.
=iolo de t40.,
0688406
18
18
28
21020037,
46
SUL CALCOLO DEGLI AZIMUT 65
Le formole (3) dànno immediatamente le coordinate rettili-
nee dei punti compresi in un foglio della carta d’Italia riferite
al centro del medesimo. Indicando con X ed Y codeste coor-
dinate si avrà
X=A@cosp.Nsenl" | ;
Y= Agpsenl' | vige:
Le quali sono anch’ esse tanto semplici e facili al calcolo nu-
merico specialmente se si osserva che le quantità 2sen1", Nsen1"
sono le medesime per tutti i punti di un medesimo foglio.
Così p. e. il punto A (vedi Tavole 1*, 2°) appartiene al
foglio 56 della carta d'Italia; per calcolare le sue coordinate
rettilinee, osservando che le coordinate geografiche del centro sono
o=45° 10°, O=—4° 45'
sì avrà
logosenl'—=1.4895003 log N senl"—1.4909484
logAg=2.6893089n logAG—1.8248415
log Y—=4.1788092w logcoso —9.8492512
log xX= 3, £6504/F1
Y=— 15094,17 X=1462.32
Se sì paragonano le (7) e le (3) si ànno le relazioni seguenti
log. X=log.ssene
(49c0sy)?
log Y= log. s cose — P
Aq
ovvero, per le (*)
log. X=log ssenez
M
log Y=- log. = ie. 10
0g Og. 8 COS £ (3 N
Queste ultime operazioni mostrano che, quando sono date le coor-
dinate rettilinee dei punti appartenenti ad un foglio della carta
Atti R. Accad, - Parte Fisica — Vol. XXIII, 5
66 NICODEMO JADANZA
d’ Italia, la distanza del punto del centro del foglio e l’azimut
di codesta geodetica si potranno calcolare mediante le formole
seguenti :
log. s senz = log. X
Mt 3g
log. scos z = log. Y+(10.7-5%) 7
ovvero, ponendo
M tg
—10°—, —
Q 2
log. ssenz = log. X
la i MAN
log. scos e == log. YrtO5 (9)
I logaritmi della quantità @ corrispondenti a ciascun centro di
sviluppo sono dati nella tavola 1°
Ponendo per brevità
X
tgo=-= DE
TO) y (10)
l’azimut del punto le cui coordinate sono X, Y si potrà anche
avere mediante la relazione
QXNtg%
2z=0— o
d È
(11)
dove d" è la differenza tavolare di #g© per 1".
La convergenza dei meridiani dovrebbe calcolarsi mediante
la terza delle (1); però siccome si ha
CAR 0
psen 1
sarà
1 ; 1 NE ) 4
56+#)=3(% +84 pn) = Pt 2 senl'
e quindi
=; spal V
sen — (4 Salon i vasi = ES
dI (ig DE end
cosg = cosg (1— fgg A -)
SUL CALCOLO DEGLI AZIMUT 67
MN
— Nsenl'cosg Nsenl'coso
(1+097).. de)
Sicchè si avrà
22 ii | 1 mas. ) sen © (1 + cot o 5)
Nsenl coso 2g Sl i ‘2p
ovvero
ii A 1 fa; È È
Pel calcolo numerico si avrà
X
logm=log = : ji (99+pY+gaY ea)
essendo
Mtgq M
p= s g==-cot
? 20,00
L’azimut reciproco di VA sarà dato da
2=1804+2+%m sa RUAE
4°
Le formole precedenti servono a calcolare gli azimut e le
distanze dei punti di cui si conoscono le coordinate rettilinee
rispetto al centro di un foglio ; passiamo alla risoluzione dell’al-
tro problema.
X
Date le coordinate rettilinee di due punti A e B, trovare
la loro distanza e gli azimut reciproci della geodetica AB.
68 NICODEMO JADANZA
Mediante le coordinate rettilinee di A si calcoleranno la geo-
detica 0 A=s, e gli azimut 2, 2' di essa.
Mediante le coordinate rettilinee di B si calcoleranno la geo-
detica 0B=s, e gli azimut reciproci 2,, 2, .
La differenza degli azimut 2, e z darà l'angolo in Q del
triangolo 0 A B cioè sarà
LA] =
Gli angoli A e 5 del triangolo ora detto si calcoleranno
per mezzo delle note formole
Di S.—=# i
ig -(A-- Beto -|A5°R
9 5( ) e 4 + B)
1 1
g (AB) 992)
L’azimut di B su A sarà = — A
e quello di A su B sarà =2,+B .
Siccome, per la prima delle (9), indicando con X, ed Y, le
coordinate di A e con X, ed Y, le coordinate di B, si ha
X, Xi
Sa = ’ S= ’
sen 2 senz,
sì avrà
Sh Sa X,senz— X,senz,
S+ 5, X,senz+ X,senz,
e quindi, ponendo,
igd= = 1 SA (15)
sarà definitivamente
1 sE Li
tg 5 (A—- B)=tg(45 ab i © Li OS 2) Î
1 1
3(4A+B)=90-;(a,—%)
SUL CALCOLO DEGLI AZIMUT 69
ho
Quando dalle coordinate rettilinee di un punto si volesse pas-
sare alle coordinate geografiche (supposte note le coordinate geo-
grafiche del centro del foglio cui il punto appartiene) si proce-
derebbe nel seguente modo.
Le (7) dànno:
Y
— psenl'
nta XxX
— Nsenl'cosg'
"o
AG
ossia pel calcolo numerico
logA g =log Y + colog.p sen 1° I
\ LA
logA9= log. X+ colog. N sen 1' + cologcos q' | i
6°
Per risolvere il problema di cui ci siamo occupati al N° 4
sì può procedere anche nel seguente modo.
Per mezzo delle coordinate X,, Y, del punto A si calco-
leranno mediante le (17) le coordinate geografiche di A.
Per mezzo delle coordinate X,, Y, di 5 si calcoleranno le
coordinate geografiche di DL.
Avute le coordinate geografiche dei due punti A e B, le
formole (3), (4), (5), (6) permetteranno di risolvere il problema
completamente.
Questo metodo è certamente preferibile a quello del N° 4°.
Se le formole (3)...(6) non saranno applicabili a qualche
caso speciale si ricorrerà a formole più rigorose.
ESEMPIO
I punti A e B aventi per coordinate
Ko 1462”, 32 , X,= 5081”, 456
Fo =>150004"5 E, Yy,=— 9585 , 907
70 NICODEMO JADANZA
appartengono al foglio N° 56 della Carta d’Italia. Le coordi-
nate geografiche del centro di quel foglio sono (Vedi tavole I e II)
o=45° AVE PESTE
trovare la geodetica AB e gli azimut reciproci di essa
Per calcolare le coordinate geografiche di A e B si adope-
reranno le (17).
Punto. 4.
log Y,= 4.1788092 n log X,=3.1650411
cologpsenl'= 8.5104997 colog Nsen1l "= 8.5090516
log Aw,=2.6893089 n colog cos g'=0.1507488
Aq,=— 489.00 logA9=1.8248415
— —8'09.00 AG=66",81= 0°01'06°.81
g=45 10. 90=- 4 45 i
o =45° 01 51°.00 9 4° 4355300008
Punto ..
log Yy=3.9816332 x log X,=3.7059882
logosen1'=8.5104997 log N sen 1" — 8.5090516
logAg=2.4921329n colog coso =0.15112583
Ag=— 310".551 log A 9=2. 3661651
Ag=— 0° 05'10".551 AQ= 232.362
= 45 10 A9Q=" 0°03'52". 362
p'= 45°04'49".449 pl 45
G=—4°41'07".638
Conosciute le coordinate geografiche di A e B il calcolo fatto
al N° 2. darà la distanza e gli azimut richiesti. |,
SUL CALCOLO DEGLI AZIMUT 71
Nota I.
Le formole (1) dette di Legendre o di Delambre debbono
essere adoperate, come abbiamo detto, per s non maggiore di
20 chilometri, altrimenti si farà sentire l’influenza dei termini
del 3° ordine che si trascurano.
Nei modelli di calcolo annessi al regolamento per il Catasto
Modenese si trova calcolata la posizione geografica di M' Pa-
lanzuolo mediante quelle conosciute di Pizzo Menone e Campo
di Fiori. Il primo di questi punti dista da Palanzuolo per più
di 29 chilometri ; il secondo dista dal medesimo di circa 34
chilometri. In questo caso non dovevano applicarsi le formole di
Legendre limitate al 2° termine. Perciò in quell’esempio nume-
rico vi è una grave discordanza (5 centesimi di secondi) tra le
due latitudini ed anche tra le longitudini (2 centesimi di secondo).
Con formole più rigorose si sarebbe avuto il risultamento
seguente :
Latitudine di Palanzuolo proveniente da
Campo dei Fiori = 45° 51' 43", 09
» » Pizzo Menone cri >. » 43 .10
Longitudine di Palanzuolo proveniente da
Campo dei Fiori = — 3 15 04, 85
» » Pizzo Menone = >» » 04, 84
Le formole di Delambre che si trovano in quei modelli e
che coincidono con quelle che si usavano una volta nell'Istituto
Geografico Militare non sono rigorosamente identiche alle (1)
che sono esatte.
Nora II.
Le coordinate rettangolari dei punti trigonometrici, riferite
al centro di ciascun foglio, possono essere calcolate o mediante
le (7), ovvero mediante tavole ausiliarie che danno in metri i
valori dei secondi di latitudine e longitudine.
72 NICODEMO JADANZA
Quando le coordinate rettangolari debbono servire a scopo
grafico è indifferente calcolarle nell’uno o nell’altro modo. Ma
se, come può accadere, debbono essere considerate come elementi
da cui poter ricavare o le coordinate geografiche o gli azimut,
bisognerà calcolarle mediante le formole (7); giacchè le tavole
ausiliarie daranno sempre degli errori che altereranno special-
mente le X.
Così p. e. le coordinate di Poggio Pallone le cui coordinate
geografiche sono :
o= 42° 53' 43".02
O=-— 1 33 51.59
riferite al centro del foglio 127 della carta d’Italia (p,=42° 50,
G,=-- 1° 45’) sono, calcolate colle tavole ausiliarie
X=3+415162". 6), V=P68812,3
mentre calcolate mediante le (7) sono :
X=+15163",47; Y=+ 6881", 24.
Essendo il calcolo delle (7) facilissimo ed esatto, non vi è
ragione di calcolarle in modo meno esatto con tavole ausiliarie,
SUL CALCOLO DEGLI AZIMUT
TavoLa I.
FOGLI | Latitudine
della dei Log g sen l' | Log.Nsenl' | Log @
Carta d’Italia centri |
275-276-277 | 36°50'| 1 4888744 | 1. 4907398 |9. 40607 |
Me OZ4 | 37 10 3» ‘89899 | fix 7479 | 9 1632)
Sa. 270 | 37 30 » 9233 |» 7561 |9. 41655]
256....264 | 37 50 > 47 76043) (0 43577)
MERE 255 | 38.10 » 9724| >» 7725 |9.42697|
SAN 247 | 38 30 » 9971.|-:-» 7807 | 9. 43215|
DRM. 243 | 38 50. | 1. 4890218 |" ». 7889 | 9. 43752]
2.1.0 237 | 39 10 » 0466 s 7972) |09) 442348
na .-230.| 39 30 » 0715 | »' 8055 |.9. 44763
Ra 0222 | 39 50 » 0964 av 8438! |, 45276
204....214 | 40 10 st TOT] dei 21° 8321 (19, 45188
191....208 | 40 30 >» 1464) » 8805 |9. 46300
179....190 | 40 50 so 1715.) È» 8388 |l0. 46810]
Wi e178 | 41-10 » 1966 | s° 8472 |9.47320|
MoeSi165| 41 30 G° 2218 » 8556 | 9. 47828]
Wo. 157 | 41 50 >» 2470 » 8640 | 9. 48336|
142....148 | 42 10 » 2722|. ». 8724 |9. 48843]
Sa Sli1 | £9 30 » 2975 » 8808 (9. 49350];
o 134. 42: 50 »° 8228 » 8893 (9. 49856!
Mo 125%) £43 10 s S4AST | Tse: 897709, 30362
MERE L18:| 43 30 se STAI » 9061 | 9. 50867]
Ma OTIOc| 43.50 >» 3988 sa 9146) d-513721]
SOGEZAO1, | 44 10 o 4947 a 9831 ORI
sur... 89 | 44 30 » 4495 » 9315 | 9. 52382
o. 77] 44 50 >» 4749 » 9400 |9. 52886
ddr.) 65 | 45 10 >» 5008 » 9484 | 9. 53391
4) 53 | 45 30 | 1. 4895257 » 9599 | 9. 53895
ct 40 | 45 50 >» 5510 >» 9653 | 9. 54400
el: 26 | 46 10 » 5764 » 9738 |9. 54905
du, 14 | 46 30 » 6018 » 9828 | 9. 55410
ue, i 46 50 » 6271 » 9907 |9.55915
NICODEMO JADANZA
74
UNICAOLIONOT
Su
iS I
++t+t+t+t++t+t+t+t+++
e)
9
S
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5
(O
SH TE
G
G
I
I
0
00
1I}u9o TOP
"199 ‘Fe ‘988 ‘665 ‘123
‘79T ‘See ‘97e ‘I7e ‘ee ‘868 ‘038 ‘018 ‘OLI
‘899 ‘FSE ‘SHE ‘078 ‘28% ‘61% ‘608 ‘861
"UL ‘PLE “0LG ‘396° ‘898 ‘803 “261
‘916 ‘EL ‘69% ‘198 ‘TS ‘961 ‘F8I
"Gia ‘GL ‘89% ‘09% ‘TS ‘S6I ‘E8T ‘SLI ‘T9I
‘TL6 ‘296 ‘696 ‘088 ‘TLI ‘09° ‘GSI ‘OFI ‘OFI
‘996 ‘898 ‘643 ‘OLI ‘69I ‘ISI ‘SFI ‘681 ‘SI ‘PRI ‘ZII
‘G9G ‘L96 ‘846 ‘8ST ‘OST ‘PFI ‘88I ‘IST ‘881 ‘OTI ‘601
‘873 ‘188
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FIG |
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‘816 ‘606 ‘061
‘088 ‘103 ‘681 ‘8SZI
‘TIE ‘006 *881 SLI
‘661 ‘48T ‘SOI ‘LSI
‘08T° SAD BITS
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SUL CALCOLO DEGLI AZIMUT
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‘66
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‘88 ‘€68 ‘GI ‘
VITIVILI II € VIIVO VIITHIO IINHDO0OIL
‘II VIOAVI, 2099
76 NICODEMO JADANZA
TavoLa III
(0) Log P ( Log P ()
35°00' | 0. 86951 | 39°00'| 0. 93246 | 43° 00'
10 | 0. 87219 10 | 0. 93503 10
20 | 0. 87486 20 | 0. 93760 20
30 | 0. 877583 30 | 0. 94017 30
40 | 0. 88019 40 | 0. 94273 40
50 | 0. 88284 50 | 0. 94529 50
36 00 | 0.88550 | 40 00 | 0. 94785 | 44 00
10 | 0. 88814 10 | 0. 95041 10
20 | 0. 89078 20 | 0. 95296 20
30 | 0. 89342 30 | 0. 95551 30
40 | 0. 89605 40 | 0. 95806 40
50 | 0. 89868 50 | 0. 96061 50
37 00 | 0.90130 [| 41 00 | 0. 96315 | 45 00
10 | 0. 90392 10 | 0. 96569 10
20 | 0. 90653 20 | 0. 96823 20
30 | 0. 90914 30 | 0. 97077 30
40 | 0. 91175 40 | 0. 97381 40
50 | 0. 91345 50 | 0. 97584 50
38 00 | 0. 91695 | 42 00 | 0. 97838 | 46 00 | 1 03890
10 | 0 91954 10 | 0. 98091 10 | 1. 04142
20 | 0, 92218 20 | 0. 98344 20 | 1. 04394
30 | 0. 92472 30 | 0. 98597 30 | 1. 04646
40 | 0. 92730 40 0. 98849 40 | 1. 04898
50 | 0. 92988 ada 0. 99102 50 | 1. 05150
39 00 | 0. 93246 | 43 00 | 0. 99354 | 47 00 | 1. 05408
48
49
50
51
SUL CALCOLO DEGLI AZIMUT
Segue Tavora III.
17
30
Rss enel Ul fees (0) PE fe ped
fio nm pm pm nm
fon pn n pm fm
Log P
05403
. 05655
. 05908
. 06161
. 06414
. 06666
. 06920
. 07178
. 07426
. 07680
. 07934
. 08188
. 08442
. 08696
. 08951
. 09206
. 09461
09716
. 09972
. 10228
. 10484
.- 10740
. 10997
. 11254
n blbbl
52
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. 12285
. 12544
. 12803
. 15063
. 13322
. 13582
. 13843
. 14104
. 14365
. 14627
. 14889
. 15152
. 15415
. 15679
. 15948
. 16208
. 16473
. 16738
. 17004
- A 7271
. 17588
. 17806
io
55°
56
57
98
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50
40
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40
50
00
fm pm im nm nm
ea Sele cana
. 22736
. 28017
. 23298
. 23580
. 23864
. 24148
. 24433
78
NICODEMO JADANZA - SUL CALCOLO DEGLI AZIMUT
Segue Tavora II.
1) Log P Log P (A)
99”00*| 1. 244993 | 63*00°-+ L. 351576 | 07%0D
10 -| 1. 24719 10 | 1.31889 10
20 | 1. 25006 20 | 1. 32202 20
30 | 1. 25293 30 -| 1. 32517 30
40 | 1. 25582 40 .| 1. 32834 40
60% 47498441 50 | 1. 33152 50
b0O700 | 1. 26162 1 6400.) 1. 3347% | 68°00
10:| 1. 26458 t9:5h 133791 10
20 | 1. 26746 20% L'SbkI4 20
80 | 1. 27039 30 | 1. 84437 30
40 | 1. 27384 40 | 1. 34763 40
50 | 1. 27630 50 | 1. 85089 50
DE 001 1 27920 I 652001 195418 _q 09908
10 | 1 28224 {04195748 10
20 | 1. 28528 20 | 1.86079 20
30 | 1. 28823 30 | 1. 36413 30
40 | 1 29124 40 | 1. 46748 40
50 | 1 29426 50 | 1. 37084 50
b2. 001 I. 29730 | 06*DO6: 1 37425 1 7000
104. 1.'309034 DO OTTO8
20 | 2 30340 20 | 1.38105
30 | 1. 30647 30 | 1. 38449
40 | 1. 30956 40 | 2. 38795
DO «PL S1265 50 | 1. 39143
1.31576 | 6700 .| 1. 99492
63
00
fl pr pin pn pm pm
fp pd pp
Hu VU aa
. 46160
vg)
Sui calori specifici di alcuni metalli
dalla temperatura ordinaria fino a 320°,
Nota del Socio Prof. A. NACCARI
Cominciai queste esperienze destinate a determinare quanto
calore sia necessario per riscaldare metalli diversi dalla tempe-
ratura ordinaria fino a 320° circa, quando gli studi sperimentali
intorno a tale argomento erano solamente quelli del Dulong e
del Petit, del Bèede e del Bystròm. Recentemente il Pionchon im-
prese uno studio consimile, ma esteso a temperature molto più
alte e ne pubblicò una parte. Però l’esperienze del Pionchon sono
poco numerose appunto in quell’intervallo di temperatura in cui
son comprese le mie.
È facile dimostrare che lo stato delle nostre cognizioni
rendeva opportuno questo lavoro. 1l Dulong e il Petit (1) die-
dero soltanto i valori del calore specifico medio per gl’intervalli
0-100° e 0-300° senza indicare i valori direttamente ottenuti
dalle esperienze. Queste vennero eseguite con grandi quantità di
sostanza. Le temperature vennero ridotte a quelle che sarebbero
state date dal termometro ad aria. Due cause di errore possono
aver influito sui valori ottenuti. I metalli venivano immersi di-
rettamente nell'acqua, anche quando essi avevano temperatura
superiore ai 100°, e nell’atto dell’immersione veniva quindi vapo-
rizzata dell’acqua e perduto del calore che non si poteva cal-
colare. Per riscaldare i metalli si tenevano immersi in un liquido :
quand’essi venivano trasportati nel calorimetro, portavano certa-
mente con sè un po’ di quel liquido. Si faceva per ciò una cor-
rezione, ma questa doveva sempre essere alquanto incerta.
Il Bède (2) pubblicò nel 1856 una memoria sul calore spe-
(1) Journal de l’ École Polytecnique, 1820.
(2) BèpE, Recherches sur les chaleurs specifiques de quelques metaua è
differentes temperatures. Mém. couronnés et Mém, des savants étrangers, pu-
bliés par l’Académie R. de Belgique, t. XXVII, 1855-56.
80 ANDREA NACCARI
cifico dei metalli a varie temperature, memoria cui tuttora si
ricorre per avere indicazioni intorno a questo argomento. In
verità l'esperienze furono condotte in modo da far dubitare della
esattezza dei valori ottenuti.
Per riscaldare il metallo prima della operazione calorime-
trica, il Bède lo poneva in un tubo di vetro che stava entro un
bagno d’olio riscaldato da una fiamma. Il termometro, che do-
veva dare la temperatura del metallo all'atto dell’immersione,
non istava dentro il tubo, ma immerso nell’olio circostante, e
quindi molto probabilmente segnava una temperatura diversa da
quella del metallo.
Nel calcolo delle esperienze non si tenne conto delle perdite
di calore sofferte dal calorimetro fra l’istante dell’immersione e
quello in cui vien raggiunta la temperatura finale, affidandosi
all’espediente del Rumford. Le temperature non vennero riferite
al termometro ad aria. Si lasciavano cadere i metalli anche se
riscaldati sopra 100° nell'acqua e non si fece alcuna correzione
per la produzione del vapore. In più casi un punto importante
nell’andamento del fenomeno fu determinato con una sola espe-
rienza. Così avvenne, per esempio, per lo zinco e per lo stagno
a 210°, pel rame a 250°. Il grado di precisione non arriva in
qualche caso al 2 °/,
Il Bystròm (1) pubblicò nel 1860 uno studio sui calori spe-
cifici dei metalli ad alte temperature, ma i valori da lui otte-
nuti sembrano ancor meno esatti di quelli del Bède.
Parlerò solamente dei calori specifici fra 15° e 300°, tacendo
del modo strano ed arrischiatissimo in cui il Bystròm pretese
di estendere il suo studio fino a 1000 e più gradi.
L’esperienze vennero solamente eseguite con ghisa, acciaio
e argento. Nessuna cura fu presa per evitare l'errore prodotto
dalla vaporizzazione dell’acqua quando s’immerge in essa un corpo
riscaldato al di sopra di 100°. Il termometro dell’apparato ri-
scaldante non fu confrontato col termometro ad aria. L'A. as-
serisce che era perfettamente calibrato e che lo zero non si spostò
durante le operazioni, ma per ridurne le indicazioni a quelle che
avrebbe dato un termometro ad aria si applicarono a quel ter-
mometro, benchè fosse di tutt’altra provenienza, le correzioni
(1) Brsrròm, Ofversigt af kh. Vetenskap-Ahademiens, 1860, v. 17, p.307.
Stockholm, 1864.
SUI CALORI SPECIFICI 81
date dal Regnault per uno de’ suoi. La correzione per la colonna
sporgente era per quel termometro grandissima, perchè, anche
quando la temperatura del bagno era 300°, il termometro era
immerso in esso solamente fino al punto che corrispondeva a 9°.
La correzione calcolata dall’A. in un modo diverso dall'ordinario
e molto discutibile era per 250° eguale a 3°,5. Calcolata nel
modo ordinario sarebbe stata 7°,7, il che dimostra la grande
incertezza che ne deriva ai valori del calore specifico.
L'apparato riscaldante non fu tenuto a costante temperatura.
Il metallo, su cui si voleva sperimentare, si lasciava cadere nel
calorimetro, quando la temperatura del bagno passava per il va-
lore fissato, e ciò alternativamente, quando la temperatura ascen-
deva e discendeva.
Estendendo le sue esperienze fino ad alte temperature nel
modo incertissimo a cui ho fatto allusione, il Bystròm trovò che
i calori specifici della ghisa e dell’acciaio risultavano eguali alla
temperatura di 881°. Egli ne dedusse che a quella temperatura
non aveva influenza sul calore specifico di quelle sostanze la
diversa quantità di carbonio, e che dovevano essere eguali fra
loro a quella temperatura i calori specifici del carbonio e del
ferro puro. Ammessa questa conclusione, che del resto esperienze
posteriori dimostrarono grandemente erronea, il Bystròm prese
per il calore specifico del ferro puro a 881" quello trovato per
la ghisa e per l’acciaio, e preso dalle esperienze del Regnault,
il calore specifico del ferro puro a 100°, con questi due soli
punti costruì una curva, da cui dedusse il calore specifico del
ferro puro con cinque cifre decimali da 0° a 1400°.
In modo simile fu costruita la tabella che dà il Bystròm per
il calore specifico del platino da 0° a 1600°.
Descrizione dell’esperienze.
L'apparato riscaldante da me adoperato è costituito da un
cilindro di ferro con doppia parete. Lo spazio centrale è occu-
pato da aria ed è aperto al di sopra; di sotto può chiudersi
nel modo che si dirà. Lo spazio anulare è destinato a contenere
un liquido bollente; esso non ha che due fori sulla base supe-
riore. Un tubo di ferro, che parte da uno di questi fori, s'in-
nalza per un certo tratto verticalmente, poi si ripiega ed in
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII, 6
82 ANDREA NACCARI
questo secondo tratto è circondato da un refrigerante. Così il
liquido bollente, venendo opportunamente regolata l'ebollizione,
ricade e la temperatura d'’ebollizione si mantiene costante anche
se il liquido non è perfettamente omogeneo.
Lo spazio centrale vien chiuso al di sotto da una lamina
che scorre lungo due guide. Dando un colpo all’asta che è con-
giunta con quella lamina, si fa che venga a trovarsi al di sotto
dello spazio centrale un foro praticato nella lamina stessa. Così
resta aperta l’estremità inferiore di quello spazio. Al di sopra
esso è chiuso mediante un tappo con due fori. Attraverso uno
di questi passa un filo metallico che sostiene una cestella di
rete metallica. In questa si pone il metallo su cui sì sperimenta
ridotto per lo più in bastoncini cilindrici. Attraverso l’altro foro
passa il cannello d’un termometro, il cui bulbo sta nel mezzo
della cestella, circondato d’ogni parte dai pezzi del metallo.
I calorimetri adoperati sono di lamina d’ottone e sul fondo
di essi sta una reticella di ottone sostenuta da un telaino dello
stesso metallo. Essa impedisce che il corpo immerso nel calori-
metro vada a contatto del fondo. L’agitatore è di lamina sot-
tile di ottone.
Il calorimetro sta al solito entro un vaso maggiore pure di
ottone. Questo è posto dentro un vaso ancora più grande, e nel
secondo intervallo v'è acqua. Un disco di legno copre i due
intervalli e anche parte dello spazio riservato al calorimetro
lasciando soltanto l’apertura centrale al passaggio del metallo e
del termometro. Il termometro del calorimetro ha il grado di-
viso in cinquanta parti. Fu costruito dal Baudin.
Il calorimetro è scorrevole lungo una guida di ottone. Esso
occupa ordinariamente la parte di mezzo della guida ed è difeso
da schermi posti da una parte e d ll’altra. Due apparati riscal-
danti eguali stanno alle due estremità del tavolo su cui è fissata
la guida. Il calorimetro può venir portato tanto sotto l’uno,
quanto sotto l’altro apparato riscaldante purchè si sollevi lo
schermo corrispondente. Le cose vennero disposte in questo modo
per accelerare il lavoro ed evitare i troppo frequenti cangia-
menti del liquido nell’apparecchio riscaldante. Dei due apparecchi
l’uno conteneva per lo più acqua, e ciò perchè molto frequen-
temente occorrono dei riscontri a 100°.
Non potendo portare al di sotto degli apparati riscaldanti
il calorimetro col termometro, il quale è lungo circa mezzo metro,
SUI CALORI SPECIFICI 83
adottai il partito di sollevare il termometro, opportunamente bi-
lanciato da un contrappeso, all'istante in cui il calorimetro va
portato sotto l'apparecchio riscaldante, e immergerlo rovamente
nel calorimetro appena questo sia ritornato nella posizione nor-
male.
Esaminai se questo modo di operare portasse errore sensibile
e mi accertai di poterlo seguire con sicurezza, perchè nel breve
tempo, che il termometro sta sollevato, la sua temperatura varia
pochissimo.
Gli apparati riscaldanti vengono portati alla temperatura
necessaria mediante uno o due anelli di fiamme a gas, che lam-
biscono la superficie laterale dei recipienti di ferro.
Per difendere il calorimetro dal calore che il recipiente di
ferro può inviare ad esso nei brevi istanti in cui gli sta sotto,
un disco di legno viene interposto facendolo girare intorno ad
un asse eccentrico in piano orizzontale. L'asse è quello stesso
che sorregge il recipiente di ferro. Il disco è forato per lasciar
passare la sostanza su cui si sperimenta. Lo spazio che la so-
stanza deve percorrere nell’aria esterna per passare nel liquido
del calorimetro, è brevissimo, sicchè non v'è da temere perdita
sensibile di calore. L'operazione poi si fa così rapidamente e il
calorimetro è tanto difeso, che è pur trascurabile la quantità di
calore che l’apparato riscaldante può inviare al calorimetro sot-
toposto. Apposite esperienze confermarono le previsioni fatte.
Per abbreviare il tempo durante il quale succede la trasmis-
sione di calore, viene agitato in quel periodo anche il corpo
immerso. Il liquido del calorimetro viene inoltre mescolato con-
tinuamente da apposito agitatore.
I termometri adoperati negli apparecchi riscaldanti vennero
accuratamente confrontati col termometro ad aria del Jolly. Quelli
del calorimetro vennero confrontati fra loro e con un campione
del Baudin.
Per i primi particolarmente la verificazione del punto 100
venne frequentemente eseguita. Cercai che la correzione per la
colonna sporgente fosse sempre quanto più piccola era possi-
bile, scegliendo opportunamente quello tra i quattro termometri
adoperati che meglio si prestava all’esperienze da farsi. Anche
questi termometri erano stati costruiti dal Baudin e, fatta ecce-
zione per uno di essi che richiese una correzione particolar-
mente accurata, non si scostano molto dal termometro ad aria.
84 ANDREA NACCARI
Per evitare l’errore prodotto dall’ immersione nell’acqua di
corpi che abbiano temperatura superiore a 100°, dopo aver ten-
tato parecchi altri espedienti, adottai il partito di porre nel
calorimetro del petrolio che bollisse ad alta temperatura. Non
potrebbe servire allo scopo il petrolio di tal genere che si trova
in commercio e si adopera come lubrificante. Dovetti per ciò
distillare delle quantità considerevoli di petrolio comune sepa-
randone la piccola porzione che bolle tra 330° e 380. Simil-
mente da petrolii più pesanti estrassi la porzione opportuna,
escludendo quella che bolle a temperatura troppo alta ed è
troppo viscosa. Con una doppia distillazione necessaria per ot-
tenere sufficiente omogeneità potei ottenere il liquido calorime-
trico, del quale di tratto in tratto determinai il calore specifico
alle temperature opportune valendomi dello zinco.
La variazione di calore specifico sofferta da questo petrolio
durante una serie di esperienze fu sempre molto piccola. Le
correzioni per l'influenza dell'ambiente sul calorimetro furono
eseguite sempre così. Dalle osservazioni del termometro fatte per
alcuni minuti e ‘di minuto in minuto prima dell’immersione, io
deducevo la variazione per minuto della temperatura del calo-
rimetro. Questa temperatura si teneva sempre più bassa di quella
dell'ambiente e possibilmente di tanto che la temperatura. finale
del calorimetro dopo l'immersione fosse poco superiore a quella
dell'ambiente. Da quelle osservazioni deducevo altresì la tempe-
ratura del calorimetro nell’istante dell'immersione. Mezzo minuto
dopo questo istante si riprendevano le osservazioni del termo-
metro del calorimetro che si facevano per un certo tratto ogni
mezzo minuto, poi di minuto in minuto. Le osservazioni fatte dopo
l'istante, in cui la trasmissione del calore entro il calorimetro era
finita, davano la variazione per minuto della temperatura del ca-
lorimetro in quelle condizioni. Ammettendo la proporzionalità fra
queste variazioni e le corrispondenti differenze di temperatura
fra il calorimetro e l’ambiente, stabilivo due equazioni, dalle
quali deducevo la temperatura dell'ambiente, e la variazione di
temperatura del calorimetro per ogni grado di differenza di tem-
peratura e per ogni minuto. Questi due valori servivano a cal-
colare le correzioni dall’istante dell’immersione a quello cui
spettava la temperatura finale.
Nella massima parte dei casi le correzioni erano piccole
perchè veniva scelta, opportunamente, come s’è detto, la tem-
SUI CALORI SPECIFICI 85
peratura iniziale del calorimetro rispetto a quella dell'ambiente
e perchè la forte agitazione del liquido rendeva rapida la tras-
missione del calore.
In queste esperienze, che durarono a lungo per le molte
modificazioni del metodo e degli apparecchi, ebbi il valido aiuto
del Dott. Guglielmo dapprima, poi del Dott. Battelli.
Seguono i valori ottenuti sperimentando sulle varie sostanze.
Cadmio puro.
Il cadmio adoperato in queste esperienze mi fa procurato
cortesemente dal mio collega “Prof. Fileti, che lo fece depurare
nel suo Laboratorio. |
Nella tabella seguente, come nelle altre che riporterò più in-
nanzi, la prima colonna segnata / contiere il peso in grammi
del metallo, la seconda quello p della îcestella,-la*terza l’equi-
valente in acqua A del calorimetro, del liquido contenuto e degli
accessori, la quarta la temperatura 7 dell’apparecchio riscaldante,
la quinta quella #, del calorimetro all’atto dell'immersione, la
sesta quella finale #, del calorimetro. Tutte queste temperature
vennero debitamente corrette. La settima colonna contiene il
calore specifico, l’ottava la media dei calori specifici trovati
per uno stesso intervallo.
101,65|2,98/435,6| 99,33|14,539|12,598/0,05618
» >» |171,5| 99,5 |23,421|20,787| 5576
» » » » 23,228|20,566 5611
3 ei » -|22,870|20,216| . 5595
101,65|3,01|172,9/179,0 |19,470|13,900|0,05664
È >» | >» |180,0 |19,096|13,470| 5672/0,05685
» dv 20 kBL;3-||L9,11113}370|,- 5/LIS
101,65/2,98|312,1[256,5 |22,904|18,290| 5790
» >|» » |22,236|17,592| 5810|0,05798
» » » » 22,473|17,679 5793
(51,1 |3,45|173,7|295,0 |21,998/16,787| 5882
> | » | » |298,0 |22,158|16,888| 5854
| » || » |295,0 |22,350|17,160| 5832
0,05600
0,05839
86 ANDREA NACCARI
Da queste esperienze si deduce che per riscaldare un grammo
di cadmio da 21 a 300° occorre una quantità di calore g
espressa da
q=0,055(£—21)+13,212.10-°(£— 21)?
—0,03945.107°(£— 21)3.
Col metodo dei minimi quadrati si ha la formola di due
termini
g=0;055107(#=21)+11,89,103% (#20
che rappresenta bene anch'essa l’esperienze.
Di qui il calore specifico vero
|
y=22— 0,055107+23,78.10-°(#—21).
Tai
Ne segue sedi == 0,0551,
» 50 » » 558,
» 100 Di SL
toi bD » » 582,
>» 200 » >» 594,
» 250 » » 606,
» 300 >» » 617.
Cadmio impuro.
Sperimentai anche su cadmio impuro del commercio per met-
tere in chiaro se le impurità di questo producessero effetto sulle
variazioni dei calori specifici.
Le esperienze vennero fatte solamente intorno a 100° e a 290°.
Riferisco qui sotto i valori ottenuti. Valgono per questa e
per le tabelle simili che seguono le indicazioni date poco fa
rispetto ai valori contenuti nelle varie colonne.
94,48| 2,95|171,9! 99,4|25,588/23,197/0,05603
| >» |25,251/22,845| 5608|0,05607
» |26,546|24,181 5610
e |. —T— | _—________ —._—___ —————— —|l _|-_——_—————-=#-<=<
94,48| 2,95| 171,9/286,0|31,580|23,030|0,05822
62,801 » | » |293,3/29,200/23.107| 5871|0,05839
» » » |292,9/29,096|23,025 5808
SUI CALORI SPECIFICI 87
Il secondo valore è eguale a quello trovato per il cadmio
puro. La differenza fra il primo e quello corrispondente che
spetta al cadmio puro, è dell’1,5 per 1000, e non si può as-
serire con sicurezza ch’essa sia maggiore dell’errore probabile.
Questo cadmio era molto impuro. Venne dunque confermato
ciò che era del resto probabile, che cioè, se anche i metalli non
sono rigorosissimamente puri, i calori specifici, anche a tempera-
ture elevate, non differiscono notevolmente da quelli spettanti ai
metalli purissimi,
Tutti i metalli adoperati in queste esperienze, eccetto il
caso dove ci sia una speciale indicazione, s'intende che sono dei
più puri che si possano acquistare presso le buone fabbriche di
prodotti chimici, il che certo non vuol dire che sieno vera-
mente puri.
Zinco.
89,00] 2,95 390,9) 99,4/20,852|19,118/0,09388|
» » » >» |23,208|21,527 9376] 0,09392
» » » » |21,290|/17,565 9411
89,13] 3,52] 179,9/170,6/17,590|13,405|0,09473
» » > » |17,269/183,052 9526]
» » » » |18,434|14,266| 9484 eAaho
» » » ». |17,139|12,915|_. 9530
89,18] 3,92] 179,9/242,0|22,524|16,098|0,09641
» » » .|241,5|28,465/17,077| 9649
» » » |240,8|22,306|15,900 9651 a
» » » |240,2|22,690|16,323 9604
30,20) 3,45| 173,7|320,1|21.396|15,719) 9808
» » » |320,3|21,770|16,121| 9836/0,09843
» » > |320,4|21,169|15,503] 9886
Di qui si deduce che per riscaldare 1 gr. di zinco da 18°
alle temperature indicate nella prima colonna della tabella se-
guente occorrono le quantità di calore indicate nella seconda
colonna.
88 ANDREA NACCARI
I
7,60
14,88
21,51
29,66
La formula con due termini scritta qui sotto fu calcolata
col metodo dei minimi quadrati. Essa dà i valori 9, contenuti
nella 3° colonna della tabella precedente.
q=0,0915(#—18)+22,2.107° (£—18).
Ne segue
1=37=0,0915+ 44,4.107°(f—18).
a
Questa formula dà i seguenti valori di ‘/
r 7
18 0,0915
50 929
100 951
150 974
200 996
250 1018
300 1040 |
Ferro.
116,67| 3,52 435,6! 99,3 15,282/12,721 0,1114
» UD et) A9158/ 12 70/0, 1110 A
» » » | » |15,341|12,763/0,1122| Ciatti
» » | » | » (15,177|12 ,602/0,1119
116,67] 3,52 320,9| 174,3 20,191|13,688°0, 1139 (nd
sa Va » 173,7,21,116|14,634/0,1144 0,1142
Li data » |172,828,480|17, 138|0, 1144
116,67) 3,00] 320,9 246, 30 23 ,659 (13, 606 0,1186,
ua, » » 250,422, 714/16,186/0,1189| 0,1189
i 4 ? 250,4/23, 403/16,874/0,1192)
29, ni ‘345| 173,2) 310198) 711|17, 184/0,1214!
>» | »| » |811,4|22,545/15,987/0,1231|0,1224
» | »| » |809,0|22,150|15,702|0,1226
SU] CALORI SPECIFICI 89
Secondo queste esperienze per riscaldare da 15° a T un
grammo di ferro occorre la quantità 9 data dalla seguente
tabella;
La formula seguente con due termini fu calcolata col metodo
dei minimi quadrati. Essa dà i valori che per i primi due
di» p
punti sì scostano un po troppo dai valori sperimentali.
q=0,10603 (£—15)+53,726.10=%(#— 15)?
Meglio si conforma ai fenomeni la seguente formola di tre
termini.
q=0,10912(#—15)+29,032.10-°(£t—15)° +
+0,048858.10 7 °(#—15).
Questa dà i valori g, registrati nella quarta colonna della
tabella precedente. Se ne deduce
d
y==0,10912+58,064.10-*(f— 15) +
+0,146574.10-5(£— 15),
e quindi
aci pt OL001
50 0,1113
100 0,1151
150 0,1196
200 0,1249
250 0,1309
300 0,1376
La formula con tre termini differisce poco da quella del
Pionchon che è
q=0,11012#+25,533.10-*##4+0,05467.10-9#3,
90 ANDREA NACCARI
Argento.
91,35
»
3:98).IvIyal 59970
» » | »
|
22,774|20,368/0,05581
23,526|21,122| 5681|0,05618
:23,080|20,659| 5641
91,35| 2,98| 311,5) 177,4|16,366|13,544|0,05666
>| » | » |180,6|18,042|15,185| 5685/0,05654
>| >» |» |176,1[17,182|14;424| -5612
91,35] 2,98| 312,9) 256,8|21,654|17,498|0,05730
a E » |20,693|16,501| 5756/0,05739
» | » |» |256,5|21,796|17,647| ‘5730
46,03] 3,45| 173,7 811,4|20,781|15,766|0,05793
>» | » | » !810,8/21,984|16,910] 5827|0,05812
>» |.» |318,2/22,220|17,077| 5817
»
La tabella seguente dà nella seconda colonna la quantità di
calore q necessaria a riscaldare 1 gr. di argento da 23° a T.
CO TORO I
99 4,271 4,241
178 8,767 8,780
257 | 13,438 | 13,453
313 | 16,857 | 16,846
La seguente formula calcolata col metodo dei minimi qua-
drati dà i valori 9g, della tabella precedente.
q=0.054984(#—23)+10,706.10-°(— 23)?
Di qui
d
y=7=0,054984+21,412.10—%(1—28)
Si ha quindi
a &= 128 7 = 0,05498
50 5556
100 5663
150 5770
200 5877
250 5984
300 6091
-SUI CALORI SPECIFICI 91
Rame.
131,7] 2,98| 261,5] 99,4/17,878 13,954/0,09341
» » » 99,3|16,551|12,544 9400)0,09360
» » » » |16,950|12,987 9340
.131,7| 2,98] 320,9| 171,6|20,560|14,609 0093831
i 3 > |170,3|21,830|15,972| 9400|0,09389
“ 3 >» |171,2|21,491|15,593| 9886!
85,1 | 2,98| 312,1| 255,3|22,184|15,740|0,09471
» » » |254,8/22,146|15,691 9509
» » » 254,8 22,933 16,492 9521!) 09514
22,25] 3,45] 173,7] 247,3|19,458/16,242 9559|_?
» » » |248,4|19,027|15,809 9494!
» >» |» |256,2/20,169|/16,848| 9528
22,25] 3,45| 173,7| 323,9|20,329|16,021 0,09556,
» » >» |320,4[21,824|17,579 9580 0,09570
» » +asp918,H271,352/17,121) © 9574
La quantità di calore qg necessaria a riscaldare un grammo
di rame da 17° a 7 secondo l’esperienze riferite, è data dai
valori registrati nella seconda colonna della tabella seguente
cT q q,
99 7,68 7,65
171 14,45 | 14,49
253 22,44 | 22,41
321 29,08 | 29,09
Ì
La formula seguente, calcolata col metodo dei minimi qua-
drati, dà i valori q, contenuti nella terza colonna della tabella
precedente.
q=0,092455(£—17)+10,629.10-(#— 17)?
Di qui
= - 0,092455+21,258.107°(f—17)
92 ANDREA NACCARI
Pertanto a 178 y.= 0,09245
50 9316
100 9422
150 9528
200 9634
250 9740
300 9846
Nichel.
Questo metallo era in cubetti. Era poroso e nel calorimetro
assorbiva del petrolio che bisognava dopo ogni esperienza espel-
lere accuratamente mediante forte riscaldamento.
261,5) 99,3] 15,250 12,517] 0,11041
s » |15,843|13,141|0,1101|0,1101
> > | » > |15,745 13,045] 0,1099
74.35] 2,98] 311,5| 176,2] 19,953) 15,600] 0,1130|
3 brr, 176,3] 17,125| 12,653| 0,1137
» » >» |176,2| 18,696) 14,323] 0,1126|
74,45) 2,98
» »
0,1132
49,67 3,01] 172,9 170,6] 19,644) 14,468| 0,1136
É à > 17,930] 13,741] 0,1132f
49,67 dl 172,9| 20 308,8 19,665] 13,123] 0,1147 VATI
; >» |213,5! 20,518| 13,8141 0,1152|
49,67| 3,01| 172,9| 240,0 21,653| 13,987| 0,1165
5 ; » |258,7|20,726| 14,005| 0,1169/0,1171
Pi >» | >» |261,1|21,329|14,370|0,1178
24,80| 3,45] 173,7| 321,9) 23,531|,17,828| 0,1203
» FA 319,9 22,048] 16,339| 0,1206|0,1205
PIE 22,660| 16,904] 0,1205
Da queste esperienze si deduce che occorre una quantità di
calore g data dalla seguente tabella per riscaldare da 15 a 7°
un grammo di nichel.
T | q | I, do
prtacnizi: |
99 | 9,25 9,25 9,21
174 17,98 17,96. | 18,00
211 22,91 | 22,46 | 22.08 |
252/L'0 20391) 21,0800 2041
321. (000000 90,9
|
36,9
|
SUI CALORI SPECIFICI 93
La curva, a cui spetta l’equazione
q=0,10766 (£— 15) +24,816.10-%(#— 15)°+
+0,053498.10-°(£—15)?
passa per il primo, per il secondo e per il quinto dei punti
dati dalla precedente tabella. Essa passa a così piccola distanza
dagli altri due punti, che si può dire che anche questi giac-
ciono sopra di essa. Il Pionchon trovò invece che una sola for-
mula non poteva rappresentare i valori di 9g da 0 a #, se non
per # minore o tutto al più eguale a 230°. Da questo punto
in su egli trovò necessario di usare un’altra formula, che però
non può essere quella, la quale fu stampata nella sua memoria,
e segnata (6). La vera formula ch'egli deve aver calcolato, dà
26,6 a 230”, mentre la formula spettante al tratto inferiore
dà 26,1. Vi dovrebb'essere dunque secondo il Pionchon un can-
giamento repentino di direzione nella curva che rappresenta il
fenomeno, oppure un salto intorno a quella temperatura. Il
Pionchon ricorda a tale proposito le anomalie che il nichel pre-
senta rispetto ad altre proprietà fisiche a temperatura un po’ alta.
Siccome le mie esperienze calorimetriche non davano alcun in-
dizio di anomalia, feci dell’esperienze col metodo del raffredda-
mento. Introdussi il bulbo di un termometro in apposita cavità
praticata in un cilindretto di nichel, scaldai il tutto fino a 320°,
indi lasciai raffreddare in un ambiente mantenuto a 170° o
a 100°. Costruii la velocità di raffreddamento in funzione delle
temperature, ma non potei scoprire alcuna discontinuità.
Del resto è molto incerto se sia da attendersi un muta-
mento repentino del calore specifico del nichel ad una certa
temperatura, perchè a questa temperatura variano repentinamente
le proprietà magnetiche e termoelettriche di quel metallo. È noto
che il ferro, quando si raffredda dopo esser stato riscaldato fino
all’incandescenza, presenta alla temperatura del rosso scuro il
fenomeno di un repentino riscaldamento, che fu scoperto dal
Barrett (1), ma il nichel, nè alla temperatura, a cui perde le
proprietà magnetiche, nè ad altre temperature, non porge alcun
fenomeno di tal genere (2). Il nichel non presenta nemmeno il
fenomeno del Gore, che si riscontra nel ferro ed ba somiglianza
(1) BarrET, Philosophical Magazine (4) XLVI, 472.
(2) Banret, |. c. e l'omLinson, Philosophical Magazine (5) XXIV. 266.
94 ANDREA NACCARI
con le altre anomalie citate. Infine è da ricordare che in ge-
nerale i mutamenti nell’aggregazione molecolare d’un metallo
solido hanno poca influenza sul calore specifico , sicchè è pro-
babile che questo non muti grandemente in causa di quelle ignote
variazioni che il nichel soffre a certe temperature, e che ci ven-
gono rivelate dai mutamenti delle sue proprietà magnetiche ed
elettriche.
I valori g, della precedente tabella spettano alla formula
seguente con due termini.
q,=0,10569 (£—15)+47,3.10-°(£— 15)
Se ne deduce
]
= y=0,10569+94,60.10-°(£— 15)
e quindi gI0P8 0,1057
50 0,1090
100 0,1137
150 0,1185
200 0,1232
250 0,1279
300 0,1327
Altre esperienze eseguii sopra nichel puro. Esse diedero un
risultato consimile e non indicarono traccia di anomalie.
Antimonio.
76, 6, 3,52] 435,6| 99,4|13,569/12,742/0,05041
» » » » |15,779/14,089 4976|0,05004
VET ge 260055 >» |14,830/12,689 4994
ze ra pale nie aa ln |
127,1 3,52| 320,9] 172,9/20,260|17,095|0,05003
>» |171,3|18,690]15,050 5045/0,05027
» >» |17,663|14,467 5034
127,1| 2,98! 312,1| 251,9/22,158|17,231[0,05046
» » » |246,6]22,/08]17,750 5081
» » » |248,1/[22,213]|17,224 5068
86,7(3,01| 172,9] 247,2]19,731|13,559 5084
43,5] 3,45] 173,7] 322,8|20,877|16,422|0,05146
» » » |320,0|22,117|17,699 5176/0,05157
» » >» |322,8|19,623/15,155 5148
0,05070
SUI CALORI SPECIFICI 95
La tabella che segue contiene nella seconda colonna le
quantità di calore 9g, che secondo l’esperienze testè riferite sono
necessarie per riscaldare da 15° a 7 un grammo di antimonio.
to q |
99 4,20 | 4,17
172 7,89 7,94
249 11,85 11,90
321 Lai gb 75
La formula calcolata col metodo dei minimi quadrati per
l’antimonio è la seguente.
q=0,048896(£—15) +8,359.10-°(f—15).
Essa dà i valori g, della tabella precedente.
d
Se ne deduce ,=7 =0,048896+16,718.10—9(#— 15).
Pertanto a #— Log y= 0,04890
50 4947
100 5031
150 5414
200 5198
250 5282
300 5966
Piombo.
]
160,2] 3,52| 435,6] 99,3/14,514|13,484'0,03058
» » » » |14,132|13,101 3084/0,03075
103,2] 3,4 | 277,8 » |15,240/14,180) 3082
160,2| 2,98] 320,9] 183,9/18,261|15,507.0,03124
5 » » |173,9/18,982|16,431| 8091|0,03099
» » » |173,3|19,294|16,765| 3081
| 249.( 0 20,954|17 ,058 0 0,08154
252,1|]21,928|18,002 3148/0,03149
247,6 21,354|17,495 3147
71,5] 3,45! 173,7| 296,6|19,938[15,779/0,08194
>» |297,4!/21,045|16,894 5191
» |297,5|21,045|16,916 3170
» > i > |296,6[21,094|16,931 3210
0,03191
96 ANDREA NACCARI
La tabella seguente dà i valori della quantità 9 necessaria
a riscaldare da 15° a 7 un grammo di piombo.
Pai ue 4
99 2,58 2,56
i ei pri; 5,02 509
250 7,99 7,41
297 8,99 8,98
La formula seguente calcolata col metodo de’ minimi qua-
drati dà i valori 9, contenuti nella seconda colonna della tabella.
q-=20702993(#— Lo)-L.6,7923,10 (#_-dale
MEL I
Di qui = 3=0:02993+13,5846.10-°(#— 15).
d
Pertanto a 155 g=0,02993
og 3040
100 3108
150 3176
200 3244
250 3312
300 3380
Alluminio.
(37,25 2,98| 435,61 99,3/ 14,869) 12,748] 0,2156
5 " $ » |14,518|12,894|0,2164!) 9164
>» |2,95|171,9) 99,4| 26,268| 22,716] 0,2168|
» » » 99,5] 26,249| 22,692] 0,2166
37,25| 3,01) 172,9) 181,4| 21,360| 13,476] 0,2210
» » » 176,6] 19,604| 13,795] 0,2207
» » » |178,2| 19,016) 13,115] 0,2211
» |2,98| 306,7] 180,4] 21,696) 17,285] 0,2207
9,57| 3,45, 178,7) 255,4| 21,065! 17,723| 0,2246
» » >» |249,5| 19,416] 16,128| 0,2248/0,2242
» » » |255,9] 20,296] 16,958! 0,2233
9,57! 3,45 173,7| 314,0 21,160] 16,987| 0,2272
A $ » |322,0|19,454|15,049/0,2287|) 0079
4 è » |323,0| 20,980) 16,629] 0,2272|
s 3 » |821,9/ 21,707] 17,363] 0,2284 O
02209
SUI CALORI SPECIFICI 97
La tabella seguente dà i valori della quantità di calore ne-
cessaria a riscaldare un grammo di alluminio da 20° a 7.
La formola seguente dà i valori g, della tabella precedente.
Essa fu calcolata col metodo dei minimi quadrati:
q=0,2135(#—20)+47,535.10=9(— 20)?
Di qui
y=54=0,21235 + 95,07.10=5(#— 20)
Pertanto
af 120° y=0,2135
50 0,2164
100 0,2211
150 0,2259
200 0,2306
250 0,2353
300 0,2401
Trascrivo qui sotto i valori dei coefficienti delle formule con
due termini sopra riferite e ridotte alla forma
y=a(1+bt).
De)
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII
98 A. CHARRIER
Ordino 1 metalli secondo i valori ascendenti di ..
77 b. 109
Rame 0,09205 230,8
Antimonio 0,04864 343,7
Argento 0,05449 392,9
Cadmio 0,05461 483,4
Alluminio 0,2116 449,3
Piombo 0,0297383 456,9
Zinco 0,09070 489,5
Nichel 0,10427 907,0
Ferro 0,10442 1029,1
Dal Laboratorio di Fisica della R. Università di Torino
4 Dicembre 1887.
RIASSUNTO
delle osservazioni meteorologiche fatte nei mesi di Gennaio,
Febbraio, Marzo e Aprile 1887 nell’Osservatorio astro-
nomico della R. Università di Torino
dall’Assistente Prof. ANGELO CHARRIER
Gennaio 1887.
La media delle altezze barometriche osservate in questo mese
è 39,97. Essa è inferiore di mm. 0,06 alla media di gennaio
degli ultimi ventun’anni.
Le variazioni non furono numerose; se ne ebbero delle rapide
e di ragguardevole ampiezza. Il quadro seguente dà i valori mas-
simi e minimi osservati.
OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE 99
Giorni del mese. Massimi. Giorni del mese. Minimi.
+ tO 89,13 dette ve 19,48
1. art PIRO 4375 POE PAN, 36,69
20) Si VE EIA Hi.7S TICS 43,62
7, RAR 53,84 2 Med de 45,81
La temperatura massima -+ 6°,9 si ebbe nel giorno 31, e
la minima —10°,3 nel giorno 7. La media —1°,8 è inferiore
di 2°,5 alla media di gennaio degli scorsi ventun’anni. — Sette
furono i giorni con pioggia o con neve, e l'altezza dell’acqua ca-
duta fu di mm. 56,6.
Il quadro seguente dà la frequenza dei singoli venti :
NONNE NE ENE E RSE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW
e nnt I 104 TONINO 401. 1001 LORO. 0
Febbraio 1887.
La media delle pressioni barometriche osservate in questo
mese è 44,35; superiore di mm. 5,27 alla media di febbraio
degli ultimi ventun’anni. -—- I valori massimi e minimi osservati
sono i seguenti :
Giorni del mese. Massimi. Giorm del mese. Mimi.
i». 53,90 ife SO 38,59
330 e “I a 47,21 LOR e 38,99
MEA CISTI! IO io 35,79
A... , 48,14 DO e 42,51
DCR 54,32
La temperatura in questo mese ha per valor medio + 5°,7;
supera di 0°,9 la temperatura media di febbraio degli ultimi
ventun’anni. Le temperature estreme — 8°,7 e +9°,9 si eb-
bero rispettivamente nei giorni 19 e 26.
L’acqua caduta raggiunse l’altezza di mm. 22,8 proveniente
da neve o da pioggia caduta in quattro giorni.
Il quadro seguente dà la frequenza dei venti nelle singole
direzioni.
NO NNE NE ENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW
MET. e LR 1 ST SÙ NO
100 A. CHARRIER
Marzo 1887.
L'altezza barometrica in questo mese ha per valor medio
36,30. Questa media supera di mm. 0,93 la media delle altezze
barometriche di Marzo degli ultimi ventun’anni. Le sue variazioni
furono di considerevole ampiezza, come si può rilevare dal seguente
quadro, che ne contiene i massimi e minimi valori :
Giorni del mese. Minimi. Giorm del mese. Massimi.
[O ARS e DERE 86,92 ME PZ E 43,75
e done 21,62 IV Lal 44,14
oo an 30,84 Dibi pete 39,85
2 RSI 31,52
La temperatura ha in questo mese per valor medio + 8°,1:
valore che supera di 0°,5 il valor medio della temperatura di
marzo degli ultimi ventun'anni. il minimo valore della temperatura
— 0°,7 si ebbe nel giorno 19, il massimo + 17°,4 nel giorno 4.
Si ebbero sei giorni con pioggia leggiera, e l'altezza del-
l’acqua caduta fu di mm. 13,95.
La seguente tabella dà il numero delle volte che spirò
ciaschedun vento.
NO NNE NE RENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW
6 Gis23i 9 12:90 de Bid 11. 260/4006 - 3
Aprile 1887.
La pressione media barometrica (35,79) supera la media
delle pressioni d’aprile degli ultimi ventun’anni di mm. 1,48, Essa
fu alquanto variabile, come si può rilevare dal quadro seguente:
Giorni del mese. Massimi. Giorni del mese. Minimi.
daelorca 37,95 AR: 24,58
ce gags beso 42,61 LET 29,24
IT 45,87 a a i 30,42
Dn. 43,39
La temperatura media di questo mese è di + 11°,2 inferiore
di 1°,6 alla temperatura media di aprile degli ultimi ventun’anni,
OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE 101
Le temperature estreme + 0°,6 e +20,2 si ebbero nei giorni 2
la prima, 29 la seconda.
Si ebbe pioggia in nove giorni, e l'altezza dell’acqua rac-
colta nel pluviometro fu di mm. 98, 6.
Il quadro seguente dà il numero delle volte che spirò il vento
nelle singole direzioni.
NO NNE NE ENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW
00 ET e IV EVE
Il Direttore della Classe
ALFONSO Cossa.
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SOMMARIO
Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali.
ADUNANZA del':4 Dicembre: 14987 iu tea e ea Pag.
OruL — Contribuzione allo studio della circolazione del sangue. . »
Japanza — Sul calcolo degli azimut mediante le coordinate rettilinee »
NaccarI — Sui calori specifici di aleuni metalli dalla temperatura
ordinaria. finda:320* 14 e ee A SO E e a »
CHaRRIER — Lavori dell’Osservatorio astronomico di Torino ... . ‘»
49
50
61
79
98
ATTI
DELLA
R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE
DI: EOREINO
PUBBLICATI
DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI
Vox. XXIII, Disp. 3', 1887-88
Le
Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali
TORINO
ERMANNO LOESCHER
Libraio della R. Aecademia delle Scienze
103
CLASSE
DI
SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza del 18 Dicembre 1887.
PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ARIODANTE FABRETTI
VICEPRESIDENTE
Son presenti i Soci: Cossa, LESsonAa, SALVADORI, BRUNO
BeRrKUTI, Basso, D’Ovipio, NaccarI, Mosso, SPEZIA, GIACOMINI.
Si legge l’ atto verbale dell'adunanza precedente che viene
approvato.
Il Socio SPEZIA presenta in dono all'Accademia, per incarico
dell'Autore, sei lavori pubblicati dal Dott. Federico SAcco sopra
argomenti di geologia.
Le comunicazioni e le letture si succedono nell'ordine se-
guente :
1° Relazione intorno alla Memoria del Dott. C. SEGRE
Sulle varietà cubiche dello spazio a quattro dimensioni, e
su certi sistemi di rette e certe superficie dello spazio ordi-
nario » , del Socio D’Ovipio, condeputato col Socio GENOCCHI.
2° « Su alcune anomalie di sviluppo dell’ Embrione
Umano », del Socio GIACOMINI.
3°. « Studio geologico dei dintorni di Guarene d'Alba ».
del Dott. Federico Sacco, presentato dal Socio SPEZIA.
Da ultimo il Socio Basso presenta per la consueta pubbli.
cazione nel Bollettino annesso agli Atti le Osservazioni meteo-
rologiche dei mesi di Maggio, Giugno, Luglio ed Agosto 1887,
eseguite nell’Osservatorio astronomico della R. Università di To-
rino per cura dell’Assistente Prof. Angelo CHARRIER. Sono uniti
a dette Osservazioni i riassunti e le medie mensili coi relativi
diagrammi.
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII 8
4°. as AAÙÙALI ALTA
ge
104
RELAZIONE sulla Memoria del Dott. Corrapo SEGRE « Sulle
varietà cubiche dello spazio a quattro dimensioni e su certi
sistemi di rette e certe superficie dello spazio ordinario ».
Scopo principale di questa Memoria si è lo studio, non della
varietà cubica generale di uno spazio lineare S,, ma di quelle
particolari che hanno punti singolari; facendo così l’analogo della
classificazione data dallo Schlifii delle superficie cubiche di S,.
— Nè la classificazione è fatta nel senso di stabilire tutti i casi, che
sarebbero innumerevoli; ma sono esposti soltanto i principali, dalla
cui combinazione si trarrebbe poi una classificazione completa.
Sebbene un lavoro di classificazione sovente riesca pesante,
pure tale non riuscì questo all’A., grazie alla molteplicità delle
questioni che gli si presentarono. Fra le varietà cubiche studiate
spiccano quelle generabili da tre reti proiettive di spazî, che nel
caso generale hanno 6 punti doppî, ma possono averne 7, 8, 9,
10 (il quale ultimo caso fu già trattato dall’A. in una Nota
precedente, che in gran parte rientra nella presente Memoria),
e possono anche acquistare linee doppie.
Tutti questi casi sono successivamente studiati dall’A., e sono
stabilite le condizioni cui devono soddisfare gli elementi singolari
perchè sia possibile la detta generazione proiettiva. Sono studiati
i casi principali che possono presentarsi circa i punti doppî di
specie superiore (ed è anzi data qualche proposizione valida per
qualunque dimensione e qualunque ordine di varietà). — Note-
voli poi sono le varietà cubiche con linee doppie o con piano
doppio: le linee doppie possono essere una o due o tre rette,
una 0 due coniche, una quartica. — Una retta od una conica
doppia può essere di specie superiore (analogo delle linee cus-
pidali delle superficie ordinarie). E quanto alla retta doppia di
2° specie, si ha una distinzione di casi che non ha l’analoga
nello spazio ordinario, e che si presenta pure (come nota lA.)
per le rette doppie di varietà di ordine e dimensione superiore;
essa dipende dalla classificazione dei fasci di coni quadrici trat-
tati dall'A. in una Nota anteriore.
105
L’A. applica man mano i risultati che va ottenendo intorno
alle varietà cubiche, allo studio di quelle superficie di 4° e di
6° ordine che si ottengono come contorni apparenti di tali va-
rietà nello spazio ordinario rispetto a un punto che appartenga
o no ad esse. I sistemi di rette contenuti nelle diverse varietà,
e che son sempre esaminati dall’A., dànno come proiezioni quei
sistemi di rette che hanno le dette superficie come focali. Ed
è così che vengono studiati in modo affatto nuovo i sistemi di
rette di 2° ordine e di classe 2, 3, 4, 5 e 6 (2* specie) già
studiati dal Kummer, nonchè varî nuovi sistemi di rette di 3° or-
dine che presentano analogie con quelli; ed altri sistemi di rette
d’ordine superiore s'incontrano in questo modo. Alcune delle su-
perficie di 4° e 6° ordine dianzi nominate eran già note, p. es.
le focali dei suddetti sistemi di rette di 2° ordine, le superficie
di 4° ordine a conica doppia o cuspidale, ecc.; di molte altre
son date le proprietà per la prima volta in questa Memoria.
Sulla fine del lavoro l’A., mediante due proiezioni di varietà
cubiche sullo spazio ordinario, ottiene certe notevoli trasforma-
zioni doppie o triple di questo spazio, per le quali quelle su-
perficie sono doppie.
L'argomento della Memoria è dunque molto importante ; i
risultati cui l'A. giunse sono nuovi ed interessanti; ed il metodo
di ricerca è elegante ed assai fecondo.
Questo lavoro aggiunge un nuovo saggio ai molti già dati
dall’A., della utilità che offre la teoria degli spazi lineari di più
che 3 dimensioni, sia considerata in sè stessa, sia applicata, me-
diante la proiezione nello spazio di tre dimensioni, a ricercare
le più riposte proprietà dei sistemi di rette e delle superficie
appartenenti allo spazio medesimo.
E però i sottoscritti volentieri propongonc alla Classe che la
presente Memoria venga ammessa alla lettura, per la inserzione
nei volumi delle Memorie accademiche.
A. GENOCCHI.
E. D’OvipIo, relatore.
La Classe, accogliendo le conclusioni della Relazione, delibera
la lettura di questo lavoro, e poscia ne approva la pubblicazione
nei volumi delle Memorie accademiche.
PS
106 C. GIACOMINI
Su alcune anomalie di sviluppo dell’embrione umano,
del Prof. C. GIACOMINI
Nota 1°.
Lo studio delle deviazioni nello sviluppo dei primissimi stadi
della specie nostra si può dire appena iniziato. Mentre noi pos-
sediamo descrizioni minute e sotto ogni rapporto esatte delle
deformità che può presentare il prodotto del concepimento, quando
è già entrato nel periodo fetale, e tutti gli organi sono già
ben differenziati, poco sappiamo di quelle che riguardano l’em-
brione propriamente detto. His nella sua monumentale opera
sull’ anatomia dell’ embrione umano: ( Anatomie menschlicher
Embryonen, Fasc. II, pag. 98) riproduce col disegno diverse
deformità da lui osservate; ma nel testo si limita ad una de-
scrizione sommaria, ad una semplice enumerazione, rimandando
ad altra epoca uno studio completo di esse. Non è adunque il
materiale che manchi, essendo che oggidì è ben dimostrato che
negli aborti dei primi due mesi è relativamente frequente di
osservare embrioni deformati: e non pochi degli embrioni umani
che io ho potuto esaminare erano infatti patologici. La ragione
principale, per cui noi difettiamo di studi sopra questo campo,
si è che non è ancora ben conosciuta e stabilita la condizione
normale di sviluppo nella specie nostra.
Quando si ha la fortuna di avere embrioni umani delle prime
settimane e si studiano con accuratezza e diligenza appunto come
si merita un materiale così prezioso, riscontrando delle partico-
larità le quali si allontanano da quanto noi conosciamo sullo
sviluppo degli animali più vicini all'uomo, sorge sempre il dubbio
se l'oggetto da noi studiato appartenga o no allo stato normale.
Generalmente però si ha la tendenza di considerarlo come
tale, ed allora si cerca di interpretare le diverse disposizioni
riscontrate, tentando di ricondurle agli schemi più o meno ipotetici
ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO 107
che hanno dominio nella scienza, senza riescire sempre e com-
pletamente allo scopo.
Noi siamo quindi ancor lontani dal poter stabilire le leggi
che regolano la produzione di così fatte anomalie, per ora lo
scopo nostro deve essere più modesto, limitandoci alla descri-
zione esatta e precisa di quanto cade sotto la nostra osserva-
zione lasciando ad altra epoca, quando le descrizioni si saranno
moltiplicate, il trarre conclusioni che sorgano spontanee dal con-
fronto dei diversi casi osservati, e che servano ad interpretare
l’origine ed il significato di così frequenti disposizioni.
In principio dello scorso Maggio io riceveva dall’amico e col-
lega Mo, un ovulo umano che era stato emesso poche ore prima
da una donna di anni 30 la quale ebbe già due parti a ter-
mine ed un aborto nel primo anno di matrimonio.
Messo nel liquido picro-solforico ed esaminato esso si presen-
tava sotto la forma di un ovo di piccione, con una grossa estre-
mità globosa ed una piccola estremità un po’ assottigliata, la
quale probabilmente era quella che corrispondeva al collo del-
l'utero. La massima parte della superficie era coperta dalla ca-
duca ovulare; un piccolo tratto era completamente libero ed è
qui dove esistevano le villosità del corion molto numerose e
sviluppate, ed in questo punto le membrane erano già state rotte
durante il periodo d’espulsione: circostanza questa che io devo
molto deplorare, poichè lascia libero il campo ad interpretazioni
diverse.
Così galleggiante nel liquido il massimo diametro longitudinale
misurava 4 cm., il trasvers. 2 x
Sulla superficie del Corion le villosità erano ben sviluppate
ma non uniformemente disposte, l'altezza nella parte libera della
caduca era in media di 5 mm. Esse si presentavano ben rami-
ficate e con conformazione normale. Sulla faccia opposta al punto
dove esisteva l'apertura dell’ovulo, le villosità mancavano affatto
ed il Corion si presentava liscio e strettamente applicato alla
caduca.
Per questi caratteri l’ovulo poteva corrispondere alla fine del
1° mese di gravidanza o tutto al più al principio del 2° mese, ed
all’interno si doveva trovare un embrione della lunghezza almeno
di 10 a 12 mm. Allargando l’apertura con una incisione delle
membrane in alto ed in basso si mise allo scoperto tutta la ca-
108 C. GIACOMINI
vità dell’ovulo. Ma essa era completamente vuota. Sul principio
ho creduto che l'embrione fosse sbucciato fuori appena fu aperta
la cavità, ed attesa la sua piccolezza ed il suo stato gelatinoso
e trasparente fosse andato perduto. Ma per quanto cercassi il
punto d’inserzione del funicolo, non mi venne dato di trovarlo.
La superficie si presentava perfettamente liscia e regolare, in tutta
l'estensione, senza traccia di violenza subita. Portando più in
special modo la mia attenzione verso il fondo della cavità, notai
l'esistenza di due piccole vescichette ben distese da liquido, con
pareti molto sottili e regolari e perfettamente trasparenti. Erano
poste l’una accanto all'altra senza aderire fra loro. Una più
piccola, l’altra un po’ maggiore e' questa è quella rappresentata
nella fig. 1. Essa misurava un diametro da 5 a 6 mm. .Erano
libere in quasi tutta la loro estensione, solo per un piccolo tratto
aderivano alla superficie che limitava la cavità, vale a dire al
Corion. Non erano però peduncolate, ma sembravano come appic-
cicate per un tratto della loro superficie. Per il loro piccolo volume
queste vescicole non occupavano che una minima parte della ca-
vità circoscritta dal Corion.
Questo è quanto si poteva notare ad un semplice esame di-
retto, coadiuvato anche dalle lenti d’ingrandimento. Volendo meglio
conoscere i rapporti di queste formazioni con il Corion, del quale
sembravano una dipendenza, e studiare la loro intima costitu-
zione, l’una e l’altra vennero separatamente isolate insieme ad
un tratto più esteso del Corion sul quale sorgevano, colorate
col carmino-borace, incluse in paraffina, e divise col microtomo
in un numero indefinito di sottili sezioni che vennero tutte con-
servate nella gomma Damar nell’ordine col quale venivano fatte.
In questi preparati non solo si può studiare la struttura delle
vescicole, ma ancora del Corion e delle villosità che sorgevano
numerose dalla superficie esterna di esso.
Nel trasportare l’ovulo dal liquido picro-solforico nell’alcool
a diversi gradi di concentrazione, le vescicole divennero meno
trasparenti, e nel liquido entro contenuto si formò un leggero pre-
cipitato. L’inclusione in paraffina produsse naturalmente un raggrin-
zamento delle vescicole per cui nelle sezioni le pareti si presen-
tavano sotto forma di un nastricino o meglio di un sottilissimo
filo, irregolarmente disposto, ma la cui continuità poteva essere
facilmente seguita.
Questa disposizione irregolare della parete delle vescicole ca-
ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO 109
gionò un altro fatto che merita d’essere tosto notato. In molte
sezioni accanto al preparato principale si incontrano dei cerchi
completamente chiusi, i quali farebbero credere alla esistenza di
vescicole secondarie indipendenti, disposte attorno alla vescicola
maggiore. Ma ciò non è che effetto del diverso ripiegarsi della
parete della vescicola, la quale venendo dalla sezione colpita in una
di queste ripiegature, dà l’idea di una cavità secondaria; ma
esaminando le sezioni successive si vede come la parete di questa
si continui con quella della vescicola principale.
La costituzione delle due vescicole ed il loro modo di com-
portarsi con il Corion è perfettamente identico. Solo nella vesci-
cola minore le pareti sono un po’ più robuste in rapporto
evidentemente al diverso grado di distensione che esse hanno su-
bito. Questo effetto meccanico si fece sentire pure sui. diversi
punti delle pareti della stessa vescicola. Esse infatti non pre-
sentano egual spessore, raggiungono la massima sottigliezza nella
parte più lontana dal punto d’impianto sul Corion e vanno gra-
datamente aumentando quanto più ci portiamo verso il pedun-
colo d’inserzione (vedi Fig. 2° e 3°).
In qualunque punto però si esamini la parete risulta costituita
da due strati, uno interno epiteliare e l’altro esterno connettivo. Lo
strato epiteliare conserva in tutta l'estensione la medesima apparenza,
esso è formato da un unico strato di cellule fortemente appiattite.
Il nucleo in sezione è ovalare e un po’ sporgente nella cavità,
visto di fronte invece è sferico con granulazioni variamente sparse
qua e là. La sola circostanza a notarsi si è che i nuclei di
questo strato ci appaiono più avvicinati là dove la parete ha
un certo spessore e quindi in corrispondenza del punto d’inser-
zione della vescicola sul Corion; più distanti invece nei tratti più
sottili della parete (vedi Fig. 4°).
Lo strato esterno è quello in dipendenza del quale risulta
in principal modo il diverso spessore della parete delle vescicole.
Esso è una continuazione del tessuto stesso del Corion, risulta
quindi costituito da un tessuto connettivo lasso con cellule fu-
siformi. Queste sarebbero disposte in diversi ordini nella parte
più robusta della parete; nella porzione sottile questo strato è ri-
dotto ad un semplice velamento che serve di sostegno all’epitelio
sottostante. Ciò si osserva in principal modo nella parte più
eccentrica della vescicola maggiore, dove la parete ad un su-
perficiale esame sembra risultare dal solo strato epiteliare interno.
110 C. GIACOMINI
Non esiste una stretta connessione fra questi due strati, per
cui facilmente si possono allontanare l'uno dall’altro, come av-
venne in diversi punti sotto l’azione dei reagenti cui fu sotto-
posto il preparato. In questi tratti la loro costituzione ed indi-
pendenza è resa meglio evidente.
Il Corion non presentava nulla di notevole. Ha spessore non
uniforme e questo è un po° maggiore nei punti dove sorgono le
vescichette. I due strati risultano costituiti nel modo conosciuto.
Dalla superficie esterna del Corion e principalmente nel punto
corrispondente alle vescichette sì originano numerose villosità ,
le quali vennero colpite dalla sezione nel modo più svariato.
Non ho potuto rilevare in esse la presenza di vasi sanguigni.
Sono tutte limitate da un doppio ordine ben evidente di cellule
epiteliari, regolarmente disposte e fuse insieme. La parte essen-
ziale del villo è formato da tessuto connettivo lasso con mag-
giore o minore abbondanza di elementi cellulari. Questo riempie
completamente lo spazio circoscritto dallo strato epiteliare; però
in alcune villosità lo stroma appariva come raggrinzato o rac-
colto alla parte centrale del villo, lasciando così uno spazio
manifesto tra esso ed il rivestimento epiteliare. In questi casi
gli elementi dell'epitelio si dimostravano molto ben distinti ed
indipendenti dal sottoposto stroma.
L’aderenza delle due cisti alla faccia interna del Corion si
operava nello stesso modo. Le sezioni fatte in corrispondenza di
questo punto dimostravano come il tessuto connettivo fosse più
robusto, e come esso si continuasse, senza nessuna linea di con-
fine sulla superficie stessa delle vescicole formando così lo strato
esterno delle pareti di queste.
Questo strato conserva meglio i caratteri del tessuto con-
nettivo del Corion e come abbiamo già detto si presenta più ro-
busto in vicinanza del punto d’inserzione; invece sul punto op-
posto delle vescicole si fa più sottile, e si modifica d’alquanto per
effetto del distendimento.
Il tratto d'inserzione della piccola vescicola è più ristretto,
per cui essa ci appare quasi peduncolata; nella vescicola mag-
giore invece l'aderenza è più estesa.
Da quanto siamo venuti discorrendo appare evidente come
le due vescicole osservate nel nostro aborto siano una vera di-
pendenza del Corion.
Ma per completare la descrizione occorre di notare una cir-
ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO UPLSI
costanza, la quale secondo me ha grande importanza per spie-
gare il modo di origine di siffatte produzioni. Nello spessore
del tessuto connettivo che serve a congiungere la superficie in-
terna del Corion con le vescicole, si osservano degli spazi ben
circoscritti; limitato e circolarmente disposto è quello che si trova
nel peduncolo della piccola vescicola; più ampio e più irregolare
è nella maggiore.
Questi spazi sono rivestiti alla lor faccia interna da uno
strato di cellule ben evidenti con nucleo rotondeggiante e proto-
plasma leggermente granuloso. Le cellule sono molto avvicinate
fra loro e quasi fuse insieme. Esse sono sostenute all’esterno dal
connettivo del Corion, col quale però si trovano molto lassa-
mente unite, occorrendo di osservare in molte sezioni un alion-
tanamento dello strato cellulare dal connettivo del Corion.
Non vi ha alcun dubbio, che queste cavità sono in stretta con-
nessione colle vescicole studiate, costituendo uno dei primi stadi
del loro sviluppo. Se le cellule che formano il rivestimento interno
ci appaiono con caratteri un po’ diversi da quelli che presentano
le cellule epiteliari delle due vescicole, ciò dipende non da altro
che dal diverso grado di sviluppo che hanno avuto questi spazi.
Questi elementi possono essere ben studiati nella fig. 3 dove es-
sendo allontanati dallo strato connettivo, ed essendo colpiti dalla
sezione in piani diversi, essi si presentano colla massima evidenza
dimostrando il loro carattere epiteliare.
Descritti così i caratteri anatomici ed istologici delle due
vescicole rimane a stabilire quale significato esse abbiano, ed in
quali rapporti esse fossero col nuovo individuo che stava svilup-
pandosi in quest’'ovo.
La prima idea che viene alla mente, si è che fossero il rap-
presentante dell'embrione, o meglio che esse procedessero da un
deviato sviluppo degli elementi che dovevano produrre l’embrione
o le sue parti annesse. Questa idea avrebbe maggior fondamento
se noi potessimo essere certi della mancanza dell’ embrione ,
escludendo in modo assoluto il dubbio che esso non fosse sfug-
gito per l'apertura che si produsse nelle membrane, prima di
essere da noi esaminate. E noi troveremmo in allora un facile
appoggio al nostro concetto, consultando gli autori, essendochè
non è troppo raro di vedere descritte vescicole di forma sferica
od ovale alla faccia interna del Corion, e considerate come l’em-
brione nelle primissime fasi di sviluppo.
113172 C. GIACOMINI
E mi basta qui accennare che His nel fascicolo II, pagg. 32
e 87-88 descrive e figura (36 e 47) uno dei suoi più giovani
embrioni (XLIV), che egli considera come normale, il quale si
presenta un po’ diversamente dagli altri risultando esso di due
produzioni applicate alla faccia interna del Corion per mezzo di
uno stelo molto corto, l'una elissoidale non trasparente, e l’altra
produzione consistente di una vescica trasparente ad esso unita.
La prima egli considera come la vescicola ombellicale, insieme
ai rudimenti embrionali, la seconda come amnios. L'esame mi-
croscopico non essendo stato fatto, l’His dà questa interpretazione
come provvisoria, rimandando ad un esame più accurato un
giudizio definitivo. Però le apparenze macroscopiche, sono
tutte favorevoli per una stretta affinità col caso da me soprade-
scritto.
Più recentemente il Chiarugi (Di un uovo umano del prin-
cipio della seconda settimana, Siena, 1887) ha descritto un
ovulo umano al principio della seconda settimana, nella cavità del
quale si trovava una vescichetta bilobata che per un’ampia su-
perficie aderiva alla faccia interna del Corion. Essa fu sezionata
in tutta la sua estensione, e l’esame microscopico dimostrò quanto
segue:
« Essa era costituita da varii strati di cellule mal delimi-
tabili nel loro contorno, assai fittamente riunite, provviste di
nucleo rotondo o ovale. Nel tratto assai esteso col quale la
vescichetta prendeva inserzione sulla parete interna dell’uovo gli
elementi connettivi dello strato mesodermale del Corion si con-
fondevano e si continuavano gradatamente con quelli delle pareti
della vescichetta e tanto da poter ritenere che identica fosse la
natura degli uni e degli altri, come del resto era rivelata dal
loro aspetto e particolarmente dall’apparenza dei nuclei cellulari.
Variava solo alquanto la disposizione degli elementi, che nelle
pareti della veschichetta erano più strettamente avvicinati. Le
cellule che tappezzavano la cavità della vescichetta erano dispo-
ste, con maggiore regolarità ed apparivano come elementi appiat-
titi formanti uno strato continuo.
Il Corion era in quel punto costituito come nel rimanente della
faccia uterina e mediale dell’uovo, ed era anche quivi provvisto
di villosità acute e ramificate » (pag. 14).
Ho voluto riprodurre testualmente la descrizione del Chia-
rugi, per dimostrare come essa sia perfettamente identica a quella
ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO 1153
che io ho dato più sopra della costituzione delle pareti delle due
vescichette e del modo loro di connessione col Corion.
Il Chiarugi avendo raccolto l’ovulo intero, ed avendolo aperto
con tutte le precauzioni volute, non trovò nell’interno della cavità
che un liquido mucilaginoso e la vescichetta sopra descritta,
come unico rappresentante dell'embrione. Questo fatto può venire
in appoggio dell'idea che anche nel nostro caso le cose stessero
in questi termini, vale a dire che le due vescichette fossero le
sole parti contenute nella cavità del Corion, e che non esistesse
traccia del nuovo individuo che doveva svilupparsi.
Ammesso adunque che l’embrione mancasse non per essere
uscito dalla apertura delle membrane, ma per un difetto nello
sviluppo, si tratta di vedere se le due produzioni riscontrate
alla faccia interna del Corion possono essere considerate come
dipendenze del medesimo, ed abbiano avuto origine dagli elementi
stessi embrionali deviati dalla loro normale evoluzione.
Dalla descrizione che abbiamo fatto, appare evidente che
queste vescichette sono di provenienza embrionaria, esse hanno
troppo intimi rapporti, e stretti legami con il Corion blastoder-
mico, per poterli considerare diversamente. Ma nello stesso tempo
crediamo pure ad una perfetta indipendenza di esse dagli elementi
propri dell'embrione, vale a dire che non possiamo considerarle
come rappresentanti dell'embrione, ma semplicemente come pro-
duzioni del Corion. L'arresto o la scomparsa dell'embrione può
avere avuto una influenza sullo sviluppo di queste produzioni, ma
esse certamente si sono originate dagli elementi del Corion e non
da quelli propri dell'embrione.
È qui d’uopo che accenni ad una particolarità che presen-
tava il Corion in corrispondenza del punto dove aderivano le
vescichette, particolarità la quale può dar fondamento ad una
ipotesi, che valga a spiegare l’origine loro. Se si esamina la su-
perficie esterna del Corion nelle sezioni della vescicola maggiore,
sì scorge come essa, non si presenti regolare siccome osserviamo in
tutti gli altri punti, ma presenti invece un affondamento verso la
superficie interna, il quale si va dividendo, per modo da assumere
l'aspetto di una ghiandola rudimentale a grappolo, con due o tre
acini e con un condotto escretore breve. La superficie tanto degli
uni quanto dell'altro sono rivestite dall’ epitelio del Corion, il
quale non presenta nessuna modificazione da quello che si dispone
su tutto il resto della superficie coriale. Questa disposizione che
114 C. GIACOMINI
io ho riscontrato, solamente in questo punto, si mantiene per
una certa estensione della superficie sulla quale aderisce la ve-
scicola (vedi fig. 3° £).
Ora riesce facile il comprendere che se uno dei fondi ciechi
esageri la sua forma globosa, e nello stesso tempo il connettivo
coriale proliferi in corrispondenza della parte più ristretta, per
mezzo della quale esso è ancora riunito alla superficie del Corion,
può avvenire una separazione completa di esso e così aversi in
mezzo al connettivo del Corion un follicolo chiuso, rivestito alla
sua faccia interna da uno strato epiteliare. Ora supponendo che
nell’interno di questo follicolo chiuso si vada producendo del li-
quido, esso andrà aumentando in volume e così si avranno tutti
gli stadi che abbiamo osservato nel nostro caso. E diffatti nel
pedunculo della vescicola minore abbiamo notato l’esistenza di
una cavità rivestita di epitelio che potrebbe rappresentare uno
dei primi stadi; nel peduncolo della vescicola maggiore, si trova
una cavità più ampia rivestita pure essa da epitelio, il quale
però va già modificandosi nei suoi caratteri, e che potrebbe con-
siderarsi come uno stadio ulteriore di sviluppo, finchè continuando
l'accrescimento in volume si avrebbe un ultimo stadio rappresen-
tato dalle due vescicole che facevano sporgenza nell’interno della
cavità del Corion.
Nè a questo punto si sarebbe arrestato il processo, se l’ovulo
avesse continuato a rimanere nella cavità uterina, altre vesci-
cole probabilmente si sarebbero di nuovo prodotte, le già esi-
stenti avrebbero aumentato in volume, dando origine così ad
un’ alterazione del Corion, la quale, non so, se sia già stata de-
scritta a questo periodo di sviluppo. Sono molto scarse infatti
le notizie che noi abbiamo intorno alla patologia del Corion
nelle prime settimane della vita endouterina, e queste riguardano
quasi esclusivamente le villosità, attesa la loro grande importanza
funzionale.
Non è d’uopo che io ripeta che il modo con cui ho cercato
di rendermi ragione della formazione delle particolarità osservate
nell’ovulo è una pura ipotesi, la sola però che si presenti la più
razionale. Ed io l’ho accolta tanto più volentieri in quanto che
essa è indipendente dalle condizioni di esistenza o no dell’em-
brione.
]l caso descritto dal Chiarugi, io reputo della stessa natura
di quello che siamo venuti ora studiando.
GIACOMINI- Anomalie di sviluppo dell'Embrione Umano.
AC CAPITOLI
6
ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO DIS
SPIEGAZIONE DELLE FIGURE
Fig. 1° Cavità dell’ ovulo aperta. Sulla superficie interna del
p I
Corion si osserva la vescicola maggiore V. La vescicola
minore era già stata esportata per essere studiata.
Fig. 2° Una sezione della vescicola minore in corrispondenza del
punto dove si inseriva al Corion. P peduncolo nello
spessore del quale si nota uno spazio circolare rive-
stito da epitelio F.
Fig. 3° Una sezione della vescicola maggiore nella parte media
della sua aderenza al Corion. Anche qui si trova nello
spessore del Corion una cavità Y abbastanza ampia ri-
vestita da epitelio: in £ si osserva un affondamento
dell’epitelio del Corion verso il tessuto mesodermale.
— © Corion — H sezioni di villosità — XX pareti
della vescicola.
Fig. 4° Dimostra la costituzione dei due strati che formano le
pareti delle vescicole (Ocul. 3 obiettivo 9) Microscopico
Koristka). — A epitelio — B strato connettivo.
116 FEDERICO SACCO
Studio geologico dei dintorni di Guarene d’Alba
del Dott. FEDERICO SACcco
CONSIDERAZIONI GENERALI SULLA PALEOFITOLOGIA TERZIARIA
DEL PIEMONTE.
Mentre numerosissime sono, nel bacino terziario del Piemonte,
le località che divennero famose per la loro ricchezza in resti di
animali fossili, pochissime invece sono quelle che fornirono, in
qualche abbondanza, resti di vegetali, ed anzi esse possonsi rag-
gruppare in tre principali, cioè: pel miocene inferiore le vici-
nanze di S. (Giustina nell'Appennino settentrionale; pel miocene
medio alcune poche località dei colli torinesi e pel miocene su-
periore le vicinanze di Guarene d’Alba.
° I banchi fillitiferi del Tongriano interiore di S. Giustina, i
cui stupendi fossili furono accuratamente raccolti da Don Per-
rando, vennero già descritti dall’Issel (1) ed i terreni che li com-
prendono già segnati in una recente carta geologica (2).
Delle marne dure fillitifere dei colli torinesi ebbi già ad in-
dicare in altro lavoro lo sviluppo e la precisa posizione geologica
costituendo esse, quasi da sole, il piano Langhiano (3).
Invece della regione fillitifera di Guarene d’Alba, quantunque
già abbia avuto a trattare (4) in un esame generale del Mes-
(1) A. IsseL, Note intorno al rilevamento del territorio compreso nei fogli
di Cairo Montenotte e Varazze. Boll. R. Com. geol. ital. , serie II, vol. VI,
1885.
(2) A. IsseL, L. MazzuoLi e D. Zaccagna, Carta geologica delle Riviere
Liguri e delle Alpi Marittime. Genova, 1887.
(2) F. Sacco, / Colli torinesi. Carta geologica alla scala di 4/00, Torino,
1887.
(4) F. Sacco, Il piano Messiniano nel Piemonte (due parti, Mondovì-
Guaréne e Guarene-Tortona) Boll. Soc. geol. ital., vol. V e VI, 1886 e 1887.
STUDIO GEOLOGICO DEI DINTORNI DI GUARENE D'ALBA 117
siniano in Piemonte, tuttavia non venne finora fatto alcun la—-
voro particolare, nè pubblicata alcuna carta geologica dettagliata,
per cui in considerazione non solo dell'importanza paleontologica
ma anche geologica della regione ultimamente accennata, creco
opportuno di presentarne uno studio particolare, unendovi la
carta geologica in grande scala, ma tralasciando però di farne
l'esame paleontologico che venne già maestralmente eseguito spe-
cialmente da Eugenio Sismonda (1) e riassunto nei miei preac-
cennati lavori.
Debbo però notare prima d'’entrare in argomento, come la
indicata scarsità di resti fossili vegetali nei terreni terziari del
Piemonte è piuttosto apparente che reale, e dipende essenzial-
mente dal non essersi eseguite in proposito accurate ricerche se non
che in pochissime località; prova evidente di ciò è il fatto, che le
ricchezze paleofitologiche di S. Giustina sono dovute quasi uni-
camente all'opera di un sol uomo che consacrò in tali ricerche
parte notevole della sua vita, trascorsa appunto in tale regione,
e quelle dei colli di Torino e di Guarene debbonsi agli studi
del Sismonda che, avendo trascorso gran parte della sua vita
in Torino ed in Conegliano d’ Alba, suo luogo di nascita e di
villeggiatura estiva, ebbe campo per una lunga serie di anni di
fare accurate ricerche nei terreni terziari di queste due regioni.
Ma in verità nello studio che feci in questi ultimi anni del-
l’intiero bacino terziario del Piemonte, ebbi a constatare in lo-
calità numerosissime, ed in quasi tutti gli orizzonti geologici che
lo costituiscono una quantità più o meno grande di resti vege-
tali; credo anzi opportuno di dare un rapido cenno in proposito,
colla speranza di poter incoraggiare qualche paleofitologo in
queste ricerche.
Nei terreni bartoniani delle colline Torino-Valenza sono ab-
bondantissime le filliti, i rami d’albero, i frutti, le impronte di
Zoophycos, ed i resti calcarei di Lithothamnium. Trattasi di
una flora interessantissima, di cui il Cav. Roasenda possiede una
ricca raccolta, finora però affatto vergine di studi speciali.
(1) E. Sismonpa, Prodrome d’une flore tertiaire du Piemont, Mem. R, Ace.
Se. di Torino, serie II, tomo XVIII, 1859. — Materiaux pour servir à la
paléontologie du terrain tertiaire du Piemont, Mem. R. Acc. Sc. di Torino,
serie II, tom. XXII, 1865
118 FEDERICO SACCO
Sulle lastre arenacee e su quelle calcaree del Liguriano
rinvengonsi comunissimamente impronte di alghe d’ogni forma e
dimensione e finora ancora ben poco studiate.
Molto sovente s'incontrano rami, filliti, fiori e frutti nel
Tongriano inferiore subalpino e subappennino, specialmente nei
banchi arenacei o arenaceo-marnosi alquanto fogliettati; questa
ricchissima e lussureggiante flora tropicale del 7ongriano, di
cui posseggono abbondantissimi e ben conservati resti i Musei
di Genova e di Torino, servirà certamente di prezioso mate-
riale per uno stupendo lavoro monografico a quel paleofitologo
che vorrà occuparsene.
Pure assai comuni sono i resti vegetali, quantunque gene-
ralmente non molto ben conservati, fra i depositi arenacei aqui-
taniani sia lungo le falde appenniniche settentrionali che nelle
colline Torino-Valenza; talora i Lithothamnium costituiscono dei
veri orizzonti calcarei.
Gli strati marnosi duri del Langhiano, così riccamente fil-
litiferi nei colli torinesi, come ho dianzi indicato, continuano a
presentare tale prezioso carattere paleontologico nella restante
parte dei colli Torino-Valenza, come pure, quantunque meno
comunemente, anche nella parte meridionale del bacino terziario
del Piemonte.
Quanto all’Elveziano, se i banchi che lo costituiscono sono
specialmente famosi per i fossili animali, non vi sono però rari,
in alcune località, anche resti vegetali specialmente frammenti
di legname ed alghe calcaree, fra cui particolarmente abbondan-
tissimi in certe località i Lithothamnium.
Se le marne del Tortoniano racchiudono raramente fossili
vegetali, tuttavia in certi straterelli arenaceo-marnosi che in
alcune regioni rappresentano la parte superiore di questo oriz-
zonte, con facies sarmatiana, (ad esempio nelle colline della
Morra presso il Castello della Volta, nelle colline presso Nizza
Monferrato ecc.), abbondano straordirariamente le filliti.
Quanto al Messiniano, l'abbondanza in filliti delle marne
sabbioso-marnose o marnoso-gessifere di Guarene, unica regione
esaminata un po’accuratamente a questo riguardo, ci dà già un'idea
della ricchezza paleofitologica di questo orizzonte geologico nel
Piemonte; infatti quasi ovunque, specialmente nella parte meri-
dionale del bacino terziario piemontese, ebbi a constatare im-
pronte di foglie nelle marne sabbiose straterellate, assai carat-
STUDIO GEOLOGICO DEI DINTORNI DI GUARENE D'ALBA 119
teristiche del Messiniano, ed altri resti vegetali rinvenni persino
fra le arenarie ed i conglomerati di questo piano, come ad esempio
nella parte alta delle colline della Morra; così pure là dove si
dovettero fare degli ampi scavi in terreni messiniani, ad esempio
sotto S. Vittoria d'Alba per la strada ferrata, si rinvennero
sovente bellissime filliti che però generalmente andarono disperse,
eccetto che nel caso suaccennato in cui vennero raccolte e custo-
dite dal prof. Craveri di Bra.
Nei terreni marnosi del Piacentino non sono rari i resti di
tronchi vegetali, di strobili di conifere ed anche di foglie, special-
mente in certi strati particolari.
Abbondantissimi sono poi i rami, gli strobili e le filliti nel-
l’Astiano sia superiore che inferiore, specialmente negli strati
fogliettati. Gran numero di filliti difatti ebbe occasione di ot-
tenere delle marne fogliettate dell’ Astiano inferiore il predetto
Prof. Craveri durante gli scavi fatti presso Bra per la ferrovia,
e ne potei io pure raccogliere moltissime in diversi punti del
bacino terziario piemontese.
Tanto nei terreni pliocenici come in quelli miocenici riscon-
transi a certi livelli dei veri banchi a Lithothamnium, i quali
però specificamente sono difficili a distinguersi.
Noterò infine come numerosi resti vegetali, fra cui belle fil-
liti, si possono anche raccogliere sia nei depositi di littorale e
d'acqua salmastra del Fossaniano, sia nelle marne grigiastre o
grigio-verdastre, di origine filuvio-lacustre, del Vi/lafranchiano
persino al piede meridionale delle Alpi occidentali, come osservai
in diversi punti sotto i terreni sahariani del cono di deiezione
della Stura di Lanzo.
Dopo questa rapida rassegna della ricchezza paleofitologica
del bacino terziario del Piemonte, non mi resta più che espri-
mere la speranza che presto sorga chi si occupi della ricerca e
dello studio di questi tesori paleontologici, rimasti finora in gran
parte ignorati e sepolti.
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII 9
120 FEDERICO SACCO
II:
ESAME PARTICOLARE DEI DINTORNI DI GUARENE.
Passando ora all’esame geologico della famosa regione filli-
tifera di Guarene d’Alba, osserviamo anzitutto come sieno i suoi
strati diretti da nord-est a sud-ovest con leggiera inclinazione
a nord-ovest, e senza notevoli disturbi stratigrafici, per modo
che, dirigendoci dalla grande valle del Tanaro verso nord-ovest,
si passa gradatamente dai terreni più ‘antichi ai più recenti,
cioè dal Miocene superiore al Pliocene superiore.
Seguendo la classificazione del Mayer si possono distinguere
nella regione che intendiamo studiare, quattro diversi piani geologici,
che passeremo brevemente in esame a cominciare dal più antico.
Tortoniano.
Il Tortoniano delle colline di Guarene, come d’altronde di
quasi tutto il Piemonte, è essenzialmente costituito da marne ar-
gillose grigio-bleuastre, talora alternate con strati sabbiosi od
arenacei, talora invece piuttosto omogenee a stratificazione non
nettamente visibile, facili ad essere disaggregate ed esportate.
Questa natura litologica del Zortoniano ci spiega perchè le
colline che ne sono costituite si presentino, proporzionatamente
a quelle circostanti, poco elevate, rotondeggianti, ed a morbidi
pendii, oppure, là dove esse vennero profondamente incise da
piccole o da grandi correnti acquee, come in alcune vallette e
specialmente nella valle del Tanaro, queste colline tortoniane
presentino profondi burroni e spaccati continuamente cangianti
di forma, non potendosi quivi i banchi marnosi sostenere a lungo
senza appoggio laterale; da ciò derivano i pendii ripidi, franosi,
rovinosi di borgate Scaparone, di C. La Torre, di C. Coscia e
specialmente del paese di Guarene sulla sinistra di Val Tanaro,
nonchè quelli di C. Ghersi, di C. Rocca, di Barbaresco ecc.,
sulla sua sponda destra.
Di più la natura marnosa del Zortoniano ci spiega chiara-
mente come la valle del Tanaro, della larghezza di poco più di
un chilometro tra le colline di Verduno e quelle di S. Vittoria,
STUDIO GEOLOGICO DEI DINTORNI DI GUARENE D'ALBA 121
dove è incisa nei terreni messiniani abbastanza resistenti, come
vedremo, si allarghi notevolmente ad est, raggiungendo ed oltrepas-
sando anche la larghezza di 3 chilometri come tra le colline di
Guarene e quelle di Alba, avendo potuto il Tanaro facilmente
esportare le marne argillose fortonzane, in cui è quivi incisa la
vallata.
Infine la sovraccennata natura del Tortoniano di queste re-
gioni ci spiega ancora perchè siano continuamente in riparazione
le gallerie ferroviarie di C. Ghersi e di C. Rocca ad est di
Alba, opere che sono uno dei tanti errori commessi nella costru-
zione delle linee ferroviarie che attraversano le regioni collinose
del Piemonte, per non essersi tenuto conto della natura dei ter-
reni che si doveano incontrare in tali lavori.
Abbiamo già sopra accennato come la direzione generale degli
strati della regione in esame sia da nord-est a sud-ovest;
quanto all’inclinazione, verso nord-ovest, è di circa 10° nella
parte meridionale cioè nelle colline d'Alba dove il Z'ortoniano
passa inferiormente all’Elveziano, ma è invece di solo più 4° o
5° nelle colline di Guarene e di Scaparone dove i suoi banchi
vengono ricoperti dai terreni messiniani.
La potenza della serie fortonzana di queste regioni, tenuto
conto della piccola inclinazione degli strati, si può calcolare a
solo 400 metri circa, per quanto molto ampia sia la regione
occupata da questi terreni.
Se nelle colline delle vicinanze d’Alba, sulla destra del Ta-
naro, si esamina attentamente il Zortoniano inferiore e si cerca
di separarlo dall’Elveziano superiore, si nota tosto come tale
distinzione mentre è abbastanza facile e naturale nel complesso,
riesce invece difficile ed arbitraria quando si cerca di segnare
i limiti precisi tra un piano geologico e l’altro, a causa del fatto
che tra essi esiste un passaggio graduatissimo per mezzo di ripe-
tute alternanze di strati marnosi, sabbiosi ed arenacei che col-
legano le marne argillose del Torfoniano alle sabbie marnose
dell’Elveziano.
Questo fatto d’altronde, quantunque sia d’imbarazzo a chi
fa il rilevamento geologico, non trovandosi uno stabile punto di
appoggio per fissare nettamente il limite tra i due orizzonti in
questione, è però assai naturale e ci indica che tra il periodo
lelveziano e quello tortoniano non vi fu, nella regione in esame,
lalcun salto, ma invece un lento e graduale abbassarsi del fondo
122 FEDERICO SACCO
marino per modo che i depositi quivi formatisi cangiarono poco
a poco di faczes, presentando dapprima facies di basso fondo
ed in seguito di alto fondo.
Qualche cosa di simile si deve pur dire rispetto al passaggio
tra il Tortoniano superiore ed il Messiniano inferiore, che av-
viene pure senza salti, solo che in questo caso essendo la natura
e la resistenza dei terreni dei due orizzonti molto diversa, ne
viene abbastanza facile la separazione, talora anche di lontano,
a causa di una specie di gradino che formano i banchi sabbioso-
gessiferi del Messiniano sulle marne argillose del Zortoniano
costituenti colline a dolcissimo pendio.
Però esaminando accuratamente i banchi che costituiscono
l’ora indicato passaggio, si vede che anche in questo caso un
limite netto fra i due orizzonti geologici non si può generalmente
stabilire per l’irregolare apparire delle inferiori lenti gessifere
fra le marne tortoniane ed anche per frequenti alternanze di
strati sabbiosi e arenacei, con strati marnosi.
I fossili racchiusi nei banchi fortoniani della regione collinosa
in esame sono piuttosto rari e per lo più sparsi qua e là per modo
che se ne trova bensì talora qualcuno eseguendo degli scavi un
po ampi, ma quasi mai è possibile farne una discreta raccolta,
tanto più che essi sono generalmente alquanto difficili ad estrarsi
e conservarsi; si trovarono anche in questi terreni alcuni resti ve-
getali, come ad esempio qualche esemplare di frutto drupaceo
(completamente trasformato in calcite) di Juglans-nux taurinensis
Brogn. presso la C. Torre.
Possiamo infine accennare pel lato industriale che il terreno
tortoniano viene qua e là utilizzato per fabbrica di laterizi,
mentre dal lato agricolo esso costituisce un’eccellente regione vi-
ticola sia per la natura litologica che per la forma delle sue
colline: vi scarseggiano però le sorgenti acquee.
Messiniano.
1 terreni messiniani che costituiscono una specie di nastro
irregolare, il quale taglia da nord-est a sud-ovest la regione
in esame, sono essenzialmente rappresentati da banchi sabbioso-,
marnosi gessiferi e da banchi sabbioso-marnosi racchiudenti talora |
arenarie e conglomerati abbastanza potenti; i primi trovansi spe-_
STUDIO GEOLOGICO DEI DINTORNI DI GUARENE D'ALBA 1283
cialmente nella parte inferiore, i secondi in quella superiore del-
l'orizzonte geologico in istudio; ma verso ovest i primi, poten-
temente sviluppati, vengono a costituire quasi da soli l’intiero
piano Messiniano.
Assieme ai banchi marnoso-sabbioso-gessiferi di color grigio
giallastro o bleuastro incontransi pure non di rado strati o lenti
marnoso-calcaree od anche quasi unicamente calcaree, di color
giallo biancastro, come per esempio presso C. Gomba, nella parte
alta del Bric Paradiso, presso C. Lora, ecc.
Le marne calcaree sono di color grigio-verdastro come al
Bric Paradiso, oppure di color giallo-biancastro, dove il calcare
è più abbondante, e gradatamente si passa ai veri calcari concre-
zionati biancastri inglobati in marne grigio-verdastre come presso
C. Roncaglia, dove la presenza del calcare è indicata anche di
lontano dal color rossastro che il terreno assume superficialmente
per alterazione chimica.
Nella carta geologica unita a questo lavoro ho indicato con
tinta speciale l'orizzonte gessifero, ma devo far notare come la
zona indicata come gessifera è pure in gran parte rappresentata
da terreni marnoso-sabbiosi fra cui sono compresi i banchi e le
lenti gessose.
Le lenti ciottolose talvolta sono fortemente cementate da
marne sabbioso-calcaree, costituendo dei conglomerati resistentis-
simi come presso la C. Gerbole; ma più comunemente si pre-
sentano mescolate a sabbie ed arenarie poco cementate e quindi
facilmente franabili come presso Guarene, presso la fontana del
Borbore, ecc.
Gli elementi ciottolosi sono in generale piuttosto piccoli e
solo veggonsi alquanto voluminosi, per breve tratto e con poco
spessore, nelle immediate vicinanze del paese di Guarene, quivi
appoggiandosi direttamente ai banchi gessiferi e venendo ricoperti
da arenarie, sabbie e marne straterellate assai potenti.
I banchi sabbioso-arenacei veggonsi specialmente sviluppati
poco sopra l’orizzonte gessifero; si possono esaminare assai bene
nelle ripide balze delle colline dei Sioneri, di C. Signetti e di
C. Gonella, lungo la dirupata sponda sinistra dell'alta valle Bor-
bore ed a diversi livelli sui fianchi del Bric Monte e del Bric
San Lucero.
Alternate coi suddetti banchi arenacei, ma per lo più supe-
riormente ad essi, notansi marne sabbiose straterellate grigio-
124 FEDERICO SACCO
giallastre o grigio-bleuastre, sovente fillitifere, coperte alla lor
volta da marne argillose grigio-verdastre od anche brunastre su
cui finalmente si stendono le marne argillose grigio-bleuastre ric-
camente fossilifere del Piacentino.
In ragione della resistenza abbastanza notevole che presentano
i terreni messiniani, specialmente i banchi gessiferi e quelli are-
nacei, le colline che ne sono costituite si riconoscono anche di
lontano per i loro pendii piuttosto ripidi, per le loro creste ele -
vate, per il luccichio che talora mostrano sui fianchi a causa dei
cristalli di gesso, ed infine per la vegetazione arbustacea assai
più sviluppata che nelle colline fortoniane: ne sono esempi le
colline di C. Roncaglia, di C. Ciappella, di Bric del Paradiso,
dei Sioneri, di Bric Monte, di Bric S. Lucero, ecc.
Si è già accennato a questo riguardo come sia dovuto all’o-
rizzonte messiniano, attraversante la valle del Tanaro tra Ver-
duno e Santa Vittoria, il notevole restringimento che quivi pre-
senta tale vallata, generalmente invece molto ampia.
L’inclinazione generale del Messiniano è verso il nord-ovest,
con una pendenza di solo 4° o 5° in media, ciò che ci spiega
perchè anche là dove questo orizzonte è assai sottile, come tra la
borgata Sioneri e la val Tanaro, esso si sviluppi tuttavia per
quasi due chilometri di larghezza tra il fondo delle vallette e
l’alto delle colline.
La potenza del Messiniano, che è appena di una trentina di
metri presso Piobesi d’Alba, si accresce rapidamente verso ovest,
tanto che nelle colline di Guarene può essere valutata a circa
150 metri in causa dei depositi sabbioso-ghiaiosi che quindi ven-
gono a giorno.
Si è già accennato come pur essendo abbastanza facile la
distinzione tra Messiniano e Tortoniano, tuttavia esista fra questi
due orizzonti un graduale passaggio ; così ad esempio nelle colline
di C. Roncaglia si osserva che colle marne grigio-azzurrastre del
Tortoniano si alternano ripetutamente strati marnoso-calcarei,
duri, che più in alto vengono sostituiti dai caratteristici banchi
gessosi del Messiniano.
Nella parte superiore del terreno in questione, là dove esso
viene coperto dal Pracentino, pare che esista talvolta una certa
trasgressione stratigrafica, specialmente verso ovest, sovrapponendosi
direttamente le marne argillose grigio-bleuastre piacentine alle
marne sabbiose grigio-giallastre gessifere, per modo che parrebbe
STUDIO GEOLOGICO DEI DINTORNI DI GUARENE D'ALBA 125
esser quivi rimasta nascosta la parte superiore del Messiniano ;
tuttavia là dove si possono vedere spaccati che mettono a nudo
questi terreni di passaggio, ad esempio dal piano di Monticello di-
scendendo la valle Mellea, non si osserva alcun salto nella serie stra-
tigrafica, ed anzi paiono le lenti gessifere essere inglobate in banchi
marnosi di passaggio tra quelli piacentini e quelli fortoniani.
Verso est sviluppandosi ampiamente i terreni messiniani supe-
riori, il passaggio al Piacentino diventa più regolare, ma per
quanto sia spesso difficile delimitare un terreno dall’ altro trat-
tandosi in ambi i casi di marne grigiastre, tuttavia pare sempre
che ci sia tra i due orizzonti geologici un distacco abbastanza netto,
proveniente specialmente dalle condizioni d’ambiente assai diverse
in cui essi si formarono, rappresentando il Messiniano un depo-
sito essenzialmente maremmoso o littoraneo, ed il Piacentino
invece un deposito di mare abbastanza profondo.
In complesso si può dire che le marne del Messiniano supe-
riore sono alquanto dure, spesso straterellate, di color grigio-
verdastro e talora anzi nerastro, talvolta con interstraterelli sab-
biosi e con abbondanti grumuli biancastri, e qua e là con fossili
d’acqua salmastra; invece le marne del Piacentino inferiore sono
meno resistenti, di color grigio bleuastro e spesso biancastro, e
ricchissime ovunque in fossili marini, fra cui più facili a rinve-
nirsi, anche dall’osservatore superficiale, i frammenti di Ostraea
cochlear, Poli.
Talora poi, almeno nella parte alta delle colline, il passaggio
tra Messiniano e Piacentino si può conoscere anche di lontano
in causa dei piccoli rilievi biancheggianti che i banchi piacen-
tini inferiori costituiscono sopra alle regioni grigio-brunastre che
rappresentano i banchi superiori del Messiniano.
Quanto ai resti fossili di questo terreno dobbiamo anzitutto
far notare come sia in esso precisamente che già si raccolsero
quelle numerose filliti le quali resero famose le colline di Gua-
rene; tali impronte rinvengonsi specialmente nelle marne sabbiose
fogliettate giallastre o grigiastre, sia nella parte superiore della
zona gessifera, e quindi alternate con straterelli gessosi, sia nella
parte inferiore e media dell’orizzonte superiore, e talvolta infine
anche frammezzo agli stessi strati di gesso per modo che le brune
e bellissime impronte di foglie stanno direttamente sui cristalli
gessosi, fatto importante a notarsi rispetto al modo di origine
del gesso.
126 FEDERICO SACCO
Le località in cui trovansi più abbondanti le filliti, almeno
nella regione in esame, è la parte meridionale della collinetta di
Bric Monte a diversi livelli, dalla sommità sin quasi presso i
terreni tortoniani.
D'altronde però questi straterelli fillitiferi si estendono molto
ampiamente ed è solo la maggiore o minore facilità e continuità
di escavazione e di ricerca che ne indicano apparentemente la ric-
chezza paleofitologica; così per esempio trovansi per lungo tratto
a nudo queste marne fogliettate fillitifere nell'alta valle di Borbore,
specialmente al suo lato sinistro, come pure nelle colline di Ca-
stagnito, di Magliano (1), ecc. ma finora non furono ancora sog-
gette ad accurate ricerche.
La raccolta delle filliti è in questi terreni abbastanza facile,
giacchè basta sfogliare, direi, le marne straterellate per rinve-
nirvi le impronte sulla superficie di sfaldatura. Abbondanti sono
in certi strati le noci calcarizzate.
Quanto ai resti fossili animali sono a notarsi alcune impronte
di pesci di acqua dolce e salmastra (2) e di larve di Libellula
Doris che trovansi nelle marne fillitifere sovraccennate, nonchè la
Testudo Craveri Portis (3), trovata fra gli stessi strati gessosi delle
colline di Santa Vittoria d'Alba; ma molto più abbondanti sono i
molluschi d’acqua salmastra (Neritina, Melania, Melanopsis,
Hydrobia, Dreissena, Cardium, ecc.), che rinvengonsi talora fra
le marne argillose del Messiniano superiore, così ad esempio nella
valletta ad est della borgata Socco (4).
Dal lato industriale il Messiniano è molto importante come
quello che racchiude i depositi gessosi escavati su vasta scala in
diverse località, specialmente presso Monticello d’Alba e presso
(14) F. Sacco, Carta geologica di Canale e Monteu Roero Est - Scala di '/35000»
Torino, 1887.
F. Sacco, Carta geologica di Costigliole d'Asti — Scala di 4/2;000, Torino
1887.
(2) O. G. Costa, Sui pesci fossili di Bra in Piemonte, Napoli, 1865-67.
(3) A. PortIs, Di alcuni fossili terziari del Piemonte e della Liguria, ap-
partenenti all’ordine dei Cheloni, Mem. R. Acc. Sc. di Torino, serie II,
vol. XXXII, 1879.
(4) F. Sacco, Rivista della fauna malacologica fossile terrestre, lacustre e
salmastra del Piemonte, Boll. soc. malac. ital., vol. XII, 1887.
F. Sacco, Nuove specie terziarie di Molluschi terrestri, d'acqua dolce
e salmastra del Piemonte, Atti Soc. it. Se. Nat., vol. XXIX, 1886.
STUDIO GEOLOGICO DEI DINTORNI DI GUARENE D'ALBA 127
Guarene, ma ancor più estesamente, a nord di questo paese, nelle
colline di S. Giuseppe (Castagnito). Trovansi pure talora inter-
stratificate coi gessi sottilissime lenti solfifere, però di nessuna
importanza industriale.
Potrebbero pure essere utilizzate le formazioni calcaree che
ho detto talora accompagnare i depositi gessiferi, ma esse non
hanno molto importanza trattandosi solo di lenti poco estese e che
darebbero soltanto della calce dolce.
Si utilizzano sovente le sabbie ed i ciottoli del Messiniano
medio come materiale da costruzione e come pietrisco.
Notevole è il fatto che questi potenti depositi sabbioso-are-
nacei messiniani assorbono nei periodi di pioggia una gran quan-
tità d’acqua che si approfondisce poco a poco finchè incontra
strati fogliettati argillosi, impermeabili, sui quali si arresta costi-
tuendo così un vero velo acqueo costante che dà origine a nu-
merose, limpide ed abbondanti sorgenti acquee, fra le quali più
notevole quella da cui s’inizia il torrente Borbore. Tale fenomeno
di idrografia sotterranea ebbe certamente una grande influenza
sulla orografia di queste regioni collinose.
Anche i banchi gessiferi danno luogo talora a veli acquei e
quindi a copiose sorgenti; ma in tal caso l’acqua rimane quasi
sempre più o meno gessata e quindi inadatta a molti usi ed
anzi dannosa alla salute.
Quanto ai rapporti tra il terreno messiniano e l’agricoltura,
essi consistono specialmente nel fatto che le colline messinzane per
la loro natura arenacea o gessosa e quindi per la loro forma spesso
irregolare ed aspra, sono sovente poco adatte alla coltivazione, il
che ci spiega come vi sia tuttora molto sviluppata la vegeta-
zione arbustacea che anticamente doveva ricoprire tutte queste
colline, ma che venne ora a poco a poco distrutta e sostituita
dalla viticoltura.
Però nelle località ove le colline messiniane presentano un
pendio dolce, anche la vite può allignare assai bene ed i suoi
prodotti presentano in complesso, nell’aroma e nel grado di alcoo-
lismo, qualche differenza da quelli che danno le viti impiantate
nelle colline tortoniane e piacentine, il che è in stretto rapporto
colla costituzione dei diversi terreni.
128 FEDERICO SACCO
Piacentino.
Il piano Piacentino o pliocene inferiore è costituito nella
regione in esame, come d'altronde in quasi tutta l’Italia, di marne
argillose grigio-azzurrastre piuttosto compatte ma non molto resi-
stenti ed anzi facilmente esportabili dagli agenti acquei, motivo
per cui vediamo che lungo la zona piacentina esistono solo basse
colline, grigio-biancastre, rotondeggianti, a dolcissimo pendio,
oppure ampie vallate; a causa della piccolissima inclinazione
degli strati piacentini si osserva in generale come il fondo delle
valli verso nord-ovest è costituito appunto di questi terreni il
che ci spiega pure la relativa ampiezza di tali vallate.
Sempre per la loro facile erodibilità vediamo essersi formati
nella zona piacentina i colli più bassi per cui passano le prin-
cipali arterie stradali della regione in istudio; così il colle di
C. Soria, quello di Madonna del Castellero, il colle dei Sio-
neri, ecc.
Lo spessore della serie piacentina è assai piccolo, per quanto
questo terreno affiori molto estesamente; infatti tenuto calcolo
della piccola inclinazione stratigrafica, credo se ne possa valutare
la potenza in circa 80 metri al più.
La direzione degli strati piacentini è, come quella dei terreni
sottostanti, abbastanza regolare da nord-est a sud-ovest; riguardo
all’inclinazione invece, mentre nella parte meridionale gli strati
in questione pendono di 3° o 4° circa verso il nord-ovest, con-
cordantemente ai banchi messiniani su cui si appoggiano, nella
parte settentrionale ed occidentale invece (specialmente ciò è visi-
bile poco all'infuori della regione in esame) le marne piacentine
sì rialzano poco a poco per modo che l’inclinazione, per quanto
dolcissima, diventa quasi contraria a quella prima accennata.
Si è già trattato del modo di sovrapposizione del Piacen-
tino al Messiniano, non ci resta quindi che ad accennare come
il passaggio tra Piacentino ed Astiano si compia gradatissima -
mente per mezzo di una ripetuta alternanza di strati marnoso-
sabbiosi grigio-bleuastri con strati sabbioso-marnosi giallastri,
tanto che anche in questo caso, come in altri precedentemente
nominati, non esiste affatto una netta linea di delimitazione fra
questi due terreni per quanto essi siano nell’assieme tanto diversi
di natura e di faczes.
STUDIO GEOLOGICO DEI DINTORNI DI GUARENE D'ALBA 129
In complesso però la distinzione tra Piacentino ed Astiano
non riesce molto difficile a causa del costituire i banchi preva-
lentemente sabbiosi e relativamente resistenti di quest’ultimo piano
geologico una specie di rialzo sopra le marne piacentine formanti
per lo più regioni pianeggianti o quasi; ma nell’esame minuto
di questo passaggio è certo che risulta alquanto arbitraria la linea
di delimitazione che il geologo è obbligato a segnare sulle carte.
Per quanto sia poco potente il terreno piacentino e per
quanto poco profondi siano generalmente i tagli che lo mettono
a nudo, tuttavia esso è talmente ricco in resti fossili marini ab-
bastanza ben conservati che ovunque se ne può fare un’abbon-
dantissima raccolta ; tuttavia possiamo notare che per questo scopo
è particolarmente utile di esplorare gli strati superiori del P7a-
centino , là dove esso passa all’Astiano, essendo quivi i fossili
radunati in maggior quantità. Anzi è ad osservarsi come le più ab-
bondanti raccolte di fossili pliocenici che si possono fare nelle
colline in esame , come d'altronde anche in tutto il resto del
Piemonte ed in gran parte d’Italia, si ricavino precisamente da
questi strati di passaggio tra Piacentino ed Astiano, e quindi
hanno i caratteri in parte d’un piano ed in parte dell’altro, ciò
che diede già luogo a lunghe discussioni paleontologiche che si
sarebbero potute evitare coll’esame sul terreno.
L'argillosità e quindi l’impermeabilità dei terreni piacentini
ci spiega il velo acqueo abbastanza regolare e costante che esiste
tra essi ed i sovrastanti depositi ast:ani, i quali agiscono, direi.
a guisa di spugna assorbendo l’acqua di pioggia che poscia di-
scende gradatamente sino ai primi strati piacentini soprai quali
è obbligata a scorrere, sinchè sbocca all'aperto formando quella
caratteristica serie di sorgenti che osservasi spesso alla base delle
colline.
La relativa umidità delle regioni, per lo più pianeggianti ,
costituite da terreno piacentino, influisce eziandio sull’agricoltura,
ed infatti possiamo osservare come la zona piacentina sia spe-
cialmente la regione dei prati, per quanto le colline piacentine
ci presentino pure una ricca vegetazione viticola
Dal lato industriale devesi solo notare come nella regione in
esame le marne argillose del Piacentino vengano solo usate talora
per laterizi, quantunque potrebbero pure utilizzarsi per fabbrica
di maioliche grossolane.
130 FEDERICO SACCO
Astiano.
L'orizzonte geologico superiore che costituisce la massima parte
delle colline situate nella parte nord - ovest della regione in
esame, è l’Astiano o pliocene superiore rappresentato essenzial-
mente da strati marnoso-sabbiosi di color giallastro, talora in-
terrotti, nella parte inferiore, da strati pure marnoso - sabbiosi
od anche solo marnosi, grigiastri o grigio-bleuastri, molto simili
a quelli del Piacentino.
Queste colline astiane che iniziano la immensa serie di col-
line, della stessa natura ed età, dell’Astigiana e del Monferrato,
si riconoscono anche di lontano per il loro color giallastro e per
la loro forma abbastanza speciale a pendii piuttosto ripidi, talora
con dei profondi spaccati e numerosi burroni dovuti alla facile
disaggregazione dei banchi sabbiosi.
La facile erodibilità dei terreni astiani rispetto agli agenti
acquei ci spiega come , in un periodo di tempo relativamente
corto, le sole acque di pioggia, raccogliendosi in allineamenti
speciali, abbiano potuto incidere vallate piuttosto ampie di 150,
200 metri di profondità, quali sono quelle che possonsi osser-
vare talora nella regione in esame.
Riguardo alla tettonica, semplicissima, dell'orizzonte Astiano
devesi solo osservare come i suoi strati siano nella parte meri-
dionale, leggermente inclinati verso nord - ovest, e nella parte
settentrionale invece diventino quasi orizzontali, rialzandosi anzi
poscia poco a poco verso nord-ovest per modo cioè da accom-
pagnare abbastanza regolarmente nello assieme l’andamento stra-
tigrafico già prima accennato per il Piacentino.
Si è già esaminato nel precedente capitolo il modo graduale
di transizione tra l’ Astiano ed il Piacentino ; riguardo all’Astiano
superiore, costituendo esso l'orizzonte supremo della pila dei
terreni che affiorano nella regione in esame, abbiamo solo ad
accennare come negli strati superiori di questo piano le sabbie
divengono spesso alquanto grossolane, inglobando talora persino
lenti ghiaiose, come ad esempio nella parte alta di Bric Montaldo,
accennandoci già ad un passaggio ai depositi littoranei del Fos-
saniano che sviluppasi infatti ampiamente poco lungi, verso
nord-ovest.
STUDIO GEOLOGICO DEI DINTORNI DI GUARENE D'ALBA 181
La potenza dell’Astiano è assai superiore a quella del Pia-
centino e si può calcolare di oltre 160 metri come si può ve-
dere specialmente nelle colline di Bric Montaldo (403 m.).
I resti fossili marini, generalmente a faczes littoranea , si
trovano per lo più nella parte inferiore del terreno in esame
oppure accumulati in lenti qua e là a vari livelli, ma nel primo
caso essi sono abbastanza ben conservati e determinabili, mentre
nel secondo invece sono spesso infranti ed erosi e quindi di dif-
ficile determinazione.
Dal lato agricolo notiamo che le colline costituite di terreno
astiano, come in generale quelle dell’ Astigiana , si prestano
assai bene alla coltivazione della vite, almeno nei versanti rivolti
più o meno direttamente al sud, poichè verso nord essi sono
tuttora in gran parte coperti da vegetazione arbustacea.
Le sorgenti acquee mancano quasi affatto nelle colline astiane
per i motivi già sovraccennati.
Terreni quaternari.
Lungo i pendii dolci delle colline, in diverse località della
regione esaminata, osservansi depositi terrosi, giallastri, inglobanti
resti di Molluschi terrestri tuttora viventi; essi ci rappresentano
il Zoess formatosi a spese delle colline stesse per mezzo delle
correnti d’acqua che nell’epoca quaternaria, incidendo ed erodendo
i terreni terziari, lo trasportarono e lo depositarono a vari livelli
sui fianchi delle colline, per modo che ora troviamo tale for-
mazione ad elevazioni anche molto notevoli sopra l’attuale fondo
delle vallate.
Una parte di questo /oess si è dovuta depositare verso la fine
dell’epoca sahariana, ma in parte anche si formò in seguito come
si forma anche oggidì per mezzo sia delle acque di pioggia, che
convertono i terreni terziari (affioranti alla superficie delle colline
e quivi decomposti) in melma sdrucciolante lentamente lungo i
fianchi delle colline stesse, sia della decomposizione e disaggrega-
zione superficiale che si verifica, specialmente nella stagione estiva,
nei terreni superficiali i quali per tal modo disaggregati, possono
facilmente discendere in basso o per semplice gravità o per
azione del vento o, specialmente, dell’acqua, come sopra dicemmo,
e quindi depositarsi dove i pendii collinosi sono più dolci.
132 FEDERICO SACCO
DI
Ma la parte più importante dei terreni quaternari è rap-
presentata dall’ a//uvium cioè dai depositi alluvionali depostisi
nel periodo terrazziano; queste alluvioni variano notevolissima-
mente di potenza e di natura secondo le valli in cui si osser-
vano, ciò in corrispondenza diretta, naturalmente, del terreno dal
cui sfacelo derivano; così le vediamo sabbioso - marnose in val
Cumignano ed in valle Oscura essendo quivi formate alle spese
dei terreni piacentini ed astiani, invece anche ghiaiose in val
Ridone ed in val Mellea, concorrendo nella loro costituzione anche
l'orizzonte Fossaniano che incontrasi nella parte alta di queste
vallate.
Nell’ampia valle del Tanaro l’alluvium, della potenza di 3
a 4 metri in media, è specialmente ciottoloso, quantunque con
strati o lenti marnoso-sabbiose intercluse ; generalmente poi, tanto
nelle vallette sovraccennate come in val Tanaro, al disopra dei
depositi ghiaiosi stendesi quasi sempre un velo piuttosto sottile,
raramente dello spessore di oltre 1 metro, di terreno giallastro,
molto simile al /oess che appoggiasi sui pendii collinosi ; la parte
superiore di questo /oess delle pianure è trasformata in Aumus.
CONCLUSIONE.
Riassumendo le osservazioni fatte sulla regione esaminata nel
presente lavoro, noi possiamo dunque dire che essa sì presenta
geologicamente così costituita :
Formazione marnoso-sabbiosa (l0ess) o ghia-
ioso-ciottolosa (alluvium) depostasi discordante-
mente sui diversi orizzonti terziari ed inglobante
talora conchiglie di Molluschi terrestri.
Terrazziano
e Sahariano
superiore |
|
Marne e sabbie gialle con fossili di basso fondo
Astiano .
marino.
.
—
Marne argillose bleuastre con fossili di alto
Piacentino e
fondo marino.
_—
Tav. I.
Astiano
Zzz,
Piacentino
_ Messiniano
Tortoniano
Danohu gessiferi Mare sabbies ghiaie Lenti calcarea
[ttt
50 SACCO — STUDIO GEOLOGICO DEI DINTORNI DI GUARENE D'ALBA
Lit Doyon
Tonino
A. CHARRIER 133
inglobanti Molluschi d’acqua salmastra.
Arenarie, sabbie e marne fogliettate grigie
o giallastre, fillitifere.
Lenti arenaceo-ciottolose giallastre.
Marne fogliettate giallastre gessifere con filliti
ed altri fossili.
Marne grigio-giallastre con lenti calcaree e
i banchi gessosi, talora fillitiferi.
| Marne argillose grigio-verdastre o brunastre
(
Messiniano . .
Tortoniano | Marne grigio - bleuastre con pochi fossili di
i ‘’ | mare abbastanza profondo.
iocsiano \ Strati marnosi, sabbiosi ed arenacei grigio-
i } giallastri con fossili di basso fondo marino.
RIASSUNTO
delle osservazioni meteorologiche fatte nei mesi di Maggio,
Giugno, Luglio ed Agosto 1887 nell’Osservatorio astro-
nomico della ER. Università di Torino
dall’Assistente Prof. ANGELO CHARRIER
Maggio 1887.
L'altezza barometrica in questo mese ha per valor medio
35,67; valore inferiore di mm. 0,32 al valor medio dell’al-
tezza barometrica di Maggio degli ultimi ventun anni. — I valori
estremi osservati sono i seguenti :
Giorni del mese, Hinimi. { Giorni del mese. Massimi.
4 30,88 È Reppi Gteio 39 38.52
11.2 SANARE 28,17 LO te dala 89,77
> ARCI: 28,91 Go Ah. dh 39,36
28 33.46 Spie, ti 39,56
134 A. CHARRIER
La temperatura ha per valor medio +15°,2, e per valori
estremi + 5°,3 e + 25",1. Il primo dà la minima temperatura
del giorno 23, il secondo la massima temperatura del giorno 31.
Si ebbero 14 giorni con pioggia, e l’altezza dell’acqua ca-
duta fu di mm. 120,9.
Il quadro seguente dà la frequenza dei singoli venti.
NO NNE NE ENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW MW
9 416 28 12'1308 ‘240 506 “io ‘(6 ‘42. SR
Giugno 1887.
La media delle pressioni barometriche osservate nel mese di
Giugno è 38,51. Essa supera la media delle pressioni barome-
triche di Giugno degli ultimi ventun anni di mm. 1,93. — Si
ebbero poche variazioni di quest’elemento.
Il quadro seguente ne contiene i valori estremi osservati.
Giorni del mese. Minimi. Giorni del mese. Massimi.
di orale 32,72 SPERO I 41,91
TE RT A 35,94 Di Ru 44,70
TN SRE LAI 81,80 DO: = sca VERE 41,58
È) PRIERSORE PI 36,42 BO sie 41,59
La temperatura in questo mese ha per valor medio + 22°,4;
superiore di 1°,1 del valor medio della temperatura di Giugno
degli ultimi ventun anni. — La minima temperatura +12°,2 si
ebbe nei giorni 4 e 30; la massima + 30°,4 nel giorno 17.
In sette giorni si ebbe pioggia, e l’acqua caduta misurò l’al- |
tezza di mm. 79,3.
Il quadro seguente dà la frequenza dei venti.
NO NNE NE ENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW
10045» 9: 17 11 2 %e3 11/5, Wa, 360 4° 00
OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE 135
Luglio 1887.
La media delle altezze barometriche osservate in questo mese
è 38,63; superiore di mm. 1,71 dalla media delle altezze ba-
rometriche di Luglio degli ultimi ventun’anni.
Il quadro seguente dà i valori massimi e minimi dell'altezza
barometrica.
Giorni del mese. Minimi, Giorni del mese. Massimi.
bl. SRURE I 13 MRI PINOIS 42,84
Ml... 84,95 PL, RSI RETTO 41,45
e Vo. dol Dana 41,64
La temperatura massima + 31°,9 si ebbe nel giorno 14; la
minima + 15°,9 nel giorno 1. La media + 24°,5 supera di 0°,5
la media temperatura di Luglio degli ultimi ventun anni.
Si ebbe pioggia in nove giorni e l’acqua raccolta nel plu-
viometro raggiunse l’altezza di mm. 112.
Nel seguente quadro è data la frequenza dei venti.
SSE OS OSSW SW WSW W WNW NW NNW
NO ONVE NE RENE E ESE SK
@ gni e Caro da
SEO AR e 213 11° 40
Agosto 1887.
In questo mese la media delle pressioni barometriche è 36,76,
uguale alla media delle pressioni barometriche di Agosto degli
ultimi ventun anni.
La tabella seguente contiene i valori massimi e minimi os-
servati.
Giorni del mese. Minimi. Giorni del mese. Massimi.
dario fr 36,82 73 E 44,56
+4 AI: 29,92 PI. rata 36,82
-18 28,09 Sour da 39,71
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII 10
136 OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE - A. CHARRIER
La temperatura ha per valor medio + 23°,3; valore supe-
riore di 0°,6 del valor medio della temperatura di Agosto degli
ultimi ventun’anni. — La temperatura massima +32°3 si ebbe
nel giorno 10; la minima +12°,5 nel giorno 23.
Si ebbero 6 giorni piovosi, e l’altezza dell’acqua caduta fu
di: mm.id7,9.
La frequenza dei venti è data dal seguente quadro.
NO NNE NE ENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW
23 4900/80/ 41 B de bb ik (3 9 (65607 1a
Il Direttore della Classe
ALFonso Cossa.
137
CLASSI UNITE
Adunanza del 18 Dicembre 1887.
PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ARIODANTE FABRETTI
VICEPRESIDENTE
RELAZIONE del Segretario della 5° Giunta per il premio
Bressa (quadriennio 1883-86), letta alle Classi unite del-
lVAccademia nella seduta del giorno 18 dicembre 1887.
EGREGI COLLEGHI ,
Il quinto premio Bressa, che la nostra Accademia deve con-
ferire nella seduta del giorno 8 gennaio del prossimo anno 1888,
è destinato a quello scienziato od inventore di qualunque nazione
esso sia, il quale secondo le tavole di fondazione del lascito
Bressa, durante il quadriennio 1883-1886 «a giudizio dell’Ac-
« cademia delle Scienze di Torino avrà fatto la più importante
« scoperta, pubblicato l’opera più ragguardevole sulle scienze
« fisiche e sperimentali, storia naturale, matematiche pure ed
« applicate, chimica, fisiologia e patologia, non escluse la geo-
« logia la storia, la geografia e la statistica. »
Di conformità a quanto prescrive il Regolamento speciale per
il conferimento dei premii Bressa (Regolamento approvato dall’Ac-
cademia il 25 maggio 1884), la nostra Accademia nella seduta
del giorno 20 dicembre 1886 nominò una prima Giunta affi-
dandole il triplice incarico di esaminare le domande di concorso
al premio, di fare delle proposte di propria iniziativa e di acco-
gliere quelle presentate da soci nazionali.
Nell'adunanza generale dell’Accademia tenutasi nel 1887 ho
già avuto l'onore di farvi conoscere i risultati dei lavori di quella
138 A. COSSA
prima Giunta, e voi ricorderete che delle ventisette domande pre-
sentate direttamente per il Concorso al premio Bressa due sole
furono giudicate meritevoli di essere prese in considerazione per
il conferimento del premio e queste sono quelle del prof. Burgme-
ster del Politecnico di Monaco per i primi due fascicoli di un’o-
pera che ha per titolo Trattato di Cinematica e quella del
prof. Sappey della Scuola di medicina di Parigi per la sua mo-
nografia sui vasi linfatici.
La Giunta di sua iniziativa propose per il premio il profes-
sore Pasteur socio dell'Istituto di Francia per le sue ricerche sul
virus rabbico, ed un nostro collega chiamò l’attenzione dell’Acca-
demia sopra i titoli di merito dei fratelli Paolo e Prospero Henry
dell’Osservatorio di Parigi per i grandi ed importanti perfezio-
namenti da loro apportati alla fotografia astronomica
Chiuso colla seduta già ricordata del 17 aprile 1887 il pe-
riodo di tempo stabilito per il conferimento del premio, l’Acca-
demia nell’adunanza successiva del 24 aprile 1887 nominò una
seconda Giunta composta, oltrechè del presidente prof. Genocchi,
dei soci Lessona, Cossa, D’Ovidio, Naccari, Giacomini per la
classe di scienze fisiche e matematiche, e dei soci Gorresio, Flechia,
Peyron, Carle e Pezzi per quella di scienze morali. Questa Giunta
doveva esaminare e confrontare le proposte fatte dalla Giunta
precedente, e presentarvi nella seduta d’oggi le proposte definitive
per l’aggiudicazione del premio con una relazione da pubblicarsi
negli Atti dell’Accademia.
La Giunta, che mi volle onorare dell’incarico di suo segre-
tario, dopo avere singolarmente esaminato e discusse le proposte
fatte relativamente ai nomi di Burgmester, Sappey, Pasteur e
dei fratelli Paolo e Prospero Henry, ha ritenuto che l’opera del
prof. Burgmester che ha per titolo Yrattato di cinematica, quan-
tunque sia fornita di pregi riguardevoli, tuttavia essa, così perchè
non è ancora terminata, come anche per l'indole stessa dell’opera
non ha un'importanza tale da stare in pari linea coi lavori ai
quali si riferiscono le altre proposte.
La Giunta poi considerando che anche l’opera del Sappey
sui vasi linfatici non è ancora completa, ad onta che abbia rico-
nosciuto in essa riguardevoli pregi, ha unanimemente deliberato
di non comprenderla nelle proposte definitive per il conferimento
del premio Bressa.
Pertanto le proposte che oggi unanimemente la Giunta vi
RELAZIONE SUL PREMIO BRESSA 139
presenta per il conferimento del quinto premio Bressa, si riducono
ai nomi di Pasteur e dei fratelli Paolo e Prospero Henry.
Le ricerche sperimentali del Pasteur sul v2rus della rabbia sono
così conosciute, che credo affatto superfluo di esporvele anche bre-
vemente. È importante però dichiarare che la Giunta col proporre
le ricerche del Pasteur come meritevoli del premio Bressa, non
intende di pronunciarsi in alcun modo sulla questione che ancora
si dibatte intorno la reale efficacia dell’inoculazione del virus
rabbico convenientemente attuata, a prevenire lo sviluppo della
rabbia negli uomini morsicati da cani idrofobi. La Giunta ritiene
che l'illustre scienziato francese si è acquistato titoli di merito
sufficienti per conseguire il premio che l'Accademia deve conferire,
per avere, animato da un sentimento eminentemente filantropico,
cercato e trovato, con una lunga serie di esperienze pericolose e
razionalmente eseguite, la sede del vivus rabbico nei centri nervosi,
e per avere applicata la scoperta fatta nell'attuazione del primo
metodo razionale, che la scienza abbia suggerito contro lo svi-
luppo dell’idrofobia.
Si può giudicare il valore dei perfezionamenti apportati dai
fratelli Paolo e Prospero Henry nella fotografia del cielo stellato,
dai vantaggi che l’astronomia da essi può ripromettersi. Di questi
vantaggi i principali sono i seguenti: Alla percezione fuggevole
della vista si surrogano impressioni durature e capaci di essere
riprodotte in numero indefinito di copie esatte, per modo che una
stessa osservazione potrà essere discussa da un gran numero di
investigatori in tutti i luoghi ed in tutti i tempi.
Nell’osservazione si sopprime l'elemento soggettivo, e con esso
una infinità di cause d’errore. Ad una percezione la cui intensità
non può oltrepassare un dato limite si surroga un altro genere di
percezione la cui intensità si accresce e si somma col tempo. Mentre
una piccola stella non potrà mai nell’occhio umano produrre una
sensazione superiore ad una certa intensità, l’effetto di questa
stella sulla lastra fotografica insensibile da principio, può sommarsi
col tempo e diventare manifesto col prolungarlo sufficientemente.
Tale integrazione delle impressioni ha per effetto di rendere
visibili sulle negative fotografiche astri che sfuggono alla vista
diretta armata anche di telescopi molto maggiori di quello usato
per la fotografia. È evidente che mercè la fotografia si potranno
scoprire quei corpi celesti che emettono solo od in parte luce di
altissima refrangibilità.
140 A. COSSA - RELAZIONE SUL PREMIO BRESSA
Giustizia vuole che si dica che ai signori fratelli Henry non
spetta tutto il merito di questa grande innovazione, ma essi,
giudizio di uno dei nostri più illustri astronomi il prof. Schia-
parelli, hanno superato tutti gli altri che li precedettero in queste
ricerche, e da una semplice curiosità che era la fotografia astro-
nomica, l’hanno portata al punto da farne il più potente sussidio
dell’astronomia pratica.
Il Regolamento per il conferimento del premio Bressa impone.
alla Giunta l'obbligo di presentarvi delle proposte graduate.
Questa graduazione fu dalla Giunta deliberata unanimemente nel-
l’ordine seguente :
1° PASTEUR;
2° PAOLO x PROSPERO HENRY.
Questa graduazione non vincola in nessun modo le delibera-
zioni dell’Accademia.
La Giunta ha esaurito con queste proposte l’onorevole ed
arduo incarico affidatole dall’Accademia.
Prof. ALFoNSo Cossa
Segretario Relatore.
MIU
Torino Tip. REALE-PARAVIA.
a
Le)
SSR
LI (ELA,
Lr AL
bs
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pe I SOM MAR 10
Si . Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e
| ADUNANZA del 18 Dicembre 1887.
D’Ovipio — Relazione sulla Memoria del Dott. Golgi SEGR
| varietà cubiche dello spazio a quattro dimensioni e sù
di dota e certe spade: dello Fare ordinario ».
| Cossa — Relazione sul Premio BressA. . LL
AA
R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE
BETORENO
PUBBLICATI
DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI
Von. XXIII, Disp. 4°, 1887-88
- —PT
Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali
TORINO
ERMANNO LOESCHER
Libraio della R. Accademia delle Scienze
a ;
GL
Pia
4
49%
141
CLASSE
DI
SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza dell’ 8 Gennaio 1888.
PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ARIODANTE FABRETTI
VICEPRESIDENTE
Sono presenti i Soci: Cossa, LESsona, SALVADORI, BRUNO,
BerRUTI, Basso, D’Ovipio, FERRARIS, NACCARI, GIBELLI, GIA-
COMINI.
Vien letto l’atto verbale dell'adunanza precedente che è ap-
provato.
Tra le pubblicazioni pervenute in dono all’Accademia vengono
segnalate le seguenti:
« Bullettino di bibliografia e di storia delle Scienze ma-
tematiche e fisiche pubblicato da B. BoxncomPaGNI »; fascicolo
di Marzo 1887, presentato dal Socio Basso per incarico del
Presidente, assente per ragione di salute ;
« Annali del Museo Civico di Storia naturale di Genova,
pubblicati per cura di G. DorIA e R. GESTRO; serie 2°, vol. IV,
presentato dal Socio SALVADORI,
Le comunicazioni e le letture si succedono nell'ordine che
segue :
1° « Datolite e Calcite di Montecatini (Val di Cecina);
Nota del Prof. F. Sansoni, dell’Università di Pavia, presentata
dal Socio Cossa.
2° « Su alcune anomalie di sviluppo nell’embrione umano ;
Nota 2° del Socio GIACOMINI.
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII 11
142 FRANCESCO SANSONI
LETTURE
Note di mincralogia italiana
del Dott. FRANCESCO SANSONI
DATOLITE E CALCITE DI MONTECATINI
(Val di Cecina)
(Con una tavola)
1° DATOLITE.
Notizie assai precise riguardanti la Datolite di Montecatini, si
possono leggere nella pregevole opera del Prof. A. D'’Achiardi ,
Mineralogia della Toscana p. 217 vol. II. Egli ricorda due maniere
di giacitura del nostro minerale : 1° associata alla Calcopirite, ed
anzi i cristalli stanno dentro ai noccioli di questo minerale, 2° nelle
geodi e fessure del Gabbro rosso, associata a Calcite, Laumonite,
Thomsonite, Picroanalcime ecc. — Il sullodato autore descrive minu-
tamente la Datolite di Montecatini, notandovi le seguenti forme
(*) (011)P,c0, (211)+2P,2, (511) +5P,5, (111)P,
(001)0 P, (110)coP, (310)coP,3, (100)coPoo.
Dal contesto del discorso parrebbe per altro, che queste deter-
minazioni, e le relative misure, sì riferissero piuttosto alla Datolite
del primo giacimento, che non a quella del secondo. Comunque
sia, essendo io pervenuto mercè la graziosa liberalità del Prof.
Bombicci, ad ottenere a scopo di studio un esemplare di Gabbro
di Montecatini, ove sta appunto una drusa costituita essenzialmente
da cristalli di Datolite, ho stimato opportuno sottoporre a nuove
indagini alcuni dei cristalli distaccati, che a tutta prima dimo-
straronsi assai ricchi di faccette. Trattasi per lo più di piccoli _
(*) Avvertenza. — Seguendo il metodo di recente proposto da un egregio
mineralogista italiano, ai P dela notazione di Naumann segnati con orto
e clino , sostituiamo rispettivamente P,, P..
DATOLITE E CALCITE DI MONTECATINI 143
cristalli, confusamente impiantati sulla roccia : sono incompleta-
mente trasparenti; predominano le faccette appartenenti alla zona
dei prismi verticali (orientazione di Dauber); il massimo sviluppo
è presentato ordinariamente dalla faccetta (100) oo P, co: non vi
si riscontra grande uniformità di superficie, per cui si ottengono
al goniometro delle immagini riflesse multiple. Meglio conformate
appariscono invece le faccette piramidali.
Si osservarono le seguenti forme; (1)
b=(010)c0P,00; c=(100)coP,00; @=(001) OP;
n=(111)—P; t=(310)c0P.3; \g=(210)coP. 2;
m=(110) 00 P; M (011) P,00; ME (ST) IRIS
\=(811)+3P,3; «=(211)+2P,2; x=(101)+P,o0
YFE-(221):_12 Pl) c0=(213)e7, 25
Tutte queste forme si osservarono riunite in un solo individuo
(fig. 1): gli altri cristalli sebbene abbiano lo stesso abito si mo-
strano meno ricchi di faccette : riporto alcuni valori angolari, che
pongo in confronto con altri corrispondenti ricavati dalle tabelle
date dal Dana (2)
ue 100001 89.° 38' (misur.) 89.° 54'(calcol.)
c:t =100:310 29.19 22. 52
c:g =100:210 32. 39 32. 19
cin =100:111 66. 20 66. 56
M:a=011:211 40. 46 40. 28
M:) =011:311 52. 13 51. 54
c:yx =100:511 ISME8 SRELO
a:M=001:011 32, 29 32. 28
a:m =001:101 26. 20 26. 43
a:g =001:213 21...58 21. 38
m:Y=110:221 31. 39 31. 38
Stante la poca concordanza dei valori ottenuti, non credei
conveniente calcolare un rapporto parametrico particolare.
(1) Si adottò l’orientazione di DauBER « Untersuchungen der Min. d. Saml.
d. H. Krantz, ecc. Pogg. Ann. 103, p. 116. — Per indicare le faccie si scel-
sero le lettere usate da GoLpscHMiDT. « Index der Krystallformen der Mi-
neralien, 1.485, Berlino, 1886.
(2) E Dana, On the Datolite From Bergen Hill. N.Jm.A.Jour. 1872, 4.16.
144 FRANCESCO SANSONI
Caratteri ottici. — Piano degli assi ottici (010) -- Prima
bisettrice quasi normale a (001). — Due lamine tagliate nor-
malmente alle 2 bisettrici, dettero nell’olio i seguenti valori
2 Hog =384%8.0 2Ho=124°,38°
da cui si ricava 2 V—74°.13..
2. CALCITE.
Anche di questo minerale del giacimento toscano discorre a
lungo il Prof. D’Achiardi (loc. cit. Vol. I, pag. 150). Vi nota
le seguenti forme:
(0001) = OR, (4047)4R, (1011)R (0112) Bg
(0778) -XR, (0332) —-%R, (1010)ooR, (2134)}R3,
(2131) -Ri8s. (8251) R&0,/(1841)=2R2,. (8584) lina
Tanto il Prof. D’Achiardi, come il Prof. Bombicci assicurano di
avere osservato cristalli, nei quali predomina il così detto cuboide
(0 332) —% ER: ed altri, in cui ha il massimo sviluppo il comune
equiasse (0112) —}4E: nè l'una nè l’altra cosa, a me venne
fatto di osservare negli esemplari esaminati. Nota infine il pro-
fessore D’Achiardi una terza maniera di abito dei cristalli di
questo giacimento: essi resultano da scalenoedri, in varia guisa
sviluppati, ma sempre predominanti sulle faccette romboedriche ;
di questo tipo di cristalli egli dà la fig. 4.
Fino dal 1882 io ebbi agio di studiare alcuni esemplari di
Calcite di questa località, nel Museo di Kensington a Londra :
varii altri esemplari appartenenti al Museo mineralogico dell’Uni-
versità di Bologna ebbi in prestito a scopo di studio dall’ama-
tissimo mio maestro e collega Comm. L. Bombicci: un ultimo ed inte-
ressante esemplare io debbo alla. gentilezza del giovane sig. Piero
Capellini. Credo opportuno descrivere alcuni di questi esemplari
che si fanno rimarcare per la singolarità dei loro cristalli.
N. 1 — Museo mineralogico dell’Università di Bologna.
Cristalli bianchi smaltoidi, semi-trasparenti, di varia dimen-
sione profondamente impiantati sopra il Gabbro compatto rosso |
DATOLITE E CALCITE DI MONTECATINI 145
verdastro variegato. Hanno abito romboedrico, non costituito dalla
prevalenza di un'unica forma, ma sibbene da due che alterna-
tivamente offrono variabile sviluppo, e questi sono i due — 2 È
(0221), — R(0111). Hanno ordinariamente minore estensione le
rimanenti 0R(0001), R3(2131) (1011). È senza dubbio degna
di nota la presenza del Romboedro — R(0111), il quale è piut-
tosto raro nella Calcite, specialmente con facce estese lucenti ed
uniformi di superficie, e tali da fornire come nel caso nostro im-
magini semplicissime.
Comb: 9=—2R(0221); «=—R.(0111); K:=8(2131)
p=E(1011); 0=0R(0001) fig.2. (1)
Tutte le faccie hanno apparenza di superficie pressochè identica,
salvo una leggera striatura sopra le facce della zona principale ;
la quale striatura come d’ordinario avviene, va parallelamente agli
spigoli laterali del Romboedro di sfaldatura.
Valori angolari.
p:9=1011:0221 71.956’ (misurato) 72.°26' (calcolato)
c:g=0111:0221 18.52 18.31
x:0 =0111:0001 44. 38 ‘44,37
g:x =0111: 1011 74. 56 74. 55
K:K:=2131:2311 75.28 75632
N. 2. Museo mineralogico dell’Università di Bologna.
Cristalli limpidi vitrei adamantini con facce nettissime: sono
riuniti a gruppo sul gabbro rosso; oppure stanno su di esso
profondamente impiantati, emergendo soltanto per un terzo della
loro altezza: non sono molto voluminosi, di rado oltrepassano i
8 centimetri sull’asse principale: mantengono una certa costanza
(4) Si usarono anche per le forme della Calcite, le stesse lettere proposte
da GoLpscaMipT, loc. cit. pag. 371.
Limiti Media Calcolato
Nl:g =0881:0221 10390 20° 19°. 44' 19° 39
H:m=0881:4041 2059 — 21:80: 120
M:7'=0881:8081 118. 12 a eee
x=19:11°30:8: Spig.-X (1) 10738 />'78,80; 7390000
» » » i 40.20— 41 40.40 40.31:
> » sa 97.58 — 88-11 38 VO
x:p=1911308:1011 83 14 — 33.37, 33, 200000
x:m=19 11 30 8: 4041 20. 47 DE 20. 3%
x:g=19 11308: 0221 36. 52 2 È BRE
x:II1—19 11 30 8:0881
146 FRANCESCO SANSONI
di sviluppo nelle relative forme. Furono misurati 6 individui di
varia grossezza.
Forme osservate ; g=—2 (0221); m=4 R(4041);
p=R(1011); I.=—8 (0881); è=—YE(0112);
O0—W#(0004): <= (1911308) ea
Sono bene sviluppate e predominanti le faccette — 2 R(0221);
4R(4041); un po’ meno le R(1011) le quali mostrano delle
incavature triangolari perfettamente orientate fra di loro: la forma
R*(19 11 308) non fu peranco osservata nella Calcite, e pre-
sentasi con faccette ben distinte, e decisamente in zona con gli
spigoli laterali del romboedro di sfaldatura. Questo nuovo sca-
lenoedro è compreso fra i 2 già cogniti R!}4(74 113) e R4
(5382), appartenenti alla stessa zona principale.
Valori angolari.
32. 15 —_ 32.
Fu inoltre constatata ripetutamente la pertinenza delle fac-
cette di questa forma alla zona principale degli spigoli laterali
del romboedro di sfaldatura.
Furono pure constatate le zone che collegano le forme rom-
boedriche suindicate.
(1) S'indicano con X, Y, Z le 3 qualità di spigoli di uno scalenoedro ;
e rispettivamente i culminanti acuti, i culminanti ottusi ei laterali a zig zag.
DATOLITE E CALCITE DI MONTECATINI 147
N. 3. Collezione privata del Sig. Piero Capellini.
Piccoli cristalli di abito scalenoedrico impiantati sopra Calco-
cite, e Calcopirite compatta. Sono questi cristalli limpidi traspa-
renti, assai piccoli di rado oltrepassando i 4!" sull’asse principale.
= 20221)
Forme osservate; X: — R3(2131) =
b:=—!/,R4 (85/84); pi R(L001) E: RiL(le4)
fig. 4.
Valori angolare.
k:g=2131:0221 87°52' (misur) . 87°. 41'(calcol.)
b: —3584 Y 37.25 37.28
» » X 64.48 64.43
» dI Z 47.36 47.1
E::p=5164:1011 IN MRRE li, 42
Sono ben distinte con immagini semplici le faccette —'/, 4;
(3584); —2(0221); (1011): appaiono invece striate le
rimanenti. La forma È (5164) giace sull’ incontro delle due
zone (2131: 1011] ed [35 84:85 3 4]: attesa l’imperfezione
delle faccette di questa forma, queste zone furono ripetutamente
esaminate, ottenendo quasi sempre deviazioni notevoli: tuttavia le
misurazioni ottenute non autorizzano a calcolare un nuovo simbolo.
N. 4. — Museo di Kensington — Londra.
Piccoli cristalli oltremodo splendenti, vitrei, trasparentissimi
cresciuti sopra la Bornite: non sono profondamente impiantati ,
tanto che emergono quasi completamente.
Forme osservate g=—2R(0221); K:=R3(2131);
p=R(1011), P:=R5(32 51); m=4R(4041);
=R(7186) g:= R4(5 279); o=—-R(01
b=c0 R(1 010); o0=0E(0001) fig. è,
12);
148 FRANCESCO SANSONI
Sono predominanti le faccette =—2 R (0221); in qualche in-
dividuo prevalgono invece le £&3(2131): subordinate sono le ri-
manenti, le quali tutte forniscono immagini semplici, ad eccezione
delle faccette dello scalenoedro 4% , (5279) ed R4,(7186
le quali per essere un poco striate, fornirono valori un poco oscil-
lanti (1).
Valori angolari.
=4041:1011 831°. 12'(misur.) 31° 10' (calcol.)
Mm ip
p :0 =1011:0001 44. 44 44.47
O :0 =0112:0001 26.11 26.15
pg :d =0221:0112 36.38 36:58
K::P: =2181:3251 8.53 8.53
K::p =2181:1011 28.59 29.2
c::p =7186:1011 7.50 8.6
gi:p =5279:1011 16.9 16. 32
N. 5. Museo mineralogico dell’Università di Bologna.
Cristalli vitrei splendentissimi, di rado completamente impian-
tati, su Gabbro rosso, insieme alla Datolite: per lo più la parte
sporgente, corrisponde ad un sestante positivo, così come fu effigiato
nella fig. 6.
Sono questi cristalli rimarchevoli per la ricchezza delle faccette
che presentano : e certamente a questi splendidi cristalli volle allu-
dere il Prof. d'’Achiardi quando nella citata opera scrisse a pag. 156
« finalmente in taluni piccoli cristalli a tutte queste forme che
sono sempre predominanti, se ne aggiungono tante e tante, che
ne riesce impossibile la determinazione, contandosi talora non
meno di 4, 6 e più romboedri, 8, 10 e più scalenoedri. » Infatti
pochi altri giacimenti possono gareggiare col nostro per copia di
facce, per cui questi cristalli possono indubbiamente stare a paro
(1) Queste determinazioni furono eseguite nel Laboratorio del Museo di
Kensington a Londra: mi è grato di esternare qui la mia gratitudine al-
l’egregio D. Fletcher, che mi permise tale studio.
LI
Note di Mineralogia italiana - Vatolite e Calcite di Montecatini
DATOLITE E CALCITE DI MONTECATINI 149
coi celebri già studiati del Lago superiore, Agaete (Gran Canaria ecc).
Quello che poi vi ha di più notevole, si è il meraviglioso concate-
namento zonale esistente fra tutte queste forme.
Forme osservate g=-—2R(0221, K:=R38(2181),
p:=—2R2(1341), p=R(1011), o=0R(0001),
e=%R(5052), m=4R(4041), II.=—8£(0881),
A.=—%R(0772), è=—R(0112)F:=R*/,(4153),
G'—=—%R3(48125), b:=——-R4(3584)
e:=X4R/,(4156) (fig. 6)
Predominano le faccette — 2 R(0 221) , seguono in medio svi-
luppo le —2R2(1341), R3(2131), (1011); subordinate
sono le rimanenti.
Valori angolari.
I1.:9 =0881:0221 19°.40'(misur.) 19°.39' (calcol.)
Fi::p =4153:1011 14.55 14.28
K::e =2131:5052 17.42 A vaneg
K::P:—-2131:1841 26.7 26.9
PD: —=1341 ZIA 44. 43
Pi:o =1841:0221 17.5 Lai
pg :p =0221:1011 50.34 50. 34
mie =4041:5052 7.51 7.51
g :G: =0221: 48125 16. 54 rt di
k::G:=2181:4153 14.88 14. 38
b: — 8584 Y. 37.25 37.29
b: — 3584 X 65.11 64. 43
e: : p =4156: 1011 9.49 10.26
Dal Gabinetto di Mineralogia della R. Università
Pavia, Dicembre 1887.
150 C. GIACOMINI
Su alcune anomalie di sviluppo dell'embrione umano,
del Prof. C. GIACOMINI
Nota 2°.
In questa seconda nota è descritto un embrione umano ar-
restato ai primissimi stadi del suo sviluppo, e vien studiata la
sua intima costituzione paragonandola con quella di embrioni di
coniglio e di pollo pure arrestati nella loro evoluzione.
In un mattino dello scorso luglio il Dott. Anglesio mi por-
tava all'Istituto una vescicola di forma perfettamente ovale, della
lunghezza di 3 ‘/, cent. e della larghezza massima di 2 ! ", cent.,
completamente distesa da liquido limpido. La parete era traspa-
rentissima, e si notavano sulla superficie esterna di essa delle
striature nerastre, formate da depositi sanguigni.
Questa vescicola era stata emessa pochi momenti prima da
una donna d’anni 24, la quale in 5 anni ebbe quattro parti
a termine. Essa era ricoverata all'ospedale, presentava antifles-
sione dell'utero con metrite granulosa del collo, e si trovava in
uno stato di anemia assai pronunciata. La gravidanza, secondo
la donna, datava da circa 2 mesi.
I dati clinici e principalmente quelli ginecologici non devono
mai essere trascurati in casi di aborto, anzi devono esser rac-
colti con somma cura, potendo essi portar luce nell’argomento.
Nel caso nostro abbiamo elementi più che sufficienti per ren-
derci ragione non solo dell’aborto, ma ancora dell’arrestato svi-
luppo dell’embrione.
Per convenientemente conservarla fu messa la vescicola nel
liquido picro-solforico e quindi nell’alcool secondo il metodo
ordinario.
La perfetta trasparenza del liquido e della parete permet-
ANOMALIE DI SVILUPPO DELL’EMBRIONE UMANO Fold
teva un esame accurato di tutte le parti della vescicola. In un
punto della parete che corrispondeva alla zona della piccola
estremità, e applicato alla superficie interna di essa si notava
un piccolo corpicciolo d'aspetto gelatinoso, prima trasparente, che
si fece poi sotto l’azione dei reagenti biancastro, come lattigi-
noso, leggermente incurvato colla concavità verso il centro, e
colla convessità rivolta alla parete (vedi fig. 5).
Questo corpicciuolo presentava una grossa estremità intera-
mente libera diretta all’interno. La piccola estremità si confondeva
invece colla parete della vescicola. Nel complesso rassomigliava
ad una virgola, non andava però regolarmente diminuendo dalla
grossa alla piccola estremità, ma prima di raggiungere questa
presentava un legger rilievo a destra ed a sinistra della linea
mediana simulando quasi due estremità rudimentali, e da qui
partiva un cordone biancastro, che era quello che lo teneva unito
alla parete della vescicola. La grossa estremità nell’incurvarsi si
assottigliava d'alquanto, notandosi una leggera depressione al lato
sinistro di essa.
A poca distanza (3 mm.) dell’estremità libera, che chiameremo
cefalica (essendo che questo corpo ci rappresenta evidentemente
un embrione arrestato nel suo sviluppo) si osserva nello spessore
della parete un punto biancastro ed opaco, dovuto ad un in-
spessimento di essa.
La superficie esterna della parete è liscia e regolare in tutta
l'estensione, tranne nella località ove essa aderiva alla estremità
caudale del rudimento embrionario, nel qual punto si scorgeva
un filamento sottile e frastagliato come se fosse lacerato che
rappresentava i legami vascolari col Corion. L'azione dell’ alcool
provocò un precipitato nel liquido, la vescicola si fece meno
trasparente e divenne floscia.
Qui adunque si trattava di un sacco amniotico molto disteso
avuto riguardo alla piccolezza dell'embrione che conteneva, questo
non aveva sviluppo normale, ma era fortemente deformato , ed
era già entrato in periodo di regresso. La grande sproporzione
tra la cavità amniotica e l'embrione è sempre sicuro indizio di
un deviato sviluppo. Secondo His ancora negli embrioni di 15 mm.
l’amnios si trova quasi applicato alla superficie dell’ embrione.
Nel nostro caso invece si aveva un embrione di appena 3 mm, e
l’amnios era 10 volte maggiore. Quindi nè dal volume dell’amnios,
che era troppo grande, nè da quello dell'embrione che era troppo
152 C. GIACOMINI
piccolo, potè essere dedotta l’età dell’ovolo. Probabilmente essa
corrispondeva al principio del 2° mese.
Così caratterizzato quest’'aborto, manifestai il desiderio di
avere anche le membrane quando esse venissero emesse. Nella
sera dello stesso giorno ho ricevuto infatti un corpo piriforme
lungo 6 cm. su 5 di larghezza, che per il suo colore e consi-
stenza aveva l’aspetto di un grumo.
Esaminato dopo 24 ore d’immersione nell’alcool diluito si
trovò che esso risultava dalle membrane fetali e materne. Al
centro esisteva una cavità piena di sangue rappreso, limitata da
una sottile membrana che era il Corion, il quale presentava alla
sua superficie esterna villosità ben pronunciate che si confon-
devano con gli involucri materni, i quali per altro non erano
ben distinguibili per la grande infiltrazione di sangue. Non fu
possibile distinguere altre particolarità.
L'esame praticato è però sufficiente -per ammettere che il
distacco del sacco amniotico fu evidentemente provocato dal ver-
samento sanguigno operatosi tra la faccia profonda del vero
Corion e la esterna dell’amnios; e ciò è ancora confermato dalla
striature sanguigne che si osservarono alla superficie dell’amnios.
Questo fatto mi rende ragione di diversi altri aborti nei
primi mesi da me osservati, nei quali non mi fu possibile di
scoprire nell’interno del grumo traccia alcuna di embrione. Nel
nostro caso fortunatamente la vescicola amniotica non si ruppe
e fu raccolta subito dopo che essa fu emessa. Ma se essa scop-
piava durante l’espulsione, anche colle più accurate ricerche sa
rebbe stato difticile il distinguerla, e sarebbe andata perduta
insieme all’embrione atteso la sua picciolezza e la sua estrema
delicatezza. In allora emesse le membrane non si sarebbe riscon-.
trato nulla che ricordi l’embrione. Però se le cose fossero av-.
.venute in questi termini vi ha il Corion d'origine embrionaria,
il quale è sempre facile a riconoscersi, ed esso, data la circo-
stanza, potrà sempre risolvere la questione se si tratti o no di.
vera gravidanza.
Ritornando ora all’embrione dobbiamo avvertire che l’amnios
malgrado il suo forte distendimento si presentava di costituzioni
normale. Larghi lembi coloriti convenientemente e sottoposti al-
l'esame microscopico non presentarono nulla di speciale. L’epi
telio era continuo e regolarmente disposto in un solo strato,
nuclei ben evidenti facevano sporgenza nell’interno della cavità
ANOMALIE DI SVILUPPO DELL’EMBRIONE UMANO 155
e ciò si scorgeva meglio nelle sezioni perpendicolari alle faccie.
All’infuori lo strato epiteliare era sostenuto dalla lamina di con-
nettivo, e si è su questa che si trovano disposte le striature
sanguigne che abbiamo notato esistere alla superficie esterna del-
l’amnios.
L'embrione malgrado il suo forte grado di deformazione ,
conservava con l’amnios quei rapporti che si osservano nelle con-
dizioni normali. Ed erano precisamente questi rapporti che ci
facevano distinguere nel rudimento embrionario una estremità
cefalica ed una caudale, distinzione che non sarebbe stata pos-
sibile se noi avessimo avuto sotto occhio solamente l'embrione.
Esso infatti non ci presenta distinzione di parti, il processo di
atrofia e per l'epoca in cui ha incominciato e per lo stadio a
cui è giunto e per l’estensione sua ha ridotto il prodotto ad
un informe tubercolo, che non lascia trasparire nulla della sua
primitiva origine (vedi fig. 6).
His, a pag. 18 del fascicolo II della sua Anatomie menscehli-
cher Embryonen, riporta in una tabella tutte le deformità da
lui osservate, che possono essere comprese in tre gruppi. Le
forme noduluri, le forme atrofiche e le cilindriformi.
Le forme nodulari rappresentano il massimo grado di ridu-
zione, esse risultano di piccoli tubercoli più o meno regolarmente
sferici unici o molteplici applicati alla superficie del Corion e
compresi in un sacco amniotico molto ampio. Il loro diametro
può variare da 1 a 5 mm.
Sotto il nome di forme atrofiche V’His ha radunato quelle
deformità, le quali malgrado presentino differenze fra di loro ,
sono però d’accordo in ciò che l'embrione secondo la sua forma
generale è ben riconoscibile, ma anormalmente deformato e sempre
inferiore al diametro delle membrane, dalle quali si trova cir-
condato. Il diametro di queste forme oscilla fra 2,3 ad 8 mm.
Nel gruppo delle forme cilindriche sono compresi 4 embrioni
di un diametro maggiore dei precedenti (11,3 a 13,7 mm.), i
quali furono colpiti principalmente all'estremità cefalica, mentre
il tronco relativamente si avvicina alla condizione normale.
Volendo riferire a qualcuno dei gruppi stabiliti da His, la
deformità da me descritta si potrebbe dire che essa appartenga
alle forme atrofiche, o meglio stia fra queste e le forme nodu-
lari, essendo che il gruppo delle forme atrofiche comprende em-
brioni, i quali malgrado siano colpiti da un processo di arresto
154 C. GIACOMINI
nel loro sviluppo, nella grande maggioranza di essi sono ancora
ben distinguibili le principali particolarità della loro conformazione
esterna, mentre nel nostro esse sono completamente scomparse.
La distinzione stabilita da His, fu fatta, io penso, solo a
scopo di portar un po’ d'ordine nel ricco materiale che egli aveva
a sua disposizione, ed essendo fondata sulla semplice apparenza
esterna, nulla ci dice riguardo all’epoca in cuî si iniziò il pro-
cesso morboso, come pure riguardo alla sua localizzazione e
diffusione sulle parti circostanti. Ciò evidentemente non potrà
ottenersi che coll’esame attento e minuto dell'embrione deformato
con quei medesimi procedimenti coi quali si studia un embrione
normale. In molti casi però anche così operando non si otterranno |
risultati troppo favorevoli, essendo che i prodotti così profonda-
mente colpiti cessano generalmente di vivere nella cavità del-
l'utero in un’epoca più o meno lontana dalla loro espulsione ,
ed allora entrano in periodo di involuzione, conseguenza del quale
sarà una maggiore deformazione dell'embrione od anche la sua |
totale scomparsa. E noi non saremo sempre in grado di poter |
esattamente precisare se una data alterazione dipenda dal pro-
cesso primitivo che ha disturbato od arrestato lo sviluppo del .
tutto o di una parte, ovvero se essa non sia piuttosto la con-
segnenza ultima di essa. Ad ogni modo l’esame microscopico non
solo dell'embrione ma ancora de’ suoi annessi è il solo che possa
somministrarci gli elementi per poter giudicare queste forme
anormali e convenientemente classificarle.
L’embrione che ho descritto trovandosi nelle migliori condi-
zioni di conservazione e d’indurimento, dopo averlo colorito in
massa col carminio-borace, e dopo l’inclusione in paraffina, fu
sezionato col microtomo perpendicolarmente all’asse principale. Le
sezioni cominciarono sull’amnios, là dove abbiamo notato quel-
l’inspessimento biancastro, e terminarono nel punto ove esiste-
vano quei filamenti sulla superficie esterna di esso. Furono così |
fatte 800 sezioni, L’embrione che aveva la lunghezza di 3 mm.
venne compreso in 150 sezioni. I
È d’uopo che qui aggiunga un’altra circostanza per dimo-
strare come le mie aspettazioni riguardo a questo studio non
fossero molto grandi. Fin dal maggio 1879, io aveva studiato
un embrione umano anomalo che mi fu dato dal prof. Cuzzi.
Esso si presentava sotto forma di un tubercolo conico. La grossa
estremità rappresentava la parte cefalica , nella quale non era
ANOMALIE DI SVILUPPO DELL’EMBRIONE UMANO 155
possibile distinguere alcuna particolarità. Verso la piccola estre-
mità che era la caudale si notavano due leggerissime elevazioni
a destra ed a sinistra della linea mediana, un po’ maggiori le
inferiori, che non erano altro che i primi rudimenti delle estre-
mità. L’indurimento fatto nell’alcool non riuscì troppo perfetto,
di più la tecnica microscopica in quell’epoca non era così pro-
gredita come oggidì, per cui le sezioni non si ottennero così
numerose e regolari; esse però erano sufficienti a dimostrare le
principali particolarità di struttura.
L'unica parte che fosse ancora ben distinguibile in tutta l’e-
stensione dell'embrione, in mezzo ad elementi rotondeggianti uni-
formemente sparsi, sì era quella che riguardava il sistema nervoso
centrale, principalmente nella sua parte cefalica ; ma esso era
ridotto ad un ammasso di piccole cellule rotonde che più non
i ricordavano la loro provenienza epiteliale. Nella maggioranza delle
sezioni questi elementi occupavano tutto lo spazio destinato al
canale midollare: in poche della parte cefalica ed in alcuni
punti si disponevano per piccoli tratti sotto forma di un nastro
flessuoso. Non esisteva traccia del canale centrale nè delle ve-
scicole oculari primitive. E questo fatto al quale in allora non
i diedi grande importanza, fermò meglio la mia attenzione in
seguito quando lo vidi ripetuto in embrioni anomali di pollo e
di coniglio siccome si vedrà più avanti (1).
Ma per quanto io sperassi di ottener scarso materiale dallo
studio dei preparati del nostro embrione, la realtà fu ancora al
disotto della aspettativa. Ben poco in essi si distingueva, che
potesse riferirsi a qualche organo embrionario, le sezioni si pre-
sentavano più intensamente e più uniformemente colorite col car-
(1) L’embrione descritto recentemente (lunghezza 3,78 mm.) da Franz
von PreuscHEN nel suo lavoro Die Allantois des Menschen, eine entwicke-
lunsgeschichtliche Studie auf Grund eigener Beobachtung, Wiesbaden , 1887,
che io ho potuto consultare solo dopo aver fatto questa comunicazione al-
l'Accademia, per il modo di presentarsi del sistema nervoso centrale non mi
sembra normale. Le sezioni ricordano perfettamente quelle dell’ embrione
umano sopra descritto. Manca completamente il canale centrale e tutto lo
spazio, a giudicare dai disegni, sembra occupato da piccoli elementi identici
a quelli che io ho trovato nel mio embrione. L’autore si limita a descrivere
la conformazione interna del sistema nervoso centrale, e non dice nulla ri-
guardo la sua struttura; forse non poteva ciò fare atteso il grande spessore
delle sue sezioni,
156 C. GIACOMINI
minio che non nelle condizioni normali. Non si osservavano quelle
variazioni di colorazione, dipendenti dal diverso modo di rispon-
dere al reagente degli elementi dei tre foglietti blastodermici e
delle loro provenienze che rendono così eleganti e dimostrativi i
preparati di embrioni normali, ma qui tutto appariva disposto
nel medesimo modo, e se qualche punto spiccava maggiormente
per la sua colorazione, ciò era dipendente non da una proprietà
degli elementi, ma da ciò, che quivi essi si trovavano più stipati,
e più abbondanti. Questo fatto della colorazione, è un primo ca-
rattere che serve a dimostrarci una alterazione avvenuta nella
evoluzione degli elementi embrionari. Io l’ho notato in tutti gli
embrioni di coniglio o di pulcino che avevano subìto un arresto
nel loro sviluppo, ed esso si accentua maggiormente quanto più
avanzato è il processo di alterazione, come era appunto il caso
nel nostro embrione.
Una seconda disposizione che colpisce nell’esaminare col mi-
croscopio questi preparati si è che non esiste nessuna differenza
negli elementi che formano il rudimento embrionario. Essi per la
forma, per la costituzione e per il modo con cui sono disposti
somigliano a cellule linfoidi; per cui a primo aspetto e non essendo
avvertiti del fatto sembra d’avere sott’acchio un follicolo linfa-
tico. Questa apparenza può essere generale per tutta l’estensione
della sezione e per tutta la lunghezza dell'embrione, oppure può
essere parziale, vale a dire che le piccole cellule, rotondeggianti,
con nucleo voluminoso e fortemente colorito possono essere uni-
formemente sparse, oppure esse possono formare degli aggruppa-
menti ben distinti e separati fra loro. Succede il primo caso
quando il processo morboso ha colpito l'embrione nelle primis-
sime fasi del suo sviluppo, oppure quando esso data da lungo
tempo ; il secondo caso invece si riscontra quando l'embrione fu
arrestato nella sua evoluzione in un’epoca più tardiva nella quale
era già avvenuta la comparsa di organi embrionari, in allora gli
elementi che costituiscono questi organi, così caratteristici nelle
condizioni normali, arrestati o disturbati nel loro sviluppo subi-
scono una alterazione, e sembrano trasformarsi in quelli elementi
piccoli e rotondeggianti; ma intanto finchè il processo non sia.
molto avanzato essi restano ben distinti gli uni dagli altri, e
quindi l'apparenza di gruppi cellulari indipendenti, che finiranno
più tardi per fondersi insieme, quando il processo perduri più.
lungamente. Questi due modi di presentarsi dell'embrione defor-
ANOMALIE DI SVILUPPO DELL EMBRIONE UMANO E5S7
mato non sarebbero che due stadi del medesimo processo. Tutto
ciò io ho dedotto non solo dallo studio dell’embrione umano che sto
descrivendo, ma ancora dall'esame comparativo di diversi embrioni
animali di animali arrestati a diverso stadio del loro sviluppo.
Ciò premesso, volendo ora brevemente indicare le particolarità
osservate nelle sezioni del nostro embrione, dirò come in esse non
fosse possibile distinguere traccia di organo alcuno, se si fa astra-
zione della parte più anteriore del sistema nervoso centrale. Per
maggiore intelligenza e per non di troppo prolungare la nostra
descrizione, mi limito a riportare il disegno di una sezione corri-
spondente all’estremità cefalica, dove sono visibili alcune parti-
colarità di struttura. Inutile sarebbe per lo scopo nostro di ri-
produrre altre figure (vedi fig. 7).
Esaminando queste sezioni si trova innanzi tutto che il rudi-
mento embrionario è rivestito alla sua superficie esterna da un
doppio strato di cellule, le quali ci rappresentano la lamina
cornea dell’epiblasta, e che conservano ancora molto ben evi-
dente la disposizione epiteliare, malgrado esse siano profondamente
modificate. Si presentano di figura cubica, con un nucleo piccolo
‘e come rattrappito al centro. Il nucleo è la sola parte delle cellule
‘che abbia risentito l’azione del carminio, il resto delle cellule è
completamente incoloro e trasparente, come se avesse subito la
degenerazione mucosa. Per cui nel suo complesso questo strato
‘assume l'aspetto di un orlo chiaro intorno alla parte da esso
circoscritta intensamente colorita.
I limiti delle cellule sono ben marcati. Lo strato profondo è
quello che è meglio conservato, e si riscontra su tutta l’esten-
sione dell'embrione. Il superficiale invece presenta le cellule più
basse ed in alcuni punti fortemente appiattite ed esse hanno ten-
denza a staccarsi e cadere nel liquido amniotico; per ciò alcuni
tratti della superficie presentano il solo rivestimento interno. Là
dove l’embrione contrae delle aderenze con l’amnios, e queste
aderenze cominciano già alla ragione cefalica, come si scorge nella
fisura, le cellule epiteliari ridotte ad un unico strato, e modifi-
cate tanto nella loro costituzione quanto nelle loro forme, si
continuano senza linea d'interruzione cogli elementi che abbiamo
veduto rivestire tutta la superficie interna dell’amnios, se non che
le cellule epiteliari dell’ amnios ci appaiono normali ed in piena
attività di funzione, mentre quelle dell’ embrione hanno cessato
di vivere e sono entrate in un periodo di regresso.
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol, XXIII, 12
158 C. GIACOMINI
La parte compresa dallo strato epiteliare, e sulla quale esso
trova applicata senza però avere aderenze troppo strette, è costitui
nella massima sua estensione da quegli elementi piccoli, forte
mente coloriti ed abbastanza uniformemente sparsi, dei qua
abbiamo già avuto occasione di parlare. Due punti però’ meritan
qui la nostra attenzione. Essi si trovano situati ai due estre
della sezione. L'estremo anteriore più piccolo corrisponde a quel
l’assottigliamento della parte cefalica, che abbiamo veduto avve:
nire nel mentre essa si incurva in basso ed all’interno, e preci
samente nel punto dove abbiamo notato quella leggera depression
che appare sotto la forma di un punto più oscuro. Quivi si notan
due spazi circolari ben circoscritti, l’uno situato più superficial
mente ed è il più ampio, l’altro posto al centro e più piccolo
Tutti e due si distinguono per la forma e la disposizione deg
elementi che limitano la loro cavità, e che grandemente si diffe
renziano da quelli che formano il resto del rudimento embrio
nario, ricordando i primordi di sviluppo del sistema nervoso cen
trale o delle sue dipendenze.
Questi elementi infatti si presentano molto allungati perfet
tamente cilindrici con un nucleo ovolare situato al centro; son
più alti e meglio distinti quelli che circoscrivono lo spazio pi
piccolo. Alla superficie esterna sembrano sostenuti da sottile mem-
branella che appare sotto forma di una linea più intensament
colorita (membrana prima di Hensen, membrana basale), e ch
serve sempre maggiormente a limitare queste parti dalle circo-
stanti. La cavità circoscritta da questi elementi e ripiena di cellul
piccole eguali a quelle che si trovano in tutto il resto dell’em-
brione e che probabilmente provengono dalla loro trasformazione.
Poichè è d’uopo avvertire che è solamente nel punto rappre-
sentato nella figura, che la parte di questi spazi si trova completa
in tutta l’estensione. Ma se si esaminano le sezioni che prece -
dono e susseguono, si trova che una parte della parete è com-
pletamente rovinata e confusa con il resto dell'embrione; e pro-
cedendo nel nostro esame si arriva ad un punto in cui tutta la
parete è distrutta e sostituita dai soliti elementi, i quali però
si trovano in questo punto più abbondanti e più stipati, formando
un cumulo ben distinto che può essere seguito per tratti ab-
bastanza estesi, e possono essere riconosciute le sue connessioni
o la sua terminazione. I
In tal modo si può scorgere che lo spazio situato più super-|
ANOMALIE DI SVILUPPO DELL’EMBRIONE UMANO 159
ficialmente ha origine e fine in questo punto, scomparendo affatto
nelle sezioni inferiori e superiori. Mentre lo spazio centrale cessa
nelle sezioni inferiori perchè qui finisce pure l’estremità cefalica
incurvata, esaminando le sezioni situate più in alto, esso va
aumentando in estensione prolungandosi verso la grossa estremità
della sezione, dove si continua con un cumulo di cellule, del
quale dobbiamo dire poche parole (vedi fig. 7 ©).
La grossa estremità della sezione rappresenterebbe la faccia
dorsale del rudimento embrionario. Quivi subito sotto il rivesti-
mento epiteliare già descritto, si trova un ammasso di piccole
cellule (C) ben circoscritto di figura circolare il quale con poche
variazioni si osserva per tutta la lunghezza dell’embrione. Esso rap-
presenterebbe il canale midollare in completa disorganizzazione.
La alterazione degli elementi sarebbe quivi più avanzata essen-
dochè in mezzo ad essi si trovano delle isole di sostanza granu-
lare, la quale deve essere considerata come l’ultimo stadio del
processo che li ha invasi.
La comunicazione tra questa parte e quella più superiormente
descritta avveniva per un tratto ristretto, ben limitato e legger-
mente curvo, ripieno dei soliti elementi.
Alcune sezioni al dissotto dal punto in cui succedeva questa
congiunzione, si notava un cordone cellulare avente la stessa di-
rezione e compreso in tutta la sua estensione in cinque sezioni,
il quale simulava l’estremità superiore della corda dorsale.
Queste sono le poche particolarità che erano ben distinte
nel nostro embrione e suscettive di una interpretazione. Nel resto
nulla poteva essere notato che avesse rapporti con qualche altro
organo embrionario. Non esistevano traccie di vasi sanguigni nè
nel rudimento embrionario, nè nel cordone che lo teneva unito
all’amnios. In quest’ultimo punto fatta astrazione del rivestimento
amniotico, non poteva distinguersi struttura alcuna. Si aveva sot-
t'occhio infatti una specie di tessuto areolare più o meno irrego-
larmente disposto con areole ristrette la cui rete si dimostrava
completamente amorfa. Solo in diverse sezioni che interessavano
la parte terminale del cordone, comparivano degli spazi o com-
pletamente ripieni di elementi epiteliari ovvero solo rivestiti da
un unico strato di essi, che limitavano quindi una piccola cavità.
Essi si presentavano di forma cubica, con nucleo centrale ed
avevano presso a poco i medesimi caratteri di quelli che abbiamo
veduto formare il rivestimento epiteliare del rudimento embrio-
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII 142
160 C. GIACOMINI
nario. La provenienza era però diversa, essendochè questi spazi
ci rappresentavano residui del canale omfalomesenterico o canale
vitellino e quindi il rivestimento epiteliare era dipendenza dell’i-
poblasta. Questi spazi come ho già detto si notavano solo in un
gruppo di sezioni, e non potevano essere seguiti nè verso V’em-
brione, nè verso la terminazione del cordone ombellicale. Era
quindi un solo piccolo tratto del canale vitellino che persisteva,
ed esso non era disposto in linea regolare, ma descriveva delle
flessuosità, comparendo in alcune sezioni duplice, duplicità che
scompariva nelle sezioni successive, osservandosi la fusione dei due
canali in un solo. Quei filamenti che si notavano alla superficie
esterna dell’amnios in corrispondenza della inserzione dell’ em-
brione, non erano che resti di vasi interamente otturati.
Da quanto siamo venuti dicendo appare evidente che la no-
stra deformità rappresenta uno degli stadi più avanzati dell’al-
terato processo di evoluzione; per poco che esso avesse ancora
soggiornato nella cavità uterina ogni traccia di organo embrionario
sarebbe stata distrutta e tutto l’embrione sarebbe stato ridotto
ad un ammasso informe di piccoli elementi cellulari in via di
regresso, i quali più tardi anch’essi avrebbero finito per scom-
parire. Ed accettando la distinzione fatta da His de’ suoi em-
brioni deformati, ma volendo nello stesso tempo dare ad. essa
una solida base fondata sulla intima costituzione; si potrebbero
chiamare forme nodulari quelle nelle quali l’esame microscopico
non dimostra più alcuna traccia di organi embrionari; forme
atrofiche invece quelle altre nelle quali questi organi malgrado
siano profondamente alterati nella costituzione, nella forma e nei
rapporti sono sempre tuttavia ben distinguibili. Sono queste le
forme più numerose, le più svariate e quelle che devono essere
quindi più attentamente studiate siccome le più istruttive, po-
tendo esse somministrarci elementi preziosi per rischiarare la
questione della natura del processo che ha colpito l’embrione,
l'estensione sua, il modo suo di comportarsi colle diverse parti,
e via dicendo. È questo un campo ancora vergine e che -bhen
coltivato può dare ampia messe di fatti non solo morfologici ma
anche fisiologici.
E la semplice apparenza esterna non è sufficiente per carat-
terizzare la forma di una deformità embrionaria. In una coniglia
al 13° giorno di gravidanza io ho trovato 6 embrioni, cinque
dei quali erano deformi a diverso grado. Quello che aveva subìto
ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO 161
il maggiore arresto sì presentava sotto la forma di piccolo ba-
stoncino, esso avrebbe potuto essere classificato fra le forme no-
dulari; l’esame microscopico invece dimostrò che il processo non
era relativamente molto avanzato , distinguendosi tutte le parti
embrionarie e fra queste spiccava in principale modo il sistema
nervoso centrale, malgrado esso fosse profondamente alterato.
Così intesa la distinzione di His, il nostro embrione appar-
tiene alle forme atrofiche le più infime, proprio in vicinanza del
punto di passaggio tra queste e le nodulari.
La seconda distinzione che dovrebbe essere sempre fatta nel-
l'esame di embrioni arrestati nella loro evoluzione è quella che
riguarda l’ epoca in cui è avvenuta la morte. Vale a dire che
convien cercare di ben stabilire se la morte è avvenuta qualche
giorno prima oppure in epoca più o meno vicina al momento
dell’espulsione. Si comprende facilmente tutto l’interesse che può
avere una simile determinazione. Un embrione deviato nel suo
sviluppo avendo cessato di vivere qualche tempo prima dell’aborto,
oltre le alterazioni prodotte dal fatto primitivo, noi dovremo
riscontrare anche quelle occasionate dalla morte avvenuta, e ta-
lora queste possono essere tali da mascherare le prime. Che anzi
io credo che molte deformità che si osservano nelle prime epoche
della vita embrionaria, siano dipendenti unicamente da ciò che
il prodotto ha cessato di vivere ed è entrato in una fase regres-
siva. È inutile ch’io aggiunga che questa distinzione riguarda
solamente le forme atrofiche essendo che nelle nodulari la vita
è cessata da un’epoca più o meno lontana.
Ma non voglio maggiormente insistere per ora sopra questo
punto, che presenta difficoltà nè poche, nè lievi, mi limiterò solo
a dire che nel caso nostro la morte doveva essere avvenuta da
parecchi giorni.
Ciò che sorprende nello studio che abbiam fatto, si è il
vedere la completa indipendenza dell’embrione dai suoi annessi
d'origine fetale. Mentre esso va distruggendosi e scomparendo, il
corion e l’amnios non solo si dimostrano di costituzione normale,
ma essi continuano a svilupparsi, e sembra che quella somma
di attività che era destinata allo sviluppo ed accrescimento del-
l'embrione, vada invece interamente a loro giovamento. È questo
un fatto avvertito da tutti gli autori e considerato come causa
della vera mola.
Su di un ultimo punto desidero fermarmi prima di porre
162 C. GIACOMINI
termine a questa descrizione. Abbiamo veduto che l’unico organo
che fosse riconoscibile nel nostro caso era la porzione anteriore
del sistema nervoso centrale; e ciò si comprende facilmente. Il
canale midollare è una delle parti che prima compaiono, è co-
stituito da elementi che sono caratteristici nella loro disposizione
e nella loro forma, assume tosto ampio sviluppo, e si rende in
certo modo indipendente; per cui colpito l’embrione da un pro-
cesso di arresto più facilmente resiste e più lentamente avviene
la sua disorganizzazione. Nel nostro caso poi esso è l’unico segno
che indichi approssimativamente l’epoca in cui lo sviluppo fu
disturbato; il canale midollare doveva essere perfettamente chiuso
e già formate le vescicole oculari primitive, il che corrisponde-
rebbe alla 3* settimana.
E non è meno caratteristico il modo di comportarsi del si-
stema nervoso centrale quando esso è disturbato in un periodo
più inoltrato del suo sviluppo e quando in esso si è prodotta
una maggiore distinzione delle sue parti, In allora mentre tutto
il resto si mostra stazionario, gli elementi del canal midollare
perdono il loro aspetto caratteristico ed i loro mutui rapporti,
non sono più disposti regolarmente in serie da formare le così
dette catene di proliferazione, ma si presentano come cellule
piccole, indifferenti, non più legate da prolungamenti protoplasma-
tici, e sembra che esse vadano aumentando in numero, per modo
che non potendo più capire nello spazio ad esso destinato avvengono
nelle parti delle inflessioni le più svariate, delle quali però in
principio può essere sempre ben riconosciuta la continuità; poi
il nastro così disposto si spezza in diversi punti, gli elementi si
diffondono irregolarmente e tutto lo spazio occupato dal sistema
nervoso è ridotto ad ammasso di quelle cellule delle quali ab-
biamo più volte avuto a discorrere.
‘Questo fatto avviene anche nelle dipendenze del sistema ner-
voso centrale, ad es. nella retina. E non posso trattenermi di
qui riportare il disegno del globo oculare di un embrione di
pollo al 5° giorno di incubazione, nel quale il sistema nervoso
si trovava nel 1° stadio della descritta alterazione. Nella fig. 8
si scorge che mentre la parte prossimale della vescicola oculare
secondaria P è abbastanza regolarmente disposta se non normale
nella sua costituzione ed in essa comincia a depositarsi il pig-
mento, la parte distale della vescicola , quella che dà origine
alle parti nervose della retina, oltre ad essere formata da ele-
ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO 163
menti molto diversi dalle condizioni normali presenta una grande
quantità di circonvoluzioni che sono veramente caratteristiche (1).
Ora, supponendo che la causa che ha prodotto il disturbato
sviluppo, cessi in un periodo nel quale l’embrione sia ancora
vivo, esso continuerà a svolgersi, potrà giungere a termine, sarà
anche vitale, ma con tali imperfezioni nella organizzazione di
alcune parti, le quali se non compromettono la vita, alterano
però sempre il normale andamento di diverse funzioni.
Quanto sono venuto dicendo lo credo sufficiente per dimo-
strare tutto l’interesse che noi possiamo ottenere da questi studi.
E mentre attendiamo dalla Teratologia sperimentale i tanto pro-
messi risultati che valgano a spiegarci la ragione recondita del
così grande numero di deformità che si osservano nei primi stadi
di sviluppo tanto nell'uomo come negli animali, noi dobbiamo
dal lato anatomico studiare accuratamente tutte queste forme
irregolari, preparando così il terreno ad una vera patologia del-
l'embrione. Ed il nostro còmpito sarà reso più facile se i nostri
colleghi e principalmente gli ostetrici e ginecologi vorranno unirsi
a noi somministrandoci il materiale di studio, che non potremmo
procurarci altrimenti, accompagnandolo con tutte quelle indica-
zioni cliniche che sono di così prezioso aiuto per farci ricercare
le cause che hanno perturbato l’ evoluzione di nuovo individuo,
da impedire che esso raggiunga il suo scopo.
Breve nota tecnica.
Io praticava le sezioni dei preparati che furono oggetto di
questo studio nell'epoca più calda della scorsa estate ed in una
località che per la sua esposizione risentiva molto l'aumento di
temperatura. In queste condizioni, si sa che la paraffina che si
(4) In questi giorni ho avuto l’opportunità di studiare un nuovo embrione
umano della lunghezza di 8 mm., il quale si presentava nella conformazione
esterna perfettamente normale. La conservazione e l’indurimento fatto in
alcool non troppo forte senza previa apertura delle membrane fu imperfetto,
ciò nondimeno io ho potuto dividerlo in 742 sezioni. La particolarità che
presentava quest’ embrione descriverò in altra occasione, ma intanto mi
preme di notare che il sistema nervoso centrale, unitamente alla vescicola
oculare mostrava in tutta la sua estensione l’alterazione sopradescritta,
mentre gli altri organi erano disposti come d'ordinario, malgrado gli ele-
menti costitutivi fossero profondamente modificati, atteso il cattivo processo
di conservazione.
164 C. GIACOMINI
usa ordinariamente e che fonde a 40, 45, 50 centigradi, di-
viene meno adatta per fare sottili sezioni. È d’uopo adoperare
paraffina con un grado di fusibilità superiore ai 60 gradi.
Non sempre si è in grado di poter usare di questo espe-
diente, o perchè non si dispone al momento di questa qualità
di paraffina, o perchè il preparato è già incluso in paraffina più
molle. Ma ben soventi anche potendo, non è conveniente di usare
siffatta paraffina perchè l’alta temperatura alla quale è d’uopo
portarla per renderla liquida, può far sentire la sua azione sugli -
elementi, specialmente se questi sono delicati e facili ad alterarsi, |
come sono appunto quelli che costituiscono un embrione.
Un mezzo semplice, che può essere applicato da tutti ed in |
ogni circostanza, mi tornò di grande utilità. Basta disporre di _
un sottile tubo di gomma della lunghezza di un metro e di un
recipiente capace a contenere 3 o 4 litri. Col tubo di gomma sì
fanno giri molteplici attorno alla morsa che fissa il preparato ed
anche attorno al preparato stesso per modo che essi non disturbino
il movimento della slitta del microtomo. Una estremità del tubo
pesca nel recipiente contenente acqua, nella quale vien immerso un
pezzo di ghiaccio; all’ altra estremità vien adattato un tubetto
di vetro con punta affilata onde il getto sia reso molto esile.
Il tubo funziona da sifone; l’acqua a bassa temperatura circola
attorno alla morsa, questa vien raffreddata, ed il raffreddamento
si estende ben presto al preparato. Dopo 10 o 15 minuti che
l'apparecchio funziona e quando cominciano a comparire piccole
goccie di rugiada sulle pareti del tubo , si può incominciare @
lavorare, ed allora si trova che le sezioni riescono bene anche
con paraffina fusibile a bassa temperatura.
L'apparecchio può continuare a funzionare per tutta la gior-
nata senza altra cura, che quella di aggiungere nuovo ghiaccio,
quando quello che si è messo da principio si è sciolto.
Questo sistema può essere adoperato i in condizioni affatto op-
poste, vale a dire per rendere più molle la paraffina nella sta-
gione invernale. Basta far. passare. per il sifone una corrente
d’acqua calda alla temperatura che ‘noi vogliamo, per ottenere
un riscaldamento di tutta la parte del microtomo che contiene
e fissa il preparato. Aumentando o diminuendo la quantità di
acqua che passa nel sifone o la velocità della corrente noi pos-.
siamo avere effetti diversi di riscaldamento e raffreddamento: cor, (
rispondenti allo scopo che noi desideriamo ottenere.
LÀ piede
LOI
14972
AI AI ICRI
RR
.
GIACOMINI- Anomalie di sviluppo dell'Embrione Umano
ANOMALIE DI SVILUPPO DELL’ EMBRIONE UMANO 165
La semplicità dell’apparecchio, la sua facile applicazione, la
prontezza e sicurezza nei risultati sono le circostanze che mi fanno
raccomandare questa specie di Zermo-sifone, a preferenza di tutti
gli altri artifici proposti per evitare piccoli inconvenienti, i quali ta-
lora però possono impedire lo studio di preparati molto interessanti.
SPIEGAZIONE DELLE FIGURE
Tav 01°
Fig. 5. Vescicola amniotica distesa, grandezza naturale. Si scorge
all’interno il rudimento embrionale R.
» 6. Embrione visto dalla faccia interna dell’amnios ed in-
grandito 15 volte coll’Embrioscopio di His. A inspes-
simento dell’amnios a poca distanza dall’estremità ce-
falica dell'embrione. Y° cordone che legava il rudimento
embrionario all’amnios V. Residui di vasi che si di-
stribuivano al corion.
» 7. Sezione (N. 291) dell’estremità cefalica del rudimento em-
brionario, vista a piccolo ingrandimento. A, amnios €.
residuo del canale midollare costituito interamente da
piccoli elementi e senza cavità centrale — M. canale
midollare nella sua parte anteriore corrispondente alla
vescicola cerebrale anteriore. Le pareti sono ancora
ben costituite in questo punto. La cavità è distinta
ma piena di piccoli elementi.
» 8. Sezione di una vescicola oculare di un embrione di pul-
cino al 5° giorno d’incubazione arrestato nel suo svi-
luppo — P. parte prossimale della vescicola oculare
secondaria — D. parte distale cle presenta caratte-
ristiche inflessioni identiche a quelle che si riscontrano
nel sistema nervoso centrale e costituita da piccoli ele-
menti uniformemente sparsi — ZL. lente cristallina.
Il Direttore della Classe
ALFronso Cossa:
CLASSI UNITE
Adunanza dell'8 Gennaio 1888.
PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ARIODANTE FABRETTI
VICEPRESIDENTE
In questa adunanza vien conferito il Premio BRESSA al sig.
Prof. LUIGI PASTEUR, dell’ Istituto di Francia.
Il Segretario pel Premio Bressa
ALFonso Cossa.
SOMMARIO
e
Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali.
ADUNANZA dell’ 8 ‘Gerinaio 1888 1.0. 0, a IA Pag. 144
Sansoni — Note di mineralogia italiana — Datolite e Calcite di
Montecatini (Valle di Cecina) (con una tavola). . . ...... » 142
Giacomini — Su alcune anomalie di sviluppo dell'embrione umano . » 450
Classi Unite.
CONFERIMENTO: del; Premio BRESSA: e LR LI TE ». 166
rilzie:
ATTI
R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE
DI-:--FORINO
PUBBLICATI
DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI
Vor. XXIII, Disp. 5", 1887-88
s—_—_T—
Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali
TORINO
ERMANNO LOESCHER
Libraio della R. Accademia delle Scienze
167
CLASSE
DI
SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza del 22 Gennaio 1888.
PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ARIODANTE FABRETTI
VICEPRESIDENTE
Sono presenti i Soci: Lessona, BERRUTI, SIacci, Basso, D'O-
vipio, BizzozERo, FERRARIS, NACCARI, SPEZIA.
Il Socio Cossa, Direttore della Classe, fa scusare la sua
assenza cagionata da obblighi di ufficio che lo trattengono a
Roma.
Letto ed approvato l’atto verbale dell’adunanza precedente,
il ff. di Segretario dà lettura di una lettera di ringraziamento che
il signor Luigi PAasrEUR invia da Parigi al Presidente dell’Acca-
demia, la quale gli aveva conferito il V Premio Bressa nell'ultima
sua adunanza a Classi Unite.
Comunica in seguito la morte di Lorenzo Guglielmo di Ko-
NINCK, Prof. emerito della Facoltà di Scienze nella Università
di Liegi, il quale era Socio corrispondente per la Sezione di Mi-
neralogia, Geologia e Paleontologia.
Fra le pubblicazioni pervenute in dono all'Accademia vengono
segnalati parecchi lavori pubblicati a Wiesbaden in occasione
del 60° Congresso dei Naturalisti e Medici tedeschi colà tenutosi
nel settembre scorso, e segnatamente il volume intitolato: 7a-
geblatt der 60 Versammlung deutscher Naturforscher und
Aerzte in Wiesbaden, redatto dai Dottori G. FRESENIUS e E.
PFEIFFER.
- Il Socio Succi, incaricato dal Presidente, presenta il fascicolo
di Aprile 1887 del Bullettino di bibliografia e di Storia delle
Scienze matematiche e fisiche, pubblicato da B. BoxcomPagnI e
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol, XXIII. 13
ero
168
dallo stesso offerto in omaggio all'Accademia. Indi prosegue : « Nel
tomo XIX del bullettino diretto dal benemerito Principe Bon-
comPaGNnI, un altro Socio corrispondente della nostra Accademia,
Enrico NARDUCCI, ha testè pubblicato quelle delle Vite dei Ma-
tematici scritte già da Bernardino BALDI, che, riguardando Ita-
liani, erano rimaste tuttavia inedite. Il NARDUCCI fa omaggio
all'Accademia di una tiratura a parte di questa pubblicazione,
che contiene per ordine di tempi 28 Vite, da Ameristo a Giu-
seppe Zarlino. Rimarchevoli per la copia di notizie e di scien-
tifiche osservazioni sono quelle di Archita, Archimede, Vitruvio,
Boezio e Gioviano Pontano. Il NARDUCCI coll’usata sua diligenza
ha corredato il lavoro con una erudita prefazione, nella quale
insieme ad una tavola di tutte le vite edite ed inedite dal BALDI,
colla indicazione dei codici che le contengono, ha enumerato i
principali scrittori che parlarono di essa opera e descritte le fonti
per procedere a una sicura edizione delle Vite rimaste inedite,
le quali ascendono a non meno di centocinquanta ».
Le letture e le comunicazioni si succedono nell’ ordine se-
guente :
1° « I Molluschi dei terreni terziari del Piemonte e
della Liguria (Mitridi); » quinta ed ultima parte di un lavoro
del Socio Prof. L. BELLARDI, presentata dal Socio Basso per
incarico dell’autore assente per ragione di salute, ed approvata
con voti unanimi dalla Classe per le pubblicazioni nei volumi
delle Memorie.
2° « Sulla struttura dell’ Hormogaster Rediî mihi; »
Studio del Dott. Daniele Rosa, Assistente al Museo Zoologico
della R. Università di Torino, presentato dal Socio LESSONA.
Questo lavoro, dovendo essere pubblicato nei volumi delle Me-
morie, viene affidato ad una Commissione perchè lo esamini e ne
riferisca in una prossima adunanza.
3° « Ricerche sperimentali sulle variazioni della resi-
stenza elettrica e del potere termoelettrico del Nichel al variare
della temperatura; Nota del Dott. A. BATTELLI, presentata dal
Socio NACCARI.
LETTURE
Sulle variazioni della resistenza elettrica e del potere termo-
elettrico del nichel al variare della temperatura; ricerche
sperimentali di Angelo BATTELLI
_— 2
1) Nel presente lavoro ho cercato di scoprire se la resistenza
elettrica del nichel variasse irregolarmente al mutare della tem-
peratura; e se tali variazioni irregolari avessero alcuna relazione
con i cambiamenti improvvisi che si osservano nelle proprietà
termoelettriche di questo metallo.
È noto che nel ferro avvengono alla temperatura del rosso
scuro diversi fenomeni che hanno attirata l’attenzione dei fisici.
Il Gore (*) nel 1869 trovò che alla temperatura sopraddetta i fili
di ferro subiscono improvvisamente cangiamenti di lunghezza; il
Prof. Barrett (**) nel 1873, seguitando le esperienze di Gore,
ha mostrato che tale subitaneo cangiamento avviene non soltanto
durante il raffreddamento, ma anche durante il riscaldamento ; e
che inoltre simultaneamente a questo fenomeno, se i fili vanno
raffreddandosi, succede in essi un repentino innalzamento di tem-
peratura (reglow). È noto per di più, che, alla stessa temperatura
all'incirca, il ferro perde le sue proprietà magnetiche, e dalle
esperienze del Prof. Tait (***) risulta, che pure a quella tempe-
ratura avviene un mutamento improvviso nelle proprietà termo-
elettriche. Poco dopo i sigg. C. M. Smith, C. G. Knott, e A. Mac-
farlane (****) hanno dimostrato che il diagramma termoelettrico
del ferro si piega quasi esattamente alla temperatura, a cui av-
viene in esso un cangiamento subitaneo nella resistenza elettrica.
Siccome anche nel nichel avvengono alcuni dei fenomeni, che
furono osservati nel ferro, cioè, cangiamento improvviso delle pro-
(*) Proc. of. the Roy. Soc. for., 1869.
(**) Phil. Mag., Ser. 4, Vol. XCVI, p. 472.
(***) Proc. of the Roy. Soc. of Edinb., Vol. VIII, p. 32.
(****) Ibidem, Vol. VIII, p. 629.
170 ANGELO BATTELLI
prietà termoelettriche alle temperature di circa 175° e dicirca 340°
come è stato mostrato dal Prof. Tait (*) e da me (**), e perdita
delle proprietà magnetiche a circa 320° come hatrovato Berson (***),
oppure di circa 350°, come ha trovato Tomlinson (****); non era
illogico il pensare che forse corrispondentemente ai fenomeni so-
praddetti avvenisse nel nichel anche un mutamento improvviso
nella resistenza elettrica, quantunque il T'omlinson (****) abbia tro-
vato che non hanno luogo nel nichel nè il fenomeno di (Gore,
nè il repentino innalzamento di temperatura scoperto da Barrett
nol. ferro {***#%),
2) Per fare le esperienze sulla resistenza, ho usato del filo
del diametro di 0,48 millimetri. Mi era molto utile il poter
collocare una lunghezza considerevole di questo filo in un piccolo
spazio ; e siccome disponendolo liberamente in qualunque maniera
nell’ambiente che doveva essere riscaldato, si correva poi sempre
il pericolo che alcune parti del filo si venissero a toccare per i
cangiamenti che in esso cagionavano le variazioni di temperatura,
mi è stato necessario di avvolgerlo a spirale, e fissarlo sopra
una sostanza che non conducesse la corrente elettrica. Non potevo
per questo usare nè il vetro, nè il legno, perchè dovevo sperimen-
tare fino a temperature superiori ai 400°. Ho scelto l’amianto,
e mi sono assicurato che a 480° non conducesse la corrente
elettrica, ponendone una striscia dentro l’apparecchio riscaldante,
dopo averne legato strettamente le due estremità con due fili di
rame; e inserendo poi nel circuito una coppia e un galvanometro..
Il galvanometro non diede il menomo segno di corrente elettrica.
Ho scelto adunque due di queste striscie di amianto, e ne
ho ricoperto il bulbo e parte del cannello di un termometro,
che era diviso in gradi e che arrivava fino a 460°; poi ho av-
volto fortemente a spirale sull’amianto il filo di nichel, facendone
uscire le due estremità per due fori praticati nel sovero che so-
(*) Proc. of the Roy. Soc. of Edinb., Vol. VIII, p.
(**) Rend. della R. Acc. dei Lincei, Vol. Ill, fas. 4°, 2° semestre, p. 105.
(***) Ann. de Chim. e di Phys. (1886) 2, p. 497.
(****) Phil. Mag. S. V., Vol. 24, Settembre 1887, p. 256.
(*****) Secondo Proncuon (Ann. de Chim. et de Phys., Serie 6*, Vol. XI,
p. 33), alla temperatura di 230° vi sarebbe anche un salto nella variazione
del calore specifico del nichel; però le esperienze recentissime del Prof. Nac-
CARI, (Atti dell'Acc. delle Sc. di Torino, Vol. XXIII, Dic. 1887), alle quali ho
avuto la fortuna di assistere, non confermano il fenomeno.
VARIAZIONI DELLA RESISTENZA ELETTRICA DEL NICHEL Ecc. 171
steneva il termometro, avendo avuto cura di coprire con amianto
i due tratti di filo che sarebbero stati a contatto col sovero
stesso. Questo poi chiudeva esattamente la bocca dell’apparec-
chio riscaldante.
L'apparecchio riscaldante era costituito da un cilindro di
ferro del diametro di circa 15 centimetri e a pareti molto
grosse : dentro questo cilindro ne era collocato un altro del dia-
metro di circa 5 centimetri. La base inferiore dei due cilindri
e superiormente tutto lo spazio anulare era chiuso da grosse
pareti di ferro; non era aperta che la base superiore del cilin-
dro interno in cui si adattava il sovero che portava il termo-
metro e il filo. Dentro il medesimo cilindro interno fu messa un
po’ di paraftina; perchè, quando s'innalzava la temperatura del -
l'apparecchio, i vapori che da essa sì sviluppavano a poco a poco,
cacciavano l’aria, e così il filo rimaneva avvolto da un’ atmo-
sfera di vapori alle temperature più elevate.
Le due estremità del filo uscivano dal tappo per una lun-
ghezza esatta di 30 centimetri, ed erano saldate a due grossi
fili di rame. Le saldature poi erano immerse in un largo reci-
piente di olio, difeso per mezzo di schermi di latta e cartone
dall’apparecchio riscaldante. Uno di questi fili era avvitato ad
un estremo di un buon reocordo, l’altro ad un torchietto di un
ponte di Wheatstone in modo che il filo di nichel, i fili di rame
e il reocordo erano inseriti in un lato del ponte stesso. Nel se-
condo lato era inserita una resistenza che si manteneva sempre
costante. La pila che serviva in queste esperienze era una coppia
Daniell ordinaria; e il galvanometro inserito nella diagonale del
ponte era molto sensibile.
Per misurare le variazioni della resistenza al cangiare della
temperatura, non facevo scorrere il tasto lungo il filo del ponte;
ma tenevo invece il tasto fisso sul mezzo del filo, e movevo il
corsoio del reocordo in modo che nel galvanometro non passasse
mai la corrente.
Per eseguire le esperienze si procedeva nel seguente modo;
sì riscaldava il cilindro di ferro con fiamme sottoposte e late-
rali, finchè il termometro segnava circa 430°; indi si spegnevano
due fiamme, e allora io cercava sul ponte la condizione, perchè
il galvanometro rimanesse nella posizione d’ equilibrio; e poi di
minuto in minuto leggevo la posizione del corsoio sul reocordo,
avendo cura che alla fine d’ogni minuto l'ago del galvanometro
V2 ANGELO BATTELLI
fosse in riposo. Nell’istesso tempo alla fine d'ogni minuto una
persona leggeva il termometro : esso scendeva abbastanza lentamente,
essendo molto grande la massa che si andava raffreddando. Più
tardi spegnevo le altre fiamme e continuavo le esperienze fino
alla temperatura di 80°. Per le temperature più basse fino alla
temperatura ordinaria, facevo una nuova serie di esperienze con
un secondo termometro, che arrivava fino a 100°. Il primo di
questi termometri era stato confrontato col termometro ad aria,
e ad ogni tanto se ne determinava il punto 100°; per il secondo
venivano stabiliti al principio ed alla fine d'ogni serie di
esperienze i punti fondamentali.
Oltre tutte queste esperienze durante il raffreddamento, ne
ho fatto anche due serie durante il riscaldamento. Ho dedotte
le medie di tutte le singole determinazioni fatte alle varie tem-
perature; e coi risultati ho costruita la curva, che nella tavola
annessa è segnata col N. I. Siccome da prove antecedenti io
sapevo che il filo del reocordo era omogeneo; siccome il recipiente
di olio mi difendeva dalle correnti termoelettriche che avreb-
bero potuto prodursi per una differenza di temperatura fra le
due saldature; e siccome con queste prime esperienze non avevo |
altro scopo che di accertarmi se vi fossero irregolarità nell’an-
damento della resistenza; io ho preso senz’ altro come ordinate
per costruire le curve, le letture fatte sul reocordo, mentre le
ascisse erano date dalle temperature. Quindi è chiaro che nella
curva nel senso delle ordinate crescenti, i valori delle resistenze
sarebbero decrescenti, e viceversa.
La curva stessa mostra che da circa 364° in giù la ragione
secondo cui varia la resistenza al variare della temperatura au-
menta spiccatamente, e poi da circa 226° in giù, quantunque con
meno evidenza di prima, cambia ancora, ossia prende a diminuire.
Per mettere maggiormente in chiaro che in questo secondo punto
la curva realmente si piega, ho calcolato i coefficienti di varia-
zione nel tratto da 360° a 230°, e nel tratto da 220° a 20°. Per
ambedue i tratti ho usata la formola:
v=at + bt?
dove v è il valore della variazione in divisioni del reocordo, de-
dotto dalla curva costruita in scala molto più grande, # pel
primo tratto è la differenza fra 360° e la temperatura a cui
TOA ORE
O TIT SATO I ATE 9 ITA
ca
VARIAZIONI DELLA RESISTENZA ELETTRICA DEL NICHEL Ecc. 173
corrisponde la determinazione, e pel secondo tratto è la differenza
fra 220° e la temperatura della determinazione stessa; a e d
sono i due coefficienti da determinare.
Per il primo tratto sono risultati
a = 4,950
PST
Per mostrare come la formola rappresenti bene l'andamento
della curva in quel tratto, riferisco la seguente tabella, in cui
accanto ad alcuni valori delle variazioni risultanti direttamente
dalla curva, si trovano i valori corrispondenti calcolati colla for-
mola. Ricordo che come origine delle coordinate si prende il
punto della curva che corrisponde a 360°.
Temperature | v osservata | v calcolata
390 146,2 146,6
810 242,3 242,2
280 379,6 3891
260 473,2 474,0
| 240 564,8 563,7
Per il secondo tratto sono risultati
ai==' 4,481
b=—0,0014
Anche qui per mostrare l'accordo fra i valori dati diretta-
mente dalla curva, e quelli dati dal calcolo, riporterò una ta-
bella analoga alla precedente, ricordando che pei valori in essa
riferiti è preso come origine delle coordinate il punto che cor-
risponde alla temperatura di 220°.
Temperature | v osservata | v calcolata
180° 175,5 176,9
150 306,2 | 306,7
120 435,4 | 434,0
100 519,2 | 517,5
80 598,9 | 599,7
50 723,0 | 721,1
20 841,2 840,0
174 ANGELO BATTELLI
Ora, per far vedere come i coefficienti appartenenti al primo
tratto della curva non servano a calcolare i punti che apparten-
gono al secondo tratto, e viceversa i coefficienti del secondo tratto
non servano a calcolare i punti del primo, metterò in evidenza
nella seguente tabella alcuni valori dedotti da un ramo della curva
e di fronte ad essi i valori che si calcolerebbero per le stesse
temperature con i coefficienti appartenenti all’altro ramo.
0) v
Tem- v calcolata coil] Tem- v calcolata coi
perature | osservata | coefficienti || perature | osservata | coefficienti
del 2° ramo del 1° ramo
330° 146,2 L'AS 150° 306,2 333,7
310 242,9 206,5 120 435,4 474,0
280 379,6 340,5 100 919,2 563,7
260 473.2 434,0 80 598,9 652,8
240 564,8 517,5
Si noti che nella carta, divisa in millimetri, in cui io ho de-
scritta la curva in grande scala, ogni millimetro corrispondeva
a una divisione del reocordo, e che i punti che erano più dis-
costi dalla curva, distavano da essa di 9 millimetri nella dire-
zione delle ordinate; e si noti inoltre che lo spostamento di una
divisione del reocordo produceva nelle esperienze un piccolo mo-
vimento nell’ago del galvanometro. Quindi la tabella mostra molto
chiaramente che i coefficienti spettanti ad uno di questi due rami
della curva non servono per calcolare i coefficienti dell'altro ramo ;
e che le differenze superano sensibilmente i limiti degli errori
d'osservazione. i
Come prova ulteriore che a circa 226° si ha veramente una
piega della curva farò osservare che neppure un’ equazione a tre
coefficienti i pen gar de Rag]
serve a rappresentare con sufficiente esattezza tutta quanta la
curva. medesima da 360° fino a 20°.
Finalmente per il ramo compreso fra 364° e 420° il quale
fa un angolo più acuto col ramo medio della curva, risultano i
seguenti coefficienti : Syosa cp EN i
b=0,0009.
VARIAZIONI DELLA RESISTENZA ELETTRICA DEL NICHEL Ecc. 175
: Nel quadro che segue sono riportati alcuni valori di v de-
dotti dalla curva prendendo per origine il punto corrispondente
a 410° e di fronte ad essi i valori ricavati col calcolo.
|
Temperature | v osservata | v calcolata
390° 68,2 68,2
380 101,2 101,5
370 134,4 135,0
Come si vede, i valori dati dalla curva e dal calcolo con-
cordano abbastanza fra di loro.
3) Stabilito così che la resistenza del nichel da 20° fino a
circa 226° varia in modo regolare e che da 226° in su co-
mincia a variare più rapidamente fino a circa 364°, dalla quale
temperatura in poi riprende a variare più lentamente, ho creduto
utile lo stabilire i coefficienti di variazione per i tre diversi in-
tervalli di temperatura.
A tal uopo mi era necessario di conoscere con esattezza
quale fosse la lunghezza del filo esterno e di conoscere inoltre
quali temperature assumesse successivamente nelle diverse deter-
minazioni lo stesso filo esterno. — La lunghezza dell'intero filo
era di 4 metri, e come ho detto sopra, i due capi sporgenti
erano lunghi esattamente 30 centimetri ciascuno : cosicchè i primi
due dati si avevano senz’altro. Per avere poi in qualunque
istante la temperatura della porzione di filo esterno, ho collo-
cato vicino all’apparecchio riscaldante un grande pallone di vetro
il quale, oltre la tubulatura superiore, aveva una brevissima tu-
bulatura laterale. Quest'ultima sporgeva precisamente sopra la
bocca dell'apparecchio riscaldante; e attraverso al tappo che la
chiudeva passavano due stretti tubi di vetro, i quali si ripie-
gavano nell'interno del pallone e andavano ad uscire dalla tu-
bulatura superiore. Dentro a questi due tubetti si facevano pas-
sare i due capi del filo; il pallone era così grande, che i due
capi colle saldature rimanevano interamente contenuti dentro il
pallone medesimo, ad eccezione dei due tratti, lunghi un centi-
metro ciascuno, che erano fra la bocca dell’apparecchio riscal-
dante e le estremità inferiori dei tubetti. Queste estremità infe-
riori dopo fatta l’introduzione dei fili, venivano ben chiuse con
un tappo formato di gesso e ovatta; poi si riempivano i tubetti
176 ANGELO BATTELLI
con petrolio, mentre il pallone veniva riempito con acqua. At-
traverso il sovero che chiudeva la tubulatura superiore del pal-
lone, passavano un agitatore e un termometro. Inoltre doppi
schermi di latta e cartone difendevano da tutte le parti il pal-
lone dall'influenza diretta dell’apparecchio riscaldante.
Per ottenere ancora maggiore precisione non ho più fatte
in questo secondo caso le determinazioni di minuto in minuto,
lasciando lentamente raffreddare il cilindro di ferro; perchè in
questo metodo, oltre a qualche piccola inesattezza proveniente
dalla difficoltà di poter mantenere in riposo l’ago del galvano-
. metro alla fine d'ogni minuto, v'era anche l'inconveniente, che
doveva esistere sempre un po’ di ritardo nella temperatura presa
dal termometro rispetto a quella presa dal filo. E sebbene que-
st'ultimo difetto si fosse in gran parte evitato coll’aver fatte le
determinazioni non solo per raffreddamento ma anche per ri-
scaldamento: tuttavia m'è sembrato che detto metodo, molto
adatto certamente per poter descrivere una curva continua delle
variazioni della resistenza, non fosse però il più preferibile per
determinare con esattezza i valori dei coefficienti di variazione.
— Quindi ho fatte le nuove esperienze col metodo ordinario del
ponte di Wheatstone a diverse temperature mantenute costanti.
Quando da circa un quarto d’ora il termometro dell’apparecchio
riscaldante rimaneva quasi fermo, facevo una prima determina-
zione, e poi ne facevo successivamente altre quattro ogni due
minuti, curando sempre di mantenere, per quanto era possibile,
costante la temperatura. Di tutte queste determinazioni prendevo
la media, come la prendevo pure delle temperature a cui erano
state fatte. — Siccome poi una qualunque differenza di tempe-
ratura fra le due saldature del filo di nichel coi fili di rame,
avrebbe dato luogo ad una corrente termoelettrica, che, a seconda
della sua direzione, avrebbe fatto l’effetto come di accrescere o
di diminuire la resistenza del filo, avevo disposto un commuta-
tore che servisse a invertire la corrente nel filo stesso ; per modo
che, appena fatta una determinazione con la corrente che andava
dall’estremo A del filo all’estremo B, ne facevo subito un’altra
con la corrente che da B andava verso A. La media di queste
due determinazioni, quando riuscivano un poco diverse, dava il
valore più conveniente della resistenza misurata. i
Ad elevate temperature ho fatta la correzione per l’errore
che portava l’allungamento subìto dal filo, quantunque tale cor-.
VARIAZIONI DELLA RESISTENZA ELETTRICA DEL NICHEL Ecc. 177
rezione non portasse nel primo coefficiente che una piccola al-
terazione sulla terza cifra decimale. Per coefficiente di dilatazione
lineare del nichel ho preso quello determinato da Fizeau (*) fra
0° e 50°, cioè: 0,00001286.
Ho fatto prima due determinazioni a 0°, riempiendo di
ghiaccio lo spazio anulare dell'apparato riscaldante, facendolo
penetrare per un foro praticato nella parete superiore, che si
chiudeva poi con un tappo di ferro. Superiormente l’apparato si
copriva con ghiaccio, come pure si riempiva di ghiaccio tutto il
pallone. Dopo circa un’ ora e mezza il termometro dell'apparato
riscaldante aveva presa la temperatura del ghiaccio, e allora
potevo esser sicuro che anche le porzioni dei fili contenute nei
tubetti fossero già a 0°.
Ho fatto poi due determinazioni alla temperatura dell’ am-
biente; e nelle altre determinazioni a temperature più elevate,
nelle quali il filo interno si trovava a temperatura diversa dal
filo esterno, si faceva sempre la lettura contemporanea del ter-
mometro dell'apparato riscaldante e del termometro del pallone.
Per rappresentare la resistenza misurata alle diverse tempe-
rature ho usata la formola:
R=r,|!(1+at+b)+l(1+at+bt)],
dove E è la resistenza misurata, r, la resistenza dell'unità di
lunghezza del filo a 0°, 2 è la lunghezza della porzione di filo
interna all'apparato riscaldante, e ?' quella della porzione esterna,
t è la temperatura segnata dal termometro dell’apparato riscal-
dante, e # quella segnata dal termometro del pallone, finalmente
a e b sono due coefficienti valevoli per la temperatura #, e a' e d'
due coefficienti valevoli per la temperatura #'.
La quantità x, l'ho ricavata direttamente dalla determina-
zione fatta a 0°; la resistenza totale a 0° risultò uguale a 2,312 U.S.;
quindi, essendo l’intero filo lungo 4 m., si ha
r-=-0;5:78-U:&;
Quanto alle lunghezze / ed 7’ bisogna osservare che di cia-
scuna porzione di filo esterno, soltanto 29 centimetri erano im-
mersi nel pallone; e siccome quel centimetro di filo che rimaneva
fuori del pallone e dell'apparato riscaldante, era ricoperto d’a-
(*) Comp. rendus 68, p. 1125.
178 ANGELO BATTELLI
mianto, ho ammesso, senza commettere errore sensibile, che esso
si trovasse alla temperatura del filo interno all’apparato stesso.
Perciò nella formola di sopra ho ammesso
1= 99,42, = 0%,58.
Fino alla temperatura di 226° ho fatto
a=a’, b=\b';
perchè le precedenti esperienze mostrano che fino a quella tem-
peratura valgono sempre gli stessi coefficienti. Per le temperature
superiori, dove a e d prendevano altri valori, ho conservato però,
come è naturale, per a' e d' gli stessi valori di prima.
Nella seguente tabella sono riferiti i risultati delle esperienze
fra 0° e 220°: in essa la colonna E contiene il valore della re-
sistenza totale, la colonna # la temperatura segnata dal termo-
. metro dell’apparato riscaldante, e la colonna #? la temperatura
segnata dal termometro del pallone.
R t t
2474 14°,3 14°,3
2,730 51,6 15,,9
3,058 96,4 nego.
3.327 134 ,8 LO
3,506 166,4 20,3
3,802 gi gt) 21,4
Da cui si ricava
a = 0,0053981
b= — 0,0000022
I risultati ottenuti fra 230° e 360° sono i seguenti:
VARIAZIONI DELLA RESISTENZA ELETTRICA DEL NICHEL Ecc. 179
D’onde
a = 0,0043532
b= — 0,0000018
Finalmente i risultati fra 380° e 410° sono :
R t t
5,060 381°,9 DOEF
5221 401,2 972
5,320 PIO 4 | 981
D’onde
a=0,003322
b= — 0,0000012
Se coi valori contenuti nelle precedenti tabelle si descrive
una curva, incontriamo in essa la prima piega a 222°, e la se-
conda a 368°; abbastanza concordemente con quello che fu tro-
vato col primo metodo.
4) Riusciva molto interessante lo stabilire se questi due mu-
tamenti nei coefficienti di variazione della resistenza elettrica,
corrispondessero ai due cambiamenti che si hanno anche nell’an-
damento termoelettrico di questo metallo.
Perciò ho studiato anche le proprietà termoelettriche dello
stesso filo di nichel. A tal uopo ne ho saldate le due estremità
a due fili di piombo; e una saldatura l'ho immersa nell’appa-
recchio riscaldante, legandola al bulbo del termometro, l’altra
saldatura l'ho immersa in un recipiente pieno di ghiaccio.
Per misurare le forze termoelettriche ho inserito nel circuito
della coppia termoelettrica così formata un reostato ed un sen-
sibile galvanometro a riflessione, il quale era stato in antecedenza
accuratamente graduato. Cosicchè dalla lettura del reostato e del
galvanometro (conoscendo già la resistenza opposta dalla coppia),
io potevo calcolare direttamente la forza elettromotrice.
L'apparecchio riscaldante fu portato a diverse temperature,
dalla temperatura ordinaria fino a 420°. I risultati sono nella
seguente tabella, dove la colonna 7 contiene le temperature della
saldatura più calda, e le altre due colonne i valori E delle forze
elettromotrici risultanti dalle osservazioni, e dal calcolo fatto
secondo la formola di Tait.
180
ANGELO BATTELLI
I valori delle forze elettromotrici sono espresse in microvolta.
È:
14°,6
49,3
87,4
124,8
173,6
202 ,5
216 ,6
224,2
236 ,4
259 ,8
277,8
294,5
316,4
341 ,8
352,2
364 ,8
376,5
389,2
397 4
406 ,8
415 ,8
421 ,8
E
osservata
380,22
1350,14
2479,89
3698,24
5426,33
6495,38
7022,42
7258,16
7581,44
8155,56
8569,78
8866,74
9149,47
9373,15
9399,19
9424,62
9597,18
9899.38
10102,32
10338,19
10589,96
10753,02
calcolata
383,74
1351,69
2493,78
3705,75
5415,71
6498,15
8165,41
8564,12
8864,89
9158,42
9380,64
9391,71
—_
9904,45
10107,16
10343,41
10561,06
10729,95
I valori di E osservati nelle diverse esperienze dalla tem-
peratura dell’ambiente fino a 202,5, li ho sostituiti nella for-
mola di Tait:
dove E rappresenta la forza elettromotrice, 7, e 7, le tempe-
rature delle due saldature, A e 7, due costanti. — In quell'in-
tervallo (fra 0° e 202°,5) risultano per A e 7, i valori
A=—0,0618
T=-418°,00.
VARIAZIONI DELLA. RESISTENZA ELETTRICA DEL NICHEL Ecc. 181
Sostituendoli poi nella formola (1), ho calcolati i valori di E
alle diverse temperature, e li ho collocati nella 3° colonna della
tabella, di fronte ai valori osservati, per mostrare l'accordo fra
i dati dell’esperienza e del calcolo.
Le forze elettromotrici ottenute a 216°,6 e a 224°,2 non
sono sostituibili nella formola (1) ammettendo per A e 7, i valori
sopra riferiti; nè poste insieme colle forze elettromotrici otte-
nute alle temperature seguenti, possono essere rappresentate da
un’ altra espressione della forma della (1). Invece i valori delle
forze elettromotrici ottenuti da 236°,4 a 352°,2 si prestano
molto bene ad una tale rappresentazione. — Per calcolare in
questo intervallo i valori di A e 7, bo posto nella formola (1)
al luogo di £ le differenze fra le forze elettromotrici corrispon-
denti alle diverse temperature e la forza elettromotrice corris-
pondente a 236°,4; al luogo di 7,, 236°,4; e al luogo di 7,
le successive temperature. Ho ottenuto così
A=+ 0,2387
Finalmente , il valore della forza elettromotrice ottenuto
a 364°,8 non è sostituibile nella formola appartenente alle tem-
perature precedenti, nè in quella delle seguenti. Da 376°,5 in
poi, i valori di A e 7, calcolati come per l’intervallo prece-
dente, sono risultati uguali ad
A=_- 0,0504
CORI
Per mezzo dei medesimi dati, ho calcolato poi i valori dei
poteri termocelettrici
alle diverse temperature. Siccome il valore della forza elettro-
motrice a 215°,6 non è sostituibile nella formola che vale per
le temperature precedenti; onde calcolare il potere termoelettrico
in vicinanza di quella temperatura, ho diviso la differenza fra la
forza elettromotrice a 216°,6 e quella a 202°,5, per l’inter-
vallo fra le due temperature; e il quoziente l’ho assegnato quale
potere termoelettrico della temperatura intermedia,
182 ANGELO BATTELLI
Così ho fatto fra 224°,2 e 216°,6; fra 236°,4 e 224°,2;
e così pure fra 364°,8 e 352°, 2; e fra 376°,5 e 364°,8. Pren-
dendo questi poteri termoelettrici come ordinate, e le tempera-
ture corrispondenti come ascisse, ho costruito il diagramma del
nichel rispetto al piombo: esso trovasi indicato col n° II nella
tavola annessa.
Uno sguardo su tale diagramma ci mostra subito, che la
prima variazione dell’andamento termoelettrico è compresa fra 210°
e 240° e la seconda fra 360° e 385°; quindi si può stabilire
che le variazioni nell’andamento termoelettrico del nichel, avven-
gono prossimamente alle stesse temperature che le variazioni nel-
l'andamento della resistenza elettrica.
Faccio notare infine che secondo le mie esperienze i cangia-
menti irregolari del potere termoelettrico del nichel non avven-
gono alle medesime temperature, a cui li ha trovati il Prof. Tait;
ma ciò dipende certamente dalla diversa impurità dei metalli
usati; poichè quello di Tait era quasi nichel puro; io invece ho
dovuto usare del filo del commercio.
CONCLUSIONI.
1) La resistenza elettrica del nichel cresce colla temperatura
lentamente da 0° fino a 225° circa; da quella temperatura in
su comincia a crescere più rapidamente fino a 365° circa; do-
podichè riprende a crescere più lentamente.
2) Le temperature alle quali avvengono i mutamenti irrego-
lari della resistenza elettrica, sono prossimamente le stesse alle
quali avvengono i mutamenti irregolari del potere termoelettrico.
Grazie alla gentilezza del Prof. Naccari, queste ricerche ven-
nero eseguite nel laboratorio di Fisica dell’Università di ‘Torino.
APPENDICE. — Quando questo lavoro era già al suo termine,
(circa quindici giorni fa) è uscita negli Annali di Wiedemann una
memoria di W. Kohlrausch (*), nella quale egli descrive alcune
(*) Wied. Ann. 33, p. 42.
n n 79 0R0P*
VARIAZIONI DELLA RESISTENZA ELETTRICA DEL NICHEL Ecc. 183
esperienze eseguite per esaminare la relazione esistente fra la re-
sistenza elettrica del ferro e del nichel e la attitudine di questi
ad assumere magnetismo. Dalla curva che rappresenta le espe-
rienze sul nichel, si vede che al crescere della temperatura la
resistenza di questo metallo aumenta dapprima regolarmente, poi
a un certo punto subisce un mutamento repentino, e infine seguita
ad aumentare regolarmente, ma con maggiore lentezza. Quindi
egli non sarebbe giunto esattamente al risultato ottenuto da me,
non avendo osservata che una sola delle due variazioni irregolari
della resistenza elettrica. Inoltre dalle esperienze di Kohlrausch
non si può stabilire a quale temperatura avvenga questo muta-
mento irregolare, poichè per riscaldare il filo egli usava la cor-
rente elettrica, e quindi, non potendo computare le temperature
delle diverse determinazioni, adoperò come ascisse per descrivere
le curve, le intensità della corrente medesima. Nell’istesso tempo
il Kohlrausch ha studiato l'andamento delle proprietà magnetiche
del nichel; ed ha trovato che al punto stesso in cui si ha la piega
della curva rappresentante le resistenze elettriche, si ha pure una
caduta rapidissima della magnetizzazione.
Alla fine della stessa memoria di W. Kohlrausch, si trova
una nota, nella quale l’autore narra d’essere stato avvertito da
G. Wiedemann che recentemente era uscita una memoria del
Knott sulla resistenza del nichel ad alta temperatura. Non ho
potuto sinora procacciarmi la memoria di Knott. Però dall’an-
notazione sopra riportata, pare che pure il Knott abbia trovato in
un solo punto un mutamento irregolare nella resistenza elettrica
del nichel.
Mi propongo poi di studiare in seguito anche le variazioni
delle proprietà magnetiche del nichel adoperato in quest’espe-
rienza al variare della temperatura, con un metodo piu preciso
di quello usato da W. Kohlrausch.
Torino, 21 Gennaio 1888.
Il Direttore della Classe
ALFronso Cossa.
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol, XXIII. 14
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Se si tien conto della (1) si ottiene
Sp cosg|1 +09] .
er (+32)] |ieevi(e-3a )| |
ovvero, trascurando i termini che contengono tg°w e le potenze
superiori.
—-
D' S ar sen? &
D i
l i Ti
cos («+54 )es (2-50)
Osservando che D'—=D+ MN e che
H essendo l’altezza del punto P sul piano orizzontale che passa
per B, la formola precedente diventa
S'=
HS Fi 20
“a (547 ui 1+tgy i 7, i
cos(2+5- 2)cos (2-30)
2
ossia
ì dA Ssen 2a
i n [+ sen © Sl
o anche E
eu“ « I Hsenw + Ssen2a | ...(2)
COS died; U 1
( 5 )cos( 3°
2906 N. JADANZA - SULLO SPOSTAMENTO DELLA LENTE ECC.
Colla medesima approssimazione la precedente si trasforma
nella seguente :
S— S= 184 [04 ssn2e] sia (3) I
cos” a
Se si ha H=o0 sarà
S-S=28 tedio SMESSO (4)
e per a=0
5' 04th it) | | (5) .
EseMPIO NUMERICO.
A RR E
si avrà per 3
S o 1 | 2°, | Ba
S'—S= 0,013 0,026 0,038
Coi medesimi dati e L=0° 30' si ottiene:
S = que qui Qu
S'S = 0,0065 0,013 0.005
I quali risultamenti mostrano ad evidenza la necessità di
porre la stadia per quanto più è possibile nella posizione ver-
ticale.
Torino, Febbraio 1888
RIASSUNTO
delle osservazioni meteorologiche fatte, nei mesi di Settembre
Ottobre, Novembre e Dicembre 1887 nell’ Osservatorio astro-
nomico della R. Università di Torino
dall’Assistente Prof. ANGELO CHARRIER
Settembre 1887.
La media delle pressioni barometriche osservate. in questo
mese è 36,37 inferiore di mm, 1,67 alla media di Settembre
degli ultimi ventun anni. -- I valori massimi e minimi osservati
sono i seguenti:
Giorni del mese. Minimi. Giorni del mese. Massimi.
5 QRS 34,70 LO Ai RO 40,67
e... sd, 6l Lio Ri AZIO
tt. Sl AS rt 510112
MN... 23,60
La temperatura media di questo mese è di + 19°,0; ed i
valori estremi +27°,4 e +10°,3 si ebbero nei giorni 1, 28
e 30. — Si ebbero otto giorni con pioggia, e l'altezza dell’acqua
caduta fu di mm. 23,4.
Il quadro seguente dà la frequenza dei venti nelle singole
direzioni.
NO NNE NE ENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NW
ae i A: 7 LI 0) o e RE
Ottobre 1887.
In questo mese la media delle altezze barometriche osservate
è 37,17, superiore di mm. 0,06 alla media delle altezze ba-
208 A. CHARRIER
rometriche osservate in Ottobre negli ultimi ventun anni. — Le
variazioni in questo mese furono ragguardevoli.
Il seguente quadro contiene le massime e minime altezze
barometriche :
Giorni del mese. Massimi. Giorni del mese. Minimi.
DO: bias A90 Hot: inog 24,16
ibgtariet 93,09 ta retraszol 24,74
SL MECAE I I PIRO 49,02 DARI dt 31,54
Ie, 43,29
La temperatura variò fra + 19°,2 e +1°,0; la massima
sì ebbe nel giorno 3, la minima nel giorno 26. — Il valor medio
della temperatura + 10°,3 è inferiore di 2°,4 alla media tem-
peratura di Ottobre negli ultimi ventun anni.
Sette furono i giorni con pioggia e l’altezza dell’acqua rac-
colta nel pluviometro fu di mm. 38,0.
Il quadro seguente dà la frequenza dei singoli venti.
NONNE NE EVE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW
11 28,20 12 40,6, i 1,078 0, 20.3 2
Novembre 1887.
La media delle altezze barometriche osservate in questo mese
è 38, 43; inferiore di mm. 83,62 alla media di Novembre degli
ultimi ventun anni. — Le variazioni dell’altezza barometrica non
furono numerose, ma di considerevole ampiezza.
Nel seguente quadro sono registrati i valori estremi osservati :
Giorni del mese. Minimi. Giorni del mese. Massimi.
be dla 27,08 dia dp 86,87
108 AIENSG.O. 80,00 VS ne E 38,59
io co 27,69 i: e 44,40
TI E Se 19,12 IC BRM TT 38,88
31 RTAS 81,89 È RO 42,13
Le temperature estreme +13°,1 e +0°,3 si ebbero: la
prima nel giorno 3, la seconda nel giorno 18.
OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE 209
Venti furono i giorni piovosi, e l’acqua caduta raggiunse
l'altezza di mm. 103,2. La temperatura media del mese è
+ 6° 1.
Il quadro seguente dà la frequenza dei singoli venti:
NONVE NE RENE E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW
e I 0 19600 7 65 ST, "LZ
Dicembre 1887.
In questo mese la pressione barometrica ha per valor medio
34,91; valore inferiore di mm. 2,32 al valor medio della pres-
sione barometrica osservata in Dicembre negli ultimi ventun anni.
I valori estremi della pressione sono i seguenti :
Giorni del mese. Massimi. Giorni del mese. Minimi.
2) * Ga RAPE 50,66 CR 30,77
Molle. 44,54 LO e: 25,20
de 82,82 Doge te 2 A 24,90
ae... 80,63
Le temperature estreme si ebbero nei giorni 7 e 31. La prima
fu di +9°,3, la seconda di —10°, 2. — La media tempera-
tura fu di |P 0°,5.
Frequenti furono i giorni con nebbia; undici con pioggia e
l’acqua caduta raggiunse l’altezza di mm. 18,2.
Nella tabella seguente è registrata la frequenza dei venti.
NONNE NE ENER E ESE SE SSE S SSW SW WSW W WNW NW NNW
AIROLA 4
Il Direttore della Classe
ALronso Cossa.
106) * MHOFDO MOTORIA AMO YANERO
sotrtsivae stiano steps dop isti Hindi de
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A ì PRE NE ATE ss” : ROY
SNA TADANZA — Sullo spostamento della lente anallat ca
SIE RA della adi
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| Cnarmiea — Lavori dell’ Osservatorio astronom
ATTI
R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE
cv PORENO
PUBBLICATI
DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI
ic
Vor. XXIII, Disp. 8", 1887-88
s—_—__
| Classe di Seienze Fisiche, Matematiche e Naturali.
TORINO
ERMANNO LOESCHER
Libraio della R. Accademia delle Scienze
Ù
casa
211
CLASSE
DI
SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza del 4 Marzo 1888.
PRESIDENZA DEI SOCIO SENATORE ANGELO GENOCCHI
PRESIDENTE
Sono presenti i Soci: Cossa, Lessona , BERRUTI , Basso ,
D’Ovipio, Bizzozero, FERRARIS, NAccaRI, Mosso, GIBELI, GIA-
COMINI.
Letto ed approvato l’atto verbale dell'adunanza precedente,
vengono comunicate alla Classe due lettere d’invito all'Accademia
perchè si faccia rappresentare al Congresso Chirurgico che si tiene
a Parigi fino al giorno 17 del corrente mese, ed al Congresso
per lo studio della tubercolosi che si terrà pure a Parigi nel
prossimo mese di luglio.
Le comunicazioni e le letture si succedono nell’ ordine che
segue :
1° « Sulle cellule epiteliali nella regione olfattiva degli
embrioni; » lavoro del Dott. Alessandro LustIG, presentato dal
Socio BIZZOZERO:
2° « Nuovi gasteropodi continentali fossili del Piemonte »;
lavoro del Dott. F. Sacco, presentato dal Socio Basso a nome
del Socio BELLARDI assente. Questo lavoro, dovendosi pubblicare
nei volumi delle Memorie, viene affidato ad una Commissione
perchè lo esamini e ne riferisca alla Classe in una prossima
adunanza.
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII. 17
"E 2 ALESSANDRO LUSTIG
LETTURE
Sulle cellule epiteliali nella regione olfattiva degli embrioni,
del Dott. ALESSANDRO LUSTIG.
Il nervo olfattorio si ramifica, ciò è noto, nella parte supe-
riore del setto nasale, nel cornetto superiore ed in una parte del
cornetto medio; da ciò il nome di questa regione di olfattiva.
Mentre nessuno mette in dubbio che gli elementi specifici
dell’ organo dell’olfatto abbiano sede soltanto nella mucosa di
questa regione, non è ancor riconosciuta la dignità fisiologica di
tutti gli elementi epiteliali che la rivestono ; e quasi generalmente
si ammette, che soltanto una specie di cellule della mucosa olfat-
tiva, sieno unite alle fibrille del nervo olfattorio. Le prime ri-
cerche sugli epitelii della mucosa nasale fatte da Eckhardt (4) e
da Ecker ©), l'uno indipendentemente dall’ altro, diedero origine
al ben noto lavoro di M. Schultze (8) il quale distinse nella
regione olfattoria due specie di cellule.
Le cellule epiteliali e le cellule olfattive. Le prime, cilindri-
che, diritte, lunghe e prive di ciglia portano a varia altezza del
loro corpo un nucleo ovale, al di sotto del quale la cellula si fa più
stretta, formando un prolungamento centrale — di spessore ancor
facilmente misurabile — che talvolta si divide in due o più rami.
Le seconde, le olfattive, sono fusiformi, hanno un corpo ovale,
occupato quasi per intero da un nucleo rotondo e trasparente e
da due appendici, l’una centrifuga l’altra centripeta; la prima,
più grossa, a forma di bastoncello e cigliata, va alla periferia
difesa dal corpo delle cellule epiteliali; la seconda più lunga,
estremamente sottile, presenta alcune varicosità somiglianti a quelle
delle fibrille nervose e discende verso il tessuto (connettivo) che
sta immediatamente sotto lo strato epiteliale.
(1) Beitrdige zur Anatomie und Physiologie. Heft I, 1855.
(2) Zeitschrift fiir wiss. Zoologie. Bd. 8, 1856.
(3) Abhandlungen der Naturforsch. Gesellschaft su Halle. 1863, VII. Bd.,
pag. 1-100.
SULLE CELLULE EPITELIALI DEGLI EMBRIONI 213
M. Schultze osservò inoltre, che le fibre sottili del nervo
olfattorio si dividono a mo’ di pennello in fibrille sottilissime che
sono di struttura identica al processo terminale centrale delle
cellule olfattive; e venne alla conclusione che soltanto questi ele-
menti hanno un valore fisiologico per l’organo dell'olfatto, mentre
le cellule epiteliali non servirebbero che di sostegno ( Stitzor-
gane) agli elementi specifici.
Allo Schultze si oppose l’Exner (4), il quale, dopo lunghe e
dettagliate ricerche che durarono parecchi anni e con metodi
d'indagine moderni applicati allo studio di regioni olfattorie di
uno o più rappresentanti di quasi ogni classe di animali, dimostrò
che i criteri morfologici differenziali che indussero Schultze alla
suesposta distinzione in cellule epiteliali -e cellule olfattive non
sono validi.
Il nucleo delle cellule olfattive non è sempre rotondo nè
sempre trasparente ; il processo periferico di queste cellule è spesso
grosso quanto il corpo di una cellula epiteliale, il processo cen-
trale poi non è sempre tanto sottile che non possa esser misu-
rato, ha dimensioni varie, e può diramarsi come quello delle cellule
epiteliali.
L'Exner ammette adunque che oltre le cellule olfattive ed epi-
teliali di Schultze esistano forme multiple di transizione ( Ueder-
gangsformen) che hanno caratteri morfologici comuni all'una e
all'altra specie.
L’Exner osservò inoltre che il nervo olfattorio penetra nel-
l'impalcatura reticolare (composta da grandi nuclei rotondi, cir-
condati da sostanza protoplasmatica reticolare — secondo Schultze
tessuto connettivo — e dai processi centrali delle soprastanti cel-
lule), che costituisce lo strato sottoepiteliale della mucosa, dove
si divide in fibrille esili, che corrono verso i processi centripeti
delle cellule epiteliali.
I filamenti sottili e varicosi delle cellule olfattive si piantano
con ringonfiamenti conici nel reticolo sottoepiteliale. L’Exner
negando l’esistenza di due distinte e differenti specie di cellule,
attribuisce a tutti gli epitelii della regione olfattiva un’ uguale
funzione specifica,
(1) Sitzungsberichte der Math.- Naturwiss. Classe der K. Akad. der Wiss.
1871-72-77,
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII. 17*
214 ALESSANDRO LUSTIG
A M. Schultze si associano i seguenti Autori, ammettendo con
lui due sole specie di cellule del tutto differenti: Paschutin (1),
Martin ®), Laugerhans 8), V. Brunn ®), Cisoff (9), Colasanti (6), Pe-
reyaslewzeff (7), Sidky (8), Lowe(9), Felisch (10), Retzius (14), Krause (12),
Invece Grimm (13), Lustig (14) e Pereyaslewzeff (15) dimostrarono
l’esistenza delle forme di transizione descritte da Exner.
Paschutin (16) Pereyaslewzeff (1?) danno allo strato epiteliale
descritto dall’Exner un carattere nervoso, mentre Lòwe (18) Ci-
soff (19) Colasanti (20) V. Brunn (4) e Retzius (2) lo credono costi-
tuito da tessuto connettivo.
Grimm e Cisoff, osservarono un’unione fra le cellule olfattive
e le fibrille del nervo olfattorio, Kaufmann ammette che tutte
e due le forme di cellule descritte da M. Schultze abbiano un
eguale valore funzionale, però senza aver osservato le termina-
zioni nervose.
La causa di tale divergenza, mi sembra debba esser cercata
almeno in parte, nei metodi usati dalla maggior parte degli Au-
(1) Ueber den Bau der Schleimhaut der Regio olfactoria des Frosches.
Leipziger physiolog. Arbeiten., 1873.
(2) Ueber die Structur der Riechschleimhaut. Journ. of Anat. and Phys.,
VII. 1873.
(3) Untersuchungen ber Petromyzon Planeri. Bericht. d. naturf. Gesell.
zu Freiburg. Bd. VI, 1873.
(4) Die membrana limitans olfactoria. Centralblatt. f. d. med, Wiss., 1874.
Untersuchungen iiber das Riechepithel. Arch. f. mikrosk. Anatomie XI, 3, 1875.
(5) Zur Kenntniss d. Reg. olfactoria. Med. Centralblatt., XII. N. 44. 1874.
(6) Untersuchungen ‘diber die Durchschneidung d. nervi Olfactori bei Frò-
schen. Arch. f. Anat. u. Physiol., 1875.
(7) Ueber d. Structur u. Form des Geruchsorganes bei den Fischen. Ar-
beiten aus den St. Petersburger Gesellsch. d. Naturf., IX. 1878.
(8) Recherches anat. microscop. sur la muqueuse olfactive. 1877.
(9) Beitrige zur Anat. der Nase u. Mundhòhle. Berlin. 1878.
(10) Beitrag zur Histol. der Schleimhaut in den Lufthòhlen des Pferde-
kopfes. Diss., 1878.
(14) Das Riechepithel d. Cyclostomen. Archiv. f. Anat. und Physiol., 1880.
(12) Die Regio olfactoria des Schafes. Diss. Rostock, 1881.
(13) Ueber das Geruchsorgan der Store. Gòttingen Nachrichten, 1872.
(14) Sitzungsb. der Nat.-Math. Classe d. K. Akad. d. Wiss. Wien, 1884.
(15) 1. ce. — (16) 1 c. — (17) L. c. — (18) l. c.
(19) Beitrag zur Frage nach der Endigungsweise der Geruchsnerven bei
Frosch. Kasau, 1879.
(20) 1. c. — (21) l. c. — (22) Dl. c.
SULLE CELLULE EPITELIALI DEGLI EMBRIONI Zlò
tori che si occuparono della regione olfattoria, i quali seguirono
il sistema d'indagine indicato da M. Schultze, studiando gli ele-
menti morfologici per lo più su sezioni di tessuto, dove è im-
possibile, almeno per quanto concerne la mucosa olfattiva, di
osservare con sicurezza il rapporto tra cellula e cellula ed il
nesso di queste ultime colle terminazioni nervose.
All’incontro l'osservazione costante, prolungata, paziente, degli
elementi morfologici ben isolati e trattati con sostanze che non
alterino i loro caratteri di struttura e che fissino le particolarità
morfologiche, può condurre con maggior sicurezza a risultati meno
confutabili. Giustifico questa mia asserzione citando un fatto:
alcuni Autori, come il Paschutin ed il Cisoff negano l’esistenza di
ciglia nel processo periferico delle cellule epiteliali ; ora, su prepa-
rati non alterati, ognuno si potrà convincere del contrario.
Un'altra causa di tale divergenza può trovarsi nell’avere l' Exner
asserito che il nervo olfattorio si divide in fibrille che si dira-
mano nell’impalcatura sottoepiteliale dirigendosi verso il processo
centrale delle cellale epiteliali senza che risulti chiaramente dai
suoi lavori se gli sia riuscito di vedere l’appendice centrale di
una cellula epiteliale in unione ad una fibrilla che indubita-
tamente sì staccasse da una grossa fibra nervosa. Ora, ciò soltanto
può dare un criterio esatto e sicuro dell'unione di una fibrilla
nervosa cogli elementi periferici.
Nelle mie ricerche sugli epitelii della regione olfattoria di alcuni
animali adulti e dell’uomo, e nei miei studi sulla degenerazione
di questa regione in seguito a distruzione del lobo olfattorio, ot-
tenni il pieno convincimento che le cellule olfattive e quelle epi-
teliali di M. Schultze costituiscano i due estremi di una serie
continua di innumerevoli forme di transizione: non mi riuscì però
mai di osservare al microscopio una evidente continuità tra i pro-
lungamenti centrali degli epitelii e le fibre nervose dell’olfattorio.
Studiai perciò la mucosa olfattoria embrionale — che a quanto
lo mi sappia, non venne mai a questo scopo esaminata, ecce-
zion fatta per quella dei Batrachidi studiata incidentalmente dal-
l’Exner — nella speranza di trovarvi favorevole campo allo studio
dello sviluppo delle cellule epiteliali ed al rapporto di queste
col nervo olfattorio.
La regione olfattoria degli embrioni (coniglio, cavia) dei quali
non posso indicare l’età ma solo la grandezza (misurata dall’oc-
cipite all’osso sacro) veniva preparata sott'acqua — coll’aiuto
216 ALESSANDRO LUSTIG
degli occhiali di dissezione di Briicke — dalla cavità cerebrale,
seguendo il decorso ed il territorio di ramificazione del nervo
olfattorio. Bisogna procedere così per maggior sicurezza, poichè
soltanto negli embrioni di sviluppo avanzatissimo e nei neonati
la regione olfattoria è caratterizzata dal /ocus luteus, dallo spes-
sore e dalla succulenza della mucosa.
La quale ultima assieme al tessuto cartilagineo sottostante
veniva immersa per 15-20 minuti in una soluzione di acido os-
mico all’un e mezzo per cento, e posta poi per 24 ore nell’acqua
distillata. Dopo questo periodo di tempo era possibile di dila-
cerare facilmente nella solita soluzione sodica, parti della mucosa
senza danneggiarne gli elementi morfologici.
Negli embrioni più piccoli da me esaminati (cavie di 2 a
3 cent.) si scorgevano elementi morfologici composti da grandi
nuclei rotondi od ovali muniti di un nucleolo e circondati da uno
strato limitato di sostanza protoplasmatica granulare, che formava
un corto filamento centrale sottilissimo (fig. 1, 2). Talvolta in
un gruppo di cellule isolate si vedeva quest’ultimo (fig. 3) unirsi
con un leggero rigonfiamento a mo’ di bottoncino ai delicati fili
granulari che formano il reticolo protoplasmatico sottoepiteliale
racchiudente in sè nuclei rotondi, più grandi degli or descritti,
con superficie perfettamente liscia e che si coloravano coll’acido
osmico in grigio bruno.
Nella regione olfattoria di questi embrioni prevalgono le cel-
lule rappresentate nelle figure 3, 4, 6; esse variano di grandezza,
il loro corpo è fusiforme, il nucleo, più o meno ovale, liscio e
trasparente, di color giallo-bruno, rare volte munito di nucleoli;
l’appendice superiore ha metà di spessore del rispettivo nucleo,
è trasparente con strie longitudinali privo di ciglia; il processo
inferiore, che nasce direttamente dal polo inferiore del nucleo
cellulare, è tanto più sottile quanto maggiormente s’allontana dal
corpo della cellula. Cellule simili a quelle segnate con 5, 7, si
trovano assai di rado, e queste appunto si avvicinano per i loro
caratteri di struttura alle cellule epiteliali di M. Schultze. Il pro-
lungamento centrale sottile e varicoso della cellula (fig. 8) si
pianta con leggero rigonfiamento conico nel reticolo sottostante
e precisamente allo stesso modo delle cellule olfattive descritte
da M. Schultze. La cellula fig. 7 ha un nucleo rotondo ed un’ap-
pendice superiore larga tanto quanto il diametro del nucleo, e il suo
prolungamento inferiore si fa nel terzo inferiore assai sottile e pre-
SULLE CELLULE EPITELIALI DEGLI EMBRIONI 217
senta un leggero rigonfiamento triangolare. Nelle cellule della mu-
cosa olfattoria di questi embrioni non osservai mai nè ramificazioni
del processo centrale, nè appendice periferica munita di vere ciglia.
Nell’ulteriore sviluppo (embrioni da 6 fino 8 cent.) oltre
alle cellule olfattive di Schultze se ne scorgono altre, che per
alcuni caratteri atipici si allontanano da quelle, dando luogo ad
una serie di « forme di transizione »; questi sono gli elementi
morfologici che in queste mucose prevalgono per numero. Le
vere cellule epiteliali sono all’incontro scarse. La fig. 9 rappre-
senta il tipo delle cellule più comuni in questi preparati: cellule
fusiformi, con nucleo ovale fornito di nucleolo; qui scorgiamo il
processo periferico munito di vere ciglia lunghe ed il prolunga-
mento inferiore grosso quanto il superiore, terminante però in
un filamento sottile varicoso simile all’appendice inferiore delle
cellule olfattive. In alcune di queste cellule osservai per la prima
volta la biforcazione del processo centrale (fig. 9).
La fig. 10 dimostra una cellula olfattiva isolata : il processo
centrale tipico di questi elementi, sottile e varicoso, va a pian-
tarsi nel mezzo d’un nucleo rotondo protoplasmatico granulare
dello strato sottoepiteliale. In tutti i preparati si possono scor-
gere gruppi delle cellule della forma or descritta, in cui i sin-
goli elementi sono in unione, mediante i rispettivi prolungamenti
centrali lunghi, esili e varicosi, alle fibrille del reticolo od ai nuclei
dello strato sottoepiteliale.
Nella fig. 11 è riprodotta una cellula epiteliale con nu-
cleolo rotondo, col processo periferico provveduto di fimbrie ; e
qui vediamo come di solito in questi elementi embrionali, che il
prolungamento centripeto sottilissimo e varicoso ha aspetto iden-
tico a quello delle cellule olfattive.
Il tipo classico ma assai più raro delle cellule epiteliali è
riprodotto nella fig. 12.
Le ciglia sono lunghe, il processo inferiore è più grosso di
quelli descritti dianzi.
È inutile ch'io dica, che ebbi occasione di osservare innu-
merevoli volte codeste differenze di forma e di struttura della
mucosa olfattoria di questi embrioni.
In ogni preparato mi fu dato di osservare differenti cellule
aggruppate assieme ancora unite allo strato nucleare sottoepite-
liale, nel quale poi mi è sembrato di scorgere una o più fibre
nervose piuttosto grosse (colorate dall’acido osmico); esse si dira-
218 ALESSANDRO LUSTIG
mavano successivamente in fibrille esilissime, che si univano a loro
volta con i processi centrali delle soprastanti cellule. Quantunque
questa unione potesse sembrare abbastanza evidente inquantochè
neppure il continuo movimento dell'oggetto (prodotto dalla pres-
sione di un ago sul vetrino coprioggetto) rese possibile il distacco
dei processi centrali delle cellule dalle fibre sottostanti, tuttavia
non ne acquistai la piena convinzione, e diressi perciò vieppiù la
mia attenzione alle singole cellule isolate. E mi venne dato os-
servare infatti pid volte figure consimili a quella segnata al n° 13.
Qui si scorge una cellula epiteliale provveduta di un pro-
lungamento centripeto sottile assai, varicoso in più punti e lungo
almeno 5 volte quanto tutto l’asse longitudinale del corpo della
cellula, che va ad unirsi ad una fibra grossa, o meglio da essa
nasce. La natura di questa fibra non può essere che nervosa, ed
essa corre, come lo dimostrano gli elementi ancora intatti, nel-
l’impalcatura reticolare sottoepiteliale.
E inutile ripetere che l’osservazione di questi elementi, venne
fatta lungamente, cercando che l’oggetto si presentasse nel campo |
visivo in differenti posizioni, così da assicurarmi che questa unione
tra fibra e cellula esistesse di fatto e non fosse solo apparente.
In embrioni di maggior sviluppo (10-15 cent.) la struttura
delle cellule della mucosa olfattiva è simile a quella or descritta;
soltanto lo strato sottoepiteliale è ricco di grandi nuclei rotondi,
lisci, muniti di nucleoli che si colorano coll’acido osmico, al-
l’istesso modo dei nuclei delle cellule epiteliali.
Questi nuclei sono circondati da un finissimo intreccio reti-
colare di fibrille protoplasmatiche granulare, il quale ha gli stessi
caratteri microscopici del protoplasma che circonda e rinchiude i
nuclei grossi, rotondi, trasparenti, con superficie liscia, che com-
pongono la sostanza del lobo olfattorio degli embrioni e neonati.
Nei neonati (coniglio, cavia, uomo) si scoprono nello strato su-
perficiale della mucosa olfattiva tutte le varie forme cellulari;
prevalgono però sempre le « forme transitorie » descritte ante-
cedentemente.
Non mancano però le cellule epiteliali: anzi la fig. 14 ne
rappresenta una con un prolungamento centrale più lungo ed
esile quasi come quello d'una cellula olfattiva (fig. 15).
Altre volte si scorgono cellule epiteliali con prolungamenti
centripeti un po’ più grossi, ai quali si appoggiano i nuclei sot-
toepiteliali (fig. 16).
SULLE CELLULE EPITELIALI DEGLI EMBRIONI 219
Anche nella mucosa olfattiva dei neonati ho potuto osservare,
alcune volte, cellule che secondo M. Schultze non si potrebbero
per i loro caratteri chiamare « olfattive », il di cui processo
centrale si univa evidentemente con una fibra indubbiamente di
natura nervosa.
Fra i diversi disegni fatti dalla natura ne scelgo uno rap-
presentato nella fig. 17.
È questa una cellula fimbriata con nucleo ovale, con un
processo superiore cilindrico e di diametro eguale a quello del
corpo cellulare; il prolungamento inferiore fusiforme e relati -
vamente grosso termina in una fibrilla esile, che cominciando dal
punto « (ove il rigonfiamento unico segna il sito di congiunzione
di una fibrilla che parte dal sottostante protoplasma perinucleare)
va sempre più ingrossando per acquistare il carattere di una fibra
nervosa che alla sua estremità si ramifica.
Tratto da questi miei studi vengo alla conclusione: a) che
nel primo stadio di sviluppo della mucosa olfattoria prevalgono
gli elementi nucleari, ovali rotondi e le cellule olfattive di
M. Schultze, le forme transitorie sono rare, rarissime poi le cel-
lule epiteliali; L) che i prolungamenti periferici delle cellule sono
in questo periodo di sviluppo ancor prive di ciglia; i prolungamenti
centrali non si ramificano e si trovano piantati nel reticolo sotto-
epiteliale; c) che nell’ulteriore sviluppo prevalgono le cellule a
forma di transizione, i prolungamenti periferici sono cigliati,
i prolungamenti centrali sono esili al pari di quelli delle cellule
olfattive e si uniscono alle fibrille del sottostante reticolo che
rinserra i nuclei grandi e rotondi. Non mancano però alcune forme
tipiche di cellule epiteliali.
Verso la fine della vita embrionale e nei neonati si rinviene
nella mucosa olfattiva un grande numero di cellule epiteliali, e
di forma transitoria, nonchè in numero minore le olfattive. Dalle
mie osservazioni risulta inoltre che le ramificazioni delle fibre
del nervo olfattivo che corrono nell’ impalcatura sottoepiteliale
si trovano umite tanto con « le cellule epiteliali » quanto con
le « cellule olfattive ».
È stabilito adunque, che tutte le cellule fino ad ora de-
scritte nella mucosa olfattiva, perchè unite al rispettivo nervo,
devono avere un eguale valore funzionale.
290 ALESSANDRO LUSTIG —- SULLE CELLULE EPITELIALI ECC.
SPIEGAZIONE DELLE FIGURE
La maggior parte dei disegni vennero eseguiti usando dell’ocu-
lare II o III e dell’oggettivo ad immersione X Hartnack. Il trat-
tamento degli elementi morfologici fu sempre colle soluzioni di
acido osmico al 2 %.
Fig. 1-8. Cellule epiteliali della regione olfattiva di embrioni
di 2-6 cent.
» 9-14. Cellule della regione olfattiva di embrioni in un ulte-
riore grado di sviluppo.
>» 14-17. Cellule epiteliali della regione olfattiva di neonati.
Il Direttore della Classe
ALFonso Cossa.
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SOMMARIO
Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali.
ADUNANZA del'‘&-Marzo 18981 Uri. 00 a ie ia dana Pag. 211
Lusria — Sulle cellule epiteliali nella regione olfattiva degli em-
DILODI do EDI CRETE RR a I » 212
oe- NB. La tavola relativa alla Memoria inserta in questo
fascicolo verrà pubblicata in una prossima Dispensa.
ATTI
R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE
DI TORINO
PUBBLICATI
DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI
Vor. XXIII, Disp. 9", 1887-88
i
Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali.
TORINO
ERMANNO LOESOHER
Libraio della R. Aecademia delle Scienze
ID
DO
ri
CLASSE
SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza del 18 Marzo 1888.
PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ANGELO GENOCCHI
PRESIDENTE
Sono presenti i Soci: Cossa, LESSONA, SALVADORI, BRUNO,
Berruti, Basso, D’Ovipio, BizzozERo, FERRARIS, NACCARI, Mosso,
SPEZIA GIACONINI.
Si legge l'atto verbale dell'adunanza precedente che è ap-
provato.
Fra le pubblicazioni pervenute in dono all'Accademia viene
segnalato :
1° Il Bollettino dei Musci di Zoologia e di Anatomia com-
parata dell’Università di Torino, dal fascicolo N. 34 (vol. II)
al fascicolo n. 39 (vol. III). Esso contiene lavori biologici dei
signori C. PoLLonERA, Dott. D. Rosa e Prof. L. CAMERANO ;
2° Bullettino di Bibliografia e di Storia delle Scienze ma-
tematiche e fisiche pubblicato da B. Boncompagni (Maggio e
Giugno 1887, tomo XX), presentato dal Presidente ;
3°. Pressione atmosferica bi-oraria del 1887 tratto dai ri-
lievi del barometro registratore Richard; Considerazioni sulle
ore tropiche e sulle medie oscillazioni diurne barometriche ; del
Prof. Domenico Ragona, Direttore del Reale Osservatorio di Mo-
dena : presentate dal Socio G. Basso.
Le comunicazioni e le letture si succedono nell’ordine che segue :
« Rotazioni elettrodinamiche prodotte per mezzo di correnti
alternate; del Socio Galileo FERRARIS ;
« Relazione del Socio Prof. L. BeLLARDI, letta dal Socio
condeputato Prof. G. Srezia intorno alla Memoria del Dottore
Federico Sacco, intitolata « Aggiunte alla fauna malacologica
estramarina fossile del Piemonte e della Liguria » .
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII. 18
MELLE I)
ADEN Mi SOR
<"Ernnamato
922 GALILEO FERRARIS
LETTURE
Rotazioni elettrodinamiche
prodotte per mezzo di correnti alternate
Nota del Prof. GALILEO FERRARIS.
1.— Sia O un punto di uno spazio nel quale si sovrappon-
gono i campi magnetici prodotti da due correnti elettriche; le.
direzioni OX ed OY che hanno i due campi magnetici nel punto
O sieno diverse, sieno per esempio perpendicolari l’una all'altra.
Fig. 1.
Se si rappresentano con lunghezze VA ed OB portate su OX
ed OY le intensità dei due campi, la diagonale OR del paral-
lelogrammo VAREB dà colla propria lunghezza e colla propria
direzione l’intensità e la direzione del campo magnetico risul-
tante. Se le intensità dei campi magnetici componenti variano col
tempo, il punto £ si muove, e percorre una linea, la forma della
ROTAZIONE ELETTRODINAMICHE 223
quale è determinata dalla legge con cui variano VA ed VOB;
ma in ogni istante il raggio vettore OZ rappresenta colla sua
lunghezza e colla sua direzione l’intensità che nello stesso istante
il campo magnetico risultante ha nel punto 0.
Se le due correnti sono alternate e sinusoidali col medesimo
periodo, anche le intensità OA ed OB dei due campi magnetici
componenti sono tali; se si rappresentano rispettivamente con 4
e con y, esse si possono esprimere in funzione del tempo # colle
uguaglianze
In 2
n
s=4sen 7 > y=Bsen (046),
ove si indichino con A e con B i valori massimi di esse, con 7°
Ci
la durata del periodo e con 2 la differenza di fase fra le due
correnti. Eliminando £ fra queste due equazioni, si ottiene una
relazione fra x ed y, che è l'equazione della linea percorsa dal
punto riferita alle rette OX, OY prese come assi di coor-
dinate.
Quando la differenza di fase tra le due correnti è uguale a
zero, oppure corrisponde ad un numero intiero di semiperiodi, la
linea percorsa dal punto I è una retta passante per 0, e su
questa retta il punto £ percorre spazi proporzionali a quelli per-
corsi nel medesimo tempo dai punti Ae 5 su OX ed OY. Al-
lora il campo magnetico risultante ha una direzione costante ed
una intensità variabile colla legge sinusoidale come i campi ma -
gnetici componenti.
In tutti gli altri casi, quando cioè le due correnti non si
invertono simultaneamente, la linea percorsa dal punto & è una
ellisse di centro O. Allora il raggio vettore OR che rappresenta
l’intensità e la direzione del campo magnetico risultante, si man-
tiene costantemente diversa da zero, e ruota nel piano XO Y at-
torno al punto O; in altri termini si ha allora un campo ma-
gnetico che non si annulla mai e che gira attorno ad O. Il
campo magnetico girante compie la propria rivoluzione nella du-
rata 7 di un periodo delle correnti. Il senso della rotazione si
inverte se la fase di una delle correnti si fa variare di un mezzo
periodo o di un numero intero di mezzi periodi.
Se in particolare le direzioni O.X ed OY dei campi magne-
tici componenti sono perpendicolari l’una all’altra, se le intensità
224 GALILEO FERRARIS
massime A e B dei due campi sono uguali tra di loro, e se la
1
differenza di fase La è uguale ad np si ha
21 2
s=AsenTé x y=Acost;
quindi
sa 2n
UR=-A ed AOR=—-#6
Allora la traiettoria del punto R è una circonferenza di rag-
gio A, ed il punto X la percorre colla velocità angolare co-
Da
CONI
stante ; in altri termini, si ha allora un campo magnetico di
F,
intensità costante, il quale gira attorno ad O con velocità uni-
forme.
Gli effetti sovra descritti si possono produrre per mezzo di
una sola corrente alternativa, È infatti sempre possibile, ed în
più modi, per mezzo di una corrente alternativa data ottenere
le due correnti necessarie per produrre le forze magnetiche com-
ponenti OA ed OB, e far variare, fra certi limiti, la differenza
di fase fra le medesime. Un modo per fare ciò consiste nel far
passare la corrente data nella spirale primaria di un trasforma -
tore. Allora si hanno a disposizione la corrente data e la cor-
rente secondaria da essa prodotta nel trasformatore. Facendo pas-
sare le due correnti in due spirali aventi gli assi sulle rette OX
ed OY, si può far servire la prima a produrre la forza magne-
tica VA, e la seconda a produrre la forza magnetica OB. Ac-
ciocchè le due correnti presentino la voluta differenza di fase
basta inserire una conveniente resistenza nel circuito secondario ;
la differenza di fase che così si ottiene, tende verso un quarto
di periodo se la resistenza del circuito secondario si fa crescere
fino all'infinito. Col crescere della resistenza, il rapporto tra la
intensità media della corrente secondaria e quella della primaria
diminuisce; ma calcolando convenientemente il numero delle spire
nelle due spirali destinate a produrre le forze magnetiche OA
ed OB, è possibile far sì che risulti A = 5, e realizzare ap-
prossimativamente le condizioni nelle quali il campo magnetico
risultante mantiene una intensità quasi costante e ruota con ve-
locità quasi uniforme.
ROTAZIONI ELETTRODINAMICHE 225
Un altro modo per ottenere il medesimo risultato consiste
nel far servire alla produzione dei due campi magnetici oscilla-
torii componenti le due correnti secondarie prodotte in due tras-
formatori od in due porzioni d’un trasformatore ove la corrente
alternativa data funzioni come corrente primaria.
Si possono finalmente adoperare per produrre le forze ma-
gnetiche 0A ed OB due correnti derivate. Se nel circuito di
una di tali correnti si inseriscono resistenze esenti da induzione
propria, e nel circuito dell’altra si inserisce invece una spirale
con piccola resistenza e con grande coefticiente di autoinduzione,
si può fare sì che mentre le medie intensità delle due correnti
sono uguali, oppure hanno tra di loro un rapporto prefisso, le
fasi delle correnti medesime differiscano notevolmente l’una dal-
l’altra.
Dunque per mezzo di una semplice corrente alternativa, ope-
rante in spirali immobili, è possibile produrre un campo ma-
gnetico rotante ed ottenere con questo tutti gli effetti che si
potrebbero ottenere per mezzo della rotazione di una calamita.
Si possono fra gli altri, riprodurre per mezzo di una sem-
plice corrente alternata i fenomeni di induzione che si hanno
quando si fa rotare una calamita in vicinanza di una massa con-
duttrice; e per tal modo si possono ripetere sotto una forma
nuova le antiche esperienze sul magnetismo di rotazione. Se nello
spazio ove sì sovrappongono i. campi magnetici alternativi si ha
un corpo conduttore, la rotazione del campo magnetico risultante
produce in tale corpo correnti indotte, che per la legge di Lenz
si oppongono alla rotazione del campo magnetico, e sulle quali
il campo magnetico reagisce con forze che tendono a trascinare
il conduttore nella propria rotazione. Se il conduttore è mobile
attorno all'asse O (fig. 1°) esso si mette in movimento e prende
a rotare come farebbe quando esso si trovasse frai poli di una
calamita rotante attorno all'asse O medesimo.
2. — Descrivo alcuni degli esperimenti coi quali ho verificato
ed utilizzato questo fatto (*).
La fig. 2 rappresenta schematicamente in prospettiva la dispo-
sizione di una prima esperienza. Con 1AAA1' e con 2BBB2,,
(*) Le esperienze, delle quali si fa cenno, furono eseguite nell’ autunno
del 1885
226 GALILEO FERRARIS
sono rappresentate due spirali piatte, delle quali la prima è for-
mata con poche spire di grosso filo, e la seconda contiene un
numero più grande di spire fatte con un filo più sottile. Per
Fig. 2.
rendere semplice la figura si è rappresentata una sola spira per
ciascuna spirale, e si sono indicati in 1, 1' ed in 2, 2'i reofori
ai quali le due spirali sono collegate. I piani delle spire delle
due spirali sono verticali e perpendicolari tra di loro; essi si
tagliano secondo la verticale 00' che rappresenta l’asse dell’ap-
parecchio. La spirale 1 AAA 1' di filo grosso è inserita nel cir-
cuito primario di un trasformatore di Gaulard e Gibbs; la spi-
rale 2 BBB2' di filo sottile è inserita nel circuito secondario
del trasformatore medesimo. Nello stesso circuito secondario è in-
serita una resistenza variabile priva di induzione propria, per
mezzo della quale si può far variare il rapporto tra le intensità
medie della corrente primaria e della secondaria, e con esso la
differenza di fase tra le due correnti.
Il trasformatore è disposto per un rapporto di trasformazione
uguale ad «0, ossia ha un medesimo numero di spire nelle due
eliche primaria e secondaria: ma siccome per produrre una grande
ROTAZIONI ELETTRODINAMICHE A
differenza di fase fra le due correnti conviene inserire nel cir-
cuito secondario una resistenza alquanto grande, così l'intensità
della corrente secondaria risulta notevolmente minore di quella
della primaria. Il maggior numero di spire esistente nella spirale
2 BBB2' compensa questa differenza. Determinando conveniente-
mente la resistenza inserita nel circuito secondario si può far sì
che, pur avendo una notevole differenza di fase, le intensità me-
die dei campi magnetici prodotti dalle due correnti nel centro
comune © delle due spirali sieno sensibilmente uguali. Questa
condizione si può verificare facilmente per tentativi. Quando essa
è verificata, si ha nello spazio compreso nelle due spirali un
campo magnetico di intensità approssimativamente costante, il
quale gira uniformemente attorno all’asse 00' compiendo un giro
intiero per ogni periodo della corrente alternativa. In tale spazio
è sospeso un piccolo cilindro C di rame, vuoto e chiuso, soste-
nuto da un filo O.
Se si fa passare la corrente soltanto in una delle spirali, il
cilindretto rimane immobile, ma se si fanno passare le correnti
in entrambe le spirali, nel modo suddetto, il piccolo cilindro in-
comincia subito a rotare attorno al proprio asse, torcendo il filo
di sospensione per molte decine di giri. Se per mezzo di un com-
mutatore inserito nel circuito secondario si invertono le congiun-
zioni delle estremità 2 e 2° della spirale BB coi capi dell'elica
secondaria del trasformatore, colla qual cosa si fa variare di un
mezzo periodo la fase della corrente in BB, la rotazione del
cilindretto C' si inverte. Se l’inversione del commutatore si opera
mentre il cilindretto sta girando in un certo verso, si vede la
rotazione rallentarsi rapidamente ed estinguersi quasi subito per
ricominciare nel verso opposto.
I medesimi effetti sì ottengono se si inseriscono le due spi-
rali AAA e BBB in due circuiti derivati, uno dei quali con-
tenga una resistenza ma sia esente da induzione propria, mentre
l’altro presenti soltanto una piccola resistenza, ma contenga una
spirale con nucleo di ferro e con un notevole coefficiente di in-
duzione propria.
Le esperienze furono ripetute coi medesimi risultati sosti-
tuendo al cilindretto di rame un uguale cilindretto di ferro. Se
il cilindro adoperato è piccolo ed occupa solamente una piccola
parte dello spazio che si ha nell'interno delle spirali, l’esperienza
riesce facilmente tanto col ferro quanto col rame. Quando invece
228 GALILEO FERRARIS
si adoperano cilindri grandi riempienti per una grande parte l’in-
terno delle spirali, l’esperienza riesce meno facilmente col ferro
che col rame. Ciò in causa dei grandi coefficienti di induzione
propria che allora acquistano le spirali. Quando infatti le spirali
AAA e BBB dell'apparecchio presentano grandi coefficienti di
induzione, non si può provocare nelle due correnti la differenza
di fase di cui si ha bisogno, se non alla condizione di inserire
nei circuiti esterni resistenze considerevoli, le quali consumano
inutilmente una notevole parte dell'energia di cui si dispone.
In una esperienza ho adoperato un cilindretto di ferro for-
mato con tanti dischi uguali di lastra sottile separati ed isolati
per mezzo di dischetti di carta frapposti. In un tale cilindretto non
si possono produrre le correnti indotte per mezzo delle quali si
spiegano i risultati ottenuti col rame; tuttavia l’esperienza riuscì
come prima. In questo caso la rotazione è dovuta al ritardo col
quale la magnetizzazione dei dischetti di ferro segue la rotazione
del campo magnetico a cui è dovuta.
Le esperienze sovradescritte, ad eseguire le quali bastano ap-
parecchi grossolani ed improvvisati, possono servire nei corsi non
solo come ‘modificazione delle antiche e classiche esperienze di
Arago e di Babbage ed Herschel, ma sovratutto come mezzo per
porre in evidenza l’esistenza delle differenze di fase fra le cor-
renti primaria e secondaria di un trasformatore, o quella delle
differenze di fase che si hanno tra le correnti derivate alternative,
o quelle che possono esistere fra due correnti alternative qua-
lunque di ugual periodo. È anzi facile disporre le esperienze in
modo tale che esse valgano a porre in chiaro il modo di variare
delle differenze di fase col variare delle resistenze dei circuiti e
dei coefficienti di induzione esistenti nei medesimi.
Se poi si adopera un leggiero cilindretto di rame riempiente
quasi completamente l’interno di due moltiplicatori incrociati,
portato da una lunga sospensione bifilare e munito di uno spec-
chietto per le letture col cannocchiale e colla scala, si può for-
mare uno strumento molto sensibile, atto ad attestare, anche con
correnti di debole intensità, piccolissime differenze di fase.
5. — Invece di appendere il cilindro conduttore mobile ad
un filo o ad una sospensione bifilare, lo si può far portare da
un albero metallico appoggiato su cuscinetti; ed allora, dando
all'apparecchio maggiori dimensioni, se ne può formare un mo-
ROTAZIONI ELETTRODINAMICHE 229
tore elettrico per correnti alternative. È evidente a priori, e ri-
sulterà anche dalle considerazioni che farò più sotto, che un mo-
tore così fatto non potrebbe avere importanza come mezzo di
trasformazione industriale di energia, ma per la sua semplicità
e per le sue proprietà esso potrebbe tuttavia servire ad utili ap-
plicazioni. Io ho combinato un modello provvisorio di motore, ed
ho eseguito su di esso alcuni esperimenti.
La fig. 3 è una sezione del motore fatta con un piano per-
pendicolare all’asse di rotazione; essa può servire a dare un'idea
della disposizione delle parti principali dell’ apparecchio.
La parte mobile della macchina consiste in un cilindro di
rame 0, centrato su di un albero di ferro O, col quale è soli-
||esessosts
COLZZZZZZZZZZZZA
dario. Il cilindro di rame è vuoto, ma è chiuso, con fondi pure
di rame, alle due estremità; ha il diametro esterno di 8, 9 cen-
timetri e la lunghezza di 18 centim.;- pesa 4,9 chilogrammi.
L'albero O ha il diametro di un centimetro, è orizzontale e si
appoggia sopra due cuscinetti.
La parte fissa della macchina è costituita semplicemente da
due coppie di spirali, che nella figura si vedono sezionate in 44,
A'A' ed in BB, B'B'. Una di queste coppie di spirali, la 44,
AA’, è disposta colle sue spire in piani verticali, e quando è
percorsa da una corrente produce nel proprio interno, nello spazio
ove si trova il cilindro di rame, un campo magnetico di direzione
230 GALILEO FERRARIS
media orizzontale. L'altra coppia, la BB, B'B' invece ha le sue
spire in piani orizzontali, e quando è percorsa da una corrente
produce nello spazio occupato dal cilindro di rame un campo
magnetico, del quale la direzione media è verticale. Le spirali
sono contenute in telarini di legno di forma rettangolare. Due
di questi telarini, quelli delle spirali orizzontali BB, B'B' hanno
le dimensioni appena sufficienti per lasciare al cilindro C il giuoco
necessario pel movimento, la larghezza e la lunghezza del loro
vano superano soltanto di un centimetro il diametro e la lun-
ghezza del cilindro di rame. Gli altri due telarini, quelli delle
spirali verticali AA, 4°4' hanno la medesima larghezza ed una
lunghezza maggiore, in modo che essi abbracciano i due telarimi
BB, B'B' e li contengono esattamente. Quando i quattro telarini
sono in posto essi chiudono uno spazio parallelepipedo d e f 9,
che, a meno del piccolo giuoco necessario per la libertà del mo-
vimento è circoscritto al cilindro C. La fessura lasciata tra le
spirali A ed A'e quella lasciata tra B e B' hanno la larghezza
strettamente necessaria per lasciar passare l’albero 0.
Le spirali AA, A'A' sono fatte con filo di rame del diametro
di millimetri 1,92; ciascuna di esse contiene 96 spire; esse sono
collegate tra di loro in serie in modo da formare una spirale
unica di 192 spire; la resistenza totale delle due spirali collegate
in serie è di 0,844 ohm.
Le spirali BB, B'B' sono fatte con filo di rame del dia-
metro di 0,97 millimetri, e ciascuna di esse contiene 504 spire.
Le due spirali sono collegate in circuiti paralleli, in modo da
equivalere ad una spirale unica di 504 spire fatta con filo di
sezione doppia. Le resistenze delle singole spirali sono uguali a
7,12 ohmed a 6,63 ohm; la resistenza delle due spirali riunite
è di 3,43 ohm.
Per mettere in azione il piccolo motore che ho descritto mi
servii di un generatore: secondario di Gaulard e Gibbs. Inserii
le spirali di filo grosso AA, A'A' nel circuito primario e le spi-
rali di filo sottile BB, B'B' nel circuito secondario. Nello stesso
circuito secondario era pure inserito un reostato industriale a filo
di pakfong, esente da induzione propria, per mezzo del quale si
potevano far variare l’intensità e la fase della corrente secondaria.
La resistenza alla quale corrispondeva il migliore funzionamento
del piccolo motore si poteva così determinare praticamente per
tentativi. Tale resistenza dipende naturalmente dai coefficienti di
ROTAZIONI ELETTRODINAMICHE 231
induzione del trasformatore e dalla durata del periodo della cor-
rente adoperata. Nelle mie esperienze la spirale secondaria del
trasformatore era uguale alla primaria, e quindi praticamente il
coefficiente di autoinduzione della spirale secondaria era uguale
a quello mutuo tra la spirale medesima e la primaria.
Le inversioni della corrente erano circa 80 per minuto se-
condo; ed in base a questi dati risultava da esperienze anterior-
mente eseguite sul trasformatore, che la resistenza apparente dovuta
all’ induzione della spirale secondaria su se stessa era di circa
8 ohm. In queste condizioni l’esperienza dimostrò che il migliore
funzionamento del piccolo motore si aveva quando col reostato
si introduceva nel circuito secondario una resistenza di 15 a
18 ohm. Coi dati numerici sovrariferiti si può calcolare che ap-
punto fra tali limiti è compresa la resistenza necessaria per fare
sì che l’intensità media del campo magnetico prodotto dalle spirali
BB, B'B' percorse dalla corrente secondaria sia uguale a quella
del campo magnetico prodotto dalle spirali AA, A'A' percorse
dalla corrente primaria. Si può poi calcolare che coi sovraindicati
valori della resistenza inserita nel circuito secondario, la diffe-
renza di fase tra la corrente secondaria e la primaria doveva
corrispondere a poco meno di un quinto di periodo.
Colle cose disposte nel modo descritto, il cilindro di rame
del piccolo motore cominciava a mettersi in movimento sponta-
neamente quando la corrente nel circuito primario raggiungeva
una intensità media di circa 5 ampere. Con correnti di intensità
superiore a questo limite il cilindro di rame prendeva una velocità,
la quale poteva crescere fino a 900 giri per minuto. Al di là di
questo limite l’imperfetto centramento del cilindro sul suo asse dava
luogo a scosse troppo violenti per poter continuare l’esperimento.
Nel circuito secondario era inserito un commutatore, col quale
si potevano invertire le congiunzioni delle spirali B 5, B'B' colle
estremità della spirale secondaria del trasformatore. Invertendo
le congiunzioni si invertiva il senso della rotazione; operando
l'inversione del commutatore mentre il cilindro girava con grande
velocità in un verso, lo si vedeva arrestarsi rapidamente come
se fosse stato stretto in un freno, e poi mettersi in rotazione nel
verso opposto. i
Fu applicato all'albero dell’apparecchio un piccolo freno di-
namometrico equilibrato, collegato con una bilancia e sospensione
inferiore, il quale servi a dare un'idea dell’ordine di grandezza
232 GALILEO FERRARIS
del lavoro meccanico ottenibile e del modo di variare del me-
desimo. Qui sotto sono registrati i valori ottenuti. Nella prima co-
lonna sono indicati i numeri di giri per minuto primo che l’albero
compieva nelle successive esperienze; nella seconda colonna sono
indicati i corrispondenti lavori meccanici misurati col freno ed
espressi in watt.
Giri inl'| Watt. Giri in l'| Watt.
262 1,32 722 2,55
400 2,12 770 2,40
546 2,65 772 2,04
653 2,77 900 0
L'intensità media della corrente primaria era di circa 9 am-
pere; le inversioni di essa erano 80 per 1".
Vedesi che il lavoro cresce col crescere della velocità finchè
questa non ha raggiunto il valore corrispondente a circa 650 giri
al minuto; per tale velocità il lavoro è massimo; per velocità
maggiori esso diminuisce con rapidità crescente, finchè per una
velocità di 900 giri al minuto il lavoro utilizzabile si riduce a
zero. Questa rapida decrescenza del lavoro utilizzabile è dovuta
in gran parte all’imperfetto centramento della parte rotante: gli
urti dovuti a questa causa dànno luogo a perdite di energia cre-
scenti, al crescere della velocità, con progressione rapidissima.
Portando in un disegno come ascisse i numeri di giri per minuto,
e come ordinate i valori del lavoro misurato, e congiungendo con
una linea i punti così ottenuti, si trova una linea, la quale da
principio, e fino al punto corrispondente ad una velocità di circa
500 giri per minuto, si confonde sensibilmente con una retta
passante per l’origine, ma in seguito si ripiega verso l’asse delle
ascisse, verso il quale discende rapidissimamente. Questa forma.
della linea giustifica la spiegazione precedente. Senza gli effetti
degli urti, dei quali abbiamo parlato, la linea dei lavori ottenuti
andrebbe innalzandosi fino al punto corrispondente all’ ascissa
1200 circa e discenderebbe poscia regolarmente per incontrare
l’asse delle ascisse in vicinanza dell’ascissa 2400, che corrisponde
alla velocità di ‘rotazione del campo magnetico.
ROTAZIONI ELETTRODINAMICHE 239
4. — Le relazioni esistenti tra il momento della coppia che fa
rotare il tamburo, il lavoro meccanico utilizzabile, l'energia che si
trasforma in calore nel cilindro di rame e le velocità di rotazione
del campo magnetico e del tamburo si possono stabilire facil-
mente se si suppone la macchina nelle condizioni ideali migliori,
se cioè si suppone che i campi magnetici sinusoidali prodotti dalle
due correnti alternative abbiano uguali intensità massime e pre-
sentino una differenza di fase corrispondente ad un quarto di
periodo.
In questo caso il campo magnetico risultante ha una inten-
sità invariabile e ruota attorno all’asse dell'apparecchio con una
velocità angolare uniforme. Noi rappresenteremo questa velocità
angolare del campo magnetico colla lettera 0, e rappresenteremo
invece con & la velocità angolare del tamburo di rame; la velo-
cità angolare del moto relativo del campo magnetico rispetto al
tamburo sarà allora Q—-%.
Se diciamo -M il momento della coppia, colla quale il campo
magnetico rotante agisce sulle correnti indotte nel tamburo di
rame e tende a trascinare questo nella propria rotazione, possiamo
esprimere subito il valore del lavoro meccanico prodotto dal mo-
tore, e quello della energia che viene trasformata in calore nel
tamburo in causa delle correnti in esso indotte. Rappresentando
con W il lavoro meccanico prodotto dal motore in una unità di
tempo, e intendendo che in esso sia compresa quella parte che
è consumata dalle resistenze passive, abbiamo
W=Mo. a)
Rappresentando invece con P l’energia che in ogni unità di tempo
si trasforma in calore dentro al tamburo in causa delle correnti
che vi sono prodotte per induzione dal campo magnetico rotante,
abbiamo :
P=M(0-0). non (8)
Quest'ultima relazione si dimostra osservando che l'energia tra-
sformata in calore in causa delle correnti esistenti nel tamburo
è uguale a quella che si spende per produrre le correnti mede-
sime, e questa è uguale al lavoro necessario per mantenere il
moto relativo, colla velocità Q— &, tra l’indotto ed il campo
magnetico induttore,
234 GALILEO FERRARIS
Dalle formole (1) e (2) si ha per divisione
; ii 4)
PIMOal) i
od anche
W A)
Wyp70 Md
l'energia W, che si ottiene come lavoro meccanico o come forza
viva, sta alla totale energia W4 P, che si manifesta in. parte
come energia meccanica ed in parte come calore, come la velocità
di rotazione del cilindro sta alla velocità di rotazione del campo
magnetico.
Se, come abbiamo supposto nel calcolo precedente, il campo
magnetico ha una intensità costante e gira con velocità uniforme,
vi ha nel cilindro conduttore un sistema di correnti indotte, che
conserva costantemente la stessa configurazione; questo sistema
di correnti si sposta girando attorno all’asse dell’apparecchio, ma
‘i fenomeni che in un elemento di tempo qualunque avvengono
in un elemento qualunque del volume del cilindro, in un ele-
mento di tempo successivo si riproducono esattamente in un altro
elemento di volume. Il calore svolto dalle correnti nel cilindro è
adunque lo stesso che si svolgerebbe se le correnti fossero costanti
ed immobili. Ora in ogni elemento di volume la corrente è pro-
Oto ù
porzionale ad — , ove si rappresenti con p la resistenza
#)
specifica del metallo; quindi il calore svolto è proporzionale a
O -0\ (0-6) _.
p ) ossia a —__ . Dicendo adunque % una costante,
"lt le
possiamo porre 1
isa = O w)°
Ù
Portando questo valore nelle formole (1) e (2), otteniamo
k i
tag “esi 3180008)
ed
ROTAZIONI ELETTRODINAMICHE 235
Data la durata del periodo della corrente alternativa adoperata,
Q ha un valore determinato e costante.. Allora la (1°) fa vedere
che l'energia W, che si manifesta come lavoro meccanico, ha un
valore massimo quando
mentre la (2°) dà per M un valore massimo quando
E
Quando l'energia meccanica W è massima, ossia quando è
=, la (3) dà
ti Wes Pi
l’energia che si manifesta come lavoro meccanico è allora uguale
a quella che si manifesta come calore nel cilindro rotante.
5. — Queste relazioni ed i risultati delle esperienze riferite più
sopra confermano, ciò che era evidente « priorî, che un appa-
recchio fondato sul principio di quello da noi studiato non po-
trebbe avere alcuna importanza industriale come motore; e quan-
tunque sia possibile studiare le dimensioni di esso in modo da
aumentarne notevolmente la potenza e migliorarne moltissimo il
rendimento, sarebbe inutile entrare qui in alcuna considerazione
su tale problema.
Io credo tuttavia che le esperienze che ho descritto possano
presentare qualche interesse.
In primo luogo un piccolo apparecchio come il descritto può
servire utilmente per esperienze nei corsi. Adoperato a tale uso,
esso presenta il vantaggio di funzionare per mezzo di una coppia
diretta sempre nel medesimo verso, per modo che anche con le
sole forze elettrodinamiche, sempre assai deboli, si possono con
esso accumulare in una grande massa, come è quella del cilindro
di rame da noi adoperato, notevoli quantità di energia cinetica.
In secondo luogo, e ciò è più importante, un apparecchio
analogo al descritto potrebbe servire come misuratore della elet-
tricità somministrata in una distribuzione di energia elettrica fatta
con correnti alternative. Bisognerebbe a quest’ uopo disporre le
cose in modo, che al movimento del tamburo si opponesse una
256 GALILEO FERRARIS
resistenza proporzionale al quadrato della velocità. Siccome il
momento della coppia motrice è proporzionale al quadrato della
intensità media della corrente, così la velocità di regime dell’ap-
parecchio risulterebbe proporzionale alla intensità media della
corrente; ed il numero di giri compiuto dal tamburo in un dato
tempo, numero che può essere indicato da un contatore, risul-
terebbe proporzionale alla quantità di elettricità trasmessa nel
tempo medesimo. Naturalmente converrebbe allora disporre verti-
calmente l’asse dello strumento onde ridurre al minimo le resi-
stenze passive perturbatrici ed attenuare gli effetti delle imper-
fezioni del centramento.
6. — Come già avevo fatto nelle esperienze col cilindretto so-
speso, ho cercato di ripetere gli esperimenti, sostituendo al cilindro
di rame un cilindro di ferro di uguali dimensioni e di peso poco
diverso. Il risultato fu quasi completamente negativo: riuscii a
stento a produrre una lentissima rotazione. La ragione di questo
risultato sta nel fatto che col cilindro di ferro le spirali B 5,
B'B' assumono un grande coefficiente di induzione propria, che
rende necessario introdurre nel circuito secondario del trasforma-
tore una grande resistenza onde ottenere la voluta differenza di
fase tra le correnti. Ma con questa grande resistenza in circuito
la intensità della corrente secondaria riesce piccolissima. Nè la
debolezza della corrente si può compensare aumentando il numero
delle spire nelle eliche BB, B'B', perchè col numero delle spire
cresce il coefficiente di induzione propria delle spirali medesime.
Provai pure, come già avevo fatto nelle esperienze col cilin-
dretto di ferro massiccio, un cilindro formato con dischi situati in
piani perpendicolari all’asse ed isolati con fogli di carta frap-
posti. Il risultato, in questo caso, fu assolutamente negativo.
Sperimentai ancora con un altro modello di motore, ‘ove il
tamburo girava su di un asse verticale ed occupava lo spazio
esistente fra i poli, scavati a superficie cilindrica, di quattro elet-
tromagneti affacciati due a due. Due di questi elettromagneti,
affacciati l’uno all’altro, erano eccitati dalla corrente primaria e
facevano le veci delle spirali AA4, A4'4'; gli altri due, anch'essi
affacciati l’uno all’altro, erano attivati dalla corrente secondaria,
e facevano le veci delle spirali BB, B'B'. L'apparecchio funzionò,
in questo caso, meglio col cilindro di ferro che con quello di
rame; ma gli effetti furono con esso molto minori di quelli otte-
ROTAZIONI ELETTRODINAMICHE DIT
nuti coll’ apparecchio precedente. La ragione del fatto è quella
stessa di cui abbiamo parlato testè.
Provai finalmente a sostituire al tamburo solido un conduttore
liquido, una massa di mercurio. Per fare l'esperimento bastò la
disposizione semplicissima seguente. Le spirali 44, AA e BB,
B'B', tolte dal motore che aveva servito alle esperienze sovra-
descritte, vennero collocate in piani verticali, due a due paralleli
tra di loro e perpendicolari agli altri due, in modo da costituire
le quattro faccie di un prisma a base quadrata. Nella fig. 4 le
quattro spirali sono vedute in proiezione orizzontale e sono se-
gnate colle lettere A, A', B, B'. Le spirali furono collegate tra
Fig. 4.
A
|
x
di loro e col generatore secondario come lo erano nel motore;
le A ed A' furono inserite nel circuito primario, le B, B' nel
secondario insieme col reostato e col commutatore. Nello spazio
circondato dalle quattro spirali si collocò un bicchiere M pieno
di mercurio e si constatarono nel liquido le rotazioni prevedute.
In causa della maggiore resistenza specifica le velocità aquistate
dal mercurio furono, a parità delle altre circostanze, molto mi-
nori di quelle acquistate dal rame. La massima velocità ottenuta
nel mercurio fu, con una corrente di 10 ampere, di circa 18
giri per minuto primo.
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII. 19
238
RELAZIONE sulla Memoria del sig. Prof. F. SAcco, intitolata:
Aggiunte alla Fauna malacologica estramarina fossile del
Piemonte e della Liguria.
Il manoscritto che il sig. Prof. F. SAcco ha presentato all’Ac-
cademia nella sua seduta delli 4 corrente e che i sottoscritti ebbero
l'onorevole incarico di esaminare per esprimere il loro giudizio
sulla sua ammessibilità nei volumi delle Memorie, è il frutto delle
ultime ed attivissime ricerche geologiche e paleontologiche che l’au-
tore continua indefessamente nel suolo del Piemonte e della
Liguria.
Come risulta dal titolo: Aggiunte alla fauna malacologica
estramarina fossile del Piemonte e della Liguria, il sig. Pro-
fessore Sacco in questo suo scritto si limita allo studio di parec-
chie forme, non comprese finora nelle sue precedenti Memorie
sullo stesso argomento, o perchè nuove per la scienza o perchè
meritevoli di essere notate per la loro provenienza da località
recentemente scoperte dall’Autore. x
Il materiale scientifico dello scritto del sig. Prof. Sacco si può
distinguere in tre parti:
1° La descrizione di parecchie nuove specie e di alcune
varietà di specie già note;
2° Una speciale Monografia delle, Melunopsis trovate finora
in Piemonte ed in Liguria corredata da un gran numero di buone
figure rappresentanti tutte le specie distinte, le varietà di specie
note e le variazioni intermedie, dalle quali figure. nel mentre si
deducono gli stretti legami che collegano fra loro le specie del
genere e ne rendono perciò difficilissima la distinzione, valgono
per altro lato a porgere allo studioso un criterio sui caratteri del
guscio che suggerirono all’autore la classificazione adottata e che
molto difficilmente si sarebbero potuti esprimere in modo suffi-
ciente con tali parole;
239
3° Il catalogo generale di tutti i Molluschi estramarini
trovati fino adesso in Piemonte ed in Liguria, tanto nei terreni
terziarii, quanto nel quaternario, il quale catalogo riassume i
lavori publicati anteriormente dall’autore sullo stesso argomento,
coll’aggiunta delle forme descritte nell’ attuale sua Memoria, e
coll’indicazione delle nuove località che egli ha scoperte in questi
ultimi tempi.
Il Prof. Sacco è benemerito della Paleontologia estramarina
del Piemonte e della Liguria; infatti i Molluschi terrestri, e
d’acqua dolce o salmastra fossili di queste regioni prima delle sue
ricerche non sommavano che a circa una ventina di specie sparse
qua e là nelle opere di Paleontologia locale, mentre ora nel
catalogo annesso alla presente Memoria, il quale è il riassunto
delle sue ricerche, ascendono tra specie e varietà a circa trecento;
inoltre i precedenti lavori paleontologici del Sacco sono una prova
della sua competenza nella materia, epperciò la Commissione dopo
alcune leggere modificazioni proposte nel titolo e nella esposizione
dei caratteri delle forme descritte che l’autore ha accettate, pur
lasciando allo stesso la responsabilità delle fatte denominazioni e
delle sinonimie riferite, non esita a proporre lo scritto del signor
Prof. Sacco per la lettura alla classe nella fiducia che l’Acca-
demia voglia approvarne la stampa nei volumi delle Memorie.
L'estensione del testo ed il numero delle tavole (2) sono nei
limiti assegnati dai regolamenti accademici per l’inserzione nelle
Memorie.
Torino, 15 marzo.
L. BELLARDI, Stelatore
GIORGIO SPEZIA.
La Classe accoglie la proposta dei Commissari, e, udita la
lettura del lavoro del Dott. Sacco, ne approva la pubblicazione
nei volumi delle Memorie dell’Accademia.
Il Direttore della Classe
ALronso Cossa.
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restera lors Toti i iffgi ib olc19n98 pre
19î jo odtioi aio ME Jo atanutasi tti osa5ha ‘(
duri apalatan als Bb, vicamatavp San ot
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ani gigoga ibranijasy ov n019) a ufo snavamiozi
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allor astoiminani L.go. into: bada inocislonnio sad
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à Loro Mad, rILOTI
Classe di Scienzo Fisiche,
FERRARIS _ ‘Rotazioni elettrodinamiche prodot CORR mezzo
renti alternate |
x
ola.
pone
ALI
R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE
DI TORINO
PUBBLICATI
DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI
Vor. XXIII, Disp. 10°, 1887-88
«Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali.
TORINO
ERMANNO LOESOHER
Libraio della R. Accademia delle Scienze
241
CLASSE
DI
SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza dell’ 8 Aprile 1888.
PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ARIODANTE FABRETTI
VICEPRESIDENTE
Sono presenti i Soci: Cossa, LESSONA, SALVADORI, BRUNO,
Basso, D’Ovipio, FERRARIS, Mosso, SPEZIA, GIBELLI, GIACOMINI.
Si legge l'atto verbale dell'adunanza precedente che è ap-
provato.
Viene comunicata una lettera del Presidente della Società
delle Scienze di Finlandia che annunzia la festa che colà avrà
luogo il 29 del mese corrente in commemorazione del cinquan-
tesimo anniversario della fondazione di quella Società.
Il Direttore della Classe dà lettura di una lettera esponente
il progetto del Padre ToxpIinIi dei QUARENGHI, che si propone
l'esame e la preparazione dei mezzi per raggiungere l’adozione
generale del Calendario Gregoriano. Dopo alcune osservazioni del
Presidente e del Socio Mosso, la Classe delibera di nominare ana
Commissione perchè studi la questione e ne riferisca il risultato.
Le letture e le comunicazioni si succedono nell’ordine se-
guente:
1° « Sul calcolo delle deformazioni dei sistemi articolati » ;
lavoro dell’Ingegnere Elia Ovazza, presentato dal Socio Cossa ;
2° « Sul problema della corda vibrante »; Memoria del
Dott. Giacinto MoRERA, Prof. nella R. Università di Genova,
presentata ‘dal Socio D'OvipIo.
Tra i libri presentati sono segnalati i seguenti:
1° « Sopra il sistema linfatico dei rettili; Ricerche
zootomiche di Bartolomeo PANIZZA il quale fu insigne Professore
di Anatomia umana nell’ Università di Pavia; opera offerta in
dono all'Accademia dal Socio Alfonso Cossa ;
Atti R. Accod. - Parte Fisica — Vol. XXIII 20
g\A DELLE dd
pat CA TL
ST n
242 ELIA OVAZZA
2° « Il termometro registratore Richard ; Considerazioni &
sulle proprietà delle temperature massime e minime, del
Prof. Domenico RagoNA, Direttore del R. Osservatorio di Modena,
presentate dal Socio Basso.
LETTURE
Sul calcolo delle deformazioni dei sistemi articolati,
Nota dell’ Ingegnere ELIA Ovazza.
1. Il Professore MoHnR di Dresda trattando recentemente del
moto d’una figura piana sul suo piano con legge qualunque (*),
accennò all’opportunità di studiare l’argomento della deformazione
dei sistemi elastici partendo dalle teorie cinematiche del moto
composto. Nello stato attuale della scienza delle costruzioni il bi-
sogno di semplificarne le teorie e di trovare metodi semplici di
calcolo: per la pratica è così sentito, che non si deve lasciare
intentata alcuna via che miri a soddisfarlo.
Questo scritto si occupa appunto di un tale studio, limitato
al caso dei sistemi articolati caricati ai nodi.
2. Si consideri (fig. 1°) un sistema piano qualunque di punti
V.,, V., V;3... mobili nel piano del sistema con legge qualunque,
e per un punto p scelto ad arbitrio si conducano dei segmenti
pv, , Pv, , Pv... equipollenti alle velocità dei punti V,, V,, V;... in
un dato istante alla fine del tempo # contato a partire da un’o-
rigine arbitraria dei tempi. La figura pv, v, v;... si dirà il dia-
gramma delle velocità dei punti del sistema per la fine del tempo #.
Il segmento , v, collegante due punti qualunque di questo dia-
gramma è la velocità relativa del punto V, rispetto al punto V.
nell'istante considerato, e le proiezioni v,v, e v, v, di 7, v; sulla di-
rezione della retta V, V, nella sua posizione alla fine del tempo #
(*) Monr, Ueber Geschwindigheitpline und Beschleunigungpline-Civilin-
genieur. Jahrgang, 1887, seite 631.
CALCOLO DELLE DEFORMAZIONI DEI SISTEMI ARTICOLATI 243
e sopra la direzione perpendicolare a questa sono le velocità del
punto V, alla fine del tempo # nei due moti elementari in cui può
.scomporsi il moto di V, relativo a V,: uno di traslazione nella
direzione V,.V, e l’altro rotatorio attorno a Y,. Per brevità la ve-
locità v,v', diremo la velocità di dilatazione della retta V,YV,; il
puri la velocità di dilatazione unitaria della retta
Lis s
V.V,, supposto che questa sia una retta materiale che si
dilati uniformemente per tutta la sua lunghezza. ll rapporto
Vv UA
AR
nente rotatorio attorno a V, .
rapporto
è la velocità angolare della retta V, V, nel moto compo-
3. Se V, VW, V.... è un sistema rigido, è nulla la velocità di
dilatazione per ogni retta congiungente due punti del sistema, e
quindi la velocità «,v, d'un punto qualunque Y, rispetto ad un
altro punto Y, riducesi alla velocità di rotazione v', v,. Il sistema
V,V.,V,;... nella sua posizione alla fine del tempo t ed il dia-
gramma delle velocità v, ©, v;... per lo stesso istante costituiscono
adunque due figure simili aventi le rette omologhe rispettiva-
mente perpendicolari. Il punto P della prima figura omologo al
polo p della seconda è il centro d’istantanea rotazione per l'istante
DI
considerato. Il rapporto di similitudine delle due figure ——
pes È
la velocità angolare della rotazione elementare.
Se, come caso speciale, due punti v.v, del diagramma delle
velocità coincidono in un punto , coincidono con v tutti i punti
del diagramma, ridotto così al polo p ed al punto v, e quindi il
VU
rapporto di similitudine è nullo. Deve perciò essere P al-
LI 2
l’infinito sulla direzione normale a pv, e quindi il moto elementare
del sistema è progressivo con velocità pv.
4. Se il sistema VW, V, V,... nel muoversi si deforma conser-
vandosi simile ad una data figura, sono eguali le velocità di
dilatazione per tutte le rette del sistema. Peraltro siccome per
due posizioni qualunque del sistema sono egaali gli angoli fatti
da tutte le coppie di rette omologhe, sono pure uguali in un
dato istante le velocità angolari per tutte le rette del sistema.
244 ELIA OVAZZA
Segue che le figure V, V, V;... e ©, ©, v3... corrispondenti ad uno
stesso istante sono ancora simili, e le rette omologhe fanno fra
loro un angolo 0 la cui tangente è uguale al rapporto fra la
velocità angolare (costante per tutte le rette del sistema) e /a
velocità di dilatazione unitaria comune a tutte le rette del
sistema (*).
5. Il sistema VV, V;... sia tale che la posizione d'ogni suo
punto dipenda direttamente da quella di almeno due altri punti.
Se per un dato istante sé conoscono le velocità di dilatazione
per tutte le rette congiungenti due a due i punti direttamente
dipendenti fra loro, il diagramma delle velocità per quell’istante
è determinato quando sieno ancora note la velocità assoluta di
un punto V, e la direzione della velocità d'un altro punto V,
relativa al punto V,. Invero (fig. 2°) condotto pel polo pil seg-
mento pv, rappresentante la velocità assoluta di V,, conducasi per
v, una retta indefinita V,p nella direzione data della velocità di V,,
si tiri v, 0, parallela a V, V, ed eguale alla nota velocità di di-
latazione della retta V, V,: la perpendicolare per v', a ®, ©‘, in-
contra la V,p. nel punto 2,, ed è , v, la velocità di V, relativa
a V,. 11 punto v; corrispondente ad un punto V; vincolato di-
rettamente coi punti V, e V, è determinato da ciò che %, 03 e v, %;
devono proiettarsi rispettivamente sulle direzioni di V, V3 e V, W3
secondo le note velocità di dilatazione v,v, e v,v'3 delle rette
V,V, e V., V;. In generale ogni nuovo punto ®, del diagramma
delle velocità corrispondente ad un punto V, direttamente vinco-
lato a 2 punti V,_,e V,_, è determinato da ciò che le pro-
iezioni 0,_, 0, @ v._,', dei segmenti v,_, ©, € v,_, v, sopra le
direzioni V._,YV, e Y._,YV, devono essere le note velocità di
dilatazione per le rette V,_,V.,e V._.,V..
Se il punto V, è fisso ed è invariabile la direzione Vi V,, ì
punti v, e p coincidono, come pure le rette v, v, e 0, 0.
6. Considerisi ora un sistema piano comunque variabile
V,V,V;... e si immagini una coppia invariabile di assi carte-
siani z ed y avente l’origine in un punto qualunque V, e l’asse x
passante costantemente per un altro punto Y, del sistema. Qua-
LS
(*) Come caso speciale, se è nulla la velocità di dilatazione unitaria, cioè
il sistema è rigido, è = 90°, secondo che fu detto al numero 3.
CALCOLO DELLE DEFORMAZIONI DEI SISTEMI ARTICOLATI 245
lunque sia il movimento del sistema, esso può sempre conside-
rarsi composto del moto della coppia invariabile di assi x ed y
e del moto del sistema V, V, V;... relativo a questi assi. Pel primo
movimento — moto d'insieme — le velocità dei singoli punti com-
portansi come se il sistema fosse rigido, quindi il corrispondente
diagramma pz,7,%;... delle velocità per un dato istante è simile
alla figura Y, V, V; nella posizione che ha in quell’istante, ed
anzi gli elementi omologhi delle due figure sono fra loro ad an-
golo retto. Pel moto relativo 0 di deformazione, il diagramma
delle velocità pf}, {2,;... per un dato istante, dietro quanto si
disse al numero 3, è determinato quando sieno note le velocità
di dilatazione delle rette unenti i punti direttamente fra di loro
vincolati. Descritti i due diagrammi per uno stesso istante (fig. 3),
con lo stesso polo p, i segmenti di retta %,},, 2, {?,, 4323; ... sono
le velocità effettive dei corrispondenti punti V,, V., V}, ... del
sistema per quell’istante.
Nel moto di deformazione considerandosi V, fisso ed invaria-
bile la direzione V, V,, i punti p e {}, coincidono e così pure le
rette 6," e f,p..
Se il moto degli assi x ed Yy è progressivo con velocità p 2,,
il diagramma 2, %,%3... riducesi al punto z, e quindi 7 d;agramma
delle velocità effettive del sistema è la figura f},(3,(?3... quando
scelgasi per polo «, .
“. Prendiamo ora a considerare un sistema articolato piano
formato con aste prismatiche unite a cerniera e non deformabi!e
che in seguito a deformazioni delle aste. Sotto l’azione di forze
applicate ai punti di concorso di più aste — mod: del sistema —,
se si trascurano le resistenze d’attrito nelle cerniere, le varie aste
sono sollecitate da sforzi diretti secondo i proprii assi e quindi
se le sezioni delle aste che risultano compresse sono capaci d’im-
pedire in queste il fenomeno della flessione laterale, le aste si
allungano od accorciano senza inflettersi. Supposto che le dila-
tazioni positive o negative, As, sofferte dalle lunghezze s delle
aste siano sì piccole da potersi ritenere con sufficiente approssi-
mazione invariate le direzioni delle aste in seguito alla deforma-
zione, le dilatazioni As si possono ritenere proporzionali alle ve-
locità di dilatazione per le singole aste ed il diagramma delle
velocità pel sistema formato dai punti di concorso degli assi delle
aste, costrutto servendosi di quelle dilatazioni come se fossero
246 ELIA OVAZZA
velocità di dilatazione, dà nelle velocità dei singoli punti del si-
stema in grandezza, direzione e verso gli spostamenti subìti dai
nodi corrispondenti in seguito alla deformazione, e può quindi
chiamarsi il diagramma degli spostamenti dei nodi del sistema.
8. Volendosi adunque determinare gli spostamenti dei singoli
nodi V,, V,, V;,... d’un sistema articolato piano caricato ai nodi
Sil delle cunicidunadioni precedenti, si calcolino mediante un
diagramma reciproco od altrimenti gli sforzi agenti secondo gli
assi delle singole aste, e se ne deducano le dilatazioni As me-
diante la formola
ST
AST.TP ;(d- tuta
ove s ed F indicano la lunghezza e l’area della sezione trasver-
sale d'un’ asta qualunque, £ il modulo d’elasticità del materiale
ond’è fatta l’asta e 7 lo sforzo totale agente secondo l’asse, da
considerarsi positivo o negativo secondochè è una tensione od una
compressione. Considerato un nodo V, come fisso e fissa la dire-
zione d'un’ asta V, V, uscente da V,, si disegni il diagramma
PE.f.:... delle velocità pel moto di deformazione pel sistema
di punti formato dai nodi V,, V,, V;,... considerando le dila-
tazioni As delle aste come velocità di dilatazione dei loro assi.
Queste velocità si considereranno come positive o negative, cioè
come velocità di dilatazione nel senso proprio della parola o come
velocità di compressione, secondochè As risulta positivo o negativo,
cioè un allungamento od un accorciamento. Considerando poscia
il sistema come rigido, si costruisca il diagramma pa, %, &; ... delle
velocità corrispondenti ad un moto capace di portare l’asta V, 7,
nella posizione voluta dalla natura dei vincoli della travatura con
gli appoggi. I segmenti «, f,, 4... 83. -.. misurano gli sposta-
menti effettivi dei singoli nodi V, V, V;... prodotti dal supposto
sistema di carichi applicati ài nodi (*).
Se dalle condizioni di appoggio e di carico si può a priori
(*) Cfr. WiLLior, Notions pratiques sur la statique graphique. Génie civil.
Octobre et Décembre 1877,
KRo8N, Der Satz von der Gegenseitigheit der Verschiebungen, und An-
vendung desselben zur Berechnung statischunbestimmter Fachwerktriger. Zeit-
schrift des Architekten-und-Ingenieur Vereins zu Hannover, 1884.
CALCOLO DELLE DEFORMAZIONI DEI SISTEMI ARTICOLATI 247
riconoscere che la direzione di un’ asta non varia durante la de-
formazione, converrà scegliere quest’asta come fissa per la costru-
zione del diagramma pel moto di deformazione, chè per tale
scelta il moto d’insieme del sistema considerato come rigido, ri-
ducesi ad un moto progressivo, e quindi il diagramma f, ?, f;...,
per quanto fu detto in fine del numero 6, dà immediatamente gli
spostamenti effettivi dei nodi.
Se le condizioni d’appoggio e di carico non permettono tale
semplificazione, vanno effettivamente disegnati i due diagrammi
@, 4,3... € {}, (8. {3... Così nel caso di un sistema avente un nodo
Bio Y; ed un altro V, scorrevole in direzione determinata V,s,
si incominci a supporre fisso oltrechè il punto V, anche la dire-
zione d’un’asta VV, passante per V, e si idastroféea il dna
PB. pz... pel it di deformazione (6, coincide con p e {};{}, con
B,6,). Il moto d'insieme si riduce ad un moto rotatorio attorno
a V,e quindi il diagramma corrispondente delle velocità ha il
punto <, coincidente con {, (fig. 4). Per altro siccome il punto La
non può muoversi che nella direzione V,s, la velocità effettiva
Ù, (33 del punto V, deve essere parallela a 04 s. Tirisi adunque
per ti la parallela V, FP a V,s e costruiscasi il diagramma &, 2,43...
simile alla figura V, V, V,..., avente i lati rispettivamente nor-
mali agli omologhi ed il punto 2, sulla V,U. Restano in tal
modo determinati gli spostamenti 2, {f., «,?,, <{}3,... dei singoli
nodi del sistema.
Se invece il sistema ha due nodi fissi V, e V,, la retta V, Vg
considerata appartenente al sistema va ritenuta rigida. Allora
supposta fissa un’ asta V,V, passante per V,, e costrutto il
diagramma (?,{},8;... pel moto di deformazione (8, coincide col
polo), deve riuscire f,, normale a V, Vz. Costruiscasi (fig. 5) il
diagramma <, 2, 4; ... pel moto d’insieme (rotatorio attorno ad A)
per modo che il segmento %,%z corrispondente a V,W% riesca
coincidente con (3,(3z. I segmenti «, fi. @,(8,, 43{;,... misurano gli
spostamenti dei singoli nodi V,, V,, V;,... del sistema.
9. Volendo tener conto delle deformazioni prodotte da va-
riazioni di temperatura nei sistemi articolati, conviene distin-
guere questi sistemi secondochè in essi le dilatazioni termiche
possono avere o non avere luogo senza che perciò sieno provo-
cate delle tensioni nelle aste. Nei sistemi della prima specie le
varie aste soffrono in seguito alle variazioni di temperatura delle
248 ELIA OVAZZA
dilatazioni proporzionali alle loro lunghezze s, e queste dilatazioni
sono determinate quando conoscasi la variazione di temperatura
per ogni asta ed il coefficiente di dilatazione termica. Anzi.
nell’ipotesi che la temperatura varii uniformemente per tutto il
sistema e che il coefficiente di dilatazione termica sia lo stesso
per tutte le aste, il sistema varia conservandosi simile a se stesso
e quindi gli spostamenti dei nodi per la sola variazione di tem-
peratura si trovano mediante le considerazioni fatte al numero 4.
Pei sistemi della 2° specie devonsi dapprima determinare gli sforzi _
prodotti dalle variazioni di temperatura nelle singole aste per
aggiungerli a quelli provocati dai carichi applicati ai nodi.
La ricerca degli sforzi provocati da cambiamenti di tempe-
ratura può essere facilitata applicando le considerazioni prece-
denti. Trattisi per esempio di una travatura reticolare caricata
di pesi e fissa in due punti situati di livello, la cui temperatura
varii in modo uniforme per tutto il sistema. Per effetto del cam-
biamento di temperatura si provocano sugli appoggi delle reazioni
o spinte orizzontali non staticamente determinabili. Suppongasi
per un momento (fig. 6) fisso un appoggio A e l’altro appoggio B
scorrevole orizzontalmente e si determini lo spostamento che in
tali condizioni subirebbe l'appoggio B: si calcoli il valore della
forza capace d’impedire tale spostamento; se ne potranno in se-
guito dedurre gli sforzi prodotti da essa, e quindi dal supposto
cambiamento di temperatura, in tutte le aste (*).
Gli spostamenti prodotti dalle variazioni di temperatura vanno
composti come velocità cogli spostamenti prodotti dalle forze ap-
plicate ai nodi per dedurne gli spostamenti totali effettivi.
10. La costruzione grafica che risulta dalle considerazioni pre- —
cedenti e che fu prima esposta dal WiLLIoT nell’anno 1877 (**),
dà modo di determinare gli spostamenti effettivi di tutti i nodi
del sistema; essa però, meno in casi specialissimi, obbliga alla
ricerca simultanea di tutti quanti questi spostamenti. Nelle ap-
plicazioni pratiche importano in generale soltanto le proiezioni in
direzione determinata degli spostamenti di certi nodi: riesce quindi
opportuno di saper calcolare tali proiezioni in modo diretto.
In un sistema elastico articolato consideriamo due aste
(*) KRroHn, l. c.
(**) WitLtor, l. c.
CALCOLO DELLE DEFORMAZIONI DEI SISTEMI ARTICOLATI 249
Va-1Vn € Va Vn+i Concorrenti in uno stesso nodo V,,. Po-
m Nur
Eito (fig. 7):
B=V..Vn E) Sn = Va Va be è, b)
Cm ® Cm4+1 = proiezioni verticali di s,, ed 8,
Im ® dm = proiezioni orizzontali di s,, ed $,,,:
ed s
m
e V
moi
uni angolidi s Sn4+ Colle orizzontali per
Et. contati positivamente a par-
tire dalle aste girando nel senso opposto
a quello delle lancette dell’orologio,
geransolo sperare
m— I m miti
d
m— 1)
O, Om4i = proiezioni verticali degli spostamenti dei nodi
V, Vi Vus considerati positivi se
m—_—i1)? moi
rappresentano abbassamenti.
Sieno inoltre As, Ae, 47, Ay, 47 le variazioni delle quantità
s, €, ), y, 9. Se per un istante qualunque della durata del moto
del sistema indichiamo con 7,, ed @,, le componenti della velocità
relativa di V,, rispetto a V,,_, nella direzione V,,_, V» e nella
direzione normale a V,,_,V,,, e con «, la proiezione di tale ve-
locità sulla verticale, si ha
U rm — Tm SED Ym -£ Gn, COS Ym
Onde sostituendo alle velocità %,,, t1; @m gli spazi piccolis-
Simi A€m, ASm, Sn Am, Cui possono considerarsi proporzionali per
le considerazioni fatte al numero 7, risulta:
A Cm Cai A Sm SEN Im dk Sn Ym COS Ym È)
od anche, poichè 5,,C057m=m
A Cm As
JROÌ == 157 + 47Ym rese. * (2) ’
Ed analogamente i
fa) Cm I AS m I
Po ne RELA da
mt+i Sm+ti
Da queste due ultime eguaglianze, poichè si ha:
N % n
LIZA .. Ora Om 1 Alm 9 AV SJm = Ad
DO
UT
2°
ELIA OVAZZA
% N N n
. . On dn_1i i 7" n
ricavasi : —-— TT =u%,y corpo
RE Aa
As
4 m mt I
se sì pone w%,,= tI Im 49Ymp Dm ti
m miti
Questo risultato ha un significato notevole (*). Considerisi in un
sistema articolato una successione di aste formanti una linea spez-
x È Nt
zatàa VV. Vi...Vn_ Via mac no°0 86, DÒ prOsCiat NI
m
tici su di nn orizzontale in.C., Milos Ca iriOar CE
Sieno (fig. 8) ),,4,,,,... le lunghezze C, C,, C, C,, C, C;,... Calco -
lati i numeri %,, %0,, w3..., W,_, Che si hanno dall’espressione di
W,m ponendovi successivamente m = 1, 2, 3..., si applichino in C,,
C,, C;..., dei pesi misurati da %w,,w%,,%, ..., rispettivamente, e si
colleghino questi pesi mediante un poligono funicolare D, D, D,...D,
con una distanza polare qualunque H. Sieno %,,%3:%iz;--. Mn_ le
ordinate di tale poligono in corrispondenza delle verticali per
C,, C,, C3,... Cn, contate da un’orizzontale qualunque 00. Dalle
due coppie di triangoli simili D,,_,X,D, ed m_—1qP,
Pit Day dg P ssi. ha
Imi Im __ mq Ma Mat 0 7 Fa
< == , A” "ee.
de del HH i H
H (tn -% H(n n
Onde ( m sta DR ( mt 1 ui, “a , (5)
in LIMA:
-
Paragonando le relazioni (3) e (5) deducesi che le ordinate
del poligono funicolare collegante le forze w, nella scala di 1 ad H,
misurano a meno di una costante arbitraria gli abbassamenti è
dei vertici della spezzata considerata. Se uno dei vertici V, è fisso,
quelle ordinate lette a partire dall’orizzontale per D, misurano
nella scala di 1 ad 7 gli effettivi abbassamenti dei nodi. Se sono
fissi i vertici estremi V,, V,, e questi sono di livello, il diagramma
degli abbassamenti dei vertici V,, V,... V,_, coincide col dia-
gramma dei momenti flettenti per una trave C, C, appoggiata sem-
plicemente agli estremi e sollecitata da pesi proporzionali ai nu-
meri 4W,, W,,...U
;)
n_ 1°
(*) Cfr. MiLLerR-BresLau, Die neueren Methoden der Festigheitlehre. Leipzig,
1886,
PA
#
CALCOLO DELLE DEFORMAZIONI DEI SISTEMI ARTICOLATI 251
11. — I numeri w,, sono determinati se oltre alle dilata-
ST
zioni unitarie (che si determinano partendo dagli sforzi sol-
m
lecitanti le aste, come si è ricordato al numero 8) ed oltre alle
inclinazioni #9 Y,, (che in ogni caso sono date), si conoscono le
‘variazioni angolari A9,,. Pel calcolo di queste variazioni angolari
supponiamo che la spezzata V, V, V,... V, considerata sia tale
che ogni suo angolo possa considerarsi come somma di angoli &
di triangoli aventi nodi ai vertici e non lungo i lati (*). In tale
ipotesi la variazione cercata A %,, sarà quindi la somma delle va-
riazioni Ae degli angoli : che hanno vertice in V,, e sarà nota
quando sieno note queste variazioni As.
Per calcolare tali variazioni consideriamo (Fig. 9) un trian-
golo qualunque YV,, V, V, formato da 3 aste s,=V,V,,
Si VoVn » = Va, Sieno e; €: €, gli angoli di questo
triangolo , è calcoliamo A e,, nell'ipotesi s,,, s,, s, si dilatino
rispettivamente di 4s,,, 4s,, As,. Senza nuocere alla generalità
del problema potremo supporre fisso il vertice V,, ed invariabile
la direzione di V,,V,,; sarà Ae,, l'angolo di cui rota s, attorno
BV.
Diciamo tm, 7, 7, le velocità di dilatazione pei singoli
lati del triangolo e costruiamo il diagramma della velocità pel
sistema dei 3 punti V,, V, V, nelle condizioni esposte. Preso perciò
un punto ad arbitrio come polo, in esso coincide il punto f?,, del
diagramma delle velocità che corrisponde al punto fisso V,,. Tirisi
Pm è. equipollente a 7, , cioè parallelo a Y,, V,, ed eguale a
7,; {£, è il punto del diagramma delle velocità corrispondente
a V,. Si tiri ora £,,(?, parallelo ad s, edeguale a 7, e fnfp
parallelo ad s,, ed eguale a 7,,: le perpendicolari nei punti
8, fp ® tm @ © si incontrano nel punto {,, che è il punto
del diagramma della velocità corrispondente al vertice V,. Il
segmento {?, {, misura la velocità @ del punto V, nel suo moto
rotatorio attorno a YV,,. Ciò posto dalla figura, se {, è è per-
a bi
n
endicolare a £,,° si ha:
pp
— cpr "0 ; la ra 5 :
PB; B,=tp500E,n— Tm SONE; m+ Ppid .C0tg im ---(6),
Ta PCOS.E34 + Ta 60987 1 + [9 d Mr" 4)
(‘) Non sarà difficile in seguito estendere le considerazioni presenti ai casi
che nòn rispondono a tale ipotesi.
252 ELIA OVAZZA
Eliminando {8, 6 fra le (6) e (7) e posto fi, P,=%, risulta
m
Gt SR, — Tn SEL pi die (pCOSpr to OS ca )COtg 8,m-
Detta Q la velocità angolare di V, nel moto rotatorio at-
torno a V,,, ossia della retta V,, Y,, essendo
1) 4 Liga:
QO=—-, dalla precedente relazione si ricava: (*)
m
7 E sen €
O=Lcotg5,m + mi ht 0 La
Sp ri SED &, miSCM rm
Se /,, è l'altezza del triangolo abbassata da V,, SU Sm, è
s sen £ dute
— — eZ, e quindi
hi SEN Ep SD Enm
T ‘4 6
Subs) 2 n È mm
O=teotg i dg Denen of
a Sn Sm (e)
%
Se ora, come al numero 7, supponiamo gli spostamenti sì piccoli
da potersi considerare proporzionali alle a , possiamo in
questa formola alle velocità 7,,, t,, 7, £ sostituire le varia-
zioni Asm, As,, As,, Aen delle quantità s,, Sn) Sp 1 €m* Onde
mi
As, As,
A Em" e 2 cotg sil: isa cotg Ca — — n
#P n m
* n : . peo È Pi s fì
(*) Invero, essendo s,,, :5,:5, == S@N?,,:S@Ns,m:SeNemp, Si ha:
(0) 2, Sen =, sen e T_, Sen € sen e %
DE LU ew pu nm __m nm pr mi -" cotg È
_ _—__—_—_ (Sen €, Enm + 08 Enm COtg Em) ;, ed
1
send,
€pn) ='— (088, > SON ing + COSE COTB inn =
CALCOLO DELLE DEFORMAZIONI DEI SISTEMI ARTICOLATI 259
$s
E poichè ra) = COLE En) 1: COLE Soon a
m
A As A As
A Em — (2 ud e) cotg (5 AI Li (= = =) cotg En ..-(8).
Sp Um n m
Questa formola determina Ae,,, note, come. sempre si è supposto,
le dilatazioni As,, 4s,, As, dei lati del triangolo VV, V,(*).
12. — I risultati ottenuti ai numeri 10 ed 11 concordano
perfettamente con quelli trovati per altre vie dal MiLLER-BRESLAU
e dal WINKLER nelle opere citate a piè di pagina Intorno ad essi
dobbiamo però fare un’ osservazione importante. I ragionamenti
esposti ai numeri 10 ed 11 sono indipendenti assolutamente dal-
l'orizzonte fisico, ond’essi stanno ancora quando all’ orizzontale
C,C, sì sostituisca una retta qualunque F,F,, con 0 si indi-
chino le proiezioni degli spostamenti dei nodi sulla normale ad
F,Fn, gli angoli y si misurino colla retta XF, invece che con
l'orizzonte, e le forze w,, si applichino normalmente ad 7,7, .
Segue che gli spostamenti effettivi dei nodi oltrechè diret-
tamente mediante le considerazioni di cui ai numeri 8 e 9 si
potrebbero ottenere mediante le considerazioni ai numeri 10 ed
11, determinandone le proiezioni sopra due direzioni qualunque.
È d’uopo però di non dimenticare che fin qui abbiamo supposto
le velocità dei nodi proporzionali agli spostamenti : ora se questa
ipotesi in generale equivale a trascurare quantità piccolissime di
2° ordine, essa può in casì speciali essere causa di errori di
grandezza piccolissima di 1° ordine e quindi paragonabili ai va-
lori degli spostamenti.
Per rendere evidente la cosa consideriamo il caso (Fig. 10°)
in cui la spezzata si riduca ad una successione di aste in linea
retta e per tutte queste aste sia costante la dilatazione unitaria
s È ]
—" , e supposto fisso il punto Y, cerchiamo lo spostamento di
s
m
(*) Cfr. MòLLER-BBESsLAU, Die neueren Methoden etc., l..c.
WinkcLER, Vortrage ùber Briickenbau - Theorie der Briicken. Wien,
1881.
W. RITTER, Die secunddaren Spannungen in Fachwerken. Schweizerische
Bauzeitung, Marz, 1885.
un'altra v facente con la normale a VV, l'angolo vw. Le forze
W,, da applicarsi ai nodi nelle due direzioni v e « sono in tal
caso eguali, e riduconsi alle variazioni — 40,,. Quindi i due po-
ligoni funicolari che dànno gli spostamenti nelle direzioni « e ®,
204 ELIA OVAZZA
un nodo qualunque V,, nella direzione © normale a_V, VW, ed in
costruiti con la stessa distanza polare H, risultano simili nel
rapporto di cos g, sicchè detti f ed f,, gli spostamenti di uno
qualunque dei nodi V, V,... YV, nella direzione v e nella «
sarebbe
fi=fcos 9 ;
dalla quale si deduce che lo spostamento effettivo di ogni singolo
nodo sarebbe normale alla retta V, V,, ciò che è impossibile.
Basta infatti supporre che V, V, . . . V,, sia il contorno inferiore
di una trave reticolare fissa in V, e scorrevole in V, nella di-
rezione V, V, e sia costituito da un numero dispari di aste di
lunghezza eguale. Pel punto V, essendo nullo lo spostamento ver-
ticale dovrebbe essere nullo lo spostamento effettivo; ciò che non
può essere, perchè in tale caso almeno una delle aste deve riu-
scire dopo la deformazione inclinata all’orizzonte diversamente .
dalle altre.
135. — Per trovare in quali condizioni l’errore è d’ impor-
tanza notevole ritorniamo sull'argomento del numero 110 e spin-
giamoci nella ricerca fino alle quantità piccolissime di 2° ordine.
Consideriamo l’asta s,, fra i nodi V V.:3 e conserviamo le
Mt 9 mo
denominazioni di cui al numero 10. Sia V,,., V,, la posizione
dell'asta s,, dopo la deformazione, ed f lo spostamento effettivo
di V,, (Fig. 11°). Si ha evidentemente
A Cm = — SmSCDYm + (Sm + AS) SED (n +A7m) »
{m
1
e sviluppando e ponendo sen Ayn= Am, 006 A47n=1—3(4%m":
AdS, Ben Va dA. 009 Ya Am TT
Rd MISA)
de Sm . COS Im E; Ym se: Sm . sen Im a “eg
4
e poichè do = Sm COS Ym :
Alm ASm
AS m n) A” m (A- DE
cn at "DE Segn tg va
Sas tg Yin + Aypf
m m “Um
j
|
i
CALCOLO DELLE DEFORMAZIONI DEI SISTEMI ARTICOLATI 255
Se ora vogliamo limitarci ai termini piccolissimi di 1° ordine ,
il 3° termine del 2° membro è trascurabile, e può porsi
(A _
m ASm
= VE 18m SE AYm si
‘mm m
18 Ym dat (1905
la quale equazione differisce dalla (2) per l’ultimo termine
ala 3 tg Im Li
Se facciamo crescere 7, da 0° a 90°, questo termine, nullo
per Ym=0, è quantità piccolissima di 2° ordine per Sn 45°, ma per valori prossimi a 90° diventa una
quantità piccolissima di 1° ordine e quindi non trascurabile ri-
A
spetto alle quantità se tIYm € AYm- Segue che i risultati de-
Sm
dotti ai numeri 10 ed 11 stanno per una successione di aste in
linea retta e per spostamenti dei nodi in direzione normale a
questa retta, sono entro i limiti dell’approssimazione per valori
di y minori di 45° o di poco maggiori, sono assurdi per va-
lori di ‘) eguali o di poco minori di 90°. Possiamo quindi in
generale applicare tali risultati al calcolo degli spostamenti ver-
ticali dei nodi dei contorni delle travi reticolari da ponte, ove
generalmente le aste sono inclinate all'orizzonte di meno che 45°
nel caso però che qualche asta riuscisse inclinata all’orizzonte
d’un angolo compreso fra 45° e 90°, converrà paragonare i va-
(Am)
2
lori dei termini — tg). ai valori dei termini A7,, €
As
—* tg Ym Per riconoscere se quelli sieno trascurabili oppure non
Sn
rispetto a questi.
14. — Trattandosi di una spezzata ridotta ad una successione
di aste in linea retta (Fig. 12°), gli spostamenti dei nodi in di-
rezione normale a questa retta si determinano a meno di quantità
piccolissime di 2° ordine applicando le considerazioni svolte ai
numeri 10 ed 11; con la stessa approssimazione determinansi
gli spostamenti dei nodi nella direzione della retta stessa come
256 ELIA OVAZZA
segue. Sia V,..V, un'asta s,, che dopo la deformazione sia
diventata
magri i een;
PEoS 148 Z Sm + ASm - Poniamo Nm St Vm Vu. Pm i
È Sm ul ACm = (Sm + ASm) pit AYm É
Ossia spingendo l’ approssimazione ai termini piccolissimi di 2°
ordine
Aces
ni m
Sm : 2
Ea (4%/m)
Se quindi d,, e 0; sono gli spostamenti di due nodi qual
V.. e V; della serie di aste considerata,
m m
1
Ò,, = Ò; + »> ASm er - 9 Î8,n z (AYm)"
E limitandoci ai termini piccolissimi di 1° ordine (*)
m
O = 0; Zip itnosn(10)i
i
15. — Se indichiamo in generale con c,, la tensione unitaria
che ha luogo in un'asta qualunque s,, e con E,, il modulo di
elasticità del materiale ond’è costituita l’asta, si ha
ASm ‘6
‘m
m m
Onde le (4), (8) e (10) diventano:
o, CARA
Cm = tm 47m Am (1)
T (0) o
Ae == di Tel t =) LATINE ") INA
«= (FE) cet + (E - £7) co 2NA
On =d +25, sE
Da queste eguaglianze deducesi che, se ci limitiamo ai ter-
mini piccolissimi del 1° ordine, lo spostamento è,, di un nodo |
(*) Cfr. WInKLER, 1. c., pag. 352.
IT WVWr__————_—r—_———————_eo
CALCOLO DELLE DEFORMAZIONI DEI SISTEMI ARTICOLATI 257
ualunque V,, in una direzione qualunque è funzione lineare delle
q n
tensioni unitarie 7 e quindi degli sforzi totali 7° agenti. secondo
gli assi delle aste del sistema. Ma le tensioni 7" a meno di quan-
tità piccolissime di 2° ordine sono funzioni lineari delle forze ap-
plicate ai nodi del sistema (*); onde segue che indicando con
P; una qualunque di tali forze applicata al nodo YV,, lo spo-
stamento è, va riguardato come funzione lineare delle forze P,.
Siccome per altro per valori nulli di tutte queste forze deve essere
nullo d,,, potremo porre
og =, Prep,P.4.. pi P, SAT):
essendo f,, {2,:.. +, coefficienti indipendenti dalle forze P,.
L'eguaglianza (14) esprime il principio della sovrapposizione
degli effetti.
ge E — | — po 0 prat po)
ae Pd.
si ha: Og .
Onde uno qualunque dei coefficienti p, si può interpretare
come lo spostamento del nodo V,, nella data direzione in seguito
ad una forza 1 applicata al vertice. V, nella direzione di P,.
16. — Sovente in pratica piuttosto che la deformazione di
tutta una catena di aste consecutive si considera uno o più punti
speciali del sistema e se ne cercano gli spostamenti in una di-
rezione determinata per diverse ipotesi di carico. Così p. es. se
si tratta d'una trave reticolare da ponte appoggiata semplicemente
alle estremità, suolsi considerare il punto intermedio d'uno dei
correnti e se ne cercano gli spostamenti nel senso verticale —
freccia d’incurvamento — per varie ipotesi di carico, ed anzi
ha importanza la ricerca della posizione d’ un dato sistema di
carichi che produce la massima freccia. È evidente che in tali
termini il problema sarà risolto nel modo più comodo se si sa-
pranno determinare i coefficienti 1, che compaiono nell’eguaglianza
(14) e che possiamo chiamare i numeri d'influenza dei rispet-
tivi carichi P, sullo spostamento 3, .
(*) Cfr. CasrigLIaNo, Thevrie de l'équilibre des systèmes elastiques, Turin.
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII DI
258 ELIA OVAZZA
Una forza 1 sia applicata al nodo V, nella direzione V;P,:
essa provoca nelle varie aste degli sforzi 7}; e quindi degli al-
lungamenti As, Pier La produce uno spostamento 0,,; del
i E Pi
nodo Y,, in una data direzione V,,P,,. Suppongasi ora che sul
sistema agisca una sola forza 1 direttamente applicata al nodo
v,, nella direzione V,, P,,: essa provoca nelle varie aste delle
diga Sk
E, FK,
e produce uno spostamento 0; ,, del nodo V; nella direzione V; P;.
Supponiamo gli appoggi tali che le loro reazioni non possano fare
alcun lavoro durante la deformazione del sistema e scriviamo la
condizione d’equilibrio delle forze 7,; e della forza 1 applicata
in V,, esprimendo che il loro layoro totale è nullo quando il si-
stema di punti formato dai nodi si deforma per modo che le
aste s, si allungano delle quantità piccolissime As,,, ed il nodo
V, si sposta di è,,; poscia scriviamo la condizione di equilibrio
delle forze 7,,, e della forza 1 applicata in V,, esprimendo che
il loro lavoro totale è nullo quando lo stesso sistema di punti
deformasi di guisa che le aste sx si allunghino delle quantità
piccolissime As, ; ed il nodo V,, si sposti di d,. Abbiamo:
tensioni totali 7,,, e quindi degli allungamenti As,,m =
O;.m kr, idSkm E, F,
| ge Sd
dell'Asia pd
pa pa E,F,
Onde dra = 5 ao (15) Li
Questa eguaglianza esprime la legge che va sotto il nome di
Principio di Maxwell o di Legge della reciprocità degli spo-
stamenti: Se un sistema articolato si appoggia su sistemi rigidi
e su di un suo nodo qualunque Y, agisce in una data direzione
V,P; una forza 1, un altro nodo V,, soffre in una data dire-
zione V,, P,, uno spostamento che è eguale allo spostamento del
nodo YV; nella direzione V, P; quando su V,, agisca una forza 1
nella direzione V; P, (*).
(*) Cfr. KRouHN, l.c.
CALCOLO DELLE DEFORMAZIONI
del sistemi articolati
Iugi &lia Ovarzza
(23) Lit: FED ager torino
CALCOLO DELLE DEFORMAZIONI DEI SISTEMI ARTICOLATI 259
Questo teorema, che è caso particolare di uno più generale
valido per ogni corpo o sistema elastico (*), genera una grande
semplificazione del problema proposto. Invero si applichi al nodo
V,, una forza 1 in una direzione W,, P,, e si determinino con uno
dei metodi esposti gli spostamenti che in tale condizione semplice
di carico subiscono i nodi VW, V,, V;;...V, del sistema. Questi
spostamenti sono misurati dai numeri d ‘influenza Losa Pz
een: P_.P..P,,...P-'applicate ai nodi V,, V., Vi,..- VW.
nella direzione degli spostamenti calcolati, sopra lo spostamento
d,, del nodo V,,.
L’autore riservasi in un prossimo suo scritto di indicare in
qual modo si possa utilizzare il Principio di Maxwell per la de-
terminazione delle freccie statiche e delle freccie dinamiche delle
travi reticolari da ponte, e di dilucidare con esempi numerici le
considerazioni teoriche esposte in questa nota.
Torin>, 8 Aprile 1888.
(*) Cfr. MiùLLerR-BrEsLau, Die neueren Methoden etc. , l.c.
CastiGLIANo, Intorno ad una proprietà dei sistemi elastici. Atti della
R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. XVII.
260 G. MORERA
Sul problema della corda vibrante ,
Memoria di G. MORERA.
La soluzione del problema della corda vibrante fu data come
è noto sotto due forme. Nell’una, dovuta a D’ALEMBERT, figu-
rano due funzioni che si determinano facilmente coi dati della
questione , nell'altra invece, dovuta a DANIEL BERNOULLI, figura
una serie trigonometrica. Per certe applicazioni la soluzione di
Bernoulli è di particolare importanza. Tuttavia contro questa
soluzione parecchi matematici sollevarono, e giustamente, delle ob-
biezioni. Invero, la sua deduzione si basa sulla derivazione ter-
mine a termine di una serie trigonometrica, operazione che ge-
neralmente parlando conduce a serie non convergenti.
Inoltre le formule trovate furono applicate a vibrazioni della
corda, nelle quali durante il movimento le derivate prime della
funzione incognita presentano delle discontinuità, mentre nella
deduzione della ben nota equazione alle derivate parziali quelle
derivate erano supposte essenzialmente continue (*).
Il sig. CaRIstorFEL ha stabilito le condizioni a cui debbono
soddisfare quelle discontinuità affinchè esse sieno compatibili colla
validità in generale dell’equazione a derivate parziali. Mi piace
di qui riferire testualmente le parole del sig. Christoffel.
« Die Formeln, welche sich fiir die Transversalbewegung einer
« Saite unter der Voraussetzung ergeben, dass die Saite allen-
« thalben stetig gebogen ist, werden unbedenklich auf den Fall
« angewandt, wo die Saite Ecken darbietet; wenn man sich
<« iberhaupt auf Griinde hierfiir einlisst , werden dieselben in
A
(*) Vedi Poisson, Mécanique, seconde édition, t. II, pag.305. Non ostante
l’avvertimento di Porsson le formolè furono applicate da Lame al problema
della corda pizzicata nel suo punto di mezzo (ZAeorie math. de l’élasticité ,
pag. 105) e da HeLmHoLTZ in larga misura a problemi analoghi (Die Lehre
von den Tonempfindungen. Beilage, IIl, V e VI,
SUL PROBLEMA DELLA CORDA VIBRANTE 261
den Figenschaften der Fourier schen Reihen gefunden. Und
doch hat diese Frage mit den Fourier’ schen Reihen gar nichts
zu thun, indem sie vielmehr von zwei neuen Bedingungen ab-
hingt, einer mechanischen fiir den Stoss, welchen ein von der
Ecke iiberschrittenes Element der Saite erleidet, und einer
phoronomischen, welche beim Stosse eintretenden Unstetigkeiten
so beschrinkt dass sie den Zusammenbang der Saite nicht
« aufheben. Mit Hiilfe dieser Bedingungen kann man wie ich es
« seit einer Reihe von Jahren in meinen Vorlesungen zu thun pflege
beweisen, dass allerdings das Vorhandensein von Ecken auf die
« Schlussformeln fiir die Transversalbewegung keinen Einfluss hat,
« aber dies beruht nicht auf den Eigenschaften der Fourier'schen
« Reihen, sondern darauf, dass die erwihnten Unstetigkeiten solche
‘« sind, welche mit dem Fortbestehen der seit Euler so oft behan-
«
«
RIRE RIO RI RESI
delten linearen partiellen Differentialgleichung vertragen. »
(Annali di matematica, Serie II, tomo VIII, 1877, pag. 82).
Il sig. LINDEMANN nella memoria « Die Schwingungsformen
gezupfter und gestrichener Saiten » (Berichte der naturfor. (Ge-
sellschaft zu Freiburg i. B., B. VIII, 1879, pag. 500-532)
dopo aver opportunamente posto in rilievo che nei casi da lui
esaminati la soluzione di Bernoulli non era senz'altro applicabile,
giacchè la doppia derivazione termine a termine della serie tri-
gonometrica avrebbe condotto a serie non convergenti, ha discusso
accuratamente il moto della corda in base alla soluzione di
D’Alembert, facendo osservare che le condizioni per l’ammissibi-
lità delle discontinuità secondo Christoffel erano verificate. In
seguito ha trovato la rappresentazione della soluzione in serie
trigonometrica (*).
Ultimamente il sig. Axel Harnal: in un'elegante Memoria in-
serita nel volume XXIX dei « Math. Annalen » (1887) a pa-
gine 486-499 ha ripreso in esame la questione dal punto di
vista generale ed ha concluso che le condizioni del sig. Christoffel
essendo soddisfatte la soluzione del problema è rappresentabile
colla serie trigonometrica di Bernoulli.
Ora parmi che la questione puramente meccanica di ricercare
quali equazioni nei vertici hanno luogo invece della solita equa-
_
(*) Il bel lavoro del sig. LINDEMANN si trova tradotto in inglese nel Phi-
losophical Magazine (fifth series, n. 55, 1880, pag. 197-221), sotto il titolo;
On the forms of vibrations of twitched and stroked strings. I
262 G. MORERA
zione alle derivate parziali, sia affatto indipendente da quella
puramente analitica della rappresentabilità in serie trigonometrica
del risultato e che perciò le due questioni sieno da trattarsi se-
paratamente. Nel passo citato il sig. Christoffel ha esplicitamente
dichiarato che, anche tenuto debitamente conto delle equazioni
relative. ai punti di discontinuità le formule finali non restano
modificate, asserzione che è assai facile di provare, come qui mi
permetterò di fare brevemente.
Quanto alla questione analitica mi sembra che la ricerca del
sig. Harnack lasci qualche dubbio, per ciò mi propongo in questo
scritto di esporre una mia dimostrazione che spero verrà trovata
pienamente rigorosa. Infine, come applicazione della serie di Ber-
noulli, dimostrerò un teorema sulla composizione delle forze vive
dei singoli suoni semplici, che, per quanto è a mia cognizione, non
è stato fin qui dimostrato in modo rigoroso.
Consideriamo un filo elastico, fissato a due punti, e che ef-
fettua delle vibrazioni trasversali, estremamente piccole, in un piano.
+
Diciamo:
il tempo;
x la distanza di un punto qualunque della corda equilibrata
da un suo estremo ;
L la lunghezza della corda equilibrata;
p il suo peso;
P. la sua tensione nella posizione di equilibrio ;
f(x) la funzione che al tempo #=0 dà lo spostamento trasversale ;
F(x)la funzione che al tempo #=0 dà la velocità dei singoli
punti della corda ;
m=(t,x) lo spostamento trasversale del punto di ascissa x al
tempo #.
Allora il problema analitico da risolversi è il seguente.
Determinare una funzione finita e continua delle due varia-
bili # e x (o =x=L) la quale soddisfi generalmente all’equa-
zione alle derivate parziali :
d*Y din J5iP
Y 20%% (2-0
=
dt? da° p
CI N e e I lee "on
SUL PROBLEMA DELLA CORDA VIBRANTE 263
ed alle condizioni :
uv L)=0; v(0,%)=f(2) ;. —=F(2) peri=0,
abbia le derivate prime generalmente continue (*) e nei punti
di discontinuità di queste soddisfi all’una od all’altra delle con-
dizioni :
DET i dr, du a d%
ae ==
dior. TE De
dove colla applicazione degli indici +0 e — 0 si vogliono indicare
i limiti dei valori a destra ed a sinistra del punto di disconti-
nuità x della funzione scritta in parentesi.
L'equazione alle derivate parziali è la traduzione analitica
della proposizione fondamentale della dinamica:
forza=massa x accelerazione ,
applicata ad un elemento di corda. La condizione relativa alle
discontinuità invece trae origine dalla proposizione fondamentale
della dinamica :
acquisto di quantità di moto = impulsione della forza,
relativa alle forze cosidette istantanee, applicata all’elemento di
corda che oltrepassa un vertice.
Quanto a quest’ultima equazione sarà bene aggiungere qualche
breve considerazione. "
Se il vertice avanza con velocità e stimata secondo l’asse
delle x, il principio di meccanica or ora rammentato, applicato
all’elemento cd di corda, che al tempo # è a destra (c>0) del
vertice e al tempo #+d# viene a trovarsi alla sinistra del ver-
: A L i dx” 10%
tice, acquistando così la velocità finita : (S -(55) sa dà
\ d t (e) O È t 0
ovviamente l’equazione :
dn d% dn dr,
4 a = Lo FT
[9]
Dit %3
TJ+o0
(*) Colla dicitura generalmente continua intendiamo dire, che ad ogni
istante il numero della discontinuità è limitato, e queste sono tutte quante
di prima specie. i À
264 G. MORERA
D'altra parte, dovendo il filo rimanere sempre connesso nel
vertice, si ha :
d% dn 0% 0% î:
— +e — =|_-+ceT—- È
SEI I De I 0)
e moltiplicando questa equazione per c e sottraendola membro a
membro dalla precedente, si conclude ovviamente: e° =? ossia :
=.
Portando questi valori di c nelle due equazioni scritte esse
divengono fra loro coincidenti e dànno quell’equazione di con-
dizione relativa alla discontinuità, che noi abbiamo scritta nel-
l’enunciato del problema analitico. Orbene, in quell’enunciato
noi dicevamo che la 4 dev'essere continua e però l’ultima delle
equazioni dianzi scritte è implicita in tale condizione, sicchè la
traduzione analitica della proposizione colla quale nella mecca-
nica si valutano gli effetti delle forze istantanee è precisamente |.
l’ultima condizione del nostro enunciato (**).
Affinchè il nostro problema analitico ammetta la soluzione,
oltre alla continuità di f(x) ed alle proprietà: f(0)=f(L)=
= F(0)=F(L)=0, è necessario introdurre delle restrizioni sulle
funzioni :
F(x) e f (e) =G(2),
cioè, ritenere come dato che esse siano generalmente continue
ed ammettano le derivate prime pure generalmente continue.
Allora la soluzione del problema è data sotto forma finita
dalla formula di D'Alembert, la quale sbarazzata dalle funzioni
ausiliarie assume la forma seguente:
eden + Eta) 4
7, È COR A Vee 7A
n (4,2) 2 LIZA
,
(*) Questa equazione e la precedente sono quelle di cui parla il sig. CHRI-
sTOFFEL nel passo sopra riferito. Esse si trovano in una nota della ricor-
data Memoria del sig. CaRrISTOFFEL. Cfr. anche HARNACK, l.c.
(**) Allorquando due vertici si riuniscono, la condizione si deve intendere
applicata separatamente all'uno ed all’altro; allora nel punto d'incontro com-
paiono tre valori limiti dellè due derivate prime.
Pe
tei We zg — ug Ve
SUL PROBLEMA DELLA CORDA VIBRANTE 265
dove la funzione £(x), data originariamente solo nell'intervallo
(0,L), va intesa continuata fuori di questo în guisa che essa
riesca periodica e dispari, con periodo 2L e la funzione g (x)
è definita nell'intervallo (0,L) dalla formula
g(2)=|F(7) da
(e)
e fuori di questo dalla condizione che essa riesca periodica e
pari, con periodo 2 L.
In simboli la legge con cui si debbono intendere continuate
le funzioni f(x) e 9(x) è espressa dalle equazioni :
f(a)=-—f(—2) : PE 2265).=7 (9
g(@)=9(-2) ; g(et2L)=g(z) .
Le funzioni f(x) e 9 (x) troverebbero la loro naturale rap-
presentazione analitica in due serie di Fourier, e cioè, la 1° in
; 1 È MRI i . 3 î
una serie del tipo: SX A,sen — e l’altra in una serie del tipo :
L
1 a ORE ra bian È :
Pot Z B_ cos A cui coefficienti risulterebbero immedia-
tamente espressi coi dati del problema per mezzo delle formule
notissime :
Me L
2 nTX 2 na
— __ ta . — __ 1
A,=7 f (x) sen TW: B,=7 9 (x) cos x de
Coll’espressione della funzione % si verifica con tutta facilità
che se vi sono vertici questi avanzano o retrocedond con velocità
% stimata secondo l’asse delle x; questo basta per assicurarci
che l'equazione dinamica relativa ai vertici è soddisfatta, giac-
chè la % essendo continua senza eccezioni la seconda condizione
del sig. Christoffel è certamente soddisfatta. Adunque la presenza
dei vertici non ha alcuna influenza suila formula di D’Alembert.
Se F(x) o G(x) sono discontinue per 2 ==), da questa di-
scontinuità iniziale nascono in generale due vertici. Infatti: le
derivate prime della % sono discontinue per i valori di x e #
determinate dalle equazioni :
s—-at=À cq+at=i
266 G. MORERA
e si hanno quindi nei primi istanti del movimento due vertici,
che procedono per versi opposti con velocità x. Quando l’uno o.
l’altro di essi raggiunge un estremo della corda ne subentra su-
bito un .altro determinato rispettivamente dalle formule :
ska, alal
che si diparte dall’estremo stesso. I due vertici vengono per così
dire riflessi dagli estremi. Essi si riuniscono di nuovo al tempo :
I È $
minaai cioè, dopo un mezzo periodo nel punto di ascissa’
7)
x=L—), ossia nel punto simmetrico rapporto al centro della
corda equilibrata di quello da cui inizialmente si sono di-
partiti.
L'ulteriore discussione è superflua, giacchè trovate le forme
che la corda va assumendo nel 1° mezzo periodo, quelle del 2°
mezzo periodo si deducono immediatamente dalle prime ricorrendo
al teorema seguente. Dopo un mezzo periodo la forma di una
corda che vibra trasversalmente è la simmetrica della primitiva
per rapporto al centro della corda equilibrata, ossia ha luogo
la relazione :
v
Questa relazione si deduce facilmente dalla soluzione di D’Alem- |
bert, tenendo presenti le proprietà delle funzioni f(x) e 9(@),
debitamente continuate (*).
Per studiare comodamente la legge con cui muovono appa-
rentemente i vertici che traggono origine da una discontinuità
iniziale, giova figurare coi punti di un piano riferito a due assi
ortogonali # ed % i valori simultanei, di queste due variabili.
2L |
Allora segnato il rettangolo di lati T=-— ed L e sul lato #=0.
x i
il punto di discontinuità %, le linee di discontinuità si ottengono —
{*) Ho stimato conveniente di fermare l’attenzione del lettore su questo
teorema, giacchè mi consta non essere stato a cognizione di tutti gli Autori,
che hanno scritto sull'argomento. Per esempio nelle Partielle Differential-
gleichungen di RieMANN, pubblicate dal sig. HATTENDORF, a questo riguardo
si trova enunciata una proposizione erronea (Cfr. pag. 201 della 3° ediz.).
SUL PROBLEMA DELLA CORDA VIBRANTE 267
conducendo da ) le parallele alle congiungenti i vertici (0,0),
sh 14
(0, L) rispettivamente con (F L) 2: 0), e completando la
(0,0) LI (0, L)
figura come se quelle due rette uscenti da % fossero raggi lu-
minosi, che vengono riflessi dal contorno del nostro rettangolo.
In particolare si vede subito che havvi un solo caso in cui
da una discontinuità iniziale nasce un vertice solo, e cioè, il caso
di \=0. Le traiettorie apparenti dei due vertici, che nascono
dalla discontinuità di ascissa iniziale ), sono ovviamente composte
ciascuna di due curve, le cui equazioni si ottengono eliminando
dall’ espressione di 4 la # per mezzo delle equazioni delle linee
di discontinuità nel piano #, x.
Così operando, in corrispondenza dei numeri romani , che
figurano sulle linee di discontinuità nel nostro diagramma, si trova
facilmente :
_f@r-2) 410), 9(22-2)--90)
Metizpi #0pg sla Farren |
n
_f(224+))-f0)_9(22+2)-90)
Yr= 5 - > \
us f(Bd Ag) g:0)
Ja 9 DÒ I
20+))- f( DL Ng
gi pit Gai Pirri Qi | ni 9()) |
Le curve Je ZI hanno in comune il punto (e =), y=f()),
ed i due punti fissi, le curve J' ed 7I' hanno in comune il punto
268 G. MORERA - |
(=L-),x=— f()) ed i punti fissi. Inoltre si riconosce fa-
cilmente che :
yu(L_a=—yn(2) ; vi(L-2)=—Ym(2) ,
cioè, le curve I e II' sono rispettivamente le simmetriche di |
e JI per rapporto al centro della corda equilibrata. ;
Nel caso in cui inizialmente la corda abbandona la configu- |
razione y=f(x) senza velocità preconcepita, si ha: g(x)=0, e.
le traiettorie dei due vertici sono costituite dalle stesse due curve,
delle quali l’una è la simmetrica dell’altra per rapporto al centro
della corda equilibrata.
Se invece la corda parte dalla posizione di equilibrio si ha:
f(a)=0, e le 4 curve divengono due a due simmetriche per rap-.
porto alla corda equilibrata ed alla perpendicolare nel suo centro.
Nel caso di ) = o si presenta un sol vertice, che percorre
apparentemente la traiettoria costituita dalle due curve: i
fa) 9024) fd 99) |
FE |
cr Te.
2 LO 2 ZO
poste simmetricamente per rapporto al centro della corda equi-
librata. |
Se inoltre f (x) = 0, la traiettoria è composta delle due curve:
__9(22) i____9(22)
i pi 2a
2a
L'una di queste due curve è la AmnetiicA dell'altra per rap- |
porto alla corda equilibrata e ciascuna di esse ammette per asse
di simmetria la perpendicolare alla corda equilibrata nel suo
centro, come avviene per esempio secondo le ricerche del si-
gnor Helmholtz per la corda del violino. I
Occupiamoci ora della rappresentazione della nostra soluzione
con una serie trigonometrica.
Sieno F (x) e G(x) due funzioni finite, date nell’intervallo
(0, L), le quali hanno solo discontinuità ordinarie e delle quali
la seconda soddisfa alla condizione:
[G&au=o .
9
SUL PROBLEMA DELLA CORDA VIBRANTE 269
Supponiamo inoltre che le due serie di Fourier:
L
{ Ta nq 2 na
F (x) =\ b,, sen CI, b==\F(a a)sen— 2 da;
) y L L
1 GI
L
a (e
te(a).= \ A, COS ei di a,==|G (x) cos 2" da
l L L
sieno sempre convergenti. Questo caso si presenterebbe, per
esempio, quando Y (x) e G (x) fossero generalmente continue e
con un numero finito di massimi e minimi, oppure avessero le
derivate destre e sinistre sempre finite e determinate (*).
D’or innanzi coi simboli (x) e G (x) intenderemo le somme
delle precedenti serie trigonometriche : e però Za funzione F (2)
è una funzione periodica impari, di periodo 2L ela G(x) è
una funzione periodica pari, di periodo 2L .
Queste funzioni possono presentare delle discontinuità in nu-
mero qualunque, però tutte di prima specie, ed anche non am-
mettere mai le derivate. Consideriamo le tre serie trigonome-
triche :
(Le)
na nno na
= A,cos——t+b, sen en — % ;
( =) ( L > L ): x
L
I
a RIT ù AGI nno, na
Tae mi se d. cos - sen— 2% _;
L amcued f in T 2)
1 b
n
A
n na na na
DE n A, COS t+ B,sen — i) cos— Xx
Vl il L a. L
1
delle quali le due ultime si formano derivando termine a ter-
mine la prima rispettivamente rapporto a # ed a %. Immagi-
niamo che i coefficienti A,, B, di queste tre serie sieno deter-
minati in guisa che per #-0 le due ultime serie coincidano
(*) Cfr. Dini, Serie di Fourier, pag. 100 e seguenti,
270 G. MORERA
rispettivamente con quelle che definiscono F'(#) e G(x), e cioè,
che si abbia :
L
2 I
vidi al Ai o
na nq
o
L
2 at nn
bi bi =-— VE (x) sen x Mati
na na a L
In altri termini, esaminiamo le tre serie
LI ali LEA n5 n'Zl e) sen Ta;
“=— —{a, cos - — x;
e A 1 Ea E L
N sla nau, À SENI
= er n cos — t)sen— x ;
2% 2a, Se I È I IZ
? Di naa 44-00 nie nT
%,= ) a, COS —— = senesi OST X .
io ( L 5 VE
Dimostreremo in quanto segue: che queste tre serie sono
sempre convergenti; che le due ultime rappresentano rispetti—
vamente le derivate parziali (destre e sinistre) della prima rap-
porto at ed a x; infine che la somma della prima serie ha Vi-
stessa forma della funzione x, nella soluzione di D’ Alembert.
Da formule notissime si ha:
ut Nelo dr i nq ; Viti i
Fa io= 3 |costZle- #0) cos (4-20)
cos 1%, sin led più +at) + t)
SIE Rai Lo AISETE la HAS x sen ( LT ) i»
A SE, stia; Paro: na ; ni ;
FARA pag | cos (e 20) + 0087 (ata )
son 2%; Di b ARE Uergter, nq P
Dese 7 at)—sen (rat)
SUL PROBLEMA DELLA CORDA VIBRANTE DI
Sostituendo queste espressioni nelle due ultime serie e con-
frontando colle serie 7 (x) e G (x) si conclude immediatamente:
_F@a+2t)+F(x—at)+a|G(r+at)- G(—at
n :
, 2
F(r+ at) —F(a—at)\+G(cx+ct)+G(c—at) .
= A Dee
2
La serie 7',, pensata come una serie di Fourier nella x, è
certamente integrabile termine a termine, e però integrandola fra
0 ed x si conclude:
2a
Ora posto: (x) =(6 (dota gd) == i) Flo) da
_ si ha ovviamente:
[Fe+ed de=g(a+2t)—g9(at) ;
(Pe) da=g9(e— Cd) --9(-24)
(G (+2) de=f(2+24) uf (4)
x
{G&-20) de =f(a—-at)—f(—at) ;
ed essendo le serie di Fourier sempre convergenti integrabili ter-
mine a termine, sarà:
(e)
e TS na VE
g(x visi MESS prati] *
A DI nr
aaa a
'
Dupd G. MORERA
e però: g(-ct)=g(et); f(-at)=-f(ct).
Sostituendo nell’espressione di 7 si ha subito:
Rie "cel
e si verifica immediatamente che:
fa. dt=f (2)+%
Dunque: la serie 7 è convergente e le sue derivate parziali
sono le serie convergenti x’, 4°, per quei valori di # e x per i
quali queste sono continue, oppure più generalmente le derivate
parziali destre e sinistre della % sono i limiti dei valori a destra
ed a sinistra delle serie %,, 7', rispettivamente (*). Con ciò il no-
stro teorema è pienamente dimostrato.
Osserviamo ora che se nell’intervallo (0, L) fosse data una
funzione finita e continua f(x), soddisfacente alle condizioni :
f(0)=f(L)=0, e la quale ammettesse una derivata prima
f (@)=G(x) sviluppabile in serie di Fourier; questo sviluppo si
potrebbe ottenere, in base ad un noto teorema, derivando ter-
mine a termine lo sviluppo in serie di seni della funzione f (2) (**).
Sicchè i coefficienti An della nostra serie x resterebbero gli stessi
sia identificando 4°, per t=0 collo sviluppo di /'(x) = G(£),
sia identificando per t= 0 la serie % collo sviluppo in serie di
seni delle f(x).
Se adunque le funzioni 7° (x) e G(x)=f (x) hanno proprietà
compatibili col loro ufficio nel problema della corda vibrante, pos-
siamo concludere che la serie di Bernoulli (4) è non solo con-
vergente e derivabile termine a termine una prima volta tanto
rapporto a # che ad x, ma ancora chesessa è pienamente. equi-
valente alla soluzione di D'’Alembert. 1
(*) Trattandosi di funzioni di più variabili le diciture: derivate e valori
a destra ed a sinistra, divengono imprecise. È per ciò bene notare, che per
valori e per derivate parziali a destra si intendono quelli rispondenti ad ac-
crescimenti positivi della relativa variabile indipendente. La cosa analoga
dicasi per i valori e le derivate parziali a sinistra.
(**) Cfr. la Memoria del sig. Din: Sopra la serie di Fourier. Pisa, Nistri,
1882, pag. 6, osserv, 84.
SUL PROBLEMA DELLA CORDA VIBRANTE 279
Se noi avessimo avuto di mira soltanto di dimostrare la con-
vergenza della serie 7, operando direttamente su queste trasfor-
mazioni analoghe a quelle fatte sulle serie 7',, 4°, avremmo con-
cluso facilmente che se
nax
n=) An pui
3 UMISEA
ela y B,(1- cos z )
'
sono le somme di due serie sempre convergenti; la serie è
pure convergente e la sua somma è rappresentata dalla for-
mula (I). Cioè, per la convergenza della serie di Bernoulli basta
- che sieno convergenti le due serie f(x) e g(x); ma in tal caso
ci i)
non si potrebbe più parlare di differenziabilità della x.
Reciprocamente, ammesso che la serie 7 sia sempre conver-
gente, lo è pure la serie f(x), che si ottiene dalla 7 ponendovi
t=0, ed è presto visto che è anche convergente la serie 9 (x).
Infatti, scritto nella serie % invece di x e di # rispettivamente :
de cr
2° 2a
n dit /
USA VITI nTT
ari Te L, A,,C08 molle +) b,sen° I
, sì ha:
AD
MI&
MI
i 1
fat! g(&) .
L:
2
Dunque : quando la serie di Bernoulli è convergente la sua
somma ha la forma (I) (*).
Allorquando la serie % rappresenta la soluzione del problema
della corda vibrante è, come vedemmo, differenziabile termine a
termine una prima volta per rapporto alla variabile #, cioè posto
per brevità:
n DR n
C.=— za uanle “po , 0087 t
2
DE n cn a
dm svn Vo La
ppi dee nega fa
(*) HARNACK, l.c., pag. 493
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII
st ha:
do
(AS)
274 G. MORERA
Pensando questa serie come una serie di Fourier nella sola x,
essa è integrabile termine a termine, anzi la serie degli integrali
è convergente assolutamente ed in ugual grado, giacchè per teo-
remi noti 2 swo? coefficienti al crescere indefinito di n divengono
2 e it-
infinitesimi almeno dell'ordine di — (*).
n
Se si ammette inoltre che le funzioni (x) e G(x) non ab-
SA o led dr MIRI. >
biano infiniti massimi e minimi, la funzione rta 7, è costituita
a
dalla somma di 4 funzioni, le quali pure non hanno infiniti massimi
e minimi; e però moltiplicando tutti i termini della serie prece-
Pa |
dente per sì avrà una serie ancora integrabile termine a ter-
Tae.
mine (**). Notando che qui si ha:
L
2 (9 n 2
si conclude :
SE: SS "È 2
dn\? di 2 0g RE 2 2
_|dx= O,Xx7 |z7sen_a.de=— Cn»
\(59) iO A
D'altra parte la forza viva £ della corda è:
e la forza viva della corda se essa effettuasse solo la n” vibra-
zione semplice sarebbe:
p
be
n gIL? n
(*) Cfr. Dini, Memoria citata.
(**) Cfr.: La teoria delle funzioni di variabili reali dello stesso autore,
a pag. 392. $ 284, dove propriamente il teorema invocato è provato per il
prodotto di una serie con una funzione che non fa infinite oscillazioni, ma
l'estensione al caso nostro non presenta alcuna difficoltà
SUL PROBLEMA DELLA CORDA VIBRANTE 275
e pero: a
RESSE E,
ossia ha luogo il teorema seguente. La forza viva posseduta da
una corda che vibra trasversalmente è ad ogni istante la somma
delle forze vive, che nello stesso istunte essa possederebbe al-
lorquando effettuasse separatamente ciascuna delle vibrazioni
semplici componenti.
Noi definiremo per intensità del suono la forza viva media du-
rante una vibrazione completa, cioè, detta I l’intensità del suono,
porremo: È
1
P= Vi VR 8 A
Tn 144
1 1
=— VE di==\ .E,dt
p si +48 n d Y ps n ( È)
essendo 7°, il periodo della n°” vibrazione semplice, periodo che
è uguale ad » volte quello del suono fondamentale. Allora, te-
(7.2)
. = N .
nuto presente che la serie 4. C,° è convergente in ugual grado,
LI
giacchè 1 suoi termini al crescere indefinito di » impiccoliscono
1
almeno come —-, coll’integrazione termine a termine della serie
n
delle forze vive si ha subito:
c'e \ vd
rca
Resta così provato rigorosamente che, colle limitazioni poste
alle funzioni F (x) e G(2), #1 suono di una corda, che vibra tras-
versalmente, è qualitativamente e quantitativamente la somma
di tanti suoni semplici; e se questi sono in numero infinito,
l'intensità dell'n"° suono semplice componente al crescere inde-
1
finito di n è al più dell'ordine di grandezza di pi
Il Direttore della Classe
ALFonso Cossa.
CLASSI UNITE
Adunanza dell'8 Aprile 1888.
PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ARIODANTE FABRETTI
VICEPRESIDENTE
In questa adunanza l’Accademia rielegge a suo Presidente
per un altro triennio il Socio Comm. ANGELO GeENoccHI, Sena-
tore del Regno.
L’Accademico Segretario
GASPARE GORRESIO.
meo — gir —; de)
| ADUNANZA dell’8 Aprile 1888...
Morera — Sul problema della corda vibrante
Classi Unite.
ADUNANZA dell’8 Aprile 1888
in ma prossima dispensa. |
ATTI
DELLA
h. ACCADEMIA DELLE SCIENZE
DI TORINO
PUBBLICATI
DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI
Vox. XXIII, Disp. 11°, 1887-88
Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali.
TORINO
ERMANNO LOESOHER
Libraio della R. Accademia delle Scienze
RISALE
ALINA
dal
UAZA
LEA Du î
“ali
Am Od
gr
277
CLASSE
DI
SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza del 22 Aprile 1888.
PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ANGELO GENOCCHI
PRESIDENTE
Sono presenti i Soci: Cossa, LESSONA, SALVADORI, BRUNO,
Basso, D’Ovipio, FERRARIS, NACCARI.
Vien letto l'atto verbale dell’adunanza precedente che è ap-
provato.
Tra i libri presentati in omaggio all'Accademia vien segnalato
il vol. V, serie 2°, degli Annali del Museo Civico di Storia
naturale di Genova pubblicato per cura di G. DoRrIA e R. GESTRO,
presentato dal Socio SALVADORI.
Le letture e le comunicazioni si succedono nell’ordine se-
guente :
1° « Sulla compensazione delle poligonali che servono di
base ai rilievi topografici; Nota del Socio SIAccI, assente per
ragioni di officio, presentata dal Presidente ;
2° « Gli azimut reciproci di un arco di geodetica » ; la-
voro del Prof. P. PizzettI, dell’Università di Genova, presentato
dal Socio D’'OvIDIO ;
3° « Sugli eteri nitrobenziletilici »; Nota del Dott. GiorGIo
ERRERA, presentata dal Socio Cossa.
Atti R, Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII 23
DI
NI
(0 0)
F. SIACCI
Sulla compensazione
delle poligonali che servono di base ai rilievi topografici.
Nota di F. Stracci
Quando un rilievo topografico dev'essere collegato coi punti
di una rete geodetica, questi vengono dapprima riuniti con una
linea spezzata o poligonale, appoggiata ai punti più salienti del
terreno della quale si misurano gli angoli e i lati; questi ser-
vono poi di base al rilievo. Ma per gli errori inevitabili delle
misure accade che le proiezioni della poligonale sugli assi coor-
dinati risultano alquanto differenti dalle proiezioni della retta
che ne riunisce gli estremi geodetici. Da ciò la necessità di una
correzione. I topografi la fanno consistere nell’aggiungere o to-
gliere alla proiezione di ogni lato una aliquota dell'errore della
proiezione totale. Alcuni prendono quest’aliquota comune a tutte
le proiezioni parziali, altri la prendono proporzionale a queste.
Il metodo ha il vantaggio della speditezza, e corrisponderebbe
anche alla combinazione più probabile degli errori, se gli errori
stimati secondo i due assi si potessero ritenere indipendenti gli
uni dagli altri.
Il chiarissimo ingegnere Vincenzo Soldati in una sua Memoria (*)
osserva che coi metodi in uso mutano non solo le lunghezze dei
lati, ma anche le loro orientazioni e assai più che non comporti
il massimo errore temibile dagli strumenti goniometrici. D'altra
parte la misura delle lunghezze si fa con attrezzi diversi, onde
nasce l'indipendenza degli errori dei lati dagli errori degli angoli.
L'ingegnere Soldati propone di compensare i primi indipendente -
mente dai secondi, e presenta a tale oggetto alcuni metodi grafico -
numerici: ma essi per quanto ingegnosi sono arbitrari, inquantochè
non corrispondono alla combinazione più probabile degli errori.
(*) Sulla composizione degli errori di misura dei lati nelle poligonali che
servgno di base ai rilevamenti topografici. Torino, tipografia Salesiana, 1888,
SULLA COMPENSAZIONE DELLE POLIGONALI 279
Il metodo che segue soddisfa a tale condizione e non mi pare
riesca più complicato di quelli. Da esso poi emerge un teorema,
che anche indipendentemente dalle applicazioni mi par degno di
nota, ed è il seguente:
Gli errori più probabili dei lati di una poligonale, sono
le proiezioni su essi di un segmento fisso, divise per i rispet-
tivi pesi.
Sia L uno dei lati misurati della poligonale, ZL +0 il suo
vero valore, e quindi d l’errore commesso nella sua misura, ©
la sua inclinazione (supposta esatta) sull’asse delle x. Siano «
e d le proiezioni sugli assi coordinati della retta che congiunge
gli estremi geodetici della poligonale. Dovrà verificarsi
Z(L+0)cosg=a, Z(L+0)seno=5
ossia
(1) .
x
Zdcosp=a — X Lcoso=
| 5dseng=3—XLsno=f.
Si tratta ora di determinare gli errori d in modo che si ve-
rifichi la combinazione più probabile di essi. La condizione che
la rappresenta è
(2).-... Zpò*=minimo, vossia Xpddd=0,
p essendo il peso corrispondente al lato L.
Differenziando le (1) rispetto a 0 e dicendo ) e 1 due mol-
tiplicatori da determinare, avremo da esse e dalla (2)
Z(pò—)cose—psen g)dd=0.
Ne risulta
Mn. PI =) cosg + p.sen 9 .
i spiato COS @ I
Per trovare ) e p si moltiplichi (3) per ——, e si sommino
Pp
tutte le analoghe, e si otterrà
cos' @ ua sen Q COS @
pr
xd cosp=)L
p P
4
280 F. SIACCI —- SULLA COMPENSAZIONE DELLE POLIGONALI
sen ©
si moltiplichi poi la stessa (3) per np i e sommando si avrà
aa
Ponendo mente alle (1) e scrivendo per brevità
Zoseng=}X
yo SSL, prete] senecg o
P p p
dalle due ultime equazioni si ottiene
Ba— Cf AB_ Ca
flo = A agio) wo si Apro
Se si considerano À e {. come proiezioni sugli assi coordi-
nati di un segmento A inclinato di e sull’asse delle 7, se poniamo
cioè :
(PRE A=VXR+p? , tge=l
avremo dalla (3)
CI PA ge Arlen
p
equazione che dimostra il teorema enunciato in principio.
Pertanto colle equazioni (4-7) si potrà calcolare la corre-
zione 0 che dee subire ogni lato L della diagonale.
Il minimo di Xpò° è A@+pf, e risulta dalla (3).
PALE
Gli azimut reciproci di un arco di geodetica.
Nota di P. PIZZETTI.
Il ch."° prof. E. Pucci (*) nel suo recente trattato di Geo-
desia ha dimostrato il seguente teorema, del quale l’importanza
non può sfuggire ai Geodeti, specialmente in vista dell’applica-
zione che il trattatista stesso ne fa alla risoluzione del così detto
problema inverso delle posizioni geografiche.
a) La differenza di due azimut geodetici reciproci contati
da 0° a 360° nel senso Nord-Est-Sud-Ovest, differisce dal suo
limite sferico di una quantità del 4° ordine.
b) 11 valor prossimo di questa quantità del 4° ordine è,
per l’ellissoide, dato da
e sìsena,.sen2 0,
(2)... Lr LI
.a°.sen 1
dove «,, ©, sono l’azimut e la latitudine in uno degli estremi
dell’arco di geodetica che si considera, s la lunghezza di questo,
ed a, e sono, al solito il semigrand’asse e l’eccentricità dell’el-
lissoide.
Per limite sferico della differenza d’azimut, di cui è parola
in questo enunciato, s'intende ciò che diventa questa quantità,
quando, tenute costanti le coordinate geografiche degli estremi
dell’arco, si ponga uguale a zero l’eccentricità e. Si considerano
poi come quantità piccole di 1° ordine, secondo le convenzioni
in uso nella Geodesia, il quadrato dell’eccentricità ed il rap-
s , ;
porto -, che la lunghezza dell'arco ha al semigrand’asse @,
a
o ad una linea dello stesso ordine.
(*) Pucci, Fondamenti di geodesia, cap. VIII, $ 25. L’enunciato del teorema
è qui un poco diverso, soltanto in causa di un diverso modo di contare gli
azimut.
282 P. PIZZETTI
La dimostrazione che il ch.®° Professore dà di questo teo-
rema benchè non offra veruna difficoltà, pure può considerarsi
come un po’ complessa pel fatto che essa si appoggia sia al
Teorema di Dalby, relativo agli azimut reciproci delle sezioni
normali, sia alla formola che esprime (a meno di termini del
quinto ordine) la differenza fra l’azimut di una sezione normale
e quello della geodetica che ne collega gli estremi.
Mi permetto di dare qui una dimostrazione, a mio parere,
alquanto più semplice, del teorema enunciato; questa dimostra-
zione si appoggerà soltanto all’equazione differenziale delle geo-
detiche in coordinate astronomiche:
da=d%w.seng ,
equazione, che, pel caso particolare, di una superficie di rivolu-
zione, si ottiene, senza difficoltà alcuna, differenziando la formola
che esprime il notissimo teorema di Clairaut.
In pari tempo, io estenderò la dimostrazione della 1% paîte
del teorema al caso in cui la superficie, sulla quale è tracciata
la geodetica, sia affatto qualunque, purchè poco diversa dalla
sfera, ammettendo, in tal caso, che si debbano considerare come
È : 2 AE Ss î
quantità piccole di 1° ordine, oltrechè il rapporto n anche certi
numeri che dipendono dagli scostamenti fra la superficie considerata
e la sfera, numeri che possono sempre considerarsi come quantità
dello stesso ordine del quadrato e? dell’ellissoide Besseliano.
$ 1. — Riferiti i punti di una superficie qualunque ad un
sistema di coordinate astronomiche, diremo al solito, latitudine
astronomica il complemento dell’angolo che la normale alla su-
perficie (direzione esterna) fa con una determinata direzione
dell’asse polare, longitudine l’angolo che -il piano (meridiano
astronomico), condotto per la normale parallelamente all’asse
polare, fa con un piano fisso passante per l’asse polare, azimut
in un punto di una linea tracciata sulla superficie l’angolo che
la tangente a questa linea in tal punto fa colla linea cardinale
Nord del punto stesso, intendendo per linea cardinale Nord in
un punto l’intersezione del piano tangente alla superficie col
piano del meridiano astronomico, e ammettendo di contare po-
sitivamente gli azimut da 0° a 360° partendo da Nord nel senso
Nord-Est-Sud-Ovest.
è reni IA
tit
4
GLI AZIMUT RECIPROCI DI UN ARCO DI GEODETICA 283
In queste ipotesi, detta © la latitudine, © la longitudine,
x l’azimut in un punto di una geodetica qualsiasi tracciata sulla
superficie, si ha per la geodetica stessa l'equazione differenziale
di Bessel (*)
da =d@.seno
Se M., (9, ,), 14,(2,,) sono gli estremi di un arco di
geodetica tracciata sulla superficie, detti «,, x, gli azimut geo-
detici reciproci agli estremi dell’arco stesso si ha
y nilo do,
di. 2,-a,=180°+fdx=180°+ fseng. do.
M, WI
Lungo l’arco di geodetica M, M,, consideriamo % come
funzione di © e sviluppiamo sen in serie, collo sviluppo di
Taylor, secondo le potenze ascendenti di © —,. Ponendo
dsen v d° sen @ di senw
( rs )=d ; (Fri) sr : (Fat)=sc ecc. ecc.
dove le derivate totali vanno prese lungo l’arco di geodetica
considerato, e l’indice 1 indica che delle derivate stesse si con-
siderano i valori corrispondenti al punto M,, si avrà
(2)... senv—seng,=A(o—0)+B(0-0)}+C(0—-0,)+...
Consideriamo ora una sfera di raggio arbitrario e su questa
un diametro qualunque che assumeremo come asse polare di un
| sistema di coordinate polari sferiche. Detti M',M°, i punti della
sfera, aventi per latitudine sferica ©,, 0, rispettivamente e per
longitudini sferiche ©,, ©, rispettivamente, chiameremo &,, 2, i
due azimut reciproci agli estremi dell’arco di cerchio massimo
M',M',. — Saranno appunto 2, ,, i limiti sferici, dei quali
è parola in principio di questo lavoro, vale a dire i limiti a cui
si riducono gli azimut %,, , della geodetica sulla superficie data
(*) Vedi BesseL, Ueber Einfluss der Unregelmdssigheiten der figur der
Erde etc. Bessels Abhandlungen herausgegeben von R Engelmann. Abb. 130.
— Una dimostrazione geometrica elementare di questa equazione venne data
da me nel Giornale della Soc. di Lett. e Conv. scient. di Genova. Agosto-
Settembre 1887.
284 P. PIZZETTI
quando si trascurano gli scostamenti di questa dalla sfera. E sì
avrà, analogamente alle (1) (2), queste relazioni:
():3E a, — a, =180° + fseng'. do
1A po seno'— seno, =A (0-0) +B' (0-0) +
+C'(0- 0) +...
dove o è la latitudine sferica corrispondente alla longitudine ©
sull’ arco di cerchio massimo M',M',. Sottraendo le (1) (3)
fra loro, la differenza fra le quantità corrispondenti %,— «,, -<
, '
dd, %,
risulta espressa da
x Ù o
Cas po e=(a,—@)--(4,- @,) i (sen o — sen 9') da
Di
D'altra parte le (2) (4) sottratte dànno
(6)... seng—seng =(A4—A4)(0—0)+(B-B)(0—-@)+
+(C—C')(a-@)+...
E poichè per @=%, si ha g=9' =, dovrà aversi, posto
-WVW= Add:
0—-A-4'4+(B—B).40+(C-C") A+...
Ricavando di qui A—A' e sostituendo nella (6) abbiamo
finalmente
seng—seng =(B—B')(n-%)-(B—-B)(0-0,). A+
Pelo Le 00) a
Sostituendo questa espressione nell’ultimo membro della (5) ed |
eseguendo l’ integrazione termine a termine la (5) diverrà pertanto
n 0 nAw'
rist alt rai \
Ammetteremo, come praticamente si verifica, che l’arco di
geodetica che si considera sia tanto breve, vale a dire, la diffe -
renza Ao tanto piccola, che lo sviluppo (6) risulti convergente
in egual grado e che nel 2° membro della (7) i termini a partire
GLI AZIMUT RECIPROCI DI UN ARCO DI GEODETICA 285
dal secondo siano affatto trascurabili di fronte al primo. Abbiamo
allora nella quantità
(70)... (B'— B)
A wi
un'espressione approssimata della differenza, della quale è parola
nell’enunciato del teorema, fra la differenza dei due azimut
reciproci z,, «, e quella dei loro limiti sferici 2',, 2',. — È
facile vedere che la quantità B'—B è una quantità piccola
dello stesso ordine degli scostamenti fra la superficie e la sfera.
Resta pertanto dimostrato che la differenza e è una quantità
piccola di 4° ordine per qualsivoglia superficie poco diversa
dalla sfera. Troveremo fra poco l’espressione di B'— B per una
superficie qualunque: per ora limitiamo le nostre considerazioni
al caso dell’ellissoide di rotazione pel quale dimostreremo che alla
quantità e può darsi, a meno di termini del 5° ordine, l’espres-
sione (x) contenuta nell’enunciato del teorema.
$ 2. — Se la superficie è di rivoluzione, detto © il raggio
di curvatura del meridiano, r il raggio del parallelo, si ha, in
virtù delle notissime formole
dr È n do SEE DIR: da
psp, pi mpoea.
Es no
do Fade
(delle quali l’ultima vale soltanto per un arco di geodetica)
(£ sen :) r cos g, cotg a
TA == == CS IRSA
do ), 0
[i
d’sen 3
i 2B=(
Y Y
=—-sen29,.cotg°a, — —
da |. an p,.cotg° 2, Di cosg sen 9,
i 3 tr, dp
— —cotg°a,seng, —— coso .cotg* a, { —
P dp),
D'altra parte per un arco di azimut iniziale «, e di coor-
dinate estreme (9, ®,) (©, @,) si ha con uno sviluppo in serie,
posto 9,9, =49, w—@=4A%:
do Aw° (d°v
Ao-Aw.{— ssa picat
ii i (7) n 3) (2)+
i Ao? i d%
= ht. cotga, +13 ) +
2 \da
286 P., PIZZETTI
Ao
donde — 1! cotg a, = +4, dove A, è una quantità piccola di
‘og i rispetto a 4% -— Sostituendo questa espressione di
di cotg a, nella (8), questa diventa
di 9? cotg p, (dp
0). 2B=-seng,(2°) 270089 +14 Gol
Ao /
r
— — coso, seno, + È. 4%
Lf:
dove R Aw è una quantità piccola dello stesso ordine di A.
La quantità E può immaginarsi sviluppata in serie secondo le
potenze crescenti di e*® e quindi posto sotto la forma
M4+ e N
dove M indica il termine indipendente da e, ed e° N tutti i
rimanenti termini nello sviluppo di £.
Osserveremo di più che, a meno di termini dell’ordine di e',
si ha per l’ellissoide :
1d ;
7 7 ag = 30 song. cos? È 3 == 0089 (1+e'c08°g)
o_1_-ec08°p
SRO, COS
E quindi la (9) a meno di termini in ef può scriversi
2
— cos° 9,. Seng, —
bis AR, o)
(eh — seng,(<°
— e cos'@,seng, +(M+e" N) Aw
3 +e? cos° 0,
Ponendo nel 2° membro di questa e=0, si ottiene il coef-
ficiente 2 B' relativo alla sfera, Si ha quindi
2(B'— B)=e*seno,cos' 0,
Ao j 2 2
(35) + cos r.|+e N.A0.
GLI AZIMUT RECIPROCI DI UN ARCO DI GEODETICA 287
E poichè a meno di quantità dell’ordine di A si può porre
come abbiamo visto ,
Ap\ "#, to? LE 2 to? termini i 2
"> = — cotg'a,= cos o,.cotg' a, + termini mm e
I
si avrà finalmente, a meno di termini in e‘, e in e 4%
; e? .Sen%, COS 2
Lp B-_B=-—_TP-
Ko) 2 sen 2,
Così l’espressione (7%) della differenza e, che pel caso del-
l’ellissoide indicheremo con e,, diventa a meno di termini del
5° ordine:
e’ seno . cos”.
(sich e A
Chiamando s la lunghezza dell'arco di geodetica considerato,
si ha, a meno di termini di secondo ordine
12.sen'a
s A .C08S%,
a) sen 2,
Epperò la (() può, colla stessa approssimazione del 4° ordine
inclusivo, essere scritta
(73 WERSRE i +
i | LI ili E, RE
dove si è posto il divisore sen 1° per ottenere e espresso in
secondi. Una tale espressione di e altro non è che la (4) che
si voleva dimostrare.
$ 3. — Vediamo più generalmente quale espressione assuma
la quantità
Aw
(B'-B) +
per una superficie qualunque poco diversa dalla sfera. — Per
una tale superficie le coordinate Cartesiane di un punto qua-
lunque 2 possono essere date dalle formole
r=(a+h)cosl.cos) ,
ARR y=(a+h)cosl.sen) ,
| z=(a+/)senl ,
288 P. PIZZETTI
dove 1 è l'angolo. che il raggio vettore OM fa coll’asse delle
Z, ) è l’angolo che il piano OZM passante per l’asse 0Z e
pel punto M fa col piano ZOx, a è una costante, 4% è una
quantità piccolissima di fronte ad a, e che può considerarsi come
funzione di / e ). (È chiaro che 4 è la distanza, contata lungo
il raggio vettore, fra la superficie e la sfera di raggio a). Dette
@, © le coordinate astronomiche del punto (xy) rispetto all’asse
0Z come asse polare, e al piano Zox come primo meridiano
sì potrà porre
(12). 2% q=14+$ À o=X Kr
dove £, # saranno, in generale quantità piccole dello stesso ordine
h sai
di —. I coseni di direzione della normale alla superficie nel
1)
punto (©, ©) saranno
COS. COS , coso .Sen % , sen? ,
e soddisferanno alle relazioni :
dx dY dz
COS d. COS a dote AR ag a 57 30
n)
(13) siate
0 Y
| COS £ . COS® 33 + cosg Sen © I 4 song or— ;
da dx
dove le derivate parziali Ti Do ©» debbono essere dedotte
dalle (11) considerandovi 7, ) come variabili indipendenti, ed %
come funzione di /, ).
Se nelle (13) si sostituiscono, al posto delle derivate, le loro
espressioni ottenute nel modo ora detto, e al posto di ®, © le
espressioni (12), trascurando le quantità di ordine superiore al
È À dh di
primo rispetto a $, %, ’, Po = si ottiene senza veruna dif-
do do
10% vi agibaco Loi dh
a dl” ‘— acospdÀ.
ficoltà
e
e quindi, colla stessa approssimazione :
GLI AZIMUT RECIPROCI DI UN ARCO DI GEODETICA 289
Sostituendo nelle (11) si ottengono espresse le (x y 2) in
funzione delle coordinate astronomiche 0, & nel seguente modo
0h sen 0
x=(1+4)coso.cosm— — seno. cosm— — —
Ù © i cos © d4
14 ‘ +1) se oli fem 'wisenia; i E ca
x =(4+4))coso.senn— — E ea
Der. y e: ; d9 i cos € da)
dh
A rr cos %
dove % deve ora considerarsi come funzione di ©, %.
Sia ds un elemento lineare della superficie compreso fra i
punti (9, @) (0 +do, 0+dw). — Sia « l’azimut dell’elemento
stesso e diciamo A, B, C gli angoli che la tangente ad esso
fa cogli assi coordinati. Si avrà con semplici considerazioni di
trigonometria sferica (*)
cos = — sen 9. Cosw. Cos4 — seno) . sen &
cosB=— seng.sen.cos + coso. sen
cosC = cosqp.cosa .
E quindi
dx %
— dy+—do=— senv.coso. cosa. ds — seno. sen 2 ds
dg RIA) +
dY dY
(Bo)... x dg+= do=— seng.senw.cos 7. ds + cosw. sen ds
0 d%
dz dz î
—do+— do= coso.cosu. ds .
dp f d% ?
Ora dalla (14) posto
0° h Oh 0h
CIRO ri È FE raggi
a SP Rancio,
(a + ARL E ARTE Pere
(*) Veggasi p. es. Pucci, Fondamenti di geodesia, cap. XI1, } 1°. Le nostre
formole (18) possono poi dedursi come casi: particolari dalle formole (23)
dello stesso capitolo dei Fondamenti di Puccer.
290 P. PIZZETTI
si ottiene senza Cifficoltà :
Ò e n) i
CSI a EN co © __ Pseno — Nsengcos
do 1 cos © d9)
dY coso dy i
(16) = =— Mseneseno+ N — = Psenw—Nsenp sen
= dp i cos 9 PIA)
dz dz ;
—=M.cosg ria È
09
Moltiplichiamo le (15) rispettivamente per — sen 0 cos ®,
— seng sen@, coso e sommiamo. Tenuto conto delle (16) si
otterrà
ds.coov=Mdo+ Nd.
E similmente moltiplicando la prima delle (15) per — sen w
la seconda per cos w e sommando :
ds.sena=Nsecp.do + Pdo .
Risolvendo queste due ultime equazioni rispetto a dg, do
otteniamo :
17) d __Pcosa Nsona I a Ncosa.seco
( <.° fi MP-— N°secv ; n) = MP — N? sec g
Sostituendo per M, N, P le loro espressioni, si ottiene, a
meno di quantità di 2° ordine rispetto ad % e alle sue derivate
1 Pal \, a pgpaata ch 1, 0°. aa
MP N?seco a coso | a a do acospd ade
|
o
10%
a cosp.dy=a 0089 (1 ao )cosa.ds a
n
Oh dh
— (tango — + sen a ds
0 d0dg;
h tango 0 lp) 0%
a
a’cosydo=al1—— — — ———— —|sena ds
a a d9 acosgdo
S arsizio dh \2ra
— n = a
ST 0 d0 / coso p
GLI AZIMUT RECIPROCI DI UN ARCO DI GEODETICA 29%
Dividendo fra loro queste due equazioni, e tenendo sempre,
nella divisione dei secondi membri, l’approssimazione del 1° or-
d
dine rispetto ad %, otteniamo l’espressione della derivata i
relativa ad un elemento lineare di azimut «:
d
(19)... 7° = cosg cotga (142)
(
dove abbiamo posto
109°h tangqgol h)x40%k
a do acosgda
2cotg 2 a | Jie 94h
eu
Fo.
co = =
| a cos RIA) 000
Si avrà allora
d.seng
(1)... —
=cos'v.cotga.(14- 2)
E, per un arco di geodetica pel quale vale la relazione
(22)... 7509 1
sarà
d° i 5 ea
(23) 5 AgaE PIATA Q.seng.cotga(142) Da rici angie
da” sen? a
° casi A da
costo .cotga — ,
: 5 do
deo 4:
dove = indica la derivata di x rispetto ad © lungo l’elemento di
geodetica che si considera, ossia
da dado drda dr
do dodo dado d6
da da de. de d
Ti -PLr si dedurranno dalla (20), e i, = dalle
(19) (22). Eseguendo le operazioni, riducendo, e ponendo
Le
c=cotga ,
(26),
292 P. PIZZETTI
si ottiene
“da c_ 0h 0h ci-4c-1 Se:
| a—-=—-———+—0@-14 —_ tang'g\—
dw cos p dp 00 e \
SALE i °h ci'-5e—1
— —, + tango. ——
c sen ?55 ge dp .d0 =
tango 024 3 e— 1 dh
(24) ic SPO ai cosip e
cosp da cc dp
} di” 1 dh 2ce-1
+e stata te
00°dw —cospdg.dw c
1. 2%
\ cos 9 di
La (23) può scriversi, trascurando i termini in 4°, e ponendo
1° seno È
come nel $ 1, 2 B in luogo di (a
do 4
2B=— cos°9,seng, — 3 cos° 9, sen g, cotg* @, —
— x coso, seno (5 cotg°a +1
(25)... , 608° 9, sen g, (5 cotg ta
da
+ cos° 9, . cotg a, (7)
dw!,
Dette Ao, Aw le differenze fra le coordinate degli estremi
dell’arco che si considera, si potrà, analogamente a quanto si è
fatto nel caso dell’ ellissoide esprimere cotg 4, in funzione di
queste differenze, per mezzo della relazione :
A
L= 0089, cotg a, (1+x) +5,
dove B, è una piccola quantità dello stesso ordine di Av.
Ricavando di qui cotg , e sostituendo nel 2° termine del
2° membro della (25) questa potrà scriversi, a meno di ter-
mini in 2°:
Ao\
2B=— cos°®,. —3 —_ i
| COS ©, .Sen@, sen e. (35) +
> 1 3
14 #cos*0,sen , (cote*a — 1) + cos’, . cotga, DE; +(M+Na)Aw
| i p p FE:
GLI AZIMUT RECIPROCI DI UN ARCO DI GEODETICA 293
dove M.A@w, N.A% sono quantità «indipendenti da x, e pic-
cole entrambe dello stesso ordine di A.
| Per la sfera e per un arco di cerchio massimo del quale
gli estremi abbiano le coordinate astronomiche (%,,) (0,+ 49,
+ A), si ottiene l’espressione particolare 2.B' della quantità
2 B, col porre nel 2° membro della (26)zx = 0. Si ha così
’ Ap\?
(27)... 2bB=—cos°9,seno,—3seng, (T) +M.4%
espressione identica, com’era da aspettarsi, a quella che si ottiene
ponendo e°—=0 nella (9%):
Sottraendo la (26) dalle (27), e moltiplicando il risultato per
2
A
na abbiamo finalmente l’espressione della differenza e pel caso
di una superficie qualunque poco diversa dalla sfera:
a A 605
eice=(B pila RI 1) +
+ cos° ©, coto a (7) cei
pad do lia ale
a meno di termini dell’ordine di x°. Aw', ecc. e di x. Aw' e
ordini superiori.
I
Nella (28) x, e (7) indicano i valori speciali che assu-
©) 19
mono il secondo membro delle (20) e quello delle (24) diviso
per a, quando al posto di 9, ©, 4 si pongano @,, ®,, «,. Ese-
guendo le sostituzioni nelle (28) per mezzo delle (21) (24), ridu-
cendo, e ponendo :
cotga,= €,
sì ottiene:
| Aw'.cos° 9 397 i Ì |
a te ha
SE gii (3142 tang* DEN
segue 10% 1 g @ ,
0h 0h |
TIRRIO n D SA i pi a TE
+ sen © 5a € Cc, ) tango pece (2 €, Ze)
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII 24
Rita
294 P. PIZZETTI
tango d°% 05”
Dr tt 2. COSO —
COS do: | & (RO IL dg
sequito 3} PT
0° h de? — "h
(29) dc; IRE RA ed) ELMA
‘rie Fed cosp dp. dw°
c, 0%
cos” @ dw°
Nel 2° membro di questa si è posto il divisore sen 1' per
ottenere e espresso in secondi d’arco.
$ 4. — Come esempio, calcoliamo l’espressione che assume &
pel caso di un ellissoide a tre assi, poco diverso dalla sfera.
Siano a, aVi—f?, alt—e? i tre semiassi, dei quali l’ultimo
assumeremo come asse polare del sistema di coordinate astrono-
miche, prendendo poi come primo meridiano la sezione principale
i cui semiassi sono a, ai —e. Introducendo nella equazione
y PRI
1- ai
dell’ellissoide le espressioni (11) delle x y 2, si ottiene facilmente
a meno di quantità di 2° ordine rispetto ad e?, f?:
La BI
a
h= — 3 e” sen? 7 + e° cos? sen?
L)
e, colla stessa approssimazione :
(47
LES) «i 2 2 2 Ct 2
lar e° sen° 0 + e°cos° g sen %
Eseguendo le derivazioni parziali occorrenti, ed introducendo
i risultati nel 2° membro della (29), si ottiene, senza @&lcuna
difficoltà :
Ao così Y,
e- 4; eseng — f* seno, (seno, seno, + c, 080
ave 1°) Li (RP
(c°+1)
ovvero, restituendo a c, il suo valore
SOI REL Sg
Aw cosî (0)
3
o e seno, —_ f ? sen G), (sen, sen + COSO), cotg 4)
— 12.sen°2,.senl
GLI AZIMUT RECIPROCI DI UN ARCO DI GEODETICA 295
Se in questa si pone f=-0 si ritrova nuovamente l’espres-
sione (3) della quantità e, trovata al $ 2 e relativa all’ellissoide
di rivoluzione. Alla (31) può darsi una forma più semplice. Se
infatti si chiama ® la latitudine del punto nel quale la geodetica
che si considera incontra il meridiano di 90° di longitudine, ossia
la sezione principale che ha per semiassi aV 1—f?, aVi1—@, si
ha, da un triangolo sferico ;
tang ®. cosg, = sen g, seno + cotg 2, cos w, + termini in e'È, fi)
Quindi la (31) colla stessa approssimazione può scriversi :
Ao'.cos'p,. seno, tang ®
ee—_— e -f*.seno —— | .
12.sen°x,.senl tang 9,
— od anche con uguale approssimazione:
s° sen 2 9, sen tang® |
32)... = {e —f°senw
do) 24.a°sen1 ‘tango, |
Posto e'=0,0064, f?=0,0005 (quali sono pressapoco i
valori delle due eccentricità nell’ellissoide terrestre a tre assi di
Clarke), e considerato un arco di geodetica pel quale s=1,000,000”,
a,=9,=@,= 45°, si ha nel 2° membro della (32)
il termine in e = 0,212,
il termine in f° = — 0",029.
E in totale e= 00,183.
Per l’ellissoide di Bessel (e'=0,0067 circa) si avrebbe cogli
stessi dati e= 0,223.
Se l’arco s è di soli 100,000" di lunghezza, questi e di-
ventano :
per l’ellissoide di Clarke e=0",000212—0",000029—=0",000183
id di Bessel e — 0",000223
$ 5. — Crediamo inutile di applicare la formola (29) ad altri
esempi. La formola stessa, insieme coll’esempio del precedente
paragrafo, ci sembrano sufficienti a dimostrare come, anche per
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol, XXIII, 24%
296 P. PIZZETTI - GLI AZIMUT RECIPROCI ECC.
archi di geodetica estremamente lunghi, e, ogni qualvolta il Geoide_
si supponga poco diverso da una sfera, la quantità e possa sempre”
considerarsi come trascurabile, almeno di fronte agli errori pro-
venienti dall’osservazione e che affettano gli azimut. calcolati
geodeticamente. Ne segue che « date le coordinate astronomiche
degli estremi di un arco di geodetica, la differenza fra gli azimut
reciproci estremi di un arco può considerarsi come una quantità
nota indipendentemente da qualunque ipotesi sulla forma e sulle
dimensioni, della superficie fisica terrestre, purchè soltanto si
ammetta che gli scostamenti fra questa superficie e una sfera
siano dello stesso ordine di quelli che l’ellissoide Besseliano pre-
senta rispetto alla sfera ». Questa quantità nota altro non è che
il limite sferico della detta differenza d’azimut. Se si chiamano
©,, 9, le latitudini astronomiche agli estremi dell'arco di geo-
detica che si considera, A la differenza di longitudine fra gli
estremi stessi e @, , gli azimut reciproci dell’arco stesso, si ha
dunque, a meno di quantità in ogni caso trascurabili :
O4+ 9.
sen
cotan pù PR LE Ò tan De
vas Sar 7 dp PER Ri i BI
cos "a
Il teorema ora enunciato può riescire molto utile nella com-
pensazione di una triangolazione geodetica, agli estremi della
quale si siano determinate astronomicamente le latitudini e le
differenze di longitudine. Infatti per una tale compensazione il
nostro teorema fornisce un’equazione di condizione indipendente
da qualsiasi ipotesi sulla forma e sulle dimensioni del Geoide.
Ma sopra quest’argomento che ci trarrebbe affatto fuori dell’ordine
di idee svolto in questa Nota, intendiamo occuparci in unsaltro
nostro lavoro.
Genova, aprile 1888.
e rr
297
Sugli eteri mitrobenziletilici (*)
del Dott. GIiorGio ERRERA.
Etere paranitrobenziletilico.
NO, (4)
&H< cH..0.C,H, (1).
Il metodo generale di preparazione degli eteri benziletilici
sostituiti, l’azione cioè della potassa alcoolica sui derivati cor-
rispondenti del cloruro di benzile, non si può applicare all’etere
paranitrobenziletilico. È noto infatti come la potassa alcoolica tra-
sformi il cloruro di paranitrobenzile in paradinitrostilbene.
Per ottenere l'etere sopra accennato si deve riscaldare per
parecchi giorni a bagno d’acqua salata in un pallone chiuso alla
lampada, il cloruro di paranitrobenzile insieme ad un grande
eccesso d'alcool ordinario; non si può operare a temperatura più
elevata perchè la sostanza allora si carbonizza.
Siccome, anche rinnovando l’alcool, e prolungando di molto
il riscaldamento, la reazione è difficilmente completa, e siccome
d’altronde l’etere paranitrobenziletilico non si può distillare e si
purifica male per cristallizzazione in causa del punto di fusione
molto basso, per liberare il prodotto dal cloruro di nitrobenzile
inalterato si può, dopo aver scacciato a bagno maria il cloruro di
etile formatosi, aggiungere al liquido ancora caldo, qualche goccia
di potassa alcoolica. Il cloruro di nitrobenzile si trasforma im-
mediatamente in dinitrostilbene, il quale, essendo quasi insolubile
nell’alcool, si precipita per la massima parte, e volendo si può
separare per filtrazione.
(*) La presente nota fa seguito ad una Memoria pubblicata l’anno scorso
negli Atti di questa Accademia (vol. XXIl) Intorno all'azione del calore e
dell'acido nitrico sugli eteri.
298 GIORGIO ERRERA
Del resto si può senz'altro aggiungere un po’d’acido clori-
drico per neutralizzare la potassa, e sottoporre tutto a distilla-
zione in una corrente di vapor d’acqua; il dinitrostilbene rimane
nel pallone, e non passa che l’etere paranitrobenziletilico il quale,
se la temperatura è sufficientemente bassa, cristallizza già lungo
il refrigerante. Nell’aggiungere la, potassa alcoolica è necessario
andar cauti, poichè, se questa è concentrata e in eccesso con-
siderevole, può decomporre anche l’etere.
L’etere paranitrobenziletilico è una sostanza solida, fusibile da
24° a 24°,5 di color giallo chiaro, insolubile nell’acqua, solu-
bilissima nell’alcool e nell’etere, poco solubile negli eteri di pe-
trolio (punto di ebollizione 35°— 50°) specialmente a freddo; una
soluzione nell’etere di petrolio satura a temperatura ordinaria
lascia depositare per raffreddamento a qualche grado sotto lo
zero, cristalli aghiformi. Per fusione si ottengono cristalli pri-
smatici che molto probabilmente appartengono al sistema trime-
trico. All’analisi si ebbero i risultati seguenti :
Da grammi 0,4500 di sostanza si ottennero grammi 0,2574
d’acqua e grammi 0,9838 di anidride carbonica.
Da grammi 0,2414 risultarono 16 cme. di azoto alla tempe-
ratura di 13° e alla pressione di 735,5 mm. ridotta a zero.
E in cento parti:
trovato calcolato per C, H,; NO,
C 59,62 59,67
H 6,35 6,08
N 7,62 7,73
O 26,41 26,52
100,00 100,00
Sottoposto a distillazione l’etere paranitrobenziletilico si decom-
pone parzialmente mentre una parte passa inalterata. Coll’acido
nitrico fumante si comporta come gli altri eteri analoghi, si
decompone cioè dando aldeide paranitrobenzoica.
SUGLI ETERI NITROBENZILETILICI 299
Etere metanitrobenziletilico,
NO, (8)
Ca < CH,.0 C,H, (1).
Mentre il cloruro di paranitrobenzile trattato con potassa
alcoolica dà paradinitrostilbene, il cloruro di metanitrobenzile dà
nelle medesime condizioni l’etere metanitrobenziletilico. Perciò ad
una soluzione alcoolica diluita di cloruro di metanitrobenzile
(ottenuto dall'alcool con pentacloruro di fosforo) si aggiunge un
leggiero eccesso di potassa alcoolica e si riscalda a bagno maria.
La reazione avviene tosto completamente e si separa cloruro potas-
sico ; senza neppur scacciare l’alcool per non lasciare troppo tempo
l’etere formatosi sotto l’azione .della potassa alcoolica, si allunga
con acqua, si acidifica leggermente e si distilla con vapor d'acqua.
L’etere metanitrobenziletilico passa sotto forma di un liquido
insolubile nell’acqua, solubilissimo nell’alcool e nell’etere, di color
giallo quando è di fresco preparato, ma che volge al bruno
coll’andar del tempo. In un miscuglio di neve ed acido clori-
drico solidifica in una massa cristallina, ma ridiventa liquido
appena estratto dal miscuglio frigorifero. L'analisi diede i risul-
tati seguenti :
Da grammi 0,4410 di sostanza si ebbero grammi 0,2472
d’acqua e grammi 0,9602 d’anidride carbonica.
Da grammi 0,3218 di sostanza risultarono 21,5 cme. d’a-
zoto alla temperatura di 15° e alla pressione di 730,7 mm.
ridotta a zero.
E per cento
trovato calcolato per C, H,j NO,
C 59,38 59,67
H 6,23 6,08
N 7,56 iaia
O 26,83 26,52
100,00 100,00
Coll’acido nitrico si decompone anch’ esso e dà aldeide me-
tanitrobenzoica.
300 GIORGIO ERRERA
Etere ortonitrobenziletilico.
NO, @)
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ì V1) YISOVMISTA .
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1) ADUNANZA del 6 Maggio 1888. a ds ;
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STE iaia DR RI RE BR a IF he sui fi
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dI ci. ui * Taonia diminuta Run.
ATTI
DEILA
R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE
DE TORINO
PUBBLICATI
DAGLI ACCADEMICI (SEGRETARI DELLE DUE CLASSI
Vor. XXIII, Disp. 13* € 14', 1887-88
2 ——__——
Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali
TORINO
ERMANNO LOESOHER
Libraio della R. Accademia delle Scienze
325
CLASSE
DI
SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza del 27 Maggio 1888.
PRESIDENZA DEL PROF. MICHELE LESSONA
SOCIO ANZIANO
Sono presenti i Soci: Bruno, Basso, Bizzozero, FERRARIS,
NAccARI, SPEZIA, GIBELLI, GIACOMINI.
Si legge l'atto verbale dell’ adunanza precedente che viene
approvato.
Il Presidente dà il doloroso annunzio della morte del Pro-
fessore Ascanio SoBRERO, il quale era Socio dell’Accademia fino
dall'anno 1844, e dal 1863 copriva l’ufficio di Segretario della
Classe. Commemora con parole di vivo rimpianto le virtù civili .
e l'alta benemerenza scientifica dell’illustre collega perduto; ed
in segno di lutto, annuente la Classe, scioglie l’adunanza.
Adunanza del 17 Giugno 1888.
PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ARIODANTE FABRETTI
VICEPRESIDENTE
Sono presenti i Soci: Cossa, LEssona, SALvapoRI, BRUNO,
BERRUTI, Basso, D’Ovipio, Bizzozero, FERRARIS, NACCARI, Mosso,
SPEZIA, GIBELLI, GIACOMINI.
Vien letto l’atto verbale dell'adunanza precedente che è
approvato.
Tra le pubblicazioni mandate in omaggio all'Accademia ven-
gono segnalate le seguenti :
« Ficerche intorno alla anatomia ed istologia dei Gordî »,
del Dott. Lorenzo CaMERANO; presentate dal Socio LESSONA.
« Contribution à la Meteorologie eleéctrique », del profes-
sore Giovanni LuvinIi, presentata dal Socio Basso;
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII
(AN)
=
326
« Bollettino dei Musei di Zoologia e di Anatomia com-
parata dell’Università di Torino »; vol. III, dal n. 40 al
n. 46. Esso contiene lavori biologici dei signori L. CAMERANO,
D. Rosa, C. PoLLonERA e M. G. PERACCA.
Le letture e le comunicazioni si succedono nell’ordine seguente:
« Sugli uccelli raccolti nell’Asia orientale e sulle coste
della Cina durante il viaggio della Vettor Pisani negli anni
1879, 1880 e 1881, essendo comandante della nave S. A. R.
il principe Tommaso duca di Genova Studio del Socio SAL-
vaDORI in collaborazione col Prof. E. GiGLioLI. » La Classe,
con votazione unanime, approva la pubblicazione di questo lavoro
nei volumi delle Memorie accademiche.
« Sugli ofidii italiani (parte 1°, Viperidi); Monografia del
Dott. L. CAMmERANO. » Questo lavoro essendo destinato, quando
la Classe lo approvi, ai volumi delle Memorie, viene affidato ad
una Commissione incaricata di esaminarlo e riferirne in una
prossima adunanza.
« Sopra alcuni movimenti igroscopici nelle Epatiche Mar-
chantee; Ricerche del Dott. Oreste MatmtIROLO, presentate dal
Socio GIBELLI;
« Illustrazione di due Agaricini italiani »; Studio del
Dott. P. VocLino, presentato dal Socio BIZzozERO;
« Sugli elementi nervosi dei muscoli di chiusura dei bi-
valvi »; Ricerche dello Studente Riccardo GALEAZZI, eseguite
nel laboratorio di patologia dell'Ospedale Umberto I di Torino,
diretto dal Dott. A. LustIia, presentate dal Socio BizzozERo;
« Derivati degli alcoli parabromo e paraclorobenzilico »;
Studio del Dott. Giorgio ERRERA, Assistente di chimica nella
R. Università di Torino, presentato dal Socio Cossa,
« Una nuova forma di cannocchiale »; Nota del profes-
sore Nicodemo JADANZA, presentata dal Socio NACCARI;
« Influenza della tempera sulle proprietà termoelettriche del
bismuto » ; Ricerche del Dott. G. P. GrimaLpI, libero docente di
Fisica nella R. Università di Palermo ; presentate dal Socio NACCARI.
« Sulle variazioni del calore specifico del mercurio al
crescere della temperatura »; Nota del Socio NACCARI.
In quest’adunanza il Socio Comm. Alfonso Cossa è rieletto
per un altro triennio a Direttore della Classe.
nn e ee —_ -
327
LETTURE
Sopra alcuni movimenti igroscopici nelle Epatiche Marchantieae,
Ricerche del Dott. 0. MATTIROLO
Le osservazioni esposte in questa nota, e che verranno poi
sviluppate in un lavoro speciale illustrato da disegni, hanno ri-
guardo allo studio di un fenomeno singolare, che si riscontra in
alcuni generi di Epatiche Marchantieae. Il fenomeno in discorso
è intimamente legato alle proprietà igroscopiche inerenti ai tes-
suti vegetativi di queste Bryophytae; per cui esse chiudono colla
secchezza e riaprono colla umidità dell’ atmosfera il loro tallo,
sospendendo in relazione a questi movimenti le funzioni fisiolo-
giche anche per periodi assai lunghi.
Le osservazioni vennero fatte sopra numerosi esemplari di
Grimaldia dichotoma Raddi, provenienti dal Monte di S. Maffeo
(Rodero — Provincia di Como), estese quindi e controllate sopra
materiali viventi ed essiccati dei generi compresi da Gottsche, Lin-
denberg e Neess nella loro classica Synopsis Hepaticarum fra
le Marchantieae.
Il tallo della Grimaldia dichotoma Raddi non presenta dal
punto di vista anatomico notevoli particolarità di struttura.
La Grimaldia, come tutte le Marchantieae in genere, così uni-
formi nel complesso dei loro caratteri vegetativi, è dotata di un
tallo sdraiato orizzontalmente sul terreno, protetto da scaglie di
color violaceo scuro nella parte ventrale, la quale pure è prov-
vista delle due sorta di rizoidi; fornito invece nello spessore dei
tessuti della parte dorsale di cavità aerifere comunicanti coll’aria
ambiente per numerosi stomi semplici, che attraversano l’epider-
mide superiore.
Nello stato normale di vegetazione, quando l’ambiente è suf-
ficientemente umido, il tallo rimane sdraiato sul suolo, a cui è
legato dai rizoidi, e le scaglie brune sono rivolte verso il ter-
reno. Nello stato di secchezza atmosferica invece le parti laterali
328 O. MATTIROLO
del tallo si elevano e si ripiegano, i margini liberi di esso ven-
gono a toccarsi ed a coprirsi in. parte verso la linea assile del
tallo, e allora le scaglie vengono a coprire e valgono a proteg-
gere tutta quanta la superficie esterna del tallo.
Nello stato normale di vegetazione la superficie epidermoidale
munita di stomi e tutto il sistema assimilatore si trovano di-
rettamente esposti all’azione della luce, e le funzioni quindi si
compiono normalmente, come normalmente hanno luogo i movi-
menti dei granuli clorofillini, gli scambi dei gaz, la formazione di
elementi nuovi. .... i fenomeni tutti infine di ricambio mate-
riale proprii al vegetale vivente.
Nella posizione di secchezza invece i sistemi assimilatori e la
parete epidermoidale rimangono assolutamente fuori dell’ azione
dei raggi luminosi, i quali vanno invece a cadere sulla super-
ficie bruna delle scaglie, e quindi rimangono così sospese le fun-
zioni fisiologiche normali.
Colla umidità si ha quindi normale vegetazione, formazione
di elementi nuovi, immagazzinamento di materiali nutrizii.....;
colla secchezza invece si ha relativa sospensione di vita, e con-
seguente sospensione di attività formativa e nutritiva, come lo
provano numerosi esperimenti eseguiti con materiale appositamente
conservato negli essiccatori.
La sospensione di vita finora sperimentalmente provata di
13 mesi (1), durante i quali rimasero nell’essiccatore le Grimaldie
coi talli assolutamente chiusi, sta a prova del valore dei mo-
vimenti igroscopici per la economia funzionale di questi individui,
sottoposti per le normali condizioni di loro stazione a lunghe
alternative di secchezza e di umidità.
I movimenti in discorso sono fenomeni, la cui origine devesi
naturalmente ricercare in un progressivo adattamento alle condi-
zioni dei loro abituali luoghi di stazione.
Le forme delle Marchantieae viventi nei luoghi montuosi, nei
climi tropicali, sottoposte alle alternative di secchezza e di umi-
dità, hanno i movimenti igroscopici tipici, che fanno invece asso-
lutamente difetto in quei rappresentanti di specie, che vivono e
prosperano in condizioni affatto diverse, sviluppando un tallo al-
largato fra i muschi in luoghi perennemente umidi.
(1) La continuazione di queste esperienze dirà in quali limiti di tempo sì —
conservi la sospensione vitale.
ii i
MOVIMENTI IGROSCOPICI NELLE EPATICHE MARCHANTIEAE 329
Lo stesso modo di comportarsi della Grimaldia dichotoma,
mantenuta artificialmente in atmosfera continuamente umida, dà
ampia ragione delle proposizioni sopra enunciate.
I movimenti delle Marchantieae, oltre al rendere la pianta
atta a sopportare le alternative di secco e di umido, oltre ad
impedire gli effetti di una troppo rapida perdita di acqua e fa-
vorire la durata vitale, servono ancora a fare sì che nello stato
di secchezza, a tallo rinchiuso, possano resistere alle varie in-
fluenze nocive degli agenti esterni, e specialmente possano resi-
stere ai rapidi aumenti di temperatura, come viene pure speri-
mentalmente provato.
Ho mantenuto per circa mezz'ora in un recipiente di vetro
asciutto a sua volta immerso nell’acqua bollente alcune zolle di
Grimaldia con talli essiccati già da molti mesi. Riportati poi in
camera umida e bagnati, si riapersero, ripresero a vegetare, e
pochi giorni dopo diedero origine a nuove fronde; e notisi che
la temperatura nell’interno del recipiente (nella parte assile) rag-
giunse 94° !
Di quanta utilità sia questa facoltà di resistenza ai repen-
tini sbalzi di temperatura e a temperature elevate nelle Mar-
chanticae appare evidente, se si ricercano i luoghi di stazione
proprii alle specie igrometriche appartenenti ai generi P/agio-
chasma, Reboulia, Grimaldia, Fimbriaria e Targionia che ho
potuto sperimentare, servendomi di un ricchissimo materiale do-
vuto alla cortesia di insigni botanici.
In questi generi si contano 49 specie, e di queste 9 sole
sono proprie all'Europa centrale, 5 sono caratteristiche del Sud-
Europa — 35 invece abitano i paesi caldi (Africa 7 — Ame-
rica 16 — Asia 10 — Australia 2). Fra le 16 specie Americane
13 appartengono all'America del Sud, e specialmente vivono nel
Chili, nel Perù, nel Messico, regioni caratterizzate da lunghi pe-
riodi di siccità e dalle massime temperature.
Quanto poi alle intime cause, che motivano questa sospen-
sione temporanea dei processi vitali, poco oggi di assoluto si può
dire al riguardo. La vera causa deve ricercarsi nelle proprietà
inerenti al Plasma, come ho potuto sperimentalmente dimostrare.
La sede e la causa meccanica del movimento, il quale si ri-
scontra anche negli individui assolutamente morti e conservati
alcuni sino dal 1795!, dobbiamo invece ricercarla colla guida
delle osservazioni anatomiche, che abbiamo estese a tutti i ge-
3830 O. MATTIROLO
neri compresi fra le Marchantieae, dopo di averle intimamente
studiate nella Grimaldia dichotoma Raddi, sola specie di cui
avevamo a disposizione numerosi talli viventi.
Nel tallo della Grimaldia possiamo distinguere tre strati prin-
cipali, che indicheremo coi nomi di :
Strato epidermoidale
» assimilatore
» meccanico.
1° Lo strato epidermoidale è formato da un solo strato
di cellule ricoperto da un tenue velo cuticulare. Gli elementi
epidermoidali hanno figura poliedrica e presentano agli angoli
inspessimenti particolari, che danno al tessuto dell’ epidermide
l'apparenza come di un collenchima, e che concedono loro il doppio
vantaggio di possedere così una grande rigidità degli spigoli, con-
giunta ad una grande capacità di pieghettatura, essendo normali
e non inspessite le pareti superiori ed inferiori. Nelle cellule
epidermoidali sono riconoscibili un nucleo, granulazioni di plasma,
corpi clorofillini, granuli di amido, e non infrequenti i corpi oleosi
caratteristici delle Epatiche.
Le reazioni chimiche dimostrano, che tanto la membrana
quanto gli inspessimenti sono nelle cellule epidermiche formate
da cellulosa mucificabile.
2° Lo strato assimilatore è compreso fra l’epidermide da
cui nettamente si distingue e lo strato meccanico, col quale in-
sensibilmente si continua. Mancano in questo strato le camere
d’aria libere, proprie ad altri generi vicini. Il tessuto assimilatore
appare invece come irregolarmente attraversato da un sistema di
concamerazioni di varia ampiezza; perocchè dalle pareti stesse
delle camere, ancora riconoscibili nei primi stadii di sviluppo; si
originano delle serie lineari di cellule, che le dividono senza regola
in numerosissimi scompartimenti incompleti. Le membrane delle
colonne assimilatrici sono formate da cellulosa mucificabile come
quelle degli elementi epidermoidali.
8° Lo strato meccanico è caratterizzato dalla forma dei
suoi elementi leggermente poliedrici, strettamente uniti fra di loro
e quindi privi di meati intercellulari. Nuclei, plasma, granuli
clorofillini poco numerosi, granuli di amido e corpi oleosi sì in-
contrano normalmente nel lume cellulare. Va notata una diffe-
renza essenziale fra gli elementi esterni o corticali e gli elementi
—rrr
MOVIMENTI IGROSCOPICI NELLE EPATICHE MARCHANTIEAE 331
interni o meccanici propriamente detti. Mentre i primi, dai quali
hanno origine le scaglie brune, sono fortemente cuticularizzati,
quindi poco o nulla fisicamente e chimicamente modificabili, gli
altri si mostrano invece formati da materiale cellulosico, squi-
sitamente mucificabile. In questi elementi non sono infrequenti
colonie parassite di MNostochineae.
Conosciuta così per sommi capi la struttura anatomica del
tallo della Grimaldia vegetante, importa studiare la sede ed il
meccanismo del movimento.
A questo scopo, operando appropriate eliminazioni degli ele-
menti costitutivi del tallo in esemplari che venivano quindi tra-
sportati in un essiccatore, trovai che la sede del movimento del
tallo nella Grimaldia risiedeva negli elementi dello strato mec-
canico ; il quale, anche se libero dagli altri strati, operava sempre
il tipico movimento di chiusura.
La causa del movimento non è legata ad alcuna delle pro-
prietà vitali dell’individuo. Essenzialmente, le differenze di tur-
gescenza attiva, le quali sono funzioni dei tessuti vivi, non en-
trano a spiegare la ragione di questo movimento, che si
manifesta tanto negli individui viveuti quanto in quelli morti ed
essiccati.
Il fenomeno dipende esclusivamente dalla proprietà delle mem-
brane cellulari mucificabili, capaci cioè di rigonfiarsi esagerata-
mente in contatto dell’acqua, come lo mettono fuori dubbio le
seguenti osservazioni :
Il movimento ha luogo indifferentemente alla luce come al-
l'oscurità;
Il movimento ha luogo in presenza dei liquidi acquosi che
sì adoperano più comunemente per arrestare le funzioni vitali.
(Alcohol acquoso — Soluzioni iodiche — Soluzioni dilungate di su-
blimato corrosivo).
Lo studio interessantissimo delle modificazioni che subiscono
gli elementi, quando dallo stato di secchezza passano a quello
di umidità ; i calcoli, e le percentuali di allungamento, le cu-
riose disposizioni, le variazioni di volume, ecc. ecc. che con me-
todi adatti si possono sorprendere e studiare e che verranno
discusse e registrate, concorrono a dimostrare, che la ragione mec-
canica del movimento dipende assolutamente dalle proprietà del
tessuto meccanico accertate da molteplici reazioni chimiche.
Il movimento del tessuto meccanico composto di due strati
392 0. MATTIROLO
di cui l’uno, l’interno, di gran lunga più sviluppato e più rigon-
fiabile dell'altro, esterno, poco o punto mucificabile, si può sino
ad un certo punto paragonare a ciò che avviene, considerando
due lamine metalliche saldate per una loro superficie comune,
fatte di sostanze diverse, e curvate in modo da rassomigliare
nel loro contorno a quello della sezione del nostro tallo allo
stato secco.
Supponiamo che queste due lamine abbiano uno spessore ini-
ziale abbastanza piccolo relativamente alla loro lunghezza e sia
la lamina interna molto più dilatabile della lamina esterna.
Nel riscaldare il sistema (1), le lamine dilatandosi, e quella
interna più dell’altra, invariabilmente unite come sono, si disten-
deranno, si apriranno e prenderanno a poco a poco la forma
allargata di coppa.
Il tradurre tale legge in linguaggio assolutamente preciso,
quale sarebbe il matematico, esigerebbe la conoscenza più com-
pleta di quello che non si possa avere delle forze collegate alle
modificazioni di forma, che entrano in funzione nell’atto in cui
si svolge il fenomeno, e delle quali si dovrebbe tener conto per
riuscire ad una spiegazione matematica soddisfacente.
CONCLUSIONE.
Dalle osservazioni sommariamente ora esposte risulta adunque
che nelle Epatiche Marchantieae e più precisamente nei generi:
Plagiochasma L. e Ldbg.
Reboulia N. ab. KE.
Grimaldia Raddi
Fimbriaria N. ab. E.
Targionia Micheli
si notano nel loro tallo movimenti dipendenti assolutamente dalle
proprietà igroscopiche dei tessuti, che lo compongono. La causa
del movimento (analogamente a quanto si osserva in alcuni mo-
vimenti delle Muscineae, delle Graminaceae delle Compositae, Ge-
raniaceae, ecc. ecc.) si riferisce essenzialmente alle proprietà igro-
(1) Perocchè il riscaldamento si può lontanamente paragonare nel caso at-
tuale all’operazione di bagnare.
Beez
MOVIMENTI IGROSCOPICI NELLE EPATICHE MARCHANTIEAE 3383
scopiche di quegli elementi, che rappresentano il tessuto cosidetto
meccanico dei vegetali superiori.
Il tallo in relazione alla secchezza dell'atmosfera si ripiega
rialzando i bordi liberi, ricoperti alla superficie ventrale da scaglie
brune, verso la linea assile, in modo che i margini liberi si riu-
niscono e si ricoprono, sottraendo così completamente il tessuto
assimilatore all’influenza dei raggi luminosi, e mantenendo l’in-
dividuo in uno stato di sospensione funzionale, che può durare
periodi assai lunghi.
In questa posizione il tallo acquista nuove proprietà e si
rivela atto a sopportare variazioni notevoli e repentine di tem-
peratura senza risentirne danno, continuando poi a vegetare ap-
pena si ritrovi in condizioni convenienti di umidità. Il fenomeno
dei movimenti igroscopici nelle Marchantieae è motivato da un
progressivo adattamento alle condizioni naturali di stazione in
cui si svolge la vita dell’individuo.
Torino, R. Orto Botanico, 1888.
Illustrazione di due Agaricini italiani ;
Studio del Dott. P. VoGLino
Quantunque già molto si sia scritto intorno alla sistematica
degli Imenomiceti, tuttavia da nuove ricerche in diverse località
italiane ebbi a convincermi come molto resti ancora da fare. In-
fatti conviene prima di tutto stabilire, quali e quante sieno le
specie da noi possedute; poi quali sieno i loro caratteri esteriori,
imperfetta sembrandomi la descrizione stata fatta finora di ta-
lune di esse; per assorgere da ultimo alle ricerche intorno
alla biologia dei medesimi, campo vastissimo ed appena ancora
tentato.
Ma per raggiungere il primo scopo mi sarebbe indispensabile
l’aiuto degli intelligenti di tutte le parti d’Italia (naturalisti ,
medici, agricoltori), i quali mi comunicassero quegli esemplari e
quei fatti, che loro potessero parere più utili all’uopo.
334 P. VOGLINO
Per intanto presento al giudizio dei micologi una specie af-
fatto nuova d’Agaricino, e ne esamino una seconda non stata fino
ad oggi trovata in Italia.
Ai chiarissimi micologi Prof. M. C. Cooke ed Ab. G. Bre-
sadola, ai quali comunicai la specie nuova qui descritta, e che me
ne agevolarono lo studio, al Prof. G. Gibelli, che mi fu prodigo
di consigli, rendo qui pubbliche grazie per l’appoggio concessomi.
PSILOCYBE FrIESs
Systema micologicum, I, p. 289, Hymenomycetes europaei ,
p. 297.
Velum manifestum nullum, saltem haud contextum. Stipes
subcartilagineus, rigidus vel tenax, tubulosus, tubo cavo faretove,
saepe radicans. Pileus plus minus carnosus, glaber, margine
primo incurvo. Lamellae fuscescentes vel purpurascentes.
Psilocybe ferrugineo-lateritia VoGL. sp. nov.
(Tav. I, fig. 1-2: Tav. II, fig. 1-3).
Pileus carnosulus in ipso ortu convexus, rarius campanu-
latus, demum convexo-expansus, in centro leniter umbilicatus,
ad marginem inacqualiter parumque striatulus , ferrugineo-
lateritius, glaber, aliquanto hygrophanus, 2 — 234 cm. latus.
Lamellae 3-4 mm. latae, leniter ventricosae, subconfertae,
adnato-subdecurrentes, purpureo-atrae.
Stipes cylindraceus, subcartilagineus, ad basim et ad ver-
ticem paullo incrassatus, glaber, subferrugineo-lateritius, intus
pallidior, subcavus 3,4-4,5 cm. altus, 134 mm. latus, albus
ad basim.
Caro pallida, odore farinae praedita.
Sporae fusco-purpureae, ellipticae, rarius ovato-ellipticae ;
7—-9v4, saepius 8 v 4.
Basidia clavata, 4-sterigmica, rarius 2-sterigmica, media
in parte quandoque constricta, 20-24 rarius 26 v 4 — 5.
Sterigmata acicularia 4v 0,5 in basidia 4- -STAAOORAE
4xv1-1% in basidia 2-sterigmica.
ILLUSTRAZIONE DI DUE AGARICINI ITALIANI cod
Inter plurima basidia sterigmatibus instructa nonnulla ca-
rent tisdem.
Cystidia phialaeformia, collo elongato, ad basim attenuata,
84 — 36 v 9, 21 in collo.
Basidia et cystidia nascuntur ex stratu subhymeniali, con-
stanti ex brevibus hyphis celluliformiis, irregulariter bullosis in
corcuitu, quaeque interius paullatim fiunt cylindrico-oblonga.
Ad terram muscosam in pinetis prope « S. Giuseppe » (Mas-
sae), mense martii, leg. P. Pellegrini rei botanicae cultor.
DESCRIZIONE.
La Psilocybe ferrugineo-lateritia è un Agaricino, che varia
in lunghezza dai 3 e mezzo ai 4 cm. e mezzo. Il cappello si
presenta lungo da 2 a 2 cm. e mezzo e costituito di una so-
stanza carnosetta, pochissimo sviluppata verso il margine, tantochè
allo stato umido il fungo vi appare leggermente striato: ha una
forma di solito convessa, un po’ incavata nel mezzo allo stato
adulto: non notai che pochissimi esemplari, i quali allo stato
giovanile comparissero a cappello leggermente campanulato ; l’epi-
dermide esterna ha colore mattone-ferruginoso quando il fungo
si raccoglie in tempo secco, bruniccio se in tempo umido; è quindi
leggermente igrofano.
Nella parte inferiore del cappello si trovano le lamelle abba-
stanza numerose di un color porporino-scuro, alcune volte porporino
ferruginoso, non perfettamente lineari, un po’ ventricose, aderenti
allo stipite ed anche leggermente decorrenti, con uno sviluppo in
altezza non superiore ai 8 o 4 mm.
Lo stipite è cilindrico, alquanto cartilaginoso, non perfetta-
mente eguale ma nel maggior numero dei casi ingrossato verso
l’apice e la base; quasi sempre eretto, raramente un po’ sinuoso,
esternamente di un color bianco-mattone non continuo ma a tratti
più chiari, bianchiccio alla base; internamente si presenta fisto-
loso o cavo e colorito in ocraceo-pallido, raramente in bianco -
ocraceo, e raggiunge una lunghezza che varia dai 3 ai 4 cm. e
mezzo ed una larghezza di 1 mm. e mezzo o 2. Le spore hanno
una forma elittica, alcune volte ovale-elittica, un color porpo-
rino, misurano una lunghezza che varia dai 7 ai 91 comunemente
8p. ed una larghezza di 4p.
336 P. VOGLINO
I basidi sono clavati un po’ ristretti nel mezzo e se ne in-
contrano di 3 sorta, a 4, a 2 e senza sterigmi; quelli a 4
solamente portano le spore, quindi si potrebbero chiamare fer-
tili. Sugli altri a 2, per quante sezioni abbia fatto, non potei
mai vedere attaccata alcuna spora, sono quindi sterili; quelli
senza sterigmi non sono altro che basidi a 2 o 4 sterigmi in via
di formazione (*); i fertili hanno gli sterigmi più lunghi degli
sterili ma però molto meno larghi.
I cistidi si trovano abbastanza frequenti lungo tutto il de-
corso delle lamelle, e si presentano a forma di fiala, colla por-
zione superiore cilindrico- allungata, coll’inferiore acuta, e sono
lunghi dai 34 ai 86 p. e larghi 9p nella parte ingrossata, 2 p. nella
parte ristretta.
Lo strato sotto-imeniale è formato nella parte mediana delle
lamelle da ife cilindriche, un po’ sinuose, che s'intrecciano in di-
versi modi, larghe 12-14p: verso il margine queste ife si fanno
brevi, celluliformi, a contorno irregolare, bolloso, e da queste na-
scono i basidi ed i cistidi.
La Psilocybe ferrugineo-lateritia presenta delle affinità colla
Psilocybe physaloides di Bulliard ; ma però ne è diversa, in quanto
non ha mai il cappello viscido, in via eccezionale campanulato,
lo stipite non fibrilloso e le lamelle non ferruginee, ma bensì
porporine. Il complesso poi si presenta ben differente dalla de-
scrizione e dalla figura data dal Bulliard (Champ. de la France,
t. 336, f. 1), ed anche da quella del Cooke (IWustrations of
british fungi, t. 609) della P. physaloides.
Colla Psilocybe foemiseciù di Persoon si potrebbe pure dire
che ha qualche carattere affine; ma anche da questa si distingue
chiaramente e per il colore specialmente del cappello, per la
forma ed inserzione delle lamelle, e per la grandezza e forma
delle spore che nella specie di Persoon sono granuloso-asperulate
e misurano 12-17 v 6-8 (test. Bresadola in litt.).
Un'altra specie colla quale la P. ferrugineo-lateritia potrebbe
avere qualche parentela, sarebbe la P. sericaca pure di Persoon,
(*#) Il Dott. J. StHEINHaUS nel suo Analytische Agaricineen-Studien sì me-
raviglia come io non abbia mai ricordato tali organi, ai quali egli dà il
nome di parafisi; ma non essendo essi che basidi in via di formazione, come
ebbi occasione di convincermi in diversi casi, è a mio avviso perfettamente
inutile il tener conto.
ILLUSTRAZIONE DI DUE AGARICINI ITALIANI 337
dalla quale però si deve senz'altro distinguere in quanto allo svi-
luppo complessivo.
Non potendola quindi riferire ad alcune delle forme finora
descritte ho creduto di proporla come una nuova specie.
Mi spinse a far ciò soprattutto una comunicazione del chia-
rissimo Prof. M. C. Cooke, il quale appunto ebbe a scrivermi,
che Berkeley gli disse spesso esservi due specie, le quali hanno
preso il nome di Agaricus physaloides Bull., che la vera specie
era quella figurata dal Cooke (IWustr. brit. fungi, t. 609) e
l’altra quindi potrebbe essere molto probabilmente, anche se-
condo lo stesso Cooke, la P. ferrugineo-lateritia.
Questa specie fu riscontrata abbastanza comunemente nelle
pinete presso S. Giuseppe lungo la marina di Massa (Carrara)
dallo studiosissimo sig. P. Pellegrini, il quale mi ha già comu-
nicate un buon numero di specie anche abbastanza rare.
Eccilia griseo-rubella LaAscH.
(Tav. I, fig. 13-18 — Tav. IV, fig. 4-5).
Pileus membranaceus, convexus, profunde umbilicatus, hy-
grophanus, ferruginco-umbrinus, siccus pallidus, lucidus, 2-5
em. latus, 2-3 mm. altus .
Lamellae subdistantes, lincares, subdecurrentes, pallido-car-
neae, 4-5 mm. altae.
Stipes cylindricus, interdum in senectute compressus, paulum
fistulosus, pileo concolor vel pallidior, glaber, 4-6 cm. longus,
3-5 mm.crassus atque etiam 2 cm. }, longus, 1/, mm. latus.
Caro pallida, odore farinae recentis praedita.
Sporae globoso—-irregulares, 4-5 rar. 6-angulatae, 1-gut-
tulatae, roseolae, 8-9 v 6-8.
Basidia clavata, 4 rar. 2 sterigmica, 29-32 v 6-8, nonnulla
sterigmatibus carent.
Stratus subhymenialis constans, media in parte lamellarum,
hyphis cylindricis, quae in marginibus carumdem perstringuntur,
passimque tumescunt, atque hinc emittunt verticaliter basidia.
Ex terra in populetis aestuariis fluminis Tanari ad Albam
et Polentium, mense aprilis et maii 1888, frequentissima.
338 P. VOGLINO
DESCRIZIONE.
L’Eccilia grisco-rubella di Lasch si presenta con un cap-
pello convesso, profondamente ombilicato, a margine leggermente
ripiegato, di un color ferrugineo-grigio allo stato umido, ferru-
gineo-chiaro e lucido allo stato secco, raggiunge una larghezza
di 5, raramente 6 cm., mentre si trovano anche abbastanza fre-
quenti degli esemplari in cui il cappello non è mai più largo
di 2 centim.
Le lamelle sono quasi lineari, leggermente decorrenti, arcuate,
di un bel color carnicino-roseo ed alte in media 40 5 mm.
Lo stipite, cilindrico dapprincipio e perfettamente eguale, negli
esemplari molto sviluppati si presenta alcune volte compresso e
scanalato nel mezzo: esternamente è dello stesso colore del cap-
pello, alcune volte un po’ più pallido, bianchiccio alla base; inter-
namente fistoloso-cavo, bianchiccio ; è sempre glabro, raggiunge in
certi esemplari una lunghezza di 4 o 6 cm. ed una larghezza di
4 a 5 mm, mentre in certi altri non si eleva più di 2 cm. e
mezzo con uno spessore di 1 mm. e mezzo; appena rotto emette
un odore simile a quello della farina da poco macinata.
Le spore sono tondeggianti, raramente un po’ allungate, con
4 a 6 angoli, carnicino-rosee ed hanno costantemente nell’interno
una gocciolina oleosa, jalina; misurano da 8 a 91 in lunghezza,
e da 7 ad 8w in larghezza.
I basidi sono clavati, terminati superiormente in 4 rar. in 2
sterigmi, variano in lunghezza dai 29 ai 32, ed in larghezza
dai 6 agli 8L: gli sterigmi, quasi acicolari, leggermente ingros-
sati alla base, terminano in punta acuta e si prolungano 4 o 6/2
nei basidi a 4 sterigmi, in quelli a 2 misurano una lunghezza
di 21. e non terminano in punta acuta. Tra questi basidî già
completamente sviluppati se ne trovano abbondantemente in via
di sviluppo.
Lo strato sotto-imeniale è formato nella parte mediana delle
lamelle da ife cilindriche, allungate, jaline, larghe 10 o 15p:
verso i due margini queste ife si raccorciano, si restringono in
modo da non misurare che una larghezza di 3 o 5, si rigon-
fiano qua e là e da questi rigonfiamenti nascono i hasidi.
Trovai i primi esemplari in un boschetto di pioppi lungo la
riva sinistra del Tanaro ai 28 di aprile; dopo 4 giorni si mo-
Tav. MI
Torino-Lit.Salussolia
i Tisana li
papa» ©
ILLUSTRAZIONE DI DUE AGARICINI ITALIANI 339
strava in.abbastanza grande quantità lungo le due rive del Ta-
naro: ai 6 e 7 di maggio la riscontravo comunissima nei piop-
peti lungo le due rive del Tanaro presso Alba, presso Pollenzo
e nei boschetti lungo le rive di quasi tutti i torrenti circostanti
ad Alba. Si mantenne nel suo pieno sviluppo per 4 o 5 giorni
tantochè ai 12 incominciò di nuovo a rendersi meno frequente,
dai 15 ai 17 non ne trovavo più che rarissimi esemplari, che
scomparvero del tutto verso il 22 dello stesso mese.
Mi si dirà che di questa specie esistono già alcune figure,
ma in nessuna di esse trovai bene rappresentati i molti esem-
plari che potei raccogliere ed è perciò che credei utile, in seguito
anche all’averla riscontrata comunissima in Italia, di riportare
qui una descrizione ed una figura quanto più potei completa.
Dal Laboratorio del R. Orto Botanico,
Torino, giugno 1888.
SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE.
TavoLra I.
Psilocybe ferrugineo-lateritia Voc.
Fig. 1-10. Aspetto generale della specie. Grandezza naturale.
» 11 Sezione longitudinale. Grandezza naturale.
» 12 Spore. Ingr. circa 400 diam.
Eccilia grisco-rubella LASCH.
» 13-16. Aspetto generale della specie. Grandezza naturale.
BI 47 Sezione longitudinale. Grandezza naturale.
» 18 Spore. Ingr. circa 400 diam.
TavoLa II.
Psilocybe ferrugineo-lateritia VoaL.
Fig. 1. Aspetto generale dell’imenio. Ingr. circa 400 diametri.
> 2 Basidi. » » »
» 8 Cistidi. » » »
Eccilia griseo-rubella LaAsca.
» 4. Aspetto generale dell’imenio. Ingr. circa 400 diametri,
» 5. Basidi. » » »
340 RICCARDO GALEAZZI
Sugli elementi nervosi dei muscoli di chiusura dei bivalvi,
Ricerche dello Studente RiccarRDo GALEAZZI. -
Gli elementi nervosi e le rispettive terminazioni nelle fibre
muscolari furono oggetto di ripetute indagini per l’interesse fisio-
logico che presentano.
Si conoscono, se anche non in tutti i dettagli, quelle dei
muscoli striati e lisci, come pure di quei muscoli, che nella strut-
tura morfologica rivelano il loro successivo sviluppo dalle fibre liscie
alle striate. Ci sono invece sconosciuti gli elementi nervosi dei
muscoli degli invertebrati, i quali per la loro struttura devonsi
chiamare forme muscolari di transizione, come sarebbero quelle
delle bivalvi, inquantochè non posseggono nè la struttura delle
fibre striate, nè quella delle fibro-cellule contrattili. Margo (1) che
si occupò dello studio dei muscoli di chiusura delle bivalvi, usando
di forti ingrandimenti dimostrò, che queste fibre ritenute general-
mente per liscie, presentano tuttavia una striatura trasversale.
Compito prefissomi fu l indagine degli elementi nervosi di
queste fibre muscolari, per contribuire così alla conoscenza fisio=
logica di questi elementi, la cui eccitazione nervosa si ritenne
venisse comunicata da cellula a cellula col mezzo del proto—
plasma, senza l'intervento del conduttore nervoso. Tale teoria
sostenne l’Engelmann (2) per la muscolatura liscia, appoggiandosi
alle sue ricerche istologiche sugli ureteri e sulla vescica urinaria.
Per materiale delle mie ricerche ho scelto il « mytilus edu-
lis, » e Il’ « ostrea. »
Come è noto, il Mytilus edulis (mollusco lamellibranchiato del
gruppo degli asifonidi) possiede un legamento interno e due po-
tenti muscoli, l’adduttore anteriore e l’adduttore posteriore, i quali
sono diretti trasversalmente per rapporto al corpo del mollusco e
s’attaccano per le due estremità alla faccia interna della conchiglia.
(4) Marco. — Ueber die Endigung der Nerven in der quergestreiften Mu-
skelsubstanz — 1862.
(2) Ta. W. EnGELMANN. — Archiv. f. d. gesammte Physiologie von Pflùger,
1869. II Jahrg.
LT RT A REMI LOTTI
SUGLI ELEMENTI NERVOSI 341
Le fibre di questi muscoli esaminate a fresco ci appaiono
sottili, lunghe, giallo-pallide, riunite in fasci divisi da tessuto
connettivo, ed a forti ingrandimenti ci mostrano una finissima
striatura longitudinale.
Per i miei studi usai il seguente metodo di esame:
Aperte le bivalvi, recisi colle forbici i muscoli ed il legamento,
che misi interi in un recipiente con un terzo di acido formico
e due terzi di acqua, allo scopo di rendere più molle il con-
nettivo che circonda i fasci muscolari.
Li lasciai in questa soluzione per dieci minuti, e lavatili nel-
l’acqua distillata, li tagliai in parti sottili lungo l’asse longitu-
dinale delle fibre muscolari, li immersi in una soluzione di clo-
ruro d’oro all’ 1% nella quale rimasero finchè il tessuto ebbe
acquistato un colore giallo citrino.
Di qui li passai nell’acqua distillata, cui si era aggiunto circa un
terzo di acido formico, e li tenni per la riduzione in un ambiente
scuro: dopo 24-36 ore erano divenute di color violetto cupo.
Questi muscoli così trattati e posti in seguito in una miscela
di acqua, glicerina ed acido nitrico, dopo 24-36 ore si pote-
rono isolare nella glicerina con grande facilità, permettendomi
così di procedere all’esame microscopico.
Questo metodo di ricerca è più vantaggioso che non lo studio
in sezioni del tessuto, perchè in queste non si può con certezza
vedere una reale unione tra elementi muscolari ed elementi nervosi.
Con questo trattamento le fibre muscolari si presentano quali
elementi distinti, lunghi, nel loro decorso quasi sempre di egual
diametro, di color rosso, con nuclei grandi, ovali, forniti di nu-
cleolo, i quali generalmente sono situati nel mezzo della fibra.
Alle due estremità del nucleo lungo l’asse della fibra si tro-
vano dei prolungamenti formati da sostanza protoplasmatica gra-
nulosa. Le striature si distinguono più facilmente usando lenti di
immersione.
Tra i fasci muscolari si trova un ricco tessuto connettivo,
nel quale corre un numero rilevante di fasci nervosi di varia
grossezza , colorati dal cloruro d’oro in nero intenso. Le fibre
nervose più grosse ed isolate si vedono dividersi e suddividersi,
correre tra le fibre muscolari parallele a queste, mandare rami-
ficazioni laterali e terminali in gran numero, per cui un solo
tronco nervoso provvede a parecchie fibrocellule muscolari.
Le ramificazioni laterali si staccano o perpendicolarmente, o
Atti R. Accad, - Parte Fisica — Vol. XXIII 28
842 RICCARDO GALEAZZI
più o meno obliquamente dalla branca da cui partono: esse sono
più o meno sinuose, tutte dànno origine a dette branche secon-
darie, di cui la forma, la lunghezza ed il tragitto sono assai varî,
Sottili fibre nervose che partono da differenti tronchi si ana-
stomizzano spesso le une colle altre.
Orbene, se cade sott'occhio al microscopio un fascio di fibre
muscolari, una legata all’altra, si vede distintamente come ogni
fibra abbia nel suo decorso un nervo munito di nuclei nervosi
che le corre parallelo, e come questo mandi dei sottili filamenti
in direzione del nucleo della fibrocellula; ed anzi dalle punteg-
giature nerastre che partono da qualche fibra nervosa e si diri-
gono ai prolungamenti protoplasmatici del nucleo delle fibrocel-
lule muscolari, bisogna concludere esista una unione tra nucleo
e fibra nervosa.
Nei nostri preparati ci fu possibile una sola volta (come
lo presenta la Fig. 2) nel « mytilus edulis » di scorgere delle
sottilissime terminazioni di carattere indiscutibilmente nervoso,
che si staccavano da un grosso nervo, dirigevansi direttamente
al nucleo ed erano in unione con questo. Osservai ancora come
da un nucleo all’altro della fibrocellula vi fossero dei filamenti
sottilissimi punteggiati che li univano.
Nei fasci connettivali che uniscono quelli muscolari troviamo
poi una grande quantità di cellule gangliari nervose di cui al-
cune unipolari, altre bipolari (Fig. 3, 4, 5). La loro grossezza
varia assai, come pure la loro forma; alcune si presentano fusi-
formi, altre ovoidiformi o piriformi.
Il corpo cellulare ci presenta dei contorni netti, pressochè
regolari: il protoplasma ci appare col nostro metodo di colora-
zione finamente granuloso; i granuli non sono uniformemente
distribuiti nella massa protoplasmatica, ma presentano delle zone
in cui sono più abbondanti, in modo «da formare delle isole più
scure, che risaltano dal rimanente protoplasma. In alcune di esse
è ben visibile un nucleo trasparente, per lo più di forma ovale,
talora situato al centro del corpo cellulare , talora eccentrico;
non ho potuto riscontrare l’esistenza di un nucleolo ; uno o più
vacuoli si riscontrano in ogni cellula nervosa.
I prolungamenti si staccano dalla cellula con una base ora
più larga ed ora più stretta, talora procedono mantenendo sempre
lo stesso diametro in tutto il loro decorso, tal altra van man
mano assottigliandosi fino a divenire finissimi, e ci presentano
SUGLI ELEMENTI NERVOSI 343
spesso delle biforcazioni, come lo dimostra la Fig. 3. Alcune di
queste cellule gangliari si scorgono incluse tra i fasci muscolari.
In nessuno dei miei preparati trattati col metodo d’isolamento,
dove le cellule gangliari sono per lo più isolate, mi fu possibile
osservare dove questi prolungamenti andassero a finire.
Le terminazioni nervose nei muscoli che furono oggetto del
nostro studio, anche per la presenza delle cellule gangliari, si
avvicinano di più a quelle descritte nella muscolatura liscia, che
a quelle della striata, ed appunto per questo mi fermerò breve-
mente a considerare queste terminazioni e le varie osservazioni
degli autori su questo riguardo:
Kélliker (1) che esaminò la vescica urinaria e l’esofago delle
rane, è dell’opinione che i cilindri nervosi si dividono in sotti-
lissime fibrille che alla lor volta si ramificano e terminano libere.
Il Klebs (2) ha distinto nella vescica della rana un plesso
fondamentale munito di cellule gangliari risiedente alla base di
quest'organo, un plesso intermediario formato di fibre che par-
tono dal plesso fondamentale e coprono colle loro ramificazioni
anastomotiche la vescica tutta intera, ed un plesso intramusco-
lare di cui le fibre estremamente fine, provenienti dal plesso
intermediario, sono situate tra le fibrocellule medesime; ma non
potè seguire oltre ii decorso di queste fibrille.
Egli però crede che vi sia una unione tra fibra nervosa e
fibrocellula muscolare.
Il Lòwit (3) avrebbe dimostrato che in questo stesso plesso
intramuscolare le trabecole sono alquanto più fitte ed aderenti
agli elementi muscolari in vicinanza al nucleo, e che esiste vera-
mente una unione intima tra nervo e cellula contrattile.
Frankenheuser (4), Arnold (5) si occuparono dell’argomento;
non esaminarono i muscoli freschi, ma induriti nell’ acido cro-
(1) KoLuiKER. — Ueber die letzte Endig. d. Nerven in den Muskeln des
Frosches. Wirzburger Naturwiss. Zeitschr. Bd. II. 1862.
(è) KLEBs. — Die Nerven der organischen Muskelfasern. Virchow”s Archiv.
Bd. XXXII. 1865.
(3) Lòwir. — Die nerven der glatten Muskulatur. Sitzungsbericht d. k.
Akad. d. Wissenschaften in Wien. 1875.
(4) FRANKENHEUSER. — Die Nerven der Gebàrmutter und ihre Endigung
in der glatten Muskelfasern. Iena 1867.
(5). ArNoLD. — Die Gewebe der organischen Muskeln. Handbuch der Lehre
von den Geweben herausgegeben von Stricker. Leipzig.
344 RICCARDO GALEAZZI ‘
mico, e descrissero nella vescica urinaria della rana un reticolo
nervoso intramuscolare, videro fibrille penetrare nel nucleo della
fibrocellula per uscire dalla parte opposta e ritornare nel reticolo
intramuscolare.
Krause (1) studiò il muscolo rettococcigeo dei conigli e ri-
tiene che il reticolo dell’Arnold noù sia altro che tessuto elastico.
Henocque (2) avendo studiato col metodo del cloruro d’oro
i muscoli lisci dei diversi organi in differenti animali è arrivato
alla conclusione che le terminazioni dei nervi nella sostanza con-
trattile sono libere in forma di ingrossamenti a bottone.
Da ultimo Lustig (3) esaminò la vescica urinaria del maiale,
del cavallo, della cavia e la muscolatura intestinale di diversi
animali e venne alla conclusione che esiste una unione tra fibra
muscolare e nervo e tra fibra nervosa ed appendici protoplas-
matiche. Egli toccò inoltre la questione se una fibra nervosa
provveda a più fibre muscolari, e sul rapporto quantitativo tra
fibra muscolare e terminazione nervosa.
Anche Wolf (4) esaminò le terminazioni nervose nella vescica
della rana, e dice che le fibre nervose non corrispondono per
numero a quello delle fibre muscolari; e trovò ganglii del sim-
patico che mandavano prolungamenti ai muscoli. |
Dalle nostre ricerche noi dobbiamo concludere :
1° Che i muscoli i quali per la loro struttura si chiamano forme
di passaggio, come sarebbero i muscoli di chiusura delle bivalvi,
sono estremamente ricchi di fibre nervose e cellule gangliari. Le
prime formano nel muscolo un intreccio -minutissimo, ed una fibra
nervosa provvede con le sue ramificazioni a più fibre muscolari :
le fibrille terminali nervose sono poi in unione col nucleo della
fibrocellula, oppure coi rispettivi prolungamenti protoplasmatici
nucleari.
2° Dalla quantità straordinaria di fibre nervose trovate col no-
stro metodo di ricerca tanto tra la muscolatura, che nei fasci —
(1) Krause. — Die Nervenendigung in den glatten Muskeln. Archiv, f.
Anatomie und Phisiologie. 1870.
(2) Henocque. — Du mode de distribution et de terminaison des nerfs
dans les muscles lisses. Archiv. d. Phisiolog. et Patholog. T. II. 1870.
(3) A. Lustia. — Ueber die Nervenendigung in den glatten Muskelfasern.
Sitz d. k. Akademie der Wiss. Wien. 1881.
(4) WoLr. — Die Innervation der glatten Muskulatur. Archiv. f. mikro-
scop. Anatom. XX.
Tav XI
A.L. dis. Torino-Lib. Salussolia
SUGLI ELEMENTI NERVOSI 345
di connettivo, dobbiamo venire alla conclusione che tutte le fibre
muscolari possono avere una fibra nervosa. Non posso adunque
esser d’accordo con quelli che ritengono assolutamente impossi-
bile che ogni fibra muscolare abbia un nervo, tanto più che
osservai più di una volta una fibra nervosa decorrere verso una
cellula contrattile, dare a questa ed al rispettivo nucleo alcune
fibrille, e proseguire la sua via distribuendo altre fibrille ed altre
fibrocellule.
3° Il numero considerevole di cellule gangliari nel connettivo
tra i fasci muscolari ci fa pensare a centri nervei. automatici
nel muscolo stesso, con che si potrebbe anche spiegare la potenza
considerevole di chiusura dei muscoli adduttori delle bivalvi.
SPIEGAZIONE DELLE FIGURE.
Fig. 1. Rappresenta un gruppo di fibre muscolari del muscolo
di chiusura del « mytilus edulis. » La grossa fibra.ner-
vosa a va in direzione del gruppo muscolare e corre
parallela a questo. La fibra nervosa d corre pure tra
due fibrocellule contrattili e manda in ec un ramo alle
fibre muscolari vicine. Il disegno venne eseguito usando
dell’oculare II e l’oggettivo V Seibert.
>» 2. Gruppo di fibre muscolari con un reticolo nervoso. In 4
si vede l’unione del nucleo muscolare colle fibre termi -
nali d’un sottile nervo. Disegnato usando dell’oculare II
1
e dell’ oggettivo ad immersione omogenea Di Selbert,
e dell’apparato Abbé.
» 3. 4. 5. Cellule gangliari che si trovano tra i fasci mu-
scolari. Nella fig. 3. si vede la biforcazione di uno dei
prolungamenti. Il disegno venne eseguito coll’oculare II,
1
l'oggettivo ad immersione omogenea a Seibert. Apparato
Abbeé.
346 GIORGIO ERRERA
Derivati degli alcoli parabromo e paraclorobenzilico,
Nota del Dott. Giorio ERRERA
Come risulta da una memoria pubblicata l’anno scorso negli
Atti di questa Accademia (Vol. XXII), non riuscii a preparare
il cloruro di parabromobenzile
Br (1)
CA, Scr, CI (4)
nè bromurando il cloruro di benzile a freddo, nè sottoponendo
all’azione del cloro il parabromotoluene bollente. Tali metodi che
servono benissimo alla preparazione del cloruro di paracloroben-
zile e dei bromuri di parabromo e paraclorobenzile non diedero
in questo caso risultati soddisfacenti, ottenni sempre il composto
desiderato allo stato di miscuglio isomorfo col bromuro di pa-
rabromobenzile senza riuscire a separare l’uno dall’altro.
Sono arrivato allo scopo partendo invece dall'alcool para-
bromobenzilico, e oggetto della presente memoria è appunto la
preparazione del cloruro di parabromobenzile e lo studio di al-
cuni altri composti che ad esso si riannodano.
Cloruro di parabromobenzile.
(1)
(4)
La preparazione dell’ alcool parabromobenzilico per azione
diretta del bromo sull’alcool non riesce, non perchè, come uni-
versalmente si ritiene, l’alcool si ossidi, ma perchè l’acido bro-
midrico che si forma, anzichè mettersi in libertà reagisce sul-
l’ossidrile. Infatti durante la reazione, fatta in presenza di iodio
e a freddo, non si vede svilupparsi acido bromidrico, e il pro-
dotto consta in piccola parte di aldeide benzoica, per lo più di
Br
CH, 0a C1
0
DERIVATI DEGLI ALCOLI PARABROMO E PARACLOROBENZILICO 347
un miscuglio di bromuro di orto e parabromobenzile facili a ca-
ratterizzarsi trasformandoli nelle aldeidi e quindi negli acidi cor-
rispondenti.
L'’alcool parabromobenzilico fu preparato da Jackson e Lowery (*)
facendo bollire lungamente con acqua il bromuro di parabromo-
benzile, o passando per l’acetato corrispondente, ed è al primo
metodo che mi sono appigliato. Affinchè la reazione sia completa
è necessario far bollire a ricadere per parecchie ore e precisa-
mente sinchè'1 vapori del liquido caldo non cagionino più bruciore
agli occhi; è bene operare su piccole porzioni, di quattro a cinque
grammi per volta, con un mezzo litro d’acqua circa, poichè i
palloni danno spesso sussulti violenti e talvolta si rompono.
Jackson e Lowery non accennano che in questa reazione oltre
all'alcool si formino altri prodotti, io però ho sempre ottenuto
insieme ad esso anche l'etere corrispondente, e la quantità di
quest’ultima sostanza aumenta allorquando si sostituisca all’acqua
una soluzione diluita di idrato sodico la quale decompone il bro-
muro di parabromobenzile più rapidamente che l’acqua pura.
Per evitare l’uso dei palloni di vetro che facilmente si rom-
pono, tentai sostituire ad essi recipienti di ferro, ma operando in
tal modo non riuscii ad ottenere che piccolissime quantità del-
l'alcool, e insieme ad esso dell’etere e delle sostanze quasi in-
solubili nell’alcool anche caldo, e che non tentai neppure di
cristallizzare da altri solventi. L’ottenere tali prodotti è dovuto
probabilmente alla azione delle pareti metalliche del recipiente,
e tale ipotesi trova una conferma nel fatto che facendo bollire
con polvere di zinco ed acqua in pallone di vetro il bromuro
di parabromobenzile, non si forma più affatto nè l’ alcool nè
l’etere, ma soltanto del parabibromodibenzile p. f. 114°
(1) CH,. C,H,.Br (4)
|
(1) CH,. C,H,.Br (4)
come risulta dalla analisi seguente;
Da grammi 0,1809 di sostanza si ebbero grammi 0,1984
di bromuro d’argento, e su 100 parti
trovato calcolato per C,,H,, Br,
Br 46,65 47,05.
(*) Ber. der deutschen chem. Gesellschaft, X, 1209. È
348 GIORGIO ERRERA
Ho poi sperimentato che il cloruro di benzile bollito nelle
medesime condizioni con polvere di zinco si trasforma in di-
benzile.
L’ alcool parabromobenzilico si separa facilmente dall’ etere
che contemporaneamente si forma, poichè mentre questo è inso-
lubile nell’acqua anche all’ ebollizione, quello vi si discioglie
abbastanza e cristallizza per raffreddamento; quindi lo si può
avere quasi puro decantando il liquido acquoso caldo dalla so-
stanza oleosa che rimane al fondo del pallone e.che contiene
tutto l’etere parabromobenzilico. Da questo residuo che si soli-
difica per raffreddamento si può estrarre l’alcool che vi è ancora
contenuto, facendo bollire con acqua ovvero cristallizzando dal-
l’alcool ordinario ; l’etere molto meno solubile si separa per primo
mentre l’ alcool solubilissimo rimane nelle ultime acque madri.
L’alcool parabromobenzilico da me ottenuto presenta tutti i
caratteri assegnatigli da Jackson e Lowery, salvo il punto di
fusione un po’ più basso, 75° invece che 77°, il che può dipen-
dere, o da differenza nei termometri, o dalla presenza nell’alcool
di Jackson e Lowery di un: po’ dell’ etere corrispondente che
fonde a temperatura più elevata. Cristallizza dall’acqua in lunghi
aghi appiattiti, dall'alcool acquoso in aghi più piccoli, o in la-
minette, nell’alcool puro è così solubile che, a meno di averne
quantità considerevoli, non conviene cristallizzarlo da questo sol-
vente. All’analisi diede i seguenti risultati :
Da grammi 0,3162 di sostanza si ottennero grammi 0,3179
di bromuro d’argento, e in 100 parti
trovato calcolato per Br. C, H,. CH, 0H
Br 42,78 42,79.
La trasformazione dell’ alcool nel cloruro corrispondente sì
può eseguire mediante il pentacloruro di fosforo che agisce a
freddo e con molta energia. Però in causa della sua azione di-
sidratante, insieme al cloruro si forma anche dell’etere bromo-
benzilico, e accanto a questi, altri prodotti secondarii che è poi
difficile allontanare per cristallizzazione. La preparazione del clo-
ruro riesce molto meglio riscaldando l’alcool in tubi chiusi per
tre o quattro ore verso i 150° con acido cloridrico fumante. La
trasformazione è completa e per raffreddamento il cloruro si so-
lidifica in una massa bianca cristallina che poi si cristallizza dal-
l’alcool.
DERIVATI DEGLI ALCOLI PARABROMO E PARACLOROBENZILICO 349
Si ottiene così il cloruro sotto forma di aghi bianchi splen-
denti, solubilissimi nell’alcool caldo, meno nel freddo, fondenti
alla temperatura di 38°-39°. All’ analisi si ebbero i risultati
seguenti :
Grammi 0,3803 di sostanza diedero grammi 0,5934 di clo-
ruro e bromuro d’argento, e grammi 0,0120 d’argento. La per-
dita di peso avuta nel trasformare in cloruro il miscuglio dei
sali d’argento fu di gr. 0,0802. E in 100 parti
trovat lcolat C,H LAM
a ca e a
rovato colato per C, H, CH, CI
Br 39,04 38,92
CI 17,09 17,28
Il cloruro di parabromobenzile si presenta sotto un aspetto
identico a quello del cloruro di paraclorobenzile e dei bromuri di
paracloro e parabromobenzile, ed è con essi perfettamente iso-
morfo, tanto è vero che le sue soluzioni soprasature cristalliz-
zano immediatamente per aggiunta d’un cristallo d’una qualunque
delle suddette sostanze. Ciò spiega la coesistenza del bromuro e
del cloruro di parabromobenzile nello stesso cristallo, fatto del
quale mi occupai nella memoria già citata. I vapori di cloruro
di parabromobenzile irritano gli occhi, molto meno però del bro-
muro; tra queste sostanze posseggono un'azione molto più irri-
tante quelle che contengono il bromo nella catena laterale, di
quelle che lo hanno nel nucleo.
Etere parabromobenzilico.
Br (1)
Cee a e
>O
RA a)
ly (1)
L’etere parabromobenzilico accompagna l’alcool ottenuto per
ebollizione con acqua, o con soda diluita del bromuro corrispon-
dente. La formazione dell’etere deve avvenire contemporaneamente
e non posteriormente a quella dell’alcool, poichè l’alcool bollito
350 GIORGIO ERRERA
a lungo con acqua, o con soda non si trasforma nell’etere. Questo
si trova nel liquido oleoso che rimane in fondo al pallone nel
quale si fece bollire il bromuro, liquido che solidifica per raf-
freddamento. Lo si purifica mediante ripetute cristallizzazioni
dall'alcool nel quale esso è assai meno solubile dell’alcool cor-
rispondente; la sua solubilità in questo liquido decresce anzi
rapidamente col crescere della purezza.
L’etere si può anche ottenere per azione dei disidratanti (pic-
cole quantità d’acido solforico, di anidride borica, di cloruro di
zinco fuso) sull’alcool. L'acido solforico non agisce che concen-
trato e caldo e in tal caso la reazione è molto violenta, e si
forma poco etere insieme ad altri prodotti semisolidi che non
ho studiati; per l’anidride borica è necessario far bollire troppo
lungamente e allora 1’ etere formatosi va man mano decompo-
nendosi; il cloruro di zinco invece agisce a temperatura inferiore
a quella dell’alcool, raggiunta una certa temperatura incomincia
la reazione che prosegue senza bisogno di ulteriore riscaldamento
ed è accompagnata da abbondante sviluppo di vapor d’ acqua
che va a condensarsi salle pareti del palloncino. Con quest’ ul-
timo metodo il rendimento è quasi teorico.
L’etere parabromobenzilico si presenta come l’alcool in lunghi
aghi appiattiti, è insolubile nell’acqua, poco solubile nell’alcool
caldo, pochissimo nel freddo, fonde a 85°-86°, diede all’analisi
i risultati seguenti:
I. Grammi 0,4280 di sostanza diedero grammi 0,4508
di bromuro d’argento.
II. Grammi 0,2945 di sostanza diedero grammi 0,3115
di bromuro d’argento.
III. Grammi 0,5160 di sostanza diedero grammi 0,5457
di bromuro d’argento.
IV. Grammi 0,3850 di sostanza diedero grammi 0,1276
d'acqua e grammi 0,6688 di anidride carbonica.
E in 100 parti
trovato calcolato
per (Br. CH, CT
I II IlI IV
Br 44,82 45,01 45,00 44,94
C 47,37 47,19
H i 3,68 3,97
DERIVATI DEGLI ALCOLI PARABROMO E PARACLOROBENZILICO 351
Anche su quest’ etere volli confermare il modo generale di
decomposizione sotto l'influenza del calore nell’aldeide e nell’idro-
carburo corrispondente, e trovai infatti che facendolo bollire per
qualche tempo si scinde in parabromotoluene ed aldeide para-
bromobenzoica secondo l’equazione
Br
GAS CH|H
Br CH,
sd AR
|
CH,
La decomposizione avviene rapidamente, e i due prodotti
si separano con facilità distillando le prime porzioni costituite
da parabromotoluene il quale cristallizza già lungo il tubo del-
l'apparecchio distillatore, e trattando il residuo con bisolfito so-
dico il quale si combina all’aldeide.
Sarebbe stato pure interessante lo studio completo dei pro-
dotti di nitrazione dell’ etere parabromobenzilico trovandoci in
presenza di un caso alquanto diverso da quelli precedentemente
studiati (loco citato). Nel nitrare gli eteri benzilisoamilico e ben-
zilisobutilico potei constatare accanto alla formazione di aldeide
benzoica quella dei nitrati di isoamile e di isobutile, nè v' ha
ragione alcuna per non ammettere che anche quando il radicale
alcoolico grasso è l’etile non si formi l'analogo nitrato etilico.
Ma qui trattandosi di un etere contenente ambedue i radicali
appartenenti alla serie aromatica, e di più identici, era interes-
sante il vedere se si formasse aldeide parabromobenzoica soltanto,
comportandosi i due radicali ugualmente di fronte all’acido ni-
trico, ovvero si ottenesse il nitrato dell’alcool corrispondente, o
la reazione infine procedesse in modo diverso. E il dubbio che
non si formi il nitrato di parabromobenzile è reso naturale dal
fatto che i nitrati corrispondenti ad alcoli aromatici presentano
serie difficoltà di preparazione, tanto è vero che quello di ben-
zile si conosce solo imperfettamente e il nitrato di paranitro-
benzile, ottenuto per nitrazione con acido nitrico concentratissimo
dell'alcool corrispondente, si decompone già per ebollizione con
acqua.
352 GIORGIO ERRERA
Disgraziatamente la poca quantità di etere parabromobenzi-
lico che aveva a mia disposizione non mi permise di fare in
modo completo lo studio desiderato. Che accanto all’'aldeide pa-
rabromobenzoica si formino prodotti nitrati è certo, ma di qual
natura essi sieno non potrei dire con sicurezza. Allorquando si
sottopone a distillazione con vapor d’acqua il prodotto greggio
della nitrazione, passa aldeide parabromobenzoica con alcuni pro-
dotti contenenti azoto, rimane nel pallone una sostanza di color
giallo chiaro, solubile nell’acqua bollente, poco nella fredda, dalla
quale si deposita cristallizzata in aghi sottili, facilmente solubile
nell’alcool e che fonde a 168°-164°.
Una determinazione di azoto ed una di bromo mi diedero
numeri concordanti con quelli richiesti dal nitrato di parabro-
mobenzile (N 5,90 % invece di 6,03; Br 34,54 % invece di
34,48), però i risultati ottenuti meritano una fiducia relativa
in causa delle quantità troppo piccole di sostanza sulle quali
dovetti operare. Ciò che poi mi fa dubitare si tratti veramente
del nitrato di parabromobenzile è la stabilità della suddetta so-
stanza che non si decompone neppure bollita con carbonato so-
dico abbastanza concentrato.
Etere paraclorobenzilico.
CI (1)
CH,< CHL. (4)
c RA o (E),
gd. (Da
La formazione dell’etere parabromobenzilico per ebollizione
con acqua o con soda del bromuro corrispondente è affatto. ec-
cezionale, poichè in generale i composti simili in condizioni ana-
loghe danno l’ alcool e non l’etere. Nemmeno il cloruro di pa-
raclorobenzile, composto tanto analogo al bromuro, si comporta
com’esso ; facendolo bollire con acqua o con idrato sodico diluito
sì trasformò completamente in alcool (*) p. f. 71° senza ch'io
abbia riscontrato traccia dell’etere corrispondente.
*) C. L. Jackson e A. W. FieLp, American chemical Journal, 2, 88.
innata anni
DERIVATI DEGLI ALCOLI PARABROMO E PARACLOROBENZILICO 353
Ho preparato poi l’etere per azione del cloruro di zinco fuso
sull’alcool; la reazione procede come nel caso precedente e il
rendimento è quasi teorico. L’etere paraclorobenzilico è solido e
cristallizza dall’alcool in aghi o laminette, è molto meno solubile
nell’alcool dell’alcool paraclorobenzilico, fonde da 54°-55° a tem-
peratura inferiore a quella di fusione dell’alcool corrispondente 71°,
mentre avviene l'opposto per l’etere parabromobenzilico che fonde
a temperatura più elevata dell’alcool da cui deriva. All’analisi
diede i seguenti risultati :
I. Da grammi 0,3291 di sostanza si ottennero gr. 0,3576
di cloruro d’argento.
II. Da grammi 0,2810 di sostanza risultarono gr. 0,1212
d’acqua e grammi 0,6525 di anidride carbonica.
E in 100 parti
trovato calcolato
I II per (CZ.C.H,.CH,),, 0
CI 26,88 i 26,59
0. 63,22 62,92
H 4,79 4,50
L'’etere paraclorobenzilico bollito a ricadere si decompone ra-
‘pidamente in aldeide paraclorobenzoica e paraclorotoluene.
Torino — Laboratorio di Chimica della R. Università.
Giugno 1888.
354 N.: JADANZA
Una nuova forma di cannocchiale,
Nota del Prof. N. JADANZA
Quando il comune cannocchiale astronomico si adopera a guar-
dare oggetti situati a piccola distanza (sempre maggiore del doppio
della distanza focale dell’obbiettivo) le immagini sono sempre mi-
nori degli oggetti guardati; e quindi non è possibile ottenere forti
ingrandimenti.
Lo scopo della presente nota è quello di dare il mezzo di
costruire un cannocchiale astronomico avente l’obbiettivo composto
di due lenti tale che possa dare immagini eguali od anche mag -
giori degli oggetti guardati quando questi si trovino ad una di-
stanza (dall’obbiettivo) superiore al doppio della distanza focale.
Indicheremo con @, e 9, le distanze focali delle due lenti di
cui si comporrà l’obbiettivo composto.
Dovendo esso avere la stessa distanza focale dell’ obbiettivo
semplice, la formola
dà
A=p, 05 8
cioè: la seconda lente dev'essere posta nel secondo fuoco prin-
cipale dell’obbiettivo semplice (della lente che riceve prima la luce).
Perchè le immagini degli oggetti situati ad una distanza mag-
giore del doppio della distanza focale 9, possano essere eguali o
maggiore degli oggetti, il primo fuoco principale del sistema dovrà
allontanarsi dall’obbiettivo semplice, cioè dovrà avvicinarsi al-
l'oggetto.
Sicchè se nella nota formola
Da
Pelagie ag
n Pt o A
atti
NUOVA FORMA DI CANNOCCHIALE DOD
che dà l’ascissa del primo fuoco di un sistema composto in fun-
zione degli elementi delle due lenti che lo RETI poniamo
A = 0; ed osserviamo che il secondo torimine sl dev'essere ne-
n,
gativo, se ne dedurrà che ©, dev'essere negativa e quindi la se-
conda lente dovrà essere divergente.
Le formole che danno i punti cardinali di un tale obbiettivo
sono le seguenti, che si deducono dalle note formole fondamen-
tali ponendo A =%, e supponendo ©, negativa.
I punti d’isometria inversa (*) saranno dati da
E=F—-6, 9 Ie 31 DPL 1
ossia dalle altre
p_cp_® FA dae fa
e, CA ssRDa SO
Essi dunque sono situati come nella qui unita figura, nella
quale
F* i Di VE
(*) Piani d’isometria inversa sono quei piani coniugati tali che il rap-
porto tra oggetto ed immagine m—=—1. Essi incontrano l’asse nei punti
d’isometria inversa.
356 N. JADANZA
M indica la lente convergente, N la lente divergente. Nella parte
superiore dell'asse sono segnati i punti cardinali delle lente M,
e nella parte inferiore i punti cardinali del sistema composto.
I punti E*, Y*, E,* sono fissi ed indipendenti dal valore
numerico di %,; gli altri E, F, E; si allontaneranno più o meno
dalla lente M (dalla parte d’onde viene la luce) secondo che il
rapporto Î1 sarà più o meno grande.
p
2
Ponendo 9, = 9, le (2) e (3) diventano:
odi
F=F,-np,=E-(n+1)p,, FEE |
E=E,-no,=E- nq, ; E* E 20000
E=LE,no,=E- (n+2)0, ’ E*= Lot
Per potere avere l’immagine della stessa grandezza dell’og-
getto guardato, questo dovrà trovarsi nel primo punto d’isometria
inversa. Se adunque si indica con D la distanza dell’oggetto dal-
l'obbiettivo del cannocchiale si avrà
(n + 2) ®, =D
d’onde
(5).
n =
D
Pa
Questa equazione determinerà » e quindi la distanza focale
della lente divergente sarà data da
o,= È cop.
Così p. e. volendo guardare ad una distanza di 2 metri una
scala divisa e volendo che la immagine data dall’obbiettivo sia
eguale all’oggetto, se l’obbiettivo del cannocchiale è di 30 cen-
timetri si avrà
2
alna E Resana vai
TT CETO
NUOVA FORMA DI CANNOCCHIALE 357
e quindi la distanza focale della lente divergente dovrà essere
di circa 6,4 centimetri.
Il tubo del cannocchiale si farà doppio della distanza focale
della lente obbiettiva, perchè la immagine verrà a formarsi nel
secondo punto d’isometria inversa.
La figura annessa mostra la disposizione che dovrebbe avere
un cannocchiale come quello ora descritto; costruendolo in modo
che la lente divergente possa essere tolta esso potrà servire come
un ordinario cannocchiale astronomico. Se al posto della lente
divergente si mette una lente convergente di distanza focale eguale e
v) z $ ? a 3 3
1 (dove n> 4) si avrà un Plessotelescopio, ossia un cannocchiale
n
che può servire a guardare oggetti lontani e vicini (*). Sarà sempre
utile che la parte anteriore del tubo possa scorrere nella poste-
riore specialmente quando il cannocchiale sarà adoperato a guar-
dare oggetti lontani.
Torino, maggio 1888.
(*) Cfr. N. Japanza, Nuovo metodo per accorciare i cannocchiali terrestri
{Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. XXI).
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII 29
358 GIO. PIETRO GRIMALDI
Influenza della tempera sulle proprietà termoelettriche
del Bismuto
Ricerche del Dott. Gio. PIETRO GRIMALDI,
Libero Docente di Fisica nella R. Università di Palermo (41)
1. In un interessante lavoro sulla resistenza elettrica del
bismuto (2) il Righi viene alla conclusione seguente: « Dall’in-
sieme dei fenomeni che produce l’aggiunta dello stagno al bismuto
sembrami risultare fondata una certa analogia fra il bismuto
puro e quello contenente piccole quantità di stagno da una parte,
ed il ferro e l'acciaio dall’altra. Il bismuto puro come il ferro
puro non è suscettibile di tempera, mentre lo sono tanto l’acciaio
che il dismuto-acciaio, ossia bismuto con traccie di stagno. La
tempra del bismuto-acciaio ne aumenta la resistenza elettrica
specifica. La tempera del ferro-acciaio ne aumenta di }4 circa
la resistenza, come constatò Mousson. » Alcuni però dei fatti spe-
rimentali ottenuti dal Righi nel detto studio non sono stati con-
fermati dalle ricerche posteriori di altri sperimentatori. Così, ad
esempio, il Righi trovò che nel bismuto commerciale non tem-
perato la resistenza elettrica fra certi limiti di temperatura di-
minuisce con l’aumentare della medesima, mentre aumenta nel
bismuto puro come negli altri metalli, e dimostrò con molte ed
accurate esperienze, che questo diverso comportamento fra il pro-
dotto commerciale e puro era dovuto alle traccie di stagno che
il metallo commerciale da lui cimentato conteneva. Ettingshausen
e Nernst (3) hanno invece trovato che la resistenza del bismuto
(1) Queste ricerche furono fatte nel laboratorio di Fisica della IR. Uni-
versità di Palermo, diretto dal Prof. D. Macaluso, che mi fu largo di mezzi
e di consigli per poterle eseguire.
(2) Mem, Ace. Lincei, serie 3%, vol. XIX, 1884.
(3) Wired. Ann., 1888, Band XXXIII, Hef, 3
PROPRIETÀ TERMOELETTRICHE DEL BISMUTO 359
puro diminuisce con la temperatura, mentre aumenta quella del
bismuto contenente stagno in diverse proporzioni; e ciò avviene
fra gli stessi limiti di temperatura fra i quali il Righi trovò una
diminuzione. Infine, secondo Van Aubel (1), che ha cimentato
bismuto di diverse provenienze, la resistenza elettrica aumenta o
diminuisce con la temperatura, passando da un campione all’altro,
senza regola alcuna, sia che vi si aggiunga o no dello stagno.
Questi risultati contraddittorii mi hanno spinto ad esaminare
con lo studio di altre proprietà fisiche l'analogia sopra accennata
fra il dDismuto-acciaio e l’acciaio, analogia che a mio credere
sarebbe interessante sia dal lato fisico, che dal chimico. Ho voluto
perciò ricorrere allo esame delle proprietà termoelettriche del
metallo in parola.
2. Per quel che riguarda il variare di queste proprietà colla
variazione della struttura molecolare dei corpi si sa dalle espe-
rienze del Magnus (2) (eseguite sull’ ottone, argento, acciaio,
cadmio, rame, platino, argentano, zinco, stagno e ferro) che lo
stesso metallo, incrudito alla filiera 0 ricotto, occupa una diversa
posizione nella scala termoelettrica. Al contrario, dalle esperienze
di E. Becquerel, si deduce che una lega di 10 parti di bismuto
ed una parte di antimonio non presenta alcuna variazione nel
comportamento termoelettrico quando viene ricotta. Ma, come han
dimostrato le ricerche del Barus (3), risultati più rimarchevoli si
hanno per la tempra dell’acciaio. Questo sperimentatore in una
estesa serie di esperienze cimentò sia delle verghe cilindriche tem-
perate col metodo che comunemente impiegano i meccanici, sia
dei fili che venivano tesi dentro un tubo di vetro, arroventati
dal passaggio di una corrente elettrica, e poscia raffreddati per
mezzo di una corrente di acqua fredda. Ottenne sempre, nelle
diverse misure, una corrente termoelettrica che andava dal me-
tallo temperato al non temperato attraverso alla saldatura calda,
mentre nelle esperienze del Magnus la corrente andava attra-
verso alla stessa saldatura dal filo d’acciaio non incrudito all’in-
erudito. Ciò prova che la tempra incrudisce l’acciaio in modo
diverso della filiera, malgrado che le proprietà meccaniche dei
fili incruditi alla filiera o con la tempera abbiano molta analogia.
(1) Philos. Mag. March., 1888.
(2) Wied. Elek., Baad II, s. 278.
(3) Wied. Ann., Band VII, s. 383 (1879).
360 GIO. PIETRO GRIMALDI
Dalle ricerche di Barus risulta inoltre che diversi fili di una
stessa qualità di acciaio, temprati allo stesso modo (a tutta tem-
pera) sono collocati molto vicini nella serie termoelettrica, e
rimangono tali anche dopo una seconda tempera. Se le aste sono
temperate in diverso grado la corrente va attraverso il caldo dal
filo più temperato al meno temperato.
. me dE
Il Barus chiama tempera termoelettrica il rapporto “i per è
tendente a zero, E essendo la forza elettromotrice della coppia
acciaio temperato — acciaio ricotto e # la differenza di temperatura
delle saldature; questa quantità può essere presa come misura
della tempera dell’acciaio, e la sua variazione per i diversi gradi
di questa ha un andamento simile alle variazioni di volume (stu-
diate dal Fromme) che l’acciaio subisce con la tempera. Il Barus
ritiene nel suo lavoro che nella tempera, oltre al fenomeno fisico,
avvenga anche un processo chimico , confermando così la teoria
di Karsten, il quale ammise che, riscaldando l’acciaio, si formi
un composto chimico che diviene stabile pel raffreddamento re-
pentino.
3. Volendo fare per il bismuto una ricerca simile a quella
di Barus per l'acciaio, cominciai dal procurarmi del bismuto il
più possibilmente puro ed assolutamente esente da stagno. Ebbi
dal Trommsdorff un prodotto che sottoposto ad analisi chimica (1)
dimostrò contenere piccolissime traccie di ferro e di piombo, ma
essere completamente privo di stagno: credetti dovermene con-
tentare attesa la grande difficoltà che si ha ad ottenere del bis-
muto perfettamente puro e visto che, volendo procedere per diffe-
renza, quello che a me maggiormente interessava era la mancanza
assoluta dello stagno.
4. Misurai, rispetto al rame, il potere termoelettrico di questo
bismuto, ricotto o temperato, sia puro,*sia quando conteneva di-
verse quantità di stagno.
Per ciò fare ne costruiva delle spranghette cilindriche di
7a 9 centimetri di lunghezza e di 4"" circa di diametro, a due
per volta, versando il metallo fuso dentro un tubo di vetro ad U
preventivamente riscaldato in un bagno di paraffina ad una tem-
(1) Quest’analisi, come pure altre che accennerò in seguito, vennero ese-
guite nel laboratorio di Chimica della R. U. di Palermo dal Dott. Alberto
Peratoner, al quale esterno qui i miei ringraziamenti.
PKOPRIETÀ TERMOELETTRICHE DEL BISMUTO 361
peratura superiore a quella di fusione del bismuto e facendo raf-
freddare il bagno molto lentamente.
Ad ogni cilindretto tagliava le estremità, la inferiore perchè
ricurva, la superiore perchè conteneva un po’ di ossido e col ri-
manente ne faceva una coppia della quale determinavo il potere
termoelettrico prima e dopo averla temprata.
La fig. 1 rappresenta la detta coppia. AB è il cilindro di
bismuto le cui estremità, limate in un piano parallelo alle gene-
ratrici, sono riunite mediante due morsetti « e % (uno dei quali
è disegnato separatamente nella fig. 2) alle estremità piatte di
due fili di rame mm ed nn. Questi fili sono collocati dentro due
tubi verticali M ed N di 60° di lunghezza e 3°° di diametro
circa, situati l'uno sull’altro a 4°" di distanza: l'estremità infe-
riore del tubo N è chiusa per mezzo di un turacciolo di sughero #
attraverso il quale passa il cilindretto di bismuto che rimane per
un centimetro od un centimetro e mezzo dentro il tubo. L’estre-
mità 5 penetra altrettanto dentro il tubo M. In esso circola
entrando dal tubo rr l’acqua di un grande recipiente (non
disegnato nella figura) riempito circa 12 ore prima di cominciare
le esperienze; l’acqua poi eftluisce dal tubo ss la cui estremità
superiore si regola in modo che il bismuto rimanga sempre un
centimetro sopra il morsetto B. Un termometro Baudin, diviso
in quinti di grado serve a determinarne la temperatura. Attra-
versano il turacciolo #, oltre il bismuto, due tubi di vetro p e q
il primo dei quali conduce ad un matraccio E pieno di acqua
che al momento dell’esperienza si fa bollire, il secondo pesca in
un bicchiere d’acqua e si può sollevare per scacciare quella che
sì condensa nel tubo al principio dell’esperienza. Il vapor acqueo
che si svolge da £, dopo esser passato per tutto il tubo N usciva
dal tubo / del turacciolo 7. Il filo » pure attraversava questo
turacciolo e poteva scorrere senza troppa difficoltà; similmente il
filo m poteva scorrere nel turacciolo V (1).
(4) Avevo dapprima ideato di piegare ad U l’asta di bismuto e di collecare
i due tubi M ed N uno allato all’altro; in tal caso i fili di rame venivano
introdotti dentro dei buchi scavati all'estremità del bismuto el una goccia
di mercurio serviva a stabilire il contatto. Con questo apparecchio eseguii
molte misure che mi diedero l’idea generale del fenomeno, e delle quali alcune
sono appresso riportate: ma mi accorsi che nelle serie molto prolungate di
esperienze il mercurio si diffondeva nell'interno del bismuto, ciò che ne po-
teva probabilmente alterare la natura chimica. s
362 GIO. PIETRO GRIMALDI
5. Il metodo sperimentale seguito nella misura delle f. e. m.
era un metodo di compensazione, quasi identico a quello adope-
rato in un precedente lavoro, e che ricorderò qui brevemente.
La fig. 3 rappresenta schematicamente la disposizione sperimen-
tale. AA, indica la coppia termoelettrica da cimentare, nel cui
circuito, fatto di un grosso filo di rame, era inserita una resi-
stenza conosciuta r, che nelle diverse ricerche variò da 2°" a 5%
circa, rispetto alla quale era perfettamente trascurabile quella
interna della coppia e quella dei reofori del circuito LIM N.
P è la pila compensatrice; C una cassetta di resistenza. In G
è segnato il galvanoscopio, che era la solita bussola di Wiede-
mann che ho adoperato nelle altre ricerche elettriche: era asta-
tizzata. Un doppio interruttore, non disegnato nella fig. 3, per-
metteva di chiudere simultaneamente i due circuiti NP L ed
NA, AL: con un commutatore I si poteva sostituire ad MA, AI,
M B, BI dove B, B è una coppia termoelettrica campione rame-
ferro la cui resistenza interna, non che quella dei fili MB, e
BI era anche trascurabile rispetto ad r.
Una delle due saldature di questa coppia campione era im-
mersa nel vapor acqueo dentro un pallone con acqua bollente,
il collo lungo del quale era circondato esternamente da un tubo
dove circolava anche il vapore per un'altezza di 25°" circa. Attorno
all'altra saldatura effluiva continuamente dell’acqua del reci-
piente È.
Questa coppia era di una costanza perfetta durante una serie
di esperienze, e si poteva facilmente tener conto delle sue varia-
zioni da una serie all'altra leggendo un termometro di Golaz
diviso in quinti di grado collocato presso la saldatura fredda, ed
un barometro -che permetteva di determinare la temperatura di
ebollizione dell’acqua.
Si indichi:
con £ la f. e. m. della Daniell ;
con per i poteri termoelettrici delle coppie bismuto rame
e rame ferro medii fra 100° e la temperatura ambiente;
con t e $ le differenze fra le temperature delle saldature delle
coppie bismuto-rame e rame-ferro ;
. con È ed R, le resistenze della cassetta C' rispettivamente
necessarie a portare a zero il galvanometro, quando vien chiuso
o il circuito MA, 41, o quello M B, BI;
con f e p, i valori di » nei due casi anzidetti.
ve Cee
PROPRIETÀ TERMOELETTRICHE DEL BISMUTO 363
Avremo, come è noto, le due equazioni :
dro
E Riv:
79 pi
MiB
e quindi
Lainate da;
tm prat Î
p
— è la quantità da determinare.
si 0
Generalmente 7 era uguale ad 1, ciò che semplificava no-
tevolmente i calcoli.
La resistenza interna della Daniell era trascurabile rispetto
ad E, E; la sua forza elettromotrice non entrava nei calcoli:
solo si richiedeva fosse costante nell’intervallo di tempo fra le
due determinazioni, che venivano fatte quasi contemporaneamente.
Riporto come esempio i particolari di una esperienza scelta
a caso dal registro
Misura n° 56.
Coppia rame-ferro Coppia n° 6 posiz. I
Term® Golaz corr° 18°. 4 Term° Baudin corr° 18°,2
ROSSE VIE R—19409% DIG KH VITOTS
Pressione 757"",0 a 18°,0,
Temperatura di ebollizione del vapore acqueo 99°, 8
Q=81°9,4 te=B 130 È — 0,99755
R p 5
— =1,70175 L—-_
R k Lod E
Soy gp
n
6. Prima di cominciare le ricerche definitive volli esaminare
se smontando il cilindretto di bismuto e rimettendolo a posto si
avesse una differenza notevole.
364 GIO. PIETRO GRIMALDI
Nella tavola seguente sono riportate sei misure fatte conì una
coppia contenente l’uno per cento di stagno. Fra una misura e
l’altra essa veniva spostata e poscia nuovamente rimessa a posto :
qualche volta anche veniva smontato completamente l’apparecchio
della fig. 1 e poscia rimontato da capo.
3)
1° misura P> 1,562
TE;
it SENT)
n
bro Bce
TT
"ion DA NO
TT
p#.106, Eiel1,591
n
6° » > ladilà.
n
In queste misure la differenza massima è un po’ minore del
4 % del valore medio: credetti conveniente l’esaminare a che cosa
dovesse attribuirsi, quantunque lo studio del fenomeno in parola
non richiedesse una grandissima precisione.
La bontà dei contatti del bismuto col rame era assicurata
dalla superficie piuttosto grande dei fili di rame, che veniva volta
per volta levigata e ripulita e si adattava perfettamente sulla
superficie del pari piana, levigata e pulita delle estremità del
bismuto, mediante le viti di pressione che venivano fortemente
strette. La resistenza del circuito termoelettrico non era mai in-
feriore a 2°", e rispetto ad essa doveva essere trascurabile quella
di centatti così bene stabiliti. |
Esclusa quindi tale causa di errore le differenze sopra notate
mi pare si debbano attribuire alla mancanza di omogeneità nella
composizione chimica (1) o nella struttura molecolare delle di-
(4) Un’ analisi chimica, fatta sopra due pezzi di una stessa asticina di
bismuto, dimostrò che uno conteneva un terzo di stagno di più dell’altro.
alata
PROPRIETÀ TERMOELETTRICHE DEL BISMUTO 365
verse parti del cilindretto. Se questo è eterogeneo nelle diverse
sezioni e nel rimetterlo a posto, dopo averlo rimosso, vien col-
locato in posizione alquanto differente, rispetto a quello del tu-
racciolo # od al livello dell’acqua nel tubo M, può darsi che la
caduta di calore avvenga nel suo interno in modo diverso nei due
casi, e quindi si abbia una variazione nell’intensità della corrente
termoelettrica. Alcune osservazioni da me fatte confermano tale
spiegazione; per esempio capovolgendo il cilindretto, e rimetten-
dolo a. posto la forza elettromotrice varia quasi sempre e spesse
volte in modo assai rilevante: tale variazione deve molto proba-
bilmente attribuirsi alla ragione sopra accennata. Ed osservai inoltre
che le differenze fra le diverse misure erano tanto più notevoli,
quanto maggiore era la variazione di potere termoelettrico del
bismuto pel capovolgimento della coppia.
Per queste ragioni cercai di ottenere delle leghe omogenee,
agitando lungamente il metallo liquido prima di versarlo dentro
il tubo ad U, e curai che nelle diverse misure il cilindretto di
bismuto occupasse sempre la stessa posizione relativamente al tu-
racciolo del tubo N ed al livello dell’acqua nel tubo M. Con
queste precauzioni ottenni dei risultati più concordanti : per esempio
ebbi per la coppia N. 2
p
1° misura — =1,980
n
29» È 1,989
n
{ le'Halec a
con la differenza di 300 crea Per la coppia N. 3 ottenni:
1° misura P= 1,329
n
2 |» È = .qr895
n
con una differenza ancora più piccola; e per la stessa coppia,
capovolgendo il bismuto
1° misura D <= 1,300
n
Sur he tic
366 GIO. PIETRO GRIMALDI
Tale limite di approssimazione è più che sufficiente nel nostro
caso, anzi in molti casi sarebbero bastate misure assai meno ap-
prossimate.
“. Regolato bene l’apparecchio ed accertatomi del suo limite
di esattezza cominciai con l’eseguire alcune esperienze sopra il hi-
smuto puro, determinando il potere termoelettrico di diversi cilin-
dretti, ottenuti col metallo del Trommsdorff, prima e dopo la
tempera (1).
Tale operazione veniva eseguita riscaldando il cilindro dentro
un bagno di paraffina ad una temperatura che oscillava da 230°
a 255° ed immergendolo poscia rapidamente, qualche volta in un
bicchiere pieno di acqua alla temperatura ambiente, per lo più
in un recipiente pieno di un miscuglio frigorifero di neve e sale
che rendevo liquido con l’aggiunta di un po’ di acqua fredda.
Nella tempera cercai sempre di procedere allo stesso modo,
ma non oso affermare che il calore sia stato sottratto dal metallo,
nelle esperienze simili, sempre con la stessa rapidità. E questa
è forse una delle ragioni del fatto che i fenomeni variavano quan-
titativamente da una coppia all’altra.
8. Riporto qui sotto i risultati di tre serie di esperienze eseguite
sulle coppie A, B, C, fatte di bismuto puro; è bene avvertire che
le tre coppie vennero fuse separatamente in tubi diversi e che la
coppia B venne cimentata con la primitiva disposizione sperimen-
tale, nella quale i contatti fra il bismuto e rame erano a mercurio.
Credetti bene fare le misure sia nell’una che nell’altra posi-
zione dei cilindretti di bismuto, il potere termoelettrico essendo
generalmente diverso da una posizione all'altra. Per distinguere
le due posizioni le indicherò coi segni I e II.
(1) Per temperare il bismuto, il Righi faceva fondere in un bagno ad olio
i cilindretti di metallo dentro una scanalatura praticata in una lastra di rame;
un po’ per la poca scorrevolezza del metallo, un po’ per la forma della lastra
essi non si deformavano, poi venivano raffreddati più o meno rapidamente,
o immergendo la lastra nell’acqua fredda, o nell'etere, o lasciandola raffred-
dare lentamente nell’olio. Però si può obbiettare in questo caso, che la va-
riazione di resistenza elettrica avvenuta sia dovuta a variazione della distri-
buzione dello stagno nelle diverse parti del cilindretto, o a variazione nella
disposizione dei cristalli, o ad alterazioni chimiche, che può subire il metallo
fuso a contatto dell’olio o dell’aria. Quantunque per la regolarità dei risul-
tati trovati dal Righi sembra siano da escludersi tali obbiezioni, pure ho cre-
duto nella tempera dover riscaldare il metallo ad una temperatura inferiore
a quella di fusione dello stesso.
netntie ttt
PROPRIETÀ TERMOELETTRICHE DEL BISMUTO 367
Chiamerò P il valore di a della coppia che dopo la fusione era
stata raffreddata lentissimamente, P, il valore di A dopo che la
n
PERA
coppia era stata temperata e farò P— P, =ff e p
Ò.
Coppia A.
tempera a 250° e nell’acqua alla temperatura ambiente
Posizione I. Posizione II.
ee seed 1390 SAMP 1818
ud Pd 509 (= E — 40652
del è—=-0,032 - G=0,1664 ‘022 0ady
Coppia B.
tempera a 250° e nell’acqua alla temperatura ambiente
Posizione I. Posizione II.
io ,913/P 3.500 dog ARCER — 8
O] © Pd 95 Pani. P'_530
B=0,05 ò— 0,01 BES019 d= 0.02,
Coppia C.
tempera a 250° e nel miscuglio frigorifero
Posizione I. Posizione II.
t=169,9 P=4,350 t=16°,8 P=4,450
t=17°9,0 P,=4,2950 t=17°,7 P,=4311
B-0,055 è=0,012 B=0,139 èd=0,08L.
Come si è visto, i valori di P e /, ci danno i valori del
potere termoelettrico medio fra 100° e # delle coppie prima e
dopo la tempera, riferito a quello medio fra 100° e # dalla coppia
rame-ferro, che secondo il Tait è eguale ad 11,43 microvolta;
dà il valore del coefficiente che Barus chiamò tempera termo-
elettrica riferito sempre alla stessa unità di misura, 0 il rapporto
368 i GIO. PIETRO GRIMALDI
fra questo coefficiente ed il potere termoelettrico prima della tem-
pera. Dai valori sopra riportati si vede che ff, abbastanza pic-
colo in valore assoluto, è piccolissimo e trascurabile rispetto a P,
i valori di 0 sono molto vicini a zero.
Si può quindi concludere che la tempera influisce in grado
piuttosto piccolo sul comportamento termoelettrico del bismuto
esente da stagno (1).
9. Passando quindi ai risultati avuti col bismuto contenente
stagno, esporrò prima le esperienze fatte con le coppie N. 1, N_2,
N. 3. — Le coppie N. 1 e N. 2, vennero preparate contem-
poraneamente dalla fusione di gr. 50 di bismuto e gr. 0,50 di
stagno; la coppia N. 3 fu fusa a parte, impiegando i metalli
nelle stesse proporzioni. Tutte e tre le coppie contenevano quindi
in media per cento 99,01 di bismuto e 0,99 di stagno; fon-
devano a 2483°,5
CopPiA N° 1.
tempera a 215° e nell’acqua a temperatura ambiente
Posizione I.
t=.1359.. Padgb60&(2)
bi== 139,8" P.=21,0604
B=0,199, è=)0p128
CoPPIA N° 2.
tempera a 220° © nell'acqua a temperatura ambiente
Posizione I. Posizione II.
è =42°5 PESTO (I) t—+P9978 © PB Se
DAI Pi D807 i(=T2%0, Pig
EMIITO, 00,059 RISO, T71, 9
(4) Se tale piccola influenza sia dovuta ad alterazione di struttura mo-
lecolare del metallo, od alle traccie di piombo o di ferro che esso conteneva,
potrà forse essere deciso in avvenire, quando avrò a mia disposizione del
bismuto perfettamente puro, ciò che è molto difficile ad ottenersi.
(2) Media di 6 determinazioni.
(3) Media di 2 determinazioni.
PROPRIETÀ TERMOELETTRICHE DEL BISMUTO 369
CopPPIia n° 3.
tempera a 240° e nel miscuglio frigorifero
Posizione I. . Posizione II.
odo; 68, (P31,382(1) t==158,8. iP =14,3005.(2)
= 153] 50 1P,=20, 706 b=1594 + P:=0, 716
B_-0, 626,1 010, 470 B=0,989" oO 74518
Come si vede, i valori di {8 sono notevolmente maggiori di
quelli avuti col bismuto puro, e quelli di d assai più grandi nella
coppia N. 3 per esempio, che fu sottoposta ad un’energica tempera,
il potere termoelettrico si ridusse circa alla metà dopo che venne
temperata; mentre per la coppia l di bismuto puro, temperata
a un dipresso nello stesso modo la variazione del potere termo-
elettrico fu solo del 3 per cento.
10. È interessante l’osservare che nelle successive misure il
potere termoelettrico della coppia, che prima della tempera era
costante, dopo la tempera va continuamente crescendo fino a rag-
giungere all’incirca il valore primitivo.
Così per esempio per la coppia N. 1 si ebbero successiva-
mente i valori di P, che riporto qui in seguito. Fra la prima e
la seconda misura trascorse un intervallo di tempo di mezz'ora,
fra la seconda e la terza di 16 ore circa.
CoPPIA N° 1 TEMPERATA.
Posizione I.
1° determinazione #—13°,8. P,=1,364
2° » v="b4053 © Pot 465
3° » iii: P__ Lod.
Per la coppia N. 2 facendo le misure con l’intervallo di tempo
di mezz'ora (eccetto per la 6° la quale fu fatta 16 ore dopo la 5°)
si ebbe
(1) Media di 2 determinazioni.
(2) Media di 2 determinazioni.
370 GIO. PIETRO GRIMALDI
COPPIA N° 2 TEMPERATA.
Posizione I.
1° determinazione #=12°9 P,=1,807
2° » - #13, 121,888
sa » t=1392 ,0B-4t.355
ve » t=-Lof 0 081, 9A
Posizione II.
4° » t=120%. Pi=1,102
5° » i==1129 9! (Riga
6° » i-="10°8. PT, 0%0
11. Questo successivo variare di potere termoelettrico poteva
essere dovuto o ad una modificazione di struttura o di compo-
sizione chimica che avveniva spontaneamente ed in modo piuttosto
rapido, oppure al ricuocimento che subiva la sbarra di bismuto
quando, per eseguire le misure, un estremo veniva portato a 100°
circa. Per vedere a quale delle due cause dovesse attribuirsi la
variazione in parola, dopo fatta per la coppia N. 3 temperata
una prima determinazione, e lasciatala in riposo per 24 ore, ne
eseguii una seconda, quindi ricuocei il bismuto nella paraffina fino
a 232° facendolo raffreddare nello stesso liquido, e senza far tra-
scorrere molto tempo feci una nuova determinazione.
Qui sotto sono esposti i risultati ottenuti :
Coppia N° 3 TEMPERATA.
Posizione I. Posizione II
1° deteim? #=159,5% P-= 0,706 t=15°,4 Pia
lasciata in riposo per 24 ore
2° » ito bad 0444 t—15°,8 PP, 200008
ricotta nella paraffina
3° » {=:145),8.. P.=4;2b6 t=16%2 Pim 254
:
PROPRIETÀ TERMOELETTRICHE DEL BISMUTO 371
Si vede nettamente da questi risultati che poco o nulla è
alterato il potere termoelettrico delle coppie temperate se ven-
gono lasciate in riposo anche per un tempo abbastanza lungo (1)
mentre invece se si riscaldano e si fanno raffreddare lentamente
esso ritorna quasi al valore che aveva prima della tempera. In
sostanza il bismuto contenente stagno rispetto alla tempera, per
le proprietà termoelettriche si comporta come l’acciaio. Basta a
ricuocerlo una temperatura di molto inferiore a quella della
tempera, e questa si conserva inalterata se il metallo non viene
riscaldato.
12. Riguardo al senso della variazione del potere termoelettrico
del bismuto contenente stagno, bisogna osservare che esso riferito
al rame, diminuisce con la tempera: tale bismuto temprato si
trova dunque nella serie termoelettrica fra il non temperato e il
rame. Quindi in una coppia formata di metallo non temperato e
temperato la corrente andrebbe dal primo al secondo attraverso
la saldatura calda, mentre per una coppia acciaio non temperato
e temperato abbiamo visto che la corrente va in senso inverso.
Però si ha d’altra parte che in una coppia acciaio non tem-
perato — ferro la corrente attraverso il caldo va dal primo al se-
condo. Possiamo dunque scrivere la seguente serie termoelettrica :
Bismuto puro,
Bismuto contenente stagno,
Bismuto contenente stagno temperato,
Acciaio temperato,
Acciaio non temperato,
Ferro.
dalla quale si ricava che l’aggiunta del carbonio produce nel
ferro uno spostamento nella serie termoelettrica in senso in-
verso a quello che fa subire lo stagno al bismuto puro. Si ha
quindi che sì nell’acciaio che nel bismuto contenente stagno il
metallo non temperato sta nella serie termoelettrica fra il me-
(1) In queste esperienze la differenza fra i valori di P, della 1° e 2* mi-
sura è forse quasi interamente dovuta al riscaldamento subìto dal bismuto
nella 1° determinazione. Per diminuirlo avrei voluto fare le esperienze ad
una temperatura più bassa, immergendo uno degli estremi del bismuto nel
vapor d’etere anzichè in quello d’acqua. Però la corrente termoelettrica in
questo caso era troppo piccola per potere eseguire delle misure precise delle
sue variazioni, per cui dovetti ritornare alla disposizione primitiva.
372 GIO. PIETRO GRIMALDI
tallo temperato ed il puro, e che la tempera produce in entrambi
l’identico effetto che ha prodotto in essi l’aggiunta della sostanza
estranea. Ed è da questo lato, parmi, che si debba intendere l’a-
nalogia fra il bismuto contenente stagno e l'acciaio riguardo alla
tempera.
Analogo è il comportamento della resistenza elettrica: si ha
per il ferro, che mentre la resistenza specifica del metallo puro
è secondo il Matthiessen di 0,0986 U. S., quella dell’acciaio ri-
cotto oscillò nelle ricerche di Barus da 0,136 a 0,430 U.S;
e quella dell’acciaio temperato da 0,144 a 0,724 U. S, mentre
dalle esperienze del Righi risulta che la resistenza elettrica spe-
cifica del bismuto puro è 1,1534 U.S. e quella del bismuto
commerciale contenente piccole quantità di stagno è 2,4122 U. S.
per il metallo raffreddato lentamente e 3,5095 U.S. per il me-
tallo temprato.
13. Poichè le misure termoelettriche confermano l'analogia fra
il bismuto-acciaio e l'acciaio, riusciva interessante il ricercare se
l’azoto o gli altri gas esistenti nell’ atmosfera hanno influenza
nella formazione del bismuto-acciaio. Per l'acciaio vero l’influenza
dei gas in parola e dell’ammoniaca che si sviluppa nella de-
composizione delle materie organiche aggiunte nel processo di ce-
mentazione è stato oggetto di discussioni molto lunghe e com-
plesse fra Caron e Fremy. Per il bismuto ho tentato la seguente
esperienza.
Un tubetto cilindrico ben disseccato veniva riempito di pezzetti
di stagno e di bismuto nella proporzione di uno di stagno per
100 di bismuto ed attaccato ad una pompetta a mercurio. Si
faceva il vuoto spingendo la rarefazione quanto più era possibile,
poi si chiudeva ermeticamente l’estremità del tubicino e si fon-
devano i due metalli nel vuoto agitando la lega in modo da avere
un prodotto il più possibilmente omogeneo. Infine mentre il bis-
muto era fuso si immergeva il tubo dentro un bagno di paraffina
scaldato a 270" e si lasciava lentamente raffreddare.
Ottenuto così il cilindro si rompeva il tubo sott’acqua per
constatare che non vi fosse penetrata dell’aria durante l’opera-
zione e si eseguivano col solito metodo le misure termoelettriche
prima e dopo aver temperato il cilindretto.
Riporto qui appresso i risultati ottenuti con la coppia N. 9,
costruita nel modo anzidetto ed impiegando i metalli nelle stesse
proporzioni delle coppie N. 1, N. 2, N. 3.
PROPRIETÀ TERMOELETTRICHE DEL BISMUTO 8753
Coppia N. 9.
tempera a 230° e nel miscuglio frigorifero.
Posizione I. Posizione II.
Se 350 OR o mr
= o 2 Al pe= — () ;
p="1/,2 SR ELMO A: ,199
t= 177;4.P 4,088 (== 0
= 0,308 o = 0321 &= 0,2abD.. d'=:0,811
È da osservare anzitutto nella superiore tabella la grandis-
sima differenza fra il potere termoelettrico della coppia nelle po-
sizioni I e II, e la differenza piuttosto notevole fra due successive
determinazioni fatte con la stessa coppia. Poichè fondendo i due
metalli nel tubetto, che era piuttosto sottile, per quanto lo si scuo-
tesse era molto difficile che la lega risultasse perfettamente omo-
genea, questi due fatti confermano le spiegazioni da me date nel
S 6 sulle divergenze fra le diverse misure fatte con la medesima
coppia.
Riguardo poi alla variazione del potere termoelettrico con la
temperatura è da osservare che i valori di 0 per la coppia N. 9
sono dello stesso ordine di grandezza di quelli avuti con la coppia
N. 3 che venne temperata all’incirca nelle stesse condizioni. Quindi
sebbene le divergenze fra i risultati ottenuti con diversi campioni
non permettano di venire ad una conclusione rigorosa, sembra ,
dietro l’esperienza fatta, sia da escludersi una grande influenza
dei gas esistenti nell’atmosfera nella formazione del bismuto-ac-
ciaio (1).
14. Credetti opportuno anche di esaminare leghe fatte con
proporzioni diverse da quelle sin qui studiate. Riporto anzitutto
(1) Siccome oltre il carbonio, anche altre sostanze possono, come è noto,
conferire al ferro le proprietà dell’acciaio, restava a vedere se accadesse lo
stesso per il bismuto: era interessante specialmente studiare l’azione del ti-
tanio, che ha con lo stagno molta analogia chimica. Però, operando sia in
un’atmosfera di idrogeno, sia nell’aria atmosferica non riuscii ad ottenere
aleuna lega di bismuto e titanio. Nell’idrogeno, riscaldando fino al rosso, il
titanio rimaneva galleggiante alla superficie del bismuto fuso senza unirsi
affatto allo stesso; nell’aria atmosferica si formava una sostanza pulverulenta
grigia, contenente forse rilevanti quantità di azoto, e che non aveva alcun
aspetto metallico.
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII 30
374 GIO. PIETRO GRIMALDI
i risultati delle determinazioni eseguite su due cilindretti prepa-
rati e fusi contemporaneamente in un tubo ad V con 50 grammi
di bismuto e grammi 0,25 di stagno, e che quindi contenevano
in media per cento 99,50 di bismuto e 0,50 di stagno.
CoPPIA N° 4.
tempera a 240° e nel miscuglio frigorifero.
Posizione I. Posizione II.
= 10,6 LA a t="17,670,P o
= 18°01,.P,=15908 t=187,2 P=1,900
BIZ 307 0d—= 0,189 b= 0,298 dò = 0,136
Coppia N° 5.
tempera a 250° e nel miscuglio frigorifero.
Posizione I. Posizione II
cat let Le di ini fa Li t — 18.000 Peo
«= 18th Pr2602 =.182 «Pi 2600
f=0,499 d= 0,161 pr=0476|, 00184
Come si vede i valori di { e più specialmente i valori di d
sono notevolmente più piccoli di quelli avuti con la coppia N. 3
che era stata temperata allo stesso modo.
15. Risultati ancora più piccoli ebbi con le coppie N. 6 e
N. 7 preparate contemporaneamente con 50 gr. di bismuto e
gr. 0,05 di stagno e che quindi contenevano in media 99,90
di bismuto e 0,10 di stagno.
COPPIA N° 6.
tempera a 250° e nel miscuglio frigorifero.
Posizione I. Posizione II.
i 2018, 21510P 4244 = 84: Ap 4)
iesd Stade: PB. 4,055 t=183600P dl
B=0,189 d=0,045 G=0,209 d = 0,048
Dopo aver determinato P, la coppia suddetta venne ricotta
nella paraffina a 235° e lasciata lentamente raffreddare.
PROPRIETÀ TERMOELETTRICHE DEL BISMUTO s79
Si ebbe allora:
CoPPIA N° 6 RICOTTA.
Posizione I. Posizione II.
EP ='4,398 ECROZIORE — AI
Per la coppia N. 7 si ebbero i seguenti risultati:
Coppia N° 7.
Posizione I. Posizione II.
io 1 — 4,062 =h8-60 CE — de dla
ASSE — dl 30 —3:S01
Bi-p,287 dè =0,071 B=.0,294.,.,d.= 05072
I valori di f e di 0 vanno decrescendo col diminuire della
quantità di stagno contenuta nel bismuto, ma pur non di meno
rimangono, anche per bismuto contenente piccolissime quantità
di stagno notevolmente superiori a quelli avuti col bismuto puro.
16. Ho anche sperimentato con bismuto contenente stagno in
quantità superiore all’1 °/,. Riporto qui sotto i tisultati avuti
con la coppia N. 8 contenente per cento 95,00 di bismuto e
5,00 di stagno, e preparata nel solito modo.
CoPPia N° 8.
tempera a 220° e nel miscuglio frigorifero.
Posizione I. Posizione II.
uo —- 2,981 i = 1V8-,4 Pi,
t==48°,2 P=— 3,283 i-=18°,2. P==,3:293
f=0,302 d=-— 0,092 B= 0,282 d=— 0,086
In questo caso i valori di P e di P, hanno il segno — per
indicare che con questa coppia la corrente termoelettrica aveva
una direzione opposta alle altre; andava cioè dal rame alla lega
bismuto stagno, attraverso la saldatura calda: fu quindi necessario
scambiare tra loro le estremità del circuito MA, AI. In queste
misure i valori di P, risultarono più grandi in valore assoluto
di quelli di P, e quindi i valori di {£ dello stesso segno di prima:
vale a dire che anche in questo caso il bismuto temperato ri-
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII. 30%
376 GIO. PIETRO GRIMALDI
spetto a quello temperato occupava la stessa posizione nella
scala termoelettrica che nelle altre esperienze.
I valori di {} e più specialmente quelli di Ò, a prescindere
dal segno sono più piccoli di quelli avuti con la coppia N. 3
contenente l’uno per cento di stagno, e temperata come la cop-
pia N. 8; pare adunque che l'aggiunta di nuova quantità di
stagno diminuisca l’effetto della tempera; precisamente come av-
viene per il carbone aggiunto al ferro.
17. Per fare meglio vedere la variazione di {? e di 0 con la
proporzione dello stagno contenuto nel bismuto, riporto nella se-
guente tabella i valori medii di questi due coefficienti presi fra le
coppie della stessa composizione, temperate nel miscuglio frigorifero,
Composizione centesimale
DR aaa NO 3
Bismuto Stagno
100 —» 0,097 0,022
99,90 | 0,10 |. 0,245 0,059
9950 | 0,50 | 0,395 0,147
99,01 0,99 | 0,607 0,461
95,00 | 5,00 | 0,292 | — 0,089
18. L’analogia dell’acciaio col bismuto-acciaio viene adunque
confermata dalle presenti misure termoelettriche in modo piuttosto
soddisfacente: ove si ammetta come rigorosamente stabilita, essa
potrà servire a studiare con maggiori particolari il processo della
tempera in questo caso molto più semplice di quello dell’acciaio,
Riguardo alla spiegazione dei fatti ottenuti parmi che quella
data da Karsten per la tempera dell’acciaio si possa applicar
bene al nostro caso; non è inverosimile che riscaldando il bismuto
fin presso alla temperatura di fusione si possa formare un com-
posto che possieda proprietà fisiche notevolmente diverse da quelle
dei componenti, e che questo composto si dissocii di nuovo se il
metallo ritorna lentamente alla temperatura primitiva, mentre
possa invece persistere in tutto o in parte quando il metallo vien
raffreddato bruscamente. Il fatto che i valori di P, per le coppie
N. 1 e N. 2 ($ 10) andavano successivamente aumentando con
i diversi riscaldamenti confermerebbe, parmi, tale spiegazione, che
però è assai difficile dimostrare con esperienze dirette.
NIV
TAV
2
RK Lr
=
N SS AS
n = IT
KH È < [KI ] ito
TE Guia
“=
a
R
>| TM
n
«a Lit .Doyen, Torino
PROPRIETÀ TERMOELETTRICHE DEL BISMUTO 377
19. Per concludere, riassumerò brevemente i risultati ottenuti.
a) Il potere termoelettrico del bismuto esente da stagno,
riferito al rame, viene poco alterato dalla tempera: questa non
fa variare il potere termoelettrico della coppia bismuto puro rame
di più del 3 °/, del valore primitivo.
b) Se viceversa il bismuto contiene quantità anche piccole
di stagno, la tempera altera molto più notevolmente il valore del
potere termoelettrico. Il p. t. e. della coppia bismuto-rame di-
minuisce se la corrente termoelettrica prodottasi ha la stessa di-
rezione di quella che si ha col bismuto puro accoppiato al rame,
aumenta in caso diverso. Tale variazione è piccola quando la
quantità di stagno aggiunta al bismuto, è piccolissima, cresce con
l'aumentare della quantità di stagno fino ad un certo limite, poi
diminuisce di nuovo. Con una coppia contenente l’uno per cento
di stagno il potere termoelettrico diminuì del 47 Pet
c) La differenza fra il potere termoelettrico del bismuto
contenente stagno non temperato e temperato si conserva inal-
terata se il metallo rimane abbandonato a se stesso, ma dimi-
nuisce se viene riscaldato a temperatura anche di molto inferiore
a quella della tempera; con i successivi riscaldamenti il potere
termoelettrico va continuamente aumentando fino a raggiungere
quelle che aveva prima della tempera.
d) I fatti sopracennati confermano l’analogia trovata dal
Righi fra il bismuto contenente stagno e il bismuto puro da una
parte. e l’acciaio e il ferro dall'altra. Tanto per il bismuto-ac-
ciaio che per il ferro-acciaio si ha che il metallo non temperato
sta nella serie termoelettrica fra quello temperato e quello puro,
analogamente a quello che avviene per la resistenza elettrica.
e) Sembra che la formazione del bismuto-acciaio sia indi-
pendente dalla presenza dell’azoto, o degli altri gas contenuti
nell'atmosfera, l'influenza dei quali, nel processo di acciaiazione
del ferro non è ancora stabilita con precisione.
f) I fatti sopraccennati si possono spiegare ammettendo che
nel riscaldare il bismuto contenente stagno, si formi un composto
poco stabile, il quale possa almeno in parte sussistere, ove il
metallo venga rapidamente raffreddato.
Dall’Istituto di Fisica della R. Università di Palermo,.
Maggio 1888.
378 A. NACCARI
Sulla variazione del calore specifico del mercurio
al crescere della temperatura ,
Nota di A. NACCARI
Il Dulong e il Petit compresero anche il mercurio nella serie
de’ metalli, di cui determinarono il calore specifico medio fra 0
e 100° e fra 0 e 300° (1). Trovarono nel primo caso il va-
lore 0,0330, nel secondo 0,0350. Un aumento relativamente
considerevole del calore specifico del mercurio avverrebbe dunque
secondo questi sperimentatori, al crescere della temperatura.
1l Regnault eseguì delle esperienze sul mercurio col metodo
del raffreddamento e per gl’intervalli da 20 a 15°, da 15 a 10, da
10 a 5 trovò rispettivamente i valori 0,0290, 0,(1283, 0,0282 (2).
Egli stesso riconosce che questi numeri sono tutti troppo piccoli. Se
si ammette però che la variazione da essi indicata sia esatta, anche
queste esperienze mostrerebbero che il calore specifico del mer-
curio cresce rapidamente con la temperatura.
Nel 1876 il Winkelmann, studiando la trasmissione del calore
attraverso i gas, fu condotto a fare come determinazione acces-
soria la misura delle variazioni del calore specifico del mercurio
al variare della temperatura (3). Egli trovò che fra 50° e 18° il
medio calore specifico è maggiore che non fra 144° e 20°.
Il Pettersson nel 1879 si occupò di tale argomento, volendo
esaminare le proprietà del mercurio come sostanza calorimetrica (4).
Dalle sue accurate esperienze egli concluse che fra 0 e 5°, fra
0 e 16, fra 0 e 36 il calore specifico avea valori così poco di-
versi, da potersi ritenere costante entro quell’intervallo di tem-
peratura.
(1) DuLona. et PeriT, Journ. de l’École Polytechnique, 1820.
(2) ReGNAULT, Annales de Chimie et de Physique [3], IX, 1843.
(3) WinKELMANN, Pogg. Annalen, CLIX, 152.
(4) Pertersson, Ofversigt af kh. Vetenshaps-Ahademiens Fòrhandligar ,
1878. Stockholm, n° 9 p. 3.
SULLA VARIAZIONE DEL CALORE SPECIFICO DEL MERCURIO 379
Le conclusioni contraddittorie, che ho riferito, fanno sì che
nulla si può asserire con sicurezza intorno a questo argomento.
Cercai di decidere la questione con nuove esperienze.
Il metodo e l’apparecchio vennero già descritti in una nota
precedente relativa ai calori specifici di metalli solidi. Indico so-
lamente alcune particolarità relative al caso presente.
Lascio da parte buon numero di esperienze fatte con cilindri
di vetro contenenti mercurio. ()ueste esperienze indicarono una
piccola diminuzione del calore specifico al crescere della tempera-
tura, ma appunto perchè tale variazione era piccolissima, stimai che
convenisse operare diversamente per ottenere maggior precisione.
Quantunque avessi determinato con ogni cura il calore specifico
de’ pezzi di vetro appartenenti allo stesso tubo da cui era stato tratto
il vetro adoperato per costruire il cilindro, pure mi rimaneva sempre
il sospetto che il calore specifico dei due pezzi di vetro fosse diverso
o variasse diversamente al crescere della temperatura. Occorre
inoltre adoperare una massa considerevole di vetro per costruire
il cilindro che deve contenere il mercurio, e le condizioni delle
esperienze sono anche tali che occorre molto tempo perchè il mer-
curio del cilindro, quando immerso nel calorimetro, raggiunga tem-
peratura eguale a quella del liquido calorimetrico. Per ciò eseguii
una seconda serie di esperienze in condizioni molto migliori.
Il recipiente destinato a contenere il mercurio era di lamina
di ferro, ed era aperto al di sopra. Quando il cilindro col mercurio
in esso contenuto stava entro l’apparecchio riscaldante, il bulbo
del termometro si trovava immerso nel mercurio stesso. Quando
il cilindro si faceva scendere nel calorimetro, il petrolio conte-
nuto in questo, entrava nel cilindro, sicchè bisognava cambiare
ad ogni esperienza il mercurio. Questo, ch'era stato prima ac-
curatamente depurato, veniva preso da una bottiglia che ne con-
teneva una quantità considerevole.
Per far le correzioni relative al calore ceduto al calorimetro
dal cilindro di ferro, mi giovai dello studio fatto dapprima sul
calore specifico del ferro. Però per pormi al sicuro da ogni causa
di errore feci anche apposite esperienze di verificazione col detto
cilindro, nel quale posi la quantità di mercurio appena neces-
saria perchè il cilindro si aftondasse nel petrolio. Bastavano a
ciò circa 15 gr. Queste esperienze diedero per il calore specifico
del ferro del cilindro fra 15 e 100 e fra 15 e 180° dei valori
concordanti con quelli trovati già per il ferro nello studio pre-
cedente. Il cilindro pesava gr. 20,8.
380 A. NACCARI
Le tabelle seguenti contengono i valori ottenuti per il mer-
curio. Nella prima colonna sta il peso del mercurio in grammi.
Nella seconda l’equivalente in acqua A del calorimetro col li-
quido contenuto e gli accessorî: la terza colonna contiene la tem-
peratura 7 del mercurio entro l’apparecchio riscaldante nell’i-
stante che immediatamente precede l'immersione, la quarta la
temperatura #, del calorimetro nello stesso istante, la quinta la
temperatura finale corretta t, del calorimetro, la sesta il calore
specifico C dedotto dalle singole esperienze, la settima il valore
medio c del calore specifico spettante a’ singoli intervalli. Come
nello studio precedente questi calori specifici sono riferiti a quello
dell’acqua interno a 15°. Le esperienze vennero fatte con l'ordine
seguente. Si confrontò anzi tutto il calore specifico fra la tem-
peratura ordinaria e 170° circa con quello fra la temperatura
ordinaria e 100°.
Poi un simile confronto si fece per i limiti superiori 220 e 100°.
Infine si confrontarono gl’intervalli, i cui limiti superiori erano
183° e 100°,
I numeri relativi a queste tre serie stanno nelle tre tabelle
seguenti. In ogni serie disponendo di due apparati riscaldanti
s'ebbe cura di alternare le esperienze spettanti ai due intervalli
da confrontarsi.
Le temperature vennero corrette mediante confronto dei ter-
mometri adoperati con quello ad aria. Il calore specifico del pe-
trolio venne accuratamente determinato più volte, tenendo conto
della influenza della temperatura. -
TABELLA T.
238, 8|170, 8|99,0|13,362|18,196|0,03304
223, 6|171,2|99,1|12,860|17,502 3315
230, 5|170, 5) >». (|18,372|18,110 3316
212, 8|169,8| » |18,403|17,867 3298
250, 1298, 6| 99,5] 12,916 | 15, 883 3307
256,7) » |99,6|13,050|16,078 3307
e i e TOR RDZ 1 ': ‘ Re‘2111e@ÎiÉiVVO©ÒO]Y}
146, 9|171, 2|160, 1| 12, 922 | 18, 857 |0, 03283
138, 4| » |171,38|18,041]|19,163 3285
144,0] » |172,0| 18,125 | 19,417 3294| 0, 03284
152, 8| » |1783,9| 12, 764] 19, 566 3273
156, 1[/298, 6|]175, 7| 12, 780 | 16, 751 3285
0, 03308
SULLA VARIAZIONE DEL CALORE SPECIFICO DEL MERCURIO 381
208, 4|292, 7
99,7 |13,230
TARELDA LI.
99, 4| 13,320 | 15,959 3297|0, 03300
99, 4|13,910 | 16, 520 3305
159, 8|/293, 1|228, 0| 18, 161 | 18; 646 |0, 08269
161, 1298, 2224, 3| 13, 446 | 18, 867 3280] 0, 03274
162, 3|293, 3|226, 3| 13, 412|18,898| 3268
TABELLA III.
P A T t, i, C c
191, 7|298, 2| 98, 7 | 13, 886 | 16, 317 |0, 03297
duo >. 198 8/15,.003./17.416 3321
ID > >» |16,058|18,502 3319
182.3) » |99,1|14,086|16,437 3294| 0, 03309
188,4) >» sui AS 497 3305
194,6] » |98,9|183,239|15,724 3303
196,9) >» > 190823 16,312 3308
180, 7|293, 2183, 0| 13,431| 18,137 |0, 03308
182,5] >» |188,7| 14,007 | 18,719 9277
184,0)» |182,9| 14,445. [19,151 SORI Ot e
fear, «183, 214,520. |:19,194 3283]
La quantità 9g di calore necessaria per riscaldare un gramma
di mercurio da 17 a # è data nella tabella seguente.
9 1 du
3 |
t q
99 CI
Tia 5,258
226 6,843
382 A. NACCARI - SULLA VARIAZIONE DEL CALORE ECC.
Da questi valori si deduce la formula
q=0,033277 (£-—17)—2,6716 . 107°(£— 17)°+
+ 0, 0005559 . 10-°(£— 17).
Di qui si hanno i valori seguenti del calore specifico medio c
fra 0 e # e del calore specifico vero dq:dt. Per calcolarli la
formola venne estesa anche a 0 e 250, vale a dire un po’al
di là dei limiti delle esperienze eseguite.
del, 0,0 0,0333537
50 0,03223 3310
100 3310 3284
150 3297 3259
200 3285 3235
250 3273 3212
Le esperienze del Winkelmann danno una variazione un po’
maggiore. Quelle eseguite nelle condizioni migliori cioè col vasetto
di platino possono venir rappresentate con la formula,
q=0, 083223 (£— 20) — 3, 4717 .10-5(£—20),
che non differisce molto dalla mia.
Per gli intervalli 0 —5 e 0 —36 la mia formula dà rispet-
tivamente i valori 0, 03336 0, 03327 del calore specifico medio,
e si può quindi ammettere che le mie esperienze s’accordino con
quelle del Pettersson che non trovò entro quei limiti variazione
sensibile.
15 Maggio 1888.
Il Direttore della Classe
ALFronso Cossa.
= > +
383
CLASSI UNITE
Adunanza del 17 Giugno 1888.
PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ARIODANTE FABRETTI
VICEPRESIDENTE
In questa adunanza il Socio Prof. Ariodante FABRETTI è
rieletto per un altro triennio a Vice-Presidente dell’Accademia.
L’Accademico Segretario
(GASPARE GORRESIO.
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SOMMARIO
——_—_--
Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali.
ADUNANZE del 27 Maggio e del 17 Giugno 1888. . . . Pag. 325
MatTIROLO — Sopra alcuni movimenti igroscopici nelle Fpatiche Mar-
ChANTIGRO‘ 13% O n RARO Ta PRIORA IE O Aa
VocLinò — lilustrazione di due Agaricini italiani . ....,...
GaLEAZZI — Sugli elementi nervosi dei muscoli di chiusura dei bi-
valdi Si AE A e O LAO e E
ErrerA — Derivati degli alcoli Parabromo e Paraclorobenzilico . . » 346
Japanza — Una nuova forma di cannocchiale .. .. ...... a RIO:
Grimaupi — Influenza della tempera sulle proprietà termoelettriche
de]: BIBI RI RO E AIR DN » 358
NaccarI — Sulla variazione del calore specifico del Mercurio al cre-
seero della: temparatura: 20 GL DIR A IA »
Classi Unite.
ADUNANZA del 17 Giugno 18881... 0. Pay. 383.
De- NB. A questa dispensa va unita la Tavola XI relativa
alla Memoria del Dott. B. Grassi sulla Taenia, RIU, 5
blicata nella 12° Dispensa, pag. 314.
v
*
Torino - Tip. Reale-Paravia.
Fr
ATTI
DELLA
R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE
DI TORINO
PUBBLICATI
DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI
Vor. XXIII, Disr. 15°, 1887-88
Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali.
TORINO
ERMANNO LOESOHER
Libraio della R. Accademia delle Scienze
385
CLASSE
DI
SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI
Adunanza del 1° Luglio 1888.
PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ANGELO GENOCCHI
PRESIDENTE
Sono presenti i Soci: LEssona, SALVADORI, BERRUTI, BASSO,
D’Ovipio, Bizzozero, NACCARI, SPEZIA, GIBELLI, GIACOMINI.
Si legge l’atto verbale dell’ adunanza precedente che viene
approvato.
- Tra le pubblicazioni presentate in. omaggio all’ Accademia
vengono segnalate le seguenti :
«Il Sirratte in Italia nella primavera del 1888; > e « Le
date della pubblicazione della « Iconografia della Fauna ita-
lica del Bonaparte, ed Indice delle specie illustrate in detta
opera ; >» Note del Socio SaLvapori, estratte dal Bollettino dei
Musei di Zoologia ed Anatomia comparata della R. Univer-
sità di Torino, n. 47, 48.
« Schiarimenti e considerazioni sul Rilievo d’ Italia a su-
perficie curva, alla scala unica di 1 milionesimo; » del Cav.
Cesare PomBA, presentati dal Socio Basso.
Le letture e le comunicazioni si succedono nel modo seguente :
1° « Relazione intorno alla Memoria del Prof. Lorenzo
CamerANO « Sugli Ofidi italiani » (parte 1°, Viperidi); del
Socio SALvaDORI, condeputato col Socio LESSONA.
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol, XXIII 31
386 T. SALVADORI
2° « Rivista critica e descrittiva delle specie Trifolium
comprese nella sezione Lagopus di Koch: » del Socio GIBELLI
in collaborazione col Dott. Saverio BELLI; approvata dalla Classe
per la pubblicazione nelle Memorie dell’Accademia.
3° « Sul calcolo delle freccie elastiche delle travi reti-
colari; » Nota dell'ing. Elia Ovazza, Assistente nella R. Scuola
d’Applicazione per gl’ Ingegneri in Torino, presentata dal Socio
D'OviIpIO.
4° « Sulla neoproduzione del tessuto muscolare liscio :;
Esperimenti e ricerche » del Dott. Tommaso BusacHi, presen-
tati dal Socio Bizzozero.
5° « Intorno al valore specifico della Pleospora Sarci-
nulae e della Pleospora Alternariae di Gibelli e Griffini; »
Ricerche sperimentali del Dott. Oreste MaTTIROLO, presentate dal
Socio GIBELLI.
LETTURE
RELAZIONE sulla Memoria del Dott. Lorenzo CAMERANO, inti-
tolata : « Monografia degli Ofidi italiani - Parte 1° -
Viperidi ».
L’Autore continua in questo lavoro lo studio dell’Erpetologia
italiana già da lui intrapreso colle monografie degli Anfibi anuri,
degli Anfibi urodeli e dei Sauri, le quali ebbero l’onore di essere
stampate nelle Memorie di questa R. Accademia.
La presente monografia è stata condotta rispetto alla nomen-
clatura ed al modo di intendere le divisioni tassonomiche colle
stesse norme osservate nelle monografie precedenti.
L'Autore ebbe a sua disposizione per fare questo studio,
un materiale molto abbondante, proveniente dalle raccolte del
Museo Zoologico di Torino, del Museo Zoologico della R. Uni-
RELAZIONE SULLA MEMORIA DEL DOTT. L. CAMERANO 387
versità di Pavia. del Museo dell’Istituto tecnico pure di Pavia
e del Museo della Fondazione Galletti di Domodossola.
Oltre a duecento esemplari di vipere, appartenenti a molte
località italiane, vennero esaminati dall’Autore.
Nei Viperidi italiani si ha un esempio bellissimo del variare
delle forme animali coll’estendersi della loro area di distribu-
zione e dell'importanza dell’applicazione delle moderne teorie
evoluzionistiche per la distinzione delle forme animali.
Le questioni principali che si presentavano all’Autore nello
studio dei Viperidi erano :
1° Se le Vipere europee si dovessero considerare come
appartenenti a due generi, o ad un solo.
2° Se le Vipere europee fossero da considerarsi divisibili
in tre sole specie: V. aspis, V. berus, V. ammodytes, oppure in
cinque specie: V. aspis, V. berus, V. ammodytes, V. Seoanei,
V. Latastei.
3° Quali specie di vipere si trovino in Italia e quale sia
la loro distribuzione tanto verticale, quanto orizzontale.
L'Autore è giunto alle seguenti conclusioni notevolmente di-
verse da quelle alle quali erano giunti gli Autori precedenti.
1° Le Vipere europee appartengono ad un solo genere: il
gen. Vipera LAUR.
2° Il genere Vipera LAUR. comprende in Europa due specie :
V. ammodytes (LINN.)
V. berus (LinN.)
3° La Vipera berus (LINN.) presenta una sottospecie aspis
predominante nelle regioni meridionali d'Europa.
4° La Vipera Latastei (Boscà) deve essere riferita alla
Vipera berus, subspec aspis e non alla Vipera ammodytes.
5° La Vipera Latastei Boscà e la Vipera Seoanci LATASTE
non sono da cousiderare nè come specie distinte, nè come sotto-
specie, ma bensì come semplici variazioni della V. derus, o della
V. berus. subspec. aspis, non sufficientemente stabili per poter
essere designate con nomi distinti.
6° In Italia si trovano le seguenti forme di Viperidi :
Vipera ammodytes (LINN.)
» berus (LINN.)
» hberus, subspec. Uspis.
388 T. SALVADORI - RELAZIONE SULLA MEMORIA ECC.
La Vipera ammodytes non venne fino ad ora trovata in
modo sicuro altrochè in alcune località del Friuli e del Tirolo.
La Vipera berus è stata trovata, in modo da non lasciar
dubbio, in Piemonte, nel Pavese, nel Veronese, nel Ferrarese e
al Gran Sasso d’Italia.
La Vipera berus subspec. aspis è la più comune e manca,
per quanto se ne sa ora, in poche località italiane (fra queste
sono la Sardegna, la Corsica e le isole minori, esclusione fatta
dell'Isola d’Elba e dell’Isola di Montecristo); essa è comunissima
sulle Alpi, dove si spinge fin quasi ai 3000 metri sul livello del
mare; si trova anche nelle regioni paludose del piano, in tutta
la parte peninsulare, e non è rara in Sicilia.
Due tavole di disegni, rappresentanti i caratteri diagnostici
più importanti e le loro variazioni, accompagnano questo lavoro.
La diligenza grandissima colla quale esso è stato condotto,
e le importanti conclusioni cui l'Autore è giunto, rendono de-
gnissimo il lavoro del D" Camerano di essere accolto nelle Me-
morie della nostra Accademia.
MicHELE LESSONA
T. SaLvapori, Relatore.
La Classe approva le conclusioni dei Commissari, e, udita
la lettura della Memoria del Prof. Camerano, ne approva la
stampa nei volumi delle Memorie dell’Accademia.
stri nti rit nat
Sul calcolo delle freccie elastiche delle travi reticolari,
dell’ Ingegnere ELIA OvAZza
Assistente nella R. Scuola di Applicazione per gli Ingegneri
di Torino
1. A complemento delle teorie svolte in altra mia nota (*),
esporrò in questo scritto alcuni metodi di calcolo delle freccie
elastiche delle travi reticolari caricate ai nodi, aggiungendo esempi
numerici per guida nell’applicazione pratica di tali metodi.
È noto che, non bastando l'ispezione oculare per giudicare
della bontà delle costruzioni metalliche, queste, prima di abban-
donarle all’uso cui sono destinate , si assoggettano a prove di
resistenza , consistenti nella misura delle deformazioni che tali
costruzioni subiscono sotto l’azione di determinati sopraccarichi ,
fissi e mobili: paragonando i risultati dell’esperienza con quelli
dedotti dalla teoria si ha un criterio razionale per giudicare
della stabilità della costruzione. Nell’atto delle prove possono
misurarsi gli spostamenti di determinati punti nello spazio, oppure,
più razionalmente, le deformazioni delle singole parti della co-
struzione. Per le travature reticolari caricate ai nodi il calcolo
delle deformazioni delle singole aste, supposti i collegamenti a
cerniera senz’attrito, è semplicissimo quando per ogni asta sia
noto lo sforzo provocatovi; il calcolo degli spostamenti dei nodi
può invece riuscire alquanto faticoso , onde l'opportunità della
presente nota.
2. Carichi fissi. — Stabilita una speciale condizione di carico.
per una trave reticolare, per determinarne gli spostamenti cor-
rispondenti dei varî nodi, si calcoli per ogni asta lo sforzo 7
che vi è provocato e se ne deduca la variazione di lunghezza
As mediante la nota formola
As — Vere si
(*) ELia Ovazza. Sul calcolo delle deformazioni dei sistemi articolati. Atti
della R. Accademia delle Scienze di Torino, 1888.
390 ELIA OVAZZA
ove s ed indicano la lunghezza e l’area della sezione tra-
sversale ed £ il coefficiente di elasticità del materiale ond’ è
l'asta. Quando gli sforzi 7° si ottengano per via grafica, può
essere conveniente di dedurre pure in via grafica le variazioni
As; basta perciò costrurre graficamente la quarta proporzionale
dopo le forze EF e 7 e la lunghezza s per ciascun’asta. (Sup-
posto di rappresentare le forze E e 7 rispettivamente nelle scale
di » ed x' metri per chilogramma e le lunghezze s nella scala di
' "
i TONE : ‘Gu nn
n':1, le variazioni As risultano nella scala di n" = — : 1).
n
Determinati i As, si considerino, avendo riguardo al segno, come
velocità di dilatazione, e supposto fisso un nodo e fissa la direzione
d’un’asta uscente da esso, descrivasi il diagramma {8 delle velocità
pel moto di deformazione che ne risulta ; poscia descrivasi il dia-
gramma % delle velocità pel moto d’insieme che devesi imprimere
al sistema per portarlo nella posizione voluta dai vincoli: i segmenti
che collegano i punti dei due diagrammi corrispondenti ad uno
stesso nodo del sistema misurano in direzione, verso e grandezza
(nella scala dei As) gli spostamenti effettivi dei nodi.
Ordinariamente in pratica un nodo è fisso e bene spesso la
direzione d’un’asta speciale non varia in seguito alla deformazione,
quindi sono applicabili le semplificazioni di cui al numero 8 della
nota succitata (*).
È notevole che potendosi supporre fisso qualsiasi nodo del
sistema, la deformazione può determinarsi con diversi diagrammi;
onde si possono avere buonissimi controlli, oltre a quelli che nei
(*) Il moto d’insieme è di norma indeterminato quando i vincoli riduconsi
a due superficie d’appoggio ovvero a più superficie di appoggio tendenti a
far scorrere altrettanti nodi in una stessa direzione. Se i vincoli riduconsi a
tre superficie di appoggio tendenti a far scorrere tre nodi in diverse dire-
zioni, la determinazione del moto d'insieme è problema determinato, ridu-
cendosi a quello di costrurre un triangolo omotetico ad un altro ed avente i
vertici su tre rette date non parallele, problema che risolvesi facilmente col
metodo di falsa posizione. Se i vincoli consistono in un punto fisso F ed in una
superficie di appoggio di un altro nodo S scorrevole in una direzione ST, e
per punto fisso nel moto di deformazione sì sceglie un terzo punto C, il dia-
gramma del moto d’insieme è determinato da ciò che il punto «7 dì questo.
diagramma corrispondente al nodo F deve coincidere col punto fp del dia-
gramma di deformazione corrispondente allo stesso nodo, ed inoltre che il
punto «g deve giacere sulla parallela ad ST per fis.
SUL CALCOLO DELLE FRECCIE ELASTICHE 391
casi speciali dipendono dalla particolare conformazione del sistema
(simmetria p. es.).
Esempio — La figura 1° rappresenta lo schema d’una trave
reticolare da ponte sorreggente l’impalcato mediante travi tra-
sversali attaccate in corrispondenza dei singoli nodi del contorno
inferiore, rettilineo: i carichi si considerano trasmessi alle travi
trasversali mediante travi secondarie disposte nel senso longitu-
dinale, ciascuna delle quali appoggia semplicemente su due travi
trasversali consecutive. Lungo le aste sono indicate nella metà
destra della figura le sezioni trasversali in cm°, nella metà sinistra
le lunghezze in cm delle singole aste. Le figure 32 e 4 sono
i diagrammi degli spostamenti dei nodi per tale trave rispetti-
vamente nella ipotesi di carichi eguali ad 1 Cyg applicati ai sin-
goli nodi del contorno inferiore e nell'ipotesi di un solo carico
eguale ad 1 Cg applicato al nodo intermedio 10 dello stesso
contorno, supponendo per semplicità £ == 1g per cm° per tutte
le aste. Gli sforzi nelle aste, 7° e 7", corrispondenti alle due
ipotesi si determinarono graficamente mediante diagrammi re-
ciproci (fig. 2°) (*); i loro valori furono controllati in via
analitica ed esposti nella tabella in fondo alla nota, insieme ai
corrispondenti valori delle variazioni di lunghezza A's e A"s per
le varie aste. Per ragione di simmetria in ambe le ipotesi di
carico rimane invariata la direzione dell’asta 9,11; supposto
dunque fisso uno dei due nodi 9 ed 11 e ritenuta fissa la di-
rezione 9,11, il diagramma pel moto di deformazione dà im-
mediatamente gli spostamenti effettivi dei nodi. La figura 3° è
limitata alla metà sinistra, la figura 4* alla metà destra della
trave; le dilatazioni delle aste sono rappresentate con linee piene
sottili, con linee piene più sentite si collegarono per chiarezza
in ambo i diagrammi i punti corrispondenti ai nodi direttamente
collegati con un’asta nella travatura. Sulle verticali uu e vv si
proiettarono orizzontalmente i punti dei diagrammi relativi ai
nodi di contorno inferiore, onde dedurre nella scala indicata in
disegno le proiezioni verticali degli spostamenti dei nodi medesimi :
a fianco di dette rette sono scritti fra parentesi i valori degli ab-
bassamenti dei nodi di contorno inferiore rispetto ai nodi 0 e 20.
Volendosi supporre P_ed E diversi dall’unità, gli spostamenti
(*) Le linee piene si riferiscono alla prima ipotesi, le linee a tratti e
punti alla seconda ipotesi.
392 ELIA OVAZZA
gui jiéa. Pod i
trovati vanno moltiplicati pel rapporto + . Così p. es. supposto
E
P=C92250 ed E=Cg2000000 per cm° e volendosi avere le
proiezioni verticali degli spostamenti dei nodi in vera grandezza,
poichè gli spostamenti A's in figura 3° sono in iscala di 1:100,
si proietti la punteggiata «v da un polo P a distanza di cm. 20
sopra una parallela ad ww posta a distanza di cm. 2,25 dal
polo: i segmenti 0'1',0'2',0'3',....1"2°,1"3%,....rappresentano -
le proiezioni cercate (*). Portate le distanze 0'1',0'2',0'3',....
al disotto del contorno rettilineo dello schema (fig. 1°) in cor-
rispondenza dei nodi 1',2,3', ..., nella spezzata 0 III IIl....
si ottiene il cosidetto poligono di flessione (fig. 1} ) pel contorno
inferiore nell’ ipotesi di carichi eguali a Cg 2250 applicati ai
singoli nodi di detto contorno e di E=2000000 Cyg per cm.
Analogamente portate a partire dall’orizzontale per il nodo 1 i
segmenti 1"3",1"5",....in corrispondenza delle verticali pei nodi
3,5, ...., si ottiene il poligono di flessione I III V.... pel
contorno superiore (**).
La punteggiata vv (fig. 4°) dà nella scala di 1:10 gli ab-
bassamenti dei nodi di contorno inferiore per E£=1 e nell'ipotesi
di un carico P=1 9g applicato al nodo 10, od anche, com'è
ovvio, dà gli abbassamenti degli stessi nodi nella scala di 200: 1
nell’ipotesi di E—=2000000 Cy per cm° e P= Cg 1000. Ri-
dotta questa punteggiata nel rapporto di 1:5 mediante proiezione
' ' LI . LU . 1
da un polo P su una parallela v v distante da P di E della
distanza di P da vv, si ottengono gli stessi spostamenti nella
scala di 40:1. In figura 5* la spezzata ACB è appunto il po-
ligono di flessione pel contorno inferiore nella ipotesi fatta, ottenuto
portando i segmenti costrutti su vv come ordinate a partire
dalla fondamentale A B in corrispondenza dei nodi rispettivi.
3. Quando, com’è di frequente, importi solo costrurre il po-
ligono di flessione per un contorno di una trave, e questa sia
un sistema triangolare, conviene operare come segue:
(*) Per chiarezza i punti della punteggiata uu corrispondenti ai nodi di
contorno inferiore e quelli corrispondenti ai nodi di contorno superiore si
proiettarono su due rette diverse ww ed uu”, che distano entrambe da P
di cm. 2,25.
(**) In figura è quotato il poligono di flessione del contorno inferiore
per facilitare i confronti coi risultati degli ulteriori calcoli.
SUL CALCOLO DELLE FRECCIE ELASTICHE 399
Per ogni angolo e,, compreso fra due aste s, ed s,, con-
correnti in un nodo m del contorno e formanti triangolo con una
terza asta s,,, si calcoli la quantità Ae,,, di cui esso varia in
seguito alla deformazione, mediante la formola
Beata Ent Ard Sra gi 15 siantaZa Im ) cot 3
= n= (7 E 5 “pm (7 Bil 5 ‘nm
OVE Gm; 02, 9, indicano le tensioni unitarie, E,,, E,, Epi
moduli di elasticità rispettivamente per le aste s spinte
Epm> €pn rappresentano gli angoli compresi rispettivamente fra
le aste s, ed s,,, 5, ed s,. Se ne deduca la variazione A0,,
subita in seguito alla deformazione di ogni angolo 6,, formato
da due aste successive di contorno concorrenti in un nodo mm
di esso, e quindi per ogni nodo si calcoli la quantità w,, data
dalla formola
$
ù
mo’ n°
=
‘m+a
Tn
Wo = tg Im >
m E
m
t8Ymi 40
4 mit 1
OVe %» © Ym+ misurano le inclinazioni all'orizzonte delle aste
Sm @d Sm4. di contorno concorrenti in m. Si applichino ai
varî nodi dei pesi misurati dai numeri w e si colleghino questi
pesi con un poligono funicolare di tensione orizzontale 7; questo
è il poligono di flessione pel contorno considerato e le ordinate
suè misurano gli abbassamenti dei nodi nel rapporto di 1:MH.
Quando il contorno sia rettilineo ed orizzontale i numeri w
riduconsi ai A%,,, misuranti le variazioni degli angoli di contorno.
Esempio. — Consideriamo ancora la travatura di cui al nu-
mero 3, e costruiamo il poligono di flessione pel contorno inferiore
rettilineo, nell’ipotesi di carichi eguali P applicati ai singoli nodi
dello stesso contorno. Supposto per semplicità P— 1g, le ten-
sioni unitarie c' corrispondono agli sforzi 7°’ già calcolati, ed
hanno i valori esposti nella tabella in fondo alla nota. Supposto
inoltre ÉE=1 ed avuto riguardo ai valori delle cotangenti dei varî
angoli, scritti fra parentesi nella metà sinistra della fig. 1°, si ha :
a=%,g= — 0,1762 w,=wo=+0,0284 w,=Ww,3= — 0,3037
a=wg=+0,0653 w=Ww,5= —0,3091 wy= w,,=+ 0,0323
3=w,,= — 0,2799 w=w,= +0,0407 w=w,=— 0,3723
wo + 0,0544
394 ELIA OVAZZA
Applicate ai nodi 1',2,3', ecc..... dei pesi misurati rispet-
tivamente da w,, w,, 43}, ...., collegati questi pesi con un po-
ligono funicolare di tensione orizzontale = 1, le ordinate di questo
poligono riferite alla fondamentale pei punti giacenti sulle verticali
pei nodi 0 e 20, (che non si abbassano durante la deformazione)
hanno i seguenti valori, calcolati in via analitica e paragonabili,
avuto riguardo alla differenza di metodo, ai numeri ottenuti in
da
via grafica dalla fig. 5°.
0 ini AT 346,13 Yy,=Yie= —1265,33 Yy,=Y;3= — 1888,49
ui — iii" 0000, 4d Y5=Y5= — 1530,80 Ys=Y = — 1982,38
v=y,=— 1008,38 w=y,=—1703,54. y,=y,=— 2085,86)
y,=— 2077,70
Di modo che per P-= 2250 Cg ed E= 2000000 Cg. per cmî,
gli abbassamenti risultano rispettivamente
pei nodi
DE 2 9! 4 5° 6 ‘i 8 9'
IG IEIRe 16 Sisti data 10406
di millimetri
9,0. 7,50 11,4, 14;2;. 17,2 19,2. 2142 228/2000
Questi valori vanno d’accordo con quelli trovati a numero 2
E anni aa la 4
4. Allorquando non occorra di conoscere la deformazione di
tutto un contorno, ma basti calcolare l'abbassamento di un dato
nodo della travatura, riesce molto conveniente l’applicazione del
teorema degli spostamenti virtuali. È noto che se un sistema ma-
teriale qualunque è in equilibrio sotto l’azione di un dato si-
stema di forze ed al sistema materiale si immagina impartito
uno spostamento infinitesimo qualunque compatibile con la na-
tura dei suoi vincoli, è nulla la somma dei prodotti delle forze
per le proiezioni nelle direzioni delle forze degli spazî virtuali
dei loro punti di applicazione. Trattandosi di calcolare lo spo-
stamento d di un nodo N d’una travatura in una determinata
direzione d prodotto da un dato sistema di forze P°, si calcolino
le tensioni 7' e le corrispondenti variazioni A's delle lunghezze
SUL CALCOLO DELLE FRE£CCIE ELASTICHE 395
s delle varie aste ; poscia, applicata al nodo N nella direzione
duna forza 1, si calcolino le tensioni 7°" provocate nelle aste
del sistema da quest'unica forza. Supposti rigidi gli appoggi e
trattandosi di deformazioni elastiche, a meno di quantità pic-
colissime di 2° ordine, si ha
O —L T'As
estendendo la sommatoria a tutte le aste del sistema; e per la (1)
è0:8
e al age Sa ta
EF ( )
Come Esempio calcoliamo l'abbassamento del nodo 10 della
trave di cui a fig. 1° — freccia d’incurvamento del contorno
inferiore — nell’ipotesi di carichi uguali P applicati ai sin-
goli nodi del contorno inferiore. Supposto P = 1 ed E= 1, i
valori di 7' e 7" sono quelli già calcolati ed esposti nella ta-
bella in fondo alla nota. Dedotti i valori delle quantità
s
ida
EF
pure raccolti in detta tabella, risulta
02107148
E per P—= 2250 Cg. ed E= 2000000 Cg. per cm.
di= mm. 297°.
5. Carichi mobili. — Nelle considerazioni che seguono noi sup-
porremo che, come nell’esempio fin qui preso a considerare, i
carichi mobili agiscano indirettamente sulla trave con l’intermezzo
di travi secondarie appoggiate su travi trasversali attaccate in
corrispondenza dei nodi di un contorno della trave reticolare che
considerasi, per modo che ogni carico agente fra due nodi M ed
N produca lo stesso effetto, per quanto riguarda la deforma-
zione della trave, che le sue componenti secondo le verticali
pei nodi M ed N. Inoltre considereremo il solo effetto statico
dei carichi, prescindendo dalle oscillazioni del sistema per forza
viva acquistata. Questa seconda ipotesi deve ritenersi approssimata
(*) Cfr. MiLLeR-BRESLAU, Die neueren Methoden der Festigkeitlehre ,
Leipzig 1886.
396 ELIA OVAZZA
pel caso di carichi mobili a piccola velocità: la considerazione
degli effetti dinamici del resto non è ancora entrata negli usi
della pratica.
In tali condizioni il problema della determinazione delle de-
formazioni delle travature reticolari è grandemente semplificato
mercè l'applicazione del principio di Maxwell o della recipro-
cità degli spostamenti.
Dato un sistema di carichi mobili, trattisi di determinare
la legge con cui varia lo spostamento d’un nodo -N del sistema
in una determinata direzione D. Applicata in N in questa di-
rezione D una forza 1, si determinino gli spostamenti dei nodi
©, , >, -... in cui possono venire ad agire i carichi mobili nelle
direzioni d,, d,,... di questi carichi; pel principio di Muzwell,
questi spostamenti sono eguali a quelli che il nodo N nella di-
rezione D soffre quando un carico 1 viene successivamente ad
agire sui nodi N, .%, -.-.. nelle direzioni di, d;..., essi s0n0
quindi i inerti d influenza sullo E pkiaanto del lia N nella
direzione D pei carichi sollecitanti i nodi ,, n,,.... Se trat-
tasi di carichi verticali e vuolsi la legge di variazione dello spo-
stamento di un nodo N nel senso verticale pel muoversi dei
carichi, si applichi in N un peso eguale ad 1 e costruiscasi il po-
ligono di flessione per il contorno sopraccaricato : questo poligono
è la linea d'influenza sull’abbassamento del nodo N per un ca-
rico mobile eguale ad 1, per modo che ad una posizione qua-
lunque dei carichi P,, P,,... corrisponde un abbassamento del
nodo N eguale alla somma algebrica £ P, y,, indicando generi-
camente con y; l’ordinata di detto poligono misurata in corrispon-
denza d’un carico generico P,. Invero (fig. 7°) sieno d,, e my,
16 ordinate in corrispondenza dei due nodi successivi m ed m+1 :
O, € Ò,,,, misurano gli spostamenti di N per un carico 1 ap-
plicato successivamente in m ed m +1. Se ora supponiamo un
carico 1 agente fra i nodi stessi a distanze x ed x' da essi,
questo carico, in virtù dell'ipotesi fatta circa la trasmissione dei
carichi alla trave, produce lo stesso effetto che le sue componenti
Ù
x
c+a° x+x
provoca del punto N un totale abbassamento eguale a
, secondo le verticali per 2 ed wm+1, e quindi
x x
UG IN
e pat ie asi Ddr
SUL CALCOLO DELLE FRECCIE ELASTICHE 397
che evidentemente è misurato dall’ordinata del poligono letta sulla
verticale del carico 1 considerato.
Nota la linea d’influenza, coi metodi della statica grafica si può
risolvere il problema proposto per qualunque condizione di carico.
6. Carico uniformemente ripartito mobile. — Se la tra-
vatura è sollecitata da un carico equabilmente ripartito, descritta
la linea d'influenza sull’abbassamento di un nodo N per un peso
concentrato = 1, il prodotto dell’ intensità p del carico per l’area
della figura compresa fra la detta linea d'influenza, la fondamentale
e le verticali limitanti il carico, misura l’abbassamento che il nodo
N soffre in conseguenza di tale carico, come risulta considerando
questo come una successione di pesi concentrati infinitesimi. Se
quindi si costruisce il diagramma affine alla linea d'influenza con
rapporto di affinità =p, e si descrive il diagramma integrale
di questo, il nuovo diagramma definisce la legge con cui varia
l'abbassamento del nodo N per l’avanzarsi di un carico unifor-
memente ripartito d’intensità p e di lunghezza non minore di
quella della trave: per ogni posizione del carico l'abbassamento
corrispondente del nodo N è data dall’ordinata letta sulla ver-
ticale di testa del carico.
Suppongasi per Esempio che sulla trave rappresentata sche-
maticamente in fig. 1° scorra un carico uniformemente ripartito
in ragione di Cg. 750 per metro lineare, di lunghezza non mi-
nore di quella della trave, e si voglia la legge di variazione della
freccia elastica misurata in corrispondenza del nodo 10 supposto
E=2000000 Cg. per cm°. Per quanto si disse al numero 3,
la spezzata A C Bb, fig. 8°, è la linea d'influenza sull’abbassa-
mento del nodo 10° pel muoversi d’un carico di 1000 Cg.: le ascisse
sono in iscala di 1:400, le ordinate nella scala di 40 : 1. In-
tegrando l’area ACB con base di riduzione = 40 metri (nella
scala delle ascisse), le ordinate della linea integrale misurereb-
bero nella scala al vero le freccie prodotte da un carico unifor-
memente ripartito mobile d’intensità eguale a Cg. 1000 per metro;
00 Il
750 (sempre nella
scala della ascisse), la curva integrale AD dà la legge cercata
di variazione della freccia. Nell’esempio trattato la linea d’ in-
fluenza ACB avendo tutte le ordinate dello stesso segno, la
freccia massima avviene a carico completo; essa risulta di mm. 23,7.
Il carico equabilmente ripartito di Cg. 750 per metro lineare
presa invece base di riduzione di metri 40 x<
398 ELIA OVAZZA
equivarrebbe ad un sistema di carichi P = 2250 Cs. applicati ai
singoli nodi del contorno inferiore, quando anche le sbarre estreme
01° e 19’, 20 del contorno inferiore fossero lunghe cm. 300 come
le aste intermedie; si comprende quindi la concordanza del va-
lore ora trovato dalla freccia con quelli trovati precedentemente
per carichi concentrati ai nodi.
7. Carichi concentrati mobili. — Suppongasi ora la trave
percorsa da un sistema di carichi concentrati P,, P,,.., a
distanze invariabili fra di loro; dalla linea d’ alano sull’ abbas-
samento d’un nodo N per un carico =1, si ottengono le linee
d'influenza pei carichi P,, P,, ... moltiplicando le ordinate
di quella rispettivamente per P,, P,,..., quindi con le regole che
la statica grafica insegna si può determinare la legge di variazione
dall’abbassamento del nodo N pel passaggio del sistema consi-
derato di carichi. Se per es. i carichi percorrono la trave da
destra a sinistra, si disegnino le linee d’influenza corrispondenti
ai carichi P,. P,,... per modo che i loro estremi omologhi,
p. es. quelli di destra, sieno fra di loro alle distanze che cor-
rono fra i carichi P, ma disposti in senso inverso, da sinistra
a destra; quindi si sommino graficamente i diagrammi così di-
sposti; la linea che ne risulta definisce con le sue ordinate la
legge di variazione dell’abbassamento del nodo N per il moto del
sistema di carichi nella direzione considerata.
Riferendoci ancora alla trave presa a studiare come Esempio,
suppongasi che essa venga percorsa da destra verso sinistra dal
sistema di carichi concentrati schematicamente indicato in fig. 6*,
e si voglia determinare la massima freccia in corrispondenza del
nodo 10. Siccome le ordinate della linea AC vanno continua-
mente decrescendo dalla mezzeria verso le estremità, il massimo
cercato non può avvenire che per una posizione dei carichi in-
termedia a quelle corrispondenti rispettivamente alle coincidenze
delle verticali del primo carico 1 e dell’ultimo carico 8 con la mez-
zeria della trave. Costrutte le linee d'influenza AC0yB, AC,B pei
due tipi di carichi di tonnellate 2 e 0,2 (*), si disegnino le
è; n ; 1
(*) Il rapporto d’affinità fra i diagrammi ACyB ed ACB essendo "TA
4
1
quello fra A4C,B e ACB 10° i diagrammi 4C,B, 4C,B dànno gli spostamenti
del nodo 40 nella scala di 1031.
SUL CALCOLO DELLE FRECCIE ELASTICHE 399
linee d’influenza pei carichi 1,2,...,8 per modo che le loro
mezzerie C,1,, 0,2,,..., 48, formino un fascio simmetrico al
fascio delle linee d’azione dei carichi concentrati che si conside-
rano, limitandole alle verticali C, 8,, C, 1,. La massima ordinata
Y della linea YH7G, che si ottiene sommando le ordinate dei
diagrammi parziali lette su ciascuna verticale, dà la freccia mas-
sima cercata. La posizione dei carichi producente questa freccia
rispetto alla trave supposta proiettata in AB, si ha disponendo
l’ultimo carico 8 sulla verticale dell’ ordinata Y (*). La lun-
ghezza di questa ordinata si può pure ottenere sommando le or-
dinate Y,, %, --- 9g delle linee d'influenza AC, B, AC, B sulle
verticali dei carichi nella posizione trovata che dà la freccia
massima. Supposte poi applicate nella direzione di 45 ai punti
d'incontro 2,, %,,... delle stesse verticali con la linea di influenza
ACB delle forze proporzionali ai corrispondenti carichi, si misuri
con un poligono funicolare O I ZI... IX (fig. 5°) il momento statico
di questo sistema di forze rispetto alla 45; per la proprietà
della linea d'influenza ACB questo momento statico è pur anco
proporzionale alla freccia Y cercata (**). In figura avendosi rap-
presentate le forze (sull’orizzontale LL) nella scala di millimetri
4 per tonnellata ed essendosi presa distanza polare Ao di cm. 4,
il segmento JI, /X misura la massima freccia cercata nella scala
di 4: 1. Questa freccia Y risulta di circa mm. 3,95 (***).
(*) Anche Y risulta nella scala di 1021.
(**) Cfr. Monr, Beilrag zur Theorie des Fachwerks. Zeitschrift des Arch-
und Ingenieur - Vereins zu Hannover 41875.
{***) I valori ottenuti per questa massima freccia e per la freccia a carico
fisso del contorno inferiore in corrispondenza del nodo 10 vanno d’accordo
coi risultati d’un’esperienza istituita dall’Autore per la prova d’un ponte per
strada carreggiabile, sorretto da due travi eguali a quella studiata come caso
speciale nella presente nota, fatto costrurre dal Comune di Melazzo (Acqui).
La freccia elastica per carico mobile risultò di millimetri 4, quella a carico
totale fisso di millimetri 24 per una delle travi e di mm. 25 per l’altra. Que-
st’accordo è tanto più degno di nota in quanto che i collegamenti delle aste
non erano a cerniera ma a chiodature,
400
Aste
Montanti
Contorno inferiore Contorno superiore
PT, ie
Traliccio
I)
‘| 0
Nota — Gli sforzi positivi indicano tensioni. i negativi compressioni. Le va-
riazioni As positive indicano allungamenti, le negative accorciamenti delle aste. |
TT = dine lf e —T_ e — nn” — ager
CIA
= | dl Sl &
a
ELIA OVAZZA - SUL CALCOLO DELLE FRECCIE ELASTICHE
Lunghezze
| _ |] _—___ {1 | —— | | ee |-——__k
> vide ole
600,0
603,1,
601,6
‘600,5
600,1
600:0
‘277,5
300.0)
300,0
‘300,0
5372
548,9
601,4
639,7
‘639,7
663,0
‘663,0
670,8
670,8
300,0!
300,0|
‘601,4!
bros Sforzi
cm | Cg cg
17,92|+ 4,000) 0
17,92/+ 1,000) 0
17,92 + 1,000) 0
17,92 + 1,000) 0
17,02/4- 1,000) 0
134,5 |— 10,628|— 0,592
174,5 |— 17,881|— 1,087
2145 |— 21,444|— 1,539
214,5 |— 23,822|— 1,996
245 |— 24,644|— 2,481
124,0 |+ 5,731|+ 0,302
124,0 (+ 57344 0,302
124,0 (+ 14,267|4- 0,842
164,0 + 19,533| + 1,307
204,0 {+ 22,727|+ 1,757
204,0 + 24,394] + 2,231
129,4 |— 11,095|— 0,584
76,4 |+ 8,864] + 0,526
834 /.7,405|—- 0,507
55,5 |+ 6,046|+ 0,486
71,6 | 4,796|— 0,476
51,5 |+ 4,098/+ 0,490
63,5.|— 2,873|— 0,485
424 (+ 2410|+ 0,528
515 !— 1,288/— 0,526
424 |+ 0,559/+ 0,559
0,086
Tensioni Variazioni
unitarie: area
ol A' s A” s
Cs.
per cm? cm, cm.
+ 0,056|+ 25,67
+ 0,056
+ 0,056] + 31,53
+ 0,056
+ 0,056] + 33,48
— 0,079|— 47,64
— 0,099 — 59,74
— 0,100|— 60,05
— 0,111|— 66,67
— 0,115| — 68,88
+ 0,046] + 42,83
+ 0,046] + 13,86
+ 0,115] + 34,53
+ 0,119] + 35,73
+ 0,114|+ 33,42
+ 0,120] + 35,88
— 46,04
+ 63,67
— 53,40
+ 65,49
— 42,86
+ 50,15
+ 0,116
— 0,089
+ 0,109
— 0,067
+ 0,078
— 0,045) — 29,97
+ 0,057|+ 37,79
— 0,025|— 16,77
4- 0,013) + 8,85
La tabella è limitata ad una sola metà della travatura.
Torino, 1° Luglio 1888,
— 2,65|+
— 3,75|+
— 481|+
— 5,58|+ 133,089 || '
— 6,94|+ 170,905
+ 0,66] +
— 0.75] +
+ 2,04| +
+ 2,39] +
+2,58|+
+ 3,28|+
— 2,42|4+
+ 3,78|+
— 3,66 +
+ 5,26|+ è
— 4,25/+
+ 6,09) +
+ 8,20) +
— 6,86) +
+ 8,84|+
Prodotti ||
ru $
E ad P
58,719
24,595 ||
_ 5,06|+ Tisazil
28,191||
64,936 ||
92 ,399||
3,713]|.
4,316||
29,067 ||
46,747 ||
20,414
19,942
8,828
|
4,950
Tav XV.
ni Ha)
i io rigato
; ! | (Scala di 118
(in) Fig: 5: ! Ì A x
3e (Scala di de100 ! I | delle ascisse 11409 cre See +=
NE E Sa A È Beal J delle ordinate parla linea ACB 40:1 S VI |
Fig! t L > (pos) Sca \ n + perle linee AC B.AC,B, FHG i0:1. î
= ; (Scala lai 1:00) i del diagramma AD fit | Aa
| 3165
3.004 3g I20. »
begla dale:
crdinale {:1)
ulcalcolo delle freccre elastiche
ser lo
TRAVI RETICOLARI |
Jug: bla Vvarta.
pel diagramma a linee piene S5mm=10g.
cala delle fore i . li atratti e punti sem=4Cg
401
Sulla neoproduzione del tessuto muscolare liscio.
Esperimenti e ricerche
del Dott. Tommaso BusacHl
1. Il risultato delle mie ricerche su questo argomento e che
ora esporrò, è già parzialmente noto per tre note preventive, nella
prima delle quali (Giornale della R. Accademia di medicina,
Torino Aprile 1886) comunicavo che dopo le ferite dell’intestino
del cane si verifica aumento numerico delle fibre liscie per cario-
cinesi: nella seconda (Centralblatt f. d. med., Wissensch, 1887
n. 7) esponevo che lo stesso fatto accade nelle ferite della pro-
stata e vescica (cane), intestino ed utero (coniglio, porcellino d’In-
dia) ed intorno ai zaffi di un cancro nel prepuzio dell’ uomo:
infine nella terza (Gazzetta medica di Torino, Aprile 1887)
constatavo che nelle ipertrofie compensatorie dell’intestino, oltre
l’ipertrofia si ba pure aumento numerico delle fibre liscie.
Poco dopo me anche altri osservatori si occuparono dell’ar-
gomento: così per le ferite STILLING e PrimzneR (Arch. f. milr.
Anat. Vol. XXVIII) nello stomaco del tritone osservarono rige-
nerazione del tessuto per scissione indiretta delle fibre muscolari
preesistenti: RIrscHL ( Arch. di Virchow, Vol. 109) studiò le
ferite nello stomaco, intestino ed utero del coniglio. ottenendo
risultati simili a quelli da me prima enunciati, cioè nei margini
della ferita scissione indiretta di fibre muscolari, che dura per
un certo tempo e guarigione della ferita per cicatrizzazione con-
nettiva. Dell’ ipertrofia, già prima di me, si occupò HERCZEL
(Zeitsch. f. Klin. Medic., Vol. XI) concludendo che non si fa
iperplasia, ma solo aumento di volume delle fibre liscie, nel che
più tardi si accordò pure RITScHL (0p. cit.).
Per vero già prima di noi l'argomento era pure stato stu-
diato da altri, ma da una parte questi osservatori erano in dis-
accordo fra di loro e dall’altra l’idea che ciascuno di essi soste-
neva non poteva ritenersi sufficientemente dimostrata : talchè i più
Atti R. Accad. - Parte Fisica — Vol. XXIII, 32
402 TOMMASO BUSACHI
recenti autori confessavano ch’ erano necessari nuovi studii su
questo argomento (FrEv, Das Mikroskop. — Recklinghausen ,
Handbuch der allg. Path. etc.). Ad ogni modo tre opinioni si
contendevano il campo, cioè quella di K6LLIKER, che ammetteva
neoproduzione di fibre liscie da elementi connettivi embrionali,
quella di MorescHort e Piso-Borme dalle cellule preesistenti e
la terza di ABy ed ARNOID, secondo cui nuovi elementi musco-
lari potrebbero derivare da elementi connettivi già in completo
sviluppo.
%. Gli esperimenti sull’ipertrofia furono da me eseguiti prin-
cipalmente nel coniglio, in cui seguendo le regole antisettiche feci
delle stenosi intestinali non complete: uccisi poi gli animali 2, 3,
4!/,, 5 giorni dopo l'operazione e trovai sempre che oltre le
conseguenze dirette della stenosi, non era avvenuta alcun’ altra
complicazione sia nel cavo peritoneale, che nella ferita stessa: i
pezzi vennero trattati sia col metodo del prof. Bizzozero, che
con quello di FLEMMING.
Nel tratto superiore alla stenosi, fino alla distanza di 6 cm.,
ho dimostrato esistere ipertrofia ed iperplasia delle fibre muscolari.
L’ipertrofia risulta da ciò che mentre normalmente (ARNOID nel
manuale di StRICKER) i nuclei delle fibre liscie sono lunghi 15-22 {1
e larghi 2-3, dopo cinque giorni dalla stenosi sono assai nu-
merosi i nuclei lunghi 27-31 e larghi 7-11p.: fra gli altri un
nucleo misurava 29. in lunghezza e 13 in larghezza. L’ au-
mento in lunghezza è proporzionalmente minore di quello nel senso
della larghezza, perciò il nucleo perde la forma a bastoncino e
diventa ovale.
Anche il corpo cellulare s’ipertrofizza: poichè mentre la lun-
ghezza normale delle fibre muscolari (ARNOLD op. cit.) oscilla fra
gli estremi di 45-230p, ho soventi osservato delle fibre lunghe
590 p.
Il protoplasma intorno al nucleo perde soventi la struttura
omogenea e diventa granuloso.
L'aumento numerico delle fibre lo si osserva già due giorni
dopo la stenosi e più tardi si fa notevole sicchè, come si vede
dalla fig. 1°, nel campo microscopico si hanno contemporanea-
mente molte forme nucleari di scissione indiretta. Di più siccome
la scissione avviene in elementi ipertrofici così ne sono assai evi-
denti i diversi stadii (Vedi fig. 2-13): infine la si può osservare
pure nelle sezioni trasversali alla direzione delle fibre (fig. 14).
NEOPRODUZIONE DEL TESSUTO MUSCOLARE LISCIO 403
Ho pure constatato lo stesso fatto nel porcellino d'India, invece
quando nel cane si produce la stenosi con un’ansa di filo, questo
incide la parte stenosata e mano mano si saldano fra di loro,
per cicatrice connettiva, le due labbra della ferita, sicchè infine
si ristabilisce completamente il lume intestinale. Perciò in que-
st’animale provocai la stenosi completa con la resezione intesti-
nale ed anche in esso osservai gli stessi fatti, già precedentemente
constatati nel coniglio.
8. Per lo studio della rigenerazione feci delle ferite, con
piccola perdita di sostanza e senza alcuna sutura consecutiva,
nell'intestino, vescica, utero, prostata, uretere del cane: le espe-
rienze furono venti e con durata di tempo da 8 ore a 203 giorni.
Riassumendo in breve il risultato dei miei esperimenti dirò
che già dopo tre giorni dalla ferita avviene nella sua vicinanza
ipertrofia e scissione indiretta in elementi connettivi ed in musco-
lari: il numero degli elementi in scissione aumenta fino al quinto
giorno e poi comincia a diminuire l’attività di moltiplicazione,
sicchè al 22"° giorno nelle fibre muscolari non si hanno più segni
di scissione e la perdita di sostanza è colmata da tessuto con-
nettivo. Anche nelle ferite che datavano da lungo tempo, cioè
da 60-87-203 giorni, ho sempre riscontrato il tessuto connet-
tivo cicatriziale, il che esclude che possa venir sostituito da fibre
muscolari, come avrebbero osservato STILLING e PrFITZNER nel
tritone.
4. Mi parve interessante controllare il risultato di questi
esperimenti con pezzi patologici tolti dall’ «0mo e conveniente-
mente fissati. Così in un caso d’ernia cangrenata, guarita colla
resezione intestinale, sul pezzo afferente dell’ansa intestinale verificai
esistere elementi muscolari in scissione indiretta: le ferite, come
dagli esperimenti sugli animali, guariscono pure per cicatrice con-
nettiva, se ciò si può dedurre da un caso, da me esaminato.
5. Le meoplasie furono da me studiate in due fibro-miomi
uterini: in ambedue ho constatato esistere degli elementi musco-
lari in scissione indiretta : ma il loro numero è assai scarso, sicchè
in molte sezioni non se ne riscontra affatto, mentre se ne possono
osservare parecchie in una sola sezione.
6. Concludendo adunque dalle mie ricerche risulta :
a) Nell’ipertrofia compensatoria del tessuto muscolare liscio
oltre l’ipertrofia si ha pure aumento numerico delle fibre mu-
scolari ;
404 TOMMASO BUSACHI
5) Le fibre muscolari neoformate derivano dalle preesistenti
per scissione indiretta;
c) Le ferite del tessuto muscolare liscio guariscono per
cicatrice connettiva: però nei primi giorni dopo le ferite si ha
pure aumento numerico di fibre liscie ;
d) I fibro-miomi crescono per moltiplicazione delle fibre
muscolari preesistenti.
SPIEGAZIONE DELLE FIGURE.
Tutte queste figure furono disegnate colla camera lucida.
Fic. 1. Stenosi intestinale del coniglio, che data da quattro giorni
e mezzo: sezione parallela alla direzione delle fibre
circolari. In mezzo a nuclei ipertrofici se ne vedono
altri in mitosi: a tre forme di gomitolo: d doppio
astro : e tre forme di gomitoli figli, distanti più o
meno fra di loro. (Koristka oc. 3, ob. 8).
» 2. Stenosi coniglio precedente: forma di gomitolo (lungo 22 p..
e largo 11) in una sezione a 3 cm. dalla stenosi.
(Koristka oc. 3, imm. om. di Zeiss },).
» 3. Id. id. altra forma di gomitolo (lungo 29p): sezione a
a 3 cm. dalla stenosi. (Koristka oc. 3, ‘ed imm.
om. }, di Zeiss).
» 4. Id. id. Gomitolo in cui è evidente la disposizione peri-
ferica dei filamenti e la loro direzione perpendicolare
all’asse longitudinale del nucleo (Koristka oc. 3, imm.
om. }4,).
» 5. Id. id. Piastra equatoriale col fuso acromatico e col pro-
toplasma granuloso (Zeiss oc. 3 : imm. om. }K,).
» 6. Id. id. Corona (Koristka oc. 3 : imm. om. Zeiss !/,,).
xv
“J
. Id. id. Diastro, in cui le due parti sono poco distanti.
» 8. Id. id. Diastro, in cui le due parti si sono già allonta-
nate e nel quale il protoplasma è granuloso.
Tav. XVI
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»
10.
Li:
12.
15.
14.
NEOPRODUZIONE DEL TESSUTO MUSCOLARE LISCIO 405
Intestino di coniglio stenosato da due giorni. Forma di
diaster, protoplasma granuloso, principio di strozza-
mento del corpo cellulare. (Zeiss oc. 2, imm. om. ‘/,,).
Ferita del tenue nel cane, fatta tre giorni prima. Diaster,
protoplasma granuloso (Zeiss oc. 2: imm. om. ’/,,}.
Stenosi intestinale nel coniglio, che data da quattro
giorni e mezzo. Gomitoli figli, protoplasma leggermente
granuloso, strozzamento del corpo cellulare, più mar-
cato che nei casi precedenti. (Koristka oc. 3: imm.
om. Zeiss !/,,).
Id. id. Divisione completa del corpo cellulare. (Zeiss
oc. 3: imm. om. !/,,).
Stenosi intestinale del coniglio, che data da due giorni.
Gomitoli figli più distanti che nella forma precedente,
Strozzamento del protoplasma quasi completo. (Ko-
ristka oc. 3: imm. om. Zeiss !/,3).
Sezione delle fibre muscolari in direzione trasversa al loro
nucleo. In a una fibra muscolare col nucleo in mitosi
ed in cui è evidente l’ingrossamento del corpo cellu-
lare, per rispetto alle fibre circostanti.
406 QRESTE MATTIROLO
Intorno al valore specifico della Pleospora sarcinulae
e della Pleospora alternariae di Gibelli e Griffini.
Ricerche sperimentali del Dott. Oreste MATTIROLO.
Le ricerche sperimentali, i cui risultati riassumo brevemente
in questa nota preventiva, avevano per scopo di riuscire alla
decisione di una importante questione micologica controversa (1).
Trattavasi di verificare con nuove serie di coltivazioni quale
realmente fosse la causa delle notevolissime differenze ottenute
successivamente dagli autori nello studio del ciclo evolutivo della
Pleospora herbarum Tut.
Coi bellissimi lavori dei fratelli TuLASNE (2) colle favolose
concezioni di HAlLIER (3), colle affermazioni molte volte gratuite
di FuckEL (4) e sopratutto colle ricerche sperimentali di GIBELLI
e GRIFFINI (5), di BaukE (6), DE BaARY (7), KoHL (8), ci tro-
vavamo in possesso di lavori per molti riguardi importantissimi
ma che non erano assolutamente concordanti fra loro.
La questione controversa dipendeva in fondo da ciò, che
mentre alcuni autori ammettevano nel ciclo evolutivo della
(1) Il lavoro completo si pubblicherà nei prossimi numeri della Malpighia
(Messina).
(2) L. R. TuLasne e C. TuLasne, Selecta Fungorum Carpologia, tom. II,
pag. 260 e seg. Parigi 1863.
(3) HaLLier, Unt. der pflanz. Org. welche die unter d. namen Gattine
bek. Krank. der Seit. erz. Postdam 1868. — Die Muscardine des Kieferspin-
ners. (Zeit. fur die Parasitenkunde). Vol. I, pag. 18.
(4) L. FuckeL, Symbolae Mycologycae, pag. 130. Wiesbaden 1869.
(5) GiseLLi e GRIFFINI, Sul Pleomorfismo della Pleospora herba-
rum. Archivio trien. del laboratorio di Botanica crittogamica della Università
di Pavia. Milano 1874, pag. 53 e seg.
(6) Bauge, Beitrige zur Kenntniss der Pycniden. Dresden 1876. Nov. Act.
der K. Leop. Car. AK. vol. XXXVIII, N. 5.
— Zur Entwickelungsgesch. der Ascomyceten. Bot. Zeit. 1877. N. 20.
(7) A. De Bary, Vergleichende Morph. und Biologie der Pilze. Leipzig 1884.
(8) F. G. Konc, Ueber den Polymorphismus von Pleospora herba-
rum. Tur. Botanisches Centrallblatt. Vol. XVI, N. 1. 1883, pag. 26.
VALORE SPECIFICO DELLA PLEOSPORA SARCINULAE 407
Pleospora herbarum Tur. un numero più o meno grande di
forme secondarie, attribuendole tutte alla evoluzione di una sola
specie; altri invece, consideravano comprese e confuse nella
Pleospora herbarum TuL. due forme specifiche distinte e carat-
teristiche, alle quali si dovevano attribuire le forme evolutive
osservate.
Come si scorge di leggieri la questione che doveva rimanere
in un campo prettamente sperimentale, venne portata anche nel
campo teorico e quindi ne venne, per questo riguardo, aumentata
l’importanza e differita la soluzione, che era riservata alle sole
ricerche sperimentali di coltivazione.
Le osservazioni da me fatte ebbero specialmente riguardo:
1° A stabilire se nei materiali infettati dal fungo in
questione si trovasse sempre una unica specie di P/eospora, 0
se invece non si fosse posto sufficiente attenzione a forme ana-
loghe concomitanti, come osservarono GIBELLI e GRIFFINI e come
sospettarono senza incontrarle De Bary e KouL.
2° A stabilire l'identità e la sinonimia di queste forme.
3° A coltivare le forme osservate per verificare il valore
e la posizione naturale delle forme secondarie evolutive descritte
dagli autori.
Per gentile compiacenza dell’egregio prof. G. GiBELLI dispo-
neva per queste ricerche di un materiale abbondantissimo e
classico.
i.
L'osservazione diretta rispose egregiamente al primo quesito.
Sopra 12 esemplari di P/eospora herbarum TuL. determi-
nati dai più valenti micologi, mi accadde dopo pazienti ricerche,
di trovare che in otto di essi tutti i pezzi del materiale erano
invasi dalla sola P/eospora herbarum tipica (PI. sarcinulae
GIBELLI et GRIFFINI (1)); ma che per lo contrario in quattro
differenti esemplari questa forma tipica era accompagnata da
un’altra forma periteciale analoga, corrispondente a quella de-
scritta, figurata ed indicata dai signori GIBELLI e GRIFFIN! col
nome di Pleospora alternariae. La Pleospora alternariae, mentre
(1) Pleospora herbarum. TuL. (grosse Form - De BaRr, loc. cit. 102.
408 ORESTE MATTIROLO
è differentissima dalla Pleospora herbarum per la somma dei
caratteri principali desunti dall’apparato ascoforo e dalle spore,
è facilmente con essa confondibile per le caratteristiche morfo-
logiche esterne.
Risulta adunque che queste due specie distinte si incontrano
realmente concomitanti, e che, come vedremo, si deve alla pre-
senza delle loro spore nelle colture la confusione che malgrado
le coscienziose e giuste ricerche di GIBELLI e GRIFFINI, seguì e
segue tuttora a questo riguardo nella scienza.
II. <
Le due forme caratterizzate dagli Autori italiani, e delle
quali pubblicheremo ampia e dettagliata descrizione, non sono
forme nuove nel senso della parola, ma corrispondono a forme
già conosciute. Noi crediamo però utile conservare i nomi loro
imposti dal GiseLLI e dal GRIFFINI perchè ufficialmente adottati
dal De Bary e perchè danno al micologo un concetto chiaro
ed esatto della principale forma secondaria che caratterizza il
loro ciclo evolutivo.
Come principali sinonimie dei nomi proposti possiamo anno-
verare le seguenti:
Pleospora Sarcinulae. — GiseLLi e GRIFFINI (1874).
Pleospora herbarum (Pers., RaB., D.NTRS., TUL., COOKE,
SACCARDO... .).
Pleospora Alternariae. — GiBELLI e GRIFFINI (1874).
Pleospora herbarum. TuLas. et Aut. ex parte.
» infectoria. FuckEL (1869).
» vulgaris. NiessL (1876) (1).
(1) Vedi più ampio quadro di sinonimia nella Monografia dei Generi
Pleospora, Clathrospora e Pyrenophora di A. N. BeRLESE. Nuovo giornale
botanico italiano, Firenze 1888, N. 1 e 2. — NB. Il Berlese in questo suo
lavoro non si occupò menomamente di questa importante questione di mi-
cologia sperimentale.
VALORE SPECIFICO DELLA PLEOSPORA SARCINULAE 409
HI.
Riconosciuta così la presenza di queste due specie distinte
e confuse assieme sopra uno stesso substratum, trattavasi ora di
osservarne le forme evolutive secondarie e a questo scopo stabilii
alcune serie di culture, fatte servendomi di spore appartenenti
alle due specie e ricavate da esemplari classici.
Le spore di Pleospora sarcinulae le ottenni da materiale
determinato dall'illustre prof, PASSERINI.
Le spore della Pleospora infectoria dall’esemplare n. 856
Mycotheca universalis, del De THimEN raccolto nel 1873 dal
sig. CH. B. PLOWRIGHT.
Le semine fatte con materiale d’erbario furono inattive per
più serie di colture, ma poi finalmente nuovo semine in pochi
giorni mi condussero a risultati che superarono le mie aspettative
e che mi lasciano credere di avere così risolto definitivamente
‘ la questione, e la causa per cui tanto tempo si ritardò a ren-
dere piena giustizia all’eccellente lavoro di GIBELLI e GRIFFINI.
I risultati delle mie colture furono assolutamente identici a
quelli di questi autori. I materiali adoperati, riconosciuti come
specie distintissime da tutti i micologi, non permettono quindi
di porre in dubbio le osservazioni dei botanici italiani.
Dalle spore di Pleospora herbarum tipica, ottenni conidii a
Sarcinula, identici a quelli descritti da tutti gli autori che si
occuparono dell'argomento. Dalle spore di Pleospora infectoria
ottenni invece abbondantissimi i conidii a tipo di Alternaria
identici a quelli descritti dagli autori e riguardati come forme
proprie della P/leospora herbarum (meno GIBELLI e GRIFFINI).
Oltre a conidii ottenni pure una numerosa produzione di forme
picnidifere.
CONCLUSIONE.
Risulta dalle osservazioni sopra riferite concordanti esatta-
mente con quelle di GrgeLLI e GRIFFINI, che nella Pleospora
herbarum, quale era descritta anticamente dagli autori, si con-
fondevano due forme specifiche distinte e che per conseguenza
le forme evolutive osservate finora non appartengono tutte ad
410
ORESTR MATTIROLO - VALORE SPECIFICO ECC.
una sola specie. Il ciclo evolutivo delle due specie si può rias-
sumere nel quadro seguente, nel quale noteremo a lato di cia-
scuna forma metagenetica osservata, i nomi di quegli autori, che
nelle loro coltivazioni dimostrarono sperimentalmente il nesso
evolutivo derivato dalla forma ascofora principale. Alle due specie
già assieme confuse, appartengono adunque e sono finora rico-
nosciute le forme seguenti :
PLEOSPORA SARCINULAE
GIBELLI E GRIFFINI.
Pleospora herbarum. Tulasne et
Autorum.
FORMA ASCOFORA.
Macrosporium sarcinula (Co-
nidia didyma, Tulasne. Tu-
lasne, Gibelli e Griffini, Bauke,
De Bary, Kohl, Mattirolo.
FORMA CONIDIALE.
È
FORMA PICNIDIFERA (Tulasne, Gi-
belli e Grìffini, Bauke).
FoRMA AscoFroRra (Gibelli e Griffini,
Bauke, Kohl).
|
FoRME MICROCONIDICHE (Bauke).
FORME DI MICELII SCLEROZIATI
(Bauke).
Torino, R. Orto Botanico,
6 Giugno 1888
PLEOSPORA ALTERNARIAE
GIBELLI e GRIFFINI.
Pleospora infectoria, Fuckel.
Pleospora vulgaris, Niessl.
FORMA ASCOFORA.
FORMA CONIDIALE — Alternaria
tenuis, Neess (Gibelli e Griffini,
Mattirolo ).
FoRMA PICNIDIFERA - (Mattirolo).
Forma Ascorora (Gibelli e Grif-
fini ).
Il Direttore della Classe
ALronso Cossa.
411
INDICE
DEL VOLUME XXIKII
ADUNANZE della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali . . Pag.
49, 103, 141, 167, 185, 197, 211, 221, 241, 277, 303, 325, 385.
NUNANZARO Classi Uapitet (e toe avant ae deu IMECRE e »
166, 276, 383.
ConFERIMENTO del V premio BRESSA ......,.....,000. eee »
Basso (Giuseppe) — Commemorazioni di Gustavo Roberto Kirchhoff Pag.
BaTTELLI (Angelo) — Sulle variazioni della resistenza elettrica e del
potere termoelettrico del nichel al variare della temperatura;
Ernie spor eni e RO a »
BELLARDI (LUIGI) — Relazione sulla Memoria del Prof. F. Sacco inti-
tolata « Aggiunta alla Fauna malacologica estramarina fossile
deliPiomanielezdella Lignano gig cio »
BusacHi (Tommaso) — Sulla neoproduzione del tessuto muscolare liscio ;
WARSERREROL E FICOLCHO: Lo narnia nn e »
CHARRIER (Angelo) — Lavori eseguiti all'Osservatorio astronomico di
IR AREA A AT Ia pi IRSA Bi tia PP »
133, 207.
Cossa (Alfonso) — Relazione della 5° Giunta per il premio BRESSA
(quadriennio 1883-86) .......... 2. itecar conce RISE,
—— Rieletto a Direttore per un altro triennio ..................- »
D’Ovipio (Enrico) — Relazione intorno alla Memoria del Dottore
C. SeGRE « Sulle varietà cubiche dello spazio a quattro di-
mensioni e su certi sistemi di rette e certe superficie dello
spazio. ordinario ..:.....:0.20 100000 renre eee ne ene ni oe »
ERRERA (Giorgio) — Sugli eteri nitrobenziletilici ................». »
— Derivati degli alcoli. Parabromo e Paraclorobenzilico ...... suit»
169
238
401
98
137
276
104
297
346
412 INDICE DEL VOL. XXIII
FERRARIS (Galileo) — Rotazioni elettrodinamiche prodotte per mezzo
dr eolrenti alternate... 20 seg apaeaca pope eo ET Pag.
GaLEAZZI (Riccardo) — Sugli elementi nervosi dei muscoli di chiu-
“e e LA Lee een pd dc egtre *
Giacomini (Carlo) — Su alcune anomalie di sviluppo dell'embrione
Grassi (B.) — Taenia flavopunctata WE1N, Taenia leptocephala CREPLIN,
Terza: diminalà ‘Rup'2:4. RIA .
GriMaLpI (Gio. Pietro) — Influenza della tempera sulle proprietà ter-
ripolettriche-delsbasngato < . ...:3 <.<: SORRISO et SIG
JADANZA (Nicodemo) — Sul calcolo degli azimuti mediante le coordi-
nate seetulinenii inietta our vegan
-—— Una nuova forma di cannocchiale ........- RR e I
— Sullo spostamento della lente anallatica e sulla verticalità della
SAGA e RO ae Ie VO So
Lusrie (Alessandro) — Sulle cellule epiteliali nella regione olfattiva
deghzembrionif: soa Ma ine ana ap
MartiROLO (Oreste) — Sopra alcuni movimenti igroscopici nelle Epa-
nepe, Marcin Se da eg ana I
—— Intorno al valore specifico della Pleospora Sarcinulac e della
Pleospora Alternariae di Gibelli e Griffini; — Ricerche speri-
mentali. ra bo po ia
MONTEMARTINI (Clemente) — Sulla composizione di alcune roccie della
mie di; Dizapas Nola uciorinzi -soeRi° tte sissie serbe
MoRERA (G.) — Sul problema della corda vibrante; Memoria .......
NaccarI (Andrea) — Sui calori specifici di alcuni metalli dalla tem-
peratura ordinaria fino a 320°; Nota .......... Api doge fa
Naccari (Andrea) — Sulla variazione del calore specifico del mercurio
al crescere della temperatura; Nota ........... _a1a4 SOS A
OEHL (E) — Contribuzione allo studio della circolazione del sangue.
OmopeI (D.) — V. VICENTINI (G.)
Ovazza (Elia) — Sul calcolo delle deformazioni dei Sistemi artico-
Fat Mot). SIIGIDI. AME, DEIPIDI VIII. vi ARIE] li
-— Sul calcolo delle freccie elastiche delle travi reticolari; Nota.
PioLTI (Giuseppe) — Sulla Cossaite del colle di Bousson (alta valle di
Susa); Osservazioni .inibjstznsdastir ani Hadid di hei
PizzETTI (P.) — Gli azimut reciproci di un arco di geodetica; Nota .
»
»
222
340
106
314
358
61
198
354
212
327
187
281
INDICE DEL VOL. XXIII
413
Porro (Francesco) — Intorno all’ecclisse totale di Luna del 28 gen-
MAO SSRO ER E iis Pag. 192
Sacco (Federico) — Studio geologico dei dintorni di Guarene d’Alba » 116
SALVADORI (Tommaso) — La Aegialitis asiatica (PALL) trovata per la
prima” volta indialia .-.-.-.-.+.--.. iene ennio » 44
—— Relazioni intorno alla Memoria del Dott. Daniele Rosa « Sulla
struttura dell’Hormogaster Redii. .............0.00.000.... » 186
I
—- Relazione sulla Monografia degli Ofidi italiani (parte 1°, Viperidi)
del Prof. L. CAMERANO.......... SIR RR I 5 I O ALA » 386
SansonI (Franceseo) — Note di mineralogia italiana — Datolite e Cal-
cite di Montecatini (valle di Cecina) .....................0- » 1492
Sracci (F.) — Sulla compensazione delle poligonali che servono di base
EAT ie TT RA A RT ARRE TA A ST » 278
Spezia (Giorgio) — Sulla origine del gesso micaceo e anfibolico di val
Cherasca nell’Ossola ...-........-. LANE CORSA La da Nar »i. da
VICENTINI (G.) e OmopEI (D.) — Sulla densità di alcuni metalli allo
stato liquido e sulla loro dilatazione termica. ............. VIS
VogLINo (P.) — Illustrazione di due Agaricini italiani ............. » 308
ZANOTTI Bianco (Ottavio) — Alcuni teoremi sui coefficienti di Legendre;
ORTO RA PRA ORE PESTE tr Ari » 5
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Torino Tir. REALB-PARAVIA.
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Nacgani (Andros) — Sulla mpriagione dei saturo spastica dot sac Po
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Piptnt (Giuseppa) — Soilo Cossiita dol cole di Beast {aly va
VI
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SOMMARIO
Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali.
ADUNANZA del 1° Luglio 1888... 0.4 Pag. 385
SaLvapori — Relazione sulla Memoria del Dott. Lorenzo CaMERANO,
intitolata: « Monografia degli Ofidi italiani - Parte 1% + Vi-
VIT, g 1 (38° DIR OE a TU nia TT N a RTRT » 386
Ovazza — Sul calcolo delle freccie elastiche delle travi reticolari. ., » 389
BusacHi — Sulla neoproduzione del tessuto muscolare liscio... . » 404
MatTIROLo — Intorno al valore specifico della Pleospora sarcinulae
e della Pleospora alternariae di Gibelli e Griffini, ...,... » 406
Inujor:del: Volume: XLI erica enne Sa e IT » All
ow- NB. A questa dispensa va unita la Tavola XII relativa
alla Memoria del Dott. P. VogLino su Due Agaricini
italiani, pubblicata nella dispensa 13 e 14, pag. 338.
Torino - Tip. Reale-Faravia.
LITILUICI
3 5185 00297 4820
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